OPERA OMNIA VOL XXXIII

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VOLUME XXXIII

-OPERA OMNIA DI BENITO

MUSSOLINI

A CURA DI
LA FENICE - FIRENZE
EDOARDO E DUILIO SUSMEL

OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI XXXIII.

OPERE GIOVANILI (1904-1913)

L' UOMO E LA DIVINITA (1904) • CLAUDIA PARTICELLA, L'AMANTE DEL CARDINALE (1910) • IL TRENTINO VEDUTO DA UN SOCIALISTA (1911)

• LA MIA VITA DAL 29 LUGLIO 1883 AL 23 NOVEMBRE 1911 (1911-1912) • GIOVANNI HUSS

IL VERIDICO (1913)

LA FENICE - FIRENZE

Tutti i diritti di· tradu2iooe e di riproduzione (anche di semplid brani, tras messi a mezzo d i radiodiffusione) sono riservati per tutti i paesi, compresi j Reg ni di N orvegia, Svezia e Olanda.

196 1,
COPYRIGHT
TUTTJ I DllllTTJ lllSERVATI STAMPATO 1N ITALIA - PR!NTBD IN lTALl'

NOTA INFORMATIVA

In questo ·volume sono ristampate le seguenti dnque opere giovanili di Musso lini:, L'u o1110 e la divinità, Cla11dù1 Partit ella, li Trentino, La m;a vita, Giovanni H11!!. Ecco in proposito alcune notizie bibliografiche e del mateziale documentario.

1) Mussol ini Benito - L'u omo e la divinità. (Contraddùorio avuto &ol pastore e1 1angeliua Alfredo Taglinlatela la ura del 26 marzo 1904 ai/a« M aison du Peuple » di Losanna). - Lugano, Cooperativa Tipografica Sodale, 1904, in sedicesimo, pagg. 47, prezzo centesimi 30. (V edi pag. 2,4, e 1Jol, I, pagg. 250, n1).

E. il primo opuscolo della Biblioteca Int ernazionale di Propaganda Razionalista, co n sede a Chène-Bourg (Ginevra), fondata da Mussolini e da altri socialisti. (Ved i pag. 254).

Un an nun cio in merito app~re sul settimanale L' Aut1ertire del Lavorator e di Lugano (vedi voi. I, pag. 10), N. 2)9, 2 luglio 1904, VII, sotto il tit o lo a L'uomo ! Ja divinità ». Bihhoteca Internazional e di Propaganda Razionali1ta. Dice; ,oc Compagni socialisti e libe ri pensatori!

« Coll'opuscolo L'u omo e la divinità di Benito Mussolini, la nostra Bibli oteca inizia b serie delle sue pubblicazioni. Nostro scopo, nell'opera odierna che tende alla integrale em anci pazio ne dell'uom o, è di li be rare la mente dall" assurdo re[j. gioso, è la lotta contro tutte le forme di religiosità, contro tutti i .dogmi, nel nom e dei quali i pret i hanno 5ancito e 5anciscono la schiavitù economica, morale e intellett uale di un'immensa maggioranza del glènere umano.

a Noi crediamo che non basti limitare la nostra attività alla semplice propaganda anticlericale. li prete non è che l' effetto; il clericalismo è l'espression e de lla religione, e finché vi s:trà una rivelazion e vi saranno rivelatori, finch é vi saranno religiosi vi saranno preti.

« Contro la radice del male dobbiamo quindi di preferenza dirige re i nost ri colpi. E lo faremo, divulgando le verità scientiJiche moderne, che hanno fugato le tenebre fosche del medioevo; lo faremo, collaborando, nei limiti · d elle nostre forze, al movimento emancipatore della ragione umana; lo faremo, sicuri di es.sere compresi e aiu tati dai compagni e da tutti coloro che non intendono di rinunciare alla dignità d"uomini, prostituendosi ad una fittizia, assurda e criminale ··divinità"'.

« Compagni!

«" La religione", diceva Carlo Marx, "è l'oppio del popolo". 11 nostro grande maestl'O non poteva meglio esprimersi sul compito che hanno tutte le religioni. Esse addorm entano il popolo, cullandolo nelle speranze di un paradiso ipotetico e mantenendolo schiavo dei 'padroni di questa terra.

a Un popolo che dorm e è un popolo sfruttato. Se noi vogliamo toglierl o dalle sue condizioni infelici, è n.::cessario liberare i cervelli dall'assurdo religioso.

1. •
XXXIII.

«Solo.quando le paure ridicole di un r idicolo infern o e le sciocche speranze del paradiso saranno scomparse, il popolo, non più bestia da soma, saprà rovesciare l'attuale regno dell'ingiustizia e iniziare la nuova wnanità, " senza Dio n é padrone ".

« N i diJu, ni maitu. Con queste parole che sono un programma, lanciamo al pubblico operaio le nostre pub blicazioni.

« D opo L'Uomo e la divinilà, vedranno la luce La bibbia è immorale dd dollor Ariste Tormenti e La miJJÌ"une d el p rele di Flavio Sergio Horinsky.

« Ma ai compagni tutti il compito di aiutare moralmente e finaniiariamente la nostra Biblioteca. Contro le forze delle tenebre, opponiamo le forze della l uce; contro l'assoluto, la libertà; contro il dogma, la ragione.

« Aspettiamo, o compagni, colla buona e costante battaglia, il giorno in cui da lla morte di tutti gli iddii nascerà la vita di tutti gli uomirii !

« Il Gruppo Promotore

« Per quanto riguarda la Biblioteca Internazionale di Propaganda Razio nalista, scd vere all'editore (ChCne-Bourg, can tone _ di Ginevra).

« Ginevra, giugno 1904 ».

Tale an nuncio! seguito da quest'altro, pubblicato sempre sull' A1111enire d el Lavorat ore, N. 267, 27 agosto 1904, VII, e intitolato P11bblicazioni. « L'uomo e la divit,irJ )},

• Ii uscito l'annundato opuscolo del compagno Mussolini L'u omo e la d ivinilà, in un elegantissimo opuscolo, edi to, coi t ipi della Tipografia Sodale, dalla Biblioteca di Propaganda Razionalista

« 6 il resoconto fedelissimo d el contradditorio avuto dal nostro compagno Mussolini col pastore evangelista Alfredo 'faglialatela la sera del 26 marzo 1904, alla Mai10 n du PeupJe di Losanna.

« La relazione che di questo contradditorio ci ma ndò il nostro corrispondente d a Losanna ci dispensa dal dare un sunto de lle idee svolte dal Mussolini; tanto più che la relazione stessa, con l'annu ncio che il contradditorio sarebbe stato stampato, mise subito i compagni in uo·auesa impaziente dell'opuscolo. Del q uale ci basteri d ire che per ricchezza di arg omenti, per forza di s tile, e chiarezza di idee non sari certo inferiore all'aspettazione dei compagni.

« li volumetto costa 30 centesimi. ed è vendibile presso la Biblioteca Internazio nale di Propaganda Razionalis ta, Ch~ne-Dourg (Ginevra, Svizzera) ».

I nfine, ancora su ll' Av11,nire d el 1.A110,a1ore, N 268, 3 settembre 1904, V II, compare questa curiosa Uue,a del Padre Eterno:

« Dal par,ulùo, 24 -8 -1 904,

« Carissimo Mussolini, figlio m io,

« occupatissimo in questi g iorni a mutare le condizion i atmosferiche della terra e ad organizzare valanghe, t emporali, uragani, te rremoti ed altro ben d i me s tesso, non ho avuto il tempo di g ettare un' occhiata anche su di te, che mi sei caro come tutti gli altri miei fig li.

« E tu hai approfittato di queste mie soverchie occupazioni per farm ene una grossa g rossa. H ai dato alla stampa quel tuo opuscolo, i l quale dimostra proprio, a nche ai ciechi, che la g razia si è allontanata da t e

• Povero e diletto mio figlio, ma che ti ho dunque io fatto perché tu te la pig li così acremente con me? Evident emente tu ci hai una g rossa questione personale col t uo buon Padre Eterno ! Ep pure no n ti ho io fatto a mia immag,ine e somig lia nza? Non ti ho io dato un animo che, come quello di papa Sarto e di don Tresoldi, è soffio e spirito d i vino, simi le in tutto a q uello dei santi e delle sante, che quassù mi fan corona? Non sono io che muovo i fili della tU1

VI NOTA INFORMATIVA

esistenza e ti faccio pensare, vole re, agire? Qual potenza più forte d i me, che sono il t uttopotènte, ti ha fatto sua pr eda? Qual microbo ti ha ma ngiato il cervello," gua i cancro ti ha roso il cuore?

« Vedi, caro Mussolini, dinanzi a tante proVe della umana perversità ed ingratitudine, io comincio a pensare "o che io non son più io, o che è venuto meno il poter mio ''.

« Pe rsuad imi tu. Dimmi che quello da te giocatomi è un brutto scherzo, scrivimi che tu sei ancora la mia creatura devo ta in ·tutto e per tutto ai miei vole ri, obbediente e riverente. E il mio cuore di Padre Onnipotente esulterì..

« E butta al fuoco quel tuo brutto li braccio che hai dato alle stampe, mentre io, per altri più urgenti bisogni, avevo tolta la mia mano di sopra a te.

« Ricevi la mia santa benedizione e credimi il tuo aff.

« e per copia conforme

« Padre Eterno

« AriJJe T ormenti~

2) Benito Mussolini - Claudia Parliulla, l'amante del cardinal,. (Grande romanzo JIOrÙo de/1',poca del cardin11/e Carlo Emanu,le M ad, uz. z.o)

Que$to .romanzo è pubblicato in appendice al giornale JJ Popolo di Trento (vedi voi, Il , pag. 10), in cinquantasette puntate, non consecutive, dal N . 2907, 20 gennaio, al N. 2997, 11 maggio 1910, XI.

D opo la pubblica.zione delle prime due puntate, nel N. 2909, 22 gennaio, è dedicata al romanzo una pagina intera, nella quale, con due nuove puntate, sono ristampate anche le precedenti. Ciò « per corrispondere al d esiderio di molti lettori, che invano hanno fatto r icerca presso i rivenditori dei giornali contenenti le due prime puntate ».

Fin dal N. 2871, 4 dicembre 1909, X, appaiono a grandi caratteri, sparse sul giornale, varie diciture « Claudia Part icella », senz'altra aggiunta. Il pri mo annuncio preciso, pubblicato s ul N . 2892, 31 dicembre 1909, è del seguente tenore:

« Benito MusSOlini, il nostro redattore, sfrattato dall'Austria, non ha dimenticato, nella n uova dimora, il giornale pel qua le qui seppe combattere tan te belle battaglie.

« E mantenendo la promessa fattaci ha scriuo appositamente pel Popolo un romanzo storico, pel quale aveva -con in6nita pazienza raccolto materiale in bibl ioteche e archivi.

« L'argomento da l ui $Celto Cl1111dia Panicella ci fa conO$Ce re uno degli episodi più clamorosi nella stòria del p rincipato ve5Covile di Trento; ci trasporta in mezzo alla corruzione dilagante nella corte principesca e documenta una serie d i intcig hi, di tradimenti, di passioni, agitantisi attorno alla lussuriosa e volpina figura · del cardinal Madruzzo.

« Chi rico rda lo stile incisivo, la frase mordente, veristica, del nostro Mus$Olini, ben può immaginare come egli abbia saputo intrecciare su questa trama storica un romanzo emozionante, che si vo rrebbe leggere d 'un fiato, un romanzo che tutto vibra di passione.

« Noi ne comin,eremo la pubblic:1.2ione verso la metà di gennaio.

« Anticipandone l'annunzio siamo $icuri di far cosa gradita ai nostri lettori, i quali potranno ,onstatare come proseguiamo nel mantenere la promessa d i rendere sempre più attraente il nostro giornale».

Questo annu ncio ripetuto nei N n . 2898, 2899, 2900, 10, 11, 12 genna io 1910, con la variante che le parole « verso la metà di gennaio» sono sostituite da tra pochi giorni».

NOTA INFORMATIVA VII

Sul N 2903, 15 gen naio, appare invece il seguente nuovo annuncio:

« Il Po~o/o. inizierà entro fa prossima settimana la pubblicazione del grande roma nzo storico di Benito Mussolini:

Claudia Panireila, /'amanu del cardinale .Madruzzo.

. « Questo romanzo, scritto su document i storici da un g iovane lette rato di fervidissimo ingegno, è destin:lto ad avere il più grande successo.

« E qu.1nti su queste colonne . hanno app rezzato lo stile vigoroso, incisivo e la cultura del Mussolini, s'accorderanno ron noi nel ritenere la pubblicazione di questo romanzo un avvenimento letterario, tanto più importante per noi trentini, :-.erché in esso è splendidamente descritto uno dei pi.ù importanti periÒdi storici del nostro paese.

« Chi non vuol rimanere privo di qualche puntata del romanzo, si affretti, se g ià norl l'ha fatto, a rinnovare l'abbonamento ».

Pure questo annuncio è ripetuto, e nei Nn. 2904, 2905, 2906, 17, 18, 19 gennaio.

I nli.ne la rivisto. Vita Trentina (vedi voi. Il, pag. 35), fascicolo 3, 20 geònaio 1910, Vfl,.. r eca;

« 11 quotidia no Popol o ha iniziato ·in ques ti giorni la pubblicazione di un rom:1.nzo che si svolge .nel castello di Toblino ed ha per tema uno dei più i mpor"tanti periodi della storia politica trentina,

« Il romanzo si intitola Cia Pa11icella {,rie J, l'amante del cardinal Madruzzo, ed è dovuto alla penna caustica dì Beni Muss. [Jic]. ... ».

Fino a questo momento, il romanzo non è stato mai pubblicato in yolume nel testo originale. Del l:ivoro, invece. vennero fatte traduzioni in inglese (1928, 1929, 1930), polacco (1930), 5pagnolo (1930), t edesco (1930), bulgaro (19 32).

t·idea di scrivere un romanzo storico alla Dumas padte, con lo scopo di infama re la Chiesa e il clero, nacque in Mussolini a Trento. Ne parlò a Cesare I3attisti, il quale suggerì lo spunto storico reale; e, essendogli piaciute-, la p rosa romantica di Mussolini, lo stimolò a stendere il romanzo. Il giovane romagnolo visitò i luoghi che si proponev.a di descrivere e raccolse ·con pazie"nza materiale . un po' dovunque, Soprattutto nella Biblioteca comunale di Trento, dove lesse attentamente tutte le opere che già avevano trattato il soggetto di cui intendeva occuparsi, quali; L' uitimo M admzzo di Calotta Ferini, 1866; A n Eud, und EiMck (Bilder aus Siidtirol) di Wolfgang Brachvogel, 1888; Claudia Parricelia ( Ein Sa11g auJ d em T renJin o ) dì Arno ld von Passer ( pseu:lon imo di Franz Eduard Lç!, ;• Hoffmann), 190'5; Filiberta M adrnzzo (E.slratto dal gio rna le L'Alto A dige), 1908:

Dopo l'espulsione dal Trentino (vedi voi. II, pagg. 2-3), negli ultimi mesi del 1909, a Forlì, Mussolini cominciò la stesura del romanzo, e ne mandò là prima parte a Ba ttisti, cui piacque (vedi vol. II, pag 269). La pubblicazione t:bbe moho successo e rappresentò una vera fortun;i. per Il Popolo, tanto che· Ballisti sollecitò I'auto1·e a moltiplicare i colpi. di scena per allungare il roman zo. Siccome M ussolini aveva· estremo bisogno di denaro essendosi accasato proprio nel gennaio del 1910 con Rachele Guidi ( vedi pag. 268), e poiché ogni puntata n on lo impegnava per più di· un quarto d'ora, accondiscese al des iderio dell'amico. Ma fu indotto a chiedergli un aumento del compenso per tirare avanti. il romanzo e la vi ta. Dopo breve dibattito, i due si accordarono sulla ba:;e di q uindici lire per puntata.

Scriveva Battisti a Mussolini il 18 febbraio del 1910: « Carissimo, spero che i denui, spediti, ti saranno giunti a tempo . L·appendice è ora esauri1a e vi è urgenza che tu mi mand~ alcune puntate. Stabilisci poi per tempo quando desideri

VHI
NOTA JNFORMATIVA

il residuo importo.... l'appendice è letta ron molta avidità. I compensi 6.nanziart sono scarsi, ma rischi di avere un monumento in piazza del Duomo. T i par poco?». E il 2' dello stesso mese : « Carissimo, ho ricevuto le nuove puntate. 11 romanzo è semp re letto con malta avidità e la vendi ta a Trento n e ha avuto nolevole vantaggio. Pel giorno stabilito avrai le venticinque lire». Poi suggeriva un ouovo episodio per il romanzo.

Ma, successivamente, stanco di que lla storia e disinamoratosi di q~I genere letterario, Mussolini minacciò di chiudere i l r acconto. Allarmatissimo, Ba ttisti ' lo scongiurò di continuare. « Si rinnovano gli abbonamenti », gli scrisse fra l"a!tro. « Ancora un poco dì ossigeno: scade il "tr imestre» ». Anche Rachele, .semp re in angustia causa le ristrettezze economiche, esortò il suo uomo a perseverare in vista dei modesti compensi. Infine, per pura n e<:essità finanziaria, Mussolini decise d i seguitare. _ Talvolta Rachele si free sua collaboratrice, suggerendogli n uovi grovigli nella trama da sviluppare.

Mussolini non apprezzò mai que l suo lavoro (vedi pag . 2(iJ). Nel 193 2, parlando con Lud't'.•ig, dichiarò; « La storia dd cardinale è un orribile libraccio; l'ho scritta con intenzione politica, per un giornale. Allora. il clero era vera, mente fo quinato da elementi corcotli. un libro di propaga nda pol itica » . T ut· tavia non disconobbe mai i l suo peCC'3tO lettera rio giovanile; a nzi, d ura nte il reg ime, quando un produttore americano gli p ropose di ricavarne un fi lm, egli accettò (: stabili che i proventi sarebbero andati a favore dei fi gli di Cesare Battist i. Ma poi non se ne fece nulla.

3) Benito Mussolini - Il Trentino t,•eduto da un socialista. (Noie e ,wtizie).

Firenze, «< la Rinascita del libro »,-Usa Editrice Italiana di A. Quattrin i., 1911 , in sedicesimo, pagg. 104, prezzo centesimi 95.

h il numero 8 dei. « Quaderni della' V oc e», raccolti da Giuseppe Prezzolini

Il settimanale La Voc-e di Firenze, N. 19, Il maggio 1911, 111, reca J'an· nuncio d i uscita del volume

Parti di questa opera, iniziata sul finir e del 1909 (vedi voi. ll, pag. 269), sono pubblicate sulla V oce, Nn. 4, ~> . 6 · gennaio, 15 dicemb re 19IO, Il ; sul quindicinale Pdgiru Li bere di Lugano, Nn. 18-19, 1 ottobre 1910, IV; sul gio r. nale A,.,,,,mti! di Milano, N. 216, 7 agos to 1914. XVIII. .

Sulla Pro Cultura d i Trento, rivista. bimestra le di studi trentini, vo i. JJI, 1912, pag. 326, appare questa recens ione, firmata G. [ ino] M.[azzani] :

« L' autore di questo vol ume tto visse per un aci no nel Trenti no e vorrebbe fare conoscere il nos tro paese "'qual'~ oggi nella sua situazione linguistica, economica e politica" al g rande pu bblico de l Regno. L'intento è assai lodevole, ma il lavo ro porta qui e lì d ei dati inesatti, tolti di seconda mano (articol i del Popolo), è infarcito di errori tipografici, e ci sembra improntato a soverchio pessimismo, difetto <jUCst'ultimo comune a quasi lotti i collaboratori della Vou che s' occuparono dei paesi italiani dell'Austria e del le questioni che li torment ano.

« Una certa severità e forse unilateralità di giudizio sono spiegate d a l fatto che l"autore è militante in un partito ed anc he a Trento visse sempre tra i suoi corre"lig ionari; ciò che può aver infl uito a turbargli alquanto la serenità del giudizio. Ma egli onestamente fa palese già. in testa al volume la sua qoal it;\. di socialist.l. e quindi di osservatore parlig i.ano.

« L'autore s'occupa net primi capito li, copiando, sen za citarlo, un a rticolo <!ella Ntto111t 11.ntologia, de l p:1.ngermanismo teorico e prat-ico (ve ramen te J'szione p;mgermanista contro di noi si delineò già tra il 1840 cd il 1848), cioè delle correnti di p ensiero pantèdesco e delle istituzioni che ne vor rebbero realizzare il p rogramma (Siid mark, V o/k1hund, S,hulvere in), alle quali v iene contrapposto

NOTA INFORMATIVA IX

l'opera della Lega nazionale, che a ll'autore sembra " troppo legale e informata qualche volta· a cri1eri opportunistici". Osservazione che contiene un r improvero non meritato da chi dirige la forte e laboriosa Associazione, .la quale deve operare co n infi ni ta prudenza per le gravi respo nsabilità che le incombono

« Meno ingiusti i rimproveri che l'a uto re, nella parte più interessante del volume ( ove espone i l carattere e le v icende dei tre partiti politici del T rent ino, Libera le-nazionale, Clericale e Socialista), muove ai partiti di condurre u na vita chiusa, superficia le fino al pettegolezzo, con tradditoria fino a ll'assurdo, paurosa e ma lignante. Vera l'asserzione che il P ar tito Liberale (assieme agli altri p artiti, se ciò può attenuarne la s ua responsabilità!) abbia riposto il vecchio postulato deirautonomia, che fu la ragione prima del suo sorgere e la sua gloria pi ù pura « Felicemente intuito e descritto nel suo tssere di tre anni fa il Partito Clericale, che ora, se non sono vane· illusioni, ci sembra volersi orientare un po· alla volta verso più s inc~ re mete. L'auto re no n sa scorgere u n avvenire nemmeno per il Partito So,::ia lista, per la. mancanza di un vero proletariato operaio. Ai socialisti l'auto re r ivendica il merito di a.vere nel 1897 e '99 ris ollevata la q uestiOfle d ell'autonomia almeno per qualche anno.

« Una breve nota bibliografica non p uò occuparsi' dei molti sva rioni ti pog:ra.6d, d i errori di nom i e date. D el restò , il libro non ebbe, si può di re, eco a lcuna, perché si r ivel a subito come abboracdato e scritto senza serietà di ricerche»

4) Benito Mussolini - La mia viJa dal 29 luglio 1883 aÌ 23 novembre 19 1 L Si tratta. dell'autob iografi3. giovanile scritta durante il dicembre del 1911 e il febbraio-marzo del 1912 nelle carceri di Forlì, quando vi scontò una condanna. di cinque mesi di reclusio ne (vedi vo i . III, pagg. 2-3, 102-103).

L'a utobiografia venne stesa su un piccolo qua~erno, il quale passò poi per le man i di Arturo Rossato e di Margher ita Sarfatti, che se ne servirono pu le foro biografie d i Mussolini. Ritrovato, fu pubblicato nel 1947 per i tipi dell'Editrice « Faro» di Roma.

S) Benito Musso lini - Giovanni H uu il veridico - Roma, Podrecca c G alantara, 1913, in scJicesimo, pagg. t 19, prezzo li re 1.

D oveva essere il numero S de lla « Collezione storica de I m artiri del libero pen;iero » , diventato poi il n umero 7, forse per la soppressione di u n volume.

Q ualche esemplare ha infatti il numero 7 imp resso a sta mpig lia. sul nu mero 8.

Su diversi numeri d ella Lolla d i ClaJJe (vedi voi. lll, pag. 7) del mese d i agos to del 19 1I è annunciata come prossima l'uscita dell' opera (vedi anc he pag 268). Essa fu poi differi ta, probabilmente a causa della detenzione d i M ussolini ; e pare che nelle carceri di Fo rlì egli abbia ri visto ed aggio rnato il lavoro. Comunque, tsso- vide la l uce negl i ultimi giorni di maggio del 1913

Due capitoli del libro appaion o sul P op olo d' l 1alia, N. 22, 22 gennaio 1918, V.

X NOTA INFORMATIVA

OPERE GIOVANILI

L'UOMO E LA DIVINITÀ

(CONTRADDITIOR!O AVUTO

COL PASTORE .EVANGELISTA ALFREDO TAGLIALATELA LA SERA DEL_ 26 MARZO 1904

ALLA « MAISON DU PEUPLE » DI LOSANNA)

PREFAZIONE

Dio non esiste. La religione nella scienza i l'au11rdo, nella pratica un'immoralità, mg/i uomini una malattia. Questo fu il tema specìfico del contradditorio di Losanna.

Pregato da alcuni compag ni, pubblico oggi lo svolgimento della mia tesi, ribattendo anche le principali orgamentazioni dell' evangelista Taglialatela. ,

Con quest'opuscolo « La bib1ioteca internazionale di propaganda uzìonalista » inizia le sue pubblicazioni, fiduciosa d'inconttare 1e simÌ,atie dell'elemento operaio e lieta di contribuire colla sua opera al movimento g enerale d'emancipazione umana.

La lotta conttO l'assurdo religioso è oggi più che mai necessaria. La religione ha rivelato alla piena luce del sole la sua essenza. Illudersi ancora, sarebbe ·viltà. Nè gli adattamenti della Chiesa alle nuove e ineluttabili necessità dei tempi ci lusingano. Sono tentatlvi gerieralmentc vani, di rialzare i titoli della « banca divina» già in via di fa llimento.

Davanti all'espandersi del libero pe nsiero, Papa Sarto, trepido delle soiti d el suo dominio, grida : Fedeli, l'« Anticristo» è nato!

L'« Anticristo» è la ragione umana che si ribella· al dogma e abbatte Dio.

M. B.

LJlg/io l!)O.f•

« DIO NON ESISTE»

Quando noi affermiamo che « Dio no n esiste }> intendiamo, con questa Proposizione, di negare l'esistenza del dio personale ddla teologia ; del dio adorato, sotto vari aspetti e con modi di versi, dai devoti di tutto il mondo; d el dio che dal nulla crea l' universo, dal caos la materia; del dio dagli attributi a ssurdi e ripugnan ti alla ragione umana.

Noi quindi combattiamo il dio che ogni filosofo, che ogni mistico può creare, forse a sua immagi ne e somiglianza. Nè spetta a noi discutere sull'« anima del mondo » di Giordano Bruno ; sulla <<monade» di Leibnitz; sul e( panteismo» di Spinoza; sull'« essere supremo>~ di Massimiliano Robespierre; sull'(( ente» della meta6sica mazziniana o sull'« idea direttrice» di Claudio Bernard. Quest'idd.ii rappresentano d elle pure conce2ioni filosofiche, sono le risposte al <<perché » della vita e lungi dal suffragare il dio ·delle relig ioni, ne combattono e distruggono l'esistenza.

D a Bacone, Galileo, Cartesio, da ques ta luminosa triade che in Inghilterra, ir~ Italia e Francia ini ziò la filosofia spe rimentale, la Scienza, con tutte le sue branchè, h a invaso interamente e conquistati i campi dello . scibil e umano. Questi campi, altra volta isterifiti dalle vuote discussioni accademiche o dalle astrazioni metafisiche di una pseudo filosofia, oggi sono diventati fecondi, grazie al nuovo metodo che presiede alla ricerca scientifica, m etodo essenzialmente obiettivo, scevro di preconcetti o presupposti assoluti; metodo d'indagine, che prima dì domandarsi il « perché» ".uol conoscere il « come».

Cosl, ad ogni scoperta d e lla chimica, della fisica, d ella biologia, d elle scienze antropologiche, ad Ogni applicazione pratica dei principi trovati, è un dogma che cade, è- •1..ma parte del vecchio edificio religioso che crolla e rovina. Il progresso continuo delle scienze natura li va fugando, dalle città alle campagne, le tenebre dense del m edioevo e le moltitudini disertano le chiese, dove, per genera zioni e generazio ni, si trascinarono a pregare un dio, parto mostruoso dell'ignoranza umana.

Tuttavia j deisti, e sotto tal nome comprendiamo tutti coloro che affermano, senza provarla, naturalmente, l'esistenza di un dio, credono di confonderd quando domandano: Soppresso dio, creatore e r egolatore dell'universo, come il materialismo ateo spiega la vita nell'es• ·sere e nel divenire? Come risponde al supremo «perché)) davanti al quale sta la profonda notte del mistero?

Rispondiamo: il «perché» ultimo ci trascina nel campo dell'« ipotesi». Quando noi siamo giunti all'estremo punto interrogativo, ai confini di quella regione che Spencer impropriamente chiama « i nconoscibile», noi preferiamo arrestare la nostra ricerca invece di abbandonarci alla costruzione di un sistema metafisico, vero gioco di parole. I teologi invece, volendo spiegar tutto, non si fermano nepp ure a formulare un'ipotesi, non tengono conto di quelle« relatività)) delle conoscenze umane, oggi patrimonio della filosofia; ma c o n un pro• cesso assurdo d'astrazioni arrivano all'unità «dio», la ricoprono di attributi impossibili, la pongono come verità eterna, assoluta, di cui non è permesso il semplice dubbio. Partiti dalla metafisica, arrivano al dogma.

Anche la scienza ricorre all'ipotesi, ma non pretende d'imporla mai neppur quando è divenuta verità. E la nostra ipotesi, mentre è confortata dai risultati delle ricerche scientifiche, ci pare più conforme al bisogno della ragione umana, bisogno di libertà. Il dio fantasma e supremamente ridicolo di tutte le scuole teologiche serve ad arrestare l'investigazione filosofica cd è una barriera ostacola nte il progresso dello spirito umano

Noi pensiamo che l'universo, lungi dall'essere opera del dio teologico e clericale, non che la manifestazione della materia, unica, eterna, indistruttibile, che non ha avuto mai principio, che non avrà mai fine. La materia ha dei « modi )) coi quali si riflette nella grande città dell'anima umana; « modi » che si trasformano, evolvono, migrano di forma _in forma sempre più eletta. In questo immenso e continuo processo di dissoluzione e di reintegrazione, nulla si crea, nulla si distrugge. La vita, dunque, la vita nel suo significato universale non è che una combustione perenne d'energie eternamente nuove. L'universo si spiega qual movimento di forze. Tutti i fenomeni studiati dalla fisica (calore, luce, suono, elettricità) si possono ricondurre oggi alla vibrazione più o meno i ntensa della materia, Q ues ta è dominata da leggi etèrne ed immutabili che non conoscono né morale, né benevolenza; che non rispondono ai lag ni e alle preghiere del.l'uomo, ma su di esso resp ingono spietatamente il suo fat o Queste leggi tutto governano: dai più piccoli ai più complessi fen omeni, dall'apparire di una cometa allo sbocciar di un fiore, Contro di esse

OPERA OMNIA
DI BENITO MUSSOUN[

E LA DJVINITÀ

l'uomo non può nulla. Può arri va re a conoscerle, a servirsene, ma non può arrestarne l'azione benefica o malvagia. Chi potrebbe im• pedire la precipitazione del vapore acqueo · che dà la rugiada ? Chi potrebbe ferm are la terra, nei suoi undici movimenti simultanei ?

Chi potrebbe opporsi al flusso delle maree o impedire la luce del sole?

L'evoluzione domina i « modi » d ella materia, Per essa, dalla « cellula incolore » che rappresenta il primo momento della vita animale, si giunge, per successive , trasformazioni, sino alla sua più alta espressione : l'uomo,

Ma esaminiamo la natura del dio. Sforziamoci, quindi, di ragionare sul vuoto, essendo H dio dei religiosi la genuina immagine del loro vuoto mentale, la prova della completa assenza di ogni attività di raziocinio . Gli attributi di Dio rendono il mondo impossibile. Anzi. tutto ripetiamo: Se dio è perfetto, come poteva, e perché, CCeare un mondo che non lo è? Se siamo fatti a sua immagine e somiglianza, se in tutti noi vi è una particella dell'essenza divina (anima), perché l' ignorante e il dotto, il cretino e l'intelligente, il bello e il deforme?

D'altra parte, com'è conciliabile c oll' idea d'un creatore la presenza di organi rudimentali o atrofici, le anomalie e le mostruosità, l'esistenza perenne e universale del dolo re, la lotta e la disuguaglia nza fra gli esseri ?

Epicuro, filosofo vissuto a Roma durante la decadenza della Repubblica, p o neva le seguenti questioni:

« O Dio vuole levare iJ male da questo mondo e non può riusci rvi ; opp ure può levarlo e non vuo le; oppure né lo può, né lo vuo le; oppure, infine, vuole e può levarlo, Se lo · vuole, senza poterlo, non è onnipotente; se può levarlo e non lo vuo l~, non è più infinitamente buono; se non può, né lo vuole, ~. nello stesso tempo, impotente e catti vo ; se, come affermano i deisti, può e vuole le. vario," ditemi allora da dove viene il male sulla terra e perché Dio non lo rende impossibile? »

B , prima di Epicuro, Platone, filos ofo greco, discepolo di Socrate, domandava:

« Che cosa faceva Diò prima della creazione? Vegliava? Se dormiva d ura nte t utta l'eternità, era morto; se vegliava, mancava qualche cosa alla sua felici tà; se aveva biso8DO di qualche cosa, non era Dio; s'e nulla gli manca va, perché mai creare il mondo?».

E Lucrezio, altro g rande poeta e filosofo latino, rivolgeva ai deisti le seguenti interrogaz~oni:

« L' Essere supremo che for ma ha? l!. in qualche luogo o fu ori d' ogni l uogo ? Ii nel tempo o fuori del tempo? Riempie o no tutto lo spazio ? Perché ha fatto

L'UOMO

questo mondo? Qual è il suo scopo? Perché formare degli esseri ~nsibili e dolorosi? Peri:hé il male morale e il male fisico?» .

In tempi più a noi vicini, Giuseppe Ferrari, l'autore della Ragione di S tato, della Filosofia della rivoluzione e di altre pregevo li opere, rincara la dose e scrive in u n brano che val l a Pena di riportare:

(( Stabilita l'esistenza di Dio, invece di spiegare jf mondo lo rende impossibile. Dio è immenso e l'immensità distrugge l o spazio che si p uò ·limitare e dividere; D io è eterno e l'eterni tà sopprime il tempo; Dio è infinito e l'infinito esclude il mondo, lo riduce ad un'i llusione. La divinità è inalterabile e l'i nalterabiliti m ta pure alla creaiione. Come uscirebbe il creato da l seno d i ciò che non cambia? Sarebbe tirato dal nulla e la logica non lo permette: essa rifiuta la potenza dell'imposs ibile a Dio come alla na tura. Il mondo sarebbe emanato da Dio? N o i vedremmo Dio diminuirsi, divider.si, annichi lir.si. 11 mondo sa rebbe e terno? Allor a l' infinito sarebbe ne l mondo; non avrebbe più bisogno di. D io. Tra.scucio.mo le ro.giofli che interd icono a Dio l' atto· del creare, supponia molo creatore. Per guai mot ivo decidevasi ad uscire qa!J' eterno suo riposo per cre.1re lo. natura? Perché non r itardava o non an ticipo.va di un secolo, di u n·ora l'origine d elle cose? Percl1é collocava il mondo nel luogo che occupa e non in luoghi più lontani? Qua l'era lo scopo di Dio scegliendo, fra tutte le creazioni possibili, fa sua creazione?».

Noi aspetteremo invano u n a risposta a queste do mande. Il T aglìalatela medesimo virò di bordo, e si guardò bene dal darne · una.

Il _dio dei religiosi poi, è la contraddizione personalizzata Dicono che è infinitame nte buono cd in6nitamente ·giusto. Come infinitamente buono, dovrà perdonare i" più orribili peccati; co me i nfinitamente giusto, dovrà punire anche le p iù lievi mancanze. Come possono conciliarsi queste due coritradclitorie qualità?

Ma ciò che più ripug na alla ragione umana è il fatto inconcepibile d ella potenza creatrice d el dio che. dal «nulla» crea il tutto , dal caos l 'universo.

« Ora i fatti irrepugnabilmente d i mostrano che giamma i e .in nessun luogo ' noi troviamo le tracce d i una creazione immediata e noi dobbiamo ricercare il principio di o8ni esistenza e d'ogni deperimento nella sola, reciproca ed eterna azione delle fo rze fisiche». (Rodolfo Wagner).

L'ipotesi di una creazione dal nulla rappresenta l'infa nzia del pensiero filosofico ed è in assoluta opposizione con tutte le leggi della chimica e d ella fisica. Non è d u n qu e inconcepibile e ass urdo questo (< salto m o rtale » (Bakunin) c he fa dio, dai purissimi cieli dello spir ito a l fango bruto della materia? QuestQ partorire (è il casò d i usare un v e r bo ostetrico) il mondo degli uomini con tutte le sue m iserie e le sue v iltà ?

8 OPERA OMNIA DI BENITO
MUSSOLINI

La nozione che molti teologi ci danno di un dio giustiziere è supremame nte ridicola. Il concetto umano di giustizia riferito a Dio, gli attribuisce una giustizia ferocemente ul tra draconiana. Per pochi anni di peccato, una eternità di pena jn u n ergastolo di fuoco I Ecco la giustizia divina I Forse C:dzia aveva ragione di credere che gli dei erano. i ngegnose invenzioni dei re per assicurarsi il potere e per reprimere i delitti segreti sfuggiti all?' giustizia degli uomini I Passiamo ora all'esame obiettivo dei principali argomenti che i deisti, dai teologi imbottiti di scolastica :i!-Ì rubicondi frati zoccolanti, adducono a sostegno .dell'esistenza di Dio, Una volta intesi un parroco tenere questo ragionamento ai suoi fedeli :

« Gli eretici vi dicono che Dio non esiste, perché nessuno l' ha mai vedu to. Eppure voi. credete nell'esistenza della Cina, senta esservi ma.i sta.ti» .

. Con questa semplice differenza, r everendo. Dopo una traversata di cinq uantil giorni si può verìficare l'asserto dei viaggiatori e l'esistenza dell'impero celeste, ma fino ad o ggi nessun mezzo di trasporto ha potuto condurre gli increduli a11e magio ni divine, né il Vecchio Triangolo dalla barba biancà si è mai ·degnato di scendere dalle nubi e mostrarsi agli. uomini.

Questo 3:rgomento da seminarista cattolico non è l'unico. Ecco il pastore protestante, grave dd p ondo luterano o calvinista, prendere un'espressione da inspirato e dire : l'ordine ammirabile dell'unlverso è la prova dell'esistenza di Dio.

Ma che cosa significa questa parola «ordine» ? Assurdo, preso in senso assoluto, « l'o rdine» è un concetto relativo che la men te umana ha elaborato lungo il corso dei secoli, constatando una certa regolarità della successione e manifestazione di alcuni fen o meni naturali.

La nozio"ne d'« orcline )) suppone logicamente la nozione di « disordine». Riportandone una a Dio, si riportano tutte due. Dio sarebbe allora ordine e disordine nel medesimo tempo, e questo è assu rdo. Siamo· d unque noi che trasportiamo fu ori della nostra coscienza , nel mondo delle cose i concetti relati vi di ordine e disordine. L'« ordine divino » è assente dalla natura, I teologi avanzano: come _ un forte argo mento, « l'antichità d ell'idea di D io )) ·a prova della sua esis tenza

I calcoli del De-1'.fortillet climosrcano che l'antichità dell'idea di Dio è recente. L'uomo sarebbe vissuto duecentomila acini senza religione e solo da quindicimila anni si è da to a pratiche relig iose. Ma anche ammesso che l'uomo appena superato il petiodo della sua pura

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B LA DIVINITA
2, • XXXIII.

animalità, .abbia creduto in Dio, n on è questo fatto sufficiente per affermare l'esistenza di Dio. La storia è la progressiva negazione del passato (Bakunin). DaU'animalità bruta, a forme sempre meno violente, che costituisce il lunghissimo ciclo deJla pre istoria umana, l'uomo vi verso l a sua storia, verso l'umanità. D ietro di noi, quindi, un passato di tenebre; davanti, un avve nire cli luce. E via via che l'umanità prog~edisce, molte delle credenze nate nella preistoria si atrofizzano lentamente e muoiono, Ma, condnuano i teologi, non è forse una prova dell'esistenza di Dio, l'« universalità» dell'idea? Tutti i popoli della terra credo no in D io.

Cominciamo ·dal dire che quest a affermazione teologica è inesatta. Vi sono grandi collettività umane nell'Oriente che hanno una religione . atea riassumentesi in una specie di codice morale. Se per religione devesi intendere un sistema metafisico, un sistema di dogmi e un rituale pratico, ci sono allora dei popoli c he non hanno religione, Esempio, il giapponese. Ma ammettiamo, per un momento, che l'idea di Dio sì trovi in tutta l'umanità. E, sintomatico ch'esso si presenta sotto forme diverse a seconda d elle condizioni di tempo, di luogo, di mezzo-ambiente, Il dio unive rsale si chiama Jehova presso gli ebrei, Jaho presso i fenici, Kuef dagli egizi, Chang-Ti dai cinesi. Un ragno nero fu il dio di certe tribù n egre della Guinea africana, e altre tri bù dell 'India adorano dio in un rospo colossale Ma Dio cambia a seconda della latitudine terrest re. Cosl al nord fu adorato, come dio, il sole; all'equatore invee~ fu la luna che ebbe gli onori di un culto quale divinità. Ma Dio si trasforma ancora nel tem po. Dai primi dei ferod, si passa gradatamente al gaio olimpo pagano. Taglia latela seppe dirmi che Dio era un'idea che si modificava attraversa ndo H prisma dell'intel!igenza umana.... Ma come mai un'idea p uò darmi la vita, l'unive rso, la materia? L'universalità dell'idea di D io è p roprio la prova migliore della sua esistenza ? Non vi sono state m olte credenze universali, comuni alla maggioranza degli uomini, che furono poi dimostrate false dalla scienza?

Battuti anche su questo punto, i religiosi ricorrono all'« anima », a questa « particella d'essenza di vina » che differenzia l'uomo dal bruto,

Bisogna essere completamente digiuni di fisiologia, biologia e psicologia per poter sostenere oggi l'esistenza di un'anima, indipendente dal corpo, e che non form i invece col corpo « due 3,spetti diversi dell'unica natura umana» (Lidner). La psicologia sperimentale h a smentito la teoria di un'anima principio a sé, provvista a mezzo divino di alcune facoltà per cui all'uomo era possibile ragionare, sen-

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BENITO MUSSOLINI

tire, appetire, volere. Dopo che Locke, col suo metodo d'int rospe2iooe, ini2iò la psicologia sperimentale, si è riconosciuto che l'anima è il prodotto del lavoro deg li organi centrali del nostro sistema nervoso, una semplice risultante del travaglio continuo delle nostre cellule cerebrali, come la risultante del moto interno di un oro]ogio t il segnar delle .ore, la misura del tempo. Secondo i calcoli di Baio e di Meynert, jl nostro cervello si compone di un milione di cellule. L'eccitazione di q ueste cellule, prodotta pel tramite di sensi interni ed esterni, conduce alla loro modificazione chimica con un processo di cui si conoscono le leggi. Dal primo atto della vita psichica, la sensazione, si giunge alla «rappresentazione». all'climinazfone dei rapporti estrinseci, al ·« giudizio semplice», ali'« idea)). Cosi si forma la coscie nza, la quale, nell'uomo, risulta dal patrimonio di sovrapposizione st orica dei trovati disfarmi e discordanti delle età passate e può paragonarsi alla r occia geologica costituita da una serie di stratificazioni indifferenti.

L'anima « prodotto del cer vello >) ci spiega molti fenomeni, incomprensibili coll'anima particella d'essenza divina. Infatti se l'ani ma fosse un principi.o, divino, eterno, inalterabile, perché nasce, si sviluppa, muore ? Se fosse superiore al corpo, perché s'indebolisce quando questo invecchia? Se non avesse alc.uoa relazione colla materia, perché una caduta o una semplice frattura della scatola cranica può cagionare l'idiozia completa e trasformare un uomo intelligente in un cretino? Come ci spiegano i deoanimisti il fatto, ormai incontestabile, che la potenzialità psichica è io ragio ne iliretta del peso del cervello e del numero di circonvoluzioni ce rebrali ? Dalle ultime induzioni fatte possiamo affermare che l'intelligenza ha la pienezza delle sue for ze tra u n peso cereb!ale massimo di milleottocentotrenta grammi e un minimo di milleduecento; che il labirinto delle circonvoluzioni è più complicato nelle razze colte che nelJe r à.zze ignoranti; che i due più importa nti fattori dello sviluppo intellettuale sono la q uantità di materia grigia e la cultura; che vera, pur non cade ndo ne lle esagerazioni di Gall, l'idea della « localizzazione » cerebrale, consistente non in regioni definite, ma in centri distinti la cui distruzione importa la perdita delJ'attività. La mancanza, per esempio, del centro di Bra ca da il mut ismo. Col principio di un'anima inalterabile, questo dovrebbe èssere i mpossibile.· E certe anormalità psichiche, come la pazzia, non possono spiegarsi col vecchio concet to dell'anima. Essendo questa emanazione divina, non potrebbe, sotto pena di assurdo, no n essere perfetta. Se l'anima, particclJa di Dio, può impa2:zire, anche il tutto, cioè Dio, sarà passibile di tal malattia. Ma in questo caso cessa di essere Dio, p erché l a perfezione e l'inalterabilità., gli attribu ti più cari ai teologi, sono scomparsi.

L'UOMO E LA DIVINITA Il

Da quanto sopra possiamo concludere che l'anima non principio divino, ma formazione naturale e che non basta· a provard l'esistenza di D io.

Cacciati da questo riparo, i deisti ricorrono ad un altro argoIllento di natura diversa:

« L'anima wnana sente Dio perché ha bisogno dell'infinito e le religioni che rispondono a tal bisogao non morranno».

Questa proposizione di Miiller vie·ne egregiamente confutata da Roberto Ardigò nella sua aurea Morale dei positivùti. La base delle relig io ni non è l'infinito, come pretende il Mi.illCr, ma il soprannaturale> i1 quale è al di là del1'ultima causa naturale scoperta, Ecc.o perché le religioni tutte hanno un fondo di miracoli e d'invenzioni divine. Non si può idenillicare Dio, unità fi ttizia al di là della natùra, con l'infinito, ritmo dell'intelligenza ulllana. Il misticismo dell'uomo, psicogenicamente si spiega, ma no n basta a spiegare l'esistenza di D io Infine, vi è l'argomento principe, che il Taglialatela non dimenticò nella sua risposta, .e cioè: i grandi u omini sono credenti, i più illustri scienzia ti credettero in Dio. Sopra duecentocinquantaquattro grandi uomini 'interrogati duecento risposero che credevano, una trentina si dichiararono agnostici, e solo cinque atei.

Passiamo sopra all'espressione « gra ndi uomini », che non signifka nulla . Ma ripetiamo che questa statistica non prova affatto l'esistenza di Dio, ma l'esistenza fovece di una fede subbiettiva.

Siccome l'affermazione che i sapienti credono in Dio fa generalmente colpo, cosl teniamo a fare qualche distinzione fra j cosid detti « grandi u omini ». Cominciamo dal sottrarre tutt i coloro che, p ur essendo atei, credono che il popolo abbia bi sogno d ell'idea di D io, per sopportare con rassegnazione le sue miserie. Costoro sono generalmente dei reazionari e il loro dio è il dio della conservazione sociale. Esempio Gaetano Negri, che, ateo, aveva, come sindaco di Milano, introdotta l'obbligatorietà dell' insegnamento religioso nelle scuole primarie.

Vi sono poi gli spiritualisti (non deisti), che divinizza no l'estremo perché d ell'universo, ma rifuggonc;> da pratiche religiose. Il loro dio individuale, subbiettivo, non è certo il dio delle religioni professate Vi è poi un esiguo numero di pseudoscienziati, mistici per temperamento e quasi generalmente imbottit i della vecchia filosofia classica o di una cultura prevalentemente letteraria, ·che tentano di legittim are l'assurdo, di conciliare l'inconciliabile , di colmare con abili sofismi l'abisso che separa il presupposto assoluto e la ragione umana, la libertà e il dogma, la scienza e la fede. Esempio tipico, in Italia,,

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il senatore Antonio Fogazzaro, che, attraverso alla prosa cattolica dei suoi romanzi, vorrebbe conciliare Sam'Agostino e Darwin.

Infine abbiamo gli scienziati atei (Berthelot, HaeckeI, Wurms, Biichner, Ferri, Séailles, Le Dantec, Fouillée, Ardigò, Lombroso, Nowj. cow, ecc.) e di questi s'onora l'Europa contemporanea.

Voltaire, il rappresentante tipico di quella filosofia sc.ettica e gaia che accompagnò il trionfo della borghesia sulla nobiltà e il clero, disse :

« Non Dio creò gli uomini, ma gli uom ini crearono Dio».

Pet vedere quanta parte di verità contenga l'affermazione volterriana, esaminiamo la ge n esi religio sa dell'idea di Dio e vediamo in che modo questa idea è sorta nel cervello degli uomini.

È ormai incontestato che l'u ovo generatore della religiosità fu la paura Paura che fu provocata da altre cause dì cui parleremo fra breve.

Varie sono le teorie sull'origine delle religioni: l'« anitÌJùmo » di Tylor e di Reppert, questa tendenza a dare un'anima a tutte le cose, che ebbe Prodigus a precurSore nell'antichità; la « teoria dtl sogno e degli spiriti» di Erberto Spencer, per cui la prima forma r~ligiosa sarebbe derivata dal culto dei morti e degli eroi; ed altre il cui esame mi porterebbe al d.ifuori dei limiti forzatamente brevi di un opuscolo di pcopaganda.

La religione spiegata psicogenicamente sarebbe la regolamentazione cosciente o no dei rapporti dell'individuo col soprannaturale. Vediamo gli inizi di questa regolamentazione delle relazioni fra l'uomo e ·1a divinità.

Non appena l'uomo ebbe il senso di osservazione abbastanza svi. luppato, di fronte ai vari fenomeni della natura che lo colpivano in bene o in male, volle darsi una spiegazione, Cosl prima di ado rare le forze fenomeniche, l'uomo ha tentato di spiegarle. È questa l'ipote s i di Guyau, che nella sua lrreligio n de l'avvenir fa risalire l'origine delle religioni ad una « parafi.sica )>, cioè ad un tentativo informe di spiegazione dei fenomeni naturali. Dop o questo tentativo, natui.-almente vano, l'uomo primitivo provò a lottare contro le forze invisibili che dominavano il ciclo breve della sua esistenza intellettuale e la lotta, fatta forse colle armi ordinarie che gli servivano per la caccia e la pesca, gli rivelò la sua impotenza. Questa fu madre della paura, che, a sua volta, generò·l'adorazione della forza sconosciuta, più tardi chiamata col nome dio. Si ebbero allora le prime rudimentali forme di culto e le prime caste di sacerdoti, sensali fra l'uomo e la divinità.

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Creato un dio, conveniva propiziarselo per evitare il male ed ottene re il berie. L'uomo aveva avve rtito prima il dolore tisico, che Jo portò ad attribuire alla forza oscura da lui divininata un potere malefico che bisognava placare. Poi avverti il piacere fisico e lo attri~ul del pari alla potenza del elio.

Sorse cosl una doppia divinità e due principi opposti: quello del bene e quello del male. È il dualismo che si trova alla genesi di tutte le religioni. È il dualismo che persiste ancora, sotto forme più attenuate, fra spirito e mate rfa, anima e corpo. È il dualismo che, trasportato dalla natura nell'uomo, fa l'anima principio del ben~ e il corpo principio del male, onde, per purificar quella, bisogna macerar questo. È il duaHsmo che diffama l'umanjtà a favore della divinità (Bakunin).

· Per questo dualismo infine, l'uomo primitivo intravvide l'utmtà di offe tte a elio, onde evitare il male e propiziarsi il bene. Cosl ebbero origine i sacrifici sanguinosi di cui fumarono gli altari dell'antichità pI'eistodca e l'idea della prop iziazione, arrivatà, attenuandos i, fino ai tempi nostri. I costumi si sono addolciti e per attirarsi le benedizioni celesti non si sgozzano più degli animali, ma si usano m ezzi più spirituali, come la preghiera. Nelle religioni moderne riformate, le offerte a Dio riyestono più che altro la forma di simboli, ma nelle forme di relìgiosità primitive l'uomo mercanteggiava, coi suoi doni materiali, la benevolenza del dio. Oggi ancora, gli altari delle chiese di campagna, frequentate da una popolazione dalla mentalità quasi primitiva, sono coperti di doni d'ogni genere; i napoletani invocano San Gennaro come protettore, anche per ]e azioni più ignobili.... : i bassi bretoni infrangono a colpi di randello le statue dei santi di cui sono malcontenti.

