l'Automobile - Numero 39 - Aprile 2020

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Anno 122°

#rialziamoci

Nuova serie • Anno 5 • Numero 39 • Aprile 2020 • €3,00

Spedizione Poste Italiane Spa - Postatarget Magazine. Pubblicazione Mensile. Data P.I. 4/4/2020

INNOVAZIONE  I  MOTORI  I  LIFESTYLE

car design



EDITORIALE APRILE 2020

L’Italia che vorrei. Ci abbiamo provato. Abbiamo fatto di tutto per stampare questo numero e distribuirlo in edicola e agli abbonati. I prossimi giorni diranno se ci siamo riusciti. Sarebbe un piccolo segnale, anche da parte nostra, per indicare che non tutto si è fermato di fronte al Covid-19. Ora non resta che chiudere gli occhi e pensare a come vorremmo vedere l’Italia ad aprile, quando ci auguriamo che l’Automobile sia nelle vostre mani. Facciamo insieme questo volo di fantasia. Immaginiamo che l’inno cantato dai balconi abbia fatto riscoprire la centralità della persona, che tutti siano diventati consapevoli di quanto la responsabilità individuale sia anche responsabilità collettiva. L’Italia non si è arresa. “Le battaglie perse si riassumono in due parole: troppo tardi”, diceva il generale americano Douglas MacArthur. Nel nostro viaggio immaginario, il governo ha colto questo messaggio e grazie a un rinnovato dinamismo, l’Italia ha intuito che la pandemia ha stravolto strategie e orientamenti delle aziende in tutto il mondo. I costruttori hanno capito che mettere la produzione nelle mani di un singolo Paese, per di più lontano come la Cina, è troppo rischioso. E finalmente riportano qualche attività in Europa, generando investimenti miliardari. Un’opportunità per il nostro Paese: il costo del lavoro è tra i più bassi dell’Europa occidentale e abbiamo grandi capacità produttive inespresse. Un’occasione unica

che il governo ha colto con nuove e flessibili regole, insieme agli incentivi necessari. Quell’inno cantato ha fatto cadere ogni sfiducia sistemica, fuori e dentro di noi, trovando un alleato inaspettato: l’Europa. Nella nostra fantasia, la Germania ci è più vicina della Cina. Le misure di espansione fiscale per salvaguardare i redditi delle famiglie sono state approvate. La Bce ha mantenuto una ragionevole differenza fra gli spread dei diversi Paesi. La reazione coordinata di governi e banche centrali ha dato la spallata definitiva al nemico invisibile venuto da lontano. In questo breve viaggio onirico di ciò che verrà, il virus ha suggerito l’unica ricetta per il futuro: investire in innovazione. La ricerca prima di tutto. E poi la scuola. Nell’ultima tappa di questa Italia sognata, la didattica online non è più improvvisata: banda larga e disponibilità di strumenti e conoscenze informatiche sono per tutti. La formazione non si è fermata. Così come lo smart working, diventato forma per far circolare le idee e far crescere il Paese. È l’Italia che vorrei alla fine di tutto questo. È un sogno. Chissà.

@AMarchettiT

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Sommario. Numero 39 | Aprile 2020 ALBUM

30 Alfa Romeo BAT.

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34 Creatività italiana.

Design italiano.

COVER STORY

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38 Gio Ponti. 40 Volkswagen.

10 Design is more.

Troppe resistemze, ci vuole più coraggio per cambiare. Parola di Chris Bangle.

16 Pininfarina fa 90.

Klaus Bischoff.

44 Renault.

Laurens van den Acker.

48 Bmw i4. Molto stile, zero emissioni.

20 Giugiaro e Dora. 22 Ferrari. Flavio Manzoni.

26 Fiat 500 e.

58 Ford. Amko Leenarts.

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50 Curve americane. 54 Corvette.

American idol.

60 Hyundai.

SangYup Lee.

64 DS. La geometria. 66 Rivoluzione interni. 70 Riciclare con stile. 72 La forma della mobilità. 74 Bmw. Moto scultura. AUTO E MOTO

78 Oltre il caos. La Cina dell’auto si è fermata. Fabbriche chiuse, crollo di vendite e della produzione.


86 Fca-Psa,

cosa manca all alba.

90 Volkswagen.

Anno difficile.

116 Ruote nella storia 2020. 118 Audi. Nel segno

del quattro.

SPORT

92 Tendenze.

122 Forza giovani.

94 Classifiche.

ACI Team Italia, grande scuola di talenti del volante: come Giovinazzi in Formula 1.

96 Listino. 98 Noleggio. 100 Arval,

corsa privata.

STORICHE

112 Cent anni di futuro. Mazda festeggia il secolo di vita: dal sughero a una tre ruote, dal Wankel alla prima elettrica.

Alberto Novelli.

82 I conti di Källenius.

SERVIZIO

124 Rc familiare,

luci e ombre.

RUBRICHE

76 Fuorigioco.

Tutto cambia.

110 Playlist.

Quei simboli immortali.

126 Come eravamo.

Ford Gyron.

102 I tempi cambiano. Nissan Juke, il crossover coupé che dieci anni fa ha inventato il genere, è adesso tutto nuovo, più spazioso e più tecnologico. Ecco come va.

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ALBUM ITALIA

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Gianluca Di Ioia.

■  COLLEZIONE Per la prima volta al Museo del Design Italiano di Milano un allestimento permanente di una selezione dei pezzi più iconici del design italiano, parte dei 1.600 oggetti della Collezione di Triennale realizzata con il sostegno del Ministero per i beni e le attività culturali.

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■  MODA Stile italiano con Versace alla Fashion Week di Milano, in passerella la presentazione della collezione autunno-inverno 2020-2021.

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Getty.

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■  ARCHITETTURA Una immagine del Nuovo Polo della Fiera di Milano realizzato con una struttura avveniristica firmata dallo studio di Massimiliano Fuksas.

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9 Archivio Fuksas: foto di Ramon Prat.


COVER STORY

Design is more. CHRIS BANGLE*, CON LA COLLABORAZIONE DI DEREK BANGLE

Manca una nuova estetica capace di innescare un ripensamento dello stile automobilistico: ecco perché ci vogliono “sogni più verità” per vincere la resistenza al cambiamento.

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■  Cinquantaquattro anni fa Robert Venturi creò grande scompiglio fra gli addetti ai lavori con il suo libro “Complessità e contraddizioni nell'architettura”. Quel piccolo volume rappresentava un’appassionata risposta all’establishment conservatore degli architetti che praticavano lo stile “moderno”: una categoria di fedeli dogmatici, intenti per lo più a fare somigliare ogni edificio a un cubo e a negare la caotica vitalità dell’esistenza. La profonda verità e la chiarezza delle argomentazioni di Venturi hanno spinto i suoi contemporanei a un moto di audacia, e la reazione si è rivelata inequivocabile. Ciò che seguì fu un impetuoso scontro di idee: dal

più cervellotico decostruttivismo a un gioioso classicismo pop fino al sarcasmo del falso storico. L’era dell’architettura nota oggi come post-modernismo fu tutt’altro che monotona. Gli anni ’60 sono stati un periodo di paura e rivoluzione non dissimile a quello che viviamo oggi, un periodo in cui gli architetti e i designer di prodotto lavoravano ancora secondo il miesiano “meno è meglio”. La risposta di Venturi? “Meno è tedio”. Mentre Venturi nel 1966 redigeva la sua polemica, il mondo dell’automobile viveva un’epoca di diversità senza precedenti. I costruttori americani erano appena passati dalla mania anni ‘50 per le pinne posteriori a

Nella pagina precedente un disegno della concept Ford Mustang Mach 1, 1967. Qui la Lamborghini Miura SV.

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un look londinese dalle linee filanti, fino alle spassose pony car. I maestri italiani Giugiaro e Gandini erano in ascesa in quello che si sarebbe rivelato un decennio di dominio del car design. La fame di nuovi modelli da parte del pubblico sembrava insaziabile e il futuro dell’auto era luminoso. Come i “moderni” architetti del vecchio, anche i car designer di oggi vivono un’era dominata dal dogmatismo. Dimenticando il loro stesso passato nel creare design di rottura, i brand sono terrorizzati dall’innovazione stilistica. Le grandi incertezze, dalle auto elettriche all’indifferenza cronica dei consumatori, sembrano essersi insinuate nelle menti dei de-


signer. Invece di cercare di tornare audaci, tengono saldi i paraocchi ripetendosi: “Cerchiamo di essere come tutti gli altri, ma diversi”. È vero, i periodi di transizione causano insicurezza, ci spingono a essere conservatori, ma è una scusa che sentiamo dai tempi del Millennium Bug. Se si passa il tempo a cercare di rinverdire i fasti dei propri predecessori, non bisogna stupirsi che il car design attuale sia scollegato dallo spirito del nostro tempo. È il momento di andare oltre. Il design automobilistico è noto soprattutto per l’ideazione delle forme: la creatività affonda le radici negli insegnamenti di scultura, architettu-

ra, pittura, persino del cinema. I car designer si basano ancora sulle teorie dell’antichità classica: ripetizione e simmetria, armonia e proporzione. Tutto molto piacevole alla vista, ma non rispecchia il presente. Riflette quello che siamo? Rispecchiare il presente significa essere onesti. Gli artisti visivi di qualunque epoca hanno cercato di rappresentare il loro tempo com’era, di fare qualcosa che non sarebbe potuto esistere prima. Ben pochi car designer hanno però il coraggio di abbracciare il mondo di oggi: una società irrazionale e pervasa dalle post-verità; inter-

connessa ma vulnerabile; diversa eppure spaventata dall’altro; ansiosa di iper-condivisione e di privacy al tempo stesso; rabbiosa con chi ha rubato il suo futuro e spreme il suo presente; sommersa dalle distrazioni ma consapevole delle tante ingiustizie in corso. I tempi in cui viviamo non sono prevedibili né armoniosi. Nessun canone o icona del passato potrebbe catturarne lo spirito. Lo so: rompere qualsiasi schema è doloroso. La ricerca di un vero design di avanguardia è spesso considerata proibitiva nei costi. Ma senza questa ricerca, senza questo sguardo visionario, i car designer si trincerano dietro forme che hanno esaurito ogni senso.

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Ho cercato lo Zeitgeist nelle immagini delle auto del Salone di Ginevra 2020, poi annullato. Ho cercato segnali di una nuova estetica capace di ripensare il car design, e mi chiedo se ce ne siano del tutto. Le supercar mostrano la solita scintillante aggressività aziendale, ma senza un briciolo di spirito di sfida. Disegnate secondo la tirannia dell’aerodinamica, sono un vecchio sogno reinterpretato in infiniti modi diversi. Totalmente non-speciali, mi fanno pensare alla visita di Oscar Wilde alle cascate del Niagara, ove pare abbia commentato: “Sarebbe più impressionante se scorressero nel verso opposto”.

Getty.

“Dream car” Da quando è nata la categoria delle supercar probabilmente non abbiamo ottenuto il “meno” teorizzato da Ludwig Mies, ma sul “tedio” siamo riu-

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sciti benissimo. Eravamo soliti chiamarle “dream car”, per il coraggio necessario a superare le nostre paure e realizzare simili visioni. Cosa temono i car designer oggi? La verità? Forse preferiamo sogni meno faticosi. Il nostro mondo non è meno complesso e contraddittorio di quello di Venturi, ma i car designer si nascondono dal suo spirito, rimescolando gli stessi ingredienti degli anni’60: dinamico, elegante, lussuoso, sexy, femminile, maschile, armonioso, sportivo; parole che perdono significato ogni giorno che passa. Il design delle auto può essere di più, può riflettere la natura “paradossale” della nostra società, la sua irrisolvibile ambiguità, le irrazionali sovrapposizioni, il dualismo incerto e il costante divenire delle nostre vite - e nell’abbracciare queste parole può creare un nuovo concetto di bellezza, di dinamicità e di eleganza.

La Jaguar E Type 4.2 del 1965. | Aprile 2020

Oppure il design delle auto può continuare a ritirarsi, a rimasticarsi, a far parodie del passato. Credetemi, avrà sempre i suoi fan! Resterà però indietro, perderà rilevanza per il grande pubblico e presto i designer non serviranno più, perché per disegnare auto così basterà un buon algoritmo. Il car design ha bisogno di nuovi modi di vedere, come ha fatto l’architettura mezzo secolo fa. Certo, siamo sognatori, ma “sogni più verità” è la formula per vincere la resistenza al cambiamento. Come possiamo noi car designer creare veramente se ci rifiutiamo di guardare nello specchio dell’attualità? Il car design di oggi riflette ciò che siamo? * Designer americano, già a capo del centro stile Fiat e Bmw. Vive in Italia, dove ha creato Chris Bangle Associates, società di consulenza di design e design management



COVER STORY PININFARINA

La storia fa 90. Viaggio tra decenni di capolavori e la Battista Anniversario, hypercar elettrica da 1.900 cavalli disegnata da Luca Borgogno.

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EDOARDO NASTRI ■  TORINO ¬ “Non sono molte le società che possono vantare 90 anni di storia e innovazione: non credo che esistano tante altre realtà paragonabili alla nostra”. Paolo Pininfarina, presidente di Pininfarina Spa, parla di passato e futuro, durante i festeggiamenti per il 90esimo anniversario della società fondata il 22 maggio del 1930

a Torino da suo nonno Battista. “Il nostro ieri sono questi capolavori che ci circondano”, dice passeggiando tra le auto del museo Pininfarina a Cambiano, “il nostro domani è la Battista, una hypercar completamente elettrica dalle prestazioni strabilianti”. La Battista è una sportiva a zero emissioni nata sotto il marchio Auto-

mobili Pininfarina, un brand che con la società piemontese ha in comune solo la proprietà (come Pininfarina, anch’esso appartiene al gruppo indiano Mahindra), parte del nome e una serie di progetti di collaborazione tra cui la costruzione, a mano, di 150 Battista nello stabilimento di Pininfarina Spa alle porte di Torino.

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In apertura la Battista Anniversario. In alto a sinistra il capostipite Battista Farina detto Pinin che cambierà cognome in Pininfarina. A destra Sergio Pininfarina con i suoi tre figli Lorenza, Andrea e Paolo a bordo della Lancia Florida II.

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Per celebrare i 90 anni del marchio nasce la Battista Anniversario, una versione speciale della sportiva che verrà prodotta, anch’essa a mano, in soli 5 esemplari. I numeri sono da capogiro: 4 motori elettrici, alimentati da un pacco batterie da 120 chilowattora, quattro ruote motrici, 1.900 cavalli, 2.300 newtonmetri di coppia, 2 secondi per passare da 0 a 100 e un prezzo da 2,6 milioni di euro, tasse escluse. Le prime consegne ai fortunati clienti sono previste per la fine di quest’anno, la stessa data delle Battista “normali”, se così si possono chiamare.

L’Anniversario è nata dalla matita di Luca Borgogno, responsabile del design di Automobili Pininfarina, ed è vestita di una speciale livrea policromatica: “Abbiamo utilizzato tre colori differenti ispirati ad alcune storiche Pininfarina del passato: Bianco Sestriere, Grigio Antonelliana e Blu Iconica. L’auto è verniciata completamente a mano, attraverso un processo lungo e complicato, ma solo così abbiamo ottenuto questo risultato, inaspettato anche per una vettura tanto esclusiva”. L’Anniversario ha alcuni dettagli che la differenziano in ma-


niera netta dalla versione normale, “a cominciare dal fascione posteriore, che ha nuove parti più funzionali all’aerodinamica, dal set di minigonne laterali, o dagli interni in pelle e Alcantara nera con le cuciture a contrasto blu”, prosegue Borgogno. Luce pulsante La Battista Anniversario, unica ad avere il nuovo logo disegnato appositamente per il 90esimo compleanno della carrozzeria lungo il corpo vettura e nell’abitacolo, è più leggera del-

le altre: “I cerchi sono in alluminio, una caratteristica che ci ha permesso di risparmiare fino a 2,5 chilogrammi per ruota”, spiega Borgogno. Uno dei suoi dettagli preferiti è il “cuore” elettrico della vettura: “L’e-heart è posizionato sulla coda sopra il pacco batterie, appena prima del grande spoiler. Quando la Battista Anniversario è in ricarica emette una luce pulsante, un dettaglio che rende nota la natura elettrica di questa hypercar. Lo vedremo su tutte le altre nostre vetture che arriveranno nel futuro. E ci saranno sorprese.”

“Abbiamo utilizzato tre colori ispirati a storiche Pininfarina del passato: Bianco Sestriere, Grigio Antonelliana e Blu Iconica”

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COVER STORY SUPERCAR

Una barchetta di nome Dora. Firmata da GFG Style dei Giugiaro, è il prototipo di una due posti a zero emissioni e alte prestazioni che reinterpreta, in chiave avveniristica, una silohuette del passato. VALERIO ANTONINI ■  Giorgetto e Fabrizio Giugiaro immaginano la super sportiva di domani disegnando la Bandini Dora, una barchetta ¬ ­ nome coniato da Gianni Agnelli ammirando le forme della Ferrari 166 MM del 1948 ¬ capace di concentrare presente e passato della tradizione automobilistica italiana. È il prototipo di una biposto elettrica ad alte prestazioni senza tettuccio, con telaio in alluminio e roll-bar da Formula 1, scocca in fibra di carbonio e alimentazione completamente elettrica. Lunga 4,8 metri, alta 2, la Dora pesa poco più di una tonnellata. È stata realizzata da Bandini, Casa artigianale di Forlì che, dopo quasi trent’anni di cessata attività, torna a costruire auto. I Giugiaro, con il loro marchio GFG Style, hanno rivisitato in chiave moderna le biposto da competizione degli anni ’50 come la Bandini-Maserati 1500, che raccolsero diversi successi nelle corse, soprattutto in America. Ci sono sentimento e nostalgia nella scelta dell’onomastica della vettura, legami di sangue: sia la ma20

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dre di Michele Orsi Bandini, attuale amministratore delegato dell'azienda di famiglia, che quella del bisnonno Ilario fondatore del marchio, si chiamavano proprio Dora. Mentre ci si lascia trasportare dal mix stilistico del concept ¬ con dettagli heritage e altri più avveniristici ¬ i due motori a batteria da 200 chilowatt l’uno anticipano scenari futuri per le sportive da altissime prestazioni a emissioni zero. Il sistema elettrico è in grado di generare una potenza pari a circa 545 cavalli, che consentono al prototipo di accelerare da 0 a 100 chilometri orari in poco più di 3 secondi. Architettura protettiva Il concept è stato svelato da Giorgetto Giugiaro nel quartier generale della sua azienda a Moncalieri: “Al giorno d’oggi è difficile concepire una barchetta a cielo aperto senza considerare i progressi fatti nel corso degli anni dal punto di vista della sicurezza di guidatori e passeggeri. Essendo una vettura sportiva votata alle alte prestazioni, abbiamo previsto una struttura contenitiva per proteggere

la testa degli occupanti simile all’halo delle monoposto di Formula 1. Soluzione che ci ha permesso anche di alleggerire il parabrezza incassato al suo interno privo di cornice. La configurazione dell'auto è pensata soprattutto per chi ama divertirsi al volante, anche individualmente. Il posto di guida rimane fisicamente separato dalla poltrona del passeggero da un tunnel rialzato. Le linee della carrozzeria ¬ conclude Giugiaro ¬ si inclinano come se l’auto fosse una coupé e si allungano in coda per formare un alettone capace di regolarsi a seconda delle necessità . All’interno di Dora ¬ presentata insieme al suv Desert Raid, variante estremizzata del crossover Vision 2030 ¬ il volante a cloche dispone di un piccolo schermo touch che offre al guidatore la possibilità di accedere alle principali funzionalità dell’auto. Il display centrale fornisce tutte le informazioni di navigazione e proietta le immagini delle due telecamere laterali. Un fascio di luce continua retroillumina il cruscotto creando un ambiente suggestivo. Barchetta, una nuova storia.


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COVER STORY FERRARI

Emozione funzionale. Dentro il centro stile di Maranello, fra aerodinamica e bellezza. “L’auto elettrica è una opportunità ma vedo un atteggiamento conservativo”, dice Flavio Manzoni, responsabile del design. UMBERTO ZAPELLONI ■  “Una Ferrari deve emozionare, una Ferrari deve creare stupore”. Flavio Manzoni, responsabile del centro stile di Maranello, ogni volta che si mette di fronte a un foglio bianco ha in mente questo obiettivo. Ma sa anche di non poter interpretare la parte di quel comico capace di far ridere ricorrendo alla parolaccia. Deve giocare di classe: “Una Ferrari deve stupire in modo raffinato, mai in modo gridato o perdendo il senso del buongusto”. Se avete in mente un’immagine della Roma, l’ultimo modello della Casa, il concetto vi sarà più chiaro. In un mondo come quello dell’auto che si sta trasformando a una velocità che raramente avevamo incontrato nella nostra storia, il compito di un designer diventa molto stimolante e intrigante, ma anche terribilmente difficile.

