John Hunter GIROLAMO SICIOLANTE I

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FONDAZIONE CAMILLO CAETANI

CENTRO DI STUDI INTERNAZIONALI GIUSEPPE ERMINI FERENTINO

ROMA

Riproduzione digitale

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John Hunter

GIROLAMO SICIOLANTE pittore da Sermoneta (1521-1575)

Roma 1996


Fondazione Camillo Caetani Roma

John Hunter

GIROLAMO SICIOLANTE pittore da Sermoneta (1521-1575)

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Fondazione Camillo Caetani Roma

John Hunter

GIROLAMO SICIOLANTE pittore da Sermoneta (1521-1575)

« L'ERMA

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di BRETSCHNEIDER


Titolo originale dell'opera: John Hunter, Girolamo Siciolante pittore da Sermoneta, 1991 Traduzione di Nicoletta Coppini


Pubblicazioni della Fondazione Camillo Caetani a cura cli Luigi Fiorani Studi e documenti d'archivio, 4


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John Hunter

GIROLAMO SICIOLANTE pittore da Sermoneta (1521-1575)

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L'ERMA » di BRETSCHNEIDER


© 1996 Fondazione Camillo Caetani «

L'Erma » di Bretschneider ISBN 88-7062-898-1


A Luise Hunter e in memoria di John Hunter jr.



Indice

9

Premessa

L'itinerario artistico 13

18

23 30 36 46 65 77 85

Introduzione La biografia Le prime opere La Roma di Paolo III e di Ferino Intermezzo emiliano Il ritorno a Roma Transizione e incertezza La maturità Gli ultimi lavori Le ragioni di un successo

Catalogo delle opere 97

202 229

238 257 274

283

I.

Dipinti autentici Opere perdute II. III. Attribuzioni incerte IV. Attribuzioni erronee Disegni. L'evoluzione dello stile V. VI. Disegni. Opere autentiche VII. Disegni. Attribuzioni erronee

Documenti 293

Testi e atti notarili, 1543-1818

329

Bibliografia

357

Indice delle illustrazioni

371

Indice sommario dei nomi e dei luoghi

379

Illustrazioni



Premessa

Nel 1980 la Fondazione Camilla Caetani aveva in programma di celebrare la ricorrenza del 400° anniversario della morte di Siciolante, avvenuta, così si credeva allora, nel 1580. Quando venni a conoscenza di questo progetto (lavoravo in quei giorni su alcuni documenti dell'archivio Caetani a Roma) spiegai ai responsabili della Fondazione che l'anniversario era già passato perché, secondo quanto avevo scoperto da poco, Siciolante era morto nel 1575. L'allora presidente della Fondazione, il compianto signor H ubert Howard, rnolto saggiamente scelse di perseverare nel progetto iniziale e di celebrare la ricorrenza con un po' di ritardo anziché aspettare il quinto centenario che sarebbe caduto 95 anni dopo . Nel 1982 la Fondazione mi ha gentilment e invitato a partecipare ad un seminario, e in seguito ha deciso di pubblicare il mio studio su Siciolante. Per la presente monografia, con l'annesso catalogo di tutte le opere di Siciolante, sono dunque molto grato alla Fondazione e in particolare a!l' amico Luigi F iorani. Questo lavoro è nato dalla ricerca per la mia tesi di dottorato portata a termine nel 1983 per l'università del Michigan. Devo gratitudine a Graham Smith, a R. Ward Bissell, a Nathan Whitman, a T homas T entler, membri del comitato di lettura della mia tesi. Parecchi altri enti e persone mi hanno aiutato e incoraggiato nei lunghi anni necessari a portare a termine il lavoro. La Fondazione Samuel H. Kress e la compianta signora Mary Davis mi hanno fatto avere una borsa per la Biblioteca Hertziana. Il personale della Hertziana si è dimostrato gentile e disponibile, in particolare il compianto Wolfgang Lotz, Matthias Winner, Christoph Frommel, Ingrid Rossmann, Gabriella Fichera, Vincenzo Pollari. La Biblioteca V aticana e l'Archivio di Stato di Roma sono stati un validissimo aiuto, e senza l'ospitalità di Elena Garro i miei soggiorni a Roma non sarebbero stati possibili. I n anni recenti il sostegno è venuto da fonti più vicine a casa: il Graduate College della Università statale di Cleveland ha dato i fondi per i viaggi e i soggiorni a Roma. Molti amici mi hanno incoraggiato oltre ogni aspettativa; tra questi il collega Walter Leedy, il sorvegliante agli studi professor Ingo Herklotz, e il mio compagno spirituale Alan W eissberg. Senza di loro, questo studio non esisterebbe.



L'ITINERARIO ARTISTICO

Introduzione La biografia Le prime opere: la Roma di Paolo III e di Ferino; intermezzo emiliano; il ritorno a Roma Transizione e incertezza La maturità Gli ultimi lavori Le ragioni di un successo


I riferimenti bibliografici vengono riportati in forma abbreviata alla fine di ogni capitolo. Per la citazione completa vedere la bibliografia che chiude il volume.

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Introduzione

La vita professionale di Girolamo Siciolante da Sermoneta è abbastanza ben documentata dalla biografia di Giorgio Vasari, testimonianza contemporanea e accurata, e da una ampia informazione sulle attività pubbliche e artistiche del pittore 1 • Nell'archivio Caetani a Roma esistono lettere perfettamente conservate di mano di Siciolante, e « stime, conti e contratti » si trovano all'Archivio di Stato e all'Archivio capitolino. Sono stati identificati molti protettori dell'artista: tra la nobiltà romana i Caetani, i Colonna, gli Orsini, i Cenci, i Massimo; nel collegio cardinalizio i cardinali Cesi, Capodiferro, Sforza; tra i papi Paolo III, Giulio III, Pio IV, Pio V, Gregorio XIII 2 • Siciolante ricevette incarichi e commesse da eminenti personalità straniere residenti a Roma, tra le quali l'ambasciatore di Francia Claude d'Urfé e i Fugger , una famiglia di banchieri tedeschi. Di fatto, ogni artista importante della Roma del Cinquecento godeva di protezioni analoghe, e dunque, a ben pensarci, l'elenco dei nomi che abbiamo citato non è poi cosl straordinario come sembra a prima vista. Eppure, la committenza di Siciolante resta eccezionale dal punto di vista della qualità, solidità e durata . L'attività artistica di Siciolante a Roma si protrasse durante 35 anni circa. A differenza di altri artisti che godettero della protezione di uno o due mecenati durante un determinato numero di anni, Siciolante passò da incarico a incarico e da committente a committente, senza quasi mai allontanarsi né da Roma né dall'ambiente dell'aristocrazia romana e della corte papale. Il suo rapporto con questo settore della società romana, ampiamente conosciuto e documentato, ci aiuta a capire quali fossero le forze individuali e collettive che determinarono non solo lo sviluppo stilistico del nostro artista ma anche il genere di pittura richiesto dalla Roma del sec. XVI. E' stato compito degli studiosi capire l'impatto che queste forze complementari e interagenti ebbero sull'arte di Siciolant~. All'inizio, la critica ha affrontato il problema in modo alquanto


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L'itinerario artistico

sommario e semplicistico: si disse di Siciolante che era della scuola di Raffaello solo perché i suoi primi maestri, Perino del Vaga e Leonardo da Pistoia, erano stati allievi di Raffaello 3 • In epoca più tarda la parola « raffaellesco » designò - e designa tuttora - uno stile pittorico ben preciso 4. Si può dire che la pittura di Siciolante è « raffaellesca », perché in essr, si percepisce una eco della composizione e della tipologia di Raffaello e della sua scuola; ma è anche vero che dall'opera di Siciolante sono assenti tanto gli ideali di bellezza quanto lo studio dell'antichità classica propri di Raffaello. Allo stesso modo, quella vaga qualità michelangiolesca che si riscontra nella pittura di Siciolante non proviene direttamente dal maestro ma piuttosto dall'influenza che esercitavano i numerosi ammiratori romani di Michelangelo 5 • Il manierismo spiega anche il rapporto stilistico tra la p-ittura di Siciolante e l'arte di Ferino, il quale fu tra i più noti manieristi che lavorarono a Roma 6 • Sebbene :il termine manierismo comprenda più cli uno stile di pittura, in Ferino esso sta a significare raffinata eleganza e sofisticheria, stilizzazione della natura portata all'estremo e bellezza decorativa 7 • Nello stile di Siciolante, essendo maturato sotto l'influenza di F erino, è logico trovare la qualità manieristica di una ricca tavolozza, di panneggi elaborati, di tipologie stilizzate. Eppure, l'arte di Siciolante è in contrasto con il manierismo di Perino per la sua iconografia tradizionale, per gli elementi naturalistici, per una certa freddezza di espressione. Questa mescolanza di influenze contrastanti è stata chiamata 'contromanierismo'. In quanto prodotto del movimento di riforma nella Chiesa romana, questo stile è associato alla Controriforma 9 • Prese ad una ad una queste parole - raffaellesco, michelangiolesco, manierista, contromanierista, controriformista stanno a indicare le diverse correnti nell'arte di Siciolante; prese tutte insieme, fanno pensare al conservatorismo del suo stile che si richiama al passato, al tardo Quattrocento e al primo Cinquecento 10 • La domanda che si presenta allo studioso contemporaneo è perché l'arte conservatrice di Siciolante abbia incontrato cosl grande favore tra l'aristocrazia romana. La risposta è che il processo di rinnovamento di Roma e della Chiesa aveva creato le condizioni migliori per il fiorire di questo genere di pittura. Artefice del rinnovamento fu Paolo III, il quale, quando era cardinale, aveva assistito a una rivolta religiosa alimentata dalla profonda insoddisfazione del popolo romano nei confronti del papato. I predecessori di Paolo III non avevano fatto niente contro i ribelli nel timore che i protestanti decidessero


Introduzione

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un nuovo scisma nel cnstianesimo occidentale. Il sovrano cristiano più potente d'Europa, l'imperatore Carlo V, guardava con fastidio alla incapacità del papato di riformare la Chiesa e di eliminare le ragioni della rivolta. Finalmente Carlo V prese in mano la situazione, e inviò le sue truppe a Roma, nel 1527 ; queste misero a sacco la città e umiliarono il papato. Quando fu eletto papa nel 1534, Paolo III cominciò una difficile azione di rinnovamento. Impiegò i fondi in dotazione del papato nelle for tificazioni della città, nella basilica di San Pietro, nei palazzi del Vaticano. Incoraggiati dall'esempio, i membri del collegio cardinalizio e dell'aristocrazia romana si impegnarono nel rifacimento di chiese e di palazzi e ne finanziarono la decorazione. Il rinnovamento urbanistico procedeva, ma la riforma religiosa non faceva un passo avanti. Fino al 1545 il pontefice non riusd a convocare un concilio in grado di varare la riforma della Chiesa. Quando finalmente il concilio si aprl a Trento, esso si trovò di fronte al rischio di una frattura piuttosto che alla possibilità di una riconciliazione. Alla chiusura del concilio, nel 1563, il temuto scisma tra cattolici e protestanti era una realtà. Messa di fronte a nuovi, min acciosi attacchi contro la propria autorità, la Chiesa cattolica si fece aggressiva e sospettosa, e il rinnovamento della città fu visto come utile strumento politico. L'affacciarsi di nuove possibilità in conseguenza della ricostruzione urbanistica portò a ulteriori restrizioni . Architetti, pittori, scultori, artigiani calarono su Roma con l'unico scopo di spartirsi i lavori. Molti di loro, formati nel credo estetico del manierismo, scoprirono che i decreti sull'arte religiosa emanati dal concilio di Trento avevano dato via libera al manifestarsi di una posizione ostile nei confronti della libertà di creazione propria del manierismo. Il concilio pretendeva da parte degli artisti il rispetto delle Sacre Scritture e degli insegnamenti dei Padri della Chiesa, insieme con l 'osservanza del decoro nella rappresentazione artistica, nonché l'esclusione di qualsiasi accenno sia pure vagamente licenzioso. Con il progressivo affermarsi di queste idee, gli artisti si videro soggetti a critiche nel loro lavoro da parte dei custodi dell'ortodossia. In questo raggelante ambiente conciliare, lo stile conservatore di Siciolante diventò un modello. Come se non fosse sufficiente questo atteggiamento critico nei confronti della creatività, gli artisti si trovarono esposti ai conflitti politici che dividevano la società romana, specchio delle rivalità internazionali tra l'imperatore cattolico Carlo V e il re di Francia Francesco I. Carlo V, essendo anche re di Spagna, i suoi fautori nella curia papalina e nell'aristocrazia


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L'itinerario artistico

romana ebbero l'appellativo di fazione spagnola, mentre i seguaci di Francesco I furono conosciuti con il nome di partito francese . Intrighi e lotte tra le opposte fazioni spesso erano decisivi per l'assegnazione degli incarichi e per l'affermarsi di un artista. Siciolante non era certamente l'artista più brillante né più àotato di Roma, tuttavia era riuscito a conquistare fama e rispetto nella città che era il centro artistico più vivace di tutta Italia. Ebbe in dono il talento e fu assistito dalla fortuna. Il suo stesso nome - Siciolante da Sermoneta - testimonia che andò sempre fiero della propria città. Fu leale vassallo dei Caetani, i signori di Sermoneta, e i Caetani ricambiarono la sua lealtà usando delle loro parentele con l'aristocrazia romana per procurargli lavoro . Anche il destino gli fu b enevolo. Quando, negli anni '60, raggiunse l'apice della creatività, i più brillanti artisti di Roma erano già morti - Michelangelo, Ferino del Vaga, Francesco Salviati, Daniele da Volterra, Taddeo Zuccari. Rimanevano, è vero, parecchi concorrenti di talento, ma su tutti Siciolante aveva il privilegio dello stile conservatore e dei mecenati potenti che gli procuravano i lavori migliori. La fama di cui Siciolante godette in vita ha avuto un totale capovolgimento ai giorni nostri. A p arte un ristretto gruppo di specialisti, il suo nome è praticamente sconosciuto; anche nella cerchia degli studiosi Siciolante è spesso ritenuto un artista di second'ordine 11 • Tuttavia alcuni eruditi, tra questi Adolfo Venturi, Egiziaca Favorini, Federico Zeri , Ilaria Toesca, Bernice Davidson, Ellis K. Waterhouse, Olga Raggio, Luisa Mortari, Raffaele Bruno hanno voluto riportare l'arte di Siciolante al posto che le spetta. Il presente lavoro, che è il primo catalogo critico di tutte le opere dell'artista, si avvale dei loro contributi. Questo studio è il risultato dell'esame minuzioso di tutte le fonti pubblicate, di ricerche d'archivio, dell'analisi diretta delle opere. Attraverso la testimonianza dei documenti e l'indagine stilistica, si fornisce una cronologia più completa e precisa delle opere di Siciolante. Vita e sviluppo stilistico sono descritti in questo lavoro, che è al tempo stesso una ricerca sul cammino percorso dal nostro artista e sull'impatto della committenza sulla sua produzione. Premessa basilare è che l'opera di Siciolante è il risultato della volontà dei committenti sommata al talento artistico innato nel pittore. Nella sezione che comprende il catalogo dei quadri e dei disegni, ogni singola opera è discussa nei particolari. Documenti, bibliografia, illustrazioni completano il testo. Scopo primario di questa monografia è di far conoscere l'artista e la sua opera, ma il presente studio si pro-


Introduzione

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pone anche di spiegare perché la fortuna di Siciolante nel Cinquecento sia stata importante per la storia dell'arte.

Note 1 VASARI, Le vite, III, 1, 1568, pp. 367, 368; III, 2, pp. 591, 695, 854-855. Sebbene accurata, la biografia di Siciolante scritta da Vasari non offre una cronologia attendibile. Il che ha creato serie difficoltà agli autori successivi. Vasari elenca diciannove opere, delle quali sette sono databili con certezza sulla base di documenti esistenti. Vasari le elenca in questo ordine: la pala d'altare di Valvisciolo, 1541; la pala d'altare di Santo Spirito, 1564; gli affreschi di San Tommaso in Cenci, 1565; la pala d'altare di San Giacomo degli Spagnoli, 1564-1565; la pala d'altare di San Martino, 1548; la Sacra Famiglia di Parma, 1545; l'affresco della Sala Regia, 1565. 2 Vedi HUNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, pp. 11-76. 3 ORLANDI, Abecedario, 1753, p . 262. 4 LANZI, Storia, I, 1795-1796, p . 437 . 5 voss, Die Malerei, I, 1920, pp. 104-108; VENTURI, Storia, IX, 5, pp. 578585. 6 voss, Die Malerei, I, 1920, pp. 104-109; Allgemeines Lexicon , XXX, 1936, p. 584; PANOFSKY, Idea, 1924, p. 41. 7 SHEARMAN, Mannerism, 1967, pp. 62-64. 8 FREEDBERG, Painting, 1975, pp. 495-499. 9 ZERI, Intorno, XXXVI, 1951, 139-149; ZERI, Pittura, 1957, pp. 37-38. IO DAVIDSON, Some Early \Y/orks, XLVIII, 1966, pp. 55-64 . 11 VENTURI, Storia, IX, 5, pp. 578-585; FREEDBERG, Painting, 1975, pp. 495 499.


La biografia

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Girolamo Siciolante nacque a Sermoneta, possedimento della nobile famiglia romana dei Caetani. Ci riferisce Pietro Pantanelli, lo storico settecentesco della cittadina di Sermoneta, che la famiglia Siciolante viveva nel circondario della parrocchia di Santa Maria. In origine si chiamava Cristalli, nome che fu poi cambiato in Ciciolante o Siciolante dal padre di Girolamo, Francesco di Paolo 1 • La famiglia era composta di quattro figli: Girolamo, Giovanni, Alessandro, Onorato 2 • Della madre non si sa niente, neppure il nome. Si pensa che Girolamo sia nato intorno al 1521, perché Giorgio Vasari nelle Vite (1568) riferisce che Siciolante aveva vent'anni quando finl il primo lavoro in proprio, la pala d 'altare di Valvisciolo, che porta la data del 1541 3 • Poche sono le notizie che abbiamo della vita privata e della personalità di Siciolante. Sposò Lucrezia Stefanelli, e il figlio Tullio nacque nel 1552 4 • Girolamo e Lucrezia ebbero altri quattro figli: Virginia, Paolo, Antonio, Cesare 5 • Vissero tutti a Roma, in una casa su piazza Farnese, e a lungo, dopo la morte dell'artista, conservarono la proprietà di un altro immobile, non lontano dal primo 6 • A proposito della morte di Siciolante, fino dai primi dell'Ottocento si è creduto, a torto ma con insistenza, che essa avesse avuto luogo nel 1580 7 • Siciolante morì d'improvviso, e non c'è traccia di alcuna commemorazione in suo onore; tuttavia è probabile che il decesso sia avvenuto durante l 'estate del 15 7 5, perché il 6 settembre dello stesso anno la vedova Lucrezia fu designata erede dell'immobile e tutrice dei figli. Lucrezia presentò un inventario particolareggiato di quanto c'era in casa, delle proprietà immobiliari e del danaro liquido 8 • Che Siciolante fosse riuscito a dare alla famiglia sicurezza e benessere a Ro ma dipese soprattutto dal successo che seppe conquistarsi come pittore. A differenza di molti artisti, costretti a lavorare a lungo lontano da Roma, Siciolante vi rimase quasi sempre, con l'eccezione di alcuni brevi periodi all'inizio 9 • Non sappiamo quando sia iniziata la vita artistica di Sicio-


La biografia

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lante. Secondo Le vite di Giovanni Baglione (1642) 10 , Siciolante fu mandato a Roma a fare l'apprendista presso il Pistoia. Questo artista, conosciuto ora con il nome di Leonardo Grazia da Pistoia, entrò a far parte dell'Accademia di San Luca nel 15.34, e all'inizio degli anni '40 si trasferl a Napoli per ultimare il dipinto La presentazione di Cristo Bambino al Tempio (fig. 5), destinato alla chiesa di Santa Maria di Monte Oliveto 11 • Vasari, che fu un testimone contemporaneo, cita soltanto Perino del Vaga come maestro di Siciolante, ma quanto scrive non contraddice quello che scrive più tardi Giovanni Baglione 12 : sebbene Perino sia rientrato a Roma da Genova prima del 15 3 7, Vasari non associa il nome di Perino a quello di Siciolante fino al momen to in cui quest'ultimo dà inizio all'opera di d ecorazione dell'appartamento papale a Castel Sant'Angelo negli anni '40. E ' dunque presumibile che Siciolante abbia lavorato con Leonardo da Pistoia negli anni '30, e poi con Ferino forse già a partire dal 1541, data della pala d'altare di Valvisciolo, il primo lavoro eseguito in proprio da Siciolante. P er un giovane agli esordi come era lui, certamente era necessario fare l'apprendistato presso un maestro che avesse già un buon numero di commissioni da eseguire a Roma. Si può supporre che Leonardo da Pistoia avesse lavoro in quantità tale da avere bisogno di un apprendista, e che Siciolante abbia imparato i primi rudimenti della pittura nella bottega di Leonardo; forse ha anche copiato lo stile del maestro. Comunque, Siciolante passò dalla bottega di Leonardo a quella di Perino del Vaga, e questo nuovo sodalizio si rivelò una vera fortuna per il giovane artista. Pochi anni dal rientro a Roma furono sufficienti a Ferino per affermarsi come il pittore e il decoratore più rinomato della corte di Paolo III, e dunque egli si trovava nella condizione migliore per dare lavoro a parecchi assistenti 13 • A proposito del rapporto che unì Perino a Siciolante, Vasari afferma che Siciolante fu il migliore tra gli assistenti di Ferino, e che questi si servl di lui più che degli altri 14. Il sodalizio con Perino ebbe conseguenze importanti sulla vita artistica di Siciolante, in quanto quest'ultimo si trovò ad occupare una posizione di primo piano a Roma, alla quale non sarebbe arrivato cosl giovane e in piena competizione con altri artisti giovani come lui e con ambizioni uguali alle sue. Nel 1543 Siciolante diventò socio dell'Accademia di San Luca, e una parte della quota d'iscrizione, che era di due scudi, la pagò con un dipinto di sua mano, il San Luca, del quale fece dono alla chiesa dell'Accademia 15 • L'anno seguente Siciolante entrò a far parte della associazione tra artisti chiamata la congregazione dei Virtuosi al Pantheon 16 • Questa associazio-


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L'itinerario artistico

ne, più esclusiva perfino dell'Accademia di San Luca, era di fatto una lega tra gli artisti che lavoravano per Paolo III. Grazie all'appartenenza a queste due associazioni, Siciolante accrebbe e conservò il proprio prestigio nell'ambiente artistico romano e con il crescere della fama si meritò il titolo di consolo, o alto funzionario, della stessa Accademia, carica che ricopri nel biennio '54-'55, e poi di nuovo nel 1564. Il grande successo di Siciolante a Roma fu dovuto in primo luogo al suo innato talento d'artista, e poi al rispetto di cui venne circondato. Ma questo non basta a spiegare ogni cosa. Molti erano, a quel tempo, gli artisti cli talento pari al suo , se non superiore, eppure a nessuno arrise uguale fortuna. Siciolante ebbe infatti un vantaggio su tutti: godette sempre dell'appoggio della famiglia Caetani, i quali gli affidarono numerosissimi incarichi e commissioni. Ma alla carriera di Siciolan te l'appoggio dei Caetani non giovò tanto quanto gli giovò il credito di cui i Caetani godevano sia nella corte pontificia che nella società romana. Quando Siciolante cominciò a lavorare a Roma, Camilla Caetani era il signore di Sermoneta, e il di lui cugino Alessandro Farnese era stato fatto papa con il nome di Paolo III (15341549). Il padre di Camilla, Guglielmo, era fratello di Giovanna, madre del papa Farnese 18 • Nicolò, figlio di Camilla, fu nominato cardinale da Paolo III, e a lungo rimase attivo nella curia romana 19 • Dunque, i Caetani erano strettamente legati alla corte dei Farnese, e di questa circostanza profittarono latg::1.mente. Tra le varie mete che si prefissero , una fu di favorire la carriera cli Siciolante, e in questo sforzo ebbero molto successo. Il giovane artista era in piena ascesa.

Note 1 PANTANELLI, Notizie, I, 1972, p. 602. Spesso Siciolante parlava di sé come di Hieronimo Ciciolante o Siciolante, oppure Hieronimo da Sermoneta. Vedi Documenti, III, V, XXI, XXII, XXVI, XXVIII, XXIX. Il nome di Siciolante è regis trato come Girolamo di Francesco Siciolante da Sermoneta in un documento riguardante la chiesa di Santa Maria in Aracoeli, Roma, Archivio storico capitolino, Cred. VI, t . 60, f. 396. 2 PANTANELLI, Notizie, I, 1972, p. 602. Pantanelli dà il nome degli altri tre figli di Francesco: « ciò è di Giovanni, Alessandro e Onorato». Poi prosegue: « Da questo ne derivò Paolo, che fu buon filosofo, teologo e arciprete di S. Maria; e Fabrizio, che riuscl buon medico. Vi è stato Giulio, avvocato nella curia romana, di cui conservo presso di me alcune selve legali manoscritte ». La persona a cui accenna Pantanelli - 'da questo' - è Onorato, l'ultimo da lui nominato dei figli di Francesco. Non è Siciolante, come si potrebbe supporre, perché i figli dell'artista li nomina in altra parte. Forse Francesco ha anche


La biografia

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avuto una figlia di nome Francesca che ha vissuto a Sermoneta. Vedi Documenti, XXXII (Roma, Archivio di Stato, Archivio dei notari del tribunale del1'A.C., Gaspar Reydettus, voi. 6229, f. 340, 3 ottobre 1575). 3 VASARI, Le vite, VII, 1881, p. 571. Non è da escludere che Siciolante sia nato prima. Le norme della congregazione dei Virtuosi al Pantheon stabiliscono che i nuovi soci devono aver raggiunto la maturità (30 anni ) prima di essere ammessi. Se questa norma valeva anche quando Siciolante entrò a far parte del sodalizio, allora la sua data di nascita deve essere retrocessa al 1514. Non sappiamo però se questa norma fosse valida allora, e perciò accettiamo l'affermazione di Vasari. WAGA, Vita, XXXII, 2, 1969, p. 43. 4 Lucrezia è nominata in un documento che porta la data del 6 settembre 1575. Vedi Documenti, XXXII (Roma, Archivio di Stato, Archivio dei notari del tribunale dell'A.C., Joannes Antonius Curtus, voi. 2273, f. 375rv). Cosimo Stefanelli era fra tello di Lucrezia. Tullio è ricordato in un'iscrizione nella chiesa di San Lorenzo in Damaso a Roma, dove si trova anche un suo busto scolpito. Vedi GRISEilAC1-1, Romische Portratbusten, 1936, pp. 80-81. Morì, all'età di venti anni, il 19 lugl io 1572, dunque è nato nel 1552. Vedi SCHRADER, Monumentomm, 1592, p . 140. Tullio è autore di una Madonna e Bambino con angeli, ora a Palazzo Caetani a Roma. Vedi FIORANI, Lettere, in Girolamo, IV , 1983, pp. 127-129. 5 Questi nomi sono contenuti nel documento che porta la data del 6 settembre 1575. Vedi Documenti, XXXII. PANTANELLI (Notizie, I, 1972, p. 602) cita cinque figli : Cesare, Antonio, Lorenzo, Orazio e Tullio. Cesare era funzionario della curia e procuratore a Sermoneta. Questa informazione Pantanelli la prese da documenti che esaminò personalmente. Può darsi che la notizia sia vera, ma oggi non s iamo in grado di verificarla. 6 Lo stabiJe era in vicolo dei Melangolari , registrato nella parrocchia di S. Salvatore in Campo (cfr. Archivio St0rico del Vicariato di Roma, Status animamm, 1, 1596-1632 , f. 4rv; vedi MASETTI -ZANNINI , Pittori, 1974, p. 111 ). Secondo CAETANI, Domus Caietana, II, 1933, p. 57, la famiglia continuò a prosperare a Sermoneta per altri due secoli. Attualmente non sono rintracciabili nell'archivio Caetani i documenti che si riferiscono alla famiglia di Sermoneta. 7 Dai tempi di Z ANl (Enciclopedia, parte 1, XVII, 1823 , p. 219) la data di morte di Siciolante è il 1580, e ciò si basa sulla affermazione di Baglione che Siciolante morì durante il pontificato di Gregorio XIII (1572-1585). 8 Siciolante morì poco dopo il 14 marzo e prima del 6 settembre 1575. Infatti , il 14 marzo valutò il lavoro fatto da Nlichelangelo da Santa Fiora in Castel Sant'Angelo. Vedi Documenti, XXXI. Il 6 settembre dello stesso anno Lucrezia presentò un inventario di ciò che l'artista possedeva. Vedi Documenti, XXX II. Il 16 luglio 1575 il Senato capitolino ordinò una nuova valutazione del lavoro eseguito dall'artista per il soffitto di Santa Maria in Aracoeli. Sebbene questa datazione non costituisca la prova irrefutabile della data di morte dell'artista, tuttavia la valutazione da parte del Senato avvenne probabilmente quando Siciolante era in vita. Vedi CAROSELLI, Il soffitto, n.d. 9 Nel 1545-46 Siciolante lavorò a Piacenza per Pier Luigi Farnese, duca di Parma e di Piacenza; nel 1547-48 era invece a Bologna, dove portò a termine una pala d 'altare per conto della famiglia Malvezzi. I dipinti per il castello della Bastie d'Urfé, quelli per Osimo e quelli per Ancona li esegul probabilmente a Roma, e furono trasportati dopo a destinazione. 10 « Girolamo Siciolante da Sermoneta stette co'l Pistoia allievo di Raffaello, poi datosi maggiormente allo studio fu discepolo di Perino del Vaga», BAGLIONE, Le vite, 1642, p. 23. Vasari non accenna a una parentela tra Siciolante e Leonardo da Pistoia. VASARI, Le vite, IV, 1879, pp. 647-648. 11 Sebbene fossero due, e quasi della stessa età, gli artisti che rispondevano al nome di Leonardo da Pistoia, il maestro di Siciolante fu Leonardo Grazia, allievo di Giovanfrancesco Penni. TOLOMEI, Guida, 1821, p. 184, fu il primo a rilevare che Leonardo Grazia era il maestro cui alludeva Baglione. L'altro Leonardo da Pistoia, chiamato Malatesta, firmò e datò la pala d'altare per il duomo di Volterra nel 1516. Vedi LANZI, Storia, I, 1795-1796, p. 159, e l'edizione del 1818, p . 176. Pertanto non avrebbe potuto essere allievo di Penni, poiché Penni era allievo di Raffaello in quell'anno. Per l'iscrizione di Leonardo


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L'itinerario artistico

Grazia all'Accademia di San Luca vedi Roma, Archivio dell'Accademia di San Luca, Libro d'introiti, voi. 2, f. 3v_ 12 VASARI, Le vile, V, 1880, p. 628. Nell'edizione deIIe Vite del 1550, nel capitolo sulla vita di Ferino (VASARI, Le vite, III, 1550, pp. 941, 942, 944) Vasari afferma che Siciolante era uno degli aiutanti di Ferino. Nell'edizione del 1568 (VASARI, Le vite, II , 3, 1568, pp. 854-855 ) ripete questa informazione nel capitolo sulJa vita di Ferino e aggiunge separatame nte una vita di Siciolante. Però non fornisce ragguagli sugli anni di formazione di Siciolante. 13 VASARI, Le vite, V, 1880, p. 620. Dopo il suo ritorno a Roma (1537) Ferino fu scoraggiato dalla propria incapacità a procurarsi una commessa dal papa. Ma la fortuna girò dopo che ebbe terminato la cappella Massimo nella chiesa di Trinità dei Monti e quando riprese a lavorare agli affreschi della cappelJa del Crocifisso nelJa chiesa di San MarcelJo. Vedi OBERHUTIER, Observations, IV, 2, 1966, p. 172, n. 29; GERE, Two Late Fresco Cycles, CII, 1960, p. 10, n. 5; FIOCCO, La cappella, VII, 1913, pp. 89-90. Presto Daniele da Volterra diventò assistente di Ferino. VASAR I , Le vite, VII, 1881, p. 52 dice che d opo la cappella del Crocifisso assegnò a Daniele l'incarico di eseguire l'affresco di un fregio per il palazzo di Agnolo Massimo. In breve tempo Ferino riuscl nell'intento di farsi dare una commessa ufficiale dalJa corte pon tificia . Mostra di disegni, 1966, p. 4. Nel 1541 riceve tte l'incarico per il basamento delJa Stanza delJa Segnatura (fig. 9), lavoro che fu reso necessario dalla sistemazione del caminetto tolto dalla Stanza dell'Incendio. I bid., pp. 48-50. Nel 1542 lavorava agli stucchi delJa volta della Sala Regia, e alla Spalliera, un disegno a grandezza naturale per gli arazzi sotto il Giudizio di Michelangelo. Vedi DAYID SON, The Decorati011, LXVIII, 1976, p. 395; Mostra di disegni, 1966, pp. 51-52. Queste furono le prime commesse di Ferino dopo il suo rientro a Roma e prima che lui e Siciolante lavorassero insieme a Castel Sant'Angelo. Vedi anche PARMA ARMANI, Perin del Vaga, 1986, pp. 171-236. 14 Quali assistenti di Ferino, Vasari dà i nomi di: Daniele da Volterra, Guglielmo della Porta, Marco Pino da Siena, Marcello Ve nusti, Siciolante. Scrive Vasari: « Si servì Perino di molti giovani, ed insegnò le cose dell'arte a molti discepoli; ma il migliore di tutti, e quegli d i cui egli si servì più che di tutti gli altri, fu Girolamo Siciolante da Sermoneta». VASARI, Le vite, III, 1, 1568, p. 370. 15 Il più alto funzionario d ell'Accademia , il consolo Matteo d a Terranova, iscrisse come socio Siciolante, il quale pagò la somma di 5 giuli (50 baiocchi) dei 2 scudi che doveva. Avrebbe dovuto pagare altri 15 giuli (ancora 1 scudo e 50 baiocchi) ma questa somma gli fu condonata. Vedi Documenti, I. 16 ORBAAN, Virtuosi, XXXVII, 1915, p. 22. Vedi Statuto, 1839, p. 36. Nel 1543 sarebbe avvenuta l'iscrizione di Siciolante. 17 Vedi Documenti, VIII, XII. TOMASSETTI, Elenco, II, 1953-1956, p. 11. 18 Onorato Caetani, padre di Guglielmo e di Giovanna (o Giovannella) sposò Caterina Orsini. Giovanna sposò Pier Luigi Farnese, Guglielmo sposò Francesca Conti. Vedi CAETANI, Domus Caietana, I , 2, 1927, pp. 74, 82-83, 151, 196, 214; II, 1933, pp. 32-37; Dizionario biografico degli italiani, XVI, 1973, pp. 135-137, 179-184; LITTA, Famiglie, III, 1819-1911, tav. VII (Farnese duchi di Parma). 19 CHACON, Vitae, III, 1677, coli. 642-643; CAETANI, Domus Caietana, II, 1933, pp. 46-55; Dizionario biografico degli italiani, XVI, 1973, p. 197.


Le prime opere La Roma di Paolo III e di Perino

Pur disponendo di una documentazione abbastanza esauriente sui primi lavori di Siciolante, abbiamo ancora qualche difficoltà a capire come si è formato e come ha evoluto lo stile dell 'artista . Per arrivare a questo dobbiamo seguire le tracce d.i quelle caratteristiche che si ripetono da un quadro all'altro, e allora ci rendiamo conto delle diverse influenze che Siciolante ha assimilato prima di conquistare un proprio stile. Dobbiamo anche essere molto attenti agli aspetti del suo stile originati dalle esigenze della committenza, e spesso si capisce che sono d.i scarso interesse per l'artista. Parallelamente a questa ricerca, è importante seguire il cammino di Siciolante nella società romana. Due peculiarità, non subito evidenti, spesso caratterizzano i suoi primi mecenati: il sostegno consenziente al partito francese negli affari politici del governo del papa, e il saldo vincolo con la famiglia F arnese. La vita professionale di Siciolante ha inizio con un mecenate che ha queste qualità. Camillo Caetani, signore di Sermoneta, commissionò il primo lavoro documentato di Siciolante. E' il dipinto che Vasari afferma terminato quando l'artista aveva vent'anni. La Madonna e Bambino con i santi Pietro, Stefano e Giovannino (fig. 1) ora a Sermoneta fu messa sull'altare maggiore dell'abbazia dei Santi Pietro e Stefano a Valvisciolo nei pressi di Sermoneta. Fu commissionata come parte del restauro dell'abbazia intrapreso da Camillo Caetani 1 • Per lo studio preparatorio, che è a Parigi (fig. 2), Siciolante si propose uno schema allora in voga a Roma, cioè delle figure inserite in un paesaggio che evoca la campagna romana. Tuttavia, la pala si d.iHerenzia grandemente dal disegno: una nicchia architettonica divide le figure dal paesaggio lontano, e in questo modo crea un posto appartato per la Madonna e i santi. Questo genere d.i composizione, essendo stato tipico del Quattrocento, è più trad.izionale e al tempo stesso, rispetto al disegno, più conservatore d.i quanto in quel momento fosse l'arte a Roma. Sembra quasi che all'artista sia stato domandato d.i imitare un genere di pittura più vecchio, in-


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vece di seguire il gusto più avanzato di moda a Roma. E' probabile che il mecenate, avendo opinioni più conservatrici, abbia imposto questo cambiamento 3 • Le figure massicce di Siciolante, rivestite di indumenti dai colori sgargianti, certamente produssero una impressione singolare allorché vennero collocate nella chiesa dell'abbazia 4. La vergine seduta ha una gonna giallo-arancio e un manto grigioazzurro chiaro che fanno contrasto con la nicchia grigio scuro. Il Bambino nudo, in piedi accanto a lei, con la gamba destra poggiata sulla coscia della madre , alza la mano in un gesto di benedizione 5• Accanto al piede della Vergine c'è san Giovannino che tiene nella mano una piccola croce di legno e segna a dito il Bambino Gesù. Un drappo di stoffa, che reca il motto ECCE ANGUS DEI (sic) si snoda attorno alla croce. A sinistra sta in piedi san Pietro, rivestito di un indumento blu-verde con un manto giallo-oro, a destra c'è santo Stefano, che indossa una straordinaria dalmatica , color rosa-salmone chiaro, sulla quale sono narrate due storie, La lapidazione di santo Stefa no e l'Annunciazione a Maria. La composizione simmetrica del dipinto è ancor più marcata dalla presenza di due putti alati sopra la Vergine che reggono un drappo verde limone. Questa pala d'altare ha parecchie caratteristiche in comune con due opere di Leonardo da Pistoia, la Madonna e Bambino con sant'Anna, san Pietro e san Paolo (fig. 4) e La presentazione di Gesù al T empio (fig. 5) , rispettivamente databili intorno al 1537 6 e al 1540 7 • Oltre alla similarità della composizione simmetrica intorno alla nicchia centrale, anche le figure sono massicce e messe in evidenza da grandi drappeggi. I tratti del viso sono stilizzati: il naso lungo e stretto crea un arco con il sopracciglio, gli occhi descritti con precisione mancano di espressività; la bocca è piccola, le labbra carnose. Fattezze e posa della Madonna di Siciolante sono simili a quelle della Madonna della Presentazione, e la testa di santo Stefano somiglia molto a quella della terza figura dello stesso dipinto. Questi pochi raffronti danno credito alla tesi di Baglione che voleva Siciolante allievo di Leonardo da Pistoia. Tuttavia, lineamenti molto simili e panneggi ugualmente ricchi sono presenti anche nell'opera di Perino, e dunque bisogna studiare con attenzione l'influsso che quest'ultimo esercitò sulla pala di Siciolante. Nessuno ha avanzato l'ipotesi che Siciolante abbia lavorato con Perino fin dai tempi della pala di V alvisciolo perché, a un esame superficiale, sembra che la pala non abbia niente in comune con lo stile elegante delle opere romane di Ferino, per esempio il Basamento (fig. 9) della Stanza della Segnatura e la Resurrezione di Lazzaro (fig. 8) per la chiesa di Trinità dei


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Monti 8 • L'andamento ritmico e la grazia delle opere di Ferino contrastano con le figure massicce e assiepate di Siciolante. Eppure l'influenza di Perino è evidente in un disegno preparatorio (fig. 2) per la pala di Valvisciolo 9 : la tecnica è simile a quella di Ferino nell'abbozzo del Sacrificio (fig. 10) per il Basamento 10 • Siciolante cominciò il disegno con una serie di ampie linee a carboncino che mostrano gesti e movimenti, alcune delle quali sono ben visibili nelle figure di san Pietro, di santo Stefano, di san Giovannino; penna e inchiostro bruno gli servirono per delineare le figure più importanti sopra questi contorni. Le linee a inchiostro sono disegnate con precisione, senza esitazioni né ripensamenti, con l'eccezione del san Giovannino, un po' goffo e mal riuscito . Con l'acquarello marrone diede poi risalto ai volumi e mostrò la direzione della luce, e con questa tecnica di disegno riuscl a impartire nitidezza e vigore alle forme. Probabilmente, aveva imparato il metodo da Perino; non solo è uguale il procedimento ma Siciolante fece suoi numerosi motivi tratti dai disegni di Ferino, quali l'esagerato infossamento dell'ombelico e la rigidità della figura di san Pietro. Un esame più attento della pala di Siciolante denuncia l'influsso di Perino. La figura del san Giovannino trae origine dalla Sacra Famiglia (fig. 7) che si trova a Vaduz 12 : i tratti del volto, i capelli lucenti del Bambino, i drappeggi voluminosi con pieghe intricate e ripetute cui si contrappongono ampie zone lisce, sono caratteristiche della pala d'altare di V al visciolo come della Madonna di Vaduz. Inoltre, le piccole scene della Lapidazione di santo Stefano e dell'Annunciazione sulla dalmatica di santo Stefano sono popolate di figurine vivaci che fanno pensare pit1 alla tecnica del disegno, e dunque allo stile di Perino, che non a tutto il resto della pala. Queste peculiarità stilistiche suggeriscono che Siciolante sia stato influenzato dall'opera di Perino molto prima del loro accertato sodalizio nel 1544. Non si sa se al tempo della pala di Valvisciolo i due pittori fossero già in rapporto. Né documenti né stile pittorico provano che Siciolante svolgesse un ruolo di qualche importanza nei lavori più grossi commissionati a Perino, ma può darsi che, per conto di Perino, egli si occupasse dei doveri mondani che il maestro non aveva né tempo né voglia di svolgere. Forse Siciolante ha lavorato in incarichi di minore importanza 13 ; d'altra parte può darsi che non sia mai esistito un rapporto cosl precoce tra i due artisti, come pure può darsi che Siciolante sia venuto a conoscenza dei dipinti e dei disegni di Perino senza essere necessariamente suo aiutante 14 • Quale che sia la realtà del loro rapporto, resta il fatto che la pala di Valvisciolo e il di-


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segno preparatorio ad essa relativo mostrano chiaramente come Siciolante fosse attento all'arte di Ferino fin dal 1541. Tuttavia, non fu capace, o non gli fu permesso, di creare un'opera che eguagliasse l'esempio del maestro . Pur avendo familiarità con l'opera di Leonardo da Pistoia e di Perino, Siciolante esegul una pala d 'altare priva della grazia e della raffinatezza dei suoi maestri, e di questo fatto si possono dare due spiegazioni lega te l'una all'altra: la prima, che la capacità artistica di Siciolante non era giunta a completo sviluppo, la seconda che il mecenate non voleva l'artista più famoso del momento. Infatti, Camillo Caetani non scelse un pittore di chiara fama e con un grosso bagaglio di lavoro alle spalle: Camillo Caetani scelse Siciolante, perché Siciolante era di Sermoneta, e fu premiato per la sua scelta da un quadro che impressiona lo spettatore per l'audace armonia dei colori, i minuziosi particolari del paesaggio, l'imponenza delle figure. Nelle opere successive Siciolante dimostrò di saper supplire ai molti errori de11a pala di Valvisciolo e di saper sviluppare appieno la forza del proprio stile. Una volta dimostrato il proprio talento e la totale disponibilità alla famiglia Caetani , Siciolante cominciò a lavorare a Roma per conto suo. La prima opera fu La Pietà (fig. 11) per la cappe11a Muti-Papazzurri ne11a chiesa dei SS. Apostoli 15 : la chiesa la vendette ai primi dell'Ottocento, e ora questa Pietà si trova a Poznan. Probabilmente fu finita tra il 1542 e il 1544. Secondo Vasari, fu dipinta subito dopo la pala di Valvisciolo, e non dieci anni dopo, come sostengono alcuni studiosi 16 • Si tratta di una composizione giovanile, molto lontana da11o stile maturo di Siciolante. La Pietà è chiaramente influenzata da Perino, sebbene solo pochi anni la dividano dalla pala di Valvisciolo. Vi si vede una raffinatezza nuova nello stile di Siciolante, tanto che alcuni studiosi hanno messo in dubbio che sia lui l'autore, e che la data sia cosl precoce. All'inizio del Seicento, Pompilio Totti affermava che l 'autore era Perino 17 • Baglione, forse al corrente di questa opinione e anche di quella di Vasari che Siciolante avesse dipinto la Pietà subito dopo la pala, racconta che Ferino aveva fornito il progetto a Siciolante 18 • Non è probabile che abbia ragione Baglione, però è vero che Siciolante ha adattato numerose figure di Ferino. Ma le figure di Siciolante sono raggruppate a caso, così come lo erano nella pala di Valvisciolo, e non seguono quell'andamento ritmico tipico di Perino. Così pure, le fattezze dei volti della Pietà, pur non essendo astratte e stilizzate quanto quelle della pala, sono di chiara derivazione periniana. La Maddalena assomiglia alla santa Caterina di Pe-


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rino nella pala d'altare Basadonne (fig. 6), e la testa della Vergine volta in su assomiglia alla Maria di Perino nella Resurrezione di Lazzaro (fig. 8) 19 • L'esile corpo del Cristo, le stoffe abbondanti morbidamente drappeggiate intorno alle figure, le pieghe ampie dei tessuti unite con quelle increspate e raccolte, sono caratteristiche dell'arte di Perino 20 • Più che nella disposizione fantasiosa delle forme e nella complessità della posa per le figure, l'interesse primario che Siciolante dimostra in questo dipinto sta nella manipolazione del colore e della luce. La luce, proveniente da sinistra, e il colore dividono lo spazio fittizio in tre piani. In primo piano, vivacemente illuminate, stanno le figure del Cristo e della Maddalena. Le carni pallide ed esangui del Cristo contrastano con l'abito rosa della Maddalena e con la stoffa verde azzurro con striature rosa cangiante sulla quale posa il corpo del Cristo. Nella fascia centrale, una tonalità più scura separa le figure dal primo piano e dallo sfondo. La V ergine indossa un abito rosso violetto e un manto verde grigio foderato di rosa salmone, mentre la donna che la assiste indossa una lunga veste gialla con velo e manto azzurri. Il soldato ha un pettorale rosa salmone, una cappa verde cedro, un elmo blu acciaio con una piuma violacea; l'uomo a destra ha un manto marrone dorato. San Giovanni ha una lunga veste verde cedro con una rifinitura dorata al collo e un manto rosso vivo con una fodera anch'essa dorata. Il paesaggio distante, che fa pensare alla campagna romana, è più tenue e di color pastello, verde, rosa, grigio, nocciola chiaro. Diverse costruzioni - una piramide, un rudere, un tempietto rotondo, alcuni edifici con torri - popolano il paesaggio . Il cielo è scuro e nuvoloso. Il grigiore che risulta da questi colori dà una solenne, cupa impressione di lutto. Siciolante fece una scelta tra il materiale preso in prestito dalle opere di Perino, e non limitò i suoi modelli al maestro. Ad esempio, il san Giovanni deriva da una figura assai simile (fig. 12) di una incisione, la Pietà, di Marcantonio Raimondi 21 e, secondo l'opinione di alcuni autori, la stluttura del dipinto ricorda la Pietà di Leningrado (San Pietroburgo) di Sebastiano del Piombo 22 • Siciolante riassume le sue fonti in un'arte personale, ma non ancora matura, ed esplorò il paesaggio come sfondo ed elemento che crea un'atmosfera: il cielo plumbeo e minaccioso si accorda con il dolore trattenuto dei personaggi afflitti. Come nella pala di Valvisciolo, il modo primario per esprimersi è il colore: le tonalità insolite e attutite degli indumenti, le carni esangui del Cristo, il paesaggio color pastello sono un elemento vigoroso, significativo e ornamentale del suo stile. Pressappoco nel periodo in cui dipinse la Pietà dei SS. Apo-


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stoli, Siciolante, ormai sulla via del successo, venne prescelto per partecipare a un interessante progetto di pittura decorativa per conto di Paolo III. Il papa aveva fatto predisporre alcuni appartamenti in Castel Sant'Angelo ; memore del sacco di Roma, avvenuto nel 1527 e del fatto che Castel Sant 'Angelo aveva offerto un rifugio sicuro a Clemente VII durante l'assedio e l'occupazione della città, Paolo III aveva deciso di raffo rzare questo bastione difensivo in vista di un altro eventuale fu turo attacco. E così gli si offerse al tempo stesso l 'occasione d i celebrare le origini di Castel Sant'Angelo in qu anto sepolcro dell'imperatore Adriano e di esaltare l'antichità romana, della quale il papato era il successore. Furono queste le idee gu ida per la decorazione degli appartamenti 23 • Ultimata la costruzione, il compito di decora re le stanze fu affidato a Ferino del Vaga e a Luzio Romano 24 • Gli affreschi della loggia dalla parte dei Prati, con scene e figure dell'antichità romana furono assegnati a Siciolante (figg. 15a - 15d) 25 • Questi dipinti, concepiti secondo lo stile classico in voga presso la corte papale, vennero pianificati e diretti da Ferino e da Luzio . Siciolante, seguace di Ferino e probabilmente suo subalterno nel progetto globale degli appartamenti , adottò lo stile di cor te e portò a termine il lavoro nel 1544 26 • Gli artisti si valsero di motivi decorativi ben noti e largamente in uso a Roma. Le stanze del P alazzo dei Conservatori , decorate contemporaneamente sotto il pontificato di P aolo III , hanno parecchi elementi in comune con i dipinti di Castel Sant'Angelo 27 • L'individualità dello stile è ridotta al minimo , perché Ferino e Luzio si servirono di molti aiutanti. Anche gli affreschi di Siciolante, forse soltanto di mano sua, h anno uno stile meno personale dei lavori precedenti. Tra gli affreschi meglio conservati c'è quello del pennacchio a destra della targa commemoratizia (fig. 15d). Qui un personaggio maschile, vestito all'antica, con un manto svolazzante e una corona d'alloro, butta nel fuoco fogli di carta. E raldo Gaudioso fa l'ipotesi che si tratti dell'imperatore Adriano, ma ammette che la decorazione è troppo frammentaria per poterne ricavare chiaramente la natura dell'argomento 28 • Se questa fi. gura è in realtà opera di Siciolante - restauri successivi rendono impossibile stabilirlo con certezza - allora se ne possono trarre due conclusioni: primo, a questo punto Siciolante ha maturato uno stile più articolato e più sicuro di quello della pala di Valvisciolo e della Pietà dei SS. Apostoli ; secondo, ha adottato una immagine periniana abbastanza simile a quella trovata nella sala della biblioteca di Castel Sant'Angelo e nella sala del trono del palazzo dei Conservatori 29 •


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Dai pochi frammenti di argomento romano a noi pervenuti, è possibile dedurre che Siciolante abbia messo in pratica quello stile pittorico che già maturava ai tempi della Pietà. I lineamenti, la corporatura, l'abbigliamento del personaggio che brucia le carte, tutto richiama alla mente il soldato del dipinto dei SS. Apostoli (fig. 11). I due affreschi nelle lunette, con edifici antichi e personaggi (figg. 156, 15c) offrirono all'artista la possibilità di esplorare fino in fondo quell'interesse per il paesaggio, che già con qualche esitazione aveva cominciato a dimostrare ai tempi della pala di Valvisciolo della Pietà. E sono proprio i riferimenti all'antichità romana che dimostrano con quanta scrupolosità Siciolante abbia assorbito lo stile di corte di Ferino e momentaneamente abbia messo a tacere la sua vera personalità. Non c'è prova di altre opere di mano di Siciolante in questo periodo, tuttavia è probabile che gli fossero stati commissionati alcuni dipinti, oggi a lui attribuiti. Ci sono tre affreschi alla Galleria Borghese, L'offerta a Vertumno e Pomona, Alessandro e Rossana, Gli arcieri (figg. 16a - 16c) che erano stati rimossi dal Casino Olgiati - la cosiddetta Villa di Raffaello prima che fosse distrutto agli inizi dell'Ottocento 30 • Questi affreschi, su disegni di Raffaello e di Michelangelo, erano parte della decorazione murale di una stanza della villa. Siciolante sicuramente eseguì tutti e tre gli affreschi, e forse partecipò alla decorazione di tutta la stanza. Corporatura e lineamenti nell'Offerta a Vertumno e Pomona (fig. 166) ricordano le figure negli affreschi della loggia di Castel Sant'Angelo. Poiché c'è anche una certa somiglianza con il quadro successivo di Siciolante, del quale si ha sicura notizia, La Sacra Famiglia di Parma, i tre affreschi della Galleria Borghese vanno datati alla metà circa degli anni '40, e non alla fine 31 • Queste prime opere eseguite a Roma dimostrano che Siciolante stava diventando un valente seguace di Perino e un artista promettente della Roma papale. I risultati lo incoraggiarono a saggiare la propria abilità e ad accettare l'offerta di un membro della famiglia Farnese di andare a lavorare in Emilia.


Le prime opere Intermezzo emiliano

Nel 1545 Siciolante era a Piacenza, alla corte di Pier Luigi Farnese, duca di Parma e di Piacenza e figlio di papa Paolo III. Gli era stato detto di recarsi dal duca, il quale aveva bisogno di un artista come lui . Ma il duca era più assorbito dalle faccende politiche e militari del ducato che dalla voglia di commissionare opere d'arte. Il 3 novembre 1545 Siciolante scrive a Bonifacio Caetani, figlio di Camillo, che gli è stato dato l'incarico di eseguire un solo quadro, « una Madonna con cierte altre figure» 32 • La Sacra Famiglia con l'Arcangelo Michele di Parma (fig. 19), che potrebbe essere identificato con il dipinto Farnese, è un esempio di imitazione da Ferino, e per questo molto istruttivo 33 • Forse Siciolante era stato mandato a Piacenza perché, in quanto lavorante di Perino, era particolarmente abile nell'imitare lo stile del maestro. Però i legami con Sermoneta e con la famiglia Caetani sono per lui la cosa più importante. Ne è prova la lettera citata dove Siciolante racconta che, al suo arrivo, il duca gli aveva subito domandato se era di Sermoneta e si era informato dello stato di salute dei membri della famiglia Caetani. E' chiaro che non a caso Siciolante era stato raccomandato a Pier Luigi Farnese, ma per la precisa volontà di un ristretto gruppo di mecenati. Gli era stato promesso del lavoro importante, e l'unico dipinto compiuto dà una informazione precisa sulla sua attività sebbene, a giudizio dello stesso artista, si sia trattato di un incarico di secondaria importanza. La Sacra Famiglia di Parma è un quadro a soggetto religioso composto di sei figure - la Madonna con il Bambino, san Michele, san Giuseppe, san Giovannino e un angelo musicante disposte simmetricamente all'aperto contro una stoffa verde scuro e degli elementi architettonici grigi. Lo sfondo è tanto scuro che le figure fanno forte contrasto con la intensa luce che viene da sinistra. La Vergine, in abito rosso intenso, manto verde azzurro foderato di rosa, domina la composizione; la seconda figura su cui si ferma lo sguardo è san Michele, la cui corazza


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è color verde cangiante, oro e rosa. L'unità sostanziale del dipinto è data dal rapporto dei colori, dalla posizione delle fi-

gure, dalla direzione dello sguardo. In questa Sacra Famiglia, Siciolante comincia a mettere in luce le caratteristiche di quello che sarà il suo stile maturo: risalto al volume del corpo dentro lo spazio, descrizione dei volti più convincente che nel passato per la maggiore attenzione prestata alle sembianze fisiche. E' vero che le fattezze sono più naturali e più personalizzate di quanto lo fossero nelle opere precedenti, però sussiste ancora un buon margine di stilizzazione: nel volto di san Michele, ad esempio, è particolarmente evidente la peculiarità di dipingere le sopracciglia come un arco e il naso come un ponte. Piccoli ciuffi isolati delle chiome accuratamente arricciolate brillano alla luce, vesti e tessuti accentuano, invece di nasconderli, i contorni del corpo, la luce esagera le sporgenze e sottolinea la robustezza delle forme, e tutte queste caratteristiche sono unite più da un accostamento casuale che da una sistemazione meditata o da reciproca influenza psicologica. Dominano i colori accesi. E sebbene sia avvertibile l'eco delle pitture emiliane di Parmigianino e di Girolamo Mazzola Bedoli, è chiara la derivazione da Perino. L'influenza periniana, sebbene importante, fu in larga misura superficiale. Siciolante non si sforzò mai di arrivare agli eleganti ritmi decorativi di Perino, né mai li copiò: il suo stile, invece, soprattutto in questo periodo di formazione e anche più tardi, rimase austero nella forma e trattenuto nell'espressione. Eppure, solo Perino, oltre a Leonardo da Pistoia, sembra aver esercitato un'influenza significativa su Siciolante: nessun altro maestro ebbe sulle sue prime pitture un influsso altrettanto significativo. Opere attribuite a Siciolante, quali la Sacra Famiglia (fig. 110) della G alleria nazionale d'arte antica di Roma e la Sacra Famiglia (fig. 121) della collezione Volpi di Misurata di Roma che dovrebbero provare l'influenza di Jacopino del Conte, non somigliano ad altri lavori sicuramente di mano di Siciolante 34 , che sono del tutto diversi per il disegno di forme e lineamenti, per l'uso dei tessuti, per l'impiego del colore. Se non sono simili alle opere giovanili di Siciolante, quando il suo stile era ancora in fase di formazione, allora non possono venir annoverati tra i dipinti della maturità, e dunque queste attribuzioni, come pure l'influenza di Jacopino del Conte, vanno rifiutate 35 • Sempre nella stessa lettera del 1545 a Bonifacio Caetani, Siciolante si duole di essere partito da Roma, scrive che non lo avrebbe mai fatto se avesse potuto prevedere la piega che le cose avrebbero preso a Piac~nza, e afferma di voler tornare a


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Roma in primavera se non gli viene assegnato nuovo lavoro 36 : ha l'intenzione di andare avanti nella professione, non indietro, scrive. Non si sa la risposta di Bonifacio, né se Siciolante abbia dato seguito alla sua intenzione di tornare a Roma o se sia rimasto a Piacenza fino al drammatico assassinio del duca Farnese, il 10 settembre 1547 37 • Un argomento a favore del rientro a Roma è la presunta partecipazione, sotto la guida di Ferino, agli affreschi della Sala Paolina in Castel Sant'Angelo 38 • Ma questa tesi non è suffragata né da Vasari né da alcun documento, e la qualità dello stile non porta a questa conclusione. Le figure attribuite a Siciolante l'Imperatore Adriano (fig. 100h), la Temperanza (fig. l00e), la Fortezza (fig. l00f), la Giustizia (fig. 100g), la Speranza e l'Amore (fig . 1006) - non hanno niente in comune tra loro, né i tratti del volto, né le corporature, né l'uso delle stoffe, e sono diverse dalle figure della Sacra Famiglia di Parma. Nella Sacra Famiglia mani e piedi hanno una struttura ossea solida articolati, come sono, alle giunture dalla carne ferma e soda. Le teste, lunghe e ovali, hanno occhi grandi e convessi, labbra e nasi larghi e carnosi. La stoffa aderisce al corpo e segna la forma sottostante. Nelle figure della Sala Paolina non compaiono queste caratteristiche; nella Sala Paolina piedi e mani sono spesso affusolati, e mancano di articolazione alle giunture. Le teste sono rotonde o squadrate, e non hanno i lineamenti tipici delle figure nella Sacra Famiglia di Parma. Le stoffe sono abbondanti, avviluppanti e nascondono le forme. Se nel lavoro della Sala Paolina Siciolante ha abbandonato le qualità peculiari del suo stile appena emergente, allora non ha senso l'operazione di andare a identificare uno per uno i vari aiutanti nella decorazione. Se invece Siciolante è stato assistente di Perino nei lavori della Sala Paolina, allora il suo ruolo non è ancora chiaramente ravvisabile. Cancellare dal novero della produzione di Siciolante questi affreschi a lui attribuiti significa rendere intelligibile il rapporto tra le sue prime opere documentate, la Sacra Famiglia di Parma, e il prossimo lavoro di grosso impegno, la pala d'altare per la chiesa di San Martino Maggiore a Bologna. Un altro argomento a favore del rientro di Siciolante a Roma è la seguente affermazione di Vasari: « Dopo il suo ritorno di Lombardia, [Siciolante] fece nella Minerva cioè nell'andito della sagrestia un Crocefisso, e nella Chiesa un altro » 39 • Quantunque entrambi i dipinti per Santa Maria sopra Minerva siano andati perduti, questa affermazione di Vasari potrebbe essere interpretata come una prova della presenza dell'artista a Roma « dopo ... Lombardia», cioè dopo Piacenza. Ad ogni modo non


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esiste notizia di altre opere eseguite a Piacenza, che potrebbero spiegare una ulteriore permanenza di Siciolante in questa città. Siciolante potrebbe essere tornato a Roma nel 1546. Se così ha fatto, non ha potuto trattenervisi a lungo perché è stato chiamato nuovamente in Emilia, e questa volta per un incarico più importante. Poco tempo dopo la lettera a Bonifacio Caetani, il concilio ecumenico, che P aolo III aveva cercato di organizzare con tanta tenacia , aprì i suoi lavori a Trento. Il concilio, che avrebbe dovuto impegnarsi sui problemi del dogma e della riforma della Chiesa romana, fu uno degli obiettivi di papa Farnese. Entro il mese di marzo del 154 7 , il concilio fu costretto a trasferirsi da Trento a Bologna, centro più facilmente controllabile dal papato. All'incirca negli stessi anni, la nobile famiglia bolognese dei Malvezzi commissionò a Siciolante una grandiosa pala, per l'altare della chiesa carmelitana di San Martino Maggiore (fig. 20). Da lungo tempo Matteo Malvezzi ambiva a un simile dipinto , e il 9 giugno 1529 con la mediazione della chiesa, fece domandare un disegno a Michelangelo 40 • Ma Michelangelo non eseguì m ai l'incarico, e il progetto languì parecchi anni, finché fu scelto Siciolante. Purtroppo per lui, Matteo Malvezzi non visse abbastanza per vedere realizzato il suo desiderio : morì il 19 giugno 154 7. Gli eredi vigilarono sulla regolare esecuzione del quadro, che fu finito nel 1548; lo dedicarono alla memoria di Matteo, e ne fecero un monumento di civico orgoglio perché il Concilio della Chiesa si teneva a Bologna 41 • Alla fine del Quattrocento in Italia settentrionale andava di moda questo tipo di pala d'altare con Madonna, Bambino e Santi in trono su gradini . Circa negli stessi anni, i Bentivoglio, la più illustre famiglia di Bologna, avevano decorato la cappella di famiglia nella chiesa di San Giacomo Maggiore con due dipinti dello stesso genere, uno di mano di Francesco Francia e l'altro (fig. 24) di Lorenzo Costa. E' probabile che gli annosi e stretti legami, non sempre di amicizia, tra le due famiglie abbiano indotto Matteo Malvezzi a suggerire prima a Michelangelo poi a Siciolante di prendere come modello questi quadri di qualche anno precedenti. In questo caso, il gusto tradizionale e conservatore del committente fu causa di una innovazione nello stile di Siciolante: l'artista fu profondamente influenzato dal realismo preciso e descrittivo dell'arte del tardo Quattrocento, e compì un drammatico passo in avanti, di cui si trova conferma nelle opere immediatamente successive eseguite a Roma. Siciolante introdusse questo genere di dipinto per altare anche a Roma per la pala (fig. 61) di Sant'Eligio dei Ferrari, datata intorno al 1563, e in Ancona per la pala (fig. 83)


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di San Bartolomeo, ora a Calcinate, che porta la data del 1570. Nella pala di San Martino piattaforma elevata e pavimento a riquadri circoscrivono uno spazio fittizio. Sul gradino più alto stanno la Madonna col Bambino, san Giovanni Battista, santa Caterina d'Alessandria; più sotto san G irolamo, san Martino (patrono della chiesa), sant'Alberto Siculo (un santo dei Carmelitani) e san Luca 42 ; il donatore, Matteo Malvezzi, è a sinistra, dietro san Girolamo 43 • Atteggiamento e staticità fanno sl che i personaggi formino un gruppo chiuso, ritmicamente intrecciato. Le vesti hanno colori vivi: blu e rosso per la Vergine, marrone per san Giovanni, blu e viola cangiante per santa Caterina, rosso per san Girolamo, dorato per san Martino, bianco per sant'Alberto, giallo per san Luca. Si può dire alla lettera che i colori vibrano sullo sfondo scuro in alto e sulla grigia, convenzionale architettura e danno rilievo alle figure. L'effetto creato dalla luce proveniente da destra, cioè dalla sorgente naturale de1la finestra tuttora esistente, valorizza il volume delle figure. Posa, colore, luce, collocazione sono gli elementi usati da Siciolante per creare un insieme dove la pr0fondità dello spazio si sposta con una possente impostazione scultorea. Nella pala di San Martino Siciolante crea uno stile del tu tto personale, e lo perfeziona a Bologna, alla presenza dei modelli quattrocenteschi. Le figure sono più naturali d i quelle della Sacra Famiglia di Parma. Luce e colore accrescono la qualità palpabile e il naturalismo descrittivo delle figure . Pochi sono i ricordi dell'arte aggraziata ed elegante di Perino. Invece, una estetica del tutto personale, originata dal contatto con la pittura dell'Italia settentrionale. Inoltre, su richiesta del committente, Siciolante seppe far rivivere una tipologia iconografica diffusa a Bologna e in Italia settentrionale alla fine del Q uattrocento 44 • Il responso entusiastico di Siciolante a uno stile più vecchio e più tradizionale sta a dimostrare l'impatto superficiale del suo passato romano nella cerchia di Perino. Né le novità romane né quelle emiliane esercitarono su di lui un'influenza paragonabile a quella del realismo settentrionale di mezzo secolo prima 45 • La pala di San Martino segna la fioritura dello stile personale di Siciolante. I primi accenni dello sbocciare della sua personalità, percepibili nella Sacra Famiglia di Parma e in misura minore nella Pietà dei SS. Apostoli, mostrano la sua predilezione per le forme scultoree ordinate in uno spazio attentamente valutato. I personaggi trattengono emozioni e movimenti. Il colore funge da elemento decorativo, la luce anima i dipinti. Siciolante comincia ad esplorare quelle qualità di for-


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ma, colore e luce in aperto contrasto con lo stile di Ferino. Sebbene fino a pochi anni prima allievo di Ferino, Siciolante crea un'opera che trae ispirazione dal passato e ha mascherato le sue radici artistiche in Roma . Quando Siciolante rientra a Roma, la sua nuova opera è diversa da quelle di tutti i suoi contemporanei.


Le prime opere Il ritorno a Roma

La commessa della pala di San Martino portò due notevoli vantaggi a Siciolante: il primo, di diventare padrone di uno stile pittorico personale, il secondo di attirare l'attenzione di eminenti personaggi della Curia. I Farnese parteggiavano per la monarchia francese, e dunque erano decisamente francofili. Tra gli anni '40 e gli anni '60 i mecenati di Siciolante appartennero a questo schieramento 46 • Rientrato a Roma, Siciolante cominciò subito a saggiare la propria esperienza bolognese con l'ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, Claude d 'Urfé, il quale poco tempo prima era stato a Bologna in qualità di delegato presso il concilio ecumenico. Nel 1548 Enrico II, re di Francia, lo aveva nominato ambasciatore a Roma, e nel 1549 d'Urfé già commissionava a Siciolante una serie di undici dipinti di argomento biblico per decorare la cappella della sua residenza privata in Francia, il castello della Bastie d'Urfé a Saint Étienne le Molard 47 • Il 5 giugno dello stesso anno Siciolante scriveva a Bonifacio Caetani, informandolo di essere impossibilitato a venire a Sermoneta per la decorazione di alcune camere, a causa del lavoro per l'ambasciatore francese 48 • Eseguiti a olio su tela per facilitarne il trasporto da Roma e la messa in opera in Francia, i dipinti sono la parte più alta della decorazione murale della cappella. In origine, una pannellatura in legno intarsiato di mano di Fra Damiano, rivestiva i muri più in basso. Oggi restano solo i dipinti di Siciolante (fig. 26). Il tema della decorazione si impernia su due idee di ispirazione religiosa. Nella cappella principale è l'Eucarestia ad unire le storie dell'Antico Testamento - La caduta della manna (fig. 27a), Elia nel deserto sfamato da un angelo (fig. 27e), Gli ebrei festeggiano la Pasqua (fig. 27g), tutte di Siciolante con l'episodio dell'Ultima cena, tratto dal Nuovo Testamento, di mano di Fra Damiano. Eseguito in legno intagliato, questo pannello nella sua sistemazione originale al disopra dell'altare era il centro della decorazione, dove più facilmente si posava


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la vista, e creava la connessione tematica con il Nuovo Testamento. Nell'oratorio contiguo, lo Spirito Santo costituiva il tema unitario della decorazione, e l'intaglio ligneo di Francesco Orlandini, La discesa dello Spirito Santo, si collegava con la Creazione del mondo (fig. 27j) e con l'Annunciazione (fig. 27k) di Siciolante. Siciolante aveva ideato gli undici dipinti per le due fonti cli luce esistenti nella cappella, il che significa che era stato informato fin nei dettagli della architettura interna. Sebbene formino un complesso armonioso - hanno in comune la stessa tavolozza - i dipinti sono concettualmente diversi. Si possono dividere in tre gruppi: le due lunette, le due scene nell'oratorio, e i rimanenti sette dipinti nella cappella principale. Questi ultimi sono la migliore illustrazione dei principi pittorici di Siciolante. Le figure sono distribuite in semplici gruppi, i loro movimenti sono trattenuti; l'ambiente, si tratti di verdi paesaggi con cieli nuvolosi grigio azzurro o di grigi sfondi architettonici, sono spazi articolati in fun zione delle figure. Vaste aree di colore fanno da contrappeso, nello sfondo, ai rosa, rossi, gialli, blu , azzurri, verdi accesi delle vesti. Figure e sfondi sono unifica ti a storie bibliche illustra te. Le due lunette sono concepite in maniera alquanto diversa: tipologia e tavolozza ricordano i sette dipinti murali, ma la composizione è più complessa, con gruppi di figure strettamente intrecciate disposti in uno spazio prospettico più profondo. Più che mostrato, lo spazio è suggerito: le grandi figure in primo piano siedono su sporgenze che nascondono la distanza esistente tra loro e le figure del piano intermedio, e la sovrapposizione di vicino e lontano crea una compressione dello spazio che esagera il dramma illustrato nei due dipinti. L'artista ha fissato questa sua idea nel bozzetto della Caduta della manna (fig. 28) a Budapest 49 • Mai più, nelle opere successive, Siciolante eseguì questo esperimento cli contenere lo spazio. I due dipinti destinati all'oratorio, La creazione del mondo (fig. 27j) e f Annunciazione (fig. 27k) si distinguono dagli altri soprattutto nell'esecuzione: l'accostamento dei colori è meno armonioso, la tinta è densa, lustra, grassa. Per l'Annunciazione Siciolante si è servito del disegno cli un altro artista. Esistono due disegni per l'Annunciazione, uno l'Angelo dell'Annunciazione (fig. 132) in una collezione privata in Francia, l'altro di tutto il quadro (fig. 29) a Leningrado (San Pietroburgo), e sebbene Siciolante abbia basato il suo dipinto sull'Angelo, il disegno non è suo 50 • La figura, i lineamenti, il drappeggio morbido e elegante, e soprattutto il tratteggio pesante non ricordano in niente lo stile dei disegni di Siciolante, e sono più si-


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mili al modo di esprimersi di Perino e dei pittori della sua cerchia. Il disegno dell'intera composizione lascia assai perplessi 51 : c'è una strana divisione tra la parte destra del disegno e la parte sinistra, come se due progetti diversi fossero stati i.mificati, o fosse stato rimosso un settore in mezzo alle due parti. Sebbene la tecnica somigli a quella dell'abbozzo per la Caduta della manna (fig. 28) l'esecuzione è diversa, e in particolare la qualità del segno e l'uso ripetuto del tratteggio e del tratteggio incrociato, di cui Siciolante è molto parco nei disegni firmati. In ogni caso, il quadro prende origine tanto dall'abbozzo per la Caduta della manna guanto dal disegno per l'Angelo dell'Annunciazione, e il fatto che Siciolante si sia servito del disegno di un altro artista potrebbe essere la prova che il mecenate ha voluto fornirgli e fargli copiare un modello. La somiglianza dell'abbozzo per l'Angelo con i disegni di Ferino potrebbe indicare il ruolo di questi nel progetto per la cappella. Ma è soltanto un'ipotesi della quale, a tutt'oggi, non esiste prova documentata. I quadri per la Bastie d'Urfé offrono una vasta gamma delle possibilità compositive di Siciolante. Sebbene accostino gruppi e figure isolate, sfondi architettonici e sfondi paesistici, hanno in comune la semplicità dell'assetto organizzativo: le figure, ritratte in movimenti limitati, sono assiepate in primo piano, e di conseguenza hanno più risalto, e dominano, invece di esserne dominate, l'ambiente circostante. Semplicità assoluta e disarmante ingenuità infondono chiarezza e purezza alle figure, che rievocano la pittura toscana del Quattrocento. E poiché lo scopo primario di una concezione cosl formale è quello di illustrare i testi religiosi, ne deriva che queste opere non sono intese né a distrarre lo sguardo né a stimolare un pensiero profondo: Siciolante abbandona una ipotetica ricchezza intellettuale ed emotiva a favore della chiarezza del racconto . Mentre l'ambasciatore d'Urfé aspettava il completamento della commessa, sollecitava contemporaneamente Enrico II re di Francia ad erogare fondi per proseguire l'opera di ricostruzione della chiesa nazionale francese a Roma, San Luigi dei Francesi 52 • Il suo concittadino Nicolas Dupré, segretario del monarca francese, aveva già mostrato interesse per questa chiesa 53 , e il 20 maggio del 1547 aveva firmato un contratto con Ferino del Vaga perché decorasse la cappella di San Remigio, ma Ferino morì qualche mese dopo, prima ancora di dare inizio al lavoro. La commessa fu passata a Jacopino del Conte il quale, con Siciolante e con Pellegrino Tibaldi, portò a compimento l'opera 54 • La cappella è dedicata a san Remigio, vescovo di Reims e santo patrono della Francia, e i dipinti raccontano la conver-


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sione al cristianesimo di re Clodoveo, e esaltano l'idea di Rex christianissimus, cioè del potere della monarchia francese sancito dalla volontà di Dio. Jacopino fece una pala (fig. 30c), Tibaldi gli affreschi per la volta a botte e forse per il muro di destra (fig. 306). L'affresco di Siciolante, Battesimo e consacrazione di re Clodoveo (fig. 30a) come pure altre scene glorificano il primo re cristiano di Francia. Il battesimo di Clodoveo è ambientato tra gli elementi architettonici di un interno che è un palcoscenico profondo e simmetrico per le figure. Il colonnato corinzio è interrotto dalla serliana dell'abside con la volta a botte dove sta un crocifisso. Le nicchie di fianco e la geometria ortogonale del pavimento accentuano la simmetria dell'ambiente, che è la chiesa dove venne battezzato Clodoveo 55 . L'architettura grigio chiaro e le piastrelle verdi, rosa e bianche creano uno spazio che domina le figure rives tite d'indumenti color rosa, verde, giallo. A sinistra, su una struttura un po' alta da terra, è seduto san Remigio, il vescovo di Reims, che tiene un'ampolla nella mano sollevata. Umile e rispettoso, è in ginocchio davanti a lui re Clodoveo. La regina Clotilde, con le braccia tese, è inginocchiata in compagnia di altre due donne , una delle quali potrebbe essere Lantilde, sorella di Clodoveo. Cortigiani in piedi fissano attenti l'ampolla sollevata da san Remigio. Lo stile delle figu re somiglia a quello della Bastie d'Urfé, e in effetti sembra che parecchie figure si siano trasferite da un dipinto all'altro: ad esempio, Clodoveo inginocchiato è somigliante al David del Grande Sacerdote Abimelech (fig. 27d). La somiglianza di stile tra gli affreschi della cappella Dupré e i dipinti de la Bastie d'Urfé conferma la prossimità cronologica dell'esecuzione: l'affresco Dupré potrebbe essere di poco anteriore ai dipinti de la Bastie d'Urfé, che sono del 1549 all'incirca, oppure le due opere potrebbero essere state ultimate contemporaneamente 56 • Un disegno preparatorio (fig. 31) indica lo stadio preli.minare del progetto 57 • E' stato osservato che la composizione ha origine dalla Donazione di Costantino di bottega di Raffaello nella sala di Costantino in Vaticano 58 • Certo, l'arrangiamento formale dell'affresco del Vaticano offriva la soluzione per il Battesimo, ma la dipendenza di Siciolante supera l'omaggio che intendeva rendere a un quadro famoso. Come nota Bernice Davidson, essendosi rivolto per ispirazione alla sala di Costantino, Siciolante non prende a modello l'argomento iconograficamente uguale del Battesimo di Costantino 59 , e invece sceglie la Donazione di Costantino, in quanto immagine famosa e più idonea al contenuto del suo affresco.


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Da quando Albert d'Armailhacq ha accertato gli argomenti dei dipinti della cappella Dupré, l'affresco di Siciolante va sotto l'appellativo di Battesimo di Clodoveo. Secondo quanto riferisce Gregorio di Tours nella Storia dei Franchi il battesimo fu il punto centrale nella vita e nel governo del re 60 • Gregorio ricorda che durante la battaglia contro gli Alamanni l 'esercito di Clodoveo si trovava sull'orlo della disfatta. Nella scena di destra, sulla volta, il re implora Cristo, dio della regina Clotilde sua moglie, e promette di farsi cristiano se vincerà la battaglia 61 • Clodoveo mantenne la promessa, e fu battezzato da san Remigio. Sempre secondo quanto riferisce Gregorio, questo evento trasformò la vita e il governo del monarca francese 62 • Il re diventò un esempio per i sudditi, e san Remigio battezzò oltre tremila uomini e donne. Il quadro di Jacopino (fig . 30c) descrive questa conversione in massa, e Gregorio dice che altre battaglie combattute in seguito contro i Burgundi e i Visigoti ebbero esito favorevole grazie alla nuova religione del re. Argomento dell'affresco murale (fig. 306) attribuito a Tibaldi è il re e l'esercito conquistatore in nome della croce 63 • Poiché il quadro di Siciolante raffigura il momento più importante della vita di Clodoveo e della monarchia francese, esso era inteso a tradurre in immagine tre idee: affinità tra Clodoveo e l'imperatore Costantino; accettazione da parte di Clodoveo del cristianesimo ortodosso; diritto divino a regnare dei sovrani francesi. Il tentativo di trovare qualche affinità tra Clodoveo e Costantino fu determinante nella scelta del modello: la rinomanza del quadro della sala di Costantino e la qualità controversa dell'argomento trattato possono essere la ragione dell'accenno al primo imperatore cristiano 64 • Sebbene questo richiamo sia la fonte del dipinto di Siciolante, è anche vero che l'affresco del Vaticano ha servito a due altri scopi. Nella Donazione di Costantino l'architettura dell'antica basilica di San Pietro situa con esattezza il luogo dell'avvenimento. Nell'affresco di Siciolante la scena convoglia l'attenzione sul grande crocifisso al centro visivo della composizione, e questo crocifisso è lì per richiamare alla memoria la diversità esistente tra cristianesimo ortodosso e la dottrina di Ario; diversità alla quale Gregorio di T ours dà rilievo particolare nella sua « Storia » 65 • Ancora Gregorio racconta che Clodoveo si convertl al cristianesimo ortodosso, la fede della regina Clotilde sua moglie , e accettò dunque di credere anche alla divinità del Figlio insieme con quella del Padre 66 • Gregorio condanna la dottrina di Ario e il rifiuto della divinità di Cristo, e osserva che il battesimo di Clodoveo persuase la sorella di lui Lantilde ad abbandonare la dottrina di Ario in favore del cristianesimo ortodosso.

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Il crocifisso, simbolo della vera dottrina, è uno dei punti focali dell'affresco; l'altro è san Remigio, con l'ampolla dell'olio santo che polarizza lo sguardo dei personaggi ai lati della composizione. Il vescovo non si prepara a battezzare Clodoveo in maniera tradizionale bensl ad ungerlo con l'olio dell'ampolla portata, seconda la leggenda, da una colomba inviata da Dio 67 • Questa boccetta sacra, insieme al corpo di san Remigio in ottimo stato di conservazione, diventarono oggetti di venerazione nella cattedrale di Reims 68 • Monarchi francesi, consacrati a Reims con l'olio dell'ampolla sacra, fecero di questo oggetto venerato uno dei simboli della corona francese. Gli altri emblemi, l'orifiamma e il fiore di giglio, si vedono nell'affresco murale attribuito a Tibaldi 69 • L'affresco di Siciolante del Battesimo e consacrazione di re Clodoveo rappresenta le origini divine del potere della monarchia in Francia. Insieme con gli altri dipinti della cappella Dupré il suo affresco sancisce l'unione tra fede religiosa e potere politico. Benché tutto il ciclo pittorico fosse inteso a conservare unità di contenuto e di forma, l'affresco di Siciolante si differenzia dagli altri dal punto di vista concettuale come da quello stilistico: la pala di J acopino (fig. 30c) e il dipinto attribuito a T ibaldi (fig. 306) mostrano figure robuste e risolute in composizioni asimmetriche e dinamiche. Per la quiete rigorosa e il programmato ordine architettonico il lavoro di Siciolante ricorda l'alto Rinascimento. I dipinti di Jacopino e di Tibaldi sono all'unisono con l'arte romana degli anni '40, il lavoro di Siciolante è invece sorprendentemente retrospettivo 70 , e questo attributo sarà la caratteristica delle sue opere più mature. Note 1 Camillo Caetani ottenne il patronato dell'abbazia attraverso le clausole di un accordo sanzionato da Adriano VI e ratificato da Clemente VII il 31 marzo 1524. CAETANI, Domw, II, 1933, p . 31. In precedenza il titolo apparteneva alla vicina famiglia Caetani di Maenza, parenti dei Caetani di Sermoneta e loro implacabili nemici. Il capofamiglia era Pietro Caetani. Ibid., p. 23. A causa della vicinanza dell'abbazia con Sermoneta e delle efferate macchinazioni contro Sermoneta guidate dalla famiglia Caetani di Maenza, fu certamente un sollievo per Camilla mettere sotto il controllo della propria famiglia questa proprietà tanto strategica. Quando il cugino Alessandro Farnese sall sul trono di Pietro nel 1534 con il nome di Paolo III, parve a Camilla il momento adatto di intraprendere lavori di miglioria a Valvisciolo e a Sermoneta, tenuto anche conto della più stabile situazione economica e politica. Ibid., p . 55. Non esiste prova che Camilla Caetani abbia commissionato a Siciolante il dipinto,. né che questo fosse inteso per l'altar maggiore della chiesa abbaziale. Però la giurisdizione sull'abbazia e il patronato della medesima stanno a dimostrare che Camilla era la persona più indicata a commissionare il quadro, e che l'altar maggiore era la collocazione ottimale. A questo proposito, va osservato che la luce più forte (in rapporto all'altar maggiore) viene da destra, mentre (riferen-


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dosi all'interno del dipinto) la luce viene da sinistra. Per la storia p recedente dell'abbazia vedi D'ONOFRIO, Abbazie, 1969, pp. 275-290. 2 Vedi, ad esempio, la pala d'altare nel duomo di Pistoia attribuita a Lorenzo di Credi. DALLI REGOLI, Lorenzo, 1966, fig. 58. 3 Niente si sa circa i gusti artistici di Camilla Caetani. Tuttavia, le opere commissionate dai Caetani per Sermoneta sono più tradizionali e provinciali delle tendenze artistiche della Roma di allora. 4 P er i differenti pareri sull'uso del colore da parte di Siciolante, vedi VENTURI, Storia, IX, 5, 19.32, p. 554; DA V IDSON, Some Early \Y/orks, XLVIII, 1966, p. 55. s La struttura della Mado1111a con Bambi110 deriva dalla scultu ra di Iacopo Sansovino nella chiesa di Sant'Agostino a Roma. Di questa osservazione ringrazio Hilde Lotz. Vedi GARRAD, Jacopo, XXXVIII, 1975, tav. 50. 6 VASARI, Le vite, III, 1, 1568, p. 147 dice quanto segue a proposito dell'opera del Pistoia a Roma: « Ed in Roma fece molti ritratti di naturale». Ne!Ja vita di Jacopino del Conte, BAGLIONE, Le vite, 1642, p. 75, aggiunge: « Jacopino fu discepolo di Andrea del Sarto, e dentro San Pietro vecchio aiutò il Pistoia a fare il quadro che era nella cappella dei Palafrenieri ». ZERI, Intor110, XXXVI, 1951, p . 141, n . 6, dice che questo dipinto è lo stesso di quello che è nella sagrestia di San Pietro in Vaticano. Fu portato a termi ne insieme con Jacopino del Conte per la cappella dei Palafrenieri nella vecchia basilica di San Pietro. 7 VASARI, Le vile, IV, 1879, pp. 647-648, dice: « In Napoli per il vescovo d'Ariano, Diomede Caraffa oggi cardinale, [Leonardo ] fece in San Domenico una tavola della lapidazione di Santo Stefano, in una sua cappella; cd in Monte Oliveto ne fece una altra, che fu posta alJ'altar maggiore, levatane poi per dar luogo a un'altra di simile invenzione di mano di Giorgio Vasari aretino. Gaudagnò Lionardo molti danari con que signori napoletani , ma ne fece poco capitale, perché se gli giocava di mano in mano; e finalmente si morl in Napoli, lasciando nome di essere stato buon coloritore, ma non già d'avere avuto molto buon disegno». La Presentazione di Cristo Bambino al Tempio per Santa Maria di Monte Oliveto fu sostituita da quella di Vasari. Entrambi i quadri si trovano oggi al museo nazionale di Capodimonte. VA S ARI, Le vite, VII, 1881, P- 675; BAROCCHI, Vasari, 1964, p. 125, n_ 12. La lapidazio11e di santo Stefano di Leonardo da Pistoia, che si diceva fosse nella chiesa di San D omenico (CARACCIOLO, Napoli, 162.3, p. 287) era già stata tolta quando Carlo Celano descrisse la chiesa (Notizie, II, 1724, p. 94) e non si sa dove sia. 8 Vedi PARMA ARMANI, Perùz del Vaga, 1986, pp. 284-287; DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, pp. 55-56. 9 Vedi Disegni, D-16. tO Mostra di disegni, 1966, pp . 48-50. 11 PAR!vJA ARMANI, Peri11 del Vaga, 1986, p. 156, fig. 181. Vedi lo studio preparatorio (Zurigo, Ktmsthaus) per l'altare maggiore della cappella di San Giorgio e San Giovanni nel duomo di Pisa. 12 Ne esiste un'altra versione nella collezione Northbrook. Vedi PARMA ARMANI, Perùz del Vaga, 1986, p. 317; BAUMSTARK, Meisterwerke, 1980, pp. 5253; VENTURI, Storia, IX, 2, 1926, pp. 427-428. 13 VASARI, Le vite, V, 1880, pp. 629-630. 14 Vedi ARMENINI, De' veri precetti, 1988, pp. 25-26, 94. 15 VASARI, Le vite, V, 1880, pp. 629-630. Sull'opera vedi anche FIORANI, Lettere, in Girolamo, pp. 121-125. 16 BRUNO, Girolamo, CXXX, 1973, p. 59, n. 10; PUGLIATTI, Due momenti, IV, 1980, p. 16. Il permesso di vendita venne accordato il 2 gennaio 1808. Vedi zoccA, La basilica, 1959, p. 93; Documenti, XXXIV, XXXV. 17 TOTTI, Ritratto, 1638, p. 286. 18 BAGLIONE, Le vite, 1642, p. 23. 19 Mostra di disegni, 1966, pp. 32-33, 42-44; Catalogue, I, 1979, pp. 358-359. 20 Come ha notato DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p. 57, la figura del Cristo assomiglia al Cristo di Perino nella Deposizione a Santa Maria sopra Minerva. 21 The Works o/ Marcantonio, XXVI, 1978, p. 54.


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22 La Pietà potrebbe non essere stata la fonte diretta dato che nel 1530 si trovava in Spagna. 1-IIRST, Sebastiano, 198 1, p. 46 . DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII , 1966, pp. 56-57, fa l'ipotesi che Siciolante abbia esaminato la Deposizione di Santa Maria sopra Minerva, ma questa connessione non è convincente. VENTURI, Storia, I X, 5, 1932, p. 555, propone invece una connessione tra la Pietà dei SS. Apostoli e la Pietà di Sebastiano del Piombo a Viterbo. 23 n'oNOFRIO, Castel Sant'Angelo, 1978, pp. 276-284. 24 GAUDIOSO, J lavori farncsiani, LXI, 1976, pp. 21-42, 228-262; Gli affreschi, 1981. La parte di lavoro che spettò a Ferino fu quella più vicina al Tevere; la parte di Luzio Romano, che comprendeva la loggia di Siciolante , era quella pit1 vicina ai « p rati ». Dunque, Siciolan te lavorava con Luzio Romano, e anche quest'ultimo fu pagato nel 1544. Vedi GAUDIOSO, I lavori farnesiani, LXI, 1976, p. 252. I pagamen ti a P erino per i lavori a Castel Sant'Angelo non cominciarono fino al 20 giugno 1545, cioè l'anno successivo al completamento della loggia. I bid., p. 253. Dal 1542 al 1545 Perino lavorò soprattut to, ma non esclusivamente, agli stucchi deUa volta deUa Sala R egia , ed è probabile che allora non dipingesse a Castel Sant'Angelo. DAVIDSON, The Decoration, LVIII , 1976, p. 403. 25 VASARI, Le vite, V, 1880, pp. 628-629, cuce che il «caste llano » di Castel Sant'Angelo, cardinale Tiberio Crispo, « fece dipinger detta loggia a Girolamo Sermoneta che quella che volta verso i prati ». 26 Vedi Documenti , II. Vedi anche GAUUIOSO, J lavori /arnesiani, LXI, 1976, pp. 21-42, 228-262; Gli a/freschi, 1981. N é Vasari né i documenti specificano a ltri possibili lavori eseguiti da Siciolante in Castel Sant'Angelo. E' perciò cur ioso che Vasari dica: « Siciolante [ ... ] di cui [Perino] fu discepolo e l'a iuto nell'opere d i Castel Sant'Angelo ». VASARI, Le vite, VII, 1881, p. 571. L 'esplicita affermazione d i Vasari è sta ta interpretata come a significare che Siciolante avesse fatto altro lavoro in Castel Sant'Angelo per conto di Perino, soprattutto gli affreschi della SaJa Paolina. 27 Ved i PIETRANGELI , Nel Palazzo, XXXVII, 1962, pp. 868-876; PIETRANGELI, U11 piccolo ambie11te, XXXIX, 1964, p p. 620-625; PIETRANGELI, Gli ambienti, XLI , 1966, pp. 90-95; PIETRANGELI, Luzio L uzi, XXI , 4, 1973, pp. 506-508. 28 GAUDIOSO, I lavori farn esiani, XLI, 1976, p. 29. 29 Chiamata anche la Sala degli Arazzi. PIETRANGELI, Nel Palazzo , 1962, pp. 868-876. Prima di allora Perino aveva già usato un simile tipo fisico nel soffitto della SaJa degli Eroi a Palazzo Daria a Genova. Vecu DAVJDSON, Drawings, XLI, 1959, pp. 315-326. 30 Galleria Borghese, II , 1959, pp. 128-131. 31 P e r un giudizio diverso vedi DAVIDSON, Some Early "\V orks, XLVIII , 1966, p. 63. 32 Vedi Documenti , III. 33 voss, Die Malerei, I, 1920, p. 104; VASARI, Le vite, VII, 1881, p. 573. Somiglia molto allo stile di Perino, il che spiega perché questo pannello sia stato scambiato per un'opera su a. DAVlDSON, Some Early "\Vorks, XLVIII, 1966, p. 58. 34 ZERI, Intorno, XXXVI, 1951, pp. 139-144. 35 DAVIDSON, Some Early \Y/orks, XLVIII, 1966, p. 64, n. 49. 36 Dato che Vasari riferisce che l'artista ha fatto « molte opere» per il duca, è probabile che Siciolante sia stato occupato. Però, dato che non si ha notizie di altre opere di mano sua oltre alla Sacra Famiglia di Parma, può darsi che abbia mantenuto la sua promessa e che sia ritornato a Roma nel 1546. VASARI, L e vite, VII, 188 1, p. 573. 37 BRUNO, Perino del Vaga , CXXIII, 1972, p. 37, n. 5. 35 voss , Die Maleri:i, I, 1920, p. 76; DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p. 59; GAUDIOSO, I lavori fanz esiani, LXI, 1976, p. 29; CALÌ, Da Michelangelo, 1980, p . 178; PUGLIATTI, Due momenti, IV, 1980, pp. 11-29; Gli affreschi, II, 1981, pp. 104-117. 39 VASARI, L e vite, VII, 1881, p. 59. Dobbiamo ricordare che fino a questo momento Vasari parla delle opere in ordine cronologico invertito. Descrive i dipinti per San Giacomo d egli Spagnoli, 1564-1565, per San Tommaso dei Cenci, 1565, e poi gli affreschi per palazzo Capodiferro-Spada, 1550-1553; poi la


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L'itinerario 3rtistico

pala di San M:trtino, 1548; infine la Sacra Famiglia per il duca Farnese, 1545. Non si spiega la ragione di questa inversione. Eppure, quando parla dei quadri per Santa Maria sopra Minerva, V3sari segue l'ordine cronologico. 40 HIRST, Sebastiano, 1981, p. 42 , n. 5. 41 Vollero che all'interno del quadro comparisse l'iscrizione seguente: QUOD MATTHAEUS MALVETIUS PATRUUS VIVENS DESIGNAVERAT HAERED P E R FECERUNT PTNGER HIERONI SICEOLANTO M D XLVIII. Vedi VASARI, Le vite, VII, 1881, pp.