Il bandito calabrese che prima di compiere un misfatto offre un cero alla Vergine, non è forse paragonabile al primitivo che sgozzava un montone o u n fanciu llo sulla pietra del doln,en druidico ? 11 lo r o fine è identico: propizi~rsi dio. Solo i mezzi sono cambiati col cambiare dei tempi.

La religione~ dunque, non è la forma sotto alla q uale Dio preordinò agli uomini di adorarlo, ma è una formazione naturale e sottoposta, di co nseguenza, alte leggi delle formaz ioni naturali. È nata, si è sviluppata, ha fatto la sua parabola ascendente: oggi possiamo affermare, da segni non dubbi, che è giunta n elia sua linea di discesa.

Morrà e quando ? Per rispondere ricordiamo la Jegge delle formazioni naturali.

« Come la formazione della specie d ei dicotiledoni e dei vertebrati non importò la d istruzione assolut.i delle .!ip«ie anteriori più imperfette, e come la for. mazionc dei linguaggi e dclJc civiltà p iù c:ccellenti non importò l a distruzione

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assoluta. d ei linguaggi e delle civiltà anteriori più imperfette, cosl la fo rmazione della coscienza scevra di religione, per qua nto si p ensi possa o debba es1endersi fra gli uomini, non arriverà mai a sostituirvi in tutti la formazione anteriore più imperfetta de lla r elig iosità. Rimarrà sempre una gradazione, dalla suprema scientifica all'inferiore religiosa, all'infima d ella paura belluina d el fenomeno n aturale » . (Ardigò).

Alcuni filosofi sostengono che la religione non morrà. Anche in ·regime socialista vi sarà una religione: una specie di cristianesimo spiritualizzato, senza· culto, e consistente in una morale di fraternità. Il socialismo sarebbe dunque la religione dell'avvenire, Ma in questo caso la parola << religione » di ve nta impropria, Riassumendo possiamo concludere :

a) la religione è una formazione naturale;

b) la religio ne declina e il sentimento religioso s'attenua, diminuisce, s'atro fizza e muore nella coscienza individuale e nella coscienza collettiva del genere umano.

Ogni religione si presenta allo studioso << come una spi egazione metafisica, un sistema di dogmi, un siste ma di riti».

Ora il dogma è l'assurdo, perché significa l'immobilismo e l'assoluto. Nulla jn questo mondo vi è di assol uto, ma tutto è relatiVo. N iente di eternamente immobile, ma continua trasformazione, movimento perenne di fo rze.

11 dogma si presenta alla ragio ne u mana come un ostacolo al p rogresso, perché impone dei limiti allo stimolo angoscioso, ma salutare, della ricerca, perché fre na la li bera espansione di tutte le energie fot ellettuali Noi vogliamo l a critica, la discussione, ammettiamo il dubbio in tutto ; ma il dogma è la negazione della critica, la condanna del dubbio.

Mentre il dogma r appresenta la fissità, la cristallizzazione del pen~ siero umano n egli angusti limiti di una formula, la scienza invece agilmente si trasforma, assimila ogni nuova scoperta, modifica, se occo rre, i suoi metodi d'indagine, è pronta a cancellare tutto un p assato se rico nosciuto falso .

N el nome del dogma fu detto: dcvi credere se vuoi capire l Nel nome della scienza diciamo: pri ma comprendi e poi crederai 1 La scienza. non vuole imporre a nessuno le sue conclusioni, perché animata da un largo spirito di t olleranza: il dog ma invece pretende la fed e, la stupida fede del m onto ne e guai alle coscienze ribelli I In altri tempi ardeva no i r oghi: ogg i, diminuito il potere politico della Chiesa, vi sono le bolle e le scomuniche del Vaticano,

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La scienza va distruggendo i d ogmi religiosi. Il dogma della creazione divina è riconosciuto assurdo. La nozione che faceva del nostro mondo il centro dell'universo e d ell'uomo il re della terra, non sta più in piedi da quando fu dimostrato che il nostro p iane ta non è che .un piccolo grano di sabbia paragonato ad altre masse stellari e che l' uomo è un semplice animale giunto ad un certo grado di perfezione. Il pianeta che noi abitiamo si è s taccato circa seicento milioni di anni fa dalla ne.bulosa solare e fu proiettato nelle profondità interplanetarie. P er la forza centripeta la materia incandescente di cui era composto prese la forma rotonda e restò sospeso n ello spazio, equilibrato dalle attrazioni degli altri corpi celesti, Gradatamente la crosta terrestre andò r affreddandosi e dopo una serie di evoluzioni geologiche prese l a forma attuale, Come e quando comparve la prima cellula organica? All'ipotesi della creazione divina contrasta il successivo ed innegabile processo di evoluzione. Invece l'ipotesi della (( generazione spontanea », date certe condizioni climateriche e teUuriche, è la meglio quotata. Ad og ni modo, esclusa l'idea dell'intervenzio ne divina, noi aspettiamo su questo· p u nto i risultati dell'indagine scientifica.

L'origine dell'uomo è uscita dalla notte del mistero teolog ico, dell'assurdo biblico. La scìenza ha constatato che l'uomo appartiene all'ordine delle scimmie (< p rimati ». Fra queste scimmie (gorilla, orang-utan, chimpanzè) e l 'uomo vi è un anello di congiunzione, scoperto recentemente nell'isola di Giava e che si chiama « pitecantropo)>. Le analogie di struttura ossea e di conformazione esterna fra l'u omo e la scimmia sono troppo evidenti per metterle in dubbio, e più dovevano essere le loro affinità, quando l'uomo si esprimeva ancora con grida' e gesti (l'uomo alalus, cioè senza ling uagg io). Noi s tessi abbiamo ancol'a d elle p arti atrofizzate che attestano più eloquentemente di ogni altra argomentazione la nostra origine animale: l'osso della coda, all'estremità infe~iore della spinà. dorsale. Non solo, ma un valentissimo medico, il Moscati, sosteneva che la posizi.one eretta dell'uomo nQ n e~a la naturale e fo raggiunta dopo mOlti sfofzi e un seguito di malattie.

Ma, ci diranno. i « creazionisti», cioè coloro che fanno discend ere l'umanità dalla creta divina, come si spiega la immensa differenza che separa oggi ,l'uomo dalla scimmia ? Aristotile, il più gran genio d ell'umanità pagana risponde p er noi :

« La superiorità dell'uomo sui b ruti riposa in quattro caratte ri essenzia li : svil uppo proporzionale del cervello, presenza di due mani con pollice opponibile facilitante J'atto di prensione1 alto potere mentale, ling \laggio articolato».

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È questa la distinzione adottata dai natu ralisti, da Linneo fo poi. Ma il fatto che ha assicwato la preponderanza all'uomo primitivo è lo sviluppo del linguaggio; sviluppo graduale, lento, che ci ha por· tati dalle prime grida incomposte, comuni. ancora a certe trib ù selvagge, esprimenti solo i maggiori bisogni e le più intense emozioni, all;\ ricchezza fonica e pittorica deJlc lingue moderne. La linguistica, la scienza del linguaggio, venne ri voluzionata nel 1862. dal medico ·Braca, che scoperse, sotto il lobo temporale sinistro, il centro corticale dei movimenti della parola. E se questo centro manca, l'uomo è privo del linguaggio, o non può che esprimersi imperfettamente.

Furono dunque varie le cause che differenziarono l'uomo dalla scimmia, pur restando stabilito che l'uomo è di origine animale, e non proviene dal famoso ceppo biblico del paradiso terrestre. E i nvece di quattromila, sono duecentocinquantaquattromila gli anni che secondo j ·calcoli dello scienziato De-Mortillet ci separano dall'appati2ione dell'uomo pdmitivo.

Come si è veduto, tutti i risulta t i delle scienze n aturali confortano la dottrina dell'evoluzionismo, per cui l'uomo non ha niente di soprannaturale, ma è un anello più alto nella catena degli esseri viventi.

E sono veramente dei ciechi coloro che tentano, come lo fece il Tag lìalatela, di negare il processo di evoluzione che ha trasformato, lungo il corso dei secoli, fisicamente e spiritualmente, l'uomo . D ai primi momenti della comunità, comunità di sangue, di luogo, d ' istinti sessuali, alla comunità d'esiste nza economica,· d'interessi intellettuali, all'altruismo che abbraccia i popoli) :ti simpatetismo che stende l'affezione umana fino agli animali inferiori, alla comunità internazionale di domani 1 che realizzerà l'idea kantiana della p ace eterna, quale i m· me nsa, incontestabile progresso l Questo progresso - si nùsuri dall 'accrescimento della pote n:ta dell'uomo sulla natura (Bacone) o dall'devazione dei sentimenti d'umanità (Herder), o dal perfezio namento intellettuale e morale (Lcibnitz), o dalla vittoria dell'altruismo sull'egoismo (Comte), o dall'evoluzione verso l'alto come scopo assoluto (Spencer), o d alla gioia dell'esis_tere (Rodolfo Eukens), o dallo stringersi del reticolato umanitario, o dal sentimento dell'avvenire_..:. questo progresso esiste e sarebbe follia negarlo I

La religione stessa ha progredito nel senso che dopo aver ostacolato, ha dovu to modificarsi ad ogni progress o dello spirito umano. Il cattolicismo stesso tenta oggi di modernizzarsi verniciando l'assu rdo, rivedendo i testi sacri (è questo il fa moso lavoro d'« esCgesi » ordinato dal papa) per vedere di conciliare il soprannatucale con la scienza. Cosa del resto impossibile senza ricorrere a dei g iochi di parole, a delle spiegazioni e costruzioni a rbitrarie ·

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Cosl i giorni della creazione sono diventati sei lunghissime epoche: il passaggio del Mar Rosso a p iedi asci utti non è dovuto alla bacchetta magica di h-fosè~ ma ad una bassa marea; il miracolo di G iosu è, comp iuto sotto le·mura di Gerico, non è che una eclissi parziale di sole; l_a formazione della donna da una cqsta dell'uomo prova che nei primissimi tempi i sessi non eran o cosi differenziati come al giorno d'oggi D oma ni il lavoro d'«esegesi» arriverà a dire che la balena di Giona fu il primo esperimento di battelli sotto marini I

Però è bene dire, tanto per fissare il carattere reazionario del dogma, che il semplice dubbio delle verità b ibliche avrebbe, in alt r i t empi, avuto conseg uenze disastrose per i l sacrilego che avesse osato manifestarlo,

Questo fatto bastava alla Chiesa per accendere i i:oghi, sui quali arsero i martiri e i precursoti del libero pensiero,

« La relig ione ~ ! l'oppio del popolo J>,

Dimostrato che il dogma relig ioso si presenta alla mente umana e a1Ia critica razionalista come l'« assoluta consacrazione dell'assurdo}}, passiamo a provare come la morale religiosa sia «immorale». È qu esta la seconda parte della tesi, È bene premettere, prima d 'inoltrarci nella questione, che noi intendi amo nella sua più nobile espressione il concetto d i « m o ralità » e non ci soffermiamo a dì scutere la « piccola m orale » che si orknta neg H articoli del Codice penale.

D opo Augusto Comte, la n ozione cli << relatività » è e ntrai-a per sempre nel dominio della filoso fia positiva. Cosl anche la « morale » formazione naturale ideologica dell'uomo soggiace alla legge cli « xelatività"», nel tempo e n ello spazio. O g ni epoca ha avuto una sua<< morale » propria; ogni popolo ha avuto ed h a certi principi, seco ndo i quali agisce nelle circostanze d ella sua vita. La « morale » dunque, come tutte le ,formazioni naturali, evo lve e si trasforma, coll'evo lvere e 11 trasform;rsi delle società um:ine Nuove condizioni d'ambien te, mutate condizioni economiche determinano una nuova morale. Non si possono dunque, in una data e poca della storia d el genere umano, fissare certi principi etici e imporli, co lla forza di un'autorità spirituale, a tutti gli uomini e in eterno, La mo rale sorta in ques te condizioni potrà vivere e esercitare il suo dominio fino al persistere d cl1e condi· ziortl reali che la determinarono j ma colla scomparsa dì queste condizioni, essa di viene un anacronismo e, volendola legittimare, si ricorre aH'assurdo,

18 OPERA OMNIA DI BENITO
MUSSOLIN(

Questo è il caso della « morale religiosa ». Sorta in epoche molto anteriori alla nos tra, rispecchiante ne lle diversità delle sue forme le diversità d'influenze che la originarono e ne assicurarono lo sviluppo, essa poteva adattarsi ai bisogni, ai sentimenti, alle aspirazioni di quella speciale epoca storica, ma non si adatta più ai bisogni, ai sentimenti, alle aspirazioni profondamente e radicalmente cambiate dell'uomo moderno

·• Voler predicare e praticare oggi in Europa la morale di Confucio, di Saçia-Mouni, o di Kaimara, sarebbe nel primo caso ridicolo, nel secondo impossibile.

Cosi sono ridicoli gli evangel isti, quando, invece di studiare la Bibbia come un documento di u n certo interesse storico, vogliono darle vita reale e port are alle turbe i principi di Cristo (forse non mai esistito) come principi etici di una morale sempre giovane, perenne, moderna, in accordO totale coi nuovi tempi. Il vangelo e la cosiddetta morale cri stiana sòno due cadaveri che gli evangelisti tentano di galvanizzar e - giova dire - con non troppo successo. Parlare di rinuncia, di rass egnazione oggi in cui la gioia e l'espansione di tutte le energie umane costituiscono lo scopo d'ogni sforzo individuale e collettivo, è veramente inutile. L'evangelismo si rivela quindi come un mezzo di conservazione sociale.

Nei libri sacri si possono trovare delle « massime morali », ma « le massime» non sono, né possono costituire una « morale ». In questo caso, la Bibbi a viene ultima, I libri più ricchi di insegnamenti morali sono i testi delle religioni d'Oriente, e, in particolar modo, del buddismo.

È dunque « immorale » l'azione religiosa che vuole imporre in tutti i t empi e a tutti gli uomini una <e morale » qualsiasi. Come sarebbe del resto « ix:rimorale » qualunque altra istituzione umana che pretendesse ricorrere a un « presupposto assoluto » per emettere una specie d'« imperativo categorico», estensibile all'intera umanità e i n eterno. Come anche -la « morale u mana » sarebbe assurda e dannosa se vo lesse essere assoluta.

Ma passiamo ad esaminare il valore intrinseco della « morale r eli~iosa ». E domandiamoci; qual'è l'ideale nell'azione morale?

« a la forza che domini e s'imponga alle tendenze egoistiche». (Roberto &digò) ,

La vera moralità> allora> non è quella che s'origina dalla speranza « egoistica )> di un premio o dalla tema, pure « egoistica », di un castigo. L'uomo religioso non ci appare dunque come « morale », appunto perché, invece di agire secondo principi di coscienza, non fa

L'UOMO B LA DIVINITÀ 19

il male semplicemente pe r sfuggire all'inferno e fa il bene per conquistarsi unò stallo in paradiso.

« Ora la vera mora lità comincia coU'autonÒmia morale, Siccome il deismo n on può toll erare alcun principio mo rale al disopra o al di fianco della volontà divina, la conseguenza alla quale n on si può sfuggire è che qualunque morale deistica esercita un'azione demoralizzante, non appena lo spirito possiede la matur ità necessaria all'autonomia morale. Una volontà che si definisce per l'obbedienza ad una volontà straniera, non è morale nell'elevato senso d ella parola~(Eduard von Hartmann).

È chiaro dunque che la morale religiosa è una morale di rassegnazione e di sacr ificio, che può essere cara ai deboli, ai degenerati, ag li schiavi; ma che si risolve in una diminuzione della rag ione e della p ersonalità umana. Essa curva l'uomo verso la terra, ]o fa mancipio d ella divinità, favorisce la conservazione dei sentimenti primitivi che si rian nodano al ciclo tramo nt ato della vita animale, trasfo rma I'« essere pen saòte » in « mo ntone passivo» che agisce n ella tema del g iudizio uni verSale. Volendo far dipendere il destino dell'uomo dat suo rap~ porto con una forza sconosciuta governante e arbitrariamen te creatrice, finisce pe r d egradarlo, renderlo schiavo e zimbello incosciente di una potenza sconosciuta e di un padrone invisibile.

È falsa poi l'affe rmazione teologica che la religione abbia generato le idealità e le massime morali, Essa non ba fatto altro che ap proptfarsele, assimilarle, dopo averle strenuamente combat tute , Cosi il vas to movimento 'del proletariato odierno, e le nuove concezioni di una fratellanza . e di un'eguaglianza basate n on più sul terreno ·metafisico o poli tico, ma sul terreno delle condi zioni economiche h anno avuto un pallido riflesso nella « D emocrazia Cristiana », altro tentat ivo di conciliazi o ne sociale, misera mente naufragato contro le secch e del gesuitismo imperante al Vaticano. E lo sforzo inane del Murri s ignifica che la Chiesa, cioè l'élite direttrice della reli gione, non p uò v o le re l'elevamento delle classi ·1avoratrici senza il get tito di quella morale di « rinuncia pietosa e rassegnata» che forma il nocciolo d ella predicazione.evangelica e di tutte le religioni.

La morale religio~a è l'emanazione e il riconoscimento del « diritto div ino>>. Il « diritto divino » è la soppressione della persona1i tà umana, e la « morale religiosa » rico n o sce tal soppressione, legittima la rinuncia che l'uomo fa di se stesso sull'altare della divinità. Dup lice rinuncia: spirituale e fisica. Il corpo, principio del male, diventa nel1'« etica religiosa» un'unità trascurabile che bisogna macCrare per la purificazione dell'anima. E l'a ni ma r esta principio del be ne fino a quando no n tenta di pe netrare i l mistero. religioso. Tutta la morale religiosa si risolve quindi nella cOnsacrazione di questa d oppia ri nun-

20 OPERA OMNIA D( BENITO, MUSSOLINI

da. Essa la completa eliminazione dell'uomo, unità reale, a proEtto dell'unit à fan tasma che si chiama DiO.

Non basta. La morale religiosa si presenta come una « morale autoritaria», anzi la legislativa. Mosè che ritira sulla vetta del Sinai i comandamenti e le norme morali che guideranno le origini del suo popolo, è una prova della nostra affermazione. Essendo, come tante altre, una rivelazione divina, la morale religiosa non può ammettere )a pcssibilità di una evoluzione progressiva, sotto pena di assurdo. Quest'evoluzione significherebbe che agli inizi la morale era eterogenea, informe. Come ciò può essere, se trae la o rigine dall'ente perfettissimo, D io ?

La « morale religiosa» mostra le originali stigmate dell'autoritarismo, appunto perché pretende di essere la rivelazione dell'autorità divina. Per tradurla in atto ed impo rla all'umanità, sorgono le caste sacerdotali d ei rivelatori e con esse la più « fero ce intolleranza ».

Per un relìgios o, bruciare un eretico è la cosa più mo rale di questo mondo . Perché i religiosi sono confor~sti. Vorrebbero cioè che tutti conformassero Je loro azioni secondo i dettami della fede. Quel largo soffio di tolleranza che anima la morale scientifica, scompare e lascia posto alle persecuzioni religiose di cui è piena la storia. La morale religiosa è cOnformista, unilaterale, assoluta. Or essendo il conformismo una caratteristica spiccata degli animali e delle razze inferiori, possiamo logicamente concludere che la morale religiosa, mantenendo l'uomo nei limiti dogmatici del conformismo, lo respinge verso l'animalità e lo allontana dall'uma nità,

A questo punto i deisti diranno: ma chi dunque, senza la fede nel Dio r eligioso, sosterrà la monlità del povero? Che cosa rimarrà a contenere la furia selvaggia delle basse passioni irrompenti dalle asperità della vita, dalle brusche transizioni dal vecchio al nuovo, dalle·in~vitabili crisi, che ad intervalli pi ù o meno lunghi travagliano il genere umano?

Questa domanda è già una constatazione. I deisti, e dietro loro tutta la coorte dei parassit"i ecclesiastici e bo rghesi, contano sulla morale religiosa per contenere la furia selvaggia delle basse passioni del popolo. Contano cioè sopra la morale 4i rassegnazione, qual mezzo efficace per continuare il loro d ominio. Finché l'uomo crederà questa terra una lacrimar11m valle, riterrà la vita come un'offerta di rinuncia al dio e per accordarsi colla morale religiosa si voterà alla più completa e bestiale ignoranza. Finc hé l'uomo si prostrerà agli altari e seg uirà i precetti della rivelazione divina, i tempi della giustiz ia sociale sul te rreno economico sa ranno ancora lontani, troppo l ontani per turbare i sonni degli eterni nemici d ella scieilZa e del progresso,

L'UOMO B LA DIVINITA 21

Il Taglialatela nella sua risposta seppe dirmi che i popoli più religiosi eràno i popoli più civili. All'uopo, lesse un brano d e ll'Europa giovani di Guglielmo Penero, che descrive la pace, la felicità semipatriarcale della popolazione dell'estremo-nord d'Europa. Resta so.lame nte a domandarci che cosa si vuole intendere colle parole succitate. Poiché, è bene ripeterlo, quelle affermazioni d ebbo no interpretarsi in un Senso relativo, molto relativo. Altri paesi molto religiosi, ad esempio, sono i più atretra"ti di tutto il continente europeo.

Con ciò, pare a no i di aver e saurita per sommi capi e nd limiti concessi da un breve opuscolo di propaganda la seconda questione del contraddittorio. Or diremo che cosa è· la «morale » dal nostro punto di vista.

P er no i la «morale)> non l! che una delle superstrutture ideo logiche della società umana, pro dotta, quindi, dal reale substrato delle condizioni economiche e seguente le modificazioni economiche de lle quali è modellata. Cosi nei tempi della feroce lotta per la vita, la morale era «egoistica», né poteva essere altrimenti. Oggi possiamo affermare che tende ad un «altruismo» pu ro e illuminato, poiché s'impregna· dei principi di fraternità e di solid arietà, principl sviluppatisi d opo il trionfo d eUa borghesia sul clero e sulla nobiltà, principi che avranno domani la loro realizzazione nel compimento di quel processo evolutivo che si chiama il socialismo.

Contro alla morale religiosa che opprime l'uomo, che frena in lui ogni stirnolo di rivolta, noi opponiamo una nuova morale, che non ha bisogno di essere sancita nei co dici biblici, che non pretendiamo d ' impo rre a nessuno; una morale che non basandosi sulla rivelazione divina è essenzialmente umana, che no n essendo dogmatica è in co ntinua via di trasformazione · e di adattamento ai nuovi bisogni sorg e nti nel seno delle umane collettività.

La nostra morale dice all'uolllo: opera secondo la tua coscienza e sìi uomo I Il tuo destino non dipende dal gioco misterioso di forze divine, ma puo i farlo dipendere, in buo na parte, dalla tua linea di ·condotta. Noi non ti diciamo: a chi ti ha schiaffeggiato sulla guancia destra, porgi la sinistra; rinuncia il tuo essere, come individuo pensante, alla divinità I No. Noi crediamo fermamente che l'uomo abbia il suo destino delineato su questa te rra ed ogni morale d eistica o d ultramo ndana che vuole svellerlo per renderlo mancipio della divin ità è una morale che non può essere q uella degli uomini Jiberj, È una morale che ricaccia l'uomo nell'an imalità e spegne quella fia mma di progresso e di vita che è la rag ione umana I

La nuova morale sorge I Quando al principio della <e lotta per la vita)> si sarà sostituito il principio dell'« intesa per la vita», la morale

22 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

cannibalesca dei primi tempi e la morale di rinuncia del deismo, la-. sceranno posto alla <e morale u ma na »; b;:isata sul principio della fraternità universale e sul comple to, libero sviluppo , sull'espansi one feconda di tutto quel cumulo di energie che formano la integrale personalità umana I

Cosl siamo arrivati alla terza parte della nostra dimostrazione. La religion e è una malattia? Molti eminenti scienziati hanno sostenuto e soste ngono che la religione è una illusione, un fenomeno morbido del gene re delle nevrosi e dell'isterismo. Certo che la religio ne è una malattia psichica, del cervello, è una contrazione e una coartazione dell' individuo, il quale, se profondamen te religioso, si prese nta a noi come un anormale.

Per dimostrare quanto sopra, noi prenderemo le religioni per eccellenza, cioè quelle religioni basate totalmente sul dogma indiscutibile ed assoluto. La religione cristiana, per esempio. Noi troviamo che il religioso odia la vita,

L'uomo fu definito un animale socievole. Per l'uomo dunque la vita in società è dai primissimi tempi la vita normale, Ma il :r;eligioso fugge le umane società, perché il mondo è per lui cosa di breve momento e ce rca nell'isolamento completo la comunione con Dio. Cosi lun go il medioevo sorgono a centinaia i chiostri, i monasteri. E prima ancora, i religiosi traevano la loro esistenza nelle cave rne, lungi dalle città, che ritenevano come focolari di co rruzione.

E per propiziarsi le grazie divine, abbandonavano il proprio corpo, ritenuto fonte e cagione di mal e; per nobilitar l'anima si spargevano il capo di cenere, si flagellavano le membra, portavano il cilicio, erravano scalzi sopra i rovi delle foreste. La storia di molti santi beatificati poi dalla Chiesa ripugna. Non è che la profonda aberrazione dello spirito umaflo in cerca delle chimere ultraterrerie, è un delirio che raggiunge gli spasimi della passione e finisce nella pazzia.

Cosl molti di coloro che oggi tronano sugli altari delle Chiese cattoliche furono degli ammalati, degli isterici deomani e demonomani.

Vi sono state certe epoche in cui le comunità religiose soffrirono delle epidemie dello_ spirito. L'isterismo fece strage, Cosi, sotto la perversione religiosa, abbiamo le orsoline di Oxford, che, prese da accessi d'isterismo collettivo, abbaiavano come cagne.... Le po ssedute. di Melun, che prendono, attanagliano e trascinano sul rogo il loro confessore Urbano Grandier, reo di averle esorcizzate, senza trarle poi dalla loro condizione di demoniache.... Le allucinate di Loudun, di Louvier, di Anaume. Queste aberrazioni collettive ebbero uo epi-

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sodio tipico dal 172.7 al. 1739. Era stato sepolto a Parigi nel cimitero di San Meda rdo un mollaco, Paris, in odore di santità. Dopo qualche tempo si sparse la voce c he avvenivano dei miracoli sopra la sua to mba. Subito uomini e donne (donne soprattutto, c ome sempre) accorsero al cimitero e le gua rigioni avvennero. Quando un g iorno una do nna più emozionabile delle sue compagne fu presa da una crisi vi olenta nella cinta del cimitero, anc he tutte le altre entrarono in convulsione (furono chiamate convulsionarie) facendo salti, t orturandosi senza manifestare dolore, abbaiando ferocemente e contorcendosi in ogni guisa.... Queste scene continuarono per m olti anni, fin o a che l'Autorità, impensierita, ordinò la chiusura del camposanto

Anche oggi, nelle re mote campag ne d'Italia e della Spagna, assistiamo a fenomeni simili. San Gennaro per il p opolino di Napoli , ia Madonna di Lourdes per il bigo tt ismo fr ancese, no n sono fo rse aberrazioni affini a quella di Parigi che dal 1727 va al 173 9 ?

Se noi apriamo una storia delle religioni, noi troviamo ch' esse banno agito patologicamente sul cer.vello 0:mano. Se oggi il medioevo va ritirandosi nelle ombre fosche dei co nventi, lo si deve allo scettici smo trionfante, e se le malattie epidemico-religiose dello spir ito non si presentano più col teni bile grado d'intensità come altre volte, lo si deve alla diminuzione del pote re politico della Chiesa, che gravava in altri t empi sulla t esta dei popoli quale cappa di piombo.

Ma sopravvivono ancora cer t e manifestazioni della malattia relig iosa. L'idea del peccato_ è rimasta. Per quest'idea, duran te lung hì secoli, si ebbe attraverso all'Europa una teoria lug ubre di peccatori penitenti che s'incamminavano alla morte attraverso un feroce martirio, co rp i :ammalati, nervi sfinitit anime in preda a crisi di disperazione o ad estasi d eliranti, assetate di to rtura nell'idea fissa del peccato e d ella dannazione eterna.

Quest'idea si manifesta n ell'anormalità del religioso, che per rendersi degno del premio divi no, subisce e fa subire parziali e re iterate alterazioni alla parte fisica del suo essere. Cosl i cinesi si tagliano brandelli di carne per propiziarsi Confucio; i mussulmani, p er Allah, gett ano sto icame nte la vita; i fedeli in Cristo si flagellavano ai primi tempi della Chiesa e oggi ammettono ·e praticano ancora la penitenza, il digiuno, le pene corporali, la reclusione volo ntaria.

Ma il r eligioso si p resenta al nostro occhio co n un'altra caratteristiéa: l'atrofia della ragione. L a facoltà per cui l'u omo ve ramente si diffe renzfa ·dalle i nferiori specie animali, è l'atti vità di r aziocinio

O ra il devoto rinuncia a ragionare sulle cose che lo circondario, di spiegarsi qualcuno degli i nnumer i fenomeni naturali, poiché la fède

24 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI
I i

gli basta. Il cerve1lo perde l'abitudine di pensare e l'abbrutimento religioso ricaccia l'uomo verso l'animalità, Se l'epidelllla relig iosa non si manifesta in tut ti con forme patologiche, la causa deve ricercarsi nel fatto che non tutti hanno allo stesso grado d'intensità il sentimento r eligioso e non tutti ne fanno la preoccupazione costante della loro vita. Ma la malattia è allo stato latente e può dare, sotto speciali circostanze, quelle crisi di cui è piena la storia.

Riassumendo diremo che l'« uomo religioso» è un anormale e che la <e religione» è causa certa cli alcune « malattie epidemiche dello spirito» per le quali è necessaria la cura degli alienisti,

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8, • X.XXIII.

CON CLUSIONE

Quando i socialisti tedeschi d efinirono la religione un affare privato, intesero -la r eligione come credenza individuale e n o n come isti tuzione politica e di classe.

Ma sarebbe assurdo ripetere l'espression e dei compagni tedeschi, oggi che la religione si è rivelata appieno come un'istituzione tendente al potere politico per eternare Io sfruttamento e l'ignoranza del pop olo.

1.a· filosOfia socialista è essenzialmente atea. Se non lo fosse, il socialismo sarebbe assurdo . Secondo che si cr'ede o no, la vita cambia d'aspett o Per il credente, la vita d ell'.uomo non è che un b reve passaggio in q uesta valle di lacrime, anticamera del salone celes te, passaggio che deve aver per iscopo la conquista di un'eternità di beatituclini inesp rimibili. Co l poeta Emico Heine, che con sigliava di lasciare il paradiso agli angeli ed ai passeri, noi affermiamo che la vita o ltremondana di gioie o di do lori aJla quale d ovrebbero essere destin ate 1'3.nime n o str e, è una pura immaginazione religiosa, u na chimera nella quale possono crede re so1tanto coloro che ·sono fatti stupidi dal lungo, rituale esercizio di bigottismo, o sono esaltati dall'erotismo divino.

La v ita t errena n o n può, né deve essere una semplice preparazione alla · vita d'oltretomba. Noi non possiamo maledire la terra, quando l'esiste nza del cielo religioso è cosi dubbia che il credervi, o imai, p uò _ sembrare follia. Noi n on possiamo votare i nostri corpi, patte i n tegr ante dell'essere n ostro, alle sofferenze, ai digiuni, n ell'intento di purificare e render degna delia destra divina un'anima la cui immortalità è ormaL dimostrata inesistente d al Pomponazzi in poi.

N o i, non possiamo vivere nell'attesa della fine del m o ndo e del g iudizio universale, quando sappiamo che la materia non av rà mai fine; quand o p ossiamo ridere del tribunale supremo che il g iorno della resurrezione de i morti, n ella valle di Giosafat, pronuncerà il gran verdetto, per cui alcuni andranno nei roghi di Satana e gli altri, l'élite di neonati e di vecchi, finirà nelle sfere celesti per ubbriacarsi di luce e for se.... cli vino, se dobb iamo p or fede alla descrizione « molto ventricolare » che d el paradiso catto lico fecero i ges uiti Paolo Seg n eri e Cardinal Bellarmino.

26 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI
li

È proprio il caso di ripetere con quell' uomo di spirito: il vostro paradiso ci fa paura, il vostro inferno ci fa ridere.

Liberata la nostra mente dalle u bbie ultramondane, per noi, .atei, la vita ha un altro significato. Noi limitiamo all'orizzonte te.rrestre la realizzazione dei nostri appetiti materiali e intellettuali. Noi cerchiamo lo sviluppo armonico del nostro e ssere, comprendendo la vita non come un'ascetica attesa dell'oltretomba, ma come un'espansione libera di energie viventi e attive. Noi non rinunciamo alle gioie della vita, ma cerchiamo di generalizzarle, di elevarle al più alto grado d'intensità.

I deisti di ogni scuola e anche quella categoria di spiritualisti che non hanno ancora definitivamente troncati i legarrù del religiosismo ci di ranno: H vostro ateismo materialista u cciderà l'ideale I Ora l'uomo è, per sua natura, portato al misticislDo e solo la religione appaga la sete d'ideali.

Questa è una vecchia accusa, ma falsa, La scienza che cond uce all'ateismo, l'ateismo che sprona alla lotta e fa vivere la. vita nel suo più vasto significato, non sono i necrofori dell'ideale. Converrebbe intenderci sul significato di questa parola,

Se per ideale s'intende la cièca e stupida fede in un mondo d.i fo ntasmago de o la speranza assurda di un premio divino, allora la re li 4 gione largamente supplisce a questo ideale malsano e funesto. Se per ideale poi s'intende la·vita vissuta, sotto lo stimolo angoscioso, ma salutare della ricerca (la comprensione d ella natura, il culto della be14 lezza, la sete di progresso e di verità), allora l'ateismo feconda q uesto santo e umano ideale, che porta gli uomi ni alla vera umanità del domani.

L'ideale del religioso g li chiude il mondo, gli Ìimita le conqui ste del pensiero, g li jnaridisce il cervello; l' ideale dell'ateo g li apre sempre nuovi e più vasti orizzonti, g li addita a ltre nuove e più luminose con<]UÌste Ra gg iunta una cima, l'ardua marda continua per altre cime più elevate ; conquistata la terra, dominato l'o ceano, cerca lib rarsi nell'aria, nella incontrastata regione dei venti e delle tempeste. L'ideale non è ucciso, èna alimentato, rigenerato, v ivificato dalla scienza f

L'ideale religioso significa coartazione, schiavitù, rinuncia; l'ideale dell'ateo significa libertà, armonia, ricerca.

E l'uomo ha ormai scelto fra queste due opposte concezioni f Ha abbando nato i fantasmi ultraterreni, le miracolose intcrvenzio ni del Dio e, sicuro della sua coscie~ gua rda coll'occhio tranquillo lo svo lgersi e il su ccedersi dei fenomeni n aturali nel ritmo perenne dell'ordine univer so. E la mo rte, che alt re volte incuteva paura, sotto Pincubo d ell'assurdo religioso, o ggi ri guardata come una semplice trasformazione della materia unica, etema, indistru ttibile.

L'UOMO E LA DIVINITÀ 27

Cosl la religione e le altre concezioni ideologiche che le si ria nnodavano· vanno verso al fallimento . Le moltitudini n on rinuncia no più a l benessere t erreno, ma cercati.o di realizzarlo il più presto possibile, di e st enderlo a tutti,

La b:mcarotta della r eligione può dirsi cominci coll'anno 1000 dell'èra vOlgare. Era fissata a quell'epoca la fine del mondo. Gli interpreti delle sacre scritture e della predicazione di Cristo ( ?) la davano come per certa. (Abbiamo messo un punto interrogativo d opo c risto per il fatto che il Cristo biblico pare non sia giammai esistito. Quindi la predicazio ne evangelica non sarebbe sua). La terra avrebbe urtatocontro una cometa e, rido tta a polvere, si sarebbe dispersa nelle p rofondità interplanet arie. Questo sarebbe avvenuto, infallibilmente, alla mezzanotte del 31 dicembre 999.

Nella t erribile attesa, l'u manità cristiana si abbandonò completamente alla p aura. L a vita sociale venne interrotta. Si viveva nelle chiese, nei chiostri. Le moltit udi ni pregavano ferocemente Dio per il condono del peccati ! I ricchi lasciavano i loro beni alle chiese e ai conventi; i p overi, 'é:he non avevano nulla, si flagellavano i corpi e man mano che la data fatale avvicinava, l'immensa follia cresceva d ' intensità, Le cronache di quel tempo ne hanno mandato un pallido riflesso. N el dicembre del 999, la paura divenne deliri6. Sotto l'incubo della fine prossima, lunghe processioni di popolo; guidate da preti, movevano nelle città e nelle campag ne, implorando il perdono divino. La perturbazione patologica dell 'anima collettiva, sotto la tema della profezia religiosa, raggi unse g li estremi negli ultimi giorni di dicembre. Finalmente, !'ultime o re del 999 passarono senza che la pali ngenesi fatale producesse i suoi effetti di distruzione e p olverizzazione. L'uma nità t rasse un profondo sospiro di sollievo. Lentame nte i nervi, sovreccitati dall'attesa, tornarono allo stato normale. E quando l'equilibrio fu ristabilito, si vollero conoscere le ragioni della mancata fine. La Chiesa, che, intanto, si era immensamente arricchita, no n potendo ammettere ìl « falso divino», a mmise conclizionalmente un'errata interpretazio~ delle sacre scritture e disse: mille e non più mille, La fine del mondo venne cosi rimandata verso il te rmine· del millennio seguente.

Ma la spiegazione parve meschina. E da quell'epoca cominciò la sfiducia, lo scetticismo. l'indifferentismo in materia religiosa. Gli uomini rin vennero dalla follia che li aveva perduti. Si disser o che valeva meglio conciliare gli interessi del corpo e quelli dello spirito piuttosto che sacrificarli alla divinità. D opo aver aspett ato la mo rte e il cielo, si ritornò alla vita, alla terra. La religione aveva perduto la maggio r parte della sua autorità morale.

28 OPERA OMNIA DI BENITO 11USSOLINI

Cosl possiamo atTermare che l'o dierno razionalismo trae le sue lontane origini dalla notte del medioevo. Vissuto allo stato latente molti secoli, coartato dal p o tere politico ecclesiasdco, oggi balza, rivCndicando il diritto alla gioia, al godimento, alla vita, e, rinu nci ando « il concetto della valle cli lacrime», bandisce i principi di una sana filosofia che innalza e nobilita l'uomo.

Quello che differenzia il pensiero nostro razionalista dal pensiero d ogmatico dei deisti, è che noi no n pretendiamo di possedere la verità, tutta la verità, l'assoluta verità, ma semplicemente affe rmiamo i l diritto di ·ricercarla e ci pro po niamo· questa ricCrca, scopo alla vita, Ma i religiosi fanno all'uomo il se!'Vizio dello sconosciuto al viandante, dell'apologo suggestivo di Diderot col guale chiudo lo svo lg imento della mia tesi. Il grande enciclopedista frances e cosl descriveva la ricerca filosofica e l'o pera dei sacerdoti di tutte le r eligioni.

« N ella no tte dell'ignora nza, l'uomo p rocede, per una via intricati di rov i e coperta d'ostacoli, l1mto, alla debole luce di una candela, unica sua guida, Ad un tratto uno sconosciuto si avvicina a lui e g li dice: "Amico, spegni il lume, e ci vedrai meglio!" ».

Il cammino è la vita, il viandante è l'uomo, il lume è 1a ragione e colui che dà lo stolto consiglio dì spegnerlo è il rappresentante dì Dio> il rivelatore della parola divina, il teologo, il prete 1

L·uoMO E LA DIVINITÀ 29

LA RISPOSTA

Mancò. Questa dolorosa constatazione fu comune alla fo11a, in maggioranza operaia, che gremiva la grande ,alle de la Maùon du pmple la sera del 2.6 marzo, L'evangelista Alfredo Taglialatela, invece di restare nel puro campo delle idee e ribattere le mie argomentazioni, s'attaccò ad alcuni particolarì, facilitato com'era dalla condizione ottenuta di parlar~ per ultimo.

. Cominciò dal tentare una specie di confutazione del positivismo e mise in dubbio le deduzioni scientifiche sopra le origini delle specie inferiori e della specie umana, Puerile tentativo, dopo che tutto un secolo di ricerche ha provato incontestabilmente 1a nostra origine animale e confortato di tutti i dati delle scienze sperimentali la dottrina dell'evoluzione e del transformismo, Credere nell'origine biblica dell'uomo dopo i lavori di Lamarck, di Darwin e dei moderni biologisti e antropologisti, è cosa da far ridere anche i paracarri deUe strade, Nessuna prova poi a sostegno dell'esistenza di Dio. Il silenzio· sopra questo soggetto fu più eloquente d'ogni discorso,

Si limitò a dire che Dio era un'« idea» che si modificava attraverso il prisma dell'intelligenza umana. Nella replica gli domandai come un «idea» poteva dare un fatto, la materia, l'universo. Dovette convenire che l'organo del pensiero il cervello, ma ammettendò l'intelligenza ·quale principio indipendente dal corpo. Indipendenza fittizia dopo che le scienze naturali, la fisiologia ·e la psicologia hanno dimostrato la vicendevole interdipendenza dell'anima e del corpo.

Non potendo negare l'« evoluzione», volle aggiungervi un altro concetto, l'« involuzione», che precede l'evoluzione. Ora l'« involu2:ionC » non è che il vecchio preformismo o dottrina delle preformazioni naturali, per cui nell'essere semplice, nel nucleo delle cellule, vi sono in germe tutti gli organi dell'essere futuro e adulto. Dottrina smentita dalle ricerche dell'embriologia, per cui gli organi non preesistono, ma si formano lungo il corso dell'evoluzione,

Non essendo cara ad Alfredo Taglialatela la nostra troppo intuitiva e visibile affinità colle scimmie, volle negare la nostra provenienza dal comune ceppo delle scimmie antropomorfe, e l'anello di congiunzione,

30 OPERA OMNIA DI BENITO "MUSSOLINI

cioC il famoso e< pitecantropo)) scoperto una ventina d 'anni fa ne ll'i sola di Giava, nell'estremo Oriente.

Ma conoscendo il ter reno falso sul quale camminava, l'evangelista di Roma, celebre conferenziere secon do la rédame d el Valmtù,o, n on arrivò a spacciar le favole del primo libro della genesi e non fece ridere l'assemblea col racconto esilarante della creazione di vina L as ciò quindi un enorme p unto inteuo gativo cosi sull'esistenza di D io, come sulle origini d ell'uomo.

Con molte citazioni bibliche, volle dimostrare l'alta moralità della religione. Affermò che le idee del rip oso festivo, della pace e del disar~ m o, del diritto al lavoro, del perdono dei falli, ecc. ecc., sono tutte nella Bibbia, la quale è perciò libro morali ssimo e fonte della sapienza umana. D imenticò, natu ralmente, che nella Bibbia, docume nto storico, c'è di tutto, del bene C del ma1e. Q ualche fiore e m olta g ramigna. Vi si trova anche la giustiJi.cazione della schiavitù, della prostituzione, d.ell'adulterio; vi si trovano incesti mostruosi, scene orride di guerra, consig]i pravi di inospitalità, tradime nti e vendette infami.

Continuò affermando che ì paesi solamente religios i sono i paesi più prosperi e più liberali e lo dimostrò coll'esempio dei « quacqueri » (setta di religiosi), che, un secolo prima degli enciclopedis ti di Francia, proclamavano in America i diritti ina]ien abili dell'uomo, e Io confermò coll'esempio della Finlandia, della Svezia e Norvegia, paesi eminentemente protestanti e religiosi, nei quali, a detta stessa di Gug lielmo Ferrere, le popolazioni vivono libere, uguali, felici. Concluse dicendo che i socialisti i quali combattono oggi per la pubb lica moralità, no n do vrebbero dimenticar che Cristo fu il priino lottatore contro il succhionism o. E rifed l'apos trofe del Cristo contro l'albero i nfecondo e ste r ile.

Preoccupato dall'a mbiente e assiilato dal desidetìo di cattivarsi la simpatia deila massa oper aìa e vide ntemente in maggiora nza socialista, Taglialatela era scivola~o in u n t erreno che non et a più quello della discussione in contraddittorio. Da Cristo, con uno dì quei salti morta li degni dell'acrobatismo evangelico, era finito a Enrico Ferri. ..., dandogli un insperato precursor e nella persona dell'apostolo di G alilea.

Ribattendo le sue ultime affermazioni, dissi che i « quacqueri » furono liberali non a cagione della loro religiosità, ma, a dispetto di essa, per 1e condizioni economiche del loro paese, le quali necessitavano un r egime di favore e di condiscendenza perché fosse possibile l'importazione della merce-lavoro e lo sviluppo del sistema ca pitalistico. Ma oggi i d iscendenti cli q uei grandi liber ali fucilan o i minatori scioperanti della Pcnsilvania. Ed .in F inlandJa, lungi da] l'aversi l'idillio socialrelig ioso, gli operai gemono' sotto d ue gioghi :

I li !I I L'UOMO E L,\ DIVINITÀ 31

il · capitalistico, che comincia a pesare, e lo czaristico, che già pesa. Ed in Svezi3. e N orvegia, Je re1ativamente agiate condizioni del popolo n on sono dovute alla loro religiosità, ma alla natura di quelle terre poco propizie aUo sviluppo della civiltà industriale e più favorevoli al mantenimento della piccola propdetà, forma economica Ia quale più particolarmente comporta il p ermanere del fenomeno r elig ioso Quanto poi a Cristo, precursme di Ferri, llon era caso di parlarne, sotto pena di ridicolo.

Ammise volentied, riferendolo naturalmente agli avversari cattolici, che alcune forme di religiosismo sono- manifestazioni di uno stato anormalç della psiche di coloro che ne sono affetti: ma, aggiunse, la comunità evangelica non è colpita dall'epidemia religiosa appl!nco perché riformata.

Nella controreplica, durata pochi minuti, l'Alfredo Taglialatela acce ntuò più anco ra il carattere politico della discussione. Né g li giovò il mio precedente richiamo a restare nei limiti posti dal contradd.it· torio. Dopo alcuni salti mortali sopra alla l ogica, dopo essersi contrad. detto e aver affermato cose inesatte, il pastore evangelico di Roma si dichiarò simpatizzante coi socialisti, scongiurando il Partito Sociali· sta di n o n fare opera settaria respingendo dal suo seno i credenti. Posò, anzi, categoricamente la questione e disse:

« Se domani battessi alle porte della vostra sezione sarei accettato senza l'imposizione di rinnegare il Vangelo? ».

Alla categorica domanda, feci una categorica rispos ta. Dissi di non confondere il socialismo, aspirazione oggi, semplice aspirazione delle moltitudini a nuovo ordine di cose domani, col Partito Socialista continuità di uomini che hanno uno scopo preciso: l'abolizione della proprietà privata. Se per la religione s'intende una metafisica, un sistema di dogmi e un r itual e pratico di culto, noi non possiamo comprendere un socialista «religioso». Ma siccome non siamo dei dogmatici e la .nostra non è l'organizzazione di una setta, cosl possiamo accettare fra di noi anche un « relig ioso», purché dimostri (cosa non troppo probabile) di voler cooperare con tutte le sue forze al raggiungimento dell'ideale socialista.

E d9po ciò invitai il Tagliab.tela ad un prossimo contraddittorio su questo tema: Crùt0 e il Vangelo. L'assemblea, che aveva seguito col più grande interesse la più intensa attenzione Ia discussione, si sciolse ordinata e dimostrò ancora un'a volta la progredita educazione del popolo

32 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOUNI

APPENDICE L' EVANGELISMO

Il mio contraddittore non vestiva la tunica come un prete cattolico. Egli è un evangelista, La sua religione, clisse, è l 'Evangelo. L'evangelismo, dunque, è un'altra veri.tà religiosa. In questi tempi di areli gionismo le sette crescon o . Vi è un' Armét du Sahll ridicola quanto mai, una infante « Associnione ·internazionale di volontari per l'abolizio ne della miseria» e l'evangelismo.

Tutta queste associazioni religiose, subspecic del ·protestantesimo, rappresentano un compromesso e sono più pericolose al popolo che il « cattolicismo », questa religione pe r eccellenza. Poiché esse dànno una tinta sociale al loro deismo, s'impeciano volentie ri di q ualche formula marxista adattata per l'occasione e attraggono nella loro orbit a la folla degli indecisi che tengono i libri a doppia partita. Hanno ancora un pregio: la modernità. Ciò non toglie che non siano supremamente ridicole, Osservate gli evangelisti. In ques ti tempi di agitazione sociale, in cui la vita è intensa, piena di audacie, in cui crollano i vecchi sistemi e le statue dei santi tremano nelle nicchie delle caùedcali, gli evangelist i, agli uomini che hanno la febbre dell' avvenire, .dicono « di" tornare al passato, alla Bibbia, a Cristo, poiché l à è la salute. D issetatevi alle purissime fonti del Va ngelo, o voi che avete sete cli giustizia e di pace I Praticate la mora le evangelica e il mondo sarà trasformato I ».

Il Vangelo, sulle labbca degli evangelisti, non è più un docu mento archeologico, di un certo interesse, ma un documento uma no, adattabile a tutti i tempi. Essì vogliono g?.lvanìzzare un cadavere e portarlo davanti al popolo col grido « Eccè Homo!»

Ora nulla di più incerto, d i più oscuro, dell'origine d.i quei fa mosi Evangeli che sarebbero la parola rivelata del figliolo di D io. Al terzo secolo jl Manicheo Faust si esprimevi cosi sul loro conto:

« Tutti sanno che i Vangeli non sono stati scritti da Gesù Cristo, né dag li apostoli, ma lungo tempo dopo da degli sconosciuti, che, pensando di non èsserc creduti di cose da loro non vis te, misero in principio dei loro xacconti nom'i d'apostoli o di uomini apostolici contemporanei».

L'UOMO E LA DIVINITÀ 33

Non si possiede dunque nessun discorso testuale di Gesù e dal punto di v'ista storico la fede d ovuta agli Evangeli pu ò numerarsi zero. U n do t to collezionò gli Evangeli e n e trovò cinq uantaquattro. Un altrÒ si diverti a r icercare le variant i, cioè le contraddizioni, le divetsità di testo fra gli E va ngeli e n e trovò trentamila. Un vero caos. Oggi non ve ne sono che quattro. Sono brevi ed oscure l eggende. Quello d ì Matteo ha trentasei pagine, q uello di Marco v entidue, q uello d i Lucca novantotto e quello di G iovanni ventotto. Quest'ultimo termi na con una spacconata. Se si raccontasse, dice l'autore, tutto q uello che ha fatto Gesù, il mondo intero non pot rebbe contenere i libri c he si scriverebbero. E quest<? bell'entusiasmo arriva a ventotto modeste pagine, nelle quali v i sono più sermoni che biografia. Sant'Agostino d iceva:

« Non crederei all'Evangelo se non vi fossi costretto dall' autorità d ella Ch iesa »•

Quest o g rido, lanciato d alla r agione complessa di quello stravagante fanatico che fu Sant'Agostino, ci dà la misu ra _ della fiducia che uno spirito non infeudato ai dogmi può accordare ai Vangeli.

Gli evangelisti moderni fan no l'apoteosi di Gesù. E. l a mania cristolatrica comune del resto a molte categorie di uomini. Il Cristo rede ~tore, apostolo, u manitario, socialista, anarchico, ha ormai fatto il suo tempo. La vita e l 'esistenza di Gesù sono un enorme punto interrogativo. Sull'anno della sua nascita non vi sono meno di duecento versioni. Né l'accordo è cOmpleto sul luogo e sulle ·o rigini del Messia. Le genealogie evangeliche sono differenti. Per mostrare quanto sia ipotetica l'esistenza di Cristo e la missione da lui compiuta sulla terra, riportiamo i1 seguente passaggio del Simon (Nicola Simon, V idggio 111norùtico allrauer.ro le religioni e i dog"1i) .

