Agramunt, la selva intorno al portale

Il Portico della Gloria scolpito da maestro Matteo, a Santiago di Compostela, negli ultimi decenni del XII secolo è forse l’ultimo grande capolavoro della scultura monumentale romanica; la nuova cattedrale di Chartres, avviata nel 1194, è già annoverata tra le grandi cattedrali gotiche; e Benedetto Antelami, vissuto tra il 1150 e il 1230, è il grande artista che, con le sue opere e la sua scuola, segna e incarna il cambio di gusto in Italia. Così, il passaggio dal XII al XIII secolo è uno spartiacque ideale: l’arte e il pensiero gotici prendono forma qualche decennio prima nell’Ile de France, ma fino al 1200 è possibile, in giro per l’Europa medievale, incontrare opere che possono dirsi romaniche; dal volgere del secolo in poi, esse sono invece ben rare.

La chiesa di Santa Maria

Conviene allora fermarsi a Agramunt, in Catalogna: perché qui, sulla facciata della chiesa parrocchiale di Santa Maria possiamo ammirare, e possiamo osservare con cura, un portale che si direbbe romanico, eppure è stato scolpito addirittura intorno al 1250, ben al di là della linea ideale che abbiamo appena provato a tracciare, e che – nonostante la fragilità di certe schematizzazioni – altrove in Europa appare universalmente rispettata come un confine non valicabile.

Il portale di Agramunt non è molto noto. Vedremo che per certi aspetti è inconfondibile. E cercheremo anche di dire non tanto se, alla fine, sia romanico o gotico; ma almeno che cosa c’è in esso di romanico, e che cosa c’è invece di gotico.

Il portale (foto: catalunia.com)

Dicevamo che siamo in Catalogna: Agramunt è una bella cittadina a metà strada circa tra Barcellona, il capoluogo catalano, e Huesca, importante città in territorio aragonese. Della chiesa di Santa Maria ci interessa qui solo il portale, appoggiato alla facciata, molto sporgente nel complesso. Privo di lunetta – al centro in alto sta una originale piccola scultura con la Madonna, un’Adorazione dei Magi e un’Annunciazione – è strutturalmente caratterizzato da tre elementi: un giro di otto archivolti concentrici, a pieno sesto, decorati alcuni con giochi geometrici, altri con piccole figurine che si susseguono; a sostenere questi otto archivolti stanno addirittura sedici colonnine, otto maggiori e otto minori, sia a sinistra che a destra; e infine, da una parte e dall’altra otto capitelli completano le colonne maggiori e sorreggono gli archivolti, e posti uno al fianco dell’altro – come capita in tanti altri portali romanici – si susseguono in due file serrate.

La “foresta di capitelli” a destra (foto di Santiago Abella)

I capitelli sono simili tra loro; e poiché rappresentano tutti una serie di rami intricati in cui si muovono, sempre però avvolte dalle fronde, figurine fantastiche o umane, da una parte e dall’altra del portale si dispiega come una selva continua, che percorre tutti gli otto capitelli di qua e tutti gli otto capitelli di là dell’ingresso. Il colpo d’occhio è molto affascinante e molto pittoresco. Secondo gli studiosi, i capitelli di Agramunt, che disegnano questi due squarci di foresta abitata, sono molto belli e riferibili alla “scuola romanica di Lleida”. Before Chartres azzarda due suoi personali collegamenti, e li accosta innanzitutto a certi capitelli del Piemonte medievale, che a Santa Fede a Cavagnolo e nella chiesetta di Montiglio presentano anch’essi figure in movimento in mezzo ai rami; e ancora richiama, per un confronto, i pulpiti e gli amboni d’Abruzzo, quelli in cui Ruggero, Roberto e Nicodemo scolpirono infiniti girali vegetali, anche queste abitate di omini nudi e di animali. Anche se scolpiti intorno al 1250 – sappiamo che le piccole sculture al centro degli archivolti, con Maria, i Magi e l’arcangelo Gabriele, sono addirittura datate all’anno 1283! – i capitelli di Santa Maria hanno ancora la stessa passione fantastica dei rilievi piemontesi e abruzzesi appena citati – lo confermano le foto qui sotto, dal sito festacatalunya.cat) – e conservano una vitalità e un gusto che sa di romanico anche al palato diffidente di questo blog.

