NOTE E RELAZIONE DI VIAGGIO NEI BALCANI (1879-1898)

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NOTE E RELAZIONE DI VIAGGIO NEI BALCANI

con saggio introduttivo a cura di Antonello F.M. Biagini

Roma, 1978

STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO
Ufficio Storico

PROPRIETA' LETTERARIA

Tutti i diritti riservati.

Vietata la riproduzione anche parziale senza autorizzazione

PRESENTAZIONE

L'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito pubblica, in occasione del centenario del Congresso di Berlino, questo secondo volume di documenti nel quale sono raccolte gran parte delle relazioni degli ufficiali italiani che, a vario titolo, operarono nella regione danubiano-balcanica dal 1876 al 1900 .

Attraverso le relazioni e l'ampio saggio introduttivodovuto ad Antonello F.M. Biagini, curatore del volumevengono sottolineati gli stretti rapporti diplomatici e culturali intercorrenti tra l'Italia del Risorgimento e le giovani nazioni dell'Europa Orientale nonché l'attenzione e la simpatia con le quali l'ambiente militare italiano seguì la loro lunga lotta per sottrarsi alla domi.nazione straniera.

IL CAPO DELL'UFFICIO STORICO

Nell'elaborare il saggio introduttivo ho utilizzato due saggt m precedenza pubblicati e precisamente: La crisi d'Oriente del 1853-56 e del 1875-78 nel commento de " La Civiltà Cattolica », in « Annali della facoltà di Scienze Poltiche », Università di Perugia, 1970-72, n. 11 vol. I pp. 203-225 e Italia e Turch ia (1904-1911): gli ufficiali italiani e la r iorgallÌZ2l8zione della gendarmeria in Macedonia, in «Memorie Storiche Militari J9n », Stato Maggiore Esercito, Ufficio Storico, pp. 207-228.

Elenco delle abbreviazioni.

SME-AUS: Archivio Ufficio Storico, Stato Maggiore Esercito, Roma

MAE-AS : Archivio Storico dei Ministero degli Esieri, Roma

ACS : Archivio Centrale dello Stato, Roma

l. - L'Italia e la questione d'Oriente. 2. - Le operazionì militari

3. - La delimitazione dei confini dopo il congresso di Berlino.

4. - Le relazioni di viaggio. S. - La pr-esenza italiana nei Balcani.

I. Le insurrezioni contro i Turchi in Erzegovina nel luglio 1875 riaprivano fatalmente la questione d'oriente mentre nei primi mesi del 1876 le insurrezioni in Bulgaria, la dichiarazione di guerra della Serbia e del Montenegro al governo di Costantinopoli (3 lugl io 1876) determinando ·la pesante reazione ottomana offrivano, nel 1877, il pretesto alla Russia per intervenire direttamente Tornava così a riproporsi quella questione che sembrava essersi chiusa con il Congresso di Parigi del 1856 e che aveva ribadito il principio dell'integrità del'Impero ottomano e la neutralizzazione del Mar Nero. E' pur vero che la situazione balcanica non aveva mai cessato di essere al centro delle attenzioni e delle analisi politiche delle potenze europee: l'insofferenza verso il dominio ottomano mente viva in quelle zone dove l'elemento cristiano incontrava maggiori difficoltà a convivere con l'elemento turco , la presenza di un secolare « insurrezionismo », l'ascesa nazionale dei vari popoli balcanici, gli interventi delle potenze europee per far valere i propri interessi a sostegno dei movimenti nazionali o preoccupate dell'integrità dell'Impero ottomano, avevano caratterizzato il ventennio tra le due crisi: quella del 1853-1856 e quella del 1875-1878 (1).

La diplomazia zarista, ben presente nello svolgersi degli avvenimenti, aveva concluso con successo, nel marzo 1871, una convenzione per l'abrogazione delle norme sulla neutralità del Mar Nero e alla politica ufficiale aveva accompagnato in quegli anni una intensa attività propagandistica volta a cementare i vincoli di fraternità slava e di comunione nella stessa fede, quella ortodossa, di cui lo zar era il centro e H capo. La stessa scena internazionale europea era del resto 'Sensibilmente mutata con la realiz:tata unità italiana che aveva sconvolto gli equ ilibri già consolidati in Europa e che aveva posto all'Impero austro-ungarico il problema di un orientamento verso i

(l) A. TAMBORRA, L'Europa centro-orientale nei secoli XIX-XX (18001910), in Storia Universale diretta d.a E. PONTIERI, vol. VII, tomo IV. pp. 424 e ss.

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Balcani, contrasto in ciò dalla Russia zarista (l). Era proprio l'Italia, come ha recentemente ribadito lo storico jugoslavo Sepié, a godere di grande prestigio morale nel mondo balcanico. « I paladini dell'unità jugoslava - ricorda Sepié - ritenevano che il modo in cui era stata raggiunta l'unità d'Italia, sotto la guida del Piemonte, rappresentava un modello che meritava di essere seguito; per loro l'Italia era il difensore più convincente del principio di nazionalità, al quale gli slavi del Sud si richiamavano nelle loro rivendicazioni nazionali; ed inoltre era noto che in Italia, dal Risorgimento in poi, le aspirazioni degli Slavi del sud per la loro unità nazionale, erano considerate con grande simpatia» (2). E all'interno stesso dell'Italia, nell'opinione pubblica, si manifestarono simpatie per gli insorti e si sviluppò una campagna per la liberazione dei popoli cristiani dai turchi. Fu questo il periodo in cui fiorirono le pubblicazioni «a metà fra il giornalismo e la memorialistica » ricche di « sincera partecipazione alle vicende dei popoli slavi in lotta per la loro indipendenza nazionale, oltre tutto si tratta di una partecipazione molto spesso diretta degli aulorì che si trovarono essi stessi a combattere per quella causa negli anni della crisi del 1875-1878 » (3).

Tuttavia se la posizione dell'opinione pubblica fu di slancio verso la causa slava e dei rivoltosi i circoli politici italiani si mostrarono più cauti. Visconti Venosta, ministro degli Esteri nel governo Lanza, aveva appoggiato le proposte di riforme varate dal ministro degli Esteri Andrassy con il preciso scopo di mantenere lo status quo nella penisola balcanica. Se il governo della Destra deluse in questo senso non di meno avvenne per il governo Depretis, costituitosi nel marzo 1876, che vanificò ogni speranza di intervento italiano nelle questioni orientali. L'eco di questa delusione si rinviene del resto negli stessi rapporti dei delegati italiani nelle Commissioni internazionali costituite dopo il Congresso di Berlino per la delimitazione dei confini del Montenegro, della Serbia, della Romania e della Bulgaria: molto spesso quegli ufficiali lamentavano la mancan-

(l) Per la bibliografia su questo ·periodo cfr. W.N. MEDUCOTT, The Congress of Berlin and alter: a diplomatic history of the Near Eastern Settlement (1878-1880), Londra 1938; F. COGNASSO, Storia della Questione d'Oriente, Torino 1948; D. DJORDJEVIC, Revolutions nation.ales des peuples balcaniques 1804-1914, Belgrado 1965; A. BRECCIA, Le fonti per lo studio della storia delle relazioni internazionali dei paesi jugoslavi nel periodo 187()..1945, in « Storia e politica "• 1970, fase. IV e 1971, fase 1-2; A. TAMBORRA, Gli studi di storia aell'Europa Orientale in Italia nell'ultimo ventennio in Atti del l Congresso nazionale di Scienze Storiche (Perugia 1967), Milano 1970; ID., Europa Orientale in Bibliografia dell'età del Risorgimento in onore di Alberto M. Ghisalberti, vol. III, Firenze 1974; A. PITASSIO, Problema slavo e questione d'Oriente nella storiografia itarelazione al Convegno degli storici italiani e jugoslavi (Firenze 10-11 giugno 1977).

(2) D. SEPIC, lA politica dell'Italia nella crisi d'Oriente del 1875-1878 e gli Slavi del sud, relazione al Convegno degli storici italiani e jugosla\ i, (F1renze 10-11 giugno 1977), p. 12 e relativa bibliografia.

(3) A. PITASSIO, Problema slavo cit. p. 38.

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za di disposizioni precise di fronte ai problemi politici che da quelle delimita zioni nascevano.

Il governo della Sinistra condivise, in pratica, l'indirizzo precedente basato sul disinteresse dell'Italia per le questioni orientali mentre l'impegno che l'Austria-Ungheria andava sempre più assumendo nei Balcani avrebbe reso meno gravosa la rinunzia alle zone italiane la cui acquisizione era, in concreto, il motivo centrale della politica estera italiana dell'epoca. Calcolo, come si vedrà, del tutto infondato poiché proprio in quel momento la monarchia asburgica, divenuta il fattore equilibrante della situazione balcanica, gç>deva di una posizione diplomatica estremamente solida e l'idea di una con t ropartita all'Italia era, come è stato più volte sottolineato, totalmente destituita di fondamento . Nel marzo 1878 Luigi Corti, nell'accettare la carica di ministro degli Esteri in sostituzione di Amedeo Melegari nel gabinetto Cairoli, aveva pretesto che fosse abbandonata l'idea della soluzione del problema nazionale attraverso l'opposizione all ' occupazione austriaca della Bosnia (1).

Dissimile, come atteggiamento, quello deila Santa Sede quale si può cogliere attraverso le pagine della rivista dei gesuiti « La Civiltà Cattolica ».

Sottolinea opportunamente Gabriele de Rosa, nell'introduzione e nella scelta dei brani della an t ologia Civiltà Cattolica

1850-1945, come attraverso le pagine della più importante rivista della Compagnia di Gesù sia possibile ricostruire l'impegno religioso e politico dei gesuiti nella vita interna italiana, con quale profondo senso dell'obbedienza e con quale costante fedeltà al servizio del pontefice e della Chiesa si svolgesse il lavoro dei redattori (2) . Inutile q u indi sottolineare che, attraverso il « d iaframma » della rivista, è possibile cogliere implicitamente, nelle linee essenziali, lo stesso atteggiamento della Santa Sede e del pontefice.

«La Civiltà Cattolica », oltre che per le questioni ideologiche e per i problemi di politica interna italiana, ebbe, sin dall'inizio, una costante sensibilità verso i problemi internazionali . Fra questi, nel primo trentennio di vita della rivista, hanno un posto di grande rilievo per ampiezza di rifless i religiosi oltre che p o litici, le due crisi d'Oriente del 1853-56 e del 187578. Nel gennaio del 1853, infatti, la ' rivista dei gesuiti, nella rubrica Cronaca Contemporanea, affrontava il problema dei Luoghi Santi nel suo contesto generale europeo: «la T urchia

(l) F. CHABOD, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Bari 1951; F. CATALUCCIO, Problem i e sviluppi della politica estera ita· tiana dal 1861 al 1918 in Nuove questioni di storia del Risorgimento e dell'Unità d'Italia, Milano 1961, pp. 209-278; La politica estera italiana negli atti, documenti e discussioni parlamentari dal 1861 al 1914, vol. n. tomo I (1876-1883), a cura di G. PERT ICONE, Roma 1973; C.J. LOWE· F. MARZARI. ltalian Foreign Policy 1870·1940, Londra e Boston 1975.

(2) G. DE ROSA, Le origini della Civiltà Cattolica, introduzione all'antologia Civiltà Cattolica 1850-1945, Roma 1971, 2 voll., vol. I, pp. 9-101.

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per seguire due padroni (Francia e Russia) ha concesso facoltà contraddittorie a' greci e latini così che la questione dei Luoghi Santi riprende vigore e diviene più grave » (1). La Francia, come è noto, aveva visto con le capitolazioni del 1740 neonfermato il diritto di rappresentare e proteggere i cristiani cattolici dell'impero ottomano; analogamente la Russia con il trattato di Ki.icuk Kainardji del 1774 per gli ortodossi; non solo, la custodia dei Luoghi Santi era stata da sempre oggetto di contrasti fra i monaci delle due confessioni cristiane con il conseguente intervento delle due potenze facilitate e stimolate alternativamente dalla politica ottomana. Dal 1840 al 1850 la situazione si era riacutizzata: ai vecchi contrasti che riguardavano la priorità nelle celebrazioni liturgiche e la possibilità di eseguire restauri nei santuari si aggiungeva quello intorno al possesso della chiave di ingresso della Chiesa della Natività di Betlemme. Era questo un problema - osservava la rivistache, «se preso a cuore dalla Francia», poteva divenire gravissimo soprattutto perché la Russia aveva chiaramente fatto intendere la propria contrarietà a rivedere, sia pure minimamente, Io status qua esistente. Tuttavia questa posizione del governo zarista si scontrava con quella assunta da Napoleone III che, ancor prima di assumere il titolo di imperatore, aveva ripreso a seguire con attenzione gli avvenimenti in Levante disponendo, nel 1852, che le richieste dei monaci cattolici fos'Sero sostenute dal rappresentante francese: guadagnare il favore della Chiesa in politica interna e rialzare il prestigio della Francia in politica estera erano i motivi fondamentali di questa politica. Francia e Russia, in conclusione, colsero il pretesto per riaffermare le proprie esigenze di influenza tanto che l'aspetto puramente religioso della contesa tra cattolici e ortodossi per il possesso dei Luoghi Santi era scomparso quasi del tutto annullato dalle trattative diplomatiche e dalle vicende militari di cui era stato indirettamente causa (2). Nonostante ciò l'aspra polemica sui Luoghi Santi, il riferirsi dei contendenti ai motivi religiosi costituiva il sottofondo di tutta la crisi d'Oriente, doè dei più vasti contrasti fra la Russia da un lato e le potenze dell'Europa occidentale dall'altro. «La Civiltà Cattolica », registrando gli sviluppi della situazione, os-

(l) Cronaca contemporanea, La questione dei luoghi Santi, in cLa Civiltà Cattolica,., vol. I, 1853, pp. 106-108. D'ora in avanti il titolo della rivista verrà abbreviato con l'indìcazione CC. Degli articoli sarà riportato il titolo, l'anno di pubblicazione, ìl volume e le pagine. Per quanto riguarda gli autori degli articoli che compaiono su CC in forma anonima, ho tratto l'indicazione dall'Indice generale della "Civiltà Cattolica,. (aprile I850· dicembre 1903), compilato a cura di G. DEL CHIARO, segretario della direzione, Roma, Ufficio della Civiltà Cattolica, 1904. Gli autori delle note eli Cronaca contemporanea non sono indìcati né nella rivista né nel· l'Indice cit.

(2) Sulla crisi d'Oriente cfr. F. VALSECCHI, di Crimea, Firenze 1968. Per una visione più ampia cfr. G.B. HENDERSON, Crimean War Diplomacy, Glasgow 1947; E. ANCHIERI, Costantinopoli e gli Stretti nella politica russa, Milano 1948; F. COGNASSO, Storia della questione d'Oriente, cit.

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servava che « un negro, denso nuvolone fu visto condensarsi sull'impero turco, l'Europa ne ebbe paura, le borse calarono» (1). La Francia aveva ottenuto per i cristiani di rito latino notevoli garanzie, ma l'arrendevolezza della Porta aveva stimolato le ambizioni della Russia che, a sua volta, aveva formulato nuove richieste attraverso il proprio rappresentante a Costantinopoli, il generale Aleksandr Sergejevic Mensikov. Le pretese russe non erano di poco conto: si trattava del riconoscimento non solo dei diritti derivanti dal trattato di Kticuk Kainardji ma anche dell'estensione di tali diritti alla protezione di tutti i cristiani ortodossi soggetti alla dominazione ottomana. A ciò si aggiungeva la richiesta di sottoporre l'elezione del . patriarca di Costantinopoli alla approvazione dello zar, di definire la questione dei Luoghi Santi e di affrancare i popoli della Bosnia, Moldavia, Valacchia e Bulgaria « i quali - si affermava da parte del governo zarista - per i vincoli di stirpe e religione appartengono alla Russia» (2). In altri termini se il sultano avesse aderito completamente alle richieste russe avrebbe ceduto i propri diritti sovrani sui tre quarti della Turchia europea mettendo una forte ipoteca sulla esistenza stessa dell'impero ottomano (3). Invano la Sublime Porta, con l'emissione di due « firmani », cercava di accondiscendere in parte alle richieste dello zar, ordinando la ricostruzione della cupola del Santo Sepolcro sotto la direzione del patriarca greco c stabilendo un ordine di precedenza a favore degli ortodossi per le celebrazioni liturgiche nella chiesa della Natività di Betlemme; invano perché lo zar sembrava deciso a risolvere la questione d'oriente, perché nuove accuse venivano formulate nei confronti del governo ottomano: di aver estorto con la forza la dichiarazione del Patriarca di Costantinopoli circa la propria libertà d'azione e di aver fornito armi ai Circassi, «popolazione - commentava la rivistache non si lasciava assoggettare dallo zar» (4). In questo dima e con questi presupposti il « vice autocrate » - così era definito da « La Civiltà Cattolica» il principe Mensikov - poneva un termine perentorio alle proprie richieste presentandosi al sultano senza chiedere udienza. Di fronte a tale atteggiamento, rilevava l'estensore delle note di Cronaca Contemporanea, il governo della Sublime Porta non poteva che reagire negativamente pur riconferman do i privilegi già concessi alla confessione ortodossa. La stessa occupazione dei Prin· cipati da parte russa non considerata come un casus belli e la disponibilità mostrata dal sultano nel rispondere alla nota del governo austriaco testimoniavano la volontà di pace della Su· blime Porta (5). « La sostanza - scriveva in quel momento il

(l) Cronaca contemporanea, CC, vol. II, 1853, p. 218.

(2) Cronaca contemporanea, CC, vol. II, 1853, p. 219.

(3) F. V ALSECCHI, op. cit., p. 232.

(4) Cronaca contemporanea, CC, vol. II, 1853, pp. 700-702.

(5) Cronaca contemporanea, Questione d'Oriente, CC, vol. III, 1853, pp. 219-222; 345-352; 467-469; 601Ul02;

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padre Taparelli d'Azeglio - è che la Russia, arrogandosi un protettorato ufficiale sopra oltre nove milioni di greci scismatici sudditi della Porta ottomana, verrebbe ad acquistare una influenza su tutto l'impero turco... , apparecchierebbe quel congiungimento politico del Bosforo colla Neva, al quale gli zar da Pietro fino al stan mirando con longaminc e poco dissimulata perseveranza» (1). L'entusiasmo mostrato dai cristiani ortodossi dei Balcani e dallo stesso popolo russo nei confronti di questa nuova «guerra santa» era interpretato dall'autore come un mezzo de!!a divina provvidenza al fine « di ridestare a colpi di cannone il cattolicesimo addormentato e forse di tornare ravveduto al pit: del Vicario di Cristo» (2). Giu dizio singolare, questo, che dimostra il vigore polemico della rivista nei confronti degli avveninenti politici dell'Europa contemporanea che aveva emarginato l'influenza spiri tuale della Santa Sede, ma anche la chiusura verso il mondo ortodosso , giustificata in parte dal timore dell'esprmsionismo zarista.

«La Civiltà Cattolica», seguendo lo svolgersi degli avvenimenti e delle trattative diplomatiche (3), esaminava criticamente la posizione delle varie potenze sottolineando come fosse impossibile per la Francia e l'Inghilterra rimanere neutrali: la prima perché interessata a rimettere in discussione l'intero equilibrio e uropeo e riacquistare ìl proprio peso internazionale, la seconda perché non poteva lasciare all'egemonia russa i Balcani. L'ingresso delle flotte delle due potenze europee nel Mar Nero, la dichiarazione di neutralità di Vienna e Berlino, i tentativi d iplomatici volti a scongiurare la crisi, l'andamP.nto della crisi stessa sono punti che non sfuggono alla trattazione della rivista (4) che, ed è l'aspetto più interessante , già dal 1853 aveva pubblicato una serie di articoli dal titolo complessi l Luoghi Santi dovuti alla penna del padre Luigi

(l) L. TAPARELLI D'AZEGLIO S.J., Il protettorato russo sui greciscismatici, CC, vol. III, 1853, pp. 481-490. Sul padre Luigi Taparelli d'Aze. glio (T orino 1793 - Roma 1862), .studioso di economia e di dintto naturale, di teolor.a e filosofia tomista, cfr. P. PJRRI, Carteggi del padre Luigi Taparellt d'Azeglio, Torino 1924; R. JACQUI N , Le p. Luigi Taoarelli d'Azeglio. Sa vie, son action, son oevre, Parigi, 1943; A. MESSINE O, Il padre Luigi Tav._arelli d'Azeglio e "La Civiltà Cattolica», CC, vol. III, 1962, pp. 545-55S.

(2) Cronaca contemporanea, CC, vol. IV, 1853, pp. 365-376.

(3) Cronaca contemporanea, Cose d'Oriente , CC, vol. I V, 1853, pp. 113114; 231-234; 457-466; 583-589; ivi, vol. V, 1854, pp 120.123; 245-248; 3/8-382; 488-495; 592-593; 702-712. '

(4) Cronaca contemporanea, CC, vol. V I , 1854, pp. 114-122; 216-224; 341-346; 584-592; 706-713 lvi, vol. VII, 1854, pp. 111-112; 216-224 ; 324-336; 452-462; 577-586; 703-708. lvi, vol. VIII, 1854, pp. 122-128; 244-256; 341-348; 468-472; 588-592; 708-712. Nel marzo del 1854 si concludeva un accordo tra Francia, Inghilterra e la Porta sull'uguaglianza di tutti i sudditi del sultano indipendentemente dalla religione professata. lvi, vol. I X, 1855, pp. 121-124; 233-237; 359.366; 490-493; 589-590; lvi, vol. X, 1855, pp. 124128; 230.233; 366-368; 489-490; 588--592; 703-712. h;, vol. XI, 1855, pp. 123-128 ; 245-248; 380.384; 493-496; 704-707. lvi, vol. XII, 1855, pp. 122-126; 250.256; 362-368; 486-489; 603-QOS.

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Taparelli d'Azeglio, indubbiamente uno dei massimi esponenti della redazione e studioso in particolar modo di diritto naturale e di economia. Scopo degli articoli era dimostrare la fon• datezza delle rivendicazioni poste da parte cattolica in merito ai Luoghi Santi, assunti a pretesto «de' mali presenti», e provare il legittimo ed inequivocabile diritto di possesso della Chiesa romana su di essi. Citati, infatti, una lunga serie di elementi attestanti questi diritti l'autore ricordava il contratto di vendita di alcuni luoghi da parte del sultano a Roberto il Saggio, re di Napoli. contratto che la provvidenza sembrava «aver espressamente permesso affinché i cristiani d'occidente avessero un titolo in più da opporre alle pretese di quelli, o fossero scismatici, mussulmani o eretici». Tale operazione, commentava il Taparelli, era stata portata a termine con lo spirito di due leggi diverse: quello del Corano che sanciva l'inalienabilità di una proprietà nei confronti di un «infedele», mentre ne ammetteva la concessione in uso, e quello della Chiesa cattolica secondo cui i beni ceduti dovevano essere sottoposti all'amministrazione del pontefice o dei suoi delegati. Per questo, concludeva il padre, « assai male ragionerebbe chi pretendesse che, pel rimanere che fa ai summulmani la proprietà del territorio in virtù della legge del Corano, essi possano disporre di nuovo del suo usufrutto, concedendone ad altri una parte o molto meno la pienezza ... ; una nuova concessione ad un terzo non sarebbe che una doppia vendita dello stesso oggetto, il che ripugna al buon senso e a tutte 1e regole della giustizia naturale» (1). In questa prospettiva le azioni degli ortodossi, quali il trafugamento della stella di David dalla chiesa della Natività nel 1847, dovevano essere considerate proditorie e contrarie ai diritti acquisiti dalla Santa Sede «che pure dimostrò sempre magnanimità facendovi accedere tutti i cristiani che, pur essendo scismatici o eretici, non condannava perché nell'orrore per ognoranza o per esservi nati» (2).

In un successivo articolo il padre Taparelli spiegava, con una lunga disamina storica, come la situazione fosse diventata inestricabile a causa della politica della Sublime Porta che, con i numerosi « finnani » emessi, aveva concesso facoltà contrastanti e contraddittorie alle varie comunità cristiane, sì da creare una situazione di endemica crisi e di tensione. I trattati conclusi dal sultano, a partire da quello di Carlowitz nel corso dell'intero secolo XVIII, erano una testimonianza inequivocabile della consistenza dei diritti dei cattolici, nel mentre dimostravano l'infondatezza delle pretese russe e del così detto

(l) L. TAPARELLI D'AZEGLIO SJ., l luoghi Santi, I, Diritti dei cattolici sopra i santuari di Palestina, CC, vol. IV, 1853, pp. 129-144; II, Usurpazioni dei greci-scismatici sopra i diritti della Chiesa cattolica, ivi, pp. 225239; III, Si confutano i pretesti allegati dai greci-scismatici a difesa delle loro usurpazioni, ivi. pp. 593-605.

m L. TAPARELLI D'AZEGLIO SJ., Usurpazioni dei greci-scismatici , cit., p. 225-226.

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«protettorato sugli ortodossi dei Balcani» (1). L'atteggiamento di fondo della rivista, e non solo del padre Taparelli, si ricava, del resto, anche da una corrispondenza dall'li al 24 marzo 1854, dove si affermava che «in questo momento giova più • all'Europa cristiana portare aiuto alla Porta piuttosto che ai cristiani ortodossi, comodo paravento delle mire russe», e che difendere l'impero turco, nella sua integrità altro non era che garrultire l'equilibrio europeo (2). Gli articoli su l Luoghi Santi furono seguiti da un'altra serie di articoli dal titolo complessivo Parole di un cattolico romano in risposta all'ortodossia greco-russa (3), ispirati dalla Segreteria di Stato e lodati dallo stesso Pio IX (4), costituivano la risposta polemica al saggio pubblicato dal Murav'jev nel 1852 e tradotto in francese nel 1853 dal titolo Question d'Orient et d'Occident. Parole de l'orthodoxie catholique au catholicism romain (5).

Nel quadro di questa polemica pubblicistica è nuovamente il padre Tapatelli a scendere in campo elaborando, per un esame più approfondito dei motivi della crisi, soprattutto dal punto dì vista religioso, altri cinque articoli dal titolo La guerra d'Oriente (6).

Il punto di partenza di questa nuova polemica era costituito da uno scritto del poeta, scrittore e diplomatico russo Fedor Tjuteev, di concezioni notoriamente slavofile (7). Tjutcev poneva un contrasto radicale fra l'Oriente ortodosso e l'Oc-

(l) L. TAPARELLI D'AZEGLIO S.J., Si confutano i pretesti... , cit, p. 593.

(2) Cronaca contemporanea (11-24 marzo), CC, vol. VI, 1854, p. 114.

(3) L TAPARELLI D' AZEGLIO, Parola di un cattolico romano in risposta all'ortodossia greco-russa, I, Dove è questa ortodossia? , CC, vol. V, 1854, pp. 167-173; II, E' immobile o immortale?, ivi, pp. 173-185 e 293-305; III, Missioni e martiri, ivi, vol. IV, 1854, pp. 305-315; IV, Vecchie risposte alle obiezioni dell'anonimo, ivi, pp. 402-416 e 609-621; V, Riti e pietà nella Chiesa scismatica, ivi, vol. VII, 1854, pp. 38-53; VI, Conclusioni, Ì\i, pp. 141-155.

(4) P. PIRRI, Carteggi del pMre Luigi Taparelli ... , cit., p. 36.

(5) A. TA.MBORRA, Crisi d'Oriente, guerra di Crimea e polemiche politico-religiose fra cattolici e ortodossi (1853-1856), io «Clio», Wl. 2/3, 1969, pp. 169-191, in particolare pag. 170. Andrej Nikolajevic Murav'jev (1806-1874) era vice procuratore del Santo Sinodo e storico della Chiesa ortodossa.

(6) L TAPARELLI D'AZEGLIO S.J., La guerra d'Oriente; I, Lo spi: rito che guerreggia, CC, vol. VI, 1854, pp. 354-374; II, I diritti, ivi, pp. 481-499; III, Le speranze, ivi, pp. 654-670; IV, Pronostici e profezie, CC, vol. VII, 1854, pp. 5-22; V, Risposte ad alcune censure, ivi, pp. 225-235.

(7) F.I. TJUTCEV, La Papauté et la question romaine, in « Revues des Deux Mondes », l gennaio 1850, tomo V, pp. 117 ss. Il padre Taparelli aveva già polemizzato con alcuni passi dell'articolo di Tjuteev in merito alla liceità del potere temporale dei Papi romani in Parola di un cattolico romano..., cit. F.I. TJUTCEV (Ovstug 1803-Carskoe Selo 1873), appartenente ad una famiglia di antica ·tradizione nobiliare, legata allo riuismo da vincoli di fedeltà, si volse giovane aUa doppia attività di letterato e diplomati-co. Cfr. E. BAZZARELLI, F.I. Tjutcev. Poesie, Milano, 1959; R.A. GREGG, F.!. Tjutéev. The evolution of a poet, New York-Londra, 1965.

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cidente cattolico e protestante; tale opposizione - osserva il Bazzarelli - rifletteva, nella concezione storiosofica di Tjutcev, quella tra i due principi morali della fratellanza cristiana e dell'egoismo; quest'ultimo, a sua volta, si realizzava parimenti nella religione cattolica e protestante e nella rivoluzione liberale e socialista. Unica soluzione dei conflitti era quindi la restaurazione di un sacro impero d'Oriente: artefice doveva esserne la Russia non minacciata dalla rivoluzione grazie al legame che esisteva tra lo zar e la Chiesa (1). In contrapposizione e con una visione nettamente « eurocentrica » il padre Taparelli ribadiva che sarebbe stato grave errore abbandonare le genti greche o slave al dispotismo russo, « essenziale antagonista del Vicario di Gesù Cristo », e che il mondo civile intendo i paesi dell'Europa occidentale, cioè «il solo mondo ordinato che esister possa al presente», era minacciato dall'ombra della rivoluzione e dal printcipio sovvertitore che sanciva l'indipendenza del governante dalla. Chiesa: ebbene proprio lo spirito della rivoluzione era il vero « motore » della guerra fra russi e turchi. L'autore giungeva alla paradossale affermazione che la Turchia aveva rappresentato in passato il principio eterodosso del «disordine demagogico», mentre la Russia rappresentava in quel momento l'« eterodossia dispotica » giacché voleva tutti sottomettere alla sua potestà. L'impero ottomano, colpevole di aver offerto rifugio agli esuli della rivoluzione polacca e ungherese, una volta troncati i legami con l'emigrazione, cessava, agli occhi del gesuita, di rappresentare un principio eversivo ed anzi riacquistava un proprio valore: «oggi che la Porta, separatasi dagli interessi della fazione anarchica - così erano considerati gli esuli polacchi e ungheresi - sembra cercare un migliore appoggio dei suoi diritti nelle armi delle potenze occidentali », queste dovevano contrapporsi all'oriente russo che rappresentava un pericolo per la · libertà della stessa Europea (2). Riassunti i punti controversi della questione d'Oriente, il Taparelli tornava a sottolineare il pericolo rappresentato dalla penetrazione russa nei Balcani che aveva come fine il dominio sui tre quarti delle genti sottoposte all'impero ottomano, la cui indipendenza era, a quel punto, « parte integrante dell'equilibrio europeo così come si era concluso al Congresso di Vienna », e negava l'esistenza di un desiderio di sottomissione a Mosca da parte dei greci poiché molti, «i più avveduti ''• si rendevano chiaramente conto che essere assimilati agli slavi avrebbe significato « morte certa per i greci». L'unica salvezza, per l'occidente, rimaneva l'unità che si realizzava solo nel cristianesimo, sì da opporre ad una « unità di sterminata moltitudine formata sotto un capo laico dall'ignoranza e dalla forza un'altra unità e cioè'

(l) E. BAZZARELLI, op. çit., pp. 122.

(2) L. TAPARELLI D'AZEGLIO SJ., Lospiritocheguerreggia, cit, p. 372.

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quella dei cristiani cattolici >) (1), per cui, concludeva il gesuita in un altro articolo, la soluzione dei problemi che dividevano la società europea era costituita da un ripristino dell'influenza del pontificato romano che solo avrebbe potuto ricondurre all'unità le nazioni cristiane (2). Visione storica paradossale che si spiega solamente ricordando quanto fosse ormai diffusa la contrapposizione tra oriente russo e occidente europeo. Non diversamente si esprimevano i componenti del Santo Sinodo in un appello, pubblicato con risalto dalla rivista nei primi mesi del 1855: «Voi sapete - recitava il documento nella parte più interessante - che con meraviglia universale del mondo si sono trovate potenze che si pavoneggiano con il nome di cristiane, le quali vollero aiutare i nemici della croce. Le loro legioni, come quelle degli infedeli hanno insultato le cose sante di nostra religione... Dio chiamò la nostra patria a nuovi sacrifici... Noi speriamo e crediamo che chi disse: io edificherò la mia chiesa e le porte dell'inferno non prevarranno contro di lei, combatta ora per la sua santa Chiesa. Noi speriamo e crediamo che Colui che scelse l'impero di Russia per porvi il centro di sua santa ·Chiesa pronuncerà il suo decreto contro tutti coloro che porranno le mani sulla sua eredità » (3).

Fedele all'impegno di riferire su tutti gli avvenimenti, « La Civiltà Cattolica », nella rubrica Cronaca Contemporanea dedicava ampio spazio allo svolgersi della guerra ed alle trattative diplomatiche (4) mettendo in particolare rilievo l'emissione di un hatti humajum da parte del sultano in garanzia dei diritti della religione cristiana nej territori ottomani. Ta-

(l) L. TAPARELLI D'AZEGLIO SJ., I diritti, cit, p. 489. A sostegno di quanto afferma il padre cita J.G. PITZIPiùS, lA question d'Orie1tt sous sa vraie tace, Malta, 185Z ; • animi degli elleni potrebbero affratellarsi con l'occidente assai megho che con la slava, la quale minaccia di ingliottirsene e la nazionalità e la Chiesa •· Sull'opera e sull'attività di J.G. Pitzipiòs cfr. I.S. GAGARIN, recensione all'opera di Pitzipiòs, L'Eglise Orientale (Tip. dr Propaganda Fide, Roma, 1855), Rivista della stampa italiana, CC, vol. IX, 1855, pp. 557-568; A. TAM· BORRA, J.G. Pitzipiòs e la sua attività fra Roma e Costantinopoli all'epoca di Pio IX (1848-1868), in "Balkan Studies ,., X, 1969, pp. 51-08. Ed ancora da De l'Orient par un oriental, Atene, 1853, di autore anonimo: "Sapete voi quale sarebbe il risultato? [si fa riferimento al cosi detto protettorato russo sugli ortodossi) Prima sua cura sarebbe istituire scuole slave, introdurre la lingua slava, ottener finalmente che slavi fossero i vescovi ed amici zelanti della Russia ... Il panslavismo prenderebbe ben presto p.ossesso di tutti gli interessi nazionali dei greci, prima ancora che il sultano fosse cacciato da Costantinopoli. In tal guisa libertà di pensare e di operare, svolgimento nazionale, stato presente e futuro, religione perfino, tutto sarebbe diretto da un clero ligio e scolare alla Russia: di che maggior calamità giammai potrebbe incogliere ai greci •.

(2) L. TAPARELLI D'AZEGLIO SJ., Pronostici e profezie, cit., pp. 5-22.

(3) L. TAPARELLI D'AZEGLIO SJ., Risposte ad alcune , eit. pp. 225-235.

(4) Cronaca cotllemporanea, CC, vol. X, 1855, p . 232.

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le decreto che aveva suscitato « in tutti gran meraviglia congiunta a differente effetto a seconda che da quello ne ricevono danno o vantaggio : i mussulmani di antica stampa ne resterono inviperiti, i greci scismatici malcontenti, e lieti generalmente i catt<;>lici », confermava . tutte le precedenti garanzie concesse- alle ·comunità cristiane, ribadiva l'inviolabilità dei beni appartenenti ai diversi riti, garantiva ad ogni culto la libertà di esercizio, sanciva la parità di diritti, la possibilità di aprire scuble e l'uguaglianza nel pagamento delle imposte (1). L'azione del sultano, che «consacra le sue generose intenzioni verso le popblazioni cristiane dell'impero» (2), era quindi valutata positivamente dalla rivista. Questa, d'altra parte, continuando, negli anni a venire, a prestare attenzione agli avvenimenti balcanici esprimeva la certezza che le strutture dello stato ottomano erano insufficienti a contenere il fermento delle province cristiane poiché queste «tenteranno sempre di mutare governo sottraendosi a quello della Porta, coll'intenzione mo1to naturale di governarsi da sè »(3). In sostanza il pericolo principale che minacciava il mondo cattolico era individuato nettamente nello «il più formidabile nemico che abbia la Chiesa cattolica », secondo un giudizio espresso già nel 1853 dal nunzio a Vienna Viale Prelà al cardinale Antonelli (4). Critiche e dubbi sull'efficienza delle istituzioni ottomane avevano, quindi, un significato nettamente marginale e non si traducevano sul piano politico.

(l) Cronaca contemporanea, CC, vol. I, 1856, pp. 125-128; 246-248; 254-256; 509-512; 6Q6.608. lvi, vol. IC 1856, pp. 124-126; 236-240; 474-476; 594-596; 711-714. lvi, vol. III, 1856, pp. 251-253. Cronaca contemporanea, CC, vol. I, 1856, p. 125. Sul problema delle varie confessioni religiose dal punto di vista giuridico cfr. A. BERTOLA, Il regime dei culti in Turchia, I, Il regime giuridico dei culti nell'impero ottomano, Torino 1925. Più in &enerale sulle riforme nell'impero .cfr. E. AN· CHIERI, Dall'tmpero ottomano alla tepubbltca dt Turcht.a, m La nuova Turchia, 1939, pp. 9-17; E. DE LEONE, L'impero ottomano nel primo periodo delle riforme (tanzimat) secondo fonti italiane, Milano 1967; L.A. MISSIR, Eglises et Etat en Turquie et en Proche..()rient, Bruxelles, 1973.

(2) L'art. 9 del trattato di pace prevedeva che le riforme a favore dei cristiani dell'impero turco, dovessero essere concesse spontaneamente dalla volontà del sultano senza l'ingerenza di altre potenze. Il trattato è pubblicato integralmente in CC, vol. II, 1856, pp. 125-128.

(3) Cronaca contemporanea, CC, vol. II, 1859, p. 381. Vengono ampiamente riferite, con relativo commento, le insurrezioni in Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Serbia. I movimenti nazionali dei popoli balcanici erano costantemente collegati dalla CC alla politica russa: " non è quindi meraviglia che i popoli danubiani, oppressi da una parte, come narrammo, dalla tirannia turca e nutrendo, dall'altra, implacabili rancori contro i polacchi e le altre genti cattoliche, loro vicine, volgessero gli occhi e le speranze alla lontana Russia, tosto che questa ebbe comin· ciato con Pietro il Grande ad acquistare fama di potenza... (facendo J precedere le sue nego1iazioni o l.e sue occupazioni armate col dono prezioso di qualche nuova reliquia e di qualche nuovo santo ortodosso », CC, vol. II, 1859, pp. 683-685.

(4) A. MARTIN! SJ., La Santa Sede e la questione d'Oriente dalla crisi alla guerra, CC, vol. II, 1958, pp. 149-162; la citazione è a p. 153.

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La crisi d'Oriente del 1875-1878 , logica conseguenza dell'« insurrezionismo balcanico » registrato in varie ocasioni da « La Civiltà Cattolica» , trova la rivista singolarmente attenta a cogliere i vari aspetti politici ed a seguire da vicino lo sviluppo degli avvenimenti (1). Nel lasciare da parte i riferimenti di cronaca più strettamente politici, veramente copiosi, si deve notare come nel corso di questa crisi i motivi religiosi abbiano un peso di gran lunga minore rispetto al 1853-1856 e come le discussioni riguardino piuttosto il comportamento politico della Santa Sede. In conseguenza di ciò gli articoli trattavano diffusamente i problemi che investivano l'equilibrio europeo con un vigore polemico che non sempre consentiva un'interpretazione obiettiva delle situazioni. A proposito del panslavismo la rivista , in una nota di Cronaca Contemporanea, sviluppava una singolare tesi che, anche se povera di fondamento storico e collegata alla polemica antibismarkiana del Kulturkampf, non manca di una certa suggestione. Il principe di Bismarck, secondo l'estensore della nota, non si rendeva conto che completare l'unità germanica costituiva una sfida che, obiettivamente, sollecitava e affrettava i tempi dell'unificazione slava , « guarentigia indispensabile contro le usurpazioni della potenza germanica ». Questa, in sostanza, provocava più che mai un processo di coesione fra le stirpi slave gravemente minacciate dal nuovo impero tedesco «ebbro degli insperati suoi trionfi». Ai fini dell'unità slava, proseguiva l'autore, erano indispensabili due fattori: « una base talmente solida e forte da poter sostenere l'edificio» , e poi «il consenso dei popoli slavi ad appogigarsi su quel fondamento ». E il fondamento era costituito proprio dall'impero russo che si trovava a svolgere in mezzo ai popoli slavi la stessa funzione che aveva avuto la Prussia nei confronti dei popoli germanici. Il panslavismo non poteva, allora, che scontrarsi con il pangermanesimo e, avendo i tedeschi un altro « vigoroso » nemico nella razza latina, « queste due rivali del germanesimo dovranno, o per amore o per forza, ravvicinar-si l'una all'altra, darsi scambievolmente la mano e opporre di comune accordo un potente argine alle onde soverchianti del germanesimo ». Un'alleanza di tal genere era naturale giacché si trattava di un problema di

(l) Cronaca contemporanea, La questione russa, CC, vol. I, 1871, pp. 34-43; ivi, Panslavismo e questione d'Oriente, vol. X, 1873, pp. 510..512; Questione d'Oriente, vol. I, pp. 251-253; ivi, vol. V, 1875, .P.P · 119-124; lVl, vol. VII, 1875, pp. 374-384; lVl, vol. VIII, 1875, pp. 372·384; 1v1, vol. IX, 1876, pp. 378-384, 495-508; ivi, vol. X, 1876, pp. 745·754; hi, vol. XI , 1876, pp. 94-115, 371-384, 494-506, 621-635, 745-760; ivi, vol. XII, 1876, pp. 498-504; 632-640, 742-755; ivi, vol. I, 1877 , pp. 36()..374, 509-511, 741-756; ivi, vol. II. 1877, pp. 362-374, 617-624; ivi, vol. III, 1877, pp. 491-497, 63()..635; ivi, vol. IV, 1877, pp. 106-108, 502·508; ivi, vol. V, 1878, pp. 634-638; ivi, VI, 1878, PP: ?36-244, 354-367; ivi, vol. VII, 1878. pp. 350..364: 505-512, 623-629; lVl, vol. VIII, 1878, pp. 110-128, 490-504, 756-761; tVl, vol. IX, 1879, pp. 618-630; ivi, vol. X, 1879, pp. 365-372, 621-630.

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sopravvivenza da quando l'impero austriaco, tradizionalmente considerato il cuscinetto tra l'elemento slavo e l'elemento germanico, non era più in grado di adempiere alla propria funzione; esso, infatti, «invece di dar opera al panslavismo cattolico, l'unico in grado di contrappesare, col renderlo cristiano, il panslavismo politico e rivoluzionario, si fece ligia agli interessi tedeschi, si mise dalla parte del Bismarck, e diede al panslavismo una nuova ragione d'esistere e un corpo consistente (1). Come si vede, l'interpretazione del movimento panslavo avanzata da «La Civiltà Cattolica>> faceva ricorso a molteplici spunti, di diverso significato e valore. Certo, povera di senso storico si rivela la tesi paradossale circa la paternità bismarckiana del panslavismo (2); per di più colpisce negativamente la tendenza verso le grandi generalizzazioni, prive di contenuto concreto, che il commentatore tradisce in particolar modo quando indulge a pseudo concetti come slavismo, latinità, germanesimo. Tuttavia l'informazione e la sensibilità politica dell'osservatore trovano modo di emergere, superando le prospettive deformanti della cultura corrente e dell'ostilità dettata da motivi religiosi e confessionali verso l'artefice maggiore dell'unificazione germanica, nella critica mossa agli Asburgo che, in sostanza, imputava loro di non aver dato quella struttura trialistica all'impero che, sola, avrebbe potuto sottrarre gli slavi asburgici alle sollecitazioni russe.

Il primo commento politico sulla crisi del 1875-1878 si deve alla penna del padre Raffaele Ballerini, storiografo uffi. ciale di Pio IX (3), che osservava come «i divinatori avessero diffuso il presagio di una guerra europea. La questione d'Oriente, ripropostasi in seguito alle insurerzioni dei cristiani della Bosnia e dell'Erzegovina, cui si erano uniti i Bulgari, fonnava l'argomento principale della discussioni negli ambienti politici e giornalistici soprattutto per quanto riguardava l'eventualità di un nuovo e generale conflitto. Il Ballerini, esclùdendo recisamente la possibilità di uno scontro armato generale, affermava che una questione d'Oriente, e cioè una questione circa il modo di ordinare i paesi sotto il dominio turco da quattro secoli, « sarebbe stata paurosa e feconda di terribili sconvolgimenti prima del 1866 e forse pure del 1870,

(l) Cronaca contemporanea, Panslavismo e questione ... , cit., pp. 510-512.

(l) Sul panslavismo cfr. M.B. PETROVICH, The Emergence of Russian Panslavism 1856-1870, New York, 1956; H. KOHN, Pan-Slavism, its History and ldeology, New York, 1960. Fra i contributi italiani, cfr. le sintesi fornite da W. GIUSTI, Storia del Panslavismo, Roma, 1946; A. TAMBORRA, Panslavismo e solidarietà slava, in Questioni di Storia contemporanea, vol. II, pp. 1777-1872, Milano 1955.

(3) Il padre Raffaele Ballerini S.J. (Medicina, Bologna 1830-Roma 1907), legato all'ordine già per tradizione di famiglia, iniziò la collabora. zione con la CC nel 1860. Pio IX affidò l'incarico di redigere le memorie dei primì anni del suo pontificato; l'opera è di particolare valore in quanto lo stesso Pio IX vì apportò delle correzioni. Cfr. E. ROSA, Il p_adre Raffaele Ballerini della Compagnia di Gesù, CC, vol. l, 1907, pp. 342-347.

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allorché sussisteva un simulacro di equilibrio tra le potenze»; ma dopo che l'Austria era stata «abbattuta e divisa», la Francia « prostrata e mutilata » dalla Prussia alleatasi con la Russia era fin troppo chiaro come l'equilibrio europeo fosse stato alterato oca pro' di queste due potenze le quali per un corso più o meno lungo di anni, avranno l'assoluta preponderanza in Europa ». Tale preponderanza, proseguiva il gesuita, si sarebbe retta fino a quando pangermanesimo e panslavismo fossero riusciti a coesistere attraverso reciproche concessioni: la ribellione in Bosnia-Erzegovina e in Bulgaria una questione <<tutta domestica del Divano», era stata, secondo l'autore, fomentata dalla Russia ed approvata dalla Prussia al fine di farle assumere « importanza e forma di europea ed internazionale ». Esaminate le possibili soluzioni il Ballerini concludeva indicando tre soluzioni: la prima era un ritorno alla status quo ante, la seconda una successione della Russia al dominio turco, «da sola o per qualche porzione in compagnia con l'Austria», la terza una fine del dominio turco e la formazione di un gruppo di piccoli stati autonomi, « confederati tra loro e aventi un centro in Costantinopoli, assoggettati ad un principe cristiano». La prima soluzione era auspicata da molti cattolici poiché temevano la presenza russa nei Balcani in quanto la irrugginita scimitarra di Maometto passerebbe nelle mani ringiovanite di Fazio, e l'Europa non tarderebbe a .rimpiangere con lacrime di sangue la presenza del Turco nei Dardanelli. All'occidente latino sarebbero riservate sorti simili a quelle dell'infelice Polonia ». Non solo, proseguiva il padre, ma chi avesse tenuto « le chiavi dell'orientale granaio, che provvede di tanto pane le contrade nostre, potrebbe costringerci con la fame alla capitolazione» (1). Evidente la preoccupazione dell'autore e della rivista, che miravano, ovviamente, alla difesa del cattolicesimo, in una prospettiva più confessionale che politica. Ma sarebbe parziale dimenticare che certe considerazioni fondamentali erano pur dettate da situazioni concrete: l'accenno, per esempio, alla « infelice Polonia ,. era giustificato alla luce dell'oppressione religiosa e nazionale cui questa era sottoposta.

Sintetizzati ne L'importanza politica della questione di Oriente i danni politici ed economici di una eventuale dissoluzione dell'impero ottomano (2) il Ballerini, in un successivo articolo, prendeva in esame l'eventuale esistenza di motivi religiosi nella guerra che si era andata sviluppando. In realtà questi non esistevano: la Russia, che era il paese dove «il cesarismo pagano più tenacemente si abbarbica» , voleva, secondo il gesuita, semplicemente operare l'unificazione degli slavi « sotto il doppio scettro sacro e civile degli zar»; questa era

(l) R. BALLERINI S.J., Della questione d'Oriente, CC, vol. IX, 1876, pp. 641·654,

(2) R. BALLERINI SJ., Importanza politica della questione d 'Oriente, CC,. vol. X, 1876, pp. 385-396.

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l'essenza del panslavismo, il quale non era un fine, ma un mezzo per giungere poi all'impero universale «giusto l'orgoglioso concetto di Pietro il Grande » . Le potenze europee, in effetti, avevano impedito la realizzazione di questo disegno mantenendo in vita l'impero turco ma la Russia aveva sostituito alla penetrazione militare quella religiosa propagandando l'idea dello zar come capo degli ortodossi e sostenendo le «agitazioni dei cristiani» (1). La preoccupazione che lo zar, una volta penetrato nei Balcani, avrebbe mosso guerra al «papato occidentale e con esso umiliare ad incatenare tutte le nazioni latine», segnando così la fine della civiltà cristiana, giustificava, secondo l'autore, l'atteggiamento prudente assunto dalla Sede Apostolica che non poteva perciò essere accusata di venir meno «a' suoi più santi doveri», di sacrificare «per mire mondane, il sangue e l'anima dei credenti alla turchesca ferocia», e di rinnegare « le storiche tradizioni del papato mostrando il non più visto spettacolo della tiara di San Pietro alleata con la mezzaluna di Maometto ». Al contrario, la prudenza doveva essere ascritta quale merito giacché non era compito della Santa Sede e del Pontefice predicare la violenza e la ribellione (2). La concessione, da parte del governo della Sublime Porta, di uno statuto che ribadiva le garanzie per il libero esercizio dei culti, la libertà di insegnamento e la parità tra tutti i sudditi, era per il padre Matteo Liberatore, altra figura di rilievo nella redazione de «La Civiltà Cattolica», un avvenimento che toglieva ogni pretesto di legittimità alla guerra che la Russia faceva all'Impero ottomano (3). Con un tono fortemente critico, facendo propria un'affermazione del « Journal des Débats » del gennaio 1877, il padre Liberatore denunciava l'ambiguo comportamento delle potenze occidentali verso la Sublime Porta: esse, infatti, avevano « mostrato un'ignoranza compiuta delle leggi eterne del cuore umano», non prendendo in alcuna considerazione il tentativo compiuto dalla Porta con i provvedimenti in favore dei cristiani (4), e lasciando che la soluzione dei complessi problemi fosse affidata alle armi con la conseguente, schiacciante, vittoria zarista. La critica alle potenze europee era ripresa e ampliata dal padre Ballerini che

(l) R. BALLERINI SJ., Importanza religiosa della questione d'Oriente, CC, vol. X, 1876, pp. 513-529.

(2) R. BALLERINI SJ., La Santa Sede nella questione d'Oriente, CC, vol. XI, 1876, pp. 674-688.

(3) M. LIBERATORE SJ., La costituzione turca, CC, vol. I, 1877, pp. 129-141. Il padre Matteo Liberatore (Salerno 1810-Roma 1892), fu tra i fondatori della rivista; studioso di filosofia e teologia si dedicò, sotto la guida dei padri Taparelli e Sordi, al rinnovamento della filosofia scolastica ed alla critica delle scuole contemporanee. Cfr. N.S RONDINA, Necrologio, CC, vol. IV, 1892, pp. 352-360; A. MASNOVO, Il neotomismo in Italia, Milano, 1923; P. DEZZA, Alle origini del neotomismo, Milano, 1940; G. DE ROSA, Le origini della Civiltà Cattolica, introduzione all'antologia cit., pp. 9-101.

(4) M. LIBERATORE S.J., La contererzza internazionale sulla que· stione turca, CC, vol. I, 1877, pp. 291·303.

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era, in quel momento, il collaboratore che più da v1cmo seguiva lo svolgersi degli avvenimenti in oriente. In sintesi il gesuita affermava che le potenze occidentali tlon potevano contrastare alle pretese russe perché dilaniate all'interno dal liberalismo, « il quale ha collocato la sapienza sua politica nel combattere... i salutari influssi della Chiesa, e nel dare, con ogni sorta di licenza, esca alle popolari passioni più abiette e perniciose», e dal socialismo che «alza già in tutti i paesi la fronte e spia l'occasione propizia di qualche incendio guerresco, per isconvolgere i popoli, atterrare i governi e mettere ogni cosa a ruba e a sacco» (1). A ciò si doveva aggiungere l'apporto della massoneria internazionale che, pur di combattere il cattolicesimo romano, aveva appoggiato il governo zarista nelle rivendicazioni nei Balcani mentre la Russia si era fatta fautrice della massoneria appoggiando Napoleone in Italia e Bismarck in Germania (2). Indubbiamente tutto ciò era frutto di una prospettiva distorta dove la passione polemica era fine a se stessa e non teneva in alcun conto gli politici reali. ·

L'Inghilterra che non aveva potuto formare una coalizione come nel 1854 e che, nello stesso tempo, non poteva tollerare una eccessiva penetrazione russa nel Mediterraneo, muoveva la sua flotta verso i Dardanelli mentre le truppe zariste occupavano Adrianopoli minacciando Gallipoli e Costantinopoli. Fu a questo punto che la Russia, non avendo più la certezza dell'appoggio del Bismarck nè della neutralità dell'Austria, arrestò la propria avanzata. La pace di Santo Stefano del 3 marzo 1878 favoriva, secondo il padre Liberatore, le aspirazioni della Russia che « co' suoi trionfi sulla _ potenza ottomana ormai spenta, e gli esorbitanti vantaggi che intende trarre dalle sue vittorie», minacciava come non mai tutto l'equilibrio europeo. Il riacquisto della Bessara'bia permetteva, infatti, il dominio sulle bocche del Danubio, gli ingrandimenti del Montenegro, «suo caro pupillo», aprivano uno sbocco sull'Adriatico, mentre uno sbocco sul mare Egeo era fornito dalla Bulgaria, ridotta a « provincia moscovita ». Per contenere e ridurre questa espansione le potenze europee si riunivano, sotto la direzione del Bismarck, il 6 luglio 1878, in congresso a Berlino dove isolavano diplomaticamente la Russia e tutelavano gli interessi ottomani, la sopravvivenza stessa della Porta (3). La concezione moralistica, tipica de «La Civiltà Cattolica», si affermava ancora nell'analisi degli ostacoli che si frapponevano alla pace europea: si vagheggiava, infatti, il tempo in cui a fondamento delle relazioni internazionali «v'erano il diritto e

(l) R. BALLERINI S.J., La nuova guerra d'Oriente, CC, vol. II, 1877, pp. 385-395.

(2) R. BALLERINI S.J., Della crociata russa in Oriente, CC, vol. III, 1877, pp. 257-269.

(3) M. LIBERATORE S.J., La presente crisi d'Europa, CC, vol. VI, 1878, pp. 129-139.

la giustizia, e giudice del diritto e della giustizia era riverito il pontefice romano, vicario di Gesù Cristo» (1). I risultati del congresso e il comportamento delle potenze che non avevano considerato minimamente le esigenze delle popolazioni balcaniche furono oggetto di ampio commento nelle pagine de « La Civiltà Cattolica,, ad opera del padre Matteo Liberatore che, rilevando polemicamente le contraddizioni del moderno laicismo e liberalismo, poneva l'accento sul fatto che proprio il congresso aveva sconfessato il principio del non intervento non rispettando i risultati della guerra tra la Russia e la Porta. Non solo, il congresso aveva deluso le aspettative dei greci «che piativano per l'annessione di province», aveva ridotto lo stato btilgaro, «già emancipato per le armi russe)), aveva concesso alcune città dell'Armenia alla Russia, alcune parti dell'Albania al Montenegro 'ed alla Serbia, aveva permesso l'occupazione della Bosnia-Erzegovina e del sangiaccato di Kovi-Bazar da parte dell'Austria. <<Non si potea peggio fare - concludeva il padre Liberatore - man bassa delle nazionalità, e scinderle, e mescolarle insieme e manipolarle alla rinfusa», rinnegando il principio della nazionalità (<(così tanto decantato nel presente secolo » (2).

Accogliere l'effermazione che la pace europea era garantita quando « giudice del diritto c della giustizia era riverito il pontefice romano "• costituiva per la rivista un rifugiarsi in un passato definitivamente tramontato: atteggiamento, tuttavia, che si spiega con la stessa prospettiva storica che spingeva i gesuiti alla strenua difesa del potere temporale. Era, questa, una reazione che nasceva dalla coscienza, profondamente sofferta, della sostanziale ostilità di tutte le forze che agivano nella vita politica contemporanea: dal liberalismo, «che ha posto la sapienza sua nel combattere i salutari influssi della Chiesa», al socialismo, che andava «errando per il mondo come lo schiaffeggiatore di Cristo», al nazionalismo «così tanto decantato nel presente secolo». Erano, in altri termini, gli «errori del secolo», secondo una definizione del padre Taparelli, che dovevano essere combattuti e condannati in quanto causa della rottura dell'unità dell'Europa cristiana. Ma proprio in questa chiusura nei confronti del mondo contemporaneo risiedeva, paradossalmente, la forza della rivista, che intuiva e denunciava i limiti e le interne contraddizioni di quelle correnti filosofiche e sociali che vedevano ogni interesse civile e religioso subordinato al principio di nazionalità (3).

Anche gli articoli sulle crisi d'Oriente, al di là dei tradizionali motivi politici con il mondo ortodosso, alternando in-

(l) P. ZOCCHI SJ.,Gliostacoliallapaceeuropea, CC, vol. VII, pp. 385-398.

(2) M. LIBERATORE SJ., Il diritto nuovo e il Congresso di Berlino, CC, vol. VIII, 1878, pp. 385-396.

(3) G. DE ROSA, Le origini della Civiltà Cattolica, introduzione all'antologia cit_, pp. 78 e 79 _

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tuizioni politiche ad affermazioni meno plausibiH , si collocavano entro la cornice dell ' impostazione generale della rivista. Nel caso specifico, tuttavia, i motivi che ispiravano " La Civiltà Cattolica » non erano dj carattere ideologico, non si riallacciavano. cioè , alla difesa del primato e del prest igio internazionale della Santa Sede, quanto piuttosto a conc r e te esigenze di carattere politico ed ecclesiastico. Si trattava, essenzialmente , del timore dell'espansionismo 7.arista e della difesa del cattolicesimo polacco. D'altra parte è necessario notare come l'atteggiamento sostanzialmente turcofilo della rivista sia stato raramente e debolmente giustificato da considerazioni di carattere legittimistico, mentre emerge con estrema c hiarezza il timore del panslavismo zarista con tutte le sue implicazioni di ordine temporale e spirituale (1). Questa opposizione allo zarismo e al panslavismo era alimentata, nel caso della Santa Sede, o, più specificatamente, della rivista dei gesuiti da un fattore che non può essere trascurato: il problema polacco, cioè la politica del governo russo nelle cattoliche ad esso soggette. Il governo zarista, infatti, dopo le rivolte del 1830-31 e nonostante l'insurrezione del 1863, aveva governato la Polonia con mano di ferro e, con l'aiuto del Santo Sinodo, aveva perseguito un piano di « russificazione », secondo il termine usato da «La Civiltà Cattolica» (2), che era politica e religiosa al tempo stesso. La Santa Sede, d'altra parte aveva da tempo cercato, anche se con risultati deludenti, di realizzare un modusvivendi che permettesse il libero esercizio del cattolicesimo nella Polonia soggetta alla Russia, appoggiandosi ai dettati dei trattati internazionali relativi alla spartizione della Polonia che , a partire da quelli del 1773 e del 1793 a quello di Vienna del 1815, avevano sempre ribadito la libertà di culto. Il concordato del 1847 concluso tra la Santa Sede e la Russia rappresentava il massimo sforzo fatto da ambo le parti per una definizione dei vari problemi; ma proprio la mancata attuazione doveva dimostrare la profondità del dissidio esistente. In verità « La Civiltà Cattolica », mentre faceva

(l) Sul pericolo costituito dall'espansionismo russo, avvertito negli ambienti politici più diversi, da quelli rivoluzionari a quelli moderati, cfr. A. TAMBORRA, L'Europa centro-orientale cit., pp. 247-260

(2) Cr011aca contemporanea, Introduzione della Iittgua russa nel culto cattolico. Russificazione del culto cattolico, CC, vol. IX, 1873, pp . 508-509. La rivi s ta dedicò nel corso degli anni ampio spazio alle vicende polacche Tralasciando i riferimenti di cronaca, che pure sono numerosi e dai quali traspare sufficientemente la posizione dei gesuiti, cfr. per il commento e l'interpretazione dei fatti : T rus si in Polonia, i piemontesi in Italia , CC, vol. VI, 1863, pp. 5-20, 145-162; ivi, Lettera d e lla Santità di N .S. Papa Pio IX all'imperatore di Russia, vol. VII. 1863, pp. 475-480; ivi, La Sede romana e il f!Ovemo di Russia, vol. IX, 1867, pp. 553-567; ivi, vol. X, pp. 51-65, 401-414; ivi, vol. XI, pp. 169·183; ivi, vol. XII, 1867, pp. 18·33; 61-70, 299·311; ivi, vol. I, 1868, pp. 24-38, 532-547; ivi, Violenze russe contro i polacchi greci-uniti dell'impero, vol. IV, 1877, pp. 167·180. Gli articoli oltre a trattare delle vicende polacche prendono diffusamente in esame i rapport i ctiplomatici tra la Santa Sede e il governo zarista.

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proprie le sofferenze del popolo polacco nella misura in cw mvestivano aspetti della vita religiosa, respngeva ogni aspirazone " temporale » all'indipendenza, « che non ebbe mai, come nel presente, minori speranze », sottolineando come fosse di maggior aiuto al cattolicesimo il distinguersi nettamente dai motivi ri· voluzionari. La rivista, infatti, lamentava le sciagure, che « incolsero i buoni e sinceri cattolici di Polonia per non essersi in tempo sceverato abbastanza la causa loro da quella de' tristi che, usurpando il loro nome e infingendosi di voler rivendicare i loro diritti, in verità non erano che strumenti di una setta malvagia » (1).

In conclusione la difesa sul piano puramente religioso del cattolicesimo polacco, pur evitando qualsiasi compromissione politica con il nazionalismo rivoluzionario, costituiva pur sem· pre il motivo fondamentale dell'atteggiamento negativo verso il panslavismo e lo zarismo, manifestato continuamente nel corso delle due crisi d'Oriente del 1853-1856 e del 1875-1878.

2. Dal punto di vista militare la questione d'oriente del 1875-78 fu seguita particolarmente dall'addetto militare a Vienna e a Berlino i cui dispacci si conservano nell'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito. Dell'addetto militare a Vienna si conserva anche un lungo rapporto sulle forze militari della Turchia (2) redatto nel dicembre 1876 dopo la missione compiuta dallo stesso Mainoni in Serbia e Turchia per la delimitazione della linea d'armistizio. Era stata quella l'occasione che aveva permesso all'ufficiaJe italiano di o.sservare le truppe ottomane direttamente e di ricevere dagli altri ufficiali componenti la Commissione, peraltro addetti militari a Costantinopoli, notizie sulla forza reale dell ' esercito ottomano: •1 ond'è che mi accinsi a compilare ·questo breve rapporto e mi proposi di determinare quale fosse la forza, che nelle circostanze attuali 1'Impero ottomano potrebbe opporre a propria difesa, nel caso possibile di un attacco per parte della Russia». Ricordate le leggi del 1843 e del 1899 che costituivano ]a base dell'ordinamento dell'esercito sottolineava come queste subissero continue infrazioni per « la confusione e il disordine che regnano in tutti i rami dell'amministrazione dello Stato », per la carenza di quadri preparati e per l'aver permesso la formazione di bande irregolari di biishibozii.q (teste perdute). Queste infatti mentre non a·vrebbe-

(1) La Sede romana e il govemo di Russia, cit. pp. 548. Qui la rivista assume una posizione nettamente diversa da quella dell'archivista vaticano, studioso di problemi religiosi e nazionali dell'Europa orientale, A. THEINER che nella sua opera, Vicende della Chiesa cattolica di amendue i riti nella Polonia e nella Russia dì Caterina li sino a' nostri dì Lugano, 1843, identificava la causa cattolica con quella della nazione polacca.

(2) A. MAJNONI, Calcolo delle forze militari di terra che la Turchia potrebbe opporre alla Russia in una prossima guerra, Vìenna 20 dicembre 1876, SME-AUS, b. 48, Addetto militare a Vierma. Corrispondenza.

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ro potuto essere usate contro eventuali eserciti europei erano tristemente note alle popolazioni cristiane che minacciavano di ribellarsi: la funzione di queste bande era eminentemente repressiva. « Se destinati ad operare nel raggio d'azione dell'esercito combattente - scriveva ancora Mainoni - essi, esenti da ogni soggezione od obbedienza, si tengono in disparte finché dura ll combattimento e compaiono fra le truppe allorquando guadagnano terreno, per il solo scopo di saccheggiare !.•1tto quanto ha valore, e quindi distruggere ed incendiare quanto non può essere loro utile al momento». La presenza di queste bande, ricordava l'ufficiale italiano, era stata deprecata dagli stessi ufficiali ottomani che avevano visto assottigliarsi le risorse per le truppe regolari dopo il passaggio dei biishibozuq la cui illimitata « sfrenatezza e barbarie » causava, come era avvenuto in Bulgaria e Bosnia, grave danno morale per l'intero governo ottomano (1).

Queste considerazioni ed altri computi numerici inducevano l'ufficiale italiano a concludere che «ammesso pertanto che le doti individuali e naturali del soldato turco .fra le quali primeggia il coraggio, la .fedeltà, la frugalità, la pazienza e la costanza nel sopportare le privazioni e le fatiche, possano in parte compensare l'insapienza dei generali, l'ignoranza degli ufficiali, la cattiva amministrazione e la mancanza di servizi organizzati, pure è tale il divario che si osserva fra l'esercito ottomano ed un altro qualunque europeo, che anche a parità di forze, oso predire il risultato favorevole al secondo» (2).

(l) Prima del 1800 l'organizzazione militare ottomana era essenzial· mente basata sulla forza dei giannizzeri; nel 1843 fu approvata la prima riforma dell'esercito: reclutamente regionale, servizio limitato ai soli mussulmani (i non mussulmani pagavano una tassa di esenzione), unità di prima linea (nizam) e di seconda linea (redif) con quadri pérmanenti. Il territorio era ripartito in ordù (armate) composti ciascuno di sei alay (reggimenti) di fanteria, quattro di cavalleria, uno di artiglieria. Il I ordù presidiava l'Anatolia occidentale, il II le regioni orientali dei possedimenti europei e l'Anatolia orientale, il III le regioni occidentali della Turchia europea. il IV l'Armenia e il Kurdistan, il V e il VI la Siria, la Palestina, l'Irak e l'Albania. Una divisione presidiava Creta ed alcune brigate Tripoli e Tunisi, il tutto per un totale di 150 mila uomini. In caso di guerra l'esercito veniva rafforzato con contingenti della Valacchia, della BosniaErzegovina, dell'Albania settentrionale della Serbia e dell'Egitto. La legge del 1869 istituiva la milizia territoriale e un VII ordù costituito dalle truppe di occupazione dello Yemen. Nel 1887 la missione tedesca guidata dal tenente colonnello Kolrnar von der Goltz (che prestò servizio nell'esercito ottoinano dal 1893 al 1895 e tornò poi in Turchia nel 1908), faceva varare una nuova legge militare con nuovi regolamenti di istruzione per le truppe, riorganizzazione della cavalleria e Furono anche ristrutturate le circoscrizioni territoriali. Impadrorutisi del potere i Giovani Turchi promulgarono, nel 1909, una nuova legge organica di riforma dell'esercito che prevedeva l'estensione del servizio militare anche ai non mussulmani, obbhgatorio e senza distinzione di razza, di culto e di religione; la ferma triennale per la fanteria e quadriennale per la cavalleria. I corpi d'armata furono raddoppiati e le divisioni da 17 vennero portate a 43. Indubbia. mente un esercito colossale che, tuttavia, non aveva dietro di sé riserve istruite e quadri preparati.

(2) A. MAINONI, Calcolodelleforze..., cit, p. 14.

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Riferendosi poi al problema delle operazioni militari della Russia contro la Turchia sottolineava come non vi fossero dubbi che le azioni sarebbero cominciate contemporaneamente in Asia ed in Europa: all'armata del Caucaso sarebbe spettato .il compito di affrontare le forze ottomane in Asia mentre l'armata concentrata sul Pruth doveva agire in Europa. Gli accordi preventivi che da parte russa si stavano concludendo con il governo romeno, la mobilitazione dell'esercito valacco, la riunione di materiali da ponte sulle due sponde del Danubio. a Kladona in Serbia e a Thurn-Sceve rin in Romania , erano " i molteplici indizi che farebbero supporre probabile un piano tendente a valersi delle ferrovie rumene e della relativa facilità di passaggio de] fiume nei punti indicati, all o scopo d i concentrare una massa considerevole sul territorio serbo (1). Su questo punto tuttavia l'osservatore italiaPo esprimeva nunumerosi dubbi in quanto, se la guerra si fosse riaperta, la Serbia avrebbe avuto indubbiamente bisogno dell'aiuto immediato del-

GUERRA RUSSO - TURCA : lE OPERAZIONI SUL DANUBIOU877}

la Russia ma a rinnovare le milizie del Pri;:tcipato e a preservare le popolazioni danuove devastazioni sarebbe stato sufficiente, da parte della Russia, inviare una divisione mentre il

· -=-ClD
(l) A. MAINON I , Calcolodelleforze..., cit., p. 16. 31

resto dell'Armata avrebbe potuto operare verso la Bulgaria evitando così le fortezze della riva destra del Danubio, « le quali benché piccole e in cattivo stato », costituivano pur sempre un ostacolo. Questo secondo una logica puramente strategica ma poiché la scelta della linea di operazione sarebbe stata determinata da considerazioni di carattere politico e poiché la Serbia, «spinta dalla Russia alla rivolta», aveva sopportato fino a quel momento i maggiori disagi per la causa slava era ine" vitabile per la Russia. anche per non perdere la propria influenza sulle popolazione serbe, accorrere in loro aiuto all'inizio delle ostilità -seguendo quella linea sopra descrtta. « Considerata pertanto la produttività della linea ferroviaria rumena - concludeva Mainoni -e la distanza che separa la frontiera russa da Thurn-Sceverin, si può calcolare che in quattro giorni la Russia concentrerà sul Danubio una divisione e un reggimento di cavalleria e che in altri dieci giorni potrà far marciare queste truppe fino a Cuprjia. Questo a parer mio il preludio delle operazioni offensive» (1).

Per quanto riguarda la crisi d'oriente vera e propria il primo dispaccio di Mainoni si era occupato delle misure prese dal ministero della Guerra austriaco di fronte alle insurrezioni in Bosnia - Erzegovina al fine di intervenire ed occupare la regione qualora se ne fosse presentata l'occasione. Ricordata la mobilitazione, ormai avvenuta, delle divisoni VI (Graz), VII (Trieste), XVIII (Dalmazia), XXVIII (Lubiana) e XXVI (Agram), informava come la sola arma sostituita in quella mobilitazione sarebbe stata l'artiglieria la quale sarebbe stata di montagna, raccolta dalla Dalmazia e dal Tirolo e concludeva che pur non essendo suo <.:umpilo formulare considera:t.ionl politiche era verosimile affermare che l'Austria-Ungheria avrebbe «più o meno presto>> occupato la Bosnia-Erzegovina (2). Gli altri dispacci di Mainoni si occupano infine delle osservazioni raccolte a Vienna sulle probabili mosse dell'esercito russo in Asia, sulla volontà dell'Austria di mantenersi estranea alla lotta tra la Russia e la Turchia, l'ostilità dell'opinione pubblica austriaca verso la Russia e infine considerazioni sull'esercito russo e sulla battaglia di Plevna (3).

(l) A. MAINONI, Calcolodelleforzee..., cit., p. 18.

(2) Mainoni a Bertolè Viale, Vienna 2 agosto 1875, SME·AUS, b. 9, Addetti militari. Bertolè Viale (Genova 1829-Torino 1892) era allora comandante del Corpo di Stato (1874-1881). Dal 1867 al 1869 era stato ministro della Guerra nel gabmetto Menabrea, carica che tornò a ricoprire nel gabinetto Crispi (1887) ordinando la spedizione in Africa del generale S. Marzano.

(3) Sui problemi connessi alla guerra e la valutazione che -veniva fatta nei circoli militari e politici viennesi cfr. i dispacci di Mainoni a Bertolè Viale, Vienna 21 aprile 1877, n. 34, SME-AUS, b. 10, Mainoni (1875·18n); ID., Vienna 3 maggjo 1877, n. 44, ivi; ID., 10 maggio 1877, n SO, ivi; ID., 11 maggio 1877, n. 51, ivi; ID., 30 luglio 1877, n. 90, ivi, rilevava che l'opinione pubblica austriaca era ostile alla Russia; ID., 1 agosto 1877, n. 100, ivi; ID., 7 agosto 1877, ivi, considerazioni sull'esercito russo e sulla battaglia di Plevna.

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Gli avvenimenti militari della guerra russo-turca nel loro svolgersi sono sufficientemente noti. Assicuratasi la neutralità dell'Austria la Russia dichiarò guerra alla Turchia il 24 aprile 1877 e ricevuto il permesso dalla Romania, attravers.ò il confine del principato. Mentre la flottiglia turca del Danubio tentava inutilmente il passaggio del fiume la Romania radunava il proprio esercito ad occidente dell'Aiuta. A metà giugno !'armata russa era pronta ad agire lungo il coJ;So dell'Aluta. I turchi tenevano pronto il grosso delle loro truppe a Sciumla, avevano occupato Turtukai, Ruscuk, Sistovo , Nicopoli ed avevano spinto un piccolo corpo nella Dobrugia . Il comandante russo ieee approntare un ponte sull'Aiuta per il passaggio dei quattro corpi d'armata mentre una avanguardie, comandata dal generale Gurko, doveva superare i Balcani e portarsi in Bulgaria per sollevarla contro i turchi. In giugno il XIV corpo d'Armata russo passò H Danubio a Macin mentre il e XIII si dirigevano su Jantra e il IX su Nicopoli. Sotto la pressione delle forze russe il comando turco richiamò dal Montenegro le truppe di Suleiman pascià e da Viddino quelle di Osman pascià inviandole sul tea· tro di guerra bulgaro. Durante la marcia Osman pascià giunse tra il 17 e 19 luglio a Plcvna dove si attestò fortificandosi. Per due volte i russi condussero l'offensiva e dopo il 31 lugHo lo zar chiese al principe Carlo di Romania la fusione dei due eserciti. Falliti i tentativi di liberare Plevna, l'esercito turco si mantenne nelle posizioni del quadrilatero Ruscuk-Silitria-Vama-Sciumla, mentre Plevna che aveva arrestato l'esercto nemico per sei mesi cadeva il 10 dicembre. La caduta di Plevna incoraggiò i serbi a rinnovare la guerra contro la Turchia che oppose deboli re· sistenze. Le forze serbe unitesi in parte a quelle romene e in parte a quelle russe giunsero fino a Vrania nell'alta valle della Morava. Anche i montenegrini ripresero, nel gennaio 1878 l'offensiva impadronendosi di Antivari,. Dulcigno e della foce della Boiana. Sfavorevolmente per i turchi si conclusero anche le operazioni in Asia con l'assedio prima e la caduta poi di Erzerum e Kars (1).

Da Berlino il maggiore del Mayno già dal gennaio 1876 aveva preso a seguire con attenzione le vicende della penisola balcanica e, soprattutto, quello che accadeva all'interno dell'Impero russo. « Sebbene alieno - scriveva - dal voler invadere il terreno politico-militare come quello che è proteiforme e malsicuro», riteneva suo dovere informare come la mobilitazione conclusasi « con una rapidità inaspettata » in Russia non avesse reso necessario lo spostamento sul Prut delle truppe che appartenevano ai comandi generali di Pietroburgo, Mosca, Vilna e di altri importanti distretti russi. Questo, a suo giudizio, era ancor più sorprendente in considerazione del fatto

(l) Notize utili sullo svolgimento della guerra anche nei rapporti da Bucarest di Fava a Melegari nel periodo 1876-1877, MAE-AS, bb. IJ95 e 1396, Rapporti in arrivo. Rumania.

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che in genere le truppe di presidio nei centri più importanti erano anche quelle meglio addestrate e quindi la logica avrebbe voluto un loro spostamento sul fronte: «come in tutti i paesi - aggiungeva - ove l'azione del sovrano è assoluta o quasi si

GUERRA RUSSO - TURCA: SETTORE CAUCASIC0(1877)

concentrano tutti gli elementi migliori sui corpi di truppa vicini alla sede di esso e di fatto le truppe di Pietroburgo. Vilna. Varsavia e Mosca sono sensibilmente superiori alle altre della Russia europea. Eppure di quelle, lo ripeto, non se ne mosse

-· ANTICA FRONTIERA
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neanche un battaglione per contribuire ad una azione militare contro la Turchia che riuscendo metterebbe in atto il sogno di un intero secolo». La mobilitazione al contrario aveva dimostrato come al centro delle preoccupazioni dello Stato Maggiore russo fossero le reazioni della Germania e dell'Austria piuttosto che quelle turche. « L ' antipatia» dei russi per i tedeschi era, a giudizio d eli 'ufficiale italiano, una realtà indiscutibile ed egli stesso ne aveva avuta conferma diretta nel viaggio effettuato in Russia nell'estate del 1875. Questo atteggiamento non era mitigato dall'amicizia personale, « nota a tutti », tra l'imperatore e lo zar e negli ambienti militari prussiani si sottolineava come la mobilitazione russa, forte di ben sette corpi d'esercito, fosse rivolta proprio contro la Germania (1). In successivi dispacci confermava come la questione di oriente fosse seguita con estrema attenzione a Berlino dove non si registravano però preparativi militari; irritati erano invece gli ufficiali russi «contro chi li comanda perché pare voglia assolutamente la pace>> (2) . In un'altra lunga lettera dell'aprile 1877 del Mayno oltre ad interessanti considerazioni sui rapporti tra la Francia e la Germania e sulla sua situazione interna informava come l'opinione pubblica prussiana fosse nettamente schierata contro la Russia alla quale non si doveva permettere di giungere a Costantinopoli. Lo scontro tra la Russia e la Turchia era un « duello ad estrema oltranza »; i turchi avrebbero opposto una tenace resistenza, superiore ad ogni aspettativa, e i russi avrebbero vinto perché più forti ma senza brillanti trionfi. Se queste erano le opinioni correnti a Berlino nei circoli non ufficiali, le relazioni tra i due governi erano invece ottime tanto che uno dei più diffusi « si dice » che circolava nella capitale era che « la lotta comh1cia tra Russia e Turchia quali duellanti e che a lato della prima si trova la Germania, come padrina, e dall'altra l'Inhilterra » (3).

Dal puqto di vista militare al centro dell'interesse dell'uf. ficiale italiano si collocano le osservazioni sull'organizzazione della campagna da parte dei russi e dei turchi secondo le informazioni raccolte negli ambienti militari prussiani o neì colloqui con gli ufficiali russi (4). Nell'aprile 1877 sottolineava come fosse necessario per i russi occupare la zona nord della Dobrugia: una azione turca su Galatz avrebbe infatti tagliato le comunica-

(1) Del Mayno a Bertolè Viale, Berlino, 31 gennaio 1876, SME-AUS, b. 26, Addettimilitari(1876), fase. CorrispondenzadelMayno,addetro militareaBerlino(1875-1879), lettera n. 157, ff. 4.

(2) Del Mayno a Bertolè Viale, Berlino, 12 giugno 1876, n. 115, b. 26 cit.; ID., 19 gennaio 1877, n. 154, ivi.

(3) Del Mayno a Bertolè Viale, Berlino, 23 aprile 1877, n. 186, SMBAUS, b. 26 cit.

(4) Del Mavno a Bertolè Viale, Berlno, 25 aprile 1877, n. 187 e l9 aprile 1877, n. i90, SME-AUS, b. 26 cit.

zioni ferroviarie (1). Informazioni ricevute da ufficiali russi confermavano nell'addetto militare italiano la convinzione che la Russia soverchiante per forze, non avrebbe incontrato difficoltà nell'attraversare il Danubio, ma queste si sarebbero manifestate nel provvedere al vettovagliamento di oltre duecento mila uomini in Bulgaria. Era opinione diffusa a Berlino che lo zar ricercasse la collaborazione delle popolazioni per il sostegno logistico ma intendesse rifiutare l'aiuto militare. Tale atteggiamento rrnase fino agli avvenimenti di Plevna quando la collaborazione in particolare quella romena, venne richiesta e sollecitata (2). Caratteristica dei primi mesi di campagna, ripetutamente sottolineata da del Mayno a Bertolè Viale, comandante del Corpo di Stato Maggiore, era stata l'inazione turca da un lato e la disorganizzazione russa dall'altro: il ventilato passaggio del Danubio, studiato e programmato, veniva continuamente rimandato con grave pregiudizio per il futuro svolgimento della campagna. Nell'agosto 1877, registrando le conseguenze dell'insuccesso russo nel primo combattimento di Plevna, ricordava come questo fosse stato il risultato « di soverchia fiducia in se stessi e soverchio disprezzo per le attitudini militari del nemico» . La successiva mancanza di qualsiasi attività sul teatro di guerra di Bulgaria, dimostrava, a giudizio dell'ufficiale italiano, che gli avvenimenti avevano preso una piega decisamente negativa per i russi e che questi non erano ancora in grado di riprendere l'iniziativa: solo dopo la caduta di Plevna si era avuta la cer· tezza della vittoria (3).

Componente della commissione militare che preparava i lavori cartografici per le missioni dei plenipotenziari al Congresso di Berlino del Mayno, in una lettera del luglio 1878, ricordava come quei lavori fossero stati eseguiti con strumenti inadatti in tempi eccessivamente brevi. Gli errori compiuti avrebbero aggravato quei conflitti inevitabili sui tracciati dei confini una volta che le Commissioni internazionali fossero passate alla realizzazione concreta (4).

Contrariamente ad altri eserciti europei quello italiano non inviò osservatori propri durante lo svolgimento del conflitto: uno studio sulle operazioni militari fu realizzato solo successivamente con ricognizioni sul teatro di guerra dal colon-

(l) Del Mayno a Bertolè Viale, Berlino, 6 maggio 1877, n. 192; 20 maggio 1877, n. 196; 27 maggio 1877, n. 197, SME-AUS, b. 26 cit.

(2) Del Mayno a Bertolè Viale Berlino, 9 giugno 1877, n. 201; 13 giugno 1877, n. 204; 18 giugno 1877, n. 213; 9 luglio 1877, n. 218; 14 luglio 1817, n. 219, Idee sv olte dagli ufficiali del grande stato maggiore prussiano sulla guerra russo-wrca; 22 luglio 1877, n. 222; 29 luglio 1877, n 223; SME-AUS, b 26 cit.

(3) Del Mayno a Bertolè Viale, Berlino, 6 agosto 1877, n. 226; 13 agosto 1877, n. 227; 20 agosto 1817, n. 231; 29 agosto n. 233; 18 dicembre 1877, n. 251; 17 marzo 1877, n. 279; 25 apn1e 1878, n. 293; 9 agosto 1878, n. 332; SME-AUS, b. 26 cit.

(4) Del Mayno a Bertolè Viale, Berlino, 14 luglio 1878, n 323, SME-AUS, b. 26 cit

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nello Celestino Rossi e dal capitano Tanfani. Il 6 novembre 1878 i due ufficiali furono messi a Costantinopoli in contatto dal marchese Galvagna, ambasciatore italiano, «con quelle notabilità ottomane e forestiere che potevano maggiormente facilitare la missione loro affidata» (1). Al termine della ricognizione, sulla base delle osservazioni effettuate e della documentazione raccolta, fu stilata una relazione riguardante la difesa di Costantinopoli, del Bosforo, dei Dardanelli e della penisola di Gallipoli. In una nota sulla Dobrugia, in quel momento al centro delle trattative tra Romania e Bulgaria, i due ufficiali indicavano le tre possibili linee di delimitazione tenendo conto delle motivazioni economiche, politiche, etniche e militari che erano alla base delle aspirazioni dei due paesi. Particolare cura era poi dedicata alla descrizione della piazza militare di Silìstria posta sulla riva destra del Danubio e al centro delle comunicazioni con Varna e Ruscuk. A Silistria e alle sue fortificazioni gli ottomani avevano dedicato particolari attenzioni costruendo tre diversi gruppi di opere: due laterali, più importanti, appoggiati al Danubio e denominati Arab Tabia quello orientale e Abdul Medsgit e Kucuk Mustafà quello occidentale; uno centrale, più ristretto e di collegamento, chiamato Ordù Tabia. Il teatro d'Asia con la formazione e la dislocazione delle truppe dei due eserciti, le operazioni militari per la presa di Ardgian e di Kars, la consistenza delle forze turche, serbe e montenegrine costituiscono altrettanti punti della lunga relazione redatta, tra il 1879 e il 1880, dai due >ufficiali (2).

3. Dell'Italia « ufficiale» si è detto, diverso fu l'atteggiamento degli italiani nei confronti degli avvenimenti balcanici dell'epoca. Partecipazione intensa dei garibaldini i quali, come ha puntualizzato Angelo Tamborra nel suo Garibaldi e l'Europa (3), costituirono, per aiutare gli insorti, una propria ceta

(l) Galvagna a Cairoli, Costantinopoli, 12 novembre 1878, MAE-AS, Rapporti in arrivo. Turchia, b. 1463.

(2) Guerra d'Oriente (1877-1878). Relazioni, SME-AUS, b. 189, Studi particolari, riguarda le relazioni sulla difesa di Costantinopoli, del Bosforo, dei Dardanelli, della penisola di Gallipoli, di Silistria e Note sulla . Dobrugia. Difesa i Odessa contro eventuali attacchi della flotta turca, b. 190, Studi particolari. Guerra d'Oriente (1877-1878). Teatro d'Asia, b. 201, ivi, fase. l, Formazione e dislocazione delle truppe dei due eserciti ed operazioni militari dal principio alla presa di Ardgian (24 aprile-lO maggio), fase. II, Operazioni militari dalla presa di Ardgian all'investimento di Kars (10-31 maggio), fase. III, Investimento di Kars (31 maggio-8 luglio), fase. IV, Investimento di Kars (8 luglio-15 settembre), fase. V, Offensiva russa, fase. VI, Caduta di Kars, fase. VII, Dislocazione di Truppe. Guerra d'Orien· te (1877-1878). Teatri secondari d'Europa, b. 202, ivi, fase. I, Forze turche in Europa. Forze serbe e montenegrine (21 febbraio-12 giugno 1877), fase. II, Insurrezioni (8 giugno-3 agosto 1877). Teatro danubiano, b. 203, ivi, con raccolta di ritagli a stampa e dispacci d'agenzia sulla guerra.

(3) A. TAMBORRA, Garibaldi e l'Europa, Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, Comitati di Napoli e Palermo, Salerno 1961, pp. 67 e ss.

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o banda partigiana sin dall'ottobre 1875 e nel dicembre dello stesso anno erano in testa come numero nella ceta internazionale con ben 390 combattenti. Adesioni collettive e individuali furono significative e qualificanti in quegli anni cruciali per l'avvenire nazionale dei popoli balcanici: Romeni, Bulgad, Serbi e Montenegrini.

Questi ultimi, in particolare, avevano sempre rappresentato un avamposto della resistenza al dominio ottomano. Dopo la guerra di Crimea e il Congresso di Parigi il principe Danilo del Montenegro aveva richiesto per il proprio paese uno status simile a quello dei principati danubiani. Pur non ottenendo immediata soddisfazione aHe proprie richieste il problema era rimasto ben vivo per tutto il ventennio tra le due crisi d'Oriente in quanto il Montenegro si era impegnato, sin dal 1857, nell'aiuto agli insorti della Bosnia-Erzegovina contro i turchi. La sconfitta subita dai turchi nel 1858 a Grahovo e l'intervento delle potenze europee, firmatarie del trattato di Parigi, conferirono al paese una sorta di riconoscimento internazionale. Nel 1862, ·la Turchia dichiarò guerra al Montenegro dopo una nuova insurrezione in Erzegovina (1861) nonostante questi si fosse mantenuto ufficialmente estraneo. La guerra si risolse sfavorevolmente per il Montenegro ma la con,venzione di Scutari dell'agosto 1862 riconobbe i confini del 1859. La crisi d'Oriente del 1875-1878 rappresentò la grande occasione per il principato che, d'accordo con la Serbia, nel luglio 1876 dichiarò guerra alla Turchia in appoggio all'insurrezione in Bosnia-Erzegovina. Dopo l'armistizio del novembre 1876 i montenegrini ripresero le ostilità nel 1877 quando la Russia dichiarò a sua volta guerra all'Impero ottomano. I successi ottenuti permisero al Montenegro notevoli ingrandimenti territoriali in tutte le direzioni riconosciuti dalla pace di Santo Stefano (3 marzo 1878) e successivamente ridotti dal Congresso di Berlino (1).

Nel novembre 1879 il tenente colonnello Ottolenghi, delegato italiano nella Commissione per la delimitazione del Montenegro, nella sua relazione al comandante del Corpo di Stato Maggiore riassumeva il lavoro svolto ricordando come la decisione della Commissione di prendere le decisioni a maggioranza di voti avesse incontrato l'immediata disapprovazione del delegato russo, che chiedeva l'unanimità sulle questioni di principio. Base dei lavori era stata quellà discussa carta austriaca sulla quale si erano svolte le trattative a Berlino e in questo la Commissione aveva incontrato l'opposizione del delegato turco il quale « non ignorava che tutti gli errori mate· riali del trattato ridondavano a vantaggio della Porta >>. E infatti il commissario turco alla prima decisione presa contro

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(l) P.I. POPOVJé, Crna Gora u doba Petra l i Petra Il, Belgrado 1951; D. DJORDJEVIé, op . cit., Belgrado 1965; H.C. DARBY, Il Montenegro, in Storia della Jugoslavia . Gli Slavi del sud dalle origini ad oggi, a cura di S. CLISSOLD, Torino 1969, pp. 90·104.

il suo parere e contrariamente al voto già espresso sulla validità delle decisioni prese a maggioranza, aveva abbandon(lto i lavori condannando la Commissione all'inoperosità dal maggio al luglio 1879. I lavori ripresero, ricordava ancora l'ufficiale italiano, quando le potenze aderirono alla proposta italiana di tracciare temporaneamente linee di frontiera contraddittorie. Le difficoltà, in sostanza, nascevano dall'estrema labilità del testo scaturito dal Congresso di Berlino il quale, eccettuate le disposizioni tassative di lasciare alla Turchia il territorio delle tribù albanesi, non offriva, quale criterio direttivo, principi di nazionalità, di razza o di religione. Lo stesso governo ottomano, pur mostrandosi ufficialmente favorevole ai lavori della Commissione, attuò una strategia dilatoria cercando di impedire le ricognizioni sul terreno, di rendere difficile l'accesso ad alcune località mentre il suo rappresentante abbandonava i lavori ogni qualvolta si prendevano decisioni sfavorevoli alla Turchia. Mentre la Russia favoriva il Montenegro, « patrocinando in suo vantaggio concessioni non accordate o escluse tassativamente dal testo del trattato », l'Inghilterra tutelava gli interessi della la Francia e l'Italia, « sempre imparziali », si erano trovate quasi sempre d'accordo. Germania e Austria avevano invece tenuto, a giudizio di Ottolenghi, un contegno mutevole ma sostanzialmente favorevole agli interessi ottomani: la Turchia finiva quindi per essere favorita poiché, nella peggiore delle ipotesi, poteva sempre contare su quattro (Turchia, Austria, Inghilterra, Germania) degli otto voti della Commissione. Questa riunitasi il 30 aprile 1879 iniziò i lavori veri e propri il 25 luglio con l'esame del tratto di frontiera tra l'Adriatico e Gusinje-Plav, proponendo tracciati contradditori. La Commissione, ricordava ancora Ottolenghi, non aveva potuto recarsi nei territori ad est e ovest di Gusinje-Plav; territori che la Turchia aveva abbandonato ma che si era rifiutata di consegnare al Montenegro. Le tribù della zona infatti, « in istato di anarchia», avevano disarmato e spogliato dei loro beni gli slavi ortodossi della regione e respingevano qualunque tentativo di annessione al Montenegro (1). Il problema della frontiera con l'Albania venne poi risolto nel 1880 dopo lunghe trattative con la rinuncia del Montenegro alle zone circostanti Gusinje e Plav in cambio di Ulcinij. Questa città sull'Adriatico

(l) G. OTTOLENGHI, Rapporto della Commissione per la delimitazione del Montenegro, SME-AUS, b. 36, Reparto operazioni. Ufficio Coloniale. Stati esteri, 25 novembre 1876, pp. 16.

Giuseppe Ottolenghi (Sabbioneta 1838-Torino 1904), sottotenente di fanteria nel 1859 partecipò alla campagna di quell'anno, a quella del 1860-61 e a quella del 1866. Professore d'arte e storia militare presso la Scuola militare di Fanteria e Cavalleria (1871-1873) da tenente colonnello partecipò ai lavori della Commissione per la delimitazione del Montenegro (1879·1880). Colonnello nel 1881, tenente generale nel 1895 nel maggio 1902 venne nominato senatore e ministro della Guerra, carica che ricopri fino al dicembre 1903.

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era stata precedentemente restituita alla Turchia mentre Bar era rimasta al Montenegro con il vincolo, per il principato, a non costruire una propria flotta da guerra mentre il porto, per impedire che divenisse una base militare russa, doveva restare chiuso alle navi da guerra di ogni paese.

Anche la Serbia, che al pari degli altri paesi balcanici aveva sempre mal sopportato il dominio ottomano, si era alleata nel 1876 con il Montenegro e nel 1877 con la Russia, la Romania e i ribelli bulgari. Anche in questo caso i vantaggi ottenuti con la guerra erano stati ridimensionati dal Congresso di Berlino soprattutto per le pressioni dell'Austria-Ungheria che temeva il rafforzamento della Serbia e la sua influenza sui serbi d'Ungheria. Ridimensionata l'influenza russa, la sistemazione scaturita da Berlino pur avvicinando i confini della Serbia al Montenegro confermò la Bosnia sotto amministrazione austriaca e il sangiaccato di Novi Pazar sotto la sovranità turca con presidi militari austriaci e lasciò il paese senza uno sbocco a] mare.

Delegato italiano nella Commissione dì delimitazione per la Serbia fu designato il colonnello Velini il quale, a lavori ultimati, redasse una lunga relazione divisa in quattro parti riguardanti la delimitazione vera e propria, le conseguenze politiche, le istituzioni serbe e le condizioni militari del paese. Ricordato come la delimitazione fosse stata eseguita in quattro mesi (giugno-settembre 1879), l'ufficiale italiano rilevava come questo tempo sarebbe stato infinitamente più breve se ogni commissario avesse avuto a propria disposizione qualche topografo e se si fosse seguito un procedimento più semplice come quello di limitarsi a rilevare solo la linea di confine fissando capi saldi ben determinati. Alla Serbia erano stati annessi 12.000 chilometri quadrati di territorio ed una popolazione di circa 300.000 abitanti. Il nuovo confine, tracciato sommariamente a Berlino, non rispondeva che incompletamente al principio di nazionalità e la stabilità della nuova frontiera in alcuni punti era quindi compromessa. Altro grave problema era rappresentato dal rimpatrio degli albanesi e sarebbe stato utile, a giudizio del'ufficiale italiano, che la Serbia, la Turchia e le potenze europee avessero risolto il problema per scongiurare futuri pericoli. Altre difficoltà potevano nascere dalle convenzioni ferroviarie tra la Serbi a e l'Austria-Ungheria e l'Italia, di fronte ai molteplici interessi che si collegavano alla questione ferroviaria nei Balcani, non doveva rimanere indifferente per la tutela dei propri interessi economici e commerciali. Relativamente alle istituzioni politiche della Serbia, particolareggiatamente descritte, il delegato italiano le giudicava tra le più liberali d'Europa, particolarmente curata l'istruzione pubblica, vivo il sentimento religioso, i vincoli familiari, l'attaccamento alla patria e alle tradizioni storiche. Erano questi gli elementi che avrebbero fatto « di quel piccolo popolo un nucleo potente attorno al quale, dati certi eventi, si verranno raccogliendo tutti gli Slavi del sud».

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Ponendosi in una prospettiva diversa da quella comunemente diffusa giudicava H panslavismo « uno spauracchio che si fa balenare agli occhi c1.ell'Europa dalle potenze interessate ogni volta che il loro tornaconto lo domandi. A quanto sembra non è che un fantasma. Tutti sentiamo - scriveva ancora Velini - che la dominazione turca nei Balcani è vicina a finire; e tra i superbi e potenti colossi che si contrastano la supremazia in Oriente, tra i successori di Caterina II e gli eredi della politica del principe di Metternich che tendono ad avere un piede sull'Egeo ed uno sul litorale Adriatico, ed il cuore a Vienna e la testa sulle Alpi, parmi più logico e più umanitario e patriottico ed anche più utile assecondare le popolazioni della penisola nella conquista della loro nazionalità ». Ho riportato questo lungo passo della relazione Velini perché mi sembra che meglio di ogni altro esprima quella che era la posizione non solo personale nei confronti dei problemi del mondo balcanico verso il quale l'Italia avrebbe dovuto muoversi intrecciando relazioni industriali, commerciali e agricole.

Dal punto di vista militare rilevava come l'esercito fosse relativamente ben ordinato e in progressivo miglioramento: il soldato serbo, con le sue ottime qualità militari, aveva dato nella recente campagna indubbie prove del proprio valore. Suggeriva pertanto che gli ufficiali italiani, addetti alle legazioni, studiassero l'ordinamento degli eserciti di grande numero con un bilancio relativamente basso.

Descritte le condizioni offensive e difensive della Serbia, l'ufficiale italiano concludeva la sua lunga relazione delineando quelli che a suo giudizio sarebbero stati i compiti del paese: questo infatti avrebbe dovuto affermare le proprie istituzioni, promuove e diffondere l'istruzione, rafforzare l'esercito e soprattutto «essere d'esempio ai figli dispersi della grande famiglia serba; e senza provocare direttamente la trasformazione dell'Europa orientale, tenersi parati ad ogni evento, e mettersi a livello della fortuna, ed usufruire calmi e risoluti dei momenti proprizii. E' cotesta, a quanto pare, una condotta saggia e feconda. Che l'Europa civile assecondi le aspirazionini della libera Serbia e che i voti degli italiani accompagnino nel compimento della sua nobile missione la valente avanguardia degli Slavi del sud, è l'augurio ch'io faccio a quella degna nazione nel suo interesse e nell'interesse dell'equilibrio d'Europa»

(l) A. VELINI, Note sulla delimitazione della Serbia, Roma, gennaio 1880, pp. 135, SME-AUS, b. 36, Reparto operazioni. Ufficio Coloniale. Stati esterz.

Attilio Velini (Tradate 1839-Como 1906) dopo aver partecipato come volontario alla campagna del 1859 fu nominato sottotenente {1860) e prese parte alla campagna del 1866. Colonnello nel 1884, maggior generale nel 1892 fu nominato tenente generale nel 1903 e fu deputato nella XIII, XIV, XV e XVI legislatura per i collegi di Appiano e Corno.

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L'azione del rappresentante italiano, colonnello Baldassarre Alessandro Orero, in seno alla Commissione europea per la delimitazione dei confini, costituita dopo il congresso di Berlino, è nota alla storiografia dei rapporti italo-romeni. Se ne sono occupati infatti, studiando il problema del nuovo assetto balcanico, G. Bibesco, Histoire d'une frontière, Parigi 1883 e B. Cialdea, La politica estera della Romania nel quarantennio prebellico, Bologna 1933, pp. 102-109. La documentazione conosciuta è essenzialmente quella contenuta in Documente oficiale din corespondinta diplomatica... presentate corpurìlor legiitoare in sesiunea anului 1880-1881, 1880, pp. 203204 (due rapporti del rappresentante romeno a Costantinopoli, 22 e 29 agosto 1879) e in Politica extema a Romaniei 1ntre anii 1873-1880 privitii dela agentia dplomaticii din Roma, a cura di R.V. Bossy, 1928, pp. 181, 185-188 (due rapporti del rappresentante romeno in Italia, 29 ottobre 1878, 10 febbraio 1879; un dispaccio del ministro degli Esteri Campineano al rappresentante romeno in Italia, 5 febbraio 1879). Ma la azione del colonnello Orero può essere meglio determinata con la documentazione offerta dagli archivi italiani; in particolare grazie ai rapporti che egli inoltrava al ministero degli Esteri tramite la legazione a Costantinopoli e ai protocolli ufficiali delle sessioni della Commissione per la delimitazione dei confini. Si tratta di sette rapporti, redatti a Costantinopoli e a Silistria in un periodo dal4 ottobre al 17 dicembre 1878 contenuti nell'Archivio storico del ministero degli affari esteri, Rapporti in arrivo, Turchia, busta 1462 e 1463; i protocolli, invece, si trovano nella busta 1463 dello stesso fondo. Si conserva, inoltre, nell'Archivio dell'Ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito, Ufficio coloniale, Reparto operazioni, Stati esteri, busta 32, fase. 3, busta 25, fase. 11 (posizioni M 611-617), la relazione finale di Orero, composta di due quaderni, rispettivamente di 40 e 108 fogli. La prima parte della relazione riguarda il periodo settembre-dicembre 1878, durante il quale la Commissione europea condusse a termine i lavori per la delimitazione del confine tra Romania e Bulgaria; la seconda, invece, riguarda il periodo marzo-luglio 1879 impiegato per delimitare il confine della Rumelia, per creare cioè, giusto il dettato del congresso di Berlino, una linea difensiva che permettesse all'impero ottomano uua reale capacità di difesa del proprio territorio e quindi della propria autonomia politica. Successivamente, nel 1881, il colonnello Orero pubblicò le proprie memorie, fermandosi sugli aspetti di colore che su quelli politici, col titolo Note di viaggio nella penisola dei Balcani (Novara 1881 ).

Il colonnello Orero (Novara 1841-1914), ufficiale di formazione piemontese e risorgimentale, fu attore non secondario di alcune vicende di storia italiana, mostrando costantemente una spiccata personalità. Entrato nell'Àccademia militare di Torino

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nel 1856 e nominato sottotenente dei bersaglieri, partecipò alla seconda guerra d'indipendenza, alla campagna del 1860-1861 dove collaborò con il generale Cialdini e alla presa di Roma nel 1870 (1). Trasferito allo stato maggiore nel 1872, fu inviato, tre anni dopo, quale osservatore italiano alle grandi manovre russe a Pietroburgo. Dopo aver lavorato alla delimitazione dei confini in Dobrugia e in Rumelia, ebbe nel 1889 il suo incarico di maggior rilievo, quando fu chiamato a sostituire il generale Baldissera in Africa. Si trovò allora, partito senza precise istruzioni, a organizzare l'amministrazione della colonia Eritrea e a svolgere, di fatto, le funzioni di governatore. Assertore della necessità di pacificare il Tigrè e di estendere l'influenza italiana su quelle popolazioni per sottrarle alla propaganda dei due ras ribelli Mangascià e Alula, eluse gli inviti alla prudenza forniti da Crispi alla sua partenza dall'Italia e si pose in contrasto col rappresentante italiano, conte Antonelli. Promosse quindi una spedizione verso Adua per non lasciare alle truppe di Menelik il compito di pacificare il Tigrè; ma il risultato militarmente e strategicamente positivo della spedizione non sanò il contrasto, ormai aperto, con Crispi e soprattutto con il conte Antonelli, alla cui politica Orero era dichiaratamente contrario. Nell'aprile 1890 l'ufficiale italiano rinunciò all'incarico, sottolineando polemicamente come fosse « necessario che il governo si pronunci chiaramente, riponendo tutta la sua fiducia nel Comando superiore o tutta nel conte Antonelli... » (2). Vico Mantegazza, nella sua narrazione delle guerre africane, contrappose le virtù militari e civili di Orero alle incertezze governative e ai maneggi della diplomazia, incarnata dal conte Antonelli. «La storia del periodo breve nel quale Orero rimase nell'Eritrea», concludeva perentoriamente, «non è che storia di questo dissenso» (3).

Nominato nell'agosto 1878 delegato italiano nella Commis-

(l) Sulle esperienze fatte durante le guerre per il Risorgimento e l'Unità Orero ha lasciato una vivace testimonianza nel volume Da Pesaro a Messina, Torino 1905, sulle operazioni nell'Italia centrale e l'assedio di Gaeta. Conclusa l'esperienza in Africa, Orero comandò la brigata Parma (1890-1892), la divisione militare di Brescia (1892-1895) e infine, promosso tenente generale nel 1896, quella di Roma. Nel 1898 fu nominato comandante del corpo d'armata di Bari e nel 1902, lasciato il servizio attivo per limiti d'età, rientro nella nativa Novara dove prese parte attiva alla vita e alla amministrazione della città. Cfr. Enciclopedia Militare, vol. V, Milano 1933, p. 666; E. SARTORIS, Generale Baldassarre Alessandro Orero, in «Bollettino Storico per la provincia di Parma », UV, 1963, pp. 1-30.

(2) E. SARTORIS, art. cìt., p. 27. Sull'attività di Orero in Africa cfr. Storia politico-militare delle colonie italiane, Roma 1928 e Storia militare della colonia Eritrea , Roma 1936, voll. 2, entrambe a cura dell'Ufficio del Corpo di Stato Ministero della Guerra. Anche dell'esperienza africana l'ufficiale itahano ha lasciato una efficace memoria, Ricordi d'Africa, « Nuova Antologia», 1901, XCL, fase. 698-699, pp. 193-210 e 500-522.