« Sono numerosi gli dei che la s uperstizione ha fatto nascere da una verg ine. Jeseuz Cristna, il predecessore indo di Ges ù, era nato dalla vergine D evanaguy I cinesi contano parecchie vergini, mad ri "fecondate d'una maniera miracolosa. E da una verg ine che nacquero Mithra, un dio dei persi, e Horus, un dio egiziano. Heimdall, dio scandinavo, fece ancor meglio le cose e nacque da no ve verg ini fecondate da un dio »

L' i nfanzia di Cristo è avvo lta nel mistero. Quando cominciò a predicare diede evidenti segni di esaltazione. La sua famiglia lo co nside rava come colpito da pazzia. Dopo due àn ni di predicazione vagabonda p er le contrade di Galilea, venne arrestato quale perturbato re e condannato a morte. Gli E va ngel.i ci hanno trasmesso il miracolo d ella resurrezione. .Ora questo dogma comune a molte relig ioni.

34 OPERA OMNIA Dl BENITO MUSSOLlNI

Tertulliano riconosce che il crist ianesimo e la relig ione persia na aveva no il · medesimo dogma della resurrezione. Fra g li altri dei, mo rti e risuscitati, possiamo contare H o rus, Adone, Bacco, Osiride, Apollo, Ercole, ecc. La resurrezione ci ·appare dunque come un dogma deist ico comune a 'quasi tutti i culti Le an tiche reli gion i davano sopra la nascita, parentela, atti, morte, resurrezione, ascensione al cielo delle lo ro divinità, dei particolari ben più precisi di quelli che possediamo su Gès ù. Durante m olti secoli q uesti dei furono adorati da grandi popoli. Poi si riconobbe che n on erano giammai esistiti. In queste condizioni sono spiegabili i dubbi sopra l' esistenza stessa di Cristo Questi dubbi anzi si sono affer ma ti e l'avvocato Emilio Bossi ha pubblicato recentemente un libro destinato a far molto rumore: Cri.rio tJOtl è mai uùtilo (Società Editr ice, Milano, lire tre). Or dunque se l'esistenza di Crist o è cosl. dubbia, controversa, incerta, come g li evangelisti, che pur si colorano di modernità, possono predicarci la morale di Cristo e additarci ad esempio le opere di un uomo che forse è un semplice fantasma leggendario?

Né la m orale cristiana è degna di resurrezione. Il t entativo degli evangelisti, anche sotto questo aspe tto, è vano. La coscienza moderna mal si concilia coi precetti e i deuteronomi biblici. La morale di Gesù ha un carattere nettamente tra nsitorio, provvisorio, effimero, È la prcparazio.ne alla «parusia>>, cioè alla prossima fi ne del mondo, È la mo rale speciale di uomini che h anno p oco tempo da vivere, che pensa no inutile di fondare alcuna cosa sopra questa terra valle di lacrime e luogo di preghiera e di penitenza. Questa « fede di Gesù» nella palingen~si universale che cosa può avere di comune colla coscienza moderna ? Come degli uomini sinceri possono raccomandarci la do t tr ina e la morale di Gesù ? Il cristianesimo primiti vo e autentico non è forse l'esaltazione di un ebreo ignorante, visio nario, allu è:inato, pe ricolosame nte mistico, sognante H cielo apert o, la fine del mondo, la glorificazione della propria persona e parlante a dei contemporanei r iservati ad u na fine miracolosa e pròssima?

Quei che oggi parlano del loro redentore ignora no profondamente la sua sto ria o sono profondamente privi di sincerità.

D al punto di vista della «morale», Gesù non inventò nulla. I filosofi, ben· prima di lui, avevano avuto una più alta, più netta e più completa concezio ne della virtù . Platone e Cicerone avevano fatto dei trattati di morale i nfinitamente superiorì alle poche idee di g iustizia sparse, disseminate e quasi sepolte sotto la g ramigna dei Vangeli. Povertà di idee m o rali, accompagnate da u na r icchezza di parole incoerenti, di dia tri be violen te, di miracoli bugiardi. Budda, settecento anni circa prima di G esù, aveva passat o quarantacinque

L 'UOMO E LA DIVINITÀ 35

anni d ella sua vita a predicare nell'India la fraternità, la bcnevoli:nza, l'amo re del prossimo. Davanti a qu"esto colosso di carità, come ci appare piccolo e meschino Gesù, che evangelizzò durante due anni pochi villaggi e riusci a convincere una dozzina di vagabondi ignor?-nti, la feccia della plebe di Palestina I

È un inconcepibile assurdo fare di Gesù l'inventore e jl propa;gatore di una qualsiasi morale, Il famoso sermone della montagna copiato quasi testualmente dai libri ebrei. Quanto ai pochi . precetti di morale, che vorrebbero costituire un'etica cristiana, essi non sono che consigli di soggezione, di rassegnazione, di viltà. Cristo avrebbe detto : « Beati i p overi, p erché per lo ro è il regno dei cieli I>>. E noi diciamo: (< Disgraziati quei p overi che non sanno conquistarsi il loro regno su questa terra I » Cristo avrebbe consigliato: « Porgete la guancia sinistra. a chi vi ha percosso sopra le destra». Noi diciamo: « Ripagate di ug ual misura i provocatori, opponete la forza alla forza, la violenza alla violenza, Chi lascia calpestare la propria individualid senza reagire non è u n uomo I ». Cristo diceva: « Rassegnatevi I ». Noi diciamo: «Ribellatevi I>>. La «fraternità cristiana» ern la fratern ità passiva dav3.nti al supremo giustiziere, Dio; la fraternità che spunta tra le prime luci crepuscolari d el socialismo è la fraternità umana, attiva, benefica, che cancella le i ngiustizie, sopprime le classi e crea una immensa famiglia di liberi. La m o rale di Cristo conduce all'abbrutimento, alla. viltà e perpetua l~ miseria:

Abbiamo ragione di gridare du nque agli evangelisti che la loro predicazione serve alla causa del capitalismo, del quale essi sono altri mascherati gendarmi. Noi non possiamo fare una distinzione a loro favore. Tutti i p reti sono egu:ilmente nocivi. Portino o no la sottana, celebrino o n o agli altari, mangino O no la particola farinacea del D io. essi s~no sempre i nemici del prossimo e g iovano alla causa della conservazione sociale

P er questo diciamo ag li operai: diffidate dell'evangelismo, di que~ sto compromesso fra il Papa e Lutero, di quest'organismo senza spina dorsa le. Non _ vi lusinghino le poche formulette economiche colle quali si vorrebbe dare un. contenuto di modernità alla stolta e funesta predicazione biblica. Allontanatevi daU a Chiesa e lavorate per il trionfo della ragione umana e la distruzione dei dogmi. Poiché solo colla morte di tutti gli dei si feconderà la vita di tutti gli uomini I

Sarebbe stolto lasciare un culto per abbracciare un altro, dal cattolicismo passare all'evangelismo. Entrambi si equivalgono~ entrambi sono funesti alla causa dell'emancipazione umana.

Le aspre critiche che si rivolgono, sono delle commedie e deriva~o dalla concorrenza della rispettiva b o ttega Quando sento un

36 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

evangelista dare addosso ai cattolici e viceversa, mi vien fatto, sempre; di pensare ·ai b uffoni dei circhi e delle fiere che durante la rappre• seotazione s'insultano a vicenda coi più volgari epiteti, arrivano fino a battersi, e fraternizzano poi, in un mirabile accordo quando si tra t ta di ridere alle spalle del buon pubblico idiota e di ripartire i ben efici d ella serata.

Nel circo degli ultramondani, i buffoni sono i preti di tutte le ch iese e la folla che li ascolta, plaude e ammira, è la folla ignorante, schiava anco ra dell'assurdo religioso e della menzogna divina.

L'UOMO I! LA DIVINITÀ 37

CLAUDIA PARTICELLA L'AMANTE DEL CARDINALE

(GRANDE ROMANZO STORICO DELL' EPOCA DEL CARDINALE CARLO EMANUELE MADRUZZO)

I.

Dalle piccole chiese nascoste tra il verde rigermogliato delle valli, l'Ave Maria della sera veniva dolcemente a morire sul la go. Le cime scheggiate delle montagne brilJavano agli ultimi rifless i crepuscolari e già l'ombra prima della n otte scendeva lieve sui boschi, sugli abituri solitari e faceva accelerare il passo ai viandanti attarda ti sulla strada delle Giudicarie.

La carezza di una ma!l,O invisibile increspava le o nde del lago che con uno st anco murmure lambiv ano le fronde de' vecchi salici protendenti la loro chioma sull'acqua. Sulla riva opposta al castello di Tablino un filare di cipressi sembrava dentellare l'orizzonte e ìn fondo al cielo tremavano le stelle .V'era nell'aria l'effluvio indefinibile e penetrante del maggio, passavano gli ech i dell'eterna canzone che la primavera ogni anno ricanta alla vita, alla vita universa, che non può morire.

Carlo Emanuele Madruzzo aveva abbandonato i r emi del la piccola barca e pareva rapito dalla soavità dell'ora. Di fronte a lui stava Claudia. Per alcun tempo i due ama nti non si scambiarono parola. Il cardinale aveva il capo coperto da un leggerissimo t occo di seta n era e indossava un'a mpia veste di velluto, sul quale brillavaoo i fermagli d'argento della cintura.

Un mese cli soggiorno al castello non aveva giovato alla salute del principe. Egli non aveva p o tuto riposare, come si era proposto. Troppe cufe lo tor mentavano, da troppe tempeste era sconvolto l'animo suo. Le rughe della fronte erano divenute più profonde, il naso, ricurvo nel mezzo, sì era afE!ato, gli occhi aperti e g randi ave. vano uno sguardo di melanco nia, i capelli biondi ricadevano a ciocche rade sulle tempie, tutta la persona s' era incurvata, non per vecchiaia, ma sotto il peso di un dolore cocente .e antico.

Claudia s'erà leggermente chinata a un lato della barca e aveva immerso la mano n ell'acqua, godendo della frescura. Sotto la vestaglia di seta, si dis~gnavano le for me purissime del suo corpo, e il volto bianco spiccava sotto le chiome nere Ella teneva socchiusi gli occhi che sapèvano la malia delle velenose passioni.

All'indomani il - cardinale do_veva ritornare a Trento e quella era

4. • XXXIII

l'ultima g ita che i due ama nti facevano i nsieme, L'imminenza del rustacco li rendeva tristi. Le loro anime erano t raversate da presentimenti di sciagura. N ell'avvenire forse si chiudeva il compimento di un'oscura minaccia. '

Emanuele alzò il capo, incontrò lo sguardo di Oaudia e sj decise a p arlare, La barca era immobile in mezzo al lago, sotto la t enebra della n otte, Si distingueva appena il castello, che ave va poche finestre illumi nate,

« Domani ritornerò a Trento », clisse il cardinale co n u n lieve t remi t o nella voce. <( Tu rima rrai qui)>,

Claudìa ebbe un vivo gesto di sorpresa, ma Emanuele continuò: « È necessario. Domani parte Anna ·Maria di Spag na».

« Non si era fissata per la fine di g iugno quella partenza? », domandò Claudia

« È ve ro, ma certi avvenimenti hanno fatto. precipit are le cose. O ggi ·nel pomeriggio D on Bcnizio è venuto a comunjca rmi fi mprovvisa decisione. Domani no n posso mancare di compiere i doveri delYospitalità, nobilmente come le tradizio ni della mia stirpe impongono». _

Pronunciate queste parole, Emanuele ritornò coila memoria cinque mesi addie t ro, all'epoca dell'arrivo di Anna Maria a Trento. Mancavano pochi giorni alla solennità del Natale del 1648 qua ndo le aVanguardie del corteo principesco toccarono il suolo italiano poco oltre San Michele. Anna Maria, figl ia ·di Ferdinando III imperatore, viaggiava accompagnata dal fratello Ferdinando, re d'Ungheria e di Boemia, dal cardi nale d'Arrach, arcivescovo di Praga, dal principe d'Arensperg, dal duca di T erranova, d al margravio di Bada, da molti altri principi, cava lie ri e dame, ed er a di retta verso la Spagna, dOve andava sposa a Filippo IV.

Em~nuele Madruzzo, principe vescovo di Trento, mosse incontro ad Anna, con un seguito di cinquecento gentiluomini, d agli splendidi equipaggi, dalle livree bizzarre e ricche, e a Gardolo, d ove i due m agnifici cortei ven ne ro a co ntatto, Emanuele b aciò la mano d ella futura reg ina di Spagna e le offerse dimora ospitale nel castello che Bernardo O esio e i primi Madruzzo avevano trasformato in residenza deg na di una corte papale o imperia]e.

NeUa chiara e fredda mattinata _di dicembre, le trombe d ei cavalieri e i canti dei p~ggi richiamavano sullo ~tradone di Ga rdolo i contadi ni che si scoprivano con atto di umiltà profonda al passaggio della berlina dove la g iovane Anna sognava o nori e grandezze o pregustava la g ioia d egli imminenti spon sali. Il p opolo trentino accolse festosamente la futura ,egina di Spagna.

42 OPERA OMNIA DI BENIT O MUSSOLINI

Al primo apparir del co rteo, dall' alto della torre di città, la Renga, la storica campana dal bro nzo e~terno lavo rato pazientemente di buli no, cominciò a suonare a distesa. ·

Le campane d elle altre to.r.ri risposero e nel cielo sereno, italicamente, e in tutta la v alle si diffusero le vibrazioni lunghe dei rin tocchi a risvegliare gli animi, a suscitare gli echi addormiti sotto la bruma iemale della montagna, Le artig lierie del castello sparavano a salve, In breve tutto il popolo di Trento fu nelle strade. I merca nti chiudevano le botteghe, gli artigiani i laboratori, la gente di studio gli uffici, Le case si vuotavano, donne e bambini si affacciavano alle p orte, Domande ansiose correvano di bocca in bocca ed ogni r isposta era accompagnata e accolta da alte g rida di ammirazione.

E co me per un tacito, comune segnale d'intesa la folla si diri geva per la « contrada tedesca>> nel quar tiere di San Martino e si dispon eva ai lati della via, in fondo alla q uale un trotto fer~ato di cavalli, un luccicare ·_abbagliante di corazze, uno scintillio di elmi, di picche, di alabarde, un crepitare di archibugiate a salve annunciava l'ospite sovrana. Alla porta di città, jl cocteo si fermò, per meglio ocdin acsi e co nferire alla cavalcata tut ta la solennità di un trionfo. Precedevano otto cavalieri biancovestiti, E ssi n on indossavano corazza, no n portavano armi. Avevano sul petto una g rande croce rossa, Segui.vano a breve distanza i soldati della ·sco rta. La berlina di Anna Ma ria, t rascina ta da quattro ·cavalli riccamente bardati, era circondata dalle da me del seguito, dagli alti dignitari di corte, della nobiltà e del clero di Boemia, Ungheria e del Trentino. D opo questo g ruppo compatto i n cui figuravano i discenden ti di tutte le più nobili stirp i d 'Europa - da i paesi solcati dal Danubio a quelli bagnati dal Manzanare, dalJe sco n· 6nate pu,z.te ung heresi alle verdi colline di ·Boemia, dalle Alpi nevose aì fertili piani dell'Eridano - seguiva un'immen sa stuolo di cavalìeri, superbi nelle loro fe rree armature brunite. Erano i superstiti delle ultime guerre, fi nite colla pace universale di MUnster, i soldati di tutte le lingue, gli eroi della cavalleria ridotta ormai a compiere funzioni decorative, coreografiche, da quando il vecchio contenuto romantico e ideale che l'animava era caduto sotto la diabolica i ronia di Cervantes poeta. Il corteo era chiuso da una lunga fila di carriaggi. E diet ro si precipitò il popolo che avev a assistito, ammirato, alla sfilata. Il vociare della folla. che dime nticava, come sempre, in . quella vjsione .di sfarzo, le sue miserie q uotidiane, era di tempo io tempo superato dalle note di un corno nel q uale un cavaliere gigante di Boemia soffiava co n tutta la forza dei suoi p olmo ni.

Emanuele Madruzzo rico rdava o ra nettamente i p articolari di quell a solennità. Ricordava l'allegria del popolo t rentino, i discors i dei ciam.4

CLAUDIA P ARTICELLA 4 3

b ellani, le brevi frasi di Anna Maria, la funzione nel Duomo, la fiaccolata deila sera. Anna era rimasta commossa a sl pompose accoglienze. Poi furono lunghe settimane invernali che trascorsero in feste, cacce, freque nti banchetti non· mino ri di quelli di LÙcullo in Apolline, come 'Ci narra un cronista dell'epoca.

Tre mesi dopo all'entrata in Trento di Anna Maria, ben cinque principi erano alloggiati al castello: la regina sposa, il re d'Ungheria, l'arciduca Ferdinando Carlo coH'arciduchessa Anna sua consotte, l'arciduca Francesco Sigismondo, il vescovo di A ugusta, il duca di Man tova. Poche corti in Europa, anche tra le p iù antiche, potevano rivaleggiare in quell'epoca colla casa dei Madruzzo. Emanuele, l'ultimo, aveva i l mecenatismo e le prodigalità dei signori che governarono le città italiane negli albori della rinascita Egli dilapidava le ricchezze, poiché in lui si estingueva la stirpe e lasciava senza erede il principato, A che pro risparmiare denaro n ell'attesa d'un avvenire che g li sfuggiva? Valeva bene la pena di vivere seriza preoccupazioni funeste. Godere e dimenticare. P oi da un ventennio la passione d'amo.re lo sconvolg~va tino a fargli maledire il principato, sino a fargli 'disprezzare la porpora cardinalizia. Egli amava Claudia.

Questa relaiione era universalmente nota e dai più biasimata e ritenuta g ravissima colpa. L'ani ma di Emanuele Madruzzo, disposta a sensi di bontà ch'egli aveva eredita ti dagli avi materni delle Chiambre, era da luogo tèmpo teatro d'una spaventosa lotta fra due sentimenti opposti che tentavano di sopraffarsi: i doveri del p rinci pat o, la d ignità della porpora, e l'amore per Claudia, esasperato ormai in una di quelle tragiche passioni che sconvolgono una vita,

Durante quella primavera in cui la corte di Trento ospfrò i p ersonaggi più illustri e possenti d 'Eu~opa, la vita al castello e a T rento fu intensa e turbinosa Emanuele tentò di stordirsi nell'intento di calmare il dissidio che gli lacerava l'animo. Non vi riusd. AUa fine di aprile aveva fatto allontanare Claudia, temendo per la vita di lei, minacciata da una congiurazione che si diceva tramata fra gli ecclesiastici avversad della casa Madruzzo. Ella _s'era ritirata n el castello di Toblino, custodita e difesa da un grup po d'armigeri, ne' q uali Emanuele riponeva la massima fiduda. Ma dopo akuni giorni, Emanuele stesso l'aveva raggiunta a Castel-Toblino.

Egli no n poteva separarsi da Claudia. Si era scusato cogli ospiti protestando il bisogno assoluto d i alcune settimane cli quiete e aveva affidato la cura del governo e il reggimento di tutti gli affari, sia profani che ecclesiastici, al consiglier e Ludovico Particella, padre di Claudia.

Di notte, scortato da due fi~ cavalieri, aveva passato il ponte di

44 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

San Lorenzo a sette archi in legno e, galoppando furiosamente, e:ra arrivato a Castel Toblirio, menttc l ' alba spuntava.

I giorni deliziosi di maggio erano rapidamente passati nella soli• tudine e nell'abbandono all'invinc~bile passione, ed ora improvvisa· mente bisognava separarsi un'altra volta, tornare a Trento, poiché Anna Maria aveva anticipato di un mese la sua partenza per 1a Spagna.

Il cardinale sospirò e, dopo essersi passata la mano sulla fronte bjanca e quadrata, ripeté:

« Tu Claudia rimarrai qui. Forse mi tratterrò poco a Tcento e ci rivedremo in breve. Mi aspetterai )).

Clau~ia con un filo di voce doma ndò:

« Don Benizio rimane forse a Castel Tablino? Tu sai quanto mi sia od ioso quell'uomo. Non h<? mai potuto incontrare il suo sguardo freddo, senza internamente trasalire di paura. Io l o temo. Lo temo.... >> .

«Rassicurati >>, interruppe Emanuele, « Don Benizio partirà domattfoa con me. P ochi 6.di rimanannO qui alla tua custodia e alla tua difesa. l o vigilerò da Trento. O g ni giorno mi darai tue notizie».

Claudia affermò melanconicamente chinando il capo e si avvicinò a Emanuele. La barca oscillò. Egli le p rese le mani e se le strjnse al seno. Nessuna voce umana, ness un canto d 'uccello rompeva il silenzio della notte, Le foreste dormiva no nell'ombra, la s.uperficie del lago scintillava .tenuamente raccogliendo la luce delle stelle, in fondo alla va11e apparivano e scomparivano delle brevi fiamme: erano pastori che uscivano a sorvegliare il gregge Emanuele stava muto, assorto nell' infinita chiarità di quella notte di maggio. Egli non trovava parole . L'eloquenza del più grande poeta è pur sempre un miserevole tentativo assurdo davanti allo spettacolo del cielo trap unto da miriadi d'astri. L'anima non trova espressioni adeguate: s'annienta nella contemplazione I

Emanuele Madruzzo sentiva la bellezza della n atura Lo spirito di lui aveva il dono misterioso d ell a comunicazione delle cose. Ancora fanciullo, a nove anni appena, Emanuele era stato mandato a Riva presso Gaudenzo Madr"uzzo, cugino del padre. La vista del Benaco azzurro gli aveva aperto di buon'ora l'animo al godimento estetico. Dopo erano venuti i tristi anni del soggiorno a :Monaco di Baviera e a Ingolstadt. Nella p rima città aveva studiato g rammatica e rettorica, nella seconda filos ofia. Suoi maestri erano stati i gesuiti. Collo studio delle belle lette re e colla meditazione filosofica, Emanuele aveva raggiunto l'equilibrio del suo spirito, nell'armonia dei pensieri e delle azioni. I cronisti del tempo ci dicono che a Ingolstadt egli si era fatto notare e stimare per « la scmplicezza e candidezza dei costoni.i~ che sorpassava quella del ·volto, sorrùgliante al latte, aiutata

CLAUD[A PARTI CELLA 45

dalla modesta chioma, 1a quale, biondeggiante, rassomigliava all'oro filato. Era tutto p io, modes to, umile e mite; intè nto sempre a cose sacre, a formare altarini, servire messa, cantare i vespri>>. Da Ingol· stadt, a suo malincuore, si era trasferito a Perugia per studiarvi legge e appunto nella capitale della verde Umb ria egli aveva ottenuto la laurea dottrinale. Nella patria del mite poverello d'Assisi, del frate che si era sposato, coram pop,Jo, a Madonna pòvertà, del poeta c he aveva elevato un inno immo rtale alle creature ed aveva detto frate sole, sorella acqua, nell'Umbria, cuore d'Italia e oriente sèrafico dei mistici attivi, Emanuele Madruzzo aveva avuto la sua seconda rive~ )azione. Aveva ritrovato il senso della vfra al co ntatto del mondo pagano antico che risorgeva attraverso il commento giuridico del diritto romano; era ritornato alla terra da cui nella nebbiosa Germania la sottile speculazione te ologica lo aveva allontanato · Senti allora che senza amore }a vita sarebbe trascorsa irrimediabilmente vuota, e volle all'amore di Dio unire, come il fraticello d'Assisi, 1:amore delle creature, di una creatura, di una donna.

Era la debolezza della carne che acuiva i desiderii di fecondi amod terreni nell'animo di questo ultimo r ampollo di una stirpe di principi? O n on piuttosto la volontà di avere un erede a cui tramandare il nome, il potere, la gloria?

Nel 1619 fu richiamato a Trento. Emanuele aveva vent'anni, e fu assunto dallo zio cardinale come coadiutore e successore, e affidato quindi ai consiglieri Pietro Belli e Ludovico Particella, « uomini di valore e di molta prudenza ». Ma la relazione con casa Particella doveva, sotto molti rapporti, essere fatale a Emanuele. Nel 1626 era stato pro mosso al sacerdozio e nel 16 29 aveva avutò inizio il suo governo, « calamitoso per le stragi orrende che cagionava la peste -in Lombardia e nel Trentino».

Da vent'anni eg li teneva le redini del co mando I Vent'anni di ·lotte interne ed esterne, vent'anni ·d'amore con Claudia. La carne aveva vinto, la passione aveva trionfato I

Ormai non era più possibile rompere la catena d'un amore quadrilustre. Bisog"nava subirlo, sino alle sue ultime conseguenze, in faccia a Dio e agli uomini. Giunto al crepuscolo della vita, segnato dal. trapasso della virilità alla vecchiaia, Emanuele cullava un'ultima speranza, nutriva una suprema illusione. Po tere unirsi legalmente con Claudia, gettando alle ortiche, se fosse stato necessario, oltre al cappello cli cardinale, anche la s ignoria profana; unirsi alla donna che aveva amato più di se stesso e per la quale aveva affron~ato le collere del popolo, le sorde osti lità deg li ecclesiastici, il biasimo d ei prin cipi . Ma quante forze palesi e occulte ostacolavano la realizzazione di que4 sto sogno semplice e umano I

46 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

Emanuele rispose a una carezza di Claudia che gli interruppe la meditazione, e, come se par1asse a se medesimo, fece:

« È probabile che a Trento siano giunte notizie da Roma, Frate Luigi dovrebbe essere tornato. Come sono lunghe ques te pratiche I Tuttavia spero molto dal P ontefice Innocenzo X L'ultima lettera che frate Luigi mi scrisse da Roma mi riempi. il cuore di speranze, ma poi, silenzio, Frate Luigi dev'essere certamente in viaggio».

T agliò l'aria con un gesto secco e riprese:

« L'o ra delle grandi r isoluzioni è forse immìnente I Oaudia mia, preparati I Noi dobbiamo superare tut ti gli ostacoli e coronare deg name nte la nostra vita. Un'ora sola di gioia incontrastata, u n'ora di libertà cancella un ventennio ·di pene e cli schiavitù. lo principe, io d ominatore sono stato in verità, per vent'anni, un miserabile servo. Ho portato anc h'io delle pesant i catene, quantunque i miei passi non offrano traccia di lividure Ho portato le catene della Chiesa, del p ri ncipato, del1a mia stirpe. Mi ha nno forzato a nascondere i m iei affetti, a vergognarmi delle mie passioni Ebbene, questo finirà, deve fini re. La mia vita non ha ancor pe rcor so .interame nte la parabola di discesa. Mi sento pieno di forze e pervaso di volontà di vivere secondo il mio ideale, il nostro ideale ».

La voce di Emanuele s'era gradatamente elevata n ell'impeto della passione che lo divorava. Poi egli riprese i remi e a forti colpi si spinse ve rso il castello. Ma quando giunse in prossimità della riva, arrestò la corsa della barca. La costellazione della Chioccia era giunta in mezzo al cielo.

« F erma I », aveva implor ato Oaudia. « Godiamo ancora cli questa solitudine ineffabile Domani ampio spazio di terra ci separerà».

« Ma le nostre anime saranno unite ».

« Sempre I », aggiunse Qaud.ia. Ed appoggiò la testa sull'omero cli lui. Poi gli domandò:

« Se la risposta di fra' Luig i fo sse negativa, che faremo?».

« Manderò altri ambasciatori p iù foflue nti a perorare la mia causa».

« E se la decisione del papa fosse irremovibile ? ».

« Fuggi remo. Sono dottore in legge. Troverò dovunque da viv ere».

Emanuele pronunciò queste parole lentamente. Ma Oaudia i.r. ruppe:

« Ah I Fuggiamo I Fuggiamo I Fino all'estremo lembo della terra io sono pr o nta a seguirti. Sono decisa a sopportare tutte le privazioni materiali di un'esistenza in paese straniero, pur di essere libera e sempre con te >>.

« Oaudia mia», rispose egli dolcemente, « speriamo ancora I Che visioni di morte non turbino i tuoi sogni, né ti spaventino gli arri-

CLAUDIA PARTICELLA 47

bili fantasmi del castello. Noi 'siamo indivisib ili per Ia vita e per la morte. La·onnipoten22. stessa del Papa ci può far perire uniti, ma separarci giammai ! )}.

« Finalmente potremo osare I », gridò Claudia alzandosi ritta in mezzo alla barca. « Noi siamo stati infel ici perché non abbiamo osato. Fummo calunniati perché ci nascondemmo. Io resterò qui~ ma rico rdati, Emanuele, che la mia volontaria clausura dev'essere cli breve durata. È tempo di diradare le tenebre e di abbattere e umiliare i nostri nemici. Io voglio poter proclamare in faccia a tutti ch'io sono tua sposa, senza che qualche malevolo mi faccia arrossire chiamandomi tua concubina)>.

« Sarai mia sposa». dichiarò Emanuele, « a~che se il Papa mi negherà la dispensa. Ed ora rientriamo. È tardi».

Le loro bocche s'incontrarono in un lungo bacio appassionato. Pochi colpi di remo accostarono la barca alla riva, Don Benizio atten• deva gli amanti ne l cortile del castello. Non app~na li v jde, corse loro incontro agitando una lampada. Gettò un'occhiata a Claudia, che si dirigeva alla sua cella. Poi s'inchinò al principe e gli chiese:

« Quanti uomini di scorta per domani?».

« Sei cavalieri)),

« A che oca la partenza ? ».

«All'alba».

48 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

II

Anna Maria di· Spagna abbandonò Trento nel pomeriggio del giorno dopo. Come all'arrivo anche alla partenza volle il principe Emanuele dare il carattere di u na solennità. Mentre il lungo corteo si avviava per Borgo Nuovo~ diretto a Verona, suonavano a st orno le campane e vi fu al c astello sparo di a rtiglierie, Ma il p opolo, che nel dicembre s'era rovesciato nelle strade ad osannare l'ospite, era questa volta assente.

Il soggiorno di Anna aveva vuotato le casse del principato e co-stretto il cardinale a imporre nuovi e odiosi balzelli che colpivano tutte le classi della cittadinanza. Le d sse fra trentini e spagnoli al se. g uito della regina erano st ate frequentissime, apportando disco rdie e lutto in parecchie famiglie Il malcontento che altre cause più remote acWvano, s'era fatt6 palese. I co nsiglieri del principe; fra i quali il Particella Ludovico capeggiava, t e mevano uno scoppio della collera popolare. A Piè di CasteJlo, dove sin dai tempi del Concilio era stata confinata la poveraglia perché la visione della rrùseria non turbasse la digestione ai duecentodieci vescovi, ai ventidue a rcivescovi, ai cinque legati, ai due cardinali, ai tre patriarchi, allo stuolo innumere di preti m ino ri che discutevano d i teologia cattolica in Santa Maria Maggiore, la mi seria batteva a t utte le porte e spingeva all'accatto nagg io per le vallate gli invalidi, uomini, donrie e fanciulli. Fu dunque con un sospiro di consolazione che la città vide fina lmente partire la r egina. E manuele Mad.ruzzo l'acco mpag nò sino a Mat tarello. Q ui avvenne, fra l a grande commozione dei personaggi "del seguito, il defin iti vo com.miato, Anna, dop_o b revissima sosta a Rovereto, avrebbe continuato il viaggio sino a Madrid, dove Filippo IV l'attendeva per condurla all'altare.

Emanuele Madruzzo tornò a Trento la sera stessa, e d o po aver cenato con pochi intimi e sobriamente come aveva costume quando no n sedevano ospiti stranieri a t avola, si ritirò nei suoi appartamenti. Lesse alcune carte urgenti che tra ttavano di affari politici, p oi i ncominciò a d eclamare Virgilio. Eg li trovava nel dolce poet à latino un conforto e un aiuto. Nella fami glia dei Madruzzo il sentimento della poesia non mancava. Cristoforo era stato un discreto poetà e lo provano i versi latini da lui diretti a Varignano d'Arco. E manuele non

CLAUDIA PARTICELLA 49

p oetava, ma nelle ore di tristizia r icorr·eva ai grandi classici, come a fedeli amici consolatori. Dopo aver letto un intero canto dcli'Eneide, Emanuele baciò un lungo crocifisso d'argent o e pensando a Claudia lontana si addormentò. Orribili sogni lo agitar ono tutta la notte. Alla mattina dormiva ancora in un sonno pesante, quando il valletto, secondo l'ordine ricevuto, bus sò discretamente p er risvegliarlo. Emanuele si alzò. Non pose molto t empo a vestirsi, poiché egli andava semplicemente abbigliato, senza lusso di i nutili adornamenti e discese nel salone delle udienze. Gran folla l'attendeva. V'erano uffici:ali d elle truppe e ufficiali di polizia venuti a chiedere ordini e a p resentare rapporti; v'erano preti di scesi dalle vallate per riferire al cardinale qualche loro segreta doglianza; v'erano mercanti che chiedevano probabilmente un es onero o una diminuzione di tasse; v'erano contadini riconoscibili dai cappelli, d al volto r ugoso e abbronzato, dagli enomU stivali, povera gente che aveva sofferto di qualche sopru so e sperava nella giustizia del suprem o signore; non mancavano i legulei, che portavano sul naso adun co gli occhiali e sotto al braccio delle borse di cuoio nero rigonfie di documenti o di cartaccia bollata. In fondo al1o scalone e .giù nel cortile si pigiava la turba dei miserabiH che sollecitava no la quotidiana elemosina. All'apparire del cardinale, si fece immediatamente silenzio. D o n Benizio, Ludovico Particella, Giacomo 1-fe_rsi (dottore ed ex-accademico sotto il nome di «invigorito» nel1' Accademia degli «accesi})), Mario Guidello (figlio del famoso medico e filosofo trentino), Orazio Petrolini (giureconsulto cavilloso e spirito bizzarro), Giovanni Leveg hi (medico delle bestie e sorvegliante delle scuderie), Pontater Corrado (maggiordomo), tutti s'inchinarono profondamente dinan:d a Emanuele. Non v'erano che pochi affa ri di grande importanza e deg ni di essere trattati direttamente dal cardinale. Venne ordinato lo sgombero del salone. La gente si ritirò nei corridoi 1aterali. · Mentre nel sàlone i consiglieri del pdncipc sbrigavano le faccende di poco momento, E manuele si era ritira to nel suo salotto privato per ricevervi ed ascoltare e giudicare le questioni p iù gr avi.

Questo salotto non era molto vasto, ma arredato con senso d'arte. Nel mezzo sorgeva un tavolo di n oce ricoperto di libri e di carte· e circondato da poche sedie dall'alto dorsale finemente intagliato. Gli angoli erano occupati da quattro c onsolle in legno, sorrette d a meravigliose cariatidi. Un ricchissimo tappeto copriva il pav iment o e. delle grandi tende in velluto celavano le due finestre e la porta. Il soffitto era un prodigio di decorazione. D alle pareti p endevano i ritratti degli avi . Sopra la porta stava un trofeo d'armature. Vi erano poi a nche una corazza, dei gambali, un elmo che pareva celasse il capo di un

50 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

antico guerriero spiante ~ttraverso le aperture delle occhiaie metalliche, una lancia e una spada pesante ricurva alJa punta come la scimita rra dei mussulmani. Nella parete di faccia, tra i ritratti dei cardinali Cri• stoforo e Ludovico Madruzzo, v 'era una tela sulla quale un pittore non indegno aveva riprodotto il San Sebastiano di Guido Reni. Come n ell'originale, che trovasi oggi alla Pinacoteca capitolina di Roma, il bellissimo giovinetto martire era stat o dipinto n ell'atteggiamento più trag ico del suo ineffabile olocaust o, le braccia legate al cli sopra della testa, gli occhi rivolti al cielo coll'espressione di una preghiera che la labbra non possono dire, il torso nudo e trafitto dalle micidiali q uadrella. Dalle tre ferite ·sgorga u n sottile rivo di sangue.· Sul tavolo del cardinale stava un Cristo crocifisso, scolpito semplicemente in legno.

Emanuele sedette e dopo breve attesa la portiera si dischi use Ap· parve don Benizio e dietro a lui una suora. Il prete si ritirò imme· d.iatamente e la suora avanzò di alcuni passi. Era la madre superiora del convento della Santa Trinità. Il cardinale le offerse una sedia, ma la vecchia badessa rimase in piedi,

« In che posso osse rvi utile, sorella ? », chiese Emanuele, con voce che tradiva sorpresa e interna pceoccupazione.

La suora non alzò il capo. Teneva le mani incrociate sul petto, Di tempo in tempo portava alle labbra il piccolo Gesù d ' avorio che le pendeva dalla cintura.

<< No n ho nulla da chiedervi> mio venerabile superiore. Non sono qui venuta per interessi spidtuali o materiali che direttamente mi r iguardino. Nel convento tutto pcocede in ordine, ma .... ».

« Dite, dite p ure, sorella J ».

« Ma una g rave sventura sta per colpirci. Filiberta si muo re?>> .

A· queste parole, pronunciate colla voce monotona delle religiose, il car dinale n on poté trattenere un gesto di d olore. I suoi occhi si spalanCarono come volessero penetrare n ell'avvenire, le sue mani affcr. ravano nervosamente gli oggetti del tavolo. Poi fece forza a se stesso, dominò il turbamento dell'animo e domandò:

« Perché non me lo avete detto prima ? )),

« Filiberta non ha voluto», riprese la monaca, che pareva non si fosse accorta della tempesta scatenata colla sua notizia e continuava a parlare collo stesso tono di voce, freddo, uniforme. « Ella sperava di g uarire col ritorno della primave ra, s'illudeva di poter abbandonare il convento alla fin e di questo mese. Ma l'altro giornÒ, d opo un vio· lento accesso di tosse, fu costretta a porsi a letto. Ieri le sue condizioni erano di una eccezionale gravità. Stanotte ha delirato Quando io l'ho lasciata all'alba, dopo averla vegliata, per venire qui, mi ha

CLAUDlA PARTICELLA 51

guardato senza rico noscermi. La sua fine è prossima, se Jddio no n esaudirà le preghiere delle mie sorelle, e preferirà chiamarla a ·sé, ne lla gloria dei cieli ».

Poich'ebbe terminato il suo racconto, la religiosa si tacque. Il carpinale t eneva la testa china fra le mani. Il suo volto era traversato da contrazioni di dolore.

« E i medici" che cosa hanno detto ?».

« Filiberta non vuole saperne dei medici, ·Tuttavia un medico. travesti~o da cappuccino, l'ha visitata stamani e l"ha dichiarata in pericolo di vita Muore di consumazione».

« Verrò a trovarla stase ra. Ma ascoltatemi, sorella. È necessario che la mia visita rimanga segreta. Nessuno mi vedrà all'uscir dal castello, nessuno saprà del mio viaggio, nessuno deve vedermi al convento. Voi disporrete in modo che la mia volontà si compia. Le ragioni che m'impongono un simile contegno non v'interessano. Stasera verrò da Filiberta. Spero di trovarla ancora viva. Mi fatò perdonare. Ed ora, sorella. tornate al convento e non abbandonate un sol minuto l'ammalata. Addio, sorella )>;

La religiosa usci e uno dopo l'altro don Benizio introdusse i postulanti che attendevano. Il cardinal~ li sbrigò rapidamente.

Verso il tramonto fece preparace l a berlina chiusa da viaggio. Vi montò con un sol val1etto fidatissimo. li postiglione era un boemo capace di conservare un segreto anche sotto le più feroci t ? rture. I prelati del castello, i consiglieri immaginavano chi si nascondeva nella berlina. Ma non potevano supporre lo scopo del viaggio. Del resto eran abituati a queste frequenti sortite del carclinale in stretto inca.:. gnito.

I tre giunsero sull'imbrunire al eo nve nto della Santa Trinità. Di questo antichissimo chiostro femminile, le cui origini si credeva ri• montassero al decimoterzo secolo. non si vedeva dietro l'altissimo muro di ci nta che il campanile della chiesa e le vette di a lcuni cipresSi piantati intorno .al cortile

Qui era sta~a ·rinchiusa Filiberta, per ordine di Emanuele Madruzzo. L'infelice donzella era l'unica figliola del conte Vittorio Madruzzo, fratello del vescovo cd erede di tutta la facoltà dei Madruzzo.

Epperò, secondo quello che ci narrano i cronisti, « molti in diversi tempi la pretesero in isposa, cavalieri e principi d'Italia e di Germania, con vantaggiosissime condizioni per il vescovo, che gli avrebbero appo rtato somma gloria e t ranquillità, ai quali tutti fu data ripulsa, senza tener conto dell'interposizio ne di p rincipi g randi e sovrani ».

Emanuele, invece, aveva pensato di darla in isposa a Vincenzo Particella, figlio del consigliere Ludovico, giovane di nobilissima qua-

OPERA· OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

lità, Ma Filiberta amava di un amOre profondamente corrisposto il conte Antonio di Castelnuovo. Di qui il dissiclio collo zio1 che forse vagheggiava di trovare nella casa Particella un c rede del principato, e che punl Filiberta racchiudendola in «_speciosa prigione» nel convento della Trinità, La notizia di questa clausura aveva g randemente eccitato gli animi, e il cardinale Emanuele s'era giocata gran parte della sua popolarità, « attirando'si l'odio e l'avversione di molt i cittadini>>, Le istanze avanzate dal co nte Antonio di Castelnuovo per ottenere la liberazione e la mano di Filiberta erano naufragate contro l'irremovibile decisione del principe. Si diceva che questi fosse influenzato da Claudia, contro alla quale nessuno rispaun.iava le pietre della calùnnia e dell'abbominazione. Claudia, dagli occhi neri come quelli del diavolo, Claudia, che passava fra il minuto popolino come una strega capace di qualunque misfatto, Claudia, che aveva voluto la clausu ra di Filiberta, rivale temibile e irriportuna. Cosl nella leggenda che correva sulle bocche di tutti.

Intanto Filiberta aveva rifiutato il velo, nell'attesa cli essere liberata. E invece della tanto sospirata liberazione v eniva la morte I

La madre superiora stessa apd il vecchio portone cigolante sui cardini arrugginiti. Il valletto ed il cocchiere rimasero nel cortile. Guidato dalla suora, il cardinale attraversò un lunghissimo corridoio. Dalle cellette chiuse si udiva 'un tenue murmure di preghiere. In fondo a l corridoio si trovava la .stanza occupata da Filiberta Emanuele vi entrò con passo esitante. D epose in un angolo il mantello, si scoperse e si avvicinò al letto su cui l'infelice agonizzava.

La notte era ·già discesa e dalla breve finestruola si udiva il trillare dei grilli fra le alte stoppie. La stanza, un po' più vas ta delle celle ordinarie, non conteneva ·che il letto, due sedie e un tavolino sul quale era posta una lampada ad olio. Ombre gigantesche e nere venivano proiettate sulle pareti bianche. Di quando in quando il singulto della malata schiantava il silenzio.

La tisi aveva emaciato il volto di Filiberta. Il pallore cadaverico aveva sostituito le rose della prima g iovinezza, ma gli occhi divenuti più profondi conservavano tutta l'intensità passionale del loro sguardo. Quegli occhi erano immobili, fis si ad un punto. I capelli disciolti ricadevano sul guanciale. Ella teneva le mani fuori dalle coperte, sotto alle quali il corpo di lei era indicat o da una linea appena visibile.

Emanuele non osava fare parola. La vista di Filiberta morente lo aveva impietrito, Egli era unico responsabile della miseranda 6ne di lei. Egli l'aveva fatta rinchiade re, cedendo forse alle preghiere o aUc minacce di Claudia; egli l'aveva tenuta rinchiusa, noncurante delle proteste del popolo e delle implorazioni del conte di Castelnuovo;

CLAUDIA PARTICELLA 53

egli aveva prh•ato la ni{)ote del sole, del movimento, della libertà e soprattutto· l'aveva violentata n elJ'amo re cercando di sp osarla a Vin. cenzo Particella, che ella n o n am ava né av rebbe mai amat o . E manuele Madruzzo raccog lieva ora il frutto delle sue insane ostin~ioni: eg li ave va dina nzi m o ribo nda l a vittima inn ocente e il rimo rso g li atta~ nag]iav a il cuo re. E no n riusciva a calmarlo colle speranze illusorie e i progetti per l'avvenire che gli traversavano la fantas ia. T roppo t ardi l Tutta la sua fede, tutte le sue riccheize, tutti i suoi titoli, tutto il suo sangue non avrebbero arrestato il progresso del male, né deprecata l' immin ente catastrofe Quale orribile situazio ne I Lo zio respon sabile della morte di Filiberta. Ah I se un miracolo l'avesse salvata I E gli le av rebbe spalancato tutte le porte del convento per darla alla libertà: alla vita, all'uomo ch'essa amava. TroÌ,p o tardi I Emanuele fissava i suoi negli occhi di Filiberta. Voleva scrutarli, leggere attraverso le immobili pupille i pensieri che la mo rente volgeva nell'anima Che cosa esprimevano ? G li perdonava o lo malediva ?

Emanuele si chinò sul g uanciale, sfiorò co n un bacio la fro nte d ell'ammalata e chiamò:

« Filiberta /... Filiberta I••• ».

Ma non ottenne risposta

« Chiamatela voi», disse Emanuele alla suora che pregava in g ~nocchio a pie' del letto, E la suora c hiamò:

« Filiberta I... Filiberta I... >).

Invano. Filiberta non rispondeva.

« Ascoltami, Filiberta I ». implo rò· a ncora Emanuele, <1 Ascoltami So no tuo zio.... So no venuto a t rovarti per farti g uarire e condurti fuori )>.

Un fremito nervoso scosse il capo della moribonda. Udiva d uo~ que lo s(ogo disperato dello 2io ? P oi rito rnò n ell'i mmo bilità di p ri ma . 11 si ngulto era affiochito. Allo ra E manuele s' inginocchiò, prese una mano di Filiberta e la ricoperse di baci continuando a invocarla. La · disperazio ne di quell'uomo cinquantenne venuto ad assistere all'agonia della sua v ittima era tragica forse più che il destino d ell'infelice che si moriva I Con voce spezzata egli continuava a dire :

« Filiberta, perdonamj, perdo nami il male che ti ho fatto. Perdona al tuo vecchio zio I ».

Jmpro vvisamente Emanuele si alzò e, come frustatO da una seg reta ispirazione) si precipitò fu o ri della cella) infilò le scale, pe ne trò ne Ua chiesa del convento. Il suo p asso suscitava echi lunghi e p aurosi. La chiesa e ra imme rsa nelle tenebre, U na pi cco la lampada sospesa indi. cava l'al tar maggiore. E ma nuele s' inginocchiò colla fro nte a terra L e pietre del p avimento ri mbombavano, Sotto v'e rano le cr ipte dei

54 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

morti. Finalmente clie' libero corso alle lagrime I Il suo singhiozzo echeggiava sinistramente. Chi lo avesse vi sto in quell'ora e in quell'att eggiamento sarebbe uscito gridando: « Al pazzo I Al pazzo I ». Sl, Emanuele era pazzo.. La ragione di quell'uomo giunto al crepuscolo della vita vacillava I Il colpo del destino era troppo brutale I Quanto tempo restò nella chiesa deserta a invocare un dio che non poteva esaudirlo ? Alla fine Emanuele uscì. Passò coÌne un fantasma nero nel corridoio e tornò nella cella di Filiberta. La suora pregava ancora ai piedi del letto. Si a lzò all'entrare del cardinale e disse:

«È mortai».

A questo annuncio, un grido altissimo, uno solo, proruppe dal petto di Emanuele. Questo grido riempi la stanza, echeggiò nei co rridoi, si perdé nella notte fonda. La suora alzò finalmente il capo. Prese con delicatezza le braccia di Filiberta, gliele incrociò sul seno, vi depose un Cristo e una corona da rosario, ri ordinò le coperte e distese un velo bianco sulla fronte della morta. Ebbe cura di alimentare la lampada e se ne andò. Il cardinale la segui.. Giunti nel ' corridoio, egli le disse:

« Voi non farete cenno ad anima viva di quanto è successo stanotte. Esigo che Filiberta sia sepolta prima dell'alba e soprattutto voglio che nessuno sparga la notizia della sua morte. In seguito venano altri ordini. Per il momento è n ecessario serbare il segreto. Degli uomini che mi hanno accompagnato sono pienamente sicuro. Voi mi risponderete delle suore a11e quali siete preposta».

La vecchia religiosa s'inchinò profondamente e assicurò che avrebbe compiuto con tutta obbedienza e fino allo scrupolo la volontà del suo superiore.

Emanuele raggiunse i suoi .Geli che lo avevano aspettato d o rmendo. Essi non s'accorsero de llo stato miser ando in cui si trova va il loro padrone. I cavalli furono frustati e messi al galoppo. Ema nuele voleva raggiungere presto il castello. Aveva bisogno di nascondersi. Gli pareva che tutte le ombre de lla notte lò accusassero, gli pareva d'essere inseguito da un corteo di fantasmi destinati a rinnova rgli perennemente il rimorso. A un certo punto della strada g li sembrò di vedere diritta in mezzo e decisa a ·ostacolargli il passo la nipote morta. Era vestita di bianco e cosi alta da toccare le stelle che vibravano nella dUarità della notte di maggio. La berlina passò. Era stata la visione tremenda d'un cervello allucinato. Emanuçle chiuse gli occhi per no n più vedere. I grilli cantavano: sempre a i prati la loro uniforme canzone.

CLAUDIA PARTICELLA 55

III.

Due mesi erano passati dalla morte di Filiberta e il segreto della sua precoce dipartita era stato conservato. Il conte di Castelnuovo, impressionato dal lungo silenzio della fid anzata, aveva assunto informazioni al castello, dal segretario del Consiglio aulico, al conve nto, dalla madre superjora, e da a ltri influenti person aggi. La m adre superiora, obbediente all'ordine ricevuto dal cardinale, aveva risposto al co nte di Castelnuovo che Filiberta era passata ad altro convento in It al ia e nell'ordine delle << sepolte vive» 1-fa ques te dichiarazioni, ben lungi dal calmare l'animo del conte, lo agitavano vieppiù col dllbbio e H sosp etto

Claudia no n si era mossa da Castel Tablino, nell'attesa vana di ritornare legittima principessa a T r ento.

Fra Luigi ~veva portatò cattive notizie da Roma. Il P apa Innocenzo X, con lettera autografa rilasciata a frate Luigi e destinata al cardin ale Emanuele Madruzzo, trovava strane e peccaminose le pretese di colui. Ma il cardinale non aveva disarmato. Morto I nnocenzo X ·e salito alla dignità della tiar a Alessandro VII, l'amante di Claudia av:eva incaricato dell'intercessione la regina di Spagna e il re d'Ungheria. ·

Nelle due istanze egli supplicava il Pontefice di « paternamente concedergli di ritornare allo st ato laicale per pigliar moglie », e corroborava le sue suppliche colle attestazioni dei suoi confessori, frate Maccario da Venezia de' ·minori osserva nti e Vettore Bacbacovi del D uomo di Trento. Il cardinale era cosl fid ucioso d'o ttenere dalla corte di Roma il permesso di smettere l'abito sacerdotale per assumere la divisa dell'uomo liber o e maritato, che si faceva all estire l'equipagg io da sposo, Ma intanto ch'egli si cullava in queste dolci speranze, gli avvenime nti interni mettevano seriamente in per icolo l'avvenire e l'esistenza del principato, Dopo due mesi, le mura del convento della Santa Trinità avevano parlato Don ·Benizio, i n seguito a molti misteriosi raggiri, era giunto a conoscere jl segreto, Non ne aveva fatto parola al Consiglio aulico, per non precipitare gli eventi, ma ne a veva informato due dei cinque sacerdo ti componenti il Capitolo della cat tedrale.

L'inter o Capitolo fu immediatamente convocato per la prima domenica d 'agosto. Allo scopo di evitare qualu nque sospetto, fu scelto

56 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

quale luogo di riunione la casa di don Benizio, posta nelle vicinanze di piazza di Fiera. .

All'ora fissata, i cinque pteti del Capitolo della cattedrale ,etano presenti. A loro s'era aggiunto do n Benizio, che doveva dare le oppOt· tune informazioni. Un concilio di pteti è: sempre funebre. La veste stessa ispira sospetto.

