ALTRE PAGINE SULLA GRANDE GUERRA

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LUIGI CADORNA ALTRE PAGINE SULLA . GRANDE GUERRA TUTODISTORIA MCHER Inv.H.2670LIESPOLN GR * FacoltàdiLettere 0 :58 A. MONDADORI MILANO

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Copyright by A. Mondadori ,, Casa Ed . 1925

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Nel mio libro « La guerra alla fronte italiana » mi sono limitato per non accrescerne soverchia mente la mole a descrivere gli avvenimenti della grande guerra che si sono svolti in vicinanza degli antichi confini d'Italia. Desidero ora di trattare altri argomenti che si riferiscono alla passata guerra o che hanno con essa stretta connessione. Questo libro deve perciò considerarsi come un complemento del precedente, e ne conserva il carattere; dal mede simo è perciò bandita qualsiasi polemica personale: esso è puramente storico, e tutto il mio racconto è documentato o documentabile.

Il presente volume comprende quattro scritti, che si riferiscono a quattro distinti argomenti non aventi rapporto tra di loro, ma tutti importanti per la storia della grande guerra.

Il primo espone le intenzioni del Comando supremoitaliano, nel caso in cui, allo scoppio della guerra europea, al 1° agosto 1914, l'Italia fosse stata trascinata alla guerra a fianco degli Imperi Centrali, come era previsto dal trattato della triplice alleanza.

Il secondo parla della neutralità della Svizze ra, delle preoccupazioni che la possibilità della sua violazione per parte degli Imperi Centrali procurò

PREMESSA-

durante tutta la guerra al Comando supremo italiano, in ragione delle gravissime conseguenze che potevano derivare dal pericoloso insinuarsi del saliente ticinese a due sole giornate di marcia da Milano; vi si parla delle misure prese, sia per fortificare la frontiera sviz zera,sia per il trasporto e l'impiego di truppe d'ac cordo con la Francia.

Il terzo tratta degli avvenimenti che si svol sero in Libia nel 1914-15 , i quali culminarono, purtroppo, in un disastro, finora poco noto, che poteva e doveva essere evitato. Sebbene tali avveni menti non facciano propriamente parte della gran de guerra, hanno con essa stretta connessione, poi chè la ribellione degli indigeni sembra essere stata provocata dalla Turchia e dalla Germania, allo scopo di procurare a noi delle gravi preoccupazioni, di distoglierci dall'entrare in guerra contro gli Im peri Centrali, di costringerci in ogni caso ad inviare molte forze in Libia, le quali sarebbero state sot tratte al teatro di guerra europeo. Di tali avveni menti non narrerò minutamente la storia, essendo pre cipuo scopo diquesto libro, come del precedente, di esporre il pensiero del Comando supremo ed i rap porti di questo col Governo; emergeranno così le diverse vedute sulla condotta più opportuna per far fronte alla difficilissima situazione determinatasi nel la colonia e alle forze da impiegarvi, le quali sareb bero state sottratte al teatro di guerra principale.

Finalmente, nel quarto si narra il modo « co me ci avviammo in Albania e in Macedonia ». Lo stesso titolo dice di per sè che non è mio intendi mento di esporre la storia completa della doppia spedizione, al quale scopo neppure posseggo i docu menti storici necessari. Mi interessa invece, ed è di somma inportanza, specialmente in questo caso nel quale fu completa la disparità di vedute di mettere in luce i rapporti corsi tra il Comando su

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premo e il Governo nel concepire e nell'avviare le due spedizioni, la seconda delle quali quella della Macedonia ebbe notevole importanza nel complesso della guerra europea, ed assai più ne avrebbe avuta se fosse stata tempestivamente concepita dai nostri alleati, e se ad essa fossero state fin dal principio dedicate forze proporzionate al grandissimo influsso strategico e politico che avrebbe potuto esercitare. Il III° ed il IV° di questi scritti dovrebbero essere ricchi diammaestramenti, se nel corso della storia non siassistesse alla eternaripetizionedeimedesimi errori! Quante volte si sono perdute delle guerre per avere disperso le forze nel volere contemporanea mente raggiungere fini multipli e secondari, men tre soltanto la riunione delle forze nel punto deci sivo può dare le maggiori probabilità di vittoria. Eppure assistiamo in Albania (ed in minore scala in Libia) alla ripetizione del medesimo errore : il Governo, non contento di avere già sottratto tre divi sioni già sbarcate a Valona, dalle forze che dove vano decidere delle sorti della nostra guerra sull'I. sonzo e nel Trentino, pretende dal Comando supremo l'invio di altre divisioni in Albania per raggiungere scopi affatto trascurabili nel complesso della guerra europea. E ciò avveniva alla vigilia dell'offensiva austriaca del 1916 dal Trentino, in conseguenza della quale si dovettero richiamare in Italia due delle tre divisioni già dislocate a Valona!

E così pure, non è un principio elementare con fermato dalla esperienza dei secoli, che quando ci si trova nella impossibilità di proporzionare le forze ai fini, è necessario ridurre i fini e proporzionarli alle forze disponibili? Eppure tale principio riceve la più aperta violazione in Libia. Infatti, quando nella imminenza della nostra entrata in guerra, il Capo di stato maggiore dell'esercito, non essendo in grado di inviare in Libia le molte forze necessarie

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a sedare la grave rivolta, propone di ridurre i fini proporzionandoli alle forze disponibili e non mentabili, riducendo cioè i punti occupati nell'in terno della colonia e, occorrendo, ritirandosi alla co sta, egli non viene ascoltato; ed allora la ritirata alla costa si impone ugualmente, ma non essendo stata eseguita in tempo ne consegue uno dei più gravi disastri che abbiano colpito gli eserciti europei nelle colonie !

E così pure perl'Albania si progettano a Roma operazioni lontane dalla costa, affatto sproporzio nate alle forze (pur già notevoli) che si trovano in quella regione, e che non si sarebbero potute aumen tare se non a scapito della sicurezza della fronte principale in Italia.

Per quanto io sia scettico sulla efficacia degli ammaestramenti della storia, perchè le generazioni si susseguono, e ciascuna - come i singoli uomini vuol fare la propria esperienza, che è la sola vera mente efficace, pure non sarà forse del tutto privo di utilità il porre in luce con esempi nostri recen tissimi, comela ripetizione dei medesimi errori con duca sempre alle medesime fatali conseguenze. E se per caso non vi conduce, si è perchè dall'altra parte si sono commessi errori ancor più gravi, op pure è stata più benigna la Dea Fortuna, che tanta influenza ha negli eventi della guerra.

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CIRCA IL PROGETTATO INVIO UN ' ARMATA ITALIANA IN ALSAZIA DI

Il 27 luglio 1914, nel giorno cioè in cui io assumevo la carica di Capo di stato maggiore dell'esercito, la guerra era giudicata inevitabile in seguito alla nota-ultimatum del 23 luglio, dell'Au stria-Ungheria alla Serbia. Difatti il 31 si ordina la mobilitazione generale in Austria -Ungheria ed in Russia. Lo stesso giorno la Germania invia l'ul timatum alla Russia perchè smobiliti e alla Fran cia perchè dichiari entro 18 ore se intende rima nere neutrale. Il 1° agosto la Germania, non rice vendo risposta dalla Russia, le dichiara la guerra e la Francia risponde all'ultimatum con l'ordine di mobilitazione generale.

La dichiarazione ufficiale di neutralità del l'Italia già preannunciata il 1° agosto da un comunicato dell'Agenzia Stefani ha la data del 2 agosto. Perciò, fino al 1° agosto, io avevo il dovere di considerare l'eventualità che l'Italia dovesse entrare in guerra contro la Francia a fianco delle potenze centrali, con le quali eravamo legati dal trattato della triplice alleanza.

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Le condizioni del nostro esercito, quali le

trovai in quel giorno 27 luglio, non erano liete, come ho dimostrato nel Capitolo I del libro: « La guerra alla fronte italiana ». Accingendomi a por riparo, come meglio e più rapidamente si poteva in quei frangenti, alle gravissime deficienze riscon trate assai maggiori di quanto avrei immagi nato dovetti in pari tempo considerare il pro blema strategico generale. Frutto di queste con siderazioni è unamemoria che inviai il 31 luglio, il giorno antecedente a quello in cui il Governo deliberava la nostra neutralità.

Ma, prima di riprodurre questa memoria, è d'uopo ricordare come, per iniziativa del gene rale Cosenz, allora Capo di stato maggiore del l'esercito, il quale con lasua alta intelligenza ve deva chiaramente il modo migliore perrisolvere prontamente una guerra europea, era stata con clusa fin dal 1888 una convenzione militare con la Germania, che ci obbligava in caso di guerra che impegnasse la triplice alleanza, ad inviare sul Reno un'Armata di 5 corpi d'Armatae due divisioni di ca valleria.Taleproposta,tostoaccettataconentusiasmo dallaGermania,erastatasuggeritaalgeneraleCosenz da un doppio ordine di considerazioni. Il primo era quello che in seguito alla costruzione del grande sistema di fortificazioni eretto dalla Francia lungo le nostre frontiere, saremmo stati condannati a lunga e difficile guerra di posizione, in una regione sgombra dalle nevi per soli cinque mesi dell'anno, nella quale una notevole parte delle nostre forze non avrebbe potuto trovare utile impiego. In secondo luogo, il teatro principale delle opera zioni, sul quale si sarebbe svolta la guerra europea, era quello franco-germanico; sul medesimo per tanto, secondo i buoni principî dell'arte, dove vano raccogliersi tutte le forze non strettamente necessarie altrove .

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L'impegno militare da noi volontariamente assunto nel 1888, rimase in vigore fino al 1912; ma nel dicembre di quell'anno esso fu sospeso,, trovandoci, in seguito alla guerra di Libia, nella impossibilità di dare ad esso esecuzione. Ma l'im pegno medesimo ritornò in vita alla vigilia della guerra europea ,limitato però a tre corpid'Armata e due divisioni di cavalleria.

Le cose stavano a questo punto quando, il 31 luglio 1914, il giorno stesso in cui la Germania mandava il suo ultimatum alla Francia, io inviavo la seguente:

MEMORIA SINTETICA SULLA NOSTRA RADUNATA NORD -OVEST E SUL TRASPORTO IN GERMANIA DELLA MAGGIOR FORZA POSSIBILE I.

Agire in caso di conflitto armato fra le due triplici in un teatro di guerra nostro, indi pendente affatto da quello tedesco, è quanto, sotto tutti i punti di vista, meglio converrebbe agli interessi nostri .

Conciliare tale indiscutibile convenienza con la realtà della situazione, quale essa risulta dalle condizioni di fatto e dalla natura del teatro delle operazioni alla nostra frontiera N. O., nonchè dalle idee direttive dello Stato Maggiore francese: que sto il severo problema che haaffaticato le menti dei miei predecessori. Ma la ricerca di una ade guata soluzione, tale cioè che rimanesse entro i termini del problema e li conciliasse, si addimo strò per essi opera vana ed impossibile, ragione

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per cui essi, non riuscendo ad infrangere ciò che la realtà inesorabilmente imponeva, più che adat tarsi a subirla, le andarono incontro con animo deliberato, subordinando esclusivamente ad essa la soluzione, come risulta chiaro dalla seguente breve esposizione.

Dopo la iniziale stipulazione del patto della triplice alleanza, il generale Cosenz, considerando che le forze italiane, attraverso la frontiera al pina, non avrebbero potuto far sentire che una azione limitata ai pochi mesi dell'anno in cui la stagione è favorevole, assai lenta per le difficoltà del terreno e delle fortificazioni e quindi inade guata alla mole dell'esercito mobilitato, e dopo aver esaminato come avrebbe potuto svolgersi una offensiva contro Francia, veniva alla conclu sione che, in ogni modo, sarebbero rimasti senza impiego 5 o 6 dei nostri corpi d'Armata e 2 0 3 divisioni di cavalleria e che niente di meglio si sarebbe potuto fare, dal punto di vista strategico e della politica estera, che trasportare, allo scop pio delle ostilità, queste nostre truppe in Ger mania per impiegarle, a fianco od a rincalzo delle forze tedesche, contro Francia, sul teatro princi pale della guerra, dove indubbiamente si sareb bero risolute le sorti del conflitto.

L'idea semplice e logica formò la base di quella convenzione militare del 1888, che non a torto fu qualificata: atto di esemplare sagacia strategica e diplomatica; e tanto contribuì ad ele vare l'Italia nella estimazione delle altre potenze della triplice e specialmente della Germania. Il generale Saletta, dopo aver studiato palmo a palmo la frontiera N. 0. e avere apportato al cune modificazioni alla radunata e allo schiera mento, e dopo aver assistito all'assiduo, progres sivo svilupparsi e consolidarsi della preparazione

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del terreno e delle forze mobili della Francia alla frontiera alpina, di fronte alla preparazione no stra procedente lenta e stentata, si persuase anche egli della necessità strategica dell'intervento della nostra 3a Armata in Germania. E se ne persuase tanto che, siccome nella convenzione del 1888 e come poi fu confermato nella convenzione del 1891, l'attuazione del transito delle nostre truppe attraverso il territorio austriaco era in ogni caso subordinata al movimento di radunata delle trup pe dell'Impero austro-ungarico ..

All'epoca dell'ultimo anticipato rinnovamen to del patto della triplice alleanza, mentre ferveva la guerra italo-turca e stava per scatenarsi tragica la tempesta balcanica, il generale Pollio dovette con rincrescimento riconoscere che, in quelle cir costanze e in quella situazione, non era assoluta mente possibile pensare ad inviare forze italiane sul Reno, e fececonoscere al Capo di stato mag giore dell'esercito germanico, dopo ottenuta l'ap provazione di S. M. il Re, che la convenzione del 1888 era da considerarsi non più in vigore. Ma, nel sincero desiderio di ristabilire, non appena fosse possibile, una convenzione militare del genere di quella abrogata, volle tuttavia, nella attesa di tale possibilità, approfondire l'esame di un eventuale impiego di tutte le forze nostre in un teatro di guerra nostro, indipendente da quello tedesco; e fece, a tale scopo, compiere due studi:

In conseguenza di ciò il generale Pollio ricon fermava il suo desiderio di riprendere l'antico

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2 . L. CADORNA Altre pagine sulla grande guerra.

disegno immaginato dalla lucida mente del gene rale Cosenz. E, dopo il suo viaggio in Germania e le discussioni avute con l'Imperatore e lo Stato maggiore tedesco, anch'esso desiderosissimo che la convenzione militare fosse ristabilita, sostenuto dall'unanime parere dei comandanti d'Armata ita liani, rappresentava lo stato delle cose a Sua Mae stà ed alGoverno, ottenendo che almeno due divi sioni di cavalleria rinforzate e tre corpi d'Armata potessero essere trasportati in Germania. Sono in corso le ultime pratiche per la definizione di al cuni particolari della nuova convenzione e per la firma della convenzione stessa. Questa, in breve, la genesi dei vari studi per i quali è passata la importantissima questione; questo lo stato attuale di essa, lo stato, cioè in cui la trovo.

L'intima persuasionemia in proposito è che la vitale questione non sia suscettibile di diversa soluzione, ed in ciò il mio pensiero è perfettamente è all unisono con quello di tutti i miei predecessori. Ma è altresì mio fermo e preciso convinci mento che la soluzione prospettata non corri sponderà compiutamente agli interessi della Pa tria se non quando avrà raggiunta la maggiore estensione di cui essa è capace.

Ritengo, in altri termini, che si debba non soltanto tornare ad assegnare 5 corpi d'Armata (oltre alle divisioni di cavalleria) all'Armata da inviare in Germania (ciò che d'altronde era già nel desiderio e nei propositi del compianto gene rale Pollio); ma che si debba tendere ad inviare su quello che, nel conflitto, rappresenterà il teatro

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principale della guerra, tutte quelle maggiori forze che saranno per risultare esuberanti ai nostri biso gni alla frontiera N. 0. e nello interno, bisogni che mi propongo di determinare mediante ponderati studi. d in ciò il mio pensiero completa quello dei miei predecessori, adattandone il concetto fondamentale alle condizioni di fatto, risultanti: dalla situazione nostra sulla frontiera N. O. per rispetto alla Francia e da considerazioni di poli tica internazionale.

Appaiono, invero, profondamente mutate og gigiorno le condizioni dello scacchiere alpino per rapporto alla organizzazione del territorio e delle forze da parte francese e nostra rispetto al tempo in cui il generale Cosenz valutavaa 5 o 6 corpi d'Armata (oltre le divisioni di cavalleria) l'esube ranza delle nostre forze da trasportare in Ger mania.

Allora non esisteva quasi od era incipiente l'organizzazione difensiva del territorio francese la quale, giudiziosamente sfruttando le caratte ristiche del terreno e procedendo con unità di con cetto ed inflessibile continuità di indirizzo, ha creato, ed ora va ancora più rafforzando ed am pliando, dove estesissime regioni fortificate, come nel Nizzardo, o grandiosi campi trincerati, come a Briançon ed a Lione, e dove un duplice, triplice e fin quadruplice ordinediforti o gruppi diforti, come in Tarantasia ed in Moriana, capaci di de terminare lungo ciascuna delle grandi linee rota bili di penetrazione, successive resistenze (le più avanzate delle quali hanno addirittura azione entro il nostro territorio), richiedenti tutte, per essere superate,il reiterato impiego di regolari par chi d'assedio.

Questa sapiente organizzazione, mentre da

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un lato consente la maggiore possibile economia delle forze mobili, mira d'altra parte a rallentare di tanto una nostra eventuale offensiva qua lunque sia la direzione che le si assegni da la sciare fondatamente presumere che ilsopravvenire della cattiva stagione coglierà le nostre truppe en tro il massiccio alpino ancora alle prese con le for tificazioni e ne paralizzerà definitivamente l'azione, essendo noto che le condizioni climatiche delle no stre Alpi occidentali limitano le grandi operazioni militaria 4 o 5 mesi dell'anno al massimo. In con seguenza di tali provvidenze la Francia deve ormai sentirsi al sicuro per rispetto alla aleatorietà dei risultati di una nostra eventuale offensiva se, come appare da molteplici importanti indizi, essa sem bra decisa a spostare sulla frontiera, all'inizio delle ostilità, la parte migliore delle truppe dell'Armée des Alpes e propriamente i due corpi d'Armata attivi 14° e 15°, lasciandoci contro le sole truppe attive alpine e regionali e le formazioni di riserva e territoriali corrispondenti ai corpi di Armata ora detti .

In tale situazione di cose è evidente il danno che deriverebbe agli interessi comuni della triplice alleanza qualora noi ci ostinassimo a non propor zionare la quantità di forze da impiegare alla fron tiera N. O. a quelle che la Francia intende con trapporci (valutate prudenzialmente a tutte quelle dell'«Armée des Alpes ») e non restringessimo gli obbiettivi di una nostra eventuale offensiva met tendoli in relazione e subordinandoli alla limitata ampiezza e alla natura speciale dello scacchiere delle operazioni. Non contribuiremmo a sottrarre dal principale teatro della guerra sul Reno se non poche truppe attive ed alcune riserve francesi; e, d'altra parte, immobilizzando inerte contro que ste la esuberanza delle forze, invece che inviarla

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a combattere in Germania, potremmo fors'anche contribuire ad un risultato del conflitto sfavorevole per le armi della triplice alleanza. Che se, mal grado ciò, il risultato del conflitto riuscisse favo revole, non meno gravi sarebbero le conseguenze per il nostro paese. A parte ogni idea di compensi, che non sarebbe certo il caso di mettere innanzi, il prestigio dell'Italia, in relazione ad eventuali future alleanze, risulterebbe irrimediabilmente com promesso .

Conviene altresì rilevare che sono anche mu tate notevolmente le condizioni della Germania per rispetto alla eventualità di un conflitto fra le due triplici.

La Germania ha compiuto bensi recentemente uno sforzo enorme che ha vieppiù ampliata ed irrobustita la già salda e magnifica compagine del suo esercito. Ma, parallelamente, anche la Francia ha compiuto unosforzo poderoso e la Russia ne ha compiuto uno altrettanto e forse ancora più grande rispetto all'aumento delle forze ed all'ac celeramento della sua mobilitazione e radunata. L'Austria, d'altra parte, ha pure essa accresciuto e va accrescendo erinvigorendo le sue forze arma te, ma incontra sempre nuovi e più grandi imba razzi nei Balcani .

In tale stato di cose è naturale che la Ger mania debba molto desiderare il concorso diretto delle nostre forze sul teatro principale della lotta e desiderarlo largo quanto è più possibile.

L'interesse nostro non può non collimare con l'interesse generale del gruppo di alleanze al quale partecipiamo. Il gioco di equilibrio delle forze fra i due gruppi di Stati antagonistici tende a dive nire instabile a danno della triplice alleanza; il non compiere da parte nostra il massimo sforzo per concorrere a ridargli stabilità tornerebbe esi

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ziale all'interesse generale ed a quello nostro in particolare.All'infuori della considerazione politica dei maggiori compensi che potremo richiedere in rela zione al maggiore concorso di forze che concedere mo, è fuor di dubbio che l'interesse strategico con siglia e comanda di considerare le forze armate della triplice come se appartenessero ad un unico esercito e di ripartirle ed impiegarle con un con cetto direttivo unico. E poichè il teatro principale delle operazioni, nel quale indubbiamente si deci deranno le sorti della guerra, è quello settentrio nale, ivi , come già nel 1805, nel 1809, nel 1813, dovranno convergere preponderanti le masse delle forze dei collegati. Sottrarre all'azione decisiva anche una sola unità non indispensabile altrove, significherebbe concorrere scientemente a dimi nuire le probabilità del successo dell'opera comune.

Questi, a mio modo di vedere, i concetti di baseai quali conviene informare il nostro concorso armato in un eventuale conflitto fra le due triplici. Gli studi più particolari, già in corso, per il più conveniente impiego dellenostre forze nel teatro di guerra settentrionale potranno essere proseguiti, ma prima di dare loro forma concreta nelle trat tative e negli accordi che pure sono già in corso, converrebbe che il Governo affermasse le sue idee per il caso che alla esecuzione del progetto con lo sviluppo che io ho indicato, ragioni di alta politica si opponessero e potessero, per avventura, contra stare con quelle della esclusiva opportunitàmilitare.

Queste fin qui tracciate sono le grandi linee del programma, ma il programma stesso non può

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III .
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trovare, purtroppo, completa ed immediata at tuazione, come sarebbe necessario per le condi zioni generali della politica internazionale oggi instabile e gravida di minacce.

Principale, se non esclusivo, ostacolo ritar datore della completa attuazione del programma è lo stato anormale in cui trovasi il nostro esercito. Non è qui il caso di specificare a quali esigenze già riconosciute in passatonon sisia ancora prov veduto e per quali ragioni. A tali esigenze, altre nuove si sono aggiunte e altre cause perturba trici sono sopravvenute. Basti il ricordare che da parecchio tempo il nostro esercito è ridotto a fun zionare essenzialmente quale deposito alimentare del Corpo d'occupazione della Libia. Ciò ha tolto o molto diminuito ai corpi residenti in Italia omo geneità e compattezza materiale e morale, ha loro tolto la possibilità di dedicarsi a proficua istru zione, con l'aggravante della deficienza ed insta bilità dei quadri di ufficiali e graduati di truppa, ha diminuito notevolmente all'esercito metropo litano l'attitudine ad una pronta ed ordinata mo bilitazione, soprattutto ha scemato le garanzie di saldezza organica e di robusto inquadramento alle unità sul piede di guerra. Onde il primo ed impre scindibilebisogno della nostra preparazione mili tare, il più urgente è di uscire dalle strette di que sta preoccupante situazione: bisogna ridare vigore di compagine e di inquadramentoalle nostre unità, bisogna ridare all'esercito la tranquillità e la nor malità del suo funzionamento.

Roma, 31 luglio 1914.

Il tenente generale

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DI STATO MAGGIORE
CAPO
DELL'ESERCITO L. CADORNA

Sebbene i concetti esposti in questa memoria non abbiano trovato applicazione, a cagione del diverso svolgimento degli avvenimenti,non è privo d'interesse il vedere cosa sarebbe accaduto qua lora una politica meno provocante e più avveduta per parte dell'Austria-Ungheria e della Germania ci avesse costretto ad entrare in linea al loro fianco, secondo i patti della triplice alleanza.

Date le condizioni dell'esercito, lo sforzo mas simo che si sarebbe potuto sulprincipio effettuare sarebbe stato quello dell'invio nell'alta Alsazia (così era stato convenuto con la Germania) di una Armata di tre corpi d'Armata e di due divisioni di cavalleria; anzi, non si sarebbe potuto procedere all'organizzazione di questi tre corpi d'Armata, se non a detrimento dei nove corpi rimanenti cosa questa che si sarebbe con con poco

potuto fare, essendochè per la guerra di posi zione nelle Alpi non sarebbero stati necessari ser vizi completi e carreggiati come per la guerra di movimento in più facili terreni.

Quest'Armata sarebbe giunta piuttosto tardi sul teatro di guerra tedesco, dovendo impiegare le ferrovie austriache e tedesche, le quali non sa rebbero state libere che ad adunata compiuta degli eserciti degli Imperi centrali, cioè al 20° giorno di mobilitazione, probabilmente però ancora in tempo per concorrere alla battaglia della Marna, la quale non fu decisa che tra l'8 e il 12 settem bre. In ogni caso, se si riflette che la battaglia della Marna rimase in bilico alcuni giorni, sebbene i Francesi abbiano, grazie alla nostra neutralità, potuto sguarnire interamente la nostra frontiera, sarebbe probabilmente bastato che con la nostra dichiarazione di guerra li avessimo costretti ad occupare la frontiera alpina, perchè fossero bat tuti sulla Marna.

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poco danno

Se però ciò non fosse bastato a mettere la Francia fuori causa, e perciò la guerra si fosse prolungata, era mia intenzione di inviare grada tamente sul teatro di guerra franco-tedesco altri sei corpi d'Armata, cioè fino a nove in totale, giu dicando che i tre rimanenti corpi d'Armata, le truppe alpine e le formazioni di milizia mobile e territoriali fossero sufficienti per condurre guerra di posizione sulle Alpi e per disporre di una riserva per qualunque eventualità. Quanto alla difesa delle coste, è da osservare che, data la situazione che ho supposta, la Francia non avrebbe certa mente potuto disporre di truppe per effettuare grossi sbarchi. Tale invio però, avrebbe dovuto aver luogo, come ho detto, per gradi, cioè man mano che si fosse potuto fornire a quelle gran di unità i mezzi tecnici necessari e dar loro una forte organizzazione, e giudicando della sua opportunità dal successivo svolgersi degli avve nimenti .

Mi si è da taluno rimproverato di avere col mio disegno di operazioni sul confine italo-au striaco attuato la guerra di cordone. Ho dimo strato nel mio libro « La guerra alla fronte italia na » quanto questa accusa fosse insussistente, poi chè, delle 35 divisioni disponibili, 14 furono schie rate sui go km. della fronte Giulia, 14 sui 600 e più km. tra lo Stelvio e la Carnia, e 7, lasciate dapprima in riserva fra il lago di Garda e Bassano fino a che la fronte trentina fu meglio assicurata, furono poco tempo dopo trasportate sulla fronte Giulia. Dimodochè risultarono ben 21 divisioni sui 90 soli km. della fronte Giulia e soltanto 14 sui 500 e più km. della rimanente fronte. Si po teva ottenere un maggiore ammassamento nella zona destinata all'attacco, di quello che si è ef fettuato ?

25 ria del Evo ia ata nia Coi ES re ia Di e

Il documento che ho ora riferito viene ancora più eloquentemente a dimostrare se era nel mio intendimento di far guerra di cordone, quando di 12 corpi d'Armata attivi non avrei esitato a mandarne9 sul Reno, cioè nella zona d'operazione più decisiva di tutto il teatro di guerra europeo.

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LA NEUTRALITÀ DELLA SVIZZERA DURANTE LA GUERRA I.

Negli anni precedenti alla guerra, alcune no stre imprudenti manifestazioni, quali articoli di giornali, manovre coi quadri verso la frontiera elvetica, ecc., avevano suscitato forti timori in Svizzera: che in caso di conflitto tra la Germania e l'Italia da un lato e la Francia dall'altro, nei casi previsti dal trattato della triplice alleanza, l Italia avrebbe violato il territorio federale, allo scopo di effettuare la congiunzione del suo eser cito con quello tedesco ed attaccare la Francia pel bacino del lago di Ginevra ed attraverso alla catena del Giura.

A chi consideri la questione dal solo punto di vista militare, prescindendo da quello dell'one stà politica, della doverosa fede ai trattati, poteva difatti, a prima vista, apparire a noi conveniente di impossessarsi delle dirette comunicazioni tra il bacino del Ticino e l'alta Alsazia e di estendere il teatro di guerra verso la Francia alla regione

compresa tra Ginevra e Basilea, costringendo la Francia a disperdere le sue forze su più vasto teatro di guerra e dando modo a noi di mettere in maggior valore le nostre forze; le quali, quando non avessero potuto operare che sulle Alpi Occi dentali, così impervie e scarse di strade, non avreb bero potuto esser tutte utilmente adoperate, come chiaramente emerge dal precedente capitolo.

Ma, indipendentemente dalla fede ai trattati, che fu nostro costante vanto di aver mantenuto, e che avrebbe perciò dovuto allontanare qualsiasi ingiurioso sospetto, anche dal solo punto di vista militare - se si esamina a fondo la questione emerge che i danni sarebbero stati per noi note volmente superiori ai vantaggi. Questi si sareb bero ottenuti soltanto quando fossimo riusciti a sboccare nel bacino del lago di Ginevra e sull'al topianosvizzero.Ma pergiungervi,qualidifficoltà! Si dovevasuperarelacatenapiùdifficile d'Europa,mu nitadi ottime, moderne fortificazioni al nododel San Gottardo e a St. Maurice nel Vallese. Due sole fer rovie esistevano, quelle cioè del Sempione e del Gottardo, facilissime ad essere radicalmente rovi nate nelle continue opere d'arte. Divergente la rete stradale, poichè, salvo la centrale strada del Gottardo che conduce nel cuore della Svizzera, tutte le altre strade d'invasione si raggruppano nell'alto Rodano e nell'alto Reno, gravitando da un lato verso il bacino del lago di Ginevra e dal l'altro verso quello del lago di Costanza. Fanno solo eccezione le rotabili della Grimsel e della Gemmi che dall'alto e medio Vallese conducono nella zona centrale svizzera, cioè nel bacino dei laghi di Brienz e di Thun, ma debbono superare nelle Alpi Bernesi una seconda elevatissima ca tena di montagne.

Tutto adunque ragioni morali e ragioni

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militari ci avrebbe sconsigliato dalla violazione della neutralità svizzera. Ma questo timore aveva fatto tanta strada presso i nostri vicini, che non era facile rassicurarli, e rammento che trovan domi due anni prima dello scoppio della guerra europea in una stazione climatica del Vallese, non riuscii a distruggere i sospetti che nutriva contro di noi un distintissimo professore che ebbi poi occasione di rivedere al nostro fronte durante la guerra, essendo stato incaricato di una missione dal suo Governo; e ciò, malgrado io mi adoperassi a sviluppare nel miglior modo le ragioni che ho dianzi brevemente esposte.

Durante la guerra i fatti hanno luminosa mente dimostrato quanto noi fossimo alieni dal violare la neutralità della Svizzera.

Ma eravamo invece tutt'altro che sicuri che essa non sarebbe stata violata dagli Imperi cen trali. Vi era l'eloquente precedente della viola zione della neutralità belga, e perciò ben sape vamo che simili scrupoli non albergavano in cuore tedesco, dal quale non potevamo attenderci che manifestazioni di realpolitik; da tutto ciò conse guiva che gli Imperi centrali avrebbero rispet tato la neutralità svizzera fino a che fosse stato di loro convenienza il rispettarla.

Dal lato svizzero noi potevamo fare pieno assegnamento sulla lealtà del Governo Federale: su di ciò non poteva sorgere alcun dubbio, come pure sull'interesse che aveva la Confederazione a far rispettare la sua neutralità, essendo ovvio che se essa avesse accondisceso alla sua violazione, avrebbe da se stessa distrutta la garanzia sulla quale si appoggia quel popolo accampato nel cen tro' di Europa e circondato da potentati tanto maggiori di lui. E la sicurezza cheil Governo Fe derale e il popolo svizzero facciano ad ogni costo

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rispettare la loro neutralità, è condizione assolu tamente necessaria per l'Italia perchè il Canton Ticino continui a far parte della Confederazione, perchè, se quella sicurezza venisse a mancare, co me potrebbe una grande potenza qual'è l'Italia, tollerare il gravissimo pericolo di veder cadere nelle mani di un eventuale nemico una regione quale il Canton Ticino, da cui si può sboccare nel nostro territorio a soli 55 chilometri dalla metro poli lombarda, in una zona facile e priva di linee di difesa ?

È pur giusto d'altra parte riconoscere che, fino a che quella tal sicurezza di cui ho discorso esista, l'esistenza della Confederazione svizzera costituisce per noi un indubbio vantaggio mili tare, inquantochè se i Cantoni tedeschicadessero in mano della Germania, la nostra frontiera mili tare con la medesima (supposta alleata coll'Austria ), che ora è limitata al colle di Rezia, verrebbe ad estendersi di altri 300 chilometri, fino al colle del Gran San Bernardo, lungo un tratto di catena alpina che è valicato, nientemeno! da so strade carrozzabili; coll'aggravante che esse convergono sulla Lombardia, tendendo ad aggirare tutta l'at tuale nostra frontiera coll'Austria e a determinare la ritirata dell'intero nostro esercito dietro la linea del Po, coll'abbandono del Veneto, della Lom bardia e di gran parte del Piemonte! Se, durante la guerra, la possibilità della violazione della neu tralità svizzera ci ha procurato delle gravi preoc cupazioni e ci ha indotti a prendere le misure ne cessarie per fronteggiarne le conseguenze, non è men vero che se la Svizzera non fosse esistita e la Germania si fosse trovata sulle Alpi Lepontine, le nostre forze, già scarse per la nostra fronte tenuto specialmente conto della grave minaccia dal Trentino sarebbero state del tutto insuffi

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. cienti a fronteggiare la nuova gravissima minaccia. Saremmo perciò stati costretti, o a rinunziare a partecipare alla guerra, oppure a ricorrere larga mente agli alleati, i quali avrebbero dovuto ve nire in nostro aiuto in due modi, sia concorrendo direttamente alla difesa della Lombardia, sia inva dendo la Svizzera dal Giura e dal bacino del lago di Ginevra.

Ritornando ora, dopo queste brevi considera zioni, agli eventi della nostra guerra, se avevamo la più ampia fiducia nella lealtà del Governo Fede rale e nella sua decisa intenzione di far rispettare da chiunque la neutralità della Svizzera, non al trettanta ne potevamo avere nei capi dell'esercito. Data la grande maggioranza tedesca dei Cantoni svizzeri (18 Cantoni tedeschi su 22) e la conse guente notevolissima maggioranza tedesca nell'eser cito, non vi era da temere che una istintiva sim patia per la causa degli Imperi centrali potesse fors'anco condurre a forzar la mano al Governo Federale? Si conoscevano le relazioni e le simpatie del comandante dell'esercito, generale Wille, verso la Germania, e quelle del Capo di stato maggiore, Colonnello von Sprecher,verso l'Austria Ungheria. Si ricordava l'intervento dell'imperatore Gugliel mo nel 1913 alle grandi manovre svizzere, le sue blandizie all'esercito svizzero e le grandi accoglien ze da lui ricevute. E il noto scandalo dei due co lonnelli (dicembre 1915), accusati (poi prosciolti in seguito al processo loro intentato) di aver co municato allo Stato Maggiore tedesco le informa zioni che giungevano allo Stato Maggiore svizzero dal confine francese e da quello italiano, non era fatto per dissipare i sospetti ed infonderci piena tranquillità.

Tutte queste preoccupazioni si dimostrarono poi, alla prova dei fatti, prive di fondamento, e

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la condotta della Svizzera durante tutta la guerra fu correttissima. Ciò non toglie che allora quelle preoccupazioni fossero gravi, e pesassero conti nuamente come un incubo durante lo svolgimento delle operazioni, e ne derivasse la necessità di avere continuamente presente la possibilità della violazione della neutralità svizzera e di determi nare il modo di farvi fronte; tanto più che l'avve rarsi di questa eventualità, per quanto poco pro babile, avrebbe esposto di colpo tutto l'esercito ad un pericolo della più estrema gravità, come chiaramente apparirà dalle brevi considerazioni che seguono.

Se si considera il territorio svizzero come zona di irradiazione di operazioni offensive verso i quattro grandi Stati coni quali confinava prima della guerra: Germania, Austria-Ungheria, Fran cia e Italia, emergono tosto queste differenze.

La Germania era coperta dal lago di Costanza e dalla barriera pressochè rettilinea del Reno, lunga soltanto un centinaio di chilometri in linea d'aria tra Costanza e Basilea, spalleggiata dai monti della Foresta Nera, e possedeva lo sbocco offensivo di Costanza sulla sinistra del Reno. Essa era adunque, non solo in ottime condizioni difensive, ma si sarebbe trovata in misura di in vadere l'altopiano svizzero e di impossessarsi pron tamente della parte più ricca del territorio, di quella che contiene le maggiori città della Sviz zera, salvo Ginevra.

L'Austria-Ungheria era pure coperta, per lo sviluppo di un centinaio di chilometri circa, tra il lago di Costanza e la valle dell'Inn verso Mar

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tinsbruck, dagli alti monti del Vorarlberg, scarsi di strade e senza obbiettivi di grande importanza strategica: soli obbiettivi secondari: quello di Inn sbruck, sul quale convergono le due grandi arterie del passo dell Arlberg e dell'alta valle dell Inn, e l'obbiettivo bavarese di Lindau, raggiungibile attraverso territorio svizzero.

La Francia era coperta dalla catena del Giura, estesa circa 200 chilometri tra Ginevra e Basilea, costituita da un complesso di catene parallele di natura giurassica, a pareti dirupatissime, epperciò difficili ad attraversare all'infuori delle scarse stra de che si svolgono lungo i torrenti, i quali si aprono tortuosamente il passo attraverso alle spaccature delle stesse catene.

Le condizioni difensive dell'Italia contro un attacco muovente dalla Svizzera erano ben diverse. La natura l'avrebbe coperta con la catena delle Alpi Pennine e Lepontine, per la estensione di oltre 300 chilometri. Ma a rendere per noi gravis sima la situazione strategica nelcaso di una pos sibile violazione tedesca della neutralità, stava il possesso svizzero del Canton Ticino, vasto trian golo che, a guisa di testa di ponte offensiva al di qua delle Alpi, si addentra nel nostro territorio, col vertice a Chiasso, quasi in pianura, a soli 55 chilometri da Milano, e raccoglie nel suo in terno le tre importanti strade del Gottardo, del Lucomagno e del San Bernardino. Se si considera infine, che sboccando nella pianura lombarda tra il lago Maggiore e il lago di Como, il nemico avrebbe aggirato di colpo tutto il nostro schieramento difensivo tra lo Stelvio e il basso Isonzo, determi nando la ritirata generale dell'esercito dietro la linea del Po - ritirata che richiedendo molto tem po, avrebbe dovuto essere in tempo debito preor dinata non v'ha chi non veda quale immenso.

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L. CADORNA Altre pagine sulla grande guerra .

pericolo ci sovrastava, e come fosse necessario di averlo sempre presente e di tenersi in misura di pararlo.

Dal brevissimo e sintetico esame dei rap porti strategici della Svizzera coi quattro Stati confinanti, chiaramente appare come il pericolo, in caso di violazione della neutralità svizzera, fosse di gran lunga maggiore per noi che per gli altri Stati . III

Se noi passiamo ora ad esaminare il versante meridionaledelle Alpi in corrispondenza del con fine svizzero, vediamo che esso può suddividersi in tre zone di carattere e di importanza diversa:

Zona occidentale: la valle d'Aosta valle longitudinale al pari della corrispondente alta valle del Rodano sul versante settentrionale entrambe racchiuse tra le più alte montagne di Europa. Si accede dal territorio svizzero al Val lese dalla bassa valle del Rodano e per le due rotabili della Gemmi e della Grimsel, le quali di partendosi dall'alto Aar (laghi di Thun e diBrienz) e scavalcando l'elevatissima catena delle Alpi Bernesi, conducono a Leuk e al ghiacciaio del Ro dano. Dal Vallese alla valle d'Aosta non havvi altra rotabile che quella del Gran San Bernardo, la quale confluisce ad Aosta con quella del Piccolo San Bernardo proveniente dalla Savoia, e prima di sboccare in pianura l'invasore deve superare le formidabili strette della bassa valle d'Aosta. Nes suna ferrovia entra dalla Svizzera nella valle d'Aosta; perciò la stazione di Martigny sulla fer rovia del Sempione, dovrebbe costituire la base

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di un movimento offensivo per il Gran San Ber nardo.

Zona centrale : è costituita dal bacino del lago Maggiore ( Ticino e Toce) e dai suoi sbocchi nella pianura padana compresi tra Borgomanero e Como. Può suddividersi in due sottozone sepa rate dal lago Maggiore. La prima sottozona com prende la valle del Toce ed i suoi sbocchi in pia nura tra Borgomanero e Arona; la seconda sotto zona comprende l'alta valle del Ticino, la valle della Tresa (lago di Lugano) e gli sbocchi dei mon ti tra Laveno e Como.

Nella prima sottozona immette la grande arteria del Sempione, la quale, dopo aver supe rato la stretta della Barra presso Ornavasso, si biforca a Gravellona e i due rami seguono le sponde del lago d'Orta e del lago Maggiore, conducendo a Borgomanero e ad Arona, separati dal massiccio isolato del Mottarone (1492 m.) contro il quale urterebbero anche colonne nemiche le quali, es sendo scese a Bellinzona dall'alto Ticino, avessero seguito la strada della sponda occidentale del lago Maggiore. Da quanto ho detto risulta la notevole importanza militare della stretta della Barra e del massiccio del Mottarone. La difesa della Val Toce in maggiore vicinanza della fron tiera richiederebbe sviluppo assai più ampio, ep perciò più largo impiego di forze, dovendosi sbar rare non solo la Val Diverio percorsa dalla strada del Sempione, ma anche la Val Formazza e la Val Vigezzo, per la quale ultima un'ottima rota bile (dall'anno 1924 accompagnata da una fer rovia elettrica a scartamento ridotto), proveniente da Locarno, per Santa Maria Maggiore, conduce a Domodossola.

Nella seconda sottozona immettono le otti

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me strade del Gottardo, del Lucomagno e del San Bernardino, confluenti le due prime a Biasca e queste con la terza poco a nord di Bellinzona. A Bellinzona, nuova biforcazione: un ramo (già ac cennato) per la sponda occidentale del lago Mag giore conduce a Pallanza e a Gravellona Toce; l'altro ramo supera il monte Ceneri, e poco dopo, suddividendosi, conduce a Ponte Tresa (e di qui a Luino) e a Lugano; continuando poi a ramifi carsi, sbocca dai monti tra Laveno e Como, con sette buone strade indipendenti. Consegue da quan to precede che nel terreno intorno a Bellinzona, dominato dal monte Ceneri e corrispondente al massimo restringimento della sottozona, tutta la viabilità si fonde per breve tratto in una sola strada. Perciò, portando quivi ladifesa, si avrà la massima economia di forze. Sviluppando la difesa sulla dorsale delle Alpi, essa sarà invece suddivisa fra i tre principali passi del Gottardo, del Lucomagno e del San Bernardino, e tra i passi secondari. Sistemando invece la difesa più a sud del monte Ceneri, essa acquisterà sempre maggiore estensione e richiederà maggiore impiego di forze av vicinandoci alla pianura, in relazione alla praticabi lità del terreno e alla moltiplicazione dellestrade. Dunque, è sul monte Ceneri che potrebbe trovar luogo se non si trovasse in territorio svizzero la miglior sistemazione difensiva della sottozona. Da questa posizione di capitale impor tanza, si sbarra la grande strada su Lugano-Ponte Tresa, e si batte efficacemente quella diretta a Locarno-Pallanza-Gravellona, la quale può anche essere direttamente sbarrata nelle strette della

sponda occidentale del lago Maggiore, e, in ulti mo, nel massiccio del Mottarone. La posizione del monte Ceneri, la quale appoggia la sua destra al monte Garzirola, sul displuvio tra lago Maggiore e

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lago di Como, ha un utilissimo complemento con troffensivo nel passo di San Iorio (pel quale tran sita l' ottima mulattiera Gravedona-Bellinzona) e nell'occupazione del dominante nodo di monte Marmontana (2314 m.).

