LA TORE 30

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Qua podè amirar el laboratorio de ceramica. Un posto dove se lavora ogni setimana per prontar i lavori de tuto el grupo Romolo Venucci, che produce ogni ano varie mostre.

A un ocio inesperto ghe poderia parer che sia un bich de disordine, ma a dir el vero ogni atrezo, ogni material e ogni strazeta sta proprio là dove che i devi star.

Gavemo volù farve veder qua, in prima pagina, la Comunità come che la xe veramente, come una casa.

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No30 2019

Editoriale 3

Gli odonimi 4

Piazza Zanella 8

L’Archivio della Memoria 12

Caduti italiani 19

Raduno dei fiumani 20

Da Stradivari a Carmignola 22

Paolo il tifoso 23

Attività 24

Stipanov 25

Storie di Fiume 28

Ceramica 32

Cultura Ebraica 34

Comunità Ebraica 36

Personaggi 38

Nadia Poropat 39

Sergio Turconi 41

Melita Sciucca 42

Moreno Vrancich 43

Giorgio Surian 44

Giulio Settimo 47

Bruno Petrali 50

Sorelle Bucci 52

Riccardo Zanella 54

Gigante e Bacci 58

Lali Dessardo 61

Curiosità 62

La Scartaza 63

El primo volo 64

I tombini 66

Numeri civici 68

Cognomi fiumani 70

L’Aquila e lo Stemma 73

ISSN 1333/0985

FOGLIO DELLA COMUNITÀ DEGLI ITALIANI DI FIUME NUMERO 30 (NUOVA SERIE) - GIUGNO 2019

REDATTORE RESPONSABILE

Moreno Vrancich

REDAZIONE

Marin Rogić

Gianfranco Miksa

Vanni D’Alessio

Rina Brumini

Ivan Jeličić

ART DIRECTOR

Željka Kovačić

REDAZIONE GRAFICA

Edit, casa giornalistico-editoriale

La pubblicazione si avvale del contributo finanziario della Città di Fiume, della Regione litoraneo - montana e del ministero Italiano degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale per tramite dell’Unione Italiana

STAMPA

Tiskara Grafika Helvetica d.o.o., Rijeka

IL NOSTRO INDIRIZZO

Redazione tutta nuova per una Tore speciale

Le foto sono riprese dall’archivio de La Voce del Popolo, di EDIT Libri e da quello di Palazzo Modello, oltre naturalmente ai lavori originali.

Retrocopertina: dipinto di Mauro Stipanov - Veduta notturna 2, olio su tela, 202x151 cm, 2018

Archivio Museo Civico di Fiume

Redazione “LA TORE”, c/o Comunità degli Italiani Uljarska (Via delle Pile) 1, 51000 Rijeka - Fiume - Croatia Tel.: 051 321 990; Fax: 212 238 e-mail: cifiume70@gmail.com

La trentesima edizione de La Tore è un po’ diversa rispetto alle precedenti. Se non altro perché è stata fatta da una squadra completamente nuova. Moreno Vrancich, Marin Rogić, Gianfranco Miksa, Rina Brumini, Vanni D’Alessio e Ivan Jeličić. Nel mondo della CNI si potrebbe dire che si tratta di giovani, anche se in realtà ciascuno di loro – di noi – ha già fatto le sue esperienze, andando poi a contribuire alla realizzazione del foglio informativo della Comunità degli Italiani di Fiume con le proprie competenze specifiche e con la passione e l’entusiasmo che tipicamente contraddistingue i giovani.

Abbiamo deciso di raccontarvi gli avvenimenti più importanti successi nell’ultimo anno, cercando di dare la notizia e di arricchirla poi con le opinioni dei protagonisti e di chi è ferrato in materia. Poi, abbiamo voluto riprendere gli eventi organizzati dalla Comunità stessa, a volte facendovi semplicemente ricordare quello che è stato fatto durante l’anno, in altri casi, invece, andando ad analizzare nel dettaglio il contenuto. La Tore vuole essere sia una rivista di conservazione della memoria che un modo per approfondire e capire meglio il nostro essere Comunità.

Nella terza sezione abbiamo parlato delle persone, perché la Comunità, in fondo è fatta di queste. Le

mostre, le presentazioni di libri, i cori, i balli mascherati, le recite e chi più ne ha più ne metta, non potrebbero esistere senza gli attivisti e non avrebbero ragione di esistere senza il pubblico. Pertanto, indipendentemente da chi abbiamo deciso di includere nell’edizione di quest’anno, dando particolare risalto al loro lavoro, vogliamo ringraziare tutti quelli che hanno partecipato, che sia montando il palco dei minicantanti oppure “presentandose a far la magnada”.

Eco, el dialeto xe l’ultima particolarità de questa Tore. Gavemo deciso de provar a farlo tornar dentro, perché era tanti i fiumani che lo voleva. Questo ano xe giusto un due tre robete in dialeto, ma se diré che ve piasi ghe ne faremo de più per la volta dopo. L’unica roba che ve preghemo, con tuto el cuor, xe de non gaver niente de ridir sul tipo de dialeto usado. Non volemo sentir “e ma quela parola xe istriana”, opur “se dise zità e no cità” o magari anche el contrario. La lingua xe viva, no se parla più come una volta e, a dir el vero, non xe che prima se parlava proprio in modo purissimo. Save la storia sul molo… el xe Lungo o Longo? Dipende, a Scoieto se lo ciamava in una maniera e in Belveder in un’altra.

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L’Editoriale

Grandi avvenimenti • di Marin Rogić

Ilritorno degli odonimi

I vecchi nomi delle vie del centro hanno reso felici tutti i veri fiumani

Un piccolo passo per l’uomo…. un grande balzo per i fiumani! Parafrasando una celebre frase dell’astronauta americano Neil Armstrong, il ripristino degli odonimi storici nel capoluogo quarnerino rappresenta un qualcosa che va oltre la “semplice” affissione di una tabella che ricorda il nome, i nomi, che un luogo ha avuto in un determinato momento della sua storia, perché rientra nella sfera dell’appartenenza identitaria dei fiumani, il ritorno di una voce dal passato che sussurra al loro orecchio, che ricorda l’identità di un popolo, che racconta la loro identità. Era dal 1954, da quella famosa “Notte dei cristalli” in concomitanza con le convulse vicende legate alla crisi di Trieste, che la lingua italiana non aveva praticamente diritto di cittadinanza nel centro storico. Il processo di scomparsa del bilinguismo fu tuttavia graduale e durò diversi mesi. Come testimoniato dalla documentazione fotografica, in quell’anno si trovavano ancora nel centro cittadino negozi con l’insegna in entrambe le lingue. Gli accordi che portarono alla soluzione della questione di Trieste legittimarono indirettamente il cambio di politica anche dal punto di vista dei rapporti con l’Italia. Il Memorandum di Londra fissò a «un quarto» la presenza percentuale della popolazione di minoranza necessaria a rendere obbligatorio il bilinguismo visivo nei centri abitati che passarono ufficialmente sotto il controllo dei governi italiano e jugoslavo. A quel punto la componente italiana a Fiume contava poche migliaia di elementi. I nomi di molte vie cittadine vennero modificati nel 1955, fu in quell’occasione che con ogni probabilità vennero definitivamente sostituite le ultime targhe bilingue precedentemente introdotte. Negli anni successivi la minoranza italiana mantenne le proprie istituzioni culturali in città, che continuarono ad essere sostenute dalle

autorità jugoslave. Il bilinguismo visivo tuttavia non venne ridiscusso, la lingua italiana venne reimpiegata eccezionalmente solo per alcune nuove targhe commemorative riguardanti la Lotta popolare di liberazione. Col tempo ha

L’atto dell’inaugurazione è avvenuto il 13 maggio, a pochi giorni dalle elezioni europee

Da sinistra: Paolo Palminteri, Vojko Obersnel, Melita Sciucca, Moreno Vrancich e Sandro Vrancich; tutti riuniti per l’inaugurazione delle tabelle

Srđan Skunca, capodipartimento cittadino per l’Urbanistica e l’assetto territoriale. In questa immagine è raffigurato prima della posa delle tabelle, nella sede dell’azienda incaricata della realizzazione materiale del progetto

poi trovato nuova affermazione sia nella dimensione informale che in quella formale, ma è ancora oggi l’articolazione del rapporto tra identità, lingua e territorio a contraddistinguere il dibattito sul paesaggio linguistico fiumano.

Primo importante segnale

Il tutto fino al mese scorso, per la precisione il 13 maggio, quando è arrivato un primo segnale, importante, fondamentale, che fa ben sperare e che ha scaldato i cuori a fiumani, rimasti ed esuli: dopo decenni di attesa sono state affisse le prime insegne riportanti i nomi storici documentati delle varie vie e piazze del centro città. Le tabelle sono state posizionate in Piazza Kobler (ex Piazza delle erbe), via Užarska (Calle dei Canapini), via Andrija Medulić (Calle Ca’ d’Oro) e Pod voltun (Arco Romano).

Commenti:

Melita Sciucca (presidente della Comunità degli Italiani di Fiume): “È una piccola vittoria. Ma è soprattutto una battaglia che va avanti perché la cultura italiana è parte integrante della storia di questa città dai suoi inizi. Tuttavia, sarò pienamente soddisfatta nel momento in cui vedrò la tabella Rijeka-Fiume all’entrata in città.Permanente, e non solamente per un anno nell’ambito del progetto Fiume CEC 2020”.

Marino Micich (segretario della Società di Studi Fiumani a Roma): “È una grande gioia vedere realizzato il progetto che ha visto compartecipe la nostra Società. Questo è il risultato del dialogo che da anni la nostra Società, gli esuli fiumani, attraverso l’Associazione Libero Comune di Fiume in esilio, portano avanti con la Città.

D’altra parte, è stato altresì importante il coinvolgimento del sindaco Obersnel, il quale un anno e mezzo fa aveva fatto visita all’Archivio-Museo Storico di Fiume a Roma preannunciando l’idea delle tabelle bilingui a Fiume”

Paolo Palminteri (Console generale d’Italia a Fiume): “Sono felicissimo che le insegne siano state svelate in tempo per la Settimana della Cultura fiumana. A pochi giorni dal voto per le elezioni del Parlamento europeo mi preme sottolineare come questo rappresenti un successo da considerare come europeo. Le insegne?

Secondo il mio modesto parere sono state realizzate in una maniera elegante. Dal punto di vista grafico ho apprezzato soprattutto la soluzione adottata”

Le prime quattro tabelle sono state poste in quattro vie vicine. In questo modo chi attraversa quella zona della città potrà accorgersi con uno sguardo della complessità e della bellezza del passato di Fiume.

Così ad esempio sulla tabella di Piazza Kobler sta scritto Piazza delle erbe, Piazza dei frutti (come veniva chiamata nel XIX secolo) e Piazza del magistrato (nome risalente al XVIII secolo). Nei prossimi mesi verranno collocate complessivamente una trentina di tabelle realizzate dalla società “Pruša” di Fiume. Di fianco ai nomi di vie e piazze si trova il logo e la dicitura Fiume Capitale europea della cultura 2020. Durante il lavoro di ricerca è stata consultata soprattutto l’opera “Stradario di Fiume” di Massimo Superina. Facendo le prime conclusioni, possiamo dire che quest’iniziativa non è importante solamente per la componente italiana, ma anche per la maggioranza, per l’identità cittadina, per l’appartenenza civica, per l’amore che si può nutrire per la propria terra e il proprio retaggio culturale, e perché no, anche per il turismo che punta a diventare motore trainante dell’economia locale.

Marin Corva (presidente della Giunta esecutiva dell’Unione Italiana): “Mi auguro che questo sia soltanto il primo passo. Spero inoltre che d’ora in avanti anche altri aspetti riguardanti la Comunità Nazionale Italiana verranno gestiti con la massima sensibilità e il massimo rispetto per quello che rappresenta la presenza italiana qui a Fiume. È stata la CI locale a portare avanti tutto il progetto e anche noi, come Unione Italiana, non possiamo che ringraziarli per la collocazione di queste insegne”.

Furio Radin (vicepresidente del Sabor e deputato della CNI): “Il ripristino dell’italiano a Fiume, dove manca dal 1954, assume una valenza emotivamente molto importante. È stato atteso a lungo e l’augurio è che anche in futuro riceva la rilevanza che merita. Voglio ringrazio la CI di Fiume per essersi impegnata in questa battaglia. Non posso non sottolineare le parole del sindaco, il quale ha voluto rilevare che non si tratta dell’introduzione ufficiale del bilinguismo. Ma di ciò ci occuperemo in futuro”.

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Grandi avvenimenti • di Marin Rogić

La strada che porta all’Arco romano

Ecco il racconto di com’è nata l’idea di ripristinare gli odonimi storici nel centro città di Fiume

odonimi e di bilinguismo visivo e presto ci si accorse che era quello il tema più sentito. Si decise così di affidare il compito di studiare una strategia da adottare alla Commissione per gli affari giuridici dal Consiglio regionale, formata da Oskar Skerbec, Patrizia Pitacco ed Erik Fabijanić e presieduta da Moreno Vrancich.

oltre a Stelli e Micich, anche Ilaria Rocchi, Ezio Giuricin, Ivan Jeličić, Albert Merdžo, Daina Glavočić e Bruno Bontempo, con Moreno Vrancich che viene nominato presidente durante la prima riunione.

Per anni i fiumani hanno desiderato qualcosa che mostri l’italianità del territorio, in primis sotto una forma di tabelle che spesso venivano chiamate bilingui. Chiedevano o il ripristino del bilinguismo visivo, o il ripristino di vecchi odonimi, oppure possibilmente tutte e due le cose. Il perché non si è realizzato prima il progetto degli odonimi in centro città, è semplice e banale allo stesso tempo: nessuno ha mai avanzato una richiesta ufficiale in questa direzione, né alla Città di Fiume, né al Consiglio cittadino, tantomeno alla Regione litoraneo-montana, non c’è mai stata una richiesta ufficiale che sia partita dall’Unione Italiana, dalla Comunità degli Italiani di Fiume, da un consiglio o da singoli fiumani.

L’idea della Lista per Fiume

Nel 2017 le cose iniziarono a cambiare, nel settembre di quell’anno la Lista per Fiume durante una conferenza stampa sottolineò che a breve sarebbe stato necessario, dettato dalla legge, modificare lo Statuto cittadino. L’idea della Lista era di cogliere l’opportunità di inserire in queste modifiche anche temi a loro cari, indicando due cose separate: la prima riguardava una clausola di salvaguardia dei dialetti ciacavo e fiumano, la seconda il ripristino del bilinguismo visivo in due quartieri della Città. Nella stessa occasione, e poi in altre, si parlò dei vecchi nomi delle vie e si iniziò a parlare di bilinguismo visivo, confondendo spesso il significato di questo termine. Per bilinguismo visivo si intende la traduzione letterale da una lingua ad un’altra quindi per esempio, la Veslarska ulica secondo la logica del bilinguismo visivo diventerebbe Via Veslarska, non sarebbe Via dei Remai, Jadranski Trg sarebbe nel migliore dei casi Piazza

Una grande tavola rotonda

Poco dopo quella conferenza stampa, la Lista per Fiume tornò sul tema. A Palazzo Modello venne organizzata una grande tavola rotonda che vide la presenza del sindaco di Fiume, Vojko Obersnel, dal vicepresidente del Sabor e deputato CNI Furio Radin, all’epoca anche presidente dell’UI, dell’europarlamentare Ivan Jakovčić (DDI), l’allora presidente del sodalizio, Orietta Marot, i giornalisti Silvije Tomašević ed Ezio Giuricin, nonché il presidente della Lista per Fiume, Danko Švorinić e l’esponente della minoranza serba a Fiume, Jovica Radmanović.

Odonimi vs bilinguismo

In quell’occasione il sindaco Obersnel disse di non avere nulla in contrario alla sistemazione di tabelle di un qualche tipo, esprimendo però la sua contrarietà alla tabella Rijeka - Fiume

all’entrata in città. Durante la tavola rotonda si paventò la possibilità di reintrodurre il bilinguismo visivo nel centro di Fiume entro il 2020, anno in cui Fiume diventerà la capitale europea della Cultura, con il sindaco che però disse subito di essere contrario a questo, perché avrebbe voluto dire modificare tutti i documenti della città, con costi enormi e problemi sia per l’amministrazione che per i cittadini. Inoltre, Obersnel colse il nocciolo della questione, ossia che gli stessi fiumani non sapevano cosa volevano ci fosse sulle tabelle, ossia erano indecisi fra ripristino degli odonimi e bilinguismo visivo.

Prendiamo noi l’iniziativa

Un primo passo avanti si fece alla fine del 2017, ad una riunione del Consiglio della minoranza nazionale italiana della Regione litoraneo-montana. L’ordine del giorno non prevedeva di parlare di bilinguismo, ma finita la riunione, durante un momento conviviale, i consiglierei iniziarono a dibattere di

L’organo abbozzò delle proposte e organizzò una riunione congiunta dei Consigli CNI regionale e cittadino, alla quale erano invitati anche i membri dell’Assemblea della Comunità. A quest’ultimi, però, l’invito non arrivò mai, per un disguido o per un vizio di forma, e così a nome della Comunità parteciparono soltanto i due presidenti.

Il 29 gennaio 2018, durante la riunione congiunta, ci fu una lunghissima discussione, in seguito alla quale apparve evidente la necessità di poter contare su degli esperti. I “rappresentanti politici” ammisero di non essere sufficientemente competenti per risolvere il problema nella maniera più opportuna e si optò di affidare tutto a una Commissione di esperti.

A questo punto, però, sorgeva un nuovo problema. Chi avrebbe nominato gli esperti? Tutti erano d’accordo che l’organo più rappresentativo della nostra minoranza era la Comunità degli Italiani di Fiume e così si affidò alla Commissione per gli affari giuridici del Consiglio CNI regionale, l’incarico di proporre all’Assemblea della Comunità quelli che sarebbero dovuti essere gli obiettivi e le modalità di lavoro degli esperti, affiancandovi anche una proposta concreta relativa ai nomi.

La palla nelle mani della Comunità

La Commissione presieduta da Vrancich portò tutto in Assemblea, ma qui nacque il guaio. Dei nove nomi proposti due non andavano a genio: erano Giovanni Stelli e Marino Micich, rispettivamente presidente e segretario della Società di Studi Fiumani di Roma. Il problema era tale che dopo un’accesa discussione, la maggioranza in sala scelse di rinviare la decisione, evitando di fatto di bocciare la proposta, con l’Assemblea che si spaccò in due, da una parte i giovani

volevano fortemente la presenza dei due fra gli esperti, perché tali erano, dall’altra i “più anziani” che non avevano intenzione di cedere. L’Assemblea successiva si svolse un mese dopo, periodo durante il quale Patrizia Pitacco e Elvio Baccarini decisero di ritirarsi dal progetto a causa delle polemiche nate. Al secondo tentativo la composizione dei presenti alla riunione era diversa e così l’Assemblea finalmente nominò quello che venne ufficialmente chiamato Gruppo di lavoro per il ripristino dei bilinguismo. La votazione passa, anche se quasi la metà dei presenti avrebbe voluto che i due fossero solo dei collaboratori esterni. La determinazione dei giovani della CI diede i risultati da loro sperati, e per la prima volta due esuli vengono inclusi all’interno di una commissione della Comunità degli Italiani per risolvere un problema di interesse comune. Entrano così a fare parte del gruppo di lavoro,

Il lavoro della Commissione La Commissione, in una riunione interminabile ma piena di entusiasmo, decise le linee guida da seguire e le strategie, pensando che fosse più conveniente puntare prima sul ripristino degli odonimi per puntare sul bilinguismo in un secondo momento. Merdžo e Jeličić vennero incaricati di fare una ricerca sui nomi del passato per evitare possibili strumentalizzazioni. Durante la settimana della cultura fiumana, si tenne la presentazione della ricerca con Jeličić che espose le 31 vie della città vecchia rimaste più o meno uguali a come erano nel passato, puntando così ad evitare polemiche politiche. La Città si dimostrò favorevole ad accettare l’iniziativa del ripristino degli odonimi, e in una serie di incontri privati tra la nuova dirigenza della CI, presidente Melita Sciucca, presidente dell’Assemblea Moreno Vrancich, con il sindaco Vojko Obersnel, il vicesindaco Nikola Ivaniš, e l’assessore alla cultura Ivan Šarar, si trovò l’accordo per affissare le tabelle. Il sindaco si spinse oltre, dando la possibilità che queste vengano esposte anche all’ingresso della Città. Quest’apertura, nell’ottobre del 2018, venne esposta da Vrancich all’Assemblea creando grande entusiasmo tra i presenti, tra i fiumani, e non solo. L’accordo prevedeva la formazione di una commissione congiunta CI-Città, ma i mesi passano e dalla città non vi sono riscontri, passa dell’altro tempo, e il presidente della Lista per Fiume, Danko Švorinić, informa la Comunità che tutto il progetto è passato nelle mani del Dipartimento cittadino di Urbanistica. La Comunità scrisse alla Città per avere delucidazioni ma non ricevette risposta, la CI viene tenuta fuori dalle preparazioni. Tre giorni prima dell’affissione delle tabelle a Palazzo Modello arrivò la mail con la quale si avvisava la dirigenza che tre giorni dopo sarebbero state affisse le tabelle.

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Adria, non Piazza Regina Elena e neppure Piazza Regina Elisabetta, com’era prima. La famosa riunione del 29 gennaio, con Patrizia Pitacco, Ivan Jeličić e Moreno Vrancich

Nasce piazza Zanella

Il Consiglio cittadino di Fiume ha deciso di dedicare una piazza all’autonomista fiumano

Fiume avrà una piazza dedicata a Riccardo Zanella. Lo ha deciso il Consiglio cittadino, che con 19 voti a favore ha approvato la proposta portata in aula dalla Lista per Fiume. La lunga discussione, non esente da argomenti ideologici, è andata in scena il 30 maggio, un giorno che verrà ricordato, perché si è fatto un altro passo avanti verso il ripristino dell’identità storica della città.

Il luogo scelto per la rinomina è la piazza dei Musei, quella davanti al Palazzo del Governo, che se tutto andrà per il verso giusto, entro metà giugno cambierà ufficialmente nome. Poi, verosimilmente, ci vorrà un po’ di tempo per cambiare le tabelle esistenti indicanti il nome della piazza, ma questa è una formalità.

Come nasce l’idea di dedicare una piazza a Zanella

Il tutto parte nel momento della fondazione dello Stato libero di Fiume, non quello storicamente realmente esistito, bensì un’associazione di cit-

L’idea è nata nel 2004, con la fondazione dell’associazione Stato libero di Fiume. Il primo tentantivo ufficiale è andato in scena nel 2010, ma il Consiglio cittadino si divise. Il 30 maggio del 2019 è stata la volta buona, con 19 consiglieri che hanno deciso di votare a favore della dedica di una piazza a Riccardo Zanella, autonomista fiumano che cent’anni fa ha giocato un ruolo cruciale nel destino della città.

tadini che si è posta l’obiettivo di valorizzare una parte della storia cittadina. Era il 2004, quando i cittadini che avevano a cuore la questione, fra i quali molti fiumani – si intende connazionali, ovviamente –, si accordarono per gettare le basi di quelli che sarebbero dovuti essere gli obiettivi da perseguire per lo Stato libero di Fiume. Fra questi c’era la volontà di presentare nei luoghi pubblici un certo numero di figure storiche importanti per lo sviluppo di Fiume. In questo contesto Zanella non poteva che essere in cima alla lista delle priorità.

Primo tentativo nel 2010

Si iniziò così a lavorare all’idea, cercando di capire quelli che sono i procedimenti amministrativi, i documenti necessari, ma anche i giochi di potere politici, necessari per cambiare il nome di una via o di una piazza. Nel 2010 tutto era pronto e così Danko Švorinić, all’epoca presidente del Comitato per l’autogoverno locale della Città, ma più noto come presidente della Lista per Fiu-

me, fece il primo passo, introducendo il nome di Riccardo Zanella nel documento contenente la lista di nomi da dare alle future vie. A quel punto tutti i cavilli burocratici erano superati e il Comitato propose al Consiglio cittadino di dare quel nome a una piazza della cittavecchia, quella che oggi viene detta Šišmiš, ma che all’epoca non aveva nessun nome ufficiale.

Divisioni politiche

Quando la questione arrivo davanti ai consiglieri si scoprì che c’erano tre correnti di pensiero. I partiti regionalisti erano tutti a favore, ma i loro voti non bastavano, in quanto formavano circa un terzo del Consiglio. Gli altri due terzi erano capeggiati uno dall’HDZ e il secondo dall’SDP. I primi si dissero contrati, per motivi prevalentemente ideologici, mentre i secondi scelsero di astenersi dalla votazione – di fatto bocciando la proposta –, sostenendo che ci fossero dei nomi più appropriati da dare a quella piazza – Šišmiš non era fra questi –. A quel punto si capì che non c’era ancora una volontà politica sufficientemente diffusa, con i principali sostenitori di Zanella che non erano in una posizione tale da permettere loro di trattare. Nove anni dopo, però, la situazione è cambiata e la nuova divisione di forze politiche all’interno del Consiglio cittadino ha permesso una svolta.

Piccoli passi verso il successo

La Lista per Fiume gioca ora un ruolo cruciale nel tenere la maggioranza del Consiglio cittadino puntata verso sinistra e in questo contesto il partito principale è costretto o quasi a dar loro retta. Ufficialmente non c’è nessuna alleanza fra

i due e siamo pronti a credere che molti consiglieri si siano ricreduti sulla questione Zanella, ma indipendentemente dal perché sta di fatto che qualche mese fa il Comitato per l’autogoverno locale della Città ha rinnovato la proposta. Prima di passare la pratica al Consiglio cittadino si è dovuto chiedere il parere, non vincolante, al Comitato di quartiere Braida-Dolac, il quale ha approvato all’unanimità la proposta di rinominare la piazza dei Musei.

L’ultimo atto

La parte terminale di quest’epopea, come già detto, è andata in scena il 30 maggio, con Danko Švorinić che ha illustrato la biografia e il ruolo di Riccardo Zanella, nonché le motivazioni in base alle quali la Città avrebbe dovuto rendergli omaggio con una piazza che portasse il suo nome. L’opposizione, manco a dirlo, si è opposta, ma non c’era da sorprendersi, perché Fiume sta vivendo una fase molto delicata della sua storia politica. Indipendentemente dalle proteste, però, la proposta è passata e in ultima analisi questa è l’unica cosa che conta.

Ciò che è triste, invece, è che la stragrande maggioranza delle persone che oggi vivono in città non hanno la più pallida idea di chi sia stato Zanella e di cosa abbia fatto per Fiume, quale ruolo abbia giocato e se sia stato tutto sommato un personaggio positivo e negativo. Una piazza aiuterà a diffondere il suo nome ma cerchiamo di fare anche noi la nostra parte… a pagina 54 potete leggere il testo di Marino Micich che spiega in sintesi chi sia stato Zanella.

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Si rende giustizia alla storia

Fiume s’inchina al leader storico degli autonomisti Riccardo Zanella che per un anno ricoprì la carica di presidente dello Stato libero fiumano. L’attuale piazza del Museo, antistante il Palazzo del governo, in futuro porterà il suo nome. È anche questo un segno dei tempi che cambiano, come la posa delle insegne con gli odonimi storici in Cittavecchia. Un modo per recuperare un passato, che ormai dovrebbe unire e non dividere. Non è certo un caso il fatto che al leader degli autonomisti sarà intestato lo spiazzo dinanzi al Palazzo del governo, un luogo simbolico in cui aveva governato durante la Reggenza del Quarnero anche Gabriele D’Annunzio. Un luogo, come hanno rilevato i proponenti dell’iniziativa nella loro mozione, che fu teatro di eventi drammatici nel periodo della cosiddetta questione fiumana, dal 1918 al 1924. Formalmente a proporre d’intitolare a Riccardo Zanella l’attuale piazza del Museo è stato il Comitato per l’autogoverno locale con l’assenso della Comunità locale Braida-Dolac. A parte il Comitato per l’autogoverno locale è chiaro che a spingere per l’omaggio a Zanella sono state tutte quelle correnti che riconoscono l’importanza di valorizzare l’identità fiumana, peculiare, storica, senza scordare nessuna delle sue componenti.

La Lista per Fiume anche in questo caso, come nella vicenda legata al bilinguismo, ha avuto il merito di gettare il sasso nello stagno, di smuovere le acque paludose della politica fiumana. Ma è anche merito di chi regge le sorti della municipalità aver colto la palla al balzo. La storia piaccia o no esiste, è nota e risaputa, inutile tenere convitati di pietra in un angolo, meglio esporli.

Inutile dire che questo risultato rientra anche nell’ambito di tutte quelle iniziative per la riscoperta e la valorizzazione delle tradizioni storiche con l’occhio rivolto all’appuntamento con Fiume Capitale della Cultura 2020. A favore della proposta di intitolare a Riccardo Zanella una delle più belle e significative aree cittadine è stata la maggioranza di centrosinistra che fa capo al sindaco Vojko Obersnel. Favorevoli all’iniziativa sia i Socialdemocratici che i Popolari, oltre ovviamente alla Lista per

Come la CNI ha vissuto piazza Zanella

Commenti:

Moreno

, presidente dell’Assemblea della CI

“Per noi questo è un sogno che si realizza. Siamo estremamente contenti che finalmente si stiano facendo dei passi avanti significativi verso la valorizzazione del passato di Fiume.

Fiume, promotrice dell’iniziativa. Contrario curiosamente, potremmo dire, il centrodestra i cui consiglieri hanno abbandonato l’aula prima del voto. Se è vero che questa corrente ha tra i suoi cultori i sostenitori dell’identità nazionale a oltranza è anche vero che ci sarebbe d’attendersi una maggiore propensione a rileggere i lati bui del passato rispetto a chi ha retto per tutto il secondo dopoguerra Fiume. Ma evidentemente la politica ha le sue logiche.

Quello che conta, è che con questa scelta la città rende omaggio a un suo grande personaggio, che si batté per l’autonomia municipale, fu fiero avversario di Gabriele D’Annunzio, costretto a fuggire dinanzi al fascismo. Ma fu anche un uomo che non rinnegò mai il carattere anche italiano di Fiume e la propria scelta culturale italiana e questo alcuni non l’hanno digerito. C’è chi in Aula è arrivato ad accusare i Socialdemocratici di aver rinnegato l’antifascismo e di aver lanciato un nuovo attacco contro l’identità croata della città. Non soltanto i politici hanno avuto da ridire. Ad esempio il direttore del Museo della Città di Fiume, Ervin Dubrović, il quale ha dichiarato alla stampa locale in lingua croata: “Se vogliamo essere sinceri Zanella, se fosse rimasto al potere, non sarebbe stato favorevole all’annessione di Fiume alla Croazia. Semmai sarebbe stato preferibilmente per l’Italia. Zanella sotto alcuni aspetti è stato una personalità positiva, ma dall’ottica nazionale croata il suo ruolo è comunque negativo. I sentimenti culturali di Zanella erano italiani, però forse a qualcuno può risultare interessante per la sua fiumanità, per la sua resistenza autonomista”.

Nemmeno su altri versanti l’omaggio a Zanella, forse visto in funzione antidannunziana, potrebbe piacere troppo. Eppure l’autonomismo è un capitolo storico fondamentale non soltanto per Fiume, ma anche per vaste aree dell’Adriatico orientale. Non è un capitolo a senso unico, ma sicuramente è importante anche per tutta la CNI, oltre che per le altre componenti del territorio. E con Zanella come simbolo non perde nessuno. Tutti ci guadagnano.

Fiume ha una storia bellissima nella sua complessità. In questo contesto intitolare una piazza a Riccardo Zanella è un atto dovuto. Indipendentemente da quelle che oggi sono le nostre opinioni politiche, Zanella è stato uno dei più grandi personaggi della storia di Fiume e come tale va ricordato. La Comunità degli Italiani di Fiume è sempre favorevole a iniziative come questa, legate al ripristino dell’identità storica e alla salvaguardia della memoria. Tanto, che quando la CI ha istituito il Gruppo di lavoro per il ripristino del bilinguismo visivo, oltre a parlare di vecchi odonomi delle vie si è discusso anche di come fare per intitolare in modo ufficiale piazze e vie a dei personaggi celebri della Fiume di un tempo.

L’obiettivo primario del Gruppo di lavoro, infatti, erano sì le targhe con gli odonimi – con le prime quattro che sono state poste il 13 maggio –, ma si è parlato a lungo anche di come reintrodurre alcune tabelle bilingui e di trovare il modo di convincere le autorità cittadine a dedicare qualche via o piazza ai fiumani storici.

Nell’ottobre scorso Melita Sciucca e il sottoscritto, rispettivamente presidente e presidente dell’Assemblea della Comunità, avevano parlato di questo con

Vojko Obersnel, Nikola Ivaniš e Ivan Šarar, ossia sindaco, vicesindaco e assessore alla cultura di Fiume. Le autorità cittadine avevano riconosciuto la bontà di tutte le iniziative proposte, affermando però che sarebbe stato molto scomodo per la popolazione locale dover rinominare una via, in quanto questo avrebbe obbligato chi vi risiede a modificare tutti i propri documenti d’identità. Il sindaco, però, aveva anche detto che se si fosse trovata una via disabitata o una piazza che non avesse ancora un nome si sarebbe potuto fare. Ed ecco che, nel giro di qualche mese, la Lista per Fiume, spesso molto vicina ai temi di identità storica, fa notare che una piazza di questo tipo esiste: l’ormai ex piazza dei Musei. Qui, effettivamente, non ci sono residenti e neppure negozi, aziende o altri soggetti che si potrebbero lamentare. Gli unici edifici che rispondono a quell’indirizzo sono i più importanti musei cittadini e regionali, quindi cambiare i documenti relativi alla sede non sarà un problema. Detto fatto, e il Consiglio cittadino, nella sua seduta di giovedì 30 maggio, approva il cambiamento di nome della piazza. E poco importa se l’opposizione indignata ha abbandonato la sala, tanto ultimamente lo fanno spesso.

La nostra città ha una storia bellissima e Zanella è un tassello fondamentale di essa. In questo caso, però, la gioia è duplice, in quanto l’iniziativa è stata portata avanti da terzi, il ché dimostra che non siamo i soli ad avere a cuore l’identità di Fiume. Sono sicuro che in un prossimo futuro ci saranno altre iniziative di questo tipo, con il nostro compito che sarà quello di garantire la correttezza nella presentazione dei fatti storici e l’impeccabilità della lingua italiana che verrà usata per presentarli”.

Melita Sciucca, presidente della Comunità degli Italiani di Fiume “Appena sentita la notizia ho contattato immediatamente Marino Micich per condividere con lui la felicità. Mi fa immensamente piacere che venga rivista la storia di Fiume, a prescindere dai periodi belli o brutti che la città ha vissuto. Riccardo Zanella era stato protagonista di un periodo molto importante della nostra storia e ha fatto una triste fine, indipendentemente da tutto. Reputo quindi che sia giusto dedicare una piazza a questo personaggio storico” Marino Micich, segretario della Società di Studi Fiumani a Roma.