{3) V. MANTEGAZZA, La guerra in Africa, Firenze 1896, p. 97.

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sione europea per la delimitazione dei confini (l) fu convocato al ministero degli Esteri dove il conte Corti, giusto alla vigilia della sua uscita dal ministero Cairoli , aveva raccomandato all'ufficiale una condotta equa e una fedele applicazione degli accordi di Berlino e lo aveva informato particolareggiatamente intorno ai problemi, in materia di confini, che già dall'andamento del congresso era facile intuire si sarebbero posti alla Commissione nominata all'uopo soprattutto riguardo il confine romeno-bulgaro e la città di Silitria (2). Ricevuta una lettera di istruzioni Orero si imbarcò a Brindisi il 3 settembre e, giunto a Costantinopoli il 9, fu il primo fra i delegati a raggiungere il suo posto. A causa della prolungata assenza dei suoi colleghi, rappresentanti delle altre potenze, e del ritardo con cui la Porta nominò il proprio rappresentante, i lavori iniziarono nel palazzo di Galata Serai solo il 21 ottobre 1878 con un ritardo di trentasette giorni rispetto alla data ufficiale di inizio. Inutilmente Orero se ne stupì e, come altri suoi colleghi, se ne dolse con il plenipotenziario italiano presso la Sublime Porta, conte Galvagna: questi gli confermò che il ritardo era dovuto a una precisa tattica della diplomazia ottomana, volta a far decantare la situazione. Infatti nelle riunioni informali che i rappresentanti europei avevano tenuto a Costantinopoli, presso l'Hotel Royal, residenza dei rappresentanti inglesi, si era perfettamente delineata la posizione del delegato russo il quale, in sintonia con le istruzioni ricevute da Pietroburgo tendeva a favorire la Bulgaria a danno della Romania, mentre si dichiarava autorizzato a trattare per i soli confini della Dobrugia, escludendo il problema della Rumelia (3). Il periodo di forzata inattività fu usato da Orero per prepararsi ulteriormente ai lavori e per conoscere la capitale ottomana. Lo stato di povertà e di abbandono in cui versava Costantinopoli, giustifi-

(l) II ministero della Guerra al ministero degli Esteri, Roma 24 agosto 1878, n. 293, MAE-AS, Rapporti in arrivo. Turchia, b. 1462. Oltre a Orero il ministero della Guerra nominò il capitano Felice Gola per La Commissione della Serbia e Giuseppe Ottolenghi per quella del Montene· gro. Il Gola fu poi al centro di un singolare caso: dichiarato disperso, il suo bagaglio fu ritrovato intatto ad esclusione del pac.co di documenti che avrebbe dovuto inviare a Roma, cfr. MAE-AS, Rapporti in arrivo. Rumania, b. 1396

Galvagna a Corti, Costantinopoli 8 settembre 1878, n. 1261, MAE-AS, Rapporti in arrivo. Turchia, b. 1462. Informava dell'arrivo a Costantinopoli di Orero e comunicava il nome degli altri delegati: Home per l'Inghilterra, Lemoyne per la Francia, Ripp per l'Austria-Ungheria, Scherff per la Germania. Nello stesso dispaccio Galvagna si faceva interprete del desiderio espresso da Orero di avere a disposizione un ufficiale inferiore come aiuto , in analogia con gli altri rappresentanti europei. La richlesta fu sod· disfatta con la nomina del capitano Tornaghi, che fu successivamente assegnato alla Commissione per la Rumelia.

(2) Galvagna a Corti, 23 settembre 1878, n. 1268 ID., 26 settembre 1878, n. 1270; ID., l ottobre 1878, n. 1277; MAE-AS, Rapporti in arrivo Turchia, b. 1462 .

(3) Cfr. Orero a Corti, Costantinopoli 4 ottobre 1878, rapp. n. l, MAE-AS, b. 1462 Rapporti in arrivo. Turchia; ID., Costantinopoli 22 ottobre 1878, rapp. n. 2, ivi

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cato in parte dalla presenza delle truppe russe ancora accampate alle porte della città, deluse profondamente l'ufficiale italiano. Definito il soldato ottomano per le sue qualità come la «miglior cosa dell'impero», egli dedicò numerose pagine della sua relazione a descrivere le caratteristiche peculiari dell'organizzazione militare turca, esprimendo giudizi negativi soprattutto sulla formazione del corpo degli ufficiali, sull'addestramento e la disciplina. La crisi di quell'esercito, che pure aveva contato nella guerra contro la Russia oltre 740 mila uomini, non poteva essere arrestata dall'immissione di ufficiali stranieri (1).

Nelle prime pagine della sua lunga relazione il colonnello Orero ricordava come il congresso di Berlino avesse voluto creare in Europa una pace stabile e duratura, affidando alle tre potenze estranee (Germania, Francia e Italia) un compito di mediazione tra le parti interessate. Tuttavia il bilancio del congresso sembrava deludente: l'Epropa, in definitiva, aveva sanzionato esigenze derivanti dall'interesse particolare di alcune potenze e con ciò aveva costruito una pace precaria. Riferendosi in particolare alla Romania scriveva:

«La Francia e l'Italia fecero allora la proposta di comprendere Silistria nel territorio da assegnarsi alla Romania. Questa proposta, probabilmente, sarebbe stata accettata qualora avesse avuto l'appoggio delle altre potenze. Ma l'Inghilterra e l'Austria che in quel congresso dominavano la situazione erano troppo soddisfatte dei successi ottenuti nel loro interesse per non essere concilianti verso la Russia in una questione che non le riguardava. La prima difatti non si intromise e la seconda si limitò ad esprimere il desiderio di veder esteso d'alquanto il territorio da concedersi alla Rumenia. La Germania fu lieta di poter afferrare questo punto in cui non erano interessate le due potenze da cui pendeva la pace o la guerra, per mostrare un'attitudine completamente favorevole alla Russia. Così avvenne che l'idea di dare Silistria alla Rumenia. idea che avrebbe allora sciolto ogni questione ed evitate quelle che si produssero in seguito, non fu neanche discussa» (2).

Quando il 21 ottobre 1878 la Commissione poté, per la nomina del delegato ottomano nella persona di Tahir pascià, generale di brigata, riunirsi per la prima volta in seduta ufficiale, i commissari delle altre sei potenze avevano già discusso in conferenze preparatorie il metodo e l'ordine da seguire nel lavoro di delimitazione. Bastarono dunque due sedute a Costantinopoli per stabilire le questioni di procedura e definire tutti i preliminari che potevano agevolare e rendere più spedito il lavoro sul terreno. Secondo gli articoli 2 e 46 del trattato di

(l) B. ORERO, Relazione al comando del Corpo di Stato Maggiore, Roma 1880, SME-US, b. 32, Ufficio coloniale. Reparto operazioni. Stati esteri, parte I, fase. 3, pp. 9·22.

(2) B. ORERO, Relazione... , cit., pp. 40-41.

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Berlino la Commissione europea aveva il compito di fissare il confine del nuovo principato di Bulgaria: a Nord verso la Romania, a Ovest verso la Serbia, a Sud verso la Turchia e la Rumelia orientale. Per un accordo intervenuto posteriormente fra le potenze, era stato aggiunto a questo compito quello di fissare la frontiera Sud della Rumelia orientale, cioè la linea di demarcazione tra quella provincia e il territorio rimasto sotto il dominio diretto del sultano. Anche facendo astrazione dai tratti di confine che, per essere determinati dal trattato in modo incontestabile, non richiedevano una speciale ricognizione dei luoghi, il lavoro della Commissione veniva ad abbracciare un'estensione di circa duemila chilometri di frontiera (1).

« Il tempo necessario per compiere l'opera nostra - scriveva a questo proposito l'ufficiale italiano - non era lecito di calcolarlo a meno di tre anni. Penetrati nell'interesse urgentissimo per l'Europa di definire nel minor tempo possibile le molte questioni che tuttora pendevano legate a quella delimitazione, fummo d'accordo nel promuovere dai nostri governi la costituzione di una commissione speciale per la delimitazione della frontiera Sud della Rumelia orientale. Questa nuova commissione, formatasi in Costantinopoli verso la fine di ottobre, fu composta in massima con gli ufficiali che erano dapprima stati aggiunti ai vari delegati della Commissione europea. Come rappresentante l'Italia fu così designato il capitano Tornaghi arrivato a Costantinopoli da pochi giorni in seguito a mia domanda di avere un compagno. A questa riduzione del nostro lavoro ne potemmo in seguito aggiungere un'altra. I governi avevano già riconosciuto l'opportunità di affidare a commissioni internazionali il tracciamento dei nuovi confini sia della Serbia come del Montenegro e ciò a similitudine di quanto il trattato stabiliva per la delimitazione del nuovo principato di Bugaria. Era quindi naturale che alla commissione per i confini serbi, cui non sarebbe spettato altro lavoro che quello di tracciare il piccolo tratto di nuovo confine tra la Serbia e l'Albania, venisse affidato anche il tratto di nostra spettanza, quello cioè tra la Serbia e la Bulgaria. Questa proposta avendo anch'essa ricevuta la sanzione dei gabinetti firmatari del trattato di Berlino il lavoro della nostra Commissione veniva ristretto a poco più di 1200 chilometri di frontiera e mettendoci all'opera con tutta alacrità come era nostra intenzione e desiderio, si aveva speranza di poter finire nell'autunno del 1879. E così fu » (2).

La Commissione decise di iniziare le operazioni col determinare la frontiera romeno-bulgara tra Silistria e il Mar Nero (3). Stabiliti alcuni giorni per i preparativi, i commissari fissarono il 2 novembre quale data di riunione a Silistria. Il

(l) Cfr. Orero a Corti, rapp. n. l e 2, cit.

(2) B. ORERO, Relazione, cit., pp. 27-29.

(3) Cfr. Orero a Corti, Costantinopoli 4 ottobre 1878, rapp. n. 1 cit.

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ottobre 1878 la Commissione, preceduta dal delegato russo c dagli ufficiali topografi inglesi, si imbarcò per Varna, ove giunse il mattino del 29. Da Varna raggiunse RusCuk in ferrovia, e da Ruscuk scese per il Danubio fino a Silistria. Durante il viaggio l'ufficiale italiano fu urtato dal comportamento degli ufficiali russi che, come scrisse più tardi, «poteva predisporre l'animo ad una opinione non troppo favorevole sul conto loro ». Particolarmente significativo fu un episodio accaduto alla stazione di Varna sotto gli occhi della Commissione. Il delegato russo, colonnello Bogoljubov era partito per Silistria alcuni giorni prima del1a Commissione per predisporre alla stazione di Varna una carrozza speciale. Il servizio ferroviario era ancora regolato come in tempo di guerra e il comandante la stazione di Varna era un maggiore russo, che aveva concesso ad alcuni suoi compagni il vagone-sala già destinato alla Commissione. Quando i commissari fecero per prendere posto nel vagone lo trovarono occupato da tre ufficiali russi che stavano bevendo allegramente in compagnia di una signora. Viaggiava con •la Commissione un segretario dell'ambasciata russa a Vienna, tenente degli ussari, che si mostrò indignato di questo fatto e sì presentò al comandante della stazione e richiese insistentemente al maggiore suo compatriota il vagone riservato ai commissari. Ma questi non ne fu persuaso e quasi rispose con insolenza. Il segretario dell'ambasciata russa promise una punizione esemplare, tanto che gli ufficiali europei pensavano << che questa riparazione dovesse essere la fucilazione di quel povero maggiore, forse di cattivo umore per nostalgia od altra causa irresistibile ». Timore infondato giacché la Commissione ripassando per la stazione di Varna un mese dopo, rivide l'antico comandante al suo posto tranquillo e indifferente come prima (1).

Dopo dodici ore di ferrovia impiegate a percorrere duecento chilometri, la Commissione giunse a Rusèk , prima della guerra capoluogo del vilayet del Danubio, sede di vari consolati. All'arrivo degli ufficiaH europei il trasferimento dei consolati a Sofia, capitale del nuovo principato, non era ancora stato eseguito ed il colonnello Orero poté incontrare il console italiano De Gubernatis. « Per un viaggiatore italiano all'estero - notava l'ufficiale italiano - sono così poche le sodisfazioni concesse al suo amor proprio nazionale che io sentii moltissmo quella di vedere il mio paese rappresentato da una persona quale il De Gubematis, distinta per studio e cultura, per la sua conoscenza delle cose d'Oriente e per il modo esemplare con cui seppe stare al suo posto durante il bombardamento, cui fu soggetta ]a città per tutto il tempo della guerra » (2).

Ruscuk, come molte città orientali, non era che un villag-

(l) B. ORERO, Relazione ..., cit., pp. 29·32.

(2) lvi, pp. 33-34.

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gio di capanne e piccole case in legno con circa ventitré mila abitanti , per la maggior parte mussulmani. Con l'evacuazione delle truppe ottomane i bulgari erano entrati in città in gran numero divenendo maggioranza . Descritta l'importanza strategica del villagigo dove affluiva quasi tutto il movimento dalla Russia e dall'interno della pen isola balcanica e l'importanza che aveva avuto durante la guerra. Orero sottolineava come la città fosse ancora punto di incontro dei reggimenti russi che tornavano in patria con quelli che arrivavano a dar loro il cambio: «Le vie della città erano piene di soldati mal vestiti e laceri da far compassione. Individui ubriachi, spesso al punto da esser sorretti dai compagni, passavano avanti ai loro superiori con una indifferenza da parte degli uni e degli altri che dimostrava essere quella una cosa abituale non meritevole di provvedimenti. Il sig. De Gubernatis mi disse inoltre non essere raro il caso di ufficiali in quello stato e aggiunse che il contegno loro dal generale al sottotenente, per ciò che si riferisce alla convenienza con donne, era soggetto di pubblico scandalo. Il particolare però che più d'ogni altro mi colpì fu il vedere soldati russi vestiti della loro uniforme attaccarsi al mio bagaglio in concorrenza con i kamali facendomi segno con le dita che si accontentavano di 20 copechi (70 centesimi) per il trasporto » (1).

Poiché si trattava di fissare la frontiera di un principato indipendente} quale era la Romania, la Commissione, conforme alle consuetudini diplomatiche invitava il gabinetto di Bucarest a voler inviare a Silistria alcuni ufficiali per seguire la Commissine durante le ricognizioni. Il governo romeno, interpretando l'invito in senso largo, designò quali suoi rappresentanti al seguito della Commissione europea tre colonnelli e un deputato, più un capitano per i lavori topografici. Fin dai primi scambi d'opinione con il delegato russo, colonnello Bogoljubov, Orero intravide il disaccordo assai pronunciato che si sarebbe verificato nella scelta del punto sulla riva destra del Danubio da cui doveva partire la frontiera che assegnava alla Romania quel territorio che le era stato assegnato a compenso della Bessarabia. Questo disaccordo si fece palese fin dal primo giorno in cui la Commissione si riunì a Silistria in seduta ufficiale. le indicazioni fornite dall'articolo 2 del trattato di Berlino per la scelta di quel punto, come in genere per il tracciato di tutta la linea di frontiera dal Danubio al Mar Nero, erano alquanto indeterminate. Il testo, riferentesi a quella parte di confine, affermava che la frontiera doveva lasciare la riva destra del Danubio «a un punto da determinare dalla Com_ missione europea all'est di Silistria » e di là dirigersi verso il Mar Nero a sud di Mangalia. In astratto qualunque punto scelto dalla Commissione sulla riva destra del Danubio e all'est di Silistria avrebbe soddisfatto la condizi one fissata nel

(l) lvi, p. 35. 48

testo, tuttavia, era necessario ai commissari ricercare nelle discussioni del congresso di Berlino i criteri che dovevano guidarli nelle deliberazioni. Questione non secondaria che diede luogo a una lunga vertenza diplomatica .

Già con le stipulazioni di S. Stefano era stato stabilito in linea di massima di assegnare alla Romania il delta del Danu· bio. Con ciò, secondo Orero, il principato, da un lato, prendeva piede sulla riva destra del Danubio, entrando in di importanti sbocchi sulla costa del Mar Nero, e dall'altto, portava il suo confine al Prut .e al Danubio, presentando così

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il vantaggio eli ottenere una lunga linea di frontiera tracciata in modo certo. Orero, tuttavia, valutava pienamente i motivi eli carattere nazionale che suscitavano la reazione della Romania: questa perdeva, infatti, una provincia abitata da una popolazione in magigoranza romena, in cambio di una dove l'elemento etnico era meno cospicuo (1). Il congresso, giusto la testimonianza del colonnello del Mayno (2), aveva «riconosciuto la necessilà per la Romania di costruire un ponte sul Danubio ed ammessa la dichiarazione del barone Haimerle secondo plenipotenziario austro-ungarico "essere avviso degli esperti esistervi un sol punto in vicinanza di Silitria, propizio a tale costruzione", rimandava alla Commissione europea la designazione della frontiera nei suoi particolari. Se dunque il testo del trattato usava la espressione vaga di wz pu1110 all'est di Silistria, la Commissione aveva però nelle deliberazioni del congresso, registrate nei protocolli n. 10 e n. JS, i dati necessari per procedere nella sua scelta. Ricercare a valle di Silistria ed in vicinanza della città la localHà cui il barone Hairnerle alludeva riferendosi ''all'avviso degli esperti", riconoscere se questa località soddisfaceva alla condizione prescritta, doveva essere, come difatti fu, i1 primo compito nostro. La Commissione riconobbe sul posto che il punto cui il secondo plenipotenziario austro-ungarico intendeva di accennare era evidentemente quello stesso che si legge descritto nelle memorie del capitano Moltke. Esso corrispondeva inoltre al sito che una carta dei dintorni di Silistria, eseguita nel 1854 dal capitano Govone dell'esercito sardo, indicava come il più favorevole per la gettata di un ponte. Il solo ad opporsi a tale scelta fu il commissario russo. Egli trovò che il punto era troppo vicino a Silistria. In causa di questa vicinanza - 800 metri dal1a cinta della piazzasi veniva difatti a separare la città da una parte considerevole del suo territorio, e conseguentemente ad assegnare alla Rumania le posizioni militari situate a sud-est della fortezza fra cui, con tutta probabilità, anche quella importantissima ove sta il forte dell'Arabo (Arab Tabia). Quest'ultima conseguenza era senza alcun dubbio quella che il delegato russo, senza che osasse dirlo, temeva maggiormente» (3).

Per poter prendere in considerazione l'opposizione del colonnello BogoJjubov era indispensabile per la Commissione trovare una altra località a non troppa distanza da Silistria, la quale rispondesse anch'essa alla condizione tassativa per i delegati europei di essere propizia alla costruzione di un pon-

(l) lvi, pp. 37-39. Su questo particolare problema l'ufficiale italiano esponeva il proprio punto di vista affermando che la Romania avrebbe dovuto fare del problema una questione nazionale " senza tener conto delle probabilità di vittoria disporsi a sostenere colle armi i suoi diritti • soprattutto se riteneva inaccettabile il baratto tra la Bessarabia e la Dobrugia.

(2) Del Mayno a Bertolè Viale, Berlino 14 luglio 1878, n. 323, lettera cit., SME-AUS, b. 26, Addetti militari.

(3) B. ORERO,Relazio11e, cit., pp. 40-42.

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te. Il rappresentante russo indicò allora sulla carta una località presso Dekisceni a circa 20 chilometri all'est dì Silistria. Benché la distanza paresse a molti eccessiva, la Commissione non si oppose all'esame della cosa. Il 4 novembre 1878 discendendo un ramo del Danubio denominato Borcia, che si distacca da Silistria per ricongiungersi al braccio principale ad Irsova dopo cento chilometri di percorso, la Commissione si recò dunque a visitare il luogo designato dal colonnello russo. L'opinione della maggioranza, dopo una attenta ricognizione del terreno, fu che né la località indicata, né altre scelte a1l'infuori di quella presso Silistria, rispondevano alla condizione stabilita dal congresso e risultante dai protocolli. Questo avviso del resto venne confermato circa un anno dopo da una Commissione internazionale di ingegneri militari nominata espressamente per soddisfare le istanze del gabinetto di Pietroburgo.

« Un battello della flottiglia rumena - ricordava ancora nella sua relazione il delegato italiano - era stato messo a disposizione della Commissione per la ricognizione eseguita il 4 novembre. La Commissione fu ricevuta a bordo dal signor Cogalniceano, ministro degli affari esteri di Rumania. A me e certamente a qualche altro dei miei colleghi , il sig. Cogalniceano fece l'impressione di essere un ministro degli Esteri molto cortese e molto espansivo. In faccia a Silistria e sulla riva sinistra della Borda sta la città rumena di Kalarasci. Per quanto arretrata sia tuttora la civiltà in Rumania però è sensibile la differenza che sotto questo rapporto esiste tra la riva destra e lal riva sinistra del Danubio. Kalarasci è inferiore a Silistria per estensione, ma ha nel suo insieme un aspetto meno triste e meno povero; le sue vie, a difefrenza di quelle di Silistria quasi impraticabili, fanno testimonianza esistere ivi una autorità comunale che presiede alla loro manutenzione. Le sue abitazioni, i suoi negozi, il suo traffico fanno accorto un viaggiatore europeo che la terra su cui si trova comincia ad essere un del suo continente. Nella breve sosta che la Commissione fece a Kalarasci fu ricveuta dal signor Bratiano, pres idente del gabinetto rumeno, venuto espressamente da Bucarest. E' sotto l'amministrazione del signor Bratiano che la Rumania si era messa nell'alleanza russa contro la Turchia e i frutti che da quella campagna vittoriosa ne aveva tratto il suo paese gli devono essere sembrati troppo al di sotto dei sogni di grandezza che forse egli aveva fatto. fo non vorrei asserirlo, ma ho in mente che il signor Bratiano, il quale, per il momento, rappresenta ufficialmente il partito liberale, alla cui avanguardia e direzione sta il signor Rossetti, si sia c ullato nell'idea di poter trarre dalla guerra del 1877, qualche cosa di simile a ciò che Cavour trasse da quella del 1859. Ma evidentemente i dati del problema erano troppo diversi perché i risultati potessero riuscire conformi. Il signor Bratiano ha un fare e una fisionomia simpatici. Nel breve discorso che tenne alla Commissione non seppe o non volle trattenersi dall'accennare al modo con cui era stato imposto dalla Russia

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e sanzionato dalle altre potenze il cambio territoriale che l a Rumania subiva e dicendo ciò pareva volesse mettere in impegno noi di rendere meno dura l'ingiustizia commessa dall'Europa » (1).

Essendo riuscito al -commissario russo vano ogni tentativo di persuadere i colleghi ad ac cettare il punto di frontiera da lui proposto, assunse da qual momento un atteggiamento di protesta e di dispetto. Orero, principale artefice della decisione favorevole alla Romania presa dalla Commissione il 6 novembre e che fissava la partenza del confine a 800 metri a valle di Silistria, tentò tuttavia di appianare i contrasti e le difficoltà, non nascondendo al colonnello Bogoljubov che il suo sistema non era certamente il m igliore nell'interesse della causa che egli difendeva con tanto calore. Il delegato russo non volle sentire ragioni, o tutto o nulla fu la sua risposta e valendosi di una deliberazione presa dalla Commissione e registrata nel protocollo n. l (2), per la quale si era stabilito che nei lavori si sarebbe proceduto a magigoranza di voti « posò in Achille che si ritira nella sua tenda». Risultato di questa condotta del commissario russo fu quello di stringere sempre più l'accordo tra gli altri suoi colleghi. E così il giorno in cui si iniziò a tracciare la linea di frontiera da Silistria verso Mangalia, la proposta di includere nel . territorio romeno la posizione di ArabTabia non trovò contradditori. La decisione, presa a maggioranza di sei voti, toglieva a Silistrìa la sua importanza come piazzaforte e sanzionava di fatto quanto era detto nel trattato, e cioè che tutte le fortezze situate nel territorio del nuovo principato bulgaro dovevano essere distrutte. In realtà nessuna delle antiche piazze forti turche, poi bulgare, venne distrutta.

Nelle sedute tenute a Costantinopoli prima della partenza della Commissione per la Dobrugia era stata dibattuta la questione se coll'espresisone del trattato «fissare sui luoghi la linea frontiera» dovesse intendersi compito della Commissione europea di tracciare detta linea sul terreno con termini fis s i posti ad una determinata distanza fra di loro. La maggioranza ritenne e la Commissione intera accettò l'interpretazione della parola fissare nel senso di dare una descrizione esatta e incontestabile della frontiera, usando solo segnali o termini in quei punti ove una tale descrizione, riferita alle accidentalità topografiche, potesse ritenersi insufficiente ad evitare qualunque dubbio e contestazione. Fu stabilito inoltre che la descri· zione dovesse essere accompagnata da una carta topografica de l l :30.000 (scala questa dieci volte più grande della primi-

(l) lvi, p. 44. Cfr. anche Orero a Cairoli, Silìstria 6 novembre 1878 e protocolli n. 3, 24 ottobre 1878; n. 4, 3 noYembre 1878; n. 5, 4 novembre 1878; n. 6, 5 novembre 1878; n. 7, 6 novembre 1878; MAE-AS, Rapporti in arri vo. Turchia , b. 1463.
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(2) Protocollo n. l, 21 ottobre 1878, pp. 7, MAE-AS, Rapporti in arrivo. Turchia, b. 1463.

ti va carta austriaca a disposizione dei delegati) fatta dalla Commissione stessa durante la sua marcia lungo la frontiera. Al tracciamento della linea con termini di confine si opponevano del resto due considerazioni: la prima era che un laVoro di tal genere, esteso a tutta la frontiera, avrebbe richiesto almeno quattro anni con gr ave scapito di quegli i nteressi che era compito della Commissione definire con massima sollecitudine. La seconda considerazione si basava sul fatto che l'operato della Commissione doveva prima essere ratificato dai governi delle sette potenze e non sembrava quindi opportuno collocare segni e termini, i quali avrebbero, in caso di mutamento, creato delle perturbazioni di interesse privato e di nazionalità di non lieve entità.

Il 7 novembre 1878 la Commissione aveva con lavori geodetici e topografici fissato sul terreno il punto considerato come il più importante, quello cioè di partenza della frontiera sulla riva destra del Danubio, e tracciato su di un piano costruito espressamente l'andamento della linea di confine nel suo primo tratto in vicinanza di Silistria. I commissari si misero quindi in marcia per determinare il resto della frontiera fino al Mar Nero. I cavalli da sella erano stati forniti dal governo romeno e un distaccamento di cosacchi aveva il compito di scortare la Commissione. L'itinerario era stato stabilito in precedenza nella direzione approssimativa della linea di frontiera. La scelta di questa linea, a termini di trattato, doveva essere indipendente da qualunque considerazione militare. « Del resto - notava Orero - la natura del terreno ci vietava in modo assoluto di fare altrimenti. La sola linea che militarmente poteva avere qualche importanza è quella segnata dal vallo traiano lungo il quale si svolge oggidl la ferrovia Custendie - Cernavoda; ma essa è situata a 50 chilometri più a nord della retta Silistria - Mangalia che doveva essere, e fu difatti, la nostra linea direttrice. L'idea che io ed altri miei colleghi avevamo della Dobrucia era di un paese piano e paludoso, povero ed insalubre, senza strade e senza viaggi, abitato da una popolazione di diverse razze, rada e nomade in gran parte. Le cose vedute nei 12 giorni che durò il nostro viaggio attraverso la parte meridionale di quella regione, ci convinsero essere il nostro concetto conferme solo in parte alla realtà» (l).

La Dobrugia era ben !ungi dall'essere un paese piano e paludoso. Era povero perché nòn coltivato ma la fertilità del suo suolo non poteva essere pos ta in dubbio. Ne facevano testimonianza, secondo Orero,- i resti di antiche e superbe foreste , che in altre epoche avevano coperto gran parte del paese. La vegetazione era visibile in molti pascoli naturali ed in quei luoghi dove era intervenuta la mano dell ' uomo. «Un immenso altopiano, intersecato in tutti i sensi da borri e piccole valli, è quale si presentò ai -nostri occh i la Dobrucia nel suo insieme.

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(l) B. ORERO, Relazione , cit., pp. 48-49 e 50-51.

Lungo il Danubio i tre elementi bulgaro, romeno, turco sono rappresentanti in modo quasi eguale. Le tre razze quando, come a Silistria, abitano in uno stesso luogo hanno ciascuna il proprio quartiere e rimanendo estranee l'una all'altra, vissero sin qui in sufficiente buona armonia. La popolazione poco intensa nella regione occidentale, va diradandosi ancor più verso il Mar Nero, ove i pochi abitanti sono riuniti in tre o quattro punti della Appena lasciata la riva del Danubio per internarci, non abbiamo più, nei pochi villaggi incontrati sul nostro cammino, trovato tracce dell'elemento rumeno. Nel raggio di una trentina di chilometri da Silistria questi villaggi sono generalmente di popolazione mista bulgara e tùrca, più in là scompare quasi affatto l'elemento bulgaro e la razza turca è frammista alla razza tartara. L'elemento bulgaro, unitamentl! a un po' di greco, ricompare nei piccoli centri situali sulla riva del mare. I tartari, di reHgione mussulmana, che la Dobrucia conta in numero approssimativo di 10 mila, provengono per la massima parte da una colonia emigrata dalla Crimea dal 1854 al 1856. Le luride catapecchie di terra che servono loro di abitazione sono circondate da un muro a secco ed è singolare la mancanza di qualunque accesso. Gli abitanti rientrano in casa saltando questi muri. E' un esercizio di ginnastica nel quale si distinguono in particolare modo le donne. Esse al nostro apparire si davano alla fuga e come ombre nere - perché nero nell'insieme il colore dei loro abiti - -;parivano dietro quei piccoli muri e non c'era verso di poterne vedere una da vicino. Una volta intanate rimanevano nascoste come bestie selvagge tutto il tempo della nostra permanenza,. (1).

Descritti efficacemente costumi usanze e modi di vita delle popolazioni incontrate, l'ufficiale italiano ricordava come la Commissione avesse dovuto provvedersi di tutto non potendo fare affidamento sule risorse locali. I conducenti (arabagi) dei carri si erano piegati con riluttanza a seguire la Commissione, perché il prezzo fissato di 3 franchi al giorno sembrava loro insuficiente; e in realtà così doveva essere, poiché gli ufficiali romeni che avevano dovuto provvedersi di carri non requisiti, non poterono trovarli se non al prezzo di 8 franchi. «Ho accennato a questo p<Jrticolare - scriveva l'Orero - perché fu a metà del nostro itinerario causa di uno sciopero degli arabagi per rimediare al quale la Commissione dovette ricorrere a mezzi coercitivi, che io e altri deplorammo assai. Questi mezzi si sarebbero evitati con l'adozione fin dal principio della proposta, accettata in seguito, di aumentare la retribuzione degli arabagi " · Pt!r il vitto la Commissione si era divisa in quattro gruppi. Uno composto dal commissario turco Tahir pascià, con i suoi tre ufficiali- aggiuntì, più un segretario non militare, una mensa russa tenuta dal colonnello Bogoljubov « tut-

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(l) B. ORERO, Relazione., cit., pp. 53-56.

to solo», una mensa romena composta dei colonnelli Falcojano, Arion e dal signor Ferichides, della quale facevano parte i commissari germanico e austriaco colonnelli Scherff e Ripp, una mensa inglese diretta dal commissario britannico, colonnello Home, della quale facevano parte il commissario italiano ed il commissario francese, comandante Lemoyne.

Il terreno, intersecato in tutti i sensi da piccole valli, rendeva impossibile trovare delle lunghe linee di demarcazione naturali e ben definite che si mantenessero nella direzione stabilita dal trattato. Perciò la Co.missione, spostandosi verso sud o verso nord, rispetto alla linea direttrice Silistria-Mangalia tentò di ovviare nel miglior modo all'accidentalità del terreno e, nei limiti che il trattato concedeva, dì soddisfare i desideri delle popolazioni, cercando sempre di compensare i vantaggi e gli svantaggi che per questo modo venivano a risultare ora da una parte ora dall'altra. Poiché il commissario russo fin dall'inizio dei lavori sul terreno si era separato dai colleghi, astenendosi dal prendere parte alle deliberazioni della Commissione, gli accordi sull'andamento da darsi alla frontiera erano presi senza il suo concorso . Tuttavia ogni qual volta la sua opinione era contraria all'assegnazione alla Romania di un villaggio o di una valle, egli esponeva le sue ragioni accompagnando queste ragioni con proteste ed accuse alle quali la Commissione non dava eccessiva considerazione. « Essendomi io proposto di dire qui la verità pura e semplice - notava il colonnello Orero - non potrei in tutta coscienza affermare che un po' di sentimento ostile alla Russia non serpeggiasse nella maggioranza della Commissione e conseguentemente non potrei affermare che nella delimitazione della nuova frontiera rumeno-bulgara, gli interessi della Bulgaria, di cui era caldo patrocinatore il colonnello Bogoljubov, siano stati trattati alla stessa guisa, colla quale furono trattati gli interessi della Rurnania, ma ciò che in tutta coscienza posso affermare è che le simpatie della maggioranza non fecero velo al sentimento di imparzialità al punto da concedere alla Rumania vantaggi superiori a quelli che era nella intenzione dei plenipotenziari del congresso di accordarle». La Commissione, a suo giudizio, diede numerose prove di imparzialità, respingendo non solo la proposta fatta dai rappresentanti romeni di assegnare al principato la città di Silistria, cosa questa contraria allo spirito e alla del trattato, ma respingendo varie altre rettifiche di frontiera, che pure poteva accettare rimanendo ilei limiti che le erano imposti dal trattato. Descrivendo poi i luoghi dove la Commissione aveva operato Orero sottolineava come la Dobrugia presentasse nelle rovine dei suoi villaggi distrutti e abbandonati tracce di una vita e di una attività che sarebbero rifiorite una volta pacificata la regione.

Favoriti dalla stagione e dal lavoro costante dei topografi che seguivano la Commissione il compito degli ufficiali euro-

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pei poté procedere regolarmente e senza interruzione; fissando in media dieci chilometri di frontiera al giorno in dodici giorni furono completati i lavori nei 120 chilometri tra Silistria e Mangalia. Le divergenze di vedute esistenti tra il commissario russo e la maggioranza della Commissione non alterarono visibilmente i rapporti che intercorrevano tra gli ufficiali europei, soprattutto tra il rappesentante italiano e quello inglese e francese con i quali, ricordava Orero, aveva fatto praticamente vita comune come durante la « alleanza di Crimea ». Alcune pagine della relazione registrano le impressioni riportate dall'ufficial e italiano nei rapporti con le popolazioni incontr ate durante i lavori. Queste «cui altra cosa fu sempre ignota ad eccezione della guerra » osservavano il passaggio della Commissione e della loro scorta con la convinzione che la guerra fosse ben lontana dal concludersi. Informate dello scopo pacifico e interrogate sulle loro preferenze rispetto alla Romania o alla Bulgaria rispondevano, mussulmani o bulgari che fossero, non aver altro desiderio che quello di poter vivere tranquillamente. E' comunque indubbio che fra quelle popolazioni miste la Romania rappresentava uno Stato neutro al quale i turchi si sottomettevano volentieri perché evitavano di divenire sudditi di quella stessa gente « che avevano sempre considerato e trattato come loro schiava » 1 mentre i bulgari manifestavano apertamente la propria soddisfazione nell'essere sottratti al dominio ottomano. Narrati altri episodi della vita in comune con gli altri ufficiali europei il delegato italiano descriveva sinteticamente le caratteristiche dell'esercito romeno, esprimeva giudizi positivi sulla cavalleria cosacca, che costituiva la scorta della Commissione (1).

Dopo dodici giorni di lavori sul terreno l a Commissione giunse a Mangalia sul Mar Nero ultimando così la ricognizione di quel tratto di confine che essa stessa aveva stabilito di definire prima che l'inverno sopraggiungesse ad interrompere i lavori.

Uomo di formazione tipicamente risorgimentale, Orero sottolineava come Mangalla risvegliasse «in un cuore italiano ricordi di una gloria e di una potenza che il Risorgimento politico e l'unità d'Italia furono ben }ungi dal r i donarci ». Sintetizzata la storia della città riferiva come fosse stata distrutta dalla guerra del 1877. Incendiata e saccheggiata per tre volte, la popolazione era fuggita in massa e solo con l'arrivo dell'esercito russo gli abitanti bulgari, insieme ad altri connazionali erano tornati a prendere possesso di ciò che i mussulmani avevano

(l) B. ORERO, Relazione , cit., pp. 59-63. L'esercito romeno era costituito da due reggimenti su quattro squadroni di cavalleria regolare ( ussari) e otto di cavalleria territoriale o irreçolare. I cavalieri erano contadini aventi l'o bbligo di tenere in tempo dt pace un cavallo con il quale presentarsi in caso di chiamata alle armi. Esprimeva poi giudizi positivi sulla caYalleria cosacca personalmente ammirata già nel 1875 durante le grandi manovre svoltesi a Pietroburgo. Meno positivo era invece il giudizio sugli 'Jfficiali russi.

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abbandonato. Sul finire del novembre 1878, quando cioè la Commissione si trovava a Mangalia, la città si presentava come un centro importante di commerci e di affari (1).

Ultimati i lavori la Commissione si sciolse dandosi appuntamento a Costantinopoli entro otto giorni, tempo necessario per la preparazione degli atti o documenti da firmare e da inviare ai rispettivi governi.

La maggior parte della Commissione si diresse a Varna per imbarcarsi sul postale austriaco e rientrare così a Costantinopoli per la via più breve. Orero e il ccmmissario germanico, colonnello Scherff, preferirono usare gli otto giorni per recarsi a Bucarest. Insieme ai rappresentanti romeni partirono da Mangalia per Custendie a cavallo, quindi, con la ferrovia, da Custendie a Cernavoda, da Cernavoda a Braila discesero il Danubio con un battello messo a disposizione dal governo romeno e da Braila a Bucarest nuovamente in ferrovia.

In merito ai rapporti russo-romeni l'ufficiale italiano scriveva: « Indipendentemente dai dissapori creati dalla condotta poco generosa dell Russia verso la Rumania, esisteva un'altra causa, la quale rendeva sempre più sensibile l'avversione reciproca tra i due eserciti russo e rumeno. Cuoceva all'amor proprio degli ufficiali russi la parte abbastanza considerevole avuta dall'esercito rumeno nelJa vittoria finale; epperciò si valc;ero del malcontento e delle proposte del loro alleato per la retrocessione della Bessarabia come di un pretesto plausibile a liberarsi del peso della riconoscenza e dar sfogo al ferito sentimento di alterigia che era in loro» (2) .

Giunto a Bucarest Orero non mancò di osservare come la città fosse un «misto bizzarro» di lusso, comodità e conforto delle più grandi città europee insieme a vie fangose e povere abitazioni in legno: «La civiltà che si incontra a Bucarestscriveva - non è frutto indigeno, non è il risultato di un progresso graduato e armonico, è un semplice frutto di importazione e d'importazione francese"· Deprecando tale sudditanza psicologica e di costumi affermava essere tanto più grave in quanto si manifestava in una minoranza di ufficiali, « bellimbusti cui il mestiere delle armi anzi che uno scopo, si direbbe

(l) B. ORERO, Relazione , cit., pp. 64-06. Interessanti considerazoni sulla presenza italiana in quelle furono registrate da Orero che rimproverava al governo italiano dt disinteressarsi delle possibilità economiche e commerciali che quelle regioni offrivano. La decrescente presenza italiana derivava, a suo giudizio, dalla concorrenza vittoriosa della a vapore su quella a vela dell'antico Piemonte e delle Due Sicibe e, soprattutto, dalla inattività del governo. Orero delineava quelle linee di penetrazione economica nel mondo balcanico messe in luce da A. TAMBORRA, The Rise of Jralian lndustry and the BalkattS (1900-1914), in "'Journal of Economie Histor "· vol. 3, n. l, 1974, pp. 87-120. Cfr. anche R.A. WEBSTER, L'imperialismo industriale italiano (1908-1915). Studio sul prefascismo, Torino 1974 e M. VERNASSA, Opi11ione ptlbblica e politica estera. L'interessamento italiano nei confronti dettarea balcanica (18971903, in •Rassegna Storica del Risorgimento•, LXIII, III, 1976, pp. 338-364.

(2) B. ORERO, Relazione... , cit., pp. 68-69.

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un pretesto per portare una sfarzosa uniforme », e in un momento in cui avrebbe dovuto prevalere su tutti gli altri il sentimento nazionale .

Presentatosi al console italiano, barone Fava, ottenne di essere ricevuto dal principe Carlo il quale, informato delle vertenze avvenute in seno alla Commissione, mostrò la propria riconoscenza per le eque deliberazioni prese dalla Commissione aggiungendo ringraziamenti particolari per l'opera svolta dal colonnello Orero in sostegno dei diritti della Romania (1). Sulla figura e sulla politica del principe Carlo l'ufficiale italiano aveva idee ben precise che manifestò nella sua relazione con chiarezza. Ricordato che i rapporti tra un popolo e un principe straniero, quale il principe Carlo in effetti era, erano <stati sempre difficili, individuava la causa della frattura che esisteva in Romania tra il popolo e il regnante nelle idee importate dalla Francia. Scriveva a questo proposito: « Idee importate in Rumania dalla Francia da tribuni e cospiratori che vissero colà molto tempo, miste al più grande epicureismo alimentato da una ibrida educazione che i giovani signori vanno ad attingere a Parigi, sono i capisaldi della civiltà di Bucarest, città che per disgrazia dei rumeni comincia ad assorbire tutta la vita nazionale del paese. Pregiudizio il sentimento religioso, pregiudizio il sentimento di devozione al sovrano, pregiudizio il sentimento di rispetto alle persone che rappresentano l'autorità e la legge, il patriottismo messo in bilancia col tornaconto individuale, la politica una arena di vanità e mezzo per ottenere ciò che il merito non può dare, le maggiori cariche dello Stato un palio dal quale non sono esclusi gli intriganti il parlamento non un organismo di governo ma un teatro di commedia e di declamazione e negli attori tutto il fare degli istrioni, è il plauso del momento, è il proprio utile che cercano e non il bene della patria. A queste piaghe che la Rumania ha tutte e che rodono con maggiore o minore intensità altre nazioni si potrebbe aggiungere, volendo prestar fede ai discorsi che sentii come eco di voci a tutti note, atti di corruzione incredibile per parte dei ministri di cui mi si declinarono i nomi. Ora è evidente, che in queste condizioni un paese non può formare col capo dello Stato un insieme molto solido. Come vidi più tardi in Atene, così potei riconoscere a Bucarest, che tanto in Grecia come in Rumania H governo parlamentare è fonte più di guai che di vantaggi. La salvezza di questi due paesi non credo quindi possa sperarsi senza un cataclisma sociale. Dal quale venendo a galla il buon elemento, che pure esiste in grande maggioranza nella campagna, dia vita ad un governo meno gonfio di grosse parole ma onesto e forte. I rumeni contano con molta compiacenza il numero dei fratelli irredenti che popolano la Transilvania o.

(l} E. SARTORIS, art. cit., scrive che a missione compiuta il governo romeno dimostrò la propria riconoscenza al colonnello Orero dedicandogli una delle maggiori vie di Bucarest.

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il Banato e parte della Bcssarabia e coi loro calcoli li fanno ammontare a circa 5 milioni. Per dire la vcdtà, anziché prevedere il giorno in cui il principato assorbirà questi elementi della stessa razza, formando un ·solo regno di 10 o 11 milioni di abitanti, mi pare sarebbe più utile dirigessero i propri sforzi a mostrarsi colla. modestia e col lavoro e non con uno sfarzo di libertà mal intèsa, degni di conservare l'indipendenza che già venne loro concessa» (1).

Dopo una sosta di tre giorni, sempre in compagnia del colonnello Scherff. Orero partì da Bucarest per rientrare a Costantinopoli. Il 26 novembre la Commissione riprese le sue sedute in Costantipopoli, con la speranza che il gabinetto di Pietroburgo avrebbe finito per dare al proprio commissario istruzioni di non persistere nella opposizione contro tutti gli altri colleghi, o che, quanto meno, gli avrebbe ordinato di non spingere le cose fino al rifiuto della sua firma all'atto finale. Così non fu. Il colonnello Bogoljubov si mostrò non solo irremovibile nella sua protesta, ma gettate da parte le stesse forme nelle quali si era fino allora più o meno mantenuto, attaccò la Commissione con termni talmente violenti da mettere a dura prova la cortesia dei suoi colleghi (2), in particolare del colonnello Home, rappresentante inglese e del colonnello Scherff, rappresentante tedesco. ll 17 dicembre 1878 l'atto diplomatico, le carte e i documenti che descrivevano la linea di frontiera tra Silistria e Mangalia vennero firmati da sei commissari e inviati ai rispettivi governi senza la firma del commissario russo. Dopo ciò la Commissione sospendeva le sue sedute e fissava di riunirsi nuovamente a Costantipoli il 15 aprile 1879 per la ripresa dei suoi lavori (3).

Il contrasto tra l'ufficiale italiano e quello russo, in sintonia del resto con la politica dei propri governi, costituì, in pratica, una costante per tutto il periodo dei lavori della Commissione. L'oggetto della vcrtenza, se comprendere o meno Silistria nel territorio romeno, era di estrema importanza politica e militare, come si vide nel gennaio 1879.

L'importanza strategica di Arab Tabia, e quindi di Silistria, era fuori discussione. Fortificazione avanzata di Silistria, posscderla rendeva possibile il controllo delle comunicazioni con la Dobrugia. Per questo fu al centro delle vertenze dei primi mesi del 1879. In gennaio i romeni avevano occupato il forte Arab Tabia e premevano affinché le potenze europee risolvessero sen7..a indugio il problema. Depretis riteneva, e così si era espresso in un colloquio diretto con il rappresentante

(l) B. ORERO, Relazione , cit., pp. 70-76.

(2) Cfr. Orero a Cairoli, Costantinopoli 26 novembre 1878, rapp. n. 4, MAE-AS, Rapporti in arrivo. Turchia, b. 1463; ID., Costantinopoli 4 dicembre 1878, rapp. n. 5, ivi; ID., Costantinopoli 11 dicembre 1878, rapp. n. 6, ivi.

(3) Cfr. Orero a Cairoli, Costantinopoli 17 dicembre 1878, rapp. n. 7, MAE-AS, Rapporti in arrivo. Turchia, b. 1463.

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romeno a Roma, Obedenaru, che la vertenza dovesse essere risolta con un accordo diretto tra la Russia e la Romania mentre «il governo italiano, sincero amico della Romania, non può dispensarsi dal farle presente la gravità delle conseguenze di quello stato di tensione che sembra sempre più manifestarsi nei reciproci rapporti tra il principato e la Russia » (1). Il rappresentante italiano a Bucarest, Fava, aveva comunicato ai dirigenti romeni il pensiero del proprio governo ma non mancava di sottolineare come l'azione romena si fosse svolta secondo i canoni della dimostrazione simbolica: «Procedendo da Mangalia in sù, seguendo il tracciato della Commissione europea, i rumeni presero possesso di Arab Tabia senza alcun contrasto e senza nemmeno una protesta da parte del comandante russo di Silistria ». Le truppe romene si ritirarono da Arab Tabia sul finire del febbraio 1879; il governo di Bucarest volle tuttavia precisare essere quello un atto di buona volontà nei confronti delle potenza e non una rinuncia al diritto romeno (2).

Gli inviti alla prudenza espressi al governo romeno durante gli avvenimenti di Arab Tabia non modificarono le posizioni assunte dall'Italia al congresso di Berlino e nei lavori di delimitazione. Il 13 aprile 1879, alla vigilia della convocazione della Commissione, Depretis, ministro degli Esteri, nell'inviare precise istruzioni al colonnello Orero sul comportamento da tenere nei lavori relativi alla delimitazione della Rumelia ricor-

(l) Depretis a Fava, Roma lO febbraio 1879, MAE-AS, Registro copialettere in partenza, n. 1202, pp. 146-148. Defretis informava il console italiano a Bucarest dell'incontro avuto con i console di Romania a Roma. Il governo italiano, scriveva allora Depretis, di fronte agli avvenimenti di Arab Tabia, non poteva nascondere all'amica Romania la propria preoccupazione per lo svolgersi degli avvenimenti. L'agente romeno aveva comunque precisato non essere intenzione della Romania occupare più territori di quelli attribuiti dal Congresso di Berlino. L'occupazione del forte era stata necessaria in quanto la Romania si era vista minacciata dalla Russia. Cfr. Depretis a Pava, Roma 14 febbraio 1879, MAE-AS, Registro copialettere in partenza, n. 1202, pp. 148-149. Sulla presenza russa in Dobrugia e sui difficili rapporti russo-romeni cfr. anche Maffei a Fava, 25 novembre 1878, n. 194, Registro copialettere in partenza, n. 1202, pp. 117-118; Fava a Cairoli, Bucarest 6 dicembre 1878, n. 928, MAE-AS, Rapporti in arrivo. Rumania, b. 1396; Depre t is a Fa\'a, Roma l febbraio 1879, n. 205, Registro copialettere ..., cit., pp. 135-136; Tornielli a Fava. Roma 3 febbraio 1879, n. 208, MAE-AS, Registro copialettere , cit., pp. 140-142. Tomielli informava Fava dei passi compiuti a Roma dall'agente romeno in vista della nuova convocazione della Commissione per la delimita2.ione dei confini. Fava a Depretis, Bucarest 21 febbraio 1879, n. %5, MAE-AS, Rapporti ù1 arrivo. Rumania, b. 1396.

(2) Fava a Depretis, Bucarest 20 febbraio 1879, n. 963, MAE-AS, Rapporti in arrivo. Rumania, b. 1396. Fava a Depretis, Bucarest 22 febbraio 1879, n. 967, MAE-AS Rapporti in arrivo. Rumania, b. 1396. Informa· va che da un punto di vista strategico il posseso di Arab Tabia era necessario per le comunicazioni con la Dobrugia. Con il possesso di quella fortezza i bulgari avrebbero potuto impedire ogni transito verso la regione. Fava concludeva che essendo Arab Tabia una fortificazione avanzata di Silitria, le potenze firmatarie degli accordi di Berlino avrebbero potuto esigerne lo smantellamento. Fava a Depretis 26 febbraio 1879 n. · 980, MAE-AS, Rapporti in arrivo. Rumania, b. 1396: '

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dava all'ufficiale essere ferma intenzione del governo italiano mantenere la linea politica elaborata al congresso di Berlino dove "l'accordo unanime dei plenipotenziari poté conseguirsi mercé l'adesione del plenipotenziario russo , conte Schouvalow, (Suvalov), a che, conformente al voto della Commissione tecnica, il confine abbia a dipartirsi dal Danubio, in tale località dove sia possibile la costruzione del ponte» (1). Che questa località fosse un punto vicino a Silistria era, a giudizio di Depretis, un fatto incontestabile: se opposizione doveva esserci questa doveva manifestarsi nella sede idonea e cioè nella riunione dei plenipotenziari prima delle decisioni definitive. La Commissione di delimitazione, organo essenzialmente tecnico, non aveva il potere di modificare le decisioni di Berlino e bene aveva fatto il delegato italiano ad attenersi fedelmente alle istruzioni ricevute a suo tempo dal ministero degli Esteri.

· Il problema della frontiera bulgaro-romena fu risolto comunque solo nel 1880 dopo una trattativa tra Austria-Ungheria e Russia: il forte di Arab Tabia fu assegnato alla Romania mentre la Bulgaria fu compensata con una rettifica della frontiera che passava in prossimità di Silistria (2).

Nel 1879 Orero tornò nuovamente a Costantinopoli per prendere parte alla seconda fase dei lavori della Commissione per la delimitazione del confine tra la Bulgaria e la Rumelia orientale eretta, dal Congresso di Berlino, a provincia autonoma. Il compito affidato alla Commissione, ricordava Orero, era « molto più importante di quello generalmente affidato a4 una Commissione di delimitazione» poiché si trattava di stabilire un confine che permettesse alla Turchia una adeguata difesa militare mentre « un esercito padrone della Bulgaria può avanzare su Adrianopoli e Costantinopoli per tre linee d'operazione diverse» e precisamente da Sciumla a Varna, da Tin10vo a Sipka e da Sofia per Filippopoli ad Adrianopoli. Il confine rumelo-bulgaro in conclusione non aveva, sia considerato nelle su tre parti sia nel suo complesso, « quelle condizioni che sarebbero necessarie per renderlo atto alla difesa di uno Statr> ». Il Congresso di Berlino che pure aveva creato la regione della Rumelia Orientale per dare alla Turchia, privata del suo confine danubiano, una buona frontiera difensiva aveva negato al sultano il diritto di guarnigione e di soggiorno nella regione con la sola possibilità dj erigere posti fortificati alla frontiera tra la Bulgaria e la Rumelia. Bene quindi aveva fatto il governo ottomano a rinunciare a questo diritto poiché era facile immaginare << di quale efficacia possono essere per la difesa di ·uno Stato dei posti isolati lungo la frontiera senza punti d'appoggio indietro ed anzi col paese alle spalle abitato da una popolazione nemica retta da un governatore autonomo avente

(1) Depretis a Orero, Roma 13 aprile 1879, n. 220, MAE-AS, Registro copialettere in partenza. Turchia, n. 1234, pp. 233-244, il passo cit. a p. 237.

{2) B. CIALDEA, La politica estera della Romania nel quarantennio prebellico, Bologna 1933, p. 110.

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ai suoi ordini una gendarmeria ed una milizia armata locale, organizzata e istruita come vera truppa di guerra». Non potendo inglobare Varna e Sciumla nell'Impero ottomano e non potendo quindi tener fede al dettato del Congresso di creare per il sultano una frontiera difendibile, il lavoro della Commissione veniva ad essere enormemente semplificato in quanto assumeva un carattere mcramente formale se i delegati componenti la Commissione si fossero accordati su alcuni punti preliminari conciliando la condizione di difendibilità con quella, tassativamente imposta dal Congresso, di seguire in alcune parti la «cresta » dei Balcani ecl in altre la «catena» princìpale. Orero si fece allora promotore di una serie di proposte presentate all'approvazione della Commissione e precisamente:

« l) la linea frontiera definita nel testo dell'espressione "cresta dei Balcani" o "catena" dei Balcani sarà interpretata nel senso geometrico di "linea di divisione delle acque";

2) però ai passi principali od in quelle posizioni che saranno giudicate militarmente importanti, la commissione potrà spingere il confine al nord di detta linea nei limiti che giudicherà strettamente necessari alla difesa del passo o della oosizione importante confonnemente al penultimo comma dell'articolo 2 del trattato;

3) questi limiti non potranno mai oltrepassare la "cresta militare" nei tratti ove il testo si serve dell'espressione "crete des Balcans", e la "catena" là dove si serve dell'espressione di "chaine principale des Balcans";

4) per cresta militare s'intenderà la parte di superfice pianeggiante che generalmente si riscontra sulla sommità di un colle o di una posizione militarmente importante. Ove non esiste questa superficie pianeggiante ed i due versanti s'incontrano ad angolo si intenderà non esistervi cresta militare ed il confine sarà segnato dalla linea di divisione delle acque;

5) per catena principale dei Balcani s'ntenderà tutta la massa coprente formata dai due versanti principali sulla sommità dei quali si trova la linea di displuvio che divide le acque che si gettano nel Danubio;

6) le divergenze sia per l'interpretazione delle parole "ere· sta militare" e "catena" sia per l'applicazione del principio della difesa strettamente necessaria saranno risolte volta per volta a maggioranza di voti .

I cinque primi punti furono, dopo qualche difficoltà, accettati da tutti i commissari. La difficoltà vera fu nel far accettare dal commissario russo colonnello Bogoljubov, il sesto punto.

E poiché il desiderio di riuscire e di riuscire presto nel nostro intento mi aveva fatto assumere in questa faccenda la parte principale mi misi all'opera per far sparire anche questa opposizione.

Il colonnello Boguljubov era in sostanza dominato dal ti-

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more che sul terreno egli si ·sarebbe talvolta trovato solo a sostenere l'interpretazione imparziale dei principii che egli pure accettava come guida delle nostre operazioni, e per conseguenza voleva in questa eventualità conservarsi le mani libere. Con assicurazioni personali e dimostrandogli essere infondato il suo timore, poiché in realtà i principi accettati tutti favorevoli alla causa ch'egli difendeva, erano -e questo lo sapevo per scienza certa - superiori di gran lunga ad ogni sua speranza, cominciai a renderlo perplesso. Diedi allora il colpo di grazia. Nel congresso di Berlino i plenipotenziari dello zar aveva manifestato il desiderio che il passo di Sipka, ove erano raccolte in cimiteri cristiani le ossa dei valorosi soldati russi morti nella difesa di quel passo, fosse dichiarato terreno neutrale. Era questo desiderio inconciliabile colle esigenze militari. Lo studio attento di una recente carta topografica di quel passo sulla quale erano segnati i cimiteri in questione, mi aveva invece persuaso della possibilità di assegnare alla Bulgaria il terreno in cui stavano quei cimiteri senza perciò invalidare le condizioni di difendibilità del passo di Sipka e senza, soprattutto, far sanzionare a nome dell'Europa una cosa illusoria e oserei dire ridicola, quale sarebbe stata quella della neutralizzazione di un passaggio tanto importante. Con questa concessione insperata, il sentimento piettoso od altro dello zar sarebbe stato soddisfatto, e grande onore ne sarebbe ridondato al colonnello Boguljubov. lo, promettendogli tutto il mio appoggio in questa vertenza e facendogli brillare davanti gli occhi La fondata speranza che io aveva di indurre la commissione ad accettare una proposta in questo senso qualora egli si fosse mostrato arrendevole, lo decisi ad accettare anche il principio contenuto nel 6° punto, quello cioè di rimettersi, nel tracciamento della frontiera sul terreno, al verdetto della maggioranza. Risoltà così in modo soddisfacente la questione più grave, venne sollevata dal commissario ottomano, appoggiato dal commissario francese, un'altra questione che minacciava, qualora fosse stata presa in considerazione, di prolungare indefinitamente e senza speranza di un possibile accordo il nostro mandato

I due commissari ottomano e francese avrebbero voluto che la commissione determinasse quali erano i punti della frontiera e del litorale della Rumelia Orientale, in cui il sultano poteva tenere guarnigione e la forza delle guarnigioni stesse. Io prevedo che una tale discussione avrebbe dato luogo a divergenze inconciliabili, e d'altra parte era questo delle guarnigioni tenute nel territorio della Rumelia Orientale, un punto che nello stato di eccitamento in cui si trovava la popolazione di quella provincia poteva essere scintilla per divampare un nuovo grande incendio.

Facendomi forte delle buone ragioni che avevo attinto nella ripetuta lettura dei protocolli di Berlino, mi opposi ad una tale idea sostenendo non essere quella attribuzione di nostra competenza.

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Detta attribuzione era difatti stata esclusa dai plenipotenziari del congresso come risulta in modo palese dai protocolli 6 e 8. E perché la mia opposizione alla proposta ottomana non rivestisse il carattere di una tendenza parziale in favore del commissario russo notoriamente contrario ad essa, mi valsi per combatterla anche del fatto che la proposta medesima era stata presentata al congresso dai plenipotenziari russi e respinta dagli altri perché ledeva la sovranità lasciata alla Sublime Porta alla quale sembrava spettasse questo diritto senza bisogno dell'intervento europeo.

L'opposizione a detta proposta fu certo un errore o un inganno in cui a Berlino sono caduti i protettori dell'Impero ottomano, _poiché evidentemente ammessa l'idea di concedere alla Turchia il diritto di guarnigione nel territorio rumeliota, lunico mezzo per rendere questo diritto efficace era quello di farlo sancire e specificare da una commissione europea. Ma ciò non ci riguardava e non era lecito a noi neanche di farne cenno.

La vertenza era per noi troppo ben definita dai due protocolli 6 e 8 e bastò la lettura di quella parte di essi che a detta vertenza si riferiva per stabilire non potersi dar seguito alla proposta franco-ottomana.

Al primo maggio 1879 tutte le questioni di principio riferentisi alla frontiera rumelo-bulgara, che era certamente la più importante e la più difficile a determinarsi, si trovavano definite.

Rimanevano a stabilire gli accordi circa il modo di procedere dei nostri lavori ndla delimitazione del confine bulgaro verso la Macedonia del Ciadir al Cemi Ur e verso la Romania da Viddino a Silistria.

Per la prima di dette due frontiere la commissione non aveva da risolvere alcuna questione speciale di principb, unico compito suo essendo quello di ritrovare sul terreno la linea-confine tassativamente determinata dall'articolo 2 del trattato di Berlino.

Circa la seconda, da V iddino a Silistria, esisteva bensì una questione di principio da risolvere; ma poiché il parlarne qui mi porterebbe a dare un troppo gran sviluppo alle presenti note, mi rimetto per essa ai protocolli delle sedute della Commissione in cui la vertenza fu trattata ampiamente.

Frattanto però si conviene che il principio del voto della maggioranza da ritenersi obbligatorio per tutti i commissari, era applicabile anche a queste due frontiere. Durante la sospensione dei nostri lavori nell'inverno 1878-79, il colonnello Boguljubov aveva informato la commissione che alla ripresa dei medesimi egli si sarebbe trovato in grado di fornire a ciascuno dei suoi colleghi una copia di una carta topografica alla sçala di l :42.000 della zona frontiera che ci riguardava tolta dalla gran carta che lo stato maggiore russo aveva intrapreso ad eseguire subito dopo la guerra.

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Ai primi di maggio 1879 questa promessa del colonnello Boguljubov non av eva potuto essere mantenuta che in parte, però la zona frontiera c he ci poté fornire , era tale che compiendo un piccolo tratto di una ventina di chilometri dal Cliadir Tepe alla Velnia Moghila saremmo stati in grado di iniziare subito le nostre operazioni sul terreno. Profittando allora di una squadra di ufficiali topografi diretti dal magigore Ardagh che il commissario britannico generale Hamley successore del povero colonnello Home, aveva condotto seco, la commissione deliberò di far compiere questo tratto da detti ufficiali; epperò furono essi fatti partir subito per la volta di Samakov calcolando le cose per modo che al 20 di maggio giorno in cui ci saremmo trovati sul posto , il tratto mancante necessario all ' iniziamento dei nostri lavori, sarebbe stato ultimato .

Secondo le assicurazioni del commissario russo , il tempo c he per noi si richiedeva per il tracciamento del confine lungo la zona frontiera di cui già possedevamo la carta, cioè fino al passo di Kotel, sarebbe in seguito stato più che sufficiente ad ultimare il rilievo della zona frontiera tuttora mancante, cioè dal passo di Kotel al Mar nero e dal Ciadir Tepe al Cerni Ur.

GUERRA RUSSO-TURCA:lA DISCESA DEl RUSSI NEllA RUMHIA (1877)

RUSSI - TURCHI

O 10 20 30 4pkm.

Tenuto conto dei giorni necessari per il nostro viaggio da Costantipoloi a Banja, punt<> in vicinanza della frontiera d'onde avrebbero avuto principio le nostre operazioni e dove dovevamo trovarci , come dis si, il 20 maggio, e tenuto conto del tempo occorrente agli ultimi preparativi per metterei, dirò

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cosl, sul piede di guerra, la commissione fissò la sua partenza pel 13 maggio.

La nostra assenza da Costantinopoli durò cinquanta giorni» (1).

Le impressioni e le note di questo viaggio furono puntualmente registrate da Orero nella sua lunga relazione e successivamente riportate nel volume di memorie citato. Il funzionamento delle ferrovie ottomane, il cui alto costo derivava a suo giudizio dall'essere quelle monopolio di un ricco ebreo tedesco che ricevendo un tanto a chilometro le aveva costruite secondo un percorso sinuoso senza opere costose e con il risultato di far marciare i treni a velocità ridottissima, gli usi e i costumi delle popolazioni bulgare attrassero l'attenzione del vivace uf. ficiale italiano che ne ha lasciato vivace testimonianza. Esaminando le possibilità di un nuovo scontro fra la Russia e la Turchia giudicava inevitabile per l'Impero ottomano l'abbandono dell'Europa: «La prossima lotta tra turchi e russiscriveva - potrà essere e sarà con tutta probabilità molto accanita L'attaccante ripeterà i suoi colpi ed allora potrà bensì accadere che gli interessi della Gran Bretagna, all'evenienza coalizzati con quelli dell'Austria-Ungheria, spingano la prima di dette potenze od ambedue a prendere una parte attiva nella lotta ma il risultato ultimo, cioè l'abbandono dell'Europa per parte dei turchi, è ormai fatale. La differenza può essere in ciò che anziché ad altri, al discendente di Pietro il Grande sia riservato l'onore di abbattere la mezza luna, e di rimettere sulla cupola di S. Sofia la croce greca. In mano di chi cadrà Costantinopoli? Piuttosto che terra britannica io penso essere molto meglio per noi appartenga alla Russia. Per l'Italia, mi sembra obbiettivo suo dover essere quello di farla città ellenica o meglio città libera e neturale ». Con questi termini l'ufficiale italiano tornava a sottolineare la necessità di una politica balcanica più attiva da parte dell'Italia confortato in ciò dalle opinioni raccolte tra i residenti italiani nelle regioni attraversate e in particolare a Filippopoli dove la colonia ita· liana, pur considerevole come numero mancava di un proprio rappresentante ufficiale (2).

La sistemazione raggiunta con il Congresso di Berlino, ]ungi dal soddisfare le legittime aspirazioni dei popoli balcanici aveva creato quelle situazioni che di Il a pochi anni avrebbero messo in discussione quel tipo di equilibrio che pure il Congresso aveva cercato di stabilire. Delusi i serbi e i greci dalla politica russa che aveva puntato sulla creazione, con il trattato di Santo Stefano, di una Grande Bulgaria quale avamposto della propria politica nei Balcani; delusi i bulgari che dal Congresso erano stati ridimensionati nelle loro aspirazioni nazionali e mentre Serbia e Grecia finivano inevitabilmente

(l) B. ORERù, Relazione..., cìt., parte Il, p. 14.

(2) lvi, p.

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per avvicinarsi all'Austria e all'Inghilterra, tradizionali avversarie della politica russa nei Balcani, la Bulgaria finiva per legare sempre più i propri destini all'assistenza tecnica, finan- · ziaria e militare della Russia. L'attivismo della politica bulgara, seguita con attenzione da Belgrado e Atene, finì per deteriorare progressivamente le relazioni tra la Serbia e la Bulgaria, accusata quest'ultima di fomentare le ribellioni e aiutare gH oppositori del re Milan Obrenovié. La costante politica di espansione territoriale perseguita da Alessandro di Batte!Tlberg terminò nel 1885 con Ia proclamazione dell'unione con la Rumelia orientale e la conseguente guerra con la Serbia nel novembre 1885. L'intervento delle potenze europee e le successive trattative di pace riconobbero solo di fatto l'unione rimanendo i due paesi formalmente separati (1).

4. Le relazioni di viaggio pubblicate costituiscono una fonte documentaria non secondaria anche per il loro contenuto, ricco di elementì di costume, di colore locale e di carattere poli ti co-militare.

La relazione del viaggio che Ugo Brusati (2) aveva effettuato in Romania dal 20 al 30 magigo 1888, mentre era addetto militare a Vienna, fornisce un ritratto immediato del paese. La Romania, la cui indipendenza era stata riconosciuta dal Congresso di Berlino, nel 1880 aveva avuto il riconoscimento dalle Potenze europee come Stato sovrano e indipendente. Vivo era nel paese il risentimento verso i russi, dai quali i romeni si consideravano sacrificati dopo la determinante partecipazione alla guerra, verso l'Austria-Ungheria per la questione della Transilvania (3) e per l'ingerenza dell'Impero nella vita economica. Inevitabile perciò l'avvicinamento alla Germania verso la quale Carlo di Hohenzollern, incoronato nel 1881, era attratto anche per motivi personali e dinastici. Brusati, giunto a Bucarest per presenziare alle manifestazioni per l'anniversario dell'incoronazione di re Carlo, era stato

(l} Cfr. A. TAMBORRA, La crisi balcanica del 1885-1886 e l'Italia, « Rassegna Storica del Risorgimento •. LV, fase. III, 1969, pp. 371-396. Inoltre oltre alle opere già cit. cfr. V. MANTEGAZZA, La Grande Bulgaria, Roma 1913; N. STANEV, Istoriia na Nova Bulgariia 1878-1942, Sofia 1943; Istoriia na Bulgariia, a cura dell'Accademia Bulgara delle Scienze, 2 voli., Sofia 1945-1955.

(2) Ugo Brusati (Monza 1847-Roma 1936), sottotenente nel 1866 entrò a far parte del Corpo di Stato Maggiore nel 1875 quale insegnante della Scuola di Guerra. Addetto militare a Vienna, capo di Stato maggiore dell'XI corpo d'armata, dopo la battagalia di Adua - durante la campagna d'Africa (1895-96) - fu insignito dell'ordine militare di Savoia. Maggior generale (1897) nel 1898 fu nominato primo aiutante di campo di sua altezza reale il principe dì Napoli e nel 1902 divenne primo aiutante di campo generale del re Partcx:ipò con tale carica alla prima guerra mondiale fino al 1917 mentre nel 1912 era stato nominato senatore. Ha pubblicato: Breve studio s ull'ordinamento dello Stato Maggiore, Roma 1879 e Ordinamento degli eserc iti gennanico, austriaco, frances e e italiano, Roma 1883. Il suo carteggio è io ACS, fondo Ugo Bru s ati.

(3) L. CIALDEA, La Transilvania aspetti diplomatici e politici, Isti· tuto per gli studi di politica internazionale. Milano 1939.

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accolto con particolare cortesia e invitato a visitare gli stabilimenti di interesse militare, le opere di fortificazione e la Scuola ufficiali. Il contenuto del colloquio avuto personalmente con il re il 26 maggio riportato fedelmente, aveva spaziato dai problemi militari alle spese per gli armamenti, dalla difendibilità del territorio al problema della Dobrugia, dalla politica estera a quella interna. Delineate le influenze straniere prevalenti in Romania l'ufficiale italiano dedicava una parte consistente della propria relazione alla descrizione dell'esercito romeno (1).

Luchino Dal Verme (2), fecondo scrittore e appassionato conoscitore di paesi lontani come il Giappone e la Siberia visitata nel 1883-84 , è l'autore dell'agile relazione che racocglie le impressioni di un viaggio compiuto nel 1889 attraverso la Serbia, la Bulgaria, la Tr.acia, la Turchia e la Grecia (3) alla quale è dedicata anche la relazione di Marini (4).

La relazione redatta da Eugenio Barbarich, autore di nunumerose pubblicazioni e figura di rilievo dopo la prima guerra mondiale per l'importanza degli incarichi ricoperti (5), si

(l) U. BRUSATI, Appunti di viaggio in R.umania, Vienna 15 giugno 1888, SME-AUS, b. 38, Addetti militari, rapp. n. 98 al ten. gen. Sironi, co. mandante in 2• del Corpo di Stato Maggiore, pp. 52. Notizie sull'esercito romeno nel 1885 nei dispacci di A. CERRUTI, Notitie sull'esercito rumeno, Bucarest 10 maggio 1885, n. 17, pp. 7; ID., Osservazioni sull'esercito rumeno, Bucarest 18 ottobre 1885, n. 87, SME-AUS, b. 12, Addetti militari, scacchiere orientale. Corrispondenza con l'addetto militare a Bucarest. C. CARBONI, Fortificazioni della R.umania. 1891, SME-AUS, b. 25, Reparto operazioni. Stati esteri, fase. 10: studio sulle fortificazioni di Foçsani, Galatz, Bucarest e sulle difese della Dobrugia.

(2) Luchino dal Verme (Milano 1838-Roma 1811), sottotenente dei granatieri (1859) prese parte alle campagne del 1859 e del 1860 meritando una medaglia d'argento nell'assedio di Mola di Gaeta. Entrato nel Corpo di Stato maggiore (1861) insegnò presso la Scuola Militare di Modena e partecipò alla campagna del 1866 meritando un'altra medaglia d'argento. Colonnello (1882), maggior generale (1890) comandò le brigate Pinerolo e Umbria. Tenente generale (1896), dopo essere stato del Tribunale Supremo di Guerra e Marina, fu nominato in quell anno Sottosegretario di Stato per la Guerra. Deputato al Parlamento dalla XVII alla XVII legislatura, dopo il \iaggio in Estremo oriente (1883-84) scrisse Giappone e Siberia, Milano 1885; Il paese dei somali, Roma 1889; I dervisci del Sudan anglo-egiziarw, Roma 1894; La disfatta dei Mahadisti, Roma 1898; La Guerra anglo-ooera, Roma 1936. Cfr. EnciclopediaMilitare, Milano 1933; volume III, p. 370.

(3) L. DAL VERME, Una rapida escursione in Levante. Impressioni e note, Roma giugno 1889, pp. 54, SME-AUS, b. 29, Stati Balcanici.

(4) P. MARINI, Note raccolte durante la permanenza in Atene, Costantinopoli 26 agosto 1890, n. 63, pp. 32, SME-AUS, b. 48/B, Addetti militari.

(5) E. BARBARICH, Da Cattaro a Ceti11je, Roma febbraio 1897, pp. 98, SME-AUS, b. 18, Stati Balcanici.

Eugenio Barbarich (Pasiano 1869 - Torino 1931) sottotenente di Fanteria partecipò at?vamente alla guerra mondiale con vari incanchi. Nel 191? partectpò operauoru di Albania, Montenegro, Dalmazia capo. d1 Stato Mag.gwre del comando in capo delle forze italiane Balcaru. Dopo la guerra fu presidente delle Commissioni di delimitaZione della tr.a Italia e Dalmazia e Fiume e delegato Conferenze ltalo-]ugosl!lve dt Margherita, Venezia, F1renze e Nettuno. Autore dt numerost saggt dt carattere storico, geogra. (segue a pag. 69)

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raccomanda, come scriveva l'allora capo di Stato Maggiore Zupelli, perché «scritta con l<Y'ghezza di vedute» mentre «meritano speciale menzione per la loro importanza: a) le notizie sulle fortificazioni di Cattaro, b) l'organizzazione ·dell'esercito montenegrino e l'esposizione completa dell'intero ordinamento militare del Principato, c) il cenno sulle aspirazioni politiche del Montenegro » (1).

Le relazioni di Salaris (2) e di Trombi (3) riguardano invece la Grecia proprio all'indomani di quella guerra con la Turchia (febbraio 1897) alla quale avevano partecipato con slancio ed entusiasmo i volontari garibaldini italiani. La Grecia, che fin dalla crisi d'Oriente del 1875-1878 aveva cercato di riscattarsi dal dominio ottomano, sorretta dalla spinta irredentistica di ricostituire l'antico Impero bizantino, era uscita dalla guerra notevolmente indebolita ed era stata salvata solo dall'intervento delle Potenze europee che imponendo l'armistizio (maggio 1897) e la pace (dicembre 1897) avevano permesso alla Grecia di conservare la Tessaglia (4). Il tenente colonnello Trombi, membro della Commissione per la delimitazione dei confini in Tessaglia nel trasmettere le sue relazioni precisava che « sebbene i nostri obiettivi probabili non siano diretti a detta ragione, tuttavia penso che gli appunti presi possano giovare a completare presso codesto Comando i dati geografico-

fico si occupò anche di tattica. Tra le sue pubblicazioni: Studi tattici sulla battaglia di Custoza. 1886, Torino 1891; La civile chilena. 1891, Torino 1892; La guerra serbo-bulgara. 1885, Tonno 1893 poi ripreso nelle Considerazioni sulla guerra serbo-bulgara, Torino 1898; Per l'altra via dell'Adriatico, Roma 1904; Albania, Roma 1910; L'arte militare sul Carso, Roma 1907; La campagna del 1796, Roma 1910; Il Piave e le due guerre di liberazione italica, Roma 1923; Le prime lotte per la libertà in Italia, Roma 1923; La Carnia Giulia, Roma 1925; Per l'ingranamento degli studi militari negli universitari, Roma 1925; Tra teoria e pratica di guerra, Roma 1926. Collaboratore di numerose riviste e dell'Enciclopedia Militare diresse la c Nuova Rivista di Fanteria,. (1912-1915) e la c Rassegna dell'Esercito Italiano" (1920-1925). Cfr. Enciclopedia Militare, Milano 1933, volume II , pp. 60-61.

(l) Appunto manoscritto del capo di Stato Maggiore Zupelli, Roma 26 marzo 1897, SME-AUS, b. 18, Stati Balcanici.

(2) E. SALARIS, Note sulla Grecia, sul suo esercito e sui rceenti avvenimenti. Impressioni di viaggio, Atene-Firenze 1897, pp. 35, SME-AUS, b. 29, Stati Balcanici, e pubblicata in c Rassegna Nazionale " l ottobre 1897. Ufficiale di complemento nel 1897 segul le operazioni della greco-turca. Diresse successivamente la rassegna « Il bibliofilo militare ,. e collaborò alla " Rivista di Cavalleria »

(3) V. TROMBI, Delimitazione della frontiera di Tessaglia, anno 1897. Estratto del giornale di viaggio, e Completamento dei lavori di frontiera in Tessaglia, Terapia 9 giugno 1898, n. 25, SME-AUS, b. 38, Reparto operazioni. Ufficio coloniale. Stati esteri. Vittorio Trombi (Modena 1854-Capannori 1934) sottotenente d'artiglieria nel 1875, colonnello nel 1899 comandò per due anni le truppe in Africa. Maggior generale (1905) fu aiutante di campo del re (1906-1911) e partecipò alla guerra di Libia. Generale di corpo d'annata nel 1924.

(4) Sulla Grecia oltre alle opere già cit. fr. C. CESARI, Le truppe italiane nell'isola di Creta (1897-1906) , Roma 1919; N . SVORONOS Histoire de la Grèce moderne, Parigi 1953; J. DUTKOWSKI, L'occupadon de la Crète 1897-1909, Parigi 1953.

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militari che già possiede, e a dare un'idea esatta delle' difficoltà più o meno grandi che si dovettero superare nella recente campagna greco-turca» (1). ·

5. Alcuni mesi dopo gli accordi di Mi.irzsteg (2-3 ottobre 1903) il maggiore Rubin de Cervin, addetto militare italiano a Sofia e buon esperto dei probelmi balcanici (2) in un lungo rapporto al capo di Stato Maggiore esprimeva nettamente i propri dubbi sulla validità delle riforme imposte al sultano per la Macedonia. Ribadita, infatti, la complessità della questione balcanica in generale e della macedone in particolare, sottolineava come la ribellione delle popolazioni della provincia fosse mantenuta viva « dalle potenze che sovra essa vantano diritti e covano desideri di conquista » e dalla comprensibile esigenza delle popolazioni cristiane di affrancarsi dal giogo ottomano che soffocava ogni libertà e iniziativa di progresso. La strada intrapresa dalla diplomazia, quella appunto delle riforme, si sarebbe rivelata priva di valore giacché era impossibile «modificare il vieto e tradizionale regime turco» mentre la dorganizzazione della gendarmeria, che costituiva lo strumento per riportare l'ordine nella regione, «anche riuscisse ottima (e la cosa è incerta, date le contrarietà e le mene occulte che da ogni parte la minano) non sarà mai sufficiente a procacciare l'ordine materiale in una regione alpestre, difficile, con scarse comunicazioni e nella quale sono in lotta ogni sorta di interessi, di razza, di relizione e di lingua» (3) .

La Macedonia, infatti, pur essendo una regione economicamente povera (gli abitanti che nel 1900 assommavano a tre milioni, erano in costante regresso a causa dell'emigrazione, del brigantaggio e della miseria) costituiva l'area dove maggior· mente si scontravano le direttrici di espansione delle potenze. La stessa posizione geografica, al centro della penisola balcanica, ne faceva il punto di incontro e di conflitto degli interes· si bulgari, greci, serbi e rumeni, tutti in opposizione al dominio ottomano risalente alla seconda metà del secolo XIV (4). Le contese sulla Macedonia presero maggior vigore nel momen-

(l) Trombi a comandante in 2a del Corpo di Stato Maggiore, Costan· tinopoli 30 gennaio 1898, n. 6, SME-AUS, b. 38, Reparto operazioni. Ufficio coloniale. Stati Esteri.

(2) Gustavo Rubin de Cervin (Ferrara 186.5-Pordenone 1918). Sottotenente di Cavalleria (1883), compiuti i corsi della Scuola di Guerra da capitano, venne trasferito nel Corpo i Stato Maggiore (1889). Maggiore (1903), aiutante onorario di campo del re (1905), fu collocato a disposizione del ministero della Guerra e fu addetto militare a Sofia (1904-1910). Comandante del reggimento Cavalleggeri di Padova (1911), colonnello (1912), maggior generale 1915( assunse il comando della IV Brigata di Cavalleria. Tenente generale (1917) assunse il comando della 4• Divisione di Cavalleria prima e della 13• Divisione di Fanteria poi.

(3) G. RUBIN DE CERVIN, Questione Balcanica, Torino 28 dicembre 1904, pp. 14, p. 2, rapp. n. 2, destinatario il generale Tancredi Roma; SME·AUS, b. 81, Addetti Militari.

(4) R. RISTELUEBER, Storia di paesi balcanici, Rocx:a di San Casciano 1970, pp. 274-288. ·

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to stesso in cui si pose il problema nazionale, il problema cioè del passaggio da nazione a Stato nazionale. Fin dalla metà del secolo XIX la Grecia, grazie all'attiva presenza del proprio clero, aveva avuto una netta preponderanza, diffondendo il mito di un rinnovato impero bizantino, con impronta nazionale neoellenica, nel quale la regione macedone avrebbe costituito la via di comunicazione con Costantinopoli. Dopo il 1870 la Bulgaria, con il riconoscimento da parte delle autorità ottomane dell'esarcato autocefalo, aveva ottenuto la giurisdizione di coloro che si dichiaravano slavi: il nucleo etnicamente più omogeneo venne così ad essere quello bulgaro e dal 1878 l'irredentismo macedone costituì, in Bulgaria, l'idea nazionale per eccellenza. L'aiuto del pricipato ai macedoni si concretizzò con l'apertura di scuole, con il patrocinio di organizzazioni culturali per la diffusione e lo studio della lingua e della cultura bulgara, con il finanziamento delle associazioni filo-bulgare, con la concessione della nazionalità agli esuli macedoni, con la formazione di comitati bulgaro-macedoni la cui principale attività era costituita dalle insurrezioni armate che dal 1899 ebbero un carattere costante ripetendosi puntualmente ogni anno alla fine dell'inverno. Altra comunità etnicamente rilevante era costituita dai serbi, che avevano dominato la regione nella prima metà del '300 con lo zar Stefano in netta preponderanza nell'alta valle del Vardar. Questi, pur non avendo una vera e propria organizzazione, erano presenti e attivi attraverso le iniziative dei consolati e delle scuole. Inoltre gli albanesi, gli ebrei discendenti direttamente da quelli cacciati dalla Spagna nel secolo XVI, gli armeni e i cutzovalacchi, pastori della regione del Pindo, sostenuti nelle loro rivendicazioni dalla Romania (1), costituivano il vasto e complicato mosaico macedone, nel quale ben si inseriva l'abile politica ottomana di riconoscimenti e concessioni diverse al fine di impedire il collegamento e l'unità tra i macedoni, la quale, se realizzata, avrebbe portato ad un diverso sviluppo politico della regione.

In grado di contrapporsi realmente alla presenza turca nella regione, fu l'« Organizzazione rivoluzionaria interna macedone» o VMRO dal nome bulgaro Vntresna Makedonska Revolucionarna Organizacija, che in breve tempo era riuscita a darsi una struttura militare agendo con metodi di vera e propria guerriglia partigiana (2). La situazione macedone, cosl come

(l) L. CIALDEA, La. politica estera della Romania , cit , p. 220-226. Cfr. anche RUBIN de CERVIN, Questione , cit, p. 6.

(2) Sulla Macedonia, oltre ai testi già citati, cfr. C. LAMOUCHE, Histoire de la Turquie, Paris 1934, pp. 331-344; Idem, Quinze ans d'histoire balkanique (1904-1918), Paris 1928, pp. 7-66. Numerose le opere, i saggi sulla situazione macedone; sinteticamente cfr. N. IORGA, Histoire des Etats balcaniques à l'époque moderne, Bucarest 1914; A. PERNICE. Origine ed evoluzione storica delle nazioni balcaniche, Milano 1915; J. IVANOV, Les Bulgares devant le congrès de la paix, Berne 1919; G. BAJDAROV, La questimze macedone, Roma 1928; D. DAKIN, The Greek struggle in Macedonia 1887-1913, Salonico 1966; D. DJORDJEVIé, Revolutions nationales , cit.

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si era venuta sviluppando sin dal 1900, era stata ampiamente seguita dall'Ufficio coloniale e dall'Ufficio dello scacchiere orientale dello Stato Maggiore italìano attraverso i dati originali desunti dalla corrispondenza degli adetti militari, dalle relazioni dei viaggi compiuti nella regione dagli ufficiali italiani e dalle notizie degli informatori. L'importanza che lo Stato Maggiore italiano annetteva alle questioni balcaniche ed ai problemi della Macedonia intorno ai primi anni del secolo, si inseriva nel contesto della stessa politica estera italiana, determinata ad acquisire un proprio peso politico nei Balcani (l). La questione macedone in particolare, non poteva essere eliminata dalle competizioni internazionali e il problema - come aveva scritto il Rubin - era duplice: sottrarre le popolazioni cristiane al dominio turco e sistemarle secondo il principio di nazionalità. La situazione internazionale aveva determinato lm capovolgimento delle influenze nei Balcani; l'Austria appoggiava ormai la Bulgaria, mentre la Russia sosteneva la Serbia. L'Italia, la cui politica nei Balcani si era andata sviluppando già dal 1896 con il matrimonio del principe ereditario Vittorio Emanuele con la principessa Elena del Montenegro, intensjficò con il ministro degli Esteri Tittoni la propria azione economica e culturale nella penisola, interessandosi particolarmente dell'Albania (2).

Nel 1903, dunque, la situazione macedone, con le rivolte del febbraio e del luglio (rivolta di Sant'Elia del 20 luglio). tornò ad aggravarsi sollecitando indirettamente gli accordi di Mtirzsteg il cui programma prevedeva la nomina di agenti civili austro-ungarici e russi presso l'ispettore generale turco della Macedonia, il riordinamento della gendarmeria da affidare ad ufficiali europei al servizio del sultano e, infine, un definitivo assetto dei distretti amministrativi. Il ministro Tittoni ottenne, in cambio dell'appoggio italiano al programma delle riforme, la nomina di un ufficiale italiano in qualità di comandante della riorganizzazione della gendarmeria (3). In base a questo accordo nel gennaio del 1904 venne nominato il generale Emilio de Giorgis che il mese successivo giunse a Costantinopoli per assumere ufficialmente il comando della gen-

(l) Ufficio coloniale, Ufficio dello scacchiere Orientale, Promemoria, generalmente anonimi avevano la funzione di riassumere i principali avvenimenti. SME-AUS, b. 3, Stati Balcani. A questo proposito cfr. anche L. SALVATORELLI, La Triplice alleanza, Milano 1939, pp. 263 ss.

(2) Cfr. Annuario di politica internazionale (1939), ISPI, Milano 1940, pp. 142-146.

(3) F. VERNEAU, La questione d'Oriente. Dal Trattato di Berlino (1878) ai giorni nostri, Bologna 1959, pp. 140-158.

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darmeria (l). Nonostante l'evidente successo diplomatico, negli ambien t i militari non s i nascondevano le perplessità in merito alla reale efficacia delle progettate riforme. Una nota dell'Ufficio coloniale, redatta dal capitano Zampolli (2), sottolineava come il progetto au s tro-russo, non rispondesse « a ciò che pretendevano gli insorti bulgari, i quali volevano essere bulgari, uniti o no alla Bulgaria», e non fosse attuabile ne l giro di pochi anni poiché le insurrezioni si sarebbero ripetute a breve scadenza: " la propaganda dei comitati continua , l'organizzazione delle bande si va perfezionando con regolamenti emanati dai comitati, e divulgati in tutti i paesi, con coscrizioni, usi militari, con tasse percepite anche dai più poveri per l'armamento e arruolamento degli insorti ... ». Proseguendo nella sua analisi lo Zampolli affermava che non era sufficiente l'aver affiancato al governatore del1a Macedonia, H ilmi pascià, due alti ·funzionari (uno austriaco e uno russo) che pure avrebbero avute pieni poteri di controllo su tutto ciò che riguardava l'amministrazione e la giustizia (3). L'accordo - secondo il giudizio espresso più tardi da Rubin de Cervin - non poggiava su basi solide: la Russia, impegnata contro il Giappone, era interessata al mantenimento dello statu quo anche se vedeva «con rancore svanire il sogno di avere nella Bulgaria uno Stato pressoché vassallo», mentre il comportamento austriaco lasciava trapelare l'intenzione di una p enetrazione in Macedonia: « i consoli vanno propiziandosi le popolazioni mediante protezioni e soccorsi in denaro, vengono di sottomano osteggiate le riforme che, quando ottenessero buona riuscita, allontanerebbero vieppiù il raggiungimento delle note mire su Salonicco. Aiuti sono poi fomiti ai comitati perché viva possa essere mantenuta l'agitazione ».

Citati alcuni fatti , a prova di quanto sostenuto, l'ufficiale italiano concludeva il suo rapporto affermando che l'Austria avrebbe approfittato dei torbidi per intervenire in Macedonia (4).

(1) Giovanni Battista Emilio de Giorgis (Susa 1844-Roma 1908). Sot· tote nente del Genio (1867) combatté contro l'Austria . Colonnello comandò il 46<> Fanteria (1891 ) insegnante presso l'Accademia Militare di Torino fu promosso generale (1898). Passato a disposizione del ministero degli Esteri (1904) fu inviato in Macedonia con mandato internazionale per assumere il comando della riorgani1.zazione della gendarmeria Cfr. V. ELIA, Il gene· rale de Giorgis a Costatinopoli, Costantinopoli 5 febbraio 1907, rapp. n. 9, SME-AUS. b. 31, Stati Balcanici. A pag. 7 l'addetto militare scriveva intorno ad un episodio che può maggiormente far luce sulla personalità del gene· rale italiano: " Sei mesi dopo che il generale de Giorgis, giunto col grado di generale di divisione, era stato promosso biringi ferik, gli venne comu. nicato che il suo stipendio era aumentato di 50 lire turche (in totale 1150 franchi) e che gli arre trati di sei mesi erano a sua disposizione. Il generale ringraziò ma rispose che, con l'aumento di grado, non intendeva accettare alcun aumento di stipendio •

(2) Note per il gene rale de Giorgis redatte con il concorso del capitarw Zampolli, minuta manoscritta, s.d ma presumibilmente del gennaio 1904, pp. 6, SME-AUS, b . 3, Stati Balcanici.

(3) lvi, p. 4.

(4) G. RUBIN de CERVIN, Questione , cit., pp. 11, 12, 13.

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Compito non facile, quindi, quello che si presentava al generale de Giorgis sia per la situazione internazionale che per quella interna. La gendarmeria costitutiva infatti un corpo tra i meno efficienti dell'apparato militare turco e comprendeva ben 71 reggimenti, suddivisi in 133 battaglioni, i gendarmi erano reclutati per arruolamento volontario con ferma non minore a due anni, i sottufficiali provenivano dalla truppa mentre gli ufficiali erano reclutati in parte tra i sottufficiali e in parte dalle altre armi, ricevendo come compenso il passaggio ad un grado superiore poiché entravano a far parte di un corpo di minor prestigio e di servizio oneroso. L'istruzione militare era inesistente, mentre l'amministrazione era caratterizzata dalla incuria nella distribuzione e nella manutenzione dell'equipaggiamento dal1a irregolarità nei pagamenti degli assegni spettanti agli appartenenti al corpo: in pratica i gendarmi turchi, « malvestiti, non pagati, strumenti di un governo quanto mai arbitrario», non godevano di alcun prestigio con conseguenze negative sullo spirito e sulla disciplina. La conseguenza era un servizio estremamente approssimativo: « nelJe campagne e nei villaggi è ai gendarmi che sono da imputarsi molti dei furti; e non di rado essi si abbandonano isolati od a gruppi ad atti di vero brigantaggio » (1).

Il programma di Mi.irzsteg stabiliva di riorganizzare la gendarmeria aumentandone l'organico, roigliorandone il trattamento economico ed ammettendovi gli elementi di religione cristiana. Il governatore generale incaricato dell'applicazione delle riforme, Hilmi pascià, « sia per la sottile mala volontà in che son maestri i turchi», sia per le difficoltà oggettive, non ottenne altro che l'aumento dei gendarmi da diecimila a circa ventimila - il che era poi un pretesto per armare dei turchi in funzione anti bulgara -e l'arruolamento di circa set· tecento cristiani, reclutati tra gli eltm1enti peggiori: nessun cristiano che avesse « miglior mestiere» poteva infatti sentirsi attratto da una «posizione» che lo esponeva all'odio e alla vendetta dei colleghi mussulmani, in particolare albanesi, ostili alle riforme e dei correligionari (2). In verità l'arruolamento dei cristiani, in genere trattenuti nei centri di raccolta di Monastir e di Uskiib (Skoplje), doveva servire a dimostrare dal punto di vista formale che l'applicazione della riforma procedeva regolarmente. ·

I primi due anni di attività furono impiegati dal generale de Giorgis e dai suoi collaboratori a porre le basi per un reale ed efficace funzionamento della gendarmeria: congedo degli elementi peggiori, scuole per allievi gendarmi e pel' ufficiali a Sa-

(l) I 133 reggimenti di gendarmi comprendevano ·420 compagnie a piedi, 234 a cavallo e due con cammelli. Il numero dei battaglioni \"ariabile e la forza media di ogni battaglione di circa 80 uomini. Cfr. La gendarmeria nei tre vilayets di Salonicco, Kossovo e Monastir prima delle riforme chieste dall'Austria e dalla Russia, promemoria s.d. dell'Ufficio coloniale, pp. 12, p. 3 e 4, SME-AUS, b. 3, Stati Balcanici.

(2) lvi, p. 6. Cfr anche C. LAMOUCHE, Quinze ans , cit., pp. 33-36

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lonicco, Monastir e Uskiib (Skoplje), progetti per la costruzione di nuove caserme - ostacolati da Hilmi pascià - arruolamento degli elementi cristiani. L'attività degli ufficiali europei procedeva lentamente e con difficoltà per la sotterranea opposizione delle autorità ottomane e per l'endemica lotta che opponeva le bande bulgaro-macedoni e quelle greche, spesso incoraggiate e finanziate dalle stesse autorità turche (1). Sempre più spesso il generale de Giorgis doveva ricorrere all'appoggio delle ambasciate per ottenere l'essenziale al buon andamento della gendarmeria. Una serie di richieste presentate personalmente dall'ufficiale italiano al governo ottomano e un memorandum del febbraio 1907, testimoniano lo stato di disagio che accompagnava l'azione degli ufficiali europei (2). La gendarmeria era stata sempre considerata un corpo al di fuori dell'esercito, strument0 della volontà delle autorità civili locali; ora, il primo articolo del regolamento, prevedeva che la gendarmeria entrasse a far parte integrante dell'esercito, e ciò costituiva uno dei punti più difficilmente acettabìli da parte delle autorità locali e dagli stessi ufficiali della gendarmeria, i quali, « ignoranti, privi di senso morale e di amor proprio, invecchiati in un mestiere che teneva del birro e della spia» (3), si assoggettavano facilmente al mutevole volere delle autorità civili. Con la riforma, gli ufficiali uscivano dalle scuole preparati secondo il costume e lo stile europeo ed erano appoggiati, contro i soprusi delle stesse autorità ottomane, dal generale de Giorgis. La nuova dignità produsse effetti diversi: alcuni mantennero i giusti limiti del rispetto reciproco con i funzionari governativi, altri, invece, furono animati da un sentimento di rivalsa nei confronti di quelle stesse autorità dalle quali, fino a poco tempo prima, erano stati umiliati. Questo - ricordava il tenente colonnello Elia, addetto militare a Costantinopoli (4) - fornì ai funzionari ottomani il pretesto per deprecare l'influenza europea, la validità delle riforme e per formulare l'ipo-

(l) Cfr i rapporti di G. RUBIN de CERVIN, Ufficiali bulgari che fanno parte di organizzazioni macedoni, Sofia 5 aprile 1905, p. 4; Bande in Macedonia, Sofia 16 giugno 1906, n. 10, pp. 5, SME-AUS, Addetti Militari, b. 81. Idem, Situazione in Macedonia, Sofia 27 marzo 1906, n. 3, pp. 4, SME-AUS, b. 34, Stati Balcanici. t

(2) Requétes présentées par le général de Giorgis, copia allegata al rapporto del 5 febbraio 1907 del colonnello V. Elia, pp. 5 e memorandum dì pp. 2.

(3) V. ELIA, Il generale de Giorgio , cit., p. 2

(4) Vittorio Elia Montiglio 1859-1944). Sottotenente dei bersaglieri (1888), in Africa (1900-1902), aiutante di campo onorario del re (1906). Addetto militare a Costantinopoli (1907-1910), colonnello (1909) prese parte alla guerra libica ed alla prima guerra mondiale. Maggior generale (1914) comandò la brigata «Marche», Sottosegretario di Stato per la Guerra (1914-1916), generale (1915), comandò il Corpo d'occupazione dell'Egeo e il Corpo di spedizione nel Mediterraneo orientale (1917-19) meritando la Croce dell'Ordine Militare di Savoia. Generale di divisione (1923) fu collocato a riposo nel 1929. Cfr. A. BIAGINI, La rivoluzione dei Giovani Turchi nel carteggio degli addetti militari italiani, in «Rassegna Storica del Ri·sorgimento», LXI, fase. IV, 1974, pp. 562-591.

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tesi che una gendarmeria mmeliota. riorganizzata da ufficiali europei, costituisse « l'avanguardia di una armata europea che, un giorno o l'altro, poteva essere mandata ad occupare la Macedonia» (1). Altro motivo d'intralcio per la riorganizzazione era costituito dall'elemento ellenico, «potente in Costantinopoli e a Palazzo per il denaro e le aderenze di cui dispone>> e che in quel momento trovava nat u rale allearsi con l 'amministrazione ottomana per distruggere in Macedonia qualsiasi influenza bulgara, serba o cutzoval acca. Lo stesso general e de Giorgis aveva incontrato a Costantinopoli numerose difficoltà per farsi ricevere dal sultano e presentare le proprie richieste e l'intervento congiunto dell'ambasciatore italiano a Costantinopoli, marchese Imperiali e del capitano Romei Longhena, in quel momento aiutante di campo del sultano (2) evitarono che la situazione giungesse ad un punto di rottura; alle oggettive difficoltà della situazione macedone si aggiungevano quindi quelle frapposte dalle autorità ottomane.

Al momento del rinnovo del mandato del generale de Giorgis e degli ufficiali europei fu posto il problema di un ampliamento dei poteri degli organi d elle riforme (3), così come l'esperienza dei quattro anni precedenti aveva dimostrato essere necessario al fine di eliminare l'attività delle bande greche e bulgare (4). In una interessante l ettera del colonnello Trombi al generale Ugo Brusati, aiutante di campo del re (5), si rinvengono el ementi utili circa la posizione del de Giorgis in Macedonia. Questi -a giudizio del Trombi - era stanco e deciso, allo scadere del contratto, a rientrare in Italia: «il generale de Giorgis, per i suoi continui attriti con Hilmi pascià, governatore della Macedonia, attriti non sempre giu stificati, ha finito per lasciare un po' freddi p er lui i due ambasciatori che più lo sostennero in passato : l'inglese O'Connor e il tusso Zinoviev. Questi anzi gli rimproveravano la sua continua immobilità a Salonicco (donde non si è mai mosso) per la quale tratta unicamente per iscritto questioni che de visu potrebbero trovare più facile soluzione... Infine alcune proposte recenti del generale de Giorgis hanno un po' sorpreso l'ottimismo dell'ambasciatore Imperiali per il generale. Fra le proposte v'è la seguente: che gli aggiunti militari in Macedonia corrispondano

(l) V. ELIA, Il generale de Giorgis ... cit., p. 3.

(2) lvi, pp. 6-10. Giovanni Romei Longhena (Brescia 1865-1944) fu aiutante di campo del sultano (1904-1909) e capo della missione militare italiana in Russia (1914-1918) e addetto militare italiano in Polonia (1919· '21). Cfr. A. BIAGINI, Una relazione inedita del generale Giovanni Romei Longhena, addetto militare in Russia, sulla del febbraio 1917, comunicazione presentata al VI Convegno degli Storici italiani e sovietici, Fondazione G. Cini, Venezia 2·5 maggio 1974.

(3) V. ELIA, Abboccamento del regio Ambasciatore con il generale de Giorgis, Terapia 24 agosto 1907, rapp. n. 79, pp. 3, SME-AUS, Stati Bai· ca1rici, fase. II-4-B, souofasc. 3.

(4) V. ELIA, Bande elleniche in Macedonia, ·costantinopoli 30 luglio 1907, rapp. n. 68, pp. 4, fase. cit

(5) Trombi a Brusati, Sanremo lO ottobre 1907, ACS, b. 9, Ugo Brusati, fase. V-2-31.

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direttamente con le autorità locali, senza passare per il tramite del generale . Ora, se questo sistema può allegerire il generale de Giorgis da una numerosa corrispondenza, porta ad una dìminutio capilis di prestigio, all'ingerenza e al controllo che le sei potenze hanno voluto dare al generale organizzatore della gendarmeria macedone » (1). A questo, proseguiva il Trombì, doveva aggiungersi che gli aggiunti militari non erano riconosciuti dalla Turchia e che, comunque, non era il momento di porre altre questioni sul tappeto data l'imminenza dell'inizio deUa riforma giudiziaria. Il marchese Imperiali raccomandava per suo tramite che, se si doveva sostituire il generale de Gìorgis, lo si facesse con un ufficiale dì carattere fermo, ma dì modi e dì forme più consone alla particolare situazione poiché « ai turchi si possono dire le cose più dure, pretendere di imporre molto, ma coi guanti e con le dovute maniere: l'irritarli è peggio » (2). Le critiche mosse al generale de Giorgis in questa lettera sono relativamente giuste, se si considera che dopo quattro anni ininterrotti dì permanenza (la carica non prevedeva sostituzioni o interinato) e di attività nella regione macedone, non si era giunti ad alcun risultato notevole.

L'addetto militare a Costantinopoli, in un rapporto del febbraio 1908 (3), ribadendo concetti già noti, sottolineava che la riorganizzazione della gendarmeria procedeva lentamente a causa delle difficoltà che le autorità ottomane opponevano all'attività degli ufficiali europei nonostante le pressioni delle potenze. Un progetto inglese, presentato verso la fine del 1907 per « dare soddisfazione all'opinione pubblica britannica, una parte della quale accusava il governo di disinteressarsi troppo delle atrocità macedoni >> , prevedeva la formazione dì brigate speciali composte di gendarmi e militari di truppa, per la repressione dell'attività delle bande mentre il governo ottomano, per mostrare la propria «buona volontà», istituiva una speciale commissione di polizia destinata alla raccolta di informazioni e di notizie sulla attività delle bande. Dì questa commissione, alle dirette dipendenze di Hilmi pascià, non faceva parte alcun ufficiale della gendarmeria. In pratica i problemi reali investivano la contrarietà del sultano all'ingerenza europea che progressivamente, con l'avvio della riforma finanziaria e il progetto di riforma giudiziaria, si faceva sempre più marcata con scopi ben lontani dalla pretesa pacificazione della Macedonia. Nel 1907 l'Italia aveva intanto ottenuto che un ufficiale italiano, il colonnello dei carabinieri Tornassi, fosse incaricato deJla riorganizzazione della gendarmeria nel vilayet di Aidin (4),

(l) Trombi a Brusati, lettera cit., foglio 3.

{2) lvi, foglio 5.

(3) V. ELIA, Riassunto della situazione politico-militare attuale della Turchia e dei provvedimenti militari adottati dall ' ottob1·e 1907 ad oggi, Costantinopoli 26 febbraio 1908, rapp. n. 9. pp. 24, SME-AUS, b. 35/A, Stati Balcanici.

(4) V. ELIA, Riorganizzazione della gerzdarmeria nel vilayet di Aidin, Smirne 10 maggio 1907, rapp. n. 47, pp. 15, SME-AUS, b. 31, Stati .Balcanici

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mentre nel 1908, alla morte del generale de Giorgis, fu lo stesso Abdul Hamid, attraverso il maggiore Romei, a richiedere al sovrano italiano la nomina di un nuovo ufficiale da porre a capo della gendarmeria; contemporaneamente l'ambasciata ottomana a Roma inoltrava analoga domanda al ministero degli Esteri. Che l'ufficiale a capo della riorganizzazione dovesse essere comunque italiano era previsto dagli accordi sul rinnovo dei poteri agli agenti civili. L'addetto militare a Costantinopoli, scrivendo direttamente al capo di Stato Maggiore, generale Tancredi Saletta, sottolineava a questo proposito che l'ambasciatore tedesco, barone Marschall, e quello russo, Zinoviev, avevano dato il proprio assenso mentre più riservato si era mostrato il marchese Pallavicini ambasciatore austriaco che sosteneva essere la nomina competenza diretta delle potenze firmatarie dell'accordo di Mtirzsteg. La richiesta ottomana e la tempestiva risposta delle autorità italiane con la nomina del generale Mario Nicolis di Robilant (l) soffocarono su nascère ogni possibile polemica: «Quando Vostra Eccellenzascriveva a questo proposito il colonnello Elia capo di Stato Maggiore- pensi alle difficoltà d'ogni genere che accompagnarono la nomina e l'insediamento del generale d Giorgis quattro anni fa vedrà quale cammino abbio fatto la nostra influenza in questo tempo e come il programma di Mtirzsteg sia da riguardarsi come un fatto di storia contemporanea e come praticamente esso abbia cessato dall'avere un valore reale » (2).

La nomina del generale di Robìlant era stata del resto , favorevolmente accolta dalla Sublime Porta, dal barone Marschall, decano del corpo diplomatico, che aveva già avuto modo di apprezzare le qualità dell'ufficiale italiano a Berlino dove era stato addetto militare, dallo stesso ambasciatore italiano, legato da vincoli di amicizia al generale e in buoni termini da tutto il corpo diplomatico (3).