Ma, trovandosi tutta questa regione, come già dissi, in territorio svizzero, derivava da tutte le precedenti considerazioni, la convenienza per noi, durante la guerra, di scegliere la linea di di fesa per fronteggiare eventuali violazioni della neutralità svizzera, naturalmente, nel nostro ter ritorio, ma il più possibile a nord, in vicinanza della frontiera; e fu difatti scelta quella determi nata dal solco della Tresa e del lago di Lugano e dalla profonda e breve depressione Porlezza Menaggio, estesa una quarantina di chilometri in linea d'aria, tra i due estremi di Luino e di Me naggio, dei quali però, più della metà erano in transitabili perchè occupati dal lago di Lugano. Venne perciò abbandonata la linea studiata nel tempo di pace, in vicinanza allo sbocco dei monti, per la quale erano state predisposte delle batterie.

Zona orientale: comprende la massima parte del bacino dell'Adda (ad oriente dei laghi di Como e di Lecco), la Valcamonica e le intermedie valli secondarie del Brembo e del Serio.

Vi si distinguono due grandi linee orografi che che racchiudono il bacino dell'Adda a monte del lago di Como, cioè la catena principale delle Alpi e le Alpi Orobie.

La catena delle Alpi è valicata da tre grandi rotabili, quelle cioè dei passi dello Spluga, del Maloia e del Bernina, provenienti, la prima dal l'alto Reno, le altre due dall Engadina, ma pure in comunicazione coll'alto Reno pei passi del Ju lier e dell'Albula. Le prime due confluiscono a

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e

Chiavenna e di nuovo si biforcano all'estremità settentrionale del lago di Como, conducendo a Como e a Lecco lungo le rive dei due laghi. La terza, giunta a Tirano, prosegue pel colle dell'A prica e la Valcamonica, ramificandosi all'estremità settentrionale del lago d'Iseo verso Bergamo e Brescia. Comunicazioni secondarie ma di una certa importanza, conducono dall'Engadina per la Val Livigno all'alto Adda verso Bormio, ma esse inte ressano maggiormente la difesa dell'alto Adige, perchè tenderebbero ora a prendere di rovescio il col di Rezia, sboccando essea Glorenza(Glurns), a Spodinig perS. Maria nella Valle di Münster e per lo Stelvio; durante la guerra esse avrebbero con dotto sul rovescio delle nostre difese presso lo Stelvio. La grande strada dell'alto Adda, tra Bor mio e Colico funge da linea di arroccamento ri spetto a tutte le strade accennate, ed anche da linea d'invasione da Tirano verso Colico per le provenienze dal Bernina.

La catena alpina costituirebbe un'ottima linea di difesa se ne possedessimo tutta la sommità. Ma il bizzarro confine lascia alla Svizzera l'alta valle della Mera, dominata dal passo del Maloia e quasi tutta la valle di Poschiavo fino a due chi lometri dalla Madonna di Tirano. Perciò, l'unica linea di difesa efficace è quella delle Alpi Orobie, della quale possediamo entrambi i versanti e che è assai aspra ed elevata tra il monte Legnone e la Cima del Diavolo, non attraversata che da due rotabili alle sue estremità (lungo la riva del lago di Como ed al colle dell'Aprica), e che meglio si collega con le linee di difesa della regione compresa tra il lago Maggiore e il lago di Como.

Consideriamo ora l'importanza relativa delle tre zone nella temuta ipotesi della violazione

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della neutralità svizzera per parte della Germania durante la guerra.

La zona occidentale avrebbe avuto una im portanza minima, per non dire nulla, sia per che attraversata dalla sola e molto elevata rota bile del Gran San Bernardo (quasi 2500 m. al colle), non accompagnata da ferrovia, sia per notevolis sime difficoltà di sbocco dai monti attraverso le anguste strette della valle d'Aosta, sia perchè l'unica linea d'invasione era esposta a minacce di fianco dei Francesi, tanto dal bacino del lago di Ginevra, quanto dall'alta valle d'Aosta. Perciò essa si trovava in condizioni oltremodo svantag giose dal punto di vista logistico, tattico e stra tegico.

La zona orientale si presentava in condizioni di gran lunga più vantaggiose: strategicamente perchè conduceva a sboccare in pianura tra Ber gamo e Brescia, a tergo e ad immediato contatto del nostro schieramento strategico; logisticamente perchè il nemico avrebbe disposto di tre rotabili fino al solco dell'Adda, poi di due fino alla fronte Lecco-Lovere, e finalmente diparecchie da Lovere alla fronte Bergamo-Brescia. Nessuna però di que ste strade era accompagnata da ferrovia, se si eccettuano le piccole ferrovie elettriche dell'En gadina, di scarsissimo rendimento - inconveniente questo gravissimo, nei movimenti dei grandi eser citi moderni. Sotto il punto di vista tattico poi, questa zona si trovava, per l'invasore, in condi zioni difficilissime, per la difficoltà di sboccare in piano attraverso alle strette dei laghi di Como e di Lecco, e di superare le continue resistenze possibili ad organizzarsi lungo la strada dell Apri ca nella profonda zona montuosa compresa tra l'Adda e il limitare della pianura. La zona centrale era strategicamente ol

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tremodo vantaggiosa al nemico, perchè tutta la rete stradale convergeva verso Milano cadendo alle spalle del nostro schieramento strategico. Essa riuniva poi, rispetto alle due zone laterali, il massimo di facilitazioni logistiche e il minimo di difficoltà tattiche. Sotto l'aspetto logistico, cin que grandi strade vi adducevano, quelle cioè del Sempione, del Gottardo, del Lucomagno, del San Bernardino e dello Spluga, prolungata quest'ul tima per la sponda occidentale del lago di Como strade ridotte a quattro sulla fronte Domo dossola-monte Ceneri - lago di Como -ed accompagnate dalle ferrovie di grande rendimento del Sempione e del Gottardo. Dalpunto di vista tat tico, l'addentrarsi del Canton Ticino verso sud fino a toccare la pianura, diminuiva in modo note volissimo le difficoltà di sbocco nel piano.

IV

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I provvedimenti da prendersi erano di due ordini: a) costruzione di lavori difensivi nella regione di frontiera; b). predisposizioni pel trasporto di truppe nella medesima.

Lavori difensivi. Questi dovevano, natu ralmente, svilupparsi lungo la miglior linea di di fesa al di qua della frontiera.

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Non v'ha dubbio perciò che il nemico avrebbe gravitato con la massa principale delle sue forze nella zona centrale, pure effettuando forti minacce nella zona orientale, se non altro per costringer noi a maggiormente disperdere le nostre forze. .
Tenuto conto di tutte le precedenti conside razioni, occorreva adunque di provvedere per far fronte all'eventuale gravissimo pericolo.

Non mi occuperò più della sottozona occi dentale per la sua scarsissima importanza e perchè era già difesa, nella stretta di Bard, dalle forti ficazioni erette per far fronte ad un attacco fran cese .

Nella zona centrale, la migliore e più ri stretta linea difensiva, come emerge dalle con siderazioni precedentemente fatte, partiva dalla stretta della Barra in Val Toce, poi, per l'aspro massiccio del monte Zeda scendeva al lago Maggiore al sud di Cannobio e continuava tra il lago Mag giore e il lago di Como, lungo la Tresa tra Luino e Ponte Tresa, coperta poi dallago di Lugano ed appoggiata a destra al gruppo di monte Calbigo, for tissima posizione che domina la depressione Porlez za-Menaggio. Questa linea aveva il grave inconve niente di avere al centro un tratto di territorio sviz zero che s'insinuava alle nostre spalle nella conca di Mendrisio; ma questo avrebbe potuto essere da noi occupato assai prima del nemico che avesse violata la neutralità svizzera; ed inoltre, la nostra sistemazione lateralmente ad esso era stata stu diata in modo da rendere l'inconveniente il minore possibile.

Lungo tutte le accennate posizioni, nonché a sud del lago di Lugano, nei punti atti a com pletare le difese, fu creato negli anni 1916-1917 un sistema di fortificazioni a linee multiple dei tipi più recenti che dava pieno affidamento di poter resistere in qualunqueevenienza. Una ricca rete di strade, in gran parte camionabili, dava accesso alle principali posizioni e le metteva tra loro in comunicazione, rendendo più facile la manovra delle truppe.

Nella zona orientale la miglior linea di di fesa era quella segnata dalle Alpi Orobie, dal

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lago di Como fino a nord del colle dell'Aprica, e lungo la medesima fu creato un sistema di forti ficazioni con criteri analoghi a quelli seguiti nella zona centrale.

Le strade dello Spluga e del Maloia erano sbarrate nella stretta di Dervio, che si appoggia al monte Legnone.

Un doppio sistema di fortificazioni fronteg giava lo sbocco della strada del Bernina nell'Adda. Il primo era eretto presso il confine, sui monti che racchiudono l'ultimo tratto della valle del Poschiavo. Il secondo sorgeva sui monti del ver sante sinistro di Val d'Adda, i quali coprono il colle dell'Aprica, e si collegava con le difese del nodo del Mortirolo sulle quali avrebbero ripiegato i difensori dello Stelvio e dell'alto Adda.

A questo vasto complesso di strade e di for tificazioni non fu possibile di dar mano nel 1915 essendo la mano d'opera assorbita dai più urgenti lavori lungo le linee di difesa di prima linea del teatro di guerra italo-austriaco, e non si potè ini ziarne la costruzione che nella primavera del 1916. Nè poteva sorgere il timore che questi gran diosi lavori potessero urtare la giusta suscettibi lità del governo svizzero, come se noi dubitassi mo delle sue ripetute assicurazioni di leale neu tralità ; poichè, data lacordialità dei rapporti tra i due Stati, non era difficile fare intendere al Go verno svizzero che tutte le misure di difesa che si sarebbero attuate alla nostra frontiera non erano dirette contro il paese amico, ma contro l'avversario che intendesse violarne la neutralità per invadere il nostro suolo. Perciò tutte le misure da noi attuate in tal senso, anzichè un attentato, o almeno un segno di diffidenza verso il paese vici no, ne erano invece il migliore ausilio, giacchè il ne mico tanto più riluttantesarebbestato a violarne la

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neutralitàquanto più difficile edarduogli sembrasse il raggiungimento del suo scopo per tale via. Per ciò, in definitiva, noi lavoravamo non solo nel l'interesse nostro, ma in quello stesso della Sviz zera. D'altra parte a noi risultava che anche la Francia si era preoccupata di una tale eventua lità ai propri confini, ed aveva esteso le proprie linee difensive nella zona di Belfort, fino a com prendere le regioni di Delle e di Lomont, di fronte al saliente svizzero di Porrentruy.

Trasporto di truppe. - Pur partendo dal pre supposto, anzi dalla certezza chela Svizzera avreb becompiuto ogni sforzo per opporsi alla viola zione della sua neutralità, era pur d'uopo am mettere che non sarebbe stato possibile alla Sviz zera di contendere il passaggio del Reno alla Ger mania già mobilitata, tanto più che questa aveva già un piede sulla riva sinistra a Costanza. Perciò l'altopiano svizzero sarebbe stato improvvisamen te invaso, come fu invaso il Belgio, e l'esercito svizzero avrebbe dovuto effettuare la sua radu nata nello spazio racchiuso tra l'Aar e la Reuss, se pure nonsarebbe stato costretto ad effettuarla più indietro, presso il margine della zona mon tuosa. In quella forte posizione strategica e tat tica, che, pur essendo molto raccolta, copriva an cora tanta parte dei Cantoni più vitali della Sviz zera, questa poteva attendere il soccorso italiano che avrebbe prolungato la destra attraverso l'alta Reuss e le valli dei Grigioni fino a collegarsi, allo Stelvio, alla fronte italo -austriaca, e il soccorso francese che sarebbe penetrato sul territorio elve tico dal bacino del lago di Ginevra, oppure attra verso il Giura contro il fianco del nemico che si fosse avanzato per la sinistra del basso Aar. Si sarebbe cosi costituita una linea di difesa conti

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nua dal Mare del Nord al basso Isonzo, dello svi. luppo di quasi 2000 chilometri! Io calcolavo che una forza italiana di sette divisioni, sarebbe stata in primo tempo sufficiente, nell'aspra zona di alta montagna di 150 chilometri di estensione in linea d'aria, tra il lago di Lucerna e lo Stelvio. Che, se in seguito gli eventi della guerra aves sero condotto questa a svolgersi più a sud, avrem mo sempre potuto coprire il territorio italiano, dapprima occupando i passi del displuvio alpino, poi le Alpi Orobie, il monte Ceneri e le strette di Cannobio e della Barra; e finalmente ritraendo il centro sulla linea Luino-Menaggio. Quest'ultima linea avrebbe dovuto costituire l'ultima difesa con tro qualsiasi eventualità.

Sembrava adunque sufficiente destinare in primo tempo alla fronte svizzera un'Armata di sette divisioni, con una quantità corrispondente di artiglierie di medio e grosso calibro. Gli avve nimenti avrebbero in seguito rivelato l'opportu nità di inviare altre forze. Su questa base furono effettuati tutti i calcoli e predisposti i movimenti.

Quanto ho detto finora vale a dimostrare che qualunque più temuto avvenimento sulla fronte svizzera non ci avrebbe colto di sorpresa. Nulla è fortunatamente avvenuto che valesse a turbare il regolare andamento delle nostreoperazioni sulla fronte italo-austriaca. Ciò non toglie che le preoc cupazioni siano state gravi, specialmente nei pri mi due anni della guerra, quando la frontiera sviz zera, già cosi estesa ed in parte aperta, era del tutto indifesa .

Un colossale lavoro di fortificazioni e di strade

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è stato condotto a termine, con una ingentissima spesa e ciò che più monta impiegando una enorme quantità di mano d'opera che avrebbe trovato utilissimo impiego sulla fronte italo-au striaca, tanto per perfezionare le difese di prima linea delle varie armate, quanto per condurre a compimento le difese di seconda e terza linea, le quali, quando il disastro di Caporetto sopravvenne, erano ancora molto imperfette. In epoca più o meno lontana, nuove nubi possono affacciarsi all'orizzonte e gravi preoccu pazioni possono riprodursi, senza alcuna sicurezza di poter rinnovarein tempo utile il vasto sistema di fortificazioni e di strade che ora si lascia cadere in rovina. Provvediamo adunque almeno alla ma nutenzione delle strade e delle batterie, che son quelle che richiedono una maggior somma di la voro. Se ciò non si facesse, potrebbe venire un giorno in cui questa colpevole trascuranza ci fosse dai nostri figli rinfacciata!

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GLI AVVENIMENTI DEL 1914-'15 IN TRIPOLITANIA (1) I.

Sugli infausti avvenimenti che si svolsero in Tripolitania durante gli ultimi mesi della nostra neutralità e subito dopo la nostra entrata in guer ra, si distese un denso velo e fu opera saggia, non essendo certamente quello il momento opportuno per creare gravi preoccupazioni in paese.Questo, d'altronde, era talmente assorbito dai gravi avve nimenti che stavano maturando alle nostre fron tiere, che la sua attenzione era distolta dalla sua colonia di recentissima conquista. Non mancarono, nei tempi che seguirono la conclusione della guerra, delle voci che squarcia rono in parte il velo onde quegli avvenimenti erano avvolti. Taluno, imperfettamente edotto del le circostanze di fatto che concorsero al disastro, volle accagionarne, almenoin parte, il Comando su

(1) Non fu cosa per me facile il raccogliere gli elementi di fatto per la storia degli avvenimenti in Tripolitania nel 1914-'15 ; ma vi riuscii grazie al concorso di alcuni distinti ufficiali che a quegli avvenimenti avevano preso parte. Ciò malgrado non posso escludere che io possa essere incorsoin qual che inesattezzaparziale. Se ciò mi fosse accaduto ne chiedo venia al lettore, dichiarando, in ogni caso, che lo scopo principale di questo capitolo è quello di esporre i rapporti intercorsi fra Governo e Comando supremo, e su questo argomento sono esattissimo, come risulta dai documenti.

premodell'esercito, il quale avrebbe negato i mezzi che, se concessi in tempo, avrebbero salvato la co lonia.

Intendo pertanto di ristabilire la verità dei fatti, portando così un importante contributo alla storia di quel periodo disgraziato. Accennerò agli avvenimenti di quel tempo in modo del tutto sommario, solo per quel tanto che è necessario per comprendere l'azione del Comando supremo nei suoi rapporti col Governo, essendo questo, , come dissi, il principale scopo di questo capitolo.

II.

L'occupazione della Tripolitania, iniziatasi nell'ottobre del 1911 e sviluppatasi attraverso alle più grandi difficoltà fino agli altipiani più pros: simi alla costa, non aveva avuto il tempo di con solidarsi. Tuttavia, già nell'agosto 1913 veniva intrapresa la spedizione del Fezzan, agli ordini del colonnello Miani il quale, ai primi di marzo del 1914, giungeva trionfalmente aMurzuk, a 750 chilometri in linea d'aria dalla costa, spingendo distaccamenti fino a Ghat, a goo chilometri dalla costa stessa, e in altri luoghi! Quali motivi abbiano indotto ad intraprendere cosi prematuramente questa spedizione, io ignoro. Giammai, io credo, nella storia coloniale di tutti i paesi, si riscontra un'impresa cosi temeraria e intempestiva! La spedizione Miani era partita da Sirte il 10 agosto 1913 ed era arrivata a Socna il 26 ri partendone il 4 dicembre. Durante questa marcia incontrava qualche centinaio di ribelli armati, a contrastarle il passo, e li vinceva in tre combatti menti: 8 dicembre, alle acque di Scebb; Io di cembre, a Eschida; 24 dicembre, a Maharuga. Que sta resistenza armata era inspirata dalla Senussia

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e cedeva del tutto, per allora, dopo le sconfitte subìte. La vittoria di Maharuga determinava la sottomissione dei capi dello Sciati occidentale, dello Scergi, dell'Hofra e di Murzuk, ma i ribelli si disperdevano verso oriente, dove costituivano attivi nuclei della organizzazione senussita. Il 17 febbraio la colonna occupava Sebha (innalzata dal comandante a capitale del Fezzan), e il 4 marzo occupava Murzuk.

Ghat fu occupata assai più tardi, il 12 agosto, a cagione di difficoltà suscitate dalle popolazioni.

Il comandante fece anche presidiare Gahara, Brak, Murzuk, Gatrum, Ubari, Ederi. Comples sivamente, in una regione vastissima e così lon tana dalle basi, vi erano un battaglione eritreo, nuclei libici delle sezioni artiglieria cammellate e ascari fezzanesi. Le comunicazioni si svolgevano

lungo la carovaniera Sebha - Um el Abib - Zighen Zeriat Bir Kateifa - Socna - Bungeim Bungeim - Sirte, ed erano esposte all'attacco di ribelli e predoni, specialmente nel tratto, lungo 300 chilometri, fra Sirte e Socna; e perciò tale linea fu più tardi so stituita dalla carovaniera Sebha - Brak - Sciueref Gheriat - Beni Ulid - Misurata, oppure da Ghe riat per Misda e Garian a Tripoli.

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La facilità e la rapidità con la quale la straor dinaria impresa fu compiuta, lasciarono forse cre dere che lo scopo fosse stato raggiunto. Ma, avve nuta l'occupazione, rimaneva un compito ancor più difficile, quello cioè di consolidarne il dominio, governando l'immensa regione la quale, per il suo isolamento e per le sue speciali condizioni era re frattaria a qualunque nuovo sistema di vita. In quel momento veramente decisivo mancò la co gnizione di ciò che si doveva fare per assicurare la conquista, ed incominciarono subito a svilup parsi quei fatti di natura politica e militare che,

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4 - L. CADORNA - Altre pagine sulla grande guerra . - -

dopo un anno e mezzo ci dovevano ridurre a Tri poli e ad Homs. Si commisero errori politici e mi litari che ebbero le più funeste conseguenze. Si modificarono leggi esistenti da un lontano passato per far prevalere la civiltà europea sulle usanze antichissime di quelle barbare popolazioni. Per pretes necessità di bilancio, si ritrassero alla costa i riparti libici ed eritrei che si giudicavano troppo costosi per essere mantenuti laggiù, sosti tuendoli con bande di negri reclutati nella regione della cui fedeltà troppo facilmente ci illudemmo, bande distribuite in numerosi presidi sparsi ed iso lati in quelle immense solitudini sabbiose. Il contegno delle varie tribù del Fezzan fu tale da fare apparire quasi subito assai dubbia al Governo di Tripoli la nostra solidità in quella vasta regione ( rapporto del governatore gene rale Garioni al Ministero delle colonie, del 18 mar ZO 1914), e già correvano voci di spedizioni contro il Fezzan, daKufrae dalle regioni del Sudcirenaico. Nel febbraio 1914, le popolazioni sirtiche, sobillate anch'esse dalla Senussia, erano in ribel lione. Invece di tener conto delle cause di tali fatti ed agire in conseguenza, truppe nostre par tirono da Sirte a cercare la gloria delle armi con tro i ribelli; questi furono battuti ma non vinti, si ritirarono e le nostre truppe occuparono la zauia di Nufilia. E nel febbraio del 1914, da Nu filia incominciò la crisi politica e militare che doveva ricondurci a Tripoli e a Homs. Alla fine del luglio 1914 la nostra occupazio ne era la massima (considerando virtualmente oc cupato anche Ghat). Ma due focolai di pericolosa rivolta ardevano già da sei mesi nella Sirtica e nel Fezzan, ed un terzo, meno evidente, ma non meno pericoloso, nella Ghibla. La Sirtica, da cin que mesi distruggeva la nostra organizzazione

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delle truppe libiche già cosi bene avviata; la Fez zania ci invischiava in una impresa logistico-caro vaniera fantastica ed assurda .

Nel luglio del 1914 partivano dai giovani Turchi di Costantinopoli incitamenti agli Arabi per isolare dalla costa i nostri presidi del Fezzan, incitamenti provocati, pare, dalla Germania, la quale aveva interesse a crearci in Tripolitania delle difficoltà nel momento in cui stava per scoppiare la guerra europea.

Gli effetti non tardarono a manifestarsi, faci litati dai commessi errori politici e militari. La proclamazione della guerra santa fatta da Costan tinopoli giunse rapidamente fino al Fezzan e le popolazioni fanatizzate che ci illudevamo di aver sottomesse, siribellarono ed intrapresero una lotta disperata. Contemporaneamente avvennero vari episodi lungo la costa sirtica ed attacchi contro carovane nostre sulle lunghissime retrovie del Fezzan. Allora apparve al colonnello Miani la situazione in tutta la sua gravità. Preoccupato della scarsità delle forze, egli pensò di ricorrere agli arruolamenti forzati con aliquote di ascari per ogni mudiria, secondo il metodo turco, metodo approvato dal Governo e dai capi locali, ma non dai capi nomadi, ed in ogni modo contrario alle esplicite nostre promesse di non rendere obbliga torio il servizio militare. Il colonnello Miani, per far fronte alla grave situazione, chiese rinforzi. Avendo il Ministero delle colonie risposto che non potevano inviarsi le truppe richieste in numero adeguato al bisogno, il Governo di Tripoli, con telegramma del 30ot tobre avvertiva che: «ove non fosse possibile a «codesto Ministero provvedere, e con sollecitudine, «« all'invio di un forte contingente di truppe eritree « e benadiriane, e l'attuale situazione dovesse pro

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C «lungarsi o peggiorare, per quanto possa riuscire « di vivo e profondo dolore, sarebbe d'uopo pren « dere in considerazione la eventualità di uno « sgombro completo da parte nostra del Fezzan re delle oasi sirtiche » . Replicava il Ministero che la situazione in Eritrea e Cirenaica gli impediva di inviare truppe eritree in Tripolitania.

Ma intanto e poco dopo che tale corrispon denza si svolgeva, la situazione peggiorava rapi damente. Al 10 dicembre l'insurrezione era ormai generale; bande di predoni percorrevano l'inter regione e molestavano le nostre truppe. Fu perciò deciso di affrettare lo sgombro del Fezzan . Già, come ordinava da Tripoli il governatore, si era provveduto al ritiro dei presidi isolati e lontani, operazione questa lenta e difficile, talvolta impos sibile. Incominciò allora il tragico epilogo del l'impresa: ai primi di novembre del 1914 gli avan zi di quasi tutti i presidi del Fezzan, dopo una serie inenarrabile di asprissimi combattimenti e di sacrifici, si erano riuniti a Brak dove si trovava col Comando il colonnello Miani. Murzuk, Ghat ed altri presìdi lontani, rimanevano isolati ed ac cerchiati dai ribelli.

Il forte costruito nell'importante punto stra tegico di Gara Sebha, pel tradimento dei fezzanesi che ne componevano in gran parte il presidio, cadde nelle mani dei ribelli, ed i pochi italiani furono assassinati o riuscirono a sottrarsi coi più gravi sacrifici.

La nostra difesa si concentrava in Brak, ri manendo sempre il pericolo che le truppe fezza nesi si rivoltassero. Ivi arrivava a momento op portuno da Socna il XV battaglione eritreo. La ritirata anche da Brak si imponeva. Essa fu intrapresa l' II dicembre 1914, e fu condotta

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a felice compimento, unico avvenimento avven turoso in quelrapido incalzare di funeste vicende. Dopo 10 giorni di marcia si arrivò a Socna; e qui hanno termine questi brevi cenni sugli avveni menti del Fezzan. Ma la tragedia non era che al principio, e gli avvenimenti più sciagurati dove vano svolgersi in seguito.

Il 21 dicembre 1914 la colonna reduce dal Fezzan entrava in Socna. Questa località, capo luogo dell'oasi di Giofra, rimase così il punto più avanzato da noi occupato. Essa era isolata, di stante 200 chilometri dal presidio più vicino, ad eccezione di Wadan nella stessa oasi di Giofra. La si era rafforzata con tre fortini e si nutriva anche a Tripoli fiducia di poterla conservare. Ma, approfittando del momento in cui una parte del presidio si era allontanato per scortare una caro vana di rifornimenti proveniente da Beni Ulid, i ribelli attaccarono il castello di Wadan e si im padronirono della località e degli abbondanti ri fornimenti che vi si trovavano. Allora si tento di attuare una spedizione punitiva su Wadan, ma non riusci contro le notevoli forze dei ribelli. Intanto, data la situazione sempre più grave nella Sirtica, della quale discorrerò ora, il Governo tripolitano determinava lo sgombro di Socna.

Ripiegamento dalle oasi sirtiche. Nella re gione sirtica, il cambiamento della nostra politica indigena, orientato sul concetto di favorire il vec chio Capo Seif el Nasser già da noi arrestato ed esiliato a Zuara - e di crearne un Capo locale autorevole che tenesse le regioni sotto la sua in fluenza in nome del Governo italiano (direttiva generale di politica replicatamente proposta e

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III .

ordinata dal Ministero delle colonie), permise, in un primo tempo,una certa tranquillità e sicurezza della regione. Seif el Nasser sbarco a Sirte verso la fine di settembre, accolto da gran numero di notabili della Sirtica e delle oasi sirtiche recatisi a rendergli omaggio, e si accinse al compito di riunire le sue cabile sparse nel vasto deserto sir tico, per tenerle, secondo il piano concordato col Governo di Tripoli, sotto la sua dipendenza, in nome del Governo italiano. Da questo momento la condotta di Seif el Nasser è difficile a determi nare ed a seguire: quel che è certo è che nello spazio di tre o quattro mesi egli, da nostro princi pale coadiutore e strumento di Governo, si trovò, per graduali passaggi, acombattere contro di noi. Per tutti i mesi di ottobre e novembre Seif el Nasser si dimostrò apparentemente a noi favo revole e occupato a raccogliere cabile ed armare bande in nostro nome ; ma verso la fine di no vembre al Comando della zona appariva chiaro che egli non avrebbe mai assolto il compito da noi affidatogli, o intenzionalmente o per incapa cità. Intanto egli si manteneva fra le tribù Sulei man a lui fedeli, lontano da Sirte. Ai primi di di cembre il suo atteggiamento appariva neutrale, ostentando egli il suo distacco dalle tribù che sul Uadi Aghir si erano accampate con intenzioni a noi ostili, e mostrando di volersi occupare solo dei suoi interessi particolari. Il Governo della Tri politania, ritenendo che valesse meglio avere il Capo arabo in atteggiamento neutro piuttosto che nemico, e per tentare di richiamarlo a noi, entrò in trattative con lui. Il 24 dicembre egli si diceva ancora pronto ad agire in nome dell'Ita lia purchè fossero soddisfattealcune sue domande, e, in ogni caso, si obbligava a non accordarsi coi ribelli contro il Governo. Ma mentre ancora si

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continuava a trattare, Abd el Gelil, figlio di Seif el Nasser, con elementi di alcune tribù, attaccava, la notte del 15 gennaio 1915, il nostro presidio di Wadan. Questo, composto di una compagnia libica, unasezione artiglieria e un nucleo di meha risti (in totale 140 uomini), colto alla sprovvista, parte faceva causa comune coi ribelli, parte ri parava a Socna e a Hon.

Intanto, fin dal novembre, cioè fin dall'epoca del progettato sgombro del Fezzan, si era pro spettata al Governo di Tripoli l'eventualità dello sgombro di Socna, sempre però restando indeciso il tempo opportuno per effettuarlo. Per la situa zione creatasi dopo tutti i fatti succitati, il Gover no della Tripolitania, con telegramma del 18 gen naio 1915 ordinava l'immediato sgombro di tutta la regione delle oasi sirtiche. Il 27 gennaio 1915, il presidio di Socna reso il saluto alla bandiera italiana, alla presenza dei capi locali a noi fedeli - si ritirava al completo ed in perfetto ordine su Bungeim, ove arrivava la sera del 3 febbraio, dopo faticosa marcia. Ivi la colonnasostava per riposare e radunare cammelli. L'8 febbraio unita al presidio di Bungeim , riprendeva la marcia su Beni Ulid. Ma la mattina di quel giorno, mentre i cammelli si recavano al pascolo, scortati da 300 fucili, a meno di un'ora da Bungeim, venivano attaccati da oltre 1000 ribelli; accorsi immedia tamente da Bungeim riparti eritrei e libici, con sezione d'artiglieria, al comando del tenente co lonnello Billia, s'impegnò un violento combatti mento che durò fino all'imbrunire: i ribelli furono ricacciati, con perdite enormi, parecchi chilome tri lontano da Bungeim; i cammelli sbandati fu rono in parte ripresi. Nostre perdite: morti 4 ufficiali e 39 uomini di truppa; feriti I ufficiale e 50 di truppa. L'11 febbraio 1915 la colonna, col

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presidio di Bungeim, dopo aver distrutto tutto ciò che non poteva trasportare, e incendiato lo stesso paese di Bungeim, si ritirava su Beni Ulid, dove contemporaneamente il tenente colonnello Rosso inviava aiuti e rifornimenti. La colonna, un po' molestata nella difficile marcia da qualche centinaio di ribelli, sostava a Fashia il 14 febbraio 1915 e giungeva senza incidenti a Beni Ulid il 20 febbraio .

E così, perduto il Fezzan, il Giofra e la Sir tica, l'occupazione della Tripolitania rimaneva li mitata al semicerchio Misurata - Beni Ulid - Mi sda - Nalut, la migliore e più fertile parte della regione; dagli Orfella, lungo il Gebel fino al con fine tunisino, compresa Ghadames, ove era giunta da Ghat la colonna Giannini attraverso la Tunisia. Questa linea ininterrotta di presidi avrebbe potuto continuare a rimanere in mano nostra se fosse stato possibile adibire ad essa le forze necessarie alla sua difesa; ma ciò avrebbe richiesto una no tevole distrazione di forze dalla madre-patria, la qual cosa non era in quel momento, alla vigilia della nostra entrata in guerra, possibile.

Mentre gli avvenimenti sommariamente de scritti si svolgevano, io venivo assunto alla carica di Capo di stato maggiore dell'esercito della quale prendevo possesso il 27 luglio 1914, - e quat tro giorni dopo scoppiava la guerra europea.

Io giudicai tosto inevitabile a scadenza

più o meno prossima la nostra partecipazione al conflitto. Epperciò gli avvenimenti libici mi apparvero subito di ordine secondario qualun que ne fosse la gravità rispetto a quelliche si -

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IV .

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andavano per noi maturando alla frontiera. E siccome, in caso di guerra al nostro confine orien tale, le nostre forze sarebbero state scarse, anche se fossero state pronte e bene organizzate (ed erano ben lungi dall'esserlo), ne derivava che qua lunque distrazione di forze dall'Italia alla Libia avrebbe reso ancora più difficile la nostra situa zione militare in Italia ed avrebbe fatto il giuoco dei nostri nemici. Conseguiva da tutto ciò: che non potendosi in Libia proporzionare le forze al l'estensione del territorio che si sarebbe voluto mantenere occupato, era necessario di fare l'in verso, ossia di ridurre l'occupazione territoriale in proporzione delle forze disponibili. Non poteva esserci via di mezzo tra la rigorosa applicazione di questo principio e l'invio in tempo in Libia delle notevoli forze necessarie a far fronte alla gravità della situazione manifestatasi. Qualunque di quei mezzi termini che sono tanto cari al cuore italiano, non avrebbe avuto altro effetto che di diminuire le forze in Italia senza salvarci dal di sastro in Libia. Si trattava sempre dell'applica zione dell'eterno ed elementare principio del pro porzionare il fine ai mezzi disponibili, quando le circostanze vietano di proporzionare i mezzi al fine. Si vedrà nel capitolo seguente a quali con seguenze ha portato in Albania la violazione di questo principio. Emergerà in questo capitolo quali più tremendeconseguenze ha portato la sua violazione in Tripolitania. Fa parte essenziale del l'arte dell'uomo di azione nel campo politico e nel militare il saper prendere a tempo dei partiti decisi, mirando alle linee capitali dell'azio ne, senza lasciarsi fuorviare da fatti e da conside razioni, sia pure importanti per se stesse, ma se condarie rispetto a quelle.

É superfluo l'accennare che io non avevo al

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cuna ingerenza sulle cose della colonia, la quale dipendeva esclusivamente dal ministrodelle colonie. Io non avevo che una funzione consultiva-mili tare, e si ricorreva a me specialmente quando si trattava di dovervi spedire delle truppe. Ma, nel l'adempimento di questa funzione, io cercai co stantemente di uniformarmi al principio che ho precedentemente accennato, tenendo sempre pre sente la necessità di non disperdere per obbiettivi lontani e secondari le già scarse forze disponibili per una guerra in Italia. Epperciò:

10 Il 7 agosto indicavo al ministro della guerra la convenienza diridurre alminimo ipresidi della costa, mantenendoli solo nelle principali località, organizzando ivi la difesa nelle migliori condizioni.

20 Il 27 agosto successivo mi dichiaravo d'accordo col ministro della guerra nel giudicare che i Governi delle varie colonie dovessero regolare la loro azione militare e politica in modo da non dover richiedere aiuti alla madre-patria, evitando qualsiasi operazione cui non avessero potuto far fronte esclusivamente coi propri mezzi e che non fossero assolutamente imposte da ineluttabili cir costanze

3 ° Il 4 novembre giudicavo che, non potendosi in alcun modo aumentare le forze che si trovavano in Tripolitania, e non essendo esse in grado, per il loro disseminamento, di effettuare una vittoriosa resistenza in caso di insurrezione, altro non restava che concentrare le forze stesse tra la costa e l'altopiano, ritirando tutti i presidi più lontani, più deboli e più esposti, fossero essi nel Fezzan, nella Sirte, nella Ghibla, od anche nella stessa Tripolitania meridionale, costituendo

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.

sesso -

in tal modo nella più importante regione della quale dovevamo assicurarci ad ogni costo il pos Tripoli e il Garian un forte nucleo di truppe italiane e di colore che avesse la necessaria efficienza per dominare la situazione in ogni evento. Il 17 dicembre sempre scrivendo al ministro della guerra ribadivo il concetto che i governatori delle colonie dovevano regolare la loro azione sul principio che la situazione doveva essere fronteggiata con le sole risorse che possede vano; e, qualora giudicassero impossibile di tenere tutti i territori occupati, restringessero l'occupa zione al minimo, e cioè fino a ritirarsi, addirittura alla costa, se necessario.

4° -

5° Il 23 dicembre esponevo l'opinione che in Tripolitania per trarre il massimo rendi mento dai mezzi di cui il governatore disponeva, non fosse conveniente di tenere occupate in modo precario o condizionale località molto lontane dalla regione più importante della colonia indicata daquel governo coll'appellativo di « Zona Centrale >> quali Nalut, Giosc, Misda, Beni Ulid e Sirte, ed ancor meno poi quelle lonta nissime di Ghadames, Socna e Bungeim.

sia pure

60 Il 30 gennaio 1915 insistevo sul con cetto che il voler tenere le suaccennate località, non collimava con la necessità - qualora si dovesse presentare - di raccogliere le forze di quella colo nia, affinché esse, senza bisogno di ulteriori aiuti che la madre-patria non poteva dare fossero in grado di far fronte anche ad una insurrezione generale; additavo inoltre l'opportunità di pre venire, possibilmente, il pericolo che piccoli pre sidi, incapaci di seria resistenza, o dislocati a di stanze tali da non poter ricevere soccorsi in tempo,

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potessero trovarsi inopinatamente esposti a dovere abbandonare precipitosamente la loro sede.

70 L'8 febbraio ribadivo, sviluppandoli, i seguenti principî: l'occupazione in Tripolitania va ristretta a quel tanto che le forze disponibili consentono di tenere con sicurezza; non fissare da Roma limiti tassativi a tale occupazione, po tendosi ordinare di tenere certe località che poi le necessità del momento impongono di sgombrare all'ultimo istante, per forza anziché per nostra spontanea volontà la situazione in Tripolitania, tenuto conto di quella internazionale europea, impone che sulla ragione politica prevalga la mili tare; chiedevo infine che su questo punto il Governo stabilisse in modo esplicito quali fossero i suoi intendimenti .

Facevo ancora in questa lettera rilevare che dal giorno in cui avevo per laprima volta dichia rato che non avrei voluto si concedessero altre truppe metropolitane, avevamo invece già inviato in Tripolitania 8 battaglioni; e che, in seguito al colloquio da me allora avuto col generale Tassoni (nominato governatore della colonia al posto del generale Druetti, il quale era succeduto al gene rale Garioni), avevo dovuto concedergli altri tre battaglioni bersaglieri e tre squadroni cavalleria.

Ed aggiungevo queste parole: « Resta cosi esaudita

« la richiesta fatta alla E. V. da S. E. il ministro

« delle colonie con telegramma urgente del 6 cor

« rente, N.° 461, mentre con la maggiore assegna

« zione di tre squadroni cavalleria spero che il

« compito di S. E. il generale Tassoni venga in

« qualche modo agevolato, sicchè possa essere, a

« suo tempo, facilitato il rimpatrio delle truppe

« ultimamente colà inviate. Tutto ciò è stato da

« me convenuto in termini bene espliciti con S. E.

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«il generale Tassoni, nel colloquio cui ho più sopra

« accennato, ed egli, non solo non ha manifestato

« desideri maggiori, nè ventilato la probabilità di «nuove richieste, ma, dimostrandosi perfettamente

« edotto della situazione sulla quale ha avuto

« ampio campo di intrattenersi con S. E. il ministro

« delle colonie mi ha dato a divedere ch'egli

«ritenga sufficienti i provvedimenti decisi». E concludevo la lettera con queste parole: « Ad ogni

« modo debbo fin d'ora dichiarare che

dopola

« concessioneditruppa orafatta, la qualedeveessere

« ritenuta come estrema, io non potrei adattar

« mi per nessuna considerazione, nè politica nè mi

« litare, a concedere altre forze alle colonie libiche

« essendo convinto che ciò sarebbe deleterio per « ben più gravi interessi del Paese ».

Quest'ultima lettera dell'8 febbraio, che ho ora riassunta, rispondeva ad una lettera del 6 febbraio del ministro della guerra, dalla quale chiaramente traspariva essere intenzione del mini stro delle colonie (on. Ferdinando Martini) che si tenesse ad ogni costo la zona compresa fra Zavia, Fessato, Yeffren, Garian, Tarhuna, Kussabat, Homs, oltre all'occupazione di Zuara, Misurata e Sirte. E il ministro della guerra soggiungeva che in tal caso « non è inammissibile che egli (il gene

« rale Tassoni) possa confermare - se non in tutto )

« almeno in parte la richiesta di rinforzi fatta

-

«dal suo predecessore. E allora ci troveremmo nuo

« vamente, ed a breve scadenza, di fronte al di

« lemma: o concedere qualche battaglione; o per

« dere ciò che con gravi sacrifici acquistammo e

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.
« che con sacrifici forse altrettanto gravi dovrem amo poi riconquistare ». Era difatti evidente che, precisata la zona che si doveva tenere ad ogni costo, le forze all'uopo necessarie da inviarsi dall'Italia, sarebbero salite non già a qualche battaglione, ma 9

a quel tanto allora ignoto, fors'anco interi corpi d'Armata (nel 1912 leforze in Libia oltrepassarono i 100.000 uomini) che le circostanze avrebbero imposto. Ma è del pari evidente che noi non pote vamo andare incontro a questa incognita, alla vigi lia della nostra entrata in una guerra per la quale le nostre forze erano già molto scarse. Perciò sa rebbe stato necessario di rinunziare al concetto della difesa ad ogni costo di una determinata zona, per quanto importante, e accettare risolutamente il secondo corno del dilemma del ministro della guerra, per quanto ciò fosse spiacevole. Ma il mi nistro delle colonie, che, pur non vedendo che il lato politico della questione, aveva facoltà di deci sione (che io non avevo) persistette nel suo con cetto: e fu questa la causa prima del disastro, come si vedrà in seguito.

Il lato militare, invece, del problema, avrebbe dovuto essere contemplato in tutta la sua ampiezza e in tutta la sua realtà, dal governatore della co lonia, che ne era il responsabile. Ed allora sarebbe apparso con tutta evidenza che, per difendere la estesa zona che si voleva mantenere, si richiede vano numerose forze, sia per sostenere la difesa dei punti principali della zona stessa contro forze nemiche che li accerchiassero, sia per organizzare colonne mobili in quantità e forza sufficiente per sbloccare i punti accerchiati e rifornirli di viveri e di munizioni, per sorprendere i ribelli nei loro punti di assembramento, ecc. Se non si avevano forze sufficienti per organizzare queste colonne mobili, è evidente che i presidi isolati sarebbero stati in breve costretti a capitolare per fame o ad aprirsi la via con le armi , con la quasi certezza di distruzione! E appunto ciò che avvenne.

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Avvenimenti nel Gebel e nella Ghibla. - Mentre il fermento si diffondeva nel Fezzan e nella Sirtica e si preparavano gli avvenimenti che dovevano capovolgere la nostra situazione in Libia, il Gebel e il Sudparevano tranquilli. Le condizioni dei pre sidi di Ghadames, di Sinaul e di Nalut presso il confine tunisino parevano normali. In queste condizioni il Governo di Tripoli (novembre 1914) ordinava di inviare a Yeffren le forze esuberanti a Nalut. Parte prima la carovana scortata da un plotone di ascari libici e seguita a distanza di al cune ore dalla truppa (reparti del 180 Fanteria e di ascari libici). La carovana è attaccata, i cam mellieri sparano su gli ascari, la carovana è per duta. La truppa ripiega a Nalut e i ribelli si sta biliscono sulle carovaniere tagliando ogni comu nicazione coll'esterno. La rivolta, favorita da con dizioni locali, non era da considerarsi come fatto isolato, ma come risultò da quanto avvenne in seguito come scoppio parziale e prematuro di una rivolta più vasta, la cui organizzazione si stava compiendo nelle varie regioni della colonia. Ma l'Ufficio politico-militare di Tripoli non era esattamente informato: esso, il 16 novembre 1914, tre giorni prima della rivolta di Nalut, scriveva : «In complesso in quella regione (Gebel-Nefusa) tutto è di fatto tranquillo, ed una ripresa del Barunismo (dal nome dell'agitatore El Baruni) è poco proba bile». Però l'attacco della carovana incominciò ad aprire gli occhi, e il Governo di Tripoli proclamò lo stato d'assedio, accentrò i poteri nel Comando della zona militare, dispose per il ripiegamento da Gheriat su Misda, ed ordinò nella zona occi dentale la raccolta delle forze mobili su Yeffren

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V.

e losgombero da Ghadames e Sinaum, o su Fessato o su Nalut attraverso la Tunisia. L'attacco alla carovana consigliò ad operare energicamente. Non avendo il Comando della zona forze sufficienti, fu costituita una colonna mobile agli ordini del tenente colonnello 'Nigra, col V Libico proveniente daZuara e cinque centurie bena diriane, una sezione art. da montagna e la banda Voglino. Partita il 10 dicembre da Fessato, la colonna batteva i ribelli sulla strada di Nalut, ove arrivava il 15, e nei giorni seguenti ripuliva , dai ribelli il territorio circostante. Il 20 arrivavo a Nalut il distaccamento di Ghadames (sgombrata il 1° dicembre), dopo avere attraversato il terri torio tunisino e aver raccolto il distaccamento di Sinaun.