“Bisogna mettere in primo piano un aspetto fondamentale – ci spiega Manzoni, designer di auto che viene dall’architettura – il progetto di una nuova Ferrari non è soltanto stile ma è design: c’è una correlazione fortissima tra forma e funzione. Normalmente cerco di spiegarlo dicendo che la forma di una Ferrari deve rispondere a tutta una serie di requisiti. Deve essere innanzi tutto funzionale, sia all’interno che all’esterno. Nel caso dell’esterno, deve essere aerodinamica e l’aerodinamica è una scienza che ci spinge sempre più avanti. Ma deve essere anche bella. Bisogna trovare un modo per conciliare tecnica ed estetica e questo lo facciamo non alla maniera del Bauhaus. Il famoso detto ‘la forma segue la funzione’ aveva implicito il concetto che, se la forma segue la funzione, è automaticamente bel-

Flavio Manzoni, a capo del design Ferrari dal 2010. Aprile 2020 |

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la. In realtà non è così. Bisogna lavorare a quattro mani con i tecnici e questo ovviamente ci dice quanto la Ferrari sia frutto di una sinergia continua tra tutte le aree. Non può esistere un’attività che sia puramente stilistica, avulsa dalle caratteristiche di progetto di ogni vettura. Per questo motivo ogni Ferrari è diversa perché ognuna ha una forma che riflette la sua essenza”. Armonia, emozione e sensualità Il progetto di una nuova Ferrari parte sempre dal motore: cilindrata e collocazione (anteriore o posteriore) sono gli input attorno ai quali nascono poi i capolavori made in Maranello. L’introduzione della propulsione elettrica che, prima o poi, arriverà anche qui, non può che stimolare la fantasia di un designer come Manzoni. Guardandosi attorno, però, più che stupito è un po’ deluso: “Mi sarei aspettato di vedere delle vetture elettriche rivoluzionarie da un punto di vista della forma. In realtà vedo degli atteggiamenti conservativi, sia da parte delle aziende che dei designer. C’è la tendenza ad interpretare le vetture elettriche con delle forme che con piccoli cambiamenti potrebbero essere quelle di una vettura tradizionale. Ciò che sta accadendo nel mondo dell’auto è una bellissima opportunità. Nella storia del design e dell’evoluzione dei codici stilistici, i picchi di innovazione formale corrispondono anche alle grandi innovazioni tecniche. Un esempio? Quando la radio è passata dalle valvole termoioniche ai transistor: una vera trasfor-

mazione. Secondo me, è quanto dovrebbe avvenire anche con una vettura elettrica: si stravolgono i parametri”. Come dire: se un giorno arriverà anche una Ferrari elettrica (prima aspettiamoci un’ibrida plug-in), state sicuri che proverà a ridisegnare il paradigma, a lavorare il concetto in stile Ferrari. Esattamente come sarà per il suv atteso per il 2022. Una Ferrari deve avere un equilibrio formale, un’armonia, essere figlia del lavoro a quattro mani di designer e ingegneri. Ogni soluzione è studiata perché abbia una funzione, non perché è finzione. “Come italiani, dobbiamo continuare a portare avanti un certo tipo di linguaggi basati sulla capacità di capire quanto sono importanti la proporzione e l’armonia. È qualcosa che vale per tutte le nostre opere d’arte. L’altro aspetto è l’espressività: un’automobile italiana per me deve essere fortemente emozionale e avere dei linguaggi anche con una certa sensualità. Certe forme plastiche e più scultoree ci appartengono. Abbiamo fatto la storia dell’automobile con questo tipo di idee. E poi il buongusto vuol dire evitare cadute di stile, stravaganze e soprattutto le cose fini a sé stesse, le cose finte che ci circondano dovunque”. E se proprio dobbiamo pensare a una Ferrari da esporre in un museo per rappresentare tutto questo, Flavio Manzoni non ha dubbi: “Fatemi scegliere una del passato e una di oggi… una P3 o una P4, macchine nate per la pista con una bellezza intrinseca spaventosa, non disegnate per attirare i clienti ma per andare più veloci della concorrenza. E una SF90 Stradale, un’auto che rappresenta l’ingresso della Ferrari in una nuova era”.

La Ferrari Roma, coupé con motore centrale-anteriore 3.855 centimetri cubici V8 da 620 cavalli.

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COVER STORY FIAT

La piccola bellezza.

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PAOLO BORGOGNONE

La nuova 500 elettrica cambia volto, accentua la sua empatia con fari che assomigliano a occhi umani e rilancia un’icona di stile italiano.

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■  Bellezza, design, tecnologia. Sono state le tre parole ricorrenti nella presentazione della nuova Fiat 500 elettrica, che il capo del marchio Oliver François ha fatto il 4 marzo nel cuore di Milano in piena emergenza da coronavirus. Un modo per dare anche un segno di nuovo inizio. Il modello a zero emissioni è stato disegnato nel centro stile di Torino dalla squadra del marchio Fiat diretta da Alberto Dilillo, che ha lavorato anche alla Centoventi, concept di piccola auto elettrica del futuro prossimo, svelata l’anno scorso a Ginevra. La 500 a batteria vuole reincarnare lo spirito della sua antenata nata il 4 luglio del 1957, che ha accompagnato la motorizzazione del nostro Paese. “La bellezza cambia il mondo”, dice François. Per farlo, il design sposa la tecnologia su una vettura che vuole essere un manifesto di stile per un nuovo decennio, senza stravolgere le linee di un’auto diventata una icona. Ora è più lunga di sei centimetri rispetto alla versione con motori termici, arrivando a 3,61 metri, e più larga sempre di 6 centimetri; il passo è cresciuto di 2 centimetri, toccando i 2,32 metri e qui tra i due assi è stato posizionato il pacco batteria, che abbassa anche il baricentro e migliora la guidabilità. I tratti salienti della 500 elettrica sono concentrati sul frontale: più dritto, in assenza del motore tradizionale, e con i fari rigorosamente tondi ma tagliati dal cofano nella parte superiore, cosa che li fa somigliare a occhi umani. Tratti che trasmettono empatia, un po’ come è sempre stato per il modello più piccolo del marchio italiano. Dilillo ha di fatto accentuato la caratteristica con cui la nuova 500 nacque negli anni ’50 fra le mani di Dante Giacosa, ingegnere e designer, geniale progettista di molte Fiat che hanno lasciato un segno nella storia. Se nella parte posteriore i tipici fari a sviluppo verticale restano come nella impostazione originale, gli interni del modello a batteria sono innovativi e con meno pulsanti per un uso semplice e intuitivo. Al centro della plancia, per la prima volta, un maxi schermo da 10,25 pollici che gesti-

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sce l’infotainment di quinta generazione: “Il più grande investimento in questo campo mai fatto da Fiat”, sottolinea François. Ma tutta la 500 elettrica è un insieme di innovazioni, nonostante la piattaforma non sia nuova ma riadattata all’uso. La più intrigante è quella che consente di scegliere il suono dell’auto: non un semplice ronzio, come prevede la normativa per le vetture a batteria che, a basse velocità, devono “avvertire” del proprio arrivo, ma una musica da personalizzare. Autonomia di 320 chilometri E siccome il futuro è anche sostenibilità, ecco che per la 500 elettrica – così come per la sorella e la Panda mild hybrid – è stato realizzato un rivestimento dei sedili composto al 10% di plastica riciclata, recuperata in fondo al mare. È il frutto di una intesa fra Fiat e il progetto spagnolo Seaqual che, per ogni chilo di filato ottenuto grazie a questa tecnica, assicura di togliere dagli oceani la stessa quantità di materiale plastico. Design empatico a parte, la 500 elettrica di seconda generazione – la prima del 2013 era stata riservata quasi esclusivamente al mercato californiano mentre questa viene prodotta su una nuova linea nello stabilimento di Mirafiori – dispone di una batteria agli ioni di litio da 45 chilowattora per un’autonomia di 320 chilometri. L’unità elettrica ha una potenza di 87 chilowatt, pari a 118 cavalli. Il sistema di ricarica della piccola torinese può contare su un “fast charger” da 85 chilowatt che garantisce 50 chilometri di autonomia con una permanenza di soli 5 minuti alla spina, mentre in 35 minuti il “pieno” arriva fino all’80%. L’azienda ha messo a punto anche un Wallbox per la ricarica domestica, con tempi naturalmente più lunghi. La nuova Fiat 500 elettrica dispone poi di sistemi di assistenza alla guida e di automazione di livello 2, mentre il prezzo riservato a La Prima, nome della versione di lancio full optional, è di 37.900 euro.


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COVER STORY ALFA ROMEO

Opere d’arte al futuro. BAT è l’acronimo di Berlinetta Aerodinamica Tecnica, una famiglia di modelli mitici disegnati da Franco Scaglione fra il 1953 e il 1955.

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MASSIMO TIBERI ■  Oggi le definiamo “concept car”, ma negli anni Cinquanta sugli stand dei Saloni dell’auto gli italiani le identificavano con termini come “prototipo” o “fuoriserie” mentre gli stranieri preferivano la più coinvolgente espressione “dream car”. A suscitare i sogni di schiere di appassionati, non molti dei quali potevano permettersi allora di acquistare una vettura, erano soprattutto i nostri carrozzieri famosi nel mondo. Naturalmente le basi preferite per i loro esercizi creativi

non potevano che essere modelli di produzione nazionale. A incoraggiarli e a sostenerli, anche con commissioni dirette, erano le Case impegnate nel ritrovare slancio dopo la fine di un conflitto che le aveva messe drammaticamente in ginocchio. Avanguardia che fa tendenza È in questo quadro che Alfa Romeo, allora in mano pubblica, fa nascere a partire dal 1953 e in sequenza annua-

le fino al 1955, tre prototipi destinati a mantenere per sempre un alone mitico: le BAT, frutto dello straordinario talento stilistico di Franco Scaglione, designer di punta della Bertone, che saprà stupire con scelte d’avanguardia destinate a fare tendenza. Sono anni di rinascita per il marchio milanese: nel 1950 aveva lanciato la 1900, modello che segna l’uscita dagli ambiti ristretti delle realizzazioni quasi artigianali, finalizzate soprattutto alle competizioni, per agire su un ben

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Lunga 4,50 metri, larga 1,59 e alta 1,35, l'auto è estremamente profilata, con carenatura totale delle ruote e fari occultati dentro gigantesche prese d’aria

più ampio mercato in crescita. BAT è l’acronimo della prima Berlinetta Aerodinamica Tecnica, siglata con il numero 5, presentata al Salone di Torino. Suscita clamore per i tratti fantascientifici che in realtà nascondono i risultati di una assai concreta ricerca di valori aerodinamici da primato. Lunga 4,50 metri, larga 1,59 e alta 1,35, l‘auto è estremamente profilata, con carenatura totale delle ruote, frontale caratterizzato da un “naso” centrale pronunciato e fari occultati dentro gigantesche prese d’aria. Le pinne posteriori Le grandi pinne posteriori convergono verso l’interno accentuando i toni di sapore aeronautico, mentre il lunotto diviso si estende fino a comprendere i cristalli laterali senza soluzione di continuità. Il risultato è un ottimo coefficiente di penetrazione Cx, pari a 0,23, che permette di centrare gli obiettivi in materia di prestazioni richiesti dal protocollo progettuale. La BAT 5, infatti, pur equipaggiata con una meccanica di serie (motore il quattro cilindri bialbero delle 1900 TI e Sprint da 100 cavalli) è in grado di superare i 200 chilometri orari invece dei 170/180 delle vetture normali, risultato a quei tempi straordinario in rapporto alla cilindrata e alla potenza disponibili. Con la BAT 7, apparsa sempre a Torino nel 1954, l’asticella viene fissata ancora più in alto. L’aerodinamica è ulteriormente affinata: la curvatura estrema delle pinne, l’ottimizzazione delle prese d’aria e il profilo delle 32

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superfici vetrate portano a un coefficiente Cx di 0,19, qualcosa di eccezionale anche rispetto a modelli dei nostri tempi. L’anno successivo la rassegna piemontese ospita la 9, versione rivista in chiave meno esasperata con l’occhio rivolto a una possibile omologazione e in un’ottica che tiene conto di logiche industriali meno onerose. I fari anteriori sono in posizione più convenzionale, le ruote posteriori sono solo parzialmente carenate, due piccoli rostri compaiono sui paraurti anteriori e le pinne sono di minori dimensioni. Sul frontale non manca il classico scudetto Alfa Romeo ripreso dalla gamma standard del Portello. Autentiche opere d’arte su quattro ruote, le BAT rappresentano un punto fermo nella più pura tradizione di eccellenza sia della Casa milanese che della Bertone. Tutt’ora in vita, sono di richiamo per il pubblico nelle più importanti manifestazioni di auto classiche a livello internazionale, come quella californiana di Pebble Beach che per altro quest’anno compie 70 anni. La carrozzeria torinese è infine tornata sul tema proponendo al Salone di Ginevra del 2008 la BAT 11, commissionata dal collezionista statunitense Gary Kaberle e realizzata sulla base dell’Alfa 8C Competizione: una moderna rilettura con forti legami al design originario.

La Alfa Romeo BAT 7 nell’area box prima della Palm Springs Road Race, 1955.


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Accessions Committee Fund purchase Š Edigio Bonfante Estate / Olivetti SpA.


COVER STORY INDUSTRIA

Creatività italiana. MASSIMO TIBERI

La Olivetti Lettera 22 e la Fiat 1400 nascono nel 1950 da due aziende radicalmente diverse per filosofia, quanto vicine nella visione moderna dei consumi di massa. il grande gruppo torinese, è invece un difensore dei ruoli gerarchici e impegnato nel contrastare le spinte sindacali. Entrambi, però, fanno leva sulle qualità di collaboratori in grado di conciliare tecnica e design in una visione moderna dell’approccio ai consumi di massa ancora in embrione, per poi crescere nel nostro Paese a partire dalla fine degli anni Cinquanta ed esplodere nel decennio successivo. “Facile, leggera e silenziosa” La Lettera 22 nasce dal lavoro congiunto dell’architetto Marcello Nizzoli e dell’ingegnere Giuseppe Beccio, che realizzano il progetto di una portatile “facile da usare, leggera, silenziosa e dal tocco morbido ed elastico”, come si presenta ai neopossessori nelle note del libretto di istruzioni. Sostituisce un’antesignana delle compatte, la MP1 del 1932, in chiave assolutamente innovativa. Dimensioni limitate (32,4 centimetri per 29,8 e

Accessions Committee Fund purchase © Giovanni Pintori / Olivetti SpA photograph: Don Ross.

■  Il 1950 è un anno cruciale per il rilancio dell’industria italiana nel difficile dopoguerra. È un momento nel quale anche la creatività assume un ruolo fondamentale: nei prodotti, la cultura dello stile e l’incontro tra il bello e il funzionale determinano il successo di oggetti capaci di trasmettere con l’estetica la propria vocazione. Protagoniste, in quell’anno, due espressioni della migliore capacità d’interpretare lo spirito del tempo: la macchina da scrivere Olivetti Lettera 22 e l’auto Fiat 1400. Sono due prodotti che nascono da aziende profondamente diverse, potremmo dire alternative dal punto di vista strutturale e delle modalità di riconoscersi nel sistema capitalistico. Adriano Olivetti, imprenditore di Ivrea di cui per altro oggi ricorrono i 60 anni della scomparsa, è il propugnatore di un’idea liberalsocialista di equilibrio tra profitto e solidarismo, che si traduce in alti salari e tutela dei diritti e bisogni dei lavoratori; Vittorio Valletta, che guida con mano di ferro

Due litografie su tela realizzate per la Olivetti Lettera 22 da Egidio Bonfante nel 1951 (a sinistra), e Giovanni Pintori nel 1962 (in alto) esposte al SFMOMA di San Francisco.

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La Fiat 1400 uscirà di scena nel 1958 con 180mila esemplari prodotti. La portatile Olivetti lascerà il campo nel 1963, dopo aver toccato ritmi produttivi annuali di 200mila unità

La Fiat 1400 Cabriolet del 1950.

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altezza di appena 8,3), scocca in alluminio per un peso complessivo inferiore ai 4 chilogrammi e una pratica valigetta con maniglia ne fanno una insostituibile compagna soprattutto per giornalisti e scrittori, ma anche per chi è alle prime armi con uno strumento all’epoca di largo e versatile impiego, grazie al prezzo contenuto di 42mila lire. Tanti i riconoscimenti che premiano la Lettera 22, con il Compasso d’Oro nel 1954 e l’inserimento nella collezione permanente del MoMA di New York. Il coronamento della filosofia di Adriano Olivetti si concretizzerà successivamente

in tanti altri prodotti stilisticamente d’avanguardia: dalle Praxis 48 e Valentine di Ettore Sottsass alla calcolatrice Programma 101 di Mario Bellini. L’auto di Dante Giacosa Il piano che porta al lancio della Fiat 1400 presenta molte analogie in termini di logiche progettuali, fatte ovviamente le dovute proporzioni fra due industrie così diverse. In campo c’è lo staff guidato dal progettista Dante Giacosa, che deve tener conto di orientamenti strategici imperativi. Valletta guarda agli Stati Uniti,


ti elementi distintivi che verranno confermati dalle rivali apparse sul mercato nei mesi successivi: Lancia Aurelia e Alfa Romeo 1900, in anticipo su straniere come Mercedes 180 o Peugeot 403. Due successi di mercato Più conservatrice sul fronte meccanico, la 1400 monta un quattro cilindri da 44 cavalli (aumenteranno fino a 58) e cambio a quattro marce con prima non sincronizzata. Le sospensioni posteriori sono ad assale rigido e i freni a tamburo, ma può ospitare sei persone in 4,30 metri di lunghez-

za ed è ben accessoriata. Sulla stessa base arriverà nel 1952 la più potente 1900 e in gamma ci saranno versioni cabriolet e diesel, mentre sul piano estetico non mancheranno, seguendo sempre la moda americana, varianti bicolore. Lettera 22 e 1400 incontreranno il favore del pubblico. La Fiat uscirà di scena nel 1958 costruita in circa 180mila esemplari, quando ormai con 1100, 600 e 500 la motorizzazione di massa dell’Italia è avviata. La portatile Olivetti lascerà il campo nel 1963, dopo aver toccato nella fabbrica di Agliè ritmi produttivi annuali di ben 200mila unità.

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che sostengono la ricostruzione con il Piano Marshall, valutando anche l’ipotesi di un “esilio” dell’azienda oltreoceano in caso di conquista del governo da parte dei comunisti. La nuova berlina della Fiat, presentata al Salone di Ginevra nel marzo del 1950, è dunque fortemente ispirata dalla missione negli Usa del responsabile carrozzerie Giuseppe Alberti presso la Budd di Detroit, coinvolta nella realizzazione dei processi produttivi, e da vetture come la Kaiser Special. L’auto ha scocca portante – è la prima volta su un modello del marchio – e linea a tre volumi “ponton” con parafanghi integrati, tut-

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COVER STORY GIO PONTI

La Linea Diamante L’architetto e designer milanese Gio Ponti nel 1952 pensa questa forma per l’automobile con un telaio Alfa Romeo. Ma né la Carrozzeria Touring, cui Ponti si rivolse, né successivamente la Fiat osarono realizzarla. Era troppo in anticipo sui tempi: ci vorranno una ventina d’anni perché certe soluzioni vengano applicate su modelli di serie. Gio Ponti aveva pensato questa forma in relazione alle auto di allora, “piene di vuoto”: radiatori altissimi, finestrini piccoli e alti da terra, spazio interno buio. La Linea Diamante è una forma anticipatrice: le lamiere della carrozzeria sono piatte, il cofano è basso, i finestrini ampi, i sedili posteriori reclinabili, il portabagagli grande ed accessibile dall'interno e separato dall'alloggiamento della ruota di scorta; l’interno spazioso e luminoso.

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Courtesy of Il Ponte Casa dÂ’Aste .


COVER STORY VOLKSWAGEN

Architettura senza limiti. EDOARDO NASTRI

Klaus Bischoff è a capo del design di tutti i brand del gruppo tedesco. Le forme che sceglie raccontano la storia di ogni marchio. Ma anche il futuro. A partire da elettriche che si moltiplicano senza fine. ■  Il più grande desiderio di ogni designer è vedere realizzate le cose che ha disegnato. Soprattutto quelle più fantasiose ed estreme. Per chi si occupa di automobili, però, a causa dei tanti componenti, tutti strettamente legati tra loro, i limiti alla creatività sono molti. Almeno finora. “Con l arrivo delle vetture elettriche qualcosa sta cambiando”, ci racconta Klaus Bischoff, responsabile design del gruppo Volkswagen. “La piattaforma Meb (dal tedesco, Modulare E-Antriebs-Baukasten) dedicata alle auto a zero emissioni ci offre livelli di libertà completamente nuovi con risultati sorprendenti. Abbiamo un solo grande vincolo: il pacco batterie installato nel pianale. Dal pavimento in su però tutto è possibile”.