Il 10 maggio 1908 il generale di Robilant giungeva a Costantinopoli: le manifestazioni di simpatia del corpo diplomatico, dei funzionari ottomani, dello stesso sultano il quale lo aveva ricevuto in udienza il 15 maggio , assicurandogli la massima collaborazione per la riorganizzazione della gendarmeria, testimoniavano la validit?t della scelta italiana (4). Delle accoglienze ricevute dal sultano ne è rimasta traccia in una simpatica let-

(l) Mario Nicolis di Robilant (Torino 1855-1955). Sottotenente di artiglieria (1873) , colonnello (1898), maggior generale (1907); tenente generale (1908) a disposizione del ministero degli Esteli fu inv iato in Mace· donia per sostituire il generale de Giorgis. Rientrato in Italia (1911) CO· mandò la divisione Piacenza (1911-14), la divisione Torìno (1914) , il XII Corpo d'Armata (1914-15) e il IV Corpo d'Armata (1915). Membro del Comitato consultivo interall.eato eli Versailles (1918), comandante dell'VIII Armata (1919), generale d'Armata (1925).

(2) V. ELIA, Intorno alla nomina del generale di Robilant come riorganizzatore della gendarmeria rumeliota, Costantinopoli 24 marzo 19098, rapp . n . 2, pp. 7, SME-AUS, b. 35/ A, Stati Balcanici

(3) lvi, pp. S-7.

(4) V. ELIA, Il generale di Robilant riorganizzatore della gendarmeria in Rumelia, Costantinopoli 16 maggio 1908, rapp. n. 4, pp. 8, (segue a pag. 79)

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tera del generale di Robilant al generale Ugo Brusati, aiutante di campo del re. L'ufficiale italiano riferiva di essere stato invitato a pranzo dal sultano. il quale si era mostrato « sempre di ottimo umore e di grande cordialità», mentre la conversazione aveva sfiorato argomenti curiosi: « .. .in Europa - aveva esclamato Abdul Hamid - cal unniano i turchi e avrete certamente sentito parlar male di n oi: siamo invece buonissi ma gente e sono sempre lieto di prendere al mio servizio ufficiali e funzionari esteri come voi, i quali vedendoci da vicino pos· sono meglio apprezzarci e giudicarci più equamente » (1). A questa inaspettata considerazione della propria missione il di Robilant rispondeva che le ottime qualità dei turchi gli erano già note, al che il su ltano aveva replicato, riferendosi ai bulgari ed ai greci: « sono i vicini che mi si dicono amici che guastano i miei sudditi, mentre valgono assai meno di noi; ho notizie particolari della Russia c mi dicono che là ci sono bande dap· pertutto .. . ». Il di RobHant rispose citando il vecchio proverbio italiano " dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io» che «piacque moltissimo a Su a Maestà» e ne fu tanto lieto che volle la trascrizione e « volle conferire a mia madre l'o r dine del Chepukut di prima classe... » come premio per la lontananza del figlio. Commentando il gesto « degno di un animo squisita· mente gentile», il di Robi lant concludeva immaginando, diver· tito, la meraviglia della propria madre, « una vecchia signora pressoché ottantenne che vive lontano dal mondo», nel momen· to in cui si sarebbe vista arrivare la decorazione (2). La let· tcra proseguiva informando il Brusati dei primi contatti avuti a Costantinopoli e a Salonicco con i funzionari europei, con quelli ottomani e, più in generale, con gli ambienti politici e diplomatici interessati ai problemi macedoni. Sempre nel gìu· gno 1908 il di Robilant inviava al generale Brusati rapporti concernenti la situazione maccdone e l'attività dei còmitagi con speciale riguardo al capo Evangelo Moropulos (3).

Nell'aprile del 1908, prima ancora della nomina del nuovo riorganizzatore della gendarmeria, erano scaduti i contratti degli aJtri ufficiali italiani che si trovavano in Macedonia. Il colonnello Albera, aggiunto militare a Monastir, aveva fatto presente già dal marzo i desideri degli ufficiali nei riguardi della eventuale permanenza nel servizio di riorganizzazìone: il maggiore Cicognani, i capitani Ridolfi e Garrone, i tenenti Basteris, Castoldi e Luzzi avevano espresso l'intenzione di rimanere senza porre speciali condizioni; il maggiore Muricchio e il capitano Lodi desiderava rimanere fino al settembre mentre i tenerti Vinccnzi e Mazza si erano dichiarati per un rimpatrio imme·

loc. cit., Cfr. anche lettera del generale di Robilant al generale Ugo Brusati, Costantinopoli 16 maggio 1908, pp. 6, ACS, busta 9. fase. V-1-30, VRO Brusati.

(1) Di Robilant a Brusati, Salonicco, 1 giugno, pp. 5, ACS, loc cit., pp. l e 2.

{2) lvi, pp. 4 e 5.

(3) Di Robilant a Brusati, Salonicco 6 giugno 1908, pp. 10, ACS. loc. cit..

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diato. Dai vari aggiunti militari erano poi state presentate delle richieste ai capi-missione in Costantinopoli da aggiungere ai contratti e ciè la possibiJità che l'indennità, pagata dal governo turco in caso di morte di un ufficiale per cause di servizio, fosse estesa oltre che agli eredi naturali anche a quelli testamentari e la facoltà di usufruire delle facilitazioni doganali di cui fruivano le rappresentanze estere. T capi-missione rigettarono la prima istanza, mentre la seconda venne parzialmente accettata dietro interessamento del generale di Robilant, del ministero degli Esteri e della Guerra italiano che attraverso il cavalier Sforza proposero un compromesso accettato poi da tutti i capi missione: i bagagli degli ufficiali europei avrebbero goduto della franchigia diplomatica. Altri tre ufficiali italiani erano presenti in Turchia con una giurisdizione speciale e cioè come aiutanti di campo del sultano, erano cioè presenti non in base ad un accordo diplomatico ma in virtù di una richiesta personale del sultano al sovrano italiano ed erano H maggiore Romei, il capitano Tornassi e il tenente Mazza. Mentre il primo risiedeva a Hildiz gli altri si trovavano a Smirne con il compito di riorganizzare la gendarmeria di quel vilayet, lavoro che suscitava nell'Elia numerose perplessità soprattutto per l'impegno di due ufficiali (1).

Nel 1908 si svilupparono sostanziali avvenimenti nella situazione balcanica: in particolare la rivoluzione dei Giovani Turchi, l'annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell'Austria e la dichiarazione di indipendenza della Bulgaria. Dei tre avvenimenti indubibatnente il primo fu il più importante e costituì la causa che mosse gli altri due. Il movimento dei giovani ufficiali - capeggiati da Enver bey, brillante ufficiale che avrebbe assunto notevole importanza nella successiva storia della Turchia (2) - favorito dalle potenze, prese il via a Sa-

(l) V. ELIA, Ufficiali del regio esercito al servizio turco, Costantinopoli 19 aprile 1908, rapp. n. 3, pp. 12, SME-AUS, b. 35, Stati Balcanici.

(2) Enver bey poi Enver pascià (lstambul 1881-Turkestan 1922) terminò la Scuola di Guerra nel 1899 e l'Accademia militare nel 1903. Fu messo, col grado di capitano, nel III ordù di stanza a Salonicco. Fu tra i membri fondatori della società " Unjone e progresso • e tra gli ufficiali che costrinsero Abd ul Hamid a proclamare la costituzione. In questi anni strinse amicizia con Hilmi pascià, Niazi bey e Talàt bey che sarà più tardi un membro del Triumvirato. Con la presa del potere da parte degli « Unionisti" fu nominato ispettore per la Macedonia, quindi addetto militare a Berlino O\ e subì l'influenza della corrente pangermanista e il suo nazionalismo si trasformò in panturchismo tenace. Si distince particola.r· mente come condottiero militare nella guerra di Libia. Con il colpo di Stato del partito « Unione c progresso" del 24 gennaio 1913. nel 1915 fu nominato ministro della Guerra e persuase il governo ad entrare in guerra a fianco della Germania. E' il periodo del triumvirato Enver-TalatKemal. La resa degli alleati e l'impossibilità di continuare la guerra costrinse il governo a dimettersi e i maggiori esponenti a fuggire. Anche Enver lasciò la Turchia passando per Odessa si recò a Berlno e da qui a Mosca. Kel 1920 partecipò al congresso dei popoli d'oriente riunito a Bakù. Messosi a capo delle forze irregolari insorte nel Turkestan contro il governo eli Mosca morì in combattimento. Cfr. S.S AYDEMIR, Makedonya'dan Orta Asya'ya Enver pasa, Istambul, s.d., L. FISCHER, I sovieti nella politica mondiale, Firenze 1957, trad. it., 2 voli., vol. I, pp. .50-460.

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lonicco dove maggiore era il contatto con i rappresentanti europei e dove maggiore era il numero degli ufficiali che avevano studiato nelle scuole europee e quindi sensibili all'urgenza ed alla necessità di un rinnovamento degli equilibri di potere all'interno dell'Impero al fine di salvarne l'esistenza. Fu chiesto il ripristino della costituzione del 1876, proclamata l'uguaglianza nei diritti e nei doveri verso lo Stato indipendentemente dalla razza e dalla confessione religiosa di appartenenza Il movimento dei Giovani Turchi rappresentò in pratica, con i suoi aspetti liberaleggianti, costituenti una obiettiva novità nel «sistema » ottomano, l'ultimo tentativo messo in atto per salvare l'esistenza stessa del vetusto impero travagliato dalle lotte intestine delle varie nazionalità. Tentativo generoso che giungeva troppo tardi e che finì in un certo senso per produrre effetti contrari agli intendimenti dei promotori. La politica nazionalistica dei Giovani Turchi provocò immediate ripercussioni che trovarono il loro riflesso naturale nell'annessione della BosniaErzegovina da parte dell'Austria -Ungheria e la dichiarazione di indipendenza da parte della Bulgaria. In politica interna i Giovani Turchi conobbero poi il fallimento della politica di ottomanizzazione, di quella politica cioè volta a creare un comune sentimento nazionale ottomano (e non turco!), che tuttavia contrastava con la valorizzazione dell'elemento turco il quale, a causa dell'ingerenza delle potenze europee, era venuto a trovarsi con minori diritti rispetto alle altre componenti raziali dell'Impero. Ma dove maggiormente si infranse il sogno di un Impero costituzionale fu nel tentativo di laicizzazione dello Stato: intuizione profonda resa vana dall'opposizione interna dell'elemento turco poiché il sultano aveva, oltre al carattere pubblico, quello eminentemente religioso . I Giovani Turchi, del resto, non ebbero il coraggio di portare alle estreme conseguenze il movimento costituzionale mettendo in discussione lo stesso presupposto monarchico-religioso dell'impero. Questa contraddizione - propugnare un impero liberale senza però intaccarne i pressupposti monarchici e religiosi che ne facevano uno Stato teocratico - non permise ai Giovani Turchi quella vera e propria rivoluzione quale era stata formulata nei programmi (1).

Questi avvenimenti ebbero immediata ripercussione sulla posizione degli esponenti europei presenti , per vari motivi, in Turchia. Per quanto riguardava l'Italia già nel settembre del 1908 si era provveduto a predisporre il rimpatrio dei tre ufficiali aiutanti di campo del sovrano e mentre il maggiore Romei - autore tra l'altro di un vivace rapporto sulla rivoluzione inviato al generale Brusati (2) -e il tenente Mazza si erano immediatamente dichiarati in attesa degli ordini, il capitano

(l) A. BIAGINI, La rivoluzione dei Giovani Turchi ., cit

(2) Romei Longhena a Brusati, Hildiz 24 luglio 1908, ACS, Ugo Brusati, busta 9, fase. V-2·31.

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Tornassi aveva dato origine ad un singolare episodio riguardante il pagamento delle spettanze e delle indennità previste dal contratto (1). Per quanto riguardava poi gli ufficiali impegnati nella gendarmeria il governo italiano, attraverso il marchese Imperiali, prospettò la propria disponibilità a rivederne la funzione e la permanenza: «Fin dai primi giorni - scriveva a questo proposito l'addetto militare a Costantinopoli - del nuovo regime si capì di quanto poche simpatie godessero gli organi delle riforme in Macedonia sia agli occhi del comitato Unione e Progresso, la cui parola d'ordine era ed è la Turchia ai turchi, sia a quelli dell'esercito il quale... , vedeva con amarezza la posizione privilegiata della quale godevano l camerati europei che indossavano la stessa uniforme » (2). Non solo, ma la posizione dei Giovani Turchi in merito alle riforme non peccava di logica: queste, infatti, erano state formulate in base all'esigenza di proteggere i cristiani dai soprusi dei mussulmani dominanti ma ora « che la costituzione dava ai mussulmani, ai cristiani, agli israeliti uguali diritti e uguali doveri, ora che i componenti della nazione ottomana, fossero essi di razza turca o greca, bulgara o serba, albanese o valacca. erano uguali di fronte alla legge » (3), tutti i programmi di riforma, tutte le ingerenze risultavano superflue e dannose alla vita dell'Impero. La Germania, « studiosa di cattivarsi le simpatie del nuovo regime», aveva richiamato il proprio rappresentante militare in Macedonia, colonnello von Alten, pochi giorni dopo la proclamazione della costituzione; il 15 agosto era la volta di quello austriaco seguito da tutti gli ufficiali presenti. Francia, Inghilterra e Italia pur disponendo e preparandosi ad un eventuale rimpatrio attendevano Io svolgersi degli avvenimenti poiché «sarebbe stato poco riguardoso verso il nuovo ordine di cose, quasi che non si volessero lasciare degli ufficiali a contatto con un regime sorto dalla rivoluzione» (4).

Finalmente, alla fine di agosto, il governo ottomano aveva lasciato intendere, sia pure indirettamente, che si attendeva dalle potenze europee un ritiro degli ufficiali dover procedere ad iniziative diplomatiche. Il 5 settembre una nota congiunta degli ambasciatori di Francia, Inghilterra, Russia e Italia comunicava al ministero degli Esteri turco:

«Ora che la nuova costituzione pone il principio dell'uguaglianza di tutti davanti alla legge, essa dovrà estendere a tutto l'impero quelle riforme che le potenze, d'accordo con la Sublime Porta, avevano organizzato nei tre vilayet di Salonicco, Mona-

(2) lvi, pp. 3 e 4.

(3) lvi, p. s.

(4) lvi, p. 13.

(l) V. ELIA. Ricltiamo in Italia degli ufficiali del regio esercito: maggiore di cavalleria Romei, capitano dei carabinieri reali Tornassi e tenente Mazza. Gli ufficiali europei e la riorganizzazione rumeliota, Terapia, 9 settembre 1908, rapp. n. 9, pp. 16, destinatario il Pollio, capo di Stato Maggiore, SME-AUS, b. 35/A, Stati Balcanict. 82

stir e Kossovo. Le potenze si sono chieste se non sarebbe conveniente di lasciare al governo ottomano di proseguire da solo quell'opera di riforme che pare abbia l'intenzione di estendere a tutto l'Impero. Prima però di prendere a tale riguardo una decisione definitiva, le potenze hanno giudicato necessario di conoscere il sentimento del governo imperiale. E perciò i rappresentanti delle quattro potenze pregano il ministero degli Esteri di far loro sapere se il governo imperiale avrebbe difficoltà a che i contratti che a lui legano gli ufficiali degli Stati rispettivi fossero provvisoriamente sospesi e che dei congedi sine die fossero accordati a detti ufficiali. Nel caso in cui la Sublime Porta ne manifestasse il desiderio, gli ufficiali verrebbero richiamati a brevissima scadenza» (1).

Tale nota, sebbene accolta con soddisfazione proprio in quanto costituiva prova della fiducia che i governi europei avevano del nuovo regime, non ebbe un'immediata risposta. L'annesnessione della Bosnia-Erzegovina e l'indipendenza della Bulgaria non l'avevano permessa. Probabilmente, e questa è l'ipotesi dell'addetto militare italiano, «partiti dalla Turchia i meno graditi tra quegli elementi di controllo imposti dall'Europa, cioè gli austriaci », la Turchia non aveva in realtà premura di allontanare gli altri che rappresentavano pur sempre un elemento d'ordine nei cazà e che potevano divenire testimoni preziosi di fronte all'opinione pubblica europea sull'imparzialità che la Sublime Porta e il Comitato di Unione e Progresso intendevano mantenere nelle imminenti elezioni (2). Indubbiamente per l'Italia il problema non si limitava solo al rimpatrio dei dieci ufficiali presenti in Macedonia ma alla presenza del generale di Robilant, investito di un mandato europeo di comandante supremo della riorganizzazione. Fin dal settembre il governo italiano aveva mosso gli opportuni passi affinché la Porta esprimesse il desider.io che il generale dì Robilant rimanesse al servizio ottomano come consigliere tecnico della riorganizzazione della gendarmeria o con altro incarico analogo. In questo senso si era mosso l'ambasciatore Imperiali e, alla fine di novembre, il generale di Robilant era stato convocato a Costantinopoli per conferire direttamente con il ministro della Guerra allo scopo di prendere opportuni accordi sulla riorganizzazione della gendarmeria (3). Il generale italiano giunse a Costantinopoli il 28 novembre 1908, accompagnato dal cavalier Brizzi, segretario dell'Ufficio di riorganizzazione, e vi si trattenne per quattro s.ettimane caratterizzate da intensi colloqui con le autorità ottomane: praticamente la riorganizzazione della gendarmeria doveva continuare non più sotto l'egida delle potenze europee ma sotto quella del governo ottomano e doveva estendersi a tutto

(l) lvi, p. 15 e 16.

(2) V. ELIA, Intorno alla permanenza del generale di ·Robilant ad servizio ottomano, Costantinopoli 22 novembre 1908, pp. 5, p. l e 2, SMEAUS, b. 35/A, Stati Balcattici.

(3) lvi, p. 3 e 4.

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l'impero, escluso lo Yemen (1). Nel frattempo la Sublime Porta aveva accettato l'offerta di ritiro degli ufficiali formulata dalla Francia, Inghilterra, Russia e Italia pur non escludendo, per il futuro, la possibilità di usare ufficiali stranieri appartenenti ad eserciti in cui la gendarmeria avesse carattere tipicamente militare: cc basandosi sui risultati ottenuti dalla nostra riorganizzazione in Creta e Rumelia i turchi riconoscono che l'affidare tutto il lavoro all'elemento italiano costituirebbe la maggior garanzia nell'omogeneità e bontà del riordinamento: tuttavia ovvie ragioni di opportunità politica consigliano loro di chiedere ufficiali anche ad altre nazioni che saranno la Francia, che possiede un'ottima gendarmeria, e l'Inghilterra» (2).

Nel marzo del 1909 il governo ottomano comunicava alla ambasciata italiana i nomi di quegli ufficiali italiani, già in servizio ottomano, che intendeva riassumere con le stesse condizioni di grado e stipendio. Questi erano i capitani Ridolfi, Garrone, Borroni, i tenenti Castoldi, Basteris, Luzzi, Carossini ed inoltre il colonnello Albera, aggiunto militare a Monastir ed il maggiori Caprini già segretario del generale riorganizzatore (3). In due successivi rapporti del giugno, l'Elia confermava questi nomi, aggiupgendo quelli dei tenenti Mazza e Lauro dei carabinieri e del capitano De Mandato, archivista e interprete presso l'ambasciata italiana e informava del progetto completo di riorganizzazione presentato dal generale di Robilant (4). L'attività degli ufficiali italiani proseguì validamente per tutto il 1909 e 1910. Luci ed ombre di questa attività vengono delineate nei rapporti del generale di Robilant soprattutto per quanto riguardava i rapporti, non sempre facili, con le autorità ottomane (5).

Ancora nell'aprile del 1911 il nuovo addetto militare a Co-

(l) V. ELIA, Arrivo in Costantinopoli del generale di Robilant, Costantinopoli 28 novembre 1908, rapp. n. 121, pp. 2. ID.• Ritorno a Salonicco del generale di Robilant. Schema per la riorganiu.azione della gen- darmerùl in tutto l'impero. Glì ufficiali italiani del servizio di riorganiz· zazione, Costantinopoli 22 dicembre 1908, rapp. n. 130, pp. 10, SME-AUS, b. 35/A, Stati Balcanici.

(2) lvi, p. 9 e 10.

(3) V. ELIA, Ufficiali italiani per la riorganiu.azione della gendarmeria, Costantinopoli l marzo 1909, rapp. n. 25, pp. 2, SME-AUS, b. 37, Stati Balcanici.

(4) V. ELIA, Ufficiali per la riorganiz.zazione della gendarmerùl ottomarra.. Terapia, l9 giugno 1909, rapp. n. 87, pp. 2; Riorganiz.zazione della gendàrmerùl nell'impero, Terapia ll giugno 1909, rapp. n. 81, SME-AUS, b. 37, Stati Balcanici.

(5) M. NICOLIS di ROBILANT, Riorgan iz.zaz.ione della gendarmeria ottomana, Salonicco 30 luglio 1910, pp. 7 SME-AUS, b. 38, Stati Balcanici. V. ELIA, Incidente accaduto ad un ufficiale del regio esercito al serviz.io ottomano, Costantinopoli 25 gennaio 1910, rapp. n. 9, pp. 3, ivi, b. 39.

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stantinopoli, tenente colonnello Prospero Marro (1), scrivendo al capo di Stato Maggiore, generale Albero Pollio, confermava che la Turchia avrebbe avuto tutto l'interesse a mantenere gli ufficiali stranieri nella riorganizzazione (2). Il 27 settembre l911 il generale di Robilant riceveva dal governo italiano l'ordine di rimpatriare con tutti gli ufficiali a causa dell'inasprimento dei rapporti italo-turchi e dell'invio dell'ultimatum dell'Italia alla Turchia. Il 28, giorno della dichiarazione di guerra, la delegazione italiana lasciava Costantinopoli. «Pochi giorni prima- scriveva a questo proposito il generale di Robilant a Brusati - nessuno vi avrebbe creduto, e confesso che io pure ero stato tratto in inganno sulle vere intenzioni del governo dal congedamento della classe, dalle grandi manovre della flotta e dall'annunziato arrivo del nuovo ambasciatore» (3).

(l) P rospero Marro (Garresio 1854-Roma 1938). Sottotenente di artiglieria (1827) fu in Eritrea (1859-96) e durante la guerra dì Libia capo del servizio informazioni istituito ad Atene. Addetto militare a Costantinopoli (1911), colonnello (1912), membro della commissione per la delimitazione dei confini dell ' Albania. Maggior generale (1915), fu addetto militare in Serbia e comandò. durante la prima guerra mondiale l'artiglieria del VI Corpo d'Armata. Generale di divisione (1923).

(2) Marro a Pollio, Costantinopoli 1 aprile 1911, pp. 5, SME-AUS, b 25 / bis, Stari Balcanici.

(3) Di Robìlant a Brusati, Roma 16 ottobre 1911, pp. 5, ACS busta 10, Ugo Brusati, fase. VI-4-36, p. t.

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NOTE E RELAZIONI DI VIAGGIO

l. G . OTTOLENGHI, Rapporto della commissione per la delimitazione del Montenegro (1).

In obbedienza agli ordini di vostra eccellenza, ho l'onore d'indirizzarle il seguente rapporto sommario sull'operato e sulla situazione attuale dei lavori riflettenti la delimitazione del .1\iontenegro.

Parte prima. Procedura seguita dalla commissione

Per l'andamento dei lavori,. la maggioranza della commissione ha fissato:

a) Di prendere le decisioni a maggioranza di voti. Il delegato di Russia, che avrebbe voluto l'unanimità nelle questioni di principio, vi ha di poi rinunciato.

b) Di considerare la carta austriaca al 300.000 come elemento complementare del trattato, in conformità alla dichiarazione fattasi nella decimanona seduta del congresso eli Berlino. Il commissario turco vi si oppose, probabilmente perché non ignorava che tutti gli errori materiali del trattato ridondavano a vantaggio della Porta. Ma gli altri commissari tutti tennero fermo a quella massima, dacché il congresso, ogni volta che non trattavasi di separare in modo ben netto popolazioni di razze differenti (ad esempio le tribù albanesi dei Grudi, Hoti e Klementi), aveva necessariamente dovuto basare le sue decisioni sulle indicazioni e sulle denominazioni della carta. Onde si ha che dal tracciato su eli essa condotto, doveva risultare la direzione della linea dei nuovi confini e l'estensione del Principato.

c) Le decisioni della maggioranza dover servire di base per la continuazione del lavoro: ciò venne votato all'umanità. Senonché, alla prima decisione presa contro il parere del commissario turco (nella questione di Gorica Topal), questi, contrariamente al voto precedentemente dato, si rifiutò di accompagnare la commissione negli ulteriori lavori. In conse-

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(l) SME-AUS; b. 36, f. l , Reparto Operazioni. Ufficio Coloniale Stati Esteri, Roma 25 novembre 1879, pp. 16.

guenza di ciò, dal maggio al_luglio, la commissione fu condannata a quasi assoluta inoperosità, dalla quale non pote uscire fino a che le potenze non aderirono alla proposta conciliativa italiana di tracciare, occorrendo, le linee front i ere contraddittorie.

Difficoltà incontrate

La commissione si trovò di fronte a non poche difficoltà:

l) Il testo del trattato, il quale, eccettuata la disposizione tassativa di lasciare alla Turchia il territorio delle tribù albanesi, non offriva quale criterio direttivo principi di nazionalità, o di razza, o di religione. Né, d'altra parte, esso poteva dare indicazioni abbastanza precise, avendo dovuto giovarsi della carta austriaca al 300.000 di scala troppo piccola e in molte parti inesatta, sia nella rappresentazione del terreno, sia nella denominazione delle varie località, sia nelle indicazioni della frontiera delle stesse tribù albanesi.

·2) Necessità di rilevare al 50.000 od al 100.000 il terreno di frontiera

.

3) Gli ostacoli creati dalla Turchia, il éui governo, pure coll'apparenza di favorire la commissione, la contrariava per quanto poteva coll'impedire le ricognizioni ed il rilevamento preventivo del terreno, col vietarle il libero accesso a talune località, infine col rifiutarsi di prendere parte ai lavori ogni qualvolta i suoi interessi non erano favoriti.

Contegno dei commissari

Dall'andamento delle discussioni si poté argomentare che:

l) La Russià favoriva in tutto e per tutto il Montenegro, anche patrocinando in suo vantaggio concessioni non accordate od escluse tassativamente dal testo del trattato, o dal tracciato condotto a Berlino sulla carta austriaca.

2) L'Inghilterra esercitava ]o stesso ufficio p'er la Turchia, ma con maggiore imparzialità; cosicché il suo commissario non seguì le viste della Porta ogni qualvolta questa avrebbe voluto profittare degli errori materiali della carta per defraudare il Montenegro delle fattegli concessioni. Onde avvenne che la Turchia si trovò isolata nelle sue pretese circa il tracdato sulle due sponde del lago di Scutari: da una parte verso la cresta della Rumia, dall'altra verso l a pianura di Podgoritza.

3) La Francia e l'Italia, sempre imparziali, si trovarono quasi sempre di accordo.

4) L'Austria ha offerto lo spettacolo singolare di mutare di contegno da un dì all'altro. Allorché si trattò da prima del tratto di frontiera sul versante a mare (bayrack di Mrkovic), il console generale Lippich, commisario austriaco, fu il solo

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che perorò con molto calore gli interessi del Montenegro. Poi egli fu obbligato da nuove istruzioni a votare in senso opposto. Tale contegno venne sempre seguito più tardi, per guisa che dalla prima all'ultima votazione egli marciò sempre sulle traccie dell'Inghilterra. Noto che il colonnello Tornei, incaricato d'affari dell'Austria-Ungheria presso il Principe del Montenegro, alle legnanze di Sua Altezza per l'inatteso contegno del console Lippich, ebbe ordine dal suo governo (conte Andrassy) di assicurarlo che i di lui interessi verrebbero dallo stesso governo austro-ungarico patrocinati in occasione delle decisioni definitive riservate alle potenze contraenti.

5) La Germania seguì sempre in tutto e per tutto l'Austria. Lpcchè ha messo il commissario germanico nella penosa posizione di disdirsi egli pure, senza ragione apparente, sull'affare di Mrkovic, e più tardi di votare puramente e semplicemente come l'austriaco; a meno che (per salvare le apparenze, ed anche ciò senza ragione) non si astenesse.

In conseguenza di ciò la Turchia si trovò sempre favorita. Infatti, nella peggior ipotesi poteva contare su quattro (Turchia, Inghilterra, Austria, Germania) degli otto voti. Il Montenegro, avendone sempre quattro contro, soltanto nella miglior ipotesi poteva contare sulla parità di voti: cioè quando l'Italia e la Francia non avevano motivi per schierarsi a favore delle idee della Turchia. Credo mio debito di segnalare questo fatto, che può gravare per dare ragione e fare apprezzare il risultato delle votazioni poco favorevoli al Montenegro.

Lavoro compiuto e da compiersi

Per quanto la commissione siasi riunita il 30 aprile, il suo lavoro utile cominciò dal 25 luglio, per le cause già accennate. Dopo allora si potè esaminare il tratto di frontiera fra il mare Adriatico e la tribù di Goussignè-Plava, proponendo tracciati contraddittori sui quali spetta ora alle potenze di decidere. Poi occorrerà apporre i termini (bornes).

Rimangono a delimitarsi:

l. La frontiera di Goussigné Plava, da un lato (ovest) verso la tribù dei Klementi; dall'altr o ( est) verso i distretti di Ipek e Djakova. E' noto che la commissione non potè recarsi in questo territorio, abbandonato dalla Turchia, la quale si rifiutò di consegnarlo ufficialmente al Montenegro che non vi pose ancora piede. E' noto del pari che la tribù di Goussigne-Plava, in istato di anarchia e retta da Aly bey (il quale fece disarmare e spogliare dei loro beni gli slavi ortodossi del paese), si legò con gli altri paesi della alta Albania (Ipeck, Djakova, Prisrend, Dibra, ecc.) per respingere qualunque tentativo di annessione al Montenegro. Lasciando a parte la questione di diritto, o no, alla consegna, può aversi per certo che la Turchia, anche volendolo

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(locchè taluno dubita) non avrebbe sufferente autorità per eseguirla pacificamente. Qualunque lo tentasse andrebbe contro alla tragica fine di Mehemed Al y. Ond'è che la Sublime Porta, se vuole realmente procedere alla reclamata consegna, deve rioccupare il paese a mano armata, isolando Goussignè-Plava dai vicini distretti di Ipeck e Djakova.

2. Il breve tratto fra Sisko-Jezero (punto dell'antica frontiera) a Majkovac sulla Tara , d'onde poi la frontiera segue il thalweg di questo torrente.

3. La frontiera fra il Montenegro e l'Erzegovina. Per questa i commissari montenegrino e austriaco (questo senza osservazioni di quello di Turchia) hanno dichiarato di trovarsi perfettamente d'accordo Sicché la commissione non avrebbe che il facile compito di sanzionare la linea accettata dalle parti che occupano il territorio .

4. Il breve tratto di frontiera sul versante Adriatico fra il territorio austriaco di Spitza e quello montenegrino di Antivari. Anche su di ciò esiste perfetto accordo fra le parti interessate.

Parte seconda. Tracciato della frontiera del mare al territorio di Goussignè-Plava

Dal mare al lago di Scutari

Per questo tratto di frontiera il trattato di Berlino dice all'articolo XXVIII: «De là, la nouvelle frontière traverse le lac près de l'il6t Gorica-Topal, et à partir de Gorica-Topal elle atteint directement les sommets de la crete, d' où elle sui t la ligne du partage des eau.x entre Megured et Kalimed, laissant Mrko'Vic au Monténégro et rejoignant la mer à V. Cruci >>. Articold XXIX: « Antivari et son litoral sont annexés au Monténégro ».

La discussione di questa parte di frontiera venne fatta separatamente: l. Pel versante a mare; 2. Pel versante sul lago.

I. Pel tratto del versante a mare si noti:

l) Mrkovic non è un paese, ma un comune (Bayrack).

2) II capoluogo di questo bayrack è Veli Selo, il quale trovasi appunto là dove sulla carta austriaca è scritto Mrkovic.

3) Il tracciato condotto sulla carta taglia per metà il bayrack, escludendo dal territorio da cedersi al Montenegro: esplicitamente alimed (Kaliman) perché indicato nel testo del trattato; ed implicitamente , per mezzo del tracciato , i villaggi di Gorana e Leskovatz ed il ponte sul torrente Megured; nomi scritti sulla carta austriaca che servi ai lavori del congresso.

Dal testo e dal tracciato riuniti e combinati, si potrebbe adunque arguire l'intenzione del congresso di separare in due

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quel comune. Senonché mancano elementi per affermare che il congresso abbia lasciate quelle località all'infuori del tracciato, scientemente, cioè pur sapendo che desse formavano parte di un solo ed unico bayrack. In presenza di tale dubbio fondato, potrebbero prevalere le considerazioni seguenti: a) Mrkovic ha una sola comunità. b) Mrkovic ha sempre fatto parte del distretto di Antivari e con questo dovrebbe essere ceduto al Montenegro. c) Per razza e per lingua tutto il comune è slavo, ad onta che per religione preponderi l'elemento mussulmano. d) Il tracciato non può sulla carta seguirsi materialmente, la carta stessa ad una scala così piccola non potendo somministrare tutti i particolari necessari.

Da questo duplice ordine di considerazioni emersero due proposte concrete: l'una dell'Inghilterra a favore della Turchia; l'altra della Russia a favore del Montenegro. Quella a favore del Montenegro venne in sulle prime sostenuta con molto calore dal commissario austriaco ed accettata apertamente da quello di Germania. L'inglese, pur riconoscendo il valore dell'opinione opposta, favorì le idee della Turchia. Con lui si schierò il commissario francese le cui istruzioni analoghe alle mie, erano fondate essenzialmente sul principio di attenersi al tracciato della carta austriaca ogni qual volta il testo del trattato lasciasse adito a dubbiezza di interpretazione. A tal punto pertanto stavano: a favore del tracciato desiderato dal Montenegro: Montenegro, Russia, Austria, Germania {4 voti), a favore del tracciato desiderato dalla Turchia: Turchia, Inghilterra, Francia (3 voti). Io non mi sono pronunciato, per quanto avessi dovuto farlo in questo secondo senso per le ragioni indicate ai punti a), b), c), e specialmente perché il tracciato sulla carta non lasciava dubbiezza. Ma, sulla considerazione che per tal guisa ne sarebbe risultato parità di voti, io ho proposto e la commissione accettò di sospendere qualsiasi decisione. Desidero però di ripetere ora quanto in allora ebbi l'onore di scrivere all'Eccellenza Vostra Oettera 4 agosto 1879) che cioè «quand'io fossi stato chiamato ad emettere un voto che non fosse stato di mera applicazione del trattato e delle istruzioni sopracitate (ossia di attenermi al tracciato della carta), non avrei esitato un sol momento a dare suffragio in favore del Montenegro, sia per non frazionare uno stesso tutto, sia perché porto opinione doversi dare prevalenza al principio di nazionalità allorché il trattato stesso non vi si oppone esplicitamente.,., Senonché in questa occasione si mutò inaspettatamente il contegno dell'Austria. Infatti il suo commissario, che tanto calorosamente e molto più che quello di Russia aveva patrocinato la causa del Montenegro, dichiarò, in una seduta successiva, che in conseguenza di nuove istruzioni doveva votare contro. Dopo di ciò anche quello di Germania diede voto perfettamente contrario alle idee da lui prima sostenute. La Francia non potendo nè volendo disdirsi, ne conseguiva un mutamento notevole nel reparto dei voti, e ciò a danno del Montenegro contro cui si tro-

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varono: Turchia, Inghilterra, Austria, Germania e Francia, mentre a favore erano Montenegro e Russia. Io non ho votato ma, secondo le avute istruzioni, mi sono poi unito alla maggioranza. Infine faccio presente che ora il Montenegro occupa per Io appunto poco più del terreno che a lui spetterebbe secondo il voto della maggioranza. A seconda di questo basterebbe che egli si ritirasse dal ponte e dal Han di Mrkovic (sul torrente Megured).

II. Pel tratto sul versante del lago si osserva:

1) Il commissario di Turchia dichiarò che l'isola di Gorica-Topal esiste là dove sulla carta austriaca è scritto Gorica Plak. Quindi pretendeva che quivi dovesse passare la frontiera. La commissione per abbondanza raccolse sul posto deposizioni che riuscirono contradditorie; ma tutti concordemente rigettarono come infondata la pretesa della Turchia, perché la parola del testo applicata alla parola della carta, ed il tracciato su di questa condotto a Berlino non lasciano alcun dubbio. Con ciò venne respinto tutto il tracciato turco, basato su tale errore materiale.

2) Il trattato non dice a chi spettar debba l'isola di Gorica Topal (della carta): cono roccioso, disabitato, di nessunissimo valore all'infuori di quello che potrebbe acquistare quando, in tempo di guerra, lo si armasse di qualche pezzo di artiglieria per battere il lago. La qual cosa si potrebbe fare ugualmente bene dalle alture sovrastanti alla sponda del lago

3) La frase «elle atteint directement les sommets de la crete, d'où elle suit la ligne du partage des eaux entre Megured et Kalimed » ha dato luogo a due interpretazioni: a) secondo l'una, propugnata dal commissario inglese, la parola directement deve spiegarsi nel senso di arrivare da Gorica Topal al punto più elevato della cresta (Maured), percorrendo la più breve linea (retta) per quanto topograficamen te possibile. b) Secondo l'altra, propugnata dal commissario russo, devesi anzitutto raggiungere directement il punto della cresta (Pjat Ubal) più vicino a Gorica Topa!; poi seguire la linea di spartiacque fino a raggiungere il punto indicato fra Megured e Kalimed.

Votarono per la linea:

a) inglese

fovare contro

b) russa a favore contro

a
Turchia Montenegro Ausria Germania Inghilterra Russia Francia Italia 94 l l l 3 1 l 1 l 4
l l l l 4 l l l l 4

Il commissario turco, dopo tale votazione, ebbe ordine di rinunciare al proprio tracciato (da tutti rifiutato) e di aderire a quello inglese. Ma in seno alla commissione egli non fece analoga dichiarazione, presumibilmente per potere nelle trattative successive aver aperto l'adito ad una facile concessione. Sul merito dei due tracciati in presenza si osserva:

1) L'inglese si avvicina di più al tracciato della carta, eccezione fatta per l'isola Gorica Topal.

2) Il contrario dicasi del tracciato russo.

3) Tanto l'uno che l'altro intacca il principio di nazionalità e di religione, perché la Kraina, parte della quale verrebbe ad ogni modo ceduta al Montenegro, è per la maggior parte al banese-mussulmana.

4) Il tracciato russo favorisce il Montenegro dal lato economico e militare. Dal lato economico perché il piano di Ostross è fertile. Dal lato militare perché la posizione del Pjat Ubal ha carattere offensivo e difensivo, fronteggiando verso Scutari la posizione del Tarabosch che copre Scutari stesso ad ovest. Tuttavia potrebbe aggiudicarsi al Montenegro perché la posizione molto più lontana sebbene più elevata del Maured sarebbe in suo danno troppo facilmente girabile: nel versante a mare per la valle del Megured e nel versante del lago pei contrafforti della Kraina.

Circa a questo tratto di frontiera noto infine che il Montenegro occupa ora di fatto tutto il territorio che gli verrebbe attribuito dalla proposta russa, accettata dai commissari di Francia e d'I talla.

Conclusione circa il tracciato del mare al lago

l) Ragioni di razza e di lingua consiglierebboro di accordare al Montenegro tutto il distretto (bayrack) di Mrkovic. Si può ritenere inoltre che, se il congresso avesse avuto sotto gli occhi una carta esatta e dettagliata, non si sarebbe indotto col suo tracciato a dimezzare un sol tutto, per razza e per lingua affine al Montenegro. Facendo tale concessione al Montenegro, questi acquisterebbe: a) a sud, nelle alture di Mazura-Planina, una buona linea di difesa, non minacciosa tuttavia pel piano di Dolcigno protetto da un'altra serie di alture più avanzate. b) ad est le alture di Kokot-Rasadac che hanno invece carattere aggre3sivo verso la bassa valle di Megured e verso la stretta di Katerkol, da tal parte vera linea di sbarramento della dttà di Scutari. Questo secondo tratto d i tracciato sarebbe poi in aperta contraddizione colla frase del trattato « entre Megured et Kalimed (Kaliman) » che lascia Kalimed alla Turchia.

In conseguenza, per rispettare ad un tempo lo spirito del trattato che assegna Mrkovic ai Montenegro, e la lettera che vuole lasciata Kalimed (Kaliman) alla Turchia, e per non to-

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gliere a questa posizioni che in mano del Montenegro potrebbero acquistare un carattere aggressivo, si potrebbe in via di conciliazione stabilire il tracciato secondo la linea russa fino al molino di Mrkovic; poi seguire la linea inglese rimontando il torrente Megured fino all'altura di Maured.

2) Anche nel tratto fra la cresta ed il lago si deve, o coll'uno o coll'altro tracciato, intaccare il principio di razza e di religione, perché tutta la Kraina è abitata da albanesi mussulmani.

Io, col commissario francese, mi sono pronunciato a favore del tracciato russo, da noi giudicato conforme allo spirito del trattato. Ne è da credersi che l'altura di Pjat Ubal possa compromettere la sicurezza di Scutari, questa città essendo protetta dalle alture del Tarabosch che la coprono ad ovest.

Quando infine non si potesse venire ad un compromesso frazionando il primo tracciato nel modo sopraindicato, si potrebbe, per rispettare, per quanto è consentito, le ragioni di razza e di lingua, adottare la linea russa pel distretto di Mrkovic, e la linea inglese per la Kraina.

Dal lago di Scutari a Goussignè-Plava

All'articolo XXVIII del trattato di Berlino si legge:

«Elle (la frontìère) se confond ensuite avec les limites actuelles entre la tribu de Kuci-Drekalovic d'un coté et la KuchaKrajna ainsi que les tribus des Klementi et Grudi de l'autre, jusqu'à la plaine de Podgoritza, d'où elle se dirige sur Plavnica laissant à l'Albanie les tribu.s des Klementi, Grudi et Hoti ».

La commissione ha studiato separatamente i due tratti:

I) Dalla sponda occidentale del lago alla pianura di Podgoritza; II) Dalla pianura di Podgoritza ai confini di GoussignèPlava.

I. Per la pianura di Podgoritza il testo del trattato non indica un sol punto presso cui debba passare la frontiera. Questa lacuna è però colmata dal tracciato condotto sulla carta austriaca, il quale corre secondo una linea che partendo dal lago arriva al ponte sul Sem. Qui giova notare:

a) I casolari di Plavnica esistono a sei chilometri più ad ovest di quanto è indicato sulla carta. Cosicché se si dovesse muovere da Plavnica del terreno, e non dal punto corrispondente a quello segnato sulla carta, il Montenegro sarebbe defraudato di quasi tutta la pianura accordatagli e di terreni e popolazioni in gran maggioranza slavi ortodossi. Nel caso presente trattandosi però di un errore materiale analogo a quello già segnalato per Gorica Topal, tutti (eccettuato il solo commissario turco), si pronunciarono a favore del Montenegro. Mentre il testo poi dice che la frontiera si dirige sur Plavnica, il tracciato ·sulla carta dci commissari ing1ese, francese ed austriaco porta due linee:

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l'una, a tratti, che arriva a Plavnica; l'altra, continua, che arriva a chilometri tre e mezzo più ad oriente; il tracciato sulla copia a me rimessa porta soltanto quest'ultima linea, la quale sembrerebbe doversi seguire. Infatti essa fu tracciata dal colonnello Tornei delegato militare dell'Austria-Ungheria al congresso, e venne accettata da tutti i delegati militari, eccettuato l'inglese.

b) Nella pianura fra il lago ed il torrente Sem si incontrano tre colline non segnate sulla carta austriaca e denominate Vrany, Schipsanik e Rogami, la cui esistenza non poteva pertanto essere nota al congresso; questo, al quale non sarebbe sfuggita la loro importanza, ne avrebbe certo tenuto conto nell'indicare sul testo la linea frontiera. La loro importanza emerge da ciò che tutte hanno comando sulla pianura, mentre quelle di Rogami e Schipsanik sono a portata di cannone (a chilometri sei e otto) da Podgoritza. Motivo che indusse la Turchia a fortificarle ed a tracciare, sul versante coperto, ottime strade rotabili che possono dare passo anche ad artiglieria di grosso calibro. Giova infine avere presente che nella collina di Vrany predomina l'elemento slavo; in quelle di Schipsanik e Rogami, addossate alle montagne dei Grudi, l'elemento albanese (grudi); e che, in corrispondenza a ciò, il tracciato della carta applicato al terreno, lascerebbe la prima al Montenegro le altre alla Turchia.

c) Nelle proposte austro-ungheresi annesse al protocollo 10 del congresso di Berlino, proposizioni che nella loro redazione quasi testuale sono diventate l'articolo XXVIII del trattato, è detto che si dovevano lasciare alla Turchia le tribù montagnardes des Klèmenti, Grudi et Hoti.

Per questo tratto di frontiera si trovano di fronte diversi tracciati:

1) Il turco, rigettato da tutti, perché basato sull'errore materiale dianzi accennato e perciò affatto arbitrario.

2) Il russo-montenegrino, pure da tutti rifiutato, perché col passare ai piedi delle alte montagne degli Hoti, e più ancora coll'incorporare parte del territorio dei Grudi (Dinosi fra gli altri) dal congresso espressamente riservato alla Turchia, sconfina dal testo e dallo spirito delle stipulazioni di Berlino, e sen. sibilmente si stacca dal tracciato della carta.

3) L'italiano, riproduzione del tracciato della carta austriaca da me posseduta, e del tracciato segnato con linea continua nella carta austriaca di tutti gli altri commissari. Secondo questo tracciato, muovendo dal punto più ad oriente (prima accettato dalla Francia, Russia e Montenegro). Si arriverebbe direttamente al ponte sul Sem, lasciando la collina di Vrany al Montenegro. Anch'esso venne rigettato.

4) Il francese, come proposta di transazione, secondo la quale verrebbe abbandonato il punto di partenza più ad oriente, già patrocinato dallo stesso commissat1o ·francese, si muove-

97 . ..-·,-

rebbe dal punto sul terreno corrispondente a Plavnica delJa carta austriaca e poi si seguirebbe una linea che passa attraverso tutte le colline. La proposta, discussa punto per punto, non venne accettata che parzialmente, ossia fino a tutta la collina di Vrany. Si noti che votarono contro questa prima parte del tracciato francese soltanto il Montenegro e la Turchia: la Russia si astenne. Il resto del tracciato francese ebbe il solo voto del proponente.

5) Fallita la francese, io col commissario inglese presentammo la proposta di proseguire il tracciato tirando una linea retta dal punlo nord di Vrany al ponlt: del Sem, ossia di adottare una linea che sarebbe stata in parte quella proposta dal francese ed in parte la mia, aggiungendo sempre (cosa ammessa da tutti) la condizione espressa della distruzione delle fortificazioni erette e delle strade rotabili su quelle colline, con divieto assoluto di esigerne mai.

Su tale argomento giova riprodurre le parole del ;P,rotocollo n. 25: « Les commissaires de la Grande-Bretagne et d Italie son.t d'accord pour proposer une ligne qui partant .du sommet nord de la colline de Vrany, gagne en ligne droite la pont en pierre du Zem (Bremicki-Most). MM. le capitaine Sale et le colone[ Ottolenghi ajoutent que la commission émettrait alors Le voeu que toutes les fortifications pouvant exister actuellement sur les collines de Vrany, Schipchanik et Milesch (Rogami) seront rasées, qu'il n'en pourra étre édifié de nouvelles, et que les routes ou chemins militaires établis sur les dites collines seront détruits par le gouvernement ottoman. Les commissaires d'Autriche-Hongrie, d'Angleterre, d'Italie votent pour. Les commissaires de Russie et de Monténégro votent contre. Le commissaire de France vote également contre la ligne en question. En ce qui concerne la partie de la proposition relative à la neutralisation des collines, il serait d'autant plus disposé à l'adopter, qu'il a déjà formulé explicitement le méme voeu, qui est la base de son projet général. Les commissaires de Turquie s'abstiennent, ainsi que le commissaire d'Allemagne. Le bureau constate 3 voix pour, 3 voix contre et 2 abstentions ».

Analizzando questo risultato, emerge che la proposta italoinglese avrebbe avuto il suffragio della maggioranza se la Francia non si fosse tenuta vincolata dalla sua precedente proposta, o la Germania non si fosse astenuta dal votare. Un addentellato all'accettazione di questo tracciato si avrebbe in ciò che la commissione poi, a maggioranza di voti, prevedendo il caso che le potenze accettassero il tracciato stesso, ha deciso la neutralizzazione del ponte con quattro voti favorevoli (quattro astensioni: ossia Turchia, Montenegro, Russia e Germania). ed ha implicitamente accolta la linea che dal ponte sul torrente Sem rimonta il talweg fin presso il molino. Infatti i due possibili tracciati, nel territorio dei Kuci, partirebbero tutti e due dal molino rosso. Quando con questo o con altro qualsiasi tracciato si mettesse la Turchia nella impossibilità di occupare e fortificare la serie

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di colline che sorgono nella pianura di Podgoritza si salverebbero i legittimi interessi del Montenegro, senza pregiudicare militarmente la posizione della Turchia; posciachè sono sempre in mano di essa le formidabili alture occupate dalle fiere tribù degli Hoti e dei Grudi, che già troppo comando hanno sulle colline stesse e sul territorio ceduto al Principato.

Infine occorre accennare che attualmente tutte le colline sono occupate dalla Turchia, e la pianura lo è quasi per intero dal Montenegro.

II. Pel tratto dalla pianura di Podgoritza al territorio di Goussignè Plava, dalle parole esplicite del trattato emerge in modo non dubbio che dovrebbesi lasciare alla Turchia tutto il territorio della Kucha Kraina e quello delle tribù dei Grudi e dei Klémenti. Ciò venne ammesso da tutti i commissari, non esclusi quelli del Montenegro e di Russia. Se non che nell'applicazione di tale decisione si incontrano gravissime difficoltà, sia che si voglia stare al tenore letterale del trattato, sia che si voglia seguire il tracciato condotto sulla carta austriaca:

1) I Kuci costituiscono di fatto una sola tribù abitata quasi interamente da slavi ortodossi. In occasione dell'ultima guerra essi se sont déclarés pour leur frères de race, les Monténégrins, come riconobbe e dichiarò lo stesso Mehemed Ali pascià.

2) La denominazione serba di Kraina (fascia, lista) è in genere applicabile al territorio di frontiera che sia teatro di guerra. Nel caso in questione comprende i bayrack di Fundina, Orahovo, Triepci e Kocia. In questi ultimi due solamente prevale l'elemento albanese cattolico; locchè è spiegato dal contatto colle tribù albanesi dei Grudi e dei Klémenti. Soltanto seguendo a nord i limiti dei quattro comuni, si potè fissare approssimativamente il confine fra i Kuci Drekalovic ed i Kuci di Kraina.

3) I pascoli, principale ricchezza del paese, sono in comune ed inseparabili.

4) Nè nella storia del passato, nè nelle tradizioni, nè nelle consuetudini si trovano traccie della separazione.

5) Infine, come elemento di fatto, la commissione ha potuto constatare sul posto che nella Kucha-Kraina l'autorità del Montenegro che l'occupa per intero, si esercita senza pressione e violenza con elementi del luogo.

Per queste considerazioni la commissione, da un lato non ha potuto attribuire la Kucha-Kraina al Montenegro perché vi si oppone il testo preciso del trattato, dall'altro ha giudicato impossibile di effettuare tale separazione. Infatti dal protocollo n. 25 emerge che, ad eccezione del commissario turco perché interessato, e di quelli austriaco e germanico, che non si pronunciarono, tutti gli altri, non escluso l'inglese, fecero dichiarazioni in tal senso.

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lvi si legge fra l'altro: « En résumé, il (il commissario d'Inghilterra) pense que l'on ne peut diviser la Kucha-Kraina des Kuci-Drecalovic et par conséquent que la question ètre réglée par les gouvernements. Le commissaire de France est d'avis que la ligne frontière entre la plaine de Podgoritza et les confins de Goussignè-Plava est, à cause de la question de la Kucha-Kraina, impossible a determiner par un vote .

Le texte scrict du traité de Berlin obligerait la commission à attribuer l'intégralité de la Kucha-Kraina à la Turquie. Or, si les hautes parties contractantes au congrès avaient pu se rendre compte de la ralité des choses, cume l'un fait les membres de la commission, elles n'auraient jamais songé à une pareille attribution. En effet, /es Kuci de la Kucha-Kraina, issus de la 'mème famille que les Kuchi Drekalovic, ne pourraient en erre séparés politiquement sans des inconvénients qui sautent aux yeux. Deux au moins des bayracks de la Kucha-Kraina, Fundina et Orahovo, de fait et se sentiments sont tous absolument monténégrins; et le troisième, celui de Triepci, est tel par son esprit que l'ordre y est maintenu par le Monténégro, mai au moyen des habitants eux-memes formés en compagnies. Le quatrième bayrak, celui de Kocia a vu, il est vrai, la plupart de ses habitants se refugier sur territoire turc; mais d'un part il ne compte que le nombre très-restreint de quarante maisons; et d'autre part il y a lieu de penser que les habitants émigrés en Turquie ne sont pas revenus chez eux uniquement à cause de l'état d'incertitude sur la démarcation future de la frontière. Dans telles conditions, attribuer la Kucha-Kraina à la Turquie serait faire oeuvre vaine et mème grosse de conflits sanglants ».

In conseguenza di ciò si fissarono entrambe le due linee di frontiera, rispondenti all'una o all'altra delle decisioni che potranno prendere le alte potenze contraenti.

Quella che lascia la Kucha-Kraina alla Turchia ottenne la seguente votazione: a favore Austria, Inghilterra, Francia e Italia; contro, Russia e Montenegro; astensione, Turchia e Germania.

La votazione dell'altra linea risultò: a favore, Austria, Inghilterra, Francia e Italia; riserva· Russia, Montenegro e Germania; astensione, Turchia.

Per ben rendersi ragione di questo risultato, conviene avvertire, rispetto al secondo tracciato (lasciare la Kucha-Kraina al Montenegro), che la riserva della Russia e del Montenegro vuole essere intesa esclusivamente nel senso maggiori aspirazioni, per effetto delle quali la frontiera sarebbe riportata fino alla linea del Sem. Di guisa che non è dubbio che, quando fossero definitivamente respinte queste aspirazioni, anche la Russia e il Montenegro voterebbero in favore di quel secondo tracciato. In quanto al commissario germanico, è certo che, o starebbe fermo nella riserva già espressa, o si pronuncierebbe in favore, seguendo anche in ciò, come nel resto, il parere del commissario au-

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striaco. In conseguenza, il solo voto contrario al tracciato che lascia la Kucha-Kraina al Montenegro, sarebbe quello della Turchia, parte interessata. Come dato di fatto ricordo che la KuchaKraina è per i ntero occupata dal Montenegro, Esposto così l'operato della commissione e i criteri che la guidarono, verrò ora ad esporre il mio pensiero circa questa parte del confine.

Se si volesse applicare al terreno la disposizione letterale del trattato relativa alla Kucha-Kraina ed ai Klementi, si avrebbe un tracciato che si stacca notevolmente da quello condotto sulla carta austriaca, come risulta dall'annesso schizzo al 300.000, e come già venne segnalato al n. 4 della memoria e carta unita comunicate al regio governo da Turkan bey il 14 giugno 1879. Invece, contrariamente alle espresse stipulazioni del trattato di Berlino, il tracciato della carta austriaca: a) taglierebbe a metà il territorio delle Kucha-Kraina, lasciando parte di questa al Montenegro, b) viceyersa lascerebbe un ancor più notevole zona dei Klementi al Montenegro.

Ora quando si voglia combinare il rispetto al testo del trattato colla fondata presunzione, accettata dalla maggioranza della commissione, che il congresso, non avendo sott'occhio una carta esatta e non conoscendo il terreno, col tracciato abbia voluto indiare graficamente l'estensione delle concessioni fatte, non mancherebbe il modo di conciliare le opposte esigenze e le segnalate difficoltà. Si potrebbe, cioè, accordare al Montenegro la Kucha-Kraina, ed incaricare la commissione di rettificare il tracciato della tribù dei Klementi secondo i reali ed attuali con· fini di questi; e ciò ad onta della notevole perdita di territorio che ridonderebbe al Principato in paragone del territorio che gli spetterebbe stando al tracciato della carta, come appare dall'annesso schizzo al 300.000, nel quale quella parte dei confini dei Klémenti che tocca il territorio di Goussignè-Plava è indicata approssimativamente secondo le informazioni raccolte dalla commissione.

Qui torna acconcio di far cenno delle maggiori aspirazioni che, come fu già detto, il Montenegro, sostenuto dalla Russia, vorrebbe far prevalere rispetto al tratto di confine che corre tra il piano di Podgoritza e Goussignè-Plava. Sull'argomento, lasciando per un momento da parte il testo del trattato, non puossi a meno di riconoscere come fondato in ragione il desiderio espresso dal Montenegro, e favorito dalla Russia, di una rettifica di frontiera intesa per guisa che questa rimonti la linea del Sem. Tale rettifica sarebbe consigliata da convenienze di ordine topografico-militare e di ordine amministrativo, e condurrebbe a queste conseguenze:

a) Fissare una linea topografica ben definita.

b) Lasciare al Montenegro la linea di comunicazione di-

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retta fra Podgoritza e Goussignè-Plava. Questa si percorre in una giornata di marcia ed è sempre praticabile; mentre la strada che dal Montenegro condurrebbe al distretto di Goussignè passando sotto il Monte Kom richiede tre o quattro giornate di marcia e, a cagione delle nevi, non è praticabile per molti mesi dell'anno.

c) Rendere più sicura la posizione di Podgoritza, veramente minacciata a buona portata di cannone dalle alture di Kakarica Gora (sopra Boici n) e da quelle sovrastanti a Dinosi.

Tale necessità venne ammessa al congresso di Berlino, duodecimo protocollo, dallo stesso plenipotenziario turco, allorché reclamava per la Sublime Porta Podgoritza avec un suffisant de dèfense.

La possibilità di codesta rettifica non soltanto non fu esclusa, ma per contro venne espressamente e chiaramente ammessa dal congresso, anche quando dovesse intaccarsi il territorio dei Klementi (au détriment des Klementi). Infatti si legge nel protocollo 12, seduta 4 luglio: M. le plénipotentiaire d'AutricheHongrie constate également que les plénipotentiaires de Russie ayant émis l'avis que la proximité de la frontière près de Dinos pourrait compromettre la securité de Podgoritza et qu'il serait nécessaire d'éloigner la à une distance de 8 à IO kilomètres à l'avantage de l'Albanie, partant de Mokra ou au delà en ligne directe jusqu'à n. 2116 de la carte autrichienne. La commission européenne de délimitation serait chargée d'étudier sur place si cet éloignement de la frontière peut avoir lieu et de régler [es questions territoriales qui pourraient résulter de cette rectification au détriment des Klémenti. Il est entendu que, si un accord ne s'établit pas à ce sujet au sein de la commission, le tracé du traité reste intact ».

La commissione non ha avuto campo di occuparsi di tale o di altro possibile scambio perché, com'è noto, non ebbe mezzo di studiare la delimitazione del territorio di Goussignè-Plava. Inoltre giova avere presente che l'importanza della reclamata rettificazione e la certezza di avere contraria la Turchia, renderebbero indispensabile una decisione delle grandi potenze.

Intorno a tale soggetto, con lettera del 24 luglio da Scutari, io mi permetteva di fare presente a Vostra Eccellenza come in considerazione delle difficoltà pel Montenegro di occupare e conservare pacificamente il territorio di Goussignè-Plava, si sarebbe potuto trattare per uno scambio sulla base di accordargli la linea del Sem, d'onde la frontiera andrebbe direttamente verso Mokra Planina. «Per tal guisa, concQ.iudeva, si verrebbe ad accordare al principato poca parte dei Grudi e dei Klementi, ed il Montenegro in compenso, potrebbe rinunciare a quella parte del territorio di Goussignè-Plava che ora non può occupare».

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Parte terza. Compimento dei lavori della commissione

Per por. termine ai lavori della commissione occorre:

l) Segnare con termini (bornes), laddove mancano indicazioni topografiche ben precise , la frontiera dal mare al territorio di Goussignè. Ciò può essere fatto dalle parti interessate coll'intervento (se necessario) di un delegato 'della commissione. A tal uopo occorre anzitutto la decisione delle grandi potenze intorno ai tracciati contraddittori ed alle proposte presentate dalla commissione. La buona sistemazione degli interessi generali dei due paesi, come altresì la necessità di togliere da una penosa posizione molte famiglie emigrate, consiglierebbero di affrettare codesta decisione .

2) Per entrare nel territorio di Goussignè-Plava. Per ciò è indispensabile venga effettuata la consegna dì quel territorio, ed occorre trovare perfetta sicurezza anche nelle vicine tribù albanesi.

3) Addivenire alla delimitazione del breve tratto fra Sisko Jezero e Mojkovac.

4) Fare del pari per la frontiera fra il Montenegro e l'Erzegovina, e fra Spìtza ed Antivari.

Facendo astrazione della questione della demarcazione materiale dei confini, come cosa di poco momento, è evidente che, affine di agevolare il rimanente lavoro e non obbligare la commissione e grave fatica ed a gran perdita di tempo per il rilevamento del terreno alla scala del 50.000, cosa che del resto non entra nelle sue attribuzioni, sarebbe necessario che, analogamente a quanto si praticò presso le altre commissioni, anche quella del Montenegro venisse messa in caso di lavorare su di una carta già preparata.

Codesto desiderio, col tacito intendimento di non riprendere i lavori che allorquando si sarebbe potuto lavorare su tale carta, venne espresso dalla commissione intera nel protocollo 26 colle seguenti parole: <c La commission exprime le désir que les gou· vernements limitrophes fassent procéder avant le mois de mai prochain, si les circostances le permettent, au relevé des zones qui restent encora à délimiter et dont on ne possède pas de carte exacte. Si cette proposition est soumise par le déléguées à leurs cabinets, il est à espérer qu'elle sera agrée, ce qui au printemps prochaia permettra à la commissìon de pousser ses travaux avec célérité ».

Circa poi la frontiera fra Spitza ed Antivari si legge: cc D'après les déclarations des commissaires d'Autriche-Hongrie et du Monténégro, cette frontière a été dejà réglée par leurs gouvernements, qui remettront à la commission, sur le voeu qu'elle a exprimé, les croquis et les cahiers de spécification y relatifs à l'échelle adoptée par la commission )).

Ora siccome cinque squadre di topografi russi fin dalla

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scorsa primavera stanno rilevando alla scala del 42.000 tutto il terreno della nuova frontiera del Montenegro, e per di più è probabile che l'Austria abbia fatto o stia per fare del pari pel territorio della Bosnia e dell'Erzegovina da lei occupato, dando la precedenza alla zona di frontiera affine di secondare il voto espresso dalla commissione, si rende evidente la convenienza di non imporre alla commissione un lungo, oneroso e non devolutogli compito, che si risolverebbe in lavoro del tutto inutile .

Quando la commissione del Montenegro, al pari delle altre, possa approfittare di una carta esatta a buona scala, ed avuto presente che quasi nessuna difficoltà si incontrerà ormai per fissare le linee di demarcazione, il compimento del lavoro potrà aver luogo con prontezza. Onde sarebbe del tutto vantaggioso di protrarre la riconvocazione della medesima (fissata a Ragusa pel lo maggio 1880) fino a quando i necessari lavori topografici si trovino allestiti, siano definitivamente risolte le questioni pendenti circa i tracciati contraddittori già proposti, e siavi infine la certezza che la commissione possa recarsi con tutta sicurezza anche nel territorio di Goussignè-Plava ed in quelli adiacenti.

Conclusione

Allo stato attuale dei lavori sarebbe pertanto necessario:

l) Fissare la linea definitiva di delimitazione fra il mare e Goussignè-Plava;

2) Fare uffici presso talune potenze per affrettare il compito dei lavori di rilevamento, affine di rendere possibile la ripresa dei lavori di delimitazione sulla base della nuova carta, evitando per tal modo alla commissione un lavoro gravoso ed inutile;

3) Adoperarsi perché sia sollecitata la consegna di Goussignè-Plava;

4) Rinviare la ripresa dei lavori in fino a che sia soddisfatto ai tre punti qui sopra segnati.

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2. A. VELINI, Note sulla delimitazione della Serbia (1).

Ultimata, or sono pochi giorni, colla consegna al ministero degli Affari Esteri dei piani della nuova frontiera del Principato serbo, la missione delJa quale venni incaricato, ho l'onore di sottopporre all'apprezzamento deJJa signoria vostra illustrissima talune brevi considerazioni sulla parte tecnica del lavoro compiuto e sulle condizioni politico-sociali-militari del Principato.

Egli è però mestieri premettere che, stando la natura delicata dei rapporti che dovevano regolare la mia condotta a fronte dei commissari delegati dalle altre potenze di Europa, in vista del lavoro indefesso, faticoso e punto facile della delimitazione; ed a causa della vita nomade che era necessità condurre in luoghi pressoché disabitati ed attraverso difficoltà di ogni sorta, di clima, di suolo, di risorse e di mezzi di comunicazione, mi torna impossibile la redazione di un rapporto ben ordinato ed inspirato a quelle accurate ricerche, alle quali è pur d'uopo ricorrere sempre quando voglionsi fornire dati esatti ed informarioni interessanti.

Le scarse notizie che posso dare a vostra signoria le poche e modeste considerazioni che posso sottoporre al di lei illuminato apprezzamento, non sono che il frutto delle mie povere osservazioni individuali.

l. LA DELIMITAZIONE E LE CONSEGUENZE

Il lavoro di delimitazione

Le basi del penoso lavoro di delimitazione erano già state gettate sul cadere del 1878, quando il compianto colonnello Gola rappresentava l'Italia in seno alla commissione internazionale per la delimitazione della Serbia.

L'articolo 36 del trattato di Berlino ed i relativi protocolli furono il punto di partenza dei lavori della commissione. In detto articolo avvi, com'è noto, una sommaria descrizione della

(l) SME-AUS, b. 36, f. 2, Reparto operazioni. Utficic Coloniale. Stati esteri, Roma, gennaio 1880, pp. 135.

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nuova frontiera, fatta sulle indicazioni fornite dalla carta dello stato maggiore austriaco alla scala di l a 300.000 della penisola balcanica. Codesta carta, costruita molti anni or sono e corretta di fresco con rapide ricognizioni e, non di rado, a quanto mi risulta, sulla scorta di semplici informazioni, è di una esattezza affatto relativa e variabile da contrada a contrada, essendo in generale più esatta nelle vicinanze di centri abitati e lungo le principali arterie stradali, che non altrove. Essa pertanto, sia pel modo con cui venne corretta, sia per la scala troppo piccola, non poteva servire ad altro che a segnare linee generali, tenendo conto dei displuvii tra le valli di maggior momento e degli accidenti più notevoli del terreno. Di qui e forse anche dalla redazione del suddetto articolo 36 e protocolli relativi, non sempre felice, ebbero origine le difficoltà e le varie interpretazioni che non di rado diedero luogo a contestazioni ed a discussioni assai animate tra i commissari rappresentanti delle potenze europee.

Non era quindi possibile, in mancanza di altrì documenti cartografici, di eseguire, come pareva più razionale, il lavoro a tavola, inviando poi dei topografi a segnare praticamente il confine e limitando il lavoro della commissione a constatare sul terreno l'esattezza delle operazioni.

La commissione internazionale adunque era già venuta, prima ancora che io prendessi parte ai lavori, nel divisamento di percorrere passo passo la nuova frontiera, mettendo a brevi tratti, in massima da 200 a 300 metri, dei pali numerati, e facendosi seguire da una compagnia di pionieri serbi incaricata di segnare un solco, che doveva poi servire di traccia ai contadini per costruirvi una robusta barriera (1). Alcuni topografi degli eserciti inglese e ,russo seguivano la commissione e. servendosi del1a bussola, rilevavano la linea tracciata dalla commissione stessa ed una banda di terreno a cavaliere della linea medesimi, per l'estensione di circa 200 metri dall'uno e dall'altro Jato della frontiera. La commissione, per guadagnare tempo accampava là dove giungeva la sera.

Questo sistema che a prima giunta sembra piuttosto lungo, era poi in realtà il più spiccio, in mancanza, come dissi, di una buona carta di dettaglio; ed in ogni modo fu suggerito anche da considerazioni politiche, Jappoiché la nuova frontiera, spostando notevolmente gli interessi di quelle popolazioni alquanto arretrate sul cammino della civiltà, ed in genere poco soddisfatte dalle deliberazioni del trattato di Berlino, difficilmente sarebbe stata riconosciuta, quando non si fosse vista la commissione internazionale percorrere il terreno palmo a palmo e segnarvi materialmente la frontiera.

(l) La costruzione di una barriera era necessaria per evitare le continue contestazioni che hanno luogo, a causa dell'uso invalso tra quelle popolazioni, d'impadronirsi del bestiame altrui quando, pascolando sulla frontiera, la oltrepassi.

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Siffatto sistema venne quindi seguito anche nell'anno 1879, allorché, sul cominciare del maggio, furono ripresi i lavori interrotti nel novembre del 1878. Egli è indubitato però che, dal punto di vista puramente tecnico, il lavoro si sarebbe compiuto assai tempo prima, se ogni commissario avesse avuto con se alcuni topografi e fosse stato così possibile costruire una carta sulla quale si avesse avuto agevolezza di tracciarvi la frontiera. Il lavoro dei topografi infatti , com'era naturale, procedeva a rilento in confronto a quello della commissione, imperocché, mentre questa riesciva a segnare giornalmente da 20 a 25 chilometri di confine, quelli non giungevano che a rilevarne, un giorno sull'altro, da 8 a 10. Il ritardo derivava un po' dalla difficoltà del terreno un po' dal sistema di misurare tutte le distanze colla catena, un po' dallo scarso personale. Ciò portava un perditempo considerevole, di guisa che ogni tanto la commissione era costretta ad arrestare il lavoro, condannata, per attendere i topografi, a forzato riposo.

A mio avviso, si sarebbe potuto sensibilmente abbreviare le operazioni dei topografi e quindi accelerare il compimento dell'opera affidata alla commissione, limitandosi a rilevare la linea di confine e pochi punti di riattacco. Una linea spezzata, che desse la proiezione della frontiera, ed alcuni punti scelti come capi-saldi e ben determinati, sarebbero stati sufficienti, in qualunque evento, a fornire i mezzi alJe parti interessate di ristabilire la frontiera; ed alle operazioni, egli è evidente, si sarebbe data spinta maggiore. Che se ogni commissario avesse avuto con se un ufficiale, il lavoro sarebbe stato anche più celere, avvegnaché la commissione avrebbe allora avuto la possibilità di bipartirsi, lasciando agli ufficiali addetti il controllo sui luoghi dove non si avevano difficoltà, e riservando a se la soluzione sul terreno delle quistioni controverse e più importanti. Le cose però, al riprendersi dei lavori nello scorso maggio, erano pregiudicate, ed a me non pareva prudente toccare in certo modo la suscettibilità dei miei colleghi, domandando che fossero variate le deliberazioni da essi prese sin dal momento in cui principiarono le operazioni. Più tardi il commissario russo, a nome del generale Erenfeld che dirigeva i lavori di rilievo in Bulgaria, offrì alla commissione di servirsi dell'opera di diversi topografi russi, i quali si sarebbero ripartiti su quella parte di frontiera , tanto verso la Bulgaria, quanto verso la Turchia, non ancora delineata, ed avrebbero così agevolato il nostro lavoro.

I commissari furono solleciti di accettare, ad eccezione del turco, il quale ne riferì al suo governo che non tardò ad accogliere l'offerta, ponendo a disposizione dei topografi che dovevano lavorare sulla frontiera serbo-turca una scorta, ed inviando con loro alcuni ufficiali di stato maggiore, per controllarne le operazioni.

I russi seppero trar partito assai bene nel loro interesse, da questa concessione, spingendo i lavori di là della frontiera verso la Turchia, assai piit di quanto non facesse mestieri per

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la delimitazione. Fu questa la causa per cui i nuovi rilievi, quantunque fatti colla tavoletta e colla stadia, non progredirono quasi meno lenti di prima, avendo per soprassello i topografi russi, malgrado fossero scortati da truppe turche, trovato talvolta opposizione da parte delle popolazioni mussulmane di confine, che non vedevano di buon occhio cotesti operatori spingere i lavori sul loro territorio.

Ebbi occasione di esaminare le tavolette originali, di vedere sul terreno questi topografi e di constatarne la perizia.

Egli è inutile dire vostra signoria che, sempre quando sollevavansi dispareri fra i commissari, al lavoro sul terreno, succedevano immediatamente Je discussioni, svolte in apposite sedute ufficiali e riassunte in appositi protocolli.

Tale in succinto ed a linee generali fu il sistema di lavoro adottato dalla commissione, alla quale ebbi l'onore di appartenere.

Le operazioni così compiute (1) si estesero su cinquecento chilometri di frontiera, come risulta dai piani qui uniti, avendone percorsi, parte a cavallo e parte a piedi, circa quattro volte tanto, ed avendovi impiegato tre mesi e mezzo (2) .

Il nuovo confine.

Il territorio così annesso alla Serbia misura dodicimila chilometri quadrati, cioè poco presso la quarta parte del territorio antico; e la popolazione acquistata è di circa trecentomila abitanti, cioè poco meno del quarto della popolazione che il Principato contava prima dell'ultima guerra; ond'è che la superficie del principato consta ora in cifra tonda di 51.000 chilometri quadri con una popolazione di 1.654.000 abitanti, che è quanto dire 32,4 persone per chil ometro quadrato . Il nuovo territorio fu ripartito nei cinque distretti che hanno rispettivamente per capoluogo Nisch, Prokoplie, Lescovatz, Vrania e Piro t.

La Serbia quindi, in conseguenza dell'ingrandimento concessogli dal trattato di Berlino, ha oggi all'ingrosso la forma di un pentagono di cui:

l) il lato settentrionale è determinato dall'antico confine;

(l) Un comunicato del governo serbo inserto lo scorso agosto nella gazzetta ufficiale di Belgrado testimonia il soddisfacimento di quel governo pel modo con cui la commissione internazionale seppe condurre a fine i propri lavori.

(2) La mia assenza all'estero si protrasse per circa cinque mesi, essendosi dovuto attendere, dopo ultimata la delimitazione, il risultato di una domanda rivolta alla Russia alle altre potenze firmatarie del trattato di Berlino, nell'intento di far studiare la quistione di Arab-Tabia dalla commissione della Serbia.

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2) l'orientale dall'antico confine fino alla Srniljeva Cuka, dai Ciprovec Balkan e dai Kodza Balkan fino al Monte Radocina; il sud orientale da una linea convenzionale che si stacca dal Radocina, taglia le valli della Nichava e della Vissotcha e raggiunge presso lo Sto! lo spartiacque che segue fino al Monte Svati Ilia o Molina, tra la Morava da una parte, lo Strurna, la Soucova ed il Vardar dall'altra;

3) il sud occidentale da una linea convenzionale che interseca la Morava dieci chilometri a mezzodì di Vrania, dal displuvio fra i bacini della Vetemitza, della Medvedja e della Toplitza, e quello della Sitnitza fino al Monte Kotchatina, da una linea convenzionale fino al Kaniluk e dal vecchio confine fino al punto iri cui raggiunge la Drina;

4) il Iato occidentale finalmente dal corso della Drina fino al suo confluente nella Sava.

Dallo stato descrittivo che fa parte dei protocolli, è facile rilevare tutti quei più minuti dettagli relativi alla nuova frontiera, che mi pare non convenga qui ripetere.

L'aspetto generale del paese

La superficie del pentagono serbo è irta di colline, di rocce e di monti a forme poco spiccate e definite e di cui il dedalo a mala pena può seguitarsi. Appoggiata al sud a quella serie di altipiani che da Kossovo a Sofia uniscono le Alpi Illiriche ai Balcani, la Serbia forma nell'insieme una massa montuosa inclinata verso il Danubio a cui per conseguenza scendono tutte le acque di quella regione. La grande Morava e la Morava Bulgara dividono la Serbia in due parti disuguali, l'orientale solcata dal Timok, l'occidentale dal basso Ibar, e dalla media e bassa Drina. Coteste acque, hanno una direzione pressoché parallela da nord a sud; e la stessa direzione seguono in massima i contrafforti che le accompagnano e che danno origine ad un numero infinito di piccole valli di cui tra le principali note la Nichava, affluente della Morava Bulgara, e la Morava Serba, affluente della Grande Morava . Le linee geografiche caratteristiche sono tracciate ad Oriente dai Kodza Balkan che, costeggiando la destra della valle del Timok dalle sabbie d'oro e dai fianchi popolati di case e di vigneti, per Tajdavaka Planina e Veska Kuka, spingono fino al Danubio le loro estreme pendici. Dai Ciprovec Balkan un contrafforte dirige il suo cammino verso occidente tra la Nichava ed il Timok, di cui avviluppa le sorgenti, genera il blocco cretaceo del Rtanj a forma piramidale così regolare, dall'essere quasi tentati a dirlo opera dell'uomo, volge bruscamente a nord e per la Samainatz, la Solubinska ed il Pek Planina, tuffa nel Danubio le estreme sue falde, ricongiungendosi coi suoi contrafforti nord-orientali alle Alpi Transilvane attraverso le Porte di Ferro, dove un cataclisma pare abbia separato le montagne per lasciar libero il passo al fiume, tanto gli strati calcarei dell'una e dell'altra riva sono

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conformi. La parte settentrionale di questo contrafforte colle valli che pei suoi fianchi si gittano nel Timok e nel Danubio, costituisce l'inospite e selvaggia regione della Kraina.

Da quel contrafforte altri se ne diramano in direzione occidentale e nord occidentale, dando origine alle valli della Moravia e della Reseva affluenti della Morava, ed a quelle della Mlava e del Pek affluenti del Danubio.

I massicci più settentrionali di questi contrafforti corri· spondono ai monti metalliferi d'Oravitza situati sulla sinistra del Danubio, e, ricchi essi pure di filoni di rame, di ferro, di piombo, di zinco e d'argento, formano la regione metallifera del Principato. Le cime più elevate di questa regione sono il Rtanj e lo Stol alti sul livello del mare il primo 1239, il secondo 1250 metri.

Nella parte occidentale della Serbia un contrafforte si stacca dall'altipiano di Kossovo e, volgendosi al nord, separa le acque del Leim, affluente della Drina, da quelle dell'Ibar; alla Golia Planina raggiunge lo spartiacque tra il Lim stesso e la Morava serba; volge quindi ad occidente accompagnando il corso del Liro fino alla Cigota Planina, poi a settentrione lungo il displuvio tra la Orina, la Morava serba e la Holubava, affluente del Danubio, protendendo le due ultime pendici sulle sponde della Orina presso Lesnica, dove comincia la regione pianeggiante e paludosa della Maschva sulla destra della Sava. Il suo fianco di ponente è squarciato da brevi ed inospite valli, mentre sulle pendici di levante si assidono l'ampio bacino di Uzice e quelli di Cacac, di Karanovatz, di Trstenik e di Krucevatz, paragonabili per le loro esuberanti ricchezze alle pianure lombarde; e la ridente ed ubertosa zona dei colli che allietano coi loro frutteti la valle detla Holubava.

Un altro contrafforte staccandosi dalla Golia Planina separa il basso corso dell'Ibar e l'altro corso della Morava serba che strozza fra gli opposti sproni di Ovcas e di Kablar; e, penetrano fra la Kolubovo e la Morava, dà vita al massiccio del Rudnik dalle rocce cretose; e, formando diversi gruppi di. basse montagne e di colline dai profili tondeggianti e dolci spinge al Danubio ed alla Sava le ultime falde sulle quali sorge Belgrado !a bianca città, l'antico Singiduno. lvi tra i monti che attornano il Rudnik, è la regione della Chumadia che fu la cittadella della serba libertà.

Finalmente tra le due Morave innanzi le sue cime il più altiero massiccio della Serbia, dominato dalla vetta del Kopaonik, punto culminante di tutte le montagne che sorgono tra la Sava ed i Balcani. Esso si appoggia all'altipiano di Kossovo e spinge un contrafforte verso settentrione sulla destra dell'Ibar, fino al suo confluente nella Morava serba, mentre, verso levante, da forma al contrafforte di Lepenac e di Iastrebac, che tiene fra loro disgiunte le due Morave. Le più alte cime di questa zona, quelle cioè del Kopaonik, e dello Storac misurano rispettivamente 2106 e 1104 metri sul livello del mare.

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Tali sono i lineamenti generali del pentagono serbo, ora montuoso, ora pittoresco, ricco d'acque dovunque, coperto quà e là da foreste di faggi c di querce, dove Ja scure ha appena cominciata l'opera sua struggitrice, fertile e coltivabile fin sulle più alte cime. Un sepolcrale silenzio domina in genere sul!e serbe campagne. I - della fauna c dd la flora non hanno nulla di originale. I monti della Dalmazia e della Bosnia che privano la Serbia della influenza benefica dei venti di sud-ovest; mentre i venti freddi delle steppe della Russia vi soffiano liberamente, al di sopra delle pianure valacche, fanno rigido assai il clima di quel paese, malgrado trovisi sotto la stessa latitudine della Toscana. I frequenti sbalzi di temperatura rendono penosa al forestiero l'acclimatazione. Le ripide pendenze poi delle sue principali montagne, le valli profondamente scolpite, le scarse comunicazioni praticabili ai carri, gli estesi e fitti boschi d'alto fusto, rendono quel paese poco adatto alle manovre delle grandi masse.

Le quistioni di Vrania e di Prepolac.

Veduto così nel suo complesso geografico il nuovo Principato, non mi pare inopportuna una parola sulle quistioni di maggior rilievo risolute durante la delimitazione. Esse si riferiscono al tracciato della frontiera presso Vrania e presso Prepolac.

Codeste quistioni preoccuparono molto anche i plenipotenziad al congresso di Berlino, comeché solo su questi due punti della frontiera fossero in gioco interessi commerciali e militari di notevole importanza, sopratutto nelle condizioni politiche nelle quali veniva ad essere posta la Serbia a fronte delle popolazioni limitrofe, in seguito alle stipulazioni del trattato.

Io mi asterrò dall'entrare in dettagli sulle discussioni e soluzioni di codeste quistioni, dappoiché la loro analisi non può oggidì avere che un valore retrospettivo di lieve momento, e mi limiterò a discorrere piuttosto delle conseguenze che dal punto di vista commerciale e militare derivarono alla Serbia dal tracciato della nuova frontiera a Vrania ed a Prepolac.

Vrania.

Vrania conta ventimila abitanti di nazionalità serba e pochi turchi troppo poveri o maJaticci per aver potuto abbandonare la città durante la guerra (l). Essa dista soltanto dieci chilometri dalla frontiera turca. Posta nella parte nord di un bacino di dieciotto chilometri di lunghezza e sei di larghezza appartenente alla Morava Bulgara, e circondata da monti quasi

(l) Tutti i turchi che si trovavano nel territorio annesso alla Serbia, in forza del trattato di Berlino, abbandonarono le loro case ed emi!!rarono nei paesi ancora soggett al sultano durante la guerra del 1876-77.

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inaccessibili, non permette altro sfogo al suo commercio che per le vie di Leskovatz, di Gilan e di Uskub.

La distanza reale da Vrania per Leskovatz a Belgrado, non è che di pochi chilometri maggiore della distanza da Vrania per Uskub a Salonicco; ma la distanza virtuale, dappoiché la via da Vrania per Salonicco raggiunge la strada ferrata ad Uskub, è di sette giorni da Vrania a Belgrado, e di soli due giorni da Vrania a Salonicco. E ' bensì vero che a Belgrado le mercanzie trovano due grandi linee fluviali; ma Salonicco è uno dei più importanti porti di mare.

Da queste premesse è facile arguire come il commercio di Vrania, prima del trattato di Berlino, non impedito da barriera di sorta, dovesse gravitare al mare Egeo verso il sud, anziché al Danubio verso il nord. Questa legge, originata dalla configu· razione stessa della penisola Balcanica e dalla posizione di Vrania, fu dal commercio di questa città seguita fino aU'ultima guerra.

Vrania provvedeva dei suoi prodotti tratti dalla canape in cordami, in cinghie, in tappeti, il Montenegro, l'Albania e la Macedonia, e, ad Antivari ed a Salonicco, i mercanti scambiavano le loro mercanzie coi prodotti del mondo intero, potevano generosamente pagare ai contadini la canape che essi coltivavano con molta cura. Oggi questa condizione di cose è completamente cambiata.

La nuova frontiera taglia a metà ìl bacino di Vrania, e, mentre lascia la città ed il centro del commercio alla Serbia, conserva alla Turchia la maggior parte del terreno di produzione e tutta la zona di smercio. Le antipatie nazionali intervengono a far peggiorare la situazione ed impediscono ai mercanti di passar la frontiera. E' così che il commercio deperisce, e la città di Vrania va decadendo. Vi si vede ancora qualche commerciante proveniente dall'Albania; ma, perduta la confidenza nella sicurezza della frontiera, i mercanti di Salonicco sono scomparsi.

Né in condizioni migliori trovasi Vrania dal punto di vista militare. Questa città, avendo avanti a se una pianura di soli otto chilometri di larghezza, solcata da una riviera che corre perpendicolarmente alla frontiera turca ed al fronte strategico serbo, non offre una posizione tattica adatta per la sua difesa. Il terreno e le comunicazioni non essendo favorevoli ai serbi, questi dovrebbero avere almeno la superiorità del numero, per potere efficacemente difendere la città; il che sarà difficile ottenere, sovratutto al cominciare delle ostilità, essendo Vrania il punto più lontano dal centro del Principato. Il solo modo quindi di opporsi ad un attacco sarebbe la trasformazione di Vrania in una piazza forte, messa in rapporto col centro del paese per mezzo di una ferrovia. Se si fosse dato alla Serbia tutto il bacino di Vrania compreso Concul sulla strada di Ilan, e Samolice su quella di Kumanovo, sarebbe stato possibile garantire la sicul'ezza della città sbarrando i due accessi meridionali del bacino. 112!

Prepolac.

Prepolac è un piccolo villaggio situato quasi al colle che mette in comunicazione, per una buona strada rotabile, la valle della Toplitza, affluente della Morava Bulgara, con quella del Leab affluente della Sitnitza_ Questa strada è la sola praticabile ai carri che dalla Bosnia e dall'alta Macedonia penetri nel Principa to. Essa dal colle fino a Kourchunlia per un tratto di circa quindici chilometri, percorre, discendendo quasi continuamente, una stretta assai angusta neJla valle deJla Baniska fiancheggiata da monti ripidi ed in gran parte coperti da fitti boschi d'alto fusto. Nell'interno della stretta riesce difficile, a causa appunto delle condizioni del terreno, pressochè impraticabile sui fianchi, una valida difesa. Gli è quindi agli sbocchi che conviene difenderla, e sopratutto allo sbocco sud, dove dal colle e dalle alture circostanti, s i domina tutto il versante meridionale.

Il possesso dello sbocco meridionale della stretta favorisce pure eziandio le operazioni offensive e controffensive, tendo alle colonne di spiegarsi al coperto e sboccare con facilità, in un terreno accessibile quasi dovunque anche all'artiglieria.

Si aggiunga a ciò che da Prepolac a Nisch, uno dei principali centri del Principato, corrono solo novanta chilometri; e che, superata la stretta di Prepolac, non s'incontrano, fino a quel centro, difficoltà rilevanti, e di leggero apparirà quanta importanza mettessero le parti interessate, per essere poste in possesso dello sbocco sud della stretta di Prepolac.

L'avere la commissione seguito in massima lo spartiacque, mise cotesto sbocco nelle mani della Serbia, la quale acquistò così il mezw di fare una difesa tanto più valida, in quanto per la valle della Kostainica, laterale e vicina a quella della Baniska, avvi modo di piombare con colonne di fanteria sul fianco destro di chi si avanza dalla Bosnia o dall'alta Macedonia nelJa direzione di Prepolac (1).

Riassumendo quindi dirò che in forza del nuovo trattato

(1) Le eliscussioni sulla questione di Prepolac che avevano preso un carattere pittosto acre in seno alla commissione, furono solle\-ate dalle cause cui accennai più sopra, cioè dalla poca chiarezza del trattato e dei protocolli e dal difetto di una carta sulla quale, la commissione militare a Barlino avesse potuto basare le sue considerazioni. Una nota, a mio avviso abilissima, del ministro degli Affari Esteri Sig. Ristitch [Jovan Risi6.], eliretta alle grandi potenze d'Europa, alcuni giorni prima che si trattasse la questione di Prepolac, tendente a domandare una revisione eli confine nelle vicinanze eli Vrania, in vista dei gravì danni economici che a quella città erano derivati dal tracciamento della nuova frontiera, indusse le grandi p<?tenze, pur non consentendo (la Germania credo eccettuata) ad una rev1sione, ad impartire però ai loro commissari istruzioni in senso favorevole agli interessi del Princpato nelle quistioni che sarebbero insorse sulla frontiera serbo-turca Senza di ciò difficilmente la quistione di Prepolac sarebbe stata risolta.

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della frontiera il commercio di Vrania, durando lo stato attuale di cose,· è irreparabilmente perduto; che la città ed il cofine da quella parte non hanno difese naturali; Iaddove Prepolac invece trovasi in buone condizioni militari.

Le nazionalità conculcate.

Né codeste sole furono le conseguenze della delimitazione, imperocché altre ne derivarono, le quali se non così intimamente ad essa legate, come quella di Vrania e di Prepolac ciò non di meno vi hanno pure abbastanza stretti rapporti. Esse traggono essenzialmente la loro origine dal fatto che al congresso di Berlino non si tenne abbastanza conto del principio di nazionalità e delle considerazioni etnografiche.

Comprendo perfettamente come nel caos inestricabile di nazionalità sovrapposte le une alle altre nella penisola dei Balcani, ed a fronte del mosaico indescrivibile di religioni, di tradizioni storiche e di ambizioni contrastate. tornasse assai difficile, o forse impossibile, la soluzione del problema di segnare i nuovi confini in modo che, tenuto conto di tutte le circostanze alle quali dovevasi pur badare, si desse il dovuto peso alle nazionalità. Ma là dove sarebbe stato possibile dare dei limiti naturali, pur tenendo conto delle nazionalità e della maggior parte, se non di tutte, le altre condizioni anche del momento, panni sarebbe stato provvido il farlo.

Per lo contrario prevalse sopra tutto il concetto politico, di modo che, senza avere sufficiente riguardo alle nazionalità anche là dove era possibile di farlo, non lo si fece; ed alla Serbia furono annessi territori abitati da albanesi e da bulgari, mentre non le furono annessi territori abitati da serbi.

Ciò diede luogo a proteste da parte delle popolazioni dei distretti di Trua e di Bresnitza, che, serbe, furono annesse alla Bulgaria; a minacce ed a vie di fatto da parte delle popolazioni albanesi scaglionate sulla frontiera serbo-turca, e cedute alla Serbia; a lamenti da parte delle popolazioni del distretto di Pirot che, bulgare, almeno in gran parte, furono unite al Prin· cipato.

E qui è prezzo dell'opera porre in rilievo come nell'animo di quel popolo sia profondamente radicato il sentimento di nazionalità, di guisa che non di rado popolazioni d'interi villaggi sulla nuova frontiera serbo-bulgara presentarono alla commissione, domandando varianti al confine stabilito dal trattato. Gli uomini implovarano, le donne ed i fanciulli piangevano. Era penosamente bella la vista di cotesta gente che, nata e vissuta nei suoi monti e pressoché separata dal mondo civile, pur aveva così profondamente radicato nell'animo il sentimento della propria nazionalità, che, allora quando i nuovi limiti furono segnati sul terreno molti non esitarono ad abbandonare le loro case e le loro terre, passando dal territorio bulgaro sul

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territorio serbo, o prima, o contemporaneamente, o poco dopo lo sgombro delle autorità serbe dai loro distretti.

Eppure quanto spirito di rassegnazione e di obbedienza! Essi stessi i contadini, uomini, donne e fanciulli camminavano colla commissione e . piantavano i pali che dovevano ségnare n confine e separarli dalla loro patria. E ciò facevano colla disperazione nel cuore, ma convi nti di compiere un dovere, dappoiché le prestazioni personali presso il popolo serbo tengono luogo d'imposta. Che se sulla frontiera bulgaro-serba le popolazioni limitavansi a proteste e manifestazioni moderate e pacifiche, non così sarebbe successo alla nuova frontiera serboturca, dove gli albanesi fieri e mezzo selvaggi non avrebbero mancato d'impedire aUa commissione colle armi alla· mano di segnare la nuova frontiera, se un battaglione di soldati turchi non ci avesse scortati. E parlo solo del battaglione di turchi, malgrado ci scortasse anche un battaglione di serbi, imperocché gli albanesi erano tenuti in rispetto non già dalla paura, che non sanno dove stia di casa, ma solo dal fatto che nei turchi riconoscevano i loro naturali signori e correligionari.

La quistione albanese o degli arnauti.

E qui, giacché mi trovo su questo terreno, non credo inutile sviluppare brevemente la quistìone albanese nei suoi rapporti col Principato. E' cotesta una quistione di attualità ed, a mio avviso, di molto peso.

Sul cadere del secolo XVIII, trentasette mila famiglie serbe, condotte dal loro patriarca Arsene Scharnoevitch, sollecitato per ciò dall'imperatore Leopoldo I d'Austria, abbandonarono, per sottrarsi alla dominazione turca, il paese dei loro padri e ripararono nella Syrmia e nella Slavonia. Fu in quel torno di tempo che alcune famiglie albanesi, venute da mezzodì della penisola, occuparono porzione del territorio lasciato sgombro dai serbi e, trovatolo fertile e ricco, vi si stabilirono.

La parte alta delle valli della Veternica e della Medvedja e la parte media della ubertosa valle della Topolitza, affluenti tutti della Morava Bulgara, furono anch'esse in tal guisa occupate dagli albanesi più comunemente conosciuti col nome di arnauti, che nella lingua del paese vuol dire valenti. Durante la guerra ultimamente combattuta nella penisola Balcanica, costoro, dopo essersi opposti armata mano, unitamente alle truppe turche, all'avanzare di quella parte dell'esercito serbo che agiva nella direzione di Pristina e di Kumanovo, avevano finito per sgombrare i loro villaggi, le loro case, i loro terreni divenuti spesso teatro di sanguinosi combattimenti, e caduti alla fine nelle mani dei serbi.

La linea di demarcazione segnata dopo l'armistizio del 31 gennaio 1878, lasciava gli avamposti serbi nelle posizioni da essi occupate al momento in cui l'armistizio fu conchiuso; ed il trattato di Berlino, sebbene fissasse una linea di frontiera in gene-

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rale più interna di quella di demarcazione, pur non di meno inglobava al principato una certa porzione del territorio degli arnauti e più specialmente le valli dianzi indicate. Rimasti così gli albanesi senza tetto e senza risorse, presero a fare continue incursioni nel territorio occupato dai serbi, depredando tutto quanto capitava loro sottomano e sopratutto bestiame. Egli è davvero uno stato di perpetua guerra su quella frontiera, di guisa che la Serbia è costretta tenervi continuamente scaglionati diversi battaglioni (1)

Cotesta condizione di cose, già per se stessa tale da preoccupare seriamente chi ha nel Principato la direzione dei pubblici affari, diviene gravissima se si pensa all'accanimento feroce con cui gli arnauti si gettano sulle truppe serbe e sulle popolazioni, non risparmiando talvolta nemmeno le donne ed i fanciulli; alla natura selvaggia di quelle regioni che offre continui e facili ripari nascondigli; all'indole coraggiosa dei combattenti; all'odio che li eccita; alle buone armi di cui sono provvisti, essendo essi armati di fucili Peabody Martini; all'appoggio che trovano al di là del confine.

Né qui si arresta il guaio; perocché non è difficile comprendere come, nelle condizioni fatte alla Serbia dal congresso di Berlino, le sue aspirazioni debbono più presto indirizzarsi al di là della frontiera verso occidente per stendere la mano ai fratelli della Bosnia e dell'Erzegovina, che non altrove. E' nella direzione di quelle contrade che, in date contingenze, dovrà evidentemente agire il piccolo ma valoroso esercito serbo. Or bene a quali difficoltà non andrà esso incontro cogli arnauti sui fianchi ed alle spalle delle poche c non facili linee di comunicazione, attraverso un terreno coperto in gran parte da fitti boschi dei quali ogni angolo più remoto, ogni rupe, ogni sentiero è noto a questi uomini dall'eroismo quasi selvaggio ?

Io che, interrogato, faceva conoscere al signor Ristich, presidente del Consiglio dei ministri ed al ministro della Guerra il colonnello Michiekovitch questi miei pensamenti, io mi permetteva pure suggerire, incoraggiato da loro, i modi coi quali avvisare al rimedio. Entrate diceva, in trattative coi capi degli arnauti che lasciarono deserti i colli ed i villaggi sul vostro territorio, e date loro affidamento che, rientrando negli abbandonati focolari, avranno i loro preti, i loro giudici e le armi loro alle quali portano grandissimo affetto; assicurateli che saranno esenti dal servizio militare, purché essi stessi custodisca-

(l) Il discorso eronunciato il 5 dello scorso dicembre, a Nisch dal Principe Milano all apertura della sessione della Skupchtina (Skupcina) contiene il seguente passaggio allusivo appunto alla situazione difficile sulla frontiera verso Pristina e Novi Bazar: c Diedi ordine che l'esercito sia messo sul piede di pace. Le forze però necessarie per difendere la nostra frontiera saranno conservate sul piede di guerra •. Queste forze a quanto mi risulta, costano della brigata della I classe del distretto di Chabatz col suo squadrone e di alcuni battaglioni dell'esercito petmanente.

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no la frontiera, il che soddisferà la loro fierezza individuale ed il loro amor proprio, e garantite loro che non pagheranno tasse al di là di quanto pagavano al governo della Sublime Porta e che potranno prender posto nella Skoupchtina, e così via, e voi a poco a poco pei rapporti che stringerete con essi, arriverete ad amicarveli; ed anziché averli un dì accaniti e terribili nemici, li avrete fieri e validi sostegni. Codeste ragioni parmi impressionassero le persone a cui io aveva l'onore di parlare; ma un partito che, a quanto si dice, è inspirato dall'alto, non ama venire a patti cogli albanesi ed agogna invece a sterminarli. Non saprei qual peso dare a simili voci che, nello scorso agosto a Belgrado, eransi fatte piuttosto insistenti, ma se davvero prevalesse tale condotta, vi sarebbe da rammaricarsene profondamente.

Nel medesimo senso da me esposto a vostra signoria so avere più volte il nostro ministro a Belgrado parlato col signor Ristich, e so pure avere il commissario russo riferito al proprio governo.

Tale è la quistione albanese, nei rapporti col Principato, quistione che diede luogo a molte note del governo serbo e del governo turco; quistione che oggi pesa come un permanente pericolo sulla povera Serbia e che un giorno potrebbe pesare come rimorso sulla diplomazia europea, la quale parmi sonnecchi a proposito di codesta quistione che potrebbe essere l'origine di un vasto incendio in quelle regioni dove poca favilla gran fiamma seconda.

Coteste in breve sono le notizie d'indole tecnica e politica relative alla delimitazione, le quali, perché non mi parvero prive di qualche interesse, riassunsi in questa prima parte del mio rapporto.

Nella seconda parte di esso accennerò brevemente alle condizioni politiche, sociali e militari del Principato, sentendo però il dovere di rinnovare qui più che mai le dicharazioni fatte sul cominciare di questo scritto.

II. LE CONDIZIONI POLITICHE

I rapporti serbo-russi.

Politicamente la Serbia conta oggidì 1.600.000 abitanti di cui la maggior parte serbi. Etnograficamente invece comprende quasi tutti gli slavi del sud o iugo-slavi; la Bosnia, doè, l'Erzegovina, il Montenegro, i due o tre milioni di sloveni delI'Istria, della Dalmazia, della frontiera militare austriaca, della Carinzia, della Carnia e dei confini stiriani. Un complesso da dodici a quattordici milioni.

I legami che univano questi popoli sono da lungo tempo infrantì; le aspirazioni però della maggior parte di essi sono concordi, e la grandezza futura della Serbia è il faro verso cui ogni

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serbo tiene continuamente fisso lo sguardo. Non è possibile parlare con un serbo senza che vi manifesti la profonda convinzione che la ricostituzione delle nazionalità slave del mezzodì, non possa un giorno coronare i loro sforzi.

L'occupazione della Bosnia e dell'Erzegovina da parte dell'Austria è il loro incubo odierno: vedendo essi di mal occhio l'avanzarsi dell'Austria in Oriente, e leggendo nel cuore di questa il pensiero di assorbirli o presto o tardi. I serbi per ciò, trasportati dalla fantasia, o dal desiderio, considerano fin d'ora come loro alleati futuri gli italiani, verso cui si sentono animati dalle più vive simpatie; e considerano gli austriaci come loro futuri nemici. La Serbia però oltrecché sull'Italia fonda ancora più, com'è naturale, le sue speranze sulla Russia.

Gli è dal 1860, all'epoca eroica di Kara-Georg che la Serbia divenne fedele alleata della Russia. Cotesta alleanza che fino ai giorni nostri si mantenne solida e potente non devesi considerare cementata soltanto dai rapporti politici dei due governi uniti da comuni interessi, ma ancora dai sentimenti che animano le due nazioni di cui le origini sono comuni, comune la religione, comune il nemico con cui ebbero a combattere, comune quello contro il quale si troveranno probabilmente a fronte.

« Noi slavi » - diceva Pietro I, vladika del Montenegro, al Duca d!i Ragusa, che riferisce queste parole nelle sue memorie, - « noi slavi non concepiamo speranza e gloria che uniti ai nostri potenti fratelli di Russia; se essi periscono tutti gli altri slavi periranno; e chi è contro i russi è contro gli slavi». E l'eloquente poeta del secolo XVIII il croato Krijanich, su tal proposito scrive: «Non vi saranno due nazioni, né due gregi, ma un sol gregge ed un sol pastore. Serbi e russi si credono nati ad un solo destino, la gloria degli uni è quella degli altri; l'infortunio della Russia è l'infortunio della Serbia. S'ingannerebbe però a partito chi credesse che il serbo domandi al russo protezione o dominio; il serbo non domanda, non accetta e non accetterà che un'alleanza. Ed i russi lo sanno». E tanto è ciò vero che, allora quando. compiuta la delimitazione sulla frontiera tra Cru, Vich ed i Kodza Balkan, i distretti serbi di Tru e di Bresnitza che, occupati dalle autorità serbe, dovevano da queste essere sgombrati, per passare sotto la dipendenza delle autorità bulgare, i russi penetrarono in quei distretti militarmente, avanzando con tutte quelle precauzioni che soglionsi impiegare allorché si tratta di occupare un paese nemico.

Ciò mi pare assai significativo, imperocché mi è una riprova che nello spirito dei serbi sono sempre vive le parole dette da Milosch al console russo sul cominciare del secolo: «noi saremo vostri alleati, ma non mai vostri vassalli ».

Politica cotesta inspirata al concetto d'indipendenza, che

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nella Serbia divenne tradizionale, non volendo essi né il sultano di Istambul , né lo zar di Pietroburgo.

Anche la discussion e del recente statuto bulgaro fu una conferma della corrente che, a fronte della Russia, prevale in quelle popolazioni. La Russia dopo aver tanto contribuito alla risurrezione della Bulgaria, volle aggiungervi il presente di una costituzione elaborata a Pietroburgo. Cosa strana cotesta, che il paese il più autocrutico de1 mondo civile, abbia pensato ad elaborare uno statuto pe r un paese appena costituitosi. Il principe Doudokof aveva preparata l'assemblea dei notabili in modo da sperare che i settanta articoli del suo statuto non avrebbero subito modificazione veruna. Invece niente affatto. Tranne l ' ordine, la forma , l'apparenza, nulla venne approvato e ben poco di quella costituzione. Ne fu fatta una discussione lunga, minuta, accurata, e quando lo statuto ritornò a Pietroburgo era tutto mutato. Anchl' l'elemento bulgaro quindi, per quanto slavizzato, non ha nessuna voglia di essere sotto il protettorato e la tutela dello zar di Pietroburgo. L'elemento slavo misto al finnico ha dato vita da una popolazione che non sarà certo mai strumento di utopie panslaviste.

Il panslavismo e la co s tittdone di uno Stato degli slavi del sud .

Ond'è che l'Europa liberale, anziché farsi un fantasma del panslavismo, dovrebbe assecondare lo sviluppo della nazionalità slava come la sola e vera ancora di salvezza contro l'invasione di questo temuto fantasma.

La trasformazione degli slavi del sud in una sovranità nazionale ed indipendente, che prenda posto nella famiglia degli Stati, potrà servire indubbiamente al mantenimento dell'equilibrio in Europa. L'Italia sopratutto parmi dovrebbe favorire contesta trasformazione. Egli è evidente che l'Austria, aiutata dalla politica del principe di Bismark, cerca di spostare il suo centro di gravità e costituirsi d'attorno un grande impero, formato dagli slavi del sud e dell'occidente , da contrapporre al panslavismo moscovita.

Se l'Austria riuscisse a consolidarsi in oriente e ad estendervi la sua influenza, gli è certo che farebbe dell'Adriatico, che è mare italiano, un mare austriaco. Quale situazione dannosa creerebbe all'Italia simile stato di cose è agevole comprendere. Il possesso di un gruppo di isole sulle coste della Dalmazia e quello di un porto sicuro sulle coste dell'Albania, sono necessità vitali pel nostro paese, per la difesa delle coste italiane, per avere una buona fase offensiva verso le coste austriache. Quale base ha mai infatti oggidì la nostra flotta sul litorale Adriatico ? Taranto è troppo lontana da Pola e da Trieste; i nostri principali obbiettivi marittimi , in caso di gue rra colla monar· c hia austro-ungarica; ed Ancona è porto troppo angusto e mal difeso. né adatto ad esse rlo fortemente. Egli è perciò che la nostra flotta cercò nel 1866 un punto d'appoggio a Lissa. Ora sarà egli più agevole per l'Italia porre il piede sulle coste adria-

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tiche o su qualche isola de1la Dalmazia, quando uno stato, costituito dagli slavi del sud, sia giunto al mare; oppure lo sarà di più quando gli al.lstriaci abbiano ivi estesa e rafforzata la loro base marittima ? E qual sicurezza avrebbero le nostre coste e la nostra flotta se -l'Austria arrivasse ad estendere codesta base? Né ciò basta ancora, avvegna chè spostata la sfera d'attività dell'impero austro-ungarico verso l'oriente, l'Italia a lungo andare si troverebbe molto probabilmente ad avere alle porte nord-orientali di casa sua, non già uno stato a mosaico come quello d'oggidì, ma un grande, compatto e potente Impero tedesco; e noi vedremmo l'Adriatico diventare non solo mare austriaco ma anche mare tedesco. Uno stato costituito dagli slavi del suo terrebbe invece in rispetto l'Austria; e l'Austria terrebbe in rispetto cotesto Stato; e l'Italia, a fronte dei due vicini, e questi, a fronte dell'Italia, non avrebbero nulla a temere! imperocchè si sarebbe con ciò stabilito davvero l'equilibrio delle forze.