572-573. 4 2 Questa scelta di santi riflette probabilmente i desideri combinati della famigli3 Malvezzi e dei Carmelitani della chiesa. DAVIDSON, Some Early \Ylorks, XLVIII, 1966, p . 60, n. 27. Esiste un disegno per il San Luca nella collezione Woodner. Vedi D isegni, D-14. 43 Nello studio preparatorio a Parigi non c'è il donatore. Vedi Disegni, D -17 . 44 Sammlrmg , 1889, pp. 297-298. 45 GRAZIANI Bartolomeo Cesi, IV, 21, parte 2", 1939, p. 69 fa una acuta analisi dello stile' di Siciol:mte e dell'impatto che l'artista ebbe con altri artisti attivi a Bologna. Vedi anche DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, pp. 55-64. 46 HUNTER, Girolamo. in Girolamo. IV. 1983. pp. 36-38. 47 RAGGIO. Vignole, XV, 1972, pp. 29-52. 48 Vedi Documenti, V . 49 RAGGIO, Vignole, XV. 1972, pp. 50-51. Ved i Disegni, D -1. so Ibid., p. 46. n. 95. Vedi Disegni, XD-5. 5t Ibid . Vedi Disegni. D -7. 52 Il re esaudl la richiesta il 25 dicembre 1549. Vedi D'ARMAILHACQ, L'église, 1894, pp. 13-14. 53 Vedi JONGLA DE MORENAS , Grand Armorial, III , 1935, p. 245. 54 GNOLI, Documenti, XVII, 2, 7, 1935, pp. 216-217. 55 Secondo la tradizione, si credeva che fosse a Reims o a Tours, stando all'opinione di OPPENHEIMER, Frankish Themes, l 952. pp. 59-63. 56 Il problema sta nella data del contratto tra Nicholas Dupré e Jacopino: se è il 13 novembre 1548, secondo quanto riporta Gnoli, allora Siciolante avrebbe eseguito l'affresco nel 1549. Se invece fosse il 13 novembre 1547, cosl insinua Gnoli e suggerisce DAVID SON . Some Early 1Vorks, XLVIII , 1966, p . 61, n. 31, allora Siciolante avrebbe ultimato l'affresco nel corso dell'anno 1548, dopo il suo ritorno da Bologna. 57 Ibid., p . 62, n . 34; HUNTER , The Drawings, XXVI, 1, 1988, pp. 14-15. Vedi Disegni, D-26. 58 Questa osservazione è stata fatta da Sidney. J. Freedberg ed è riportata in DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p. 61. Vedi anche FREEDBERG, Painting, 1975, pp. 497-498. 59 DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p . 61. 60 GRÉGOIRE DE TOURS , Histoire, I, 1975. pp. 115-122. 61 Generalmente detta la battaglia di Tolbiac. Come osserva D ARMAILHA CQ (L'église, 1894, p . 131) questa scena è il Giuramento di Clodoveo. Ecco la trascrizione di ciò che è scritto in alto: « Deo Clotindis, si vicero, perpetua fide credam ». La scena centrale dà in dettaglio la storia della sacra ampolla di Reims. Vedi GRÉGOIRE DE TOURS, Histoire, I, 1975, pp. 115-116. La scena a sinistra rappresenta la sconfitta dei Romani da parte dei Franchi, generalmente conosciuta come battaglia di Soisson. Vedi KANTOROWICZ, Laudes Regiae, 1958, pp. 57-58. 62 GRÉGOIRE DE TOURS, Histoire, I, 1975, pp. 115-122. 63 Nella Storia di Clodoveo, gli eventi rappresentati nella volta precedono la conversione. L'affresco murale attribuito a Tibaldi dovrebbe mostrare un avvenimento successivo alla conversione, cos1 come i dipinti di Siciolante e di Jacopino. Clodoveo intraprese l'azione bellica contro i Burgundi a Digione e Avignone e quella contro i Goti a Vouille nei pressi di Poitiers. LAVISSE, Histoire, II, 1, 1911, pp. 100-102. OPPENHEIMER, Frankish Themes, 1952, p. 60, fa notare che Gregorio di Tours riteneva che la conversione di Clodoveo fosse il fattore determinante delle vittorie successive, donde il governo ispirato dei francesi . Le scene dell'affresco esprimono uno schema analogo di pensiero. 1


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Vedi QUEDNAU, D;e sala di Costantino, 1979, pp. 449-459. Si osservi il ruolo importante del crocifisso nella pala di J acopino. Con il suo gesto, Clodoveo mostra la sostituzione degli dei pagani con Cristo. 66 GRÉGOIRE DE TOURS, Histoire, I, 1975, pp. 115-122; OPPENHEIMER, Frank;sh Themes, 1952, parte I. 67 GRÉGOIRE DE TOURS, Histoire, I, 1975, p. 120, dice che Clodoveo fu consacrato con l'olio santo durante il battesimo, e la leggenda della colomba è una invenzione medievale più tarda. Vedi CAHIER, Caractéristiques, I, 1966, p. 241. P ERICOLI RIDOLFINI, San Luigi, V, 1968, pp . 125-127, descrive con precisione ] 'avvenimento. 68 PECHENARD, Les reliques, 1898. 69 KANTOROWICZ, Laudes Regfoe, 1958, pp. 3-4. L'ampoUa è messa molto in mostra neUa pala di Jacopino. 70 Sebbene l'affresco sia tradizionalmente attribuito a Tibaldi, Hermann Voss suggerisce che potrebbe essere di mano di J acopino, osservazione questa molto interessante. Vedi voss, Die Molerei, I, 1920, p. 144; BRIGANTI, Il Manierismo, L945, p . 72. 64

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Dai tardi anni '40 ai primi anni '60, all'incirca nel mezzo della sua vita artistica, Siciolante allargò ulteriormente la fama e le committenze. Nel 1549, con la morte di P aolo III , si chiudeva l'era Farnese, ma alcune eminenti personalità di questa cerchia non tolsero all'artista la loro protezione. Commesse da parte di personaggi famosi - quali ad esempio Giulio III (1550-1555) - continuarono a far lievitare la rinomanza professionale di Siciolante. Nel 1554, a riconoscimento del consenso crescente che circondava l'artista a Roma, per volere dei suoi protettori, Siciolante fu eletto console, o alto funzionario, dell'Accademia di San Luca, incarico che conservò anche l'anno successivo 1 • Per un bizzarro gioco della fortuna, a questi anni produttivi della prima metà della decade segul nella seconda metà un periodo sterile. P aolo IV ( 1555-1559) affrettò il conflitto armato contro il re di Spagna Filippo II e i simpatizzanti romani della fazione spagnola. Nel 1556-'57 l'agro romano fu percorso dalle ostilità, e Roma visse sotto l 'incubo di un nuovo sacco: di conseguenza langul ogni iniziativa artistica 2 • Con l'elezione di Pio IV (1559-1565) la calma tornò a Roma, e con essa riprese lentamente l'attività nel campo delle arti. Nel 1561, quasi a segnare l'inizio di un ordine nuovo, un convegno dell'Accademia di San Luca considerò la possibilità di costruire una nuova chiesa da dedicare a San Luca 3 • Siciolante, invitato ad assistere alla discussione, era di nuovo in auge presso l'aristocrazia romana e la gerarchia ecclesiastica. Questi avvenimenti, in concomitanza con gli anni centrali della vita professionale di Siciolante, segnano per l'artista un momento favorevole e al tempo stesso di incertezza, e coincidono con un periodo della sua attività che per varie ragioni sfida l'analisi critica degli studiosi. Per fare un esempio : malgrado la abbastanza buona documentazione sulla vita di Siciolante di cui disponiamo, le notizie sulla sua produzione artistica sono invece molto scarse, e Vasari, che è la fonte contemporanea più attendibile, elenca i dipinti in modo confuso


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e disorientato, rendendo allo storico moderno ancora più inesplicabile la cronologia dell'opera completa di Siciolante. Inoltre aumenta Je nostre clifficoltà lo stile pittorico cli Siciolante, e il fatto che esso ebbe una evoluzione senza scosse drammatiche rende più arduo il compito degli studiosi di scoprire una progressione cronologica in lavori all'apparenza simili. Complicano ulteriormente le cose parecchie attribuzioni sbagliate, ivi compresi il Sant'Andrea della Galleria Nazionale d 'Arte Antica e la Madonna con Bambino del Collegio Spagnolo 4 • Si è creduto che autore di questi due dipinti fosse Siciolante proprio per l'assenza di una cronologia ragionata di tutta l'opera, il che ha comportato l'errata comprensione dello sviluppo stilistico. N ello sforzo di me ttere d'accordo le inesattezze di ciò che sappiamo su Siciolante, propongo un gruppo fond amentale di opere che vanno d ai tardi anni '40 ai primi anni '60, e proverò a riprendere in esame quanto è stato stabilito attraverso l'esame dei documenti a disposizione e dello stile pittorico , allo scopo di accertare un ordine cronologico. Le opere prese in esame sono pubblicate, le attribuzioni generalmente accolte, il che giustifica la scelta. La successione cronologica basata su questo gruppo di dipinti suggerisce alcune valutazioni nuove dell'ar te di Siciolante: prima tra le quali, l'esistenza di uno stile giovanile e di uno stile più maturo, malgrado la qualità quasi immu tabile di tutti i dipinti . Se le due fasi non sono state evid enti prima è perché il passaggio dalla prima alla seconda ha coinciso con il periodo tra gli anni '40 e i primi del '60 . Fino a tempi recenti il passaggio dall 'una all'altra fase non è stato studiato, poiché questo gruppo di opere è stato analizzato un po' grossolanamente, senza sistematicità 5 • La comparsa della seconda fase indica la maturazione di Siciolante e la spinta che lo avvia a quel modello di figure massicce adottato da altri pittori, tra i quali Taddeo Zuccari e Girolamo Muziano. Ad esempio, sappiamo che Siciolante e Zuccaro erano amici, e la loro opera rappresenta, rispettivamente, il filone innovatore e il filone tradizionalista dell'arte a Roma. Tuttavia, tra il '50 e il '7 5 lo stile tradizionalista di Siciolante conquistò il favore dell'aristocrazia romana, e prima di studiare il perché di questo fatto dobbiamo scoprire come tutto ciò sia avvenuto . Il periodo di transizione comincia con la committenza di un principe della chiesa. Il cardinale Federico Cesi, nominato da P aolo III, impiegò due volte l'artista all'inizio di questo periodo. Per la cappella funeraria (fig. 34) in memoria dei genitori nella chiesa di Santa M aria della Pace, il cardinale Cesi incaricò Siciolante di adornare la volta con stucchi ed affreschi. All'ele-


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zione di Giulio III, lo stesso cardinale volle sistemare lo stemma del papa sulla facciata della propria abitazione, un palazzo nei pressi di piazza San Pietro. Insieme con Battista Franco, Siciolante esegul questo progetto; purtroppo, tutto venne distrutto, palazzo compreso, nel corso d el Seicento per fare posto al colonnato di Bernini 6 • La descrizione che Vasari fa della volta della cappell a Cesi è 7 la sola documentazione contemporanea di questa committenza • Vasari non precisa quando Siciolante vi lavorò, ma descrive la volta dopo aver parlato di due altri lavori eseguiti da Siciolante all'inizio degli anni '40 . In altra parte delle Vite, a proposito dei contributi di vari artisti alla cappella, Vasari suggerisce che Siciolante abbia forse terminato la volta tra il 1548 e il 1550, quando il lavoro non avrebbe interferito con la posa in opera della decorazione scultorea di Simone Mosca e di Vincenzo de Rossi 8 • Forse, proprio perché soddisfa tto dell'esito del primo lavoro, il cardinale si avvalse nuovamente di Siciolante e di Battista Franco nel 1550 per sistemare lo stemma di Giulio III sulla facciata del proprio palazzo . O ggi la volta della cappella è stranamente mu tilata. Si direbbe che all'origine la composizione fosse u n rettangolo perfetto , con ai quattro angoli stucchi di giovinetti nudi e appaiati due a due, e quattro affreschi ovali uno per lato. N el muro esterno, il cornicione sopra la finestra interrompe la struttura rettangolare 9, e al disopra della finestra ci sono alcune figure isolate che reggono lo stemma dei Cesi: un monte con sopra un albero. Un braccio staccato di una figura che oggi non c'è più è visibile sulla destra della figura (fig. 35a), e i festoni oscillanti appesi tra le maschere e le teste di ariete non fanno il giro completo. Con ogni probabilità, questi cambiamenti sopravvennero a volta ultimata, forse quando si stava lavorando ai muri, e certamente prima che Vasari ne facesse la descrizione, poiché menziona solo i quattro affreschi. I dipinti sono in pessimo stato, si salva L'adorazione dei Magi (fig. 356) sopra la porta , ancora chiaramente visibile. A destra della figura c'è La Natività, a sinistra La fuga in Egitto, nel rettangolo centrale dovrebbe esserci Il massacro degli innocenti. Se in origine la struttura rettangolare interrotta al disopra della finestra avesse ospitato una scena affrescata al posto della conchiglia che c'è oggi, allora forse si trattava della Visitazione, perché in questo modo il ciclo narrativo che cominciava dall'altare con L'Annunciazione di Marcello Venusti sarebbe stato completo. Quanto sia importante l'evidenza dello stile per formulare una datazione precisa è difficile dirsi, sia per le condizioni della volta, sia per l'incertezza del ruolo ricoperto da Siciolante nel


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progetto della decorazione a stucco. L'umidità ha danneggiato gli affreschi, e tutte le scene, meno L'Adorazione dei Magi, sono scure per la sporcizia. L'Adorazione è divisa in due parti: a destra, Maria con il Bambino in grembo e un pensoso Giuseppe seduto accanto a lei; a sinistra, i tre re Magi, uno dei quali è genuflesso davanti al Bambino, vicini alla Sacra Famiglia. Sebbene lo stato di conservazione del dipinto renda arduo l'esame stilistico, è tuttavia possibile percepire nella figura allungata della Madonna una eco della Sacra Famiglia (fig. 19) di Parma e della pala d'altare (fig. 20) di San Martino Maggiore. Anche altre figure, ad esempio san Giuseppe a gambe incrociate e il re inginocchiato, ricordano il san Girolamo della pala di San Martino e il re genuflesso nel Battesimo di Clodoveo (fig. 30a) di San Luigi dei Francesi; e ancora, la posa rannicchiata di uno dei Magi si ritrova in parecchie scene della cappella Caetani a Sermoneta, della quale parleremo in seguito, e le somiglianze fanno capire che c'è molto dello stile di Siciolan te nei tardi anni '40. E' difficile valutare la decorazione a stucco della cappella Cesi. Rimane solo il commento di Vasari, il quale dice che fu Siciolante a disegnare la volta, invece di eseguire solo i dipinti; eppure noi non sappiamo di altre decorazioni a stucco attuate da Siciolante. I motivi classici maschere, festoni, teste di ariete - si ritrovano anche nelle sculture di Simone Mosca e di Vincenzo de Rossi (fig. 34) sulla facciata della cappella. Forse fu Simone, nel suo ruolo di scultore capo del progetto, a fornire i disegni per gli stucchi, oppure fu Siciolante a tradurre in pratica le idee dello scultore. Come che sia, Siciolante usò gli stessi motivi - giovani nudi, festoni, teste di ariete - per gli affreschi della cappella Caetani a Sermoneta (fig. 37a). Dunque, forse è nel vero Vasari quando afferma che fu Siciolante a disegnare gli stucchi per la volta. La complessa ed elaborata decorazione della cappella Cesi ha riscontro non solo nell'altrettanto complicata cappella Caetani ma anche nei ·disegni di Ferino del V aga per la volta della Sala Paolina e della Sala Regia in Vaticano. Queste somiglianze da un lato fanno pensare alla lunga influenza del maestro Perino sull'allievo Siciolante, e dall'altro al desiderio del cardinale Cesi d.i ottenere una decorazione che uscisse dagli schemi tradizionali. Anche Bonifacio Caetani, figlio di Camillo, si valse dell 'opera di Siciolante per un incarico molto ambizioso. Come abbiamo già detto, Bonifacio aveva domandato a Siciolante d.i decorare alcune stanze del palazzo di Sermoneta, ma a quel momento Siciolante era impossibilitato a lasciare Roma perché preso dal lavoro per l'ambasciatore d.i Francia. Forse nell'attesa Bo-


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nifacio aveva perso interesse alla cosa, dato che non se n'era più parlato. Nel 1550 Bonifacio entrò al servizio del re di Francia con il grado di Capi tano delle armi a uno stipendio annuo di quattromila franchi 10 . Nello stesso anno gli accordi vennero perfezionati dal fratello, il cardinale Nicolò Caetani, nel corso di una visita alla corte di Francia, ed è probabile che anche l'ambasciatore d'Urfé avesse dato il benestare. Bonifacio ora era molto più ricco di prima, finanziariamente indipendente, in una posizione importante a livello internazionale, manteneva stretti legami con la corte del papa , e sapeva di essere l'erede designa to d al padre Camillo per succedergli come capo della famiglia e signore di Sermoneta. Dunque, aveva tutte le ragioni di onorare la propria famiglia con una cappella mirabilmente decorata. Bonifacio commissionò a Siciolante gli affreschi per la cappella Caetani della chiesa di San Giuseppe a Sermoneta . I precedenti tentativi di avvalersi dell'opera di Siciolante fin almente andavano in porto, eppure non esiste documentazione alcuna della p artecipazione diretta di Siciolante: Vasari non parla della cappella, e fino al Settecen to, se non fosse per quanto scrive Pietro Pan tane ili, mai venne attribuita a Siciolan te la pa te rnità dell'opera 11 • Bernice Davidson fu la prima a constatare la somiglianza stilistica di questi affreschi con i lavori eseguiti da Siciolante negli ultimi anni del 1540 12 • La cappella Caetani (fig. 36) è un semplice spazio concavo con una mezza cupola nel muro di destra della navata . Tuttavia, le superfici del muro sono riccamente istoriate con motivi di architettura immaginaria, scene narrative e figure . Un arco di trionfo incornicia il vano della cappella; pilastri corinzi raffigurano vivaci grotteschi; una balaustra sopra la trabeazione sostiene due putti seduti che reggono lo stemma dei Caetani. All'interno della cappella un secondo ordine di p ilastri corinzi dà movimento alla decorazione pittorica; al centro, il tabernacolo contiene la Madonna e Bambino con san Giuseppe e putti (fig. 3 7 e); pilastri più piccoli decorati con erme femminili sostengono il tabernacolo ai cui lati stanno due nicchie, ognuna delle quali contiene una figura in piedi: a sinistra San Girolamo (fig. 37c), a destra San Bonaventura (fig . 37d). Giovani nudi, due a due, sono sdraiati sopra le nicchie , e nella fascia superiore sono visibili piccoli riquadri con le scene della Crocifissione e della Resurrezione (figg. 37f e 37g). Un cornicione appoggiato ai pilastri divide la decorazione murale dalla mezza cupola, dove si intersecano fasce orizzontali e verticali che incorniciano l'Assunzione della Vergine, la Creazione e la caduta dell'Uomo, la Passione di Cristo (fig. 37a). Il colore dominan-


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te della cappella è dato dall'architettura grigia, ravvivata da violetti, rossi, verdi cangianti, azzurri e oro visibili nelle vesti e negli elementi ornamentali. Secondo Davidson, il progetto della cappella Caetani imita la cappella Ponzetti (fig . 38) di Baldassare Peruzzi. Se è vero che Siciolante aveva appena terminato la volta della cappella Cesi, allora la decorazione di Peruzzi dirimpetto alla navata in Santa Maria della Pace era certamente ancora fresca nella sua memoria, ma anche le opere del medesimo periodo gli offrivano spunti per numerosi elementi decorativi nella cappella Caetani. Le figure di san Girolamo nella pala d 'altare (fig. 20) a San Martino e a Sermoneta sono simili per statura, muscolatura allungata, torsi flessuosi e al tempo stesso possenti. Ogni figura ha la fronte alta e spaziosa, la testa senza capelli, il naso a punta, la barba bianca e fluente, e tutte queste fattezze sono descritte con precisione naturalistica. L'angelo dell'Annunciazione (fig. 27k) della Bastie d'Urfé somiglia a Eva nella Tentazione (fig. 37a). Entrambi hanno i capelli tirati indietro che danno risalto alle fronti alte e ai profili appuntiti, entrambi hanno la testa sul lungo collo protesa in avanti, come santa Caterina nel dipinto di San Martino. Come abbiamo già detto, i giovani nudi, sottili, sempre appaiati due a due per forma e posizione somigliano alle figure nella volta della cappella Cesi (fig. 35a). Dunque, se il 1550 è la datazione corretta per la cappella Caetani, gli affreschi di Siciolante riassumono le idee sviluppate dall'artista nel periodo precedente, ·i dee che avrebbe continuato a sviluppare anche in futuro. E' una strana coincidenza che i tre committenti di Siciolante, Claude d'Urfé, Nicholas Dupré e Bonifacio Caetani fossero uniti dalla corte di Francia. E' anche curioso che due altri committenti di Siciolante, il cardinale Girolamo Capodiferro e il cardinale Giovanni Niaria del Monte si trovassero entrambi a Bologna in occasione del concilio. In qualità di rappresentante di Paolo III, il cardinale Capodiferro era stato legato pontificio in Romagna e nunzio apostolico presso la corte di Francia 13 , e aveva ordinato a Siciolante gli affreschi per il palazzo romano appena costruito, oggi chiamato palazzo CapodiferroSpada. Questi affreschi, con scene di battaglie tratte dalla storia antica, furono eseguiti in parte da Siciolante e in parte da un altro artista non identificato. Sebbene Luisa Mortari affermi che il cardinale Capodiferro avesse ordinato a Siciolante di affrescare una sala del palazzo romano, la partecipazione diretta dell'artista viene messa in dubbio per numerose ragioni: la mancanza di evidenza documentaria, lo stato incompleto degli affreschi, la probabile collabo-


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razione cli un altro artista 14 • La decorazione del palazzo seguì alla decisione presa dal cardinale nel 1548 di ingrandire la piccola residenza all'angolo cli vicolo del Polverone con via Arenula (piazza Capocliferro), facendo uso di una proprietà di parenti adiacente alla sua. L'architetto, Bartolomeo Baronino, fece progetti su progetti, che il cardinale cambiò continuamente per ben undici anni, fino a quando morl, nel 1559 15 • I nizialmente il cardjnale aveva contemplato la possibilità di cos truire un palazzo di dimensioni modeste ma, allorché P aolo III e Giulio III raddoppiarono gli emolumenti, anche la sua ambizione crebbe a dismisura. Il cardinale Bernardino Spada, da cui oggi il nome del palazzo, alterò e aumentò ancora il progetto, dopo l'acquisto del palazzo che avvenne il 10 luglio 1632. Il palazzo del cardinale Capodiferro fu costruito intorno a un palazzo più antico, all'incrocio tra due strade, e la grande camera d'angolo del piano nobile probabilmente fu decorata da Siciolan te 16 • Questa camera essendo nella parte più antica del palazzo, è probabile che fosse una delle prime ad essere decorata, forse già fin dal 1549, prima ancora che fossero completati i progetti dell'ingrandimento del palazzo. Lionello Neppi la denominò la sala di Alessandro Magno , in conformità a quello che credette essere l 'argomento del fregio; Raymond Keaveney offrl invece una alternativa convincente, suggerendo che il fregio rappresenti avvenimenti della vita di Scipione l 'Africano 17 • Non si ha conoscenza né di contratti né di documenti che identifichino in Siciolante l'autore degli affreschi, ma Vasari , e poi Baglione, ne scrissero 18 • Con il passare dei secoli gli affreschi si deteriorarono a tal punto che fu deciso di coprirli per nascondere il loro deplorevole stato. Un restauro fatto in anni recenti ha permesso cli salvare parecchi frammenti per ricostruire l'andamento della decorazione . Dagli alti finestroni al piancito, i muri sono ideati come finta architettura, con un insieme cli pannelli marmorei, nicchie con figure in piedi, pilastri ionici con erme femminili che reggono un cornicione. Sopra il cornicione corre un fregio composto di riquadri con scene narrative, a ridosso cli robuste cariatidi femminili agli angoli della stanza. Sebbene tra elementi architettonici e elementi narrativi ci sia unità di stile, la decorazione, anche se progettata da un artista solo, certamente è stata eseguita a più mani, e non è facile capire come fosse ripartito il lavoro. La parte più bassa della decorazione è di Siciolante: i motivi architettonici (fig. 39j) somigliano alla decorazione della cappella Caetani (fig. 36), soprattutto nell'alternarsi di nicchie incorniciate da piattabande con pilastri ed erme femminili prive di braccia con ventri gonfi


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da cui pendono festoni decorativi. In una nicchia sta in piedi una figura femminile nuda (fig. 39j) con nelle mani cornucopia e timone, che sono i simboli dell'Abbondanza Marittima 19 • Fianchi opimi, spalle larghe, membra robuste, proporzioni massiccie sono tipiche della donna ideale del Siciolante prima maniera, come la ritroviamo nelle donne dalle vesti drappeggiate nella pala d'altare di San Martino (fig. 20) e nel Battesimo di re Clodoveo (fig. 30a). Per concludere, disegno e esecuzione della fascia più bassa sono coerenti con lo stile di Siciolante. Il fregio, invece, presenta un problema di attribuzione più complesso. La Mortari, che nel 1975 pubblicò questi affreschi, osserva differenze di stile tra i vari frammenti , che spiega come conseguenza di ritocchi o di interventi da parte di aiuti. Infatti, molte tra le scene che sono arrivate a noi, oltre le cariatidi, sono di mano diversa. A prima vista, le cariatidi (fig. 39e) sembrano somigliare alla figura dell'Abbondanza Marittima (fig. 39j), ma lo stile non è quello della maggior parte delle opere di Siciolante. In contrasto con le sue forme precise e scultoree, le figure sono qui più morbide, i colori in sordina e non squillanti nelle sfumature del giallo arancio, verde cangiante, blu cobalto frequenti nella pittura di Siciolante. Le scene narrative sui muri orientali, meridionale e occidentale (figg. 39f, 39h, 39i, 391, 39m) sono dipinti in modo simile alle cariatidi, ma le figure sono organizzate in gruppi cadenzati, molte posizioni sono dipinte in prospettiva, i personaggi si muovono con impeto , il tutto in contrasto con le figure statiche di Siciolante, cosl come ci appaiono in altri suoi dipinti. Più tipiche dello stile di Siciolante sono le due scene sul muro settentrionale. La composizione dell'affresco identificato da Keaveney per Scipione of/re la corona a Caio Lelio (fig. 39c) echeggia il Cristo davanti a Pilato (fig. 376) di Siciolante nella cappella Caetani. Scipione in trono e Caio Lelio che riceve la corona hanno posizioni simili a quelle di Pilato e del centurione; in tutte e due le scene, a lato del trono , appare la stessa figura alata. Tuttavia, anche in Scipione si notano incongruenze: torso e arti inferiori delle figure sullo sfondo disposti in modo confuso, Scipione sospeso a mezz'aria invece di essere seduto in trono. Parti delle figure sullo sfondo, come pure il trono in prospettiva sono stati ridipinti, forse per sostituire alcune parti danneggiate dell'affresco. E' difficile credere che Siciolante abbia· volutamente deturpato la propria opera, eppure la parte di destra è un'aggiunta di mano dello stesso Siciolante: le due figure, identificate da Neppi per Cosimo I de' Medici e Giulio III, furono inserite nella composizione già ultimata, e di ciò, è prova la linea verticale che taglia trono e baldacchino di Scipione 20 •


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Cambiamenti e aggiunte non hanno una spiegazione sicura per due motivi : primo, i pochi frammenti che ci restano; secondo, la mancanza di evidenza documentaria. Forse è soltanto una coincidenza il fotto che la sola prova della presenza di Siciolante sia il fregio sul muro che dà su vicolo del P olverone. Questo muro, che guarda a nord, ha delle finestre cieche sulla facciata esterna; forse nella struttura originale non esistevano le finestre, e le cornici sono state aggiunte al solo scopo di conservare il ritmo delle aperture all'esterno anche nel palazzo ingrandito 21 • E' vero che le finestre potrebbero essere state murate durante i lavori per lasciare maggiore spazio agli affreschi all'interno. Questa decisione potrebbe essere stata presa dopo il completamento del fregio, e per questo sarebbe sorta la necessità di ridipingere o addirittura di inventare di sana pianta nuove scene per la parete nord della stanza. Forse a questo punto intervenne Siciolante, a dipingere scene nuove e a eseguire la decorazione architettonica della fascia più bassa. Il fatto che ci siano almeno due mani diverse nell'esecuzione della decorazione murale è avvalorato sia dai ritocchi apportati ai dipinti sia dall'esistenza di un collaboratore, finora ignoto , di Siciolante. Baglione fa il nome di Luzio Romano, ma non esiste nessuna prova; ad ogni modo, resta il fatto che il secondo artista potrebbe avere cominciato il fregio, iniziando dalle cariatidi femminili, fin dal 1549, quando il cardinale cominciò il nuovo palazzo 22 • Siciolante potrebbe essere intervenuto qualche anno più tardi, tra il 1551 e il 1553, prima con la progettazione e poi con l'esecuzione delle scene della fascia inferiore e della parete nord . Terminati i dipinti, Siciolante e l'architetto Baronino passarono a occuparsi della villa di Giulio III; forse fu proprio il loro lavoro a palazzo Capodiferro ad attirare l'attenzione del papa. Il cardinale Giovanni Maria del Monte, legato pontificio a Bologna, era anche buon amico del cardinale Capodiferro. Dopo che il cardinal Del Monte fu eletto papa il 7 febbraio 1550 , anche lui, come Capodiferro, cominciò a costruirsi una nuova residenza, villa Giulia, nella vigna di proprietà subito fuori porta del Popolo. Tra le costruzioni nuove c'è il tempietto di Sant'Andrea in via Flaminia, progettato da Giacomo Vignola. Siciolante fu incaricato di dipingere un quadro per l'altar maggiore, e per questo lavoro venne pagato nel 1553 e nel 1554 23 • Poiché l'argomento del quadro non è specificato nei pagamenti, alcuni studiosi hanno supposto che si trattasse di sant'Andrea, il patrono della chiesa 24 ; invece, secondo quanto riferisce Bartolomeo Ammannati architetto della villa, si trattò di una Assunzione 25 • E' probabile che il dipinto venisse clan-


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neggiato in modo irreparabile dall'alluvione del Tevere nel 1557, e quindi spostato dalla chiesa. Forse è per questo che Vasari non ne parla, mentre fa menzione degli affreschi di Pellegrino Tibaldi, nelle nicchie di fianco all'altare 26 • I certificati di pagamento di Siciolante alludono solo al quadro per l'altar maggiore, ma sopra all'altare ci sono anche gli affreschi della lunetta (fig. 40) e della volta, che con ogni probabilità l'artista terminò nello stesso periodo. La volta semicircolare è decorata con riquadri geometrici scontornati da cornici di stucco. Due riquadri sono croci ortodosse che fiancheggiano un ottagono centrale nel quale sta seduto o il Padre Eterno o Cristo; è difficile stabilirlo con precisione dato il pessimo stato dei dipinti. Nella lunetta si vedono quattro putti alati che reggono ghirlande di frutta, sistemati simmetricamente a lato di un cartiglio centrale dove è inserito un medaglione ovale con la colomba dello Spirito Santo e le teste dei cherubini alati. I bambini hanno corpi pesanti, teste rotonde, guance paffute , fronti alte e spaziose, ciuffi di capelli ondulati, e occhi grandi, scuri, lontani uno dall'altro. Questi giovanetti paffuti, discendenti dei b ambini nelle prime opere di Siciolante, sono un legame importante con le figure del suo stile maturo. Il fregio della Storia di Adone (fig. 4 la) a palazzo Orsini, oggi palazzo del Comune a Monterotondo, è problematico non soltanto per stabilire la cronologia delle opere di Siciolante dalla fine degli anni '40 all'inizio degli anni '60, ma anche per quel che riguarda il periodo di transizione dallo stile giovanile allo stile della maturità. Purtroppo, non siamo in possesso di dati su questo lavoro, e non conosciamo né il committente, né la data di esecuzione, né l'argomento. Praticamente, questi affreschi non furono annoverati tra le opere di Siciolante fino al 1957, quando Federico Zeri per primo ne fece l'attribuzione, seguìto nel 1973 da Raffaele Bruno il quale, sull'esame dello stile, datò i dipinti negli anni 1553-1555 27 • La camera decorata da Siciolante si trova al piano nobile, la terza venendo dall'angolo di nord est. Il condottiero Ottavio Orsini aveva ereditato questa parte di palazzo, ed è probabile che lui, o qualcuno della sua famiglia, sia stato il committente di Siciolante 28 • Un fregio ininterrotto occupa quella parte di parete che dal soffitto ligneo scende fin sopra le porte. Ogni sezione d'angolo ha un largo riquadro ornamentale con festoni, una maschera e putti semisdraiati. Al centro di ogni parete c'è una scena narrativa, tratta dalla Storia di Adone, scontornata da una grande cornice. Prendendo origine dalle Metamorfosi di Ovidio, il ciclo narrativo comprende i seguenti episodi: Mirra in fuga dinnanzi al padre Cinira (fig. 416), La nascita di Adone (fig. 41c),


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Venere e Adone (fig. 41d), La morte di Adone (fig. 41e). Nelle pareti più lunghe nicchie rettangolari con figure di dee in piedi fiancheggiano i riquadri, tra esse Minerva (fig. 4 lf) , V enere (fig. 41g), Flora (fig. 41h), Diana (fig. 41i) . La tavolozza è semplice e festosa; le scene, incorniciate in giallo oro, presentano figure abbigliate con vesti gialle, verdi, rosa , su sfondi di paesaggi verde cedro e cieli azzurro lavanda grigio. In piedi, entro cornici lavanda su fondo grigioazzurro, le dee indossano vesti vivaci, rosso arancio, verde, viola, giallo. Nella Nascita di Adone alcune ninfe e un putto si prendono cura del neonato Adone, mentre la madre Mirra è trasformata in albero. Le donne sono flessuose, floride , e somigliano all'Abbondanza Marittima di palazzo Capodiferro (fig. 39j); i volti sono stilizzati, con grandi occhi a mandorla, lunghi nasi aguzzi, zigomi alti e sporgenti, menti piccoli. I drappeggi delle stoffe sono morbidi e sinuosi, in contrasto con quelli più rigidi e angolosi della Bastie d'Urfé. Le figure sono grandi e prevalgono sul paesaggio, proprio come i putti che riempiono lo spazio pittorico della lunetta di Sant'Andrea sulla via Flaminia (fig. 40). E simile è anche un certo flusso ritmico che aleggia tra le figure, bene inserite nel paesaggio; e anche il putto di destra ha lo stesso corpicino paffuto dei bambini di Sant'Andrea. La dimensione più grande delle figure, la scioltezza delle forme, la fluidità dei tessuti assumono un rilievo particolare nei dipinti di Palazzo Orsini, e questi non sono gli attributi car atteristici del lavoro di Siciolante prima della lunetta di Sant' Andrea. Nessuna sua opera precedente riunisce tutte queste caratteristiche, che trovano pieno sviluppo nei lavori più tardi. Dunque, sembra prematura la datazione proposta da Bruno (1553-1555), e anche gli anni 1556-1557 dovrebbero essere esclusi, visto l'atmosfera di guerra che coinvolgeva Monterotondo come la maggior parte della campagna romana. E' per questo che il periodo 1558-1560 è il periodo più indicato per l'esecuzione degli affreschi. Molte altre opere di questi anni sono somiglianti, e una Madonna con Bambino e donatore della famiglia Pini è datata. Nel 1561 Siciolante firmò e datò la Madonna Pini (fig. 47) di Osimo. Quest'opera è il primo esempio documentato dello stile maturo di Siciolante. Vasari non ne parla, ma il dipinto fu commissionato da un membro della famiglia Pini di Osimo, probabilmente da Muzio Pini, parroco della chiesa di Santa Lucia di Osimo 29 • Nel 1561 Muzio era succeduto allo zio Roberto, il quale nello stesso anno aveva chiesto ed ottenuto da papa Pio IV il patronato della chiesa 30 • Sulla superficie frontale del basamento del dipinto è visibile lo stemma della famiglia Pini


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- tre pini a cono su campo dorato, traversato da un nastro con fasce alternate argentee e nere. Il ritratto del donatore, prima raschiato poi ridipinto, potrebbe essere tanto quello di Roberto quanto quello di Muzio 31 • La Madonna seduta e il Bambino sono due figure grandiose, alte e scultoree, che riempiono lo spazio pittorico, contrariamente a quanto accade nei precedenti dipinti di Siciolante. I lineamenti della Madonna, seppure somiglianti al fregio di Palazzo Orsini, sono più marcati grazie al contrasto tra luce e ombra. La gonna pesante della Madonna ricade in pieghe soffici, arrotondate, irregolari che mettono in evidenza la vastità e la umanità del corpo sottostante, come si vede con chiarezza anche nel Bambino. Rosso, blu e verde accesi vibrano nella luce. L'uso del chiaroscuro dà risalto a queste forme scultoree, e - soprattutto - l'artista ritrae una scena di grande maestà e dignità. Alcune somiglianze stilistiche riaffiorano in due altri lavori eseguiti a Roma: il dipinto murale Santa Lucia e sant'Agata a Santa Maria sopra Minerva, e la cappella della Natività in Santa Maria della Pace. Tenendo fissa la data della Madonna Pini, ci troviamo ad avere un punto di riferimento per queste due altre committenze. Il dipinto murale Santa Lucia e sant'Agata (fig. 45) è menzionato da Vasari. Eseguito a olio su intonaco, procedimento insolito in Siciolante, il dipinto fu sistemato all'interno di un tabernacolo scolpito. Questo tabernacolo porta due iscrizioni : la più bassa, nascosta dall'altare spostabile, riferisce che la confraternita dell'Annunciazione costruì il tabernacolo nell'anno 1550 per Onesta Marsiliana e per il di lei consorte Alfonso Almerico. Naturalmente, questa data è servita a documentare il dipinto di Siciolante 32 ma lo stile, chiaramente maturo, indica che questa datazione è insostenibile. L'ostacolo principale a una datazione più tarda è la presunzione che il dipinto fosse pronto quando il tabernacolo venne consacrato. La logica vorrebbe che così fosse, dato che sembra strano che il muro intonacato si presentasse non dipinto a quel momento. D'altronde è comprovato, seppure non se ne sia mai tenuto conto, che Onesta Marsiliana ricevette un dipinto, Il Cristo Salvatore, di cui una volta si disse che era sistemato al disopra del tabernacolo " . L'iscrizione posta più in alto è anch'essa indirizzata a Cristo Salvatore 34 , e non è certo una coincidenza che iscrizione e dipinto abbiano entrambi Cristo Salvatore come oggetto. Propongo pertanto questa spiegazione: la iscrizione era dedicata all'immagine di Cristo, il dipinto fu sistemato all'interno del tabernacolo all'incirca come oggi è sistemato nella cappella del Salvatore. Suggerisco anche che sicio-


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!ante abbia terminato Santa Lucia e sant'Agata intorno all'anno 1561 e che il Cristo Salvatore sia stato sistemato allora sopra il tabernacolo, là dove in seguito è documen tato che fosse . Stilisticamente, Santa Lucia e sant'Agata è più vicino alla Madonna Pini (fig. 4 7) e agli affreschi di palazzo Orsini (figg. 41a - 41j) di qualsiasi altra opera eseguita da Siciolante negli anni 1550. Le due sante sono alte e hanno teste grandi, marcate da bocche piene e carnose, nasi pronunciati, immensi occhi dalle palpebre pesanti. Le loro ves ti, voluminose , e cadenti, sono accompagnate da pieghe più piccole e più morbide, si mili a quelle della Madonna Pini. Più di ogni altra cosa, è proprio questo modo di trattare il panneggio che caratterizza lo stile maturo di Siciolante e lo differenzia da quello giovanile . Le stesse caratteristiche hanno i dipinti della cappella della Natività in Santa Maria della Pace . La sola testimonianza contemporanea in favore di una attribuzione a Siciolante della pala L'Adorazione dei pastori è quanto scrive Vasari; dopo avere spiegato la composizione della volta della cappella Cesi (fig. 35a) a Santa Maria della Pace, Vasari afferma : « Nella medesima chiesa fece, non molto dopo [la volta Cesi] il medesimo Girolamo, in una tavola alta quindici palmi appresso all 'altare maggiore, la Natività di Gesù Cristo: che fu bellissima » 35 . E' abbastanza vago il « non molto dopo » di Vasari, e dunqu e aperto al dibattito . Se la volta della cappella Cesi è stata terminata tra il 1548 e il 1550, quan to tempo dopo è stata completata l'Adorazione? La risposta sta nell'esame delle peculiarità stilistiche del dipinto . La pala è uno tra i molti dipinti di Siciolante per la cappella. N ella bassa volta a botte sopra l'altare ci sono tre scene a olio su intonaco (come alla Minerva): la Creazione di Adarno (fig. 426), la Tentazione (fig. 42c), la Cacciata di Adamo e Eva dal paradiso terrestre (fig. 42d); sulle pareti laterali ci sono: Sant'Andrea (fig . 42e) e San Sebastiano (fig. 42f). Nella Tentazione i nudi di Adamo e Eva sono al centro di un paesaggio con ciuffi di vegetazione; le figure sono grandi e abbastanza massiccie, come nella Nascita di Adone (fig. 4 lc) a Palazzo Orsini, ma sono anche più scultoree e più spiccatamente tridimensionali per via del più forte contrasto di luce e ombra. La loro monumentalità ricorda quella della Madonna Pini (fig. 47). Dunque, questo, come gli altri dipinti della volta, dovrebbe essere vicino alla data della Madonna Pini. L'Adorazione dei pastori (fig. 42a) precorre le pale d'altare del periodo maturo. Maria, Giuseppe, pastori e spettatori stanno intorno al Bambino neonato tra le rovine di un edificio. In alto, una moltitudine di putti assiste all'adorazione. A prima vi-


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sta, in quanto a stile, le figure sembrano essere meno simili a quelle della volta che a quelle della Bastie d 'Urfé (figg. 27a 27k), e questo provoca confusione. E' vero che Siciolante introduce un tipo di figura più grande e più pesante soltanto nelle opere più tarde , ma è anche vero che continuò a rimanere fedele alla figura flessuosa caratteristica della sua prima maniera. l\1a ci sono altre diversità significative. I corpi dell'Adorazione sono più flessuosi ed hanno atteggiamenti meno rigidi di quelli delle opere giovanili ; c'è più sicurezza e piì1 ritmo nell'inserimento nella composizione, come ad esempio nella Nascita di Adone, di guanto ci sia nelle fi gu re della Bastie d'Urfé. Se facciamo un paragone , nei dipinti della Bastie sembra che la composizione sia un'aggiunta e le fi gure restino inerti. Lo stile dei dipinti della cappella della Natività sta a indicare la data dei primi anni '60 , dunque molto vicino agli anni della Jvfadonna Pini 36 • Il commento di Vasari « non molto dopo» si deve interpretare oltre un decennio più tardi. L'ultima di queste opere incerte è il ciclo della cappella Fugger (fig. 50) nella chiesa nazionale tedesca di Santa 'tvforia del1'Anima. Fino a non molti anni fa, gli affreschi della Vita della V erp__ine (figg. 51 a - 51 g) sono stati datati ai primi del 1550, ma di recente sono stati oiù correttamente avvicinati ad ooere dei primi anni '60 , come . .ad esempio gli affreschi di San Tommaso in Cenci (fi_gg. 65a - 65j) e l'affresco della Donazione di Pipino (fi~. 70) della Sala Re~ia in V aticano. Un documento conservato nell'archivio di Santa Maria dell'Anima è all'origine della datazione troppo precoce. Vi si afferma che il diacono della chiesa Johann Hominis fu incaricato nell'aprile del 1549 di ricordare al banchiere tedesco Anton Fugger che la decorazione della cappella di famiglia non era ancora finita 37 • Joseph Schmidlin, che pubblicò il documento, ne dedusse che immediatamente Anton Fugger commissionò gli affreschi a Siciolante 33 , ma oggi la conclusione di Schmidlin è ritenuta errata 39 • E' mia ferma opinione che Fugger non decorò affatto la cappella di famiglia, per sopravvenuti dissesti finanizari della sua banca nel 1540 e nel 1550 . Anton era stato costretto a finanziare le guerre dell'imperatore Carlo V contro la Francia, e questa impresa prosciugò le risorse della banca che in caso di inadempienza, veniva minacciata di fallimento. Sebbene le finanze della banca non fossero indicative né della ricchezza personale di Anton né della sua intenzione di farne uso, è possibile che questa precaria situazione economica abbia distolto il banchiere tedesco dal pro~ getto riguardo alla cappella. La guerra contro la Spagna promos · sa dal papa aggravò le condizioni di vita a Roma, creando un clima di provvisorietà e di disinteresse a investire danaro in ab-


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bellimenti artistici. Forse, con il ristabilirsi di una situazione più stabile a Roma e più tranquilla sul piano internazionale, Anton avrebbe potuto riprendere in considerazione la faccenda della cappella. Ma Anton morl il 14 settembre 1560 , proprio quando le cose cominciavano a normalizzarsi . Prima di mo rire nominò suo successo;e alla guida della banca il nipote, Hans Jakob 40 . Era costui un rinomato collezionista d'arte con parecchi contatti a Roma , ma scarsamente dotato in fatto di operazioni bancarie, tanto è vero che dopo pochi anni di gestione gli succedettero i figli di Anton. Tra il 1561 e il 1563 , quando era direttore della banca, forse Hans Jakob affidò a Siciolante l'incarico di completare la cappella di famiglia con il probabile intento di creare qualcosa in memoria dello zio Anton, il cui ritratto si trova all'estrema destra della Presentazione della V ergine al T empio (fig. 516) 41 • Scrive Vasari che la cappella Fugger è uno spazio semi-circolare con una mezza cupola nella navata destra che raggiunge la altezza della navata principale della chiesa. Una finestra ogivale , parzialmente coperta dal tabernacolo che ha un crocifisso scolpito, divide il muro in quattro parti uguali , coperte di affreschi . Un fasciane orizzontale separa i due ordini di scene, la cui sequenza va letta da sinistra a destra e dal b asso in alto, secondo questo ordine: la Nascita della V erg,ine (fig. 51a), la Presentazione di Maria al Tempio (fig. 516), l'Annunciazione (figg. 51c, 51d), la Visitazione (fig. 51e), la Presentazione di G esù Bambino al Tempio (fig. 51f); l'Assunzione (fig. 51g) occupa la mezza cupola. Questi dipinti della cappella Fugger sono certamente l'opera più armoniosa di Siciolante: le grandi , forti figure sono avvolte in abiti pesanti che ricadono morbidi , con pie_ghe larghe, dolcemente ondeggianti. L'azione fisica è limitata, le emozioni trattenute, ma le figure sono piene di grazia, inserite con ritmo in ambienti meticolosamente descritti, come farebbe un architetto davanti a un progetto. Lo scenario crea uno sfondo neutro, color grigio, sul quale fanno spicco i colori accesi dei vestiti, rosso, oro, azzurro, verde, violetto. Gli ambienti architettonici della Visitazione (fig. 5 le) e della Presentazione di Maria al Tempio (fig. 51b) ricordano opere dell'inizio del Cinquecento, quali la Visitazione di Ferino del Vaga nella cappella Pucci di Trinità dei Monti, o la Visitazione di Francesco Salviati nell'oratorio di San Giovanni D ecollato, o ancora la Presentazione di Maria al Tempio di Baldassarre Peruzzi a Santa Maria della Pace. Forse la Visitazione di Salviati (fig. 60), in cui lo spazio è profondo come in un palcoscenico e gli edifici in prospettiva fungono da cornice ai per-


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sonaggi assiepati al centro, ha ispirato la Presentazione della V ergine di Siciolante o, più genericamente, Siciolante ha utilizzato uno spazio razionale con riferimento al palcoscenico, alla antichità classica, alla Roma contemporanea. Libero di particolari e di abbellimenti superflui, questo ciclo di affreschi è già il racconto coerente e lineare che Siciolante perfezionerà nelle opere più tarde. Per un verso, lo stile somiglia a quello dell'Adorazione dei pastori (fig. 42a), per l'altro a quello della Donazione di Pipino nella Sala Regia, del 1565 (fig. 70c) . La Presentazione della Vergine intrattiene un rapporto formale con la Donazione di Pipino, tema religioso e tema secolare sono paralleli. Caratteri somatici, uso del panneggio, figura e ambiente che si integrano a vicenda, tavolozza (verde, oro, rosso delle vesti sul grigio dell'architettura) sono caratteristiche di stile simili a quelle dei dipinti della cappella Fugger. Dunque, i primi del 1560 sembra una data ragionevole per la cappella Fugger. Gli affreschi Fugger corrispondono alla maturazione dello stile di Siciolante e preludono ai suoi lavori più tardi e più noti: pale d'altare e affreschi per le chiese di Roma. Commissionati da membri della corte papale e della nobiltà romana, questi dipinti furono ideati nello stile tradizionale e un po' retrogrado dell'arte a Roma. Spesso modellati su una tipologia iconografica tradizionale ed eseguiti con una certa mentalità che richiama alla memoria i dipinti dell'alto Rinascimento, questi lavori si distaccano dalle caratteristiche talvolta eccentriche del manierismo. Il mutamento di stile in Siciolante avvenne nei tardi anni '50, quando l'artista cominciò ad usare un criterio più monumentale per le figure e un drappeggio più morbido e vaporoso per i tessuti, come dimostra il ciclo La storia di Adone di palazzo Orsini: le figure si integrano con l'ambiente, i gruppi sono più armoniosi e ritmici. Alcuni mutamenti sono conseguenza dell'abilità più affinata dell'artista, altri forse sono suggeriti dal lavoro dei contemporanei, Taddeo Zuccari, Girolamo Muziano, Livio Agresti. Questi mutamenti noi ora li vediamo con maggiore chiarezza, e il progresso nella pittura di Siciolante si evidenzia meglio tra la fine degli anni '40 e l'inizio degli anni '60. Dunque, disponiamo oggi di una solida base per la datazione delle opere e per un giudizio più sicuro sulla validità di certe attribuzioni.


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Note 1

Vedi Documenti, VIII. Esiste una testimonianza documentata di un qualche tipo di att1v1ta arttsttca svolta da Siciolante durante questo periodo. A Sermoneta , che si trovava sulla direttrice degli eserciti spagnoli che da Napoli si dirigevano a Roma, Bonifacio Caetani, nuovo signore di Sermoneta e alleato del papa, si preparava per la difesa del proprio territorio. In una lettera che porta la data del 1° gennaio 1557 Giovanni Andrea Ceraseo scriveva a Bonifacio in qualità di suo segretario, a proposito di un parere espresso da Siciolante su una ' insegna'. Vedi Documenti, IX . 13ERTOLOTTI, Artisti bolognesi, p. 116, cita da un altro documento dello stesso anno: « A dl 2 febbraio 1557, D. Hieroni.mus Siciolante de Sermoneta pictor qui spante omni meLiori modo promisit magistro Joh. Domeruco Simeoni de Bonasconib us bononiensi absenti et mag istro Simeoni Scortiae da Viterbo auripellariis sociis presentibus d ipingere pannos septem coramina argentata ... in to turn numerum peclum 76 circuita et altitudinis pedum 17 ut vulgo dicatur agrotesche recipiente con otto ovali dentro e otto città quali parerà a Mastro Bernascone » (Not. Tam. Tarquinio Severo 1557-1559 fol. 8). Non mi è riuscito di rintracciare il documento in q uestione. 3 Vedi Documenti, XI. 4 PUGLIATTI, Due mom enti, IV, p. 16. 5 HUNTE R, Tra11sitio11 a11d U11certai11ty, LIX, pp. 15-27. 6 VASARI, Le vite, VI, p . 584. 7 VASARI, Le vite, VII, pp. 571-572. a URBAN, Die Cappella Cesi, p. 221. 9 Nei suoi disegru Sangallo indica una finestra cli bngno romano all 'interno dell'arco dell'altare (Uffizi, Dis. A-704) e alternativamente al disopra dell'arco dell'altare (Uffizi, Dis. A-706 verso). La finestra attuale è sopra l'arco e e ntra nella volta. Nello stesso tempo Sangallo prevede una volta quadripartirn (Uffizi, Dis. A-703 recto), che impiega una finestra senza l'arco dell'altare. I bid., figg. 150-152. 10 Dizionario, XVI, pp. 133-134. 11 PANTANELLI, Notizie, I, pp. 70-71. 12 DAVIDSON, Some Early \Y/orks, XLVIII, pp. 62-63. 13 Girolamo Capodiferro fu fatto cardinale da Paolo III il 19 dicembre 1544. CHACON, Vitae, III, col. 706. Era nato il 10 luglio 1502 da Bernardina Capo· diferro e da Alfonso Ricenati e fu destinato alla carriera ecclesiastica. Prima di diventare cardinale, fu nunzio apostolico in Portogallo (1537) e in Francia (15401541). Diventò Tesoriere della Camera Apostolica e fu nominato D atario (1541). Quando fu fatto cardinale ebbe il titolo di cardinale decnno di San Giorgio in Velabro. Poi fu legato in Romagna (24 agosto 1545), incarico che gli rinnovò Giulio III prima, poi Marcello II e che infine gli fu revocato d a Paolo IV. Nuovamente fu mandato nunzio in Francia alla corte di Enrico II (25 febbraio 1547). Il 20 agosto 1557 il cardinale lasciò Roma per Padova, dove si stabilì definitivamente. Tornò a Roma per il matrimonio del nipote Pietro Mignanelli (dicembre 1558) e per il conclave in occasione della morte di Paolo IV (8 settembre - 26 dicembre 1559). Morl il 1° dicembre 1559, prima della fine del conclave. Vedi NEPPI, Palazzo Spada, pp. 41-46; Dizionario biografico degli italiani, XVIII, pp. 626-629. 14 MORTARI, Gerolamo Siciolante, XXVI, pp. 89-97. 15 HUNTER, The 'Architectus celeberrimus', XXI, pp. 393-397. 16 Lionello Neppi (Palazzo Spada, pp. 16-36) analizza le varie fasi della costruzione studiando le fondamenta e le alterazioni alla struttura primitiva. La veduta di Roma di Anton van der Wyngaerde mostra la residenza originale. Vedi EGGER, Romische Veduten, II , tav. 113. 17 NESPI, Palazzo Spada, p. 65; KEAVENEY, Siciolante, I, pp. 401-405. 18 VASARI, Le vite, VII, p. 572; BAGLIONE, Le vite, pp. 23-24. 19 Come già identificato in RIPA, Iconologia, 1613, p. 2. 20 NEPPI, Palazzo Spada, p. 43. Il ritratto identificato come Giulio III assomiglia molto a un altro ritratto del papa che si trova nella Galleria Spada (fig. 2


Transizione e incertezza

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101 ) ma si dovrebbe ricordare che il papa era calvo. Questa figura somiglia anche allo spettatore all'estrema destra dell'Adorazione dei pastori (fig. 42a). Il ritratto identificato come Cosimo non è somigliante, ad esempio, ai ritratti di Cosimo fatti da Agnolo Bronzino. Una identiiicazione alternativa, ad esempio il cardinale Capodiferro o Enrico II, non è sostenibile. In altra parte del palazzo il cardinale Capodiferro onora Paolo III e Giulio III. Il r itratto di papa Farnese è nella cappella del palazzo; lo stemma di papa Del Monte è nel cor tile. 21 Le finestrine del piano nobile vennero aperte nella facciata su piazza Capodiferro qualche tempo dopo la fine della decorazione nella stanza di Amore e Psiche . Vedi NEPPI, Palazzo Spada, fig. 4. 22 GAUDIOSO, I lavori , LXI , pp. 21-44; pp. 228-262 . E' difficile proporre il nome di un artis ta per questi dipinti. Tuttavia, è da tenere presente che le c;iriatidi femminiJi sono riprese dal Basa111e11to di Perino del Vaga (fig. 9) nella Stanza della Segnatura in Vaticano. Le scene di battaglia potrebbero anch'esse derivare da disegni di P er ino, oppure da adattamenti di bassorilievi antichi, ad esempio q uelli de lla colonna di Marco Aurelio. 23 Documenti, VII. FALK, Studien, XIII, p. 159, num . 560, 571. 24 PUGLIATTI, Due momenti, IV, pp. 14-17. 25 FALK, Studie11 , XIII, p. 171. 26 VASARI , Le vite, VII, p. 417. D'ONOFRIO, Il Tevere, p. 304. 27 ZERI , Pittura, p. 37, n. 2; BRUNO, Girolamo, CXXXIII, p. 78; CXXXIV, pp. 71-80. 28 Palazzo Orsini ha una storia lunga e complicata, studiata recentemente da PAGLIARA, Mo11terolo11do, pp. 247-255. Secondo Pagliara Franciotto Orsini abbellì l'appartamento dove era la stanza affrescata da Siciolante. LITTA, Famiglie, tav. I (Orsini di Roma); COLONNA, Gli Orsi11i, pp. 133-135 ss. 29 CANTORI, Il museo diocesano, p. 137. Desidero ringraziare monsignor Carlo G rillantini che mi ha dato una copia del suo studio e mi h a sempre gentilme nte aiutato per ciò che ha a che fare con il dipinto di Osimo. I documenti, citati daUa Cantori, sono nell'archivio della famiglia Luzi di Treia, i discend enti moderni d ella famiglia Pini. Purtroppo 1a Cantori non cita dei documenti precisi e quando fa una citazione non la fa completa: « Ruberti Pini rectoris atque instauratoris roga tus, a Pio IV P .M. potestas facta est deligendi atque presentand i certi hom inis ex eius familia de Pinis » . A proposito della committenza di Muzio Pini si dice: « Ut aliquod monumentum perfatum extaret ponendum curavit MCLXI ». Il patronato della cappella passò a Oaudio, fratello di Muzio, e poi ai suoi successori. 30 Il brano pertinente (COMPAGNOLI, Memorie, IV, p. 81) è: « Idibus octobris 1561. Ex causa dotationis, e t fructum augrnentationis ad mediatatem, et de adimplemento, e t augmento per processum in curia episcopali Auximana fa. bricatum sibi constituit ere.». 31 Resrnurato nel 1981. Vedi Lorenzo Lotto, pp. 432-435. 32 STRINATI, U11'a11tologia, pp. 49-51. 33 BERTI-IIER, L'église, pp. 333-334. 34 L'iscrizione è la seguente: SALVATORI HUMANI GENERIS IESU CHRISTO HONESTA Mi\RSI LIANA SACELLUM EX TESTAMENTO CONSTRUI IUSSIT SODAL. ANNUN· TIATAE FACIUND. CURAR. Vedi FORCELLA, Iscrizio11i , I, p. 449. D esidero ringra· z iare Claudio Strinati che ha richiamato la mia attenzione sulla iscrizione in basso e sulla data. 35 VASARI, Le v ite, VII , p. 572. 36 FALCIDIA, Santa Maria della Pace, IV, p. 306. voss, Die Malerei, I, p . 109, per motivi inspiegabili mette la data della pala al 1570, il che è impossibile, secondo quanto affermato da Vasari. 37 Vedi Documenti, IV. Ringrazio monsignor Johannes Nedbal per aver identificato il documento e Christoph Luitpold Frommel che mi ha aiutato nella trascrizione. 38 scl-lMIDLIN, Gescbichte, pp. 242-244. 39 DAVIDSON, Some Early \Y/orks, XLVIII, p. 64; BRUNO, Girolamo, CXXXVI, pp. 33-35. 40 EHRENBERG, Le siècle des Fugger, pp. 68-78. La banca Fugger aveva smes-


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so di operare a Roma negli anni 1524-1527, ma i membri della famiglia continuarono ad avere la residenza a Roma. DELUMEAU, Vie économique, II, p. 846. I Fugger possedevano un palazzo dove cortile e loggia erano stati decorati da Perino del Vaga. VASARI, Le vite, V, p. 598; LIEB, Der Fugger, II, pp. 97, 381 . Per una valutazione diversa delle iniziative artistiche dei Fugger a Roma vedi PARTNER, Renaissance Rome, pp. 146-147. 41 SCHMIDLIN (Geschichte, p. 244) afferma che la figura all'estrema destra è Anton Fugger. Per altri ritratti vedi LIEB, Die Fugger, II, figg. 261-278. Non è chiaro se Hans Jakob Fugger vivesse a Roma o a Augsburg. Altri possibili candidati per la committenza a Siciofante sarebbero i figli di Anton.


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Con il completamento degli affreschi Fugger, Siciolante si trovò a far parte del gruppo più accreditato nell'ambiente artistico, e di questo è conferma la sua rielezione a consolo dell 'Accademia di San Luca nel 1564 e il notevole aumento di lavoro 1• Dopo la guerra devastatrice durante il pontificato di P aolo IV, un nuovo periodo di restauro e di abbellimento degli edifici iniziava a Roma, e sotto i pontificati di Pio IV (15601565 ) e dei successori Pio V ( 1566-1572) e Gregorio XIII (1572-1585) la città viveva un momento di calma e di stabilità relative. I dipinti per Santa M aria sopra Minerva, Santa Maria della P ace, Santa Maria dell'Anima sono il segno della raggiunta tranquillità. L'elezione di Pio IV (apparteneva a un ramo della famiglia Medici) rende palese il declino delle fortune del partito francese in Roma e l'ascesa del partito spagnolo alleato del re Filippo II. Ad indicare il progresso di questo orientamento politico, i mecenati di Siciolante si identificarono con personalità della fazione spagnola all'interno dell'aristocrazia romana e della corte papale. A parte i lavori dei primi anni '60 di cui abbiamo già parlato, durante questo decennio si sussegui in rapida successione una serie di committenze importanti. Tra l'altro, Siciolante portò a compimento il ritratto di Francesco II Colonna di Palestrina (fig. 48 ), firmato e datato 1561; la Madonna e Bambino in trono con santi (fig. 61) per Sant'Eligio dei Ferrari, del 1563 circa; la Discesa dello Spirito Santo, perduto, per Santo Spirito in Sassia, datato 1564; la Crocifissione con Vergine e san Giovanni Evangelista (fig. 62) per San Giacomo degli Spagnoli, del 1564-'65; gli affreschi della Vita della Vergine (figg. 65a - 65j) per San Tommaso in Cenci, firmato e datato 1565; un trittico con Madonna e Bambino (figg. 66a - 66c) per San Giuliano in Banchi Nuovi del 1565; la Donazione di Pipino (fig. 70c) per la Sala Regia in Vaticano, del 1565; il Martirio di santa Caterina (fig. 76a) per Santa Maria Maggiore, del 1566-'67 all'incirca, la Crocifissione con la V ergine, san Lorenzo e donatori


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della famiglia Colonna (fig. 78) per Palestrina, all'incirca del 1566-'68, ed infine gli affreschi per il palazzo Caetani a Cisterna, circa del 1566-' 69 (figg. 81a - 81a) . Non esiste documentazione che provi la presenza di aiuti nella bottega di Siciolante, ma è probabile che la massiccia richiesta di quadri importanti ne abbia imposto l'impiego. Tullio Siciolante, figlio di Girolamo, diventò un artista rifinito prima di morire prematuramente all'età di vent'anni nel 1572; è probabile che Io avesse istradato il pad re, e con lui si mise a lavorare intorno agli anni 1565 2 • E' provato che Gaspare Gasparrini da Macerata fosse discepolo di Siciolan te 3 , e pur essendo suo amico personale e forse suo aiuto, mantenne sempre indipendenza di spirito nel lavoro senza subire influenze da parte del maestro 4. Forse Casesio da Arezzo (de Aretio) con G asparrini e Tullio fu anche lui tra gli aiuti di Siciolante. Con o senza aiuti, Siciolante riuscl a mantenere il controllo della produzione. La qualità del lavoro è sempre ottima come è sempre evidente il marchio del maestro, e forse tutto ciò dipese dai limiti che egli seppe imporre alla propria arte . Alcune caratteristiche di stile - tipologie, particolari anatomici, posizioni del corpo, uso del panneggio - si ripetono da dipinto a dipinto. Facendo largo uso di pezzi in gesso e in cera - figure di cera e teste e piedi di gesso - Siciolante ripeteva alcuni motivi apportandovi varianti costanti 5 • Riducendo al minimo l'invenzione delle figure, l'artista restava libero di sorvegliare il proprio lavoro eseguito da altri e di concentrare le proprie energie su composizione e colore. Tra le opere più importanti eseguite da Siciolante negli anni '60, nessuna è monumentale quanto la Crocifissione (fig . 62) di Santa Maria in Monserrato. Commissionata per la chiesa degli spagnoli, San Giacomo, la Crocifissione è tipica della maturità di Siciolante. Sebbene danneggiata, ritoccata e bisognosa di ripulitura, il quadro emana grandiosità e potenza; le figu re sono robuste e più imponenti di quelle del periodo precedente. La tavolozza è di grande semplicità: sul cielo nuvoloso color blu lavagna spicca la veste della Vergine blu cupo e rossa e gli indumenti rosso chiari di san Giovanni. Nonostante il pessimo stato di conservazione, la Crocifissione è un dipinto ardito, dove la semplicità della concezione unita alla monumentalità dei personaggi provoca un sentimento di intensa religiosità. Se non fosse tanto rovinato, certamente questo dipinto sarebbe incluse tra le creazioni più armoniose di Siciolante. Ormai in possesso di un ricco curriculum, Siciolante venne avvicinato dai consiglieri di Pio IV con l'offerta di partecipare alla più importante iniziativa artistica del Vaticano . Fin dai pri-


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mi anni di pontificato, Pio IV tentò di portare a compimento i dipinti che avrebbero dovuto onorare i regnanti temporali nella Sala Regia in Vaticano. Il progetto era stato cominciato da Perino del Vaga al tempo di Paolo III, ma dalla fine dell'era Farnese il lavoro era andato molto a rilento in questa grande sala 7 • Dopo un vano tentativo da parte di Daniele da Volterra e di Francesco Salviati di realizzare degli affreschi murali, i consiglieri di Pio IV assegnarono l'incarico a un certo numero di artisti, tra i quali Siciolante, Taddeo Zuccari, Orazio Samacchini, Giovanni Battista Fiorini, Giuseppe Porta, Livio Agresti, Zamaria Zoppelli 8 • A Siciolante venne affidata l'esecuzione di due quadri che esprimessero il tema di sovrani dal cui regno il papato aveva tratto beneficio: l'A utorità conferita dalla Sede Apostolica agli Elettori dell'Impero e la Donazione fatta alla Chiesa da Pipino re dei Franchi del territorio ceduto da Astolfo re dei Longobardi (fig. 70c). Solo la Donazione fu terminata prima della morte di Pio IV avvenuta il 9 dicembre 1565, allorché tutti i lavori furono eseguiti. La Donazione di Pipino, che si trova sopra la porta che da nella Cappella Sistina, adempie l'istanza tematica della Sala Regia, in guanto rende onore a un re che giovò al papato. Prendendo a spunto un avvenimento dell'VIII secolo, il dipinto mostra una strada assiepata di curiosi, soldati e testimoni del fatto. In primo piano, sui gradini della scala di un edificio a colonne sta Astolfo, lo sconfitto re dei Longobardi, con le braccia legate dietro la schiena, e Pipino, il vittorioso re dei Franchi. Un giovane porta una statuetta, simbolo del territorio donato 9 • E' storicamente vero che Pipino sconfisse Astolfo e lo costrinse a cedere il territorio che venne dato alla Chiesa, ma è falso che il re dei Franchi facesse prigioniero Astolfo. Presentare al pubblico il re longobardo prigioniero equivale a magnificare l'importanza simbolica dell'avvenimento nonché l'intento propagandistico della decorazione . Pipino e Astolfo si scontrarono sulle ambizioni espansionistiche del re longobardo, il quale aveva minacciato Roma con le sue truppe. Incapace di provvedere alla difesa della città, il papato era ricorso per aiuto fuori Italia, e aveva domandato a Pipino di fermare Astolfo. Il re dei Franchi aveva aderito all'invito perché il papato lo aveva soccorso allorché aveva dovut0 consolidare il proprio potere sui Merovingi, ed era venuto in Italia, vanificando il piano di Astolfo di marciare su Roma. A questo punto, Pipino aveva strappato un accordo a Astolfo, il quale si impegnava a restituire il territorio occupato, compreso l'esarcato bizantino; e di tutto Pipino fece donazione al papato. Ne derivarono due conseguenze imprevedibili: la prima, che il papa nominò Pipino protettore di Roma; la seconda, che


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quanto restituito da Astolfo formò il nucleo degli Stati pontifici 10 • In più, con l'annessione dell'esarcato di Bisanzio, il papato, oltre beninteso a detenere la guida spirituale, si arrogò il diritto al potere temporale là dove era prima l'impero di Roma 11 • Le conseguenze del gesto di Pipino, e non il conflitto storico del momento, sono dunque il vero argomento dell'affresco di Siciolante. Come osserva Pericle Perali, la Donazione è l'allegoria di un evento che mette in luce l'annessione del territorio da parte del papato, donde la nascita del potere temporale con l 'intervento benevolo di un re. Lo scopo vero, o l'intento propagandistico, della decorazione della Sala Regia è di legittimare le rivendicazioni pontificie contro l'autorità secolare. Inoltre, poiché il papa è il capo spirituale della cristianità, egli ha il diritto di esigere obbedienza e sottomissione da parte dei regnanti laici. Per tradurre queste idee in allegoria pittorica Siciolante scelse ambienti e figure fittizi 12 : lo sfondo architettonico non è Pavia, luogo d ello storico incontro Pipino-Astolfo; è invece il ben noto modello di palcoscenico in uso per le rappresentazioni drammatiche. La prospettiva di una strada fiancheggiata da edifici tradizionali e la sua vista interrotta da un arco trionfale era già un disegno di Baldassarre Peruzzi, largamente divulgato da una illustrazione di Sebastiano Serlio (fig. 72) 13 , e questa architettura forniva una adeguata ambientazione per movimenti e gesti dei personaggi. La Presentazione della V ergine al Tempio (fig. 51b) di Siciolante di Santa Maria dell'Anima potrebbe avere servito da modello all'affresco 14 • Il tema religioso della presentazione della Vergine in Sinagoga forse ha suggerito la scena di contenuti laici, e per analogia l'edificio a colonne della Donazione dove è diretta la processione forse simboleggia la Chiesa, cosl come nella Presentazione l'edificio è il Tempio. L'aspetto più importante della vicenda è la sconfitta di Astolfo, che rese possibile la donazione. Per rafforzare il nesso tra la sconfitta di Astolfo e la donazione di Pipino, Siciolante fece ricorso all'antico motivo romano del prigioniero con le braccia legate, emblema di sconfitta e di sottomissione 15 , motivo che si trova all'inizio del sedicesimo secolo nella Battaglia di Ostia di Giulio Romano nella Stanza dell'Incendio in Vaticano, e che forse è stato il modello di Siciolante 16 • L'impotenza politica di Astolfo è contrapposta alla potenza di Pipino: il re buono usa della propria potenza volontariamente per arricchire la Chiesa. L'allegoria della Donazione è a servizio in una verità storica, in quanto il territorio acquisito dalla Chiesa romana diventò il nucleo degli Stati pontifici. La donazione di Pipino ampliò il potere temporale del papato, un punto questo che la Chiesa


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difendeva ancora strenuamente durante il pontificato di Pio IV. La morale di questa vicenda, vincolata alla storia medievale, e l'obiettivo del programma ideologico illustrato nella Sala Regia è che le autorità temporali devono appoggiare il papato 17 • P er l 'ubicazione e per l'argomento trattato, questo lavoro di Siciolante ha attirato più interesse di tante altre sue opere; Vasari ne ha ammirato la composizione 18 • Pur essendo questo affresco una tra le opere più complesse di Siciolante sia come rappresentazione delle figure che come impianto architettonico, la bellezza dell 'insieme deriva essenzialmente dall'equilibrio coloris tico. D omina il grigio dell'architettura, e il verde, oro e rosso delle vesti è in sordina; qui il colore attutito contribuisce alla chiarezza pittorica e all'ordine spaziale strutturato nell'ambiente architettonico. Il solo studio per l'affresco di cui si abbia notizia è il disegno quadrettato che si trova a Parigi (fig. 71) 19 • Dal disegno all'affresco i cambiamenti sono minimi : ripensamenti di poca importanza sono visibili nella posizione di alcune figure, e lo stesso può dirsi per alcune modifiche di lieve entità ap por ta te agli indumenti, in particolare a quelli del soldato a destra. Nel disegno, le fisionomie non hanno mo lto carattere, e derivano d all'abituale repertorio di Siciolante; nella pittura, invece, i volti diventano ritratti affascinanti di membri della corte papale 20 • Trattandosi di una opera collettiva, a Siciolante toccò di escogitare un insieme che fosse in sintonia con i lavori dei colleghi. D ovette uniformare la direzione dei movimenti, la profondità, la dimensione delle figure, la tavolozza dei colori. Alcuni particolari erano d 'obbligo, ad esempio la folla di curiosi , i ritratti dei contemporanei, lo stemma mediceo. Per aderire alle esigenze della committenza, Siciolante andò a cercare ispirazione nelle sue opere precedenti: è per questo che la Donazione ricorda la Visitazione (fig. 51e) della cappella Fugger, soprattutto nel rapporto tra figure e impianto architettonico. Le figure della Donazione, pur essendo somiglianti a quelle dell'affresco Fugger, sono più massiccie, più muscolose, più solide, alla maniera delle figure della Crocifissione (fig. 62) nella chiesa di San Giacomo. I lineamenti, dipinti con grande cura, passano dal vero e proprio ritratto a una maggiore genericità. Anche il tono dei colori, dal bianco, al verde, all'oro e al rosso degli indumenti contro lo sfondo grigio dell'architettura, ricorda la cappella Fugger. E' sorprendente il risultato ottenuto da Siciolante: stilisticamente, la Donazione somiglia al lavoro dei colleghi: ad esempio, la composizione è l'immagine allo specchio del quadro di Fiorini Ariperto ratifica la donazione di Liutprando (fig. 70b) al capo


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opposto della stessa parete. In pratica, le figure d ella Sala Regia hanno tutte la stessa corporatura muscolosa e m assiccia; alcune sono atteggiate in modo più elegante, come ad esempio nella Dichiarazione di Carlo Magno 21 , l 'affresco di Taddeo Zuccari , in altre le fattezze del volto sono più incisive, ad esempio in Pietro d'Aragona di Agresti e nella Donazione di Siciolante 22 • Per le comuni qualità di stile e di composizione, i dipinti della Sala Regia si in tegra no a vicenda e creano u n insieme di grande armonia in questo splendido salone di udienza. Incredibile a dirsi: mentre le limi tazioni causate d al lavoro collettivo hanno tarpato la creatività di alcuni artisti, per Siciolante è avvenuto il contrario, perché la Sala Regia è u no dei risulta ti più al ti della sua arte . Mentre era ancora impegnato nella Sala Regia, Siciolante ricevette una commessa da un doratore spagnolo , J oannes Petrus da Cordoba. Il 7 ottobre 1565 Joannes Petrus da Cordoba aveva stipulato un contratto con Siciolante per l 'esecuzione di alcuni dipinti che il pittore N iccolò Martinelli non aveva potuto finire secondo quanto stabilito in un p recedente accordo datato il 2 giugno 1563 23 • Da Cordoba disse di volere tre dipinti per la cappella nella chiesa di San G iuliano in Banchi Nuovi; u na Madonna con Banibino, un Sant'Andrea, una Santa Caterina; voleva che la Madonna fosse copiata d alla pala di Giulio Romano (fig. 67), a quel tempo collocata sopra l'altare della cappella Fugger in Santa Maria dell'Anima. La Madonna con Bambino di Siciolante (fig. 666), che è alla galleria Colonna, forma la parte centrale d el trittico di D a Cordoba 24 • Il Sant'Andrea (fig. 66a) e la Santa Caterina (fig. 66c) nella stessa galleria sono i pannelli laterali. La Madonna è praticamente copiata dalla pala di Giulio Romano o per meglio dire la Madonna, il Bambino e la collocazione di San Giovannino corrispondono esattamente alle figure di Giulio Romano . Invece, il resto del quadro è molto diverso: Siciolante ha eliminato i tre santi, i tre putti in aria che reggono un cartiglio, e gli elementi architettonici che fungono da sfondo. Lo sfondo della Madonna è scuro, e soltanto nel centro e sul lato destro c'è qualche accenno di stoffa drappeggiata. Per darne un'immagine più completa, Siciolante ha reimpostato la figura di san Giovannino , nella cui mano destra ha messo un nastro che reca la scritta ECCE AGNUS DEI. In quanto imitazione voluta del dipinto di Giulio Romano, la Madonna di Siciolante è da ritenersi genericamente ben riuscita, seppure si possa sollevare qualche obiezione, ad esempio sul modo maldestro di trattare il trono della Madonna. Nella pala di Giulio Romano, la Madonna è installata su una piat-


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taforma cui si accede da alcuni gradini, e questa specie di trono è girato a sinistra verso san Giacomo, mentre la Madonna vol-

ta leggermente la testa in direzione del visitatore . Sebbene questo disegno sia conservato nel dipinto di Da Cordoba, il trono e la Madonna sono di fronte all'osservatore . La ragione per una modifica della composizione c'era, ma il risultato per chi guarda è ambiguo. Ad esempio, il piede sinistro della Madonna poggia sul gradino , oppure sta dietro di esso? Copiando fedelmente il quadro di Giulio Romano, Siciolante ha introdotto anche nella sua Madonna dei contrasti più pronunciati che non nei pannelli dei santi. Il contrasto di tono più accentuato nella Madonna va a favore della tesi secondo la quale questo pannello non era parte di un trittico 25 • Tuttavia, scelta e uso del colore unificano la Madonna con i santi dei pannelli: il rosso acceso dell'abito della Madonna è il completamento del rosso arancio chiaro e del rosa arancio pallido delle vesti di sant' Andrea e di santa Caterina . L'armonia e le sfumature di colore che solitamente Siciolante creava all'interno di un solo pannello, questa volta sono raggiunti con il coordinamento di tre dipinti. La caratteristica che più colpisce nello stile di Siciolante in questo periodo e che dimostra come egli abbia saputo personalizzare le figure di Giulio Romano , è il modo particolare di trattare i volti. I capelli lucidi e ondulati, le gote pesanti, il mento piccolo, le labbra carnose, i grandi occhi un po' sporgenti fanno della Madonna di Giulio una singo!are bellezza dal portamento regale. Le fattezze della Madon na di Siciolante sono più morbide e meno pronunciate, e la sua Madonna, così come sant'Andrea e santa Caterina, sono figure più comuni e, insieme, emotivamente più distaccate. La sorprendente semplicità della pala di Siciolante esprime la forza e la potenza della sua arte. La fama dell'artista richiamò nuovi mecenati. Lo stesso anno della Sala Regia e del trittico sopra descritto, Siciolante firmò e datò gli affreschi della Vita della V ergine (fig. 64) di San Tommaso in Cenci 26 • Termina ti per Porzia Cenci, vedova di Valerio di Ludovico Cenci, somigliano alla Donazione della Sala Regia e al ciclo Fugger, ma la qualità dell'esecuzione è discontinua. La volta è di mano degli aiuti (figg. 65a - 65c) e così pure alcuni tratti di affreschi murali, in particolare i quattro profeti (figg. 65g - 65j). All'artista era stato domandato di inventare uno schema di decorazione moderno, entro cui inserire dipinti di iconografia tradizionale. Per Siciolante spazio e colore erano di primaria importanza, come mostrano gli affreschi Fugger. Per gli interni, gli ambienti mossi e spaziosi sono abitati da figure flessuose; i colori autunnali delle vesti, caldi e variegati, creano una armonia elegante e calcolata: azzurro chiaro, verde oliva,


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lilla, beige, rosso, rosa, arancio. La volta, con i grotteschi e le ardite fasce rosso scuro, azzurro e oro, fanno un singolare contrasto: i grotteschi, bizzarri e delicati, e le fasce geometriche a colori violenti, propongono emozioni e sensibilità del tutto diverse. L'insieme della cappella, piacevole a tutti gli effetti, non è unitario. L'esecuzione degli affreschi è visibilmente discontinua. Forse non è stato Siciolante a dipingere alcune scene della volta (figg. 65a - 65c) . Lo stile delle figure è dozzinale: volti, mani, stoffe rivelano un lavoro grossolano che non somiglia in alcun modo allo stile di Siciolante. Le fattezze dei volti e i particolari anatomici dei quattro profeti (figg. 65g - 65j) non hanno il suo tocco·: nelle tre grandi scene narrative il suo intervento è più consistente ma anche più convenzionale. I particolari mutu ati dalla Nascita di Adone (fig. 41c) di Monterotondo e dalla Nascita della Vergine (fig. 51a) della cappella Fugger dicono quanto scarso fosse l'interesse dell'artista ad inventare composizioni nuove. Sebbene si debba a lui il progetto della decorazione, il suo intervento è svogliato e frettoloso e si limita solo alle parti per lui degne di attenzione. Un incarico che attirò la sua personale partecipazione fu la pala d'altare Il martirio di santa Caterina, per la cappella Cesi nella chiesa di Santa Maria Maggiore 27 • Il cardinale Federico Cesi, morto il 28 gennaio 1565, aveva lasciato un testamento, datato due giorni prima della morte, nel quale specificava di volere una pala d'altare dedicata a santa Caterina per la propria cappella mortuaria 28 , che doveva essere un monumento alla memoria del cardinale Federico e del fratello Paolo Emilio anche egli cardinale. Doveva soprintendere al progetto il nipote del cardinale, Angelo di Giangiacomo Cesi, che aveva sposato Beatrice Caetani, figlia di Bonifacio 29 • Vasari vide il quadro a Roma tra il 1566 e il 1567, e nel 1568 ne parla nelle Vite 30 • Siciolante fece parecchi altri dipinti per questa stessa cappella, compresi due pannelli, rispettivamente San Giovanni Evangelisti (fig. 766) e San Matteo (fig. 76c) di fianco alla pala, e l'affresco che rappresenta un Profeta e una Sibilla (fig. 7 5) sull'arco sopra l'altare. Due sono i protagonisti nel Martirio di santa Caterina (fig. 7 6a): la santa che aspetta con serenità il fendente del carnefice, e l'imperatore Massenzio che freddamente ordina la decapitazione. Su] davanti di un edificio ad archi, è riunita una folla attenta di soldati e di curiosi. In alto, il Padre Eterno, in mezzo a una schiera di angeli, presiede all'avvenimento e regge con le mani la croce del Cristo crocifisso. Completa la Trinità la colomba dello Spirito Santo, rappresentata nel pannello centrale affrescato nell'interno dell'arco sopra !'.al-


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tare ; nelle due scene laterali, v1cme alla colomba, alcuni putti portano i simboli del martirio, palme, corone d'alloro, ghirlande 3 1 • Ideando questa tavola, Siciolante scoprì un nuovo potenziale pittorico: le superfici hanno la finitezza di una scultura levigata a causa del colore brillante e del gioco della luce; la posizione delle figure crea forme complicate, a volte sovrapposte; pieghe e disposizione dei tessuti sono decorative, in quanto la caduta della luce e la distribuzione del colore rivela il vivace interesse dell'artista alla bellezza delle superfici. La pala è un dipinto densamente popolato, dove forma e colore sono complessi: si può quasi dire che i colori accesi e scintillanti soverchino la composizione schematica e ordinata delle figure e annullino la divisione tra regno celeste e regno terreno. Blu cobalto, lavanda, giallo limone, oro, rosso vermiglio, verde cedro creano una intensità di sentimenti che non ha riscontro nei personaggi. Questi colori accesi predominano sulle nubi azzurre, sull'architettura grigia, sulla terra. A contrasto, i due piccoli pannelli di San Giovanni Battista (fig. 76b) e di San Matteo (fig. 76c) sono più sommessi di tono e di colore. Le vesti - il manto rosso vermiglio di san Giovanni sopra una tunica verde e le tuniche azzurre e marrone di san Matteo e dell'angelo - hanno il medesimo intenso scintillio delle vesti della pala. Poiché le figure sono collocate contro uno sfondo scuro, l'effetto è di maggiore semplicità, più grandioso, più intimo. La scoperta dei valori della decorazione non segnò una svolta drammatica nello stile di Siciolante ma piuttosto una tranquilla evoluzione. Il Martirio di santa Caterina (fig. 76a) ricorda i dipinti degli anni immediatamente precedenti, quali La donazione di Pipino (fig. 70c) e gli affreschi (figg. 65d - 65f) di San Tommaso in Cenci. Le figure sono grandi e muscolose, i volti stilizzati, le stoffe trattate secondo schemi più semplici. Le differenze essenziali tra le prime e le ultime opere di Siciolante sta nella capacità di controllo al fine di una ottimale resa espressiva. L'operoso ritmo di produzione proseguì per tutta la seconda metà degli anni '60 quando, tra l'altro, l'artista fece una Crocifissione (fig. 78) per Palestrina, un'Incoronazione della Vergine (fig. 80) per Sermoneta, e la Pietà (fig. 82) che oggi è a Cambridge. Siciolante fu anche impegnato nel progetto di restauro e decorazione del palazzo di Bonifacio Caetani a Cisterna. Nel 1-560, ragioni di salute indussero Bonifacio a trasferire la propria residenza da Sermoneta a Cisterna, dove trasformò in un palazzo signorile i resti di una rocca medievale, un tempo proprietà dei Frangipane 32 • Quando il 1° marzo del 157 4 Bonifacio morì, le opere di restauro non erano certamente terminate.


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C'è una lettera del 19 gennaio 1574 di Siciolante a Bonifacio, nella quale l'artista espone vari progetti per Cisterna 33 , e dalla quale risulta che la sistemazione interna del palazzo era ben lungi dall'essere finita. E' ancora più interessante venire a conoscenza del fatto che la parte completata dei lavori potrebbe essere stata fatta sotto la direzione di Siciolante: forse l'artista presiedette a tutti, o parte, i restauri. Purtroppo, il palazzo fu dis trutto nel corso della seconda guerra mondiale, ma Ellis K. \'v'aterhouse ha pubblicato alcune fotografie di prima della guerra di quadri che egli attribuisce a Siciolante e che si trovavano nelle stanze contrassegnate con le lettere B e G 34 • La Giustizia (fig. 8 ld) e la Prudenza (fig. 8 le) nella stanza B ricordano le figure degli anni '60 , e in particolare, secondo \XTaterhouse, quelle degli affreschi di San Tommaso in Cenci (figg. 65d - 65f) . La Caduta di I caro (fig. 8 1a) nella stanza G ha una somiglianza ancora più stretta con il lavoro che Siciolante faceva nel 1560: le figure, e soprattu tto i volti, sono identici a quelli della Donazione di Pipino (fi g. 70c) e al Sant'Andrea (fig. 66a) della Galleria Colonna. Si dovrebbe tener presente che esistono analogie anche con opere più tarde, per esempio con la pala d'altare di Bonifacio (fig. 91) a San Tommaso in Formis e con la Trasfigurazione (fig. 88 ) di Santa Maria in Aracoeli. Il paesaggio con il mare grosso , abbastanza raro nell'opera di Siciolante, è somigliante all'ambiente dell'Incoronazione della V ergine (fig. 80) di Sermoneta . E ci sono anche analogie con l'arte di Siciolante nella decorazione intorno alla Caduta di Icaro. Ippomane è una variante dell'Angelo Gabriele nell'Annunciazione (fig. 65f) di San Tommaso in Cenci. Ma questa figura, così come il rimanente del grottesco (figg. 816, 81c) possono essere state eseguite da un aiuto su disegno di Siciolan te. Da quanto contenuto in questa documentazione sembra che costruzione e decorazione del palazzo di Cisterna siano da ascriversi al periodo compreso tra il 1560 e il 1574 35 • SicioIante avrebbe potuto eseguire i dipinti quando poteva sospendere il lavoro di Roma. Ora, da circa il 1560 alla fine del 1565 e dal 1570 alla morte avvenuta nel 1575, Siciolante ebbe sempre molto lavoro a Roma. Poiché i dipinti di palazzo Caetani somigliano più alle opere che egli eseguì agli inizi degli anni '60 che non a quelle dell'inizio degli anni '70, sembrerebbe giusto stabilirne la data nei tardi anni '60. Questa opera di decorazione è un ponte stilistico che porta alle opere della maturità.


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Note 1 Nel 1561 a Siciolante venne richiesto di dare un giudizio su un collega davanti al tribunale del governatore di Roma: « In quanto al mio giuditio dico che il Moraga essendo sufficiente com'è nell'arte del pittore merita scudi 15 il mese, stando con un signore o con un principe e tanto io lo judico e sonno pochi giorni che io accomodai un giovane con il Cardinale Crispo qua e della professione del Moraga e se convenne de darli scudi 10 il mese e le spese. Io so che questo Moraga è valente homo nell'esercito suo » (Liber Testium, 1561, fai. 631 ). Non si possono aggiungere particolari a quanto detto sul cardinale Crispo. BERTOLOTTI, Artisti bolognesi, p. 51. Non sono riuscito a trovare il documento citato. Nel 1568 a Siciolante e a Bartolo meo da Casale fu domandato di dare una valutazione degli stucchi eseguiti da Ferrante Moreschi. BERTOLOTTI, Artisti modenesi, p. 64 cita un libro mastro 1565-1568, f. 246, che non sono riuscito a trovare. 2 Tullio imitò lo stile del padre. FIORANI, Lettere in Girolamo, IV, pp. 127129. 3 LANZI, Storia, I, p. 463 riporta quanto segue: « considerabil pittore, quantunque men noto, fu Gaspare Gasparrini maceratese. Nacque nobile ed esercitò la pittura, per trasporto di genio, a olio e a fresco. Fra gli aneddoti che ho avuti da Macerata v'e che imparasse a dipingere da Girolamo di Sermoneta di casato Serj; il che fa dubitare che questo fosse il vero cognome di quel bravo Artefici, e Siciolanre i.I Soprannome». Sebbene queste parole venissero ripetute da parecchi scrittori , non se ne trova traccia nella letteratura ufficiale sulla vita di Siciolante. Vedi anche RICCI, Operette, p. 56: « Credo potere quest'epoca [nelle Marche] stabilire per quella, in che il nostro Gaspare si diede a coltivare la sua arte nella scuola d'un tal maestro [Siciolante] ». Vedi GRIMALDI, Gaspare Gasparri11i, XVIII, pp. 30-38. 4 Nel 1565 Gasparrini e Casesio da Arezzo (de Aretio), un'altra artista, fecero da testimoni per il contratto per il trittico della Madonna con Bambino per la chiesa di San Giuliano in Banchi Nuovi. Vedi Documenti, XVI. 5 L'inventario dei beni di Siciolante co mprende una lunga lista di materiale per il suo studio, ivi comprese sei teste in gesso, tre piedi in gesso, otto figure in cera. Vedi Documenti, XXXII (Currus, voi. 2273, ff. 376r.373v, 38Y384v, 6 settembre 1575). 6 FERNANDEZ ALONSO, Santa Maria di Momerrato, p. 83; VASARI, Le vite, VII, p. 572. 7 PARMA ARMANI, Perin del Vaga, pp . 328-332. 8 REDIG DE CAMPOS , I palazzi, pp. 162-164, 168, 179-180; SMITH, A Drawing, CXVIII, pp. 102-106; VASARI, Le vite, VII, pp. 35-37, 57-58, 93-94, 573. 9 A proposito della statua, vedi PERALI, I fasti, II, 4, p. 37 : « Un giovinetto in corazza e manto e sandali precede il prigioniero; ha già il piede destro sul ripiano dell'ultimo gradino e porta, con gesto di offerta, una statuetta d'oro, raffigurante una donna seduta con gli attributi del timone nella destra e dell'aquila nella sinistra. Rappresenta Ravenna città marinara ed imperiale». Nell'affresco si vede chiaramente il timone, invece non si vede l'aquila. Può darsi che la statua rappresenti Ravenna (Vasari dice che Pipino donò Ravenna) ma può darsi invece che sia il simbolo di tutto il territorio concesso da Astolfo. Il Liber Ponti/icalis (DUCHESNE, Liber Pontificalis, I, p. 454) fornisce un lungo elenco di città incluse nella donazione. Nel particolare della statuetta, Siciolante usò la tipologia che si riscontra anche negli affreschi di Agresti e di Samacchini. 10 GREGOROVIUS, Storia, I, pp. 400-420. L 'unica annotazione significativa si trova in PERALI, I fasti, II, 4, pp. 33-38. 11 Il problema sollevato da!Ja donazione di Pipino era che il territorio non essendo legalmente suo, Pipino non poteva donarlo, né era in potere di Astolfo di concederlo. Apparentemente, il papato fu sensibile a questo problema legale e a!Ja pretesa dell'impero di Bisanzio all'Esarcato, cosl che si arrivò alla invenzione della donazione di Costantino (Constitutum Cotzstatztini). CASPAR, Pippùz, pp. 185-189.


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12 PERALI, 13 SERLIO,

I fasti, II, 4, p. 38. L'architettura, libro 2, pp. 46-47. Il disegno di Serlio è molto somigliante al disegno di Peruzzi, e la Do11azio11e somiglia a tutti e due. Il teatro, nn. 2B, 4G; ANGIOLIL LO, Leonardo, p. 63. Lo scenario teatrale riprodotto nella Donazione trac origine dalla descrizione che Vitruvio fa di tre tipi di scenario nel libro V (On Architecture, I, p. 288): « Horum autem ornatus sunt inter se dissimili disparique ratione, quod tragicae deformantur columnis et fastigiis et signis reliquisque regalibus rebus». PERA LI (l fasti , II, 4, p. 37) propone che l'arco di trionfo dell'affresco di Siciolante si ispiri al lato esterno di Porta Pia. II rapporto non è esatto. 14 Perali (ibid.) dà come fonte la Presentazione al T empio di Peruzzi in Santa Maria della Pace. La Prese11tazio11e di Siciolante già somiglia al quadro di Peruzzi. 15 Un motivo altrettanto antico si vede sul sarcofago di sant'Elena (detta anche la tomba di Anastasio IV) ora ai Musei Vaticani. Vedi numero 169, Musei Vaticani in MONTINI , Le tombe, pp. 197-199. Ringrazio il professor Ingo Hcrklotz per avermi segnalato questo esempio. 16 HARTT, Giulio Romano, I, 1958, pp. 21-24; II, 1958, fig. 13. 17 Vedi PERALI, I fasti, I, 1, pp. 31-38; II, I, pp. 28-32; II, 4, pp. 33-38; II, 7, pp. 23-29; II , 9, pp. 33-36; II, 16, pp. 20-25; III, 10, pp. 490-492 ; SMITH, The Casino, pp. 107-112. 18 Vasari (Lo Zibaldo11e, p. 146) ripulì questo affresco men tre lavorava alla Sala Regia. 19 Vedi Disegni, D-19. Un curioso particolare dell'affresco che non è presente nel disegno del Louvre è il frammento architettonico dell'angolo in basso a sinistra. Questo architrave non ha una funzione visibile nel quadro. Forse ci si era proposti un qualche rapporto con la decorazione a stucco del bordo che o non fu mai fatto o fu modificato. 20 Vedi OST, Tizians kasseler Kavalier, pp. 78-83. Ost riconosce nei personaggi dietro Pipino il cardinale Carlo Borromeo, Gabriele e Gian Antonio Serbelloni, tutti nipoti di papa Medici. La figura che dovrebbe essere Carlo Borromeo non somigUa a nessuno dei suoi ritratti. Bibliotheca Sanctorum, III, col. 812-850. 21 GERE, Taddeo Zuccaro, pp. 102-106. 22 SPALLICCI, Livio Agresti. 23 MASETTI ZANNINI, Pittori, pp. XLII, 56-57, 101, 102. 24 Catalogo sommario, p. 126. 25 Purtroppo, nella Galleria Colonna non è possibile confrontare direttamente i pannelli, perché sono sistemati in stanze diverse ai lati opposti del palazzo. Sant'Andrea e Santa Caterina sono nell'atrio, mentre la M adonna si trova nella sala di Maria Mancini. 26 FRASCHETTI, I Cenci, pp. 225-226; LOTTI, San Tommaso ai Cenci, XV, 5-6, p. 47; VASARI, Le vite, p. 572. 21 VENTURI, Storia, IX, 5, p. 568. 28 Vedi Documenti, XV. 29 FORCELLA, Iscrizioni, XI, p. 41, n. 76. 30 VASARI, Le vite, p. 573. 31 Mentre la parte superiore interna dell'arco può essere basata su un progetto di Siciolante, certamente l'esecuzione non sembra di suo pugno. La tecnica è più libera qui che negli affreschi di Siciolante. D elle due figure femminili sedute, una regge qualcosa che sembra essere un calice. 32 CAETANI, Domus, II, P- 117. 33 Vedi Documenti, XXVL 34 WATERHOUSE, Some Frascoes, CXII, p. 104. 35 Forse la decorazione fu continuata anche dopo dal figlio di Bonifacio, Onorato Caetani.


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Negli ultimi anni di vita Siciolante produsse un sorprendente numero di opere per le più importanti chiese romane. Fu un periodo di grandi risultati e di gloria, sebbene offuscato da una immane tragedi a personale. Tullio, il figlio di Siciolante, morl a vent'anni, nel 1572; fu seppellito a San Lorenzo in Damaso, dove il padre eresse un bel monumento con il ritratto scolpito del figlio e una iscrizione 1 con un lamento funebre. Siciolante non perse solo il figlio, perse anche un assai valido aiuto 2 • Nonostante la disgrazia, Siciolante continuò a produrre a ritmo spedito. Gli ultimi anni di vita, tra le altre opere portò a compimento una Madonna in trono con Bambino e santi (fig. 83), firmata e datata 1571, per la chiesa di San Bartolomeo in Ancona e a Roma L'Annunciazione (fig. 86) firmata e datata 1592 per San Bonaventura; alcune decorazioni per celebrare l'ascesa al soglio pontificio di Gregorio XIII, che portano la data del 1572 3 ; una Assunzione della Vergine (fig. 87a) per la basilica di Santa Maria Maggiore, del 1573 circa; una Trasfigurazione (fig. 88) del 1573-1575 per Santa Maria in Aracoeli; una Crocifissione, firmata e datata 1573 per San Giovanni in Laterano; una Madonna e Bambino con Santi (fig. 91) del 157 4, ora nella chiesa di San Tommaso in Formis, per l'antico San Pietro; il soffitto (fig. 96) di Santa Maria in Aracoeli, del 1574-1575. Oltre a fare il suo normale lavoro, Siciolante veniva spesso invitato a fare la stima di lavori altrui. Nel 1572 diede un parere su alcuni dipinti eseguiti da Taddeo Zuccari per i Palazzi Apostolici, nel 157 4 e nel 157 5 fece la stima di un'opera di Michelangelo da Santa Fiora 4. I committenti c1egli ultimi anni di vita di Siaolante provenivano dalla aristocrazia romana e dalla corte papale. Tuttavia, quasi a rispecchiare la profonda divisione esistente all'interno della società romana, i mecenati di Siciolante si identificavano con i sostenitori della monarchia spagnola. L'influsso che a quell'epoca esercitava a Roma la fazione spagnola si manifesta nelle committenze degli anni '60 per la chiesa nazionale di San Giacomo degli Spagnoli, per il doratore spagnolo Joannes Pe-


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trus da Cordoba e per Pio IV. Insomma, durante gli ultimi decenni del Cinquecento furono i sostenitori del partito spagnolo a dominare la vita e la politica a Roma. Lontano dagli intrighi politici di Roma un cittadino armeno, Giorgio Morato, r~sidente in Ancona, commissionò a Siciolante un grande quadro, olio su tela, di u na lvfodonna e Bambino in trono con santi (fig. 83) ora a Calcinate 5 • Firmato e datato 1570, originariamente il dipinto era stato collocato nella chiesa di San Bartolomeo in Ancona. Morato, il donatore, è ritratto in basso, alla base del massiccio trono su due gradini, ai cui lati stanno santi e putti. L'impianto ricorda i quadri di San Martino Maggiore (fig. 20) e di Sant'Eligio dei Ferrari (fig . 61), solo che ora l'architettura è utilizzata interamente per creare ad ogni personaggio il proprio spazio ambientale. Ordine e disciplina della composizione pittorica fanno pensare a un mondo ordinato e disciplinato. L'Assunzione della Vergine era destinata alla cappella funeraria del cardinale Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora 6, della quale egli stesso aveva iniziato la costruzione in Santa Maria Maggiore, a fianco di quella del cardinale Federico Cesi 7 ; l'architetto fu Michelangelo. Dopo la morte di Guido Ascanio nel 1564, il fratello, cardinale Alessandro Sforza, fece completare la costruzione e la decorazione della cappella, e ordinò a Siciolante la pala dell'Assunzione (fig. 87a), che venne sistemata nella cappella prima del 157 3, data della consacrazione 8 • Precedentemente, già due volte Siciolante aveva trattato l'argomento dell'Assunzione, nella pala d'altare di Sant'Andrea sulla via Flaminia, e nella calotta (fig. 51g) di Santa Maria dell'Anima. Il dipinto di Sant'Andrea, che è andato perso e del quale non si sa altro, forse era un annunzio dell'Assunzione Sforza. In questo quadro Siciolante segul uno schema assai semplice: la Madonna seduta con le braccia conserte al seno si innalza su una nuvola in mezzo allo splendore dorato di una schiera di angeli musicanti, di putti, di cherubini. In basso, in un luminoso paesaggio verdeggiante, i dodici apostoli si affollano intorno al sarcofago aperto; alcuni sono in ginocchio, altri in piedi con la mano accennano alla Madonna. Gli apostoli hanno corporature robuste, al contrario delle espressioni del volto molto personalizzate ed evidentemente riprese dal vero . Tipologia e esecuzione fanno pensare alla pala di San Bartolomeo (fig. 83): la semplice divisione del quadro in due parti, superiore ed inferiore, scaturisce dal modo di trattare l'argomento, e questa divisione è messa in evidenza dall'allineamento delle colline nello sfondo con le teste degli apostoli in piedi, cosl che cielo e terra sono come due zone di incontro dei colori, il rosso


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vivo, l'oro, l'azzurro, il verde delle vesti. Questo espediente, semplice ma efficace, comunica unità a una composizione assiepata di figure . Forse Siciolante non si ispirava soltanto al modo tradizionale di trattare questo argomento, forse pensava anche al suo Martirio di santa Caterina (fig. 76a) in Santa Maria Maggiore. Mette la Vergine nella zona celeste, come nel Martirio aveva messo la figura di Dio, ma Dio padre onnipotente è in armonia con il resto del quadro perché è concepito in scala ridotta rispetto alle figure sottostanti. Invece la Vergine è altrettanto grande degli apostoli, e sembra quasi compressa in uno spazio troppo ristretto. Figurativamente e letteralmente l'artista si è autoritratto in un angolo del quadro. Nessuna goffaggine di questo tipo è riscontrabile nella Crocifissione terminata nel 157 3 9 • Questa Crocifissione fu commissionata da una nobile famiglia romana, i Massimo. Nel 1560 Faustina d'Antonio Rusticelli aveva ottenuto dal capitolo dei canonici di San Giovanni il permesso di costruire una cappella funeraria dentro la chiesa. Quando Faustina morì nel 1571, la direzione del progetto passò a suo nipote Orazio Massimo, il quale diede a Siciolante l 'incarico di dipingere una pala d'altare. Argomento tra i più frequenti nel percorso pittorico di Siciolante e immagine tra le più adatte per una cappella funeraria, questa Crocifissione (fig. 89) segna il punto più alto mai raggiunto dall'artista. Tutto in essa è armonioso: il rapporto equilibrato tra figure e paesaggio, il colore. Il dipinto è altamente poetico per i gesti riservati e pensosi dei personaggi, per il triste paesaggio dal cielo plumbeo, per l'immobilità e la quiete che sono gli attributi della morte. Già in altre occasioni Siciolante aveva dipinto l'immagine del Cristo crocifisso: l'affresco (fig. 30) di San Luigi dei Francesi, il Martirio di santa Caterina (fig. 76a), la Crocifissione Colonna (fig . 78). Nelle opere del periodo precedente corpo e posizione del Cristo sono dipinti sempre allo stesso modo, solo la fascia attorno alle reni, la luce e la descrizione della muscolatura offrono delle varianti. Nella Crocifissione Massimo Siciolante ha fatto una lieve modifica nel corpo del Cristo: le gambe sono spinte verso destra sì da essere più accostate, e nella posa c'è una grazia maggiore 10 • Il perizoma è ripiegato in mezzo alle gambe, diventando in tal modo un elemento più discreto. Come nei lavori giovanili, anche in questa Crocifissione l'evento è descritto non sotto forma di racconto bensl di immagine religiosa. La Madonna e san Giovanni Evangelista stanno ai lati della croce; la Madonna guarda il figlio in modo diretto,


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pensoso, scevro di ogni angoscia; san Giovanni, invece, con le mani giunte è immerso nella meditazione, mentre Maria Maddalena genuflessa ai piedi della croce che tiene abbracciata, volge lo sguardo al Cristo. Due putti alati, che guardano deferenti al Cristo, completano i personaggi. Le figure idealizzate sono tutte situate allo stesso livello e in primo piano, sopra un'altura che precipita ripida nella vallata retrostante, dove in lontananza sulle colline si intravede il profilo di una città. Questo della Crocifissione è tra i paesaggi più suggestivi dipinti da Siciolante. Il nuvoloso cielo color ardesia raggela la campagna. Un paesaggio tanto cupo dà ancor più risalto all'originalità della combinazione di colori negli indumenti dei personaggi. La lunga veste della Madonna è grigio-verde spento, il manto di san Giovanni rosso-arancio, l'abito della Maddalena crema e lavanda cangiante. Questi colori eleganti sono arditi perché investono zone vaste e nude. In questo quadro Siciolante ha ottenuto che il colore comunicasse quell'emozione che i personaggi, qui come altrove nei suoi quadri, non esternano mai. Questa emozione, silenziosa eppure trasmessa dalla bellezza del dipinto, aveva la capacità di stimolare alla comprensione e all'identificazione con la sofferenza del Cristo. E certamente, in quanto quadro religioso, la Crocifissione è l'interpretazione riuscita di un argomento tradizionale, esprime il nesso tra morte e redenzione in una cappella funeraria, e ribadisce la fede cristiana nella resurrezione. In questo periodo i Massimo erano simpatizzanti con la fazione spagnola. Sin dalla guerra del Carafa si erano alleati con i Colonna di Roma e con i cardinali Sforza. I rapporti si fecero più stretti ancora al momento della vittoria della flotta cristiana contro i Turchi nella battaglia di Lepanto il 7 ottobre 1571, quando il partito spagnolo della corte romana acquistò maggiore potenza. Uno degli eroi di Lepanto, Onorato Caetani figlio di Bonifacio, aveva sposato Agnesina Colonna, sorella di Marcantonio, altro eroe di Lepanto 11 , matrimonio combinato per mettere fine ad una lunga contesa tra Caetani e Colonna. Contrariamente alle simpatie francofile di Caetani, e in particolar modo di Bonifacio, Onorato appoggiava la fazione spagnola. Nel 157 4 Siciolante lavorò per Bonifacio e per Onorato. Il 19 gennaio 157 4 scrisse da Roma a Bonifacio, che risiedeva nel palazzo di Cisterna. Bonifacio si interessava della decorazione del palazzo e della chiesa di Sant'Antonio, e aveva sollecitato Siciolante a esporre il proprio punto di vista su alcuni acquisti che aveva in animo di fare. La lettera di Siciolante, la più lunga delle cinque a noi pervenute, è una descrizione precisa e par-


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ticolareggiata delle indagini svolte 12 • Purtroppo però, restava poco tempo per tradurre in pratica i progetti: Bonifacio morl il 1° marzo 157 4. Lo stesso anno, Onorato commissionò a Siciolante una pala con Madonna, Bambino, san Bonifacio, san Francesco e papa Bonifacio V I I I (fig. 91). Questo dipinto, ora nella chiesa di San Tommaso in Formis, era stato collocato nella vecchia basilica di San Pietro in Vaticano, e precisamente nella cappella voluta dal papa Caetani, cioè da Bonifacio VIII, dove questi fu poi seppellito 13 • L'aggiunta significò forse il tentativo di rimodernare la cappella senza per questo distruggere la decorazione medievale: c'era un ritratto in marmo di Bonifacio VIII di mano di Arnolfo di Cambio, e un mosaico di Jacopo Torriti con Madonna e Bambino, san Pietro, san Paolo e Bonifacio VIII (figg. 95a, 956) 14. Certamente fu questo mosaico della fine del Duecento a imporre il genere di pittura richiesto a Siciolante; anche se il quadro di Siciolante ricorda per la struttura numerosi altri quadri del Cinquecento - per esempio la Madonna di Foligno di Raffaello (fig. 94) - esso era inteso a stabilire un legame con il mosaico di Torriti. E dunque il fatto di avere accostato nel 1574 un dipinto di Siciolante ad un mosaico medievale forse rappresentò per Onorato la maniera più degna di onorare il padre Bonifacio, pur conservando la memoria dell'avo Caetani, il papa Bonifacio VIII. La pala è concepita con semplicità, come lo è la Crocifissione Massimo (fig. 89) terminata l'anno precedente, e altri lavori eseguiti durante il decennio 1570. Le figure vi sono descritte con naturalismo, alla maniera di quelle dell'Assunzione Sforza (fig. 87a) e della pala di san Bartolomeo (fig. 83), sebbene abbiano posture meno rigide che negli esempi citati. Illuminati da sinistra, i personaggi sono in primo piano, sullo sfondo di un paesaggio verde-bruno con le colline distanti soffuse di nebbia azzurrognola, assai simili alle colline di Sermoneta. Infatti, come nota Ilaria Toesca, la fortezza che si vede in lontananza ricorda il castello Caetani 15 • San Bonifacio di Tarso, in un vivace manto rosso arancio, tiene in mano la palma e mostra l'emblema del martirio, gli arpioni di ferro sotto le unghie dell'altra mano 16 • San Francesco, che indossa un abito monastico bruno-grigio, tiene in mano una piccola croce e guarda devotamente, come san Bonifacio, alla Vergine e al Bambino che appaiono, quasi un miraggio, in mezzo alle nuvole. Papa Bonifacio VIII, con la tiara tempestata di perle e un piviale bianco con un fregio dorato su cui sono impresse le immagini della resurrezione di Cristo, di Dio padre onnipotente, di san Pietro e di san Bartolomeo, è inginocchiato in primissimo piano


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più in basso dei santi, tagliato dal bordo inferiore del quadro. Ricambia lo sguardo della Madonna, avvolta in un manto azzurro chiaro che ricopre in parte una veste rosa. Due putti si librano tra le nuvole grigie e completano il quadro. San Bonifacio di Tarso è un'allusione diretta a Bonifacio, e padre di Onorato, e potrebbe raffigurare la famiglia Caetani. San Francesco, la cui presenza altrimenti non si spiega, forse allude alla famiglia materna di Onorato, i Pio di Carpi, perché il nonno, Alberto Pio, nutriva una particolare venerazione per il santo 17 • Dunque, il quadro potrebbe essere il tributo di Onorato agli avi e al componente più illustre della famiglia, papa Bonifacio VIII. L'ultima committenza documentata di Siciolante fu per la chiesa di Santa Maria in Aracoeli. Durante i primi anni del pontificato di Gregorio XIII (1572-1585) fu dato inizio a un progetto grandioso per commemorare la vittoria della flotta cristiana su quella turca alla battaglia di Lepanto. Con l'autorizzazione del pontefice, il Senato di Roma approvò la costruzione del soffitto ligneo (fig. 96) nella chiesa del Senato, per rendere onore alla memoria di quanti avevano partecipato alla suddetta battaglia. Il francese Flaminius Boulanger disegnò ed eseguì il soffitto ligneo a riquadri . Parte della doratura e della pittura fu assegnata a Francesco Spagnolo. Ma prima che costui potesse terminare il lavoro, il Senato decise di indire una gara, e ordinò agli artisti interessati di presentare delle proposte. Francesco Spagnolo e Cesare Trapassi da Foligno furono i finalisti. Il Senato accettò l'offerta di Trapassi, che portava la data del 6 luglio 157 4, dopo che quest'ultimo ebbe abbassato il preventivo a quattromila scudi ed ebbe nominato Siciolante suo socio 18 • La commissione assegnò il lavoro a Trapassi e a Siciolante il 14 luglio 1574, con l'impegno di finire il tutto entro il mese di febbraio del 157 5. L'ultimo pagamento sarebbe stato dilazionato fino a quando la commissione avesse giudicato meritorio il lavoro compiuto. Nonostante i ripetuti favorevoli apprezzamenti dell'opera, l'ultimo pagamento non fu versato secondo i patti. Siciolante mori nel corso dell'estate del 1575 19 , e il 6 settembre dello stesso anno la vedova Lucrezia Stefanelli fu nominata esecutrice dei beni dell'artista e tutrice dei figli. Vennero minuziosamente inventariati tutti i beni familiari e domestici, le proprietà di Roma e di Sermoneta, e il denaro liquido 20 • Il 12 settembre, e poi nuovamente il 1° ottobre 1575, la vedova Siciolante sollecitò il pagamento di 187 scudi e 45 baiocchi da parte del Senato per il lavoro eseguito dall'artista in Santa Maria in Aracoeli. E questa è l'ultima menzione documentata che abbiamo di Siciolante.


