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I sentieri della memoria

Paleolitico a Lipari

Il ritrovamento di tracce del Paleolitico medio a Lipari, nelle isole Eolie, è un evento che cambia la storia di questo arcipelago. La scoperta - presentata dal professor Emmanuel Anati nel corso del congresso internazionale di preistoria tenutosi a Florianopolis, in Brasile – è pubblicata negli atti dal titolo “The intellectual and spiritual expression of non-literate societies”. Tale scoperta, dovuta allo spirito d’osservazione di Maria Pia Fiorentino, apre un nuovo capitolo sulle origini della navigazione nel Mediterraneo e sulla configurazione primaria delle Isole Eolie.

di Emmanuel Anati, 29 Maggio 2014
TAG  lipari  isole eolie  paleolitico 


Figura 1

IL PALEOLITICO MEDIO A LIPARI E L'INIZIO DELLA NAVIGAZIONE NEL MEDITERRANEO

Premessa

Il ritrovamento di tracce del Paleolitico medio nelle isole Eolie è un evento che cambia la storia di questo arcipelago e forse anche dell’intera Sicilia; esso inoltre sta fornendo nuove informazioni circa la capacità dell'uomo di navigare nel Mediterraneo in tempi antecedenti rispetto a quelli fino ad ora considerati. Luigi Bernabò Brea, padre della preistoria siciliana, nel suo libro La Sicilia prima dei Greci (1961), scriveva: «L’uomo sembra essere arrivato molto tardi in Sicilia. Non si è trovata infatti finora alcuna traccia nell’isola di un Paleolitico inferiore o medio, di quelle più antiche culture umane, cioè, che occupano la parte immensamente più lunga del pleistocene e che giungono fino alla metà dell’ultima fra le quattro grandi glaciazioni che caratterizzano questo periodo geologico: la glaciazione di Wurm. Le più antiche culture umane identificate in Sicilia appartengono al Paleolitico superiore e cioè a un momento già molto avanzato della glaciazione wurmiana. Forse solo in questo momento l’uomo attraversò lo stretto di Messina e penetrò nell’isola». Solo recentemente è stata avanzata l’ipotesi della presenza di reperti del Paleolitico medio in Sicilia, mentre per le isole Eolie, al largo della costa siciliana, era finora persistita la convinzione che la prima presenza umana risalisse al Neolitico.

Sappiamo che l’attuale livello del Mediterraneo si è stabilizzato all’inizio dell’Olocene, tra 9 e 12 mila anni fa, nelle fasi finali del Paleolitico. Prima dello scioglimento dell’ultima glaciazione, e prima che i grandi ghiacciai pleistocenici dell’area polare si trasformassero in acqua ed andassero ad alimentare il mare, il livello marino era di circa 120 metri più basso dell’attuale, per cui le terre emerse erano più ampie. Vi sono pareri discordi in merito alle variazioni topografiche intervenute nelle Eolie, poiché, agli effetti delle variazioni del livello marino, bisogna aggiungere anche quelli provocati dalle attività vulcaniche che hanno fatto emergere nuovi spazi e che ne hanno fatto sommergere altri. Tuttavia è prevalente l’ipotesi che, negli ultimi 100mila anni, vi fossero sempre tratti di mare che separassero l’arcipelago dalla terra ferma, probabilmente più brevi dei 20 Km attuali, ma non di tanto.

In tal caso l’uomo avrebbe dovuto attraversare qualche chilometro di mare per approdare nelle Eolie. Come? Probabilmente con una primaria navigazione di zattere che sappiamo essere state in uso, in varie parti del globo, già almeno 60mila anni fa, se non altro quando l’uomo attraversò il mare per raggiungere l’Australia.

La scoperta di tracce umane di età paleolitica nelle Eolie riveste dunque rilevanza per almeno due ragioni: la revisione delle origini del popolamento e della storia di questo arcipelago e la capacità di antichi Europei di navigare.

Era pertanto opportuno dedicare attenzione alla stazione litica di Canneto considerata qui di seguito.


Figura 2

Il ritrovamento

Una industria litica abbastanza grossolana, è stata scoperta presso il villaggio di Canneto, nell’isola di Lipari, arcipelago delle Eolie, da Maria Pia Fiorentino, che ha voluto invitarmi a studiarla; cosa che ho realizzato durante una visita avvenuta con l’appoggio della locale municipalità, e proseguito con l’analisi dei reperti. La totalità dei manufatti analizzati in questo rapporto proviene dalla collezione della Signora Fiorentino.

Particolari ringraziamenti vanno all’amministrazione comunale di Lipari – allora Sindaco Mariano Bruno e Assessore Giuseppe Finocchiaro -, per l’interesse fattivo ed il concorso alla buona riuscita della nostra permanenza a Lipari. Ringrazio anche la Dr. Maria Adelina Bernabò Brea e la Dr. Madeleine Cavalier, del museo di Lipari, per aver esaminato alcuni strumenti, e la Dr. Maria Clara Martinelli della soprintendenza che ha letto la prima versione italiana di questo studio.