L'Italia dunque non dovrebbe esitare a trar partito colle dovute cautele delle vive simpatie delle quali gode tra gli slavi del sud, e ad assecondare con prudente ardimento la costituzione di quelle popolazioni in uno Stato autonomo od in una confederazione di Stati. L'Italia non farebbe così che seguire quella politica liberale e fortunata in nome della quale è sorta e sta, ed in nome della quale a Berlino avrebbe potuto estendere ed accrescere la propria influenza, giovando a se medesima ed alle popolazioni della penisola orientale.

Ripensando alle discussioni ed ai risultati di quel congresso, parrebbe quasi, come taluni affermano, che meglio sarebbe valso non intervenire fra le grandi potenze anziché porre la propria sanzione su deliberazioni contrarie al principio di nazionalità e certo non favorevoli al nostro paese e concordate tra Andràssy e Salisbury, i quali in fondo furono, consenziente il principe di Bismark, gli arbitri della situazione, quando, a rigor di logica, gli arbitri avrebbero dovuto essere le potenze disinteressate. E' vero bensì che avvi chi crede vano ormai contrastare all'Austria il suo fatale andare, sorretta e sospinta com'è dal gran cancelliere; e certamente che è questa una faccia del grandioso prisma politico orientale, cui dovrebbesi dedicare studio accurato ed approfondito, e che potrebbe anche sconvolgere ogni sorta di ragionamento, quantunque basato sull'equità e la logica. Siffatto studio però comechè estraneo al carattere di queste modeste considerazioni dedotte soltanto, come dissi, dalle mie personali osservazioni, lascerò in disparte, non volendo e sopratutto non potendo, per difetto specialmente di una buona parte dei necessari elementi, discorrere come si converrebbe del grave argomento.

L'Austria intanto nella Bosnia e nell'Erzegovina non si trova su di un letto di rose; né i piccoli eserciti del Montenegro, della Serbia e della Bulgaria sono da tenersi in poca considerazione imperocché duecentomUa uomini, che a tanto ammontano almeno le forze riunite di quegli eserciti, nelle costole di

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chi dalla Bosnia si voglia spingere verso il mezzodì della penisola, in un terreno irto di difficoltà e dove l'insurrezione non mancherà probabilmente di scoppiare vasta e terribile, potrebbe porre l'esercito austro-ungarico in difficile situazione. E forse che le popolazioni slave soggette all'Austria non vorranno approfittare delle circostanze? E forse che la Turchia munisce Salonicco di fortilizii per !asciarseli portar via senza colpo ferire?

« Il primo sovrano che nel mezzo della prima gran mischia - scriveva Napoleone a S. Elena - abbraccerà di buona fede la causa dei popoli, si troverà alla testa dell'Europa e potrà tentare tutto ciò che vorrà». E la causa dei popoli, che è sempre una causa giusta a lungo andare finisce col trionfo.

«Mantenere l'Impero ottomano per mantenere l'equilibrio europeo - diceva Guizot - e, quando per la forza delle cose, pel corso naturale dei fatti, qualche smembramento si operi, qualche provincia si distacchi da questo Impero in decadenza, favorire la trasformazione di questa provincia in una sovranità nazionale ed indipendente, che prenda posto nella famiglia degli Stati e possa servire un giorno al nuovo equilibrio europeo, ecco la politica che conviene alla Francia ».

Ed ecco si potrebbe aggiungere, la politica che conviene anche all'Italia ed all'Europa se si vuole che la tranquillità si sostituisca all'inquietudine e che le continue lotte, le quali agitarono e forse agiteranno per lungo tempo ancora la penisola turca, cedano il posto ad uno stato di pace che spiani la via alla civiltà ed alla prosperità di quelle popolazioni.

Certo che molte e gravi difficoltà si frappongono all'attuazione di questo concetto; ma dappoiché gli è ormai ammesso che il regno degli Osmanli in Europa debba finire, così parmi desiderabile per la tranquillità e la pace europea che il dominio di ciascuna delle razze prevalenti nel paese dei Balcani, la slava, la greca, l'albanese, la bulgara sostituisca a questo logoro regno un'autonomia dapprincipio incompleta, ma indubbiamente perfezionabile, collo sceverarsi delle razze, quando, come accade sovente in quei paesi, le dominate emigrino; oppure coll'assimilarsi delle stesse e confondersi tra loro, quando allo spirito di razza prevalga, come talvolta succede, la forza prepotente degli interessi.

« Questo concetto, che ai politici più empirici può parere soverchiamente teorico e speculativo - dice il Bonghi in un suo pregevole scritto sulle razze e lo Stato in Turchia, - è in realtà il solo pratico; e finirà col vincere, perché, quantunque non vada propriamente a genio di nessuna delle potenze che più s'ingeriscono della questione d'Oriente (l), e cui questa più preme, pure è la combinazione che contraria meno di ogni a1tra i disegni e gli interessi dell'una o l'altra di loro. E solo avendo la mira a quella, esse potranno equilibrare la loro politica, e

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(l) Su ciò faccio le mie riserve per quanto riguarda la Russia.

conciliare insieme le loro condizioni attuali colla necessità dell'avvenire)).

La trasformazione adunque della penisola turca in stati autonomi, sotto qualunque aspetto la si consideri, sembra la soluzione più razionale ed equa del problema orientale già intricato per sé e reso più intricato ancora da una politica assorbente la quale col tempo potrebbe nuocere anche alle stesse potenze interessate, non altrimenti della pietra che lanciata dal pazzo gli ricade sul capo.

. Davvero però che cotesta della politica europea nei rapporti coll'Oriente è una quistione assai delicata e complessa, e dove il terreno brucia di sotto; ond'è che io ben volentieri avrei fatto a meno anche solo di parzialmente sfiorarla, se non vi fossi stato tirato dalle circostanze, e soprattutto dal fatto che pensieri conformi a quelli da me a larghi tratti delineati, sentii talvolta manifestare a Belgrado ed altrove nel Principato. Di modo che, a mio credere, era pur d'uopo ne tenessi parola, come di un'impressione rimastarni nell'animo e come di cosa che vale, se non prendo errore, a maggiormente lumeggiare la tela su cui trassi alla meglio il pennello.

La quistione ferroviaria

Così fatto spirito di avversione a fronte dell'Austria venne in questi ultimi tempi aumentando ancora presso i serbi a causa della quistione ferroviaria.

L'articolo 38 del trattato di Berlino sostituisce il Principato della Serbia alla Sublime Porta, negli obblighi contratti tanto verso l'Austria-Ungheria, quanto verso la società delle ferrovie della Turchia d'Europa, sia in rapporto al completamento ed al raccordamento colle ferrovie turche ed austriache, sia riguardo all'esercizio delle ferrovie da costruirsi sul territorio del Principato e stabilisce che le necessarie convenzioni per regolare codesta quistione saranno combinate tra l'Austria-Ungheria, la Porta, la Serbia e la Bulgaria. Il governo del Principato affrettassi ad inviare i propri rappresentanti a Vienna, dove, in concorso coi rappresentanti dell'Austria-Ungheria, venne lo scorso estate firmato un progetto di convenzione per la costruzione ed esercizio delle strade ferrate. Coteste ferrovie debbono congiungere Nisch a Belgrado ed allacciarsi alle ferrovie turche, verso mezzodì nelle valli della Sitnitza o del Vardar ed in quella della Maritza, ed alle ferrovie della Slavonia a settentrione ( 1 ) .

{l) Dalla valle della Sitnitza attraverso la Bosnia e l'Erzegovina l'Au· stria intende costruire una ferrovia che riunisca la monarchia a Salonicco sull'Egeo. Questa ferrovia però non potrà essere tanto presto compiuta, a causa delle enormi difficoltà di terreno che si dovranno superare, di guisa che sembra necessaria una gaUeria di proporzioni poco diverse da quelle del Gottardo. Intanto nella Bosnia funziona già un breve tronco da Banaluka a Dobrotin il cui esercizio è diretto dagli ufficiali del genio, che presiedettero alla costruzione della strada. Il personale della via e delle stazioni è costituito da distaccamenti di ferrovieri militari, e gli ufficiali del genio adempiono le funzioni di capi stazione nelle località più importanti.

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Io ebbi occasione di rapidamente esaminare il progetto di convenzione dianzi accennato, e mi parve che fossero stati tutelati troppo gli interessi dell'Austria e troppo poco quelli della Serbia. Una convenzione sulle basi di quel progetto avrebbe portato un onere proporzionato alle finanze del Principato, in confronto a quello cui si sarebbe sottoposto l'Austria pei lavori di allacciamento delle linee scrbe alle linee austro-ungariche, danneggiando inoltre, a causa delle tariffe, il commercio della Serbia, ed avantaggiando per lo contrario quello dell'Austria. In forza di quel progetto la rete serba sarebbe caduta nelle mani di una società austriaca, ed avrebbe dovuto collegarsi prima al mercato austroungarico, anziché raggiungere le forrovie turche ed aprirsi uno sbocco al mare. Coteste condizioni avrebbero a mio giudizio, anche prescindendo dalle tariffe, nociuto al commercio del Principato. Il commercio infatti, che affluisce a Belgrado, trova già pel Danubio e per la Sava facile lo sfogo all'Europa centrale, laddove le comunicazioni della Serbia verso mezzodì sono discomode e sfavorevoli al transito ed agli scambi. Gli è quindi da quella parte che ragionevolmente devesi prima cercare il collegamento.

Nè dal punto di vista militare le cose sarbbero diversamente procedute, imperocché, mentre l'allacciamento alla rete ungarica, non avrebbe servito che ad ammassare battaglioni austriaci alla frontiera del Principato, quello invece alla ferrovia di Salonicco avrebbe facilitato il concentramento dell'esercito serbo alla frontiera sud-occidentale, dove è probabile si svolgano le future operazioni militari. Nè d'altra parte la rete esercitata da una società straniera e soprattutto austriaca, avrebbe giovato alla Serbia; nè l'obbligo contenuto nel progetto di convenzione di non erigere opere a difesa del ponte a costruirsi sul Danubio, potevasi dire veramente reciproco, malgrado la reciprocità fosse sancita per patto, tenuto conto della grandissima disparità dei mezzi di cui possono disporre i due eserciti austro-ungarico e serbo, e delle relative condizioni politiche dei due paesi.

Gli interessi ferroviarii adunque dell'Austria-Ungheria sono in aperta contraddizione con quelli della Serbia; ed il timore che, costruita la ferrovia della Bosnia, una parte del commercio prenda pur sempre la direzione di Belgrado potrebbe indurre l'Austria, dopo riunita al Principato attraverso il Danubio, a contrastare od almeno ritardare alla Serbia l'allacciamento alla linea di Salonicco ed all'altra più meridionale per la valle della Mitrovitza.

Tutto ciò non poteva naturalmente che irritare sempre più il governo e la nazione ed accrescere la tensione a fronte dell'Austria. Le cose vennero per conseguenza condotte in lungo.

Capitarono a Belgrado nello scorso agosto i rappresentanti della Rodolsbahn. ma nulla, com'era da prevedersi, si poté conchiudere, tanto più che d'altra parte. industriali russi palesemente, ed i governi di Pietroburgo e di Londra nel retroscena, vivamente in-

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teressati nella quistione, incoraggiavano alla resistenza il governo del Principato e si riservavano di presentare proposte vantaggiose. La stampa annunciò pochi giorni or sono che in seguito ad una nota ufficiale diretta dalla Russia alla Serbia, questa avesse accettato l'offerta dell'appaltatore russo Obzakof. Sifatta notizia è oggi contradetta dalle dichiarazioni del barone Haymerle e dall'invio di un ultimatum da parte del governo austro-ungarico a quello del Principato sul trattato di commercio coll'Austria, sulla rete ferroviaria e sulle voci sparse di alleanza fra gli slavi della penisola. Pare che in seguito a ciò sia stato spedito a Vienna il signor Maritch coi pieni poteri per conchiudere un accomodamento definitivo sulle strade ferrate.

Quanto a me credo che difficilmente si verrà a capo di qualche cosa di concreto, e credo ancora che la Serbia, trattandosi del suo avvenire, non cederà tanto facilmente alle pretese dell'Austria. Né l'Italia dovrebbe rimanere indifferente in presenza alla quistione delle ferrovie nella penisola turca. Gli è indubitato che, aperta la strada ferrata la quale, attraversando la Bosnia c l'Erzegovina, ponga l'Egeo in diretta comunicazione colla monarchia austro-ungarica, od allacciate le linee serbe a quelle del Danubio al nord ed alle turche al sud, i viaggiatori e le mercanzie di maggior valore, le quali, entro certi limiti hanno un tornaconto sicuro nella maggior celerità dei trasporti, malgrado le maggiori spese, provenienti dagli scali dell'Oriente e diretti nelle regioni orientali dell'Europa di mezzo, preferirebbero quelle vie come le più comode e le più rapide, di guisa che buona parte del transito per l'Italia sarebbe per la costruzione di quelle strade spostato.

Nè le stipulazioni di Berlino paiono fatte per impedire che ciò succeda; essendo chè gli articoli 8, 37 e 48 del trattato, determinando che nessun diritto di transito venga prelevato sulle merci attraversanti la Rumania, la Serbia e la Bulgaria, ha di molto agevolato il commercio tra l'Oriente e l'Austria e buona porzione dell'Europa centrale. Che se, come con qualche fondamento da taluni si pensa, in seguito agli accordi tra l'Impero austro-ungarico e l'Impero tedesco, anche sul terreno economico, eguale trattamento venisse fatto alle merci tedesche transitanti per l'AustriaUngheria, codeste agevolezze diverrebbero sempre maggiori. Sicuro che non è in nostro potere di mutare la geografia, e certo che là dove corrono ampie, facili e fertili le vallate, l'uomo si costruisce dei bisogni della civiltà man mano perfezionandosi, finché alle strade ordinarie si sostituiscano le ferrate: ma ciò non vuol dire che l'Italia abbia da rimanersi proprio colle mani alla cintola, e che, pur favorendo ogni civile progresso, non debba adoperarsi a scongiurare od almeno ad allontanare pericoli che possono ledere i propri interessi, provvedendo a spianare le vie al traffico, ed a regolare in modo le cose che, anche in avvenire, tra per la forza dell'abitudine contratta a percorrere quel dato tragitto, e tra pei reali vantaggi di cui possa godere, non senta bisogno di mutare cammino.

Il problema economico ferroviario posto dal trattato di Ber-

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lino e studiato nei rapporti commerciali. che interessano i diversi Stati d'Europa è per certo uno dei più difficili a risolversi convenientemente e dei più importanti e complicati; nè io ho bisogno di dire che se vi accennai, non fu certamente per desiderio di trattare argomento così superiore alle mie forze e così straniero ai miei studi, ma solo per essere coerente e fedele alle premesse, essendo cotesta delle costruzioni ferroviarie nei rapporti austroserbi quistione che cominciò ad agitare le popolazioni del Principato precisamente quando io mi trovava tra loro, ciò che non poteva a meno d'impressionare anche i più indifferenti.

E tanto per dare a questo schizzo sulle relazioni che cor· rono tra la Serbia e l' Austria tutte le tinte, siano desse pur cariche e fosche, che valgano a farne sempre più apprezzare il valore, aggiungerò come a Belgrado e nei principali centri del Principato siasi convinti, e lo era anche il nostro incaricato d'affari, l'egregio signor conte Ioannini, che buona parte delle lettere ivi dirette dall'Italia, e di là per l'Italia spedite, venissero aperte per ordine del governo austriaco, e che la morte del console Perot dovesse attribuirsi ad un ufficiale superiore dell'esercito austro-ungarico. Circa la fine deplorevole di questo nostro compianto funzionario, potei raccogliere taluni dati, che, se non altro, a titolo di informazione, credo opportuno riassumere, ed unire al presente lavoro.

Codesta dei rapporti tra iJ Principato e la monarchia austroungarica è la nota politica del momento, nota del resto tradizionale presso quel popolo, che vide sempre nella politica dell'impero limitrofo uno spirito d'assorbimento inspirato alla prepotenza ed all'oppressione.

Le credenze religiose nei rapporti coi diritti civili e politici Un'altra quistione che preoccupò gli uomini di stato della Serbia mentre io mi trovava colà, si riferisce agli obblighi imposti dall'articolo 35 del trattato di Berlino. lvi viene stabilito che nella Serbia la distinzione delle credenze religiose non potrà essere opposta a chicchessia come motivo di esclusione o d'incapacità al godimento dei diritti civili e folitici, all'ammissione agli impieghi pubblici, alle funzioni e agli onori ed all'esercizio delle differenti professioni ed industrie, in qualsiasi località; e viene stabilito ancora che la libertà e la pratica esterna di tutti i culti saranno assicurati agli indigeni ed agli stranieri, e che nessun impedimento potrà essere apportato, sia all'organizzazione gerarchica delle differenti comunioni, sia nei rapporti coi loro capi spirituali.

La libertà dei culti era già da tempo scritta nella costituzione e rispettata (1 ). Un'apposita legge organica però, pre-

( 1) Articolo 31 della costituzione: " La reli_gione dominante in Serbia è la religione ortodossa orientale. L'esercizio di qualsiasi altro culto riconosciuto è llòero e posto sotto la l?rotezione delle leggi. Nessuno però può prevalersi delle prescrizioni relig:tose per sottrarsi a} compimento dei suoi doveri di cittadino. Ogni atto tendente ad attentare alla religione ortodossa è proibito ».

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vista, dall'articolo 22 dello statuto, esclude dall'ammissione alla nazionalità serba chi non professa la religione ufficialmente riconosciuta nel Principato, e l'articolo 24 della costituzione ammette i soli serbi agli impieghi pubblici. Trattavasi quindi di modificare una legge organica e la costituzione, dappoiché il rictmoscimento dell'indipendenza del Principato, in forza dell'articolo 34 del trattato di Berlino, era vincolato alle condizioni poste dall'articolo 35.

La Skoupchtina (1) ordinaria fu sollecita di votare i provvedimenti voluti perché i principi sanciti nell'articolo 35 del trattato fossero rispettati. Malgrado ciò la quistione insoluta, irnperocché trattandosi di modificare lo statuto, faceva mestieri, a norma della costituzione serba, sottoporre il voto della Skoupchtina ordinaria alla sansione della Skoupchtina straordinaria o grande Skoupchtina (2).

(l) « La Skoupchtina dal verbo skoupiti - riunire - è l'assembea nazionale. Essa è sempre stata pei serbi e lo è tuttora l'autorità costi· tuente per eccellenza. E' un assioma tradizionale nel popolo che la Skoupchtina può tutto. Essa è al di sopra della legge perché, è da essa che la legge emana. Le Skoupchtine sono anteriori alla stessa monarchia. Prima dell'arrivo dei serbi sul Danubio, allorachè le loro tribù abitavano ancora la contrada che da essi aveva preso il nome di "Serbia Bianca (Bela Serbia)" tra i Carpazii ed il mare del nord, le antiche cronache ci mostrano i giupani o capì di quelle tribù, riunire di tanto in tanto delle grandi assemblee politiche (sabors o Skoupchtinas) presiedute da uno di loro colla denominazione di gran giupaoo. Sotto Etienne Nemania dal 1165 al 1195 e sotto i suoi successori dopoché, per la riunione di tutte le giupanerie si costitul ciò che fu dapprima il regno, poi l'impero serbo, le Skoupchtine presero una forma più regolare... Sotto la dominazione turca (1459·1804), la storia non parla più delle Tre secoli e mezzo dopo, sul cominciare dell'insurrezione (1804) s1 vedono ricomparire. La prima cura della nazione resa a se stessa fu di eleggere un'assemblea per rappresentarla Durante il secondo periodo della guerra noi vediamo, m due occasioni solenni, nel 1817 e nel 1827, conferire a Milosch ed ai discendenti il titolo e l'autorità di Kniaze (Principe) L'Batti Cheris del 1830 non parla punto della Skoupcbtina; l'oustav del 1838 nemmeno... Malgrado ciò le Skoupchtine non furono abolite... La prima legge che regoli la riunione della Skoupcbtina porta la data del 1858 alla fine del regno di Karageorgevitch... Sotto Milosh la. legge del 1858 sulla Skoupchtina fu abolita (12 luglio 1859) e sostituita colla legge votata il 21 agosto che modifica le disposizioni della prima correggendone l'organismo politico ed assicurandone l'andamento regolare per mezzo di una saggia definizione e di un giusto equilibrio tra i diversi poteri Finalmente il 29 giugno 1869, dopo che la Skoupchtina ebbe votato il nuovo progetto di costituzione, questa fu proclamata solennemente dalla reggenza e divenne la legge fon· damentale dello Stato"·

Il Sig. Ristitch ebbe parte principale nell'elaborazione di questo statuto.

(2) Articolo 89 della costituzione " I deputati alla grande assemblea nazionale sono eletti dalla nazione in numero quadruplo di quello che la nazione elegge per l'assemblea nazionale ordinaria. La grande assemblea nazionale è convocata quando occorre: a) ; b) ; c) cambiare la costituzione ».

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Lo spirito pubblico, non sfavorevole dapprincipio al concetto dell'articolo 35 del trattato, parve però venisse più tardi modificandosi a causa del timore che, resistendo la Rumania, a proposito dello stesso argomento, alla revisione dell'articolo 7 della sua costituzione, non dovessero i numerosi isracliti del Principato rumeno emigrare in Serbia; ed a poco a poco, colle loro ricchezze e coll'influenza che avrebbero acquistato nei pubblici e privati negozi, diventare gli arbitri della nazione. Questo timore era così accreditato che, in previsione delle elezioni per la grande assemblea, il ministro dell'Interno signor Radiovoie Miloikovitch, uomo di elevato ingegno e di non comune perspicacia, allegando ragioni di famiglia, che del resto sussistevano realmente, rassegnò le sue dimissioni, non volendo affrontare la responsabilità di una sconfitta su di una quistione di tanta gravità. Tali almeno erano le voci che correvano alloraché il signor Radivo1e diede le sue dimissioni. Ciò non di meno anche siffata quistione medesima dal parlamento rumeno, definita; di guisa che non resta al Principato che di badare a risolvere nel proprio interesse la quistione degli arnauti e quella delle ferrovie. ·

Le condizione politiche pertanto della Serbia, malgrado l'ingrandimento del territorio ed il numero cresciuto della popolazione, non sono senza spine. Che se a ciò si aggiunga la scarsità dei raccolti dell'anno scorso, a causa della soverchia secchezza che colpì le fertili campagne del Principato, gli è facile prevedere contro quanti e quali scogli avranno a lottare gli uomini che reggono i destini di quella nazione. Ciò malgrado però io nutro fiducia che il loro senno, ed il senso pratico e la prudente perseveranza di quel nobile popolo, sapranno sortirne felicemente.

Da quanto venni sin qui dicendo parmi di poter riassumere il concetto politico prevalente della nazione serba in queste parole: potersi cioè considerare la Serbia come il Lombardo-Veneto dell'oriente nei sentimenti che l'animano verso l'Austria; e, nelle aspirazioni che riguardano l'avvenire degli slavi del sud, per dirla con vecchia frase, come il Piemonte della penisola Balcanica.

III. LE CONDIZIONI SOCIALI

Ma è dessa atta questa piccola nazione a realizzare le giuste e generose sue aspirazioni? Egli è cotesto un problema di soluzione assai difficile.

E' noto che coll'occupazione della Bosnia per parte dell'Austria le difficoltà sono cresciute, ma la storia splendida ed eroica di questo popolo ardito e valoroso, le istituzioni liberali da cui è retto, i rapidi e sicuri passi dati da esso, specialmente nella seconda metà del secolo, sul cammino della civiltà, le cure continue che i suoi uomini di Stato dedicano all'esercito, e le

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condizioni politiche d'Europa, lasciano nel1'animo per lo meno la speranza che l'avvenire non possa mancare a quella nazione. E qui sarebbe mestieri entrare nel pelago delle istituzioni di quel paese, delle sue condizioni finanziarie, della sua amministrazione, delle sue risorse economiche, della sua potenza militare, e via via ingolfarsi in un mare che la mia piccola nave non può tenere ignaro come sono di dati statistici, che non potei raccogliere per difetto di tempo, e privo di studi locali che per la stessa ragione non potei fare.

Malgrado però, in mancanza di dati e di studi io non sia in grado d'illustrare convenientemente questo simpatico paese, pur non di meno posso accennare ad alcuni fatti che specialmente m'impressionarono, e che gettano una certa luce sulle condizioni e l'avvenire di quella contrada.

Il culto degli eroi.

Topchider è un povero villaggio a sud-est di Belgrado. E' il Schonbrtinn della piccola capitale serba. lvi un parco solitario e mesto serve di pubblico passeggio. lvi una croce addita al passeggero il luogo dove, il 10 giugno 1868, venne barbaramente e vilmente trucidato da prezzolati sicari il principe Michele Obrenovitch, che fra il compianto universale ebbe iln Belgrado il l3 dello stesso mese splendidi e commoventi funerali. lvi sorge modesta una casa, dove abitò Milosch, il fondatore dell'indipendenza serba. lvi, con culto degno del popolo il più civile, è conservata la figura in cera di quel battagliero uomo di Stato; ivi le sue armi, le sue vesti, il suo letto, i suoi mobili, e perfino un pezzo del suo pane ed un po' del suo sangue rappreso, sono tenuti come sacre reliquie.

Era il giorno 9 del maggio 1879, due giorni dopo il mio arrivo in Belgrado, quello in cui visitai il parco di Topchider, il luogo dell'assassinio del principe Michele, la casa dove sono religiosamente custodite le memorie di Milosch.

Un popolo che ha il culto degli eroi dev'essere un popolo nobile e forte, pensava fra me e me; e cosl, riandando la storia di quella nazione e la sua passata grandezza, e la sua tenace costanza, io mi persuadeva che quel popolo è degno di altri destini. Questa opinione si andò sempre più radicando nell'animo mia mano mano che, percorrendo l'intorno di quel paese, fatti e cose ed uomini ebbi occasione di conoscere · ed apprezzare.

l punti salienti della valle della Morava.

Il l O dello stesso mese di maggio alle 6 del mattino a bordo di un battello della società del Lloyd austriaco, in compagnia dei miei colleghi si lasciò Belgrado diretti a Nisch, che fu il quartiere generale da noi scelto, come punto centrale del terreno su cui dovevansi eseguire le nostre operazioni.

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· A Semendria, città di cinquemila abitanti sulla destra del Danubio, ci attendevano alcuni carri pel trasporto del nostro bagaglio e quattro carrozze della posta messe a nostra disposizione dall'amabile cortesia del governo serbo. La strada per Nisch, poco dopo esciti da Semendria volge bruscamente a mezzodì, lascia la valle del Danubio e si getta in quella della Morava. Noi rimontammo la ridente e fertile valle della Morava fino a Nisch (136 chilometri) dove arrivammo la sera del 12, avendo la notte dell'Il pernottato a Jagodina, piccola città di quattromilacinquecento abitanti circa, nota per l'industria dei suoi coltelli.

La valle della Morava è la più ubertosa e la più popolata della Serbia. Per di là corre la gran via dei commerci fra l'Asia e l'Europa. Quivi i romani condussero le loro legioni; per di là irruppero Avari ed Unni; ed emigrarono Goti e Slavi; ed i Bizantini compirono le loro imprese guerresche e trassero le crociate: per di là marciarono i turchi , minacciando dalle rive del Danubio le genti cristiane. Quella strada fino ad Alexinaty attraversa un paese assai ondulato; oltre Alexinaty, dopo essere sbucata da una valle profondamente incassata, sul fondo della quale si asside il piccolo villaggio di Topolnitza, sale dolcemente su di una vasta pianura, all'estremità della quale sorge la città di Nisch. Lungo questa via poco al di là di Raznj, trovasi una posizione famosa nella storia dell'indipendenza: è Deligrad, il forte degli entusiasti, perché ivi i suoi difensori attaccati da forze assa i prevalenti, anziché arrendersi si seppellirono sotto le sue rovine. Colà vedonsi ancora delle opere in terra costrutte poco prima della guerra del 1876_

Anche Alexinaty merita una parola. E' dessa un graziosa cittadina di quattromila abitanti rinomata per la battaglia ivi combattuta nella penultima campagna e per le sue fabbriche di birra. Sulle colline a sud della città sorgono, abbastanza ben conservate, le batterie ivi costrutte dai serbi per opporsi all'avanzare dei turchi. Quella posizione appoggiata a destra alle alture che si sviluppano lungo la sponda orientale della Morava ed a sinistra ai contraforti dell'Orzen Planina, ha molti dei caratteri di una buona posizione militare; ma, alquanto vasta, richiede per la sua difesa forze piuttosto numerose onde assicurarsi i fianchi e soprattutto il destro verso la Morava, dove il terreno è facilmente praticabile dappertutto. L'esercito turco infatti, costretto a ripiegare davanti alle posizioni dì Alexinaty, riescì, attraverso la Morava, e dirigendosi sulle colline che ne fiancheggiano la sponda sinistra, a girarle, obbligando i serbi alla ritirata.

Gli effetti della libertà.

Subito dopo attraversata la vecchia frontiera, a otto chilometri da Alexinaty, io ximarcai una notevole differenza di ben essere e di civilizzazione, di guisa che, per parlare con linguag-

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gio esatto, potrebbesi dire che i benefici della libertà e della civiltà, che ne è la conseguenza immediata, andavano decrescendo mano mano ci si allontanava dal vecchio confine del Principato. Villaggi meno puliti e più poveri, terreni poco o punto coltivati, ha locande più misere e sprovviste di ogni ben di Dio; in una parola una specie di squallore che stringeva il cuore. Qual differenza enorme poi tra lo stato di civiltà di Belgrado e quello di Nisch, città che contano presso a poco la stessa popolazione. Eppure i miei colleghi che lo scorso anno avevano soggiornato qualche tempo a Nisch, vi riconoscevano già un notevole progresso. Nuove e numerose costruzioni, molte case rifatte, le strade riattate in buona parte, sistemate scuole, istituito un gabinetto di lettura, aperta una discreta trattoria e delle birrerie, organizzato un piccolo stabilimento di bagni. Io stesso, ritornato a Nisch nel mese di giugno, rimasi sorpreso dal cambiamento che in poco più di un mese di tempo erasi operato. Quella popolazione, lieta dell'acquistata libertà, e fidente dell'avvenire, si dava un moto che non poteva a meno di favorevolmente impressionare il forestiero.

Fatto analogo ma in senso inverso, di una coltivazione cioè diversamente intensa mi sì manifestò nelle vicinanze di Pirot, soprattutto nelle campagne che giacciono all'est di quel capoluogo e nei dintorni di Slavinia. Ed indagandone la ragione, non mi fu difficile rinvenirla nella differenza di attività fra il contadino bulgaro ed il contadino serbo. Il serbo è pm svegliato e più svelto, ma il bulgaro è più laborioso; e siccome quelle contrade sono per la massima parte abitate da bulgari così la spiegazione del fenomeno osservato non tornava difficile. E' cotesto un fatto ammesso dagli stessi serbj e che giustifica fino ad un certo punto la cattiva reputazione di pigrizia che taluno regala, non a torto, al contadino della Serbia. E ciò è vero che non di rado si vedono nell'interno del Principato ed anche a Belgrado, contadini bulgari, ivi chiamati per la coltivazione delle campagne e soprattutto dei giardini.

Lo stazo dell'agricoltura

L'agricoltura però in genere nella Serbia è ancora bambina, l'ottava parte del suolo a malapena è coltivato, e, mentre sarebbe agevole provvedere ad un notevole miglioramento coll'introduzione di strumenti meno primitivi ed, in molte località, coll'irrigazione, non se ne fa nulla. La scarsezza delle braccia in confronto all'estensione dd territorio c le numerose guerre che tennero continuamene nell'agitazione quel paese, gli impedirono naturalmente di dedicarsi all'agricoltura ed alle industrie. Una colonia di italiani, reclutata nella parte più agricola del nostro paese , e stabilita nelle regioni pressochè disabitate del Principato, ma pure fertili e produttive, farebbe sorgente di benessere e di ricchezza per ]a colonia; e, mentre darebbe un forte impulso ai progressi del-

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l'agricoltura in quella contrada, vi estenderebbe la nostra influenza. In tale concetto io sono indotto dal fatto che altre colonie chiamate dalla Rumania settentrionale a popolare i vasti terreni rimasti deserti dopo la guerra dell'indipendenza, vi si stabilirono e vi prosperarono, ripopolando i villaggi abbandonati e rendendo la campagna ricca e biondeggiante di messi.

l monasteri, il clero ed il sentimento religioso

Un'altro fatto attirò la mia attenzione. Percorrendo le montagne di quel paese, io andavo rintracciando collo sguardo qualcuno di quei numerosi monasteri che, sorti per la munificenza dei re serbi, ebbero così splendida parte nella storia di quel popolo. Non avvi libro fra i molti che furono scritti sulla Serbia che non parli di questi classici ricoveri (l) contro le persecuzioni dell'islamismo. I o desideravo di visitare uno di questi edifici e sentirne dalla bocca stessa dei religiosi la storia e la leggenda. Ma cotesto mio desiderio doveva re-

(l} Affinché chi legge possa formarsi un concetto su questi celebrati monumenti stimo opportuno dare qui La descrizione che fa di essi l'Isambert nel suo itinerario in Oriente. c A otto o dieci chilometri a nord-ovest di Tehoupria nella montagna, in mezzo ai sito più pittoresco, si trova uno dei monasteri più celebri della storia e della leggenda della Serbia, Ravanitza. Un piccolo ruscello o piuttosto un torrente, la Ravana, che scorre ai suoi piedi, gli ha dato il nome. Fabbricalo verso il 1370 dal re Lazzaro. di cui le spoglie furono ivi inumate poco dopo la battaglia di Kossovo {sono state trasportate poi a Sirmia) Ravanitza fu devastata nel 1145 dai Turchi. Il monastero, come la maggior parte degli edifizi del medesimo nella Turchia cristiana, era circondato da alte mura merlate e fiancheggiato da torri, che ne facevano \.ma vera fortezza, ove le popolazioni circonvicine si rifuggiavano in tempo dì guerra. Questo recmto è al presente in gran parte distrutto. Verso sud, non ne resta quasi più alcuna traccia. In una torre al nord, una sala che pare sia stata una cappella privata. è adorn di un pittur murale, a trenta piedi di altezza, bemssimo conservata. Dirimpetto si alza un'altra torre in ruina, ove abitava Milosch Obilitch, genero di Lazzaro, l'uccisore del sultano Murad. All'estremità orientale del recinto, dall'altra parte della gola, ove scorre la riviera, avvi una caverna che penetra nella montagna ad una grande profondità, e che completava il sistema di difesa della fortezza. La chiesa dedicata all'Ascensione ha meno sofferto, e benché guastata in parte da una recente e malaugurata restaurazione, produce anoora nell'insieme un felice effetto. Le quattro piccole cupole aggruppantesi intorno ad una cupola centrale, richiamano la chiesa della Panaghia Nicodimi ad Atene, al dire di Kanitz, che raccomanda all ' attenzione dei viaggiatore la gran rosa della facciata frontale e le due rose della tomba, non che la figura in rilievo dei due dragoni. Gli affreschi dell'interno, ad eccezione di due o tre, rappresentanti Lazzaro, la principessa sua moglie cd i loro figli, sono stati in parte distrutù; il resto è irriconoscibile. L'epoca della restaurazione della chiesa è indicata approssimativamente da una iscrizione in serbo, incisa sopra una tavola di pietra, e così concepita: c Questa chiesa, con l'aiuto di Dio ed il permesso dell'imperatore Carlo VI è stata ristaurata per cura del monaco Etienne.

Si sa però che gli austriaci possederono la Serbia dal 1718 al 1739. Gli edifici del monastero ristorato da Milosch e dal suo successore Alessandro sono di una grande semplicità; da una parte la comunità e le ab1taz10ni dei domestici; dall'altra gli appartamnu dell'hygoumene e (sef{ueapag.132)

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stare insoddisfatto non solo perchè nella zona percorsa dalla commissione i monasteri facevano difetto, ma eziandio perchè seppi, ed è cotesto che mi reca sorpresa, come i monaci, dappoiché i conventi perdettero dopo Kossovo della loro importanza, domandarono al principe di utilizzare una parte delle loro rendite per fondare delle scuole. Ed il principe fu sollecito di assecondarli; e la Skoupchtina con recente deliberazione soppresse tutti i monasteri ad eccezione di cinque, che serviranno di ricovero ai monaci fino al loro decesso. Quando un clero dichiara dannosa e nociva l'istruzione, non è sicuro della sua potenza; ma quand'esso favorisce la diffusione della luce, oh allora sente di avere ben salde radici! Il clero serbo vive confuso col popolo e non forma una casta a se. I popi (preti) semplici di costumi, modesti e pieni di patriottismo sono assai rispettati, e, siccome hanno moglie e vivono nel mezzo del loro gregge, cosl esercitano una benefica influenza sulle popolazioni, malgrado la loro coltura lasci molto a desiderare. Egli è appunto per questo clero tanto pio e patriottico che il sentimento religioso è così profondamente

dei suoi monaci. Ravanitza essendo in una volta chiesa abbaziale e parrocchia, l'hygoumene ha sotto la sua obbedienza cinque o sei villaggi circonvicini. Ogni anno, il della festa della chiesa che si celebra il 15 agosto alla greca, si tlene a Ravanitza un'assemblea, che attira un immenso concorso di visitatori e di :pellegrini i quali accorrono da tutte le parti del principato e dai paesi serbi adiacenti. Manassia è posta a quattro o cinque leghe al nord di Ravanitza. Vi si va in due ore e mezza o tre per la montagna. Kanitz che ha dato una descrizione molto completa (Serbtensmonuments) la cita come uno dei monumenti più rimarchevoli della Serbia e forse dell'Europa. Il castello propriamente detto è formato da dodici torri merlate, collegate da una muraglia continua; una fra le sue dodici torri, più alta delle altre, sembra aver servito di torre d'atlanne. Ciascuna torre presa isolatamente, è ancora cicondata da una fortificazione merlata, e tutte insieme, in un recinto più esteso, da un muro di cui le diverse parti sono ancora adesso abbastanza bene conservate. Nel mezzo del cortiledel castello, la piccola chiesa, dai colori chiari a sei cupole scintillanti, sembra, a prima vista, una copia esatta di quella di Ravanitza, benché differisca nella chiusura dell'abside, nella croce e soprattutto nella decorazione esteriore. La maggior parte degli affreschi di cui essa era ornata all'interno sono stati distrutti. Tra quelli che vennero meglio conservati, conviene accennare le figure dell'abside, quella di S. Velo, dell'arco trionfale, degli evangelisti, di qualche busto di santi intrecciati ad arabeschi che richiamano la decorazione assiriana e greca; infine a destra della porta di narthex, dalla parte orientale, un immagine votiva di cui sgraziatamente non si distingue che il contorno. n figlio dello sfortunato czar Lazzaro, Etienne Lazarevitch che s'intitolava « signor di tutto il territorio serbo e delle coste,. ma che non era in realtà che il suddito ed il vassallo, inseme al co_gnato, del sultano, è considerato come il fondatore di Manassia Ciò che vi ha di positivo si è che Etienne ne aveva fatta la sua residenza dopo che Kroucbevatz, la capitale del regno, fu 'profanata, sotto gli occhi stessi del po,polo, per la costruzione della prima moschea in Serbia. A destra della chiesa, appoggiandosi alle mura dell'antico castello, vi sono gli edificii del monastero abitato da due religiosi e da un archimandrita. Il monastero possiede delle terre che sono affittate per ottocento ducati all'anno; dieci mila franchi pel rnante· nimento dei tre monaci, che hanno inoltre a profusione frumento e vino, latticinii, pollame e frutta. Quaranta famiglie serbe vivrebbero comodamente :sulle medesime terre».

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scolpito nel cuore dei serbi. Codesto sentimento che contribuì nel passato a fare la forza di quella nazione, costituisce anche oggidì uno degli elementi principali del valore del popolo serbo.

Io vorrei discorrere ora di taluni usi e costumi dei serbi. I funerali, i matrimoni, le feste religiose, lo spirito ospitaliero, la poesia o pesmas, la danza nazionale, sono tutte parti del quadro singolare che rappresenta quella società. Ma se tutto ciò può trovar posto in un opuscolo intitolato per esempio note od impressioni di viaggio, non parmi lo possa trovare in un arido rapporto nel quale, a dir vero, dubito avere già lasciato soverchio campo alle digressioni ed a considerazioni forse estranee all'indole di questo lavoro. Non posso però chiudere la serie di queste mie personali impressioni senza accennare succintamente alla casa del serbo ed al suo nutrimento ed alla caratteristica istituzione della Zadrouga essendo che da ciò irradi una luce piuttosto spiccata sull'insieme di quella società tanto interessante.

La casa del serbo

Un muro a secco posto quasi a fior di terra dell'altezza di un metro poco presso, con proiezione rettangolare di circa cinque metri in media di larghezza per sei o sette di lunghezza, costituisce la base dell'edificio; quattro pali dell'altezza media da cinque a sei metri fissati solidamente ai quattro angoli del muricciolo e riuniti a due a due verso le estremità al di sopra del lato più corto del basamento, sostengono una trave disposta orizzontalmente e parallelamente al lato più lungo del basamento ·stesso. Cotesto è lo scheletro dell'edificio. Rami e foglie e paglia sminuzzata e fango, come cemento, ne compongono la copertura. All'interno, un focolare nel mezzo, un foro in alto superiormente al focolare per dare sfogo al fumo, poche panche, qualche sedia ed alcune suppellettili, il tutto di una semplicità straordinaria. Ecco in generale la casa del contadino serbo, che si accontenta di dormire e di mangiare per terra. Quando la famiglia cresce si uniscono fra loro due o tre o quattro di questi splendidi edifici, e tutti i nuovi membri della casa trovano posto sotto lo stesso tetto, e si assidono al medesimo desco. Né molto più esigenti sono in generale anche i più agiati che vivono nelle città, i quali non di rado dormono pure e manr·ano sul pavimento dandosi al più il lusso di un tappeto su quale sogliono as"Sidersi e riposarsi.

Il vitto del contadino non è meno primitivo della casa. Pane nero o focaccia ancor più nera; qualche bicchiere di latte, raramente di vino, e, di quando in quando, carne di agnello o di montone infilzata su di un bastone, ed arrostita, e del latte coagulato e salato che si osa chiamare formaggio, fanno il cibo di quei bravi montanari.

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Da questa sommaria descrizione della casa e del nutrimento del serbo, si capisce di leggeri come pochi assai debbono essere i bisogni dì quei contadini i quali, in ragione appunto dei loro modesti desiderii, possono dirsi e si ritengono essi stessi agiati. Il che è tanto vero che non avvi pericolo di trovare mai chi supplicante vi stenda la mano, come purtroppo avviene tra noi.

La Zadrouga

Nulla però avvi che meglio della zadrouga, caratterizzi il popolo serbo.

La storia della Serbia ci mostra in tutte le epoche una decisa tendenza di quelle popolazioni ad organizzarsi regolarmente, non appena le numerose guerre da esse sostenute, loro lasciarono tregua e riposo. Questa naturale tendenza esiste allo stato latente negli stessi tradizionali costumi del paese. Sotto la dominazione ottomana, nei giorni più infelici dell'oppressione, l'ordinamento sociale non si è punto perduto presso il popolo serbo. Esso si rifugiò nella famiglia. « Senza patria - scrive Edoardo Laboulaye (l) - senza chiesa, per· ché il vescovo inviato da Costantinopoli non né meno odioso né meno rapace del pascià o del cadì; senza alcuno di quei legami che stabiliscono tra gli uomini la difesa comune del paese, il commercio, lo studio, nori è rimasto al serbo che la famiglia . E' là dove esso ha posto tutto l'animo suo; per lui la famiglia è tutta la patria». Ridotti a non vivere che nella famiglia essi cercano di aggrandirne la cerchia e di estendervi nel suo seno i diritti ed i doveri reciproci.

Tra noi la ·famiglia riposa sui soli legami di sangue: in Serbia invece può avere per base anche solo un reciproco affetto. Non è lo sposo soltanto che sceglie un fratello d'adozione (pobratin) od una sorella (posestrina) e che davanti al pope prende degli impegni solenni. Da quel momento i vincoli della stima e dell'affetto si cementano indissolubili. Il fratello diventa il protettore della sorella e questa giura in nome di lui. Cinquanta, sessanta persone si riuniscono così, vivono insieme, lavorano insieme. Di qui ebbe origine la zadrouga, la non è che la riunione di più persone poste sotto l'autorità di un capo liberamente scelto, chiamato sterachìna che vuoi dire il vecchio. E' allo sterachina che aspetta l'amministrazione dei beni e la cura di mantener l'ordine nella casa. La sua autorità è sacra. Alloraché esso invecchia, sceglie a successore il più saggio tra i suoi figli. Se viene a morire, senza averlo designato, la zadrouga si riunisce e lo elegge. Nulla si fa nella zadrouga senza che i membri di essa siano consultati. Il paragrafo 507 del codice civile definisce così questa istituzione: « La zadrouga è la comunanza di vita e di

(l) Études contemporaines sur l'Allemagne et les pays Slaves.

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beni fondata ed appoggiata sulla parentela naturale ed adottiva ». Cotesta costituzione concilia l'unità del potere colla libertà individuale, ed è l'espressione fedele di ciò che i costumi serbi hanno di più ingenuo e di più originale. Studiando l'organizzazione della zadrouga ci si crede riportati ai primi costumi dei germani di cui Tacito fece così grande elogio. Gli è in forza di siffatta istituzione che presso i serbi si è mantenuto l'amore della libertà unito a uello dell'ordine; gli è per avere conservato nella loro purezza i proprii costumi, gli è da cotesti così stretti legami della famiglia che quel popolo trasse la forza per la lotta impegnata coll'oppressore, dalla quale con mirabile costanza ed eroici sacrifici, seppe escir vittorioso.

Le istituzioni.

Ed ora è pur mestieri, per formarsi un concetto meno incompleto di quella società, ch'io mieta un pochino nel campo delle istituzioni che si riferiscono all'ordinamento interno dello Stato.

La Serbia è una monarchia ereditaria. Il principe è il capo dello Stato e dell'esercito; esso col concorso dell a rap,presentanza nazionale, esercita il potere legislativo; sanziona e promulga le leggi; nomina a tutti gli impieghi pubblici; e conchiude i trattati cogli Stati stranieri previo l'assentimento dell'assemblea nazionale.

Ogni serbo è eguale in faccia alla legge; il domicilio è inviolabile; la confisca dei beni a titolo di pena è proibita; la stampa è libera; tutti i cittadini sono soldati.

L'assemblea nazionale rappresenta il paese; essa si compone di deputati eletti liberamente dal popolo e di deputati nominati dal principe; ogni tre deputati eletti dal popolo ve ne ha uno nominato dal principe; le elezioni sono dirette o di secondo grado; è elettore ogni cittadino che paghi l'imposta, ond'è che sì può calcolare avere la quarta parte circa della popolazione diritto di voto; ogni elettore è eleggibile come elettore di secondo grado; i deputati però non possono essere scelti che fra gli elettori aventi trenta anni compiuti e paganti allo Stato trenta franchi. I funzionari pubblici e gli avvocati, caso strano davvero, non possono essere eletti. I militari non sono né elettori, né eleggibili. Vi ha un deputato ogni duemila elettori paganti l'imposta. I membri della Skoupchtina erano l'anno scorso centrentaquattro. Nella Serbia non si conosce che la candidatura locale; di guisa che molti deputati scelti dalle popolazioni delle montagne, viventi lontano dal consorzio civile, sono affatto privi di coltura. E' questa la ragione per la quale la costituzione riserva al Principe la facoltà di nominare la quarta parte dei deputati, scegliendo anche tra gli avvocati ed i pubblici funzionari. Un consiglio di Stato

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ha il carico dell'elaborazione delle leggi. I ministri sono responsabili davanti al principe ed all'assemblea nazionale.

L'amministrazione della giustizia è affidata a tribunali di vario grado. A Belgrado risiede la corte di cassazione e la corte d'appello. I dibattimenti sono pubblici.

L'istntZione è obbligatoria e gratuita. Nel 1870 eranvi circa cinquecento scuole frequentate da ventisette mila allievi. Questo numero, assolutamente parlando, è piccolo assai, ma se si riflette che nel 1830 non esisteva nella Serbia una sola scuola, non si potrà negare che siasi in breve tempo dato grande impulso all'istruzione. In varii villaggi sono istituiti tiri al bersaglio, dove si esercita la gioventù. Lo Stato ed i comuni favoriscono cotesta istituzione con incoraggiamenti e premii consistenti specialmente in armi, che a queHe popolazioni riescono assai gradite. Il territorio è diviso in ventitue dipartimenti alla testa d'ognuno dei quali avvi un prefetto (natchalnik), che ha sotto la sua giurisdizione i sotto prefetti (capetans) o capi di distretto. Questi ultimi esercitano l'autorità sui kmet o capi di villaggio. Ogni comune amministra da se senza controllo per mezzo del kmet eletto dal libero suffragio, assistito da una Skoupe o consiglio municipale.

L'amministrazione pubblica è ben regolata. Le rendite dello Stato ammontavano nel 1878-79 a 19.000.000 di lire italiane, di cui dieci dovute alle imposte dirette, tre e mezzo alle indirette, gli altri alle rendite del patrimonio dello Stato, dei servizi pubblici ed impreviste. L'imposta principale è quella di testatico, che nell'anno passato diede 9.882.371 lire italiane Le spese furono di 18.615.769. Si ebbe quindi un avanzo di circa 400.000 lire. Questa è la norma con cui ogni anno si chiude il bilancio.

La posta ed il telegrafo funzionano con esattezza commendevole.

Per una nazione di cui la vita si può dire ancora nell'infanzia, le istituzioni mi sembrano anche troppo liberali.

Nell'insieme la società serba è prospera. Dopo la guerra per l'indipendenza, la popolazione è più che raddoppiata; essa aumenta di circa dodicimila abitanti ogni anno; nel 1878 però vi fu un'eccedenza dei nati sui morti di soli 8.174 persone a causa delle peripezie e delle conseguenze della guerra.

Il commercio è poco sviluppato, e le esportazioni testimoniano dello stato alquanto rudimentale dell'economia politica. Esse consistono in bestiame, in porci, in pelli di mone di capra, in lana, in cordami, in sego ed in cera. In questi ultimi tempi si cominciò anche a fornire una certa quantità di cereali ai mercati dell'Europa occidentale. L'industria della contrada è ancora bambina, però nelle piccole città della Serbia e soprattutto a Belgrado e nelle sue vicinanze il progresso si va continuamente facendo strada. Belgrado oggidl è una città tutt'affatto occidentale; essa ha una facoltà di teologia e di diritto, una scuola militare, un museo

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mediocremente fornito, ed una biblioteca con ventimila opere di cinquantamila volumi, tra cui i classici di tutte e letterature e numerosi e rari manoscritti. Le scuole ed i collegi hanno fatto della Serbia il focolare intellettuale dell'interno della penisola turca, ed i bosniaci ed i bulgari accorrono numerosi a quelle scuole. Molti giovani frequentano le università di Francia, di Germania e dell'Austria e rimpatriano ricchi di studi e di sapere a diffondere tra i loro compaesani l'istruzione e la coltura. Nell'interno l'istruzione si va però spandendo piuttosto lentamente, ciò che in gran parte dipende dalla viabilità non ancora ben sviluppata, e dalla natura delle strade di cui anche le migliori nella cattiva stagione diventano difficilissime, di guisa che troppo scarsi sono i rapporti tra le popolazioni dell'interno della Serbia e quelle che abitano Belgrado e le altre città.

IV. LE CONDIZIONI MILITARI.

Dove però lo Stato porta le sue maggiori cure è sull'esercito.

Sfortunatamente io non ebbi campo che di rivolgere la mia attenzione alle truppe di scorta, durante la delimitazione, ed a quelle stanziate a Nisch ed a Belgrado, durante il breve tempo del mio soggiorno in quei luoghi.

La cavalleria serba.

Il governo del Principato mise a disposizione della commissione, fino dal cominciare dei suoi lavori, uno squadrone forte di settanta cavalli. Quei cavalli dall'apparenza modesta e dalla struttura sottile sopportarono instancabili le fatiche di lunghe marcie, tra le nevi nel maggio e sotto la sferza del solleone di luglio, in terreni assai difficili, e passando per lo più le notti alla serena. Essi mi richiamavano per la loro conformazione e pel loro insieme i nostri cavalli siciliani. Egli è d'uopo però considerare che il cavallo della cavalleria serba è assai ben nutrito, essendo la razione regolamentare composta dì cinque chilogrammi di avena e di altrettanti di fieno.

Il cavaliere serbo monta ardito, ma non si può dire ben addestrato all'equitazione, tanto è vero che il suo cavallo non conosce affatto gli appoggi né gli inviti e molti rifiutano di staccarsi dagli altri. La sella in uso è l'ungherese. Il cavaliere serbo è generalmente reclutato tra coloro che sin dall'infanzia ebbero dimestichezza coi cavalli. Esso è armato di sciabola, carabina e pistola, ed è vestito presso a poco come la nostra cavalleria. Ha molta cura del suo cavallo; è esatto, disciplinato, affezionato ai superiori ed assai intelligente.

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Un giorno che io ed il presidente della commtss1one signor Aubaret avevamo con tre cavalieri smarrita la via in un terreno assai frastagliato e coperto, nella valle della Kostainitza dove non eravi anima viva, essendo quella una delle località state abbandonate dagli arnauti, dopo di avere colla scorta del sole navigato per quattro lunghe ore come se si fosse in alto mare, arrivammo tra Kourchoumilie e Prepolac, dove eravamo diretti, in un terreno che quei cavalieri avevano perlustrato durante l'ultima guerra. Or bene essi, che sin dal primo momento nel quale avevamo sbagliata la via ci avevano dato l'allarme , riconobbero immediatamente quella località e seppero tosto orientarsi, malgrado ci trovassimo nel fitto di un bosco.

Più tardi, quando la commissione si portò sulla frontiera albanese, ci fu dato per scorta, come dissi indietro, anche un battaglione turco ed un battaglione serbo.

Il fantaccino turco.

Il $Oldato della fanteria turca, a giudicare da quelli che avevamo con noi, è forte, robusto. disciplinato più forse per timore dei castighi o per inerzia. che pel sentimento dei propri doveri, parco e tollerantissimo della fatica.

Io era meravigliato di vedere quel fantaccino mal vestito e peggio calzato, taluno perfino mezzo scalzo, compiere senza difficoltà delle lunghe marcie sotto un sole cocente per sentieri non di rado da capra. Anche gli ufficiali del battaglione che ci scortava erano in cattivo arnese; ed io non posso tacere come, essendosi presentato alla commissione la prima volta che la scorta si accompagnò con noi, un capitano che all'avanguardia conduceva una compagnia di arabi, nessuno dei commissari volesse credere che quello fosse un capitano; tanto era miserabilmente vestito e poco proprio.

Il soldato turco è abilissimo a rizzare la sua tenda, la quale è precisamente identica ad una delle nostre tende comiche da ufficiali oggi in disuso. Ogni tenda serve a dieci soldati. Esso è abile assai anche nella costruzione dei campi permanenti. A Prepolac ebbi occasione di vedere un campo di battaglione e lo trovai ben disposto ed ordinato. Al maggiore i soldati avevano scavata nel terreno una capanna, costrutta in legname e fango, molto ben riparata, fornita di finestre, di camino, con un tavolo ed un letto ritagliati nel terreno ed adorna all'ingresso di un pergolato

Per quanto stanco e prostrato il turco non tralascia di fare, non appena può, la sua preghiera, dapprima insieme agli altd della compagnia, poi isolatamente. Esso teme il superiore e credo lo ami. Non mi occorse mai di vedere un soldato mal trattato, né di sentire un lamento durante le marcie. La fanteria turca è armata di Peabody Martini, ma non mi parve che il soldato avesse gran cura del suo armamento.

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Non di rado mi occorse di vederne alcuni colla baionetta senza fodero. Anche l'equipaggiamento era così vario che davvero non ci si sapeva raccapezzare. Chi portava giberna, chi cartuccera, chi zaino, chi gli oggetti avvolti in un sacco posto a tracolla. Un vero caos. Eppure con tali soldati, quando fossero ben comandati si potrebbero ottenere grandi risultati. Il male si è che l'ufficiale turco non è quasi istruito, e che agli ufficiali stranieri che prendono servizio nell'esercito turco in genere si ricusa di obbedire.

La giubba ed i pantaloni eguali, se non nel colore variabile a seconda del tempo d'uso, almeno nella conformazione, era ciò che vi aveva di più uniforme, se si esclude, ben inteso , l 'immancabile fez, identico pel gregario e pel generale. Il taglio della giubba e dei pantaloni è assai conforme a quello dei zuavi francesi. Il colore ne è bleu scuro con passamanerie in rosso.

Il rancio del fante turco consiste in 918 grammi di pane quasi nero, riso, legumi, olio e burro, con cui esso si prepara due pasti al giorno. La carne è distribuita solo due volte la setimana ed è sempre di montone. Il pilau che è il cibo ordinario di quel soldato, consta di riso cotto in stufato con del grasso e dei pezzi di montone.

Il fantaccino e l'artiglieria della Serbia.

Il soldato della fanteria serba con un'apparenza fisica assai diversa da quella del turco, perché mingherlino e snello, non è meno resistente, né meno tollerante delle fatiche; e mentre il turco sopporta le fatiche in silenzio ed accigliato, il serbo è sempre allegro e vivace, e non di rado mi accadde vedere quei soldati, dopo una marcia lunghissima, appena rifocillati e detta in comune la loro preghiera, intrecciare la loro danza nazionale, alla quale talvolta prendono parte anche gli ufficiali. Il soldato serbo ama il suo suepriore dal quale è ricambiato con cure ed affetto; e le mancanze disciplinari in quel piccolo esercito sono poche e lievi.

La tenuta non è molto dissimile da quella del nostro fantaccino ed è assai curata. Tranne che nelle parate esso ha per calzatura i sandali che gli riescono molto comodi nel1e marce sulle montagne, alle quali è abituato fin da fanciullo. Quella calzatura ha eziandio il vantaggio della poca spesa. Esso è armato di Peabody Martinj ed il suo equipaggiamento pesa sedici chilogrammi. Allorché indossa la giubba di tela , il cappotto è arrotolato attorno allo zaino. La fanteria serba accampa formando delle picocle e mal combinate tende che servono di ricovero a tre uomjni. Il rancio è buono ed abbondante, consistendo in 300 grammi di carne, pasta e legumi, distribuiti due volte al giorno.

Il sentimento nazionale, lo spirito militare e le tradizioni storiche vivificate e perpetuate nei canti nazionali am-

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mano il soldato serbo, ond'è che ben a ragione di lui si può dire col generale Moltke: « avere desso una solida attitudine militare».

L'ufficiale serbo è molto curante della sua tenuta ed in genere abbastanza istruito e studioso, molti fanno ! loro studi a Parigi od in Germania, molti parlano il tedesco ed alcuni l'italiano ed il francese .

A Kourchoumlie potei vedere la manovra di una batetria da montagna su quattro pezzi. Il materiale è identico al nostro. Quella batteria era montata di tutto punto e gli artiglieri perfettamente istruiti. In pochi minuti i pezzi erano caricati e scaricati e messi in batteria. Quegli artiglieri contavano chi meno di un anno e chi meno di due anni di servizio sotto le armi. A Nisch assistetti ad una rivista. Eranvi il battaglione di fanteria ed una batteria da 9 e mezzo del sistema Krupp. Quelle truppe mi lasciarono la migliore impressione. Ordine nei ranghi, precisione nei movimenti, esattezza nello sfilare, tenuta inappuntabile. Gli ufficiali, anche quelli di fanteria, ben montati e bene in sella. I pezzi con un attellaggio perfetto; i fornimenti in cuoio annerito. A Belgrado però fu dove ebbi maggior campo di esaminare dappresso la fanteria e l'artiglieria. La prima volta che io vidi una compagnia fu nel cortile della fortezza. Ne rimasi stupito. Quei soldati manovrarono in ordine chiuso ed in ordine sparso con una precisione ed un'energia impareggiabili. E la cosa era tanto più sorprendente in quanto che la maggior parte di essi erano reclute di due mesi, ed il resto soldati con poco più di un anno di servizio. Volli sapere che provenienza avesse il capitano comandante di quella compagnia e seppi che proveniva dall'esercito tedesco. Mi nacque allora il dubbio che quella truppa costituisse un'eccezione; ed il mattino susseguente mi recai per tempo in piazza d'armi dove manovravano varie compagnie di fanteria. Or bene io posso assicurare vostra signoria che, sebbene quelle compagnie non fossero così bene addestrate come quella che aveva veduto manovrare il giorno prima nel cortile della fortezza, pure nell'insieme non lasciavano nulla a desiderare. Gli ufficiali facevano l'istruzione con cuore e passione ed il soldato vi corrispondeva coll'esattezza dei movimenti e coll'immobilità nei ranghi. Il maneggio delle armi poi era fatto con una precisione alla quale noi in Italia non siamo abituati. E dire che erano quasi tutte reclute! Credo dovuta la precisione e l'energia colla quale manovrano quei soldati anche all'insistenza con cui gli ufficiali esigono sia eseguito il passo di scuola o composto che da noi è abolito da lungo tempo. La teoria per la compagnia nell'esercito serbo è semplice assai. Essa non differisce molto dalla nostra se si eccettuino due o tre movimenti in ordine chiuso e qualche dettaglio e la formazione della compagnia in ordine sparso la quale non è mai su tre come talvolta avviene presso di noi.

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Le truppe mentre io era a Belgrado non passarono alla scuola di battaglione, ond'è che nulla posso dire su di essa. Da quanto però potei arguire e dai movimenti della compagnia e dai discorsi con alcuni ufficiali, mi persuasi che anche la teoria della scuola di battaglione è semplice assai ed inspirata al concetto dei bisogni della odierna tattica.

A Belgrado vidi pure manovrare due batterie d'artiglieria. Una da centimetri 8,55 caricantesi dalla bocca, bronzo rigato sistema Lahitte. L'altra da centimetri 9 sistema Krupp. L'artiglieria non mi appagò come la fanteria. La scuola del condurre era fatta abbastanza bene, ma la manovra dei pezzi mi parve assai precipitata. Comprendo che anche là si aveva da fare con delle reclute, ma se quei giovani soldati erano stati nello spazio di due mesi messi a cavallo ed addestrati mediocremente a condurre, sernbrami che avrebbero anche potuto essere istruiti a non precipitare i movimenti nella manovra del pezzo. Egli è codesto a mio avvi so un difetto sistematico nell'artiglieria serba. Del resto anche quelle batterie erano in perfetto ordine. Non mi fu dato di assistere, ciò che avrei desiderato moltissimo, alla scuola di puntamento, perché non ancora iniziata.

Le caserme dì Belgrado.

Le caserme di Belgrado meritano pure un cenno. Fui a visitarle anche improvvisamente e le trovai sempre in bell'ordine e pulite. Lo spazio non manca, essendo i locali ampi ed aereati ed avendo vasti cortili e capaci tettoie. Nei cortili vi sono gli attrezzi per la ginnastica e tutti i soldati indistintamente vengono esercitati agli ordigni. Ogni riparto occupa un camerone. I sottufficiali non hanno scompartimenti separati. Ciascuna compagnia o batteria ha un magazzino a se nel quale sono custodite le anni e gli oggetti di equipaggiamento che servono a rifornire il soldato. Il capitano è responsabile dell'amministrazione della compagnia. Non esiste deconto e l'amministrazione del vestiario è regolata dal comandante di compagnia ad imitazione di quanto si pratica in Austria.

L'ospedale militare di Belgrado.

L'ospedale militare di Belgrado è pure ben sistemato. Nell'estate gli ammalati vengono trasferiti in baracche di legno ventilate così che il caldo non vi si avverte affatto. La proprietà è mantenuta rigorosamente. Il cibo, che mi si fece as· saggiare, è ottimo. Ogni baracca contiene una trentina di letti.

Una, chiamata col nome della principessa Natalia, perché fatta erigere da essa, è elegantissima e più ampia delle altre. Codesto delle baracche in legno a molte aperture, mi pare un sistema degno di essere studiato sopratutto pei paesi meridionali dove nella estate il caldo è piuttosto intenso.

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La scuola militare.

Anche la scuola militare è ben regolata. L 'att uale comandante che ebbe la cortesia di farmela visitare è il tenente colonnello di stato maggiore signor Iovan Andjelkovitch aiutante di campo di sua altezza il principe, persona compita e colta; esso è anche il capo della sezione storico-geografica dello stato maggiore. La scuola militare è quella che fornisce gli ufficiali all'esercito permanente. Gli allievi mantenuti ed equipaggiati a spese dello Stato non corrispondono che una piccola retribuzione. Il corso dura due anni. I giovani vi sono ammessi in seguito ad esami ed a lavori equipollenti. Vi si insegnano tutte le materie dell'arte militare teorica e pratica, le matematiche elementari , la fisica ed il disegno d'ornato, di paese e di figura. Potei vedere dei bellissimi lavori di topografia, e di disegno, specialmente di figura.

Nel mese di agosto, mentre dimorava a Belgrado, la scuola era chiusa e gli allievi si trovavano nei reggimenti dove funzionavano da sou.ufficiali. Nessuno di quei giovani viene promosso ufficiale senza che abbia fatto un breve tirocinio come sottufficiale nei reggimenti. Non sempre però durante le ferie autunnali gli allievi passano alla compagnia, ché talvolta eseguiscono invece giri d'istruzione nell'interno del Principato condotti e diretti dai loro professori. I corsi sono comuni a tutte le armi, compreso il corso d 'equitazione. Gli ufficiali delle armi speciali vengono scelti tra coloro che mostrano maggior attitudine. Essi compiono poi la loro educazione nei corpi a cui sono destinati sotto la direzione di ufficiali appositamente istruiti all'estero. E' però riconosciuta la necessità di fare dei corsi distinti, a seconda dell'arma cui i giovani vogliono dedicarsi, pel che si stanno facendo studi onde riordinare su tal principio la scuola. L'educazione è in quella scuola tutta spartana essendovi gli allievi alloggiati e nutriti quasi come i soldati.

Lo stato maggiore.

Nello stesso locale della scuola militare avvi l'ufficio del corpo di stato maggiore di cui il comandante è il generale Protitch, primo aiutante di campo di sua altezza il principe Milano. Esso fu educato in Germania.

Lo stato maggiore in piccola scala è sistemato sulle basi dello stato maggiore prussiano. Le sezioni organizzate od in via di organizzazione sono tre: la storico-geografica; la statistica; la topografica. ·

Vi ha una piccola officina di fotografia e di foto incisione diretta da un tedesco, che funziona benissim o, sebbene sia soltanto sul cominciare.

Lo stato maggiore serbo ha testé pubblicato un libro sulla campagna del 1877-78, ricco di dati e di documenti, che testi-

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fica dell'istruzione e dei buoni studii di quel corpo. Sul cominciare del 1879 una rivista militare mensile interessantissima, il « Radnik », prese ad essere pubblicata dalla sezione storica dello stato maggiore. Essa è divisa in due parti, di cui la prima contiene i documenti ufficiali (oukause, prokase, rapporti) e la seconda degli studi su tutte le parti della letteratura militare. Quella rivista è diffusa anche tra la truppa.

L'ordinamento militare.

L'organizzazione dell'esercito serbo riposa sulle basi stabilite dalla legge organica presentata alla Skoupchtina nel 1861 dal principe Michele.

L'esercito è distinto in due parti: esercito permanente ed esercito nazionale. L'esercito permanente, in tempo di pace, è ripartito su tutto il territorio del Principato ed è specialmente destinato a fornire gli istruttori per l'esercito nazionale. L'esercito nazionale è diviso in due classi, di cui la prima è composta di tutte le armi e costituisce l'esercito di campagna, mentre la seconda formata di sola fanteria non entra che eventualmente a far parte dell'esercito operante ed è specialmente destinata alla difesa interna del paese.

Ogn serbo è obbligato al servizio dai 20 fino ai 50 anni. La durata del servizio per l'esercito permanente è di due anni sotto le armi e due anni in riserva. Trascorsi questi anni gli iscritti all'esercito permanente entrano a far parte dell'esercito nazionale.

Il contingente annuo dell'esercito permanente è oggidì di duemila uomini (ma si tratta di aumentarlo). Gli altri giovani abili che abbiano compiuto il ventesimo anno di età entrano nell'esercito nazionale e ricevono un'istruzione di venticinque giorni che è loro impartita da ufficiali e sottufficiali dell'esercito permanente. L'esercito permanente comprende una brigata di fanteria , di due reggimenti a quattro battaglioni; due squadroni di cavalleria; quattro reggimenti d'artiglieria a sette batterie da campagna ed una da montagna, in totale trentadue batterie con 192 pezzi; un battaglione di pionieri; uno di pontieri; una compagnia di operai lavoratori; una sezione del treno; una sezione pel servizio sanitario.

In seguito alla legge del 1864 la prima classe si compone di ottanta battaglioni, trcntadue squadroni di cavalleria, nove batterie d'artiglieria, sei compagnie di pionieri, ed una compagnia di pompieri per la città di Belgrado. La seconda classe consta di ottanta battaglioni di fanteria.

Il reclutamento fino a questi ultimi giorni, fu effettuato colle seguenti formalità. Ogni anno un oukase fissa il numero degli uomini dell'esercito permanente e di ciascuna delle due classi che deve fornire ognuna delle circoscrizioni nelle quali è diviso il territorio del Principato. Al ricevere di questo oukase il comandante della milizia della prima classe di ogni

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drcoscnzwne, basandosi sulle tavole di recensimento della popolazione, fissa per ogni comune il numero dei militi di ciascuna classe. Fatto ciò le commissioni di reclutamento percorrono durante l'inverno il territorio, accordano le esenzioni, designano gli uomini per l'esercito permanente ed assegnano alla prima classe tutti i validi cominciando dai più giovani fino alla concorrenza del numero fissato. Gli uomini che debbono far parte della seconda classe sono reclutati nella stessa guisa dopo quelli della prima. Da questo modo di procedere è facile comprendere come le età che limitano le classi, possano variare da comune a comune ed anche, da un anno all'altro, nello stesso comune.

Sull'ordinamento dell'esercito nazionale in grandi unità tattiche non avendo potuto raccogliere dati esatti, a causa dei vari cambiamenti che si succedettero dopo il 1876, stimo opportuno unire a questo rapporto la formazione di guerra dell'esercito serbo durante la campagna del 1877-78. Da cotesta formazione risulta che le truppe dell'esercito serbo vennero ripartite in quattro corpi d'armata a due divisioni formate ognuna da due a tre brigate composte con militi di due o tre circoscrizioni, ed in una divisione di riserva. Le truppe dell'esercito permanente vennero frammiste a quelle della milizia.

Le forze che presero parte alla campagna del 1877-78 fu. rono ottanta battaglioni di fanteria della prima classe e cinquantadue della seconda classe; ventotto squadroni di cavalleria compreso uno di insorti; cinquantotto batterie d'artiglieria di cui una d'insorti, delle quali ventisette da campagna e dodici da montagna; quattro battaglioni e mezzo del genio, diverse sezioni di sussistenza e di sanità, della posta e dei telegrafi.

Ora, calcolando l'effettivo presente dei battaglioni ad una media di settecento uomini (1), quello degli squadroni a centocinquanta cavalli, delle batterie a cento uomini, ed a seicento quello dei battaglioni del genio, tale essendo la forza delle unità di guerra, senza tener conto dei soldati del treno pei traini dei battaglioni, squadroni e batterie, si può desumere che la Serbia, con una popolazione di 1.350.000 abitanti ed un bilancio di 7.000.000 prese parte all'ultima campagna con 96.600 uomini di fanteria, 4.200 cavalli, 10.400 uomini di artiglieria e 348 pezzi e 2.700 uomini del genio; che è quanto dire con un totale in cifra tonda di 114.000 combattenti. L'Italia organizzata nello stesso mo.do dovrebbe mobilitare 2.370.000 soldati con un bilancio ordinario di 145.000.000.

Ma quale istruzione, quale educazione militare, e quale forza di coesione e di resistenza possono avere codeste miHzie?

Risponda per me l'unito prospetto dei numerosi combattimenti sostenuti da siffatte truppe nel cuore dell'inverno nel-

(l) La prima classe deve avere 800 combattenti più un numero di soldati del treno per battaglione, la seconda 600 combattenti più un certo numero di soldati del treno.

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lo spazio di un mese e mezzo soltanto, risponda il fatto che su ventinove combattimenti quelle truppe rimasero solo otto volte soccombenti, soprafatte dalla preponderanza del numero o dalle gravi difficoltà delle posizioni, risponda il fatto dell'investimento e della resa di Nisch (1), e rispondano infine le conclusioni della relazione dello stato maggiore ser-

(l) Credo opportuno di estrarre dalla pubblicazione dello stato mag· giore serbo sulla campagna del 1876-n descrizione della posizione di Nisch e del suo armamento all'epoca della resa.

c Nisch è situata sulla Nichava all'entrata della valle formata da questa riviera e ad otto chilometri dal suo confluente colla Morava. La città propriamente detta, sorge sulla riva sinistra della Nichava. Sulla destra sta la cittadella collegata alla città per mezzo di un ponte a pile di pietra. A monte della cittadella è situato il sobborgo di Yagodina, a valle quello di Belgrado. Il sobborgo di Belgrado comunica a sua volta colla città per mezzo di uno stretto ponte di legno, ad uso di pedoni. La Iarldlezza della Nichava fra la città e la cittadella è di metri 65. La cittadella è un poligono irregolare composto di sette bastioni di forme diverse, separati da cortine di diversa lunghezza. Due bastioni sorgono all'est, dove passa la strada di Alexinatz, due al nord di faccia a V"mik, due all'ovest rimpetto a Gra.mada, uno sulla riva della Nichava, volto verso la città. La cittadella ha quattro accessi: quello al sud (Stambul· Kapia) per la comunicazione colla città; quello ad ovest (Belgrad-Kapia) sulla strada di Belgrado; quello nord-est (Vidin-Kapia) nella direzione di Gramada; infine quello sud-est (Sou-Kapia, la porta dell'acqua) presso la Nichava. La cittadella di Nisch ha potuto avere anticamente un grande valore; oggi non è più così a causa della lunga portata e della precisione 77 pezzi di calibri e di sistemi differenti, cioè: 3 pezzi da posizione importanti di Nisch. L'armamento della cittadella di Nisch consisteva in 77 pezzi di calibri e di sistemi differenti, cioè: 3 da posizione, lunghi, sistema Krupp, caricantisi per la culatta, calibro 24; 1 cannone da posizione, corto, sistema Krupp, medesima carica, calibro 24; 22 pezzi rigati di diversi calibri, 5 caricantisi dalla bocca; 30 pezzi non rigati di diversi calibri; 4 obici lisci e 17 mortai lisci di differenti calibri. Nelle batterie costrutte all'esterno della cittadella erano situati 8 pezzi rigati a caricamento per la bocca (4 di bronzo, sistema austriaco, e 4 d'acciaio, di fabbrica inglese).

La città eli Nisch è situata fra la Nichava e la collina eli Goritza. Le strade sono strette ed irregolari, le case in legno ed in paglia. Le strade che partono dalla città sono le seguenti: l) La strada di Costanti· nopoli all'est, per Ak-Palanka (8 leghe). 2) La strada di Leskovatz, al sud, che conduce pel ponte di Zchetchina a Leskovatz (8 leghe). 3) La strada di Procouplie a l'ovest (6 leghe) con diramazione per Leskovatz a Mramor. 4) La strada di Belgrado, al nord, conducente al Alexinatz (6 leghe) per Toplitza a Katoun. 5) La strada di Kniagevatz, a} nord-est, che conduce a Kniagevatz (11 o 12 leghe) per Gramada (4 leghe). Le tre prime strade sono praticabili ai carri in tutte le epoche dell'anno. Le due ultime pressoché impraticabili nel tempo cattivo ai trasporti pesanti.

Nella città trovasi una doppia linea di fossati con parapetti che serviva altre volte alla sua difesa. Sulla riva destra della Nichava ad una distanza variabile tra 1000 e 1500 metri dalla cittadella, furono costruite cinque lunette a grosso profilo. Anticamente, esse erano per la fortezza, ciò che sono oggidì i forti di Vinik ed il trinceramento di Goritza. Queste opere sono state riunite fra loro prima della seconda campagna a mezzo di trinceramenti a mezzo profilo. I turchi fecero altrettanto sulla strada di Ak·Palanka, e cosl chiusero l'accesso a Nish fra la Nichava e Goritza. I princi_pali edifizii della città sono la grande caserma (che serve da ospedale) al piede della collina di Goritza, presso la strada di Leskovatz; l'ospedale presso Tiele Koulé (Torre dei crani) sulla strada di Pirot; la grande chiesa situata nella parte meridionale della città.

Ma ciò che oggi dà a Nisch la sua importanza militare, come luogo (segueapag. 146)

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bo sulla campagna del 1877-78 di cui trascrivo le parole: «Truppe che sono capaci di sostenere il combattimento intere giornate; di dare l'assalto ripetute volte di seguito a fortificazioni difese da soldati i più tenaci del mondo, in una contrada montuosa in mezzo a nevi altissime, che sanno rimanere dei giorni interi nella neve in vicinanza al nemico, sotto il fuoco continuo della fanteria, e sotto ìl tiro degli shrapnell e della mitraglia, truppe siffatte hanno un avvenire».

Io non voglio con ciò conchiudere che l'ordinamento dell'esercito serbo, tutt'affatto alla svizzera, sia in senso assoluto

di radunata, come solido punto di difesa e come perno per l'offensiva contro la Serbia, sono le pos izioni fortificate di Vinik e di Goritza.

Vinik è una collina allungata, elevata di metri 200 sulla Nichava e situata a circa 1800 metri al nord della cittadella . La lunghezza della col· lina alla sua sommità è di metri 1300. Vinik è isolata da tutte le parti. Al nord soltanto essa è collegata da un colle di poca altezza con Popadik e la catena delle montagne che al nord si riattaccano al Kourilovo e più lontano alla Devitza Planina. Il versante di Vinik dal lato di Gramada ha la più mite inclinazione di tutti gli altri: I tre altri lati presentano un pendio molto rapido, specialmente il versante occidentale dal lato di Alexinatz. Vinik comanda interamente la cittadella e tutti i suoi dintorni in un raggio di 4.000 metri . l vantaggi militari e la posizione geografica di Vinik a\evano attirata seriamente l'attenzione di Midhat Pacha allorché era governatore d Nisch Dal 1862 al 1864 esso vi fece erigere sui punti principali delle opere staccate e chiuse a forte profilo, con dei ridotti in mura tura.

Questi ridotti solidamente costruiti sono di forma circolare e a doppio piano. Il piano inferiore serve di magazzino alle munizioni, il superiore munito di feritoie è l'ultimo rifugio della guarnigione. Questi ridotti sono coperti da un tetto ordinario in tegole e non offrono resistenza di sorta. E' codesto un difetto di quei forti del resto solidamente costrutti ed abilmente disposti.

Vinik ne conta quattro; Komandar · Tabia sommità occidentale, Zonav . Tabia nel mezzo al fronte nord ovest, Nizam · Tabia, all'angolo setten· trionale, Midhat Pacha · Tabia all'estremità sud est.

Le tre prime opere fanno fronte ad un attacco, proveniente da Ale· xinatz; i due ultimi (3 e 4) ad un attacco proveniente da Gramada. I tre primi occupano la sommità della collina e sono perfettamente alla stessa altezza n quarto è a mezz'altezza su di una elevazione che termina la collina su di un'altezza che limita la collina a sud-est. I tre primi forti si fiancheggiano reciprocamente I due ultimi tengono sotto un fuoco incrociato la strada di Gramada. Gl'intervalli dei forti sono guarniti da trincee e da fossati da mitragliatori abilmente disposti. Queste opere fiancheggiano i forti a tutti i lati ed i loro fuochi s'incrociano dappertutto

Sul Runto culminante della collina di Vinik, nel mezzo dei forti, si eleva un opera centrale destinata a ricevere la riserva e formante l'ultima difesa di questa notevole posizione. L'armamento di Vinlk si componeva di 14 bocche a fuoco di diversi generi. {I cannoni da 611. caricantisi per la culatta, 2 da 511. a caricamento dalla bocca, 3 mortai lis ci e 2 obici lisci).

Goritza è un massiccio di colline che si stende al sud di Nisch tra la Selitchévitza Planina e la Nichava, parallelamente a questa riviera. La sommità di Goritza è a metri 160 al disopra della Nichava. Dal lato della città e della riviera di Gabrovatz, Goritza presenta delle pendenze rapide. Dal lato di Mramor l'inclinazione è dolce assai. Al sud, Goritza è collegata per mezzo di colline alla Selitchévitza e più lontano, verso l'est alla Louva-Pianina. La sua sommità forma un altipiano abbastanza largo di 3500 a 4000 metri di lunghezza. La strada di Leskovatz passa sopra la parte occidentale di questo altipiano chiamata Bonbagne. Al suo punto più elevato sorge il forte Abdi-Pacha, opera della stessa costruzione di (segueapag. 141)

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un buon ordinamento militare, ma gli è certo che quell'ordinamento, vista l'indole belligera delle popolazioni ed il loro affetto alle armi ed alla patria e tenuto conto delle tradizioni militari, delle condizioni della finanza, della natura del terreno su cui quell'esercito può essere chiamato a combattere, e della situazione politica all'interno ed all'estero del Principato, ha un valore pratico indiscutibile, e ben si può dire che la Serbia abbia saputo risolvere egregiamente il quesito militare odierno sull'ordinamento degli eserciti; avere cioè la maggior forza possibile col minor dispendio possibile.

quelli di Vinik. Questo forte, è a 2500 metri cittadella ed a metri dal ponte dì Mramor. Esso comanda la strada dì Mramor, quella dì Leskoe la valle della Nichava nella direzione c1i Alexinatz. Sul fronte di questo forte a 1500 o 2000 metri, ed all'estremità di questa groppa piatta (Bonbagne) i turchi scavarono una serie di trincee ammirabilmente ordinate e fiancheggiantesi reciprocamente. I fuochi di queste opere s'incrociano sulla strada dì Mramor e rendono assai difficile un attacco da quella parte. Sulla stessa sommità di Goritza i turchi costruirono quattro ridotti e diversi trinceramenti di campagna aperti. Queste ultime opere furono eseguite al momento della nostra offensiva contro Béla-Palanka, avendo i turchi soltanto allora riconosciuto il pericolo che li minacciava da quella parte. Se la posizione di Goritza, che è d'un importanza capitale per la difesa di Nisch, non era stata fortificata antecedentemente, fu perché i turchi non avevano previsto un attacco dì fianco, ma soltanto dalla parte di Mramor, di Tolponitza e di Gramada. A 1500 e 2000 metri al sud-est dei ridotti dì Goritza si trovano l'altura dì Markovo-Kalé e le vigne di Diourline, dove gli avamposti nemici eransi installati. Markovo-Kalé è rilegata a Goritza e alle vigne di Diourline, ma quest'ultime ·sono separate da Goritza da un profondo borrone. Markovo-Kalé è situato fra Goritza e la Selitche>itza; le vigne di Diourline tra Markovo-Kalé e la strada dì Leskovatz. Markovo-Kalé ha la stessa altezza di Goritza (160 metri). Le vigne di Dourline sono meno elevate (120 metri). Al momento dell'attacco di Nisch, Goritza era armata di undici pezzi da 6 caricantisi per la culatta. Tutti pezzi erano montati in modo da poterli portare dovunque facesse bisogno.

Dopo Vinik e Goritza la posizione la più importante per Nisch, è la collina di Gobrovaty. Essa è situata all'ovest dì Goritza fra la riviera della Koutina (all'est), il ruscello di Gabrovaty (all'ovest) e la strada di Pirot (al nord).

Una cresta depressa a Voutchii Del e a Ochtra Tchouka rilega le altezze di Gabrovaty alla Selitchevitza ed alla Souva Planina. A partire da Voutchii Del, questa cresta presenta due ramificazioni che si stendono verso Nisch in direzione nord-ovest. Quella a destra, più alta e più importante di quella a sinistra termina a Tielé Koulé presso l'ospitale. La più alta sommità di Gabrovaty (Velika·Kamara) ha la stessa elevazione di Vinik. L'ultima sommità dalla parte di Nisch (Mala Kamara) ha 100 metri d'altezza ed è distante dalla precedente di metri 1500.

E' sulla posizione di Gabrovaty che i turchi avevano portato minore attenzione e non fu che durante 1 combattimenti che ivi si diedero, che essi praticarono qualche fosso da tiragliatore sulla Mala Kamara, come pure sulla sommità mediana. La posizione di Gabrovaty, è molto favorevole per il bombardamento della città (1500) metri e della Cittadella (3500 metri), benché sia difficile d'installarvi delle batterie. E' questa la parte più debole della difesa di Nisch.

Vinik, Goritza, Markovo-Kalé, Gabrovaty sono sprovviste di foreste, ma sono coperte da vigne. Il terreno di Boubagne è nudo e totalmente scoperto. Queste colline sono rilegate fra di loro da cattive comunicazioni a forte inclinazione. I forti di Vinik e quelli di Abdì-Pacha (Boubagne) comunicavano colla cittadella per mezzo di fili telegrafici ».

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Anche la Rumenia nel di cui territorio passai alcuni giorni e dove ebbi pur campo, mercé la somma gentilezza degli ufficiali di quell'esercito di vedere manovrare alcune truppe e visitare alcune caserme e stabilimenti militari, seppe risolvere questo quesito arrivandovi però con altri mezzi, forse da preferirsi (l).

Ora, sebbene l'Italia non si trovi nelle stesse condizioni di codesti piccoli Stati pur non di meno io credo che uno studio accurato dell'ordinamento di quegli eserciti fatto sul posto riuscirebbe utilissimo. Gli è perciò che a me parrebbe opportuno, ed oggidì anche dal punto di vista politico, che almeno in via provvisoria fossero inviati presso le legislazioni dei Principati rumeno e serbo degli addetti militari, o quanto meno fossero mandati colà degli ufficiali nello scopo di studiare dappresso l'ordinamento di quei piccoli eserciti. L'Austria tiene alla legazione di Belgrado in qualità di segretario di legazione quello stesso capitano di stato maggiore, il signor Pinter, che prese parte, a quanto mi risulta, alla ricognizione della Serbia e che conosce intimamente quel paese. Cotesta necessità di studiare da vicino ed in tutti i dettagli gli ordinamenti militari che, pur costando poco, hanno però una certa consistenza, s'impone aUe classi dirigenti, alle quali incombe di scongiurare i pericoli che potrebbero minacciare l'Europa, e d'impedire che l'onda del socialismo trabocchi ed allarghi disordinata, provvedendo eziandio a ridurre le spese militari nei minori limiti possibili, senza ben inteso nuocere menomamente alla solidità relativa degli eserciti. Si badi bene che io non parla dell'oggi bensì del domani, ma che a questo domani è sempre prudente giungervi apparecchiati. Permessami questa digressione torno ali' esercito serbo.

Coll'annessione del nuovo territorio, in seguito al trattato di Berlino, essendo le circoscrizioni state portate da diciassette a ventidue, egli è evidente che le forze dell'esercito serbo saranno aumentate. Alloraché io era a Belgrado una commissione si occupava già da qualche tempo del riordinamento delle forze del paese, studiando il modo più conveniente per tradurre in praitca un progetto di rifonna elaborato al ministero della Guerra. Secondo quel progetto le forze serbe sarebbero costituite come pel passato dell'esercito pennanente e dello sercito nazionale.

L'esercito permanente comprenderebbe una brigata di fanteria a due reggimenti di cinque battaglioni ciascuno. Una brigata d'artiglieria a quattro reggimenti, ciascun reggimento con sette batterie da campagna (o otto pezzi) ad una batteria da montagna. Essa sarebbe divisa in due divisioni. Un reggimento del genio, composto da un battaglione di pionieri, e da un battaglione di pontonieri. Un reggimento di cavalleria

(l) Da poco tempo si sono introdotte in tutte le scuole della Rumen ia le esercitazJoni militari.

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a quattro squadroni, dei distaccamenti del treno di artiglieria. Tutti questi corpi verrebbero riuniti in un solo comando sotto il titolo di Divisione dell'esercito permanente.

L'esercito nazionale (milizia), formato di militi della prima e seconda classe, sarebbe diviso in quattro corpi d'armata, cioè il corpo della Choumadia collo stato maggiore a Belgrado; il corpo del Timok collo stato maggiore e Negotin; quello della Morava collo stato maggiore a Nisch; il corpo della Orina collo stato maggiore a Valjevo. Ogni corpo consterebbe di due divisioni a due o tre brigate, formate dalle truppe di due o tre circoscrizioni.

Il corpo della Choumadia sarebbe formato: della prima divisione della Choumadia (stato maggiore a Smederevo) composta di truppe appartenenti alle circoscrizioni militari di Belgrado e di Smeredevo; della seconda divisione della Choumadia (stato maggiore a Kragouievatz), organizzata colle truppe delle circoscrizioni di Kragouievatz, Roudnik e Iagodin.

Il corpo del Timok (stato maggiore a Zaitchar) nella composizione della quale entrerebbero le truppe di Crna Reka, Kniagevatz e Tchoupria.

Il corpo della Morava sarebbe formato: dalla divisione di Nisch (stato maggiore a Pirot), costituita da truppe delle circoscrizioni di Nisch, Pirot e Alexinatz, dalla divisione della Morava (stato maggiore a Vranja) formata da truppe delle circoscrizioni di Vranja, Prokoplie e Krouchevatz.

Il corpo della Orina verrebbe costituito: dalla divisione della Drina (stato maggiore a Chabatz) alla di cui formazione concorrerebbero le truppe delle circoscrizioni di Chabatz, Valjevo e Podrinje; dalla divisione dell'Ibar (stato maggiore a Oujitsa) composta delle truppe delle circoscrizioni d'Oujitsa e di Tchatchak.

I reggimenti d'artiglieria dell'esercito permanente corrisponderebbero ciascuno ad uno dei quattro corpi d'armata. Al momento della mobilitazione, questi reggimenti sarebbero diretti ai corpi dei quali debbono far parte, e completati con uomini della milizia comporrerebbero una brigata d'artiglieria.

La cavalleria (l) di ciascuna divisione della prima classe formerebbe un reggimento a quattro squadroni, e quella del corpo d'armata una brigata. La cavalleria della seconda classe fornirebbe un reggimento di cavalleria per corpo d'armata. I soldati del genio della prima e della seconda classe formerebbero un battaglione del genio. Tutte queste unità porterebbero il nome ed il numero del loro corpo d'armata.

Le truppe di ciascuna circoscrizione formerebbero una brigata della prima classe ed una della seconda classe colle corrispondenti frazioni d'artiglieria, genio, servizio sanitario,

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(l) Il ca\ialiere pensa da sé a prowedersi il cavallo.

sussistenze, distaccamenti di polizia, di guide, del treno, delle poste e dei telegrafi.

Questo sarebbe adunque probabilmente il futuro ordinamento dell'esercito serbo.

Provvisoriamente però, giusta un decreto del principe de] 18 ottobre scorso l'esercito di campagna si compone dell'esercito permanente e della prima classe della milizia. La prima classe della milizia forma quattro corpi d'armata fortissimi di cui ognuno conta due divisioni a due o tre brigate ciascuna. Ogni divisione ha un reggimento di cavalleria a quattro squadroni e ciascun corpo un battaglione del genio a quattro compagnie che si reclutano fra gli uomini delle due classi.

Ogni circoscrizione forma una brigata con due reggimenti a quattro battaglioni ed una batteria di campagna.

Il primo ed il quarto corpo comprendono cinque brigate ciascuno, il secondo ed il terzo sei brigate.

L'esercito di campagna, astrazione fatta del treno e dei servizi amministrativi, di cui l'organizzazione è stata pure regolata per ciascun corpo, avrà un effettivo di 150.000 combattenti e si comporrà delle seguenti unità tattiche:

In caso di mobilitazione, la fanteria e la cavalleria dell'esercito permanente sarebbero probabilmente ripartite nel secondo e terzo corpo d'armata, il battaglione dei pontonieri sarebbe diviso tra i quattro corpi, mentre il battaglione dei pionieri servirebbe di riserva al genio. Ciascun corpo d'esercito ha un equipaggio da ponte.

La seconda classe della milizia resta così disponibile per la difesa del paese; la sua fanteria e la sua artiglieria è altrettanto numerosa dei corpi della milizia della prima classe; in fatto di cavalleria, conta un reggimento per ciascun corpo. Insomma la seconda classe ha ventidue brigate a otto battaglioni ed una batteria, e sedici squadroni di cavalleria.

Queste cifre che io potei procurarmi e che corrispondono del resto a taluni dati forniti dalla « Neue Militarische Blatter » dello scorso dicembre sembrano però alquanto esagerate in confronto alla popolazione del principato, anche dopo la annessione dei nuovi distretti.

Esercito permanente Battaglioni Squadroni Batterie Battaglione del genio lO 4 2 1° Corpo 40 8 13 1 20 » 48 8 14 l 30 ,. 48 8 14 l 40 » 40 8 14 l Totale 36 186 55 6
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Intanto gli studi dell'ordinamento continuano ed il principe Milano il 5 dicembre 1879 a Nisch nel discorso d'apertura della sessione della Skoupchtina pronunciava queste parole: «Vi si presenteranno le proposte relative alla riorganizzazione delle nostre forze militari basate sull'esperienza dell'ultima guerra >>. In una parola l'esercito serbo si è raccolto nello studio e pone ogni cura nel suo consolidamento perché comprende che l'epoca dei sacrifizi per la nazione non è che sul cominciare. Esso pare che senta l'odore della polvere portatevi dall'onda di un vento, che spiri soprattutto dall'oc· ci dente.

Non sarebbe quindi oggigiorno studio inopportuno né sen· za interesse quello che prendesse a trattare dei rapporti strate· gici e tattici tra l'Austria , la Serbia, la Turchia e la Bulgaria, co me corollario delle condizioni fatte al principato dal trattato di Berlino.

E' cotesto però uno studio assai complesso sovratutto se, come a me pare, debbasi tener conto delle peculiari condizioni politiche del momento, né certamente in ogni modo siffatto studio troverebbe posto in un rapporto semplicemente informativo. A me d'altra parte mancano troppi dati non solo nel campo della politica ma ancora sulle condizioni topografiche di quelle regioni, per avere l'audacia d'ingolfarmi in simile labirinto. Mi limiterò quindi a poche ovvie considerazioni di na· tura generale, restringendomi nell'angusta nicchia forzatamente assegnatami dalla mancanza di notizie e dal mio scarso ingegno, e tenendo di mira quasi esclusivamente i rapporti militari serbo-austriaci, come quelli che forse furono finora i meno studiati.

Le condizioni difensive.

Se prima del trattato di Berlino, la Drina, la Sava, il Da· nubio, il Timok ed i monti della Kraina facevano forti i con· fini del principato da oriente, da settentrione e da occidente; da mezzogiorno invece la frontiera potevasi dire completamente aperta ed indifesa. Per poter la Serbia anche da sud e più precisamente, stante la configurazione della nuova frontiera, da sud-est e da sud-ovest, in buone condizioni di difesa, sarebbe stato mestieri spingere il confine sino agli altipiani di Kossovo e di Sofia, comeché da essi si dominino le principali comunicazioni che mettono da quella frontiera nel principato. Ragioni politiche e militari, a fronte dei disparati interessi, parve non permettessero di porre la Serbia al riparo da qualsiasi offesa tanto verso la Bulgaria quanto verso la Macedonia; spingendo il confine fin dove avrebbe fatto mestieri per garantirla .

La nuova frontiera però ha guadagnato verso sud, come vedemmo, una superficie che è la quarta parte circa di quella dell'antico Principato; e, se non ha potuto raggiungere gli altipiani dianzi indicati, si è però avvicinata ad essi, in modo dal-

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l'avere avantaggiate le condizioni difensive del paese col porre la Serbia in possesso di una buona estensione delle linee di marcia che dagli altipiani dianzi citati mettono nell'interno; coll'occupazione dellè posizioni di frontiera al sud di Pirot; e coll'acquisto della lunga stretta di Gradelitza al nord di Vranie, e di quella di Prepolac, delle quali ebbi già a parlare altrove, Egli è vero bensì che Vrania per la sua difesa vuole, come dissi, essere fortificata, egli è vero ancora che le posizioni al sud di Pirot dovrebbero pure venire assolutamente parlando, rinforzate dall'arte; ma in ogni modo, anche padrone di Vrania, il nemico troverebbe ben presto nella stretta della Morava bulgara un potente ostacolo; e dalla parte di Pirot, per la costituzione della Bulgaria in principato autonomo, la Serbia non ha, per ora almeno, nulla a temere. A sud-est poi, avendo la frontiera raggiunto la cresta dei Balcani dal Monte Radocina alla Smilijeva Cuka, e la strada di Viddino conducendo nel principato attraverso i Ciprovec-Balkan, al passo di S. Nicola, facilmente difendibile, le condizioni di difesa anche da quella parte hanno migliorato assai. Ma dove la Serbia avrebbe per lo contrario grandemente perduto, dal punto di vista della difesa nazionale, sarebbe a fronte dell'Austria, quando non provvedesse a ri pararvi.

L'Austria com'è noto ha spinto lo sguardo, e più che lo sguardo i suoi battaglioni (l) ne lla penisola orientale, coll'evidente tendenza di spostar\.. in quella direzione la sua sfera d'influenza e di attività, di guisa che la Serbia ha oggi quasi più a temere dall'Austria che non dalla Turchia, la quale, mossa dallo stesso interesse della Serbia, di trattenere cioè la mar-

(l) L'attuale situazione delle truppe d'occupazione nella Bosnia e nell'Erzegovina secondo i dati più recenti è la seguente: nel corso del 1879 le truppe dell'esercito austro-ungarico furono in quelle provincie ridotte di uno stato maggiore di divisione, una direzione di tappe , quattro reggimenti di linea, tre battaglioni di cacciatori, un reggimento di cavalleria, uno stato maggiore di divisione di batterie, una batteria di grosso calibro, due batterie leggere, due colonne di munizioni, cinque distaccamenti operai un deposito d'artiglieria, nove batterie da montagna, uno stato maggtore di battaglione del genio, quattro compagnie del genio, una colonna d'attrezzi da pionieri, una compagnia di pionieri, una sezione ferrovieri, due squadroni del treno, diciannove squadroni e mezzo di truppe del treno, uno squadrone del treno da basto, un deposito di cavalli. cinque colonne viveri, un'ambulanza divisionale, sei ospedali da campagna. Restano quindi nella Bosnia e nell'Erzegovina e nel Sangiaccato di Novi Bazar quattro divisioni di fanteria, la 1", la 134 , la 17a e la 26•, che contano sette brigate di fanteria e tre brigate di montagna. Di queste di\isioni due sono sul piede di pace e due sul piede di guerra. Le truppe componenti queste quattro divisioni sono: sedici reggimenti di fanteria, sette batta. glioni di cacciatori, uno squadrone d i cavalleria, novantasei bocche di fuoco parte di campagna e parte di montagna, due battaglioni del genio e due compagnie di pionieri ed un corpo di gendarmeria. In fatto di stabilimenti militari esistono: due depositi di artiglieria (Sarajevo e Mostar) e cinque direzioni del genio (Sarajevo, Traurvik , Banjaluka, Dolnij , Touzla e Mostar), due ospedali militari, dodici ospedali reggimentali, una farmacia di presidio, sette tribunali ed uno stabilimento per trasporti militari.

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eia degli austriaci in Oriente, potrebbe forse anche diventare la sua alleata.

Prima del trattato di Berlino, Belgrado potevasi considerare in buona posizione strategica; ma le cose sono oggi mutate assai e Belgrado è, militarmente parlando, mal situata. Le fortificazioni di essa non rispondono più alla loro storica riputazione, perché le opere sono antiche ed in stato di trascuranza. L'Austria da Semlino e dalle isole che ha sul Danubio rimpetto a Belgrado, potrebbe in breve fare di quelle fortificazioni e della città un mucchio di rovine. Il Danubio, tra il confluente del Timok e quello della Sava; e la Sava tra il confluente della Drina ed il punto nel quale essa si getta nel Danubio, presentano varie località dove non è difficile gettare dei ponti; né l'esercito serbo potrebbe in ogni modo impedire all'esercito austriaco il passaggio sulla destra del Danubio. L'impressione che farebbe la caduta di Belgrado, munita di fortilizi e sede del governo, fino dal primo memento delle ostilità, sull'animo delle popolazioni, sarebbe delle più dannose e le conseguenze incalcolabili; ond'è che il governo serbo dovrebbe pensare a stabilire altrove la capitale del principato. Le tradizioni storiche, ed i criteri strategici, politici, economici e commerciali forniscono le norme ad uno Stato per determinare quale debba essere la sua capitale.

Kragouievatz fu la capitale della Serbia durante il primo regno di Milosch. lvi sorge ancora l'antico palazzo del principe, ivi fu l'antica dimora della celebre principessa Lioubitza. Kragouievatz, al centro della classica contrada della Choumadia che ebbe tanta parte nella storia dell'indipendenza serba, è la città dalle tradizioni storiche per eccellenza e nessun'altra città della Serbia potrebbe destare più vive e più care le rimembranze nel cuore di quel popolo dalla fervida immaginazione e dal radicale sentimento dell'affetto alla patria. Kragouievatz, quasi nel cuore del Principato ed al nodo di molteplici comunicazioni che irradiansi verso il confine, è in buona posizione strategica. Essa sorge nel bel mezzo di una zona rotta e frastagliata, ma adatta a concentramenti di forze considerevoli. Questa zona può considerarsi, circoscritta e protetta al nord dal Danubio, ad oriente dalla Grande Morava, a mezzodì dalla Morava Serba, ad occidente dalla linea della Kolubara; di guisa che presenta tutti i caratteri di un ampio campo trincerato naturale. Il primo fascio della linee di comunicazione che dal nord si dirigono su cotesta zona convergendo su Kragouievatz, quello cioè della via di Graditza, di Semendria e di Belgrado, trova un ostacolo potente nel Danubio e nella natura dei luoghi che attraversa. Il secondo fascio che dalla frontiera occidentale, scendendo per le valli dell'Ibar e della Morava serba ed a traverso i monti che separano la Morava bulgara dalla Morava serba, si dirige nella zona dianzi cennata, non consiste che in sentieri, i quali attraversano gole e strette atte assai alla di-

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fesa. Il terzo fascio finalmente delle linee che dalla Bosni a si dirigono nella ripetuta zona, è costituito dalle comunicazioni di Vischegrad e Zvornik sulla media e sulla bassa Drina. La prima conduce per Utziz nella valle della Morava serba e si confonde con una delle vie del secondo fascio. La seconda fa capo a Belgrado. Coteste comunicazioni sono in meno che mediocre stato; e, d'altra parte, per avere a base la Bosnia, dove le simpatie pei serbi sono pronunciatissime, non possono avere grande importanza. La natura poi del terreno di cotesta regione, favorendo in sommo grado i combattimenti per bande, specialmente adatti all'indole del popolo serbo, ed al suo esercito, completa il caratetre del quadrilatero di Kragouievatz e contribuisce a dare a quella regione, ottimamente situata da punto di vista strategico, anche un considerevole valore tattico.

L'esercito serbo concentrato nella zona di cui Kragouievatz è quasi al centro, avrebbe agio, manovrando per raggi e per corde di battere separatamente le colonne che tentassero invadere .il Principato. Né dal punto di vista politico, economico e commerciale è Kragouievatz in condizioni meno favorevoli. In posizione pressoché centrale, come abbiamo veduto, rispetto al territorio del Principato, ed al nord di molteplici comunicazioni, alcune delle quali la pongono in diretto contatto con Novi Bazar e colle popolazioni della Bosnia, che dalla Serbia attendono i beneficii della libertà e dell'indipendenza, gli è facile di là esercitare un'influenza uniformemente gravitante sulle altre regioni del Principato, e mantenere vive e feconde le relazioni coi serbi non ancora redenti. Kragouievatz risiede in una delle zone più fertili e più produttrici del paese, di modo che, collegata per la ferrovia della Morava con Nisch e Belgrado, e, divenuta sede del governo, gli è facile prevedere che in breve raggiungerà un potente sviluppo economico e commerciale. Kragouievatz finalmente è l'anima della vita militare del paese, imperocché ivi si trovi il solo grande arsenale della Serbia con una fonderia di cannoni, e diversi altri stabilimenti tecnici, ed una fabbrica d'armi. Da queste sommarie e rapide considerazioni parmi si possa inferire che la città di Kragouievatz riunisce in se tutte le qualità cui deve soddisfare una capitale, mentre Belgrado è oggi soverchiamente esposta.

Se la Serbia, riacquistata la sua indipendenza sentì un tempo il bisogno di trasportare da Kragouievatz a Belgrado la sede del governo per stringere più intimi i rapporti coll'occidente d'Europa ; oggi la sua stessa esistenza esige che la capitale serba ritorni là dove la sagacia dei suoi uomini di Stato l'avevano posta, e dove, per mezzo di quelle arterie moderne che colla vaporiera fanno più rapido affluire il sangue in tutte le parti del corpo di una nazione, penetrando nelle viscere della terra, e superando ogni ostacolo, essa non sarà in avvenire meno vicina di Belgrado all'occidente dell'Europa.