Gli ultimi lavori

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Al momento della morte, Siciolante lasciò una quantità di lavori eseguiti nelle chiese e nei palazzi di Roma, dipinti, affreschi, disegni 21 • In casa rimasero una Trasfigurazione, dieci dipinti su tela incompiuti, un paesaggio, parecchi disegni. La casa era piena dei frutti del suo lavoro, così dice l'inventario, compresi mobili in tutte le stanze, piatti, suppellettili, capi di vestiario, gioielli, danaro, materiale per dipingere. Alla vedova Lucrezia e ai figli era assicurata una vita comoda. Questa dunque fu l'eredità dell'artista: una quantità di opere a Roma, una famiglia benestante che poteva vivere agiatamente in una casa che guardava piazza Farnese. Mentre queste cose materiali danno la misura del successo di Siciolante, la valutazione del contributo che egli portò alla sua epoca e alla storia dell'arte in generale è più difficile da stabilire.

Note 1 FORCELLA,

Iscrizioni, V, p. 180, n. 508. Vedi GRISEBACH, Romische Portratbiisten, p. 80. 2 Vedi FIORANI, Lettere, in Girolamo, IV, pp. 127-129. La Madonna e Bambino con angeli, di Tullio, che si trova nel palazzo Caetani di Roma, si basa sulla Madonna con Bambino di Siciolante tratto dalla pala di San Bartolomeo (fig. 83 ). L'iscrizione che compare sul dipinto: « Tulius SiciuJantes a.D. MDLXXII hanc beate Marie imaginem aetatis sue XX pinxit et obiit » non è la firma ma soltanto una dichiarazione del padre. 3 Vedi Documenti, XXIII. 4 Per Taddeo Zuccari vedi Documenti, XXII. I dipinti erano nel cortile della libreria . Giovanni Battista Fiorini fu l'aiuto estimatore e P irro Ligorio un testimone. Per Michelangelo da Santa Fiera vedi Documenti, XXVII, XXVIII, XXXI. Siciolante ebbe anche ad interessarsi ad una transazione finanziaria con gli eredi di Virginio d 'Ippolito Scarsino. Roma, Archivio di Stato, Archivi dei 30 Notari capitolini, Ufficio 23, Franciscus de Ciccharellis, voi. 55, fase. 1, 23 gennaio 1572. La citazione è stata gentilmente procurata da Barbara Wollesen-Wische. s FAVORINI, La pala, IX, pp. 49-56. 6 VENTURI, Storia, IX, 5, p. 585; BAGLIONE, Le vite, p . 24. 7 CHACON, Vitae, III , coll. 566-567; ACKERMANN, The Arcbitecture, I, pp. 109-110. II, pp. 126-127. 8 FORCELLA, Iscrizioni, II, p. 41, nn. 79, 80. 9 Vedi Documenti, XXV; VENTURI, Storia, IX, 5, p. 585; BAGLIONE, Le vite, p . 24. 10 Un motivo simile è presente nel Cristo crocifisso, un disegno di Michelangelo che si trova al British Museum di Londra, \V/. 67. HARTT, The Drawings, fig. 408. La posa della figura potrebbe essere stata influenzata da Michelangelo. 11 MARTINORI, I Cesi, pp. 62-63; CAETANI, Domus, II, pp. 113-115. 12 Vedi Documenti, XXVI. 13 TOESCA, Due opere, XVI, 187, pp. 57-58; BAGLIONE, Le vite, p. 24. 14 PRISCO, L'opera completa, p. 108; LADNER, Die Papstbildnisse, II, p. 311, n. 2. 15 TOESCA, Due opere, XVI, 187, p. 58. 16 RÉAU, Iconographie, III, 1, p. 237; Bibliotheca Sanctorum, III, coll. 324325. C'è qualche incertezza a proposito della dedicazione nella cappella, se a


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papa Bonifacio IV o a san Bonifacio martire. E' stata suggerita questa ipotesi: quando Siciolante esegul fa pala, la scelta di san Bonifacio al posto di Bonifacio IV avvenne a causa di un malinteso sull'identità della persona cui era dedicata la cappella. UGONIO, Historia, p. 99v_ Ringrazio il professor Julian Gardner per il suo suggerimento a proposito di questo problema. 17 LITTA, Famiglie, VII, tav. III (Pio di Carpi). 18 Vedi Documenti, XXIX. I documenti a proposito del soffitto dell'Aracoeli sono pubblicati in CAROSELLI, Il soffitto; LANCIANI, Storia, IV, pp. 100-101. 19 Nell'ultimo atto legale fatto da Siciolante di cui abbiamo notizia, l'artista valutò l'opera di Michelangelo da Santa Fiora il 14 marzo 1575. Vedi D ocumenti, XXXI. 20 Vedi Documenti, XXXII. Pubblicato con omissis in MA SETTI ZANNI NI, Pittori, pp. 102-109. 21 Vedi Documenti, XXXII (Curtus, voi. 2273, ff. 376r.373v, 38Y-384v, 6 settembre 1575).


Le rag1on1 di un successo

Quello che si domanda a un artista , come pure la capacita di corrispondere creativamente alle esigenze dei mecenati, ci danno la misura del rapporto che intercorre tra lui, gli altri artisti e il pubblico. In termini di mercato, l'artista ha un prodotto da offrire, e solo quando questo prodotto trova il proprio mercato l'artista può essere sicuro di fare progressi. A Roma Siciolante ebbe successo perché esegul opere che soddisfecero i mecenati. E' chiaro che la sua arte piacque a chi gli assicurò incarichi importanti per tutta la vita . I suoi più prestigiosi committenti - papato, personalità della curia, aristocrazia romana - erano di fatto indispensabili a chi ambisse al successo a Roma, e da questi committenti Siciolante fu appoggiato fino a raggiungere una posizione di primo piano nella gerarchia degli artisti. Nell'ultimo decennio di vita, Siciolante si trovò ad essere tra i massimi esponenti dell'ambiente artistico, e il successo gli arrise non solo per le innate doti di artista ma anche per il proficuo rapporto che lo legò alla famiglia Caetani. Era intelligente, incline ad adattarsi a certe limitazioni che si possono ritenere tra le più restrittive dai tempi del Medioevo, e mentre la società scaturiva dalla Controriforma imponeva limiti sempre più severi all'arte e agli artisti, Siciolante continuava a fiorire. Non era nato decoratore, e perciò lavori di questo genere gli capitarono raramente, né lui andò quasi mai a cercarseli 1• Era invece un vero maestro nella pittura di quadri religiosi e di scene d'affresco, e questi furono i lavori che la società romana pretese da lui 2 • Si poteva contare sul fatto che Siciolante rispondesse positivamente ai desideri dei mecenati, e due esempi, che già abbiamo illustrato, ne sono la dimostrazione. Si impegnò in lavori di grande importanza per le cappelle appena costruite in Santa Maria Maggiore. Dopo la morte del cardinale Federico Cesi, avvenuta il 28 gennaio 1565, il di lui nipote Angelo di Giangiacomo esaudl il desiderio dello zio di ultimare la cappella mortuaria, dedicandola alla memoria del cardinale e del suo defunto


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fratello il cardinale Paolo Emilio. Poiché il cardinal Cesi aveva una particolare venerazione per santa Caterina, Angelo Cesi commissionò a Siciolante la pala del Martirio di santa Caterina (fig. 76a), interpretando in questo modo l'ultima volontà religiosa e di devozione alla santa del cardinale estinto. Parecchi anni dopo aver terminato questo lavoro, Siciolante venne chiamato nuovamente a Santa Maria Maggiore. Il cardinale Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora aveva iniziato la costruzione della propria cappella funeraria a fianco di quella del cardinal Cesi. Alla sua morte, avvenuta nel 1564, il fratello cardinale Alessandro Sforza, terminò la cappella e la decorazione della medesima 3, e commissionò a Siciolante l'Assunzione della V ergine (fig. 87a) che fu sistemata nella cappella prima del 1573. Che Siciolante collaborasse alle due nuove cappelle di Santa Maria Maggiore non fu soltanto coincidenza. I cardinali Sforza erano parenti dei Farnese; la madre, Costanza, era fi glia di Paolo III e sorella del duca Pier Luigi 4 • Guido Ascanio Sforza venne nominato cardinale da Paolo III nel 1534, contemporaneamente ad Alessandro Farnese, che era figlio del duca Farnese 5 • Alessandro Farnese diventò tra i più potenti ed influenti membri del collegio dei cardinali, e da lui dipesero in grandissima parte i progetti edilizi e di ristrutturazione alla fine del Cinquecento 6 • Non è strano che nel 1564 Giovanni Andrea Gilio dedicasse al cardinal Farnese un trattato sull'arte. Questo trattato, dal titolo Due dialogi, è una precisa accusa contro gli errori commessi dai pittori di argomenti religiosi . E' uno dei primi libri pubblicati dopo la chiusura del concilio di Trento nel 1563 e commenta i decreti del concilio a proposito dell'arte religiosa 7 • Gilio elenca un certo numero di quadri che rappresentano santi e immagini sacre dipinti in maniera inesatta e impropria, e commenta con particolare scherno l'Annunciazione di Marcello Venusti che il cardinale Federico Cesi aveva commissionato per la cappella funeraria dei genitori nella chiesa di Santa Maria della Pace 8 • Ecco le parole di uno dei protagonisti del trattato di Gilio, Messer Vincenzo: chi vedere vole uno sforzo sgarbato veda la madonna, che il Reverendissimo di Cesis ha fatt~ dipingere nella sua cappella ne la Pace, la quale essendo da l'Angelo annontJata fa uno sforzo nel volgersi indietro tale, che mi fa ridere quando io lo veggo. Però dovrebbe avertire questo Illustrissimo Signore di non lasciar fare tali figure sgarbate e dishoneste ne la capella che di nuovo ha fatta in S. Maria Maggiore. Il simile anca dovrebbe procur;re l'Illustrissimo Santa Fiore, in 9uella che vi fabrica hora esso, non le lasciare sporcare de le vane, e favolose figure; perché non ha convenienza alcuna Cristo con Belial: né la v~ri t~ c9n la f ~si t~ 9,


Le ragioni di un successo

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Non si può dire che il cardinale Alessandro Farnese, al quale Gilio ha dedicato il suo scritto, abbia partecipato personalmente ai due progetti per le cappelle di Santa Maria Maggiore, però sembrerebbe chiaro che gli avvertimenti sul modo più conveniente di rendere le immagini religiose abbiano sortito qualche risultato, se dai cardinali di Santa Romana Chiesa si pretese di dare l'esempio di quello che era giusto. La Sala Regia, cosl come il concilio di Trento, furono progetti di marca Farnese injziati sotto il pontificato di Paolo III, omonimo del cardinale e suo nonno. Il cardinale Farnese era sicuramente informato della grande importanza che aveva la decorazione della Sala Regia, in quanto apoteosi sia della Chiesa Romana riformata che della famiglia Farnese 10 • Il successo della decorazione sarebbe dipeso dall'efficacia dell'immagine visiva nell'esprimere la filosofia del papato e nel contrastare la sfida protestante. Il cardinal Farnese, i consiglieri e i sorveglianti dei lavori nella Sala Regia, che agivano in base ai dettami di Pio IV, pretendevano che gli artisti dessero voce a queste preoccupazioni usando al meglio del loro talento, e sebbene l'immagine decorativa fosse utile come contributo all'estetica della stanza, non era questo l'aspetto essenziale: sopra ogni altra cosa contava il contenuto. Pio IV e i consiglieri di curia avevano a cuore soprattutto la tematica che avrebbe dovuto illustrare la Sala Regia: le rivendicazioni del papato nei confronti dell'autorità secolare, e l'obbedienza all'autorità spirituale del papato da parte dei governanti secolari. Il papa sentiva l'urgenza di portare a termine il progetto. E poiché i lavori non procedevano secondo i tempi stabiliti - né Francesco Salviati né Daniele da Volterra riuscivano a far andare avanti le cose - fu adottato l'espediente di una impresa collettiva, alla quale, tra gli altri, collaborarono Siciolante, Taddeo Zuccari e Livio Agresti. La Donazione di Pipino (fig. 70c) si adegua alle opere degli anni precedenti, e in perfetta armonia con le esigenze del programma di decorazione, e fornisce la prova di come Siciolante sia rimasto fedele al proprio credo artistico pur adattandosi facilmente alle necessità di un lavoro di gruppo. L'artista, come individuo e come componente di un gruppo, soddisfece le istanze del progetto decorativo, e se la morte del pontefice, avvenuta il 9 dicembre 1565, non avesse sospeso i lavori, è lecito supporre che la Sala Regia sarebbe stata ultimata entro un anno e non, come invece avvenne, otto anni più tardi 11 • Gilio lodò la decorazione della Sala Regia quando i lavori erano ancora in corso. Nei Due dialogi uno degli interlocutori, Messer Polidoro, ra~1on~ c;li çopi~ sia più conveniente raf>pre-


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sentare le immagini religiose, e spiega che non bisogna trattarle in maniera profana, come avevano fatto alcuni artisti del passato; poi continua affermando che la maniera profana può invece applicarsi ad altro contesto più appropriato: Io lodo sornamente il nostro Pontefice Pio Terzo [Quarto], che ne la Sala publica [Regia] de le due Capelle [com]minciate gia da Paolo T erzo, vi faccia in cambio de le guerre Romane dipingere alcuni Catol ici Imperatori c'hanno fatto quald1e gra11 giovamento a la Romana Chiesa, a Pontefici, overo a la Cristiana religione. Queste sono l'historie da dipingersi per le sale de ' Cardinali, e del Papa, le cose de' Concilii generali , e spetialmen te de' quattro prencipali, accia si conosca i benefattori, e si dia animo, e occasione a gU altri di doverli imitare, lodare, e esaltare 12 •

Gli affreschi eseguiti sotto il pontificato di Pio IV furono il prodotto di quel particolare momento storico; uno o du e decenni p rima la soluzione artistica probabilmente sarebbe stata diversa. Ad esempio, se Perino del Vaga avesse vissuto abbastanza a lungo da ultimare la decorazione della Sala Regia forse avrebbe fornito una soluzione più innovatrice. Ma ciò che semb ra giu sto in un preciso momento può rivelarsi sbagliato in un altro. Nel 1586 Giovanni Battista Armenini sostiene un punto di vista diverso sullo stesso argomento: Conciosia cosa che la Sala de i Re, la quale è posta d inanzi a questa Capclla [Sistina], la quale prima dovea esser d ipinta da Perino del Vaga, per essere medesimamen te di lui la volta di stucco, con quella straord inaria bellezza, che si vede; e non pote ndo poi per la morte darli alcun principio con colori, si destinò a Daniello volterano, et dipoi per diversi accidenti venne a incominciarsi da Francesco Salviati, nè però d i niuno di questi tre Eccellenti huomini u n sol segno vi rimase per esempio a gli altri, acciò si vedesse poi quanto quei li fossero lontani, poiché, come s'è detto per malignità d e' min istri, e per ignoranza de' maggior soprastanti, se li diè fi.ne con l'istorie d'un mescuglio de più genti, le quali erano di poca stima, e senza paragone a rispetto d e' sopranominati, e di questo numero si può in p arte trar fuo ri Tadeo Zucchero, il quale con gran fatica ottenne di farvi quel poco, che v'è d i buono, e ciò non fu meraviglia atteso ch'egli è pure una vergogna, poiché le pitture d'un luogo tale si videro esser di novo ordinate a doversi d are per via di poLize a chi facea offerta di far l'istorie per manco prezzo, ma io sopra ciò non voglio entrar più inanzi; se non dire, che ci è manifesto che le più volte per colpa de' ministri avari, overo ignoranti, o l'uno et l'altro insieme, spogliano a lor Signori d i giudicio, e li privano di cose eccellentissime et li dannano più del dovere nel1'honor suo 14 •

Il severo giudizio di Armenini sui collaboratori della Sala Regia - unica eccezione è Taddeo Zuccari - riflette il suo pessimismo sulla situazione della pittura nel tardo Cinquecento. Nel brano citato Armenini riassume la critica di cui è pervaso tutto il testo: Perino del Vaga, Francesco Salviati, Daniele da Volterra e soprattutto Michelangelo erano stati i massimi e gli ultimi esponenti di un'arte creativa e innovatrice, ed avevano toccato altezze cui i successori non potevano neppure aspirare. Con la sola eccezione di Taddeo Zuccari> Armenini liquida generazioni intere di artisti, compreso Siciolante.


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Al contrario di Gilio, Armenini non tratta del contenuto, e non perché questo argomento non Io interessi; al contrario, vuole rendere più drammaticamente evidenti le ragioni di una occasione mancata. Parla dello scarso merito degli artisti, ma denuncia anche « la malignità de ministri » e « l'ignoranza » (sono parole sue) dei consiglieri. Questo aspro giudizio sugli addetti ai lavori della Sala Regia forse vuole rendere palese il conflitto esistente tra artista e mecenate. Nelle parole di Armenini, se un artista creativo come Taddeo Zuccari non riusciva a dare il meglio di sé nella Sala Regia a causa delle limitazioni imposte dall'autorità, voleva dire che l'arte avrebbe continuato a decadere. Verso la fine dell'attività artistica - sono ancora osservazioni di Armenini - Daniele da Volterra e Francesco Salviati non si facevano illusioni sulla situazione che impediva lo sviluppo di un'arte creativa. Nessun artista degno di stima - continua Armenini - stando cosl le cose è in grado di creare, e pertanto solo gli artisti che hanno meno talento possono lavorare, in una siffatta atmosfera, e questo giudizio probabilmente sottintende e colpevolizza Siciolante, il quale proprio in una simile situazione, fioriva e prosperava. Poiché Io scritto di Armenini è datato 1587, viene spontaneo pensare che l'autore fosse un po' troppo lontano dai fatti commentati, però è vero che i sentimenti descritti erano comuni anche agli artisti precedenti. In una lettera del 14 aprile 1566 diretta all'amico Vincenzo Borghini, Vasari così scrive da Roma: Io ho visto quasi ogni cosa et mi riescie chi bene et chi male; et di queste cose che si son fatte dc maestri dora, dal Salviati in fuora, non me ne piace nessuno, e saren tenuti valentuomini 15 .

Viene da sorridere al pensiero che proprio Vasari - secondo quanto si suppose Armenini lo incluse tra gli artisti minori della Sala Regia - formulasse un giudizio così fortemente critico di quanto vedeva succedere a Roma: anche se non è possibile identificare quali in particolare siano le opere che lo hanno deluso, è probabile che egli fosse insoddisfatto in genere della produzione artistica della nuova generazione di pittori, tra i quali annovera Siciolante. Tuttavia, non va taciuta la differenza enunciata da Vasari: parere decisamente negativo sulle opere ma, pur a malincuore, riconoscimento del fatto che gli artisti in questione sono « valentuomini ». Dunque, contro l'opinione di Armenini, nelle sue lettere Vasari non condanna gli artisti che elogia nelle Vite, ma manifesta il proprio disappunto su quanto essi hanno prodotto. Non sono gli artisti a mancare di talento, è la loro opera a non suscitare piacere. Pur senza essere


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del tutto esplicito, Vasari sembra incolpare di ogni cosa la situazione di fatto esistente, che non stimola la creatività. E' una situazione conosciuta e ben documentata 16 • Il conservatorismo crescente della società romana riguardo ai problemi dell'arte, e soprattutto dell'arte religiosa, e la limitazione imposta alla libertà dell 'artista di inventare immagini religiose sono fatti ben noti. Il movimento di riforma delJa Chiesa romana, che deliberò il proprio programma durante il concilio di Trento e attraverso i decreti del concilio medesimo trovò il proprio 17 modo di esprimersi, fu la forza motrice del conservatorismo • Quando, nell'ultima sessione del 1563, il concilio emanò un conciso editto sull'arte religiosa, esso si impegnò particolarmente nei due problemi che esigevano attenzione e rimedio: rispetto ai modelJi delle Sacre Scritture e agli insegnamenti dei Padri della Chiesa, e correttezza nella maniera di rappresentare le immagini religiose 18 • Sebbene di per sé non si trattasse di una riforma drasticamente radicale, pure l'editto sull'arte religiosa fece emergere il profondo e diffuso senso di riprovazione per le libertà che gli artisti si concedevano nel ritrarre le immagini religiose e per la permissività dei mecenati verso gli artisti che creavano siffatte immagini 19 • A quel momento, scrittori del tipo di Gilio elencarono gli errori commessi ed impartirono direttive per non più ripeterli 20 • Il metodo per correggersi già esisteva, in quanto esisteva la possibilità di operare una scelta : la società romana non aveva il diritto di esigere un'arte che esprimesse i suoi sentimenti, ma poteva scegliere tra l'arte a disposizione e l'arte che meglio corrispondeva alle sue necessità. In quanto a Siciolante, artista maturato nell'ambiente dei Farnese e di Perino del Vaga, questa situazione giovò al suo avanzamento: conosceva Perino e lo stile di corte, ed è interessante constatare con quanta abilità riuscì ad adattare questo stile alle esigenze dei bolognesi al momento dell'incarico per la commessa Malezzi (fig. 20), e come, contemporaneamente, seppe dar vita a quello stile personale che più tardi ri troveremo nelle opere del periodo romano. Verso la fine degli anni '40, che coincisero con la fine dell'era Farnese, l'arte di Siciolante si era differenziata dagli stili in voga a Roma al punto da sembrare nata e formata in ambiente diverso. Lo stile di Siciolante era innovatore, perché si rifaceva a motivi del passato, in particolare a quelli tipici della pittura emiliana del tardo Quattrocento e del primo Cinquecento, cui non ricorrevano invece gli altri artisti romani suoi contemporanei. Questi motivi continuarono a caratterizzare l'arte di Siciolante nel corso della sua evoluzione. Il cambiamento, graduale e sottile, si manifesta definitivamente negli anni '60, sotto il pontificato di Pio IV,


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quando Siciolante cedette davanti alle correnti prevalenti nella pittura romana, cui aderivano artisti del calibro di Taddeo e Federico Zuccari, Livio Agresti, Girolamo Muziano 21 • Ebbe inizio un'arte nuova, gradita alla corte papale, creata da artisti della generazione di Siciolante, o di lui più giovani. Era un'arte più tradizionale e conservatrice, perché si richiamava a modelli del primo Cinquecento, e non a quanto subito prima avevano propagato P erino, Salviati, Daniele. Non risponde del tutto a verità affermare che Siciolante cedette alle correnti prevalenti nella pittura romana, perché ci fu influenza reciproca: l'arte di Siciolante dei tardi anni '40 e del '50 ha dato da pensare ai contemporanei, e già prima del '60 l'arte conservatrice e tradizionalista di Siciolante era diventata lo stile più in auge a Roma. Il gusto romano per un'arte conservatrice nella forma, nel contenuto e nell'espressione trovava pieno appagamento nei dipinti di Siciolante 22 . L'incertezza che si presenta quando si tenta di formulare un g iudizio dell'arte di Siciolante e del periodo in cui egli operò è resa ancora più evidente dal disagio dimostrato da Vasari per quanto vedeva accadere nel '66 a Roma, e dalla esplicita condanna di Armenini dell'arte in voga e delle personalità di ar tisti e mecenati. Gli stili fioriti intorno a Perino e alla corte Farnese negli anni '40, vent'anni dopo non avevano perso né forza né capacità di esprimersi; tuttavia il loro potenziale era stato di molto ridotto dal nuovo, dilagante conservatorismo dei committenti romani, ed era proprio questo conservatorismo, limitatore dell'esuberanza degli stili alla moda, che Vasari deplorava. Certamente fu questo il conservatorismo che Armenini liquidò incolpando tutti. In un'atmosfera cosl restrittiva, Siciolante aveva poche possibilità di resistere: come abbiamo già visto, i mecenati imponevano norme ben precise, che Siciolante riusciva a rispettare senza per questo venire meno alla propria inclinazione d'artista: aveva poca simpatia e scarsa deferenza per i princìpi rispettati dalla precedente generazione di artisti toscani, cioè Perino, Salviati, Daniele e Vasari. Quando le circostanze misero alla prova le sue qualità espressive, Siciolante non seppe, o non poté, andare oltre quello che gli era congeniale. La caduta di Icaro (fig. 81a) per il palazzo Caetani di Cisterna ne è un ottimo esempio 23 • Semplicemente, Siciolante non si sforzò mai di far combaciare forma e contenuto; non c'è turbamento, non c'è dramma. Le qualità che lo avevano assistito nella pittura religiosa tradizionale gli vennero meno nell'affresco di Icaro. Fortunatamente, Siciolante era con<iapevole dei propri limiti, e il più delle volte si applicò solo là dove sapeva di poter riuscire.


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Autoconsapevolezza e senso della realtà permisero a Siciolante di creare quel complesso di opere che porta la sua inconfondibile impronta. La potenza dei dipinti migliori sta nell'assenza di autocompiacimento e di fiducia cieca nella tradizione. Nell'arte, Siciolante trovò un sentiero per attraversare un periodo difficile. Adattò le sue doti innate alle esigenze del momento e ottenne grande successo. Meritò stima, procurò onore ai mecenati , i cui nomi si ricordano ancora insieme con le committenze, e a Sermoneta. Figlio tra i più famosi di questa cittadina, seppe ripagarne i signori - la famiglia Caetani - per la fiducia incessante nella sua persona e nel suo successo. Non solo la molteplice attività di Siciolante resta giusto monumento alla grandezza dell'artista, ma è testimonianza veritiera di un periodo critico per la società e per la Chiesa romane. Osservata da questo punto di vista, l'arte di Siciolante getta luce sul conflitto che gli artisti dopo di lui dovettero sostenere per riconquistare la libertà di espressione nel rispetto delle esigenze dei mecenati e delle aspirazioni più ampie della società.

Note I Assai pochi son0 gli esempi di pittura decorativa: gli affreschi per la cosiddetta villa di Raffaello, o casino OJgiati-Bevilacqua, ora alla Galleria Borghese; gli affreschi per la sala di Alessandro Magno in palazzo Capodiferro-Spada; gli affreschi per l'ex palazzo Orsini a Monterotondo; gli affreschi a palazzo Caetani a Cisterna. 2 Dei pochissimi dipinti di Siciolante appartenenti a collezioni private, due sono elencati in un inventario (Montpellier, Bibliothèque Interuniversitaire, Section Médicine, Codex H. 267, 3gr.4}r) dell'architetto secentesco Giovanni Battista Soria. Sono: « un ritratto di donna con una scuffia in testa, un vezzo di perle al collo » e « una Madonna con il Bambino, e S . Giuseppe in tavola». In nessuno dei due dipinti si p uò riconoscere un'opera documentata di Siciolante. Vedi RINGBECK, Giovanni Battista Soria, pp. 211-212. Desidero ringraziare il professor logo Herkholtz per aver richiamato la mia attenzione su questo testo. J CHACON, Vitae, III, col. 959-962; FORCELLA, Iscrizioni, II, p . 40, nn . 73, 74. 4 LITTA, Famiglie, VIII, 1819-1911, tav. II (Attendalo Sforza). Costanza andò in sposa a Bosio Sforza di Santa Fiora. 5 CHACON, Vitae, III, col. 558-565. 6 C.ome esempi, vedi il palazzo di Caprarola e la chiesa del G esù a Roma. ZERI, Pittura, pp. 44-61. 1 Concilium, IX, parte 6, pp. 1077-1079; PALLAVICINO , Istoria, V, pp. 324326. 8 WILDE, Cartonetti, CI, pp. 370-381. 9 GIUO, due dialogi, p . 122. 10 Da principio sostenne la causa di Francesco Salviati durante la prima campagna andata a vuoto, ma resistette permettendo in questo modo a Taddeo Zuccari di partecipare alla seconda campagna in modo da non ritardare i lavori a Caprarola. Vedi VASARI, Le vite, VII, pp. 35-36, 94. Il Terminata da Giorgio Vasari il 23 aprile 1573. VASARI, Der literarische Nachlass, II, pp. 776-777.


Le ragioni di un successo 12 GILIO,

9.3

Due dialogi, p. 122. Contrariamente ai temi soltanto storici precedentemente proposti per la Sala Regia, i dipinti di Vasari per Pio V, La battaglia di Lepanto, e per Gregorio XIII, La storia degli Ugonotti, si basavano unicamente su avvenimenti della storia contemporanea. Vedi BAROCCHI, Vasari, pp. 71-73; FEHL, Vasari's Extirpation, LXXXIV, pp. 258-284; ROTTGEN, Zeitgeschichtliche Bildprogramme, III , 26, pp. 89-122. 14 ARMENINI, De' veri precetti, p . 241. 15 VASARI, Der literarische Nachlass, II, pp. 228-229. 16 Per alcuni degli stud i più importanti vedi ZERI, Pittura; LABORT, Conservatisme, LXXVI, pp. 557-572; WEISE , Il manierismo, pp. 203-212. 11 I bid., pp. 207-208. 18 Concilium, I X, parte 6, pp. 1077-1079. 19 Soprattutto Michelangelo era un obiettivo privilegiato, mentre Raffaello veniva spesso citato quale esempio di ottima condotta. Vedi DOLCE, Dialogo, 1557. 20 Vedi Scritti, 3 voll. 21 Vedi CERE , Taddeo Zuccaro; SPAZZOLI, Livio Agresti, XXIII, pp. 63-96; DA COMO, Girolamo Mm:iano. 22 Per l'impatto dell'arte di Siciolante sui pittori bolognesi vedi GRAZIANI, Bartolomeo Cesi, IV, 21, parte 2, p. 69. 23 WATERHOUSE, Some Frescoes, CXII, pp. 103-107. 13



CATALOGO DELLE OPERE

I. II. III. IV. V. VI. VII.

Dipinti autentici Opere perdute Attribuzioni incerte Attribuzioni erronee Disegni. L'evoluzione dello stile Disegni. Opere autentiche Disegni. Attribuzioni erronee



I. Dipinti autentici Le schede sono elencate secondo l'ordine alfabetico della località, le illustrazioni secondo l'ordine cronologico.

1. BASSIANO (LATINA)

Chiesa di San Nicola Cristo benedicente, 1566-1568 circa (fig.74) Olio su tavola, non si conoscono le dimensioni

Il Cristo benedicente di Siciolante nella chiesa di San Nicola è citato la prima volta nel manoscritto di Pietro Pantanelli del 1766 circa 1• Sebbene da allora il dipinto sia stato menzionato varie volte, e nel 1957 sia stato pubblicato da Federico Zeri, non ci è pervenuta nessuna altra notizia 2 • Il Cristo benedicente è una variante dello stesso tema dipinto dall'artista per Sant'Agapito di Palestrina (fig. 73a). Il Cristo a mezzo busto tiene in mano un libro aperto con il versetto del Vangelo di San Giovanni 14, 6: Ego sum via veritas et vita. Il Cristo di Bassiano somiglia al Cristo di Palestrina, e alla figura con turbante della Pietà ( fig. 82) di Cambridge, somiglianze che suggerirebbero per quest'olio una datazione compresa tra il 1566 e il 1568.

1 PANTANELLI, Notizie, I, p. 601. 2 MORONI, Dizionario, LXXXIX, p. 101; BIANCHI-CAGLIESI, All'illustre pittore. 16; ZERI, lntomo, XXXVI, p. 145; ZERI, Pittura, p. 38; BRUNO, Girolamo,

p. CXXXVI, p. 46, n. 65. Quando mi sono recato a San Nicola, il dipinto non era visibile; al suo posto c'era una copia grossolana. 11 parroco mi disse che l'originale viene mostrato soltanto in occasione della processione che una volta l'anno attraversa la città.


98

2.

Catalogo delle opcte BOLOGNA

Chiesa di San Martino Maggiore; cappella Maggiore Madonna e Bambino in trono con san Giovanni Battista, santa Caterùra, san Girolamo, san Martino, sant'Alberto Siculo, san Luca e il donatore Matteo Malvezzi, pala d'altare di San Martino, firmata e datata HIERONI SICEOLAN / TIO MDXLVIII (fig. 20) Olio su tavola, m . .3,05 X 2,14 Disegni a matita: di tutto il quadro (fig. 21), Parigi, Museo del Louvre, Gabinetto dei disegni [D-17]; di san Luca (fig. 22) New York, Woodner Collection [D-14].

Riportiamo qui di seguito l'iscrizione sulla pala d'altare di Siciolante nella chiesa carmelitana di San Martino Maggiore: QUOD MATTHAEVS MALVETIVS PATRV: VS VIVENS DESIGNA VERAT HAERED. PER FECERVNT PINGEN HIERONI. SICEOLAN TIO M. D. XLVIII

Il dipinto terminato nel 1548 per gli eredi del nobile bolognese Matteo Malvezzi realizzava un vecchio desiderio del mecenate, il quale per decenni aveva tentato di commissionarlo a Michelangelo, con intermediari i carmelitani di San Martino Maggiore. Il 19 giugno 1529 il priore della chiesa, frate Giampietro, scrisse quanto segue a Michelangelo per conto del nobile Malvezzi: Un gentilhom volere fare uno quadro eletto et eccellente tra i tutti de Italia, et che esso non brama se non el clissegno cli Vostra Signoria, quale sara unicho; e quando si dignasse etiam far el quadro perfecto, lo daria sommamente. Ma se quella, non puotesse colorir; comme essa mi disse a bocha, almeno vorebbe, che Sebastiano [del Piombo] vostro la colirisse, dil che Vostra Signoria mi promisi advisarci 1.

Un'altra lettera diretta a Michelangelo, senza data, fornisce le seguenti informazioni: Messer Michelagnelo, questa si è per memoria a Vostra Signoria circa il fatto del quatro dc la tavola de la quale a Vostra Signoria àno parlato li frati Carmelitani, che va a Bologna, e prima la fantaxia de ditta tavola et la mixura de essa et anchor il lume de la capella dove à ad andare ditta tavola, secondo il quale Vostra Signoria farà tal opera. La fantaxia, secondo il desiderio dil patrone, si è questa. Sua Signoria voria una Nostra Donna cum un putino in braco e quatto figure, due de qua et due de là de la Nostra Donna. La qualità de le qual quatto figure sie quelle che più piaccno a Vostra Signoria, secondo che tornano m_cglio a voi; et similmente de atitudine et de posar de tutte le figure, secondo piace e pare a Vostra Signoria. Il quatro si è meco tondo di sopra, et è longo, da la sumitade del mezo tondo insino al di sotto, piedi otto et once quatto e meza, et è largo piedi cinque e once tre e meza intendendosi secondo la nostra mixura, la quale dentro questo foglio in figur~ è disegnata, cioè un


I. Dipinti autentici

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piede, che sono once dodexe. Il lume de la capella si è questo: la capella si è posta a l'oriente, et à il lume dal mezo giorno 2.

Mai riuscl a Matteo Malvezzi di avere la pala da Michelangelo 3 ; dopo la sua morte, avvenuta il 19 giugno 1547, agli eredi passò il compito di realizzare l'opera 4. Non si sa se sia stato lo stesso Malvezzi oppure gli eredi a scegliere Siciolante. Questi preparò un bozzetto assai dettagliato (fig. 21), oggi conservato al Louvre, uguale al dipinto descritto, eccetto il numero dei santi, che vengono portati a sei 5 • Poiché il ritratto del donatore non compare nel disegno preparatorio, si è supposto che Siciolante avesse terminato il bozzetto prima della morte del mecenate Matteo Malvezzi, e che siano stati gli eredi a pretenderne l'inclusione nel quadro per onorare la memoria del parente. Lodovico Frati osserva giustamente che l'immagine non è il ritratto di un uomo di ottantadue anni, e che potrebbe essere invece quello di Marco Malvezzi 6 • Infatti, forse fu Marco a ordinare la sontuosa cornice della pala, su disegno di Andrea Marchesi, e dunque potrebbe essere stato Marco a pretendere che il proprio ritratto venisse incluso nella pala 7 • Però il ritratto del donatore sembra essere stato un pensiero tardivo, dato che Siciolante non apportò al quadro gli adattamenti necessari per includerlo. Perciò è più verosimile che all'ultimo momento gli eredi di Matteo abbiano deciso di onorare la memoria, includendo questo suo ritratto basato su somiglianze giovanili. La pala, compresa la cornice di Formigine, venne sistemata nella cappella maggiore, sopra all'altar maggiore. Questa volta la prima menzione della pala non è di Vasari, il quale annovera il dipinto tra le opere di Siciolante 8 , bensl di Pietro Lama che nel 1560 ne fa questa succinta descrizione: All'altare maggiore v'è una bella pittura a olio lodevole di mano di Girolamo Sermoneta, ornata d'un rarissimo ornamento tutto intagliato di legname fatto alla Formigine [ ... ] di mano di Mastro Andrea da Formigine e Giacomo suo figliuolo tutto dorato, opera unica, e la fece fare Messer Matteo Malvezzi; percio il Sermoneta lo ritratto molto simile su la tavola con molte figure colorite con gran diligenza 9 •

Nel 1668 il coro gotico fu ricostruito nella sua forma attuale 10 • Contemporaneamente, l'iscrizione che all'origine si trovava sopra la tomba di Matteo Malvezzi nel coro, fu risistemata nel muro vicino alla porta del chiostro 11 • Iscrizioni di periodo più tardo documentano nuovi restauri del coro nel 1819 e nel 1929 12 • Oggi, il quadro incorniciato sta sopra l'altare maggiore della chiesa 13 • Non si sa né come né perché sia stato scelto Siciolante per eseguire il dipinto Malvezzi. La committenza coincise con il trasferimento a Bologna del concilio di Trento nel mese di marzo del 1547, e forse fu proprio questo avvenimento a ravvivare l'interesse di Malvezzi per il suo antico progetto 14 ; Bernice Davidson avanza l'ipotesi che sia stato Ercole Malvezzi, governatore di Parma ai tempi di Pier Luigi Farnese, a segnalare il nome di Siciolante ai parenti bolognesi 15, il che è possibile, visto che Siciolante lavorò a Piacenza per il duca Farnese nel 1545 e forse oltre. Il genere di pittura antiquata voluto


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Catalogo delle opere

dai Malvezzi sollecitò Siciolante, il quale creò uno tra i suoi quadri più arditi 16• Dello stile pittorico e del rapporto di questo quadro con altre opere si parla in altra parte del testo; i bozzetti relativi alla pala vengono analizzati nella sezione Disegni. J

2 3 4

Sammlrmg, pp. 297-298. Jhid., pp. 299-300; BAROCCHI, Michelangelo, III, pp. 158-159. HIRST, Sebastiano, p. 42, n. 5. Ecco l'iscrizione (Descrizio11e, p. 18, n. 15): D.O.M. / MATTHAEO

MALVE• TIO FLORIANI F. VIRTUT.E / PIETATEQ. INSIGNI VIX ANN. LXXXII. / OBIIT XIII KAL. JULIAS MDXLVII / FLORIANUS CAROLUS AEMILIUS MALVETTI FRATR. / PATRUO B. M. P . P. P. DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, p. 59, n. 25, porta la

data del 20 giugno 1547 usata da Giuseppe Fornasini (Per le nozze, p. 75). La data xm. KAL. JULIAS in Necrologi, I, p. 220 è riportata come 19 giugno. La differenza di un giorno potrebbe essere dovuta a differenze locali nel calendario. I Malvezzi avevano una cappella dentro la chiesa di San Martino Maggiore, nella navata di sinistra (la nona a cominciare dall'ingresso a destra) con una Vergine Assunta di Lorenzo Costa. Vedi MALVASIA, Le pillure, p. 69,

(95/23). s Vedi Disegni, D-17. 6 FRATI, Andrea da Formigine, XXI, p. 47. Vedi anche BRUNO, Girolamo, CXXXIII, pp. 70-72. 7 FRATI, Andrea da Formigine, XXI, p. 47 è identico per contenuto a FRATI, Di Andrea Marchesi, XXIII, p. 231. L'autore propone che sia Marco Malvezzi il donatore ritratto. a VASARI, Le vile, VII, pp. 572-573. 9 LAMO, Graticola, p. 32. Quando si parla di Formigine, c'è una lacuna nel testo. 10 SUPINO, L'archilellura, p. 73. 11 L'iscrizione è (Descrizione, p. 18, n. 15): EX ARAE MAXIMAE DEXTERO PARIETE / OB NOVI CHORI CONSTRUCTION.EM / MDCLXIX. 12 lbid., p. 16, n. 10. Questa è l'iscrizione che

HUC TRANSLATUM

/

A.

D.

si trova nel coro, sopra l'uscita che porta nella cappella della Vergine del Carmine: A GIUSEPPE RAIMONDI PARR. / DEL DIVIN CULTO / FAVORITORE ESIMIO / PEL RISTAURO DI Q. CAPPELLA MAGGIORE / NELL'ANNO MDCCCXIX INCOMINCIATO / E DALLA SUA EREDE / coi-. MUNIFICENZA COMPIUTO / A TESTIMONIO DI PERPETUO GRATO ANIMO / PER LO PIETOSO OFFICIO / L'AMMINISTRAZIONE PARROCCHIALE / POSE. Ed ecco l'altra iscrizione sul muro di destra all'esterno del coro: ANNO EUCHAR. MCMXXIX / CAMILLUS MARCHIO MALVEZZI CAMPEGGI / MUNIFICUS HUIUS MAXIMAE CELLAB PATRONUS / MAIORUM PIETATEM A.EMULATUS / IN MEMORIAM FRANCISCI PA· TRIS OPTIMI DESIDERATISSIMI / TABULAM A SICCtOLANTE DEPICTAM / EIUSQUE ::ORONAM AURATAM / MIRABILE FORMAGINIS OPUS / IN AEDIS ORNAMENTUM POSITAS / SQUALORE DETERSIT ET IN PRISTINUM DECOREM RESTITUIT. 13 Altri riferimenti alla pala di San Martino: FALEONI, Memorie, pp. 581583; MASINI, Bologna, I, p. 167; BIANCONI, Guida del forestiere, pp. 44-45; BACCm DELLA LEGA, La chiesa, pp. 11-12; NAGLER, Neues allgemeines KunsterLexicon, XVIII, p. 368; VENTURI, Storia, IX, 5, pp. 558-560; SUPINO, L'arte, p. 389; RICCI E ZUCCHINI, Guida, p. 124; MALVASIA, Le pi/Iure, p . 69, (95/16); RAUL.E, S. Martino Maggiore, pp. 45-46; HUNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, pp. 27-29; PUGLIATTI, Girolamo, in Girolamo, IV, pp. 90-93. 14 FANTI, Bologna, p. 215. 15 DAY_IDSON, So'!1e E~rly Works, XLVIII, p. 59. Forse le morti di Sebastia-

I

no del Piombo e di Penno del Vaga avvenute nel 1547 hanno automaticamente escluso le prime scelte fatte dal mecenate. 16 Francesco S:iiviati ebbe a che fare con un problema uguale quando creò la pala per la chiesa camal<;iolese di Santa Cristina a Bologna. CHENEY (Francesco, XLV, p. 344) suggensce che il dipinto rispecchi la risposta dell'artista al gusto conservatore dei bolognesi.


I. Dipinti autentici

3.

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CALCINATE (BERGAMO)

Chiesa di Santa Maria Assunta; sacristia Madonna e Bambino in trono con sant'Agnese, sant'Agata, san Paolo, san Bartolomeo, sant'Antonio abate(?) san Ciriaco (?), e il donatore Giorgio Morato, pala di San Bartolomeo, firmato e datato HIERONIMUS SERMONETA/MD LXX (fig. 83) Olio su tela, m. 5,30 X 2,70 Già in Ancona, chiesa di San Bartolomeo Studi a matita per: tutto il quadro (fig. 84), un tempo a Londra, presso la Phillips Gallery [D-11]; la Madonna e il Bambino (fig. 85), Castello di Windsor, Biblioteca reale [D-25]. Non esistono documenti sulla committenza della pala d'altare di San Bartolomeo. Il primo accenno di autori più tardi al quadro è la pubblicazione di Luigi Lanzi del 1795-1796, e questo commento ha influenzato tutta la letteratura successiva. Lanzi cosl si esprime su Siciolante: Il suo capo d'opera è in Ancona: ed è la tavola del maggiore altare nella chiesa di S. Bartolomeo, quadro copiosissimo d'un compartimento affatto nuovo, e acconcio al gran campo, e alla moltitudine de' SS. che dovevano avervi luogo. Collocò in alto in trono di N .D . fra un gajo drappello di Angiolini, e quinci e quindi due SS. Vergine genuflesse. A quest'altezza finse che si accedesse per due belle gradinate, una per parte e cosi diviso il piano superiore dall'inferiore, espresse in questo il Titolare, figura seminuda di forte carattere, insieme con S. Paolo tutto raffaellesco, ed altri due Santi. Si vede in quell'opera un impasto di colori, un accordo, un tutto, che alcuni lo tengono il miglior quadro della Città: se nulla può desiderarvisi e miglior metodo nella degradazione degli oggetti 1•

La chiesa di San Bartolomeo, nota con il nome di San Bartolomeo Nuovo 2, era annessa a un convento situato sul litorale, in prossimità del Duomo. Alla fine del Settecento, chiesa e convento furono tra le prime vittime dell'attacco napoleonico e dell'occupazione di Ancona. Nel 1799 il convento fu soppresso, e i frati conventuali dovettero abbandonarlo 3 : il decreto napoleonico del 1° maggio 181 O stabiliva la soppressione dei conventi e delle annesse chiese 4 • Dopo alterne vicende tra truppe francesi ed austriache furono infine i francesi ad abbandonare la città, e i monaci tornarono ai loro conventi. Nel 1821 Alessandro Maggiori cosl descrive la situazione in San Bartolomeo ancora chiuso dopo gli avvenimenti bellici: « La tavola dell'altare maggiore, la quale tavola fu di Girolamo Sicciolante da Sermoneta, si trova ora nella galleria Imperia! di Milano [ ... ] A conoscere quanto sia stata grande la perdita fatta dagli Anconitani, basterà leggere il Lanzi » 5• Il dipinto di Siciolante, bottino di guerra, fu portato via dai francesi, ma arrivò solo fino a Milano dove, in data 6 luglio 1811, venne registrato nella collezione della galleria imperiale 6 • Il 17 ottobre


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Catalogo delle opere

1821 fu messo in deposito nella sacristia della chiesa di Santa Maria Assunta a Calcinate, piccolo villaggio nei pressi di Bergamo. E n si trova tuttora, praticamente sconosciuto e inaccessibile al pubblico 7 • Come detto, non si ha conoscenza di documenti che parlino di questa pala, però, all'interno del quadro e all'inizio dell'impianto architettonico, c'è una epigrafe con utili informazioni: GEORGIVS MORATVS ARMENVS OPVS HOC DIVO BARTHOLOMEO SA CRVM FACIENDVM CVRAVIT PINX AVTEM HIERONIMVS SERMONETA M. D. LXX

Dunque, l'opera firmata e datata da Siciolante era stata commissionata da un armeno, di nome Giorgio Morato, il cui ritratto compare nel quadro, in basso a sinistra 8, e per questa cosl generosa committenza Morato va incluso tra i benefattori di Ancona. Dalle epigrafi nel quadro di Siciolante e in un altro lavoro, si può ritenere che Morato si preoccupasse di immortalare il proprio nome e di far sapere che era armeno 9• Come questo mecenate sia venuto in contatto con Siciolante, e il perché della sua scelta, non si sa con precisione 10 • Ad ogni modo, la pala di San Bartolomeo somiglia al dipinto di San Martino a Bologna (fig. 20) 11 • In precedenza, Siciolante aveva già fatto una variante, che è la pala di Sant'Eligio a Roma (fig. 61), più alta rispetto a quella di San Martino per contenere le figure erette dei santi. E' presumibile che la variante sia il modello della pala di San Bartolomeo. La disposizione su due livelli è stata sfruttata nelle possibilità architettoniche e spaziali. Madonna e Bambino sono seduti su un trono all'interno di una nicchia semi circolare; sant'Agnese e sant'Agata stanno ai due lati, in ginocchio sui gradini che salgono al trono da un palco rialzato, arretrato nello spazio in modo da fornire quasi un palcoscenico ai quattro santi in primo piano in basso. Due putti, appoggiati al trono, tengono una corona sopra la testa della Vergine 12, e sopra a tutto si libra la colomba dello Spirito Santo. Seduti su una piccola panca nella zona che separa la porzione bassa dalla porzione alta del quadro, compaiono altri due putti: uno suona il mandolino, l'altro canta. Sulla fronte di questa piattaforma ci sono san Paolo 13, san Bartolomeo patrono della chiesa, e un vescovo, quest'ultimo generalmente ravvisato per san Ciriaco, santo patrono della città di Ancona 14• In ginocchio · in mezzo a loro sta un monaco con una stampella a T, spesso scambiato per il donatore Giorgio Morato. Ma non può trattarsi del donatore, il quale è invece ritratto in atteggiamento rispettoso e devoto nell'angolo sinistro del quadro, in basso, dove normalmente vengono ritratti i donatori, del cne fa fede 1~ Crocifissione Colonna (fig. 78) di Palestrina. La figura inginocchiata potrebbe essere sant'Antonio abate, assai simile ad altre immagini ~el. san_to 15 : _Potrebbe avere un significato particolare il fatto che sia m gmocchio, ma questo non v,~ol dire che si tratti del


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donatore, perché, nella pala di Sant'Eligio per esempio, il santo titolare è ritratto in posizione ed atteggiamento quasi uguali. Un bozzetto della pala ci dà modo di osservare il progresso dai disegni preliminari all'opera compiuta. In effetti, numerosi sono i cambiamenti importanti: primo, l'eliminazione di due angeli in piedi, che tirano indietro una stoffa, servendosi dell'aiuto di due angeli seduti sul gradino superiore, al posto dei quali Siciolante ha messo sant'Agnese e sant'Agata. Rinunciando alla stoffa, che è un delizioso stratagemma illusionistico, l'artista ha evitato una sistemazione nello spazio potenzialmente ambigua, che avrebbe comportato l'inserimento degli angeli che reggono la stoffa sopra, e non come è ora dietro, i quattro santi in basso. L'artista ha anche introdotto la nicchia semi circolare, che crea il severo e pesante impianto architettonico del quadro. Ed infine ha incluso il donatore, Giorgio Morato, quasi fosse un'invenzione successiva, come nella pala di San Martino. Aggiunte e sistemazioni meno importanti includono la spada di san Paolo, il coltello di san Bartolomeo, il libro di san Ciriaco, la tonaca col cappuccio di sant'Antonio abate. Ci sono anche modifiche nelle teste di san Bartolomeo e di sant'Antonio, forse apportate in base a ritratti dal vero di personaggi scelti da Morato. Come nella pala di San Martino, anche qui Siciolante ha fatto qualche leggero ritocco nell'architettura della zona inferiore e, avanzando la piattaforma fino ai margini del dipinto, è riuscito a dare maggiore coesione al gruppo delle figure. Da un raffronto tra il bozzetto per il quadro e lo studio preparatorio della Madonna con Bambino (fig. 84) conservato a Windsor, emerge la possibilità che quest'ultimo preceda nel tempo il primo; Siciolante ha riveduto tutta la composizione e ha cambiato la posa del Bambino e la figura della Madonna, che nel quadro è più sfinata ed elegante. Siciolante non si è fatto scrupolo cli attingere prestiti dai quadri precedenti: san Bartolomeo, sant'Antonio e san Ciriaco si ispirano al gruppo di tre figure che compare nel dipinto di Sant'Eligio, sant'Agnese sembra la santa Caterina della pala di San Martino allo specchio. Questo risparmio di mezzi consente all'artista di lavorare più in fretta, cosl che il tempo non speso nell'invenzione può impiegarsi nell'esecuzione. Prestiti e imitazioni a parte, la pala di San Bartolomeo è un esempio di grandiosità e di coerenza. Si tratta del quadro pi_ù grande eseguito . dall'artista e di uno dei pochi su tela 16• Forse è stata la dimensione cosl grande a richiedere l'uso della tela al posto della tavola. E' anche possibile che sia stato dipinto su tela per facilitarne il trasporto da Roma ad Ancon,1. La trama della tela abbassa la vicacità del colore, cosl come fanno le vaste zone di grigio degli elementi architettonici. I brillanti colori degli abiti - rosso, marrone, azzurro chiaro, oro, rosa - espressi con semplicità e giustamente distribuiti sono sovrastati dal grigio dello sfondo. Ampi drappeggi e corporature massicce sono tipiche dello stile di questo periodo, invece la maniera con la quale vengono affrontate le fattezze dei volti denotan<;> il gusto di Siciolante di usare due


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Catalogo delle opere

metodi cli lavoro: per i volti maschili, i tratti sono generalmente presi da modelli reali, le fattezze femminili invece sono stilizzate e meno somiglianti a prototipi esistenti in natura. Storia, I, pp. 437-438. C'era un San Bartolomeo vc:cchio, parte del convento omonimo, che risulta dalle piante di Ancona del Cinquecento. Pochissimi sono i riferimenti alla chiesa di San Bartolomeo. NATALUCCI (Ancona, II, p. 308) dice che, nel periodo compreso tta il 1630 e il 1730, vennero restaurate parecchie chiese, tra le quali nomina San Bartolomeo. Poi afferma che San Bartolomeo prese il nome di San Gregorio Illuminatore, e forse questa notizia non è giusta. Vedi la pianta di Ancona dell'Ottocento, di D. LUIGI, conservata alla Biblioteca Vaticana. l LEONI, Ancona, pp. 375, 379. Nel 1798 i frati conventuali di Santa Maria Nuova vennero trasferiti a San Bartolomeo. Leoni scrive che, nel 1799, « il primo pratile la Centrale suppresse il monastero di S. Bartolomeo. L'intimazione di abbandonare il monastero fu data alle povere monache un'ora avanti il mezzo giorno, dando loro tempo sino alla sera ». 4 NATALUCCI, Ancona, III, p. 68. s MAGGIORI, Le pitture, pp. 28, 71, n. 96. 6 Inventario Napoleonico, n. 598, 6 luglio 1811. 1 Le gallerie, II, p. 22. Dice G. CAROTTI che il pittore bergamasco Marco Fumagalli restaurò la pala nel 1872. In Inventario degli oggetti, a pag. 185, si legge quanto segue: « Per istanza rivolta dal Parroco e dal Presidente della Fabbriceria D. Luigi Zeffini in data 13 settembre 1821 al Governo Austriaco la pala fu assegnata in deposito dal fondo demaniale di Brera alla Chiesa Parrocchiale di Calcinate, la quale, a firma di F.B. Algarotti, delegato dal Parroco D. Fenaroli, ne rilasciava regolare ricevuta in data 17 ottobre 1821 ». Vedi PI· STOL'ESI, Il Vaticano, p. 99; RICCI, Operette, p. 56; MORONI, Dizionario, LXXXIX, p. 122; BLANC, Histoire, X, 1870, pp. 31-32; NAGLER, Neues allgemeines Kunstleruxicon, XVIII, p. 368; FAVORINI, LA pala, IX, pp. 49-56; VENTURI, Storia, IX, 5, 1932, pp. 549, .586; Dipinti, 1969, pp. 98-99; PAGNOLI, Le chiese, I, p. 228; PUGLIATTI, Girolamo, in Girolamo, IV, p. 94. Desidero ringraziare Don Angelo Oldrati di Santa Maria Assunta per avermi cortesemente assistito durante la vi• sita alla sacristia della chiesa. 1 CAROTTI, Le gallerie, II, p. 22 propone l'ipotesi che il ritratto del donatore fosse in realtà un autoritratto dell'artista. Questa idea, avanzata anche da FAVORINI, LJ pala, IX, p . 56, non è sostenibile. Non c'è ragione alcuna di credere che l'artista abbia voluto includere il proprio ritratto nel posto normalmente riservato al donatore. Già precedentemente Morato aveva commissionato a Pellegrino Tibaldi due lavori per le chiese di Ancona: per la chiesa di Sant' Agostino Tibaldi aveva fatto un Battesimo di Cristo, per il duomo (San Ciriaco), una figura in stucco del Cristo risorto da mettere in una nicchia sopra l'altar maggiore. VASAJll, Le vite, VII, p. 418; BRIGANTI, Il Manierismo, pp. 83-84, 112. L'iscrizione sopra il Cristo risorto in Duomo cosl dice: « Deo Optimo Maximo, Georgius Morattus Armenus, Altare hoc [ ... ] suis sumptibus erectum, summa pietate dicavit, anno Domino MD.L.X. ». Vedi SARACINI, Notitie, 1675, p. 365. Saracini è spesso citato nella letteratura, ma la sua spiegazione delle seguenti parole nella iscrizione non è mai citata per intero. Scrive: « Le parole che non si possono leggere dal tempo e humidità consumate, crederci, che potessero dire (Ou-isto Resurgenti) overo altre due simili, le quali si dovessero poi accomodare all'ultima parola del verbo (Dicavit): tutta via mi riporto ad alt~ giuditio,. per la dichiaratione, senso e applicatione, che li fosse data, per applicare la figura, ch'e, nel Nicchio dell'altare sudetto di Christo risorgente». NATA.LUCCI (Ancona, II, p. 122, n. 1) ritenne erroneamente che Morato avesse affidato a Tibaldi anche l'incarico di dipingere una pala per San Bartolomeo. 9 NATALUCCI, Ancona, II, p. 146 cosl scrive: « Tra le comunità di mercanti orient~ che presero dimora ~ Ancona, non si deve dimenticare quella degli Armeru, che per numero seguivano gli Ebrei e i Greci: nei documenti ufficiali solo raramente vengono citati, ma dagli atti di archivio risulta chiaramente la 1 LANZI,

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presenza in Ancona di alcune famiglie armene, che, come i Greci, avevano lasciato le loro terre non solo per ragioni di traffico ma per fuggire le persecuzioni dei Turchi. Essi formavano un gruppo non disprezzabile ed ebbero per qualche tempo come chiesa propria, officiata dai monaci basiliani, l'antico tempio di S. Anastasia, nella zona portuale». 10 Un fattore possibile può essere stato l'intervento del vescovo di Ancona, il bolognese Vincenzo de Lucchi. PERUZZI, La chiesa, pp. 119-120; Hierarchia catholica, III, p. 108. Probabilmente era a conoscenza della precedente pala di San Martino (fig. 20) a Bologna, e questo può avere spinto de Lucchi a suggerirla come modello per la pala di San Bartolomeo. De Lucchi partecipò alle ultime sessioni del concilio di Trento, quando fu varato il decreto sull'arte religiosa. 11 Questo genere di trono era già noto in Ancona. Lorenzo Lotto aveva già dipinto una Madonna in trono con Santi (VASARI, Le vite, pp. 251-252), per la chiesa di Sant'Agostino, ora alla Pinacoteca civica di Ancona. Lorenzo Lotto, pp. 336-337. 12 Questi putti non sono stati dipinti da Siciolante. Sono opera di un aiuto oppure dei restauratori. Le teste dalle fattezze tanto minute non somigliano né ai putti in basso né ai bambini di altri quadri di Siciolante. E differiscono anche dai bambini del bozzetto. 13 San Paolo appare anche nel Battesimo di Cristo di Tibaldi, dipinto per Giorgio Morato. Lorenzo Lotto, pp. 427-429. 14 Un'altra possibilità è che questo vescovo voglia rappresentare san Gregorio l'Illuminatore, santo patrono della chiesa armena alla quale apparteneva il donatore Giorgio Morato. Però non c'è niente di sicuro che permetta una illazione certa. Per San Gregorio, vedi DER NERSESSIAN, Etudes, I, pp. 55-60; Lexicon, VI, pp. 430-431. lS Vedi la Madonna e Santi attribuita a Cesare Tamaroccio, Accademia Carrara, Bergamo. Catalogo dei dipinti, p. 81, n. 486; Lexicon, V, pp. 206-218. 16 Dipinti, p. 98.

4.

CAMBRIDGE

Cappella di King's College Pietà, 1568-1572 circa (fig. 82) Olio su tavola, m. 2,31 X 1,75 Già a Roma, San Giovanni dei Fiorentini (?)

Nel 1970 Ellis K. Waterhouse fu il primo a pubblicare la Pietà tra le opere di Siciolante, e produsse la documentazione completa della storia del quadro: nel 1780 Frederick, quinto conte di Carlisle, regalò il dipinto a Cambridge 1 • Waterhouse suppose che il dipinto fosse stato acquistato in Italia durante il grand tour che Lord Carlisle fece negli anni 1767-1768, ed è probabile che esso provenisse dalla chiesa di San Giovanni dei Fiorentini. In quanto alla datazione, Waterhouse annota soltanto che questa Pietà somiglia molto alle opere della maturità. Raffaele Bruno data la Pietà tra il 1572 e il 1574 2 • Pur non disponendo di alcuna documentazione sicura, dobbiamo aggiungere qualche commento.


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Certamente la Pietà era stata concepita per essere collocata in un luogo prominente, data la grandezza e la fattura meticolosa che ne fanno una tra le opere più ambiziose e imponenti di Siciolante. La forza della pittura religiosa di Siciolante sta non soltanto nell'eccellenza della concezione e nella bellezza delle figure ma soprattutto nella sicurezza con cui l'artista tratta le forme, semplici e grandi, la luce, il colore. Le figure dominano sull'ambiente, sono partecipi ma non "coinvolte nella nobile discesa della croce del corpo di Cristo, il cui volto esangue contrasta con l'azzurro violento, il rosso, il marrone, il rosa e il grigio degli indumenti degli astanti. Allo stesso modo il cielo, colore della sabbia, con un tocco di rosa sopra le lontane montagne azzurrine, fornisce un paesaggio inaspettato e insolito. Gli angoli superiori della tavola non sono dipinti, suggerendo con questo che forse in origine il lato superiore fosse ad arco, successivamente nmosso. Il modo di dipingere i volti, l'assieparsi delle figure, il ricadere ampio e ordinato delle stoffe, tutto riconduce a opere come Il martirio di santa Caterina (fig. 76a) e !>Assunzione Sforza (fig. 87:1), e queste somiglianze, secondo Waterhouse e Bruno, inducono a una datazione tarda del dipinto, tra il 1568 e il 1572 circa. Includere la Pietà tra le opere tarde potrebbe spiegare l'omissione di Vasari: infatti, se la Pietà fosse stata dipinta prima del 1568 e se, come suggerisce Waterhouse, essa si fosse trovata a San Giovanni dei Fiorentini, allora Vasari l'avrebbe notata 3 ; e non si può dire che il dipinto sia stato creato per San Giovanni dei Fiorentini dopo il 1568, né che esso sia il medesimo cui allude Baglione 4 • In favore dell'ipotesi di Waterhouse sta la prova documentata dello spostamento del dipinto, avvenuto nel tardo Seicento, dalla sua prima collocazione alla terza cappella di destra 5 • E' probabile che le autorità ecclesiastiche di San Giovanni potessero disporre del dipinto a piacer loro. D'altra parte, negli archivi della basilica non c'è alcun documento che associ Siciolante a un'opera commissionata per la chiesa 6 • Altre tre versioni della Pietà sono citate nella letteratura su Siciolante: una per la chiesa dei SS. Apostoli a Roma, che ora si trova a Poznan (fig. 11), una per la chiesa di Sant'Antonio a Cisterna, e una per la chiesa di Sant'Orsola della Pietà a Roma 7 • Sebbene ci sia disaccordo e confusione sull'origine della Pietà di Poznan, sicuramente essa proviene dai SS. Apostoli di Roma ed è un'opera giovanile, certo quella annotata da Vasari 8• Secondo Leone Caetani, la Pietà di Cisterna all'inizio del secolo si trovava ancora al suo posto, nella chiesa di Sant'Antonio 9 ; probabilmente andò distrutta, insieme con la chiesa, durante un bombardamento nel corso della seconda guerra mondiale. E' ugualmente difficile ravvisare la Pietà di Sant'Orsola in questa Pietà di Cambridge: la chiesa di Sant'Orsola era l'oratorio di San Giovanni dei Fiorentini, dunque era sotto la giurisdizione della confraternita di San Giovanni. Le guide di Roma, dal Seicento all'Ottocento, parlano di una Pietà di Siciolante a Sant'Orsola 10 , ma alla fine dell'Ottocento l'oratorio fu demolito,


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e il destino della Pietà non è riferito. Se, in realtà, le due versioni della Pietà, quella di Sant'Antonio a Cisterna e quella di Sant'Orsola a Roma rimasero al loro posto durante tutto l'Ottocento, allora la Pietà di Cambridge non può provenire da nessuno di questi due luoghi, e San Giovanni dei Fiorentini resta il luogo d'origine più verosimile. 1 WATERHOUSE, Some Frescoes, 2 BRUNO, Girolamo, CXXXVI,

CXII, pp. 104-107. pp. 37-70. 3 Con l'eccezione della pala di Valvisciolo del 1541, Vasari non include nelle Vite nessuna opera di Siciolante nei pressi di Roma, ad esempio gli affreschi della Vita di Adone (figg. 41a - 41k) a Monterotondo, e La presentazione della Vergine al Tempio (fig. 32) a Tuscania. 4 BAGLIONE, Le vite, p. 23. Vedi Catalogo A-10. S TITI, Studio, pp. 465-466. 6 Nell'archivio della Confraternita di San Giovanni dei Fiorentini il nome di Siciolante non compare nell'indice degli artisti. 7 Vedi Catalogo, 12, A-2a, A-15a. 8 VASARI, Le vite, VII, p. 571. 9 PANTANELLI, Notizie, I, p. 414, n . 1. 10 Annotato la prima volta in TOTTI, Ritratto, p . 244 e riferito in NIBBY, Roma, parte I moderna, pp. 769-770. Come nel caso di altre opere, ad esempio la pala di Siciolante nella sacristia di San Pietro in Vaticano, la citazione in una guida non dà la sicurezza che il dipinto fosse davvero collocato come si legge nella descrizione.

5.

CASTEL GANDOLFO (ROMA)

Palazzo Apostolico

Battesimo di Cristo, 1566-1572 circa (fig. 79) Olio su tavola, m. 2,50 X 1,55 (n. 343) Dalla Pinacoteca Vaticana

Nella guida alla Pinacoteca Vaticana del 1913 il Battesimo di Cristo veniva attribuito alla scuola lombarda del XVI secolo. Precedentemente il dipinto, che proviene dalla pinacoteca del museo lateranense, era stato attribuito a Cesare da Sesto 1 • Nel 1927 Roberto Longhi si accorse con meraviglia che il Battesimo, da lui ritenuto opera di Siciolante, continuava ad essere attribuito a Cesare da Sesto 2 • Il quadro non è mai stato pubblicato con il nome di Siciolante, sebbene l'attribuzione di Longhi in seguito sia stata avvalorata anche da Federico Zeri 3• Di recente il Battesimo è stato trasferito dalla Pinacoteca Vaticana alla residenza privata del papa, a Castel Gandolfo. Per il paesaggio vasto e minuziosamente descritto, il Battesimo di Cristo è tra le opere di Siciolante una delle più singolari. Che sia stato fatto il nome di Da Sesto ben si capisce, perché è a quest'ul-


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Catalogo delle opere

timo pittore che somigliano le figure, e l'elaboratezza dello stile con cui è descritto il paesaggio richiama alla mente il disegno preesistente 4 • Se riferita all'opera di Cesare da Sesto, l'attribuzione alla scuola lombarda è giustificabile, ma resta il fatto che il Battesimo è sicuramente di Sidolante. Dio padre onnipotente attorniato da putti è un motivo frequente nei dipinti più tardi dell'artista, ad esempio nell'Annunciazione di San Bonaventura ({jg. 86). Naturalmente, in entrambi i dipinti Dio onnipotente svolge una sua funzione. Le figure principali hanno l'equivalente nelle figure dell'Incoronazione della Ver[!.ine (fig. 80) a Sermoneta. I lineamenti di Cristo e di san Giovanni Battista somigliano ai volti della Pietà di Cambridge (fig. 82). Mentre un paesaggio tanto vasto compare di rado nell'arte di Siciolante, alcuni elementi sono simili a quelli che si riscontrano nella Caduta di Icaro (fig. 81a) del palazzo Caetani di Cisterna e dell'Incoronazione della Vergine (fig. 80). Queste caratteristiche inducono a datare il Battesimo nei tardi anni '60 o nei primi anni '70. Una datazione cosl tarda potrebbe spiegare l'omissione di Vasari; oppure, il Battesimo avrebbe potuto essere in un luogo inaccessibile a Vasari e agli autori a lui posteriori. I Guida della pinacoteca, 2 LONGHI, Precisioni, II,

p. 73. 1927, 5, p . 90. Ripubblicato come Regia Galleria

Borghese, 1928, p. 162. J ZERI, Intomo, XXXVI, p. 149, n. 13. Vedi anche Guida della pinacoteca, p. 151; KALBY, Classicismo, p. 44, fig. 6. 4 C.Ollezione Gallarati-Scotti, Milano. NICODEMI, L'opera, p. 11. Vedi il Battesimo di Cristo attribuito ad Andrea da Salerno, Cava dei Tirreni, Museo dell'Abbazia (Ibid., p . 4).

6.

CITTÀ DEL VATICANO

Sala Regia, palazzo Vaticano Donazione fatta alla Chiesa da Pipino re dei Franchi del territorio ceduto da Astolfo re dei Longobardi, 1565 {figg. 69, 70a - 70c) Affresco, m. 1,53 X 1,98 Studio a matita di tutto l'affresco (fig. 71), Parigi, Museo del Louvre, Gabinetto dei disegni [D-19] Mosso dal desiderio di portare a compimento la decorazione del grande salone di udienze del palazzo apostolico, Pio IV commissionò diverse opere a Siciolante e ad altri artisti. Questi dipinti volevano rendere onore ai regnanti che avevano servito gli interessi della Chiesa, ed esprimere la posizione del pontefice circa il potere temporale. Per ultimare questa impresa furono necessari quattro decenni, dal 1540 a tutto il 1570, e sette pontificati, da Paolo III


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a Gregorio XIII 1• Dati i numerosi cambiamenti intervenuti nei progetti come nelle persone che vi lavorarono, il contributo di Siciolante alla Sala Regia resta un documento fondamentale su ciò che avvenne negli anni tra il 1563 e il 1565. Sebbene anche le precedenti residenze papali, come ad esempio il medievale palazzo del Laterano e il palazzo di San Marco (palazzo Venezia), disponessero di saloni per le udienze, la Sala Regia doveva superarle tutte in grandiosità. Paolo III diede ad Antonio da Sangallo l'incarico di ricostruire la Sala Regia, come oggi la vediamo 2 (fig. 69). La gigantesca volta a botte e i due finestroni collocati ai due capi del salone fanno pensare agli antichi edifici romani. Nella parete nord, la finestra con un motivo a serliana esiste dai tempi di Giulio II. Ci sono sette porte nella Sala Regia, tre nella parete est, tre nella parete ovest, una nella parete sud. Per ordine di Paolo III, Perino del Vaga diede inizio ai lavori con la progettazione prima e poi il completamento della decorazione a stucco nella volta a botte; successivamente, con l'aiuto di Daniele da Volterra, passò agli stucchi murali 3 • Poiché le numerose aperture delle porte creavano una superficie troppo irregolare per potervi dipingere sopra, gli artisti ricorsero all'espediente di dividere lo spazio: sulle porte, pannelli piccoli e incorniciati, nelle parti di muro comprese tra le porte e nelle zone tra le finestre, pannelli più grandi, anch'essi incorniciati (fig. 69). Nel 1547, dopo la morte di Perino, la direzione passò a Daniele da Volterra, il quale diede inizio alla decorazione murale, e decise di fare ritratti di re per i pannelli più piccoli e storie di re per i pannelli più grandi 4 • Quando Paolo III morl nel 1549, ogni attività venne sospesa, e il lavoro di Daniele rimase incompiuto. Giulio III e Paolo IV non se ne interessarono, e perciò l'attività riprese solo nel 1561, sotto il pontificato di Pio IV. La decorazione si svolse in due fasi. Per la prima, il papa incaricò i cardinali Alessandro Farnese e Marcantonio Amulio di sovrintendere alla ripresa dei lavori 5 • A Vasari fu chiesto di fare il progetto, ma egli declinò 6 • Allora fu chiamato Daniele, per riprendere in mano il progetto. Nel frattempo, il cardinal Farnese aveva brigato perché metà della decorazione fosse affidata a Francesco Salviati, il che regolarmente avvenne: Salviati preparò i disegni e qualche cartone a grandezza naturale, e con l'occasione riusd a distruggere uno dei tre dipinti iniziati da Daniele 7 • Questo atto di vandalismo fece esplodere le ostilità tra gli artisti, i quali fermarono i lavori. Pirro Ligorio, architetto pontificio, lieto dell'occasione, fece la proposta di suddividere nuovamente tutto il lavoro, chiamando artisti più giovani. Il pontefice acconsentl, e affidò al cardinale Amulio e al vescovo di ForD Baldo Farratini il compito di sorvegliare il tutto 8• L'inizio di questa seconda fase coincise con le sessioni finali del concilio di Trento 9 ; dunque i dipinti furono ideati in un momento cruciale per la storia della Chiesa, quando i cattolici dovettero ammettere l'avvenuto scisma con i protestanti. Venne abbandonato il genere di decorazione iniziato da Daniele da Volterra, il programma a soggetto venne sottoposto a revisione: ogni nuovo dipinto, grande o piccolo che fosse. doveva raccontare


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Catalogo delle opere

e

la storia di un re, queste storie erano ripres~ soprat~tto ~~a storia ecclesiastica medievale. Con questo cambiamento s1 verificò un'enfasi selettiva sulle storie che sostenevano le pretese papali al potere temporale. I dipinti celebravano i re, ma beninteso solo quelli che avevano contribuito al rafforzamento del potere temporale del papato. Vennero scelti sette artisti per preparare ed eseguire i dipinti da inserire nei pannelli con le cornici a stucco: Siciolante, Giuseppe Porta (Giuseppe Salviati), Livio Agresti, Orazio Samacchini, Taddeo Zuccari, Giovanni Battista Fiorini, Zamaria Zoppelli 10• Gli artisti iniziarono a lavorare in tempi diversi: secondo gli archivi vaticani, Porta e Samacchini cominciarono nel 1563 11 , Agresti e Taddeo Zuccari nel 1564 12, Siciolante, Fiorini e Zoppelli nel 1565 13 • Alla morte di Pio IV, il 9 settembre 1565, il lavoro fu sospeso per parecchi anni, finché Pio V e Gregorio XIII chiamarono Giorgio Vasari a completare 1a sala 14• I dipinti della seconda fase realizzano quello che in origine era il programma a soggetto della Sala Regia 15 • Non si sa con certezza chi ne sia stato l'autore: forse il cardinale Amulio, dotto storico, ex diplomatico veneziano, favorito di Pio IV 16 • La decisione di scegliere gli argomenti nella storia ecclesiastica del Medioevo probabilmente è stata presa tenendo d'occhio tanto gli avvenimenti del passato quanto quelli più recenti 17, e gli interpreti dei desideri di Pio IV forse si sono attenuti alle immagini del Laterano che illustrano le rivendicazioni del papato sul potere temporale 18 • Gli argomenti assegnati a Siciolante si attengono a questo programma: per il pannello più piccolo, al disopra della porta che apre nella cappella Sistina, Donazione fatta alla Chiesa da Pipino re dei Franchi del territorio ceduto da Astolfo re dei Longobardi (fig. 70c); per il pannello più grande vicino alla porta, l'Autorità conferita dalla Sede Apostolica agli Elettori dell'Impero. Per quest'ultimo pannello Siciolante aveva preparato i cartoni, e forse aveva dato inizio al lavoro murale, ma tutto fu fermato alla morte di Pio IV. Discutendo della distribuzione dei dipinti nella Sala Regia, nella vita di Taddeo Zuccari, Vasari conferma la duplice committenza assegnata a Siciolante: « A Girolamo Siciolante da Sermoneta, un altra delle maggiore ed un altra delle minori» 19, « l'altra delle minori » essendo la Donazione e « l'altra delle maggiore » l'Autorità. E' strano che nella vita di Siciolante Vasari ometta il dipinto più grande: Nella Sala dc' Re fece, al tempo di Papa Pio IV, come s'è detto, una storia fu molto lodata, Pepino re de' Franchi dona Ravenna alla Chiesa romana, e mena prigione Astulfo re de' Lombardi: e di questa abbiamo il disegno di proprio mano di Girolamo nel nostro Libro con molti altri del medesimo 20.

a fresco sopra la porta della cappella di Sisto: nella quale storia che

La dimenticanza di Vasari e la perdita del dipinto fecero sl che questa seconda committenza sparl praticamente da tutti gli scritti sulla Sala Regia fino al nostro secolo 21 • La scoperta negli archivi vaticani di pagamenti effettuati per la Sala Regia, la pubblicazione di una scelta degli archivi a cura di Antonio Bertolotti e di Rodolfo Lanciani 22 , la trascrizione completa a cura di Graham Smith attestano l'esistenza di entrambe le committenze 23 •


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Del dipinto grande di Siciolante l'Autorità conferita dalla Sede Apostolica agli Elettori dell'Impero non si sa niente, oltre alla testimonianza di Vasari e al pagamento da parte del Vaticano; non è stato scoperto un disegno, non si ha conoscenza di alcuna descrizione. Perciò la certificazione del pagamento è una prova preziosa: Maestro Girolamo sermoneta pittore cli contro de bavere acli 4 cli Dicembre scudi dugento per il suo quadro di pittura fatto nella Sala Regia sopra la porta della Cappella di Sisto secondo il patto, et scudi uenticenque qualj hebbe a buon conto Monsignore Reverendissimo Il Vescovo Farratino decreto fossero per mercede bastante cli un'altra quadro cominciato da lui in detta Sala cioè fattone li cartonj talche sono per saldo completo delle partite cli contro - scudi 225 24•

Da queste righe si deduce che Siciolante aveva finito i disegni preparatori, ma non risulta che avesse già cominciato l'affresco. Però la cosa resta importante per due motivi: primo, perché il tema stabilito è stato tradotto in immagine, anche se a noi non ne è arrivata traccia; secondo, e più significativo, perché in mezzo ai pannelli murali era stato lasciato libero lo spazio necessario a questo affresco. Ora, poiché Vasari allude a questa committenza come a « un altra delle maggiore», logicamente l'affresco avrebbe dovuto stare là dove oggi stanno o la Santa Lega, o la Battaglia di Lepanto, o l'Offesa di Coligny, tutti di Vasari (fig. 69). I pannelli grandi della parete di fronte erano stati affidati a Giuseppe Porta e Zamaria Zoppelli. Ironia della sorte: fu proprio un dipinto di Vasari a prendere il posto di quanto probabilmente Siciolante aveva già eseguito 25 • Non disponendo di altri riferimenti, è difficile arguire a quale preciso avvenimento storico si riferisse il pannello più grande di Siciolante. Spesse volte, durante il Medioevo, il papato aveva tentato di determinare l'autorità degli Elettori nella scelta dell'imperatore. Era questa una delle più assillanti preoccupazioni del papato, visto che l'imperatore, per alleanze familiari o politiche, poteva trasformarsi in una minaccia contro il papa, che invece sarebbe stato tenuto a difendere. Ai tempi di Carlo Magno, quando questi venne insignito da Roma della corona imperiale, la scelta di un candidato non presentava problemi. Ma con la divisione dell'impero carolingio, la scelta non fu più soltanto questione di eredità; fosse per nomina o fosse per elezione, l'imperatore si sceglieva entro una rosa di contendenti, e gli Elettori se ne assumevano il compito. Secondo alcune fonti, papa Gregorio V fu il primo a conferire questa autorità esclusiva agli Elettori tedeschi 26 ; nel decreto papale V enerabilem, Innocenzo III statul che agli Elettori spettava la scelta del candidato più idoneo, e che questa autorità veniva garantita dalla Santa Sede n. I papi che vennero dopo di lui ribadirono questo principio. Forse, alla base della scelta di questo particolare argomento, furono proprio i difficili rapporti che intercorrevano tra l'imperatore, papa Pio IV e gli Elettori. Per esempio, nella questione di riconvocare il concilio di Trento, gli Elettori si schierarono dalla parte dell'imperatore, non del papa. Per ottenere l'appoggio dell'imperatore Ferdinando I, il papa fece ricorso alla propria esclusiva competenza ad incoronare Massimiliano, figlio di Ferdinando, nuovo imperatore;


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Catalogo delle opere

in tal modo Ferdinando riconobbe che era suo interesse appoggiare

il papa 28 • Usando in modo tanto persuasivo del potere pontificio, Pio IV riasserl uno degli aspetti delle rivendicazioni papali al potere temporale, riportò una vittoria personale sugli Elettori, e una vittoria del proprio magistero. Il superstite affresco di Siciolante, la Donazione di Pipino, riguarda anch'esso il potere temporale dei papi. Astolfo, re dei Longobardi, le braccia legate dietro la schiena e seguito da Pipino, re dei Franchi, sale gli sca1ini di un edificio a colonne. Una piccola statua, portata da un giovane accompagnatore, simboleggia il territorio conquistato da Astolfo e donato da Pipino alla Chiesa romana 29 • Questa scena allude ad avvenimenti dell'VIII secolo, quando i programmi espansionisti del re longobardo erano una vera e propria minaccia contro Roma e contro il papato. Papa Stefano II (752-757) si rivolse allora per aiuto a Pipino perché il suo predecessore, papa Zaccaria, aveva aiutato Pipino contro i Merovingi. Stefano II voleva ottenere due cose: far cessare la minaccia contro Roma rappresentata dall'esercito di Astolfo, e annettersi il territorio conquistato da Astolfo, in particolar modo l'Esarcato bizantino. Pipino acconsentl, e le sue truppe entrarono due volte in Italia, la prima per strappare ad Astolfo il consenso a cedere al papato i territori dell'Esarcato, e la seconda per costringere Astolfo a rispettare i patti. Ne derivarono due consequenze importanti: il papa elesse Pipino protettore di Roma, e il territorio ceduto da Astolfo diventò la base degli Stati pontifici 30 • Il recupero dei resti dell'impero bizantino in Italia mise il papato in grado di applicare a quello che era stato l'impero romano la legge di cui era diventato erede 31 • Pipino sconfisse Astolfo in quanto lo aveva costretto a cedere il territorio e a rinunciare alle mire espansionistiche, e donò alla Chiesa il territorio ceduto; ma non fece prigioniero Astolfo. L'affresco raffigura perciò un avvenimento fittizio, che illustra la sconfitta di Astolfo e la donazione di Pipino. Queste idee sono rese con un realismo cosl obiettivo che l'immagine dipinta sembra raffigurare un tempo storico; invece, come scrive Pericle Perali, si tratta dell'allegoria di un avvenimento 32 • Questo episodio 'non storico', mai raffigurato prima, fu una sfida per Siciolante, ed egli la raccolse facendo uso di motivi simbolici. La Donazione illustra i momenti decisivi della storia della Chiesa, l'inizio degli Stati pontifici, la designazione di un protettore del papato nella figura del buon re. Sotto il pontificato di Pio IV, la Chiesa cattolica si era ridefinita nel concilio di Trento, e dunque le gerarchie ecclesiastiche potevano asserire risolutamente la legittimità delle rivendicazioni del papato su autorità spirituale e temporale 33 • Sistemata al disopra della porta che conduce alla cappella Sistina, per un visitatore accorto la Donazione era un monito che ricordava come potere temporale e potere spirituale del papato derivino da fonti inoppugnabili. Pittura e disegni preparatori sono ulteriormente trattati nel testo e nella sezione Disegni.


I. Dipinti autentici I Non esiste uno studio globale REDIG DE CAMPOS, I palazzi, pp.

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sulla Sala Regia. Per un esame generale vedi 162-164, 168, 179-80; PERALI, I fasti, I, 1, pp. 31-38; Il, 1, pp. 28-32; II, 4, pp. 33-38; li, 7, pp. 23-29; II, 3, pp. 3336; Il, 16, pp. 20-25; III, 10, pp. 490-492. Vedi anche HUNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, pp. 39-41. 2 La pianta della Sala Regia prima delle modifiche apportate da Sangallo si trova alla Galleria degli Uffizi A 287. EHRLE e EGGER, Der Vaticanische Palasi, p. 52; SHEARMAN, The Vatican, p . 4, n. 5; FROMMEL, Bine Darstellung, pp. 103-127. Per descrizioni della Sala Regia prima della ricostruzione di Sangallo vedi PODESTÀ, Carlo V, I, pp. 303-344; EHRLE e STEVENSON, Gli affreschi, pp. 10-11. 3 Il primo pagamento a Perino di cui si abbia conoscenza porta la data del 5 gennaio 1542. DAVIDSON, The Decoration, LVIII, pp. 395-423; PARMA ARMANI, Perin del Vaga, pp. 328-332. 4 VASARI, Le vite, VII, p. 57. Può darsi che Vasari riferisca con precisione, tuttavia è curioso (sebbene non necessariamente contraddittorio) che nel 1561 Daniele fosse pagato per lavori in stucco e di doratura, e non di pittura. Roma, Archivio di Stato, Camerale I, tesoreria segreta, vol. 1299, fase. A, f. 26. DA· VIDSON (The Decoration, LVIII, p. 417) pubblicò un disegno di Giovanni Antonio Dosio, probabilmente di un dipinto di Daniele per la Sala Regia. Le posizioni delle figure in stucco adiacenti indicano la porta che conduce alla Scala Regia, dove oggi è collocato l'affresco di Vasari Gregorio IX (fig. 70a, [3]). Se il disegno è preciso, vuol dire che il quadro di Daniele è stato spostato più tardi insieme con la sua cornice, e che le mensole sotto il frontone sono st:ite modificate per intonarsi con il sovrapporta dirimpetto, dove oggi è collocato l'af. fresco di Taddeo Zuccari (fig. 70a, [12]). s VASARI, Le vite, VII, p. 35. 6 Vasari afferma che in data 3 settembre 1561 il vescovo di Forll, Baldo Farratino, gli scrive domandandogli di venire a Roma a finire la Sala Regia. Vasari rifiutò perché era soddisfatto del lavoro che stava facendo per il duca Cosimo de' Medici a Palazzo Vecchio. lbid., p. 93; VASARI, Der literarische Nachlass, I, pp. 631-632. 7 VASARI, Le vite, VII, p . 37; CHENEY, Francesco, I, pp. 308-320. s VASARI, Le vite, VII, pp. 39, 93. 9 Il Concilio terminò i lavori il 3 novembre 1563. VON PASTOR, Storia, VII, 1950, pp. 236-263; JEDIN, Geschichte, IV, pp. 164-189. 10 VASARI, Le vite, VII, pp. 93-94. Vasari cita i nomi dei pittori chiamati a collaborare, con l'eccezione di Zamaria Zoppelli (Giovanni Maria Zuppelli), il cui nome risulta dagli elenchi di pagamento. SMITH, A Drawing, CXVIII, pp. 102-106; GERE e POUNCEY, ltalian Drawings, I, pp. 180-181. BAGLIONE (Le vite, p. 31) è l'origine della confusione a proposito delle committenze. L'affresco di Samacchini lo attribuisce a Marco Pino da Siena e quello di Fiorini a Sa.macchini. Per la decorazione a stucco di Giulio Mazzoni, vedi PUGLIATTI, Giulio, pp. 187-194; PETTORELLI, Giulio, p. 18. Per la decorazione in genere, vedi DUMONT, Francesco, pp. 85-92. Nei casi di Taddeo Zuccari e di Giuseppe Porta, Vasari spiega perché la scelta fosse caduta su di loro. Invece, per quanto riguarda Siciolante è facile arguire che il cardinale Alessandro Farnese fosse in qualche modo coinvolto: parente dei Caetani, i benefattori di Siciolantc, sembra probabile che il cardinale abbia fatto il nome del pittore di Sermoneta. A quanto pare, i Caetani intrattenevano rapporti freddi e difficili con papa Pio IV, probabilmente perché Bonifacio Caetani appoggiava apertamente il partito francese mentre Pio IV sosteneva la fazione spagnola. CAETANI, Domus, II, p . 96. 11 Alcuni pagamenti sono pubblicati in SMITH, A Drawing, CXVIII, pp. 105-106. Altri pagamenti non pubblicati si trovano all'Archivio di Stato di Roma, Camerale I, Tesoreria segreta, vol. 1299, fase. D. Una voce datata 23 dicembre 1563 (f. 39 [38]) riporta un pagamento fatto a Giuseppe Porta per un lavoro nella Sala Regia: « E de hondare scudi dugiento di moneta per mandato de' 23 di dicembre segnato no 105 a messer Ioseph Salviati pittore a conto de lavori fa in sala regia ». 12 GERE, Taddeo Zuccaro, pp. 102-106.


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Catalogo delle opere

Il Per Zamaria Zopelli vedi ROTTGEN, Zeitgeschichtliche Bildprogramme, III, 26, 1975, pp. 94-96. . . 14 VASARI Le vile VII 1881, pp. 717-722; VASARI, Der ltlerarzsche Nach/ass, II, 1930, pp. 729.731,' 744-747, 75!•753, 776-777; BAROCCHI, Vasari, 1?.64, pp. 71-73; FEHL, Vasari's 'Extirpation, LXXXIV, 1974, pp. 258-285; RO!T· GEN ZeilgeschichJ/iche Bildprogramme, III, 26, 1975, pp. 89-122. A Federico Zu~ si attribuisce di aver terminato l'affresco iniziato dal fratello Taddeo, Gregorio VII assolve E11rico IV a Ca11ossa. Sebbene non esista alcuna prova documentaria, tuttavia è generalmente accettata l'ipotesi che Federico abbia terminato l'affresco sotto il pontificato di Pio V, dopo la morte del fratello Taddeo, avvenuta nel 1566. KORTE, Der Palazzo, p. 72. E' più probabile che l'affresco sia stato finito sotto Gregorio XIII, visto il tema 'gregoriano'. C'è anche la possibilità che Federico, fungendo da aiuto al fratello, abbia terminato l'affresco sotto Pio IV. Dessins, pp. 53-54; STRINATI, Gli a1111i, XXI, p. 91. 15 Per il rapporto tra la Sala Regia e gli altri progetti di Pio IV, vedi SMITH, The Casino, pp. 107-112. 16 voN PASTOR, Storia, VII, pp. 73-74; CHACON, Vitae, III, 1677, col. 929. Si è fatto il nome del cardinal Amulio come dell'autore del progetto per il Casino di Pio IV. SMITH, The Casino, pp. 6-7. Un documento vaticano traccia a grandi linee un programma a soggetto per la Sala Regia. Biblioteca Ap. Vaticana, VaJ. Lai. 7031 , ff. 280-282. Citato in PERALI, I Fasti, I, 1, p. 32. Come dice DAVIDSON (The Decoratio11, LVIII, p. 418) la datazione di questo documento pone diversi problemi. L'autore del documento elenca vari argomenti per i dipinti, come se nella Sala Regia non ne esistesse alcuno. Se Vasari è nel giusto quando afferma che Daniele da Volterra aveva dato inizio a tre dipinti prima che Paolo III morisse, allora il documento del Vaticano dovrebbe precedere l'inizio dei lavori da parte di Daniele; se invece Vasari sbaglia, allora il documento vaticano potrebbe datarsi all'inizio del pontificato di Pio IV. In ogni modo gli argomenti che esso descrive non vennero scelti. 17 La Presa di Tunisia di Taddeo Zuccari e probabilmente l'affresco di Zamaria Zoppelli sono i soli dipinti a riferirsi ad eventi contemporanei. ROTTGEN, Zeitgeschichtliche Bildprogramme, III, 26, pp. 94-96. 18 Si può dire che il programma a soggetto della Sala Regia si ispirasse tanto alle decorazioni dei precedenti saloni di udienze quanto alle preoccupazioni dei contemporanei. Ringrazio il professor Ingo Herklotz per avermi fornito utili informazioni sul palazzo lateranense in epoca medievale. Per la decorazione del palazzo vedi WALTER, Papal Politica/ Imagery, XX, pp. 155-176; XXI, pp. 109136. Per la Sala Regia nel palazzo di San Marco vedi HERMANIN, Palazzo, I, pp. 15-24; BRICARELLI, Il palazzo, VIII, pp. 97-112. 19 VASARI, Le vite, VII, pp. 9.3-94. 20 lbid., p. 573. 21 BAGLIONE (Le vite, p. 23) ripete quanto affermato da Vasari. Fino ai giorni nostri la maggior parte degli autori ha parafrasato Baglione: CECCONI, Roma, 1725, p. 347; Roma, 1741, pp. 262-263; TAJA, Descrizione, 1766, pp. 14-15; CHATIARD, Nuova descrizione, Il, 1766, pp. 26-27; VENUTI, Accurata e succinta descrizione, II, 1767, p. 1160; CANCELLIERI, Descrizione, part. 1, 1790, p. 13; LANZI, Storia, I, 1795-96, p. 437; VASI, Itinerario, 1824, p. 538; PISTOLESI, Il Vaticano, 1829, pp. 98-99; MELCHIORRI, Guida, 1840, p. 442; MORONI, Dizionario, VIII, 1841, p. 137; BLANC, Histoire, X, 1870, p. 31; ARTIOLI, Girolamo, XXVIII, 1909, p. 278; BIANCHI·CAGLIESI, All'illustre pittore, 1909, p. 16; NAGLER, Neues allgemeines Kiinstler-Lexicon, XVIII, 1911, p. 368; VENTURI, Storia, IX, 5, 1932, p. 549; PECCHIAI, Roma, 1948, p. 485; MANCINI, Considerazioni, I, 1956, pp. 203, 267, 346; MOLA, Breve racconto, 1966, p. 43; CELIO, Memoria, 1967, p. 33; D'ONOFRIO, Roma, 1969, p. 335. 22 BERTOLOTII, Artisti modenesi, 1882, p. 64; LANCIANI, Storia, III, 1907, pp. 228-229. 23 SMITI-I, A Drawing, CXVIII, p. 105. Ringrazio il professor Graham Smith, il quale mi ha cortesemente fornito le trascrizioni non pubblicate di alcuni documenti che riguardano Siciolante. Il suo aiuto mi ha notevolmente facilitato nella ricerca dei pagamenti nei libri contabili del Vaticano. Vedi anche FREY, Studien, XXX, Beiheft pp. 103-180. Per i pagamenti a Siciolante vedi


I. Dipinti autentfci

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Documenti, XVII, XVIII. Durante il primo anno di pontificato di Pio V si venne a un accordo con artisti e artigiani a proposito del lavoro finito o in corso al tempo della morte di Pio IV. Nel caso di Siciolante, i contabili ebbero da pareggiare le somme già sborsate con lo stato attuale della sua attività, e decisero che era stato sottopagato per l'affresco piccolo già ultimato, e invece sovrapagato per l'affresco grande, che non era andato molto avanti. Nel 1568 i registri contabili vennero chiusi. Un'appendice spiega la transazione del 1566 e risolve il caso di Siciolante assegnandogli 25 scudi oltre ai 200 che aveva già ricevuto, per un totale di 225 scudi. La paga di Siciolante era uguale all'incirca a quella degli altri. I conti del Vaticano sono molto precisi e al tempo stesso fuorvianti. Siciolante fu pagato 225 scudi in quattro diverse rate. Per fini squisitamente contabili, nei tre registri sono annotate diciassette voci per i quattro pagamenti effettuati, che si possono riassumere cosl: 50 scudi il 9 febbraio 1565 e 50 scudi il 3 aprile 1565 per il dipinto piccolo; 100 scudi il 3 novembre 1565 per il dipinto grande; 25 scudi 1'8 giugno 1566 (registrati il 4 dicembre 1568) per il quadro grande; il tutto per un totale di 225 scudi. Sulla base di queste cifre risulta che Siciolante fu pagato 100 scudi per il dipinto piccolo e 125 scudi per quello grande. Ma il registro dei pagamenti, in data 4 dicembre 1568, corregge le voci precedenti e precisa che i 200 scudi riscossi da Siciolante nel 1565 riguardano soltanto il dipinto piccolo. I 25 scudi riscossi nel 1566 riguardano il dipinto grande, arrivato non oltre i cartoni. Questo totale (225 scudi) è ad un tempo saldo e pareggio. Dato che Siciolante aveva ultimato il dipinto piccolo, i 200 scudi riscossi nel 1565 riguardano questo lavoro. D'altronde, Siciolante aveva diritto a soli 25 scudi per aver cominciato a lavorare sul dipinto grande. Anche Samacchini e Fiorini ebbero 200 scudi per le opere piccole; Agresti ne ebbe 175; per Taddeo Zuccari i pagamenti per il dipinto piccolo si intrecciano con quelli per il dipinto grande, dunque è difficile stabilire quanto egli fu pagato per il dipinto piccolo. 24 Vedi Documenti, XVII. 25 Il fatto che fosse stato lasciato spazio per il quadro grande di Siciolante solJeva diverse domande. Se è presumibile che Pio IV volesse vedere finita la Sala Regia durante il proprio pontificato, allora ne deriva che tutti i pannelli murali erano stati assegnati. Invece non è così: su sedici ne erano stati commissionati solo undici. Una spiegazione possibile è che il lavoro era programmato a tempi diversi, come dimostrano le diverse date di inizio dei vari pittori. Continuando in questo ragionamento, si potrebbe supporre che, se Pio IV avesse vissuto più a lungo, i cinque dipinti rimanenti avrebbero avuto inizio nel 1566, o forse più tardi. E' anche possibile che almeno due dei cinque pannelli fossero già dipinti... da Daniele da Volterra. Vasari afferma che Daniele portò a termine due dei dipinti piccoli e cominciò uno dei dipinti grandi. Su questo punto Vasari è molto preciso: « Studiando in un medesimo tempo i cartoni di quello che aveva disegnato far in quel luogo, di pittura. Il che fatto diede principio a una delle storie; ma non ne dipinse più che due braccia in circa, e due di que' re ne' tabernacoli di stucco sopra le porte». VASARI, Le vite, VII, p. 57. Uno di questi ultimi dipinti compare in un disegno di Giovanni Antonio Dosio. DAVIDSON, The Decoration, LVIII, p . 417. Vasari ricorda anche che Francesco Salviati tolse di mezzo una delle opere di Daniele, quando a lui fu affidata metà della committenza: « che gli [Salviati] fu allogata mezza la detta sala; alla quale opera mettendo mano, prima che altro facesse, gettò a terra una storia stata cominciata da Daniello; onde furono poi fra loro molte contese». VASARI, Le vite, VII, p. 37. La conclusione è che dal vandalismo di Salviati si salvarono soltanto due dipinti. Vasari scrive che Salviati cominciò un dipinto che lasciò incompiuto; a quel punto la committenza di Salviati venne passata a Giuseppe Porta: « [Giuseppe Porta] essendo chiamato a Roma dal cardinale Emulio, dopo la morte di Francesco, finl una delle maggiori storie che sieno nella detta sala dei Re, e ne cominciò un altra: e dopo, essendo morto papa Pio quarto, se ne tornò a Venezia». lbid., p. 46. Giuseppe Porta terminò il grande pannello di Alessandro III (fig. 70a, [ 11]) e progettò un altro grande dipinto, I sette re, che non portò a compimento prima della morte di Pio IV. SMITH, A Drawing, CXVIII, p . 105. Forse quest'ultimo dipinto era stato progettato per occupare il posto dove


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Catalogo delle opere

adesso è collocato Il ritorno di papa Gregorio XI di Vasari (fig. 70a,[13]). Se è giusto ritenere che Giuseppe Porta ereditas~e parte della com,mitten_za. prima affidata a Salviati, allora si potrebbe anche ritenere che la meta Salviati occupasse il muro dove erano anche i dipinti di Porta. E' lo stesso muro dove Agresti Taddeo e Samacchini avevano fatto i dipinti piccoli sopra le porte (fig. 70a, [10, 12, 14]) e Zoppelli aveva terminato il pannello in angolo (fig. 70a [9]). Dunque, Salviati ha distrutto uno dei .:lipinti di Daniele su questa paret~, probabilmente il dipinto piccolo sulla porca centrale dove oggi c'è Taddeo (fig. 70~ [ 12]). Nel frontone sulla porta ci sono anche i gigli Farnese, lo stemma d1 Paolo III che compaiono anche nel frontone sulla porta centrale, dirimpetto a questa. Nei quattro frontoni rimanenti ci sono le palle di papa Medici, cioè Pio IV. Dunque, posto che Daniele avesse cominciato i lavori sotto il pontificato di Paolo III, sembra logico che le sue opere siano collocate là dove sono gli stemmi Famese. La conclusione è che Salviati ha distrutto quel che Daniele aveva fatto, in modo da essere libero di progettare la decorazione della parete. Nel 1565, quando si cominciò a lavorare sull'altra parete lunga della Sala, solo il quadro di Fiorini e i due di Siciolante erano stati commissionati, il che lasciava disponibili tre pannelli: presumibilmente due avevano i dipinti di Daniele, quello sulla porta centrale e uno dei grandi. Perciò questa sarebbe stata la parete corrispondente a metà della committenza di Daniele. Alla morte di Pio IV, c'erano tre pannelli vuoti, quattro con dipinti parzialmente terminati, dei quali uno era di Siciolante, uno di Porta, uno di Daniele, uno di Taddeo, per un totale di sette pannelli. Di questi sette, Vasari ne riempl sei con i propri dipinti (fig. 70a [2, 4, 6, 7, 8, 13]) e eliminò la sovrapporta piccola con il dipinto di Daniele (quello che compare nel disegno di Dasio) o perché papa Gregorio XIII desiderava un argomento diverso, o perché l'esecuzione di Daniele, mal si accordava con le altre sovrapporte (fig. 70a [3]). Il dipinto non finito da Taddeo fu ultimato dal fratello Federico (fig. 70a, [ 16]). 26 PLATINA, Le vite, pp. 213-214; CANINI D'ANGHIARI, Sommaria, p. 45. 27 HURTER, Storia, I, pp. 365-373. 28 VON PASTOR, Storia, VII, 1950, pp. 163-164, 231. 29 A proposito della statua, PERALI (I fasti, II, 4, p. 37) cosl scrive: « Un giovinetto in corazza e manto e sandali precede il prigioniero; ha già il piede destro sul ripiano dell'ultimo gradino e porta, con gesto di offerta, una statuetta d'oro, raffigurante una donna seduta con gli attributi del timone nella destra e dell'aquila nella sinistra. Rappresenta Ravenna città marinara ed imperiale ». Nell'affresco il timone è chiaramente visibile, mentre non lo è l'aquila. Sebbene la statua possa rappresentare Ravenna (Vasari limita la donazione a Ravenna) essa dovrebbe essere il simbolo di tutto il territorio ceduto da Astolfo. Il Liber ponti/icalis (DUCHESNE, Le Liber Pontificalis, 1, p. 454) cita una lunga lista di città incluse nella donazione. Nel particolare della piccola statua Siciolante fece ricorso al modello che si trova anche negli affreschi di Agresti e di Samacchini. 30 GREGORovrus, Storia, 1, pp. 400-420. L'unica trattazione abbastanza estesa di questo argomento si trova in PERALI, I fasti, 11, 4, pp. 33-38. 31 Da un punto di vista legale, Pipino non aveva il diritto di fare donazione del territorio, né Astolfo aveva il diritto di cederlo. In apparenza il papato fu sensibile a questo aspetto legale e alla pretesa dell'Impero bizantino dell'esarcato, sicché la donazione di C:Ostantino (Constitutum Constantini) fu presentata come una base retroattiva per il potere temporale dei papi. Vedi CA· SPAR, Pippin, pp. 185-189. 32 PERALI, I fasti, II, 4, p. 38. 33 La scelta della Donazione come argomento della decorazione della Sala Regia so~eya il problema della discussa donazione di C:Ostantino (Constitutum c_onsta~ltm), usata precedentemente per appoggiare le rivendicazioni papali n~i riguardi del potere tem~rale. Ne! Quattrocento, Lorenzo Valla, tra gli altri, a':'eva ~n!estato la donaz~one. Vedi COLE.MAN, The Treatise. Risultato di queste d1scuss1oru fu che lo stanco quattrocentesco Bartolomeo Platina passò sotto si1<:nzio 1~ storia della do~azione _di C:Ost~~o nella vita di papa Silvestro. L'edizione c~quecen~~ di . O~ofr10 Panv1ruo della st?ria di Platina (pubblicata durante il ponuf1cato di Pio IV) non commenta il Constitutum Constantini. Vedi PLATINA, Historia, pp. 32-37. Sorprendentemente nel tardo Cinquecento


I. Dipinti autentici

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Cesare Baronia ricolloca il Constitutum Constantini nella sua storia. Vedi BARONIO, Annales, III, p. 263. Vedi anche COCHRANE, Historians, pp. 456, 462. Per quanto riguarda l'accettazione del Constitutum Constantini per la decorazione della Sala di Costantino in Vaticano vedi QUEDNAu, Die Sala, pp. 449-458.