La riunione cominciò con un collettivo segno di croce e con po· . che preghiere, biascicate distrattamente in latino. Quei cinque prelati erano i nemici più acerrimi del cardinale Emanuele l\.fadruzzo. Essi lo avevano acerbamente cens urato, dapprima per essersi allonta na to dalla città nei << momenti di maggiori ang~scie per il suo gregge e cioè d urante la peste del 1630 », poi per lo scandalo degli amori con Oau· dia Particella, da ultimo per la cattiva amministrazione della cosa pubblica. L'odio degli ecclesiastici contro il cardinale d at aVa dall'anno 1631, da quando, per mezzo della sua fervida inter posizione appresso i cardinali Darberini, aveva procurato che Giovanni Todeschini, pievano di Pergìne, ·allora suo agente in Roma, fosse provvisto della sed e apostolica del decanato di Trento, vacante p er la mor~e del decano Gir olamo Roccabruna. I canonici erano sdegnati che « un nuo vo venuto di primo balzo si portasse alla suprema dignità capitolare )) e interposero ricorso a Roma. Il litigio durò ben diciott'anni. Non solo. Ma in questo torno di tempo il Capitolo della cattedrale in viò un ri· corso al Consiglio dell'impero perché « ponesse freno ai disordini amministrativi del vescovado».

Discesero a Trento quali incarkati cesarei ìl vescovo di Bressanone e il barone Tobia di Haubit z e fu conchiusa una tra nsazione, colla quale il v escovo do veva assoggettars i negli affari di maggi ore impor· t anza a seg uire il Consiglio, i l consenso e a richiedere l'assiste nza del Capitolo della cattedrale. Questa transazio ne po rtava un fierissimo colpo all'autorita. del cardinale. DifattiJ i me mbri d el Capito lo no n si limitarono a sorveglia re e a dirigere l'andamento delle faccende sacre e profane, ma interveniv;mo direttamente n elle questioni del principato e sindacavano anche le azioni private del cardinale.

Nessuno dei sei personaggi seduti attorno alla tavola nella biblioteca d i don Benizio era animato da b uone disposizioni verso Eman.uele Madruzzo. l loro volti si fecero estremamente seri quando don Benizio accennò a parlare. Poiché nella breve stanza l'oscurità della sera calava, venne acceso un lume nel mezzo della tavola, Le facc.e degli ecclesiastici rimanevano n ell'ombra. Don Benizio incòminciò:

1< Voi . tutti, miei o norabili collegh.i, conoscete la tragica fine di Filiberta?».

A qu esta n otizia, nessuno dei prelati si mosse o adclimostrò tur-

6. • XXXIII.

CLAUDIA PARTICELLA 57

bamento grave. Solo il priore allungò sulla tavola le mani dalle dita lunghe- e arcuate. come artigli di animale da preda, « La ffiorte risale a due mesi fa. Si cercò da chi ne aveva interesse e bjsogno di conservare il segre to attorno al luttuoso avvetÙ mento : il cardinale. E ciò non vi stupirà affa tto, miei v enerabili colleghi. Il cardinale Emanuele Madruzzo, nostro pastore e principe, ordinò, mentre la salma dell'infelice donzella era ancora calda, che venisse immediatamente sepolta nelle cripte sotterranee della chi~sa d el convento, e impose alla madre s upe riora di serbare il silenzio. Ma il fidanzato di Filiberta, il conte Antonio di Castelnuovo, chiedeva insistentemente di lei, né poteva rassegnarsi alle laconiche dichiarazioni che gli venivano fatte al castello o al convento. ]l.fi partecipò i suoi dubbi, mi comunicò i suoi sospetti. Mi chiese consiglio. Allora mi recai al convento della Santa Trinità, ma senza risultato. La suora ubbidiva fedelmente all'ordine ricevuto ': rif;utava di entrare in part icolari sulla sorte di Filiberta, Il conte, dispera to, mi propose di entrare nottetempo al convento. Accettai. Il destino di Filiberta m'interessava, perché interessa tutto il popolo nostro, e perché speravo di poter trarre la reclu.sa con un felice colpo di mano a salvamento e a libertà».

L'esordio, detto con tono di voce c alma e passionale, eccitò l'atte nzione dei porporati. Tutte le teste si chinarono· sul tavolo e furono illuminate dalla lampada, Gli occhi del priore luccicavano cli una malsana curiosità, «Sull'imbrunire», continuò don Benizio, « demmo la scalata alle mura nel punto più facile e ci nascondemmo nell'attesa della n otte, fra le erbe alte di un orto abbandonato. Entrambi eravamo armati, Udimmo la campanella che chiama alla predica serale le· mona~he e ci giunsero alle orecchie le no te di un inno di ring raziamento, can- · tat a nel coro della chiesa. Poi, nessun rumore, nessuna voce, nessuna fiamma. Silenzio e tenebre dovunque. Il momento propizio ci parve giunto Sfondammo la s iepe dell'orto, attraversammo rapjdamente il cortile e penetrammo nel1a chiesa. Rimanemmo qualche tempo immobili dietro _ una colonna. Sull'altar maggiore brillava il solito lume. Le ombre dei nostri corpi venivano proiettate, gigantesche, sulle navate, sugli altari laterali, sull'organo del fondo, Il silenzio era cosl profondo che si sentiva il battere accelerato dei nostri cuòri, Nessuno di noi osava far parola o muovere un passo per non suscitare gli echi dei morti. Finalmente mi decisi a scuotere il conte, che sembrava perd uto in un oceano di pensieri t orbidi e di macabre fan tasie. "Scendiamo nel sotterraneo", gli dissi. "Se Filiberta è morta non possono averla sepolta altrove", L e mie parole uscirono come un ·soffio e mi' parvero gridate a voce al thsima. Camminavamo i n punta di piedi e i

58 OPERA OMN[A DI BENITO
MUSSOLINI

nostri passi rimbombavano sinistramente. ~ rcai la mano di Antonio. Era fredda. Per trovare la porta del sotterraneo, dovemmo compiere il giro circolare della chiesa Prima di scendere, deponemmo le armi, eccetto un pugnale, che_poteva occorrerci per scoperchiare la t omba. Ci stringemmo l'un l'altro e scivolammo sotterra. G iunt i nel piano, brancolammo tenendo le mani tese davan ti a noi per or ienta rci e difenderci da un possibile nemico. Nelle nostre pupille dilatate non si ·· raccoglieva nessun raggio di luce. Ci giu ngeva all'orecchio il rumo re degli immondi insetti notturni che fuggivano, mentre il tanfo di quella catacomba funerea ci stordiva, ci soffocava. "È necessario un lume", disse Antonio. Ma dove prenderlo? l'Yfi ri cordai che sull'altar maggiore a rdeva la lampada perenne del" sacramento. Ritrovai la scala. mi diressi all'altare. Ebbi u n momento di esitazione, poiché mi pareva d i compiere un sacrilegio. Staccai la lampada. La fiammeUa oscillò come fosse per spegnersi, e gettò una teoria cli ombre fantastiche, enormi, paurose sul pavimento, dietro le navate, in alto Discesi.. »

:Ma a questo punto una voce inte rruppe il n arratore. E ra un prete a lato del priore, un teologo sottile e cavilloso, che aveva soggiornato lu nga mente a Roma e ne aveva riportato il piacere della questione giuridica e la mania del sofisma.

« Scusatemi, don Bcnizio, se fermo la drammatica narrazione che ci t iene sospesi. .Ma nella vostra azione vi sono i t ermini d el sacrilegio. Voi avete commesso un furto. Per vostre personali mire avete tolto all' al tare la lampada che nessuno può toglie re e nessuno può spegnere. Io sottopongo il vostro caso ai colleghi qui presenti e in particolar modo al nostro eminente direttore»

La q uestione, cos i improvvisamente sollevata, non m ancò cli sorp render e don Bcnizio e gli altri preti. 11 Concilio di Trento aveva fissato i termini della fede, ma n o n aveva esaurito la possibilità di discussioni teologiche. Ogni caso aveva una sua interpretazione, variabile secondo i luoghi, i tempi, le forme Il caso attuale poteva esprim~rsi cosi: don Benizio aveva o n on aveva commesso sacrilegio togliendo dall'altar maggiore la lampada perenne ? In questi termi ni il priore a ffacciò la tesi ai suoi colleghi, i nvitandoli a manifestare b revemente la loro opin ione. Il primo a chiedere la parola fu don Rescalli, Egli officiava in Santa Maria Maggiore ed aveva fama di zelante curatore d'anime e di corpi. Si alzò in piedi e protese sul tavolo la sua lunga e sbilenca persona, arcuata come un:à balestra. Il suci volto m agro era contornato da capelli rossicci, i suoi occhi avevano lo sguardo penetrante degli uomini che sanno imporre la propria volontà, le labbra sottili t erminavano all'estremità colla ruga de' temperamenti biliosi e maligni.

CLAUDlA PARTICELLA 59

« Il caso che si è voluto sollevare in questo momento no n m eri ta gli ono rf di una lu nga discussione. I dotto ri ·della legge ebraica r improveravano Gesù perché faceva miraco~ anche Ì!1 giorno di sabato, consacrato per antiche leggi all'assoluto riposo. Voi conoscete la risposta di Cristo: " Non rialzerai tu a nche i n giorno di sabato l'as ino che ti è caduto pe r via e non r icercherai tu anche in giorno di assoluto riposo la p ecorella_ smarrita?" ».

« N o n è precisamente lo stesso caso)>, ribatté il teologo. « I termini del confronto non sono esatti. Non è per rialzare un asino o per r intracciare u na pecorella che don Benizio ha levato dall'alta re la fi amma sac ra e perenne; vi è stato costretto d alla sua dimenticanza e dalla sua i mpre videnza. Do n Benizio s.apeva che i sotterranei mancano di luce. Eg li doveva munirsi delle fiacco le n ecessarie>>.

Il teologo abbozzò un ges to vago e continuò:

« Del resto, C ben lungi da. me l'idea di farne un temi.I theolog/ae. Potrà essere a rgomento d i una discussione fu tu ra L'ho rilevato accademicamen te, p er incidenza ».

11 priore, che aveva pi ù volte corrugata la fronte e chiusi gli occhi nell'attitudine di chi cerca una soluzione a qualche grave problema, distese le mani dalle dita adunche sul tappeto della tavola e pronunciò il suo verdetto.

<( Non può parlarsi di sacrilegio nel caso attuale. È ben vero che 'd on Benizio poteva mu nirsi delle fiaccole necessarie, senza togliere quella dell'altare, ma poiché la lampada sacra non usd dalla chiesa, e . rimase invece in luogo consacrato, ogni azione sacrilega scomp ar e».

I p relati accettarono, chinando la t esta, la sentenza del prio re, e don Benizio, rassicurato, continuò :

« T ene vo la lampada all'altezza della mia fronte e p otemmo sco rgere le particolarità del sotterraneo in cui eravamo disc.esi. D entro alle cripte scavate nel sasso, e allineate lungo le fo ndamenta della chiesa, sta va no le salme delle m onache morte. Un fetore insopportabile ci toglieva il respiro. D ei rag ni neri tessevano la loro t ela negli angoli fr a cripta e crip ta. Tutto il muro era attraversato da buchi profondi nei quali si nascondevano i p ipistcelli e gli insetti delle tenebre. Procedemmo oltre chinandoci sulle cripte, credendo che p ortassero sul rozzo coperchio di legno i nomi delle sepolte. Ma tutte erano anon ime dava nti alla mo rte. In fondo .ve n'era una dal legno ancora intatto. Uno strano prese ntimento ci afferrò. Passai colla lampada più v olte su quel coperchio dì abe te b ianco, non ancora contaminato da· g li a nj mali immondi che abitano nelle viscere della terra. 11 conte di Castelnuovo tremava come u n giunco. E qui egli disse con un filo di

60 OPERA OMNIA DI BENITO MU S SOLINI

voce: "Il cuore non m i inganna I". Ma non .osava inginocchiarsi per sollevare il coperchio ed accerta rsi dell' orribile realtà. Insinuai la punta del pugnale fra le assi, vki no ai chi odi. I o avevo supe. ra to le prime sensazi oni di orrore. Il mio compagno s' era posto a sed~ re sull'orlo d'una cripca Contigua e mi guardava con occhi smarriti come quelli d'una pecora sgozzata. La punta entrava nel legno, che scricchio lava con un lamento da far rabbrividire. A poco a poco schiodai tutte le assi del coperchio. Non ci eravamo ingannati. Era la salma di Filiberta. L'acre odore- della .carne umana che si d ecompone ci costrinse a retrocedere di alcuni passi. Poi Antonio volle vedere la donna ch'egli aveva tanto amato, tanto desiderato. Era r iconoscibile dai capelli d'o ro che ricadevano sulla fronte purissima e dag li occhi non ancor a contaminati. Ma dalle labbr:l scomposte in un ghigno feroce colava un liquido denso e biancas tro)).

Don Ben izi o in sisteva su quest i p articolari ripug nanti perché sapeva di no n spaventue le anime i nq ui sitoriali che lo ascoltavano. Del resto era ed è nello spi rito della Chiesa cattolica questa apoteosi descritt iva della gioventù, della bellezza, della carne, delJa _ vita materi ale che nel freddo, nella solitudine dei sepolcri, ritorna fango abbominevole, mentre l'animà pura e libera dalla scOria morta le aspetta d'essere chiamata dalle trombe dell' apocalisse al giudizio universale. D o n Benizio era abituato alla vista di cadaveri, si compiaceva nel parlare d i morte, egli tro vava una segreta vendetta nel pensiero consolatore di venni divoranti fib ra a fibra le orgogliose carcasse d egli uomini. Nessuno si sottiam:bbe a questo destino I Né principi, né regi ne, né papi, n é le belle donne che d o n Benfaio agognava colla castità fl agellata da pensieri di lussuria e di accoppiamenti bestiali, né Claudia Particella, la co rtig iana trentina che si aggiungeva alla sch iera delle celc~ri concubine e che don Bcnizio n on aveva potuto conqui- · stare.

« Quando Antonio, al chiaro re della lampada, ebbe mirato i resti di Filiberta, alzò le braccia al cielo e g ridò : Assassino I Assassino ! ". Poi cadde, come svenuto, al su olo. Il suo petto si alzava al ritmo di un singhiozzo, che rimaneva strozzato nella gola. Gli misi una mano sulla b occa per soffocargli ogni grido. Le monaChe hanno il sonno leggero e poteva no risvegliarsi. Non volevo essere scoperto. Mi chinai sul compagno. Lo rialzai. G li imposi di seguirmi. Attraversammo la chiesa. rimisi la lampada sull'altare. Valicammo un~altra volta il muro e ragg iungemmo la città. Durante il t r agitto, il conte imprecava e urlava v endetta. Troppo tardi ci accorgemmo di una d imenticanza fatale: avevamo abbandonato la cassa senza r iporle il coperchio Il pugnale era rimast o nel sotterraneo e Je nostre armi in un angolo della chiesa.

CLAUDIA PARTICELLA 6 1

Il mio racconto è terminato. Ma io v i dico che i colpevoli della morte dì Filiberta devono essere puniti o il popolo insorgerà>>.

« Ma il p opolo non sa ancor nulla>>, fece il priore, che, come i suoi colleghi, non era rimast o molto turbato dalla funebre nar~ ·uzione.

« Lo saprà in breve»:, dichiarò don Benizio.

Il t eolog o intervenne per domandar e :

« Chi è il resp onsabile primo e diretto d ella morte di Filiberta ? ».

« Lo zio cardinale, non esito a dirlo>>, affermò don Benizio.

«Difatti>>, aggi unse don RescalU, « fu per o rdine del cardinale che Filiberta venne rinchiusa p rigioniera nel convento ddla Santa Trinità. Ricordo che ciò fu causa di gravi agitazioni p o polari ».

« Che p robabilmente s i ripeteranno e con caratteri di m aggiore gravità», completò d on Benizio, « n o n appen a si conoscer~ l a' notizi a »

<( In questa faccenda », doma ndò il priore, << qual compito deve assumersi il Capitolo della cat tedrale ? >>.

Un prete ch e aveva sino. allora t aciuto, un pret e basso e rubicondo, d agli ·occhietti grigi quasi nascosti fra la paffutella rotondità delle gote, d alle labbra rosse e sensuali, volle esprimere il su o avviso.

« Ritengo che converrà sottoporre l'affare alla corte del P apa e a quella dell'imperatore. Bisogna che il principato cli Trento esca da u na situazione che diviene ogni giorno più critica, La mor te di Filiberta, provocata indirettamente dallo zio Emanuele Madruzzo, è la goccia che farà traboccare il vaso. 11 popolo è gi à malcontento per altre cause, Il cardinale di Trento ha bisogno di essere posto sotto la tutela di un uomo che sappia c omandare. Altrimenti la n ostra t erra sarà teatro di tumulti e il popolo precipiterà nell'es trema rovina».

« Ma il popolo», interr uppe do n Denizio, << è particolarmente ostile ai Particella e a Claudia. Bisogna allontanare questa donna dal principato».

<< Non trovo la cosa molto fa cile», obiettò il priore.

« Cercando di persuaderla», i nsiSté do n Benizio « ad abbandonare ·il principato. Spaventarla se le buone arti non gioveranno. Il momento mi sembra partico larmente p ropfaio »

«Voi». fece il priore,« nella vostra qualità di segretario particolare ' del cardinale, potreste incaricarvi della missione>).

<( Ben volentieri I Se il Capitolo n o n ha nulla in contrario ». E un lampo diabolico di soddisfazione ·gli p assò negli occhi

« Noi siamo allora tutti d'accordo», concluse il priore, << di scrive re sollecitamente e d iffusamente al P apa e all'imperatore, chiedendo un lo ro intervento n elle cose del principato. Nell'attesa sarà bene calmare la passione del popolo. Il n ostro è un ministero concordia

62 OPERA OMNIA DI BENITO
MUSSOLINI

e di pace. Se gli eventi precipitassero, non mancherò di convocarvi, Ed o ra possiamo separarci».

Don Benizio accompagnò i colleghi in sulla porta. Ritornato neUa stariza, non poté trattenere un gesto di trionfo. Mentre si svestiva per anda.re a dormire, pensieri di vendetta, di conquista, di godimenti gli turbavano il cervello. « A domani I A domani I » diceva fra sé. « La pecorella··non potrà sfuggirmi, Impiegherò i mezzi buoni e cattivi. L'eloquenza gentile e la minacciosa, farò delle Promesse, delle grandi promesse. Ah, Claudia, domani tu sarai mia I Lo voglio I».

E la donna dal1e nudità Iuflgamente agognate, quali appaiono nei furnri di un erotismo coartato, ai fo rzati della castità, la donna bella e i mpudica che domani g li avrebbe gettato le braccia al co11o, Claudia dag lì occhi neri come quelli del diavolo, dagli omeri r o t.ondi, dai capelli odorosi, dalla bocca paradisiaca1 dalla pelle bianca e tenera, Claudia la cortigiana turbò il sonno di don Benizio, coll'incubo dei desideri insoddisfatti, colla speranza di carezze ignorate, cli volu ttà ineffabili sino all'esaurimento, sino all'esasperazione. La carne cli questo prete frem eva, come freme un elio silvano nel mirare una ninfa nuda che si specchi nell'acqua di un ruscello limpido e silenzioso,

D o n Benizio era stato respinto da Claudia, come si respinge ~n mendicante importuno. Egli l'aveva amata dapprima, in segreto, rodendosi per l'indifferenza di lei, in una gelosia impotente. Le aveva dedicitto dei versi, fatto umili servizi colla premura deferente degli innamorati che non osano. Poi si era dichiarato. Il cardinale si trovava a _ Roma. Una sera don Benizio affrontò Claudia che passeggiava sola pei g iardini della Cervara. Le parlò del suo amore, le chiese u no sguardo benigno1 una buona parnla. Fu eloquente, a scatti, a sing ulti, come gli u omini che davanti a una donna non possono più trattenere l'impeto della passione. E Claudia sorrise di scherno e di pietà. Don Benizio non era il primo ! Molti altri l'avevano assediata, ma invano ! Di qui la ragione recondita dell'odio i nestinguibile che gli ecclesiastici nutrivano contro di lei. Ella aveva respinto le loro dichiarazioni d 'amore, li aveva derisi, cacciati; aveva fatto punire i più insistenti, i più càttivi.

Don Bcnizio vide nel sorriso compassionevole di Claudia una ripulsa eterna. Ma non disarmò. Durante lunghi anni impiegò ogni diabolico mezzo per rompere la rdazione fra Claudia e il cardinale. Artefice instancabile: creava dei malintesi, spargeva voci diffamatorie, calunniava. Claudia non ignorava . l'opera di questo prete i ntesa a scavarle l'abisso, ma non se ne preoccupava. L'amore di Emanuele le bastava e le faceva dimenticare le insidie del prete amatore respinto e beffato. Da ultimo, don Benizio, dopo dieci anni di varie manovre> rkorse alle minacce. Cercò di atterrire Claudia. Non ne cavò vendetta

CLAUDIA PARTICE LLA 63

allegra. Cl~udia era troppo intelligente, troppo supe rba per cedere alle minacce apocalittiche di don Benizio e dei suoi emissari. E il prete no n aveva, tuttav ia, rinu nciato al suo sogno. Ne aveva fa tto lo scopo della sua vita. Pur di gi unge re al possesso di Claudia, avrebbe ve'nduto l'anima a Satan a e preferito alla beatitudine d ei c icli i r oghi infernali, per tutta l'eternità La passione, in cui l'odio e l'amo re s'alternavano, aveva finit o per irrigidire l'a nimo di questo prete. E gli si era pietrificato, fossilizzato nel suo desiderio, ed ora che la v irilità accennava al tramonto, fiamme ossessio nanti di libidine g li tocceva no l e carni. Egli ei:a come l'arco "teso alla meta, t eso sino al punto in cui cede e si spezza,

64 OPERA OMNIA Dl BENITO
MUSSOLINI

IV.

Nella gioiosa mattinata d'agosto la valle delle Giudicarie era ancora immersa nèlla nebbia che, folgo rata dal sole, a Ì,oco a p oco si dispe rdeva. Dai boschi digradanti fin o alla strada polverosa, si ud ivano Je canzoni dei legnaioli e i colpi secchi della scure che si affondava ne' tronchi degli abeti e delle querce. N ei campi riarsi dalla caldura estiva, le stoppie' gialle agonizzavano, mentre le vigne sui dedivi delle colline ostentavano il verde cupo dei pampini. D alle case d:i contadi ni, dalle .capanne dei pasto ri s'innalzava la sottile spirale di fumo bianco che indica l'esistenza d'un focolare e di una famiglia. I Villaggi erano desert i, poiché uomini e d o nne si recavano all'alba pei campi o nei boschi, lasciando a casa gli invalidi.

D on Benizio galoppava fu riosamen te, no n risponde ndo ai radi passanti che si fermavano per ossequiarlo. Il cavallo nitriva dilata ndo le umide narici per aspirare l'aria del mattino e nella corsa i suoi zoccoli ferrati trae va n scintille dai sassi della strada montana. Per le salite ' rallentava l'andatura e nella breve sosta don Beriizio lanciava uno sguardo i ntorno, come volesse scrutar e negli aspetti delle cose inanimate un segno profetico, un i ndizio qualunque.

Poi il galoppo ripr endeva. Il mantello di don Benizio svolazzava allo ra> gonfiato dal vento, sulla schie na del cavallo, e sembrava l'ala di un corvo che r adesse la strada alla ricerca di qualche car ogna. Il cava. liere affondava gli spero ni nei fia nchi dell'animale che divorava lo spazio, lan ciando in aria fiocchi di schiuma biancastra, che prendevano sotto i r aggi del sole rapide colorazioni d'arcob aleno. Don Benizio, curvo sulla criniera del cavallo, aveva l'attitudine di un mostruoso centauro nero.

Ma, g iunto in vista di Castel T oblino, don Benizio rallentò la co rsa. Il lago gli apparve come una superficie tersa di meta llo brunito, senza rit mi di onde sotto la luce sola re. L'isoletta del mezzo prote ndeva sull'acqua una scarsa v egetazione di arbusti; nessuna voce umana si levava dalle ri ve solitarie che cin gevano di verde la coppa meravigliosa neUa sua trasparent e, azzurra chiarità.

Ritto, sul cavallo immo bile, don Benizio guardava il castello che stagiiava sull'orizzonte i su oi d ue pinn acoli dalle pietre grige. E ra tempo di pensare all'attacco, di piepararlo. La bella r ivale, l'in•

CLAUDIA P ARTICELLA 65

flessibile nemica non era lonta na, Fra p ochi minuti egli si sarebbe t rovato a cont:itto della p ericolosa femmina che gli aveva avvele nato l'esistenza. Claudia era là, dentro quelle mura. Forse dormiva ancora.

Cosa le avrebbe detto ? Come avrebbe incominciato ? L'esordio è sempre la parte più difficile .e p iù penosa di qualunque discorso. Don Benizio parlava a se stesso e tag liava l'aria con grandi gesti, che: tradivano l'impazienza e la paura. « La mia missione è delicata », diceva fra sé i l prete. « Claudia mi teme, lo so, e le mie prime parole non debbono sgomentarla. Sarò gentile, insinuante. Bisogna che ella mi perdoni e mi stimi, per amarmi, sia pure per un giorno solo ».

D on Benizio stava a cavallo nell'attitudine raccolta e meditabonda di un capitan o che ossenri il campo di battaglia. Dié di sproni e percorse in breve tempo il tratto di strada che lo separava dal castello. Il porto ne di quercia, traversato da g ra ndi lastre d'acciaio, sul quale brillavano i chiodi d 'ottone e j batte nti d'argento, era spalancato. Allo scalpitar del cavallo, un domest ico s' affacciò ad una finestra e si addimost rò non poco sorpreso della visita dell'ospite ner o.

Corse la voce, e mentre don Benizio, sceso a terra, aveva afferrato per le briglie il cavallo ed avanzava al passo, domestici, ancelle e cavalieri gli venivano incontro con facce sulle quali si diseg nava visibile il punto interrogativo della curiosità, Don Benizio aveva rialzata la persona alqua nto indolenzita e ricurva da tre ore di furioso galoppo, teneva al ta la fr onte e cammi nava compostamen te, fissando lo sguardo grave e penetrante su quella tur ba di uomini e di donne, che componevano la corte di Claudia. Il gruppo si aperse per lascia r passar e cavallo e cava liere e don Benizio con voce profonda e col gesto di maniera p r onu nciò:

<< La pace sia con voi I »

I servi e i cavalieri risposero con un inchino al saluto cristiano. Poi don Beni.zio domandò:

« Claudia è al castello ? >> .

« $ ) }), rispose Rachele, la fida ance1la di Claudia, « Volete, reverendo sjg nore, che .io l'avverta del vostro arrivo ? }), ·

« Ve ne sarò grato >).

D o n Benizio consegnò il cavallo a uno scudiero e attese. Uomini e do nne rip resero le lo rò faccende. Il viale del castello e il cortile tornarono silenziosi. Di tempo in tempo i colombi scendeva no dai pinnacoli a raccogliere chicchi sulle finestre, nelle feSsure d elle muraglie, D on Benizio passeggiava sotto la loggetta romanica. Una ques tione a ·cui non aveva prima riflettuto lo preoccupava: av rebbe detto madon na o ~igno ra? Gli pareva che il successo della sua missione dipendesse da un gesto g razioso, da u na parola felice, da una inezia qual-

66 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

siasi. Le sue meditazioni non dura rono a lungo. Una porta si dischiuse.

« Madonna Claudia vi attende I ».

Rachele si ritirò da parte per lasciar passare il prelato, s'inchinò e scomparve. Don Benizio attraversò un breve corridoio, in fondo al quale un rettangolo di luce indicava una porta, Riorilinò le sue ves ti, Entrò. Oaudia lo aspettava, seduta sopra uno di quegli antichi, pe· santi seggioloni, dai dorsali elevati, dai bracciuoli e dai piedi sproporzionati, che formavano la mobilia patriarcale delle case nobiliari. Sul fondo grigio del legno, la persona di Claudia spiccava. Ell'era coperta da una tunica bianca, che ricadeva a vaste pieghe sul pavimento. D al collo nudo pendeva una collan a di perle rosse. Al volto deliziosamente bianco, non tocco ancora da segni di v ecchiaia, dava n luce, espressione, bellezza, gli occhi neri, profondi. La stanza non aveva nulla di particolare. Alle pareti erano allineati in . lunga fila ritratti di personaggi illustri, ecclesias tici e soldati. Cortinagg i di un rosso cupo riparava no la stanza dal caldo e dalla luce meridiana. Un raggio di sole filtrava e cadeva sulla tavola coperta da un tappeto a scacchi bianchi e turchini.

Quando don Benizio, dopo essersi profondamente inchinato, sino a toccare col naso i gillocchi, alzò lo sguardo, Claudia gli apparve immo bile e solenne come una regi na. Si confuse nella scelta delle parole; la timidità dell'amante ostinato, deluso e pur tut tavia sorretto da un'ultima speranza, gli inceppava la lingua e l'inc.edere, Egli si sentiva ancora una volta schiavo di quella bellezza fatale, dolce a cogliersi come il frutto proibito, odorosa, inebr iante e tragica come il sangue d'un peccato d'amore.

E Claudia lo riceveva senza dar segno di timore I Ella osava dun. que affrontare i nemici. Lo voleva I Non lo aveva for se dichiarato due mesi prima, nell'ultimo colloquio con Eman uele Madruzzo ? Li affrontava per fin irli I Nel certame d'amore, Oauclia, come le matrone. del circo, abbassava il pollice sui vinti.

D on Benizio avanzò d i alcuni passi, s'inchinò un'altra volta e stava per parlare, quando Claudia t agliò corto ad ogni preambolo.

« Immagino », ella di sse, « lo scopo del vostro viagg io, e quantunque il vos tro passato non sia che un seguito· di piccole e grandi insidie .ordite contro di me, pure ho voluto ricevervi, accordarvi la mia ospitalità e vi ascolterò se sarete breve e prudente ».

« Poiché, o sig nora, a vete troncato ogni prelim.inazione convenevole, vi dirò subito quali motivi mi hanno qui condotto )).

Claudia gl'indicò una sedia. D on Benizio vi prese posto, raccogliendo la veste e il mantello fra le ginocchia. La vicinanza della femmina lo twba.va I suoi occhi avevano lampi di una luminosità sinistra,

CLAUDIA PARTICELLA 67

le gote, ro sse agli zigomi, e le mandibole si contraevano, tutto il volto si alterava in una smorfia satanica.

« Io sono incaricato dell'onoranda Capitolo della cattedrale di compiere la mia delicata missione. Missio ne penosa, che non avrei .accettato se non mi fosse stata imposta come un dovere. Voi, o signora, Fhe v iv ete da parecchie settimane i n questo romantico e incantevole castello, non siete al giorno d egli affari del principato ».

Claudia ascoltava e guardava con occhi curiosi il prete che si sfor"." zava di comparire tranquillo e di~ contenere l'interna agitazione

« Porse v'ingannate, don Benizio, ma non voglio interrompervi")>.

« Siate o no informata, gli è u n fatto, o signor a, che non mai durante il dominio secolare dei Madruzzo sorsero giorni sl tristi come gli attuali sulla nostra povera terra. Le redini del potere sono nelle mani di vost ro padre, il Consiglio aulico minaccia d'invocare l'interv ento straniero, n on più t ardi di ieri il Capitolo delJa cattedrale decideva di scri vere al Papa e alJ' imperatore affidando a queste autorità supreme le sorti del principato. 1l popolo manifesta senza ritegno il suo makontento. E ... Debbo dirlo?

« Dite, dite pure, io vi ascolto senza tremare».

« L'odio universale è converso contro di voi. Da quando si è saputo che il cardinale vi ha fatto regalo del palazzo in Prato di Ffo ra a Trento, la rivolta serpeggia fra i miserabili sobillati astutamente d ai vostri nemici.... ».

<< Fra i quali voi I ».

« No, Claudia. Io ho potuto farvi del male in passato. L"ho volut o anzi. Ma voi sapevate perché. I o vi amavo, d'un amore che non è ancor morto e non morrà più. Voi mi respingevate e il dolore o ~lla ripulsa mi suscitava il desiderio di vendette impossibili . Ma oggi, Claudia, mia signora, vengo a offrirvi i mie i servigi, la mia pro tezione. Il Ca[>itolo della cattedrale mi ha dato incarico di convincervi e dì forzarvi ad abbandonare le terre del principato, almeno per qualche tempo. La vostra lontananza sopirebbe le passioni e gioverebbe a scongiur are i pericoli che ci minacciano. Ma io non voglio che vi allontaniate neppure per un minuto. Sono pronto a tradire il mio manda.to, a difendervi davanti al Capitolo, a riabilitarvi davanti al popolo, purché, o mia buona Claùdia, voi realizziate il sogno che ho nascosto sì lungamente nel cuore. Voi lo sapete! Voi lo Potete I».

Questa orazione infiammata non commosse Oaudia, che copservò la sua immobilità statuaria. Del resto non era che la ripetizione delJa vecchia manovra; un altro, forse Pultimo, tentativo di un amante esasperato.

Don Benizio, eccitato, col petto ansante e g li occhi sfavillanti,

68 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

attendeva chissà quali_ mirabili effetti dalle sue parole. Claudia lo gelò.

« Voi non mi raccontate nulla di nuovo», eJla disse. « So da un pezzo che il cardinale, mio signore, è osteggiato da avversari impl acabili è ingenerosi, né igno ro che .l'odio del popolino e degli ecclesiastici si converge ve rso di me Coloro che trovano parole di p erdono e di compatimento per Emanuele, non trovano per me se n on parole di menzogna e di calunnia. Il vostro caso poi m'i nteressa m ediocremente. È certo rimarche vole .la costanza delle vostre affezioni, ma io debbo dichiararvi anco ra una volta: che giammai mi abbasserò a realizzare un solo dei vostri sogni. A Trento si dice che io sono una sttega, una cortigiana. Eppure non ho mai fatto sortilegi, e mi sono data e sono rimasta fedele a un sol uomo. Molte dame ones te n on p ossono dire altrettanto I V o i m i te n tate, ma io non sono fr agile come le vostre penitenti. .Mi p ropo nete la pace d opo avermi combattuta servendovi di armi infami, vo rreste il bacio del perdono e siete p ront~ alla ve ndetta. No, no, don Benizio I Co nvincetevene dunque una buona volta I Claudia Particella è troppo superba per dispe nsare le sue grazie a tutti ».

« Io vi proponevo, acca nto al male, il rimedio >>.

« Il vostro rimedio suppone l'annientamento della m ia dig nità. No n lo posso accettare ».

<e E chi vi garantirà dalla rivolta?», chiese· don Benii:io. «Volete · dunque scatenare la tempesta ? »

« Scatenatela, se· potete ».

« È imminente, Claudia »

« Ho amato, ho vissuto, sono ancora giova ne, saprò morire )).

<< Il popolo, accecato~ trascinerà il vostro corpo per le strad e, nel fa ngo, nella ve rgogna ».

<e Non im porta. L'ig nominia può essere un trionfo. Il p opolo cieco come tutti gli ingenui. Ama ed odia senza discernimento. Fa delle vittime per rimpiangerle e adorarle quando l'ora del fanati smo bestiale è passata ».

D o n BelUzio, che vedeva la sua causa perduta, ricorse alle ultime a rmi.

« Voi mi respingete, o signora, e se nto che sarà per sempre. Ma non trionferete a lungo. Quest o castello vi ospiterà ancora per poco te mpo. Voi avete sacrificato una fanciulla che diverrà il simbolo della r ivolta».

<e Quale ? », domandò Claùdia, che aveva perduto la sua calma. «Quale ?>>.

<< Filiberta I ».

CLAUDIA PAR1'ICELLA 69

Che è aV"lenuto di lei? ».

« È m Orta nel convento >),

Claudia lo ig norava. Don Benizio incalzò:

« Nessuno conosce le fin e di Filiberta. Fu sepolta di n ottetempo. senza esequie e senza onori nelle cripte sotto la chiesa. Sono due mesi. Ma da ieri iJ mistero è svelato. Il conte di Castelnuovo medita 1a vende tta. Il popolo insorgerà. Perché, daudia, volete che il turbine v i travolga quando io vi offro una tavola di salvezza, quando_ vi prometto di impiegare tutte le mie fo ize per assicurarvi un avvenire n on p eriglio so ? Pensateci, signora, e venite a miglior consig lio ».

« È inutile prolungare questo colloquio, Nessuno vorrà in buona fede rendermi colpevole della morte di Filiberta. E se il destino vuOle che io debba espiare anche i delitti che non ho com.messo, accetterò il mio destino senza paura e senza rimpianti. lo rinuncio aUe vostre difese. Preferisco la v ostra ostilità alla vostra amicizia no n disinteressata ».

« Io debbo i mporvi in nome del Capitolo della cattedrale, in nome degli interessi della Chiesa e del principato, di abbandonare il Trent ino. Voi siete da troppo tempo pietra di scandalo e causa di svep.ture, Per la salvezza dell' anima, voi obbedirete agli ordini della Chiesa. Allontanatevi prima che la vendetta di Dio si faccia palese e vi annienti f».

A queste parole Claudia si alzò. Le fiamme della collera le imporporavano le gote. EUa indicò superbamente co1l'indice della mano tesa 1a p orta e disse al prete adirato e u miliato:

« Andatevene, ·consigliere di perfidie I Tornate a Trento e dite ai vostri colleg hi della cattedrale che Claudia, figlia di Ludovico Particella, obbedisce su questa terra agli ordini di un uomo solo: Emanuele Madruzzo, principe vescovo di Trento ».

li fa~lime nto . di do n Beniz io non poteva essere più disastroso, daudia rifiutava di o bbedire alle ingiunzioni del Capitolo della cattedrale e sdegnava dì scendere a patti obliqui con l'ambasciatore. Il prete si alzò dalla sedia su cuì pareva inchiodato. Era tutto tremante. Le rughe che . gli solcavano la fronte erano divenute più profonde, gli occhi eran pieni di Iagrime. D o n Benizio piangeva come un fanciullo I E come un fanciullo s'inginocchiò ai piedi di Claqdia Con frasi spezzate, rotte dai singhiozzi spaventevoli che gli gonfiavano il petto, con espressioni puerili, disordinate, soavi, terribili, col gest ire disperato di un vinto egli chiese amore, perdono, pietà.

« Non spingetemi nell'abisso. N on fatemi bere il calice amaro della vendetta. Gettate un raggio della vostra luce su questa mia esistenza di tenebre ».

Poi frasi di adorazione mistica gli tumultuarono sulle labb ra.

70
OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

« Io vi farè) un altare segreto nel fondo della mia cosde~za. Sarete la mad0:nna del mio tempio interno, Sarò vostro schiavo. Battetemi, disprezz.atemi, flagellatemi, apritemi le vene con un sottile pugnale, ma concedetemi la vostra rive1arione, lasciatemi che io mi perda in voi come in una suprema illusione ».

Ma l'eloquenza di don Benizio no n commuoveva Clàudia. E allora il prete tornava a pensieri feroci,

« Ah, voi non mi ascoltate, impudica cortigiana, femmina da trivio. Ebbene, verrò a prendervi in questo castello, lascerò che g li uomini bruti del volgo sazino sul vostro corpo di peccatrice le loro malsane curiosità, voi sarete il ludibrio della folla che non ragiona, il vostro cadavere non avrà gli onori di u na sepoltura cristiana, sarete gettata nel campo della Badia, come le streghe. E quando agonizzerete, calpestata, ferita, trafitta dai colpi di tutto u n popolo e gli occhi che adesso mi guardano con freddo disdeg no si :,:1largheranno in una dolorante invocazione d' aiuto e di difesa, io sa rò il malo demo n io deJla vost ra o ra suprema, venò ad esasperarvi coi miei ricordi, verrò a godere della mia vittoria ».

« Andate, andate I Se il presente vi sfugge, consolatevi nella visione d el futuro I ».

« Rachele I Rachele ! », chiam ò Claudia.

La fida ancella comparve. Don Benizio si rialzò ràpidamente> r iordinò le sue vesti, ricompose il volto. D kde un'ultima occhiata a Claudia, ritta accanto al seggiolone. Non pronunciò nessuna parola di congedo. Si diresse alle scuderie, Aveva bisogno di sfogare con qualcuno l'enorme tensione dei suoi nervi. Prese la frusta e si mise a percuotere il cavallo. Al primo colpo l'animale rizzò le orecchie e spalancò gli occlù umani, poi si gettò contea la greppia, nitrl spaventosamente mostrando la doppia fila dei denti gialli, cercò di rompere la corda tirandosi in. dietro, La frusta co ntinuava a s ibilare e a flagellargli le carni, Il cav allo aveva rièonosciuto il padrone e non sferrava calci, scalpi tava rap ido e furioso e pareva chiedesse pietà. Gli altri cavalli avevano cessato di mangiare ed allungavano il coHo. Le loro narici si gonfiavano di collera e nei loro occhi brillavano lagrime di disperazione, Il servo di scuderia, immobile sulla porta, osservava, stupito e silenzioso, l'esplosione pazzesca del prete. Don Benizio lo vide. N'ebbe vergogna. Lasciò cadere la frusta e si gettò alla testa del cavallo. L'ac. carezzò, gli lisciò la criniera, lo chiam ò con parole gentili. Lo trasse dalla stalla. Giunto nel cortiletto) mo ntò in sella. Diede un'occ hiata in alto. daudia stava appoggiata a l balcone della loggetta ro manica e parlava con Rachele. Don Benizio abbozzò una smo rtta di saluto e fece un gesto grottesco. Oaudia non rispose. Senti il trotto del ca•

CLAUDIA PARTlCELLA 71

vaHo lungo il viale selciato, poi il galoppo. Dalle finestre della torre, segul con l'occhio la corsa dell'ospite.

D o n Benizio passava sulla strada come l'ombra d'una nube fuggente. I contadini osavano appena guardarlo. Pareva un diavolo uscito dagli inferni per riprendere un'anjma. Il sole era ancora alto. Don Benizio si fermò in un villaggio per far sera, Entrò in un'osteria, dopo aver assicurato il cavallo alle sbarre d ella finestra. La sala era v uota, i clienti si trovavan pei campi o nei boschi intenti alla fatica quo tidiana. ·

Sul focolare spento, vasto come si costuma nelle montagne, due bambini razzolavano fra la cenere, In fondo, dietro un rozzo banco, una donna di media età stava china a rammendare certi vecchi cenci scoloriti e ·bucherellati, Non v'erano nella sala che due lunghe tavole d'abete e quattto panche. D on Benizio sedette e chlese da bere. Fu servito con grande premura. L a donna continuò il suo lavoro, i bimbi continuarono a coprirsi di cenere e don Benizio si pose a riflettere sugli avvenimenti di quella giornata campale fallita. Il silenzio del pomeriggio estivo non era turbato che da un modesto ronzare di m osche. Tratto tratto passavano dei carri ricolmi di letame. I con• tadini gua rdavano nell'osteria, meravigliati di vedervi , un cliente nuovo e inatteso.

A un certo punto don Benizio si domandò: « E se andassi a visi· tare il parroco ? ». Cercò di ricordarsi chi fosse curatore d'anime in quel villaggio. Questo sforzo mnemonico rirrùse un po' d'ordine nel suo cervello. « Ah I è uri imbecille che mi seccherebbe, don Tobia Privatelli, È vecchio ed ha u na sceva mummi6cata. Resterò qui », E chiese un'altra tazza di vino. Il d olce !icore ebbe Ja vfrtù di riconci. li arlo con sé, col mondo, con Claudia. Il lang"uore dell'ebbrezza ]n cosciente gli traversava il sangue. ~eplicò.

L'oStessa smorfiava di meravigli a, Doveva essere una vecchia bigotta, igno rante del tutto i costumi degli ecclesiastici. I preti del. l'epoca bevevano, mangiavano copiosamente e ballavano anche, alla buona occasione. Avevano introdotto nella loro morale di p asciuti rrùnistri di Dio Ja nozione del godimento fisico, sensuale,- orgiastico. App li.cavano a rovescio gli insegnamenti di Epicuro. Il Concilio di Trento non aveva riformatò i costumi depravati del clero alto e basso. Dal Vaticano la corruzione dilagava nel mondo cattolico, sino alle ultime parrocchie perdute fra l e montagne. Ben pochi sfuggivano al pestilenziale contagio, i tempi dell'ascetismo fiorito all'undicesimo, dodicesimo e tredicesimo secolo erano passati per sempre, Fungheg· giavano le accademie; e con le accademie la superficialità della fede, la falsità degli atteggiamenti spirituali, la brama. del godimento ma-

72 OPER1 OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

te riale, aveva no sostituito l'ideale antico fatto· di meditazio ne, solitudine; penitenza, D o n Benizio si fece portare u na quarta t azza di vino. I fu mi dell'alcool cominciavano ora ad annebbia rgli gradevolmente il cervello. Le cose gli appa rivano sotto aspett i nuovi, confusi, fantastici. Sentiva bisogno di parlare, di muo versi. Ogni tetraggine dileguava. Si ricordò che non aveva·ancora toccato cibo <( Il vino sostituirà il pane », disse a se medesimo.

Trangugiò un'altra tazza di vino e si diresse per pagare lo scotto, a l banco dietro al quale si vedeva appena la testa della padrona china al lavoro. Ma si fermò. La sua attenzione di prete era stata attratta da un p overo Cristo scolpito in legno di q uercia, che pendeva dalla parte esterna della cappa del. camìno. Quel crocifisso doveva essere mo lto vecchio . Le spine della c9 rona erano quasi tutte cadute, u n braccio schiodato pendeva in avan ti quasi volesse gi u ngere a toccare l a ferita del costato; dai piedi mancavano parecchie dita. La persona del redentore presentava un miserevole aSpetto. Le mosche l'avi;vano adornata con file i ntc rmin_abili di brevi segni ortogra6ci e il fumo d elle legna e quello d elle p ipe l'aveva no annerita. A tal vista d on Benizio infuriò. Quella profanazione e più ancora i l vino lo esaltavano,

« Perché tenete quel Cristo sul camino? », domandò alla d on· . netta, che al suono improvviso di quella voce adirata senti venirsi meno. « Vi pare che sia un'immagine da esporsi ancora allo sguardo d ei vos tri avventori? ». L'ostessa non rispondeva, allibita. Don Benizio prendeva, inconsciamente forse, la sua rivincita, spaventando u na donna. ·

« E credete in questo m odo di guadagnarvi il p aradiso ! Bruti ! Peggiori delle bestie. Voi precipiterete nel più basso di t utti gli inferni J )), A: questa evocazione satanica, l'ostessa si segnò. Don Benizio, in· preda al delirio dei fumi etilici, incalzò:

« Voltate contro al muro quel pezzo di legno sudicio I Che Gesù non veda le vostre facce da i dioti e non senta le vostre t urpitudini ».

La d o nna esitava ad ub bidire. I bambini avevano tralasciato di giocare e guardavano intensamente il p rete.

« Voltate contro al muro q uel Cris to o toglietelo di là. Non è questo il luogo adatto per immagini sacre. Metteteci un asino e fate diseg nare sulle pareti dei caproni. · M i capite? Dei cap roni e normi come la bestialità dei vostri avve ntori abituali I )>.

L'os tess a, che non aveva ancora aperto bocca, montò sul focolare e o bbedl Cristo offerse allora l a sua schiena tarlata

Intanto le escandescenze d el prete aveva no attirato . un p iccolo g ruppo di persone, che s tazionavano sulla porta dell'osteria non osando

CLAUDlA PARTICELLA 73
6. • XXXIII.

entrare çd esprimevano la lo r o meraviglia con smorfie della faccia e con gesti rapidi della mano.

Don Benfaio pagò il conto. si spinse fu0tì, montò a cavallo e si slançiò al galoppo. La padrona, ancora tremante, si fece sulla porta per vederlo par tire e si segnò co lla de vozione superstiziosa di -~hl crede nel diavolo. I paesani r imaser o a b occa spalancata e seguirono con gli occhi sbigottiti il misterioso cavaliere, che in un baleno scomparve dall'estremità della strada, lasciando dietro di sé una n ube d i polve re. Quando do n Benizìo s'affacciò alla valle dell'Adige, dai fium e salivano le prime nebbie della sera. Le torri di T rento profilav ano le loro cime merlate, le lo ro g uglie sottili, r icoperte da scaglie policrome', simili alla corazza di un serpe nte, ritto verso il cielo. D on Beniz.io g uardò a lungo il castello e il to rr ione dominatore. M ise il cavallo al passo, La b rezza crepuscolare ondulava le vette dei pioppi lungo l'Adige, torb ido e gonfio per lo sgelo totale delle nev i alpine, L'arfa chiara vibrava al suo no delle campane; le rondinelli lanciavano il lo ro grido, descrivendo delle ampie curve, sfiorando l'acq ua del fiume e i boschi delle montagne; nei campi si udivano i primi accordi isolati del grande inno di pace che miriadi d'insetti, nascosti fra l'erbe, eleva no ogni n o tte alle stelle.

A notte alta don Benizio. attraversò il ponte di San Lorenzo. Il legno dei sette archi rinibombava sotto gli zoccoli ferrati del cavallo. L'ebbrezza del vino era già scomparsa. D o n Benizio tornava un personaggio ufficiale. Egli si trovava in uno stato indefinibile di stanchezza fisica e m or ale. Prima di cacciarsi a letto si domandò: « M'avranno riconosciuto quei contadini ? >>.

Ebbe un sonno pesante, t o rmentato dall'immagine di Claudia e da pro positi di vendet ta Per due giorni non si fece vedere, accusando dolo ri alla testa. Stese un rapporto scritto della sua missione e lo mandò al priore del Capitolo della cattedrale.

Alla sera del secondo giorno di riposo, ricevé un messo del car. dinale, che l'invitava per l'indomani, di buon'o ra, al castello, L'inv ito non lo" stupi, né lo turbò. Era preparato a tutto. Non temeva la collera del cardinale,

All'ora solita don Beni.zio entrò al castello. 11 cortile era occupato dalla folla dei bisognosi, tenuti a bada da una squadra di « suzzi }), mu~ti di alabarde; nelle anticamere e nei corridoi si urtavano, si pig iavano, si incrociavano preti, cavalieri, avvocati, domestici, soldati, Molti s'inchinavano all'arrivo di don Benizio, e si stupirono del suo i nceder e di uomo improvvisamente i nvecchiato. P arecchi si scambiaro no il risultato delle loro osservazio ni e tutti finiron o per concludere che do n Benizio doveva essere seriamente ammalato.

74 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

11 cardinale lo aspettava da alcuni minuti nel Gabinetto delle udienze particolari. Quando don Bcnizio entrò, fu non poco sorpreso di trovarsi davanti a Lodovico Particella, intento a leggere alcune carte, I tre personaggi non si scambiarono che pochi complimenti freddi, di maniera. I loro volti tradivano la preoccupazione delle questioni gravi.. Emanuele Madruzzo incominciò con voce apparentemente calma:

« Tutte le volte che io debbo impiegare la mia autorità di principe per punire coloro che mi hanno in qualche modo servito, il sentimento della riconoscenza, quello del dovere e della giustizia, combattono un'aspra battaglia nell'animo mio. Vorrei vivere senza essere costretto a punire. Ma il mio desiderio rimane platonico davanti aUa malignità degli uomini. Non sempre si può perdonare, specie quando il colpevole è cosciente degli atti che compie. Questo esordio non era necessario. Tutti mi conoscono, e, più degli altri voi, don Benizio, che aveste da me le più delicate missioni; voi che mi foste consigliere, segretario, compagno. Da oggi voi cessate cli esserlo, da oggi perdete qualunque_ diritto alla mia fiducia, da oggi voi cessate di appartenere alla mia famiglia, alla mia corte, vorrei quasi dire al mio popolo »

Don Benizio ascoltaVa impassibile colle braccia incrociate sul petto. Le sue gote er:3:no livide. Egli teneva l'occhio 6.sso sulla grande croce d'argento che brillava sulJa mantellina di velluto nero del cardinale..

« La misura colla quale mi colpite, o mio signore», fece don Benizio, « mi addolora profondamente, ma mi trova r assegnato, come deve esserlo ogni obbediente suddito, ogni fedele cristiano, Permettetemi tuttavia di chiedervene i motivi >>,

Tuttociò fu pronunciato con accento umile. Il cardinale continuò:

« Da lungo. tempo il vostro equivoco agire mi aveva impressionato. Durante parecchi anni vi ho osservato, vi ho studiato ed ho qualche volta dovuto ammirare l'ingegnosità vostra nel servire due padroni, Dio e il diavolo, nell'equilibrare due interessi opposti, due passioni nem iche ».