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I primi risultati di questo lavoro si sono già visti. La ID.3, prima Volkswagen elettrica costruita sulla nuova piattaforma, inizierà a circolare per le strade d’Europa in estate, salvo ritardi per alcuni problemi di software. Ed è in arrivo anche il secondo modello della famiglia: la ID.4, un suv compatto (4,26 metri di lunghezza) che debutterà entro la fine anno. “La Meb ha trasformato così radicalmente il design delle nostre auto che abbiamo creato una gamma specifica di veicoli, tutti riconducibili ai medesimi caratteri stilistici fondamentali”, continua Bischoff. “Passo lungo, sbalzi corti. La ID.4 grazie alla propulsione elettrica riesce a offrire lo spazio interno di una vettura di segmento superiore. Per quest’auto

abbiamo sviluppato uno stile fluido che unisce l espressione della potenza con le esigenze dettate dall’aerodinamica”: aspetto fondamentale per un’auto a zero emissioni perché è uno dei fattori che aumenta l'autonomia di percorrenza. Quindi via spigoli e forme aggressive, si torna a linee dolci che ispirano simpatia, “come è stato per diversi modelli del passato, dalla Beetle al furgoncino T1, diventati veri e propri simboli di periodi storici”. Luce e voce Alcuni tratti del frontale piatto della ID.4 sono disegnati dalla luce: al centro spicca il nuovo logo retroilluminato (disponibile solo su alcuni mercati) collegato attraverso una linea conti-


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"Per la ID.4 abbiamo sviluppato uno stile fluido che unisce l'espressione della potenza con le esigenze dettate dall'aerodinamica"

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nua di Led ai proiettori “dallo sguardo calmo e rilassante. Ritroveremo questi elementi in tutte le Volkswagen ID. che arriveranno in futuro”. Offerta in configurazione modulabile a due o quattro ruote motrici, la ID.4 ha un’autonomia variabile che, a seconda del tipo di allestimento scelto, può arrivare, secondo quanto dichiarato da Volkswagen, a 500 chilometri

con un solo pieno di energia. La batteria può essere ricaricata con corrente trifase e corrente continua. Anche se gli interni della ID.4 non sono ancora stati mostrati, possiamo comunque aspettarci un’impostazione simile a quanto visto sulla sorella primogenita ID.3. La maggior parte dei comandi fisici è sparita e le diverse funzioni sono delegate alla


voce, grazie ai gesti e ad un assistente vocale attivo e collegato in rete. “Due elementi che permettono al guidatore di non distogliere gli occhi dalla strada e staccare le mani dal volante, e di avere una risposta dei sistemi più veloce e immediata”. Per seguire questa impostazione, tutti i display sono posizionati in alto appena sotto il livello dello sguardo,

un’operazione simile a quanto avvenuto anche sull’ottava generazione della Golf. Ma c'è di più: “I modelli costruiti sulla Meb possono supportare sistemi info telematici avanzati alimentati dal pacco batterie, come il grande head-up display tridimensionale che proietta le informazioni sul parabrezza e molte altre novità che presenteremo in futuro”. Dispositivi

che necessiterebbero di un accumulatore dedicato se fossero auto con motore tradizionale. Tutto si può fare “Su questa piattaforma modulare possiamo costruire qualsiasi altra architettura possibile senza limiti”, continua Bischoff, dalla ID. Buzz, il Bulli del futuro, alla ID. Buggy, una rivisitazione della mitica Dune Buggy degli anni Sessanta. “Queste concept car che abbiamo presentato dimostrano che tutto si può fare. La libertà è ovviamente frutto dei grandi investimenti che Volkswagen ha fatto e che farà ancora per sviluppare la mobilità elettrica”. Il marchio tedesco ha intenzione di diventare leader nel mercato delle auto elettriche, con circa 1,5 milioni di veicoli a zero emissioni prodotti entro il 2025. Le cifre destinate al raggiungimento dell’obiettivo sono alte: 33 miliardi per il gruppo fino al 2024, di cui 11 solo per il brand Volkswagen. Alla produzione delle elettriche del marchio è stato riservato lo stabilimento di Zwickau, a sud di Lipsia, che costruirà fino a 330mila veicoli a batteria all'anno a partire dal 2021. La trasformazione stilistica radicale derivante dalla nuova architettura coinvolgerà tutti i marchi del gruppo Volkswagen. “La mia intenzione, come nuovo capo del design, è quella di continuare a valorizzare l’identità di ciascun brand”. Se Volkswagen sta tornando alle origini con uno stile più dolce e simpatico, “ogni altro marchio creerà una propria identità in base alla propria storia ed esperienza. Ognuno di essi dovrà essere considerato nel contesto della nuova mobilità e in quello del gruppo. Vogliamo continuare a raccontare le storie del nostro portfolio di brand e di automobili leggendarie. La chiave più efficace per farlo? Neppure a dirlo… il design”, conclude Bischoff.

In apertura il designer Klaus Bischoff. Accanto la versione quasi definitiva della Volkswagen ID. 4. Aprile 2020 |

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COVER STORY RENAULT

L’auto dentro l’altra. CARLO CIMINI

Morphoz è il prototipo elettrico con forme da crossover che si adatta materialmente a esigenze diverse, come ci racconta il suo designer Laurens van den Acker.

■  La mobilità del futuro ha diverse certezze: sarà elettrica, connessa e autonoma. Ne ha meno quando si parla di design, tant’è che Laurens van den Acker, il capo del centro stile di Renault che in un decennio ha rivoluzionato il marchio, risponde oggi con un concetto: modularità. Da Parigi e non più dal Salone di Ginevra cancellato ¬ ha presentato la sua nuova creatura di nome Morphoz, con linee da crossover sportiveggiante e trasformabile. Il concept è naturalmente elettrico e riprende il significato di morfologia : lo studio della forma e della struttura degli organismi viventi e delle loro parti, ma anche geografica, sociale e linguistica. Un pro-

totipo che ruota attorno all’uomo , sottolinea van den Acker, attraverso la sua capacità di facilitare condivisione, scambio e offrire la tecnologia in tutte le sue declinazioni. L’arrivo sul mercato del modello di serie è previsto per il 2025. Morphoz è basato sulla piattaforma modulare Cmf-Ev, che contiene già in sé il concetto della diversificazione e infatti ha due varianti: City – con una lunghezza di 4,40 metri e un pacco batteria da 40 chilowattora per circa 400 chilometri di autonomia – e Travel, più grande, con i suoi 4,80 metri e anche con una batteria più capiente da 90 chilowattora, per una autonomia di 700 chilometri. Morphoz sarà Aprile 2020 |

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dotata del livello 3 della tecnologia senza conducente: l’automobile sarà in grado di gestire da sola il viaggio in condizioni normali mentre l’essere umano a bordo sarà chiamato a intervenire solo in situazioni di pericolo o su richiesta del sistema. Una rivoluzione Chiediamo a van den Acker quanto il suo lavoro di designer sia influenzato dall’elettrificazione: “C’è stata – risponde - una trasformazione enorme nel settore automotive così come nella società in cui viviamo. Il cambiamento è avvenuto per una crescente attenzione alla sostenibilità ambientale che presuppone una nuova modalità 46

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di guida e, quindi, nuove tipologie di veicoli. Il nostro lavoro è cambiato. I designer hanno più difficoltà nel progettare un’auto e devono fare attenzione agli obblighi e ai vincoli strutturali: deve essere compatta ma dinamica, ristretta ma spaziosa, sicura ma con uno stile che sappia integrare, per esempio, telecamere e sensori. Per raggiungere un ottimo risultato bisogna puntare al miglior compromesso: il primo passaggio è dal termico all’elettrico, il secondo è quello della connettività necessaria per inserire la guida autonoma a bordo. È una rivoluzione entusiasmante, ma che fa anche tremare”. “L’elemento delle proporzioni di un’auto elettrica – ci dice ancora van den Acker – è l’aspetto più stimolan-

te per un designer. I motori sono più piccoli, il fondo deve essere piatto per alloggiare una batteria, il passo è più lungo e a queste caratteristiche bisogna abbinare l’eleganza. Con Morphoz ci siamo riusciti”. E la modularità, l’auto à la carte? “Ci siamo resi conto – prosegue il designer olandese – che una sola auto non può accontentare tutti e che c’era bisogno di almeno due tipi di batterie per dare al consumatore la possibilità di scegliere. L’idea, insomma, è creare un’auto versatile che non perdesse di stile. Tenendo conto di concetti come sensualità, personalità, carattere e charme da associare a una certa tecnicità e alla perfezione. Tutto quel che pensiamo che caratterizzerà i prossimi dieci anni della mobilità”.



COVER STORY BMW

Zero emissioni, molto stile. Nuova i4, linee tese da “gran coupé quattro porte” intorno a un cuore elettrico da 530 cavalli con un sound composto da un musicista. PAOLO ODINZOV ■  Il pubblico non l’ha ancora vista dal vero perché, a causa dell’annullamento del Salone di Ginevra, è stata presentata in video streaming. Ma la linea della nuova Bmw i4, prototipo molto vicino alla versione di serie attesa nel 2021, ha subito scatenato sul web montagne

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di clic e un dibattito intenso, anche per le sue tante innovazioni tecnologiche. La i4 è una berlina medio-grande con cui Bmw risponde alla sfida di Tesla, in particolare alla Model 3. Oliver Zipse, ceo del gruppo tedesco, la definisce “una elegante gran coupé a quat-


tro porte”. In effetti, l’auto colpisce al primo sguardo: il passo lungo, l’andamento inclinato del tetto e gli sbalzi corti contribuiscono a renderla estremamente filante. Nel frontale è caratterizzata dalla enorme mascherina priva di feritoie, sopra la quale spicca il nuovo logo Bmw senza la tradizionale cornice nera. La parte posteriore è segnata da elementi blu integrati nel diffusore che indicano subito l’anima a batterie del modello. “La i4 porta l’elettrificazione al centro del nostro marchio e il suo design, semplice e pulito, la identifica fin da lontano come una Bmw a zero emissioni”, spiega Adrian van Hooydonk che dirige il centro stile della Casa e ha disegnato le forme della vettura. Anche all’interno la i4 stupisce.

L’abitacolo è un mondo a parte, fatto di tecnologie e materiali ricercati dall’aspetto minimalista ed esclusivo. I comandi fisici sono praticamente inesistenti, ad eccezione di pochi tasti tra cui il comando rotante della trasmissione con finiture “crystal glass”. Per controllare le varie funzioni c’è un enorme display touch curvo che integra l’infotainment e la strumentazione davanti al guidatore. Prodotta interamente nello stabilimento di Monaco, dove Bmw ha investito 200 milioni di euro per adeguare le linee, la i4 utilizza nella propulsione la tecnologia Bmw eDrive di quinta generazione che fornisce una potenza massima di 390 chilowatt (530 cavalli), equivalente a quella di un attuale motore a combustione a otto cilindri

della Casa. Ad alimentarla provvede una batteria da 80 chilowattora, ottimizzata nella densità energetica ed estremamente sottile nell’ingombro, capace di garantire con una sola carica fino a 600 chilometri nel ciclo Wltp. Comunica con tutti Attraverso le Experience Mode è possibile selezionare tre diverse modalità di gestione (Core, Sport ed Efficient), modificando anche l’impostazione grafica del cockpit e l’illuminazione interna. Sulla i4 debutta l’Assisted Driving View che comunica con l’ambiente circostante e mostra cosa stanno rilevando i sensori per consentire al guidatore di anticipare alcune manovre e ridurre il consumo energetico. Sotto l’elegante vestito cucito sulla i4 da van Hooydonk è stato particolarmente curato il suono del motore elettrico, chiamato dai tedeschi IconicSounds Electric e scritto dal compositore Hans Zimmer e dal sound designer Renzo Vitale. “È molteplice e punta a sorprendere a seconda delle impostazioni di marcia”, spiega Zimmer. Adagio, andante e allegro, la i4 viaggia quasi seguendo i tempi di una orchestra. Con stile e senza inquinare.

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COVER STORY USA

Che curve. La forma della celebre bottiglia della Coca-Cola, i parafanghi della Corvette, l’accostamento all’attrice Mae West: una storia di design americano. FLAVIO POMPETTI ■ NEW YORK ¬ La somiglianza si apprezza nella veduta laterale delle vetture, ritagliata nell’orizzonte come se fosse bidimensionale e con la bottiglia della Coca-Cola sdraiata al loro fianco. Viste così, l’una accanto all’altra, si capisce perché la Corvette, la Mustang, la Camaro, la Corvair e altre auto sportive statunitensi a cavallo degli anni ’60 e ’70 condivisero quello che fu chiamato “il design automobilistico della bottiglia di Coca”. L’esempio più lampante è l’accostamento alla bottiglietta conosciuta come “Mae West” del 1915: due curve generose, strozzate al centro come se premute da una cintura, e la Corvette Stingray del 1969, una trasposizione quasi letterale dello stesso concetto di sinuosità sensuale che apparteneva alla regina del vaudeville e di Hollywood degli anni ’30.

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La bottiglia di Coca-Cola: un’icona americana alla mostra 100 del 2015 presso l’High Museum of Art di Atlanta, negli Stati Uniti.

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Il punto di svolta nel design automobilistico degli anni ’50 è stato l’utilizzo della fibra di vetro, un materiale elastico che cancellava la rigidità della lamiera e apriva la porta a profili mai sognati prima: nella Corvette C1 del 1953 trovò un sigillo di nobiltà. La Gm aveva chiesto al suo creatore Harley Earl di progettare per il marchio Chevrolet una sportiva di prestigio, capace di competere con le migliori fuoriclasse del Vecchio continente. Lo studio si chiamava in codice “Project Opel” – il marchio della divisione europea del gruppo ¬ e soltanto alla vigilia del tradizionale Motorama del 1953, la presentazione post natalizia che la Gm teneva nei saloni del Waldorf Astoria di New York, venne fuori il nome del nuovo modello, ispirato alla classe delle agili corvette della marina militare. Dinamismo e originalità La C1 non aveva ancora i parafanghi “a reggipetto” come quelli che Larry Shinoda disegnò per la C3, ovvero la Stingray del 1969, ma nemmeno la bottiglia di Coca agli inizi della sua storia aveva la forma Mae West. La bevanda, che il farmacista di Atlanta John Stith Pemberton aveva venduto per anni al bancone del suo negozio, veniva inizialmente imbottigliata in un contenitore di vetro verde scuro, come quello per la birra. Ma con la popolarità e la diffusione su scala nazionale, dilagavano anche i cloni. Nel 1915 gli amministratori della Coca-Cola lanciarono un bando con il quale chiedevano a otto aziende del vetro di presentare progetti per una bottiglia “dai tratti così distintivi da essere riconosciuta ad occhi chiusi, anche se ridotta in frantumi”. Il resto è la storia scritta da quattro generazioni di consumatori che sono cresciuti all’ombra e nell’adorazione della bottiglia che venne fuori dal processo di selezione. L’interpretazione in chiave automobilistica di quel mito sono state le curve esagerate dei parafanghi che decorano le cosiddette “pony car” a cavallo tra i due decenni. L’ispirazione in realtà era più ampia che il semplice riferimento alla bevanda gasata. Nello stile “Bottiglia di Coca” convergono stilemi e principi dell’aeronautica che cercano di minimizzare la forza di trascinamento di un corpo in movimento. Tutti questi elementi finiscono poi per definire il dinamismo e l’originalità di quella generazione più giovane che, per la prima volta, si esprimeva in massa per prendere le redini della società americana. La Chevrolet Corvette Stingray Concept, 1959. Aprile 2020 |

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COVER STORY CHEVROLET

Corvette, American idol.

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THOMAS GEIGER

Al volante dell’ottava generazione della sportiva made in Usa: ora ha un motore V8 in posizione centrale, doppia frizione e struttura in alluminio e carbonio per sfidare le Rosse di Maranello.

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■  LAS VEGAS – Chevrolet contro Ferrari – e ce ne vuole, perché per quanto la Corvette sia sempre andata alla grande, è un po’ come se si scontrassero in campo l’Eintracht Frankfurt e il Bayern Monaco. Da una parte il simpatico sfidante con lunga tradizione e tanti tifosi, dall’altra il club milionario con l’arroganza di quello che trionfa sempre. Chi vinca il duello non è mai stato in dubbio. Ma ora gli americani tentano l’ascesa: le consegne delle nuove Corvette Stingray negli Stati Uniti cominciano subito, in Europa solo tra un anno. “In quasi 70 anni questa è la scommessa più grande che abbiamo fatto”, dice il capo dell’engineering Ed Piatek indicando un telaio senza l’usuale corpo in vetroresina. Potrebbe benissimo essere quello di una Ferrari: proprio come i marchi di Maranello (ed è lo stesso per Lamborghini o McLaren), il motore non è più montato nella parte anteriore, ma al centro della struttura in alluminio e carbonio, ben sistemato sotto una copertura di vetro. L’architettura a motore centrale abbassa il centro di gravità e migliora la distribuzione dei pesi, mentre il volante è più leggero e “si ha una migliore visibilità”, sottolinea Piatek. Un brivido di paura sul collo Il risultato è un’esperienza di guida di alto livello. Se nella vecchia Corvette dovevi aspettare qualche istante prima che la lunga parte anteriore seguisse il volante, la nuova coupé ora appare molto più agile e ruota direttamente insieme al conducente. Quando pensi di girare, la Corvette lo ha già fatto e all’uscita dalla curva ti ritrovi di nuovo lanciato in rettilineo. Favorita dall’adozione della prima doppia frizione per questa icona a stelle e strisce, la Corvette ti catapulta dentro l’orizzonte senza troppi complimenti, facendoti scorrere lungo il collo quel brivido di paura che si prova solo alla guida di una Porsche o di una Ferrari. Si parte con la Stingray, il modello base, ancora non si parla di ZR1 o Z06 ma questo diavolo supersonico non delude. Anche se non è certo un peso leggero, 495 cavalli e 637 newtonmetri di coppia sono sufficienti per garantire prestazioni di guida mai offerte prima su un modello comparabile: accelera da 0 a 100 in meno 56

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di 3 secondi, 312 km/h di velocità massima, un mostruoso V8 di 6.2 litri chiamato “Small Block”. Nella modalità Tour, il primo dei tre profili di guida (gli altri sono Sport e Track), non solo è più confortevole di qualunque modello arrivi dall’Italia o dall’Inghilterra, ma anche molto più silenziosa. Ha due portabagagli, uno anteriore e uno posteriore, e un tettuccio che si può rimuovere per una bella boccata d’aria. Arriverà anche una cabrio vera e propria e per la prima volta – siamo ancora in clima di cambiamenti rivoluzionari – avrà un tetto rigido retrattile. La nuova Corvette regala sorprese non solo quando si è al volante. Il design è spettacolare, gli interni sono completamente rinnovati. E non parliamo della strumentazione digitale e dell’ampio schermo touchscreen, o del volante quasi quadrato, sorprendentemente comodo da impugnare, piatto sopra per migliorare la visibilità sulla strada e piatto sotto così è più facile entrare in macchina. La novità è soprattutto nel colore, nelle finiture in pelle e in una presenza diffusa di elementi in nudo metallo. È bella da vedere, è bella da toccare, soprattutto ti fa dimenticare quelle tremende spianate di plastica con cui gli americani offendono il senso estetico degli amanti della velocità. Peccato quella larga separazione tra i due sedili, sembra la cortina di ferro. E avrebbero anche potuto risparmiarsi la barra dei pulsanti che corre lungo la separazione. Voglio dire: come si fa a spingere su dei tasti così piccoli mentre si guida un’auto con una potenza di 500 cavalli? L’ottava generazione della Corvette può giocare in serie A con la Ferrari e le altre. Il costruttore americano non ha tuttavia dimenticato le sue origini ed è rimasto fedele alla sua reputazione in almeno una cosa: se comprare i biglietti per la partita dell’Eintracht costa molto meno che andare a vedere il Bayern, la Corvette è praticamente un affare rispetto ai modelli con motore centrale che escono da Maranello. La Stingray è già in vendita negli Stati Uniti per poco meno di 60mila dollari, più o meno il prezzo base di una Porsche Cayman. Per noi in Europa il prezzo probabilmente salirà ai livelli della 911 con la tassa extra di un’auto importata e allestimenti superiori: ci aggireremo sui 100mila euro. Ma sempre un affare per la sua categoria. Aprile 2020 |

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COVER STORY FORD

Guardare avanti. “Un design che aiuti le persone a vivere in grande dentro un piccolo spazio”. Parola di Amko Leenarts, capo del centro stile della filiale europea del costruttore americano. FRANCESCO PATERNÒ ■  Non lo dice, ma certo deve avere avuto più libertà nel disegnare un’auto per l’Europa, piuttosto che un modello che andasse bene prima agli americani e poi semmai al resto del mondo. La nuova Ford Puma, piccolo crossover che sta scalando il mercato, è il primo veicolo europeo di Amko Leenarts, dal luglio del 2017 a capo del centro stile di Ford Europe, dopo cinque anni passati al quartier generale di Dearborn nel Michigan e precedentemente a Parigi in Psa, laurea in architettura in Olanda e master al Royal College of Art di Londra. Leenarts spiega che la filosofia stilistica della Puma è basata sul concetto che in Ford chiamano “Human-Centric Design”, che non ha bisogno di traduzione. Nella linea, il crossover ha sì tratti sportiveggianti ma senza certe esagerazioni che caratterizzano molti modelli del genere: meglio dare l’idea, ci dice Leenarts, “non di un culturista ma di un corridore”. Il mercato sembra oggi richiedere soltanto suv e crossover in tutti i segmenti: gli chiediamo se si senta rassegnato a dover disegnare soltanto questo tipo di carrozzeria seguendo i gusti dei consumatori o se, professionalmente parlando, ha un piano B: “La domanda di modelli con un piano di seduta alta è psicologia umana, non soltanto una innovazione di silhouette. Fare suv e crossover più compatti è una grande sfida e attiva quel

che chiamo la ‘and solution’: gran design ‘and’ praticità che aiuti le persone a vivere in grande dentro un piccolo spazio”. Leenarts è uno specialista di design d’interni, ha cominciato da lì dopo il liceo perché – ha raccontato in altre occasioni – “era semplice studiare cosa mi era vicino”: bastano “180 secondi”, sostiene, per capire se gli interni di un’auto “piacciono o non piacciono”. Sulla Puma ha fatto un lavoro intelligente nello sfruttamento degli spazi, considerando che il pianale a disposizione era quello della precedente Fiesta e non uno nuovo di zecca che avrebbe potuto dare più centimetri a disposizione. In particolare, Leenarts ha messo a punto un bagagliaio con uno spazio più grande scavando in basso, soluzione chiamata Megabox non originale ma che va oltre per funzionalità e capacità di carico rispetto alle rivali. Di sicuro è un designer versatile se si considera che ha lavorato anche alla Ford GT, spettacolare sportiva alla cui filosofia stilistica si è ispirato per i 12 oggetti presentati a Milano alla Design Week del 2016. Facile disegnare auto, ma come disegna la nuova mobilità, gli chiediamo? “Beh questo è un tema ampio… abbiamo disegnato mobilità per 120 anni, ogni periodo ha avuto le sue sfide. Oggi Ford lavora per ottenere i più alti standard di trasporto, in qualsiasi forma. E come comunità di design siamo super eccitati a portare la nostra visione nella vita di ogni giorno”. Aprile 2020 |

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COVER STORY HYUNDAI

Pietra e acqua. Una concept di nome Prophecy e la nuova filosofia stilistica del marchio coreano raccontate da SangYup Lee, vicepresidente a capo del design.