7.

MONTEROTONDO (ROMA)

Palazzo comunale (ex palazzo Orsini); sala di Adone Storia di Adone Parete est, Mirra e Cinira; parete sud, Minerva, Nascita di Adone, Venere; parete ovest, Venere e Adone; parete nord, Flora, Morte di Adone, Diana, 1558-1560 circa (figg. 41a - 41k) Fregio ad affresco In alcune note aggiuntive in margine alle opere giovanili che reputava di mano dell'artista, Federico Zeri fu il primo ad attribuire a Siciolante questo fregio ad affresco: Mi accorgo solo ora di un importantissimo esempio del Sermoneta, costituito da un grande fregio ad affresco in una sala [ora aula scolastica] nel Palazzo Comunale, già Barberini, a Monterotondo nei pressi di Roma. Sono di Dee, ignote alle fonti, ma che costituiscono uno dei risultati più notevoli del Sermoneta e di tutta la tradizione raffaellesca 1•

L'attribuzione di Zeri, che ne ha sostituita una precedente data agli Zuccari, è stata universalmente accettata 2• Nel 1974 Raffaele Bruno ha pubblicato questi affreschi datandoli tra il 1553 e il 1555 circa, e osservando che il racconto della vita di Adone sembra di netta derivazione nord europea 3 • Su questi affreschi, nonostante gli studi e gli scritti più recenti, non sono emerse altre notizie: non si sa niente, né committenza, né mecenati, né motivo della scelta di questo ciclo particolare 4 • Palazzo Orsini, oggi palazzo del Comune, ha una lunga e complicata storia studiata di recente da Pier Nicola Pagliara 5• Due rami della famiglia Orsini, discendenti di Giacomo e di Lorenzo, signori di Monterotondo, risiedevano nel palazzo. Secondo Pagliara, Franciotto Orsini, del ramo di Giacomo, aveva ornato ed abbellito l'appartamento, compresa la stanza poi decorata da Siciolante. Nel 1534 Franciotto morì, e i suoi beni passarono al figlio Ottavio, condottiero 6 • Fu probabilmente Ottavio, o i suoi discendenti, a commissionare la decorazione a Siciolante. La camera decorata da Siciolante si trova al piano nobile, sul lato est dell'edificio, ed è la terza a partire dall'angolo nord-orientale. C'è una finestra nel muro ad est, e due porte, una nel muro a nord, una nel muro a sud. Dall'alto della finestra, il fregio arriva fino al cornicione che corre sotto il soffitto ligneo. Tre sono gli elementi che si ripetono nella decorazione: in ogni angolo stondato, una specie di grossa cornice fantastica con festoni di frutta e di fiori, un grosso


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Catalogo delle opere

mascherone, alcuni putti semisdraiati sul davanzale o sui festoni (figg. 41a - 41j). Al centro di ciascuna parete troviamo una scena sontuosamente incorniciata che racconta un episodio della vita di Adone (figg. 41b - 41e); a fianco di queste scene, sulle pareti nord e sud, figure di dee in piedi entro nicchie incorniciate (figg. 41f - 4li). Tut: te le figure sono raffigurate come esseri viventi, non come modelli della statuaria. Il soffitto a riquadri (fig. 41k) è decorato con motivi guerreschi: scudi, elmi, asce da guerra, altre armi. Grotteschi rivestono lo spazio compreso tra i riquadri geometrici e il bordo che corre intorno. Questi dementi decorativi furono forse eseguiti insieme con il fregio, forse sono di mano di Siciolante, sicuramente non esiste ragione di escludere nessuna possibilità 7• Il ciclo narrativo, che si ispira alle Metamorfosi di Ovidio 8, ha inizio con la scena di Mirra e Cinira (fig. 41b) sulla parete est 9 • La Nascita di Adone (fig. 41c) sulla parete sud è affiancata, rispettivamente a sinistra e a destra, da Minerva (fig. 41f) e da Venere (fig. 41g). Venere e Adone (fig. 41d) è sulla parete ovest, la Morte di Adone (fig. 41e) su quella nord, insieme con le dee Flora 10 (fig. 41h) e Diana (fig. 4 li) a sinistra e a destra. L'esecuzione denuncia la presenza di più mani. Esistono zone danneggiate, sopra le quali è stato ridipinto, ad esempio tutta la scena di Venere e Adone (fig. 41d), e Adone inseguito dal cinghiale nella Morte di Adone (fig. 41e) è certamente un restauro più tardo, come lo è il busto di Diana 11 (fig. 4 li). Alcune parti negli angoli della Sala sono state finite da altri artisti; gli angoli sudest e nordovest a prima vista sembrano uguali, ma i lineamenti dei volti appartengono a mani diverse: Siciolante ha dipinto l'angolo nordovest, e un suo aiuto ha finito l'angolo sudest. La situazione si fa più complicata negli altri due angoli: in quello sudovest, corpo e volti dei putti nella fascia superiore sono diversi da quelli dei putti nella fascia inferiore, e rivela lo stile non di un copista ma di un artista con una personalità ben definita. I putti sono grossi e muscolosi, hanno strani occhi vivaci, come si può vedere in un putto nell'angolo nordest, in alto a destra (fig. 41j). La controparte a sinistra potrebbe anche essere di Siciolante, i due putti in basso sono sicuramente di mano di un aiuto. Queste differenze fanno pensare a ragione che Siciolante non lavorasse da solo. Forse parte dell'esecuzione degli affreschi era stata affidata a qualche aiuto. Per la composizione delle scene narrative, Siciolante si è ispirato ad altri artisti. Per esempio, tra la Nascita di Adone (fig. 41c) da lui eseguita e quella raffigurata in una stampa su disegno di Francesco Salviati 12 esiste una notevole somiglianza. Ancora più sorpren• dete, ma forze dovuta solo a coincidenza, la somiglianza tra Mirra e Cinira di Siciolante e il disegno per l'arazzo di Agnolo Bronzino Giuseppe e la moglie di Putifarre, nella Christ Church a Oxford 13 • Consultando queste fonti, Siciolante ha scoperto riferimenti utili per narrare in immagini le storie di Ovidio 14 • Nel nostro testo si parla più diffusamente delle qualità stilistiche di questi affreschi e della loro affinità con altre opere dell'artista.


I. Dipinti autentici 1 ZERI, Pittura, p. 37, n. 2. 2 FILESI (Contributo, p. 13,

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n. 2) scrive: « Il castello baronale contiene veri tesori di arte. Lasciando in disparte la bellissima architettura di esso, racchiude pitture veramente ammirevoli, quali la Vita, l'Amore e la Morte di Adone dello Zuccari ». 3 BRUNO, Girolamo, CXXXIII, p. 78; CXXXIV, pp. 71-80. Secondo Bruno, gli affreschi di Monterotondo presentano somiglianze con quelli del Casino 01giati-Bevilacqua, ora alla Galleria Borghese (figg. 16a- 16c), che io faccio risalire al 1544-1545 circa. 4 Vedi PUGLIATTI, Due momenti, IV, p. 11; Gli affreschi, II, pp. 12, 149. s PAGLIARA, Monterotondo, pp. 247-255. Ringrazio il professor Pier Nicola Pagliara per avermi aiutato e per aver discusso con me della costruzione di palazzo Orsini. PAGLIARA (lbid., p. 251, n. 18) osserva che Antonio Ghisleri, annota in un manoscritto (Biblioteca Vaticana, Archivio Barberini, Indice III, 616, fase. 55) un « fregio del Gaetano» (Scipione Pulzone). Il ragionamento di Pagliara è che o si tratta di un riferimento erroneo all'affresco di Siciolante, o cli un affresco perduto, o di un affresco ancora sconosciuto in palazzo Orsini. 6 Vedi LITTA, Famiglie, IV, tav. IX (Orsini di Roma); COLONNA, Gli Orsini, pp. 133, 135ff. Due figli di Ottavio, di nome Francesco ed Arrigo, erano anch'essi condottieri. Il terzo figlio, Leone, era nel clero. L'altro ramo della famiglia Orsini, che risiedeva nel palazzo di Monterotondo, comprendeva Giordano Orsini. LITTA, Famiglie, IV, tav. VIII (Orsini di Roma). Ci furono varie dispute legali tra questo ramo degli Orsini di Monterotondo e l'altro ramo, che includeva Ottavio. Vedi TOMASSETTI, La campagna, VI, pp. 287-288. 7 Il lavoro di Siciolante per il soffitto di Santa Maria in Aracoeli (fig. 96) probabilmente era stato preceduto da committenze del tipo di quella per la Sala di Adone. Pagliara (Monterotondo, p. 253, n. 23) osserva che la decorazione del soffitto può avere avuto attinenza con una delle tante campagne militari cui avevano partecipato gli Orsini, la conquista della Tunisia nel 153.5 piuttosto che alcune spedizioni nel Nord Africa del 1541 e del 1.550. Forse un pretesto per il soffitto fu la guerra di Carafa (1.556-1557) che coinvolse anche Monterotondo. I Barberini, acquirenti del palazzo, misero lo stemma di papa Urbano VIII nel riquadro centrale del soffitto; in uno degli angoli l'ape dei Barberini sostitul la rosa degli Orsini. Ibid., p. 2.53. Vedi anche Un'antologia, p. 124. 8 ovmrns NASO, Metamorphoses, libro X, favole X-XII, XIV, XV, pp. 3423.51, 358-3.59. 9 Erroneamente interpretato da BRUNO (Siciolante, CXXXIV, p. 72) per Venere e Marte. 10 Erroneamente interpretato da BRUNO (Ibid., p. 78) per Cerere. La figura ha gli attributi di Flora, non di Cerere. Vedi CARTARI, Le immagi11i, pp. 499-502. 11 Nel 1980, quando studiavo questi affreschi, ebbi l'opportunità di esaminarli da vicino, dall'alto di una impalcatura, perché li stavano pulendo e restaurando, e il restauro mostrò benissimo le zone cli ripittura e di sovrapittura, come da me indicate. Non sono riuscito ad avere nuove fotografie. 12 voss, Kompositio11en, XXXV, Mitteilungen, p. 63, fig . .5. 13 SMYTH, Bro11zino, pp. 39-40, fig. 37. Nella stampa di Salviati, Mirra inseguita dal padre appare solo come elemento cli sfondo. Una scena analoga è raffigurata in un dipinto attribuito a Girolamo d'Andrea Mocctto. Vedi REINACH, Répertoire, VI, p. 182, n. 1. 14 L'ipotesi di BRUNO (Siciolante, CXXXIV, pp. 71-7.5) che Siciolante fosse influenzato da riproduzioni provenienti dal nord non è convincente. Negli esempi che cita, non ci sono somiglianze particolari con gli affreschi di Siciolante. Forse la fonte più probabile sono le stampe di Bernard Salomon e di Vergil Solis, che illustrano le Metamorfosi, ma anche in queste la somiglianza è molto tenue. Vedi aREDT ~ EJtNST1 De Gotter1 III, in partiçolare ~l'· 32, .55.


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8.

Catalogo delle opere

OSIMO (ANCONA)

Museo Diocesano Madonna e Bambino con donatore della famiglia Pini (Madonna e Bambino Pini), firmato e datato MD LXI HIR/DE SERMONETA. F. (fig. 47) Olio su tavola, m. 1,70 X 1,12 Già nella chiesa di Santa Lucia a Osimo Nel 1795-1 796, Luigi Lanzi fu il primo ad accennare all'esistenza di un quadro di Siciolante a Osimo, cittadina nei pressi di Ancona. Parlando di altre opere che egli reputava vicina alla maniera di Raffaello, Lanzi cita la Natività di Cristo in Santa Maria della Pace a Roma, e prosegue dicendo che Siciolante « replicò con bellissima grazia in una chiesa di Osimo » l'argomento del quadro romano 1• La frase di Lanzi è stata citata spesso, anche se non siamo a conoscenza del quadro cui fa riferimento 2 • All'origine del commento di Lanzi c'è probabilmente la Madonna e Bambino con donatore della famiglia Pini. Le truppe napoleoniche asportarono questo quadro dalla chiesa di Santa Lucia di Osimo per trasferirlo a Milano dove, nel mese di settembre del 1811, lo registrarono nell'inventario dei beni confiscati 3 • La sparizione del dipinto da Osimo, e la demolizione della chiesa di Santa Lucia avvenuta nel 1906 circa, impedirono agli autori successivi di controllare l'esattezza dell'affermazione cli Lanzi 4 • E' possibile che Lanzi abbia confuso il fatto che la cappella Maggiore della chiesa di Santa Lucia fosse dedicata alla Natività della Vergine per l'argomento del quadro di Siciolante 5• La Madonna e Bambino Pini compare nel catalogo della pinacoteca di Brera a Milano sin da quando le truppe napoleoniche la trasferirono 11 all'inizio dell'Ottocento. Il quadro fu restituito a Osimo nel 1970, dopo reiterate richieste delle autorità cittadine, e fu collocato nel Museo diocesano, dove tuttora si trova 7• Alla base del quadro, sul lato anteriore della pedana, si vede uno stemma con tre pigne in campo d'oro tagliato da una banda a scaglioni alternati argentei e neri. E' lo stemma della famiglia Pini di Osimo che, nell'ottobre del 1561 domandò ed ottenne da papa Pio IV il patronato della chiesa di Santa Lucia 8• Patrizia Cantori cita alcuni documenti dell'archivio Pini dai quali risulta che fu Roberto Pini, rettore cli Santa Lucia, a impetrare da Pio IV la concessione di questo patronato. L'anno stesso Roberto fu sostituito nella carica di rettore e in quella di parroco dal nipote Muzio Pini, il quale, secondo i documenti dell'epoca, commissionò il dipinto a Siciolante 9 • Quanto abbiamo detto della famiglia Pini è importante perché non si è ancora accertata l'identità del donatore. Nel secolo scorso la figura era stata coperta da una sovrapposizione di colore, e dunque non si vedeva, e soltanto in tempi recenti è stata ripulita 10• La cosa più strana cli questo ritratto è il fatto di apparire raschiato e cancellato, e di essere su un pannello di legno diverso dalla tavola del


I. Dipinti autentici

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dipinto. Secondo l'inventario dei tempi di Napoleone, il frammento che vediamo oggi era perfettamente visibile quando il quadro fu portato via da Osimo, come si arguisce dal fatto che esso viene descritto come La Madonna con Bambino e un orante. Poiché è impossibile stabilire quando e perché il ritratto sia stato raschiato fino allo stato preparatorio, sembra ragionevole dedurre che esso era parte integrante del progetto. Madonna e Bambino guardano alla figura del donatore; la pedana, la panca di pietra su cui siede la Madonna, l'abito stesso della Madonna si allargano fino a questa zona del dipinto. Da quanto si riesce a distinguere, l'immagine con barba e baffi è quella di un uomo calvo, che indossa un manto ingombrante sopra una camicia dal collo cosl alto da nascondere del tutto la gola dell'uomo. Logicamente dovrebbe trattarsi di Muzio Pini, che commissionò il quadro, oppure dello zio Roberto. Vedi il testo per il nostro commento del dipinto e l'importanza che esso ha nello sviluppo stilistico dell'arte di Siciolante.

I LANZI, Storia, 2 PISTOLESI, Il

I, p . 437. Vaticano, p . 99; BLANC, Histoire, X, p . 32; NAGLER, Neues allgemeines Kiinstler-Lexicon, XVIII, p. 368. 3 Inventario napoleonico, f. 13v, n. 683. 4 MASSACCESI, Memorie, pp. 77-78, 79; GRILLANTINI, Uomini, pp. 301-302. 5 MASSACCESI (Memorie, p. 79) riferisce che c'erano tre altari: « di cui il maggiore dedicato alla Natività di Maria SS.; a destra entrando, un altare a Gesu Crocifisso; l'altro dirimpetto, a S. Lucia V. e M., con una statua niente divota ». 6 Guida per l'I. R. Pinacoteca, p. 48, n. 177; RICCI, La pinacoteca, p. 91; Catalogo della R. Pinacoteca, p. 322, n. 572. 7 Per altri riferimenti al quadro vedi voss, Die Malerei, I, p. 108; FAVORINI, La pala, IX, p. 49; VENTURI, Storia, IX, 5, pp. 549, 578; BRUNO, Girolamo, CXXXIII, p. 68; PUGLIATTI, Girolamo, in Girolamo, IV, p . 104. 8 Ecco la citazione: « Idibus octobris 1561. ex causa dotationis, e fructuum augmentationis ad mediatatem, et de adimplemento, et augmento per proccssum in curia episcopali Auximana fabricatum sibi constitit e c. » COMPAGNOLI, Memorie, IV, p. 81. 9 CANTORI, Il Museo, p. 137. Ringrazio monsignor Carlo Grillantini per avermi dato copia della sua dissertazione e tante altre utili informazioni sul dipinto di Osimo. I documenti citati dalla Cantori si trovano nell'archivio della famiglia Luzi di Treia, che sono gli ultimi discendenti della famiglia Pini. Purtroppo la Cantori non cita nessun documento in particolare né lo riporta per intero. Il brano più importante è: « Ruberti Pini rcctoris atque instauratoris rogatu, a Pio IV P. M. potestas facta est deligendi atque presentandi certi hominis ex eius familia de Pinis ». A proposito della committenza di Muzio Pini si dice che « ut aliquod monumentum perfatum cxtaret ponendum curavit MCLXI ». Il patronato della cappella passò infine al fratello di Muzio Oaudio e ai suoi discendenti. IO Restaurato nel 1981. Vedi LORENZO LOTTO, pp. 432-435.


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9.

Catalogo delle opere

PALESTRINA (ROMA)

Cattedrale di Sant'Agapito; battistero Nel Tabernacolo sono compresi: Cristo benedicente Olio su tavola, m. 1,54 X 0,83 L'Assunta Olio su tavola, m. 0,53 X 0,24 San Pietro Olio su tavola, m. 0,32 X 0,24 San Paolo Olio su tavola, m. 0,32 X 0,24 San Giacomo Olio su tavola, m. 0,32 X 0,24 Sant'Andrea Olio su tavola, m. 0,32 X 0,24 San Francesco Olio su tavola, m. 0,32 X 0,24 Sant'Agapito Olio su tavola, m. 0,32 X 0,24 {figg. 73a - 73h) 1565, iscrizione precedente?

Nel 1795 Pierantonio Petrini accennava a un quadro di Siciolante a Sant'Agapito. Riferendosi agli avveniventi occorsi durante il 1750 cosl scriveva: « La più spaziosa Cappella della Cattedrale è quella, ove si conserva una machina coll'immagine del Salvatore dipinta l'anno 1565 da Girolamo Sermonetano [ inscritti in detta immagine] la quale ne' tempi scorsi soleva portarsi in processione il dl festivo dell'Assunta» 1• Studi recenti, dei quali il più importante ed informato è quello di Ilaria Toesca, confermano quanto si dice sul luogo, ed assegnano questo dipinto a Siciolante 2 • La tavola con il Cristo benedicente (fig. 73a) sta in una nicchia rientrante all'interno di un tabernacolo. Sette tavole di piccola dimensione coprono lo stipite della nicchia: nella parte superiore, la Assunta (fig. 73b); a destra, dall'alto in basso, San Paolo (fig. 73d), San Giacomo (fig. 73e), San Francesco (fig. 73g); a sinistra, dall'alto in basso, San Pietro (fig. 73c), Sant'Andrea (fig. 73f), Sant'Agapito (fig. 73h) . Avvolto in una lunga tonaca rosso e oro, Cristo siede su nuvole rosa e dorate, punteggiate da cherubini alati. Tiene in mano un libro aperto con la scritta: EGO SUM LUX MUND(I) VIA VERITAS ET VITA. Immagine assai frequente nel Lazio, il Cristo benedicente era già stato dipinto da Siciolante in versione diversa (fig. 74) per la chiesa di San Nicola a Bassiano 3 • Nei due dipinti, i lineamenti sono


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pressoché identici, e somigliano molto a quelli della figura con turbante della Pietà di Cambridge (fig. 82) che, da quanto è possibile capire, è stata una tra i modelli preferiti dall'artista. La posa della figura seduta, e il modo di trattare le stoffe ricordano il San Giovanni Evangelista (fig. 76b) e il San Matteo (fig. 76c) della cappella Cesi in Santa Maria Maggiore. Le figure dei santi, appartenenti allo stesso tipo fisico del Sant'Andrea (fig. 66a) nella galleria Colonna, e dei Profeti (figg. 65g - 65j) di San Tommaso in Cenci, derivano da Marcantonio Raimondi 4 • L'esecuzione è naturale, meno artificiosa che nella tavola grande. Infatti, le tavole piccole ricordano più alcuni disegni di Siciolante che non i suoi quadri finiti, e forse questo vuol dire che fu lui stesso a finirli e non un aiuto. La parentela di stile che riscontriamo tra il Cristo benedicente, le figure dei santi, e altre opere del periodo 1560 circa, avvalorano la tesi di una possibile datazione nel 1565, come un tempo si poteva leggere nella tavola più grande 5 •

in

1 PETRINI, Memorie, p. 279. Una notizia precedente, ma più breve, si trova PANTANELLI, Notizie, I, p. 601. 2 Attività, p. 23. Vedi anche MARUCCHI, Guida archeologica, p. 155; BRUNO,

Girolamo, CXXXVI, pp. 44-45. 3 Basata su Giovanni 8, 12 e 14, 6. L'immagine del Cristo ha origine nell'acheropita del Sancta Sanctorum. Vedi anche VOLBACH, Il Cristo, XVII, pp. 115-116; GARDNER, The Stefaneschi AJtarpiece, XXXVII, pp. 72-73. 4 The Works o/ Marcantonio, pp. 93, 94, 95, 104, 163. 5 Sebbene non si conosca il committente del tabernacolo, forse il cardinale Federico Cesi, essendo vescovo di Palestrina, fu in qualche modo responsabile della scelta di Siciolante. Il cardinale aveva già impiegato due volte l'artista di Sermoneta: la prima per la volta della cappella Cesi (fig. 35a) a Santa Maria della Pace, la seconda per Io stemma di papa Giulio III da apporre sulla facciata di palazzo Cesi. Siciolante aveva anche eseguito alcuni dipinti per la cappella funeraria del cardinale in Santa Maria Maggiore. Vedi CECCONI, Storia, p. 328. Può darsi invece che sia stato un membro della famiglia Colonna a commissionare il tabernacolo.

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PALESTRINA (ROMA)

Cattedrale di Sant'Agapito; cappella di San Lorenzo Crocifissione con la V ergine, san Lorenzo e donatori della famiglia Colonna: Elena della Rovere e Giulio Cesare Colonna (Crocifissione Colonna), 1566-1568 circa (fig. 78). Olio su tavola, m. 4,50 X 2,10 La prima notizia pubblicata sulla Crocifissione risale a Pietrantonio Pettini nel 1795, il quale cosl scrive degli avvenimenti del 1590: Fra le Cappelle della Cattedrale vi è quella di S. Lorenzo destinata pc1 coro iemale, entro la quale avevano li Colonnesi il loro sepolcro. Venne perciò in mente al Principe Giulio Cesare Colonna di restaurarla, come in fatti nell'anno


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Catalogo delle opere

presente la restaurò, collocandovi un quadro dipinto in tavola, nel quale si vede il di lui ritratto, e quello di Elena sua Madre; opere probabilmente del Pittor Girolamo Scrmonetano l.

Ma non è lui il primo a parlarne: nel manoscritto della storia di Sermoneta, composta nel 1766 circa ma pubblicata soltanto nel 1911, Pietro Pantanelli dà notizie precise e dettagliate 2, e tutti e due si riferiscono alla Crocifissione, che sempre è rimasta nello stesso posto 3• Di recente, la Crocifissione Colonna è stata pulita e restaurata, ed è in condizioni molto migliori della Crocifissione di San Giacomo (fig. 62) 4; come questa ultima, anche la pala Colonna è un dipinto scuro. La Vergine indossa il tradizionale lungo abito rosso con manto azzurro, san Lorenzo ha una dalmatica color salmone, i due donatori portano indumenti scuri. Dietro le figure c'è un paesaggio vasto, e in distanza una città; sopra, un cielo strano, bruno rossiccio. Le forme ampie delle figure, in particolare la Vergine e san Lorenzo, ricordano quelle nella Crocifissione di San Giacomo, nel Martirio di Santa Caterina della cappella Cesi (fig. 76a) e nella pala di San Bartolomeo (fig. 83). Anche la tipologia dei volti è simile. I donatori sono le figure più naturali, ma nessuno ha la vivezza e la vivacità di Giorgio Morato nella pala di San Bartolomeo; sarebbe più esatto dire che somigliano al ritratto idealizzato di Francesco II Colonna (fig. 48). Datato 1561, non è da escludere che il ritratto sia stato determinante nella decisione di affidare a Siciolante l'esecuzione dell'opera. Da un punto di vista stilistico, la Crocifissione si situa nel periodo tra la Crocifissione di San Giacomo (1564-1565) e la pala di San Bartolomeo (1570). Sembrerebbe cosa giusta datare questa Crocifissione all'incirca tra gli anni 1566 e 1568, cioè dopo i lavori per fa

Sala Regia (1565) e della cappella Cesi in Santa Maria Maggiore (1566-1567 all'incirca). Il fatto che Francesco e Giulio Cesare fossero fratelli potrebbe spiegare la somiglianza impressionante riscontrabile nella Crocifissione e nel Ritratto (fig. 48). Oppure, si può fare l'ipotesi che fosse la stessa persona ad essere ritratta nei due dipinti. Dalla pubblicazione della ricerca di Petrini, nessuna voce si è levata contro il fatto che i donatori siano Elena della Rovere, vedova di Stefano Colonna, e Giulio Cesare Colonna, figlio di Elena e unico erede legittimo di Stefano 5 • E' vero che la identità dei due personaggi sembra molto plausibile, ma è anche importante ricordare che il nome di Giulio Cesare è comparso in quanto è stato lui a restaurare la cappella di San Lorenzo nel 1590, e a farvi sistemare il quadro. Non sappiamo di preciso quale dei Colonna abbia commissionato il dipinto, e non possiamo avere la certezza che sia Giulio Cesare il soggetto e ritratto nel dipinto 6 • 1 PE.TRINI,

Memorie, pp. 225-226. Protoc. di C.CSarc Monci in Arch. pub. Pracn. an. 1591. 2 PANTANELLI, Notizie, I, p. 601. 3 LITTA, Famiglie, 11, ~v. XIV (C:Olonna p~. 31-32; MARUCCHI, Guida archeologica, p.

Gzrolamo, CXXXVI, 1974, p. 45.

di Roma); MARUCCHI, Memorie, 155; Attività, pp. 23-24; BRUNO,


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4

Attività, pp. 23-24. Una vecchia fotografia fa vedere delle scrostature di colore dal torso del Cristo, dalla gamba sinistra e dal piede destro, e anche dalla parte superiore del dipinto. Il viso di San Lorenzo sembra raschiato. 5 Stefano Colonna, il famoso condottiero al servizio di Cosimo I de' Medici, aveva sposato Elena di Niccolo Franciotti. I Franciotti avevano preso il nome Della Rovere in seguito al matrimonio di Gianfrancesco Franciotti con Luchina della Rovere, sorella di papa Giulio Il. Dei figli di Stefano e Elena, Francesco fu condottiero come suo padre Giulio Cesare, da quel che si sa, restò a Palestrina. LITTA, Famiglie, II, tav. VIII (Colonna di Roma). 6 Verso la metà del 1560 alcuni membri della famiglia Colonna si dimostrarono generosi nei confronti di fondazioni benefiche di Palestrina. Nel 1567 Cornelia Baglioni, moglie di Francesco Colonna, finanziò la costruzione di chiesa e convento per i padri Cappuccini, appena giunti a Palestrina. Nel 1568 Elena della Rovere e Giulio Cesare Colonna fondarono il Monte di Pietà di Palestrina. PETRINI, Memorie, pp. 216, 217.

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PARMA

Pinacoteca Sacra Famiglia con l'arcangelo Michele, 1545 circa (fig. 19) Olio su tavola, m. 2,25 X 1,64 (n. 74)

Da quando nel 1920 Hermann Voss riconobbe nella Sacra Famiglia con l'Arcangelo Michele un'opera di Siciolante, questo quadro fu annoverato senza esitazione tra i lavori giovanili dell'artista 1, e cosl ha continuato ad essere per il suo stile e sulla base di evidenza documentaria fornita da una lettera dello stesso Siciolante a Bonifacio Caetani. Siciolante si trovava allora a Piacenza dove, su raccomandazione della famiglia Caetani, contava di trovare lavoro presso il loro parente Pier Luigi Farnese, duca di Parma e di Piacenza 2 • La lettera di Siciolante, compita e rispettosa come quando un vassallo si rivolge al suo signore, non riesce a nascondere una certa dose di irritazione per la mancanza di incarichi da parte del duca. Con la data 3 novembre 1545, la lettera riporta l'unica offerta del duca: Circa l'esser mio de qua sua eccellentia me ha mostrato bona ciera da l'altra banda fino adesso non ci vego d'aver a far lavori de molta importanza si come me fu detto et come me pensavo, si che se sapevo questo non partivo de Roma; se altre cose non sono da fare che queste, che vedo a primavera tornarò a Roma perché voglio veder de non perder il tempo perché se posso voglio andar innanzi no addietro. Al presente sua eccellentia me fa far un quadro a olio assai grande dove sarrà una madonna con cierte altre figure et cosi starò a veder questo inverno come vanno le cose cosi farro 3•

Dunque, secondo Siciolante, « un quadro a olio assai grande dove sarrà una madonna con cierte altre figure » era l'opera alla quale era intento. Anche Vasari accenna a una Sacra Famiglia dipinta da Siciolante per conto di Pier Luigi Farnese: « Al signore Pier Luigi Farnese, du-


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Catalogo delle opere

ca di Parma e Piacenza, il quale servl alcun tempo, fece molte opere, ed in particolare un quadro, che è in Piacenza, fatto per una cappella: dentro la quale è la Nostra Donna, san Giuseppe, san Michele, san Giovanni Batista ed un Angelo di palmi otto » 4 • Questa descrizione tanto precisa concorda con la Sacra Famiglia di Parma, ed è certamente a questo dipinto che allude Vasari, come pure è questo il dipinto - a meno che non venga provato il contrario sommariamente descritto da Siciolante nella lettera al duca Caetani. Se ancora permane qualche dubbio sulla identità del quadro, esso è dovuto alla storia incompleta del dipinto fino all'ingresso nella pinacoteca di Parma: sappiamo soltanto che la Sacra Famiglia fece parte della collezione Farnese a Colorno, nei pressi di Parma, prima di passare alla Pinacoteca ai tempi del duca Ferdinando Borbone 5 • Dove fosse prima è un rebus: secondo Vasari, il dipinto era stato fatto per una cappella, secondo Ferdinando Arisi e Armando Siboni c'era una cappella nell'appartamento di Pier Luigi Farnese nella Cittadella di Parma 6, ed è possibile che la Sacra Famiglia fosse stata commissionata a Siciolante proprio per questa destinazione, in quanto parte della decorazione degli alloggi ufficiali del Duca, né questa ipotesi viene smentita dalla storia successiva del quadro. Vedi il testo per ulteriori informazioni sulle qualità stilistiche del dipinto.

1

voss, Die Molerei, I, p. 104. Vedi La Galleria Nazionale, p. 22, n. 74.

Storia, IX, 5, pp. 563-564; 1A regia galleria, pp. 106-107; DAVIDSON, Some Early \Y/orks, XLVIII, p. 58; BRUNO, Girolamo, CXXX, p. 65; HUNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, pp. 25-26; PUGLIATTI, Girolamo, in Girolamo, IV, pp. 88-90. Prima di Voss, il quadro era ritenuto opera di Girolamo MazzolaBedoli. Vedi BODONI, Le più insigne pitture, tav. XLIII; Catalogo delle opere esposte, n. 74; CORRADO RICCI (in 1A R. Galleria, pp. 25-26, n. 74). 2 Vedi POGGIALI, Memorie, IX, pp. 136-216; AFFÒ, Vita, CURTI, La congiura, p. 20. J Vedi Documenti, III. 4 VASARI, Le vile, VII, p. 573. s La regia galleria, p. 107. 6 ARISI e SIBONI, Gli ambienti, pp. 31-35. Le pareti sud e nord della cappella hanno una finestra ciascuna. La luce proveniente da nord sarebbe più intensa e verrebbe da sinistra (come nel quadro di Siciolante) relativamente a un dipinto sistemato nella parete est che non ha ingombri. L'unica altra decorazione per Pier Luigi Farnese di cui si abbia notizia è il fregio dipinto nell'anticamera del salone delle udienze nella Cittadella, ibid., fig. 14. VENTURI,


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POZNAN

Muzeum Narodowe Pietà (Pietà dei SS. Apostoli), 1542-1544 circa (fig. 11) Olio su tavola, m. 2,33 X 1,64 Già a Roma, nella chiesa dei SS. Apostoli, cappella Muti-Papazzurri A Roma, il primo quadro di Siciolante è la Pietà, eseguito per la cappella Muti-Papazzurri della chiesa dei SS. Apostoli. Vasari dice che questa Pietà è immediatamente successiva al primo lavoro di Siciolante di cui si abbia conoscenza, cioè la pala di Valvisciolo, e immediatamente precedente alla decorazione della cappella Cesi in Santa Maria della Pace, intorno al 1549-1550, con ciò dicendo implicitamente che il dipinto fu eseguito negli anni 1540: « Dopo la quale tavola [pala di Valvisciolo], che molto fu lodata, fece nella chiesa di Santi Apostoli di Roma, in una tavola a olio, Christo morto, la Nostra Donna, San Giovanni e la Madalena, con altre figure condotte con diligenza » 1• Dal 1455 la famiglia Muti-Papazzurri aveva il patronato della prima cappella a destra dell'abside, e nel 1560 Girolamo Muti la dotò 2 • Una lunetta affrescata nella sala Sistina della Biblioteca Vaticana, che raffigura La proclamazione in SS. Apostoli di san Bonaventura dottore della Chiesa (fig. 13) indica l'esistenza di una Pietà sopra l'altare a destra dell'abside 3 • Nel 1638, Pompilio Totti descrivendo la chiesa dei SS. Apostoli fa una nuova attribuzione della Pietà: « Il Christo morto è pittura di Perin del Vaga» 4 • Quando nel 1642 Baglione scrisse la vita di Siciolante, conosceva certamente sia il commento di Tetti sia la precedente affermazione di Vasari> e cosl annotò: Nel tempio di SS. Apostoli alla man diretta della cappella maggiore evvi un suo quadro [di Siciolante] sopra un altare di un Christo morto, e stavvi la N. Donna con altre figure in tavola a olio dipinti; e tutti vogliono che sia disegno di Perino suo maestro; ben'egli è vero, che è assai ben fatto, e mostra la bella maniera del Vaga s.

L'osservazione di Baglione fu praticamente ripetuta in tutte le successive discussioni dell'opera 6 • Nel 1742, quando la chiesa dei SS. Apostoli assunse l'aspetto che ha oggi, la famiglia Muti-Papazzurri ebbe una nuova cappella, la prima a sinistra entrando 7 • Nell'edizione della guida di Roma di Filippo Titi del 1742 Giovanni Bottari descrive la Pietà in questa nuova collocazione 8 • All'inizio dell'Ottocento, i Muti-Papazzurri decisero di rimettere a nuovo la cappella e di disfarsi del quadro di Siciolante, e il 2 gennaio 1808 i Padri dei SS. Apostoli autorizzarono il marchese Girolamo a venderlo 9 • La famiglia diede a Francesco Manno l'incarico di progettare la cappella nuova e di creare un dipinto nuovo per l'altare. Naturalmente, per sostenere le spese cui andavano incontro, la vendita del quadro era essenziale, ma a Roma non si trovava un


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acquirente, e dunque Manno si mise a cercare un cliente straniero. Molte furono le difficoltà, soprattutto per l'opposizione papale. Il 18 febbraio 1818 Manno ottenne una dichiarazione dal consiglio dell'Accademia di San Luca che constatava lo scarso valore artistico della Pietà e acconsentiva all'esportazione 10, dichiarazione questa che convinse il governo pontificio a concedere il nulla osta per la vendita. Nel 1821 il conte Atanasio (Atanazy) Raczynski acquistò la Pietà dalla chiesa dei SS. Apostoli 11 , e successivamente il dipinto passò dalla sua collezione privata al Museo di Stato tedesco, poi al Museo Narodowe di Poznan, dove tuttora si trova 12 • Prima del 1824 una Pietà di Francesco Manno fu sistemata nella cappella Muti-Papazzurri, ed è ancora n 13 • Per la sua storia ininterrotta, sostengo in questa sede che il dipinto di Poznan proviene dalla chiesa dei SS. Apostoli, e che si tratta della stessa opera descritta da Vasari. Tuttavia, c'è qualche indizio che contraddice a questa conclusione, e tra gli studiosi c'è chi non accetta di riconoscere nella Pietà di Poznan il dipinto dei SS. Apostoli di Roma 14• Tre sono gli argomenti che giocano contro questo riconoscimento: il documento del 1808 che autorizzava la rimozione del dipinto dai SS. Apostoli, l'affresco nella Sala Sistina in Vaticano, e la descrizione della cappella di Bonaventura Malvasia nel 1665. Il documento del 1808 dà queste misure: 8 palmi per 6 palmi, all'incirca 1 metro e 70 per 1 metro e 64, dimensioni notevolmente inferiori ai 2 metri e 33 per 1 metro e 64 (all'incirca 10 palmi per 7 palmi) del dipinto di Poznan. Può darsi che le misure riferite nel documento del 1808 siano più approssimative che precise, come si vede anche dalla descrizione del dipinto, alquanto generica: « Il Quadro della Pietà alto palmi 8: e largo palmi 6 dipinto da Girolamo da Sermoneta sopra un disegno di Pierin del Vaga». Mentre la differenza nelle misure solleva una obiezione valida, la discrepanza nelle dimensioni non è una smentita al fatto che il dipinto di Poznan provenga dalla chiesa dei SS. Apostoli. L'affresco in Vaticano (fig. 13) pone più problemi. Si è ritenuto che offrisse una immagine precisa e veritiera dell'interno dei SS. Apostoli 15 • Tra gli elementi decorativi ancora ravvisabili, la rappresentazione dell'affresco di Melazzo da Forll nell'abside concorda con i frammenti superstiti conservati nella pinacoteca vaticana e nel palazzo del Quirinale 16 • Ma in questo affresco la Pietà Muti-Papazzurri non somiglia alla Pietà di Poznan. A questo punto si potrebbe ipotizzare che l'affresco del Vaticano raffiguri un altro dipinto di Siciolante; ma l'unica altra sua Pietà (fig. 82) si trova nella cappella del King's College a Cambridge, in Inghilterra. Fu acquistata in Italia nel XVIII secolo. Tuttavia, questo dipinto è un'opera della maturità, e la composizione generale del quadro non è identica all'affresco in Vaticano. Forse esisteva un'altra Pietà ancora, a noi sconosciuta. Ellis K. Waterhouse avanza questa ipotesi: nel Settecento, durante la ristrutturazione dei SS. Apostoli, il quadro riprodotto nell'affresco in Vaticano fu forse sostituito con un altro quadro sempre di Siciolante, poi venduto al conte Raczynski 17 ; ma si tratta di un fatto improbabile, come poco convincente è la supposizione che


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esistessero due Pietà giovanili di Siciolante, facilmente intercambiabili. Probabilmente, la Pietà nell'affresco in Vaticano si basava non sul dipinto di Siciolante per i SS. Apostoli bensl su un'opera di Marcello Venusti da un disegno di Michelangelo conosciuta e spesso copiata 18• La figura del Cristo a gambe piegate è sorretta da due angeli posti di fronte alla Vergine, che alza le braccia in atto di supplica. Questo gruppo, riunito davanti alla Croce, potrebbe essere stato usato nell'affresco per la sua evidenza iconografica: dopotutto, la Pietà è soltanto un particolare secondario e molto piccolo. Non c'è motivo perché l'autore riproducesse fedelmente il quadro di Siciolante, invece forse c'è una ragione per indicare genericamente l'argomento trattato nella cappella Muti-Papazzurri; inoltre, data l'urgenza di ultimare il lavoro nella Sala Sistina, è improbabile che un particolare tanto piccolo potesse fornire notizie di grande precisione. Per tutte queste ragioni la Pietà nell'affresco in Vaticano dovrebbe essere guardata con un certo scetticismo, se in essa si vuole vedere la prova dell'esistenza del dipinto di Siciolante. E poi c'è la descrizione del quadro fatta da Malvasia nel 1655: L'undecima è la Cappella intitolata la Pietà essendovi dipinto l'Imagine del nostro Redentore Morto levato dalla Croce, e posto nel seno dell'afflitta sua Madre, con l'Imagini dell'Evangelista s. Giovanni, e santa Maria Maddalena ai piedi della Croce piangente. Questa pittura è stimata bellissima, e è delle più conspicuc che sino in questo Basilica. La Cappella è lavorata tutta di finissimi marmi, è circondata intorno con ballaustrata di marmi bianchi. Sopra la Cappella vi è l'Arma pur di Marmo della nobile famiglia de signori Muti Papazurri, come Iuspatronato di questa Cappella 19•

Malvasia afferma che il corpo del Cristo è appoggiato sul seno della madre, e che san Giovanni Evangelista e Maria Maddalena piangente sono ai piedi della Croce. Questo brano non è una descrizione esatta né della Pietà di Poznan né di quella nell'affresco in Vaticano. Nella Pietà dei SS. Apostoli, Cristo è tenuto in grembo da Maria Maddalena, san Giovanni è ai piedi della Croce. Forse Malvasia scambiò la Maddalena per la Vergine e allora, con questa inversione di personaggi descriverebbe la Pietà ai SS. Apostoli. Tuttavia, la cosa importante e indiscutibile è che l'informazione fornita dalla descrizione di Malvasia, dall'affresco in Vaticano, dal documento del 1808 contesta validamente l'identificazione della Pietà di Poznan con il dipinto dei SS. Apostoli. D'altra parte, la Pietà di Poznan proviene senza alcun dubbio dai SS. Apostoli; stilisticamente è un'opera giovanile di Siciolante, databile intorno al 1542-1544 20 • Per maggiori informazioni sullo stile del dipinto, vedi il testo. Le vite, VII, p. 571. i.A basilica, p. 93; MALVASIA, Compendio, p. 54. Per la famiglia Muti-Papazzurri vedi AMAYDEN, i.A storia, II, pp. 128-130. 1 VASARI,

2 zoccA,

J HESS, Kunstgeschichtliche Studien, I, pp. 163-167. Gli affreschi sono opera di numerosi artisti, sotto la direzione di Cesare Nebbia e Giovanni Guerra. Il particolare della cappella è riprodotto in FIORANI, Lettere, in Girolamo, tav. 4. 4 TOTTI, Ritratto, p. 286. Non conosciamo la fonte dell'osservazione di Totti, che contraddice quanto scrive Vasari nelle vite di Siciolante e di Perino de] Vaga.


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s BAGLIONE, Le vile, p. 23. 6 Vedi Roma, p. 122; TITI, CELIO, Memoria, p. 13.

-.

.

Studio, p. 346;

MOLA, Breve racconto, p. 100; . . . _ . 7 Nell'opera di ricostruzione, probabilmente andarono perse alcune 1scriz1om che facevano parte della vecchia cappella. Vedi FORCELLA, Iscrizioni, II, pp. 224, n . 650; 278, n. 853; 293, n. 902. _ . a TITI, Descrizione, p. 316; ROISECCO, Roma, II, p. 263; VASI, Itmerarto, p. 199 e p. 3.58. BLANC, Histoire, X, pp . .31-32; BONELLI, Memorie, p . .33; BU• CHOWIECKI, Ha,1dbuch, I, pp. 648, 66.5. Erroneamente, quest'ultimo suggerisce che la Crocifissione di Santa Maria in Monserrato (fig. 62), proveniente da San Giacomo degli Spagnoli, sia il quadro dei SS. Apostoli. 9 Vedi Documenti, XXXIV. Ringrazio padre Isidoro Liberale Gatti per l'aiuto che mi ha dato nel ricercare e nel trascrivere questo documento. 10 Vedi Documenti, XXXV. Ringrazio Elisabeth Kieven per avere attirato la mia attenzione su questo documento. La storia dei problemi e, sarebbe opportuno aggiungere, dei sotterfugi riguardo la vendita della Pietà di Siciolante, si può ricostruire da una serie di lettere pubblicate nello stesso volume. Dapprima, Francesco Manno aveva deciso che la Pietà era un capolavoro, e in quanto tale doveva essere acquistato dai Musei vaticani (dicembre 1817), ma il Vaticano rifiutò. Allora fu fatta richiesta di autorizzazione ad esportare il quadro. Il Camerlengo, cardinal Pacca, si dichiarò d'accordo ma volle conoscere il parere dell'Accademia di San Luca, la quale giudicò Siciolante un artista di terz'ordine e la sua Pietà un quadro di nessun valore. Questa lettera venne firmata da Antonio Canova (18 febbraio 1818). La comunità artistica romana si oppose strenuamente alla decisione che stava per essere presa: gli studiosi delle Belle Arti fecero un appello perché il quadro rimanesse a Roma, nei musei vaticani. Questa lettera dell'agosto 1818 indirizzata al Camerlengo fu firmata da Giovan Battista Wicar, Andrea Pozzi, Luigi Agricola, Juan de Ribera, Gregorio Fidanza, Massimiliano Laboreur, Michele Kech, Wenceslao Peter, Litterio Ricciardelli. 11 Verzeichniss, pp. 31-32; Galeria, n. 122. 12 Amtlicher Fiihrer, 1911, p. 76, n. 145; NAGLER, Neues allgemeines Kiinstler-Lexicon, XVIII, 1911, p. 368; voss, Die Malerei, I, 1920, p. 108; GUMOW· SKI, Muzeum, 1924, p. 9, n. 16; GUMOWSKI, Galeria, VI, 1931, pp. 50-52; VENTURI, Storia, IX, 5 , 1932, p . .5.55; ZERI, Intorno, XXXVI, 1951, pp. 141-142; Europiiische Malerei, 19.56, pp. 389-490; DAVIDSON, Some Early \Vorks, XLVIII, 1966, pp. 56-58; BRUNO, Girolamo, CXXX, 1973, p. 59, e CXXXVI, 1974, p. 39; HUNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, p. 23; PUGLIATTI, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, pp. 8487. Ringrazio il dr. Konstanty Kalinowski per avermi fatto avere i due articoli di Marian Gumowski e il dr. Eduard Safarik che li ha tradotti dal polacco. Ringrazio il dr. Kalinowski anche perché mi ha fornito nuove fotografie della Pietà di Poznan, che mi sono state di grande utilità. Si dice che Francesco Manno abbia dipinto sopra la Pietà dei SS. Apostoli e che Pietro Palmaroli abbia eseguito il restauro. La testa di Maria Maddalena e la veste di san Giovanni soffrirono di questi restauri. Verzeichniss, p. 32; Ga/eria, o. 122. 13 VASI, Itinerario, p. 297; MELCHIORRI, Guida, p. 235. 14 Vedi zoccA, I.A basilica, p. 93, n. 24; BRUNO, Girolamo, CXXX, p . .59; FIORANI, Lettere, in Girolamo, IV, pp. 121-125. Zocca indica una nuova misura (8 palmi X 9) del dipinto dei SS. Apostoli, ma è errato. Bruno ripete questa misura. 15 KRAUTHEIMER, Corpus, I, pp. 77-78. 16 Altri dipinti, tra i quali San Francesco riceve le stigmate, San Pietro Martire, L'Adorazione dei Magi, la Natività di Cristo non sono state identificate con le o~ere_ esistenti. Baglione (Le vite, p. 126) riconosce nella Natività un quadro d1 Niccolò da Pesaro e (ibid., p. 122) nd San Francesco un'opera di Federico Zuccari. Quest'ultimo è descritto come una piccola opera in sacristia. Vedi anche D'ONOFRIO, Roma, p. 23. 17 WATERHOUSE, Some Frescoes, CXII, p. 107, n. 19. 11 L'opera di Venusti è alla Galleria Nazionale d'Arte Antica Palazzo Barberini, Roma. Vedi DE TOLNAY, Michelangelo, V, pp. 194-19.5; HAR;T. The Draw-


t.

Dipinti autentici

1.31

ings, p. 323. C'è un arazzo che rappresenta la Pietà della bottega di P. Lcfebvre, datato 1655, alla Galleria degli Arazzi di Firenze che porta questa scritta: « Michcl ANG inven ». Questa opera è una variazione del progetto di Marcello Venusti. Dato che questa composizione deriva da Michelangelo e assomiglia illa Pietà nell'affresco in Vaticano, non può avere a che fare con la Pietà di Siciolante in SS. Apostoli. Baglione afferma che il quadro di Siciolante si basava su un abbozzo di Perino, e dunque non sarebbe stato possibile scambiarlo per una composizione derivata da Michelangelo. Vedi GOBEL, Wandteppiche, II, 2, fig. 412. 19 MALVASIA, Compendio, pp. 45-46. 20 A proposito della datazione, ZERI dà il 1544-1545 circa (Intorno, XXXVI, p. 141); DAVIDSON propone 1543-1545 (Some Early Works, XLVIII, p. 56); BRUNO suggerisce gli anni '50 (Girolamo, CXXX, p. 59, n. 10, e CXXXVI, p. 36); PUGLIATTI precisa il 155.3-1554 (Due mome11ti, IV, p. 16) e poi, cambiando idea, gli anni '40 (Girolamo, in Girolamo, IV, pp. 84-87). L'artista della Pietà della SS. Trinità di Viterbo mutuò la figura del Cristo dalla Pietà dei SS. Apostoli Vedi Quadri, pp. 51, 5.3 (fig. 9).

13.

ROMA

Castel Sant'Angelo; loggia cli Paolo III Scene dell'antichità romana, 1544 (figg. 14, 15a - 15d) Affresco Paolo III aveva piena coscienza del fatto che Castel Sant'Angelo era stato il rifugio del suo predecessore durante il sacco cli Roma, nel 1527: Clemente VII aveva avuto salva la vita perché in gran fretta si era ritirato dentro Castel Sant'Angelo poco prima del devastante attacco delle truppe cli Carlo V contro Roma. Paolo III, preoccupato del benessere e della sicurezza propri e della corte pontificia, ordinò una serie cli modifiche e cli aggiunte a questo bastione vicino al Vaticano. Come risultato delle migliorie, Castel Sant'Angelo assunse pressappoco l'aspetto che ha oggi, e simbolicamente e concretamente diventò il baluardo del papato. A Paolo III stava a cuore l'antica struttura della tomba dell'imperatore Adriano che era, letteralmente, il basamento su cui poggiava Castel Sant'Angelo; come altri edifici classici dell'antica Roma, anche questo avanzo cli edificio vetusto doveva esaltare, accreditare e qualificare la storia culturale della Chiesa. Al pari dei suoi più immediati predecessori, Paolo III interpretava il papato come erede moderno dell'antico impero romano, e in questa ottica Castel Sant'Angelo assunse una funzione cli sintesi celebrativa tra il passato pagano e il presente cristiano. Per tutte queste ragioni, la decorazione cli Castel Sant'Angelo diventò un'occasione per esaltare il risveglio dell'antichità romana 1• La trasformazione definitiva di Castel Sant'Angelo avvenne tra il 1542 e il 1548 2, e fu uno tra i tanti lavori di quegli anni, tra i quali la Sala Regia in Vaticano e l'ampliamento del palazzo dei Conservatori. Direttori dei lavori cli Castel Sant'Angelo fu Tiberio Crispo, imparentato con la famiglia Farnese e fatto cardinale da Paolo III il


132

Catalogo delle opere

19 dicembre 1544 3• Gli architetti, Raffaello da Montelupo e Antonio da Sangallo 4 crearono i nuovi appartamenti papali nella parte alta dell'edificio, consistenti in due blocchi, uno che guarda il Tevere, l'altro volto verso i 'prati', e in quest'ultimo fu costruita una loggia per bilanciare quella preesistente fatta per Giulio Il. La volta di questa nuova loggia venne affidata a Siciolante perché la affrescasse. La loggia è una sezione lunga, stretta e curvilinea del corridoio che circonda 1a parte esterna del tetto del Castello (fig. 14). In effetti, la loggia consente al corridoio di passare al di sotto dei piani superiori, dove si trovano gli appartamenti papali, e consiste di tre sezioni: una centrale, con una volta modificata a nervature, e due laterali più basse e più corte, con semplici volte a botte. Nella parte centrale, lungo il muro, ci sono tre lunette, ognuna delle quali è di fronte a un'apertura ad arco che consente la vista verso nord, in direzione di Monte Mario. Un'apertura rettangolare in ognuna delle sezioni laterali offre lo stesso panorama. Lo spazio interno della volta è suddiviso in compartimenti da cornici di stucco che creano rettangoli, cerchi, triangoli, ricchi e variati, a loro volta coperti di affreschi con paesaggi, figure e grotteschi, che hanno sofferto assai per essere stati a contatto con l'esterno (fig. 15a). Nella vita di Ferino del Vaga, Vasari è il primo a dare notizia del lavoro di Siciolante: « E cosi [ cardinal Tiberio Crispo] fece dipinger detta loggia a Girolamo Sermoneta, che quella che volta verso i prati» 5 • I pagamenti versati a Siciolante sono la prova che fu lui ad eseguire gli affreschi: dal 29 giugno 1544 al 22 agosto dello stesso anno, ricevette un totale di 36 scudi suddivisi in cinque rate 6• Il lavoro deve avere avuto inizio antecedentemente al primo pagamento e certamente dopo l'avvenuta sistemazione nella loggia della tnrga datata 1543, che celebra la munificenza di Paolo III e il periodo di prefettura apostolica del cardinale-castellano Tiberio Crispo 7 • Gli affreschi vennero terminati nel 1544, furono restaurati nel 1548 da Pier Antonio Spanzotti da Casale 8, e oggi appaiono molto rovinati 9• Né Vasari né il registro dei pagamenti vaticano danno notizia del fatto che Siciolante avesse progettato o eseguito anche gli stucchi; forse fu Raffaello da Montelupo ad ultimare questo lavoro 10 • Vasari e il registro contabile attestano che Siciolante cominciò gli affreschi della loggia, proprio quando Luzio Romano cominciò la decorazione di tre sale - Biblioteca, Adrianeo, e Festoni - tutte nell'ala nord degli appartamenti, in direzione 'prati', e tutta questa parte dei lavori era già in atto prima che Ferino desse il via ai lavori nell'ala sud, quella che guarda il Tevere 11 • In una impresa cosi vasta, la divisione del lavoro tra tanti maestri artigiani comportava naturalmente una efficiente opera di coord.iname_nto. Siciolant~, il più giovane tra i maestri artigiani, lavorava probabilmente alle dipendenze di Luzio, se non addirittura di Peri12 no • I consiglieri del pontefice avevano potere decisionale sulla scelta degli argomenti, ma concetti più generici quali il programma organiz7ativo, la distr~buzione ~i paesaggi, di gruppi di figure, di grotteschi, erano materia da decidere nel corso di consultazioni tra i vari


I. Dipinti autentici

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maestri. Il compito di Siciolante fu di eseguire composizioni in linea con le direttive generali. Tra le opere meglio conservate nella loggia sono i suoi due paesaggi nelle lunette accanto alla targa commemorativa. La superficie è alterata, i colori sono sbiaditi, ma la composizione d'insieme e i particolari dell'architettura rendono abbastanza bene l'idea originale. La lunetta di sinistra presenta due figure in primo piano e più dietro due edifici: un tempio, o tomba, a due piani, con un alto solaio e un tetto a forma di piramide (fig. 15b) 13, e una specie di colonnato semicircolare, cui si accede da una piattaforma a gradoni. All'interno di questo edificio, alcune figure fanno cerchio intorno a un ufficiale con l'elmo, seduto sotto un baldacchino. La lunetta di destra mostra una figura gesticolante in primo piano (fig. 15c), e dietro un tempio circolare con cupola e colonne su una piattaforma a gradoni e figure scolpite nelle nicchie 14• Un ponte sul fiume porta al tempio. Questo tipo di paesaggio con edifici classici è ricorrente anche nella decorazione di Luzio Romano per la sala della Biblioteca a Castel Sant'Angelo, e per le sale delle Aquile e delle Oche nel palazzo dei Conservatori 15 • I fantasiosi edifici nei paesaggi di Siciolante sono elementi normali della decorazione ai tempi di Paolo III, e si trovano di frequente in alcune opere giovanili di Siciolante, ad esempio nella pala di Valvisciolo (fig. 1) e nella Pietà dei SS. Apostoli (fig. 11). L'affresco meglio conservato, che ha una figura, è il pennacchio a destra della targa commemorativa (fig. 15d). Una figura maschile, in costume antico, con manto svolazzante e corona d'alloro getta nel fuoco dei fogli di carta. Eraldo Gaudioso suggerisèe che si tratti dell'imperatore Adriano, ma riconosce che il dipinto è troppo frammentario per rivelare l'argomento trattato 16 • Se la figura è realmente di mano di Siciolante - non si può esserne sicuri a causa dei restauri eseguiti in epoca più tarda - allora si possono trarre due conclusioni: la prima, che in questi affreschi Siciolante ha trattato la figura in modo più particolare e disinvolto di quanto non ha fatto in opere giovanili, quali ad esempio la pala di Valvisciolo e la Pietà dei SS. Apostoli; la seconda, che ha adottato un genere di figura derivato da Ferino, simile a quello che riscontriamo nella Sala della Biblioteca del Castello e nella sala del Trono del palazzo dei Conservatori 17 • I grotteschi dela loggia richiedono un discorso a parte: poiché questo genere di decorazione ricorre frequentemente nella attività di Siciolante, possiamo arguire o che sia stato lui stesso ad eseguirli, oppure che abbia fatto ricorso all'opera di uno specialista. Se è stato lui stesso a dipingerli, vuol dire che disponeva di un fluido stile pittorico e di un modello di figura vigorosa, che riservava ai particolari visti in lontananza, e ai dipinti di misura piccola 18, oltre che alle grottesche. Nel testo si danno altre notizie. 1

Gli studi più importanti e più recenti su Castd Sant'Angelo sono di D'ONOSant'Angelo e Borgo, 1978, pp. 276-284, nuova edizione di Castel Sant'Angelo, 1971; GAUDIOSO, I lavori /arnesiani, LXI, pp. 21-42, 228-262; Gli affreschi, I, pp. 33-34, Il, pp. 11-12, FRIO, · Castel


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Catalogo delle opere

I l11vori /arnesiani, LXI, pp. 21-42. Vitae, III, 1677, coll. 706-707. Si dice che Tiberio Crispo fosse il fratello naturale di Costanza Farnesc. Vedi anche MORONI, Dizionario, XVIII, p. 194. Crispo fu castellano fino all'aprile del 1546, quando fu sostituito da Mario Ruffini. Vedi PAGUUCCHI, I castellani, I, parte 2, pp. 108-114. Pagliucchi confonde il lavoro di Siciolante con quello di Luzio. Vedi D'ONOFRIO, Castel Sant'A11ge/o, 1978, p. 278. Uno dei pannelli circolari della loggia ha un affresco di una donna con unicorno, che è un emblema della famiglia Farnese trovato nella decorazione di Castel Sant'Angelo. Era anche l'emblema del cardinal Crispo. Vedi CHACON, Vitae, III, col. 706. 4 Raffaello da Montelupo compare nei documenti, Antonio da Sangallo no. E' stato difficile accertare la partecipazione di Sangallo. s VASARI, Le vite, V, p . 628. 6 Vedi Documenti, Il. 7 Ecco l'iscrizione sulla targa: PAVLVS III PONT. MAX. CVM MVLTA AD FIR2 GAUDIOSO,

l CHACON,

MITATEM AMPLISS. HVIVS ARCIS ADDIDISSET HVNC ETIAM LOCVM ANIMI CAVSA EXTRVENDVM ORNANDVQ. MANDAVIT M. D. XXXXIII TIBERIO CRISPO PRAEFECTO. FORCELLA, Iscrizioni, XIII, p. 144. Simone Mosca incise lo stemma di Paolo III

nella volta.

Le vite, VI, p. 307. I lavori /arnesia11i, LXI, pp. 29, n. 47, 232. Vedi BERTOLOTTI, Artisti subalpini, pp. 77-80. 9 Vedi BAGLIONE, Le vite, 1642, p. 23; CECCONI, Roma, 1725, p . 326; Roma, 1741, p . 249; VASI, Indice istorico, 1765, p. 318; VENUTI, Accurata e succinta descrizione, II, 1767, p. 1080; VASI, Itinerario, 1777, p. 457; MORONI, Dizionario, X, 1841, p. 193; PISTOLESI, Descrizione, 1841, p. 557; RODOCANACHI, Le Chateau Saint-A11ges, 1909, p. 234; Guida generale, 1911, p. 167; LABO, Vita, 1912, p. 111; BORGATTI, Castel Sant'Angelo, 1931, p . 336; VENTURI, Storia, IX, 5, 1932, p. 548; PECCHIAI, Roma, 1948, p. 489; D'ONOFRIO, Roma, 1969, p. 227; DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p. 56; Peri110 del Vaga, 1970, p . 21; BRUNO, Girolamo, CXXX, 1973, pp. 58, 65; DACOS, Perino, LXVII, 1982, p. 143; HUNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, pp. 23-24; PUGLIATTI, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, pp. 87-88; LUGLI, Gli a/freschi, XXXVIII, 1983, p. 83. 10 VASARI, Le vile, V, p. 628, dice che Raffaello da Montelupo fece gli stucchi per una loggia. Anche Luzio Romano fece degli stucchi per una loggia, ma il suo lavoro era « per il vestibolo della biblioteca •· GAUDIOSO, I lavori /arnesiani, LXI, pp. 232, n. 38, e 237-238. 11 Ibid., p. 27. D'ONOFRIO, Castel Sant'Angelo e Borgo, p. 281, n. 52, suggerisce che la divisione del lavoro tra Luzio Romano e Perino del Vaga possa essere risultato dal cambiamento di castellano, avvenuto nel 1545. Vedi anche PARMA ARMANI, Perin del Vaga, pp. 209-236, 287-300. 12 GAUDIOSO (I lavori farnesiani, LXI, p. 28) presenta una ipotesi assai suggestiva circa la divisione e la coordinazione del lavoro: « Dai documenti contabili emergono come direttori dei lavori nei vari settori dell'appartamento papale i nomi di quattro pittori di capacità ovviamente diversa; quelli del Siciolante, di Luzio Romano, di Perin del Vaga e di Domenico Zaga. Ciascuno di essi risulta aver operato autonomamente, in tempi quasi sempre successivi cd in ambienti nettamente distinti e non vi è ragione di pensare che gli interventi del Siciolante, di Luzio e di Domenico Zaga, pur soggetti all'influenza di Ferino che rimane la personalità dominante e la figura chiave di tutte le decorazioni farnesiane, possono ridursi (come pure è stato detto) a pure trascrizioni 'meccaniche' di progetti perincschi •· Vedi anche BRUNO, Perino del Vaga, CXXIII, 1972, pp. 37-57; CXXIV, 1972, pp. 57-72. l3 L'iscrizione su questo edificio è: OSSA VII.I. MAGNI. TEN / VI QUAM. EAUSA, SEPULCRO / D. M . Ringrazio Philip Jacks per i suoi suggerimenti. Il professor Jacks, che conosce tutti gli studi fatti nel Cinquecento sugli antichi edifici romani, non ha trovato prototipi delle costruzioni negli affreschi della loggia. 14 GAUDIOSO, I lavori farnesiani, LXI, p. 29 dice che questa costruzione potr~b~ essere ~ J:?ausol~ di Adri~o, e gli altri edifici potrebbero essere anch essi progetu di Adriano. Tuttavia, nella sala dell'Adrianeo c'è una veduta della tomba di Adriano come immaginavano che fosse gli artisti del Cinquecento. VASARI,

I GAUDIOSO,

J


I. Dipinti autentici

13~

15 PIETRANGELI, Un piccolo ambiente, XXXIX, 1964, pp. 620-62.5; PIETRAN· GELI, Gli ambienti, XLI, 1966, pp. 90-9.5; PIETRANGELI, Luzio Luzi, XXI, 4,

1973, pp . .506-.508. 16 GAUDIOSO, I lavori 17 Chiamata anche la

/arnesiani, LXI, 1976, p. 29.

Sala degli Arazzi. PIETRANGELI, Nel palazzo dei Conservatori, XXXVII, pp. 868-876. Perino usò questo genere di figura per la sala degli Eroi a palazzo Doria a Genova. DAVIDSON, Drawings, XLI, pp. 315-326. Vedi anche i bozzetti di Pcrino per le uniformi dei soldati. PARMA ARMANI, Peri,, del Vaga, p. 203, figg. 244-245. 18 Il problema del coinvolgimento di Siciolantc nel lavoro delle grottesche ~ più complicato di quanto abbiamo detto. L'artista avrebbe potuto preparare cd eseguire i propri bozzetti; potrebbe avere eseguito bozzetti preparati da altri; oppure qualcun altro potrebbe aver eseguito i bozzetti preparati da lui. Gaudioso fa un'osservazione pertinente e utile: dai pagamenti ricevuti, non risulta che Siciolante avesse degli aiuti. GAUDIOSO, I lavori /arnesiani, LXI, p. 28.

14.

ROMA

Castel Sant'Angelo; cappella Crocifissione con la Vergine e san Giovanni Evangelista, 1573 circa (fig. 90) Olio su tela, m. 1,83 X 1,22 (n. 351) Già a Roma, Galleria Borghese Nel 1928 Roberto Longhi riconobbe nella Crocifissione con la Vergine e san Giovanni Evangelista un'opera di Siciolante, che apparteneva alla Galleria Borghese ma si trovava nella cappella di Castel Sant'Angelo 1• Il dipinto non è menzionato prima del suo ingresso, nel 1619, nella collezione del cardinale Scipione Borghese; perciò le sue origini non sono note 2• Questo dipinto è una variante della Crocifissione Massimo (fig. 89), datata 1573, di San Giovanni in Laterano. Non ci sono né Maria Maddalena né i putti, il paesaggio ha più edifici, e le forme naturali sono alquanto diverse dal dipinto Massimo. Sebbene le figure siano in proporzione più piccole di quelle del quadro a San Giovanni, la descrizione dei particolari dei volti, dei corpi, dei panneggi delle stoffe è esattamente la stessa. Invece, la Crocifissione (fig. 116) di San Carlo ai Catinari ripete la composizione del quadro di San Giovanni in Laterano, ma è privo dei caratteri somatici tipici di Siciolante. A differenza del dipinto di San Carlo, la Crocifissione di Castel Sant' Angelo non è una copia, come un tempo ritenevo: è piuttosto, come suggerisce Paola della Pergola, la base della composizione Massimo. Siciolante ha aggiunto Maria Maddalena e i putti, e ha modificato il paesaggio per il dipinto di San Giovanni in Laterano. Forse il quadro di Castel Sant'Angelo è stato il modello della Crocifissione Massimo. 1 LONGHI,

pp. 137-138.

R. Galleria Borghese, I, 1928, p. 212i Galleria Bor~hese, II, 1959,


136

Catalogo delle opere

2 Paola della Pergola (ibid., p. 220) dice che Paolo V fece una donazione di quadri al Cardinal Borghese in data 26 gennaio 1619. La donazione non include l'elenco dei quadri.

15. ROMA

Galleria Borghese Affreschi staccati, tra i quali: Nozze di Alessandro e di Rossana m. 0,85 X 2,00 (n. 303) O1/erta a Vertumno e Pomo11a m. 0,85 X 2,00 (n. 300) Arcieri m. 0,85 X 2,00 (n. 294) Già a Roma, casino O1giati-Bevilacqua 1544-1545 circa (figg. 16a - 16c)

-

Nel 1966 Bernice Davidson ritenne che i due affreschi alla Galleria Borghese, Le nozze di Alessandro e di Rossana e L'offerta a Vertumno e Pomona fossero opere di Sicio1ante, e fece una datazione approssimativa intorno agli anni 1550 1• Ritenne anche che Gli arcieri, in qualche modo imparentato alle opere suddette, fosse di altro artista. Le attribuzioni della Davidson sono molto utili per tentar di districare i molti e fitti misteri attinenti non solo a questi dipinti ma a tutto l'itinerario artistico di Siciolante. Sebbene non si sia riusciti a rintracciare nessuna committenza precisa, possiamo dire con sicurezza che questi affreschi fanno parte del gruppo di opere giovanili di Siciolante. Nel tardo Settecento, il casino Olgiati, nei pressi di Porta Pinciana, era oggetto di grande curiosità perché, si diceva, era appartenuto a Raffaello, il quale ne avrebbe progettato la decorazione interna. Non essendo un edificio pubblico, il casino Olgiati rimase inaccessibile ai visitatori occasionali, i quali ne conobbero l'aspetto interno ed esterno solo attraverso riproduzioni e stampe 2• Sono queste stampe, e non una conoscenza diretta, ad aver ispirato le descrizioni più tarde del casino Olgiati, tra le quali citiamo questa di Mariano Vasi, del 1791. Fuori di detta porta si trova nello stradone a sinistra la villa del Cardinale Giuseppe Doria, che ultimamente à comprato dalla Casa Olgiati; e che ora fa tutta risarcire cd abbellire di viale, di fontane, di peschiere, e d'altri deliziosi ornamenti, disposti secondo il gusto de' giardini di Francia. E' degno d'esser veduto il casino di questa villa, la quale si dice, che apparteneva a Raffaello d'Urbino; cd infatti vi sono diverse pitture della sua scuola, fra le quali nella volta della seconda stanza del primo piano due quadretti di sua propria mano; in uno


I. Dipinti autentici

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dei quali sono rappresentate le Nozze di Alessandro; e nell'altro un gruppo di Genj, che vibrano saette ad un bersaglio. Della sua scuola sono parimenti i ritratti di Donne nel piano superiore, che si giudicano una serie di sue amiche 3.

Naturalmente, essendo collegato al nome di Raffaello, il casino 01giati e i suoi affreschi attrassero l'attenzione degli studiosi del primo Ottocento: Karl Foster nel 1827 e Johann David Passavant nel 1839 fecero le prime descrizioni particolareggiate della camera che aveva affascinato Vasi (fig. 18) 4 • Questa camera era coperta da una bassa volta a botte; il muro compreso tra il basamento e una alta fascia che correva lungo tutta la parete fino alla volta, era suddiviso in riquadri incorniciati da erme femminili e da rettangoli. Dentro i pannelli c'erano le grottesche. Su una parete erano raffigurati Diana di Efeso, e Minerva. Sopra la fascia, alcune grottesche ornavano due lunette. Ogni lunetta conteneva due medaglioni con ritratti femminili e un dipinto oblungo, uno dei quali rappresentava Gli arcieri (fig. 16c) su disegno di Michelangelo, l'altro Le nozze di AJ.essandro e Rossana (fig. 16a) su disegno di Raffaello; al centro della volta un dipinto rettangolare generalmente noto come L'offerta a Vertumno e Pomona (fig. 16b). Secondo Forster, Raffaello aveva dipinto le due lunette, secondo Passavant era stato Perino ad ultimarle, e un allievo di Raffaello aveva eseguito il dipinto della volta. Nel 1831, ossia nel corso degli anni in cui i due studiosi venivano esponendo le loro conclusioni, Camilla Borghese comprò il casino Olgiati per allargare ancora i giardini già abbastanza grandi che circondavano la villa Borghese 5• Domandò l'autorizzazione del camerlengato pontificio di staccare questi tre dipinti mitologici, date le pessime condizioni in cui si trovavano. Il permesso venne accordato, e gli affreschi furono strappati dai muri nel 1836, e andarono a far parte della collezione Borghese nell'omonimo palazzo romano. Nel 1849, durante una delle campagne risorgimentali, quando i francesi attaccarono Roma, il casino Olgiati fu raso al suolo dalle cannonate. Sopravvissero solo i tre affreschi staccati, che sono oggi alla Galleria Borghese 6 • Certamente, sono tutti e tre di Siciolante. Sebbene la Davidson noti una qualche diversità nell'esecuzione degli Arcieri e degli altri due affreschi, essa sembra dovuta più alle fonti cui si ispirano che agli autori. I bambini somigliano a quelli della Sacra Famiglia di Parma (fig. 9) e della pala di San Martino (fig. 20). Nei due affreschi, su disegni di Raffaello e di Michelangelo, ogni scena è ambientata in un paesaggio verde pallido punteggiato da qualche ciuffo di vegetazione 7 • Sebbene Siciolante si sia limitato a copiare gli originali, pure riesce ad esprimere ugualmente il proprio stile nella scelta e nella stesura dei colori (oro, verde, azzurro pastello) e nel modo di trattare mani, piedi, visi, capelli. Dove meglio mostra la propria personalità è nell'affresco L'Offerta a Vertumno e Pomona, tratta dalla stampa (fig. 17) di un incisore noto con il nome di I.F. Fiorentin Orefi 8 • Il grigio pallido dello spazio architettonico, con una serie di nicchie e le aperture affiancate da pilastri, e la pavimentazione decisamente in salita ricordano


1.38

Catalogo delle opere

i paesaggi per la loggia di Castel Sant'Angelo: il tempio nello sfondo ha il suo equivalente nella tomba con il tetto a piramide. Il motivo del tempio parzialmente nascosto è lo stesso usato da Siciolante per Gli israeliti ce/ebra110 la Pasqua ebraica, nel castello di La Bastie d'Urfé (fig. 27g). Le figure e i lineamenti dei volti sono gli stessi di Castel Sant'Angelo, e la somiglianza di stile suggerisce l'anno 1544. E' probabile che Siciolante avesse un ruolo importante nel progetto e nell'esecuzione, come è anche possibile che fosse soltanto l'aiuto di un altro artista 9 • Chiunque sia stato l'ideatore, è sicuro che si è basato su disegni conosciuti di Michelangelo e di Raffaello. Da una parte questi bozzetti erano la dimostrazione di particolari capacità di invenzione, dall'altra erano l'evocazione di un tema lievemente erotico. Il terzo bozzetto, di I .F. Fiorentin, esprime anch'esso un motivo erotico e fu inciso nel 1542; sistemato al centro della volta rappresentava il centro ottico della stanza. Sicuramente, la scelta dei temi e la collocazione dei dipinti rispecchiavano i desideri del mecenate, non dell'artista. Mentre è evidente che a Siciolante capitava di adattare figure e motivi di altri artisti, di sua volontà certamente non si metteva a copiare le composizioni altrui. Gli affreschi Borghese, come altre sue opere, dimostrano che spesso all'artista veniva richiesto di usare modelli scelti dal mecenate.

1 DAVIDS0N,

Some Early Works, XLVIII, 1966, p . 63; BRUNO, Girolamo, CXXXIII, 1974, pp. 78, 80, n. 36 e CXXXIV, 1974, pp. 71-72. 2 Nel 1772 Giovanni Volpato fece un'incisione delle Nozze di Alessandro e Rossana. Le opere di Raflaelo Santi, p . 289. Francesco Saverio Gonzales fece l'incisione di sette schizzi per il casino Olgiati nel 1787. Giornale, IV, 2, 13 gennaio 1787, pp. 13-1.5. 3 VASI, Itinerario, I, p . 283; GUATTANI, La pittura, pp. 233-234. 4 FORSTER, Rafael, pp. 139-142; PASSAVANT, Rafael, II, pp. 286-290. Il libro di Forstcr comprende le incisioni di J.G.A. Frenzel del Casino Olgiati e delle sue decorazioni. Vedi anche MELCHIORRI, Gt1ida, p. 614. 5 Villa Borghese, pp. 64-66. Il catalogo di Carlo Pietrangeli dà in riassunto la storia del casino Olgiati. Non si sa chi fosse il primo proprietario. David R. Coffin (The Villa, p. 18) fa notare che la pianta di Roma di Leonardo Bufalini nel 1551 registra la zona vicino a Porta Pinciana come 'vigna' di Francesco di Crescenzi. Coffin si sbaglia quando afferma che il casino si trova in questa zona; era un po' oltre il cancello, come indica la pianta di G .R. Nolli del 1748 (Villa Borghese, pl. XXI) e avrebbe fatto parte di un blocco di terreno non registrato nella pianta di Bufalini. Gli Olgiati furono proprietari del casino fin quando, in data imprecisata, nel XVIII secolo, il cardinale Giuseppe Doria Pamphili acquistò l'intera proprietà. Poi il casino passò a Vincenzo Nelli, e poi ai Bevilacqua. Camillo Borghese acquistò la proprietà dagli credi Garroni. 6 Per ulteriori informazioni sul casino in epoca molto più tarda vedi anche BELLI BARSALI, Ville, 1970, p. 257; SCHREINER, Die 'Villa Raflael', XII, 1973, pp. 269-280; EICHLER, Raffaels Villa, XLIX, 12, 1979, pp. 1566-1567; C0PPIN, The Villa, 1979, p. 18. E' errata l'annotazione di Coffin che uno degli affreschi sia all'Hermitage di Leningrado (San Pietroburgo). Paola della Pergola (Galleria Borghese, II, pp. 128-131) attribuisce i tre affreschi alla scuola di Raffaello. La Della Pergola dà una ampia bibliografia per il Casino e per gli abbozzi. 7 Per i vari disegni del progetto di Raffaello vedi FURSTER, Die Hochzeit, XV, pp. 182-207; The ltalian Drawings, p. 316. Per il disegno da Michelangelo


I. Dipinti autentici

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vedi ibid., p. 248. Forse Siciolante ha usato una copia di entrambi i disegni, o nel caso dell'abbozzo di Raffaello, una incisione di Caraglio. 8 DARTSCH, Le peintre, XV, pp. 502-503. DUNAND e LEMARCHAND, Les Compositions, fig. 66. La scritta sull 'incisione è: FVGGÌ GIA' TEMPO LA CASTA POMONA. DI FIORI ET FRVTTI ORNANDOSI LA CHIOMA. AL FIN VERTVNNO D'AMOROSA SOMA. ET ELLA DEGLI IN PREDA I POMI E I FRVTTI. OGNI AMOR CONIVGAL' D'HUOMINI E DEI. CHALTRO CHE POMI NON AMAVA LEI. CARCO AQVISTOLA CON INGANNI REI. CHE QVEGLI SONO IN QVEI VASI CONDVTTI. 9 Forse Perino del Vaga era il responsabile, dato che Siciolante lavorava con

lui in quel periodo. C'è abbastanza affinità tra l'interno del casino Olgiati e l'abbozzo di Perino per la cappella Massimo nella chiesa di Trinità dei Monti. Vedi GERE, Two late fresco Cycles, CII, fig. 16, disegno nella cappella al Victoria and Albert Museum di Londra; e fig. 17 al Museo nazionale di Budapest.

16.

ROMA

Galleria Colonna Il trittico Da Cordoba comprende: Madonna e Bambino con san Giovannino Battista Olio su tavola, m. 1,57 X 1,03 (n. 2039) Sant'Andrea Olio su tavola, m. 1,61 X 0,51 (n. 38) Santa Caterina di Alessandria Olio su tavola, m . 1,61 X 0,51 (n. 40) Già a Roma, chiesa di San Giuliano in Via dei Banchi nuovi, cappella Da Cordoba 1565 circa (figg. 66a - 66c)

Come descritto in un contratto che porta la data del 1565, tre dipinti, ora alla Galleria Colonna, furono commissionati da Joannes Petrus da Cordoba per la chiesa di San Giuliano in via dei Banchi nuovi. Da Cordoba affidò a Siciolante un compito fuori dal comune: si chiedeva all'artista di imperniare la propria composizione sulla pala d'altare di Giulio Romano a Santa Maria dell'Anima. In quanto a invenzione, i diritti di scelta erano limitati, e appare chiaro che era il mecenate, più che l'artista, a determinare il carattere dell'opera. I dipinti che formano il trittico non sono stati pubblicati fino al nostro secolo. Nel 1900, nel catalogo della Galleria Colonna, la Madonna era attribuita a Giulio Romano 1, le altre tavole non sono incluse. Hermann Voss, il primo a riconoscere nella Madonna la mano di Siciolante, disse che l'artista era influenzato da Giulio Romano 2 • Nel catalogo del 193 7, Guido Corti attribui ai tre dipinti una provenienza comune: la collezione di Aspreno Colonna 3 • Sebbene la Madonna rimanesse attribuita a Siciolante, le due tavole con i santi furono assegnate alla scuola di Giulio Romano 4 • Quando, nel 1966,


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Catalogo delle opere

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Bernice Davidson pubblicò lo studio su Siciolante, osservò che la Madonna era «virtually copiated' dalla pala di Giulio Romano, ora sull'altar maggiore di Santa Maria dell'Anima 5• La Davidson dice anche che Sant'Andrea e Santa Caterina sono di Siciolante, e nel catalogo recente della Galleria Colonna Eduard Safarik conferma questa congettura e aggiunge che i dipinti formano un insieme trattandosi di un trittico 6 • A parte questi studi, nel 1935 Umberto Gnoli pubblicò il seguente documento: 1565, 7 ott. « D. Hieronimus Siciolante de Sermoneta pictor habitans in platea Farnesia » si dichiara debitore per pelli aurate ed argentate. « Residum vero pretii dictarum 270 pallium, quod est scutorum triginta monete, prefati d. Hieronymus pictor et Paulus de Rinaldis asserunt eumdem dominum Johannem Petri [da Cordoba] bonum et excomputasse in picturam trium quadrorum per ipsu.m d. Hieronimus in ecclesia S. Fabiani factorum unius Virginis Mariae, aJ. terius S. Andreae, et alterius S. Catherinae 7•

Nel 1974 Gian Ludovico Masetti Zannini trascrisse questo stesso documento, facendo tuttavia una correzione importante a proposito della chiesa: « fecisse bonum ex excomputasse in picturam trium quadrorum per eundem d. Hieronymum in ecclesia S. Iuliani factorum 8 • (Il corsivo è mio). Masetti Zannini riuscl a mettere in relazione questo documento con uno precedente, datato 1563, con il quale il doratore spagnolo, Joannes Petrus da Cordoba, prometteva di pagare Niccolò Martinelli, detto il Trometta, per la decorazione di una cappella dedicata alla Vergine Maria, a sant'Andrea e a santa Caterina nella chiesa di San Giuliano, nei pressi di Monte Giordano 9 • Da Cordoba aveva detto esplicitamente di volere che il dipinto della Vergine fosse ripreso dalla pala di Giulio Romano in Santa Maria dell'Anima (fig. 67). L'artista fiorentino Benedetto Bramante doveva fare il bozzetto e Martinelli doveva eseguire il dipinto 10 • Martinelli accettò il danaro ma lasciò il lavoro incompiuto. Nel documento del 1565 Da Cordoba fa un contratto che impegna Siciolante a eseguire tre dipinti (la Vergine, sant'Andrea, santa Caterina) per la chiesa di San Giuliano 11 • Dunque Siciolante si impegnò a portare a termine un ordinativo precedentemente affidato a Martinelli 12 • Non si conoscono descrizioni dei quadri per la cappella Da Cordoba di San Giuliano 13 • Giuseppe Valadier ridecorò la chiesa ai primi dell'Ottocento, e i suoi disegni sono l'unica testimonianza di come era la chiesa, che venne distrutta tra il 1930 e il 1940 14 • Forse, proprio mentre Valadier ripuliva la chiesa, tra il 1818 e il 1822, furono tolti i tre dipinti. Infine, li comperò Aspreno Colonna; in periodo ancora successivo passarono alla Galleria Colonna 15 • Che appartenessero ad una sola mano lo dimostrano gli elementi e le caratteristiche dello stile: tutti e tre sono su tavola di legno, tutti e tre sono praticamente alti uguale, e tutte le figure sono illuminate da destra. Non c'è dubbio che fossero ideati per formare un trittico, se non addirittura per essere racchiusi in un'unica cornice. Poiché la chiesa di San Giuliano era ad una navata sola, e non aveva cappelle rientranti - lo conferma la pianta di Valadier (fig. 68) - probabilmente i dipinti erano sistemati in fila sopra l'altare, uno di se-

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guito all'altro. Secondo il contratto di Martinelli del 1563, la cappella aveva anche due dipinti che raffiguravano alcuni angeli. Nel testo si parla più estesamente di questi dipinti.

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Galleria Colonna, 1900, p. 22, n. 132. voss, Die Malerei, I, 1920, p. 108. VENTURI (Storia, IX, 5, 1932, p . .564) trova qualche somiglianza con l'opera di Correggio. 3 CORTI, Galleria, pp. 10-11, 59, nn. 38, 40, 219. Nell'Ottocento vissero due uomini, entrambi di nome Aspreno Colonna. Aspreno, figlio di Marcantonio e di Isabella Sursock, è nato il 17 agosto 1916 (muore il 27 ottobre 1987) e dunque non può essere il proprietario dei dipinti. COLONNA, I Colonna, genealogia a p. 102. L'altro Aspreno, figlio di Fabrizio Colonna e di Bianca Doria, andato sposo a Giovanna Cattaneo di San Nicandro, visse fino al 1916. Il figlio minore nacque nel 1833. LITTA, Famiglie, II, 1819-1911, tav. XI (Colonna di Roma). Probabilmente fu questo Aspreno a dare i quadri alla Galleria Colonna. 4 Probabilmente i tre dipinti erano stati attribuiti a Giulio Romano. Poiché ci sono alcuni elementi che differenziano la tavola della Madonna dalle altre due tavole con i santi, Corti ne avrà arguito che le tre tavole non erano della stessa mano. 5 DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p. 64. Cfr. pure BRUNO, Girolamo, CXXXIII, 1974, p. 68; WEIL-GARRIS POSNER, Notes, VI, 1970, pp. 122, 1.37. 6 Catalogo sommario, 1981, p. 126. 7 GNOLI, Documenti, VII, 2, 7, 1935, p. 219. Vedi anche PUGLIATTI, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, pp. 104-105. 8 Vedi Documenti, XVI. 9 Roma, Archivio di Stato, Archivio dei notari del tribunale dell'A.C., Desiderius Bonavena, voi. 1101, f. 358r, 2 giugno 1563. Citato in MASETTI-ZANNINI, Pittori, pp. 56-57. Non si sa altro di Joannes Petrus da Cordoba. E' curioso osservare che il suo nome compare spesso presso vari notai durante questo periodo come creditore di varie persone. Vedi anche HUNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, p. 42. Le notizie più esaurienti su Niccolò Martinelli si trovano in GERE, Drawi11gs, I , 4, pp. 3-18. 10 Benedetto Bramante è citato negli atti dell'Accademia di San Luca di Roma. TOMASSETTI, Elenco, II, p. 11. E' nominato anche in un documento di GNOLI, Documenti, XVII, 2, 7, p. 215. 11 Il contratto del 1565 non specifica San Giuliano nei pressi di Monte Giordano, ma non c'è ragione di credere che si trattasse di un altro San Giuliano. 12 Forse gli fu richiesto anche di usare il bozzetto preparato da Benedetto Bramante. Tuttavia, Siciolante conosceva direttamente il dipinto di Giulio Romano, perché aveva lavorato nella cappella Fugger a Santa Maria dell'Anima, dove è la pala di Giulio. Vedi HARTT, Giulio Romano, I, p. 56. 13 ARMELLINI (Le chiese, I-II, pp. 444-445, 1250, 1316) cita vari nomi della chiesa; San Michele o Sant'Angelo da Micinellis e Sant'Angelo de Reniczo. CECCHELLI (Note, XLIV, pp. 228-229) riferisce che nel 1523 la clùesa era stata data in uso a una congregazione con il nome di San Giuliano. In un catalogo del tempo di Pio V, la chiesa va sotto il nome di Sant'Angelo in Monte Giordano della compagnia di san Giuliano. La pianta di Leonardo Bufalini del 1551 cita la chiesa come Sant'Angelo. Le piante, II, tav. 201. Raramente la clùesa è citata nelle guide. Un'eccezione è TOTTI, Ritratto, p. 250. 14 ROTONDI, Ricordo, V, pp. 24-27. I disegni di Valadier per l'interno si trovano in Roma, Biblioteca Nazionale, ms. Vittorio Emanuele 408, ff. 73, 74. 1s Non si parla di dipinti di Giulio Romano (al quale erano stati attribuiti precedentemente i dipinti di Siciolantc) nel Catalogo dei Quadri.

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17.

èata1ogo delle ~pcte ROMA

Galleria nazionale d'arte antica, palazzo Barberini Ritratto di Francesco II Colonna, firmato e datato SERMONET / NUS. F. / M.D.L.X.) (fig. 47) Olio su tavola, m. 1,26 X 0,94 (n. 31658)

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HIERONIMUS /

Il ritratto di Francesco II Colonna, che raffigura un guerriero ben piantato e con indosso una corazza, è la sola opera del genere eseguita da Siciolante di cui abbiamo conoscenza. Porta questa iscrizione: FRANC1scus. II. STEPHANI. F. COLUMNA. AN. XXVI. Pubblicata la prima volta da Egiziaca Favorini nel 1929, la tavola apparteneva alla galleria di palazzo Venezia 1• La Favorini ci informa che il dipinto venne acquistato dalla pinacoteca di Monaco di Baviera e che, secondo Federico Hermanin, esso proveniva probabilmente dalla galleria Sciarra. Oggi il dipinto è appeso a fianco del Ritratto di Ste/ano Colonna (fig. 49) di Agnolo Bronzino 2 , e la collocazione non è casuale: infatti, non solo Stefano era il padre di Francesco, ma il ritratto del padre fu il modello del ritratto del figlio. Il ramo della famiglia Colonna cui Stefano apparteneva era padrone di Palestrina, e in seguito a un accordo con il fratello Alessandro, Stefano ottenne, per sé e per i propri eredi, la giurisdizione sulla cittadina. Diritto che passò poi al figlio Giulio Cesare, mentre l'altro figlio di nome Francesco segul l'esempio paterno e scelse la carriera delle armi 3 • Durante la guerra di papa Paolo IV, Francesco si arruolò nelle forze papali contro le forze spagnole guidate dal duca d'Alba, Fernando Alvarez, e dal di lui cugino Marcantonio Colonna. Nel 1556 Palestrina si arrese alle forze spagnole, nel 1557 Francesco la riconquistò insieme con Valmontone e Segni 4• Però, in seguito, Marcantonio Colonna e le sue truppe rioccuparono Palestrina, che misero a ferro e fuoco 5 • Finalmente, il 14 settembre 1557, le ostilità furono chiuse dal trattato di Cave. Il 20 settembre dello stesso anno il cardinale Federico Cesi fu messo a capo della diocesi di Palestrina 6 • In precedenza aveva già commissionato del lavoro a Siciolante, e forse fu lui a richiamare sull'artista l'attenzione di Francesco Colonna 7 • Secondo l'iscrizione, nel 1561 Francesco aveva ventisei anni, e già si era distinto come soldato dell'esercito pontificio. Desiderando fare bella figura nei confronti del padre, Francesco usò come modello del suo ritratto quello del padre 8 • I due dipinti hanno in comune la figura che indossa la corazza, la mano sulla spada, l'elmo poggiato su un tavolo, la simbolica colonna, la stoffa nello sfondo. Forse il ritratto di Siciolante era inteso per essere il corrispettivo simmetrico di quello di Bronzino; infatti tutti e due sono all'incirca della stessc1 dimensione, e hanno lo stesso formato. Però Siciolante non si è attenuto rigidamente allo schema di Bronzino: la figura di Francesco occupa più volume di quella di Stefano, Francesco ha maggior risalto sullo sfondo, il visitatore vede Francesco da una posizione più favorevole. Inoltre, Francesco ha nella mano destra una specie di ba-


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stone di comando, mentre in or1gme teneva una corta spada o un pugnale con la punta rivolta in basso. Questo particolare venne modificato quando l'artista aveva già firmato il dipinto, e ancora si vedono come pentimenti sia la prima firma che il pugnale. La ragione del cambiamento non è nota, forse il fatto di avere in mano un'arma sguainata era un po' provocatorio 9• L'artista descrive il modello con la stessa meticolosa precisione già usata nella pala di San Martino Maggiore (fig. 20), dove la stessa fedeltà all'originale aveva inserito il suo primo ritratto di donatore, ed è proprio questo realismo descrittivo a segnare il limite del pittore. Mai Siciolante andò ad esplorare la personalità dei modelli: nel dipinto Colonna i lineamenti forti e precisi non riflettono alcuna consapevolezza umana. I ritratti dei Colonna della pala d'altare di Palestrina (fig. 78), come quello di Giorgio Morato nella pala di San Bartolomeo, sono configurati allo stesso modo: l'assenza di personalità resta un contrassegno piuttosto sorprendente della ritrattistica di Siciolante. 1 FAVORINI, Il ritrai/o, XXXII, p. 168. 2 Vedi Palazzo Venezia, pp. 31, 38; VENTURI, BRUNO, Girolamo, CXXXIII, pp. 77, 54; SIGGIA, La Letteratura, p. 31. 3

Storia, IX, 5, pp. 549; 568; 80; Catalogo della Galleria Nazionale, p.

Se è nato nel 1535, secondo quando dice )'iscrizione, è nato l'anno in cui suo padre era governatore di Torino, e ivi residente. Francesco era figlio di Stefano Colonna e di Elena Franciotti, che compare nella pala di Palestrina (fig. 78) insieme all'altro figlio, fratello di Francesco, di nome Giulio <:csare. Francesco andò sposo a Cornelia Baglioni. Vedi COLONNA, I Colonna, genealogia dopo p. 101; LITTA, Famiglie, Il, tav. VIII (Colonna di Roma); c. PIETRANGELI, Palazzo Sciarra, Roma 1986. 4 CECCONI, Storia, p . 324; COLONNA, I Colonna, p. 209. Il duca di Paliano, Giovanni Carafa, mandò Francesco a Maenza, nei pressi di Sermoneta, per fermare l'avanzata delle truppe di Marcantonio Colonna. CA.ET.ANI, Domus, II, pp. 85-86. s CECCONI, Storia, p. 324. 6 Ibid., p. 325; Dizionario biografico degli italiani, XXIV, p. 254. 7 Fattore determinante dell'inizio della guerra fu papa Paolo IV che spogliò Camillo e Marcantonio Colonna dei loro possedimenti territoriali (voN PASTOR, Storia, VI, p. 371ss; COLONNA, I Colonna, p. 209). Il 25 giugno 1561 Pio IV revocò la condanna contro i Colonna che reintegrò nei loro diritti (ibid., p. 217). L'anno precedente la sentenza concistoriale di Pio IV in favore dei Colonna, essi conclusero l'annosa dispota con i Caetani con il matrimonio di Onorato Caetani, figlio di Bonifacio, e Agnesina Colonna, sorella di Marcantonio (ibid., p. 214; CAET.ANI, Dom11s, II, pp. 93-94), e questo assai utile apparentamento di simpatizzanti della fazione spagnola con simpatizzanti della opposta fazione francese può avere facilitato l'ingresso di Siciolante, vassallo dei Caetani, nell'ambiente dei Colonna e dei loro amici, quali ad esempio, i cardinali Sforza e Massimo. 8 Vedi BRUNO, Girolamo, CXXXIII, p. 77; SMITH, Bronzino's por/rait, XL, pp. 265-269. La tesi che il ritratto di Bronzino sia servito di modello al ritrntto di Siciolante non inficia minimamente la congettura di Smith di una provenienza fiorentina del quadro di Bronzino. Sembra invece probabile che il ritratto di Bronzino fosse trasportato a Roma o a Palestrina dopo la morte di Stefano, avvenuta nel 1548, dove Siciolante poté studiarlo con tutto comodo. 9 Secondo LITTA (Famiglie, II, tav. VIII, Colonna di Roma) Francesco fu uno dei nobili che aiutò a calmare i Romani dopo lo scoppio di violenza seguito alla morte di Paolo IV e alla caduta del Carafa.


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Catalogo delle opere ROMA

Palazzo Capodiferro Spada; sala di Alessandro Magno Scene dalla storia antica (Scipione l'Africano) Il fregio comprende: parete nord, Scipione addestra le truppe, Scipione o/fre una corona a Caio Lelio; parete est, La temperanza di Scipione; parete sud, Scene di battaglia; parete ovest, Scene di battaglia. La decorazione del basamento comprende: Pilastri con erme femminili; parete sud, Abbondanza Marittima, 1550-1553 circa (figg. 39a - 39m) Frammenti di affreschi

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Non esistono documenti a provare l'identità dell'artista che ha eseguito gli affreschi nella sala di Alessandro Magno, ma le succinte annotazioni di Vasari su palazzo Capodiferro offrono una chiave: « AJ cardinale Capodiferro [Siciolante] ha dipinto nel palazzo un salotto molto bello de' fatti degli antichi Romani » 1• « I fatti degli antichi Romani» potrebbe essere una descrizione adatta a molte stanze del palazzo 2, ma soltanto i dipinti della sala di Alessandro Magno denotano una qualche parentela con lo stile di Siciolante 3 • Baglione afferma che Siciolante lavorò in collaborazione con un altro artista, sebbene non produca nessuna prova a favore della sua tesi: « Il palazzo del Cardinal Capodiferro, hora dell'Emenentissimo Cardinale Spada, ha una sala de' fatti de' Romani da lui [Siciolante] con vivi colori eccellentemente historiata, ma il fregio è lavoro di Lutio Romano» 4 • Dopo Baglione, scarse sono le notizie sulla sala di Alessandro Magno, forse perché il palazzo non era accessibile ai visitatori 5• Nei secoli successivi, gli affreschi soffrirono molto; furono ripuliti prima del Settecento ma, secondo quanto dice Titi nella guida di Roma, continuarono ad essere in pessime condizioni: Nell'altro braccio dell'appartamento nobile i fregi e soffitte delle camere sono dipinti a olio da autori incerti. ma fra questi alcuni si riconoscono Jel medesimo [Giulio] Mazzoni, e Girolamo Siciolantc da Sermoneta vi dipinse 1n una sala i fatti dc' Romani, col fregio dipinto da Luzio Romano, ma queste pitture sono ritoccate, e guaste 6.

Nell'Ottocento vennero ricoperti con teloni e un fregio orrni.mentale dipinto, che tra il 1967 e il 1974 furono rimossi da Luisa Mortari e Luciano Maranzi. Luisa Mortari pubblicò le risultanze della ripulitura e attribui gli affreschi a Siciolante 7 • Da allora si sono scoperti e restaurati altri affreschi nella parte più bassa delle pareti 8 • Resta dubbia la data di esecuzione. Forse vi ha lavorato anche Siciolante, e se ciò avvenne fu dopo la decisione del cardinale nel 1548 di ingrandire la sua residenza e non oltre la morte di questi, avvenuta nel 1559 9 • E' ancora più probabile che il lavoro di Siciolante sia limitato agli anni 1550-1553, come risulterebbe da una analisi stilistica 10• Per ulteriori notizie su affreschi e palazzo vedi il testo.


I. Dipinti autentici

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1 VASARI, Le vite, VII, p . 572. Solo un'altra volta Vasari parla di palazzo Capodiferro, a proposito di Giulio Mazzoni. Ibid., p. 70. 2 In particolare la stanza di Achille, la stanza di Enea, la stanza dei Fasti Romulei. Vedi NEPPI, Palazzo Spada, figg. 18-49. 3 Forse il cardinale Capodiferro conobbe personalmente Siciolante, e forse mentre era a Roma alla corte papale ebbe occasione di vedere ripetutamente gli affreschi di Siciolante per Castel Sant'Angelo, mentre in qualità di nunzio apostolico presso la corte di Francia, vide forse i dipinti eseguiti per l'ambasciatore Claude d'Urfé. Forse invece conobbe Siciolante a Bologna, dove il cardinale era legato pontificio per la Romagna e Siciolante lavorava alla pala di San Martino. 4 BAGLIONE, Le vite, pp. 23-24. 5 Fioravante Martinelli (in D'ONOFRIO, Roma, p. 236) dà la seguente descrizione dell'opera di Siciolante: « L'anticamera fu dipinta da Girolamo Siciolante con diverse bizzarrie a capriccio del Card. Capodiferro, e li stucchi sono del detto Giulio Mazzoni. La seconda anticamera con fatti dc Romani è dipinta dal medesimo Siciolante. II fregio è di Lutio Romano, e li stucchi del detto Piacentino». Non c'è niente che confermi l'esistenza di una seconda camera affrescata da Siciolante. 6 TITI, Descrizione, 1763, p. 106. 7 MORTARI, Girolamo Siciolante, XXVI, 1975, pp. 89-97. 8 Ringrazio la dottoressa Augusta Monferini, già direttrice della Galleria Spada, la quale mi ha ottenuto il permesso dal Consiglio di Stato di studiare questi affreschi. 9 Bartolomeo Baronino fu l'architetto .•Vedi HUNTER, L'Architectus celeberrim11s, XXI, pp. 397-403. Vedi anche NEPPI, Palauo Spada; FROMl'vlEL, Der Romische Palastbau, II, pp. 62-79. 10 HUNTER, Transition, LIX, pp. 19-21; DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, p. 63; DUMONT, Francesco Salviati, p. 71; HUNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, p. 31; PUGLIATTI, Girolamo, in Girolamo, IV, pp. 101-102.

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Pinacoteca Capitolina Nudo femminile, 1548-1549 circa (fig. 25) Olio su tavola, m. 0,74 X 0,98 Nel 1970 fu Ellis K. Waterhouse a proporre che il Nt1do femminile della Pinacoteca Capitolina fosse opera di Siciolante 1• Waterhouse paragonò questa tavola ad altri due dipinti erroneamente attribuiti a Siciolante da Federico Zeri, la Pazienza (fig. 104) di Firenze e la Venere Urania (fig. 123) di Torino, e suggerl che il Nudo appartenesse agli anni 1540. Nel 1974 Raffaele Bruno rintracciò la provenienza del dipinto, palazzo Ghislieri a Bologna, dove nel 1560 lo aveva visto Pietro Lamo 2 • Nel 1984 Patrizia Masino pubblicò una relazione sul restauro, dove la studiosa propone varie interpretazioni dei ripetuti restauri che il dipinto aveva subito 3• Il tipo fisico - la parte superiore del braccio piuttosto muscolosa, il corpo solido, la forma della testa - e i lineamenti del volto ricordano le figure femminili di Siciolante, in particolare una donna


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Catalogo delle opere

con bambino nel Battesimo di Clodoveo (fig. 30a), un'altra donna con bambino in Mosé fa scaturire le acque dalla roccia (fig. 27f) a La Bastie d'Urfé, e santa Caterina nella pala di San Martino (fig. 20). Sono proprio queste caratteristiche a differenziare il Nudo dalla Pazienza e dalla Venere Urania (rispettivamente figg. 104 e 123), che non sono di Siciolante. La somiglianza di questa con le altre donne dipinte da Siciolante allontana la possibilità che si tratti cli un ritratto, come spesso si è creduto. La figura potrebbe essere una personificazione umana della divinità, sebbene non ci siano gli attributi. Lo sguardo fisso, il forte contrasto tra la figura chiara e lo sfondo scuro fanno di questo dipinto una tra le più drammatiche opere di Siciolante. Gli anni 1548-1549 ben si addicono con la provenienza e la tipologia caratteristica di questo periodo di attività dell'artista.