Alla fine di dicembre, nel territorio dell'ovest, tutta la regione a sud dell'altopiano è sgombrata dalle nostre forze. Sola in marcia sul territorio sud-algerino la colonna Giannini, da Ghat verso Uargla; il 30 dicembre essa si trova al forte fran cese di Tarat. L'ordine sembra ristabilito a Nalut, ma la popolazione ribelle si è ritirata nella Ghibla e le operazioni militari della colonna Nigra non furono decisive .

Sembrando ristabilito l'ordine e la tranquillità, il Governo di Tripolidecide dirioccupare Ghadames e Sinaum, ed affida l'operazione alla banda Voglino. La colonna parte da Giado il 13 gennaio 1915, arriva tranquillamente a Sinaum il 17 e prosegue su Mezessem . Intanto i ribelli che avevano occu pato e saccheggiato Ghadames cercano di opporsi e di subornare gli uomini della banda. Voglino si arresta a Mezessem inattesa di notizie della colonna Giannini. Il 15, ricevuta finalmente una lettera dal medesimo del 6 febbraio, nella quale assicura il suo arrivo a Ghadames per il 17, muove suGhada

e a

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mes ove entra il 16 febbraio fra le liete accoglienze dei ghadamesini, i quali ci erano rimasti fedeli. Il 18 arrivò a Ghadames la colonna Giannini . La co lonna Nigra, che teneva in rispetto la zona di Nalut accompagnò una carovana di rifornimento a Ghadames,ove giunse il 6 marzo dopo un felice combattimento coi ribelli. Sembrandoallora tran quillizzata la regione, la colonna Nigra fu fatta rientrare sull'altopiano : essa parti il 10 aprile da Ghadames e giunse a Giosc il 30.

Situazione della Tripolitania, a metàfebbraio 1915. - Di fronte ai poco lieti risultati delle inda gini sulle cause della rivolta di Nalut, il Governo della Tripolitania era costretto a riconoscere contrariamente a quanto aveva affermato alla fine di novembre che « l'ambiente indigeno « trovasi effettivamente in uno stato d'animo ecce «zionale... così da renderlo ben disposto in com « plesso alla eventualità dello scoppio di una ri volta». (Relazione al Governo centrale, del feb braio 1915). Il Governo, dopo avere enumerate le ragioni che lo confortavano in questa opinio ne, concludeva col « non escludere uno scoppio insurrezionale ».

Il peggioramento della situazione politica si ripercoteva sulla organizzazione delle truppe libi che. La forza dei battaglioni si assottigliava per l'aumento dei congedamenti e la diminuzione degli arrolamenti, ed alla fine di gennaio 1915 il Go verno era costretto a sopprimere il VI battaglione e a ridurre le compagnie libiche da 24 a 19.

Il Governo locale aveva anche permesso che in Tripolitania fosse proclamata la guerra santa!

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VI . O
5 L. CADORNA Altre pagine sulla grande guerra.

L'8 dicembre 1914, quando gli avvenimenti del Fezzan, della Sirtica, del territorio di Nalut do vevano forzatamente indurre al pessimismo e alla diffidenza, il Governo locale permetteva che Sem sedin Pascià, rappresentante del Califfo, procla masse in gran pompa, dal palazzo del Governo, la guerra santa contro Inghilterra, Francia e Russia e lasciava che il discorso fosse affisso in turco alla porta della maggiore moschea. Riassumendo, la situazione, ai primi di feb braio 1915, nel momento in cui il generale Tassoni sostituiva il generale Druetti nel Governatorato, era la seguente:

Fezzan - Sgombrato e dominato da Mohamed el Abed e dal Mahdi Sunni; la colonna Giannini non ancora arrivata a Ghadames. Il territorio del Fezzan diveniva la nuova base di operazioni, dalla quale si lanciavano le offese ai nostri presìdi del Gebel .

Sirtica - Sgombrata ed abbandonata alla pre potenza di Seif el Nasser e dei figli, che incomincia vano a premere contro il territorio di Orfella e le bande ancora fedeli di Abd el Nebi Bel Ker.

Costa sirtica Dominata dai ribelli senussiti Misciascia, Aul el Suleiman. Sirte priva di libertà, e il territorio misuratino già in ebollizione fra Orfella e Taorga.

Gebel Ancora nelle nostre mani, ma minato da ostili macchinazioni e volontà decisa di cac ciarci alla costa. Misda, occhio avanzato verso il sud, impotente allo scopo, oasi di italianità desti nata al sacrificio .

Salda rimaneva tutta la linea marginale del l'altopiano, da Misurata a Tarhuna, Gariane Nalut, e e sul fianco orientale, Orfella.

66 -

Il nuovo governatore, appena assunto il Go verno, emanava una circolare in cui affermava la tendenza ad esagerare la potenzialità dei gruppi

« ribelli; l'abbandono ingiustificato di posizioni e

« località; la nobile condotta delle truppe libiche

« negli scontri di Bungeim, Bir Gaddaria (Sirte),

« Nalut »; e stabiliva che « oramai nessun coman

« dante deve fare un passo indietro senza ordine esplicito del Governo, e le località oggi occupate

« dalle nostre truppe devono essere mantenute

« ad ogni costo ». Egli spiegava grande attività e condannava « il pernicioso convincimento che pare

« entrato nelle menti di taluno che le nostre truppe

« metropolitane non siano in grado diagire se non

« sono numericamente superiori, e di molto, alle

« forze di cui possono disporre i ribelli.E il con

« cetto opposto che deve ispirare ed essere regola

« della nostra condotta ».

Queste istruzioni non corrispondevano certa mente alle necessità della situazione, le quali io avevo ben spiegate al generale Tassoni subito prima che egli partisse per la colonia. Le conse guenze dell'aver voluto difendere ad ogni costo le località fino a quel momento occupate dalle nostre truppe non tardarono a manifestarsi; esse furono una delle cause principali del disastro che ne consegui.

In relazione ai concetti operativi che inspi ravano il nuovo governatore, furono concepite due grandi operazioni di polizia: l'una al sud di Misda e di Orfella nella Ghibla; l'altra nella Sir tica. La prima fu affidata al tenente colonnello Gianinazzi, capo della zona del Garian; la seconda al colonnello Miani.

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VII .

Operazioni sull'altopiano - La colonna Giani nazzi doveva operare da Misda verso Gheriat. Essa era costituita dello battaglione libico, una batteria, una sezione mitragliatrici, alcune bande e la carovana, con un totale di circa 800 fucili. Il 6 aprile poche fucilate di ribelli determinano un folle terrore in quelle bande raccolte affrettata mente eforzatamente; esse si danno tosto alla fuga travolgendo i riparti regolari. Questi, riordinati dall'energia degli ufficiali, continuano il combat timento. Ma questi fatti avevano tolto ogni effi cienza alla colonna; non fu giudicato possibile con tinuare l'avanzata e fu ordinato il ripiegamento. Il tenente colonnello Gianinazzi, ferito, cede il comando al maggiore Sartirana, il quale ordina la ritirata nellanotte. Ma, appena partiti, una vivace fucileria nemica sparge nuovo panico fra le bande che fuggono terrorizzate, la carovana è pure in fuga,la colonna è scompigliata e diventa una massainforme, in fuga, la quale alle 6 arriva a Kars: Gli avanzi della colonna giungono a Misda alle 18 del 7 aprile. Il rovescio di Uadi Marsit -come fu denominato fu concordemente attri buito alla indisciplina e al panico delle nuove ban de, nè amalgamate, nè volonterose, nè istruite. In seguito a questo disastro, che fu il primo dei tre che compromisero definitivamente la nostra situazione nella colonia (gli altri furono quelli di Kars bu Adi e di Tarhuna), il Comando della zona meridionale rinforzò il presidio di Misda con un battaglione volontari italiani, e le bande furono fatte rientrare al Garian,

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VIII.

Operazioni nella Sirtica. - Il colonnello Miani arrivava dall'Italia col programma di armare nu merose mehalle con le popolazioni dei Tarhuna, Mesellata, Misurata, Sirte, Orfella e muovere con esse contro i ribelli senussiti della Sirtica. Dove vano essere unite a nuclei delle nostre truppe, per dimostrare agli Arabi che il Governo mandava i suoi soldati a combattere insieme a loro il co mune nemico. Molto gradendo l'invio in Tripo litania del colonnello Miani, il governatore gli lasciò completa libertà d'azione, dimodochè la responsabilità rimase intera al colonnello stesso. Egli avrebbe poi tenuto il Comando della Sirtica. Seguendo il concetto del Ministero delle colonie che « la colonia doveva fare coi propri mezzi » e che egli allora aveva pienamente accettato, ap pena sbarcato a Misurata ottenne il rimpatrio di quel comandante di zona ed incominciò a con centrare le mehalle e i riparti regolari, parte a Misurata e parte a Beni Ulid. Lasciando libertà d'agire al Miani, il Governo di Tripoli non discor dava con lui nell'utilità dell'impiego delle bande, che egli stesso aveva promosso nel Gebel. Fu così che Miani costitui le 5 bande di Sliten, Misurata, Mesellata, Orfella, Tarhuna, comprendenti un to tale di 3000 uomini a piedi e 220 a cavallo. Egli ebbe inoltre a sua disposizione un battaglione del 20 bersaglieri, il XV eritreo, il III libico,due com pagnie del IV libico, una batteria italiana ed una in digena, uno squadrone savari, un plotone meharisti. Poteva inoltre, occorrendo, disporre del presidio di Sirte, formato da un battaglione del 57° fanteria e da due compagnie del IV libico, che sarebbero state sostituite dal Governo durante le operazioni.

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Lo scopo dell'operazione concepita dal Miani era la pulizia del sud misuratino, del sud ed est di Sirte .

Egli partiva il 5 aprile da Misurata con la colonna composta come ho detto; il 7 arrivava a Tagemut, il 9 a Bir el Ezzar, dove s'incontrava conlacolonna Rosso(duecompagnie del 630fanteria, XV eritreo, tre compagnie libiche, una batteria indigeni, plotone meharisti) proveniente da Beni Ulid, e con le bande di Tarhuna ed Orfella. Il 14 era al completo, a Bir el Gheddahia. Quivi arri varono delle lettere dei ribelli ad Abd el Neby, che le consegnò chiuse a Miani, e nelle quali si diceva: «Sappiamo che siete con gli Italianiper at taccarli a momento buono ». Miani, incredulo, mo strò la lettera ai capi, dichiarando di avere in essi piena fiducia. Il 15 però Abd el Neby lascia la colonna recandosi fra gli Orfella « per guardarsi le spalle ». La colonna proseguì la sua marcia per Ziden, Carach, Bir Scenla,Nadi Bey e Tangi, dove arrivava il 24 aprile.

Avendo saputo che i pozzi dell'Uadi Giora erano interrati, la colonna anzichè muovere verso il campo dei ribelli, che si sapevano a Kars bu Adi, piegò verso Sirte.

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Le popolazioni fra le quali la colonna era pas sata si erano mostrate infide ed equivoche. Mentre Miani serbava illimitata fiducia nei capi e nelle popolazioni, ufficiali e truppa regolare la pensa vano diversamente. Era noto che le bande erano state racimolate fra elementi infidi, con la violenza e servendosi di capi torbidi; era noto che alcuni capi avevano rifiutato di partecipare alla forma zione delle bande; era noto che i cammelli erano stati requisiti con la forza. Si sapeva anche che fra i capi e i sottocapi vi erano interessi divergenti ed era pur noto il contegno vile delle bande del

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Gebel all'Uadi Marsit. Questa ed altre cose si sape vano e tutti sentivano i pericoli della situazione, tranne Miani. Egli non ebbe esitazioni, ma sol tanto dei dubbi, tanto che il 27, a Sirte, al gran rapporto, dichiarò agli ufficiali che eravi la possi bilità lontana di un mancato concorso, o della defezione delle bande durante l'azione. Si era in tanto diffusa la notizia dell'arrivo del fratello del Senusso, Seif el Din. La mattina del 26 aprile aveva luogo la par tenza da Sirte. In totale la colonna comprendeva 2700 regolari, 3000 uomini delle bande, 3000 cam melli. Il 29 alle 7 si riprende la marcia ealle 10.30 7 echeggiano le prime fucilate. Per il tradimento dellebande avviene lo scompiglio generale, la perdita di tutti i cannoni e degli ufficiali di arti glieria, tutti morti meno uno, e la fuga generale solo arrestata alle dune Suani. I resti della colonna arrivano a Sirte alle 17.30. Le perdite furono quasi il 50% dei regolari; dei 5 comandanti di batta glione, due morti e 2 feriti. Alla sera arrivarono pure a Sirte un migliaio di uomini delle bande; ma essendo stato creduto che venissero per attac care Sirte, il XV eritreo li accolse con fuoco infer nale e ne fece massacro. Il 2 maggio Miani infor mava il Governo di aver fatto fucilare 13 capi delle bande traditrici, la qual cosa molto irritò le popo lazioni.

L'errore capitale fu di essersi voluto servire di bande infide, reclutate con la violenza, per com battere ribelli della stessa regione e religione, men tre sarebbero bastati i 3000 regolari per domare i 1000, od al massimo 1500 ribelli.

I disastri dell'Uadi Marsit e di Kars bu Hadi distruggevano ogni nostro prestigio, mentre esal tavano quello dei ribelli e della « eletta Senussia », al cui grido combattevano le mehalle dall'oriente

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al sud ghiblano. Gli sgomberi del Fezzan e della Sirtica non avevano scosso immediatamente il nostro prestigio perchè erano stati compiuti con servando noi interamente la libertà dei movimenti, dominando ancora i ribelli e tenendoli in sogge zione. Ma i due scontri ultimi avevano veramente disfatto e polverizzato le nostre forze ed ave vano popolato la carovaniera di morti e di feriti abbandonati e di materiali d'ogni specie dispersi e saccheggiati. Le conseguenzefurono fulminee : Tarhuna ed Orfella assediate, tutto il Gebel in fiamme al grido e nel nome della « eletta Senussia ». Dopo Kars bu Adi noi avevamo ancora le nostre forze intatte sul confine del Gebel, ma ave vamo tuttavia deipuntiavanzati(Ghadames,Misda, Orfella) che potevano essere facilmente tagliati fuori, isolati e posti in condizione di non potere essere soccorsi che con grave rischio delle colonne soccorritrici. Molti pensavano che si imponeva il loro sgombro, nonchè il rafforzamento dei mag giori presidi del Gebel e la raccolta dei minori sulla costa od in un punto centrale come Azizia. Ma il governatore a ciò era contrario esi mantenne rigo rosamente alla prescrizione della sua circolare del 14 febbraio: « non un passo indietro ». Anche il ministro delle colonie, avvertendo che « la situazione in Italia non avrebbe consentito l'invio di nuove forze » propendeva per la raccolta delle truppe, ed il 4 maggio timidamente doman dava al governatore quali intenzioni egli aveva, e se, nel caso di riduzione delle nostre occupazioni convenisse mantenere Misda e Beni Ulid. Il gover natore rispondeva con telegramma del 5 maggio che era necessario tenere l'uno e l'altro, e vi per sisteva anche a metà maggio quando il Ministero domandava se non fosse opportuno ripiegare da Misda.

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In conseguenza di ciò non fu effettuata alcuna modificazione volontaria nella dislocazione delle forze. Solo fu inviata da Homs una compagnia di fanteria a Tarhuna dove si trovava soltanto un Comando di battaglione con due compagnie di fanteria . IX .

Pochi giorni dopo il disastro di Kars bu Adi, cioè il 5 maggio, ioscrivevo la seguente lettera al presidente del Consiglio :

In relazione al colloquio avuto coll'E. V., mi onoro di rimet terle qui accluso, un promemoria sulla nostra situazione in Tri politania dallo scoppio del conflitto europeo ad oggi; da esso risulta come, purtroppo, fin dall'inizio, io avessi nettamente previsto quelloche potevaavvenire in quella colonia e mi fossi preoccupato di tracciare gli opportuni criteri per evitarlo.

Questo, non per farmene unmerito, ma affinchè l E. V. con staticome da parte mia abbiatutto messo in opera perchè si facesse il possibile per evitare al Paese sorprese dolorose esacrifici cui , nelle attuali circostanze, non avrebbe dovuto e non dovrebbe, per ragione alcuna, essere sottoposto: confido pertanto che, lad dove la mia azione finora non ha potuto approdare, possa in avvenire quella di V. E.conseguire quel risultato che, a mio avviso, è indispensabile di ottenere.

Intanto, lo stato di cose che si è andatodeterminando in Tripolitania, è il seguente: che, malgrado tutti i sacrifici fatti, l'aver voluto perseverarein criteri non conciliabili conle esigenze militari del momento in Europa, ci ha portato ad un grave disa stro che ne impone di nuovi ed assai gravosi.

Infatti, coirinforzi che ora si stanno inviando in Tripolitania, ammonteranno a 14 i battaglioni colà mandati oltre a 3 squa droni di cavalleria e 2 batterie dacampagna, da quando, per lo scoppiodel conflitto europeo, l'Italiadeve costantementete nersi in misura di potervi intervenire nelle migliori condizioni di preparazione.

E vuolsi notare che, per costituire ognunodi quei 14 batta glioni essendo necessario darloro gli effettivi occorrenti per la guerra in colonia si sono dovuti, in genere, far concorrere copiosamente anche reggimenti cui quei battaglioni non appar tenevano .

Ora poi mentre il generale Tassoni aveva recentemente

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offerto di rinviare in Italia quattro battaglioni e tre compagnie delgenio, purchè si sostituissero con unità dimilizia territoriale - l'esito del combattimento di Kasr bu Adi obbliga anche a rinunciare a tale provvedimento; il quale non sarebbestato punto trascurabile, come a prima vista parrebbe, non tanto per gli uo mini di truppa, quanto per gli ufficiali che avrebbero potuto ri tornare inItalia, dove sene lamenta una sensibile penuria. Invece si tratta di doverne mandare colà un'altra cinquantina per rico stituire i quadri delle unità rimaste disorganizzate in quel fatto d'arme.

È dunque un lavoro d'assorbimento d'ufficiali, di uomini di truppa ed'altri mezzi, che, daquando si è resa evidente l'im periosa necessità di astenersene, è, per contro, incessantemente continuato.

Così, a tutt'oggi senza contare le minori unità di altre armi si possono far salire a 18i battaglioni che vennero ad essere sottratti all'esercito metropolitano, cioè ben una divisione emezza; e ciò ostacolando non poco ilconseguimento di quella efficienza militare che occorre alPaese in vista di eventi da cui può dipendere ilsuo avvenire, senzatuttavia migliorare in Libia la nostra condizione, che invece si è sempre più aggravata. Gradisca, Eccellenza, gli atti del mio maggior ossequio.

Nel seguente giorno 6 maggio, rispondendo al ministro della guerra circa la richiesta di truppe fatta dal governatore della Tripolitania, riassu mevo anzitutto le sette lettere di cui ho dianzi di scorso, scritte al ministro della guerra tra il 7 ago sto 1914 e l'8 febbraio 1915, e poi così continuavo:

Oggi la situazione internazionale non è affatto mutata, ed anzi, nei rapporticon l'Italia, ha acquistato un grado di pressione assai maggiore che per il passato: dunque, io non posso e non debbo cheaccentuare ancor più il mio pensiero, quale scaturisce dalle citazioni su esposte.

Ed a non differente conclusione mi conduce l'esame della situazione creata in Tripolitania dai recenti avvenimenti: ivi bi sogna restringere l'occupazione, raccogliere le forze, evitare le imprese di carattere aleatorio, non fare questione di prestigio, ma di tornaconto, tenendo presenti le condizioni dell'Italia più che quelle della colonia, essendo necessario che non si impongano, in questo delicatissimo momento, sacrifici alla madre-patria, che non può affrontare. Entro quali limiti restringersi, ripeto che occorre lasciare al governatore di determinarlo, senza turbare l'azione con inopportune pressioni; quali le località che, secondo me, non si possono tenere, l'ho già detto: Sirte, Beni Ulid, Misda,

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Giosc, Nalut, Ghadames; e, se occorrerà, si facciano pure anche maggiori rinunzie, fino al caso estremo di ritirata alla costa. Saranno risoluzioni dolorose, ma di esse ci ripagheremo quando, risoltasi connostro vantaggio l'attuale crisieuropea, potremo nuovamente rivolgere tutte lenostre energie alle colonie. Ad ogni modo debbo significare esplicitamente all'E. V., pregandoladi darne comunicazione aS. E il ministro delle colo nie,che d'or innanzi non darò più, in nessun caso, il mio consenso all'invio di ulteriori rinforzi in Tripolitania, e che, se domande di tal genere venissero presentate quando ilnostroesercito fosse entrato incampagna, il Comando supremo sarebbe costretto ad ordinare il ripiegamento alla costa di tutti i presidi interni di quella colonia, facendo rientrare sul teatro diguerraeuropeo, dove sono necessarie, le truppe eventualmente superflue per man tenere la costa.

Le richieste del generale Tassoni si riferivano:

Iº A tre battaglioni e due batterie da campagna, per supplire alle truppe disorganizzate nel combattimento di Kars bu Adi.

20 Agli ufficiali occorrenti per la rico stituzione delle unità disorganizzate nel suddetto combattimento. Era necessario concedere questi ufficiali. Siccome però i tre battaglioni erano stati concessi perchè le unità disorganizzate non rap presentavano, pel momento, alcun valore positivo, così io ponevo la pregiudiziale che allorquando le unità disorganizzate sarebbero state ricostituite, almeno i tre battaglioni che ora partivano avreb bero dovuto far ritorno in Italia.

3° A 3000 uomini di complemento con alcuni sottufficiali, per riportare le unità alla forza organica stabilita per la colonia. Io accettai la richiesta, anche per evitare non solo nuove do mande di unità organiche, ma qualsiasi difficoltà si volesse opporre al ritorno in Italia dei tre batta glioni che allora partivano.

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Non erano passati che due giorni, dopo la spedizione della precedente lettera, che, in seguito anuove e facilmente previdibili richieste di truppe fatte dal generale Tassoni, io ero costretto a scri vere al ministro della guerra la seguente lettera in data 8 maggio: -

S. E. il generale Tassoni com'è già noto all E. V. con telegramma N. 2035di ieri chiede altri 5battaglioni e2 batterie. Qualora si acconsentisse, i 18 battaglionigià perduti dall'esercito metropolitano tenendo conto dei 4che non ritorneranno più in Italia,o se non previa sostituzione di unità di milizia territo riale diverrebbero 23, cioè circa un interocorpo d'Armata; e il generale Tassoni fa pure intendere che tale richiesta è al disotto del necessario, sicchè sono da prevedersene altre prossime, e non in tenue misura .

Ritengo anch'io necessarie tali richieste, data la situazione ch'è statacreatadal Ministero delle colonie col voler tenere un numero di presidi assai maggiore di quanto era possibile, e ciò ad onta del mio parere recisamente contrario, esposto nelle sette lettere citate nel mio foglio N. 1316 del 6 corrente, e verbalmente espresso pure in alcuni colloqui con S. E. il ministro delle colonie . Allostato rovinoso delle cose, e qualorasi voglia tenere al meno ipunti principali della colonia,anzichè inviare delle truppe a spizzico, occorrerebbe mandar colà d'unsol colpo una forza ingente dialmeno 15 o 20 battaglioni, con le relative armi ausi liarie, servizi accessori, ecc., e lascio giudicare a chiunque quale scompaginamento ciò produrrebbe nell'esercito nazionale nel gravissimo momento che stiamo attraversando.

D'altronde, attualmente ilteatro della Libia è affatto secon dario; se gli avvenimenti andassero, malauguratamente, male per noi inEuropa, anche la Libia andrebbe inesorabilmente per duta; se invece volgeranno favorevolmente, come neho piena fiducia, la Libia sarà facilmente riconquistata, come facilmente potemmo occuparla dopo la pace di Losanna: tutto adunque dipende dall'andamento delle cose sul teatro europeo, ed affinchè vadano bene, è canone fondamentale della massima evidenza per tutti chesul teatro principale d'operazioni bisogna riunire tutti i mezzi che sono disponibili, sacrificando all'uopo i teatri secondari

Nell'applicazione di tale concetto bisogna dare l'ostracismo a tutti i mezzi termini, i quali fatalmente non salvano nessuna situazione nè principale, nè secondaria ma conducono in vece alla rovina, cometutta la storia dimostra.

Ed è inspirandomia questo concetto che, non solo non posso acconsentire all'invio di altre truppe come già ho dichiarato esplicitamente col foglio N.° 1316del 6 correntegià citato ma

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-

domando formalmente che per ora nella sola Tripolitania l'occupazione venga ridotta alla costa, mantenendotutt'al più, se possibile, il Garian con un modestopresidio, largamente for nito di viveri e di munizioni.

Potranno certamente derivarne dei dannialla colonia, nella ferrovia del Garian e nelle altre opere pubblichecostruiteod in costruzione; ma si tratterà di unasemplice questione di danaro, alla quale nonè lecito di sacrificare l'interesse ben più essenziale della forza della madre -patria.

È d'uopo perciò che si proceda senz'altro all'attuazione del suespresso concetto, che ormai s'impone, e che si inviti il gover natore a far conoscere quante, delle forze di cui già dispone, gli siano strettamente necessariepertenere i punti principali della costa edil Garian. Per quest'ultimo punto però converrà ch'egli dichiari formalmente se,sulla sua responsabilità, ritenga di po terlo conservarecon poche truppe, altrimenti è meglio abban donare anche quello .

Dopo di ciò si dovrà far rientrare tosto in Italia tutto il di più delle forze che non siano assolutamente indispensabili pel limitato scopo suindicato.

Come si scorge, all'attuazione di un concetto così semplice qual'è quello che s' imponeva quin dici giorni prima della nostra entrata in guerra, si opponevano le più fiere resistenze e continua vamo a baloccarci nell'alternativa: o di esporci ad un disastro definitivo, per insufficienza di forze atte a difendere una troppo estesa zona; oppure a profondere le forze tanto necessarie alla guerra inEuropa, in un baratro di cui nessuno poteva misurare la profondità: tanto gli uomini, offuscati dalla illusione di poter tutto salvare, rifuggono dal sacrificare a tempo il meno per poter salvare il più!

X.

Operazioni per sbloccare Tarhuna. - Ma intanto gli avvenimenti, col loro fatale andare, con la loro logica inesorabile, si incaricavano di dissipare le illusioni, di far giustizia del mezzo termine che si persisteva a voler seguire.

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O

In seguito al disgraziato combattimento di Kars bu Adi, l'incendio si propagava ovunque. Beni Ulid, Tarhuna e la stessa Misurata venivano accerchiate. Soltanto nel Gebel, sia al Garian, come a Yeffren, a Giado, fino al confine tunisino, le popolazioni rimanevano pel momento fedeli.

La situazione a Tarhuna prima del combat timento di Kars bu Adi, non poteva essere mi gliore; la fiducia nel Governo era completa. Ma i descritti avvenimenti, e specialmente la fucila zione di sei capi della città, mise la costernazione nella popolazione, la quale, invasa dal panico, disertò il paese. Il 10 maggio l'isolamento del pre sidio era completo. In tutto il territorio orientale la situazione diventa grave. Nella zona meridio nale del Gebel già scossa dal rovescio dell'Uadi Marsit - si accentuano i tentativi dei ribelli per far defezionare le popolazioni, e si attende l'arrivo del Mahdi Sunni inquel di Misda (15 maggio 1915).

Arrivano intanto dall'Italia il 143° di milizia mobile, il 1° bersaglieri, 4 batterie da 75 A e da 75-906, e dei complementi.

Le condizionidi Tarhuna preoccupano il Go verno tripolitano, che decide di rinforzare quel presidio cosi isolato con la colonna Rossotti che si trova ad Azizia (un battaglione del 50 bersaglieri, due compagnie del 1° libico, un plotone meharisti, carovana di rifornimento, uno squadrone). Partita alle 4 del 12 maggio, pernotta all'Uadi Menegin, riprende la marcia alle5.30 del 13; ma, informato dalla cavalleria che l'Uadi Milga è occupato dal nemico, il' tenente colonnello Rossotti rimanda la carovana ad Azizia e decide il ripiegamento all'Uadi Menegin, dopo una lotta durata dalle 15 alle 17.30.

Lo stesso giorno 13 partono da Azizia, al co mando del tenente colonnello Billia, il 15° eritreo,

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due compagnie del 480 fanteria e la 41a batteria da montagna, in soccorso alla colonna Rossotti, ed alle 22 si incontrano al Menegin. Si decide di simulare un attacco in direzione dell'Uadi Milga e di spostarsi poi rapidamente a nord verso l'Uadi Sert a Suk el Ahad. L'operazione riesce felice mente e con poca opposizione dei ribelli (14-15 maggio). Nel pomeriggio del 15 tutte le truppe fuse in una sola colonna al comando del tenente colonnello Rossotti sono sull'altopiano, e la sera del 16 arrivano a Tarhuna, senza però la carovana di rifornimento rimasta ad Azizia. Contemporaneamente il Governo di Tripoli, il giorno 14, giudicando dai telegrammi del Ros sotti che egli era in istato poco sereno, ordina al colonnello Santangelo di andare a prendere il comando della colonna, condurla sull'altopiano e, occorrendo, a Tarhuna. Il Santangelo parte il 15 da Tripoli, ma non riesce a trovare la colonna; supponendola ormai a Tarhuna, ritorna a Tripoli. Cosi, con l'arrivo della colonna a Tarhuna, non si riusci né a vettovagliare il presidio, né a ristabilire le comunicazioni! Il Governo, preoccupato della deficienza dei mezzi in Tarhuna, resa più sensibile dall'aumento della forza, fa partire una nuova carovana, il 17, da Azizia, ma essa a Suk el Ahad è attaccata, dispersa, perduta. Allora si è costretti ad inviare una nuova carovana di rifornimento e a tentare di riattivare le comunicazioni lungo la camionabile Azizia Abiar Milga - Tarhuna..

L'incarico è dato al tenente colonnello Monti, il quale parte da Azizia il 20 maggio con una caro vana di rifornimento scortata dall' 11° battaglione bersaglieri, uno squadrone, una batteria indigena, un plotone eritrei, meharisti; essa pernotta al Me negin e riparte alle 5 del 21. Alle 7.30, a Sidi Ulid, la colonna è attaccata, subisce perdite numerose.

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Constatando che l'avanzata è impossibile, che nessun movimento si pronuncia da Tarhuna per facilitare l'impresa e che può essere in pericolo la carovana, il comandante ordina il ripiegamento, il quale avviene malamente per il caldo soffocante e l'incalzare ardito del nemico. La colonna arriva alle 17 ad Azizia, in condizioni materiali e morali molto cattive. E gli Arabi segnarono la giornata di Sidi Ulid fra quelle vittoriose.

Fallito questo tentativo di allacciamento a Tarhuna, il Governo di Tripoli accettò la proposta fattagli dal colonnello Cassinis, di ripetere il ten tativo da Cussabat. Il colonnello Cassinis arriva il 30 maggio a Cussabat da Tripoli con le seguenti forze: duebattaglioni fanteria,duesezioni mitraglia trici, squadronesavari, unabatteriada 75 A, unplo tone ascari. A Cussabat trova anche una compa gnia del 50° fanteria e duepezzi da 75 A in posizione fissa. Le truppe dovettero combattere contro i ribelli e gli abitanti annidati nelle case. Per rial lacciare le interrotte comunicazioni con Homs si dovetteroimpiegareduebattaglionifanteria,duebat taglioni libici ed altri piccoli riparti. Anche il IV battaglione eritreo viene inviato da Homs a Cus sabat. Il 16 giugno il Governo informa il colon nello Cassinis che il presidio di Tarhuna tenterà di uscire verso Suk el Ahad-Ain Zara e che egli dovrà richiamare l'attenzione dell'assediante dai pozzi Daun, per facilitare il tentativo.

e

Dopo l'arrivo della colonna Rossotti a Tarhu na le truppe avevano rafforzato le opere di di fesa. Durante un attacco dei ribelli felicemente respinto per l'intervento personale del valoroso tenente colonnello Billia, questi veniva gravemente ferito all'addome, e poco dopo moriva.

Intanto, intorno a Tarhuna la situazione peg giorava e anche le cabile più fedeli si accordavano

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coi ribelli. Il 17 giugno il colonnello Antonucci, comandante del presidio di Tarhuna telegrafava di aver deciso di abbandonare Tarhuna il 18 diri gendosi su Ain Zara per l'Uadi Sert e Suk el Ahad. Il Governo dispose immediatamente che da Cus sabat, da Azizia, da Ain Zara nostre colonne faci litassero il compito al presidio di Tarhuna, atti rando a sè i ribelli o raccogliendolo. Le forze par tenti da Tarhuna erano le seguenti: unbattaglione dell'820 fanteria, 220 battaglione bersaglieri, una compagnia del 480 fanteria, 15° battaglione eri treo, Iº libico, riparto del 20 libico, artiglieria, cavalleria, telegrafisti, convoglio - munizioni, ac qua, feriti, borghesi (donne e bambini). La colon na muove alle ore 4 del 18; la marcia è lenta, coi ribelli alle calcagna. L'artiglieria e le mitraglia trici debbono subito aprire il fuoco. Alle 10 si arri va alle gole dei Valloni. L'avanguardia dovrebbe arrestarsi e proteggere con l'artiglieria losfilamento della colonna. Maciònon avviene. Le truppe, scosse, non mantengono l'ordine; tutte le truppe si fram mischiano; il disordine è completo; il Comando non funziona; i ribelli si trovano ovunque, dinanzi, ai fianchi, alle spalle. I confusi elementi della co lonna non danno tempo ai due soli pezzi rimasti della batteria di prendere posizione. Alle 17 qual che centinaio di cavalieri nemici irrompe sui resti della colonna, il cui sfasciamento diventa com pleto. I nuclei rimasti si dirigono in diverse dire zioni. Tutta la notte il nemico insegue. I dispersi arrivano in ogni luogo: ad Azizia, a Fonduk ben Gashir, ad Ain Zara. Il 15° eritreo fu distrutto per rappresaglia del massacro di Sirte (lettera dei capi Tarhuna al colonnello Chiossi, della fine di giugno 1915).

Intanto il 17 giugno alle ore 15 la colonna Cassinis partiva e raggiungeva le alture di Msid,

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6. L. CADORNA Altre pagine sulla grande guerra.

non senza contrasto. La mattina del 18, alle 6, si sente il cannone di Tarhuna e si giudica, fra la gioia generale, che il presidio abbia preso la dire zione del nord. La sicurezza di schiacciare i ribelli fra le due colonne balena negli occhi di tutti. Lo squadrone, al quale si unisce il comandante della colonna, è lanciato su Sidi Mammer. Ma il can none tuona sempre più lontano, poi tace. Si com prende, fra lo sgomento generale, che il presidio andava in direzione opposta a quella di Cussabat. La colonna rientrava il 20 giugno a Cussabat, superando forti resistenze.

Pure il 17 giugno partiva da Azizia la colonna Monti, formata del 10 battaglione bersaglieri, di ° , un plotone cavalleria, una sezione indigena di artiglieria da montagna ed un plotone meharisti. Si dovevano raggiungere i pozziMenegin, ed agire in modo da attirare a sé i ribelli. La colonna parte alle 4.30 da Azizia; ma, fra le 7.30 e le 10.30 essa è attaccata violentemente da fanteria e cavalleria nemica, si spezza in due parti, ed avviene uno sban damento generale. La crisi rapidissima non con sente al Comando di funzionare. A sei chilometri dal campo del combattimento la colonna può al quanto riordinarsi sotto la protezione di una com pagnia del 480 fanteria e di una centuria somala sopraggiunte da Azizia, e continua la ritirata fino a questa località.

E così fallirono tutti i tentativi per soccorrere Tarhuna, nei quali si erano complessivamente impiegati 5 battaglioni di fanteria, 3 battaglioni di colore, 2 compagnie autonome, 3 batterie e mezza di artiglieria,2 squadroni savari, I plotone meharisti.

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Avvenimenti nella regione di Misurata. - In seguito al rovescio del colonnello Miani a Kars bu Adi, i ribelli non ponevano tempo in mezzo e marciavano verso est per attaccare, oltrechè Tar huna e Beni Ulid, anche Misurata Città, che presto veniva tagliata fuori da Misurata Marina. La situa zione nel territorio si aggravava sempre più, tanto che il residente telegrafava il 15 maggio al Governo di Tripoli: esserevana,dopoKarsbuAdi, ogni azione politica, occorrendo invece un'azione di forza; ed essere vano dissimulare che tutta l'insurrezione aveva carattere religioso-senussita, e che tutti, i Muntasser compresi, vi aderivano, perchè erano ferventi senussiti. Terminava dicendo: « essere la situazione più grave di quanto il Governo crede ». Ma il Governo non è della stessa opinione, e con fidando che le operazioni in corso avrebbero sbloc cato Tarhuna e Beni Ulid, si mostrava certo che la situazione avrebbe migliorato anche a Misurata. Invece essa si aggravava avendo perduto la pa dronanza anche di Sliten, che fu bloccata dai ribelli. Staccata da Beni Ulid, da Sirte, da Taorga, da Sliten e perfino dalla sua base di Misurata Ma rina, distante 12 chilometri, Misurata si trovava completamente isolata. Ricevuti in rinforzo tre bat taglioni metropolitani, una batteria da campagna e 1200 complementi, il comandante, tenente colon nello Rosso, decide di riaprire le comunicazioni con Misurata. Il 24 maggio due colonne, della complessiva forza di 4000 uomini e 37 cannoni, partono contemporaneamente da Misurata Città e Misurata Marina; e dopo un combattimento du rato l'intera giornata, ristabiliscono la comuni cazione.

Il 28 maggio si ordina di sbloccare Taorga e

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XI .

di effettuarne lo sgombro. Una colonna di 2200 fucili e 8 pezzi, partita nel mattino da Misurata, non riesce ad aprirsi la strada verso Taorga e a dar la mano al presidio di questa località; e ripiega su Misurata, mentre il presidio di Taorga ripiega verso il mare .

XII .

Operazioni sull'altopiano. - Con la ritirata del presidio di Taorga e col disastro di Tarhuna tutta la zona ad oriente dei ciglioni del Gebel è abban donata. Rimane isolato, lontano, privo di comuni cazioni, il presidio di Beni Ulid. Ilsuo comandante è però un vero comandante: il maggiore Brighenti. La situazione del Gebel Garian andava len tamente mutandosi man mano che i rovesci col pivano le nostre truppe. Dopo l'azione dell'Uadi Ulid si intensificano le scorrerie e le razzie; agi tatori si infiltrano fra i nostri presidi. Una compa gnia del 75° fanteria, che rientrava dall'aver com piuto il servizio di sicurezza lungo la carovaniera Gebel Garian-Misda, è attaccata violentemente a Kermet bu Garda e deve ripiegare su Tescia. La strada di Misda è sovente interrotta e con grande difficoltà si riattivano le comunicazioni con quel presidio. Il Comando del Garian, per quanto glie lo consentono i suoi mezzi, non rimane inerte e lancia delle colonne per infrenare i ribelli. Il piccolo presidio di Sinaum, attaccato l'8 giugno,si difende energicamente nel castello; poi il comandante, capitano Galliani, nella notte dal ro all'ii ripiega ordinatamente sul confine tuni sino malgrado rilevanti difficoltà, e vi si sistema a difesa.Il 17 riceve l'ordine di ritirarsi a Nalut, e vi giunge il 24.

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XIII .

Avvenimenti negli Orfella. Verso la metà di giugno, la situazione si era ancora aggravata. La rivolta delle popolazioni, trascinate dai loro capi ed eccitate dall'azione senussita, era in pieno svi luppo. I nostri rovesci animavano i ribelli e i nostri presidi avanzati e quelli minuscoli lasciati lungo il margine dell'altopiano sembravano, ed erano, buona preda. L'intervento a fondo e decisivo del gran Senusso, e i colpi mortali inferti al nostro prestigio, i quali distruggevano ogni fiducia nelle popolazioni ancora soggette, erano gli elementi che davanoil tracollo alla bilancia. Il pensiero del governatore non mutava neppure dopo la fine miseranda del presidio di Tarhuna e di tutte le azioni tentate per soccorrerlo. Interprete delle necessità dello sgombro e della raccolta alla costa, che era sentita e desiderata da tutti, era il capo dell'Ufficio politico-militare, tenente colonnello Chiossi. Il 20 giugno egli presentò al governatore un pro-memoria sulla situazione politica, delinean dola così grave da richiedere senz'altro il ripiega mento dei presidi alla costa. Il governatore acco glieva invece la proposta fattagli da Cussabat, dal colonnello Cassinis, di tentare di raggiungere con le forze di cui disponeva la lontana Orfella, trasportandole prima da Cussabat a Sliten per via di terra, e ciò al fine di sbloccare questa località attaccandola da terra e da mare, e farnebase per muovere verso Beni Ulid con una colonna di co lore al comando del tenente colonnello Torre. Cussa bat sarebbe stata interamente sgombrata. L'opera zione, col concorso di una colonna partita da Homs, ha felice esito fino a Sliten, ove la colonna entra il 26 giugno, riunendosi alpresidio di quella lo

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calità e ad un battaglione eritreo che nella stessa giornata vi era arrivato per mare con una batteria da campagna. Ma la successiva avanzata su Beni Ulid, tentata con una colonna di 1700 uomini (due battaglioni eritrei, una compagnia libica, una sezione diartiglieria) ed iniziata nel mattino del 28, contrastata dai ribelli, non riesce, probabil mente perchè mancava nel comandante la decisa volontà di avanzare, ed egli ordina il ripiegamento su Sliten .

Assedio di Beni Ulid. La guarnigione era composta del 30 battaglione libico, 3a e 48 compagnia dell' 82° fanteria, e distaccamenti del 150 eritreo, di artiglieria da fortezza, genio, cara binieri. Totale: 1000 fucili, 2 pezzi, 2 mitragliatrici; più due bande con un totale di 950 fucili. Il comando fu assunto il 25 aprile dal maggiore Brighenti il quale, comprendendo la necessità di proteggere la popolazione pena la defezione - domandò tre battaglioni metropolitani, una batteria di artiglieria e uno squadrone. Il Governo non potè accondiscen dere alle richieste, e domandò invece se il presidio avrebbe potuto tentare di raggiungere Cussabat; ma ciò era impossibile perché come a Tarhuna il disastro di Kars bu Adi aveva determinato la defezione delle popolazioni, l'allontanamento delle cabile, la rottura delle linee telegrafiche, l'iso lamento. Il 6 maggio Beni Ulid era accerchiata. Il presidio, animato dall'esempio del suo coman dante, si difende a lungo eroicamente, respingendo tutti gli attacchi dei ribelli. Ma il 30 giugno, fallita l'azione liberatrice della colonna Torre, mossa da Sliten, il Governo ne dà comunicazione al mag

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XIV .
-

giore Brighenti: «con tanto dolore quanta fu sem

« pre ammirazione per eroico presidio Beni Ulid

« e indomabile coraggio e pertinacia suo coman

« dante che ha scritto mirabile esempio nella storia

« delle armi italiane ». Gli ordina anche « d'accordo

« Ministero guerra e colonie, venire a patti, e anche

« arrendersi, accettando le condizioni migliori che

« poteva ottenere ». Il 1° luglio il maggiore Bri ghenti, informando di disporre di viveri ridotti, e solo per qualche giorno, avverte che: « qualora

« trattative fallissero, tenterò la bella sorte delle

« armi, dirigendomi dove... » il Governo giudicherà per « raggiungere compagni d'arme, cooperare cam

« po aperto santa causa. Sia certo V. E. che qualora

« il bel tentativo dovesse fallire, sarà operato da « tutti con entusiasmo, nella speranza che Governo

« annovererà difensori Beni Ulid fra le vittime del

« dovere ». Per bene apprezzare la grandezza d'ani mo del maggiore Brighenti, alla cui memoria fu poi dedicata la medaglia d'oro al valor militare, si deve porre in rilievo che egli sapeva come la propria consorte (il cui eroico contegno fu pure premiato con la medaglia d'oro) fosse caduta con le truppe che avevano sgombrato Tarhuna: esem pio mirabile, in una donna, di valor militare! Inviati messi a Seif el Nasser, questi risponde di essere in attesa dell'arrivo di Seifel Din, fratello del Senusso, il quale richiedevala resa delle armi.Il maggiore Brighenti decide di tentare la sortita il 5 5 luglio, ma il consiglio di difesa stabilisce invece di arrendersi, e la resa ha luogo lo stesso 5 luglio.