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MARGHERITA SCURSATONE ■  RÜSSELSHEIM – Prophecy è la nuova concept elettrica di Hyundai. Così ce la racconta il vicepresidente del design globale del marchio, SangYup Lee, mentre toglie i veli al prototipo nel loro centro stile europeo di Rüsselsheim, vicino Francoforte: “Ha un’armonia estetica che emoziona al primo sguardo, linee morbide e sensuali, un frontale per strappare un sorriso, interni raffinati e dal comfort elevato”. Coreano di nascita e ameri-

cano di formazione, Lee ha 50 anni ed è stato assunto dal marchio nel 2016. La Prophecy è frutto di un lavoro di squadra tra la Corea e l’Europa, tiene a sottolineare. L’esterno è stato disegnato nel grande centro ricerche di Namyang, a sud-ovest di Seoul, gli interni sono stati concepiti a Russelsheim e il prototipo è stato costruito vicino a Monaco. “La Prophecy è una berlina iconica che non segue le tendenze ¬ sostiene Aprile 2020 |

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“L’auto è un prodotto emozionante e vogliamo massimizzare il suo valore emotivo”

il designer – ma esprime una bellezza senza tempo che definisce e influenzerà la futura gamma di veicoli elettrici”. Un concept che vuole riportare agli anni ’20 e ’30, quando le automobili erano scultoree, snelle e più ottimiste, “valori che volevamo incorporare proprio in questa forma,” aggiunge Lee. Si percepisce un contrasto voluto tra natura e tecnologia, emozione e praticità, mondi analogici e digitali, per creare tensione ed esclusività. Il risultato è a metà strada tra berlina sportiva e coupé, forme tondeggianti e minimaliste alle quali l’aerodinamica ha imposto un frontale piuttosto classico, un tetto discendente, una coda raccolta e sbalzi corti. L’influenza arriva dalla “forma liscia di un ciottolo nero e dallo scorrere dell’acqua sulla pietra”, spiega in modo immaginifico Lee: e se la verniciatura nera lucida evidenzia i flussi d’aria derivati dalla natura, il contrasto con la tecnologia arriva dai fari anteriori e posteriori a pixel. Introdotti per la prima volta nella Concept 45, saranno un elemento caratteristico dei modelli futuri. Personalità diverse Come evolverà il design delle prossime Hyundai? “Avranno ciascuna una diversa personalità” e “ci concentreremo più sullo stile di vita e sulle esigenze dei clienti”. Uno degli esempi di questa nuova filosofia è la Vision T, concept car di un crossover ibrido plug-in che anticipa le linee della nuova Tucson, presentata in novembre al Salone di Los Angeles: “La Vision T ha stupito con un design dirompente rispetto al passato. Sarà sorprendente vedere quanto la vettura di produzione sarà vicina alla concept”. Si tratta di una rottura decisa con gli stilemi attuali del costruttore coreano. “Quattro anni fa – dice ancora Lee – abbiamo avviato una vera e propria rivoluzione per dare ad ogni veicolo la propria personalità, partendo dal concetto

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‘sensuous sportiness’ (sportività sensuale)”, che si basa su quattro elementi fondamentali: proporzione, architettura, stile e tecnologia. Dopo una laurea in scultura all’università Hongik in Corea e studi all’ArtCenter College di Design in California, Lee ha iniziato a lavorare alla Pininfarina, poi in Porsche e in General Motors dove contribuisce alla Camaro Concept (che si trasforma nell’iconica Bumblebee nel film “Transformers”) e alla Corvette Stingray Concept. Una parentesi nel gruppo Volkswagen in America, nel 2012 a capo degli esterni e dell’Advanced Design di Bentley, nel 2016 l’approdo alla Hyundai. Niente family feeling Il primo progetto a indicare il futuro della marca coreana è stata la coupé elettrica Le Fil Rouge, presentata al Salone di Ginevra nel 2018. “Abbiamo abbandonato la filosofia del family feeling con la stessa calandra per tutta la gamma. L’auto è un prodotto emozionante e vogliamo massimizzare il suo valore emotivo”. L’analogia proposta da Lee è quella del gioco degli scacchi, dove ci sono re, regina, alfieri, cavalli, torri e pedoni che sembrano tutti diversi e giocano ciascuno un proprio ruolo, ma tutti insieme formano una squadra. A Le Fil Rouge è seguita la Concept 45, una compatta dalle linee tese che definiscono angoli di 45 gradi e creano una silhouette a forma di diamante, omaggio alla storia di Hyundai con la prima Pony Coupé del 1974 disegnata da Giugiaro. A proposito di berline: quanto è difficile disegnarne una attraente nel momento in cui il mercato si sposta sempre più sui crossover? “Questa è la grande sfida – ci risponde Lee – la berlina non morirà. Ma dovrà evolvere come la nostra Prophecy, che esce dallo schema tradizionale dei tre volumi”.


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COVER STORY DS

La geometria. DS, marchio premium del gruppo Psa, prova a reinterpretare il concetto del suv di lusso con il prototipo Aero Sport Lounge. La geometria domina le linee esterne di un veicolo lungo cinque metri, sintesi di concetti quali aerodinamica, eleganza e originalità. Nel posteriore, design e proporzioni suggeriscono l’idea di un suv coupé. I cerchi sono da ben 23 pollici. Il frontale è caratterizzato da fari a Led verticali – già caratteristica del marchio francese – e da un grande griglia che prosegue sul cofano, evidenziata dallo stesso colore scuro. Dietro la griglia non c’è motore termico: il concept è elettrico con potenza equivalente a 680 cavalli alimentato da un pacco batterie con una capacità di 110 chilowattora e dotato di guida autonoma.

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COVER STORY DESIGN

Rivoluzioni. ROBERTO SPOSINI

Come l’abitacolo di un’auto cambierà in modo radicale: entrano nuovi materiali, un diverso rapporto uomo-macchina, inediti concetti etici, di fisica, di estetica e di ambiente.

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Il concept della Lexus LF-30, interpretazione per il 2030 del costruttore giapponese.

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Uno schermo touch all’interno del concept DS Aero Sport Coupé.

■  Ieri bastava dire “car interior” per definire ogni aspetto legato a forma, funzione e progettazione degli interni di un’automobile. Oggi il concetto si è evoluto e a definire le nuove frontiere stilistiche dell’abitacolo è arrivata la “user experience”. Il vocabolario si adegua, muta e, salvo l’abuso di anglicismi, cerca di raccontare al meglio la rivoluzione formale che sta coinvolgendo l’abitacolo dell’auto. Ieri, per occuparsi della materia bastava il gusto, il senso estetico e cromatico, qualche cenno di ergonomia, nozioni base di design e via, si potevano sfornare plance bislacche come quella “traforata” della Lancia Beta Trevi o sedili al limite dell’essenziale come quelli ad amaca della prima Fiat Panda. Oggi bisogna sapere di antropometria dell’automobile (la scienza che si occupa di misurare il corpo umano), di “car sketching” e marketing. Auto senza direzionalità Per interpretare le tendenze chiave che modellano gli interni automobilistici attuali e futuri, per non parlare delle trasformazioni epocali della nuova generazione di veicoli autonomi, ormai non basta il ruolo del car designer, ci vogliono nuove figure dai nomi evocativi: “head of user interface”, “head of user experience”, “head of physical analysis department”, e poi schiere di “creative designer”, “advanced designer”, “marketing designer”, “product designer”, “graphic designer” ed ergonomic, quelli che progettano e valutano i requisiti ergonomici dell’auto. Oggi, bisogna fare i conti con nuovi sistemi di controllo, sapere cos’è un’interfaccia uomo-macchina (ossia come interagiamo con i comandi dell’auto), gestire intrattenimento e connettività, i due trending topic globali dell’auto. 68

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Anche il benessere e la sicurezza offerti dai sistemi di assistenza alla guida gli Adas richiedono nuovi approcci stilistico-funzionali. Per non parlare di quelli etici e sostenibili: neomateriali, biomateriali, materiali riciclati e riciclabili, tessuti privi di allergeni, antimicrobici, dalla soia all’olio di ricino, dalla paglia di grano alla fibra di kenaf, alla cellulosa, al legno, alla fibra di cocco e alle bucce di riso. Tutte cose da nuova frontiera dell’economia circolare. E ancora: c’è l’attenzione alla faci-

lità d'uso e al design inclusivo, quello che pensa alle esigenze di una società sempre più anziana. Insomma, l’auto vista da dentro per come la conosciamo ha gli anni contati. Fuori, le ruote rimarranno a lungo quattro. Ma parabrezza, volante, pedaliera, leva del cambio e plance saranno spazzate via dalla guida autonoma: non quella attuale ma quella vera senza pilota che cancellerà ogni residuo formale del passato. Auto senza direzionalità come le chiamano i


progettisti, cubiche con interni empatici e connessi. Per comprendere l’evoluzione basta confrontare gli interni della Ford T, icona dell’auto di massa americana, con quelli della recente Concept 360c di Volvo, elettrica, autonoma e soprattutto capace di essere salotto, ufficio, spazio dedicato al tempo libero e persino con un luogo dedicato al sonnellino pomeridiano. Ieri l’abitacolo era pensato per i passeggeri. Domani, gli stessi spazi dovranno saper esaudire

i bisogni degli utilizzatori e sempre meno dei proprietari. Industria e car designer stanno affrontando questa rivoluzione coniugando concetti di fisica ed estetica a concetti ambientali, antropologici, sociologici e di mobilità urbana (o almeno ci provano). Persino l’idea di lusso è destinata a mutare. Sarà la “user experience” a guidare i processi creativi. La migliore interfaccia è la voce, dicono i designer: “Ehi Mercedes, ho freddo ai piedi”, e l’intelligenza artificiale vede

e provvede (già oggi). Domani ci penserà l’empatia a capire il passeggero, ad anticiparne desideri e – dove possibile – a realizzarli. Tanto più che l’auto per ora rimane uno dei luoghi in cui trascorriamo più tempo, quattro anni e un mese circa della nostra vita, dice una recente ricerca europea. Tempi destinati a ridursi progressivamente, diluiti in altre forme di mobilità. Ma pur sempre significativi di come l’interior design debba ancora a lungo prendersi cura di noi passeggeri. Aprile 2020 |

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COVER STORY SOSTENIBILITĂ€

Quando il riciclo si fa con stile. LINDA CAPECCI

Materiali recuperati dal mare come quelli della Fiat, plastiche che sembrano tessuti come quelli di Audi. Ăˆ la nuova frontiera del design, in nome dell'ambiente.

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■  La mobilità sostenibile passa anche attraverso il design delle automobili. Le nuove tendenze cercano di rispondere alle esigenze di risparmio energetico, tramite l’uso di materiali ecologici e spesso riciclati, soprattutto per quanto riguarda gli interni. Un must per l’industria, in tempi di emergenza climatica. Tra i pionieri dell’eco-automotive c’è Opel: già verso la fine degli anni Settanta la Casa tedesca aveva sviluppato un sistema di smistamento di componenti in materiale sintetico derivati dalle carrozzerie delle vetture destinate alla demolizione. Successivamente, all’inizio dei ’90, il costruttore è stato tra i primi a distinguere le fibre sintetiche delle vetture: da allora paraurti, involucri di batterie e filtri

dell’aria riportano la sigla Iso “Pp” a indicare l’uso del materiale chimico Polipropilene, “Abs” per il Acrilonitrile butadiene stirene e “Pur” per Poliuretano. In collaborazione con aziende specializzate nel riciclaggio, la Casa aveva messo a punto un sistema tramite il quale, una volta triturati tali involucri, il granulato ottenuto era mescolato con quello ricavato dai paraurti. Nel 2016 Ford ha avviato la collaborazione con il brand di tequila Jose Cuervo per testare il materiale bioplastico derivato dagli elementi di scarto delle piante di agave, utilizzate nel processo di distillazione del liquore, e inserirlo nella produzione di componentistica auto. Oggi la quarta generazione dell'Audi A3 ha scelto la via del riciclo: ci vogliono 45 bottiglie in Pet (polietilene tereftalato) da 1,5 litri per realizzare i sedili e 62 per la moquette. I tessuti dei rivestimenti sono composti per l’89% da plastica raffinata e trasformata in un filato che alla vista e al tatto assicura gli stessi standard di quelli tradizionali. Come si ottiene

questa fibra? Prima le bottiglie vuote vengono inserite in un apposito macchinario, poi suddivise in base a colore, dimensioni e qualità di conservazione. Separati gli elementi estranei come i tappi, una macina sminuzza la plastica fino a ottenere dei fiocchi, poi trasformati nel materiale destinato alla produzione di tessuti. Il sughero riciclato di Volvo Il marchio Polestar del gruppo Volvo ha presentato il concept Precept, un inno al lusso e alla sostenibilità ambientale: i rivestimenti dei sedili sono realizzati in filati ricavati da bottiglie di Pet recuperate, mentre i cuscini e i poggiatesta in sughero riciclato. I tappeti sono ottenuti dal riuso di reti da pesca. Sanno di mare anche le versioni mild hybrid di Fiat 500 e Panda e la 500 elettrica, grazie a dei rivestimenti per i sedili prodotti in collaborazione con Seaqual, un progetto nato a Barcellona nel 2016 che sostiene interventi di pulizia degli oceani per dare nuova vita ai rifiuti. I tessuti degli interni sono stati realizzati utilizzando uno speciale materiale, il Seaqual Yarn, ottenuto da plastica riciclata: il 10% è di origine marina, il 90% terrestre. Per realizzare il filato grezzo, che può essere usato in forma pura o mescolato con altre fibre naturali o riciclate, è stato necessario trasformare i rifiuti raccolti in scaglie di polietilene tereftalato. Per ogni chilo di fibra prodotta, la stessa quantità viene rimossa dal mare. La portata della sfida è enorme, se pensiamo che ogni anno vengono scaricati negli oceani circa otto milioni di tonnellate di materiali plastici. Il tessuto, completato dall’applicazione di tinture e finiture ecologiche, presenta le stesse proprietà del poliestere e consente una riduzione del 40% nel consumo di acqua, un risparmio energetico del 50% e limita le emissioni di carbonio del 60%. Aprile 2020 |

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COVER STORY CITTÀ

La forma e la funzione. ELISA MALOMO

Come la nuova mobilità cambia lo stile dei veicoli destinati ai contesti urbani. La risposta dei costruttori dalla Smart alla Citroën Ami, passando per Renault e Seat. 72

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■  Le città soffocano per il troppo traffico, che danneggia l’ambiente e riduce lo spazio vivibile. I costruttori rispondono creando nuovi prodotti per la micromobilità, di dimensioni non superiori ai 2,50 metri e perlopiù a zero emissioni, con forme che siano contemporaneamente fresche, funzionali e minimaliste. L’auto urbana viene ridisegnata: le linee si stringono, si alzano, si curvano e si spogliano del superfluo. In pieno stile modernista, “meno è meglio”. Il risultato è un veicolo compatto e leggero, progettato dall’interno verso l’esterno. A misura d’uomo e dell’ambiente circostante. La tendenza a progettare veicoli ultracompatti ha avuto inizio nel 1998 – forse troppo anticipato – con la Smart, prima due posti moderna

lunga meno di due metri e mezzo anche se allora non elettrificata. Ma la praticità – a differenza della tempistica – premia sempre. La nuova Citroën Ami appena presentata, una elettrica lunga 2,41 metri, ricalca quello schema e sarà disponibile da subito per un servizio di car sharing a Parigi, oltre che in vendita ai privati. Se Renault ha reinterpretato lo stesso concetto con la Twizy dotandola però di un’architettura interna da moto, Seat ha creato una divisione “Urban” per la micromobilità che lavora per l’intero gruppo Volkswagen. Intanto ha presentato la Minimó a due posti – vicina nella impostazione alla piccola francese – e un primo scooter elettrico in forma di concept. L’altra tendenza a creare nuove metropoli richiede una visione diver-

sa e ancora più ampia. “Destination Zero” è il disegno di un ecosistema cittadino integrato e connesso con cui Jaguar Land Rover immagina il futuro, grazie all’introduzione di Project Vector, un prototipo compatto, multiuso e – a detta della Casa – pronto per la guida autonoma. Va oltre la Toyota con “Woven City”, che prevede la costruzione di un piccolo centro urbano intelligente ai piedi del monte Fuji in Giappone, dove il costruttore svilupperà le più avanzate tecnologie driverless, fra cui anche taxi robot volanti. La forma, dunque, al servizio della funzione, il nuovo paradigma di una mobilità urbana oggi in continua metamorfosi. La Citroën AMI, elettrica per la città può essere guidata a partire da 14 anni.

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COVER STORY BMW

Moto scultura. La Vision Next 100, ispirata alla R32 del 1923, è il prototipo di una due ruote elettrica che si adatta alle condizioni che incontra.

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ANTONIO VITILLO ■  Nessuno può fare a meno della storia, neppure il più visionario fra i designer. La Bmw Vision Next 100, sebbene raffiguri una futuribile scultura funzionale, trae decisa ispirazione dalla prima motocicletta della casa bavarese, la R32 del 1923. Come in quel lontano modello dal quale tutto ebbe inizio, il telaio disegna un triangolo in grado di dare continuità fra le ruote anteriore e posteriore, i due elementi necessari per qualifica-

re come “moto” un veicolo. Sulla Vision Next 100, la struttura portante è definita “Flexframe”, dunque flessibile: alle basse andature, muta per cambiare direzione, assecondando il movimento del manubrio mentre, in velocità, offre una più convenzionale rigidezza. Anche il motore “boxer” è in grado di trasformarsi. Da unità tipica Bmw con i suoi cilindri contrapposti, diventa adesso un propulsore a emissioni zero, con forme esterne che variano seguendo la dinamica: da fermi aderisce al telaio, muoven-

dosi fuoriesce progressivamente. Gli pneumatici, capaci perfino di svolgere il compito degli ammortizzatori, hanno il profilo che si adegua alle caratteristiche del fondo stradale. Concetto ribaltato La Vision Next 100 ribalta il concetto di guida della moto. Non richiede l’adattamento attivo del pilota, ma è lei ad adattarsi materialmente alle condizioni che incontra. Grazie al “Self Balancing”, una serie di sistemi elettronici intelligenti e attivi, la Vision Next 100 è in grado di mantenersi in equilibrio da sola, sempre, anche senza che il guidatore sia seduto in sella. E se dunque sarà impossibile cadere dalla moto, di conseguenza non servirà più indossare il casco, né altro abbigliamento protettivo. È previsto tuttavia che ci sia uno speciale equipaggiamento del pilota. La tuta e le calzature a corredo della Vision Next 100, oltre a essere capi che regolano la funzione climatica interna, hanno una struttura a nastri che supporta le fasce muscolari nelle varie condizioni di guida: quando, per esempio, aumenta la velocità, nella zona della nuca si gonfierà un sostegno cervicale. Tutto ciò sarà controllato da alcuni sensori inseriti all’interno dell’equipaggiamento, i quali forniranno anche indicazioni sulla guida a sistemi basati su intelligenza artificiale che di fatto renderanno il pilota un’unità funzionale interconnessa al veicolo, ma quasi passiva. Al posto del casco ci sarà una “strumentazione”. Che altro non è se non un particolare visore, un po’ parabrezza, un po’ display per il quale ci sarà uno scambio di informazioni tra guidatore e moto su un campo visivo suddiviso in quattro sezioni. Promesso però che durante la guida non verranno proiettate informazioni distraenti.