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Egli è inutile aggiungere che Kragouievatz divenuta capitale del Principato e centro della difesa di esso, dovrebbe essere fortificata. Il concetto di sottrarsi per quanto è possibile all'influenza austriaca e soprattutto ai pericoli che corre Belgrado, situata alla frontiera, sembra essersi fatto strada nell'animo del popolo e del governo serbo. Egli è appunto in questo intendimento che, da quanto potei sapere è sorto il pensiero di spostare il centro della vita del Principato. Pare però che, anziché a Kragouievatz si voglia trasferire la sede del governo a Nisch. Nisch infatti è più interna di Belgrado, a fronte dell'Austria, e, situata al nodo di quattro importanti vie, quelle cioè di Belgrado, di Pristina, di Uskiib e di Sofia, malgrado la sua giacitura meno favorevole allo sviluppo dell'industria e del commercio, che non sia la sede attuale del governo, pur non di meno, aperte le ferrovie in progetto, potrebbe assai degnamente soddisfare anche a questo bisogno della civiltà. Essa pure è molto meno riparata di KrFtgouievatz, comeché troppo vicina alla frontiera dalla parte di mezzodl e posta in un terreno facile e scoperto. Inoltre, per essere eccentrica, non potrebbe h;radiare la sua benefica luce in senso uniforme sul territorio del Principato, né far sentire la sua influenza quanto Kragouievatz sul resto delle popolazioni serbe soggette ancora alla Turchia e dj cui il territorio fu in parte già occupato dal}!Austria. I fortilizi poi di cui andrebbe munita Nisch quando ivi si trasferisse la sede del governo, costerebbero somme assai considerevoli. Comunque sia sarebbe fatale imprudenza mantenere la capitale a Belgrado.

Una nazione però che ha le nobili aspirazioni della Serbia non deve accontentarsi di star rinchiusa in casa propria e studiare soltanto il problema della sua difesa, ma dev'essere anche pronta, in date contingenze, ad agire offensivamente. Gli è perciò che, a completare questo informe disegno, dirò come a me sembri opportuno che a Vrania ed a Prepolac, nell'intento di avere buoni punti di sbocco e d'appoggio nell'offensiva, sarebbe opportuna assai la costruzione di opere di fortificazione o quando meno uno studio accurato dei lavori che all'aprirsi delle ostilità vi si dovrebbero costruire. Quando adunque la Serbia portasse la sua capitale a Kragouievatz, e là fortificasse, e munisse di fortilizi Vrania e Prepolac, nello scopo principalmente di potere di là operare offensivamente nell'alta Macedonia e nella Bosnia, avrebbe solidamente rafforzata la sua difesa e migliorate le condizioni offensive, qualora ben inteso, non perda di vista la pacificazione dei turbolenti albanesi. Ed ora è tempo ch'io ripieghi le vele e riassuma quasi a guisa d'indice le conchiusioni parziali a cui man mano addivenni nel corso di questo lavoro. Prima però di riassumermi sento il dovere di accennare a taluni fatti incidentali che lusingarono il mio amor proprio di italiano.

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Accoglienze ricevute.

Le accoglienze ricevute nel Principato e sopratutto a Belgrado ed a Nisch, dove, durante la delimitazione trovavansi provvisoriamente le loro altezze H principe Milano e la principessa Natalia, furono delle più cordiali.

A Belgrado tanto dal signor Ristitch, presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli Affari Esteri, quanto degli altri ministri e da tutto il corpo diplomatico e specialmente dal nostro egregio rappresentante il conte Ioannini, ebbi di-mostrazioni di simpatia così cortesi, da !asciarmi la più gradita impressione. Le loro altezze dalle quali ebbi separatamente udienza m'intrattennero più d'un ora e mi parlarono assai favorevolmente dell'Italia. Sua altezza il principe, dopo di avermi a lungo e con vivo interesse intrattenuto sul nostro esercito, entrato nel campo della politica, pur manifestando il desiderio che l'Italia riconoscesse l'indipendenza del Principato, col destinare a Belgrado un ministro, come avevano fatto tutti glli altri Stati d'Europa, mi soggiunge però che non era punto né allarmato, né spiacente del ritardo, perché conosceva i sentimenti dai quali era animato il governo italiano, ed apprezzava le ragioni che lo avevano indotto a ritardare l'invio a Belgrado di un ministro residente.

Anche l'accoglienza avuta a Vienna da sua eccellenza il generale Robilant, a Pest dal nostro console il commendatore Salvini, a Bucarest dal corpo degli ufficiali ivi stanziati, dalle loro eccellenze il presidente dei ministri, il presidente della Camera, ed il ministro dell'Interno, fu delle più simpatiche; e le amichevoli dimostrazioni prodigatemi a da sua eccellenza il conte Corti rimarranno nell'animo mio lungamente impresse.

I miei rapporti coi colleghi furono sempre eccellenti, non avendo mai avuto nemmeno l'ombra del più piccolo screzio, ed essendo anzi sovente stato richiesto per comporre le quistioni che talvolta non mancarono di far capolino fra taluno di essi.

Il governo e gli ufficiali serbi che erano colla commissione non risparmiarono né fatiche né sacrifizii per procurarci tutti gli agi compatibili colla nostra missione e coHa natura della regione che si percorreva. Se sua eccellenza il nostro ministro degli Affari Esteri pensasse a mandare a Belgrado qualche onorificenza in testimonianza del modo veramente commendevole con cui fummo ospitati, farebbe ottima cosa, e le simpatie che abbiamo laggiù si andrebbero sempre più cementando.

Soggiungo finalmente che mi recò grata soddisfazione lo aver sentito più volte parlare molto favorevolmente del tenente colonnello Zanolini che fu, or sono alcuni anni, a Kragouievatz, dove contribuì assai al miglioramento della fonderia ivi esistente ed alla dotazione per l'esercito serbo di un ottimo mate-

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riale d'artiglieria in bronzo (1); e mi riesci commovente l'unanime rimpianto per la perdita del tenente colonnello Gola, il quale, in poco tempo, aveva saputo accapparrarsi la stima e l'affetto di tutti (2).

V. CONCLUSIONE.

Ed ora mi riassumo.

La delimitazione fu compiuta in tre mesi e mezzo. Questo tempo avrebbe potuto accorciarsi se ogni commissario avesse avuto qualche topografo ed un ufficiale a sua disposizione, e se si fosse seguito un processo più semplice, come quello

(l) Materiale d'artiglieria da campagna serbo fatto costruire nel 1863 dal tenente colonnello Zanolinì.

Materiale modello italiano (1863) alleggerito in modo da essere traina· bile da 4 cavalli.

Cannone di bronzo ad avan· carica rigato col sistema

Affusto modello italiano 1844 alleggerito

può

elevazione massima che si può dare al cannone peso dell'affusto con ornamento peso dell'avantreno con cofano vuoto peso delle munizioni (32 colpi) peso totale del cannone, affu. sto e

(2) Feci il viaggio da Orsova a Bucarest col signor Bratiano, presidente del Consiglio dei ministri e col signor Rossetti, presidente della Camera dei deputati di Bucarest. Entrato a parlare con loro del povero Gola i1 signor Bratiano mi promise che avrebbe fatto eseguire una nuova inchie· sta. So che fu incominciata dal procuratore della corte d'appello di Bucarest col concorso del cavaliere Pansa nostro incaricato d'affari in Romania, prima che ivi fosse mandato come ministro plenipotenziario il conte Tor· nielli; so che i primi atti dell'inchiesta avevano dato dei risultati contraddittorii e so che un cadavere era stato segnalato sulle sponde del Danubio presso Smstria; ma non so altro. Forse i ghiacci sul Danubio impedirono di constatare l'identità del cadavere. In ogni modo proseguendosi l'inchiesta con cuore e perseveranza, credo sì possa venire a capo di sapere quale fine abbia fatto questo amatissimo e distinto nostro ufficiale.

Granata
Labitte
calibro lunghezza
peso carica di fazione peso carica interna diametro delle
carreggiata passo diametro del circolo minimo entro cui
munizioni m. 0,0855 ,. 1,284 eh. 320,000 ,. 0,600 ,. 3,600 ,. 0,180 m. 1.300 ,. 1330 ,. 2.120 ,. 8.200 eh. 359,000 :t 346.000 ,. 147,000 • 1172,000
dell'anima
ruote
il pezzo
girare
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di limitarsi a rilevare soltanto la linea del confine, riallacciata a taluni capi saldi ben determinati.

Alla Serbia furono annessi 12.000 chilometri quadrati di territorio ed una popolazione di circa 300.000 abitanti. Il nuovo confine della Serbia tracciato sommariamente a Berlino non risponde che incompletamente al concetto delle nazionalità, di guisa che la tranquillità della frontiera che in alcuni punti è compromessa, in causa appunto di questo difetto, potrebbe dare appiglio a nuove complicazioni. Il rimpatrio degli albanesi è una grave quistione sulla quale la Serbia e la Turchia, non solo, ma le potenze tutte d'Europa sarebbe utile portassero la loro attenzione, per scongiurare pericoli che ci sovrastano continuamente.

Altre difficoltà potrebbero venir sollevate dalle convenzioni ferroviarie tra la Serbia e l'Austria-Ungheria; né l'Italia a fronte dei molteplici interessi che si collegano alla quistione delle strade ferrate nella regione dei Balcani avrebbe a rimanersi indifferente per la tutela dei suoi interessi commerciali.

Le istituzioni deJla Serbia sono delle più liberali d'Europa. L'istruzione pubblica vi è molto curata. Il sentimento religioso, i vincoli di famiglia, l'affetto alla patria e le tradizioni storiche fanno di quel piccolo popo lo un nucleo potente attorno al quale, dati certi eventi, si verranno raccogliendo tutti gli slavi del sud.

Il panslavismo che come uno spauracchio si fa balenare agli occhi dell'Europa dalle potenze interessate ogni volta che il loro tornaconto lo domandi, a quanto sembra, non è che un fantasma. Tutti sentiamo che la dominazione turca sui Balcani è vicina a finire; e, tra i superbi e potenti colossi che si contrastano la supremazia in Oriente, tra i successori di Metternich che tendono ad avere un piede sull'Egeo, ed uno sul litorale dell'Adriatico, ed il cuore a Vienna e la testa sulle Alpi, parmi più logico e più umanitario e patriottico ed anche più utile assecondare le popolazioni della penisola nella conquista della loro nazionalià.

Lo stato dell'industria, del commercio e dell'agricoltura è ancor nell'infanzia a causa delle continue lotte che la Serbia dovette sostenere per acquistarsi la propria indipendenza, ed a causa della viabilità non abbastanza sviluppata e del difetto di popolazione. Una colonia d'agricoltori italiani gioverebbe allo sviluppo agricolo del principato ed accrescerebbe la nostra influenza in quelle regioni; e, coll'aprirsi delle ferrovie progettate, le industrie ed il traffico saranno indubbiamente assai avvantaggiati.

La società serba è relativamente florida e la vita sprezzante degli agi che quel popolo conduce, è arra sicura dei sacrifizii che esso saprà fare in avvenire onde raggiungere la meta a cui tende.

L'esercito è relativamente ben ordinato ed in via di progressivo miglioramento; ed il soldato serbo, che ha ottime

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qualità militari, diede nell'ultima campagna non dubbie prove del suo valore e della sua solidità. Lo studio dell'ordinamento degli eserciti a grande numero ed a piccola spesa sarebbe desiderabile fosse fatto sul posto, da ufficiali addetti alle legazioni.

Finalmente le condizioni difensive ed offensive del Principato diverranno buonissime se la capitale della Serbia verrà trasferita a Kragouievatz, e se Vrania e Prepolac saranno fortificate.

Da tutto questo insieme di condizioni politiche, sociali e militari alle quali toccai brevemente nella mia rapida corsa, chiaro apparisce, se non m'inganno, che il compito della Serbia è ben compreso dal suo popolo e dai suoi uomini di Stato. Affermare le loro istituzioni, promuovere e diffondere l'istruzione, e rafforzare l'esercito, ed essere d'esempio ai figli dispersi della grande famiglia serba; e, senza provocare direttamente la trasformazione dell'Europa Orientale, tenersi parati ad ogni evento, e mettersi a livello della fortuna, ed usufruire calmi e risoluti dei momenti propizii. E' cotesta, a quanto pare, una condotta saggia e feconda.

Che l'Europa civile assecondi le aspirazioni della libera Serbia e che i voti degli italiani accompagnino nel compimento della sua nobile missione la valente avanguardia degli slavi del sud, è l'augurio che io facico a quella degna nazione nel suo interesse e nell'interesse dell'equilibrio d'Europa.

Codeste in riassunto sono le conclusioni delle poche considerazioni che mi permisi sottoporre a vostra signoria.

Finisco invocando tutta la di lei indulgenza, ed esternandole i sensi della mia gratitudine per essere stato designato come commissario del mio paese in una missione dalla quale trassi non piccolo ammaestramento, e grande soddisfazione.

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3. U. BRUSATI, Appunti di viaggio in Rumania (1).

Mi reco ad onore di trascrivere e di inviare alla signoria vostra gli appunti presi durante la mia recente escursione a Bucarest, facendo riguardo ai miei apprezzamenti , le stesse riserve fatte allorquando riferivo a vostra signoria circa il mio viaggio in Serbia.

Il 10 (22) maggio nostro stile ricorreva la festa nazionale rumena; in tal giorno, come di consueto, doveva aver luogo una rivista militare; ai primi di giugno sua maestà il re avrebbe lasciato la capitale, per recarsi a respirare le fresche aure del suo castello di Sinaia . Erano queste altrettante buone ragioni per indurmi a partire senza indugio per la Rumania, ragioni alle quali si aggiungeva pur quella della partenza per colà dell'addetto militare inglese e dei due addetti militari francesi accreditati, al pari di me, sia a Vienna sia a Bukarest. E che l'epoca della mia escursione fosse opportuna, me lo provarono le parole dette da sua maestà re al nostro ministro marchese Curtopassi esprimenti riconoscenza verso il nostro governo che mi aveva inviato a Bucarest per tale circostanza.

A disposizione degli addetti militari giunti da Vienna fu posto un ufficiale del Grande Stato Maggiore, il capitano Grudisteano.

Non posso tralasciare di segnalare a vostra signoria la estrema cortesia dimostratami s ia da questo ufficiale, che dal tenente brevettato di Stato Maggiore signor Stefano Cotescu già allievo, quest'ultimo, della nostra Scuola di Guerra, e che spontaneamente si mise ai miei ordini.

20 maggio. - Giunto a Bucarest nella notte dal 19 al 20 maggio, impiegai la giornata del 20 a fare la consueta visita di dovere a sua eccellenza il ministro degli Affari Esteri, ai capi delle missioni estere accreditati presso la corte di Rumania, ed ai colleghi militari di Austria-Ungheria e di Turchia, aventi colà sede fissa.

(l) SME-AUS, b 38, Addetti Militari, f. 3. Rapporto n 98 di protocollo riservato, al tenente generale Sironi, comandante in 2• il Corpo di Stato Maggiore, Vienna 15 giugno 1888, pp 52.

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21 maggio. - Visita di alle autorità militari locali.

Sono invitato a recarmi alle ore tre e trenta al poligono di Cotroceni, ove ha luogo la distribuzione dei premi del tiro di gara fra militari. Premi erano: medaglia dorata, o d'argento, o di bronzo; distintivi di tiratore scelto, denaro. Le loro maestà il re e la regina assistettero alla cerimonia, avente esclusivo carattere militare.

Prima della distribuzione dei premi alcuni dei migliori tiratori dettero saggio della loro valentia, eseguendo tiri col fucile e col moschetto a distanza di trecento metri e di seicento metri tra bersagli fissi, simili ai nostri regolamentari, e tiri colla pistola a rotazione a distanza di venti metri. Pel primo sua maestà il re eseguì parecchi tiri, sia col fucile, sia colla pistola. Notai che il re dopo aver vantato la giustezza del tiro e gli altri pregi del fucile Henry-Martini, disse che per ora in Rumania non si adotterebbero nuove armi a ripetizione, essendo il meglio nemico del bene. Non saprei davvero porre d'accordo questa esserzione del capo dello Stato, colla legge promulgata il 17 dicembre 1887 accordante al governo un credito straordinario di dieci milioni di lire per provvista, appunto, di fucili a ripetizione.

Finita la distribuzione dei premi, fatta da sua maestà la regina, tutti gli ufficiali presenti si recarono, dietro invito del re, a visitare le due torri corazzate che servirono alla esperienza eseguita sullo scorcio dell'anno 1885 e al principio del 1886; circa le quali riferiva a cotesto Comando il mio predecessore.

22 maggio - Cerimonia religiosa e militare per l'anniversario della incoronazione di re Carlo l.

Alle ore dieci e trenta antimeridiana rivista delle truppe del presidio. Queste, in numero relativamente limitato, giacché una parte di esse trovavasi tuttora dislocata nei comuni rurali, in seguito ai torbidi, scoppiati or sono due mesi, constavano di: Scuola di ufficiali, due battaglioni fanteria (esercito permanente), un battaglione cacciatori, due battaglioni, un reggimento cavalleria, una brigata d'artiglieria due reggimenti, dodici batterie in totale).

Questi reparti di truppa erano schierati lungo le strade percorse da sua maestà per recarsi dalla cattedrale al punto proficuo per lo sfilamento, il quale ebbe luogo sull'ampia via denominata boulevard Elisabetta sita nel centro della città. Lo sfilamento della truppa fu preceduto da quella degli allievi degli istituti e delJe scuole civili (senza uniforme, ma armati di fucili e di sciabola baionetta), e dello sfilamento di tutti gli ufficiali fuori rango. disposti in più righe, per ordine di grado e di anzianità. Le truppe a piedi sfilarono per plotoni da nove a dieci file; la cavalleria per spezzati di otto; l'artiglieria per sezioni.

Assai favorevole fu l'impressione in me prodotta dalla fan-

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teria e specialmente dai Dorolanzi, avuto riguardo alla breve loro permanenza sotto le armi. Discreto allineamento; passo spigliato all'italiana; distanze non sempre uniformi, forse però a cagione delle poco favorevoli circostanze di luogo, porto d'arme bracci-arm. La cavalleria mi parve ben montata. Sfilò con andatura alquanto irregolare, in complesso discretamente. Ammirai l'artiglieria, per la bellezza veramente rimarchevole dei cavalli, per la cura con cui è tenuto il materiale, per la inappuntabilità e, meglio, per l'eleganza delle bardature in cuoio naturale, per l'accuratezza in tutti quei piccoli dettagli che fanno testimonianza dell'occhio costantemente vigile ed intelligente dei graduati dì truppa e degli ufficiali.

Nel percorso della città il re fu, quà e là, acclamato dalla folla che stipava le vie e le finestre; gli furono gittati anche fiori, nell'insieme, tuttavia, l'ambiente parvemi alquanto freddo. Non approvo, anzi ritengo sconveniente l'uso in virtù del quale le truppe, allorché il re passa loro dinanzi, gridano t r e volte urrà. Vi trovo alcun che di piazzaiuolo, di antimilitare. Il soldato non ha d'uopo di gridare, per mostrare che ama il suo re; i sentimenti più veraci non sono quelli che hanno bisogno di esprimersi clamorosamente.

24maggio ·Visita dell'arsenale d'artiglieria, al seguito delle loro maestà. Non era certamente questo il modo più proficuo per visitare l'arsenale. Di questo stabilimento militare, del resto, già ebbero occasione di far parola i miei predecessori. Certamente esso è uno stabilimento assai pregevole, ottimamente impiantato e che va a mano a mano acquistando maggior sviluppo. Vi si fabbricano il carreggio per l'esercito, i proiettili d'artiglieria, vi si riparano le armi, ma non se ne fabbricano; neppure vi si fondono cannoni. Attualmente nell'arsenale lavorano circa cinquecento operai borghesi e trecento militari; essi attendono, per la massima parte, ad apprestare il carreggio occorrente per vari servizi dell'esercito mobilitato, carreggio che ora è insufficiente.

Non osservai nulla che meriti in special modo dì essere ricordato.

25maggio - Visita del laboratorio pirotecnico, dell'opificio arredi, e della Scuola di ufficiali.

a) Laboratoriopirotecnico. Sistemato a somiglianza di tutti gli altri stabilimenti analoghi. Il macchinario di cui è dotato, è assai antiquato e in gran parte la lavorazione è manuale; soltanto assai antiquato e in gran parte la lavorazione è manuale; soltanto ora si comincia a surrogare le vecchie macchine con macchine moderne perfezionate. In queste fermò la mia attenzione, forse a causa della mia ignoranza, una ingegnosa macchina per caricare cartucce , proveniente da Vincennes ed ivi costrutta. Con concorso di tre soli operai essa carica circa 25.000 cartucce in dieci ore di lavoro, tenuto conto delle inevitabili interruzioni; giacché la produttività di tale macchina, constata coll'orologio alla mano, è esattamente di

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una cartuccia per secondo, cioè di 3.600 cartucce all'ora. Attualmente nel laboratorio pirotecnico di Bukarest si fabbricano giornalmente, al massimo, 50.000 bossoli per fucili HenryMartini; si fabbrica quantità proporzionata di pallottole; si confezionano, al massimo, centoventi mila cartucce al giorno. Coll'adozione di nuove macchine tale produzione si accrescerà.

La Rumania acquista direttamente in Francia i ditali d'ottone da cui si ricavano poi i bossoli; il metallo è di ottima qualità, tantoché uno stesso bossolo può essere ricaricato fino a nove voi te.

Notai la foggia speciale secondo la quale si costruiscono i cannelli fulminanti per cannoni da campagna. A mio modo di vedere questi cannelli ripiegati hanno su quelli diritti, da noi in uso, il vantagigo di poter essere eslratti con notevole facilità dal focone allorché, o non hanno innescato il cartoccio e debbono essere cambiati, o per effetto della dilatazione del metallo prodotta dallo scoppio vi rimangono impigliati.

b) Opificio Arredi. - Vi si confezionano oggetti di arredamento per rifornirne i magazzin i di deposito e i corpi di truppa. Le stoffe adoperate sono tutte di produzione paesana. Il cuoio di scarpe è pure preparato in paese. Nell'opoficio non si confezionano scarpe, si taglia soltanto il cuoio il quale è quindi inviato al laboratorio di calzoleria di Filarete. Questa calzoleria è privata, e fu collo scopo di dare impulso ad una industria locale, che il governo le affidò, per un decennio, la confezione delle scarpe pei soldati.

c) Scuola di ufficiali (Scoala de oficeri). Questa scuola corrisponde all'Accademia Militare per l'ex-Regno di Sardegna, e cioè, ne escono sottotenenti di tutte le armi.

Non mi dilungo intorno a questa scuola, perché da codesto Comando si posseggono già i dati al riguardo; dirò soltanto che avendo udito molti allievi parlare benissimo il francese e alcuni pure il tedesco, ne tenni parola col comandante la scuola, il quale mi disse che tutti gli allievi conoscono la lingua francese e il quaranta per cento circa di essi conosce la lingua tedesca. Molti insegnanti professano in lingua francese, ciò che è bastantemente strano.

L'edificio ove la scuola è stabilita è ampio, bene costrutto e consta di tre distinti corpi di fabbrica:

l. Fabbricato principale, che contiene la b iblioteca, le sale del Comando, le scuole, le sale di studio, le sale di ginnastica e scherma, i dormitori.

2. Fabbricato contenente la infermeria, la farmacia, i locali per bagni e per docce, le cucine, il refettorio.

3. Fabbricato composto di un ampio maneggio coperto fiancheggiato da ottima scuderia.

Mezzo di riscaldamento per le cucine c pei diversi locali occupati dagli allievi durante l'inverno, è il vapore; mezzo di illuminazione, il gas ordinario prodotto dalla distillazione del

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petrolio grezzo che abbondantemente si raccoglie in Rumania.

26 maggio. - Sino dal giorno del mio arrivo a Bucarest il nostro ministro plenipotenziario aveva, come obbligo, chiesta per me un'udienza a sua maestà. Sebbene le circostanze mi avessero già più volte procurato l'onore di trovarmi col re, tuttavia ebbi avviso che questi mi riceverebbe, nella sua vil1a di Cotroceni, alle due pomeridiane del 26.

Mi accolse con moltissima cortesia, e ripeté essere stato ben lieto di vedermi a Bucarest nella ricorrenza della festa nazionale. Mi chiese quali fossero le mie impressioni su quanto di attinente all'esercito aveva visto; mi parlò delle fortificazioni in costruzione e delle ingenti somme di denaro c.:he per esse sarebbero occorse, somme di denaro che nullamcno era indispensabile spendere se la Rumania voleva poter attendere confidente l'avvenire. Disse che la Dobrucia era, almeno per ora, un elemento di debolezza per il regno, giacché dava pochi soldati, e obbligava a distaccare quasi una divisione dai quattro corpi d'armata territoriali, complessivamente, per tenervi guarnigione e per impedire il contrabbando, specialmente dalla costa marittima. Si rammaricò della ingente cifra di ebrei (circa 500.000) che popolano il regno e ne sono la piaga, imperciocché colla usura riducono i contadini alla miseria. Accennò alla militarmente poco felice configurazione del territorio dello Stato, avuto riguardo al protendersi della stretta lingua di territorio moldavo tra Austria e Russia. E nella sua mente ripensando, forse, alla situazione politica del suo paese, esclamò: «Felice l'Italia che può altamente proclamare le proprie alleanze». Da ciò tratto argomento per parlare dell'Italia, passò ad intrattenermi, con molto interessamento, del nostro esercito, mostrando di conoscerlo assai bene; fece molti elogi degli ufficiali e dei soldati. Ebbe parole piene di calda simpatia per sua altezza reale, il principe di Napoli, che aveva conosciuto a Berlino nell'occasione dei funerali dell'imperatore Guglielmo.

Dopo un'ora e un quarto di colloquio mi congedò, esprimendo la speranza di rivedermi prima che io partissi.

28 maggio. - Visita del forte di Jiliava, distinto col n. 13 nella serie dei forti costituenti il futuro campo trincerato di Bucarest.

Avendo chiesto autorizzazione di visitare qualcuno dei forti di Bucarest, la mia domanda fu accolta favorevolmente, ma con una ostentazione di mistero che mi fece sorridere, allorquando seppi che al gran mistero erano stati pure iniziati uno degli addetti militari francesi e l'addetto militare turco; mentre poi, l'addetto militare inglese non si era interessato alla cosa ed era partito, e gli altri addetti militari di Germania e d'Austria-Ungheria furono invitati da sua maestà il gorno 29, insieme a me ed agli altri, a ispezionare minutamente, al suo seguito, tutta la corona dei forti che proteggeranno la capitale.

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29maggio. - Sua maestà il re invitò tutti gli addetti militari presenti a Bucarest a seguirlo nella ispezione dei forti del campo trincerato. Questa ispezione, iniziata alle ore nove antimeridiane, ebbe termine alle ore nove e trenta pomeridiane. Un treno speciale, percorrente la ferrovia militare di cintura, ci trasferì dall'uno all'altro forte.

30 maggio - Visita della caserma del reggimento genio stanziato a Bucarest.

Nulla vidi di specialmente rimarchevole. La caserma è ampia, bene aerata, con logica distribuzione di locali. Nelle camerate i letti, in ferro, sono disposti a due piani, per risparmio superficiale, e cioè ad ogni letto ne è sovrapposto un secondo. Questo sistema è senza dubbio cattivo. Mi si disse che lo si adottò per ripiego allorquando si accrebbe l'anna del genio, mentre non si avevano locali disponibili in proporzione; sta però di fatto che vidi lo stesso sistema applicato in altre caserme.

31 maggio - Visita di congedo e partenza per Vienna.

Premesso, per sommi capi, il diario relativo al mio soggiorno a Bucarest, vi è d'uopo toccare, in modo particolare, taluni argomenti di speciale importanza.

Sua maestà il re Carlo l.

Tipo del perfetto gentiluomo e del galantuomo. Lo credo intelligente; è, senza dubbio, studioso; forse, le di lui doti intellettuali non risaltano gran fatto, imperciocché mancano di vernice che le renda brillanti. E' dotato di una memoria proverbiale. Alieno del fasto, vive assai modestamente per un sovrano. Famigliare con tutti, procura di cattivarsi l'affetto di quanti lo circondano; malgrado ciò mi è sembrato di scorgere da molteplici indizi, per quanto appena percettibili, ch'egli è sempre un po' straniero tra i suoi. Le principali famiglie del paese, poche eccettuate, non veggono di buon occhio il re e se ne tengono lontani, ostentando anzi un certo disdegno non curante.

Un torto di cui oggi farei rimprovero al re, è quello di non aver saputo o voluto costituirsi la sua casa militare, con elementi ottimi sotto ogni riguardo. Ma di fatto che tra gli aiutanti di campo vi è qualcuno che sarebbe indegno di appartenere all'esercito. Le male influenze esteriori hanno, sembra, avuto tanta forza da indurre un uomo stimabilissimo ed onesto, ad accordare fiducia, almeno in apparenza, a chi onesto ed stimabile non è Il colonnello Candiano, aiutante di campo di sua maestà, è un avventuriero di cattiva lega. Già aiutante di campo del principe Couza e da questi trattato siccome amico, lo tradì; si recò in una città di provincia, fece togliere i fili del telegrafo, quindi proclamò la repubblica. dicendo che la rivoluzione era scoppiata a Bucarest; ma l'impresa fallì e dovette

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fuggire, rimanendo, pel fatto stesso, radiato dai ruoli dell'esercito. Riparatosi in Transilvania, tanto fece da essere imprigionato; poco dopo riuscì a riacquistare la libertà e venne in Italia, ove si industriò alla meglio per vivere. Ma in Rumania non mancava di protettori, tra cui principalissimo e potente Bratiano, l'ex-presidente del Consiglio; epperò scoppiata la guerra russo-turca e deciso l'intervento della Rumania in appoggio ai russi, il Candiano, riuscì a farsi riammettcre nell'esercito col grado di capitano, vista la scarsezza degli ufficiali. La sorte, spesso avversa ai migliori, lo favorì. Uomo ardito e coraggioso, si offerse spontaneamente di porsi alla testa delle truppe. Designato a ritentare l'attacco della ridotta Grivitza n. 2, attacco che più volte era stato respinto colla perdita di quasi tutti gli ufficiali , ed ebbe la fortuna di impossessarsi della ridotta. Ciò dette appiglio ai di lui partigiani di sollevarlo sugli scudi; ebbe onori, promozioni e sul passato fu posta la pietra dell'oblio. Ho creduto di dover accennare a tutto ciò, non già per vezzo di raccontare un aneddoto, ma perché sembrami cosa importante il conoscere quali uomini siano attorno alla persona del re, in momenti in cui le influenze politiche interne ed esterne non stanno certamente colle mani in mano.

Sua maestà la regina.

Amabile, gentile, colta signora, ben nota nella letteratura col pseudonimo di Carmen Syl va. Per le sue doti di mente e di cuore, per irreprensibilità di condotta in un paese ove la facilità dei costumi è proverbiale, la regina è molto stimata e rispettata. In Rumania non si possono scordare le amorose cure che essa prodigò, infaticabile, ai feriti dell'ultima guerra; i poveri e gli infelici la benedicono siccome benefattrice. Ciò malgrado, essa pure subisce la atmosfera fredda che circonda il suo augusto consorte.

L'ambiente politico

In Rumania, più ancora che in Serbia, notai per ogni dove traccia dell'influenza russa e specialmente della influenza francese, mentre notai, per contraposto, dovunque assai poca simpatia per l'Austria-Ungheria.

Che il numero dei russofili sia colà molto notevole non crederei; sono in genere russofili, fatte le debite eccezioni, i pescatori in acque torbide, coloro che non hanno un proprio ideale politico, e che alla patria sostituiscono l'io.

L'esercito ha serbato buon ricordo, cosa naturale e spiegabilissima del resto, degli antichi compagni d'arme sui campi di battaglia, tuttavia non si può dire che simpatizzi propriamente pei russi, che da taluni ufficiali udii chiamare «nostri eterni nemici » e da altri tacciare di ingratitudine.

Marcatissimi sono invece i sentimenti di attaccamento dei

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rumeni pei francesi, e lo si spiega. Oltre la comunità di razza, ad ogni istante ricordata , avvi tra rumeni e francesi un vincolo assai più potente, il vincolo intellettuale. La Francia fu sempre il modello che la Rumania prescelse; da anni e anni buona parte della gioventù rumena dotata di sufficienti mezzi di fortuna, o inviata a spese dello Stato, va a compiere i propri studi in Francia, ove contrae amicizie, abitudini e, spesso, legami di parentela. Quasi tutti gli attuali ufficiali generali hanno stud iato n Francia; moltissimi ufficiali generali hanno studiato in Francia; moltissimi ufficiali delle armi speciali escono dalla Politecnica di Parigi e hanno perfezionato la propria istruzione tecnica a Fontainebleu. La conoscenza della lingua francese è diffusissima in Rurnania: i rumeni tra loro spesso non parlano la propria lingua, ma il francese. Nell'alta società si parla esclusivamente francese. Avuto riguardo all'odierno raggruppamento delle grandi potenze europee, la Russia potrebbe sfruttare a proprio beneficio la influenza francese in Rumania. A questo proposito, constami che gli addetti militari francesi, durante la recente gita ivi fatta, si comportano anche quali agenti russi.

E l'Italia? Dell'Italia si parla in Rumania con classico platonismo. Forse non sarebbe difficile compito far battere all'unisono col nostro, il cuore di questi rumeni, e che così in molti pregi come in molti difetti, si rassomigliamo; ma non sta a me il ricercare i motivi che ci possono indurre a non assumerci quel compito, sebbene, a mio grosso raziocinio, gli amici non sieno mai troppi per una nazione. Lo studio della lingua italiana è trascuratissimo in Rumania, anche in quei centri ove un tempo fioriva il commercio italiano.

Il conte Tornielli, allorquando era ministro a Bucarest, interessò l'arcivescovo cattolico, se non erro, perché in alcune località come Bukarest, Galatz etc. fossero attivate scuole italocalità come Bucarest, Galatz etc. fossero attivate scuole ita· desiderio del ministro e le scuole furono aperte; fu chiesto al nostro governo, che lo promise, un sussidio di lire quattromila annue a tale scopo. Ma la promessa è tuttora allo stato di promessa, e non vi sarebbe da meravigliare se le scuole italiane dovessero chiudersi per deficienza di mezzi.

L'Austria, come già dissi, non è molto amata, e, dirò meglio, è poco amata in Rumania, per le stesse identiche cause che non la rendono simpatica in Serbia. L'Austria possiede territori che la Serbia vorrebbe rivendicare; l'Austria con un malinteso d'improvvido regime doganale ha elevato una · barriera fra essa e ill vicino regno. Per rispetto ai rapporti internazionali ho creduto di scorgere nelle alte sfere militari due correnti. La corrente governativa, con a capo il re, la quale agisce di concerto colla Germania e quindi, coll'Austria-Ungheria; la corrente immediatamente sottostante, ma pur sempre elevata, e determinata da buon numero fra gli ufficiali generali, la quale si adatta mal· volentieri all'amicizia colla Germania, pel solo fatto, ritengo, che si sa essere Germania e Francia nemiche.

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Di questo stato di cose ho potuto anche constatare i sintomi nel modo col quale gli addetti militari dei diversi Stati erano trattati. L'addetto austro-ungarico era lasciato quasi in disparte; all'addetto militare germanico usate cortesie di convenienza da tutti, fatta eccezione del re che gli dimostrava speciale simpatia; l'addetto militare inglese era riguardato siccome forestiero di distinzione e nulla più; con me ognuno fu amabile e cortesissimo, ma parvemi che tali amabilità e cortesie fossero piuttosto dirette al camerata che all'addetto militare; fra gli addetti militari francesi, gli ispettori generali d'artiglieria e genio, molti ufficiali di vario grado avevano attenzioni particolari, altri pochi mi sembrò che giuocassero la commedia, ostentando cortese riservatezza. Scordavo l'addetto militare turco forse perché era effettivamente scordato quasi da tutti, sebbene ufficiale serio, simpatico, e probabilmente capace. Sta di fatto che ad insaputa di sua maestà e certo anche del ministro della Guerra, furono fomiti ai francesi, da alte autorità militari, alcuni ragguagli di indole riservatissima, circa le fortificazioni dello Stato, ragguagli che, so positivamente, furono tosto comunicati all'addetto militare russo a Vienna, visto che il colonnello russo, destinato da oltre tre mesi quale addetto militare a Bucarest non era ancora giunto. Mi affretto di dire che per verità io pure, avvalendomi in parte del caso che mi aveva posto a cognizione delle agevolezze fatte ai francesi, potei avere, e per fortunata combinazione assai più completi, i ragguagli di cui sopra; ragguagli che doppiamente premevami di procurarmi, ricordando un desiderio espresso dal capo di Stato maggiore dell'Esercito, prima ancora che lasciassi Roma per recarmi qui.

Riassumendo ripeterò che a Bucarest la società militare che frequentai mi sembrò potersi dividere, politicamente, in tre gruppi. lo gruppo: partigiani dell'alleanza colle potenze centrali. 2° gruppo: partigiani della Russia, la quale, procura allettarli con mille promesse; li attira il ministro russo a Bucarest, signor Hitrovo, intelligente, personalmente simpaticissimo, abile, si adopera a tutt'uomo e col mezzo di giornali al suo soldo, per accrescere il numero dei componenti questo gruppo e per creare imbarazzi al governo (l). 3° gruppo: questo gruppo, più numeroso degli altri, è composto degli essenzialmente e anzitutto rumeni, che, cioè, diffidano della Russia, non simpatizzano per l'Austria-Ungheria, ed amano la Francia naturalmente, istintivamente quasi. E' però in una eventuale guerra delle potenze centrali contro Russia e Francia alleate, i componenti questo gruppo propenderanno per la neutralità, per un'opposizione da un lato colle armi alla Russia, e neppure

(l) Non è affatto vera la storiella apparsa sui giornali, secondo cui allorquando, or sono due mesi, alcuni deputati invasero il palazzo reale, dando luogo agli scandali di cui tutti i periodici si occuparono, vi fossero tra i dimostranti rimasti sulla piazza, alcuni addetti alla legazione di Russia. Il ministro Hitrovo è troppo astuto per averlo consentito.

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per sostenere attivamente colle armi i nemici della Francia.

Per chiarire meglio il mio concetto a questo riguardo , aggiunge rò che l'attitudine militare della Rumania, nella presupposta eventualità, dipenderà, necessariamente, dal convincimento politico di coloro che si troveranno al momento detto, a capo dell'amministrazione della guerra e del governo. Indipendentemente poi da ciò e quali essi sieno questi capi, sono convinto che l'esercito li seguirà compatto senza discutere, senza fare a sua volta della politica.

La Rumania situata geograficamente in mezzo a potenti rivali , si trova, politicamente, in situazione analoga a quella del Piemonte negli scorsi secoli La sua condotta politica è e sarà necessariamente oscillante, in apparenza almeno, e di rado aperta. Epperò difficili riescono le previsioni d ' avvenire.

L'esercito.

Analogamente a quanto ebbi l'onore di dire a vostra signoria allorché riferii circa l'esercito serbo, non starò qui a dilungarmi ripetendo cose note a cotesto Comando, bensì accennerò solamente a quanto varrà a completare (almeno in parte) ed a correggere i dati posseduti dal I Ufficio del I Re· parto. Contemporaneamente avrò occasione di rispondere più covenientemente alla lettera di cotesto Comando in data 18 marzo, n. 26 / 651 protocollo, giacchè nella mia prima risposta a quella lettera avevo dovuto, come rappresentai a vostra signoria, riferirmi ad informazioni fornitemi dall'evidenz-bureau dello Stato Maggiore austro-ungarico.

a) Reclutamento

1. La legge relativa al reclutamento, promulgata il 24 febbraio 1876 subi successive modificaiioni colle leggi 17 novembre 1882, 6 marzo 1883, 25 maggio 1884, 9 giugno 15 aprile 1887 e 18 dicembre 1887. Trasmetto costà una copia di queste leggi, comprese tutte le modifkazioni statevi introdotte, copia che ebbi in dono.

2. Non è esatto quanto risulta dai documenti posseduti dal I Ufficio, che cioè il servizio militare obbligatorio sarebbe applicato in Dobrucia forse nell'anno 1889. Esso vi fu applicato di fatto sino dal 20 marzo 1884. Bensì, pel momento, l'i costituirono colà soltanto reparti di Dorolanzi e di Calarasci, e non ancora reparti di truppe permanenti. Alla rivista del 22 maggio vidi sfilare i Dorolanzi di Dobrucia che, nella loro qualità di mussulmani, si distinguono dagli altri Dorolanzi pel fez che portano, invece del berrettone di pelo nazionale rumeno.

3. Reclutamento degli ufficiali. Un sottufficiale può conseguire il grado di ufficiale, purché superi felicemente l'esame in conformità al programma della scuola di sottufficiali di Bistritza, anche senza averne frequentato i corsi di studio.

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b) Bilancio

La cifra del bilancio ordinario della Guerra per l'esercizio 1888-89 ammonta a lire 32.817.710,01, nella quale somma è compresa quella di lire 1.235.475 per la flottiglia. Con legge 8 aprile, anno corrente, fu concesso al governo un credito straordinario di otto milioni di lire, per opere dj fortificazione.

c) Organici di pace

l) Le forze militari, del regno constano come è noto di:

I. Esercito attivo Esercito permanente ( Esercito territoriale

II. Milizia

III. Leva in massa (glota)

l) All'esercito territoriale erano, molti anni or sono, ascritti i pompieri; questi fanno attualmente parte dell'artiglieria (esercito permanente) e costituiscono, più propriamente, il personale delle seguenti batterie:

P Reggimento artiglieria, due batterie (Craiova)

2° Reggimento artiglieria, una batteria (Bucarest) una batteria (Ploiesti)

3° Reggimento artiglieria, due batterie (Braila) una batteria (Galatz)

4° Reggimento artiglieria, una batteria (Koman) due batterie (Jasi)

so Reggimento artiglieria, una batteria (Pitesci)

6° Reggimento artiglieria, tre batterie (Bucarest)

7° Reggimento artiglìeria, tre batterie (Foksani)

8° Reggimento artiglieria, una batteria (Bottosani)

Totale 18 batterie pompieri

La milizia non è peranco affatto organizzata; altrettanto dicasi della leva in massa.

2) Composizione attuale dell'esercito permanente:

Otto reggimenti, ciascuno a due battaglioni, più una compagnia fuori rango;

Fanteria: quattro battaglioni cacciatori, ciascuno a quattro compagnie, più un plotone fuori rango; due compagnie di gendarmi a piedi; tre reggimenti Risciari a quattro squadroni ciascuno, più un plotone fuori rango.

Cavalleria: otto squadroni, di recente formazione, non raggruppati in reggimenti, ma assegnati a quattro Reggimenti Ca-

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larasci in ragione di due squadroni per ogni reggimento (6.-7.· 8.·11.); tre squadroni di gendarmi a cavallo; uno squadrone deposito di allevamento (Hergeliu).

Artiglieria: quattro reggimenti d'artiglieria divisionale, ciascuno a otto batterie di quattro pezzi (in mobilitazione di sei pezzi), più un deposito; quattro reggimenti d'artiglieria di corpo d'armata: 11"-12°, constano di sei batterie ciascuno; 13°-14° di sette batterie ciascuno; due batterie per reggimento sono a cavallo. Le batterie mancando per raggiungere il numero di otto in ogni reggimento saranno costituite in avvenire, ma il quando non è stabilito. Un battaglione di fortezza (quattro compagnie); tre compagnie di operai ed artificieri complessivamente.

N.B. · L'esercito rumeno possedeva quattro batterie da montagna, con cannoni Armstrong scomponibili in due parti. Furono abolite e il relativo materiale depositato nell'Arsenale. Sembra che si vogliano ricostituire.

Due Reggimenti a tre battaglioni ciascuno, più una compagnia fuori rango.

Il 1° Reggimento ha un battaglione ferrovieri, il 2° Reggimento un battaglione Genio pontieri; tutti gli altri battaglioni, indistintamente, sono composti ciascuno di una compagnia (la) telegrafisti e dì tre compagnie ( 2a, 3a e 4a) zappatori minatori.

Treno quattro squadroni, truppa di sanità (quattro compagnie), truppa d'amministrazione (una compagnia), truppa di sussistenza (una compagnia).

3) Composizione attuale dell'esercito territoriale.

Fanteria. · Trentatré Reggimenti Dorolanzi (il battaglione di Dobrucia fu sdoppiato e trasformato in un reggimento). Ogni reggimento consta di due battaglioni, più una compagnia fuori rango. Il 7o Reggimento Dorolanzi (Prahova) consta di tre battaglioni. Per ora non sì fa menomamente parola di costituire il terzo battaglione nei Reggimenti che ancora ne mancano. I reggimenti Dorolanzi non hanno tutti lo stesso effettivo, poiché nello stabilire la circoscrizione militare territoriale si tenne conto della circoscrizione amministrativa e non della densità della popolazione. Se, ed è tuttora assi dubbio sebbene la legge relativa sia stata approvata, alla fine del corrente anno sarà modificata la circoscrizione militare attuale, la forza dei reggimenti Dorolanzi risulterà a poco presso uguale.

Cavalleria - Dodici Reggimenti Calarasci, più due squadroni Calarasci in Dobrucia. I Reggimenti 1., 2., 3., 4., 5., 7., 9., 10. e 12. sono formati di quattro squadroni ognuno

I Reggimenti 8 e ll. di tre squadroni ciascuno. Il 6. Reggimento consta di cinque squadroni. (Ai Reggimenti 6., 7., 8. e 11. sono stati assegnati due squadroni permanenti ciascuno).

4) Servizi e corpi speciali.

Gendarmi. - Nei documenti che si posseggono costà è detto

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che in Dobrucia avvi un reggimento di gendarmi a quattro squadroni. Questo reggimento fu da lungo tempo trasformato nel 3" Reggimento Rosciori.

Nota: Le quattro compagnie di sanità hanno effettivi organici di pace assai differenti, a seconda del numero e dell'importanza degli stabilimenti sanitari cui sono adibiti.

d) Organici di guerra

l. Effettivi di guerra. · A complemento delle notiZle fornite a cotesto Comando con lettera in data 29 marzo nostro stile, n. 53 riservato, ho l'onore di aggiungere quanto segue.

Comando di corpo armata mobilitato: ufficiali trentaquattro; sottuffìciali diciannove; soldati ottantatré; cavalli ottantatré; carri quattro.

Comando di divisione mobilitato: ufficiali quindici; sottufficiali sei; soldati quarantadue; cavalli quarantotto; carri tre.

Reggimento Rosciori: cavalli ufficiali ventinove; cavalli truppa da sella seicentotrentaquattro; cavalli da tiro quaranta; carri dieci.

Reggimento artiglieria: (otto batterie): cavalli ufficiali quarantadue; cavalli truppa da sella o tiro 1.123; carri centotrentotto.

Squadrone treno: cavalli ufficiali quattro cavalli truppa da sella o tiro 1.123; carri centotrentotto.

Squadrone treno: cavalli ufficiali quattro; cavalli truppa da sella trentaquattro; cavalli da tiro centosessanta; carri quaranta.

Non esiste, del resto, finora in Rumania alcuna disposizione che determini in modo fisso gli organici di guerra delle singole unità e dei singoli reparti. Questi effettivi sono calcolati per approssimazione.

3. Servizio sussistenze. - In guerra il servizio sussistenze di un corpo d'armata è fatto: l) dal deposito mobile (corrispondente al nostro stabilimento avanzato). A questo deposito sono addetti: ventisei ufficiali; 1.179 sottufficiali; 1.268 cavalli e trenta carri. 2) Dalla colonna sussistenze (nostra colonna traino viveri), divisa in 5 sezioni e composta in totale di ventuno ufficiali, trentadue sottufficiali; 1.238 soldati; 1.268 cavalli; quattrocentocinquanta carri. Le colonne sussistenza non sono peranco costituite, mancando iÌ materiale da ciò. 3) Dalla colonna viveri dei corpi, composta di otto carri per ogni reggimento. Ogni reggimento fornisce il necessario personale di truppa, di cui fa parte un sottufficiale, detto di approvvigionamento.

e) Istituti militari e reparti d'istruzione

E' d'uopo modificare, in base a quanto segue, le notizie che si posseggono dal I Ufficio dì cotesto Reparto, circa gli istituti militari.

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l) Scuola pei sottutticiali. E' stabilita a Bistritza e non a Monasteri Deatolni presso Tirgovesti. Non è vero, per ora, che debbonsi istituire otto scuole pei sottufficiali. 2) Scuole pei figli dei militari di Craiova e di Jasì. Non consta affatto, per ora che si abbia intendimento di abolire, sost ituendovene una sola a Bucare st. 3) Scuola di ufficiali. Questa è la denominazione esatta della scuola esistente a Bucarest, dalla quale si reclutano ufficiali di tutte le armi. 4) Scuola d'applicazione d'artiglieria e genio. Non è una dipendenza della scuola precedente. Questa scuola è ente a sé; ha un proprio comandante; ha locali propri. Gli studi che vi si compiono sono strettamente informati ai programmi della Scuola di Fontainebleau. Gli allievi ufficiali non sono più accasermati. 5) Scuola d'equitazione. Vi sono ammessi soltanto sottotenenti. 6) Scuola d'amministrazione. Fu da qualche tempo abolita. 7) Scuola navale pei mozzi. E' situata a Galatz e non a Kustendje. 8) Scuola di guerra . E' probabilissimo, se non certo, che si istituirà quanto prima, in Rumania, una Scuola di guerra. In massima sono già progettati i programmi di studio). 9) Reparti d'istruzione. Fu abolito il battaglione permanente d'istruzione pei Dorolanzi e lo squadrone permanente d'istruzione per Calarasci. Le reclute dei Dorolanzi e dei Calarasci sono, all'atto dell'arruolamento, trattenuti per sessanta giorni sotto le armi, a scopo di istruzione.

f) Armamento

I Rosciori sono, in ogni squadrone, per metà della prima riga, armati di lancia. Non è esatto quanto travasi negli appunti esistenti presso cotesto Comando (appunti riferentisi, probabilmente, a progetti che non vennero poi tradotti in atto) circa la dotazione in bocche a fuoco di grosso calibro. Avrò occasione di fornire dati precisi a questo riguardo accennando più specialmente all'armamento delle fortificazioni.

g) Dati vari

La razione viveri ordinari del soldato rumeno è, per tutte le armi e corpi, la seguente: pane gr. 1.250; carne gr. 400; verdura; riso; sale; rachi centilitri venticinque.

Il pane è bianco e di ottima qualità. Il rachi è una specie d'acquavite. Non si fanno al soldato distribuzioni di caffé né di vino.

La razione foraggio varia secondo le armi: cavalleria: avena chilogrammi quattro; fieno chilogrammi cinque; paglia chilogrammi tre; artiglieria: avena chilogrammi quattro; fieno chilogrammi cinque; paglia chilogrammi tre.

Nota. Pei cavalli degli ufficiali la razione giornaliera è accresciuta di cinque chilogrammi di paglia.

te opere di fortificazione.

Prima di accingermi a riferire circa le fortificazioni in

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costruzione e in progetto in Rurnania, debbo rispondere preventivamente alla osservanza che per avvenutra la signoria vostra potesse fare circa le discordanze fra questo mio rapporto e i rapporti n. 94 e n. 95 che nell'ottobre dell'anno t886 il mio predecessore inviava a cotesto Comando, e che a quell'epoca corrispondevano perfettamente allo stato di cose. Basterà notare, che molte mutazioni da allora in poi furono fatte al primitivo progetto.

Crediti straordinari concessi dal 1883 a tutt'oggi al governo per la difesa dello Stato sono:

anno 1883 Hre 10 milioni

anno 1885 lire 6 milioni

anno 1887 (febbraio) lire 10 milioni

anno 1887 (21 dic.) lire 6 milioni

anno 1888 (8 aprile) lire 8 milioni

Totale lire 40 milioni.

I dieci milioni votati nel 1883 non si sa troppo come furono impiegati; certo si è che soltanto una piccola parte di tal somma (circa due milioni) fu adibita effettivamente all'uopo per cui era stata accordata dal parlamento, la maggior parte sarebbe stata destinata all'acquisto di cannoni da campagna e di armi.

Finora furono realmente spesi: per costruzione di opere lire sei milioni circa, per cannoni .corazzati Gruson sette milioni e mezzo, per espropriazione dei terreni intorno a Bucarest e per la ferrovia militare di cintura quattro milioni e mezzo per un totale di dieciotto milioni circa. Epperò, tenendo conto di quanto è detto sopra, rimarrebbero intatti e disponibili quattordici milioni di lire.

CoHe somme di denaro di cui sopra, si doveva provvedere alla costruzione del campo rtincerato di Bucarest; a cui si vollero poi aggiungere le fortificazioni di Foksani e di Galatz, a sbarramento delle linee naturali di invasione dalla Russia.

I. Campo trincerato di Bucarest

Il campo trincerato di Bucarest, progettato dal generale Briamont, dovva constare di una cinta della città a profilo normale, e di una corona di forti staccati, in numero di diciotto; nell'intervallo fra ciascuno dei quali doveva sorgere una batteria. Il progetto primitivo di cinta continua fu bentosto abbandonato. Vi si sostituirà, sembra, una semplice batteria, che servirà, più che altro, siccome linea daziaria, e che consterà di un fosso e di un muro a feritoie; alcunché di analogo alla cinta daziaria di Torino.

Proferirò forse una bestemmia, ma sembra a me che il generale Brialmont chiamato a fortificare la capitale della Ru-

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mania, si sia sbizzarrito a voler creare una piazza modello, senza forse troppo tener conto della enorme estensione di essa per rispetto alla cifra delle forze militari rumene, e della spesa cui si sarebbe andati incontro; spesa che doveva essere necessariamente ripartita sovra un numero considerevole di anni, sicché il campo trincerato sarebbe stato condotto, verosimilmente, a compimento allorquando forse, pei progressi continui nei mezzi di offesa, più non avrebbe pienamente risposto ai tempi.

Nell'opera del generale Brial mont che ha per titolo La fortification du temps présent sono contenuti i tipi da lui prescelti pei forti di Bucarest, forti che paionmi troppo vasti per rispetto allo sviluppo di fuoco, troppo estesi in profondità (almeno alcuni di essi) e quindi troppo facili ber5agli all'attaccante. I detti tipi adottati subirono poi notevoli roodificazioni, ed essenziallrnente fu soppressa la doppia linea di fuoco, che doveva esservi nei forti più grandi; fu accresciuto lo spessore di piedritti e delle volte in béton, in seguito ai constatati effetti dei nuovi proietti-mina per la artiglieria.

I diciotto forti del campo trincerato saranno disposti a intervalli di massima di quattro chilometri. Lo sviluppo del perimetro segnato dai forti stessi è di settantaquattro chilometri circa. I forti distano dal centro della città (S. Giorgio nuovo) da undici a quattordici chilometri, mentre la cinta continua disterà, a sua volta, di tre, quattro chilometri dal centro di Bucarest. (Finora non fu pubblicata una carta dei dintorni di bucarest in scala maggiore di quella austriaca ad 1:300.000).

I forti sono congiunti da una linea telegrafica, da una rotabile, da una ferrovia di cintura. Questa ferrovia è quasi in totalità costrutta; a compiere il circuito manca un tronco di alcuni chilometri fra il ponte sulla Kolentina (presso Pernica ad est di Bucarest) e ili forte Popesti. Tre sono gli allacciamenti della ferrovia di cintura coUa città.

Come più innanzi ho detto, i forti di bucarest saranno di tre tipi e questi vennero distinti coi o. l, 2 e 3.

Forti tipo n. l e n. 2. - Sono i più vasti e differiscono di poco tra loro. I forti tipo n. l hanno i ricoveri per la guarnigione sotto il parapetto, mentre quelli tipo n. 2 hanno tali ricoveri alla gola. Ambedue hanno un ridotto interno dal quale si eseguiranno tiri indiretti. Dominio della linea di fuoco sul livello medio della campagna da 9,50 a 10 metri. Dominio del ridotto sul livello medio della campagna da 6,50 a 7 metri. Spessore del parapetto in terra è 36 metri; e ciò perché come accennai, secondo il progetto primitivo· avrebbesi dovuto avere due linee di fuoco, vale a dire due parapetti paralleli. Abbandonata questa idea, mentre erano i forti già in costruzione, si riempì con terra l'intervallo tra i due parapetti, ciò che dette l'enorme spessore sovra indicato. Larghezza del fosso. - Sul fronte e sui fianchi 19 metri; alla gola 10 metri. Sviluppo della linea di fuoco. - 600 metri circa. Ampiezza della gola - 400 me-

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tri. Lunghezza del tratto di capitale compreso tra il saliente e la cortina del bastione di gola 256 metri.

Ambedue i tipi dì forti hanno un traversone in capitale al saliente, a ciascun lato del quale vi sono piazzuole per due pezzi in barletta; su ciascuno dei fianchi vi sono pure piazzuole per due pezzi.

Armamento: tre torri girevoli avanzate per cannoni da 15 (una per torre); tre torri girevoli avanzate per o bici (una per torre), sei torri girevoli avanzate per cannoni di 53 (una per torre), otto cannoni de 8,7 da campagna per torre in barbetta, sedici cannoni di piccolo calibro a tiro rapido, e mitragliere per i fossi. Presidio del forte: cinquecento uomini. Secondo il progetto Brialmont i forti tipo n. l e n. 2 avrebbero dovuto avere presidio di mille uomini.

Forti tipo n. 3. I forti del tipo n. 3 hanno analogia coi precedenti. Senonché sono assai più piccoli, non hanno ridotti, ed hanno il fronte spezzato in poco sensibile tanaglio oppure rettilineo. A mio avviso i forti tipo n. 3 sono preferibili a quelli di tipo n. l e n. 2. Dominio della linea di fuoco sul livello medio della campagna circostante di 7/8 metri. Sviluppo della linea di fuoco circa 350 metri. Armamento: due torri corazzate per cannoni da 15 centimetri (una per torre), quattro torri corazzate per cannoni a tiro rapido di 53 millimetri. Presidio: una compagnia.

Alcuni dati di costruzione. - Dalle ultime esperienze eseguite a Chirlon con proietti-mina, risultò che uno di questi proietti, scoppiando produce nel béton un imbuto di 0,80 centimetri di profondità. In base a questo ed agli altri risultati della ora citata esperienza, si adottarono nei forti di Bucarest tura (mattoni) nelle località meno esposte due metri; nelle lotura (mattoni) nelle località meno esposte due metri; nelle località più esposte da due e cinquanta a tre metri. Profondità sotto il fondo del fosso delle fondazioni pei muri della Caponien: 2,50 metri. Si ritiene, tuttavia, che questa profondità di fondazione non sia sufficiente, e la si vorrebbe accrescere a quattro metri. Spessore delle volte in béton: nelle località meno esposte 2,50 metri, nelle località più esposte da tre a tre e sessantacinque metri. Spessore della costruzione in béton che protegge Ja corona delle torri corazzate da tre a cinque metri. Altezza dello strato di sabbia a protezione delle volte in béton: nelle località meno esposte da uno a due metri; nelle località più esposte tre metri. Il béton usato in Rumania, che io chiamerei calcestruzzo, giacché è a poco presso la stessa cosa, è una miscela, nelle seguenti proporzioni di cemento, di sabbia e di ghiaia dapprima sottoposta a lavaggio.

Classificazione dei forti di Bucarest, secondo i tipi di costruzione più sopra menzionati: Tipo n. l: forte Kitiba, n. l; forte Otopeni, n. 3. Tipo n. 2: forte Mogosoire, n. 2 forte Cernica, n. 8; forte Popest, n. 11; forte Jilava, n. 13. Tutti i rimanenti forti sono, o, per meglio dire, saranno di tipo n. 3. Stato

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attuale dei lavori: la costruzione della cinta della città non fu peranco iniziata lo sarà molto presto. Sono attualmente in costruzione avanzata, e potranno essere compiuti, probabilmente entro due anni, i forti seguenti: Kitiba, n. l; Mogosoia n. 2; Otopeni n. 3; Tunari n. 4; Stefanesti n. 5; Afumatzi, n. 6, Paritelimon n. 7; Jilava n. 13. Fu niziata, quest'anno totalmente, la costruzione dei forti: Pernica n. 8 e Kiajiana n. 18. Altrove, in tutte le località dove dovranno sorgere i forti avvi un ramo di ferrovia che staccandosi dalla ferrovia di cintura, gira attorno allo spazio di terreno riservato al forte, e quindi si riattacca alla ferrovia di cintura; inoltre vi è già raccolta considerevole quantità di sabbia e di mattoni, la fabbrica dei quali è impiantata sul posto. Quanto alle batterie da elevarsi negli intervalli tra i forti, nulla assolutamente si è ancora fatto, qualora non si tenga conto della già eseguita espropriazione dei terreni.

Non mi sorprenderebbe, peraltro, che i forti, la cui costruzione non fu iniziata, non venissero poi costruiti secondo il progetto Briamont, e vi si sostituisse invece, qualche cosa di analogo, alle batterie corazzate di Foksani. Ai forti lavorano operai ungheresi per la fabbricazione dei mattoni; zingari, operai bulgari o rumeni siccome terrazieri; molti operai italiani siccome muratori. Gli operai italiani, da quanto mi fu detto da tutti gli imprenditori e da tutti i preposti alla sorveglianza, sono di gran lunga superiori agli altri, e producono lavoro utile triplo a parità di tempo.

II. Fortificazioni di Foksani

A sbarramento della principale linea di invasione dalla Russia, il governo rumeno ha stabilito di fortificare la linea del Sereth in vicinanza di Foksani. In la sponda destra del corso d'acqua domina notevolmente la riva sinistra la quale è spacciata e scoperta. La determinazione di fortificare questa località era tuttavia tenuta strettamente segreta, per tema che la Russia non traesse da ciò pretesto per suscitare al governo. Ciò nullamente gli addetti militari francesi ebbero qualche notizia in proposito da ufficiali del genio rumeni, e naturalmente ne riferivano al ministro russo Hitrovo. Questi fece tosto inserire nell'« Indépendance roumaine », giornale sussidiato dalla Russia, un articolo risentito nel quale è detto essersi sparsa la notizia di fortificazioni che vorrebbesi erigere a Foksani, evidentemente contro la Russia, e si chiede al governo, colla consueta arroganza di giomalista, se ciò è vero. Il detto giornale prosegue accusando il governo di essere servilmente ligio alla Germania ed obbediente agli ordini di Berlino, ed aggiunge che il ministro della Guerra ha chiamato ufficiali tedeschi per affidar loro la costruzione delle fortificazioni a difesa dello Stato, offendendo così tutta l'arma del genio rumena, indirettamente tacciata di incapacità.

Avendo avuto occasione di stringere relazione coll'ex maggiore del genio nell'esercito tedesco, signor Schumann, potei

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aver copia di dati circa le fortificazioni che saranno erette a Foksani. Queste dovrebbero constare di nuovo tipo proposto dal maggiore Schumann. Tali batterie avrebbero lo scopo di oppore una potente barriera di fuoco al nemico, riducendo al minimo le costruzioni in muratura, e il necessario pressidio. In prima linea vi saranno quindici batterie tipo; in seconda linea, distante da 700 a 1000 metri dalla prima e a questa parallela, pare si disporranno batterie di obici da 12 centimetri e di cannoni a tiro rapido da 53 milimmctri. Nulla è però definitivamente deciso circa queste batterie di seconda linea, le quali avrebbero lo scopo di battere gli intervalli fra le batterie di l' linea e impedirne l'aggiramento, quindi di presentare un secondo ostacolo al nemico che fosse riuscito a forzare la l' linea. Per armare le quindici batterie di l ' linea, non peranco costrutte, trovasi fin d'ora a Foksani l'occorrente materiale, e cioé: quindici cannoni da 12 centimetri con affusto corazzato a ecclisse; trenta mortai da 12 centìmetd in culatta sferica (cfr. opera avente per titolo Vorschliìge del capitano Franz Rieger) (l); novanta torri mobili per cannoni a tiro rapido da 53 millimetri; duecentoventicinque torri mobili per cannoni a tiro rapido da 37 millimetri. E cioé ogni batteria sarà armata di un cannone da 12 centimetri; due mortai da 12 centimetri; sei cannoni a tiro rapido da 53 millimetri quindici a tiro rapido da 37 millimetri. Non sembra che i cannoni a tiro rapido da 37 millimetri abbiano risposto pienamente all'aspettazione e più non ne saranno acquistati altri. Tutto il materiale suindicato fu fornito dalla casa Grouson , di cui il maggiore Schumann è rappresentante.

Non mi dilungo maggiormente in particolari tecnici, che possono essere dedotti dai documenti annessi al presente rapporto.

Oltre l'opera del capitano Rieger potrebbe tornar utile consultare in ordine alle moderne fortificazioni, l'opera del capitano Franz Klotzmann pubblicata a Vienna lo scorso anno 1887 in fascicolo separato delle Mittheiltm[!.e1't uber staii.nde und Genie Wesens che la biblioteca del capo di Stato Maggiore certamente possiede

III. Fortificazioni di Galatz

Coll'intendimento, del pari di opporsi ad una invasione russa, sarebbe stato stabilito di fortificare Galatz, con sistema analogo a quello adottato per Foksani, sistema speditivo e relativamente economico. Ciò è però tuttora allo stato di progetto; gli studi all'uopo del terreno furono già fatti, ma il materiale d'artiglieria che occorrerebbe non fu peranco commesso alla casa Gruson .

(l) Nell'opuscolo del cap. Rieger sono trattate questioni più interessanti di fortificazione modema; sono esaminati scritti di vari autori, ed a pag. 115 è fatta parola specialmente degli affusti corazzati per batterie Schumann.

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Le fortificazioni di Galatz consisterebbero di due linee di batterie appoggiantesi da un lato al lago di Bratysch, dall'altro al Sereth; la seconda linea di batterie disterebbe sette chilometri dal Danubio, per rispettare le convenzioni internazionali esistenti.

Sembra inoltre che sul Sereth vorrebbesi, avendone i mezzi, costruire una doppia testa di ponte che permettesse di agire offensivamente per l'una e per l'altra riva.

IV. Bocche da fuoco di tipo moderno che la Rumania effettivamente possiede oggidì per l'armamento delle fortificazioni, oltre il materiale sopra enumerato, destinato alle opere di Foksani: due cannoni Krupp da 15 centimetri su affusto di lamiera; un cannone Bange da 15,5 centimetri su affusto di lamiera; dieci cannoni russi da 15 centimetri B.R. ret. con chiusura sistema Krupp, incavalcati in affusto. Questi cannoni furono donati dalla Russia alla Rumania dopo la guerra 1878; dieci cannoni Armstrong con otturatore Bange, incavalcati su affusto Monkrief. In totale ventitre bocche da fuoco di grosso calibro.

Debbonsi quindi ritenere, siccome non più esatti oggi le notizie possedute dal I Ufficio del citato Reparto, circa il numero di bocche da fuoco moderne di grosso calibro che la Rumania avrebbe in parte acquistate, in parte commesse alla casa Krupp nel 1883. E' assai probabile che le idee d'allora siano state modificate in seguito alla adozione, in vasta scala di torri corazzate pei forti da costruirsi ciò avrebbe avuto, verosimilmente, per conseguenza di far contromandare l'ordinazione, che, secondo quelle notizie, sarebbe stata fatta a Krupp di centoventi cannoni di grosso calibro.

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4. L. DAL VERME, Una rapida escursione in Levante. Impressioni e note (1).

Partito da Milano l'undici maggio sera, diretto a Costantinopoli per la v i a di terra, vi giunsi il 17 mattina, avendo sostato due giorni a Trieste ed uno a Belgrado.

Preso imbarco il 29 dello stesso mese per far ritorno in Italia, giunsi per la via di Patrasso e Corfu all'alba del 3 giugno a Brindisi, essendomi soffermato una giornata ad Atene.

L'escursione per tal modo compiuta in soli ventidue giorni, non mi ha consentito di nulla appronfodire. Ciò nondimeno ho abbastanza veduto e sentito da permettermi ora di raccogliere fra le molte osservazioni, quelle che parmi possano interessare il regio Governo, segnatamente i ministeri della Guerra e degli Esteri. Queste osservazioni che meglio dirò mie i mpressioni di vi aggio, espongono brevemeNte in ordine cronologico nella presente memoTia

Servizio diretto ferroviario dall' Italia a Costantinopoli

Un fatto nuovo e di non lieve importanza è sopravw:nuto in questi ultimi tempi ad avvicinare l'Oriente all'Occidente d'Europa; ed è il compimento della linea ferroviaria attraverso la penisola balcanica, che consente, dal novembre decorso, di andare da Vienna a Costantinopoli sempre per t erra, invece che a Varna , donde si doveva, sino all ' epoca ora detta, prendere il mare.

. Quantunque il diretto giornaliero sia organizzato da Vienna, non è necessario per chi viene dall'Italia di andare sin là ; ma a Udine si può prendere la linea di Nabresina-Budapest, donde ogni giorno (alle 2,40 pomeridiane) passa il diretto che in dodici ore , porta in Costantinopoli. Avvi inoltre un servizio ebdomadario che pare si voglia estendere a due volte la settimana . con risparmio di un paio d ' ore, ton tutti i comodi di letti e servizio di restaurant, con un corrispondente, non gravoso, aumento di prezzo. Occorre però notare che volendosi

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(t) SME-AUS. b. 29 , Stati Balcanici , Roma , giugno 1889, pp 54.

prendere a Budapest tanto H diretto giornaliero organizzato da Vienna, quando l'altro ebdomadario da Londra detto l'Orientai express) si deve venendo dall'Italia sostare per via; imperocché i treni nostri sono diretti per Vienna anziché per Budapest.

Ho messo a profitto questa circostanza per avere un colloquio col console generale britannico in Trieste sir A. Burton, col quale io era già stato anni or sono in corrispondenza . Nè ebbi a pentirmi di essermi trattenuto colà oltre il necessario, cioè un giorno e mezzo, per la più gran parte in sua compagnia. Quanto raccolsi dal labbro di uno dei più grandi viaggiatori del secolo su quell'Africa che egli esplorò, studiò e ne scrisse con rara competenza molti volumi, fu già oggetto di precedenti mie lettere. Aggiungerò soltanto che fui oltremodo lieto della mia visita, dalla quale ritrassi informazioni e notizie assai interessanti per l'ufficio di cui sono a capo

Lasciato Trieste alle 8 pomeridiane del 13, giunsi a Belgrado l'indomani sera alle 10, con poco meno di tre ore di sosta a Budapest, dove, come ho detto , si prende il diretto da Vienna . E' certamente questo un giro viz ioso per chi viene dall'Italia , diretto ai Balcani, e lo è ancora di più, quando non si voglia fermarsi per via, l'essere costretti a salire a nord fino a Vienna. Ed io per evitare l'una e l'altra, ed altresì per aver occasione di visitare nuovi paesi, avevo divisato da Trieste di recarmi a Belgrado per Agram direttamente . Dovetti però rinunciarvi, perché avrei perduto soverchio tempo , sia seguendo le ferrovie tutte secondarie e sulle quali non v'è organizzato un servizio in corrispondenza, sia per via fluviale lungo la Sava .

Serbia

Non mi trattengo a dire specificatamente di Belgrado, della Serbia e del restante della penisol a, dacchè quei territori sono ben noti e da tempo al comando del Corpo di Stato Maggiore, col mezzo dell'addetto militare a Vienna, non che dell'ufficiale che fu a lungo in missione speciale a Sofia. Accennerò soltanto alle mie impressioni per quanto limitate dalla rapidità del viaggio.

Danubio e Sava li vidi a Belgrado in piena, tanto che guardando dalla fortezza a ponente ed a nord null'altro quasi si scorgeva che acqua, dalla quale pareva emergere coll'aspetto d'un isola la sponda elevata su cui è costrutta Semlino. Nè il gran ponte in ferro sulla Sava nè il piano stradale della ferrovia non apparivano minacciati dall'ingrossare delle acque. Sul gran piazzale della fortezza stavano riposando alcuni reparti di soldati , che mi parvero reclute, e nell'uscirne incontrai due 'battaglioni che venivano dalla piazza d'armi. L'impressione che ne ritrassi fu mediocre. Quantunque marciassero bene, con portamento abbastanza rigido , frutto si vedeva della pdma istruzione austriaca, mancava quel contegno marziale proprio

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delle truppe austro-ungariche, e la tenuta era deplorevole. Giub· ba c pantaloni, oltre ogni dire usati e taluni persino diventati lucidi dopo aver perduta qualunque traccia di lana, lasciavano intravvedere sottopanno o niente o qualche cosa il cui colore era agli antipodi del bianco. Anche gli ufficiali, c sotto le armi e a zonzo per la città, non mi sono piaciuti. Ne vidi uno sul piazzale della fortezza che portava l'ombrello per ripararsi dal sole, e chi me lo fece notare con un sorriso di compassione fu il fiaccheraio, il quale in questa circostanza si affrettò a declinare la sua nazionalità austriaca. Ho saputo poi che le uniformi tuttora in uso, datano dalla guerra del 1885, dalla quale epoca il governo serbo non ne fece più confezionare di nuove.

Non credo che le condizioni politiche di questo nascente regno siano tali da far sperare in un prossimo risveglio militare. Quantunque la tranquillità fosse allora perfetta, si sentiva di essere in un paese che non sta in piedi per propria forza, in un paese senza capo. Re Milano che non godeva nè gode di nessuna popolarità, ha abdicato e la regina Natalia, benvista, si pretende che ama intervenire nelle faccende dello Stato e perciò i reggenti maneggiano per tencrla lontana. Il re è un ragazzo. Il vero padrone del paese è oggi il primo dei reggenti Ristich.

In ferrovia la Serbia è presto traversata e a Czarigrad si entra in Bulgaria. Dal territorio montuoso, verde, con acque vive, che tale si pescnta la valle della Morava, si passa ad una contrada scoperta, arida e gialla.

Bulgaria

A Slisnitza sono colline mosse e tondcggianti che così senza alberi e senza coltura, e praticabili ovunque, di meglio non si potrebbe immaginare per l'intenzione tattica delle truppe; e do· vrebbe essere interessante lo studio delle mosse di due piccoli eserciti bulgaro, e serbo, nei noti combattimenti del novembre 1885.

Se il passaggio dalla Serbia alla Bulgaria mi fu pel mutamento del paesaggio sgradevole, l'opposto mi accadde per gli abitanti e soprattutto pei soldati. Non ne ho visti in corpo, ma mi sono imbattuto in molti, perché alle stazioni ve ne erano ovunque, ed cbbimo perfino, oltre Sofia, una scorta armata nel treno. Erano da poco stati giustiziati i noti briganti a Sofia e pare si temesse una qualche rappresaglia. Quei soldati non erano brillanti di certo nella loro uniforme semirussa, confezionata con una rozza stoffa di lana color marrone, ma aveano tutta l'aria di veri soldati. Uomini di belle forme, piuttosto alti di statura, baldi nell'aspetto e nel portamento, facevano ai miei occhi uno strano contrasto coi serbi, che avevo appena perduto di vista, e che nella mente mi si riproducevano logori. lenti, addormentati. Eravamo a Slisnitza e guardando a quei luoghi dove i giovani soldati bulgari, senza generali e senza ufficiali superiori, condotti dall'ardito principe Alessandro, batterono

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replicatamente i fratelli serbi, da tempo costituiti in quadri regolari, mi persuadevo che la è sempre l'antica istoria. I vincitori mantengono per lungo andare di anni il sopravvento sui vinti, fino a che nuovi più fortunati avvenimenti non vengano a far dimenticare la sconfitta.

Per mala ventura dei passeggeri quei vincitori applicavano la loro baldanza e la voglia di far qualche cosa purchessia, di usare quelle armi che hanno da pochi anni a loro disposizione, coll'applicare tutto un sistema di polizia, di cordone, di chiusura, a sicurezza credono essi, a tormento dico io, dei passeggeri stessi.

Che si scorti il treno con drappelli armati, e che sentinelle e posti sieno scaglionati lungo la linea, troppo bene si comprende se la pubblica sicurezza Io esige; ma ciò non implica la necessità nè di mettere le stazioni in stato d'assedio, nè di domandare il passaporto all'entrata e all'uscita del Principato, nè di chiudere i viaggiatori nel restaurant per poco vi entrino a prendere un caffè, una birra.

Passaporti e visite di dogana nella penisola balcanica

Questa dei passaporti congiunta all'altra noia della visita doganale, è per vero dire il solo fastidio che incontra il viaggiatore oggidì sulle ferrovie balcaniche; fastidio però oltremodo molesto per chi viene dall'occidente dove non si sa più che cosa sia il passaporto, a dove anche gli Stati più meticolosi in materia doganale, non giungono agli estremi a cui vidi arrivare le guardie di dogana in Serbia e in Bulgaria e in Turchia, in ciò sono d'accordo tutti gli Stati della penisola. Sia in essi convinzione di dover far così per mostrare al mondo che sono indipendenti e possono agire a loro beneplacito, sia effetto d'ignoranza delle costumanze occidentali, sia un'estrema gelosia dei loro diritti territoriali, il fatto si è che serbi e bulgari, e questi più di quelli, sono lì ai confini appostati per chiedere il passaporto al viaggiatore che entra nel loro territorio e che ne esce, a quello che entra poi per rovistargli tutto il bagaglio che non fosse piombato fino a Costantinopoli, da cima a fondo. Giustizia però anche si dica che all'uscire di Serbia è incaricato di vedere il passaporto un soldato di polizia, che nulla comprendendo d'altra lingua all'infuori della sua, s'accontenta gli si mostri un fogHo con qualche emblema e soprattutto con molti bolli. Quand'io gli spiegai sotto gli occhi il mio passaporto diplomatico, un gran foglio di mezzo metro quadrato, mi guardò esterrefatto, rise e se ne andò persuaso certamente ch'io mi ero beffato di lui.

Soltanto lo scorso anno la dogana turca era a Bellova, fra Bulgaria e Rumelia; ma il fatto compiuto della unione di queste province ha costretto i turchi a portarla alla stazione di Mustafà Pascia, e l'ufficio di visita dei passaporti addirhtura a Costantinopoli. I bulgari si sono naturalmente affrettati a togliere qualunque apparenza di barriera fra Bulgaria e Rumelia:

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invece alla stazione che precede immediatamente la frontiera turca, quasi per tema di perdere un palino di territorio, sono lì a chiedere anche essi il passaporto a chi esce, non fosse altro per fare atto di dominio, di padronanza piena e assoluta in quella Rumelia che secondo il trattato di Berlino doveva es!>ere una provincia turca con amministrazione speciale. Ma anch'essi si contentano della dimostrazione di dominio; che poi non stanno a guardare per sottile di qual natura sia il docu· mento che loro si esibisce come passaporto. Viaggiava con me vn padre domenicano, che non avea passaporto di nessuna specie. Glielo hanno chiesto in mia presenza due volte i serbi, due i bulgari, una i turchi. Rispondeva imperturbabilmente mostrando la tonaca e aggiungendo in pretto italiano: sono missionario, questi sono i miei documenti. E così potè sempre continuare il suo viaggio diretto fino a Costantinopoli, malgrado il suggerì· mento dell'arcivescovo cattolico di Filippopoli monsignor Marsini che viaggiò pure nel nostro treno da Sofia a quella sua sede, e che lo voleva persuadere a trattenersi con lui; a fine, diceva. di procurargli le carte necessarie per entrare senza noie sul territorio ottomano Pobabilmente il frate aveva qualche speciale missione, forse dal Vaticano, e non voleva che altri, e tanto meno un suo superiore, gliene chiedesse conto. D'altra parte all'arcivescovo premeva di assicurarsi che cosa veniva a fare laggiù quel monaco italiano (nativo di San Remo) proveniente da Roma, che era stato qualche giorno a Vienna, e che pure per pochi altri doveva sostare a Costantinopoli . La vinse il vecchio frate, il quale per tema di essere acchiappato dal vescovo, non discese nemmeno dal vagone a Filippopoli, dove s'era pur rimasti intesi che si doveva pranzare insieme.

Il tratto di Bulgaria che s'attraversa in ferrovia non è, come ho già accennato, ridente; ha anzi un'aspetto di aridità che farebbe credere all'inerzia degli abitanti. Mi fu invece assicurato, e lo credo che nei pochi anni d'indipendenza, i bulgari hanno fatto miracoli e i rumelioti ne stanno seguendo l'esempio. Hanno messo a coltura lande incolte, hanno costruito strade, aperto scuole e stabilimenti d'ogni specie. Hanno saputo persino ap· plicare alla costruzione delle ferrovie quel sistema delle prestazioni in natura, che in molte parti d'Italia non si è riusciti a praticare, quantunque imposto dalla legge del 1868 sulle strade comunali obbligatorie.

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Per quanto poco si vegga dallo sportello del vagone, pure si vede abbastanza anche dal solo aspetto del suolo la differenza fra il territorio libero e quello tuttora soggetto alla dominazione ottomana Quello che ho osservato il mattino del 15 nella valle della Maritza e di poi nella penisola della Tracia, mi ha lasciato una tristissima impressione. Man mano che ci si allontana da Adrianopoli, i campi divengono sempre più radi insino a che non se ne veggono più, e il paese è una landa de-

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serta senza villaggi, senza strade, senza nulla, che mi ricordava la campagna romana e persino la Siberia. Ho chiesto più volte come accadesse che una plaga così vicina a Costantinopoli, pianeggiante e talora perfettamente piana, con un buon strato di terreno vegetale, fosse lasciata così completamente incolta; e non mi venne neppure data la risposta che vi danno per la campagna romana; cioè che la grande proprietà preferisce il pascolo alla coltura, e neppure si accenno alla mancanza assoluta di popolazione, come si potrebbe dire della Siberia, perché qui la popolazione quantunque scarsa c'è, e ve ne potrebbe essere dell'altra, se quella che fu ed è continuamente espulsa dalla Bulgaria e Rumelia quivi sostasse anziché andare in Asia. Mi si rispose, invece di tutto ciò , c he non si coltiva per la semplice ragione, che chi semina non sarebbe certo di raccogliere. Raccoglierebbe uno altro più forte o più destro di lui.

Il governo turco in materia di pubblica sicurezza nelle campagne s'accontenta di quel tanto che gli mette al sicuro i forestieri, sapendo che avrebbe tutte le potenze europee addosso, e del poco inoltre che gli è necessario per riscuotere le imposte. Del resto, per la sicurezza personale di suoi sudditi e delle loro proprietà, non se ne dà pensiero veruno. Vano è poi lo sperare da un tale governo un ' azione qualsiasi per migliorare le sorti de' suoi sudditi, per mettere a profitto la fertilità di un suolo che pure è a loro disposizione. La divisa del governo ottomano è quel dolce far niente di cui si volle ingiustamente gratificare noi italiani, ed io ne ebbi, pur prescindendo da quanto ho detto, una splendida prova, prima ancora di giungere alla capitale. In una stazione secondaria, di cui non ricordo ii nome, ma non ]ungi da Santo Stefano, giaceva su di un binario morto un intero convoglio di carri, che doveva essere la probabilmente da quando fu costrutta la ferrovia o quanto meno dall'epoca della guerra, cioè da oltre dieci anni. Questo lo diceva all'evidenza la spinaglia cresciuta rigogliosa intorno al treno, gli sterpi che aveano ravvolto locomotiva, tender, carri, passando pur entro ai raggi delle ruote , in guisa che si sarebbe potuto dire senza metafora che l'inerzia turca intralciava la vaporiera e ne arrestava il progresso .

Ferrovie turche

Guardando a quel fenomeno e ricordandomi di essere in una buona carrozza di 1' classe, in un treno diretto che giungeva esattamente .in orario, su di una ferrovia turca , avrei dovuto meravigliarmi Ma non ne era il caso, sapendo come il merito del ben ordinato servizio, delle buone vetture. di tutto insomma ciò che concerne il viaggiatore, anziché del governo ottomano concessionario, è della società presieduta dal barone Hirsch , banchiere del governo stesso. Il barone del resto ha saputo far bene i propri intressi, o quanto meno quelli della poiché avendo un contratto à forfait, secondo il quale gli venivano pagati 200.000 franchi al chilometro, senza obbligo di tracciato, fece

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passare Je linee dove costava meno, per nulla cercando il minor percorso, anzi là dove il territorio era pianeggiante o piano scegliendo il percorso maggiore. E più o meno pianeggiante è tutto il territorio da Adrianopoli a Costantinopoli con difficoltà tecniche di nessuna entità. La velocità su questi treni è molto limitata, 30 chilometri all'ora aJ)'incirca e forse meno; ma come ho già detto, si giunge sempre in orario e si hanno tutte le comodità come sulle migliori linee d'occidente. Il personale è pulito e bene educato, reclutato fra greci, francesi, italiani. Dalla Bulgaria in giù fui lietamente sorpreso di sentire la lingua italiana generalmente capita ed all'occorrenza parlata dal personale ferroviario. Dal confine della Rumelia, cioè da Mustafa Pascià a Stambul, vi sono ventinove stazioni. otto delle quali oltre Santo Stefano; il diretto si ferma pressochè a tutte.

A Stambul. ultima ricerca dei passaporti e definitiva visita della dogana. Sono gli ultimi tratti di quella serie di noie che ho accennato costituire il vero e solo inconveniente del viaggio attraverso la penisola balcanica, ma sono anche i più fastidiosi. Non basta avere il passaporto, ma deve essere vistato da una ambasciata o legazione ottomana. Non basta il tradizionale bakscish per evitare la visita delle valigie. Il bakscish la limita, la affretta, ma se il funzionario turco vede dei libri, perde la sua calma abituale. Li trae fuori tutti, li guarda, li riguarda, li apre, li scorre e come il più delle volte non vi capisce nulla, finisce col permettervi di introdurli nell'Impero. A me è accaduto così quantunque avessi delle pubblicazioni sulla Turchia e sull'esercito turco e carte del Bosforo e dei Dardanelli, che in parte trovarono e non compresero, in parte fortunatamente non videro. Mi si disse poi che avevo corso il rischio di vedennì sequestrato ogni cosa.

Costantinopoli

A Costantinopoli mi fermai dodici giorni, splendidamente ospitato in casa del console generale Carcano mio vecchio amico e concittadino (1).

Di quanto ho veduto e notato nell'antica Bisanzio dirò, come già ho fatto per la penisola dei Balcani, solo quel tanto che panni possa interessare il regio Governo.

Era naturale che più che altro mi premesse studiare l'esercito turco, il solo che non avevo ancora veduto dei grandi eserciti europei. Avevo pochissimo tempo, sapevo che non sarei riuscito a visitar nulla ufficialmente richiedendosi delle settimane per attenerlo; non volevo quindi lasciar passare nessuna propizia occasione.

(l) Il palazzo del consolato generale italiano, in Pera, di fronte al giardino pubblico era altra \Olta sede dell'ambasciata, passata da poco in una elegante casina in legno, costruita appositamente dal barone Blanc, accanto al palazzo dell'ambasciata tedesca.

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La funzione religiosa militare del Selamlik

Vidi la truppa sotto alle armi al Selamlik (l), quando il sultano si reca dal palazzo alla moschea per la preghiera del venerdì; vidi qualche altra volta dei reggimenti per le vie di Pera e frequentemente i corpi di guardia e le sentinelle, e vidi ogni giorno e ad ogni istante e dappertutto ufficiali e soldati, perché il presidio di Costantinopoli, tutto compreso su ambo le rive del Bosforo, non è minore di ventimila uominì. E dopo dodici giorni di continua osservazione, durante i quali non mancai di chiedere spiegazioni ed informazioni ovunque e come mi si of· friva il destro, l'impressione che ne ho ritratta posso compen· diaria come segue.

Ufficiale e soldato turco

La stoffa del soldato è ottima e pel fisico e pel morale; e tali qualità, resistenza, abnegazione, frugalità, disinteresse, obbedienza assoluta, coraggio, sono in lui tanto spiccate che com· pensano la limitata intelligenza, l'ancor più ristretta istruzione e l'assoluta mancanza d'iniziativa. Il sottuificìale non si distingue gran che dal soldato semplice, e se non fossero i materiali segni esteriori, non lo si distinguerebbe nei ranghi per miglior portamento e uniforme più accurata, siccome accade negli eser· citi europei. E forse è meglio così perché vuoi dire che ben lungi dal voler assomigliare all'ufficiale, mantiene le buone qualità del soldato.

L'ufficiale, tutti lo sanno, dà al soldato in guerra splendido esempio di abnegazione e di sacrificio, ma nulla più. Malgrado l'intervento tedesco, malgrado i tentativi continuati ed insi· stenti del generale von der Goltz e degli ufficiali tedeschi, l'uf. fidale turco è sempre turco. Studia perché lo fanno studiare, ma non impara; e se impara è poco persuaso della pratica at· tuabilità di quello che gli insegnano, e non è poi niente affatto convinto della sua necessità, fondato com'è sulla sua fede in· concussa che tutto viene da Dio e che è inutile prendersi tanti disturbi per mutare quello che Dio nel suo imperscrutabile giu·

(l) Avevo già scritto questi cenni qundo mi venne sottomano un rapporto del capitano Cugia il quale nella primavera del 1888 durante la sua missione in Bulgaria era andato a Costantinopoli. Dopo aver minutamente descritto la funzione religioso-militare del Selamlik che egli poté vedere in tutta la sua pompa, non essendo nel Ramadam come capitò a me, riferisce circa l'esercito turco le sue impressioni che fui lieto di trovare quasi completamente concordi alle mie. Non divido, però, il suo entusiasmo per la prestanza delle truppe al punto da qualificare i soldati del sultano, quelli almeno ch'egli vide, fra i primissimi di tutti gli eserciti europei. Probabilmente il capitano fu colpito dallo sfilamento a quel passo prussiano ch'egli non aveva visto mai. Ma io che ho avuto, come ho detto, la ventura di tutti vedere gli eserciti d'Europa, sono ben lungi dal mettere in prima linea i soldati per quanto belli del sultano che si fanno figurare al Selamlik e che bisogna poi ricordare costituscono la Guardia.

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dizio ha stabilito di fare. Vi sono delle eccezioni, è vero, soprattutto fra gli ufficiali di origine straniera, i quali poi, per converso, non hanno le altre qualità militari del turco. Ma anche essi al pari degli altri sono ridotti allo stato dell'indifferenza la più assoluta; e sono, per di più, avviati sulla via della corruzione e della vergogna da un fatto ben noto in Europa e che forse non accade che in Turchia, voglio dire l'irregolarità dello stipendio, ormai divenuta norma regolare d'amministrazione. Ho chiesto più volte notizie su questo fenomeno del quale credevo si esagerasse non poco in Occidente, e dovetti convincermi che le cose sono ancor più gravi di quanto generalmente da noi non si creda. Non è già semplicemente un ritardo quello di cui si lagnano gli ufficiali e in genere i funzionari del govern·o ottomano, un ritardo del quale nella conversazione si accenna col vocabolo francese « souffrance )) (l), ma bensì di vedersi addirittura defraudati ogni anno di una parte, di una massima parte, di quanto la legge loro assegna. Non so quel che precisamente oggi avvenga dei funzionari civili; ma fui assicurato da più parti che gli ufficiali dell'esercito ricevono regolarmente soltanto le razioni viveri (2), mentre dello stipendio ne toccano due o tre mesi dell'anno, non più. Raccontava un ufficiale, appunto nel decorso maggio, essere allo studio un progetto, secondo il quale si pagherebbero puntualmente gJi assegrii militari, calcolando il mese a 40 o 45 giorni, invece del mese lunare turco. Un tale progetto era altamente encomiato da quell'ufficiale che si augurava fosse al più presto posto in attuazione!

Le truppe che vidi al Selamlik erano del I corpo d'armata, cioè della Guardia; le migliori quindi fra tutte. Per la solenne occasione ricevono ancora una cernita: si lasciano a casa i più brutti uomini, e a quelli che vanno sotto le armi si danno le più nuove uniformi. E davvero debbo dire che la truppa che vidi sfilare per quattro, per ben due volte sotto a me, era una bella truppa che avrebbe fatto buona figura in qualsiasi rivista di eserciti europei. Se non erro, dovevano essere quattro piccoli reggimenti formati ciascuno su di un battaglione, dei quali uno di fanteria zuavina e uno di albanesi, con un uniforme che ricorda il costume nazionale adattato alle esigenze del soldato moderno, siccome fu fatto pei zuavi in Francia. Marciavano tutti a passo cadenzato lento che si scorgeva subito di provenienza germanica. In testa gli zappatori, che mi ricordavano gli antichi nostri e francesi, colla sola ascia a col gran grembiale, nero invece che bianco. Altissimi di statura, procedevano impettiti, maestosi, coi gomiti rialzati , l'ascia cadente indietro dalla spalla destra e il loro incesso era tale che pareva non sulla pubblica via ma fossero sulla scena d'un teatro.

Gli ufficiali a piedi non avevano in genere un sostegno mar-

(l) Essere in sofferenza di tre mesi. di sei mesi di stipendio, e la frase obbligata del funzionario che racconta le proprie miserie.

(2) Trenta razioni complete del soldato, sono valutate 16 franchi; ma' il più delle volte l' ufficiale ritira le razioni in natura. ·

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ziale, e quelli a cavallo ancor meno, anche perché non istavano bene in sella. La loro uniforme era abbastanza corretta, ma gli accessori, la cravatta, le scarpe e i guanti per gli ufficiali a piedi ed altresi e più specialmente la bardatura per quelli a cavallo, lasciavano assai a desiderare. C'era anche un piccolo reggimento di cavalleria montato interamente su cavalli grigi, che mi fu assicurato essere stati acquistati in Ungheria. In complesso aveva una bella apparenza. E:rano soldati ed erano cavalieri; ma al solito gli ufficiali relativamente apparivano al disotto della truppa, e le bardature e soprattutto le copertine sotto sella, erano difformi, logore, mal tenute. Questo dettaglio è talmente poco curato che vidi i cavalli dei generali e ufficiali superiori del seguito del sultano, condotti a mano durante la funzione con selle lacere, briglie sudicie e delle coperture sottosella poi come noi appena consentiamo all'attendente quando conduce alla passeggiata i cavalli. E il più delle volte si tratta di cavalli distinti, talora purosangue arabo che avrebbe diritto ad una più decente figura.

Quando io assistetti al Selamlik, da una finestra di una casa prospiciente la via per ove passa il corteo che si reca alla preghiera vi vanno ufficialmente coll'intermezzo dei loro consoli e accompagnati dal dragomanno e dal Kavas, eravamo nel Ramadam; e come i soldati non possono prendere al pari d'ogni musulmano durante questa quaresima nè cibo nè bevanda dall'alba al tramonto, come non possono fumare, così per un riguardo alle loro condizioni di fisica debolezza, 11effettivo delle truppe sotto le armi per la funzione viene notevolmente ridotto, e l'imperatore non assiste al loro sfilamento. Invece non appena è passato fra le loro file andando dal palazzo alla moschea, le congeda di guisa che possono fare immediato ritorno ai loro alloggiamenti.

In complesso fui più soddisfatto dall'aspetto delle truppe in questa circostanza che non nelle altre occasioni di cui dirò più avanti. Ciò che mi riusd ad una completa disillusione, fu sua maestà, il sultano ed il suo corteggio.

Memore delle descrizioni di De Amicis, mi preparavo ad essere abbagliato dello splendore orientale di cocchi coperti d'oro. preceduti e seguiti da un nugolo dei cavalieri montati su superbi destrieri riccamente bardati, e il sultano, il capo di centinaia di milioni di credenti, apparire quale un semidio frammezzo agli ori, alle gemme... Ma nulla di tutto ciò. Invece si presentano due ufficiali di palazzo a cavallo, l'uno a destra, l'altro a sinistra della via; segue una calesse con mantice alzato, a tiro di due. Erano bellissimi i cavalli e riccamente vestiti cocchieri e staffieri; ma non v'è altro; perché il corteggio di 20 o 30 fra pascià, ufficiali superiori e funzionari di palazzo, circondano la carrozza a piedi. E il sultano è seduto solo al posto dietro, con rimpetto Osman pascià e il gran visir; il sultano dimessamente vestito, dall'aria sfinita, abbattuta, senza nessun contegno nè di soldato, pare un armeno o un ebreo del bazar. Confesso che

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senza volerlo ho distolto subito gli occhi da quella figura insignificante per fissarli sull'altra che evocava grandiose memorie, il vecchio eroe di Plevna. Quando poi l'imperatore, finita la preghiera, ripassò sotto a noi per far ritorno al palazzo, il corteggio, il medesimo dì prima, apparve ancor più grottesco, perché invece della caliche nella quale era venuto, stava il sultano in una victoria col mantice alzato s'intende, completamente solo, guidando una bella pariglia di c::1valli grigi. Naturalmente, circondato da tutti que' dignitari a piedi, doveva andare costantemente al passo. Quella scorta pedestre addossata alla carrozza, agli sportelli e dietro, non di soldati ma di ufficiali e funzionari di grado elevato, palesava troppo chiaro siccome fosse una vera guardia nello stretto senso della parola. Si sa difatti in Costantinopoli come sua maestà abbia una grande paura di far la fine del disgraziato Abdul Aziz e diffida di tutti. Fu appunto per potersi trincerare ben bene che, abbandonata l'antica sede sulla sponda del Bosforo a portata dei legni da guerra delle potenze europee ed altresì soverchiamente esposto alle conseguenze di un complotto, di una congiura de' suoi, andò a stabilirsi lassù sulla collina di Ildiz, ave fece fabbricare un magnifico palazzo. Fu ancora per effetto della paura che fece costruire una nuova moschea qualche centinaio di passi fuori del cancello del palazzo, in guisa da non esser costretto per la preghiera del venerdì dì fare un lungo tragitto, e diminuire così il pericolo d'un attentato.

Ho detto poc'anzi che così ben vestiti i soldati come li vidi al Selamlik sotto le armi, non li vidi mai. Potrei fare eccezione per le truppe di mare, che anche fuori rango non ho veduto, mai in cattivo arnese, ma il rimanente, e non escludo gli ufficiali, mi hanno davvero scandalizzato. Non ho potuto dedurre da quel che vedevo per le vie quale fos se la tenuta prescritta giornaliera, perché s'incontrano soldati in qualsiasi parte della città ed a qualunque ora in tutte le gradazioni dell'uniforme, dalla grande tenuta alla giacchetta da caserma colle ciabatte. La sola uniformità è il fez, salvo si tratti di cavalleria nel qual caso hanno il kalpak di pelo d'agnello. Del resto, uno è armato, l'altro non lo è, uno ha la tunica, l'altro la giacchetta, chi ha gli speroni senza tiranti, ed il pantalone corto tanto che non giunge a coprire lo stivale, chi i tiranti senza speroni. Non parlo dei soldati a cavallo isolati che vagano per la città a far commissioni o al seguito dei loro padroni, perché il più delle volte e per l'uniforme del cavaliere e per la sella e la bardatura lacera e strappata o addirittura senza nulla all'infuori di una semplice coperta di lana logora e scolorita, non si saprebbe dire se veramente sono o non sono militari. Non ripeterò degli ufficiali che il più delle volte non hanno di pulito che il fez e tollerabile la tunica con certi colletti e certe babbucce e certe mani da ricordare l'aratro e la mandria; ma non posso tacere che in massima la divisa del soldato o isolato o di guardia è qualche cosa di obbrobrioso. Ricordo d'aver veduto in una via secondaria di Pera un uomo in sentinella la cui tunica era letteralmente strac-

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ciata, unta tanto che pareva vi si fosse passato una mano d'olio e i pantaloni all'unisono colla tunica, non istavano assieme così da lasciar vedere attraverso quella che doveva essere biancheria. Ebbene, quel soldato coperto di cenci era un bell'uomo; e nel momento in cui io lo vidi, nell'atto cioè di presentar l'arme ad un ufficiale, così coll'uniforme a brandelli aveva un aria decisamente marziale.

Caserme e vitto

Ufficiali defraudati della maggior parte dello stipendio, soldati male in arnese, sono fatti abbastanza salienti da indurre il forestiero di fresco giunto in Turchia a credere che il governo non curi l'esercito. E' invece il contrario. Il governo o per meglio dire il sultano (perché il potere è in mano sua e i ministri sono poco più che esecutori) spende i denari disponibili anzitutto per la difesa del paese e per l'esercito. Nessuna capitale d'Europa, e le ho viste tutte, ha dovizia di caserme quante ne ha Costantinopoli: ben situate, ampie e costruite senza risparmio, razionalmente progettate. Il soldato, ricordando che siamo in Oriente, vi è benissimo alloggiato, e contrariamente a quanto si crede in Europa, è abbondantemente nutrito. Non è vero affatto che lo si alimenti con un pugno di riso e poche noci. Riceve regolarmente ogni giorno una razione di pane corrispondente press'a poco in quantità alla nostra e non inferiore in qualità a quella dell'esercito austro-ungarico, riso, sale, legumi e 250 grammi di carne di montone.

Ora quando si pensi alla sobrietà propria dei popoli orientali, alle non gravi fatiche che in tempo di pace si fanno fare ai soldati (1), se debbo arguirlo da quello che ho visto nella capitale e da quanto ho sentito, bisogna convenire che vitto ed alloggio del soldato turco non lasciano oggi nulla a desiderare.

Armi e fortificazioni

Ma dove il governo ottomano spende a larghe mani per l'esercito, è in armi e fortificazioni.

E' noto come nella odierna gara delle potenze europee per l'adozione di un fucile a tiro rapido, il governo turco si trovi quasi in prima linea, dappoiché esso abbia già adottate le mi· sure per sostituire l'attuale Martini-Henry con il Mauser calibro mm. 9,5 del quale è già molto avanzata la fabbricazione colle relative cartucce per tutta la fanteria dell'esercito perma-

(1) Nel presidio di Costantinopoli non si fa mai il tiro al bersaglio. Per quanto abbiano insistito sulla sua necessità gli ufficiali tedeschi, il sultano non volle dare il suo assenso; effetto anche questo, anziché di mancanza di mezzi pecuniari, com'io credevo, di una grande preoccupazione per il trono e la vita.

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nente (l). E' pure noto come la casa Krupp lavori da anni senza posa per dotare l 'artiglieria da campagna e da montagna e soprat t utto le fortificazioni delle necessarie bocche da fuoco dei modelli più recenti e perfezionati.

Nel notevole articolo inserto nella «Rivista Militare Italiana » del dicembre scorso. col titolo Turchia , sono particolareggiate insieme a molte altre notizie interessanti sullo stato militare, le condizioni attuali della difesa dell'Impero ottomano.

Inoltre esistono in ufficio due rapporti ( dei quali mi spiacque non avere avuto visione prima della mia gita) , l'uno del capitano Cugia che riferisce quanto ha veduto delle difese del Bosforo nella primavera dell'anno scorso; l'altro del comandante il M. Avviso «Sesia», Guevara. sulle fortificazioni dei Dardanelli, quali erano nel 1886.

Or come mi trovo avere in parte veduto cogli occhi miei e in parte attinto all'autorevole fonte dell'addetto militare inglese colonnello Tratter su questo soggetto delle fortificazioni, così ho ravvisato opportuno di riportare nella presente memoria lo stato delle opere quale è descritto dai predetti nostri ufficiali nelle epoche summenzionate, aggiungendo o modificando quanto risultò ora a me de visu e per il mezzo anzidetto.

Fortificazioni del Bosforo (2)

«Entrando dal mar Nero s'incontra anzitutto la batteria di Fil Baruse sulla riva asiatica, che difende il passaggio là dove le due rive avvicinandosi bruscamente una ali altra formano come uno strozzamento dello Stretto. Quest'opera è armata di quattro bocche da fuoco di grosso calibro 3). Procedendo sulla costa d'Asia, segue la batteria posta ad Anatoli Kavak. Essa ha la parte visibile del parapetto in terra ed è ad un solo ordine di fuochi. E' situata sulla punta estrema del promontorio dalla Quarantena al capo Kavak ed è alta circa otto metri sul livello del mare, tranne che sulla parte centrale in cui l'altezza è da dodici metri a un dipresso. Al di là della batteria il suolo si eleva rapidamente, raccordandosi al massiccio del monte del Gigante (Buscià Dagh) sulla cui falda settentrionale e precisamente alquanto dietro alla batteria, sono le rovine d'un antico castello genovese posto a guardia dell'entrata dal Bosforo da

(1} A tale proposito, il numero del 29 giugno della « Revue du Circle Militaire" di Parigi reca: Il signor Mauser fornìsce settimanalmente al governo turco 1.300 fucili da 9,5, e già ne furono somministrati 75.000. Ma le autorità ottomane oggi vorrebbero adottare un calibro minore, ed il signor Mauser ha quindi fabbricato un Mannlicher di 7,17 che sta spe· rimentandosi con una nuova polvere colla quale si pretende di ottenere una velocità iniziale di 600 metri.

(2) Il virgolato è la riproduzione testuale del rapporto del capitano Cugia in data 20 giugno 1888 da Sofia.

(2) Secondo le informazioni fornite dal colonnello Tratter, la batteria di Fil Burun è armata di tre pezzi da 21.

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questa parte. La batteria è armata di dodici cannoni che sembrano del calibro da 22 a 24 messi in barbetta (l): dei quali otto battono l'entrata dello stretto, e tre l'interno di esso, in modo da prendere di rovescio le navi che avessero potuto superare questo punto. La bocca da fuoco al saliente ha azione da entrambe le parti.

Dopo quest'opera, sempre sulla riva asiatica, s'incontra la batteria di Magìar Kalessi (2), ad un ordine di fuochi come la precedente e parapetto in terra, costrutta all'estremità del promontorio del medesimo nome. Essa è alta cinque metri sul pelo d'acqua, tranne che alla parte centrale, in cui l'altezza è di otto metri circa. E' armata di quindici cannoni a retrocarica da 22 a 24 centimetri di calibro (3). Di questi nove imboccano il Bosforo fra Anatoli Kavak e Rumeli Kavak, gli altri sei battono lo specchio d'acqua fra Rumeli Kavak e l'insenatura di Bujakdere. La batteria di Rumeli Kavak è la sola ch'io abbia veduto sulla costa europea. E' situata a mezza costa dell'altura che forma la punta, o meglio la sporgenza di quel nome, di fronte quasi a capo Kavak (Asia) ed è in posizione dominante. Non essendovi strade interne, vi si accede per una rampa che mette capo alla spiaggia e che può essere battuta dal mare. Ha anch'essa il parapetto di terra ed è armata di sei bocche da fuoco di cui per la distanza non ho potuto apprezzare il calibro (4 ); una è al saliente, tre hanno azione verso Fil Burun e due batterie il canale in direzione normale. Questa opera ha pure un'azione diretta sulla batteria a capo Kavak ».