XV.

Misda . Caduta Tarhuna, abbandonata alla sua sorte Beni Ulid, il tricolore sventola va ancora

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isolato sulla lontana Misda, e il Governo coloniale non aveva voluto aderire alle cortesi insistenze del Ministero delle colonie, perché quel presidio fosse ritirato. Ma, ai primi di giugno la realtà si impose e si dovette provvedere per lo sgombro. E siccome il ripiegamento non poteva essere effet tuato coll'azione delle sole truppe di Misda, si affidò il compito di andar loro incontro dal Garian alla colonnaNigra (1500 fucili, 2 pezzi), la quale si mise in marcia il 16 giugno. Superando gli osta coli frapposti dai ribelli, la colonna arriva rapida mente invista di Misda, ove lancia due compagnie, e raccoltovi il presidio (il quale nulla aveva fatto per andare incontro alla colonna) fa ritorno al Garian, ove rientra il 21 giugno.

Avvenimenti nel Gebel. Padroni dello spalto che dal sud e dall'est sale alla linea di vetta dello altopiano baluardo non più intatto dal momento in cui ne avevamo abbandonato il margine orien tale da Cussabat e Tarhuna verso Garian i ribelli si affacciavano fanatici ed impetuosi per rovesciarci dal ciglione nel piano. Mentre essi attac cavano nuovamente il presidio di Misda e la colon na Nigra, altri attaccavano i nostri posti presso il Garian e preparavano l'attacco del Gebel Ne fusa. Fra il 19 e il 28 giugno cadono in mano ai ribelli alcuni posti sulla linea marginale dell'alto piano, fra cui quello importantedi Kabao fra Nalut e Giosc .

Il comandante della zona meridionale (Garian), colonnello Roversi, non può oltre illudersi sulla situazione dell'altopiano e su ciò che sta per acca dere, ed ai primi di luglio egli riferisce senza am

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XVI .

bagi la realtà al Governo in un rapporto in cui scrive: « I ribelli aumentano di numero e di audacia, « le loro pressioni sono quotidiane, le infiltrazioni

« fra i presidi, frequenti, le linee telegrafiche e tele

« foniche sono interrotte, le razzie audaci, le incur «sioni nella Gefara ardite; popolazioni allarmate,

« senza fiducia nel Governo, pronte a schierarsi

« coi ribelli ; azione delle truppe metropolitane

«« inefficace, a causa del perpetuo movimento, del « caldo, della deficienza di acqua e di conforto;

«« imminente l'isolamento di Nalut, i rifornimenti

(

« impossibili; mancanza di risorse locali a cagione « dell'esodo delle cabile con orzo e bestiame ». E concludeva: « O si mandano rinforzi ingenti, o ci « ritiriamo alla costa ».

Era questo l'eterno dilemma da me posto. E nella impossibilità, appena entrati in guerra in Italia, di scegliere il primo corno del dilemma, non rimaneva che attenersi al secondo. Ma il Governo tripolitanonon accoglieva i termini di quel dilem ma ed ordinava una spedizione punitiva contro Kabao. Abbisognando le truppe del tenente colon nello Nigra, di riposo, si ordinò loro di recarsi da Garian à Zuara (luogo stabilito per il soggiorno) passando per Kabao. La nuova colonna Nigra (tre compagnie del 5° libico, due compagnie del 930 fanteria) partì il 3 luglio da Garian ; il 4 batte i ribelli a Bir Kerdamin in concorso con altre due compagnie del 930 fanteria che si trovavano a Chicla, e prosegui il 5 su Yeffren.

Intanto ai primi di luglio la situazione sul margine dell'altopiano era molto peggiorata dal momento in cui il comandante del settore meri

dionale la dipingeva a foschi colori. Il margine era intaccato e sbrecciato a Kabao, a Giosc, Chi cla, Assaba. Nalut, Yeffren, Garian erano isolate, Zintan accerchiata. I ribelli, animati dagli evidenti

89
1

successi, cominciavano ad irrompere nella Gefara e ad attentare alle comunicazioni fra il piano e il baluardo marginale. Il Garian, insidiato da ogni parte, poteva in breve cedere alla furia assalitrice. Lo sfacelo della nostra organizzazione era più avanzato ad est. Misurata, stretta sempre più da vicino, spesso separata dalla sua base di riforni mento; Sliten strettamente accerchiata; le oasi battute dai ribelli; pattuglie di carabinieri e zaptié assalite e distrutte; Fonduk ben Gaschir, alle porte di Tripoli, attaccata in pieno giorno tanto vigorosamente da indurre a inviarvi in soccorso un battaglione del 230 e uno del 47° fanteria e una sezione di artiglieria. Tripoli stessa accennava a pericolare: presidiata solamente da sei battaglioni, dei quali due di milizia mobile e due di milizia territoriale, priva di opere di difesa esterna, con un muro di cinta indifeso, senza reticolati, impres sionata dalle notizie che venivano da fuori e dai rovesci patiti, si trovava in grave agitazione ein doloroso scoramento; gli Arabi della città incomin ciavano ad agitarsi palesemente; il timore di una loro rivolta era negli animi di molti.

Ripiegamentodeinostri presidi, alla costa.-Dopo il disastro di Tarhuna, anche il Governo di Tripoli comprese che non poteva continuare ad illudersi, e per salvare della colonia tutto ciò che era ancora possibile, propose al Ministero delle colonie con pro-memoria del 21 giugno 1915: di passare deci samente alla difensiva, raccogliendo le truppe nei soli presidi di Misurata Marina, Homs, Zuara, Tripoli (da Tagiura a Zanzur), « abbandonando nelmiglior modo possibile e al più presto, tutte le

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XVII .

altre località »; organizzare Tripoli con un potente sistema difensivo; creare una colonna mobile salda e sicura per le necessarie operazioni in un raggio più o meno largo intorno a Tripoli. Chiedeva inol tre di avere in colonia4battaglioni eritrei, leuniche truppe efficaci in quella regione e in quel clima. Il Ministero delle colonie rispondeva con telegram ma del 28 giugno che non poteva mandare tutti i richiesti battaglioni, e prometteva di inviare l'80 eritreo. Il governatore replicava con tele gramma del 29 giugno: « Debbo ripetere mio con « vincimento che senza 4 battaglioni eritrei non è « possibile tenere colonia anche con programma «minimo», cioè riducendo l'occupazione alla sola costa. Il Ministero delle colonie, con telegramma del 1° luglio chiedeva al Governatore: «se rite «nesse possibile con le forze costà disponibili tenere, « oltre la costa, le località di Garian e Yeffren sgom « brando con le volute cautele gli altri presidi dello « altopiano e i distaccamenti minori».Rispondeva il Governo della Tripolitania con telegramma del 2 luglio: che non era possibile teneredell'interno soltanto Garian e Yeffren, perchè sarebbero rimasti bloccati e isolati; perciò: o tenere tutti i presidi maggiori (Garian, Yeffren , Giado, Giosc, Nalut); oppure abbandonare tutto l'altopiano e ritirarsi alla costa, sanzionando così il crollo di quattro anni di azione italiana in colonia ed andando in contro a perdite incommensurabili. E di fronte al rapido aggravarsi della situazione, il Governo coloniale chiedeva: 1°) di ritirare i presidi di Sirte e Sliten per rinforzare Mi urata e Tripoli; 2°) di ritirare ipresidi minori dell'altopiano, per rinfor zare i presidi maggiori (Nalut, Fessato, Yeffren e Garian), e lasciare che detti presidi resistessero fino agli estremi coi propri mezzi. Oppure, se mo tivi di ordine politico lo consigliassero, ritirare i

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e

presidi alla costa. Il Ministero delle colonie, con telegramma del 4 luglio annunziava al governa tore : « Per concorde determinazione presidente Consiglio, ministro guerra e mia, autorizzo V. E. ritirare tutti i presidi altopiano verso costa, nes suno eccettuato ».

In seguito aquesto telegramma, il governatore disponeva che il ripiegamento dei presidi avve nisse immediatamente, ma in quattro tempi: 1°, Giosc, Giado, Yeffren, Garian, Sliten; 2°, Nalut; 3º, Sirte, 4°, Zuara, « se necessario ». Inoltre, con telegramma inviato il 5 luglio a tutti i presidi dell'interno, comunicava l'ordine di ritirarsi imme diatamente alla costa, e ne dettava le più impor tanti modalità, sia dal lato politico che dal lato militare. Per la parte politica consigliava: « Popo lazioni siano avvertite che Governo Italia, visto accecamento indigeni che follemente, contro loro interesse, propendevano in molta parte alla ri bellione, essendo alieno e ripugnandogli spargi mento sangue e rovina paese, ha deciso ritirare suoi presidi alla costa, ove intende aspettare che tempo faccia rinsavire genti e le persuada bontà e saldezza intenzioni e propositi Governo, che nemmeno circostanze attuali intende venir meno sincero e leale proponimento operare per bene Libia... Funzionari, capi e gregari sianoavvertiti che Governo manterrà loro fiducia ed assegni sempre quando se ne mostrino meritevoli, specie compiendo opera pacificazione, mantenendo inal terata fede data Italia e riaccostando ad essa genti fuorviate, essendo abbandono solo tempo raneo. Funzionari, capi e gregari potranno riti rarsi Tripoli sotto diretta protezione Governo, quando ritengano correre grave pericolo incolumi tà personale rimanendo loro paesi...» Aggiungeva

inoltre: «Raccomando urgenza, perchè anche un'o (

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ra perduta può essere grave danno, ma racco mando pure massima segretezza, calma, ordine ». E cosi, dopo aver perduto dei mesi per pren dere una deliberazione che da tempo si imponeva, si raccomandava di non perdere un'ora!

Ritiro dei presidi dell'altopiano. I ripiega menti, eseguiti d'urgenza e sotto la pressione dei ribelli, furono operazioni difficilissime, e la loro riuscita dipese dall'energia dei singoli comandanti: dove vi fu la volontà ferrea del capo, le truppe giunsero alla costa in condizioni relativamente buone; dove essa mancò, lo sfacelo fu completo. Il presidio di Garian si trovava nelle migliori condizioni per effettuare lo sgombro. La testa dellalineaferroviaria era vicina (Henschir elAbiad), le sue fortificazioni intatte; i ribelli molestavano, ma non osavano avvicinarsi alla sede delle truppe (castello e ridotto); la forza armata era conside revole; i capi, fortemente compromessi con noi, dominavanola popolazione, che non compieva atti ostili. Gli ingenti materiali accumulati a quella base avanzata, consigliavano a compiere ogni sforzo per asportarli, e la situazione militare lo consen tiva. La ritirata fu decisa per Henschir el Abiad su Azizia. Il 5 sgombrano le impedimenta. La sera del 6 si occupano le alture da Tecut a Sidi Sames e Guassem , a protezione della linea di riti rata. Il 7 luglio, alle 13, parte la colonna al co mando del colonnello Roversi: 1° libico, due com pagnie del 93° fanteria, sezione artiglieria, com pagnia genio, unbattaglione del 35º, un battaglione del 75°, 4° eritreo, zaptié, volontari (in totale 3600 uomini, 200 cammelli, 100 muli). Le muni

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>
XVIII .
1

zioni sono abbandonate, il castello e il ridotto dovevano essere fatti saltare dopo la nostra par tenza. La sera, alle 23.30,la colonna arriva a Hen schir el Abiad. La mattina alle 3, la marcia, assai penosa, prosegue verso Azizia. Per le truppe di Yeffren la via di sgombero fu stabilita su Zavia per Bir el Ghnem, Gedabia, Bir Azz el Din, Bir el Aziar. Il colonnello Nigra, come si disse, era arrivato a Yeffren il 5 luglio. La partenza fu stabilita per la sera del 6. La colon na, composta di 3500 persone, arrivò alle 16.30 del 7 luglio, dopo marcia faticosissima, a Bir el Ghnem. L'8 luglio, altra difficile marcia fino a Bir el Gedabia. Il 9 si riprende la marcia, fatico sissima, con temperatura soffocante: armi, baga glio, vestiario sono abbandonati; alle 18 si arriva a Bir Azz el Din; giungono aiuti da Zavia. Il 10 la colonna si trasferisce a Bir el Aziar, ove giunge una carovana da Zavia. Nel mattino dell'il entrata in Zavia, avendo 35 nazionali dispersi. La riuscita del trasferimento fu dovuta alla grande energia del comandante, alla fedeltà dei libici e zaptié, che si profusero nel soccorrere i nostri connazio nali, ed al Comando del presidio di Zavia. La marcia ebbe carattere di tragicità impressionante! A Zintan il presidio (una compagnia dell' 84° fanteria, comandata dal capitano Miglio) fu cir condato ed attaccato nel mattino del 2 luglio, esso resisté tenacemente fino al 10 luglio. Non essendo possibile prolungare la difesa, il coman dante decise di aprirsi la via con le armi. Lo tentò nella notte riuscendo a passare e a dirigersi su Bir Ghnem ; ma lottò fino al mattino, e dopo aver subito perdite gravissime, fu fatto prigioniero e condotto aZintancon una cinquantina disoldati rimasti dei 180 che erano partiti nella notte. La . difesa di Zintan e la condotta del suo comandante

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costituirono un episodio glorioso in quella triste sequela di rovesci coloniali.

I due presidi di Giosc (835 fucili), e di Fessato (1400 fucili) dovevano ripiegare insieme verso Agilah, sostenuti dall' 80 battaglione eritreo. Il punto di riunione dei tre gruppi doveva essere Scek Sciuk, ricco d'acqua. Il presidio di Fessato (maggiore Ricchiardi) e quello di Giosc (capitano Scopa) si trovano al punto di riunione ed attendono invano l' 80 eritreo, del quale non hanno alcuna notizia. Allora si decide di partire seguendo l'iti nerario di Bir el Hamra -el Hebilia - Zerir - Agar bia - Zuara. La sera del 7 luglio la colonna parte con 1400 fucili. La marcia dura tutta la notte ed è faticosissima e molestata dai ribelli. Ai pozzi incomincia il rifornimento d'acqua, ma si odono dei colpi di fucile, ed il comandante fa riprendere la marcia. Allora gli uomini, già stanchissimi, asse tati ed oppressi dal grande calore del luglio che tutto brucia, si disgregano. La colonna prosegue come può; arriva adun pozzo, ma scarso d'acqua; il disordine e la confusione raggiungono il paros sismo; si staccano i quadrupedi dalle carrette, che vengono abbandonate, e vi montano gli uomini. Alle 17, sempre dell'8 luglio, la turbaincomincia ad arrivare a Kars Gaddi. La disperazione è enor me. Moltissimi hanno gettato armi ed equipag giamento, molti anche il vestiario, e marciano nudi. Avviene qualche suicidio. La lotta ai pozzi è furibonda. L'acqua, poca, in un baleno è scom parsa, in gran parte dispersa o soppressa per l'inter ramento dei pozzi cagionato dal trambusto. La turba prosegue ed arriva ai pozzi di el Hebilia ben provvisti d'acqua. Finalmente tutti possono bere. La mattina del 9 si riprende il cammino; si arriva ai pozzi di el Zanti, ma sono solforosi! Alle 11 la turba arriva a Zerir; ivigiungono i pri

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mi soccorsi da Zuara. Alle ore 20 del 1o luglio, i resti della colonna giungono a Zuara: sono 250 uomini di 1400 che erano all'inizio della marcia. Per fortuna la colonna non fu seguita dai ribelli! Intanto l'80 eritreo, che doveva muovere in soc corso della colonna, come si disse, partito il 4 luglio da Agilah, condotto da guide indigene, erra il 4 e il 5, e trova i pozzi o interrati o cosi scarsi d'acqua che riesce impossibile abbeverare uomini e quadrupedi, a tal segno che gli ascari danno segno di disperazione, e taluni impazzi scono. La colonna, nel mattino del 6, è costretta ad iniziare il ripiegamento: dal giorno 4 gli ascari erano senza cibo e senz'acqua. Il 9 il battaglione arriva ad Agilah con 63 ascari mancanti.

A Nalut i ribelli, capitanati da Kalifa ben Ascar, battevano la campagna, avevano tagliato le comunicazioni e tenevano in agitazione truppe e popolazioni. Il 24 giugno era arrivato da Sinaum il capitano Galliani coi suoi pochi uomini. Il 6 luglio il Comando riceve l'ordine di ripiegare su Zuara, o per la via di Dehibat, o direttamente, occultando, se possibile, il ripiegamento alla popo lazione. La colonna (823 fucili) parte l'8 luglio alle 23 seguendo la strada che per il piano conduce a Dehibat; Galliani conduce la retroguardia con 280 fucili. Questa, più lenta a causa della caro vana, perde il contatto con la colonna, la quale all'alba del 9 si trova in si trova in prossimità di Tacut, luogo abitualmente infestato dai ribelli e situato in una conca. Attaccata e circondata dai ribelli, la colonna è in sfacelo. Il comandante decide la resa. Parte della colonna, però, non si arrende; e decimata e sfinita proseguesu Dehibat e passa il confine dopo tre ore di inseguimento. La retroguardia del capi tano Galliani, perduto il contatto col grosso, non si sgomenta, ma forma il quadrato e procede in

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tale formazione tenendo a distanza i ribelli, finché passa il confine in ottime condizioni, grazie alla energia, alla calma e alle ottime disposizioni del suo comandante; prosegue poi per Dehibat, ove si riunisce ai resti del grosso. I superstiti arrivano a Zarsis il 14 luglio, e il 23 si imbarcano per Tripoli. Il 19 luglio il Governo dà l'ordine di sgom brare da Ghadames. La partenza ha luogo il 23 fra il dolore della popolazione. La forza è di poco più di 300 uomini. Essi passano il vicino confine e giungono al porto di Zarsis il 23 agosto. Passando ora alla Gefara, il 4 luglio è ordi nato lo sgombero del ridotto di Fonduk ben Ga schir. Il compito è affidato al maggiore Tiby, il quale concentra a Suadi Beni Adem (a metà strada fra Tripoli e Azizia) due battaglioni del 23° fante ria,unodel 470,unasezione da montagna,edaAzizia unacompagnia del 480 fanteria, oltre al presidio di Suani. Quisi forma una colonna di due battaglioni e una sezione da montagna, la quale, partita nel mattino del 5 luglio, dopo forte contrasto coi ribelli, sblocca il presidio di Fonduk ben Gaschir e ritorna in perfetto ordine nella notte successiva a Suani BeniAdem. Il 16 e il 17 sgombrano senza difficoltà su Gargaresc i presidi di Azizia e di Suani Beni Adem .

Verso la metà di luglio tutti i presidi interni della Tripolitania sono affluiti alla costa.

Il15luglioassumeilGovernoilgeneraleAmeglio. Sulla costa, Sliten era stata abbandonatafino dal 9 luglio, e Sirte lo fu il 16. Il 17 ripiegano su Zuara Marina il presidio di Bu Kameg a mezzo della R. Nave Tobruk, e quelli di Sidi Abd el Samad e di el Hassa. I presidi di Zuara Città e di Agilah si trasferiscono a Zuara Marina. Tutte le truppe raccolte in questa città sono trasportate a Tripoli per mare. Da Zavia tutti i materiali sono

7. L. CADORNA Altre pagine sulla grande guerra .

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mandati il 16 luglio per ferrovia a Tripoli, e il 17 le forze raccolte a Zavia ripiegano per via ordi naria su Tripoli.

Il 9 luglio incomincia il ripiegamento dei materiali da Misurata Città a Misurata Marina, e il trasporto è compiuto il 18. Il 19 ripiegano le truppe da Misurata Città (1800 uomini e 20 can noni, agli ordini del tenente colonnello Rosso) a Misurata Marina, sostenute dalle truppe del pre sidio di Misurata Marina, le quali, agli ordini del tenente colonnello Gianinazzi, erano in posizione a sud, nell'oasi. Il 4 agosto tutti i materiali erano imbarcati. Il 5, alle 19, tutto il materiale (12.000 tonnellate) e tutta la forza (6500 uomini, 700 qua drupedi, 38pezzi) era a bordo, e nella notte partiva per Tripoli.

E così l'occupazione della Tripolitania era ridotta a due punti: Tripoli e Homs.

La situazione successiva delle truppe della Tripolitania risulta dal seguente prospetto:

SITUAZIONE AL 1° GENNAIO 1916 A TRIPOLI

I° Truppe mobili :

a) Difesa esterna

Gurgi - Settore occidentale - 5 battaglioni

Fornaci- Settoremeridionale - 5 battaglioni e 3 compagnie

Tagiura- Settore orientale - 4 battaglioni

b) Gruppo di manovra.

20 Comando di piazza

u

Settore orientale 3 battaglioni

Settore occidentale 4 battaglioni

Settore settentrionale - Div. C. C. R. R. -

I compagnia

5 battaglioni

B - HOMS

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Determinatosi il disastro, era naturale che come sempre accade in simili casi si andasse alla ricerca del capro espiatorio: iniquissima haec bellorum conditio est; prospera omnes sibi vindicant; adversa uni imputantur. (Tacito - Vita di Agricola, XXVII). Il capro espiatorio era naturalmente designato nel governatore della Colonia e coman dante delle truppe. Io riuscii ad evitare l'ingiu stizia, proponendo che l'inchiesta minacciata fosse estesa non solo al governatore, ma anche a coloro che gli avevano dato gli ordini.

Quando l'inchiesta minacciò di impigliare nel suo ingranaggio più alti personaggi di quello per la quale essa era stata proposta,della medesima non si parlò più.

Io sapevo find'allora, ancor prima di farne la personale esperienza, che le inchieste servono troppo spesso a colpire qualcuno predestinato e a salvare qualche altro, confondendo la verità. Do minate dagli interessi e dalle passioni, raramente raggiungono quello che dovrebbe essere il loro unico scopo: portar luce piena ed intera sugli avve nimenti e su tutte le responsabilità!

99 XIX .
1 |

COME CI AVVIAMMO IN ALBANIA E IN MACEDONIA I.

Molti anni prima dello scoppio della guerra europea era stata prevista l'eventualità dello sbar co di un corpodi truppesulle coste d Albania. Ra gionipolitiche ecommerciali sembravano consigliare di stabilire, in previsione di certe eventualità, una base sull'opposta sponda dell'Adriatico. Soprat tutto importava impedire che l'Austria, già pa drona degli ottimi porti dell'Istria e dellaDalma zia, da Trieste alle Bocche di Cattaro, estendesse il suo possesso alla costa albanese, e specialmente alla rada di Valona, proprio in corrispondenza del massimo restringimento dell'Adriatico, cioè del canale d'Otranto. Tale scopo lo si poteva rag giungere con l'erezione dell'Albania a Stato indi pendente. Ma se, per l'immaturità di questo po polo a reggersi da sè, non si fosse potuto costituire tale Stato, non rimaneva anoicheprevenire l Au stria, a momento opportuno, nell'occupazione della rada di Valona .

Il 25 febbraio 1911, trovandomi allora al comando del VI corpo d'Armata (Genova), il Capo di stato maggiore dell'esercito mi partecipava essere io stato designato a « comandante del corpo

d'Armata speciale destinato ad operare in zona montuosa d'oltremare»; corpo d'Armata composto di due divisioni di fanteria e fornito di 60 cannoni, dei quali 24 da campagna (75 A) e 36 da monta gna (70 A).

In una mia lettera del 5 novembre 1911, dopo di aver rilevato l'insufficienza dell'artiglieria per le operazioni di campagna e per armarela basedi sbarco, soggiungevo:

« Conla circostanza credo opportuno di osser

« vare che non conoscendo quale scopo potrà avere

«la spedizione, quali saranno i punti di sbarco e

« tutti gli altri dati che debbono servire alla im

« postazione del problema, non sono in grado di

« determinare se il corpo d'Armata speciale sia

« sufficiente e giustamente composto. Credo però

« doveroso di soggiungere che, qualora noi avessi

« mo le popolazioni decisamente contrarie peg gio poi se esse fossero sostenute dalle truppe

« turche le forze del corpo d'Armata sarebbero,

« secondo il mio convincimento, appena sufficienti

« per occupare un porto di sbarco, coprirlo con

« una buona linea da fortificarsi e spingere nell' in ( terno incursioni a brevissima distanza.

« Ed invero, la disposizione delle montagne

« a pieghe parallele alla costa e normali alle linee

« di marcia che penetrano nell'interno, nel mentre

« renderebbe agevole all'avversario la difesa fron

« tale, gli faciliterebbe pure l'attacco contro i nostri

« fianchi rimontando o discendendo gli avvalla

« menti che separano le pieghe stesse. D'onde la

« necessità di numerose colonne parallele, ciascuna

« di forza rilevante, le quali con la loro reciproca

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« azione facciano cadere le successive difese che l'aspropaesepermette di organizzare, e che pos « sono di molto prolungarsi col concorso di popo « lazioni per natura fiere e indomite.

«La conquista della Bosnia, all'incirca uguale « per superficie, popolazione, natura del paese e degli abitanti all'Albania, richiese per parte del «l'Austria, che pure l'avviluppava collesue fron « tiere della Sava e della Dalmazia, la mobilitazione « di ben 260.000 uomini, la qual cosa torna a con « ferma che conuncorpo d'Armatadi 38.000 uomini « non si possono avere di mira che scopi ben limi « tati » .

Come emerge da questa lettera, io non mi facevo alcuna illusione sulle difficoltà e sui rischi di una spedizione in Albania, nonché sull'entità delle forze che una tale impresa avrebbe potuto assorbire, date le incognite cui si andava incontro.

Rispondeva l'11 dicembre 1911 il Capo di stato maggiore dell'esercito condividendo il mio parere circa l'entità delle forze, notando però che la grande unità della quale si prevedeva la mobi litazione non poteva rappresentare che la forza destinata ad assicurare l'esecuzione dello sbarco e la costituzione della base d'operazioni. La mobi litazione e l'invio di ulteriori forze avrebbero poi luogo in relazione alla situazione politica e militare che verrebbe a crearsi in seguito allo sbarco. Un anno dopo, cioè il 19 dicembre 1912, io venivo avvertito che, date le condizioni politiche internazionali del momento, si giudicava oppor tuno che io rimanessi in Italia per l'eventuale comando della 2a Armata in caso di guerra ai nostri confini; perciò mi si sostituiva con altro generale nel comando del corpo eventualmente destinato all'Albania .

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Il 10 agosto del 1914 scoppiava la guerra europea ed il Governo italiano, presieduto dall'on. Salandra ed avente per ministrodegli affari esteri il marchese di San Giuliano, tosto dichiarava la neutralità dell'Italia, e si dava inizio alla prepa razione dell'esercito in vista di un suo probabile intervento nella guerra.

Il 29 settembre una comunicazione ufficiosa del Governo italiano annunciava che, pure rin viando alla fine della guerra ogni decisione sulla questione albanese, non potrebbe permettere che Valona fosse occupata da altri che dall'Italia.

In questo intendimento, già alcuni giorni prima, ilMinistero della guerra aveva partecipato al Capo di stato maggiore dell'esercito (carica da me assunta il 27 luglio) che il Governo aveva deli berato di fare occupare Valona da un piccolo corpo composto di un reggimento di fanteria e di una batteria da montagna.

Rispondevo il 27 settembre rappresentando al Governo i pericoli cui quella deliberazione po teva esporci. Occorreva di fatti che il piccolo corpo di spedizione trovasse assolutamente favorevole la popolazione di Valona e dintorni, e che vi fosse prima certezza che la città non fosse attaccata da bande epirote o da insorti albanesi, poiché, data la struttura del terreno, non era possibile di costituire, con così poche forze, una testa di sbarco di tale efficienza difensiva da assicurare la onorata permanenza della nostra bandiera in Valona. Se tali attacchi fossero stati prevedibili, sarebbe stato necessario inviare a Valona l'intero corpo d Ar mata a tale scopo destinato; e probabilmente si sarebbe reso necessario il successivo invio di altre forze e di grandi mezzi logistici (com'era accaduto

104 II .

tre anni prima a noi in Libia, ed agli Austriaci in Bosnia). Ciò avrebbe portato gravissimo pregiu dizio (se pur non l'avesse del tutto impedita) alla mobilitazione generale, quando si fosse dovuto intervenire nelconflitto europeo. Miglior partito, a mio avviso, era quello che la nostra affermazione nella rada di Valona fosse fatta dalla Marina inalberando la nostra bandiera nell'isolotto di Saseno con una piccola scorta di marinai, che non corre rebbe colà alcun rischio .

Se si pensa che a quest'ultima soluzione il Governo italiano è poi addivenuto nel giugno 1920 dopo quasi sei anni di occupazione, dopo avere eseguito importanti operazionimilitari in Albania, impiegandovi ingenti forze sottratte al principale teatrodi operazioni, dopo aver speso qualchemi liardo in quel territorio ; - se si pensa finalmente che quella soluzione fu adottata ordinando deplo revolmente lo sgombro della rada mentre essa era soggetta all'attacco degli insorti, non si può che vivamente rimpiangere che essa non sia sta ta preferita fin dal settembre 1914. In una successiva mia lettera del 14 ottobre, ritornando sull'argomento, scrivevo al Governo che sentivo il dovere di prospettare ancora le complica zionicuitale impresapoteva dar luogo,ed ilpericolo ch'essa potesse trascinarci ad impegnarci in Albania assai più a fondo di quanto orasi potesse credere. E il 22 ottobre così scrivevo : « ...sento il

« dovere di ripetere anche nella presente occasione

« che per ragioni d'indole militare assai più alte

« ed essenziali che non siano quelle per cui nel mo

« mento attuale si può considerare la convenienza

« di una nostra occupazione effettiva di Valona

« persisto tenacemente a dichiararmi contrario alla «attuazione, ora, di tale impresa ». Questa mia oppo sizione io ribadivo con parole altrettanto recise

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in successive lettere del 9 e del 10 novembre. In quest'ultima lettera, dopo aver posto in rilievo i pericoli cui un così piccolo corpo di spedi

zione poteva andare incontro, e i gravissimi in convenienti cui ci si sarebbe esposti se lo si fosse voluto rinforzare, soggiungevo:

« Di tale pericolo debbo pertanto prevenire l'E. V., e per « suo mezzo il R. Governo; perchè occorresia reso ben noto come, << l'impigliare l'esercito in una complicazione di tal genere, ne «intaccherebbe profondamente quella compagine che, con feb «brile lavoro e con enormee precipitoso dispendio, si cerca ora, «senza badare a sacrifici, di raggiungere nel più breve tempo « possibile: e siccome tutto questo sifa esclusivamente per av «viareil nostro Paese a quelle prove che, nel corsodel presente «conflitto europeo, l'imminente avvenire potrebbe imporgli pel «compimento dei suoi destini, sarebbe assai grave che, avveran « dosi tale evento, il Paese non potesse affrontarlo pel fatto di «trovarsi seriamenteimpegnato altrove,per iscopi assolutamente « secondari. Intutti i casi,tengo a far rilevare tuttoilrischio che «può essere esiziale - insistonella progettata spedizionea Valona, - « ed a ripetere perciò, sotto ilpunto di vista militare, il mio contra « rio avviso all'effettuazione di essa».

In questo mentre moriva il 16 ottobre il mi nistro degli affari esteri, marchese di San Giuliano e il presidente del Consiglio, on. Salandra, assu meva l'interim di questo dicastero. Ma dimessosi l'intero Gabinetto il 30 ottobre, esso si ripresen tava ricostituito il 5 novembre, rimanendo alla Presidenza lo stesso on. Salandra col barone Sonnino agli affari esteri. In un colloquio tosto avuto con quest'ultimo, egli mi parlò insistente mente della sua opinione favorevole all'invio a Valona del piccolo corpo di spedizione, già pronto nei porti pugliesi e che era stato preceduto da una compagnia da sbarco della Marina, inviata il 30 ottobre ad occupare lo scoglio di Saseno all'im boccatura della rada di Valona. Il 29 dicembre sbarcava a Valona il piccolo corpo di spedizione, composto del 10° reggimento bersaglieri, di una batteria da montagna e dei servizi relativi.

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A maggiore chiarimento di quanto ho espo sto, soggiungo che, se mi sono ostinatamente oppo sto alla piccola spedizione di Valona, è perchè facilmente prevedevo che i tre battaglioni che colà si volevano inviare sarebbero stati l'avanguardia di altri molti, con gravissimo pregiudizio delle nostre operazioni sul teatro di guerra principale, dove avrebbero molto scarseggiato le forze, in caso d'intervento nel conflitto europeo: essendo ovvio che sul teatro principale, dove si decide della somma delle cose, si debbano concentrare tutti i mezzi per ottenere la vittoria, dalla quale dipen dono poi le sorti dei teatri di guerra secondari. Questo non è altro che il principio dell'applicazione del massimo sforzo sul punto decisivo: principio eterno, ma che viene eternamente violato per la naturale tendenza dello spirito alla quale pochi sanno reagire di perseguire diversi obbiettivi in una volta, disperdendo tra i medesimi i mezzi disponibili.

Si noti ancora che le condizioni topografiche dei dintorni di Valona sono tutt'altro che favore voli ad una efficace copertura della rada con poche forze. Per trovare una buona linea di difesa biso gna spingersi alla Vojussa e una tale linea ha uno sviluppo di ben 130 chilometri. La linea più ravvi cinata della Suscica ha una estensione di 80 chilo metri, e il gravissimo inconveniente che non può impedire il bombardamento della rada quando il nemico abbia collocato delle batterie di medio calibro sulle alture del versante sinistro della Su scica. È facile perciò arguire quante forze si do vrebbero immobilizzare in tali linee, anche se ben fortificate, quando fossero minacciate di un serio attacco.

Per contro, la solida occupazione dell'isolotto di Saseno, con batterie di medio, e, se occorre, di

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grosso calibro, ben sistemate in caverna, che bat tano i due ingressi della rada, tra i quali sorge lo scoglio, è sufficiente ad impedire l'uso della rada stessa a qualunque flotta nemica. Effettuato lo sbarco del corpo di spedizione in Valona, ciò che soprattutto importava era di evitare che per una qualsiasi imprudenza si in corresse in qualche conflitto a distanza della ri stretta zona che le esigue forze disponibili consen tivano di occupare intorno a Valona; poiché molto facilmente si sarebbero in tal caso dovute mandare dall'Italia altre truppe a sostenere quelle impe gnate nell'interno e ad assicurare il sicuro possesso della zona occupata. Perciò, in seguito a mia pro posta del 30 dicembre, il Ministroprescriveva che « per nessuna ragione le truppe del corpo di occu pazione potranno nelle loro marce a scopo di «istruzione ed allenamento, di ricognizioni, di « perlustrazioni o d'altro, oltrepassare ad est di « Valona la linea del fiume Suscica, al nord l'altura « di Skrapani (quota 231) ed a sud il culmine di « quota 1136 della dorsale tra i villaggi di Mazari « e Razina ». E io soggiungevo nella lettera dianzi citata: « L'andare al di là, per qualsiasi motivo o pretesto, di codesti limiti, sarebbe, per le note ragioni già ripetutamente da me addotte per « avversare la spedizione di cui trattasi, una vera

« follia, perchè con estrema facilità potremmo esser

« trascinati in complicazioni tali da imporci neces

«sariamente l'invio in Albania di interi corpi di « Armata » .

Si vedrà in seguito che il Governo, malgrado queste direttive, si lasciò attirare ad estendere l'occupazione in Albania e ad accrescervi notevol mente le forze, per scopi indipendenti dalle neces sità imposte dalla guerra europea. Infatti, da dichiarazione fatta il 4 gennaio 1915 dal Ministero

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degli esteri a quello della guerra, risultava che si intendeva di occupare quel territorio che valesse ad assicurare il nostro possesso permanente della intera baia di Valona, di fronte ad eventuali spar tizioni dei territori circostanti. Quel Ministero riteneva bensì che le nostre forze in Albania « non « dovessero essere, in alcuna circostanza, maggiori « di quelle occorrenti a mantenerci stabilmente in « Valona e nel territorio circostante »; ma, eviden temente esso non pensava in quel momento che le forze a tal uopo necessarie non potevano essere che notevolissime.

Fallita la spedizione anglo-francese dei Dar danelli, iniziatasi nella primavera del 1915, gli alleati idearono nel settembre di quell'anno la costituzione di una Armée d'Orient a Salonicco, che potesse portar soccorso ai Serbi, allora minacciati di simultaneo attacco dagli Austro-Tedeschi e dai Bulgari; i quali ultimi, dopo aver firmato il 9 Set tembre un accordo con la Turchia, già in guerra con l'Intesa, avevano indetta il giorno 21 la mobi litazione generale.

Se la costituzione dell'Armée d'Orient fosse stata prima stabilita, per esempio nella primavera del 1915, invece di avventurarsi nella disastrosa spedizione dei Dardanelli, egli è certo che essa avrebbe potuto esercitare un'influenza decisiva sulle sorti della guerra; imperocché essa avrebbe potuto salvare la Serbia, paralizzare la Bulgaria, inducendola fors'anco o costringendola ad allearsi con noi, ed accelerare l'entrata in guerra della Romania al nostro fianco. Si sarebbe così costi tuito un esercito assai potente sui confini del

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.
III

l'Ungheria, il quale avrebbe richiamato asé ingenti forze nemiche, sottraendole alle altre fronti. Ma del senno del poi son piene le fosse ed è opera vana il rimpiangere ora ciò che non è avvenuto. Ci limi tiamo pertanto a constatare il fatto storico che i nostri alleati anglo-francesi non ebbero al giusto momento la visione dell'importanza della spedi zione di Salonicco.

Ma anche nel momento in cui essa fu delibe rata, si poteva nutrire la speranza di salvar la Serbia, di indurre la Romania ad entrare in azione e di metter fuori causa la Bulgaria: il che avrebbe sempre costituito un risultato importantissimo, tale da giustificare pienamente la progettata spedizione, Di tale avviso era altresì il presidente del Consiglio di Grecia, signor Venizelos, il quale versoil 20 settembre richiedeva il nostro Governo di un aiuto militare alla Serbia di 150.000 uomini, ritenendo che col medesimo si sarebbe reso possi bile non solo l'intervento armato della Grecia a favore della quadruplice alleanza, ma si sarebbe indotta all'azione la Romania e, con ogni proba bilità, si sarebbe persuasa la Bulgaria a mantenere la neutralità. Negando invece questo aiuto, la Grecia (così opinava il signor Venizelos) avrebbe dovuto pensare ai casi suoi, la Romania non si muoverebbe, la Serbia, presa tra due fuochi soc comberebbe, e gli Austro-Tedeschi, mercé l'alleanza bulgara, avrebbero aperta la via di Costantinopoli. Il nostro ministro degli affari esteri, pur de siderando che Francia ed Inghilterra aderissero alla richiesta, faceva le più ampie riserve circa la nostra partecipazione, richiedendomi però del mio parere al riguardo. Egli sarebbe stato forse dispo sto alla concessione di un contingente limitato «da 20 a 25.000 uomini», da promettere più che da fornire subito .

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Il ministro della guerra (generale Zupelli), valutava le gravissime difficoltà che già incontra vamo per mantenere nella voluta efficienza l'eser cito mobilitato e le maggiori difficoltà che si sareb bero dovute superare per raggiungere l'aumento di efficienza da me giudicato necessario. Egli pen sava che quando fossimo stati presi nell'ingranag gio di una guerra balcanica, vi saremmo stati trascinati per forza di cose, senza limiti di tempo né di misura: i 20 o 25.000 uomini potevano di ventare 100 e 150.000 Anche l'onore delle nostre armi e del nostro Paese poteva costringere ad aumentare le forze e a non desistere dall'azione una volta intrapresa. Egli era infine preoccupato degli enormi mezzi occorrenti anche ad un piccolo corpo di spedizione, della necessità di darglinume rose e potenti artiglierie con largo munizionamento, delle difficoltà che presenterebbero i rifornimenti periodici, e tutto ciò mentre cosi gravi difficoltà noi dovevamo già superare per far fronte alle necessità della guerra in Italia. Tutte queste erano certamente considerazioni militari di gran peso. Ma al ministro degli esteri incombeva pure di tener conto delle conseguenze che avrebbe potuto portare la mancanza di aiuto alla Serbia e di quelle che avrebbe un rifiuto sui nostri rapporticonglialleati, daiqualiattendevamo alla nostra volta aiuti soprattutto finanziari. Alla richiesta fattami del mio parere, io ri spondevo con lettera del 26 settembre che espri mevo avviso favorevole al nostro contributo mi litare, il quale avrebbe dovuto essere proporzio nato a quello che in misura più elevata avreb bero dato Francia ed Inghilterra. E considerando che alla prossima nostra ripresa offensiva sulla fronte Giulia sarebbe seguita una sosta nelle ope razioni, che tra non molto la stagione invernale

III

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avrebbe consentito una riduzione delle forze di prima linea, e che, infine, nella successiva prima vera avremmo avuto in piena efficienza le unità di nuova costituzione per tutte queste ragioni, io stimavo che l'Italia avrebbe potuto concorrere alla divisata operazione con una grossa divisione, compostadi tre brigatedi fanteria, di due batta glioni di bersaglieri e di una adeguata dotazione di artiglierie e di servizi vari, in guisa da raggiun gere, in complesso, l'effettivo di 30.000 uomini. Delle tre brigate, una avrebbe dovuto esser tolta dalla Libia, ove tuttora si trovavano 38 batta glioni, forza eccessiva, tenuto conto dei limiti nei quali era stata ristretta l'occupazione di quel ter ritorio .

Il 9 ottobre il colonnello de Gondrecourt, Capo della missione militare francese presso il Comando supremo italiano, rivolgeva a questo esplicita domanda a nome del Comando supre mo francese di intervento nella penisola balca nica domanda che veniva contemporanea mente rivolta dall'ambasciatore di Francia al nostro ministro degli affari esteri. Questime nedava par tecipazione il 13 ottobre, soggiungendo che in risposta gli aveva confermato quanto già gli aveva accennato giorni addietro, cioè non poterci noi allora impegnare ad un concorso di truppe, date le nostre condizioni generali e la necessità di una seria nostra azione sulla frontiera austriaca, azione che pur contribuiva efficacemente a diminuire la pressione austro-tedesca nei Balcani . In mare, avremmo potuto concorrere nella misura da deter minare appena fosse deciso il da farsi.

-

Io rispondevo il 15 che le ragioni giustificanti

la nostra astensione dal concorso avendo carattere militare, la loro inspirazione sarebbe indubbia mente attribuita al Comando supremo. Perciò io

II2

dovevo confermare che le nostre condizioni, pro fondamente diverse da quelle di due mesiprima, consentivano l'eventuale nostro concorso alla spe dizione in Macedonia nella misura di 30.000 uo mini, senza diminuire l'intensità della nostra of fensiva da iniziarsi prossimamente. Il ministro degli esteri aveva finalmente chia ramente manifestato il suo parere contrario al nostro intervento in Macedonia. Ma, se tale era la sua decisione, perché domandare il mio parere? Evidentemente, se io avessi espresso avviso con trario, il Governo avrebbe potuto appoggiarsi al Comando supremo nel rifiutare agli alleati il con corso: tant'è vero ciò, che il ministro degli esteri non allegava all'ambasciatore di Francia che ra gioni d'indolemilitare.Poichénel1914iomiero riso lutamenteoppostoall'invioditruppeinAlbania, evi dentemente si pensava a Roma che io avrei mosso uguali difficoltà per una spedizione in Macedonia. Ma le circostanze erano profondamente diverse. Dall'Albania, regione povera, priva di strade, al pestre, atta alla guerriglia, con la quale poche forze nemiche potevano paralizzarne molte delle nostre, non si esercitava nessun influsso sulla guerra euro pea; perciò le forze colà inviate erano per dute ai fini generali della guerra, ed ai fini particolari delnostro teatro di guerra in Italia, Invece, le forze inviate in Macedonia erano bensi sottratte al nostro teatro di guerra, ma dovevano richiamare sopra di loro almeno altrettante forze nemiche, e concorrevano al raggiungimento di alti scopi politici e militari, qualierano quelli che abbiamo dianzi descritti.