“Ho letto su Internet la sera stessa dell’approvazione da parte del Consiglio cittadino. Personalmente reputo che si tratti di un’opera di recupero culturale della storia di Fiume. Riccardo Zanella ha rappresentato, nel periodo austro-ungarico, un importante punto di riferimento dei fiumani agendo in maniera democratica. È stato un personaggio politico andato in esilio dopo la Seconda guerra mondiale, mentre i suoi amici autonomisti Blasich e Skull vennero assassinati dalla polizia segreta. La sua vita è stata una storia complessa e, a parte la componente politica, penso che per Fiume questo sia sicuramente un recupero di immenso valore culturale”.

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di Dario Saftich, ripreso da La Voce del Popolo
La Comunità nazionale italiana ha reagito molto positivamente alla notizia della dedica di una piazza a Zanella, perché il suo nome è un simbolo d’identità

L’Archivio della Memoria della Comunità italiana di Fiume

abitanti, i rapporti tra maggioranza e minoranza linguistica. Sono storie di vita. È la storia della città attraverso vissuti riportati a noi oggi, a quasi vent’anni dall’inizio del nuovo millennio.

Maria Schiavato

Videointervista dalla durata di 1 ora e 33 minuti.

Un archivio digitale di videointerviste ideato e sviluppato da Gianfranco Miksa e Vanni D’Alessio per conservare e diffondere la storia della presenza culturale italiana a Fiume attraverso la voce diretta dei suoi protagonisti

I ricordi dell’infanzia in diversi casi arrivano fino a prima della Seconda guerra mondiale e costituiscono l’esperienza diretta che attraverso la voce e gli occhi dei protagonisti ci permette di ricollegarci con un passato ormai sempre più lontano e sfumato, di una Fiume diversa. Di qui le esperienze della scuola a Fiume e le diverse professioni, spesso proprio quelle della nostra comunità tra giornalismo radiofonico e della carta stampata e insegnamento scolastico, ma anche in altri luoghi simbolici a Fiume, dal cantiere al porto permettono a chi ascolta di entrare nella modificazione delle reti di persone e dei luoghi stessi. In questo senso l’Archivio della Memoria è pensato come un contributo alla comprensione e allo studio della nostra storia, cultura e del popolo con tutte le sue sfaccettature. La finalità del progetto è anche di presentare, attraverso questi pezzi del mosaico, un quadro di quello che la Comunità italiana era ed è ancora, ma anche di quello che è possibile conservare e tramandare alle generazioni future.

LUOGO E GIORNO DELL’INTERVISTA: Fiume, nell’abitazione dei coniugi Schiavato, il 7 settembre del 2018.

AUTORI DELL’INTERVISTA: Gianfranco Miksa e Vanni D’Alessio, con Brigitte Le Normand, storica dell’Università della British Columbia, Canada.

RIPRESE E MONTAGGIO: Gianfranco Miksa.

LUOGHI DELLA NARRAZIONE: Fiume, Abbazia, Cantrida. NOTE BIOGRAFICHE:

Maria Schiavato (1932), fiumana di nascita, ha vissuto le varie stagioni della vita cittadina, in particolare di Cantrida, da quella tardo ungherese attraverso i racconti del nonno, ai periodi italiano, della guerra, jugoslavo e croato, assistendo al declino dell’italianità a Fiume, come insegnante e protagonista della vita della comunità italiana. Diplomata al Liceo di Fiume e laureata in italianistica a Belgrado, è stata insegnante e poi direttrice della Scuola Elementare Italiana “Mario Gennari” (l’odierna “San Nicolò”) e poi insegnante alla scuola Gelsi.

CONTENUTI:

L’Archivio consiste in una serie di video-interviste fatte a membri della realtà e della storia della Comunità italiana di Fiume. Nato come una iniziativa assieme di ricerca e conservazione di un patrimonio storico e culturale e di pedagogia, il progetto si è concretizzato con la raccolta delle preziose testimonianze sulla vita familiare, personale e professionale degli intervistati e attraverso queste, ripercorrere la vita e storia della città. Tutto il materiale è disponibile al pubblico, tramite l’archiviazione su base digitale, attraverso il canale youtube della Comunità degli Italiani di Fiume.

La nostra città, ne andiamo ormai fieri tutti, si è sviluppata negli ultimi tre secoli grazie all’incontro di genti e culture diverse, che specialmente in seguito alla formazione del Porto franco e poi in maniera esponenziale tra diciannovesimo e ventesimo secolo, vi hanno vissuto e lavorato, rendendola peculiare rispetto allo stesso panorama adriatico settentrionale. Per cercare di recuperare i pezzi di questo mosaico il nostro punto di partenza è stato di recuperare le memorie familiari, così da provare a ricomporre le tracce dei percorsi di famiglie arrivate e mescolatesi a Fiume in tempi vicini o lontani di più generazioni, e quindi di ricostruire virtualmente nella narrazione i luoghi di vita e professione della Fiume di un tempo, a ritroso fino agli inizi del Novecento e oltre.

Ciò che ci interessava era riportare alla luce esperienze e vissuti concreti delle persone, anche indirettamente. A tutti gli intervistati è stato chiesto quindi di cominciare il loro

racconto parlando della propria famiglia e poi di recuperare i ricordi legati all’infanzia, e all’adolescenza e giovinezza a Fiume, spingendoli ad allungare lo sguardo proprio o familiare fino alla Fiume prima della Sconda guerra mondiale. Una parte importante su cui abbiamo sempre chiesto agli intervistati di soffermarsi è stata proprio la guerra, quindi i bombardamenti, i rifugi, il rapporto con le truppe di occupazione tedesche, l’arrivo dei partigiani, quindi il cambiamento con la scomparsa di tanti familiari e compagni di giochi e di scuola, a Fiume del dopoguerra e degli anni successivi. I racconti tra anteguerra, guerra e dopoguerra sono proseguiti sempre attraverso le esperienze personali scolastiche, prima che professionali: la scuola frequentata, l’uso del dialetto e della lingua italiana, i rapporti di lavoro. Sappiamo benissimo che i ricordi della fase di infanzia e giovinezza non possono che essere rielaborati assieme alle storie di famiglie, vissute e rivissute nei racconti ripetuti negli anni, o che affiorano dal dimenticatoio. Le storie che ci sono state offerte, formate e sviluppate in un processo di continua rielaborazione personale, familiare e comunitaria, in relazione alle esperienze, rappresentano riconfigurazioni preziose in cui si snoda la storia di Fiume. Le posizioni e le categorie di riferimento del soggetto sono personali, e influiscono nel modo in cui vengono presentati nell’intervista i cambiamenti storici e culturali in città, le modificazioni di luoghi, i problemi della vita quotidiana, lo svago, le percezioni dell’abbandono di una larga parte della vecchia popolazione e l’arrivo di nuovi

Il progetto ha anche una valenza e uno sfondo di ricerca internazionale, in quanto si connette al progetto dell’Università della British Columbia e del Centro di Studi Avanzati dell’Università di Fiume sui confini e le trasformazioni urbane dopo la Seconda guerra mondiale Rijeka in Flux (“Fiume nel flusso”), e l’intenzione è che pezzi di interviste possano contribuire a “Rijeka Fiume: una narrazione storica”. Questa è una mappa storica digitale che si trova sulla piattaforma “Geolive” del progetto di ricerca, ma è aperta al contributo di tutti, ed è facilmente reperibile cercando su un motore di ricerca, come Google, le parole Geolive e Fiume.

L’Archivio della Memoria è però già consultabile sul canale Youtube del sodalizio di Palazzo Modello. Per accedervi, occorre digitare il nome della CI di Fiume, per esteso nel motore di ricerca, e l’internauta sarà indirizzato sul canale telematico in questione. Da lì sono consultabili le interviste, che per il momento sono nove e variano da un’ora alle oltre due ore e mezzo di durata.

Come autori dell’archivio, auspichiamo si tratti solo dell’inizio. Indentiamo, infatti, costituire un nucleo consistente di fonti orali e di materiali sulla rete. La meta è di arrivare, per ora, a trenta testimonianze, in modo tale da poter offrire un quadro iniziale quanto più composito ai membri della nostra comunità e agli altri abitanti di Fiume, ai fiumani sparsi per il mondo, ma anche a studiosi che vorranno portare avanti indagini sulla storia di Fiume e della Comunità Nazionale Italiana in Croazia e Slovenia.

Lista dei testimoni della prima fase, 2018/19: Maria Schiavato, Giacomo Scotti, Mario Schiavato, Bruno Petrali, Silverio Cossetto, Giuseppe Bulva, Maria Blecich Bacich, Silvana Vlahov ed Elda Bradičić.

Maria Schiavato nasce Maria Grazia Favrich in centro città ma a un anno di vita si trasferisce a Cantrida e si definisce oggi Cantridana. Di famiglia mista di origine lussignana, veneziana e fiumana, in questa intervista mette in rilievo la capacità fiumana di adattarsi ai cambiamenti, e tra questi ricorda il distacco dalla Madrepatria e il dolore di veder andar via la quasi totalità della gente. Ricorda i giorni di scuola a Cantrida, allora Borgomarina, la vita nel cantiere (in cui lavorò il nonno, da quando il cantiere era l’ungherese Danubius a quando fu italiano come Cantieri navali del Quarnaro e poi Tre Maggio durante la Jugoslavia). Rammenta come il nonno ricordasse con nostalgia l’Impero con le parole: “Maledetta l’Austria che ne ga insegnà a magnar cinque volte al giorno”. Nel suo racconto le memorie di una vita da bambina felice a Cantrida, in Viale Italia numero 2, di fronte al Bagno Savoia. Ma anche le difficoltà economiche e poi la guerra con la Jugoslavia, i bombardamenti che svuotarono il quartiere, l’occupazione tedesca. Diversi sono gli episodi e le situazioni familiari e comunitarie che la Schiavato riporta alla luce con lucidità, dall’accoglienza ricevuta durante la guerra e l’esperienza della guerra come vita quotidiana nel fanatismo degli insegnanti. Ricorda le voci in occasione dell’8 settembre 1943: “La guerra xe finida”, ma anche: “la guerra comincia”. Ricorda l’arrivo e la presenza dei tedeschi e poi l’abbandono degli ultimi di loro, giovanissimi. Parla dell’arrivo dei partigiani, in uno stato miserevole, del Kolo in piazza Dante, delle requisizioni dei negozi, che colpirono anche il ciabattino di cantrida; ricorda i soprusi subiti e i primi allontanamenti e poi le opzioni per la cittadinanza italiana concesse e rifiutate con ragioni strumentali pur di trattenere alcune persone. Ricorda i giorni del Liceo iniziato nel 1946, con 83 compagni divisi in due prime, diventati diventati in una classe sola di 14

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in quinta classe e quindi la città che si vuotò. “Si capì che tutto finiva”. Parla della scelta di optare e poi di rimanere, della chiusura delle scuole (“la cosa più tremenda”) negli anni cinquanta e poi della crisi delle iscrizioni negli anni sessanta e settanta. Senza alcun rimpianto di essere rimasta, prima giornalista un anno alla radio e poi insegnante, libera di parlare la sua lingua per ore e di trasmetterla, cosa di cui ha fatto uno scopo di vita. Ricorda la difficoltà di studiare italianistica a Belgrado da non frequentante come insegnante e come madre, laureandosi con Eros Sequi a Belgrado. Si sofferma su Eros Sequi, severo ma bravo insegnante, autore delle memorie partigiane “Eravamo in tanti”, fondatore e poi defenestrato dall’Unione, a dirigere italianistica a Belgrado. Ricorda l’inizio dei seminari in lingua italiana per gli insegnanti organizzati da Antonio Borme a Rovigno prima dell’impegno dell’Università popolare di Trieste con l’Unione italiana. Ricorda anche l’apertura degli anni sessanta e il rapporto con Zdenka Sušanj, consulente pedagogica delle scuole italiane. Ricorda infine la difficoltà di convincere le famiglia di lingua italiana iscrivere i propri figli nelle scuole italiane e il calo di iscrizioni come un trauma personale e l’ambiente sfavorevole alla lingua italiana, ma anche l’impegno profuso come direttrice e insegnante.

Giacomo Scotti

Videointervista dalla durata di 1 ora e 41 minuti.

LUOGO E GIORNO

DELL’INTERVISTA:

Fiume, nell’abitazione di Giacomo Scotti, l’8 settembre del 2018.

AUTORI DELL’INTERVI-

STA: Gianfranco Miksa e Vanni D’Alessio, con Brigitte Le Normand, storica dell’Università della British Columbia, Canada.

RIPRESE E MONTAGGIO: Gianfranco Miksa.

LUOGHI DELLA NARRAZIONE: Fiume, Pola.

NOTE BIOGRAFICHE:

Giacomo Scotti (1928) originario di una famiglia contadina di Saviano nell’area vesuviana a ridosso di Napoli, dopo aver lavorato da ragazzo al seguito dell’Esercito britannico nella penisola italiana durante e immediatamente dopo il conflitto, si trasferì nel 1947 nella Jugoslavia socialista, inseguendo i suoi ideali comunisti. Si diplomò al Liceo italiano lavorando come correttore di bozze per il quotidiano italiano La Voce del Popolo. Sotto la Direzione di Erio Franchi divenne giornalista. Negli anni scoprì anche il suo talento di poeta e narratore, diventando uno scrittore per adulti e ragazzi, autore di favole e saggista, autore di saggi storici sul movimento partigiano, sulla nostra comunità, sull’Adriatico orientale dalle origini fino alla guerra in Croazia, e sui i rapporti culturali tra le due sponde dell’Adriatico. Prolifico traduttore dal serbo, dal croato e dal macedone, partecipò costantemente ai festival e raduni di poesia or-

ganizzati dalle diverse repubbliche jugoslave. Lavorò anche al porto di Fiume, dove curò la pubblicazione fatta da e per i suoi lavoratori. È stato anche volontario per scopi umanitari durante le guerre in Croazia e Bosnia e collaboratore del quotidiano italiano il Manifesto e presenza fissa dell’editoria in lingua italiana a Fiume e della politica culturale della minoranza italiana in Croazia e Slovenia, su cui ha pure scritto molto, ponendosi come voce autorevole e al bisogno lucidamente critica. Ha al suo attivo come autore più di cento volumi tra saggi, monografie, raccolte di poesie, favole e racconti.

CONTENUTI:

Scotti racconta del campo di raccolta dove fu inviato quando entrò in Jugoslavia e poi della vita a Pola e a Fiume, quindi delle esperienze come correttore di bozze a La Voce del Popolo di Fiume. Ricorda il direttore Erio Franchi, il primo Reportage sul “lavoro volontario” e quindi l’inizio della carriera giornalistica. Sono presenti nell’intervista interessanti momenti di vita quotidiana a Fiume, i bagni e le corse ciclistiche, i luoghi dove ha abitato e la Fiume che cambiava, ma anche i problemi del sostentamento e dell’abbigliamento minimo necessario durante il razionamento con le Carte annonarie. Ricorda i rapporti con i colleghi scrittori e giornalisti, dalla Voce, ai vari eventi, fino alla loro vita quotidiana alla la Casa collettiva de La Voce del Popolo alla Mensa dei lavoratori culturali. Ricorda anche i divertimenti nella Fiume post bellica ma pure la città disastrata dalla guerra. Discute del ruolo in città dei nuovi arrivati di lingua italiana come lui, Alessandro Damiani e tanti altri attivi nel lavoro culturale e nell’industria e la loro integrazione. Parla di vari personaggi della Fiume italiana e poi anche di Damir Grubiša, di Zoran Kompanjet, del supposto binomio italiano/fascista. Discute della presenza della lingua delle insegne italiane, ricorda la crisi di Trieste e la caccia all’italiano. Ricorda anche il passaggio di Che Guevara a Fiume e come lo conobbe e varie stagioni della storia di Fiume di questi ultimi settanta anni.

Mario Schiavato

Videointervista dalla durata di 1 ora e 2 minuti.

LUOGO E GIORNO DELL’IN-

TERVISTA: Fiume, nell’abitazione dei coniugi Schiavato, il 27 novembre 2018.

AUTORI DELL’INTERVISTA: Gianfranco Miksa e Vanni D’Alessio.

RIPRESE E MONTAGGIO: Gianfranco Miksa.

LUOGHI DELLA NARRAZIONE: Fiume, Dignano.

NOTE BIOGRAFICHE:

Scrittore, alpinista e tipografo de La Voce del Popolo, Mario Schiavato (1931) nacque nei pressi di Treviso in una famiglia di contadini e nel 1943 si trasferì a Dignano e dopo la guerra Fiume. È uno dei più rappresentativi autori della Comunità italiana, e ha pubblicato circa quindici libri di

narrativa per ragazzi, di prosa e di poesia. Veneto di nascita e origini, istriano di prima formazione ma fiumano d’adozione e vita vissuta, è stato spettatore della storia nell’Istroquarnerino da cittadino italiano: dalla guerra alla fine della sovranità italiana con l’estensione del sistema socialista jugoslavo e l’esodo, ha sofferto con i rimasti le storture di un regime autoritario senza condividerne le impostazioni e speranze di liberazione in cui altri confidavano. È però rimasto a Fiume, ha lavorato con serietà ed è stato apprezzato all’Edit e dalla nostra comunità per le sue qualità di linotipista ma anche per il suo talento di scrittore e per essersi impegnato con la Filodrammatica della Comunità e nelle scuole in laboratori teatrali con molti attori allora in erba, alcuni di loro diventati pezzi importanti del nostro Dramma italiano.

CONTENUTI:

L’intervista si concentra su Mario Schiavato a Fiume e si snoda attraverso i diversi momenti del suo percorso biografico: Innanzitutto l’arrivo dall’Istria a Fiume, il lavoro di linotipista alla Voce del Popolo e gli studi serali al Liceo. Schiavato ricorda quindi la Fiume della giovinezza. L’esodo e il mantenimento della cittadinanza italiana. Si sofferma sulle difficoltà di integrarsi nella nuova società croata, anche dal punto di vista linguistico. Parla della città disastrata dalla guerra e della presenza della lingua italiana e del bilinguismo a Fiume. Si sofferma con noi e la moglie, Maria Schiavato, su un episodio narrato altre volte: la distruzione delle insegne in italiano in una notte nel 1953 nei pressi del Grattacielo di Fiume. Parla del suo impegno a “Vie Giovanili” e del rapporto con i giornalisti della Voce più convinti e politicizzati di lui. Arriva con il racconto alla pubblicazione de “I ragazzi del porto” ai libri per ragazzi, al lavoro alla Filodrammatica della Comunità degli Italiani. Ci parla poi della sua passione per l’alpinismo e torna ai suoi romanzi: “Mini Maxi”, “Terra Rossa e Masiere” e discute dei problemi dei rimasti e degli esuli, del dialetto fiumano, per ritornare ai diversi momenti della sua vita a Cantrida.

Bruno Petrali

Videointervista dalla durata di 2 ore e 35 minuti.

LUOGO E GIORNO

DELL’INTERVISTA: Fiume, nella Casa di Riposo di Cantrida, nell’arco di due sedute. La prima il 14 dicembre e la seconda il 21 dicembre del 2018.

AUTORI DELL’INTERVISTA: Gianfranco Miksa e Vanni D’Alessio.

RIPRESE E MONTAGGIO: Gianfranco Miksa.

LUOGHI DELLA NARRAZIONE: Fiume, Abbazia, Milano, Belgrado, Capodistria.

NOTE BIOGRAFICHE: Bruno Petrali (1925) è una personalità di spicco della Co-

munità Nazionale Italiana della Croazia e della Slovenia. Primo annunciatore radiofonico di Radio Fiume, divenne cantante famoso nella Jugoslavia di Tito, attore e direttore del Dramma Italiano del Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume nel suo periodo d’oro, ma anche noto telecronista di Radio TV Capodistria. Nel mese di giugno 2019 è stato insignito della Targa d’oro “Stemma della Città di Fiume”, per il suo contributo dato alla conservazione e alle diffusione della cultura italiana in queste terre.

CONTENUTI:

Nella videointervista Bruno Petrali ricorda i momenti legati alla sua famiglia, all’infanzia, all’istruzione scolastica, al lavoro al Cantiere navale del Quarnero. Ma anche l’importanza che rappresenta Fiume per lui. Petrali parla dei bombardamenti di Fiume, e ricorda i giorni della fine della guerra a Milano, quando come studente si trovò a Piazza Loreto dove fu esposto al ludibrio della folla il corpo del Duce del fascismo. Petrali decide, diversamente da molti suoi connazionali, di tornare a Fiume e in città, grazie a un annuncio comincia la sua carriera come annunciatore di Radio Fiume, e autore di programmi anche culturali. Assiste all’abolizione della redazione e dei programmi italiani della radio. Petrali rammenta i giorni della formale annessione alla Jugoslavia e quindi l’esodo. Altri capitoli della sua vita sono dedicati alle esperienze nel Dramma Italiano, la compagnia in lingua italiana del Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc”, di cui è stato attore e direttore, con il ricordo delle trasferte, dei registi e degli altri attori. Un ricordo è dedicato anche agli spettacoli del Dramma Italiano per la Radiotelevisione jugoslava. Momenti importanti del suo racconto di vita sono dedicati alla sua celebre carriera di cantante, protagonista della scena ad Abbazia ma anche richiesto in tutta la Jugoslavia, nonché alle canzoni più significative e agli altri cantanti del tempo. Infine accenna anche all’esperienza di telecronista sportivo per la Radiotelevisione Capodistria. Petrali ricostruisce i rapporti con Osvaldo Ramous e con Drago Gervais, con il Dramma Croato, e con i vari attori italiani, tra cui in particolare Galliano Pahor, Elvia Nacinovich e Ester Segalla.

Silverio Cossetto

Videointervista dalla durata di 2 ore e 2 minuti.

LUOGO E GIORNO DELL’INTERVISTA: Fiume, nell’abitazione dei coniugi Cossetto, nell’arco di due sedute, l’8 gennaio e il 2 marzo 2019.

AUTORI DELL’INTERVISTA: Gianfranco Miksa e Vanni D’Alessio.

RIPRESE E MONTAGGIO: Gianfranco Miksa.

LUOGHI DELLA NARRAZIONE: Fiume, Goli Otok (Isola Calva).

NOTE BIOGRAFICHE:

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Silverio Cossetto, uno dei pochi sopravvissuti al penitenziario di Goli Otok ancora in vita che appartiene alla Comunità Nazionale Italiana. Proveniente dal ceppo familiare dei Cossetto di Santa Domenica di Visinada e dei Cuculić (e Zussulich) di Kukuljanovo, Silverio è nato a Fiume il 2 febbraio 1929. Figlio di un internato a Mauthausen, durante la Seconda guerra mondiale, venne forzatamente reclutato nell’Organizzazione tedesca della TODT, quale manodopera per costruire bunker e postazioni di difesa attorno alla città, occupata dalla Wehrmacht. Parallelamente milita anche nello SKOJ, l’associazione della Gioventù comunista jugoslava, con l’ideale di creare una società più giusta ed equa, completamente all’opposto da quella nazifascista che all’epoca seminava terrore. Freddo con gli sviluppi del regime, pur non avendo sposato le tesi stalinisti, fu internato a Goli Otok.

CONTENUTI:

Nella videointervista, Silverio Cossetto, rievoca le origini delle sue due famiglie di origine, i Cuculić di Kukuljanovo i Cossetto e la Fiume prima della guerra, della casa di via Parini, dei suoi periodi a Kukuljanovo con i nonni, dei rapporti in casa nella coesistenza tra ciacavo e italiano. Fece le scuole italiane prima della guerra a Via Manin e ricorda i rapporti con i compagni di classe e gli amici, tutti andati via dopo la guerra, e la frequentazione di casa Francesco Drenig, come amico del figlio Neri. Racconta il periodo della guerra, dall’esperienza della TODT alla tragedia dell’arresto e all’adesione all’antifascismo e nel 1944 allo SKOJ a Kukuljanovo, quando aderì alla Resistenza portando da mangiare ai partigiani. Antifascista e zanelliano era anche il padre che tragicamente fu arrestato e poi spedito nel campo di concentramento nazista di Mauthausen e mai più tornò. Si sofferma molto della sua tragedia personale, studente ventenne dell’Istituto Nautico a Fiume, subì un processo farsa, per il quale venne condannato a 6 mesi di reclusione, che alla fine si trasformarono in 26. Il capo d’accusa? Delitto Verbale, ovvero aver avuto un momento di indecisione nel schierarsi politicamente tra il dissidio che intercorreva tra Tito e Stalin. Cossetto, dopo cinque mesi e mezzo passati nelle carceri di Fiume, in via Roma, senza mai poter usufruire dell’ora d’aria, giunse sull’Isola Calva (Goli Otok) nell’aprile del 1950 e vi rimase fino al gennaio 1951. Venne poi assegnato alle Brigate di lavoro dislocate in Bosnia, per essere definitivamente liberato alla fine del 1951. Dell’ex penitenziario politico, Silvero Cossetto, rievoca l’arrivo a Goli Otok/Isola Calva, il benvenuto attraverso il “Kroz Stroj”, i continui pestaggi, vessazioni, provocazioni, umiliazioni, maltrattamenti e discriminazioni di ogni genere. Cossetto ricostruisce anche gli incontri con personaggi quali Ante Raštegorac, Andrea Scano, Dino Belletti, Gino Kmet e Aldo Juretich. Descrive anche lo stato mentale e fisico, sceso a 47 chili di peso, a causa dell’alimentazione nel carcere, e parla anche dei rapporti all’interno del gruppo italiano di detenuti a Goli.

Videointervista dalla durata di 1 ora e 39 minuti.

LUOGO E GIORNO DELL’INTERVI-

STA: Fiume, nell’abitazione di Silvana Vlahov, il 9 marzo 2019.

AUTORI DELL’INTERVISTA: Gianfranco Miksa e Vanni D’Alessio.

RIPRESE E MONTAGGIO: Gianfranco Miksa.

LUOGHI DELLA NARRAZIONE: Fiume, Volosca, Zagabria.

ABSTRACT:

Silvana Vlahov (1938), nata Bubnich a Mattuglie da una famiglia fiumana di origine boema, con il padre, che lavorava alla Manifattura tabacchi. Dopo la guerra si è dedicata per lunghi anni prima al giornalismo – ha lavorato al quotidiano La Voce del Popolo –, e in seguito all’istruzione scolastica in qualità d’insegnante e quindi direttrice della SEI “Belvedere” di Fiume, nonché fondatrice della Scuola Modello.

CONTENUTI:

Silvana Vlahov racconta l’infanzia nel rione di Scoglietto – più precisamente in via dell’Acquedotto –, l’occupazione fascista, i traumi causati dai bombardamenti degli Alleati, vissuti dalla terrazza della casa di famiglia a Pobri dove la famiglia si era rifugiata, la tragedia dell’esodo vissuta in classe con i mancati appelli, l’arrivo di nuove genti nel capoluogo quarnerino. Riaffiorano nel racconto le memorie della scuola Matteotti, della scuola Brussich di via Manin, oggi Tesla, e indietro dei bombardamenti a Fiume e dopo dell’abbandono di tanti fiumani con il ricordo toccante della maestra Amelia Barbieri che faceva l’appello, calcando i “nol xe” riferito a compagni e compagne che giornalmente venivano a mancare per non tornare più. “Xe partido”. Al padre di Silvana furono invece respinte più istanze di opzione per la cittadinanza italiana, in una situazione familiare aggravata dalla meningite di una sorella costretta a essere curata a Trieste, mentre il resto della famiglia era a Fiume impossibilitato a lasciarla. Nel suo racconto ricorda di Marisa Madieri, compagna di classe, e il primo film a colori al cinema, il russo “Fiore di pietra”, e poi gli insegnanti al Liceo: gli Illiasich, Erminio Schacherl. Lidia Visin e Ervino Sepich che insegnavano greco e latino, la professoressa Businello di fisica e la Pastočić di matematica, con il suo italiano stentato, poi Zuani, marito di Clelia Zuani, e i suoi consigli in dialetto, fino alla personalità del professore Romolo Venucci. Tra i ricordi anche la manifestazione del “Trst je naš” sotto il Grattacielo di Fiume nel 1953, spinti con la bandiera italiana e la stella rossa dagli stessi docenti, e l’ostilità dei croati che spinse i giovanissimi liceali ad allontanarsi in fretta dalla piazza. Parla dello sport praticato da ragazza, della vita da universitaria a Zagabria e della continua nostalgia di Fiume e dell’importanza del dialetto fiumano, della fiumanità, ma anche della sua vita “oltre il ponte”, del lavoro all’Autorità portuale, a La Voce del Popolo a contatto con Luciano Glavina, Paolo Lettis, Lina Martinovic, Irene Mestrovich, e Rosi Gasparini. Ultimi

capitoli sono dedicati al suo impegno di Direttrice della Scuola Elementare Italiana Belvedere, con il problema degli iscritti e il trasloco della Scuola da Belvedere a Cosala, e poi le questioni della snazionalizzazione, della quiescenza, dell’impegno nella Comunità degli Italiani, e infine alla Scuola Modello e alla società Fratellanza del circolo.

Giuseppe Bulva

Videointervista dalla durata di 1 ore e 24 minuti

LUOGO E GIORNO

DELL’INTERVISTA: Fiume, nell’abitazione di Pino Bulva, il 23 marzo 2019

AUTORI DELL’INTERVI-

STA: Gianfranco Miksa, Vanni D’Alessio ed Eric Gobetti, storico di Torino.

RIPRESE E MONTAGGIO: Gianfranco Miksa.

LUOGHI DELLA NARRAZIONE: Fiume.

NOTE BIOGRAFICHE:

Giuseppe Bulva (classe 1933), ha vissuto in prima persona parte della ricca, complessa e travagliata storia del Novecento fiumano, a partire dall’occupazione fascista ai bombardamenti degli Alleati, e dall’esodo all’arrivo di nuove genti nel capoluogo quarnerino. È stato testimone, a soli undici anni d’età, di quando nel 1944 i militari tedeschi incendiarono la Sinagoga di Fiume, e a sedici di quando i comunisti distrussero l’Aquila fiumana.

CONTENUTI

Pino Bulva parla della sua famiglia, della madre tata della famiglia Lipschtiz e della Scuola Manin (Niccolò Tommaseo), del compagno Guido Gerosa e quindi il bombardamento della scuola, il rifugio, l’abitazione bombardata, l’infanzia in Corso. Ricorda di come la Sinagoga di Fiume fu incendiata dai nazisti, dei suoi amici ebrei, della città oltre il ponte, e del dialetto fiumano. Ricorda anche le organizzazioni e attività fasciste per bambini, dai Figli della lupa all’Opera nazionale Balilla, i bagni a Fiume, i bambini della Contrada. La distruzione del porto per mano dei tedeschi e l’arrivo dei partigiani con la speranze per la rivolta dei fiumani, e la necessità di imparare croato, quindi le opzioni e l’esodo. Ricorda anche la distruzione dell’Aquila bicipite per mano dei comunisti e la rottura tra Tito e Stalin, i monfalconesi arrivati a Fiume e l’attività del Circolo Italiano di Cultura. Altri episodi e momenti del racconto sono i tentativi di fuga in Italia, le manifestazioni per Trieste, le tabelle bilingui, ma anche la vita quotidiana con le prime esperienze di lavoro, l’Edit, Panorama, il rapporto con Giacomo Raunich. Infine, racconta del suo ruolo nel “disgelo” tra esuli e rimasti, come parte della prima rappresentanza andata a incontrare le organizzazioni gli esuli con Corrado Illiasich e Ferruccio Glavina. Si sofferma sul suo lavoro per la rivista della Comunità degli Italiani - “La Tore”, e su Ettore Mazzieri, Egidio Barbieri.

Maria Blecich

Videointervista dalla durata di 1 ore e 38 minuti.

LUOGO E GIORNO DELL’INTERVISTA: Fiume, nell’abitazione di Maria Blecich, il 2 maggio 2019.

AUTORI DELL’INTERVISTA: Gianfranco Miksa, Vanni D’Alessio e Kristina Blecich.

RIPRESE E MONTAGGIO: Gianfranco Miksa.

LUOGHI DELLA NARRAZIONE: Fiume.

ABSTRACT:

Maria Bacich Blecich (classe 1926) Insegnante nelle scuole italiane di Fiume dal 1945 al 1980, è una protagonista degli eventi che contraddistinsero la vita a Fiume, e in particolare a Cantrida del cantiere, attraverso i vari regimi, con la sua esperienza di alunna e poi di infaticabile insegnante.

CONTENUTI

Il racconto di Maria Bacich, poi Blecich, parte dalla sua esperienza di scolara alla scuola Anita Garibaldi a San Nicolò, i giochi tra i bambini a Cantrida e da Piccola Italiana le adunate del sabato pomeriggio, e quindi in seguito la conoscenza del marito, il rione di Pioppi e l’omonima Trattoria, il Silurificio Whitehead. Della guerra ricorda i bombardamenti, il rifugio di Cantrida, il crollo e la ricostruzione della casa, quindi l’arrivo dei partigiani. Si sofferma sull’uso del dialetto fiumano prima e dopo la guerra e nella nuova città l’inizio del percorso lavorativo, insegnante a 18 anni alla Scuola San Nicolò direttrice della scuola San Nicolò e inseguito insegnante alla Gelsi. La richiesta per optare e poi le manifestazioni per Trieste, l’intitolazione della scuola San Nicolò al martire partigiano Mario Gennari. Ricordi vanno anche a alunni ed insegnanti speciali, da Andrea Marsanich a Erminio Schacherl e poi alla Comunità degli Italiani di Fiume.

Elda Bradičić

Videointervista dalla durata di 1 ore e 37 minuti.

LUOGO E GIORNO DELL’INTERVISTA: Fiume, nell’abitazione di Elda Sansa Bradičić, il 10 maggio 2019.

AUTORI DELL’INTERVISTA: Gianfranco Miksa e Vanni D’Alessio.

RIPRESE E MONTAGGIO: Gianfranco Miksa.

LUOGHI DELLA NARRAZIONE: Fiume, Pola, Bagnole, Trieste, Zagabria, Belgrado NOTE BIOGRAFICHE:

Elda Sansa Bradičić, classe 1927, ha militato nelle file partigiane del Movimento popolare di liberazione. È stata la prima direttrice della casa editrice EDIT, in seguito direttore della sezione italiana della Scuola del partito di Fiume e

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poi anche direttore della casa editrice Mladost. Presidente dell’Associazione di tutte le librerie della Jugoslavia con sede a Belgrado, Elda Bradičić ha avuto anche una continua attività politica che l’ha portato a essere deputato al Sabor croato della Repubblica socialista di Croazia all’interno della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, e in seguito anche Ministro della Cultura e delle minoranze. Nel 1970 è stata insignita del premio della Città di Fiume per il suo contributo dato nello sviluppo della cultura.