Il sopralluogo del sito scoperto da Maria Pia Fiorentino, avvenuto dall’11 al 14 giugno 2010, ci ha permesso di constatare la presenza in loco di numerose pietre dello stesso tipo di quelle raccolte dalla Signora Fiorentino, alcune delle quali hanno tracce di scheggiature intenzionali e sono segnate dall’azione del rotolio dovuto al trasporto delle acque. Nel nostro sopralluogo abbiamo constatato la presenza di scheggiature intenzionali su ciottoli ed altre pietre.


Figura 3

Il sito si trova alla foce di una valle naturale proveniente dalla montagna antistante e si conclude vicino all’attuale costa marina della località Canneto. È stata considerata l’ipotesi che il loro stato di usura da rullio fosse dovuto alle onde marine. L’angolosità e le caratteristiche generali dei reperti sembrano suggerire di preferenza l’ipotesi del loro dilavamento da trascinamento fluviale. La spigolosità e le caratteristiche generali dei ritrovamenti escludono la possibilità che potrebbe essere causata dall'azione ondulatoria del mare e suggeriscono l'ipotesi del trasporto fluviale.

È improbabile pertanto che i reperti siano nel loro luogo d’origine ed è presumibile che siano stati trasportati da acque piovane o torrentizie, da una località più a monte.

I reperti

I reperti sono costituiti da schegge naturali di pietre vulcaniche locali, principalmente di una pietra definita “andesite” dal geologo comunale. Sono per la massima parte di pietra tabulare a strati fini che portano tracce di ritocco ed anche di utilizzazione. Tra un centinaio di oggetti analizzati, ne abbiamo trovati solo tre che hanno bulbi di percussione ben evidenti. Altre schegge mostrano protuberanze distali che potrebbero esserlo, ma il loro stato di erosione dovuto al trasporto delle acque non permette di stabilirlo con certezza.

Tra gli utensili più evidenti, si conta un raschiatoio frontale su una pesante scheggia che presenta il bulbo di percussione, ed il frammento di una spessa lama a ritocco continuo, anch’essa con bulbo di percussione. Vi sono anche punte di tipo musteriano. Su vari reperti si notano scheggiature, alcune delle quali eseguite con tecnica Levallois. Alcuni raschiatoi su schegge spesse hanno un ritocco erto. Diversi manufatti mostrano tracce di utilizzo. Tra i reperti diagnostici vi sono due nuclei che, anche se atipici, sono di tipo musteriano. Segnaliamo inoltre una piccola pietra con perforazione naturale che è stata completata ed arrotondata dall’azione umana in epoca indubbiamente antica. Nonostante il carattere abbastanza eccezionale dell’industria che abbiamo analizzato, il fatto che la materia prima non sia né di selce, né di ossidiana, bensì rocce locali, gli aspetti tipologici e le tecniche di esecuzione lasciano pochi dubbi sul fatto della sua appartenenza al Paleolitico medio e non al Paleolitico superiore. L’attribuzione al Paleolitico medio di questo insieme di reperti è condivisa dai ricercatori che ne hanno preso visione, tra cui Federico e Ida Mailland, specialisti nella tipologia delle industrie litiche del Paleolitico. Possibili analogie con reperti del Mediterraneo orientale richiedono ulteriore approfondimento. Esse comunque, per il momento, implicherebbero solo similitudini dello stadio tecnologico e del tipo di economia.


Figura 4

Considerazioni

Questo insieme presenta una inattesa innovazione archeologica, se si considera che la presenza di reperti paleolitici non era mai stata notata nell’arcipelago e che qui si tratta di una cultura attribuibile al Paleolitico medio presumibilmente vecchia di oltre 50mila anni. Finora, grazie soprattutto alle fondamentali ricerche del compianto Luigi Bernabò Brea, si riteneva che l’isola di Lipari, come le altre isole delle Eolie, fosse stata raggiunta dall’uomo per la prima volta nel Neolitico, 5000 anni fa. La presente scoperta decuplica la durata della storia dell’uomo nell’arcipelago.

Come leggere questo ritrovamento? Non si conoscono per il momento altre tracce paleolitiche nelle Eolie ed è presumibile che esso indichi una presenza fortuita di un piccolo nucleo umano per breve durata. Non si può per il momento presumere una presenza continuata dell’uomo, anche se la scoperta inciterebbe ad effettuare più ampie esplorazioni estendendole anche ad altre zone dell’arcipelago.

L’ipotesi che all’epoca la principale risorsa cibaria fosse costituita dalla presenza di mammiferi marini sulle coste delle isole potrebbe suggerire che tali mammiferi trovarono rifugio nelle isole dove rimasero indisturbati dalla presenza di quel predatore che fu l’uomo di Neanderthal; ciò può forse spiegare l’avventura umana testimoniata da questo importante ritrovamento. Incursioni di cacciatori-raccoglitori nelle isole vicine sono stati riscontrati in varie parti del mondo, nelle isole australiane lontane dalla costa, nell’Arcipelago della Terra del Fuego all'estremità meridionale del Sud America, nel Canada settentrionale e altrove. Non sorprende, dunque, che abbia avuto luogo anche in Europa. Ma sarebbe utile avere ora una documentazione su questi precoci marinai al largo delle coste europee.