Questo accenno turbò don Ben.izio; le ' sue guance divennero vermiglie.

« Voi rappresentaste con arte la vostra commedia, ma coll'andar del tempo nel gioco scopriste i lati meno nobili della vostra natura. Seppi delle calunnie che diffondevate sul mio conto e sul conto cli una signora alla quale sono profondamente affezionato; non ignorai le manovre con le quali cercaste di portare la discordia nella mia famiglia e fra i personaggi che mi circondano; ebbi notizia dei vostri tén· tativi, delle vostre pretese e d.elie vostre sconfitte. Vi tollerai ».

« Perché vi ero utile », interruppe doo Benizio.

CLAUDIA PAR TICELLA 75

« Utile f?rSe )), ribatté il cardinale, « ma non indispensabile Vj tollerai per amore di pace, vi tollerai per evitare ogni scandalo sulle mie faccende private, Cercai di disarmarvi colla mia bontà e indulgenza. Mi accorsi che la mia opera in questo senso era vana, La passione vi accecava e colmava il vostro ·cuorç di odio. In quesù uldmi tempi voi mi avete odiato, voi avete cospirato coi miei peggiori nemici, voi mi odiate sempre. Troverete logico che vi allontani, che vi disarmi, per difendermi ».

Don Benizio si alzò:

« No n voglio scolparmi, o mio signore, e accetto la vostra sentenza senza discuterla. Il tempo mi darà ragione ».

« Sedete I Sedete I », ordinò Emanuele. <( Non ho finito >l.

Scostò alquanto il seggiolone dal tavolo, tirò il cassetto e levò un pugnale, una sciabola e un coltello.

« Conoscete quest'armi ? ».

Don Benizio guardò le armi e rispose:

« Sl. Il pugnale è mio, da quando me lo regalaste».

« Ma io non ve ne feci dono perché ve ne ser viste a scopi delittuosi».

Il prete arrossL

« E questa spada cli chi è? ».

« Non lo so. Voi mi permetterete di non dirvelo»~

« Ricordate dove ~vete dimenticato queste· armi?».

« Nella chiesa della Santa Trinità >> .

« Avete presente lo scopo per cui vi recaste nottetempo al convento?».

« Sl, per svelare un mistero ».

« Per profanare una tomba».

« Che voi avev ate dischiu sa anzitempo >).

<< Tacete I Io v'impongo di tacere . Rispettate mia nipote e i morti che ·n on v i appartengono ». ,

« Filiberta apparteneva al popolo, a noi tutti, all'uomo che la voleva in isposa. Voi l'avete uccisa. Corre voce che le abbia_te propinato un veleno )>.

A queste parole il cardinale scattò in piedi. Il suo aspetto era minaccioso, Egli tendeva i pugni contro don .Benizio, che si era alzat!) e teneva le braccia incrociate sul petto. Ludovico Particella che aveva seguito in silenzio il colloquio, intervenne per calmare i due prelati.

« Siete voi, voi don Benizio, che o sate lanciarmi in volto l 'infame calunnia. Voi e il vostro complice che avete diffuso la voce. Io, avvelenatore di Filiberta, io, che debbo a.Ila mia mitezza dì carattere tutto un seguito cli piccoli g randi mali. Vergo gnatevi I )).

76 OPERA OMNIA
DI BENITO MUSSOLINI

Scosse con violenza un campanello che si trovava su1 tavolo. ll valle tto comparve.

« Due g uardie I Subito I ».

Don Benizio non manifestò agitazione a1cuna. Solo la sua bocca s'atteggiò a un ghigno d'ironia infernale e pronunciò scandendo le sillabe:

« Me l'aspettavo I La prigiòne I È in questo modo che credete di .soffocare la mia voce. Ma v'ingannate».

Comparvero le guardie. Eman uele Madruzzo ordinò:

« Conducete don Benizio neUe segrete del Castello I )>, Sulla soglia, il prete arres tato si ·volse e gridò:

« La tua stella, o cardinale Mad.ruzzO, è vicina al tramonto, I;a tua ora sta per suonare I )>.

« Va, va, malefico profeta di sciagure l È assai ,probabile che tu non l'oda suonare l'o ra in cui si compirà il mio destino I >> ,

' Don Benizio attraversò le came re e discese le scale a frollte alta. L'emozione suscitata d al suo arresto era visibile sulle facce d e i cort igiani e dei prelati. I quali aspettarono Ludovico Pacticellà e lo assediarono per avere notizie. Il consigliere non appagò la curiosità esasperata della folla. Rispose laconicamente rimandando ogni informazione all'indomani. Si recò nella sala d el Consiglio aulico, che sospese i )avori in corso per ascoltare le urgenti comunicazioni da parte d el cardìnale.

D o n Benizio era segretario particolare d 1Emanuelc Madruzzo e il Consig lio a~lico non aveva veste per ingerirsi della quest.ione. Ludovico. Particella credette o pportuno p erò di informare anche sui precedenti dell'affare. Alla notiz ia d ella morte di Filiberta, i m embri del Consiglio aulico divennero pensierosi. Finiro no per ratificare, nei riguardi di don Benizio, le decisioni del cardinale. Poi levarono Ja seduta e si separarono Le loro facce rivelavano un comune i nterno presentimento: la fi ne di F iliberta avrebbe precipitato g li a vven imenti, scatenata la t empesta, portato le nubi della morte sul cielo deUa patria,

CLAUDIA PARTICELLA 77

All'estremità del fossato di San Simonino, verso via. Lunga, sotto a un di quei volti che hanno, di notte, l'aspetto pauroso di una bolgia dantesca, c'era, ai tempi in cui si svolsero gli avvenimenti che narriamo, un' osteria d'infimo ordine, che portava sull'insegna la. nota frase latina Taberna ut, Gli avventori abituali erano popolani abitanti il qua rtiere, artigiani che lavoravano n elle bottegucce delle vie limitrofe, piccoli· negozianti e merciai alla giornata; Una clientela rumorosa e pericolosa, specie dopo le abbo ndanti libazioni domenicali. Vi .capi· tava spesso un Cima, poeta este mporaneo e cantastorie ambula nte, personaggio misterioso e autori tario, dalla lingua mordace e dalle mani pesanti. Aveva soggiornato presso molte nobili famiglie italiane, era stato anche quakhe tempo alla corte d~i Madruzzo. Conosceva le storie antiche e recenti e s'imponeva colla sua erudizione raccolta stando a contat to dei grandi e piccoli signori dell'epoca.

Quand'egli entrava nella prima delle due ali fumose che occupavano il pianterreno dell'osteria, molti dei bevitori seduti s'alzavano, lo salutavano e gli offrivano il bicchiere. '

Il padcone, un vecchio corpulento e barbuto, lo salutava con un ce nno confidenziale della mano . Cima e ra uno dei capi più influenti del partito popolare d'opposizio ne ai Madruzzo e ai Particella. Facile parlatore, ricco cli trovate spiritose e cli frasi sonanti, aveva co nservato del buffone giro vago il gestir delle braccia e lo smorfiare del volto ; del resto molto spesso si abbandonava ad u n'apologia cli q uella professione che gli aveva dato modo di conoscere i grandi neJla loro i ntimità e gli permetteva ora di vivere senza far calli alle mani: soleva dire che i principi avevano bisogno dello spirito dei buffoni; come una lampada ha bisogno dell'olio per ardere. Egli disprezzava i grandi della terra I Li aveva visti troppo da vicino. E conservava contro di loro l'animosità dello schiavo. liberato. ·

Poche ore ·dopo l'arresto di don Benizio, la taverna del foSs ato di San Simonino era gremita di ge nte. In giorno di sabato si beve più volentieri. Alle tavole stav ano sed uti, davanti ai litri r apidamente vuo tati, tutti i clienti abituali e molti altri d'occasione. Si gridava fort e e i pugni sferrati sulle tavole feccvano suonare i bicchieri vuoti e traballar le bottig lie.

78 OPERA OMNIA DI BENITO .MUSSOLINI
V

« L'hanno avvelenata I Io vi dico che l'han no avvele nata I », u rlava un calzolaio che aveva dimenticato di deporre il grembiule.

« Ma n o I È mo rta t isica », ribat teva uno spazzacamino tutto nero di fuliggine.

« Perché dunque·», replìcava H p rimo, « hanno cercato di te ner celata la morte di Filiberta? Non è ques ta la prova migliore che si è compiuto un delitto? E credete forse che la prigionia di don Benizio non sia in r elazione colla morte di Filiberta ? Spero che la vostra·ingenuità no n raggiunga l'insulsaggine. È il conte di Castelnuovo che h a svelat o il mistero».

. L'oste credette a quest o punt o d'intervenire e sentenziò g ravemente : « Non bisogn a affermare che le cose p rovate)).

Cima entrò e interruppe Ja discussione, Anch'egli e ra eccit ato per le no tizie che correvano in città La IDorte di Filiberta, giovane, bella, innocente, aveva costernato la popolazione, Da strada a strada, da porta a port a, da bocca a ·bocca, l'annu nzio lugubre era passato susci~ tando lo sdegno e la piet à. L'a rresto di don Benizio colmava la misura. Gli uomini, uscen do dalle botteghe, si scambiavano osservazioni e · si allontanavano tagliando l'aria con grandi gesti dì minaccia. Le strade erano silenziose, deserte. Si attendeva la scintilla suscitatrice dell' incendio.

L'arrivo di Cima alla t averna del fo ssat o, :dstabill per alcuni minuti la calma. Si volevano d a lui notizie dettagliate. Egli solo poteva svelare l'enigma, svelare il mister o I

Ma Cima, dop o aver r isposto distrattame nte al saluto collettivo, si ficcò in u n angolo della sala per bere i ndisturbato e aScoltare i discorsi degli altri. L a discussione ricominciò. La mo rtC di Filiberta appassio nava gli animi. La sentimentalità del la fo lla esplodeva. A lcuni attaccavano senza ritegno l'autorità del cardinale, altri lo accusavano ritene ndolo incapace di reggere le sorti del prin cipato, t utti q uanti poi si trovavano d 'accordo nel gettare su daudia, la strega, la mer etrice, Cleopatra in format o minore, le resp onsabilità dell'arresto di don Benizio, d ella rovina di Trento.

N essu na voce si elevava a difende re la bella reclusa d i Castel T ablino I I propositi più b estiali, le frasi più oscene s' in crociavano nel~ l 'atmosfera t o rbida della bettola; la mass a dava cor aggio ai singoli i ndi vidui. E t utti i vecchi rancori ve nivano a galla, la miseria si sfogava i n un'apos trofe di maledizione I

« Sl I », g ridava un u omo alto, dal~a {accia a triangolo irregolare.

« Noi soffriamo da trent'anni I La n ostra fame è la conseguenza del Concilio che si volle tenere n ella n ostra città. Ci h anno dissanguato cd ora i nos t.ti dirigenti ci calpestano».

CLAUDIA P ARTICELLA 79

Un secolo era passato dal Concilio di Trento, ma l'avvenimento conserVava l'attualità della cronaca nelle memorie dei cittadini.

« I cardinali banchettàvano e i miserabili confinati a Piè di Castello crepavano di fame l », disse Cima, conoscitore delle cronache Patrie. « Cristoforo Madruzzo _regalava storioni di sessanta libbre e vino di cent'anni ai legati pontifici, i quali, la terza festa di Pasqua del r,41, ba nchettarono allegramente per ben quattro ore sotto un baldacchino d ' oro, divorando settantaquattro pietanze I ».

A queste cifre, le bocche dei popolani si spalancarono per la mer aviglia, e Cima, che aveva trovato improvvisamente la sua abituale loquacità, proseguiva:

« M i accorgo che queste not izie vi stupiscono. Voi ignorate profondamente il passato, anche qud lo che vi è prossimo. Ebbene, permettetemi ·di aumentare la vostra meravig lia. In un altro banchet to offerto dal cardinale Cristoforo Madtuzzo ai preti di Roma furono divoraci novanta paia di pollastri, venti paia di capponi, quaranta di anatre, trenta dì passeri, un m ezzo cervo, venticinque paia di conig li, due vitelli e mezzo, due castrati, un mezzo bove, centocinquanta meloni, otto capretti e infiniti condimenti. Vi faccio grazia d e1la cifra · delle bottiglie vuotate da quei deg ni messeri, venuti nella nostra città coll'intento di far tornare la Chiesa alla primitiva frugalità, semplicità, astinenza evangelica I Ho sC:olpito questi dati indelebilmente nella mia memoria ! Le nostre sofferenze attualì,: la miseria in cui ~i dibatte il popolo di Trento, sono logica conscgueD;,za di un secolo di continue, incredibili dilapidazioni. I balzelli accresciuti e dei q uali tutti ci lamentiamo non possono più riempire le casse del principato)>.

Il Cima non esagerava e forse non tutta la verità gli era nota. La . corte dei Madruzzo rivaleggiava per lusso e magn ificenza colle corti i mperiali. I preti che Ìa frequentavano erano gaudenti mondani che si preoccupavano ben poco delle faccende sacre. La teologia li divideva, ma l a mensa li univa, ed ogni banchetto era un orgiastico trip udio del ventre. I cronisti dell'epoca ci hanno mandato, con un~esattezza statistica degna di lode, la serie delle · feste, dei banchetti, delle veglie danzanti. Aòche gli ecclesiastici in sottana sacrificavano a Tersicore, la dea del ballo. Dopo una lautissima cena che Cristoforo Madruzzo diede nel ciistello di Trento, in occasione delle nozze di u n suo parente, incominciarono le danze alle quali presero parte gentildo nne e vescovi. Dei legati pontifici alcuni approvarono il ballo e l'un d'essi, il Di Monte, cardinale, manifestò il suo dispiacere di non ave r potuto patteciparvi a cagione della podagra che l'affiiggeva; il Polo, altro cardinale, aggiunse che il ballo non g li sembrava sconveniente e avrebbe tollerato il bacio, salvo sempre la « massima modest ia e la cristiana.

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OPERA OMNIA DI BENlTO MUS SOLIN[

carità ». Solo il Cervini biasimò aspramente la condo tta dei prelati che avevano passato il tempo « in salti e in danze» invece di dar esempio di cristiano vivere agli altri.. Tali erano i costumi privati dei riformatori del cattolicesimo

L'oratore della taverna del fossato aveva dunque ragione di risa. lire alle dilapidazioni del pubblico erario, avvenute prima e d ur ante il Concilio per scoprire le cause remote delle attuali calamità. IL principato di Trento aveva r edditi troppo modesti per sopportare le spese del mantenimento di tutta una numerosa coorte di ecclesfastici, senza correre il rischio del fallimento economico e della rovina morale. L'ultimo Madruzzo scontava forse . Je colpe ·dei suoi predecessori. Ma v'erano alt~i motivi più "récenti di lamentanza. Il ricordo della peste del 1630 non si era cancellatO dall'animo dei superstiti. Un altro avventore della ta verna, u n certo Roselli Anacleto, vecchio calderaio ambulante, aveva vissuto in quei giorni tristissimi in cui Ja morte · mìeteva con la sua più ampia falce, senza guardare. Il primo caso di peste si ebbe in Borgo Nuovo, poi H contagio si diffuse rapidamente in tutti i qùartieri della città. Ben duemilatrecentottantadue persone morirono, delle quali milleduecentoquarantadue in città e millecentoquaran ta al Ja.zzacetto" della Badia.

« Quando il morbo infuriava, che cosa , fece il nostro cardinale, principe e vescovo ? », chiedeva ad alta voce il calderaio. (<Rimase forse in città ·a porgere un confo rto agli afflitti, un pane agli affamati, un asilo ai superstiti ? No. Prcferl salvare la sua p elle e si r itirò coraggiosamente nel suo caste llo di Nano in Anaunia ad aspettare la fine del Jhgello )>.

« E ritornò », completava Cima, « non per sollevare con la sua opera e con un saggio governo le nostre sorti, ma per amorazzare con daudia Particella, per dare pubblico scandalo dei suoi amori, p er traScinare la porpora cardinalizia nel fang o di tutti i pettegolezzi delle fer:nmine, per far morire in un con".ento la nipote fjljberta, per gettare in prigione don Benizio, per ·regalare delle case a Claudia, che oggi può vantar si proprietaria del palazzo in campo di Fiera >>•

Un'improvvisa, collettiva esclamazione di stupor.e e· di sdegno interruppe Cima.

« Sl, non meravigliatevi I L a figlia di Ludovico Particella ha delle corti giane la bellezza, la stregoneria, i capricci. Vuole ciò che vuole !

Ci spoglia I Ci affama I Non è la prima volta che una donna ha condotto u n popolo alla rovjna e una casa di principi nell'abbiezione I » Orna parlava con una franchezza brucale. La sua qualità, il suo passato, gli accordavano una specie di intimità. Tuttavia g li parve d'a_ver oltrepassato il segno e senti il bisogno di: aggiungere :

CLAUDIA PARTICELLA 81

« Ciò che dico è forse nuovo per voi che vi rassegnate alla miseria, ma è vecchio per tutti quelli che sperano, ragionano e si domandano se non sia venuto il momento di scuotere il g iogo E, del resto, poco m'importa se Je mie parole saranno riferite al cardinale. La verità è la verità, anche ·pei principi I ». Sedette e vuotò il bicchiere. Gli altri lo imitarono. Poi pgnuno degli avvento ri tornò a d iscutere coi vicini. Le voci si facevano roche e i propositi minacciosi. La brigata d ella taverna r appresentava il basso p op olino, eccitabile, impulsivo, sentimentale; il popolino che sopporta senza proteste la schiavitù eco n omica e trova poi uno scatto di rivolta per cause d'ordine morale. Quegli u o mini erano i dise;endenti dei t rent ini che insorsero nel 1407 guidati dal refe rendario del popolo Rodolfo Bellè:nzani e nel 1431 costrinsero a patti Alessandro di Mazovia, r eggente il vescovato. Nelle loro vene scorreva il sangue degli antena ti che nel J2n, al suono della Renga, cacciarono valo rosamente dal territorio Ezzelino da Romano, terrore di popoli e di principi. Il sangue latino non poteva smentirsi. Stava per suonare un'ora tragica nelJa sto ria della città Il popolo sarebbe insorto n on per chiedere qualcosa di stabilito, ma per cos tri ngere il governo e il cardinale a rjflettere sopra una situazione ogni g iorno più critica. Tutti i clienti della taverna, tutti gli artigiani del_ centro~ m olti signori, p arecchi ecclesiastici erano convinti dell'imminenza cli una convulsione cli popolo, ' Verso mezzanotte la taverna cominciò a sfollarsi. Quando la campa na suonò, le sale si vuotarono e tut ti rientrarono nelle proprie' case. Nelle prime ore d ell'indomani, domenica, la città no n presentava nulla d'insolito. Per le vie e ra Ja consueta folla vestita a festa che si r ecava alle funzioni n elle diverse chiese. Ma l'atteggiamento degli u o mini e delle do nne era grave. Non si udivano all' uscita delle funzioni i lieti conve rsari del giorno festivo, ma brevi parole di saluto , NeJl a notte, nelle ore i stesse in cui aUa taverna del fossato di San Simenino si era fatto il processo al secolo della donùnazio ne dei Madruzzo, un'altra riunione aveva avuto luogo nella v illa dei conti di Castelnuovo, situata -oltre il torrente Fersina, in p roSs imità allo strado ne di Rovereto. A questa riunione segreta avevano partecipato parecchi cavalieri, n obili, anùci del conte, e due ecclesiastici in rappresentanza del Capitolo della cattedrale, che non aveva ancora stab ilito il modo dell'int ervento nell'affare di don Benizio. La discussione era stata lunga e animata. Due correnti d'idee avevan o cozzato. L'una r appresentata d al conte di Castelnuovo e ·dai su oi bollenti compagni, l'altra da vecchi personaggi e dai prelati, fatti circospetti da u n lungo seguito di èsperienze p olitiche.

I primi volevano dare l'assalto al castello, m assacrando, qua1ora

82 OPERA OMNIA
DI BENITO MUSSOLINI

fosse stato necessario, i « suzzi » e le g uardie a difesa, poi arrestare il cardinale e Ludovico PacticeUa, dichiararli entrambi decaduti, il primo dal potere, l'ultimo dalla carica, costituire un comitato provvisorio di reggenza e rimettere nelle mani dell'imperatore e del Papa l'assetto definitivo del principato. Nello stesso tempci effettuare l'incarcera·zione di Qaudia e indire il suo proc.csso, per cui v'erano elementi di condanna a morte. Gli · altri rigettavano la proposta dell'assalto armato al caste11o e non credevano utile né prudente arrestare il cardinale, Tanto più che il Capitolo della cattedrale aveva già mandato memoriali al Papa e all'imperatore Convenivano pienamente nella necessità di organizzare per il pomeriggio dell'indomani una dimostrazione çhe si sarebbe recata al castello a chiedere 1a liberazione di don Benizio, la destituzione di Ludovico Particella e l'esilio di Clàudia. Questo partito prevalse. Fu deciso che la dimostrazione comincerebbe all'uscita del vespro dalla chiesa di San Pietro,

In questa chiesa si raccoglieva jnfatti la g[ande folla dei pomeriggi d omenicali. Nella mattinata g li ecclesiastici avversarl cli casa Madruzzo impiegarono il loro tempo a preparare g li eventi, il Capitolo della cattedrale tenne una breve seduta per gli ultimi accordi, il conte di Castelnuovo avverti i suoi parenti e chiamò gli amici abitanti nei borghi delle vallate. La voce si cliffuse e venne alle orecchie del cardinale, che stimò opportuno trasferire il suo domicilio al palazzo delle Albere.

Alla difesa del castello e alla tutela dell'ordine avrebbe in ogni caso provveduto il capitano di città, barone Ottavio di Grestal, uomo energico e capace di affrontare e r isolvere le critiche situazioni.

La funzione in San P ietro si svolse nel massimo ordine. Erano presenti, fra la moltitudine, quasi tutti gli avveOtori della taverna, e forti gruppi di cavalieri, riconoscibili dalla mantellina di velluto frangiato. Le voci dei cantori, accompagnate dall'organo, riempivano della sonorità liturgica jl tempio, illumin ato dalle fiamme gialle dei ceri che ardevano sull'altare e da strisce di luce filtrante dalle vetrate. Di tempo it?, tempo il gregge si piegava, chinando le tes te, livellate dalla fede. E la risposta al coro aveva la solennità delle preghiere che le turbe dei crociati innalzarono al Dio dei cristiani prima delle battaglie. Le porte si apersero e la folla si rovesciò nella strada. Un sol grido eccheggiò: « In piazza di Fiera I In piazza di Fiera I >), Dopo la prima sorpresa, vi fu un momento d'indicibile confusione. Molte donne sgomentate si tiravano da parte 'ed affrettavano il passo Verso casa, altre si gettavan nel mezzo a richiamare; a trattenere, a sconsigliare i mariti, i padri, i fratelli; non mancavano quelle che si univano al corteo. Alla testa v 'era il gruppo dei cavalieri guidati dal conte Antonio di Castelnuovo, che riteneva fosse giunto il

CLAUDIA PARTICELLA 83

moment_o opportuno di vendicare Filiberta; p oi seguiva una folla d' individui diversi per età, condizione, e tutti senz'arme, I preti erano rimas ti in canonica.

Prima ancora che 1a notizia d ella sollevazio ne fosse giunta al cas~ello, ·il corteo aveva invasa piazza dì Fie ra, Qui alte grida di vendetta eccheg g iarono: « A m orte i Particella I Al r o go Oaudia ·1 A mo rte g li assas sini di Filiberta ! ». Le collere che .fermentavano da lungo t empo nell'anima popolare si scat enav ano colla violenza della tempesta che abbatte e distrugge. I più eccitati si scagliarono contro il p orto ne del palazzo: volevano demolire quel « regalo d'amore)>, insulto ai miserabili che dormivano nelle lurid e stamberghe a Piè di Castello.

Intanto 1a rivolta si propagav a in tutta la città, Da.i quartieri di San Benedetto, di San Pie tro, d i Sa nta. Maria, di Borg o N uovo venivano altri g ruppi di cittadini ad unhsi coi tumultua nti di piazza di Fiera. Le vetiate del p alazzo e rano andate infrante e già il p·o n one s tava per ced ere sot to la furia d egli assalito ri, q uando il cap it a no di città, b arone di Grestal, giunse con una numerosa squadra di « suz.zi >> Co sto ro si gettarono sulla folla fac endo roteare le mazze ferrate, schiacciando il cranio di quelli che indugiavano a fuggire. Vi fu una pausa t erri bile, un minuto di s ilenzio trag ico. Poi la folla ·indietreg g iò nella strada di San Vigilio, e invase la pfazza del Duomo, che fu immedia~ tamente circondata e isolata da un cordone di« suzzi )>, che conservava n o l'attitudine minacciosa degli uom in i p ronti alla violenza, Gli ani mi erano trep idanti in attesa di un alt ro attacco.

Un cav aliere si fece latgo e si dispose ad arringare la moltitudi ne. Era il conte Antonio di Castelnuo vo, che stava per assume rsi con qu el discorso la più grave delle even tuali responsabilità. « Cittadini I », egli disse. << P erché la v ostra m anifestazione non passi inosser v at a, m a giovi ad ottene re q ua nto vi proponete, è necessario che u omini di vost ra fiducia p ortino al p rincipe E man uele Madruzzo le comun i lagna nze. Il nostro sig n ore si è ritirato a l palazzo delle Alb ere L à bisogna andarlo a trovare per dirgli ciò che il popo lo vuole ».

Un grido si levò e coperse la voce del cavaliere: «La scarcerazione di d on Iknizio I L'esilio di Clau d ia I Il p o polo non chiede altro I >> .

« Allora )), continuò il conte di Castelnuovo, « fate il nome d egli ambasciatori e non movetevi da questa piazza prima d'aver otten u ta una risposta I ».

Una voce unanime acclamò il conte e due dei suoi comp agni, n o ti al popolo per at ti di valo re c ompiuti, I tre attraversarono la folla e s'avviarono per compiere la loro missione, verso la t empora nea resid enza del cardinale. Q uesti, a vvertito co n success ivi m essaggi della dimostrazione, aveva fa tto chiamare immediat amente p resso di sé

84 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOL!NI

Ludovico Particella e col fido consigliere aspettava lo svolgersi e l'epilogo degli avvenimenti.

Il cardinale passeggiava nel cortile del palazzo, quando uno degli alabardieri di servizio alla porta venne ad annunciargli l'arrivo della missione capitanata dal conte di Castelnuovo. Emanuele rientrò allora nel suo gabinetto, fece chiamare Ludovico Particella e ordinò ai ra: migli di accompagnare i tre cavalieri in sua presenza. Poco dopo la portiera del Gabinetto si scbìuse. I tre rappresentanti del popolo insorto si chinarono profondamente e rimasero in piedi. l1 cardinale li guardò con occhio freddo. Conosceva il conte di Castelnuo vo. Ricordava d'aver visto gli ali.ti due. Fece un gesto colla mano e pronunciò:

« Dite I Vi ascolto ! )>,

Il conte avanzò di un passo. Alzò la fronte bianca coronata da una fitta chioma corvina, e fissò in quelli del cardinale gli occhi neri, traversati da lampi che rivelavano un animo pronto alle audacie.

« Principe, il barone di Grestal vi ha certamente informato della dimos trazione che si è _svolta in piazza di Fiera oggi dopo il vespro. La folla è in questo momento raccolta in piazza del Duomo e sembra aliena da violenze. ·Noi siamo stati prescelti per far giungere alle vostre orecchie di principe Ja voce ·del malcontento popolare».

I compagni del conte s'inchinarono leggermente. .

« Cavaliere, ascoltatemi. Io non posso accogliervi nel mio palazzo come ambasciatore di un popolo Che tumultua per le strade, inveC<:; di chiedere quanto gli manca per vie legali, con cristiana umiltà ».

Dette queste parole, il cardinale fece atto di alzarsi dalla sedia e abbozzò un gesto di congedo. Ma il conte non si ffiosse,

« La vostra risposta, o principe, mi addolora. Date ·le critiche circostanze, potrebbe essere l'olio che alimenta la fiamma e la converte in incendio. Riflettete, principe. Siate padre di quel popolo che non ha perduto l'affetto per voi. Accogliete le domande di questo popolo e l'ora triste che passa sulla nostra città non lascerà strascico di discordie o di lutti>>.

Il cardinale tagliò corto con un gesto d'impazienza:

« Ma, insomma, che cosa vuole il popolo ? ».

A questa interrogazione segul una lunga pausa. Ludovico Particella si alzò, si pose alla finestra, volto colla faccia altiinterno e cogli occhi fissi su quei tre ·cavalieri che formavano una specie di triumvirato .della rivolta.

« Il popolo )), dichiarò con voce ferma e chiara il conte di Castelnuovo, « il popolo chiede la scarcerazione di don Benizio ».

Ludovìco ebbe un gesto di sorpresa, ma poi incrociò le braccia nel suo atteggiamento d'impassibile osservatore di uomini, cose e avve-

CLAUDIA PARTICELLA 85

nimCnti. Il cardinale, invece, dopo un accesso di rumo rosa ilarità, che stupi g randemente i tre inviati, rispose:

« Il p opolo è l ' eterno fa nciullo che chiede le cose impossibili. La scar cerazione di don Benizio è una sci occa, infantile p retesa. Non

· è senza gravissime ragioni che io mi sori deciso di gettare in un sotterraneo il mio segretario privato. Egli ha profanato u na t o m ba. E quando io g li ho chiesto spiegazione del suo atto nefando, mi ha risposto con un'arrogante brutalità, indegna di un suddito e di un cristiano. Voi forse conoscete l"impresa di don Benìzio »

Il conte d.( Castelnuovo impallid1, ma ebbe in q uel momento il coraggio o la viltà della m enzogna.

« No, principe. Voci vaghe mi ·sono tuttavia g iunte all'orecchio ·)).

« E pp ure fu trovata nella chiesa della Santa Trinità una spada da cavaliere ».

« Non certo la mia ».

« Anqtemo un'altra vol ta a fondo d ell a questione. È probabile che don Benizio stesss, finisca per rivelate il nome del compagno che lo aiutò in quell'assalto da banditi, o lo saprò da altre bocche».

Il cuore del conte di Castelnuovo batteva in un ritmo pazzo. Il ricordo di Filiberta> le parole d el cardinale gli incendiarono il sà.ngue nelle vene. L'idea di compiere un delitto lo tentò. Uccidere il tiranno e presentarsi al popolo vindicc di libertà. Rinnovare l'epica g esta di Bruto. Fu un attimo di follia.

n cardinale domandò:

« Vuole altro il mio popolo ?».

Antonfo> conte di Castelnuovo, si riscosse e rispose co n u n a franchezza quasi brutale :

« Il popolo vuole la destituzione di Ludovico Particella> Pesili o di Claudia, la retrocessione all'erario p ub blico del palazzo jn c ampo di Fier a. ... ».

Il consigliere interruppe in tono sarcastico: « Il popolo ha p retese veramente modeste. Io sono vecchio e disposto ad andarme ne. Però non Vedo perché mia fig lia debba essere allontanata da Trento)),

Il cardinale intérvenne violentemente:

<< Non sono pretese modeste, ma folli, mio caro consigliere Ludovico. Non sono neppur discutibili. Prima che i ribelli g iungano ad ottenere la vostra d est ituzione o l'esilio di Claudia do vranno passare sul corpo cli E manuele Madru zzo. Andate> dunque, a mbasciatori, e dite ai tumultuanti che le loro domande grottesche mossero al riso il cardinale principe di T rento. Il barone di G restal saprà 6accare le ossa ai più riscaldati, I sobillatori non mi sfuggiranno. Io ciedevo . che il popo lo chiedesse un sol4evo materiale, una d iminuzione d ei

86 OPERA OMNIA Dl
BENITq MUSSOLINI

balzelli, una distribuzione di viveri . Vuole invece diminuire J'autorità del principe con atto di rivolta sacriJega. No I No l Andate pure, o cavaliere di Castelnuovo, e dite che Emanuele Madruzzo non obbedisce agli ordini della piazza ,,.

« Principe, questa risposta può dar cagione a spargimento cli sangue».

« Lo vogliono ».

« Cardinale, non dimenticate che la Chiesa cli Cristo ordina ai principi di essere non tiranni ma padri dei popoli.... }).

« D ei popoli che obbediscono, non di quelli che si rivoltano »

« Concedete qualche cosa e le pressioni si calmeranno ».

« Ogni concessione è in qUesto caso un'abdicazione ».

« Principe, per l'ultima volta, riflettete I Vi riuscirà di domare i ribelH, ma av rete seminato largamente l'odio nei cuori. Fate il gesto della mano che perdona ,,

Il cavaliere perorava eloquentemente la sua causa. Il cardinale parve scosso. Ebbe un momento di esitazione. In fondo egli era una natu ra m.ite, aliena dal sangue,

« Ebbene, ritiratevi per alcuni momenti, o cavaliere. Terrò breVe consiglio, poi vi comunicherò le mie decisioni ·».

I tre si ritirarono.

Il colloquio tra il cardinale e Ludovico Particella non fu breve. Il" cardinale era disposto a concedere la scarcerazione di don Benfaio, ma ParticeUa insisteva per il rigetto di tutte le domande, Alla fine il cardi nale impose la sua volontà e il consigliere s'inchinò A una voce, rientrarono i cavalieri .

« Accetto una sola delle proposte che mi avete avanzato D omani proporrò al Consiglio aulico la scarcerazione di don Benizio e cercherò di ottenerla. Non pos~o di più ,>.

« Farò l'ambasciata a l popolo che attende >>.

Con queste p arole e dopo aver fatto un profondo inchino i tre cavaLieri si accomiatarono.

La folla li attendeva impaziente poiché l'Ave Maria e ra già suonata. Quando il conte di Castelnuovo comunicò la. concessione del principe, un frastuono di voci discordanti r iempi l'aria. Ma ad un cenno del capitano di città, i « suzzi » si gètta rooo nuovamente sulla moltitudine. I cavalieri si opposero. Il conflitto assunse carattere d 'insurrezione, Ma il popolo inerme fuggiva. all'impazzata per le viuzze del centro riparando nelle case e anche i cavalieri finirono per sbandarsi.

La notte calò sulla città. Tutte le porte erano chiuse, nessun l ume btìllava alle finestre. Per le strade d eserte rimbombava il passo cadenzato dei « suz:1:i » e degli alabardieri.

CLAUDIA PARTICELLA 87

Il baro ne di Grcstal si recò al palazzo d elle ,Albcre per fare il rapporto dettagliato della giornata. Trovò il cardifia le in colloquio co n Ludovico Particella. Principe e consigliere ringraziarono H barone di Grestal e l o congedarono.

Nella notte stessa, il conte Antonio di Castelnuovo, t emendo di essere arrestato per la partecipazio ne alla rivolta è più ancora per l'affa re del convento della Trinità, rip arò in Italia. ·

All'indomani, il cardinale presenzi ò alla seduta del ·consiglio aulic~ in cui vennero d iscussi gli avveni men ti della domenica. Fu deciso d i scarcerare don Be~izio, ma di esiliarlo, per un anno, dal principato.

Alla sera don BenlZio, accompagnato da due ufficiali dei « suzzi », partl per rinchiude rsi i n un convento n elle vicinanze di Bressanone. Ludovico Particella continuò a disimpegnarc le sue funzioni di consigliere e Claudia quelle di a mante lontana

A poco a poco gli animi si calmarono . Settembre p assò senza fa tti degni di nota. Intanto il cardinale i nvecchiava nell' attesa d ella dispensa papal e, che g li doveva permetter e il matrimonio con Oaudia, sempre reclusa a Castel Toblino.

88 OPERA OMNJA DI BENITO MUSSOL,INI

VI.

Ai primi d'ottobre nessuna buona notizia era ancor giunta da Roma, L'intercessione della regina di Spagna e del Re d'Ungheria, le attestazioni di frate Maccario da Venezia de' minori osservanti e di Vettore Barbacovi del Duomo di Trento, confessori del cardinale, non avevano potuto sollecitate Alessandto VII. Emanuele Madruzzo aveva speso in ambasciate e regali ben centomila fiorini; aveva già · ptonto il suo equipaggio da sposo e la decisione papale tardava a venire, Questo indugio lo i nquietava, ma non gli toglieva la speranza di -una risposta favorevole. Intanto non si cllrava più degli affari del ptincipato. Viveva alla giornata, distraendosi nella lettura d ei classici prefed~i. rhirato nella guardatoba, stanza bellissima in cima al castello che r acchiudeva splendide vesti, argenterie, gioie, medaglie, valori, antichità, vasi in vetro, un p iatto di diaspro bellissimo e una collezione di tutte le pietre marmoree che si cavavano dal dominio vesco vile. Inoltre un « breviario antico dov'era la vita di S. V igilia, ad.vocato di Trento».

In una mattina di quello scorcio di ottobre, mentre il cardinale, di ritorno da una breve passeggiata al parco della Cervara, si recava nel suo Gabinetto di studio, fu avvicinato da un cavaliere cli servizio, che gli annunciò la presenza al c astello di suor Bernardina Della Croce, di Rovereto Il cardinale non ne fu molto sorpreso, Ordinò di condurla i n sua presenza e si preparò a riceverla.

Le ctonache del te mpo ci na rrano che Della Croce Giovanna Maria o suora Bernardina nacque a Rovereto nel 1603 dal padre Giuseppe Floriani, uomo che libava volentieri le tazze del v ino d'Isera. La figlia _Bernardina veniva su cogli anni bellà. e fiorente. Persona svelta, avvenente, capelli biondi e lucenti, carnagione bianchissima e soavemente colorita, occhi lampeggianti, sguardo severo e accigliato, quasi sprezzante le bassezze e le necessità della vita. -Ancor fanciulla mostravasi tutta inclinata alle opere di pietà e agli esercizi di divozione. In quel torno di tempo stava in Ro vereto fra Tomaso da Bergamo, il quale, vedendo tanta santità cli costumi i n questo fiore di freschissima bellezza, la consigliava di lasciare il mondo e di chiude rsi in un monastero. C'era però l'ostacolo della madre, la quale diversamente se ntiva dalla figlia. Ben presto a Ro vereto corse fama di quella cxeatura buona e

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7 • XXXIII,

divota, Bernardina si recò a Trento con l'intendimento di erigere un monaste~o. ma alla corte dei Madruzzo 1a fanciulla plebea riformatrice di costumi n on trovò accesso. Questa creatura sdegn osa ne scntl rancore e cadde inferma. Affra, una divota suora del ter:.co ordine di San Francesco, venne a visitarla e stdnse con lei legame d'amicizia Co l mezzo cli questa terziada trovò modo d•introdursi presso le divote mat rone trentine e tanto free che le fu concesso di erigere un convento a Rovereto, presso la chiesa di San Carlo e colla regola di Santa-Chiara, Qui eUa prese il nome di suor 1\faria Giovanna Della Croce. I suoi discorsi inspirati e pieni d'e ntusiasmo le diedero tanto nome, che fu ritenuta dotata di profezia e j poveri correvano al suo consiglio nelle miserie d ~lla vjta, i principi nelle vkissitudini delle guerre, Illustri personaggi passando per· Roveret o visitarono questa donòa di csemplarissima vita. L'imperatore Leopoldo tenne con lei corrispondenza e le diede seimila fiorini per l'erezione del monastero cli Sant'Anna a Bo rgo in Valsugana.

Suor Bernardina Della Croce entrò salutando il. cardinale con un profondo inchino. Quell'esitazione confusa e timorosa che paralizza la lingua alle persone che s'incontrano per la prima volta scomparve, La suora di Rove reto non temeva cli essere scacciata dall'ultimo Madruzzo, cli cui conosceva la bontà na turale dell'animo e indulgeva agli errori, Ella aveva un mandato da compiere e questo le era stato affidato dalla suprema. autorità della Chiesa, dal Papa.

Suor Bernardina aveva perduto tutte Je grazie della sua giovinezza. 1L velo conferiva un pallor'e cadaverico al suo volto, dalla pelle essicata, fatta diafana, dai lineamenti induriti. Ma gli occhi brillavano di un fuoco mistico, che rivelava u n'anima folle di erotismo divino. Le forme del corpo non si distinguevano sotto al saio; solo dalle ampie· maniche usciva no le mani dalle dita lunghe e sottili. L a sua voce a veva tutte le flessioni delle d o~e jspirate, T alora la càdenza calda e cantante della Maddalena dolorante ai piedi di Gesù; tal'altra l'accento sordo della religiosa che prega nella solitudine della sua cella; qualche volta il sibilo acuto della femmina che sforza le corde della sua arpa vocale per giungere a orecchie loritane, ultraterrene.

Emanuele Madruzzo non si e.ra mai trovato a contatto di suor Bernardina. La conosceva per fama e non l'aveva mai disturbata nel com~ pimento delle sue imprese religiose. Sapeva che papi, re e principi l'avevano in somma stima, tanto da ricorrCre a lei per consiglio nei più gravi frangenti. Dopo il suo primo tentativò, suor Bernardina si era promessa di non varcare mai più la soglia del castello di Trento ; considerava la fa miglia dei Madruzzo come una fami glia perduta alla g razia divina. Né avrebbe mancato al suo proposito, se il P apa non

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si fosse degnato cli sceglierla per compiere una missione difficile e delicata all'estremo.

La suora alzò gli .occhi scintillanti sul cardinale e cominciò:

« Tre sere fa, due francescani si presentarono al convento di Borgo in Valsugana, dove mi trovo ricoverata, e chiesero di parlarmi . Erano messaggC:ri del Papa, il quale m'incaricava, a mezzo loro, di venir a Trento per rimettere la sua santa decisione, scritta di proprio pugno, a voi, mio principe e pastore. Questo è lo scopo della mia improvvisa venuta e questo è il breve pontificio )).

Ciò dicendo, Bernardina tolse da una borsa di velluto nero che le pendeva dalla cintura una carta che portava l'intestazione dei sacri palazzi, e la porse al cardinale. Questi, ricevendola, stentò molto a fr enare la sua emozione. Dalle prime parole della religiosa aveva subito intuito di che si tratt:i.va.

Quella carta lo toglieva dall'attesa esasperante. Affermativa o negativa, 1a decisione papale era finalmente venuta. Il cardinale disse:

<< Permettete, o _sorella, che io non indugi a prenderne visione

La suora s'inchinò.

Il cardinale; si pose a leg gere il documento. I suoi occhi corsero veloci sulle righe, come quelli di un condannato a morte che legga la risposta alla sua domànda di grazia. Con un breve preambolo, il Papa dava relazione dei passi fatti dalla regina di Spagna e dal re d'Ungheria e ricordava anche la supplica inoltrata colle attestazioni dei confessori di Emanuele Madruzzo. Poi comunicava che, portata la questione in seno al Consiglio supremo della Chiesa, tutti i cardinali si erano manifestati contrari all'invocata dispensa. Il breve comunicato finiva imponendo al cardinale di non insistere più oltre in una domanda scandalosa, onde evitare i rigori della Chiesa e l'anatema papale,

Quand'ebbe finito di leggere, Emanuele Madmzzo chinò la testa come per raccogliere i suoi pensieri Poi, senza pronunciare parola, stracciò in minutissimi frammenti l'autografo del Papa.

A quel gesto sacrilego, Bernardina si levò in piedi, e, con voce tremante, disse:

« Principe e mio pastore, ascoltatemi, come mi ascoltarono altri signori di popoli. L'atto che voi avete freddamente compiuto, mi rivela che la vostra anima è sulla via della perdizione. Io spero per la vostra salvezza eterna che non vorrete giungere al precipizio estremo. Accettate il responso del nostro sommo Pontefice. ~fortificate la vostra carne, domate la vostra passione, respingete le lusinghe cli chi vi tenta, chiudete la vostra vita nella grazia di Dio, date esempio di virtù e sarete imitato e sarete compianto. La mia parola è la parola d'una

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».

povera rel.igiosa, lo so. Ma io sento di esprimere una verità immortale. I principi della Chiesa devono essere faro di luce ai sudditi, agli umili, ai traviati. È solo in questo m odo che si rendon degni di reggere il d estino dei popoli ».

Emanuele, raccolto neUa sua meditazione, ascoltava quelle parole, che battevano; rimbalzavano, cozzavano nel suo cervello, senza suscitare idee definite, E la suora dprese a parlare con voce sempre p iù inspirata, che fini per incatenare e soggiogare Emanuele. ·

« Principe, rillettete. Che cosa è la nòstra vita? Un'ombra, un sogno, un'illusione. Cosa sono i piaceri materiali che purtroppo c'incatenano ? Non certo chi diede Libero sfogo ai suoi appetiti profani, ma chi seppe vincere se stesso, pregando, costringendo, mortifica ndo il senso ribelle, chi volle separa rsi d al mondo pci:; meglio comprenderlo e perdonarlo, chi nella solitudine rinunciò agli agi della vita, accrebbe, col s ilenzio, colla meditazione, colla preghiera, le ricchezze del suo spirito, ,le ricchezze i nco rruttibili per tutta l'eternità. Scavate dunque un abisso, o mio signore, fra il vostro passato e il v ostro avvenire. Dimenticate. Forzatevi ad ob liare e la vostra sofferen2a. sarà la vostra purificazione. Nessuno saprà mai dalla mia bocca che voi, come un eretico meritevole di rogo, stracciaste un foglio sul quale aveva posto la mano il nostro supremo pastore. Ma voi accetterete co n cristiana obbedienza la decisione del .Pontefice, e vi farete perdonare».

Emanuele cominciava a subire il fascino della religiosa. L'idea di rinunciare ormai. al suo sogno e di chiudere il dramma della sua vita, g li attraversò il cervello, Ma l 'immagine di Oaud.ia venne a turbarlo E ssa lo possedev a, sino alla m orte.

Suor Bernardina guardava fi ssamen te il cardinale, Emanuele parlò con accento d'infinita t ristezza.

« Sorella, le vostre parole mi commuovono. Vorrei seguire il vostro consiglio, ma le forze mi m a ncano. Io ho chiesto al Papa una ·dispensa che mi togliesse dall'equivoco in cui v.ivo da vent'allni. Il mio passatd è noto, né si può cancellare. È strano I Non si permette la soluzione onesta del matrimonio e si tollera il concubinato».

« Né l'uno, né l'altro»> ribatté vivacemente la religiosa. « Ma fra i due mali si sceglie .il minore. Del res to io non voglio gravarmi la coscienza di un peccato mortale · discutendo le decisioni del nostro Pontefice, infallibjle, Io vi ripeto che, dopo vent'anni, è tempo di tornare sulla retta via ».

« Forse che il matrimonio m'impedirà di compiere i miei doveri di buon cristiano ? ».

« Ma è l'unione ipocrita che dev e cessare. Né dev e avvenire quella

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che voi chiamate l'unione legale. Ast e netevi dall'altra, per riscattare il vostro passato e dar esempi o di saggezza ».

« Sento che è impossìb ile I».

« Sarete tanto debole:, mio signore?».

« La carne è sempre de bole. Vi sono catene che nessuna forza umana può spezzare. Dio è troppo misericordioso per non concedermi il suo perdono. Molto sarà perdonato a chi avrà molto amato ».

« Collo spirito, non col senso».

« Cristo non lo dichiarò}).

Il cardinale lasciò cadere g ravemente queste ultime parole, Poi, com~ parlando a se stesso , aggiunse:

« Vedete,_ sorella, la mia v ita è stata un sottile martirio, In me non c'era la stoffa d'un principe di popolo e d'un pastore della chiesa. Fui costretto. Altri m'impose la sua volo ntà. Per vent'anni una lotta terribile si è combattuta nell'anima mia, fr a le mie tendenze che mi spingevano alla vita libera e i miei doveri di principe e dì cardinale. Discordi e, liti, congiure, od.i mal çlissimulati mi hanno amareggiato. Ho sentito i l vuoto attorno a me, quel vuoto che isola i potenti della t erra e li rende Stranieri fra i propri simili. Avevo bisogno di un aiuto, di una mano che si stendesse ver so di me con gesto d'amicizia, ave vo bisogno d'essere amato I Una donna mi apparve. Non interrompetemi, sorella i L o so, avrei dovuto chiedere aiuto a Dio, consolarmi nella sua adorazione, annegare il mio dolore nelle pratiche della religione. Ma av rei dovuto costringermi aUa solitudi ne e questa mi atterriva I Ho cercato di vincermi e no n ci sono r iuscito. L a donna che mi ha amato e mi aspett~ non è quale il popolino la dipinge, Claudia Particella ha p ortato la luce nelle te neb re d ella mia esiste nza, ha ve rsato u n balsamo s"u.Ile mie piaghe. Per lei h o sOppo\tato l'o dio degli ecclesiastici, ho affrontato la ribellione del popolo. Abbiamo vissuto e sofferto insieme La morte ci troverà u niù. So rella, compiangetemi, ma non disprezzatemi ».

Emanuele tacque. La commozione Jo aveva affe rrato e le lagrime gli gonfiavano gli occhi. Suor Bernardina-no n volle insistere, aggiungendo parole yane. Il cardinale s' alzò e le baciò la mano. La religiosa disse:

« Vi ricorderò nelle mie· preghiere».

E usd, con un passo leggero.

Emanuele si gettò sulla sedia,, affranto. I valletti che lo intesero singhiozzare, g li chiesero se si sentisse male. E gli Ii congedò e dopo aver dilto sfogo alla piena del suo dolore, cercò di riporre l 'ordine nelle sue idee, per esaminare la situazione. Situazione imbrogliata,, difficile, pericolosa, Le soluzioni del problema erano diverse, ma oes-

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suna facile: Ribellarsi al Papa? Gettare alle ortiche la porpora cardinali:zia e Unirsi liberamente con Claud ia? Questa Situazione si presentava prima alla mente di Emanuele, ma riflettendoci egli si trovava costretto a rigettarla. La ribellione al P apa, quand'anche non g li avesse costato la vita o comunque gravi calamità personali, lo gettava sulle vie del mondo solo, abbandonato, vilipeso. Le corti gli avrebbero rifiutata l'ospitalità e per la sua ribellione al Papa e per il move nt e della ribellione; nessuno avrebbe avuto un moto di compassione per quest'uomo che si avvicinava alla vecchiaia coll'animo esasperato da .una passione amorosa. Come vivere? Egli avrebbe dovuto ramingare di terra in terra, da nazione a nazione, nella continua tema di vedersi colpito dalla vendetta del Vat icano) che non perdona inai. Avrebbe conosciuto

•••. come .ra di .raie lo pane alt rni e çom'J duro ,alle lo .rcendere e il salir per l'altrui i ,ale.

E Claudia? Avrebbe ella sostenuto con invitto animo i disagi materiali e morali di un'esiste nza non sicura del domani ? E se Claudia lo avesse abba ndonato ? Emanuele non osava neppure soffermarsi sopra questa eventualità. Egli amava fo.llemente e follemente credeva di essere riamato da Claudia.

No, non eran certo l'ambizione di governo od il timore dello scandalo popolare i motivi che trattenevano il cardinale dal darsi alla fuga: era l'insicurezza materiale del domani, poiché i suoi beni profani sarebbero stad confiscati dal Papa o dagli inviati dell'imperatore, Eppure egli sognava di chiudere la sua vita tranquillamente, , senza cure di governo, senza ipocrisie di chiesa, senza maldicenza di popolo, lontano da Trento, magari in un' isoletta in mezzo al mare, e iv i dimenticare le traversie della giovinezza e della virilità nell'amore perenne di Claudia. Illusione suprema J

Continuare nell'equivoco ? Anche questa soluzione presentava delle insormontabili difficoltà. L'ultima rivolta di popolo aveva ammonito il cardinale, con un monito di quelli che non si obliano faci lmente Il popolo di Trento odiava Claudia, perché la ritene va artefice prima deUa rovina economica della città; il popolo di Trento mal soffriva il dominio tirannico di casa ParticeUa. e l e collere mal represse, e gli odi lungamente covati e le miserie non lenite aspettavano u n'altra buona occasione per prorompere. Il popolo dì Trento con l'assalto e la tentata demolizione del palazzo in campo di Fiera aveva chiaramente dimostrato di non voler più oltre tollerare la dilapidazione delle rie•

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chezze pubbliche pe r appagare i capricci dì una cortigiana E Clalldia stessa av rebbe acconsentito di rimanere perpetuamente r eclusa a Castel T o blino riella situazione d ella fida nzat a che aspettava? No Claudia agog~ava di ritornare a T re nto. L'esiliO, p er quanto volontario e piacevole, aveva finito per stancarla. Ell'era ben decisa a troncare l'equivoca situazio ne magari colla fuga.