1 WATERHOUSE, Some Frescoes, CXII, 1970, p. 103, n. 6. 2 BRUNO, Girolamo, CXXXIII, 1974, pp. 73-74; LAMO, Graticola, 1844, p. 3 MASINI, I nlerventi, XXI, pp. 39-47. Il dipinto entrò a far parte della

27. Pinacoteca Capitolina nel 1748, quando fu acquisita la collezione Sacchetti. Precedentemente l'opera era stata attribuita a Giulio Romano. Il restauro ha rimosso ogni mio dubbio sull'attribuzione a Siciolante. '

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_) 20.

ROMA

Chiesa di Sant'Andrea in via Flaminia; cappella Maggiore Nella volta: Dio onnipotente oppure Cristo, nella lunetta: La colomba dello Spirito Santo e putti, 1553-1554 (fig. 40) Affreschi

I commentatori abituali non menzionano l'opera di Siciolante a Sant'Andrea, sebbene alcuni pagamenti registrati attestino l'incarico affidato all'artista di creare una pala per questa chiesa. Citati la prima volta da Antonino Bertolotti e da Rodolfo Lanciani, i pagamenti vennero pubblicati in forma completa da Tilman Falk 1 • Da essi apprendiamo che Siciolante ricevette la somma di 30 scudi per « la sua pittura a far la pala nell'altare di Santo Andrea alla villa Julia » 2 • Questa somma fu versata in quattro rate, due alla fine del dicembre 1553, e due il 15 gennaio 1554 3 • Sebbene i pagamenti non menzionino altri lavori, gli affreschi della volta e della lunetta si possono attribuire a Siciolante sulla base di un serio esame stilistico. La pala essendo andata perduta, l'unica testimonianza della presenza e del lavoro di Siciolante nella chiesa di Sant'Andrea è fornita da questi affreschi, che sono anche i soli dipinti degli anni 1550 documentati dai pagamenti avvenuti.


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Papa Giulio III aveva voluto che si costruisse la chiesa, o tempietto, sulla via Flaminia come parte della propria vigna, il cui elemento più importante era la villa Giulia. Il tempietto, disegnato dal Vignola 4 si trova a circa metà strada tra Porta del Popolo e Ponte Milvio. Era dedicato a sant'Andrea, perché a quanto pare proprio il giorno di sant'Andrea erano accaduti due fatti importanti per la vita del papa 5 • Nella vita di Francesco Primaticcio, Vasari parla della decorazione interna e dell'opera di Pellegrino Tibaldi: Con ordine dc' ministri di papa Giulio terzo, [Tibaldi] lavorò in Belvedere un'arme grande con due figure; e fuora della porta dd Popolo, alla chiesa di Santo Andrea, la quale avea fatto edificare qud pontefice, fece un San Pietro ed un Santo Andrea, che furono due molto lodate figure; il disegno dd qual San Pietro è nel nostro libro, con altre carte disegnate dal medesimo con mol• ta diligenza 6.

Forse Giulio III conobbe Siciolante quando questi lavorava per Paolo III e per i Farnese; forse Giulio III conobbe meglio la pittura di Siciolante a Bologna dove, al pari del cardinal del .Monte, era stato legato apostolico in occasione del concilio di Trento, trasferito appunto in questa città 7 • La pala di San Martino forse colpl l'immaginazione dell'allora legato; e inoltre dobbiamo ricordare che Siciolante aveva lavorato a Roma ai tempi del progetto per Sant'Andrea presso il cardinale Girolamo Capodiferro. Ora il cardinale e pontefice erano amici, e spesso si servivano degli stessi artisti 8• Nonostante il tempietto sia dedicato a sant'Andrea, la pala di Siciolante non rappresenta il santo, anche se erroneamente lo si è creduto a lungo 9• Bartolomeo Ammannati descrive l'interno di Sant'Andrea com'era poco dopo terminata la decorazione, in una lettera a Marco Benavides datata il 2 maggio 1555: « E prima cominciarò dal Tempio di Santo Andrea posto su la strada Flaminia, fatto in forma ovale, d'opera Corinthia, molto ben ordinato dentro, e di fuori; nella tavola de l'altare vi è dipinta l'Assuntione della Madonna e nelli nicchi San Pietro e S.to Andrea, S. Paolo e S. Giovanni, con molti e vari ornamenti» 10 • Se Ammannati è preciso, la tavola di Siciolante è l'Assunzione della Vergine. E' sparita senza lasciar traccia, sostituita dall'affresco che rappresenta I.A Vergine e il Bambino appaiono a sant'Andrea 11 • Forse il motivo della sostituzione è chiarito da Baglione nella vita di Tibaldi: « E fuori della porta del Popolo nella chiesa di S. Andrea dal Papa edificata, [Tibaldi] vi fece un S. Pietro, e un S. Andrea molto lodate, e hora per l'inondatione del Tevere che gli ha guasti, non vi è restato altro, che nella meza luna sopra il quadro dell'altare alcuni puttini, e festoni nel muro a fresco dipinti » 12 • Ci sono tre punti interessanti nella frase di Baglione: primo, nd 1642 i dipinti di Tibaldi erano già distrutti; secondo, sul muro dell'altare c'era un 'quadro', anche se non necessariamente quello di Siciolante; terzo, erano rimasti gli affreschi della lunetta sopra l'altare. Se gli affreschi di Tibaldi erano stati gravemente danneggiati dall'alluvione, certamente era capitata la stessa cosa alla tavola di Siciolante. Infatti, quest'ultima potrebbe essere stata danneggiata preceden-


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temente dalJ>alluvione del 1557, oppure nel 1598, e successivamente tolta dalla chiesa e sostituita con un altro dipinto 13 • Nella prima ipotesi, sarebbe giustificata l'omissione di Vasari dall'edizione del 1568 delle Vite. Baglione non dice chi fu l'autore né dell'affresco della lunetta con i putti e i festoni, né della pala. Certo ignorava che fosse stato Siciolante a eseguire l'affresco della lunetta e la volta semi-circolare sopra l'altare. Vedi il testo per ulteriori delucidazioni su questi affreschi, e per la comprensione dell'importanza che hanno nello sviluppo stilistico di Siciolante.

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1 BERTOLOTII, Artisti bolognesi, p. 51. Purtroppo Bertolotti ha citato male la data del pagamento, come fosse avvenuto nel 1552. LANCIANI, Storia, III, p. 26, riferisce soltanto la data del 1553. FALK, Studien, XIII, p. 159, nn. 560, .571; DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, p. 63, n. 43; HUNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, pp. 31-32; HUNTER, Transition, LIX, pp. 21-22. 2 In particolare la stanza di Achille, la stanza di Enea, la stanza dei Fasti strati originariamente come 'sedici e dieci scudi' rispettivamente, e poi cambiati in 'sei e sedici scudi' riducendo cosl la somma totale da 26 scudi a 22 scudi. 3 VENTURI, Storia, IX, .5, pp. 548-549, cita Bertolotti come fonte della data 1552, ma menziona anche Lanciani per la data del 1553. La data dei pagamenti ~ ritenuta anche la data terminale della costruzione del tempietto. Vedi WAL· CHER CASOTTI, Il Vignola, I, pp. 150-1.51. 4 Per il Vignola, vedi TUTTLE., Bibliografia, pp. 209-216. Per Sant'Andrea in via Flaminia, vedi FALK, Studien, XIII, pp. 101-178, soprattutto pp. 118-119, 159, nn. 560; 571; LEWINE, Vignola, XV, pp. 121-129; ZANDER, Nota, XII, pp. 19-20; ANGELETTI, I.A chiesa, XIII, pp. 27-29. 5 LANCIANI, Storia, III, p. 26, cita quanto segue: « E' noto l'episodio del sacco del Ventisette relativo alla fuga del cardinal del Monte, e dei tre suoi compagni Barolini, Pucci e Giberti dal palazzo della Cancelleria, nel quale avevano trovato momentaneo ricetto presso il cardinale Pompeo Colonna di parte imperiale. In memoria di tale liberazione, avvenuta nella notte di Sant'Andrea, e in memoria parimenti del suo ingresso in conclave avvenuto nella stessa ricorrenza, Giulio III volle erigere un tempietto votivo sull'estremo confine dei suoi possedimenti dalla parte di via Flaminia ». 6 VASARI, LA vite, VII, p. 417. L'attribuzione di questi affreschi a Francesco Primaticcio è dipesa probabilmente da una distratta lettura del testo di Vasari. Vedi VASI, Itinéraire, p. 27. 7 CHACON, Vitae, III, col. 741-759. 8 Bartolomeo Baronino, architetto, sovrintese alla costruzione di ambedue i progetti. Vedi FALK, Studien, XIII, pp. 109, 110, 112, 114; HUNTER, The Architectus Celeberrimus, XXI, pp. 397-403. 9 PUGLIATTI, Due momenti, IV, pp. 14-17. · IO FALK, Studien, XIII, p. 171. Ringrazio il professor Alessandro Nova che mi ha fornito questa informazione. 11 Non c'è attribuzione per questo affresco. Le guide di Roma generalmente non parlano della decorazione interna. Dietro S. Andrea è posta in evidenza la sua croce a forma di X. Nel paesaggio lontano c'è una scena che raffigura Cristo mentre chiama i fratelli Pietro e Andrea. La data, illeggibile, è nell'angolo di destra, in basso. 12 BAGLIONE, Le vite, p. 62. 13 D'ONOFRIO, Il Tevere, pp. 304, 308.


I. Dipinti autentici

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ROMA

Chiesa di Sant'Eligio dei Ferrari; cappella Maggiore Madonna e Bambino in trono con sant'Eligio, san Martino e san Giacomo (pala di Sant'Eligio), 1563 circa (fig. 61) Olio su tavola, m. 2,75 X 1.98 Nella successione di opere descritte da Vasari, la pala di Sant'Eligio de' Ferrari (Sant'Alò) viene dopo l'affresco per San Luigi dei Francesi: << In una tavola a olio, alta palmi sedici, fatta nella chies,t di Sant'Alò dirempetto alla Misericordia, Compagnia dei Fiorentini, dipinse non ha molto la Nostra Donna, San Iacopo Apostolo, Santo Alò e San Martino Vescovi » 1• Ed ecco la descrizione di Filippo Titi nella guida di Roma: « Nella tavola dell'Altar maggiore vi è Maria Vergine, S. Giacomo Apostolo, S. Elio, e S. Martino Vescovo: il tutto a olio, condotto da Girolamo Siciolante da Sermoneta, del quale sono anche l'istoriette, e figure dipinte nella volta di questa Capella. » 2 Descrizione spesso ripetuta con varianti nelle guide del XVIII secolo 3 • Ecco quanto scrive Gaetano Moroni nel 1857: « Il quadro dell'altare maggiore rappresenta la Madonna co' ss. Eligio, Giacomo e Martino, opera di Giovanni [sic] Sicciolante da Sermoneta, che dipinte avea la volta, e dicesi pure l'apside poi distrutte le pitture» 4 • La pala si trova oggi nella cappella maggiore della chiesa, incastonata in un ricco tabernacolo di marmo sistemato nell'abside semi-circolare che ospita il coro 5 • Ma non c'è traccia di dipinti né nell'abside né nella volta. La composizione di questa Madonna deriva dalla pala di San Martino a Bologna (fig. 20), datata 1548, ma la tipologia delle figure, in particolare della figura vasta e possente di san Giacomo, ricorda più le opere degli anni 1560, delle quali sono esempi la Madonna Pini (fig. 47) del 1561 e il San Sebastiano (fig. 42f) di Santa Maria della Pace. Un'alta pedana isola la Madonna e il Bambino dalle figure sottostanti. Quattro putti - due incoronano la Vergine e due tirano il drappo verde - sono una compagnia discreta e riservata. I tre santi - a sinistra Giacomo, in centro Martino con un mendicante che è il suo attributo, e Eligio inginocchiato - stanno davanti alla pedana 6 ; emotivamente distaccati e fisicamente inanimati san Giacomo e san Martino, vigili e vitali il mendicante e sant'Eligio. Il colore ricco e morbido è più che sufficiente a compensare l'inerzia psicologica dei personaggi: la veste tradizionale della Vergine blu e rossa contrasta con il trono marrone e con il drappo verde; la pedana grigio scuro fonde e accomuna il marrone, l'arancio, l'oro e il bianco degli indumenti dei santi. Con pochi colori contrastanti Siciolante riesce a creare una composizione di grande armonia. Non esiste prova documentata della committenza, ma è ugualmente possibile limitare la data di esecuzione a un breve arco di anni. Nel 1975, Elio Venier, Giuliana Zandri e Carlo de Vita pubblicarono una storia documentata della chiesa di Sant'Eligio e della annessa


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confraternita 7 • La chiesa, consacrata dagli artigiani del metallo al loro santo patrono Eloy (Alò o Eligio), vescovo di Noyons, era stata dedicata precedentemente a san Giacomo e a san Martino. Negli anni 1561 e 1562 Ja chiesa passò attraverso lavori di restauro e ristrutturazione che, secondo una targa commemorativa, terminarono nel 1562 '· Dunque, la pala di Siciolante avrebbe potuto essere commissionata circa in quest'epoca e terminata prima del 1565, se non addirittura già nel 1563 9• Gli impegni di lavoro per Santo Spirito (1564), San Giacomo degli Spagnoli (1564-1565), San Tommaso in Cenci (1565), la Sala Regia (1565) avrebbero lasciato a Siciolante ben poco tempo a disposizione per un'altra opera tanto impegnativa. Non possiamo dire con sicurezza che l'artista abbia eseguito anche i dipinti per la volta e per l'abiside, come sostiene Moroni; dei dipinti sulle pareti intorno al coro, distrutti durante i lavori di ristrutturazione tra il 1639 e il 1642, non c'è prova che fossero di Siciolante 10; i dipinti della volta, attribuiti a Siciolante, sono menzionati nelle guide di Roma dopo la ricostruzione della chiesa. E queste descrizioni continuano sempre uguali, fino al Settecento inoltrato, anche se il coro venne ricostruito una seconda volta tra il 1755 e il 1758 u. Forse i dipinti di cui parlano le guide di Roma erano opere del Seicento. 1 VASARI, Le vite, VII, p. 573. La Misericordia ~ la chiesa e l'oratorio di San Giovanni Decollato. 2 TITI, Ammaestramento, p. 70. L'informazione a proposito della volta non era stata pubblicata prima. Vedi BAGLIONE, Le vite, p. 24; TITI, Studio, p . 92. 3 CECCONI, Roma, 1725, p. 484; Roma, 1741, p. 330; ROISECCO, Roma, I, 1745, p. 273; TITI, Descrizione, 1763, p. 82; ROISECCO, Roma, I, 1765, p. 305; VENUTI, Accurata e succinta descrizione, II, 1767, p. 952; VASI, Itinerario, 1777, p. 299. 4 MORONI , Dizionario, LXXXIV, 1857, p. 125. 5 CIPRIANI, Descrizione, 1838, p. 130; NIBBY, Roma, parte I moderna, 1839, p. 213; MELCHIORRI, Guida, 1840, p. 426; BLANC, Histoire, X, 1870, p. 32; NIB· BY, Itinerario, 1874, p. 325; voss, Die Malerei, I, 1920, p. 104; VENTURI, Storia, IX, 5, 1932, p. 564; CECCARIUS, Strada, 1940, p. 59; MOLA, Breve racconto, 1966, p. 99; BUCHOWIECKI, Handbuch, I, 1967, p. 680; D'ONOFRIO, Roma, p. 44; MARINCOLA, S. Eligio, XIV, 5-6, 1973, p . 25; Importanti restauri, L, 1975; suppl. Roma oggi, 7-8, 1975, p. 24; Quadri, 1979, p. 8. 6 Siciolante dipinse un san Martino assai simile per la pala di San Martino (fig. 20). Per la pala di Sant'Eligio, doveva distinguere due vescovi santi e allora, invece di accertare quale fosse sant'Eligio usando il suo attributo, ossia un martello, identificò san Martino con la presenza del mendicante. Vedi BAUS· SAN, Saint Eloi; FERMINI, Sant'Eligio; RÉAU, Iconographie, III, 1, pp. 422-427; KAFTAL, Iconography, col. 375-380. 7 VENIER, ZANDRI, DE VITA, Sant'Eligio; PANCIROLI, I tesori, p. 720. 8 VENIER, ZANDRI, DE VITA, Sant'Eligio, p. 43; FORCELLA, Iscrizioni, XI, p. 318. 9 VENTURI, Storia, IX, 5, p. 564, data questa pala immediatamente dopo la pala di San Martino. PUGLIATII, Due momenti, IV, p. 16, data il dipinto nd 1566-1567. IO VENIER, ZANDRI, DE VITA , Sant'Eligio, pp. 40, 49, 78-79. 11 Ibid., p. 82. Gli autori non si interrogano sul perché le guide parlino dei dipinti solo molto tempo dopo la loro sparizione. In genere, l'errore si perpetua solo perché gli autori non si danno la pena di verificare l'esattezza delle loro informazioni. Tuttavia, se i dipinti dd sedicesimo secolo vennero distrutti tra


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il 1639 e il 1642 e se le descrizioni nelle guide cominciano soltanto alla fine del diciassettesimo secolo, vuol dire che alcuni dipinti probabilmente esistevano nella cappella maggiore nel tardo XVII secolo, ma non erano opere dd XVI secolo né erano di mano cli Siciolante.

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Basilica di San Giovanni in Laterano; cappella Massimo Crocifissione con la Vergine, san Giovanni Evangelista, Maria Maddalena (Crocifissione Massimo) , firmato e datato HIER. D . SE(R)/MoNETA. F/ MD LXX/ III (fig. 89) Olio su tavola, m. 1,83 X 1,22 Un'altra versione (fig. 90) si trova nella cappella di Castel Sant'Angelo [ 14] e una copia (fig. 116) nella sacristia di San Carlo ai Catinari [ C-23]. Pompilio Totti fu il primo a segnalare nel 1638 la Crocifissione (fig. 89) di Siciolante nella chiesa di San Giovanni in Laterano: « E 'l Crocifisso nella cappella de' Massimi è del Sermoneta» 1 • L'anno seguente ne Le nove chiese Giovanni Baglione scrisse quanto segue: « Nella cappella d'ordine Dorico, che all'indentro è sfrondata, e è de' signori Massimi Romani fu l'altare di marmo il quadro a olio de] Christo in croce confitto è pittura di Girolamo Siciolante da Sermoneta, dove anche è il nobile diposito di un de' Signori Massimi: e ha facciata, porte, finestre, pilastri e finimenti di travertino. E l'Architetto ne fu Giacomo della Porta » 2 • E qualche anno dopo: « Girolamo nato ad honorare le Basiliche di Roma, co'l suo pennello in S. Giov. Laterano nella cappella de' Signori Massimi fece sopra l'altare un Crocifisso con molte figure a olio, con gran diligenza, e maestra condotto » 3 • Gli scrittori più tardi non hanno aggiunto niente a queste informazioni 4 • Il dipinto, che è tuttora nella cappella, purtroppo non ha avuto il debito riconoscimento da parte della critica, che avrebbe dovuto annoverarlo tra le opere più belle di Siciolante. Il commento di Baglione •con gran diligenza e maestria condotto' significa più di un formale apprezzamento. La Crocifissione segna la perfezione nell'arte di Siciolante: è un'opera di grande armonia pittorica e di naturale potenza espressiva. Terminata due anni prima della morte, questa Crocifissione segna il punto più alto dell'iter pittorico di Siciolante. Pur essendo riconosciuta come una delle opere più tarde dell'artista, non è stato notato che firma e data compaiono vicino alla figura di San Giovanni: HIER. D . SE(R)MONETA. F MD LXXIII 5• Il 1573 è la data confermata da un atto di pagamento del 17 giugno dello stesso anno che lo studioso Karl Schwager ha scopert~ nell'arclùvio Massimo:


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Catalogo delle opere

Io Hieronimo siciolante pittore di sermoneta confesso haver ricevuto dal moJto mag[nifi]co S[ign]or Horatio de M~ssimi scudi cinq~tasei quali ~oll!lo p[er] la sua cappella in S[ant]o _Gio[va1_m1] Laterano: quali sonno: <;1ett1 cinquantasei scudi p[er] resto d[et] scudi novanta che tanto e stato il prezzo d[i] detto quadro 6.

E poiché con queste parole l'artista riconosce il pagamento avuto, ne possiamo dedurre che il quadro era già terminato. Sembra anche che Orazio Massimo fosse il committente di Siciolante e al tempo stesso il supervisore della decorazione della cappella. Ma non fu Orazio a dare inizio alla costruzione della cappella. Nel 1560, la nonna paterna, Faustina d'Antonio Rusticelli, ottenne il consenso del capitolo dei canonici di San Giovanni a fare la cappella 7• La costruzione cominciò entro il 1568, su progetto di Giacomo della Porta. Nel 1570 morl Domenico, il fratello di Orazio, e nella cappella fu messa una targa commemorativa 8 • Quando il 20 maggio 1571 morl anche Faustina, la direzione dei lavori passò ad Orazio 9 • Non sappiamo con precisione come Siciolante, avesse attirato l'attenzione dei Massimo, ma dobbiamo tenere presente che dietro palazzo Massimo c'era la Crocifissione che Siciolante aveva dipinto per la chiesa di San Giacomo degli Spagnoli. Questo quadro monumentale potrebbe avere colpito i Massimo, i quali avrebbero cercato Siciolante. E Siciolante fece per i Massimo una delle opere più belle. Per altre notizie vedi il testo.

1 TOTTI, Ritratto, 1638, p. 4.51. 2 BAGLIONE, Le nove chiese, 1639, pp. 118-119. 3 BAGLIONE, Le vite, 1642, p. 24. 4 TITI, St11dio, 1674, pp. 242-243; CECCONI, Roma, 1725, p . .52; ROISECCO, Roma, II, 1745, p. 433; TITI, Descrizione, 1763, p. 217; ROISECCO, Roma, II, 1765, p. 418; VENUTI, Accurata e succinta descrizione, 1767, pp. 26-27; VASI, Itinerario, 1794, p. 190; CIPRIANI, Descrizione, 1838, p. 45; LITTA, Famiglie, III, 1818-1911, tav. III (Massimi di Roma); NIBBY, Roma, parte I moderna, 1839, p. 248; MELCHIORRI, Guida, 1840, p. 167; PISTOLESI, Descrizione, 1841, p. 259; MORONI, Dizionario, LXXXIX, 1858, p. 122; BLANC, Histoire, X, 1870, p. 32; voss, Die Malerei, I, 1920, pp. 108-109; ORTOLANI, S. Giovanni, 1925, p. 73; VENTURI, Storia, IX, 5, 1932, p. 585; BUCHOWIECKI, Handbuch, I, 1967, p. 74; CELIO, Memoria, 1967, p. 12; D'ONOFRIO, Roma, 1969, p. 66; FREEDDERG,

Painti11g, 1975, p. 498; Quadri, 1979, p. 14. 5 VENTURI, Storia, IX, .5, p. 585, è stato forse il primo a proporre una data; suggerisce gli anni 1560, e FREEDBERG, Painting, p. 498, si dichiara d'accordo. Invece BUCHOWIECKI, Ha11dbuch, I, p. 74, propende per il 1575 come ripete anche in BARROERO, Rione I - Monti, p . 40, e Quadri, p. 14. 6 Vedi Documenti, XXV. Ringrazio il professore K.laus Schwager che mi ha messo al corrente della sua ricerca su Giacomo Della Porta e ha richiamato la mia attenzione s~ documento che riguarda questo quadro. 7 TIBERIA, Giacomo, 1974, pp. 27-28; SCHWAGER, Giacomo, xv, 1975, pp. 120-121.

Iscrizioni, VIII, 1876, p. 35, n. 90. Orazio e Domenico erano figli di Antonio Massimo e di Pantasilea di Giangiorgio Ccsarini. Antonio, figlio di Pietro Massimo e di Faustina Rusticelli, morl prima di sua madre. LITTA, Famiglie, III, tav. III (Massimo di Roma). Vedi anche HUNTER.1 Girolamo, in Girolamo, IV, pp. 43-44. • FORCELLA,

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I. Dipinti autentici

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Chiesa nazionale di San Luigi dei Francesi; cappella Dupré Battesimo e consacrazione di re Clodoveo, 1547-1548 circa (figg. 30a - 30c) Affresco, m. 3,05 X 2,44 Studio (fig. 31) già in Russia, Collezione Iaremitch [D-26]

In tre diversi capitoli delle Vite, Vasari parla della cappella in San Luigi dei Francesi dedicata a san Dionigi. Nella vita di Pellegrino Tibaldi cosl scrive: Nella chiesa di San Luigi dc' Francesi [Tibaldi] fece nella cappella di San Dionigi, in mezzo d'una volta, una storia a fresco d'una battaglia, nella quale si portò di maniera, che, ancor che Iacopo dd Conte, pittore fiorentino, e Girolamo Siciolante da Sermoneta avessero nella medesima cappella molte cose lavorato, non fu loro Pellegrino punto inferiore, anzi pare a molte che si portasse meglio di loro nella fierezza, grazia, colorito e disegno di quelle sue pitture

1•

Nella vita di Siciolante dice: « In San Luigi Siciolante fece una storia a fresco, a concorrenza di Pellegrino Pellegrini bolognese e di Jacopo del Conte fiorentino» 2• E nella vita di Jacopino: « E di mano in una tavola, che [ ... ] ha fatta Jacopino in San Luigi alla cappella di San Dionigi con storie, e quel santo» 3 • Insomma, dalle asserzioni di Vasari sembrerebbe che Tibaldi avesse eseguito l'affresco di una battaglia nel mezzo della volta, che Jacopino avesse fatto una tavola, e che Siciolante avesse dipinto un affresco non meglio definito. Più preciso è Baglione nell'illustrare il contributo di Siciolante: « La quarta cappella di S. Luigi man diritta ha di sua una storia a concorrenza di Pellegrino da Bologna in fresco colorita, ove sono prospettive con alcuni colonnati» 4 • 'Prospettive con alcuni colonnati' descrive l'affresco (fig. 30a) della parete a sinistra di chi guarda l'altare della quarta cappella. Baglione non aggiunge nulla a quanto già detto da Vasari sui dipinti di Jacopino e di Tibaldi. Ma le asserzioni di Vasari e di Baglione che Siciolante lavorasse all'affresco in concorrenza con Tibaldi sono state probabilmente alla base dell'attribuzione dell'affresco della parete di destra a Tibaldi . Cosl scrive Filippo Tiri nel 1674: << La quarta cappella ha sopra l'altare un Quadro con la figura di S. Dionigi a olio formata da Giacomino del Conte, e l'historia a man destra dell'altare fu in fresco colorita da Girolamo Sermoneta a concorrenza di Pellegrino da Bologna, che fece quella incontro, e la battaglia nella volta» 5 • Questa è l'ultima descrizione della cappella, ripetuta durante tutto l'Ottocento 6 • Nel 1894 Albert d'Armailhacq pubblicò una ricerca sulla chiesa di San Luigi dei Francesi, nella quale non solo corregge da san Dionigi a san Remigio, vescovo di Reims e patrono di Francia, il nome del santo cui è dedicata la cappella 7, ma descrivendo il


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Catalogo delle opere

ciclo di opere che illustra la conversione di re Clodoveo, attribuisce a Siciolante l'affresco del battesimo del sovrano francese alla presenza della regina Clotilde e della corte 8 • Nel 1935 Umberto Gnoli pubblicò il contratto, datata 20 marzo 1547, tra Nicolas Dupré e Perino del Vaga. L'accordo stabiliva che Perino eseguisse dipinti e stucchi per la cappella Dupré entro il mese di maggio del 1548 9 • Ma Perino morl il 19 ottobre 1547, lasciando incompiuta la cappella. Dupré stipulò un nuovo contratto con Jacopino del Conte, e senza pubblicarne il testo, Gnoli afferma che esso portava la data del 13 novembre 1548 e impegnava Jacopino a terminare i lavori entro un anno. Gnoli dice anche, ambiguamente, che il contratto venne fatto poco dopo la morte di Perino. O Gnoli riferisce in modo errato la data del contratto, che dovrebbe leggersi 13 novembre 1547, oppure il nuovo contratto venne stipulato oltre un anno dopo la morte di Ferino, e non poco dopo secondo la versione di Gnoli. I documenti non sono stati trovati, e dunque è impossibile verificarne il contenuto. E' impossibile stabilire se il contratto con Jacopino fosse in vigore quando fu affrescata la cappella, né il contratto spiega perché ai lavori avrebbero partecipato Tibaldi e Siciolante, i quali erano entrambi artisti indipendenti. Da quanto è possibile ricostruire, mai prima i due artisti avevano lavorato insieme, eppure la collaborazione a San Luigi presupporrebbe un'antica consuetudine di lavoro. Forse fu una coincidenza a determinare la presenza di Siciolante. Nel 1549, Siciolante aveva lavorato per l'ambasciatore francese alla corte pontificia, Claude d'Urfé 10, il quale, in quanto rappresentante del re di Francia doveva aver cura anche della chiesa nazionale francese di Roma. Il 25 dicembre 1549 d'Urfé aveva finalmente ottenuto il consenso e l'appoggio finanziario di Enrico II 11 per i lavori di ristrutturazione a San Luigi, ed è verosimile che i progetti di Dupré, in quanto parte della riedificazione della chiesa, gli sembrassero interessanti. Sebbene Gnoli affermi che Dupré era soltanto un chierico parigino, risulta dai fatti che Nicolas Dupré era segretario del re di Francia 12, ed è probabile che sia stato lui a fare il contratto con Ferino e Jacopino. La presenza di una siffatta persona basterebbe a spiegare l'inclusione di Siciolante nei lavori, e la scelta dell'argomento da illustrare. Che il Battesimo di Clodoveo sia di Siciolante è ormai unanimemente riconosciuto 13, ma ci sono ancora contrasti ed incertezze sulla partecipazione di Tibaldi, e questo aspetto della decorazione della cappella è ancora tutto da studiare 14. La cappella Dupré è uno spazio rettangolare, con volta a botte, che apre sulla navata destra della chiesa. Alla stessa altezza di quello nella navata, anche nella cappella un cornicione divide la decorazione murale dalla volta. Le due parti laterali della cappella hanno affreschi incorniciati, quello di sinistra è opera di Siciolante (fig. 30a), quello di destra è attribuito a Tibaldi (fig. 30b). Sul muro dell'altare c'è la tavola di Jacopino (fig. 30c), posta dentro una cornice molto elaborata a forma di edicola. Nel timpano c'è uno stemma 15• La volta è affrescata con scene separate da cornici architettoniche fittizie e fasce cli grotteschi. Nella volta, a lato del dipinto centrale, ci sono


I. Dipinti autentici

15'

due scudi con due stemmi 16 • Poiché una finestra semi-circolare posta sopra l'edicola rischiara la cappella e indica la direzione della luce, l'affresco di Siciolante è illuminato da destra. Per l'importanza di quest'opera nello sviluppo artistico di Siciolante, vedi il testo.

1 VASARI, Le vite, 2 Ibid., p. 573.

VII, 1881, p. 416.

3 Ibid., p. 576. 4 BAGLIONE, Le vite,

1642, p . 23.

s

TITI, Studio, 1674, p. 159. 6 CECCONI, Roma, 1725, p. 566; Roma, 1741, p. 367; ROISECCO, Roma, II, 1745, p . 162; ROISECCO, Roma, I, 1765, p. 577; VENUTI, Accurata e succinta descrizione, 1767, p. 608; VASI, Itinerario, 1777, pp. 251-252; VASI, Itinerario, 1794, p. 453; CIPRIANI, Descrizione, 1838, p. 109; NIBBY, Roma, parte 1 moderna, 1839, p. 314; MELCHIORRI, Guida, 1840, p. 343; MORONI, Dizionario, XXVI, 1844, p. 232; PISTOLESI, Descrizione, 1841, p . 422; BLANC, Histoire, X, 1870, p. 32; NIBBY, Itinerario, 1874, p . 285; MANCINI, Considerazione, II, 1956, pp. 39-40, n. 375; MOLA, Breve racconto, 1966, p . 89; CELIO, Memoria,

1967, p. 12. 7 D'ARMAILHACQ, L'église, 1894, pp. 131-134. 8 Sui fatti della vita cli Clodoveo, vedi OPPENHEIMER,

Frankish Themes, pp.

47-63. 9 GNOLI , Documenti, XVII, 2, 7, 1935, pp. 216-217: « Magister Perinus del Vaga de Bonacursiis [ ... ] depingere capellam dm.i Nicolai dupre preclicti sitam in ecclesia Sti Ludovici nationis gallorum de urbe, dextrosum in ingressu porte maioris ». Dice Gnoli che questa affermazione si riferisce alla prima cappella a destra, mentre la cappella Dupré è la quarta a destra. Ne deduce che Jacopino abbia dipinto una pala d'altare per la prima cappella, e che successivamente fosse stata asportata dalla chiesa. 10 ANCEL, Nonciatures, I, 1909, pp. 116, n. l; RAGGIO, Vignole, XV, 1972, pp. 29-52. 11 D'ARMAILHACQ, L'église, 1894, pp. 13-14. 12 Vedi JONGLA DE MORENAS, Grand Armorial, III, 1935, p . 245. 13 voss, Die Malerei, I, 1920, p. 104; VENTURI, Storia, IX, 5, 1932, pp. 564568; ZERI, Intorno, XXXVI, 1951, pp. 143-144; DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, pp. 61-62; BUCHOWIECKI, Handbuch, II, 1970, p. 318; PERICOLI RTDOLFINI, San Luigi, IX, 3-4, 1968, pp. 79-80; PERICOLI RIDOLFINI, San Luigi, V, 1968, pp. 125-127; D'ONOFRIO, Roma, 1969, p . 81; RAGGIO, Vignole, XV, 1972, p . 48; Quadri, 1979, p. 10; PUGLIATTI, Due momenti, IV, 1980, pp. 11-29; HUNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, pp. 95-97. 14 Vedi voss, Die Malerei, I, 1920, p . 144. BRIGANTI, Il Manierismo, 1945, p. 72; DAVIDSON , Introducing, XLVI, 1964, pp. 551-552; GAUDIOSO, I lavori farnesiani, LXI, 1976, p. 33, n. 74. 1s Dove si alternano strisce chiare e strisce scure con trifogli su banda scura. Il trifoglio era l'emblema della famiglia Dupré cli St. Maur. 16 I due scudi hanno bande diagonali alternate chiare e scure. Lo scudo in direzione della finestra ha croci su banda scura; quello in direzione dell'entrata ha un emblema a quattro lobi.


156

24.

Catalogo delle opere ROMA

Chiesa di Santa Maria della Concezione; coro A11nunciazione della Vergine (Annunciazione di San Bonaventura), firmato e datato HIER SERMONETA F MDLXXI (fig. 86) Olio su tela applicata su tavola, m. 2,70 X 1,82 Già nella chiesa di San Bonaventura (ora Santa Croce dei Lucchesi), Roma Il primo a dare notizia di una Annunciazione di Siciolante nella chiesa di Santa Maria della Concezione è stato Niccolò Roisecco: tra i vari dipinti del coro della chiesa, annota Roisecco: « l'Annunziata dall'altra banda è del detto Sermoneta » 1• Ragguagli concisi come questo furono ripetuti in pubblicazioni più tarde 2• Nel 1932 Adolfo Venturi fece una lunga descrizione del quadro, e lo datò tra le opere giovanili di Siciolante, precedente alla pala di Valvisciolo, che è del 1541 3• Dopo Venturi, alcuni studiosi, e con valide ragioni, misero in dubbio questa datazione 4 • Infatti, il restauro del 1972 ha messo a nudo la firma dell'artista HIER SERMONETA F e la data MDLXXI 5• L'Annunciazione dunque non fa parte delle prime opere di Siciolante, fa parte delle ultime, essendo stata terminata un anno dopo la pala di San Bartolomeo (1570), e prima della Crocifissione Massimo (1573) . Ancora oggi si trova sulla parete di sinistra del coro di Santa Maria della Concezione 6 • Il dipinto non fu fatto per questa chiesa. Il cardinale Antonio Barberini cominciò i lavori di costruzione della chiesa nel 1626. Il cardinale era frate cappuccino, fratello di papa Urbano VIII 7 • I cappuccini, che avevano occupato convento e chiesa di San Bonaventura nei pressi di palazzo Colonna, ottennero dai Barberini un luogo vicino a palazzo Barberini dove edificare la nuova chiesa e il convento. Quando i cappuccini si trasferirono, portarono con sé dalla vecchia chiesa gran parte degli oggetti ornamentali e devozionali, tra questi probabilmente c'era anche l'Annunciazione. E' lo stesso Siciolante a darci la prova che il dipinto fu commissionato per la chiesa di San Bonaventura: in una lettera, datata 19 gennaio 1574 e indirizzata a Bonifacio Caetani, signore di Sermoneta, il pittore discute dei numerosi progetti cui stava lavorando in quel periodo per conto di Bonifacio, tra i quali un quadro per un altare che ancora era senza cornice: Si trova fatto qui in Roma un ornamento per un quatro d'una grandezza poco magior dc questo qual io ho fatto per la chiesa dei scapuccini et è di noce con colonne et cornice frontespitio et è molto bello et vale almanco cinquanta scudi: li frati non lo vogliono per esser troppo sontuoso ne fanno fare un altro con manco spesa et più abietto: pcrchè dicono che la loro religione non reccrca tanto sontuosità a.

Le parole <questo qual io ho fatto per la chiesa dei scapuccini' allude certamente a San Bonaventura. Sebbene la chiesa fosse stata concessa


I. Dipinti autentici

15ì

formalmente ai cappuccini soltanto nel 1575, probabilmente essi la occupavano sin dai tempi della lettera di Siciolante 9 • Se poi il quadro, terminato nel 1571, fosse stato commissionato da loro, per loro, o indipendentemente da loro, non si sa; forse acquistarono un certo numero di opere già della chiesa, e tra queste l'Annunciazione di Siciolante. Per quanto riguarda invece la committenza, forse fu un membro della famiglia Colonna a chiamare Siciolante, dato che alla famiglia Colonna faceva capo la chiesa di San Bonaventura 10• Siciolante aveva già dipinto il tema dell'Annunciazione per il castello de La Bastie d'Urfé (fig. 27k), per Santa Maria dell'Anima (figg. 51c, 51d), per San Tommaso in Cenci (fig. 65f). Al pari di queste opere giovanili, dalle quali deriva l'Annunciazione di San Bonaventura, anche in questa opera la Vergine e l'Arcangelo Gabriele sono presentati all'interno di un ambiente domestico. L'elemento nuovo è Dio Padre, al centro di una schiera di angeli, elemento che rende più esplicito il progetto divino e inserisce il tema trattato in un contesto sovrannaturale. Lo scenario è un ambiente scuro, illuminato dall'alto dalla schiera angelica. La Vergine, veste rossa e manto azzurro, è in ginocchio davanti a un leggio e accanto a un letto con baldacchino verde, e si volta di lato come a prendere atto della presenza e del messaggio dell'angelo inginocchiato, che ha indosso una veste bianca e una tunica rosa salmone. Le grige ombre di questo indumento creano un sorprendente gioco di colore. La porzione inferiore del dipinto è, concettualmente e materialmente, di qualità altrettanto alta delle opere tarde di Siciolante. Le figure scultoree, né muscolose né massicce, danno il senso della gravità. La vista attraverso la porta del colonnato in piena luce è sorprendente e inaspettata. La parte superiore del quadro, nuvole grige e aureole dorate che circondano Dio Padre e la colomba dello Spirito Santo, ripete lo schema del Martirio di santa Caterina (fig. 76a) e dell'Assunta Sforza (fig. 87a), ed è più goffa, soprattutto nel particolare dei putti, disposti in modo tutt'altro che armonico. Questa parte del quadro o fu ridipinta, o forse non fu eseguita da Siciolante 11 • Basta confrontare questi putti con quelli delle due tavole di Santa Maria !vlaggiore per rendersi conto della differenza di stile. A parte questo dettaglio, l'insieme del quadro mostra come l'artista abbia dovuto adattare il proprio modo di dipingere alle esigenze dell'argomento trattato. L'Annunciazione ha meno in comune con le pale d'altare della maturità dell'artista che con le opere giovanili dello stesso soggetto. 1 ROISECCO, Roma, II, 1765, pp. 229-230. 2 PANTANELLI, Notizie, I, 1972, p. 601; DOMENICO DA ISNELLO, 1923, p. 110; IGINO DA ALATRI, Guida, 1930, p. 63.

Il convento,

3 Erroneamente Venturi credeva che il quadro provenisse dalla chiesa dei cappuccini di Sermoneta. VENTURI, Storia, IX, 5, pp. 551; FREEDBERG, Painting, p. 496. 4 ZERI, Intorno, XXXVI, 1951, p. 139; DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p. 64, n. 49. 5 Restauri, 1972, pp. 28-29. BUCHOWIECKI, Handbuch, II, 1970, p. 566; LOTTI, LA chiesa, XIV, 5-6, 197.3, p . .52; Quadri, 1979, p. 19.


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Catalogo delle opere

6 La Mortari scrive che il quadro fu portato nel coro dalla terza cappella ai tempi cli Pio IX; in precedenza, dice la Mortari, il dipinto era in un chiostro dotato di finestre (Reslat1ri, p. 29). 7 DOMENICO DA ISNELLO, Il co11vento, p. 46 ss; ARMELLINI, Le chiese, I, pp. 368-369. a Vedi Documenti, XXVI. 9 DOMENICO DA ISNELLO, Il conve1110, pp. 16-18. Prima del 1575 la chiesa di San Bonaventura si chiamava San Nicola de Trivio o de Portiis. HUELSEN, Le chiese, pp. 407-408, e con questo nome sarebbe stata nota ai tempi di Siciolante. li nome della chiesa fu cambiato in Santa Croce dei Lucchesi, quando i cappuccini si trasferirono a Santa Maria della Concezione. Vedi PANCIROLI, I tesori, pp. 251-252; TOTTI, Ritratto, pp. 282-283. 10 DOMENICO DA ISNELLO, Il convento, p . 16, riferisce che i Colonna assegnarono la chiesa di San Bonaventura ai cappuccini, e che Ascanio Colonna provvide a costruire il convento. Domenico da Isnello afferma anche che Gregorio XIII fece costruire una cappella consacrata a san Nicola (lbid., p. 18) « tra !'altre che si dovevano fare nella Chiesa, quali quasi tutte furono fatte fare da diversi Signori ». Né io stesso né alcun altro studioso siamo riusciti a capire finora chi potessero essere « il diversi signori». Anche i Colonna di Palestrina protessero i cappuccini. CECCONI, Storia, p. 332. Papa Gregorio XIII protesse anche lui i cappuccini e secondo LANCIANI, Storia, IV, pp. 63-64, il papa diede loro San Bonaventura. VON PASTOR, Storia, IX, p. 4. 11 MORTARI, Restauri, pp. 28-29 sostiene che la zona ridipinta venne rimossa. A prima vista, la parte superiore sembra integra fino alla superficie originale, nel qual caso Siciolante avrebbe permesso ad altri cli eseguire le figure basate sui suoi stessi disegni.

25.

)

ROMA

Chiesa nazionale tedesca cli Santa Maria dell'Anima; cappella Fugger Vita della Vergine, 1560-1563 circa (figg. 50, 51a - 51g) Muro cli sinistra, in basso: Nascita della Vergine; muro di destra, in basso: Presentaz.ione della Vergine al Tempio; a metà muro, fascia orizzontale: Annunciaz.ione; muro cli sinistra, in alto: Visitaz.ione; muro cli destra, in alto: Presentazione di Gesù Bambino al Tempio; calotta della volta, Assunzione della V ergine Affreschi Studi preparatori: Donna con bambino in braccio (fig. 52), Roma, Gabinetto nazionale delle Stampe e Disegni [D-22]; Presentazione di Gesù Bambino al Tempio (fig. 53), già collezione Miche! Gaud [D-6]; Donna seduta con bambino (fig. 54), Torino, Biblioteca Reale [D-23]; Apostolo in piedi (fig. 55), Londra, British Museum [D-9]; Apostolo in ginocchio (fig. 56), Vienna, Albertina [D-24]; Apostolo che cammina (fig. 57), Parigi, collezione privata [D-20]; Vergine seduta (fig. 58), già a New York, collezione Geiger [D-15]; Profeta (fig. 59), Lille, Museo Wicar [D-8]. In rapida successione, Vasari ci presenta ùna certa quantità di progetti preparati da Siciolante, tra i quali la decorazione ad affresco per la chiesa di Santa Maria dell'Anima. Menzionando la Natività di Santa Maria della Pace e lo Spirito Santo di Santo Spirito (quest'ulti-


I. Dipinti autentici

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mo accompagnato dall'osservazione cche è molto graziosa opera') Vasari aggiunge: « similmente nella chiesa di Santa Maria de Anima, chiesa della nazione tedesca, dipinse a fresco tutta la cappella de' Fuccheri; dove Giulio Romano, già fece la tavola, con istorie grandi della Vita di Nostra Donna» 1• La cappella era di proprietà della famiglia Fugger, banchieri tedeschi che vivevano un po' a Roma e un po' a Augsburg. Nella vita di Giulio Romano, Vasari cosl descrive la pala eseguita da questo artista: « fece il medesimo Giulio a Iacopo Fuccheri tedesco, per una cappella che è in Santa Maria de Anima in Roma, una bellissima tavola a olio, nella quale è la Nostra Donna, Sant'Anna, San Giuseppo, San Iacopo, San Giovanni putto e ginocchioni, e San Marco Evangelista che ha un leone a' piedi » 2• Nel 1638, nella descrizione di questa cappella, Gaspare Celio fece un'osservazione importante: La pittura dell'altare alla destra entrando con la Madonna e SS. Marco e Rocco di Giulio Romano, è ad olio le sue collaterali a fresco, di Geronymo da Sermoneta. Quella di Giulio la guastò il fiume quando inondò, sotto Cleml!nte ottavo, e doppo non solo racconciorono, il guasto, ma guastorono quello, che non haveva tocco il fiume J.

La pala danneggiata e aggiustata di Giulio Romano alla fine fu rimossa dalla cappella, e venne sostituita con un crocifisso scolpito inserito in un grande tabernacolo di marmo 4 ; fino al 1906, quando Joseph Schmidlin pubblicò uno studio su Santa Maria dell'Anima non si parlò più di questa cappella 5• Schmidlin racconta che nell'aprile del 1549 il sacerdote Johann Hominis fu interpellato dalle autorità della chiesa perché facesse presente ad Anton Fugger che la decorazione della cappella di famiglia non era ancora terminata 6 • Dai documenti della chiesa risulta quanto segue: « Item dominum Johannem Hominis domini rogarunt ut continuet solicitare quatenus dominus Antonius Fugger velit suam capellam dipingi facere prout sepe dictam fuit » 7 • Anton Fugger era nipote di Jakob, e quest'ultimo fu l'iniziatore della cappella e il committente della pala a Giulio Romano 8 • Alla morte di Jakob, in mancanza di eredi diretti, la banca passò nelle mani di Anton. Suppone Schmidlin che Siciolante cominciasse gli affreschi all'incirca quando intervenne la chiesa, e che Anton fu il committente. Ma se ci si attiene ad un esame stilistico, questa ipotesi è nettamente da scartare. Tuttavia, pubblicazioni più tarde sulla chiesa e sui Fugger avallano la congettura di Schmidlin 9 • Nel 1966 Bernice Davidson osservò che lo stile degli affreschi di Siciolante suggerirebbe la datazione all'incirca nella seconda metà degli anni 1550 10 ; d'accordo con la Davidson è Raffaele Bruno, il quale propone di posticipare la data della prima metà degli anni 1560 11 , e i due autori sono concordi nel trovare grande affinità tra gli affreschi Fugger e gli affreschi di San Tommaso in Cenci, datati 1565. Quest'ultima data concorda con Vasari, il quale accomuna gli affreschi Fugger con la pala di Santo Spirito del 1564 e con gli affreschi di San Tommaso in Cenci del 1565.


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Catalogo delle opere

La cappella Fugger {fig. 50), la terza a destra, è uno spazio semicircolare che si innalza per tutta l'altezza della navata, ed è coperta da una volta a calotta. La trabeazione è il proseguimento di quella della navata. Una finestra ogivale, coperta parzialmente dal tabernacolo con il crocifisso scolpito, divide il muro della cappella in due parti uguali. Scene dalla vita della V ergine, gli affreschi di Siciolante, coprono la parte di muro disponibile al disopra dell'alto basamento. La decorazione è organizzata secondo lo stesso schema nelle cappelle di Santa Barbara e di Brandenburgo 12 : due scene da ogni lato della finestra, una sopra l'altra. Le scene basse sono quadri incorniciati a stucco, le scene in alto sono arazzi immaginari riquadrati 13 • A dividere le scene in alto da quelle in basso c'è una fascia orizzontale con ghirlande ovali, e sopra le scene in alto c'è una seconda fascia orizzontale con decorazioni ornamentali. Le scene sono cosl organizzate: in basso a sinistra la Nascita della Vergine (fig. 51a), in basso a destra la Presentazione della Vergine al Tempio (fig. 51b). L'Annunciazione occupa la fascia orizzontale. La Vergine compare nell'ovale di sinistra (fig. 51c), l'Angelo in quello di destra (fig. 51d). Sibille e putti alati sono a fianco delle ghirlande negli ovali. La Visitazione (fig. 51e) è in alto a sinistra, in alto a destra c'è la Presentazione di Gesù Bambino al Tempio (fig. 51f). L'Assunzione della Vergine occupa la calotta della volta (fig. 5 lg). I due riquadri in basso sono stati danneggiati dall'alluvione del Tevere, e sono stati ridipinti. Questo susseguirsi di scene costituisce il più lungo ciclo narrativo di Siciolante a noi noto, e per eseguirlo Siciolante ha fatto il più gran numero di studi preparatori 14• Nel testo si parla del rapporto tra questi affreschi e lo sviluppo stilistico di Siciolante. I bozzetti sono analizzati nella sezione Disegni.

1 VASARI, Le vite, 2 VASARI, Le vite, 3 CELIO, Memoria,

VII, p. 572. V, pp. 532-533. p. 20. Come quasi tutte le chiese di Roma, anche questa fu danneggiata dall'alluvione del dicembre 1598. Vedi D'ONOFRIO, Il Tevere, p. 304. BAGLIONE, Le vite, p. 146, nel capitolo su Carlo Saraceni commenta: « Fu dato a questo huomo a racconciare il quadro, o tavola di Giulio Romano nella Madonna dell'Anima, che dall'inondatione del Tevere era stato un poco offeso; ma lo ritocco, di modo, che guastallo; dove egli opero, più di Giulio non ha apparenza; ed a tutti li Professori molto dispiacque, ch'egli in opera cosi rara ardisse di metter si licentiosamente la mano ». 4 Si dice che il crocifisso fosse scolpito nel 1584 da Giovanni Battista Montano. Vedi ARRIGONI, Montano, in Allgemeines Lexikon, XXV, pp. 82-83; CANNIZZARO, S. Maria dell'Anima, XVII, 5-6, pp. 81-82. La pala di Giulio Romano non fu tolta dalla cappella Fugger fino al 1682, quando Carlo Maratta restaurò il dipinto. Vedi HEss, Kunstgeschichtliche Studien, pp. 194-195; · WEIL GARRIS POSNER, Notes, VI, pp. 122, 137. Il tabernacolo fu eretto a metà dell'Ottocento. 5 Vedi BAGLIONE, Le vite, 1642, p. 23; TITI, Studio, 1675, p. 499; CECCONI, Roma, 1725, p. 309; Roma, 1741, pp. 243-244; TITI, Descrizione, 1763, p. 412; ROISECCO, Roma, II, 1765, p. 76; VENUTI, Accurata e succinta descrizione, 1767, p. 46~; VASI, Itinerario, 1777, p. 271; VASI, Itinerario, 1794, p. 472; VASI, Itinerario, 1824, p. 347; CIPRIANI, Descrizione, 1838, p. 117; NIBBY, Roma, parte r. moderna, 1839, p. 363; MELCHIORRI, Guida, 1840, p. 401; PISTOLESI, Descrivone, 1841, p. 437; MORONI, Dizionario, LXXXIX, 1858, p. 122; BLANC, Histoire, X, 1870, pp. 31, 32; NIBBY, Itinerario, 1874, p. 303.


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Geschichte, 1906, pp. 242-244. Documenti, IV. Ringrazio monsignor Johannes Nedbal per aver identifica• to il documento e Christoph Luitpold Frommel che mi ha aiutato nella trascri• zione. 8 La cappella iniziata da Jakob Fugger era dedicata a san Marco, in onore di due parenti che avevano questo nome. Uno morl il 18 aprile 1478 e fu se• polte nella cappella di San Nicola nella chiesa gotica cli Santa Maria dell'Anima; l'altro morl il 26 ottobre 1511 e fu sepolto nella nuova cappella. Furono apposte due targhe commemorative. Vedi FORCELLA, Iscrizioni, III, p. 439, n. 1053 e p. 444, n. 1069. 9 SCHULTE, Die Fugger, 1904, pp. 203-204; LOHNINGER, S. Maria dell'Anima, 1909, pp. 98-102; voss, Die Malerei, I ,1920, p. 104; HUDAL, S. Maria dell'Anima, 1928, pp. 39; NOACK, D-zs Deutschtum, II, 1929, p. 193; VENTURI, Storia, IX, 5, 1932, pp. 548, 572-578; ROMANO, Ponte, 1941, pp. 81-82; ZERI, Intorno, XXXVI, 1951, pp. 144-145; LIEB, Die Fugger, Il, 1958, pp. 274-275; D'ONOFRIO, Roma, 1969, p. 87; BUCHOWIECKI, Handbuch, II, 1970, p. 424; WATERHOUSE, Some Frescoes, CXII, 1970, p . 104; RAGGIO, Vignole, XV, 1972, p. 52, n. 115; PIETRANGELI, Rione V - Ponte, 2, 1973, p. 68; Quadri, 1979, p . 21; KNOPP e HANSMANN, S. Maria dell'Anima, 1979, pp. 45-46; PUGLIATTI, Due momenti, IV, 1980, p. 16; Gli affreschi, II, 1981, pp. 13-14; PUGLIATTI, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, pp. 98-100. 10 DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p. 64. 11 BRUNO, Girolamo, CXXXVI, 1974, pp. 33-35. Vedi anche HUNTER, Trans ition, LIX, 1987, pp. 24-26. 12 Francesco Salviati fece la cappella Brandenburgo e Miche! Coxie la cappella cli Santa Barbara. Vedi KNOPP e HANSMANN, Santa Maria dell'Anima, pp. 48-51. 13 REINHARDT, La tapisserie, LXXXIV, 1974, p. 288. 14 HUNTER, The Drawings, XXVI, 1, 1988, pp. 17-20. 6 scHMIDLIN,

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ROMA

Chiesa di Santa Maria della Pace; cappella Cesi Vita di Cristo Nella volta: Natività, Adorazione dei Magi, Massacro degli Innocen ti, Fuga in Egitto Affreschi e decorazione a stucco, m. 3,66 X 2,75 1549-1550 circa (figg. 34, 35a - 35b)

Vasari è il primo a dare notizia dell'intervento di Siciolante nella cappella Cesi, che descrive dopo aver parlato dei due precedenti dipinti eseguiti dall'artista, rispettivamente per Valvisciolo e per i SS. Apostoli : « Nella Pace condusse poi, alla cappella di marmo che fece far il cardinale Cesis tutta la volta lavorata di stucchi in un partimento di quattro quadri; facendovi il Nascere di Gesu Cristo, l'Adorazione de' Magi, il Fuggire in Egitto e l'Uccisione di fanciulli Innocenti che tutto fu opera molto laudabile, e fatta con invenzione, giudizio e diligenza » 1• Dopo Vasari, dobbiamo aspettare Gunter Urban per avere qual-


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Catalogo delle opere

che nuova notizia su questi affreschi. Urban li ha datati intorno al 1565, il che non si accorda né con la documentazione di cui disponiamo né con un attento esame stilistico 2 • Delle quattro scene affrescate, si riesce a vedere soltanto l'Adorazione dei Magi. La curiosa decorazione della cappella è opera di una squadra di artisti assoldati dalla famiglia per un lavoro di alcuni decenni. In data 8 ottobre 1515, ad Angelo Cesi fu accordato il diritto di farsi una cappella mortuaria, la seconda a destra entrando, consacrata all'Annunciazione della Vergine 3 • Il 12 dicembre 1524, per conto di Angelo Cesi, Antonio da Sangallo il giovane scelse Rosso Fiorentino per eseguire la facciata della cappella, una pala d'altare, varie decorazioni a stucco 4 • Si conosce solo il dipinto della facciata, che raffigura Adamo ed Eva, e sul quale Vasari cosl si esprime: « quivi nella Pace, sopra le cose di Raffaello, un'opera della quale non dipinse mai peggio a suoi giorni» 5• Il 6 febbraio 1528 Angelo Cesi morl, in seguito al sacco di Roma 6 ; il 12 dicembre 1529 suo figlio Ottavio commissionò un mausoleo in onore del padre ad Antonio da Sangallo 7 • Questi preparò i bozzetti, che sono stati studiati in diverse occasioni 8• Nessuno sa quando ebbe inizio il lavoro; fu terminato per opera di Federico Cesi, altro figlio di Angelo, eletto cardinale il 19 dicembre 1544 9• La decorazione della cappella, e dunque il completamento della costruzione, possono datarsi all'epoca del cardinalato di Federico Cesi, il quale morl il 28 gennaio 1565. Tuttavia, anche se imprecisi, i commenti di Vasari sono la prova migliore per stabilire una datazione più esatta, tra il 1545 e il 1550 circa. Nella vita di Simone Mosca Vasari scrive: Nè pass~ molto che guidando Antonio da Sangallo per messer Agnolo Cesi l'ornamento di marmo d'una cappella e sepoltura di lui e di sua famiglia, che fu murata poi l'anno 1550 nella chiesa di Santa Maria della Pace, fece fare parte d'alcuni pilastri e zoccoli pieni di fregiature che andavano in quell'opera a Simone il quale gli condusse si bene e si begli che senza ch'io dica quali sono, si fanno conoscere alla grazia e perfecione loro in fra gl'altri. Ne è possibile veder più belli e capricciosi altari da fare sacrifizi all'usanza antica, di quelli che costui fece nel basamento di quell'opera 10•

La data citata da Vasari, 1550, non è accettata dalla critica 11 , eppure in altra parte egli afferma che Simone Mosca si trovava a Roma a quel tempo 12 • Mosca esegul soltanto in parte la decorazione scultorea, il resto fu finito da Vincenzo de' Rossi. Scrive Vasari nella vita di quest'ultimo: « fece poi nella chiesa di Santa Maria della Pace due sepolture, con i simulacri di coloro che vi son dentro, sopra le casse; e di fuori, nella facciata, alcuni Profeti di marzo di mezzo rilievo e grandi quanto il vivo, che gli acquistarono nome di eccellente scultore » 13 • Vincenzo de' Rossi soggiornò a Roma tra il 1546 e il 1560 e, sempre secondo Vasari, dopo la cappella Cesi esegul anche la statua di Paolo IV 14• Infine, nella vita di Michelangelo, Vasari cita un dipinto di Marcello Venusti per la cappella Cesi: Ed in vero Michelangnolo collocò sempre l'amor suo a persone nobili, meritevoli e degne; che nd vero ebbe giudizio e gusto in tutte le cose. Ha fatto poi


I. Dipinti autentici

16)

fare Messer Tommaso a Michelangelo molti disegni per amici; come per il Cardinale de Cesis la tavola la dov'è la Nostra Donna annunziata, e posta nella cappella di marmo che ha fatto fare quel cardinale nella chiesa della Pace di Roma 1s.

Si è detto che il disegno di Michelangelo dovrebbe risalire a dopo il 1547; perciò il dipinto di Marcello Venusti dovrebbe essere posteriore a questa data 16• Queste descrizioni particolareggiate di Vasari inducono a datare la decorazione negli anni tra il 1545 e il 1550, da quando cioè Federico Cesi fu nominato cardinale fino all'inizio del pontificato di Giulio III. Parrebbe anche che Siciolante facesse in questi stessi anni la decorazione della volta, e non intorno al 1565, come sostiene Urban 17 • La datazione precedente è avallata dalle osservazioni di Vasari e dall'evidenza stilistica. Nel testo si parla dello stile dei dipinti e delle decorazioni a stucco. Le vite, VII, 1881, pp . .571-.572. Die Cappella Cesi, 1961, pp. 221. Vedi pure BAGLIONE, Le Vite, 1642, p. 24; TITI, Studio, 1674, pp. 453-455; CECCONI, Roma, 1725, pp. 306-307; TITI, Descrizione, 1763, p. 415; VENUTI, Accurata e succinta descrizione, 1767, p. 457; VASI, Itinerario, 1777, p. 269; VASI, Itinerario, 1794, p. 470; NIB'BY, Roma, parte I moderna, 1839, pp. 450-451; MELCHIORRI, Guida, 1840, p. 320; PISTOLESI, Descrizione, 1841, p. 435; MARTINORI, I Cesi, 1931, pp. 60, 62, n. 2, 102; MARIANI, Significato, V, 9-10, 1961, pp. 180-182; MOLA, Breve racconto, 1966, p. 107; CELIO, Memoria, 1967, p. 20; FALCIDIA, S. Maria della Pace, IV, 1967, pp. 297-299; BUCHOWIECKI, Handbuch, III, 1974, p. 83; LOTTI, Santa Maria della Pace, X, 5-6, 1969, p. 44; D'ONOFRIO, Roma, 1969, p. 120. l FROMMEL, Miszellen, XXI, 4, 1963, p. 147. 4 HIRST, Rosso, CVI, 1964, p. 121. s VASARI, Le vite, V, 1880, pp. 161-162. 6 MARTINORI, I Cesi, 1931, p. 46. 7 BERTOLOTTI, Nuovi documenti, ser. 3, IV, 1890, pp. 321-322; FROMMEL, Miszellen, XXI, 4, 1963, pp. 147-148. Angelo Ccsi fu fatto segretario apostolico da Giulio II nel 1504. Sua moglie, Franceschina Cardoli morl il 15 aprile 1518. 8 Vedi GIOVANNONI, Antonio da Sangallo, I, 19.59, pp. 377-380; URBAN, Die Cappella Cesi, 1961, pp. 213-238; URBAN, Die Kirchenbaukrmst, IX-X, 19611962; p. 178; FROMMEL, Miszellen, XII, 4, 1963, pp. 144-148. 9 Dizionario, XXIV, 1980, pp. 253-256. IO VASARI, Le vite, VI, 1881, pp. 298-299. 11 MILANESI, (in ibid., p. 229, n. 1) pensò che questa data fosse un errore tipografico, e propose invece il 1530. Tuttavia Vasari sembra riferirsi non alla t VASARI, 2 URBAN,

costruzione della cappella ma soltanto all'opera in marmo. 12 Ibid., pp. 307-308. Simone Mosca era a Roma anche prima, verso il 1544, quando esegul lo stemma di Paolo III per la loggia di Castel Sant'Angelo che guarda verso Prati. E' la stessa loggia degli affreschi eseguiti da Siciolante nel 1544. 13 VASARI, Le vite, VII, p. 626. Il marmo per la scultura fu recuperato da dietro il Palazzo dei Conservatori. LANCIANI, Storia, III, p. 69, e IV, pp. 109110; «Bullettino», III, pp. 187-188. 14 Vedi UTZ, Vincenzo de' Rossi, XVII, 197, 1966, p. 33. 15 VASARI, Le vite, VII, 1881, p. 272. l6 WILDE, Cartone/ti, CI, pp. 370-381. I.A Madonna con Bambino e sant'Anna di Carlo Ccsi, esposto attualmente, sostitul la pala di Venusti nel XVII secolo. TITI, Studio, p. 454. Giovanni Andrea Gilio (Due dialogi, p. 122) mise in ridicolo il dipinto di Venusti e ammonl il cardinale Federico Ccsi a non ripetere l'errore nella decorazione di Santa Maria Maggiore. 17 URBAN, Die Cappella Cesi, p. 221, sostiene che la volta fu l'ultima ad essere eseguita. Questa affermazione contraddice ogni logica. Non sembra proba-


164

Catalogo delle opere

bile che la volta venisse ultimata dopo che erano già state fatte le opere i~ marmo e dopo che era stato sistemato l'altare .. Al contrario, questa parte d~a lavori dovrebbe aver preceduto le opere murane. E ancora: se la volta era finita intorno al 1565, allora secondo Vasari, la pala d'altare della Natività di Santa Maria della Pace era ~ltimata per la metà o i tardi anni del 1560. Stilisticamente, la Natività non appartiene alle opere tarde di Siciolante. FALCIDIA, Santa Maria della Pace, IV, p. 297, ripete la data di Urban per la volta, sebbene osservi giustamente che la Natività è databile nel 1560 circa. Vedi HUN· TER, Tramition, LIX, pp. 16-18.

27.

ROMA

Chiesa di Santa Maria della Pace; cappella della Natività Adorazione dei Pastori Olio su tavola, m. 2,14 X 1,37, firmato HIER. SICIOLA(N)TIS

SER-

MONETA F.

Dipinti della volta, da sinistra a destra: Creazione di Adamo Olio su intonaco, m. 1,14 X 1,20 Tentazione Olio su intonaco, m. 1,43 X 1,20 Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre Olio su intonaco, m. 1,14 X 1,20 Dipinti sui muri, a sinistra, e a destra: Sant'Andrea Olio su intonaco, m. 2,10 X 1,16 San Sebastiano Olio su intonaco, m. 2,10 X 1,16 1560 circa Studi preparatori per: Testa e mano di uomo (fig. 43), Firenze, Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe [D-4]; Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre (fig. 44), Manchester, Whitworth Art Gallery [D-12] (figg. 42a - 42f)

Per il lavoro eseguito da Siciolante nella cappella della Natività non sono stati trovati documenti né è stato identificato alcun mecenate. Vasari, il primo a far parola di quest'opera, registra due incarichi affidati a Siciolante per la chiesa di Santa Maria della Pace: la decorazione della volta della cappella Cesi, e una pala per la cappella della Natività nell'ottagono, e cosl scrive: « Nella medesima chiesa fece, non molto dopo [la cappella Cesi] il medesimo Girolamo, in una tavola alta quindici palmi appresso all'altare maggiore, la Natività di Gesu Cristo; che fu bellissima » 1 • Ed ecco come Baglione modifka la descrizione di Vasari: « Nella


I. Dipinti autentici

16.5

Chiesa della Pace la cappella sotto l'organo dal Sermoneta fu lavorata a fresco, e sopra l'altare sta una tavola della Natività di N. Signore con li Pastori, e con alcune figure a olio ben colorita» 2• I dipinti sui muri e nella volta a botte in realtà non sono affreschi, sono olii. Dalla pubblicazione di Le vite di Baglione a oggi, le notizie sulla cappella sono saltuarie e inattendibili: ad esempio Luigi Lanzi ravvisa erroneamente una replica della Natività di Osimo·\ e per qualche inspiegabile motivo nel 1920 Hermann Voss collocò la pala nel 1570, data assurda, visto che ne parla Vasari 4 • In tempi più vicini sono stati proposti gli anni tra il 1560 e il 1565, meglio compatibili con lo stile del dipinto 5• La cappella della Natività è la seconda a sinistra della cappella Maggiore, a fianco dell'ingresso alla sacristia; sopra c'è un organo a canne. La bassa volta a botte è interamente dipinta, con l'eccezione del basamento. La pala della Natività, o per meglio dire l'Adorazione dei pastori (fig. 42a), occupa il muro principale. A sinistra guardando l'altare la figura di sant'Andrea (fig. 42e), a destra quella di san Sebastiano (fig. 42f), entrambi rovinati dall'umidità. La volta ha tre scene che illustrano la creazione e il peccato originale: da sinistra a destra la Creazione di Adamo (fig. 42b), la Tentazione (fig. 42c), la Cacciata di Adamo ed Eva (fig. 42d). Le composizioni del muro e della volta sono semplici, le figure grandi e proporzionate, convenzionali nella struttura del corpo come nei lineamenti del volto. I personaggi sono costruiti in modo simile a quello della Madonna Pini (fig. 47) e degli affreschi della Vita di Adone (figg. 41b 41e): Adamo nella volta (figg. 42b - 42e) e San Sebastiano (fig. 42f) sono il riscontro maschile di Santa Lucia e sant'Agata (fig. 45) a Santa Maria sopra Minerva. Nell'Adorazione dei Pastori (fig. 42a) la Vergine, san Giuseppe, i pastori e due spettatori si assiepano tra le rovine di un edificio intorno al neonato Bambino Gesù 6 • In alto, una schiera di putti assiste all'adorazione. Le figure della pala sono meno massicce di quelle del muro, e hanno un aspetto più naturale. La muscolatura è resa con precisione, i volti probabilmente sono ritratti dal vero. Queste figure discendono direttamente da quelle de La Bastie d'Urfé (figg. 27a - 27k), ma qui i corpi sono più flessuosi, più agili, meno rigidi. Un ritmo disinvolto e rilassato inserisce le figure in un insieme armonico, e il colore dà vivacità al dipinto. Sullo sfondo architettonico neutro, il rosa brillante, il verde tendente al giallo, il blu acciaio, l'oro e l'arancio luccicano come gemme. Il punto focale della composizione è il paesaggio lontano visto attraverso il portale in rovina; nuvole azzurre con pennellature bianche sembrano appese sulla campagna verde scuro, l'alba rosata illumina il cielo e annuncia un nuovo giorno. E così tangibile è il senso di realtà che ci ispira il paesaggio, ben diverso dalla ~tilizzata decorazione dei muri, che certo deriva dall'osservazione della natura. Per ulteriori informazioni su questi dipinti vedi il testo, per notizie sui bozzetti la sezione Disegni.


166

Catalogo delle opere

I VASARI, Le vile, VII, 1881, p. 572. 2 BAGLIONE, Le vile, 1642, p. 24. J LANZI Storia, I, p. 437. A Osimo non

è stata trovata nessuna testimonianza di un tale' dipinto. L'unica replica conosciuta di questo argomento (fig. 107) è alla Pinacoteca di Parma ed è basata sull'affresco della chiesa romana di San Tommaso in Cenci. 4 voss, Die Molerei, I, 1920, p. 109. s FALCIDIA, S. Maria della Pace, IV, 1967, p. 306. Vedi anche TOTTI, Ritratto, 1638, p. 257; TITI, Studio, 1674, p . 457; CECCONI, Roma, 1725, p. 307; Roma, 1741, p . 242; ROISECCO, Roma, I, 1745, p. 411; TITI, Descrizione, 1763, p. 416; ROISECCO, Roma, II, 1765, pp. 72-73; VASI, Indice, 1765, p. 185; VASI, lti11erario, 1777, p. 270; VASI, Itinerario, 1794, p. 471; PISTOLESI, Il Vaticano, 1829, p. 99; CIPRIANI, Descrizione, 1838, p. 117; NIBBY, Roma, parte I moderna, 1839, p. 452; MELCHIORRI, Guida, 1840, p . 321; PISTOLESI, Descrizione, 1841, p. 435; MORONI, Dizionario, LXXXIX, 1858, p . 122; BLANC, Histoire, X, 1870, p. 32; NAGLER, Neues allgemeines Kiinstler-Lexicon, XVIII, 1911, p . 368; VENTURI, Storia, IX, 5, 1932, p. 555; MANCINI, Considerazioni, I, 1956, p. 285; Il, 1956, p . 205, n. 1545; MOLA, Breve racconto, 1966, p. 107; D'ONOFRIO, Roma, 1969, p. 120; Mostra, 1970, pp. 17-18; PIETRANGELI, Rione V - Ponte, 1, 1973, pp. 54-56; BUCHOWIECKI, Handbuch, III, 1974, p. 91; Quadri, 1979, p. 21; HUNTER, Transition, LIX, 1987, p. 24. 6 Lo spettatore a destra è molto somigliante alla figura all'estrema destra dell'affresco. Scipione offre la corona a Caio Lelio (fig. 39c) nella sala di Ales:i,mdro Magno a Palazzo Capodiferro-Spada.

28. ROMA

Chiesa di Santa Maria di Monserrato; cappella Maggiore Crocifissione con la Vergine e san Giovanni Evangelista (Crocifissione di San Giacomo), 1564-1565 (fig. 62) Olio su tavola, m. 4,58 X 2,14 Già a Roma, a San Giacomo degli Spagnoli (ora Nostra Signora del Sacro Cuore), cappella Maggiore

Vasari è il primo a dare notizia di questa Crocifissione in un lungo resoconto dei dipinti per la chiesa nazionale spagnola di San Giacomo. Subito dopo aver parlato degli affreschi della Cappella Fugger, Vasari osserva: ed in San Iacopo degli Spagnoli, all'altare maggiore fece una gran tavola, un bellissimo Crocifisso con alcuni Angeli attorno, la Nostra Donna, San Giovanni; e, oltre ciò, due gran quadri che la mettono in mezzo, con una figura per quadro, alta nove palmi, cioè San Iacopo apostolo e Santo Alfonso vescovo: nei quali quadri si vede che mise molto studio e diligenza 1.

Baglione e altri scrittori settecenteschi ribadiscono l'informazione di Vasari, ma rettificano il nome di sant'Alfonso in sant'Ildefonso 2 • Le non buone relazioni tra la Santa Sede e il re di Spagna ridussero di molto l'entità della colonia spagnola a Roma, e la chiesa di San Giacomo, negletta e trascurata, fu infine chiusa in seguito all'inva-


I. Dipinti autentici

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sione delle truppe napoleoniche, che fecero bottino di molti oggetti appartenenti alla chiesa 3 • Ritornata la normalità il re di Spagna, con il consenso di Pio VII, decise di unire la congregazione di San Giacomo con quella di Santa Maria di Monserrato. Quest'ultima venne restaurata, perché anch'essa era stata negletta, e fu riconsacrata il 21 luglio del 1822 4 • Nel 1839 Antonio Nibby cosi descrive l'altar maggiore di Santa Maria di Monserrato: « il quadro nel fondo della tribuna con Gesù Cristo in Croce ed ai piedi la Madonna e s. Giovanni è un opera assai lodata di Girolamo Siciolante da Sermoneta, e stava già sull'altare grande nella chiesa di S. Giacomo 5 • Risulta chiaramente che la Crocifissione di Siciolante fu trasferita da San Giacomo a Santa Maria di Monserrato 6 • E' incerto, invece, il destino degli altri due quadri, San Giacomo e Sant'Ildefonso 1• Quando nel 1968 J usto Fernandez pubblicò la storia di Santa Maria di Monserrato, citò due documenti degli anni 1564-1565 che trascrivevano i pagamenti fatti a Siciolante, e provavano che erano state le gerarchie ecclesiastiche di San Giacomo ad affidare a lui questo lavoro 8 • Citiamo qui di seguito tre articoli registrati. Il primo, in data 23 dicembre 1564, è abbastanza curioso: « mas di de manche a los hiios de hyeronimo de salmoneta pintor seis Julios » 9 • Una mancia ai bambini di Siciolante potrebbe voler dire letteralmente un rega!o ai figli dell'artista, come pure ai suoi garzoni o giovani aiuti. Il secondo articolo dire: « mas paque al pintor hyeronimo de Salmoneta cinquenta escudos per hazer los quadros del altar mayor », e la data è la stessa. Il terzo articolo del 15 agosto 1566 afferma: « en 15. di a mastre Jeronimo de Salmoneta ciento y dies escudos de moneda por la hechura del retablo del altar grande». Dunque Siciolante ebbe 160 scudi per la pala; non si sa se le due tavole gli furono pagate a parte. Non solo questi pagamenti confermano la validità della cronologia stabilita da Vasari, ma sono anche una ulteriore prova delle molte committenze in questo periodo. La Crocifissione di San Giacomo fu eseguita circa lo stesso periodo della Discesa dello Spirito Santo di Santo Spirito andata smarrita (1564), degli affreschi di San Tommaso in Cenci (1565), degli affreschi della Sala Regia (1565), dei dipinti di San Giuliano in Banchi (circa 1565). E' la prima volta che Siciolante tratta in maniera monumentale il tema della Crocifissione. A modello sceglie il tipo iconico piuttosto che il narrativo, e cosl farà di nuovo la Crocifissione Colonna di Palestrina (fig. 78) e per la Crocifissione Massimo di San Giovanni in Laterano (fig. 89). Il buon esito derivò dalla rispondenza con la natura intima dell'argomento e dalla comprensione del mondo delle immagini tradizionali. Vedi il testo per altre informazioni e notizie.

1 VASARI,

Le vite, VII, 1881, p. 572. Le vite, 1642, p. 24; TITI, Studio, 1674, p. 155; CECCONI, Roma, 1725, p. 571; Roma, 1741, p. 369; ROISECCO, Roma, II, 1745, p. 168; TITI, D~sçrii;ione, 1763, p. 144; VASI 1 ln{iice 1 1765, p. 190; V~VTI 1 Açcur~t~ ~ $Uç2 BAGLIONE,


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Catalogo delle opere

cinta descrizione, 1761, p . 615; VASI, Itinerario, 1777, p. 276; VASI, Itinerario, 1794, p. 479; MELCHIORRI, G11ida, 1840, p. 408; MOLA, Breve racconto, 1966, p. 61. J FERNANDEZ ALONSO, S. Maria di Monserrato, 1968, pp. 35-39; RUSSO, Nostra Signora, 1969, pp. 36, 66-67. Quando fu_ riaperta, la chiesa prese il nome di Nostra Signora del Sacro Cuore. L'altar maggiore era, come è tutt<;>ra, d_al_la parte della chiesa che guarda piazza Navona, sebbene non fosse cosl m ongme. Per informazioni sulle modifiche architettoniche di San Giacomo vedi CECCHELLI, Una chiesa, XIV, 10, pp. 325-334. • FERNANDEZ ALONSO, S. Maria di Momerrato, 1968, pp. 39-41. s NIBBY, Roma, parte I moderna, 1839, p . 436. 6 BLANC, Histoire, X, 1870, pp. 31, 32; NIBBY, Itinerario, 1874, p . 426; CEC· CHELLI, U11a chiesa, XIV, 10, 1936, p. 330; CECCARIUS, Strada, 1940, p. 58; ARMELLINI, Le chiese, I, 1942, p. 466; FERNANDEZ ALONSO, Santiago, VI, 1958, p. 54; GIOVANNONI, Antonio, I, 1959, pp. 244-245; CELIO, Memoria, 1967, p. 16; o'oNOFRIO, Roma, 1969, pp. 51, 111; BUCHOWIECKI, Handbuch, II, 1970, p. 763; PIETRANGELI, Rione VII - Regola, 2, 1972, pp. 34-36; BRUNO, Girolamo, CXXXVI, 1974, p. 35, n. 59; Quadri, 1979, p. 10. 7 CECCHELLI, U11a chiesa, XIV, 10, pp. 332, riferisce che P . Costanzi trovò alcuni pezzi appartenenti alla chiesa di San Giacomo a San Tommaso di Villanova a Geozano. Russo, Nostra Signora, p. 67, riferisce che gli oggetti di San Giacomo andarono dispersi tra le varie chiese di Sermoneta, di Velletri e di Genzano, però le due tavole di Siciolante non furono trovate. • FERNANDEZ ALONSO, Santa Maria di Monserralo, p. 83. Ringrazio monsignor J. Fernandez Alooso, che ha letto, tradotto e commentato per me questi documenti. 9 Vedi Documenti, XIV.

_)

29.

ROMA

Chiesa di Santa Maria in Aracoeli; cappella del Crocifisso Trasfigurazione, 1573-1575 circa (fig. 88) Olio su tavola, m. 2,29 X 1,53 Già a Roma, Santa Maria in Aracoeli, cappella Armentieri

E' Baglione a presentarci la Trasfigurazione di Siciolante: « In Araceli dentro la seconda cappella a mano stanca è suo il quadro a olio della Trasfigurazione di N. Signore con li suoi apostoli, assai buon lavoro » 1 • La descrizione, precisa ed informata, fu ripetuta durante il Seicento e per buona parte del Settecento 2• Nel 1736 Casimiro Romano fece due attribuzioni, notando che in un manoscritto dei primi del Seicento Giulio Mancini, medico di Urbano VIII, aveva attribuito la Trasfigurazione a Francesco da Siena 3 • Casimiro non fa commenti sulla attendibilità delle informazioni di Mancini e di Baglione, e offre invece altre notizie: da un documento notarile che porta la data del 4 giugno 1578 4 si viene a sapere che la cappella fu costruita da Livia Muti, secondo il desiderio espresso nel testamento dal defunto marito Tommaso Armentieri. A quell'epoca la Trasfigurazione era in questa cappella.


I. Dipinti autentici

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La guida alle chiese di Roma nel 1763 di Filippo Titi fa sua l'informazione di Casimiro e ne aggiunge un'altra: « Il quadro a olio nella penultima cappella con la trasfigurazione di nostro Signore è di Francesco da Siena, e del Sermoneta, come anche il Dio Padre in mezzo alla volta » 5 • Le annotazioni di Titi sulla Trasfigurazione e su Dio Padre nella volta vennero ribadite durante tutto l'Ottocento 6 • Quando la cappella Armentieri fu trasformata in presepio permanente, la nuova costruzione nascose alla vista il Dio Padre della volta 7, e la Trasfigurazione, allora attribuita al solo Siciolante, fu trasportata nella cappella del Crocifisso, la quarta a destra, dove si trova attualmente 8 • Fino ai tempi nostri, quanto dice Casimiro è la sola prova documentaria della esistenza della cappella Armentieri nonché della T rasfigurazione di Siciolante. Ma recentemente sono stati scoperti molti altri documenti che consentono una datazione più precisa dell'opera. Lo spagnolo Tommaso Armentieri, majordomo e segretario di Margherita d'Austria, figlia di Carlo V e moglie di Ottavio Farnese 9. in data 5 ottobre 1565 a Piacenza fece un testamento con il quale chiedeva che gli eredi costruissero una cappella funeraria a Roma nell:i chiesa di Santa Maria dei padri Teatini, San Sisto, o nella chiesa di Santa Maria dei Carmelitani. In caso di impossibilità, desiderava che la cappella venisse eretta a Piacenza, nella chiesa di Sant'Eufemia. Poco dopo aver fatto testamento, Tommaso Armentieri morl 10• La vedova, Livia di Valeriano Muti, appartenente ad una nobile famiglia romana, scelse Santa Maria in Aracoeli invece di rispettare la V()lontà del marito. Il 7 dicembre 1572 redasse un documento, nel quale attesta di aver pagato i due muratori Stefano di Giovanni Antonio de Grandis e Francesco de Simone per il lavoro eseguito nella cappella: « Liviam Mutam vel: qd Thome de Armenterii de scutis quadrigentis Septuagentis sex monetibus causa et occasione fabrice pro eos factum in Duabus Capellis ecclesia Beate Marie de Aracelii » 11 • L'architetto Giacomo della Porta fu testimonio all'atto u. Secondo il documento, due furono le cappelle ricavate dalla preesistente cappella Albertoni, consacrata a sant'Antonio da Padova 13 • Se il 7 dicembre 1572 sta a indicare approssimativamente la fine della costruzione della cappella Armentieri, la pala di Siciolante probabilmente fu commissionata ed eseguita poco dopo questa data. Fu terminata certamente prima dell'estate 1575, quando l'artista morl. La Trasfigurazione è composta in maniera semplice: la figura in piedi, Cristo, Mosé, Elia, occupano la parte superiore della tavola, mentre Pietro, Giovanni e Giacomo sono semisdraiati a terra nella parte inferiore, e questa divisione, proprio come nell'Assunta Sforza (fig. 87a), viene esaltata dall'azzurro grigio del cielo in contrasto con il verde bruno della terra. Il tono grigio che domina tutto il dipinto probabilmente è dovuto allo scoloramento delle tinte a causa dello sporco. La tavolozza è tra le più moderate: Cristo è in bianco, la figura a sinistra in verde grigio, quella a destra in grigio rosa. I personaggi in basso indossano indumenti color dell'oro, azzurro, verde, rosso, verde giallo, grigio, bianco.


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Catalogo delle opere

Nella Trasfigurazione Siciolante cerca la semplicità, e la ottiene per mezzo della composizione e del colore; le sagome grandi e semplici delle figure, esaltate dall'ampiezza dei tessuti, contribuiscono al raggiungimento dello scopo. Le figure muscolose, le pose, i lineamenti del volto, il rapporto tra l'una e l'altra, tutto è parte di un progetto essenziale: la trasfigurazione è un evento staccato da tempo e luogo precisi. Osserva Hermann Voss che il dipinto di Siciolante somiglia assai a quello di Raffaello nella Pinacoteca vaticana; tuttavia, la Trasfigurazione Armentieri imita modelli più tradizionali, meno drammatici e soprannaturali 14 • Come la pala di San Bartolomeo del 1570 e la Crocifissione Massimo del 1573, la Trasfigurazione è opera essenziale e schematica.

1 BAGLIONE, Le vite, 1642, p. 24. 2 Vedi TITI, Studio, 1674, pp. 214-215. l CASIMIRO ROMANO, Memorie, 1736, p. 225. MANCINI,

Considerazioni, I, 1956, p. 196; II, 1956, pp. 82-83, n. 697. 4 Roma, Archivio di Stato, Archivio del collegio dei notari capitolini, Curtius Saccoccius de Sanctis, voi. 1549, ff. 459r.461v, 4 giugno 1578. 5 TITI, Descrizione, 1763, p. 195. 6 ROISECCO, Roma, I, 1765, pp. 334-335; VENUTI, Accurata e succinta descrizione, 1767, p. 816; VASI, Itinerario, 1777, p. 61; VASI, Itinerario, 1794, p. 107; VASI, Itinerario, 1824, p. 56; CIPRIANI, Descrizione, 1838, p. 26; NIBBY, Roma, parte I moderna, 1839, p. 355; MELCHIORRI, Guida, 1840, p. 327; PI· STOLESI, Descrizione, 1841, p. 177; MOLA, Breve racconto, 1966, p. 100. 7 La data precisa è ignota, ma Luigi Ceccon terminò le figure del presepio entro il 1861. BOSI, Piccole note, V, p. 156. 8 BLANC, Histoire, X, 1870, pp. 31, 32; NAGLER, Neues allgemeines KiinstlerLexicon, XVIII, 1911, p. 368; voss, Die Malerei, I, 1920, p. 109; VENTURI, Storia, IX, 5, 1932, p. 585; SALERNO, L'Aracoeli, XL, 4, aprile 1965, p. 200; D'ONOFRIO, Roma, 1969, p. 90; BUCHOWIECKI, Handbuch, II, 1970, pp. 499, 516; Quadri, 1979, p. 8; HUNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, pp. 42-43. E' difficile guardare la volta che è nello spazio scuro sopra il presepio. Il tondo di Dio Padre, danneggiato da un grosso buco in centro, non è opera di Siciolante. 9 AMAYDEN, La storia, I, 1910, p. 81. 10 Morl prima del 7 ottobre 1565. Ibid., p. 81, n. 3. Un inventario dei beni di Armcntieri fu fatto il 1° febbraio 1569. Roma, Archivio di Stato, Archivio del collegio dei notari capitolini, Curtius Saccoccius de Sanctis, vol. 1568, ff. 31r.39v, 1° febbraio 1569. 11 Documenti, XXIV. Ringrazio la professoressa Johanna Heidemann che mi ha fatto notare questo documento. u Giacomo della Porta architectore e Virginio Mazzincollo furono i testimoni. La presenza dell'architetto sta a indicare che era lui l'ideatore del progetto della cappella.


I. Dipinti autentici

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ROMA

Chiesa di Santa Maria in Aracoeli Siciolante, Flaminius Bolangier, Cesare e Gregorio Trapassi, Giovanni Sa tarelli Soffitto ligneo, dipinto e dorato, 1572-1575 (fig. 96) Nel 1912 Rodolfo Lanciani pubblicò alcuni estratti di documenti relativi alla costruzione e decorazione del soffitto di Santa Maria in Aracoeli, che riferiscono la decisione di un consesso del Senato romano di nominare Siciolante socio di Cesare Trapassi nel lavoro di decorazione del soffitto 1• Indipendentemente da Lanciani, Ottaviano Caroselli fece uno studio sul soffitto 2 e, come Lanciani, si appoggiò esclusivamente su prove documentarie per illustrare la storia del soffitto e spiegare la parte avuta da Siciolante. Purtroppo, nell'insieme degli studi su Siciolante, questa ricerca è stata trascurata, il che ha portato a due gravi omissioni 3 • La prima che Siciolante non era stato apprezzato per la sua partecipazione al lavoro del soffitto; eppure il fatto stesso della committenza sta a confermare che egli era un artista stimato. La seconda che, contrariamente a quanto si era creduto, Siciolante non mod nel 1580, bensl prima del settembre 1575, come attestano i documenti dell'Aracoeli 4 • Un altro aspetto interessante della pubblicazione di Caroselli è la grossa mole di materiale prodotto, che però l'autore non commenta in maniera esauriente. Alcuni tra questi documenti sono di mano dello stesso Siciolante 5 • L'idea del soffitto dell'Aracoeli fu suggerita dal desiderio di festeggiare la vittoria della flotta cristiana sui turchi, avvenuta a Lepanto il 7 ottobre 1571. Il 21 novembre dello stesso anno, in una riunione ristretta, il Senato romano approvò questo progetto con relativo stanziamento di fondi. Gregorio XIII, appena eletto, il 10 luglio 1572 autorizzò il Senato a dare il via ai lavori. Il mese successivo il francese Flaminius Bolangier fu incaricato di fare il progetto e poi di eseguire il soffitto ligneo a cassettoni della navata centrale. Il 12 marzo 1573 era venuto il momento di accantonare i fondi oer la pittura e doratura del soffitto. Una parte del lavoro - nei documenti va sotto il nome di monstra o mostra - fu data in prova a Francesco Spagnuolo. Per una qualche ragione, o forse soltanto per prudenza, il Senato decise di indire una gara per la rimanente parte del lavoro. Parecchie furono le proposte, ma soltanto due, quelle di Francesco Spagnuolo e di Cesare Trapassi, vennero esaminate 6 : l'offerta di Francesco ammontava a 4340 scudi, quella di Cesare Trapassi a 4300. Cesare o suo fratello Gregorio erano i candidati favoriti, ma necessitavano di ulteriori conferme per dimostrare al Senato che erano degni dell'incarico. Allora Trapassi sottopose al Senato un nuovo progetto che riduceva l'importo a 4000 scudi, e proponeva di nominare Siciolante suo socio. Ecco il testo, dd 6 luglio 157 4: Io Cesare trapassi pittore da fuligni prometto come principale guidare cd dorare la soffitta della Chiesa di Santa Maria di Araceli in compagnia di m.


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Catalogo delle opere

Girolamo di Sermoneta, et m. Giovanni Satarelli, et Gregorio Trapassi mio fratello con le infra scritte conditioni, cioè fari, tutto il resto cli detta soffitta computandoci la gola con le spiche aggiunta nelli quadri campiti cli verde et azzurro, et il fregio Secondo la mostra, con 3094 littere della bontà, et qualita che ha fatta m. francesco spagnolo et meglio, et darla finita cli oro et pittura, per tutto febraro proximo per scudi 4000 di moneta, et cli daria sicurta idonea, et in fede la presente sarra sotto scritta cli mia proprio mano, et cli miei compagni in questo di 6 luglio 1574. [firmato] Io Hieronimo cli Sermoneta pittore afermo quanto di sopra et promette cli dare sicurta idonea a quanto cli sopra si contiene e in fede o sotto scritta della mia propria mano. [firmato] Io Cesare Trapassi pittore et doratore afermo quanto di sopra. [firmato] Io Giovanni Satarelli pittore e doratore afermo quanto di sopra. [firmato] Io Gregorio dc Trapasso doratore afermo quanto cli sopra si contiene 7•

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La proposta fu esaminata da un comitato ristretto del Senato il 14 luglio 1574, quando le due proposte furono revisionate. Il comitato demandò la decisione a tutto il Senato, e riconobbe che Trapassi aveva fatto una buona scelta associandosi Siciolante, « il che ne pare che torni molto commodo al popolo» 8 • Il giorno stesso il Senato si riunl al completo, e assegnò l'incarico ai fratelli Trapassi, a Siciolante e a Satarelli. Il lavoro avrebbe dovuto iniziare subito, e terminare entro il febbraio del 1575; non si sarebbe proceduto al versamento dell'ultima rata finché l'opera non fosse stata giudicata meritoria 9• Apprezzamenti e giudizi favorevoli vennero espressi man mano che il lavoro progrediva ma, nonostante le valutazioni positive, quando il lavoro fu ultimato, gli artisti si videro costretti ad alzare la voce per riscuotere il pagamento pattuito 10• I reiterati ricorsi furono esaminati da Muzio Staglia, procuratore del Popolo Romano, una specie di pubblico ministero, il quale sentenziò che il lavoro era fatto male. Il Senato ordinò una nuova stima il 16 luglio 1575, e apparentemente favorevole agli artisti. Tuttavia, a un certo punto della vicenda, Siciolante morl, e gli eredi si rivolsero per giustizia ai Conservatori. Sul fregio del soffitto nella navata centrale il lavoro prosegul fino al 1578, e sul soffitto del transetto fino al 1586 11 • Il soffitto dell'Aracoeli è tra i più belli del genere, per merito della serie di riquadri geometrici concatenati ideata da Bolangier. La decorazione scolpita e dipinta all'interno dei riquadri è varia, ma è possibile dividerla in gruppi. I tre riquadri più grandi, seguendo l'asse longitudinale, hanno degli ovali entro cui si vedono gli stemmi di papa Gregorio XIII e di papa Pio V, e la figura della Vergine in piedi che tiene il Bambino. A intervallare questi tre grandi riquadri ce ne sono due più piccoli, ognuno dei quali ha all'interno un ottagono che funge da cornice a degli spiritelli con in mano una corona e uno scudo con la scritta SPQR . Gli altri riquadri o hanno dei motivi floreali-geometrici o delle composizioni fatte di armi, corazze, rostri di navi. Il colore dominante è l'oro, che copre i confini architettonici dei riquadri, i dentelli e gli altri ornamenti. Lo sfondo dei riquadri è azzurro cupo, rosso o verde. L'ovale in centro con Madonna e Bambino è dipinto - gonna azzurra, carni rosee - · e dorato al tempo stesso. Entro alcuni compartimenti vi sono bordi dipinti a grottesche simili a disegni. Come stabilito, le immagini celebrano la vit-


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toria di Lepanto, rendono onore a Pio V, il pontefice della vittoria, a Gregorio XIII, promotore del soffitto, alla Vergine Maria, cui è consacrata la chiesa, al governo cittadino, di cui l'Aracoeli era un patronato speciale. La natura collettiva dell'impresa sconsiglia di voler identificare quale sia il contributo di Siciolante 12• Bolangier ideò la struttura a riquadri, Francesco Spagnolo esegul una parte della decorazione (mostra), che Trapassi e Siciolante avevano l'incarico di continuare. Cesare Trapassi, avendo precedentemente eseguito un analogo lavoro per il soffitto di San Giovanni in Laterano, era già pratico di questo genere di impresa 13, mentre di Siciolante non si sa che avesse mai progettato o decorato un soffitto cosl fatto 14• Resta allora da capire perché Siciolante fu incluso nel progetto, e una spiegazione attendibile sta forse nelle relazioni che intrattenne con le persone più in vista della società romana 15 • Forse un altro punto a suo favore fu l'avere terminato in quegli stessi anni la pala per la cappella Armentieri di Santa Maria in Aracoeli. Osservata da questo punto di vista, la scelta di Siciolante può sembrare dettata da favoritismo, ma volendo essere obbiettivi con lui e con il Senato, si può dire che la già citata frase « il che pare che torni molto commodo al popolo » suona come un riconoscimento giusto ed onesto del suo valore d'artista. In rapporto a questo giudizio, ci si aspetterebbe che Siciolante fosse stato preposto alla progettazione dell'insieme, nonché alla stesura del colore e dell'oro sulle superfici scolpite; ma, data la precedente esperienza di Trapassi in questo campo, è probabile che gli artisti abbiano suddiviso le responsabilità. 1 LANCIANI, Storia, IV, pp. 100-101. 2 CAROSELLI, Il soffillo, n.d. Sebbene

il libro di Caroselli non porti data, la copia della Biblioteca Hertziana fu regalata nd marzo dd 1922; la copia della Biblioteca Vaticana nel 1917. Altre due pubblicazioni dello stesso autore sono del 1905 e del 1907. Vedi anche GNOLI, Documenti, XVII, 2, 7, p. 219. 3 Poche sono le notizie sul suo lavoro all'Aracocli. VENTURI, Storia, IX, 5, p. 549; BUCHOWIECKI, Handbuch, II, p. 491; HUNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, pp. 45-46. 4 CAROSELLI, Il so/lilla, p. 22, cita un documento dell'Archivio storico capitolino di Roma, credcnzone VI, tom. 60, f. 402, in data 10 ottobre 1575 ma riguardante un'azione cominciata il 13 settembre 1575 {non il 1° settembre 1575 come riferito dall'autore). Vedi Documenti, XXXIII. 5 Roma, Archivio storico capitolino, credenzone VI, tomo 60, ff. 397-398. 6 Cfr., in proposito, Roma, Archivio storico capitolino, credenzone VI, tom. 60. Le offerte includono Lutio de Lutii (f. 384), che lavorò anche al soffitto di San Giovanni in Laterano (BERTOLOTTI, Artisti lombardi, I, pp. 140-141); Metello de Honoratis d'Olevano, Andrea Verrocchio fiorentino, Cola de Amicis da Genazzano (f. 386) {vedi nota 11); Francesco de Credenza {f. 387); Adriano Rainaldi (f. 389). 7 Vedi Documenti, XXIX. Gregorio Trapassi essendo fratello e socio di Cesare Trapassi, si potrebbe pensare che Giovanni Satarelli fosse socio di Siciolante. Questa è l'unica notizia documentata di un assistente di Siciolante provvisto di nome. 8 CAROSELLI, Il solfi/lo, pp. 18, 36. II documento citato si trova a Roma, Archivio storico capitolino, credenzone I, tom. 26, f. 176v. 9 Ibid., pp. 37-38. Il documento si trova a Roma, Archivio storico capitolino, credenzone IV, tom. 95, f. 34v, 1 CAROSELLI, Ibid., p. 21, riferisce che: « è vero per altro che non man-

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Oltalogo delle opere

carono degli opportuni critici, se non vogliamo dire dei malevoli, e oggett~ delle loro critiche o malevolenze fu appunto il più riputato dei nostri valenti arte• fici, il Siciolante, unitamente al Trapassi». Il A Flaminio Gallo fu assegnato il completamento del fregio (Ibid., .P· 24) il soffitto del transetto fu assegnato a Flaminius Bolangier per la costruz1on~, a Nicola de Amicis di Genazzano per la pittura e la doratura, e a Mannunz10 e Vannuzio che terminarono il lavoro nel 1586 ed apposero le proprie firme (lbid., pp. 26-27). Vedi anche MALMSTROM, S. Maria in Aracoeli, pp. 96-98. 12 BUCHOWIECKI, Ha11db11ch, II, p. 491, afferma che Siciolante dipinse il soffitto e Trapassi fece la doratura. Però, a parte la logica, di questa divisione del lavoro non esiste nessuna prova. lJ BERTOLOTTI, Artisti lombardi, I , pp. 136-141. 14 Esistono due altri soffitti dello stesso periodo delle decorazioni dipinte di Siciolante - uno nella sala di Alessandro Magno a palazzo CapodiferroSpada, l'altro nella sala di Adone nell'ex palazzo Orsini di Monterotondo. Si è pensato che Siciolante si fosse interessato del progetto di questi due soffitti, e il soffitto dell'Aracoeli potrebbe der credito a queste supposizioni. PAOLUCCI, Soffitti, VIII, pp. 521-530; COLASANTI, Volte. 1s Nel 1574 Siciolante terminò la pala per la cappella di Bonifacio nell'antica basilica di San Pietro. Si trattava di un incarico di Onorato Caetani, eroe della battaglia di Lepanto, nipote del cardinale Nicolò 1.aetani, secondo cardinal decano del collegio dei cardinali.