Il capitano Cugia, a questo punto del suo rapporto, scrive che oltre alle accennate non ha veduto altre opere, neppur quel· le segnate sulle carte francesi e russe di cui era munito e che sull'annesso schizzo ha ugualmente riportato punteggiate. Ignoro io pure che cosa ne sia di quest'ultime, non essendo andato fino al mar Nero, e nulla avendomi detto al riguardo il colonnello Tratter; ciò che mi fa credere siano state abbandonate. Debbo invece aggiungere altre due opere di recentissima costruzione, anzi non peranco compiute, cioè: batteria di Terapia alta ottanta metri circa sul livello del mare, armata provvisoriamente di soli due pezzi da 15 ma che sta per riceverne quattro da 24, destinati a battere lo specchio d'acqua compreso fra le batterie delle due sponde che furono testè specificate, ed alle quali fa d'uopo. aggiungere ancora la batteria a fior d'acqua di Mezar Burun, poco a nord-est dal villaggio Bujakdere, sulla sponda d'Europa; armata di sei pezzi, dei quali ignoro il calibro, con parapetto in terra e a un solo ordine di fuochi.

(l) Il colonnello Tratter mi disse che sono undici pezzi e cioè: quattro da 15, uno da 21 e sei da 24.

(2) Sulla carta inglese: Madskiar Kalek.

{3) Sono ora venti pezzi, cioè: otto da 15, tre da 21, sette da 24 e due da 28 (col. Tratter).

(4) Due pezzi da 15, due da 21 e due da 24 (col. Tratter)

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Tutti questi pezzi, per la difesa del Bosforo, vennero forniti dalla casa Krupp in dive rse epoche. Gli ultimi giunti all'arsenale di Copané e cioè dodici da 24 e due da 35, non hanno ancora avuto (salvo quelli da 24 per la batteria di Terapia) una definitiva destinazione .

Fortificazioni nei Dardanelli

Delle opere di difesa nei Dardanelli dirò quello che ho veduto colla scorta degli appunti datimi dal còlonnello Tratter, confrontando il presente stato delle cose con quello di tre anni or sono, quando il comandante del Sesia » mandava il rapporto, a cui ho addietro fatto menzione. Giungendo dal Mar di Marmara si veggono, appena oltrepassata la Baia di Ak Baski, sulla sponda d'Europa: sette piccole batterie sui dossi che si elevano da ottanta a centoventi metri lungo il canale destinate, mi parve, per due o tre pezzi ciascuna. Ignoro se fra queste ve ne sia taluna di recente costruzione; ma credo che le più parti siano state costrutte prima del 1870. In ogni modo, non debbono essere opere d'importanza, non essendo comprese fra quelle specificatemi come tali dal colonnello Tratter.

Lungo il lido, una batteria radente di sette pezzi, a cui, quand'io passai il 30 maggio si stava lavorando e si vedeva l'acdelle truppe (l).

Non appena si è doppiato il capo che segna il massimo restringimento dei Dardanelli (non più di un chilometro), appare la gran batteria a dente, a fior d'acqua, destinata a ricevere ventinove pezzi secondo quanto mi disse il colonnello Tratter; ma dei quali io ne conta solamente undici in cannoniera (2). L'opera era quasi compiuta, e finita pure una caserma pel pre· sidio a ponente ed un'altra più elevata. L'una e l'altra però senza cinta.

Sulla sponda d'Asia, oltrepassato l'antico forte in muratura a mare detto Nagara, si vede, giungendo dal mar di Marmara , una batteria a fior d'acqua con otto o più pezzi in cannoniera e parapetto in terra, costrutta, mi si disse, prima del 1870 (3). La batteria mi parve chiusa alla gola ed è addossata al forte vecchio di Nagara. Immediatamente dopo, sorge la caserma entro una cinta il cui lato a mare è discosto pochi metri dalla

(l) Anche nel rapporto del comandante Guevara è citato sotto il n. 6 lo stesso numero di pezzi come esistente nel 1886. Bisogna dire che i lavori che ho visto sicno intesi per m1gliorare l'opera e fors'ancht: mutare il calibro se non il numero dei pezzi.

(3) Corrisponderebbe questa nuova batteria alle due 3 e 4 dello schizzo del comandante Guevara, le quali stanno subendo una trasformazione e che nel 1886 erano armate di dodici cannoni del calibro 17 e 20 cent.

(3) Il comandante Guevara riferisce che nel 1886 era armata di tredici cannoni Krupp del calibro da 15 a 18 cent. E sarà forse cosi anche oggi. perché non mi consta che quest'opera abbia subito trasformazioni.

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spiaggia. Il comandante del « Sesia » enumera di poi tre opere che non mi vennero segnalate fra le recenti.

Appena oltrepassata la terra di Chanah, si vede una batteria di recentissima costruzione, per un sol pezzo, che a bordo mi fu detto da cento tonnellate (ma non mi parve), dono (?) di Krupp al governo ottomano. Di poi segue la grande nuovissima batteria, pure a fior d'acqua, per nove pezzi, cioè :. sette da 24 e due da 25, in cannoniera, parapetto in terra e un sol ordine dj fuochi. Oltre a questi specificatimi dal colonnello Tratter, ho veduto sulla destra dell'opera tre cannoni di piccolo calibro per la difesa vicina.

Coll'allargarsi del braccio di mare, cessano le fortificazioni, che riprendono all'imboccatura.

L'antico forte sulla sponda europea alla punta della penisola di Gallipoli, è stato rimodernato completamente, colla costruzione di una batteria in terra per sei pezzi a mezza via fra la vecchia in muratura a fior d'acqua e la sommità del dosso, rimanendo così compresa entro la cerchia antica. Più in alto, a ponente del forte, si scorge una batteria appena finita per due pezzi (l).

Sulla costa d'Asia, a mezzo cammino all'incirca fra lo stretto Chanah e la bocca dei Dardanelli, mi parve si stesse lavorando ad una nuova opera elevata da 120 a 150 metri. Ma non potrei nulla assicurare al riguardo. Un ' altra po tente opera, nuova di pianta a fronte bastionato, è in costruzione all'imboccatura, a fior d'acqua, per dieci pezzi in cannoniera colla caserma pel presidio dietro. E finalmente una piccola batteria per due pezzi sorge oltre il villaggio di Kum Kalé, con azione sul mare aperto (2).

In generale tutti questi nuovi lavori di fortificazione appaiono fatti con cura. Le caserme sopratutto, alle quali occorre aggiungere quella di recente costruzione alla imboccatura orientale dei Dardanelli presso Gallipoli, sono grandiose e costrutte senza economia; però in generale poco riparate e non di rado esposte completamente ai tiri nemici.

Mi duole di non poter dire nulla delle fortificazioni entro terra e specialmente della linea di Eiatalgia attraverso la penisola di Tracia, perché non ebbi né il tempo né l'opportunità di visitarla, e il colonnello Tratter non mi disse in proposito se non che « quella linea è tenuta sufficientemente bene in assetto, armata e presidiata ». Dopo i particolari tanto cortesemente forniti sulle opere del Bosforo e dei Dardanelli, traendoli dal suo taccuino sul quale li mostrava a me a cui parlava per la prima volta, non ho compreso qual motivo lo trattenesse

(l) Corrisponde questo forte al n. 2 del comandante Guevara, prima della trasformazione.

(2) Queste due opere sono destinate a sostituire quella segnata l sul· l'elenco del comandante Guevara, la quale sorge lì presso e che nel 1886 era armata di tre cannoni Krupp, ol t re a gran numero di antichi.

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dal fare altrettanto per le fortificazioni di terra; se fosse gelosia britannica o ignoranza dei dettagli o più semplicemente il desiderio di troncare un colloquio che cominciava a diventare troppo lungo, tanto più che sapeva d'essere aspettato da un amico col quale doveva uscire a cavallo.

Situazione politico-militare

Innanzi congedarmi volli però avere un suo giudizio complessivo sull'esercito turco di oggi, e questo è quale ho già accennato e quale mi è parso dal pochissimo che ho veduto. Non c'è nulla da imparare, concluse il colonnello Tratter, ma non per questo un addetto militare vi è inoperoso. Soltanto. le sue mansioni sono diverse che altrove. Qui occorre stare in vedetta continuamente ed essere sempre bene al corrente di tutto ciò che si fa e non si fa, non già per apprendere ma per essere in grado di giudicare della situazione della potenzialità militare dell'Impero, il giorno, e questo lo aggiungo io, nel quale converrà a ciascuna grande potenza d'Europa di conoscerla esattamente per regolare la propria condotta e salvaguardare i propri interessi. A tale effetto vi tengono addetti militari alle ambasciate, l'Inghilterra, la Russia, la Francia e l'Austria-Ungheria. L'esercito germanico vi è rappresentato direttamente dal generale von der Goltz e dagli altri ufficiali tedeschi, i quali, come è ben noto, pur continuando a figurare nei ruoli del loro esercito, servono in quello ottomano di cui portano la uniforme e sono lautamente e, cosa straordinaria in Turchia, puntualmente pagati; non però dal governo, sibbene dalla Banca Ottomana (l). Il risultato pratico di questa missione, dalla quale si attendevano effetti miracolosi, non ha corrisposto alla aspettativa. Una forza d'inerzia si è sempre opposta alla pratica applicazione dei suggerimenti di quei rigidi, bravi e coscienziosi ufficiali alemanni; tanto che veggendo la loro opera pressoché inutile più di una volta e il capo e gli ufficiali ebbero a chiedere insistentemente, malgrado i pingui emolumenti, la dispensa dallo speciale servizio. Ma quello che non s'è ancora verificato per la recisa volontà del sultano, che oggi non vede altra salute all'infuori che nella Germania, o presto o tardi accadrà. Ed in ogni modo non saranno certo quei pochi ufficiali e nemmeno la valentia del generale tedesco che riusciranno ad

(l) Delle sei grandi potenze europee, l'Italia è quindi la sola che non abbia un rappresentante militare a Costantinopoli. E ciò, a parer mio, oltre che non la mette in grado di conoscere al momento opportuno quello che sapranno le altre, parché non havvi neppure la fonte dei giornali del luogo a cui attingere notizie, presenta sin d'ora un inconveniente assai più grave in Oriente di quanto in Europa non si creda; cioè che s'infiltra Ja convinzione nei turchi e nei levantini, che val quanto dire nel governo locale e pel tramite delle ambasciate presso i governi esteri, che l'ltaHa si disinteressa della questione d'Oriente, appunto perché non ha quèl rappresentante militare che le altre grandi potenze tutte reputano necesSario di mantenere.

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ottenere ciò che non ottennero in sette anni, malgrato tutta la buona volontà e tutta la persistenza, Ja tenacia propria del ca• rattere della loro forte nazione.

La caduta dell'impero turco è in Levante ritenuta più vicina di quanto in Europa non si creda. Un paese retto dalla volontà di un solo, che governa secondo i capricci, le simpatie e le paure del momento; un governo che s: regge soltanto per forza dei puntelli delle grandi potenze, reciprocamente gelose e interessate oggi alla azione comune, salvo a combattersi domanj l'una coll'altra al primo segnale di lotta; un paese. che non paga i suoi funzionari, i suoi ufficiali; un paese nelle cui amministrazioni alte e basse, civili, giudiziarie, militari, tutte quante, regnano sovrani la corruzione, il favoritismo (l), l'ingiustizia, il bakscish; un paese infine che anche all'infuori dall'azione politica delle potenze, cammina colle gam· be altrui, perché sono greci, armeni, francesi, italiani, inglesi, tedeschi, americani che a Costantinopoli e in massima nellt> città d'Europa e taluni anche sulla dell'Asia Minore, danno vita alle amministrazioni governative locali, alle banche, società, case commerciali, a tutto ciò insomma che costituisce la vita pubblica di una nazione; un tal paese non può durare, e deve o lentamente sfasciarsi compiendosi cosi l'opera di de rnolizione a cui assistiamo da un mezzo secolo, o ad un tratto, al primo grande cataclisma europeo cadere, per ridursi a quel· l'Asia donde è venuto.

Ma questa pure non è né facile né definitiva soluzione, perché la potente Russia avanza sull'Armenia, perché le po tenze occidentali agognano alla Siria, ai porti tutti dell'Asia Minore, perché ritornare proprio là donde i turchi vennero, ai monti Altai fra Mongolia e Siberia, lo vietano i due colossi im· piantati nel centro e nel nord del gran continente, la Cina e la Russia.

E' forse un danno per l'equilibrio mondiale che non si possa conservare nell'antica sua regione un popolo che ha eminenti qualità, e le ha mostrate nella lunga vita sua politica attraverso i secoli, un popolo che pur ridotto agli estremi ha rivelato nell'ultima lotta forze vit.ali a cui nessuno in EuroDa si attendeva, un popolo che anche oggidl là dove non ha avuto il contatto europeo, nelle contrade montuose dell'Asia, mantiene colla sernibarbarie il carattere antico, leale, ospitale, buono e ad un tempo virile, energico, guerriero. Ben disse l'autore d'una recente pubblicazione Le mal d'Orient, Hesrnin bey, un fran· cese stato a lungo al servizio del governo ottomano, che tur· chi ed europei si sono corrotti a vicenda. Succede, scrive egli, dei turchi e degli europei a Costantinopoli quello che avviene dell'acqua salsa e dell'acqua dolce, che separate sono elementi di salute e di vita, unite apportano col salinastro la pestilenza

(l) Mentre io ero a Costantinopoli, il « Levant Herald » pubblicava fra le nomine di quei giorni la promozione di un sergente maggiore a capitano.

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e la morte. Queste cose le sanno tuttt m Levante, ma in Occidente non si è propensi a prestarvi fede; si è anzi condotti a ritenere esagerato quanto si scrive e si dice da chi viene di là. Ne è a stupirsi gran fatto di ciò, quando si sappia che libertà di stampa nella capitale ottomana è frase vuota di senso.

La stampa di Pera

Oggi in Turchia sotto questo rispetto gli è lo stesso che nelle province italiane nei tempi di servitù. Non si stampa se non quello che consente U governo; ed il governo non consente nessuna critica all'andamento politico, amministrativo, giudiziario, militare dello Stato, e il più delle volte non per· mette neppure la discussione accademica; cosicché i periodici sono ridotti ad occuparsi di che cosa fa o non fa giornalmente il sultano, delle nomine e promozioni, di chi va e di chi viene, d'arte, di musica, di letteratura, della pioggia e del bel tempo e di quello che avviene negli altri paesi d'Europa. Ogni giorno il periodico è soggetto alla censura, l'articolo incriminato è tolto e il foglio esce collo spazio in bianco; che se ripetesse il delittQ, viene la soppressione, e del giornale non se ne parla più. Or come questa procedura spiccia è regolarmetne applicata, bisogna anche dire che è talvolta sfruttata a beneficio del giornale stesso, quando si trova in ristrettezze finanziarie. Diminuiscono gli abbonati? Gli affari vanno male? Si decide di cessare la pubblicazione del gi-ornale. Detto fatto. Si scrive un articolo con qualche cenno sfavorevole al governo, e la censura non lo permette. Se ne scrive un altro e poi se occorre un terzo, un quarto accentuando l'opposizione. Il giornale è soppresso e la direzione che ha avuto cura dt fare l'operazione in principio di semestre, dopo di avere intascato una buona parte degli abbonamenti, cessa le pubblicazioni senza menomente indennizzare gli associati con altro periodico, come è uso nei paesi civili.

Tre sono oggi i giornali quotidiani di Pera: • La Turquie •, scritta in francese, il « Levant Herald •. in francese e inglese, l'• Orientai Express •. in inglese. V'era anche il • Phare du Bosphore •. in francese, ma fu soppressù in seguito all'appli· cazione del metodo che ho detto, precisamente ai primi di febbraio scorso. Vi sono poi giornali greci, turchi e armeni dei quali nulla so dire. Riferirò invece che dopo aver scorso durante la mia dimora a Costantinopoli ogni giorno quei tre periodici a fine di decidere quale fosse a preferirsi per il Corpo di Stato Maggiore in sostituzione del « Phare du Bosphore •. sono venuto nella economica determinazione di non prendere nessuno poiché nessuno dei tre contiene nulla, assolutamente nullla, che possa interessare un ufficio d'informazione militare, per la evidente ragione che ciò che l'interesserebbe, la censura non lo lascia pubblicare.

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La questione africana a Costantinopoli.

Prima di abbandonare Costantinopoli non voglio tacere cosa che mi ha colpito, pur non sapendo se fosse affatto del caso o fosse invece la manifestazione d'un fatto costante. Malgrado abbia aVùto occasione di intrattenermi con funzionari ottomani, fra cui due generali, e discorrere ogni giorno con levantini, non ricordo di nessuno che neppur lontanamente abbia portato il discorso su quella nostra azione africana di cui tanto in Italia si discute e che è pure di tempo in tempo soggetto di articoli nelle colonne de' più reputati periodici di Europa. Inutile il dire che i giornali di Pera non ne parlavano mai. Si sarebbe detto che il mar Rosso fosse in Cina.

Ora questo generale, assoluto silenzio nella capitale ottoroana su di una questione che tocca così vitalmente un territorio alla cui sovranità la Turchia non ha mai rinunciato, mi ha una volta di più convinto che quella potenza non se ne interessa in sostanza menomamente e che il miglior sistema per noi è quindi quello seguito sinora, di considerare cioè la questione di diritto come esaurita; imitando così l'esempio della grande maestra in politica coloniale, l'Inghilterra, la quale ha possessi per tutto il mondo non riconosciuti e persino in Europa, Gibilterra, non riconosciuta mai come terra britannica dalla legittima antica padrona, la Spagna (l).

Grecia.

Il 29 maggio prendevo imbarco sul «Mediterraneo», piroscafo della Società Generale di Navigazione Italiana che fa il servizio diretto da Costantinopoli al Pireo e Brindisi. Giungevo al Pireo alle cinque del mattino del 31 in anticipazione di un'ora sull'orario prescritto, dopo una navigazione di trentacinque ore. In venti minuti dì ferrovia ero ad Atene, ove sostai per più di una giornata.

Avrei potuto fare una rapida corsa all'Acropoli e nella città moderna e ritornare a bordo del «Mediterraneo» che salpava a mezzo giorno per Brindisi; ma ho preferito lasciare quel vapore malgrado vi fossi stato oggetto delle più squisite premure per parte del comandante Dodero, per avere agio di meglio visitare Atene, e più ancora per profittare della ferrovia Atene-Patrasso, farmi una idea d'una parte della Grecia, vedere i lavori del canale di Corinto e dare un'ochiata pure a

(l) Durante il mio soggiorno a Costantinopoli era in rada una nave da guerra tedesca avente a bordo un consiglio di leva, dirò così ambulante, incaricato di tutte le operazioni di leva di terra e di mare ovunque vi sieno colonie germaniche. Inutile il dire quanto tale sistema sia pratico e rispondente allo scopo e soprattutto economico, poiché il personale del Consiglio di leva, salvo un commissario, è fornito dallo stato maggiore dì bordo, e il viaggio costituisce per gli ufficiali e l'equipaggio una cam· pagna d mare al pari di qualsiasi altra.

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Corfù. Tante cose alle quali bisognava rinunciare se avessi seguito la rotta del piroscafo diretto a Brindi s i contornando la penisola di Morea. Otto ore di ferrovia mi portavano da Atene a Patrasso, ove pres i imbarco sul « Pachino » altro piroscafo della Società Italiana che fa il servizio bisettimanale fra Patrasso e Brindisi toc cando Corfù (l).

Il vapore era riboccante di passeggeri soprattutto di P e 2• classe, e mi dicevano che più o meno è sempre così da qualche tempo. Sia l'apertura del servizio diretto ferroviario Rttraverso ai Balcani sia l'attrattiva dell'Esposizione di Parigi, il fatto è questo che una quantità assai maggiore del consueto di viaggiatori giungono dal Levante a Patrasso per avviarsi a Brindisi, preferendo la più parte, come ho preferito io, questo più svariato itinerario col più breve tragitto di mare, in confronto di quello intorno alla penisola di Morea.

La ferrovia attraversa dalla capitale all ' istmo di Corinto un territorio che era ben lungi dal ricondurmi il pensiero alle muse, al Parnasso, all'Olimpo. E' come la continuazione dei dintorni di Atene che sono aridi, brulli e salvo qualche ulivo, senz'alberti, pochissimi abitanti, nessun casolare isolato. E' la seconda edizione alquanto riveduta delle lande di Tracia; sono gli stessi effetti della stessa dominazione turca; e se in Grecia havvi miglioramento, data appunto dalla cessazione di quella. Il miglioramento non è né grande né rapido, ma mi assicurano che c'è. Ne ho visto anch'io le prove, oltreché nella moderna Atene, sulla lingua di pianura su cui corre la ferrovia che dall'istmo di Corinto lambe il golfo omonimo fino a Patrasso, tutta quanta ben coltivata a vigneti. Ma ancor prima di giungere a questa bella plaga, il viaggiatore ha una grande opera da ammirare: il canale di Corinto .

.Canale di Corinto .

L'attraversa la ferrovia con un ponte di ferro , donde si presenta alla vista la colossale trincea lunga da sei a sette chilometri. Le pareti scendono quasi a picco elevate sul fondo attuale, che non è ancora il definitivo, mi parve da diciotto a venti metri all'incirca dove lo si attraversa non !ungi dal suo imbocco settentrionale, certamente di più al centro dove il suolo leggermente ondulato maggiormente si eleva.

Com'è noto i lavori vennero sospesi in seguito al fallimento del Crédit d'éscompte, né si conosce quando potranno essere ripresi. Ma per quanto grave sia la presente situazione finanziaria dell'opera grandiosa, non è questo il maggiore ostacolo al suo compimento. Tutti coloro ai quali ne chiesi conto e

(l) Credo opportuno ricordare cosa che i nostri ufficiali generalmente non sanno, che cioè sui piroscafi della Società Generale di Navigazione godono in tutto il bacino del Mediterraneo, compreso il rnar Nero, della medesima riduzione di prezzo che è stabilita per i viaggi fra i porti italiani.

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greci e i comandanti dei piroscafi italiani, mi risposero unanimi, che quando anche si trovassero, e si troveranno, i mezzi per compiere il canale, non si vede come una Società intraprenditrice possa sussistere. Si calcola che occorrono non meno di sette milioni annui di franchi di pedaggio per far fronte al pagamento degli interessi del capitale impegnato e delle spese di manutenzione ed amministrazione. e non si trova donde que· sta egregia somma possa scaturire annualmente, perché le sole navi che hanno interesse a servirsi del canale sono quelle a vapore che fanno il traffico dell'Adriatico, ed anche queste guadagnano soltanto dodici ore sulla rotta che seguono oggi intorno al capo Matapan.

Ufficiali e soldati greci

Alla stazione di Corinto fummo raggiunti dal treno reale che trasportava le loro maestà dirette a Trieste e Pietroburgo pel matrimonio della figlia, principessa Alessandra. La folla, assiepata sulla piattaforma, fece una calda e veramente festosa e cordiale accoglienza alla famiglia reale. Anche ad Atene tutta la popolazione era in moto per questa partenza e alla stazione faceva ala un battaglione di linea che mi diede così occasione insperata di vedere sotto le armi anche un campione dell'esercito grèco. Avevo già assistito il giorno innanzi al cambio della guardia al palazzo reale, costituita dai cacciatori (euzoni) (1), i soli che oggi abbiano conservato il costume nazionale colla fustanella bianca, il giubbetto a ricami e maniche pendenti ed il piccolo berretto rosso; ed anche prescindendo dalla differenza d'uniforme, ho dovuto notare rma spiccata differenza negli uomini delle due milizie. I cacciatori e per statura e pel largo torace ed ancor più per il piglio marziale mi rammentavano i nostri bersaglieri, quantunque sotto ben differenti assise. I soldati di linea invece parevano, essi e i loro ufficiali, guardie nazionali di altri tempi. Ho esaminato ben da vicino e attentamente tutti gli ufficiali che passeggiavano a frotte o stavano al caffé sulla gran piazza della Costituzione, e credo davvero che il confronto che ho fatto non sia esagerato . Attempati pressoché tutti anche i tenenti, vecchi gli ufficiali superiori, senza nessuna spigliatezza mibtare quantunque correttamente ed uniformemente vestiti, non mi hanno fatto una gradevole impressione. Non v'erano a deplorare qui e ad Atene la trascuranza e la sudiceria turca, ché anzi ho notato ordine e pulizia; ma si notava invece, ad eccezione dei cacicatori, l'assenza di tutto ciò che contraddistingue il vero soldato.

Questo car attere, dirò così borghese, nelle truppe di linea, l'ho di nuovo riscontrato nei pochi uomini che vidi a Corfù entro e fuori la cittadella; enorme contrasto davvero coi soldati inglesi di marina che, al par di me scesi a terra dalla

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O) Vocabolo greco moderno che significa «ben cinti».

squadra ancorata in quelle acque, passeggiavano fieri e impettiti e facevano per poco credere al ritorno del dominio britannico nell'antica Corcira.

Corfù.

Uno dei più graditi ricordi della mia escursione, è certamente la bella Corfù, col suo incantevole golfo incorniciato dagli aspri monti d'Albania, i suoi pratteti, i baluardi dell'antica repubblica veneta, il carattere tutto veneziano delle case, delle piazze, delle vie. Non mancava a completare il quadro il leone di San Marco, impiantato ogni tratto là dove nè inglesi né greci ardirono toglierlo, e cannoni e mortai tuttora giacenti non in batteria perché la cittadella è oggi completamente disarmata. ma sull'ampio piazzale a dire la storia dei tempi che furono. Erano sei cannoni di ferraccio di grosso calibro colla iscrizione Carlo Camazzi · Bergamo, dell'epoca certamente in cui questa città appartenneva alla grande Repubblica; inoltre, se ben ricordo, otto mortai dell'anno 1682.

Veggendo tutte queste reliquie italiar.e, sentendo nelle vie parlare il dolce e spigliato vernacolo della laguna. ho provato un senso di mestizia nel vedere le insegne delle battaglie in greco e nell'incontrare quei brutti soldati elleni, ai quali è ora affidato uno dei più belli e più antichi possedimenti di quella che fu la regina dell'Adriatico.

Con questi pensieri ero risalito a bordo. Poco dopo si passava fra la squadra britannica e l'isolotto del Vido su quale altra volta sorgevano i forti inglesi oggi smantellati. Si usciva dal golfo, si dirigeva su Brindisi, e il mattino alle cinque del 3 giugno, dopo dodici ore di placida navigazione, ero giunto in Italia.

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S. L. MARINI, Note raccolte durante la permanenza in Atene (1).

Per venire in Cos tantinopoli potevo sceglie re la via di terra, per Budapest, Belgrado e Sofia, o quella di mare per Patrasso ed Atene. La prima , molto interessante, prometteva un viaggio più rapido; tuttavia mi decisi per la seconda, nella speranza d'evitare i forti calori, che si soffrono in ferrovia in questa stagione.

Da Atene - dove giunsi sabato 9 corrente - avrei potuto partire per Costantinopoli nel giorno stesso del mio arrivo; ma stanco pel caldo soffe rto da Patrasso ad At e ne - otto ore e mezza di ferrovia - e desideroso di vedere la capitale della Grecia , mi decisi a sostarvi fino al success ivo sabato 16 .

Volli però profittare della mia fermata per formarmi una idea della forza armata di quella nazione, ed a tale scopo, per mezzo del nostro ministro, conte Fe' d'Ostiani, chiesi d'essere presentato al signor Tricoupis, che per interim reggeva il ministero della Guerra.

Il momento era poco favorevole, perché il Tricoupis ricevette la domanda del nostro rappresentante nel momento di lasciare la direzione degli affari militari al nuovo ministro, il colonnello del genio Tsamados. Pure, prima d'abbandonare il potere, come ultimo atto della sua amministrazione, volle che il tenente d'artiglieria Frangondis mi servisse di guida nelle visite che avrei avuto occasione di fare

Questo giovane ufficiale voleva prima accompagnarmi solo nel deposito di mobilitazione esistente in Atene, dicendo che una visita ai reggimenti mi avrebbe giovato a nulla, stante la deficienza di soldati causata dal sistema di congedi in massa adottato da Tricoupis ma quando chiese l'autorizzazione di tradurre in atto in suo divisamento deve aver urtato in qualche scrupolo nato nell'autorità sott'ordine.

Questo giovò ai miei fini. Infatti, poiché per l'atto graziato

(l) SME-AUS, b 48/B Addetti militari, f. 9, rapp n. 63 di protocollo, al tenente generale comandante in 2' del Corpo d1 Stato Maggiore, Costantinopoli 26 agosto 1890, pp. 32.

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del Tricoupis mi si doveva pure lasciar vedere qualche cosa, si venne nella determinazione di !asciarmi visitare le caserme c in seguito Tsamados ordinò mi si facessino vedere anche i depositi di mobilitazione.

Di questa visita esporrò alla signoria vostra le impressioni ricevute, facendole precedere da alcune notizie relative al cambiamento del ministro della guerra. Come allegato al presente rapporto mi propongo di trasmettere poi a codesto comando in fascicolo a parte alcune notizie relative alla costituzione dell'esercito greco.

Quando la diplomazia impose alla Grecia impaziente di rimettere la spada nel fodero, il Tricoupis presidente del Consiglio e per interim ministro della Guerra e delle Finanze, si propose anzitutto di restaurare il credito pubblico.

Nell'amministrazione della guerra procedette con congedi in massa anticipati e con misure che disgustarono il partito militare, il quale era inoltre seccato perché vedeva mal volentieri un borghese dirigere gli affari militari. Nacquero pertanto malumori che nello scorso inverno si manifestarono con un atto d'indisciplina immediatamente represso, commesso dal comandante generale della circoscrizione militare di Tessaglia.

Il Tricoupis alla vigilia delle elezioni volle dare una soddisfazione al partito militare nominando il titolare al ministero della Guerra.

Erano in predicato: il colonnello Kolokotroni, già comandante la scuola militare del Pireo, edo ora comandante il 2° reggimento artiglieria, ed il colonnello del genio Tsamados che disimpegnava il servizio di stato maggiore al ministero della Guerra (1).

Il primo ha rifiutato perché non furono approvate le riforme che intendeva d'attuare. Non ho potuto sapere l'entità di queste riforme; ho capito però che il Kolokotroni al mini· stero rappresentava un elemento che conosceva ed aveva simpatia per l'Italia. Egli ha visitato più volte il nostro paese ed era conosciuto da sua maestà Vittorio Emanuele. Come raPpresentante della Grecia assistette alle ultime grandi manovre nel Ticino; quale comandante della scuola del Pireo si adoperò per far. tradurre dai suoi allievi alcuni libri militari italiani, favorendo così la conoscenza della nostra nazione. Mi disse che già è decorato della croce di cavaliere della corona d'Italia e di quella di S. Maurizio e Lazzaro.

Nella mia visita al reggimento fece trovare in quartiere tutti i suoi ufficiali, mi accompagnò egli stesso nei varii locali, mi usò insomma ogni sorta di attenzioni, dicendo che con ciò voleva restituire le cortesie ricevute in Italia.

(l) In Grecia non vi sono ufficiali di stato maggiore. Ufficiali di tutte le armi sono chiamati a prestare lo speciale servizio di Stato Maggiore presso il ministero ed i comandi di circoscrizione.

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Alcuni giornali attribuirono al Tsamados, il nuovo mxmstro, l'intenzione d'aumentare i quadri. Nella visita che gli feci , non disse parola su quest'argomento. Disse però di voler procedere tosto alla trasformazione del calibro dell'artiglieria da campagna, sostituendo i cannoni da 7.5 cm con ouelli da 9 Krupp (1) e d'essere ancora restio all'adozione della polvere senza fumo, perché non bene convinto della s ua utilità in campagna.

Il Tsamados dimostra circa cinquanta anni, è di aspetto simpatico, parla facilmente e bene. Mi dissero che gode Ji molta stima, è di viste lunghe ed è molto pratico degli affari.

Le caserme sono tutte alla penferia della città.

Il ministero della Guerra è vicino al palazzo reale in un piccolo e modesto fabbricato tenuto non mollo bene. La scala di onore è in legno; la sala d'aspetto ed il gabinetto del ministro sono arredati semplicemente ed abbastanza bene

Delle caserme mi fecero vedere quelle della scuola militare, del battaglione cacciatori, del I reggimento fanteria e II reggimento artiglieria; inoltre i depositi di mobilitazione , locah che tutti si trovano sulla strada di Kipissia.

Ho scritto a bello studio caserme e non reggimenti perché soldati ne ho veduti pochissimi. Nella scuola militare gli allievi, avendo terminato gli esami, erano tutti in licenza, salvo i pochissimi -dichiarati insufficienti; nel reggimento fanteria e nel battaglione cacciatori quasi tutti gli uomini erano in congedo, e, vedendo le deserte camerate, non mi stupii quando l'aiutante maggiore del I fanteria, rispondendo alla mia domanda, disse che l'effettivo del proprio reggimento di Atene era di trenta soldati, sessanta sottufficiali e cinquanta ufficiali; nel reggimento d'artiglieria i comandanti di batteria avevano raccolto buona parte del materiale nelle camerate dove non vidi più di dieci o quindici uomini per batteria, quanti cioè occorrevano per curare i cavalli. Stante questa deficienza di personale non si facevano più istruzioni, e gli ufficiali si presentavano n quartiere pel solo rapporto. Non mi ha quindi recato meraviglia trovare le caserme in ordine e pulite, sebbene la mancanza di vegetazione rendesse piuuosto triste la vasta area in cui sono sparse. Esse sono costituite da tante basse e piccole tettoie investite ai quattro lati e costruite con molta economia. Ciascuna casermetta serve per una compagnia o batteria; i cavalli - venticinque per batteria - sono ricoverati in fabbricati eguali ma più lunghi di quelli che servono pei soldati; però un solo fabbricato serve per due o tre batterie. Le mangiatoie sono di legno investito in lamiera; i finimenti sono tenuti nella scuderia; la lettiera permanente è usata solo di inverno.

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(l) Attualmente la Grecia ha 9 batterie da 7,5 e due da 8,7-9 da montagna da 7,9 e due pure da montagna da 7,5 elivisibili.

Nel battaglione cacciatori e nel reggimento di tanteria i letti dei soldati erano composti come da noi, con due cavalletti in ferro con tavole sovrapposte; nelle casermette d'artiglieria i letti erano sostituiti da lunghi tavolacci, eguali a quelli dei nostri corpi di guardia. Tutti i soldati dormono senza materasso su due, tre o quattro coperte secondo la stagone. I letti dei sottufficiali, i quali ad eccezione del furiere dormono nelle camerate, hanno due testate su cui poggiano le asticelle. Esse sostengono un materasso di crine alto non più di due o tre centimetri. Per l'illuminazione delle caserme e delle scuderie si usa il gas. L'arredamento dell'ufficio del colonnello del II artiglieria e quello del suo aiutante maggiore in prima e delle varie furerie è degno dell'antica Sparta.

I soldati di fanteria e d'artiglieria sono abbastanza belli; i cacciatori sono veramente belli. L'uniforme ordinaria è egua· le per tutte le armi ed è simile a quella portata dai nostri soldati come può vedersi nelle fotorafie che unisco al presente rapporto. Le differenti armi si distinguono dal colore del panno applicato alla parte anteriore del colletto.

I cacciatori o euzones vestono il costume nazionale, cioè giubba e gambali alti fino all'inforcatura, di una stoffa bianca di lana grezza che ricorda molto l'orbacci della Sardegna. La giubba è ornata con molte petucce nere disposte secondo un disegno assai bizzarro. Le maniche si portano generalmente gettate sulla schiena. Completano l'uniforme un gonnellino di tela bianca a molte pieghe e una calotta rossa con fianco nero. D'inverno usano un cappotto simile al nostro, ma più largo verso le falde per poterlo adattare al gonnellino. D'estate per andare a diporto, i soldati vestono la giubba di panno ed i pantaloni di tela. La giubba per la grande uniforme è alquanto più lunga, ha una sola bottoniera o due molto aperte secondoché serve per la fanteria o per l'artiglieria. Colla grande uni· forme il cinturino si porta sopra la giubba. Sul berretto, simile all'austriaco, si colloca un brutto pennacchietto che si alza fino sul tendine e cade sul dinnanzi fino a lambire la parte superiore della visiera. La ca lzatura per la fanteria, artiglieria da montagna e genio è simile alla nostra: i cacciatori usano la scarpa bassa nazionale di cuoio bianco, colla punta rivoltata all'insù e coperta con un fregio di lana rossa. L'armamento è fatto con fucili Gras. Per riporre le cartucce usano due giberne, di cui una è collocata davanti, l'altra di dietro. Ciascuna giberna contiene 24 cartucce. Lo zaino dì cuoio nero è assai piccolo e si usa anche senza il telaio di legno che è possibile ed è lecito di togliere. Completo pesa circa 22 chiJi. Gli ufficiali dei cacciatori mi dissero che i loro soldati non portano lo zaino, ma non hanno saputo dire come portano H loro corredo.

Il vitto della truppa è buono ed il pane quasi migliore del nostro. Esso vien fatto nelle panetterie militari in pani rotondi del peso di due chili equivalente a due razioni giornaliere. A ciascun soldato viene poi assegnata la somma di lire 0,32 al

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giorno, che viene impiegata come meglio piace all'ufficiale incaricato della spesa, sentiti i pareri dei caporali e soldati di servizio ai viveri . Mi dissero che prelevano crea kg. 0,300 di carne al giorno per ciascun soldato.

Il contegno della trupa nelle camerate ed a diporto era soddisfacente, direi quasi bello. L'uniforme simile a quello dei nostri soldati, la maniera di tenersi al caffé, il contegno sulle strade me li rendeva simpatici. Tuttavia quei pochi che ho veduto in servizio - un drappello d'artiglieria che forse era la guardia montante del palazzo reale - quei pochi non mi fecero buona impressione. Mardavano male ed erano sporchi. Dall' albergo vedevo quattro sen tinelle - due del palazzo reale, due del palazzo d el principe eredi tario - collocate in località molto frequentata e perciò sotto la sorveglianza continua dei superiori. Sporca la giubba e le scarpe, unto il colletto ed il berretto, poco forbite le armi, col cinturino largo, caduti so tto i bottoni posti dietro la giubba, poco attenti a rendere il saluto agli ufficiali che passavano, queste sentinelle non mutarono certo la mediocre impressione, che mi han lasciato i pochi soldati veduti in servizio.

I cavalli di truppa e degli ufficiali sono quasi tutti ungheresi ed appartengono alla rimonta fatta per la mobilitazione del 1886 .

La Grecia non aven do produzione equina, dovrà ancora per molto tempo ricorrere all'estero pei cavalli occorrenti al suo ese rcito. Una commissione s peciale si trova ora in Ungheria per acquistarne 400 circa per la truppa e per gli ufficiali. I muli sono piccoli e belli. Provengono quasi tuttti dalle Calabrie e dall'isola di Creta . Questi ultimi sono i preferiti. In generale i quadrupedi sono belli, ben t enuti e ben nutriti. La razione è pressoché eguale alla nostra

I cannoni sono tutti del noto sistema Krupp. Per la difesa e per l'assedio hanno pochi cannoni da 17, da 19 e 20 centimetri e sono tutti conservati nei depositi di mobilitazione. Ad Ate ne ne ho contati 10 in tutto di vario calibro. I greci sono assai contenti del cannone divisibile per le sue qualità balistiche, non troppo del suo impiego nel campo tattico. Ricordano che nel 1886 una batteria di cannoni divisibili in posizione. non poteva ritirarsi, p e rché, essendosi scaldato il pezzo, non si riusciva a svitarlo. Un pezzo divisibile, che il Kolokotroni ha fatto trovare caricato sui muli, mi provò che i greci non hanno risolto bene la quistione del sommeggio e c he possono imparare qualc he cosa dalle nostre batterie da montagna. Gli affusti sono di lamiera e provengono dallo stabilimento Krupp. La polvere occorrente per le cartucce viene fabbricata in un polverificio privato d'Atene; quella per le artiglierie proviene tutta dallo stabilimento Krupp. Le batterie in tempo di pace so no di quattro pezzi, in temp o di guerra di sei.

La bardatura c he ho veduto nelle batterie mi parve buona. Quella conservata nel deposito era di due qualità: una usata e

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buona, l'altra nuova e fatta in Germania, di qualità assai scadente, tanto che credo non potrebbe resistere ad una campagna.

Le stelle sono di due modelli a cuscinetto imbottito per l'artiglieria, e ad arcioni alti di legno, simili alle nostre di quanto a modello, per la cavalleria.

Nel deposito di mobilitazione ho veduto pocru pezzi da campagna, e diversi da montagna non divisibili - forse per 8 batterie -e molta bardatura, forse per quindici batterie da campagna e dieci da montagna.

I sottufficiali provengono tutti dalle scuole reggimentali. Una volta, prendendo la rafferma potevano raggiungere un grado intermedio fra l'ufficiale e sottufficiale, da poco abolito; ora hanno la possibilità di ricevere le spalline, ma devono passare per la scuola militare d'Atene. Sui sottufficiali ho nulla osservato di speciale.

Prima di dire dell'impressione che mi han fatto gli ufficiali, sarà bene dare qualche cenno sul loro reclutamento.

Non esistono collegi preparatori militari o militarizzati. Gli ufficiali sono provveduti dai seguenti istituti:

l) La scuola degli evelpides al Pireo;

2) La scuola dei sottufficiali ad Atene;

3) La scuola militare di Corfù.

Dalla prima, dove entrano i borghesi che han compiuto il ginnasio, si può andare in qualunque arma. E' però raro che un giovane, terminato felicemente questa scuola, passi nella fanteria ad intendenza: generalmente vanno nell'artiglieria o nel genio, qualcuno in cavalleria. Il corso dura tre anni.

Dalla seconda si esce ufficiali nella fanteria, nella cavalleria e nell'intendenza. Per esservi ammesso bisogna aver due anni di grado passati nei corpi. Il corso dura tre anni.

La terza, istituita da poco tempo, serve per formare i quadri della riserva. Sono obbligati a frequentarla gli inscritti di leva che posseggono una certa istruzione e si ritengono capaci di divenire buoni ufficiali di riserva. Al termine del corso, che dura 16 mesi, passano sui reggimenti per ultimare la ferma di due anni e quindi sono inviati in congedo col grado di sottotenente. Nella riserva passano pure gli ufficiali dimissionari ed in ritiro.

Gli anni di permanenza nei vari gradi superiori sono attualmente i seguenti:

Gli avanzamenti a scelta sono ammessi nella sola categoria degli ufficiali superiori.

Sottotenente Tenente Nelle armi di linea da 4 a 6 da 10 a 12 Nelle armi speciali da 2 a 4 da 7 a 10
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pei

I limiti d'età sono:

pei

pei

Ciò premesso riesciranno meno esagerate le mie impressioni.

Noto anzitutto c he non esistono quadri per la riserva. La scuola di Corfù non ha potuto ancora provvedere in numero sufficiente, e per la formazione di nuove unità all'atto delll'! mobilitazione si calcola sui vecchi sottuficiali congedati, sui cittadini più svelti ed autorevoli, infine su ripieghi.

I quadri dell'esercito attivo si devono considerare ripartiti in due grandi gruppi; quello cioè dell'artiglieria e genio e quello di fanteria e cavalleria.

Uno studio sull'annuario (1) può dare un'idea della differenza fra questi due gruppi (2), ma non può rendere l'impressione che si riceve osservandoli de visu.

(1) Sarà trasmesso in seguito. Contiene l'indicazione dell'età di ciascun ufficiale.

(2) Lo specchio che segue renderà più evidente lo stato dei quadri degli ufficiali.

L'età del più giovane degli ufficiali nei urii gradi e nelle varie armi:

a) Per apprezzare meglio l'età dei sottotenenti noterò che nel 1889 fra 34 sottotenenti nuovi promossi: 1 contava 47 anni e soli 7 ne avevano meno di 30.

b) Il più giovane ha veramente soli 3'3 anni. La cifra indicata è ancora lontana dalla media, perché su 208 tenenti, inscritti nell'annuario, soltanto 25 hanno meno di 40 anni! '

c) Di 63 maggiori inscritti nell'annuario solo 10 han no meno di 50 anni.

d) Di 57 inscritti nell'annuario, solo 28 hanno meno di 30 anni.

e) Di 14 capitani inscritti nell'annuario, 3 hanno meno di 36 anni, gli altri 11 più di 46.

f) Il meno giovane ha 27 anni.

g) L'età di 16 maggiori inscritti varia fra 41 e 48 anni

h) Ve ne sono 5.

k) Ve ne è uno soltanto.

colonnelli
70 anni
maggiori
capitani
pei tenenti co lonnelli 68 anni pei
65 anni pei
56 anni
tenenti
52 anni
sottotenenti so ann i
fanteria Sottotenenti 23 (a) Tenenti 40 (b) Capitani 40 Maggiori 43 (c) Ten. Colonnelli 49 Colonnelli 54 Maggiori Generali 61 (h) Tenenti Generali 79 (k) cavalleria 23 (d) 39 36 (e) 44 57 52 artiglieria 22 (f) 26. 30 41 (g) 48 54 genio 20 27 29 41 51 62
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Da una parte, nel 2° reggimento artiglieria un bel maggiore, capitani e tenenti giovani - nessuno però giovanissimo - di bell'aspetto , svegliati, di bei modi; dall'altra nel 2° battaglione cacciatori e nel t o fanteria, una raccolta di ufficiali vecchi, brutti, poco accurati, di modi corretti sì, ma poco fini.

Prima ancora della visita alle caserme, osservando gli ufficiali a diporto, mi ero formato d'essi un'idea poco favorevole; ma credevo che mi fossero caduto sotto gli occhi proprio i peggiori, e che, vedendo l'elemento giovane, avrei mutato il mio giudizio. Fu vana spe ranza.

Il comandante del 1° fanteria - il colonnello Mauromikalis - aveva comandato uno dei suoi tenenti per accompagnarmi nella visita del quartiere. Quest'ufficiale che devo ritenere uno dei migliori del suo reggimento, dimostrava più di 50 anni, non parlava né capiva il francese, lingua comunissima in Atene, non sapeva rispondere alle domande che gli faceva il tenente Frangoudis ed uscivano dalle quistioni ordinarie del quartiere.

Insomma una raccolta di tenenti e capitani così scadente come quella veduta nel reggimento di fanteria e nel battaglione cacciatori, non l'avrei saputa immaginare, per quanto l'ufficiale d'artiglieria che m'accompagnava, mi ci avesse preparato.

Mi venne detto che gli ufficiali eleganti e colti sono d'estate in permesso e che durante l'inverno sono in maggior numero i giovani e distinti ufficiali.

A questo proposito noto che diversi sono gli ufficiali, i quali si recano all'estero. Facendone domanda si ottiene facilmente una licenza di due anni (con stipendio) che possono passarsi fuori patria col solo obbligo di spedire ogni sei mesi un rapporto su argomenti di propria scelta.

Ho notato in Atene un gran numero di ufficiali a cavallo per diporto. Non tutti montavano belle bestie e bene: però se non apparivano abili e finiti cavalieri, si dimostravano arditi e sicuri in sella.

Di generali non mi è riuscito vederne alcuno. Fui accompagnato a far visita al comandante della circoscrizione militare ed al comandante della guarnigione d'Atene quando non erano più in uffico. Mi fecero capire poi che una mia visita li avrebbe messi nell'imbarazzo perché non sapevano parlare il francese né alcuna altra lingua corrente.

L'uniforme ordinaria degli ufficiali è eguale per tutte le

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armi ed è semplicissima, come si può osservare nelle fotografie che si uniscono al presente rapporto (l).

D'estate è usata un'uniforme e berretto di tela tagliato come quello di panno. Sui pantaloni bianchi non sono applicate bande. In servizio si usa sempre la giubba di panno, ma si possono indossare i pantaloni bianchi.

Fuori servizio si possono portare indifferentemente pantaloni di tela e giubba di panno o viceversa. Fuori servizio si può anche vestire l'abito borghese, ma mi parve che se si valgono di questa facoltà gli ufficiali superiori, ne profittano assai poco gl'inferiori.

Fin dal primo giorno della mia fermata in Atene, l'uniforme ordinaria degli ufficiali attrasse la mia attenzione per la sua semplicità. Mi parve in seguito comoda, bella, pratica, e, specialmente quella di tela, anche elegante.

Nei forti calori incontrati ad Atene, che non sono molto più grandi di quelli che si soffrono in molte città italiane, mi sembrò molto indicato il vestito di tela, -e ciò mi fece rivolgere il pensiero agli ufficiali italiani, i quali, forse non a torto, sperano che anche da noi venga introdotta l'uniforme estiva

La prudenza non mi ha lasciato insistere per conoscere il meccanismo di mobilitazione dell'esercito.

L'ordinamento militare non è territoriale e la dislocazione delle truppe non corrisponde ai sedici distretti di reclutamento nei quali è diviso il territorio. Non sono riescito a capire bene com'essi funzionino durante la mobilitazione: - ho notato tuttavia che devono essere sprovvisti d'anni, di munizioni e di bardatura ecc., tutto ciò trovandosi nei depositi di mobilita· zione (2). In essi è tenuto pure tutto il materiale e la bardatura occorrente per le batterie e squadroni da formarsi all'atto della mobilitazione.

(l) La giubba è corta ad una sola bottoniera coperta, ha quattro saccoccie dinanzi, colletto dritto. Nessun ornamento o bottone metallico, all'infuori di due bottoni appiccicati dietro ed al termine delle maniche; u n solo controspallino di seta nera è posto sulla spalla sinistra per tenere la sciarpa. Due cordoni posti nella parte interna della gi ubba all!altezza dei fianchi , permettono d'adattarla al corpo.

Il cinturino è al nostro.

Le varie armi SI d istinguono dal colore di un piccolo pezzo di panno applicato alla parte anteriore del colletto. Quivi sono attaccate una, due o t r e stelle d'argento per gradi di sottotenente, tenente e capitano; una , due o t re stelle d'oro per g r adi corrispondenti d'ufficiale superiore. Gli uffi ciali d'artiglieria portano inoltre una granata d'argento, quelli del genio una foglia di lauro ed una zappa, quei di cavalleria una sola foglia di lauro.

Il pantalone è grigio con pistagna rossa per la fanteria, nero con larga banda per l'artiglieria e genio. Il berretto è simile a quello degli austriaci e porta i distintivi del grado come si usa da noi.

(2) Nel deposito d'Atene sono molti fucili Gras , gran numero di Chassepot e d'altri f ucili d'un sistema inventato da un greco e simile al Peabody. Pare che i Chassepot debbano presto essere venduti e che il Gras sarà sostituito da Manlìcher.

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Questi depositi, - che sono in tutto 13 - non corrispondono ai distretti; sono invece sparsi nella parte settentrionale del regno, ad eccezione di due; che si trovano nella Morea, quello di Naplia, ove esiste l'arsenale, e quello di Patrasso.

Parmi che essi rappresentino una ruota di più nelle operazioni di mobilitazione, le quali perciò dovranno subire qualche ritardo. Sul proposito gli ufficiali che mi accompagnavano nella visita dei locali del deposito, non mid iedero risposte soddisfacenti, e dai loro discorsi mi venne il dubbio che la loro mobilitazione non sia studiata e preparata come è richiesto perché proceda bene

Materiali pei varii servizi non ne ho veduti, forse si trova nei depositi della Tessaglia.

Non è il caso di parlare delle ferrovie per il trasporto di truppe finché non sarà ultimata la linea Atene-Larissa (scartamento ordinario), i lavori della quale sono appena cominciati.

Le ferrovie esistenti, tutte a scartamento ridotto, sono di pochissima importanza militare per la loro limitata capacità di movimento e per il loro tracciato. Si calcola molto sui trasporti per mare e, forse, anche sulle difficoltà che incontrerà per la mobilitazione l ' avversario cercato.

In Atene esistono tre clubs militari che si sono costituiti per arma: il club d'artiglieria, il club del genio e quello di fanteria. Pare che si debbano unire , ciò che renderebbe possibile un'economia non indifferente (1). Alcuni ufficiali credono che la condizione dei quadri non renda ancora possibile questa fusione.

Il club d'artiglieria, il solo che ho veduto, è in una pie cola casa posta vicino al palazzo reale. Nel piano terreno v'è la sala di scherma e la mensa, dove possono mangiare solo sedici o venti ufficiali; al primo piano la sala dei bigliardi e due piccole sale di convegno; al secondo piano i locali pel servizio. L'arredamento è assai semplice e pulito. Gli ufficiali per la mnesa, pagano lire 60 al mese; gli ufficiali di fanteria nel proproprio club pagano solo lire 45.

I periodici militari che si pubblicano in Atene sono diretti e redatti da gruppi di ufficiali, li fanno stampare a loro rischio e pericolo.

Attualmente si pubblicano:

l) Il mondo militare - 3 volte al mese - tratta argomenti d'interesse generale per l'esercito e la marina.

2) Il progresso militare- quindicinale- tratta argomenti d'interesse generale, ma più specialmente quelli che si riferiscono alla artiglieria e genio. ·

(l) Nel club d'artiglieria la quota mensile pei tenenti è di lire 4, pei capitani di lire 7. ·

2 12

3) Rivista di fanteria - quindicinale.

4) dell'intendenza - mensile.

5) Rivista medica - mensile.

Ho avuto l'occasione di conoscere il direttore de Il Mondo militare, il capitano del genio Vittorio Dusmanis, un giovane molto colto ed intelligente, che fa anche il professore alla scuola del Pireo.

Egli conosce bene l'italiano ed è autore della traduzione della geodesia del nostro tenente colonnello Giletta, e di quella di una parte delle lezioni di storia militare dal capitano Ferrari agli alievi della scuola di Modena.

Quest'ufficiale, che si occupa molto del nostro paese e lo conosce a sufficienza, si è rivolto inutilmente ad alcuni nostri periodici militari (Rivista Militare, Esercito italiano, ecc.) cercando lo scambio delle rispettive pubblicazioni. Trattandosi di un ufficiale che si occupa delle cose nostre, che ne scrive nel suo accreditato periodico facendo conoscere ed apprezzare l'Italia in Grecia, parrebbe utile favorirlo, tanto più che il suo desiderio è giustificato dalle abitudini giornalistiche.

Di giornali politici scritti in francese se ne pubblicano due (il Messager d'Athène e lo Spectateur d'Orient), il primo ebdomadario, il secondo giornaliero. Nessuno, credo, val molto; tuttavia, riportando essi, in sunto gli articoli di fondo dei principali giornali politici, possono servire a dare un'idea dell'opinione dei varii partiti e delle loro aspirazioni.

Lo stesso signor capitano conosciuta la costituzione della nostra «Unione militare», si è fatto promotore di una cooperativa fra gli ufficiali greci. Ha avuto l'appoggio del ministero della Guerra e del proprio sovrano, il quale ha permesso al suo secondogenito, ufficiale di marina, di assumere la presidenza del comitato promotore. Questo conta raccogliere 5000 azioni di L. 200 pagabili in rate mensili di L. 20.

La vendita non sarà aperta al pubblico, non essendo la Grecia preparata ad accogliere favorevolmente questa misura.

Il Dusmanis mi disse che il ministro della Guerra ed il presidente del comitato promotore si sarebbero forse rivolti alle nostre autorità per avere schiarimenti in proposito (1). Ho creduto incoraggiarlo in questa idea, e mi è parso interpretare i sentimenti delle nostre più elevate autorità militari assicurando che sarebbero state liete di dare al comitato promotore gli schiarimenti desiderati.

La cartografia non è molto avanzata. Attualmente esiste una sola carta della Grecia pubblicata nel 1833, ed alcune carte dell ' Attica al 25.000 rilevate da ufficiali austriaci col consenso del governo greco.

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(l) Secondo l'« Esercito ,. gli schiarimenti furono chiesti dal console greco.

Volendo ora procedere alla pubblicazione di una nuova carta il lavoro venne affidato ad una commissione austriaca composta di un colonnello e due capitani. A questa commissione venne aggiunto come dirigente, il tenente d'artiglieria Ha tzanesti (l L il quale ha completato la propria istruzione sulla materia in Francia e nell'istituto geografico di Vienna. In sott'ordine per. le levate sono poi comandati sei ufficiali greci, i quali verranno aumentati man mano si saranno formati degli allievi capaci.

Misurata la base di cinque chilometri nella pianura d'Eleusi, fissata l'origine. delle coordinate nell'osservatorio d'Atene, la commissione s'è recata nella Morea dove attende ad ultimare la triangolazione geodetica.

Considerazioni generali.

Quando arrivai in Grecia v'era fermento per due quistioni: per i berats rilasciati ai vescovi bulgari della Macedonia, e per le elezioni generali per le quali lottano il partito di Delyanni e quello di Tricoupis.

Per la concessione fatta all'elemento bulgaro in Macedonia, la Grecia crede danneggiati i suoi interessi in quella ambita provincia, sulla quale vantano pure diritti tutti i piccoli stati balcanici.

Sull'argomento i giornali governativi tenevano un linguaggi9 vivo; più vivo di quello dei giornali d'opposizione, cosicché durante il mio soggiorno in Atene non si yarla d'altro, e colla stampa,· coi meetings, e persino colle preghiere si d'eccitare lo · spirito pubblico, di sollevare la quistione religiosa e quasi si minacicava di ricorrere alle armi se il sultano non si arrendeva alle pretese di Dionigi V, il patriarca greco di Costantinopoli .

Da alcuni tutta questa eccitazione era ritenuta fittizia e dicevano che quelli del partito governativo strillavano per non farsi prendere la mano dai patrioti, i quali, accusando il Tricoupis di trascurare gl'interessi dell'Ellenismo, avrebbero cercato di sc r editarlo presso gli elettori.

Questo fermento generale, fittizio o no, dimostra però che la Grecia sta alla vedetta e le persone autorevoli da me avvicinate non lo hanno nascosto. Vogliono profittare d'ogni occasione per acchiappare, forse pensando al noto detto latino « beati possidentes ».

Pa r e inta n to che il Tricoupis, il quale cercava di restaurare le finanze e di promuovere le opere pubbliche, sia riescito in parte nel suo programma, mal grado continui il corso forzoso

(l) L'Hatzanesti fu qualche tempo in Italia ed è autore d'un rapporto sull'Italia di cui fu spedito un estratto a Roma dal nostro ministro conte Fe' d'Ostiani. Per questo rapporto fu chiesta una decorazione che non venne accordata.

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e l'aggio che raggiunge il 29 per cento anche sulla nostra carta. Invero viaggiando attraverso la Grecia non mi pareva di trovarmi in un paese povero. I molti vapori ancorati nel golfo di Patrasso e del Pireo sono indizii di grande movimento commerciale.

La ferrovia del Peloponneso corre attraverso un'immensa estensione di vigneti di passolina, che viene coltivata in tutta la Morea e che, seccata, viene esportata procurando alla Grecia un introito annuo calcolato in ottanta milioni in oro.

In Atene sono molte le nuove fabbriche di lusso; molti sono stimati milionari; e più d'uno si prende il gusto di fabbricare monumenti pubblici (l'università, il museo, la biblioteca, il teatro ecc. ecc.) pel solo piacere di regalarli alla città. La proprietà fondiaria paga pochissimo e leggere sono le altre imposte.

A me pare che una nazione di poco più di due milioni d'abitanti che maneggia tanto denaro ed è così poco gravata da tasse non possa dirsi povera.

Forse serba le sue risorse per propizia occasione. A questo proposito riescirebbe utile vedere, se essa vi si è preparata, cioè se il suo esercito è pronto, se è numeroso, se viene facilmente mobilitato e riunito, se ha buoni quadri, se è provvisto di materiale sufficiente ecc.; se, inoltre, essa ha preparato in suo favore la opinione pubblica europea.

Sarebbe ardito dare su cìò un giudizio illuminato dopo così breve soggiorno in Grecia.

Mi dissero che contano di 80.000 uomini di prima linea (cifra forse esagerata). che saranno comandati dai quadri permanenti, di cui ho già parlato in altra parte del presente rapporto, e da quadri improvvisati, servendosi dei sottufficiali in congedo ed ufficiali in ritiro.

Contano anche molto sulla popolarità di una guerra contro la Turchia e forse, ricordando le gloriose lotte dell'indipendenza, ne sprecano i successi senza pensare che le condizioni per riescire in una guerra offensiva son ben differenti da quelle che si richiedono per vincere una lotta d'insurrezione.

Si direbbe che a questo la Grecia non pensi molto, che più del nemico cercato tema la diplomazia e si direbbe che St' questa non l'avesse disannata nel 1886, sarebbe riescita da sola a compiere il programma dell'Ellenismo.

Si direbbe ancora ch'essa diffidi dell'Inghilterra, della Germania, dell'Austria, dell'Italia, che diffidi di tutti fuorché della Francia e della Russia - di questa per comunanza di religione e di politica, di quella per simpatia a forse anche perché ne subisce l'influenza morale.

Della quale sono molte le manifestazioni. Francese è la lingua che si parla comunemente in Atene dalla classe dirigente; Parigi la meta dei viaggi di piacere dei greci.

In Francia si mandano i giovani a studiare la medicina.

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l'arte dell'ingegnere, l'avvocatura; in Francia vanno di preferenza i giovani ufficiali, che si recano all'estero per perfezionarsi nelle discipline militari. Colla Francia sono ancora assai frequenti le relazioni commerciali. Francese è la commissione presieduta dall'ammiraglio Lepienne per il riordinamento della marina, ed in Francia, quindi, si costruiscono le corazzate per la Grecia. Francese è la commissione d 'ingegneri addetta al ministero dei Lavori Pubblici e, conseguentemente, francesi sono i favoriti negli appalti e francesi i capitali impegnati nei lavori.

Tuttavia pare che, come qualche altra nazione, anche la Grecia si voglia togliere almeno da questa dipendenza snaturale.

La commissione della marina, spirato il termine fissato per la sua opera, non sarà più rinnovata; lo stesso sarà fatto per la commissi one dei lavori pubblici.

Le idee protezioniste dominanti in Francia, colpendo anche l'uva secca, quantunque non abbiano danneggiato molto la Grecia avendo essa trovato tosto nell'America un nuovo sbocco alla sua passolina, quelle idee hanno generato qualche malumore.

In queste condizioni è penetrato qualche elemento tedesco, che ormai si trova dapertutto, e lotta l 'elemento italiano, il quale non poteva mancare d 'insinuarsi in un paese tanto vicino, dove si trova molto lavoro e si possono creare interessi non indifferenti. A favorire il nostro elemento esistono tuttavia alcune condizioni favorevoli. La lingua italiana è parlata da molti e capita da moltissimi non soltanto nel versante occidentale, ma in Atene stessa.

Per l'Italia passeranno tutti quelli che si recano nell'Occidente per affari o per spasso, finché non sarà costruita la ferrovia Atene-Larissa e compiuto il tronco che deve congiungerla con Salonicco (l ) . Italiane sono le braccia (2) che lavo-

(l) Fra le grandi società che fanno il servizio fra l'Occidente e la Grecia. Costantinopoli, l'Egitto, la Navigazione Generale è forse quella che ba minor credito e dalla quale (lo disse anche un capitano della società) rifuggono i viaggiatori. Per discretamente lunghi come quelli fra Brindisi e Costantinopoli, la soc1età si ostina ad accordare un giaciglio di m. 0.80 per 2 m. in una cabina il cui volume è 16 metti cubi. Ne è bastando ciò si vale qualche volta del diritto eli cacciare nella stessa cabina due e persino quattro viaggiatori, ponendoli su giacigli disposti in due strati. Mancano i camerieri che parlino francese, manca la cameriera per le signore, è deficiente la pulizia: insomma mancano tante piccole comodtà che costerebbe mùla o pochissimo procurare Quando la società togliendosi dall'immobilità si decidesse a trasformare i suoi vecc hi piroscafi secondo le esigenze moderne, introducesse quelle migliorie nel servizio le quali attirano i viaggiatori che contano e che sono tanto viziati dalle comodità che oggi trovano nelle ferrovie, - allora acquistando credito, farebbe il proprio interesse non solo, ma concorrendo a fare apprezzare e ricercare la nostra bandiera nell'Oriente, acquisterebbe nuovi titoli alla benemerenza del paese.

(2) Una cooperativa eli lavoratori che mi dissero assai numerosi, circa 1200.

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rano ora alla ferrovia di Tripoliza; italiani, di specie, saranno i capitali ed i lavoratori che eseguiranno le opere idrauliche in Tessaglia e qualche tronco della ferrovia di Larissa (1).

Tuttavia, queste condizioni non sono troppo note in Italia dal ceto bancario e commerciale.

L'ingegnere Besenzanica, un giovane milanese, che dopo un soggiorno di 6 mesi in Atene era andato in Italia per prendere i capitali necessari per concorrere nell'asta pei lavori in Tessaglia, quell'ingegnere disse che aveva cercato inutilmente d'interessare qualche grande nostro istituto nella ferrovia di Larissa, nei lavori della Tessaglia ed altri ancora, aggiunse che volendo fare, una semplice operazione bancaria: depositare cioè 100.000 lire in cartelle per riscuotere l'equivalente in Grecia, non trovò banche o banchieri che potessero fargliela a cagione della mancanza di relazioni dirette, per cui dovette passare per il Lyonnais.

A Roma e nella stessa ricca Milano uomini d'affari illuminati non conosceranno che l'aggio e la mano d'opera a buon mercato renderebbero assai vantaggioso l'impigo di nostro capitale in Grecia.

Sfruttare le su esposte buone condizioni a noi favorevoli, crearne altre, gioverebbe a stabilire precedenti, a legare relazioni che aumenterebbero la nostra influenza, la quale, è bene notarlo, riescirà a farsi sentire maggiormente quando si potrà cancellare il ricordo della dimostrazione del 1886, e sarà accresciuta la stima per la colonia italiana, la fama della quale si risente forse ancora dell'epoca in cui mancava il trattato d'estradizione.

(l) All'appalto dei lavoratori di Tessaglia concorrono fra gli altri una cooperativa dì braccianti romagnoli rappresentati dall 'ingegnere Marconi c l'ingegnere Besenzanica di Milano. La sodetà romagnola è strenuamente e palesemente dal governo. I lavori sono appaltati per 5 mi. lioni e v 'è speranza d un utile netto di 10%. Il primo tronco della ferrovia Atene-Larissa è appaltato ad un francese .

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Comunicazioni fra Trieste e Cattaro - Già da un anno, la linea di navigazione più agevole e rapida fra Trieste e la Dalmazia è quella così detta celere della Società del Lloyd austro-ungarico: compie la traversata in circa 30 ore, da Trieste a Cattaro, il piroscafo « Graf Wurmbrand ». Oltre a questa linea di navigazione « celere » ne esistono altre undici, ordinarie, pure del Lloyd, che fanno il servizio costiero ed insulare per la Dalmazia; ed un numero non minore, comp1essivamente, da parte della Società di naviga:z.ione ungaro-croata che ha sua sede in Fiume, e della Ragusea.

Scarsamente in questi viaggi figurano i piroscafi della Navigazione Generale Italiana, che disimpegna il servizio fra Ancona, Zara e Trieste, e quelli della Società Pugli ese di Bari, che ha attivato alcune linee fra Antivari, Dulcigno, Cattaro e la costa italiana.

Per contro, la navigazione veliera, il piccolo e grande cabotaggio è largamente rappresentato dalle navi nostre, tanto per il noleggio come per il traffico dei vini, degli olii e dei cereali, fra la costa dalmatica e l'opposta, da Venezia a Gallipoli.

Numerose associazioni di marinai chioggiotti, già da tempo, hanno fissato la loro dimora in Dalmazia, e di là, sotto bandiera nostra, all'ombra dell'antica vela istoriata dei bragozzi, mantengono vive e fresche le tradizioni del vecchio commercio veneto-illirico. Annualmente, in occasione delle grandi solennità, i chiogigotti, dalla costa dalmata, convengono nella città natale. Queste libere società marinaresche, i loro traffici ·:! statuti meritano speciale riguardo e considerazione.

La linea del celere è settimanale, quella dei piroscafi nostri quindicinale: il Graf Wurmbrand tocca nella sua corsa i porti di P ola, Zara, Spalato, Gravosa e Cattaro. La rapidità e la comodità del viaggio fanno sl che del Wurmbrand traggano partito i commercianti e gli industriali dell'Istria e della

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(1) SME-AUS, b. 18, Stati Balca11.ìcì, Roma febbraio 1897, pp. 73.

Dalmazia, e la nave sia sempre frequentata da molti passeggeri di classe e da militari di ogni specie.

Non dirò del viaggio, poiché di esso largamente parlano guide e libri appositi; e meglio di ogni altro lo Illustrirter Furer durch Dabuatien langs der keste von Albanien bis korfù, della collezione Hartleben di Vienna; ma farò soltanto menzione di alcune particolari impressioni ricevute, senza prestabilito ordine di materia. Anzitutto rivolsi la mia attenzione sulla questione etnica, che arde sempre neli'Istria e nella Dalmazia. Croati, serbi ed italiani si contendono il campo e l'egemonia nei pubblici negozi, nell'istruzione e nella supremazia della favella. Solitamente il governo austriaco fa opera saggia ed avveduta, ne' rispetti politici nell'opporre l'un partito all'altro, deprimendo l'uno quando imbaldanzisce o favoreggiando l'altro quando soccombe; sicché egli cerca nel contrasto delle fazioni e nel cozzo delle forze contendenti equilibrio, e regione della propria forza e della propria sicurezza.

La stampa rappresenta l'indice di queste alternative. Al presente, in Dalmazia, non esiste che un solo giornale scritto in lingua italiana ed è il Dalmata di Zara. Gli altri, o sono redatti in lingua croata usando caratteri latini, come l'Obzor Hrvatsko Pravo, la Crvena Hrvatska e l'Iedinjtvo, organi del partito croato; oppure sono composti in lingua slava o croata adoperando i segni dell'alfabeto cirilliano, come la Cpncku Iiac, edito in Zara.

Grande e continuo è il lavoro della stampa quotidiana per slavizzare la regione: capitali ed attività personali vi sono consacrati senza risparmio. I partiti cosl detti autonomi od indipendenti in Dalmazia sono l'italiano ed il serbo, comprendendo sotto questo nome il partito jugo-slavo ortodosso: la popolazione croata aspira ad egemonia sulle altre, appoggiandosi all'autorità dell'imperiale governo. E sebbene le differenze etniche non siano di grande rilievo fra serbi e croati, tuttavia un'intesa fra le due schiatte si va facendo ognora più difficile; mentre i sogni di una cordiale e forte coalizione si fanno ognora più sensibili fra italiani e serbi.

A ciò contribuirono le recenti nozze Savoia·Petrovich, e l'azione della letteratura serba contemporanea che alla coalizione preparò terreno adatto e fecondo. A capo di questo movimento intellettuale sta per certo il poeta montenegrino Giovanni Sundecic', l'autore dei celebrati canti di Milico i Nevenka, e di alcuni poemetti scritti per le nozze di sua altezza reale il principe Vittorio Emanuele con la principessa Elena Petrovich, nei quali arditamente si istituisce un parallelo poetico fra il Montenegro d'oggidì ed il vecchio Piemonte.

Gli effetti prevedibili di questa coalizione sarano un notevole rinvigorimento del partito itala-serbo, a detrimento del croato, il quale sarà costretto o a far causa comune con i serbi, oppure gittarsi in braccio al partito magiaro. Tale l'evoluzione del momento fra le popolazioni dalmatiche.

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Questo movimento, al presente, è meno intenso nella Dalmazia settentrionale, là dove prevale il partito croato; più attivo invece ed e s teso n e lla meridionale, grazie alla vicinanza del principato del Montenegro. Gli italiani ne traggono profitto, mediante avveduti c frequenti accordi col partito serbo, e ne siano prova le ultime elezioni comunali nella provincia e città di Zara, loro riuscite a completo vantaggio (11 dicembre 1896) .

Resta ora a ben augurare che l'intesa fra serbi ed italiani duri forte e continua, che sia sorretta, e che trovi giusta misura fra diritti e doveri , aspirazioni ed interessi reciproci, anche quando nuovi avvenimenti si siano maturati fra le stirpi serbe dei Balcani.

Notizie militari - Ebbi occasione di notare un attivo movimento di ufficiali e di soldati sui piroscafi del Lloyd e della campagna di navigazione ungaro-croata: numerosi gli ufficiali superiori che si rec ano ad ispezionare i battaglioni distaccati lungo la costa dalmatica. I presidi della Dalmazia e delle provincie di occupazione di Bosnia ed Erzegovina, sono forniti da battaglioni distaccati! dai reggimenti imperiali. Inoltre, cinque battaglioni della Landwehr sono permanentemente sotto le armi in Dalmazia. Nuove caserme ora si stanno costruendo a Gravosa, il porto di Ragusa, per alloggiarvi due hattaglioni della Landwehr che presentemente tengono presidio alle Bocche. Alcuno affermò che il trasferimento dipende da ragioni di politica, allo scopo di allontanare i serbi da un centro di propaganda troppo pericoloso come è quello delle Bocche di Cattaro; altri invece dichiarò che la misura fu liberamente tolta dal governo di Vienna, perché il comune di Cattaro rifiutassi di provvedere alla costruzione di nuovi quartieri necessari all'aumentata guarnigione.

Lavorano alle nuove caserme di Gravosa, prospicienti il porto, muratori e manovali del Montenegro, come lavorano ai forti delle Bocche ed alla costruzione di strade militari per la marina e le montagne di Cattaro.

La produttività della linea ferroviaria per la valle della Narenta, da Mostar a Sarajevo, è sempre molto scarsa, essendo a scartamento ridotto: testa di linea di questa comunicazione sulla costa dalmatica è Metkovic. La ferrovia Spalato-SebenicoKuin, non può avere sfogo che a patto di prolungarsi attraverso la Bosnia e la Carniola, fino a Baijaluka, per riallacicarsi di là alla linea di Zagabria. Grande è fra le genti di commercio eli Dalmazia il desiderio di questa linea ferroviaria, caldeggiato in special maniera anche dai croati.

Uno sbocco costiero dal Montenegro è forse avversato nell'Impero. Infatti fu sua mira costante di ostacolare, al possibile, le comunicazioni ed i rapporti fra la Bosnia ed Erzegovina ed il Principato indipendente, per ragioni di politica antiserba. In questo senso l'Austria fece l e più ampie riserve nell'articolo 29 del Trattato di Berlino: « Il Montenegro dovrà intendersi con

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l'Austria-Ungheria sul diritto d1 costrurre e di mantenere attraverso il territorio montenegrino, nuovamente annesso, una strada od una ferrovia ». Secondo gli interessi montenegrini e dalmati, questa linea ferroviaria dovrebbe allacciarsi a Mitrovitza, nell'Albania, e per la valle dell'Ibar, ed il bacino della Morava, discendere lungo il lago di Scutari ad Antivari. Un progetto, in questo senso, è caldeggiato in Cetinje dal ministro d ' Italia, Castelbianco, che eseguì speciali studi in proposito. La linea dovrebbe contare uno sviluppo di 250 chilometri, all'incirca, ed importare una spesa di una diecina di milioni. Essa sarebbe nelle più adatte e favorevoli circostanze per formare comunicazione trasversale nella penisola balcanica, dal Mar Nero all'Adriatico, e dovrebbe perciò collegarsi, a suo tempo, con la grande linea orientale Belgrado-Filippopoli.

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Riproduzione di cartina eseguita da E. Barbarich.

Al presente, in Dalmazia, non sono in corso nuove comunicazioni ferroviarie o stradali, all'infuori delle strade militari delle Bocche. Fra le spese d'arte sono da contarsi nuovi fari e lanterne, da aggiungersi ai molti di già esistenti a salvaguardare della navigazione costiera dalmatica.

Fortificazioni delle Bocche di Cattaro

Le opere di difesa delle Bocche di Cattaro possono suddividersi in tre fronti distinti:

l) Opere del fronte a mare.

2) Opere per la difesa interna.

3) Opere per la difesa della frontiera montenegrina. Trovansi le prime sugli accessi della baia di Topla (tiepida) le seconde sulla baia di Teodo, e sui monti del golfo di Risano, le ultime nei contorni di Cattaro.

Il grande impulso che di questi ultimi tempi fu dato ai lavari della baia di Teodo, allo scopo di formarne un ancoraggio munito e sicuro per la flotta imperiale austriaca, nonché una base marittima avanzata indispensabile per le mire dell'Austria verso Salonicco e l'Oriente, hanno fatto sì che i lavori dei due primi fronti difensivi delle Bocche assumessero sempre piu vaste e poderose proporzioni. In pari tempo, la diffidenza verso le popolazioni del Krivoscje, appena pacate, e la necessità di erigere un fronte di sicurezza verso il ciglione di Krestaz, sul confine del Montenegro, consigliarono lo Stato Maggiore Imperiale a consolidare da quelle parti un nuovo sistema di difese, che, per le locali difficoltà superate, la bontà delle posizioni prescelte e la rapida attuazione delle opere stesse, debbono formare argomento di particolare studio. Queste opere furono progettate e compiute in· circa quattordici anni, vale a dir dall'ultima guerra del Krivoscje (1882} ed estese subito dopo verso la frontiera montenegrina, dappoiché le nuove annessioni di Antivari e di Dulcigno al Principato resero necessario l'erezione di una linea di sbarramento dalla parte di Budua, di Pobori di Braice e dei Pastrovici.

Al doppio compito della difesa marittima e terrestre mirabilmente venne così ad adattarsi il campo trincerato delle Bocche di Cattaro, favorito dalle eccezionali condizioni topografiche, le quali costituiscono una serie di validissime linee di resistenza, guarnite da specchi d'acqua destinate a rinforzarle come fossi immensi. Il favore dei luoghi offre così una triplice linea di difesa: le penisole di Suttorina e di Lustizza verso il mare, quella di Teodo, nell'interno, ed infine un formidabile ridotto nelle posizioni che domina le città di Cattaro, da fronte verso il golfo e da tergo verso la frontiera del Montenegro e gli accessi di Budua .

Comunicazioni - La praticabilità lungo i vari settori del fronte e fra di loro, a cagione dell'asprezza dei monti, le forti pendenze e la natura rocciosa, si riduce alla sola vi abilità; ac-

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centuando nelle opere il carattere di difesa passiva anziché quello di punti di appoggio o di manovra. Ma gli ostacoli derivanti dalla natura del terreno, non influiscono in eguale misura fra attaccante e difensore; poiché se è cosa impossibile vincere del tutto il dominio sulle opere per parte di truppe come potrebbero essere le austriache, ciò è invece molto facile per le milizie montenegrine, la cui perizia nella guerra di montagna è ben nota. Questa considerazione spinse la difesa a coronare le vette più elevate, ed a isolarsi talvolta in regioni difficili e facilmente soggette ad attorniamenti.

Furono, pertanto, dall'Austria moltiplicati i lavori stradali, a qualunque prezzo, e superando grandi difficoltà topografiche: la strada militare Fontana di Cattaro-Werk-Vermatz ne sia esempio, cavate nel vivo fosso nel vallone di Fontana.

Nodo delle comunicazioni stradali di Cattaro è il ripiano di Troitza o della Trinità. Quivi convengono la via del Monte· negro da Njegus, quella di Budua, di Teodo e di Skaljari.Cattaro. La posizione è guardata dal fo-rte di Troitza che domina tutti questi accessi. Da Troitza scendendo a Cattaro si comunica per la costa orientale della penisola di Teodo (Vermatz) con Mula, Perzagno, Stolivo e Lepetane. Questa strada ha uno sviluppo di circa quindici chilometri ed una larghezza variabile, specie nell'ultimo tratto (Stolivo-Lepetane) che sta ora ampliandosi e rinforzandosi con muraglioni di sostegno. Non è carreggiabile che per brevi tratti.

Le comunicazioni traversati della penisola di Teodo consistono nella strada militare Fontana-Werk-Vermatz e nel sentiero Mula-Bogdasic-Teodo.

Da Teodo, una buona carreggiabile per Sviet Nicola ed Ivan mette capo al nodo di Troitza: tra Lepetane e Teodo esiste un sentiero litoraneo per Plavda e Lastvadonja.

Le comunicazioni lungo la marina orientale del golfo di Cattaro si limitano alla strada Dobrota, Orahovac, Perasto, Risano, neppur essa carreggiabile che per brevi tratti nell'abitato di Dobrota, e soggetta ben di frequente ad essere coperta dall'alta marea o danneggiata dai colpi di mare.

Sussidia le comunicazioni costiere delle Bocche un regolare servizio di vaporini, da Cattaro a Risano, toccando entrambe le sponde del golfo: occorrono circa due ore di barca ed una e mez7.a di vaporino per recarsi da Cattaro a Risano.

Principale comunicazione verso l'interno è !a grande strada carreggiabile di Njegus-Cetinje (26 chilometri); conosciuta dai Bocchesi col nome di serpentina, a cagione dei numerosi suoi gironi. Essa si distacca a mezzodì di Cattaro dalla porta Gor· dicchio, e si confonde per un tratto di tre chilometri e mezzo con la carreggiabile di Sutvara Vonja-Budua, fino al ripiano di Troitza, oltre il quale la strada discende a Budua per la vallata di Zupa (20 chilometri).

La strada del Montenegro comincia invece alla Trinità, e s'innalza verso oriente. intagliata nella roccia, con ardimento che

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ha del meraviglioso. Lasciando a monte la vetta di Gora.Zda, di Volar ed il massiccio del Lovscen, raggiunge a Krestaz i mille metri di altitudine in meno di mille e cinquecento di distanza orizzontale da Cattaro.

La strada è larga dai quattro ai cinque metri, ed è guarnita di muraglioni che raggiungono, in alcuni punti, un'altezza dai dodici ai quindici metri. A meno di sette chilometri da Cattaro la serpentina raggiunge il confine del Montenegro presso il colle di Krestaz.

La via Cattaro-Njegus, per le difficoltà che supera, la facilità delle frane, l'impeto dei torrentelli che asportano i ponti e le nevi che la ricoprono durante l'inverno, oppone ben di frequente serie difficoltà al transito dei carri.

Sussidiaria della grande strada sopra nominata, e percorribile dai soli pedoni, è la così detta Scala di Cattaro, cioè l'antico sentiero che distaccandosi da porta Fiumera, a settentrione della città, s'inerpica con 75 rampe serrate dentro il vallone di Scurdo fino a Krestaz. E' cammino pericoloso e la sua traccia spesso scompare sotto frane o fra mezzo precipizi.

Alla baja di Risano mettono capo le comunicazioni col Donje ed il Krivoscje, terra montuosa che s'insinua a guisa di cuneo fra quel di Trebine e la frontiera montenegrina di Grahovo. E sono le strade di Risano-Ledenice, mulattiera fino a quest'ultimo punto oltre il quale diventa sentiero per l'altipiano di Drsano e Dragali, e di Risano-Crkvice-Passa Han, dove si congiunge alla precedente. Il breve fascio stradale del Krivoscje, con le scorciatoie ed i sentieri che si diramano serve al servizio dei forti di Ledenice, di Greben, di Grekovatz, di Crkvice e di Dragali.

Non esistono comunicazioni con la limitrofa provincia montenegrina di Cevo, poiché l'Austria ha cura di conservare una barriera fra il Krivoscje ed il campo glorioso di Grahovo, per sopire memorie ed attenuare il valore dell'ultima coalizione montenegrina-erzegovese.

Le comunicazioni nelle baje di Teodo e di Topla sono molto scarse. Principale la strada carreggiabile che dalla punta Pijavica, per Ostri Kamen, Kumbur, Castelnuovo ed Igalo mette capo a Ragusa. Questa strada tocca Meljine, l'antico ancoraggio della flotta austriaca.

Fra Castelnuovo e Punta d'Ostra esiste una mulattiera che da Igalo sale a Marie e Mitrovic, seguendo il crine dei monti fino all'estremo della penisola di Vittorina. E' però lunga difficile e maltenuta, talché è sempre preferita, per brevità e sicurezza, la via del mare.

Lungo la costa meridionale de1la baja dì Teodo non esistono comunicazioni di sorta, se si eccettua il breve tratto di strada militare fra Porto Rose e Punta Lustirza.

Opere del fronte a mare

L'ingresso delle Bocche di Cattaro, da Punta d'Ostro a Punta

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d'Arza, misura cin.:a cinque chilometri cd una profondità media di acque di trenta metri. Lo scoglio Rondoni sorge nel bel mezzo dell'ingresso delle Bocche, ed obbliga le navi a due rotte distinte; l'una per il porto Zanjica, l'altra fra lo scoglio Rondoni e la costa orientale della penisola di Punta d'Ostra. Quest'ultima rotta è normalmente seguita dai piroscafi e dalle navi di maggior pescagione.

Le Bocche di Cattaro sono custodite dalla fortezza di Punta d'Ostra, dalla batteria Mamula, sullo scoglio Rondoni, c daiJa batteria di Punta d'Arza, sull'estremità meridionale della penisola di Lustizza. Le tre opere possono incrociare i loro fuochi a grandi distanze, ed impedire efficacemente alle navi nemiche l'ingresso nella baia di Topla. il forte di Punta d'Ostra consta di tre batterie scalate scoperte_ La batteria inferiore è visibilmente armata con sei pezzi di medio calibro, i cigli di fuoco delle altre due appaiono disarmati. Alla batteria superiore sovrasta una caserma difensiva con mura merlate e casamatte verso il fronte di gola. Sei casamatte sono altresì praticate nella batteria inferiore ed alcune anche nella batteria mediana. Sono annesse alle opere una polveriera ed altri fabbricati di minor conto. Sulla batteria superiore è installato un osservatorio semaforico. Si dice che il forte di Punta d'Ostra sia armato con quindici pezzi c che al presente si stanno compiendo studi per trasformare le tre batterie con corazzatura. Presidia la fortezza un distaccamento di fanteria da Castelnuovo. Sopra un poggio adiacente al forte s'erge una lanterna della portata di 23 miglia marine.

Lo scoglio Rondoni ha forma sensibilmente esagonale e misura un circuito di circa un chilometro e mezzo. Sorge sopra di esso il forte Mamula , che consta di due corpi di fabbrica adiacenti, entrambi a tracciato curvilineo. Una batteria, con fronte a mezzogiorno, batte gli accessi delle Bocche ed è al presente armata con quattro can noni di medio calibro. Sul parapetto di essa si contano sette cannoniere in casamatta ed è visibile, dalla parte di mare, un largo fosso. Nella batteria adiacente, con fronte ad est, esistono tre ordini di fuochi, due dei quali in casamatta ed uno in barbetta. Sovra quest'ultimo, di grande dominio sullo specchio d'acqua di Porto Zanjica e di Punta d'Ostra, sono impostati quattro pezzi sovra affusti di legno. Sul piazzale di questa battelia alta è costrutta una casermetta ed un osservatorio con lanterna.

L'isolotto Rondoni ha qualche tratto di scogliera artificiale e le rive di facile approdo.

Il forte di Punta d'Arza completa il fronte di difesa a mar e delle Bocche e sorge sopra un aspro promontorio a cavaliere della baia di Porto Zanjica e di Bratorastica. Ha tracciato curvilineo, come i due precedenti; due batterie scoperte e fronte rivolta a mezzodì e ad occidente. E' però alquanto discosto (oltre tre chilometri) dall'ordinaria rotta che percorrono le navi che si recano a Cattaro, e quindi di minore importanza in confronto agli altd due

Le tre opere sopra descritte non hanno fronti corazzati,

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epperciò molto difficilmente potrebbe resistere ad un prolungato fuoco con proiettili dirompenti di una squadra che muovesse ad attaccarli. I parapetti sono in pietra da taglio, i fossi profondi e cavati nella roccia come nel forte Mamula.

Allo scopo di rinforzare la prima linea delle opere del fronte a mare, è presentemente in corso di costruzione una seconda linea di forti e rive: l) Una batteria corazzata sul poggio di Gomila, con grande dominio sul seno di Lustizza e sulle tre opere anzi descritte. 2) Due batterie corazzate sui poggi di Punta Kobila; sulla parte più ristretta delle Bocche.

Le tre opere saranno ultimate parte nella ventura primavera, e parte entro l'anno in corso. La strada militare che da Porto Rose mette capo a Gomila è compiuta e consolidata.

Opere per la difesa interrza

Le difese della baia di Topla si compongono della vecchia fortezza di Castelnuovo e delle caserme difensive che vi sono annesse. Quelle della baia di Teodo del forte Werk-Vermatz e della batteria Vermatz. Quelle della baia di Risano e dello stretto delle Catene, del forte del Krivoscje e delle stazioni da dinamite.

La vecchia fortezza di Castelnuovo ha costruzioni mussulmane, spagnole e veneziane: alcuni torrioni sono ancora superstiti ed alcuni anche abitati. Però la maggior parte della guarnigione di Castelnuovo è dislocata in Igalo sulla strada di Ragusa Vecchia. La guarnigione è composta di un batta· glione di fanteria di una compagnia di artiglieria da fortezza. di una del genio e di un comando di gendarmeria.

La baia di Teodo è difesa dal nuovo forte corazzato di Werk-Wermatz. Questo forte fu eretto per la necessità di appoggiare fortemente l'ancoraggio di Teodo e di proteggerlo, a grande distanza, contro un attacco proveniente o dal canale di Kumbur o dalla baia di Traste. Fu perciò costrutta una strada mulattiera lungo le falde orientali del contrafforte di Vermatz, che da Fontana di Cattaro, in 35 gironi, raggiunge la cresta del monte sullo spianato prescelto per la costruzione della nuova opera. Il contrafforte di Vermatz, così chiamato per la sua più alta vetta (Vermatz- 768) è singolarmente adat· to alla sistemazione di una poderosa difesa. A cavallo del golfo di Cattaro e della baia di Teodo, si presta alla difesa frontale pel dominio delle sue posizioni sopra tutto lo specchio di acque delle Bocche, ed alla manovre per entrambi i fianchi, appoggiati a settentrione allo stretto delle Ca tene, difese dalle stazioni di dinamite, ed a mezzodì alle fortezze di Troitza e di Gorazda.

Il forte di Vermatz è, al presente, in istato di costruzione mo.lto avanzata. Sono pressoché compiute le opere in

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muratura ed in calcestruzzo, e si sta rettificando l'escavo del fosso lungo il fronte settentrionale ed occidentale; lavoro molto difficile per la natura rocciosa del terreno e la necessità del trasporto delle terre. Le. costmzioni impiegano circa seicento operai montenegrini e bocchesi, nella massima parte. Il materiale da lavoro è avviato per una Decauville sistemata sulla strada di Teodo-Svìet-Nicola. In piccola misura è altresì adoperata, per li trasporto dei materiali, la mulattiera di Fontana di Cattaro. Le corazze poste a sito nel forte entro la prossima primavera. Il costo complessivo dell'opera, si dice, ascenderà a circa sei mliioni di fiorini. A guardia delle costruzioni e per la polizia dei lavori staziona, in un baraccamento sulla strada di Teodo, un plotone di fanteria al comando di un sottufficiale. Gli annessi del forte sono rigorosamente guardati da un cordone di sentinelle.

L'opera di Werk- Vermatz consta di un fronte di difesa a tracciato poligonale, che batte l'ingresso dello stretto delle Catene, dello stretto di Kumbur, e lo specchio di acque della baia di Teodo. Il fronte di gola è munito di un parapetto circolare in calcestruzzo, che ha grande dominio fino alla vetta di Markov, ossia per circa tre chilometri a tergo dell'opera.

Su questo terreno, a mezzà distanza fra la vetta sopra nominata e l'opera di Werk- Vermatz, sorge la Batteria Vermatz. E' interrata, ha un piccolo parapetto in terra e tracciato ad angolo retto. Uno dei fronti è rivolto verso la strada di Buduo l'altro verso Teodo. Ciascun fronte è armato con due pezzi da cent. 15, su affusti di legno colorato in giallo. Entrambi i fronti sono provvisti di una propria riservetta con blinda in terra. Nelle adiacenze dell'opera, sul fronte volto a Teodo, esiste un tratto di reticolato metallico ben occultato fra i cespugli numerosi e le basse piante del luogo. Probabilmente quelle difese, accessorie furono costrutte, per esercitazione, dalla compagnia zappatori del genio residente a Cattaro. La batteria Vermatz verrà demolita non appena saranno ultimati i lavori del forte Werk- Vermatz.

Nel villaggio di Patria- Vermatz (Kavac) esiste una polveriera ed un posto di guardia distaccato da Teodo. Da Teodo procedendo verso il Golfo di Cattaro, si passa lo stretto delle Catene, che ha una ltmghezza di circa tre chilometri, ed una larghezza media di seicento metri.

Presso lo sbocco settentrionale dello stretto, sull'estrema punta della penisola di Vermatz, sono disposte due stazioni dinamite per l'accensione delle torpedini fisse. Una di esse sorge a mezza costa sullo scoglio di Andrici, e vi si accede per una breve mulattiera dalla strada di Stolivo o Lepetane. Si compone di un osservatorio in forma di torrione con casamatte e di due case del personale della marina. A sud-est della prima, e distante da questo circa mezzo chilometro, sorge una altra costruzione analoga, ma più vasta, con tre fabbricati adia-

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centi, due torrioni per osservatorio ed una batteria scoperta munita, si dice, di alcuni cannoni a tiro celere della marina.

Da entrambe le stazioni si distaccano due canali in muratura, scoperti, i quali mettono capo in mare: lungo di essi corre il filo per l'accensione del doppio ordine dì torpedini fisse che sbarrano l'ingresso del golfo d.i Cattaro.

Nel golfo di Cattaro si aprono quattro insenature ampie e sicurissime; cioè quella di Morinje (Morigno), di Risano, di Ljuta e di Cattaro. Fra le acque di Risano e quelle di Cattaro, e più precisamente contro l'ingresso settentrionale dello stretto delle Catene, sorgono i due isolotti di San Giorgio e di Madonna dello Scalpello, di contro alla città di Perasto.

Alla rada dì Risano sovrastano i monti di Sokolovagreda e di Breznik che in guisa di anfiteatro le fanno riparo dai venti di settentrione. Più oltre s'innalzano le montagne del Dorje e del Krivoscje. Le difficoltà delle comunicazioni e la diffidenza degli abitanti, rendono assai difficile il visitare la contrada. E' quindi giocoforza limitarsi alle informazioni ed alle osservazioni che a grande distanza si possono compiere, per i mont del Krivoscije, dalle posizioni che dominano Cattaro.

Sulle pendici del monte Casson, sopra Perasto, s'innalza il forte di Glogovac (Vrano Brdo) cui mette capq una mulattiera che si distacca da quest'ultima città. Piu a oriente, verso la fron· tiera montenegrina, esiste una caserma difensiva, con presidio di gendarmeria e di guardie d finanza.

La strada Risano, Lupoglav, Dragali, è sbarrata ad oriente dal forte di Golo Vrb, ad ocidente dal forte di Ledenìce. Quella di Risano, Crkvice-Dragali è sbarrata a mezzo cammino dal forte di Crkvice.

A Dragali, sulle comunicazioni fra Risano e l'altipiano di Grahovo, l'Erzegovina ed il Montenegro, sorge un altro forte. Inoltre, ed in- altri luoghi del Krivoscije, che non mi fu dato di ben accertare, esistono due altre opere nominate di Greco· vatz e di Greben, ed una altra caserma difensiva per la gendarmeria.

Queste fortificazioni, mentre servono a far testa alle popolazioni minacciose del Krivoscje, possono, nella loro parte costiera, fra Ljuta e Perasto, concorrere in qualche misura alla difesad el golfo di Cattaro, qualora fossero convenientemente armate e presidiate. La guarnigione di Risano e dei forti adiacenti si compone- di una compagnia e mezza di artiglieria da fortezza, quella del forte Crkvice di un battaglione di fanteria. Esistono inoltre, per i vari paesi del Donje e del Krivoscje, numerose postazioni di gendarmeria.

La città di Perasto (Perast) è guardata da una vecchia fortezza veneziana: ha molte case e molti alloggiamenti, in confronto alla sua esigua popolazione di circa seicento uomini. Presentemente si stanno migliorando le comunicazioni costiere fra Perasto ed il villagigo di Drai:in.

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Opere per la difesa della frontiera Montenegrina

Dal monte Orien (Vucji-zub) punto di contatto comune fra la frontiera erzegovese, aus t riaca e montenegrina il confine del Principato del Montenegro, per il ciglio meridionale dell'altipiano di Grahovo, descrive un grande fronte a tenaglia il cui vertice è disposto in Ploce, a settentrione di Dragali. Pcscia, volgendo direttamente a mezzodì, la frontiera segue il crine dei monti di Bukovica e di Njegus per le vette più aspre e rocciose delle Bocche di Cattaro.

Il confine montenegrino domina, adunque, per lungo tratto , le posizioni austriache della rada di Cattaro.

La grande carreggiabile di Njegus-Cetinje è sbarrata dalle opere di Trotza e di Gorazda. Il primo sorge nell ' infellatura montana esistente alla testata del rio di Lesnica e del rio di Skaliari, all'origine del contrafforte di Vermatz. Il ripiano di Troitza ha largo dominio, verso occidente, fino al paesello di Traste ed alla baja di Krtole, verso mezzodì fino a Sutvara, e verso oriente per lungo tratto delle falde dei monti Gorazda e Mokra-PJoca. La posizione è guardata da un plotone di fanteria e da un distaccamento di gendarmeria e di guardie di finanza: dista circa un ' ora e mezza di cammino da Cattaro. Il forte di Troitza o della Trinità, conta circa una quindicina di anni di vita D recente fu riattato in fabbricati destinati alla guarnigione e congiunti con linea telefonica al Platz Commando di Cattaro ed al forte Gorazda. Ha tracciato funicolare con fronte alle strade di Njegus, di Buda, e di Teodo, ed un ridotto centrale a torre rettangolare. Sul parapetto si osservano cinque cannonieri in casamatte, ed uno spalto a Iipido spiovente verso l'incontro delle strade di Teodo e di Njegus. Dal ripiano di Trotza si distacca un sentiero che inerpicandosi sulle falde meridionali del monte di Markov , raggiunge in mezz'ora la vetta sopra accennata, e segue poscia in cresta la dorsale di Vermatz, fino a Werk-Verrnatz, e al paesello di Bogasic.

Rimpetto al ripiano di Troitza s'eleva il monte Gorazda, sul quale s'innalza il forte omonimo. Il forte Gorazda , completa e rafforza lo sbarramento delle strade di Budua e di Njegus, dominandole per lungo tratto di corso, specie quest'ultima, che fronteggia e batte d'infilata là dove i suoi gironi si fanno più stretti e difficile, cioè fra la vetta di Pricovno-guono e quello di Mokra-Pioca. Il forte Gorazda è provvisto di alcune cupole corazzate e si dice armato con alcuni pezzi a tiro rapido; ha un fosso profondo guarnito con cannoniere e fronte di gola a tenaglia. Si accede al forte per la buona mulattiera che dalla carregigabile di Njegus, poco oltre il ripiano di Troitza, s'innalza sulle pendid del Gorazda e raggiunge il villaggio di Miraé e dì Sutvara gornja. Il presidio del forte Gorazda è presentemente composto di una compagnia di fanteria della Landwehr.

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Della città di Cattaro

Dalla vetta del Mokra-Pioca si distacca una lama montuosa che correndo in senso di sud a nord dirupa sopra la città di Cattaro e le fa muraglia inaccessibile verso oriente. La vetta di questo contrafforte è coronata dal vecchio forte venez.iano di San Giovanni, costrutto a difesa della città contro i probabili assalti dei montenegrini procedenti dal sentiero della Scala di Cattaro. Si accede al forte dalla parte settentrionale della città per una mulattiera ferrata fra muri incisi da feritoie Il forte, riattato più volte, ha tre fonti principali con dieci o dodici cannoni di vario calibro ed è provvisto 'di una polveriera e di alquanti magazzini.

Il pubblico non può accedere per la mulattiera di San Giovanni che fino alla cappella della Madonna della Salute, a circa mezza strada fra Cattaro ed il forte. Più oltre il passaggio è vigorosamente interdetto da un corpo guardia.

La città di Cattaro conta 2.150 abitanti e sorge sul lembo più interno delle Bocche, in un seno sicuro e profondo, a circa due ore di navigazione della Punta d'Ostro. Ha un porto sufficientemente ampio, con larghe banchine, le quali si prolungano tutto intorno per l'arco del porto fino al distaccarsi della strada di Budua e di Niegus.

La città ha la forma sensibile di un triangolo rettangolo, addossata con un fianco al monte di San Giovanni: è recinta completamente da vecchie mura veneziane entro le quali si accede per tre porte; la Fiumera, la Gordicchio e la Marina.

Le mura verso la porta Gordicchio, cioè verso settentrione, sono armate coi:l una batteria che serve alle esercitazioni pratiche del battaglione di artiglieria da fortezza che stanzia in Cattaro. I pezzi di questa batteria difendono gli accessi del porto, fino a Dobrota ed alla baja di Ljuta: Gli altri fronti murati sono attualmente sprovvisti di armamento.

La città di Cattaro, con viuzze strette e calli che ricordano ad ogni pié sospinto Venezia, è sufficientemente ricca di risorse di ogni specie. Fuori dalle mura, verso il torrente Fiumera, è il mercato montenegrino, emporio del commercio serbo della regione di Njegus e della Katunska nahjia.

Guarnigione - Comandante della Piazza di Cattaro -

Maggiore-generale Manojlovich.

» Comandante dell'artiglieria - Colonnello Carlo

» Ficker.

» l Battaglione del Reggimento fanteria (Re di Danimarca)

» l Battaglione della Landwehr Dalmata

1 Battaglione di artiglieria da fortezza.

l Compagnia del genio.

1 Abtheilung di gendarmeria.

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Altri cinque battaglioni di vari reggimenti, fra i quali uno della Landwehr tengono presidio nei forti delle Bocche. Quest'ultimo, unitamente all'altro ora di presidio a Cattaro, passerà a Gravosa, non appena saranno compiute le nuove caserme. Il so battaglione di artiglieria da fortezza cederà il presidio delle opere di difesa alla Marina , e , probabilmente, il battaglione verrà sciolto nella ventura primavera.

Alle mura, dalla parte del forte, sono addossate le caserme della guarnigione. Presso alla porta Marina havvi un corpo di guardia di artiglieria da fortezza. Un'altra caserma di frontiera è ai piedi della mulattiera che mette capo al forte di San Giovanni: il K. K. Festungs und Kriegshafen Commando travasi nella piazza presso la Cattedrale. L'ospedale militare, comodo e spazioso, con un giardino annesso, recinto da muri è a Fontana di Cattaro.

Fanno parte della guarnigione un certo numero di ufficiali di stato-maggiore di artiglieria e del genio addetti ai lavori di fortificazione delle Bocche e gli ufficiali di marina aggregati al Kriegshafen Commando, presentemente retto dal capitano Ivanovich.

Generalità sul porto di Cattaro - L'avvenire di Cattaro dipende anzitutto da due fattori: l'accrescimento del commercio serbo-montenegrino e la sistemazione del porto militare di Teodo.

Il primo procede nel suo sviluppo a lenti passi ed oscilla a seconda delle condizioni economiche della popolazione del Principato.

Il secondo acquista ogni giorno di più proporzioni rilevanti ed attira sulle Bocche tutta l'attività del contado di Cattaro .

Per positura, per tradizioni di storia, per facilità relativa di corow1icazioni, il porto di Cattaro è l'emporio delle province di Njegus e di Cetinje . La storia testimonia largamente queste aspirazioni durante il dominio della Veneta Repubblica, al tempo delle guerre dalmatiche, dal 1797 al 1814 e poscia ancora nella primavera del 1848 allorquando Niccolò Tommaseo , da Venezia, esortava il Vladica Pietro II a moderare le sue pretese sulle Bocche e su Cattaro . Né questo sentimento che ha radici profonde nell'animo delle popolazioni del Montenegro, tale da considerare usurpazione dell'Impero austriaco il territorio delle Bocche, impallidì giammai per quanto misere siano state le condizioni del Principato e formidabili le minacce dell 'Austria.

Presso la bella marina di Perzagno, nella borgata delle Tre Sorelle, si allineano alcune case di signori montenegrini che hanno scelto colà la loro dimora estiva. Su quel lido appunto fu trucidato, per fiere ragioni di politica, il principe Danilo, predecessore del principe Nicola attualmente regnante. Co-

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sì il lievito della rivendicazione delle stirpi scrbe fermenta fra le genti bocchesi cd è ravvivato da quelle del Krivoscje.

Le nuove fortificazioni contro la frontiera del Montenegro, la diffidenza austriaca, il chetarsi dell'odio secolare contro i turchi hanno aggiunto esca allo ardore di questi sentimenti, i quali non sono dissimulati ma liberamente c con fierezza espressi, tanto nella piu misera delle capanne di Njegus, quanto nella sala di convegno degli ufficiali del battaglione permanente di Cetinje.

Frattanto, i lavori del porto militare di Tcodo c del golfo hanno fatto rifiorire le condizioni economiche di Cattaro: nelle acque di esso si incontrano numerosi piroscafi da guerra e torpediniere. In città, ben di frequente, fissa la sua dimora l'ammiraglio Sterneck, che vigila con assidua cura alle opere di difesa della marina, recando suo numeroso stato-maggiore.

Non piccolo lavoro di assimilazione si com pie da una parte della guarnigione delle Bocche, che, da qualche tempo e con fine accorgimento, si sceglie o fra la Landwehr dalmatica o fra i battaglioni distaccati da reggimenti slavi e di preferenza boemi; come è appunto il reggimento Re di Danimarca .

In complesso, ferve fra la popolazione delle Bocche un assiduo e tenace lavoro, in senso diametralmente opposto, a seconda dei partiti politici. L'italiano-serbo, autonomista ed emancipatore, che ha un suo circolo ed organi speciali di propaganda, specie nel ceto dei commercianti che mira a consolidare la fratellanza serba coll'aiuto più o meno palese del Montenegro; ed H partito croato-a ustriaco, che tende ad assicurare il possesso, e a rafforzarlo contro qualsivoglia sorpresa od attentato del partito serbo. Il partito croato-austriaco mira alla conquista degli uffici pubblici, delle cariche dirigenti, e vi riesce col sussidio del governo. Gli autonomisti si propongono invece il mi2lioramento delle condizioni economiche, la libertà dei e dei comme rci, e riscuotono le maggiori simpatie da parte della popolazione commerciante e marinara delle Bocche.

In questo conflitto d'interessi Cattaro ognora più si trasforma in ampia e possente piazza di manovra dell'Adriatico, e diventa la base d'operazione della flotta imperiale austriaca onde imporsi alle popolazioni jugo-slave, spalleggiata da un campo trincerato formidabile . Il valore di esso si renderà più che mai manifesto nel delinearsi delle mire dell'Impero rispetto la penisola Balcanica e l 'Oriente.

Il Montenegro.

Le cose del Principato debbonsi considerare non tanto in quanto sono, ma in rapporto all'idea che esse rappresentano.