Una terza soluzione si p rese ntava al cardinale : abbando nare Claudia, rinchiuderla in un convento, far perdere le tracce di lei, e quando le passioni popolari si fo ssero calmate, riprendere la vita in comune. Emanuele non poteva ras segnarsi a ques ta soluzione. Troppo egli aveva ·sofferto per la lontananza di Claudia, e una vecchiaia in solitudine lo atter riva.

Idee bizzarre, progetti fantast ici, piani paradossali turbinavano nel cervello di Emanuele. Egli non sapeva decider si. Gli ma ncava un filo d'Arianna che lo traesse dal labirinto della sua vita. La voce del cuoce gli gridava : « Rompi ogni indugio, ogni vinco lo I Basta colle vane esitazioni, colle inutili meditazioni I ·:È. venuto il momento di agire, Getta il dado. Alta jacla ut. Meglio una vita errabonda, malsicura, tormentata, che una vi ta d'ipocrisie, di bassezze, di sch.iavfrù. Che ti rattiene? I doveri del principato? Il popolo è sempre bestia e non mancherà di curvarsi a un altro dominatore. La dignità della por• para? L'hai già maculata. Gli scandali dei tuoi amori appartengono alla cro naca, sono nella memoria di tutti. La disobbedienza al Papa? Egli l'ha provocata, perché p ri ma u milmente hai chiesto ia dispensa. B se co mmetterai peccato lasciandoti governare dalla tua passione, il peccato ti sarà r imesso, poiché molto sarà perdonato a eh.i avrà molto amato. O r dunque decidi. Se l'alba e il meriggio della tua vita furono tristi, lascia che il tramonto sia sereno e glorioso e purificato re I ».

Ma agli inviti di quest a voce la ragione fredda si opponeva schierando le d ifficoltà, i ·p ericoli, le insidie. In quest'alterna vicenda di azz urro e di tenebre, di giorno e di notte, si travagliava l'animo del cardinale. A un certo punto gli balenò l'idea d'uccidersi. Ua senso di stanchezza diffusa lo assali. D alla finestra il raggio del sole ottob rale entrava. Dagli alberi della Cervar a cadevano le foglie gialle e richiami di rondinelle tardive si udivan o. La natura comunìcava la sua tristezza agli uomini. E l'idea del riposo eterno so rrise ad Emanuele. Dormire per sempre I N ell'eterno silenzio e nell'eterno mistero. D o rmire immemore di ciò che fu , di ciò che sarà. Abbandonare il mondo senza rancori, senza paure e senza rimpianti, come un b uon debitore che paga il suo debito ver so madre natur a. Fu un attimo~ Cd Emanuele sorrise del suo pr oposito p azzo. Egli sarebbe andat o vo-

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1entierì tra_gE inferni qualora avesse avuto Claudia al suo fianco. Con lei avrebbe sopportato il tormento de la bufera injt rnal che mai non ruta, << Claudia l )), invocò ad alta voce il cardinale, « Claudia, perdonami se non so battere una via decìs a. ·L'amore mi fa esitante come un fanciullo. Ah. l'amore, luce rapita ai cieli dagli angeli ribelli e donata · agli uomini ·quand'ebbero perduto il paradiso, O Gesù, s'egli è vero che tu sia nato da madre terrena; s' egli è v ero che tu abbia bevuto alle fonti della saggezza antica che i tuoi maestri della solitudine tì apersero; s'egli è vero che tu abbia amato i poveri e i sofferenti, g li affamati, i vilipesi, gli schiavi, i samaritani e quelli che oltre a lle frontiere della tua Galilea vivevano; s'egli è vero che tu abbia rialzato e protetto la peccatrice Maria di Magdala che ti unse di odoroso ung uento i piedi e li asciugò colle sue trecce nere, flessuose, lunghissime; s'egli è vero che tu l'abbia, dopo all'agape, accompagnata fra i campi, verso le colline aulenti di cedri, mentre dal cie~o sorridevano le stelle, o figliol di Dio, ai tuoi amori terreni; s'egli è vero, o Gesù, che un giorno alla fe"sta di Purim difendesti l'adultera e la salvasti mentre legge vecchia del popolo ebraico ritenevala degna di pubblica lapidazione; s'egli è vero che lungo il Calvario ti volgesti a consolar le dolenti angosciate del tuo martirio e fin sulla croce dopo l'invocazione al padre una parola d'amore ti fiori sulle labbra; s'egli è vero. o G esù, che tu passasti n ella vita come un assetato d'amore umano, sarà permesso anche a me, ultimo dei tuoi Seguaci, di amare, come si ama una volta sola sino alla morte e oltre».

Parecchi giorni durò l'interiore battagli a nell'animo del cardi nale. Per stordirsi e dimenticare, r icominciò a condurre una vita di fa sto e di dissipazione. Le mani dei m aggiordomi s'affondarono nelle casse del principato. Grande era la miseria in tutto il Trentino, poiché d azi fortissimi limitavano l'esportazione dei vini al nord e dal commercio dei vini si traeva allora, come oggi, il maggior cespite della ricchezza pubblica. Un inverno· con tutte le t orture della fame minacciava i miserabili relegati oltre l'Adige, a Pié di Castello. Ma Emanuele pareva facesse sua la frase del re Sole: « Dopo di me il diluvio I >>, Ludovico Particella dirigeva pol iticamente il principato e teneva a freno il Capitolo della cattedrale. Uomo navigato, esperto, sottile, dotato di quella specie di scett icismo superficiale che nasconde ben di sovente tempre d'acciaio, Ludovico, pur non dissimu1ando la gravità della situazione, riteneva molto lontano, se non impossibile, la catast rofe, I giorni del tripudio incominciarono, Emanuele n on aveva

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OPERA OMN[A DI BENITO MUSSOLINI

ancora avvertito Oaudia della decisione del papa. E Claudia attendeva melanconicamente qualche cenno in proposito. Finalmente, sta nca dell 'attendere in-Vano, una sera giunse improvvisamente al castello I Quella sera, il . cardinale aveva invitato a un grande banchetto tutte le notabilità cittadine: alcuni personaggi influenti della colonia tedesca, i magni prelati del clero, moltissimi ufficiali, e alcuni accademici superstiti dell'Accademia trentina degli «accesi)), fondata nel gennaio 1628 coll'insegna motu vivificai, I superstiti accademici che partecipavano al banchetto cardinalizio erano il censore Bernardino Bonporto, detto l'« aggirato », Giovanni Sapi, detto l'« aspira nte » e ,il cassiere Simone Girardi di Pietrapiana, chiamato nel g regge il « raccolto». Una trentina di persone sedevano alle mense disposte a ferro di cavallo, in una grande sala ado rna degli affreschi del Romanino, di Giulio Romano, d.i Brusasorci. Nei doppieri brillavano le fiamme . Sulla tavola odoravano dei g randi mazzi di fiori e piante e fiori dissimulavano gli angoli. V'era il tepore snervante delle sale chiuse quando parecchie persone vi si raccolgono a succolenta cena. A capo della tavola sedeva il cardinale. Egli sforzavasi cli comparire allegro e beveva molto, malgrado la Sua abituale sobrietà. Forse cercava nell'ebbrezza u n sollievo alla pena segreta che gli r odeva il cuore. I convitati mangiavano di gran lena e fra un discoiso g rasso> sottolineato da una più grassa risata, e un richiamo scherzoso alla cristiana dignità, si poteva udire il rumor sordo delle mandibole che si affondavano nella carne sapientemente drogata, delizia di q uegli stomaci da lupi. I boccali del vino d'Isera circol~vano tra i commensali, che a poco a poco erano tutti rapiti nel vortice dell'ebbrezza. Da due ore durava la ce na. Il torpore della digestione, la deliziosa stanch ezza che segue i pasti co• p iosi> inchiodava alle sedie i banchettanti. Gli occhi brillavano. le facce erano rosse~ le lingue inceppate, i cervelli s'immergevano nei fumi · alcoolici, l'animalità primitiva, incosciente, folle, riprendeva il suo dominio,

Nella conversazione generale parole oscene s'incrociavano con declamazioni rettoriche. I più loqu aci t ornavano al Boccaccio, ma a un Decamerone più triviale e sacrestano, e allora si udivano storie di penitenti al confessionale, di ereditiere in punto di morte, di fanciulle iniziate ai divini misteri di Cupido nella penombra discretà di una sacrestia, di vedovelle prestamente consolate· in nome dd lTtStit e et 11111/tip licamini biblico. Attorno a i preti novellatori per esperienza propria, si curvavano le t est e dei v icini turbati dall'istinto erotico frustato dalle libazioni abbondanti.

Gli ufficiali alternavano al racconto delle conquiste belliche quello delle conquiste muliebri. I tedeschi divoravano metodicamente t utte le portate.

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Nel fondo della tavola, riel gruppo degli acéademici, si discuteva su l'Aret ino;· Gi ovanni Sapi, detto I\< aspirante», ricordava che Cristoforo Madruzzo nel 1,48 mandò a ll'Aretiao, che aveva allora splendida dimora in Venezia, un regalo consistente in due coppe d'argento si bene indorate « di fuora et di dentro et di sì vaghi·et sottili lavori ad o rne che altri più belli et più cari o poco migliori et si ricchi non potrebbero uscir di mano allo intelletto ed all'arte».

« E questo che cosa prov a? », domandò il cardinale fattosi attento non appena ebbe udito pronunciare il nome dell'antenato suo, Cristoforo.

«Prova», rispose Giovanni Sapi, « che l'Aretino era qui, in questa corte, assai conosciuto e stimato».

« Lo meritava )>, affermò un prete che aveva i capeJli ritti come le setole d'un istrice, le orecchie ampie, a ventaglio, come quelle di un pipistrello, le labbra g r osse, sensuali, da fauno.

Ma questa dichiarazione urtò l'unico commensale che non foss e ubbriaco, Simone Girardi, noto in Accademia col nome di «raccolto».

La sua gradle costituzione fisica non -g li permetteva di emulare i suoi colleghi nei piaceri de11a tavola. Egli se ne vendicava satireggiandoli. Si attribuivano a lui le «pasquinate )> trentine, poesie brevi, qualche volta in latino maccheronico, che servivano a porre in ridicolo i maggiori della città.

«Aret ino», sentenziò il «raccolto)> Girardi, « scrisse per lusingare il vizio, non per frustarlo».

« E il cardinal Bibbiena ? », domandò il prete di prima.

« E il Machiavelli ? )).

« E Lorenzo de' Medici ? ».

<< E .il cavalier Marino ? )>

1"utte queste interrogaz io ni partivano dal g ruppo dei p reti che avevano bisog no di difendere in qualche modo la letteratura immorale, oscena, corruttrice del secolo, perché la sapevano proveniente in gran parte dal clero.

« Castigat.ridendo moru», latineggiò un leguleio, vecchio _ ma non a ncora impotente. Quanto ai suoi tJJores circolavano sul suo conto voci gravissime. Pare che egli praticas se l'amore greco della decadenza, il che non era infrequente fra gli umanisti e in particolar modo fra gli ecclesiastici dell'alta, della media, della bassa gerarchia, In quell'epoca gli amori maschi non cadevano sotto gli articoli del codice p enale.

« La letteratura è il riflesso dei costumi», aggiunse . un dotto re in teologia. << Voi lo vedete . Qua ndo la guerra è la vita dei popoli, le loro marùfestazioni poetiche ci danno il poema eroico; quando la

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fede religiosa è diffusa, tenace, p[ofonda, fiorisce la poesia cristiana; quando il secolo è vano, supe[ficiale, schiavo, l'a[te perde ogni con. tenuto, le muse discendono nel fango, l'ispirazione è pOve[a, 6acca, la poesia muo[e. Comincia il regno d ella frase. " Verba, IIQtt J prmteraeque nibil" )>.

« Ben detto I », àpplaudirono ad una voce gli accademici, «L'amore», continuò allora il teologo, « diventa l'umiliazione dello ,spirito e l'apoteosi della carne. L'anima cede il posto al sen so, Vi sono degli amori terreni che partecipano della divinità: quello di Dante pe[ Beatrice. Vi sono altri amori, i l maggior riumcrn, nei quali la Venere della lussuria respinge l'uomo verso" i bruti. Le donne diventano allora un semplice -strumento del p iacere maschile. Queste femmine hanno sempre avuto una perniciosa influenza sull'animo dei reggitori .di popolo. Ricordate Cleopatra, Messalina, Impecia, Claudia Particella».

Quest'ultimo nome era · appena sfuggito dalle labbra dell'imprudente teologo, che un g[ido d'indignazione stupefatta si levò dalla mensa -e tutti gli occhi converseco sul cardinale, che, divenuto pallido, stava iÌnmobile, tenendo le mani distese sulla tavola. Dal suo volto non traspa rivano segni di collera. Ma Ludovico Particella si alzò bruscamente. Corse dal teologo e lo schiaffeggiò. Il teologo non osò ribattere. Il vino lo aveva tradito e in vino verita1. Ciò che egli aveva det to era nell'animo di tutti i commensali, di tutti i trentini e di quanti conoscevano la s ituazion e del principato. Ma il momento non era il più indicato per un'affermazione cosi grave. I banchettanti aspettavano lo ~cappio della t empesta e continuavano a tenere gli occhi fissi sul cardinale. Vi furon o alcuni istanti di silenzio. P oi le lingue si snodarono. Ad una voce fu i mplorato il p erdono. Il teologo, rosso per lo schiaffo e la vergogna, si preparava ad u scire, quando jl cardinale gli ·fece cenno di rimanere.

« No, riprendete il vostro posto. Non t emete».

L'altro ubbidi. Passarono alcuni minuti di quell'attesa paurosamente stupida che paralizza cervello e muscoli ai devoti cli Bacco, Il cardinale riempi sino all'orlo una tazza del vino d'Isera, bevve d 'un sorso e fece colla ma.no il gesto di chi si mette a parlare e chiama al silenzio.

« Non temete, voi teologo, che involontariamente o no mi avete lacerato una piaga che non rimargina ancora, non t emete, voi, dilettissimi amici. Quelli di voi che mi credessero capace di vendette, si partano dalla mia presenza. Questa no n è la tavola dei Borgia. Non il vino, ma l'animo sembra celi il veleno. Ebbene, voglio gridar alto e forte ciò che non è mistero per ness u no, voglio rivendicue ciò che giudicate un delitto, mentre per me gioia e g loria significa. Ascolta·

CLAUDIA PARTICELLA 99

temi dunque, o prelati della catte drale, e voi ufficiali del mfo dominio, e voi avvocati e voi amici d ella mia giovinezza e voi accademici, e tu, padre di Claudia. Ascoltatemi tutti. Ciò che sto per dirvi yi parrà peccaminoso, indegno del mio nome e della mia dignità. Non importa. Se m a i rni copersi di una maschera, ebbene cada stasera e cada davanti a voi che rappresentate il fiore d ella popolazione che mi obbedisce. Io amo Claudia. Io l'amo da vent'anni. Non arrossite I Non chinate le teste per ipocrisia I Che io dovrei dirvi allora" sepolcri imbi a ncati" Ognuno di voi, o pastori d'anime, ha peccato. Non negate I Voi siete corrotti I Questa cena è stata ben diversa dalla cena ultima che non fu ancora cantata, alla quale convennero Gesù e i suoi discepoli, prima che i l Maestro s'avviasse all'olocausto supremo. Noi, n oi tutti abbiamo bevuto nel calice degli amori profani. Anch'io, ma con purezza maggio re di tanti altri. Ho chiesto, come sapete, la dispensa al Papa. Egli me l'ha negata: Vuole lo scandalo e lo scandalo sia. Io p roclamo solennemente il mio diritto all'amore u ma no. Oaudia sarà sempre mia, lo voglia o no il Pontefice, lo vog liate o no voi che ponete Claudia nella turba delle celebri cortigiane che trassero a ruina principi e popoli, M'intendete o teologo? Tutto quanto fermenta nell'animo dei miei nemici non m'interessa. Ma perché questa confessione? Eravate voi degni di rac.coglicda? Io vi dico con Orazio "Carpe diem ".

Un liuto I Un liuto I Portate un liuto e qualcuno di voi tragga 4,ille corde le note di un inno ».

Le parole del cardinale avevano sbalordito i presenti. Anche l ui ubbriaco ? Forse. Fra gli ecclesiastici la cosa non era inso lita, Il liuto venne, e uno dei paggi al seguito del cardinale incominciò a pizzicare le corde. Poi cantò. La sua voce delicata, sot tile, calmò l'eccitazione generale. La musica monoto na djsponeva al son no.

Si levavano le men se quando un valletto annùnziò Claudia , Il cardinale diè un balzo s ulla sedia, gli altri invit ati spalancarono gli occhi per la meraviglia. La paura li riprese poiché essi t emevano la mala femmina.

Claudia vestita di nero entrò. Abbracciò il padre, che si era mosso ad incontra!la nel corridoio, e appena entrata nella sala del convito si diresse verso Emanuele.

Gli uomini si guardavano l'un l'altro. Gli ufficiali s'inchinarono · leggermente al saluto di Claudia, come pure gli accademici. Solo i preti conservarono la loro immobilità statuaria e il Io'ro atteggiamento ostile. Claudia gettò in un angolo l'ampio mantello nero che la ricopriva sino ai piedi, si tolse lo zendado dalla testa, sl che i capelli discinti piovvero sulle spalle.

La faccia apparve un po' patita, ma gli occhi conservavano tutto

100 OPERA OMNIA DJ BENITO MUSSOLINI

il loro fulgore. Nessuno dei convitati parlava. L'appacizione impro v• visa li aveva sgomenti. Oaudia sedette, vicino al cardinale. Ella com. prese dall'eccitazione mal repressa di quest'ultimo che una scena g ra• ve doveva essersi svolta prima dell'arrivo cli lei. Rimpianse di non essere giunta prima. Atteggiò le Jabbra a quel sorriso che D o n Benizi o chiamava divino e il popolo, diabolico ; poi, alzandosi e modulando la voce che conosceva le v.ie segrete che giungono al cuore degli uomini, disse:

« Mi pare di essere giunta ad un convito funebre. Perché nessuno parla? Perché la mia apparizione ha spento la gaiezza del conve rsare ? ».

Po i, volgendosi al paggio:

« E tu, perché non suoni?».

Il p aggio pose le dita sul liuto e ne trasse alcuni accordi.

« E voi, mio principe, perché tacete ? La mia visita improvvisa vi tu rba, sembrami, Eppure non c 'è nulla di straordinario. L'aut unno è inoltrato. Ero stanca di soggiornare a Castel Tablino. So no ve nu ta, sola, cosl. Forse avrei dovuto preavvisarvi. M a non credevo di giungei:e proprjo ad avvelenare la gioia conviviale dei signori. Me ne vado »

E fece un passo verso la porta. Ma il cardinale l'afferrò per l'amp ia manica e la" ·supplicò:

« Restate, Claudia. Siete in casa vostra ».

Il sorriso di prima comparve sulle labbra della dominatrice. Lanciò un' occhiata di sfida ai prelat isogguardanti con ceffo ostile; poi, ricomponendos i nella dignità statuaria che le era abituale, pronunciò:

« Se veramente sono in casa mia, gli ospiti che si attardano alle vostre tavole, o mio sig nore, mi sono in ques to momento importuni. Vogliate licenziarli >> .

I convitati no n attesero l'ordine del cardinale. , Si precipitaro no fuori . Pochissimi salutarono Emanuele. P ur tra i fumi del v ino, essi s i di mostraron sdeg nati dello scandalo inaudito. Ciò supera va ogni limite umano. Solo i tedcschì non partecipavano alla riprovazio ne comunè, Ma i preti erano furibondi. Il ritorno improvviso dì Claudia li sconcertava. Essi temevano nuovi piani, nuove rivolte, ouovi l utti e sempre scandali.

Il teologo, sbalordito, mentre discendendo verso il quartiere di Borgo Nuovo riprendeva a poco a poco lo stato normale. prevedeva calamità orribili; imminenti.

« Ecco», egli diceva, « la r iprova di quanto io dissi durante il co nvito . Le donne destinate a funestare i principi e i p opoli sono capricciose, violente, imp(nctrabili. Chi di noi pensava alYarrivo di Claud/a? Essa è giunta come un uccello del malaug urio. Vedrete, siamo alla fine».

CLAUDIA PARTI CELLA 101

E i prelati affermavano con br evi fras i, tagliando l'aria della notte coi gesti stanchi degli uomini sazi e an noiati.

Intanto nella sala del convito erano rimasti soli il cardinale e Claudia. Sulle tavole agonizzavano i fio ri; l e piante negli angoli avevàno piegate l e foglie pel tepore c arico di tutti gli odori delle vi vande; il liuto abban donato au mentava la malinconia del tuogo e dell'o ra

Il s ilenzio era solenne. .Di tempo in tempo si udiva il passo cadenzato delle g uardie alla porta e H grido delle sentinelle.

Emanuele aveva chinato la tes ta sotto. il peso di una tortucante meditazio ne. Claudia lo guardava, senza far· parola. Quante volte le loro anime avevano g oduto di queste intimità dolci e colpevoli, I ricordi facevano rivive re tutto il passato. Ma Emanuele e ra stanco, sfinito. Egli aveva forse troppo bevuto. Un dolore acuto, ineffabile, diffuso, lo prostrava. Aveva bisogno di essere confortato. E , Claudia, dolcemente, lo abbracciò. L a mano tenera passò leggera sulla fronte ardente, dove g li anni, le tempeste e i l potere avevano tracciato i solchi della vècchiaia; coperse g li occhi velati di malinconia, sfiorò le gote che avevano la pelle indurita. E poi le parole della passione vennero alle labb ra di Claudia....

« Non mi aspettavi, lo so. Ma sono venuta, perché la reclusione mi stancava. Dammi qualche notizia di Roma».

Emanuele alzò il capo, prese le mani di Claudia e se le portò al1a bocca:

« Tristi noti zie giunsero. 11 P apa mi nega ogni dispensa. Venne suora Bernardina da Rovereto ad annunciarmi la decisione ponti6cia. Ella mi rimise la sentenza suprema, vergata dalla mano stessa del Papa. Stracciai la carta».

Questo atto di rivolta sacrilega non stupl Claudia.

« Ebbene, nutri anco(a qualche sper anza? Che cosa ha i deciso ? Perché non m i hai informa ta degli avvenimenti? Ti ricordi le vecchie promesse? Fuggi remo ? ».

Q ueste domande tumultuavano sulle labbra della bella cortigiana. Emànuele tac·que alcun poco, quasi avesse bisogno di riordinare la tra ma delle sue idee. Poi disse :

« Io no n spero pi ù. Il Papa è irremovibile. Le attestazioni dei miei confessori a nùlla giovarono. Si vuole evitare ad ogni cos to lo scandalo pubblico come se il popolo ignorasse la nostra storia. Ma stasera ho deposto ogni maschera. Stasera, poco prima del tuo arrivo. ho pr oclamato co n tutta la mia forza, con tutta la mia passsioneche t'amavo....)>.

« Ora comprendo il perché della tua agitazione», interruppe Claudia.

« Sl », prosegui Emanuele, « la mia confessione ha schiacciato i

102 OPERA OMNIA DI B ENITO
MUSSOLIN(

convitati; specie i p:teti. 1-H sono liberato da un peso ingombrante. Ora sto m egli o. Ho osato, Claudia mia . Finalmente ho osato. Domani tutta la città saprà quanto è accaduto stasera. Non importa. Ormai H daclÒ è tratto. Se la mia dichiarazione sarà interpretata come il prelu dio della mia ribellione al Papa tan to meglio I ».

Emanuele ritrovava i propositi 6 eri della virilità che non rinu ncia alla vita e all'amore, 1'.fa Claudia rima neva perplessa. L'avvenire le si presentava davanti come un enorme punto interrogativo. Si alzò e aprl la finestra. L'aria rigida deUa notte ottobrale calmò per un poco la sua eccitazione, Poi si volse improvvisamente e domandò :

« Perché non fuggiamo ? ».

« Fuggire ? E dove?)>,

« Ti ricordi il nostro colloquio di Castel Tablino? Mi pro mettesti di rinunciare a tutto pur di vivere con me, lontano da Ttento, ua genti sconosciute, E adesso..,. ».

« Vo rrei fuggire, ma.... ».

La confessione gli bruciava. L'uomo non dichiara mai volentieri la propria impotenza.

« Non posso. La Chiesa di Roma ci perseguiterebbe ogni giorno, avvelenandoci di paura e di sospetto gli anni della·nostra vita. Tu sai che la Chjesa di Roma non ha mai perdonato a quelli che uscirono d al suo grembo per ubbidire a passioni terrene, Noi saremo inseguid da paese in paese e trascineremo un'esistenza misecabile e tormentata. Meglio rimanere qui e sfidare la collera del Papa, le congiure degli ecclesiastici e le rivolte del popolo ».

« Anch'io rimacrò qui?)), doman dò Claudia.

<< Non v'ha dubbio. L'ho dichiarato anche in prèsenza d ei miei convitati, lo dichiarerò tutte le volte che vorrò. Questa casa è tua Tu sei la padrona di questo castello, e quando tu volessi demolirlo o incendiarlo, mi inchinerei al tuo desiderio, non mi opporrei al tuo capriccio)>.

La dedizione totale dell'uomo lusinga la vanità infantile, primordiale delle donne, e Claudia accolse la frase di Emanuele con un fre mito di orgoglio che le attraversò il sangue EWera dunque sicura. Po teva osare.

« Ascoltami, Emanuele. lo non ti chiedo, né ti chiederò la libettà di demolire o incendiare questa p rincipesca dim.oca nella quale ~tto ci è familiare e tutto ci racconta d ella nostra dolcissima storia. Ma v i sono degli uomini odiosi che io vogJio allontanare, degli sguardi prepotenti che n on voglio incontra.re più e ti chiedo.... )>

Prima di terminai-e la frase, Claudia s'inchinò su Emanuele.

« Ti chiedo la libertà di proscrivere i tuo i, i miei nemici~ tutti co-

CLAUDIA PARTICELLA 103

)oro che ci hanno insidiato, Oh, non ti chiedo una cosa impossibile e assurda·>), ·

« Ma)), obiettò Emanuele, « queste persecuzioni moltiplicheranno i nostri nemici ».

« Non importa ! », dichiarò Claudia. « Liberia·moci dai più molesti, né preoccupiamoci di qu elli che verranno, se e quando v ermnno. Il tempo dell'allegra vendetta" è giunto. Forse non saremo costretti a fuggire, se ci mcttCfemo all'opera con audacia», Emanuele chinò il capo. La dominatrice trionfava ancora u na v olta.

104 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

VII.

La notizia del ritorno di daudia si diffuse nei giorni seguent i per tutta la città, suscitando grande impressione, Qualcuno dei cavalieri amici del conte Antonio di Castelnuovo avverti subito q uest'ultimo.

I prelati del Consiglio della cattedrale tennero una riunione segreta in cui decisero di rinnovare le istanze presso il papa e l'i mperatore per un loro intervento immediato n egli affari del principato.

I commercianti, i bottegai, gli artigiani temevano che col ritorno di Claudia crescessero i balzelli; il popolino, da ultimo, manifestava nelle conversazioni delle bett~le propositi di ri volta.

Anche i cortigiani, gli intimi del castello, i funzionari del principe fiutavano odor di cadavere, e coll'ingratitudine prOpria dei servi si preparavano a cambiar padrone. Dkerie assurde, calunnie turpi, racconù fantastici circolavano in città e formavano l'argOmento di tutti i discorsi.

I cittadini ragionavano sull'avvenire colla preoccupa2ione di chi non vede strade dinan2i a sé che non lo conducono alla r ovina. Il seco lo d:lla dominazione madruzzea si chiudeva ingloriosamente nella cronaca scandalosa di un amore senile I

Il cardinale non aveva più difensori. Le pietre della lapidazione mor ale gli venivano lanciate da tutte l e parti, dai g randi e dagli umili, dai ricchi e dai pove ri. Un t empo la sua pietà cristiana gli aveva conciliato moltissime sim patie. Si d iceva che egli digiunasse tre giorni in settimana oltre le vigilie ed e ra anche nota la sua d evozione verso le an ime del purgatorio, in sollievo delle quali egli aveva fatto celebrare migliaia e migliaia di messe. Ora si g iudicava tutto ciò ipocrisia, doppiezza, falsità, arte diabolica. Com'era possibile, infatti, si domandavano i n emici del cardinale, com'era possibile la fede e il peccato?

Eppure la morale dei contemporanei era elastica, pieghevole, adattabile, specie nei riguardi del clero, che p areva godesse dell'impu nità. Molto si p erdonava. La Chiesa di Roma del resto aveva dato il malo esempio. I successori della cattedra di Pietro si erano macchiati dei più n efandi delitti. Già subito dopo il suo trionfo politico con Costantino, la Chiesa di Roma, divenuta da cri stiana cattolica, ave va tu.versa to grav i crisi scismatiche e g ravissime crisi d'ordine morale. Ammiano, storico del I V secolo, descrive « i vescov i cittadini che arricchiti colle obla2ioni delle matrone percorrono le vie assisì nei cocchi,

CLAUDIA PARTICELLA 105
8, • XXXIII,

vestiti sp~endidamente, amato ri di banchetti abbondanti cosi da supe rare le m ense regali». La reazione a questa corruzione fu rappresentata dal m onachismo iniziatosi in Egitto, dove g ià il terreno e ra preparato dall'ascetismo praticato dai devoti d ' Iside e di Serapide.

D opo la fioritura francescana, il movimento degenerativo del catt olicismo s i accentuò. I sommi p oeti d 'Italia imprecarono contro R oma papale, divenuta putrida sentina di t utti i vizi.

l p api sintetizzavano la turpitudine universale. Alessandro VI de lla famiglia Borgia, tristemente celebre come propinatrice cli veleni,fuincestuoso, nepotista, Leone X pose a tariffa le assoluzioni dei peccati e Clemente VII manteneva buon nume!o di donne lascive, fra le q uali celebre un'africana, che l o sollazzavano in Vaticano. Paolo III avvelenò la madre. Giulio III praticò l'amore greco. Pio V coniò med aglie per celebrare 1a flo tte di San Bartolom eo, nella quale i cattolici versarono a Parigi il sangue di parecchie decine di migliaia di Ugonotti. Sisto V fu un apologista del reg icidio, conformemen te alla dottrina dei gesuiti, che per bocca del Joro generale Mariana proclamavano «fadnus memorabile» l'atto di J acques Clement e consigliavano l'uccisione della regina Elisabetta.

Se i primi reggitori della Chiesa prescelti alla salvezza spirituale dei popoli davano tali scandalosi esempi, come si poteva pretendere che i minori seguissero rigidamente l'evangelica morale della rassegnazione, della rinuncia, della penitenza?

Tut ta la gerarchia cattolica era infetta, dal Pontefice all' ultimo chierico d'un villaggio alpino. La condotta di E manuele era stata t o llerata anche troppo e fo rse cale· benigna tolleranza non sarebbe mai venuta meno se il cardinale n on avesse coi regali a Claudia esasperato Ja miseria del popolo. I poveri temevano che Claudia esaurisse le risorse del principato. E allor a sarebbe stata la fame, la fame vera~ che dà agli stomaci vuoti i crampi terribHi della disperazione,

L'inverno si avvicinava. I boschi delle mo ntagne ingialliva no - e perdevano le chiome. Il vento freddo del Tirolo annunziava la neve, le campagne- desolate dell'au t un no no n offrivano nulla ai miserabili che vi cercavano il pane. Gli animi erano plumbei come il ciclo. La città pareva deser ta, abbandonata. S.i parlava dell'ultima cena tenutasi al castello come di un delitto perpetrato ai danni del popolo. Si banchettava allegramente al castello, men tre oltre Adige la fame batteva con ·r itmo sinistro a tutte le p o rte. « Si ricomincia I », g ridava Cima, alla taverna del fossato di San Simonino. « Avremo, come l'anno scorso, una serie di banchetti. Invece della regina di Spagna, abbiattlo Oaud.ia.

Ci divertiremo a raccogliere Jc briciole e a rosicchiare le ossa».

Le donne soprattutto erano furibonde. Consideravano Claudia

106 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

come una fortunata ri vale e nel loro odio v'era l'invidia e la gelosia. Ah se avessero potuto trascina re la impudica cortigiana s ulla pubblica piazza, segnarla, come le meretrici, con un distintivo, porle addosso la corda larga tre dita di colore croceo che dalle spalle per di dietro e per davanti andava sino alla cintura, reJegarla in un lupanare con rullio di tamburo e schiocchi di frusta , come solevasi fare con tutte le altre. O, meglio ancora, erigere u na catasta sulla piazza della Cattedrale, una catasta alta come il tiglio, una catasta di legna secca e crepitante, e porvi sopra legata al palo d eB'ignominia Oaudia, e ab bandonarla alla carezza mortale delle fiamme p urificatrici.

Questi desideri d'odio covavano nel cuore d elle matrone t rentine, che, pur essendo in molta dimestichezza carnale coi ministri dì Dio, avevano adottato tutte le cautele che i gesuiti consigliavano per salvar le apparenze. Non erano caste, le matrone trentine, ma caute ; e disprezzavano Claudia perché non aveva saputo o voluto tener nascosta la s ua relazione con Emanuèle, ma l'aveva invece divulgata e se n 'era addimostrata orgogliosa, superba,

Claudia intanto poneva metodicamente in esecuzione il piano propostosi. Ella sentiva_ bene i reticolaci d'odio che si s tringevano ogni giofno di più attorno, ella leggeva bene nell'occhio dei cortigiani il disprezzo, la paura, la maleclizio ne. Bisognava agire per spezzare il cerchio di ferro, per aprirsi u n varco, p er imporsi, facendo mordere la polvere ai nemici che preparavano gli attacchi insidiosi nell'ombra. E le vendette incominciarono. A brevi intervalli di t empo, alcuni funzionari del castello vennero licenziati. Verso la fine. di n ovembre, Ludov ico Particella, dietro orcline del cardinale, condannò all'esilio per un quinquennio i due cavalieri che accompagnarono il conce di Castelnuovo nell' ambasciata al pa lazzo delle Albere, Orna scomparve, Un g iorno l'acque torbide dell'Adige rigettarono alla sponda, poco lungi dal Ponte di San Lore nzo, il cadavere di un prete. E ra il teologo, Si gridò all'assassinio. Ricordando Ja parola imprudente lanciata dal teologo al banchetto ultimo del castello, la voce pubblica accusò daudia di ave re prezzolàto un sicario per far scomparire l'importuno ministro di Dio.

Il cancelliere imperiale ordinò un'inchiesta, ma senza risu1tato. Claudia ispirava tutte queste piccole e grandi vendette, il cardinale ubbidiva, Ludovico eseguiva. Le solen nità del Natale non ar res tarono la persecuzione. Claudia decise di recarsi' in Duomo alla messa d ella mezzano tte, Non appena il cardinale ve nne a conoscen za di ques to proposito temerario, cercò dissuadere Oaudia. Pregò, implorò, ma invano. Né il padre di Claudia ottenne maggior risultato,

CLAUDIA PARTICELLA 107

<< Voi t emete per la mia vita, non è vero ? », chiedeva Claudia, « Ebbene, io saprò venderla a caro prezzo Nessuno ardi rà toccarmi l Nessuno oserà insu ltarmi I. Io sono certa che la folJa si apdrà al mio passaggio. Io sono convinta che le nobili sign ore trentine non sopport e ranno il mio sguardo di s6da e chinerannò la fronte. Ci sono, è vem, gli amici del conte Antonio di Castelnuovo, il fidanzato di Filiberta. Ebbene, anch'essi n o n oser anno toccarmi. La notte di N atale non dispone g li animi a vendette V'è una sosta negli odi e n egli amori Infine io sono sicura della mia vita».

Il car dinale ordinò tuttavia che due « suzzi » seguissero O au dia a debita distanza per proteggerla da qualunque attacco e Claudia st~ssa prese molte cautele. Indossò un' ampia tui:1ìca di velluto nero e pesante, stretto alla cintura da u na fascia sottile di set a; si co~rse il opo con un ampio zendado, che q uasi le nascondeva il volt o tutto; n on d imenticò , di porre ncUa· cintura un picco lo, sottile pug nale d al manico tempestato di gemme p reziose, Trovò la compagnia in una g iovine signora, moglie di u n diplomatico spagnol o di passaggio da Tren to. Le due donne discesero -dal castello verso la mezzanotte e si diressero a Santa Maria Maggiore, la chiesa celebre per il Concilio in essa tenutosi un secolo prima deg li a:vvcnimenti che abbiamo narra to e narreremo.

La notte era fredda, chiara, s tellata . V'era nelie vie di Trento gran folla di cittadini che si recavano nelle chiese per celebrare la natività del Redentore. Le campane dall'alto delle torri invitava no i fedeli a u scir dalJe case, poiché il Fig lio de ll'Uomo stava per nascere. Il mito cristiano, la d o lce leggenda palcstinica, suscitava allora nelle anime echi p iù fo rti, sentimenti più dolci, nos talgie più .profonde, e tutta la città si vùocava per gremire le chiese.

Santa .Maria Maggiore er a già piena quando Claudia vi giunse.· Ella entrò, si fece larg o fino in prossimità dell'altar maggiore. S'inginocchiò sullo stesso banco, insieme colla sua compagna; unl le mani, chinò la t esta, pregò. Non era certo il ·dio terribile deHe vendette, che r ovescfa i suoi terrori e scaglia i suoi fU:lmini sull'umanità piccina, quello che Claudia invocava nel suo temporaneo e fugace rapimento mistico I Non il dio degii odi, ma quello degli amori. Oaudìa non chiedeva perdono di ciò che aveva fatto, non confessava la sua passione, ma d omandava al Dio della misericordia anco!a un po' cli vit~ un po' di quiete, un po' d'amore I

I ceri altissimi illuminavano l'altare e tutta la chiesa. La folla prostern ata alzava di tempo in tempo le teste, nell'attesa dell'apparizione, Finalmente, cadde il piccolo velario e in ~na culla brillante di pietre preziose, ben d.i-~·ersa dalla mangiatoia di I3etlern, apparve il bambino,

108 OPERA OMNIA DI B ENITO MUSSOLINI

parvoletto di legno e di stoppa. I preti, adorni di tutti i paramenti sacri, si v olsero Claudia lanciò loro u n'occhlata. Li conosceva. Ah se i sacerdoti ofli.cianti s i fosser accorti che in uno dei ptim i banchi stava inginocchiata Claudia, le loro facc e rotondet te traspiranti gaudio e letizia si sarebbero contratte nelle smorfie della collera che ~ plode; le voci che osannavano ·colle note lente e gravi della melodia liturgica il re del Cielo, avrebbero trovato gli accenti acuti dell'esasperazione; le loro mani che ora compievano il gesto breve e purificatore, si sarebbero alzate per battere la repro ba che osava sfidare l a Chiesa e forse D io. Ma nessuno de' p reti si avvide della presenza cli Claudia E il canto ricomirtciò. Mille corde vocali vibravano, s'allun gav an o nelle finali e l'onde sonore morivano sotto le amplissime navate immerse nell'ombr a. L'organo accompagnava il coro e dava al canto a mpiezza e profondi tà. Fumi d'focenso salivano in alto, formando ·attorno .al bambino delle nuvolette odorose. Le mani dei preti s'agitavano verso la folla misura ndo il gesto di chi raccoglie un popolo sot to la s ua benedizione e la turba, uo mini, donne, bambini, si curvavano, attendendo. Che cosa? Il miracolo? Il neonato, immobile nell a sua culla, sembrava· guatdare coi suoi occhi vitrei di bambola coloro che celebravano la festa maggiore della cristianità. Egli non poteva compie re nessun miracolo. V'erano "ne1la chiesa paralitici, SO[di, ciechi, muti, peccatori e peccatrici, ma t ut ti questi bisognosi dell'aiuto div ino credevano senza sperare. La cerimonia ebbe termine.

La moltitudine abbandonò la chiesa. Claudia, immobile al suo banco, sembrava assorta in una vjsione paradisiaca. I suoi occhi aveva no raccolto tutte le luci dei ceri, t utti i raggi delle stelle~ nelle sue orecchie brillavano le note solen ni e melanconiche degli ioni liturgici, jJ profumo v iolento e snervante dell'incenso l'avevano stordita, conru·sa; dalla bocca cli lei e rano uscite le preghiere della disperazione, dell'amore, della speranza ; tutto i l suo corpo era per vaso da quella s ta nchezza deliziosa che i grandi mistici d ei p ri mi secoli d ovettero prova re dopo i loro rapimenti "ultraterreni. Stav a dunq ue per purificarsi la bella cortigiana odiata d a tutto un popolo ? Era forse quella la prima tappa per la strada solitaria e deserta del pentim ento ? _ E le p areva di vedere sui colli fioriti gli armenti raccogliersi attorno ai pastori e obbedire a un cenno, ad u n grido, ad un sibilo. Perché E manuele non avrebbe potuto tornare il buon pastoie della sua chiesa?

Ah I Claudia era l'insormontabile ostacolo. Bisognava partire da T rento, abbandonare il cardinale, dirigersi verso terre lo ntane, v ivece igno rata fra gente sconosciuta, morire senza vane paure, sen2a sterili rimpianti. Ma Claudia, che ·si faceva qlleste domande e formulava questi piani, attraversava un mo mento di follia mistica. N o , Non

CLAUDIA PARTICELLA 109

ancora l'espiazione o l'abbandono, la solitudine, l'esilio. Pjù tardi I Claudi a· si alzò.

11 tempio era ormai deserto. Dietro una colonna della navata veg liavano i due « suzzi ». Le due d onne uscirono dalla porta con passo . leggero. Ora le campane tacevano e le strade erano vuote. I cittadini avevano riguadagnato le loro case e sedevano davanti ai focolai nei quali crepitava il ceppo di rovere. Quando Claudia giunse all' imb occo del qua rtiere di San Marco, u n uomo coperto da un ~mpio mantello nero le attraversò la strada e alzç> la mano armata di pugnale. La s ig no ra che accompagnava daudìa emise un acutis simo grido, che fece accorrere i « suzzi ». Claudia schivò prestamente il colpo e mise la mano sul piccolo stile che p ortava alla cintura. Ma lo sconosciuto che avev a fallito il colpo si mise a fuggire, ·I « suzzi » lo inseguirono e lo raggiunsero. Claudia continuò tranquillamente. Giunta al castello, ordinò ai « suzzi » di condurrc il prjgioniero in sua presenza. L'altra signora, spaventatfasima, si era g ià ritira ta nelle sue stanze, qua ndo in una delle priffie sale a pianterreno comparve il temerario che aveva attentato alla vita della cortigiana trentina. Egli era solidamente legato,

Oaùd.ia ordinò anzitutto alle guardie di non far motto a nessuno dell'aggressione. Poi domandò al miserabile che si era posto ginocchioni:

« Chi sei ? Perché volevi uccidermi ? Che cosa ti ho fatto ? Mi conosci? >>.

L'uomo alzò gli occhi che brillavano di un lampo di ferocia e di odio e disse con voce sorda:

« Voi non mi conoscete certo, signora, ma io vi conosco, purtroppo I lo sono i l fratello del teologo che fu ritro vato in riva a ll'Adige · poco tempo fa.... ».

<<"Ebbene? », interruppe Claudia.

(( Voi lo avete fa tto gettare n el fiume ed io volevo ve ndicarmi e vendicarlo. Deploro che il colpo non sia riuscito. Ed ora sono pronto ad affroI)tare la vgstra collera».

« Alzatevi. Voi non mi conoscete, evidentemente. Voi e molti altri credete che io abbia sete di sangue e nobile e plebeo. V ' ingannate. La vostra vita è nelle mie mani. Nessuno potrà Salvarvi se io non lo voglio. Ebbene, io lo voglio, voglio salvarvi».

« Perché non avete salvato mio fratello ? »

« Ma sono forse io la causa della sua miseranda fine?)).

« Lo dice -il popolo».

« Ah, il popolo I E voi, dietro a dicerie infamanti, avevate deciso cli uccidermi. Ditemi, credete di meritare il mio perdono ? >>.

110 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

« No, e non lo voglio».

« Preferite dunque la prigione e la morte?».

«Si!».

« Disgraziato I», gridò Claudia. « Io vi perdono egualmente I Uscite da questo castello, tornate :alla vostra casa. È troppo dolce la festa cristiana per turbarla con· visioni di vendetta e ·di sangue Liberate quel prigioniero ».

I « suzzi obbedirono.

« Accompagnatelo alla porta f ».

11 prigioniero si volse. Che co sa esprimevano i suoi occhi ? Riconoscenza ? Odio ?

Claudia riguadag nò le sue stanze e dorm1, forse per la prima v olta in vita sua. un sonno tranquillo e profondo.

CLAUDIA PARTICELLA
111

Donne e giovane/li amanti, viva Bacto e 11iva A n,ore ! Ciasmn snoni, balli e canti ; arda di dolcezza il core Non fatica, non dolore ! Q11el ch'à esser convien sia!

Chi ti:tol euer lieto. sia!

Di doman non v'è ((!T!ezza

Quant'è bella giovinezza

,he ci sjJJgge lul/a!)ia I

Le stanze di Lorenzo de' Medìci, sbocci~~e all'alba prima del gloriosissimo Rinascimento italìcò, ~ran o e sono l'espressione d eH'epicureismo nella vita, che si sos tituiva a li~ mortificante dottrina cristia na della rinuncia. Il grido della carne che si ribellava alla tirannia teologica dello spirito prono all'assolutismo del dogma aveva echegg iato lungamente per t utte le contrade d'~uropa, scotendo g li u omini' dai p alazzi ai tug uri, d alle pianure alle m ontag ne, dalle città ai campi. Non p iù le lunghe teorie dei p eccato ri trascinatiti i loro corpi disfatti verso u na lontana Tebaide di espiazione, non più i cilici, i flagelli, l'astinenza e la mo rtificazione d ei p idocchi, inaugurata dal beato L abre, non più la solitudine desolata del chiostr o, ma la gioia p r o fana, divenuta scopo di tu tte le azioni, ma il piacere dei se nsi che erompe da ll'i ronia eno r me di Gargantua, come Ja rivendicazione di quanto fu per lunghi secoli depresso e avvilito. La Chiesa non res iste al vizio, ma combatte col sangue e col r ogo l'eresia. Cosi il p agan esimo, al quale la Chiesa di Roma h a rubato gerarchfa, riti, simboli e iddii, si perpetuava- ri gogli oso, specie nelle ter re latine.

A primavera, dopo il lungo silenzio iemale, gli uomini s'abbandonavano alla campagna Le ant iche costumanze si trasmettevano i naiterate da generazione a generazione. Ecco·i fuo chi di marzo che brillavano sulle montagne, ecco il tratto-marzo, cerimonia caduta in oblio in -città, ma ancor vi:va nei villaggi e nei b orghi lontani d elle

·vallate, ecco, più tardi, le r Ogazioni, s imili ne' motiv i e ne11a forma alle processioni de' sacerdoti pagani, che movevano nei campi a sa~ l uta re e celebrare il risveglio della natu r a.

I n:iesi più freddi dell'inverno eran~ passati. Marzo sorrideva con

112 OPERA OMNIA DI B ENITO MUSSOLINI
.VIII.

la sua grazia ancora acerba. Le meravigliose giornate in cui tutta Ja chiarità virgiliana dell'italico cielo preannuncia la novale, invitavano . alle lunghe escursioni fuori della città.

Claudia aveva passato melanconicamente l'inverno. Posto, ~on tutta l a calma, in atto il suo piano, era giunta a liberarsi dei più 6eri nemici e a farsi universalmente temere. T emere, non già amare. . Malgrado l'atto generoso d~ lei compiuto la notte di Natale, atto che il be ne6cato aveva divulgato contrariamente aile promesse; malgrado no n si fossero più tenute né feste, né banchetti al castello, pure contro di Claudia si dirigeva esclusivamente l'odio dì tutta la cittadinanza. Si compativa ·il cardinale ritenendolo una vittima de' malefici diabolici della pervers·a femmina, ma non si perdonava a costei. E O audia si sentiVa sempre attorniata dalla .6tta rete dell'odio, del sospetto, della calunnia, Onde ai primi di mar~o ella fece al cardinale una proposta che ·non mancò di stupirlo. Claudia aveva deciso di tornare a Castel Toblino. P erché sarebbe restata a Trento ? Oramai la sua missione era compiuta. Si era proposta di fiaccare i suoi nemici e aveva raggiunto lo scopo. D'altra parte le ultime pertinaci speranze di una favorevole risposta da Roma dileguavano.

Il Papa, certamente sobilJato dai canonici della cattedrale, non avrebbe mai concesso la dispensa con tanto fervore, con tanta ostin azione e con tante Spese invocata. Tutte le lunghe discussioni avute jn questo periodo di tempo con Emanuele non avevano risolto il problema. Il cardinale conti nuava ad essere tentennante, ind eciso, debole. No n si rassegnava a perdere Claudia, ma non sapeva come ass icurarsene l'unione. Egli e ra invecchiato. I sentimenti del popolo a suo riguardo non gli e rano sconosciuti. Lo si compassionava e lo si m1lediva. Av rebbe voluto amicarsi i suoi sudditi, tornare nella l oro estimazione, farsi perdonare e lasciare buona memo ria della sua dominazione1 ma per tuttci ciò bisognava abbandonare Claudia, licenziare Ludovico Particella, eliminarsi dal cuore i sentimenti profondi d'ami- · ciÌia per jl padre, l'amore per la figlia. Impossibile ! Emanuele cont inua va a vivere alla giornata, nell'attesa inutile e assurda di un evento straordinario che lo avesse tolto da una situazione sempre più g rave. E Claudia cominciava a stancarsi I Ella sentiva che l'amore di un tempo era scomparso, No n più le fiamme della grande passione, ma un affetto uguale, rrioderato, abitudinario. Il suo sogno di dominatrice svaniva. L 'amore del cardinale non le bastava più. Era troppo senile. Pur tuttavia non aveva il coraggio di diclµara rlo. Le dispiaceva di fac soffrire un uomo èhe avev a amato con tutta la focza dell'animo e che amava ora pec un sentimento, assai raro nelle femmine, di g ratitudine e d'amicizia.

CLAUDIA PARTICELLA 113

Ma il cardinale n on s'illudeva. Egli sentiva che il cuore cli Claudia era o rmai ·vuo to per lui. E si aggrappava a Claudia, a ncora fio rente, co n la t enacia dell'edera che p ianta le sue r adici nella scor2a della que r~ eia. Cosl, quando gli manifestò il d esiderio di t ornare a Castel Tablino, il. cardinale cercò tutti i mezzi per dissuaderla. Ma la cortig iana 6nJ, come sempre, per im porsi. Ella aveva bisogno di tornare fra i campi, in riva a quel lago che l'aveva ta nte volte e cosi dolcemente cullata nelle plenilunari notti estive. E parti senza rimorsi e senza speranze La sua partenza non passò inosservata e fu salutata co n un sospiro di soddisfazione.

Il cardinale rimase solo, in quel castello che gli sembrava disabita to da quand o Claudia era partita. Si rinchiuse nelle sue stanze ed e bbe. un periodo in cui solo i familiari intimissimi furono ammessi a vederlo. Corsero dapprincipio voci allarmanti in città. Si credeva che il cardinale fosse ammalato e s'attribuiva a ·Claudia l a causa d el male. Le donnicciole che abit avano nei Vicoletti del centro e si raccoglievano acile r ogge a lavare, dichiaravano senz'altro che il malessere del principe si doveva a stregonerfa di Claudia. Il ricordo delle streghe e dei famosi processi si era tramandato da padre a fig lio. Tut ti credev an nel potere diabolico delle streghe e i medici dell'ep oca e i teolog i cercavano sul corpo delle disg raziate sospettate di stregoneria il 1igillu111 diaboli, che le rendeva subito degne di salire il sacro rogo. Ma quando per le immancabili indiscrezioni si venne a sapere che il cardinale r estava rinchiuso nei su oi appartamenti per il d olore della parten za di Claudia, i discorsi seri cessarono e le beffe e le celie e il ridicolo lo sostituirono Si b u rlava il vecchio cardinale esautor ato che faceva p en~tenza per Claudia e commetteva le follie dei g iovanetti che muovono i primi passi su que lla strada di cui l'« an a111andi » di Ovidio illustrazione classicamente perfetta Le sati.re p iù m o rdaci correvano impunemente s ul conto del cardinale. N e1Ia ricorrenza del tratto -marzo, ingiuriose e b u ffonesch e iscrizioni comparvero sui muri della città. La d ominazione madruzzea finiva nel m odo più inglori oso. che immaginare s i possa: moriva n el ri dicolo. Il dirigente politico del principato era sempre Ludovico Particella. osteggiato apertamente dal Capitolo della cattedrale. Questi preti non avevano ancora ottenuto d all'i mperator e e dal papa q uell'intervent o ch 'ess i avevano cosl ipsistentemente invocato.