CONTENUTI:

Nella videointervista, Elda Bradičić, rievoca la sua militanza nelle file partigiane in Istria, e in particolare nella zona dell’Albonese, dove era presente una ricca attività di propaganda. Piccola, ma dotata di un carattere forte, battagliero, pronto a confrontarsi e a far valere le proprie ragioni sempre a favore della Comunità Nazionale Italiana (CNI) dell’allora Jugoslavia. A soli 24 assunse le redini della Casa editrice EDIT, con il compito di unire tutte le pubblicazioni in lingua italiana sotto uno stesso tetto e fornire i libri di testo per le scuole della CNI. L’EDIT venne fondata nel marzo del 1952 dall’Unione degli Italiani (futura Unione Italiana), e precisamente dall’impegno di Eros Sequi ed Erio Franchi, di cui rievoca la mamoria assieme a quelle di Giacomo Raunich e di Andrea Benussi. All’epoca esistevano diverse pubblicazioni in lingua italiana, e in prima istanza l’EDIT accorpa sotto uno stesso tetto tutte le pubblicazioni con la sola eccezione del quotidiano La Voce del Popolo che continua a essere un’azienda autonoma. È stato il suo defunto marito, Bruno Bradičić, a suggerire l’acronimo di EDIT, per Edizioni Italiane. Elda Bradičić, rammenta il primo collettivo dell’EDIT, composto da persone in maggioranza appartenenti alle redazioni dei periodici fondatori, tra cui il redattore di Panorama, Sergio Turconi, Luciano Giuricin, il fotoreporter Tino Kramaršić, Mirella Giuricin, il

Pace liberatoria per i caduti italiani della fossa di Castua

Fra i resti ritrovati quelli del senatore Riccardo Gigante

La messa solenne che si è svolta nella chiesa di Castua ha visto raccolti moltissimi connazionali. Oltre alle autorità rappresentanti le maggiori istituzioni, c’erano anche molti fedeli. Tutti per commemorare le vittime.

redattore grafico Carlo Bilich. Al Pioniere Fedora Martinčić e Nives Vidigoi, poi il suo marito Bruno Bradičić, responsabile di Tecnica e Sport. Le ultime sue appassionate parole sono dedicate ai cambiamenti in città degli Anni ‘90, all’importanza del fiumano e del ruolo della Comunità Nazionale Italiana, ma anche alla multiculturalità di Fiume tra Jugoslavia e Croazia.

Gli italiani uccisi sommariamente a Castua il 4 maggio 1945 da un reparto di partigiani jugoslavi sono stati riesumati nel luglio scorso. A settembre una messa in onore dei caduti è stata celebrata nella chiesa di Sant’Elena di Castua. Fra di essi c’era il senatore di Fiume, Riccardo Gigante, sul quale l’Onorcaduti sta ancora svolgendo degli accertamenti riguardanti l’analisi del DNA. Con la sepoltura simbolica che è pianificata per il 5 ottobre al Vittoriale degli Italiani.

L’iniziativa di ricerca per la riesumazione iniziò nel 1992 e fu promossa dall’allora presidente della Società di Studi Fiumani, Amleto Ballarini. All’individuazione del luogo esatto di sepoltura (nel bosco di Loza) si pervenne grazie all’aiuto del parroco di Castua, don Franjo Jurčević, che raccolse le informazioni fornitegli da Ballarini e indagò a sua volta. Da allora, in accordo con la Società di Studi Fiumani, don Jurčević ha celebrato una Messa nella Chiesa parrocchiale

di Castua ogni anno nel giorno in cui era avvenuto l’eccidio, per perorare l’opera di riesumazione. Dopo 21 anni la vicenda ha finalmente trovato una conclusione positiva, grazie alle ultime trattative sulle sepolture di guerra tra Italia e Croazia e che, grazie alla Federazione degli esuli istriani fiumani e dalmati, ha trovato nel 2012 uno spazio al tavolo di governo allora costituito.

“È un avvenimento molto importante, perché rappresenta il primo risultato che otteniamo per rendere giustizia a coloro che sono stati assassinati senza processo e senza motivazione all’interno della repressione generale, scatenatasi in quel primissimo periodo postbellico. La nostra Società, che fin dagli anni ’90 ha avviato quest’opera di restituzione della memoria, ma soprattutto della restituzione del rispetto per queste vittime innocenti, è particolarmente fiera dei risultati conseguiti. Desideriamo ringraziare, innanzitutto, le autorità croate che hanno collaborato all’opera di recu-

pero, l’Onorcaduti italiana e il Console generale d’Italia a Fiume, Paolo Palminteri, che ha svolto un prezioso lavoro di collaborazione. Allo stesso modo devo ringraziare il presidente della FederEsuli, Antonio Ballarin e il generale Elio Ricciardi per avere, in questi ultimi anni, perorato la vicenda riguardante i caduti italiani, presso il governo italiano”, ha commentato il presidente della Società di Studi Fiumani a Roma, Giovanni Stelli. “È un momento d’importanza storica per tutto il nostro mondo, perché segna una nuova era. Un’era entro la quale portare a termine azioni di giustizia, attese da tanti, troppi anni, insieme a gesti di pietà umana, impediti anch’essi per lunghi decenni. Vogliamo sperare che in questa nuova era sia possibile onorare degnamente i resti di tante povere vittime seppellite chissà dove, segnare con lapidi multilingue e con un gesto di pietà quei luoghi che hanno visto lutti e disperazione, trovare strade comuni a esuli e rimasti da percorrere insieme, all’insegna di una civile prospettiva, in grado di testimoniare ancora la verità storica e tutelare la nostra cultura in una Terra martoriata”, ha scritto il presidente di FederEsuli, Antonio Ballarin.

Per capire meglio il contesto storico, l’importanza dell’evento e l’impatto che queste persone hanno avuto sulla Fiume d’un tempo a pagina 58 abbiamo proposto un testo di Stelli dove spiega il ruolo che Gigante e Bucci hanno avuto.

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Alcuni documenti e cimeli degli intervistati: la tessera del Partito comunista di Elda Sansa, la tessera di riconoscimento di Silvana Vlahov, e l’orologio d’oro per ventanni passati all’EDIT di Giuseppe Bulva Giacomo Scotti

Piccoli desideri - un raduno condiviso, una struttura associativa più agile e attiva, il coinvolgimento dei giovani – si trascinano da un anno all’altro mentre il Libero Comune di Fiume in Esilio cambia nome e diventa Associazione Fiumani Italiani nel Mondo. Esuli e rimasti continuano a ritrovarsi in alcune occasioni importanti: San Vito e il 2 Novembre a Fiume, ad ottobre in Italia in occasione del Raduno, nell’attesa che altri eventi si realizzino magari in collaborazione, lasciando per ora alla Società di Studi Fiumani di Roma un ruolo di ponte per il suo approccio “scientifico” alle tematiche e per la capacità di accogliere le proposte della Comunità degli Italiani.

Nell’anno elettorale dell’AFIM, l’analisi dell’esistente si rende quanto mai necessaria per dare all’attività un’accelerata. Un tentativo è stato fatto al Raduno 2018 a Montegrotto ma l’unico risultato tangibile riguarda l’annunciato spostamento dell’incontro annuale dei Fiumani esuli dalla località termale a Padenghe/Gardone nel centenario dell’Impresa di Fiume.

L’Ufficio di Presidenza ha approvato il programma che si svolgerà in loco, sia presso l’albergo che ospiterà i partecipanti concentrandosi sul rinnovo delle cariche associative dopo che nel 2017 è stato approvato il nuovo Statuto, sia al Vittoriale degli Italiani, nella dimora che fu di D’Annunzio.

Al Vittoriale si svolgerà un convegno, D’Annunzio sarà ricordato attraverso la musica e certo non si potrà prescindere dal commentare la grande mostra che Trieste dedica al Vate che fece riferimento alla massoneria locale per finanziare la sua idea di una città unica, diversa, capace di precorrere i tempi in tema sociale, politico e culturale. La Carta del Carnaro torna al centro dell’interesse di storici, sociologi, esperti di politica e di psicologia di massa. Verranno ricordate figure come quella di De Ambris ed altri ancora, giganti sulle cui spalle camminiamo, spesso senza una precisa consapevolezza che aiuti ad evolvere una situazione in forte stallo.

Vivere nel passato è sempre stata una

Fiume attende il raduno dei fiumani

delle caratteristiche dell’associazionismo giuliano-dalmata che, nonostante si sforzi nel proporre un’evoluzione delle cose – come ribadito all’ultimo Raduno -finisce per ritornare al punto di partenza, a questioni irrisolte ed irrisolvibili, che pesano come un macigno su una realtà che si sta spegnendo. Beni abbandonati, tavoli con il Governo, la divisione interna alle associazioni degli esuli, la mancanza di una soggettività politica, pesano come macigni sulla realtà associativa.

Una barriera da superare è anche il coinvolgimento dei giovani ed il finanziamento delle attività, legato alla legge 72 e successive modifiche e proroghe, che ha ingessato la realtà imponendo con i suoi ritardi nell’erogazione dei mezzi – anche di diversi anni - di ridimensionare ogni volontà di crescita a breve e lungo termine. Ma forse le associazioni

degli esuli di tempo non ne hanno moltissimo: la spada di Damocle è quella del ricambio generazionale, difficile da realizzare senza un preciso progetto condiviso che stenta però a definirsi. Ciò che nel passato era lasciato al volontariato, oggi ha bisogno di essere professionalizzato.

Assicurare posti di lavoro per giovani che intendono spendersi per il futuro dell’associazionismo è fondamentale: a ben vedere è il motore che di fatto muove realtà come la Società di Studi Fiumani, IRCI e poche altre. Laddove ci si basa unicamente sul volontariato, l’attività langue, le iniziative diventano episodiche lasciando al caso, ai piccoli miracoli sparsi, di macinare tempo e spazio, senza l’idea di un futuro programmato e certo, anche di più stretta e fattiva collaborazione con la Comunità degli Italiani di Fiume.

Sarebbe importate e necessario, in

questo momento, riportare il dibattito su questi grandi temi, per uscire da una realtà solo rappresentativa di un’associazione che vorrebbe avere anche un ruolo propositivo, innovativo, di crescita e soprattutto di coinvolgimento di una popolazione giovane e meno giovane che spesso latita. L’informazione è essenziale ma per mancanza di fondi anche “La Voce di Fiume”, giornale dell’AFIM, ha dovuto rinunciare ad un regolare ritmo d’uscita, perdendo gradualmente ma inesorabilmente il contatto con i lettori.

Manca un grande progetto che possa dare linfa vitale a questa realtà. Da un anno all’altro si assiste ad una graduale perdita di speranza, le tante questioni irrisolte sono diventate un male cronico ed il reiterarsi dei ritardi non permette di intravvedere la fine della crisi.

Queste difficoltà interne rendono

difficile immaginare progetti che evolvano il rapporto tra l’AFIM e la Comunità degli Italiani di Fiume con iniziative che riguardino la presenza nelle scuole e tra i Fiumani. E’ un cane che si morde la coda e toglie soggettività ad un’associazione che vorrebbe essere rappresentativa e forte, in grado di creare occasioni d’incontro, organizzare eventi, condividere progetti di ampio respiro che diano l’avvio ad una delle situazione più difficili e imprescindibili: la conoscenza tra le nuove generazioni di figli di esuli e rimasti, portatori di quel futuro che è nella percezione collettiva ma che non riesce a tradursi in iniziative concrete e nella creazione di un reale senso di comunità.

Cosa si può fare? Come è successo per la proposta degli odonimi, si dovrebbe creare un gruppo di lavoro di seconde e terze generazioni, che in un confronto diretto, pongano le basi

L’edizione 2018, svoltasi come di consueto a Montegrotto Terme, in provincia di Padova. L’edizione 2019 sarà al Vittoriale degli Italiani, ma per il 2020 dovrà toccare a Fiume.

di una nuova fase di collaborazione. Fondamentale la collaborazione tra professionisti impegnati nel medesimo mestiere. In una società che si basa sull’interesse e sul guadagno, non è possibile prescindere dai risultati, anche a livello professionale, che un’appartenenza al comune mondo fiumano, possa produrre. Certo è un modo diverso di porsi nei confronti delle comuni origini, importanti, fondamentali ma che non possono prescindere dalle dinamiche che regolano la società in cui viviamo. Che cosa potrebbe produrre un progetto fondato su queste premesse? Un rapporto più stretto tra le diverse categorie lavorative, conoscenza, rapporti interpersonali più stretti e un senso di comunità che non può sopravvivere solo sulla percezione di un comune paesaggio, origini, radici, memoria e nostalgia.

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Da Stradivari a Carmignola

In occasione di Fiume capitale europea della cultura il Consolato organizzerà due eventi di spicco.

Nel 2020 Fiume sarà Capitale europea della cultura. L’occasione e ghiotta e tutti quelli che hanno a cuore l’italianità vorrebbero sfruttarla per promuovere la nostra cultura. Fra questi soggetti c’è anche il Consolato generale d’Italia a Fiume, che quest’anno ha ottenuto dei finanziamenti superiori alla norma, con lo scopo di organizzare delle manifestazioni per promuovere la cultura italiana.

In programma ci sono due grandi eventi. Il primo è l’organizzazione di una mostra di violini del ‘700: Stradivari e Guarneri, che verranno esposti a Palazzo del Governo assieme ai violini di Franjo Krešnik. Questi era un fiumano croato, liutaio per passione, il quale è andato in Italia per apprendere le tecniche e i segreti di Stradivari, dando poi un grande contributo allo sviluppo del mito del maestro, sia a Cremona che in altre località, esportando poi questa passione sia in Jugoslavia che in Germania, dove ha vissuto per un periodo.

“La storia di Krešnik riassume perfettamente l’importanza degli scambi culturali, che sono sempre un arricchimento per tutti. Lui è andato lì e ha imparato l’artigianato delle botteghe di Cremona, ma poi ha dato un contributo a promuovere quest’eccellenza nel mondo producendo un comune beneficio. È questo il concetto che vorremmo mettere bene in evidenza e che, se-

condo me, entra molto bene nella filosofia di Fiume CEC – Porto delle diversità“, ha affermato il Console, Palminteri.

Il progetto verrà realizzato grazie a una collaborazione fra il Museo del Violino della Fondazione Stradivari di Cremona e il museo della Storia della marineria e del litorale croato, con il contributo finanziario del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, dell’Unione Italiana e di uno sponsor privato l’Infobip. Mentre l’idea stessa è partita da Richard Marussi, presidente del Kvarner Fest. La mostra partirà a dicembre 2019 e durerà tre quattro mesi. “Durante il periodo d’esposizione all’interno del Palazzo del Governo verranno organizzati, una volta al mese, dei piccoli concerti. Qualche arco, pianoforte, violino… utilizzando anche quelli che abbiamo lì, perché gli Stradivari vengono sempre utilizzati, anche i più antichi e preziosi, perché altrimenti perdono alcune delle loro caratteristiche”, ha spiegato il Console.

Poi, verso fine febbraio, ci sarà l’altro grande appuntamento organizzato dal Consolato, un concerto più grande, da fare allo Zajc, con un’eccellenza proveniente dall’Italia. Si tratta del maestro Giuliano Carmignola. “Volevamo portare qualcuno che fosse fra i più bravi al mondo. Un’eccellenza assoluta”, ha commentato Palminteri.

Paolo Pamlinteri racconta la sua esperienza a Fiume: quattro anni di grande passione, durante i quali si è innamorato della città

Avete presente la citazione di Johann Wolfgang von Goethe “Vedi Napoli e poi muori”? Ecco, per la nostra città si potrebbe dire “Vedi Fiume e t’innamori”. È successo così a tanti negli ultimi anni e anche Paolo ha avuto un’esperienza simile, con un legame profondo che si è instaurato fra lui e la città. Al suo arrivo è subito stato simpatico a tutti per la bontà del suo croato. “Ma io non parlo il croato. Faccio soltanto finta. Sono in grado di ordinare pileća krilca al mercato, ma a parte questo non faccio altro che leggere. La diplomazia è tutta finzione”, ha commentato Paolo. Sta di fatto che col passare del tempo questa simpatia si è trasformata sempre di più in un rapporto molto stretto con varie personalità del territorio. Da Console Palminteri ha

lavorato a livello istituzionale per avvicinare l’Italia alla Croazia, il che gli è valso il premio Città di Fiume. Privatamente, invece, ha avvicinato le persone, usando come scusa la passione per il calcio.

“Una delle mie prime visite ufficiali a Fiume è stata quella alla redazione dell’Edit. Lì ho notato una stanza bellissima, con calendari, fotografie e sciarpe dell’Inter. Quando ho detto di questa mia passione sono subito stato invitato a casa da Mauro Bernes, il primo dei tanti grandi tifosi che ho avuto il piacere di conoscere a Fiume”, ci ha raccontato Paolo.

Da lì sono seguite tante serate, sia con interisti che milanisti, che di volta in volta invitavano a casa tutta la compagnia di tifosi, per vedere le partite più importanti. Nello stesso periodo il Console tifoso inizia ad

andare allo stadio, dove si scopre sostenitore del Rijeka calcio.

“Quando li vidi per la prima volta non erano ancora la squadra che sarebbe andata a vincere lo scudetto, ma giocavano già molto bene. Continuai a seguire le partite e vedendo che giocavano sempre meglio diventai tifoso del Rijeka. Uno dei ricordi più belli che mi porterò dietro sarà quello dei caroselli fatti sulla riva con la macchina diplomatica in occasione della Dupla Kruna. Io e Marino Sirsen eravamo lì a festeggiare, a cantare le canzoni da tifosi e a suonare il clacson, bellissimo”, ha concluso Paolo.

Il suo mandato dovrebbe terminare a fine agosto. Lascerà Fiume con l’intenzione di tornare. Se non per viverci almeno per passare dei giorni felici nelle pause dai tanti impegni diplomatici.

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Il Console tifoso
Marino Sirsen e Paolo Palminteri

Attività

Gli attivisti sono alla base di tutto. Mostre, canti, balli e presentazioni di libri non avrebbero senso senza di loro

In questo capitolo potrete leggere di alcune delle attività organizzate dalla Comunità durante l’anno. In alcuni casi siamo stati noi i promotori delle iniziative, in altri abbiamo semplicemente collaborato alla realizzazione del progetto. Dalle mostre alle presentazioni di libri, abbiamo racchiuso qui alcuni dei passaggi più interessanti delle attività di questa stagione, sperando che abbiate piacere a ricordare ancora una volta quanto ci siamo divertiti durante le presentazioni, le inaugurazioni e gli incontri.

Le opere esposte comprendevano una selezione dei suoi lavori, realizzati fra il 1973 e il 2018. La caratteristica principale delle sue vedute è la loro ricchezza coloristica e l’impeccabile istinto dell’artista nel loro accostamento sulla tela.

Stipanov e la sua Fiume

La mostra dedicata al maestro è stata allestita nel mese di dicembre, periodo durante il quale i cittadini hanno potuto ammirare i suoi lavori al Museo Civico

Fiume dall’alto, Fiume sotto la pioggia, Fiume di notte, Fiume e i suoi rioni. È una passeggiata emotiva e coinvolgente nel tessuto urbano della città la retrospettiva di Mauro Stipanov allestita nel Museo civico, intitolata appunto “Passeggiata”. Il ciclo di dipinti, realizzato nell’arco di una quarantina d’anni, è una nuova acquisizione del Museo che, spiega il direttore dell’ente, Ervin Dubrović, ha accresciuto così la collezione, piuttosto esigua, di vedute di Fiume.

Il presente percorso espositivo è una selezione della cospicua serie di dipinti che Stipanov realizzò tra il 1973 e il 2018, in cui il tema principale è Fiume, i suoi rioni, il Monte Maggiore che veglia sulla

città in tutta la sua mutevole bellezza, le nuvole e i fenomeni atmosferici che di volta in volta le donano un aspetto diverso. La caratteristica principale delle vedute di Stipanov, che con il passare degli anni diventano delle composizioni sempre più “astratte”, ma comunque strutturalmente compatte, è la loro ricchezza coloristica e l’impeccabile istinto dell’artista nel loro accostamento sulla tela. I vari rioni della città – Montegrappa, Braida, Vežica, Torretta, Porto Baross, Scoglietto, il centro cittadino e altri – sebbene tracciati con gesti decisi, vibranti ed essenziali, ricalcano comunque la topografia di ciascun quartiere, per cui si possono “leggere” sia come rappresentazioni piuttosto accurate di

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Mauro Stipanov Nuove storie di Fiume Ceramica Cultura ebraica La Comunità ebraica

queste zone, sia come intriganti composizioni costruttiviste. La mostra si articola in sezioni tematiche iniziando con una serie di vedute del Monte Maggiore in un’esplosione di colori e di atmosfere, per proseguire con un ciclo di dipinti di Fiume, tra cui anche vedute aeree del centro cittadino, notturne e diurne, di grande formato, nei cui meandri l’osservatore affascinato è capace di perdersi. Questi dipinti riflettono, oltre alla maestria, alla preparazione accademica e al grande talento del pittore, un profondo amore per la città. Infatti, come scrive Ervin Dubrović nella monografia che accompagna la mostra, “il rapporto di Mauro, come degli altri fiumani, nei confronti della città è particolarmente profondo e particolarmente raffinato. Il loro radicamento e i legami segnatamente stretti non si misurano con l’anzianità dell’autoctonia accumulata, che in un centro commerciale e industriale in genere non è molto lunga per nessuno, quanto con l’immedesimazione, la passione e la compassione per la loro unica e sola città natale. Per qualcuno Fiume è una città martire, per altri ancora la città perduta e la città degli spiriti, dei fiumani scomparsi. Per molti comunque è prima di tutto una città straordinariamente amata”.

La pittura di Stipanov – spiega ancora Dubrović – è caratterizzata da un incessante equilibrio tra razionale e irrazionale. Egli è maturato in un periodo in cui la pittura astratta aveva raggiunto la piena legittimazione, ma nel quale la prevalenza del gesto libero e una “propensione allo scompiglio”, tipici dell’espressionismo astratto, erano già stati dominati, per cui si stava nuovamente affermando la tendenza al ripristino dell’ordine strutturale.

Nei suoi dipinti prevale il reticolo, la rettilinearità, mentre i motivi sono generici e composti da grandi superfici di colore, da pochi tratti pittorici e da reiterazioni di medesime figure. Questi quadri portano titoli neutrali come “Composizione”, “Struttura”, “Studio”, “Dipinto”, “Senza titolo” e via dicendo. Parallelamente alla ricerca nel campo dell’espressione astratta, Stipanov dipinge per decenni anche ritratti di amici e conoscenti per “mantenersi artigianalmente in forma”. Anche il filone delle vedute urbane è un esercizio in questo senso, ma – spiega

Dubrović – ha un valore aggiunto, in quanto vuole dire rinnovare il legame emotivo con la città e le proprie radici. Per la mostra sono stati prescelti un centinaio di lavori che racchiudono 45 anni di lavoro, a cominciare dal “Panorama di Fiume” del 1973, che mostra una veduta dal rione di Belvedere, agli scorci di Vežica e Torretta e le raffigurazioni del Monte Maggiore, realizzate nel 2018. “Stipanov ha dipinto i primi panorami guardando dall’alto la Fiume ai suoi piedi, e gli ultimi alzando lo sguardo verso le altezze celesti! In ogni caso in queste opere non vi sono persone, non vi è vita di strada nè calca cittadina; Mauro è prima di tutto interessato alla struttura e all’architettura urbane, alle fitte schiere di tetti e di case, alla composizione delle forme”, osserva Dubrović.

Nei primi panorami si occupa prevalentemente del centro cittadino, mentre le forme sono stilizzate e semplificate.

Nelle opere più recenti, create nell’ultimo decennio, il pittore prende come motivo i vari rioni, nonché particolari

nuovi, come la facciata posteriore del Teatro Fenice, i cipressi nel cimitero di Cosala, le lapidi funebri, ma anche la facciata laterale della chiesa di San Romualdo a Cosala, i silos del porto, il ponte ferroviario sull’Eneo, i dettagli delle gru portuali e i container in Brajdica.

Stando a Dubrović, dalle prime vedute dipinte alla maniera di Venucci e dei vecchi maestri, l’approccio muta e le pitture gradatamente si trasformano in piatti reticoli geometrici, in dettagli stilizzati dello spazio urbano. “Dalle vedute Mauro passa sempre più spesso a particolari che infine diventano ‘Capricci architettonici’. Dalle peculiari scene fiumane, individualizzate, è pervenuto ai temi che da anni lo assillano”.

Nelle opere di Stipanov si vede la sua conoscenza dell’opus dei suoi predecessori, come pure di autori contemporanei, ma non si accontenta di reiterare le convenzioni delle vedute di marine realizzate dai vecchi maestri, bensì opta per inquadrature nuove, scorci originali del paesaggio urbano. Il suo grande ma-

estro è Romolo Venucci, presso il quale ha studiato pittura e che rimane il suo punto di riferimento. Non fa mistero, inoltre, della sua cultura italiana e fiumana, tanto che nell’annotare i titoli dei suoi dipinti dà sempre la precedenza all’italiano.

Come puntualizza Ema Makarun, Stipanov rivela un atteggiamento spiccatamente critico nei confronti delle novità

urbanistiche e architettoniche che riguardano Fiume e con le quali è molto spesso in disaccordo, nonostante ci rifletta intensamente. È per questo motivo che è nata la presente serie di vedute.

“L’autore osserva la città intensamente, segue ciò che vi insorge e quello che vi scompare per lasciarsi poi andare all’attimo contemplativo della creazione e trasferire sulla tela il suo talento e le proprie riflessioni”.

L’autore stesso si dice particolarmente affascinato da una zona della città: Scoglietto. Lo definisce un posto interessante – riporta Ema Makarun -, un posto che potrebbe osservare per ore scoprendovi ogni volta nuove visuali. “Per lui l’accesso alla scalinata di Tersatto, con la ferrovia che sovrasta la strada e la Fiumara sullo sfondo, è un’autentica configurazione metafisico-futuristica, una composizione surreale felliniana, che va senz’altro elaborata pittoricamente. Sottolinea volentieri che non di rado rimane ammaliato dalla bellezza delle forme architettoniche di singoli edifici”. I dipinti che concludono il percorso espositivo raffigurano i massi del Molo longo, che proteggono la città dalla furia del mare, e il cielo del Quarnero. Si tratta di composizioni astratte nelle quali forti accenti di colore squarciano lo sfondo tenebroso, create con rapide e pastose pennellate su grande formato. Il suo viaggio nei meandri della città si conclude con con uno sguardo verso il cielo che veglia sulla sua amata Fiume.

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Helena Labus Bačić

Un’immagine della presentazione del libro di Pupo, con al suo fianco a sinistra Stelli e a destra Ezio Giuricin, per un’analisi accurata e dettagliata del testo presentato

italiano di fine Ottocento, e che prima dello scoppio della Grande guerra tale interesse non fosse ancora pienamente maturato. Non a caso, come si sa, la città non fu inserita nel Patto di Londra. Il quadro mutò radicalmente con la fine del conflitto quando Fiume si trasformò, grazie all’azione del locale Consiglio nazionale italiano, rafforzata e amplificata dal nuovo nazionalismo italiano, da oggetto quasi sconosciuto a uno dei simboli delle rivendicazioni italiane.

Le nuove storie di Fiume

La nostra città è stata, e per certi versi continua ad essere, una peculiarità storiografica. Per riuscire a inquadrare la storia di Fiume bisogna porsi il quesito dell’estensione in varie direzioni nei diversi secoli dell’insediamento urbano e del rapporto che la città ha avuto con l’immediato e lontano entroterra. Ovviamente, un discorso analogo può valere anche per tante altre città vicine e lontane, basti pensare a Zagabria, che si sviluppa da Gradec e da Kaptol oppure al contemporaneo rapporto complesso tra Venezia e Mestre. Ciò che rende peculiare Fiume sono alcune tappe della storia moderna e contemporanea che hanno reso una parte dell’odierna città l’unico territorio ufficialmente italofono delle terre ungheresi, circondato da un territorio austriaco e ungherese, ma a maggioranza croatofona. Il resto lo hanno fatto lo sviluppo e l’espansione di culture nazionali anche in questa parte di Europa più a lungo inserita in dinamiche imperiali, in una cornice locale di frammentazioni,

tensioni e incroci dovuti alla sovrapproduzione di confini linguistici e amministrativi. La contesa nazionale, le diverse sovranità e gli spostamenti dei confini e delle popolazioni nel corso del Novecento non potevano non influenzare le scuole storiografiche, e rendere difficile una lettura condivisa.

Non si tratta di questioni di poco conto. Esse, anzi aiutano a comprendere perché la storiografia ha avuto difficoltà nello scrivere sintesi efficaci, figurarsi condivise, di una città i cui tratti, a partire dal territorio, sembrano alle volte ben definiti, ma rimangono tuttavia sfuggenti. Da parte italiana il problema si pone anche per la relazione ondivaga tra Fiume e il paese Italia inteso in senso culturale e politico, in entrambe le direzioni. Nel 2001 lo storico italiano delle istituzioni Carlo Ghisalberti, negli Atti del convegno Fiume nel secolo dei grandi cambiamenti, pubblicato dall’Edit, ha ammesso che Fiume avesse solamente un marginale e lontano interesse per l’irredentismo

Il risveglio dell’interesse

Dalla Conferenza di pace in poi la Questione Adriatica, con epicentro proprio Fiume, appassionò, oltre chiaramente la popolazione locale e le opinioni pubbliche italiana, croata e jugoslava, anche la stampa e i circoli culturali e diplomatici esteri, di cui D’Annunzio stimolò un misto di esaltazione e preoccupazione.

Dopo un periodo estremamente travagliato, tra impresa dannunziana, proclamazione dello Stato libero e governatorato italiano, con l’annessione all’Italia del 1924 si aprì un nuovo capitolo per Fiume, in cui il fascismo e il suo Duce, dopo aver sacrificato il poeta e avventuriero abruzzese, lo celebrarono rendendo quasi indivisibile il nesso Fiume/D’Annunzio. Il binomio si è rotto con l’interruzione della presenza statale italiana a Fiume, che ha aperto un nuovo capitolo storico con la frammentazione della componente italiana fiumana, ma non solo. La Repubblica italiana si è disfatta frettolosamente, e spesso solo superficialmente, dei simboli, riti e miti su cui il fascismo aveva puntato, sacrificando proprio Fiume, a cui non giovò la stagione politica e culturale inaugurata dopo il crollo del vecchio stato monarchico. Non sorprende dunque che in Italia la recente riscoperta delle vicende dell’esodo abbia portato a un nuovo svelamento di Fiume, e che l’italianità di quest’ultima debba essere ancorata alla figura di D’Annunzio, mentre le più complesse vicende della città siano generalmente ignorate.

Senza pretendere di addentrarci in una meticolosa ed esaustiva analisi della storiografia riguardante Fiume, notiamo che dopo la stasi di fine Novecento, in questi ultimi decenni non siano stati prodotti solo lavori di stampo locale, e anzi che negli ultimissimi anni abbiamo assistito a una quasi febbricitante attenzione al caso Fiume. Dopo la stagione degli anni Settanta con i lavori su D’Annunzio di studiosi del fascismo, tra i quali lo statunitense Michael Ledeen e il massimo biografo di Mussolini, Renzo De Felice, per alcuni decenni sia D’Annunzio che Fiume non hanno suscitato l’interesse degli storici. Naturalmente, non mancarono in Italia e in Jugoslavia, ricerche e lavori sulla storia cittadina, come la monografia collettanea a cura di Danilo Klen (Povijest Rijeke, del 1988), certamente meglio riuscita e meno politicamente impegnata rispetto a quella curata di Jakša Ravlić del lontano 1953, oppure svariate pubblicazioni della Società di studi fiumani a Roma. Va sottolineato che poi la nuova linfa alla ricerca offerta dagli studi della politologa Ljubinka Toševa Karpowicz e dall’importante biografia su Riccardo Zanella di Amleto Ballarini, non sia stata per molto tempo raccolta dagli storici. Più produttivi sono stati la letteratura e la memorialistica, da Paolo Santarcangeli, a Osvaldo Ramous e Nedjeljko Fabrio, da Sergio Katunarich a Marisa Madieri, Giacomo Scotti, Daša Drndić e a Laura Marchig, per fare solo alcuni nomi di generi diversi di scritture, spesso incrociate e preziose per gli stessi storici, che non si sono mai spente. Non a caso, nella comprensione delle pluristratificate realtà fiumane, sono indispensabili i contributi degli studiosi delle letteratura, tra cui, per le produzioni in lingua italiana, non si possono non menzionare le nostre Corinna Gerbaz Giuliano e Gianna Mazzieri Sanković o anche Aljoša Pužar e Christian Eccher. Per quanto riguarda la storiografia, dall’inizio del nuovo millennio si è registrato un notevole interesse su Fiume,

a partire da una nuova considerazione del periodo dannunziano, analizzato non solo come anticipazione del fascismo ma anche come convergenza di energie intellettuali d’avanguardia, come narrato da Claudia Salaris in Alla festa della Rivoluzione: artisti e libertari con D’Annunzio a Fiume, ma anche dallo scrittore anarchico situazionista Hakim Bey. Allo stesso tempo si è così riconsolidato il binomio per cui studiare D’Annunzio vuol dire studiare Fiume o viceversa. Dello stesso periodo sono però da menzionare alcuni puntuali interventi storiografici non in questa direzione, anche se ancora calati in prospettive storiografiche nazionali. Se ciò risulta comprensibile, dato il focus, per l’opera su Sušak dello storico del diritto e delle istituzioni alla Facoltà di Giurisprudenza a Fiume Željko Bartulović, la monografia di storia strettamente politica di Antonella Ercolani mostra ancora il difetto di prendere in considerazione solo il punto di vista della storiografia e della documentazione italiana. Di più ampio respiro il lavoro sulla cultura fiumana tra fine Ottocento e metà Novecento dell’ungherese e italianista Ilona Fried, che pur non considerando la parte croata, è riuscita almeno a mettere in campo anche il periodo e la documentazione e bibliografia ungheresi, oltre a quelle italiane, secondo l’idea di un recupero dell’importanza del periodo e della cornice culturale asburgica, che si è registrata anche in diversi lavori di Irvin Lukežić ed Ervin Dubrović. In una prospettiva transnazionale ancora più decisa si sono più recentemente inseriti i numerosi studi di Marko Medved sulla storia della chiesa, i quali hanno storicizzato un campo a lungo rimasto preda di dispute nazionali e politiche.