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Basilica di Santa Maria Maggiore; cappella Cesi (ora Massimo) Pala d'altare: Martirio di santa Caterina Olio su tavola, m. 2,59 X 1,53 A fianco della pala, a sinistra e a destra: San Giovanni Evangelista Olio su tavola, m. 0,92 X 0,61 San Matteo Olio su tavola, m. 0,92 X 0,61 Sopra l'altare: Profeta e Sibilla Affresco, firmato HIERONIMUS SERMONETA FECIT 1566-1567 circa (figg. 75, 76a - 76c) Disegno preparatorio per Il boia (fig. 77) Firenze, Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe [D-5] La pala dipinta da Siciolante per la cappella Cesi è l'opera conclusiva descritta da Vasari nella vita dell'artista: « E finalmente ha oggi fra mano la cappella del Cardinal Cesis in Santa Maria Maggiore, dove ha già fatto in una gran tavola il Martirio di Santa Catarina fra le ruote, che è bellissima pittura come l'altre che quivi ed altrove va continuamente e con suo molto studio lavorando » 1 • E sebbene Vasari scriva che il dipinto era già finito, non ne dà


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una descrizione completa; quando parla delle «ruote» mette un accento leggermente fuorviante sull'argomento del quadro. Cosl scrive invece Baglione: « Dove hanno l'altra cappella i Signori Cesi in S. Maria maggiore, sopra l'altare è un suo quadro a olio, entrovi la decollatione di S. Catherina Vergine, e Martire con molte figure; e di sopra vedesi la Santissima Trinità, e intorno alcuni Santi a olio formati» 2• La frase « intorno alcuni Santi a olio formati » si riferisce probabilmente ai quattro dipinti sul muro dell'altare che rappresentano evangelisti ed apostoli. Oggi la cappella è come la descrisse Baglione (fig. 75) 3 • La pala del Martirio di santa Caterina (fig. 76a) e le altre opere della cappella non sono i primi lavori di Siciolante per la famiglia Cesi; in precedenza lui e Battista Franco avevano eseguito lo stemma di papa Giulio III sulla facciata del palazzo del cardinale Federico Cesi nei pressi di piazza San Pietro 4 e, in quanto parte del gruppo di artisti che aveva lavorato nella cappella Cesi di Santa Maria della Pace, Siciolante aveva ornato la volta con decorazioni a stucco e dipinte 5• Senza dubbio, di queste committenze la più importante resta il lavoro di Santa Maria Maggiore. Siciolante aveva la responsabilità esclusiva della parte dipinta nella decorazione della cappella, che era stata una importante aggiunta del XVI secolo alla antica basilica. Purtroppo, la storia della costruzione e decorazione della cappella in grandissima parte non è documentata; tuttavia è chiaro che l'idea del lavoro maturò ed evolse in un lungo arco di tempo, sempre diretto e controllato da vari membri della famiglia Cesi. Il primo fu il cardinale Paolo Emilio Cesi, ideatore di una cappella in Santa Maria Maggiore 6 • Non si sa con certezza se si trattasse soltanto di un altare lungo un muro della navata, oppure di una vera e propria struttura aggiuntiva alla basilica 7• Il fratello minore di Paolo Emilio, Federico, anch'egli cardinale, aveva la passione di costruire 8 : a lui si deve l'attuale cappella di Santa Maria Maggiore, la cappella in onore dei genitori a Santa Maria della Pace, la ricostruzione della chiesa di Santa Caterina dei Funari 9• E' possibile che abbia progettato la cappella di Santa Maria Maggiore come monumento commemorativo per il fratello Paolo Emilio e per se stesso. La nuova cappella fu consacrata a santa Caterina, come la chiesa che il cardinale aveva ricostruito. Non si sa quando sia cominciata la costruzione, né chi sia stato l'architetto 10 • Per sentito dire, Baglione riferisce che fu Martino Longhi a progettare la cappella 11 , e il nome di Longhi, associato a quello di Guidetto Guidetti, progettista di Santa Caterina dei Funari u, continua ad essere associato con questo lavoro. In effetti, date le somiglianze stilistiche tra l'architettura della cappella Cesi e quella di Santa Caterina dei Funari, è molto probabile che l'architetto sia stato Guidetti. Dato che si sa poco di lui, la datazione dell'opera nella cappella è incerta. Baglioni dice anche che Guglielmo della Porta fece i bozzetti per le statue della cappella Cesi 13• Queste statue bronzee di figure reclinate su sarcofagi ritraggono Paolo Emilio a sinistra e Federico a destra. Di nuovo, non esistono documenti per


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Catalogo delle opere

una datazione sicura, ma i bozzetti delle statue vengono generalmente attribuiti al periodo tardo dell'attività di Della Porta, cioè all'inizio degli anni 1560 14 • Sebbene le statue siano state progettate contemporaneamente, quella di Federico fu eseguita dopo la morte, che avvenne il 28 gennaio 1565. Nel testamento, redatto due giorni prima della morte, il cardinal~ esprimeva i suoi desideri riguardo alla cappella e chiariva lo stato dei lavori. Diceva di desiderare che la sua tomba fosse eseguita secondo il disegno già preparato, e che fosse eretta una pala d'altare n~lla cappella 15• Il cardinal Cesi fu dapprima seppellito in Santa Caterma dei Funari; trasferito il corpo a Santa Maria Maggiore il nipote, 16 Angelo di Giangiacomo Cesi, eresse la tomba con una iscrizione • Da quanto si sa, alla morte del cardinale Siciolante non aveva ancora cominciato la pala che, forse, non era ancora stata commissionata. Il nipote del cardinale, Angelo di Giangiacomo, diventò l'ese• cutore del progetto, e Siciolante lavorò per lui fino alla fine 17 • Poiché per il 1565 l'artista era già impegnato in due incarichi importanti, la Sala Regia e San Tommaso in Cenci, è improbabile che abbia dato inizio al lavoro della cappella Cesi prima del 1566. Può darsi che il dipinto fosse in via di esecuzione nel 1566, l'anno della venuta di Vasari a Roma, e che fosse terminato l'anno seguente 111 • Il Martirio di santa Caterina (fig. 76a) è soltanto uno dei dipinti che Siciolante fece per la cappella. ~opra l'arco dell'altare affrescò un Profeta a destra, e una Sibilla a sinistra (fig. 55) e sotto queste figure appose la propria firma: HIERONIMUS SERMONETA FECIT 19 , Ai due lati dell'altare, in mezzo ai pilastri accoppiati, ci sono quattro tavole dipinte, le due in alto, San Giovanni Hvangelista a sinistra (fig. 766) e San Matteo a destra (fig. 76c) sono di Siciolante. E' strano che le due tavole in basso, San J:'ietro e San Paolo (fig. 75) non fossero finite negli anni 1560. Dopo la morte di Angelo, nel 1570, il cardinale Pier Donato, nipote del cardinale Federico, si assunse la responsabilità della cappella 20 , Da quanto sappiamo, non rinnovò l'incarico a !:iiciolante, oppure Siciolante non era disponibile. Il 16 agosto 1572 il cardinal Cesi scrisse a Vasari perché gli indicasse un artista adatto a terminare i lavori della cappella 21 • .Furono allora terminati i due dipinti della parte inferiore, attribuiti a Giovanni Battista Ricci da Novara 22 • Il Martirio di santa Caterina è parte di un ampio progetto per la cappella. Come il dipinto di Masolino a San Clemente, anche il Martirio è il racconto di un fatto basato sulla leggenda fiorita intorno alla vita della Santa 23 , ma al tempo stesso è un messaggio più complesso di redenzione e di salvezza. Al disopra di santa Caterina è il Cristo crocifisso (nozze mistiche di Cristo e santa Caterina), che Dio Padre onnipotente presenta come l'estremo sacrificio per la salvezza dell'umanità. Lo spettatore capisce subito, come capisce la Santa ma non capiscono i carnefici, che il martirio è la sua salvezza, e che il fatto di essere messa a morte per ordine dell'imperatore Massenzio significa raggiungere la vita eterna 24 • Il Profeta e la Sibilla, che avevano preannunciato l'arrivo del Salvatore, e i due Evangelisti, che ne avevano scritto la vita, sono parte del progetto divino, come san

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Pietro e san Paolo, rappresentanti della Chiesa romana. Per intermediario delle statue bronzee, anche i due cardinali Cesi, principi della Chiesa romana, partecipano al dramma. Nella cappella eretta alla loro memoria, dove riposano i resti mortali, venerano la Santa scelta ad intercedere per la loro salvezza e vita eterna 25 • Vedi il testo per altre notizie. 1 VASARI, Le vite, VII, 1881, p. 573. 2 BAGLIONE, Le vite, 1642, p . 24. 3 TITI, Studio, 1674, pp. 303-304; CECCONI, Roma, 1725, p . 117; Roma, 1741, p. 102; ROISECCO, Roma, II, 1745, p . 523; TITI, Descrizione, 1763, pp. 264265; VASI, Indice, 1765, p . 84; VENUTI, Accurata e succinta descrizione, 1767, p . 121; VASI, Itinerario, 1777, p. 124; VASI, Itinerario, 1794. p. 216; PISTOLE'il, Il Vaticano, 1829, p. 99; NIBBY, Roma, parte I moderna, 1839, p. 398; MEL· CHIORRI, Guida, 1840, p . 217; MORONI, Dizionario, XI, 1841, p. 13; PISTOLESI, Descrizione, 1841, p. 292; BLANC, Histoire, X, 1870, p. 32; NIBBY, Itinerario, 1874, pp. 168-169; NAGLER, Ne11es allgemeines Kiinstler-Lexicon, XVIII, 191 l, p. 368; TACCONE-GALLUCCI, Monografia, 1911, pp. 101-102; voss, Die Malerei, I, 1920, p. 109; VENTURI, Storia, IX, 5, 1932, p. 568; MOLA, Breve racconto, 1966, p . 74; CELIO, Memoria, 1967, p. 23; D'ONOFRIO, Roma, 1969, p . 104: Quadri, 1979, p. 15; HUNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, pp. 32-33; PU· GLIATTI, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, p. 99. 4 VASARI, Le vite, VI, 1881, p. 584. s VASARI, Le vite, VII, 1881, pp. 571-572. 6 DE ANGELIS, Basilicae, XII, p. 73. Per la vita del cardinale Paolo Emilio vedi CHACON, Vitae, III, col. 402-403; Hierarchia catholica, III, p. 17; MARTI· NORI , I Cesi, pp. 47-51. Paolo Emilio Cesi fu fatto cardinale da Leone X il 11'

luglio 1517 e morl il 5 agosto 1537. 7 BIASIOTTI, La basilica, XXXIV, p. 35, nota che nel cod. Vaticano latino 6781, ff. 151rv, la prima cappella Cesi ~ descritta come una « cappella ... qua• drata » . La pianta di Bufalini del 1551 indica l'esistenza di costruzioni lungo il fianco sinistro della basilica (Le piante, II, tav. 198). 8 Per la vita del cardinale Federico Cesi vedi CHACON, Vitae, III, col. 702703; Hierarchia catholica, III, p . 29; MARTINORI, I Cesi, pp. 56-62. Federico fu fotto cardinale da Paolo III il 19 dicembre 1544. 9 Ibid., p. 56. Vedi anche VON PASTOR, Storia, VII, p. 574, n. 2. 10 LAVAGNINO e MOSCHINI, Santa Maria Maggiore, pianta n. 48, danno la data del 1550 circa. BUCHOWIECKI, Handbuch, I, p. 275, ripete la stessa data. 11 BAGLIONE, Le vite, p. 152. 12 GIOVANNONI, Chiese, xv, pp. 401-416; GIOVANNONI, Saggi, pp. 193-194; TOMEI, Guido Guidetti, VIII, p. 79. 13 BAGLIONE, Le vite, p. 68. 14 GIBELLINO KRASCENINNICOWA, Guglielmo, III, 6, pp. 302-306; GIBELLINO KRASCENINNICOWA., Guglielmo, pp. 36-37; MAITHIA.E, L'allività, IX, p . 325. 1s Vedi Documenti, XV. 16 MARTINORI, I Cesi, 1931, p. 59. FORCELLA, Iscrizioni, XI, 1877, p. 41 , ri. 76. L'iscrizione è: D.O.M. FEDERICO CAESIO S .R.E. EPISC. CARD. PORTVE.N QVI HOC SACELLVM ET A.LTERVM IN A.EDE BEATA.E MARIA.E PACIS AC TEMPLVM DIVAE CATHERINAE VIRGINVM MISERABILIUM FVNDAVIT ET DOTA.VIT ANGELVS CA.ESIVS PATRVO OPTIMO POSVIT VIXIT ANN. LXIIII MENS SEX DIEB XXVII OBIIT. V. KAL. FEDR. ANN . SAL. M. D. LXV. 17 Angelo sposò Beatrice Caetani, figlia di Bonifacio, benefattore di Siciolan-

te, che può aver raccomandato l'artista. 18 VASARI, Der literarische Nachlass, II, pp. 228-229. La data 1572 che Voss dà per la pala (Die Malerei, I, p. 109) è sbagliata. La stessa data è ripetuta da BUCHOWIECKI, Handbuch, I, p. 235. 19 Ci sono degli affreschi anche nell'intradosso sopra l'altare, al centro una tavola incorniciata con la colomba dello Spirito Santo, a ciascun lato tavole con una donna seduta e putti che reggono gli emblemi dd martirio, palma e


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corone d'alloro. Se pure questi dipinti furono progettati da Siciolante, non fu lui ad eseguirli· la pennellata è meno studiata che nei suoi dipinti. 20 MARTINORi I Cesi, p. 63. Anche Martinori cita l'inventario dei beni di Angelo redatto il 1.3 dicembre 1569. In genere un inventario di questo tipo si fa dopo una morte. 21 VASARI, Der literarische Nachlass, II, p. 694. 22 BAGUONE, Le 11ove chiese, p. 170; LAVAGNINO e MOSCHINI, Santa Maria Maggiore, pianta n. 48. Quattro grandi quadri del Seicento sono ai lati deUe tombe dei cardinali. A sinistra, sul muro di sinistra, la Gloria di santa Caterina, di autore ignoto. A destra le Noue mistiche di sa11ta Caterina, di Carlo Cesi. PASCOLI, Vite, II, p. 171. Sul muro destro, a sinistra, Santa Caterina torturala alla ruota di Luigi Gentile. PASSERI, Vite, p. 250. A destra, LA disputa di san/a Cateri11a, di Giovanni Angelo Canini LAVAGNINO e MOSCHINI, Sa11ta Maria Maggiore, pianta n. 48. Probabilmente questi dipinti furono commissionati da Federico Cesi, nipote di Angelo di Giangiacomo, fondatore del! 'Accademia dei Lincei. MARTINORI, I Cesi, pp. 69-80. 2l MICHELETTI, Masolino; VAYER, Masolino . Esistono paralleli interessanti tra queste opere di Siciolante e Masolino. Santa Caterina torturata alla ruota di Masolino è in un cortile ad arcate. Il Martirio di sa11ta Caterina di Siciolante è sistemato all'aperto di fronte ad una struttura ad arcate. L'immagine centrale di San Clemente è una Croci/issio11e. Siciolante incorporò il Cristo crocifisso nel regno celeste della pala. A San Oemente, Evangelisti e Padri della Chiesa sono ritratti nella volta. Siciolante dipinse due Evangelisti. Può trattarsi di coincidenze, oppure Siciolante può avere studiato i lavori di Masolino mentre preparava i suoi bozzetti. 24 RÉAU, lconographie, III, pp. 262-272. 25 La cappella appartiene attualmente alla famiglia Massimo. Francesco Massimo, che restaurò la cappella nel 1827, mise una targa sulla parete interna dell'entrata. FORCELLA, Iscrizioni, XI, p. 101, n. 211. Francesco era figlio di Filippo e di Isabella Soderini e acquistò nel 1789 la villa Peretti Massimo (donde l'opportunità di avere la cappella a S. Maria Maggiore). LITTA, Famiglie, III, tav. VII (Massimo di Roma).

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Basilica di Santa Maria Maggiore; cappella Sforza Pala d'altare: Assunzione della V ergine Olio su tavola, m. 2,29 X 1,53 Dipinti nei monumenti funebri, a sinistra e a destra: Ritratto del cardinale Guido Ascanio Sforza Olio su ardesia, m. 0,76 X 0,46 1570-1573 circa Anonimo Ritratto del cardinale Alessandro Sforza Olio su ardesia, m. 0,76 X 0,46 Dopo il 1581 (figg. 87a - 87c) II cardinale Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora intraprese la costruzione di una cappella nella basilica di Santa Maria Maggiore, di


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fianco a quella già eretta per il cardinale Federico Cesi. Michelangelo Buonarroti preparò il progetto, e ne affidò la supervisione a Tiberio Calcagni, come racconta il Vasari: « Fece allogare a Tiberio, con suo ordine, a Santa Maria Maggiore una cappella cominciata per il cardinale di Sante Fiore, restata imperfetta per la morte di quel cardinale, e di Michelagnolo e di Tiberio, che fu di quel giovane grandissimo danno » 1 • Il cardinale Sforza mod il 6 ottobre 1564, Michelangelo il 18 febbraio 1564, Tiberio il 7 dicembre 1565, e l'opera non era ancora finita nel 1568, quando uscì la seconda edizione delle Vite di Vasari. Nel frattempo, dopo la morte del fratello, Alessandro Sforza fu fatto cardinale da Pio IV il 12 marzo 1565 2 • Fu lui ad assumere la direzione dei lavori e a finire la cappella con la supervisione, forse, di Giacomo della Porta 3 • Due targhe furono murate nella cappella: una, del 1564, commemora la morte di Guido Ascanio; l'altra, del 1573, registra la fine dei lavori 4 • Nell'intervallo tra la pubblicazione de Le vite e la consacrazione della cappella, è probabile che il cardinal Sforza abbia commissionato la pala a Siciolante. Baglione fu il primo a descrivere la cappella nel 1639: Vedesi poi la cappella dc' Signori Sforza con facciata, pilastri, e frontispitio dei travertini in dentro sfondata, bellissimo disegno di Michelangelo Buonaroti Fiorentino scultore unico, pittore sommo e eccellentissimo architettorc: l'altare è di marmo con colonne ben ornato, entro al quadro è dipinta la Vergine assunta con gli Apostoli, opera di Girolamo da Sermoneta; l'historic intorno fatte a fresco della Natività di Nostro Signore, e della Visitatione di s. Elisabetta, e Anna; e anche i due Profeti, e altre historie, son lavoro di Cesare Nebbia da Orvieto; e li monumenti dalle bande di marmo assai nobili con le figure a giacere sopra i frontispitii hanno ritratti dc' Cardinali Alessandro, e Guido Ascanio Sforza a olio dipinti con le loro inciscrittioni 5 •

Pochi anni dopo, nella vita di Siciolante, Baglione ribadl quanto detto, assegnando però chiaramente i due ritratti all'artista: « Nella cappella de' Signori Sforza la tavola dell'altare ha di sua mano la Madonna assunta con gli Apostoli a olio figurata, e anche vi sono due ritratti di Cardinali ne' depositi, che stanno da lati di questa cappella » 6 • La tavola dell'Assunzione (fig. 87a) sta sopra l'altare, incorniciata entro un tabernacolo di marmo; i due ritratti ovali dei cardinali (figg. 87b, 87c) sono sopra i sarcofagi nel muro 7 • Sebbene siano scomparsi gli affreschi di Cesare Nebbia, la Natività e la Visitazione 8 , sono rimasti al loro posto i due Profeti e l'Incoronazione della Vergine 9 • I due cardinali Sforza erano nipoti di Paolo III e cugini del cardinale Alessandro Farnese 10• In ragione di questa parentela, gli Sforza erano anche imparentati alla lontana con la famiglia Caetani, protettori di Siciolante. Questi legami famigliari, palesati in maniera chiarissima nel collegio dei cardinali, servivano soltanto a rinforzare (non a creare) situazioni ottimali a favore di Siciolante. E' ovvio che il cardinale Ascanio fosse al corrente dei rapporti che intercorrevano tra l'artista e la cerchia dei Farnese, come pure, il che forse è più im-


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Catalogo delle opere

portante, che avesse avuto occasione cli vedere i dipinti appena finiti per la cappella Cesi di Santa Maria Maggiore 11 • Non sarebbe stato indispensabile che la scelta per la decorazione della cappella Sforza cadesse su Siciolante, però è probabile che egli apparisse come la persona più adatta. Infatti, nei tardi anni 1560, gli artisti prediletti dai Farnese erano morti - Francesco Salviati, Daniele da Volterra, Taddeo Zuccari. E inoltre intervennero altre due circostanze, forse collegate: Alessandro Sforza era uno dei delegati alle sessioni finali del concilio di Trento, quando fu votato il decreto sulle immagini religiose 12 • Nel 1564, ranno successivo alla chiusura del Concilio, Giovanni Andrea Gilio scrisse il trattato Due dialogi, che dedicò al cardinale Alessandro Farnese; nella seconda parte c'è un brano che colpisce per la sorprendente franchezza con cui si affrontano temi che coinvolgono direttamente il cardinale Sforza e Siciolante. Uno dei protagonisti, Messer Vincenzo, cosl si esprime: Chi veder vole uno sforzo sgarbato veda la madonna che il Reverendissimo di Ccsis ha fatta dipingere ne la sua capella ne la Pace, la quale essendo da l'Angelo annontiata fa uno sforzo nel volgersi indietro tale, che mi fa ridere quando io la veggo. Pero doverebbe avertire questo Illustrissimo Signore di non lasciar fare tali figure sgarbate e dishoneste ne la capella, che di nuovo ha fotta in S. Maria Maggiore. Il simile anco doverebbe procurare L'illustrissimo Santa Fiore, in quella che vi fabrica hora esso, non le lasciare sporcare de la vane, e favolose figure: pcrche non ha convenienza alcuna Cristo con Belial: ne la verita con la falzita 13,

In complesso, Gilio esprime opinioni comuni a molti; ma, nel caso specifico, allude in modo diretto a progetti che sono tutti e due per Santa Maria Maggiore, tutti e due guidati da cardinali, e tutti e due, alla fine, opera di Siciolante. Al momento opportuno per Siciolante, la stretta relazione dell'artista con l'ambiente dei Farnese coincise con la forza aggregante di critica all,arte, sanzionata dal concilio di Trento. Siciolante si trovò al posto giusto nel momento giusto, e fu ritenuto relativamente immune da errore nel modo di trattare l'arte religiosa. Parve al cardinale Alessandro Sforza che a Siciolante si potesse affidare un lavoro per conferire onore a una cappella cosl importante. Oltre alla pala, Siciolante fece un ritratto del cardinale Guido Ascanio Sforza (fig. 87b), probabilmente copiato da un altro, dato che il cardinale era già morto. Il dipinto manca del rigoroso realismo che caratterizza il ritratto cli Giorgio Morato, fatto da Siciolante negli stessi anni per la pala di San Bartolomeo (fig. 83). E' eseguito in maniera alquanto generica, simile in questo ai ritratti di Elena della Rovere e di Giulio Cesare Colonna nella Crocifissione Colonna (fig. 78). Il ritratto del cardinale Alessandro Sforza, invece, certamente non è di Siciolante (fig. 87c); Baglione è in errore. Il cardinale morl il 16 maggio 1581, sei anni dopo la morte di Siciolante, e la sua tomba fu eretta in seguito 14• Il ritratto è meno elegante di quello di Guido Ascanio e manca cli quella accurata organizzazione dei lineamenti che in Siciolante corrisponde alla descrizione di un volto. Que• sto ritratto è sicuramente posteriore al primo, e fu fatto probabil-


I. Dipinti autentici

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mente quando Cesare Nebbia lavorava nella cappella all'affresco del1' Incoronazione della V ergine sopra il tabernacolo. Per altre notizie sulla pala vedi il testo. 1 VASARI,

Le vite, VII, 1881, p. 264;

VASARI,

LA vita, IV, 1962, pp. 1813-

1819.

2 CHACON,

Vitae, III, 1677, coll. 959-962. The Architecture, I, pp. 109-110; II, pp. 126-127. Forse intorno al 1570 la cappella non era ancora finita. PANVINIO, Le sette chiese, pp. 302-303 cosl scrive: « la terza capella di mirabile opera, haveva incominciata Guido Ascanio Sforza Cardinale di Santo Fiora di questa chiesa Arciprete, ma dalla morte prevenuto lasciolla imperfetta ». 4 FORCELLA, Iscrizioni, IX, pp. 40, 41. L'iscrizione ~ la seguente: ALEXANDER 3 ACKERMANN,

SPOR.TIA / S .R.E. PRESBYTER CARD. / HUJUS BASILICAE ARCHIPR.ESBYTER / SA· CELLUM A GUIDONE ASCANIO / FRATRE INCHOATUM / DE SUO PERFECIT / DIVISQ. FLORAE ET LUCILLAE / GENTIS SUAE PATRONIS / A SE DILATIJM / BONIS AD SA· CRA FACIENDA / AUXIT ORNAVITQ. / ANNO MDLXXIII. 5 BAGLIONE, Le nove chiese, 1639, pp. 171-172. Vedi anche Baglione, Le vite,

1642, pp. 116-117. 6 Ibid., 1642, p. 24. 7 Queste pitture non sono state studiate. TITI, Studio, 1674, pp. 302-303; CECCONI, Roma, 1725, p . 117; Roma, 1741, p. 102; ROISECCO, Roma, I, 1745, p . .523; TITI, Descrizione, 1763, pp. 264-265; ROISECCO, Roma, II, 1765, pp. 529-530; VASI, Indice, 1765, p. 84; VENUTI, Accurata e succinta descrizione, 1767, p. 120; VASI, lti11erario, 1777, p . 124; VASI, Itinerario, 1794, p. 216; CI· PRIANI, Descrizione, 1838, p. 59; NIBBY, Roma, parte I moderna, 1839, p. 398; PISTOLESI, Descrizione, 1841, p. 292; MORONI, Dizionario, LXV, 1854, p. 95 e LXXXIX, 1858, p. 122; NIBBY, Itinerario, 1874, p. 168; LAVAGNINO e MOSCHINI, Santa Maria Maggiore, 1924, p. 93; VENTURI, Storia, IX, 5, 1940, p. 585; MOLA, Breve racconto, 1966, p. 74; BUCHOWIECKI, Handbuch, I, 1967, p. 274; D'ONOFRIO, Roma, 1969, p. 104; CECCARIUS, Strada, 1970, p. 61; LOTTI, La cappella, XII, 5-6, 1971, pp. 1-13; MARTINELLI, Santa Maria Maggiore, 1975, p . 37; Quadri, 1979, p. 15; HUNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, p. 33; PUGLIATTI, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, p. 99. 8 E' probabile che gli affreschi di Cesare Nebbia siano andati distrutti quando furono aperte delle finestre ai lati dell'altare. Michelangiolo, p. 711, figg. 753, 754. 9 Gli affreschi che rappresentano i Profeti, uno a ciascun lato della finestra centrale sopra l'altare, sono eseguiti con uno stile diverso da quello della Incoronazione della vergine. IO La figlia di Paolo III, Costanza, andò sposa a Bosio Il Sforza. Era sorella di Pier Luigi Farnese, padre del cardinale Alessandro. LITTA, Famiglie, VIII, tav. II (Attendalo Sforza). 11 Gregorio XIII nominò Alessandro Sforza arciprete di Santa Maria Maggiore. CHACON, Vitae, III, col. 961. Guido Ascanio, fratello del cardinale, aveva ricoperto la stessa carica. I bid., col. 566. 12 Concilium Tridentinum, IX, parte 6, pp. 1077-1079. II decreto fu pubblicato nella nona sessione, il 3 dicembre 1563. Tra i presenti è annoverato tl cardinale Alessandro Sforza. 13 GILIO, Due dialogi, p. 122. Gilio parla dell'Annunciazione di Marcello Venusti, su disegno di Michelangelo. Questo dipinto fu eseguito per la cappella dei genitori del cardinale Federico Cesi a Santa Maria della Pace. Fu sostituito da una Madonna e Bambino con sant'Anna di Carlo Cesi. Giglio fa riferimento anche alla cappella dei cardinali Federico e Paolo Emilio Cesi in Santa Maria Maggiore per la quale Siciolante aveva dipinto il Martirio di santa Caterina. Il cardinale Guido Ascanio Sforza era conosciuto. come il cardinale di Santa. Fiora. 14 FASOLO, LA cappella, III, p. 440, afferma che la tomba del cardinale Alessandro Sforza fu eretta nel ·1582, e ACKERMANN, The Architecture, II, p. 126, conferma questa data. Se la data ~ corretta, non fu certo il cardinale a erigere la tomba, dato che Alessandro Sforza morl il 16 maggio 1581 (non 1582, secondo Fasolo). Hierarchia catholica, III,. p. 41.


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33.

Catalogo delle opere ROMA

Chiesa di Santa Maria sopra Minerva; cappella Marsiliana Santa Lucia e sant'Agata, 1560 circa (fig. 45) Olio su intonaco, m. 1,70 X 1,68 Disegno preparatorio per sant'Agata (fig. 46), Roma, Gabinetto nazionale delle stampe e disegni [D-21] Secondo Vasari, Siciolante eseguì parecchie opere per Santa Maria sopra Minerva, chiesa dei Domenicani: « Dopo il suo ritorno di Lombardia, fece nella Minerva, cioè nell'andito della sagrestia, un Crucifisso, e nella chiesa un'altro; e dopo fece a olio una Santa Caterina, ed una Sant'Agata » 1• Baglione invece non fa menzione delle due Crocifissioni, e annota soltanto che « dentro la Minerva anche vicino alla cappella della B. Agnese di Montepulciano stanno S. Catherina, e S. Agata a olio sopra il muro da lui figurate » 2• Il solo a mutare questa descrizione è Antonio Nibby, che nella Guida di Roma del 1839 corregge l'identità di una delle due sante: « Dopo la descritta cappella [già dedicata a s. Agnese da Montepulciano, ed ora sacra a s. Raimondo] trovasi nella parete della nave un quadro a fresco rappresentante S. Lucia e S. Agata, opera del Sermoneta» 3 • E Nibby ha ragione: a sinistra c'è santa Lucia con il suo attributo, un paio di occhi sulla patena che tiene in mano; la sua compagna, sant'Agata, tiene il proprio attributo, un paio di seni. Il dipinto, olio su intonaco, è ancora al posto di prima, nel tabernacolo a destra della navata, subito prima del transetto 4 • Nella parte inferiore, il quadro è mancante di circa un terzo, quasi sicuramente a causa dell'umidità. Nel tabernacolo sono incise due iscrizioni, quella in alto ancora leggibile, quella in basso coperta dall'altare mobile. Ecco il testo dell'iscrizione in alto: SALVATORI HVMANI GENERIS IESV CHRISTO HONESTA MARSILIANA SACELLVM EX TESTAMENTO CONSTRVI IVSSIT SODAL. ANNVNTIATAE FACIVND. CVRAR

)

Ed ecco l'iscrizione in basso: ALFONSO ALMERICHO ED. HONESTAE MARSILIANAE CONIVGIBUS SODALES ANNUNTIATAE FECERE ANNO MDL 5

Dunque, secondo i desideri di Honesta Marsiliana, espressi nd testamento, nel 1550 la confraternita dell'Annunziata costruì il tabernacolo e due tombe, per lei e per il marito Alfonso Almerico. Seb~ne la ~ata sembri riferirsi al dipinto cli Siciolante, lo stile dell'opera suggensce un periodo più tardo 6 •


I. Dipinti autentici

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Il disegno preparatorio della figura di sant'Agata, che si trova a Roma presso il Gabinetto delle stampe e disegni, meglio del quadro danneggiato dà l'idea di quali fossero le intenzioni di Siciolante 7 • Disegnato a linee sottili in gesso nero e lumeggiato in bianco su fondo di carta azzurra, il disegno è lo studio definitivo del quadro. Non ci sono pentimenti né linee incerte. L'unico ripensamento dell'artista sembra essere stata la mano sinistra, la cui posa esatta riesaminò sulla destra del foglio, e poi inserl nel dipinto. La figura è grande e monumentale, il volto pieno e stilizzato. Il drappeggio ampio, che suggerisce la forma sottostante senza tuttavia delinearne i contorni, si raccoglie in pieghe larghe e semplici, dove piccole crepe si confondono subito in modelli più larghi. In linea di massima, il quadro corrisponde al disegno. Se Santa Lucia e sant'Agata fossero state eseguite intorno al 1550, dovrebbe notarsi una stretta corrispondenza stilistica tra questi dipinti e le figure femminili del Castello de La Bastie d 'Urfé (figg. 27a 27k), che si possono far risalire circa al 1549. Invece, a differenza di questi dipinti, le figure de La Bastie d'Urfé hanno irregolarità e angolosità pronunciate, e le stoffe hanno pieghe complicate. I drappeggi morbidi e duttili delle immagini della Minerva sono più somiglianti a quelli della Madonna Pini (fig. 47) del 1561. La ragione principale per cui il 1550 sembra la data più accettabile sta nel fatto che iscrizione e tabernacolo sicuramente furono ideati come un solo elemento. Sarebbe strano che lo spazio destinato a un quadro venisse lasciato vuoto per un certo numero di anni, tuttavia è possibile che il posto di Santa Lucia e sant'Agata fosse occupato da un altro quadro. Il Berthier riferisce che un Cristo Salvatore si trovava sopra il tabernacolo. Questa opera, ora nella cappella del Salvatore, era stata attribuita prima a Raffaello, poi a Perugino. Scrive Berthier: « Ce tableau appartint d 'abord à une dame Angiola Cipriani, da Reggio, qui le confia à dame Onesta Marsiliani, avec le soin de l'installer convenablement. On le plaça d'abord au-dessus de la fresque des saintes Lucie et Agathe, où une inscription indiquait toutes ces circonstances » 8. L'iscrizione in alto che comincia SALVATORI HUMANI GENERIS IESU CHRISTO sicuramente si riferisce a questo quadro precedente. Nel 1550, quando fu consacrato il tabernacolo, è probabile che il Cristo Salvatore si trovasse nell'interno di esso, cosl come oggi è dentro il tabernacolo nella cappella del Salvatore. Quando Siciolante fece Santa Lucia e sant'Agata, il Cristo Salvatore fu messo sopra il tabernacolo. Questo susseguirsi di fatti potrebbe giustificare una datazione più tarda per il dipinto di Siciolante, intorno al 1560, e spiegherebbe il testo dell'iscrizione. Il dipinto è ulteriormente esaminato nel corso del testo, il disegno nella sezione Disegni. 1 VASARI, Le vite, VII, 1881, 2 BAGLIONE, Le vite, 1641, p.

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p. ,13. 24. Jl}ç,çiçrn!l, 1~39? p. 419. TITI? (Studio? 1674, p. 171)


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Catalogo delle opere

ROMA

Chiesa di Santa Maria sopra Minerva; cappella Marsiliana Santa Lucia e sant'Agata, 1560 circa (fig. 45) Olio su intonaco, m. 1,70 X 1,68 Disegno preparatorio per sant'Agata (fig. 46), Roma, Gabinetto nazionale delle stampe e disegni [D-21] Secondo Vasari, Siciolante esegul parecchie opere per Santa Maria sopra Minerva, chiesa dei Domenicani: « Dopo il suo ritorno di Lombardia, fece nella Minerva, cioè nell'andito della sagrestia, un Crocifisso, e nella chiesa un'altro; e dopo fece a olio una Santa Caterina, ed una Sant'Agata » 1• Baglione invece non fa menzione delle due Crocifissioni, e annota soltanto che « dentro la Minerva anche vicino alla cappella della B. Agnese di Montepulciano stanno S. Catherina, e S. Agata a olio sopra il muro da lui figurate » 2• II solo a mutare questa descrizione è Antonio Nibby, che nella Guida di Roma del 1839 corregge l'identità di una delle due sante: « Dopo la descritta cappella [già dedicata a s. Agnese da Montepulciano, ed ora sacra a s. Raimondo] trovasi nella parete della nave un quadro a fresco rappresentante S. Lucia e S. Agata, opera del Sermoneta» 3• E Nibby ha ragione: a sinistra c'è santa Lucia con il suo attributo, un paio di occhi sulla patena che tiene in mano; la sua compagna, sant'Agata, tiene il proprio attributo, un paio di seni. Il dipinto, olio su intonaco, è ancora al posto di prima, nel tabernacolo a destra della navata, subito prima del transetto 4 • Nella parte inferiore, il quadro è mancante di circa un terzo, quasi sicuramente a causa dell'umidità. Nel tabernacolo sono incise due iscrizioni, quella in alto ancora leggibile, quella in basso coperta dall'altare mobile. Ecco il testo dell'iscrizione in alto: SALVATORI HVMANI GENERIS IESV CHRISTO HONESTA MARSILIANA SACELLVM EX TESTAMENTO CONSTRVI IVSSIT SODAL. ANNVNTIATAE FACIVND. CVRAR

Ed ecco l'iscrizione in basso: ALFONSO ALMERICHO ED. HONESTAE MARSILIANAE CONIVGIBUS SODALES ANNUNTIATAE FECERE ANNO MDL 5

Dunque, secondo i desideri di Honesta Marsiliana, espressi nel testamento, nel 1550 la confraternita dell'Annunziata costrul il tabernacolo e due tombe, per lei e per il marito Alfonso Almerico. Sebbene la data sembri riferirsi al dipinto di Siciolante, lo stile dell'opera suggerisce un periodo più tardo 6 •


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Il disegno preparatorio della figura di sant'Agata, che si trova a Roma presso il Gabinetto delle stampe e disegni, meglio del quadro danneggiato dà l'idea di quali fossero le intenzioni di Siciolante 7 • Disegnato a linee sottili in gesso nero e lumeggiato in bianco su fondo di carta azzurra, il disegno è lo studio definitivo del quadro. Non ci sono pentimenti né linee incerte. L'unico ripensamento dell'artista sembra essere stata la mano sinistra, la cui posa esatta riesaminò sulla destra del foglio, e poi inserl nel dipinto. La figura è grande e monumentale, il volto pieno e stilizzato. Il drappeggio ampio, che suggerisce la forma sottostante senza tuttavia delinearne i contorni, si raccoglie in pieghe larghe e semplici, dove piccole crepe si confondono subito in modelli più larghi. In linea di massima, il quadro corrisponde al disegno. Se Santa Lucia e sant'Agata fossero state eseguite intorno al 1550, dovrebbe notarsi una stretta corrispondenza stilistica tra questi dipinti e le figure femminili del Castello de La Bastie d'Urfé (figg. 27a 27k), che si possono far risalire circa al 1549. Invece, a differenza di questi dipinti, le figure de La Bastie d'Urfé hanno irregolarità e angolosità pronunciate, e le stoffe hanno pieghe complicate. I drappeggi morbidi e duttili delle immagini della Minerva sono più somiglianti a quelli della Madonna Pini (fig. 47) del 1561. La ragione principale per cui il 1550 sembra la data più accettabile sta nel fatto che iscrizione e tabernacolo sicuramente furono ideati come un solo elemento. Sarebbe strano che lo spazio destinato a un quadro venisse lasciato vuoto per un certo numero di anni, tuttavia è possibile che il posto di Santa Lucia e sant'Agata fosse occupato da un altro quadro. Il Berthier riferisce che un Cristo Salvatore si trovava sopra il tabernacolo. Questa opera, ora nella cappella del Salvatore, era stata attribuita prima a Raffaello, poi a Perugino. Scrive Berthier: « Ce tableau appartint d'abord à une dame Angiola Cipriani, da Reggio, qui le confia à dame Onesta Marsiliani, avec le soin de l'installer convenablement. On le plaça d'abord au-dessus de la fresque des saintes Lucie et Agathe, où une inscription indiquait toutes ces circonstances » 8• L'iscrizione in alto che comincia SALVATORI HUMANI GENERIS rnsu CHRISTO sicuramente si riferisce a questo quadro precedente. Nel 1550, quando fu consacrato il tabernacolo, è probabile che il Cristo Salvatore si trovasse nell'interno di esso, cosl come oggi è dentro il tabernacolo nella cappella del Salvatore. Quando Siciolante fece Santa Lucia e sant'Agata, il Cristo Salvatore fu messo sopra il tabernacolo. Questo susseguirsi di fatti potrebbe giustificare una datazione più tarda per il dipinto di Siciolante, intorno al 1560, e spiegherebbe il testo dell'iscrizione. Il dipinto è ulteriormente esaminato nel corso del testo, il disegno nella sezione Disegni.

,73.

1 VASARI, Le vite, VII, 1881, p. 2 BAGLIONE, Le vite, 1641, p. 24. J NIBBY1 R9ma, part~ µic;,çic;rn~ 1

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(Studio, 1674, p. 171)

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Catalogo delle opere

assegna la pittura a Marcello Venusti. V~di a~che Roma, 1741, pp. 377-378; Descrizione, 176.3, p. 157; VASI, Itmerarro, 1777, p . 238; CIPRIANI, Descri;ione, 18.38, p . 106; MELCHIORRI, G11ida, 1840, p. 284; PIST_OLESI? Descrizione, 1841, p. 411; BLANC, Histoire, X, 1870, p . .32; NIBBY, Itznerarro, 1874, p . .303. 4 BERTHIER, L'église, 1910, pp. 1.36-137; voss, Die Molerei, I, 1920, p. 104; ZERI, Intorno, XXXVI, 1951, pp. 144-145; D'ONOFRIO, Roma, 1969, p. 109; BUCHOWIECKI, Ha11dbuch, II, 1970, p. 711; LOTTI, S. Maria sopra Minerva, XIII, 1, 1972, p. 10; Quadri, 1979, p . 20; HUNTER, Transition, LIX, 1987, pp. 23-24. s FORCELLA, Iscrizioni, I, p. 449. Ringrazio Claudio Strinati che mi ha fatto notare l'iscrizione in basso. 6 Un'antologia, p. 49-51. 7 HUNTER, The Drawittgs, XXVI, 1, 1988, pp. 15-17. Vedi Disegni, D21. 8 BERTHIER, L'église, 1910, pp. .3.33-.3.34. TITI

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ROMA

Chiesa di San Tommaso in Cenci; cappella di Valerio Cenci Vita della Vergine La decorazione dei muri comprende: Entrando a sinistra, Ezechiele; muro di sinistra, la Nascita della Vergine; muro dell'altare, David?, Adorazione dei pastori, Isaia; muro di destra, Annunciazione; entrando a destra, Daniele Sulla volta, da destra a sinistra: Cacciata di Gioacchino dal Tempio, Annunciazione a Gioacchino, Incontro di Gioacchino e Anna al Cancello d'oro Affreschi Firmati e datati HIER. DE SERMO/NETA FACIEBAT / A.D. MDLXV (figg. 64, 65a - 65j) Copie dell'Adorazione dei pastori (fig. 107), Parma, Pinacoteca [C-10], e dell'Annunciazione alla Vergine (fig. 115), Roma, palazzo Caetani [C-21]. Nella cappella di San Tommaso in Cenci consacrata alla Vergine (fig. 64), Siciolante firmò e datò gli affreschi che coprono il muro e

il soffitto a volta. Fu Vasari il primo a dare la notizia della committenza, e le sue parole sono state citate fino ai tempi nostri: « A piazza Giudea nella chiesa di San Tommaso ha dipinta tutta una cappell.t a fresco, che risponde nella corte di casa Cenci, facendovi la Natività della Madonna, l'essere annunziata dall'Angelo, e partorire il Salvatore Gesù Cristo» 1 • Nel 1932 Adolfo Venturi pubblicò un esame esauriente degli affreschi, e sebbene da allora siano stati scritti numerosi saggi sulla chiesa, pochi parlano degli affreschi di Siciolantc 2 • Come dice Vasari, cornici a stucco racchiudono ognuna delle tre scene della Vita della V ergine e coprono una grossa parte dei muri della cappella. Nella volta, altre scene incorniciate a stucco, sono af-


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frescate su uno sfondo di putti, di teste di mostri, di grottesche e di lune crescenti - emblema della famiglia Cenci. Queste scene sono il racconto della vita dei genitori della Vergine Maria, Gioacchino e Anna. Nell'insieme, si tratta di un ciclo che illustra la vita della Vergine, e finisce in modo appropriato con un riferimento eucaristico, l'Adorazione dei pastori, sopra l'altare. Il tutto faceva parte di un unico progetto di riedificazione della più antica chiesa di San Tommaso nel rione Regola (Arenula), al limite del ghetto, nei pressi di piazza Giudea. La chiesa, edificata su una piccola altura, è vicina anche al Tevere, in un punto prossimo a un terrapieno nel fiume; forse per queste ragioni aveva il titolo in capite molarum. Nel 1554 Giulio III accordò a Rocco Cenci il permesso di ricostruire la chiesa 3• Dopo la morte di Rocco nd 1559, il nipote di questi, Cristoforo, ebbe l'autorizzazione a continuare l'impresa, che si accompagnava alla ricostruzione dei palazzi vicini 4 • Nel 1575 l'opera di Cristoforo fu terminata dal figlio di questi, Francesco, e fu apposta una placca commemorativa sulla facciata della chiesa, che porta incisa la data della fine dei lavori 5 • Tuttavia, la cappella della Vergine non era sotto il patronato di questo ramo della famiglia Cenci bensl di un ramo collaterale, e il capofamiglia era Valerio di Ludovico Cenci 6 • Ci sono molte circostanze a sottolineare questo punto. Nel testamento redatto nel 1516, il padre di Valerio, Ludovico, espresse il desiderio di essere sepolto a San Tommaso, nella cappella consacrata a Santa Maria della Sbarra 7 • Che Valerio fosse patrono della chiesa è specificato in lettere d'oro in una targa sopra le due scene della Nascita detta Vergine e dell'Annunciazione: « Candida mens Valeri Mariam venerata, sacello hoc exprimi apellea cvrat ab arte deam vivvs vt hanc vnam. Post fvnera spettet et vnam. Orbe svr exemplis. Viva sed ora polo »8 • Nel testamento del 1592, Porzia, vedova di Valerio, manifestava il desiderio di essere seppellita nella cappella, insieme con le ossa del marito e del figlio» 9 • Nel pavimento c'è una targa a commemorare i discendenti di V alerio 10 • Potrebbe essere stato Valerio a commissionare la decorazione ddla cappella a Siciolante, ma lui e Cristoforo morirono parecchi anni prima che gli affreschi fossero completati 11 • Probabilmente l'esecuzione del progetto passò a Porzia, visto che al momento della morte del padre, i figli erano ancora minorenni 12• Secondo l'uso romano, il ramo della famiglia cui apparteneva Valerio era molto ricco, e faceva parte dell'aristocrazia. Porzia aveva ereditato non solo i beni di Ludovico, padre di suo marito, ma anche numerose case e terreni acquistati dal marito Valerio 13• Con il tramite di Cristoforo, tesoriere generale della Camera Apostolica e canonico di San Pietro, i Cenci avevano stabilito stretti legami con il Vaticano 14• Per loro la chiesa di San Tommaso non era soltanto una semplice parrocchia, era un ben\! inalienabile della famiglia: dunque, dotare la cappella di famiglia di una degna decorazione era un punto d'onore, e al tempo stesso un arricchimento per la comunità.


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Catalogo delle opere

Fu interpellato Siciolante perché creasse una decorazione moderna ma con iconografia tradizionale. Spazio e colore furono gli interessi primari di Siciolante, come nel ciclo di affreschi per la cappella Fugger di Santa Maria dell'Anima. Nelle scene di interni, riusd a costruire ambienti architettonicamente bene articolati, popolati da morbide figure. I colori degli abiti compongono una armonia studiata e complessa: azzurro chiaro, verde oliva, violetto, rosso, arancio e grigio si fondono in un colore autunnale, variato e polposo. La volta, a grottesche e ardite fasce di colore rosso intenso, azzurro, oro, fa un contrasto sorprendente. Le grottesche, delicate e bizzarre, il colore intenso delle fasce geometriche suggeriscono disposizione d'animo e sensibilità del tutto diverse. Seppure piacevole, la cappella non è unitaria, e la qualità degli affreschi è ineguale. Forse non fu Siciolante a dipingere le scene della volta (figg. 65a - 65c), sebbene la Cacciata di Gioacchino (fig. 65a) sia una dimostrazione dell'interesse che l'artista nutriva per la prospettiva e gli ambienti architettonici. L'esecuzione delle figure è rozza: volti, mani, stoffe denotano una fattura grossolana, in contrasto con lo stile abituale di Siciolante. Nei dettagli anatomici come nella tipologia dei volti, i quattro Profeti (figg. 65g - 65j) mancano della leggerezza di tocco di Siciolante. Nelle tre grandi scene narrative, l'intervento personale di Siciolante è più evidente, però si limita alla solita, convenzionale procedura. Abbastanza evidenti i prestiti dalla Nascita di Adone di Monterotondo (fig. 41c) e dalla Nascita della Vergine della cappella Fugger, e questo conferma il poco interesse dell'artista per nuove forme di invenzione. Sebbene sia stato Siciolante a ideare la decorazione, l'esecuzione in linea di massima resta abbastanza meccanica 15, con la sola eccezione di alcune parti che lo interessano in modo particolare. Nel testo si può trovare una più ampia descrizione di questi affreschi. 1 VASARI, Le vite, VII, 1881, p. 572. Vedi anche BAGLIONE, Le vite, 1642, p. 23; TITI, Studio, 1674, p. 109; CECCONI, Roma, 1725, p . 507; Roma, 1741, p. 340; ROISEcco, Roma, I , 1745, p. 302; TITI, Descrizione, 1763, p. 95; VE· NUTI, Accurata e succinta descrizione, 1767, p . 532; VASI, Itinerario, 1777, p. 417; BLANC, Histoire, X, 1870, p. 32; RICCI, Beatrice, I, 1923, p. 16. 2 VENTURI, Storia, IX, 5, 1932, pp. 586-590; FRASCHETTI, I Cenci, 1935, p. 228, n. 2; ARMELLINI, Le chiese, II, 1942, p. 702; MONTENOVESI, S. Tommaso, VIII, 5-6, 194.3, pp. 21-24; MONTENOVESI, S. Tommaso, XXVIII, 1953, pp. 109120; MARONI LUMBROSO e MARTINI, Due chiese, IX, 1961 , pp. 424-431 ; MARONI LUMBROSO e MARTIN!, Le confraternite, 1963, pp. 235-236; MOLA, Breve racconto, 1966, p. 110; D'ONOFRIO, Roma, 1969, p. 179; LOTTI, s. Tommaso, xv, 5-6, 1974, p. 47; PIETRANGELI, Rione VII • Regola, parte 1, 1975, pp. 58-60; Quadri, 1979, p. 12; PUGLIATTI, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, p . 101. 3 FRASCHETTI, I Ce11ci, 1935, pp. 225-226. 4 Ibid., p . 226. 5 FORCELLA, Iscrizioni, X, 1877, p. 397, n. 632. 6 La citazione seguente è tratta da Visitationes ecclesiarum del 1566: « Nella detta chiesa è una Cappella iuspatronata di casa Cencio del quondam messer Valerio Cencio, et ne è beneficiato uno dei suoi figliuoli», ARMELLINI, Le chiese, II, 1942, p . 702. 7 FRASCHETTI, I Cenci, p ..310. Il testamento di Ludovico di Giovanni Cenci,


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in data 1516 (Roma, Archivio Cenci, Primogenitura mazzo T-1, n. 14) dice testualmente: « Et imprimis animam suam omnipotenti Deo comendavit et iussit voluit, et mandavit eius corpus sepeliri in Ecclesia Sancti Thomc Molarum regionis Arenule in Capella Sanctae Maria della Sbarra, iurispatronatus de domo de Cinciis in sepultura parentum ipsius testatoris ». Il patronato sulla cappella era stato riconfermato nel 1453 dal cardinale patriarca di Aquileia. Ibid., p . 224. 8 M0NTEN0VESI, San Tommaso, VIII, 5-6, p . 115, suggerisce che il committente sia stato Valerio Santacroce. Questo Valerio era fratello di Francesco la cui figlia, Ersilia, aveva sposato Francesco di Cristoforo Cenci . 9 FRASCHETTI, I Cenci, p. 315. Il testamento di Porzia Cenci (Roma, Archivio Cenci, Primogenitura, T 1, 28) dice testualmente: « In primo raccomando l'anima mia all'Omnipotente Iddio et alla Gloriosissima sua madre Vergine Maria, et tutta la Corte Celeste, et il Corpo lasso che sia seppellito nella chiesa cli S. Tommaso et Cappella della nostra casa, dove s'abbia da fare una tomba, nella quale si metta il mio corpo et l'ossa de suo marito et mio figlio, et che il mio corpo sia portato con venti torce, et con quella compagnia che parera all'infrascritti miei heredi et esecutori ». 10 FORCELLA, Iscrizioni, X, 1877, p. 398, n. 634. L'iscrizione è la seguente: D.O.M. / SACELLVM HOC CINCIAE FAMILIAE VETVSTATE VENERANDAE / MAGISTRA• TIBVS CVRVLIBVS AVCTAE / SVIS ILLVSTRARVNT CINERIBVS / LVDOVICVS CINCIVS ET LAVRA LANTES CONIVGES PARES INC0MPARABILES / TIBERIVS MERITO VIRTV• TVM AD PVRPVRAM EVECTVS / LVD0VICVS EPISCOPVS TVDERTINVS BENEMEREN· TISSIMVS / VALERIVS CAMILLVS. MARIVSQVE EXERCITAE PRVDENTIAE EXPL0RA• TAE PROBITATIS FILII VNANIMES QVIBVS / HIER0NYMVS CINCIVS GENTILITIAE PIETATIS QVAM ADITAE FACVLTATI / HAERES ILLVSTRI0R VRNAM HANC EXCITAVIT / MAXIMI AFFECTVS MINIMVM ARGVMENTVM / ANNO SAL. HVM. MDCLXI. Il primo Ludovico citato era il figlio di Valerio di Ludovico. Lui e la moglie, Laura Lante, ebbero parecchi figli tra i quali vengono citati Tiberio, Ludovico, Valerio, Camillo, Mario. Girolamo Cenci, autore della targa commemorativa, apparteneva a un altro ramo della famiglia. FRASCHETTI, I Cenci, p. 98. M. BEVILACQUA, Il Monte dei Cenci, Roma 1988. 11 La data non è precisa, ma pare fosse il 1561. Ibid., p. 228, n. 2. L'autore si riferisce a un documento che riguarda la committenza a Siciolante (Roma, Archivio Cenci, Patrimoniali, mazzo XXI, n. 6). L'archivio non è accessibile. 12 Ibid., p. 144. 13 Ibid., pp. 144-145. Nel testamento del 1592, Porzia possedeva una fortuna cospicua, perché le era premorto il figlio Ludovico di Valerio. Il documento si trova a Roma, Archivio Cenci, Primogenitura, T 1, 28. 14 Ibid., passim. Gli stretti rapporti dei Cenci con il Vaticano furono forse il motivo principale per cui Sicioiante venne indicato alla famiglia. 15 Un particolare si allontana dalla tradizione. Il testo che la Vergine legge nell'Annunciazione (fig. 65f) non è ripreso da Isaia, come accade il più delle volte (HIRN, The Sacred Shrine, p. 207) bensl dai Salmi 85 (84) 9: « AUDIAM / (quid loqu) ATUR / (in mc Domi)NUS / (Dcus, quoniam) LO/(quctur pa)CEM / (in plebem) SUAM / (et super sanctos) suos / ET / (in cos qui convcrtuntur ». Ringrazio il dottor Julian Kliemann che ha trovato questo brano.


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Catalogo delle opere ROMA

Chiesa di San Tommaso in Formis Madonna e Bambino con san Bonifacio, san Francesco e papa Bonifacio VIII (pala di Bonifacio), 1574 circa (fig. 91) Olio su tavola, m. 1,83 X 1,23 Già in Vaticano, nell'antica basilica di San Pietro, cappella Caetani Studi preparatori per la Madonna con Bambino (fig. 92), Londra, collezione privata [D-10]; San Francesco (fig. 93), già a New York, Galleria William H. Schab [D-13]. Nel 1639 Baglione descrisse i dipinti della sacristia di San Pietro in Vaticano, e notò varie opere recuperate da diversi altari della antica basilica, compreso un dipinto di Siciolante: « Et anche vi si vede una Madonna co'l puttino in braccio, s. Francesco, e s. Crispino con Papa Bonifacio VIII Gaetano di mano di Girolamo da Sermoneta » 1• Qualche anno dopo, Baglione modificò l'identità dei Santi, cambiando « san Crispino » in « san Bonifatio »: « Nella sagrestia di S. Pietro evvi la tavola d'una Madonna con il puttino Giesù, s. Francesco, s. Bonifatio, e Papa Bonifatio VIII, in ginocchione che prima sopra un altare nel vecchio tempio di S. Pietro era riposta, e a olio lavorate »2 • La pala d'altare era descritta esistente nella Sagrestia di S. Pietro fino all'inizio di questo secolo 3 • Trascurando questa descrizione, nella guida alla chiesa di San Tommaso in Formis del 1927, Antonino dell'Assunta e Romano di Santa Teresa descrissero un quadro di Siciolante sull'altar maggiore: « Nel quadro dell'altare maggiore di S. Tommaso in Formis, dovuto al pennello di Siciolante da Sermoneta, insieme alla Vergine e a S. Bonifacio è anche rappresentato S. Francesco d'Assisi» 4• Dicono gli autori che nel tardo Seicento il quadro era a San Tommaso, come rilevato in alcune guide di Roma 5 • La persuasione degli autori che Siciolante avesse eseguito la pala per la chiesa di San Tommaso fu confutata da Ilaria Toesca nel 1965. Afferma la Toesca che i quadri descritti a San Tommaso e a San Pietro sono un unico e solo quadro, e che la pala fu trasportata a San Tommaso nel tardo Seicento, cosa, questa, ignorata dalla maggior parte delle guide di Roma 6• Il dipinto, tuttora a San Tommaso sebbene non più sull'altare maggiore, è la conferma di quanto asserisce la Toesca: coincide con la descrizione di Baglione, e fu commissionato per la antica basilica di San Pietro in Vaticano 7• Nel tardo Cinquecento, Tiberio Alfarano descrisse l'interno della antica basilica. Fece due versioni manoscritte del testo, una italiana, l'altra latina. Quella latina, più conosciuta, fu pubblicata da Michele Cerruti nel 1914, e purtroppo non fornisce quelle importanti notizie su Siciolante che sono invece presenti nella versione italiana 8 • Scritta e riveduta negli anni tra il 1571 e il 1576, la versione italiana descrive la cappella di Bonifacio VIII Gaetani situata all'interno della


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chiesa, nel muro d'ingresso corrispondente alla facciata esterna, e adiacente alla porta Ravenniana:

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In fra questo deposito de Bonifacio papa pontifex IV et la porta Raviniana anticamente vi era l'altare de s. Bonifacio martire il quale poi fu ornato da bellissima cappella ampia con ciborio di marmore circondata da cancelli di ferro con figure cli musaico da Bonifacio papa pontifex VIII dove è il suo sepolcro elegantissimo et dentro al piano de questa cappella fu sepolto esso pontefice 9 •

E ancora : « Disopra al deposito de Bonifacio VIII vi è l'immagine della Beata Vergine et del papa pontifex inginocchiane con questa inscriptione Bonifacius papa pontifex VIII ». Questa descrizione della cappella coincide con i disegni che ne fece Giacomo Grimaldi (figg. 95a, 95b), prima che l'antica basilica venisse distrutta all'inizio del Seicento 10 • Il testo italiano porta questo brano, cancellato successivamente dal testo latino: Fu restretta e levata l'inferriata cli detta cappella nel anno 1574 et l'Illustrissimo signore Honorato Gaetano della progenie et casata cli detto Bonifacio VIII ha fatto fare in detta cappella una bella Immagine della Vergine Maria cli S. Bonifatio martire et S. Francesco et un bel paramento d'Altare cli damasco et francie d'oro con sue arme.

Sebbene Alfarano non citi esplicitamente la figura di Bonifacio VIII, è ugualmente chiaro che parla del dipinto di San Tommaso, e pur non specificando dove fosse sistemata la tavola in rapporto alle altre parti della cappella, il testo di Alfarano avvalora la descrizione di Baglione. L'omissione di questo brano importante dal testo latino pubblicato e dalla descrizione che fa Grimaldi della cappella Caetani, ha dato luogo a un malinteso sulle origini dd dipinto. Alfarano afferma che Onorato Caetani commissionò la pala. La sua affermazione ha portato Ilaria Toesca a dedurre che il dipinto fosse stato eseguito per onorare la memoria di Bonifacio, padre di Onorato, morto il 1° marzo 1574 11 • E' un'ipotesi ragionevole, soprattutto se si tengono presenti le allusioni esplicite che Alfarano fa a proposito di Onorato, e le varie figure che nel quadro portano il nome di Bonifacio. A lungo, il padre di Onorato era stato protettore e benefattore di Siciolante. All'inizio del 1574 Siciolante gli aveva scritto a proposito di certi progetti che aveva intenzione di attuare per lui 12• Ma Bonifacio era allora impegnato con la decorazione dd palazzo di Cisterna e della chiesa di Sant'Antonio; forse stava anche pensando alla più importante cappella di casa Caetani e all'illustre suo predecessore, papa Bonifacio VIII, e forse stava considerando di affidare a Siciolante l'esecuzione di un quadro per San Pietro in Vaticano. Se ebbe simili progetti, fu il figlio Onorato a realizzarli dopo la morte del padre. Onorato Caetani, nato nel 1542, era il primo figlio di Bonifacio Caetani e di Caterina Pio di Carpi. Fu educato a Roma, sotto tutela dello zio, il cardinale Nicolò Caetani. Per mettere fine a una lunga animosità tra casa Caetani e casa Colonna, sposò Agnesina Colonna, sorella di Marcantonio. Don Marcantonio, partecipò alla battaglia di

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Lepanto con il grado di capitano della fanteria pontificia, e si distinse per il coraggio. Per celebrare la vittoria, insieme agli altri Caetani e agli abitanti di Sermoneta, promosse la costruzione della chiesa di Santa Maria della Vittoria. Appena fatto papa, Gregorio XIII lo nominò tenente colonnello della guardia pontificia e governatore di Borgo u. Fu durante un periodo di grande successo personale e di affermazione della famiglia Caetani nella cerchia pontificia, che Onorato collocò il quadro di Siciolante nella cappella Caetani di San Pietro. Questo quadro, forse più di ogni altro opera della maturità di Siciolante, ha una somiglianza apparente con alcune opere di Raffaello, specialmente con la Madonna di Foligno 14 • Ma una immagine anteriore, il mosaico di Jacopo Torriti 15 (fig. 95b) già nella cappella di Bonifacio VIII, fu il vero modello della pala. Forse il quadro di Siciolante doveva servire a rafforzare l'immagine più antica, o a sostituirla 15 • Se ci atteniamo alla descrizione di Alfarano, Onorato Caetani rinnovò la cappella con l'apporto del quadro di Siciolante e di un paramento di damasco 16• Questi cambiamenti non furono durevoli, perché il quadro fu portato dalla cappella in sacristia prima della demolizione della antica basilica, e prima che Grimaldi facesse i disegni della cappella.

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1 BAGLIONE, Le nove chiese, 1639, p. 44. 2 BAGLIONE, Le vite, 1642, p. 24. 3 TITI, St11dio, 1674, p. 25; CECCONI, Roma, 1725, p. 342; Roma, 1741, p. 260; CHATTARD, N11ova descrh:.io11e, I, 1762, p. 246; TITI, Descrizione, 1763, pp. 21-22; VASI, Itiflerario, 1777 ,pp. 489-490; BIANCHI-CAGLIESI, All'illustre pittore, 1909, p. 17; D'ONOFRIO, Roma, 1969, p. 160 . 4 ANTONINO DELL'ASSUNTA e ROMANO DI s. TERESA, Tommaso, pp. 51, 84, n. 4. Gli autori basano la loro descrizione su GIOVANNI ANTONIO BRUZIO, Thea-

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lmm Romanae Urbis, vol. 16, Biblioteca Vaticana, Vat. Lat. 11885, f. 193v, datato 1665 circa. Bruzio scrive che sull'altar maggiore « è un bel quadro con la Madonna Santiss.ma che tiene il Bambino in braccio in mezzo alle nuvole, e ha un angelo per lato, di sotto li rappresenta S. Bonifatio e dall'altra parte S. Frane. d'Assisi, sotto Bonifacio IX che sta genuflesso ». s NIBBY, Roma, parte 1 moderna, p. 739. 6 TOESCA, D11e opere, XVI, 187, pp. 57-59. Ilaria Toesca (Ibid., p. 58, n. 3) suggerisce che il trasferimento del quadro fosse legato al cambiamento di giu• risdizione di San Tommaso dai Trinitari al Capitolo di San Pietro. 7 Entrando in chiesa la pala è il primo dipinto sul muro di sinistra. Quando Ilaria Tocsca lo pubblicò, in alto e in basso il dipinto aveva delle aggiunte, che ora sono state rimosse. LADNER, Die Papstbildnisse, II, 1970, p. 311, n. 2; BRUNO, Girolamo, CXXXIII, 1974, pp. 68, 79, n. 28; Quadri, 1979, p. 13; HUNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, pp. 44-45. 8 ALFARANO, De Basilicae, 1914, pp. 65-66. 9 Vedi Documenti, XXX, dove è incluso il manoscritto originale di Alfarano, cosl indicato, e un altro testo contrassegnato « seconda copia ». I brani più interessanti sono nei ff. 26-27 dcll'originale e 49-50 della seconda copia, meglio leggibile. IO GRIMALDI, Descrizione, 1972, pp. 37-39, figg. 7, 8, 59. Il Dizionario, XVI, 1973, p. 133. 12 Vedi Documenti, XXVI. 13 Dizionario, XVI, 1973, pp. 205-207; CAETANI, Domus, II, 1933, pp. 129, 149.


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Nel 1565 il quadro di Raffaello venne spostato da Santa Maria in Aracocli al monastero di Sant'Anna a Foligno. PRISCO, L'opera, p. 108. 15 Cerruti (ALFARANO, De Basilicae, p. 66) cosl afferma: « La quale pittura deve esse è stato collocata lateralmente giacche sopra l'altare resto sempre il mosaico ». Se fosse stata collocata lateralmente, la pittura sarebbe stata sopra il monumento equestre di Roberto Malatesta, che era a destra della cappella di Bonifacio. Poiché nella descrizione di Alfarano il quadro risulta essere nella cappella di Bonifacio, stranamente si sarebbe trovato ad essere di fronte al mosaico e all'effigie di Bonifacio VIII, ossia sotto il ciborio e sopra il sepolcro. D'ARRIGO, Alcune osservazioni, I, pp. 373-378. 16 CAETANI (Domus, Il, p. 148) riferisce un interessante aneddoto su Onorato alla battaglia di Lepanto. Senza specificare la fonte di questa informazione, riferisce che « in quell'ora suprema di pericolo il pensiero di Onorato si volse ad un'immagine della Madonna, custodita in un piccolo tabernacolo di rustica muratura, al principio della mulattiera selciata che conduceva a Sermoneta, ai piedi del monte. Era Ii che aveva incontrato per la prima volta la sua futura sposa, Agnesina Colonna. Invocò quell'immagine in suo aiuto e fece il voto di erigerle una chiesa se fosse uscito vittorioso dalla mischia». Se è vero l'aneddoto, esso potrebbe anche essere la ragione della committenza a Siciolante di una immagine della V ergine.

36.

SERMONETA (LATINA)

Castello Caetani Madonna e Bambino con san Pietro, santo Stefano, san Giovannino (pala cli Valvisciolo), datata MD XXXXI (fig. 1) Olio su tavola, m. 2,75 X 2,40 Già nell'abbazia dei Santi Pietro e Stefano cli Valvisciolo Disegno preparatorio (fig. 2) Parigi, Museo del Louvre, Gabinetto dei Disegni [ D-16]

Il primo a dare not121a della pala cli Siciolante per l'abbazia dei Santi Pietro e Stefano cli Valvisciolo fu Vasari: « Fra le prime opere adunque che constui fece da sè, fu una tavola alta dodici palmi, che egli fece a olio cli venti anni, la quale è oggi nella badia cli Santo Stefano, vicino alla terra cli Sermoneta sua patria; nella quale sono quanto il vivo San Pietro, Santo Stefano e San Giovanni Batista, con certi putti » 1• Ma Vasari non descrive il motivo centrale formato dalla Vergine con il Bambino seduta sul davanti cli una nicchia. Probabilmente Camilla Caetani aveva commissionato a Siciolante una pala per l'altar maggiore della chiesa prima del restauro dell'2hbazia, avvenuto negli anni tra il 1544 e il 1548. A Camilla era stato concesso il patronato dell'abbazia dalle clausole cli un trattato sanzionato da Adriano VI, e confermato successivamente da Clemente VII il 31 marzo 1524. Prima di questa data, il titolo dell'abbazia spettava ai vicini Caetani di Maenza, parenti dei Caetani cli Sermoneta e al tempo stesso loro inesorabili nemici. Certamente fu un gran

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Catalogo delle opere

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sollievo per Camillo di poter tenere sotto controllo questa proprietà, soprattutto in considerazione della grande vicinanza geografica tr~ Sermoneta e l'abbazia, e tenuto conto dei numerosi, cruenti attacclu contro Sermoneta, che avvenivano sotto la guida di Pietro C!letani, capo della banda rivale dei Maenza. Dopo che il cugino Alessandro Farnese ascese al soglio di San Pietro con il nome di Paolo III nell'anno 1534, la situazione economica e politica si fece sufficientemente sicura perché Camilla potesse dedicarsi ad apportare miglioramenti a Sermoneta e a Valvisciolo 2, e sebbene non si abbiano prove documentarie a confermare il fatto, è probabile che sia stato lui a ordinare la pala a Siciolante, soprattutto in ragione dei diritti di giurisdizione e del patronato che aveva sull'abbazia 3 • La Madonna venne sistemata sopra l'altare maggiore, dove si ricorda fino alla metà dell'Ottocento 4, quando i Caetani la trasportarono al palazzo di Roma, avendo ceduto il loro diritto di patronato dell'abbazia a Pio IX 5 • Nel 1970 la famiglia riportò il dipinto a Sermoneta, nel castello Caetani, dove è tuttora 6 • Vedi il testo per ulteriori informazioni. Il disegno preparatorio è analizzato nella sezione Disegni.

Le vite, VII, 1881, p . .571. II, 1933, pp. 23, 31, 55. antica dell'abbazia vedi D'ONOFRIO e PIETRANGE.LI, Abbazie, pp. 275-290. 4 Forse il quadro non è stato dipinto appositamente per l'altar maggiore giacché la luce più forte, rispetto all'altare, proviene da destra, mentre all'interno dd quadro viene da sinistra. 5 CAETANI, Domus, II, p. 55. Verso il 1766 PANTANELLI, Notizie, I, pp. 227228 disse che il quadro era sopra l'altare maggiore. BIANCHI·CAGLIESI, All'illustre pii/ore, p. 16, e RAIMONDI, L'abate, XXXI, p. 248, ignoravano la ubicazione dd dipinto. VENTURI, Storia, IX, .5, pp . .548, 554, afferma che il dipinto era a Palazzo Caetani. Vedi anche DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, pp . .55-.56; DIONISI, Visita, X, 3-4, pp. 33-36. 6 Vedi BRUNO, Girolamo, CXXX, pp. 55-.56; HUNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, pp. 22-23; PUGLIATTI, Girolamo, in Girolamo, IV, pp. 82-84. Sono debitore al compianto signor Hubcrt Howard per avermi concesso di studiare la pala di Valvisciolo e per tutte le altre cortesie che mi ha usato. 1 VASARI,

2 CAETANI, Domus, 3 Per la storia più

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I. Dipinti autentici

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SERMONETA (LATINA)

Chiesa di San Giuseppe; cappella Caetani La decorazione dei muri comprende: Al centro, Madonna, Bambino, san Giuseppe e putti; a sinistra, San Girolamo e la Crocifissione (in alto); a destra, San Bonaventura e la Resurrezione (in alto) Nel basamento, a sinistra, Sacrificio di Isacco, a destra, Sacrificio. La decorazione della mezza cupola comprende, dall'alto in basso, la Assunzione di Maria; scene dalla Creazione, tra le quali, da sinistra a destra, la Creazione di Adamo, la C,-eazione di Eva, la Tentazione di Adamo ed Eva; la Passione di Cristo, che comprende, da sinistra a destra, la Flagellazione, Cristo davanti a Pilato, il Calvario. L'accesso alla cappella è incorniciato da pilastri piani con grottesche; a sinistra, la Sibilla; a destra, un Profeta reclinati sull'arco; due putti con lo stemma dei Caetani seduti sulla trabeazione Affreschi sui muri e nella mezza cupola, 1550-1552 (figg. 36, 36a37i)

Le prime not121e pubblicate sugli affreschi di Siciolante per la cappella Caetani (fig. 36) sono di Giuseppe Marocco: Il protettore singolare de' sermonetani è S. Giuseppe cui è intitolata un altra chiesa dove giudico di considerazione la cappella de Gaetani dipinta superbamente a fresco dal Siciolante, ed esprime, la creazione di Adamo, e di Eva, l'inganno del serpente, 1a flagellazione di Cristo, la sentenza innanzi Pilato, la salita al calvario, la crocifissione, la resurrezione, ed altre figure. In mezzo a tutti questi dipinti siede la Vergine, cui dai Gaetani fu intitolata la loro capclla 1•

La comunicazione di Marocco è del 1835, successiva ad un manoscritto composto nel 1766 circa da Pietro Pantanelli, e pubblicato soltanto nel 1911. La descrizione della cappella fatta da Pantanelli è più esauriente: parla delle varie cappelle della chiesa, poi arriva alla seconda cappella cli destra, che è la cappella Caetani: L'altra è tutta dipinta a fresco, e fu opera bellissima del nostro Girolamo Siciolante, e forse delle megliori uscite dal suo pennello. Sono i quadri tanto bene divisi, di lavoro si diligente e vago, e di disegno cosi esatto, che da molti professori è stata giudicata opera di Perin del Vaga, di cui appunto fu egli discepolo. Il quadro di mezzo rappresenta Maria santissima sedente con Gesù bambino in seno, san Giuseppe indietro, e due angeletti sopra le nubi, quali coronano di fiori la Vergine. Il quadro a destra ha un san Girolamo in piedi, e quello a sinistra un san Bonaventura. Tre quadrucci dislonghi sopra questi figurano la Presentazione di Cristo a Pilato, a sinistra, quando portò la croce nel Calvario, e quello a destra non si distingue per esser guasto. Al di sopra ve nè sono de' più piccoli, colle storie della Crocefissione, Resurrezione, e coli'Assunzione di Maria nel mezzo; e finalmente nella curvatura della volta si vede la Creazione d'Adamo, quella di Eva, et a sinistra quando Adamo ed Eva mangiano il vietato pomo, e questa è stupenda per i due bellissimi nudi. Ve nè sono degl'altri con figurine in campo d'oro de' santi Pietro, Paolo et cctera e questi restano tramezzati da figurine e grotteschi bellissimi a oro et altre a chiaroscuro. Nel zoccolo, ancor di chiaroscuro, vi è Sacrificio d'Abramo a destra, l'altro è adombrato e non si distingue. Il fregio al di fuori circuisce tutto


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Catalogo delle opere

l'arco, figurano due grandi colonne piane con bellissimi capitelli gialli, quali colonne contengono graziose figurine e grotteschi, più propri però per terme di gentili che per tempi di cristiani. Sopra l'arco vi sono !'insegne de' signori Caetani con due putti e due profeti. Questa cappella è sospesa; non so se per la licenza delle figure, o per essere guasta la destra parte; pregiudizio causato, come dicono (né è improbabile), da una cisterna nel soprastante cortiletto, dell'abitazione del rettore, pe1· l'umido che s'insinua per il muro che li divide 2•

La descrizione di Pantanelli richiede qualche chiarimento. Quando parla di destra e di sinistra, va inteso il contrario, cioè guardando 1a cappella. Le due scene che non poté vedere causa le infiltrazioni di acqua sono la Flagellazione di Cristo (figg. 36, 37f) e un Sacrificio (fig. 37h). Quando osserva che le figure e le grottesche dipinte sui pilastri piani sono più adatte alle terme pagane che alle chiese cristiane, probabilmente si riferisce alla nudità e ai bambini che stanno orinando. Pantanelli afferma che molti studiosi avevano espresso la opinione che gli affreschi fossero di Perino del Vaga, sia per la disposizione dei dipinti, sia per la piacevolezza dell'opera, sia per la precisione del disegno. Ma non si ha notizia di tale opinione. Da Pantanelli in poi ci si è occupati dello stile e della committenza degli affreschi 3 • Non ci sono documenti a comprovare l'identità del committente, ma è legittimo supporre che fosse Bonifacio Caetani. Siciolante rispose a Bonifacio nel 1549 in merito a un invito a recarsi a Sermoneta. Bonifacio aveva in mente un progetto, per il quale si rendeva necessaria la decorazione di alcune stanze. Però non si sa se tale progetto fu mai realizzato 4 • Invece, fu domandato a Siciolante di affrescare la cappella Caetani. All'incirca in questo periodo del 1550, Bonifacio entrò al servizio del re di Francia, Enrico II, con il grado di capitano con un salario annuo di quattromila franchi 5 • Il cardinale Nicolò, fratello di Bonifacio, ratificò le clausole durante una visita alla corte francese nello stesso anno. Coincidenza piuttosto singolare: nello stesso anno, i mecenati più importanti di Siciolante furono l'ambasciatore francese Claude d'Urfé, e uno dei segretari del monarca francese, Nicholas Dupré. Si è tentati di trarre la conclusione che la nuova importanza e la fortuna propizia di Bonifacio coincidessero con le entrature di Siciolante nella società romana. Com• missionare la cappella Caetani potrebbe essere stato per Bonifacio il modo di adeguarsi alla sua nuova condizione sociale; per festeggiarla, e al tempo stesso per competere con quanto si faceva a Roma, potrebbe aver voluto decorare la cappella di famiglia a Sermoneta. In questo caso, Siciolante era particolarmente qualificato, perché era stato l'aiuto più vicino del massimo decoratore di Roma, Ferino del Vaga. Se fu Bonifacio ad assegnare la committenza, la data degli affreschi non dovrebbe essere anteriore al 1550 6 • Per altre notizie, vedi il testo.

1 MAROCCO, Monumenti, VI, 1835, pp. 86-87. 2 PANTANELLI, Notizie, I, 1972, pp. 70-71. 3 MORONI, Dizionario, LXXXIX, 1858, pp. 107,

122;

BIANCHI-CAGLIESI,

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l'illt1stre pittore, 1909, p. 16; VENTURI, Storia, IX, 5, 1932, pp . .554-555; DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, pp. 62-63; DIONISI, Visita, X, 3-4, 1969, p. 36; HUNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, p. 30; PUGLIATTI, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, p. 90; HUNTER, Transition, LIX, 1987, pp. 18-19. 4 CAETANI, Domus, Il, 1933, p. 56. 5 Dizionario, XVI, 1973, pp. 133-134. 6 GAUDIOSO, Gli affreschi, II, p. 12, suggerisce che la decorazione sia stata eseguita in due tempi: la mezza cupola nel 1542-1543, i muri nel 1548-1549. Lo stile di questi dipinti è in accordo con il lavoro dell'artista nel periodo intorno al 1550.

38.

SERMONETA (LATINA)

Cattedrale di Santa Maria Assunta; cappella De Marchis Incoronazione della Vergine, 1567-1570 circa (fig. 80) Olio su tavola, m . 1,68 X 1,07 Già a Sermoneta, chiesa di San Michele, cappella Borzi (o Borgi)

Lo storico di Sermoneta, Pietro Pantanelli, all'incirca nel 1766 cosl descrisse l'Incoronazione della V ergine in San Michele Arcangelo: « Da questa parte [probabilmente con riferimento alla navata destra] vi è l'altra [cappella] della Concezione cli Maria Santissima, con una tavola nell'altare cli Girolamo Siciolante, quale per altro rappresenta Cristo signor nostro, che corona la sua madre Santissima, e questa fu eretta dalla famiglia Borgi con altro giuspatronato » 1• In altra parte del testo, Pantanelli cita un documento con il quale il vescovo di Terracina, Francesco Beltramini, 1'11 agosto 1567 autorizzava Bonifacio, Antonio e Giulio Borzi, eredi cli Annibale di Bonifacio, a erigere e decorare una cappella in San Michele Arcangelo, consacrata alla Concezione della Vergine Maria 2• I fratelli Borgi (o Borzi) probabilmente diedero a Siciolante l'incarico cli dipingere una Incoronazione della Vergine, all'incirca quando la cappella fu costruita. Ci sono poche altre notizie sul dipinto 3 : nel 1951 per la prima volta Federico Zeri pubblicò il quadro, accompagnandolo con una descrizione assai poetica, avvertendo però che al momento il dipinto era in restauro 4 • Alla fine del lavoro, il quadro venne sistemato nella cattedrale cli Sermoneta, Santa Maria Assunta, nella prima cappella a destra (cappella De Marchis), dove tuttora si trova 5• L'Incoronazione della Vergine è, secondo le parole di Zeri, schematicamente semplice, pervaso da una certa malinconia; la gamma dei colori è severa, trattenuta. Contro un cielo color rosa e oro, sopra un paesaggio giallo bruno, su una nuvola grigio scura sono seduti la Vergine e Cristo. La Vergine ha un abito rosa pallido e un manto color nocciola; il Cristo è avvolto in drappo rosso, che è il colore più acceso di tutto il ~uadro.

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Catalogo

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opere

Le figure sono simili a quelle che l'artista dipinse tra il 1560 e il 1570, compresa la Pietà di Cambridge (fig. 82) e la pala di San Bartolomeo (fig. 83) del 1570. Una data compresa tra il 1568 e il 1570 coinciderebbe con l'attività dell'artista in palazzo Caetani di Cisterna e nella chiesa di Sant'Antonio della medesima località 6 •

1 PANTANELLI,

Notizie, I, 1972, p. 61.

2 lbid., pp. 610-611. 3 BIANCHI-CAGLIESI, All'i/l11stre

pittore, 1909, p. 16; VENTURI, Storia, IX, 5, 1932, p . .592, afferma che il quadro è andato smarrito. 4 ZERI, Into,110, XXXVI, 19.51, p. 145; ZERI, Pittura, 19.57, pp. 37-38. s FINO, Ser111011eta, 1980, p. 46. 6 Leone Caetani (PANTANELLI, Notizie, I , p. 61, n. 1) dice che Siciolante fece in affresco una Incoro11azio11e quasi identica per la cappella maggiore di Sant' Antonio a Cisterna. Vedi Catalogo, A-2b.

39.

ST. ÉTIENNE LE MOLARD

Castello della Bastie d'Urfé; cappella Scene dall'Antico e dal Nuovo Testamento Nella cappella: muro dell'altare, sopra Caduta della manna Olio su tela, m. 1,60 X 4,40 sotto, a sinistra e a destra Sacrificio di Abramo Olio su tela, m. 1,72 X 1,29 Sacri/icio di Melchisedek Olio su tela, m. 1,72 X 1,29 Muro di destra, a sinistra e a destra Il gran sacerdote Abimelech dà il pane consacrato a Davide fuggiasco Olio su tela, m. 1,72 X 1,50 Elia nel deserto nutrito da un angelo Olio su tela, m . 1,72 X 1,50 Muro d'ingresso, sopra Mosé fa scaturire l'acqua dalla roccia Olio su tela, m . 1,60 X 4,40 sotto, Gli Israeliti celebrano la Pasqua Olio su tela, m. 1,72 X 4,05 Muro di sinistra, a sinistra e a destra


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I. Dipinti autentici

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Sansone trova il miele nella bocca del leone Olio su tela, m. 1,92 X 3,80 Profeta Olio su tela, m. 1,72 X 0,65 Nell'oratorio: muro di sinistra Creazione del mondo Olio su tela, m. 1,75 X 2,22 muro di destra Annunciazione Olio su tela, m. 1,75 X 2,16 1549 circa (figg. 26, 27a - 27k) Disegni preparatori per: la Caduta della Manna (fig. 28), Budapest, Szépmiivézeti Muzeum [D-1]; Annunciazione (fig. 29) Leningrado (San Pietroburgo), l 'Hermi tage [ D-7 ] Nel 1972 Olga Raggio attribuì a Siciolante la serie di undici dipinti su tela della cappella nel castello della Bastie d'Urfé 1• Prima di questa attribuzione, si pensava che i dipinti fossero di mano di un artista della scuola bolognese, e si era fatto il nome di Innocenzo da Imola 2 • Una lettera, in data 5 giugno 1549, scritta da Siciolante al protettore Bonifacio Caetani, riprodotta da G . Caetani e pubblicata dalla Raggio, conferma la prima ipotesi 3 : Siciolante spiega a Bonifacio di essere impedito a venire a Sermoneta dal lavoro che deve finire per l'ambasciatore francese presso la sede pontificia, Claude d'Urfé 4• Il castello della Bastie d'Urfé si trova nella pianura di Forez, ad occidente di Lyons, nei pressi del villaggio di St. Étienne le Molard, tra le città di Boen e di Feur. Claude d'Urfé, nato il 25 febbraio 1501, cominciò ad abbellire il castello dopo il ritorno da Pavia e dalle battaglie di Lombardia (1521-1525). Fu suddito fedele di Francesco I, il quale il 30 marzo 1546 lo nominò ambasciatore presso il concilio di Trento, in compagnia di Jacques de Ligneriis e di Pierre Danes. D'Urfé si trattenne a Trento fino al 10 marzo 1547, poi prestò servizio a Bologna fino al gennaio del 1548, dove si era trasferito il Concilio. Nell'autunno del 1548 Enrico II nominò d'Urfé ambasciatore presso la sede pontificia. Dall'inizio del 1549 fino al 1551, quando fece ritorno in Francia, d'Urfé rimase a Roma. Non si sa quando ebbero inizio i lavori della cappella, ma una ragione sembra essere stata la immatura scomparsa della moglie di d'Urfé, Jeanne de Balzac, avvenuta nel 1542. D'Urfé ordinò a Francesco Orlandini da Verona una tavola lignea ad intarsio della Discesa dello Spirito Santo, firmata e datata 1547. La scena venne incorporata tra i riquadri ad intarsio che d'Urfé aveva commissionato a Fra Damiano (Damiano di Antoniolo de Zambelli). Fra Damiano, che lavorava a Bologna, firmò e datò il riquadro dell'Ultima Cena nel

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Catalogo delle opere

1548. Siciolante, che stava lavorando allora alla pala di San Martino Maggiore a Bologna, potrebbe essere stato notato dall'ambasciatore. Quando scrisse a Bonifacio Caetani il 5 giugno del 1549, già lavorava a Roma ai dipinti per la Bastie d'Urfé. La cappella fu terminata entro il 1557, e dedicata alla Trinità. L'anno seguente, il 1558, d'Urfé morl. La decorazione - dipinti e riquadri - rimasero al loro posto nella cappella fino al tardo Ottocento. Nel 187 4, un affarista di nome Derriez mise in vendita gli arredamenti del castello, e la maggior parte venne acquistata da Émile Peyre. Successivamente, i dipinti passarono alla Union Centrale des Arts Décoratifs finché, nel 1955, vennero restituiti alla Bastie d'Urfé. Invece i riquadri, che erano parte essenziale dell'insieme, si trovano al Metropolitan Museum di New York, e cosl i dipinti sono in qualche modo distaccati e sperduti dalla loro ambientazione attuale, che resta incompleta. La cappella (fig. 26) è un rettangolo, con a destra un oratorio quasi quadrato; è coperta da una bizzarra volta decorata a cassettoni di stucco. Una delle due finestre è nel muro a sinistra dell'altare, l'altra è nel muro esterno dell'oratorio. Un cornicione fa il giro della cappella, all'inizio della volta. Sopra il cornicione ci sono due lunette con dei dipinti; sotto, nove dipinti rettangolari con annesse delle placche azzurre che portano incise alcune iscrizioni in ebraico, tratte dall'Antico Testamento. Alcuni pilastri corinzii scanalati tronchi, dove era istallato il rivestimento a pennelli, segnano gli angoli della cappella. Il ciclo narrativo nella cappella principale è basato su fatti dell'Antico Testamento. Le iscrizioni ebraiche sulle placche azzurre commen tano i dipinti 5 • Il tema che lega le scene narrative è l'Eucarestia 6 • La Caduta della Manna è nella lunetta sul muro dell'altare (fig. 27a). Sotto c'è il Sacrificio di Abramo (fig. 27b) a sinistra, e il Sacrificio di Melchisedek (fig. 27c) a destra. In mezzo a questi due dipinti, sopra l'altare, era una volta collocata L'ultima cena, l'intarsio ligneo di Fra Damiano. Sul muro a destra dell'altare, dove c'è l'apertura che porta all'oratorio, ci sono a sinistra Il sacerdote Abimelech offre il pane consacrato a Davide fuJ!J!,iasco (fig. 27d), e a destra Elia nel deserto nutrito da un angelo (fig. 27e). Sul muro a sinistra dell'altare Sansone trova il miele nella bocca del leone (fig. 27h) a sinistra della finestra, e una figura maschile in piedi, probabilmente un Profeta (fig. 27i) a destra della finestra. Nella lunetta sul muro d'ingresso Mosé fa scaturire l'acqua dalla roccia (fig. 27f). Sotto la lunetta Gli Israeliti celebrano la Pasqua (fig. 27g). Inizialmente separato dalla cappella principale dal rivestimento a pannelli,- l'oratorio ha un tema diverso : lo Spirito Santo. La Discesa dello Spirito Santo di Francesco Orlandini fu inserita· nel rivestimento ligneo sotto la finestra del muro esterno. Sul muro a sinistra della finestra c'è la Creazione del Mondo di Siciolante (fig. 27j), sul muro a destra l'Annunciazione (fig. 27k); molto evidente ·in entrambi i dipinti è la colomba dello Spirito Santo. I dipinti sono tutti e undici su tela, procedimento raramente usato d~ SjciQlante~ se p<;>n quando le opere c;lov~vano via~~iar~ .a lungo


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I. Dipinti autentici

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tra il luogo di esecuzione e la destinazione finale 7 • In quasi ognuno degli undici dipinti la tela originale è considerevolmente più piccola del quadro installato nella cappella 8 • La curvatura originale delle lunette era più acuta cli quella della volta. Degli inserti a punta vennero aggiunti ai due lati e alla sommità di quasi tutti i dipinti a muro, e chiunque abbia operato affinché le tele meglio si adattassero agli spazi prescelti, ha camuffatto abilmente il proprio lavoro, imitando con molta perizia tavolozza e pennellata di Siciolante. Però nel Sacrificio di Melchisedek c'è un errore visivo (fig. 27c). Melchisedek con il pane in mano si avvicina al tabernacolo eretto sull'altare. Dietro cli lui c'è un muro ad archi. L'arco di sinistra che apre sul portico, dipinto in parte come aggiunta alla tela, passa davanti al tabernacolo. E' un errore che Siciolante non avrebbe mai commesso. Le composizioni originali di Siciolante sono generalmente organizzate secondo uno schema più compatto. Siciolante ideò gli undici dipinti pensando alle due fonti naturali di luce. Dunque, aveva avuto informazioni esaurienti sull'interno della cappella. La Raggio suggerisce che sia stato lo stesso Siciolante a progettare la cappella. Poiché Siciolante fa largo impiego di motivi architettonici, questa ipotesi sembra plausibile. Tuttavia, se cosl fu, resta difficile spiegare perché Siciolante ignorasse le dimensioni esatte entra cui collocare i quadri in una cappella da lui stesso progettata. Per ulteriori notizie sui dipinti si rimanda al testo, per un esame dettagliato dei bozzetti alla sezione Disegni.

l RAGGIO, Vignole, XV, pp. 29-52. Poiché lo studio particolareggiato della Raggio resta il riferimento più valido, le sue conclusioni sono la base del nostro scritto. Ogni ulteriore riferimento alla cappella in questo capitolo provengono dal suo articolo. Vedi anche BRUNO, Girolamo, CXXXIV, 1974, pp. 75-76; HlJNTER, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, p. 29; PUGLIATII, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, pp. 97-98. 2 SOULTRAIT e THIOLLIER, Le chatea1', 1886, p. 30. J Vedi Documenti, V. 4 Siciolante non fa il nome dell'ambasciatore. DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, p. 62, scoperse che l'ambasciatore cui alludeva la lettera di Siciolante era Claude d'Urfé. Prima di allora l'unica committenza francese documentata a Siciolante era stata la cappella dedicata a san Remigio (cappella Dupré) di San Luigi dei Francesi a Roma. s I richiami sono i seguenti: Sacrificio di Abramo, Abacuc 2; Sacrificio di Melchisedek, Proverbi 9; Abimelech e David, Salmi 109; Creazione, Gioele 2; Annunciazione, Salmo 137, Proverbi 18; Elia e l'angelo, Salmo 103; Pasqua, Salmo 21; Sansone e il leone, Amos 3, Salmo 118; Profeta, Salmo 21. 6 Confronta la · pala di Siciolante su tela: la pala di San Bartolomeo (1570) 7 Pochi sono i dipinti di Siciolante su tela: la pala di San Bartolomeo (1570) per Santa Maria dell'Assunta, Calcinate; l'Annunciazione (1571) per Santa Maria della Concezione a Roma; la Crocifissione (1573c.) a Castel Sant'Angclo a Roma. a Le misure dei quadri secondo Soultrait e Thiollicr (Le chateau) sono riferite dalla RAGGIO, Vignole, XV, pp. 45-46.

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Catalogo delle opere

40.

TUSCANIA (VITERBO)

Chiesa di Santa Maria del Riposo; cappella a sinistra della cappella maggiore Presentazione della Vergine al Tempio, 1548-1549 circa (figg. 32-33) Olio su tavola, m. 1,98 X 1,07 Scarse sono le notizie pubblicate sulla Presentazione della V ergine al Tempio 1• Il manoscritto cli Seconc:liano Campanari, pubblicato postumo nel 1856, riferisce quanto segue: « Ferino del Vaga della sua prima maniera faceva quella rarissima tavola della Presentazione, oggi si guasta ch'è una pietà mirare tanta bontà di figure ita in tanta rovina » 2• L'attribuzione cli Campanari non si spiega se non con il fatto che il nome di Ferino venne sempre associato a questo quadro. Infatti, tanto Campanari quanto Vasari affermano che Ferino lavorò a Tuscania (Toscanella) con il maestro che gli diede il nome, il Vaga. Secondo Vasari, Ferino era a Tuscania agli inizi della sua carriera di pittore 3 , e potrebbe avere partecipato alla fattura del polittico per l'altare maggiore di Santa Maria del Riposo 4 • La Presentazione non assomiglia all'opera di Perino; assomiglia invece ai dipinti di Siciolante dei tardi anni 1540, secondo l'opinione di Raffaele Bruno espressa nel 1974 5 e fondata sull'attribuzione locale nelle recenti guide di Tuscania 6 • La scelta e combinazione di colori per la Presentazione rende questo quadro somigliante alla pala di San Martino (fig. 20) e ai dipinti della Bastie d'Urfé (figg. 27a 27k). Tipologia somatica e fisionomia lo apparentano al Battesimo di Clodoveo (fig. 30a) della cappella Dupré. La tavola stretta, sistemata nella cappella a sinistra della cappella maggiore, è una composizione con molte figure, illuminata da sinistra, che non corrisponde a quella che è oggi la fonte cli luce, sopra e davanti il quadro. Parecchi osservatori sono fermi sui gradini del Tempio, mentre il Gran Sacerdote a braccia aperte dà il benvenuto alla piccola Maria. L'architettura grigio chiaro crea una composizione geometrica e fornisce uno sfondo neutro agli indumenti vivacemente colorati. La figura centrale maschile indossa un manto rosa chiaro su una tunica bianca. La donna vicino a lui ha un'ampia gonna verde, una blusa rosa e un manto svolazzante color rosso pallido. L'uomo con le braccia aperte ha un manto rosso su una tunica color marrone chiaro. Il Gran Sacerdote porta una tunica d'oro sopra un abito azzurro chiaro, e il suo vicino ha una camicia rosso arancio e un lungo abito verde. L'abbigliamento di Maria consiste in una lunga veste azzurra sopra una gonna rosso chiaro. In questo quadro ci sono molte incongruenze. I volti del Gran Sacerdote, del suo vicino, della figura centrale maschile e di Maria si differenziano da quelli del lato sinistro del dipinto. Si è accertato che erano stati ridipinti, e sono stati eliminati quando la tavola è andata in restauro 7• La goffaggine della mano e del braccio della fi-


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gura centrale come della spalla di Maria mal si accordano con la ben nota maestria di Siciolante. Forse l'aspetto più strano della Presentazione sta nella sua composizione d'insieme. I protagonisti sono tutti a destra, gli spettatori occasionali a sinistra. La figura maschile nel centro visivo del dipinto sembra non aver alcun ruolo nella scena, dalla quale è assente l'indispensabile figura di sant'Anna. Quando in epoca più tarda Siciolante dipinse lo stesso argomento per Santa Maria dell'Anima, sistemò le figure di sant'Anna e di Maria centralmente, perché punti focali del dipinto. In quanto opera giovanile, la Presentazione avrebbe potuto essere concepita come oggi la vediamo, cioè come una composizione non risolta, che non ha trovato il proprio equilibrio. D'altronde, può anche darsi che una parte della tavola sia andata perduta 8 : forse a destra c'era uno scomparto verticale, con una nicchia architettonica e con la figura di sant'Anna (fig. 33). Questa sistemazione darebbe un significato più compiuto alla narrazione, giustificherebbe le strane dimensioni della tavola, e avvicinerebbe la Presentazione alle altre opere di Siciolante.

1 Santa Maria del Riposo fu edificata all'inizio del 1495 nei pressi di Porta San Marco fuori le mura della città. Non abbiamo notizie del 1500 su chi possa essere stato il committente della Presentazione. Vedi PACINI, I monumenti, s.p. 2 CAMPANARI, Tuscania, I, pp. 352-353. J VASARI , Le vite, V, p . 591. 4 Secondo la consuetudine la pala veniva attribuita a Pierino d'Amelia. Il sacrestano della chiesa dice che la firma di Perino del Vaga fu scoperta sul retro del dipinto. s BRUNO, Girolamo, CXXXIV, 1974, pp. 77-78. 6 LEANDRI e TOMASSI , Tuscania, 1964, p. 40; PIERDOMENICO, Guida, 1974, p . 69; GIONTELLA, Tuscania, 1980. 7 Dopo il terremoto del 1971, che danneggiò gravemente Tuscania e la chiesa di Santa Maria del Riposo, la Presentazione fu portata a Roma in restauro. Prima della pulitura, fu fatta la fotografia del dipinto. Come risultato della pulitura, c'è un distacco di colore anche a destra del Gran Sacerdote. s La cornice impedisce l'esame del bordo, e il lavoro di restauro non è stato pubblicato. Durante tutta la sua storia Tuscania è andata soggetta a gravi terremoti, Santa Maria del Riposo è stata molto danneggiata prima del nostro secolo. Gravi terremoti avvennero nel 1695 e nel 1703. Vedi PIERDOMENICO, Guida, p. 99. Si dovrebbe ricordare che CAMPANARI (Tuscania, I, pp. 252-253) riferl che il quadro era stato distrutto nell'Ottocento.

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II. Opere perdute Le voci sono elencate secondo l'ordine alfabetico della località, le fotografie secondo l'ordine cronologico.

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CISTERNA (LATINA)

Palazzo Caetani; camera B La decorazione del soffitto comprendeva: Giustizia e Prudenza ai due lati di uno stemma Affresco, distrutto Camera G La decorazione del soffitto comprendeva: La Caduta di Icaro Affresco, distrutto 1566-1569 circa (figg. 81a - 81e)

La storia di Sermoneta raccontata da Pietro Pantanelli è la prima testimonianza dell'esistenza di dipinti di Siciolante in palazzo Caetani a Cisterna: « In Cisterna Siciolante dipinse assai vagamente alcune sale nel palazzo dei signori Caetani » 1• Forse Gaetano Moroni ebbe sentore del testo di Pantanelli, che è del 1766, poiché fu il primo a fare un rapporto scritto della decorazione del palazzo 2 • A parte questo cd altri successivi riferimenti al palazzo tutti ugunlmente generici, non esistono studi particolareggiati né della decorazione né del palazzo, che fu distrutto durante la seconda guerra mondiale 3 • Ellis K. Waterhouse, che con C.G. Hardie fotografò l'interno del palazzo nel 1935, pubblicò quella parte di decorazione eseguita, secondo il suo giudizio, da Siciolante: Mi parve che fosse nella camera B che la mano di Siciolante era chiaramente riconoscibile - ma soltanto nel centro del soffitto. Ai due lati di uno stemma in stucco (del quale non ho alcuna documentazione) una figura allegorica di donna è seduta su di una nuvola, racchiusa entro un fregio di fiori e di vegetazione, che pare l'imitazione di un arazzo: a sinistra la Giustizia, con spada e bilancia, a destra la Prudenza a due facce, con uno specchio nella mano destra e nella sinistra quello che sembra un serpente ma va invece interpretato come pesce remera (Echineir remera). Il centro rettangolare, composto dallo stemma e da queste due figure, è racchiuso in un elegante fregio fatto di grottesche, alcune delle quali hanno grande somiglianza con quelle della decorazione intorno agli affreschi di Siciolante nella chiesa romana di San


· II. Opere perdute

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Tommaso in Cenci, che sono del 1565. I rimanenti affreschi di questa camera sono di altra mano, forse cli un fiammingo. Le pareti più interessanti sono due ovali verticali con scene di sacrifici a divinità pagane, e due lunette con ampi paesaggi. C'era anche un fregio dipinto, che correva lungo la parte più alta dei muri, sotto il cornicione [ ... ] La camera G, una grande camera, era la seconda nella quale mi parve di riconoscere la mano di Siciolante. E' un ambiente di particolare interesse, perché vi si tratta un argomento profano, la caduta di Icaro. Il motivo che circonda questo affresco centrale si è incontrato anche negli affreschi di Siciolante per la cappella Fugger in Santa Maria dell'Anima a Roma, del 1550 circa. La modanatura del soffitto è rivestita di grottesche di eleganza e leggerezza considerevoli, in alcuni riquadri delle quali si vedono figure un po' più grandi delle altre, che sembrano anch'esse di mano di Siciolante [ ... ] La figura principale è senza dubbio lppomene, e c'è anche una figura d'angolo che ha tutta l'aria di essere Atalanta [ ...] Il repertorio ornamentale ha lo stesso stile degli affreschi di Siciolante a San Tommaso in Cenci, seppure alquanto più sontuoso. Per tutte le sale affrescate di questa parte del palazzo, sarebbe accettabile una data compresa entro gli anni '50 4 •

Giustizia (fig. 81d) e Prudenza (fig. 8le} in B sono assai simili alle figure che Siciolante dipingeva durante gli anni 1560 e in particolare, secondo quanto scrive E.K. Waterhouse, alle figure degli affreschi di San Tommaso in Cenci (figg. 65d e 65f) del 1565. La Caduta di Icaro (fig. 81a) in G somiglia anche di più alle opere di Siciolante del decennio 1560. Strutture somatiche e fisionomie sono identiche a quelle della Donazione di Pipino (fig. 70c) nella Sala Regia e al Sant'Andrea (fig. 66a) della galleria Colonna. E ' da considerare che una certa somiglianza esiste anche con le opere dell'ultimo periodo, quali la pala di Bonifacio (fig. 91) di San Tommaso in Formis, e la Trasfigurazione (fig. 88) di Santa Maria in Aracoeli. Il paesaggio con il mare in tempesta, presenza inconsueta nell'opera di Siciolante, ricorda lo scenario dell'Incoronazione della Vergine (fig. 80) nella cattedrale di Sermoneta. Ci sono anche analogie con l'arte di Siciolante nella decorazione intorno alla Caduta di Icaro. lppomene (fig. 816) è una variante dell'angelo Gabriele nell'Annunciazione (fig. 65f) di San Tommaso in Cenci. Ma questa figura, come le altre grottesche (figg. 816, 81c), probabilmente è stata eseguita da un aiuto, che lavorava sui disegni del maestro. L'evidenza conferma che Siciolante collaborò alla decorazione di palazzo Caetani e, come osserva Waterhouse, la sua opera si limitò alle camere B e G. Tuttavia, non è possibile che Siciolante abbia eseguito questo lavoro nel decennio del 1550, secondo la tesi di Waterhouse, perché Bonifacio Caetani non diede inizio ai lavori di Cisterna fino a dopo il 1560. Nel 1560 Bonifacio volle trasferirsi da Sermoneta a Cisterna per ragioni di salute, dove trasformò in palazzo signorile i resti di una rocca medievale, un tempo proprietà della famiglia Frangipane. Nella storia dei Caetani, Gelasio Caetani cosl scrive: Al primo piano fu costruita una maestosa serie di vaste sale a volta, conforme alla moda del tempo, a decorare le quali furono chiamati gli Zuccari cd altri artisti: in mezzo ad ornati e stucchi ricchissimi vi sono molti medaglioni e quadri che appartengono alle migliori opere di questi famosi decoratori. Un esame di esperti conoscitori c'indicherebbe quale parte dell'ornamentazione del-


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Catalogo delle opere

le volte ~ dovuta a Stefano Duperac, incisore, pittore cd architetto parigino [ ... ] Nel luglio 1.572, la decorazione delle sale non era ancora completa e, preannunziandosi una visita del papa Gregorio XIII per il veniente inverno, Onorato scriveva al padre: « Però V.S. solleciti a far pingerc la sala et a finir la loggetta». Nel 1.574 si costruivano le stanze del piano superiore per opera di maestro Galeazzo; il grande caminetto col nome di Bonifacio, che sta nella sala maggiore, dev'essere di qualche anno prima. Comunque alla morte di lui, nel 1.57.5, il palazzo era già del tutto ultimato s.

Bonifacio mod il 1° marzo 1574 (non 1575), e certamente a quel momento i lavori non erano finiti. Da Roma, in data 19 gennaio 1574, Siciolante scrisse a Bonifacio, a Cisterna: Mando doi piante del sito che V.S. illustrissima mi ordinò che pigliasse: fatti in doi modi l'uno che torneria a più utilità et magior stanze: l'altro sarria più bello et averria più modo del palazzo ma le stanze più pichole: V .S. illustrissima, vederà meglio ch'io non saprò dire et pigliarà da me l'animo bono se in questo non rcstarà sodisfatta corno S.S. desidera li mando anco doi disegni in un foglio medesimo 6 •

Siciolante, che si riferisce alle camere del piano superiore, sembra svolgere anche le mansioni di architetto. E' indubbia che la sistemazione interna del palazzo non era ancora compiuta a quell'epoca, ma ancor più interessante è constatare che la parte di lavoro finita era stata fatta sotto la direzione di Siciolante. E ' probabile che l'artista abbia avuto la soprintendenza ai lavori di tutto, o almeno di parte del palazzo. Da quanto detto, appare evidente che la costruzione del palazzo e la successiva decorazione si protrassero almeno dal 1560 a tutto il 1574 7 , e Siciolante vi avrebbe partecipato subito dopo la conclusione del restauro al primo piano, e durante tutto il tempo in cui gli impegni romani gliene davano la possibilità. Dal 1560 circa alla fine del 1565, e dal 1570 fino alla morte avvenuta nel 1575, egli fu impegnato a Roma. Visto che i dipinti di palazzo Caetani sono più simili ai lavori dei primi anni del decennio 1560 che a quelli dei primi anni del decennio 1570, sembrerebbe opportuno stabilire una datazione nei tardi anni del 1560. Questo lavoro determina un ponte stilistico tra le committenze della gioventù e quelle del periodo della tarda maturità. A lungo Siciolante lavorò per Bonifacio Caetani, dunque non è sorprendente che fosse ingaggiato per il progetto di Cisterna, ma la mole di lavoro che aveva a Roma può spiegare perché, nonostante fosse lui l'artista prediletto di Bonifacio, non abbia potuto sovrintendere personalmente a tutta la decorazione del palazzo.