Mentre il cardinale trascorreva melanconicamente rinchi uso i suoi g io rni, Claudia aveva p reso possesso di Castel T oblin o. Marzo volgeva alla fine. La campagna risorgeva. I boschi offrivano all'occhio il colore te nuamente verde . del1e p ri me fog lie che erompono dalle gemme turgide come bocche che si dischiudono al bacio d elle rugiade

114 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLJNI

mattutine. E questo verde copdva i declivi della montagna, la rivestiva tutta quanta sino ai picchi di cui le calve asperità si profilavano all'orizzonte. Nell'aria era diffuso il tepore ·della primavera. Strani effiuvl passavano trasportati e dispersi dai venti; gli uccelli uscivano dai ripari invernali e aprivano le gole pel canto; gli animali che strisciano sulla terra comparivano dai crepacci a godersi il sole.

Sùlla riva del lago crescevano le erbe, i pioppi ricoprivano la loro desolata nu~tà, -v'era ovunque la frescura, la soavità, la forza della ;iovinezza che si rinnova pereanerDehte.

E Claudia occupava le sue g iornate in lunghe e movimentate escursioni attraverso i campi o sulJe montagne. Sola o in compagnia di un fidatissimo scudiero, ella usciva a1l'alba, montava a cavallo, galoppava furiosamente inebbriandosi nella corsa, si spingeva in alto, raccoglieva dei fiori, delle piante, delle pietre, e t ornava al castello deliziosamente stanca, dimentica di se stessa e di tutto. Alla sera, quando la luna diffonde va la pallida luce e le acque del lago vibravano come tocche da una misterìosa carezza, daudia montava sulla barca e tutta sola si dirigeva al largo Q ui ella abbandonava i remi, si racco• glieva per udire le voci profonde della notte e le pareva che le v oci dei vivi e quelle dei morti, le voci che discendevano_ dalle altezze de' cieli e quelle che salivano dalla profondità del lago, celebrassero la libertà di lei e il suo ritorno alla solitudine, Le sue notti erano tra nquille. L'oblio compiva la sua opera silenziosa e tenace. Ella dimenticava : dimenticava gli amici e i nemici, dimenticava anche il cardinale, il cui ricordo il1anguidiva, lentamente. ·

Ma se daudia, nell'espansione di tutte . le sue energie, 6niva per dimenticare i suoi nemici, costoro non dimenticavano lei.

Il conte di Castelnuovo, che, come sappiamo, era fuggito in I t alia dopo i tumulti di piazza di Fiera, da qualche tempo v iveva cli nascosto fo una casa fidata, sita nei cLintorni di Pergine. Nessuno sospettava il suo ritorno, né la sua presenza nel Trentino. A mezzo di emissari, che si fingevano girovaghi venditori di stoffe, egli era in continua relazione con don Benizio, ricoverato in un convento vicino a Bressanone.

L 'ex-segretario del principe Emanue1e non aveva dimenticato Trento. La clausura forzata aveva eccitato le sue passioni. Da parecchi mesi questo prete viveva dell' at tesa della vendetta. Egli cercava il mezzo, cercava un altro uomo che obbedisse al suo comando di as~assinio. Claudia doveva mori re r Questo era il proposito ossessionante di don Benizio. I mesi da lui passati nel convento non avevano cicatrizzato le piaghe già troppo an tiche. Eppure da principio egli aveva cercato di dimenticare abbandonandosi a tutte le privazioni di un

CLAUDIA PARTICELLA 115

n oviziato fer oce. Aveva flagellato la sua carne con fruste a nodi di piombo, ·aveva digiunato s ino al perico lo di morire d 'esauriment o, aveva d ormito sulla nuda terra il sonno agitato dei perversi, aveva segu ito tutte le mi nutissime prescrizioni d egli esercizi spirituali d i espfazione ! Inutilmente l Dopo la flagellazione, mentre le sue carni illividiva no e si gonfi.avano pestate e sanguinolenti, l'immagine di Claudia g li balzava dava nti ag li occhi. Claudia tutta nuda, fremente, l ussuriosa, pronta alle carezze mortali di Cleop atra. D opo .i digiuni ostinati, mentre i crampi dell'inedia gli torcevano lo stomaco e gli oscuravano g li occhi, l'ossessione no n si dileguava. Anzi I L'immagine oscena appariVa più nitida, pi ù provocante, più lusingatrice. E don Benizio si consigliò col priore. Voleva purificarsi, d iment icare E il priore gli ord inò di r ecitare delle lun ghe preghiere. Ma; mentre le labbra balbettavano il versetto lat ino e le mani e rano unite verso l'alto, Claudia veniva a inte rrompere la preghiera.

D on Ben.izio s'avvide che ogni tentativo era inut ile, Claudia aveva preso possesso completo d el!'anima di lui. .Bisognava cedere. E a1iora don Benizio senti il suo cuore gonfiarsi di odio. Claudia gli aveva tolto la pace in terra e minacciava d i togliergli l'ingresso in paradiso I Ah, no ! Non poteva essere delitto sopprimere questa donna cag ione prima di tanti mali. L'ossessione d i daudia s'alternò allora coll'ossessione della vendetta. Egli r icordava il suo colloquio a Castel Tablino, rico rdav a le sue minacce, come pure le ironiche e sprezzanti ripulse d i daudia. « Io v i verrò a prendere >), aveva detto il sCgretario privat o di Emanuele Madruzzo, « come bottino di guerra. Non av rò pietà di voi. Vi abbandonerò alle mani d ella povcraglia cittadina, ·che vi odia a morte, e dd vostro corpo sarà fatto pubblico scempio». Questo giorno non doveva essere lo ntano.

Ma dove trovare il s ica r io? D ove·trovare un uomo capace di rischiar e la vita ? D on Benizio riceveva settimanalmente minute informaz ioni dei fatti p iù importanti della cron:i.ca trentina. L'attentato cont ro Oaudia commesso nella notte di N atale, lo aveva fortemente co1pito. Non tutti erano dunque vili. C'era qualcuno che osava _ armare la mano dello stile della vendetta. Il pe rdono di Claudia era stato una abile per quanto poco for tunata simulazio ne. No, Claudia non perdonava mai a nessuno. Il suo perdono celava un'insidia maggiore. 11 pensiero di servirsi di quest'uo.mo che aveva t cn"tato di vendicare l a mo rte del fratello, b alenò a don Be nizio. Ne fece parola agli emi ssari del conte di Castelnuovo, il quale fece subito r icer care P aolo M artelli, cosi si chiamava il frate llo del teologo annegato in Adige, per conoscerlo e partecipargli i propositi suoi e di don De nizio.

Paolo .Martelli riusci a eludere l a vigilanza delle g u ardie e, travestito

116 OPERA OMNIA DI .BENITO MUSSOLlNI

da spazzacamino, si recò a Pergine, n elle cui vicinanze dimorava nascosto il conte di Castelnuovo. Il colloquio fu breve. Il conte promise appoggio materiale e morale. Circa il piano per l'esecuzione del loro divisamento, fu deciso che il l\fartelli, ttavestito come al solito da girovago, si sarebbe recato a Bres sanone per accordarsi de6nitivamen'tc con don Benizio.

Dopo pòchi giorni, MarteJli abbandonò Trento. A piedi, a piccole tappe, giunse a Bressan~ne. Ricercò il convento e domandò di don Bcnìzio. Quando costui si trovò in presenza del Martelli, n o n poté tratten ere un grido di merav iglia e di contentezza. Il Martelli tradl con un gesto di stupore di trovare don Benizìo così al terato e disfatto nei lineamenti e nella salute. Dopo i preliminari convenevoli , don Benizio prese per mano i l compagno e gli disse: ·

« Non parleremo qui degli affari che c' interessano. Sarebbe Ìm· prudente. Andremo n ella mia cella, Là disporremo tutto senza essere disturbati ».

« Come volete», dichiarò il Martelli.

E segui don Benizio. Attiaversarono il cortile nudo di erbe come quello di una prigione e si diressero a un'ala del fabbricato che sorgeva all'es tremità del convènto. Giunsero alla cella di don Bcnizio e sed et- . tero. Gli occhi del prete avevano ripreso il loro lampeggiare sinistro Egli sttjnse confidenzialmente le mani all'ospite e .siccome questi s i guardava attornO con ada non completamente rassicurata, cosi don Denizio disse:

« Non temete di nulla. I frati son o quasi tutti fuori del conve nto e battono la campag na alla cerca. Del r esto non è la prima volta che ho rice vuto in questa cella gli emissari del conte di Castelnuovo».

« Permettete », riprese don Benizio, « che io mi rallegri ·con voi per quanto faceste la notte di N.itale ».

Martelli si mostrò alqua nto s tupito del complimento.

«Oh», aggiunse, « non i ndagate ora il perché di questo mio sentimento di ammirazione per l'atto da voi compiuto. I coraggiosi sono pochi~simi. Nessuno si ribella, ma tutti stupidamente si rassegnano al dominio di quella donna nefas ta. Voi costituite l'eccezione. e forse per questo le mani sottili di Claudia Particella non hanno vergato la ,vostra sentenza di morte. Ma. tutto ciò è passato. Voi sapete di che si tratta, non è v ero? ».

« Sl, e .siamo già d'accordo ».

« Con chi?».

« Col conte di Castelnuovo ».

« E Voi siete deciso ? ».

« Fermamente ».

CLAUDIA PARTICELLA 117

«Subito?».

« Anche subito. Non appena si può».

« Avete pensato ai mezzi?».

« No, appunto di questo dobbiamo parlate ».

· «Permettete)), interruppe una volta don Benizio, che ritrovava tutta la sua sottile per6dia di aggiratore, « permettete che io vi dica che ho sempre pensato a voi, che faccio assegnamento sul vostro coraggio e sul vostro amor di patria. In fondo, vedete, n o n si tratia già di soddisfazioni personali, ma di un dovere che si compie verso la nostra t erra ormai rovinata. Voi non av ete scrup oli.... ».

« Nessuno. Io sono solo al mo ndo Avevo un fratello che am avo Un giorno l'hanno trovato cadavere sulla sponda dell'Adige. Qualcuno deve averlo gettato nel fiume. Qualche sicario di Oaudia. Io non perdo nulla rischiando per la seconda volta 1a vita, e posso essere utile al mio paese. Ripeto, il conte di Castelnuovo mi manda qui da voi per intenderci sull'esecuzione del vostro progetto. Dite>>

Don Benizio era raggiante di gioia. Aveva trova to lo strumento d ella su~ vendetta. Quell'uomo dai 1ineamenti energici, dai gesti risoluti, non avrebbe esitato. Don Benizio accostava ora Je labbra al calice della vendetta. Avrebbe bevuto sino in fondo, Dopo breve pausa, il pre te continuò:

« Sapete dove si trova Claudia attualmente ? ».

« A Castel Tablino. Vi dimora da un mese ormai».

« E H cardinale ? )).

« È rimasto a Trento».

« Vedo che siete bene informat o. Bisogna colpire Claudia a Castel Toblino. Trovate forse la cosa molto difficile?}),

« Difficile, ma no n impossibile ».

« Allora vediamo d'intenderci >> .

Don Benizio s'avvicinò ancora di più al Martelli e abbassò il to no di voce, Le confidenze che stavano pec uscire daUe sue labbra erano terribili. Pareva che nessuno dovesse udirle; neppure quel melanconico Cristo in legnò che pendeva dalla parete. Senza un tremito n ella voce, il prete dichiarò:

« È necessario uccidere Claudia. Voi andrete a Castel Toblino e prenderete anzitutto cognizione de lle abitudini di Oaudia. Trovere te un alloggio in prossimità del caste11o, presso qualche contadin o. N o n sarà difficile, specie se pagherete. Avvicinandovi al castello e sempre qua ndo uscirete cercherete cli non fa rvi riconoscere da nessuno. Al· l' uopo comperatevi una barba fin ta Si finirà per ritenervi un g irovago , uno straniero. Un t empo Claudia faceva tutte le sere una passeggiata in barca sul lago, Ebbene, tutte le ser e vi recherete sulla sponda op-

118 OPERA OMNIA DI
BENITO MUSSOLINI

posta e n oleggerete una barca colla quale vi sarà dato di accostarvi a Claudia. Trovandola sola, dopo aver attaccato gentilmente discorso, salterete improvvisamente nella sua batca. Voi mi avete capfro senza bisogno che aggiunga altre ·parole. L'azione dev'essere soprattutto rapida. Quando vi sarete accertato che il colpo è tiuscito, vi allontane rete, e pet la via dei boschi non vi sarà difficile di giungere e porvi al sicuro in Italia. Noi non ci dimenticheremo di voi. La morte di Claudia può essere causa di gravi rivolgimenti nell'interno del principato, può segnare la fine di una crisi giunta ormai alla sua fase p iù acuta. Non crediate che io faccia il profeta assurdo se vi dico che voi p o treste ritornare a Trento non come colpevole, ma come liberatore. Nessuna voce si leverà a compiangere Claudia, p.essuna lagdma bagoetà occhio di cittadino, nessuna preghieta chiederà a Dio misericordia p er la peccatrice osti nata ».

A questo punto il prete udl un richiamo che gli g iungeva dalle insondabili profondità della sua coscienza. Un brivido di terrore gli attraversò il sangue. Ebbe forse rimorso di spingere altrui a un delitto; si vergognò forse di questa sua spaventevole macchinazione, che avrebbe spezzato un'esistenza contro· il divieto espresso nel quarto comandamento mosaico~cristiano: « Tu non ucciderai».

Ma questo sentimento p enoso di vergog na passò rapido, soverchiato dal sentimento dell'odio e dalla volontà di vendetta. E gli riprese con voce sorda a magnificare questo delitto, che sarebbe stato commesso non per una femmin a lussuriosa, ma per la libertà di un p opolo. E gli insisteva diabolicamente su ciò, sapendo di convincere più facilmente il sicario. Il quale, di natura relig iosa, e bigotta, aveva ascoltato il piano tramato da don Beni2io coll'attenzione profonda del credente che riceve un messaggio ultramondano. Don Be. nizio, come t utti i preti od.iatori, sapeva suggestionare gli animi. Non si spiega altrimenti la fiducia che in lui aveva riposto il cardinale, fiducia che non si era mai smentita, malgrado evidentissime prove in contrario, e sarebbe durata eternamente se don Benizio non avesse partecipato alla ricerca del cadavere di Filiberta) sepolta nelle sotterranee cripte del convento della Sant a Trinità.

A suggello del colloquio, don Beni2io staccò dalla parete il crocefisso e, t~ne~dolo levato in alto, invitò il Martelli a giurare il segreto su quanto si era tramato e a porre senza indugio in esecuzione il progetto. Il sicario giurò.

Don Benizio accompagnò quindi il Martelli nel refetto rio del convento e volle che si rifocillasse abbondantemente, prima di riprendere il lungo viaggio· di ritorno.

Alla sera, sul tramonto, il Martelli abbandonò Bressanone. Egli

CLAUDIA PARTICELLA 119

era munito di commendatizie .rilasciategli da Don Benizio, il quale aveva latghe conosce~ze fra i parroci della vallata atesina, sia n el tratto t edesco come in quello italiano. Le taccomandazioni di don Beniz.io avi-ebbero aperto al Martelli le porte delle canoniche dove a quei tem pi si mangiava b ene e s i dormiva meglio, A piccole t appe, bene accolto dai prelati, il Martelli giunse a Trento; e di qui s i recò i mmediatamente a Perginc per confcrfre col conte di Castelnuovo e comunicargli l'esito del colloquio avuto con don Benizio. Antonio . di Cas telnuo vo annul. Non gli sembrava generoso far uccidere una donna, ma questo sentimento, ultimo residuo di cavalleria, era soffocato dal ricordo di Filiberta che invocava vendetta. Egli foml di danaro il l\.fartelJi, il quale abbandonò Pergine e si dicesse a Castel Toblino.

Tre uomini tramavano la cospirazione della morte Contro Claudia Particella, che, ignara, continuava a passare giocondamente le sue giornate attrave rso i campi, su per le · montagne, pei b oschi g ià verdi e bisbiglianti di nidi.

Quei giorni furo no p er don Benizio e H cont e di Castelnuovo giorni di orribile attesa. Il prete, ad ogni scalpitar di cavallo, ad ogni bussar di viandante alla masskcia porta del chiostro, si precipitava nel parlatorio colla speraòza che lo sconosciuto arrecasse la lieta novella.

Una settimana passò. Il Martelli giunse a Castel Toblino una sera, verso al tramonto. La strada delle Giudicarie era dese rta, poiché il cielo nubiloso minacciava la. pioggia e il vento sciroccale lev ava nembi di polvere che si disperdeva sulle campagne limitrofe. Il lago era agitato. Il Martelli chiese ospitalità per una not te a una fami glia di contadini dimoranti nelle immediate vicinanze del castello. I buoni v illici non si stupirono d el contegno meditabondo d~l fo restiero. Essi offrivano ospitalità a m olti viandanti che la notte sorprendeva in quei paraggi deserti. Non poco si meravigliarono quando il for es tiero dichiarò che avrebbe paga to l'alloggio. E gli sedet te all'umile desco sul quale la donna di casa aveva rovesciato la polenta fuma nte e mangiò. I. contadini, con quella curiosità timida e scòntrosa che Ji distingue, azzardarono di muovere alcune domande all'ospite, e quest i rispose colla massima franchezza e cordialità. Ma i sospetti dei contadini, specie del vecchio capo cli famiglia, riapparvero quando il Martelli chiese alcune informazioni sulle abitudini di Claudia e domandò se v'era p ossibilità di noleggiare all'occasione ,una barca, I contadini, che Claudia aveva beneficati (ella aveva dato loro e moneta e vestiari dimessi), magnificar ono la virtù della i? rO prote ttrice, ma non dieder o quei paiticolari che il Martelli si attendeva. Il contadino per natura· guardingo, circospetto, diffidente. Il Martelli fu

120 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

quindi accompagnato a dormire fo una povera, rustica stanza, p rov• vista di grandi mobili, fabbricati forse in casa con .rozzi attrezzi da primitivi artigiani. Di sotto, al pianterreno, restarono jl v ecchio capo di famiglia, uomo dalla lunga barba bianca, qua e là tuttavia in disordine, e d agli occhietti penetranti e vivaci: uno di quei figli della terra che p are p ossiedano tempre d'acciaio, tali che non si curvano per lungo volger di anni e lungo durare di quotidiane ed aspre fatiche. Accanto a lui il figlio, alto, quadrato, tipo maschio di bellezza agreste, e la moglie, una vecchietta che, malgrado la pelle essiccata e la rarità delle chiome, conservava ancora le energie buone della giovinezza..

« Io vi dico». fece il vecchio, che sembrava assa i preoccupato e si nasco ndeva nervosamente le dita nel folto della barba, « io vi dico che quell'uomo è sospetto. Ci porta la mala ventu ra ».

« Abbiamo ospitato», interruppe la vecchia, « ind.ividul meno rassicuranti, Infi ne egli ci p aga ».

Quest'ultima constatazione, che rivelava la donna di casa, calcolatrice, non commosse molto il vecchio.

« Ma tu non vorresti certamente venir compromessa per una miseria di pochi denari ».

« Non preoccupatevi, babbo », disse il giovane, che seguiva co n grande interesse la conversazione << Stanotte e domani io sorveglierò jl forestiere. Non abbiamo da temere nulla. Egli non ci conosce, né può quindi avere ragioni di particolare vendetta co ntro di noi. E p oi, guai a lui, guai a lui se una sola delle nostre pecore venisse a mancare I Guai se domattina n o n troverò nella stalla tutti gli agnellini, ora che la Pasqua appross ima, guai ! G uai a lui se q ualche oggetto della n ostra casa mancherà. Lo inseguirò e lo punirò come si merita I ».

Il giovane campag nolo sottolineò queste parole con grandi gesti di minaccia. Intanto il vecchio r iprese:

« Ad ogni buon conto tu non ti addormentare di un sonno p rofondo. Ad ogni p iccolo rumore alzati e dà l'allarme».

I tre contadini preoccupati si ritirarono nella propria st anza e s' addormentarono e sognarono male.

La notte trascorse senza incidenti degni di _ nota. Rumori speciali non se ne udirono, all'infuori del mugghiare del vento sciroccale. All'alb a nessuna delle pecore, n essun agnello mancava nell'ovile. I contadini, rassicurati sul conto dell'ospite, lo complimentarono molto quand'egli discese dalla sua stanza; e quando, dopo aver spezzato il pane dell'am.istà, riconoscente s' acco miatò, tutta la famiglia salutò l'ospite, beneaugurando p el v iaggio e la fortu na.

La giornata era serena, tiepida, chiara Il vento aveva spazzato via tutte le nubi e sull'orizzonte libero si stagliavano netti i picchi

CLAU DIA PARTICELLA 121
9. • XXXIII.

supremi delle montagne, Dai campi venivano ondate di profumi e note di cànti che i bifolchi inalzavano a piena voce e: g ridi di .uccelli che saettavano, al di sopra dei boschi, verso il cielo, e suonò di corni ne' quali i pastori soffiavano avviandosi v erso i pascoli d 'alta montagna. Il lago vibrava tenuemente, raccogliendo Ja luce solare, I camini del castello fumavano e le spirali del fumo turbavano Ja ch.iarità ineffabile, inesprimibile dell'ora mattutina. Tutte le finestre del castello erano ·aperte; attorno ai torrioni i colombi s'inseguivano.

La natura, animali e cose, sorrideva alla vita. Ma un uomo, dall'incedere circospetto e dallo sguardo cupo, era dominato dall'idea della morte.

Il Martelli, munitosi della finta barba, s'incamrrùnò per la strada deHe Giudicarie, oltrepassò il castello, gettò uno sguardo sul viale, tagliò per i campi e giunse alla riva opposta del lago. S'avvicinò ad Una rozza capanna, davanti alla quale stava, assicurata . a grosse funi, una barca. Batté. Nessuna rispost a. Il barcaiolo era assente. Forse si era recato a tagliare le legna nei boschi. Il Martelli attese a1lora pazientemente il ritorno, Verso m ezzodl si presentò alla porta della capanna un uomo alto, villoso, gagliardo, dagli occhi.quasi sepolti sotto le ciglia. Egli era armato da un'amp ia roncola luccicante. Cori u na voce da selvaggio poco abituato al contatto con altri uomini, chiese al Martelli:

« Chi siete ? )>.

E si fermò nell'attesa, tracciando un gesto tµinaccioso nell'aria

Il Martelli, alquanto commosso, ma non impaurito, abbozzò un sorriso di cortesia e rispose:

« Sono un viandante>>.

« Che cosa cercate qui?».

« Ci?> che può occorrermi >),

« Ma questa è ]a capanna di un barcaiolo che vive trasportando le legna alla riva opposta del Jago. No n ho nulla)).

« Scusate, buon uomo >> , fece il Martelli ora completamente rassicurato, «io-non vi ho chiestò ancor nulla. Se volete essermi utile ve ne sarò grato e sarete ricompensato, Se poi... )>.

Ma il barcaiuolo non gli fasciò il tempo di finire. Era dive nuto mansueto dinanzi alla vaga probabilità di un guadagno.

« Oh, restate pure, vi prego. Io non oso tuttavia di offrirvi le mie miserie>),

« Non preoccupatevi di ciò, mio buon amico)>,

Il barcaiolo apri la porta della capanni e i due entrarono. La capanna, costruita con sassi e fango e coperta di paglia, aveva un focolare nel mezzo, un letto assai primitivo in un angolo e qua e là arnesi

122 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

da barcaiolo, residui di ba rche demolite, remi, cordami e una vela colorata in rosso, che occupava tutta la parete di fronte alla porta. Su questa parete era assicurata una scure, che colpiva sinistramente il visitatore. Tutte le altre pareti erano ricoperte di immagini sacre deteriorate e affumicate.

Il Martelli diede una ra pida occhiata al luogo, che offriva tutto il caratteristico disordine delle dimore dei solitari. Poi si avvicinò all'ospite e, guardandolo fissamente negli occhi, gli domandò:

« Ho solo una cosa da d omanda rvi ».

La faccia del barcaiolo s'atteggiò a un enorme punto interrogativo. Vaghi timori gli traversarono l'anima. La paura degli stregoni era allora diffusissima e ogni individuo sospetto correva pericolo di esser considerato stregone. Pericolo gravissimo, perché conduceva tra le fiamme di un rogo.

Il Martelli non s'avvide del turbamento che s'impadroniva del suo interlocutore e prosegui:

« E non è cosa straordinaria quella che vi chiedo. Sentite, buon amico. Potete cedermi per stasera la vostra barca? Ne avrò bisogno per qualche ora. Il tempo necessario per giungere in mezzo al lago .... ».

<< D ebbo forse accompagnarvi?)), interruppe il barcaiolo.

« Non importa. Ditemi invece: quanto chiedete».

« Oh, non preoccupatevj di ciò per .il momento», rispose il barcaiolo. « A pagare c'è sempre tempo . Posso offrirvi un boccone di pane ? Mezzogiorno è già suonato da un pezzo, se n<:>n m'inganno».

E i due si posero a mangiare. Il pane era nero, secco, miscuglio di farina di grano e di granturco; cibo primitivo. Per alcuni minuti non si udì che il rumore delle mandibole all'opera. Ma poi la diffidenza innata nei montanari suggeri ·parecchie domande al barcaiolo:

« Perché vi occorre la barca per andare in mezzo al lago ? )) . La domanda imbarazzante non turbò il Martelli. Egli era uomo di scarsa inventiva, ma in quel momento uno spirito maligno gli suggeri una felice menzogna.

« Sentite, mio buon amico. Quella che io vi racconto è una storia un po' lunga e vi sembrerà strana. Ma quante cose strane succedono nel mondo I ».

Questa riflessione filosofica, seguita da una laboriosa pausa, dié tempo al Martelli di riordinare le idee, e continuò:

« Molti anni fa, quattordici se la memOria non mi tradisce, la mia famiglia fu provata da una irreparabile sciagura. In questo lago, durante una passeggiata in barca, fatta con altri suoi amici gio'1inetti, un mio fratello qua ttorclicenne periva annegato».

Il barcaiolo si passò la mano sulla fronte. Un xacconto del genere

CLAU DIA PARTICELLA 123

gli era stato fatto altra volta. Il suo interessamento e la sua curiosità aumentarono.

« Rinuncio a parlarvi del mio dolore, del nostro dolore, lo avevo allora diciott'anni. Tutta la mia giovinezza è passata senza gioie. Soffro ancora al ricordo. Un anno fa, proprio nel giorno stesSo d ella triste disgrazia, m'accade cosa che vi riempirà di meraviglia».

Gli occhi del solitario barcaiolo s'illuminarono di una strana curiosità.

« M'addormentai e sognai mio fratello annegato. Era vestito di bianco e mi sembrava infinitamente p iù bello. Co.n voce dolce mi rimproverò di averlo dimenticato. Mi pregò di ricordare d'o ra innanzi tutti gli anni la sua tragica fine, c o n una gita in barca, sino al punto ove egli annegò. Io promisi. E come vedete sono venuto quest'anno, per Ja prima volta, a compiere il voto, a mantenere la mia promessa».

Il barcaiolo credette. Il racconto del Martelli non aveva nulla d'inv erosimile. Egli era troppo primitivo per ammettere o sospettare la falsità, l'invenzione. 11 dialogo continuò su altre cose ins ignHicami.

Verso sera, mentre l'ospite si era allont;mato, il Martelli passeggiò a lungo sulla riva del lago. I suoi sguardi si dirigevano alla riva opposta. Suonò la campana. Le prime stelle comparvero, ma nessuna barca si distaccò dalla spiaggia del castello. Il sicario n'era desolato. Eppure il tempo n on minacciava, anzi invitava alle gite sul lago, che nell'ora serotina raccoglieva tutte le luci dall'alto. Perché Claudia rimaneva celata nel castello ? Ques~a inutile domanda angosciava H Martelli, che si decise tuttavia a muovere in barca sul lago. Egli si spinse molto avanti, giuI_Ise sino alle mura del castello, aspettò. lungamente, ma invano.

Quando vide · le finestre illuminate, capl che· il suo primo te ntativo era fallito. Tornò mela nconicamente alla capanna· del barcaiolo. Dopo una cena assai modesta, prese posto sopra un giaciglio imp rovvisato e finse addormentarsi. Finse per non suscitare sospetti e paure nell'animo del barcaiolo. Ma invece del sonno ristoratore era una veglia tartufante quella che dava brividi di freddo e gli faceva spalancare gli occhi come per penetrare il mistero delle tenebre fitte e trovarvi la parola del destino. Il barcaiolo dormiva. Il suo sonno era pesante, .rumoroso. Il buon uomo era ben lungi ·dal sospettare 1a tempesta che sconvolgeva l'animo del suo ospite, con una lunga teoria di dubbi, di supposizioni, di piani. Doveva partire? Rimanere? E in quest'ultima ipotesi, quale pretesto addurre ? Come convincere il barcaiolo ? E se costui lo avesse, per timore, denunciato al castello ? E se, per cupidigia, lo avesse ucciso? Torna re a Trento e comunicare l 'esito del tentativo al conte di Castelnuovo e a dori :{3enizio ?

124 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

Dopo una Iunglùssima meditazione, il Martelli decise di rimanere, All'indomani egli si sarebbe finto am malato e av rebbe chlesto ospitalità per un gio rno ancora. Cosl fu. Alla mattina dopo accusò un malessere vag'o. D isse al barcaiolo che in quelle condizioni egli si sentiva costretto di rimandare d'un giorno almeno la partenza, Il barcaiolo corse premuro~amente a un casolare vici no e ne riportò del latte. La giornata passò. Verso sera il Martelli d.iclùarò di sentirsi più sollevato e chiese la barca per la solita gita. Il pescatore esitò alq uanto.

« Voi siete ammalato, signore I Non potrete reggere i remi e guidare la barca· . Permettete che io vi accompagni>> .

<<No )), rispondeva decisamente il Martelli, « no, grazie, non è necessario. Mi fa tanto bene un a passeggiata sul lago, mi ristabilirà completamen te ». ·

« Signore», insisteva il barcaiolo, « non vorrei essere anche indirettamente cagione di qualche disgrazia. Lasciate che v i accompagn i)), « No. Vi farò un· segno · in caso di necessità. No n allontanatevi dalla spiaggia )>.

Il barcaiolo si petsuase. Mise tuttavia in acqua un'altra vecchia barca, che stava in secco assicurata con catene arrugginite a d ei pali quasi per intero conficcati nel suolo,

· Il Martelli entrò nell'altra barca e si spinse con vigorosi colpi di remo verso il largo. La sera caJava e dai monti le ombre crepuscolari riempivano la valle. Era l'ora deliziosa che a Dante ispirò le ter-.tine immortali:

Era già l'ora the volge il desio a• naviganti e intenerisce il tore io d) th'àn dello ai doki amiti addio,

, the io nr;vo peregrin d'amore punge, se ode sq11il/a di /on/ano ,he paia il giorno pianger the si muore,

Nessuna barca, all'infuo ri di quella del Martelli, sol~va le onde del lago, Egli si trovava solo n el piccolo specchio d'acqua e già cominciava a disperare.

Assai difficile, se non impossibile, gli sembrava ora di poter colpire Claudia. _Solo il caso avrebbe p otuto favorirlo. La luna intanto si era levata sull'orizzonte) velata da tenui vapori. N essuna voce tur· bava il silenzio df:lla prima ora notturna. Le finestre del castello s'illuminaro no. Poi le luci si spensero. Martelli credeva già fallita per la seconda volta la sua missione e si r odeva in cuore al pensiero della

CLAUDIA PAR'rICELLA 125

sua impotenza. Come si sarebbe presentato al conte di Castelnuovo ?

E a don Be nizio> che soffriva tutti gli spasimi dell'attesa?

Ma ecco una barca distaccarsi d alla riva del castello. Martelli sente lo sciacquio. Guarda. È Claudia accompag nata da Rachele. Non importa. Egli tenterà il colpo egu almente. Si avvicina. La barca di Oaudia si dirige verso l'isoletta in mezzo al lago. Martelli afferra i _ remi e cerca di giungere a tagliar la strada alle due donne, Ma ecco scendere in acqua dalla spiaggia del castello una seconda barca, piena cli giovani do nne e di fiorenti garzoni, poi un'altra barca con un gruppo di cantot:i e un'altra con quattro armigeri della difesa di Oaudia. Si ode il cigolare di cancelli che si chiudono, passano rapidamente deUe luci dietro alle finestre, poi nulla. Inta nto le barche si dirigono tutte verso l'isola. L'uomo che sta da qualche tempo all'agguato, l'uomo dominato dal demone verde della vendetta, non è molto lontano. Egli può numerare i personaggi che sono sulle barche. I tòcchi g uarniti di una lunga piuma gli rivelano i cavalieri serventi di Claudia. Qualche cosa luccica nella barca dei cantori Sono le mandòle, E Oaudia precede il corteo. Martelli è .indeciso. Lasciato ha i remi per osservare. Ma qualcuno ha notato la sua presenza e le guardie remano furiosamente ve rso di lui, Fuggire ? No. Sarebbe peggio. Attende. Quando la barca degli armigeri è vicina, un uomo, che impugna una lunga, luccicante aJabarda, grida al Martelli :

« Chi siete ? ».

« Un pescatore».

<e Al chiaro di luna ? ».

« Al chiaro di luna».

<< Accostatevi )),

« Come volete ».

« Dove abhate ? ».

« Laggiù. Distinguete quella capanna?».

«Ebbene», concluse l'armigero con una voce che non ammette repliche, « allontanatevi I ».

«Ubbidisco».

Martelli s'~lloò.tana. Egli co mprende che ogni resistenza è inutile. G ira al largo, poi s'accosta all'isoletta. V'è un piccolo scoglio, di cui la punta emerge fuori dalle :acque co me il braccio di un gigante lap custre. Egli si nasconde nel breve seno che lo scoglio forma e attende.

Nessuno lo vede, N essuno sospetta la sua presenza in quel luogo La distanza f:ra lo scoglio e l'isola sulla quale Claudia è sbarcata insieme con la sua corte è di pochi passi. Martelli non può vedere i cortigiani, ma ode distintamente i loro dialoghi allegri. Quando Claudia parla, si fa generale silenzio L a sua voce ha le strane limpidezze sonore

126 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

di una corda toccata da. mano divina. L'allegra comitiva dev9essersi seduta . sulle ·tenere c:tbette che rigermogliano al soffio primaverile. Qualcuno racconta a bassa voce qualche cosa che fa ridet e, poiché risate vib ranti interrompono di t empo in tempo la narrazione. Ma il novellicte parla nel tono della confidenza. Quali storie? Le solite. Amore, intrigo, sorprese, dc:Jusioni. Giovinetti b effati da vedovelle schàzose e provocanti, mariti incoronati da pudibonde spose in pia e cristiana relazione con monaci gagliardi, vecchi alla ricerca di carni acerbe nell'ultimo spasimo della virilità che tramonta. E tiri birboni degli uni agli altri. Tutto ciò raccontato senza reticenze. Si vede bene che siamo nel secolo della letteratura erotica. Poi si ode un ti ntinnire di tazze che si urtano. Oaudia beve e alza il bicchiere colmo ver. so il cielo e g rida:

« Bevo all'oblio I )>.

« Alla speranza I », grida un paggio.

« All'amore I », esclama un cavaliere,

« Alla luna!», canta un poeta, Perché Claudia beve all'« oblio»? La bella cortigiana s'è dunque decisa a dimenticare tutto il suo passato ed è forse questa gita notturna l'ultimo addio alla prima parte della sua vita ? Comincerà l'espiazione ? Quale ? No. Claudia non vuol pentirsi, perché sa di non aver peccato. I suoi furono peccati d'amore e I ddio è straname nte misericordioso colle belle femmine che s'iniziarono a tutti i dolci misteri di Eros. Che vuol dunque obliare Claudia? Il cardinale Emanuele Madruzzo. Questo amante è ormai vecchio e invano ei tenta di prolungare un aprile di giovinezza già da lungo tempo passato. Claudia sente per lui un debito di riconoscenza, lo ama ancora, ma di un affetto amicale, fraterno~ che non ha più gli scatti furiosi, le incon sulte gelosiè, le dominatrici ambizioni di una volta. Claudia è giovane e la febbre di altri amori le a rde nel sangue. Obli_are? Sarà possibile? B possibile cancellare per forza di volontà ciò che fu l'ansia migliore de lla nostra vita?

Ma Claudia che alza la coppa ripiena del profumato vino d'Isera, Oaudia non chiede l'oblio assoluto, immortale. Vuole una sosta, una parentesi, chiede un'oasi d..i frescura nel deserto infuocato dalle sue passioni.

« Ella beve all'oblio», pensava Martelli. « Ah, si comprende I Ma sarà difficile che la mala femmina possa dimenticare e far tacere la voce di mille rimorsi )>.

Intanto dall'isoletta s'ode un accordo di mandòle. La notte chiara, luminosa, profonda. La luna è già alta sull'orizzonte. Le m andòle gemono sommesse come per u n'invocazione che debba suscitare la r isposta di anime vicine; poi trillano come polle irrompenti da scatu~

CLAUDIA PARTICELLA 127

r igini di ~occe alpestri e l'armonia si chiude· con una nota )unga, solenne, maestosa. Passano alcuni minut i di s ilenzio. La music:3. riprende il suo motivo elegiaco. Poi tre cantori intonano una ballata:

Viem', btl paggio! Apprù1ati, vibra sulla tua lira quel dolce s1wn che arcani semi ùpira ....

li coro ha le lunghe cadenze medievali. I cantori tacciono. Un cavaliere si leva e cosi dice:

« O audia, madonna e signora, che il mio omaggio non vi giunga ingrato I Voi sapete che io mi trovo tra i pochi che sempre vi hanno difesa da ingiuste calunnie, da velenose insinuazioni. Qui non yi sono nenùci. L'ora è solenne, indimenticabile. Accogliete, bella ·regina, il mio ossequio profondo. Se fossi oratore, vorrei tesse re 11 vostro elogio in un discorso; se fossi p oeta, canterei le vostre bellezze; sono u n cavaliere e vi offro il mio bcaccio fino a quando sacà capace di brandir mazza e spada ».

11 cavaliere s'ingannava. I nemici non erano. lontani.

Martelli ascolta i discorsi. Egli freme di rabbia impotente, Claudia risponde:

« Grato assai mi è l'omaggio vostro, o cavaliere, né di voi ho mai dubitato. Non scordate tuttavia i nostri comuni nemici. Se ne ho disperso gran parte e i più riottosi mordon la polvere.... Continuerò».

A questa oscura m inaccia Martelli scatta. Egli trae il pugnale dalla cintura e pensa : « La cortigiana n on è dunque sazia di vendette. Ma forse s'inganna>>,

Mar;teUi muove la barca e si avvidna all'isola, senza far rumore. 11 vino e gli allegri discorsi hanno distolto l'attenzione e levate tutte le precauzio ni. Quando .Martelli, senza esser notato, sbarca sull'isola e si ripara dietro un folto cespuglio, egli v ede Claudia e i suoi cortigiani, uomini-e donne, distesi per terra, sopra tappeti, portati espressamente dal castello,

Claudia è nel mezzo, uomini e donne le fanno corona. Poco lungi gli alabardieri che cioncano allegramente, di nulla dubitanti.

Martelli striscia adagio adagio come un rettile e giunge a pochi passi da Claudia. Mentre egli sta per spiccare 11 salto ferino e colpire

Claudia, un cavaljere che lo ha visto lancia un grido d'allarme, Il sicario è perduto. Egli si getta nondimeno su .Claudia, ma Rachele ripara col suo il corpo deHa padrona, e la lama omicida si affonda nel petto della povera fanciulla.

128 OPERA OMN[A Dl BENITO MUSSOLINI

ImmCdiatamente guardie, paggi e cavalieri atterrano l'assassino, lo legano fortemente e lo gettano di peso sopra una barca. Le donne si raccolgo no attomo alla fanciulla colpita, « Non nulla-», dice Rachele. « Non preoccupatevi per me Signora, io guarirò ».

Intanto un rivolo di sangue macula la vestaglia bianca.

Claudia stessa, piangente di dolore e di collera, dispone tutti i tappeti sul fondo di una barca e vi fa adagiare Rachele. Quindi il corteo triste si dirige al castello. Martelli vien.e rinchiuso in una segreta umida e buia. Rachele è posta a letto e amorosamente vegliata tutta la notte. Il medico del castello ha dichiarato che la ferita no n gli sembra mortale. Claudia non ha voluto neppure veder l'assassino e non ha preso sonno.

« Il miserabile la pagherà cara I ».

Alla mattina dopo il Martelli venne condotto davanti a Claudia. Egli teneva la fronte china e lo sguardo rivolto a terra. Ma Claudia, dopo averlo attentamente esaminato, esclamò :

« Vi riconosco I Vi riconosco 1 Basta cosi. Riconducetelo nella sua prigione I », ordinò Claudia agli armigeri.

L'assassino non fece parola.

N ello stesso gio rno Claudia scrisse una lunga _ lettera al cardinale. Lo informava in dettaglio di tutti gli avvenimenti e chiedeva di essere autorizzata a condannare a morte il Martelli.

La lettera, recata da un corriere apposito, giunse a Trento la sera dello stesso giorno.

Il cardinale, contra riamente alle supposizioni di Claudia, non dié una sollecita risposta. E gli volle dapprima consultare diversi personaggi infl ue nti ed ebbe un lungo colloquio con L udovico Pa rticella.

M a Oaud.ia, che voleva essere obbedita anche nei suoi desideri di morte, mandò un altro messagg io. Emanuele, indeciso e irresoluto, come a l solito, cedette.

Quattro giorni d opo la tragica scena, lo stato di Rachele era soddisfacente e lasciava sperare una sollecita guarigione, Oaudia prese consiglio da uno dei cavalieri più saggi e fissò le norme del giudizio del Martelli.

Un simulacro di tribunale, un simulacro di .accusa e di difesa.

L'accusato non profed verbo, non tradl con un gesto alcuna in~ terna preoccupazione. Non rispose alle domande, non si giust..i.ficò, no n impetrò grazia. Quando gli fu letta la sua sentenza di morte, egli conservò la sua immobilità statuaria.

« I o vi avrei ancora u na vol t2. perdonato». esclamò O audia, « se non aveste feri to .una persona che mi t assai cara e che nulla vi aveva fatto. Ma poiché il perdono non vi disarma, né disperde dal cuore

CLAUDIA PARTICELLA 129

v ostro i sentimenti dell'odio e i desideri di vendetta, voi pagherete colla vita il vostro sanguinoso misfatto». ·

Tale suonò la sentenza, che il Martelli ascoltò impassibilmente. Egli venne quindi cinchiuso nella solita cella segreta del castello ad . attendere l'ora estrema.

Il barcaiolo della :riva, non appena ebbe cognizione degli avvenimenti, scomparve, nella tema di essersi compi:omesso accordando ospit alità . allo straniero.

Il Martelli passò alcuni giorni in attesa, La sua cella era confinata all'estremità di un sotterraneo che finiva sulla spiagg ia del lago. Quand o le acque erano agitate si udiva dis tintamente il rumo r e d e lle onde, Il condannato passava il suo t empo meditando. Egli riceveva quasi tutte le mattine la visita di un frate, che doveva prep ararlo al passo estremo. Molto lo t orturava H pensiero di aver colpito un'innocente. Invero ClaucUa doveva essere difesa e protetta da qualche malvagio spirito diabolico. Non per nulla correva voce tra il popolo di Trento ch'eHa fosse una strega. Che proprio non ci fosse nessun mez:zo per co lpirla? Ecco la domanda che p iù frequentemente rico rreva sulle labbra del recluso. E gli altri suoi complici che cosa pensavano? Molto probabilmente essi erano già informati dell'infelice esito d~l viaggio e certo non potevano attribuirne la cag ione a viltà del sicario. Egli era stato forse troppo audace.

Cosl alcuni giorni passarono. Il condannato non si spiegava il ritardo nèll'esecuzione della sentenza di morte. Che si aspettav a? Volevano dunque to rturarlo lungamente colla reclusione? Volevano ch'egli si sentisse di morire e soffrisse tutti i sottili spasimi di una agonia terribile prima di p orgere il collo .sotto la mannaia del carnefice? E questa raffina tezza di supplizio che egli supponeva, g li decuplava nell'animo il sentimento dell'odio. Ma il Martelli s'in gannava. Il r ita rdo dipendeva da Rachele La b uona fanciulla aveva perdonato all'assassino e insiste ntemente chiedeva che pure Clau dia p ronunciasse la parola del perdono. Rachele non poteva sopportare la semplice idea della .vendet!a. ·La devota fanciulla che Claudia teneva p Cr amica 6data era una schietta natura uscita dal popolo, che è pronto a.Ua vendetta, ma ancor più pronto al perdono e aJl'oblio. Rachele: perdonava al Ma rtelli. La ferita andava cicatrizzandosi e col dileguare delI' acuto dolore dileguavano i sentimenti cattivi.

« Perdonategli», ella implorava da Claudia. « Lo so, mia buo na signora, che voi avete già u n'altra volta usato della vos tra misericordia. Ma siate prodiga. D imostr ate a lui e al popolo che nel vos tro cuo re v 'è pietà per le umane miserie, compatime nto per le umane nequizie e nessun sentimento malvagio».

130 OPERA OM NIA DI BENITO MUSSOLINI

E le parole della fanciulla rivelavano un desiderio p rofondo. E continuava:

<< Voi lo sapete, signora, L'idea che queseuomo, che un uomo, sia pure il mio aggressore, mo~rà per causa mia.... ».

« Oh, no.», interrompeva Claudia, « non per causa tua. Egli merita la punizione esemplare, D el resto, credi tu, mia buo na Rachele, che un altro atto della mia clemenza gioverà' a trarre su altra via il miserabile che ti colpi col suo pugnale? Neppure p er sogno. Egli è un Ostinato, un perkoloso, che domani, alla buona occasione, ritenterà il suo colpo )>.

Ma queste argomentazioni non convincevano la fanciulla, che insisteva:

<< Oh mai signora. Non credo che la perversità di quell' uomo sia cosl g rande. lo temo che giustiziandolo venga la sua jmroagine a turbarci le notti, ad angosciarci la vita Perdo natelo».

Le esortazioni di Rachele non scossero ne' primi gio rni le irrevo 4 cabili decisioni di Claudia. Ell'aveva avuto r egolare autorizzazione dal cardinale per far eseguire la sentenza di morte.

Ah, no. Questo Martelli che aveva già tentato di colpirla una prima volta la notte di Natale; questo uomo che nonostante il perdono aveva continuato a nutrire gelosamente i suoi sanguinar! propositi di vendetta; questo miserabile che aveva mentito per ottenere ospitalità da un solitario pescatore; questo uomo che si eta appiattato, spiando l'opportuno momento, e il braccio armato di pugnale si era gettato poi sulla comitiva lieta e aveva .turbato con una scena di sangue un'ora d olci ssima di canti e di oblio; quest'uomo che s'era fatto legare, incarcerare, giudicare, condannare alla pena capitale senza pronunciare una sola parola in sua difesa; quest'uomo .dallo sguardo obli· quo, dai lineamenti alterati, dal cuore gonfio d'odio, n on meritava certo pietà. Egli era deg no del suo destino. Egli aveva cercato la m orte, si era gettato a capofitto nella voragine che l'ingoiava. I ne mici o si corrompono o si schiacciano.

E Claudia non era disposta a perdonare. Ma le insistenze di Ra4 chele raddoppiatone. La buona fanciulla aveva già abbandonato il letto. e, dopo pochi giorni di convalescenza, avrebbe ripreso le sue abituali occupazioni, Ella non disperava di convincere la sua signora, della quale conosceva per esperienza l'innata bontà. E in un pomeriggio d olcissimo di aprile, durante la prima passeggiata che Rachele compi6 nel g iardino, ella· rinnovò la sua preghiera.

« Ascoltatemi, mia buona signora, cd esauditemi. Io sono lieta di avervi salvato la vita, né alcun rammarico avrei provato se il colpo mi avesse ferita a morte. Me ne sarei andata di là, felice di avervi ri4

CLAUDIA PARTICE,LLA 131

parato col mio corpo, divenuto scudo contro la insidia violenta di u n vostro nemico Ma Ora che tutto è passato, ora che della tragica serata non :resta ch e il ricordo, perdonate al disgraziato che aspetta il suo ultimo giorno, D imostratevi generosa ed i o continuerò a scr• virvi con tutta umiltà e co n amore profondo, come si serve una ma. d o nna )>.

Queste parole, che u·scìvano d a un cuore n on anco ra contaminato, scossero Oaudia. Ell'aveva un g rande debito di riconosc_enza verso la fida ancella. E fini per accondiscendere al di lei desiderio.

« Io cercherò di perdonargli », disse Claudia, « e gli perdonerò in nome tuo. Ma ciò non deve tuttavia accadere cosl presto . Quando sarai del tutto guarita, tu s tessa andrai nella cella del miserabile a comunicargli il mio p erdono. Io no . N o n potrei sopportare la vistà di quell'uomo, . no n tanto per la sua malvag ità, quanto per la -sua i ngratitlldine ».

« O h, sig nora», proruppe Rachele, « voi siete in6.nitamente b uona)>,

« L'ho fatto per te», soggiunse Claudia.

« G ra zie, mia b uona sig nora. Ora dormirò i miei sonni tranquillame nte, senza sogni cattivi-».

Rachele, commossa, strinse e coperse di b aci le mani di CJaudia

Due settimane passarono. Da un mese ormai il Martelli stava rinchiuso nella buia segreta. O gni speranza l'aveva abbandona to. Perché dunque tanto ritardo? E il Martelli supponeva che g li amici suoi, venuti a conoscenza del fatto, agissero con ogni mezzo. Invece nuUa di ciò.

Pochissimi, del resto, avevano avuto notizia degli avveni men ti s voltisi sull'isoletta in mezzo al lago di Castel Tablino. Don Benizio e il conte di Castelnuovo non ne sapevano nulla. Il ritardo dell'esecuzione d ella sentenza cli morte dipendeva dal perdono invocato e ottenuto.

Ma il Martelli era ben lungi dal credere. nel perdo no cli Claudia. E gra1:,de fu la sorpresa d el carcerato quando vide una mattina aprirsi la po rta dell_a cella a un'ora insolita. E non già il frate biascicante le sue lugubri preghiere comparve, ma R achele accompagnata da un'altra donnà e da due alabardieri.

Un mese di prigionia aveva alterat o ancora di più le linee d el volto del cecluso. L'occhio di lui Janciava in giro occhiate ferOci. I capelli gli cadevano in ciocche sudice sulle spalle. Tut ta la persona s' era curvata, rattrappita, invecchiata. Quell'uomo, nell' attesa orribile della morte, era divenuto l'ombr a di se stesso Un' ombra che faceva pauta, Onde Rachele, presa da esitazione, restò per alc uni istanti sulla so g lia, senza avanzare e pronuncìace parol a. Poi si avvicinò al condannato

132 OPERA OMN(A DI BENITO M USSOLINI

e con voce leggermente altera~a, che tradiva una. g rande commozione interna, la buona fanciulla gli domandò:

« Mi riconoscete ? ».

Il Martelli alzò gli occhi verso di lei, la guardò a lungo e con accento sepolcrale· rispose:

(<No».