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8. L. CADORNA Altre pagine sulla grande guerra .

Intanto, l'8 ottobre, gli Austro-Tedeschibom bardavano Belgrado e varcavano la Dvina, la Sava e il Danubio, e dal canto loro i Bulgari ini ziavano il giorno 1o le ostilità attaccandoi Serbi da oriente. Aveva cosi principio quella lotta che doveva finire con la completa occupazione della Serbia per parte degli Imperi centralie dei Bulgari, e con la disastrosa ritirata degli avanzi dell'esercito s'erbo tagliati da Salonicco verso l'Albania.

Il 19 ottobre il ministro degli affari esteri mi telegrafava che il nostro concorso nella lotta bal canica, invocato dagli alleati, poteva prendere varie forme e una di queste era quella di una spe dizione attraverso l'Albania, la quale avrebbe pure lo scopo di assicurare le spalle della Serbia e di permetterle di ritirare le sue forze allora occupanti Tirana, Elbassan, ecc., e di assicurarle un'altra via di rifornimento. Soggiungeva che, in relazione alla nostra situazione nell'Adriatico, l'opinione pubblica italiana difficilmente sopporterebbe una spedizione di tal genere già prospettata dai Fran cesi, che avvenisse senza la nostra partecipazione. Una nostra spedizione avverrebbe ora in condi zioni specialmente favorevoli in relazione alla nostra politica in Albania, impedendo, forse, un'occupa zione greca verso Berat con conseguente accer chiamento di Valona, e vincolando maggiormente Essad Pascià alla nostra causa. Il ministro comu nicava poi un telegramma della R. Legazione a Durazzo (allora retta dal barone Aliotti), il quale conteneva notizie dategli da Essad Pascià inte ressanti un nostro sbarco in Albania notizie molto ottimistiche relativamente ai mezzi di tra sporto, alle strade e alla rapidità con la quale si sarebbero aperte nuove comunicazioni verso il

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.
IV

lago di Okrida e Monastir. Era evidente l'interesse di Essad Pascià di attirarci in forze in quella re gione; il quale Essad, nel caso in cui gli alleati si volessero servire dell'Albania come seconda strada di congiungimento con la Serbia, considerando in tal caso cessata la neutralità albanese, offriva il concorso di 50.000 uomini armati di fucile Mauser sotto il suo comando. Il ministro richiedeva final mente il mio pensiero sulla progettata spedizione, la quale, sia nel caso che fosse fatta da noi soli, sia che la si effettuasse insieme ad altri, doveva attuarsi con la maggiore sollecitudine e prepararsi nel maggior segreto, lasciando anche intendere che fosse diretta altrove.

Rispondevo telegraficamente, il 20 ottobre, che mentre rimanevo favorevole alla spedi zione verso Salonicco od altri punti dell'Egeo, esprimevo mio parere recisamente contrario alla spedizione attraverso l'Albania, parere già notificato verbalmente al presidente del Consiglio, on. Salan dra, il quale meco concordava. L'Albania presenta terreno montano difficilissimo, a catene parallele da superare senza strade. Non credevo possibile aprire in breve tempo delle carrozzabili attraverso alte, scoscese montagne argillose che, comunque, non resisterebbero al traino prolungato. Anche quando esistesse e fosse solida, l'unica strada (quella da Elbassan per Okrida a Monastir) sarebbe insuf ficiente per una forte spedizione. Se la spedizione fosse invece limitata in forze, la lunga linea d'o perazioni rimarrebbe continuamente esposta alle insidie sui fianchi e alle spalle. La popolazione albanese è infida (I), ma guerriera e maestra nella guerriglia. Perciò la spedizione presentava perma nente pericolo di disastro che, anche se parziale,

(1) Quanto ci fosse da fidarsi degli Albanesi, l'hanno poi ben dimo strato gli avvenimenti del 1920, che provocarono lo sgombro dell'Albania.

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obbligherebbe, per tutelare il nostro prestigio, ad effettuare altre spedizioni in pura perdita, delle quali era impossibile prevedere l'entità. Inoltre, la natura del paese richiederebbe l'impiego di truppe e di servizi damontagna, i quali appena bastavano sulle Alpi. Perciò, se gli alleati persi stessero a volersi ingolfare in un simile ginepraio, converrebbe lasciare che corressero l'avventura a loro rischio e pericolo. Quanto a Valona doveva bastarci la protezione del golfo, e io avevo sempre sconsigliato di avventurarci oltre. In conclusione io rinnovavo il consiglio di concorrere alla spedi zione di Salonicco ed altri punti dell'Egeo con 25 a 30.000 uomini da tenersi costantemente a nu mero, per operare d'accordo con gli alleati. L'in tervento a Salonicco sarebbe stato ora tardivo allo scopo di sollevare immediatamente gli alleati serbi; né si potrebbe oggi sostenere che tale aiuto avrebbe messo l'esercito d'Oriente in con dizione di prendere immediatamente l'offensiva. Però, di fronte alle difficoltà sopra enumerate del settore albanese ed al conseguente proba bile disperdimento di maggiori forze, era certa mente miglior partito concorrere con gli alleati in una direzione che ci avrebbe assicurati maggiori vantaggi militari e politici. E se poi la necessità di raccogliere l'esercito serbo in una eventuale ritirata verso l'Albania avesse richiesto quivi il nostro intervento, le forze da inviarsi avrebbero dovuto essere commisurate a tale preciso scopo ed allontanarsi il meno possibile dalla costa.

È certamente doloroso che l'Armata d'Oriente non abbia potuto essere costituita in tempo utile per operare efficacemente. La sua importanza emerse poi a luce meridiana nel 1918, quando essa diede il primo colpo che sgretolò la compa gine nemica, mettendo fuori causa il più debole

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degli avversari. Questo concetto del resto è quello che presiedeva alle mie direttive emanate per l'entrata in campagna (Capitolo III del Vol. I del mio libro: La guerra alla fronte italiana), allor quandofacevoassegnamento su RussieSerbiperab battercicontemporaneamentesull Austria-Ungheria. Ma l'on. Sonnino, la cui tenacia nessuno vorrà certamente disconoscere, con lunghissimo telegram ma del successivo giorno 21,ore23, telegramma che non era che una amplificazione degli argomenti già addotti insisteva sulla opportunità della progettata spedizione a Valona e mi invitava ad un nuovo esame « intorno ad un argomento che riteneva di capitale importanza per ilnostro Paese». In questo telegramma particolarmente si insisteva su due fatti: il primo era il proposito dimostrato dai Greci di rifarsi delle mancate « speranze » verso oriente per invadere il territorio albanese che accerchiaValona,approfittando degl'imbarazzigene rali; il secondo era la spedizione che i Francesi annunciavano chiaramente di voler preparare in tutta fretta per l'Albania col pretesto di acquistare una seconda via di rifornimento verso Monastir. Queste due prossime eventualità, affermava il ministro degli esteri, non erano note quando giorni addietro il presidente del Consiglio si dichiarava meco d'accordo sulla inopportunità di una spedi zione in Albania; il quale presidente, mai come ora, era con lui d'accordo, ed anche a nome suo mi dirigeva questo telegramma. Nel medesimo era ancora da notare questa frase: « Una nostra, anche « temporanea occupazione in Albania potrebbe darci « un pegno...» E io questeparole metto inparticolare rilievo, perché l'argomento dei pegni che qui inco mincia a far capolino, diventerà in seguito uno dei principali per estendere la nostra occupazione in Albania .

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Rispondevo il 22, ore 24, che, riesaminata la questione, e prescindendo dalla opportunità poli tica, della quale solo giudice era il Governo, rite nevo che se la Francia intendesse effettivamente di compiere una simile rischiosa impresa, conve niva nel comune interesse di dissuaderla. Comun que, se si trattava di attraversare l'Albania, non avevo che a confermare il mio parere recisamente contrario, certo com'ero che in tal caso la spedi zione si risolverebbe in uno scacco. Se poi l'opera zione dovesse limitarsi ad assicurare l'hinterland di Valona contro i Greci, od alla occupazione di qualche centro importante, come Tiranaod Elbas san, l'Italia potrebbe concorrere con la Francia, ma non impegnando che un corpo limitato di truppe; senza inviare né riparti alpini, né ser vizi da montagna i quali allora non erano, nè potevano rendersi in seguito disponibili. Neces sitava però che la marina da guerra dichiarasse di garantire la sicurezza del convoglio e i succes sivi rifornimenti.

Pochi giorni dopo, cioè il 4 novembre, giun geva ad Udine il generale Gouraud, glorioso muti lato dei Dardanelli, ed in seguito comandante della 4.a Armata in Champagne. Egli mi conse gnava, per incarico del generalissimo Joffre, un: Rapporto relativo ad un piano d'azione comune degli alleati in Oriente rapporto che è necessario riassumere.

La manovra della Germania in Oriente si proponeva i seguenti scopi: l' isolare la Russia tagliando le sue comunicazioni con gli alleati attra verso la Serbia e la Romania; 2°) approvvigionare

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i Bulgari; 30) stabilire comunicazioni rapide e si cure coi Turchi, mettendoli in grado di riprendere l'offensiva sui loro teatri d'operazione (Dardanelli, Egitto, Mesopotamia, Caucaso), e di utilizzarli eventualmente contro i Russi.

Questa manovra poteva avere per conseguenza l'entrata in guerra, a fianco degli Imperi centrali, della Grecia e della Romania e di rendere inso stenibile la situazione dei Franco-Inglesi, tanto a Salonicco quanto nella penisola di Gallipoli. Essa costituiva per l'avvenire una minaccia per tutti i possedimenti musulmani degli alleati e realiz zava il Drang nach Osten, sogno dell'imperialismo tedesco .

Questi importanti risultati erano stati otte nuti con pocafatica da un'abile diplomazia, che si appoggiava ad un esercito di meno di 180.000 uomini, impegnato a momento opportuno. Cosi, un contingente relativamente debole aveva imme diatamente trascinato 350.000 Bulgari e poteva mettere in moto, a profitto degli Austro-Tedeschi, 200.000 Greci e 500.000 Romeni. Toccava perciò a noi di agire nel medesimo modo.

Il problema che si posava alla coalizione era il seguente; o consentire al successo della manovra tedesca, con tutte le sue conseguenze in Oriente e nei Balcani, o tentare di impedirla, com'era ancor possibile. La prima soluzione sarebbe stata accettabile se gli alleati avessero potuto svol gere sui fronti di Francia, d'Italia e di Polonia delle offensive decisive che avrebbero distrutto i successi tedeschi nei Balcani. Tale non era il caso: per diverse ragioni gli alleati non erano allora in grado di svolgere ad oltranza simili offensive, e loro non rimaneva che di tentar di ostacolare, nello stesso Oriente, i disegni della Germania, pur conservando sugli altri teatri i mezzi neces

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sari alla ulteriore realizzazione delle manovre deci sive .

era

Se la diplomazia della coalizione non riuscita nei suoi tentativi in Oriente, è perchè non si appoggiava sulla forza. Perciò, questa forza era d'uopo costituirla, tangibile: al nord, un forte esercito russo concentrato in Bessarabia, pronto ad entrare in azione, avrebbe inspirato fiducia alla Romania, decidendola ad agire nella nostra orbita; al sud, un forte esercito alleato italiani, inglesi, francesi, riuniti a Salonicco), detterebbe la legge alla Grecia trascinandola nella coalizione. La concentrazione immediata di questi due gruppi di forze costituirebbe sui fianchi della manovra germano-bulgara una minaccia cosi grave che non potrebbe essere trascurata e che immobilizzerebbe una parte delle forze che si trovavano in azione contro la Serbia .

Il gruppo del Nord già constava di 3 corpi d'Armata e doveva essere portato a 200.000 uomini. Il gruppo del sud comprendeva allora 6 divi sioni, 3 francesi e 3 inglesi ossia 80.000 uomini, effettivo affatto insufficiente per esercitare una qualunque azione sulla Grecia e per prendere poi un'offensiva concordante con quella dei russo romeni a circostanze favorevoli. Come costituire questo esercito, tenuto conto che dovevamo sem pre disporre sui fronti di Francia e d'Italia dei mezzi necessari per parare tutti i pericoli e per sfruttare le situazioni favorevoli?

L'Inghilterra,che possedeva ancora certe dispo nibilità, poteva ritirare quattro divisioni dalla fronte francese, cioè 70.000 uomini. L'Italia, le cui operazioni sarebbero presto state impedite dalla cattiva stagione, potrebbe consacrare 100.000 uo mini a questo teatro, la cui importanza per lei era primaria più ancora che per glialtri alleati, perché

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e

il successo della nuova manovra tedesca le chiude rebbe per sempre i Balcani.

Secondo questa memoria, le forze del corpo di spedizione italo-anglo -francese di Salonicco sareb bero state poste sotto il comando unico di un gene rale appartenente alla nazione che forniva il con tingente più elevato.

La memoria prevedeva inoltre: 1°)che l'azione delle tredivisioni francesi le avrebbe portate nella regione Veles-Istip; 20) che il concorso delle truppe italiane permetterebbe di realizzarelacongiunzione definitiva e sicura coll'esercito serbo nella regione di Uskub; 30) che a cominciare da questo momento, se l'azione dei Russi, e a fortiori dei Russo-Romeni costringesse alla ritirata le forze bulgare del fronte serbo, gli alleati potrebbero prendere Sofia come obbiettivo. In tutti i casi era indispensabile dare all'esercito serbo i mezzi per prolungare la resi stenza, facilitando le sue comunicazionicon l'Adria tico, le sole che gli fossero ancora aperte. Le mi sure a ciò necessarie dovevano essere prese di urgenza e d'accordo tra l'Italia, l'Inghilterra e la Francia .

a

Riassumendo, se questo programma d'azione era accolto, si dovevano prendere d'accordo tra le potenze alleate le misureseguenti: 10) assicurare l'approvvigionamento delle truppe serbe dall'Adria tico (organizzazione delle basi,apertura e miglio ramento di strade, protezione contro i sottomarini di Cattaro); 2.0) decidere immediatamente la con centrazione a Salonicco delle forze alleate d'un effettivo di 250.000 uomini, composte di 3 divisioni francesi, 5 divisioni inglesi e d'un contingente italiano d'un effettivo da determinare (100.000 uomini); 3) dare ai Russi la quantità di armi e munizioni sufficienti per permetter loro di con centrare alla frontiera romena un esercito di 200.000

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uomini; 4º) regolare la questione del comando delle forze di Salonicco; 5.9) dal momento che il concentramento dei nostri mezzi a Salonicco ci permettesse di agire, intimare alla Grecia di mar ciare con noi .

I concetti espressi in tale rapporto non pote vano non persuadermi, dacchè essi corrisponde vano esattamente a quelli da me pensati e mani festati nell'oppormi ad una considerevole spedi zione in Albania e nel patrocinare presso il Governo il nostro concorso all'impresa diMacedonia. Sol tanto sull'entità del nostro concorso io non potevo andare d'accordo, non essendo noi in grado di sottrarre 100.000 uomini, equivalenti ad almeno cinque divisioni, alla fronte italiana.

Dalle mie precedenti opposizioni ad una spe dizione in Albania era però accaduto un fatto nuovo, messo pure in rilievo dal rapporto francese, quello cioè del disastro dei Serbi, i quali, attaccati su doppio fronte, dagli Austro-Tedeschi e dai Bul gari, nella prima metà di ottobre, avevano per duto la possibilità di ripiegare su Salonicco, seb bene le prime truppe anglo-francesi giunte a Salo nicco capitanate dal generale Sarrail che vi sbarcava il 15 ottobre si fossero spinte al loro soccorso; ond'è che non rimanevano loro che le linee di ritirata verso l'Adriatico attraverso la Albania linee assai difficili per la mancanza di buone strade e per la natura montuosa ed aspra del terreno che si doveva attraversare in quella stagione già cosi avanzata. Occorreva pertanto sbarcare in Albania un corpo alleato od intera mente italiano di forza sufficiente a sostenere la ritirata ed a raccogliere gli avanzi dell'esercito serbo, per poterli poi riordinare e rimettere in grado di rientrare in azione.

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Ai pericoli prospettati dal rapporto francese, inerentialle gravi conseguenze della riuscita del piano tedesco in Oriente, si doveva ancora aggiun gere quest'altro importantissimo, che cioè la Ger mania a Costantinopoli voleva dire il Mediterraneo infestato dai suoi numerosi sommergibili, con la conseguente paralisi o quasi per il trasporto delle truppe degli alleati e dei lororifornimenti: bastava riferirsi alla avvenutapenetrazionedeisommergibili inglesi nel mar di Marmara per rendersi conto del fondamento di questa previsione. Tutte queste considerazioni io esprimevo al presidente del Consiglio il 5 novembre nell'in viargli copia del rapporto francese; e conferman dogli pienamente i miei precedenti pareri sull'argo mento, nuovamente insistevo sulla convenienza del nostro concorso nella spedizione di Oriente, e ciò, sia dalpunto di vista politico, sia da quello militare. Per rapporto alla convenienza militare, io sentivo il dovere di rappresentare come l'anda mento della nostra offensiva sulla fronte Giulia, allora in corso di svolgimento, e le gravi resistenze e contrarietà che essa incontrava ad ogni passo, ad onta della più oculata concentrazione di mezzi e di sforzi, e malgrado il valore grandissimo spie gato dalle nostre truppe, veramente mirabili per slancio e adattamento ai gravi disagi delle persi stenti intemperie, mi persuadevano delle gravi difficoltà, congli scarsi mezzi tecnici allora dispo nibili, di pervenire al conseguimento degli scopi allora prefissi. Si poteva ripetere sulla nostra fronte ciò che già si era verificato sulla fronte fran cese dove, dopo una preparazione di circa un anno e attaccando con larghezza di mezzi di ogni specie, in artiglierie di medio e di grosso calibro, in munizioni ed aeroplani, di gran lunga superiori ai nostri, le brecce praticate nella fronte di difesa

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tedesca (difese men poderose di quelle che la spe ciale natura del terreno consentiva agli Austriaci contro di noi) si erano richiuse dopo breve pene trazione, così efficacemente, che vani erano riu sciti da oltre un mese e mezzo gli sforzi delle armate del generale Joffre per riaprirle. Eraquesto fatto conseguenza di carattere generale dei nuovi procedimenti messi in opera nella guerra passata. procedimenti che conferivano alla difensiva (se organizzata con abbondanti artiglierie, mitraglia trici e difese accessorie compensanti largamente la scarsezza delle fanterie) una superiorità schiac ciante rispetto all'offensiva. Laddove la muraglia era stata creata (e veniva pur troppo creata in modo continuo lungo una intera frontiera), gli attacchi frontali erano inevitabili, ma questi, per quanto ostinati e ben preparati, difficilmente riu scivano a spezzare quella muraglia in modo da ritrovare al di là di essa libertà di manovra e di movimento. La stessa cosa accadde ai Tedeschi quando si ostinarono con numerose truppe e con larghissima preparazione di mezzi ad attaccare Inglesi e Francesi, non riuscendo che a qualche piccolo sgretolamentodella fronte avversaria, otte nuto a prezzo di enormi sacrifici di vite umane e di materiali.

Tutte queste considerazioni conducevano alla deduzione della convenienza militare di una mi gliore utilizzazione di parte delle nostre truppe, facendole concorrere, insieme a quelle delle po tenze alleate, in Oriente, dove ancora sembrava possibile la guerra di movimento e di manovra, nella considerazione che la imminente costituzione delle nuove unità ci avrebbe facilitato questo concorso .

Quanto alla misura di questo, tutto calcolato, io stimavo che esso avrebbe potuto essere di un

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corpo d'Armata di tre divisioni, sussidiato da una conveniente aliquota di truppe da montagna, in totale 60.000 uomini circa.

Soggiungevo infine al presidente del Consiglio che qualora il Governo credesse di aderire alle proposte della Francia, il nostro intervento do vrebbe essere subordinato, oltreché al debito con corso finanziario, anche alla condizione che In glesi e Francesi ci fornissero ampiamente dei ma teriali, lancia-bombe, munizioni, e fornissero esclu sivamente essi stessi alla spedizione le occorrenti artiglierie di medio e grosso calibro, che noi posse devamo in cosi scarsa misura. Ma il presidente del Consiglio rispondeva il 9 novembre che aveva comunicato ai Ministri competenti la mia lettera del giorno 5 insieme al rapporto francese che il generale Gouraud, recatosi a Roma, aveva nuovamente insistito nelle sue richieste e sollecitando una definitiva risposta nel più breve tempo possibile. Il generale Gouraud fondava le sue insistenze specialmente sopra la adesione dal punto di vista militare da me otte nuta. E difatti io avevo con lui riconosciuta la possibilità militare del nostro concorso nei limiti di tre divisioni, e subordinandolo, ben inteso, all'approvazione del Governo, solo competente nell'apprezzamento della situazione politica e nella decisione. Il presidente del Consiglio aggiungeva che lui e i suoi colleghi erano sotto l'impressione di gravissimi dubbi derivanti da molteplici consi derazioni di indole internazionale, finanziaria e interna; e anche sotto il punto di vista militare desiderava maggiori chiarimenti e assicurazioni in ordine ai mezzi per compiere la progettata spe dizione e alle conseguenze che ne deriverebbero per l'indirizzo generale e gli obbiettivi della nostra guerra. Riteneva perciò indispensabile che gli argo

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menti pro e contro fossero dibattuti in una con ferenza da riunirsi al più presto e col mio inter vento. In tale occasione si sarebbe dovuto cercare il modo di arrivare ad un accordo circa la gravis sima situazione finanziaria, non completamente risoluta nella conferenza tenuta in ottobre col generale Porro in mia rappresentanza, e che era diventata allora più aspra, avendo le spese già superato il preventivo, mentre le economie non si realizzavano che in parte. La questione finan ziaria si riverberava sopra quella della spedizione a Salonicco e sopra quella del piano d'ingrandi mento del nostro esercito. Finalmente, le condi zioni dell'Albania richiedevano provvedimenti ur genti, non per una spedizione di penetrazione nell'interno, ma per impedire che della stessa costa dell'Adriatico siimpossessassero altre forze belli geranti, il chedal Paese e dal Governo non poteva essere consentito. Per tutte queste ragioni la gra vità del momento esigeva una completa intesa fra Governo e Comando supremo, intesa la quale non poteva essere raggiunta senza la mia presenza; poichè lo stesso generale Porro, del quale tutti ammiravano l'alta competenza e il lucido intel letto, non poteva sostituirmi, in quanto sarebbe venuto con istruzioni precise e non avrebbe avuto facoltà di prendere quelle risoluzioni che un appro fondito esame dei molteplici aspetti delle questioni avrebbe consigliato. In seguito a questo invito io mi recavo a Roma, dove avevo due lunghi colloqui, il 13 e il 14 novembre, col presidente del Consiglio e coi ministri degli affari esteri, della guerrae del tesoro (on. Carcano). In essi io sostenevo la convenienza di preferire la spedizione di Salonicco a quella d'Albania, per le ragioni già esposte, le quali si riassumevano in sostanza in questa: che i

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destini dei Balcani si decidevano nella valle del Vardar e non tra i monti dell'Albania, e che una spedizione con notevoli forze in questa regione, se poteva procurarci dei vantaggi locali, insieme a molti pericoli, non avrebbe portato alcun con tributo alla risoluzione dei problemi generali della guerra. Ma, in questo argomento trovai tutti i Ministri concordi e di parere contrario al mio. Dovetti a mia volta accondiscendere all'invio di sufficienti forze in Albania al precipuo scopo di proteggere la ritirata dei Serbi, ma mi opposi allo intendimento del ministro degli esteri di fare occu pare con 21 battaglioni il triangolo Valona-Durazzo Elbassan, perchè tali forze sarebbero state di gran lunga insufficienti a quello scopo, col pericolo di essere trascinati ad aumentarle di molto in caso di intervento in Albania di Greci e Bulgari e di guer

riglie albanesi, senza scansare il rischio di qualche disastro, almeno parziale; d'altronde, per noi i nostri interessi in Albania si riassumevano in Valona, non avendo che piccolissima importanza Durazzo e San Giovanni di Medua. Conclusi che se per ragioni politiche, e militari rispetto ai Serbi, si volevano occupare dei punti sulla costa, toc cava al Governo a decidere, ma, per ragioni mili tari si doveva escludere l'occupazione di punti nell'interno. Il presidente del Consiglio convenne su quanto io avevo esposto, ma, d'accordo col ministro degli esteri, opinò che oltre a Valona si occupasse Durazzo con sei battaglioni; e realmente questa occupazione era momentaneamente impor tante allo scopo di proteggere la ritirata dei Serbi. Non essendosi redatto verbale di questi colloqui, io ne concretai il risultato in una lettera del 17 novembre al presidente del Consiglio. del Consiglio. Rimase adunque stabilito che l'effettivo delle truppe da destinarsi in Albania sarebbe stato in totale di 18

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battaglioni, dei quali 12 dell'esercito attivo e 6 di milizia territoriale, intendendosi compresi nei 12 battaglioni attivi i 3 battaglioni bersaglieri che già trovavansi a Valona. Ai suddetti battaglioni si dovevano aggiungere le necessarie artiglierie (cui doveva provvedere il ministro della guerra) e proporzionate aliquote di truppe tecniche e di servizi. Il corpo d'occupazione d Albania doveva, pertanto, essere costituito di una divisione a 3 brigate; il Comando della divisione e due brigate (dicui una di milizia territoriale) dovevano rima nere a Valona, l'altra brigata dell'esercito perma nente a Durazzo. Fu pure stabilito che una delle brigate sottratte all'esercito mobilitato in Italia sarebbe stata sostituita da altra brigata che ver rebbe rimpatriata dalla Tripolitania. In tal modo, l'effettiva sottrazione di truppe di fanteria dal l'esercito mobilitato, si riduceva ad un reggimento. Fu finalmente convenuto che le truppe destinate in Albania non avrebbero altro scopo che di assi curare il possesso dei punti di sbarco di Valona e di Durazzo, escludendo perciò qualsiasi occupa zione stabile all'interno; pure ammettendosi la possibilità di qualche punta eseguita entro breve raggio dapiccole colonne mobili, allo scopo dicreare intorno alla nostra linea avanzata la zona di sicu rezza necessaria.

In tal senso emanai il 20 novembre le diret tive al generale Bertotti, nominato comandante del corpo d'occupazione d'Albania. Tali direttive si chiudevano coi seguenti punti:

«VIII. Un Comando energico, pronto a pa « rare all'imprevisto e ad intervenire con ferma

«risoluzione, è specialmente indicato in Albania, « dove le popolazioni, ancor primitive, non attri « buiscono prestigio che alla forza e scambiano « per debolezza la bontà.

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« IX. Per tutto quanto direttamente o indi « rettamente si attiene alla parte militare della « occupazione, il comandante delle forze in Albania

« conserverà la sua dipendenza dal Comando su « premo dell'esercito, al quale, pertanto, dovranno « essere dirette le relative informazioni, e che solo impartirà, volta a volta, se se ne manifesti il « bisogno, nuove istruzioni e direttive ».

Senonché il 5 dicembre io ricevevo un dispac cio dal Ministero datato dal giorno 4, il quale mi allegava copia di un Decreto di un Decreto Luogotenenziale relativo alleattribuzioni del comandante del corpo d'occupazione in Albania, il cui articolo 5.º stabi liva che il suddetto comandante doveva dipendere esclusivamente dal ministro della guerra. Eviden temente le mie precedenti resistenze non erano state gradite, com'era facile immaginare, e a Roma si voleva avere la mano libera per agire in Albania. Ma se ne videro presto le funeste conseguenze, come si dirà tra poco. Io mi affrettai a telegrafare al generale Bertotti ritirando le direttive del 20 novembre e ne diedi partecipazione al ministro della guerra affinché le sostituisse con altre sue, pur ricordandogli che quali che esse fossero, occor reva adattarle alla forza d'allora del corpo di spe dizione, concretata in Consiglio dei ministri, e ciò allo scopo di non sottrarre altri riparti all'esercito operante. Poiché, escluso da ogni ingerenza sugli avvenimenti di Albania, mi premeva che questi non fossero regolati in modo da provocare la richie sta di altre forze che verrebbero sottratte al teatro di guerra principale.

Il 4 dicembre io venivo informato dal gene rale Bertotti che avendo il comandante dell'Ar mata navale giudicato pericoloso inviare per mare a Durazzo le truppe che vi erano destinate, esse

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9. L. CADORNA - Altre pagine sulla grande guerra .

vi erano state avviate da Valona per la via di terra .

Allora (il 6 dello stesso mese) io scrivevo al ministro della guerra che, sebbene il corpo spe ciale d'Albania dipendesse esclusivamente da lui secondo le disposizioni dell'art. 5º del Decreto Luogotenenziale 10 dicembre - io ritenevo di non potermi disinteressare dall'andamento delle operazioni in Albania per la ripercussione che esse avrebbero sul nostro teatro di guerra qualora dovessero assorbire nuove ed ingenti forze. Ricor davo come nel Consiglio dei ministri cui io ero intervenuto, era stato accolto il criterio da me raccomandato che escludeva qualunque operazione nell'internodellaregione, e ripetevo ora: cheilvalore dell Albania consisteva, per noi, nel possesso della baia di Valona, la quale, insieme al possesso del porto di Brindisi, permetteva di dominare l'accesso all'Adriatico. Dovevo pertanto rilevare che se le comunicazioni tra l'Italia e Durazzo dovevano passare, come allora avveniva, per Valona, e svol gersi da Valona a Durazzo per la via di terra, la necessità di proteggere il lungo percorso da even tuali minacce provenienti dall'interno del terri torio albanese, avrebbe potuto richiedere un im piego di truppe notevolmente superiore alla forza fissataper ilcorpo di spedizione, oppure avrebbe potuto condurre ad un rilevante e pericoloso inde bolimento dei presidi di Durazzo e di Valona, e, almeno nelle conseguenze, equivalere ad una ope razione nell'interno. Difatti, si trattava di 100 chilometri, in linea d'aria, di cattivissima strada da percorrere e da proteggere con tre fiumi senza ponti da attraversare, strada che non si poteva proteggere dal mare e che era continuamente espo sta ad offese sul suo fianco orientale. Queste offese potevano essere esercitate non solo dagli Albanesi,

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ma, da un momento all'altro, anche dai Bulgari, i quali, premendo sugli avanzi dell'esercito serbo in ritirata, si avanzavano minacciosi ai confini albanesi. Se io affacciavo queste difficoltà, non era perchè dubitassi che fossero sfuggite al ministro della guerra, ma per ribadire il concetto che la nostra azione militare in Albania non doveva sottrarre altri riparti all'esercito operante per rag giungere scopi secondari, quali erano quelli che pote vanoformare oggetto di operazioni in questa regione, in confronto coi risultati di ben maggiore impor tanza che si sarebbero raggiunti nella valle del Vardar qualora vi si fossero portate tempestiva mente forze sufficienti. La situazione allora crea tasi in Serbia e nella valle del Vardar non esclu deva che gli Imperi centrali potessero sottraire parte delle forze e dei mezzi già diretti contro la Serbia per rivolgerli sulle fronti di guerra del con tinente la nostra fronte compresa; e io traevo da ciò argomento per insistere nella viva racco mandazione che la nostra spedizione non si tra sformasse in un pericoloso sperpero di forze. Ben inteso, che tutte le precedenti conside razioni si riferivano alla estensione della nostra occupazione nell'interno dell'Albania con scopi che oltrepassassero quello necessario per salvare i resti dell'esercito serbo. A quest'ultimo scopo poteva imporsi una momentanea occupazione di Durazzo, ma tale occupazione non doveva protrarsi oltre la ritirata del suddetto esercito, e doveva esser fattapermare, comepoi per mare avvenne la ritira taallafinedi febbraio del distaccamentocolàinviato. Nello stesso tempo io facevo conoscere al comandante del corpo speciale d'Albania di aver fatto rilevare al Governocome la marcia da Valona a Durazzo costituisse un'operazione contraria ai criteri concordati in Consiglio dei ministri, giacché

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la marcia lungo la costa era da considerarsi perico losa in pari grado che una marcia verso l'interno, dal momento che non esisteva ancora una base marittima a Durazzo.

Il 7 dicembre il ministro della guerra mi chiedeva copia delle direttive da me inviate al comandante del corpo di spedizione in Albania, ma, senza attenderne l'arrivo, nello stesso giorno gli telegrafava le sue direttive. Incominciava a rilevare come dai telegrammi inviati ad esso co mandante dal nostro ministro a Durazzo, emer gesse la tendenza all'espansione e ad operazioni su vasta scala che non erano negli intendimenti del Governo. Ricordava poi in modo ben chiaro che era compito essenziale del corpo di spedizione di assicurare saldamente il possesso di Valona ed in secondo luogo di occupare Durazzo per motivi e finalità prevalentemente politiche. La detta occu pazione doveva pertanto farsi in modo da evitare sorprese o situazioni difficilmente sostenibili colle forze ivi distaccate, ossia doveva effettuarsi previe concrete notizie sulle complesse condizioni di am biente « che stiano ad escludere eventuali gravi « conseguenze cui non fosse poi possibile provve « dere in tempo con mezzi adeguati».Comunque, erano da evitare in modo assoluto altri interventi allo interno dell'Albania. Interessava invece di agevolare la raccolta dei prigionieri austriaci fatta dai Serbi, avviandoli il più presto possibile in Italia. Queste direttive del ministro della guerra erano, in apparenza, informate al medesimo spi rito delle precedenti mie. Dico in apparenza, per chè la suggestione che il ministro d'Italia a Durazzo cercava di esercitare sul comandante del corpo di spedizione per spingerlo ad operazioni verso l'in. terno, si manifestava anche a Roma. Se ne ebbero chiare prove pochi giorni dopo, col progetto di

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occupare Berat, e poi nel seguente mese di gennaio, quando il ministro degli esteri divisò come si vedrà lo sbarco di numerose truppe a Durazzo per spingersi nello interno; ed ancora quando nel successivo febbraio la riluttanza a sgombrare in tempo Durazzo fu tale da esporre le truppe che colà si trovavano ad un disastro. VI

Con lettera del 15 dicembre, a soli otto giorni di distanza dalle direttive nelle quali il ministro della guerra escludeva in modo assoluto altri in terventi nell'interno dell'Albania, egli mi allegava un pro-memoriadel Ministero degli affari esteri, col qualesi prospettavalaeventualitàdellaoccupazione di Berat daparte della Grecia, e mi si annunciava che si era telegrafato al generale Bertotti invitan dolo ad eseguire gli studi locali e a fornire gli ele menti di fatto circa le condizioni della viabilità tra Valona e Berat e circa l'entità delle forze occor renti per il caso si dovesse addivenire alla occupa zione di Berat . E frattanto si chiedeva il mio « illuminato giudizio dal punto di vista militare, « ammesso che condizionipolitiche imprescindibili «fossero per consigliare l'occupazione, odimporla ». E questo accadeva quando la sconfitta dei Serbi era irrimediabile, equando, avendo perduto le linee di comunicazione con Salonicco, dovevano inevitabilmente ritirarsi verso l'Albania, attirando dietro a loro i vincitori! Col primo passo nell'interno dell'Albania, si stava così per mettere il piede nell'ingranaggio, il quale ci avrebbe poi certamente trascinati chissà dove. Risposi perciò sollecitamente (il 16 dicem bre) che io non potevo che confermare quanto,

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.

circa la nostra azione in Albania, avevo già esposto per iscritto, ed anche a voce nelle riunioni dei Mini stri del 13 e 14 novembre. Vale a dire che, dal punto di vista militare e nelle contingenze di quel momento, qualunque operazione intesa alla occu pazione di località nell'interno dell'Albania (come Durazzo, qualora con tale città si dovesse conti nuare a comunicare per via di terra, Elbassan, .Tirana, Berat o qualsiasi altra) era da me ritenuta molto pericolosa, perché: 10) o veniva iniziata sen z'altro con forze tali da assicurare il possesso delle località e delle linee di comunicazione con le basi costiere, ed in tal caso si richiedeva un ingente corpo di spedizione di cui non potevamo disporre; 2°) oppure veniva eseguita con forze ridotte, ed allora correvamo l'alea di vederle sopraffatte o tagliate fuori dalle basi; ed in tal caso, alle prime minacce insorgenti, saremmo stati trascinati a spedire altre forze, ingolfandoci in una via irta di incognite e di pericoli. Indipendentemente dal diretto intervento delle trupperegolari greche (nel qual caso la nostra forza occupanteBeratdovrebbe essere molto considerevole), si richiederebbe una rilevante forza solo tenendo conto delle bande epirote e albanesi che la Grecia potrebbe facilmente costituire ed aiutare, per quanto di nascosto. Ero perciò d'avviso che la Grecia potesse esser messa nella impossibilità di nuocerci (sia apertamente, sia di sottomano per mezzo delle bande), dichia randole esplicitamente che nel caso in cui essa accennasse a varcare il confine albanese, o susci tasse movimenti insurrezionali nella regione di Berat, noi le avremmo mosso guerra. Una energica e sollecita minaccia di rappresaglia da esercitarsi bombardando il Pireo e l'arsenale di Salamina, ed occupando taluna delle isole principali, sarebbe valso a sconsigliare la Grecia dall'occupare Berat

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o dal -farvi insorgere gli abitanti contro di noi, assai meglio dell'invio in tale località delle limitate forze di cui poteva disporre il corpo di spedizione. Accennando alle isole greche, intendevo alludere specialmente a quella diCorfù che ci avrebbe dato il possesso del relativo canale del relativo canale il quale, per consenso dei nostri ufficiali di marina, era più importante, in grazia della sua doppia uscita, come base ma rittima, del golfo di Valona. Per tutte queste ragioni, io esprimevo parere recisamente sfavore vole all'invio di truppe nostre a Berat, convinto com'ero che tale invio avrebbe costituito il prin cipio di un'avventura di cui nessuno poteva mi surare le conseguenze. Di fronte a questo pericolo mi sembrava che qualsiasi altra considerazione dovesse cadere, essendo evidente che qualsiasi compromissione del nostro prestigio dovesse tornar nociva anche alla nostra penetrazione economica, politica, d'influenza e di cultura nella penisola balcanica, la quale sarebbe invece riuscita facile dopo una guerra vittoriosa. Come emerge da quanto ho detto, imperava nel Governo la medesima mentalità che aveva condotto pochi mesi prima al disastro nella Libia, ed ancora non si comprendeva che non potendo proporzionare le forze ai fini desiderati, non rima neva che proporzionare i fini alle forze disponibili: la recente terribile lezione a nulla aveva giovato, e la lotta per parte mia fu dura per scongiurare il disastro che mi appariva inevitabile!

Nello stesso giorno 16 dicembre, ore 22.45, il ministro della guerramitelegrafava cheil generale Bertotti aveva espresso parere favorevole alla occupazione di Berat nèciò mi sorprendeva ma per eseguirla e mantenerla richiedeva un altro reggimento di fanteria, un battaglione alpini ed una batteria someggiata; ed inoltre due compagnie

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genio per la costruzione della rotabile di congiun zione con Valona.

Rispondevo nel mattino seguente che, come facilmente prevedevo, eravamo già al principio delle richieste di truppe di cui nessuno poteva misurare il termine. Confermavo perciò più che mai le conclusioni della mia lettera del giorno innanzi .

Ho creduto di entrare in tutti i precedenti particolari perché essi pongono in luce quante difficoltà all'atto pratico s'incontrino nello stabilirsi una linea di condotta netta e precisa e nel seguirla senza lasciarsi dalla medesima sviare dalle parti colari circostanze che sorgono ad ogni istante; poiché sono appunto questi sviamentiche condu cono per vie piene diincognite, le quali, improvvi samente rivelandosi, riescono spesso a compro mettere lo scopo principale che si vuol raggiungere.

VII .

Intanto erasi ultimato lo sbarco del corpo di spedizione a Valona, e la brigata Savona erastata avviata verso Durazzo, al comando del generale Guerrini.

L'esercito serbo continuava in questo mentre la sua disastrosa ritirata. Un telegramma del R. Console a Scutari, partecipatomi a tarda sera del 17 dicembre dal ministro degli affari esteri, espo neva le condizioni critiche in cui il detto esercito si trovava, secondo le dichiarazioni dello stesso Governo serbo. I Serbi si erano ritirati e ancora si ritiravano fra ogni specie di difficoltà attraverso le Alpi albanesi, col proposito di venirsi a rior ganizzare, a riarmare e prepararsi ai nuovi cimenti che li aspettavano in avvenire insieme agli alleati.

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Essi erano stremati di forze, senza viveri, senza la necessaria quantità di armi e munizioni, privi di carriaggi che avevano dovuto abbandonare in quella regionemancante di strade rotabili. Espo nendo tale critico stato dell'esercito, il Governo serbo pregava gli alleati di spedire una flotta a prendere le truppe (circa 50.000 uomini) e traspor tarle in luogo dove avrebbero potuto tranquilla mente riorganizzarsi. Rispondevo il giorno 18 che l'invio del prece dente telegramma mi faceva pensare che il Mini stro desiderasse conoscere le mie impressioni sulla situazione in Albania. Allo stato delle cose non vedevo altra soluzione all'infuori di quella di far ritirare i Serbi che erano ancora in grado di farlo sulla linea dello Skumbi e poi sul Semeni, occu pando con la loro destra Berat. In tal caso, le nostre truppe occupanti Valona e spinte senza altri disperdimenti fino alla Vojussa, avrebbero potuto approvvigionare e rifornirei Serbi, ed impe dire ai Greci di occupare Berat. Quanto ai Serbi ripiegatisi su Scutari, se le loro condizioni e le mi nacce degli Austro-Bulgari erano quali le riferiva il R. Console a Scutari, non vedevo altra possibi lità di soccorso che per la via di mare. Circa l'im piego delle nostre truppe confermavo pienamente ciò che più volte avevo scritto e telegrafato, cioè che giudicavo pericolosissima qualunque disper sionelungida Valona, che ci esporrebbefacilmente a scacchi contro Bulgari o Greci, scacchi molto compromettenti pel nostro prestigio, e perciò con incalcolabili ripercussioni.

Lo stesso giorno 18 dicembre un telegramma del ministro della guerra mi riferiva che, viste le complicazioni nella penisola balcanica e la situa zione in Albania, ilGoverno non intendeva per il momento di occupare Berat, ed aveva telegrafato

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al generale Bertotti perché raccogliesse, dove e come ritenesse opportuno, la colonna Guerrini e limitasse il proprio compito a rafforzare e mante nere in modo assoluto il possesso di Valona, visto che la situazione serba ed albanese aveva tolto il suo valore iniziale all'obbiettivo di Durazzo. Tuttavia,tenutoconto di eventuali complicazioni, il Governo riteneva necessario avere a disposizione a Valona una riserva forte di 5 o 6 battaglioni. Non potendosi in quel momento usufruire dei 6 battaglioni che dovevano rimpatriare da Tripoli (come già dissi) perché la marina non poteva assi curare il trasporto, il Ministro mi pregava di far con centrare al più presto a Tarantola suddetta forza.

Rispondevo lo stesso giorno 18compiacendomi, nell'interesse del Paese, che il Governo, con la deci sione relativa a Berat, avesse aderito al concetto da me ripetutamente sostenuto circa i pericoli insiti all'occupazione di localitànell'interno della Albania; dolentesoltanto che la rinunzia della marcia su Du razzodellacolonnaGuerriniavvenissecosì tardie sot tolapressionedegli avvenimenti. In esito alla richie sta dei battaglioni da concentrare a Taranto, dispo nevo per l'invio di due reggimenti, uno dell'esercito permanente e l'altro di milizia territoriale. Nel medesimo giorno 18 anche il presidente del Consiglio mi telegrafava che « aderendo alle « considerazioni dell'E. V., e anche perchè la situa « zione è mutata, abbiamo rinunziato al proposito « di occupare Berat »; ed insisteva per l'invio dei 6 battaglioni a Taranto, per esser pronti a rag giungere rapidamente Valona se questa fosse mi nacciata essendo « risoluzione irrevocabile di Go «verno che sia mantenuto, in qualunque ipotesi, «il possesso di Valona », il cui abbandono avrebbe dato un colpo fatale al nostro prestigio, verso i nemici e verso gli alleati e anche verso l'interno.