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FUORIGIOCO

Tutto cambia per cambiare. VALERIO BERRUTI*

■  Al tempo del coronavirus tutto sta cambiando. Gli orizzonti si restringono dentro un appartamento perché fuori accade ben poco. I pensieri spaziano dal catastrofismo al difficile tentativo di razionalizzare i fatti e provare ad andare avanti. Ci sta provando naturalmente anche il mondo dell’auto, il più globale dei sistemi produttivi. Il primo ad aver incassato il pugno nello stomaco dall’epidemia che ha avuto origine proprio in Cina, primo mercato mondiale dell’automobile e “motore” insostituibile dello sviluppo delle quattro ruote. Fa una certa impressione vedere che a febbraio nel Paese della Grande Muraglia le vendite di automobili sono crollate del 79 per cento. Un risultato destinato a ripetersi anche in altri mercati che via via iniziano ad essere isolati dai vari cordoni sanitari. Un crollo che riguarda la maggior parte delle merci e dei settori produttivi, ognuno dei quali prova a reagire a suo modo. Dal punto di vista industriale, la ripresa dipenderà molto dalla durata della pandemia e dalla sua intensità. Anche se i primi segnali positivi, arrivati proprio dalla Cina al termine di un periodo di isolamento totale, fanno ben sperare. Ma al di là di questo, al di là dei

danni produttivi, è possibile già trarre alcune conclusioni. Perché c’è un intero sistema che sta cercando una nuova strada per rinnovarsi e rendersi meno fragile di fronte a rovesci del genere. Cambierà sicuramente il sistema legato ai grandi eventi. L’annullamento dell’ultim’ora del Salone di Ginevra ha mostrato tutta l’inadeguatezza di un’idea di expo che ormai risale al passato. C’è voluta una catastrofe per capire che bisognava cambiare. Così, grazie al virus, si è scatenata una reazione che probabilmente sarà destinata a stravolgere il futuro dei vecchi saloni. Di quello che è accaduto il giorno dopo l’annullamento del Salone di Ginevra si parlava da tempo, ma continuava a rimanere nel cassetto delle proposte: un salone virtuale. Qualcosa per il pubblico ma senza pubblico. O meglio, senza la “fisicità delle persone”. Tutto questo è accaduto per pura necessità e spirito di reazione ma è accaduto. In un tempo record, cosa importante. Le presentazioni organizzate negli stand hanno “traslocato” nelle sedi delle case automobilistiche e trasmesse in streaming, con discreto interesse e successo. Certo è stato tutto

improvvisato, messo su all’ultimo momento ma a molti ha aperto gli occhi e fatto capire quale sarà il futuro dei prossimi appuntamenti fieristici, altrimenti destinati a sparire. Probabilmente non subito, ma certo molto presto. L’effetto del coronavirus ci porta anche a riflettere sull’attuale sistema di vendita. Dell'automobile e di tutto quello ad essa collegato. Certo non viviamo un momento in cui sono di primaria importanza, ma certamente possiamo tutti immaginare qualcosa di diverso dai vecchi e ingessati “processi d’acquisto”. Anche in questo caso, le nuove tecnologie possono dare una svolta alla distribuzione. Negli ultimi due mesi c’è stata un’impennata dei preventivi assicurativi in rete. Forse è anche questo un segnale importante, arrivato non per scelta ma per necessità, frutto di un cambiamento che ci travolge e che non riusciamo più ad anticipare. Quello che ieri era una certezza, oggi non lo è più. C’è voluto un microscopico nemico per aprirci gli occhi. Ora bisogna solo ripartire.

* Responsabile Automotori del quotidiano la Repubblica

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AUTO FOCUS

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Oltre il caos. FRANCESCO PATERNÒ

Mercati e borse tracollano, produzioni sospese. “Sfide sconosciute”, dice il ceo del gruppo Volkswagen. Ma la crisi accelera anche nuovi processi: ecco alcuni segnali.

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■  Le crisi fanno parte del business, i mercati cadono e si rialzano, i cicli economici scandiscono il tempo. Sono certezze anche queste. Al contrario, il coronavirus che a metà marzo sta ancora paralizzando l’industria dell’auto (e non solo) non rientra in questa categoria e a dirlo per primo in modo lucido è stato Herbert Diess, ceo del gruppo Volkswagen, nella conferenza di bilancio il 17 marzo scorso: “Ci si presentano sfide operative e finanziarie sconosciute”. La paura di qualcosa che non abbiamo mai visto in epoca moderna è oggi al volante con tutto quel che comporta sui mercati: dalle vendite in calo verticale alle montagne russe dei titoli in Borsa, dalle produzioni 80

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ferme agli indici di fiducia in caduta libera, fino alla tenuta delle leadership da valutare. Fra i numeri più d’effetto registrati al momento di scrivere, i 2 milioni di veicoli in meno stimati in Cina per il 2020 (equivalenti alle vendite dell’intero mercato italiano), il crollo della borsa di Wall Street – il peggiore dal 1987 - di lunedì 16 marzo con tutti i titoli automotive al seguito, il piano di aiuti da 750 miliardi di euro della Bce in Europa e quello promesso di 1.000 miliardi promesso Trump per sostenere l’economia Usa. Erano stati 700 per la crisi del 2008, e domani è ancora un’incognita. In questo quadro, insieme a numeri in divenire s’intravedono gli inizi

di processi destinati ad accelerare il cambiamento, come spesso accade nelle crisi di sistema più profonde. Il ceo di Psa Carlos Tavares ha detto di voler verticalizzare il processo di elettrificazione, facendo tutto in casa a partire dai propulsori a batteria. Una strategia, ha spiegato, che servirà a proteggere innanzitutto i margini a fronte di investimenti crescenti e a contenere le perdite da epidemia, all’orizzonte per tutti. Volkswagen è già in linea, anche se il modello non dichiarato è quanto ha fatto per primo Elon Musk alla Tesla, società dove si producono all’interno anche le batterie e quasi tutti i software, forse anche per questo adesso non più un giorno sì e


Operai al lavoro con la mascherina nello stabilimento produttivo Faw-Toyota a Changchun, in Cina.

Il caso Italia

uno no sull’orlo della bancarotta. Ancora: la digitalizzazione forzatamente spinta in tutti i settori dalla pandemia dovrebbe accentuare la tendenza alla disintermediazione nella vendita. Renault ha già annunciato la chiusura di alcuni punti fisici per aprirne altri online, obiettivo risparmiare 2 miliardi di euro in tre anni. Le fusioni corrono Ci sono poi i processi di consolidamento, parola che rende bene cosa possa servire per sopravvivere e ripartire. Geely ha fatto sapere di voler accelerare la fusione con Volvo, Tavares potrebbe seguire la stessa strada

per Psa-Fiat Chrysler, sciogliendo alcuni nodi probabilmente in maniera diversa da come ipotizzato l’anno scorso. Nulla stupirebbe: la grande crisi economica innescata dall’insolvibilità dei mutui subprime del 2008 ebbe tra i suoi effetti l’accelerazione verso la bancarotta dell’industria di Detroit (Ford esclusa) e il passaggio del primato mondiale nell’auto alla Cina nel 2009. Qui, l’industria si sta rimettendo in moto essendo entrata prima e apparentemente uscita prima dall’emergenza coronavirus, ma nella globalizzazione si è obbligati a camminare per mano: soprattutto quando la pandemia continua a colpire in ordine sparso nel resto del mondo.

Al momento di scrivere, il Covid-19 sta dilagando in una situazione economica già difficile. In Italia lo testimoniano i dati presentati nell’Osservatorio Industria del Centro Studi Fondazione Ergo: nel mese di dicembre, infatti, la produzione italiana aveva subito un rallentamento del 4,3% rispetto allo stesso mese del 2018, mentre complessivamente nel 2019 la flessione è stata dell’1,4%. Il calo ha risentito delle difficoltà nel settore automotive, che ha registrato una variazione negativa del 9,6% nel 2019. Il coronavirus amplifica gli effetti negativi di questa situazione, preesistente alla pandemia. Fiat Chrysler, per primo in Europa, ha sospeso per alcune settimane la produzione della Fiat 500L nello stabilimento in Serbia per la carenza di componentistica importata dalla Cina, mentre Lombardia e Veneto soffrono la produzione di componentistica per le auto made in Germania. Secondo l’Osservatorio, da un punto di vista strettamente economico l’emergenza – una volta esauriti i suoi terribili effetti – potrebbe trasformarsi in una opportunità con la sostituzione di commesse cinesi con commesse italiane e il rilancio della nostra manifattura di alta qualità. Per le aziende si tratterebbe di creare nuovi modelli di supply chain che siano moderni e più agili, con una gestione dei fornitori più flessibile e supportata da tecnologie digitali. Ma anche un’opportunità di digitalizzazione. L’uso massivo dello smart working che stiamo sperimentando potrebbe evitare domani drastici cali di produttività. (stefania spaziani)

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AUTO DAIMLER

I conti di Källenius. ALESSANDRO MARCHETTI TRICAMO

A colloquio con il numero uno del gruppo tedesco, alle prese con risultati finanziari in calo, investimenti in crescita e multe in arrivo. In attesa di valutare le conseguenze del coronavirus, punta tutto sull’elettrificazione. ■  Ola Källenius è il ceo di Daimler. Svedese, 50 anni, laurea in economia all’università di Stoccolma e master alla St. Gallen in Svizzera, primo non tedesco alla testa del gruppo di Stoccarda, ha un compito non facile: far tornare a correre i profitti di Daimler, oggi rallentati dai grandi investimenti su elettrificazione e automazione. A parlare sono i numeri: nel 2019 il risultato operativo è sceso del 61%, fermandosi a 4,3 miliardi di euro (erano 11 nel 2018), i profitti si sono ridotti del 64% a 2,71 miliardi di euro. Non proprio una partenza sprint per Källenius, al comando di Daimler da meno di un anno. E che ora trova sulla strada un ostacolo in più da affrontare: il coronavirus. “All’inizio abbiamo esteso le tradizionali vacanze del capodanno 82

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cinese. Le attività sono gradualmente riprese dallo scorso 10 febbraio e ora stiamo monitorando continuamente la situazione, in particolare per i nostri fornitori. Spero che lentamente si possa tornare ai normali livelli di produzione pre-crisi. Per ora non abbiamo problemi di approvvigionamento e produzione fuori della Cina ma è inevitabile che qualcosa accadrà. È ancora troppo presto per capire quanto tutto questo abbia conseguenze a livello mondiale sulle nostre vendite”, ci risponde Källenius in un’intervista telefonica. Restano dunque ancora valide le stime che lo stesso manager svedese aveva annunciato in febbraio: “Per il 2020 ci aspet84

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tiamo un leggero calo delle vendite”. Nel frattempo il dividendo è stato portato a 90 centesimi per azione, il 72% in meno dell’anno precedente, da qui al 2022 i risparmi imposti dalla situazione ammonteranno a 1,4 miliardi di euro, con tagli al personale del 10%. Le risorse ricavate saranno destinate in particolare all’elettrificazione: “La nostra offerta di veicoli a batteria sarà estesa nei prossimi mesi. Incrementeremo la produzione della EQC per soddisfare l’alta domanda, arrivando a 50mila unità l’anno. In estate lanceremo la EQV e poi toccherà alla EQA. A fine 2020 la quota delle elettriche pure rappresenterà il 9% delle vendite (era il 2% nel 2019, ndr) e in gamma

ci saranno più di 20 ibride plug-in. La nuova generazione della Smart solo elettrica sarà prodotta insieme a Geely dal 2022”, ha spiegato Källenius. Nove fabbriche di batterie Lo svedese non è preoccupato di restare senza le batterie: “L’obiettivo è avere stabilimenti produttivi di accumulatori in ogni mercato dove le elettriche sono realizzate. Nel complesso, arriveremo a nove fabbriche di batterie, in sette località e tre continenti. Per quanto riguarda le celle al litio, oggi sono cinque i nostri fornitori, che assicurano al momento il completo fabbisogno dai volumi pre-


visti fino al 2025”. Elettriche fondamentali per cercare di evitare le multe che dal 2021 colpiranno chi in Europa non è riuscito a raggiungere l’obiettivo imposto – al valore medio della gamma - dei 95 grammi di CO2 per chilometro. Tanto più se lo scorso anno, Mercedes si è fermata ben lontano dal target: 140,9 grammi (fonte Jato). “Per noi che produciamo auto più grandi l’obiettivo è più difficile. Non so se riusciremo a raggiungerlo nel 2021, sono però fiducioso per il 2022. L’unica soluzione si chiama tecnologia, tecnologia, tecnologia (Källenius lo ripete tre volte, ndr) fondamentale per conquistare quella neutralità rispetto alle emissioni di

CO2 che ci siamo imposti per il 2039. Anche se poi non sappiamo quanto e come i clienti risponderanno a questa grande offerta di elettrificazione”. Un aiuto ai conti Daimler potrebbe arrivare dal mettere a fattor comune progetti attraverso il consolidamento di alcune alleanze: “Il rapporto con Renault – Nissan va avanti e il prossimo passo riguarda la condivisione di un veicolo commerciale leggero e, se ci saranno altre opportunità ‘win-win’, le considereremo insieme. Abbiamo poi buone attività aperte con Bmw nel campo dei servizi di mobilità come il car sharing oppure sulla guida autonoma. Al momento però ci fermiamo qui”, conclude Källenius.

“Non sappiamo quanto e come i clienti risponderanno a questa grande offerta di elettrificazione”

Nella pagina precedente Ola Källenius, ceo di Daimler. In alto il concept della grande berlina Mercedes EQS. Aprile 2020 |

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AUTO STRATEGIE

Fca-Psa, cosa manca all’alba. ANGELO BERCHICCI

I risultati dei due gruppi verso la fusione mostrano utili per entrambi. Restano però degli squilibri ai quali Tavares dovrà dare una risposta.

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■  I risultati 2019 presentati da Fiat Chrysler e Psa, promessi sposi entro un anno, sono stati più che positivi quanto complementari anche nei forti squilibri. “Tutto procede come previsto”, ha dichiarato Carlos Tavares, ceo di Psa nonché futuro amministratore delegato del nascituro gruppo del quale non è ancora stato svelato il nome. I preparativi delle nozze stanno ora avvenendo in un clima mondiale sfavorevole per il settore e per l’intera economia, a causa dell’emergenza coronavirus. Secondo la prima lettura dei risultati 2019, i due gruppi hanno venduto meno ma conseguito ugualmente profitti robusti. Fiat Chrysler ha registrato l’anno scorso un calo nei volumi di vendita del 9%, fermandosi a 4,4 milioni di veicoli; Psa un calo del 10,3% per 3,5 milioni di unità. Nonostante questo, i primi hanno ottenuto 88

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profitti pari a 6,7 miliardi, i secondi a 6,3 miliardi. Aumentati soprattutto i margini portati al 6,2% nel caso di Fiat Chrysler e addirittura all’8,5% – valori da marchi premium – per Psa. I risultati però sono stati accompagnati da forti asimmetrie interne, alle quali Tavares dovrà dare una risposta. I profitti Fca sono realizzati quasi esclusivamente in Nord America, primo mercato per numero di unità vendute (2,4 milioni), dove gli utili sono aumentati del 7% e i margini hanno raggiunto il 9,1%. Sia nell’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa, la seconda più importante con 1,3 milioni di auto) che in Cina, Fiat Chrysler ha invece chiuso l’anno in perdita. Gli squilibri riguardano anche il portfolio di marchi, con le americane Jeep e Ram a tenere in piedi le vendite e i brand europei Fiat, Alfa Romeo e Lancia in sofferenza.

In maniera speculare, gli utili di Psa sono dovuti per lo più al continente europeo, che conta per il 90% delle vendite totali e dove il costruttore ha una quota di mercato importante, pari al 16,8%. Il gruppo, ricordiamo, fu costretto a lasciare il Nord America nel 1991, un mercato nel quale, a matrimonio concluso, potrebbe rientrare, anche se non con tutti i marchi. La Cina, primo mercato mondiale ed epicentro della crisi da coronavirus, costituisce un vero e proprio buco nero sia per Psa, le cui vendite nel 2019 sono crollate del 55,4%, che per Fca (-29%). A leggere i risultati 2019, dunque, la complementarietà dei due gruppi almeno sui mercati occidentali potrebbe rivelarsi un punto di forza. La nuova società che nascerà dalla fusione con sede in Olanda avrà una posizione solida tanto in Europa quanto


in Nord America. In Cina bisognerà unire gli sforzi per ridurre le debolezze, rinunciando probabilmente a qualche fabbrica di troppo, benché tutte siano in joint venture con marchi locali. Chi sembra avere maggiori potenzialità in questo caso è Fca, con i brand Jeep, Alfa Romeo e soprattutto Maserati. Libri da leggere Sul piano dei prodotti, e incrociando ancora una volta i risultati dell’anno scorso, i maggiori vantaggi del prossimo matrimonio sembrano profilarsi per Fiat Chrysler. Il 77% dei profitti di Psa deriva da sinergie, economie di scala e minori costi industriali dovuti all’introduzione di piattaforme modulari moderne e compatibili sia con i motori endotermici che con l’alimentazione elettrica (come la Cmp).

In questo modo, il gruppo ha ottenuto un buon mix di prodotti e ha dimostrato di saper gestire i suoi marchi, evitando sovrapposizioni e dando a ognuno un’identità definita. Fiat, Lancia e Alfa Romeo, che contano un numero di modelli limitato e interi segmenti sguarniti, potrebbero trarre grande beneficio dalle piattaforme francesi, e dalla abilità di Tavares nel valorizzare il portfolio di brand. Il ceo non solo ha già dimostrato grande capacità di gestione – riportando rapidamente in utile Psa e, alla velocità della luce, l’acquisita Opel – ma ha anche dichiarato di essersi messo letteralmente a studiare: “Sono entusiasta delle possibilità che avremo – ha detto nel corso della presentazione dei risultati Psa – e soprattutto della grande storia dei marchi di Fca. Sto leggendo tonnellate di libri per comprenderne il potenziale”.