Uno scorcio (foto: larutadelcister.info)

Che cosa c’è di gotico allora, nel portale di Agramunt? E’ proprio la continuità grafica dei sedici capitelli a distinguere questo di Santa Maria dagli altri portali romanici. Tutti pressoché uguali – guardandoli da lontano è difficile osservare le figurine tra i rami – e tutti in continuità piena, gli otto capitelli a destra e gli otto capitelli a sinistra diventano, incollati l’uno a fianco dell’altro, una vera e propria fascia grafica. Non insegnano, ma decorano. Non sottolineano, ma accompagnano. Anche nel tempo romanico si incontrano serie continue di capitelli; che però, anche quando sono fianco a fianco – guardate il portale di Artàiz, o quello di Agüero – narrano ciascuno un episodio, e non si preoccupano assai di diventare, uniti ai precedenti e ai successivi, un susseguirsi coerente di fotogrammi uguali, come accade invece ad Agramunt.

L’archivolto minore (foto: Esteve Roig Campama, elab.)

E’ un bel portale, quello di Santa Maria; ma qui, come accadrà sempre di più nel tempo gotico, la voce della scultura e dei singoli pezzi è sottomessa all’effetto grafico complessivo dell’ingresso, e poi al disegno dell’intera facciata. I sedici capitelli di Agramunt tutti uguali – anche se singolarmente ancora vivi e romanici – anticipano le file di santi e di re, allineati in batteria nelle facciate delle cattedrali gotiche. I capitelli e i rilievi romanici, scolpiti ciascuno come un pezzo unico, ciascuno bastante a se stesso e per se stesso prezioso, lasciano ormai il campo a sculture fatte in serie. E viene il tempo degli archivolti trecenteschi, in cui si susseguiranno decine di figure il cui solo intento sarà delimitare e riempire spazi. Accade già ad Agramunt: le figurine inginocchiate del primo archivolto, tutte uguali, sono lontanissime dagli omuncoli nudi dell’Abruzzo romanico, diversi l’uno dall’altro e fantasticamente agitati. E nel passaggio tra un’epoca e l’altra, i pezzi unici della scultura teologica romanica vengono dimenticati; e ad essi si sostituiscono le statuine in fotocopia, che riempiono nicchie a sesto acuto allineate e perfette ed esposte come in vetrina, belle, tante, eleganti, ma ormai interessate ad apparire più che a parlare.

Gli archivolti minori (foto: Jordi Ferrer, elab.)

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Quello di Agramunt è un portale bellissimo, ma “minore”. Before Chartres affronta invece il tema dei “grandi” portali del medioevo, e lo riassume, come in un viaggio – finalmente “su carta” – in un volumetto prezioso, dedicato ai suoi lettori più affezionati. Lo si trova qui: DIECI grandi PORTALI ROMANICI.

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All’Alvernia, regione antica della Francia centrale, è dedicato un nuovo splendido volumetto. Si intitola LE NOVE PERLE (e le altre meraviglie) DELL’ALVERNIA ROMANICA e raccoglie tutti insieme i numerosi articoli che il blog Before Chartres ha dedicato ad una terra magica, ricca di grandi architetture absidali e di bellissimi capitelli.

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9 pensieri su “Agramunt, la selva intorno al portale

  1. Il giro di otto archivolti concentrici, può essere allegoria degli 8 giorni in cui l’ottavo è segno dell’infinito e quindi della vita eterna?

    Simbologia che se non sbaglio si ritrova anche in alcuni battisteri.

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    1. Certo: sicuramente gli otto lati di tanti battisteri romanici rimandano agli otto giorni – i sette della creazione, della settimana, a cui si aggiunge l’ottavo, che non finisce mai – e all’idea dell’infinito e della vita eterna. L’otto è anche la somma del quattro, numero dell’uomo e del terreno – quattro arti, quattro sensi, quattro punti cardinali – e del tre, numero del divino; umano e divino insieme fanno la completezza (4+3=7) e diventano “il di più”, il non misurabile, (l’8) con l’aggiunta di un’ulteriore unità.