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Ciò che il presidente del Consiglio diceva, era evidente, e al punto a cui erano giunte le cose, io non ho mai pensato che si potesse abbandonare Valona. Perciò risposi tosto assicurando dell'invio dei 6 battaglioni a Taranto. Il seguente giorno 19 credetti opportuno di riassumere al presidente del Consiglio quanto era fino allora avvenuto, in una lettera, il cui contenuto è bene di riferire in parte, contenendo essa la morale della precedente controversia tra il Governo e me. Premesso che io scrivevo nel solo intento di concorrere, per quanto stava in me, al migliore andamento delle cose, così continuavo:

Appena decisa la spedizione in Albania, sembrandomi ovvio che sotto il puro aspetto delleoperazionimilitari i concetti generali di impiego delle truppe dovessero essere fissati dal Capo di stato maggiore dell'esercito, consegnai (in data 20 novembre) al generale Bertotti le miedirettive, basate sulleconclusioni con cretate nella riunione dei Ministri avvenuta pochi giorni prima durante la mia permanenza a Roma. Senonchè, il giorno 5 di cembre, valea dire tre giornidopo lo sbarco a Valona del gene rale Bertotti, mi giunsedalMinistero della guerra copia del De creto Luogotenenziale 1° dicembre, in cui , all'art. 5,si stabiliva che il comandante del corpo speciale in Albaniadipende esclusi vamentedalMinistero della guerra, dal quale riceve gli ordini, edal qualeriferisceperqualsiasiramodiserviziogeneraleospeciale.Mi affrettavo quindi, nello stesso giorno 5dicembre, a tele grafare a S. E. il Ministro che ritiravoalgenerale Bertotti le mie direttive, lasciando al Ministro di sostituirle con quelle che avesse reputate del caso.

Il giorno 7 dicembre S. E. il Ministro prese atto del mio telegramma, e mi pregò di comunicargli le direttive che avevo date al generale Bertotti, « per seguire, per quanto possibile, uni forme indirizzo » . Con tale richiesta S. E. il Ministro forniva la prova che, mentre aveva concorso a promuovere il Decreto Luo gotenenziale 1° dicembrecol quale era messo alla sua esclusiva di pendenza il corpo di spedizione, a tutto il 7 dicembre non aveva ancora concretate le direttive necessarie per il generaleBertotti, il quale pure si era trattenuto lungo tempo a Roma, e da cinque giorni era sbarcato a Valona, anzi, fin dal giorno 4,aveva ordi nato alla colonna Guerrini di iniziare la marcia su Durazzo per la via di terra.

Tale marcia, appena ne ebbi notizia, la giudicai pericolosis sima, e mi credettiin dovere di segnalarne subito i pericoli (fo

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mente presa

glio 1152 del 6 dicembre, inviato in comunicazione all'E . V.), come segnalai quelli derivanti dalla determinazione successiva o in procinto diessere presa di occupareBerat. Se io intervenni e feci presentile mie considerazioni, non fucerto per tentare di ingerirmi nell'andamento delle operazioni dal quale ero stato escluso,ma perchèmi credevo in obbligo di met tere in avvertenza il Governo del pericolo che sipresentava chiarissimo alla miamente,e del danno cheall'esercito combat tente in Italia sarebbe derivato dal fatto che l'Albania potesse assorbire forze in quantità imprevedibile, e se sifossero ascoltate le insistenti sollecitazioni a perseguire quelle finalità politiche che il R. Ministro a Durazzoprospettava e raccomandava da tempo, senza poterne misurare le conseguenze di ordine militare.

Gli avvenimenti posteriori hanno pienamente e sollecita mente confermatole mie previsioni: ipericoli derivanti dallo allontanamento delle nostre truppe da Valona sono apparsi evi denti e minacciosi anche piùpresto di quanto io avessisupposto, cosicchè il Governo ha saggiamente provveduto, conla delibera zione di ieri, a rinunziare al propositodi occupare Berat, limitan do l'azione del corpo dispedizionealla difesa di Valona.

E qui mi consenta l'E. V. di rilevare che se la decisione di cui sopra è derivata da un mutamento della situazione, tale mu. tamento non deve essere tornato disorpresa per il Governo, per chè era stato da me previsto ed illustrato; ed era appunto per scongiurarne le conseguenze cheio avevo espresso parere recisa mente contrario alla marcia su Durazzo (1) ed alla occupazione di località interne dell'Albania, benchèil mio intervento potesse, persino, apparire invadenza delle attribuzioni altrui.

Io non ho inteso con questa mia lettera di far constatare chele mie previsioni si sonopur troppo avverate perchè nulla è più lontano dall'animo mio ma ho desiderato riassumere gli avvenimenti,per concludere che se non esisteunità di condot ta e chiara visione dei fini da raggiungere e dei mezzi adeguati a tali fini, si corre inevitabilmente incontro a gravi pericoli: e se l'una cosa o l'altra mancheranno a chi si è assunta la direzione esclusiva delle operazioni, giungeremo facilmente alle stesse rovinose conseguenze lamentate per l'Eritrea nel 1896 e per la Tripolitania pochimesi or sono.

Io sarei ben lieto di sbagliarmi , ma temo che, nei riguardi della spedizione in Albania, abbia fatto finora difetto unchiaro concetto direttivo militare e, di quanto dico, è prova il fatto che si reputò che coi 18 battaglioni sbarcati a Valona si potesse avventurare la colonna Guerrini su Durazzo per la pericolosa via di terra, mentre a pochi giorni di distanza non si re putano sufficienti le forzestesseper assicurare la sola occupa zione di Valona .

( 1) Ben inteso che io consideravo pericolosa la marcia su Durazzo per la via di terra , perchè come dissi altra volta , presentava gli stessi periculi dell'oc cupazione di punti interni dell'Albania, a distanza da Valona.

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Il 3 gennaio 1916 io fui invitato ad un con vegno al palazzo Braschi in Roma, al quale oltre al presidente del Consiglio intervennero i ministri degli affari esteri (on. Sonnino), del tesoro (on. Carcano), della guerra (generale Zupelli) e della marina (vice ammiraglio Corsi). Dopochè l'on. Sonnino ebbe espostalasituazione internazionale e l'on.Carcano la difficile situazione finanziaria, io fui invitato dalpresidentedelConsiglioadesporre la si tuazione militare. Ultimata questa esposizione, la discussione fu portata sulla questione di Albania. L'on. Sonnino espose le ragioni che avevano consigliato di occupare Durazzo (dove, negli ultimi giorni era stata spinta la brigata Savona, agli ordini del generale Guerrini), e manifestò il desiderio che sirinforzasse quel distaccamentocon un reggimento. Presi allora io la parola e dopo avere ricordato le precedenti discussioni e il modo come si era addivenuti, malgrado le mie riserve, all'occupa zione di Durazzo per via di terra, osservavo che il potervi ora rimanere senza pericolo, dipendeva dalla possibilità di potere imbarcare le truppe in caso di forte pressione nemica. Richiesto ilmini stro della marina se poteva dare questa assicura zione, rispose affermativamente, pur non esclu dendo il pericolo dei sottomarini. Io, prendendo atto di questa dichiarazione, riconoscevo che nella situazione di quel momento le truppe potevano rimanere a Durazzo.

L'on. Salandra osservava allora che, se im portanti forze nemiche si fossero dirette a Valona, si sarebbero ad esse dovute riunire anche le truppe distaccate a Durazzo; e che se notevoli forze nemi che si fossero dirette a Durazzo, le truppe quivi dislocate si sarebbero dovute trasportare a Valona.

IHI
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VIII

Io, che avevo sempre patrocinato taliconcetti, non potevo che associarmi pienamente alle parole dell'on. Salandra. Aggiunsi solo che, verifican dosi il primo caso, si sarebbero dovuti traspor tare a Valona anche i sei battaglioni dislocati a Taranto, non essendo troppi i 27 battaglioni dispo i nibili in complesso, per coprire Valona sulle due estese linee della Vojussa o della Suscica. Osservava allora l'on. Sonnino che non si doveva ritirare troppo presto il distaccamento di Durazzo, ma solo quando si prevedesse di non potervisi sostenere (1).

È ben difficile di determinare militarmente il momento preciso in cui si deve prevedere di non potersi sostenere in una determinata posizione; e quando questa è molto pericolosa, com'era quella di Durazzo, priva di buone linee di difesa, con forze limitate, col mare alle spalle, quando l'im barco delle truppe richiede tempo, non disponendo che di un porto malsicuro, a piccoli fondalie molto scarsamente dotato di mezzi d'imbarco quando tutte queste circostanze si verificano, o non si deve occupare quella posizione o se ne deve ordinare in tempo debito lo sgombro, cioè quando la minac cia nemica non è molto prossima. E appunto per aver violato questa norma che si produsse come si vedrà in seguito lo scacco di Durazzo. E per concludere circa la riunione dei Ministri del 3 gen naio, riferirò allo scopo di essere il più possibile esatto e di dimostrare che tale io sono il seguente brano di una lettera trasmessa il 13 gennaio al ministro della guerra: « Osservo infine, che nella. « riunione di alcuni Ministri tenutasi in Roma il

( 1 ) Posso assicurare l'esattezza di tutti questi particolari, come pure di quelli degli altri colloqui avuti con Ministri; poichè io non scrivo a me moria; la quale, sebbene buona, a quasi dieci anni di distanza potrebbe tra dirmi, ma ho per guida le note che avevo l'abitudine di prendere subito dopo i colloqui con Ministri e che sostituivano , almeno in parte, i verbali che il capo del Governo non voleva che si estendessero .

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«3 gennaio, alla quale hapartecipato il sottoscritto, « è stato convenuto, inseguito a parere espresso « da S. E. il presidente del Consiglio e da me pie (namente condiviso, che in caso di attacco di forze importanti su Valona, si sarebbero ivi concen « trate anche le truppe dislocate a Durazzo, tra « sportandolepermare ».

Intanto graviavvenimenti maturavano.GliAu striaci,impadronitisi del monteLovcen, entravanoil 13 gennaio in Cettigne, ela famigliaRealemontene grina, riparatasi a Scutari, s'imbarcava per Brin disi. Il 17 il presidente del Consiglio ungherese annunciava alla Camera che il re e il Governo del Montenegro avevano chiesto di trattare per la pace e che il Governo austro-ungarico aveva imposto il disarmo generale e il concentramento di tutti gli uomini validi. Ma il 19 il re Nicola del Montenegro e il presidente del Consiglio monte negrino dichiaravano di non avere accettate le condizioni di pace austriache e di organizzare la difesa ad oltranza .

La stampa alleata, specialmente la francese, rimproverava all'Italia di nulla aver fatto per salvare il Montenegro. Ma erano rimproveri del tutto immeritati. Non si poteva difendere il Lov cen senza difendere tutto ilMontenegro, né difender questo senza difendere la Serbia, la quale non avrebbe potuto essere salvata che nel caso in cui fosse stata organizzata in tempo e con forze suffi cienti, la spedizione di Salonicco. Ormai, caduta la Serbia, il Montenegro poteva essere avvolto d'ogni lato. Sarebbe stato necessario, per salvarlo, organizzare in tempo una grande spedizione di soccorso, con forze proporzionate all'entità della minaccia. Ma dove sbarcarle? A Valona? Ma come

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IX .

si poteva far percorrere al corpo di spedizione i 200 chilometri in linea d'aria, senza strade, che lo separavano dal Montenegro? A Durazzo, a San Giovanni di Medua, ad Antivari? Ma sono tutti approdi di gran lunga insufficienti ad una grande spedizione, minacciati dai sommergibili nemici. annidati nell'ottima base di Cattaro e congiunti con l'interno da pessime vie di comunicazione. E poi, dove avremmo trovate le forze per una consi derevole spedizione? Le nostre erano appena suffi cienti per la vastissima fronte. In quel momento le forze austriache che ci fronteggiavano sulle Alpi erano ancora limitate e sulladifensiva. Ma se per la prossima primavera gl' Imperi centrali avessero organizzato una grande offensiva contro di noi, le nostre forze avrebbero potuto dimostrarsi scarse a resister loro; né avremmo forse potuto esser soccorsi in tempo dai Franco-Inglesi, così mal collegati con noi dalle sole due lineead unico binario del Cenisio e della Riviera. La piú elemen tare prudenza consigliava adunque di non sot trarre forze alla nostra fronte principale, né per una grande spedizione in soccorso del Montenegro, né per raggiungere scopi secondari in Albania. Gli avvenimenti del maggio e giugno successivo lungo la fronte Trentina hanno pienamente con fermato il valore di queste considerazioni. Il 18 gennaio il presidente del Consiglio mi te i legrafava che gli ultimi avvenimenti del Montene gro avevano gravemente impressionato l'opinione pubblica all'interno e all'estero ed avevano mutato la situazione politica e militare, specialmente nei rispetti della penisola balcanica e dell'Albania. Era necessario esaminare a fondo tale situazione e prendere importanti deliberazioni: il che il Go verno non riteneva di poter fare senza il parere e l'intesa del Capo di stato maggiore. Mi si pregava

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perciò di intervenire ad una conferenza di Ministri che avrebbe luogo il giorno 22 a palazzo Braschi. Io rispondevo tosto assicurando del mio arrivo in Roma; ma, vista l'importanza grandissima dello argomento e delle deliberazioni da prendersi, espri mevo il desiderio che delle sedute si redigesse pro cesso verbale. Circa l'Albania, considerando che eravamo ancora in tempo a scegliere la meno pericolosalinea di ritirataper la via di terra, linea che allora era ancor sicura per il distaccamento di Durazzo, esprimevo l'opinione, in armonia al parere costantemente manifestato, che non si do vesse frapporre indugio allo sgombro di Durazzo, effettuandolo prima che si manifestasse la pres sione nemica (1), e che si concentrassero tutte le truppe in Valona, ciò essendo anche necessario allo scopo dispingervi alacrementei lavori didifesa.

Rispondeva il presidente del Consiglio che era dolente di non potere aderire al desiderio da me espresso che fosse redatto processo verbale della riunione, essendo escluso per costante con suetudine qualsiasi processo verbale delle confe renze fra uomini di Governo, nelle quali doveva regnare la massima libertà di parola e non si am mettevano segretari. Intanto, egli soggiungeva, nessuna risoluzione circa l'Albania poteva essere pregiudicata, perchè appunto questo argomento, in connessione con la situazione generale politica e militare, sarebbe il tema della discussione. Tro vai strano che, trattandosi di discussioni e deli berazioni della massima importanza, non si volesse - allo scopo di ben definire la responsabilità di tutti e di ciascuno non si volesse,dico;stendere, il processo verbale. Ma, così stando le cose, per sal

( 1 ) Ben inteso che tale sgombro avrebbe dovuto avvenire immediata mente dopo che il distaccamento avesse soddisfatto al suo compito di pro teggere la ritirata dei Serbi, e prima di essere attaccato dalleforze austriache: il che esso avrebbe benissimo potuto fare, come si vedrà in seguito.

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10 L. CADORNA - Altre pagine sulla grande guerra.

vaguardare, per quanto possibile, la mia respon sabilità, non mi restava che prender nota, subito dopo la riunione, delle principali cose dette e deli berate, e soprattutto consacrare in una lettera di ufficio le deliberazioni di maggiore importanza. Alle ore 16 del 22 gennaio io mi trovavo adunque al convegno di palazzo Braschi al quale intervenivano gli stessi ministri dell'ultima riu nione del 3 gennaio (on. Salandra, Sonnino, Car cano, generale Zupelli e vice ammiraglio Corsi). Non tardai ad accorgermi che tutti eranod'accordo, dominati dalla forte volontà dell'on. Sonnino, per farmi capitolare inducendomi ad inviare molte altre truppein Albania, e che io mi sarei trovato solo a sostenere la tesi contraria. Ma io ero ben deliberato a far fronte alla tempesta e a dimet termi dalla carica che occupavo, piuttostoché lasciarmi trascinare per una strada che, con pro fonda convinzione, giudicavo funesta agli interessi del Paese.

Iniziava la discussione l'on. Sonnino con molte e già note considerazioni sui nostri interessi in Albania, i quali facevano capo a Durazzo; d'onde la necessità, non solodimantenere occupato questo punto,maeziandio altripuntinell'internoper acqui stare il dominio sul territorio circostante aDurazzo.

Ciò avrebbe anchevalso, secondo lui, ad acquistare dei pegni territoriali che ci sarebbero stati preziosi al momento della conclusione della pace. A questo punto, dunque, non si trattava ditener Durazzo soltanto in relazione alla necessità di salvare i resti dell'esercito serbo, ma con scopi assai più vasti e pericolosi.

Io replicavo che mi ero sempre opposto alla spedizione di Albania, anche se iniziata con soli tre battaglioni,perchè prevedevo che, presi nello ingranaggio della impresa, questa avrebbe poi

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richiamato molte forze. E difatti eravamo già arrivati a 27 battaglioni (un intero corpo d'Arma ta), nè si poteva prevedere dove ci si sarebbe fer mati; e ciò senza tener conto delle molte artiglie rie di vari calibri e degli svariatissimi ed abbon danti materiali di ogni genere, dei quali, sulla fronte principale, avevamo tutt'altro che dovizia. Io apprezzavo l'importanza delle considerazioni politiche esposte dall'on. Sonnino, ma l'azione politica doveva essere subordinata alle possibilità militari, poichè son queste che danno mododi attuare i fini politici. A Durazzo era stata studiata una testa di sbarco di 42 chilometri di sviluppo, in terreno piano e privo di importanti ostacoli natu rali; si poteva perciò immaginare quante truppe avrebberichiesto la sua occupazione tenuto conto delle notevoli forze che il nemico avrebbe potuto condurvi in primavera, sistemando intanto le strade. Si consideri inoltre quanti mezzi, in arti glierie e materiali avrebbe richiesto la sistemazione della testa di sbarco e della base per operare verso l'interno. Tutte queste forze e mezzi sarebbero stati sottratti al teatro di guerra principale com promettendo ivi l'esito delle operazioni offensive quando dovessero essere intraprese, ed anche di quelle difensive se in primavera dovessimo andar soggetti ad un attacco in grande stile. Nessuno poteva prevedere quante forze avremmo dovuto ancora mandare inAlbania, se si continuava per questa strada, tenuto conto che non è soltanto alla difesa di Durazzo che si sarebbe dovuto prov vedere, ma anche a quella di Valona, il qual punto poteva essere attaccato contemporaneamente a Durazzo seguendo linee d'operazioniindipendenti da quelle che adducono a Durazzo; da uno studio che avevo fatto eseguire, per la sola difesa di Va lona, se fosse seriamente attaccata, si richiedevano

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almeno tre divisioni. In conclusione, io dovevo dichiarare che se mi fossi esposto a perdere una battaglia nel Veneto per avere acconsentito a disperdere le forze su teatri di guerra secondarî, io mi sarei reso meritevole di fucilazione. In quanto alla base di sbarco io dovevo ancora osservare che il porto di Durazzo, con fondalidi soli 4-5 m. ed aperto ai venti di libeccio, scarsissimo di ban chine e di altri mezzi portuali, malissimo si pre stava allo sbarco e al rifornimento di un forte corpo di spedizione. Accennavo poi alla grave spesa che avrebbe richiesto l'invio di un forte contingente in Albania, e ricordavo che una delle ragioni per cui il Governo aveva respinto la mia proposta del nostro concorso in Macedonia, era quella della spesa, costando colà ogni soldato, in media, il quin tuplo di quanto costava in Italia; e, osservavo, in Albania non sarebbe costato di meno. A tutte queste mie osservazioni, nessuno dei ministri: della guerra, della marina e del tesoro oppose contrarie ragioni. Quanto all'argomento deipegni, affac ciato dall'on. Sonnino, io replicavo che i pegni territoriali non hanno valore, se scompagnati dalla vittoria, e se questa la si ottiene, sono inutili i pegni, perchè essa permette di imporre al nemico le condizioni che sivogliono. Dunque, ciò che im porta è di ottenere la vittoria, e per ottenerla occorre la concentrazione dei mezzi sul teatro di guerra principale e decisivo, e non la loro disper sione sui teatri secondarî. Di questa palmare verità abbiamo poi avuto una prova decisiva alla fine della guerra. Quanti pegni territoriali avevano nelle mani gli Imperi centrali! Quasi tutto il Bel gio,diecidipartimentifrancesi, più di due province italiane, un largo tratto di Russia, gran parte della Romania, tutta la Serbia e tutto il Montenegro! Eppure, perduta con le ultime battaglie la guerra,

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furono costretti, non solo a restituire tutti i pegni, ma a cedere alcune delle loro province, con l'ag giunta della dissoluzione dell'Austria!

La discussione finì per assumere un tono tem pestoso, e io dovetti dichiarare che ciò che avevo detto l'avevo profondamente meditato, che nulla avevo da mutare, e che se la mia persona fosse d'ostacolo all'attuazione degli intendimenti del Governo, non c'era che da sostituirmi; e quanto a me, non ci tenevo affatto a conservare la pesante carica che mi era stata affidata (1).

Ritornato a Udine, il presidente del Consiglio mi telegrafava il 26 gennaio che il Consiglio dei ministri aveva deliberato di rinforzare il corpo speciale d'Albania con un'altra divisione. Oh, la mentalità parlamentare delle deliberazioni collet tive! Non v'ha dubbio che, giunte le cose alpunto a cui si trovavano, era necessario portareilpresidio di Valona a quella forza che fosse reputata con veniente a fronteggiare la minaccia che, in seguito alla dissoluzione dell'esercito serbo, incombeva su quel punto; ma questa deliberazione di carattere strettamente militare, non era il Consiglio dei mini stri che aveva la competenza di prenderla. Ed ingrossando in tal modole nostre forze a Valona, non si accresceva in pari tempo la tentazione, qualora la minaccia nemica si dileguasse, ad ado perarle in aleatorie operazioni nell'interno? Scrissi allora (il 28 gennaio), la seguente lettera al presi dente del Consiglio rimasta senza risposta anche per fissare in un documento scritto i capi saldi delle cose dette nel convegno del 22 gennaio,

(1) L'on. Sonnino, del quale tutti hanno ammirato il grande patriotti smo, il disinteresse, il carattere, la rettitudine e la vasta coltura, tendeva a vedere lequestioni da un punto di vista unilaterale; e quando si era for mata un'opinione, la difendeva con una ostinazione senza pari : il che era un bene quando la deliberazione da lui adottata era giusta , ma era un guaio quando le sue opinioni erano , come nel caso del quale parlo , molto discutibili.

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del quale non si era voluto redigere processo ver bale, ed affinchè lo stesso presidente conservasse, delle idee scambiate in quella riunione sotto il punto di vista militare, una traccia più completa del semplice ricordo dell'esposizione orale:

Eccellenza ,

Ho preso conoscenza della deliberazionedel Consiglio dei ministri,comunicatami con telegramma di V.E. in data 26 cor rente, ed ho ricevuto da S. E.il ministro della guerrale prime comunicazioni circa la natura e la costituzione della divisione da inviarsi in Albania .

Rimane ben fermo, secondo la lettera della predetta deli berazione e secondo quanto io ebbi ripetutamente a dichiarare, sia personalmente a V. E., che agli altri membri del Gabinetto, che queste forze sono destinate esclusivamente alla difesa di Valona. Chè, se io riconosco la necessità di tenere questo punto , ora che vi si è sbarcati, sono d'altra parte convinto che, per di fendere la testa di sbarco di Valona contro un forte attacco, occorrono tre divisioni, quali si avranno soltanto allorchè a Va lona si saranno riunite le forze attualmente distaccate a Durazzo ; forze che devono essere ritirate in tempo, prima che si manifesti la pressione nemica, per evitare uno scacco, le cui ripercussioni non sarebbe possibile misurare.

Al quale proposito è opportuno ch'io ripetaancora unavolta, è chiarendolo, ilmio pensiero,già espostonella riunione dei mini stri del 22 gennaio , circa la questione di Durazzo. Premetto, e non ho bisogno di dimostrarlo, che l'importanza della occu pazione di Durazzo, considerata come scopo a se stessa, sarebbe militarmente nulla; mentre è facile prevedere che essa ci trasci nerebbe ad operazioni offensive verso i laghi, operazioni cui gli alleati non mancherebbero di spingerci con ogni loro possa, spe cialmente quando si pronunziasse l'offensiva austro-tedescain direzione diSalonicco.E allora, per operare verso ilaghi, occor rerebbe, a copertura del fianco,almenoun corpo d'osservazione verso il Montenegro, il che richiederebbe una grande quantità di forze, oltre a quelle che rimarrebbero immobilizzate alla base. Ma, pur prescindendo da quest'ultima considerazione, e per rimanerenelcampo della semplice difesa di Durazzo, osservo che la testadi sbarcomisura quivi 42 chilometri di sviluppo in con dizioni di terreno sfavorevoli. E perciò, a difenderla, basterebbero a mala pena tre divisioni; e si richiederebbero, a compensare le sfavorevoli condizioni naturali, ingentissimiapprestamenti, che richiederebberolungo tempo per essere condotti a termine e numerose artiglierie dimedio calibro che quasi certamente non avremo.

A tutto ciò non potrebbe certo provvedere l'attuale corpo

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dioccupazione in Albania, le cui forze, pur con gliaumenti testè deliberati, sono state commisurate alle esigenze della difesa della solaValona; nè, come V. E. comprende, iopotrei mai, incoscien za, liberamente consentire ad ulteriori distrazioni di forze e di mezzi già scarsi le une e gli altri dal teatro d'operazioni principale, su cui devono decidersi le sorti della guerra.

Aggiungo appena che la difesa di Durazzo importerebbe vasti rifornimenti di viveri, munizioni e materiali, per cui quella baia, angusta e malsicura,non offre certo nessunagaranzia.

Pertanto , la difesa ad oltranza della testa di sbarco di Du razzo sarebbe, nelle attuali condizioni, certamente inattua bile. Ora non v'ha dubbio che il dilemma tra difesa ad oltranza e sgombero nonammette alcuna soluzione intermedia, la quale nonpotrebbe condurre che a far rigettare le nostre truppe in mare, dacchè nessun assegnamento potrebbe farsi sulle comunicazioni per via di terra .

Val quanto dire che non potendosi proporzionare i mezzi al fine,s'impone di proporzionare il fine ai mezzi non dovendosi di menticare che, in qualunque impresa, il disegno politico rimane, per forza di cose, subordinato alla possibilitàmilitare di tradurlo in atto .

Consenta V. E. ch'io rammentiqui come, appunto per non essersi in tempo riconosciuto ed applicato questo principio, e ciò malgrado lemie replicate insistenze(I),ciè toccatolo scorso anno ildisastro della Tripolitania, nel quale non solo le truppe che già erano in colonia si trovarono coinvolte, ma anche ben 19 battaglioni della madre-patria che, nonostante le mie resistenze, furono gradatamente assorbiti, e che andarono del tutto perduti per leoperazioni in Italia.

Cid io ricordo non già a scopo disterilerecriminazione, ma pel vivo desiderio che l'esperienza delpassato, pur tanto dolo rosa, nondebba almeno andare perduta. Tantopiùche queste ragioni militari dipalmare evidenza sisono certo affacciate nel loro complesso al lucido intelletto dell'E. V. allorchè, nella riu nione deiministri tenutasiin Roma il 3 gennaio u. s., con esatta visione della situazione militare - cui io mi associai completa mente dichiarava che, in caso di attacco di forze importanti contro Durazzo, le nostre truppe ivi dislocate avrebbero dovuto ripiegare per congiungersi conle altre a Valona.

E sono, queste ch'iosono venuto esponendo e che V. E. già aveva intuite, ragioni militari che non io soltanto, ma anche e specialmente ilministro dellaguerra che non solo è il naturale tutore degli interessi militari del Paese_nel seno del Consiglio, ma anche presiede, in forza del noto Decreto Luogotenenziale, alle cose militari dell'Albania avrebbe dovuto prima d'ogni altro sostenere; edio molto mi dolgochenell'ultima riunione dei ministri tenutasi il 22 gennaio, eglisia rimasto muto sull'impor

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(1) Vedasi il Capitolo III di questo libro.

tante argomento e non mi abbia affatto appoggiato, o contrad detto se tale era la sua convinzione.

Ad ogni modo rimane ben fermo che l'invio a Valona di una divisione, secondo il deliberato del Governo, rappresenta una sottrazione che io già faccio ben a malincuore, e che ad ogni modo non sarebbe giustificata se, prima che su queste forze,non si facesse integraleassegnamento per la difesa di Valona, sull'at tuale presidio di Durazzo e sulreggimento tuttorain Italiaalluogo d'imbarco .

Ciò dico perchè l'invio di questa divisione in Albania è prov vedimento grave nel momento attuale, date le condizioni del l'esercito operante, oggi assai ridotto di forze per la deplorevole trascuranza che il Ministero della guerra ha posto malgrado delle mie insistenti sollecitazioni (1) nella organizzazione dei complementi; il chegià ebbi a segnalare a V. E. nel mio foglio 10804 del 17 corr. Basti dire che una delle armate operanti, e precisamente quella che guarda lo sbocco di Gorizia, mentre dovrebbe disporre di 148.000 fucili,non ne ha che85.000,tenendo pur conto dei 25.000 uomini in licenza . Cosicchè io avrei forte mente desiderato che la partenza della divisione richiesta dal Governo fosse stata ritardata quantopiùpossibile,giacchèl'accen nata crisi nei complementi, che si v rendendo sempre più sen. tita, nonsarà superata cheal terminedi febbraio; tantoche ho dovuto giorni sono ritirare dalla fronte due divisioni ridotte ai minimi termini, e su di esse non si potrà fare più alcun assegna mento finchè esse non saranno riorganizzate, cioè nel prossimo

marzo

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Mi auguro almeno che la critica situazione in cui questa notevole sottrazione di forze, esoprattutto dimezzi,viene a porre l'esercito in campagna, sproni ilministro della guerra ad una più solerte previdenza,cosicchè ai bisogni dell'esercito operante, da me sempre in tempo segnalati sulla base delle constatate esi genze della guerra, siprovveda senza ritardi e senza leingiusti ficate resistenze chespesso incontrano le mie proposte, di alcune delle quali attendo l'esito da tempo.

Il 30 gennaio il Ministero della guerra mi comunicava le direttive finalmente inviate al ge nerale Bertotti per il distaccamento di Durazzo.

Vi si diceva che l'occupazione di Durazzo era stata determinata da obbiettivi prevalentemente politici: il rifornimento e lo sgombro dei Serbi e Montenegrini e l'appoggio all'autonomia albanese

( 1 ) Vedasi quanto ho scritto a questo riguardo a pag .

e

del Vol. I : La guerra alla fronte italiana.

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(Essad Pascià ), e si insisteva sulla necessità di evitarvi una situazione difficilmente sostenibile con le forze disponibili. A Durazzo si doveva rima nere solo finchè non fosse fatta segno a serie minacce cui le nostre forze non potessero far fronte. Tenendo conto degli avvenimenti nel nord dell'Albania dopo che gli Austriaci avevano occupato Scutari, la linea della Bojana e territori contigui, nonchè di eventuali minacce bulgare dalla regione dei laghi per la valle dello Skumbi, e nella previsione che si potesse avere contatto col nemico prima che lo sgombro dei Serbi e Montenegrini da Du razzo fosse compiuto, si davano le seguenti diret tive: 10) predisporre l'ordinato sgombro ed even tualmente effettuarlo per terra o per mare, come la situazione consiglierà; 2º) .

30) aiutare Essad Pascia con consiglioe con mezzi, senza però impegnare truppe nostre lontano dalla base; incitarlo ad organizzare con sua gente la guerriglia ed aiutarlo in tale opera. Mantenerlo ligio a noi, inducendolo, se occorra, ad abbando nare Durazzo, seguendoci, ed impedendo che passi all'avversario; 4 °) renderci conto, con ogni mezzo, della entità delle minacce nemiche affine di evi tare che l'abbandono di Durazzo non risulti pie namente giustificato dalle circostanze; 50) in caso di sgombro, il Comando del corpo speciale era li bero di effettuarlo per terra o per mare, secondo le circostanze del momento (minacce nemiche, con dizioni di difesa, situazione dei Serbi-Montene grini, spirito delle popolazioni, ecc.), e prendendo in tempo, pel caso di sgombro per mare, gli accordi col comandante dell'Armata navale.

Tali erano le direttive, le quali erano, nel complesso, rispondenti alla situazione che si era creata. Si vedrà in seguito in qual modo furono applicate.

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Il 12 febbraio giungeva in Udine il generale Pellé, delegato dalComando supremo francese, col quale io avevonelgiornostessounalungaconferenza.Riassunte le conclusioni a cui si era addive nuti all'ultima conferenza di Chantilly (dicembre 1915), circa l'inizio dell'offensiva sulle fronti prin cipali, il generale Pellé osservava che la data del 1 ° marzo doveva essere posticipata, stante il grado di impreparazione degli alleati. Ciò posto, non si poteva sperare, pel momento, di poter svi luppare sulle fronti principali alcuna azione deci siva, la cui ripercussione risolvesse la questione dei Balcani; era quindi su tale questione bal canica che doveva ora rivolgersi l'attenzione degli alleati. Il Governo francese temeva che, date le forze allora disponibili sul teatro balcanico (circa 200.000 uomini a Salonicco) gl'Imperi cen trali volessero risolvere la questione della Romania, sia con un'azione aggressiva, sia per intimidazione, inducendo il Governo di Bratianu a dimettersi per dar posto ad un Governo germanofilo, il quale smobilitando, e fors'anco concedendo il passo alle forze tedesche, comprometterebbe la situazione della Russia. Mentrela Russia aveva già provve duto a riunire la 7a Armata in Bessarabia per soccorrere la Romania, occorreva che da parte degli alleati fossero prese adeguate misure per scongiurare quel pericolo.

Il gen. Pellé escludeva a priori un'azione .decisivasul teatro balcanico intesa a raggiungere il Danubio per la valle del Vardar ed attraverso l Albania; ma giudicava però che un'azione offen siva, pure alimitato raggio d'azione, intesa a rag giungere Monastir, avrebbe attirato parte delle forze di cui disponevano gli Imperi centrali, la

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sciandone loro una quantità insufficiente per una minaccia sulla Romania, le cui forze, sostenute da200.000 Russi raccolti inBessarabia, basterebbero alla difesa. Passati in esame i mezzi disponibili della Francia, dell Inghilterra e della Serbia per esercitare tale azione da Salonicco, concludeva che, mentre le forze allora raccolte a Salonicco erano per numero e per organizzazione, all'uopo insufficienti, un sensibile rinforzo non si sarebbe avuto che a partire dall'aprile, quando i Serbi fossero riorganizzati, e quando esclusa una minaccia all'Egitto gl' Inglesi avrebbero potuto trasportare le divisioni che colà si trovavano. Il generale Pellé domandava quindi l'invio di forze italiane a Salonicco e il nostro concorso nelle ope razioni verso Monastir, operando dall'Epiro per la via Santi Quaranta-Monastir. Prima di prendere in esameilpiano proposto, io credetti necessario di accennare alla disponibilità delle nostre forze in relazione agli effettivi ed ai mezzi sui quali potevamofare assegnamento. Rias sumevo le infelici condizioni in cui il nostro esercito si trovava alla vigilia della guerra europea, gli sforzi fatti per ricostituirlo durante la neutralità, le deficienze che ancora sussistevano al momento della nostra entrata in guerra, specialmente nei quadri, nelle artiglierie, negli svariati mezzi tecnici deficienze che, fino a quel momento, non era stato possibile di colmare perchè le industrie ita liane non potevano raggiungere in pochi mesi il grande rendimento all'uopo necessario. L'esercito stava poi, in quel tempo, attraversando una vera crisi per il ritardo col quale il Ministero aveva prov veduto ai complementi, cosicchè gli effettivi di talune unità erano scesi molto al disotto della metà; crisi questa cui si poteva rimediare, ma in tempo non breve.

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In tali condizioni l'esercito italiano doveva difendere oltre a 600 chilometri di fronte, prescin dendo dalla frontiera svizzera, completamente aperta, ed attraverso la quale una minaccia se pure pocoprobabile nonsipotevaescludere. Le nostre forze,calcolateinbattaglioni, fronteggiavano quelle austriache nella proporzione di 5 a 3, ma, tenendo conto degli effettivi, tale proporzione variava sen sibilmente a vantaggio dell'Austria. Occorreva ancora tener conto del fatto che mentre noi, per ovvie ragioni, nell'interesse nostro e degli alleati, premevamo sull'Isonzo, avevamo alle spalle un esteso tratto del nostro schieramento, ove stavamo bensì sulla difensiva, ma che costituiva il settore più delicato e più sensibile di tutta la fronte, nel quale eravamo costretti ad immobilizzare molte forze, non potendo riprometterci, per la natura del terreno e per la direzione delle comunicazioni, di potere effettuare, se vigorosamente attaccati, quei rapidi concentramenti di forze che il nemico poteva invece attuare agevolmente su qualunque punto di quella fronte. Per tutte queste ragioni io concludevo che era già stato uno sforzo grande e fatto amalincuore l'invio di tre divisioni nei Balcani, e che non era possibile inviarvi altre truppe.

Dalle considerazioni esposte risultava che, sia per eventuali rinforzi degli alleati a Salonicco, sia per eventuali invii di nuove forze nel teatro bal canico da parte dell'Italia, un'azione nel teatro d'operazioni dei Balcani non potrebbe aver luogo subito, ma solofra qualche mese. Ora, non si poteva pensare che se la Germania avesse intenzione di agire in Romania, attendesse l'inizio della prima vera, quando doveva presumere che gli alleati sarebbero pronti all'offensiva sulle fronti principali. E se tale ritardo si verificasse, meglio converrebbe

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sotto tutti i punti di vista operare dalle fronti principali con tutte le forze, poichè queste colpi rebbero nel vivo le masse austro-tedesche. Nel teatro d'operazione balcanico, allo stato attuale delle cose, non solo le difficoltà topografiche arre sterebbero le operazioni degli alleati, ma, anche e soprattutto, metterebbero in valore le forze bul gare, e fors'anche quelle turche, per quanto riguarda l'esercito operante da Salonicco; e, per quanto interessava più direttamente l'Italia, le bande albanesi. A questo proposito io ricordavo quanto costarono le operazioni degli Austriaci in Bosnia Erzegovina, in condizioni simili a quelle che po trebbero presentarsi in Albania.

Io riassumevo finalmente il mio concetto, dicendo che: data la situazione degli alleati a Salo nicco, data la nostra disponibilità di forze, data la natura del terreno, un'azione dell'Intesa nei Bal cani non poteva allora in altro modo esplicarsi che nel trarre conla nostra minacciaininganno ilnemico; e fra qualche mese, quando forze e mezzi saranno disponibili, meglio varrà operare sulle fronti prin cipali.

In sostanza, la questione dell'aumento delle forze nella penisola balcanica, sia in Albania, sia a Salonicconon era questione semplice da consi derarsi isolatamente, ma era questione da inqua drarsi in quella molto complessa di tutta la guerra europea, a giudicare la quale al Governo, incom petente in materia, mancavano i necessari elementi di giudizio. Cosi, se io avevo dato avviso favorevole nei primi giorni di novembre alla spedizione di un massimo di tre divisioni a Salonicco, quando si potevaancorasperaredi spiegare nella valle del Vardar un'azione favorevole ai Serbi, non potevo più dimostrarmi propenso all'invio di altre forze nella penisola balcanica alla metà di febbraio

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del 1916 quando le tre divisioni previste erano già impegnate in Albania, quando i Serbi e i Mon tenegrini erano scomparsi dalla scena, quando l'Armata d'Oriente franco-inglese sembrava immo bilizzata nei dintorni di Salonicco, e quando, final mente, appariva non lontana la primavera nella quale potevano addensarsi - comerealmente si ad densarono dense nubi sull'Isonzo o nel Trentino.

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Nella guerra nulla v'ha di assoluto. La situa zione militare e politica varia continuamente, ed è solo tenendo conto giorno per giorno della com plessa situazione di fatto, che chi dirige l'azione militare può prendere le risoluzioni meglio rispon denti alle esigenze del momento. Chi operi diver samente e prenda delle risoluzioni importanti, guardando soltanto ad una delle facce del polie dro, prepara i disastri militari, che sono l'ineso rabile punizione degli errori che si commettono..

Nei seguente giorno 13 febbraio giunge vano in Udine il signor Briand, presidente del Consiglio dei ministri in Francia, il signor Bour geois, ministro senza portafoglio, il signor Albert Thomas, sottosegretario alle munizioni, e altri personaggi francesi, coi quali si rinnovò la discus sione sull'intervento italiano a Salonicco, addi venendo alle medesime conclusioni. In questa occasione, come già il giorno innanzi al generale Pellé, dimostrai a queipersonaggi che il miglior modo per accrescere nel più altogrado l'efficienza del nostro esercito, era quello difornirlo di arti glierie pesanti e di mitragliatrici nella maggior quantità possibile.

Il 9 febbraio veniva ultimato lo sgombro dei Serbi e cessava così la ragione che, anche a mio

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XI .

avviso, aveva giustificato il pericoloso invio di truppe a Durazzo.

Trascrivo dai miei appunti le seguenti righe, in data 13 febbraio:

« Gli Austriaci hanno occupato tutta la linea

« dell'Ismi, dal castello omonimo presso la foce,

« fino a Tirana, spingendo avanguardie sulla cresta

« delle alture fra Ismi ed Arzen, a Mali Barzes (18

« chilometri in linea d'aria da Durazzo). Sono ap «poggiati da 6000 comitagi albanesi, accolti con

« favore dalla popolazione, che, dopo l'allontana

« mento dei Serbi, ha ripreso atteggiamento turco

« austrofilo, ostile anche ad Essad, il quale dichiara

« di non poter contare che su due o trecento sol

« dati fedeli. Elbassan è occupata dai Bulgari e « Berat da bande albanesi. Il terreno, insolitamente

« asciutto, è favorevole ad un'avanzata nemica».

Da queste notizie si rileva quanto ci fosse da fidarsi degli Albanesi, quale assegnamento si potesse fare sui 50.000 Albanesi che Essad Pascià aveva assicurato di poter sollevare in nostro favore, e a quali pericoli saremmo invece andati incontro penetrando nell'interno dell'Albania e suscitando la guerriglia albanese. Apparisce pure da questo appunto quanto la nostra situazione a Durazzo fosse precaria! La ritirata per terra su Valona non sarebbe stata più possibile e quella per mare sarebbe stata molto difficile, sia per il pericolo di essere respinti al mare e di dovere eseguire il disa gevole imbarco (in quel cattivo porto) sotto la pressione e sotto il fuoco nemico, sia per i pericoli derivanti dai sottomarini durante la navigazione. Tale precarietà la rilevò il R. Console a Durazzo, comm . Piacentini, con suo telegramma diretto al ministro degli affari esteri, insistendo per l'im mediato ritiro delle truppe. Ma il ministro gli rispondeva il 13 febbraio che dal suo telegramma

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gli sembrava di rilevare una eccessiva preoccupa zione di effettuare spontaneamente lo sgombro di Durazzo. Pur riconoscendo che in proposito ogni altra considerazione doveva cedere alle ragioni militari, e che non conveniva impegnarsi a fondo per Durazzo, soggiungeva il ministroche dal punto di vista politico, sia per la ripercussione dello avvenimento in Italia, sia per la nostra futura posizione in Albania, occorreva non precipitare lo sgombero e non dare l'impressione che noi abban donavamo Durazzo senzatentare di opporre seria resistenza, fin dove questa apparisse possibile sen za compromettere la salvezza dell'intero presidio. Evidentemente sfuggiva alla mente del mini stro degli affari esteri che, col « tentare in quelle condizioni) di opporre seria resistenza », si correva il rischio di uno scacco quanto mai doloroso per il nostro prestigio, del quale tanto e così giustamente eglisipreoccupava. E finalmente egli dimostrava con quel telegramma di ingerirsi nelle direttive della azione militare, senza curarsi del ministro della guerra al quale - secondo il noto Decreto Luogo tenenziale spettava la responsabilità e la dire zione militare delle cose d'Albania.