In Cina bisognerà unire gli sforzi per ridurre le debolezze, rinunciando probabilmente a qualche fabbrica di troppo

In apertura Carlos Tavares. In alto a sinistra la Peugeot 208 GT, a destra l'Alfa Romeo Giulia GT. Aprile 2020 |

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AUTO VOLKSWAGEN

Anno difficile. ALESSANDRO MARCHETTI TRICAMO

Il ceo Herbert Diess è stato chiaro: il 2020 sarà molto complicato. Gli obiettivi restano gli stessi ma ora sono solo un semplice riferimento. Nulla cambia sull’elettrificazione della gamma. ■  “Impossibile fare previsioni su quanto e come il coronavirus avrà impatto sull’economia globale. Nessuno oggi può saperlo”. Herbert Diess, numero uno del gruppo Volkswagen, inizia così la presentazione in streaming dei dati di bilancio. “Il 2020 sarà un anno molto difficile”. D’altronde lo stop alla produzione in Europa ha coinvolto progressivamente tutti i Paesi, Italia compresa (Lamborghini e Ducati): “Una scelta necessaria per salvaguardare la salute dei dipendenti e conseguente all’interruzione della catena logistica che porta dall’Asia all’Europa i componenti necessari ai nostri veicoli”. Qualche segnale positivo arriva dalla Cina: “Le misure prese iniziano ora a funzionare, 31 impianti su 33 (dato riferito al 17 marzo, giorno della conferenza, ndr) hanno ripreso la loro produzione e le vendite nel mese di marzo sono tornate a salire”. Con queste premesse i target previsti per il 2020 sono ora solo virtuali: vendite stabili sui livelli dello scorso anno, un fatturato in crescita del 4%, grazie al miglioramento della mix di prodotto più spostata su suv e crossover, e profitti operativi tra il 90

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6,5 e il 7,5%. Lo scorso anno il gruppo Volkswagen aveva sfiorato quota 11 milioni di veicoli venduti (+0,5%), ma gli analisti oggi sono pronti a scommettere che nel 2020 non supererà i 10 milioni. Il fatturato del 2019 è stato di 252,6 miliardi di euro, in crescita del 7,1% rispetto al 2018. I profitti operativi erano al 6,7% (0,8 punti percentuali in più), con un ritorno dagli investimenti dell’11,2% e soprattutto un flusso di cassa netto di 10,8 miliardi rispetto ai 300 milioni in negativo dello scorso anno, “risorse sufficienti a garantire la liquidità necessaria per portare avanti i nostri piani ambiziosi per il futuro”. “Il 2019 è stato un anno molto positivo per il gruppo”, sottolinea Diess. Passato. Il “pre” coronavirus sembra lontano quanto un’era geologica. Tutto è stato stravolto e ora anche a Wolfsburg si pensa a quel “post” che spaventa tutti. Nessun ritardo La ricetta per i tedeschi si chiama innovazione, elettrificazione in particolare: nei prossimi 5 anni, Volkswagen investirà 60 miliardi di euro nelle tecnologie del futuro, 33 dei quali

destinati proprio ai veicoli a batteria. Su questo Diess si mostra teso ma sicuro: “L’attuale situazione non sta comportando ritardi nei nostri piani di elettrificazione della gamma e non abbiamo nessuna necessità di riprogrammare investimenti o lanci dei nuovi modelli”. Confermato dunque l’arrivo nei prossimi giorni della Volkswagen ID.3 e nel corso dell’anno di ID.4 e delle prime elettriche di Seat e Škoda. Non preoccupano neppure le difficoltà di approvvigionamento delle batterie registrate per l’Audi e-tron: “Stiamo lavorando con i nostri partner di LG Chem per risolvere i problemi di produzione”, ha risposto Diess a specifica domanda. I coreani, nel frattempo, per soddisfare la crescita della domanda europea (sono fornitori anche di Hyundai) apriranno un secondo stabilimento in Polonia. “Attraverso la divisione Components, in collaborazione con gli svedesi di Northvolt, stiamo sviluppando delle celle al litio che saranno prodotte a Salzgitter, con una capacità produttiva annua di batterie per 16 gigawattora, un modo per essere più possibile indipendenti dai fornitori esterni”, conclude Diess.


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AUTO TENDENZE

Calo pesante di inizio anno. A febbraio vendite a -8,8% e ancora nessun effetto da coronavirus. In crescita solamente i modelli crossover e le elettrificate. ■  Dopo un gennaio negativo (-5,8%), in febbraio le vendite di auto in Italia scendono, nonostante non si fossero ancora fatti sentire gli effetti del coronavirus, destinati inevitabilmente a condizionare nei prossimi mesi i risultati di mercato. Nel nostro Paese si sono contate 162.793 immatricolazioni contro le 178.493 dello scorso anno, per una flessione dell’8,8% e

un totale nei primi due mesi del 2020 di 318.545 unità, equivalenti a un -7,3%. Mancano all'appello soprattutto gli acquisti da parte di privati e società, in discesa del 19% e 12,9%; solo il noleggio cresce a doppia cifra, sia a breve che a lungo termine. A febbraio tutti i segmenti hanno un segno meno davanti, a eccezione delle citycar (+1,9%) e della nicchia

Fiat 500X, modello tra i più venduti in Italia nel segmento crossover.

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del lusso (+7,8%). Lo stesso vale per il tipo di carrozzeria, tranne per le crossover (+5,9%). Riguardo alle alimentazioni, si registra ancora un calo a doppia cifra delle vetture diesel (-29,4%), giù anche le benzina (-3,2%). A doppia faccia il gas: +79,9% per il metano, -12,0% il gpl. Crescono dell’82,9% le ibride e del 900% le auto elettriche. (p.o.)


+23,5

+4,4

-25,1

-40,3

ŠKODA Il marchio boemo di proprietà del gruppo Volkswagen continua il trend positivo e conta, a febbraio, una crescita nelle vendite del 23,5% con 2.807 unità che portano il totale dei primi due mesi dell’anno a 5.436 immatricolazioni. Best seller nella gamma del costruttore sono soprattutto la Octavia, prossima al debutto con la quarta generazione, la Fabia e i suv dove è la Kamiq a riscuotere i maggiori consensi. FIAT Aspettando i risultati delle nuove versioni mild hybrid di Panda e 500, il marchio Fiat chiude in positivo il mese di febbraio con un incremento nel mercato del 4,4%. Continua il successo della Panda, modello più venduto in Italia con 14.507 unità. A seguire, la 500 e la 500X sono le più apprezzate del costruttore con 3.828 e 3.594 immatricolazioni. VOLVO La Casa svedese immatricola nel mese 1.409 unità e perde il 25,1% rispetto allo scorso anno. Un risultato che rallenta la sua corsa in Italia dove ha chiuso il 2019 con un +9,5%. Dovrebbe trattarsi di una flessione temporanea, visto l’imminente arrivo nella gamma di attese novità tra le quali la XC40 Recharge P8: primo modello di una intera serie di vetture a trazione esclusivamente elettrica.

i dati si riferiscono al mese di febbraio. Fonte: Unrae e Dataforce

+182,0

DS A febbraio Il marchio francese segna +182% nelle vendite, unico a guadagnare all’interno del gruppo Psa che perde invece il 12,6%. Il merito della performance è da attribuire soprattutto ai suv, sia il compatto 3 Crossback che il più grande 7 Crossback. Il brand premium svolta sull’elettrificazione e punta per il 2020 sull’offerta delle versioni 3 Crossback E-Tense elettrica e 7 Crossback E-Tense 4×4 ibrida plug-in.

JEEP Il marchio americano di Fca registra a febbraio in Italia una brusca frenata con -40,3% nelle immatricolazioni. Cala la Renegade con 3.456 unità, al sesto posto nella classifica dei modelli più venduti. E perde terreno la Compass che, da pochi giorni, è prodotta per il mercato europeo nello stabilimento di Melfi in Basilicata: a breve, entrambe potranno però contare su una inedita motorizzazione ibrida plug-in.

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AUTO CLASSIFICHE

Mercato Italia. Risultati di vendita per marchio, mese di febbraio 2020 marca

gennaio 2020

Fiat Volkswagen Peugeot Ford Renault CitroĂŤn Opel Toyota Lancia/Chrysler Jeep/Dodge Audi Bmw Dacia Kia Mercedes Hyundai Nissan Suzuki Ĺ koda Seat Alfa Romeo Mini Land Rover Volvo Mazda Honda Ds Porsche Mitsubishi Jaguar Lexus Smart Dr Motor Subaru Tesla Ssangyong Mahindra Maserati Ferrari Lamborghini Great Wall Aston Martin Infiniti Lada Chevrolet altre totale mercato

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2019

var. %

quote% 2020

gennaio-febbraio 2019

2020

2019

var. %

quote% 2020

2019

27.801 26.629 +4,40 17,08 14,92 53.654 51.104 +4,99 16,84 14,87 16.172 15.975 +1,23 9,93 8,95 31.196 30.893 +0,98 9,79 8,99 10.811 11.293 -4,27 6,64 6,33 20.678 22.661 -8,75 6,49 6,59 10.773 11.475 -6,12 6,62 6,43 19.885 22.640 -12,17 6,24 6,59 9.861 9.888 -0,27 6,06 5,54 17.291 18.113 -4,54 5,43 5,27 8.015 9.149 -12,39 4,92 5,13 16.865 18.122 -6,94 5,29 5,27 6.974 9.641 -27,66 4,28 5,40 14.848 19.300 -23,07 4,66 5,61 7.501 8.425 -10,97 4,61 4,72 14.696 16.578 -11,35 4,61 4,82 5.948 5.821 +2,18 3,65 3,26 12.200 12.429 -1,84 3,83 3,62 5.648 9.462 -40,31 3,47 5,30 11.644 15.715 -25,91 3,66 4,57 5.840 5.682 +2,78 3,59 3,18 10.850 9.782 +10,92 3,41 2,85 5.130 5.672 -9,56 3,15 3,18 10.484 10.576 -0,87 3,29 3,08 4.273 6.086 -29,79 2,62 3,41 9.925 13.834 -28,26 3,12 4,02 4.539 4.100 +10,71 2,79 2,30 8.985 8.558 +4,99 2,82 2,49 4.747 5.974 -20,54 2,92 3,35 8.912 10.861 -17,94 2,80 3,16 3.555 4.144 -14,21 2,18 2,32 7.244 7.705 -5,98 2,27 2,24 3.709 4.538 -18,27 2,28 2,54 7.040 8.650 -18,61 2,21 2,52 3.207 3.521 -8,92 1,97 1,97 6.060 6.915 -12,36 1,90 2,01 2.807 2.273 +23,49 1,72 1,27 5.436 4.312 +26,07 1,71 1,25 2.883 2.600 +10,88 1,77 1,46 4.998 4.212 +18,66 1,57 1,23 1.903 2.366 -19,57 1,17 1,33 3.702 4.841 -23,53 1,16 1,41 1.792 2.043 -12,29 1,10 1,14 3.391 3.599 -5,78 1,06 1,05 1.160 2.082 -44,28 0,71 1,17 2.983 3.867 -22,86 0,94 1,12 1.409 1.881 -25,09 0,87 1,05 2.881 3.586 -19,66 0,90 1,04 1.042 1.080 -3,52 0,64 0,61 2.270 2.132 +6,47 0,71 0,62 759 909 -16,50 0,47 0,51 1.497 1.658 -9,71 0,47 0,48 691 245 +182,04 0,42 0,14 1.306 455 +187,03 0,41 0,13 636 346 +83,82 0,39 0,19 1.262 628 +100,96 0,40 0,18 559 760 -26,45 0,34 0,43 1.245 1.476 -15,65 0,39 0,43 436 1.130 -61,42 0,27 0,63 1.028 2.086 -50,72 0,32 0,61 557 334 +66,77 0,34 0,19 928 590 +57,29 0,29 0,17 333 1.459 -77,18 0,20 0,82 635 3.251 -80,47 0,20 0,95 215 285 -24,56 0,13 0,16 524 525 -0,19 0,16 0,15 273 289 -5,54 0,17 0,16 420 518 -18,92 0,13 0,15 258 96 +168,75 0,16 0,05 355 114 +211,40 0,11 0,03 137 274 -50,00 0,08 0,15 319 486 -34,36 0,10 0,14 156 106 +47,17 0,10 0,06 312 188 +65,96 0,10 0,05 152 257 -40,86 0,09 0,14 290 429 -32,40 0,09 0,12 47 54 -12,96 0,03 0,03 122 104 +17,31 0,04 0,03 30 29 +3,45 0,02 0,02 62 52 +19,23 0,02 0,02 11 0 - 0,01 0,00 31 0 - 0,01 0,00 4 9 -55,56 0,00 0,01 10 14 -28,57 0,00 0,00 2 25 -92,00 0,00 0,01 7 73 -90,41 0,00 0,02 0 21 - 0,00 0,01 1 21 -95,24 0,00 0,01 0 2 - 0,00 0,00 0 8 - 0,00 0,00 37 63 -41,27 0,02 0,04 73 103 -29,13 0,02 0,03 162.793 178.493 -8,80 100,00 100,00 318.545 343.764 -7,34 100,00 100,00

| Aprile 2020


Il mercato nel dettaglio utilizzatore

2020

Privati Noleggio: breve termine lungo termine SocietĂ totale alimentazione

segmento

carrozzeria

area geografica

emissioni C02 (g/km)

febbraio 2020-2019

2019

febbraio 2020-2019

27.865 27.339 60.187 62.663 54.657 62.329 18.094 22.399 2.424 3.464 455 422 163.682 178.616

2020

quote % febbraio gennaio-febbraio 2020 2019 2020 2019

-16,3 51,4 58,2 55,0 61,1 +18,9 32,8 25,2 29,2 22,9 +28,6 14,1 10,0 11,5 8,3 +18,3 16,9 13,1 15,9 12,5 -8,6 15,8 16,6 15,7 16,0 -7,0

Variazione % gennaio febbraio 2019 2020-2019

gennaio-febbraio

2019

febbraio 2020-2019

77.371 83.438 58.120 54.858 12.511 20.369 8.675 9.400 2.668 3.400 1.848 2.929 1.100 2.089 609 903 490 541 290 689 163.682 178.616

2019

febbraio 2020-2019

47.943 54.912 63.515 60.997 30.568 36.022 14.565 17.670 7.091 9.015 163.682 178.616

quote % febbraio gennaio-febbraio 2020 2019 2020 2019

2019

2020

Variazione % gennaio febbraio 2019 2020-2019

febbraio 2020-2019

quote % febbraio gennaio-febbraio 2020 2019 2020 2019

-8,4 47,3 46,7 47,6 48,4 +4,5 35,5 30,7 35,0 31,1 -27,5 7,6 11,4 8,1 10,3 -5,1 5,3 5,3 4,9 4,8 +1,0 1,6 1,9 1,7 1,6 -33,0 1,1 1,6 1,0 1,4 -42,1 0,7 1,2 0,7 1,2 -27,3 0,4 0,5 0,4 0,5 -4,7 0,3 0,3 0,3 0,3 -45,5 0,2 0,4 0,2 0,3 -7,0

Variazione % gennaio febbraio 2019 2020-2019

gennaio-febbraio 2020

quote % febbraio gennaio-febbraio 2020 2019 2020 2019

-4,1 17,0 15,3 17,0 16,5 -3,2 36,8 35,1 36,9 35,5 -9,3 33,4 34,9 33,2 34,0 -14,0 11,1 12,5 10,9 11,8 -23,2 1,5 1,9 1,6 1,9 +26,5 0,3 0,2 0,3 0,2 -7,0

gennaio-febbraio

-12,7 94.696 105.398 +4,1 117.284 114.198 -15,1 63.101 71.357 -17,6 30.550 35.252 -21,3 14.752 18.398 -8,4 320.383 344.603

Variazione %

febbraio

2020

-7,3 152.638 166.697 +5,9 112.110 107.259 -38,6 25.840 35.661 -7,7 15.841 16.700 -21,5 5.466 5.411 -36,9 3.323 4.957 -47,3 2.384 4.116 -32,6 1.151 1.584 -9,4 984 1.033 -57,9 646 1.185 -8,4 320.383 344.603

Variazione %

febbraio

Variazione % gennaio febbraio 2019 2020-2019

gennaio-febbraio

+1,9 54.589 56.931 -4,0 118.289 122.230 -12,3 106.407 117.331 -19,2 35.055 40.749 -30,0 5.060 6.585 +7,8 983 777 -8,4 320.383 344.603

Variazione %

febbraio

2020

media ponderata

2020

-19,0 176.314 210.663 +19,1 93.649 78.761 +28,8 36.901 28.694 +18,2 50.782 42.941 -12,9 50.420 55.179 -8,4 320.383 344.603

Variazione %

febbraio

2020

Nord Occidentale Nord Orientale Centrale Meridionale Insulare totale

2019

Variazione % gennaio febbraio 2019 2020-2019

gennaio-febbraio

73.513 75.974 -3,2 146.244 150.826 -3,0 44,9 42,5 45,6 43,8 56.889 80.555 -29,4 109.477 148.901 -26,5 34,8 45,1 34,2 43,2 9.147 10.389 -12,0 18.775 22.562 -16,8 5,6 5,8 5,9 6,5 3.577 1.988 +79,9 7.699 3.728 +106,5 2,2 1,1 2,4 1,1 18.026 9.457 +90,6 33.715 18.050 +86,8 11,0 5,3 10,5 5,2 2.530 253 +900,0 4.473 536 +734,5 1,5 0,1 1,4 0,2 163.682 178.616 -8,4 320.383 344.603 -7,0

2020

Berline Crossover Fuoristrada Station Wagon Monovolume Piccolo Monovolume Compatto Multispazio Monovolume Grande CoupĂŠ Cabrio e Spider totale

febbraio 2020-2019

Variazione %

febbraio

2020

A - Piccole B - Utilitarie C - Medie D - Medie superiori E - Superiori F - Alto di gamma totale

2019

84.194 103.912 53.672 45.075 23.043 17.896 27.624 23.371 25.816 29.629 163.682 178.616

2020

Benzina Diesel Gpl Metano Ibride Elettriche totale

Variazione %

febbraio

quote % febbraio gennaio-febbraio 2020 2019 2020 2019

-10,2 29,3 30,7 +2,7 38,8 34,1 -11,6 18,7 20,2 -13,3 8,9 9,9 -19,8 4,3 5,0 -7,0

29,6 30,6 36,6 33,1 19,7 20,7 9,5 10,2 4,6 5,3

Variazione % gennaio febbraio 2019 2020-2019

gennaio-febbraio 2020

111,5 122,2 -8,8 112,3 121,5 -7,6

Fonte: Unrae

Aprile 2020 |

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AUTO LISTINO

Audi e-tron Sportback da € 117.500

Ford Kuga da € 28.750

Seat Tarraco FR da € 36.250

Versione Edition one per il suv elettrico sulla base della versione 55 quattro: l’equivalente di 408 cavalli per un’autonomia di 446 chilometri (ciclo Wltp). Trazione integrale elettrica, batteria da 95 chilowattora e uno 0-100 in 5,7 secondi. Impianto audio Bang & Olufsen Premium.

Nuova generazione dello sport utility Ford.Oltre 4 metri e 60 centimetri e una gamma di motorizzazioni che spazia dalle tradizionali benzina e gasolio, ai tre sistemi elettrificati: mild hybrid a 48 volt, full hybrid e plug-in, quest’ultimo con batteria al litio da 14,4 chilowattora.

Il suv spagnolo è più sportivo con ampi passaruota, spoiler sul tetto, estrattori posteriori e cerchi in lega fino a 20 pollici. Stesso spirito si ritrova all'interno. Motori turbobenzina e turbodiesel da 150 a 190 cavalli. Cambio manuale o automatico Dsg, trazione anteriore o integrale.

Dimensioni: 490 x 193 x 163 cm

Dimensioni: 461 x 188 x 168 cm

Dimensioni: 474 x 184 x 167 cm

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| Aprile 2020


Suzuki Ignis Hybrid da € 16.500

Toyota Yaris prezzo n.d.

Bmw Serie 2 Gran Coupé da € 32.000

La gamma della compatta giapponese diventa ora esclusivamente ibrida (leggera): nuovo motore 1.200 mild hybrid da 83 cavalli, disponibile in due allestimenti Cool e Top. La versione più accessoriata è offerta anche con trazione automatica CVT o quattro ruote motrici.

Countdown all’arrivo della nuova generazione della Yaris. È già possibile prenotarla con prime consegne previste a giugno.Il sistema ibrido con il 1.500 3 cilindri da 116 cavalli è più efficiente e ha una nuova batteria al litio. Consumi da 2,9 litri per 100 chilometri.

Un nuovo motore per la gamma del coupé compatto a 5 porte: è la 216d, una versione turbodiesel con motore 3 cilindri da 1.496 centimetri cubici e 116 cavalli con trasmissione automatica. Ben quattro gli allestimenti disponibili che vanno da Advantage a M Sport.

Dimensioni: 370 x 169 x 161 cm

Dimensioni: 394 x 175 x 147 cm

Dimensioni: 453 x 180 x 142 cm Aprile 2020 |

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AUTO NOLEGGIO

Effetto contagio. Le conseguenze del Covid-19 si iniziano ad avvertire solo a partire da questi giorni, grazie alla programmazione delle immatricolazioni tipica di questo settore. Ecco cosa aspettarci in due scenari.

SALVATORE SALADINO* ■  Le conseguenze del virus Covid-19 arrivano in un momento nel quale il mercato dell’auto già era in difficoltà, con un crollo nel primo bimestre delle vendite ai clienti privati di oltre il 16% e degli acquisti “business” del 20%. Tradotto significa che, tra gennaio e febbraio, sono mancate all’appello quasi 40mila auto nuove rispetto allo stesso periodo del 2019.

ne. Quello che accadrà nei prossimi giorni – e qualcosa si inizia a vedere in termini di numero d’ordini – si riscontrerà in particolare più tra le società generaliste che quelle “captive” (aziende che fanno capo direttamente alle Case automobilistiche), che seguono logiche ed obiettivi anche legati ai fattori di produzione e non solo a quelli di mercato e distribuzione.