Nella direzione di una necessaria apertura e dialogo tra storici di diversa lingua e orientamento, va sottolineata l’importanza di due iniziative, pur non esenti da imperfezioni: la ricerca e pubblicazione del volume sulle vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni / Žrtve talijanske nacionalnosti u Rijeci i okolici, (19391947), curata da Amleto Ballarini per la Società di Studi Fiumani di Roma e da Mihael Sobolevski per l’Istituto croato di storia di Zagabria (e pubblicata dalla Direzione generale degli archivi del Ministero italiano per i beni e le attività culturali) e il già citato Rijeka u stoljeću velikih promjena / Fiume nel secolo dei grandi mutamenti. Questo convegno ebbe un comitato promotore che spaziava dalla città di Fiume, alla Comunità degli italiani di Fiume, passando per la Società di studi fiumani di Roma, l’Unione Italiana e l’Università Popolare di Trieste, con la partecipazione di diversi studiosi che pure si sono distinti per i lavori su Fiume, dai già citati Lukežić e Karpowicz, ad altri che hanno pure lasciato un’impronta negli studi fiumani, da Antun Giron a Julija Lozzi Barković, solo per fare degli esempi. Tra gli autori c’era anche William Klinger e tra i membri del comitato organizzativo Giovanni Stelli della Società di studi fiumani, due dei protagonisti, con Raoul Pupo, delle recentissime opere su cui ci soffermeremo maggiormente, e che sono state presentate al pubblico della Comunità italiana di Fiume. Nell’arco di due anni ci siamo piacevolmente ritrovati, quindi, con ben tre nuove monografie su Fiume, le quali non solo confermano e rafforzano il rinnovato interesse per la storia della nostra città, ma che pur avendo lo

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Jeličić e Vanni d’Alessio
di Ivan
La presentazione del libro di Klinger è stato uno dei grandi successi della stagione. Erano anni che in Comunità non si vedevano così tante persone per la presentazione di un libro

stesso oggetto di studio riescono a osservare la storia cittadina da angolature diverse, offrendo spunti nuovi di discussione a storici e al grande pubblico, superando anche diversi steccati tipici delle storiografie novecentesche.

Stelli e la specificità municipale fiumana

Il primo di questi a essere pubblicato, in ordine di tempo, è stato La storia di Fiume. Dalle origini ai giorni nostri di Giovanni Stelli, direttore editoriale della rivista di studi adriatici “Fiume”, che è espressione della Società di studi fiumani, di cui è presidente lo stesso Stelli. Edito nel 2017 dalle

Edizioni Biblioteca dell’Immagine di Pordenone, all’interno della collana di storie delle città, il volume è stato presentato a Palazzo Modello l’anno scorso nell’ambito della Settimana della cultura fiumana e delle celebrazioni in onore di San Vito.

La specificità municipale di Fiume è il fulcro attorno a cui ruota il lavoro di Stelli, che con una ammirevole capacità di sintesi e di scrittura, riesce a coprire tutta la storia cittadina dalle origini di Tarsatica, segnalando eventi e situazioni con puntualità. Nonostante il volume segua in maniera esplicita le tracce del peso della lingua e cultura italiana, secondo uno schema caro ad entrambe le storiografie nazionali su Fiume, il tema vero del volume non è l’italianità locale, come in trasparenza o palesemente è stato il caso di altri suoi predecessori (o la croaticità per i lavori croati e Jugoslavi), ma il carattere specifico dell’identità e della cultura cittadine.

L’identità linguistica e culturale fiumana, fino al 1945, è sì di carattere italiano, ma per la sua specificità territoriale essa si è trovata in contraddizione con la posizione geopolitica della città, come ammette lo stesso autore, concordando indirettamente con l’importanza che la diplomazia e la storiografia dell’intero Novecento di marca croata e jugoslava hanno dato allo zaleđe, l’entroterra. Tuttavia, lo sforzo di Stelli non è tanto negare l’impronta croata o metterla sotto traccia, ma piuttosto mettere in ri-

salto la contraddizione di cui sopra, da cui risalta quindi l’importanza e il significato storico dell’autonomia cittadina, che non va intesa semplicemente come espediente asburgico, interesse geopolitico magiaro, cuneo nei rapporti ungaro-croati, soluzione felice o infelice della diplomazia di fronte alla Questione Adriatica, o invenzione e chimera di idealisti e localpatrioti, ma come realtà culturale, economica, sociale e politica con cui dover necessariamente fare i conti in sede storiografica. A sostegno di questo studio, c’è poi da notare un’attenzione alla storiografia croata che nella storiografia italiana è stata assente, spesso volutamente, altrimenti per incompetenza linguistica, ma in fondo storiografica.

Pupo e la città quale simbolo del Novecento

Di maggiore spessore storiografico, da una prospettiva di studi sia italiana che triestina, è il lavoro di Raoul Pupo. Docente di storia contemporanea all’ateneo triestino, Pupo è celebre in Italia per aver diffuso con indubbie capacità stilistiche e storiografiche le storie e i temi scottanti del Novecento giuliano. Nonostante la sua poca confidenza con le particolarità fiumane, anche dal punto di vista linguistico, il suo libro si pone anche per gli anni a venire come punto di riferimento della storiografia italiana su Fiume. Su Fiume Pupo ha già curato, con Fabio Todero il piccolo volume Fiume, D’Annunzio e la crisi dello Stato liberale in Italia, per la collana dei Quaderni di Qualestoria, con il coinvolgimento di vari autori. Questa iniziativa fu accompagnata da un nuovo interesse per la figura di Gabriele D’Annunzio e per il periodo Dannunziano, mentre ora l’autore ha voluto concentrarsi su una monografia riguardante il lungo Novecento a Fiume. Il libro si intitola Fiume città di passione, titolo che oltre a ripercorrere un motto dannunziano, ricorda la città della memoria di Fried e la città di carta di Pužar, come un’ammissione di quel carattere sfuggente della città, che viene letta attraverso sguardi altrui. Edito da Laterza nel 2018, e presen-

tato nel novembre dello stesso anno alla Comunità degli Italiani di Fiume, il libro di Pupo è una pregevole sintesi storica, di facile fruizione anche per il vasto pubblico. L’autore ha la capacità di fare riferimento e mettere in gioco diversi lavori della storiografia riguardante Fiume nonché sull’impresa dannunziana, ma con il pregio di rifarsi pure a recentissimi studi sulla Fiume precedente la Grande Guerra e successiva alla Seconda Guerra Mondiale, tra i quali ci sembra importante menzionare, per innovatività e spessore, quelli di Marco Abram. Le vicende di Fiume sono inserite all’interno del contesto della Venezia Giulia, ma anche all’interno della cornice italiana, come nel lavoro di Marina Cattaruzza sul confine orientale italiano, e pure di un più vasto quadro europeo. L’esperienza della nostra città è giustamente ricondotta all’esperienza delle altre città dell’Europa centrale e orientale che hanno subito un radicale mutamento demografico, economico e statale con la fine dell’età degli Imperi e con la Seconda guerra mondiale. Tuttavia, Pupo non si ferma al 1945, anno che certamente segna uno spartiacque per la città. Pone in rilievo lo sviluppo di una nuova e diversa Fiume che rapidamente si trasforma in principale porto della Jugoslavia socialista, non trascurando di ricordare il frazionamento della componente cittadina italiana tra esuli e rimasti. Come ha concluso l’autore alla presentazione del libro in comunità: “Fiume è una città simbolo in quanto ha vissuto tutti gli stravolgimenti, i traumi e le contraddizioni che hanno percorso il Novecento”.

Klinger e l’altra Italia

Chiudiamo questa rassegna con il connazionale William Klinger, che ci ha lasciato troppo presto, in quanto come tutti sanno è stato barbaramente ucciso in un parco di New York nel 2015. Il suo volume postumo intitolato Un’altra Italia: Fiume 1724- 1924, edito dalla Lega Nazionale e dal Centro di ricerche storiche di Rovigno, è stato presentato alla Comunità degli Italiani di Fiume a fine settembre 2018. L’opera di Klinger, curata da Diego Redivo,

non può considerarsi propriamente un lavoro definitivo. Mancano alcuni sotto capitoli e certamente nelle intenzioni dell’autore era rivedere il lavoro prima della stampa. Tuttavia, sostanziali modifiche non si sarebbero verificate perché l’impostazione di Klinger prende spunto dai suoi numerosi lavori pubblicati per il Centro di ricerche storiche di Rovigno e, soprattutto, dalla sua tesi di dottorato che discusse all’Istituto Universitario Europeo di Fiesole. La brillantezza di Klinger, assistente al Dipartimento di Storia dell’Università di Fiume, poi collaboratore del Centro di Ricerche storiche di Rovigno e della stessa Società di Studi Fiumani, si nota dall’ ampio uso di fonti diverse di prima mano, presenti in Italia, ex-Jugoslavia e Regno Unito, nonché dall’attenzione data alle numerose storiografie e questioni storiografiche. Del lavoro di Klinger va apprezzato innanzitutto lo sforzo di andare oltre la sintesi della storia politica della città, le cui vicende ha inteso inserire in un contesto più ampio, offrendo una rilettura del contesto europeo di riferimento. Sebbene Klinger parta dall’antichità, il periodo centrale del suo lavoro si staglia tra l’età moderna e la storia contemporanea, e le date chiave per la sua narrazione sono il 1724 e il 1924. Mentre il riferimento al 1924 è abbastanza chiaro, l’annessione della città all’Italia, il riferimento all’altra data è incerto. Nel testo il 1724 compare una sola volta, indicato come anno dell’accettazione della Prammatica sanzione, successione in linea femminile della

dinastia degli Asburgo, da parte della nobiltà ungherese e della città di Fiume, e la cessione del Gorski Kotar da parte di Carlo VI a un nobile catalano. Per il lettore si potrebbe trattare di una delle notevoli erudite digressioni klingeriane, ma la data ha un significato simbolico. I menzionati territori del Gorski Kotar furono successivamente venduti a un nobile ungherese contribuendo al legame economico di Fiume con l’entroterra ungherese. L’accettazione della Prammatica sanzione in sede separata da parte dei fiumani indica invece l’esistenza di una definita soggettività politica. Proprio questa soggettività politica è l’oggetto che Klinger vede come caratteristico per il periodo preso in analisi: uno sviluppo sui generis che spiega l’autonomismo come tratto saliente di Fiume terminato di fatto con il 1924.

Verso nuovi orizzonti

I tre recenti lavori in lingua italiana rappresentano un importante passo per la consapevolezza della stratificata e sfaccettata storia di questa parte dell’Adriatico orientale. Tale consapevolezza in questi anni si è accresciuta tra studiosi, estimatori, abitanti e fiumani lontani, assieme allo sviluppo di una nuova tendenza culturale e psicologica che accetta e si riconosce nella ricca e composita eredità culturale cittadina. Tra gli studiosi ciò è testimoniato da approcci in direzione di una maggiore considerazione e coinvolgimento di una pluralità linguistica e nazionale di esperienze storiografiche. In ambito accademico sono, infatti, da registrare una quantità di nuovi progetti storici. Alcuni ruotano intorno al problema di D’Annunzio e, in generale del caotico primo dopoguerra, ma non mancano ricerche sul lungo periodo tra le due guerre mondiali, sul secondo dopoguerra e

sulla fase storica caratterizzata dal socialismo Jugoslavo. Questa estate, nel luglio, il Centro di Studi Avanzati sull’Europa sud-orientale (CAS SEE, Center of Advanced Studies, SouthEast Europe), e i progetti storici Rijeka in Flux del CAS SEE e dell’Università della British Columbia, Empires of Memory del Max Planck Institute e Memoryscapes, legato all’iniziativa di Fiume capitale della cultura, ospiteranno presso la nostra Facoltà di Filosofia a Fiume un convegno Cities in Flux, sulle città europee nella transizione del Novecento. Questo convegno vedrà confrontarsi su Fiume e su altre città europee in transizione diversi storici fiumani, italiani, croati e di università di varie parti del Mondo, con contributi anche di ricercatori dei nostri musei, da quello cittadino a quello della marineria del Litorale, fino al Museo-Archivio storico di Fiume con sede a Roma, con contributi anche dalla Fondazione del Vittoriale degli Italiani e dall’Università di Lovanio, dove si insegna un corso sulla letteratura su Fiume ed è partito un progetto di studio in ambito letterario: “Remembering the City of Life”. Nel convegno Cities in Flux saranno presentati anche i risultati del già citato progetto di ricerca interdisciplinare sulla transizione a Fiume Rijeka in Flux, il quale è interessante per lo sforzo di unire storia, geografia e digital humanities, e cha ha prodotto la mappa storica virtuale ad accesso libro Geolive Fiume Rijeka, di cui Radio Fiume, la Voce del Popolo e Novi List hanno già parlato. La prima keynote speaker del convegno di tre giorni sarà la storica americana Dominique Reill, già autrice dell’affascinante Nationalists who feared the Nation sul progetto multinazionale adriatico nella Dalmazia di metà Ottocento, e che da alcuni anni è una presenza fissa del nostro Archivio con la sua ricerca sulla Fiume successiva alla Prima guerra mondiale, che è ormai in dirittura d’arrivo. La medesima si è inoltre lanciata in una nuova ricerca che ruota intorno a un personaggio a noi ben noto: Fiorello La Guardia. Sembra che all’appuntamento di Fiume capitale europea della cultura la comunità degli storici sarà pronta.

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Ceramica, un anno di successo in tante mostre

La ceramica è una delle tradizioni più caratteristiche dei soci della Comunità. Il tutto grazie al gruppo ceramistico Romolo Venucci, nato più di trent’anni fa. Si tratta del gruppo più vecchio di Fiume, nonché l’unico che in tutti questi anni ha operato con costanza producendo ogni anno una marea di lavori e rinnovando e evolvendo le tecniche di lavorazione. Nel corso di questa stagione, iniziata a ottobre e che al momento di scrivere deve ancora terminare, hanno organizzato un buon numero di mostre, con l’attività che si svolgono più volte

Negli anni le ceramiste della Romolo Venucci hanno prodotto una marea di lavori in un gran numero di tecniche. Ultimamente si sta sperimentando con la porcellana, giudicata un materiale particolarmente complesso perché non perdona, rompendosi spesso.

a settimana al quarto piano di Palazzo Modello.

Il debutto è andato in scena a ottobre, con Irene Mestrovich che ha esposto i suoi lavori in una mostra personale di grande successo. Di particolare interesse le due tavole in ceramica in cui sono riportate storie dal “Dizionario fiumano passato minimo” (Edit, 2001) scritto da suo marito, il defunto Ezio Mestrovich, già direttore della nostra Casa editrice. La mostra è stata reiterata il 3 aprile, questa volta alla Comunità degli Italiani di Abbazia. Per quell’occasione, però, l’instancabile Irene ha prodotto tutta una serie di nuovi lavori, tanto da rinnovare la composizione della mostra per il cinquanta per cento.

La mostra successiva era nuovamente di carattere personale, ma questa volta l’autrice era Bruna Vidotto, che per l’occasione ha festeggiato i suoi 80 anni d’età, nonché ben trent’anni di attività nel gruppo ceramistico. Si tratta della prima attivista che ha frequentato ininterrottamente la Sezione arti figurative “Romolo Venucci” sin dalla sua fondazione, per un totale di 2.200 ore in laboratorio. “A Bruna Vidotto piace esporre lavori che si ispirano alla terra delle sue origini istria-

ne, i dettagli di muraglie e campagne. Ha un’ottima conoscenza delle colorazioni. Ci vuole tanto impegno e amore per arrivare o per raggiungere questi risultati”, aveva commentato la guida artistica del gruppo, Ivna Safundžić, all’inaugurazione.

Sotto Natale, poi, è stata la volta della mostra di gruppo, che viene ormai tradizionalmente organizzata sotto le feste. Questo appuntamento va avanti da una decina d’anni ed è caratteristi-

co per la Romolo Venucci in quanto si tratta di uno dei pochi momenti nei quali si produce oggettistica. Nello specifico vengono realizzate una marea di decorazioni natalizie, di ogni tipo, con tutti i lavori che sono in vendita in un mercatino il cui ricavato va alla Comunità, che usa poi i mezzi per finanziare le attività.

A marzo, in occasione della Giornata della donna, c’è stata una mostra congiunta delle sezioni batik e ceramica.

Le piastre in ceramica esposte per l’occasione sono disegnate da ambedue le parti, realizzate in una tecnica antica riproposta in modo moderno, il saggar firing.

L’ultima fatica, o meglio l’ultimo piacere della stagione prima della pausa estiva, è la grande mostra in occasione di San Vito, che quest’anno ha visto un qualche cosa di particolare: le installazioni.

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A sinistra: il gruppo intento a produrre le ultime opere artistiche. In altro: un dettaglio della mostra che verrà allestita per San Vito. Fra esposizioni personali e quelle di gruppo la Romolo Venucci ha continuato la tradizione

Storytelling. La giornata della cultura ebraica.

La Comunità di Fiume ha festeggiato per la seconda volta la Giornata della cultura ebraica domenica 2 settembre scorso. La manifestazione si è svolta sotto il patrocinio e con il supporto finanziario del Comune di Fiume, della Regione litoraneo-montana, della ditta Tifan e della casa editrice Libertin naklada. Dopo i saluti di rito del presidente della comunità, Ranko Špigl, della coordinatrice Rina Brumini e del rabbino capo di Croazia e Montenegro Luciano Moše Prelević, il sindaco Vojko Obersnel ha ufficialmente aperto la manifestazione sotto l’egida “Storytelling”, splendidamente enucleata dal manifesto, design del giovane architetto fiumano David Naglić.

Tra il folto pubblico numerosi i rappresentanti di altre comunità religiose e nazionali, collaboratori, amici e tanti ospiti la cui curiosità è stata solleticata dai media. La piccola sinagoga ortodossa di Fiume, con i suoi 150 posti a sedere, si è rivelata troppo stretta per il gran numero di visitatori. Anche se molti sono rimasti in piedi, l’atmosfera non ne ha risentito: l’intermezzo musicale di David Danijel ha rallegrato il pubblico già nel corso dei saluti d’apertura, nel tempio abbiamo battuto le mani al ritmo di “Hava nagila” e in allegria dato avvio al programma.

Dopo la parte ufficiale, il focus della Giornata della cultura ebraica fiumana si è spostato sul matroneo. Salendo l’angusta scala molti ospiti che hanno visitato la sinagoga per la prima volta hanno avuto occasione di vedere l’interno di un tempio, fare domande in merito alle kippot, alle scritte in

La Sinagoga di Fiume durante un giorno di festa. Durante l’anno l’edificio religioso non è molto frequentato, ma quando si organizzano delle manifestazioni i fedeli riempiono la struttura e la piazza antistante

ebraico ed aramaico appese ai muri, alle menoroth, agli scialli da preghiera, alle mezuzoth, ai libri di preghiera antichi (‘800) che non avevano mai visto prima. Finalmente, saliti al matroneo, è stata la volta dell’inaugurazione della mostra-evento “Esilio della luce” dell’artista italiana di origini polesane Laura Fonovich. La mostra è l’esito della neoavviata collaborazione tra la Comunità ebraica di Fiume e l’associazione Amici di Israele di Gorizia (pres. Lorenzo Drascek) che sotto il titolo “Ponti” porta la mostra Fonovich, dopo la precedente tappa goriziana, nelle sinagoghe di Fiume e poi a Casale Monferrato. Essendo la sinagoga Fiumana un monumento sotto la tutela dei Beni culturali, anche quest’anno abbiamo avuto la fortuna di poter prendere in prestito a mo’ di donazione le pannellature del Museo marittimo del Palazzo del Governatore, lasciando così intatti i muri del matroneo. Le opere di Laura, eseguite con una curiosissima tecnica mista di giochi di luce, pittura a getto e fotografia, esprimono l’interpretazione mistica della “Genesi”

C’è un forte legame fra la comunità fiumana e quella ebraica. Alla cerimonia erano presenti tanti connazionali, sia fra i fedeli che fra gli amici della comunità ebraica

attraverso la Kabbala di Isaac Luria. Tramite il suggestivo gioco di ombre e luce, Laura rinarra la leggenda secondo la quale all’inizio c’era solo un’infinità di luce, l’En sof che riempiva di sé tutto. Per avviare la creazione, esso si è dovuto “imprimere” in se stesso attraverso il processo dello tzim-tzum creando il vuoto di luce ovvero il buio.

La genesi ha avuto poi avvio con il filtro della luce attraverso la tenebra. Il programma è proseguito nel cortile che davanti alla sinagoga racchiude il bagno rituale (mikveh), il muretto di cinta e la fitta fila di oleandri in fiore. In questa amena cornice, le signore della Comunità hanno offerto una degustazione delle delizie gastronomiche della cucina ebraica, il vino kasher e bibite dissetanti. Le nostre attiviste e amiche Vivian Špacapan, Elena Brumini, Ida Fišer, Zlata Šestak, Nada Abramović, Katica Dessardo hanno instancabilmente colmato bicchieri, dettato ricette, spiegato allestimenti e occasioni di festività, badato che ogni boccale, ogni piatto rimanessero pieni e ogni volto sorridente. La giornata di

sole e la temperatura fresca, allietate dalle dolci note di David Daniel, hanno creato un’atmosfera piacevole nel nostro cortile. Molti visitatori hanno scelto di fare il giro dello stabile e del tempio vuoto, molti si sono avviati dall’altra parte del cortile verso il bagno rituale, dove ad attenderli c’era una proiezione sul tema “Storytelling – La leggenda del Golem” ed uno slide show di foto della manifestazione dell’anno scorso. Sempre nel bagno rituale abbiamo disposto la mostra permanente “Cinque secoli di storia ebraica a Fiume” di Filip Cohn ed una

Nell’incontro l’autrice ha cercato di dare risposta a due quesiti di fondo: com’è nato il libro e quali sono le novità apportate rispetto alla preesistente bibliografia sul tema. È stata una buona occasione per rinfrescare le conoscenze in merito a una presenza sedentaria di oltre quattro secoli con particolare attenzione al rapporto instauratosi tra la comunità e il governo. Molti hanno riconosciuto l’immagine in copertina, per gentile concessione di Tobia Ravà, che il nostro pubblico ha avuto occasione di conoscere nell’edizione precedente della Giornata della cul-

Alla festa che è stata organizzata per l’occasione c’era la possibilità di assaggiare piatti tipici della tradizione ebraica, preparati direttamente dalle signore della comunità. Dei veri manicaretti.

retrospettiva della nostra stampa e pubblicazioni. Nello stesso luogo, spiegati da discrete legende, sono stati esposti i resti del Tempio grande, distrutto dai nazisti in ritirata. Nel tardo pomeriggio, tornati all’interno del tempio, a coronamento della giornata si è svolto l’incontro con l’autrice del volume “La comunità ebraica di Fiume” per i tipi della casa editrice Libertin naklada, Rina Brumini.

tura ebraica. Nonostante il volume sia la traduzione aggiornata dell’edizione italiana del 2015, il libro ha suscitato grande interesse e ci siamo intrattenuti a parlare fino al calar della sera. All’uscita i visitatori hanno potuto scegliere in dono un souvenir tra le kippot confezionate dalla nostra Zlata Šestak, una piantina di oleandro che è uno dei simboli della nostra sinagoga o un pendente in ceramica con lettera ebraica,

eseguito per noi dalla “Romolo Venucci”, la sezione artistica della Comunità degli Italiani di Fiume. Il sindaco e il rabbino capo sono rimasti fino alla conclusione della manifestazione che ha riscosso un gran successo con oltre due centinaia di visitatori il primo giorno e ha goduto di ottima copertura mediatica. È stato possibile visitare la mostra nelle successive due settimane, fino al 21 settembre, quando è stata smantellata per trasferirsi a Casale. La Giornata della cultura ebraica è una manifestazione che da trent’anni si celebra in Europa. È concepita come un’iniziativa didattica ma anche ludica, mira a far conoscere la tradizione ebraica e i luoghi ebraici che una città ospita, i palazzi nascosti adibiti al culto, gli usi, i canti e anche le nuove tendenze, la cucina, l’istruzione e tanto altro per farsi conoscere e identificare un aspetto poco noto che emerge da ogni tessuto urbano di qualche spessore. E nella nostra città è stato facile coinvolgere tanti cittadini e visitatori! L’interesse dimostrato ancora una volta per la Giornata della cultura ebraica corrobora la tesi che la Comunità di Fiume è una comunità integrata e benaccolta, parte di quella “storia fiumana” capace di suscitare interesse e saldata dalla sinergia e cooperazione con altre organizzazioni minoritarie e l’amministrazione locale. La città di Fiume si sta preparando a diventare Capitale europea della cultura nel 2020 e la piccola sinagoga ortodossa di Fiume si è già conquistata un posto nel fitto programma di prestigiose iniziative culturali.

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I capitoli che affronta sono la Zudecca, il primo insediamento o ipotesi sulla Casa dell’Ebreo, l’atteggiamento degli Asburgo e gli ebrei, la fondazione, il cimitero, la sinagoga, lo statuto, la struttura della popolazione, il primo Novecento, le ripercussioni e i cambiamenti dopo la Grande guerra, gli ebrei ortodossi, la II guerra mondiale, le vittime, Giovanni Palatucci.

Penso che nel caso di questa ricerca ognuno troverà la sua chiave di lettura, da parte mia vorrei sottolineare i capitoli che riguardano la città dopo la proclamazione di porto franco avvenuta in contemporanea con Trieste. Fiume, grazie alla sua posizione strategica per gli scambi commerciali sia via mare che terrestri, si sviluppa velocemente e diventa un polo di attrazione (per le opportunità di lavoro e di guadagni) sia per gli abitanti dei borghi vicini sia per gente proveniente dalle altre nazioni conglobate nell’impero asburgico.

La Comunità ebraica di Fiume, di Rina Brumini

Da attenta studiosa, l’autrice segue il percorso della presenza storica di singoli e famiglie di religione israelita nella città in questione, ricostruendolo dai documenti, scarsi sino al Settecento, e da ricerche antecedenti alla sua fatte sulla problematica. Usa uno stile scorrevole che punta all’essenzialità sia nel tracciare il quadro generale della mappa europea delle epoche che ci hanno preceduto sia elaborando quello particolare locale.

L’idea della pubblicazione è nata il 29 novembre 2018, quando su invito della Dante Alighieri di Fiume e in collaborazione con i Consigli della minoranza italiana della regione e della città, Rina ha tenuto al Circolo una conferenza dal titolo Gli ebrei a Fiume dal secolo XV ad

oggi. Si era tra amici e una trentina di presenti che hanno partecipato anche attivamente alla conferenza, ponendo domande e condividendo le proprie memorie e aneddoti di qualche periodo menzionato nella presentazione. Alla fine qualcuno ha osservato “Peccato non si possa risentire con calma, magari leggendolo in un libro”.

Un testo sul tema, in effetti, esiste, ma la sua stampa è stata esaurita quasi immediatamente dopo la pubblicazione. Considerando che la ricerca è andata avanti e si era pronti anche ad ampliare il volume, le allora presidenti dei Consigli della minoranza nazionali italiana di Città e Regione, rispettivamente Irene Mestrovich e Ingrid Sever, hanno proposto una ristampa. Nel

giro di qualche mese si è concretizzata una certa somma che, accresciuta del contributo di Città e Regione, avrebbe finanziato la stampa del volume in versione bilingue che ha visto la luce a maggio per i tipi della casa editrice Libertin naklada. La presentazione poi, è avvenuta in Sinagoga per parte dall’associazione Dante Alighieri.

Rina si occupa di storia degli ebrei a Fiume da una quindicina d’anni circa. Capita spesso che colga l’invito di enti che desiderano sentire delle sue ricerche o che le venga chiesto di affiancare la storia degli ebrei a Fiume a qualche commemorazione o presentazione di altri argomenti correlati. Ecco che il libro era dunque un proseguimento naturale di questi lavori.

Gente diversa per fede, lingua, usi, tradizioni, e quindi i governanti fiumani, da buoni pragmatici, coltivano l’anima mercantile che, giocoforza, è aperta agli scambi, ai connubi, alla convivenza, che ai giorni nostri sono i valori della pluriculturalità ne consegue che Fiume già nell’Ottocento è quel porto della diversità che attualmente è lo slogan adottato per la città capitale europea nel 2020. Sicché Fiume è accogliente, senza pregiudizi estremi purché si rispettino le leggi locali e si paghino le tasse.

È in questo momento storico che cresce anche la comunità ebraica, alla quale, dopo i primi ebrei sefarditi giunti in prevalenza da Spalato (e da qui dalle Marche - mi riferisco ai Penso, ai Ventura), si uniscono gli ebrei ashkenaziti, provenienti dall’Europa centrale, che introducono il loro yiddish, e si sviluppano correnti di pensiero che dividono la comunità nella pratica di due liturgie: appunto la sefardita e la ashkenazita e, di riflesso, si manifesta anche la necessità di avere due sinagoghe, l’edificio in cui ci troviamo e quella più maestosa e capiente, ultimata nel 1903, poco lontano da questo sito. Purtroppo possiamo ammirarla solo su cartolina e fotografia: è stata distrutta dai nazisti nel 1944. «La demolizione della sinagoga depauperò la città di un’autentica, irripetibile opera d’arte di Lipot Baumhorn, un

gioiello singolare. La Sinagoga di Fiume non rappresentò solo un autentico gioiello architettonico, essa fu pure testimonianza, per i quattro decenni concessi dalla storia, dell›incredibile sforzo finanziario di cui la comunità si fece carico per parificare il proprio status religioso con quello del resto della cittadinanza», tratto dal libro di Rina Brumini. Ma qual era l’atteggiamento della municipalità nei confronti della comunità in questione? Rina Brumini rileva di non aver riscontrato nei documenti casi di intolleranza razziale, forse perché non denunciati, tranne un episodio avvenuto nel lontano 1780: un gruppo di giovani facinorosi disturbò violentemente la processione funebre di Vito Ventura. La comunità ebraica protestò presso i giudici fiumani e cito: «Che emisero immediatamente un proclama con il quale si stabiliva che la cittadinanza doveva da allora in poi mostrarsi più tollerante nei confronti delle persone di fede israelitica. In caso contrario, per ogni eccesso di tale natura, erano previste pene severissime».

Da non dimenticare che con l’avvento del nazifascismo e la promulgazione delle leggi razziali l’atteggiamento cambiò radicalmente diventando una tragedia che ebbe il suo culmine con la Shoah e ricorderò in proposito che degli oltre 500 ebrei fiumani deportati, fecero ritorno solamente 19 persone. Di questo periodo abbiamo avuto l’occasione di sentire recentemente la testimonianza dalla viva voce delle sorelle Bucci, accolte a Fiume proprio da Rina Brumini.

I rapporti tra la municipalità fiumana e la comunità ebraica e anche le dinamiche interne alla comunità stessa, sono stabiliti nel Protocollum - cioè lo Statuto risalente al 1781, a proposito del quale la studiosa scrive e la cito nuovamente: «Questo documento sopravvisse miracolosamente all’incendio dell’Archivio della Comunità Israelitica di Fiume, poi distrutto dai nazisti nel 1944, ed aspetta tuttora uno studio monografico rigoroso. La concessione del regolamento sembra essere più che altro un riconoscimento dell’importanza raggiunta dalla piccola comunità nella vita cittadina e soprattutto un indizio degli auspici del governo - attirare un numero sempre maggiore di abili com-

mercianti nell’emporio marittimo in crescente sviluppo».

Un’ultima annotazione sulla ricerca fatta dall’autrice, la sua sottolineatura sull’assenza ancora oggi di uno studio approfondito sulle dinamiche della componente ebraica fiumana nel periodo tra l’inizio dell’Ottocento e la fine della Grande guerra. A questo proposito rileva «... devo ammettere il seguente paradosso: studiando il materiale d’archivio del periodo ho riscontrato tra i nomi dei notabili, degli agenti, di semplici cittadini petenti, diversi cognomi ebraici senza alcuna nota di discrimine. Ho potuto riconoscere alcune di quelle persone nella documentazione posteriore, riconducibile al Ventennio fascista, quando ai cognomi andavano apposte note (riguardanti la razza o privazione della cittadinanza) perché vittime di persecuzione. La mia ipotesi è che l’assimilazione abbia avuto tale intensità che la nazionalità di un cittadino semplicemente non contava più ed era superfluo menzionarla».

Concludendo, La Comunità ebraica di Fiume - Židovska općina u Rijeci è stata per me una lettura stimolante perché ti invita ad approfondire il tema affrontato da altri autori, come ad esempio Irvin Lukežić o Teodoro Morgani, a cui ha fatto riferimento pure Rina Brumini ed è una tematica non esaurita, ma fonte di ulteriori studi. Ringrazio sentitamente l’autrice per il dono che ci ha fatto.

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Un esempio di collaborazione e di condivisione della storia

Personaggi

Qui vi raccontiamo qualcosa dei presonaggi principali di questa stagione

Personaggi • di Patrizia Chiepolo Mihočić

Nadia Poropat: una pensionata di successo

L’anno scolastico 2018/2019 è stato particolare per la Scuola elementare Dolac. Nadia Poropat, direttrice storica della scuola italiana, è andata in pensione. “Sono contenta. Ho realizzato tutti i miei piani. Ho dato il meglio di me stessa e reputo che sia giunto il momento di dare spazio ai colleghi più giovani”, ha dichiarato Nadia Poropat qualche giorno prima della pensione.

con il lavoro della direttrice che è stato riconosciuto in molte sedi. Il 5 ottobre del 2018, in occasione della Giornata mondiale degli insegnanti, Nadia Poropat ha ricevuto il riconoscimento quale migliore direttrice della Regione litoraneo-montana. Una gratifica, a detta della premiata, che ha coronato il suo impegno e la sua carriera scolastica. Direttrice da ben 22 anni, Nadia Poropat lavora nel mondo dell’istruzione ed educazione da più di 35 anni. Ha iniziato come insegnante di fisica e matematica per poi prendere le redini della Scuola elementare Dolac.

Nadia Poropat

Sergio Turconi

Melita Sciucca

Moreno Vrancich

Giorgio Surian

Giulio Settimo

Bruno Petrali

Sorelle Bucci

Riccardo Zanella

Gigante e Bacci

Negli ultimi anni gli itlaiani sono stati riconosciuti sempre con maggior frequenza come meritevoli dei premi città di Fiume. Fra questi hanno vinto il premio figure come Amleto Ballarini e Paolo Palminteri, ma c’è anche chi ha ottenuto il riconosimento per meriti fuori dal mondo CNI, come Sandro Vrancich. Quest’anno si sono verificate entrambe le situazioni, con ben tre premiati fra i membri della nostra Comunità.

Oltre allo spazio scontato dedicato alle parole dei presidenti della CI, abbiamo scelto di proporvi un approfondimento sulle figure storice di Zanella, Gigante e Bacci, quanto mai attuali. Per finire con la storia strappalacrime delle sorelle Bucci, fiumane come tutti noi.

La Dolac negli anni era diventata uno dei fiori all’occhiello della CNI,

La dedizione al lavoro, abbinata alla professionalità dimostrata negli anni e alla passione messa per promuovere la sua scuola, le sono valse la nomina al riconoscimento Targa d’oro “Stemma della Città di Fiume”, con il Consiglio cittadino che ha approvato all’unanimità il suo nome per questo premio.

Nella motivazione per l’ex direttrice della SEI Dolac si legge: “Ha da sempre promosso con successo la collaborazione tra le scuole elementari e medie superiori della minoranza nazionale italiana della Città di Fiume e di altre istituzioni della Regione litoraneo-montana. La sua attività valica i confini cittadini e regionali promuovendo altresì la collaborazione con numerose istituzioni della vicina Repubblica italiana”.

In occasione di questo importante avvenimento riproponiamo qui l’intervista realizzata per La Voce del Popolo da Patrizia Chiepolo Mihočić, che racchiude le epserienze lavorative della direttrice, la sua passione e la sua energia.