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Apparirà allora il Montenegro la cittadella delle stirpi serbe dci Balcani, presso il quale i costumi, la storia e le aspirazioni hanno un principio d'azione direttiva ed educatrice rispetto alle altre popolazioni affini.

Si entra nel Montenegro per il colle di Krestar, dalla grande carreggiabile di Cattaro-Skaljari-Troitza. Nessuna demarcazione di confine esiste, ben definita, all'infuori di un palo giallo e bruno con una targa, conforme a quelle cbe sono in uso sulla linea doganale austriaca dci contorni di Cattaro.

Dopo dodici gironi di varia ampiezza e pendenza, dal ri-

RiproduzionedicartinaeseguitadaE.Barbaricfl
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piano di Troitza, la carreggiabile raggiunge, a mezza costa, il monte Pricovno-guono. Da questo punto essa si dirige per un tratto quasi rettilineo di circa sette chilometri , per le falde orientali del monte Lovcen (Stirovnik) al colle di Krestaz.

Poche case formano un vilfaggio a questo valico e la corriera da Cattaro a Cetinje normalmente vi sosta, e talvolta mutansi qui i cavalli anziché a Njegus.

Le spese per la costruzione della carreggiabile da Cattaro a Krestaz furono sostenute, fino a questo villaggio, dall'Impero d'Austria; da Krestaz a Cetinje e Rjeka dal principato del Montenegro.

Njegus è il primo villaggio che s'incontra salendo dalla serpentina di Cattaro. Conta appena 1400 abitanti ed è culla della casa prindpesca dei Petrovich, che aggiungono al loro nome patronimico quello del villaggio di Njegus. Alcuni edifizi vi sono specialmente notevoli, la dimora di sua altezza il principe Nicola, costrutta sulla vecchia dimora della famiglia sulla fine del decimosettimo secolo, la scuola elementare ed alcune chiesette dal frontone a cuspide svelto ed elegante. Quste ultime conferiscono al villaggio un carattere di religiosità che trova riscontro nel primo potere teocratico esercitato dalla attuale fomiglia regnante. La diligenza sosta a . Njegus, per cir· ca un'ora. Il contado di Njegus, unitamente a Cetinje, mette in armi una brigata di frontiera di cinque battaglioni.

La pianura di Njegus è collocata ad una altitudine media di 900 metri. E' arida d'aspetto, rocciosa e quasi priva di vegetazione arborea. I magri campi sono contornati da muri a secco, bassi, molto simili a quelli che si usano nelle tanche della Gallura in Sardegna. Ricca è invece l'industria pastorizia ed a Njegus si tengono, per ogni settimana, mercati importanti per i quali convengono dalla Katunska-nahjia alquante centinaia di capi di bestiame minuto. La pianura di Njegus è piuttosto povera d'acque.

La carreggiabile per Cetinje attraversa per il mezzo la breve campagna, poscia s'eleva in dirittura d'oriente per le falde aspre del Golo-brdo, fino a Pop-perov-han, stazione di posta. In questo tratto di strada che è il più elevato della carreggiabile di Cattaro a Cetinje, in giorno chiaro, si scopre la vista delle campagne della Zeta, e del lago di Scutari, verso sud-est; ed è facile abbracciare, nel suo complesso, la regione aspra e forte della Zernagora, tutta picchi, guglie , creste tormentate, bacini alveolari selvaggi e nudi.

Dalla stazione di Pop-perov-han, la strada si svolge senza pendenze ed accidentalità notevoli lasciando a destra il villaggio di Dubovick, a sinistra quello di Baize. All'han di Baize s'apre la campagna di Cetinje (Cet.injskì-polje) antico bacino di lago montano tutto chiuso di monti aspri e rocciosi molto simili a quelli che circondano la piana di Njegus. L'altitudine media della Cetinjski-polje è di 650 metri.

La capitale del Principato ha una configurazione topografica

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semplice ed appariscente anche da luogi. L'attraversa per un certo tratto, la strada Cattaro-Rjeka, la quale poscia volge ad oriente e s'inerpica sulle alture del B elvedere. Nel mezzo della s trada principale s'apre un vasto piazzale sul quale sorgono la palazzina del principe rgnante, il palazzo del Bigliardo, sede del governo, dei ministri e magazzino delle batterie di Cetinje. Chiude il piazzale il vecchio edifizio del monastero e la chiesetta della casa principesca. Questi due ultimi fabbricati sono un poco discosti dal piazzale e collocati asimmetricamente Dietro il monastero s'aprono due sentieri, uno dei quali mette capo alla Torre dei Crani, la vecchia cittadella di Cetìnje, l'altro al monumento di Danilo , il fondatore della dinastia regnan te. Olt re il piazzale l a strada di Cattaro si prolunga fra due ali di case basse fino alla palazzina del principe ereditario Danilo. In questo tratto di percorso, di pressoché cinquecento metri, sono da notarsi le case delle legazioni di Francia e d'Austria-Ungheria, la posta e l'albergo principale della città.

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Riproduzione di cartina eseguita da E Barbarich.

La strada di Rjeka attraversa il mercato, lascia sul fianco sinistro la nuova caserma e la vasta piazza d'armi che vi è annessa, suUa destra, alquanto discosto, il teatro e più vicino l'ospedale.

La città, linda e pulita, lascia una gradevole impressione. Le strade sono ampie e ben tenute allineate lungo il percorso le case quasi tutte somiglianti. Scarse sono invece le risorse della città che conta oggidì 2.400 abitanti: non frequenti le botteghe, condotte da albanesi e scutarini. Vi si smerciano pelli, lane, tabacco ed acquavite. Scarse sono altresì le provviste d'acqua: tre pozzi per la città ed alcune pompe collocate nei contorni della caserma e sul piccolo piazzale davanti all'albergo. Queste ultime non funzionano per la massima parte del rigido inverno di Cetinje. In questa stagione il termometro si mantiene intorno ad una media di 18 a 25 centigradi, abbondanti cadono le nevi e raggiungono due o tre metri di altezza, intercettando le comunicazioni con Rjeka, il lago di Scutari e le Bocche di Cattaro. Ristretta la vita pubblica e sociale della città, all'infuori dell'artificiale della corte e del corpo diplomatico accreditato presso la casa regnante. Le famiglie montenegrine, all'infuori del giro chiuso delle tribù, bastano a sé medesime, né hanno necessità di ricorrere a stranieri per soddisfare gli ordinari bisogni della vita.

Da circa due anni, un notevole impulso fu dato all'edilizia cittadina in previsione delle feste del secondo centenario della casa Petrovich-Njegus, che solennemente doveasi celebrare nell'autunno del 1896, con spiccato carattere di festa nazionale serba. Furono perciò, in breve giro di tempo, costrutte la caserma e gli edifizi militare annessi, su disegno del tenente di fanteria Jovanovich che iniziò i suoi studi in Italia e li compì poscia in Russia; alzato il monumento al Vladica Danilo, capostipite della famiglia regnante; abbellito il teatro con d1corazioni esterne, fra le quali un vecchio leone di San Marco portato da Antivari; costrutte alquante residenze di inviati diplomatici; infiné eretta la palazzina del principe ereditario Danilo. A queste costruzioni, e specialmente a quest'ultima, presero larga parte operai italiani. Ma la crisi economica che colpì nell'autunno scorso il Principato, avendo un'alluvione devastato nella massima parte le floride campagne della Zeta Inferiore, arrestò questo movimento di espansione. Esso non tarderà molto a riprendere il suo corso normale, mercé la potenza del risparmio delle popolazioni montenegrine, la loro pertinacia ed il loro spirito di abnegazione. Nuove necessità s'impongono, anche dal lato militare. La nuova batteria permanente, di prossima formazione, esige una speciale caserma, altri edifizi riechieggiano i magazzini militari mal riparati · nell'attuale Arsenale, edificio di antica costruzione che serve anche ad uso di museo nazionale.

Il personale diplomatico, notevolmente accresciuto di questi ultimi tempi, in vista dell'importanza crescente del Principato, rende necessarie nuove costruzioni; 'ed anzitutto una di-

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mora per il ministro d'Italia ed un 'altra per l'inviato straordinario della Serbia.

Fra non molto sarà altresì costrutta una biblioteca antiquaria slava, che ogg.idì, nella massima parte, è raccolta nel Monastero di Cetinje; e ad essa sarà aggiunto il museo nazionale dell ' Arsenale. La capitale sarà quindi, quanto prima, abbellita di nuove opere edilizie che aggiungeranno pregio e comodità alla prima città del Montenegro.

Ma un aspetto economico stabile ed unifonne nel Principato non sarà mai possibile sintantoché non saranno abrogate le vigenti disposizioni del codice montenegrino, le quali vietano agli stranieri di possedere terreni e beni immobili nel Principato.

Finanze ed Economia

All'infuori delle concise indicazioni della Garlitz.a, l'annuario ufficiale del Montenegro, non esistono pubblicazioni attendibili circa lo stato delle finanze e dell'economia pubblica.

Talvolta il Glas Zernogorzka (Voce del Montenegro) giornale settimanale, pubblica alcuni dati relativi al commercio montenegrino delle Bocche, ma sono notizie raccolte per iniziativa del direttore del periodico, avvocato Tomanovich, senza controllo di documenti ufficiali.

La vita del montenegrino è povera _e triste. Pur tuttavia egli ama grandemente il suo paese c non abbandona la patria se non quando vi sia costretto da impellenti necessità. In caso estremo preferisce emigrare nel vicino regno di Serbia, l à dove l'attraggono identità etnica, tradizioni di storia, comunanza di aspirazioni e di interessi. In caso diverso emigra a Costantinopoli, là dove esiste l'unica legazione del Principato all'estero, in un sontuoso palazzo donato dal sultano al principe Nicola; nell'Asia Minore, in Egitto ed in California. L'emigrato montenegrino esercita l'arte del manovale e del muratore. Però, malgrado le disagiate condizioni finanziarie della patria, il numero degli emigrati non supera attualmente le due migliaia. Vari sono i prodotti del Principato, a seconda della regione: la Katunska -nahja o provincia · di Njegus e di Cetinje, che è la più rocciosa, produce in piccola misura il frumento, l'orzo ed il grano turco; in maggior copia le patate che formano il principale cibo delle popolazioni della contrada. Nella Katunska-nahja, specie a Njegus, fiorisce il commercio del bestiame minuto, delle pelli, dei tessuti di lana per coperte (struka) e del tabacco. La Rjeka-nahja, o provincia dei contorni del lago di Scutari, produce in maggior copia orzo, patate e frumento: vi si coltiva eziandio la vite, il baco da seta ed il somacco che è monopolio governativo. Esiste oltre a ciò, in questa provincia, un discreto commercio di armi hangiar o coltelli nazionali montenegrini dall'impugnatura cesellata, fucili dalle lunghe canne damascate e sciabole di varie foggie.

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Le altre province del Principato. litoranee o montane, variano nelle qualità e quantità dei loro prodotti; ma in tutte essi sono appel1a sufficienti al consumo interno. Soltanto l'industria della carne di montone salata conta una piccola esportazione a Cattaro e sulle più vicine coste della Dalmazia.

Il principe regnante ha una lista civile di centomila fiorini. Le entrate, nel corso dell'anno 1896, salirono ad 840.000 fiorini provenienti, nella massima parte, dall'imposta fondiaria, dai diritti di pascolo. dal monopolio sul sale, sul petrolio, su somacco, dalle poste e dal provento delle dogane (6% ad valorem).

La valuta austriaca ha corso ordinario nel Pdncipato: raramente è in corso moneta metallica di altri Stati.

Il debito pubblico, di quest'ultimi tempi, raggiunse la somma di un milione di fiorini, ed aumenta sensibilmente a cagione delle spese per l'esercito . Il bilancio della guerra oscilla annualmente fra i 300 ed i 320.000 fiorini. Da questa somma devesi però detrarre la sovvenzione annua della Russia, che ascende a centomila fiorini, a titolo di sussidio per il manten i mento dell'esercito.

Il commercio di esportazione supera di poco i due milioni di fiorini per anno e tende ad aumentare leggermente.

La proprietà privata ha caratteri di stazionarietà. Una vecchia legge montenegrina vietava a cadauna famiglia di possedere più di dieci iugeri di terra, e la maggioranza delle famiglie vi si attiene ancora strettamente. Nel Montenegro soglionsi fare prestiti sulla parola ed è raro il caso che un montenegrino vi manchi. Rare sono le famiglie che cibansi di carne, all'infuori delle grandi solennità; poco è il consumo del vino e dell'acquavite, sconosciuto affatto il vizio dell'ubriachezza

Le case sono costrutte con muri a secco , quelle dei capi e dei benestanti con la calce; in alcune delle più vecchie fra esse si scorgono delle feritoie. Nelle province di Njegus e di Cetinje le case sono ricoperte di paglia e segale, quelle di Rjeka con tegole meceaniche: rarissimi sono i forni, all'infuori di taluni pochi in Cetinje. '

Tribù- Fratellanze

Il principato è composto di varie tribù e queste, a loro volta, d i fratellanze }e quali hanno tradizioni ben distinte nella medesima tribù e nel complesso sono legate da saldi vincoli di società patriarcale. La tribù di Njegus, ad esempio componesi degli Erakovich, dei Petrovich, dei Rajicevich etc ... le quali formano diverse fratellanze che nei rapporti politico-militari costituiscono una tribù. Ogni fratellanza (familia) ha il proprio capostipite dal quale ripete l'origine e dal quale tragge il cognome: gli Erakovich da Erak, i Rajicevich da Rajice.

Nei tempi passati ogni tribù si eleggeva il proprio voivoda

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(dux), e quella degli Erakovich , dalla cui casata discende la famiglia regnante principesca dei Petrovich riuscì ad imporsi alle alte cariche. La carica militare di voivoda è ereditaria come quella di vessilfero. Sono capi inferiori delle tribù i centurioni (ufficiali), gli alfieri ed i capi drappello.

Queste suddivisioni sociali formano lo schema' del riparto organico dell ' esercito. Il Principato, territorialmente, è diviso ìn piccoli lotti che variano in ampiezza fra i dieci ed i venti iugeri di terra coltivabile. Anche il principe Nicola non possiede di eredità paterna che dieci iuged. Le vendite dei fondi delle tribù si fanno anzitutto per fratellanze Raramente accade che si alienano cedendoli a famiglie di altre tribù. Gli stranieri, come si disse, sono esclusi dal possesso fondiario nel Montenegro e Le femmine non hanno parte nell'eredità paterna.

Suddivisione politica

Il Principato si divide in due parti distinte: Montenegro propriamente detto e la Brda, regione montuosa di settentrione.

Il Montenegro comprende quattro nahjie, o province; cioè la Katunska, la Rjeka , la Crmnika, e la Liesanka.

Le nahjie, a loro volta, si dividono in tribù, modernamente designate col nome di Kapetanie, o comandi. Le tribù contano un numero vario di villaggi o nuclei di reclutamento delle compagnie.

La Katunska-nahjia comprende 13 Kapetanie, la Rjeka due, la Crmnika sette, la Liesanska due.

La Brda conta nove province: Bjelopavlic, Piperi e Kuci con tre Kapetanie cadauna, Bratonozissi con una Vassoievich, Rovci e Morazza con due, Uskoci e Drebianici con una .

Il governo conta sei ministeri: Interni - Guerra - FinanzeIstruzione Pubblica - Grazia e Giustizia. Il Consiglio di stato conta diciotto membri, il Senato dodici.

Dell'esercito montenegrino

Ogni montenegrino che può portare le armi è soldato ed ha l'obbligo di difendere la patria dalle aggressioni nemiche.

Ciò nondimeno, fino ai tempi del principe Danilo, non esisteva nel Montenegro alcuna organizzazione militare permanente; all'infuori della compagnia dei perianici, o guardie del corpo, che tenevano guarnigione in Cetinje . Ogni tribù scendeva in campo col proprio voivoda il quale diventava, naturalmente il supremo capo militare di una certa accolta di famiglie. quando spargevasi la voce che l'esercito mussulmano si radunava minaccioso nell'Albania e nell'Erzegovina, i Vladica o capi teocratici della Casa Petrovich-Njegus, convocavano i voi-

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voda delle tribù in Cetinje. In quella !'pecie di consiglio di guerra, che ordinariamente tenevasi nel Monastero, si stabilivano i luoghi di radunata del popolo in armi, ed il relativo disegno di operazioni. Non erano necessarie preventive ripartizioni organiche nella designazione dei comandi o nella costituzione dei servizi.

La compagine sociale montenegrina, potenzialmente conteneva lo schema dell'esercito nazionale: donne, vecchi, fanciulli lo seguivano in campo recando munizioni e vettovaglie e provvedendo alla cura dei feriti.

Con l'avvento al potere di Danilo I (31 ottobre 1851) fu dato un certo assetto alla milizia. Infatti , da quel tempo, data la prima leva, la distribuzione del soldo alla truppa, il riparto delle tribù in compagnie e battaglioni e delle nahje in brigate.

Ogni capo militare fu distinto per via di un fregio da portarsi sul berretto, c le attribuzioni politiche furono stabilmente portate con le militari.

L'ordinamento di nazione in armi, dato dal principe Danilo, durò fino al 1866, nel quale anno, per desiderio del principe Nicola, furono invitati nel Montenegro alcuni ufficiali dell'esercito serbo i quali dovevano istruire l'esercito del Principato in guisa di trasformarlo in stanziale. Ardua e difficile era la riforma per il povero stato delle finanze principesche; pure il tentativo riscosse applausi e simpatie grandissime fra le maggiori potenze di Europa che vollero, in vario modo, concorrere al buon esito dell'impresa. In Francia fu aperta una lotteria, col provento della quale si acquistarono dodicimila carabine Minié che furono donate al Montenegro. Il primo favore ne trasse dietro altri: fu eretto l'arsenale di Cetinje, approvvigionate le polveriere con donativi della Russia, ed accaparrato stabilmente il favore di questo Impero.

Nel 1870 un'altra commissione militare serba, condotta dal capitano Vlahojti, perfezionò il primo ordinamento e preparò le vittorie ottenute dai montenegrini durante la campagna del 1877-78. L'esercito partecipò alla guerra d'Oriente con due divisioni di diecimila combattenti ed una batteria da montagna. Ogni divisione constava di due brigate; la brigata aveva cinque battaglioru di mille uomini ognuno. In ciascuna brigata quattro battaglioni erano armati con le carabine Minié donate dalla Francia, l'ultimo con fucili ad ago. I battaglioni costavano di otto compagnie di novanta soldati, agli ordini di un stotinas o centurione; l'artiglieria contava quattro batteria da campagna alla Dufor, che però non presero parte alla guerra in campo aperto.

Finita la guerra d'Oriente una commissione militare, presieduta dal ministro della guerra, voivoda Plamenatz, proseguì i lavori per l'ordinamento dell'esercito, interrotti dagli avvenimenti · della campagna.

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Per un momento parve prevalesse il criterio di un riordinamento generale territoriale, secondo il sistema serbo, con sdoppiamento di unità permanenti. Di conseguenza, dovevano trascurarsi i vecchi vincoli di famiglia e d gente, tanto radicati nelle tradizioni militari montenegrine. Le forze armate del Principato dovevano comprendere 12 battaglioni di fanteria, a 600 uomini cadauno. Le truppe stanziali dovevano dislocarsi nelle regioni di confine.

Ma in ultimo riportò la palma l'antico riparto tributario che rimase a fondamento dell'esercito nazionale: fu definitivamente provvisto all'assetto delle grandi unità di guerra, all'armamento, alla mobilitazione, ed all'istruzione degli ufficiali e della truppa .

Fra il 1882 ed il 1888 furono inviati in Italia 18 giovani deHe primarie famiglie montenegrine, a fine di compiervi i loro studi militari. Alcuni fra essi militarono, da sottuffciali, nei reggimenti alpini, altri nei bersaglieri, altri infine seguirono i corsi della Scuola Militare di Modena o dell'Accademia di Torino ..

Quattro o cinque giovani, nello stesso giro di tempo, furono nviati in Russia per frequentare il corso dell'Accademia di Pietroburgo. Infine fu istituita la scuola dei sottufficiali di Podgoritza.

Con questi quadri fu formato un battaglione di fanteria permanente che nel concetto del ministro della guerra, voìvoda Plamenatz, dovrà trasformarsi in scuola militare della nazione. In quest'ora egli trovò un cooperatore possente nella persona del colonnello della Guardia Imperiale russa, Sumarokov , precettore militare del principe ereditario Danilo, vecchio e prode soldato che ebbe una parte memorabile nei combatti· menti al Passo di Sipka.

Lo zar Alessandro III in questi ultimi anni, fissò la somma dei sussidi da elargirsi all'esercito montenegrino in centomila fiorini annui· Il ministro della Guerra del Principato era autorizzato a valersene, secondo i suoi intendimenti, in favore dell'esercito nazionale, senza obbligo di verun rendiconto. Di conseguenza, eliminate in qualche misura le difficoltà finanziarie, il bilancio della guerra montenegrina poté assettarsi in via permanente e sopperire alle spese della forza bilanciata.

Contingente di leva- Oordinamento- Il contingente annuo di leva del Principato ascende a circa 1600 uomini, cifra che tende ad aumentare sensibilmente, da quando i sudditi di religione mussulmana che prima erano esonerati dal servizio militare e pagavano perciò una tassa, furono liberamente annessi nelle file dell'esercito montenegrino, con speciali guarentigie e libertà di culto. Nel contingente annuo di leva rarissimi sono i riformati ed i dispensati dal servizio per insufficienza fisica. Sono ascritti all'esercito nazionale tutti i giovani montenegrini

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dai 17 ai 60 anni di età; poiché ogni cittadino ha il diritto di servire nell'esercito, fintantoché le forze gli valgono. Al compiersi dei 25 anni i giovani sono chiamati ad un corso di istruzione nel battaglione regolare di Cetinje, là dove si succede il contingente annuo di leva suddiviso in tre parti, e rispettivamente ognuna vi compie un servizio di quattro mesi. I congedati dal battaglione permanente entrano poscia a far parte dell'esercito nazionale, del quale fanno altresì parte, in caso di guerra, i giovani dal 17 ai 25 anni, previa un'istruzione sommaria da impartirsi all'atto della mobilitazione.

L'esercito nazionale si divide in due grandi categorie o bandi.

Della prima fanno parte gli ascritti dai 17 ai 45 anni, della seconda quelli dai 45 ai 60, ed oltre.

La prima categoria dell'esercito nazionale è formata su otto brigate di fanteria. Ogni brigata conta un numero vario di battaglioni, da cinque ad otto, a seconda della maggiore o minore popolazione delle tribù o nahje nelle quali si reclutano i battaglioni e le brigate. Analogamente, la forza di ogni battaglione varia da 500 a 1.200 uomini. I battaglioni di Cetinje e quello di Zeklin, ad esempio, toccano questo massimo di forza; quelli delle provincie della Brda invece oscillano fra i 500 ed i 1.000 uomini. La seconda categoria dell'esercito nazionale è ordinata in compagnie autonome, le quali disimpegnano in g uerra il servizio territoriale. Queste compagnie, ancor esse di forza molto variabile, possono, in date eventualità, concorrere alle operazioni di campagna con l'esercito di prima linea; e con ciò la legge mira ad esaudire il fervidissimo voto dei componenti la seconda categoria dell'esercito i quali molto a malincuore, entrano a farvi parte per il pregiudizio che l'istituzione sminuisca il diritto di ogni montenegrino di servire la patria in guerra, fino alla più tarda età.

Il valore di queste milizie di seconda linea è perciò abbastanza rilevante, come truppe di guarnigione, di guardia di frontiera e depositi di reclutamento e di riserva dell'esercito di prima linea.

Armamento - L'armamento della fanteria attualmente è misto dì fucili modello Berdan e Werndl. Una partita di 30.000 fucili Berdan, con quindici milioni di cartucce, fu donata dalla Russia al Montenegro nell'estate del 1895. Fu così semplicato di molto l'armamento della fanteria che dapprima otto varietà di modelli, con gran danno dell'approvigionamento.

Delle otto brigate, sei posseggono il Berdan, cioè la P, 23 , 3a, 4", sa e 7"; la 6" ed 8" cioè le brigate del litorale sono armate di Werndl. Ad ogni soldato è distribuito il nosc o coltello nazionale, lungo, a lama ricurva, nel maneggio del quale sono espertissimi i soldati montenegrini; epperciò in guerra usano sostiturlo alla baionetta.

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I congedati dal battaglione permanente portano seco il fucile che custodiscono gelosamente presso di sé. Hanno facoltà di usarlo per la caccia e per la difesa presonale, purchè mantengano sempre a numero la prescritta dotazione di venti cartucce. Le cartucce si acquistano a molto buon prezzo nel magazzino o arsenale di Cctinje o in quelli di Podgoritza, di Rjeka, di Niksich e di Antivari.

Anche ai sudditi di religione mussulmana, di recente, fu concesso l'onore di custodire il fucile presso di sé, da quando essi furono pareggiati nei doveri e nei diritti agli altri sudditi di religione cristiana.

Oltre al fucile ed alle cartucce ogni soldato in congedo deve sempre tenere pronte. in ottimo stato, due paia di opanche o sandali slavi. Lo stato dell'armamento e dell'arredamento è mensilmente o settimanalmente, a seconda delle constatato dal comandante di cadauna compagnia dell esercito nazionale nel villaggio capoluogo di Kapetanie o di tribù. Rari sono i guasti che si riscontrano nelle armi, più rare ancora le infrazioni alle prescrizioni vigenti sul munizionamento e l'arredamento della milizia. Le armi, da cadaun membro della famiglia, sono considerate come og9etti sacri e di conseguenza conservate con cura religiosa. NeJI occasione della rivista alle armi i soldati dell'esercito nazionale eseguiscono alcune lezioni di tiro al bersaglio, o semplici manovre d'assieme.

Organi di comando - Grandi unità di guerra - La prima categoria o bando dell'esercito nazionale, cioè quella degli uomini alle anni del 17 ai 45 anni, può mobilitare circa 42.000 uomini ripartiti in otto brigate.

La seconda categoria dell'esercito nazionale, cioè quella degli uomini validi alle armi dai 45 ai 60 anni, ed oltre, può mobilitare circa 7.000 uomini, divisi in compagnie autonome di forza variabile fra gli 80 ed i ISO uomini.

In complesso, fra le due categorie, l'esercito nazionale montenegrino, secondo dati ufficiali, può ascendere a circa 50.000 combattenti.

Il battaglione di fanteria permanente, ultimamente congedato il IO dicembre 1896 in Cetinje con tava la forza che segue:

Compagnie Ufficiali Sottufficiali Soldati Operazioni la Compagnia 3 15 162 2a Compagnia 3 16 158 3a Compagnia 3 16 158 4a Compagnia 3 15 160 Totale 12 62 638 243

Inoltre il battaglione possiede una musica, diretta da un capomusica, con grado di ufficiale subalterno, della quale fanno parte, secondo l'usanza austriaca alcuni fanciulli sui quindici anni . I tamburini della compagnia sono anche fanciulli della medesima età.

I perianici o guardie del corpo del principe (così chiamati dalla penna di corvo che loro adorna il berretto - perianitza -) formano una compagnia permanente di circa ottanta uomini, normalmente residente in Cetinje. I perianici sono armati di sciabola da cavalleria, prestano servizio a cavallo e disimpegnano le attribuzioni della gendarmeria del Principato. La carica dei perianici era, nel tempo passato, ereditaria nelle famiglie e tribù.

I battaglioni di fanteria dell'esercito nazionale constano di quattro compagnie (scetas - villaggi) su quattro plotoni (vod) a tre squadrig1ie (descheta) ognuno.

I criteri numerici per la formazione di ciascuna unità sono molto larghi, a fin di adattarle alla popolazione delle singole famiglie, tribù e nahje.

Base dell'ordinamento della fanteria è il gruppo di sette consanguinei, ossia la squadriglia (deschetar), ma anche per questa il criterio numerico è molto variabile, e può comprendere dai cinque ai sette membri, a seconda della capacità delle famiglie. Per diritto, è comandante del deschetar un deschet, col grado di caporale, scelto fra i più anziani o valorosi della parentela che compongono la squadriglia. Questi diritti popolari sono consuetudinari, e sanciti da lunga pratka di tradizioni guerresche e famigliari. Nel caso di contravvenzioni, chiunque si reputi leso in alcuno di questi diritti, ha facoltà di sporgere immediato reclamo al principe regnante e presentarsi a lui di persona.

Tre squadriglie formano un vod o plotone, di forza variabile dai quindici ai ventuno uomini, scelti con grande cura fra i parenti e gli affini di una medesima tribù. E' capo del riparto un vodnik o sergente, egualmente scelto fra i più bravi e valorosi della tribù. Questo riguardo, per quanto lo consentono le condizioni di reclutamento della scuola dei sottufficiali di Podgoritza, è altresì osservato nel battaglione di fanteria permanente. ·

Quattro vod formano una compagnia o sceta, con a capo un ufficiale. Questi assume l'effettivo comando, coadiuvato daJ portabandiera, poiché il grado di capitano non esiste ne!J'esercito nazionale, ma soltanto nel battaglione permanente. Gli insigniti di questo grado, all'atto della mobilitazione, passeranno al comando in seconda dei battaglioni nazionali, o saranno promossi maggiori; come gli attuali tenenti del battaglione permanente passeranno a compiere servizio di Stato Maggiore, quali aiutanti presso le vari brigate dell'esercito mobilitato.

Nella costituzione delle scetas si osservano scrupolosamen-

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te, siccome fu detto per le minori unità, la stretta osservanza dei vincoli di famiglia e di genti. Ogni compagnia ha un portabandiera col grado di sottufficiale e con carica ereditaria nella famiglia cui appartiene. La carica di 'portabandiera è ambitissima, e circondata da venerazione e da rispetto profondo nella gerarchia militare montenegrina.

Da sei a dieci scetas formano un battaglione dell'esercito nazionale, cui è preposto un maggiore, coadiuvato da un comandante in seconda, col grado di capitano, e da un aiutante maggiore col grado di ufficiale. I battaglioni, come fu detto, oscillano in forza fra i cinquecento ed i milleduecento uomini. Ogni battaglione ha una propria bandiera egualmente portata da un sottoufficiale. Di regola, da sei a dieci villaggi della medesima nahja o provincia, formano un battaglione dell'esercito nazionale. Sei, sette o otto battaglioni formano la brigata di fanteria, al comando di una voivoda o di un brigadir, o maggiore generale. Anche la brigata ha il suo speciale portabandiera e l'intero esercito un grande vessillifero, nella persona di un voivoda celebrato per eroiche gesta.

Gerarchia militare - Ufficiali - Truppa

«Truppa}>

<{ Voinìk - Soldat

« Deschet

« Vodnik

<{ Bariaktar

Soldato

Caporale

Sergente - furiere

Portabandiera di compagnia, battaglione e brigata.

« Ufficiali »

Esercito permanente

Tenente - Porucik -

Capitano - Kapitan -

Esercito nazionale

Capitano Aiutante Com.te in 2•

Comandante - Comandir - Comandante - Comandir

Brigariere - Brigadìr ·

Voivoda .

Le anni ausiliarie · La produzione equina del Principato è abbastanza scarsa qualora se ne eccettuino alcuni villaggi della nahjie di Rovcani, di Bratonosisci, di Kusi e della Drobujasì. Anche la natura speciale della regione, tutta monti difficili, sembra escludere l'impiego della cavalleria come arma da bat-

245·

taglia. Nelle tradizioni miUtari montenegrine, all'infuori delle antichissime del regno di Serbia, come nelle canzoni popolari i cavalieri ben di rado si offrono per argomenti di canto.

Tuttavia, in caso di guerra, è prevista una formazione speciale di cavalleria in un reggimento di circa 1.000 cavalieri. Di esso dovranno far parte anzitutto i perianici e quegli altri ascritti all'esercito nazionale che posseggono cavalli ed abilità sufficienti al disimpegno del servizio nell'arma. Buona parte dd quadrupedi esistenti nel Principato è d'altronde requisita per la costituzione dc srvizi, per il someggio delle artiglierie da montagna, il traino di quelle da campagna e da fortezza; ili guisa che il servizio nell'arma di cavalleria all'infuori delle attribuzioni di guida è piuttosto considerato una pianta esoterica nel Montenegro, malgrado le assidue cure del principe Nicola, ardito e valente cavaliere, che si occupò di sviluppare il gusto ippico nelle file del suo esercito. A questo proposito, anni or sono, fu inviato a11a Scuola di Pinerolo il tenente Michele Zerovich, ufficiale di ordinanza del principe, noto oggidì col nomignolo di primo cavaliere della Zernagora.

Artiglieria - componesi di otto batterie di pezzi di acciaio, modello Krupp da cm. 7,50, delle quali sei sono da montagna e due da campagna. Le batterie da montagna contano due sezioni e quattro pezzi, quelle da campagna tre sezioni e sei pezzi.

Esiste inoltre una batte.ria di mitragliatrici, a dieci canne, a disposizione del comando in capo dell'esercito, custodita nell'Arsenale di Cetinje. In totale, l'artiglieria montenegrina conta 36 cannoni d'acciaio da campo, e 6 mitragliatrici. Il materiale fu acquistato in Russia, circa undici anni fa.'

L'artiglieria da campagna possiede soltanto gli avantreni e, per ragioni di leggerezza delle colonne omette i cassoni e si esonera dal servizio del rifornimento delle munizioni per la fan· teria, anche a cagione della scarsità delle bestie da soma. Secondo l'antica costumanza, il servizio delle munizioni e dei viveri è disimpegnata in guerra dagli inabili al militare di prima linea, dalle donne e dai fanciulli.

Le batterie da montagna hanno cofani da munizione in ragione di 75 colpi per ogni bocca da fuoco: il munizionamento consta per due terzi di proiettili e per un terzo di proiettili a tempo, secondo l'antica prescrizione vigente nell'artiglieria russa, allorquando furono acquistati i cannoni.

Esiste, oltre a ciò, un piccolo corredo di scatole a mitraglia, in determinato numero per cadaun pezzo da campagna, da montagna e d'assedio. L'intero munizionamento dell'artiglieria montenegrina è dono della Russia. Una certa quantità di cannoni ad avancarica ed a retrocarica, è di provenienza turca: taluni di questi furono trasformati con otturatori sistema Warendorff.

La partizione organica delle batterie è conforme al sistema russo. I maggiori le comandano, ed i tenenti sono preposti

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alle sezioni. Per ordine di mobilitazione , ogni brigata di fanteria dispone di una batteria da montagna e da campagna.

Le due brigate del Litorale (Primorjie) e di Rjeka sono provviste di batterie da campagna, tutte le altre posseggono batterie da montagna.

Fino ad ora, il Principato non manteneva sotto le armi nessuna batteria permanente; però il l dicembre u.s. ebbe principio presso l'Arsenale di Cetinje un corso di preparazione dei sottufficialì per una batteria stanziale, destinata a far nucleo d'istruzione dell'arma ed a comportarsi, nei rispetti della rotazione del contingente annuo di leva, molto analogamente a quanto ora avviene per la fanteria nel battaglione permanente. La batteria avrà sua sede in Cetinje e sarà formata con pezzi da montagna, secondo l'organico prescritto.

L'istruzione dei cannonieri durerà sei mesi ed il contingente annuo di leva si succederà nella batteria permanente diviso in due riparti. Il l (12) aprile prossimo la batteria da montagna dovrà essere costituita e formata al comando del maggiore Demetrio Martinovich, antico allievn dell'Accademia Militare e della Scuola di Applicazione di Torino. Avrà ai suoi ordini alcuni ufficiali che testè fecero ritorno dall'Accademia di Pietroburgo. L'istruzione della batteria sarà compiuta secondo i metodi ed i regolamenti vigenti per la artigleria imperiale russa.

Ispettore e direttore generale dell'artiglieria del Principato è il maggior generale Giovanni Martinovich, vecchio avanzo delle guerre di Erzegovina e di Albania.

Il materiale dell'artiglieria da fortezza è specialmente raccolto nell'Arsenale di Cetinje e nelle piazze Antivari e di Dubzigno. Altre bocche da fuoco di provenienza turca, nella massima parte, sono sui fortilizi montani di Zloztup, di Nozdre e di Presjeka, sulle convalli della Piwa, ed altrettanti nelle ridotte che circondano a mezzodì la città di Spuz. Queste ultime salgono al numero di otto. Anche Kolacin e Zabliak hanno qualche pezzo da fortezza a difesa della città. I cannoni sono quasi tutti ad avancarica ed incavalcati sopra affusti di legno.

L'arsenale di Cetinje possiede due ottimi cannoni da cm. 12, con otturatore alla Warendorff; altri quattro eguali si conservano nelle fortificazioni di Antivari. Un discreto numero di pezzi tolti ai turchi quasi inoperoso ed esposto alle intemperie nel cortile dell'Arsenale: tre cannoni di questa specie furono di recente, per ordine del principe Nicola, murati sul frontone della nuova caserma di fanteria, affinché servissero di ornamento.

. In complesso, il materiale di artiglieria attualmente dispo-

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nibile nel Principato può riassumersi nelle cifre che seguono:

Artiglieria da campagna

Batterie 6 · Pezzi 12

Artiglieria da montagna · Batterie 6 · Pezzi 24

MitragJiatrici - Batterie - Pezzi 6

Totale Batterie 9 - Pezzi 42.

Artiglieria da fortezza - Pezzi trasformati n. 6

Artiglieria da fortezza - Mortai da cm. 15 - n. 3

Artig]ieria da fortezza - Pezzi da campagna av. n. 8

Artiglieria da fortezza - Pezzi da montagna av. n. 24

Totale Pezzi n. 41.

Servizio di artiglieria - Arsenali e depositi d'armi - Magazzini da munizioni e d'armi · Cetinje - Vei Bazar - AntivariDulcigno - Podgoritza · Cevo · Grahovo - Kolacin · NiksirMalinsko.

Arsenali ed officine di riparazione - Cetinje - Spuz - Dulcigno.

Genio - Non esiste nel Principato nessuna formazione per l'armature, di questi ultimi tempi, la costruzione delle nuove caserme di Cetinje, di Podgoritza e di Antivari, richiedendo l'opera di architetti militari, con la versalità d'ingegno che è propria degli slavi colti, si acconciarono bellamente alla bisogna alcuni ufficiali di fanteria del battaglione permanente, sotto la direzione del tenente Andrea Radovich, l'unico ufficiale del genio del Principato, antico allievo della Scuola di Applicazione di Torino. Le qualità del terra7.ziere sono del resto innate nel soldato montenegrino, che si occupa, fino dai primi anni, a rizzar muri cedevoli per chiudere pascoli, a costrurre capanne, ad aprire frontiere ed a rassettare le strade, che frane o detriti di monte rovinano in breve ora. l

Esercito nazionale · Mobilitazim1e · La forza Montenegro e del suo esercito riposa nella rapidità con la quale cinquantamila uomini possono trovarsi raccolti e prontii a combattere- La mobilitazione, si dice nel Montenegro, è un affare di ventiquattr'ore soltanto; e lo è di fatto qualora si consideri che ogni congedato conserva presso di sé le armi e munizioni, che ha prefissati i punti e l'ora di radunata in capoluoghi dei plemen e delle nahjie, e che l'intero esercito non ha intralci di servizi, provvedendo ciascuno al proprio sostentamento, fino a che non sia inquadrato nelle grandi unità di guerra. All'atto della mobilitazione il battaglione permanente si scioglie: g1i uffi· ciali entrano a comporre gli stati-maggiori delle brigate, delle divisioni e del comando in capo; a seconda della formazione di guerra che sarà consigliata dal disegno di operazione. Altrettanto accadrà della batteria permanente, i cui subaltemi saranno, probabilmente, destinati al comando delle batterie vacanti.

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Gli uomini di truppa del battaglione e della batteria permanente passeranno ad inquadrarsi nella das::." !"ispettiva dell'esercito nazionale. Si mobilitano nella capitale de1 Principato i perianici ed il corpo della cavalleria montenegrina. Le batterie di artiglieria si mobili tano presso le sedi di cadauna b!"igata di fanteria.

L'istruzione degli ufficiali dell'esercito nazionale è buona. Ne costituiscono i quadri, in certa misura, un nòcciolo di ufficiali che apprese i primi rudimenti dell'arte militare dalle due missioni inviate dalla Serbia; in certa altra un avanzo dei vecchi ufficiali delle guerre di Erzegovina ed Albania. Eccezionalmente furono, l'anno scorso, chiamati alle armi per temporanea istruzione circa sessanta ufficiali dell'esercito nazionale. Il corso fu compiulo presso il battaglione permanente di Cetinje e diretto dal maggiore Vuko Vukotich.

I soldati sono, settimanalmente, convocati nei capoluoghi dei plemen o delle Kapetanie, mensilmente alla sede dei rispettivi battaglioni, per uno o due giorni d'istruzione, annualmente presso i depositi di brigata.

Rare sono le grandi manovre o le esercitazioni ?n armi combinate, in causa delle strettezze finanziarie in cui ora versa il Principato, e, di recente, in vista dei danni che un'alluvione cagionò nelle province della Zeta, le quali sono i campi preferiti per queste esercitazioni. Tuttavia, a giudizio di coloro che hanno avuto modo di osservare riunioni di grandi riparti dell'esercito nazionale, l'istruzione ed il contegno di queste milizie pare eccellente, ed altresì condotte a buon punto di perfezionP le manovre d'assieme. Un difetto in questo senso fu, di ft·equente, imputato alle truppe montenegrine e su di esso, di questi tempi, fu specialmente richiamata l'attenzione di tutti gli istruttori del Principato, con ordine del ministro, voivoda Plamenatz.

I magazzini delle brigate di fanteria e delle batterie aggregate sono permanentemente in completo assetto di guerra: le bardature dei cavalli e dei muli destinati all'artiglieria sono posti sopra cavalletti, al completo, cosl pure i finimenti dei cavalli destinati alla formazione degli squadroni dei perianici.

Presso ciascuna Kapetania sono mantenuti a numero i cavalli da requisirsi all'atto della mobilitazione, e ad essi sono passate frequenti visite d'ispezione. Il principe ereditario Danilo, in maniera speciale, si occupa di quanto ha attinenza al servizio di mobilitazione ed allo stato dell'esercito nazionale.

Istruzione dell'esercito permanente - Le solide ed innate qualità militari del Montenegro lo dispensano da un rrolungato servizio sotto le armi. Nel concetto degli ufficiali de battaglione permanente, l'istruzione che quivi si impartisce deve avere un contenuto del tutto tecnico, trascurando la parte educativa. Poche settimane sono infatti sufficienti per apprendere alle giovani reclute il maneggio del fucile Berdan, la stima delle distanze, il tiro al bersaglio e le regole della manovra d'assieme.

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L'educazione del soldato non richiede grande tempo: la devozione al principe ed alla patria sono virtù innate che non hanno bisogno di stimoli e la disciplina dell'esercito si fonda sul sentimento patriottico. Tutti sanno di compiere, combattendo per il paese, il più sacro dei doveri: sono perciò molto rare le mancanze e più ancora le punizioni. Prevale un paterno sistema di ammonimenti, molto proficuo, ed esperimentato per lunga serie di anni e di guerre. L'affettuosità familiare cui s'ispira l'esercizio del comando nell'esercito montenegrino, conforme alle costumanze slave, stabilisce una tale corrente e reciprocità di sentimenti fra superiore ed inferiore, una fiducia e confidenza che elimina ogni asperità e ragione di differenza nella gerarchia dell'esercito. Il superiore non cessa di essere il compagno ed il congiunto della tribù, ed il soldato vi presta amorevole obbedienza, perché sa che egli riuscì a conquistarsi quel posto o per plebiscito di congiunti stessi, o per singolari azioni di guerra. Il soldato, in servizio e fuori, rivolge al superiore il discorso col tu, sempre mantenendo intatti i segni dì rispetto e di deferenza militare.

Grande cura s'impiega nell'istruzione sul tiro. Conforme al sistema russo, sono esonerati da questa istruzione gli ufficiali subalterni, e l'intera cura e responsabilità risale al capitano comandante di compagnia. A questi provvedimenti, gli ufficiali che compirono i loro studi in Italia ascrivono i notevoli risultati ottenuti dalle reclute nel tiro; risultati che raggiungono, ben di frequente, una percentuale non comune negli eserciti d'Europa. Non esistono speciali poligoni di tiro, epperò il battaglione permanente usa esercitarsi nel fondo della valle, o alterna la specie dei tiri in campi liberi, dal basso all'alto o viceversa.

L'istruzione sul tiro è preceduta ed accompagnata da quella di stima delle distanze, che si pratica con vera cura e con un certo lusso di classificazioni e cJj stati, interamente redatti dagli ufficiali subaltemi.

Non esistono per l'esercito permanente e nazionale regolamenti scritti. Servono da indirizzo i vecchi testi italiani, sui quali gli ufficiali del battaglione compirono i loro studi. Però ultimamente, una speciale comi'isione presieduta dal maggiore Vukotich provvede a colmare la lacuna, a fine di ottenere uniformità di indirizzo pratico nella istruzione dell'esercito. Neila redazione del nuovo manuale per gli esercizi e le evoluzioni montenegrine, furono tenuti presenti, in special modo, il regolamento di esercizi ed evoluzioni per la fanteria italiana del 1889, e quello per la fanteria russa. Al soldato s'insegna anzitutto a trarre partito dei vantaggi del terreno della patria, così favorevolmente disposto per la difensiva attiva, a sbucare improvvisamente ed impetuosamente sul 1'lemico, a far uso parco ed esatto delle rriuniiioni; a ricorrere talvolta, di preferenza, all'acuminato hangiar che al fucile. Di regola devesi combattere in cacciatori, a stormi, senza veruna regolarità di forme tattiche; eccezionalmente si ricorre all'ordine chiuso. I soldati sono

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altresì ammaestrati alla trasmissione di ordini od avvisi me· diantc segnalazione ottica.

La tattica generale s'ispira al principio di evitare il combattimento campale, per risparmiare perdite, per equiparare, in certa misura, la sproporzione numerica ed infine per trarre completo vantaggio dai tiri di posizione. Si consiglia largamen· te l'impiego delle difese accessorie: grandi massi apparecchiati sul ciglio delle montagne, legati da vimini o da funi, che si re.. cidono al momento opportuno, interruzioni stradali e mine. Sono infatti memorabili, nella storia della guerra contro i turchi, le mine disposte dal Vladica Pietro II Petrovich con· tro l'esercito di Al} Pascià (1837). Circa 70.000 uomini furono dispersi da qualche migliaio di montenegrini, e 3.600 mussulmani perirono.

Il battaglione permanente, prima di essere inviato in congedo, è spesse volte esercitato in simulacri di combattimento.

Una delle segnalate manovre fu compiuta, il 6 dicembre 1896, alla presenza del principe ereditario Danilo, e diretta dal colonnello russo Sumarokov. Campo di manovra fu il tratto di terreno interposto fra il confine austriaco di Crestaz e la conca di Njegus.

In questa circostanza, ebbi occasione di constatare la bella istruzione ed il contegno marziale del riparto di fanteria per· manentei la facilità degli spiegamenti in terreni reputati a tutta prima inaccessibili, l'impeto degli assalti e la celerità delle marce.

Da Niegus a Cetinje, il battaglione non impiegò che appe.. na due ore di cammino.

Gli ufficiali non consultarono, generalmente, carte topografiche. Fra breve sarà però compiuta quella del K.u.K. Geographische Institut di Vienna, alla scala di 1:75.000, redatta sul· la triangolazione del dottor Rovinski e del tenente Ivanovich.

Nel Montenegro è anche usata una carta russa, j cui rilievi furono fatti nel 1882, alla scala di 1:150.000 ed una serba, di data più antica, compilata dagli ufficiali della missione militare.

La grande conoscenza del terreno della patria, dispensa gli ufficiali dell'esercito dall'uso costante delle carte; però queste si usano nelle rare manovre con i quadri, nella circostanza di speciali manovre e nella redazione degli ordini.

I sottufficiali non conoscono l'uso delle carte topografiche.

Uniforme · Arredamento · L'uniforme dell'esercito è semplice. E' la foggia di vestire nazionale sulla quale, democrati· camente, non si sono aggiunti che alcuni piccoli distintivi di gradi istituiti sulla metà del secolo nostro, dal principe Da· nilo I.

In capo il berrettino basso (Kapa) fasciato di seta nera, con il monogramma principesco H-1. ricamato in oro; indosso il 251

corsetto cremisi, attillato, con maniche adattate al polso e ricamate in seta nera. Gli ufficiali portano inoltre delle false maniche, pendenti dagli omeri. In vita una larga cintura di cuoio o di marrocchino, che serve da guaina per le pistole e per l'hangiar, ed anche da cartuccera. Soltanto gli ufficiali ed i sottufficiali hanno pistole e rivoltelle. del modello Gasser, austriaco, nella massima parte. I pantaloni sono ampi, azzurro scuri, di taglia albanese; in piedi le opanche sopra grossi ed alti cal1.ari di lana bianca. L'opanca è una scarpa molto semplice, che rassomiglia all'usata dagli abruzzesi, e consta di una suola di cuoio molto forte, senza tallone in cui ciò che si denomina tomaia . non è che un tessuto di corda intrecciato. Il prezzo di queste suole è molto basso nel Montenegro, e non supera mai il fiorino e mezzo. Alle opanche taluni usano aggiungere fibbie e cinqhie, per meglio assicurarle al collo del piede e sopra i calzari, a guisa di ciocie. Con queste scarpe, i montenegrini ottengono grande celerità di movimenti, agilità e sicurezza in passi più difficili, facilità di sostituzione. economia e silenzio mirabile nelle marce. L'opanca, si dice comunemente nel Montenegro, è il segreto di grande numero di vittorie riportate sui turchi.

Sul vestito nazionale ora detto, gli ufficiali sovrappongono una specie di sagum di lana bianca, orlato di rosso, antico avanzo di indumento militare romano che la pertinacia e l'osservanza delle tradizioni dell'esercito montenegrino ha tramandato fino a noi. In inverno soldati ed ufficiali usano un ampio. cappoto di panno grigio, di taglia russa, ornato di una doppia fila di bottoni di ottone, sui quali è impresso il monogramma principesco sormontato dalla corona. Gli ufficiali, a qualsivoglia anna appartengano, usano una stessa uniforme. I voivoda ed i brigadir portano sul corsetto i fregi a ricamo di tessuto d'oro, anziché di seta nera.

I distintivi di grado si riconoscono per via di un trofeo metallico cucito sul berretto nazionale, al di sotto del monogramma del principe regnante. I trofei sono d'argento o d'argento dorato. L'aquila montenegrina, bicipite e coronata con lo scudo adorno delle cifre di Nicola I, ed il leone ai piedi dell'aquila è insegna dei voivoda, dei ministli, dei senatori, dei grandi dignitari dello Stato, nonché degli aiutanti di campo del principe regnante e del principe ereditario. Questa insegna è d'oro o d'argento dorato. La medesima aquila bicipite, racchiusa tra due hangiar incrociati ai piedi del leone, è insegna dei brigadieri o maggiori generali. Questo trofeo come quello dei voivoda è d'oro o di argento dorato. E' distintivo d'altronde molto raro nel Principato, poiché i brigadir sono mezza dozzina appena, fra generali in servizio e vecch i soldati che fruiscono di questo titolo onorarioLievisissime sono le differenze che corrono fra maggiore, capitano e tenente. Il maggiore si distingue per uno scudetto sul quale è parimenti incisa a rilievo l'aquila, racchiusa fra due

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sciabole presso il suo limite inferiore. Lo scudo è d'argento e le sciabole, di fattura e dimensioni identiche a quelle dei voivada, sono dorate. 11 capitano ed il tenente portano un eguale trofeo, alquanto più piccrlf) di quello dei e distinti fra di loro da una lieve ci.lfferenza nel colore del metallo. Il capitano ha lo scudo d'argento e le sciabole dorate, il tenente le sciabole d'argento e lo scudo dorato. L'offizier, nell'esercìto nazionale, porta lo scudetto completamente inargentato'.

Nei gradi di truppa, il vessillìfero porta la croce d'argento dei Petrovich che posa sopra un'hangiar disposto orizzontalmente. Su di un fianco della croce in senso perpendico1are all'hangiar, è aggiunta una piccola bandiera principesca. Il caporale ed il sergente si conoscono per lievi differenze nella fattura di una stella d'argento. Quella del sergente conta sei punte liscie, con una croce collocata fra le due braccia superiori della stella; quella del caporale ha superficie lavorata, e la croce di fattura più grossolana. Altri particolari di lavoro si possono rilevare nella corona che racchiude il principesco, ma sono inapprezzabili nel complesso dell uniforme. Il cannoniere (truppa) usa uno scudetto dorato, di dimensioni molto piccole, sul quale è incisa a rilievo l'aquila ed il loneo che posa sopra un cannone incrociato con uno scovolo, e disposto sopra una piramide di palle. I graduati di truppa e gli ufficiali dell'arma di artiglieria usano i medesimi distintivi dei sopra descritti per la fanteria. Infine il corpo dei perianici, o guardie del principe, si distingue per l'aquila montenegrina, inquadrata nel manto reale. Il trofeo dei perianici è d'argento dorato. Il disegno di tutti questi trofei è molto antiquato, e ricorda le incisioni metalliche del trecento. I trofei sono incisi nell'Arsenale di Cetinje, e raggiungono, in media, il prezzo di cinque o sei fiorini. ,

L'armamento degli ufficiali è piuttosto libero. Generalmente è usata la sciabola, con fodero metallico, portata a tracolla con un cinturino d'oro, secondo il costume russo. Però una recente ordinanza del principe prescrive che al fodero di acciaio si sostituisca quello di cuoio, ed all'antica sciabola italiana, di una sola elsa oggidì in uso nell'esercito montenegrino, si sostituisca la sciabola russa, con guardia e finimenti in ottone. Il fodero di cuoio è infatti piì1 adatto allo speciale servizio delle truppe in montagna, ed era richiesto dal piccolo nucleo di ufficiali che compirono gli studi in Per quanto riguarda le rivoltelle, oltre alla regolamentare Gasser, taluni ufficiali portano, con orgoglio, pistole e pistoloni ereditati in famiglia da qualche glorioso antenato. Gli ufficiali usano costantemente stivali, che nella grande uniforme vengono accuratamente verniciati; nessuno fa uso di speroni.

Le decorazioni al valor militare « Za viern i svoboda » e l'altra « Zajunastvo », istituita di recente, si portano dai mirari in tutte le uniformi.

Edifizi militari - Come si disse, la nuova caserma di Ceti-

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nje fu edificata nell'estate dell'anno passato, dal maggio all'agosto, cioè nel limite di tempo utile alla fabbricazione nel Montenegro.

E' un vasto edifizio, rettilineo. in pietra da taglio, con un frontone centrale di forma triangolare, sul quale sono murati tre cannoni tolti ai turchi nell'ultima guerra d'Oriente.

Ad ogni compagnia (scctas) è assegnato un cannone speciale, jn tondo al quale sono akune stanzette riservate ai soldati d!i religione mussulmana. Questi godono di uno speciale trattamento e di speciali libertà. Nelle camere dei sergenti sono conservate le bandiere di ciascuna compagnia. t soldati dormono su brande acquistate m Italia.

La sala di convegno degli ufficiali, testè arredata, fu dedjcata con grande solennità alla memoria del tenente-colonnello Giovanni GaBiano. Molti degli ufficiali che servirono negli alpini, ebbero quel valoroso ufficiale a proprio comandante di compagnia. Quasi tutti gli ufficiali del battaglione permanente, alla notizia dei gloriosi casi di MacalD.è, domandarono licenza al principe di passare momentaneamente nell'esercito italiano, percombattere in Mrica. La «Sala Galliano » è adornata da una fotografia del valoroso ufficiale, in grandezza naturale. Alla «sala dj convegno » è annessa una saletta riservata al principe ereditario Danilo, con una biblioteca che si va man mano accrescendo con opere militari italiane. Fra queste figura l'annata in corso della Rivista Militare Italiana. Dalla detta Rivisla, per iniziativa di un gruppo di ufficiali montenegrini, già compagni di studio dello scrivente alla Scuola militare di Modena, fu tradotto e pubblicato nel '' Glas Cernogorska » lo studio intitolato Pagine di storia militare veneto-montenegrina, redatto dal sottoscritto in occasione delle nozze Savoia-Petrovich.

Nel cortile della carserma sono stabilite due pompe. L'edifizio ha la capacità complessiva di circa ottocento uomini.

Varsenale, o magazzino, sorge all'ingresso della dalla parte di Njegus. E' un fabbricato molto basso composto <li alcune stanze a pianterreno, e serve da deposito di mobilitazione dei battaglioni e della batteria della Katunska-nahjia, e da Museo Nazionale di guerra del Principato. Vi .figurano un medagliere con le insegne al valore dei più rinomati eroi del Montenegro, raccolta dovuta alla patriottica iniziativa del Ministro della guerra, voivoda Plamenatz, una preziosa collezione di armi bianche tolte ai turchi, di fucili, e di bandiere mussulmane.

Degna di ammirazione fra tutti questi trofei è una bandiera dj compagnia montenegrina, forata da più di sessanta proiettili, e che passò nelle mani di sette vessilliferi al tempo delt'assedio di ,Antivari (1878). Un'altra bandiera eguale, ma più lacerata e forata, fu tolta, non è molto, dall'Arsenale e presentata in omaggio allo zar Nicola II dal principe regnante.

Nel magazzino sono conservate due batterie di pezzi di

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acciaio da cent. 7,50, sistema Krupp: l'una da montagna, su quattro pezzi, l'altra da campagna, su sei pezzi, con relativi cofani, avantreni e timonelle. Si osservano, inoltre, due vecchi cannoi da cm. 15, trasformati a retrocarica col sistema Warendorff, incavalcati sopra affusti di legno, e quattro mitragliatrici.

Sul cortile dell'Arsenale sono inoltre disposti una decina di pezzi ad avancarica tolti ai turchi. In un'altra stanza sono raccolte le munizioni delle batterie: un centinaio di cassette per granate e per shrapnels, sopra le quali campeggia una grande aquila bicipite russa, di legno dorato. Le munizioni furono infatti munifico dono dello zar Alessandro III . In questa stanza è altresì disposto un piccolo castello per fucili Berdan, che costituiscono la riserva di armamento dei battaglioni della Katunska-nahjia.

Al magazzino è annesso un laboratorio da cartucce con macchinario sufficente a produrre, in caso di bisogno, centomila cartucce al giorno. Presentemente si lavora, di preferenza, alla confenzione di cartucce per rivotelle Gasser e per fucili Berdan. Le munizioni per il Nerndl si fanno, di massima, venire dal laboratorio Antivari. Quivi esiste anche un'officina per artiglierie e per munizioni per tutte le armi in uso del Principato.

Direttore generale dell'arsenale di Cetinje è il maggiore Demetrio Martinovich, comandante della batteria nazionale della Katunska nahjia e, quanto prima, comandante della batteria da montagna permanente dell'esercito.

Terzo edificio militare di qualche importanza in Centinje è la Torre dei Crani. E' questa un torrione coperto da una specie di tettoia coniforme. Serve da cittadella ed è munito di alcuni vecchi cannoni che si adoperano nelle salve d'onore. Dal Monastero alla Torre dei Crani si ascende in meno di un quarto d'ora.

Notizie varie - Nel Montenegro non esiste che una sola educazione ed è la militare. Fino dai primi anni, i fanciulli ricevono in dono dai parenti le armi che dovranno trattar poscia da adulti; di guisa che essi si famigliarizzano con le costumanze militari, che le tradizioni ed i vincoli di società e di tribù rafforzano ed abbellano.

Nelle scuole si insegnano i canti patriottici, o cori, noti sotto il nome di Kolo o Ore. Ogni plemen ne possiede uno proprio, ricco di poetici racconti, di episodi di guerra e di gloriose imprese compiute dalla tribù . Il principe Nicola, di recente, compose un volume di questi cori, per ciascun battaglione dell'esercito nazionale, raccogliendo dalla viva voce del popolo una preziosa messe di tradizioni guerresche (1). Apre la serie il canto dei battaglioni di Cetinje e di Njegus, che credo utile

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(l) Nova Kolo o Nicola I (Hoba Kolo od Hikore I - Cetinje- Drschav· na Stamparja · 1896).

di tradurre, a fine di porgere un'esempio di questa letteratura militare così diffusa ed importante nel Principato.

Sple11dea110fede,JiQertàecanzoni sopradinoi,mentrelavignaCruna sottoilLovscenfioria.DasottoSciare, quis'accoglienvessilliesegnid'armi, aCetinjerivolti,ecordialmente, quanteverstes'oflrìanostringevamo, lietidifarquantoilmorta!possiede sacroallaPat1ia.Agliesuliebanditi, asilodafrate/porgemmosempre, ecomefummo,siamoognorpresidio di/iberradeedicostumianticl1i. DiCetinjelegentiediNjegus, inabbracciofraternosoncongiunte onordellecontradeegladiatori perlibertade.Noverarglieroi ornonvogliamo,talun/orlocate, sopralenubi11ell'empireohallfede. DirneinomichevalChiunquesoffra tormentiperlaPatriaeroedivema. edoltretombasisol/evaincielo.

Il Kolo si balla in grande cerchio, nelle solennità militari: i soldati, le braccia distese l'un sugli omeri dell'altro, muovono in giro a cadenza di una nenia di ritmo grave e maestoso. Anche gli ufficiali e, ben di frequente, i principi della casa regnante intrecciano le loro braccia fra quelle dei soldati e ballano, per qualche tempo, il Kolo con sincero entusiasmo.

Queste danze, specialmente, si ripetono in occasione del congedo dei battaglioni permanenti, ed al giungere delle nuove reclute a Cetinje. Presentemente non esistono vacanze di ufficiali nel battaglione permanente, all'infuori di un capitano e di un tenente passati con ottanta uomin i nella gendarmeria internazionale candiota. Però, da qualche tempo, in previsione di un probabile aumento della forza stanziale, furono inviati in Russia dieci giovanetli per compiervi gli studi militari. Questo fatto merita di essere specialmente rilevato. L'istruzione militare impartita ai giovani montenegrini in Italia soddisfece completamente, ne appare ragione plausibile a che si abbandonino queste vecchie costumanze. L'abbandono delle scuole italiane è altresì sentito con dispiacere dalla maggioranza degli ufficiali montenegrini che studiarono in Italia.

Fra le concessioni fatte ai sudditi di religione mussulmana, devesi notare la libertà di uniforme. Questi possono sost ; tuirc il fez alla kapa nazionale. I mussulmani aggiunsero a]

fez un piccolo turbante che rilevasi a grande distanza nelle file dei riparti montegrini. Il principe Nicola prende speciale cura a che queste libertà si mantengano immutate, e non trascura circostanza per testimoniare il suo interessamento in questo senso. La guardia principesca albanese, composta di sei o sette cittadini dei contorni di Scutari, è esempio costante di questa

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libertà. Il principe, ben di frequente, interroga i soldati mussulmani sul loro benessere, ed jnvia barili di birra alla caserma perché ogni buon turco, in pubblico devesi astenere dal vino. Fra i popoli della Zeta Inferiore e dci contorni del lago di Scutari, è viva e profonda l'affezione al principe Nicola, me.. mori dell'umanità da questi dimostrata durante l'ultima guerra d'Oriente, specie ai tempi dell'assedio di Antivari. Gli albanesi si aveano, a preferenza, le migliori cure nelle ambulanze montenegrine. Le genti della e della Zermnitza-nahjia disimpegnano nell'esercito le maestranze, e sono occupate, di preferenza, negli arsenali o nei riparti occasionali di pionieri.

Poche sono le simpatie marinaresche delle popolazioni del Montenegro nel tratto costiero del Litorale e nullo l'aspetto militare navale sul lago di Scutari, sebbene le insenature di Vìr-Bazar e di Rjeka , offrano sicuri ancoraggi per flottiglie di navj e di barche leggere, come soleano tenervi gli zernovich ed i veneziani. Di questi tempi, corrono trattative fra il primo aiutante di campo di sua altezza il principe Nicola, colonnello Giurkovich, ed una compagnia di armatori genovesi, per l'acquisto di due vapori per la navigazione sul lago di Scutari, fra Rjeka e la città omonima. Ma l'assetto definitivo delle comunicazioni sul lago non potrà essere stabilito, fintantoché le finanze del Principato non saranno ristorate, e concbiuso perciò un grosso prestito all'estero, forse in Francia.

Politica e generalità

I secolari odi dei Montenegrini contro il Turco sono pressoché spenti, e non ne rimane che traccia nel canto marziale dei Kolo o nelle elegie modulate dai poeti popolari sulle gusle, o mandola ad una sola corda. A quest'opera di lenta riconciliazione, dal 1878 a questa parte, contribuì una saggia politica de1la Porta che scelse a suoi rappresentanti in Cetinje uomini veramente accorti e degni della più grande simpatia. In questo tempo, parallelamente, andò crescendo nella coscienza del popolo montenegrino l'avversione e l'odio contro l'impero d'Austria-Ungheria, signore delle terre d'Erzegovina e di Bosnia. Questo sentimento, dapprima timido, andò a grado infiammandosi per opera degli emigrati erzegovesi che prescelsero a loro dimora il contado di Niksic', e colà mantengono alta la bandiera della fratellanza serba, non altrimenti che praticavano gli emigrati lombardi e veneti nel Piemonte fra il 1848 ed 1859. Una piccola colonia di furosciti erzegovesi esiste altresì a Cetinje, con a capo il farmacista Drec.

Partiti politici veramente decisi non esistono nel Principato Una docile massa di gente, forte, laboriosa, onesta, obbedisce ai maggiorenti del paese, illuminati, perseveranti, pieni dì patriottismo.

Di regola, il principe governa la cosa pubblica senza intermediari di sorta; ed il popolo non solleva obbiezioni. Più inti-

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mo, invece, è l'interessamento dei sudditi nelle cose particolari della famiglia regnante, e sono abituati a considerarla come la prima famiglia dei plemen del Principato. Ne sia prova il carattere schiettamente popolare assunto dalle feste per il matrimonio della principessa Elena con sua altezza reale il principe Vittorio Emanuele, e la sollecitudine con la quale il popolo si occupa della sorte della principessa Anna, che generalmente desidera destinata a rinsaldare i vincoli di fratellanza fra il Montenegro ed il regno di Serbia.

Gli organi della pubblica opinione sono ben limitati. Setti· manalmente si pubblica il «Glas Zernogorska», giornale diretto dal prof. Tomanovich, caldo amico ed ammiratore dell'Italia e molto noto nella letteratura serba per aver bellamente tradotto l'Assedio di Firenze, di F.D. Guerrazzi.

Il «Glas Zernogorska» è l'interprete del pensiero del governo montenegrino e ne costituisce la gazzetta ufficiale. Le disposizioni militari riflettenti L'esercito, e rese di pubblica ragione, vedono la luce nelle colonne del « Glas Zernogorska ». Il primo numero di quest'anno (7 gennaio 1897) contiene un riassunto importante intorno al movimento militare accaduto nel Principato, nel corso dell'anno 1896.

Pubblicazione annuale di grande rilievo è la « Garlitza », annuario generale dello Stato, spesse volte adorno di incisioni e di carte finemente eseguite in Russia, per commissione del governo montenegrino. La << Garlitza » è una pubblicazione molto antica, e merita di essere largamente conosciuta in Italia, per la copia ed autenticità delle notizie storiche, statistiche, mi1itari e commerciali riguardanti il Montenegro ed un poco anche l'Albania.

Periodici scientifici sono la Lucia, organo di una società prornotrice dell'istruzione pubblica e della letteratura serba, che pubblicasi mensilmente in quattro o cinque fogli di stampa; e la Prosvieta, rivista politico-religiosa.

La capitale del Montenegro possiede una tipografia abbastanza fornita di materiale e di personale, ossia la « Drschavna Stamparja » con belle tradizioni bibliografiche che la ricollegano alla prima stamperia slava, fondata sulla fine del secolo decimoquinto da Giorgio Zernovich nel monasterio di Cetinje

Fra non molto, sarà aperta una grande biblioteca slava, auspice il principe Nicola, la quale raccoglierà tutto il prezioso materiale bibliografico antico che è sparso nel Principato.

Questo movimento intellettuale e letterario mantiene desta, fra le popolazioni serbe dei Balcani, la religione del principio di nazionalità, che personifica nel principato del Montenegro. La storia patria è sufficentemente diffusa nel Montenegro, grazie alle forme poetiche che assume nei Kolo e nei Piermas: queste ultime canzoni costituiscono il patrimonio letterario del Principato. Anche il più umile dei contadini non ignora i principali eventi della guerra d'Oriente, dell'assedio di Antivari,

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e riveste delle forme più immaginose e poetiche le antiche relazioni corse fra la dinastia degli Zernovich e la veneta repubblica. Egli accarezza il sogno della ricostituzione della Grande Serbia; concezione vaga ed indefinita, ma che giganteggia in capo a tutti i pensieri del patriota montenegrino e ne forma la meta e la speranza avvenire. In questa Grande Serbia debbono unirsi Montenegro, Serbia fino a Vidd.ino, Bosnia, Erzegovina e pro· vince limitrofe dell'Albania, dalla parte della Zeta Inferiore. Questa regione unita dovrebbe avere per limiti a settentrione il corso della Sava, ad oriente il crine delle Alpi Illiriche e Dinariche, ad oriente il Timok, i monti di Pirot e di Kustendil, a mezzodì il Drin e l'Ibar.

Potrà essere una forma federativa quella che legherà assieme tutti questi popoli di stirpe serba, come accennavami il Tomanovich, direttore del « Glas Zernogorska », o un governo monarchico costituzionale con a capo un membro della dinastia dei Petrovich, degli Obrenovich, o dei Karageorgevich, come affermò alcun altro; ma è certo che il concetto unitario s'impone nella mente del popolo montenegrino, e trova in esso il suo naturale depositario. In questo concetto sembrano barriere provvisorie i confini austriaci oltre Krestaz, verso Cattaro, ed oltre Grahovo nel seno dell'Erzegovina, ed avvisaglie di guerra le continue scaramucce di confine fra austriaci e montenegrini per questioni doganali.

Cordiali sono invece le relazioni che corrono fra la Serbr•. ed il Montenegro, come prova il convegno di Belgrado, accaduto nella primavera dell'anno decorso. In un brindisi pronunziato alla presenza del re Alessandro e del corpo diplomatico, il principe Nicola affermò che « quando avremo ciò che ci compete, allora soltanto il Montenegro potrà pensare alla pace! La nazione che tutta quanta ci guarda domanda unione e concordia. Se sapremo mantenerla. per conseguire gli alti ideali che dobbiamo avere in cima ai nostri pensieri, le ombre dei nostri grandi ci benediranno! ». Ardito appello agli schiavi serbi, che ostacolerà in ogni tempo la definitiva annessione della Bosnia ed Erzegovina, all'Impero austriaco, a meno che questa figura politica non si prolunghi all'infinito. Nell'uno e nell'altro caso, il Montenegro, in nome delia Serbia, saprà sollevare la questione di nazionalità.

Nessuna pretesa nutre invece il piccolo Principato verso l'Albania, all'infuori di una più ampia rettifica dei confini della vecchia Zeta, inchiudendovi la città di Scutari e la linea della Bojana. Nell'Albania, il Montenegro riscuote scarse simpatie, e ne sia esempio l'azione autonoma e saparatista dell'abortita lega albanese, tentata fra le popolazioni schipetre dal Gopcevié. Le ragioni di questo antagonismo sono molteplici: gli operai e gli industriali sono albanesi, e nel Montenegro l'esercizio delle arti manuali è tenuto in conto di schiavitù e quindi fonte di contese; i turchi aizzarono sempre nelie passate guerre gli albanesi contro i montenegrini, fomentandone l'odio.

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Del pari il Montenegro non ha per il momento, aspirazioni marinaresche, né sa ricavare dalla positura della regione del Primorje tutto quel profitto di cui essa è capace. Forse le attitudini esclusivamente montanare del popolo non vi si saprebbero adattare, che dopo un lungo e laborioso periodo di preparazione. Del resto, comunemente si dice che il marinaio del Montenegro è il Cattarino.

Forse, nell'avvenire, nuove strade aperte ve rso l'interno della regione occidentale dei Balcaru, ed il maturarsi di nuovi e non lontani eventi nella Macedonia settentrionale, spingeranno forzatamente il montenegrino a cercare uno sbocco nel mare, ed a trarre, in questo senso, il più ampio profitto dei porti di Antivari e di Dulcigno (Porto Noce).

La ferrovia più produttiva per il Montenegro dovrebbe allacciarsi, come si disse, a Mitrovitza, per sc endere dalla valle dell'Tbar e della Morazza in Antivari. Questa linea beneficerebbe i commerci della Zeta Inferiore e delle province di Podgoritza e di Rjeka, le più produttive ed industri del Principato.

Riassumendo, meta costante della politica montenegrina si è l'accordo delle diverse popolazioni jugos lave della penisola balcanica .

Per storia, per vigore e freschezza di tradizione, per ins igne valore personale il popolo montenegrino può, agevolmente, disimpegnare questo compito con sicura fede di successo. E dall'accordo il Montenegro, auspice l'impero di Russia, può sperare egemonia o dominio sulle tirpi serbe dei Balcani.

Le comunicazioni fra Cetinje, Rjeka e l'Albania

Da Cetinje a Rjeka corrono dieci chilometri di strada carreggiabile. Oltre a questa esitsono due buoni sentieri. L'uno per i monti che Rudinica e di Selo, Zeklin e Zacir mette capo a Rjeki-grad; l'altro per Prijevor e Cesljari, scende a Grab di Rjeka. Dai monti di Rudinica si distacca altresì la mulattiera di Vir-Bazar, per Podgora.

La carreggiabile da Cetinje a Rjeka si distacca ad oriente della città, dal piazzale principale, guadagna con ampi e comodi gironi la vetta di Granica (720 m.) comunemente conosciuta col nome di poggio del Belvedere. Da questo poggio si scopre la vista deHa Zeta Inferiore e del lago di Scutari, serrato ad oriente dalle Alpi di Albania ed a mezzodì dalle colline di Rosapha , ai piedi delle quali sorge la città di Scutari.

Oltre il Belvedere la carreggiabile discende per le falde orientali dei monti di Dobrsko, descrivendo frequenti e lunghi gironi, percorribili da qualsivoglia carreggio. S'incontra sulla destra, il villaggio di Dobrskoselo, circondato da giardini, dove figura timidamente la vite, e più largamente, il melo e l'ulivo.

Oltre Dobrskoselo l'aspetto della regione tnuta sostanzial-

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mente. I monti si spianano in groppe unite e tondeggianti, e l'altitudine media di essi discende a circa trecento metri.

S'apre allora la vallata di Rjeka, alle origini della Crnojevica Rjeka: la vegetazione diventa più abbondante, i pascoli più larghi, le acque più frequenti. Il villaggio di Rjeka conta un centinaio di case, divise in due regioni distinte: la parte alta, raggruppata sopra la collina di Riekj-grad, la.. parte bassa scaglionata lungo la strada da Cetinje. A due chilometri da Rjeka, verso Greben, s'incontra il villaggio di Obod sede di un arsenale o magazzino di armi. Nelle adiacenze di Obod sì stende il Parco principesco di Rjeka tutto cinto da muri a secco. La Crnojevica Rjeka è navigabile da Grad di Rjeka al lago di Scutari. Da Rjeka si diramano alquante vie, verso l'interno del Prncipato e verso l'Albania.

Fra· le prime la strada di Podgoritza, eccellente carreggiabile, lunga una trentina di chilometri; fra le seconde le mulattiere di Rjekani e di Grezen-Seliani-Vir-Bazar, Da Rjeka e Scutari la traversata si compie o in chiatte, o nei piroscafi appositi che compiono il viaggio tre volte alla settimana. Da Scutari nello interno dell'Albania non esistono carreggiabili, ma bensì mulattiere di varia capacità e percorribilità.

Conclusione

L'amicizia di un popolo forte e cosciente dei propri destini è elemento di supremo valore in qualunque contingenza politica e militare. E tale deve essere per l'Italia l'amicizia del popolo montenegrino, avanguardia delle stirpi serbe sull'Adriatico, fattore di unità fra le popolazioni jugo-slave dei Balcani, elemento militare ed ordinatore di primo ordine.

Il Montenegro, idealmente, è alla testa di una popolazione di oltre cinque milioni di abitanti, la cui azione può avere un peso significativo nella bilancia dei futuri destini della penisola Balcanica. Ma anzitutto, di immediata utilità per le genti italiane della Dalmazia, è l'amicizia col Principato del Montenegro. Esse, unitamente e non diversamente dalle stirpj serbe soggette al dominio austro-ungarico, ne ritraggono aiuto, incoraggiamento ed appoggio morale validissimo.

Per ragioni di differente ordine, la madrepatria non può portare alle popolazioni italiane dell'Illirio quell'aiuto che si meritano la loro perseveranza nelle tradizioni ed il valore con il quale le difendono. Lo schermo che per esse grandeggia ai piedi delle grandi montagne del Dormilor, può additare una via, lunga ma sicura, per avviare aiuti, incoraggiamenti ed appoggi alle valorose genti che lottano in nome della nazionalità italiana.

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7. V. TROMBI, Delimitazione della frontiera di Tessaglia, anno 1897. Estratto del giornale di viaggio (1).

21 ottobre

Si arriva a Volo alle ore l pomeridiane col Sureya: c1 m· contrìamo coi delegati greci che vi sono dal giorno precedente; col treno delle 9,50' pomeridiane partiamo per Larissa dove giungiamo alle ore 6 di sera. Là troviamo i delegati turchi che sono: Ornar Rusdi pascià generale di divisione e capo di stato maggiore del maresciallo Edhem pascià, pascià, maggiore generale di stato maggiore e sottocapo di ,stato maggiore di Edhem pascià, Riza bey, colonnello di stato maggiore , Seefket bey, colagassi (vice maggiore) di stato maggiore. Si tiene nella sera una prima conferenza per presentare le lettere di nomina a delegati militari rilasciate dai rispettivi governi e per nominare fra i membri della commissione di delimitazione un segre· tarlo: l'eletto è il capitano De Chapelles, delegato militare della Francia.

22 ottobre

Disposizioni logistiche prese per la comnnss10ne. Pioggia e vento di sud-est. La giornat a è impiegata in scambio di visite colle autorità turche, nella scelta delle cavalcature per noi, fatta da noi stessi in uno dei due squadroni del 6° reggimento di cavalleria che trovansi in Larissa e nell'allestimento della colonna trasporto per i nostri bagagli.

Ogni delegato ha un cavallo per sé e un altro di scorta che è montato da un soldato di cavalleria il quale ha cura di ambedue i quadrupedi. Ad ogni delegato sono assegnati tre cavalli o muli per il trasporto dei propri effetti, inoltre i delegati delle grandi potenze, quelli 1-urchi e quelli greci dispongono per ognuno dei tre gruppi di uno speciale convoglio di 12 a 15 quadrupedi per il someggio delle provviste viveri, degli oggetti di cucina e di mensa e delle tende. Tutta la colonna, compresovi una

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(l) SME·AUS, b. 38, Reparto Operazioni. Ufficio Coloniale . Stati esteri, gennaio 1898.

scorta di sicurezza e un distaccamento di 25 soldati delle compagnie zappatori del III ordù (Monastir) si compone di oltre 200 quadrupedi e di J70 solda ti e servi. Impiego il resto della giornata per visitare Larissa. Constato che la città non presenta tracce di saccheggi od incendi. Dall'altura del vecchio castello presso il ponte in muratura sul Salamodas ho un primo orientamento sui monti che dividono la Tessaglia dalla Macedonia a partire dal mare fino al monte Dobrugia-dagh a sud di Zarkos.

23 ottobre

Da Larissa a Pyrghetos; strada Larissa - valle di Tempe. Cielo coperto, pioviggina tutta la giornata. Si parte alle 10 antimeridiane per Pyrghetos (ovest di Rapsani) affine di incominciare i lavori di delimitazione. La strada che si segue è quella che costeggia per un tratto la destra del Salamorias, passa per la stretta di Tempe, sboccata dalla quale attraversa il fiume e sale al villaggio. Nel primo percorso Larissa - Babà la strada è a fondo naturale, con larghezza non uniforme; più che strada può chiamarsi tratturo, giacché in più punti è larga a capriccio dei conduttori dei carri o delle bestie da soma: corre piana su terreno orizzontale senza alcuna opera d'arte e senza scoli laterali. Nel tratto compreso fra Osmanli (Macricori dei greci) e Babà un rio, che sbocca nel Salamorias, impaluda sicché la strada è un po' in rialzo ed è accompagnaLa da una specie di marciapiedi irregolare fatto con grosse pietre, il quale rozzamente ricorda le antiche strade romane: esso è il cosiddetto « calderem » dei turchi ai quali devesi quell'opera. Il calderem non arriva a metri 1,50 di larghezza e serve solo ai pedoni ed alle bestie da soma: esso cavalca il rio suddetto su un ponte in pietra ad un sol arco con larghezza uguale a quella del calderem stesso.

Verso l'una pomeridiane arriviamo a Babà, villaggio a metà greco e a metà turco che trovasi all'imbocco della valle di Tempe: a giudicare dal numero e dalla capacità delle case che lo compongono, la sua popolazione supererà di poco i 1200 abitanti. A Babà troviamo accantonato un battaglione di redif, quello di Ayanabad, una compagnia del quale prende le armi per renderei gli onori.

Poco prima delle due, essendo cessato di piovere, ci rimettiamo in marcia, inoltrandoci nella valle di Tempe. Questa è piuttosto una forra o gola angustissima formata da pareti di roccia calcare verticali, anzi in qualche punto a strapiombo: ha larghezza qualche volla inferiore a SO metri e l'altezza delle pareti arriva fino a 150 metri dal fondo. Le roccie sono nude; in quelle della parte settentrionale si scorgono frequenti caverne con stalatiti in vista. A contrastare con la natura aspra e selvaggia delle pareti sta la rigogliosa vegetazione arborea che accompagna sulle due rive l'angusto letto del Salamorias (Peneo).

Platani e quercie giganti, che hanno le loro radici nel fiume

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e coi loro rami costituiscono quasi una volta di verdura e di ombra sul fiume e sulla strada, la quale con larghezza di poco più di due metri, è scavata in parte nella roccia, in parte poggia su costruzioni in pietra che scendono fino al fiume: è tutta in buone condizioni per il traino con pendenza di poca importanza.

A metà percorso della valle, nel punto più angusto, sopra una specie di pinaccolo sulla destra del fiume esistono ruine di un vecchio castello il cui muro di cinta, a giudicare dalle tracce che restano, scendeva fino alla strada. U presso sopra una parete levigata della roccia vi sono i resti di una iscrizione latina di cui posso leggere soltanto le parole « Cassius Longinus ». Dalle ruine del vecchio castello fino allo sbocco orientale della valle numerose sorgenti di acqua limpida scaturiscono dal piede delle roccie e lasciano nel corso limaccioso del Peneo lunghe striscie azzurrine.

All'uscita della stretta abbandoniamo la rotabile, la quale per Lespoohori va a Phteri sul Mar Egeo, e passiamo il Salamorias su un ponte provvisorio costrutto dal genio militare turco in sostituzione di un altro stabile di legno arso dai greci durante l'ultima guerra. Il ponte turco e a cavalletti coll'impalcata quasi a fior d'acqua: la sua larghezza è di 2 metri: le tavole sono disposte diagonalmente su due strati: ha parapetto in filo di ferro, la sua lunghezza è 20 metri, cioè quanto è largo il fiume in quel posto. A guardia del ponte vi è un picchetto di soldati che stanno attendati sulle due rive del fiume. Attraverso il ponte prendiamo un sentiero che rimonta dolcemente il contrafforte sul quale è Pyrghetos, dove giungiamo alle ore 5 di sera.

In riassunto da Larissa a Babà tre ore di cammino quasi tutto al passo, da Babà a Pyrghetos 4 ore e mezza sempre al passo. La distanza di Larissa a Pyrghetos per la strada da noi percorsa è calcolata dai turchi e dai greci fra 40 a 42 chilometri. Il nostro bagaglio impiegò nove ore di cammino.

24 ottobre

Da Pyrghetos alla foce del Potamuli. Strada PlatamonaNikteremi - Pyrghetos. Piove a dirotto tutta la giornata. Si parte alle 3 e trenta antimeridiane per Pappapuli seguendo una mulattina che scende lungo il versante settentrionale del contrafforte su cui trovasi Pyrghetos, attraversa il corso superiore del Potamuli e poi continua sulla sua sinistra fino a Pappapuli dove incontra la strada, già rotabile Platamona-Nikteremi. Il terreno che si percorre è ricco di vegetazione con scarsi segni di coltura (soltanto campi di grano turco). Nei corsi di deiezione dei rari ruscelli che scendono al Potamuli abbondano splendidi e secolari platani. Al piano la campagna è paludosa ed è messa in gran parte a pascolo per greggi, che vi sono numerosi.

Pappapuli non è che la ruina di un vecchio ponte in muratura sul Potamuli per il quale un tempo passava la strada Platamona-Nikteremi-Valle di Tempe-Larissa. Questa strada adesso è

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una semplice mulattiera da Platamona fino al ponte sul Salamorias presso lo sbocco della valle di Tempe .

Si passa a guado il Potamuli presso Pappapuli: l'acqua vi è alta così da arrivare al vent r e dei cavalli: larghev..a del fiumiciattolo in quel punto 10 metri circa. Ne discendiamo la sponda destra fino al mare per riconoscerne la foce, punto di partenza della nuova frontiera. La ricerca della foce è più difficile di quanto ci aspettavamo ché un cordone o barra marina ostruisce lo sbocco del fiume e lo fa dilagare in numerosi stagni: possiamo constatare due piccoli scarichi in attività e adottiamo quello meridionale come punto di partenza della nuova linea di confine.

Dalle rovine del ponte di Pappapuli fino al mare il terreno è militarmente difficile per i frequenti pantani e pei fitti ce· spugli spinosi che si incontrano

Da Pappapuli al mare quattro chilomerti; da Pyrghetos a Pappapuli dieci chilometri. Rientriamo alle 5 di sera a Pyrghetos sempre sotto la pioggia. Pyrghetos non è propriamente un villaggio ma una specie di grande fattoria appartenente ad un bey di Tessaglia che si gode a Costantinopoli ed a Parigi le sue rendite. Noi abitiamo nel suo konak a tre per stanza. Il konak è un grande fabbricato in muratura a due piani in cattivo stato di conservazione. Il pian terreno serve da magazzino alle derrate, il primo piano per abitazione; ha un muro di cinta che racchiude altri fabbricati minori per il bestiame ecc. All'intorno del konak stanno aggruppate diverse casupole (forse una trentina) abitate da pastori o contadini greci al servizio del bey. La popolazione ammonterà a 200 persone.

25 ottobre

Kalivia Aeganotica. Blokhouse di H. Helias - Aegani. Tempo piovigginoso, continua il vento di sud-est. Si ritorna a Pappapuli donde la frontiera si distacca dal Patamuli. Fissiamo sul terreno i limiti l, 2, 3 e 4 ed arriviamo al punto di Haghios Helias appartenente alla vecchia frontiera. Sulla sommità di H. Helias si scorgono gli avanzi di due blokhouse uno greco e l'altro turco distrutti durante la guerra. E' improprio il nome di blokhouse che si dà a si fatte costruzioni: sono semplici corpi di guardia consistenti in casette in muratura ad un sol piano, con una o due stanze. L'ingresso di ciascuna è rivolto verso il territorio della nazione cui appartiene, dalla parte opposta sono finestre a feritoie . Questi due corpi di guardia distano fra di loro solo venti passi, né questo è il solo luogo sulla frontiera che i blokhaus sono così avvicinati ; pressoché dappertutto è la stessa cosa. Ad ogni blokhouse greco ne è contrapposto uno turco: e di questi corpi di guardia accoppiati se ne incontrano sulla linea di frontiera ogni 1.500 metri almeno.

Per arrivare a H. Helias passiamo per Kalivia Aeganotica, riunione di tuguri poveri dal tetto di paglia e dalle pareti di

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graticcio con intonaco di terra. Sono abituri di pastori greci durante la stagione invernale: noi però li troviamo abitati. Il numero delle capanne sarà di 25 o 30, la valletta in cui sorgono abbonda di enormi platani frammisti a catagni, i versanti sono coperti di querceti bassi e da pruni. Le colline in prossimità ricordano per fonna e per vegetazione quelle della maremma toscana fra Orbetello e Grosseto. I pruni e i mirti sono così fitti che non si può percorrerJe a cavallo ed è difficile il procedere anche a piedi.

Da H. Helias, sebbene il tempo sia coperto con frequenti scrosci di pioggia, si ha una vista pittoresca ad est sul Mar Egeo e su Platamona (vecchio forte in ruina) a sud sulla vallata percorsa dal Patamuli e dal Peneo e sul monte Ossa. Si rientra a Pyrghetos alle 5 di sera per un buon sentiero partente da Aegani. Da Aegani a Pyrghetos un'ora e mezza.

26 ottobre

Krania-Analipsis; Sopoton-Rapsani. Tenipo coperto fino alle 10, quindi cielo sereno con leggero vento di N.O. Si lascia Pyrghetos alle 8, si passa per Krania, villaggio greco, dove una compagnia di redif, distaccata dal battaglione che ha sede a Rapsani, ci rende gli onori militari. Da Pyrghetos a Krain.a si segue una buona mulattiera in più punti ciottolata, quindi per un sentiero si sale successivamente ad Analipsis (vetta) e a Sopoton (vetta), di dove si ha uno splendido panorama in particolare verso nord dove l'Olimpo proietta le sue sommità ricoperte di neve sul cielo azzurro: anche le due vette sulle quali arriviamo sono coperte da un leggero strato di neve che va prestamente fondendosi ai raggi del sole. Il versante meridionale dell'Analipsis ha scarsa vegetazione ed è ricco di buoni pascoli montani: il versante settentrionale invece è rivestito da pini, ma poco sviluppati e radi. Il Sopoton invece è nudo: composto di roccie calcari è quasi completamente privo di humus; ne è ricoperto soltanto il versante sud-est ma non ha alberi, solo pascoli. Le vallette che scendono verso sud dell'Analipsis e dal Sopoton hanno ruscelli di acqua limpida che mettono in movimento qualche mulino al quale conducono numerosi sentieri che percorrono in ogni senso i versanti. L'Analipsis segnato nella carta d'Ardagh (carta al 50 mila della frontiera del 1881) non è l'Analipsis di cui qui ho parlato. Questo trovasi al nord del primo, quasi a metà distanza fra Alipori e Analipsis di Rapsani (o Rapsandico) è di natura rocciosa, specialmente nei versanti sud ed ovest. Come caratteristica ha un ciuffo di grosse quercie alla sommità sotto il quale si nasconde una cappelletta. Non si mette che il termine n. 5.

Per conto mio riconosco il versante occidentale del Sopoton, quello occidentale o meridionale dell'Analipsis Rapsanotico. Sono tutti rocciosi, senza pascoli e senza sentieri. Il rio che li lambe scorre incassato fra roccie fin quasi all'altezza di Rapsani: unica vegetazione arbusti spinosi e quercie nane. Arrivo a Rap-

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sani alle 6 di sera dopo una discesa difficile lungo la falda meridionale dell'Analipsis Rapsanotico.

Il nostro bagaglio partito da Pyrghetos alle 10 del mattino è giunto a Rapsani alle 2 pomeridiane seguendo una cattiva mulattiera che li congiunge. I paesani mi dicono che si impiegano ordinariamente soltanto due ore.

Dopo Larissa, Rapsani è il primo centro abitato al quale si possa dare il nome di paese: ba una popolazione di circa 2.000 abitanti, tutti greci, che abitano case discrete e sufficientemente pulite. E' circondato da frutteti e più verso il piano ha vigne che producono il vino più reputato di Tessaglia: è luogo di villeggiatura in estate per la gente agiata di Larissa. Ha la guarnigione di un battaglione redif che dà distaccamenti nei villaggi vicini (una compagnia l'incontrai a Krania).

27 ottobre

Mulattiera Rapsani-Nezeros. AJtopiano di Struti Gurza. Valle del Kodrisiotiko - mulattiera di Klephti Ghcdik. Tempo bello fino a mezzogiorno: poscia cielo coperto. Si lascia Rapsani alle 8 e trenta e si fissano i termini 6, 6 bis, 7, 8 e 9. Da Rapsani ci dirigiamo verso Nczeros per la mulattiera Rapsani-Nezeros la quale sale per le falde orientali di Analipsis Rapsanotico, passa l'insellatura fra questa vetta e quella di Sopoton, percorre le falde sud-occidentali di quest'ultimo, scende al Tehiairia, rimonta la sinistra di detto rio e per il colle di Pangiolo arriva nel bacino di Nezeros. La mulattiera è buona per quasi tutto il percorso: soltanto in un tratto del versante orientale dell'Analipsis Rapsanotico ha forte pendenza cd è ingombra di grossi ciottoH. Il terreno che si attraversa fino a scendere nella conca di Nezeros è più che mai alpestre. La conca invece negli orli che circondano il lago dalla parte sud è ricca di terreno vegetale ed è messa a coltura di grano o di segala di cui rimangono le stoppie.

Attendendo i delegati delle potenze speciali istruzioni dai rispettivi ambasciatori a Costantinopoli relative alla cessione o no del lago di Nezeros ai turchi, si lascia in sospeso la delimitazione della frontiera da questa parte e per un sentiero si rimonta a Struti Gurza, altopiano ad ovest della conca di Nezeros per poi discendere al Kodrisiotiko Tchair che si stabilisce di prendere come linea di confine fino a sud di Hokkinopetra. Mentre il terreno a Struti Gurza è di facile pcrcorribilità ricoperto da pascoli, i versanti invece che scendono al Kodrisiatiko Tchair sono quasi impraticabili. Ognuno per proprio conto scende come meglio può al Thehorg principale dove si deve incontrare la mulattiera che daJla pianura di Konispoli per Klephti Ghedik ( passo dei ladri) arriva a Dereli. A stento, quando già annotta, raggiungo detta mulattiera dove alcuni suvari (soldati di cavall:!ria) attendono l'arrivo dei vari delegati per fornirli di cavallo. Monto e per la difficile mulattiera, guidato dal cavallo stesso,

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stante le fitte tenebre, arrivo alle 7 di sera a Dereli, luogo del nostro accantonamento per la notte. Una mezz'ora prima di giungere in paese incontriamo un drappello di soldati del genio con lanterne che ci rischiarono la via ed in particolare lo stretto ponte sul Kodrisiotiko Tchair che si deve attraversare per entrare a Dereli.

Incomincia a piovere di nuovo. La colonna del nostro bagaglio partita da Rapsani direttamente per Dereli ha impiegato nel tragitto 5 ore circa, seguendo una mulattiera che percorre le pendici dei monti a nord di dette località. Detta mulattiera sembra buona.

28 ottobre

Dereli. Nel mattino piove, nel pomeriggio il cielo si rasserena. Si decide di prendere un giorno di riposo per rimettere un po' i cavalli affaticati il giorno precedente e per dare agio a .noi di redigere i processi verbali relativi al lavoro compiuto.

Approfitto del tempo libero che mi resta nel pomeriggio per riconoscere il villaggio ed il terreno circostante. La popolazione è in maggioranza mussulmana. Vi sono tre moschee ed una chiesa greca; quest'ultima è nel piazzale del paese di fronte alla principale moschea. Mi si dice che la popolazione di Dereli superi di poco il migliaio di abitanti. Il paese non ha sofferto nulla durante l'ultima guerra ed i greci che vi si trovano non abbandonarono, come in altri villaggi, le loro case, confidando nelle buone relazioni che mantengono coi compaesani mussulmani. Ed ebbero ragione, sebbene una brigata turca sboccasse per Klephti Ghedik a Dereli, nulla venne manomesso o guastato. I turchi di Dereli, strana cosa, sono quasi tutti biondo-chiari: la loro taglia robusta contrasta con la piccola e gracile conformazione dei greci. Vedo molte donne e fanciulle greche che hanno tattuato all'origine del naso fra le due ciglia una croce greca. I turchi ed i greci di Dereli parlano comrnistamente i due idiomi. Il paese è molto esteso, perohé ogni casupola ha un pezzo di orto o giardino all'intorno, chiuso da muro fatto di ciottoli. Vi abbondano i melograni. Sul piazzale principale sorgono platani colossali, uno dei quali ha almeno tre metri di diametro. Nei dintorni dalla parte sud ed ovest del villaggio sonvi estesi vigneti. Presso Dereli finisce il contrafforte roccioso di Kokkìnopetra con unà fila di collinette tondeggianti coperte di terra vegetale che si protendono nella pianura fin presso il Salamorias e dividono il corso del Kodrisiotiko Tchair dal rio che scende da Monte Godaman.

Dando ai turchi le alture di Kokkinopetra fino all'altezza di Dereli (come abbiamo deciso) vuol dire renderli padroni in caso di ostilità dell'imbocco della valle di Tempe: perciò i delegati greci protestarono.

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Mulattiera Dereli-Karatseren. Cascitar. Tempo sereno. Riprendiamo alle 8 e trenta del mattino il lavoro di delimitazione abbandonando il Kodrisiotico Tchair ad un chilometro a nord del ponte di Dereli e procediamo in direzione di ovest e nord fissando i termini 31, 32, 33, 34, 35 e 36. L'ultimo limite è stabilito dal delegato francese e da me, rifiutandosi gli altri più o meno palesemente di arrampicarsi sui greppi dei contrafforti di Kokkinopetra. Alle 3 si cessa il lavoro, raggiungendo gli altri a Cascitar, ruine di un villaggio turco abbandonato dai mussulmani nel 1882 quando la Tessaglia fu ceduta alla Grecia. Non vi sono che 10 o 12 case abitabili dentro cui, durante l'inverno, trovano ricovero diverse famiglie cutzo-valacchi (chiamati comunemente vlachi) che nel resto dell'anno dimorano su peì monti attendendo alla pastorizia. A Cascitar troviamo la mulattiera che da Dereli conduce a Mussalar e Karatseren (Karacioli dei greci). Essa è difficile sia per le pendenze, sia per la natura rocciosa del terreno che attraversa. Va in direzione N.E.-S.E. attraversando numerosi contrafforti che separano vari rii, molti dei quali senza nome, scendenti al piano dalla catena principale fra Godaman e Valetsiko. La colonna per uno diventa estremamente lunga a causa delle difficolaà offerte dalla mulattiera: in più si è costretti di scendere di cavallo per superare passaggi pericolosi: la testa, ove stanno le guide, non si arresta per dar 1!=!mpo al resto di serrare sotto le distanze e quando la notte ci sorprende l a coda, dove io mi trovo, smarrisce la strada. Il vento che fischia fra le gole impedisce che alla testa si odano i segnali di tromba fatti suonare in ooda per avere la direzione della marcia. Mi dirigo con un suvari (soldato di cavalleria) ad un lumicino ohe apparisce sul monte alla mia destra per far venire una guida con me: è un addiaccio di pastori greci che fuggono all'apparire del soldato turco. Riesco infine a farmi seguire da uno di loro il quale accompagna me ed il resto della colonna a Mussalar nella grande pianura a sud del passo di Meluna. Là troviamo la strada carrettabile MussalarKutair-Karatseren seguendo la quale arriviamo a Karatseren alle ore 7 di sera, un'ora più tardi della testa della colonna. Fra i monti echeggiano ululati di lupi che vagano attorno ai numerosi greggi riparati nella notte entro recinti spinosi che ricordano le « Zeriba » del Sudan. Alloggio col delegato inglese e col francese in una stamberga con tetto che lascia vedere le stelle e con pavimento sconnesso in legno, attraverso il quale si scorgono gli animali che sono al riparo in una stalla.

Da Dereli a Karatseren la colonna del nostro bagaglio ha impiegato 6 ore senza gli alt.

30 ottobre

1Mati-Karatseren-Mussalar. Kutavi-Karatseren. Cielo sereno, vento di nord. Aria rigida. Avendo il governo turco impedito ai

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delegati greci di corrispondere in cifra col governo d'Atene, essi dichiararono di non poter continuare a prender parte ai lavori di delimitazione. Si sospende quindi il tracciamento della frontiera e se ne informano gli ambasciatori a Costantinopoli.

Approfitto della sosta per visitare i dintorni di Karatseren e Mati dove ebbe luogo uno dei primi combattimenti fra turchi e greci dopo che quelli superarono il passo di Meluna. Presso Musalar, Kutavi, Karatscren e Ligaria-Karaderé i monti finiscono direttamente su una pianura regolare com'è quella che circonda Larissa. Si scorge che in tempi preistorici un immenso lago lambiva i piedi di questi versanti. Il terreno privo di ciottoli è anche adesso in più punti palustre e la regione è tormentata dalle febbri

A Kutavi (a sud di Karatseren, a una distanza di tre chilometri o poco più) trovo le prime traccie di incendi commessi dai turchi. Kutavi è un villaggio di forse SO case abitate da coltivatori greci, i quali sostituirono in gran parte nel 1882 i contadini turchi che ne emigrarono per trasferirsi in Anatolia in terre concesse loro dal sultano Vi sono ruine di case turche abbandonate e di una moschea, della qua]e resta ancora in piedi il minareto. Queste ruine concorrono a rendere più triste l'aspetto del villaggio c ad esagerare le distruzioni commesse dai turchi. Ed i greci, sempre in malafede, confondono le ruine di 17 anni or sono con i guasti recenti. Il villaggio è quasi deserto, la maggior parte degli abitanti essendo fuggita al ritirarsi delle truppe greche. Qui come più tardi altrove, constato che gli ottomani si sono abbandonati al saccheggio ed agli incendi là soltanto ove trovarono case abbandonate ed al principio delle ostilità; dove invece gli abitanti rimasero e nei centri abitati più addentro al pa..::se conquistato non commisero alcun atto selvaggio. Presso Kutavi trovo un esteso accampamento di zingari che vivono sotto tende coniche e che sono intenti a battere il grano, che hanno spigolato pei campi abbandonati. Il villaggio è congiunto con quello di Mussalar per una discreta rotabile che continua poi, dopo attraversato il Xerias, per Bai Tatar e Larissa. Da Kutavi una buona stradiCciuola transitabile all'artiglieria da campagna arriva a Karatsercn donde, trasformata in sentiero, continua fino a Ligaria per unirsi alla strada Tirnovo-Meluna-Elassona. I1 terreno del resto, esclusi i tratti paludosi, è percorribile dovunque alle tre armi. Unica difficoltà è un rio che nasce a Mati (e che perciò prende il nome di Rio Mati) il quale è pantanoso e non può essere attraversato se non su un ponte di pietra a diversi archi al quale fanno capo vari sentieri provenienti da Kutavi e da Karatseren. Dal ponte parte una carrareccia che con direzione da est ad ovest raggiunge la strada Tirnovo-Meluna-Elassona. Chiamasi Mati una sorgente d'acqua potabile che sgorga in numerose pelle ai piedi delle montagne rocciose (calcare saccaroide) che trovansi comprese nel tratto della frontiera fra Meluna-Kurtsovali.

Karatseren è un grosso villaggio diviso in due da un rio a

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scarpate rocciose e ripide il quale sbocca poco lontano da Karatseren nel rio di Mati. Un ponte in pietra ad un arco atto al passaggio di sole bestie da soma riunisce le due porzioni di villaggio. Più a mont·e di questo un altro ponticello della medesima porta ad un mulino con ruote a cassetto, il solo che il paese possegga. Quale sia la popolazione di Karatseren in tempi normali è difficile l'arguirlo. Il paese quasi completamente abbandonato durante la guerra fu in parte incendiato dai turchi, d'altra parte anch'esso come Kutavi ha vecchie ruine datanti all'epoca dell'emigrazione mussulmana del 1882 le quali si confondono coi guasti recentemente sofferti. Comunque sia, da ciò che rimane, risulta che gli abitanti devono vivere agiatamente col ricavato dei campi di grano e del prodotto del bestiame bovino che nella vallata del Mati trova pascoli eccellenti. Anche la nuova chiesa greca costrutta in blocchi squadrati e lasciata intatta dai turchi dimostra il benessere del paese.

Un'altra banda di zingari ha messo il campo in vicinanza del villaggio: essi pure come .quelli di Kutavi battono e vagliano il grano che hanno racimolato dovunque. Hanno aspett-o miserissimo e mostrano di soffrire per il clima rigido che fa; hanno numerosi fanciulli travagliati da febbri e da itterizia; le donne si alimentano con mais cotto nell'acqua. Li faccio interrogare e mi dicono dipendere essi, come quelli di Kutavi e come altri sparsi in villaggi vicini, da un capo che risiede a Larissa al quale verseranno poi il ricavato della loro campagna: il capo poi si incarica dell'amministrazione dell'intera tribù. Parlano greco e turco ed un poco l'albanese e ]o slavo, hanno capelli ed occhi nerissimi, carnagione olivastro-scura, uomini e donne vestono brache larghe alla turca; queste ultime hanno profilo regolare e resti di passata beltà.

31 ottobre

Ligarìa-Karatseren. Cielo sereno, leggero vento di nord, nella notte è gelato. Continua la sospensione dei lavori; impiego parte della giornata percorrendo il terreno fra KaratserencLigaria e Ma ti.

