Dalla Sicilia ‘u rinali, càntaru, còmmuda, quartara, bùmmulu, lancèdda: contenitori tra loro ben diversi. Uno sguardo verso il passato

Esplorare la propria lingua d’origine porta a momenti passati e ad antichi oggetti che sono stati sempre presenti in casa anche se ormai del tutto privati della loro funzione. Il confronto e la ricerca mette pure in contatto con inevitabili origini linguistiche e non necessariamente da termini prettamente locali: la Trinacria è fusione di culture. Dalla Sicilia ‘u rinali, càntaru, còmmuda, quartara, bùmmulu, lancèdda: contenitori tra loro ben diversi. Uno sguardo verso il passato.

Questi oggetti erano fatti in materiali diversi. Tutto dipendeva anche dalla stratificazione sociale che ne determinava la fattura e le decorazioni.

Un esempio oggi ben visibile di questo passato (neppure così lontano) viene dal Museo della Casa Contadina a Bolognetta (link), Comune vicino Palermo, a 300 metri sul livello del mare, dove esiste una raccolta di oggetti casalinghi di una volta (la foto d’apertura arriva dal suo sito web). La struttura ò inserita nel progetto dell’Associazione Culturale Facitur (Folklore, Arte e Cultura per l’incremento turistico) che vede la collaborazione con musei etnografici europei e mediterranei. Il perno dell’attività è in un’area che comprendente i comuni di Mezzojuso, Villafrati, Bolognetta, Ciminna, Baucina, Ventimiglia di Sicilia e Trabia.


Parto dal primo, ‘u (il) rinali, da pronunciare col giusto accento, rinàli.

Null’altro è che un pitale, un vaso da notte, quello che anticamente era conservato (in Siciliano sarbatu) nello scomparto basso di alti comodini verticali, a colonna (chiamati spesso colonnette o direttamente rinalere) posti ai due lati del letto. Questo era almeno per case più agiate, altrimenti l’oggetto stava direttamente sotto al letto. Me li ricordo nelle antiche camere da letto dei nonni, conservati come testimonianze di un antico passato, non più utilizzati da tempi remoti.

Era quindi un orinale, in ferro smaltato o porcellana, da utilizzare per le emergenze e, come ho accennato, lo era soprattutto anticamente quando i bagni nelle case non erano proprio così diffusi o quando non c’erano proprio. Sottolineo che era costume diffusissimo (ne ho trovate diverse immagini da camere da letto conservate intatte) dall’area germanica fino alla Spagna passando per l’Isola britannica o la Francia, per non parlare di altri continenti, da Israele, alla Lousiana e allo Yucatan.

Quindi, vaso da notte, rinali (dal vocabolo spagnolo orinal), pitali, ma espandendo l’uso oltre alla pipì, era pure còmmuda (dal termine latino commodus), silletta (o siggettu: era di forma più grande per contenere di più e a quattro manici) oppure cantero-cantru-càntaru nella terza forma càntaru è vocabolo usato primariamente per indicare un’antica misura del peso (parte del sistema di misurazione siciliano), ma in molte zone della Sicilia era anche utilizzato come sinonimo di rinali.

Il termine càntaru avrebbe due origini diverse che, comunque, potrebbero avere una stessa area geografica di nascita, la Penisola Iberica, visto che potrebbe derivare da qintar (dall’Arabo, presente nell’area spagnola durante la dominazione musulmana) e dallo Spagnolo quintal. Ma l’origine potrebbe essere ancora più lontana, dalla forma greco-bizantina kentàrion, poi arabizzata in qinṭār, reintrodotta in Europa come quintale nel Latino del Medioevo.

Sic: Teniri lu rinali ad unu.

Ita: Rendere cieco ossequio, umiliarsi.


Acqua fresca sempre a disposizione, ma bisognava andare a prendersela con la quartara

Quando l’acqua corrente non c’era e comunque anche nei palazzi bisognava avere a disposizione contenitori che la tenessero fresca, pronta da servire, si doveva andare a prenderla nei pozzi o nei corsi d’acqua.

La quartara (nella pronuncia da accentare quartàra) era il contenitore d’eccellenza in terracotta con smaltatura che consentiva il migliore isolamento termico, all’inizio del 1900 anche in metallo zincato. Nella forma in rame si chiamava mezzina.