L’intervista

“Ho iniziato a lavorare alla Scuola media superiore italiana come supplente in quanto la prof. Giuliana Marchig era in permesso parto. Poi per un dato periodo ho insegnato nelle scuole della maggioranza e in seguito alla SEI San Nicolò, in quanto era mio grande desiderio lavorare in una scuola della

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Miglior scuola, miglior direttrice, e ora anche la Targa d’oro della Città di Fiume

CNI. In seguito ho insegnato anche alla SEI Gelsi. Nel frattempo era stato bandito il concorso per il direttore della Dolac. Ho presentato la domanda e sono stata nominata a quest’incarico. A gennaio celebrerò il 22° anniversario. Anche se ho lavorato in tante scuole, devo dire che il mio massimo l’ho dato proprio alla Dolac. Tutte le mie energie, il mio tempo libero l’ho dedicato a questa scuola’, ci ha raccontato Nadia Poropat in quell’occasione.

Ha sentito la mancanza delle lezioni in classe?

“Tantissimo. Io amo insegnare ai bambini e all’inizio ne sentivo tantissimo la mancanza. Devo ammettere che non vedevo l’ora che l’insegnante di matematica e fisica fosse assente per entrare in classe (ride, nda). Essere in contatto con i bambini è una cosa meravigliosa. Posso dire che in tutti questi anni i bambini non sono cambiati, sono rimasti gli stessi: se li sai prendere per il verso giusto ottieni delle soddisfazioni enormi. Sono cambiati i genitori, la società, il nostro modo di pensare, ma i bambini no”.

Com’è cambiato il modo d’insegnare con l’arrivo della tecnologia e quanto sono cambiati i metodi d’insegnamento?

ve a proposito. La riforma curricolare, che purtroppo non è stata accolta, era un progetto nel quale avevo fiducia. Di questa invece non sento parlare bene e le scuole che sono incluse si dicono molto deluse. Non riesco a capire dove siano tutte queste novità, però capisco chiaramente l’insoddisfazione degli insegnanti. Secondo me è un programma molto carente.

A mio parere bisognava approvare la riforma proposta, cambiare eventualmente dei passi e metterla in atto, almeno in fase sperimentale. La Croazia necessita di una riforma seria. È impensabile cambiarla con ogni nuovo governo: dev’essere una cosa al di fuori della politica”.

In memoriam

Addio a Sergio Turconi

Uno dei nomi più attendibili e accreditati che la Comunità Italiana abbia potuto vantare nel campo della critica letteraria

Alla fine di aprile, all’età di novant’anni, nella sua abitazione fiumana è venuto a mancare Sergio Turconi, uno dei nomi più attendibili e accreditati che la Comunità Nazionale Italiana abbia potuto vantare nel campo della critica letteraria.

“Ci sono state sicuramente delle cose positive e negative. Quando sono arrivata alla Dolac ho trovato soltanto un computer antiquato. Non sapevo da dove iniziare però volevo assolutamente migliorare la situazione. A quel tempo a scuola c’erano tantissimi problemi di vario tipo e mancavano insegnanti qualificati. Ammetto che se avessi saputo in quale situazione si trovava la scuola non mi sarei mai candidata per il posto di direttrice. Ai dipendenti di una certa età l’informatizzazione ha rappresentato un problema. Però con il tempo ci siamo adeguati e ora il tutto funziona alla perfezione. Per quanto riguarda i metodi dell’insegnamento, questi sono cambiati sicuramente, anche se le basi sono rimaste uguali. C’è più lavoro individuale in quanto abbiamo sempre più bambini con problemi di vario tipo, ma anche quello di gruppo che oggi è molto presente. Abbiamo i computer, le lavagne interattive che se usati in modo giusto aiutano molto”.

La Dolac non è stata inclusa nella riforma scolastica, ovvero nel progetto pilota “Scuola per la vita”?

“Abbiamo deciso di non aderire a questo progetto pilota in quanto, a colloquio con i colleghi delle altre scuole, ho sentito cose molto negati-

Nel 2014 la Dolac ha ottenuto il premio quale migliore scuola della Regione. Quest’anno, invece, il premio è andato direttamente a lei…

“È stato un premio molto significativo, non soltanto un riconoscimento per la nostra scuola. Per la prima volta in assoluto è stato conferito un riconoscimento a una scuola italiana. Il nostro lavoro e l’impegno sono stati riconosciuti. Il premio come miglior direttrice è stato il premio più bello della mia vita. Sono molto attiva sui social media e mi sono emozionata molto quando, tra i vari complimenti ricevuti da tante parti, anche dell’Italia e dagli esuli ho trovato un messaggio che diceva “Questo è un premio per tutta la CNI”. Mi ha fatto anche tanto piacere vedere presenti alla consegna i direttori di tutte le nostre scuole, il presidente dell’UI, Maurizio Tremul e quello della Giunta esecutiva, Marin Corva. Un’emozione grandissima perché il premio deve venire interpretato in un modo più ampio. Sono arrivata in questa scuola 22 anni fa come persona non grata e il mio percorso non è stato facile. Devo però ringraziare anche tutti coloro che non mi hanno voluto bene, perché tutto quell’astio mi ha dato la forza di continuare e dimostrare che questo lavoro lo so fare e ne sono fiera”.

Turconi giunse a Fiume nella seconda metà del 1946 per partecipare all’edificazione del socialismo, spinto soprattutto dall’ambizione di scrivere. Nato a Milano nel 1928, Turconi condivideva la stessa data di nascita di Alessandro Damiani e Giacomo Scotti. Tutti e tre giunsero dall’Italia, in brevi intervalli l’uno dall’altro e da regioni diverse, e tutti tre iniziarono a scrivere per le pubblicazioni dell’EDIT, a iniziare da “La Voce del Popolo” – dove Turconi fu dapprima redattore –, e, in seguito, per altre pubblicazioni. Con Luciano Giuricin ha collaborato all’uscita di “Vie Giovanili”, il giornale dedicato ai giovani connazionali riempiendolo di contributi interessanti. Fu anche tra i fondatori e primo caporedattore della rivista “Panorama” che viene pubblicata regolarmente ancora oggi. Quando scoppiò il caso del Cominform e le redazioni restarono senza giornalisti in quanto tutti i giovani che erano venuti dall’Italia se ne tornarono in Patria, Turconi fu sempre impegnato nel settore culturale per lo più come critico letterario e storico della letteratura.

Promotore de «La Battana»

Va ricordato pure come fondatore assieme a Eros Sequi e Lucifero Martini della rivista trimestrale di cultura “La Battana”, di cui dal 1964 al 1989 fu caporedattore. Continuò a essere legato alla Comunità Italiana anche quando all’inizio degli anni Sessanta lasciò Fiume per Belgrado, dove fu corrispondente de “La

Voce” e dove si laureò e conseguì pure il dottorato di ricerca con la dissertazione “La poesia neorealista italiana” (1970).

In seguito fu docente alla Cattedra di Italianistica della Facoltà di Filologia dell’Università degli Studi della capitale jugoslava, incarico che ricoprì fino al pensionamento avvenuto nel 1997. Per tantissimi anni fece la spola tra Belgrado e l’Istria, dando un prezioso contributo alla creazione di nuove pagine della letteratura degli italiani di queste terre. Nel 2014, da Belgrado ritornò a Fiume dove trascorse gli ultimi anni di vita. Fu impegnato per decenni con “La Battana” nell’organizzazione di convegni di scrittori sul piano internazionale e in quest’arco di tempo operò per la sopravvivenza e la crescita della letteratura nelle file della Comunità Italiana dell’Istria e del Quarnero. Fu, insieme a Giacomo Scotti, l’ultimo superstite della seconda generazione di nostri scrittori. Dopo Ramous, Sequi e Martini, i tre delle origini, Turconi fu il primo del terzetto del quale facevano parte anche Damiani e Scotti.

Affermazione della letteratura della CNI

Non c’è pubblicazione periodica dell’EDIT, dal quotidiano alle riviste

che ne hanno fatto la storia, nelle cui pagine non s’incontrino i testi di Turconi. Non va dimenticato il suo importante ruolo nei convegni internazionali di critici e storici della letteratura per l’affermazione della creatività letteraria della CNI. All’attività artistica Turconi ha sempre privilegiato la critica letteraria e la saggistica. Le sue principali ricerche sono uno studio sul cinema neorealista (“Neorealizam”, Nolit, Beograd, 1961) e una critica letteraria intitolata “La poesia neorealista italiana” (Mursia, Milano, 1977). Solo poche volte si è dedicato alla letteratura con scritti personali. Tra i suoi saggi è da rilevare “La letteratura degli italiani in Jugoslavia e i suoi emigrati”, in “La letteratura dell’emigrazione” (a cura di Jean-Jacques Marchand, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1991). In questo testo, Sergio Turconi ribadì il ruolo storico fondamentale della prima generazione di scrittori connazionali, trasmesso a quelli delle nuove generazioni. Sergio Turconi, che lascia le figlie Marina e Sandra, è sepolto al Cimitero di Drenova superiore.

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Nadia Poropat alla cerimonia di premiazione come miglior direttrice in occasione della Giornata mondiale degli insegnanti

Presidente per un anno

Melita Sciucca ci racconta i suoi pensieri e le sue considerazioni da quando è diventata presidente della Comunità degli Italiani di Fiume

Se l’anno scorso, in questo perido, qualchedun me gaveria detto che sario diventada presidente del nostro Circolo, ghe gaverio detto che el xe mato de ligar. E inveze....xe arivà luglio, le elezioni, e senza nanche acorgerme...ecome qua! Cossa dirve? Me go alzà le manighe e me go meso far: riprender col bar, con la Scola Modello, incontrarme con le scole, con le altre istituzioni, parlar con la gente per veder chi xe disposto a far parte del esecutivo, de darme una man, per veder cosa e come. E adeso, dopo dieci mesi poso far un resoconto che penso el sia positivo – almeno così me dixe la magior parte dela gente e spero che noi me conti frotole, solo per farme piazer. Gavemo fato tante robe: concerti, presentazioni, incontri, mostre, convegni, festival, grandi e pici balli de matura, pranzi, cene e palacinche, film, cartoni animati, karaoke, serate sociali, carneval, l’archivio della memoria... Tuto con un ciodo fisso in testa: far vegnir la nostra gente, i giovani, quei che xe meno giovani e che ognidun trovi qualcosa che ghe piase e che lo zucherà ancora una volta a vegnir, e ancora una volta e ancora una volta. Misciar la tradizion, i ricordi, la storia con el oggi, la gioventù, la tecnologia, el futuro. Non xe facile e qualche volta me casca i brazi, ma penso che val la pena andar avanti e continuar a sbater la testa contro el muro per inventarse le robe, far meio, far de più, ascoltar quel che la gente dixe e voleria e cercar de acontentarli.

In Circolo go scoperto tutto un mondo de gente che vien far attività senza domandar niente: i cori, i pitori, le ceramiste, la mandolinistica,

le tombolere, le bele fiumane, i minicantanti, le filodrammatiche, genitori che porta i fioi due volte alla settimana a imparar l’italian, anziani che ga problemi de far le scale fin el terzo o quarto pian, ma i le continua a far: lori me da la voia de andar avanti anche in quei momenti quando penso che molerio tuto.

Xe ancora mille robe de far: la pulizia fa desiderar, el Palazzo Modello ne xe diventà fumatoio e gabinetto pubblico, el porton xe in un stato pietoso, per non parlar dele finestre marze, delle colonne pericolanti, dele mace de umidità sui muri... xe de inventarse serate sportive, gioghi, tacar la TV satelitare per guardar le partide de calcio, e quant’altro.

El nostro Circolo, come me piase ciamarlo – anche perché me ricordo sempre quando vegnivo de picia, cantar con i minicantanti, e dopo de più grande far atività in Club dei giovani, e con la Dante Alighieri, e con la Modello, e con i muli de scola – xe la nostra casa, la casa de noi fiumani, una casa dove trovarse, far la cantada, la magnada, parlar nel nostro dialeto, anche barufarse in fiuman e dopo far la pace. E questa casa dovemo usarla, dovemo farghe veder a tuti che esistemo, che semo qua e che semo attivi, che facemo le robe, che non ghe volemo far mal a nisun, ma che volemo far presente che la nostra cultura xe a Fiume de sempre e che la da lustro a sta città. Per questo ne xe importanti le tabelle con i odonimi in italian, con la scritta Fiume-Rijeka all’entrata della città (che la ne resti anche dopo el 2020!!!), per questo ne xe importante la Piazza Zanella a e ancora piazze e

vie con i nomi de personaggi fiumani che ga fatto la storia della nostra città.

Per questo son contenta de esser presidente della Comunità, perché poso dar un mio tochetin per far valer la nostra storia, i nostri diritti, la nostra lingua, la nostra cultura.

Per finir voio dirghe un grande grazie a tuti quei che me ga votà, quei che me xe vicini, che me aiuta, me fa rider, pianger, incavolar, ma i xe qua – non facio nomi per non dimenticar qualchedun.

Un grazie alle scole, ai asili, al liceo, al teatro, alla Voce, all’EDIT, alla radio, al dipartimento de italianistica, ai esuli.

Grazie al Console, all’UI, all’UPT, alla Città, alla Region, ai Consigli della minoranza che un poco de qua e un poco de là, chi più chi meno ne appoggia e ne finanzia le nostre attività. Spero de non gaver dimenticà nisun.

Un anno xe quasi pasà, el programma della settimana fiumana xe pronto e quando legerè la nova Tore, la starà per finir. Adeso ne aspeta el 2020, Fiume capitale della cultura –spero che i nostri progetti sarà riconosudi da chi de dover e che la nostra CI parteciperà in prima fila – là dove che ghe xe el posto!

Credo che gavemo fato un bon numero de bele robe in questo primo ano de presidenza. La Melita ga volù che a inizio mandato se incontremo con tuti quanti, dall’Unione al sindaco de Fiume, pasando per Consolato, Edit e un altro paio de asociazioni. Con i rapresentanti de tute queste asociazioni gavemo cercado, e nela stragrande magioranza dei casi arivado, a meterse d’acordo su cosa far per el ben comune: dela nostra Comunità ma anche de tuta la CNI.

I simboli de Fiume

Xe sta un ano intenso, in cui, come poderè leger anche in questa Tore, xe arivadi subito i primi fruti. Come per esempio le tabele coi odonimi storici dela zità vecia, che anche se con qualche apostrofo in meno del dovudo, xe sta un grande traguardo. E sarà ancora meo quando che riverà la scrita Fiume vizin a quel Rijeka. Magari doveremo spetar ancora qualche mese, ma no stese preocupar, faremo rivar anche quele tabele.

Capiterà così, che dopo l’Aquila bicipite, i odonimi e el nome de Fiume all’entrata in zità, ne mancherà un unico simbolo dela tradizion: la bandiera. Chi de voi ga più a cuor questo argomento saverà che el Consiglio citadin ga già votà all’unanimità per el suo ripristino, ma che tuto se ga blocado per colpa de certi geni del ministero dell’Aministrazion. Bon, ve digo che no gavé de preocuparse tropo gnanche de quel, perché stemo lavorando anche su quel fronte, con l’idea de convincer la Zità a meter la bandiera storica comunque fora, con un truco. Se la metesi vizin de quela

atualmente uficiale, fin che i zagabresi non ne aprova tuto.

Atività

La dove che gavemo bazilà più de tuto, e ne dirè voi se semo stadi bravi o no, xe per impinir almeno un bich sta comunità. De atività e manifestazioni iera carigo, de gente a guardar come quando. Xe vero che gavemo fato molte serate col pienone, ma in certi altri casi se aspetavimo un poco de più da sto nostro publico. Disemo che xe colpa nostra, che non semo stadi abastanza bravi a comunicarghe a tuti dele atività che femo, o che le informazioni no rivava per tempo. Se scusemo. Savé, ipak ne xe la prima volta che femo i presidenti, dovè ciuder un ocio.

Croati in Comunità

In questo aneto se gavemo dado de far anche per portar in Circolo un certo numero de croati! Ja, gavé capido ben. Gavemo organizado in Comunità un bich de tuto: da concerti a presentazioni de libri, da convegni a tavole rotonde e anche una grande zena de un partito. Perché? Xe presto deto, perché se non ghe femo veder a sta gente che esistemo, cosa facemo, che bei, boni e bravi che semo… come i fa lori a sostenerne?

Dovemo spiegarghe, in tuti i modi che gavemo, che noi semo qua de casa e non volemo altro che quel che ne speta. Questo però pasa atraverso la conoscenza dela storia e dele tradizioni dela zità e el modo miglior per farghele imparar dai croati xe quel de portarli in Comunità e spiegarghe noi.

Usè el nome giusto!

Tuto bel e bon insoma? Non proprio. Gavemo ancora un mucio e mezo de lavoro de far. A partir dal convincer tuti che noi stia dir Rijeka coi parla in italian de Fiume. Purtropo ghe ne xe tanti che fa sto bruto scherzo. Nei ultimi 12 mesi go sentì discorsi ufficiali de papaveri de ogni tipo che diseva Rijeka. El primo che fa sto scerzo xe l’arcivescovo Devčić, una asai cara persona, che tuti loda sia fra i fiumani che fra i riječani, fedeli e non. Purtropo però durante la mesa, pur parlando in italian – disevo che el xe bravo –nol dise Fiume. Un altro che ga combinado sto guaio xe Giordano Bruno Guerri, che per ignoti motivi durante el discorso in italian fato ala presenza dele autorità dela Zità el ga deto più volte Rijeka. Ma el più malegnaso de tuti xe stà l’Ambasciator, che in ocasion dela Festa dela Republica italiana, legendo el discorso dove ghe scriveva Fiume… lui ga deto Rijeka. Spero che almeno qualchedun de sti tre signori legerà sto pasagio. Che i se rabi pur che li go menzionado, ma dopo gaversela ciapà che i disi Fiume quando i parla in italian!

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Moreno Vrancich racconta le sue esperienze in un anno alla guida dell’Assemblea
A piccoli passi l’identità viene ripristinata

Giorgio Surian: non cancellerei neanche una recita

Intervista al celebre bassobaritono, Premio Opera omnia della Città di Fiume per quest’anno

Quest’anno il Premio Opera omnia della Città di Fiume è andato a Giorgio Surian. La Commissione per l’assegnazione dei riconoscimenti pubblici ha, infatti, deciso di premiare il celebre basso-baritono fiumano in quanto “uno dei più importanti artisti dell’Opera nella storia della città di Fiume, riconosciuto e apprezzato sia sulla scena nazionale che internazionale. La sua carriera artistica è stata impreziosita da tantissimi premi e riconoscimenti, sia della critica che del pubblico. La sua ragguardevole carriera l’ha portato fino in vetta della scena musicale mondiale e con le sue interpretazioni e la personalità artistica ha saputo conquistare le più rinomate case dell’Opera”, recita la motivazione.

Occasione per la quale abbiamo voluto incontrarlo per parlare non solo dell’importante Premio, ma dei suoi legami con la Comunità degli Italiani di Fiume e, ovviamente, la sua carriera artistica, gli inizi e il successo.

“Ottenere il Premio Opera omnia della Città di Fiume è un riconoscimento che significa tantissimo per me, perché arriva proprio dalla mia città natia – esordisce Giorgio Surian –. È anche una conferma che il pubblico mi vuole bene, nonostante sia stato per tanti anni lontano dal capoluogo quarnerino, e pochi sapevano della mia carriera artistica fuori dai confini nazionali. Ritornare

Surian ha iniziato la sua carriera presentandosi all’audizione del coro della Fratellanza, grazie al quale ebbe il suo primo contatto con il pubblico in un’esibizione da solista accompagnato dal coro

al Teatro Nazionale Croato ‘Ivan de Zajc’, dopo una prima volta che l’ho lasciato a 23 anni, rappresenta per me un cerchio che si sta chiudendo. Anche quando realizzai il Faust allo Zajc di Fiume nel 2014, anno del mio ritorno, ringraziai il pubblico con ‘Hvala Rijeka’, seguito subito dopo da, ‘Grazie Fiume’ a cui mi ha risposto un boato di risposte. Fu una grande emozione per me. Ho iniziato a Fiume e finirò in questa città. Considero questo Premio come il culmine della mia carriera”.

Quel è il suo rapporto con la Comunità degli Italiani di Fiume?

“I miei genitori avevano in appalto alla Comunità, all’epoca nota come Circolo Italiano di Cultura, il ristorante-bar che era molto frequentato da tantissimi fiumani. Ancora oggi, vivo di quei ricordi, delle persone che venivano al locale, e si parlava solamente in italiano, in dialetto fiumano. Eravamo molto legati alla Comunità e continuo a esserlo ancora oggi. Ho iniziato a cantare proprio alla SAC ‘Fratellanza’”.

Come si è avvicinato alla lirica?

“Mi sono avvicinato al mondo della musica da piccolissimo. Avevo 7-8 anni e mi ricordo come mi affascinasse ascoltare la musica classica, soprattutto quella orchestrale, che proveniva

dalla radio di casa. Era una vera ossessione tanto che da lì a poco iniziai a collezionare dischi LP. Mentre gli altri bambini giocavano a calcio, io passavo il tempo libero ad ascoltare musica classica. Una volta portai la mia collezione di dischi a scuola per mostrarli durante la lezione di musica. La maestra, invece, se la prese con me rimproverandomi di aver portato la collezione dei miei genitori – aveva il timore che danneggiassi i preziosi dischi –, e io a spiegarle che era, invece, la mia raccolta personale. Non mi credette. Pian piano mi sono avvicinato alla musica operistica, in pratica da solo, spinto dalla curiosità. Iniziai a cantare dopo aver acquistato un disco di Mario Del Monaco con alcuni brani dell’Otello verdiano. Mentre il disco suonava, accompagnavo Del Monaco gridando a squarciagola. Con una certa dimestichezza, dovuta a questa mia piccola preparazione, decisi di partecipare all’audizione per entrare nel coro della Società Artistico Culturale ‘Fratellanza’ della Comunità degli Italiani di Fiume, dove mi presero e dove ebbi l’occasione di interpretare delle parti da solista accompagnato dal coro. Fu in quest’occasione che ebbi il mio primo approccio con il pubblico. Parallelamente studiavo sotto la guida di Nada Auer, ex cantante lirica del Teatro di Fiume. In seguito frequentai per due anni l’Accademia di Lubiana (Slovenia), mentre assieme al mio secondo maestro, il baritono Giampiero Malaspina, feci l’audizione per il Conservatorio di Trieste, dove rimasi a formarmi liricamente per tre anni. Seguii Malaspina al Conservatorio di Padova per altri due anni. Però la vera svolta è stata grazie a un colpo di fortuna durante un concorso per cantanti lirici della città di Busseto – gara lirica che tra l’altro non vinsi –, e nella cui giuria c’era il maestro Edoardo Müller, direttore del Centro di perfezionamento per artisti lirici al Teatro alla Scala. Fu proprio Müller, incuriosito dalla mia voce a chiamarmi per un provino al Tempio della lirica di Milano. Correva la stagione 1978/79, avevo 24 anni”.

Come ricorda gli anni di formazione alla Scala?

“Gli anni di formazione alla Scala rappresentano il periodo più bello della mia vita. Arrivare da Fiume alla Scala è già di per sé qualcosa di straordinario e io ci rimasi per quindici anni, realizzando più di 200 recite. C’erano tantissimi maestri lirici e preparatori e grazie a loro ho avuto una scuola formidabile che un giovane come me poteva solo desiderare. C’erano grandi nomi della lirica che giravano in quella scuola”.

Come avvenne il suo debutto per il grande pubblico?

“Ebbi la fortuna di essere chiamato per una sostituzione. Era per la parte del Sicario nel ‘Macbeth’

Nella sua lunga carriera si è esibito in tanti ruoli in molti teatri diversi. Il dato più interessante riguarda però la sua capacità di interpretare qualunque lingua

di Verdi, diretto da Claudio Abbado. Nel ‘80 ho iniziato con l’oratorio ‘Cristo sul Monte degli Ulivi’ di Beethoven, e poi il debutto vero nel ’82 con l’opera ‘Ernani’ di Verdi alla Scala”.

Che ricordi conserva?

“È stato un debutto fondamentale che ha lanciato me e i miei colleghi del Centro di perfezionamento per artisti lirici del Teatro alla Scala. In realtà questo debutto che inaugurò la stagione 1982/82 del Teatro alla Scala, ha un retroscena abbastanza particolare. Il basso bulgaro Nicolaj Ghiaurov, si rifiutava di interpretare la Cabaletta in quanto richiedeva un’esecuzione troppo veloce e acuta per la sua voce. Il maestro Riccardo Muti che dirigeva l’orchestra dello spettacolo lirico, decise quindi di eseguire delle audizioni in modo da scegliere una voce in grado di interpretare solamente la Cabaletta. Fui scelto ma poi decisero di eliminare completamente la Cabaletta dall’esecuzione dello spettacolo, comunque la buona riuscita dell’audizione mi diede l’opportunità di entrare nel secondo cast dello spettacolo che per me equivaleva allo sbarco sulla Luna. Le cose si complicarono ulteriormente quando l’intero cast dello spettacolo, ovvero Mirella Freni, Placido Domingo, Roberto Buson, lo stesso Nicolaj Ghiaurov, assieme al maestro Riccardo Muti, abbandonarono il progetto teatrale già al secondo spettacolo. Ma poiché il pubblico acquistò con largo anticipo i biglietti delle repliche, la direzione decise di

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allestirlo comunque, ma con il secondo cast e la direzione dal maestro Edoardo Müller. Le reazioni del pubblico che pur aspettandosi delle celebrità del primo cast, furono entusiaste, come anche quelle della critica molto lusinghiere. Da tutto ciò prese il via la mia ascesa artistica”.

Grazie alla sua estensione vocale ha potuto spaziare attraverso un repertorio molto ampio. Quali ruoli le sono rimasti più nel cuore?

“Scegliere tra i tanti personaggi che ho interpretato, è piuttosto arduo perché tutti i ruoli che ho sostenuto mi hanno dato tanta soddisfazione oltre a trasmettermi tante cose. Ho sempre cercato di interpretarli con la massima professionalità e serietà. Tra questi Scarpia, ‘Falstaff’, ma anche ‘I racconti di Hoffmann’, l’opera fantastica in cinque atti di Jacques Offenbach, in cui è presente una figura demoniaca che nel corso dell’opera si presenta nella forma di quattro diversi personaggi. Mi sono sempre trovato bene con preti e diavoli, tanto da poter dire di aver fatto molti diavoli della lirica. A iniziare dal ‘Faust’, per continuare poi con ‘Mefistofele’, ‘I racconti di Hoffmann’, ‘La carriera di un libertino’ e tanti altri”.

Fra i personaggi cosiddetti minori, quali preferiva?

“Il filosofo Colline da ‘La Boheme’ perché è un personaggio minore ma al tempo stesso importante. L’aria ‘Vecchia zimarra’ legata al personaggio è piena di emozione per il soprabito che lo scalda e in cui stringe i libri di filosofi e poeti. È un ruolo, a mio avviso, completo, che richiede grande dimestichezza scenica oltre che vocale. Poi un altro personaggio che non è tra i principali, ma altrettanto importante, è Don Basilio de ‘Il barbiere di Siviglia’, in particolare con l’aria ‘la calunnia’. Un ruolo che offre tanta soddisfazione non solamente per il canto ma anche per il gioco scenico”.

Predilige personaggi positivi oppure quelli negativi?

“Preferisco i personaggi che sono più da interpretazione. Di solito i personaggi positivi sono eccessivamente caratterizzati da un paternalismo che ne impone le linee guida. Quelli negativi possiedono all’interno, invece, più sfumature. Il Barone Scarpia della ‘Tosca’, è uno sadico, un pervertito, un vero diavolo che tuttavia possiede una forte e bellissima caratterizzazione scenica. Uno stile raffinato. Ecco perché, quando ho l’occasione di interpretarlo, lo faccio con molta attenzione, tentando di essere molto signorile, distaccato, severo e in qualche modo anche malefico”.

Qual è il ruolo più faticoso fra quelli affrontati?

“Il personaggio di Bertram dell’opera ‘Roberto il diavolo’ di Giacomo Meyerbeer. Un ruolo molto esigente perché acuto e a metà strada tra basso e baritono. Molto esteso e scenicamente molto difficile. E poi altri come il prima menzionato ‘I racconti di Hoffmann’ e anche ‘Falstaff’”.

Lei canta in varie lingue. Ha incontrato difficoltà?

“Ho cantato in nove lingue diverse senza incontrare mai delle difficoltà. Ogni volta che devo affrontare una lingua, cerco di trovare qualcuno tra gli orchestrali e i colleghi che m’insegni la giusta cadenza della lingua del posto. Possiedo un metodo personale di imparare la lingua del personaggio che devo interpretare. Innanzitutto traduco l’intero testo, registro la parlata e poi sullo spartito segno l’intonazione e la cadenza delle parole secondo una mia indicazione e preferenza, in modo da raggiungere la giusta tonalità”.

Fra le sue numerose incisioni, quali preferisce?

“Sono molto autocritico. Non mi piace sentire le registrazioni perché sento solo i difetti. E ciò m’irrita molto. Non possiedo la collezione, però in quelle rare volta quando mi capita di sentire le registrazioni più vecchie, mi capita di dire ‘caspita come cantavo bene’”.

Qual è il suo momento artistico che ricorda con maggiore piacere?

In carriera Surian ha cantato in nove lingue diverse, senza mai trovare difficoltà a interpretare quei ruoli.

Fra le sue maggiori interpretazioni c’è il Bertram dell’opera Roberto il diavolo, di Giacomo Meyerbeer, giudicato come il più difficile.

“Certamente il debutto di ‘Ernani’ alla Scala nel 1982. Un esordio favoloso che ha segnato l’inizio della mia carriera. Un altro momento indimenticabile è stato quello con Zubin Mehta che ha diretto il ‘Falstaff’ a Firenze, o ancora a Tokyo con Claudio Abbado per ‘Il viaggio a Reims’ e ‘La bohème’ diretta da Carlos Kleiber. Ho avuto delle belle soddisfazioni nel lavorare con grandi direttori d’orchestra e colleghi”.

C’è invece una recita che, per qualche motivo, preferirebbe dimenticare?

“Non ho avuto mai spettacoli che preferisco dimenticare. Ho avuto modo, invece, di sentire durante gli applausi alcune voci di disapprovazione. Ad esempio ho fatto un ‘Nabucco’ a Lione all’aperto. Ero giovane e troppo inesperto per un ruolo di acuto molto grave, per cui in certi momenti ero troppo debole. E tra gli applausi degli spettatori ho sentito pure qualche voce di rimprovero. Sono cose che ti rimangono dentro e lasciano pure il segno, soprattutto quando sei consapevole di non aver sostenuto bene la parte. Mi è successo anche che, mentre l’intera platea mi acclamasse, c’erano, invece, alcune persone che intenzionalmente e a gran voce disapprovavano la mia prova. Comunque non cancellerei neanche una recita, perché è tutto esperienza”.

Non mi pento minimamente delle scelte fatte

Giulio Settimo riassume la stagione del Dramma Italiano

Per il Dramma Italiano la stagione teatrale 2018/2019 è stata un periodo travagliato, tanto che in diversi momenti la compagnia si è trovata con l’acqua alla gola. Una lunga fase d’incertezza che ha visto la compagnia di prosa in lingua italiana – che assieme al Dramma Croato, Opera e Balletto, è una delle quattro sezioni del Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” –, messa non solo allo sbaraglio con il rischio di essere ridimensionata, se non completamente chiusa, ma addirittura anche alla gogna, imputata di essere il principale “responsabile” dei conti in rosso del Teatro fiumano sotto la direzione del sovrintendente Marin Blažević. E tutto ciò a causa del ritardo di oltre un anno dei finanziamenti – quelli relativi alla legge 73/2001, in applicazione alla Convenzione 2018, siglata presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale –, erogati dall’Università Popolare di Trieste.

Alla fine, l’ancora di salvezza è arrivata a marzo, tramite un versamento di 118mila euro dell’UPT, che ha consentito alla compagnia di prosa in lingua italiana di tirare finalmente un sospiro di sollievo. La somma è stata utilizzata unicamente per coprire i debiti che il Dramma ha avuto nel 2018 a causa della loro mancata erogazione, sia con l’Unione Italiana, che è intervenuta con un prestito di 50mila euro, sia con gli artisti, i collaboratori esterni, le imprese e le ditte che hanno fornito le proprie prestazioni e materiali per la realizzazione degli allestimenti.

La stagione, pur essendo stata in continuo caratterizzata da disagi dovuti alla situazione di liquidità finanziaria, ha registrato comunque una produzione artistica di alto livello, dove la compagnia di prosa in lingua italiana ha saputo regalare al proprio pubblico

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dei grandi momenti teatrali. Di questo e ovviamente di altre cose, come i momenti incisivi dell’anno teatrale appena concluso, ne abbiamo parlato con il direttore del Dramma, Giulio Settimo, nel corso di una lunga chiacchierata. Ecco che cosa ci ha raccontato.

Come riassume questo periodo trascorso alla compagnia di prosa in lingua italiana di Fiume?

“Quando penso che sia già trascorso un anno, sono assalito dai brividi. Sembra ieri che cercavo i copioni giusti per gli allestimenti della compagnia. In questi mesi sono state tantissime le emozioni, le nuove esperienze, i successi e anche i disastri. Tutti momenti che li sento come risucchiati in un vortice temporale. Un buco nero che ha inghiottito tutto e che mi ha riportato al punto di partenza ma, grazie al cielo, con più coscienza della carica che rappresento”.

Quanto ha influito sulla sua persona questo primo anno da responsabile del Dramma Italiano?

“Ciò che posso dire con sicurezza è che sicuramente sono cambiato. I problemi economici e artistici affrontati in questi mesi hanno accresciuto la mia esperienza e fortificato il mio carattere. Quando assunsi l’incarico, non potevo certamente immaginare le vicissitudini economiche che mi aspettavano, i pochi soldi rimasti del 2018, il ritardo del finanziamento erogato dall’UPT, evento unico nella storia del Dramma. Nemmeno le difficoltà politiche-amministrative accadute erano prevedibili: i fraintendimenti con l’Unione Italiana, la lotta artistica con la sovraintendenza e i litigi incalliti con il direttore generale dell’UPT. Tuttavia le immagini che mi sovvengono alla mente pensando all’incarico svolto in quest’anno solare, sono gli sguardi felici della compagnia durante la messa in scena degli ‘Imbianchini’ di Dario Fo, sotto la guida di Mario Kovać, le battute e le risate durante le prove di ‘Butterfly Effect’ con Marco di Stefano, che proponeva soluzioni uniche davanti a una tematica difficile come quella del clima, le facce perplesse del pubblico di Isola dopo l’esecuzione dello spettacolo ‘Buca di

Sabbia’ di Kobal, la pièce che tra tutti i risultati di quest’anno sento più a cuore. Devo dire di aver assunto l’incarico con troppa presunzione. Non mi è costata, ma mi sono reso conto che da solo non sarei arrivato troppo lontano. Le persone da ringraziare sono tantissime, dagli attori della compagnia ai politici dell’UI che hanno creduto in me, dai familiari agli amici che mi davano parole di incoraggiamento”.