La situazione del noleggio, almeno a inizio 2020, appare differente: il lungo termine è cresciuto del 18%, il breve di oltre il 19%. La situazione, come è prevedibile, cambierà anche in questo segmento ma non in tempi rapidissimi. Il comparto del noleggio a lungo termine è infatti soprattutto un mercato di sostituzione, almeno tra i clienti business, e di conquista sul cliente privato che soltanto ultimamente si è avvicinato a questa formula di acquisizione (la quota ora raggiunge il 20%). Il segmento vive di programmazione, con contratti che si traducono in veicoli targati quasi sempre tra i 3 e i 4 mesi dall’ordi-

Tempi lunghi anche per il noleggio a breve termine, per il quale l’inflottamento è programmato con largo anticipo e precede sempre di qualche mese il picco della domanda. Le previsioni della domanda 2020 per il rent a car, sia della clientela turistica che di quella business, erano positive tanto che gennaio e febbraio sono stati due mesi in cui gli operatori hanno iniziato ad incrementare la flotta in vista della primavera e di Pasqua. Da fine febbraio in poi, quando il contagio del coronavirus ha iniziato a rivelarsi in tutta la sua drammaticità, le società di renting hanno però innestato la retromarcia: i contratti annullabili

con i costruttori sono stati disdettati, gli ordinativi nuovi sospesi, mentre i veicoli già in arrivo si stanno accumulando nei piazzali. Cosa accadrà ora? Dipende, come detto, dall’evoluzione della situazione. Sembra certo che, nel primo semestre, il mercato generale subirà una drastica riduzione, che potrebbe essere in parte attenuata da un rilancio nella seconda parte dell’anno. A patto però che il governo adotti misure efficaci a sostegno dell’economia nazionale, tenendo ben presente che il comparto dell’automotive rappresenta circa il 10% del Pil. Se così non fosse, secondo l’Unrae, l’associazione dei costruttori e distributori esteri, per il solo comparto delle auto si potrebbe avere un calo delle immatricolazioni fino a 300mila unità. Dataforce ha realizzato due previsioni. La prima è uno scenario “conservativo”, nel caso gli effetti del Coronavirus sfumassero in breve tempo e ci fosse una pronta reazione da parte

* Country manager di Dataforce Italia. Società con quartier generale a Francoforte e sedi in tutto il mondo, specializzata in analisi sul mercato Automotive. Opera a livello internazionale, fornendo all’industria automobilistica informazioni ad alto contenuto qualitativo concernenti le flotte e, più in generale, i vari canali di vendita presenti sui mercati.

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| Aprile 2020


Nell’ipotesi peggiore, con un contagio protratto per ancora alcuni mesi e senza provvedimenti a sostegno della filiera, il mercato 2020 potrebbe attestarsi a 1.575.000 vetture immatricolate (-17,9%), con il noleggio a breve termine a subire l’impatto più significativo: -38,1%, con 110mila immatricolazioni (quasi 68mila in meno). Minori – ma comunque molto pesanti – le conseguenze sul lungo termine: -16,4%, pari a 235mila unità (circa 46mila in meno).

Scenario “Conservativo” Mercato auto Italia 2020

Quota in %

Diff.% 2020/19

Privati

1.020.000

58,1%

-6,8%

Flotte

80.000

4,6%

-15,3%

Noleggio lungo termine

265.000

15,0%

-5,8%

Noleggio breve termine

145.000

8,3%

-18,0%

245.000

14,0%

-9,7%

1.755.000

100,0%

Dealer & case auto

Scenario “Pessimistico” Mercato auto Italia 2020

Quota in %

Diff.% 2020/19

Privati

950.000

60,3%

-13,2%

Flotte

70.000

4,4%

-25,8%

Noleggio lungo termine

235.000

15,0%

-16,4%

Noleggio breve termine

110.000

7,0%

-38,1%

210.000

13,3%

-22,6%

1.575.000

100,0%

Dealer & case auto

Fonte: elaborazioni Dataforce su dati min. Infrastrutture e Trasporti e ACI

del governo per il rilancio del mercato attraverso un forte sostegno all’accelerazione del ricambio del parco circolante: il mercato subirebbe un arretramento di circa 8,5 punti percentuali, passando da 1.920.000 vetture immatricolate nel 2019 a 1.755.000. Il noleggio a lungo termine avrebbe un impatto negativo di entità minore: le immatricolazioni scenderebbero da 281mila a circa 265mila, pari a un -5,8%. Importante la riduzione del noleggio a breve termine: -18,4%, pari a un calo di quasi 33mila unità.

202020212022 Aprile 2020 |

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AUTO NOLEGGIO

Arval, corsa privata. PATRIZIA LICATA

I clienti non aziendali hanno raddoppiato la domanda. Ora con il Covid-19 tutto però torna in discussione. Ne abbiamo parlato con il direttore generale Majtán. ■  Gli italiani scoprono la passione per il noleggio a lungo termine. Merito della convenienza di un’auto nuova che si porta a casa chiavi in mano con una semplice rata mensile. E della transizione energetica: tra carburanti tradizionali e nuove alimentazioni, la confusione oggi favorisce il noleggio perché mette al riparo da eventuali svalutazioni legate a politiche locali che spesso lasciano in garage anche vetture appena acquistate. È quanto ci ha spiegato Štefan Majtán, direttore generale di Arval Italia, filiale della società di noleggio a lungo termine e dei servizi di mobilità del Gruppo Bnp Paribas. Non prima però di aver provato a interpretare le conseguenze sul mercato della pandemia legata al Covid-19: “Possiamo immaginare che il segmento dei privati sarà più colpito rispetto a quello delle aziende, che sono più strutturate e hanno budget già allocati per affrontare l’emergenza. Lo scenario però è in continua evoluzione ed è troppo presto per fare previsioni certe”, ci risponde Majtán in un’intervista telefonica.

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| Aprile 2020

“In attesa di conoscere le conseguenze del coronavirus – prosegue – i risultati del 2019 sono positivi: la nostra flotta in Italia è arrivata a 217mila veicoli, con una cresciuta del 9% rispetto al 2018. Per dare un termine di paragone, le nuove immatricolazioni complessive sono salite appena dello 0,5%. Siamo andati meglio anche del mercato generale nel leasing full service, che è cresciuto del 7,5%”. Arval è una società multibrand che serve privati, professionisti e imprese, piccole o grandi, per un totale di 40mila clienti in Italia. La crescita nel nostro Paese va di corsa in particolare nel segmento privato, dove l’azienda ha raddoppiato la flotta e i contratti fra il 2018 e il 2019: “Puntiamo sul prezzo e sulla velocità con le quali vengono messi a disposizione i veicoli richiesti dal mercato. Qualunque sia il segmento di clientela, proponiamo una rata mensile che comprende ogni voce di spesa ed è fissa per tutto il periodo del noleggio”, continua Majtán. Buone notizie sembrano arrivare dal tipo di alimentazione scelta. Almeno nella doman-


da di Arval: nel 2018 i veicoli diesel rappresentavano quasi il 90% della flotta, nel 2019 la quota è diminuita di circa il 10%, a fronte di un aumento di auto a benzina, ibride ed elettriche. “Il calo è ancora più netto se si guarda alla produzione di veicoli che saranno presto inseriti nella flotta gestita: i diesel sono scesi a circa il 73% del totale, mentre i modelli ibridi e a batteria sono saliti quasi all’8%”. L’attenzione alla transizione energetica è una parte fondamentale della mission dell’azienda che intende “promuovere attivamente” il passaggio verso i veicoli a basso impatto. L’obiettivo di gruppo nel 2020 è far crescere la quota di veicoli elettrici nella flotta a un ritmo doppio rispetto alla crescita di mercato. Qui l’Italia deve ancora mettersi al passo con Paesi come Regno Unito, Germania e Francia, dove il mercato delle flotte è più ampio, i noleggi più numerosi e, soprattutto, si registra un passaggio più veloce al noleggio di veicoli elettrificati “grazie ai programmi di incentivi varati dalle autorità”, sottolinea Majtán.

Getty.

Anche in sharing A cambiare non è solo la scelta energetica: la formula stessa del business si trasforma perché la mobilità sarà sempre più “as-a-service”, ovvero basata sul pagamento di un servizio piuttosto che sull’acquisto di un veicolo. L’approccio comprende lo sharing, le applicazioni mobili e tutte le potenzialità espresse dal mondo digitale, per una gestione più tecnologica della flotta e una relazione più personalizzata con il guidatore. “Per seguire questi trend abbiamo lanciato Arval car sharing e la app mobile MyArval con informazioni e servizi per chi guida. Nel prossimo futuro arriveranno nuove soluzioni di mobilità sempre più hi tech. Stiamo pensando al noleggio a breve termine e alla condivisione tra dipendenti delle vetture presenti nelle flotte aziendali, dove spesso molti veicoli restano fermi in garage. Su questo abbiamo già un progetto pilota in corso che sta testando lo sharing tra colleghi che abitano in zone vicine”, conclude Majtán.

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AUTO TEST

Juke, i tempi cambiano. Il crossover coupé della giapponese Nissan, che dieci anni fa ha inventato il genere, è tutto nuovo: più spazioso e tecnologico, per ora dispone di un solo motore a benzina. Ecco come va. LA PROVA DE L’AUTOMOBILE

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| Aprile 2020


Alberto Novelli.

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■  Ci sono auto che inventano un nuovo segmento di mercato. Capita raramente, ma quando accade è bene non dimenticarlo, perché la storia va rispettata. La Nissan Juke, oggi alla seconda generazione e tutta nuova dal pianale alla tecnologia imbarcata, è uno di questi rari casi. Presentata per la prima volta nel marzo del 2010 al Salone di Ginevra, la Juke fece scalpore. Era un piccolo suv di 4,14 metri di lunghezza, disegnato dall’allora capo del design del marchio, Shiro Nakamura, volutamente con tratti forti, di quelli che avrebbero potuto dividere i gusti del pubblico – piace o non piace – ma senza il rischio che passasse inosservata. Quel giorno, Juke creò di fatto una nuova fascia di mercato che oggi impazza in Europa a danno di berline e wagon dello stesso segmento e di quello più grande C. E da allora ci è voluto un decennio perché la concorrenza copiasse a modo suo per giocare la stessa partita, fatta di veicoli agili nelle dimensioni, alla moda nello stile e desiderati nella soluzione del piano di seduta rialzato. La nuova Nissan Juke nasce nella fabbrica inglese di Sunderland, nonostante la Brexit stia facendo penare non poco il costruttore giapponese, che ha una lunga relazione con la Gran Bretagna. La piattaforma su cui nasce è la Cmf-B, utilizzata anche per modelli dell’alleata Renault tra i quali la sorella-rivale Captur. Nel design, la nuova Juke rinuncia ad alcuni spigoli e aggiunge qualche nervatura laterale in più, rimanendo originale, con quell’aria da suv-coupé con le maniglie delle portiere posteriori incassate in alto. Sul frontale compare per la prima volta la calandra a V che già distingue altri modelli della Nissan. La soglia di carico è alta È diventata più grande: ha una lunghezza di 4,21 centimetri, 7 in più della precedente, un passo allungato di quasi 11, per dare più spazio a bagagli e passeggeri, una larghezza maggiore di 3,5 centimetri per sta104

| Aprile 2020

re meglio in strada. Già che ci siamo, diamo subito una occhiata alla capacità del bagagliaio: vengono dichiarati 422 litri in configurazione cinque posti, 1.305 viaggiando in due, con un doppio fondo asportabile. Resta alta la soglia di carico, dazio da pagare alla linea sportiveggiante. Ci accomodiamo sul sedile di guida con il piano seduta rialzato (ma non troppo), come deve essere su questo tipo di veicoli. Cruscotto e plancia sono ordinati, con un mix di indicazioni analogiche e digitali: qualche tasto sul volante è troppo piccolo, ma l’insieme è funzionale. Due scelte progettuali meritano in particolare un plauso: lo schermo da 8 pollici con comandi touch per le informazioni al centro della plancia è ben posizionato in alto e la leva del cambio manuale a sei rapporti (in alternativa è disponibile un automatico doppia frizione a sette) perfettamente a portata di mano. Il touchscreen è animato dal Nissan Connect, che ha diverse funzionalità come Android Auto e Apple Car Play, Tom Tom Maps e Wi-fi integrato. Buona qualità percepita I sedili sono comodi e bene imbottiti, dietro il divanetto è sagomato, la qualità percepita è di buon livello così come i materiali utilizzati. Ci si muove senza problemi, meglio davanti che posteriormente anche se il passo maggiorato ha portato qualche beneficio per la sistemazione delle ginocchia dei passeggeri. Mettiamo in moto la Nissan Juke che per adesso ha a disposizione un solo motore, un mille tre cilindri turbo benzina da 117 cavalli, con start e stop che nelle riaccensioni ai semafori trasmette qualche sussulto. Si tratta di un motore silenzioso, appena pigro sotto i duemila giri ma pronto a salire di giri e a non disturbare una conversazione con i suoi decibel nemmeno alla massima velocità autostradale, dove in sesta la lancetta oscilla intorno ai 3.000 giri. La giusta rigidezza del nuovo pianale – i tecnici dichiarano un +13% rispetto a quella


Alberto Novelli.

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Ú CARTA D’IDENTITÀ Modello Motore Accelerazione Velocità massima Dimensioni Consumi (misto) * Emissioni CO2* Prezzo

Nissan Juke N-Design 1.0 benzina 117 cv 0-100 km/h in 10,4 sec. 180 km/h 4,21/1,80/1,59 m 20,4 km/l 112 g/km 23.820 euro vettura provata 27.670 euro

* NEDC correlato dichiarato

Due tester su tre hanno superato i moduli della prova dell’alce a 80 km/h

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precedente oltre a un minor peso del 6% - permette rapidi e sicuri inserimenti in curva, a vantaggio del piacere di guida. Il rollio è sensibile, se si va allegramente. La Juke è confortevole: la versione in prova dispone di cerchi da 19 pollici che aumentano tenuta e stabilità ma che in città trasmettono facilmente le irregolarità dell’asfalto e qualche reazione secca quando si passa su una buca. Sono di serie sulla versione N-Design che stiamo

guidando. Il pacchetto Lane Assist è invece optional (600 euro) ed è comprensivo di una serie di dispositivi di sicurezza attiva importanti nell’uso quotidiano: oltre al sistema di mantenimento della corsia, ci sono l’Around View Monitor con sensori parcheggio anteriori e posteriori, il cruise control intelligente che regola la velocità in relazione al traffico, il sistema di allerta attenzione guidatore tramite sensori, il sistema di


Alberto Novelli.

Alberto Novelli.

La Juke è portata al primo test, quello di frenata sia su asciutto che sulla resina. Il risultato viene molto influenzato dalla misura degli pneumatici, ricordiamo che ha cerchi da 19 pollici: la Juke si ferma presto e bene sull’asfalto, tra l’altro con limitato beccheggio segno di impianto potente e ben tarato, ma va in crisi sui fondi scivolosi con spazi di frenata lunghissimi. Annotano i collaudatori sulla scheda: “In sintesi la frenata ha due facce: potente e sicura su fondo aderente, incerta e non molto efficace su quelli più scivolosi. Ci piacerebbe provare di nuovo l’auto con pneumatici di misura diversa”.

avviso e intervento angolo cieco, il sistema di rilevamento posteriore degli ostacoli in movimento. Se poi si vuole ascoltare musica con alti livelli qualitativi, spendendo altri 600 euro, si aggiunge un impianto Bose con otto altoparlanti, di cui due integrati nei poggiatesta anteriori a farci compagnia nel trasferimento verso il Centro di guida sicura ACI-Sara di Vallelunga, dove ci aspettano i nostri collaudatori.

Comportamento neutro Tocca al test in curva. È buona la percorrenza sullo steering pad dove la Juke ha raggiunto una velocità di tutto rispetto mostrando comportamento neutro e rollio accettabile. “Prima di arrivare al limite – si legge nella nota finale – quando la rotazione del volante è costante, l’Esp taglia senza troppi riguardi il gas. Viceversa, quando si agisce decisamente sull’angolo di sterzo, il controllo della stabilità di marcia interviene in maniera

accurata e convincente sui freni”. Il comportamento nel cambio di corsia viene giudicato “accettabile” e “non mette mai in difficoltà il guidatore”. Alla successiva prova dell’alce, due tester su tre hanno superato i tre moduli a 80 km/h, grazie anche alla gommatura generosa che in questo caso non penalizza come nella frenata sui fondi scivolosi. I tester confermano quanto avevamo rilevato nella guida sulle strade di tutti i giorni: il crossover ha buona visibilità anteriore (meno dietro) e può contare su una discreta precisione dello sterzo, due elementi che hanno aiutato in pista a raggiungere dei buoni risultati. È ora di tornare sulla resina bagnata per l’ultimo test, controllo di sbandata e slalom. Lasciamo la parola ai collaudatori: “Nella prima, la poca sensibilità alla variazione di velocità ha limitato la capacità di scorrere tra i coni. Nella seconda, l’Esp aiuta tanto, nonostante la poca presa degli pneumatici, agevolando così le correzioni e il recupero dell’auto”. Il giudizio finale è quello di un’auto equilibrata, stabile e maneggevole, dotata di sistemi elettronici di controllo di buon livello. Con ancora un tocco di originalità nel design che non guasta. Aprile 2020 |

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AUTO LA SICUREZZA IN CIRCUITO 2,8 10

1 2,5

12

13,5

Scarto dell’ostacolo Maneggevolezza Stabilità Precisione di guida Facilità di controllo Rollio Comportamento al limite Media

3

11

12,5

12

Frenata 70 65 65 70 60 50 63,3/100

Distanza di frenata 80 Stabilità in frenata 70 Direzionalità residua 50 Taratura ABS 65 Progressività e precisione del comando 70 Facilità d’uso 70 Media 67,5/100

Pista circolare

Condizioni di prova

Tenuta laterale 70 Stabilità di percorrenza 70 Rollio 60 Comportamento al cambio di traiettoria 65 Sensibilità alla variazione di velocità 60 Media 63,0/100

Temperatura Cielo Vento Pioggia

10° sereno moderato assente

2,5

25

35

Punto di frenata

3,5

1 2 3

108

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3,5

La prova è stata eseguita nel circuito ACI-Sara di Vallelunga 1 Resina larghezza 5 m raggio 19 m 2 Asfalto larghezza 3,5 m raggio 23 m 3 Asfalto larghezza 3,5 m raggio 25,5 m

Tutte le misure sono in metri

2,5

2,5


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PLAYLIST

Quei simboli immortali. GIUSEPPE CESARO

■  Anche la musica è design. E non solo di suoni. Rock e design vanno di pari passo da sempre. E condividono persino la denominazione “pop”. Impossibile ricordare tutti i loghi che fanno ormai parte dell’immaginario collettivo. Il più famoso è senz’altro “Tongue and Lips” (“Lingua e labbra”): da cinquant’anni, marchio dei Rolling Stones. L’ideatore è il grafico inglese John Pasche, all’epoca ventiquattrenne, al quale Jagger e soci si rivolsero, delusi dai bozzetti prodotti dalla loro casa discografica. Come ispirazione Jagger suggerì un’immagine della dea Kali, spesso raffigurata con espressione minacciosa e una lunga lingua rossa. Pasche, però, dichiarò che l’idea gli venne incontrando per la prima volta Jagger. “Quando ti trovavi faccia a faccia con lui, la prima cosa che ti colpiva erano le dimensioni delle sue labbra e della sua bocca”. Due settimane di lavoro e un compenso di sole 50 sterline. Gli Stones, però, furono così entusiasti da riconoscere al giovane artista un extra di 200 sterline. Registrato il marchio, Pasche ricevette, poi, la sua parte di royalty e più tardi vendette l’originale al Victoria & Albert Museum di Londra per 92.500 sterline.

L’interpretazione più artistica del nome di una band, invece, è quella di Roger Dean, artista e grafico inglese, per il logo degli Yes, tra le più importanti band progressive. Dean fonde le lettere del nome in una forma fluida e originalissima, capace di catturare l’occhio, e generare – anche grazie al sapiente uso delle sfumature di colore – fascino ed empatia. Il suo stile, fatto di paesaggi fantastici, è perfetto per illustrare la musica della band. “C’è un legame davvero molto stretto tra il nostro sound e l’arte di Roger”: parola di Steve Howe, chitarrista solista e autore di molti successi del gruppo. Puro simbolo, invece, è il glifo con il quale nel ‘94 Prince – probabilmente per aggirare i vincoli contrattuali imposti dai discografici - decide di rinunciare al proprio nome e presentarsi come TAFKAP: “The Artist Formerly Known As Prince” (l’artista precedentemente noto come Prince). Il “simbolo dell’amore” – realizzato da Mitch Monson, Sotera Tschetter e Lizz Luce – è un’esoterica fusione di elementi: Marte, Venere, l’occhio di Horus, yin e yang, terra, sole, potenza, e un 7 capovolto.

Simboleggia l’armonizzarsi di mondi diversi, spesso in conflitto tra loro come uomo e donna o sesso e religione, e verrà utilizzato sulle copertine dei dischi, nella forma dei palchi, e persino in quella della chitarra elettrica del genio di Minneapolis. La palma del logo più ricco e imponente spetta, però, senz’altro a quello dei Queen, disegnato dallo stesso Freddie Mercury, che non a caso aveva frequentato anche l’Ealing Art College of London. Maestoso come si conviene a una regina – la somiglianza con il “Royal Coat of Arms of England” (lo stemma reale del Regno Unito) non è casuale – fonde i segni zodiacali dei quattro componenti della band: due leoni, un granchio (cancro) e due fate (vergine). I due leoni sostengono e proteggono il cuore del logo – la “Q” di Queen – al cui interno è adagiata la corona. Il tutto, sotto l’occhio vigile e l’abbraccio alato della Fenice, simbolo di vita, potere e passione senza fine, di chi risorge dalle proprie ceneri. Immortale. Come la grande musica.