A quest'ultimoperòioinviavo ilseguentegiorno 14, un telegramma nel quale dicevo che da un suo telegramma e da comunicazioni fattemi dal mini stro degli affari esteri avevo rilevato che la situa zione aDurazzo era compromessa, e poteva diven tare irrimediabile se non si provvedeva senza indu gio al ritiro del presidio. Per contro, da un tele gramma del generale Bertotti notavo che, proprio in quei giorni,venivano inviati a Durazzo dei can noni da 120. Tale provvedimento era in aperto contrasto con le direttive concordate tra il Governo e me, circa il carattere e gli scopi dell'occupazione di Durazzo, poiché questi materiali pesanti avreb

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bero reso difficile lo sgombro e facilmente sareb bero andati perduti per la difesa di Valona, cui avrebbero dovuto utilmente servire, evitando cosi ulteriori sottrazioni all'esercito operante. In vista di tali cose, sentivo il dovere di ricordare al ministro che la responsabi lità era a lui unicamente devoluta in forza del noto Decreto Luogotenenziale, e che non scemava punto per effetto delle comunicazioni saltuarie che mivenivano fatte sugliavvenimenti di Alba nia; poichè in questa, come in altre cose, non pos sono esservi due responsabili, nè io assumevo responsabilità derivanti da fatti ai quali mi ero costantemente dimostrato contrario, e che non avevo il potere d'impedire. XII

Come già dissi, era stata mandata per la via di terra la brigata Savona ad occupare Durazzo, al comando del generale Guerrini. Sul finire di gennaio si trovava a Durazzo un solo reggimento di quella brigata; l'altro si trovava ancoralontano sulla pista più che strada di Valona, attra verso ai pantani dello Skumbi. Intanto la città era ingombra di truppe serbe e di prigionieri au striaci affluenti dall'interno, esauriti dalla fame e dal freddo e sospinti dalle avanguardie nemiche, soprattutto dalle bande albanesi in armi.

Il 10 febbraio il Governo affidava il comando delle truppe al generale Giacinto Ferrero, conman dato scritto deiministri della guerra e degli esteri, nel quale erano fissate le medesime istruzioni con tenute nelle direttive al generale Bertotti e che ho precedentemente riferite. Inoltre, era esplicitamente raccomandato dai due ministri che, compiuto l'im

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11
L.
CADORNA Altre pagine sulla grande guerra.

e barco dei Serbi, della colonia italiana e di Essad Pa scià, fosse opposto all'occorrenza un simulacro di re sistenza, masenza pregiudicare la sorte della brigata Savona. L'incarico era preciso; ma, poichè il gene rale Ferrero era messo agli ordini del generale Ber totti, e poichè la distanza tra Valonae Durazzo è di 100 chilometri in linea d'aria per vie moltomala gevoli,e il primo generaleaveva un compito esclusi vamente militare, mentre il compito del secondo era militare e politico, ognuno vede icontrasti nei giu dizi e il danno che da ciò poteva derivare. Il generale Ferrero, sbarcando il 2 febbraio, trovava a sua disposizione i due reggimenti della brigata Savona (dei quali uno era tuttora lontano), un battaglione di milizia territoriale, due batterie da montagna, 14 cannoni da 87 e 4 da 120 di bron zo. Ma nessun lavoro era stato fatto a difesa del territorio; al di là della squallida laguna, lungo l'antica via Egnazia e sulle piste delle alture cir costanti (dovenon v'erano strade) nessun appiglio favorevole alla difesa esisteva entro un raggio di 10 chilometri, ed occorreva spingersi fino alla cerchia, estesa più di 20 chilometri lungo il tor rente Arzen ad oriente ed alcune alture a sud . La fronte era sproporzionatamente estesa per una brigata, la quale aveva anche le spalle al mare. Tali circostanze venivano dal generale Ferrero riferite al generale Bertotti. Intanto crescevano all'intorno le truppe nemiche, le quali, fin dal 7 febbraio precludevano qualsiasi via agli infor matori italiani lanciati in ogni direzione, e agli emissari di Essad . Nonostante le difficoltà e i pericoli, la mag gior parte dei Serbi ultimava il 9l'imbarco, e con essi i profughi e le Missioni francese, inglese e serba. Il mare era avverso, ma la marina italiana prestò mirabilmente l'opera sua.

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L'11 febbraio il nemico era ovunque segna lato in forze di fronte alle posizioni italiane, e in quello stesso giorno, sulla nostra estrema sinistra, alla foce dell Arzen, Austriaci e Albanesi ribelli sorprendevano i reparti che vi erano schierati e li cacciavano da Juba. Nella notte seguente, re parti del 15° fanteria ricacciavano alla baionetta ilnemicooltrel Arzen, e nel giorno 12ricognizioniof fensive spinte inognidirezione urtavano nelle truppe nemiche, delle quali era difficile precisare la forza, ma che fu valutata all'incirca di due brigate con artiglierie campali e qualche pezzo di medio cali bro. Essad Pascià che, non avendo fiducia nei suoi gendarmi, sconsigliava il loro impiego, invo cava l'imbarco per sè e per quelli. La sera del 14 febbraio, un telegramma di S. A. R. il Duca degli Abruzzi, comandante le forze navali adriatiche, diretto al generale Ferrero, avvertiva che se lo sgombro di Durazzo era previsto, non si doveva ancora attendere a deciderlo, non potendosi assi curare la possibilità ulteriore d'imbarco e di tra sporto, a cagione delle cattive condizioni della stagione e del mare.Interpretando allora il mandato ricevuto dal Governo, riferendosi alle notizie avute sul nemico, controlate con quelle di Essad, tenuto conto dello avvertimento rivoltogli da S. A. R. il Duca degli Abruzzi, il generale Ferrero decideva, sebbene a malincuore, lo sgombro di Durazzo, giudicando giustamente che il prestigio delle armi italiane sarebbe stato assai meglio assicurato da un volon tario sgombro che da un probabile rovescio o da un problematico scampo sotto la pressione del nemico, il quale avrebbe in tal caso indubbiamente vantato la sua vittoria .

Il generale Ferrero spedi pertanto, il 14, un telegramma al Governo, al Comando supremo, al

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generale Bertotti e alla Marina, descrivendo la situazione ed accennando all'avviso ricevuto da S. A. R. il Duca degli Abruzzi ed alla decisione presa. Ma nella notte gli perveniva da Valona il seguente telegramma del generale Bertotti datato dal giorno 14, ore 18.15 (1):

Relazione sue comunicazioni giunte oggi lettere data 10 e 13 corrente, concernenti minacciabulgara,comunico: Ministero guerra telegrafa notizia data ieri che Austriaci sono nord Durazzo forza una brigata. Nostre informazioni dicono che Bulgari non hanno intenzioneavanzare, il che confermano tizie precedentemente date. V. S. da documenti inviati ebbe conferma avere di fronte brigata con pochi ribelli che si sbande rebbero con energica azione. Situazione quindi, dovuta unica mente mancanza vigilanza e preparazione,può essere migliorata contegno più fermo.Non è quindi escluso che possaessere arre stata e respinta minaccia austriaca. Codesta brigata ha compito ben definito istruzioni inviate Ministero e non deve troppo preoc cuparsi rientrare qui integra,ma assolvere bene compito. V. S. nel prendere suedecisioni deve prescindere da considerazioni che non siano contemplate dalle accennate istruzioni. Conse guentemente, perchè ne abbia norma, comunico seguente tele gramma ricevuto da Comando Armata navale con rispostafattagli:

« Al generale Bertotti Valona. In seguito telegramma . ageneraleFerrero ad ammiraglio Cutinelli, ritengo che ogni ulte « riore ritardo, dati mezzi disponibili, potrebbe compromettere « ritiro nostretruppe da Durazzo. Hoordinato Cutinelli inviare «subito piroscafi per iniziare sgombro Durazzo ».

« Comando Armata navale Taranto. Secondo istruzioni «scritte Ministero guerra, occorre rendersi conto con ognimezzo « della reale entitàminaccia nemica da parte Austriacie Bulgari ( a fine evitare che abbandono Durazzo non risulti pienamente «e realmente giustificato dalla forza delle circostanze. In conse «guenza, poichè a mio avviso miglior giudice delle circostanze deve « essere generale Ferrero, ho autorizzato decidere e comunicare «in tempoad ammiraglio Cutinelli e a me sue decisioni».

Stabilitacosi infondatezza minaccia bulgara e forza austriaca attaccante, V. S. non deve ritenere che invio eventuali mezzi trasporto per parte marina significhi autorizzazione sgombro, poichè peresso provvedono numeri 4 e 6 citate istruzioni, e per analogia numero 60 regolamento servizio in guerra riflettente comandi delle fortezze. Generale Bertotti.

( 1 ) Trascrivo questo telegramma secondo la dizione che ne diede lo stesso generale Bertotti in una intervista pubblicata dal Giornale d'Italia del 29 ottobre 1921 .

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Salta subito agli occhi la contraddizione tra le parole telegrafatedal generale Bertotti al coman dante dell'Armata navale: il miglior giudice delle circostanze (quelle che consigliavano l'abbandono di Durazzo) deve essere il generale Ferrero, e l'or dine a lui dato, che contraddiceva al suo divisa mento, di imbarcarsi. Con quest'ordine poi, il generale Bertotti, che pur ben conosceva il mio pensiero, agiva in senso opposto ad esso, andando fors anco al di là dei desideri del ministro degli esteri, e senza tenere in alcun conto la grande responsabilità che pur spettava al generale Fer rero in forza delle istruzioni direttamente ricevute dal Governo. Ed inoltre, il generale Bertotti, pur ritenendo che la situazione non potesse essere giu dicata che dal generale Ferrero, contrapponeva alle notizie inviate da questi, che si trovava a contatto col nemico, informazioni pervenute dal Ministero della guerra ed a questo da lontane agenzie di non sicura informazione. L'affermazione che la brigata Savona non dovesse preoccuparsi di rientrare integra a Valona non è in armonia con le istruzioni ricevute dal generale Ferrero e comunicate al generale Bertotti. A proposito di questo telegramma del gene rale Bertotti, il quale costituìla causa determinante del disastro di Durazzo, ecco quanto scrive la Commissione parlamentare d'inchiesta per le spese diguerra nella suaRelazioneindata 6febbraio 1923:

« Il generale Ferrero aveva dovuto rinunziare

« al proposto sgombro in seguito ad un telegramma

« del generale Bertotti che, facendo persino men

« zione delle sanzioni penali a carico del coman

« dante di una fortezza che non fa di tutto per

« difenderla, fu interpretato come l'ordine di resi

« stere ad ogni costo. Per modo che, quando tre giorni dopo, l'autorizzazione di abbandonare Du

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« razzo fu data, lo sgombro avvenne sotto il tiro

« delle artiglierie austriache, con mare tempestoso, « e cagionò perdite enormi di viveri, di munizioni

« e di quadrupedi. Lo storico di questi avvenimenti

« non potrà non riconoscere che tutto ciò avvenne

« per deficienze dei Comandi superiori, e perchè

« si vollero raggiungere finalità politiche di carat

« tere internazionale con l'uso di mezzi spropor ( zionati »

Questo giudizio, il quale colpisce tanto il comandante delle truppe . in Albania, quanto la suprema autorità politica di Roma, è pienamente giustificato dai fatti che ho descritti e da quelli che descriverò .

Il generale Ferrero, ricevuto il telegramma ora riferito, riconfermò la situazione ora segnalata e chiese esplicitamente al generale Bertotti se nulla avesse a modificare all'ordine datogli di rimanere a Durazzo, ed avutane conferma, con telegramma circolare ai Ministeri della guerra e degli esteri, al Comando supremo, al Comando na vale e al Comando di Valona, riconfermò la situa zione, citò l'ordine ricevuto e dichiarò di rimanere.

Il generale Ferrero, sempre convinto della necessità di ritirarsi, proseguiva nei preparativi per l'imbarco delle truppe, ma considerando che le navi, a cagione del cattivo tempo, non potevano rimanere in rada, decideva il loro rinvio e dava le disposizioni per la difesa ad oltranza delle po zioni.Mentre le navi partivano, una grave forma di gastro-enterite abbatteva nelle trincee dello Arzen un terzo della forza del 16° reggimento, il quale, tuttavia, faceva animosamente fronte al nemico.

Furono richiesti nuovamente rinforzi, si rin novarono le ricognizioni offensive, e si assicurò il Comando superiore che si sarebbe resistito ad ogni

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costo; era questa, del resto, l'unica soluzione pos sibile nel difficilissimo frangente in cui, contro ogni regola della più elementare prudenza era stato posto il distaccamento di Durazzo. Dalle posizioni migliorate coi pochissimi aiuti disponi bili, i fanti della brigata Savona ributtavano il giorno 19 attacchi nemici sull Arzen e sulle alture di Pjeska. Il Comando di Valona segnalava intanto al generale Ferrero notizie allarmanti per Durazzo, riferite da un prigioniero austriaco giunto a Valona e spediva per mare un soccorso di due compagnie, scarsa e tardiva riserva .

Il 23 febbraio l'attacco nemico si manifestava fin dall'alba su tutta la fronte. Mirabile fu la resi stenza italiana e gravissimo il danno inflitto al nemico. La lotta si prolungò accanita fino nel meriggio quando le difese italiane furono sover chiate all'estrema destra verso sud, tra Sasso bianco e la spiaggia, a 6 chilometri soltanto dalle porte di Durazzo. La fiera resistenza della truppa, l'ordinato ripiegamento a scaglioni, il fuoco dei pochi e vecchi cannoni di bronzo, i quali spara rono fino a completa consumazione dell'arma, riuscirono a tenere in rispetto il nemico. Bruciati i ponti dell Arzen, e dello stagno presso Durazzo, la brigata Savona si chiudeva, nella sera del 23 febbraio, sullo scoglio estremo ove sorge Durazzo. Navi da guerra italiane sopraggiunte nella notte tennero in rispetto le artiglierie avversarie. In quello stesso giorno 23, alle ore 23.8, quando già le nostre truppe erano addossate alla città di Du razzo, e si era assai prossimi ad una catastrofe, il ministro della guerra così telegrafava al generale Ferrero: « Vista situazione, Governo intende che « Durazzo venga sollecitamente sgombrata appena

« giunte navi. Generale Bertotti informato » !

Il difficile imbarco, durato tre giorni e tre

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notti, a piccoli drappelli sfilanti carponi dietro parapetti improvvisati, fino alle imbarcazioni, si svolse fra gli sbarramenti di mine e sul mare agi tato, sotto il fuoco saltuario del nemico. Ultima difesa contro il nemico irrompente fu lo scoppio predisposto della polveriera nostra e di quella di Essad Pascià, attraverso la via Egnazia, sul mar gine della laguna, e la resistenzadi retroguardie che nella notte salirono sulle navi, seguite, per ultimo, dal generale Ferrero e dagli ufficiali del Comando. In quell'estremo giorno, non potendosi im barcare i 900 quadrupedi della spedizione, fu dolo rosamente necessario abbatterli con le armi. Si do vettero pure abbandonare le artiglierie, salvo i pezzi delle due batterie da montagna, i quali pote rono essere imbarcati.

Se di peggio non accadde, lo si deve all'abilità e alla energiadimostrata dal generale Ferrero (1). Ma, dal racconto fatto emerge che se la ritirata fosse stata iniziata il 14, anzichè il 23, come il generale Ferrero già aveva stabilito, sarebbe stata altrettanto onorevole e meno cruenta; e si sarebbe pureevitato ilsacrificio dei quadrupedi, dicannonie di moltirifornimenti; essi non si erano prima potuti imbarcare perchè occorrenti alla vita dei combat tenti. Questi sacrifici furono dolorosi, ma neces

(1) Il generale Giacinto Ferrero, comandante della brigata Basilicata in Cadore e al col di Lana , poi della brigata Savona in Albania . Rientrato in Italia, assumeva nel giugno 1916 il comando della 25 divisione e pren deva brillante parte, fino all'agosto, alle operazioni controffensive sull'alto piano di Asiago. Nel dicembre dello stesso anno gli veniva affidato il comando del corpo di spedizione di Albania comando che disimpegnava molto ono revolmente, sia sotto l'aspetto politico, sia sotto l'aspetto militare. Dirigeva le operazioni offensive in Albania , di concerto con quelle dell'Armata d'O . riente, a Monastir, giungendo le sue truppe ad Alessio e a Scutari, nel l'ottobre 1918. Trovandosi nell'ottobre del 1917 in licenza e di passaggio ad Udine, io gli affidavo, durante la ritirata di Caporetto, il comando dei tre corpi di destra della 2a Armata , che egli conduceva in salvo dietro il Tagliamento. In seguito alla conclusione della pace, comandava i corpi d'Armata di Trieste, di Firenze e di Torino e quivi si spegneva quasi im provvisamente, destando vivo rimpianto in quanti lo conobbero ed ebbero campo di apprezzarne le eminenti qualità.

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sari, affinchè il nemico non si giovasse di quei quadrupedi e di quei materiali.

Presa Durazzo, sembrò che il nemico volesse avviarsi verso Valona, ed il 1° marzo il generale Bertotti telegrafava al Comando supremo ed al Ministero l'avanzata di due corpi d'Armata austro ungaricida Durazzo verso Valona, di truppe bul gare da Elbassan, precedute da fitto velo dibande. Ma, intanto, colle truppe che già si trovavano in Albania e con quelle inviate dall'Italia, si stava costituendo a Valona un corpo d'Armata, che fu posto agli ordini del generale Settimio Piacentini e fu composto di tre divisioni, cioè la 38a, la 438 e la 44a (rimasta quest'ultima agli ordini del gene rale Bertotti). Dipendevano inoltre direttamente dal Comando del corpo d'Armata, il 10° reggimento bersaglieri, tre reggimenti di milizia territoriale, il reggimento cavalleggeri Lodi, uno squadrone sardo, batterie di vario calibro e compagnie del genio di varie specialità.

Dai primitivi tre battaglioni, eravamo cost saliti a 48, all'effettivo cioè di due corpi d'Armata sottratti alla fronte principale, in poco più di tre mesi, e Dio sa dove ci saremmo fermati se io non avessi energicamente resistito alle richieste di invio di nuove truppe a Durazzo, allo scopo di allar garsi nell'interno dell'Albania!

Il giorno 25, in risposta ad una lettera del generale Bertotti, gli facevo conoscere come, a mio parere, la ragione principale per la quale il generale Ferrero aveva rimandato l'imbarco, era il suo telegramma del 14 sera, e che era pericoloso sistema quello di intervenire nelle determinazioni chespettanoallaresponsabilitàdeidipendenti,iquali vengono, in tal modo, fuorviati dall'apprezzarecon serenaobbiettivitàla situazione. E glisoggiungevo :

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« dà al comandante di un corpo di spedizione

« Qualunque siano le istruzioni che il Governo

« quale è il caso di V. S. è sempre ilcomandante

« stesso il responsabile delle conseguenze militari

« derivanti dalla esecuzione delle istruzioni avute.

« Il Governo è lontano e, per lo più, incompetente

« in cose militari; e, d'altra parte, qualsiasi opera

« zione, anche se motivata da ragioni essenzial

« mente politiche, non può che essere subordinata

« alla sua attuabilità sotto il punto di vista mili

« tare. Di questa è giudice il comandante delle

« truppe operanti, il quale deve ritenersi vincolato

« soltanto al raggiungimento del fine generale sta

« bilito dal Governo; se dal Governo partono istru

« zioni particolareggiate ed in contrasto con la

« sicurezza delle truppe, il comandante ha l'obbli

« go di far presenti le ragioni militari che sono

« in opposizione alle istruzioni ricevute: se non ( venisse ascoltato gli rimane il diritto di doman

« dare l'esonerazione dal comando.

« Consegue che, a mio giudizio, di qualsiasi

« insuccessoche si producesse a Durazzo, la prin

« cipale responsabilità non potrebbe risalire che

« alla S. V. » .

XIII .

Il 29 febbraio il presidente del Consiglio mi comunicava copia di un Decreto in data 28 feb braio, che doveva andar subito in vigore, col quale si revocava e si sostituiva il Decreto Luogotenen ziale 1° dicembre 1915 e si restaurava nelle mie mani l'unità di comando dell'intiero esercito, esten dendolo anche alle forze operanti in Albania. E

soggiungeva:

L E. V. però intende naturalmente come le direttive poli tiche della guerra restino riservate al Governo per tutto ciò che

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può avere attinenza alla politica internazionale nei rapporti così intricatie complessi, specie nel teatro orientale della guerra, tantocon gli alleati quanto coi neutri (in particolar modo,poi, con gli stessi belligeranti.

Debbo pure confermare alla E. V. , come del resto Le dissi, che il Governo ritiene che mantenere il possesso di Valona, co stituisce un interesse nazionale di prim'ordine e che quindi è indispensabile prepararne la difesa con tutti i mezzi disponibili, anche contro eventuali ingenti forze nemiche.

Il principio ricordato dal presidente del Con siglio, secondo il quale le direttive politiche della guerra erano riservate al Governo era, astratta mente parlando, evidente. La difficoltà consisteva nell'applicazione, quando l'applicazione di questo principio incontrasse ostacoli di ordine militare.

Ond'è che io risposi con la seguente lettera in data

2 marzo .

Segno ricevuta del foglio in data 29 febbraio u. s. n.º 850, col quale l E. V. mi notifica il R.D. 28 febbraio 1916 che sot traealla dipendenza diretta del Ministro dellaguerra il corpo speciale italiano in Albania per affidarlo a quella delCapo di stato maggiore dell'esercito.

Inmerito alle considerazioni con le quali V. E.accompagna la notificazione del R. D., mi onoro prospettare alla attenzione della E. V. quanto segue :

Io intendo perfettamente quanto l'E. V. mi espone circa la necessità che le direttive politiche della guerrarestino riservate al Governo; ma mi occorre porre in rilievo un'altra necessità coe sistente, quella che le direttive politiche siano tali da potersi tradurre militarmente in atto, epperciò che il finesia proporzio nato ai mezzi; è codesto un assioma chenon si può violare senza incorrere in disastri del genere di quello avvenuto a Durazzo.

Circa il carattere d'interesse nazionale di prim'ordine attri buito al possesso di Valona, io mi rimetto pienamente al giudizio formulato dal Governo. Osservo però che la disponibilità dei mezzi per la suadifesa deve essere valutata subordinandolaalle esigenze della difesa del territorio nazionale ed a quelle della guerra chesi combatteoltrela vecchia frontiera, le quali esigenze sono giustificate ed in ciò non dubito di avere consenziente l'E. V. e il Governo da un interesse superiore a qualsiasi altro. In conseguenza, ove occorressero altri uomini, armi e muni zioni in più di quelli dislocati in Albania, tuttociò, data special mente la scarsezza degli attuali mezzi in artiglierie pesanti e munizioni , nonpuòesser tolto all'esercito operante in Italia senza paralizzare l'offensiva, e anche senza compromettere il territorio

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nazionale se fossimo attaccati con ingenti mezzi, comeora accade a Verdun (1). È quindi mio dovere di prevenire di ciò la E. V. perchè, posto intali termini, il doppio problema della difesa na zionale e della difesa a oltranza di Valona contro un attacco a fondo, diventa insolubile.

)

Epperciò, data la impossibilità di difendere con le forze e con leartiglieriedi cui disponiamo (e che dipoco potrebberoessere accresciute) la linea della Vojussa, estesa circa 100 chilometri, darò ordine che questa sia contrastata dalle forze mobili fino a che l'attacco non si pronunzi con forze sensibilmente superiori; ma che da questo momento la difesa ripieghi sul contrafforte che cinge adest la base diValona. Quivi dovrà essere organiz zata una buona linea di difesa, che,pure, avrà il non piccolo sviluppo di 30 chilometri (2).

Nel medesimo giorno 2 marzo inviavo al comandante del corpo speciale d'Albania le nuove direttive che dovevano guidare la sua azione . Esse erano le seguenti:

1.0 Il corpo speciale italianoinAlbania ha per solocompito I. di assicurare all'Italia il possesso di Valona.

2.0 In caso di attacco nemico la difesa principaledovrà farsi sul contrafforte immediatamente ad est della baia, al quale pertanto si dovrà conferire al più presto la massima capacità di resistenza. La linea della Vojussa dovrà essere considerata come linea avanzata, da tenersi con forze mobili, solo fino a quando l'attacco non si manifesti con forze sensibilmente superiori, in modo che resti garantita la possibilità di ripiegare ordinatamente e con forze intatte sulla linea di difesa principale.

3.0 Il comandante del corpo speciale terrà presente che la difesa sulla linea principale deve trovare appoggio anche nel concorso delle navi da guerra.

4.° Qualunque occupazione stabile 'all'interno dell'Albania deve intendersi esclusa. Soloè in facoltà del comandante del corpo speciale di ordinare quelle operazioni di piccole colonne mobili, spinte a distanze non eccessive, che siano necessarie per creare al di là della linea di difesa avanzata, la voluta zona di sicurezza , e perassumere informazioni sul nemico.

Qualsiasi operazione che non rientri, come quelle accennate, nell'ambito delle necessità inerenti alla difesa, non potrà essere ordinata senza la preventiva,esplicita autorizzazionedel Coman do supremo.

(1) Si vide poi, due mesi dopo, quando si manifestò il grande attacco austriaco del Trentino, quanto queste osservazioni fossero giustificate.

( 2 ) I 30 chilometri sono misurati sulla parte più accessibile della linea , ma , in realtà , tutta la linea ha lo sviluppo di 80 chilometri , contro 130 per la linea della Vojussa.

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5.0 In tutti queicasi in cuiil comandante del corpo spe ciale ravvisasse necessario valersi della facoltà fattagli dal com ma II dell'art. 5º del R. D. 28 febbraio 1916, rivolgendosidiret tamente al Ministero della guerra, sarà tenuto a fare analoga contemporanea comunicazione al Comando supremo.

6.0 Il Comando del corpo speciale si terrà in stretta e co stante comunicazione con l'ufficio informazioni del Comando su premo, e comunicherà a questo tutte le notizie importanti di carattere militare e politico giunte a sua conoscenza,che non gli risultino già pervenute direttamente all'Ufficio medesimo. Segna tamente dovrà informare sulle forze nemiche che gli stanno di fronte.

Il suddettoComando èautorizzato a corrispondere diretta mente coi nostri addetti militari ad Atene , Salonicco , Bucarest e Corfù.

XIV .

Il 3 marzo ricevevo una lettera dal ministro della marina, datata dal giorno 2, nella quale mi esponeva molte considerazioni sulla importanza di Valona dal punto di vista marittimo e come punto estremo orientale della linea di blocco del l'Adriatico, appoggiata ad occidente a Brindisi. E concludevaconqueste parole: « Perconseguenza, « a prescindere dall'interesse che anche le marine

« alleate hanno di poter fare assegnamento su

« Valona, è necessitàsuprema della nostra Armata «che, a qualunque costo, sia mantenuto il pos

« sesso di quella località. E poichè la marina prov

« vede a rendere efficace la difesa dell'ancoraggio,

« l'entità delle forze mobili e dei mezzi difensivi ed

« offensivi di Valona dovrebbe esser tale da garan

« tirne pienamente la difesa del fronte terrestre ». Come si vede, non si arrestavalaspinta da Ro maper indurmi ad inviare a Valona altre forze, altre artiglierie, altri materiali! E per rendere tale pres sione più efficace, il ministro della marina soggiun geva che da ragguagli degni di fede gli risultava che una grande attività del nemico convergeva

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nelle opere stradali intese a facilitare il trasporto verso Valona di grosse artiglierie; e mi prospettava altresì le gravi difficoltà che avrebbero ostacolato lo sgombro di una base così densa di truppe e di materiali, pel cui trasporto sarebbe occorso un rilevante numero di piroscafi che non potevano essere tenuti disponibili, e la cui riunione non poteva riuscire nè facile, nè sollecita. « Imbarcare

« migliaia di uomini e numerose artiglierie e mate

« riali ingombranti sotto l'azione soverchiante del

« nemico, difenderne il lungo convoglio attraverso

« il mare, sono operazioni di esito così mal sicuro

«da consigliare di prendere preventivamente tutte

«le misure necessarie per sventare una tale eventua « lità »

In una parola, secondo il pensiero del ministro della marina, bisognava considerarsi a Valona come Fernando Cortez nel Messico dopo che ebbe abbruciati i vascelli! E in una lettera privata dello stesso giorno 2, egli mi scriveva: « Credo che occor rano cannoni e cannoni per la difesa terrestre ». Ma dove potevo io trovarli tanti cannoni, quando essi tanto scarseggiavano sul teatro di guerra ita liano? D'altronde io era convinto che gli Austriaci avrebbero bensì minacciato Valona per trattenere ivi molte forze nostre, ma che giammai vi avreb bero diretto un serio attacco. Essi dovevano sapere che a Valona già si trovavano ingenti forze italiane (48 battaglioni) e che queste, nel caso di un potente attaccopotevano essere facilmente accresciute dalla vicina costa italiana. Perciò le truppe per l'attacco, tenuto conto della necessità di presidiare le lun ghissime linee di comunicazione, non potevano comprendere meno di tre corpi d'Armata. Il giuoco degl'Imperi centrali, durante tutta la guerra euro pea, era semprestato giustamente quello di avvalersi della loro situazione centrale per trasportare rapida

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.

mente le loro riserve da un teatro di guerra all'altro, effettuando delle grandiose manovre per linee interne. Di questo vantaggio essi avevano dato prova di sapersi giovare con abilità e con sicurezza. Com'era possibile ora pensare che, per raggiun gere unoscopo limitato qual'era quello del pos sesso di Valona, avrebbero avventurato l'ingente forza di almeno tre corpi d'Armata a circa 300 chilometri in linea d'aria dalla più prossima fer rovia erzegovese, attraverso il difficile e montuoso territorio del Montenegro e dell Albania, già privo di strade, taluna delle quali si stava ora miglio rando? Ma se noi ci fossimo lasciati spaventare da queste minacce, avremmo fatto il giuoco del nemico! Risposi pertanto lo stesso giorno 3 col seguente telegramma:

Rispondo sua lettera 3187 del 2 marzo. Impossibile inviare Valonaaltri mezzi senza compromettere difesafrontiera terrestre Paese. Qualora Valona abbiaimportanza marittima prospettata daV. E., provveda R. Marina numero necessario batteriemedio calibro da postare sul contrafforte ad oriente baia, dove, secondo mie direttive, devesi concentrare difesa principale. Se R. Marina non è in grado provvedere, urge disporresgombro totale truppe, per evitare disastro sotto pressione nemica, come accadde Du razzo. Prego comunicare presente telegramma aS. E. presidente Consiglio in relazione mia lettera sull'argomento numero 1609 ieri direttagli. Prego favorirmi urgente risposta sua decisione.

La lettera al presidente del Consiglio, cui alludevo, era quella del 2 marzo dianzi riferita.

Il giorno dopo, 4 marzo, scrivevo al presidente del Consiglio la seguente lettera, che credo di ri produrre malgrado la sua lunghezza, perchè essa vale a dare un'idea delle difficoltà tra le quali mi dibattevo anche sulla fronte principale, alla vigilia dell'offensiva austriaca dal Trentino.

Ritengo che l E. V. abbia avuto in comunicazione da S. E. il ministro della marina il testo del mio telegramma n.°1620 in data 3 corr. col quale gli rispondevo in merito alle considerazioni

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espostemi con foglio n.° 3187 del 2 marzo, circa l'importanza del possesso della baia di Valona,ma credo opportuno meglio chia rire alla E. V. il contenuto del telegramma sopracitato .

Mi richiamo, anzitutto, alla mia lettera n.° 1609 in data 2 marzo c. a. diretta alla E.V. nella quale dicevo, a propositodel l'interesse nazionaledi primissimo ordine attribuito al possesso di Valona, che io mi rimettevo al giudizio del Governo, ma che, pur non entrando in merito del giudizio stesso, ritenevo tale in teresse subordinato alle esigenze superiori della sicurezza del Paese. Ricordo anche come nella riunione dei ministri cui inter venni a Roma il 22 gennaio u. s.,io ebbi ad affermare che «se mi esponessi a farmibattere in Italia per aver mandatoin Alba nia mezzi necessari alla difesa del Paese, io mi renderei merite vole di fucilazione ».

Ora, per la difesa del Paese noi dobbiamo tener conto,ol trechè delle forze in uomini,anche, e specialmente dei mezzi in artiglieriepesanti: i quali ultimi hanno acquistatonella moderna guerraun'importanza enorme,come dimostrano gli avvenimenti militari tuttora in corso sulla Mosa.

Come è ben noto all'E . V. noi siamo entrati in campagna con una assai scarsa dotazione di artiglierie pesanti: conogni sorta di ripieghi siamo riusciti adaccrescerle, ma siamo ben lungi dall'averne asufficienza; buona parte delle bocche da fuoco (e proprio quelle migliori) sonoscoppiate; una parte notevolissima - specialmente delle più potenti può essere utilizzabilesol tanto in postazioni fisse enon è quindi suscettibile di mobilità; moltissime delle bocche da fuocodi medio e di grosso calibro sono logorate per i molti tiri eseguiti. La produzione delle muni zioni per le suddette artiglierie procede lenta e non con l'inten sità relativa che si era lasciata sperare.

In queste condizioni,e pur senza tener conto dell'eventuale fabbisognosulla pericolosissima frontiera svizzera, la deficienza di bocche dafuocopotenti e delrelativo munizionamento è gran dissima, e tale deficienza non pud a meno di destare gravi preoccu pazioni, ove si pensi alla possibilità che il nemico sviluppi contro di noi,e con grandi mezzi, un attaccoa fondo del generediquello che si svolge attualmente nella regione di Verdun,cosa che ilnemico non mancherebbe ditentare qualora i Tedeschi riuscissero a sfon dare le linee francesi (1).

Sempre a proposito della nostra scarsità delle artiglierie pesanti, l'E.V.ricorda certamente che quando venne indiscus sione la possibilità di inviare un nostro contingente nei Balcani per cooperare con leforze dei nostri alleati contro i nostri comuni nemici (foglio 940 del 5 novembre 1915) io insistetti perchè il nostro concorso ammesso che fosse opportuno, come ritenevo

( 1 ) L'hanno tentato ugualmente sebbene i Tedeschi non siano riusciti a sfondare le linee francesi ; ma io pensavo che, secondo le buone regole, gli Imperi centrali avrebbero assunto un'impresa alla volta .

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-
.

consistesse nell'invio di tre divisioni, perchè con tale invio di truppe si escludeva, da parte nostra, quello di artiglierie pesan ti; queste avrebbero dovuto essere fornite dai nostri alleati che assai più di noi ne hanno e ne producono. Le tre divisioni rap presentavano adunque il massimosforzo che io reputavo possi bile allora, sforzo che il Governo non ritenne chesi dovesse diri gere a Salonicco e che fu impiegato invece in Albania. In questo stato di coseben comprenderà l E. V. come io mancherei alla più elementare e doverosa prudenza se sottraessi, anche in piccola parte per mandarli lontano, donde non potrei più farli ritornare in tempo, mezzi di artiglieria quali sonoquelli che occorrerebbero per contrastare un attacco nemico in forze diretto contro Valona.

Perdare un esempioall'E. V. della scarsitàdei nostri pezzi di artiglieria pesante, dirò che avendo dovuto aderire alla richie starivoltamipochi giorni fa dal Ministero della guerra di inviare a Valona una batteria di mortai da 210, non hopotutotrovare in tutta la zona di guerra una batteria organicadisponibile: ho dovuto ricorrere al miserevole espediente di togliere un pezzo daquattro diverse batterie per costituire l'unità da mandare a Valona ( I) .

Date queste premesse, e considerato che qualora venisse effettuato contro Valona un attacco a fondo con un proporzio nato contingente di artiglierie pesanti (le quali si possono tra sportare dopo un certo tempo,approntate che siano le strade, come del resto ilnemico ha già fatto coi medî calibri impiegati contro di noi a Durazzo), bisognerebbe che anche noi potessimo disporre per la difesa di Valona di una larga dotazione di pezzi di ugualepotenza; ma appare evidente cheionon ho assolutamente il mezzo di provvedere ad assicurare il possesso di Valona nel modo che S. E. il ministro della marina richiede.

S. E. il generale Piacentini, che assumerà il comando del corpo speciale in Albania, appena avrà potuto orientarsi, sul luogo, dei bisognidella difesa diValona,miriferirà sollecitamente sulla quantità delle artiglierie occorrenti, ma s'impone fin d'ora il dilemma: o la marinaprovvede le artiglierie necessarie relativo abbondante munizionamento, oppure il corpo speciale di Valona verrà necessariamente, e dopobreve tempo, a trovarsi in una posizione precaria.

Oranon v'ha chi non veda come a quest'ultima eventualità sia di gran lunga preferibile un ripiegamento ordinato ed eseguito in tempo, per quanto gravipossano esseregl' inconvenientidialtra natura che un simile provvedimento originerebbe. Qualunque termine medio fra le due corna del dilemma condurrebbe eviden

(1) Nel mio precedente libro, La guerra alla fronte italiana, ho po sto bene in rilievonel Capitolo V come, una delle cause principali degli in successi da noi provati nei primi giorni dell'offensiva austriaca dal Trentino , fosse appanto quella della grande scarsità delle nostre artiglierie rispetto a quelle austriache.

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12 L.
CADORNA Altre pagine sulla grande guerra.

temente ad un disastro di ben altra entità di quello di Durazzo, edavrebbe conseguenze di cuisono manifesti la gravità e i peri coli, tanto di ordine militare che politico.

Cid detto, debbo rilevare che la direzione delle operazioni in Albania è stata ame affidata tremesi dopo dell'inizio dello rco del corpo speciale a Valona, ed in questo frattempo sono stati commessi gravissimi errori che io fui impotente a prevenire ead impedire. Ionon posso adunque accettare che con benefizio d'inventario l'eredità che mi è venuta fra le mani: tanto più che, se sono esatte le notizie che S. E. il ministro della marina mi ha comunicatocon la sua lettera n.°3187, parrebbeche le forze au stro-ungariche siano già in marcia su Valona, dinanzi al quale punto potrebbero comparire fra non molto; non è escluso quindi che non vi sia neanchepiù il tempo di trasportare colà le arti glierie pesanti occorrenti per la difesa del nostro possesso. Concludendo, se ioposso con tutta coscienza affermare che non mancherò di fare del mio meglio per dare al corpo speciale dell Albania tuttoquello che sarà possibile limitatamente a trup pe (ho già infatti disposto perchè, comeè stato richiesto dalgene rale Bertotti, sia inviato à Valona dalla zona di guerra il 560 reggimento di fanteria) e che ogni mio sforzo sarà quindi diretto ad esplicare le attribuzioni conferitemi dal R. D. 28 febbraio 1916, non posso però a meno di dichiarare che declino, fin d'ora , ogni responsabilità delle conseguenze derivanti da errori prece denti alla mia assunzione alladirezione delle operazioni militari in Albania.

Alcune batterie di medio calibro furono poi inviate dal Ministero della marina, ma in misura insufficiente ai bisogni. Emerge perciò in quale imbarazzo ci saremmo trovati se realmente l'attacco austriaco con grandi mezzi si fosse manifestato! Nell'impossibilità di inviare altre truppe e soprat tutto altri mezzi dal teatro di guerra principale, si poteva andare incontro ad un disastro. In tale eventualità, meglio certamente valeva affrontare i gravissimi inconvenienti di uno sgombro, anche a costo di diminuire sensibilmente l'efficacia del blocco dell'Adriatico. Fortunatamente la minaccia dell'attacco austriaco si dilegu), e ciò si deve indub biamente attribuire ai motivi che ho dianzi esposti.

In un colloquio che ebbeluogo in Roma con gli stessi Ministri che erano intervenuti ai precedenti

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colloqui, si discusse ancora delle cose di Al bania .

Il ministro degli affari esteri espose le ragioni che consigliavano di mantenere ad ogni costo il possesso di Valona.

Io ricordai di aver sempre combattuto la pri ma occupazione di Valona perchè ci conduceva incontro ad una incognita di cui non si potevano misurare le conseguenze. Riconoscevo che, ora che ci eravamo, dovevamo fare il possibile per difenderla, sempre però subordinatamente alla sicurezza della fronte italiana. Ripetevo che per assicurare la difesa di Valona, oltre alle truppe e ai lavori fortificatorî, si richiedevano molte arti glierie di medio calibro, dimostravo di non poter distrarre neppure un pezzo dalla fronte italiana, dove la deficienza era estrema, ed insistevo perchè le suddette artiglierie le fornisse la marina, sotto pena, in caso contrario, di dovere abbandonare Valona .

Il ministro della marina offriva allora tre batterie da 152 e due da 120, non molte certamente in relazione ai bisogni, e io osservavo che il gene rale Piacentini, nuovo comandante del corpo di spedizione, avrebbe giudicato se questi mezzi, insieme a quelli già inviati, erano sufficienti. Io esponevo ancora le non felici condizioni di difesa di Valona, essendochè la linea esterna della Vojussa aveva sviluppo di ben 130 chilometri, e quella interna sullasinistra della Suscica, pure avendo il considerevole sviluppo di 80 chilometri, era addossata alla rada e non copriva questa dai tiri provenienti dalle alture del versante destro della Suscica. Perciò erano necessarie molte forze e molte artiglierie, specialmente se l'attacco au striaco fosse combinato con un attacco bulgaro.

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Il generale Piacentini, pur giudicando la li nea della Vojussa più conveniente alla difesa di quella della Suscica, ritenne che con le forze e i mezzi a sua disposizione non sarebbe stato in grado di assicurare la difesa ad oltranza sulla Vojussa, nè di garantire l'ordinato ripiegamento sulla Suscica, se detta linea fosse sfondata. Ne derivava che, in caso di attacco eseguito con forze preponderanti, avrebbe dov to rinunziarealla difesa della linea della Vojussa ed eseguire tempestiva mente' l'ordinato ripiegamento sulla linea arre trata, affinchè le truppe potessero conservare l' efficienza per l'ulteriore difesa. S'imponeva pertanto, come io avevo già prescritto, la ra pida sistemazione difensiva della linea arretrata, non solo per assicurare il possesso di Valona, ma anche perproteggere un eventuale sgombro. Ordi navo pertanto, con un telegramma da Londra il 28 marzo al generale Piacentini, di provvedere subito ai necessari lavori difensivi sulla linea arre trata, nonchè ai lavori stradali e difensivi per assi curare l'ordinato ripiegamento dalla linea della Vojussa.

Trascorrevano i mesi di marzo e di aprile nella organizzazione e sistemazione del corpo di spedizione e nei lavori di difesa. Nessuna minaccia di attacco si manifestava contro Valona. Ma in tanto grandi masse austriache si addensavano nel Trentino e nel Tirolo meridionale, e una grande minaccia si manifestava contro le nostre linee di difesa che coprivano la pianura veronese e vicen tina .

Tra i provvedimenti che il Comando supremo prese per far fronte a tale minaccia, vi fu quello

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XV. e

ordinato il 29 aprile, del rimpatrio della 44a divisio ne dall Albania e del suo trasporto a Desenzano (I). Il 23 maggio, tenuto conto della necessità in cui mi ero trovato di costituire un'armata di riserva nella pianura vicentina, in seguito agli insuccessi dei primi giorni dell'offensivaaustriaca, ordinavo il rimpatrio di un'altra divisione dall'Albania, la 43a (2); dimodochè, il 1° giugno, le truppe di Albania (le quali avevano assunto la denomina zione di XVI corpo d'Armata) erano ridotte alla 38a divisione, al100 reggimento bersaglieri e a tre reggimenti di fanteria di milizia territoriale, oltre alle truppe di cavalleria, di artiglieria e del genio.

In tal modo applicavo il principio della riu nione delle forze sul teatro e sul punto decisivo, che è il principio fondamentale della guerra. Esso èper se stesso semplicissimo ed evidente alla mente di tutti, ma è pur quello che viene piú frequente mente violato, come tutta la storia militare ne fa fede. La ragione è da ricercarsi nel fatto che la mente dei più, rivolta all'analisi delle complesse situazioni, e scarsa di sintetiche facoltà, tende a perseguire contemporaneamente parecchi obbiet tivi, senza dare ai principali ed ai secondari il coeffi ciente d'importanza che loro spetta. È invece la facoltà sintetica che consente di risolvere rapi damente e nel giusto modo i problemidella guerra.