Fra Karatseren ed il ponte di Mati riconosco una lunga linea di trincee per fanteria costrutte dai greci dopo che furono respinti da Meluna e da Kurtsovali. Le trincee sono profonde circa metri 1,30, dovevano servire quindi per soldati in piedi. Non mi so spiegare la opportunità di tale difesa senza tenere occupati fortemente i contrafforti che dal Menexé e dal Valetsiko scendono su Karatseren, cosa che i greci oon fecero. Bastò che un distaccamento turco percorresse la cresta di quei con· trafforti per determinare lo sgombro dì ·quelle trincee fatte su un terreno piano e dominato sulla destra. Presso Karatseren, appunto sulla destra delle trincee greche, con andamento pressochè normale a quelle, trovo numerose « buche da bersagliere » costrutte dai battaglioni turchi (l• Divisione) che accamparono colà dopo forzato il passo di Meluna

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Ligaria è un piccolo villaggio di una sessantina di case che sorge sopra un cono di deiezione ai piedi del versante meridionale di Menexé. Le case furono in gran parte distrutte durante i combattimenti presso Meluna, il resto lo fecero i battaglioni albanesi, che vi penetrarono per primi. All'interno il paese ha qualche sterile campo, j] resto è a pascolo.

l novembre

Da Karatseren ad Elassona. Strada rotabile Tirnovo-Meluna-Elassona. Caserme ed ospedale militare. Cielo sereno, aria pungente; durante la notte ha gelato. Continuando la sosta nei lavori mi accordo col collega inglese colonnello Pausonby e col delegato francese, capitano De Chapelles per fare una puntata fino ad EJassona attraverso il passo di Meluna. I turchi ci mettono a disposizione i cavalli con 3 ordinanze e lasciamo Karatseren alle 10 ant. Seguiamo il sentiero Karatseren-Ligaria il quale è in tali da permetterei il trotto. Per giungere al passo di Meluna vi sono due vie; una rotabile, costrutta dai greci prima della guerra, si distacca dalla strada Tirnovo-Ligaria ad un chilometro e mezzo prima di giungere al villaggio e rimonta con diversi risvolti il versante della montagna fmo a giungere alla insellatura di Meluna; l'altra è una mulattiera che da Ligaria rimonta la valletta conducente al passo di Meluna. La prima ha larghezza da metri 3 a metri 3,50 e pendenze che non superano 1'8%; la seconda è ripida e per tutto il suo percorso è lastricata col solito « calderen » il quale però in più punti è rovinato ed in altri è ingombro da massi caduti dal monte. Noi seguiamo questa seconda, e nell'ultimo tratto siamo obbligati a soendere da cavallo e ad arrampicarci alla meglio fino a raggiungere la nuova strada in cui sbocca la mulattiera.

Alle una arriviamo al colle, larga insellatura con profondità di forse 40 metri: vi scorgiamo gli avanzi di blokhouse greci e turchi distrutti. Vi è attendato un presidio turco di 2 compagnie appartenenti al battaglione redif di Melnik: il resto del battaglione è al piano di Mati e in diversi villaggi con centro a Tirnovo.

Il Bimbasci comandante il battaglione è 'molto gentile con noi: colla solita ospitalità turca ci fa servire caffè e sigarette e poi ci fa visitare le cucine e le provviste :viveri del battaglione. Vt'· troviamo carne di mont<me, riso di qualità eccellente, pane bianchissimo che giornalmente viene da Elassona, burro mediocre. I soldati hanno due ranci al giorno: in complesso ricevono 800 dracme di carne (240 gr), 50 di riso (150 grammi), 250 di pane (750 gr) e 20 di burro (60 gr). I soldati stanno a 15 o 16 per tenda e la forza complessiva delle due compagnie è di 380 uomini. Oltre alle tende vi sono due file di baracche fatte in tronchi d'alberi e ricoperte di paglia e fieno, sotto cui trovano ricovero una cinquantina di cavalli da trasporto. Questi non ricevono dall'amministrazione militare che una razione di orzo, il resto (paglia e fieno) lo procurano sul luogo inviandoli a pa-

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scolare al piano ed incaricando drappelli di uomini di raccogliere nelle campagne circostanti erba e fieno. Rimango meravigliato alla vista dei begli uomini da cui il distaccamento è composto: sono alti di statura, dalla muscolatura atletica con gambe solide e ben sviluppate, hanno aria allegra e si mostrano fieri di essere passati in rivista da noi, ufficiali stranieri.

Poco dopo mezzogiorno abbandoniamo il colle per dirigerci ad Elassona. Vi conducono due strade: una, l'antica, buona mulattiera che scende per la sponda destra del rio che dal passo di Meluna scende al piano di Elassona; l'altra una strada carrozziabile a fondo artificiale costrutta dal genio turco appena invasa la Tessaglia. La mulattiera è larga abbastanza da permettere il passaggio a batterie di campagna trainate a braccia, come fu fatto nella recente guerra; la strada carrozzabile ha larghezza e pendenza eguali a quelle della strada rotabile costrutta dai greci sul versante opposto. Si sviluppa lungo le pendici della montagna che costeggia a sinistra il rio summenzionato. Come si trovava allora essa era in ottime condizioni di traino. Da Meluna noi seguiamo per un tratto la nuova strada, quindi per economia di tempo· prendiamo la mulattiera, che è quella ordinariamente percorsa dai pedoni e dai quadrupedi da soma. Ai piedi del colle s'apre il piano di Elassona, larga conca quasi circolare di circa sette chilometri di diametro a nord della quale sta la città. Dai piedi del colle di Meluna due strade conducono ad Elassona: una in linea retta con larghezza da dieci a quindici metri, l'altra che piega un poco a destra e passa per Tsaratsani (villaggio greco) e di là si dirige poi ad Elassona. Seguiamo la prima che è più breve ed in ottimo stato sebbene sia a fondo naturale. Il piano di Elassona è fertile, sgombro di sassi, senza alberi, percorribile in tutti i sensi; soltanto dalla parte di Tsaratsani la campagna è alberata con predominio di oliveti: la parte non messa a grano è a pascoli dove vagano numerosi bovini.

Arriviamo alle 2 pomeridiane ad Elassona: è un piccolo paese di forse 2.000 abitanti o poco più con magigoranz.a di turchi a giudicare dalle quattro moschee che drizzano in alto i loro minareti e da due estesi cimiteri turchi che incontriamo a destra e a sinistra della strada prima di entrare nel paese. A nord della città su un monticello lambito ai piedi da due rii che si riuniscono proprio sotto Elasosna sorge una grande costruzione informe a guisa di castello; è il monastero greco di Panaghia. Ad esso mena una buona mulatitera i cui risvolti si disegnano netti sul fondo oscuro del monticello.

Elassona è centro importante di comunicazione, da essa infatti parte: l) la buona rotabile passante per Selfigié-KailarSorovie (stazione sulla linea Salonicco-Monastir), rotabile che servì come principale linea di comunicazione e di rifornimento per l'armata di Tessaglia durante la recente campagna; 2) la carrareccia Osmanli-Culinaros-Salonicco che si distacca dalla precedente ad una quindicina di chilometri a nord di Elassona;·

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3) la rotabile Elassona-Syria-Valle dello Xerio-Tirnovo colla diramazione, pure rotabile, Damasi-valle del Salamorias-Gunitza, dalla quale si diparte poi la sotto-diramazione di Valle di Salamorias-Kutz6chero; 4) la strada, attualmente in ottime condizioni, di traino Elassona-Colle di Meluna-Tirnovo con la diramazione carrareccia di Mussalar-Delivev-Larissa; 5) una buona mulattiera a pendenze non forti adattate durante il periodo di concentramento al rassaggio di artiglieria da campagna, la quale da Elassona rimontando la valle del rio Diava guadagna il piano di Konispoli, passa per Karya dove discende poi al mare lungo la gola di Kariali fra la catena dell'Olimpo e quella del Basso Olimpo.

A Elassona prima della rottura delle ostilità fu il 2° reggimento dell 'armata di Tessaglia ed il nucleo maggiore delle forze turche: ora a me è sembrato che tutto ciò fosse troppo dappresso alla frontiera i cui punti più forti e dominanti, quale Monte Menexé, l'insellatura del Colle di Meluna e H. Helias erano in possesso dei greci.

Facciamo visita al generale di briga·ta Sefket pascià, comandante militare della piazza che ci dice esservi in quel momento ad Elassona soltanto tre battaglioni redif della brigata di Angora: ci fa vedere la situazione da cui risulta la forza dei battaglioni essere in media di 980 uomini. In parte essi sono alloggiati nella caserma del presidio normale di Elassona (2 battaglioni nizam) in parte sono accantonati in paese. ·

La caserma è posta a cinquecento metri fuori della città dal lato ovest , sulla sinistra di Elassona, con attorno numerose . baracche, parte in legno e parte in muratura, nelle quali scorgo materiali diversi di guerra, affusti, carri da trasporto, pai.noli per artiglierie d'assedio, omnibus per ambulanze ecc. A circa duecento metri ad ovest della caserma, sempre sulla sinistra di Elassona, sorge un piccolo ospedale militare che conterrà al massimo cinquanta letti. A giudicare dall'esterno (mancandoci il tempo per visitarli internamente) tanto la caserma quanto l'ospedale hanno apparenza di buone costruzioni in ottimo stato.

Alle 3 pomeridiane o poco dopo ci rimettiamo in marcia per il ritorno. Il sole che tramonta illumina la cima di Menexé su cui si distacca la tinta bianca della caserma difensiva che vi avevano i greci. Il Menexé scende aspro e roccioso fino sul piano di Elassona, e si capisce come colà i greci abbiano potuto opporre una tenace resistenza, la sola, agli attacchi dei battaglioni turchi (l divisione). Il tenente colonnello Hamdi bey che era allora capo di stato maggiore della l" divisione mi raccontò che l'attacco del colle di Meluna iu veramente difficile. Occupato da dieci battaglioni di euzones (le migliori truppe greche, qualche cosa fra i nostri bersaglieri e gli alpini) e da due batterie, con in mano la forte posizione di Menexé che ha vista e dominio su tutta la pianura di Elassona, costituiva

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una vera fortezza naturale e non si venne a capo dell'impresa che facendo salire le pendici dei monti durante la notLe ed alcuni battaglioni della 1· divisione con in testa altri battaglioni albanesi. Durante le tenebre fu un continuo far fuoco all'impazzata con nessun effetto da entrambe le parti, ma all'albeggiare i greci, vistìsì stretti così da vicino, sgombrarono frettolosamente su Matì e su Mussalar.

Rientriamo alle 6 di sera a Karatseren dopo aver trottato da Elassona alla salita del c olle di Meluna, e da Ligaria a Karatseren.

2 novembre.

Da Karatseren a Karya. Mulattiera passante fra le cime di Suvlismeno e Godaman. Karya. Tempo coperto· vento di sud-est. Regolate le faccende relative alla corrispondenza cifrata dei dclegati greci riprendiamo i lavori di delimitazione. Ci trasferiamo perciò a Karya per completare la frontiera attorno a Nezeros; noi tutti abbiamo ricevuto istruzioni di non cedere ai turchi né il villaggio né il lago.

Partiamo alle 8 c trenta da Karatseren, discendiamo per un'ora circa in direzione di sud-est lungo un sentiero che rasenta i piedi delle montagne , rimontiamo quindi verso nord per una valletta che mette in quella di rio Argyropulo. Di qui saliamo per la destra del rio fino al colle che travasi fra la cima di Suvlismeno e quella di Godaman. Il sentiero è difficile, corre lungo le rientranze di strati di roccia calcare che hanno pendenza ai pendii delle montagne. Il sentiero ha spesso alti gradini naturali di oltre cinquanta centimetri di altezza sui quali i nostri cavalli di Anatolia si arrampicano in modo meraviglioso. Si marcia naturalmente per uno e si avanza lentamente; arriviamo al colle verso le 3 pomeridiane dove facciamo un alt di mezzora. Qui vi sono due blokhouse uno greco ed uno turco, distrutti dal fuoco durante la guerra: distano fra loro non più di dieci metri! Apprendo con slupore che caduta Meluna in possesso dei turchi, questi fecero sfilare per di qui una brigata di fanteria, proveniente da Karya colla colonna munizioni e col bagaglio. diretta a Mussalar.

La discesa dal colle alla piana di Konispoli è meno disagevole della salita da Karatseren, sebbene il sentiero si svolge lungo il versante settentrionale dei monti. La piana di Konispoli è di circa mille metri più elevata di quella di Mati-Karatseren, quindi la discesa del colle è anche più breve. Al fondo della vallata, larga poco o meno di un chilometro, il cammino è facile. Il Ziliana che la percorre ha prodotto alte erosioni che bisogna scendere e rimontare per giungere a Karya: il rio è largo in questa stagione 3 metri circa è poco profondo e guadabile ovunque. Arriviamo a Karya alle 5 e trenta.

Il villaggio di Karya (che i turchi chiamano Coschioi o villaggio delle nocciuole) travasi a sessanta metri circa sul

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fondo delal valle su un cono di deiezione scendente da una insenatura rocciosa dell'Olimpo: è la riunione di un centinaio di case rustiche mal custodite e peggio costrutte esposte ad ogni intemferia. Gli abitanti sono greci la cui sporcizia è incredibile. I terreno della valle è a pascoli per bovini, ho visto anche giumente con puledri, buoi e cavalli sono di piccola statura. Sulla falde dell'Olimpo e del basso Olimpo brulicano greggi di pecore e capre.

A Karya trovo due battaglioni redif distaccati da Elassona: la forza di uno è di 1.100 uomini, queHa dell'altro di 900. I due bimbasci che ne hanno il comando vengono a farci visita: uno di essi è turco di Costantinopoli e ci racconta la sua vita militare lamentandosi di essere bimbasci (maggiore) da diciotto anni. Fu compagno di scuola di Riza pascià, attuale ministro della Guerra e ripete con amarezza: « lui.è pascià e ministro ed io sono sempre bimbasci ». Parla un po' il francese e un po' l'italiano cui dissemi di aver appreso a Scutari di Albania; eccettuato il VI Ordù (Bagdad) fu di guarnigione in tutte le province dell'Impero compreso Tripoli di Barberia e lo Yemen; prese parte alla guerra contro il Montenegro e contro i russi. E' un omettino piccolo e tarchiato dagli occhi vivi e mobilissimi: manca d'aspetto militare e, se non ha pecche politiche, molto probabilmente deve al suo fisico infelice il ristagno nella sua carriera. Tipo ben diverso da questo è l'altro bimbasci suo collega. E' un bel soldato di forse 35 anni, nativo di Trebisonda: è ben vestito, quasi elegante e porta con se un capitano circasso il quale parla correntemente il francese ed il russo. Da questi ultimi abbiamo informazioni sulle truppe qui di presidio, sul loro stato sanitario (una dozzina di malati in tutto), sul clima del paese che ci disse essere secco, sano , ma fredissimo.

Karya ha una caserma divisa in due fabbricati quasi identici nei quali può alloggiare un battaglione sul piede di pace: uno dei due fabbricati è occupato attualmente dagli ufficiali: le truppe che non possono alloggiare nel secondo (capace di 200 uomini al massimo) sono accampate in un prato a sud delle due casermette.

I nostri bagagli coi viveri arrivano a notte tarda, per cui rimaniamo senza pranzo. Gli ufficiali turchi ci inviano pane fresco bianchissimo, formaggio del paese e mestica (liquore comune in Oriente). Della colonna bagagli fortunatamente primi ad arrivare sono i nostri letti da campo per cui verso le 11 dì seraJossiamo coricarci. La stanza che occupo con due colleghi è m riparata dal freddo vento di nord che entra per il tetto e per le fessure delle finestre senza vetri; siamo perciò costretti a tenere acceso il fuoco durante tutta la notte.

3 novembre.

Da Karya a Nezeros. Nezeros. Conca e lago di Nezeros. Cielo sereno. Si parte da Karya alle 8 e trenta per Nezeros: il tempo

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è splendido, l'aria purissima e l'Olimpo si presenta in tutta la sua maestà colle nevi scintillanti al sole. Non ha configurazione tipica come le nostre Alpi: le sue diverse cime sono tondeggianti e spoglie di vegetazione, piu in basso appariscono pini ma radi; le estreme pendici terminanti sul Kanali coperte da poca terra vegetale lasciano affiorare rocce calcari compatte. Riconosco che la località Paleocastro su uno sperone a N.O. di Karya non presenta alcuna vestigia di vecchio castello o fortificazione qualsiasi, come dovrebbe indicare il suo nome. Per trasferirei a Nezeros seguiamo daprima una stradicciuola che può rendersi facilmente praticabile ai carri, la quale per la gola di Kanali va al mare e vi raggiunge la strada Platamona-Lithocorio-Catterina. Dopo mezz'ora di cammino traversiamo lo Ziliana e prendiamo un . buon sentiero non segnato nella carta dell'Ardagh che conduce al blokhouse Marchese situato sul colle che trovasi fra le cime di Analipsis ed Elaton. Incontriamo in più punti ghiaccio e tratti con neve ed attraversiamo boschi di pini ed abeti nani. Alle 9 e trenta siamo al blokhouse occupato da ventitré uomini redif di Yusgat (distaccati da Karya). Il blokhouse fu distrutto al rompere delle ostilità, quindi i soldati hanno tende: il freddo intenso ha però suggerito loro di costruirsi dei curbis molto profondi nel terreno e ricoperti da un grosso strato di frasche di pini e di terra. Dopo un alt di dieci minuti, in cui ho tempo di meglio abbracciare l'intera vista dell'Olimpo. discendiamo ad Haghios Athanasios dove ci congiungiamo con una parte dei delegati che ha seguito il sentiero meno ripido ma più lungo passante per il colle a nord di Monte Elaton.

Ad H. Athanasios, meschina cappelletta posta sul limite della vecchia frontiera, riprendiamo il lavoro di delimitazione attorno alla conca di Nezeros. La collinetta su cui sorge la cappella è munita di trincea per fanteria fatta dai greci: è strano vedere come nel costruire i parapetti abbiano collocato la terra in basso e coronata la linea di fuoco con pietre. La cappella doveva servire come deposito delle munizioni, ché si vede una trincea arrivare fino al muro di essa che è perforato in quel punto per dar passaggio ad un uomo chino.

Da H. Athanasios giriamo sulle falde dei monti che circondano il lago di Nezeros dalla parte orientale e fissiamo i termini fino al colle di Pangiolo, dove il tracciato della frontiera si riunisce a quello precedentemente stabilito; verso le 5 si rientra a Nezeros seguendo la strada Pangiolo-Nezeros, buona mulattiera che corre tutta piana lungo la riva orientale del lago ed ha ·in più punti il « caMerem » o marciapiede in rialzo su cui si può transitare anche quando il lago cresce ed inonda la parte più bassa della conca di Nezeros.

Nezeros è un villaggio greco presso a poco come Karya. Constato una quindicina di case distrutte da incendio disse· minate per il villaggio Furono esse abbrutiate durante i combattimenti fra greci e turchi o lo furono di poi per rappresaglia

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dai turchi visitatori? Per quanto abbia fatto non ho potuto appurar nulla: ché i greci dicono una cosa e i turchi un'altra. Il lago di Nezeros e i monti che lo circondano mi rammentano in modo singolare la nostra conca di Colfiorito fra Foligno e Camerino. Le acque del lago sono poco profonde, il fondo ne è melmoso ed i numerosi canneti che nascono sulle rive e verso il centro gli danno piuttosto l'aspetto di una grande palude. E' ricco di pesci che forma la ricchezza principale di Nezeros. Il lago non ha emissario ma come quello di Colfiorito, verso Nord-ovest, alcuni crepacci rocciosi nella montagna formano una specie di grande imbuto in cui ad acque basse il lago si scarica. La natura calcare del terreno spiega questo fenomeno. In inverno e primavera, quando le caverne interne del monte sono ricolme e non ricevono più, il lago straripa ed inonda i terreni circostanti. Si vuole che dalle caverne del'Analipsis le acque avvivino una sorgente dello Ziliana. Verso est e verso sud, fra la rive del lago ed il piede delle montagne resta una lunga striscia di terreno pianeggiante coltivata a canape; verso nord e verso ovest questa striscia è angusta ed è messa quasi eclusivamente a pascolo per bovini ed ovini.

I turchi sono molto remissivi sul tracciamento della frontiera e lasciano volontariamente ai greci tutti i terreni coltivati o coltivabili della conca: eppure i delegati greci trovano modo di lamentarsi.

4 novembre.

Da Nezeros a .Dereli. Continua il bel tempo. Si riprende alle 8 il lavoro da Nezeros verso ovest. All'una siamo a Struti Gurza dove raggiungiamo H tracciato già fatto giorni innanzi. Le vette delle montagne sono quasi piane come spesso accade nell'Appennino emiliano, con eccellenti pascoli per ogni specie di bestiame. Fra Struti Gurza e il Colle di Khlepthi Ghedik s'incontrano lunghe lìnee di trincee greche fatte di sassi sebbene vi sia uno strato di humus abbastanza spesso da permettere trinceramenti in terra.

Alle due si lascia Struti Gurza per discendere a Dereli: si tratta di passare da 1.400 metri di altitudine a 300. Per non ripetere la marcia faticosa del 27 ottobre per le vette dei monti raggiungiamo il sentiero di Klephti Ghedik che può essere percorso dai cavalli. Esso è pessimo, corre a mezza costa sulla destra del Kodrisiotico Tchair: il rio serpeggia fra rocce quasi verticali come se fossero state erose dalle acque del rio stesso. Il versante del Kokkinopetra (pietra rossa), lungo il quale si svolge il sentiero da noi percorso, è tutto roccioso con pochi cespugli inadatti al pascolo: invece il versante a sinistra del rio, meno ripido e ricoperto di verdure, spesseggia di gre!:!gì numerose. Passiamo sotto Olimpias, abituri non segnati nella carta dell'Ardagh; ad esso i greci danno il pomposo nome di villaggio e pretendono che si lasciato alla Grecia. Constatiamo che Olimpias ha cinque case in muratura ed una ventina di

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capanne; è abitata in estate ed autunno da pastori vlachi (cutzovalacchi) i quali d'inverno scendono a svernare a Cascilar; respingiamo perciò le pretese greche.

Nella valle del Kodrisiotico Tchair trovo ciottoli di granito e marmi saccaroidi ma poco compatti e di grana ordinaria. Ad un'ora da Dereli il sentiero scende in fondo alla valle e costeggia il rio fino al ponte che si attraversa per entrare in paese. Giungiamo a Dereli alle 5 di sera.

5 novembre.

Piove. Si decide di prendere un giorno di riposo per redigere i processi verbali: nel pomeriggio il tempo si rimette alquanto .

6 no-vembre.

Cielo coperto: vento di sud-est. Riprendiamo la delimitazione dal termine 36; dopo lunghe discussioni ci accordiamo nello stabilire i termini 37 e 38. Alle 2 pomeridiane ci rimettiamo in marcia per Karatseren dove dobbiamo passare la notte e dove sono già stati avviati nel mattino i nostri bagagli. Percorriamo una mulattiera molto faticosa che corre ad un di· presso parallela all'altra da noi seguita il giorno 29 ottobre: essa scavalca i diversi contrafforti che con direzione generale da nord a sud si staccano dalla linea principale di displuvio e finiscono alla pianura sulla sinistra del Salamorias separando fra loro rio di Godoman, rio Arghyropulo, rio di Psiloraki ecc... Ad ovest del limite 37 nella insenatura di una valletta che scende da Kokkinopetra si scorgono le ruine del villaggio turco di Codrici o Kosderé; a mezz'ora di cammino da questo, in direzione di sud-ovest, vi sono ruine più estese di altro vHlaggio turco chiamato Rigiuni dle quale resta ancora in piedi un elegante minareto. I due villaggi furono abbandonati da popolazioni turche dopo la cessione della Tessaglia alla Grecia. I terreni circostanti a dette ruine portano vestigia di antica coltivazione: ora tutto ha aspetto selvatico.

I contrafforti che scavalchiamo sono ricoperti di cespugli, di olivi selvatici e di una specie di quercia spinosa a piccole ghiande. E' della famiglia degli arbusti, non arriva a due metri di altezza, ha diversi tronchi sottili che partono da un ceppo unico, porta grandi foglie che terminano in punte spinose come i cardi. Sui contrafforti l'humus è scarso: affiorano rocce calcari e schisti poco compatti; nei rii si incontrano ciottoli di marmo saccaroide ma di dimensioni piccole. Fra Kokkinopetra e Godaman la catena principale e le origini dei contrafforti sono composte di rocce nude spoglie di qualsiasi vegetazione e di colore grigiastro scuro: anche a piedi vi si arrampica a stento né vi è traccia di alcun sentiero.

Arriviamo a Karatseren alle 5 di sera.

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Valle dell'Arghyropulo. Tempo bellissimo: nella notte è gelato. Partiamo alle 8 e trenta per la valle di Arghyropulo a riprendere il lavoro dal limite n. 48. Si fissano i limiti 39 e 40, quest'ultimo sopra una insellatura del contrafforte scendente da monte Suvlismeno. Si perde un'infinità di tempo in discussioni inutili specialmente per le esigenze . esageratamente grecofile del delegato tedesco. Guai se politica ed arte militare si confondono! La valle ed i versanti dell'Arghyropulo non sono così selvaggi come quelli attraversati il giorno precedente. n versante occidentale è a dolce declivio con molta terra vegetale e di facile percorribilità a cavallo _anche all'infuori dei sentieri: vi incontriamo numerose capre grigie. L'acqua del rio è limpida; in diverse conche dove essa è più profonda si scorgono guizzare trote di una certa grandezza; presso le sponde l'acqua è gelata. Alle 3 si sospende il lavoro per rientrare a Karatseren. Per non rifare la stessa strada del mattino decido di scavalcare a piedi in direzione di sud-ovest le varie diramazioni scendenti dello Psiloraki e del Valetsiko e arrivare direttamente su Karatseren. Però abbandonata la valle dell'Arghyropulo i monti divengono sempre più aspri e quasi impraticabili con completa assenza di sentieri: il delegato francese mi segue e dopo molte difficoltà riusciamo ad arrivare nella pianura di Karatseren per il rio che entra in detta pianura a 3 chilometri a S.E. del paese. Arriviamo alle 6 e trenta a seren, mezza ora dopo il ritorno degli altrL

8 novembre.

Da Karatseren a Valetsiko. Tempo splendido. Alle 8 e trenta ci dirigiamo sulla dorsale del contrafforte che accompagna da N.O. a S.E. la piana di Ligaria-Karatseren seguendo un sentiero che parte da Karatseren ed è tagliato a zig-zag nella roccia che ha strati calcari paralleli al versante del monte. Il sentiero fu costrutto dai greci prima della guerra per farvi salire pezzi da montagna che furono messi in batteria presso il monastero di Valetsiko a N.E. di monte Menexé. Impieghiamo circa tre quarti d'ora per arrivare alla dorsale; continuiamo in direzione di nord per la cresta che è praticabile, quindi attraversata una vallata rimontiamo sulla dorsale del contrafforte che separa il rio di Psiloraki dal rio scendente a Karatseren. Di qui si vedono benissimo gli ultimi limiti già stabiliti il dì precedente. I greci chiedono che per facilità di tracciamento e per compensarli del troppo terreno perduto in vicinanza di DereU, )a frontiera passi per il co1le che si trova segnato nella carta dell'Ardagh immediatamente a sud del punto dì quota 3.671; i turchi invece insistono perché passi precisamente sulla dorsale dove ci troviamo noi, messa ai voti ed accettata la do· manda dei greci, i delegati ottomani dichiarano di ritirarsi e di cessare dai lavori ritenendosi lesi nei diritti accordati loro dal-

7 novembre.
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l'articolo primo dei preliminari di pace. La comimssione rientra perciò a Karatseren per la medesima strada.

Il lavoro che giornalmente si fa è ben poco: prima le discussioni inutili e prolungate oltre misura, poi la rigidezza della stagione che: l) non ci permette di accampare sul posto e ci obbliga a fare lunghe marce giornaliere per recarci dal luogo di accantbnamento a quello su cui dobbiamo lavorare; 2) non consentirebbe ai cavalli e muli di serenare. Tutto ciò fa sì che il lavoro utile si riduce a tre o quattro ore al giorno.

9 novembre

Tempo sempre bellissimo e freddo . ll lavoro resta sospeso in causa del ritiro dei delegati turchi i quali hanno chiesto istruzioni al loro governo. Nel pomeriggio teniamo una riunione con essi e ci accordiamo di lasciare in sospeso il tratto di frontiera fra il limite n. 40 ed il rio scendente da Valetsiko al piano in direzione sud e sboccante fra Ligaria e Karatseren.

10 novembre.

Tra Karatseren e Ligaria. Karadéré. Cielo coperto, nel mattino cade un po' di pioggia che cessa fra le 9 e le 10. Partiamo alle 8 e ci auampichiamo sulla dorsale del contrafforte che separa il rio di Ligaria che scende fra Valetsiko e Menexé da quello sboccante ad ovest di Karatseren. Si fissano 44 e 45 quindi si scende a Ligaria. Le montagne da noi percorse sono asprissime, un vero ammasso di blocchi calcari fra quali crescono olivi selvatici y roveti bassi. A partire dalla destra del rio di Ligaria andando verso ovest la costituzione geologica dei monti cambia natura: essi r i sultano formati di marmo saccaroide in massi di grandi dimensioni; il marmo è biancastro all'interno, alla superficie le intemperie gli hanno dato un color grigio chiaro. La dimensione dei massi e la mancanza di grandi crepacci in c ui possa raccogliersi terra spiegano l'assenza di vegetazione. Alcuni fili d'erba danno in primavera ed autunno meschino nutrimento a poche capre. Il marmo è di qualità scadente con molte cavità interne che lo rendono inadatto a lavori di qualche finezza.

Il nostro lavoro si arresta al limite n. 48 che è posto sulla collinetta immediatamente a sud di Ligaria. E' la prima volta che si è proceduti alacramente senza inutili discussioni. Rientriamo a Ligaria alle 5 e trenta per la strada da me seguita quando il 1° novembre andai ad Elassona.

1l novembre.

Kurtsiovali. Natura dei monti. Strada Meluna-Tirnovo. Mulattiera per Kurtsiovali. Cie lo sereno, aria freddissima con vento di nord. Ci riportiamo là dove arrivammo colla delimitazione il giorno precedente, mentre il nostro bagaglio si tra-

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sferìsce a Tirnovo passando per il ponte di rio Mati e seguendo la carrareccia e poscia la strada rotabile che va direttamente al paese.

Proseguiamo a stabilire termini sulle montagne di marmo le quali ricordano la nostra Alpe Apuana, sebbene non così elevate. Ci si arrampica a stento a piedi avviando i cavalli a Kurtsiovali per la mulattiera che dalla strada Tirnovo-Meluna rimonta la valletta di Kurtsiovali passante a nord di A. Georghios, (quota 2.066). La frontiera, per non cedere ai turchi Kutrsiovali, considerato come paese greco, fa una grande curva che avvolge quella località: noi per salirvi seguiamo un sentiero scavato nella roccia dai greci nel periodo di preparazione alla guerra. Esso conduce sopra l'altura di Kalavothron dove eressero in sassi trincee per fanteria e ripari per artiglieria da montagna, che ancora sussistono. Kurtsiovali non è un villaggio: è un grande cascinale che appartiene ad una sultana e non valeva davvero la pena dì conservarlo alla Grecia: adesso vi sono 8 o 10 casupole ed una chiesetta greca. Questa e due o tre case furono bruciate durante l'ultima guerra: esistono anche ruine di una cinquantina di case apartenenti a pastori turchi emigrati nel 1882. Kurtsiovali esiste perchà là in alto vi è un altopiano in forma di conca (probabilmente un piccolo bacino lacustre) che è coltivato e segale ed orzo; l'altopiano è ellittico con meno di due chilometri di asse maggiore ed uno di asse minore. Le montagne che Io circondano sono di marmo, come quelle descritte più innanzi. La conca deve essere soggetta alla siccità perché esistono due grandi cisterne scavate nella roccia compatta. L'altopiano finisce ad est sul rio di Kurtsiovali che fa da emissario alle acque esuberanti nell'epoca della pioggie. A sud di Kurtsiovali sopra un'altura che domina la conca e batte le pendici di Pappa Livadho trovo gli avanzi di una batteria greca per tre pezzi da montagna: essa è fatta di un muro a secco di due metri e venti di spessore ed alto tre; è interrotto in tre punti per formare cannoniera ai pezzi: è un vero insulto all'arte fortificatoria. Eppure la conca di Kurtsiovali ha un profondo strato di terra per riempirne dei sacchi a terra!

Col lavoro di delimitazione arriviamo fino allo sbocco di rio di Kurtsiovali nel piano. La strada mulattiera per Kurtsiovali è difficile non tanto per le pendenze quanto per l'ingombro di grossi massi rotolati dai monti: essa segue per una metà del percorso, scendendo da Kurtsiovali, la sinistra del rio, poi passa sulla destra, infine rio e mulattiera si confondono assieme.

Dallo sbocco del rio di Kurtsiovali a Tirnovo impieghiamo un'ora al passo o trotto. Arriviamo a Tirnovo alle 6 di sera.

12 novembre.

Continua la descrizione della strada e del terreno tra Meluna e Tirnovo. Le generalità su Tirnovo. Tempo bello, aria fred-

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dissima, troviamo dovunque l'acqua gelata. Alle 8 e trenta c i riportiamo allo sbocco di rio Kurtsiovali per riprend ere il tracciamento della linea di confine. La st rada Timovo-Meluna che seguiamo per recarci al luogo suindicato è senza fondo e piana fino all'altezza di Acrotiri , cioè per tutto il tratto in cui attraversa un estremo della grande pianura di Larissa, da Acrotiri in poi !ambe le pendici dei monti scavalcando con dolci rampe le piccole accidentalità del terreno: la natura marmorea dei monti le danno fondo artificiale, ma ineguale ora è larga sette od otto metri ora due soltanto. E ' tuttavia eccellente per il traino, sebbene in tutta questa contrada i veicoli di qualsiasi specie scarseggiano. La nuova frontiera che tracciamo corre pressoché parallela alla strada fino ad Acrotiri, mantenendosi da essa ad una distanza variabile fra i 200 o gli 800 metri.

Alle 2 pomeridiane abbiamo raggiunto il punto di quota 1.200 dove la nuova frontitra si collega coll'antica e sospendiamo per questo giorno il lavoro.

La serenità di un cielo purissimo ci permette di abbracciare tutto il panorama dei monti dì Tessaglia: guardando verso sud si presenta alla nostra sinistra la cima dell'Ossa scintilJante di neve, il profilo della vetta di forma conica ricorda il nostro Monviso; più addietro ed a destra si disegna la lunga e sottile cresta del Pélion, al centro formano lo sfondo del quadro i monti Othris tutti coperti di neve; a destra appariscono le ste fantastiche del Pindo cui il sole in mezzo a vapori cosparge di polvere d'oro. Dietro i minareti di Larissa il Karadagh colle colline limitrofe rompe la monotonia della nuda pianura di Tessaglia. Il terreno a sud della strada di Tirnovo-Meluna è in gran parte a pascoli, il resto a campi: il tutto senza alberatura. Vi incontro mandre di buoi e vacche, e verso sera rientrando a Tirnovo sono seguito sulla strada da un gruppo di puledri di forme eleganti, il quale va probabilmente a ricoverarsi in stalle del paese. Richiesto se l'allevamento dei cavalli è qui curato, mi viene risposto che sotto i turchi esso fu già in fiore e che i cavalli tessali sono reputati: ma passata la Tessaglia sOtto la Grecia la produzione dei cavalli fu trascurata ed ora è quasi perduta. Il cavallo di Tessaglia, a giudicare da qualche tipo che vidi a Larissa presso certo Scerif bey (un ricco turco che abita quasi sempre a Parigi), è un po' più alto del cavallo arabo, ed anche più tarchiato, è meno agile di questo e può essere adatto anche al traino di vetture di qualche peso, ricorda però nel complesso il tipo arabo dal quale deve aver certamente del sangue.

Tirnovo è un vero paese, quale lo intendiamo noi, con una popolazione di 3.500 abitanti circa di cui molti israeliti. Ha strade lastricate con grossi blocchi irregolari di marmo tolti alle vicine montagne, le case ben costrutte, parecchie perfino eleganti con giardinetto all'intorno e piazze c mercati con botteghe d'ogni genere.

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Tutto dimostra una certa prosperità negli abitanti. Dicono che i primi turchi entrati a Tirnovo nella recente guerra l'abbiano saccheggiata: così ci narra il proprietario della casa in cui alloggio coi miei colleghi. Esso però è greco, quindi non può essere creduto senza beneficio d'inventario. Constato, è vero, un gran numero di vetri rotti nelle case, ma non vedo nient'altro che possa ricordare le scene selvagge di un saccheggio. Interrogo uno degli ufficiali turchi che prese parte alla campagna e mi racconta con aria di verità che il primo battaglione albanese che entrò in Tirnovo, trovatolo quasi vuoto, si era installato nelle case servendosi di tutto ciò che gli capitava sotto mano, ma che poco dopo furono messi 2 battaglioni nizam di cordone attorno al paese per impedire che truppe proseguenti su Larissa vi entrassero.

Tirnovo è tutta sl.Ù piano sulla sinistra dello Xerias ai piedi del contrafforte principale che scendendo da monte Losfaki con direzione da nord a sud separa la pianura di Tessaglia dàl piano di Damasi. Per la popolazione mussulmana di Tirnovo (300 anime circa) avvi una moschea tuttora in esercizio: altre due moschee di buono stile sono in rovina, solo i minareti restano pressoché intatti. La popolazioné di Tirnovo fuggita in parte all'apparire delle colonne turche, è ora tutta rientrata e attende alla coltivazione dei campi, alle varie industrie (tintorie e concerie di pellami) come in piena pace.

La strada che da Meluna per Tirnovo va a Larissa attraversa all'uscire da Tirnovo lo Xerias: questo ha qui larghezza di letto fra cento e duecento metri. Ordinariamente la strada passa stù fondo del torrente, ma all'epoca · delle piene (fine d'inverno e primavera) serve un ponte di legno lungo cento metri e largo due e mezzo. Il letto dello Xerias ha fondo sabbioso privo di ciottoli e le sponde basse permettono di scendere dovunque nell'alveo del torrente.

13 novembre.

Caserma di Tirnovo. Visita alle batterie che vi alloggiano. Obici da campagna. Strada Tirnovo-Damasì-Elassona. Cielo sereno, aria mite. Si prende un giorno di riposo per la redazione dei processi verbali. Mi reco col collega inglese a visitare la caserma che travasi fuori del paese sulla desta del Xerias, subito passato il ponte. Essa fiancheggia colla sua facciata principale la strada a fondo artificiale Tirnovo-Larissa. La caserma fu costrutta dai turchi verso la fine del 1879 e serviva per due reggimenti di cavalleria e per un distaccamento di artiglieria. Essa deve essere stata una splendida costruzione sopra una superficie di circa trenta mila metri quadrati. Ora però non ne rimane in piedi che una quarta parte: il resto fu distrutto da un incendio all'epoca dello sgombro della Tessaglia da parte dei turchi. Dell'incendio i turchi accusano le popolazioni greche: i greci in· vece ne incolpano i turchi. Nell'ala che ancora sussiste trovan-

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si ora alloggiate quattro batterie d'artiglieria ed una o due compagnie di fanteria. Delle batterie due sono da 9 Krupp ed appartengono al 14° reggimento artiglieria di sede normale a Salonicco; le altre sono la 14• e la 15• batteria del 2° reggimento obici da campagna da 12 Krupp di stanza a Monastir. Sono rientrate da Domokos e sverneranno a Tirnovo. Non è presente in quartiere che uno dei tenenti della 5" batteria di obici che si viene a presentare a noi offrendoci di farci vedere il nuovo materiale. Parla un poco il francese e noi ci aiutiamo col poco turco che conosciamo. Tutte le batterie sono su sei pezzi e tre cassoni: quelle di obici portano in tutto 40 colpi per bocca da fuoco cioè 16 dell'avantreno del pezzo, metà granate e metà shrapnell e 48 nei cassoni, metà e metà. Il materiale e gli accessori sono molto ben tenuti, né si direbbe che le batterie obici sono identiche a quelle che due anni fa vidi a Sofia. Il pezzo oltre alla carica ordinaria ha 8 cariche formate da tanti piccoli sacchetti di 150 grammi di polvere senza fumo: servono per tiri curvi. Il pezzo è munito di un alzoquadrante graduato fino a 4500 metri, ma mi si dice che possa spingere tiro fino a 5500. Bocca da fuoco pesa 460 e 470 chilogrammi. Mi colpisce la costruzione delle ruote, . dove le razze non appoggiano sui gavelli ma direttamente sul cerchione, ed i gavelli servono soltanto a tener fissa la direzione di quelle. Al mio collega inglese (il quale non provenendo come me dall'artiglieria, non · ha conoscenza del mostrò prati· camente l'impiego di alcuni accessori del pezzo, ciò suscita le meraviglie dei cannonieri turchi che ci accompagnano i quali ripetono meravigliati: « Effendi topgi dev » (il signore è artigliere).

Mi sarebbe interessato conoscere qualche particolare sullo impiego fatto a Domokos delle due batterie di obici, ma l'ufficiale mi fa capire che soltanto la 4a batteria aprì il fuoco in quel combattimento ed il capitano che la comandò trovasi ora ammalato a Larissa.

Le batterie di obici hanno la forza di 140 uomini in maggior parte nizam con complemento di redif, e 72 cavalli. Visito la scuderia della sa batteria; i cavalli sono quasi tutti russi e trovansi in mediocre stato di nutrizione, anche le bardature sono in cattivo stato. Gli attacchi sono tutti a collare con sella su tutti i cavalli sottomano; i finimenti sono di cuoio naturale con tirelle di corda, la pariglia di timone sopporta il peso di questi, l'unione dei treni non essendo rigida. Sebbene tutti i condu· centi portino grandi stivali di cuoio che oltrepassano il ginocchio, quello di timone sovrappone alla gamba destra un gam· biere di cuoio naturale rinforzato da una banda in ferro per proteggerlo contro gli urti e gli sfregamenti del timone. Le selle ricordano le nostre, soltanto hanno gli arcioni in ferro e imbottitura al disotto. I cavalli invece di cavezza portano un collare di cuoio con corda e catena indifferentemente.

I soldati delle batterie sono laceri e sporchi in modo incre-

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dibile, hanno però tutti aspetto robusto e sono di umore allegro: chiedo loro se abbiano sofferto durante la campagna, mi rispondono di no, si lamentano soltanto del freddo presente. Li interrogo per sapere qual'è la loro paga e mi dicono di ricevere un mioidie (4 franchi e 20 cent.) al mese, regolarmente pagato. Hanno tutti la medaglia della campagna (della grandezza di un franco con austro a striscie rosse e verdi) che hanno f antasticamente incorniciata a loro capriccio jn cornici e stelle d'argento riunite con catenelle pure d'argento. Dev'essere stata una speculazione degli argentieri ebrei di Larissa.

A Timovo sonvi pure il presidio il 2° battaglione del 24° reggimento nizam e 2 compagnie del battaglione redif di Melnik (il resto lo vidi al colle di Meluna). I ditorni di Tirnovo nella parte meridionale sono ben coltivati; vi sono diverse proprietà cintate con siepi messe a viti e a gelsi, con gruppi d'allberi elevati, specialmente lungo lo Xerias: a nord e ad ovest continua la campagna deserta. La strada Tirnovo-Damaso-Elassona, per il tratto da me percorso fino a Bey-Dermené. è una carrareccia senza fondo, alla stretta di Bey-Dermené mentre la via per Damaso-Eiassona resta sulla sinistra dello Xerias, la seconda carrareccia rimonta la destra del torrente e si riunisce alla strada (pure carrareccia) Damaso-Kutz6chero dietro i due massicci di Sideropaluki e Gunitza, strada che forma pei turchi una linea di spostamento dietro i tre sbocchi di Bey-Dermené, Gunitza e Kutz6chero. Il mulino di Bey-Dermené è distrutto, ed il canale di derivazione segnato nella carta d'Ardagh è esso pure guasto e privo d'acqua.

14

novembre

Da Tirnovo a Gunitza per Bey-Dermené. Descrizione delle strade. Posizioni di Gunitza. Tempo piovigginoso, la nebbia copre in parte la vetta dei monti. Si parte alle 8 e trenta per BeyDermené e ripigliamo il tracciamento della linea di confine di là verso Gunitza. Il lavoro procede spedito perché si tratta di seguire colla frontiera il piede delle montagne. Queste continuano ad avere la costituzione marmorea delle precedenti fra Ligaria e Sideropaluki, soltanto il marmo è più grigio ed ha maggiori cavità interne: vi è qualche cava per trame materiali di costruzione. Da Bey-Dermené a Gunitza esiste una strada transitabile anche ai carri, che lambe le estreme pendici dei monti: ha fondo duro, perché formato da ciottoli rotolati giu per la china. Giunto al Salamorias per arrivare a Guni tza conviene attraversare un guado che in questa stagione è molto profondo: ho parte del mio bagaglio bagnato.

Colla delimitazione della frontiera arriviaç10 verso le 2 pomeridiane al Salamorias: siccome al di là di questo essa deve seguire da vicino le sommità e queste sono coperte della nebbia, così sospendiamo per questo giorno il lavoro. Pioviggina tutta la giornata.

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Guni tza è la riunione di una ventina di capanne parte in pietra e parte in terra con al centro un fabbricato a due piani in buone condizioni, che è il konak del bey, proprietario dei terreni all'intorno, dimorante a Larissa. Gli abitanti, coltivatori o pastori, sono greci i quali vivono in mezzo alla massima sporcizia. Col collega inglese mi è assegnato per alloggio una stanza in una di quelle capanne a cui dà accesso una porticina alta un metro e mezzo. Per impedire che dall'unico finestrino senza vetri penetrino il freddo e la pioggia, siamo costretti di chiuderlo e rimaniamo il resto della giornata a lume acceso.

Gunitza ha a nord-est, 300 metri fuori dell'abitato, una chiesetta greca intorno alla quale si accende viva discussione, ché alcuni pretendono da essa debbano misurarsi i mille metri dietro i quali passerà la nuova frontiera, altri, fra cui io, vogliono che i mille metri siano contati a partire dal centro della fattoria: si finisce per prendere una media e la frontiera passa a novecento passi dalla chiesetta.

Poco a nord del villaggio su una pendice del monte ad occidente della chiesetta dianzi citata vi è un appostamento del sistema Gidoll per sei pezzi da campagna, eretto dai greci per battere lo sbocco della strada di Gunitza: più indietro a 500 metri dalla batteria esiste anche un trinceramento per un centinaio di fucili.

La gola di Gunitza dalla quale sbocca il Salamorias, ha una larghezza sul fondo di cento metri: a destra e sinistra i versanti rocciosi cadono quasi verticalmente sul fiume. La sponda sinistra è percorsa da una rotabile larga poco più di 2 metri: questa si congiunge presso il guado di Gunitza colla carrareccia da noi percorsa proveniente da Bey-Dermené, e a monte della stretta finisce nella carrareccia accennata che serve di linea di spostamento dietro i tre sbocchi di Bey-Dermené, Gunitza e Kutz6chero. La sponda sinistra del fiume è invece rimontata da una mulattiera in buone condizioni, la quale seguendo sempre il piede del Sideropaluki finisce essa pure alla carrareccia di spostamento, dopo aver oltrepassato il Salamorias ed un guado segnato nella carta dell'Ardagh. Il fiume scorre lento, ha una larghezza da venticinque a trenta metri, le acque sono verdognole sebbene si abbiano avute pioggie recenti, il che dimostra che anche nel suo corso superiore la velocità della corrente dev'essere molto piccola. Presso Gunitza le due rive sono fiancheggiate da enormi platani che da lungi nell'immenso piano di Tessaglia designano la posizione di Gi.mitza. Il guado è a valle di questi platani, dove una chiusa con breve derivazione d'acqua fa andare un mulino a tre macine. Sulla sponda sinistra restano in piedi tre archi, avanzi di un vecchio acquedotto: i piedritti sono in pietra da taglio e le volte in mattoni. Chiedo agli ufficiali greci se sanno darmi qualche notizia su quei resti, mi rispondono essere un acquedotto romano che portava l'acqua ad una città esistente presso Bai-

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slar: a me sembra che il lavoro sia molto più recente, consulto la mia «guida», ma essa è muta.

15 novembre

Da Gunitza a Kutz6chero e Zarkos. Posizione di Kutz6chero. Defilé di Zarkos. Nebbia e pioggia. Per non perdere inutilmente il tempo decidiamo di rimettere ad altro giorno sereno la delimita zìone del tratto di frontiera fra Gunitza e Kutz6chero e di tracciare intanto il confine fra Kutz6chero e Zarkos, correndo esso al piano e parallelo alla strada rotabile che mena da Larìssa a Trikala.

Moviamo da Gunìtza alle 9 e trenta, il nostro bagaglio ci segue diretto su Zarkos, dove passeremo poi la notte. Da Gunitza a Kutz6chero la strada che seguiamo è una carrareccia che lambe il piede delle montagne le quali conservano la natura marmo rea delle precedenti, ma con massi meno compatti: la pianura tessala cessa di essere livellata come lo era da Karatseren a Gunitza; ha leggere ondulazioni che ricordano il tratto della campagna romana in vicinanza di Ostia, però le elevazioni hanno andamento più dolce, e le vallette che ne risultano non sono solcate da rii e da erosioni. Il terreno è a campi ed a pascoli, non alberi, non cespugli. ·

Due chilometri prima di arrivare a Kutz6chero incontriamo la strada Larissa-Trikala, che dobbiamo seguire per giungere a Zarkos: è la migliore strada di Tessaglìa, ha fondo artificiale, larghezza da quattro a sei metri, tombini e ponticelli in pietra da taglio; fu costrutta in questo ultimo decennio dal governo elleno.

Kutz6chero è un villaggio greco di sessanta case circa posto sulla destra del Salamorias: non vi riscontro alcuna traccia di incendio o dì saccheggio. Vi si trova di presidio una sessantina di uomini del 3° battaglione del 24° reggimento nizam distaccatovi da Zarkos. Sono soldati bellissimi ed i meglio in assetto ch'io abbia finora incontrato La strada Larissa-Trikala qui manca ancora di ponte sul Salamorìas: per i pedoni esisteva una passerella in legno distrutta dai greci durante la guerra, per i veicoli e per le bestie da soma serve un porto scorrevole capace dì una vettura o di sei animali; in estate ad acque basse vi è anche un guado . La larghezza del fiume è fra venti e venticinque metri, le rive sono ripide: nell'insieme, toltane la vegetazione che manca ricorda il Tevere nel suo corso inferiore.

La gola di montagne entro cui entra il Salamorias, dopo oltrepassato Kutz6chero, è larga dai seicento agli ottocento metri e le due sponde del fiume sono accompagnate da una larga striscia di terreno piano di formazione alluvionale, la quale non presenta alcuna difficoltà alla marcia di numerose truppe in formazioni larghe e poco profonde. Non si comprende perciò come i turchi nella recente guerra, una volta deCiso prendere l'offensiva, non siano sboccati col nucleo maggiore delle forze

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attraverso questo passaggio e per la buona strada Trikala-Laris· sa non siano direttamente marciati su Larissa, minacciando le spalle e la linea di ritirata dei greci disseminati lungo la frontiera orientale. Un ufficiale turco, il colonnello di stato maggiore Riza bey, mi vuole spiegare la cosa dicendo che lo spostare da Elassona a Damaso e Ciac Hissar (Damasuli) il grosso delle forze turche presentava troppe difficoltà logistiche. Ad ovest di Kutz6chero fino all'altezza di roccia Babu il tracciarnento del confine procede spedito, rinunciando i turchi a seguire il piede dei monti e accontentandosi di rimontarne un po' le pendici per lasciare libera la strada Larissa-Trikala.

Il così detto defilé di Zarkos è una gola abbastanza larga (un chilometro circa) formata a sud dal Dobrugia-dagh, massiccio ricoperto da pascoli e di facile percorribilità per truppe a piedi, e a nord dal Babu. Il Salamorias che ne percorre il fondo tutto formato di depositi di alluvione ha cambiato in più punti il suo letto, e le anse abbandonate dal fiume sono ricoperte da erbe altissime dove pascolano buoi e bufali. La Kulé di Zarkos (o torre di Zarkos) che trovasi su una elevazione del terreno in mezzo alla stretta, sulla sinistra del fiume, è una caserma difensiva in muratura a due piani in forma di torre quadrata costrutta dai turchi prima del 1881 e presidiata da un distaccamento a protezione della strada soggetta ad incursione di briganti scendenti dalle montagne di Kutra. I greci lasciarono abbandonata quella caserma, sicché manca di tetto: adesso havvi un piccolo posto turco che abita sotto tende.

Sospendiamo il lavoro alle 4 pomeridiane per trasferirei a Zarkos luogo d'accantonamento. Per giungervi si segue la strada Larissa-Trikala fino all'estremità occidentale del defilé di Zarkos presso le rovine di un vecchio han turco (specie di albergo pubblico): di là si stacca una carrareccia dal fondo ciottoloso che mena al paese. Nel piano di Zarkos incontriamo mandre dì buoi, di bufali e di capre che rientrano alle stalle poste in paese. Da Gunitza a Kutz6chero otto chilometri: da Kutz6chero a Zarkos undici chilometri. Le strade seguite sono sempre piane e permettono di trottare.

16novembre

T .!rreno attorno a Zarkos. Nel mattino pioviggina, dopo le 11 il cielo si rischiara, la temperatura è rnitissima.

Si parte alle 9 per la ripresa dei lavori: dalla vetta del Babu rimontiamo a nord col confine fino alla vetta di quota 1.600 e di là pieghiamo verso ovest attraversando un còntrafforte formato di piccole collinette separanti·il rio d.i Zarkos (che nasce a H. Helias) dall'altro rio che ha la sua origine presso Kutra. Quest'ultimo segna la separazione fra le montagne di costituzione mannorea che finiscono a quota 1.600 e le montagne ad ovest che riprendono carattere normale. Sulle collinette dianzi accennate si incontrano numerose piriti lucenti e ossidi di ferro in

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quantità. Il rio di Kutra lungo la sua riva sinistra è costeggiato da una difficile mulattiera costrutta ultimamente dai greci: questa doveva facilitare le comunicazioni fra Zarkos ed il blokhouse di Kutra, dove avevano intenzione di portarvi artiglierie da montagna. Dalla vetta di quota 1.600 si ha una bella vista verso occidente sulla catena del Pindo ricoperta di neve: rassomiglia nei suoi profili alle Alpi tirolesi, valle dell'Eisak. La nebbia che ne ricopre le falde inferiori fa sembrare più elevate le creste: si disegna bene sull'orizzonte la depressione del colle di Zygos.

Alle 4 pomeridiane si rientra a Zarkos: approfitto del tempo che mi resta per visitare col collega inglese il monastero di Aghios Joannes che gli abitanti di Zarkos mi disserp essere stato saccheggiato ed abbruciato dai turchi. Non dista che mezza ora di cammino dal paese , era quindi facile il verificare de visu se quanto dicevano fosse vero. Il monastero ha l'aria d'un vecchio castello con muro di cinta e fossato all'intorno: la porta è aperta e, entrativi, constatiamo ogni cosa intatta. La chiesa non ha alcun segno di profanazioni e tutti gli arredi sacri sono alloro po· sto. Anche le celle dei frati appariscono non lacche: constatiamo soltanto la grande sporcizia che vi regna, cosa abitudinaria nei conventi ortodossi. Da questo piccolo fatto da me appurato posso dedurre di quante colpe da essi non commesse i turchi portino il fardello .

Fra il monastero e Zarkos sta un accampamento di pastori cutzovalacchi: hanno tende di forma eguale alle nostre ma più grandi (alte circa due metri), i teli sono formati di un tessuto di vello di capra nera colla parte pelosa disposta all'esterno in guisa da renderlo impermeabile all'acqua. Le tende sono allineate come in un accampamento militare: l'interno è pulito, i letti sono abballinati e le suppellettili disposte in ordine. Donne e ragazzi hanno aria sana e robusta, con volti bianchi e rosei, come i nostri montanari delle Marche e dell'Umbria. Il tipo loro, i loro costumi sono completamente differenti da quelli greci: è una razza ben distinta, più forte, più attiva. Parlano fra loro in vlaco, che rassomiglia moltissimo al rumeno, posso perciò dirigere loro qualche frase. Le donne sono intente a fare il bucato nel rio di Zarkos, gli uomini stanno a pascere gli armenti. Sono scesi dai monti per svernare.

17novembre

Da Zarkos a Gritzanon. Strada e mulatticra. Cielo serenoaria mite.

Si completa la frontiera fino a Gritzanon, dove il nuovo confine raggiunge l'antico. Fra il piano di Zarkos e quello di Gri tzanon si frappone un lungo e sottile contrafforte a pendii ripidi e colle vette pianeggianti , attraverso il quale non sonvi sentieri pratiqtbili a bestie da soma. Solamente presso H monastero di A. Joannes una cattiva mulattiera rimonta una veUetta rocciosa per la quale, scavalcando una breve insellalura, si può

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scendere nel rio di Gritzanon e di là al paese. La valle di questo rio è molto selvaggia e presenta difficoltà di cammino anche a uomini isolati. Noi dopo fissato il termine n. 104, per recarci sull'altura dove trovansi le ruine di un vecchlo castello bizantino dominante Gritzanon, invece di scavalcare detta valle rimontiamo la linea di displuvio lungo la quale passava la vecchia frontiera. E' di facile percorribilità quasi orizzontale ed è accompagnata all'origine dei versanti da due sentieri correnti paralleli ad essa. Uno dei sentieri apparteneva ai turchi, l'altro ai greci e servivano di comunicazione fra le diverse coppie di blokhouse disseminate (come fu detto fin dal principio di questo diario ) lungo tutta la frontiera. Più su una lunghezza di 4 chil ometri noi ne incontriamo tre coppie, in ciascuna coppia la distanza fra blokhouse e blokhouse è fra quindici e trenta metri: e si noti che non vi sono mulattiere né sentieri importanti che attraversino la frontiera. Arriviamo così a cavallo ed al trotto alle ruine della fortezza bizantina della quale restano in piedi mura colossali costrutte con massi calcari tolti dalla montagna stessa su cui essa sorgeva. Oltre al castello propriamente detto un lunghissimo muro fiancheggiato da torri quadrate (del quale si può ancora riconoscere il tracciato) scendeva per lo sperone che cade su Gritzanon fino al convento di A. Dimitris e doveva certamente rinchiudere una piccola città le cui traccie sono sparite. Questa posizione dominante la piana di Gritzanon e la mulattiera proveniente dal monastero di A. Joannes resta ora ai turhi, i quali vi costruiranno certamente uno dei soliti blokhouse. Le montagne percorse da A. Joannes a Gritzanon abbondano di minerali di ferro e di rame.

Alle 4 pomeridiane, finito il lavoro, invece di rientrare a Zarkos per la mulattiera passante per il monastero di A. Joannes come fanno gli altri, decido di scendere a Gritzanon, di là prendere la strada che dal paese va a raggiungere la grande rotabile Larissa-Trikal a e rientrare per quella a Zarkos. A me si uniscono i delegati inglese e tedesco.

Gritzanon è una grossa borgata abitata da greci coltivatori ed allevatori di bestiame bovino, di cui ne incontriamo centinaia di capi che rientrano alle loro stalle. La strada che dal paese va a raggiungere la rotabile Larissa-Trikala corre nel primo tratto (di due chilometri circa) lungo l a sponda destra di rio di Gritzanon, passa quindi sulla sinistra, rasenta il piede del contrafforte separante il piano di Gritzanon da quello di Zarkos e dopo oltrepassati i due piccoli villaggi senza importanza di Micro e di Magalo Psioti sbocca nella strada di Larissa-Trikala. La strada di Gritzanon è rotabile, larga da due a tre metri: a Gritzanon come a Zarkos si fa uso di carri trainati da buoi. Sono molto pesanti, hanno due ruote massiccie costrutte con grossi tavoloni: sala e fuso di sala in legno; di tali carri tutti dello stesso modello, ve ne saranno una cinquantina a Zarkos ed una ventina a Gritzanon.

Nell'esame dell'ultimo tratto di frontiera mi persuado una volta di più che il lavoro da noi fatto a Costantinopoli ha molti

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difetti e lacune. Sarebbe stato necessario recarsi prima sui luoghi per avere una giusta idea del terreno , cosa che non poteva essere data esattamente dalle carte che possedevamo. Per esempio dopo Gritzanon la vecchia frontiera da noi lasciata intatta percorre sommità basse a pendici dolci e facilmente praticabili a fanteria ed ad artiglieria da montagna; conveniva quindi nella rettificazione portare il confine verso il piano e dare ai turchi il completo dominio su tutto il terreno antistante.

18 novembre

Da Kutz6chero a . J::;unitza. Tempo sereno. Si decide di completare il tratto di frontiera fra Kutz6chero e Gunitza lasciato in sospeso il giorno 15 in causa della fitta nebbia. Si parte alle 8 e trenta per Kutz6chero e si dirige il bagaglio a Larissa dove contiamo recarci la sera. Alle 4 e trenta pomeridiane abbiamo compiuto il lavoro e partiamo alle 5 da Gunitza pe:J;" Larissa. Il nostro bagaglio da Zarkos ha seguito la rotabile di TrikalaLarissa, noi invece da Gun.itza percorriamo una carrareccia in buone condizioni di traino, la quale seguendo la destra .del Salamorias raggiunge la Trikala-Larissa alcuni chilometri prima di arrivare in questa ultima città. Da Gunitza a Lar:issa impieghiamo (al trotto con qualche minuto di passo) un'ora e mezza.

Alle 9 e trenta di sera i delegati delle grandi potenze tengono una riunione per decidere se si debba procedere nella delimitazione della frontiera oppure se, in previsiom; ,della prossima cattiva stagione, non convenga meglio rimettere la fine del lavoro alla primavera ventura. I delegati russo , tedesco ed austriaco sono per ]a sospensione l'inglese è pure per la sospensione condizionata pe r ò all'accettazione di essa per parte dei turchi e dei greci, io col delegato francese voto per la continuazione dei lavori facendo osservare: 1) che la stagione è ancora buona e che in due settimane od al più in venti giorni possiamo finire; 2) che la impraticabilità del terreno presso Zìgos incomincerà solo in dicembre; 3) che sospendere ora i lavori vuol dire (come telegrafai appunto all'ambasciatore) rimetterli a maggio venturo; 4) che credeva interpretare l'intenzione degli ambasciatori cercando di finire la delimitazione il piu presto possibile, acciocché, in caso di evacuazione della Tessaglia da parte dei turchi, la frontiera jncompiuta non desse luogo a difficoltà. La decisione della maggioranza porta per risultato che il delegato tedesco e l'austriaco decidono di partire per Costantinopoli l'indomani.

19 novembre

Larissa. Edhem pascìà. Ali Riza pascià. I greci ed i turchi rifiutano la cessazione del lavoro: anche il delegato russo conviene che in questo caso bisogna proseguire

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la delimitazione, ma il tedesco e l'austriaco partono malgrado che si trovino in minoranza. Si telegrafa l'acaduto ai rispettivi ambasciatori e si attendono istruzioni.

Nel pomerigigo faccio visita ad Edhem pascià che dal giorno 14 ha trasferito qui da Damakos il suo quartier generale. E' un uomo di 56 anni di fisico asciutto, dall'occhio vivo e mobile: di razza lo si direbbe arabo se non lo tradisse il naso carnoso e leggermente ricurvo dagli osmanli. Dalla conversazione avuta con lui ha avuta l'impressione esser egli uomo di cultura militare mediocre ma di molto buon senso e gran conoscitore dei bisogni del soldato. Parlandomi della recente campagna mi disse uniche difficoltà incontrate sono state il clima soffocante nell'estate e la mancanza dei servizi del treno. Mi parlò della grande utilità della ferrovia di Tessaglia e dell'aiuto ch'essa prestò e presta per i rifornimenti delle truppe. Discorrendo dello stato sanitario dei soldati se ne mostrò impensierito, sebbene mi asserisse che i soccombenti fossero pochi.

Presso il generale Edhem incontrai anche il comandante di divisione Ali Riza pascià, comandante l'artiglieria dell'armata di Tessaglia. E' un uomo piccoletto di statura, di collo corto, di età poco al di sopra dei 40 anni. Mi trattenni a lungo con esso parlando dell'impiego fatto dall'artiglieria durante la campagna e si mostrò molto al corrente di tutto ciò che si fa per quell'arma nei diversi stati europei. Parlandomi del materiale greco mi dichiarò schiettamente che fu gran ventura per essi che le spolette delle granate e degli shrapnell di cui gli elleni erano provvisti fossero in così cattivo stato di conservazione da non produrre che raramente lo scoppio del proietto I greci essendosi impadroniti di sorpresa delle sommità dominanti i passi più importanti deiia frontiera e avendoli muniti di artiglierie sarebbe ruscita ai turchi impresa ben seria quella di sloggiarli se l'effetto dei tiri fosse stato quello che se ne dovevano ripr omettere. Parlando di Damakos, si mostrò molto contento della batteria di obici colà impiegata e spiacquegli che l'altra di quelle batterie, da Farsala non potesse giungere in tempo per prender parte all'azione. Gli obicì da campagna non potevano essere più acconci ad un attacco di una posizione come quella di Damakos, contro la quale bisognava dirigere i tiri dal bosco; coi cannoni da campagna l'angolo di caduta era troppo piccolo e scarso il terreno Esso si manteneva fra 3.000 e 1.800 metri (1). Chiestogli della facilità di traino degli obici mi rispose avere essi la medesima mobilità delle batterie da 9 Krupp: hanno però il difetto di battuto: invece il tiro curvo degli obici ebbe ottimi risultati. portare troppo pochi colpi con sé; a ciò si rimedierà in seguito, almeno egli spera, portando da 3 a 9 i cassoni per ogni baueria di obici.

(l) La batteria fece fuoco dalle 3 e trenta alle 7 pomeridiane e sparò 92 granate e 55 shrapnell.

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Dal 20 al 30 novembre

Resto a Larissa attendendo l'ordine del regio ambasciatore, che i delegati turchi riprendano i lavori di delimitazione anche in assenza dei delegati austriaco e tedesco: impiego quei giorni nel compilare una monografia di Larissa.

30 novembre

Da Larissa a Kalabaka. Hakki pascià. Cielo coperto, vento di sud-est.

I delegati ottomani hanno ricevuto l'ordine di continuare i lavori an·che senza i delegati austriaco e tedesco, decidiamo perciò di trasferirei subito a Malakasi ai piedi del passo di Zygos per finire, prima che la neve ce lo impedisca, quel tratto di frontiera che travasi nella regione più elevata.

Alle 8 antimeridiane si parte in ferrovia da Larissa diretti a Kalabaka punto termine della linea Volo-Farsala-Trikala-Kalabaka. Nelle stazioni lungo la linea le truppe ivi . di presidio sono schierate e ci rendono gli onori militari. A Kaditsa a sud della stazione esistono gli avanzi di una grande caserma turca lasciata cadere in rovina dai greci: attualmente vi sono stati costruiti dei tetti e vi alloggia un reggimento di cavalleria. Subito a nord della stazione sorge una casermetta greca ad un sol piano di nuova costruzione fatta per il battaglione che vi era di presidio normale.

A Phanari sul culmine di uno sperone che cade sul piano pantanoso presso la stazione biancheggia un grazioso fabbricato di stile turco a torrette che mi dicono esser stata una caserma turca per due battaglioni: fu dai greci destinata ad altro uso, ma adesso è nuovamente occupata dalle truppe turche.

Ad ovest di Trikala la ferrovia corre parallelamente ad una linea di collinette che separano il Salamorias dal Trikalino: su una di esse si innalza un vecchio castello del 1600 che serviva ai greci come deposito di munizioni e di arredamento; vi trovano ora ricovero truppe ottomane.

A Trikala, dove il treno si arresta per mezz'ora, siamo presentati al generale Hakki pascià, comandante la 4a divisione. E' un ometto di 50 anni circa, elegante, di bei modi che ci accoglie con squisita cortesia. Le poche parole scambiate con lui non sono sufficienti perché io possa dare un giudizio del suo valore e della sua cultura come militare: i miei colleghi che seguirono la campagna di Tessaglia ne dicono molto bene: la sua divisione fu delle più disciplinate e delle meglio comandate. Gli europei che ebbero a trattare con lui ammirano il suo buon senso e la sua giustizia scrupolosa.

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r dicembre

Da Kalabaka a Malakasi. Descrizione della mulattiera che vi conduce. Tempo sereno - aria freddissima. Il nostro bagaglio parte alle 8 per Malakasi, noi ci mettiamo in marcia alle 9.

Per arrivare a Malakasi si segue una cattiva mulattiera la quale dopo di aver rasentato il piede delle roccie di Meteor, a 2 chilometri circa a nord-est di Kalabaka attraversa il Salamorias che qui ha natura torrenziale con letto largo fra 800 e 1000 metri.

Le roccie di Me teor corona te da conventi ortodossi (ai quali si accede in canestri tirati su da una robusta corda raccomandata ad un verricello) sono geologicamente un conglomerato di ciottoli e deposito calcare. Queste cadono a picco su Kalabaka dal lato sud e sul villaggio di Castrati dal lato ovest. Contro il conglomerato durissimo di tali roccie le acque del Salamorias banno urtato per secoli senza avere il sopravvento: esse sono striate orizzontalmente fin verso la sommità (alta sul fondo della valle duecento metri circa) e ciò conferma a mio avviso l'ipotesi del gran lago che ingombrava tutto il piano di Tessaglia, per cui il corso del Salamorias arrestavasi presso Kalabaka, dove aveva la sua foce fra le roccie di Meteor e le falde settentrionali di Koriakas Vuni.

Attraversato il fiume la mulattiera ne rimonta la sponda destra mantenendosi sempre in fondo alla valle lungo la striscia di terreno coltivato che accompagna quel corso d'acqua: di tanto in tanto, quando le falde dei monti cadono addirittura sul Salamorias, la mulattiera entra nel greto del torrente, ne attraversa i numerosi bracci c he incontra per riguadagnare nuovamente la riva d es tra al riallargarsi della valle. Questa si mantiene di una larghezza fra i 500 ed i 700 metri fino al confluente del Gheneralotiko ed è ombreggiata da platani e querceti nani, con tratti messi a segale ed a gran turco; poscia diventa una forra tutta ingombra dal letto del Salamorias: ed allora la mulattiera risale poi per le falde dei monti ed ha pendenze piuttosto rilevanti, rese più difficili dalla natura acquitrinosa del suolo nel quale le bestie da soma affondano o scivolano

Ad un chilometro e mezzo da Malakasi-han (vasto edifizio in muratura per ricovero dei viandanti che attraversano il Zygos) la mulattiera passa sulla sinistra del torrente e sale sensibilmente fino a raggiungere il paese di Malakasi che trovasi ad un'altezza sul fondo della valle di trecento metri.

Da Kalabaka a Malakasi impieghiamo 8 ore e trenta com· preso un alt di tre quarti d'ora circa. A mezzo cammino fra Kalabaka e Malakasi passa la linea neutra fra il territorio di occupazione turca in Tessaglia e quello rimasto alla Grecia. La scorta ellenica che doveva venire per dare il cambio a quella ottornana, non si trova al posto indicato, né l'incontriamo per via, sebbene i delegati greci tre giorni prima avessero ricevute

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assicurazioni dal loro governo che una compagnia di fanteria sarebbe stata messa a disposizione della commissione. Si decide di conservare la scorta turca fino a che sia rilevata da quella greca, e con essa entriamo a Malakasi occupata da una dozzina di soldati di fanteria greca, in condizioni di equipaggiamento tali da defraudare i soldati turchi i quali hanno a loro scusa 8 mesi di vita in campagna sotto la tenaa.

La catena di Kratchova lungo la sinistra del Salamorìas, indicata nella carta di Ardagh come ricoperta di boschi, è soltanto alberata leggermente verso la cresta. Il disboscamento vi è stato operato su grande scala ed i tronchi degli alberi tagliati (pini e faggi) sono accumulati in diversi punti lungo i ripidi pendii dei monti donde saranno fatti scivolare nella valle e di là trasportati per acqua al piano, come si fa appunto in Tirolo ed in Cadore. I boscaiuoli sono tutti vlachi. Nell'ultimo tratto della mulattiera per Malakasi si incontrano nelle montagne solfati di rame ed ossidi di ferro in abbondanza, vi sono anche piriti. Fra Malakasi-han ed il paese suddetto, il Salamorias mette in moto una fabbrica per tessuti speciali di lana coi quali si vestono gli abitanti delle vallate del Pindo e due mulini a due macine ciascuno.

2 dicembre

Malakasi-popolazione vlaca. CÌelo sereno -vento freddogelo ovunque.

S'impiega tutta la mattinata in una conferenza per decidere quale carta debbasi adottare come ufficiale per il tracciato della frontiera. Una brigata di topografi turchi ne ha fatto una per conto suo: è ben eseguita come lavoro artistico, ma vi si riscontra un errore di principio nelle levate; d'altra parte i greci dichiarano di non poterla accettare perché non eseguita sotto il controllo della commissione e questo è giusto. I delegati delle 6 potenze propongono di adottare la carta dell'Ardagh, salve le aggiunte necessarie in quei tratti dove il terreno per cui passa la nuova frontiera non è rappresentato, od è inesatto. Le aggiunte e correzioni saranno prese dalle levate turche verificate sul posto da un delegato ottomano e da un delegato greco. Gli elleni vi si oppongono mentre i turchi accettano; dopo molto discutere si finisce per imporre ai greci la nostra decisione. Visito nel pomeriggio il paese di Malakasi ed i dintorni. E' un grosso villaggio composto di famiglie v lache eccetto quella del medico condotto, nella quale il capo è greco dei più arrabbiati; dev'essere membro della famosa « Etniki Etaria » giacché in casa sua (dove noi alloggiamo) vi è tutto un arsenale di armi e di munizioni Gras delle quali egli doveva fame la distribuzione agli insorti, che in realtà mancarono. Malakasi ricorda i paesi delle vallate tirolesi: ha case in muratura ben costrutte con mura larghe e solide e tetti acuminati ricoperti con lastre di pietra schitosa (specie di ardesia di color chiaro). Nei dintorni

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lungo il versante meridionale dei monti che finiscono sulla sinistra del Salamorias il terreno è ben coltivato e vi si incontra anche qualche vigneto: sulla destra invece del torrente la montagna è investita da boscaglie di abeti e di faggi che aumentano di mano a mano si avvicinano alla cresta. In tutto il paese aleggia un'aria di prosperità che non abbiamo mai riscontrato in alcuno dei paesi greci attraversati fin qui. E' evidente la diversità di razza fra vlachl e greci: i primi sono della gente piccoletta ma tarchiata, dal viso aperto e bonario, dall'aspetto sano, con occhi sinceri. Sono lavoratori attivi, schivi dalla politica e conducenti una vita semplice e patriarcale. Sono o coltivatori di terre, o proprietari di armenti i cui pastori svernano qua e là nelle diverse vallate, o boscaiuoli e carbonai. Col collega inglese interrogo uno dei maggiorenti che fu in Rumenia ed a Costantinopoli ed egli schiettamente dichiara che per parte sua preferiva il governo del sultano a quello del re di Grecia. « Che volete, egli aggiunse, allora sotto i turchi potevamo avere scuole nostre e nella nostra lingua, adesso siamo obbligati a parlar greco, i nostri figli fanno i loro studi in greco e a poco a poco ci elleniziamo. Nelle famiglie parliamo ancora fra di noi la nostra lingua, ma fuori bisogna parlare greco, fra cinquant'anni qui non vi saranno più vlachi ma greci!» A me poi come italiano, aggiunse: «Noi siamo vostri fratelli, Sintim ginte latina (siamo gente latina)».

Verso sera il capo dei delegati greci viene per dirci che la famosa scorta è arrivata: dice essere composta di venticinque uomini con un sottufficiale: gli domando come mai con un reparto simile non siavi un ufficiale subalterno e mi risponde che da loro non occorre un ufficiale per un distaccamento così esiguo. Siccome egli ed i suoi colleghi furono trovati spesso menzogneri dubito della sua risposta, ne parlo ai colleghi e finiamo per constatare che la scorta di cui trattasi è composta in realtà di nove euzones con un sottufficiale. Hanno aspetto molto migliore dei soldati di fanteria trovati a Malakasi, sebbene non sieno nulla di straordinario e a petto dei quali i nostri alpini apparirebbero ercoli. Non sono reclutati esclusivamente fra i montanari, come da noi, tanto è vero che il distaccamento è composto di uomini di Missolungi.

3 dicembre

Da Malakasi al passo di Zygos. Descrizione della mulattiera. Passo di Zygos. Mulattiera per Metzovo. Comunicazione fra Metzovo e Jannina. Cielo sereno - aria mite - gelo ovunque. Nelle prime ore del mattino parte per Kalabaka la scortct turca, restano però i soldati di cavalleria per noi c la colonna bagagli. Noi ci mettiamo in cammino alle 9 per riconoscere il terreno fra Zygos e Dokimi; abbiamo tre guide del paese: quella che è data a noi è un vlaco che si professa filoelleno, probabilmente i delegati greci ce lo hanno assegnato con intenzione.

Oiscendiamo a Salamorias e di là per un sentiero raggiungia-

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mo la mulattiera di Zygos: il terreno a metà della salita inco· mincia ad essere coperto di neve (dieci centimetri di spessore), questa però è stipata e agevola la marcia. Passiamo per Said pascià han, ricovero in legno che può dar ricetto ad una ven· tina di persone con altrettanti quadrupedi e giungiamo a Micro Zygos (piccolo Zygos) dopo due ore e mezza di salita. E' il Micro Zygos un colle secondario c he si trova sul contrafforte separante i due rii che hanno la Joro confluenza a 200 m. ovest del Ponte di Malakasi; il colle non è rappresentato nella carta d'Ardagh.

Da Micro Zygos a Megalo Zygos (grande Zygos) venti minuti di cammino: qui la mulattiera ha forti pendenze sopra uno strato di neve di mezzo metro circa, attraversa un bosco di pini e di abeti, non però molto fitto come lo è nelle Alpi tirolesi. In qualche punto si vedono traccie di disboscamento fatto però senza alcun criterio e con poca economia, chè gli alberi sono sta· ti tagliati molto al di sopra delle radici e ne resta ancora un tronco alto un metro e venti ed anche più sul suolo. La mulat· tiera nei punti più stretti e pericolosi è munita esternamente da lunghi tronchi d'alberi che ne impediscono le frane e ne pre· cisano il tracciato anche sotto la neve, quando questa non rag· giunga altezza eccessiva.

Il colle di Zygos colla vecchia frontiera era in possesso dei greci; è strettissimo perché la roccia ch'egli scavalca, tutta formata di minerali di rame, è a lama di coltello, non vi è quin· di spazio per alcun fortilizio od altra difesa consimile: più in· dietro e più in basso a cinque minuti dal colle fu costruito un largo blokhouse in solida muratura ben protetto contro il freddo e la neve dentro cui possono ricoverarsi una ventina di uomini: contiene un forno, una scuderia ed un magazzino capace di viveri per tre mesi. Lo troviamo disabitato ma intatto.

Dal colle di Zygos si ha una bellissima vista nella vallata di Metzovo ad ovest e verso i monti Chassia: questi ultimi appaiono come cime tondeggianti e con fianchi a declivi dolci rive· stiti di vegetazione. La vallata di Metzovo invece ha versanti ripidi e nudi. La mulattiera che da Zygos conduce al paese di Metzozo diventa sempre più difficile per le forti pendenze e per l'ingombro che spesso vi apportano massi rotolati dai monti. Poco al disotto del colle vi è un blokhouse turco ma attualmente disabitato. Dal colle si scorge distintamente Metzovo che resta molto più in basso sopra uno sperone brullo che comanda il rio e la mulattiera scendenti dello Zygos. Il paese ha un sobborgo sul versante opposto che porta il nome di Anilion, mentre la parte principale del villaggio chiamasi Prosilion. In complesso Metzovo ha poco più tremila abitanti, pressochè tutti vlachi. Dal colle si scorge distintamente il fortino che elevasi nel centro del paese (a Prosilion) isolato, colla fronte principale verso le provenienze da Zygos; è una speciè di fortilizio in muratura di vecchio tipo con muro di cinta munito di feritoie. Chiedo al colagassi di stato maggiore turco Sevfket bey che è con noi

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e che è stato di guarnigione a Jannina, in quali condizioni si trovi la strada Metzovo-Jannina ed apprendo essere quella una semplice mulattiera, molto buona ma inadattabile al traino.

Dalla gente del luogo ho le seguenti informazioni sulla praticabilità del colle di Zygos: è libero di neve e facilmente transitabile da aprile a novembre. Da dicembre a gennaio e da marzo ad aprile è passato soltanto da pedoni e da bestie da soma con poco carico; in gennaio e febbraio è assolutamente impraticabile in causa delJa gran neve che si ammonta sui due versanti. Da Megalo Zygos e Metzovo gli abitanti del luogo mi assicurano ]a durata del percorso essere di due ore. Il possesso del massiccio di Zygos è militarmente importante per il comando che ha sulle vallate del Salamorias, dell'Aspropotamo, del Metzovo, della Voinca e del Venedikos, nelle quali, durante la buona stagione, si può scendere per sentieri praticabili a truppe di fanteria e ad artig1ieria da campagna.

4 dicembre

Cielo coperto, freddo intenso. Si parte alle 9 antimeridiane, si stabiliscono quattro termini dalla cima di Dokimi al punto di confluenza del rio che ha le sue origini alla cima del Zygos (monte) con quello che nasce presso la roccia a picco a sud di Taburi Athanasaki.

5 dicembre

Piove tutta la giornata, il paese è avvolto nella nebbia e siamo costretti a rimanere chiusi nelle case.

6 dicembre

Nella notte il tempo si è messo alla neve che continua a cadere tutta la giornata; il delegato russo (colonnello Kalnine) ci lascia, dicendosi autorizzato a cessare dai lavori appena la stagione si guastasse.

7 dicembre

Tempo come quello del giorno precedente: la neve aumenta; si decide perciò di sospendere i lavori e di ritirarci a Kalabaka prima che le comunicazioni siano interrotte.

8 dicembre

Da Malakasi a Kalabaka. La seconda mulattiera dalla sinistra del Salamorias. Tempo sereno ma freddissimo - gelo.

Ci trasferiamo a Kalabaka: partendo alle 8 antemeridiane vi arriviamo alle 4. Il Salamorias è ingrossato per cui siamo obbligati presso Kalabaka a scendere molto più a sud (due chi-

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lometri circa) del guado ordinario per trovare un punto in cui il torrente diviso in numerosi rami permetta di attraversarlo senza pericolo. Apprendiamo che il dì precedente il colonnello Kalnine ha corso rischio di essere travolto dalla corrente e che uno dei soldati turchi datogli di scorta trascinato dalla fiumana dopo aver passato quasi intera la notte aggrappato ad un tronco d'albero e raccolto troppo tardi è morto per assideramento.

In tempo di piena del Salamorias per raggiungere Malakasi da Kalabaka si segue un cattivo sentiero, percorribile con qualche difficoltà da bestie da soma, il quale si mantiene sempre sulla sinistra del torrente. A cinque chilometri circa a nord dj Kalabaka abbandona il fondo della valle, risale a mezza costa i versanti del contrafforte di Kratchova, passa per diversi centri abitati da pastori o coltivatori vlaki, il più importante dei quali è Sutsia, quindi per Libokkovo cade su Malakasi: la durata del percorso, stando alle informazioni assunte sul luogo, è di nove ore circa.

9 dicembre

Cielo sereno. Partiamo alle 8 in ferrovia per Volo dove giungiamo alle 5 e trenta di sera.

10-17 dicembre

Attendiamo a Volo il compimento, per parte dei turchi e dei greci, dei rilievi da aggiungere alla carta d' Ardagh.

18 dicembre

Partenza per Costantinopoli-via Pireo. 19 sera Pireo, 20 partenza per Costantinopoli dove arrivo il 23 dicembre alle 10.

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8. V. TROMBI, Completamento dei lavori di frontiera in Tessaglia (1).

M'onoro riferire a vostra signoria sul completamento del lavoro di de limitazione della frontiera greco-turca in Tessaglia avvenuto nel maggio ultimo decorso.

Partito da Costantinopoli il 5 maggio giunsi la sera del 6 ad Atene assieme coi delegati austriaco, francese ed inglese. Là trovammo il delegato russo al quale c i riunimmo per proseguire imme diatamente per Volo, com'era nostro desiderio, essendo autorizzati ad intraprendere i lavori anche senza il delegato tedesco, il quale ci doveva raggiungere più tardi (il 17 maggio). Però ad Atene con nostra sorpresa apprendemmo che i delegati greci, che noi credevamo già in Tes saglia, non erano ancora pronti sebbene al governo ellenico fosse già stato preannunziato il nostro arrivo dal suo incaricato di affari in Costantinopoli. Uno dei delegati era , allora in licenza, un altro, di guarnigione in Corfù; soltanto la sera del nostro arrivo in Atene ricevette l'ordine telegrafico di partire. Noi non mancammo di fare le nostre rimostranze per questo ritardo al governo greco a mezzo dei nostri ministri plenipotenziari ed ottenemmo finalmente che i delegati greci affre ttassero i loro preparativi e si trovassero pron.ti la sera del 9 maggio. Sicché il 10 la commissione internazionale poté imbarcarsi al Pireo per Volo, dove giunse 1'11 alle dieci e trenta antimeridiane. Lo stesso giorno, avuta la assicurazione dagli ottomani che il convoglio dei trasporti era pronto in Larissa, si stabilì coi delegati greci e turchi di partire l'indomani col primo treno per Larissa e di là proseguire la sera stessa per Tirvanos, località giudicata la più conveniente a pernottarvi siccome quella che trovavasi in prossimità del tratto di frontiera presso Valetsikon lasciato ivi sospeso nell'inverno passato per difficoltà avute coi delegati turchi, diffi. col tà che furono poi appianate in Costantinopoli dagli ambasciatori delle sei grandi potenze, risolvendo la questione in fa· vore della TurchiaPer tal modo 1'11 sera com'era stato progettato, la com-

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{l) SME-AUS, b. 38, Reparto operazioni. Ufficio Coloniale. Stati esteri, f. 4 Rapporto n. 25 di prot. al Comandante in 2• il Corpo di Stato Maggiore, Terapia 9 giugno 1898, pp. 14.

miSSIOne di delimitazione trovassi riunita a Tirvanos; essa era composta come segue: colonnello Kalnine per la Russia, il sottoscritto per l'Italia, maggiore Herdliczka, sostituente il tenente colonnello Giesl, per l'Austria-Ungheria, maggiore Fairholme, sostituente il Colonnello Pausonby per l'Inghilterra, capitano De Chapelles per la Francia, capitano De Clear, che giunse soltanto il 17, sostituente il capitano Morgen, per la Germania.

I delegati turchi erano i medesimi dall'inverno passato, ad eccezione del tenente colonnello Haindi bey sostituente il colonnello Riza bey, il quale essendo stato ultimamente promosso generale aveva avuto altra destinazione. Anche i delegati ellenici non erano mutati, tranne due membri aggiunti che non prendevano parte alle discussioni, tenute in seduta plenaria. La giornata del 12 fu dunque impiegata a stabilire il confine presso Valetsikon.

Da Tirnavos la commissione si trasferì il 13 ad Eleutherochorion per riprendere da est ad ovest, cioè da Gritzanon a Malakasi il lavoro interrotto nel dicembre dell'anno passato in causa della inclemenza della stagione.

Tutto proseguì speditamente e concordemente fino al giorno 17 nel quale giungemmo a Kerasia Fliki; qui i delegati greci non tenendo conto del tracciato grafico della nuova frontiera stabilita a Costantinopoli ed annessa ai preliminari di pace, ma stando alla lettera della definizione sommaria della stessa, pure unita ai preliminari di pace, pretendevano di non dover cedere ai turchi la piccola altura che travasi a cinquecento metri ad est di quel villaggio, la quale se occupata dagli ottomani, metteva a disagio i paesani.

Dopo un lungo discutere, i delegati delle grandi potenze riuscirono a comporre il dissidio persuadendo i turchi di cedere ai greci altura reclamata, la quale non aveva alcuna importanza militare, salvo ad avere un compenso territoriale in altri tratti della frontiera non ancora fissata dove il portare più verso sud la linea di confine non portasse danno ai villaggi finitimi.

Rimossa questa prima difficoltà si continuò ancora comodi fino al 20, quando cioè si arrivò col tracciamento della frontiera sulla catena di Kratchova. Il tracciato grafico della frontiera, dopo essere passato a poco più di un chilometro a nord del villaggio di Kakopleor\, si dirige verso le alture di Gribovo (le più elevate della catena di Kratchova), le quali sono lasciate ai turchi. Ora la descrizione sommaria dice che la frontiera si dirige alle vetta di Gribovo di quota 4.786 «qu'elle contourne par le sud». I delegati greci, fermi alla lettera della descrizione rifiutavano di riconoscere il tracciato grafico e pretendevano di contornare dappresso l'altura di quota 4.786, lasciando all'infuori la vetta principale a sud-est di questa (quota 4.854), la .quale ha un vero valore militare per chi ne resti padrone. I turchi necessariamente la reclamavano, e dava ad essi ragione non solo il tracciato stabilito a Costantinopoli ma eziando l'ar-

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ticolo 2° dei preliminari di pace. I delegati internazionali, eccettuato il russo, riconobbero giuste le domande dei turchi, sicché il deliberato della intera commissione, a maggiorità dei voti, riuscì ad essi favorevole; di qui proteste vivaci dei delegati ellenici, i quali, vista perduta la partita, dichiararono di ritirarsi e di cessare dal prender parte alla continuazione dei lavori. Essi certamente contavano sull'appoggio dato loro dal delegato russo. L'atteggiamento di quest'ultimo è difficile a spiegarsi: in parte io l'attribuisco ad una latente animosità verso il suo compagno d'anni, colonnello Peschkoff, addetto militare a Costantinopoli, il quale dopo aver preso parte ai lavori degli addetti militari in questa capitale per la delimitazione della nuova frontiera, quando si trattò poi di applicarla sul terreno pregò a Pietroburga perché in sua vece fosse inviato il colonnello Kalnine, addetto militare ad Atene. Questi, posando a non conoscere i criteri che servirono di guida al tracciamento della nuova frontiera, cercò sempre di disinteressarsi in tutte le questioni nel risolvere le quali bastava ispirarsi al concetto di dare ai turchi tutte quelle posizion d'importanza militare che permettessero di impedire un nuovo coup de cece da parte dei greci.

Il ritiro dei delegati ellenici causò una sospensione nei lavori chè alcuni delegati delle grandi potenze opinavano esser nulle le deliberazioni che si fossero prese in loro assenza, per il fatto che nei preliminari di pace era detto le determinazioni doversi prendere a maggioranza di due voti su tre: ora, se mancavano i greci, non restavano nelle deliberazioni che due voti solamente.

Per l'interruzione dei lavori la commissione si trasferì il 27 stesso a Genexalis, donde i delegati internazionali informarono telegraficamente i rispettivi ambasciatori dell'accaduto e chiesero istruzioni. Il 21 maggio, per non perdere inutilmente il tempo e produrre ritardo allo sgombro delle truppe turche dalla Tessaglia in causa della frontiera non compiuta, si ottenne che i greci dopo aver informato il loro governo di quanto rifletteva la questione di Gribovo, accettassero di prender parte alla delimitazione della frontiera a nord di Genexalis, poi per regolare il confine attorno a Gribovo, non appena si fossero ricevute istruzioni precise al riguardo.

Continuavamo così il tracciamento della linea fin presso Malakasi; ed il giorno 22, mentre stavamo per raccordare cogli ultimi tre limiti n. l 39, 140 e 141 la frontiera tracciata in quel giorno con quella che avevamo già fissata nel dicembre scorso dalla ve t fa di Dokimi al versa n te est del passo di Zygos, il che avrebbe ultimato il lavoro (salvo ben inteso il confine attorno Gribovo), sorse un'ultima difficoltà da parte dei greci: i quali non ottenendo soddisfazione alle loro pretese si ritirarono di bel nuovo dalla commissione, nonostante che questa volta anche il delegato russo desse torto a loro.

Il motivo del loro ritiro fu il seguente. La descrizione della frontiera dice che questa passa a cinquecento metri ad ovest

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del villaggio di Malakasi ed il tracciato stabilito a Costantinopoli mantiensi in realtà a distanza anche maggiore. Però convien notare che il villaggio per lo sviluppo che esso ha avuto dopo il 1881, data alla quale fu rilevata la carta dell'Ardagh che servì appunto a fissare in linee generali la nuova frontiera prima di stabilirla sul terreno, ha verso ovest una estensione maggiore di quella che non avesse quando fu rilevata dall'Ardagh la sua superficie. Volendo ora lasciare ai turchi il possesso di una collinetta che domina da ovest il villaggio, la frontiera veniva forse a passare a qualche decina di metri più vicina al villaggio di ciò che era detto nella descrizione. Però i delegati internazionali riconoscevano che il possesso della detta collina era importante pei turchi; che il passare la frontiera a 460 metri invece ohe a 500 dal limite esterno di Malakasi non peggiorava !e condizioni degli abitanti di questo di più che non ne riportasse dal ma:ntenerla: a 500; che il trovarsi qualche capanna, isolata dal nucleo vero del villaggio, a distanza inferiore alla stabilita non costituiva violazione alcuna a ciò che era stato fissato a Costantinopoli e perciò che le pretese dei greci erano ingiustificabili. ·

Essi decisero ancora elle per accelerare, per quanto stesse in loro, il tracciamento del nuovo confine, -di porre sul terreno i termini necessari anche senza il concorso dei delegati greci, di riferirne a Costantinopoli, ed una volta ottenuta l'approvazione del loro operato dai rispettivi ambasciatori, di rendere definitivo il tracciato inviando sul posto uno dei delegati turchi con uno dei delegati ellenici a prender conoscenza dei limiti fissati.

La commissione intera sì trasferì qundi a Genexalis dove rimase dal 22 al 27 maggio, attendendo che dagli ambasciatori fosse risolta Ja questione di Gribovo. Il 27 poi non giungendo istruzioni da Costantinopoli , i delegati delle grandi potenze, ritenendo impellente di ultimare la frontiera presso Gribovo, acciò non ne risultassero difficoltà allo sgombro dei turchi dalla Tessaglia nei limiti di tempo stabiliti, decisero di fissare provvisoriamente il confine sulla dorsale della catena di Krat· ohova, invitando i greci a seguirei per conoscere dove avremmo stabiliti i termini. Così fu fatto, ed il giorno successivo la commissione si mise in cammino per Kalabaka per poi recarsi in ferrovia a Volo, e là asP'ettare dagli ambasciatofi l'approvazione di ciò che essi avevano fatto sotto riserva. A Kalabaka il 28 sera arrivò finalmente la risposta degli ambasciatori, i quali ad unanimità avevano accettate le deliberazioni della commissione internazionale tanto per Gribovo quanto per Malakasi; perciò il tracciato provvisorio diventava definitivo ed il nostro lavoro doveva considerarsi ultimato.

Giunti il 29 a Volo, la commissione attese a lavori di scritturazione dei processi verbali ed al riporto sulla carta della nuova linea di frontiera insieme ai diversi Termini posti sul terreno ed il lo corrente in un'ultima seduta la conunissione, dichiarato compiuto il suo mandato , si sciolse.

304

INDICI

INDICE DEI NOMI

Abdul Aziz, p. 190

Abdul Hamid, p . 78, 79, 80

Albera E p 79, 84

Aly (bey) , p. 91

Alula (ras), p 43

Alten (von), p. 82

Anchieri E., p. 14, 21

Andrassy, p . 120

Andjelkovitch 1., p. 142

Antonelli, p 21, 43

Besenzanica, p . 217

Bibesco G , p 142

Bismark, p . 22, 23, 26, U9, 120

Blanc, p 186

Bogolju bov, p. 47, 48, 50, 52, 54, 59, 62, 63, 64, 65

Bonghi R ., p. 121

Borroni, p . 84

Bossy R.U , p. 42

Ardagh, p. 266, 277, 278, 280, Brialmont, 174, 175, 176, 177 286, 287, 296, 298, 300, 304

Arion, p . 55

Aubaret, p. 138

Aydemir S.S., P · 80

Bratiano, p . 51 , 157, 166

Breccia A., p. 12

Brizzi, p. 83

Brusati U., p . 67, 68, 76, 77,

Balle rini R. , p. 23, 24, 25, 26 79, 81, 85, 160

Baldissera A., p. 43

Barbarich E ., 69, 218, 221

Basteris, p. 79, 84

Bajdarov G ., p. 71

Bazzarelli E , p. 18, 19

Berdan, p . 242, 249, 255

Bertola A , p 21

Bertolè Viale E ., p . 32, 35, 36, 50

Burton A., p 181

Cai roli , p. 13, 37, 44, 52, 59, 60

Candiana, p. 165, 166

Carcano p 186

Camazzi, p. 202

Carboni C ., p. 68

Carlo di Romania, p. 33, 58, 67, 131, 161 , 165

Carossini, p. 84

Castoldì, p. 79, 84

Castelbianco, p. 221

Cataluccio F., p. 12

Cavour, p. 51

Cerruti A., p. 68

Cesari C., p. 69

Chabod F., p. 13

Cialdea B., p. 42, 61, 67, 71

Cialdini E ., p. 43

Cicognani, p. 79

Clissold S., p. 38

Cogalnìceano, p. 51

Cognasso F., p. 12, 14

Corti L., p. 13, 44, 156

Cotescu S., p. 160

Couza, p. 165

Crispi F., p. 43

Cugia P., p. 187, 192

Curtopassi M., p. 160

Dabuatien, p. 219

Dal Verme L., p. 180, 68

Danilo, p. · 231, 235, 236; 239, 240, 241, 251, 38

Dakin D., p. 71

Darby H. C., p. 38

De Giorgis E., p. 72, 13, 74, 75, 76, 17, 78

De Amicis, p. 189

De Chapelles, p. 262, 272, 301

De Clear, p. 302

De Gubernatis, p. 47, 48

Del Chiaro G., p. 14

Delyanni, p. 214

De Leone E., p. 21

De Mandato, p. 84

Del Mayno L., p. 33, 35, 36, 50

De Pretis A., p . 12, 59, 60, 61

De Rosa G., p. 13, 25, 27

Dezza P., p. 25

Dionigi V., p. 214

Djordjevié D., p. 12, 38, 71

Dodero, p. 199

D'Ostiani Fé, p. 214

Doudukof, p . 119

Drec, p. 257

Dusmanis V., p. 213

S., p. 71

Dutkowski J ., p. 69

Dusmanis V., p. 213

Edhen (pascià), p. 262, 292, 293

Elia V., p. 73 , 75, 76, 77, 78, 80, 82, 83, 84

Enver (bey), . p. 80

Erakovich, p. 238, 239

Erenfeld, p. 107

Fairholme, p. 302

Falcojano, p. 55

Fava, p. 58, 60

Ferrari, p. 213

Filarete, p. 163

Fischer C., p. 213

Fischer L., p. 80

Frangodis, p. 210

Gagarin S. G., p. 20

Galliano G., p. 254

308

Galvagna, p. 37, 44

Garrone, p. 79, 84

Giesl, p. 302

Giurkovich, p. 257

Giusti W., p. 23

Gola F., p. 44, 105, 157, 44

Goltz K., (von der), 187, 196, 30

Govone, p. 50

Gurko W., p. 33

Gregg R.A., p. 18

Grouson, p. 178

Gruditisteano, p. 160

Guevara, p. 124, 192, 194, 195

Guerrazzi F. D., p. 258

Guglielmo (principe), p. 164

Guizot, p. 121

Hahley, p. 65

Hakki (pascià), p. 294

Haimerle, p. 50, 124

Haindi (bey), p. 302

Hamdi, p. 274

Henderson G. R., p. 14

Herdliczka, p. 302

Hesmin (bey), p. 197

Hilmi (pa.scià), p. 73, 74, 75, 76, 77, 80

Hirsch, p. 185

Hitrovo, p. 168, 169, 177

Home, p. 44, 55, 59, 65

Imperiali, p. 76, 77, 82, 83

Ioannini, p. 125

Iorga N., p. 71

Ivanovich, p. 231, 251

Kanitz, p. 131, 132

Kalnine, p. 299, 300, 301, 302, 303

K.arageorgewich, p. 259

Kemal Ataturk, p. 80

Klotzmann F., p. 178 p. 118

Krupp, p. 140, 141, 145, 179, 192, 194, 195, 205, 207, 285, 293, 246, 255

Laboulaye E., p. 134

Lahitte, p. 141

Lanza, p. 12

Lauro, p. 84

Lamouche C., p. 71, 74

Lemoyne, p. 44, 55

Leopoldo I d'Austria, p. 115

Lepienine, p. 216

Liberatore M., p. 25, 26, 27

Lippich, p. 90, 91

Lodi, p. 79

Lowe L. G., p. 13 p. 79, 84

Macelli, p. 254

Mainoni A., p. 29, 30, 31, 32

Mangascià (ras), p. 43

Mantegazza V., p. 43, 67

Marini L., p. 203

Marini P., p. 68

Maritchj, p. 124

Marro P., p. 85

Mar.schall, p. 184

Martini A., p. 21

309

Martinovich G., p. 247

Martinovich D., p. 247, 255

Marzari F., p. 13

Masnovo A., p. 25

Mauromikalis, p. 210

Mazza T., p. 79, 81, 82, 84

Medlicott W. N., p. 12

Mehemed Alì (pascià), p 92, 99

Melegari A., p. 13

Melnik, p. 272, 285

Menabrea A., p. 32

Menelik, p. 43 A. S., p. 15

Michiekovitch, p. 116

Midhat (pascià), p. 146

Missir L. A., p. 21

Moltke C. B. H., p. 50, 140

Monkrief, p. 179

Monojalovich, p. 230

Moropulos E., p. 79

Murad I, p. 131

Muricchio, p. 79

Murav'jev A. N., p. 18

Napoleone III, p. 14, 26, 131

Nemania E., p. 126

Niazi (bey), p. 80

Obrenovich Michele, p. 128, 143

Obrenovich p. 118, 126, 128, 131, 259

Obrenovich Milan, p. 67, 116, 142, 151, 156, 182

Obzakof, p. 124

O'Connor, p. 76

Osman (pascià), p. 33, 189

Orero B. A., p. 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 66

Ottolenghi G., p. 38, 39, 44, 89, 98

Risié J., p. 113, 114, 116, 126, 182

Ristellieber R., p. 70

Riza (bey), p. 262, 276, 289, 292, 293

Rondina N. S., p. 25

Rosa E., p. 23

Rossetti, p. 51, 157

Rossi C., p. 137

Rovinski, p. 251

Romei Longhema G., p. 76, 78, 81, 82

Rubin de Cervin G., p. 70, 71, 72, 73, 75

Said (pascià), p. 298

Nicola (principe), p. 231, 234, 1 69

Sa aris E., p. 236, 239, 240, 246, 247, 251, 255, 256, 257, 258, 259

Nicolis di Robilant M., p. 78,

Sale, P· 98

Salisbury, p. 120 79, 83, 84, 85, 156

Nicolò II (zar), 254

Obedenaru, p. 60

Salvatorelli L., p. 72

Salvini, p. 156

Sartoris E., p. 43, 58

310

Sepié D., p. 12

Scherff, p. 44, 55, 57, 59

Schumann, p. 177, 178

Seefket (bey), p. 262, 274

Pallavicini, p. 78

Pausonby, p. 272, 302

Pernice A., p. 71

Perot, p. 125

Peschoff, p. 303

Petrovich, p. 239, 253, 254. 259

Petrovich M. B., p. 23

Petrovich Njegus, p. 240

Petrovich Pietro I, p. 118

Petrovich Pietro Il, p. 251, 231

Petrovich Savoia Elena, p. 219

Pietro il Grande, p. 16, 21, 25, 66

Pio IX, p. 18, 20, 23, 28

Pirri P., p. 18

Plamenatz, p. 240, 241

Pollio A., p. 82, 85

Popovié P.l., p. 38

Pitassio A., p. 12

Perticone G., p. 13

Pontieri E., p. Il

Protitch, p. 142

Radovich A., p. 248

Rajicevich, p. 238

Ridolfi, p. 79, 84

Rieger F., p. 177

Ripp, p. 44, 55

Stanev N., p. 67

Sternek, p. 231

Saletta T., p. 78

Suifulla (pascià), p. 262

Sumarokov, p. 241, 251

Sundecié G., p. 219

Svoronos N., p. 69

Suvalov, p. 61

Tahir (pascià), p. 45, 54

Talat (bey}, p. 80

Tamborra A., p. 7, 11, 12, 18, 20, 23, 28, 37, 57, 67

Tanfani, p. 37

Taparelli d'Azeglio L., p. 16, 17, 18, 19, 20, 25, 27

Theiner A., p. 29

Tittoni, p. 72

Tomanovich, p. 237, 258, 259

Tornassi, p. 77, 82

Tornei, p. 91

Tommaseo N., p. 231

Tornaghi, p. 44, 46

Tornielli, p. 60, 157, 167

Tjutrev F., p. 18, 19

Tratter, p. 192, 193, 194, 195, 196

Tricoupis, p. 203, 204, 214

Trombi V., p. 69, 70, 76, 77, 262, 301

Tsamados, p. 203, 204, 205

Turkan (bey), p. 101

Savoia Vittorio Emanuele, p. Ubicini A., p. 126 12, 204, 219, 258

Valsecchi F., p. 14, 15

311

Vemassa M., p. 57

Viale Prelà, p. 21

Velini A., p. 40, 41, 105

Vemeau F., p. 72

Vincenzi, p. 79

Visconti Venosta, p. 12

Vukotich V., p. 249, 250

Warendorff, p. 246, 247, 255

Webster R. A., p. 57

Zampolli I., p. 73

Zanolini, p. 156, 157

Zerovich M., p. 246

Zernovich G. p. 257, 258, 259

Zinoviev, p. 76, 78

Zocchi P., p. 27

Zuppelli, p. 69

312

INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI

INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI Guerra russo-turca: le operazioni sul Danubio (1877) p. 31 Guerra russo-turca: settore caucasico (1877) . ,. 34 Guerra russo-turca: le offensive di Mehemet Alì (1877) » 49 Guerra russo-turca: la discesa dei russi in Rumelia (1877) ,. 65 Il Montenegro ,. 221 Cattaro ,. 233 Cetinje » 235 315

INDICE DEL VOLUME

Presentazione

Introduzione

l. L'Italia e la questione d'Oriente

2. Le operazioni militari

3. La delimitazione dei confini dopo il Congresso di Berlino

4. Le relazioni di viaggio .

5. La presenza italiana nei Balcani. Note e relazioni di viaggio

l. G. OTTOLENGHI, Rapporto della commissione per la delimitazione del Montenegro .

2. A. VELINI, Note sulla delimitazione della Serbia

3. U. BRUSATI, Appunti di viaggio in Rumania .

4. L. DAL VERME, Una rapida escursione in Levante. Impressioni e note .

S. L. MARINI, Note raccolte durante la permanenza in Atene .

6. E. BARBARICH, Da Cattaro e Cetinje .

7. V. TROMBI, Delimitazione della frontiera di Tessagia, anno 1897. Estratto del giornale di viaggio

8. V. TROMBI, Completamento dei lavori di frontiera in Tessaglia

Indice dei nomi . Indice delle illustrazioni p. 5 p. 9 )) 11 » 29 » 37 » 67 » 70 p. 87 » 89 » 105 » 160 » 180 » 203 » 218 » 262 » 301 p. 308 p. 315 319
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