Si sente ora parte del Dramma Italiano?

“Credo che solo adesso, dopo un anno intero di lavoro, mi senta realmente parte del Dramma Italiano e della Comunità Nazionale Italiana di cui esso fa parte. Sembra facile appartenere a un gruppo così fantastico e affiatato. Invece per quanto la compagnia stessa fu ad accettarmi un anno fa, solo ora nei loro sguardi vedo di essere parte del gruppo. Spesso sguardi severi, ma allo stesso tempo comprensivi. È innegabile che alcune scelte della direzione non siano state accolte con felicità e gioia. È anche vero che ho avuto la compagnia vicina in differenti situazioni che si sono create con il ritardo dei finanziamenti dall’Italia, con la direzione del Teatro che non appoggia pienamente le necessità della compagnia e della nostra realtà, ma anche con il cambio generazionale tra gli attori e la diminuzione catastrofica del nostro pubblico. Vedo che comprendono anche loro che i tempi sono cambiati. Che sta cambiando il significato di far teatro, e ancor di più farlo per una comunità che anno dopo anno diminuisce”.

Qual è stata la difficoltà più grande in cui si è imbattuto nella stagione appena conclusa?

“La difficoltà più grande è stata guardare gli spettacoli come direttore. È difficile da spiegare. È da anni che in teatro svolgo la funzione d’attore. Prima di qualsiasi spettacolo è più che normale essere invaso dall’adrenalina. Una volta in scena essa svanisce e si trasforma in potenza scenica. Come direttore, non credevo possibile ma è vero, si ha la stessa paura degli attori in scena, però con la sfortuna di non poterla sfogare in

scena. Per non parlare dell’obbligo dello Zajc di far sedere i direttori in prima fila per questioni di marketing. Una scelta che trovo insopportabile. In definitiva è un’agonia che finisce solo con la fine dello spettacolo e l’applauso felice del pubblico. La realtà è che in quei momenti darei qualsiasi cosa per un posto nelle ultime file, per poter vedere le reazioni del pubblico e poter nascondere le mie paure e le brusche inconsce reazioni durante gli spettacoli”.

Pentimenti?

“Non mi pento minimamente delle scelte fatte. Non lo nego, è stata dura il primo anno, però come sappiamo affermare noi a Trieste: ‘ne go ciapade diverse pei denti’. A parte gli scherzi, finalmente dopo un anno mi sento parte integrante della co-

munità e del Dramma. Credo che la compagnia che rappresento sia tra le più talentuose in Croazia. Sono convinto che i fiumani non apprendano pienamente di quali strabilianti attori hanno a disposizione. Sono certo che nei prossimi anni faremo cose fantastiche e sono sicuro che in pochi anni ogni italiano della nostra comunità tornerà a teatro a vedere la nostra splendida compagnia e a gioire con noi nel nostro teatro”.

Quale futuro si annuncia per la compagnia di prosa in lingua italiana di Fiume?

“Il ritardo dei finanziamenti da parte delle Madrepatria è diventato oramai una costante sulla quale noi non possiamo interferire. Occorre rilevare che anche lo Zajc è corso ai ripari. Il Consiglio teatrale dello ‘Zajc’, a causa

Ha parlato di luoghi alternativi, nella scorsa stagione siete stati ospitati per uno spettacolo alla Comunità degli Italiani, com’è stata l’esperienza? “Siamo stati ospitati per la prima di ‘Buca di Sabbia’, con la regìa di Jernej Kobal. Fu la mia ‘prima prima’ per adulti. Dopo lo spettacolo, la Comunità organizzò per noi anche un rinfresco. La collaborazione fu splendida. Inoltre in quell’occasione appresi un dato importantissimo per la nostra compagnia: il nostro pubblico è per l’80% femminile, e la media d’età supera i 60 anni abbondantemente. Non potrò mai dimenticare un fatto accaduto quella sera. Io sedevo in prima fila, dietro di me due signore commentavano lo spettacolo che trattava di senilità: ‘te vedi anche noi due saremo cusì tra un per de anni!’. L’elemento buffo, oltre all’affermazione e il contesto in se, fu che il commento venne fatto a voce molto alta, il ricevente del messaggio aveva un problema d’udito. Questa constatazione potei farla grazie alla classica risposta: ‘Eh?’ dell’interlocutore. Ci vollero 3 ripetizioni prima che il messaggio arrivasse comprensibile al ricevente. Oltre a me, i miei vicini cominciarono a sghignazzare, anche perché la stessa scena accadeva contemporaneamente sul palco”.

dell’incognita legata all’erogazione dei finanziamenti, ha scelto di ridimensionare il programma artistico della compagnia, manovra già annunciata lo scorso dicembre. Per tanto il cartellone non prevede più quattro produzioni nel corso della stagione teatrale, bensì abbiamo l‘obbligo di realizzarne due come minimo richiesto. Allo stesso modo, ciò significa che se abbiamo le capacità, ne possiamo realizzare anche di più. Però ci saranno anche delle altre novità a livello artistico. Dalla prossima stagione proveremo ad allargarci al pubblico giovane, dai 1835 anni, portando in scena spettacoli di piccole dimensioni in luoghi alternativi allo ‘Zajc’. Le tematiche trattate saranno quelle attuali, il clima, la migrazione e la politica. Non sarà però un teatro classico, ma una ricerca sperimentale”.

Ci saranno altri eventi di questo spessore?

“Non posso dirlo con certezza. Qualcosa faremo sicuramente. Penso che ci sia una stretta e ottima collaborazione tra la presidente, Melita Sciucca e me. Ci siamo sentiti spesso quest’anno per comprendere come migliorare ulteriormente la vicinanza tra le nostre due realtà. Melita Sciucca ci ha aiutato spesso, ospitando alcune nostre prove, reclamizzando i nostri spettacoli e riempiendo alcune repliche che senza il suo aiuto sarebbero state, aimè, annullate per mancanza di pubblico. A una parte dei nostri sostenitori piace assistere agli spettacoli in Comunità, purtroppo però c’è un’altra parte che vuole venire solo allo ‘Zajc’. Penso quindi che in futuro cercheremo di creare qualche evento pensato appositamente per la Comunità e per i suoi soci”.

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Targa d’oro “Stemma della Città di Fiume”

Il contribuito di Bruno Petrali alla conservazione e alle diffusione della cultura italiana in queste terre è stato immenso. Lo ringrazieremo in eterno

ce, Mariuccia Smojver, Fede Fattori e soprattutto la bella Valnea Jelučić, che ha lavorato poi anche a ‘La Voce del Popolo’”.

Alla fine del 1954 è stata abolita la sezione italiana di Radio Fiume. Come reagì?

Quest’anno tra i vincitori della Targa d’oro “Stemma della Città di Fiume”, figura anche Bruno Petrali, l’annunciatore radiofonico, celebre cantante nella Jugoslavia di Tito, attore e direttore del Dramma Italiano di Fiume, giornalista, ma anche noto telecronista di Tv Capodistria. Un curriculum d’eccezione, che ora viene arricchito dall’importante premio conferito dalla municipalità. Nella motivazione è evidenziato come Bruno Petrali (classe 1925), sia considerato “testimone attivo della storia fiumana del secolo scorso. Atleta, musicista, speaker, attore, giornalista, traduttore - figura poliedrica che nel corso della propria vita ha contribuito alla conservazione e alle diffusione della cultura italiana in queste terre”. Bruno Petrali è stato testimone dei cambiamenti sociali a Fiume, ma anche uno dei personaggi principali che ha scritto parte della storia culturale del capoluogo quarnerino. Infatti, è stato il primo annunciatore professionista di Radio Fiume nel marzo del 1946. Nel 1969 Bruno Petrali divenne direttore della compagnia, incarico che ricoprì fino al 1982, anno del suo pensionamento. È sotto la sua direzione che incominciarono le trasferte del Dramma Italiano in Italia e vennero realizzati quattro progetti per la televisione jugoslava volti a diffondere la cultura della minoranza italiana nell’allora federazione.

Il conferimento del premio è stata una perfetta occasione per incontrarlo e per parlare della sua attività artistica e professionale nel corso di un appuntamento in cui sono stati rievocati tanti episodi.

“È una grande soddisfazione ottenere questo premio – confessa Bruno Petrali –. Lo considero come un riconoscimento alla carriera che ho avuto.

Anche se ottenerlo ora a distanza di tantissimi anni da quando ero attivo sulla scena artistico culturale quarnerina, ha un sapore di malinconia. Avrei preferito ottenerlo prima, quando ero all’apice del mio successo ed espressione artistica. Ma comunque sono molo orgoglioso di questo riconoscimento e ringrazio la Comunità degli Italiani di Fiume per la proposta fatta per il conferimento del premio”.

Che cosa rappresenta per lei Fiume, città che ha visto mutare completamente?

“È tutto. La mia Fiume appartiene ovviamente a un determinato periodo storico, quello della mia infanzia, quando nelle strade si parlava italiano. Poi con il cataclisma sociopolitico la mia città ha completamente cambiato fisionomia, e il suo popolo autoctono è diventato straniero a casa propria. Come tanti altri, anch’io ho avuto la possibilità di andarmene. Optai per l’Italia, ma alla fine è stato il cuore a farmi restare”.

Lei è stato il primo annunciatore professionista di Radio Fiume nel marzo del 1946?

“Fui attratto dal fatto che alla Radio avrei potuto cantare. E grazie alle mie capacità canore, ma anche a quelle di dizione, visto che avevo frequentato un corso specifico a Milano, mi presero a Radio Fiume. Ricordo che la prima cosa che lessi agli ascoltatori, fu un commento politico pubblicato da ‘La Voce del Popolo’”.

Che ricordi conserva di quegli anni?

“Ero poco più che ventenne e ci mettevo tanta passione nelle cose che facevo. Tutte le trasmissioni erano dal vivo. Gli annunci dei brani musicali e dei notiziari venivano fatti contemporaneamente in croato e in italiano. Spesso ne usciva fuori una situazione

stramba e ridicola. Ricordo la rivista ‘Bora’, che curavo assieme a Mario Kinel. Era uno spettacolo radiofonico leggero in cui si susseguivano numeri musicali e comici collegati da un’esile storia. La realizzavo con l’aiuto degli attori del Dramma Italiano. Dovevo stare molto attento agli argomenti che affrontavo, e consistevano nel parlare male del capitalismo, del loro stile di vita. Ho in mente ancora oggi quei momenti trascorsi al microfono con Gianna Depoli, Carlo Montini, Nereo Scaglia, Raniero Brumini e tanti altri. Mentre tra i miei colleghi ricordo le bellissime Mira Polić e Gordana Bonetti. Nella redazione italiana, inve-

“Le ragioni che portarono prima al ridimensionamento della nostra redazione e poi alla sua totale chiusura furono la diretta causa del mutato clima nei confronti della componente italiana. Popolazione che, in quel periodo, continuava a intraprendere la via dell’esodo. La decisione era del partito e noi giornalisti della redazione italiana non potevamo protestare. Se qualcuno avesse avuto il coraggio di farlo, era chiaro come e dove sarebbe finito. Per me, come anche per tutti i miei colleghi, fu un brutto colpo. Tutto ciò accadeva poi anche sulla scia della crisi di Trieste. Così i programmi in italiano, che occupavano circa metà della programmazione giornaliera, passarono a soli 10 minuti. Questa situazione durò per circa sei mesi prima della definitiva chiusura, decretata nel 1954. Poi, per due anni Radio Fiume non trasmise una sola parola in italiano”.

In seguito è stato attore e direttore del Dramma Italiano. Com’era lavorare al Teatro fiumano?

“Dopo il terribile ridimensionamento di Radio Fiume mi proposero di passare a RTV di Capodistria, cosa che rifiutai in quanto mi stavo già affermando come cantante. Poi, grazie alle conoscenze con gli attori del DI, con cui collaboravo alla radio, passai, nel 1954, alla compagnia fiumana in qualità di attore. Furono felici di assumermi perché avevo una buona dizione e un’altrettanta presenza scenica. Dato che alternavo la carriera da cantante a quella di attore, escogitavo di tutto per non ottenere ruoli di un certo spessore. Lo facevo perché appena rimanevo fuori da un progetto avevo la possibilità di viaggiare e cantare, e quindi, di guadagnare qualcosa in più oltre al classico salario del Teatro. Ricordo Gianna Depoli, l’affascinante Maria Piro, che vionse il concorso nazionale italiano come

la più bella commessa d’Italia. E poi ancora le due stelline rovignesi Ester Segalla e Femi Benussi. Quest’ultima fece carriera a Cinecittà. Voglio ricordare anche Galliano Pahor, che volli al DI nonostante le perplessità di alcuni. Nel 1969 mi promossero a direttore della compagnia perché si accorsero che avevo una certa dimestichezza con i finanziamenti. Ricoprii questa carica fino al 1982, anno del mio pensionamento. È un periodo che rievoco volentieri, nonostante mi avessero confessato più tardi che avevo un’indole da ‘dittatore’. Con me sono iniziate le trasferte in Italia. Durante la mia direzione abbiamo realizzato quattro progetti per la televisione jugoslava. Erano filmati di spettacoli in lingua italiana con sottotitoli in croato. Lavori come ‘Il feudatario’, di Goldoni, ‘La piccola contrada’, di Jurković, ‘La Fiorina’, del Ruzzante, e poi una riduzione di ‘Questi fantasmi’, di De Filippo. Con ‘L’avaro’, di Marino D’Arsa, siamo stati invece al Parioli di Roma, evento organizzato in collaborazione con l’Ital-Jug e il Ministero dei Beni culturali italiano. Ebbe un grande successo”.

Quali tra i tanti registi con cui ha lavorato le è rimasto maggiormente impresso nella mente?

“I primi registi che abbiamo avuto nella compagnia erano Osvaldo Ramous e Nereo Scaglia. Non erano dei classici registi, ma comunque delle persone di un’immensa cultura e conoscenza teatrale, che realizzavano dei buoni lavori. Poi ho desiderato vedere che cosa si potesse fare con un vero regista. Il primo che riuscii a portare a Fiume fu Francesco Macedonio, che si era già imposto a Trieste grazie alle ‘Maldobrie’. Con lui realizzammo la prima regia in cui si vedeva il potenziale della compagnia.

Era lo spettacolo ‘Cantata del fantoccio lusitano’, di Peter Weiss. Ancora oggi ricordo lo stupore di Macedonio nel veder recitare Gianna Depoli. Non poteva smettere di meravigliarsi nel trovare in una compagnia come la nostra, un’attrice di tale spessore. Poi portai Giuseppe Maffioli, che, oltre a essere un valente regista, è stato un attore del cinema italiano. In seguito

Sandro Damiani mi presentò Nino Mangano, con il quale la compagnia, anche dopo il mio pensionamento, collaborò a lungo. Erano tutti registi con cui instaurai da subito una chiara intesa professionale e un profondo rapporto d’amicizia”.

Oltre a essere stato commentatore televisivo, attore, direttore è stato anche cantante di successo?

“Il canto e la musica hanno fatto parte della mia vita fin dall’infanzia. Cantavo a casa assieme a mia madre, dai Salesiani, in chiesa e a scuola.

La mia prima canzone in croato era ‘Neve’, scritta originariamente da Mario Kinel in italiano e poi tradotta. La versione in croato è stata subito un successo che mi impose come diretto rivale al celeberrimo cantante Ivo Robić. La scelta di cantare in croato mi rese popolare nell’ex Jugoslavia, altrimenti sarei rimasto del tutto inosservato. Grazie a tale notorietà sono stato invitato ovunque, da Belgrado, dove ero più noto che a Fiume, fino a Lubiana. Ho realizzato diverse canzoni che sono state incise su vari dischi. Va detto che le radio dell’ex Jugoslavia proponevano pure le mie interpretazioni delle canzoni italiane, cosicché ho contributo alla diffusione dalla canzone italiana in tutto il Paese”.

Un capitolo importante nella sua vita è stato anche lo sport, in particolare il calcio, passione che aveva fin dalla più tenera età, poi tornata utile anche nella professione di telecronista?

“Quello da telecronista è stato un periodo molto bello della mia vita. Tuttavia comportava una vita di ulteriori sacrifici. Per fare il telecronista, come per tenere a mente i copioni, occorre avere una buona memoria, ma anche e soprattutto tanta passione per il calcio. Con TeleCapodistria, il calcio jugoslavo è stato conosciuto anche in Italia, dove ero molto seguito. E grazie a tale connubio la mia voce da commentatore era nota in tutta Italia. Dall’altra parte era completamente sconosciuta a Fiume, perché il segnale televisivo in lingua italiana qui non arrivava”.

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Personaggi • di Rina Brumini

Le pietre posate commemorano Rosa Farberow, Sonia Perlow, Jossi Perlow, Mario Perlowa, Paola Perlow, Sergio De Simone, Aaron Perlowa, Carola Braun Perlow, Silvio Perlow e Roberto Braun

Pietre d’inciampo per le sorelle Bucci

membri della famiglia Bucci. È cosi che è nato il progetto. In seguito la Comunità ebraica è stata contattata dal Comune per studiare assieme la complessa procedura della posa d’inciampo, onde stendere un piano operativo da seguire per le pose future, avendo sia la Comunità che il Comune percepito richieste da parte di diversi discendenti delle vittime della Shoah. E così, il 28 marzo 2019, in occasione del 75° anniversario della deportazione, Andra e Tati hanno personalmente posato la pietra per la nonna Rosa Farberow ed il cugino Sergio De Simone,di fronte all’ingresso del palazzo della loro ex casa dalla quale furono deportate, mentre le altre pietre erano state posate dal Comune nel corso della mattinata. La cerimonia proseguì il giorno seguente, quando in collaborazione con la Comunità ebraica di Fiume, le sorelle Bucci hanno incontrato al Circolo gli alunni delle nostre scuole elementari e del Liceo.

Le sorelle Andra e Tatiana Bucci erano bambine di sei e quattro anni, figlie di un matrimonio misto e battezzate quando, agli ultimi scossi della guerra, il 28 marzo 1944, furono deportate dai nazisti dalla Fiume italiana sotto occupazione tedesca. Sembra che la loro famiglia fosse stata indicata da un delatore, un ex manovale che aveva tempo prima prestato servizio in Sinagoga che conosceva la famiglia, nonostante la nonna Rosa fosse l’unica fedele e frequentante. Il padre era stato fatto prigioniero di guerra tempo prima quando gli Alleati avevano catturato la nave sulla quale era imbarcato. Nella notte la famiglia fu prelevata da casa e condotta in prigione a Sussak dove gli adulti subirono interrogatori. Furono poi trasferiti a Trieste (in Risiera) e poi deportati ad Auschwitz-Birkenau. Inizia così la triste storia della sorelle Bucci, che sono tornate a Fiume nel marzo di quest’anno per partecipare alla cerimonia della posa delle pietre d’inciampo. La notizia del loro arrivo aveva a Fiume completamente “bypassato” la nostra piccola ma attiva comunità ebraica, pertanto è stato un piacere e una sorpresa quando verso la fine dell’anno scorso, Dijana Jelušić-Požarić, porta-

voce del sindaco, mi ha contattato per organizzare assieme l’incontro.

Le sorelle Andra (Alessandra) e Tati (Liliana, Tatiana) Bucci sono due persone molto note, in Italia e all’estero, per aver dedicato la propria vita alla trasmissione della preziosa testimonianza del loro vissuto durante la Shoah. L’anno scorso, la RAI ha prodotto in collaborazione con il MIUR e altre istituzioni italiane, un biopic (film biografico) animato che narra la loro vicenda, La stella di Andra e Tati, presentato al film festival di Torino.

In quell’occasione tra il pubblico del festival torinese c’era anche il prof. Ivo Goldstein, amico e collaboratore del sindaco Obersnel (Goldstein è l’autore del volume “Jasenovac”, fresco di stampa. Qualcuno lo ricorderà tra gli autori che alla vigilia della Giornata della memoria del 27 gennaio hanno presentato il proprio lavoro al Palazzo comunale).

Goldstein ha immediatamente impugnato il telefono per informare il nostro sindaco di aver appena visto un cartone animato che c’entrava con Fiume, ed il sindaco di conseguenza si è messo in contatto con le sorelle Bucci, ovvero con le loro famiglie. Così ha avuto inizio l’iniziativa delle pietre d’inciampo per i

Nel corso del trasporto nei carri bestiame, la mamma scrisse un messaggio indirizzato alla famiglia del marito e ad una delle stazioni riuscì a farlo scivolare da una fessura del vagone. Fu per miracolo che il biglietto evitò di essere notato dalle guardie, bensì da un animo nobile, forse un ferroviere, che lo recapitò clandestinamente, facendolo passare di mano in manofino a Fiume, dove il padre rientrò per un fugace momento a guerra finita. Giunte al lager, il gelo penetrò i loro corpicini e nel frastuono di urla in tedesco e latrati di cani da guardia, furono separate bruscamente dalla nonna che fu destinata immediatamente alla camera a gas. “Si girò e ci rivolse un sorriso rassicurante come per dire che tutto sarebbe andato bene. Chissà quanto le è costato quel sorriso”, hanno ricordato Andra e Tati. La mamma, la zia, le sorelline e il cuginetto Sergio furono poi condotti a cambiarsi d’abito, a fare la doccia, agli adulti tosavano la testa ma ai bambini no, mentre invece tatuavano un numero sul braccio a tutti. La mamma si sottopose al tatuaggio per prima: “È solo un pizzico, non fa male” disse alle bambine per far loro coraggio. Poi furono separate.

Piano piano stavano scordando la propria lingua, le proprie origini e la propria famiglia. Passavano i giorni. La

mamma, rischiando la vita, veniva di nascosto a fargli visita. Quando venne, una volta, non la riconobbero tanto era emaciata. Si spaventarono. La mamma gli consegnò un pezzetto di pane e gli ripeté i loro nomi, raccomandando loro di ripeterseli spesso, per non dimenticare la propria identità. Si incontrarono di nascosto diverse volte, poi non venne più. Capitava che nella baracca dei bambini facesse visita un uomo in camice bianco che selezionava alcuni bambini. Le sorelline sono forse state scambiate per gemelle di Mengele dai medici nazisti e questo potrebbe essere stata la loro salvezza. Un giorno, la blokova - che se ne prendeva sporadicamente cura rimediando loro qualche maglioncino - le mise in guardia: “Si presenteranno e vi metteranno in fila. Poi vi chiederanno: - Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti. Ma voi non vi dovete muovere!”. Più tardi confidarono la raccomandazione anche al cuginetto Giorgio che non è mai stato separato da loro. Ma Giorgio aveva un’infinita nostalgia della mamma e non resistette. Fece un passo avanti. Quel giorno venti bambini, con occhi brillanti di speranza, abbandonarono la baracca accompagnati da uomini in camice bianco, senza opporsi, senza

il padre era rientrato a Fiume, dove si è trattenuto poco, trasferendosi a Trieste dove aveva ottenuto impiego presso la Lloyd. Lì si ricongiunse con la moglie che era stata trasferita, prima della liberazione di Auschwitz, in un altro campo, un campo di lavoro, al quale era sopravvissuta. Rientrò anche la zia, superstite alla marcia della morte da Auschwitz. Anche la zia si ricongiunse al marito nella natia Napoli. Incominciarono a cercare Andra e Tati.

Gli addetti dei servizi sociali avevano più volte parlato con le sorelline, ma loro, a causa dei traumi e del tempo che era passato, avevano quasi dimenticato del tutto la lingua e le proprie origini, ed erano convinte che la mamma fosse morta, dal momento che aveva smesso di fargli visita.

resistere, rapidi e ubbidienti imboccarono la via del non-ritorno.

Grazie alle posteriori indagini giornalistiche fu scoperto l’agghiacciante destino di quel gruppo di bambini condotti dai camici bianchi a “vedere la mamma”. Prima li adoperarono come cavie umane, e dopo, quando le sorelle Bucci erano già state liberate, il 20 aprile 1945, furono condotti nella cantina di una scuola di Amburgo (la Bullenhuser Damm), storditi e impiccati.Dopo che Sergio fu portato via, le bambine rimasero ancora per qualche tempo nel campo circondate da morte e indescrivibile gelo. Un giorno si sentì una gran confusione fuori dalla baracca. La “blokova” disse loro di non uscire per alcuna ragione. Nessuno è capace di quantificare il tempo trascorso nascosti nella buia baracca. Una volta usciti, i bambini si videro davanti uomini in uniforme, un tipo di militare sconosciuto, che camminavano per il lager. I russi avevano liberato Auschwitz. Le bambine furono prima condotte in un’altra zona del campo di concentramento, poi in un orfanotrofio a Praga e poi in Inghilterra, al centro di riabilitazione di Lingfield, dove ebbero finalmente la serenità puerile di cui la guerra le aveva private. Nel frattempo

La tenacia materna indusse la mamma a perseverare nelle ricerche delle sue bambine e, basandosi sul numero che avrebbe per sempre portato sul braccio, avviò assieme con il marito una grande ricerca con l’aiuto della Croce rossa internazionale. Quando finalmente scrisse a Lingfield, inserì nella busta con la lettera la foto del matrimonio su cui sorrideva la coppia che Andra e Tati a casa loro, a Fiume, conoscevano bene. Recepita la lettera, il personale di Lingfield convocò prima Andra per chiederle se conoscesse le persone ritratte in foto. Andra riconobbe subito mamma e papà. Fu poi la volta di Tati che pure riconobbe i genitori. Solo allora si decise di accompagnare le bambine per il ricongiungimento con la famiglia in Italia. Dopo un lunghissimo viaggio, le sorelline arrivarono a Roma. Alla stazione ferroviaria le attendeva una gran folla e i genitori. La donna che se ne era presa cura fino a quel momento ed alla quale erano legate, aveva abbandonato le bambine a dei perfetti sconosciuti. Una folla di ebrei romani le circondò sommergendole di foto dei propri bambini di cui nulla sapevano dalla deportazione in massa che i nazisti operarono nel ghetto di Roma nel 1943. Nessuno di quei bambini era sopravvissuto.

Fu poco il tempo concesso per riavvicinarsi ai genitori e già erano in viaggio verso Napoli, a celebrare con il resto della famiglia il cugino nascituro: il fratellino di Giorgio. Una nuova vita stava iniziando.

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Personaggi • di Marino Micich

Riccardo Zanella Il capo autonomista

Dedicare una piazza al capo autonomista fiumano Riccardo Zanella è un’operazione storica e culturale di grande importanza.

La fine dell’Idillio ungherese e la nascita del Partito Autonomo nel 1896.

Nel 1895, l’Idillio era praticamente terminato. Alla fine del secolo le nuove divergenze  tra il governo di Budapest e la municipalità fiumana non rimasero limitate al campo politico amministrativo, ma trovarono sfogo anche nell’ambito delle rivendicazioni nazionali. La rottura avvenne quando il governo ungherese iniziò a emanare provvedimenti tesi a limitare l’autonomia di Fiume. Nel 1896 nasceva il Partito Autonomo fondato da Michele Maylender, che fu eletto da li a breve nuovo podestà di Fiume. L’elezione di Maylender fu il segnale decisivo del cambiamento politico in corso. Il giornale degli autonomisti “La Difesa” era in mano a Riccardo Zanella, il futuro grande protagonista  del movimento autonomista fiumano “La Difesa”, per evitare la censura ungherese si stampava a

Sussak (territorio croato sottoposto ad altre normative) e veniva introdotta clandestinamente a Fiume. I fiumani svilupparono ulteriormente, in questo periodo, una forte identità basata sulla loro storia autonoma e sulla lingua italiana, nonostante ciascuno di loro vantasse più origini etniche in famiglia. Il dialetto fiumano, comunemente parlato nelle case e nelle piazze era un’emanazione diretta del dialetto veneto e questo già bastava ai fiumani per definire la propria secolare identità. Politicamente l’Italia era troppo debole per rappresentare un realtà politica perseguibile e un vero e proprio irredentismo nascerà, come vedremo nei primi anni del “900. La comunità fiumana si sentiva tutelata solo attraverso un’ampia autonomia municipale possibile all’interno di una struttura sovranazionale e la lingua italiana era un fattore irrinunciabile. Lo sviluppo degli irredentismi e del concetto di nazionalità alla vigilia della Prima guerra mondiale mise in crisi

il vecchio sistema autonomista non solo a Fiume, ma anche nei vicini territori istriani e dalmati.

La vigilia della Prima guerra mondiale e le questioni nazionali

Un’immagine che raffiugura la sezione dedicata allo Stato Libero. La foto è stata scattata nell’Archivio Museo storico di Fiume situato a Roma.

Qui Zanella, ovviamente, è uno dei personaggi principali.

Dopo la nascita del Partito Autonomo, in seguito a una stagione di contrasti nazionali con ungheresi e croati, sorse nel 1905 a Fiume il circolo di ispirazione mazziniana “La Giovine Fiume” con a capo Luigi Cussar, Riccardo Gigante, Gino Sirola e altri esponenti. Si trattò di una risposta alla famosa “Risoluzione di Fiume”(Riječka Rezolucija) del 3 ottobre 1905, con la quale alcuni partiti croati guidati da Frano Supilo chiesero l’unione della città alla Croazia. Le nuove tensioni nazionali tra italiani, croati, ungheresi e serbi, iniziavano a mettere in seria crisi non solo l’Impero austroungarico ma anche gli stessi concetti politici e identitari sui quali si fondava l’autonomia fiumana. Si moltiplicano i  contrasti tra i giovani irredentisti italiani , non solo con i croati, ma anche con gli autonomisti di Maylender e di Riccardo Zanella. L’intervento italiano nel primo conflitto mondiale iniziato il 24 maggio 1915, spinse alla fuga oltre un centinaio di fiumani, che si arruolarono volontari nell’esercito del Regno d’Italia. La maggior parte dei fiumani furono però reclutati nelle divisioni ungheresi delle Honved e inviati a combattere contro i russi nelle regioni della Galizia e della Bucovina. A Fiume, l’entrata in guerra dell’Italia, alimentò nuove idee politiche più radicali in senso filo italiano. Il fatto che l’Italia con il Patto Segreto di Londra (26 aprile 1915) non aveva chiesto il porto di Fiume, in caso di vittoria, produrrà

gravi conseguenze a guerra finita.  Nel 1915 la polizia ungherese organizzò una retata di cittadini sospetti di nutrire sentimenti italiani, che furono deportati nei campi d’internamento ungheresi di Tapiosuly e di Kiskunhalas. Durante gli  anni della guerra ogni azione politica in città si era sostanzialmente raffreddata. Gli irredentisti italiani come Riccardo Gigante, Gino Sirola, Antonio Grossich, Luigi Cussar, Carlo Conighi, Armando Odenigo ecc. o combattevano nell’esercito italiano oppure erano stati deportati in Ungheria, mentre gli autonomisti Riccardo Zanella e Mario Blasich, arruolati nelle Honved si erano arresi volontariamente ai russi. Con la fine della guerra e la sconfitta dell’Austria-Ungheria iniziò per Fiume una lunga battaglia politica per l‘appartenenza politica e statale della città. In quegli anni del dopoguerra molto problematici, prese man mano vita e forza l’idea di Riccardo Zanella volta alla creazione di uno Stato fiumano indipendente che avrebbe svolto una funzione mediatrice tra il Regno d’Italia e il nuovo Stato dei Serbi, Croati e Sloveni. Nel progetto di Zanella trovavano per la prima volta spazio i croati fiumani .

La fine della guerra: contrasti tra autonomisti e dannunziani

Ancor prima della fine del conflitto il 18 ottobre 1918, il deputato fiumano al parlamento di Budapest, Andrea Ossoinack, elevò una solenne protesta in seguito all’assegnazione di  Fiume da parte di Carlo I d’Asburgo alle nuove regioni slave meridionali, sottolineando l’autonomia di Fiume e la sua italianità. Con la sconfitta dell’Austria-Ungheria tutto faceva presagire al passaggio di Fiume allo Stato dei Serbi-CroatiSloveni, poiché con il già ricordato, patto segreto Patto di Londra, l’Italia in caso di vittoria aveva chiesto l’Istria e parte della Dalmazia centrale, ma aveva rinunciato a chiedere Fiume. I Fiumani riunitisi nel Consiglio Nazionale italiano presieduto dal medico Antonio Grossich, il 30 ottobre 1918, scesero in piazza e con un proclama chiesero in

base al principio di determinazione dei popoli, voluto dal presidente americano Wilson, l’annessione al Regno d’Italia, in quanto il Consiglio Nazionale dei serbi, croati e sloveni senza il consenso della popolazione fiumana aveva occupato il 29 ottobre il Palazzo del Governo nominando un proprio presidente l’avvocato Rikard Lenac. Le cifre del censimento della popolazione fiumana di quel periodo erano a favore degli italiani e su questa base prese sempre più forza l’opzione politica del Consiglio Nazionale Italiano, che ottenne l’appoggio dei militari italiani giunti il 4 novembre 1918 in città e successivamente anche il riconoscimento da parte del Comando di Occupazione Interalleata, mentre il Consiglio nazionale croato doveva spostarsi a Sussak. Alla Conferenza della Pace di Parigi la posizione del governo italiano andava indebolendosi circa le aspirazioni territoriali in Dalmazia e a Fiume. Gli alleati inglesi, statunitensi e francesi non erano d’accordo a concedere agli italiani una grande influenza in Adriatico. In questa fase prende visibilità nuovamente il progetto autonomista fiumano, quando il 5 dicembre 1918 tornò a Fiume dopo un viaggio avventuroso il capo dell’autonomismo fiumano Riccardo Zanella, che godeva ancora di molte simpatie e di qualche appoggio governativo a Roma. Zanella tenne un discorso il 12 dicembre 1918 al teatro “Fenice”, duran-

te il quale propose seppur timidamente ai governi delle potenze vincitrici la volontà del suo movimento di chiedere l’indipendenza per Fiume. A Zanella fu conferita delega scritta per rappresentare Fiume a Roma e a Parigi dove si doveva tenere la conferenza della pace a partire dal mese di gennaio 1919. Dopo un lungo periodo di incertezze il 10 settembre 1919 l’Italia firmò il trattato di pace con l’Austria senza ottenere precise garanzie su Fiume e sui territori dalmati. In questo contesto maturò il 12 settembre 1919 l’azione di Gabriele D’Annunzio che entrò a Fiume con oltre un migliaio di legionari, dopo esser stato invitato all’azione, nel corso della primavera del 1919, da importanti personalità del Consiglio Nazionale Italiano di Fiume. Il programma rivoluzionario dannunziano denso di contenuti sociali non riscosse mai il favore dei governi di Roma, che iniziarono a favorire l’opzione politica di Riccardo Zanella e, quindi a favorire la creazione di  uno stato cuscinetto autonomo, che sarebbe stato in grado di soddisfare gli Alleati e di mettere a tacere le spinte rivoluzionarie di D’Annunzio che per tutta risposta fondò la Reggenza Italiana del Carnaro. Gabriele d’Annunzio doveva misurarsi in quei concitati frangenti, non solo con Mussolini e altri politici italiani, ma anche con l’autonomismo fiumano capeggiato da Riccardo Zanella che, a onor del vero, in

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Un documento d’identità di Zanella nel quale si può leggere la sua cittadinanza fiumana e le sue generalità

un primo tempo aveva parteggiato per d’Annunzio.