1 PANTANELLI, Notizie, I, 1972, p. 601. 2 MORONI, Dizionario, LXXXIX, 1858, p. 3 Nel 1910 TOMASSETTI (La campagna,

122. II, pp. 390-393) pubblicò una storia generale e una descrizione sommaria del palazzo e della decorazione. 4 WATERHOUSE, Some Frescoes, CXII, p. 104. 5 CAETANI, Domus, II, 1933, p. 117. ~ticnne du Perac sottopose ai Gaetani questo memorandum: « Memorialle della pitura che va fatta nella salla del Palazzo della Cisterna per Ili.mo Sig. Bonifacio Caetani. Prima la volta va di-


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II. Opere perdute

205

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pinto a grotescha con le sue partimento e con quatro arme dc papa et una dd Cardinale. Poi sotto il dado va un fregio dipinto a groteschi, paesi et altri adornamenti » . « Più sotto detto fregio va dipinto fino a terra di partimenti d'architetura et mischi». « Tutti detti lavori di pittira si faranno per scudi duecento di moaetta senza la spesa et dormire di lavoranti, qualle spesi son sarano comprese sopra li detti scudi 200. Et io Stefano du Perac di mano propria prometto fare detta opera per detto presio, bene, a giudicio di huomini de l'arte eletti di Vostra Sig.a Ill.ma V.S. farà dare a bon conto scuda cinquanta da le quale io faro ricevuta Umil.mo ser.re Stefano Du Perac ». Citato, lbid., p. 117. C.Onservato in Roma, Archivio Caetani, C 465. Sebbene non datato, il documento è archiviato nell'anno 1570. Dal memorandum di Du Perac si può dedurre che a lui venne dato l'incarico di decorare la camera A , come è descritto in WATERHOUSE, Some Frescoes, CXII, p. 104. Maestro Galeazzo è nominato in una lettera scritta il 1° gennaio 1574 da Girolamo Franchetti a Giovanni Francesco Peranda, segretario di Bonifacio Caetani. Dal contesto della lettera non è chiaro se Franchetti, che scrive per conto di Maestro Galeazzo, si riferisca al lavoro di Cisterna. Roma, Archivio Caetani, 1° gennaio 1574, e 9423. 6 Vedi Documenti, XXVI. 7 E' possibile che dopo questa data la decorazione sia stata continuata dal figlio di Bonifacio, Onorato Caetani.

A-2a. CISTERNA (LATINA)

Chiesa di Sant'Antonio Pietà, 1569-1574 circa Olio su tavola, distrutto? A-2b.

CISTERNA (LATINA)

Chiesa di Sant'Antonio I11coronazione della Vergine, 1569-1574 circa Affresco, distrutto Si può supporre che Siciolante abbia dipinto una Pietà o una Deposizione dalla Croce per una cappella, e che abbia affrescato una Incoronazione della Vergine per la cappella maggiore di Sant'Antonio. Quanto sappiamo di questi lavori ci è trasmesso dalla storia di Sermoneta raccontata da Pietro Pantanelli: « In Cisterna dipinse assai vagamente alcune sale nel palazzo dei signori Caetani; e molte figure effigiò ancora a fresco nella chiesa di S. Antonio [nella quale dicono che lavorasse anche Tullio suo figliolo], e vi fece bellissimi quadri d'altari a olio» 1• Questo è quanto ci dice Pantanelli, nel 1766 circa. Ma in altra parte del testo troviamo alcune note esplicative del curatore, Leone Caetani, il quale pubblicò il manoscritto di Pantanelli nel 1911. Là dove Pantanelli descrive un quadro che raffigura

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206

Catalogo delle opere

« Christo, Signor nostro, deposto di croce, con molte figure intorno», Leone Caetani osserva: « Questo quadro è copiato da uno assai bel-

lo del nostro Gir. Siciolante, che si venera in una cappella della chiesa di S. Antonio in Cisterna, con altri molti quadri e belle pitture a fresco del medesimo; e bellissimo è quello dell'altare maggiore, con teste veramente ammirabile» 2• In altra parte Pantanelli descrive un quadro diverso di « Cristo signor nostro, che corona con sua madre santissima» e Caetani annota: « Queste due figure il nostro Girolamo le dipinse a fresco simili nella tribuna di S. Antonio in Cisterna, mutato solamente il panneggiamento, et aggiuntivi vari angeli et una gloria ecc.» 3 • E questi commenti sono le uniche descrizioni conosciute dei dipinti di Siciolante. Nella storia della famiglia, Gelasio Caetani riferisce che Bonifacio Caetani cominciò la costruzione di Sant'Antonio nel 1567. Entro il 1569, l'opera muraria era terminata, e sopra l'ingresso venne murata una lapide per celebrare l'avvenimento 4 • E' probabile che in questo stesso periodo Siciolante lavorasse al palazzo Caetani di Cisterna. In quanto artista prediletto da Bonifacio, è assai verosimile che Siciolante ricevesse l'incarico di eseguire i dipinti per Sant'Antonio non appena terminata la costruzione della chiesa. La prima messa fu celebrata nel 1573 5• Il 19 gennaio 1574 Siciolante scrisse a Bonifacio, a Cisterna, per concordare i vari progetti per la chiesa, ivi compresi un tabernacolo, dei turiboli, dei candelabri 6, e menziona anche una cornice per una pala della Pietà che, dato il contesto della lettera, va intesa per la chiesa di Sant'Antonio 7• Questa lettera potrebbe anche far pensare che la parte pittorica fosse già finita. Poco dopo, il 1° marzo 1574, Bonifacio morl, e la parte dipinta della decorazione dovette certamente essere terminata tra il 1569 e il 1574, o il 1575, anno della morte di Siciolante. Dalla storia successiva della chiesa, Gelasio Caetani racconta che: « Dopo tre secoli, caduta in grande abbandono, la chiesa fu trasformata in granaio ed ora, mutilata e trasformata, più non si riconosce l'edifizio sacro » 8 • Durante la seconda guerra mondiale, la chiesa fu distrutta, e probabilmente i dipinti seguirono la stessa sorte. Notizie, I, p. 601. Ibid., p. 414, n. 1. Pantanelli si riferisce a un quadro nella cappella di San

1 PANTANELLI, 2

Giovanni Evangelista nella chiesa di San Nicola a Sermoneta. 3 Ibid., p. 61, n. 1. Pantanelli fa riferimento a un quadro commissionato dalla famiglia Borgi per la chiesa di Sant'Angelo a Sermoneta. Questo quadro, l'Incoronazione della Vergine (fig. 80), si trova nella cattedrale di Sermoneta. 4 CAETANI, Domus, II, p . 117. Ecco il testo dell'iscrizione: BONIPATIUS CAETANUS A FUNDAMENTIS EREXIT A. o. MDLXVIIII. MORONI, Dizionario, XIII, pp. 231-232. s CAETANI, Domus, II, p. 118. 6 Ibid., pp. 117. Vedi Documenti, XXVI. 7 CAETANI (Ibid., p. 117) non riferisce correttamente quando dice che la lettera di Siciolante ha a che vedere con la committenza di un 'quadro' per Sant'Antonio. Siciolante parla di una cornice per un quadro della Pietà («del or• namento del quadro della pietà»). Vedi Documenti, XXVI. a lbid., p. 118.


11. Opere perdute

A-3.

207

CITTÀ DEL VATICANO

Decorazioni per l'incoronazione di papa Gregorio XIII, 1.572 Perdute Il cardinale Ugo Boncompagni fu eletto papa il 13 maggio 1.572. Il 15 maggio fu incoronato con il nome di Gregorio XIII, e dette inizio a un pontificato lungo e produttivo, che durò fino al 1585. Per i festeggiamenti dell'incoronazione, a Siciolante venne affidato l'incarico di fornire svariati oggetti ornamentali. La fattura, presentata il 24 maggio e il 4 giugno 1572, elenca: « Conto de stendardo e trombetti e guidoni fatti per l'incoronatione del Nostro Signore Papa Gregorio XIII: fatti di pittura da Hieronimo Siciolante da Sermoneta pittore: e consegnati al banderaro sotto il 24 di maggio e sotto il di 4 di giugno 1572 » 1• L'artista fece uno stendardo grande (60 scudi), due stendardi piccoli (60 scudi), sei trombetti grandi (90 scudi), sei trombetti piccoli ( 60 scudi), 2 guidoni (1O scudi) e domandò 280 scudi. Il lavoro fu valutato 214 scudi, e per questo totale egli fu pagato 2• 1 2

Vedi Documenti, XXIII.

Vedi LANCIANI, Storia, IV, p. 49. Siciolante preparò anche alcuni stendardi per l'incoronazione di Pio V nel 1566. CORVISIERI, Antoniau.o, serie 2, IV, pp. 158-159.

A-4.

CITTÀ DEL VATICANO

Sala Regia L'autorità conferita dalla Sede Apostolica agli elettori dell'Impero, 1565 Cartone, distrutto Documenti vaticani confermano che Siciolante iniziò a lavorare su un quadro per la Sala Regia, che fu impossibilitato a firùre causa la morte di Pio IV avvenuta nel 1565: « Maestro Girolamo Sermoneta pittore de dare e di 3 Novembre scudi cento havutone moneta a buon conto, et principio di pagamento di un quadro grande interpreso a farsi da lui nella Sala Regia quale figura l'authorita conferrita dalla Sede Apostolica alli elettori dell'Imperio » 1• Per altre notizie, vedi Catalogo, 6. 1

Vedi Documenti, XVII, XVIII.


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208

Catalogo delle opere

A-5.

PALESTRINA (ROMA)

Cattedrale di Sant'Agapito Quattro Profeti Olio su tavola?, perduto Nel manoscritto datato circa 1766, Pietro Pantanelli elenca parecchie opere di Siciolante nella cattedrale di Palestrina. Tra queste « del medesimo (Siciolante) sono anche quattro mezze figure di profeti nel parapetto dell 'orches te della stessa cattedrale » 1 • Di questi Q11attro Profeti non si sa altro.

1 PANTANELLJ,

A-6.

Notizie, I, p. 601.

ROMA

Palazzo Cesi a porta Cavalleggeri Stemma di Giulio III, 1550 Affresco?, distrutto

Nella vita di Battista Franco, Vasari scrive: « venuto l'anno 1550, fece Battista insieme con Girolamo Siciolante da Sermoneta al cardinal di Cesis, nella facciata del suo palazzo, un arme di papa Giulio terzo, stato creato allora nuovo pontefice, con tre figure ed alcuni putti, che furono molto lodati » 1• Descrizioni analoghe sono ripetute da Baglione e da Fioravante Martinelli nel Seicento, dopo di che non ci sono altre notizie 2 • La famiglia Cesi era proprietaria di parecchi palazzi in Roma, e la residenza di Federico Cesi, il cardinale al quale allude Vasari, era situata nei pressi di piazza San Pietro, a porta Cavalleggeri 3 • Questo palazzo, alle pendici di monte di Santo Spirito, era noto per il giardino che ospitava pezzi di scultura antica•. Quando intorno a piazza San Pietro venne eretto il colonnato di Bernini, fu distrutta la facciata di palazzo Cesi, e con essa la decorazione di Battista Franco e di Siciolante. Il palazzo esiste ancora inserito nella fabbrica degli Agostiniani. Non c'è traccia dello stemma, né si sa spiegare il fatto che questo incarico fosse stato assegnato ai due artisti. Forse contemporaneamente Siciolante lavorava alla decorazione della volta per la cappella del cardinal Cesi in Santa Maria della Pace, e dunque si trovava già al servizio del cardinale. In quanto a Franco, era rientrato da poco a Roma da Urbino. Secondo Vasari, dopo la committenza


II. Opere perdute

209

Cesi, Franco affrescò una cappella nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva 5 • A proposito della sistemazione dello stemma di Giulio III sulla facciata del palazzo del cardinal Cesi, va ricordato che anche il cardinale Girolamo Capodiferro offrl un omaggio analogo a Giulio III. Capodiferro sistemò lo stemma del papa accanto a quello del re di Francia su un muro del cortile del suo palazzo appena costruito. In questo caso, il cardinale aveva tutte le ragioni di sentirsi debitore sia nei confronti del papa sia nei confronti del re 6 • Chissà, forse il cardinale Cesi era ugualmente debitore verso il pontefice.

Le vite, VI, 1881, p . 584. Le vite, 1642, p. 24; D'ONOFRIO, Roma, 1969, p. 240. R.EARICIC, Battista, II, 1958-1959, p. 112; CLIFFORD e MALLET, Battista, CXVIII, 1976, p. 391. 3 MARTINORI, I Cesi, p. 101. Fioravante in D'ONOFRIO, Roma, p. 240, dice: « De Cesi a piazza fiammetta, Girolamo da Sermoneta assieme con Battista Franco fece nella sua facciata un arme di Giulio 3° con tre figure e con alcuni putti». Il palazzo di piazza Fiammetta, noto come palazzo Cesi in via della Maschera d'Oro fu acquistato da Angelo di Giangiacomo, nipote del cardinale, nel 1567, cioè dopo più di due anni dalla morte del cardinale. Un altro palazzo Ce~i, in Borgo, fu acquistato soltanto nel 1565 da Pier Donato, successivamente eletto cardinale, e da suo fratello Angelo Cesi. zoccA, Il palauo, XII, p. 342. 4 HUELSEN, Romische Antikengiirten, pp. 1-41. I giardini Ccsi confinavano con le mura cittadine vicino a Posterula (oggi porta Cavalleggeri), là dove le milizie di Carlo di Borbone avevano aperto una breccia nelle fortificazioni della città per dare inizio all'infame sacco del 1527. HOOK, The Sack, pp. 162-163. 5 VASARI, Le vite, VI, p. 584, dice che l'opera fu fatta per « un canonico di San Pietro». La cappella, la terza a destra entrando, apparteneva a Marius Gabrielli. Oggi è dedicata a san Pietro Martire. BERTHIER, L'église, pp. 79-84. Ringrazio Rita Parma per le sue informazioni sui rapporti intercorsi tra Siciolantc, f'ranco e il cardinal Cesi. 6 NEPPI, Palazzo Spada, p . 43. 1 VASARI,

2 BAGLIONE,

A-7.

ROMA

Palazzo F arnese Opera non identificata, perduta

Questa opera è citata da Gaetano Moroni nel 1858 1• Dopo di che non se ne è più saputo niente, né può essere garantita la giustezza dell'attribuzione.

I MORONI,

Di1.io11ario, LXXXIX, p. 122.


210

A-8.

Catalogo delle opere ROMA

Chiesa di Sant'Andrea in via Flaminia Assunzione della Vergine, 1553-1554 Olio su tavola, perduto

)

I documenti vaticani menzionano una pala di Siciolante per Sant'Andrea in via Flaminia 1• In una lettera scritta da Bartolomeo Ammannati in data 2 maggio 1555, il dipinto è descritto come Assunzione della Vergine: « E prima cominciarò dal Tempio di Santo Andrea posto su la strada Flaminia, fato in forma Ovale, d'opera Corinthia, molto ben ordinato dentro, e di fuori; nella tavola de l'altare vi è dipinta l'Assunzione della Madonna e nelli nicchi San Pietro e S.to Andrea, S. Paolo e S. Giovanni, con molti e vari ornamenti» 2 • Per notizie più particolareggiate, vedi Catalogo, 20. 1 Vedi Documenti, VII. l FALK, Studiett, XIII, p.

A-9.

171.

ROMA

Chiesa nazionale di San Giacomo degli Spagnoli (oggi Nostra Signora del Sacro Cuore) San Giacomo Olio su tavola?, perduto Sant'Ildefonso Olio su tavola?, perduto 1564-1565

Vasari menziona un San Giacomo e un Sant'Ildefonso di Siciolante per San Giacomo degli Spagnoli: Ed in San Iacopo degli Spagnuoli, all'altare maggiore fece in un gran tavola, un bellissimo Crocifisso con alcuni Angeli attorno, la Nostra Donna, San Giovanni; e, oltre do, due gran quadri che la mettono in mezzo, con una figura per quadro, alta nove palmi, cioè San Iacopo apostolo e Santo Alfonso vescovo: nei quali quadri si vede che mise molto studio e diligenza 1,

Per altre notizie, anche sulla pala, vedi Catalogo, 28. 1 VASARI,

Le vite, VII, p. 572.


Ii. dpcrc perdute A-10.

2ii

ROMA

Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini Pietà, dopo il 1566? Olio su tavola, perduto, oppure a Cambridge, cappella di King's College

Nel 1638 Pompilio Totti fu il primo a notare un dipinto di Siciolante in San Giovanni dei Fiorentini. Facendo l'elenco delle opere che sono nella chiesa, Totti afferma che « vi sono belle pitture del Cigoli, Sermoneta, Santi Titi, Ciampelli, Passignano, Lanfranchi » 1• Pochi anni dopo Giovanni Baglione fece una descrizione più accurata: « In S. Gio. de' Fiorentini la terza cappella a man diritta ha di sua mano una Pietà, e diverse figure con gran diligenza, e buon colorito a olio compite » 2 • E alla fine del Seicento Filippo Titi aggiunge questa importante precisazione: « Nell'altare della Cappella vicina alla Sagrestia vi era una Pietà con altre figure, con gran diligenza, buon colorito a olio compita da Girolamo Sermoneta, quivi hora si sta rinovando la Cappella, per quanto dicono da Sig. Ciciaporci » 3 • Dunque, nel 1674, quando Titi scrisse la guida di Roma, la Pietà di Siciolante non era già più a San Giovanni dei Fiorentini, né si sa dove fosse stata portata 4. Nel 1970 Ellis K. Waterhouse suggerl che la Pietà (fig. 82), oggi nella cappella di King's College a Cambridge, fosse la stessa di San Giovanni dei Fiorentini 5, e questa ipotesi, certo suggestiva ma senza molto fondamento, è da considerarsi come una delle tante possibili eventualità 6• La Pietà di San Giovanni pone due problemi: il primo è l'origine della committenza, il secondo è quale fosse nella chiesa la collocazione del dipinto di Siciolante. In quanto al primo problema, la storia della chiesa non ha misteri: dopo i progetti iniziali di Antonio da Sangallo e di Michelangelo Buonarroti, Giacomo della Porta disegnò la chiesa sulla pianta di Sangallo. Il nome di della Porta appare la prima volta al principio degli anni 1580, contemporaneamente all'inizio dei lavori più impegnativi 7, e dunque Siciolante, la cui morte avvenne nel 1575, non può avere fatto un quadro per questa chiesa. La Pietà citata da Baglione fu eseguita probabilmente per la precedente chiesa di San Giovanni - o per altra destinazione - e poi fu sistemata nella chiesa a costruzione ultimata. Una possibilità è che la Pietà fosse stata dipinta per la prima chiesa come l'aveva ideata Sangallo, che si può ammirare in diverse vedute di quel periodo 8; un'altra, è che in origine il dipinto fosse stato commissionato per l'oratorio della confraternita di San Giovanni, la chiesa di Sant'Orsola della Pietà, e poi trasferito a San Giovanni 9• Ma in assenza di prove documentarie, è impossibile dare una risposta precisa. Per quanto riguarda il secondo punto, riprendiamo un momento in esame la descrizione di Baglione: egli afferma che la Pietà di Sicio-


212

Catalogo delle opere

lante si trovava nella « terza cappella a man dritta ». Però nella vita di Santi di Tito Baglione confonde i fatti e riferisce che: Sotto Papa Clemente XIII Fiorentino mandò egli [Santi di Tito] da Fiorenza una tavola dipinta a olio, entrovi S. Girolamo Dottore della Chiesa Latina in ginocchione avanti un Crocifisso, e in aria due Virtù con suo paese, e figurine, e fu posto nella chiesa di S. Gio. della natione Fiorentina nella terza cap· pella a man diritta, a detto S. Girolamo dedicata 10•

Della visibile contraddizione di sistemare due pale d'altare nella stessa cappella si accorse Fioravante Martinelli, il quale tentò di fornire una spiegazione delle affermazioni di Baglione, osservando che la Pietà di Siciolante si trovava nella terza cappella, e il San Girolamo di Santi di Tito nella quarta 11 • Dobbiamo ricordare che Filippo Titi non dà un numero alla cappella, ma si limita a dire che la Pietà si trova in una cappella vicina alla sacristia. Nella chiesa come è oggi, la terza cappella a destra ha una porta che permette di entrare nella sacristia. Ma Titi riesce a confondere le cose ulteriormente quando, dopo aver descritto la seconda cappella afferma: « la tavola a olio nella Cappella, che segue con l'effigie di San Girolamo in ginocchione avanti un Crocefisso e in aria due Virtu con suo Paese e figurine, è lavoro bellissimo condotto da Santi Titi » 12 • E, ovviamente, questa frase si presta ad essere fraintesa, come se la cappella di San Girolamo venisse subito dopo la seconda cappella, il che non è esatto u. E poi descrive la cappella vicina alla sacristia, dove si trovava la Pietà. Logicamente, sarebbe questa la quarta cappella, e anche questo non è esatto. Il problema vero sotteso alla ambiguità delle descrizioni di Baglione e di Titi sta nel fatto che la terza cappella (quella della Pietà) serviva da accesso alla sacristia, e dunque non era una vera e propria cappella 14. E' per questa ragione che si sarebbe creata una certa difficoltà a numerare le cappelle in ordine progressivo: la cappella della Pietà era, ed è, la terza apertura sul lato destro della chiesa, ma la cappella di San Girolamo, la quarta apertura, probabilmente è stata ritenuta la terza cappella vera e propria in ordine progressivo. Comunque siano andate le cose, è sicuro che la Pietà si trovava nella terza cappella a destra, l'apertura prima della cappella di San Girolamo. E' importante ricorrere a queste vecchie fonti perché gli studiosi moderni hanno descritto l'opera di Siciolante basandosi sull'interpretazione inesatta di Baglione e di Titi. Un riesame delle argomenta~ zioni addotte spiegherà l'origine degli errori. Nella descrizione della cappella di San Girolamo, Emilio Rufini osserva che sulla colonna « a destra altra figura muliebre accanto a quella svenuta, e di lato, dinanzi ad una chiesa un Cardinale che benedice. Trattasi di una 'Pietà' - che il Baglione (p. 23) attribuisce a Girolamo Siciolante da Sermoneta (1521-1580) - o non piuttosto di un altro episodio della vita di S. Girolamo? » 15• E' evidente che Rufini ha imbrogliato le descrizioni di Baglione, ed è andato a cercare la Pietà di Siciolante nella cappella di San Girolamo. Walter Buchowiecki cade in un errore dello stesso genere quando fa la descrizione della cappella di San Girolamo:


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213

Ogni pilastro all'ingresso presenta tre com1a m stucco dove sono incastonati gli affreschi. A destra: in basso la Remrrezione dei morti, al centro una figura femminile. il cui bordo porta la scritta Summa foelicitas, in alto la Pietà, o un episodio dalla vita di San Girolamo. A sinistra: in basso il Martirio di due santi (Cosma e Damiano?}, al centro la Remrrezione, in alto una figura femminile si rivolge, orante, a san Girolamo. Sulla trave di sostegno, anch'essa tripartita, ai due lati i Profeti. Baglione attribuisce queste figure a Siciolante; forse sono state dipinte da Stefano Pieri 16,

Dunque Buchowiecki afferma che Baglione è la fonte dell'attribuzione degli affreschi a Siciolante, il che non è affatto vero. Luigi Salerno, Luigi Spezzaferro e Mario Tafuri commettono un errore di genere del tutto diverso nel descrivere la cappella dedicata a San Filippo Neri, la quinta a destra: « In origine è dedicata a S. Zanobi. Sull'altare era originariamente una 'Pietà', ad olio, di Girolamo Siciolante da Sermoneta, opera andata dispersa (Titi, 1674, p. 465 ») 17 • Nella discussione quale fosse la cappella a destra, gli autori hanno capito male quanto dice Titi, ed hanno ritenuto che la Pietà di Siciolante si trovasse nella cappella dopo la cappella di San Girolamo8 • E anche questo, naturalmente, non è esatto. Se prendiamo atto che gli scrittori più tardi hanno interpretato male le fonti più antiche, allora comprendiamo che Baglione e Titi furono precisi, coerenti e ... fuorvianti. 1 TOTTI, Ritratto, 1638, p. 246. 2 BAGLIONE, Le vite, 1642, p. 23. MOLA, Breve 3 TITI, Studio, 1674, pp. 465-466. 4 Riferito da BLANC, Histoire, X, 1870, p. 32. 5 WATERHOUSE, Some Frescoes, CXII, 1970, p.

racconto, 1966, p. 62.

107. Vedi Catalogo, 4. Totti e Baglione potrebbero essersi sbagliati sull'attribuzione a Siciolante. Nell'archivio della confraternita di San Giovanni dei Fiorentini non risulta nessun dipinto di Siciolante. La Pietà di Cambridge potrebbe provenire da altra collocazione. 7 La storia della chiesa è riassunta in HIBBARD, Carlo Maderno, pp. 142-145, NAVA, La Storia, LIX, pp. 337-362; SIEBENHUNER, 5. Giovanni, pp. 172-191; TIDERIA, Giacomo, pp. 38-39; SCHWAGER, Ein Ovalkirchen-Entw11rf, pp. 160-166. s Ibid., pp. 160-166. 9 Questa possibilità apre più problemi di quanti ne risolva. A cominciare da TOTTI, Ritratti, p. 224, che riferisce che nella chiesa dei SS. Tommaso ed Orsola (Sant'Orsola della Pietà} « vi sono pitture del Sermoneta» sussiste l'abitudine di associare Siciolante con questa chiesa distrutta. IO BAGLIONE, Le vite, 1642, p . 65. 11 D'ONOFRIO, Roma, 1969, p. 60. 12 TITI, Studio, p. 464. 13 « Nella cappella che segue » invece che « nella cappella che segue con l'immagine di San Girolamo » . 14 WATERHOUSE (Some Frescoes, CXII, p. 107) suggerisce che l'apertura del passaggio alla sacristia fu il motivo per la rimozione della Pietà, e questa sua tesi Waterhouse la basa sul fatto che Baglione non parla del passaggio alla sacristia. Nelle varie opere sulla chiesa di San Giovanni manca una descrizione della sacristia. Il professor Klaus Schwager mi ha informato del fatto che Giacomo della Porta amava la simmetria nei portali laterali. Dato che sul lato sinistro della chiesa c'è un portale cieco, sul lato destro avrebbe potuto esserci un analogo portale. Le costruzioni si sono sempre appoggiate al lato destro della chiesa. Dalle vedute contemporanee non si capisce se un portale a destra fa. cesse parte del progetto originale. 6

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C-atalogo delle opere

1s JtUFJNI, S. Giovanni, 1957, p. 51. 16 BUCHOWIECKI, Handbuch, II, 1970, pp. 101-102. l7 SALERNO, SPEZZAFERRO, e TAFURI, Via Giulia, 197.3,

A-11.

p . 245.

ROMA

Chiesa di San Lorenzo in Lucina; cappella della contessa di Carpi San Francesco riceve le stimmate, 1563-1565 circa. Affresco, distrutto

Dell'affresco di Siciolante San Francesco riceve le stimmate non si ha notizia se non da qualche descrizione scritta, e della sua origine e storia nulla era stato pubblicato fino al 1987 1 • Già nella cappella Ruspoli a San Lorenzo in Lucina, il dipinto venne distrutto prima del 17 36, quando fu sostituito dalla pala d'altare di Marco Benefial. Nonostante la perdita definitiva del dipinto, esso resta importante per capire l'evoluzione del tema programmatico della cappella. Vasari per primo fa menzione dell'affresco: « Ed in San Lorenzo in Lucina, alla cappella della Contessa di Carpi fece a fresco un San Francesco che riceve le stimate» 2 • In mancanza di contratti o di documentazione contemporanea sulla committenza, queste laconiche righe segnano il punto di partenza per tracciare la storia dell'affresco. La maggior parte degli studiosi ha ribadito i due punti salienti della nota di Vasari: la cappella era la cappella della contessa di Carpi, e il dipinto era un affresco. E poiché Vasari è preciso nel descrivere tutte le opere di Siciolante, l'informazione sul San Francesco va ritenuta degna di fede. Da come Vasari lo dice, possiamo dedurre che ccontessa di Carpi' fossero le parole chiaramente comprensibili ai contemporanei, ma purtroppo oggi l'allusione non è altrettanto esplicita. Due sono le candidate al titolo. Cecilia di Franciotto Orsini era nota come contessa di Carpi, titolo che le era venuto in conseguenza del matrimonio con Alberto Pio, erede della signoria di Carpi 3 • La figlia, Caterina, aveva lo stesso titolo: erede della ricchezza di famiglia, Caterina aveva sposato il signore di Sermoneta, Bonifacio Caetani, e poi era morta di parto nel 1557 •. Ma è probabile che nessuna delle due donne abbia personalmente sovvenzionato la cappella, né in vita né per lascito. Forse fu invece un altro membro della famiglia, con ogni probabilità Bonifacio Caetani, marito di Caterina, a dare inizio alla decorazione della cappella come atto di omaggio alla memoria di una di queste donne. Bonifacio era signore di Sermoneta e faceva parte dell'aristocrazia romana. In quanto signore, nonché mecenate di Siciolantc, impiegò periodicamente l'artista in una quantità di progetti, dal 1540 al 1574, anno della sua morte. Può darsi che Bonifacio abbia commissionato il San Francesco tra il 1563 e il 1565, visto che Vasari parla di questo affresco prima di parlare della


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I II. Opere perdute

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pala per Sant'Eligio dei Ferrati (1563 circa) e degli affreschi per la Sala Regia in Vaticano (1565). Forse Bonifacio scelse san Francesco come argomento dell'opera per raffigurare i Pio di Carpi. Questa famiglia si riconosceva in san Francesco perché Alberto Pio, il capostipite, nutriva una profonda venerazione per questo santo; scelse perfino di essere tumulato nell'abito dei francescani 5 • A causa di questo stretto vincolo ideale, san Francesco poteva essere ritenuto un simbolo per i Pio di Carpi. Analogamente, i Caetani avevano ritenuto altri santi simbolo della famiglia, come dimostra un altro lavoro commissionato a Siciolante. Onorato, figlio di Bonifacio, aveva fatto un vero e proprio monumento commemorativo degli antenati nella pala di Siciolante (fig. 91) per la cappella Caetani nell'antica basilica di San Pietro. Seduti sulle nuvole sono la Madonna e il Bambino, e sotto di loro c'è papa Bonifacio VIII della famiglia Caetani, san Bonifacio e san Francesco. San Bonifacio, omonimo del padre di Onorato, simboleggia i Caetani, san Francesco i Pio di Carpi, la famiglia di Caterina, madre di Onorato. La pala di Siciolante per la cappella Caetani e il San Francesco riceve le stimmate hanno dunque delle implicazioni di ordine dinastico. Parecchi anni dopo che Siciolante aveva terminato l'affresco, Ludovico Branca avocò a sé la proprietà della cappella della contessa di Carpi. Papa Gregorio XIII gli garantl tutti i diritti, e il giorno 8 aprile 1578 Ludovico Branca riconsacrò la cappella alla Beata Maria delle Grazie e a san Francesco 6• Per festeggiare questa seconda consacrazione, Branca ordinò un quadro della Beata Maria delle Grazie. Si potrebbe credere che a quel momento Branca facesse rimuovere l'affresco di Siciolante per dare spazio al nuovo dipinto sopra l'altare maggiore, ma non è cosi: la Beata Maria delle Grazie fu collocata sopra l'affresco di Siciolante, là dove la vediamo oggi. E anche questo dipinto Maurizio Marini attribuisce a Siciolante, il quale tuttavia non avrebbe in alcun modo potuto esserne l'autore, visto che mori nel 1575, cioè tre anni prima della nuova consacrazione della cappella 7 • Anche se il dipinto fosse stato terminato mentre Siciolante era ancora in vita, è escluso che ne fosse lui l'autore: è vero che, superficialmente, Io stile è abbastanza somigliante al suo, ma Io sguardo seducente e al tempo stesso concentrato della Madonna, come pure il suo corpo morbido e delicato, sono del tutto diversi dalla maniera di Siciolante. La fase successiva della storia della cappella è assai controversa. Con il consenso di Gregorio XV, Paolo Alaleone ottenne dalla famiglia Franca il diritto alla proprietà della cappella, che ridedicò al solo san Francesco il giorno 6 marzo 1624 8 • Iniziò un'ampia opera cli rinnovamento, e il 17 settembre 1623 si accordò con l'artista francese Simon Vouet perché eseguisse altri dipinti. Specificò che all'artista erano dovuti 500 scudi e 10 paoli: « per dipinger detta capella tutta la parte di sopra a fresco e la parte di sotto a olio cioè li doi quadri dalle bande et il quadro cli mezo rintocarlo dove fara bisognio »9 • « La parte sopra » comprendeva gli affreschi della volta e le lunette dçll~ Vit(l d~lla Verl!ine. l c;lue dipinti $ui mµri laternJ..i sonQ I~


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Catalogo delle opere

Tentazione di san Francesco e la Vestizione di san Francesco. Maurizio Marini, che pubblicò il documento e parla dell'opera di Simon Vouet per la cappella Alaleone, sostiene che le parole « il quadro di mezo rintocarlo dove fara bisognio » si riferiscono a un precedente dipinto dello stesso Vouet. Cita anche un secondo documento, in data uguale, dove si certifica che Vouet ha già ricevuto 300 dei 500 scudi pattuiti. Marini sostiene che questo pagamento era inteso per il lavoro sull'altare, sebbene riconosca che non esiste descrizione di un simile quadro nella cappella 10• Secondo Marini, il quadro di Siciolante era stato rimosso prima che Vouet iniziasse a lavorare neIIa cappella. Una spiegazione più verosimile che giustifichi un pagamento precedente a Vouet è che egli fu compensato per gli affreschi del soffitto, lavoro che avrebbe finito prima o al di fuori del termine di sei mesi stabiliti per contratto da Alaleone per il completamento della decorazione. La parola « rintocarlo » potrebbe riferirsi al solo affresco di Siciolante. E' probabile infatti che le frequenti alluvioni del Tevere, unite ai lavori di rinnovamento della cappella, abbiano danneggiato l'opera di Siciolante 11 ; e per restaurarla, sl che fosse degna della nuova decorazione, il mecenate avrebbe fatto ricorso a Vouet. Due motivi plausibili a spiegare il fatto che Alaleone conservò l'affresco di Siciolante e chiamò Vouet a restaurarlo invece di sostituirlo, sono che il San Francesco riceve le stimmate si riferisce in uguale misura alla prima e alla seconda consacrazione della cappella, come pure che illustra uno degli episodi fondamentali nella vita del santo. I dipinti di Vouet sui muri laterali furono all'origine di nuove scene drammatiche che crearono un ciclo di argomenti, in parallelo agli affreschi della volta e alle lunette che illustrano la vita di Maria, cui la cappella era consacrata originariamente. Inoltre, in certo modo, il dipinto di Siciolante era il completamento degli affreschi di Vouet. A differenza dei dipinti sui muri laterali, gli affreschi di Vouet sono più cinquecenteschi, non troppo diversi, ad esempio, dagli affreschi di Siciolante per San Tommaso dei Cenci. Per tutte queste ragioni, come per l'età del dipinto e per il collegamento con la contessa di Carpi, Alaleone si decise a conservare l'affresco di Siciolante. Terminati i nuovi dipinti della cappella, gli studiosi continuarono a parlare dell'affresco di Siciolante, senza mai menzionare la pala di Vouet. Nel 1642 Baglione scrive: « E parimente in S. Lorenzo in Lucina il s. Francesco in atto di ricever le stimmate è bell'opera a fresco del suo pennello » 12 • Pur essendo un attento lettore di Vasari, Baglione evita la citazione della contessa di Carpi, presumibilmente perché sapeva che la cappella apparteneva allora agli Alaleone. Nella guida di Roma, scritta tra il 1660 e il 1663, Fioravante Martinelli afferma che tra le cappelle sul lato sinistro di San Lorenzo in Lucina « il S. Francesco sopra l'altare della Contessa da Carpi, che riceve le stimmate, a fresco è di Girolamo Siciolante da Sermoneta. E !'altre tutte in detta sono di Simone Vueth francese» 13, e cosl precisa autore e argomento del quadro: Siciolante aveva fatto l'affresco dell'altare, Vouet il rimanente lavoro. Anche lui aveva letto attentamente


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Il. Opere perdute

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Vasari e, a differenza di Baglione, aveva creato un nesso tra il dipinto di Siciolante e la contessa di Carpi. Una volta stabilito che l'affresco di Siciolante era sopravvissuto alla nuova decorazione di Vouet, perché e quando venne definitivamente rimosso? Le guide di Roma non sono affidabili, perché spesso ripetono informazioni non controllate. Alla fine dell'Ottocento, il dipinto di Siciolante era ancora citato al posto consueto, ma nel 1736 già non esisteva più. Leone Pascoli, parlando di Marco Benefial, suggerisce una spiegazione: « ed altro se ne vede nell'altare dell'ultima cappella presso alla maggiore della chiesa di S. Lorenzo in Lucina nell'entrarvi a mano manca, colla beata Giacinta Marescotti moribonda d'altre figure vagamente arricchita» 15• La tela di Benefial San Francesco appare alla beata Giacinta Marescotti, firmato e datato 1736, andò a sostituire l'affresco di Siciolante quando la cappella venne acquistata dalla famiglia Ruspoli. V olevano un quadro nuovo per celebrare la memoria della loro parente Giacinta Marescotti, e avevano bisogno di spazio per sistemarlo. Vouet era famoso, e dunque i suoi dipinti furono conservati; invece l'affresco di Siciolante sopra l'altare fu distrutto 16 • La famiglia Ruspoli chiamò Benefial a rifare completamente il muro dell'altare con affreschi di san Pietro e di san Paolo, ai due lati di una cornice in marmo che racchiude la tela di Benefial 17 • Sempre di Benefial sono anche le quattro sante affrescate sulle colonne vicine ai due dipinti laterali di Vouet. Dunque, il San Francesco riceve le Stimmate di Siciolante, per la cappella della contessa di Carpi, sopravvisse a due cambiamenti di proprietà. Ludovico Branca lo conservò, e vi aggiunse la Beata Maria delle Grazie; Paolo Alaleone incaricò Simon Vouet di « rintocarlo » come parte del suo lavoro più ampio. E infine la famiglia Ruspoli sacrificò l'affresco a un cambiamento del programma tematico nella cappella: la pala di Benefial univa un tema nuovo a un impegno personale della famiglia nella cappella dedicata a san Francesco. Le guide di Roma, quella di Martinelli come quella di Titi, rafforzarono questa interpretazione, e anche se molto più tardi le guide di Roma riferirono dell'esistenza dell'affresco di Siciolante quando ormai era stato distrutto, su un punto esse sono degne di fiducia: Vouet non fece un quadro con l'intento di sostituire il san Francesco di Sidolante, perché solo dell'affresco di Siciolante fu sempre riferita l'esi· stenza nella cappella.

1 HUNTER, Siciolante's Forgollen Altar Painting, IV. 3, 1987, 2 VASARI , Le vite, VII, p. 573. L'affresco cli Siciolante sembra

pp. 7-13.

essere la sola opera menzionata da Vasari in San Lorenzo in Lucina. 3 LITTA, Famiglie, VII, tav. III (Pio di Carpi). Il 6 novembre 1537 Cecilia Orsini Pio ebbe la proprietà della cappella di San Giacomo e Sant'Enrico nella chiesa di Trinità dei Monti. BONNARD, Histoire, pp. 38-39. 4 GAETANI, Domus, II, 1933, pp. 47, 73, 83, 128. 5 Per Alberto Pio, vedi LITTA, Famiglie, VII, 1819-1911, tav. III (Pio di Carpi). 6 MARINI, L'opera, VII, 1974, p. 198, n. 12.


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Catalogo delle opere

Ibid., p . 198, n . 19. Quadri, 1979, p. 19. MARINI, L'opera, VII, p . 197, n. 2. Paolo Alaleone, nipote di Ludovico Branca, il 6 marzo 1624 mise un'iscrizione nella chiesa di Santa Maria Liberatrice per ricordare la ricostruzione e la decorazione della cappella che apparteneva ai Branca. FORCELLA, Iscrizio11i, VII, p. 408, n. 830. 9 Roma, Archivio di Stato, 30 Notai capitolini, Uff. 19, vol. 129, f. 145rv, MARINI, L'opera, VII, 1974, p. 197. IO Ibid., p. 198. 11 KRAUTHEIMER, Corp11s, II, 1959, pp. 162, 170-171. 12 BAGLIONE, Le vite, 1642, p. 24. 13 D'ONOFRIO, Roma, 1969, p. 76. 14 TITI, St11dio, 1674, p . 402; TITI, Ammaestramento, 1686, p. 336; CECCONI, Roma, 1725, p . 248; ROISEcco, Roma, I, 1745, p . 436; VENUTI, Accurata e succinta descrizione, I, 1767, p . 353; Roma, 1775, pp. 173-174; BLANC, Histoire, X, 1870, p. 32; MOLA, Breve racco11to, 1966, p. 116. 15 PASCOLI, Vite, II, 1736, p. 336. 16 Pare che sia stato notato la prima volta in voss, Die Caravaggeske Fruhzeit, LVIII, p. 60. FALCIDIA, Nuove proposte, XVII, 195, pp. 63-64, n. 17. 17 MARINI, L'opera, VII, p . 98, osserva che il quadro incorniciato di Benefial è obliquo rispetto al tabernacolo più grande. Sporge fuori e sotto la cornice dd tabernacolo. 7 8

A-12.

ROMA

Chiesa di San Luca (oggi SS. Luca e Martina) San Luca, 1543 circa Olio su tela, perduto

Nel 1543, quando Siciolante entrò a far parte dell'Accademia di San Luca, pagò parte della quota associativa con il dono di un quadro raffigurante San Luca per la chiesa dell'Accademia 1• Null'altro si sa di questo dipinto. Nel corso del Seicento la chiesa fu ricostruita da Pietro da Cortona 2• 1

2

Vedi Documenti, I. ARMELLINI, Le chiese, I, pp. 203-205.


II I II. Opere perdute

A-13.

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ROMA

Chiesa di Santa Maria in Campo Marzio Madonna e Bambino Affresco, distrutto

Riferisce Baglione che « sopra la porta del monasterio di Campo Marzio, di fuori [Siciolante esegul] la madonna co'l fanciullo Giesù » 1, informazione che viene ripetuta fino alla edizione del 1763 della guida di Roma di Filippo Titi, dopo di che dell'affresco non è più fatta menzione 2• La perdita del dipinto è dovuta alla ricostruzione di chiesa e monastero di Santa Maria in Campo Marzio durante il tardo Seicento 3 • Non c'è maniera di accertare se fu proprio Siciolante ad eseguire la Madonna con Bambino. Un punto a favore è che durante gli anni 1560 fu badessa del convento Chiarina Colonna, del ramo di Palestrina della famiglia per la quale Siciolante aveva lavorato occasionalmente 4 • 1 BAGLIONE, Le vite, 1642, p. 23. 2 TITI, Descrizione, p. 364. TITI

(Studio, pp. 397-398) afferma che « li due Santi Gregorio, e Benedetto a fresco sopr'alla porta del Monastero, sono di mano di Gio. Battista Speranza, e la Mad. in mezzo col fanciullo è opera del Sermoneta». 3 BOSI, S. Maria in Campo Marzio, 1961, p. 18. • lbid., pp. 15-16.

A-14a.

ROMA

Chiesa di Santa Maria sopra Minerva; sacristia Crocifissione, 1546-1547 circa? Tavola?, perduta A-14b Chiesa di Santa Maria sopra Minerva; cappella Caffarelli Crocifissione, 1546-1547 circa? Tavola?, perduta

Secondo Vasari, Siciolante fece tre quadri per la chiesa dei Domenicani in Santa Maria sopra Minerva a Roma: « Dopo il suo ritorno di Lombardia, fece nella Minerva, cioè nell'andito della sagrestia, un


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Catalogo delle opere

Crocifisso, nella chiesa un'altro; e dopo fece a olio una Santa Caterina, ed una Sant'Agata » 1• In questo nostro testo ci occupiamo soltanto delle due Crocifissioni. Baglione non ne parla, sebbene descriva la sacristia: « Questo istesso eminentissimo Camerlengo [cardinal Antonio Barberini] ha fatto qui nella Chiesa della Minerva la Sagrestia, e la sua Cappella, ove è il quadro del Crocifisso, opera di Andrea Sacchi romano, con altre pitture » 2 • Nella sua guida di Roma, mai pubblicata, Fioravante Martinelli fa eco a Vasari 3• Nel 1674 Filippo Titi riferiva quanto segue: Il quadro, e pitture nell'altare della Sagrestia dove è Christo Crocifisso è opera perfettamente condotta da Andrea Sacchi [ ... ] La seconda Cappella [a destra] haveva il quadro col Crocifisso, e molte figure dipinto da Girolamo Sicciol:mtc, e hora ve n'è un'altro con S. Ludovico Bertrando, opera buona, e diligente di Baciccio Genovese e diversi fatti di S. Domenico dipinti a olio nella mura di questa cappella, sono cli mano del Cav. Gasparo Celio 4•

E qui finiscono le notizie su questi due dipinti di Siciolante. Tuttavia, nel 191 O, Joachim Berthier notò che nella terza cappella a destra, quella consacrata a Santa Rosa di Lima la dedia d 'abord à la Saint Trinité et au Saint Nom dc Jésus. Deux tableaux y rappelaient cettc doublc dévotion, tous deux peints sur toilc. Le premier,

tres loué en son temps, réprésentait le Pere éternel tenant devant lui son Fils crucifié et portant sur la poitrine la colombe du Saint-Esprit, au milieu d'un grande couronne de saints et d'anges. C'était l'oeuvrc de Girolamo Siciolante 5•

Ma Berthier si sbagliava: la Trinità non è di Siciolante, è stata attribuita a Lazzaro Baldi 6• Le Crocifissioni di Siciolante furono rimosse dalla loro collocazione almeno all'epoca della pubblicazione di Titi, cioè nel 1674. Sebbene si ignori il loro destino, si può tuttavia proporre una possibile committenza per uno dei dipinti e una datazione accettabile per entrambi. La seconda cappella a destra, quella dove Titi riferisce di aver visto la Crocifissione di Siciolante, fu fondata dalla famiglia Caffarelli. Nel tardo Seicento, gli Altieri presero possesso della cappella 7, e Clemente X, papa Altieri, chiamò Giovanni Battista Gaulli, detto il Baciccio 8, a ridecorarla. Poiché i · Caffarelli ebbero in proprietà la cappella durante tutto il Cinquecento, fu sicuramente un membro di questa famiglia a commissionare la Crocifissione a Siciolante 9 • La Crocifissione Caffarelli e il dipinto della sacristia potrebbero dunque risalire al 1546-1547, se vogliamo dar fede a ·quanto afferma Vasari, cioè c;he Siciolante esegul queste_opere al suo ritorno dalla Lombardia. · 1 VASARI, Le vite, VII, 1881, p . 573. 2 BAGLIONE, Le vite, 1642, p. 181. 3 D'ONOFRIO, Roma, 1969, p. 110. 4 TITI, Studio, 1674, ·pp. 168, 180. 5 BERTHIER, L'église, 1910, p. 75. 6 TAURISANO, S. Maria sopra Minerva,

1955, p. 26.


II. Opere perdute 7 BERTHIER, L'église, 1910, pp. 67-68. 8 ENGGASS, The Religious Paintings, 1955, pp. 9 AMAYDEN, La storia, I, 1910, pp. 223-228.

A-15a.

ROMA

221

236-239.

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Chiesa di Sant'Orsola della Pietà (Oratorio di San Giovanni dei Fiorentini) Pietà Olio su tavola, perduto A-15b.

ROMA

Chiesa di Sant'Orsola della Pietà (Oratorio di San Giovanni dei Fiorentini) Argomento sconosciuto Affreschi murali, distrutti

Nel 1638 Pompilio Totti riferl sommariamente che nella chiesa romana dei SS. Tommaso ed Orso « vi sono pitture del Sermoneta» 1• Questa chiesa, conosciuta anche con il nome di Sant'Orsola della Pietà, era l'oratorio della vicina chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, situata in vicolo del Consolato, tra via Giulia e via dei Banchi Vecchi 2 • Baglione non ripete l'affermazione di Totti, mentre alcuni studiosi più tardi citano il commento di quest'ultimo 2 • Tra loro Gregorio Roisecco così scrive nel 17 4 5 : « le pitture a fresco nella parete sono del Sermoneta. Le istorie della Passione su la Volta, furono condotte da Taddeo e Federico Zuccheri; il quadro dell'altare, che sostiene il Figliuolo morto è di Girolamo Siciolante » 3 • Questa descrizione è stata alla base di ogni successivo commento ai dipinti di questa chiesa 4 • Nel tardo Ottocento, quando si costruiva corso Vittorio, la chiesa di Sant'Orsola, fu demolita 5 • Non si sa dove sia finita la Pietà. Pochi frammenti di affreschi messi in salvo si trovano oggi al Museo di Roma a palazzo Braschi 6 ; il Museo li assegna a Siciolante, ma l'attribuzione non è giusta. L'artista può aver fatto altri dipinti per Sant'Orsola, ma non questi affreschi 7• Nel 1652 Giovanni Domenico Ottonelli e Pietro Berrettini menzionarono anch'essi la Pietà quando scrissero che parecchie opere a Roma si ispiravano a due gruppi di Pietà michelangiolesche: Tali sono i due gruppi di Pietà de quali uno fu trovato seppellito in una stanza ò terreno, e hora si vede pubblicamente in un Officina di Roma: e l'altro sta nel giardino, che fu del Sig. Cardinal Bandino a Monte Cavallo. E queste due bozze, oltre l'altre, che si veggono tralasciate, sono di tanta bellezza,


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Catalogo delle opere

che Tadeo Zucchero stimò bene impiegata la sua fatica in disegnarle, colorirle, e ridurle in opera: come vedesi in Roma nella Madonna de' Monti, e nella Pietà del Consolato de' Fiorentini 8•

Dunque la Pietà, attribuita da Roisecco a Siciolante nel 1745, prima era stata assegnata a Taddeo Zuccari. La conclusione che possiamo trarre da quanto abbiamo più sopra esposto è che Siciolante può avere eseguito una Pietà e un affresco per la chiesa di Sant'Orsola. Tuttavia, poiché i nomi di Taddeo e di Federico Zuccari sono stati accostati a queste opere, non conosceremo mai con esattezza l'apporto di Siciolante. 1 TOTTI, Ritratto, 1638, p. 244. 2 DE ROSSI, Ritratto, 1645, p. 244; DE ROSSI, Ritratto, 1652, p. 246; DE ROS• SI, Ritrailo, 1689, p. 247. CECCONI, Roma, 1725, p. 290. 3 ROISECCO, Roma, I, 1745, p. 389. 4 ROISECCO, Roma, II, 1765, p. 59; VASI, Indice, 1765, p. 312; VENUTI, Accurata e succinta descrizione, I, 1767, p. 425; VASI, Itinerario, 1777, p. 449; NIBBY, Roma, parte I moderna, 1839, pp. 769-770; MORONI, Dizionario, XXV,

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1844, p. 23. 5 Si è spesso parlato del 1886 o del 1888. HUELSEN, Le chiese, 1927, pp. 501502; ROMANO, Il quartiere, 1938, p . 84; CECCARIUS, Strada, 1940, p. 8; ROMANO, Ponte, 1941, p. 27; ARMELLINI, Le chiese, I, 1942, p. 433; INSOLERA, Roma, 1962, p. 50; INCISA DELLA ROCCHETTA, San Filippo, 21 agosto-settembre, 1964, pp. 1-7, 11-17. 6 SALERNO, SPEZZAFERRO e TAFURI, Via Gi11lia, 1973, pp. 258-259; PIETRAN· GELI, Rione V - Ponte, IV, 1975, pp. 11-16; Quadri, 1979, p. 11. 7 Vedi Catalogo, C19. 8 OTTONELLI e BERRETTINI, Tra/lato, p. 210. GERE, Taddeo Zuccaro, p. 77, n. 1, ritiene che il quadro di Santa Maria ai Monti non abbia nulla a che vedere con Taddeo Zuccaro. In conseguenza della mancanza totale di documentazione sulla Pietà di Sant'Orsola (Consolato de' Fiorentini), Gere non interviene sulla partecipazione di Taddeo, né propone alcuna attribuzione per i frammenti di affresco nel Museo di Roma .

A-16.

ROMA

Chiesa di San Salvatore in Lauro Annunciazione, 1544-1545 circa Affresco, distrutto Sebbene non resti niente dei dipinti di Perino del Vaga e di Siciolante per la chiesa di San Salvatore in Lauro, pure la committenza di questi lavori è importante, perché è una delle due sole citazioni precise che Vasari fa di opere eseguite da Siciolante per conto di, o insieme con, Perino. La seconda si riferisce alla loggia di Paolo III in Castel Sant'Angelo. Inoltre, l'osservazione di Vasari ci fornisce l'indicazione di un arco di tempo durante il quale fu eseguito il lavoro.


''l. I•

II. Opere perdute

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Nella vita di Perino, Vasari illustra numerose opere in chiese di Roma dove l'artista lavorò, e in ultimo scrive: « in San Salvatore del Lauro [Perino] fece dipingere all'altare maggiore alcune storie, e nella volta alcune grottesche; cosi di fuori della facciata una Annunziata, condotta da Girolamo Sermoneta suo creato» 1 • Dunque Vasari afferma senza possibilità di equivoci che fu Siciolante a dipingere l'Annunciazione. Le parole « fuori nella facciata» potrebbero essere intese come un riferimento alla facciata della chiesa; invece Vasari alludeva alla facciata della cappella Maggiore, come spiega Giovanni Battista Armenini, il quale nel 1587 trattò del problema di come riempire nelle chiese gli spazi murali soprastanti gli archi. Se lo spazio è grande, suggerisce Armenini, conviene dipingerli con Profeti e Sibille, come già ha fatto Raffaello nella chiesa di Santa Maria della Pace. Continua Armenini: « ma dove è poco spatio vi fanno la Madonna annunciata dall'Angelo, come si vede, che ultimamente fece Perino sopra l'arco dell'Altare maggiore in San Salvatore del Lauro in Roma» 2 • L'Annunciazione cui allude Armenini è certo la stessa di quella citata da Vasari, dunque Armenini è parzialmente in errore. E' vero che fu Siciolante a dipingere l'Annunciazione, ma è anche vero che la dipinse con uno stile quasi uguale a quello di Perino. Il 27 novembre del 1591 San Salvatore in Lauro fu distrutta da un incendio, e con la chiesa andò distrutto anche il dipinto di Siciolante 3 • Vasari ci mette in condizione di proporre una data: prima descrive il lavoro di Perino per la Sala Regia, iniziato almeno entro il 5 gennaio 1542 4, poi passa ad elencare opere perdute e non datate, ivi comprese la cappella del Sacramento nell'antica basilica di San Pietro, San Giuseppe a Ripetta, San Bartolomeo all'Isola, e San Salvatore in Lauro. Poi menziona il 1546 quando Tiziano viene a Roma per una visita e il lavoro di Castel Sant'Angelo 5 • E il risultato delle osservazioni di Vasari è per noi (forse per lui non sarebbe stato cosl) che l'Annunciazione fu eseguita dopo il 1542 e prima del 1546. Nel 1544 Siciolante era impegnato con gli affreschi della Loggia in Castel Sant'Angelo, e il 3 novembre 1545 si trovava a Piacenza, dove si trattenne almeno fino all'inizio del 1546. Dunque, la data più probabile per l'Annunciazione resta tra il 1544 e il 1545, sempre che, naturalmente, la cronologia di Vasari sia una guida precisa.

1 VASARI, Le vite, V, 1880, p. 626. 2 ARMENINI, De' veri precetti, 1988, pp. 189-190. 3 PANANO, S. Salvatore, 1959, p. 11. BRUNO, Girolamo, CXXX, 1973, DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p. 56. 4 DAVIDSON, The Decoration, LVIII, 1976, pp. 401-405. 5 I pagamenti a Perino ebbero inizio il 20 giugno 1545. GAUDIOSO, I

farnesiani, LXI, pp. 253-255.

p. 59;

lavori


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A-17a.

Catalogo delle opere ROMA

Chiesa di San Silvestro in Capite; terza cappella a sinistra Immacolata Concezione Olio su tela?, perduto A-17b Chiesa di San Silvestro in Capite; sopra il portale della chiesa Madonna con Bambino Olio su tela?, perduto

Riferisce Filippo Titi nella guida di Roma del 1674 che a San Silvestro in Capite nella Capella, che segue vi è la volta con prospettive e pitture a fresco dipinti da Tarquinio da Viterbo. Le due historie da i lati, che sono la Visitatione di S. Elisabetta, l'Adorazione de' Magi furono terminate a fresco con gran franchezza dal Cav. Pier Francesco Moranzone Lombardo, fuor che il Quadro dell'Altare con la Concettione, e la Madonna col Bambino sopra la porta di fuori, è lavoro del Sermoneta 1•

Nel 1795 Giuseppe Carletti romano descrisse l'Immacolata Concezione di Siciolante ancora al suo posto 2 • Ma la pala dell'Immacolata che c'è oggi è di Ludovico Gimignani, e porta la data del 1697 3 • Se questo dipinto era nella terza cappella a sinistra quando Carletti scrisse la guida, allora probabilmente Carletti lo equivocò per un'opera di Siciolante. Non esistono altre notizie né sulla pala né sulla Madonna con Bambino sul portale 4•

1 TITI, Studio, 1674, p. 380. 2 CARLETTI, Memorie, 1795, p. 42. 3 Disegni, 1979, p. 100. 4 GAYNOR e TOESCA, S. Silvestro, 1963, pp. 109, 114; BUCHOWIECKI, Handbuch, III, 1974, p. 860. La TOESCA (Due opere, XVI 187, p. 58, n. 6) suggeri-

sce che la Crocifissione (fig. 117) nella chiesa romana dei SS. Cosma e Damiano in via Ambrogio Contarini venisse dalla chiesa di San Silvestro. Tuttavia la differenza cli argomento non depone a favore cli questa tesi.


II. Opere perdute

A-18.

225

ROMA

Chiesa di Santo Spirito in Sassia; sacristia Discesa dello Spirito Santo, 1564 Olio su tela, perduto Disegno preparatorio (fig. 63), Parigi, Museo del Louvre, Gabinetto dei disegni [ D-18] . Con le seguenti parole Vasari dà notizia di un dipinto di Siciolante per Santo Spirito in Sassia: « per la sagrestia della chiesa di Santo Spirito di Roma, in un altra tavola a olio, la venuta dello Spirito Santo sopra gli Apostoli» 1• E' curioso e forse significativo il fatto che Baglione, pur copiando fedelmente l'elenco dei quadri di Siciolante fatto da Vasari, non abbia menzionato questo dipinto, ma la sua dimenticanza non impedl agli studiosi più tardi di notarlo, e dal Seicento fino ai giorni nostri la Discesa dello Spirito Santo attribuita a Siciolante continuò ad essere elencata nella sacristia di Santo Spirito 2• Pietro de Angelis scrive nel 1950: « nel fondo [ della sacristia] un altare con tela a olio, attribuita dal Sermoneta, raffigurante l'adorazione dello Spirito Santo, col Cristo su nube, la mistica colomba, e ai lati S. Pietro, S. Paolo, Sant'Elena sorreggente la croce e S. Girolamo » 3 • Il dipinto descritto da De Angelis, pur trovandosi ancora nella sacristia della chiesa, non corrisponde all'argomento illustrato dalle parole di Vasari « la venuta dello Spirito Santo sopra gli Apostoli». Il quadro non vuole essere la narrazione di un episodio, è l'immagine allegorica della passione di Cristo. Intorno al Cristo, che tiene nelle mani corone di alloro, si affollano putti con gli emblemi della passione, e più in basso santi con croci. Quale che sia la natura dell'argomento, è chiaro che non ha a che vedere con lo Spirito Santo e, cosa più importante, lo stile del quadro è molto diverso da quello di Siciolante. Ma in questo caso la colpa non è di Vasari, che ha riferito le cose con esattezza: Siciolante fu pagato dall'ospedale di Santo Spirito per un lavoro inteso per la sacristia della chiesa contigua. Esiste un atto di pagamento, in data 30 agosto 1564, che afferma: « a messer Jeronimo da Sermoneta dipintore scudi quaranta di moneta sono per ragione di scudi ottanta che dovea avere da noi per il quadro dipinto che è al altare della sagrestia, nova come per una sua poliza in filza - 40 » 4 • Il documento parla di un quadro finito e collocato al posto prescelto. Purtroppo, non c'è indicazione di quanto è poi successo al dipinto. Secondo Edmund Pillsbury, la pala attuale è opera di Jacopo Zucchi, ed è stata collocata dove oggi la vediamo nel 1585 5 ; e dopo che questa pala è andata a sostituire quella di Siciolante, gli studiosi, basandosi sull'informazione fornita da Vasari, hanno erroneamente scambiato questa opera per quella eseguita da Siciolante. Il disegno della Discesa dello Spirito Santo (fig. 63) che si trova


226

Catalogo delle opere

a Parigi è il bozzetto per un quadro. Lo stile, somigliante a quello degli studi per gli affreschi della cappella Fugger e al bozzetto per la Do11azione di Pipino (fig. 71) suggerirebbe una datazione tra il 1560 e il 1564. Poiché non si conosce altro dipinto di Siciolante che tratti lo stesso argomento, si può concludere che il disegno cli Parigi è il bozzetto del quadro dello Spirito Santo 6 • • Il disegno è eseguito su carta tinta azzurra a inchiostro bruno e acquarello, quadrettata per essere riportata. La Vergine è seduta, le mani giunte in preghiera, intorno a lei almeno diciannove figure maschili, alcune in piedi, altre sedute. Molti rivolgono gli occhi in alto, in uno sguardo cli attesa. Sulle loro teste scendono raggi cli luce, provenienti con ogni probabilità dalla colomba dello Spirito Santo, che non si vede. Queste figure cosl numerose, più che i dodici apostoli, potrebbero essere i personaggi cli un episodio raccontato negli Atti degli Apostoli, accaduto subito dopo la discesa dello Spirito Santo. Ebrei di ogni paese confluirono nella casa dove erano riuniti gli Apostoli, per capire la causa e la provenienza cli un forte rumore. Con grande meraviglia, scoprirono che gli Apostoli, tutti provenienti dalla Galilea, parlavano con loro nella loro lingua 7 • Forse è questo episodio che Siciolante raffigura nel disegno, o forse le figure tanto numerose avrebbero dovuto essere ritratti dal vero, come è il caso del bozzetto per la Donazione di Pipino (fig. 71). Se gli altri disegni preparatori di Siciolante possono essere una guida, allora senza dubbio alcuno la Discesa dello Spirito Santo di Parigi si avvicina molto al quadro finito. Vedi la sezione Disegni per ulteriori informazioni.

1 VASARI,

Le vite, VII, 1881, p. 573.

2 TITI, St11dio, 1674, p. 34; CECCONI, Roma, 1725, p . 394; Roma, 1741, p. 284; ROISECCO, Roma, I, 1745, p. 96; TITI, Descrizione, 1763, p. 28; ROISECCO, Roma, I, 1765, p. 130; VENUTI, Accurata e succinta descrizione, II, 1767, p. 1217; Roma, 1775, p. 28; VASI, Itinerario, 1777, p . 459; CIPRIANI, Descrizio11e, 1838, p. 173; NIBBY, Roma, parte I moderna, 1839, p. 723; MELCHIORRI, Guida, 1840, p. 347; MORONI, Dizionario, LXXXIX, 1859, p. 122; MOLA, Breve racconto, 1966, p. 115; D'ONOFRIO, Roma, 1969, p. 176. 3 DE ANGELIS, L'arcicon/raternita, 1950, p. 135. Ripubblicato come ID., Chie-

sa, 1952, p. 21. 4 Vedi Documenti, XIII. Ringrazio il professor Carolyn Valone che mi ha fatto cortesemente notare questo documento. Il riferimento si trova nella ricerca di M. VANTI, Mons. Bernardino Cirillo, commendatore e maestro generale dell'ordine di S. Spirito, Roma 1936. s PILLSBURY, Jacopo Zucchi, CXVI, 1974, pp. 434-444. 6 HUNTER, The Drawings, XXVI, 1, 1988, pp. 22-24. 1 Atti 2, 5-16.


H '' II. Opere perdute

A-19a.

227

SERMONETA (LATINA)

Collezioni private Sant'Anna e san Gioachino con la Vergine San Girolamo nel deserto San Matteo con un Angelo Andromeda Olii su tavola?, perduti A-19b.

SERMONETA (LATINA)

Chiesa di San Bernardo Argomento ignoto Perduto A-19c.

SERMONETA (LATINA)

Chiesa di San Francesco; cappella di Sant'Anna Sacra Famiglia Olio su tela, perduto A-19d.

SERMONETA (LATINA)

Chiesa di Santo Stefano Argomento ignoto Perduto

Nel manoscritto del 1766 circa, Pietro Pantanelli diede notizia di vari dipinti di Siciolante in diversi luoghi di Sermoneta, tra i quali una Sacra Famiglia nella cappella di Sant'Anna della chiesa di San Francesco, e in case particolari di nostra patria vi è qualche sua opera ancora, come la famiglia Razza che ha gran tela a olio con sant'Anna, la Vergine bambina, e san Gioacchino. La famiglia Tuzi ha un san Girolamo nd deserto con belli paesi; et appresso di me è un san Matteo sedente in tela da testa, con un angelo. Gli eredi di Francesco Impaccianti hanno un ccmbaletto, dipinto tutto vagamente a guazzo, colle tavole d'Andromeda, et alcuni graziosi grotteschi. Sotta la finestra dell'abitazione del rettore mezza figura della beata Vergine col bambino Gesù intiero, che tiene le insegne della nostra comunità per mano, ma è molto mal ridotta. Nel picciol atrio della casa de' Siciolanti nella strada che dalla piazza va in S. Maria vi sono alcune pitture a fresco, con motti latini, ma mal ridotte 1•

Gaetano Moroni ampliò la lista di Pantanelli, aggiungendo informazioni a proposito di altre opere di Siciolante nelle chiese di San Bernardo e di Santo Stefano 2• Purtroppo, non sappiamo altro su questi dipinti, né è possibile verificare la fondatezza delle attribuzioni.


228 1

Catalogo delle opere A proposito della chiesa di San Francesco, Pantanelli riferisce: « la quar-

ta è in onore di sant'Anna, madre della beata Vergine, con buon quadro nel

proprio altare, che rappresenta la Sacra Famiglia molto al naturale; e se è vero quello che vi si legge scritto, è egli opera d'un religioso, ma sembra anzi del nostro Girolamo Siciolante. Appartiene la medesima alla famiglia Impaccianti, che vi ha un giuspatronato e la tomba». PANTANELLI, Notizie, I, 1972, pp. 527, 601. 2 MORONI, Dizionario, LXXXIX, 1858, p. 122.

A-20.

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Duomo Argomento sconosciuto Perduto

Nel Dizionario di Gaetano Moroni del 1855 1 si allude a un'opera nel duomo. Non sono accertabili né l'esistenza di quest'opera né la sua attribuzione. 1 MORONI,

Dizionario, LXXIV, 1855, p. 133.


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III. Attribuzioni incerte Le voci sono elencate secondo l'ordine alfabetico della località, le illustrazioni in ordine numerico. t

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B-1. CASALBRUCIATO (ROMA)

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Collezione Passini Sacra Famiglia con san Giovannino Battista, 1550 circa (fig. 97) Olio su tela, dimensioni non reperibili

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Nel 1910 Piero d'Achiardi pubblicò tra le opere di Siciolante la Sacra Famiglia con san Giovannino Battista, che allora faceva parte della collezione Messinger a Monaco di Baviera. Entrata a far parte della collezione Passini a Casalbruciato, la tela fu commentata da Adolfo Venturi 1, il quale la paragona alla Madonna con Bambino della collezione Colonna (fig. 66b) e esprime l'opinione che ambedue le opere appartengano allo stesso periodo. Il dipinto Colonna essendo databile intorno al 1565, la Sacra Famiglia Passini, posto che sia di Siciolante, è della stessa epoca. Nella Sacra Famiglia Passini, la Madonna assomiglia alle figure femminili di Siciolante. Il volto lungo e stilizzato ricorda quello della donna a destra della Pietà di Cambridge (fig. 82). Il panneggio abbastanza semplice ben si accorda con lo stile di Siciolante. Però altri particolari sono diversi: ad esempio, Gesù Bambino e san Giovannino non hanno le fisionomie proprie dei bambini di Siciolante, né san Giuseppe assomiglia alle tipiche figure maschili dd decennio 1560. Una datazione precedente, compresa secondo il parere di Venturi (il quale d'altronde non conosceva la datazione più tarda della Madonna Colonna) tra la fine degli anni 1540 e l'inizio degli anni 1550, permette più tolleranza nella ricerca di somiglianze con le opere documentate dell'artista, specie con i dipinti de La Bastie d'Urfé (figg. 27a - 27k). Tuttavia, mentre la Sacra Famiglia Fassini potrebbe benissimo essere di Siciolante, alcuni connotati stilistici mancano di quella compattezza tipica delle opere autentiche.

1 n'ACHIARDI, La collection Messinger, 1910, p. 287; VENTURI, Storia, IX, 5, 1932, pp. 567, 591. Vedi anche voss. Die Malerei, I, 1920, p. 108.

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230

Catalogo delle opere

B-2. CORI (LATINA)

Duomo di Santa Maria della Pietà Cristo benedicente, 1542? (fig. 98) Olio su tavola, m. 1,22 X 0,92 Nel 1834 Giuseppe Marocco riprese l'usanza locale di associare il nome di Siciolante con il Cristo benedicente di Santa Maria della Pietà: « Quello [quadro] che esprime il Salvatore all'altare grande è un famoso dipinto in legno del Sicciolante da cui fu eseguito nel 1542 » 1• In queste righe due sono i punti che fermano la nostra attenzione: l'opera di Siciolante era famosa, e Siciolante la dipinse nel 1542. La fama della tavola si spiega con il fatto che si trattava di una immagine localmente amata e venerata; a Cori esisteva già la Maria Santissima del Soccorso, assai più conosciuta e oggetto de11a devozione popolare. In quanto parte di una festività del luogo, ]a Maria Santissima veniva portata in processione lungo le strade della cittadina fino al Duomo, e là veniva issata trionfalmente sull'altare maggiore, dove già si trovava il Cristo benedicente 2 • Forse la giustapposizione delle due immagini nel corso della cerimonia religiosa spiega perché il Cristo benedicente fosse cosl famoso. E anche, dato che Siciolante era il pittore più noto di tutta la regione, parve logico a Marocco di attribuire a lui uno dei più famosi quadri di Cori. Le poche notizie successive non aggiungono niente a quanto dice Marocco 3 ; solo Raffaele Bruno ha scritto qualche parola di commento sullo stile dell'opera 4 • Oggi, il Cristo benedicente è nel Duomo, sopra l'altare della seconda cappella a destra. Cristo tiene nella mano una sfera, e indossa un manto azzurro chiaro foderato in grigio porpora sopra una veste rossa. Sullo sfondo di un cielo giallo rosa che va a sfumare in nuvole grigio scuro, il Cristo, che guarda dritto davanti a sé e alza la mano in un gesto di benedizione, attira l'attenzione del visitatore. · Se è giusta la data proposta da Marocco, il 1542, e se è Siciolante l'autore di questa tavola, allora quest'opera sarebbe successiva alla pala di Valvisciolo (fig. 1) del 1541, e precederebbe la Pietà dei SS. Apostoli (fig. 11) del 1542-1544 circa. Però è difficile trovare una giustificazione stilistica a questa datazione. Le ampie, morbide pieghe delle stoffe differisce dalle molteplici smerlature arricciate degli indumenti rigorosamente modellati delle due precedenti opere appena menzionate, o dalla Sacra Famiglia di Parma (fig. 19), che è del 1545. I lineamenti differiscono da quelli di altre opere di Siciolànte, e la figura vigile e dinamica del Cristo non assomiglia .affatto alle figure del periodo giovanile. D'altronde, queste figure si possono dire somiglianti a quelle delle opere più mature, come ad esempio · la dea nel fregio Orsini di Monterotondo (figg. 41f - 41i), che è della seconda metà del decennio 1550. E ancora, alcuni particolari, il naso largo e un po' dozzinale, gli occhi sporgenti e fissi, le labbra carnose, çontr~stan<;> c<;>n j tratti fini e delicati delle figure di Siciolante. Que-


III. Attribuzioni incerte

231

ste incongruenze di stile rendono incerta l'attribuzione a Siciolante. Se è opera sua, è stata eseguita negli anni 1550, non nel 1542. 1 MAROCCO,

Monumenti, V, 1834, p. 144. Breve istoria, 1842, pp. 62-63 . 3 • MORONI, Dizionario, LXXXIX, 1858, p. 172; BIANCHI-CAGLIESI, All'illustre pittore, 1909, p. 16; VENTURI, Storia, IX, 5, 1932, p. 548. 4 BRUNO, Girolamo, CXXXVI, 1974, pp. 44-45, 46, n. 65. 2 MARCHIAFAVE,

B-3.

LENINGRADO (SAN PIETROBURGO)

Museo de l'Hermitage Scena allegorica (La Virtù tra l'Operosità e l'Accidia) (fig. 99) Olio su tavola, m. 0,61 X 0,75 (n. 239)

Il catalogo della collezione Crozat, pubblicato nel 1755, descrive il dipinto nella galleria del castello di Catchina con le seguenti parole: « Quadro allegorico, che raffigura la Virtù che punisce la Pigrizia e fa prosperare il Lavoro; del Siciolante, detto Sermoneta, discepolo di Perino del Vaga. Il signor Crozat ne ha fatto fare una incisione, poi inclusa tra quelle che compongono la sua collezione: su legno, 22 pollici in altezza, 26 pollici in larghezza » 1• Dopo qualche tempo, l'Hermitage di Leningrado acquistò il dipinto, insieme con un bozzetto preparatorio eseguito a matita 2 • Purtroppo, né il dipinto né il disegno sono stati riprodotti, esistono solo incisioni derivate dal dipinto, e quella di Corndys Massys è la più interessante. Il raggruppamento simmetrico delle figure non è frequente nell'opera di Siciolante, tuttavia lo stile può dirsi genericamente somigliante a quello dei dipinti de La Bastie d'Urfé (figg. 27a - 27k). A parte queste caratteristiche, il resto sembra frutto dell'invenzione dell'incisore (lineamenti, stoffe, paesaggio). Perciò il bozzetto, cosl come risulta dall'incisione, potrebbe anche essere di Siciolante, ma solo un ~same del dipinto consentirebbe un giudizio valido 3 •

1 DE SAINTE·PALAYE, Catalogue, 1972, pp. 40-41. 2 NAGLER, Neues allgemeines Kiinstler-Lexicon, XVIII,

1911, p. 368;

DE LIP·

Le tableaux, gennaio 1915, p. 21; TRUBNIKOV, Les arts, luglio, 1916, p. 64; Katalog Zivopisi, I, 1958, p. 177, n. 239; STUFFMANN, Les tableaux, VI, 72, 1968, p. 64; Musée de l'Ermitage, cat. 1, 1976, p . 134; BRUNO, Girolamo, CXXXIII, 1974, p. 79; Dutch and Flemish Etchings, XI, s.d., p. 197. RingraGART,

zio il professor Rainer Stichel che ha tradotto la pubblicazione in russo. 3 L'Hermitage non ha dato seguito alla richiesta di fotografie.


232

B-4.

Catalogo delle opere ROMA

Castel Sant'Angelo; Sala Paolina Perino del Vaga e Siciolante? Vita di Alessandro, Figure storiche e allegoriche Muro sud, Adriano: muro ovest, da sinistra a destra, Alessandro mediatore di pace tra due soldati, Fortezza, Giustizia, Alessandro consacra dodici altari in memoria delle vittorie in India; muro nord, l'Arcangelo Michele; muro est, da sinistra a destra, Alessandro mette i poemi di Omero in una cassa, Temperanza, Alessandro taglia il nodo gordiano, Prudenza, Alessandro e la famiglia di Dario Affreschi 1546-1547 (figg. 100a - 100h) Nelle vite di Siciolante e di Ferino del Vaga, Vasari non parla del ruolo svolto dal primo nella decorazione della Sala Paolina in Castel Sant'Angelo, né gli archivi vaticani portano tracce di pagamenti versati all'artista per questo lavoro. Eppure, gli studiosi attribuiscono a Siciolante un ruolo sempre più di primo piano nella decorazione della Sala. Questa tendenza ad affermare la partecipazione di Siciolante ai lavori della Sala Paolina indubbiamente è stata incoraggiata da quanto Vasari racconta a proposito della decorazione di Castel Sant' Angelo. Dopo avere parlato del lavoro della loggia, affidato a Siciolante e di quello della decorazione delle camere affidato a Luzio Romano, Vasari cosl prosegue: Ed in ultimo le sale ed altre camere importanti fece Ferino, parte di sua mano, e parte fu fatto da altri con suoi cartoni. La sala è molta vaga e bella, lavorata di stucchi e tutta piena d'istorie romane fatte da suoi giovani, ed assai di mano Marco da Siena discepolo di Domenico Beccafumi; ed in certe stanze sono fregiature bellissime 1•

In questo brano, citato dalla vita di Ferino, Vasari non lascia adito a dubbi: i 'giovani' di Ferino assistettero il maestro in questo lavoro. Vasari, che conosceva di prima mano il progetto per Castel Sant'Angelo, fa il nome di uno solo dei 'giovani', Marco Pino da Siena, che è anche il solo artista, oltre naturalmente a Ferino, ad apparire nei documenti vaticani attinenti alla Sala Paolina 2 • La parola 'giovani' forse comprende anche Siciolante perché, in altra parte della vita di Ferino, Vasari annota: « Si servl Ferino di molti giovani, ed insegnò le cose dell'arte a molti discepoli; ma il migliore di tutti, e quegli, di cui egli si servl più che di tutti gli altri, fu Girolamo Siciolante da Sermoneta » 3 • Sebbene queste righe vadano intese più come riferimento al rapporto che legò genericamente Siciolante a Ferino che non al solo momento della decorazione della Sala Paolina, letto con un altro brano di Vasari esso consente una interpretazione più larga. All'inizio del capitolo sulla vita di Siciolante Vasari scrive: « Girolamo Siciolante da Sermoneta [ ... ] fu discepolo [di Ferino] e l'aiuto nell'opere di Castel Sant'Angelo » 4 •


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I III. Attribuzioni "incerte

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233

Dunque, dapprima Vasari menziona soltanto la loggia dove Siciolante lavora in modo autonomo senza neppur nominare Perino, poi si pronuncia in maniera più esplicita, senza riserve. Perciò, quello che Vasari in modo alquanto ambiguo prima dice e poi non dice, ha convinto gli studiosi ad insistere nel rintracciare la partecipazione effettiva di Siciolante anche ai lavori di altre parti di Castel Sant'Angelo, prima di tutte nella Sala Paolina. Nella vita di Siciolante, Baglione esalta il ruolo dell'artista in Castel Sant'Angelo, e osserva che « [Siciolante] servl nelle cose dell'arte il suo Maestro [Perino], e lavorò con esso lui in Castello S. Angelo, e divenne valente Pittore, dove fece da per sè co' suoi propri disegni molte opere, e in particolare è di suo la loggia, che volta verso i prati » 5 • Dunque, Baglione afferma che Siciolante esegul « molte opere [ ... ] dai suoi propri disegni», ma, al pari cli Vasari, cita soltanto il lavoro fatto nella loggia 6 • Nel 1920 Hermann Voss fu il primo a parlare dell'entità del lavoro di Siciolante per la Sala Paolina; aderendo letteralmente al punto di vista di Vasari, secondo il quale Perino dipinse una parte della Sala, e gli aiuti ne eseguirono una parte più piccola basandosi sui cartoni del maestro, Voss cosl si esprime: « Le divinità marine del basamento, come pure la storia di Alessandro e le scene più piccole del soffitto, sono lavori indipendenti degli aiuti, tra i quali possiamo annoverare Marco Pino e Girolamo Siciolante da Sermoneta » 7 • Pur con qualche esitazione, Bernice Davidson propose una attribuzione precisa, riconoscendo nelle due figure della sovrapporta, Speranza ed Amore (fig. 100b) a destra cli Adriano nel muro sud, una certa affinità stilistica con l'arte di Siciolante 8 ; contemporaneamente, senza disporre cli alcuna evidenza critica, Frederick Antal sosteneva la tesi che « le figure degli antichi dei tra le colonne e quasi tutte le altre figure decorative in questa camera sono cli Sermoneta » 9 • Antal attribui a Pellegrino Tibaldi l'esecuzione di quasi tutte le altre pitture della Sala Paolina. Le osservazioni di Antal, insieme con l'esame stilistico condotto dalla Davidson, furono la base cli tutti gli studi successivi. Eraldo Gaudioso attribuisce a Siciolante la figura cli Adriano (fig. 100h) sul muro sud 10 ; Maria Call afferma che Temperanza (fig. l00e) e Fortezza (fig. l00f), rispettivavente sui muri est e ovest, sono cli Siciolante 11 ; Teresa Pugliatti reputa che la Giustizia (fig. 100g) sul muro ovest sia anch'essa cli mano di Siciolante 12• Si comprenderà facilmente questa propensione ad attribuire a Siciolante parti degli affreschi della Sala Paolina se si tiene presente che nel biennio 15451547 l'artista subiva l'influenza di Perino e, a quanto afferma Vasari, a Perino fu strettamente legato 13• E' vero che lo stile cli Siciolante, sebbene personale, non era ancora abbastanza forte da emergere in un periodo di collaborazione con un altro artista, come è il caso della Sala P aolina. Tuttavia, la personalità di Siciolante avrebbe potuto manifestarsi in alcuni particolari, nei lineamenti dei volti, nelle estremità, nelle caratteristiche dei personaggi. Invece, sono proprio questi particolari a non essere coerenti con lo stile dell'artista, o a diversificarsi dalle opere autentiche.

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234

Catalogo delle· opere · · ·

Adriano (fig. l00h), Fortezza (fig. l00f); Amore (fig. 100b) hanno volti quadrati, stilizzati, diversi dalle figure della Sacra Famiglia di Farma(fig. 19). Speranza (fig. 100b) e Fortezza (fig. l00f) ricordano la tipologia propria di Siciolante, ma i particolari dei lineamenti e delle estremità sono del tutto diversi. Se si ammette che il personaggio di Adriano (fig. 100h) corrisponde allo stile di Siciolante, allora si deve riconoscere che questa figura somiglia a quella di Alessandro sul muro ovest (figg. 100c, 100d) 14• Il modo di rappresentare estremità, indumenti, tipi somatici è uguale: chi ha dipinto l'uno ha dipinto anche gli altri. Se è stato Siciolante a dipingere Alessandro, allora tutti i dipinti vanno riesaminati in questa ottica. Comunque, procedere in questa maniera non porterebbe alla soluzione del problema, anche perché nessuno sa come il lavoro fu frazionato tra gli aiuti. . Molto probabilmente fu Ferino a fare i bozzetti~ e nell'eseguirli gli aiuti ebbero un esiguo margine di autonomia per esprimere creatività e inventiva. Onde utilizzare al meglio le qualità dei singoli aiuti, è possibile che Ferino destinasse ognuno al compito dove avrebbe dato il meglio di sé. Ad esempio, poteva succedere che un aiuto fosse scelto a dipingere solo figure, o solo paesaggi, o solo scene decorative, a seconda della necessità del momento. La Sala Paolina non è poi cos} grande, e la decorazione, seppure ricca di particolari, non è tanto complicata. Le pose sono convenzionali, gli atteggiamenti ripetitivi. Certo, agli assistenti potevano venir assegnati anche compiti ben definiti - medaglioni, decorazioni floreali o architettoniche, figure e nessuna incombenza in particolare richiedeva molto tempo. In teoria, ad ogni aiuto era offerta la possibilità di lavorare ai muri in luoghi diversi, e al tutto sovrintendeva Ferino 15 • Perciò, posto che Siciolante fosse uno tra i tanti aiuti, e che il lavoro venisse ripartito secondo questo metodo, la vera personalità dell'artista non avrebbe trovato l'occasione per emergere. In breve, la partecipazione di Siciolante non è né palese né accertata però, non è da escludere. Può darsi che Siciolante sia entrato a far parte del gruppo di lavoro solo in un secondo tempo, quando l'attività era già cominciata. Nel novembre 1545 l'artista si trovava a Piacenza, e scrive in una lettera di essere incerto se rimanere in questa città fino a primavera. Noi non sappiamo se rimase a Piacenza o se rientrò a Roma 16• Nel 1548, forse prima, era a Bologna. Dm~que, c'è una lacuna per gli anni 1546-1547. I pagamenti registrati per la Sala Paolina inducono a pensare che in quegli stessi anni la volta di Ferino e di Marco Pino fosse in fase di completamento, e che la pittura murale fosse terminata 17• Siciolante, forse, partecipò all'ultima fase dei lavori della volta, e della decorazione murale. Se pure fu cos} il, contributo ·di Siciolante non è chiaramente identificabile.

I VASARI, Le vite, V, 1880, p. 629. 2 GAUDIOSO, I lavori farnesiani, LXI, 1976, 3 VASARI, Le vite, V, 1880, p. 632. 4 VASARI, Le vite, VII, 1881, p. 571. s BAGLIONE, Le vite, 1642, p. 23.

. pp. 243-246, 255.


..

III. Attribuzioni incerte

23.5

6 Scrittori più tardi affermano che Siciolante partecipò ai lavori senza specificare tuttavia quale sia stato il suo contributo. Vedi CELIO, Memoria, p. 45; SCANNELLI, Il microcosmo, p. 181. 7 voss, Die Malerei, I, p. 76. Vedi anche BODMER, Nuove atlribuzioni, XXIX, 1, p . 18. 11 DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, p. 59. Quanto dice Davidson a proposito delle caratteristiche delle figure nei sovraporta non può applicarsi alla Sacra Famiglia di Parma (fig. 19), né alla pala di San Martino (fig. 20), i dipinti autentici contemporanei degli affreschi della Sala Paolina. GAUDIOSO, Gli a/freschi, Il, p. 106, identifica Amore come Venere celeste. 9 ANTAL, Classicism, 1966, p. 79, n. 1. lO GAUDIOSO, I lavori /arnesiani, LXI, 1976, p. 29. 11 CALÌ, Da Michelangelo, 1980, p . 173. 12 PUGLIATTI, Due momenti, IV, 1980, p. 13 e PUGLIATTI, Girolamo, in Girolamo, IV, 1983, pp. 102-103. Vedi anche SAMBO, Tibaldi, XXXII, 379, 1981, pp. 5-6; Gli a/freschi, II, 1981, pp. 114-115; DACOS, Perino, LXVII, p. 144. 13 Non tutti i critici sono d'accordo sulla partecipazione di Siciolante. Vedi VENTURI, Storia, IX, 5, 1932, p. 554; BRUNO, Perino del Vaga, CXXIII, 1972, p . 37, n. 5. Vedi anche GERE, Two Late Fresco Cycles, CII, 1960, pp. 9-19; HIRST, Tibaldi, CVII, 1965, pp. 569-571; Perino del Vaga, 1970, pp. 9-15; ouMONT, Francesco Salviati, 1973, pp. 92-96; HARPRATH, Papst Paul III, 1978, pp. 3, 79 ss. PARl'vtA ARMANI (Perin del Vaga, pp. 209, 294) nomina Siciolante senza ulteriori commenti. 14 GAUDIOSO, Gli a/freschi, II, p. 114, afferma che Siciolante ebbe una parte molto importante nella decorazione dei muri sud e ovest. 15 E' provato che cosl avvenne dal 20 giugno 1545 al 25 settembre 1547. GAUDIOSO, I lavori famesiani, LXI, pp. 243-246. 16 Su questo particolare, non esiste prova documentaria. Dice DAVIDSON (Some Early Works, XLVIII, p. 59) che forse Siciolante tornò a Roma. BRUNO (Perino del Vaga, CXXIII, p . 37, n. 5) afferma che in questo periodo Siciolante era a Parma presso la corte di Pier Luigi Farnese. Come già abbiamo detto, Siciolante era a Piacenza, e non si sa quanto vi si trattenne. 17 GAUDIOSO, I lavori farnesiani, LXI, pp. 245-246. Basandomi sulla documentazione esistente, non accetto la tesi che i lavori finissero solo dopo il 1548. Vedi PUGLIATTI, Due momenti, IV, p. 14.

B-5. ROMA

Galleria Spada Ritratto di Giulio III, 1550-1555 (fig. 101) Affresco trasportato su tavola, m. 0,90 X 0,64 (n. 40)

Nel 1954 Federico Zeri riportò il Ritratto di Giulio III dalla tradizionale attribuzione a Scipione Pulzone all'attribuzione a Scuola romana del XVI secolo 1• Vent'anni dopo, Raffaele Bruno suggerl l'ipotesi che il ritratto fosse opera di Siciolante, congettura che per ·molte ragioni ha il suo valore 2 • Eseguito ad affresco e poi trasportato su tavola, ·il ritratto è molto vicino allo stile di Siciolante. Lionello Neppi trova una somiglianza sorprendente con il ritratto dell'affresco Scipione offre una corona a Caio Lelio (fig. 39c) di palazzo CapodiferroSpada 3 • Somigliante nella tipologia del volto è lo spettatore all'estrc-


236

Catalogo delle opere

ma destra dell'Adorazione dei pastori (fig. 42a) di Santa Maria della Pace. Ma il trattamento lineare della barba del papa è assai diverso da quello dello spettatore e di altre figure a questa somiglianti, ad esempio il San Girolamo (fig. 37c) di Sermoneta. In quanto eseguito durante il pontificato di Giulio III (1550-1555), il ritratto del pontefice ricorda per molti aspetti le opere dipinte da Siciolante in questo periodo. Se l'affresco proviene realmente da palazzo CapodiferroSpada, questa è una ragione di più per ritenerlo opera di Siciolante. 1

La Galleria Spada, 1954, p. 116.

2 BRUNO, Girolamo, CXXXIII, 1974, 3 NEPPI, Palazzo Spada, 1975, p . 43.

B-6.

p. 78.

ROMA

Collezione privata (Casa Licitra) Adorazione dei Pastori

Nel 1932, Adolfo Venturi vide questa opera in una collezione privata 1• Non esistono altre notizie, e non si può verificare l'esattezza dell'attribuzione.

i

J

1 VENTURI,

Storia, IX, 5, 1932, p . 592.

B-7 STALYBRIDGE

Biblioteca comunale e galleria d'arte Astley Cheetham Madonna con Bambino (fig. 102) Olio su tavola; m. 0,57 X 0,50 Nel 1974, sulla base di affinità stilistiche con la Sacra Famiglia di Parma (fig. 19), Valentino Pace attribul a Siciolante questa Madonna con Bambino 1• Sebbene nel dipinto si riscontrino in realtà numerose somiglianze con lo stile dell'artista, tuttavia è impossibile fissare la data del periodo compreso tra gli anni 1545 e 1548. In particolare, la maniera di trattare le stoffe nella Madonna di Stalybridge è assai


III. Attribuzioni incerte

237

più semplice delle complesse ed eleganti pieghe ornamentali presenti nel quadro di Parma e nella pala di San Martino (fig. 20) . Anche limitando il giudizio dell'osservazione di questa sola particolarità, se il dipinto fosse veramente di Siciolante, la data più corretta sarebbe gli ultimi anni del decennio 1550 o i primi anni del decennio 1560, circa lo stesso periodo del ciclo di affreschi la Vita di Adone in palazzo Orsini (figg. 41b - 41e) e della Madonna Pini (fig. 47). Un raffronto tra i lineamenti della Madonna di Stalybridge - occhi, naso, bocca - con altre opere di Siciolante denota differenze piccole ma fondamentali. Nella migliore delle ipotesi, il dipinto di Stalybridge potrebbe definirsi un'opera di incerta attribuzione a Siciolante. 1 PACE,

Un dipinto, XXV, 1-2, 1974, pp. 69-70.


IV. Attribuzioni erronee Le voci sono elencate secondo l'ordine alfabetico della località, le illustrazioni in ordine numerico.

C-2. CASAMARI (FROSINONE)

Collezione privata Anonimo Madonna e Bambino in trono con Santi (fig. 103) Questa Madonna e Bambino in trono con Santi fu attribuita a Siciolante nel 1974 da Raffaele Bruno, il quale era convinto che il dipinto risalisse all'epoca della pala di San Martino (fig. 20) 1• Non c'è alcun rapporto con lo stile di questo dipinto. Il modo levigato, quasi scultoreo, di trattare la stoffa nella veste della Madonna è più somigliante alle opere mature di Siciolante, quali ad esempio la Madonna Pini (fig. 47) del 1561. Ad ogni modo, i lineamenti dei volti, e la fisionomia di Gesù Bambino sono differenti.

l BRUNO,

C2.

Girolamo, CXXXIII, 1974, p. 68.

CASAMARI (FROSINONE)

Pinacoteca Anonimo Martirio di san Lorenzo

II Martirio di san Lorenzo nella Pinacoteca di Casamari è attribuito a Siciolante, ma non ha alcuna somiglianza con lo stile dell'artista 1 • 1 FARINA e POllNAlll,

L'architettura, 1978, pp. 126, 130, fig. 72.


IV. Attribuzioni erronee

C-3.

239

FIRENZE

Galleria Pitti Anonimo La Pazienza (fig. 104) Olio su tela, misure non reperibili (n. 399) Nel 1951 Federico Zeri attribul a Siciolante la Pazienza di Firenze 1, datandola nel periodo giovanile. Sebbene sia possibile riscontrare qualche lieve somiglianza nella tipologia e nella maniera di trattare i tessuti, pure questo dipinto non ha niente in comune con le opere documentate del primo periodo di Sidolante, né con le opere successive. Qui la figura femminile è più sensuale e più aggraziata che nelle donne di Siciolante. I particolari di viso, mani, piedi sono assai diversi dalle opere autentiche di Sidolante. 1 ZERI, Intorno, XXXVI, 1951, p . 149, n. 13; WATERHOUSE, Some Frescoes, CXII, 1970, p. 104; BRUNO, Girolamo, CXXX, 1973, p. 69, n. 3.

C4.

FOSSATO (SERMONETA)

Chiesa di Santa Maria del Fossato (Beata Vergine Lauretana) Seguace di Siciolante Madonna e Bambino con due santi vescovi, 1565 Nella sua storia elaborata circa 1766 Pietro Pantanelli riferisce di vari dipinti di Siciolante in diverse località nei pressi di Sermoneta, tra i quali una Madonna e Bambino con due santi vescovi a Santa Maria del Fossato (Beata Vergine Lauretana) nei pressi di Sermoneta: Fu l'immagine di Maria Vergine col Bambino Gesù, sedente sopra una casa, dipinta nel 1565, dal dotto pennello del nostro Girolamo Siciolante, in una nicchia sopra il portone di detto podere, con due santi vescovi ne' lati ad istanza del devoto sacerdote don Cesare Pasquali, di cui in qud tempo era l'accennato podere, ad uso di vigna 1•

Federico Zeri attribul questo dipinto -a un seguace locale di Siciolante 2 • l PANTANELLI, Notizie, I, 1972,· p. 19. PANTANELLI (Notizie, II, 1972, p . 93) dice pure: « fu la medesima dipinta dal nostro Girolamo Siciolante ad istanza del devoto sacerdote don Cesare Pasquale nd 1565, come se ha da certe notizie manoscritte. I nostri duchi vi contribuirono legnami et altri cose necessarie ». Vedi MORONI, Dizionario, LXXXIX, 1858, p . 122. 2 ZERI, Intorno, XXXVI, 1951, p. 149, n. 12.


240

C5.

Catalogo delle opere GAETA (LATINA)

Palazzo De Vio Anonimo Stendardo per la battaglia di Lepanto (Crocifissione), 1571 Olio su tela Lo stendardo per la battaglia di Lepanto, con la Crocifissione dipinta sulle due facce, è attribuito a Siciolante, ed è datato 1571 1• Stilisticamente, le due Crocifissioni sul retro e sul verso si differenziano dalla Crocifissione (fig. 89) di San Giovanni in Laterano, eseguita nel 1573, e dalle altre opere di Siciolante dello stesso periodo. 1 MORTARI,

Il restauro, XLI, 1956, pp. 343-344; Arte a Gaeta, 1976, pp.

134-137, n. 59.

C-6. GENOVA - CORNIGLIANO

Santuario di Nostra Signora di Coronata Anonimo Sacra Famiglia con san Giovannino Battista Olio su tavola, m. 1,43 X 1,17

La Sacra Famiglia con il san Giovannino Battista fu attribuita a Siciolante nel 1983 1 • Precedentemente era ritenuta opera della scuola di Raffaello, o di Perino del Vaga. Non potendo più a lungo insistere sull'attribuzione a Perino, si decise che Siciolante ne fosse l'autore, in quanto artista appartenente alla cerchia di Perino. Ma un accurato confronto di questo dipinto con le opere giovanili (dal 1541 al 1545) dimostra che né la tipologia, né i lineamenti, né gli elementi paesistici possono far pensare alle opere autentiche di Siciolante. Le nozze di Alessandro con Rossana (fig. 16a) sono l'esempio perfetto della maniera in cui Siciolante copiava un'opera di Raffaello.

1 ALGERI,

Girolamo, in Raffaello, 1983, pp. 93-98.


l. IV. Attribuzioni erronee

C7.

241

NAPOLI

Museo nazionale di Capodimonte Anonimo Santa Caterina (fig. 105) Nel 1915-1916 Theodor von Frimmel pubblicò questa Santa Caterina attribuendola a Siciolante 1• In realtà, il dipinto porta una firma: Jeronimo Sarmonetta. f. che permise l'attribuzione. Però va tenuto presente che mai Siciolante scrisse il suo nome in questo modo. Sempre scelse la forma latina Hieronymus per Girolamo e Sermoneta, non Sarmonetta. A parte la presenza del nome, il quadro non ha a che vedere con lo stile di Siciolante. 1 VON FRIMMEL,

Zu Siciolante, Il, 1915-1916, p. 24;

BOLOGNA,

Roviale, 1959,

p. 74.

C-8.

NAPOLI

Quadreria dei Girolamini Anonimo Crocifissione (fig. 106) Non si sa né come né perché questa Crocifissione sia stata attribuita a Siciolante. Infatti non ha niente a che vedere con lo stile dell'artista. 1

Napoli, 1976, p. 236.

C-9. PALESTRINA (ROMA)

Cattedrale di Sant'Agapito, sacristia Carlo Saraceni? Martirio di Sant'Agapito Nel testo del 1766 circa, Pietro Pantanelli riferiva che Siciolante aveva dipinto un Martirio di sant'Agapito per Palestrina: « Nella Sacrestia della cattedrale di S. Agapito in Palestrina v'è una gran tela

I


242

Catalogo delle opere

a olio del martirio del santo, assai bella, che già si venerava nell'altar maggiore » 1 • Questo dipinto, se pure è mai stato nella cattedrale, oggi non c'è. E' probabile che Pantanelli abbia scambiato un'opera di Carlo Saraceni, con lo stesso argomento, per un quadro di Siciolante. 1 PANTANELLI,

C-10.

Notizie, I, 1972, p. 601;

MORONI,

Dizionario, LI, 1851, p. 28.

PARMA

Pinacoteca Anonimo

Adorazione dei pastori {fig. 107) Olio su tavola, m. 0,89 X 0,75 (n. 184) Hermann Voss nel 1920 menzionò questa Adorazione dei pastori attribuendola a Siciolante 1 • Però, come osserva Raffaele Bruno, si tratta di una copia, non di mano di Siciolante, che manca della precisione dei particolari caratteristica dell'affresco di San Tommaso in Cenci (fig. 65e) . Anche l'Annunciazione (fig. 115) di palazzo Caetani è la copia di un affresco (fig. 65f) proveniente dalla stessa chiesa 2 • 1

voss, Die Malerei, I, 1920, p . 104;

GHIDIGLIA QUINTAVALLE,

Tesori, 1968,

p. 58. 2 BRUNO,

Cll.

Girolamo, CXXXIII, 1974, p. 68.

PERUGIA

Chiesa di Santa Maria Nuova Anonimo

Madonna e Bambino con i santi Pietro, Paolo e Giovannino Battista (fig. 108) Olio su tavola

Nel 1973 Raffaele Bruno ha attribuito a Siciolante questa Madon-

na e Bambino con i santi Pietro, Paolo e Giovannino Battista 1• Il dipinto è una variante di un quadro di Perino del Vaga, che non


IV. Attribuzioni cnoncc

243

si sa dove sia finito 2 • Di questo quadro Bernice Davidson ha pubblicato un disegno, che si trova al Victoria and Albert Museum di Londra, attribuendolo a Siciolante 3 • Ma di Siciolante non è, come non è di Siciolante il quadro di Perugia, privi entrambi delle qualità stilistiche dell'artista. Un raffronto tra il disegno e la Sacra Famiglia di Parma denota infatti profonde diversità nelle proporzioni dei corpi, nelle tipologie somatiche e psicologiche, nella qualità del segno. Mentre si può dire che la composizione del dipinto ricordi quella della Sacra Famiglia, il resto differisce sostanzialmente dagli altri dipinti di Siciolante. 1 BRUNO, Girolamo, CXXX, 1973, pp. 59-60, 70-71, n. 12. 2 Vedi FRABETTI, S11/le tracce, CXXVII, 1958, p. 201, fig. 3 DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p. 56. Vedi

C12.

9. Catalogo, XD-13.

ROMA

Collegio Spagnolo (Santa Maria di Monserrato) Anonimo Madonna con Bambino Affresco

Nel 1980 Teresa Pugliatti attribul a Siciolante questa Madonna con Bambino, l'affresco nel collegio spagnolo di Santa Maria in Monserrato, e lo datò nel 1549 circa 1• Il suo assunto si basa sul raffronto stilistico tra opere di Siciolante appartenenti a periodi diversi, e gli affreschi della Sala Paolina in Castel Sant'Angelo a lui attribuiti. Comunque, un attento confronto con le opere documentate dei tardi anni 1540 dimostra come la Madonna con Bambino non abbia niente in comune con lo stile dell'artista. Corporatura, lineamenti, tecnica pittorica sono assai diversi dalle opere autentiche dell'artista, quali ad esempio i dipinti de La Bastie d'Urfé (figg. 27a - 27k), il Battesimo di re Clodoveo (fig. 30a), la Presentazione della Vergine al tempio (fig. 32). 1 PUGLIATTI,

Due momenti, IV, 1980, pp. 11-14.


244

C13.