Prince durante il Purple Rain Tour nel 1985.

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STORICHE MAZDA

Cent’anni di futuro. PAOLO ODINZOV

Il marchio giapponese festeggia il secolo di vita: dal sughero a una tre ruote, dal Wankel alla spider più venduta al mondo fino alla prima elettrica. ■  Dai tappi di sughero alle automobili: la storia della Mazda nei suoi 100 anni di vita è un romanzo affascinante con molti capitoli. Il primo comincia il 30 gennaio del 1920 quando un giovane industriale di Hiroshima, Jujiro Matsuda, rileva il controllo dell’azienda dedita alla lavorazione della corteccia di quercia, allora di nome Toyo Cork Kogyo, e la trasforma in produttore di macchine utensili e poi in un costruttore di veicoli. Ci vogliono dieci anni per arrivare al primo motocarro a tre ruote: sul Mazda-Go, in vendita nel 1931, appare la nuova denominazione della Casa, simile al cognome del fondatore e ispirata alla divinità zoroastriana Ahura Mazda. Bisogna poi attendere il 1960 per vedere la pri112

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ma vera vettura del marchio: la R360. È una kei car, auto urbana tipica jap, che ha subito successo e diventa la capostipite di una intera gamma di modelli arrivati oggi a essere commercializzati in oltre 130 paesi del mondo. Il lungo cammino della Mazda viene fatto a piccoli passi, scandito da scelte originali, a volte azzardate e poi rivelatesi vincenti. Una di queste si chiama motore rotativo, adottato in seguito alla cooperazione iniziata nel 1961 con la tedesca NSU e portato al debutto sulla Cosmo Sport 110s nel 1967. Proprio il Wankel - che deve il nome al suo inventore - è diventato nel tempo un simbolo del costruttore. Prodotto in oltre 2 milioni di unità, ha equipaggiato nel 1991 la 787B, con cui Mazda è stato il pri-


La Mazda Cosmo Sport. Aprile 2020 |

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La Savanna RX-7 di prima generazione, coupĂŠ dal taglio sportivo realizzata nel 1978.

La Mazda R360 è la prima vera autovettura prodotta dalla casa automobilistica giapponese nel 1960.

Mazda-Go Type-Da, nato nel 1931 è il primo veicolo della storia della Casa giapponese.

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mo costruttore asiatico a vincere la 24 Ore di Le Mans, e ha spinto sulle strade e sul mercato modelli di successo come la RX-7 e la RX-8. Adesso sarà impiegato in veste di range extender, per allungare l’autonomia alla MX-30, la prima elettrica del marchio pronta a fare la differenza con le rivali assicurano gli ingegneri giapponesi - per la capacità di replicare nella guida le stesse identiche sensazioni di un modello termico. Cosa che abbiamo potuto verificare guidandola in un breve test.

La Mazda MX-5, nota anche come Miata, in un esemplare del 1989.

Uno stile, tanti interpreti Ma la sfida più clamorosa di Mazda è stata la spider MX5, lanciata nel 1989 quando nessuno credeva più nel successo delle piccole scoperte a due posti e diventata l’auto dei record nel segmento, grazie a quattro generazioni e oltre un milione di esemplari venduti. La storia di Mazda è fatta poi di tante alleanze, fatto inconsueto per un marchio giapponese, dove la piena autonomia è in genere un valore difeso gelosamente. La prima è stata con Mitsubishi, il cui nome appare su alcuni esemplari del Mazda-Go, l’ultima in ordine di tempo è con Toyota per affrontare insieme le prossime sfide della elettrificazione. Mazda ha avuto addirittura una lunga relazione con la straniera Ford, iniziata nel 1979 e andata a scemare progressivamente dal 2008, dopo una produzione comune di alcuni modelli tra cui la Ford Fiesta e Mazda 121. Discorso a parte merita poi il design delle vetture che Mazda ha sempre curato in modo molto personale, distinguendosi dalla produzione giapponese grazie anche a collaborazioni eccellenti. Basti pensare a quella con Giorgetto Giugiaro per realizzare il vestito della R130 nel 1969, quando il maestro piemontese lavorava ancora per Bertone o a quella con l’inglese Kevin Rice, autore di diverse vetture tra cui l’ultima MX-5, diventato da marzo responsabile stile della Pininfarina. Il centro stile interno ha tracciato le linee del Kodo design, la cui massima espressione futuristica è stata applicata alla RX-Vision, spettacolare sportiva in forma di concept presentata al Salone di Tokyo nell’autunno scorso. Ma i tratti del Kodo segnano tutte le attuali vetture della Casa, dalla piccola 2, appena arrivata nella nuova versione sulle strade, alla MX-30 a batteria presto nelle concessionarie. Lo stile Kodo rappresenta l’essenza di Mazda dall’origine ad oggi , ci spiegava tempo fa Ikuo Maeda, responsabile del design globale del marchio, sottolineando che la storia di una casa automobilistica si legge anche nelle forme e nei contenuti stilistici dei suoi modelli. Ogni nostra macchina ha sempre mantenuto un solido filo conduttore nel tempo che la identifica come una Mazda. Sulla MX-30, abbiamo nuovamente utilizzato, come all’inizio, sottili strati di sughero nell’abitacolo insieme a fibre derivate da bottiglie di plastica riciclata per il rivestimento delle porte. Guardiamo avanti pensando al passato . La storia continua. Aprile 2020 |

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STORICHE ITALIA

Un modo di stare insieme. “Ruote nella Storia 2020”, come funziona l’appuntamento organizzato da ACI Storico con eventi itineranti in luoghi affascinanti per auto d’epoca e i loro proprietari al volante. CARLO DE ROSSI ■  Nato nel 2017 con tre appuntamenti con cui sondare la reazione di partecipanti e appassionati, Ruote nella Storia è diventato un programma di successo con raduni itineranti, pensati e organizzati da ACI Storico. Nel 2019 sono stati più di dieci gli appuntamenti sul territorio italiano: il format prevede eventi domenicali dove i possessori di vetture di interesse storico collezionistico si radunino per fare insieme un percorso che li porti dalle città di partenza a luoghi di fascino storico, culturale e architettonico. Il progetto Ruote nella Storia viene infatti realizzato in collaborazione con l’associazione “I borghi più belli d’Italia”, che individua, fra i tantissimi centri in tutte le regioni italiane, quelli di maggior interesse e valore storico-culturale. Alcuni appuntamenti hanno anche un profilo sportivo non competitivo, 116

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con la possibilità per i partecipanti di effettuare prove di regolarità classica con pressostati, senza definizione di classifiche finali. Un modo per avvicinarsi a questa disciplina, mentre i già esperti sono messi in grado di effettuare dei piccoli allenamenti. Dopo il successo della edizione del 2019, con oltre 100 vetture d’epoca guidate dai soci di ACI Storico, quest’anno l’organizzazione dei singoli appuntamenti è passata agli Automobile Club locali presenti su tutto il territorio italiano. Prima della emergenza sanitaria del coronavirus, ci sono state richieste per almeno una ventina d’appuntamenti durante l’anno; chiaro che per conferme, disdette o rinvii bisognerà attendere l’evoluzione della crisi. Il calendario 2020 di Ruote nella Storia prevedeva eventi al nord a Biella, Como, Vercelli, Ponente Ligure,

Milano, Genova, Cuneo, Belluno, Cremona e Torino; al centro ad Arezzo, Firenze e Bologna; al sud a Foggia, Brindisi-Taranto, Salerno e Potenza; nelle isole, in Sicilia a Palermo e Messina e in Sardegna a Sassari. Da segnalare, fra tutti, che il club affiliato ACI Storico Astor sarà coinvolto nell’organizzazione della tappa Brindisi-Taranto per un percorso che porterà i partecipanti al borgo di Maruggio, una perla salen-


tina dal fascino senza tempo tra ulivi e trulli. Un altro club, l’Associazione delle nonnette ruggenti del Ceresio, parteciperà con i suoi soci alla tappa il cui percorso porterà a Menaggio, l’elegante borgo del lago di Como. Vero interesse storico L’obiettivo di Ruote nella Storia è di promuovere e tutelare il mondo delle

vetture di vero interesse storico collezionistico, sostenendo i mezzi e i loro proprietari anche tramite agevolazioni fiscali e alla circolazione. ACI Storico vuole regolamentare questo mondo tramite lo stimolo alla rottamazione dei veicoli semplicemente vecchi e inquinanti, senza alcun valore storico e culturale. La tutela delle vetture di interesse storico non si riferisce però solo a vetture di grande

valore economico, anzi. Fra le vetture ultra ventennali esistono modelli di basso valore economico che hanno segnato la storia del motorismo italiano e internazionale e portato per la prima volta soluzioni tecniche all’avanguardia. Alcuni modelli circolanti hanno anche numeri esigui: tutti questi vanno tutelati per far sì che possano essere facilmente utilizzabili dai loro proprietari. Aprile 2020 |

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STORICHE AUDI

Nel segno del quattro.

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MARCO PERUGINI

Ăˆ il 1980 quando Ferdinand PiĂŤch introduce per la prima volta un modello a trazione integrale. La storia di un successo lungo 10,5 milioni di esemplari venduti che dura da 40 anni.

A sinistra una Audi Sport quattro Rallye, a destra una Sport quattro del 1984.

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A sinistra l'Audi Sport quattro Rallye del 1984. A destra la prima quattro al suo debutto al Motorshow di Ginevra nel marzo del 1980.

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■  Quattro come Audi. Il marchio tedesco deve molto alla sua trazione integrale che l’ha reso famoso, quando nel 1980 era alla periferia del regno dell’alto di gamma, meglio rappresentato dai parenti famosi di Bmw e Mercedes. Oggi quel quattro (rigorosamente in minuscolo), come le ruote motrici di alcuni modelli che hanno fatto la storia del brand, compie qua-

rant’anni. Una storia avviata con la Ur-quattro, una coupé presentata al Salone di Ginevra del 1980: motore 5 cilindri turbo di 2.100 centimetri cubici, potenza di 200 cavalli, velocità fino a 220 chilometri orari e, soprattutto, una trazione integrale leggera, compatta ed efficiente. Praticamente il contrario di quanto visto fino ad allora. È solo l'inizio. Quattro anni dopo


La storia continua nel 1986 quando il differenziale centrale bloccabile manualmente è sostituito da un differenziale centrale TorSen per ripartire la coppia in modo variabile tra gli assi. Fino ad arrivare a un passaggio importante: nel 1999 la trazione integrale quattro diventa per tutti (o quasi) e sale a bordo anche dei modelli più compatti come Audi A3 e TT. Il resto è storia di oggi e di domani: la e-tron (e la e-tron Sportback in arrivo) porta con sé la nuova generazione del sistema quattro, realizzato attraverso motori elettrici in corrispondenza dei due assi, il tutto a zero emissioni alla scarico e in assoluto silenzio.

la Ur-quattro è affiancata da una versione Sport, dove i cavalli diventano 306, con un rapporto peso-potenza da primato per la sua categoria. Opere di ingegneria meccanica d’alto valore: per una Quattro del 1980, le quotazioni partono oggi da 35mila euro, fino ad arrivare ai 370mila necessari per una ben più rara Sport, prodotta in appena 224 esemplari.

800mila quattro nel 2019 Fino ad oggi Audi ha venduto nel mondo 10,5 milioni di auto con trazione integrale quattro, oltre 800mila solo lo scorso anno, numeri che sottolineano la bontà della scelta compiuta quarant’anni fa da Ferdinand Piëch, nipote di Ferdinand Porsche, appena salito al vertice del gruppo Volkswagen. Un successo anche – e all’inizio soprattutto – sportivo: nel 1981 Michèle Mouton al volante di Audi quattro è la prima donna ad aggiudicarsi a

Sanremo una tappa del campionato mondiale rally, mentre il titolo costruttori arriva già nel 1982 e quello piloti l’anno successivo con Hannu Mikkola. Nel 1984 la festa è doppia, con Stig Blomquist e Audi in vetta alla classifica. Tre anni più tardi, la S1 di Walter Röhrl vince negli Usa la cronoscalata Pikes Peak, seguita l'anno dopo dalla Audi 200 che conquista il titolo piloti e costruttori Trans Am. In Germania, il marchio tedesco firma due titoli piloti e sette campionati nazionali Dtm. Quattordici anni dopo, l’ibrida diesel R18 e-tron, spinta sulle ruote anteriori da un motore elettrico e al posteriore da un V6 TDI, vince per tre edizioni consecutive la 24 Ore di Le Mans, firmando anche due doppiette piloti-costruttori nel Mondiale Endurance. Per Audi, lo sport non vuol dire solo corse: a sottolineare il controllo e la trazione del sistema quattro, nel 1986 la 100 CS con al volante il pilota di rally Harald Demuth risale un trampolino di salto con gli sci a Kaipola, in Finlandia. Nel 2019 il campione di rallycross Mattias Elkstrom con l’elettrica e-tron S conquista da Kitzbüel la cima della vertiginosa pista Streif. Spettacolo, come la storia quattro. Aprile 2020 |

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SPORT FORMAZIONE

Forza giovani.

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I talenti cresciuti da ACI Team Italia, un programma nato nel 2014 che ha portato Giovinazzi in Formula 1 e tanti altri ragazzi nelle varie categorie.


Marco Pollara e Maurizio Messina al Rally di Svezia JWRC a bordo di una Ford Fiesta R2 di ACI Team Italia.

CHIARA IACOBINI ■  Il 2020 è l’anno della definitiva esplosione del programma a supporto dei giovani talenti dell’automobilismo tricolore, creato da Automobile Club d’Italia. Siamo nel 2014 e l’idea era ormai matura: bisognava far qualcosa di più concreto e importante per permettere ai giovani talenti dell’automobilismo sportivo italiano di tornare a essere protagonisti nelle serie di vertice dell’automobilismo mondiale. Sotto la spinta del Presidente dell’Automobile Club d’Italia, Angelo Sticchi Damiani, del Direttore Centrale per lo sport Marco Ferrari e di tutta la Giunta Sportiva di ACI, nacque così il progetto ACI Team Italia per sostenere le carriere sportive dei nostri giovani piloti, rafforzato anche dalle esperienze di personaggi come Gian Carlo Minardi e della Scuola Federale ACI Sport. Dopo cinque anni, e in previsione di un 2020 fatto di numeri straordinari, il bilancio parla da solo. A partire dal risultato più importante di nome Antonio Giovinazzi, arrivato in Formula 1 dal kart, dopo essere stato seguito in tutto il suo percorso, fino allo squadrone ACI Team Italia, presente nel 2020 in alcune delle maggiori serie internazionali e nazionali. In questa stagione, sono 15 i piloti che correranno con la livrea della “nazionale azzurra”. Nel settore rally, si conferma Fabio Andolfi, protagonista negli ultimi anni del Campionato del Mondo WRC 2, che ritroviamo tra i partecipanti al FIA Junior WRC, insieme a due esordienti nel Mondiale che hanno già dimostrato di avere talento e capacità: Tommaso Ciuffi e Marco Pol-

lara. I tre alfieri nel Mondiale Junior hanno già disputato il primo difficile impegno in Svezia e ora si confronteranno sulle strade di casa del Rally Italia Sardegna. Ci sono grandi aspettative per gli otto equipaggi che si apprestano ad affrontare un’altra avventura rallistica: il Campionato Italiano Rally Junior, serie che per il vincitore mette in palio la partecipazione al Mondiale Junior 2021. Michele Bormolini, Giorgio Cogni, Michel Della Maddalena, Guglielmo De Nuzzo, Andrea Mazzocchi, Riccardo Pederzani, Marcel Porliod e Emanuele Rosso sono i piloti che compongono la squadra chiamata a sfidarsi per il titolo Under. Osservati speciali Rimanendo nei rally, sotto osservazione dall’ACI è Alberto Battistolli, che si appresta ad affrontare alcune gare del WRC 3 affiancato dall’esperta Fabrizia Pons, orgoglio di papà “Lucky”, campione italiano ed europeo nei Rally Storici e grande protagonista assoluto dei rally italiani negli anni ’70 e ’80. Nel contesto europeo, a far valere i colori della Nazionale c’è Mattia Vita, mentre nel tricolore italiano tocca a Luca Bottarelli. Un nuovo volto arriva anche dalle file dell’Italian F4, fiore all’occhiello tra le serie della Federazione, di nome Gabriele Minì: “Sono salito per la prima volta su un kart a due anni e fin dall’inizio pensavo di diventare un pilota famoso”, ha raccontato in più di un’occasione il giovane kartista, ingaggiato per questa stagione tra le monoposto dalla Prema Powerteam, premiato anche dalla FIA come U16 nel Campionato del Mondo 2019 nella categoria OK. Aprile 2020 |

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SERVIZIO ASSICURAZIONE

Rc famiglia: sono luci e ombre. Vantaggi e svantaggi della nuova norma che riguarda le polizze auto. Il parere di consumatori e compagnie. MARINA FANARA ■  La nuova Rc auto familiare è considerata un’estensione della legge Bersani perché ne aumenta ulteriormente i benefici: la classe di merito più bassa si applica anche a veicoli di diversa tipologia (per esempio auto e scooter). Ed è valida anche in caso di rinnovo e non più esclusivamente alla stipula di un nuovo contratto: a patto però che il beneficiario non abbia commesso un incidente negli ultimi 5 anni. Un risparmio per tutti quei genitori alle prese con polizze d’ingresso molto onerose per assicurare, per esempio, lo scooter dei figli (finora in questi casi si è applicata la classe più alta, la 14esima). Se però ci si rende responsabile di un sinistro grave, con danni superiori ai 5mila euro, si perde il beneficio della Rc auto formato famiglia, con il rischio di retrocedere fino a 5 classi di merito. L’Rc auto familiare dovrebbe dunque andare incontro ai clienti. Eppure non tutti sono d’accordo: “È positivo 124

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che la classe di merito più vantaggiosa possa essere estesa anche a veicoli diversi presenti in famiglia”, sottolinea Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori. “Quello che ci lascia perplessi è la possibilità di usufruirne anche in fase di rinnovo della polizza e non più esclusivamente sui contratti di nuova stipula: aspetto che produrrà un impatto negativo ai bilanci delle società assicurative che, per non subire una drastica riduzione degli utili, saranno tentate di rivalersi sul resto degli assicurati, innalzando i premi medi a danno soprattutto delle famiglie che posseggono un solo veicolo”. “Al momento la norma non è chiara e non ci resta che aspettare il parere dell’Ivass (l’Istituto che vigila sulle assicurazioni, ndr) a cui spetta la sua interpretazione per poi valutare la concreta applicazione. Nel frattempo, esortiamo i consumatori a prestare la massima attenzione: se alla scaden-

za annuale dovessero accorgersi di variazioni anomale dei premi, consigliamo loro di verificare se il mercato offre alternative più convenienti, magari consultando un canale ufficiale, come il comparatore dell’Ivass”. “Più svantaggi che benefici” è il parere del mondo assicurativo. Roberto Landi, direttore tecnico Auto di Sara Assicurazioni, spiega così il punto di vista della compagnia: “L’Rc


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auto familiare tende a mettere tutti sulle stesso piano, le tariffe non sono personalizzate rispetto al proprio profilo di rischio e questo potrebbe compromettere la funzione del bonus-malus ovvero, modulare il costo della polizza sulle caratteristiche del conducente: chi è più virtuoso paga meno, chi guida con minore prudenza paga di più”. Secondo Landi poi, “con il nuovo provvedimento i sini-

stri non diminuiranno. Anzi. La norma rischia di disincentivare la guida più prudente, proprio perché la perdita del beneficio avviene solo in caso di sinistri gravi, quelli di minore entità restano fuori ma comunque pesano sui costi delle compagnie. Meno premi e meno margini per le assicurazioni potrebbe tradursi in un aumento generalizzato delle polizze a danno di chi ha un solo veico-

lo e non commette incidenti. L’aspetto grave è che si rischia di vanificare quanto già si stava facendo, in termini di rispetto del Codice della strada, ad esempio, attraverso il bonus e la scatola nera, che permetteva, premiando con sconti importanti i comportamenti virtuosi alla guida, un risparmio sui premi e una maggiore sicurezza per sé e per gli altri”, conclude Landi. Aprile 2020 |

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COME ERAVAMO

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Aprile 1967 Negli anni sessanta si immaginava il futuro con auto a propulsione atomica o ionica, a guida automatizzata o taxi automatici attivabili con un gettone. In quegli anni Ford presenta il prototipo Gyron: senza volante, autonoma e una scheda perforata come memoria con tutte le indicazioni del percorso.

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