Nascita dello Stato Libero di Fiume e la sua drammatica conclusione. Il primo esilio di Zanella.

Il Partito Autonomo era stato, prima del conflitto mondiale, l’intransigente difensore dell’identità italiana di Fiume minacciata dalla politica ungherese soprattutto agli inizi del XX secolo e dalle mire annessioniste croate Il 12 novembre 1920 fu stipulato a Rapallo, tra Italia e Jugoslavia, il trattato che prevedeva la nascita di uno Stato fiumano indipendente con l’avvallo delle potenze vincitrici. D’Annunzio non accettò i postulati di Rapallo e respinse l’intimazione del capo del governo Giovanni Giolitti ad abbandonare Fiume. Si scatenarono drammatici scontri tra dannunziani e soldati regolari italiani nelle giornate di Natale, alla fine dei quali ci furono 55

Riccardo Zanella in una foto d’epoca accanto al compagno Mario Blasich, suo noto assistente.

morti. D’Annunzio fu costretto alla resa e dovette lasciare Fiume. Il 5 gennaio 1921, ancora con D’Annunzio in città, si costituì un Governo provvisorio fiumano , che ebbe il compito di organizzare le elezioni dell’Assemblea Costituente del nuovo Stato fiumano. In questo periodo affluirono in città gruppi di nazionalisti e di fascisti triestini che volevano influenzare l’elettorato fiumano con ogni mezzo. A Fiume si costituì il “Blocco Nazionale” capeggiato da Riccardo Gigante col programma di rivendicare l’annessione all’Italia, in opposizione al Partito Autonomo di Zanella il quale si avvaleva del forte appoggio del governo di Roma e di quello jugoslavo favorevoli allo stato cuscinetto. Il popolo fiumano man mano si convinse che Fiume libera avrebbe potuto raggiungere una grande floridezza economica, cosa non possibile in caso di annessione all’Italia, in quanto la città sarebbe diventata uno dei tanti porti italiani e per di più periferico. Inoltre gli autonomisti riuscirono

a proporre un programma sociale tale da ottenere l’appoggio della minoranza croata presente in città. Per tutti questi motivi il Partito Autonomo vinse le elezioni del 24 aprile 1921 con una vittoria schiacciante, su 9.554 elettori andarono al Partito Autonomo 6114 voti (ottenendo consensi anche da parte croata) al Blocco Nazionale andarono 3.440 voti. Se si considerano, però, solo i voti del gruppo etnico italiano la differenza tra autonomisti e annessionisti non era considerevole. Nonostante l’esito elettorale continuarono a succedersi tensioni e scontri in città tra le diverse fazioni, tra cui va ricordato l’eccidio di Porto Baross, dove alcuni ex legionari dannunziani per evitare la cessione dell’importante bacino portuale alla Jugoslavia furono uccisi negli scontri. Solo il 5 ottobre 1921 il generale Luigi Amantea riuscì a far insediare l’Assemblea Costituente fiumana, che nominò Zanella capo dello Stato e del governo di Fiume. Il nuovo governo formalmente non riuscì ad operare e la stabilità del piccolo Stato vacillò subito dopo qualche mese. In seguito all’uccisione del giovane legionario  Fontana causata probabilmente dagli autonomisti, il 3 marzo 1922 irredentisti triestini, repubblicani ed ex legionari guidati dal capo del fascio triestino Francesco Giunta , rovesciarono con le armi il governo di Zanella. Ci furono tre morti da parte italiana e tre morti da parte autonomista. Molti i i feriti. La città piombò  in un nuovo clima di instabilità e incertezza. Gli autonomisti si rifugiarono a Portorè (Kraljevica) in Jugoslavia decisi a non voler cedere il governo fiumano agli annessionisti. Dopo alterne vicende,  il 5 aprile del 1922, il prof. Attilio Depoli  fu incaricato , dal consiglio  militare italiano  e da ciò che restava dell’Assemblea Costituente ad esercitare i poteri amministrativi su Fiume. Riccardo Zanella non tornò mai più a Fiume dopo quei tragici avvenimenti, rimase un decennio a Belgrado protetto dal re Alessandro e poi si recò in Francia. Il resto degli autonomisti fecero ritorno in città, ma non ebbero più alcun peso politico. Qualche anno dopo il 27 gennaio 1924 Fiume venne annessa sotto il governo di Mussolini all’Italia. Non si sentì più parlare di autonomia a Fiume per lungo tempo.

La seconda guerra mondiale, l’effimera rinascita del movimento autonomista a Fiume stroncato dalla polizia segreta jugoslava. Il secondo esilio di Zanella a Roma.

Solo durante al seconda guerra mondiale con l’approssimarsi della sconfitta dell’Italia e della Germania, risorse clandestinamente il movimento autonomista fiumano. Riccardo Zanella si trovava in Francia, collaborando alla Resistenza antinazista, e verso la fine del 1943 tramite gli autonomisti rimasti a Fiume Mario Blasich il suo fedele compagno, Giovanni Stercich, Nevio Skull, ripresero a prendere quota le idee di creare a Fiume un nuovo Stato Libero. Ci furono anche incontri con la Resistenza jugoslava, ma non sorbirono effetti positivi di collaborazione. La battaglia per conquistare Fiume, agli inizi del 1945 fu molto sanguinosa per tutte la parti in causa. Altre organizzazioni politiche, come un presunto Comitato di Liberazione Nazionale capeggiato da Antonio Luksich-Jamini e un altro Comitato fiumano di ispirazione autonomista, non ebbero in quei frangenti nessuna seria possibilità di azione. La situazione nel campo dell’antifascismo a Fiume era saldamente in mano jugoslava. Il 3 maggio 1945 entrano a Fiume, dopo una lunga battaglia di alcuni mesi, i primi reparti della IV Armata popolare jugoslava. La mattina del 4 maggio, iniziò a spargersi la notizia che nella notte si erano verificate irruzioni della polizia segreta jugoslava dell’OZNA guidata da elementi locali in molte case di privati cittadini. Cominciarono le rappresaglie e gli attacchi ai possibili oppositori del progetto jugoslavo. Si venne a sapere che alcuni esponenti del vecchio partito autonomista zanelliano, come Mario Blasich, Nevio Skull, Giuseppe Sincich, erano stati uccisi; non si avevano più notizie del senatore Icilio Bacci, mentre l’altro senatore Riccardo Gigante era stato prelevato e condotto insieme ad altri sventurati a Castua, per essere poi fucilato e trucidato a colpi di baionetta. In quei tristi giorni centinaia di fiumani furono arrestati e fatti scomparire dal sistema comunista jugoslavo: l’ex podestà

La tomba della famiglia Zanella situata nel cimitero di Cosala di Fiume. Il monumento può essere visitato ancora oggi.

Carlo Colussi e sua moglie Nerina Copetti, il preside Gino Sirola, l’insegnante Margherita Sennis, l’antifascista repubblicano Angelo Adam con l’intera famiglia, e tanti altri ancora scomparvero vittime del terrore. Oltre un centinaio di questurini e decine di finanzieri e carabinieri, furono uccisi e probabilmente gettati nelle foibe esistenti in prossimità di Grobnico e di Costrena. La fine dell’ondata di liquidazioni sommarie a Fiume in Istria avvenne solo nel tardo autunno del 1945, e a nulla valse la reazione internazionale contro la violenta epurazione operata dalla polizia segreta jugoslava (Ozna). Non pagò mai nessuno per questi delitti. A Fiume e dintorni a guerra finita, oltre 650 italiani furono uccisi senza lasciare traccia (dati dalla ricerca italo croata di A. Ballarini e M. Sobolevski – Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni 1939-1947).

Tutta la Venezia Giulia fu interessata in quell’epoca dalle stragi di marca jugoslava e ci volle l’intervento degli alleati a Trieste, Gorizia e a Pola, per impedire ulteriori persecuzioni dei veri o presunti oppositori all’annes-

sione alla Jugoslavia. In questo periodo Zanella si trovava esule in Italia sotto la protezione del presidente del Consiglio Alcide De Gasperi e si mise a capo dell’Ufficio “FIUME”. Ogni tentativo di riedire lo Stato Libero naufragò nel nulla. Zanella morì, nel secondo esilio di Roma, in povertà il 30 marzo 1959, dimenticato da tutti. Per ogni approfondimento su questi periodi storici ricordo che Amleto Ballarini, già presidente della Società di Studi Fiumani, ha scritto una biografia “Riccardo Zanella. L’antidannunzio a Fiume” nel 1995, oltre a diversi saggi Ballarini organizzò un convegno a Trieste nel 1996 dal titolo “L’autonomia fiumana e la figura di Riccardo Zanella”. Al quel convegno partecipai con una relazione dal titolo “L’Autonomia fiumana in alcuni storici croati del secondo dopguerra”. Infine, la rivista FIUME, ha pubblicato nel corso del tempo decine di articoli sull’autonomia fiumana e l’attuale presidente Giovanni Stelli ha composto una “Storia di Fiume” dove si parla diffusamente di Zanella e dell’autonomia fiumana.

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“Si realizzi una targa al Senato in ricordo di Gigante e di Bacci”

Ricordati a Roma il 3 maggio 2019 i senatori di Fiume Riccardo Gigante e Icilio Bacci

Il 3 maggio 2019 a Roma nella sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro del Senato della Repubblica si è svolto un convegno in ricordo dei senatori di Fiume Riccardo Gigante e Icilio Bacci. L’incontro, promosso dal senatore Maurizio Gasparri e dalla Società di Studi Fiumani, è stato moderato da Marino Micich, segretario generale della Società, ed ha visto gli interventi del presidente della Società Giovanni Stelli, del presidente emerito Amleto Ballarini, del presidente di FederEsuli Antonio Ballarin, del presidente dell’AFIM (Associazione Fiumani Italiani nel Mondo-LCFE) Guido Brazzoduro, del presidente della Fondazione Ugo Spirito-Renzo De Felice

Giuseppe Parlato e del sen. Maurizio Gasparri. Un messaggio beneaugurante è stato inviato al Convegno dalla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati.

Erano presenti, tra gli altri, nella sala gremita da un folto pubblico il ministro plenipotenziario Francesco De Luigi per il Ministero degli affari esteri, l’ambasciatore Massimo Spinetti, il col. Maurizio Masi in rappresentanza di Onorcaduti, il presidente della sezione di Roma dell’Associazione Nazionale Granatieri gen. Antonello Falconi, la vicepresidente nazionale dell’ANVGD Donatella Schürzel e il vicepresidente della Società di Studi Fiumani Roberto Serdoz.

Il senatore in un ritratto realizzato da Riccardo Lenski. L’opera fa parte della collezione dedicata ai personaggi fiumani, esposta in Comunità in occasione di San Vito.

In apertura Micich ha ricordato l’occupazione di Fiume – ndr liberazione dal nazifascismo – ad opera delle truppe jugoslave di Tito avvenuta il 3 maggio 1945 e la violenta repressione che colpì in modo particolare i fiumani italiani. Ed è proprio in questa ricorrenza che la Società di Studi Fiumani ha voluto ricordare le figure di Riccardo Gigante e di Icilio Bacci, “liquidati” senza processo, e senza che avessero commesso alcun crimine, dalla polizia politica comunista. Del resto, ad essere “liquidati” in questo modo non furono soltanto alcune personalità che avevano aderito in vario modo al regime fascista, ma anche e soprattutto antifascisti contrari all’annessione alla Jugoslavia e al “potere popolare” e, in particolare a Fiume, i rappresentanti dell’autonomismo. L’esodo di oltre l’80% dei fiumani italiani costituisce la documentazione più evidente della natura oppressiva del regime comunista jugoslavo. Al sen. Gasparri – ha concluso Micich – va il nostro ringraziamento per il suo pluriennale impegno al fine di restituire

Icilio Bacci e Riccardo Gigante, due personaggi particolarmente importanti per la storia della nostra Città. Ad accomunarli è anche il nefasto destino che hanno subito.

alla coscienza della nazione la memoria storica degli esuli giuliano-dalmati, taciuta e negata per troppo tempo. Il sen. Maurizio Gasparri ha rilevato come sia indispensabile, al di là della pur importante Giornata del Ricordo, rinnovare la memoria dell’esodo giuliano-dalmata nel corso di tutto l’anno, diffondendo soprattutto nelle scuole la storia di questi eventi. Il recente film “Red Land-Rosso Istria” ha avuto il merito di far conoscere al grande pubblico la tragedia delle foibe attraverso la terribile storia di Norma Cossetto. Vanno ricordati – ha aggiunto Gasparri – l’Albo d’oro dei caduti italiani in Venezia Giulia e Dalmazia, frutto dell’appassionato lavoro di Luigi Papo, e la ricerca condotta dalla Società di Studi Fiumani assieme all’Istituto Croato per la Storia e pub-

blicata nel 2002, da cui risulta che ben 652 italiani vennero uccisi a guerra finita a Fiume e dintorni. Grazie alla Società di Studi Fiumani, presieduta allora da Amleto Ballarini, è stato poi possibile individuare nei pressi di Castua la fossa comune in cui vennero gettati i resti di alcune vittime della repressione titina, tra cui Riccardo Gigante. Promuovere e appoggiare iniziative come questa – ha concluso Gasparri – costituisce oggi un imprescindibile dovere morale.

Amleto Ballarini ha poi ricordato la figura di Riccardo Gigante. Gigante fu uomo dai molteplici interessi, che si dedicò all’attività politica con passione di poeta: tra i fondatori della associazione irredentistica “Giovine Fiume”, collaborò al periodico omonimo; volontario nella Grande Guerra

chiese ed ottenne, dopo Caporetto, di andare a combattere in prima linea; nel periodo della Fiume dannunziana fu collaboratore e amico del poeta; dopo l’annessione di Fiume all’Italia, Gigante fu podestà di Fiume e nel 1934 venne nominato senatore del Regno d’Italia. Come dimostrano i documenti, si dissociò concretamente dalle leggi razziali. Nel corso del secondo conflitto mondiale continuò a battersi per la causa italiana di Fiume. Alla vigilia dell’ingresso in città dei partigiani jugoslavi, a chi gli suggeriva di mettersi in salvo, rispose: “Conosco il mio destino, ma devo condividere la sorte della mia gente e della mia città”. Grande tenacia e ostinazione – ha sottolineato Ballarini – sono state necessarie nella ricerca di testimonianze sul massacro di Castua del 4 maggio 1945, in cui vennero uccisi Riccardo Gigante e altri nove incolpevoli italiani e, a tal proposito, un ringraziamento particolare va rivolto al parroco di Castua don Franjo Jurčević e all’Istituto Croato per la Storia di Zagabria per il loro prezioso aiuto. Ricordare le vittime della violenza totalitaria – ha concluso Ballarini – è un dovere morale, che ha ispirato tutta la mia vita, sin da quando, ragazzo, alla fine della seconda guerra mondiale, vidi attonito i corpi dei morti abbandonati per le strade di Fiume; l’avvenuta riesumazione di Gigante e dei suoi compagni rappresenta il premio insperato di tante fatiche spese nella mia attività di storico e nella mia vita di esule fiumano.

La figura dell’altro senatore fiumano Icilio Bacci è stata ricordata dal presidente della Società di Studi Fiumani Giovanni Stelli. Alla caduta del fascismo Bacci non aderì alla Repubblica Sociale e rifiutò qualsiasi collaborazione con i tedeschi, dai quali fu anche incarcerato per un breve periodo a Verona nel 1944. Come Gigante, non volle lasciare la sua Fiume prima dell’arrivo delle truppe titine, convinto di non dover temere ritorsioni: come scrisse in una lettera

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Una fotografia d’epoca che ritrae il Senatore Gigante durante una passeggiata per le vie di Fiume. Personaggi• di Giovanni Stelli

del 14 aprile 1945 alla moglie, che si trovava già in Italia, “io non posso né devo lasciare Fiume […]. Ma sta pure tranquilla che nulla accadrà di grave. Il cambiamento si svolgerà senza tragedie.” Invece il 21 maggio 1945, recatosi a ritirare un lasciapassare per Trieste, venne arrestato dalla polizia politica jugoslava (Ozna) e scomparve. Non si sa dove sia stato sepolto. Con una nota “postuma” datata 3 marzo 1949 il governo jugoslavo comunicò alla Legazione italiana di Belgrado che Bacci era stato arrestato e condannato a morte come “criminale di guerra”! In realtà in base alla logica dell’Ozna, braccio poliziesco del nuovo potere jugoslavo, venivano colpiti indistintamente i “nemici del popolo”, un’ampia categoria di persone in cui rientravano anche gli oppositori solo presunti del nuovo potere “popolare”. Nella tomba della famiglia Bacci a Sirolo un’epigrafe lo ricorda con queste parole: “Per la patria visse, per la patria morì”. La vita di Icilio Bacci è infatti indissolubilmente legata all’italianità di Fiume: protagonista dell’irredentismo culturale fiumano, fu tra i fondatori nel 1905 della “Giovine Fiume”, efficace propagandista in Italia della causa di Fiume italiana e poi volontario nella Grande Guerra; di matrice mazziniana fu fautore di un accordo a lungo termine con gli slavi del sud. In conclusione Stelli ha proposto che al Senato venga collocata una targa a ricordo dei senatori Gigante e Bacci, proposta prontamente accolta dal sen. Gasparri.

Giuseppe Parlato, presidente della Fondazione Ugo Spirito-Renzo De Felice, ha ricordato nel suo discorso come a Fiume l’irredentismo italiano sia stato una reazione necessaria di fronte ai pericoli di magiarizzazione e slavizzazione manifestatisi tra Ottocento e Novecento. Fino alla Prima guerra mondiale Fiume era stata una città accogliente e tollerante, una città in cui il concetto di italianità era più culturale che politico. Dopo aver percorso sinteticamente le vicende storiche della città dal 1918 al 27 gennaio 1924, data dell’annessione all’Ita-

lia, Parlato si è soffermato sul periodo della Fiume italiana, un periodo caratterizzato da una grave crisi economica superata solo a partire dal 1934. I fiumani videro nel fascismo – ha precisato Parlato – soprattutto quella forza che aveva consentito l’annessione della città all’Italia, per cui, rispetto al fascismo nazionale, quello fiumano fu meno legato alla figura di Mussolini. Ricordando la repressione jugoslava scatenatasi a Fiume dopo il 3 maggio 1945, Parlato ha concluso sottolineando come centinaia di prigionieri italiani siano rimasti dal 1945 fino alla metà degli anni cinquanta nei campi jugoslavi di “rieducazione”; nel 1962 almeno 36 italiani risultavano ancora internati nei gulag jugoslavi, come documentato dalla ricerca del 2002 menzionata in precedenza (Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (1939-1947), Roma 2002).

Antonio Ballari, presidente di Federesuli, ha poi ricordato come nel luglio 2013, quando gli esuli giuliano-dalmati ebbero l’opportunità di far sentire la loro voce all’Unione Europea, a Strasburgo campeggiassero immagini di meravigliose località croate i cui toponimi erano scritti in inglese, tedesco, francese e croato, ma non in italiano!

Personaggi • tratto da un articolo de La Voce del Popolo

In ricordo a Lali Dessardo

Attivista di lunga data, Lali ha sempre vissuto la Comunità come una seconda casa, partecipando attivamente a tutte le manifestazioni

Le vicende degli ultimi anni dimostrano in ogni caso – ha proseguito Ballarin – che la verità non può essere infoibata, fucilata o annegata: essa riemerge sempre. Nonostante i risultati ottenuti, spesso straordinari, come la riesumazione dei caduti di Castua, bisogna continuare a raccontare agli italiani, che non la conoscono, la storia di Fiume e dell’Adriatico orientale. Ballarin ha concluso esprimendo l’apprezzamento per l’attività della Società di Studi Fiumani, impegnata sin dal 1990 nel dialogo culturale con la città di origine, significativo esempio di capacità organizzativa e ideale. L’ultimo intervento è stato quello del presidente dell’Associazione Fiumani Italiani nel Mondo-LCFE Guido Brazzoduro che ha sottolineato l’importanza dell’esumazione delle vittime dalla fossa comune di Castua, un obiettivo raggiunto dopo decenni di incessante lavoro, senza gesti eclatanti, ispirato al solo desiderio di dare cristiana sepoltura alle vittime del massacro, in cui fondamentale è stata la ricerca del dialogo tra italiani e croati. A conclusione del convegno è intervenuto brevemente il pronipote di Riccardo Gigante, Dino Gigante, suscitando la commozione e gli applausi del pubblico.

La Comunità nazionale italiana di Fiume è in lutto. Si è spento purtroppo, all’età di 86 anni, Lauro Dessardo, l’indimenticabile Lali (così era chiamato affettuosamente da parenti, amici e conoscenti). Un connazionale la cui figura rimarrà impressa nella memoria di tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. Mancherà tanto agli amici della Comunità degli Italiani di Fiume, in particolare a quelli del coro della SAC Fratellanza, di cui ha fatto parte fin dall’inizio degli anni ‘50 del secolo scorso, tant’è che aveva partecipato anche all’indimenticabile rivista “Tutta Fiume canta”, un evento dell’epoca che riscosse clamoroso successo negli ambienti artistico culturali della Fiume di quei tempi. Appresa la notizia della sua scomparsa, le prove del coro della SAC di quel giorno sono state dedicale a lui, che avrebbe dovuto essere presente, ma che, invece, improvvisamente se n’è andato. Gli amici del coro e tutti gli altri attivisti del sodalizio di Palazzo Modello lo ricordano come una persona dai valori umani autentici. Lo distinguevano una grande generosità e un amore indefesso verso il prossimo e un’innata e contagiosa allegria. Era uno dei soci più anziani della SAC Fratellanza e per un periodo ne fu anche presidente, dopo la compianta Fedora Martincich e qualche anno prima di Aldo Bressan.

Senza di lui le uscite della corale e le gite, dicono gli attivisti della SAC, non saranno più le stesse. Mancheranno a tutti la sua allegria coinvolgente, la battuta sempre pronta, l’intonazione di una canzone, il sorriso bonario, la

simpatia, la correttezza e l’umiltà che lo caratterizzavano: una grande perdita e un grande rimpianto.

Lali era sempre “pien de morbin”. Amava partecipare a tutte le attività della Comunità degli Italiani. A parte quelle del coro, era immancabilmente presente ai tornei di briscola e tressette. Non si lasciava perdere un Carnevale. Si impegnava nella realizzazione dei costumi e del carro allegorico per il gruppo Circolo. Era uno dei membri preferiti della Compagnia Fiume. Testimone dei tempi andati, negli ultimi anni era molto impegnato anche a raccontare in prima persona alle giovani generazioni, a vari incontri e tavole rotonde, la difficile storia vissuta dalla nostra Comunità nazionale dagli anni del dopoguerra e dell’esodo in poi, vista dagli occhi degli italiani che scelsero di rimanere a vivere a Fiume.

Da giovanissimo iniziò a lavorare nel Silurificio. In seguito, nel 1953, si diplomò al Liceo di Fiume, seguendo dei corsi serali. Quindi trovò impiego nell’azienda Metalografički kombinat, da dove si ritirò in pensione. Per Lali uno dei valori più grandi è stata la famiglia, i suoi tre figli che adorava, come adorava in età più avanzata i tanti nipoti e pronipoti, ai quali ha regalato affetto e amore fino all’ultimo momento. Un uomo dal cuore grande, che ha dato molto alla famiglia, alla CNI, ma che ha anche avuto una vita piena di soddisfazioni.

I funerali di Lauro Dessardo si svolgeranno martedì, 16 ottobre, alle ore 12.30, al cimitero di Cosala. Sentite condoglianze alla famiglia, anche da parte della redazione del nostro quotidiano e del collettivo dell’EDIT

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Un’immagine della cerimonia svoltasi al Senato della Repubblica d’Italia

Curiosità

Aneddoti, anniversari e chicche che raccontano il passato

Fifi & Riri e el dialeto fiuman: la difesa de el panda rosso

FIFI: Santissimi Vito Modesto e Crescenzia! Ma dove diavolo semo capità?

RIRI: Cossa nasse testa de usel? A Fiume semo capità, dopo setanta ani che no’ ghe erimo.

FIFI: Mi continuo no’ capir gnente; a no’ capir un boro, a no’ capir un tubo, a no’ capir un klinz, un dopio klinz con avitamento!

RIRI: Insoma, no’ ti capissi. Cossa no’ ti capissi?

FIFI: Ma cossa se inventa zerta zente, cossa ghe par!

RIRI: Cossa i se inventa? La riceta per no’ lavarse i piedi per un mese intiero senza che questi i te ciapi un odor che ricorda el tanfo de le fogne de Fiume co’ riva la caldana, no’ i la ga an-cora inventada!

panda rosso da la estinzion, i ghe tira adosso Cristi e Madone? I se sforza in tuti i modi de dimostrar che el fiuman no’ xe una lingua, no’ xe un dialeto, no xe gnente? Adiritura ghe xe zerti storici, politici, giornalisti che se sforza de dimostrar che a Fiume ‘sto nostro antico dialeto el saria rivado cusì per caso, in tempi recenti, che lo parlava solo che in pochi, e che se i lo parlava era perché i apartegniva a le classi elevade “patrizie” e i era traditori de la idea nazional croata. E zerti a Fiume ghe va drio.

i propi fioi come che se devi.

RIRI: Paura de le malatie perché, o ti ga le fliche o qua no’ ti te curi.

FIFI: Paura de quando che ti andarà in pension…

RIRI: Insoma paura!

FIFI: E cossa fa la paura?

RIRI: Cossa la fa?

bisognassi difender el dialeto fiu-man da la estinzion e no’ darghe adosso?

RIRI: E sognar tuti ne la propria madrelingua…

FIFI: …E sognar tuti ne la propria madrelingua?

RIRI: Cossa el tambasca?

La Scartaza

El primo volo Tombini de una volta

Numeri civici I cognomi fiumani L’Aquila e lo stemma

In questa sezione abbiamo raccolto articoli di vario tipo. I più attenti di voi potrebbero aver già letto alcuni di essi, ciononostante noi abbiamo scelto di riproporre il materiale, perché interessante e meritava di essere riproposto.

Altri sono pezzi originali, che vogliono stuzzicare il lettore per coinvolgerlo e per dagli un quadro più ampio di quella che è la complessa e affascinante multiculturalità tipica della nostra città.

Fiume è affascinante anche per la sua complessità, per la difficoltà di lettura e per il passato che non vuole proprio saperne di scomparire, continuando a ripresentarsi in vari forme.

D’altronde noi siamo qui anche per questo, per conservare la memoria, la cultura e l’identità.

FIFI: Quela de le fogne xe una altra question. Mi pensavo a robe un poco più elevade de que-le de la spuza dei piedi e de el tanfo de le fogne. Pensavo a la identità linguistica e cultural de la zente che vive in ‘sta zità.

RIRI: E pensando ‘ste robe elevade, cossa ti gavessi pensado?

FIFI: Go pensado, go meditado, go rifletudo, e po’ me go strucado le meningi, per vegnir a una conclusion.

RIRI: E ti gavessi concluso?

FIFI: Co’ una altra domanda. Ma perché, me son domandà, certa zente, inveze che zercar de difender el dialeto fiuman che el se trova in serio pericolo de scomparir e invece che zercar de difender quei pochi fiumani patochi ancora rimasti come che i difenderia un

RIRI: Insoma, ti sta disendo che, se se troveriimo in Cina, e se i fiumani che parla el fiuman, i fossi dei panda rossi, e se zerti storici, politici, giornalisti, inveze de comportarse come che faria un qualsiasi volontario del WWF, che dovessi difender ‘sto famoso panda da la estin-zion, i cercassi in tuti i modi de coparlo cazandoghe trapole tra el bambù e fis’ciandoghe tiri co ‘ la carabina?

FIFI: Più o meno cussì. Ma ti sa cossa penso ancora? Che secondo mi ‘sti famosi storici, politi-ci, giornalisti e quei che ghe va drio, i ga grandi problemi co’ la propria autostima e i se la ciapa con le tradizioni e la cultura che ‘sta scomparendo.

RIRI: ‘Sti tempi novi in cui semo tornade a viver su la Tore, a mi i me par tempi sai strani. Tempi de paura.

FIFI: Paura de perder el posto de lavor, se ti xe tropo vecio.

RIRI: Paura de no’ trovar un posto de lavor, se ti xe giovine.

FIFI: Paura de no’ poder rilevar

FIFI: La paura per tanti problemi de lavor, per el futuro, la paura de restar soli, te fa vegnir una rabia in corpo che invece de sburtarte in avanti, la te sburta indrio; inveze che farte im-bilar contro de chi ‘sti problemi li ga creadi, te fa scarigar ‘ste tue paure su una minoranza debole.

RIRI: E el dialeto fiuman el xe diventà proprio una minoranza, un picio panda rosso che se no’ ti lo difendi el ris’cia de diventar un ricordo.

FIFI: Ti te la pol ciapar co’ i più deboli, ma le paure le resta. E questo sa cossa che provoca?

RIRI: Deto in cichera: „assenza di intelligenza collettiva“!

FIFI: Giusto! E ‘sta mancanza de inteligenza de grupo, a la zente ghe fa perder el senso de la misura, el senso de la ironia e de la autoironia.

RIRI: I perdi la capacità de sognar.

FIFI: E saria ben cominciar sognar tuti un bel sogno comun, magari ogni d’un ne la propria madrelingua. Ma speta, vara che passa el signor Patoco. Speta che ghe domando cossa che el pensa po’ lu’ de sa storia.

RIRI: Domanda ti, domanda, che mi son dura de ‘rece!

FIFI: Signor Patoco, ma cossa la pensa lei de ‘sta storia che

FIFI: El ga deto che zerte robe cussì complicate lui no’ le sa. El ga deto anche, che no’ ‘l se gavessi mai gnanche insognà che a qualchedun ghe saria potudo vegnir in amente, che qual-chedun gavessi potudo sostegnir, che qualchedun gavessi potudo dichiarar, che el fiuman no’ xe el dialeto de Fiume. E po’ el ga ‘giunto che le prime parole che el ga pronunciado in vita sua le era in fiuman. Che po’ le saria stade: “Mama dame un sluc’ de vin che el parsuto me ga fato sede!“ E el ga concluso in ultimo che el italian lui lo parla, ma come seconda lingua… e che la madrelingua xe sicura, ma che el pare…

RIRI: El pare?

FIFI: El pare no’ se sa! E po’ el ga deto che quei profesori, storici, giornalisti, politici, anche lori i ga una mare che ga una lingua, e che ognidun pensi a la propia mare e che i stia atenti che i la tegni a posto la propia lingua. E po’ el ne ga voludo presentar la propia mare lingua, la signora Fiumana, che la ga fato un bel inchin e la ga deto zerte parole in un fiuman sc’eto de Gomila che saria meio che ‘no te le conto, ma che inveze de lore ghe meto tuta una serie de BIP; BIP; BIP!

RIRI: Jesus i Maria!

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Quel primo volo nel cielo di Fiume

Il 10 dicembre 1911 avvenne l’eroica impresa di Guido Prodam, giovane aviatore di cui si sa poco o niente. Per vivere la sua avventura scelse il Porto petrolifero, oggi in disuso, nell’ex via dei Pioppi

L’uomo e la sua incontenibile voglia di volare. Ne sapeva qualcosa un personaggio storico di Fiume, di cui oggi si sa poco o niente, ma che a inizio del Novecento si era reso protagonista di una delle imprese storiche più interessanti in assoluto. Guido Prodam, questo il suo nome, fu il primo aviatore a effettuare un volo sopra il cielo fiumano, oltre che il primo pilota austroungarico a volare sopra il mare. Il fatto, che destò ampio interesse tra gli abitanti della Fiume dell’epoca, avvenne il 10 dicembre

1911, alla presenza di un numeroso pubblico tra cui autorità governative e media. Guido Prodam scelse un posto alquanto improbabile per vivere la sua avventura, ovvero una pista improvvisata nel Porto petrolifero (oggi in disuso), nei pressi dell’ex fabbrica Torpedo, in via Milutin Barač (ex via dei Pioppi) nella Zona

Un giovane spericolato

Prodam, l’anno dopo, ebbe maggior fortuna e riuscì a preparare tutto (e a ottenere i necessari permessi) per la sua grande impresa. Non aveva alcuna pretesa. Voleva farlo per sé stesso, forse per togliersi uno sfizio, per

scoprire fino a dove potesse spingersi. Spericolato com’era, non ambiva certo alla gloria, né tantomeno alla fama, e chissà quanto si sorprese la mattina del suo volo, nel vedere tanta gente giunta in zona per incitarlo e applaudirlo. Fu un giorno memorabile per Fiume, di cui scrissero tutti i giornali locali dell’epoca, ma non passò senza qualche iniziale difficoltà. Il monoplano di Guido Prodam fece le bizze e per due volte non riuscì a decollare come si deve. Al secondo tentativo l’aviatore rischiò addirittura di schiantarsi contro un deposito di mattoni dinanzi al vicino impianto per la produzione di asfalto. La terza manovra andò bene e Prodam riuscì finalmente a ergersi in volo raggiungendo i cento metri d’altezza e una velocità media di 90 chilometri all’ora. Il coraggioso giovane attraversò per due volte la rotta Fiume-Laurana, tra l’entusiasmo dei presenti, che non lo abbandonarono nemmeno per un attimo e accompagnarono il suo volo con grida d’incitamento e applausi a non finire. Al suo atterraggio fu accolto da vero eroe con tanto di felicitazioni ufficiali da parte delle autorità. Sceso dal suo valente monoplano, Guido Prodam fu trasportato a braccia dal pubblico fino all’hangar provvisorio costruito per le necessità dell’evento. L’allegra cerimonia proseguì fino a tarda sera e al pilota fu fatta gran festa. Cinque mesi dopo, Prodam ripeté la sua impresa scegliendo il

industriale di Mlaka. Non fu un caso se questo giovane d’avanguardia, all’epoca 29.enne, scelse proprio quel posto per effettuare il suo storico gesto. Un anno prima, infatti, da quel medesimo punto tentò di ergersi in volo anche il pilota francese Leon Versepuy, scegliendo la rotta FiumeAbbazia, ma dovette rinunciarvi all’ultimo momento dopo avere ricevuto il divieto dalla Raffineria. L’azienda petrolifera considerava infatti l’atto estremamente pericoloso.

pomeriggio del 17 maggio 1912 per volare nuovamente sopra il cielo di Fiume. Quel giorno, tra il foltissimo pubblico, c’era anche suo padre ottantenne, giunto per sostenerlo. Fu un avvenimento ancora più emozionante, anche perché finì nella maniera più improbabile con Prodam che si vide costretto ad atterrare prima del dovuto a causa del forte vento che aveva iniziato a soffiare mentre lui stava ancora volando. Quel giorno, in effetti, soffiava già dalla mattina, ma il trentenne aveva deciso di decollare lo stesso, sfruttando un momento in cui il vento si era un po’ calmato, appunto tra le ore 16 e le 17. Raggiunto il cielo di Laurana, capì di rischiare grosso dopo che alcune raffiche avevano più

volte fatto sbandare pericolosamente il suo aereo. Virò verso il mare – non c’erano alternative se non quella –tentando di effettuare un ammaraggio quanto più morbido, ma andò a sbattere lo stesso con violenza contro la superficie marina riportando ferite al volto. Sopravvisse, a differenza del suo monoplano, che affondò. Prodam raggiunse a nuoto il porticciolo lauranese, dove venne recuperato da una torpediniera che lo trasportò fino a Fiume. Il suo aereo, che all’epoca costava sulle 12mila corone, venne estratto dal fondale quello stesso giorno. Quando la folla vide l’aviatore tornare sano e salvo, seppur coperto di abrasioni, esultò a non finire. Suo padre pianse. Guido Prodam aveva rischiato la vita, ma ce l’aveva fatta. Negli occhi dei fiumani, ma non solo, era un eroe assoluto.