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  2. Paolo Salvi

    Se c’è una cosa che non condivido dei canonici studi storici e della conseguente visione diffusa è quella di voler fissare delle datazioni granitiche, inamovibili, a spartiacque di periodi storici e, peggio, culturali e stilistici che non corrispondono alla realtà universale, che per loro stessa natura hanno bisogno di tempi dilatati per radicarsi.
    E ciò emerge chiaramente soprattutto con gli stili architettonici in diversi contesti anche non distanti geograficamente, come la città e la campagna o le vallate di un territorio.
    La persistenza degli stili è una chiara connotazione delle aree periferiche e isolate, per cui non ha senso stabilire che con il 1200 finisce il romanico, affermazione che ha valore solo in ben definite zone, come l’Ile de France ed è assolutamente sbagliata per l’Italia, dove il gotico non vede espressione prima del 1218 in Sant’Andrea di Vercelli e poi con le realizzazioni successive degli Ordini mendicanti, Francescani e Domenicani dopo il 1230-1250.
    Ma anche qui sono tutte realizzazioni sfumate e mediate dalla persistente sensibilità romanica, che in Italia raramente scompare del tutto.
    È quindi meno inusuale e sorprendente trovare anche in Spagna persistenze e contaminazioni romaniche verso la fine del XIII secolo e questo che puntualmente proponi è un tipico caso, assolutamente normale, che vuole sfuggire ai rigidi incasellamenti di storici poco elastici.

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    1. Sono d’accordo, Paolo. Aggiungo due precisazioni, più al mio discorso che al tuo: la prima è che certi tentativi di “calendarizzazione” sono utili come griglia, soprattutto per chi si avvicina all’arte, o all’arte di un certo periodo, e sono invece certamente meno stingenti per chi, come te, di quell’arte e di quel periodo ha già un’idea precisa; la seconda è che, proprio per non essere legati a calendarizzazioni e schemi, è bello andare a fondo, e provare a vedere, dentro un’opera, cosa c’è di un certo modello, e cosa di un altro, cosa resta dell’arte dei secoli precedenti, e cosa c’è di nuovo…

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      1. Paolo Salvi (da Fb):
        Esattamente. Per la necessità di capire sono utili se non addirittura necessarie le schematizzazioni, anche temporali. Che però diventano deleterie per una più approfondita conoscenza quando diventano delle gabbie. E’ anche il bello dell’arte e dell’architettura e dello studio dell’arte e dell’architettura quando si possono vedere influenze diverse in un’opera che la rende in qualche modo unica e non ripetibile.

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        1. …e la cosa più appassionante è quando ci si trova di fronte ad opere che sono così belle da sfuggire ad ogni schema: il Portico della Gloria a Compostela, ad esempio, l’archivolto dei Mesi nel portale di San Marco a Venezia, i rilievi della facciata di Notre-Dame a Poitiers…

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          1. Gianluigi Vezoli (da Fb):
            La calendarizzazione, come la riduzione a stili, come la classificazione in periodi storici, come la denominazione di periodi o di culture, ecc. sono frutto della storiografia dei secoli passati quando era necessario avere dei punti di riferimento per poter collocare le informazioni. Oggi devo dire che qualcosa di quell’impostazione è rimasto negli storici, mentre è praticamente scomparsa negli archeologi, che trovandosi di fronte quotidianamente alla realtà materiale, si attengono fedelmente ad essa senza farsi prendere la mano dalla necessità di dare un nome o una datazione. Di fatto oggi con gli strumenti tecnologici che abbiamo a disposizione per la datazione, ad es. con lo studio del magnetismo delle pietre ed altro, potremmo avere dati molto attendibili, ma queste analisi non sono ancora diffuse come dovrebbero. E un grande aiuto ci potrà essere fornito dai dati che derivano dallo studio degli aplogruppi ancestrali dei vari gruppi etnici, che, confrontati con i resti umani del passato, ci permettono di capire ivcollegamenti e gli scambi avvenuti tra le persone nei vari territori. Di fatto, comunque, come dice Barbero, quello che sappiamo della storia non è niente in confronto a quello che la storia è stata.

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