Per un’analisi più approfondita del luogo preciso da dove proviene l’industria litica, presumibilmente nelle aree collinose in cima o ai lati della valle in questione, e per la considerazione della topografia che doveva esistere in questa zona all’epoca in cui i manufatti sono stati prodotti, occorrono esplorazioni sistematiche sul territorio.

Per il momento possiamo solo constatare la presenza di un’industria litica differente dalle altre, scoperte fino ad oggi sull’isola di Lipari e probabilmente anche in tutta la Sicilia.

La scoperta, dovuta allo spirito di osservazione della Signora Maria Pia Fiorentino, sembra aprire un nuovo capitolo sulla conoscenza della umana avventura in questa zona del Mediterraneo.


Figura 5

APPENDICE: L’INDUSTRIA LITICA DI CANNETO (LIPARI)

Federico MAILLAND

Direttore CISPE, Centro Internazionale di Studi Preistorici ed Etnologici, Italia

Il complesso litico di Canneto si compone di un piccolo numero di manufatti ritoccati in andesite, una roccia vulcanica estrusiva ignea, di composizione intermedia tra il basalto e la dacite, di rinvenimento comune sia nell’arcipelago delle Eolie che sull’Etna. I manufatti litici mostrano marcati segni di erosione, con tutta evidenza dovuti a fenomeni alluvionali, e sono stati trasportati in fondo a una stretta valle, dove sono stati ritrovati in superficie, da un sito più elevato che non è stato ancora rinvenuto. Solo strumenti evidenti sono stati raccolti tra centinaia di frammenti litici con scheggiature analoghe, ma io ho avuto accesso solo ai manufatti raccolti.


Figura 6 e 7

Segue una descrizione dell’industria litica:

Nuclei: solo un esemplare può essere veramente definito un nucleo. Si tratta di un nucleo Levallois unipolare riutilizzato scheggiando due incavi sulle due facce mediante ritocco bifacciale. Ritocchi sono evidenti anche sul tallone (figura 6,1). Un secondo strumento, che si potrebbe interpretare come un nucleo, è piuttosto una scheggia spessa staccata con tecnica Levallois ricorrente da un nucleo unipolare. Infatti, sulla faccia ventrale è ancora presente il bulbo di percussione (figura 6,2).

Lame: sono definite così secondo la metodologia corrente in base al rapporto lunghezza/larghezza ≥ 2:1. Sono stati rinvenuti tre manufatti classificabili come strumenti su supporto laminare: un raschiatoio con perforatore (figura 4,1); un raschiatoio su lama, con ritocco invasivo sulla faccia dorsale e ritocco del tallone, con rimozione pressoché completa del bulbo di percussione (figura 4,2). Il terzo strumento è un perforatore su lama a dorso con ritocco a raschiatoio doppio (figura 8,3).

Schegge: la grande maggioranza degli strumenti raccolti è stata prodotta su scheggia.

Punte (n=5): sono state raccolte 4 punte musteriane tipiche, tre delle quali ritoccate su entrambi i margini (figura 1,2-5). Inoltre, una punta Levallois anch’essa ritoccata su entrambi i margini, e bulbo di percussione ben evidente (figura 1,1).

Raschiatoi (n=3): un raschiatoio trasverso con ritocco erto e bulbo di percussione ancora evidente (figura 2). Un raschiatoio con ritocco continuo e perforatore (figura 4,3). Un raschiatoio su scheggia Levallois (tronca) ottenuto staccando la scheggia dal nucleo con tecnica ricorrente unipolare. Bulbo di percussione ancora presente, malgrado il tallone ritoccato (figura 5).

Schegge ritoccate (n=7): un denticolato (figura 7,1), due schegge Levallois ritoccate (figure 7,2 e 8,1). Una scheggia con rimozione del bulbo di percussione (figura 8,5) e tre altre schegge ritoccate (figure 8,2: 8,4 e 8,6).


Figura 8

Le caratteristiche della litica di Canneto sono state riassunte come segue: schegge 80%, lame 15%, indice Levallois 30%, punte 25%, raschiatoi 30%, perforatori 10%, denticolati 5%. Quando presente, la tecnica Levallois impiegata è sempre stata quella ricorrente unipolare.

In conclusione, e nei limiti di questa scarsa raccolta, per le caratteristiche descritte il complesso litico di Canneto si può classificare nel complesso del Musteriano tipico, facies Levalloisiana secondo la classificazione di Bordes.

Bibliografia

Bordes, F. & Bourgon M.

1953 Levalloisien et Moustérien, Bulletin de la Société Préhistorique Française, 50 : 226-235.

Questo articolo è stato pubblicato anche sul numero 2 della rivista trimestrale "L'Eterno Ulisse"

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