Modello per gli altri

La location da lui scelta, ovvero il Porto petrolifero della vecchia Fiume, divenne in seguito teatro di vari altri tentativi di volo. Fu da lì che già nel settembre del 1912, il pilota russo Slaworossov si erse in volo con il suo monoplano Bleriot. Ebbe anch’egli successo, ma l’impresa di Prodam fu indimenticabile ed entrò di diritto nella storia.

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La pista improvvisata nel Porto petrolifero da cui si erse in volo il temerario pilota Guido Prodam Curiosità • ripreso da La Voce del Popolo, articolo di Ivana Precetti

Curiosità• ripreso da La Voce del Popolo, articolo di Rafael Rameša

Strade lastricate di storia

dimenticati del passato della città

Spesso le infrastrutture cittadine rappresentano l’elemento più emblematico della complessità storica di un territorio, un sigillo del progresso, espressione dell’arte industriale e araldica urbanistica. Il termine tombino deriva da tomba. Popolarmente è invalso l’uso di chiamare “tombino” il coperchio che chiude i pozzetti disposti lungo le strade, il cui nome tecnico è in realtà chiusino. Prendiamo per esempio Fiume e la sua rete idrica. Inaugurato nel 1894, l’acquedotto fiumano inizia a fornire i propri cittadini ubicati nel centro città dalla sorgente dello Zvir, tutt’ora in uso. I primi tombini vengono forniti dalla fonderia Zellerin di Budapest e portano l’incisione dell’anno di produzione, il 1894 appunto. La rete dell’acquedotto veniva ampliata con l’urbanizzazione di zone

Il tombino della fabbrica

Zellerin di Budapest si trova nel rione di Scoglietto

limitrofe al centro grazie all’afflusso di popolazione negli anni dell’espansione economica nel XIX e XX secolo. I tombini dell’acquedotto di Fiume sono una specie di cronisti dimenticati della storia cittadina. All’occhio attento non sfugge la varietà di chiusini presenti soprattutto nei rioni di vecchia data come Belvedere, Braida, Calvario e Torretta. Incisioni in italiano, ungherese, croato, firme di ditte triestine, tombini “griffati” dalla Ezio Rossi di Milano e forse quelli più rappresentativi, i tombini della fonderia fiumana Skull.

La fonderia di Matteo Skull nasce negli anni Ottanta del XIX secolo, con

I primi tombini dell’acquedotto fiumano del 1894, vicino a via dell’Acquedotto

importanti ampliamenti nel 1881, 1888 e nel 1925. L’espansione produttiva della fonderia coincide con l’inizio dell’allargamento dell’acquedotto fiumano. Le due aziende, ubicate a poche centinaia di metri una dall’altra, diedero vita a una fruttuosa sinergia creando l’iconico tombino fiumano firmato Skull.

Oggi purtroppo, i tombini storici con incisioni in italiano, ma anche in ungherese sono sempre più rari. Vengono rimpiazzati con coperture di nuova data man mano che le vie fiumane vengono sottoposte a interventi di rifacimento della rete idrica, forse per obsolescenza tecnologica o magari per altri motivi meno pratici. Ma quelli antichi meriterebbero di finire in un museo.

Il tombino in versione ungherese all’interno dell’ex complesso industriale della Benčić

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I tombini dell’acquedotto fiumano, cronisti
Il chiusino della famosa fonderia fiumana Skull si trova in zona Calvario

Curiosità • ripreso da La Voce del Popolo, articolo di Igor Kramarsich

Numeri civici Chicche vintage di storia cittadina

Un tuffo nel passato: tabelle e targhe, con la dicitura in italiano dei vecchi nomi delle vie, sono ancora presenti in diversi rioni

La storia ci sta tutt’intorno, ci avvolge quotidianamente, ma il più delle volte ci sfugge. Quella importante e maestosa, come i palazzi, certamente attira la nostra attenzione, però ci sono tanti frammenti di storia che sono sotto i nostri occhi, ma non ci facciamo caso. A Fiume esistono ancora numerosi tombini risalenti all’epoca italiana, ma anche numerose insegne di idranti, oppure tabelle o targhe “speciali”, dato che si tratta di numeri civici.

Le insegne con i nomi delle vie di una

In molti casi ancora intatti nella loro forma originale, i numeri civici parlano di tante cose: dall’architettura alla lingua che veniva usata in città in un determinato periodo storico di Fiume.

volta sono presenti a Fiume in diversi rioni e, grazie in primis ai proprietari delle abitazioni, hanno resistito a tutti i cambi di regime.

Oggi, a più di 70 anni dal periodo italiano, a Fiume resistono più di 50 numeri civici. La maggior parte delle tabelle sono installate sulle facciate o sui cancelli di case private, spesso anche un po’ nascoste. Però ci sono anche quelle in bella mostra sugli edifici plurifamiliari.

ghe. Vicino ci sono i numeri per le vie Pasubio (oggi Kraška) e Natale Prandi (Franjo Kresnik), altra zona dunque ricca di ex numeri civici. Proseguiamo il nostro cammino nel rione di Belvedere, in quello che è un’autentica “miniera” di numeri civici. Sono ben visibili, come ad esempio quelli delle ex vie Giuseppe Bardarini, Giuseppe Cimiotti, Salita dell’Aquila e via Nicolò Host (oggi France Prešeren).

Passeggiando per le vie della città potete ammirare molti esempi di questo tipo, tracce di un passato che non vuole proprio saperne di scomparire.

Su queste mini insegne si può leggere di tutto, partendo dai nomi di personaggi storici...

Probabilmente noterete che questa didascalia non ha nulla a che fare con il testo. Ci spiace, ma avevamo esaurito la fantasia.

La nostra passeggiata virtuale alla ricerca dei vecchi numeri civici inizia così dal rione di Cantrida, ex Borgomarina, dove troviamo l’indicazione di via Albona 4 (oggi si chiama sempre così, ma con la dicitura in croato). Andando avanti verso il centro città ci soffermiamo nell’ex via Robert Whitehead (oggi Jože Vlahović) dove ci sono, per la verità un po’ celati, i civici 24 e 26. Poco più avanti, sopra la scuola elementare San Nicolò, eccone ben quattro e per di più su condomini multipiano. All’epoca era via Enrico Toti. Poco più avanti in via della Brazza ne troviamo altri quattro: 1, 5, 12 e 16. Arriviamo fino alla casa della stampa e risaliamo verso le Case Operaie ROMSA, tutte edificate nel 1938 e che ancora oggi portano le vecchie insegne. Continuiamo per la nostra strada e arriviamo in via Montenero, oggi via Buccari. Andando verso est, fino all’attuale via F.lli Branchetta, troviamo ben cinque tar-

Nella nostra passeggiata scendiamo infine verso il centro cittadino ed ecco via Padova 2 (oggi via dello Studente). Scendendo in pieno centro cittadino trovare qualche vecchio numero civico diventa quasi un miracolo. Numerosi sono stati i cambiamenti e pochissimo si è salvato. In via dell’Acquedotto invece se ne trovano parecchi, mentre in Cittavecchia ecco quello di via Giovanni Simonetti 4.

Oggi queste tabelle del passato si

In alcuni casi accanto al numero originale è stata posizionata una nuova tabella, mentre in altri casi ci si è limitati a sostituire il tutto. Molte volte, però, l’originale è soppravvissuto. Per la gioia di tutti noi.

possono facilmente distinguere, in quanto sono completamente diverse rispetto a quelle attuali e di due tipi: sfondo bianco con numero e cornice nera o l’inverso. Negli anni alcune hanno anche cambiato colore “grazie” ai proprietari.

Insomma, quando siamo in giro per la città, magari sarebbe il caso di aguzzare la vista e guardare con un po’ più di attenzione in giro: chissà quanti altri numeri civici e quante insegne storiche si potrebbero scoprire...

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Curiosità • di Albert Merdžo

Sbisigando tra i cognomi fiumani...

Una ricerca sui cognomi più diffusi nei vari periodi storici di Fiume

Come che sicuramente gaveré già sentido un milion de volte, la nostra Fiume la xe sempre stada un gran bela zità multietnica, piena de gente vignuda dale parti più disparade d›Europa e perché no, del mondo. Un vero crogiuolo multiculti, un fertile incrocio de culture e popoli che insieme ga costruido qualcosa de veramente bel e grande. Purtropo, però, xe anche quei che ‘sta roba non ghe piaxe propio. Per lori questo xe buonismo, favole sdolcinade per fioi, robe, insoma, che non ga a che far con la realtà, e che bisogneria scanzelar e scordar per sempre nel nome de non se capise cosa. E se per caso anche Voi sé tra questi, ma non credo, permeteme de mostrarve un bich de nomi e cognomi che go scovado sbisigando nei giornai fiumani dei tempi dela Defonta, ma anche in altre fonti, ancora più vecie. Una fonte preziosissima xe senza dubio la rubrica Trapassati, più tardi Trapassati nella Città e suo distretto, contenuda nei seguenti veci giornai: Eco del Litorale Ungarico, L’Eco di Fiume, Gazzetta di Fiume, Giornale di Fiume. In essa vien elencade, giorno per giorno, le persone decedude nela cità e nel suo distreto. Oltre al nome e al cognome del defunto, xe anotadi anche el nome del genitor o del consorte, la profesion, l’età e la causa del decesso. Eco un estrato del 1843:

„Al 30 Marzo. Maria moglie di Spiridion Crespi, canapino, d’anni 52 da entero-gastrite complicata. – Bortolo Blesich, muratore d’anni 65 da asma. – N. di Antonio Vlassich, sarte, nato morto. Al 31 detto. Clementina

del sig. Lorenzo Bortolotti, Prof. supp. di Nautica. di anni 2, da atrofia infantile. Al 1. Aprile. Maria moglie di Giov. Superina, villico, di anni 33, da ascite.“1

E se volemo solo i cognomi, ecoli qua: Crespi, Blesich, Vlassich, Bortolotti, Superina, Baretich, Turkovich, Radetich, Malogna, Capellari, Bovo, Ferlan, Jellich, Medanich, Dall’Asta, Crespi, Violich, Billich, Haichele, Mustardi, Vinas, Margan, Kuczaich, Sudi, Mauer, Gerliczy, Serman, Covi, Rack, Celebrini, Huber, Battistin, Pasquan, Cavalier, Mazzioli, Perussich, Chiemini, Vincerutti, Lonzarich, Parlati, Gemma, Mavrovich, Materliam, Sandach, Surlin, Purkardhofer, Jardas, Milich, Matterlian, Ellens, Lenaz, Knob, Mauco, Hodnich, Raspich, Ellias, Dani,2 Bassa, Venturelli, Dani, Baccarcich, Tichiaz, Sichich, Czerniar, Cumisich, Grazoviza, Marsari, Sterch, Coleusich, Gianelli, Cserniar, Raspich, Kosleuzer, Bastian, Kosleuzer, Veiss, Romagnoli, Hofmann, Relias, Piccioni, Odrich, Anesich, Benczan, Benczan, Pauer, Tomich, Corradini, Tadeo, Radivoi, Pillepich, Branchetta, Travisan, Sgualdrini, Crovatti, Rack, Piccioni, Raspich, Prestros, Host, Benacz, Blecich, Lengo, Mann, Stiglich, Bellich, Blasich, Raymond, Schiavon, Pascoletto, Segnan, Rusich, Cesare, Malle, Oterpai, Sirolla, Thiepolo, d’Este, Scarpa, Glavan, Bellen, Luterio, Scaglia, Drenulsich, Blesich, To-

1 Eco del Litorale Ungarico, Fiume, 5 aprile 1843, numero 1.

2 Secondo el Kobler, el cognome xe de origine grega.

scrive che “la forma del cognome non se pol identificar sempre con l’apartenenza nazional, ma la xe squasi sempre un indicator sicuro del’origine etnica, overo della provenienza de una persona.“5

micich, Klesnich, Marcovich, Blesich, Privileggi, Devescovich, Bradil, Petrovich, Posmuck, Pavicich, Scrobogna,3 Matcovich, Sablich, Lotzniher, Dobrovich, Affrich, Riavaz, Mariselli, Maurizzi, Codrich, Vidovich, Robusti, Chorak, Burba, Schav, De Ronchi, Smoquina, Gambarini, Pergoli, Francetich, Francovich, Ethasi, Scuro, Accurti, Mohovich, Mussich, Superina, Scaglia, Petrisich, Cucich, Vicevich, Pasquale, Gerbaz, Steffan, Kusich, Bracoduro, Danuco, Michletich, Rossi (...).

E la lista saria longa longa, anzi, lunga lunga (che sennò i dirà che scrivemo in triestin o chissà cosa). Naturalmente, bisogna precisar che el cognome non xe altro che un tasel del’identità e del’origine de una persona, e che no’l indica necesariamente la nazionalità de un individuo, sopratuto in teritori misti come el nostro. Come scriveva el storico e geografo istrian Giannandrea

Per farla breve, nel Otocento, più esatamente tra el 1843 e el 1865, go contado circa 56% de cognomi croati, circa 27% de cognomi italiani e con un 17% che resta e che ga altre origini. Se questo non xe multietnico, non so cosa xe! Come che savemo, l’influenza esercitada dal elemento italofono era sai forte, tanto che secondo i dati riportadi dala Ilona Fried nel suo libro Fiume, città della memoria, nel 1910 circa l’80% dei abitanti saveva parlar l’italian, e la dixe anche che el 53% parlava croato e el 22% l’ungarese. Concludo dixendo che secondo el censimento del 1881, su 20.981 persone era: 43,9% italiani, 38,2% croati, 10,4% sloveni, 4,3% tedeschi, 1,8% ungheresi e 1,1% de altri. Col numero de ungaresi che più tardi xe cresudo ancora per via del aflusso de gente in zità. E così gavemo un bel po’ de numeri su cui rifleter.

I antroponimi de Fiume nel Zinquezento ne vien inveze sveladi dal interesante lavoro de Vjekoslav Štefanić publicado nel 1960 col titolo Riječki fragmenti (Framenti fiumani), dove che a pg. 264-277 se trova un documento de straordinario valor: se trata de un elenco de zitadini fiumani del 1529, scrito in dialeto veneto. I zitadini xe registradi in base ale contrade (rioni) in cui i viveva e nela lista xe rapresentadi tutti i strati sociali, comprese anche ventidue done, roba rara de registrar in quela epoca. El Štefanić ritien che l›elenco contien i nomi de un terzo dele famiglie dela Fiume de alora.

ro, Murador, Tcalacz, de Fermo, de Pola, de Segna. Dunque: Bonzorno, Parclino, Silich, Catalusso,6 Sebeglin, Mazola, Bachino, Toso, Bontichio,7 Rodiza, Uram, Spiciarich, Cucich, Chicha, Tudrouich, Contouico, Del vescovo, Rosouico, Belen, Ferforich,8 Cucichio, Sepicheua, Brigadich,9 Cralich, Uelich, Petricich, Rulo, Cicholino, Pastrouich, Fugaro, Ueslarich, Bisergnach, Sandalich, Bontich, Bachino, Tudrouich, Milcich, Ielussich, Scorpia, Nicolich, Dulinich,10 Persich, Persich, Cucich, Goligna, Sandalich, Hosto, Bauch, Pirlinich,11 Sisich, Chralich, Franulich, Dobrotina, Spiciarich, Iuancich, Iuancich, Sepichieua, Camelli, Belleni, Fabicich, Petacich,12 Milcich, Turlan, Delben,13 Ielich, Suardo, Lenich, Scucich, Curiliza, Radauich, Cotermanich, Marcouich, Acacich, Grocouaz, Dminichina,

Mandich, Marendich, Barilouich, Labochar, Diracha, Faricichina, Chichin, Coruscich, de Bella dona, Rudaz, Mercharich, Rudaz, Smoglian, Cotermanich, Iurassich, Iurassich, Lenartich, Desina, Pacaron, Lonzarich, Rodiza, Rulich, de Spiciarich, Ielussich, Becich, Scorpia, Nicolich, Dionisiza,14 Babich, Scholich (...). Sempre per quanto concerne el Zinquezento, ocore menzionar senz’altro el libro de Darko Deković, Zapisnik misni kaptola riečkoga: istraživanja o riječkome glagoljaškome krugu, del 2005. Qua troveremo i nomi de numerosi defunti fiumani, che i sacerdoti trascriveva diligentemente in glagolitico.

Gravisi: „Ma se da soli i cognomi non bastano a formar un giudizio esatto sulle attuali condizioni etnografiche di un paese, essi, e qui nessuno vorrà negarcelo, sono in grado di dirci quale sia il substrato etnico di una data popolazione, quali schiatte e in quale misura contribuirono a formarla (...) lo studio dei cognomi può assumere, secondo noi, un carattere altamente scientifico.“

6 Nome veneto indicante la lampuga (un tipo de pesse).

7 Bontich.

3 Par che derivi dal nomen roman Scribonia, che in Italia xe diventado Scriboni. Xe interesante notar che la concentrazion più alta del cognome Scriboni la trovemo a Fermo, cità sempre in streto contato con Fiume.

4 Giannandrea GRAVISI, „Saggio di commento ai cognomi istriani“, http://www. istrianet.org/istria/illustri/gravisi/wor-

Riporto una parte dei cognomi che xe posibile leger o ricostruir; non go incluso quei dei quali l’autor aferma che non xe ciaro se xe cognomi, dato che i designa un mestier o un’origine come per esempio Brodar, Capellaro, Forna-

ks/1907_cognomi.htm, giugno 2018).

5 Slaven BERTOŠA, „Etnička struktura Pule njezinih sela u prvoj polovici XVII. stoljeća“, Vjesnik istarskog arhiva, anno VIVII (1996-1997), pg. 293.

8 Forfora.

9 In origine Brigada.

10 Sembra che non esiste el cognome croato Dulinić; esiste invece l’italian Dulini.

11 In origine probabilmente Perlini, cognome piuttosto diffuso nelle Marche, in Veneto e in Lombardia.

12 Par che la forma originaria sia Petazzi. Doveria esser una famiglia nobile lombarda.

13 Sarà un discendente del mercante fiorentin Riccardo Delbene, che nel 1454 ga otegnudo la citadinanza fiumana.

Anche se l’autor aferma in modo risoluto che tuti ‘sti antroponimi xe esclusivamente croati, bisogna dir che le robe no le sta propio cussì. Riporto perciò i cognomi che ritengo de origine italiana, in bona parte veneta: Bakin (Bacchin), Baškot(o)/Biškot(o) (Vascotto o Biscotto), Celebrin, Cingulo, Coto (Zotto), Čikutović (Cicuto), De Rosi, Dijaniž (Dionisi), Faštindioz (Fastidio(so?)), Frankin (Franchin), Ferman, Frfora (Forfora), Fruncu (Frunzo), Galijaco (Galiazzo), Galiči (Gallici), Gulermovica (Guglielmo), Jakomin (Iacomin/Giacomin), Krminelo (Carminel-

14 El suffisso -za vol dir che se trata de una dona; questo testimonia anca la difusion dela lingua croata.

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lo), Marganić, Markižina (Marchesini, Marchisini), Monia, Muntinegro (Montenegro), Petačić (Petazzi), Pinel(lo), Pinoža (Pinosa), Škrobona (Scrobogna), Tern(o), Tervižan (Tervisan, Trevisan), Vesprižianovica (Vespasiano), e forse va inclusi anche Urbanić e Želadi(j)a. Dei nomi de persona, ritengo de origine romanza i seguenti: Alviž (Alvise, tipicamente veneto), Dumenigo (Domenego), Dunado, Francula, Franka, Franula, Jakomo, Merkantonio (Marc’Antonio), Piero, Savina, Šimuneto (Simonetto), Ursa, Vidal, Zan, Zane, Zvan, Zanmarija. Vien elencado anca un furlan anonimo. Naturalmente, xe anche antroponimi che indica la presenza de altre nazionalità, sopratuto de quela slovena: per esempio Anžet, Arbanez, Čelovica, Frbežar, Koruščić, Medigovica, Muškon. Infine, concludemo con una carelada de citadini fiumani del Quatrocento, ciolti dal libro del cancelier Antonio De Reno; anche qua ghe ne xe parecchi col cognome italian, ma ich-izado, non per motivi nazionali(stici), ma perché era robe che capitava. Riporto el tuto in latin, convinto dela coltezza del nostro egregio publico:

Quirino filio iudicis Marci Glauinich, Ҫupano Golobich, Quirino Ҫouanich (Zovanni), Antonio Santis de Pensauro, Vitus Ҫouanich, Mateus quondam Grisani Caureti (Cavretti), Marcus Xupelich (Zupelli), Cristina Xupelich, ser Stefanus Blaxonich (Blasone), Martino quondam Ҫanini/Ҫaninich (Zaninini), Nicolao Raintalar, Martino Terҫich, Simone Tolcouich, Curilus Posniҫich, Tomas Charmanich, Chirinus Milҫich, Iohanne Milasinich, Marco Bunto, Michlesio Slamperger muratore, Floro Rossouich, Iohanne Rossouich, Georgio Contouich, Agabito Contouich, Georgio Petriҫich, Iohanni Sandai, Vito Barulich (Barulo), prudens vir ser Iacobus Micolich, iudice Nicolao Micolich, Bartolo Melcherich, iudice Stefano Blasinich, Petro (condam iudicis Chirini) Glauinich, ser Georgio Glauinich, Chirino Spinҫich de Castua, Martino Spinҫich, Luca Samburich, iudice Mauro Vidonich, Toma Mocenigo, ser Georgio Ruseuich, Nicolao Tomasini de Caldana de Vegla, Vito Mateieuich, Iohanne Ba-

L’Aquila volò 360 anni fa

«Sopra fondo celeste damascato, contornato con oro, uno scudo avente il fondo di color carmino, e margine d’oro, in mezzo l’aquila bicipite sormontata dalla corona, e poggiata sopra una roccia, ove con un artiglio sostiene un vaso, da cui sgorga acqua in un bacino, il cui margine porta il motto “Indeficienter”», Così lo storico fiumano Giovanni Kobler descrive, nella sua opera capitale in tre tomi, “Memorie per la storia della liburnica città di Fiume” (Stabilimento Tipo-Litografico Fiumano di E. Mohovich, Fiume, 1896, vol. III, p. 128), lo stemma che il 6 giugno del 1659, dunque esattamente 360 anni fa, con diploma imperiale rilasciato a Vienna, Leopoldo I d’Asburgo (1640-1705) concesse al Comune di Fiume il suo “signum”.

bich, generose milite domino Martino Raunacher, Petro Rasar sarctore, Simeone Maurich, Paulo Vidotich (Vidotto) barbitonsore, Paulo Mortatich, Iohanne Marnich, Martino Satanni/Santani, Iacobo Cigantich, Paulo Chouaҫich, Marco Cersatich, iudice Vito Matronich, Christoforo Bachinich (Bacchin) (la lista continua e qua non xe spazio!...). Nel Quatrocento go riscontrado dunque circa 60-65% de cognomi croati, circa 30-35% de cognomi italiani e un pochetin de altri. Bon xe, credo che gavemo oferto un picio assaggio del miscioto etnico e cultural che Fiume xe stada nei secoli; e pensar che non gavemo parlado gnanche de come nele ciese se predicava sempre sia in italian che in croato, sopratuto in Quaresima, ma al’ocorenza anche in tedesco e latin, e de come i aluni dei gesuiti cantava e recitava in entrambe le lingue, e de come le mape storiche indica el nome dela cità sia come Fiume che come Reka etc. etc. I esempi de coesistenza e convivenza saria tanti, in tute le epoche e a tuti i livei, ma magari de questo parlemo un’altra volta. Nela speranza de non gaverve tediado tropo e nel segno de tuto quanto deto finora, non me resta che augurarve una felice Capital europea dela cultura. (speremo ben)

La testa dell’Aquila che vedete sulla pagina a destra si trova al Vittoriale degli Italiani. Quando nel dicembre del 2018, in occasione della mostra sulla storia della filatelia di Fiume, la delegazione presente all’evento fece visita al Vittoriale e vide la testa, ci si fermò a discutere di come fosse finita li e di come sarebbe stato giusto pianificare un suo ritorno a Fiume.

Erano presenti il direttore del Vittoriale, Giordano Bruno Guerri, il presidente dell’Assemblea della Comunità degli Italiani di Fiume, Moreno Vrancich, l’assessore alla cultura della Città di Fiume, Ivan Šarar, il direttore e il presidente della Società di studi fiumani, rispettivamente Marino Micich e Giovanni Stelli.

Ebbene, tutti questi sognori erano concordi sulla necessità di pianificare il ritorno della testa dell’Aquila a Fiume, magari con un accordo formale fra il museo italiano e quello Civico di Fiume.

Molti si sono interrogati sulle origini di una così singolare composizione del blasone leopoldiano (legato a un sovrano inviso ai croati, perché nel 1671 ordinò la decapitazione a Wienerneustadt dei nobili Petar Zrinski, all’epoca bano croato e l’ultimo della dinastia dei Frangipani, Francesco Cristoforo, a seguito della “Magnatenverschwörung”, la congiura dei magnati, ordita in chiave antiasburgica); appassionati di araldica e studiosi delle tradizioni e del passato di Fiume hanno cercato di

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Una raffigurazione della versione originale dello stemma

individuare i presupposti e le ragioni dell’originale scelta, che la tradizione vuole richiesta fin dagli inizi del XIV secolo, e indicata nelle sue sembianze, dagli stessi fiumani.

Dominio di diversi signori feudali, dopo l’estinzione dei Walsee, nel 1466 la città – e i possedimenti del Quarnero erano passati all’imperatore Federico III d’Asburgo. I sovrani, i cui principi ricoprivano la carica di sacro romano imperatore, confermarono al municipio tutte le franchigie e i privilegi goduti. Fiume otteneva così una protezione più “alta”. Agli inizi del ’500, ricordiamo, era stata più volte assalita dai veneziani e il leone marciano scolpito sulla colonna dello Stendardo eretta nel 1509 verrà presto cancellato. Gli uomini della Serenissima, al comando dell’ammiraglio Andrea Contarini e del capitano Navagero avevano occupato la città per alcuni mesi; questa sarà quindi ripresa dai vassalli dell’imperatore nel corso della guerra della lega di Cambrai, successivamente incendiata e saccheggiata dai veneziani per ordine dell’ammiraglio Angelo Trevisan, mandato in una spedizione punitiva lungo la costa adriatica:

“Et mai per lui non si dirà: qua sono Fiume, ma qua sono stato Fiume…”, avrebbe detto il Trevisan. Comunque sia, la colonna sarà trasformata in segno di civico lealismo proasburgico. Non a caso, Fiume si meriterà il titolo (usato nel rescritto di Massimiliano I del 1515) di città fedelissima, “civitas fidelissima”, o “fidelissimum oppidum”. Organizzata come libero municipio, gelosa della sua autonomia, codificata negli Statuti del 1530 (che rimasero formalmente in vigore fino al 1872) – , reclamava uno stemma vero e proprio.

Fino ad allora faceva ricorso all’immagine del santo patrono, inserita in uno scudo come stemma (dal 1312 si faceva chiamare appunto “Flumen Sancti Viti”). Di tale antico stemma non esistono documenti e riproduzioni. Soltanto a partire dal XIII secolo pervengono notizie sicure sull’esistenza del “signum” del Municipio posto al centro del gonfalone. Esso veniva conservato in luogo sacro, come si usava in tutti i comuni italici, e precisamente nella piccola Chiesa di San Vito. Riccardo Gigante, nel suo saggio sullo stemma di Fiume, pubblicato nel 1929, cita quale più antica testimonianza dell’immagine del santo protettore inserita nel sigillo, la trascrizione nel libro del cancelliere Antonio De Reno di un documento del 17 novembre 1443 nella cui formula di corroborazione si precisa che il documento stesso è stato munito del “sigillo di San Vito”. Tre diverse tipologie di sigilli, appartenenti a epoche successive, furono da Attilio Depoli durante le sue lunghe ricerche storiche, rispettivamente su documenti del 1536, del 1539 e del 1570, con la raffigurazione del santo nella caldaia del martirio, senza o con i due sgherri al lato della caldaia e che attizzano il fuoco, ed

Qualche anno fa la municipalità ha investito per la realizzazione di una nuova stata dell’Aquila bicipite. Qui una fase del montaggio in cima alla Torre civica di Fiume.

I simboli di Fiume più antichi e più riconoscibili al giorno d’oggi sono l’Aquila bicipite, derivante dallo stemma, e la bandiera: nel primo caso il processo di ripristino è stato portato a termine, mentre per la bandiera si aspetta ancora...

altri ancora con il santo in piedi recante con la destra la palma del martirio e la sinistra che regge la città sotto forma di castello (ed è questa la raffigurazione che è stata adottata ed è in uso pure oggi per le celebrazioni delle festività del patrono).

L’effigie del santo si trova riprodotta non soltanto nei sigilli, ma anche sulla campana patrizia, sul pilo cinquecentesco dello stendardo della città, ecc. L’emblema del 1659 è considerato una curiosità araldica, principalmente per le due teste del rapace imperiale, ambedue rivolte in una sola direzione, ossia a est – si è cercato forse di sottolineare la posizione geostrategica della città, con l’aquila vigile “sentinella” del confine orientale dell’impero? –, e la scritta sul cartiglio, che, tradotta, recita “inesauribile”. Su questa parola, le interpretazioni sono due: secondo alcuni sta a simboleggiare l’acqua abbondante che scorre da sempre in queste zone e da cui deriva in particolare nome della città – si dice chi abbia assaggiato la meravigliosa acqua di Fiume sia destinato a ritornarci sempre –, secondo altri invece esaltava la fedeltà dei fiumani alla Casa reale d’Austria. Pro-

babilmente, entrambe le varianti sono corrette e fondate, e si sono intrecciate nei secoli, convivendo finché la seconda non è venuta meno, con il crollo della realtà statale cui faceva riferimento. Il motivo dell’urna sgorgante acqua – Gabriele d’Annunzio la definì “inesausta” –, in una versione stilizzata, sarà ripreso nei primi anni Sessanta del ’900 e rimarrà in vigore come emblema della città fino al 1998, quando sarà ripristinata l’aquila bicipite (privata di corona granducale e motto). Invece la presenza della corona era segno onorifico e di benevolenza dell’imperatore per il comune di Fiume e per i suoi cittadini.

Non si sa quando il Comune abbia adottato lo stemma nei sigilli: Valvasor ne fa menzione nel 1689 (III e IV libro) sia sullo stemma della città che in una veduta della stessa. Quale simbolo del Comune, appariva sempre al centro delle bandiere dei vari stati che si succedevano al suo governo, ma non su quella del croata negli anni in cui Fiume fu soggetta al bano (1848-1867).

Dal 1659 fino a dopo la Prima guerra mondiale non si hanno notizie né diplomi tendenti a modificare sostanzialmente lo stemma leopoldiano. Nel XVIII secolo comparve, probabilmente su decreto a stampa di Maria Teresa, l’aquila fiumana a una testa, e sarà con questo crisma che l’emblema della città comparirà per molto tempo, nel pubblico uso – tra l’altro anche come scultura sulla Torre civica, dal 1754 al l890 –, nonostante non risulti che il Municipio avesse adottato tale modifica. Invece, l’aquila doppeladler – spesso inserita tra le figure dei Santi Vito

A sinistra: Lo stemma ufficiale della Città di Fiume, ossia quello attualmente in uso sulla bandiera a sfondo azzurro.

Una fotografia d’epoca della Torre civica, prima che l’Aquila fosse nuovamente installata in cima.

e Modesto – continuerà sempre a essere usata ufficialmente, prova ne siano i timbri e i sigilli municipali.

L’aquila monocipite ritornerà durante il periodo italiano, salva la parentesi dello Stato Libero di Fiume, in cui si riadottò lo stemma leopoldiano, privandolo però della corona (ma senza imporlo agli uffici). Gabriele d’Annunzio, comandante di Fiume, dopo 1’orazione “Italia e vita” del 21 ottobre 1919, tenuta al teatro per le elezioni amministrative, aveva chiesto ai fiumani di far campeggiare sul loro stemma solo l’aquila romana, simbolo della latinità. D’Annunzio, nel 1919, aveva fatto disegnare ad Adolfo De Carolis, per una serie di francobolli, uno stemma immaginario ridotto alla sola urna, posta su due rami di quercia. Questo stemma non venne mai adottato. Nel 1924, quando la città venne assegnata all’Italia, uno studio araldico fiorentino presentò il disegno, accolto dal Comune, con un’aquila prettamente romana, con 1’urna inesaurita e lo scritto “Indeficienter”, ma interpretata in stile medioevale.

L’aquila verrà esautorata del tutto nel 1949, dopo l’annessione all’allora stato jugoslavo; nel 1967 l’Assemblea cittadina accoglierà il nuovo stemma, l’urna con l’acqua fluente, nella versione di Dorijan Sokolić. Nel 1998, ai fiumani che avevano chiesto il ripristino dello stemma leopoldiano, il Ministero croato dell’amministrazione darà il consenso, privando però l’aquila della corona granducale ed eliminando il motto “Indeficienter”. di Ilaria Rocchi

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... Il Consiglio cittadino ha votato all’unanimità per la reintroduzione del tricolore, ma il ministero dell’Amministrazione ha trovato il modo di opporsi.

Fare questa Tore è stato un piacere. Se per voi leggerla è stato altrettanto, siamo contenti di aver raggiunto il nostro obiettivo.

Ci rendiamo conto che in queste 76 pagine si sia tralasciato di nominare tante cose: eventi e persone che hanno dato un grande contributo alla Comunità.

Allo stesso modo avremo sicuramente omesso di raccontare qualche fatto interessante accaduto, in alcuni casi magari per scelta, in altri per errore o più semplicemente per mancanza di tempo. Ci scusiamo.

Per molti di noi questa è la prima esperienza redazionale. E oltre che imparare a come si redige una rivista, abbiamo dovuto anche apprendere a come lavorare fra noi. La squadra è al suo primo mandato, con alcuni degli elementi che hanno collaborato alla realizzazione del progetto che prima di iniziare l’avventura non si conoscevano nemmeno fra loro.

Si tratta della nostra prima Tore, cercheremo di rimediare nei prossimi anni.

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