L'indice delle opere ROMA

Galleria Borghese Anonimo Sacra Famiglia (fig. 109) Olio su tavola, misure non reperibili (n. 145) Attribuito a Siciolante da Raffaele Bruno nel 197 4, questa Sacra Famiglia sembra avere qualche superficiale somiglianza con lo stile di Siciolante dei tardi anni 1550 e dei primi anni 1560, in modo particolare con la Madonna Pini (fig. 47), datata 1561 1• Tuttavia, è assente il carattere particolare dei lineamenti dei volti. La Sacra Famiglia della galleria Borghese è probabilmente opera di un artista che aveva piena conoscenza delle tecniche usate da Siciolante e da altri pittori contemporanei nel trattamento dei volti, delle stoffe, dei motivi ornamentali. 1 Galleria Borghese, II, 1959, pp. 101-102, n. 145; 1974, p. 66.

C-14.

BRUNO, Girolamo, CXXXIII,

ROMA

Galleria nazionale d'arte antica; palazzo Barberini Anonimo Sacra Famiglia con san Giovannino (fig. 110) Olio su tavola, m. 1,19 X 0,92 (n. 1329) Federico Zeri attribuisce a Siciolante questa Sacra Famiglia con san Giovannino, perché appartenente allo stesso impianto stilistico della Sacra Famiglia nella collezione Volpi di Misurata (fig. 121). Cioè, Zeri suggerisce l'influenza di Jacopino del Conte nell'attività giovanile di Siciolante 1• Tuttavia va tenuto presente che questa influenza non si manifesta né nella Pietà dei SS. Apostoli (fig. 11), né nella Sacra Famiglia di Parma (fig. 19). Questa Sacra Famiglia della Galleria nazionale si differenzia dalle opere giovanili autentiche: le figure sono muscolose, alla maniera di Michelangelo, le pieghe dei tessuti sono morbide, e mancano di quel susseguirsi di increspature caratteristico delle opere giovanili di Siciolante 2 • 1 ZERI, Intorno, XXXVI, 1951, p . 142; Catalogo della Galleria Nazionale, 1964, p. 54. 2 DAVIDSON (Some Early Works, XLVIII, p. 64, n. 49) e BRUNO (Girolamo, CXXX, pp. 63-65) vedono quest'opera come rappresentativa dello stile di Jacopino del Conte, sebbene non escludano l'attribuzione a Siciolante.


IV. Attribuzioni erronee

Cl5.

245

ROMA

Galleria nazionale d'arte antica; palazzo Corsini (in deposito presso la biblioteca della Camera dei deputati, Montecitorio) Anonimo Ritratto di prelato (fig. 111) Olio su tavola, m. 0,63 X 0,48

Raffaele Bruno attribuisce a Siciolante questo Ritratto di prelato, Monsignor Giberti probabilmente, e riferisce che il dipinto si trovava nella biblioteca della Camera dei deputati a Montecitorio 1• Raffaele Bruno nota una certa somiglianza con il ritratto di Matteo Malvezzi nella pala di San Martino (fig. 20). Ma il buio che avvolge la figura, come la forte luce che cade sul viso e mano del modello, non sono riscontrabili in altri ritratti di Siciolante.

1 BRUNO,

C-16.

Girolamo, CXXXIII, 1974, p. 74.

ROMA

Galleria nazionale d'arte antica; palazzo Barberini Anonimo Ritratto di cardinale (fig. 112) Olio su tela, m. 1,02 X 0,72 (n. 1191)

Nel 1932 Adolfo Venturi pubblicò questo Ritratto di cardinale, allora a palazzo Corsini, attribuendolo a Siciolante 1• Il Ritratto, oggi in deposito presso la Galleria d'arte antica, somiglia, in fotografia più che nella realtà, allo stile dell'artista. La tecnica pittorica manca tuttavia di quelle lisce superfici descrittive peculiari dell'opera di Siciolante, e il colore è sobrio. Il personaggio seduto non è descritto con la consueta ricerca del particolare naturalistico, tipico dei ritratti autentici di Siciolante.

1 VENTURI, Storia, IX, 5. 1932, pp. 562-563; Catalogo della Galleria Nazionale, 1964, p. 55; BRUNO, Girolamo, CXXXIII, 1974, p. 74. Desidero ringraziare la dottoressa Giuseppina Magnanini per la sua cortese assistenza.


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246

Catalogo delle opere

C-17.

ROMA

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Galleria nazionale d'arte antica; palazzo Barberini (in deposito a Tivoli, Villa d'Este) Anonimo Sant'Andrea Olio su tela, misure non reperibili Teresa Pugliatti attribuisce questo Sant'Andrea a Siciolante, e sostiene che si tratta del dipinto eseguito dall'artista per Sant'Andrea in via Flaminia 1 • Ma, secondo una lettera di Bartolomeo Ammannati del 3 maggio 1555, l'argomento della pala fatta da Siciolante per questa chiesa risultava essere l'Assunzione di Maria. Dunque, il sant'Andrea non era stato ideato per la chiesa di via Flaminia. Oltre a questa ovvia osservazione, esiste anche una precisa dichiarazione di Vasari, secondo il quale Pellegrino Tibaldi aveva dipinto un San Pietro e un Sant'Andrea per le nicchie ai lati dell'altare. Ammannati descrive i dipinti per le nicchie: san Pietro, sant'Andrea, san Paolo, san Giovanni. Non c'era motivo di raffigurare due volte sant'Andrea, una volta nella nicchia, e una vicino all'altare. Teresa Pugliatti fa un raffronto stilistico con diverse opere di Siciolante, appartenenti a diversi periodi. La somiglianza più convincente è con la Trasfigurazione (fig. 88). Ma se il Sant'Andrea è di Siciolante, e se è un'opera tarda come lo è la Trasfigurazione, allora dovrebbe somigliare agli altri lavori nei particolari dell'anatomia, dei lineamenti, del modo di trattare panneggi, colore, paesaggio, luce. Invece la figura è massiccia, una presenza vigorosa e audace, diversa dal Siciolante delle opere del decennio 1570: insomma, Sant'Andrea è il prodotto di mentalità e sensibilità artistiche assai diverse. 1 Il dipinto IV, pp. 14-18.

C-18.

~

in deposito a Tivoli, Villa d'Este.

PUGLIATTI,

Due momenti,

ROMA

Galleria Spada Anonimq Ritratto di cardinale (fig. 113) Olio su tela, m. 0,97 X 0,87 (n. 203) Nel 1951 Federico Zeri affermò che il Ritratto di cardinale della galleria Spada di Roma aveva molta somiglianza, soprattutto di stile, con le opere di Siciolante, ad esempio con il Ritratto di cardinale di


IV. Attribuzioni erronee

247

palazzo Barberini (fig. 112) e con la pala di San Martino (fig. 20) 1• Questo Ritratto, tradizionalmente assegnato a Scipione Pulzone, non somiglia ai ritratti autentici di Siciolante: il cardinale della galleria Spada è descritto molto realisticamente, ma non nello stile di Siciolante. Sono stati oggetto di un attento esame la carnagione, le guance colorite, la pallida fronte lucida, e le mani, che hanno vene piuttosto sporgenti. L'insieme dà la sensazione di un corpo vivo e vitale, assai diverso dal realismo stilizzato di Siciolante. 1 ZERI, Intorno, XXXVI, 1951, p . 149, n . 13; La Galleria Spada, 1954, pp. 125-126; PIETRANGELI, Rione VII - Regola, 2, 1972, p . 100; BRUNO, Girolamo, CXXXIII, 1974, p. 75; ZERI e MORTARI, La Galleria, 1970, itinerari n. 27.

Cl9.

ROMA

Museo di Roma, palazzo Braschi Anonimo Argomento religioso (la Passione di Cristo?) Figure maschili, figure alate Tre frammenti di affresco Già a Roma, chiesa di Sant'Orsola della Pietà (oratorio di San Giovanni dei Fiorentini) (figg. 114a-114c)

Il Museo di Roma attribuisce a Siciolante questi tre frammenti di affreschi, provenienti da Sant'Orsola della Pietà. Mentre è verosimile che l'artista abbia eseguito affreschi e una pala per questa chiesa, questi dipinti non sono di mano sua 1• Due frammenti rappresentano le teste di due figure. Il terzo frammento mostra due figure alate e nude, una delle quali è un putto. Per tecnica, tipologia e atteggiamenti delle figure, questi affreschi si differenziano dagli altri affreschi documentati di Siciolante. Sebbene attribuiti a Siciolante, ci sono prove sufficienti per assegnare questi affreschi a Taddeo e a Federico Zuccari. Nella vita di Taddeo Zuccari, Vasari fa il nome di sant'Orsola, identificandola tuttavia con la Compagnia di Sant'Agata dei Fiorentini. Scrive Vasari che Federico Zuccari, ristabilito dopo una malattia, raggiunse Taddeo a Roma, dove la settimana santa, nella Compagnia di Sant'Agata dc Fiorentini, che ~ dietro a Banchi dipinsero ambiduc in quattro giorni per un ricco apparato, che fu fatto per lo giovedl e vcnerdl santo, di storia di chiaroscuro tutta la Passione di Cristo nella volta e nicchia di quello oratorio, con alcuni Profeti ed altre pitture che feciono stupire chiunque le vide 2•


248

Catalogo delle opere

Secondo John Gere questi dipinti avrebbero potuto essere eseguiti nel 1560. Riferisce anche che nel novembre 1564 Taddeo ebbe l'incarico di dipingere un altro affresco, il cui argomento non ci è noto, per l'oratorio 3• Però, poiché Gere non commenta l'attribuzione de gli affreschi provenienti da Sant'Orsola da parte del Museo di Roma, non conosciamo quale sia la sua opinione circa la possibile attribuzione di questi lavori a Taddeo e a Federico Zuccari.

I'

Vedi Catalogo, A-15a e A-15b. Le vite, VII, 1881, p. 87. Vedi anche SALERNO, SPEZZAFEJtRO e Giulia, 1973, pp. 258-259; PIETRANGELI, Rione V - Ponte, 4, 1975, pp. 11-16; Quadri, 1979, p . 11. l GERE, Taddeo Zttccaro, 1969, pp. 77, n. 1, 89-91. I

2 VASARI, TAFURI, Via

G20.

)

ROMA

Palazzetto Cenci Giovanni Guerra da Modena Storia di Mosè Affresco

Nel libro su Beatrice Cenci, a proposito del palazzetto dell'Arco de' Cenci, Corrado Ricci cosl scrive: Uno dei cavalcavia è il famoso Arco de' Cenci tuttora esistente, su cui, come vedremo, si trovava una gran sala che si scorge tuttora quantunque divisa, da tramezzi, in tre stanze e un piccolo corridoio. Si andava per esso alla cosidetta Palazzina, nella quale rimangono il bel cortile cinquecentesco sul fare dell'Ammannati, e, nelle stanze superiori, in gran parte rimodernate qualche fregio con le storie di Mosè, dipinte forse dal Sermoneta 1•

Mario Bevilacqua ha mostrato che il Palazzetto, costruito da Martino Longhi il Vecchio, fu iniziato nel 1579, e l'affresco con la storia di Mosè fu parzialmente eseguito nel 1583 da Giovanni Guerra da Modena 2 • Questa documentazione esclude la possibilità della partecipazione del Siciolante all'opera.

1 JUCCI,

Beatrice, I, 1923, p. 14;

ZORZI,

Le decorazioni, VIII, 1964, p. 8,

n. 6.

2 BEVILACQUA,

Il Monte dei Cenci, 1988, pp. 185-223.


IV. Attribuzioni erronee

C-21.

249

ROMA

Palazzo Caetani Anonimo Annunciazione (fig. 115) Olio su tavola?

Nel 1951 Federico Zeri fu il primo a pubblicare l'Annunciazione di palazzo Caetani a Roma 1• Questo dipinto, di cui si è persa ogni traccia, è una variante sullo stesso tema del dipinto che si trova a San Tommaso in Cenci, e al pari dell'Adorazione dei Pastori di Parma (fig. 107) non è di Siciolante. Cambiando la posizione da verticale a orizzontale, l'artista dell'Annunciazione ha trasportato l'Angelo più vicino alla Vergine, e ha elevato storcendolo il braccio dell'Angelo ad indicare la colomba dello Spirito Santo. Una posa tanto goffa non è ascrivibile a Siciolante. In più, i particolari della decorazione del pavimento sono assai diversi dagli schemi semplici e netti preferiti da Siciolante. L'imitatore ha eseguito con perizia le forme proprie di Siciolante, ma non ha saputo infondervi né la precisa solidità del maestro né il ritmo a lui peculiare. 1 ZERI, Intorno, XXXVI, 1951, p. 149, n. 13; 1974, p. 79, n. 27.

C-22.

BRUNO,

Girolamo, CXXXIII,

ROMA

Palazzo Massimo alle Colonne Anonimo Ritratto di Angelo Massimo

Nel 1954 Giuseppe Ceccarelli (Ceccarius) pubblicò il ritratto di Angelo Massimo come possibile opera di Siciolante 1• Sebbene l'impianto del dipinto possa far pensare al Ritratto di Francesco II Colonna (fig. 48), non vi è alcuna somiglianza con lo stile di Siciolante.

l CECCARIUS,

I Massimo, tav. X.


I •

250

Catalogo .-delle opere

C-23.

ROMA

Chiesa di San Carlo ai Catinari; sacristia Anonimo Crocifissione (fig. 116) Olio su tela, m. 1,07 X 0,76

La Crocifissione della sacristia della chiesa di San Carlo ai Catinari è una copia ridotta in piccolo, non di mano di Siciolante, del quadro {fig. 89) di San Giovanni in Laterano (fig. 89) 1• L'imitatore ha riprodotto tutti i particolari, ma non è stato capace di rendere né la fisionomia dei volti né gli atteggiamenti delle persone.

1 TOESCA,

C-24.

Due opere, XVI, 187, 1965, p. 59, n. 6.

ROMA

Chiesa dei SS. Cosma e Damiano in via Ambrogio Contarini Anonimo Crocifissione con san Francesco e santa Chiara (fig. 117) Olio su tavola, m. 2,05 X 1,55

Ilaria Toesca fu la prima a riconoscere nella Crocifissione con san Francesco e santa Chiara un'opera di Siciolante 1 • A suo parere questo dipinto, collocato sopra l'altar maggiore, si basa sulla Crocifissione Massimo di San Giovanni in Laterano (fig. 89), e poiché questa porta la data del 1573, la tavola dei SS. Cosma e Damiano è certamente posteriore. Se eseguita da Siciolante, appartiene agli anni tra il 1573 e il 1575. Tuttavia, a prescindere dal Cristo crocifisso, quasi niente in questo dipinto - né le fisionomie, né l'atteggiamento delle figure, né la maniera di trattare le stoffe - ricorda le tarde opere di Siciolante, quali ad esempio la Trasfigurazione (fig. 88) o la p_ala di Bonifacio (fig. 91) . · · I colori smorzati, sui quali predomina il grigio e il marrone, sono inusuali nelle opere documentate di Siciolante. La Crocifissione, verosimilmente, è stata dipinta da un altro artista, che ha preso a modello la Crocifissione Massimo. La Toesca dice· che il dipinto potrebbe provenire da San Silvestro in Capite o da San Cosimato. Però non può trattarsi del dipinto che si dice Siciolante avesse fatto per la chiesa di San Silvestro, poiché si è parlato di una Immacolata Con-


I,

II IV. Attribuzioni · erronee

251

cezione 2 • Né si è trovata alcuna documentazione a provare che questo dipinto fosse a San Cosimato. 1 TOESCA, Due opere, XVI, 187, 1965, 2 BRUNO, Girolamo, CXXXVI, 1974, p.

C25.

p . 58.

45.

ROMA

Chiesa di Santa Francesca Romana (Santa Maria Nova); sacristia Anonimo Ritratto di Paolo III con un personaggio di curia (fig. 118) Olio su tavola, m. 1,22 X 1,07

Nella guida di Roma del 1840, Giuseppe Melchiorri parla di un quadro a Santa Francesca Romana: « Nel convento nella camera capitolare evvi un bel quadro di Pierino del Vaga rappresentante Paolo III e Reginaldo Polo » 1• Nel 1920 Herman Voss aveva nuovamente attribuito questo quadro a Siciolante 2, ma Federico Zeri aveva suggerito che l'autore fosse Jacopino del Conte 3 • E' sicuro che la tavola, ora nella sacristia della chiesa, non è di Siciolante. Lo sfondo architettonico, presentato in scorcio diagonale, è un espediente del tutto estraneo allo stile di Siciolante. I personaggi non hanno le qualità di minuzioso realismo e di idealizzazione raffinata peculiari della ritrattistica di Siciolante, delle quali è un esempio convincente il ritratto di Matteo Malvezzi nella pala di San Martino (fig. 20). Il personaggio della curia non è il cardinale Reginaldo Polo. Infatti, non c'è nessuna somiglianza con il ritratto eseguito da Sebastiano del Piombo, che si trova all'Hermitage di Leningrado (San Pietroburgo). Nel dipinto di Santa Francesca Romana il personaggio ritratto indossa un manto scuro, tiene i guanti nella mano sinistra e nella destra un documento, e non ha la tonsura. Molto probabilmente, non si tratta di un prelato, bensl di un funzionario della curia. 1 MELCHIOltRI, Guida metodica, 1840, p. 350. Vedi anche NIBBY, Roma, parte I moderna, 1839, p. 766. 2 voss, Die Malerei, I, 1920, p . 109. Vedi anche LUGANO, S. Maria Nova, n.d ., fig. 16; FAVORINI, Il ritratto, XXXII, 1929, pp. 165-168; VENTURI, Storia, IX, 5, 1932, pp. 560-561. 3 ZERI, Salviati, II, 1948, p. 183, n. 2; URBANI, Schede, III-IV, 1950, pp. 103-104; DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p . 64, n. 49; BUCHOWIECKI, Handbuch, III, 1974, p . 56; BRUNO, Girolamo, CXXXIII, 1974, p. 74.


2.52

C-26.

Catalogo delle opere ROMA

Chiesa di San Francesco a Ripa; coro Anonimo San Bonaventura e san Bernardo in adorazione della SS. Trinità (fig. 119)

Olio su tavola, m. 1,53 X 1,22 Nel 1951 Federico Zeri notava che San Bonaventura e san Bernardo in adorazione della SS. Trinità aveva una assai stretta attinenza con lo stile di Siciolante 1• Il quadro, che a quel tempo si trovava nel convento di San Francesco, è uno strano dipinto, composto di motivi copiati dalle tarde opere di Siciolante. Il Cristo sembra la figura della Crocifissione Massimo (fig. 89), i due angeli sembrano usciti dalla Assunta Sforza (fig. 87a), il gruppo della Trinità è un adattamento libero del Martirio di santa Caterina della cappella Cesi (fig. 76a), e i due santi inginocchiati ricordano quelli della pala di Bonifacio (fig. 91). Questa pala di San Francesco è concepita in maniera simile a quella delle tarde opere di Siciolante. Tuttavia, la ripetitività dei motivi, in luogo di quell'adattamento creativo peculiare dell'artista, esclude il nome di Siciolante. La spiegazione più verosimile della somiglianza con altre opere, è che un altro artista, o particolarmente interessato alla pittura di Siciolante o con libero accesso alle opere di quest'ultimo, abbia creato il dipinto, esprimendo la propria personalità con l'aggiunta del delicato paesaggio incorniciato dal portale. A questo dipinto somiglia molto l'opera di Bartolomeo Cesi. 1 ZERI, Intorno, XXXVI, 19.51, p. 149, n. 13; BRUNO, Girolamo, CXXXVI, 1974, p. 46, n. 66; MENICHELLA, San Fra11cesco, 1981, p. 46.

C27.

ROMA

Chiesa di Santa Maria della Concezione; coro Marco Pino Noli me tangere (fig. 120) Olio su tela, m. 2,00 X 1,60 Nel 1765, quando il Roisecco rifed che nel coro di Santa Maria della Concezione c'era l'Annunciazione di Siciolante (fig. 86), menzionò contemporaneamente un altro dipinto nello stesso luogo, che egli reputava appartenere alla medesima mano « la Maddalena con Cristo in figura di ortolano » 1 • Numerosi studiosi dopo Roisecco


IV. Attribuzioni erronee

253

confermarono questa attribuzione, in particolar modo Luisa Mortari

nel rapporto sul restauro avvenuto nel 1972 2 • La Mortari prendeva atto del fatto che questo quadro non comparisse più negli elenchi dei quadri cli Siciolante, ma si dichiarava sicura che l'autore fosse lui. Invece, già nel 1966 Bernice Davidson aveva affermato che il Noli me tangere era opera di Marco Pino, non di Siciolante 3 • Nessuno di questi studiosi ha fornito una spiegazione all'attribuzione; resta comunque il fatto che il dipinto certamente non è cli Siciolante; potrebbe essere di Marco Pino. I colori non sono della tavolozza di Siciolante - indumenti azzurri e violetto pallido, paesaggio bruno e verde 4 • Le figure di Cristo e della Maddalena hanno una più grande energia, una maggiore determinazione e, si potrebbe aggiungere, anche una grazia più evidente dei personaggi di Siciolante. I volti con sopracciglia marcate, occhi grandi, labbro inferiore carnoso, espressioni commosse sono certamente diverse dalla maniera cli Siciolante, e sono somiglianti ai tratti del volto che ritroviamo nel Cristo morto di Marco Pino, nella chiesa di Santa Maria in Aracoeli 5 • Il paesaggio, che in molte opere di Siciolante ha un ruolo complementare seppure importante, nel Noli me tangere è più ricco nel primo piano e più particolareggiato nello sfondo cli quanto lo sia nei lavori cli Siciolante. Lo stile del Noli me tangere non ha rapporto con lo stile cli Siciolante. Roma, II, 1765, p. 229. Restauri, 1972, p . 29. Vedi anche PANTANELLI, Notizie, I, 1972, p . 601; DOMENICO DA ISNELLO, Il convento, 1923, p . 110; IGINO DA ALATRI, Guida, 1930, p . 62; BUCHOWIECKI, Handbuch, II, 1970, p . 566; LOTTI, LA chiesa, XIV, 5-6, 1973, p. 52. 3 DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p. 64, n. 49. Vedi anche Quadri, 1979, p. 19. 4 Il Noli me tangere non è esaminato tra le opere di Marco Pino. BOREA, Grazia e furia, XIII, 151, pp. 24-52. 5 MORTARI, Restauri, p. 29, afferma che il rosso e soprattutto il bruno sono stati alterati dal solvente adoperato nella prima ripulitura. l ROISECCO,

2

C-28.

ROMA

Collezione Volpi di Misurata Anonimo Sacra Famiglia con san Giovannino Battista (fig. 121) Olio su tavola, misure irreperibili Già a Roma, Galleria Chigi Nel 1951 Federico Zeri attribul a Siciolante questa Sacra Famiglia con san Giovannino Battista 1, basandosi sulla valutazione stilistica dell'influenza cli Jacopino del Conte nella formazione giovanile di Si-


2.54

Catalogo delle opere

ciolante, come dimostrato dalla Sacra Famiglia. Ma il ragionamento non è giusto, perché questo dipinto della collezione Volpi è stilisticamente molto diverso dalle opere giovanili di Siciolante, che dovrebbero servire da riferimento. Un attento confronto con la pala di Valvisciolo (fig. 1), con la Pietà di Poznan (fig. 11) e con la Sacra Famiglia di Parma (fig. 19) mostra la grande diversità 2 •

1 ZERI, Intorno, XXXVI, 19.51, p . 142; ZERI, Pittura, 19.57, p . 37, n. 2. 2 DAVIDSON rifiuta l'attribuzione. DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 63, n. 49; CHENEY, Notes, LII, p. 37.

C-29.

p.

SIENA

Pinacoteca nazionale Anonimo Sacra Famiglia con santa Elisabetta e san Giovannino (fig. 122) Olio su tavola, m. 1,38 X 1,06 (n. 538)

La Sacra Famiglia con santa Elisabetta e san Giovannino è attribuita a Siciolante da Cesare Brandi, sulla base di somiglianze stilistiche con la Sacra Famiglia di Parma (fig. 19), la Madonna con Bambino Colonna (fig. 66b), la Madonna con Bambino Pini (fig. 47) 1• In realtà, non c'è affinità tra il quadro di Siena e gli altri lavori documentati. Questa variante della Madonna della perla di Raffaello è del tutto estranea allo stile di Siciolante. Sebbene Siciolante si rifacesse molto spesso a Raffaello e agli altri artisti del tempo (figg. 16a - 16c), sempre egli imponeva alle figure copiate le caratteristiche dei volti che preferiva. Questa particolarità è assente dalla Sacra Famiglia di Siena. 1 Vedi La regia pinacoteca, 1933, p. 362. Vedi anche 108; La pinacoteca, II, 1978, p. 213.

CARLI,

Guida, 19.58, p.


'IV. Attribuzioni erronee

C30.

255

TORINO

Galleria Sabauda Anonimo Venere Urania o Venere della tartaruga (fig. 123} Olio su tela, m. 1,80 X 0,92 (n. 679) Nel 1951 Federico Zeri attribui a Siciolante la Venere Urania o Venere della tartaruga, che si trovava allora all'ambasciata italiana di Londra 1 • Riteneva che si trattasse di un'opera giovanile dell'artista, contemporanea della Pazienza (fig. 104) di Pitti, della Sacra Famiglia, alla Galleria nazionale d'arte antica (fig. 110), di un'altra Sacra Famiglia, della collezione Volpi di Misurata (fig. 121). Né la Venere Urania né queste altre attribuzioni hanno a che fare con lo stile di Siciolante. Se pure il vasto corpo della Venere assomigli alle figure femminili di Siciolante (ma anche a molte figure femminili della metà del Cinquecento), il volto non ricorda né le donne della Pietà dei Santi Apostoli (fig. 11) né la Madonna della Sacra Famiglia di Parma (fig. 19). Anche il drappeggio manca delle caratteristiche di Siciolante, le molteplici piccole pieghe che si susseguono rigide e fitte.

1 ZERI, Intorno, XXXVI, 1951, p. 149, n. 13; DAVIDSON, Som~ Early Works, XLVIII, 1966, p . 64, n. 49; Galleria Sabauda, 1971, p . 230; BRUNO, Girolamo, CXXX, 1973, p. 69, n. 3.

C-31. WIESBADEN

Stadt Museum Anonimo Ritratto del cardinale Innocenzo Cibo (fig. 124) Olio su tavola, m. 1,19 X 0,94 (n. M 168)

Nel 1932 Adolfo Venturi pubblicò questo Ritratto di cardinale con attribuzione a Siciolante nel catalogo per la vendita della collezione Heyle di Monaco 1• Il dipinto, che ora si trova nel museo civico di Wiesbaden, è tuttora attribuito a Siciolante 2• Il cardinale ritratto, che un tempo si riteneva fosse Giovanni Aldobrandini, è in realtà Innocenzo Cibo. La lettera che tiene in mano porta questa scritta: Ill(ustrissi)mo Re(verendissi)mo Cardina(le) Romae Cibo. Innocenzo Cibo fu elevato alla porpora da papa Leone X nel 1513, e morl nel 1550. Se questo è un ritratto dal vero, la data si colloca nel deccnni9


256

Catalogo delle opere

1540. Tuttavia, la minuziosa descrizione degli oggetti sul tavolo si distacca dal realismo stilizzato della pala di San Martino (fig. 20), che è del 1548. Inoltre, le pieghe cascanti del rocchetto da cerimonia e le morbide arricciature della mozzetta sono diverse dai parametri che Siciolante usa quando dipinge i panneggi.

1 VENTURI, 2

Storia, IX, 5 ,1932, p. 591 Kata/og, 1967, (non paginato); BRUNO, Girolamo, CXXXIII, 1974, pp. 74-75.

C-32.

ZAGABRIA

Strossmayerova Galerija Anonimo Sacra Famiglia (fig. 125) Olio su tavola, m. 1,01 X 0,78 (n. 5 G 105)

La Sacra Famiglia di Zagabria è stata attribuita a Siciolante da Grgo Gamulin sulla base di una affinità stilistica con la Sacra Famiglia Barberini (fig. 110) 1• Federico Zeri ha confermato questa attribuzione, e altrettanto ha fatto Raffaele Bruno, mentre Bernice Davidson, l'ha rifiutata 2 • La Sacra Famiglia di Zagabria, al pari del dipinto Barberini, è ritenuta opera giovanile dell'artista. Tuttavia, dal punto di vista stilistico, si differenzia molto dalla Sacra Famiglia di Parma (fig. 19), che è l'unica base valida per un confronto. La Madonna del dipinto di Zagabria ha il collo simile a una colonna; che unisce la testa al busto con una linea assai diversa dai morbidi contorni della Madonna di Parma. La maniera di trattare stoffe e drappeggi non mostra ricorrenti pieghe rigide, tipiche della Sacra Famiglia di Parma.

1 GAMULIN,

Stari Majstori, I, 1961, pp. 40-41, 45. Pillura, 1957, p. 37, n. 2; DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p. 64, n. 49; ZLAMALIK, Strossmayerova, 1967, p. 182; BRUNO, Girolamo, CXXX, 1973, p . 65, n . 17. Ringrazio Eduard Safarik che mi ha dato la traduzione dd testo in iugoslavo. 2 ZERI,


V. I disegni. L'evoluzione dello stile*

La fase periniana

I disegni autentici di Siciolante sono relativamente pochi se paragonati con il totale delle opere eseguite 1• Erroneamente, sono stati attribuiti a Siciolante schizzi ed abbozzi in quantità maggiore, creando incertezza e confusione circa lo sviluppo stilistico e gli scopi che l'artista si prefiggeva in quanto disegnatore. Una volta rimosse le attribuzioni sbagliate, i disegni autentici affiorano in un complesso che porta il marchio inconfondibile del suo stile. Dei disegni conosciuti e pubblicati, i più numerosi sono studi di quadri eseguiti, tuttora esistenti, e con questi possono utilmente venir messi a confronto, il che rende possibile un esame attento del processo creativo di Siciolante lungo tutto l'arco della sua attività. I disegni autentici sono soprattutto studi di figure, e bozzetti (o disegni preparatori definitivi per la composizione finale), eseguiti a tratto lineare alla maniera di Ferino del Vaga, oppure in forma volumetrica, più simili in questo caso agli schizzi di Daniele da Volterra. Lo studio dei disegni di Siciolante facilita la comprensione del processo creativo e dell'iter stilistico dell'artista. Quando durante i primi anni del decennio 1540 Siciolante iniziò a lavorare per conto proprio, aveva già imparato la tecnica del disegno dal suo maestro Ferino del Vaga. Per incarico di Paolo III, a Roma Perino era il responsabile dei più importanti progetti artistici. Inizialmente aiuto nella bottega di Raffaello, Ferino diresse in seguito una squadra di artisti da lui selezionati per i lavori della Sala Regia e degli appartamenti papali in Castel Sant'Angelo, ed è naturale che, per meglio guidare il lavoro degli aiuti, Ferino annotasse le proprie idee sotto forma di schizzi 2• Tra i vari metodi di disegno, Ferino prediligeva il disegno lineare a inchiostro e l'acquarello inchiostrato, e ne è un esempio il Sacrificio (fig. 10) che si trova al Louvre 3 • Con innata facilità e mano leggera e sicura, l'artista tracciava con la penna i fluidi contorni delle forme; poi, sfumando con il pennello la zona del disegno inchiostrato per creare le ombre, lumeggiava con tocchi di biacca i volumi, come se le ombre fossero prodotte da una fonte guidata di luce. Inoltre, creava una immagine in rilievo fatta di luce e ombra, con un lieve arretramento nello spazio. Ferino faceva uso di questa tecnica non solo per fermare una idea sulla carta con pochi tocchi descrittivi e scopi molto precisi, ma soprattutto · per insegnare agli assistenti come imitare il suo stile.


258

Catalogo delle opere

I disegni di Perino plasmarono il Siciolante disegnatore, come risulta evidente dallo studio preparatorio (fig. 2) del Louvre per la pala di Valvisciolo (fig. 1) 4 • Siciolante abbozzò i personaggi con carboncino su carta imbrunita, diminuendo gradualmente la scala di grandezza delle figure, e perfezionandone forma e posizione mediante penna e inchiostro. Usando un tratto lineare sicuro ed energico per i contorni alla maniera di Perino, Siciolante riusd a descrivere particolari quali le pieghe delle stoffe, gli ornamenti per i capelli della Vergine, la dalmatica bordata di Santo Stefano. Solo la figura di Giovanni è descritta in maniera esitante, quasi a casaccio, come se l'artista non fosse sicuro della posa: i dubbi sono particolarmente evidenti nella testa e nella gamba sinistra. Incerto tra un'alternativa di pose per il Bambino, Siciolante abbozzò con il carboncino nero la gamba sinistra allungata, come già Ferino nella Sacra Famiglia di Vaduz (fig. 7), e, sempre come Ferino, sfumò l'acquarello inchiostrato per dare evidenza al volume delle forme e suggerire le ombre prodotte dalla fonte di luce sulla sinistra. Tuttavia, il chiaroscuro è eseguito con un tratteggio più fitto e più minuto di quanto lo sia nel Sacrificio, e le figure sono collocate nel primo piano di una spazialità più profonda. Non ne risulta la stessa unità di spazio e di forma quasi in rilievo; al contrario, le forme scultoree sono isolate nello spazio, condizione ancora più esagerata nel quadro, dove le figure massicce si assiepano in primo piano. Lo schizzo del Louvre esemplifica lo stadio giovanile di Siciolante disegnatore. Non ci sono ambienti architettonici, putti, parati appesi; non sono definitive le pose dei due bambini; elementi di sfondo l'albero, ad esempio, e i ruderi - assumono più importanza di quanta ne abbiano nel quadro. In questo primo bozzetto documentato, la tecnica del disegno deriva nettamente da Perino; tuttavia, diversamente dal maestro, Siciolante si interessa soprattutto a spazio e volume, e crea uno stile statico, scultoreo. Una Sacra Famiglia (fig. 3) agli Uffizi, che Bernice Davidson attribuisce a Siciolante, per esecuzione e stile somiglia al bozzetto per la pala di Valvisciolo 5 • Invece, la Sacra Famiglia con san Giovannino (fig. 135) al Victoria and Albert Museum di Londra, anch'essa attribuita a Siciolante da Bernice Davidson, differisce notevolmente dallo schizzo del Louvre 6 • I contorni imprecisi, il tratteggio zig-zag dell'ombreggiatura sono caratteristiche che non ritroviamo negli altri disegni di Siciolante. Il disegno del Victoria and Albert si allontana da Siciolante non solo per la tecnica, ma anche per la maniera di concepire la figura; il fatto che la composizione somigli alla Sacra Famiglia degli Uffizi non è una ragione sufficiente per annoverarlo tra le opere di Siciolante. Assai diverso nella tecnica è lo studio a carboncino per un Cristo morto (fig. 138) al castello di Windsor, apparentato con la Pietà dei SS. Apostoli (fig. 11), ora a Foznan. Il Cristo morto non è uno studio preparatorio per la pala, ma è una copia del quadro. Il foglio è disegnato con la tecnica del tratteggio molto fitto, ed è significativo il fatto che non esistano differenze tra le figure disegnate e le figure dipinte: il corpo di Cristo per forma, posizione e om-


V. Disegni. L'evoluzione dello stile

259

breggiatura, è una copia conforme. E ci sono altri particolari curio. si: Maria Maddalena nel disegno è assente, ma le sue dita sono vicine alla ferita del Cristo; il contorno inferiore del torso del Cristo non segue il perimetro del corpo, e coincide invece con un pizzo della stoffa che Maria Maddalena tiene in mano. Altro particolare degno di nota è il breve tratto di linea retta al disopra delle caviglie accavallate del Cristo: nel disegno non ha senso, nel dipinto corrisponde al bordo del lenzuolo sotto il corpo del Cristo. In breve, trattandosi di un disegno, che è lo studio della forma del corpo di Cristo e del modo di inserirlo nella composizione, questi elementi paiono incongrui, e si trovano nel disegno solo perché sono stati osservati nel dipinto e ricopiati meccanicamente. Le rapide notazioni periferiche sono studi originati dalla figura principale: ad esempio, nella parte inferiore del foglio il disegno del perizoma è un cambiamento nei confronti del quadro. Questo bozzetto mostra la figura in maniera più completa, fa vedere il contorno del fianco e il telo avviluppato intorno e dietro le natiche del Cristo. E' improbabile che Siciolante abbia disegnato prima la figura cosl come la vediamo nel quadro, e solo in un secondo tempo abbia considerato la possibilità di una soluzione alternativa, che esclude il grosso nodo del perizoma. Quale ragione avrebbe avuto per copiare la figura con tanta precisione? Perché avrebbe inserito particolari ambigui e non di facile comprensione? Secondo me, perché il foglio di Windsor non è di Sicio. lante. Negli anni immediatamente successivi alla pala di V alvisciolo e alla Pietà dei SS. Apostoli, Siciolante continuò ad usare la tecnica di disegno che aveva mutuato da Perino. Tuttavia, con l'arrivo di influenze nuove, l'artista sempre più si interessò al problema dell'inserimento dei volumi entro lo spazio circostante. Questo emergente interesse trovò drammatica realizzazione nella pala di San Martino (fig. 20), del 1548. Con la descrizione particolareggiata della forma inserita nello spazio, e con la enfatizzazione di particolari naturalistici, questa opera rievoca i dipinti del tardo Quattrocento, che servivano da riferimento iconografico, ed è proprio studiando questi ammaestramenti più antichi che Siciolante acquistò sicurezza nel modo di trattare le norme fondamentali della pittura. Questa sua maggiore padronanza degli strumenti è evidente nel bozzetto (fig. 21) per la pala, che è al Louvre 8• Eseguito in carboncino nero, inchiostro bruno e acquarello inchiostrato, e lumeggiato con alcuni tocchi di biacca su carta imbrunita, esso raffigura personaggi modellati con lo stesso vigore presente nel dipinto. Qui il chiaroscuro zig-zag dello studio per la pala di Valvisciolo (fig. 2) è sostituito da una modulazione dei valori sagace e disciplinata. La linea retta ha meno importanza della tridimensionalità di forma e spazio, e questa tecnica consente all'artista di immaginare la composizione finita con maggiore precisione. La diversità nella tecnica del disegno nei due studi giovanili potrebbero essere imputabili ai diversi stadi di evoluzione nello sviluppo progressivo di un progetto. Lo schizzo per la pala di V alvisciolo è un disegno preparatorio; nello studio per la pala di San Martino i cambiamenti sono in numero minore, meno evidenti, e

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Catlllogo delle opere

quasi tutti spiegabili con le condizioni richieste dalla committe~a. A cominciare dal 19 giugno 1529, Siciolante si impegnò a realizzare i desideri del mecenate, Matteo Malvezzi, per quanto riguarda personaggi, caratteristiche fisiche, numero, distribuzione del dipinto. Malvezzi morl nel 1547, prima che fosse terminata la pala, che gli eredi trasformarono in un monumento alla memoria, inserendovi il suo ritratto e una lapide che ne racconta la morte recente. Siciolante apportò alla composizione del quadro qualche lieve modifica, spostando il toro di san Luca sulla destra, per meglio bilanciare il ritratto del donatore sulla sinistra. Per dare più coesione al gruppo dei santi in basso, e per fare posto alla lapide, Siciolante inventò delle sporgenze, quasi dei pilastrini, agli angoli laterali della pedana. Modificò anche qualche posa - le teste girate di san Giovanni e di sant'Alberto Siculo - e qualche dettaglio - la croce di san Giovanni, il pastorale di san Martino, la penna di san Luca - per creare maggiore unità tra la parte alta e la parte bassa della composizione, eliminando la sezione rigidamente orizzontale della pedana, che taglia a metà l'insieme del disegno. Ma Siciolante non intendeva alterare il principio informatore del progetto e, malgrado ogni regola di logica visiva, assegnò al donatore lo stesso spazio che occupa una panca, espediente necessario in un lavoro cosl simmetrico, per bilanciare la panca che sta a destra. L'analisi di una sola figura chiarisce meglio l'evoluzione di Siciolante disegnatore. Il foglio della collezione Woodner che raffigura San Luca (fig. 22) è eseguito a penna, inchiostro bruno, acquarello lumeggiato con biacca su carta imbrunita 9• Con un ultimo ripasso di colore bruno, l'abbozzo mostra la stessa posa e lo stesso solido impianto che il santo ha nel disegno preparatorio definitivo e nel quadro. L 'indumento a maniche lunghe somiglia a quello dello studio al Louvre, ma differisce dall'indumento del dipinto dove le maniche sono invece rimboccate; la testa del santo è rivolta verso il visitatore, a differenza del disegno al Louvre e del dipinto. Perciò è probabile che lo studio sia anteriore al foglio del Louvre; forse deriva da uno schizzo somigliante a quello della pala di Valvisciolo, che in seguito è stato perfezionato fino al disegno definitivo. Lo stile di Siciolante disegnatore diventa più comprensibile dopo una attenta analisi del San Pietro agli Uffizi e della Madonna e Bambino con san Pietro, san Paolo e donatore al Victoria and Albert Museum di Londra. Il San Pietro (fig. 23) è attribuito a Siciolante da Bernice Davidson, e somiglia al San Giovanni Battista nel disegno definitivo del Louvre 10 • Eseguito a carboncino, inchiostro nero, acquarello bruno con tocchi di biacca, anche san Pietro ha la testa eccessivamente girata, le braccia ugualmente muscolose, il panneggio parimenti mosso nel San Giovanni. Il foglio del Victoria and Albert Museum (fig. 134) è anch'esso attribuito a Siciolante da Bernice Davidson 11 • Esiste una somiglianza di massima tra questo disegno e quello del Louvre - l'acquarello scuro con qualche tocco di biacca su carta imbrunita, le figure massicce che riempiono lo spazio ma quasi tutti i particolari sono diversi : tratti del volto, mani, pieghe della stoffa, capelli. Dal foglio del Louvre, traspare una solida


V. Disegni. L'evoluzione dello stile

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struttura ossea sotto la carne, e i tratti dei volti hanno caratteri differenziati; al contrario, nello schizzo del Victoria and Albert, non si sente alcun interesse per la struttura ossea delle figure né per i lineamenti dei volti; la cadenza ritmica delle pieghe nel foglio del Louvre è assente dal disegno del Victoria and Albert, cosl come è assente il controllato equilibrio tra le forme piccole e intricate e i volumi più grandi. Il legame apparente tra questi due studi si spiega con la comune derivazione dall'arte romana del tempo 12 , ma i due lavori sono anche lo specchio di due personalità diverse, come lo sono i dipinti ai quali hanno servito da base 13 • Soltanto durante il decennio 1540 Siciolante continuò a disegnare a tratto e ad acquarello inchiostrato alla maniera di Perino, e ciò emerge soprattutto nel lavoro che gli fu commissionato da due francesi, Claude d'Urfé e Nicolas Dupré. Per una lunetta (fig. 27a) al castello de La Bastie d'Urfé, Siciolante esegul uno studio preparatorio, la Caduta della Manna (fig. 28), ora al museo Szépmiivézeti a Budapest 14 : Mosé sta in piedi nella fascia mediana, un uomo in ginocchio è in primo piano, a sinistra, quasi abbarbicato alla terra, altre figure, chine o erette, raccolgono la manna che cade dal cielo. Sostanzialmente, la Caduta della manna è un disegno a tratto, come lo è lo studio per Valvisciolo, con un tocco di acquarello per ritrarre l'ombra, e una sorgente di luce. Le forme non hanno lo stesso rilievo scultoreo né le stesse superfici lisce del definitivo disegno preparatorio per la pala di San Martino (fig. 21). Più che il volume, è messo in evidenza il metodo lineare, come risulta dal confronto tra l'uomo chino a sinistra nella Caduta della manna e san Girolamo nel modello per San Martino. Ulteriori caratteristiche stilistiche lo pongono anche in stretta analogia con il precedente schizzo di Ferino per un Sacrificio (fig. 10), come le braccia estremamente lunghe delle figure, i capelli a ciuffi scompigliati, il drappeggio leggero e trasparente, e le figure densamente raggruppate che si sovrappongono. Il compenetrarsi di vicino e lontano, dall'uomo che si rannicchia in primo piano alla figura raffaellesca di donna che porta un cesto sulla testa, produce un effetto di rilievo simile al Sacrificio di Perino. Sebbene sia vero che il disegno preannuncia il dipinto, resta di fatto che le figure ai due lati di Mosé sono state eliminate nel dipinto, e che il vecchio in ginocchio davanti a Mosé è stato trasformato in un giovane. Anche alcuni particolari nelle pose e negli abiti hanno sublto mutamenti sostanziali. Fatto abbastanza significativo, l'abbozzo periniano non preannuncia né la qualità scultorea delle figure ritratte nel dipinto, né la profondità spaziale dello sfondo. Perciò il disegno è lo stadio preliminare nell'evolvere della composizione. Più oscure e complesse sono le analogie tra Perino e Siciolantc in due altri disegni de La Bastie d'Urfé, l'Angelo dell'Annunciazione (fig. 132) e l'Annunciazione alla Vergine (fig. 29). Il primo, oggi in una collezione privata in Francia, era stato attribuito a Pellegrino Tibaldi 15• E' uno studio in acquarello inchiostrato con un drammatico gioco di luci e ombre, dinamico e robusto. L'angelo, in ginocchio su di una nuvola, ha braccia aperte e ali tese verso l'alto; un forte


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vento sferza il corpo e agita i tessuti in un movimento sinuoso ~ fluttuante; dietro la figura si intravvede una balaustra e una fuga di piani architettonici che arretrano in direzione dello sfondo. In tutta l'opera di Siciolante non esiste figura simile a questa. La tecnica del disegno somiglia a quella di certi schizzi attribuiti a Perino o ad artisti della sua cerchia: infatti, una posa tanto animata e un drappeggio cosl fluttuante sono caratteristici dell'angelo di Ferino nel bozzetto del Louvre per l'Annunciazione alla Vergine nella chiesa di Trinità dei Monti 16• Forse l'Angelo dell'Annunciazione è un progetto di Perino, adattato da Siciolante per l'Annunciazione alla Vergine (fig. 27k). Anche l'Annunciazione dell'Hermitage (fig. 29) ha una generica somiglianza con il disegno di Perino, che è al Louvre 17 • Il bozzetto di Siciolante è composto di due metà, simili ma non del tutto uguali : a sinistra una versione più manierata dell'Angelo dell'Annunciazione dove il drappeggio è più schematico, e manca, della grazia e dell'impeto nello studio della figura singola; il tratto lineare è più evidente, quasi a contrasto con la massa fatta interamente di luci e di ombre dell'Angelo dell'Annunciazione. A destra sta la Vergine, su di un inginocchiatoio dagli spigoli riccamente ornati di erme femminili: per posa e abbigliamento, la Vergine dell'Hermitage ricorda la Vergine di Perino nell'Annunciazione del Louvre, anch'essa in preghiera su di un inginocchiatoio parimenti ornato, e somiglia anche alla santa Caterina del definitivo disegno preparatorio, e bozzetto, per la pala di San Martino (fig. 21). Le figure delle due metà del disegno dell'Hermitage somigliano alle corrispettive figure del dipinto (fig. 27k), con una leggera modifica nella posizione della testa della Vergine e nelle pieghe del drappeggio. E' interessante notare che nel dipinto non c'è la striscia verticale, presente invece a metà del disegno. Inoltre, da un lato all'altro del foglio, l'architettura non offre elementi importanti, dalla cornice della porta in fondo, alle prospettive della modanatura, alla balaustra. Eppure la tecnica del disegno è la stessa: una retta sicura e marcata descrive i contorni delle forme, dei particolari delle pieghe, delle ali dell'angelo, di ciò che sta attorno ; linee parallele, non necessariamente indicative della topografia delle forme, sono tratteggiate sulle zone di acquarello per creare una varietà di toni. La tecnica del disegno è al tempo stesso uguale e diversa da quella di Siciolante: il tratto di Siciolante è elegante, delicato, più o meno calcato. Quando Siciolante adopera il tratteggio - nello studio per San Luca ad esempio (fig. 22) - quasi sempre il tratto segue la superficie della forma, solo di rado si tramuta in uno schema astratto inteso a creare una variazione di valore. A parte queste differenze, il bozzetto dell'Hermitage è servito di base al dipinto. Forse Siciolante ha preparato il disegno adattando lo schema periniano dell'Angelo dell'Annunciazione, e ha preparato il dipinto ispirandosi all'Annunciazione, sempre di Perino, che è al Louvre. Mentre le caratteristiche proprie della Caduta della manna e dell'Annunciazione fanno giustamente parlare di influenza periniana, nel caso della committenza per la Bastie d'Urfé forse Perino ha partecipato direttamente al lavoro. E' probabile che Siciolante sia suben-


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trato dopo la morte di Perino, avvenuta il 19 ottobre 1547, cosl come è avvenuto per la contemporanea committenza di Nicholas Dupré. Siciolante preparò uno studio (fig. 31) - faceva parte della collezione Iaremitch - per l'affresco Il battesimo e la consacrazione di Clodoveo (fig. 30a) nella cappella Dupré in San Luigi dei Francesi 11 • Nel bozzetto, come già nella Caduta della Manna, Siciolante fece uso del disegno a tratto e dell'acquarello per modellare le forme, eppure riusci ugualmente a creare un interno fatto di architetture, simmetrico e profondo, con muri intervallati da pilastri: la scena è illuminata da destra, e da destra entra nella cappella la luce naturale. In questo ambiente Siciolante sistemò numerosi personaggi, mettendo in evidenza i volumi delle figure nello spazio. Per il dipinto creò uno spazio più vasto, eliminando le colonne laterali in primo piano, e cosl liberando e rendendo visibile in alto una parte maggiore di architettura. Il colonnato corinzio e lo spazio profondo danno all'architettura un ruolo di primo piano. La prospettiva esalta l'effetto di profondità spaziale, anche se l'artista ricorre all'espediente poco persuasivo di far decrescere la grandezza delle figure. Nel suo sforzo di ricavare uno spazio profondo e di popolarlo di figure, Siciolante ha piegato le regole della prospettiva lineare alle esigenze della espressività. Siciolante apportò mutamenti importanti alla collocazione delle figure e all'architettura dello schizzo del Battesimo di Clodoveo. Riprese lo schema della Donazione di Costantino nella sala di Costantino in Vaticano, adattandolo all'argomento e al contenuto dd nuovo tema; risolse i problemi inerenti allo studio preparatorio modificando l'architettura, spostando e rimpicciolendo le figure nello sfondo, Cristo in croce compreso, per creare gruppi più unitari. Assistiamo al processo di trapasso dal disegno al dipinto, nell'intento di portare ordine alla composizione finale. Il più delle volte, gli studi di Siciolante non presentano cambiamenti altrettanto drastici.

Mutamenti. La fase michelangiolesca Finora abbiamo esaminato numerose opere giovanili di Siciolante. Ci sono somiglianze non solo tecniche ma anche di stile. I disegni per le committenze Malvezzi, d'Urfé, Dupré hanno tutti figure con lunghi arti muscolosi e corpi snelli; le pose sono rigide, i movimenti più di marionette che di esseri umani; gli indumenti sono ingombranti, a pieghe, complicati, raccolti in forme intricate e calligrafiche. Disegni e dipinti sono affollati di figure e appesantiti da modelli complicati di drappeggi. Queste committenze arrivano fino agli ultimi anni del decennio 1540 e, come vedremo, sono stilisticamente molto diverse dalle opere documentate del 1560. Il decennio intermedio, per il quale non esiste neppure una opera con datazione sicura, è un periodo di incertezza nella storia della vita di Siciolante. Come abbiamo già detto parlando dei dipinti, tre committenze, delle quali esistono anche i


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disegni, appartengono stilisticamente al gruppo degli anni 1560. I disegni confermano la datazione più tarda di queste opere. Il disegno di Sant'Agata (fig. 46), al Gabinetto nazionale delle stampe e disegni di Roma, è il definitivo disegno preparatorio per una delle due figure del quadro Santa Lucia e sant'Agata (fig. 45} in Santa Maria sopra Minerva 19• E' eseguito con un reticolato molto fitto e sottile, a carboncino, lumeggiato con tocchi di biacca, su carta azzurra. Quadrettato a carboncino per riporto, il disegno differisce dal dipinto in particolari il'rilevanti. Siciolante ha cambiato posizione e forma ai seni tagliati di sant'Agata, per renderli un po' meno evidenti. Vicino al margine di destra ha aggiunto due studi della mano della santa con il dito indice teso, e nel dipinto ha optato per questo ripensamento. Per il resto, il disegno è uno studio fedele per il dipinto. Il disegno definitivo per Sant'Agata è eseguito a tratto e a carboncino, anche se a prima vista non sembra. Alcune rette delimitano le figure, creando forme scultoree e volumetriche, più semplici ma anche più monumentali di quelle del disegno definitivo (fig. 21) per la pala di San Martino. Nel drappeggio, le pieghe sono meno numerose e complicate di quelle dell'abito di santa Caterina nel disegno definitivo. Smerli smussati, curve morbide, meno angoli taglienti e meno arricciature sono parti di un indumento più sciolto, che non aderisce al corpo. La veste di sant'Agata è un insieme unitario, con qualche dettaglio in contrasto con le diverse parti che compongono l'abito di santa Caterina. In particolare è subordinato al tutto, e mentre all'apparenza la figura risulta più massiccia ed ingombrante, nella realtà è più aggraziata. Sono mutate le proporzioni, la figura è più monumentale. E' interessante osservare le analogie del foglio di Sant'Agata con il San Luca del foglio Woodner (fig. 22}. Sebbene eseguito ad acquarello, il disegno ha un modello di drappeggio levigato e dolcemente ondeggiante, che lo rende simile a quello di Sant'Agata. Eppure, nel foglio Woodner, queste qualità si trasformano nelle spigolosità marcate e taglienti del definitivo disegno preparatorio per la pala di San Martino. Al contrario, le forme arrotondate e lisce del foglio di Sant'Agata sono trasferite di sana pianta nel dipinto. Il bozzetto per Sant'Agata e il dipinto Sant'Agata e santa Lucia rivelano dignità e grazia nella figura, compattezza di forma, e maggiore semplicità nel modo di trattare il drappeggio. E sono queste le modalità che rendono palese il cambiamento dello stile di Siciolante nelle opere dei tardi anni 1540. Siciolante esegui numerosi studi per gli affreschi della cappella Fugger in Santa Maria dell'Anima che, tutti insieme, formano l'insieme più consistente di studi superstiti eseguiti da Siciolante per una sola committenza; in massima parte sono su carta azzurra, come la Sant'Agata. Rappresentativo di questo gruppo è la Donna con bam • bino in braccio (fig. 52) del Gabinetto nazionale delle stampe e dise• gni di Roma 20 che, eseguito a carboncino, acquarello bruno e tocchi di biacca su carta azzurra, raffigura la stessa donna che tiene in braccio Maria bambina nella Nascita della Vergine (fig. 51a). La posa della figura è quasi uguale a quella dell'affresco, solo la spalla sinistra non


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è altrettanto larga, la testa, un po' rovesciata, è girata di profilo, la veste non nasconde la panca. La bimba è seduta in posizione frontale invece di essere tenuta tra le braccia in posizione eretta, e si volta di lato. Come Sant'Agata, la Donna con bambino in braccio ha forme ampie, ed è avvolta in stoffe morbide e cadenti, sistemate in forme semplici e aeree. La Presentazione di Gesù Bambino al tempio (fig. 53) - già ne11a collezione Michel Gaud - è lo studio preparatorio del dipinto (fig. 51f). Eseguito a carboncino, inchiostro bruno e acquarello con tocchi di biacca su carta azzurra, come già nel bozzetto per la Sant' Agata, il disegno è quadrettato a carboncino per riporto, e contiene gli elementi essenziali del dipinto, senza avere però le stesse finezze: l'architettura è incompleta, manca la sistemazione definitiva delle nicchie e delle finestre rettangolari. Siciolante aveva considerato, e poi abbandonato, un progetto architettonico alternativo: sulla sinistra aveva abbozzato una colonna corinzia, per puntellare quella che potrebbe essere una trabeazione curva; e ancora, aveva contemplato, e poi rifiutato, l'inserimento di altre figure negli spazi vuoti com·presi tra la Vergine, il Gran Sacerdote e gli spettatori. Cambiamenti di minore entità comprendono lievi modifiche nelle pose dei personaggi maschili sulla sinistra, e trascurabili ritocchi nei drappeggi delle vesti femminili. Contrariamente al bozzetto per il Battesimo di re Clodoveo (fig. 31), l'accento viene messo sui volumi più che sulla linea retta. Le figure sono in numero minore, più vicine alla base del dipinto, e ingrandite rispetto alla scala della composizione. La Donna seduta con bambino (fig. 54), alla Biblioteca reale di Torino, è lo studio preparatorio di quella donna con bambino nella Presentazione di Gesù Bambino al tempio (fig. 51f) 22 • Eseguito a carboncino, con tocchi di biacca, su carta azzurra, questo bozzetto presenta alcune modifiche nell'abbigliamento della donna. Come nello studio (fig. 53 ), al seno destro della donna è attaccato il lattante, appena abbozzato. Nei due disegni non c'è la camiciola sotto la veste della donna, che invece esiste nel dipinto; sebbene dai due disegni provengano alcuni particolari del dipinto, pure la veste della donna nello studio è più vicina alla veste del quadro che a quella del bozzetto di Torino. Perciò è presumibile che il bozzetto di Torino sia stato eseguito prima dello studio per la composizione. Il modo di dipingere la figura nella Donna seduta con bambino è somigliante a quello della Donna con bambino in braccio (fig. 52). L'Apostolo in piedi al British Museum, l'Apostolo in ginocchio al·l'Albertina, l'Apostolo che cammina a grandi passi in una collezione privata di Parigi, e la Vergine seduta già nella collezione Geiger, sono tutti studi per l'Assunzione della Vergine Maria (fig. 51g) 23 • L'Apostoli in piedi (fig. 55) è eseguito a carboncino con tocchi di biacca su carta imbrunita, l'Apostolo in ginocchio (fig. 56) e l'Apostolo che cammina a gran passi (fig. 57) sono disegnati con gli stessi materiali ma su carta azzurra, parzialmente quadrettata a carboncino, per riporto. Sono tutti studi di drappeggi, con pochissimi particolari, appena abbozzati, dei caratteri somatici. Nei disegni e nel dipinto il drappeggio si somiglia molto: la V ergine seduta (fig. 58) si diffe-


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renzia dalle figure dell'affresco solo per dettagli di poca importanza, per esempio le pieghe della stoffa. Anche questo disegno, che è uno studio più rifinito, è quadrettato per riporto. Uno studio che si trova a Lille, il cui personaggio è stato ricono• sciuto per un Profeta (fig. 59), è disegnato a carboncino con tocchi di biacca su carta azzurra, quadrettato per riporto 24, e si accosta al personaggio seduto a destra nell'Angelo dell'Annunciazione (fig. 51d). Tuttavia, sebbene per stile e tecnica questo studio si avvicini molto agli altri disegni per la cappella Fugger, la posa della figura - gambe incrociate, un libro aperto in mano, il bordo inferiore della stoffa a forma di arco - differisce palesemente da quella della figura dipinta. Questo non è uno studio per gli affreschi della cappella Fugger quale la conosciamo, ma ha una destinazione del tutto diversa, a noi ancora ignota. L'esecuzione dei disegni per gli affreschi della cappella Fugger è uguale a quella di Sant'Agata (fig. 46): le stoffe sono trattate come fossero un tessuto pesante intes~ a nascondere le forme del corpo; ne derivano figure massicce, ma non muscolose, gli indumenti sono fluidi, con pieghe arrotondate. Queste caratteristiche, presenti anche nei rispettivi dipinti, si allontanano dallo stile del bozzetto per la pala di San Martino. Testa e mano di uomo (fig. 43) degli Uffizi è uno studio del personaggio che compare all'estrema destra nell'Adorazione dei pastori (fig. 42) a Santa Maria della Pace 25 • Disegnato su carta azzurra, un fitto tratteggio a carboncino delinea la forma della testa, la grana della pelle, i capelli, il gioco di luce e ombra nei piani dei volti. A differenza dei bozzetti, esaminati finora, il foglio degli Uffizi non fa emergere, né prova a scoprire, caratteristiche somatiche particolarmente inconsuete. E' un fatto singolare che, malgrado la chiarezza e la precisione del dettaglio, il disegno sia assai meno il ritratto di una testa di quanto lo è il dipinto; perciò è improbabile che si tratti di uno studio dal vero. Sullo stesso foglio c'è una mano, che corrisponde alla mano alzata dell'uomo davanti al personaggio di destra. Nel disegno si vede il pollice, nel quadro no. Che utilità poteva avere questo disegno per Siciolante? Sappiamo che teste e mani sono i particolari anatomici che più spesso Siciolante lascia nel vago: il disegno degli Uffici, come Sant'Agata (fig. 46), sono indicativi di quanto l'artista lavorasse a questi particolari prima di passare allo stadio definitivo del disegno preparatorio. La Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre (fig. 44), nella galleria Whitworth di Manchester, offre la rara occasione di vedere Siciolante alle prese con il nudo 26 • A carboncino su carta imbrunita, il disegno mostra la parte che riguarda le due figure (fig. 42d), ma tralascia il paesaggio. I cambiamenti dal disegno al dipinto sono di scarso rilievo: le figure sono alte, solide, sul tipo delle figure di Michelangelo sul soffitto della cappella Sistina. Alcuni particolari anatomici lasciano un poco a desiderare: il lunghissimo braccio · di Adamo, le natiche esageratamente contratte. Anche Eva ha braccia lunghe, spalle larghe, seni alti e rotondi. Le figure ingombrano il dipinto con movenze pesanti: mancando di naturalezza nella postura, sem-


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brano piuttosto manichini nudi messi U a rappresentare i progenitori dell'umanità. Ovviamente nascono dalla fantasia di Siciolante, non dalla realtà. Tipologia michelangiolesca e tecnica del disegno sono la causa dell'attribuzione di questo disegno a Daniele da Volterra 17, tuttavia stile e tecnica somigliano a tal punto agli studi per gli affreschi della cappella Fugger che non c'è dubbio che l'autore sia Siciolante. Alcuni studiosi reputano che Daniele abbia influenzato stile e tecnica del disegno di Siciolante, il che sembra del tutto naturale, dato che Daniele era tra i più eminenti pittori di Roma 24 • Però lo stile di Siciolante potrebbe anche essere solo un riflesso della larga influenza che Michelangelo esercitò sull'arte romana. Caratterizzati da forme semplici e monumentali, disegno e pittura di Siciolante intorno agli anni 1560 ricordano l'opera non solo di Daniele ma anche di Taddeo Zuccaro e di Girolamo Muziano. I disegni di Siciolante non hanno il vigore della forma né la vivacità del movimento che si trovano negli artisti suoi contemporanei, ma al pari di questi anche Siciolante predilesse forme grandi e ben definite. E questa comune propensione alla grandiosità spiega la progressiva eliminazione dalla pittura contemporanea dello stile elegante e raffinato di Perino e degli ultimi rappresentanti della scuola toscana, compreso Francesco Salviati. La comparsa di Siciolante, e soprattutto di Taddeo Zuccari, condizionarono l'arte romana. Dipinti e disegni di Siciolante per Santa Maria dell'Anima, Santa Maria sopra Minerva, Santa Maria della Pace, specchio di questa corrente generale, hanno lo stesso stile delle opere documentate dall'artista negli anni 1560. Un esame delle opere tarde illustrerà queste somiglianze. Philip Pouncey attribul a Siciolante il definitivo disegno preparatorio, che si trova al Louvre, per la Discesa dello Spirito Santo (fig. 63) 29 • Il disegno è eseguito con inchiostro bruno e acquarello su carta azzurra, quadrettata a carboncino per riporto. Un contorno preciso delimita le figure della Vergine seduta e degli Apostoli che le fanno corona. L'acquarello bruno crea le ombre, e dà volume alle figure e alle vesti. E' un disegno molto libero, e il fondo azzurro, l'inchiostro bruno e l'acquarello sono combinati con maestria per creare un insieme amonioso. Tuttavia, le figure sembrano un poco rigide e legnose, la composizione e le pose alquanto convenzionali. Drappeggi e pose nei disegni per gli affreschi della cappella Fugger sono cosl somiglianti a quelli della Discesa dello Spirito Santo che l'Apostolo inginocchiato (fig. 56) potrebbe facilmente prendere il posto della figura in piedi sulla destra. La Vergine seduta (fig. 58) richiama direttamente la Vergine della Discesa. Nei due lavori, il drappeggio è trattato a sbalzo, quasi fosse una lamina di metallo o di panno rigido, inteso più a nascondere che a coprire la forma umana sottostante. I contorni sono fluidi, le pieghe morbidamente arrotondate. Le due figure hanno caratteri somatici uguali e lineamenti stilizzati. Sebbene la V ergine seduta tenga le braccia alzate e sia vista dal basso, potrebbe ugualmente sostituirsi alla Vergine della Discesa. Sono queste le somiglianze che legittimano l'attribuzione di Pouncey. Tuttavia, dei dipinti di Siciolante a noi pervenuti, nessuno concorda con que-

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sto disegno: nel 1564 Siciolante esegul una tavola della Discesa del• lo Spirito Santo per la chiesa di Santo Spirito in Sassia; nel 1585 questa tavola fu sostituita da un altro dipinto che rappresentava Cristo attorniato da Santi. Aaribuito a Jacopo Zucchi da Edmund Pillsbury, questo dipinto è tuttora nella sacristia della chiesa; del dipinto di Siciolante invece non c'è traccia 30 • Con la scomparsa della tavola di Siciolante, non c'è prova che il bozzetto del Louvte fosse inteso per la tavola della chiesa di Santo Spirito. La maggior parte dei disegni quadrettati di Siciolante era destinata agli affreschi, non ai dipinti su tavola. Ma in un'altra circostanza almeno, della quale parleremo in seguito, Siciolante fece un disegno quadrettato per un dipinto su tavola. Dunque, anche il bozzetto del Louvre potrebbe essere stato inteso a questo scopo. Il disegno non contiene elementi che impediscano al bozzetto del Louvre di essere il definitivo disegno preparatorio, o 'modello', per il dipinto perduto di Santo Spirito. In quesi tutti i disegni di Siciolante riscontriamo la stessa coerenza tra bozzetto e dipinto. Il definitivo disegno preparatorio, per la pala di San Martino, il bozzetto per la Sant'Agata, Io studio per la Vergine seduta, sono prova della somiglianza tra i disegni preparatori e i dipinti di Siciolante. Dunque, il disegno per la Discesa dello Spirito Santo molto probabilmente ci fornisce il docurr.ento visivo di come appariva il dipinto perduto che trattava lo stesso argomento. E allora, può darsi che disegno e dipinto risalgano entrambi al!'anno 1564? Non si ha notizia di disegni a tratto, alla maniera della Caduta della manna (fig. 28), eseguiti da Siciolante dopo gli anni 1540. Non esiste neanche prova del fatto che Siciolante abbia eseguito prima uno studio lineare, e dopo una stereometria. Dunque, le due tecniche di disegno nelle diverse fasi della sua attività mettono in luce modi diversi non solo di come concettualizzare la forma ma anche di come definirla. Poiché la Caduta della manna è certamente del 1549, e illustra il metodo di disegno più freqeuntemente adottato da Siciolante durante gli anni 1540, la Discesa dello Spirito Santo, cosl come i disegni per la cappella Fugger, risalgono sicuramente ad un periodo più tardo. Esiste un altro 'modello' su carta quadrettata, eseguito l'anno successivo alla committenza per la chiesa dello Spirito Santo, che fornisce una solida base di confronto per la Discesa e per altri lavori non datati. Nel 1565 a Siciolante venne affidato l'incarico di eseguire l'affresco Donazione fatta alla Chiesa da Pipino re dei Franchi del territorio ceduto da Astolfo re dei Longobardi (fig. 70c) per la Sala Regia in Vaticano. Il 'modello' (fig. 71), che è al Louvre, è eseguito in inchiostro bruno, acquarello, e qualche tocco di biacca su carta imbrunita 31 • Per stile e composizione, questo studio è in tutto conforme all'affresco. Ma alcuni particolari accessori - l'abbigliamento del soldato in piedi sulla destra, il vassoio vuoto in mano al giovane servitore - nel disegno sono meno compiuti che nell'affresco. Nel disegno le teste sono molto diverse una dall'altra; i volti appartengono al consueto repertorio di Siciolante, come avviene anche nella Discesa dello Spirito Santo; nell'affresco alcune teste sono generiche e stilizzate, altre


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presumibilmente sono ritratti dal vero, o sono il risultato dell'osservazione della realtà. Sebbene la tecnica del disegno sia uguale a quella del 'modello' per la pala di San Martino (fig. 21), lo stile somiglia a quello del foglio di Sant'Agata (fig. 46), dei bozzetti per gli affreschi della cappella Fugger (figg. 52-59), della Cacciata di Adamo ed Eva (fig. 44), della Discesa dello Spirito Santo (fig. 63). Abbiamo detto che le caratteristiche comuni a questo gruppo di opere non datate sono le proporzioni massicce della figura umana, il panneggio morbido, le figure ritratte su scala più grande. Per meglio comprendere, dalla Donazione di Pipino isoliamo la figura del re longobardo Astolfo, ossia il prigioniero legato, al centro del dipinto. Il drappeggio dal liscio contorno che già avevamo notato nell'Apostolo in piedi (fig. 55) e nella Discesa (fig. 63) anche qui è evidente: le pieghe sono arrotondate, e tendono a non palesare le forme sottostanti; il volto barbuto di re Astolfo somiglia molto da vicino a quello di alcuni apostoli; la chioma folta, il naso lungo e aguzzo, la fronte spaziosa, gli occhi incassati ricordano nella Discesa i tratti dell'apostolo di destra che sembra guardare al dilà del quadro; inoltre, in tutti e due i disegni, la stoffa è trattata a sbalzo. E sebbene la composizione sia affollata di figure, queste sono vicine al piano del dipinto e in scala più grande. Tenendo conto di queste somiglianze stilistiche, i dipinti e i disegni per Santa Maria sopra Minerva, Santa Maria dell'Anima, Santa Maria della Pace, e la Discesa dello Spirito Santo si possono far risalire all'anno 1565 circa, data della Donazione di Pipino. Probabilmente la Donazione di Pipino che si trova al Louvre aveva lo scopo di permettere ad una commissione numerosa di funzionari, consiglieri, artisti, e forse allo stesso pontefice, di rendersi conto con una certa precisione di come Siciolante intendesse dar forma all'argomento che gli era stato assegnato, e di valutare l'impatto sulle decorazioni già esistenti. Purtroppo, non siamo in grado di conoscere i diversi stadi che hanno portato al disegno quale lo vediamo oggi, ma possiamo immaginare che gli alti funzionari della curia abbiano obiettato ad alcuni particolari, rei di violare le nuove norme conciliari sul pudore, tra le quali ad esempio l'innocente ma eccessivo rilievo dell'anatomia maschile, e al tempo stesso abbiano anche voluto assicurarsi che il progetto di Siciolante si adeguasse al formato delle opere già esistenti. Il plastico disegno di Siciolante servì agli scopi suoi come a quelli dei suoi mecenati e, cosa più importante, si adeguò perfettamente allo stile dei colleghi pittori. Le figure più grandi, più robuste, più monumentali nella forma ma aggraziate nel movimento erano diventate peculiari dell'arte romana dopo Michelangelo. Educato nella cerchia romana di Perino del Vaga, Siciolante fu lento nell'adottare il nuovo modello figurativo ma, con il prevalere di questo stile a Roma, si piegò alle esigenze del momento e seguì la moda. Il boia (fig. 77) agli Uffizi è uno studio per Il martirio di santa Caterina (fig. 76a) nella cappella Ccsi di Santa Maria Maggiore 32• Nel fisico, Il boia somiglia al soldato della Donazione di Pipino: ha il torso largo, è ben piantato sulle gambe muscolose dai grossi pol-


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pacci. Il volto lungo, la fronte spaziosa, il naso affilato sono uguali ai lineamenti del soldato. Forme, contorni, ombreggiature sono descritte con un fitto tratteggio a carboncino su carta imbrunita. Come nello studio per la Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre (fig. 44), anche qui dal disegno al dipinto i cambiamenti sono minimi. Al contrario del bozzetto, nel dipinto la figura poggia con tutto il peso sul piede anteriore, ed è un poco più china in avanti. Appena abbozzata, si intravvede una figura nello sfondo, che nel dipinto occupa la stessa posizione del boia. Forse Siciolante ha incluso questa figura di sfondo per studiare il rapporto che si crea tra figure che si sovrappongono. Negli ultimi anni di vita Siciolante esegul numerosi dipinti importanti, tra i quali la pala di San Bartolomeo, datata 1570, che si trova a Calcinate (fig. 83 ). Se paragonate alla pala, il <modello' (fig. 84), già alla Galleria Phillips di Londra, presenta differenze grandi e piccole. Eseguito a penna, inchiostro bruno con acquarello, tocchi di biacca su carta marrone, e quadrettato con gessetto rosso, il <modello' mostra due angeli in piedi che scostano un tendaggio, e due angeli seduti sul gradino superiore. Nel dipinto, Siciolante ha eliminato queste figure, e le ha sostituite con sant'Agnese e sant'Agata. Rinunciando a quel grazioso stratagemma illusionistico che è il tendaggio, Siciolante ha evitato un assetto dello spazio necessariamente ambiguo, dove gli angeli che spostano il tendaggio si sarebbero trovati sopra, e non dietro, i santi che stanno in basso. Nel dipinto Siciolante ha aggiunto una nicchia semicircolare dietro la Madonna e il Bambino, che dà a tutto l'insieme un carattere decisamente architettonico. Infine, Siciolante ha aggiunto il donatore, nella persona di Giorgio Morato, quasi fosse un'idea venuta dopo, come nella pala di San Martino. Correzioni di minore entità riguardano la spada di san Paolo, il coltello di san Bartolomeo, il libro di san Ciriaco, il manto di sant' Antonio abate. Interessanti sono le rettifiche apportate alle teste di san Bartolomeo e di sant'Antonio, basate forse su ritratti dal vero di individui designati dal donatore. Come per la pala di San Martino, anche qui Siciolante ha alterato il gradino più in basso, e ha avanzato la struttura della piattaforma fino ai bordi del quadro, rendendo più compatto il gruppo dei santi nello spazio inferiore. Il disegno per la Madonna con Bambino (fig. 85) al castello di Windsor presenta poche novità e differenze rispetto allo stile di Siciolante, e in questo sta la sua importanza 34 • Eseguito ad acquarello marrone e carboncino, lumeggiato con tocchi di biacca su carta azzurra, il bozzetto è uno studio per la pala di San Bartolomeo, e per stile e composizione è assai vicino al 'modello'. Nel dipinto, la Madonna è più allungata ed elegante, la posa del Bambino è diversa: la gamba sinistra penzola accanto alla coscia della madre, e il bambino dirige lo sguardo sui santi che stanno sotto di lui. Lo stile a sbalzo nel trattare le stoffe, e le forme scultoree ricordano i precedenti lavori degli anni 1560. La pala Madonna con Bambino, san Bonifacio, san Francesco e Bonifacio VIII (fig. 91) è tra le ultime committenze conosciute eseguite da Siciolante. Lo studio per la Madonna con Bambino (fig. 92)


1'

V. Disegni. L'evoluzione dello stile

271

di·questa pala si trova in una collezione privata a Londra 35• Eseguito a carboncino su carta azzurra, il bozzetto è quadrettato a carboncino per riporto. Lo stile somiglia a quello della Madonna con Bambino di Windsor, e alla Vergine della discesa dello Spirito Santo (fig. 63). Poiché la posa della Vergine è praticamente la stessa nel foglio di Londra e nella Discesa - differiscono soltanto per la posizione della testa della Madonna e per la presenza del Bambino - si può dedurre che il disegno di Londra sia basato sulla Discesa. Tuttavia, il disegno è più libero nel foglio della Madonna con Bambino, e la trama della carta è più evidente: la forma non risulta altrettanto scultorea e levigata di quella della Madonna con Bambino di Windsor (fig. 85), né di quella del dipinto su tavola. Eseguito anch'esso a carboncino su carta tinta azzurra e quadrettata per riporto, il San Francesco (fig. 93), già alla galleria William H. Schab 36, è lo studio liberamente abbozzato della figura del santo; sul bordo esterno del foglio c'è un appunto per la mano sinistra. Questi disegni ricordano lo stile della Madonna con Bambino: fissano sulla carta gli elementi plastici della forma, denotano un uso più libero del mezzo tecnico e, pur conservando alcune delle qualità perinesche del primo Siciolante, dimostrano ancora una volta la sicurezza con la quale l'artista padroneggia forma e valori.

Conclusioni Dal corpus dei disegni attribuiti a Siciolante abbiamo scelto quelli più sopra illustrati, selezionati di proposito perché il più delle volte è possibile confrontarli con i dipinti giunti fino a noi. Abbiamo fatto notare che Siciolante preferiva servirsi di carta imbrunita oppure az. zurra, di inchiostro bruno, di acquarello, di carboncino, di tocchi di biacca. Come già il suo maestro Perino del Vaga, in un primo tempo Siciolante si servl del disegno lineare, per abbandonare successivamente questa tecnica in favore della tridimensionalità. Al pari di altri artisti romani influenzati dall'arte di Michelangelo, anche Siciolante andò vieppiù interessandosi al volume, al chiaroscuro, alle superfici lisce e ininterrotte. La sua reazione alle istanze michelangiolesche fa parte di una tendenza generale che mirava a stili ancor più tradizionalisti e conservatori, e questo cambiamento si evidenzia nei disegni di Siciolante nel decennio 1560. L'osservazione più pertinente a proposito dei disegni di Siciolante è la grandissima somiglianza esistente tra il disegno preparatorio e la composizione finale, sia nelle figure isolate sia nel disegno d'insieme. Quasi mai si nota la presenza di un dramma interiore nella ricerca di una soluzione ottimale, quasi mai c'è un indizio di indagini esplorative nella ricerca di soluzioni alternative. Che la composizione finale e la posa delle figure siano il frutto di decisioni spontanee o di ricerche sofferte, non è rivelato dai disegni, che non indicano quale sia stato il processo creativo. Se pure disegni di questa fatta esistono, noi non li conosciamo. Gli studi preparatori che mostrano stretta somiglianza con i di,.


272

Catalogo delle opere

pinti denotano la non esistenza di un esame preliminare della natura: nessun disegno esplora la figura nella realtà. Per educazione e per cultura Siciolante non era portato allo studio del modello vivente: al pari dei contemporanei, Siciolante creò figure unicamente di fantasia, oppure derivate da altre opere d'arte. Il tipo di figura che predilesse, egli lo usò ripetutamente e coerentemente, senza fare ricorso a un modello vivente per esplorare la dinamica del movimento e le caratteristiche anatomiche della figura umana. A questo scopo, cioè per tradurre in realtà pose e particolari somatici, Siciolante si servl di modelli in gesso, e molti ne troviamo nell'inventario dei suoi beni, redatto dopo la morte 37 • La fiducia di Siciolante nell'uso di questi modelli potrebbe essere la giusta spiegazione dell'uguaglianza dei particolari anatomici, dell'uniformità delle pose, della rigidità dei movimenti. Poiché tendeva a ripetere le stesse formule per tutte le figure e per tutti gli indumenti, Siciolante non provò mai il bisogno di inventare situazioni nuove. Nei dipinti c'è il riflesso del conservatorismo che si nota nei disegni: Siciolante aveva trovato una formula soddisfacente che non metteva alla prova le sue possibilità creative. Paradossalmente, questa sua creatività, ristretta e limitata, soddisfaceva appieno il gusto dei mecenati e del tempo. Quando si spense il fervore del manierismo e dei suoi seguaci, cominciava a fiorire l'arte 'retro' di Siciolante e di chi la pensava come lui, e quando Siciolante morl nel 1575, a Roma trionfava il conservatorismo.

* Invece di esaminare le opere ad una ad una, preferisco pubblicare un saggio complessivo, seguito dal catalogo ragionato di tutti i disegni. 1 Le notizie più esaurienti sui disegni di Siciolante si trovano in DAVIDSON, Some Early \Y/orks, XLVIII, pp. 55-64; Mostra di disegni, pp. 70-72; BRUNO, Girolamo, CXXX, 1973, pp. 55-71; CXXXIII, 1974, pp. 66-80; CXXXIV, 1974, pp. 71-80; CXXXVI, 1974, pp. 31-47; HUNTER, Drawings, 1988, pp. 3-40. 2 ARMENINI, De' veri precetti, 1988, pp. 25-26, 94. 3 Si tratta di una scena sul muro sotto la Dispt1la di Raffaello nella Stanza della Segnatura. Mostra di disegni, pp. 48-50. 4 Vedi Disegni, D-16. S Vedi Disegni, D-2. 6 Vedi Disegni, XD-14. 7 Vedi Disegni, XD-22. 8 Vedi Disegni, D-17. 9 Vedi Disegni, D-14. 10 Vedi Disegni, D-3. 11 Vedi Disegni, XD-13. 12 Esistono affinità stilistiche con lo studio di Livio Agresti agli Uffizi Cristo gt1arisce il paralitico. GERE, Il manierismo, tav. XXIX. 13 Non si sa dove sia attualmente il dipinto. Vedi FABRETTI, Sulle tracce, CXXVII, p. 201, fig. 9. Un'altra versione del quadro si trova nella chiesa di Santa Maria Nuova a Perugia. Vedi Catalogo, C-11. 14 Vedi Disegni, D-1. 1s Vedi Disegni, XD-9. Un'altra versione di questo disegno fu presentata dalla galleria William Schab di New York in Catalogo 63, p . 4. Eseguito in acquarello bruno con tocchi di biacca su carta azzurra (mm. 510 X 375), il disegno riflette la tecnica di disegno di Siciolante, ma non il suo modo di ritrarre né le figure né i volti. Questo disegno piacque molto, e può essere utile studiarne l'influenza sulla Scuola di Fontainebleau.


V. Disegni. L'evoluzione dello stile 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26

Vedi Vedi Vedi Vedi Vedi Vedi Vedi Vedi Vedi Vedi Vedi

PARMA ARMANI,

Disegni, Disegni, Disegni, Disegni, Disegni, Disegni, Disegni, Disegni, Disegni, Disegni,

273

Perin del Vaga, p. 59, fig. 55.

D-7. D-26. D-21. D-22. D -6. D -23. D-9, D-24, D-20, D-15. D-8. D-4. D-12.

27 SRICCHIA SANTORO, Daniele da Volterra, CCXIII, p. 34, o . 28 GEKE e POUNCEY, Italian Drawings, I, pp. 62-68; GERE, tav. XXXI; GERE, Taddeo Zuccaro, figg. 100, 103, 106a, 106b. 29 Vedi Disegni, D-18. 30 Vedi Catalogo, A-18. 31 Vedi Disegni, D-19.

28.

Il manierismo,

Vedi Disegni, D-5. Vedi D isegni, D -11. 34 Vedi Disegni, D-25. 35 Vedi Disegni, D-10. 36 Vedi Disegni, D-13. 37 Elencati nell'inventario (1575) dei suoi beni erano sei teste, tre piedi, e cinque grossi pezzi di gesso da disegno. Vedi Documenti, XXXII. 32 33


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Disegni.

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Opere autentiche

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Le voci seguono l'ordine alfabetico della località. Le illustrazioni seguono l'ordine cronologico.

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D-1.

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BUDAPEST

Szépmiivézeti Muzeum Caduta della manna (fig. 28) Inv. n. 1862 Penna e acquarello bruno su carta imbrunita; mm. 187 X 378 Già attribuito a Ferino del Vaga Vedi Catalogo, 39

I

Bibliografia: RAGGIO, Vignole, XV, 1972, pp. 50-51, n. 101; BRUNO, Girolamo, CXXXIV, 1974, p. 77; HUNTER, The Drawi11gs, XXVI, 1, 1988, pp. 10-11.

) D -2.

FIRENZE

Uffizi, Gabinetto disegni e stampe Sacra Famiglia (fig. 3) Inv. n. 618F Penna e acquarello bruno con carboncino su carta imbrunita; mm. 173 X 162 Già attribuito a Girolamo Macchetti, Ferino del Vaga

Bibliografia: 1973, p. 66.

DAVIDSON,

Perino, VII, 4, 1969, p. 465;

BRUNO,

Girolamo, CXXX,


I,1 I

VI. Disegni. Opere autentiche

D-3.

275

FIRENZE

Uffizi, Gabinetto disegni e stampe San Pietro (fig. 23) Inv. n. 13553F Inchiostro bruno e acquarello su carta imbrunita; mm. 216 X 157

Bibliografia: Mostra di disegni, 1966, pp. 70-71;

BRUNO,

Girolamo, CXXX, 197.3,

pp. 66-67, 71, n. 20.

D-4.

FIRENZE

Uffizi, Gabinetto disegni e stampe Testa e mano di un uomo (fig. 43) Inv. n. 7271 (verso) Carboncino su carta imbrunita; mm. 302 X 152 Vedi Catalogo, 27

Bibliografia: Mostra di disegni, 1966, pp. 71-72, n. 75; RAGGIO, Vignole, XV, 1972, pp. 50-51, n. 100; BRUNO, Girolamo, CXXXIII, 1974, p. 76; HUNTER, The Drawings, XXVI, 1, 1988, pp. 20-21.

D-5.

FIRENZE

Uffizi, Gabinetto disegni e stampe Il boia (fig. 77) Inv. n. 6372F Carboncino su carta imbrunita; mm. 335 X 222 Vedi Catalogo, 31

Bibliografia: 1974, p . .35;

GERE, Il HUNTER,

Ma11ierismo, 1971, p. 89; BRUNO, Girolamo, CXXXVI, The Drawings, XXVI, 1, 1988, pp. 26-28.


276

Catalogo delle opere

D-6. Già nella collezione Michel Gaud I. I•

I • I

Presentazione di Gesù Bambino al Tempio (fig. 53) Carboncino, inchiostro bruno e acquarello con tocchi di biacca su carta azzurra, quadrettato a carboncino; mm. 409 X 255 Vedi Catalogo, 25 Bibliografia:

D-7.

HUNTER,

The Drawings, XXVI, 1, 1988, pp. 17-18.

LENINGRADO ( SAN PIETROBURGO)

L'Hermitage Siciolante ? Annunciazione (fig. 29) lnv. n. 1635 Penna e acquarello a inchiostro; mm. 217 X 218 Già attribuito a Pietro Candido (de Witte) Vedi Catalogo, 39

Bibliografia: RAGGIO, Vignole, XV, 1972, p. 46, n. 9.5; XXVI, 1, 1988, pp. 11-13.

D-8.

HUNTER,

The Drawings,

LILLE

Musée Wicar Un Profeta (fig. 59) lnv. n. 666 Carboncino e tocchi di biacca su carta azzurra, quadrettato; mm. 183 X 162 Attribuito a Siciolante da Philip Pouncey Vedi Catalogo, 25

Bibliografia: Dessim italiens, 1967, p. 42; n. 104; BRUNO, Girolamo, CXXXVI, 1974, pp. 33, 46, n . .5.5; HUNTER, The Drawings, XXVI, 1, 1988, p. 19.


VI. Disegni. Opere autentiche

D-9.

277

LONDRA

British Museum Apostolo in piedi (fig. 55) Inv. n . 1946-12-21-1 Penna e acquarello con tocchi di biacca; mm. 342 X 249 Vedi Catalogo, 25 Bibliografia: Gli alfreschi, II, 1981 , p. 13; GERE e POUNCEY, Italian Drawings, I, 1983, p . 162, n. 262; HUNTER, The Drawings, XXVI, 1, 1988, p . 19.

D-10.

LONDRA

Collezione privata Madonna con Bambino (fig. 92) Carboncino su carta azzurra, quadrettato a carboncino; mm. 300 X 210 Vedi Catalogo, 35 Bibliografia: TOESCA, Due opere, XVI, 187, 1965, pp. 57-58; BRUNO, Girolamo, CXXXIII, 1974, p . 68; HUNTER, The Drawings, XXVI, 1, 1988, pp. 28-30.

D-11. Già a

LONDRA

Galleria Phillips Madonna e Bambino in trono con san Paolo, san Bartolomeo, san Ciriaco ?, sant'Antoniio abate e angeli (fig. 84) Penna, inchiostro bruno con acquarello e tocchi di biacca, quadrettato con gessetto rosso; mm. 577 X 346 Vedi Catalogo, 3

Bibliografia: 0/d Master Drawings, 1990, pp. 52-53.


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278

Catalogo delle opere

D-12.

MANCHESTER

Galleria d'arte Whitworth La cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre (fig. 44) Inv. n. D. 16. 1960 Carboncino su carta brunita; mm. 274 X 314 Vedi Catalogo, 27

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I

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Bibliografia: The Draughtsman's Art, 1983, pp. 17-18; XXVI, 1, 1988, pp. 20-22.

HUNTER,

The Drawings,

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I

D-13. Già a

NEW YORK

Galleria William H. Schab San Francesco (fig. 93) Carboncino su carta azzurra, quadrettato; mm. 350 X 175 Vedi Catalogo, 35

Bibliografia:

D-14.

HUNTER,

The Drawitzgs, XXVI, 1, 1988, pp. 28-30.

NEW YORK

Collezione Woodner San Luca (fig. 22) Penna, acquarello bruno, tocchi di biacca su carta imbrunita; mm. 212 X 150 Vedi Catalogo, 2

Bibliografia: Gli affreschi, II, 1981, p. 13; 1988, pp. 8-10.

HUNTER,

The Dràwings, XXVI, 1,


VI. Disegni. Opere autentiche

D-15. Già a

279

NEW YORK

Collezione Geiger Vergine seduta (fig. 58) Carboncino; dimensioni ignote Vedi Catalogo, 25 Bibliografia: DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p . 64, n. 47; BRUNO, Girolamo, CXXXVI, 1974, p. 33; HUNTER, The Drawings, XVI, 1, 1988, p. 19.

D-16.

PARIGI

Louvre, Gabinetto dei disegni Madonna e Bambino con san Pietro, santo Stefano e san Giovannino (fig. 2) Inv. n. 10074 Penna e acquarello bruno con carboncino su carta imbrunita; mm. 376 X 273 Attribuito a Siciolante da Philip Pouncey Vedi Catalogo, 36 Bibliografia: DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p . .56; BRUNO, Girolamo, CXXX, 1973, pp . .56-.57; HUNTER, The Drawings, XXVI, 1, 1988, pp . .5-6.

D-17.

PARIGI

Louvre, Gabinetto dei disegni Madonna e Bambino in trono con san Giovanni Battista, santa Caterina, san Girolamo, sant'Alberto Siculo, san Martino, san Luca (fig. 21) Inv. n. 10055 Penna e inchiostro bruno, acquarello bruno, tocchi di biacca con carboncino su carta imbrunita; mm. 427 X 260 Attribuito a Siciolante da Philip Pouncey Vedi Catalogo, 2 Bibliografia: DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p . .59; BRUNO, Girolamo, CXXXIII, 1974, pp. 70-72; Collections, 1977, p. 103, n. 69; Roman Drawings, 1979, pp. 128-129, n . .5.5; HUNTER, The Drawings, XXVI, 1, 1988, pp. 24-26.


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280

Catalogo delle opere

D-18.

PARIGI

Louvre, Gabinetto dei disegni Discesa dello Spirito Santo (fig. 63) Inv. n. 10197 Penna e acquarello bruno su carta azzurra, quadrettato; mm. 304 X 190 Attribuito a Siciolante da Philip Pouncey Vedi Catalogo, A-18 Bibliografia:

D-19.

HUNTER,

The Drawings, XXVI, 1, 1988, pp. 22-24.

PARIGI

Louvre, Gabinetto dei disegni Donazione fatta alla Chiesa da Pipino re dei Franchi del territorio ceduto da Astolfo re dei Longobardi (fig. 71) Inv. n. 1960 Penna e acquarello bruno con tocchi di biacca su carta imbrunita, quadrettato a carboncino; mm. 453 X 427 Attribuito a Siciolante da Philip Pouncey Vedi Catalogo, 6

Bibliografia: Le XV[e siècle, 1965, p. 57, n. 127; GERE, Il Manierismo, 1971, p. 85, tav. XXXVIII; Il Libro, I, 1974, pp. 157-158 e II, 1974, p . 284, n. 485; Collections, 1977, p. 103, n. 69; HUNTER, The Drawings, XXVI, 1, 1988, pp. 24-26.

D-20.

PARIGI

Collezione privata Apostolo che cammina a grandi passi (fig. 57) Carboncino con tocchi di biacca su carta azzurra, in parte quadrettato; mm. 217 X 123 Vedi Catalogo, 25


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VI. Disegni. Opere autentiche

D-21.

281

ROMA

Gabinetto nazionale delle stampe e disegni Sant'Agata (fig. 46) Inv. n. FC 124183 Carboncino con tocchi di biacca su carta azzurra, quadrettato; mm. 379 X 278 Già attribuito a Garofalo Vedi Catalogo, 33 Bibliografia: voss, Die Molerei, I, 1920, p. 104; BRUNO, Girolamo, CXXXVI, 1974, p. 31; I grandi disegni, 1981, cat. n. 24; HUNTER, The Drawings, XXVI, 1, 1988, pp. 15-17.

D-22.

ROMA

Gabinetto nazionale delle stampe e disegni Donna con bambino in braccio (fig. 52) Inv. n. FC 124184 Carboncino, acquarello bruno con tocchi di biacca su carta azzurra; mm. 295 X 232 Già attribuito a Pellegrino Tibaldi Vedi Catalogo, 25 Bibliografia: BRUNO, Girolamo, CXXXVI, 1974, p. 31; XXVI, 1, 1988, p. 17.

D-23.

HUNTER,

The Drawings,

TORINO

Biblioteca reale Donna seduta con bambino (fig. 54) Inv. n. 14647a Carboncino e biacca su carta azzurra; mm. 210 X 210 Già attribuito alla scuola di Gaudenzio Ferrari Vedi Catalogo, 25 Bibliografia: 1974, p . 31;

BERTINI, I disegni, 1958, p . 27, n. 147; BRUNO, Girolamo, HUNTER, The Drawings, XXVI, 1, 1988, pp. 18-19.

CXXXVI,


282

Catalogo delle opere

D-24.

VIENNA

Albertina Apostolo in ginocchio (fig. 56) Inv. n. 4873 Carboncino su carta azzurra; mm. 300 X 237 Già attribuito a Franciabigio Vedi Catalogo, 25 Bibliografia: Die Zeichnungen, III, 1932, p. 23; DAVIDSON, Some Early ,vorks, XLVIII, 1966, p. 64, n. 47; BRUNO, Girolamo, CXXXVI, p. 33; HUNTER, The Drawings, XXVI, 1, 1988, p. 19.

D-25.

CASTELLO DI WINDSOR

Biblioteca reale Madonna con Bambino (fig. 85) Inv. n. 5960 Carboncino, inchiostro bruno con tocchi cli biacca su carta azzurra; mm. 226 X 152 Vedi Catalogo, 3

Bibliografia: The Italian Drawings, 1949, p. 133; BRUNO, Girolamo, CXXXIII, 1974, p. 68; HUNTER, The Drawings, XXVI, 1, 1988, p. 28.

D-26. Già in URSS Collezione laremitch Battesimo e consacrazione die re Clodoveo (fig. 31) Penna e acquarello; dimensioni ignote Vedi Catalogo, 23

Bibliografia: DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p. 61, n. 34; The Drawings, XXVI, 1, 1988, pp. 13-14.

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VII. Disegni. Attribuzioni erronee Le voci sono elencate secondo l'ordine alfabetico della località, le illustrazioni sono numerate progressivamente.

XD-1 .

ANN ARBOR

Museo d'arte dell'università di Michigan Anonimo, XVI secolo Madonna con Bambino in trono Inv. n. 1963/2.38 Penna e inchiostro bruno, acquarello, tocchi di biacca; mm. 236 X 170

XD-2.

BAYONNE

Musée Bonnat Anonimo, XVI secolo Sacra Famiglia (fig. 126) Inv. n. 695 Penna e acquarello bruno su carta imbrunita; mm. 231 X 211 Bibliografia:

XD-3.

BRUNO,

Girolamo, CXXX, 1973, p. 71, n . 21.

BERLINO

Staatliche Museen, Kupferstichkabinett Anonimo, XVI secolo Soldato in piedi Inv. n. KdZ 26347 Penna e acquarello bruno; mm. 308 X 112 Bibliografia: Vom spiiten Mittelalter, 1973, p. 40, n. 52.


284

Catalogo delle opere

XD-4.

CHATSWORTH

Collezione del duca di Devonshire Perino del V aga ? Sacra Famiglia con santi e donatore (fig. 127) Inv. n. 159 Penna e acquarello bruno; mm. 225 X 163

Bibliografia: The Collection of Drawings, 1963, p. 49; 1973, pp. 60-61.

XD-5.

BRUNO,

Girolamo, CXXX,

FIRENZE

Uffizi, Gabinetto disegni e stampe Autore italiano, XVI secolo Braccio e busto (fig. 128) lnv. n. 9360s Carboncino su carta imbrunita; mm. 162 X 225

Bibliografia:

XD-6.

BRUNO,

Girolamo, CXXXVI, 1974, p. 35.

FIRENZE

Uffizi, Gabinetto disegni e stampe Perino del Vaga ? Sacra Famiglia (fig. 129) Inv. n. 587E Penna e acquarello grigio bruno, tocchi di biacca, carboncino; mm. 281 X 173 Bibliografia:

BRUNO,

Girolamo, CXXX, 1973, pp. 68, 71, n. 23 ...


VII. Disegni. Attribuzioni erronee

XD-7.

285

FIRENZE

Uffizi, Gabinetto disegni e stampe Autore italiano, XVI secolo San Girolamo nel deserto (fig. 130) Inv. n. 1362F Inchiostro bruno su carta imbrunita; mm. 232 X 171 Bibliografia: Il Libro, I, 1974, pp. 157-158 e II, 1974, p. 285.

XD-8.

FIRENZE

Uffizi, Gabinetto disegni e stampe Autore italiano, XVI secolo Madonna che adora Gesù Bambino (fig. 131) Inv. n. 7270F Inchiostro bruno su carta imbrunita; mm. 217 X 151

Bibliografia: Il Libro, I, 1974, pp. 157-158 e II, 1974, p. 285.

XD-9.

FRANCIA

Collezione privata Pellegrino Tibaldi ? Angelo dell'Annunciazione (fig. 132) Penna e acquarello; mm. 330 X 195

Bibliografia: Exposition, 1971, n. 102; RAGGIO, Vig11ole, XV, 1972, p. 46, n. 95; BRUNO, Girolamo, CXXXIV, 1974, pp. 76-77, 80, n. 48; HUNTER, The Drawings, XXVI, 1, 1988, pp. 11-1.3.


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286

Catalogo delle opere

XD-10.

LONDRA

British Museum Anonimo, 1560 circa Figura che cammina a grandi passi (fig. 133) Inv. n. 1956-11-29-1 Penna e acquarello con tocchi di biacca su carta azzurra, quadrettato a carboncino; mm. 432 X 261 I, :'

Bibliografia: GAUDIOSO, I lavori famesiani, LXI, 1976, fig. 34; Gli affreschi, Il, 1971, pp. 13-15; GERE e POUNCEY, Italia11 Drawings, I, 1983, p. 163, n. 263; HUNTER, Tbe Drawings, XXVI, 1, 1988, pp. 27-28.

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XD-11.

I:

British Museum Anonimo, 1560 circa Uomo seduto a gambe incrociate lnv. n. 1854-6-28-11 Carboncino con tocchi di biacca su carta azzurra; mm. 362 X 247

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LONDRA

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Bibliografia:

XD-12.

GERE

e

POUNCEY,

Italian Drawings, 1983, p. 162, n. 261.

LONDRA

British Museum Anonimo, 1560 circa Gamba destra Inv. n. Ff.1-12 Pennello e acquarello bruno con tocchi di biacca e carboncino su carta azzurra; mm. 229 X 79

Bibliografia:

GERE

e

POUNCE.Y,

Italian Drawings, 1983, p. 163, n. 264.


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VII. Disegni. Attribuzioni erronee

XD-13.

287

LONDRA

Victoria and Albert Museum Anonimo, 1550 circa Madonna con Bambino con san Pietro, san Paolo e donatore (fig. 134) Inv. n. 1019-1900 Penna, acquarello bruno con tocchi di biacca su carta gng1a; mm. 195 X 170 Vedi Catalogo, C-11

Bibliografia: DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p. 56; BRUNO, Girolamo, CXXX, 197.3, pp. 70-71, n. 12; Gli affreschi, II, 1981, p. 1.3.

XD-14.

LONDRA

Victoria and Albert Museum Perino del Vaga ? Sacra Famiglia con san Giovannino (fig. 135) Inv. n. Dyce 189 Penna e acquarello bruno su carta imbrunita; mm. 180 X 135 Bibliografia: DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, pp. 58-59, n. 22; BRUNO, Girolamo, CXXX, 197.3, p. 69, n. 3.

XD-15.

MONACO DI BAVIERA

Staatliche Graphische Sammlung Anonimo, 1560 circa Madonna (fig. 136) Inv. n . 10992 Carboncino con tracce di gessetto rosso; mm. 272 X 216 Attribuito a Siciolante da John Gere Bibliografia: Italienische Zeichnungen, 1977, pp. 1.30-131; Gli a/freschi, II, 1981, p. 149.


288

XD-16.

Catalogo delle opere NEW YORK

Metropolitan Museum of Art Anonimo, 1540 circa Sacra Famiglia con san Giovannino Inv. n . 65.66 .1 Penna e inchiostro bruno, acquarello bruno, tocchi di biacca, su carta azzurra; mm. 144 X 106 Attribuito a Siciolante da Bernice Davidson

Bibliografia: 15th and 16th Century Italian Drawings, 1982, p. 238, o . 241.

XD-17.

OXFORD

Christ Church Bagnacavallo ? Le nozze mistiche di santa Caterina Inv. n. D31 Penna e inchiostro bruno; mm. 179 X 219

Bibliografia: DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p . .56; lamo, CXXX, 1973, p 69, o. 3.

XD-18.

BRUNO,

PARIGI

Louvre, Gabinetto dei disegni Anonimo, XVI secolo San Pietro (fig. 137) Inv. n . 9008B Carboncino, acquarello, con tocchi di biacca; mm. 200 ;< 77 Bibliografia:

BRUNO,

Girolamo, CXXX, 1973, pp. 67, 71, o. 22.

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VII. Disegni. Attribuzioni erronee

XD-19.

289

VIENNA

Albertina Anonimo, XVI secolo Nascita della V ergine Inv. n. 528 Carboncino, acquarello bruno, tocchi di biacca; mm. 251 X 177 Bibliografia: Die Zeichnungen, III, 19.32, p. 26, n. 189.

XD-20.

VIENNA

Albertina Anonimo, XVI secolo La Trinità Inv. n. 433 Carboncino, acquarello bruno e tocchi di biacca; mm. 399 X 314 Bibliografia: Die Zeichnungen, III, 19.32, p. 26, n . 190.

XD-21.

VIENNA

Albertina Anonimo, XVI secolo Due santi Inv. n. 23758 Carboncino, pennello; mm. 195 X 137 Bibliografia: Die Zeichnungen, III, 19.32, p. 26, n. 191.


290

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Catalogo delle opere

XD-22.

CASTELLO DI WINDSOR

Biblioteca reale Anonimo, XVI secolo Il Cristo morto (fig. 138) Inv. n. 0455 Carboncino; mm. 252 X 265 Vedi Catalogo, 12 Bibliografia: The Italian Drawings, 1949, p. 333; DAVIDSON, Some Early Works, XLVIII, 1966, p . 57, n. 15; BRUNO, Girolamo, CXXXVI, 1974, p. 36; HUNTER, The Drawings, XXVI, 1, 1988, pp. 6-8.

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XD-23.

CASTELLO DI WINDSOR

Biblioteca reale Anonimo, XVI secolo Sacra Famiglia (fig. 139) Inv. n. 1959 Penna, inchiostro e acquarello con gessetto rosso su carta rosa; mm. 122 X 110

Bibliografia: The ltalian Drawings, 1949, p. 333.


DOCUMENTI

Testi e atti notarili 1543-1818


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