Nel luglio del 1916 il generale Piacentini veniva richiamato in Italia per assumere il coman do dell'Armata di riserva che era stata riunita nella

(1) Vedasi a pag. 199 del Vol. I del mio libro: La guerra alla fronte italiana .

(2) Vedasi a pag. 217 del suddetto mio libro.

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e .
XVI .

pianura vicentina, e successivamente il comando della ricostituita 28 Armata sulla fronte Giulia. Il comando delle truppe d'Albania rimaneva affidato al generale Bandini, che già vi comandava la 38a divisione.

A partire dalla metà di agosto all'incirca, era d'uopo,nello stabilire il compito del corpo di spe dizione d Albania, di tener conto di un fatto nuovo, quello cioèche l' 11 agosto si era iniziato lo sbarco a Salonicco della 35a divisione italiana (della quale discorrerò in seguito), e che verso la metà di settembre gli alleati componenti l'Armée d'Orient (Italiani, Francesi, Inglesi, Serbi e Russi) agli ordini del generale Sarrail, iniziavano l'avan zata in Macedonia, coronata il 19 novembre dalla occupazione di Monastir, estendendo la loro sini straverso la regione dei grandi laghi albanesi. Occorreva perciò, in seguito alla occupazione di Monastir, di tener presente la necessità di collegare il corpo d'operazione d Albania coll'Armée d'Orient, attraverso i 120 chilometri in linea d'aria che sepa ravano il campo trincerato di Valona dalla sinistra di quell'esercito, e di coprirne il fianco sinistro da attacchi provenienti dalla regione albanese. Ma, prima che l'occupazione di Monastir avve nisse, non erano mancati altri tentativi del Governo per fare occupare alcuni punti dell'interno. Parti

colarmente, il 21 settembre dal ministero degli affari esteri mi veniva spedito un telegramma col quale, riferendosi a precedenti comunicazioni, e per quanto riguardava ulteriori nostre occupazioni nell'Epiro settentrionale che le varie fonti giudica vano favorevolmente, mi si partecipava che nulla ostava per parte del Governo, il quale per l'even tuale occupazione se ne rimetteva al Comando su premo.

Sempre fermo nel principio di evitare i disper

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dimenti di forze e le operazioni ed occupazioni che potevano poi richiedere l'impiego di altre forze in quantità non prevedibile, rispondevo il 22 che per poter prendere le decisioni richiestemi circa le occupazioni caldeggiate dalle nostre autorità consolari e diplomatiche (non responsabili poi delle conseguenze) mi occorreva conoscere con preci sione gli scopi, il carattere e i limiti delle occupa zioni stesse. Riconoscevo che le circostanze del momento facilitavano la estensione della nostra occupazione a sud di Valona, ma dovevo preoccu parmi delle conseguenze immediate e lontane in relazione all'assorbimento di nuove forze, poichè quelle allora presenti a Valona erano insufficienti ai nuovi progetti, ed occorreva trarle dall'Italia.

XVII .

L'11 dicembre 1916, la corazzata Regina Mar gherita urtava contro due mine presso l'ingresso della rada di Valona, ed affondava. Nel disastro miseramente periva il generale Bandini, coman dante del corpo di spedizione in Albania, mentre faceva ritornoin Italia. Egli fu sostituito dal gene rale Giacinto Ferrero, il difensore di Durazzo, il quale sbarcava a Valona l'11 dicembre.

Continuavano in questo mentre i lavori ini ziati sotto i precedenti comandanti per la difesa del campo trincerato di Valona, e si iniziava l'ese cuzione di un vasto programma di lavori militari e civili, costruendo strade, acquedotti, scuole, scali marittimi, ecc. E postosi il generale Ferrero in stretta comunicazione con l'anima albanese, percorreva i distretti di Valona, di Argirocastro, della Kimara, di Delvino e di Ersek, sistemando l'Albania meridionale con ordinamento civile e

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giudiziario e spingendo attivamente la propaganda in favore della nostra politica diretta al-futuro assetto di un'Albania libera e indipendente. Egli persuase il Governo a fare pubblicamente, con atto solenne, quella dichiarazione per l'unità e indipendenza albanese che gli era stato raccoman dato di fare in privato all'uno e all'altro personag gio, metodo questo che di fronte alla contraria politica dei francesi a Koriza, a Corfù, a Salonicco (dov'era loro ospite Essad Pascià), non poteva convincere gli Albanesi della nostra sincerità e volontà. Proponeva anche la formula per la dichia razione e, dopo qualche tempo, riceveva l'appro vazione del Governo e l'invito a compiere solen nemente quell'atto, il quale, eseguito in Argiro castro il 3 giugno 1917, fu poi ovunque giudicato coraggioso, nobile, opportuno.

In quel medesimo tempo era compiuta la preparazione degli atti offensivi (approvati dal Comando supremo) per scacciare gliAustriaci dalla Malacastra, d'onde essi potevano osservare l'en trata e l'uscita delle nostre navi dalla rada di Valona, segnalandole alle loro siluranti. Questa operazione era anche richiesta, dacchè erasi rico nosciuto che l'occupazione austriaca della giogaia dominante a così breve distanza il campo trince rato, costituiva un investimento vero e proprio del medesimo. Restava cosi dimostrato che nep pure l'estesissima linea della Vojussa costituiva una buona linea: tanto le condizioni del terreno erano poco favorevoli ad una difesa con forze limitate! Ma essendo il generale Ferrero stato richiesto dal Governo di occupare i distretti meri dionali del Pindo e di Ciamuria, in contrapposto alle occupazioni francesi nella rimanente Grecia, e sembrando questo compito in quel momento più urgente dell'altro, nè avendo forze sufficienti

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per assolverli entrambi, il generale Ferrero addi venne-alla occupazione dei distretti anzidetti, e, per ragione militare, della interposta Janina greca, ritraendosene dopo qualche mese in seguito ad ordine del Governo.

XVIII. il 24

In seguito a nuove insistenze del Governo e del Comando supremo francese, il Governo ita liano decise la nostra partecipazione all'impresa di Macedonia, per la quale io avevo espresso luglio 1916 favorevole parere. Questo intervento era necessario dacchè non potevamo rimanere perennemente assenti da uno scacchiere nel quale erano rappresentati tutti gli alleati e da operazioni il cui felice esito avrebbe contribuito a provocare l'entrata in guerra della Rumania contro gl' Imperi centrali. Ed accenno appena al pericoloche il nostro assenteismo in Oriente po tesse provocare la nostra esclusione dalle zone di influenza in Asia Minore.

Fu destinata alla spedizione la 358 divisione agli ordini del generale Petitti di Roreto. Questi ne aveva assunto il comando in condizioni diffici lissime, quando, in seguito agli insuccessi del 15 e 16 maggio sulla linea occupata ad ovest della fronte Campomolon-M.te Maronia, la divisione aveva dovuto ripiegare verso l'altopiano di Tonezza e l'alta Val Posina; e fu con abilità e valore che il nuovo comandante la ritrasse sulle nuove posi zioni sulla destra del Posina.

La divisione fu composta delle brigate Sicilia e Cagliari, di uno squadrone dei Cavalleggeri di Lucca, di 4 gruppi di artiglieria da montagna, ciascuno di 2 batterie, di un battaglione zappatori del genio e di altri reparti per servizi accessori.

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La divisione iniziò la sua partenza da Taranto il 9 agosto 1916. Due giorni dopo, il primo sca glionedella divisione, comprendente il Comando della medesima, il 61° fanteria e due battaglioni del 63º, sbarcava a Salonicco, ealle ore 17 entrava nella città sfilando dinanzi al generale Sarrail, comandante in capo dell'Armata d' Oriente. Quale fosse l'aspetto di queste truppe, quale impressione destassero negli alleati, lo diròconle parole dell'in glese Ward Price, corrispondente ufficiale di guerra, il quale così scrisse nella sua Storia dell'Armata di Salonicco :

«Il 10di agosto, pochi giorni prima della battaglia di Ostrowo, di cui parlerò nell'ultimo capitolo, arrivò a Salonicco il primo distaccamento di una fortissima divisione italiana, la 35a, agli ordini del tenente generale Petitti di Roreto,uno deigenerali più apprezzati e fedeli del generale Cadorna. Il loro arrivo sor preseil resto degli alleati nei Balcani. Ben pochi di noi, invero, avevano potuto ammirare il soldato italiano in guerra. E noi non ci si sarebbe mai atteso truppe così superbe e superiori ad ogni elogio. Gli uomini erano forse in genere di piccola statura, ma erano solidi, ed avevano sul volto ilbronzeo colore acquistato sulle balze del Trentino. L'equipaggiamento deisoldati è di un grigio-verdechearmonizza singolarmente col grigio della loro uni forme. Iltagliodegliabitidegliufficialiè armonico e sciolto inmodo da dar loro un insieme dieleganza senza peròche questa vada a scapito della serietà dell'uniforme. Le uniformi scintillanti, gli elmetti nuovi, l'equipaggiamento in perfetto ordine, a prima vista poteva farli giudicare soldati freschi, che dovevano essere per la primavoltaimpiegati; ma, adisingannarci daquesto erro neo giudizio, stava sul pettogagliardo e largo di moltiil nastrino bleu ,indice della medaglia al valore, e testimone muto, ma elo quente, di lotte sostenute per l'avanti, di pugne combattute sul suolo italiano. E questo portava un peso non indifferente sulla bilancia degli alleati nei Balcani.

« Le truppe attraversaronoSalonicco fino al quai, fatte segno all'ammirazione e alla curiosità amichevole di tutti i presenti. Solo, avanti a tutti, e tutti sopravanzando con la sua imponente statura, erail generale Petittidi Roreto, un vero Anak, alto sei piedie4 pollici,grande, slanciato, solidoeche ora dabreve tempo èstato promossocomandante dicorpo d'Armata.E è lui appunto che tre mesi più tardi, recatosi in Monastir il giorno dopol'occu pazione, doveva rimanere malamente ferito aduna gamba,dalle schegge di una granata che fece varie vittime intorno a lui....

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Di questi elogi, quelle magnifiche truppe sep pero poi dimostrare di essere ben degne, in tutto il corso della campagna di Macedonia, al comando del generale Petittifino al maggio del 1917; poi a quello del generale Pennella tra il maggio e l'agosto del 1917 e finalmente a quello del gene rale Mombelli fino alla fine della guerra.

Il 25 agosto era ultimato l'arrivodelle truppe, e pressochè compiuto quello dei servizi; perciò la divisione era pronta ad operare nella pienezza dei suoi mezzi.

I Comandi supremi, francese e italiano, si erano messi d'accordo sulla seguente formula che doveva regolare la questione di comando della divisione italiana: « Il comandante in capo fran « cese stabilirà le missioni, gli obbiettivi da raggiun «gere, le zone d'azione e le date del principio di « ogni operazione; il comandante della divisione «italiana rimanendo libero dei mezzi daimpiegarsi « per l'esecuzione» (1). Queste istruzioni erano forse I lepiù larghefra quelle stabilite perivaricontingenti alleati, allo scopo di assicurare la necessaria unità di comando; ma nello stesso tempo si lasciavano al comandante della divisione tutte le modalità d'impiego, nell'intento che le truppe italiane fos sero impiegate in modo organico, sempre alla

(1) Ciò malgrado, il generale Sarrail sempre acre verso il Comando su premo italiano , certamente perchè questo gli negò in seguito , e per ben due volte, l'invio di altre divisioni italiane in Macedonia il generale Sarrail, nel suo libro : « Mon commandement en Orient » , dopo aver riprodotto , a pa gina 131, quelle istruzioni che io ho dianzi riferite, così scrive a pag. 147 : « Le général Petitti accéda à mon désir et montra , dans ces circonstances

« difficiles, décision et commandement. Je pûs d'ailleurs plus tard l'apprécier

« encore plus. D'une amabilité réelle, il savait modeler sur les nécessités du

« moment les ordres qu'il donnait, joindre à ses devoirs une véritable cama

« raderie militaire, allier à ses sentiments francophiles les nécessités que

« imposaient les directives séparatistes du commandement supérieur italien,

« et les prérogatives qui pouvaient être dues au représentant de la nation e

« de l'Armée italienne » .

Direttive separatiste del Comando supremo italiano ? Quali? Si pubbli chino , se esistono ! Ma esse non si trovano che nella immaginazione e nelle prevenzioni del generale Sarrail !

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. ST

dipendenza dei loro capi diretti, e senza che il corpo di spedizione fosse in alcun modo smem brato .

Al momento in cui la divisione italiana sbar cava a Salonicco, si trovavano nel campo trince rato costruito (e già ultimato fin dal principio dell'anno) fra il Vardar e il Golfo Orfano, 15 divi sioni, cioè 6 serbe, 5 inglesi e 4 francesi. Ma, nel mentre la divisione italiana era completa nei suoi effettivi, i riparti franco-inglesi erano spavento samente ridotti dall'infierire della malaria e dalla mancanza di arrivi di complementi. Per tali ragioni, all'arrivo del contingente italiano, non fu neanche accennato alla possibilità di azioni su vasta scala, e ad esso fu assegnato un compito lungo la fronte della Krusa-Balkan, dove sostituì la 57a divisione francese (destinata ad operare insieme a truppe serbe verso Florina) e a parte della 17a francese, incuneandosi fra truppe inglesi e truppe francesi. Su questa fronte, estesis sima per le forze della divisione, questa procedette tosto all'esecuzione di robusti lavori di rafforza mento .

Nella prima metà di ottobre veniva desti nata al corpo di spedizione di Macedonia anche la brigata Ivrea, la quale iniziava lo sbarco a Salonicco il 17 di quel mese. XIX

Uscirei dal compito che mi sono prefisso, se descrivessi l'azione delle truppe italiane in Mace donia, e la parte importante e gloriosa che vi ebbero, sia nelle operazioni intorno a Monastir, sia nell'avanzata finale che determinò il crollo dell'esercito bulgaro, e fu il primo atto dello sgre

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.

tolamento della coalizione nemica (1). Mio solo scopo come per l'Albania era di esporre come ci avviammo in Macedonia e quale fu l'azione del Comando supremo e del Governo nel deter minare o nell'impedire o ritardare la spedizione. Debbo però a questo proposito riferire che, in seguito adesiderio espresso dal generale Joffre, m'incontraiil 7 novembre 1916 con lui e colgenerale de Castelnau a S. Michel de Maurienne, e si pro cedette ad un'ampia discussione sulla situazione in Oriente e sull'opportunità di portare a tre divi sioni il contingente italiano in Macedonia, secondo la richiesta del supremo Comando francese. A que sto riguardo, ecco quale era il mio punto di vista. Occorreva anzitutto tener sempre presente la situazione del teatro di guerra italiano, malcol legato col teatro di guerra francese da due sole ferrovie di scarso rendimento; epperciò da consi ; derarsi come quasi isolato, non potendo ricevere efficaci soccorsi che in tempo assai lungo. D'altra parte, visto l'insuccesso, nella scorsa primavera, della Strafe Expedition, e considerato l'interesse che avevano gl' Imperi centrali di metter fuori causa l'Italia, c'era da attendersi nella primavera del 1917 un poderoso doppio attacco contempo raneo austro-tedesco dalla fronte Giulia e dalla fronte tridentina, per fronteggiare il quale non erano certamente di troppo le nostre forze pre senti, accresciute da quelle in preparazione per la ventura primavera. Conseguiva che l'allonta namento di altre forze verso teatri di operazione lontani, doveva essere subordinato alla condizione che i risultati che sarebbe stato possibile di conse

(1) Il lettore che desideri conoscere iparticolari delle operazioni in Ma cedonia può leggere il bel libro di Luigi Villari: La campagna di Macedonia, nel quale troverà anche interessanti ragguagli sui port tra i numerosi contingenti alleati e sul modo col quale funzionava il Comando supremo francese dell'Armée d'Orient.

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guire su quei teatri lontani sarebbero stati tali da indurre il nemico ad alleggerire le sue forze sulla nostra fronte e a distoglierlo da attacchi decisivi contro di essa.

In quel momento (7 novembre) i Rumeni, entrati in guerra il 28 agosto, avevano bensi invaso la Transilvania, ma stavano per essere ivi attaccati dagli Austro-Tedeschi, e già un'Armata bulgaro-tedesca, agli ordini del maresciallo Mac kensen, aveva invaso la Dobrugia ed occupato il porto di Costanza. Era perciò necessario che, appena superata la crisi rumena, la nostra coali zione riacquistasse, nello scacchiere orientale, la iniziativa delle operazioni. Obbiettivo di tale offen siva strategica, doveva essere l'invasione della Bulgaria, allo scopo di mettere fuori causa uno dei nemici, e recidere la grande arteria di Costanti nopoli che alimentava e dava vigore di resistenza all'organismo degl' Imperi centrali, per potere in seguito muovere alla liberazione della Serbia e attaccare l'Austria da tre direzioni, cioè dalla Transilvania, dal Danubio a monte di Orsova e dalla fronte italiana .

In linea di principio, questo piano d'azione che rientravanel grande programma del suc cessivo abbattimento dei nostri nemici, dai meno potenti ai più potenti -era certamente conforme ai comuni interessi dell Intesa. In linea di fatto, occorreva esaminarne la praticaattuabilità, e, su bordinatamente, disciplinarne la pratica esecu zione .

-

Tutto ciò doveva essere trattato alla pros sima conferenza di Chantilly (che ebbe poi luogo il 16 novembre) sulla basedegli elementi di giu dizio che sarebbero stati esposti dai capi militari dell'Intesa, particolarmente da quelli della Russia e della Rumania. Sembrava tuttavia a me che si

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potessero mettere in luce fin d'allora alcuni punti salienti della questione. L'invasione della Bulgaria, per essere frutti fera, non poteva essere intrapresa in una sola direzione, nè essere affidata al solo esercito di Salonicco. In Macedonia noi fronteggiavamo un esercito pari, se non superiore in forze al nostro;; ed era prevedibile che si sarebbe alterato questo rapporto a nostro danno, se gli avvenimenti in Dobrugia avessero continuato a svolgersi sfavo revolmente ai Russo -Rumeni, il che avrebbe per messo di inviare all'Armata nemica di Macedonia rinforzi bulgaro -tedeschi o turchi, diventando, nel caso previsto, la Turchia libera da ogni preoccu pazione per i propri territori europei, e in grado di mettere in valore le ingenti risorse di uomini di cui disponeva.

Ma, pur rinforzato notevolmente l'esercito del generale Sarrail per conferirgli la necessaria superiorità numerica, ed anche dotato di tutti i mezzi necessari a dargli la voluta capacità offen siva, non poteva lo sforzo isolato da Salonicco condurre agli sperati risultati decisivi che costi tuivano la ragione prima dell'impresa: e ciò per le caratteristiche del teatro d'operazioni, per le difficoltà di un'offensiva in grande stile che doveva essere alimentata da una base marittima, e svol gersi attraverso la regione montuosa tra il Vardar e la Struma e l'aspra catena del Rodope. In sif fatte condizioni la resistenza avversaria sarebbe stata efficacissima, se una maggiore minaccia non avesse impegnato il nemico anche su altra fronte. Era perciò mio convincimento che, nelle condi zioni di allora, l'offensiva contro la Bulgaria attra verso la Macedonia, nonpotendo di per sèsola essere decisiva, doveva svolgersi contemporaneamente ad una grande offensiva russo-rumena dal Danubio,

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la quale, per la direzione sud, nonchè per il pode roso organismo militare e l'ampia base da cui trarrebbe forza ed alimento, prometteva risultati ben altrimenti decisivi.

Io non possedevo certo tutti gli elementi per giudicare delle concrete condizioni di attuabilità di tale piano operativo, e dovevo rimettermi a quanto avrebbero esposto in proposito i capi mili tari della Russia e della Rumania; ma affermavo fin d'allora che, qualora la grande offensiva dal Danubio non fosse possibile, si sarebbe dovuto altresì rinunziare a qualsiasi proposito offensivo in Macedonia e lasciare all'armata di Salonicco il puro compito di attirare e trattenere con una perenne minaccia un considerevole gruppo di forze nemiche (I).

Traendo norma da questi concetti, io giudi cavo che, fino a che perdurasse la situazione di quel momento, l'ulteriore invio di forze a Salo nicco rappresentava una sterile diversione e, peg gio, unapericolosa sottrazione di forze ai teatri principali. Nello stesso ordine di vedute, ma in diversa situazione strategica generale, io mi dimo stravo disposto a portare a tre divisioni il contin gente italiano in Macedonia, quando cioè una grande offensiva russo-rumena dal Danubio, con la cooperazione dell'esercito d'Oriente di Salonicco portasse l'asse principale delle operazioni in Orien te, e quivi, incatenando le maggiori energie degli Imperi centrali, escludesse o , quanto meno, di molto attenuasse le probabilità di un'offensiva austro-tedesca in forze contro la fronte italiana. Il risultato di queste discussioni fu l'invio, per parte del generale Joffre, di un telegramma

(1) Fuquesto, infatti, il compito dell'Armata di Salonicco, fino quasi alla fine della guerra, fino al momento cioè , in cui la disgregazione dell'eser cito bulgaro permise di prendere l'offensiva con risultati decisivi.

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tra di noi concordato, al Capo della missione fran cese presso il Comando supremo russo (generale Alexejef, Capo distato maggiore dell'esercitorusso), In questo telegramma, dopo aver fissato la con cordanza delle nostre opinioni, sulla convenienza di mettere il più presto possibile fuori causa la Bulgaria, mediante offensive concordanti partenti da Salonicco e dal Danubio, si soggiungeva che, « in quest'ordine di idee, il generale Cadorna era « pronto a portare immediatamente gli effettivi « italiani a Salonicco a tre divisioni, sotto riserva « d'approvazione del suo Governo ». Ma gli avvenimenti, poco dopo, precipitavano in Rumania. Questa veniva invasa dalle Armate del maresciallo v. Mackensen e del generale v. Falkenhayn; l'intera Valacchia e parte della Mol davia cadevano nelle mani degl' Imperi centrali: anzichè la Bulgaria era la Rumania stata messa fuori causa, e iRussi, già rôsi dalla rivoluzione ed avendo le forze impegnate su tutte le fronti, erano impotenti ad aiutarli. La Rumania rimaneva ama ramente punita dell'aver voluto incominciare la guerra con la conquista della Transilvania, subor dinando così i fini capitali della guerra ad obbiet tivi territoriali; ma intanto, il danno per tutta l'Intesa era gravissimo; e, per quanto più parti colarmente riflette la regione balcanica, la situa zione era profondamentemutata: non si poteva più fare assegnamento sull'offensiva russo-rumena dal Danubio e l'Armata di Salonicco rimaneva abbandonata alle sole sue forze. Le truppe franco serbe avevano bensi occupato Monastir il 19 no vembre; ma non era da escludersi che gl' Imperi centrali, colle forze rimaste disponibili in seguito alla vittoriosa impresa di Rumania, attaccassero a fondo, a Monastir, l'Armata di Macedonia, per rigettarla su Salonicco. A tal fine, riusciva assai 13 - L.

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CADORNA Altre pagine sulla grande guerra.

senza

Nei giorni 5, 6 e 7 gennaio 1917 si riuniva a Roma la conferenza interalleata, con intervento dei Capi dei Governi di Francia, Inghilterra, Italia (signori Briand, Lloyd George, Boselli), del Capo di stato maggiore britannico (generale Robertson),

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più agevole ad essi di accrescere di nuove forze l'esercito bulgaro, che agli alleati dell Intesa di aumentare l'Armata d'Oriente, tutto dovendo es sere trasportato sul mare infestato dai sottoma rini. Ma, d'altra parte, poichè il solo esercito bul garo (non utilizzabile altrove) immobilizzava in Macedonia una grossa Armata alleata, e le forze rimaste disponibili in Rumania erano troppo neces sarie su altri teatri di guerra più importanti, non conveniva agl' Imperi centrali di ingolfarsi con altre forze nei difficili terreni della Macedonia, scarsi di strade, provvisti di una sola ferrovia regione dalla quale, per ritrarre al bisogno le forze, avrebbero impiegato tanto maggior tempo, quanto più si fossero avanzati verso Salonicco. Questa è certamente la ragione per la quale gl' Imperi centrali non effettuarono l'attacco di Monastir. Ma, così stando le cose, per parte nostra non era il caso di deviare nuove forze dai teatri principali per immobilizzarle tra le montagne della Macedonia alcuna prospettiva prossima di risultati decisivi. Meglio adunque valeva: lasciar l'Armata di Macedonia qual'era, sulle posizioni conquistate presso Monastir; e se ivi non avesse più potuto reggersi, quando fosse stata attaccata da forze superiori, non le sarebbe rimasto miglior partito che ritrarsi nuovamente nel campo trincerato di Salonicco. XX .

del ministro della guerra di Francia (generale Liautey) accompagnato dal generale Sarrail. L'Ita lia, oltrecchè dal presidente del Consiglio, era rappresentata dal ministro degli affari esteri (on. Sonnino) e da me. Rappresentavano la Russia l'ambasciatore, barone de Giers, e il generale Paly tzine .

La conferenza si scisse tosto in conferenza politica e conferenza militare. In quella militare molto si discusse la situazione nei Balcani. I gene rali Liautey, Sarrail e Palytzine,cercarono di dimo strarmi, con grande copia di argomentazioni, la necessità di rinforzare l'esercito di Macedonia (Armée d'Orient), con l'invio di altre divisioniinglesi e italiane, oltre a due divisioni francesi già in viaggio, tutti dichiarando che le forze che allora si trovavano in Macedonia erano insufficienti anche soltanto per mantenere Monastir. Io esposi le ragioni che mi imponevano di non diminuire le forze sulla fronte italiana ragioni che se ave vano grande peso il 7 novembre quando mi ero recato al convegno di S. Michel de Maurienne, erano diventate ancora più impellenti in seguito alla caduta della Rumania, quando cioè gl Imperi centrali potevano attaccare l'Italia con le forze rimaste disponibili, raggiungendo, in caso di felice esito, risultati di gran lunga più decisivi per il complesso della guerra europea, di quelli che pote vano ripromettersi a Monastir. Tale era, purtroppo, il grande vantaggio che la posizione centrale assi curava agl' Imperi nemici, permettendo loro di minacciare più fronti e di costringere noi a star su tutte alla parata. Osservai ancora che avevo già posto al generale Joffre, nel convegno di s. Michel, la condizione, per inviare altre forze a Salonicco, che un grande esercito russo varcasse il Danubio presso Bucarest per mettere fuori causa

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a

la Bulgaria, ed attraendo così nella penisola bal canicatutte le forze austro-tedesche disponibili, e distogliendole dal nostro teatro d'operazioni; che dopo d'allora, invece della Bulgariaera stata messa fuori causa la Rumania; perciò le mie ra gioni d'allora avevano tanto più peso oggi. Ond'è che,pureapprezzandoleragioni addottedaitre gene rali alleati, io dovevo pur dichiarare che non ero in grado di inviare in Macedonia neppure un soldato, oltre a quelli che già vi si trovavano. a E poichè anche il generale Robertson dichiarava di non potere inviare altre truppe inglesi, a ca gione della difficoltà dei trasporti, non rimaneva che abbandonare Monastir per ritirarsi su posi zioni più arretrate e più ristrette, se il coman dante in capo della spedizione avesse giudicato di non potervisi sostenere con le forze che si trovavano a sua disposizione; imperciocchè, ciò che soprattutto si doveva evitare era di farsi battere.

In seguito ad ampia discussione, nella quale, secondo ilsolito, tutti ripeterono le loro argomen tazioni rimanendo del primitivo parere, si formu larono due verbali, uno dai Francesi e dai Russi, l'altro dagl'Inglesi e dagl' Italiani. In conclusione le forze dovevano rimanere quali erano, e Monastir non sarebbe stato abbandonato. Quest'ultima deli berazione non mi lasciava del tutto tranquillo in caso di attacco in grande stile. Ma tale era la volontà del comandante in capo della spedizione, e l'attacco, fortunatamente, non avvenne.

Io dovetti in queste sedute ripetere l'osser vazione già altre volte fatta, cioè quanto poco gli alleati si rendessero conto delle difficoltà della nostra fronte e dei pericoli cui essa era esposta, potendo gl' Imperi centrali farla in qualunque momentooggetto di potente attacco su doppia

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fronte, valendosi della loro posizione centrale e della ricca rete ferroviaria di cui ·disponevano. Come rilevai nel mio libro: « La guerra alla fronte italiana », essi si illudevano di poterci soccorrere conoffensive dialleggerimento eseguite sulla fronte di Francia offensive delle quali l'esperienza aveva dimostrato l'inanità a raggiungere tale scopo.

XXII.

Nulla di notevole ho da aggiungere, che inte ressi l'azione del Comando supremo italiano, nel tempo in cui ancora io ressi la carica di Capo di stato maggiore dell'esercito, cioè fino al 9 novem bre 1917. Mi limiterò ad accennare per sommi capii principalissimi avvenimenti che si svolsero in Macedonia .

Fra il Comando supremo dell'Armata d'Oriente e il Comando della 35a divisione italiana, si con cordò che questa avrebbe occupato l'aspra e diffi cile fronte compresa nell'arco della Cerna, dal fiume a Makovo, dell'estensione di 16 a 18 chilometri, rilevando le truppe della 17a ed 118 divisione francese e quelle della divisione serba Morava divisioni queste che avevano forza estrema mente esigua.L'occupazione di questa fronte si compi rapidamente negli ultimi giorni di dicem bre del 1916, e tosto si diede mano a migliorare la sistemazione difensiva tuttora molto incom pleta, ed a creare una seconda linea di maggior resistenza, per far fronte ad una ancor possibile puntata offensiva degl'Imperi centrali. Il punto più sensibile della prima linea era la dominante quota 1050 intorno alla quale già si erano svolte aspre lotte, ed altre stavano per accadere. Sulla vetta stavamo a brevissima distanza noi il

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nemico, e le due dorsali laterali erano occupate in cresta dal nemico, il quale dominava le nostre linee che si svolgevano immediatamente al disotto. Nella sera del 27 febbraio, con un brillan tissimo attacco, molto ammirato dai vicini Serbi, che ci sostenevano con la loro artiglieria, le nostre truppe si impadronivano dell'intera quota 1050 e facevano una profonda irruzione nelle linee nemiche; ma, quasi distrutta la colonna d'attacco dallo scoppio di una mina, e battuta d'infilata dall'artiglieria nemica, i resti dovettero ritirarsi alle trincee di partenza.

Continuò la lotta aspra ed accanita sulla quota 1050 non avendo cessato di attaccarci il presidio nemico composto di un reggimento tede sco di cacciatori della guardia; ma la fiera resi stenza delle nostre truppe, appoggiata ai notevoli lavori di rafforzamentoeseguiti, infranse sempre tutti i tentativi nemici pure a costo di gravi per dite, le quali, in quattro mesi, ascesero a 4000 uomini, compresi 950 congelati. Nei primi giorni di aprile il Comando del l'Armata francese di Oriente (alla dipendenza del quale si era posto il Comando della 358 divisione per assicurare la necessaria unità di azione) dava le prime disposizioni per grande offensiva che doveva svolgersi su tutta la fronte dalla Cerna al Vardar, ed alla quale dovevano partecipare il corpo di spedizione ita liano, due gruppi di divisioni francesi, il contin gente russo, i Serbi e gl' Inglesi. Per quanto riflette il nostro settore, gli obbiettivi erano: lo sfonda mento della linea nemica e la conquista delle linee successive puntando in direzione di Prilep. A cagione delle perdite subite e della conseguente scarsità dei nostri effettivi, la nostra fronte fu ristretta, ed un tratto di 3-4 chilometri verso le

una

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posizioni dei Piton fu ceduto alla 16a divisione coloniale francese, la quale doveva essere il perno e la direttrice di tutta l'operazione. L'attacco doveva essere preceduto da un tiro di tre giornate di fuoco intenso di artiglierie e di bombarde. L'inizio dell'azione di artiglieria, fissato dap prima al 26 aprile, fu poi ritardato fino al 5 mag gio. In questo mentre, cioè il 6 maggio, il generale Petitti di Roreto, nominato comandante di corpo d'Armata, cedeva il Comando della 35a divisione al generale Pennella, dopochè, con intensa prepa razione dei mezzie dellospiritodelle truppe,queste erano state preparate al grave compito che era stato loro affidato .

e

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A richiesta delle divisioni francesi fu prolun gata la preparazione di artiglieria per completare la distruzione delle opere nemiche e l'attacco ebbe luogo il 9 maggio con esito sfavorevole; esso doveva rinnovarsi il 10 alle ore 8 contemporaneamente da Italiani e Francesi. Ma, alle 7.30, dopo che la preparazione di artiglieria era già cominciata fin dalle 6, il Comandodell'Armata d'Oriente comu nicava che, data la condizione delle truppe della 16a divisione coloniale francese, aveva stabilito di non fare per quel giorno l'attacco, a meno che non fosse troppo tardi, per dare il contr'ordine alle truppe italiane. Il generale Pennella dovette considerare che, per quanto il tempo fosse insuf ficiente per far pervenire il contr'ordine a tutti i reparti già pronti per l'attacco, alcuni dei quali erano isolati essendo state rotte le comunicazioni dal bombardamento, pure l'alternativa che gli si offriva non esisteva, perchè la 16a divisione coloniale, che doveva già avere avuto l'ordine sospensivo, non avrebbe attaccato in nessun caso, essendo il Comando francese nell'impossibilità di farle pervenire il contr'ordine; e lanciare le nostre >

truppe all'assalto senza l'attacco contemporaneo dei Francesi sulla posizione chiave, equivaleva a mandarle a sicuro macello, perchè sarebbero state colpite di fianco ed alle spalle dalle posizioni dei Piton. Egli rispose adunque che avrebbe dato il contr'ordine, il quale, spedito con tutti i possi bili mezzi, giunse fortunatamente in tempo a tutti i reparti, ad eccezione di una compagnia, la quale parti valorosamente per l'attacco. Il generale Pennella protestò energicamente per quanto era avvenuto, e i generali Sarrail e Grossetti, recatisi nello stesso giorno al suo quar tier generale, gli presentarono ampie scuse, dichia rando che assumevano piena la responsabilità del dolorosissimo incidente. Quello che lo rende però più grave si è che la 16a divisione coloniale aveva già nella notte dal 9 al 10 ricevuta l'auto rizzazione di non attaccare, e il Comando francese non si era curato di avvertirne il Comando della divisione italiana .

L'attacco delle fanterie fu ripreso l'indomani e poi ancora il giornosuccessivo, ma con sempre sterile risultato. Già, dal principio, si erano rive late le discordie degli alleati; poi si erano accen tuate. I Francesi pretendevano che i Serbi doves sero insistere nell'avanzata; questi giustamente facevano notare che le operazioni dell'inverno precedente erano state essenzialmente sostenute da loro, con enormi sacrifici di sangue. Gl' Ita liani fecero rilevare che non era ad essi possibile di avanzare sull'altura quota 1050, se prima non avessero avanzato i Francesi sulla linea dei Piton, dalla quale erano battuti di fianco. Fu cosi stabi lito; e poi, come già s'è detto, il Comando del l'Armata d'Oriente contromandò l'ordine senza contemporaneamente avvertirne gl'Italiani.

La battaglia si chiuse con rilevanti perdite

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di tutti gli alleati e senza che alcun risultato fosse stato raggiunto. Dopo una diecina di giorni si riprese il periodo di passiva aspettazione. Cia scuno dei contingenti alleati iniziò il lavoro di riassetto delle trincee sconvolte, in modo speciale gl'Italiani, cui il possesso del tratto più difficile e culminante della fronte (la quota 1050), presi diata da 18 dei 22 battaglioni tedeschi presenti, imponeva questo lavoro di Sisifo con maggior carattere di urgenza.

Tale passiva aspettazione era imposta dalle scarse forze e dalla insufficiente preparazione del l'esercito alleato. Difatti, il più grave appunto che si possa fare alla organizzazione dellaguerra macedone è quello che, contrariamente alla gene rale aspettativa e alle notizie pervenute in Italia prima della partenza della 35a divisione, gli eser citi alleati inMacedonia non disponevano nè degli effettivi, nè dei mezzi, nè dellapreparazione logi stica necessaria per esercitare una pressione reale sul nemico in cooperazione con forze russo-rumene operanti da nord, quando questa sembrava ancor possibile; e tale preparazione non si ebbe mai neppure nel seguito.

Le truppe alleate erano distese sopra una fronte enorme; mancava ogni profondità nello schieramento, le trincee di seconda linea erano scarse e prive di consistenza. Il Comando italiano, preoccupato da questa condizione di cose che teneva il corpo degli alleati alla mercè del nemico, si diede subito a ricostituire le truppe e ad impie garle nei lavori occorrenti a ristaurare le linee di difesa. Col consenso del Comando supremo ita liano, studiò pure ed attuò tutte le predisposizioni occorrenti per far ripiegare, in caso di attacco a fondo nemico, il contingente italiano con movi mento eccentrico, sulla base italiana di Santi

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Quaranta in Albania anzichè sulla base di Salo nicco, evitando così laressa nella gola di Ostrowo, che avrebbe potuto mutare il ripiegamento in un vero disastro.

Il contingente italiano, inoltre, per rapporto a quello di tutti gli alleati, e specialmente di quello francese, sotto il punto di vista degli effettivi, era proporzionalmente il più forte. Perciò, il Co mando supremo italiano, accogliendo le proposte del generale Pennella, inoltrate in base alle diret tivegià impartitegli, predispose il ritiro della bri gata Sicilia, stante il bisogno sempre crescente di truppe alla fronte italiana.

Ilgenerale Sarrail, frattanto, anzichè favorire il raccoglimento dei vari contingenti dopo la fal lita improvvida offensiva, andava meditando im prese diversive di contenuto politico estraneo alla situazione. Ritirò dalla fronte il contingente russo che aveva dato segni indubbi di fraternizzare coi bulgari; ritirò pure alcuni reparti francesi, e si accingeva pure d'accordo con Venizelos invadere essi l'Epiro. Pretendeva perciò che gl' Italiani estendessero di qualche chilometro sulla destra la loro occupazione fino oltre i Piton. La fermezza recisa del generale Pennella ottenne che gl' Italiani rimanessero nei limiti delle loro primitive posizioni. Si riordinarono sempre più i nostri servizi, che costituivano in quel lontano paese, pure in confronto di eserciti assai più lar gamente dotati, un vero modello per l'organiz zazione e il funzionamento perfetto. Si stabilì una linea telegrafica e telefonica speciale l'Italia, lungo la rotabile in via di costruzione già avanzata che legava la fronte alla base di Santi Quaranta, e lungo la medesima venne stabilito un servizio automobilistico a catena che permise d'allora in poi un servizio postale rapido e regolare

a con con

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con la madre-patria e l'invio in licenza dei mili tari, cui il lungo viaggio per mare ed il pericolo del siluramento dei piroscafi aveva resa quasi illusoria quella licenza che tanto valore morale accresceva alle truppe. La promozione a tenente generale per me rito di guerra del generale Pennella e la sua de stinazione a Capo di stato maggiore della 38 Armata, determinò il suo richiamo in Italia ver so la fine di giugno del 1917 e la sua sostitu zione col generale Mombelli, addetto militare a Salonicco .

L'avvento al potere del signor Clemenceau scosse dapprima laposizione del generale Sarrail e poi nedeterminòil richiamo. Venne sostituito dal generale Guillaumat che ben presto si guada gnò la stima e la considerazione di tutti i coman danti dei vari contingenti alleati.

XXIII .

Dopo un lungo periodo di raccoglimento, di riorganizzazione e di sosta, l'esercito alleato, pas sato al Comando del generale Franchet d'Esperey, nell'autunno del 1918 scosse il proprio torpore e quello dell'avversario, e con improvvisa, energica mossa lo attaccava risolutamente. Il nemico era già moralmente disfatto, in modo speciale i Tur chi, e più ancora i Bulgari. I pochi battaglioni tedeschi della fronte macedone, non più rinfor zati, si erano andati riducendo sensibilmente di effettivi, se non di numero. La fronte avversaria venne rotta; i Bulgari iniziarono un ripiegamento che si mutò in breve in una rotta rovinosa. La Bulgaria fu invasa. In poco più di una ventina di giorni la vittoria degli alleati sulla fronte mace

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done (alla quale prese onorevolissima parte la divisione italiana) divenne generale. E questo fu il primo fiero colpo che colpi al cuore gl' Imperi centrali, e scardinò la compagine, sia pure solo apparente, dei loro alleati. Rimase allora aperta ai colpi degli eserciti alleati la fronte meridionale della monarchia austro-ungarica.

Quasi contemporaneamente, cioè nella prima metàdi ottobre, le nostre truppe d Albania intra prendevano quella marcia verso nord che non doveva arrestarsi che ad Alessio e a Scutari.

E qui dovrei porre fine a queste brevi note. Ma non posso tralasciare di accennare alla lacri mevole fine dell'impresa di Albania. Sollevate contro di noi, in conseguenza di , una cattiva politica, le popolazioni albanesi, stre mato di forze il corpo di spedizione, perchè i par titi antinazionali avevano posto il veto all'invio dei soccorsi, e il Governo presieduto dall'on. Gio litti obbediva loro supino, le truppe, pure eroi camente combattendo, si trovarono nell'impossi bilità, non solo di difendere la linea della Vojussa, ma neppure quella della Suscica. Addossate cosialla costa, presso la città di Valona, esse furono ridotte a combattere nelle peggiori condizioni. E allora (giu gno del 1920) il Governo deliberava l'abbandono di Valona, solo conservando lo scoglio di Saseno. Si giungeva cosi, dopo sei anni, alla soluzione da me propugnata alla fine del 1914. Ma quale differenza ! Mentre allora sarebbe stata una solu zione scelta di nostra libera elezione, per nostra convenienza, nel 1920 apparve invece, e fu, una soluzione forzata, sotto la pressione di poche mi gliaia d'insorti; una soluzione che ebbe tutta l'apparenza di una fuga, e fu imposta ad un paese e vittorioso, al cui Governo mancò l'energia e la

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volontà per bassi finiparlamentari di schiac ciare almeno gl'insorti, affinchè la successiva ri tirata da Valona assumesse l'apparenza di un volontario abbandono.

Giammai si vide il Governo di un Paese vit torioso offendere impunemente a tal segno la dignità nazionale! Fu questo certamente, insieme all'amnistia ai disertori, l'atto più deplorevole che il corrotto parlamentarismo impose al Paese nei primi anni del dopoguerra. Io ho dovuto rilevare in questo Capitolo in omaggio alla verità storica - i contrasti avuti con me e gli errori commessi dagli uomini che governarono l'Italia nel 1915 e nella prima metà del 1916. Ma giustizia vuole che si riconosca al tresì che, nel loro patriottismo, nel loro alto senso di dignità, quegli stessi uomini che ebbero l'alto merito di affrontare le grandi responsabilità della guerra, sarebberomille volte caduti piuttosto che subire imposizioni che la dignità nazionale cosi atrocemente offendevano (I).

( 1 ) A pag . 569-570 del suo libro : Le memorie della mia vita , l'on . Gio litti enumera ragioni che lo indussero allo sgombro dell'Albania . Que ste ragioni avevano il loro valore in quelle circostanze e possono essere di scusse. Ma non è di questo che si tratta . Non è lo sgombro che è deplo revole, ma il modo come fu effettuato. Si poteva sgombrare l'Albania, ma lo si doveva fare in modo dasalvare la dignità nazionale, la quale non fu certamente tutelata quando il Governo si lasciò imporre lo sgombro dai par titi sovversivi, e lo si dovette eseguire sotto il fuoco dei ribelli che ci ave vano cacciato dai monti circostanti ed erano scesi fino alla rada. Su queste umilianti circostanze, che sono appunto quelle che rendono vergognoso lo sgombro, l'on. Giolitti, naturalmente, sorvola.

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INDICE Premessa Pag. 9 CIRCA IL PROGETTATO INVIO DI UN'ARMATA ITALIANA IN ALSAZIA >> 13 LA NEUTRALITÀ DELLA SVIZZERA DURANTE LA GUERRA 27 GLI AVVENIMENTI DEL 1914-15 IN TRIPOLITANIA » 47 COME CI AVVIAMMO IN ALBANIA E IN MACEDONIA » IO ) FINITO DI STAMPARE IL 31 LUGLIO 1926 NEGLI STAB . TIP . LIT. EDIT, A. MONDADORI VERONA
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