Da considerare che la creta utilizzata per dar forma al contenitore era miscelata a sale per esaltare ulteriormente la capacità di mantenere fresco il liquido contenuto dalla quartara: veniva esaltata la qualità igroscopica del contenitore. In particolare la tecnica era utilizzata per la lancèdda e il bummulo, versioni più piccole. Le pareti trasudavano l’umidità formando un velo umido sulla parte esterna: questo evaporando faceva abbassare la temperatura. Volendo fare un paragone imperfetto, è come quando si esce da una doccia o da un bagno caldo: l’acqua calda sulla pelle evapora e ci dà una sensazione di freschezza.

In tempi remoti e poi nei piccoli centri non ancora serviti dalle condotte dell’acqua o nelle campagne, si vedevano spesso le donne con le lancèdde sulla testa appena riempite con l’acqua dai pozzi, dalle fontane cittadine o dai torrenti per poi portarlo in casa. Le quartare, più grandi, venivano appese ai fianchi dei muli o caricate sui carri.

Si va quindi dalla quartara, da vocabolo di origine araba Quìtar (parola che in Spagnolo cambia significato in “smettere” o “separare”). Ha capacità di circa 18 litri, per passare poi alla lancèdda e al bùmmulo o bùmmulu, in ordine decrescente di capacità dei contenitori. Ma c’erano pure differenze nelle forme e nelle aperture per caricare acqua e vino e per sorbirne.

* Anche se vi sono alcune differenziazioni tra territori siciliani, la quartara fatta bene doveva contenere 17,193 litri.
Perché questa misura così esatta? Il contenitore rappresentava una quantità che faceva parte dell'antichissimo sistema di misura arabo-normanno utilizzato a cominciare dalla produzione agraria. Quartara come quantificazione dei liquidi e vino faceva compagnia alle altre unità di misura siciliane ed equivaleva al tumulo che era utilizzato per la quantificazione in litri di materiale secco (17,193 litri di cereali e legumi): tummino o tumolo era anche la sedicesima parte di una sarma (equivalente a 3 ettari, 42 are, 97 centiare e 43 migliare), poi il quartiglio, coppu, cantaru.
P.S.: la sarma equivale anche a 288 chili di frumento, tanto quanto ne serve per seminare la superficie di terreno quantificata dallo stesso termine.

La lancèdda era ed è più piccola della quartara, quindi di maggiore portabilità, capace di contenere circa 5/7 litri. Fino a metà del 1900 era prodotta anche in latta zincata.

Il bummulo era invece la versione più portatile in assoluto, arrivava a contenere due litri al massimo, come fosse un contenitore da viaggio. La denominazione deriverebbe dal greco bombölios-βομβύλιος, un vaso affine alla tipologia alàbastron, corpo ovoidale che si allarga verso la base, labbro a disco, piccole prese, frequente nel periodo del Corinzio iniziale.

Era trasportabile in maniera più agevole soprattutto per chi andava a lavorare nei campi o era impiegato nei lavori edili o quando era utilizzato per la distribuzione d’acqua in più ambienti o case vicine. Questo contenitore aveva una particolare apertura in più, un foro in alto, tra il collo di riempimento e la parte panciuta. Chi voleva dissetarsi toglieva un punteruolo di legno che chiudeva il buchetto, inclinava il bummulo e ci beveva a fontanella. Il punteruolo rimaneva assicurato al contenitore grazie a uno spago legato a uno dei manici o al collo principale. Una sua variante più piccola e più schiacciata verticalmente era utilizzata per tenerci il vino.

Tra i maggiori e migliori centri di produzione dei bummuli c’erano Lentini, Caltagirone, Alcamo, Carini e poi Caltanissetta, Calatafimi, Gela, Nicosia, Licata, Patti e Terrasini.

La lancèdda, il bummulo e la quartara (questa per sonorità più basse) sono usate pure come strumenti musicali soffiandovi dentro quasi a mo’ di pernacchia provocando risonanze e onde sonore che accompagnano altri strumenti in concerti di musica folcloristica siciliana.

Sic: Cadiri l’acqua quartari quartari.

Ita: piovere a dirotto.


Sic: Tantu va ‘a quartara all’acqua finu ca si rumpi o si ciacca!

Ita: Tante volte va l’anfora all’acqua fino a che si rompe o si fessura! (ogni cosa e ogni persona è soggetta all’usura del tempo, prima o poi si rompe o si logora – OPPURE: chi ha una vita sregolata, prima o poi soffrirà di acciacchi o finirà nei guai)


Sic: Nun po’ truzzari cu la petra la quartari.

Ita: Con i più forti è meglio non attaccar briga.

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