« Vi ricordate», riprese la fanciulla, « ciò che faceste or non è molto?».

ll Martelli chinò la t esta e non p roferl verbo. 11 ricordo era trop,po doloroso per lui. Si allontanò da Rachele e volse la faccia verso Ja finestrola, vero pertugio « de"ntro della rouda. », dalla quale filtrava il sottile raggio del sole mattinale

« Ricordate la vostra condanna?» domandò la fanciulla un po" intimidita dallo strano contegno e dall'attitudine minacciosa del r ecluso

« La ricoi:do », disse questi l aco nicamente.

« E non avete paura di mo rire ? », do mandò Rachele co n ingenua femmi nilità.

(<No», rispose seccamente il Martelli,

« N on ci t enete alla vìta? ».

<<Poco)),

« Non siete pentito di quanto faceste? 1>.

« Sl, perché sbagliai colpo».

« Conoscevate la donna che tentaste di uccidere? ».

« Quella che tentai di uccidere? Oh, la conosco da lungo .tempo, ma quella che parò il colpo mi era e mi è sconosciuta >1,

« E se la sconosciuta vi avesse perdonato e avesse ottenuto il perdono per voi, conservereste anco r l'odio che vi spinse a commette[e la t~iste azione ? ».

«NO)),

« Ebbene, io sono la donna che sàlvò Oaudia, ll vostro pugnale trafisse le mie carni. Io vi ho p erdonato e ho strappato la grazia a Oaudia».

Il Martelli non parve subitamente commosso, ma poi di un leggero rossore s'imporporarono le sue guance emaciate e un lampo di soddisfazione gli traversò le pupille. La vita riprendeva il suo dominio sulla mo rte, l 'istinto di conservazione esplodeva, pur frenato da una ferrea volontà.

« Grazie, mia buona fan ciulla », balbettò il recluso.

Quindi domandò:

« Il vostro perdono non ha patti ? ».

« Uno solo)), rispose Rachele. « O vi chiudere te in un m onastero o abbandonerete il principato».

CLAUDIA PARTICELLA 133

Queste condizioni aveva imposto Claudia. E le aveva imposte perché ·1e r epug nava infi:angete la legge che puniva seve~amente gli assassini e i feritori.

Il Martelli rimase alquanto meditabondo. Poi disse:

« Lasciatemi il tempo per decidere la mia scelta».

Egli alzò uno sguardo di riconoscenza verso Rachele che usciva rapidamente dalla cella. L'uscio pesaòtc e ferrato si richiuse. Si udl. un cigolare di chiavistelli e il rimbombo sordo del passo· del recluso misurante la sua tomba. Poi il silenzio orribile dei sotterranei adibiti a prigione.

Di fuori il sole innondava di luce tutta la natura immensa. Rachele comunicò a Oaudia i propositi del condannato. Le due donne uscirono poi per una lunga passeggiata nel parco,

« E continueranno a dire)>, proruppe Claudia, « che io sono una femmina perversa, diabolica, stregata; si dirà ancora che nel mio animo i sentimenti predominanti sono l'odio, la vendetta; che ho fatto delle vittime, che ho abbassato il cardinale, che ho dilapidato la ricchezza del principato. Il popolo è cieco e molto tempo ci vuole per illuminarlo. Io avrei potuto far giustiziare quel Martelli, che, sicario cli preti e di cavalieri nemici miei, m'ha per ben due volte attentato alla vita. Egli non ha ragioni personali di odio cc;>ntro di me, ma è uno strumento nelle mani del conte Antonio di Castelnuovo e di don Ben iz.io Il primo mi ritiene responsabile della morte di Filiberta nel , convento della Santa Trinità, il secondo mi odia perché l'ho scacciato e gli ho riso in faccia. Tu b en ricordi, mia Rachele, q uand'egli venne qui per convincermi ad abbandonare il principato e ciò in nome delle aut orità che non rico nosco cd alle quali non sono tenuta ad ubbidire. Egli profittò dell'occasione per ripetermi ancora una volta la sua .dichiarazione d'amore. Io lo allontanai seccata. .Egli fu ggl vfa come un inferocito diavolo nero per la strada delle G iudicarie, lasciando nei villaggi in cui arrestò la sua corsa pazza ricordi spaventevoli. Questo arma la mano al miserabile, che per tua volontà, ho perdonato. Come è triste essere incompresa e maledetta da chi fu beneficato. Ma basta con questi pensieri di mestizi?. La natura ci sorride e ci invita a godere. Il mondo è bello. Sono gli uomini che lo guastano. Sopportiamo tuttavia per una parentesi di gioia la sequela esasperante delle contrarietà, delle speranze che sfumano, deUe i11usioni che si d ecompongono, deg li amori che passano, della gioventù che si muore giorno per giorno ».

Oaudia sedette sopra un rustico sedile di legno, di cui i piedi terminavano a zampe di leone malame nte scolpite e· trasse di tasca un piccolo libro, che portava sulla copertina fregi e incisioni, opera pa-

134 OPERA OJ\.rNIA DI
BENITO MUSSOLINI

ziente di qualche stampato re veneziano L'autore del libro era un poeta amoroso, di cui la fama morl col secolo. Il libro era dedicato ad Ebe, la dea della giovinezza. E Clau dia si pose a d eclamare alcune poesie e Rachele ascoltava. Il poeta inneggiava ad Ebe, dispensiera di g razie e di beltà. Chiedeva alla dea piaceri e fama, giovinezza eterna nei seco li~ Oaudia rinchiuse di 11 a p oco il libro e rientrò al cas tello .

Alla mattina dopo Rachele t ornò dal condannato. E ra accompag nata dalle solite guardie e da un' al tra donna. Il Martelli aveva mutato atteggiamento: era piU. mite e più umano, Salutò con un profondo inchino Rachele e prima ancora che essa aprisse la bocca, il Martelli fece:

«Ho deciso».

« Dove andrete?».

« Mi chiuderò in un convento ».

« Cercate al lora», aggiunse Rachele, « di espiare. Che i l nostro perd ono dia l'inizio a una v ita novella per voi Fra poche ore vi libereranno»

« Permettete », fece allora il Martelli, « che io vi baci la mano. Conserverò per voi eterna g rati tudine».

Le labbra d eJ carcerato si posarono sulle mani della generosa fanciulla. Rachele uscl. Vers9 mezzogiorno il Martelli fu liberato. Una d elle guardie l'accompagnò per b uon tratto di strada.

D opo due giorni giunse ad u n convento che sorgeva nelle i mmediate vicinanze della frontiera bresciana e chiese ospitalità. Gli fu concessa ed ivi rimase tutto il resto d ella sua vita.

Due giorni dopo la liberazione del Martelli, Claudia volle, verso sera, fare la p asseggiata s ul lago Il sole non era ancora tra montato sulle montagne, quando Claudi a, accompag nata d a R ac hele e da un famiglio, sbarcò sull'isoletta. E si pose a cercare fra le e rbe, fra i cespugli, fra le piet re in prossimità della sponda. Cercava il pug nale di cui si era servito il Martelli per colpire Rachele. Gli alabardieri non lo avevano trovato, eppure Martelli non aveva avuto il ' t empo mater iale per gettarlo in acqua. L'a rma micidiale doveva tro varsi ancora sull'isoletta. I tre continuarono diligentemente la ricerca.

Claudia stessa trovò il pugnale. Rachele ebbe un brivido mi rando la lama lucente che conservava a ncora qualche macchia di sangue :

« Lo ··conserveremo come una me moria 1», disse Claudia ponendosi l'arma alla cintura,

<< Una triste memoria)>, aggiunse Rachele, che ritornava co l pensiero alla trag ica serata.

Rimasero tutti e t re ancor a sull'isoletta e le due donne co lsero parecchi mazzi di marg herite, c he ostentavano fra l'e rba la lo ro corona

CLAUDIA PARTICELLA 13 5

di foglioline bianche. Poi ritornarono al castello. Claudia, non più preoccupata di Rachele, riprese le .sue abitudini: lunghe cavalcate mattinali fra i boschi, atuaverso i campi. per le strade polverose, escursioni in barca di notte. Ella cercava cli stordirsi con un violento esercizio dei suoi muscoli. N on aveva forse bevuto all'oblio ? D imenticare I Ecco la parola che traduceva le sue più recondite aspirazioni, Dimenticare e godere I

Ma sulla fine di maggio gravi avvenimenti s'erano sv9lti a Trento. I .legati del Papa e dell'imperatore, chiamati dal Capitolo della cattedrale, erano giunti cd avevano preso dimora al castello. La loro venuta avtva suscitato grandi ed esagerate speranze nell'animo ·di tutti i nemici di casa Particella. Nelle conversazioni dei cittadini si prevede va la destituzione di Ludovico P articella e l'esilio di Claudia. Finalmente stava per suonare l'ora del redd~ ratione,n. E il popolo, come al solito, s'illudeva di molto sulle intenzioni, sui poteri e suUa capacità dei delegati imperiali e papali, venuti per rimettere in ordine gli affari del principato;

Claudia era stata avvertita dell'arrivo dei legati a mezzo di un corriere immediatamente inviato da Emanuele Madruzzo. Egli la pregava cli rimanersi tranquilla. Nessu na misura l'avrebbe colpita, poich'egli vi si sarebbe con ogni mezzo opposto. I legati pontifici erano gente di manica larga ed arrendevole. Fra di essi, giunti in numero di cinque, Emanuele Madruzzq aveva tre amici personali. I legati dell'impero, in numero di tre, non presentavano al!=un pericolo.

Ma Oaud.ia non rimase molto soddisfatta di queste assicurazi'oni, E Ua ben ·conosceva l'odio feroce che gli ecclesiastici nutrivano contro dì le.i; ella sapeva che gli ecclesiastici erano disposti a largheggiare su tutto, purché non ne traesse beneficio la famiglia Particella . ·

«Oh», · pensav a Claudia1 « lo so bene che i preti deUa cattedrale voglio no la mia testa. Ma dovranno lottare assai prima di averla e trove rò il modo di avvelenare il loro trionfo I ».

136 OPERA OMNIA
DI BENITO MUSSOLINI

IX.

Al primo banchetto che sul finire del mese di maggio fu dato ai legati imperiali e pontifici, tutta la corte madruzzea partecipò, dai più alti dignitari agli umili funzionad.

Oaudia, tornata a Trento, tornata vicino al pericolo per meglio spiare le mosse dei suoi nemici mortali e parare i colpi, tornata dal cardinale per concedergli un'ultima lusinga d'amore, tornata dal padre per eccitarlo a conservare il suo posto, Claudia non mancò alla luculliana irnbandigi~ne. Il suo intervento aveva determinato in precedenza una specie di crisi fra i convitati: i legati imperiali pareva non si acconciassero di buon grado a banchettare insieme con la celebre cortigiana odiata da tutto il popolo trentino, ma i legati pontifici, nonostante tutte le astute sobillazioni dei membri componenti il Capitolo della cattedrale, passarono sopra a questi scrupoli degni di un'età pùritana. Il convitare con donne, con molte donne e gaie, era abitudine universale anche fra i gerarchi della Chiesa di Roma. Claudia vinse ancora una volta, Sedette in capo alle mense dis.poste nella sala maggiore del castello Clesiano. Attorno a lei, trionfatrice teme rarfa, si allineavano i legati imperiali e pontifici, i capi della corte madruzzea, alcuni dignitarì del clero trentino, i commissari delle truppe, i prin- cipali funzionari del principato e infine alcuni amici intimi del cardinale, che sedeva al lato opposto della tavola. I convitati indossavano vesti splendide, adorne di oro e d'argento. Sul petto dei cardinali non brillavano croci: un elementare senso di pudore aveva consigliato di riporle, di nasconderle. Il Crocifisso, che non ebbe pietra su cui posare il capo, né pane, non doveva assistere, neppure nell'effige .scolpita, alla cena succulenta dei suoi tardi seguaci. Le. tavole erano scintillanti di stoviglie finissime, opere industri di artefici boemi; brillavano nelle coppe d'argento i soavi vini che i vigneti delle balze trentine esprimono quando lungo volger di giornate solatie fa maturare il grappolo pendulo tra il fogliame giallo che muore.

Passavano sulle tavole tutte le pietanze prelibate e rare che una cucina di principi può preparare; l'odore caldo delle vivande si confondeva coi profumi del maggio portati dalla brezza serale attraverso le ampie vetrate aperte. Le lampade, che scendevano dall'alto soffitto dipinto da mani d'artista, avevano una leggerissima oscillazione, che proiettava rapidamente sulle pareti lunghe e fugaci teorie di ombre.

CLAUDIA PARTICELLA 137
10. • XXXUL

I convitati mangiavano silenziosi. È il costume delle mense cardinalizie. Quando le ampie e forti mandibole dei se rvi umili di Dio lavorano, tace la lingua e do rme il cervello. I convcrsarl s'intrecciano a lti e g ioviali sol quando l'indefinibi le e più sensibile benessere degli . stomaci r ipieni s i diffonde per t u t te le fibr e del corpo, quando la prima legger a ebbrezza r iscalda la testa, arr ossa le guance, scintilla negli occhi, sfioda la ling ua e dà la n ostalgia vaga, il desiderio sottile cli una donna che aiuti, con. sapienti carezze, a dimenticare ciò che nella vita è do lore e miseria.

I banchettanti del castello avevano ben appresa l'arte. Essi avevano esercitato i loro denti sulle delicate selvaggine.cresciute e uccise ne' parchi reali o imperiali di tutti i paesi d 'Europa ; essi avevano preso posto a tutte le tavole che non fossero quelle della povertà che si abbrutisce nelle case degli straccioni o che si rifug ia nelle solitudini nude dei conventi. Erano i r appresentanti dell'età grassa, dell'età che mangia colla fi nezza e la golosità di chi vive solo · per mangia re; erano i p agani dell a decaden·za, mascherati da gerarchi del c ristianesimo cattolico, che fingevano sul d rappo delle loro bandiere la massima dell'epicureismo crapuJone quale non fu mai pensato dal filosofo antico: « Ede, bibe,post morten1 nulla volupta.r », o gridavano con O razio : « Carpe diem»; erano i riformatori dei popoli, gli uomini r appresenta• t ivi delle corti laiche e della corte pontificia, i dilapidatori del le rie. chezze che il popolo semp~e bestia accumulava con fatiche perenni, i ga udenti che passavano per la u ma na va1le di lag riffie a pancia piena col sorriso dei soddisfatti sulle la bbra sensuali. Che cosa avevano fatto a Trento? Alcune adunanze Avevano inter rogato parecchi funzionarì, moltissimi preti, quasi nessu n p opolano. D ella poveraglia che soffriva essi non volevano udire le voci o il lamento. Che cosa si rip romette vano di fare ? In qual modo pensavano di assolvere il lo ro compi to? Avreb bero avuto il coraggio di giungere fino in fondo ? Q uesti legati, venuti espressamente per ordine del Papa e dell'im· peratore, avrebbero posto finalmente un po' di ordine nelle faccende amministrative e politiche del principato ? E Claudia ? Pensavano .di allontanarla, volevano anzi allontanarla. Ma sarebbero riusciti ?

Claudia, int anto, invece di prendere le vie dolorose dell'esilio, b anchettava allegramente con coloro che avrebbero d ovuto firmare il suo verdet.to di condanna. E pensava la bella cortigiana, te ne ndo t esta alle occhiate e agli o~aggi man ie rosi che le ve nivano r ivolti, pensava: « Ecco i miei ne mici. Ancora una volta io m i trovo fra loro i ndifesa, disa rmata. M a non li terno. No. Questi uomini vecc;hi, pingui, ben pasciuti, non possono fa rmi del male. No. In questi cranl calvi, bitorzoluti non ci sono i stinti selvaggi. Per odiare bisogna soffrire,

138 OPERA OMNIA DI BEN ITO MUS SOLI N I

pre trarre una vendetta bisogna ave re un'anima I In ques ti corpi rigurg itanti di pin guedine manca l'anima, c'è il bruto, c'è la bestia».

E Claudia disprezzava sovranamente questa teoria di personaggi dalle facce irregolari, asimmetriche, dalle fronti basse, piatte, assiepate di sopracciglia sotto le quali gli occhi si nascondevano, dalle bocche larghe, le labbra rovesciate, che mostravano i denti divoratori, dalle mani scimmiesche. Eran vecchi ormai questi legati, che rappresenta vano d'altronde due istituzioni assai vecchie: il papato e l'i mpero I

Solo uno dei convitati faceva eccezione. Un ufficiale, di stirpe ung herese, al seguito _di un legato i mperiale. E gli era giovanissimo, appena ventenne. Il suo volto aveva linee di una regolarità, di una delicatezza quasi muliebre. Sulla fronte ricadeva la folta capellatura castana e scendeva di dietro sulle spalle; g li occhi àveva grancli, luminosi, profondi, il colorito pallido, le mani sottdi. E g li no n parlava. Guardava Claudia. Più v olte i loro sguardi s'incontraro n o e fu il giovinetto cavaliere che abbassò per p rimo i suoi.

Verso il finir della ce na le conversazioni divennero generali. Si narravano storie, si gridava, si cantava, si rideva, Era l' ora i n cui l'uomo scompare e viene al p rimo piano l'animale: ogni rispetto umano s' annulla, tutte le conversazio ni sociali cadono, le regole dell 'e tichetta no n hanno più significato. L'orgia acco muna gli uomini, sia essa comp iuta nelle sale fumose e fetenti di una taverna o nella sale sfolgoranti di un castello di principi. I fa migli continuavano a riempire le tazze di vino. Poi furono levate le mense, Nessuno pron unciò discorsi. Non era un banchetto di commiato e non era certo l'ultimo dell a serie. I convitat i si dispe rsero per le sale del castello. Alcuni disce• sero a passeggiare nei parchi d ella Cervata, Claudia, il cardinale, Ludovico Particella e pochi altr i, fra i quali il cavaliere ung herese, rimasero nella sala del banchetto. Claudia si e ra seduta accanto alla finestra e beveva l'aria profumata che giungeva dalla vaUe d'Adige, coperta dalle tenebre della no tte. In. alto ridevano le stelle. Giungeva di tempo in tempo ·qualche voce, qualche suono, qualche rumore indistinguibile dalla città che o rmai dormi va. Dall'interno del c astello prorompevano le risate dei commensali che attraversava no i corridoi per recarsi alla loggetta romanica, mag nifico punto per abbracciare con una sola occhiata il panorama notturno.

La conversazione fra quelli rimasti con Claudia e il Cardinale divenne interessante. Il cavaliere u ngherese, incoraggiato dalle occhiate benevolmente lusingatrici di Claudia, aveva perduto d'un tratto tutta la sua impacciante timidità di novizio e s'era pos to a raccontare certe sue avventure giovanili non comuni. Claudia, il cardinale e gli altri ascolt avano, Claudia sentiva sorge re -nel suo cuore u n sentimento

CLAU DIA PARTICELLA 139

nuovo, improvviso e forte per il giovinetto ungher~se. Ah, il confront o · con E manuele! Costui, vecchio, disfatto, avyilito; l'altro nel Jiore della giovinezza superba, che ha una voce per tutti i canti, un frem.ito per tutte lé passioni, una illusione p er tutte le primavere I <{ Amore a cor gentil r atto s'apprende», ha cantato Dante, padre immortale di gente nostra e nel cuore delle donne, specie se volgono al crepuscolo d ella maturità, l'amore sboccia improvviso, fragrante, disperato e folle come un fi?re de' tropici al primo bacio del sole. E il cavaliere raccontava. Claudia sentiva sfaldarsi il vecchio amore per il cardinale. Oh, da t empo ormai era passata quella di vi na vibrazione di tutte le corde interiori che si chiama amore, pallidi echl vicini a spegnersi testimoniavano ciò che fu un tempo l'inno di tutta una trionfale passione, L'ig noto era giunto, Emanuele non aveva mai avuto rivali. Claudia era stata onesta, era orgogliosa di questa sua Onestà, poteva vantare l a sua fedeltà immutata a Emanuele. Ma oggi ecco l'ospite nuo vo, l'amore di un altro che accennava già i suoi moti vi vittoriosi nella prossima e f Òrse ultima sinfonia della lussuria non doma, mà risorgente nella melanconica maturità degli anni, quale un fiore tardivo e pure aulente come ne' mattini d'aprile. Oaudia sentiva già che avrebbe amato l'ospite che giungeva di l ontan9, portato dal destino, che muove dagli orizzonti opposti, per vie sconosciute, con mezzi che non si possono decifrare, le anime umane a un loro punto fatale d'incontro,

Claudia, temperamento . squisito di ·co'rtigiana, capricciosa e rifl.essiva, crudele e misericordiosa, si volgeva all'ungherese, che r appresentava per lei la possibilità d i un altro amore. Questi sentimenti turbinavano nel cuore di Claudia, mentre Emanuele si chinava su di le i, . quasi ad Òdorarne l'odore penetrante dalle carni, e le diceva le parole dalle illusioni che non vogHon morire

Ma il dialogo fu bruscamente interrotto. Le voci di un alterco vivace giungevano da un cortile interno del castello. Tutti quanti mossero a quella volta. Erano due cavalieri che avevano posto mano alJe spade e minacciavano un duello « al pio lume delle virginee stelle>), Io breve i cont~ndenti erano calmati e rientravano nelle sale del castello. Claudia e gli altri riguadagnarono il loro posto, Mezzanot te nòn era lontana.

Ma durante la breve assenza di Claudia erano stati compiuti i prepara tivi dell'assassinio. L'alterco dei due cavalieri era stato preordinato; cosl, nel frattempo, un fa.miglio ven dutosi al conte di Castelnuovo, versò nel bicchiere di Oaudia un veleno mortale.

E Claudia bevve, al ritorno~ di nulla sospettando Bevve e vuotò il bicchiere, Ma aveva appena d eposto sulla tavola il bicchiere che un

140 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

leggero brivido di malessere le attraversò il sangue. Pçnsò che fosse il. freddo della notte. Le 6.nestre erano rimaste aperte. Ma poi il malessere divenne più acuto, accompagnato da un tremito delle membra. Claudia impallidl. Si alzò e disse:

<{ Mi sento male »

E poiché tutti si erano levati a queste parole. e il cardinale, séonvolto di paura, aveva· avuto un improvviso, terribile sospetto, Oaudia abbozzò un gesto rassicurante colla mano e soggiunse:

« Non preoccupatevi per me. Signori, sedete, vi prego, e voi, cavaliere, non interrompete il racco nto delle vostre straordinarie avventure».

Ma, avviandosi alla fine stra, sos tenuta dal cardinale e dal padre, Claudia ebbe un tremore convulso e prolungato. Gli occhi le si a llarg arono sgomenti nella visione. della morte, Emanuele le balbettava affettuose parole, il padre la sosteneva, tutti gli altri la circondavano, impauriti e t emendo qualche sciagura. Dai corridoi, dalle sale del castello . dal parco della Cer vara tornarono tutti i commensali. In breve la sala fu piena. N ess una voce rompeva il silenzio: quegli uo mini non os;vano guardarsi l'un l'altro, spaventati. Sulle tavole in d isordine agonizzavan i mazzi di fiori, le luci delle lampade tremavano come ventilate da invisibili ali, Oaudia, seduta sopra un seggiolone, aveva reclinata la testa e dalle sue labbra non usciva che una parola:

« Muoio I Muoio I Muoio I ».

Il cardinale, in ginocchio accanto a lei, le stringeva le mani, la chiamava.

Un medico giunse. Ordinò in primo luogo di portare Oaudia in un letto. Il medico compié il suo esame e dichiarò:

<{ Si tratta di veleno ».

« Muoio I Muoio J >> , continuava Claudia con voce sempre più fioca.

«Veleno? Avete detto veleno?>>, proruppe il cardinale davanti al medico atterrito dall'improvviso scoppio di collera. «Veleno? E non c'è forse rimedio? »

«No».

Ma quasi pentito di questa negazione, il medico aggiunse:

« La natura può compiere dei miracoli, ma vedete, tutttavia, signore, come il volto dell'ammalata si scolora, g uardate il tremito delle sue membra, sentite il freddo dei suoi piedi».

«Veleno? Avete detto veleno?», ripeteva meccanicamente il cardinale. « Qualcuno l'ha avvelenata I Ah I Ah I Ah l ».

« Muoio I Muoio I 1-Iuoio I », _ripete va Claudia.

Ludovico Particella, muto di dolore, gli occhi gonfi di lagrime,

CLAUDIA PARTICELLA 141

s i e ra g e tt\ltO con la sua vicino alla testa della figlia che agoniz7.ava, e la invocava coi nomi che solo u n padre sa trovare nelle ore i ndicibili d el1a disperazione.

Il cardinale abbando nò la stanza, si precipitò nella sala d ove i convit a.ti erano rimasti in un pauroso raccoglimento. ·

« È veleno I È veleno I », grid ò entrando il cardinale.

I legati dell'impero e del Papa non ebbero tempo di pro nu nciare una sola parola di giustificazione o di consolazione, che Emanuele, oc mai pazzo, continuò con voce rotta, alterata, singhiozzante:

« È vele no I Chi di voi ha ve rsato nella tazza di Cla udia H veleno? Poiché è veleno, è veleno quello che uccide Claudia. Veleno gettato nel bicchiere da mano astuta di sicario, veleno che qualcuno portò a queste taVole, attorno alle quali io ·credevo di raccogliere amici, non nemici. Ma co me ? Nessuno p arla ? Nessuno si giustifica ? Nessuno mi compiange? Voi rimanete freddi, i mmobili, muti, come se la sciag ura no n v ì toccasse I Ebbene, via di qua, via da queste 'sale, allontanatevi da questo cast ello. Ubbiditemi, ubbiditemi tutti, toglietevi dal mio sguardo, che io n on vi veda più I Fra di voi c' è l'assassino, l'assassino».

E poiché i legati d~ll'impeto e quelli del Papa parevano esitanti ad abbandona re le sale:

« Anche voi, allontanatevi I Non vi temo più, non vi ascolto più ! Nel castello dei Madru zzo, Emanuele, ultimo della loro stirpe, comanda. Lui solo , non altri. Ubbiditemi e p resto)).

Ma dalla fo ll a che no n partecipava a ·quello scoppio di esasperazione, né pareva commuo versi molto alla sciagU ra di Clau dia, si tolse il cavaliere u ngherese, che cercò di calmare Emanuele. Non vi riusd, A nch'egli fu respinto. I convitati uscirono ,

« È pazzo I )), dissero i legati del Papa, mentre si coprivano cOn ampi mantelli di velluto e si disponevano a scendere le scale, « È pazzo I )), confermarono i legati d ell' imperatore. « È pazzo I »; sentenziarono i dignitari del clero trentino. « È pazzo I )), fecero i cavalieri cinge ndo le Spade. « È pazzo I h pazzo I E. pazzo I >), Fu questa l'universale constatazione.

« P azzo d'amore I », sogghignò uno d ei legati p ontifici. « È u n po' tardi .... >).

« Sarà quindi una malattia i ng uaribile», aggiungeva ironicamente un altro prete.

Neppure gli amici intimi del cardinale osarono rimanere con lui. L a sciagura gli aveva sorpres i, atterriti. Sentivano il bisogno di allontanarsi da quelle sale, do ve la morte era entrata cosl r epen tinamente.

Emanuele, dopo il suo sfogo violento, brutale, folle, ritornò

142 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

presso Claudia. N ella breve stanza no n c'erano che il medico e L udov ico.

Il cardfoale, accennando al medico, gli o rdi nò :

« Allontanatevi, dal m omento che la vostra opera è vana! ».

Il medico s'inchinò ed obbedl.

Claudia non si lamentava p iù La faccia era traversata da contra:doni, le mani afferravano nervosamente le coperte del letto, si stringevàno a quelle del cardinale : sono i movimenti di chi è prossimo ad abbandonare la vita e si afferra d'istinto a tutti gli oggetti che lo circondano.

« Claudia I Claudia I daudia I )), invocava il cardinale con voce che non aveva· più nulla d'uma no.

Ma Claudia no n ri spondeva. Quelle labbra erano mute, d a quella bocca divina che ora si t orceva di tempo in tempo in una smorfia dolorosa n o n uscivano più accenti. Invano il cardinale si chinava sopra a quel volto, quasi a trattenct vi la vita che fuggiva Il v:cleno compiva la sua opera di distru zione. E Claudia m oriva senza imprecazioni, co me le antiche cortigiane che andavano serene incontro alla morte, sicure che il dio dell 'amore le avrebbe sottratte alle dimo re lug ubri degli inferni per accoglierl e negli Elisi chiari e luminosi.

Mezzanotte suonò alla t orre di città. Le lampade ebbCro u n briv ido . Qualcuno chiamò nell' alto silenzio. Qualcuno, ma non fu possibile intendere il nome.

Claudia distese le sue mani, il volto le si ricompose. Cessò il fremito delle membra e il breve lame nto . Più nulla, U singhioizare di due uom ini, singhiozzare che rompeva le tenebre come una lacer azione improvvisa, si udì solo nella camera. , Claudia, la cordgiana, Oau&a, la fem mina dagli occhi neri diabolici, non avrebbe più stregato di sue malle Emanuele, il vecch io. Claudia, la capticdosa, non av rebbe più dilapidato ricch ezze. Claudia non avrebbe più perdonato ai suoi aggressori, né avrebbe più colpito i suoi fiemici. Claudia era ormai un corpo inerte senz'anima. Claudia e ra un nome, un nome solo, che n o n sarebbe stato più imprecato, poiché 1a morte cancella o attenua g li od.1, sopisce i rancori, disarma la vendetta.

Dietro la portiera stavano i n gruppo compatto e silenzio so i famigli del cardinale. Parevan commossi. Fra loro, il colpevole, cominciava fors~ a sentirsi il cuore dilaniato ~ lle . vipere del rimorso.

CLAUDIA P ARTICELLA 143

X.

I funerali cli Claudia furo no solenni. Il p opolo n o n vi partecipò. 11 clero vi partecipò per forzi. Claudia fu acco mpagna ta alla dimora estrema fr a l'indiffere nza della città. Per alcuni giorni i leg ati s i astennero d al far visite a E manu ele J\.fadruzzo. Il quale, unitame nte al consiglier e Lud ovico Particella, iniziò una inchiesta. Furono minuti e indagato ri, ma senza risul tato, Il colpevole ri mase ig norato. ll conte di Castelnuovo e do n Benizio giubilarono all'annunzio. T utti i nemici della famiglia Particella ne previdero la rovina imminente.

Dffa tti, d opo . alcune settimane dall a mo rte di C laudia, i legati dell'impero imposero al cardinale la desti tu zio ne di L udovico· Pa rticella. Il cardinale non si ribellò. O rmai n on aveva p iù fo rza e si rassegnava a tutti i colpi del destino. Cosl vide p art ire il vecch io consigliere che per venti an ni l o aveva consigliato ed assistito Ludovico Particella ripar ò in Italia e qu i pa ssò il resto della sua vita. Il c ardin ale si chiuse nelle sue stanze e si disinteressò completame nte delle faccende del prin cipato.

Uscì dalla sua solitudine per ordinare u na processione n ott urna di peni tenza, processione che· doveva coincidere col trigesimo della morte di Claudia, e doveva essere l ' apoteosi della indimenticabile amica.

L'ordine di quest a processione notturna ·di penitenza stupl alquanto i preti del Capitolo della catt edrale, Ma i legati pontHi.ci credettero a un pentimento di Emanuele Madruzzo, che avrebbe con quell 'atto pubblico e solenne i niziata la sua espiazione e le sorde ostilità scomparve r o. Per ~tto giorni, mattina e sera, da tutti gli al tari, in t utte le chiese, i preti rinnova ro no l'invito ai fedeli.

La p rocessione doveva essere grande e nessun credente doveva ma ncare. Il cardi nale lo aveva ordinat o, E gli voleva cancellare tutto il suo passat o, redimersi e ritornare pastore del suo popolo.

Molti nemici del cardi nale avevano deposto le loro ire, la scomparsa di daudia suscitava esager ate speranze, 1a presenza dei legati doveva co mpletare l'opera e ripocre l'ordine nel p rinci pato. Gr:ande in tut ta la città era l'at tesa per q uesta pr ocessione di penitenza. Per~

vevano in t utte le sacrest ie i prepa rativi; da i vecchi, amplissimi armadi, dalle casse ripiene si traeva no fuori stoffe per decorare, vesti, o rnatl}enti, i mmagini. Da dieci a nni non si compiva più questa cerimonia, di cui

144 OPERA OMNIA DI BENITO M U S SOLIN I
.

l'importanza era assai grande in quei tempi. Nelle famiglie non si parlava d'altro e in tutti era la convinzione che si trattasse di un atto pubblico d'espiazione. Il cardinale Emanuele Madruzzo tornava al popolo e prima voleva purificarsi del passato scandaloso. Nessuno P<Jt eva sospettare che la processione di penitenza fo sse l'apoteosi di Claudia, nessuno poteva pensare a una postuma glorificazio ne d ella cortigiana che aveva tratto a rovina principe e p rincipa to, nessuno poteva immaginare che la grande cerimonia sacra fosse d edicata. a Claudia, peccatrice- profana. Eppure il cardinale aveva voluto una ultima soddisfazione.

« Tu, popolo», cosi aveva pensato il cardinale, cc non hai partecipato al mio dolore per la morte di Claudia; a nzi ti sei rallegrato di questa repentina e misteriosa scomparsa. Forse dalle tue file è uscito il sicario che propinò il veleno alla mia indimenticabile amica. Voi preti avete gioito della mia sciag ura e le vostre preghiere furono menzogna. Voi nobili, a mici del conte Antonio di Castelnuovo, avete salutato la fine di Claudia come l'inizio delle vostre soddisfazioni. Voi legati del Papa, voi emissari dell'impero credete di aver facilitato il vostro compito solo perché Claudia Particella venne assassinata col mezzo subdolo e vile-impieg ato nella corte ponti6cia. Voi tutti che odiaste Oau<lia, parteciperete alla processione che io ho ordinata in suo onore. Espierete per l'odio che vi contaminò lunghi anni ». Da tutte le torri di città le campa ne suonavano a stormo, quando il crepuscolo serale del giorno destinato alla processione discese dai monti, di cui le vette erano a ncora illuminate dal sole. Le teneb re della sera calarono. Alle dicci le campane tornarono a squillare. Tutto il cielo tenuemente illuminato dalle stelle si riempiva deUa vibrazione metallica. Lo straniero ignaro che si fosse approssimato al ponte di San Lorenzo, all'udire tal furia di rjntocchi, si sarebbe chiesto: quale furibonda sommossa agita il po polo di TrentÒ ? Qua le pericolo sovrasta la città se da tutte le torri viene lanciato il b ronzeo grido d 'allarmi ? Un incendio? Un'invasione?

Intanto il popolo ubbidiente si rovesciava nelle strade e si dirigeva in piazza del D uomo, dove la processione avrebbe preso l'avvio. La chiesa aveva le porte spalancate e a tutti gli altari ardevano altissime le fiamme dei ceri. Un movimento insolito di preti e di chierici si notava in fondo, dove l'incenso annebbiava i profili delle cose e degli uomint La folla usciva ed entrava con un fru scio pesante.

Voci sommesse, preghiere mo rmorate, gesti p archi nell' ombra Quando fu annunciato l'arrivo del cardinale, tutta la fo lla o ccupò la chiesa. Emanuele Madrnzzo indossava i paramenti sacri ed era seguito da quattro prelati. E g li, quasi i ncurante della foll a che s'inchi-

CLAUDIA PARTICELLA 145

nava al passaggio di lui, raggiunse l'altare e officiò. Da molto te mpo no n l'aveVa fatto. Da mo lto te mpo no n serviva più il Sig nore da va nti al popolo. Finita la cer im o nia fra l'intensa co mmozione dei fedeli, fu ordinato il corteo . Usciro no d alla cattedrale quattro nerboruti chierici, p o rtato ri d i s tendardi e si p Osero in testa alla co lo n n a. D opo ai chierici ven iva un forte manipolo di preti salmodianti le litanie. Questi uomini dovevano illuminare la processione. Doflo costor o g iungev a il car dinale. Egli era cir condato dagli alti dignitari. del clero trent ino. Teneva le mani piegate sul petto, dove brillava u na g rande croce, e camminava a testa bassa. D o po il gruppo del cardi nale , veniv a una lung a squadra di alab ardieri. E ssi t enevano alte le loro armi , che brillavano stranamente al lume delle torce. Dopo gli alaba rdieri, una interminabile teoria di d o nne. Tut t o il mo ndo mulie b re tre n tin o era rappresentato. C'erano le s ignore d ell'alta arist ocrazia, r iconoscibili d alle ampie vestaglie di velluto. Esse t enevano il capo av v olto in veli n eri e g li occhi fiss i a te rra. C'e r ano le popolane p iù cUmesse~ t alu ne lacer e, cop erte le spalle da g randi scia11i a lla v eneziana Dietro le d onn e veniva la massa disordinata degli uomini di tutte le e tà , di t utte le professioni. Si notava da u ltimo un gruppo di cavalièd, che chiudev ano il lugubre corteo.

Tutte le fine stre della città b rillavano di fiammelle accese. D ei v ecchi impo tenti s'affacciavano e salut avano gli stendardi s.acti co n .gesti di d evozfone accorata. Il corteo a veva un aspetto fan tastico , bizzarro, Le t orce gettavano sp razzi di luce sanguig na sulle case, che s ' illuminavano rapidamente, mentre sui mu r i passava la teo ria d elle ombre. Per qu alche temp o t utta q uella m olti t udi ne p arve muta. N essu n a voce si levava a rom pere il silenzio segnato dal ritmo d èila folla m arciante. Ma in prossimità de lla Chiesa di San Pi etro s'int onò un coro. 11 g r up~ p o d ei p r et i diede il seg nale e la moltit udine continuò. Le a ni me s ' infe rvorava no dietr o ques to canto d ell'espiazione.

Il card ina le E manuele !vladru zzo in gann ava c oscie ntem ente per la prima ed ulti ma v o lta il suo p opolo. Durante il tragitto un so lo pensiero l'occupava: quello di Claudia ; una sola immagine gli veniv a dava nti ag li occhi: quella di Claudia; un solo nome egli invocava : Claudia Emanuele Madruzzo commetteva un grande sacrilegio N o , non era quella la cerimonia della purific azione. Ah, se i preti salmodianti a Jato · dd cardinale aves sero sol lontaname nte sospettat o i pensie ri che g li at traversavano l'anima, è as sai probabile ch'essi avrebbero g ddato al sacrilegio e avrebbero suscitato tutte le cieche coJlere del popolo fanatizzat o d alla pratica r eligiosa·. La n otturna processione d i penite nza si sarebbe subitame nte trasformata in indicib il tumulto, nel quale fo rse il cardina le avrebbe lasciato la vita. Ma n o n è concesso

146 OPERA OMNlA DI BENITO MUSSOLINI

agli umani di leggersi nell'animo reciprocamente. Ogni uomo ha una o molte pagine chiuse nel libro della su a vita. V'è in noi una parte che non viene,· né può venire mai alla superficie, Noi siamo stranieri profondamente g li uni agli altri. Quella che si dice fu sione delle anime è una delle tante illusioni necessarie all'esistenza. Vanima umana è sola, non ha sorelle. La madre non può leggere il pensiero del figlio, il giudice non può penetrare nel mistero della colpa, finna morato s'inganna. Possedete il corpo, ma l'anima vi sfugge

« Claudia I Claudia I Claudia ! », invocava Emanuele Madruzzo. La passione non morta gli suggeriva il dialogo col1a dolcissima amica scomparsa. « Claudia, ecco un popolo che si macera, si batte, si castiga per te ! Claudia, ecco un'altra soddisfazione che ti porge l'inconso labile ! Questa ge nte ti odiava, m a p ure stanotte ti piange e ti celebra, senza saperlo ! >>.

La process ione pcrcocse le vie principali d ell a città e ri tornò quindi nella piazza del Duomo La luna, piccola face n ell'immensità dei cieli, diffondeva un tenue chiarore e le ombre delle t orri traversavano la piazza. Dalla fontana zampillavano fili argentei d'acqua. Net tuno, re dei mari> pareva sorridere ironicamente davanti alla folla cristiana che si t ogl ieva al riposo per oi-:.orare gli iddii. Passarono g li stendardi, il cardinale. La chiesa inghiottl i preti tutti. La folla si dispecse, A mezzanotte, Emanuele Madruzzo rientrò al castello.

Trascinò come una catena gli anni che visse di poi. Mod il 15 dic.embre 165 8.

Con lui si spense la fami g lia dei Madruzzo. colla sua morte si chiuse jJ periodo più glorioso e movimentato della storia del principato di Trento.

CLAUDIA PARTICELLA 147

IL TRENTINO VEDUTO DA UN SOCIALISTA

(NOTE E NOTIZIE)

PREFAZIONE

Molti ssimi italiani del regno, non esclusj coloro che fan pcofessione d'irredentismo (professione oggi abbastanza comoda e forse · anche sufficentemcr.ce lucrosa), conosco no assai vagamente la reale situazione cli quelle tcr.re ch'essi vorrebbero redimere. Molti italiani, anche colti, quando parlano del T rentino, 'danno prova di una grande ignor anza politica, linguist ica, geografica, Non si sa distinguere, ad esempio, il Trentino dal Tirolo Si crede che a Trento si pa rli tedesco Qualcuno candidamente :si doman da se Trento è bagnata dal mare ·come Trieste. Non c'è da meravigliarsene. Si fa presto a dimenticare la geografia appresa nelle scuole e gli italiani adulti viagg ia no poco.

l giornalisti poi che si occupano del Trentino lo fan no quasi sempre d o po un fugace soggiorno di ventiquattro o quarant'otto o re, tempo insufficente a con oscere un paese e a farlo conoscere a un pubblico lontano.

L'autore delle p agine che seguono ha d imo rato nel Tre ntino quasi tutto l'anno 1909. H a osse rvato, n otato, raccolto. Suo compito era que llo d i descrivere i l Trentino qu al'è oggi nella su a s itua zione ling uistica, economica, polìtka ; di informare il gran pubblico che ha ìd!;e false o ignora o si culla di beate illusioni che la realtà purtroppo smentisce.

Parte de11o studio sulJa lotta linguistica venne pubblicato nella V oce del gennaio 1910 e ottenne lodi da competenti. Lo si _tr overà qu i riprodotto in appendice.

Il riassunto delle d ott ri ne pangennaniste parve all'au tore necessa rio onde famigliarizza re il lettore col pangermanismo linguist.ico che ha il suo particolar campo d 'azione nel Trentino. B.

IL PANGERMAN ISMO TEORICO

Il pange rmanismo conscio deg li i ntellettuali no n è che la spiegazione e la giustificazione e l'apologia del pangermanismo pratic o che conquista i mercati del mondo e ru ba le clientele colon.iati all'Joghilteua. È notevòle t uttavia il fatto che i precursori del pangerma nismo « tedesco » e i dottrinari principali del medesimo siano s bocciati dapptJma sul suolo di Francia. Già in Ernesto Rcnan prima deUa «cr isi» del '70 troviamo accentuate simpat ie per il pangermanismo ariano e il Seillère le ha diligentemente rileva te. Ma il vero dottrinari o del pangermanismo è Gobineau. Jl suo Esiai sur l'inégalité des r aces è il vangelo del germanismo. Il pangermanismo è per lui « la manifestaz ione dell'arianismo imperialista » e l 'ariana è la razza che porta n el suo grembo le forme superiori della civiltà. Due razze sono oggi sul suolo dì Europa: l'indo-ariana superiore, dimorante al nord, e la latina o <(caotica», incrcx:iata co lla semita, brulicante al sud. Quest'ultima è un'jnsidia continua, un pericolo permanente per la prima. Il germanesimo d eve quindi puruicare l'Europa, riduce ndo in schiavitù · e gradata meflte eliminando l a ra zza i nferiore, la razza caot ica o mediterranea i ncapace di un tenore elevato di vita. N at uralmente tut to c iò c he è st ato fatto di nobile, di gran de, d i eroico è opera della razza ariana ; tutto quanto è vile è certo prodotto dalla razza «caotica » Il prevalere accidentale dì q uest a razza ci dà le epoche tenebrose della s toria ; l'egemonia ariana, quelle luminose. Il colore d ella pelle è il co lore dell'anima. Cosi, secondo Gobineau, abbiamo un a psicologia nera, una gialla, una bianca. La psicologia nera è quella dei popoli mediterra nei superstiti d ella corruzione imperiale e rinchius i. nelle ant iche fr o n tiere dell'impero. So no i p opoli che durante la lunga p ace r o mana si fusero e si confusero mischiando il sang ue siriaco e l'abis. sino, il numida e quello d élle Baleari, nel suolo de lla Francia e della Sp ag-na. Q uest o miscugli o trattenuto e contenu to dai rap present anti ultimi delle an tiche aristocratiche schiatte umane ·sino all'epoca dei

lL • X.XXIII.

Cesari. divenne irresistibile con Caracalla, che allargò il diritto di cittadinanza a tutti i sudditi da R oma d ominaci nel bacino sudeuropeo. Non già ·il cambiamento delle fo rme politiche, da repubblicane a monarchiche, che segna l'inizio della decadenza di Roma, ma è la corruzione delle stirpi dominatrici al contatto troppo frequente e prolungato coi popoli inferiori. È questo un motivo nietzschiano, L'epoca tenebrosa che prende inizio dal nùscuglio delle stirpi nella Roma postcesarea, è rotta solo dai padri della Chiesa, davanti ai quali G obineau s'inchina. Poi, buio fitto, sino alla Riforma, opera del germanismo, 'il quale d 'allora non ha avuto più soste nella sua marcia v erso forme di vita superiore e non le avrà in seguito, se saprà tenersi irrunune dal contagio del brachicefalo a lpino.

Dopo il francese Gobineau, ecco un altro francese, Lapouge, egualII1ente saccheggiato dai pan germanisti. Il Lapouge, professore all'Università dj Montpd!ier, ammette, come il Gobineau, l'esistenza di due razze in tutti i paesi d'Europa: una di conquistato ri e di padroni per diritto d'origine, gli ariani o europei (homo turopanu) e u no d i vinti e di schiavi (i celti o alpini). Le differe nze fra le due razze sono profondissime, tanto dal punto di v ista 6sico come da quello morale L'indi v iduo appartenente alla razza ariana è alto, con capelli b iondi, occhi chiari, carnagione bianca, colla forma del cranio allungata, L'alpino è brachicefalo (cranio a base larga-piatta), è basso di statura, ha occhi e capelli bruni. Cosl la tinta del v olto. Le differenze morali non sono meno profonde. L'arfano è audace, l'alpino è timido; il primo è protestan te, il secondo è cattolico; l 'ariano ha il concetto di patria, l'alpino non hà che quello di famiglia : l'ariano è ·cercatore d'idee, l'alpino è invece accumula to re; l'aria no è nato per comandare, l'alpino per servire. Gli alpini autoctoni vivevano, secondo il Lapoug e, nelle montagne e nelle foreste allo stato quasi scimmiesco durante l 'epoca della pietra. Gli ariani se ne servirono da bestie da soma. Poì nel corso dei secoli il miscug lio fra le due razze confuse i .10[0 ca ratteri diffe. renti, tanto che oggi la razza inferiore, la brachicefala alpina o quella del caos,·minaccia seriament e la purità della razza bìonda. Guai se questa purità minacciata oggi andasse perduta domani. L'avvenire della civiltà sarebbe irrimediabilmente compromesso._ Orid'è che il L apouge, preoccupato delJe conseguenze di questo incrocio, propone, per conservare la purezza della razza bionda, l'applicazione, con t enacia e coraggio, di radicali prinCipi selettivi. Egli propone l'impiego della selezio ne artificiale positiva e n egativa: positiva favorendo la riproduzione d egli individui atti, con p rocreatori « eugenici », cioè scelt i i negativa distruggendo · senza pietà gli elementi parassiti, ristabilendo d ovunque la pena di morte e facilita ndo ai degenerat i, agli avariés et

154 OPERA OMNIA
DI BENITO MUSSOLINI

débanchls, l'appagamento sfrenato del lorò vizio, perché ciò gioverebbe rapidamente a eliminarli, Una città~ dice Lapouge, dove si vendessero vino e liquori gratis, diventerebbe subito la Mecca di tutti quanti gli alcoolizzati, i quali libererebbero i luoghi sani dalla loro molesta presenza, non rovinerebbero altri individui col. loro esempio e uccisi dal vizio scomparirebbero in breve. Questi principi ritroveremo negli autori del pangermanismo tedesco, Riassumendo: il Lapouge, come Gobineau, dichiara «eletta» la razza ariana oggi rappresentata in gran parte dal germanismo, non contenuto però solo nei limiti dell'im· pero tedesco attual e. (Secondo i pangermanisti, anche dodici milioni di francesi appartengono alla razza eletta). La razza inferiore- è la brachicefala dispersa sui territori dell'antico impero romano. La prima è fattrice, la seconda negatrice di civiltà. Quest 'ultima deve scomparire o essere ridotta ai servigi più umili e necessari, per n on ostacolare la razza ariana nel suo ascendente cammino. Per far scomparire la razza caotica e per trarre dal suo seno tutto quanto vi si racchiude ùi germano, le classi dirigenti applicheranno la selezione artificiale. Questa, nel breve giro di poche generazioni, ci darà un'umanità di uo. mini eletti, che potranno realizzare quelle forme _ di convivenza sociale oggi propugnate dalle diverse scuole socialiste, Senza una purificazione delle razze, colla g rad uale eliminazione della inferiore, non sarà mai realizzabile il socialismo I

Dopo i precursori francesi, il pangermanista più convinto, più entusiasta e più discusso è stato Houston Stewart Chamberlain. Il suo libro Dù Grundlagen da neunzehnten Jahrhunderl.r costituisce il vero vangelo del pangermanismo.

Chamberlain nacque a Portsmouth nel 1855, passò l'infanzia a Versailles e studiò in Inghilterra, segul i corsi universitari nelle università tedesche nella Svizzera. Chamberlain comincia botanico, poi non permettendogli la salute di applicarsi alle esperienze di labor;itorio, si tramuta in critico wagneriano, finisce predicatore dell'imperialismo germanico con un'opera di grande mole, se non proprio cli profonda dottrina,

11 criterio ch'egli introduce per distinguere le ra1:ze non è soltanto fisico, ma spirituale, anzi prevalentemente spirituale. Il colore dei ca· pelli, la forma del viso, la forma e la capacità dei crant, non sono elementi in modo assoluto necessad per distinguere l'una dall'altra razza. I capelli biondi; gli occhi chiari, la statura elevata, il color bianco valgono poco, se mancano nell'individuo le qualità « germane» dell'anima. I connotati spirituali dunque sono gli essenziali e quelli dobbiamo ricercare e fissare per non sbagliarci e confon dere germani con alpini. Per trovare con prontezza C sicurezza questi connotati

IL TRENTINO 155

psichici differenziatori, bisogna avere quello speciale innato colpo di occhiO degli allevatori professionali. Qui l'influenn di Darwin, di Gobineau e di Lapouge si fa sentire, poiché anche il Chamberlain vuole la fabb ricazione di una raz.z?, eletta. Meta no n irraggiungibile quando si applichino i principi della selezione artificiale positiva e negativa, magari favorendo l 'incrocio del sangui, che non deve però essere né lungo, né troppo diverso. Con questo criterio puramente personale, Chamberlain trova che Davide, Golia e forse _ Salomone erano germani, che Dante era germano, che tutta la Rinascenza era opera del germanesimo.

« Bas ta - dice Chamberlain - una sola passeggiata al museo di Berlino, nella galleria dei busti della Rinascenza, per convincersi che il tipo dei grandi italiani d i quel tempò è totalmente scomparso ..• »

È un naufragio completo che il .«germanismo italiano)> ha subito d al 400, Per Chambedain, L ute ro è il germano, Loyola è H latino-mediterraneo; Napoleone, sempre per Chamberlain, è « il g rande capita no del caos dei popoli», Goethe invece è il pwtotipo perfet to dell'ariano, l'uomo nella sua eccellenza. Per il discepolo di Chamberlain, il dottor Wellmann, Napoleone e Goethe sono entrambe meravigliose produzioni del germanesimo. Comunque il caos dei popoli esjste e d è una tara della civiltà.

« Chi viaggia - dice Chamberlai n - da Londra a Roma, va dalla nebbia verso il sole, ma nello stesso tem p-o d a una civiltà raffinata e da u n' alta cultura va ve rso la barbarie, la sporcizia, la brutalità, l'ignoranz:1, la menzogna, la miseria . N on è uno spettacolo d i decadenza quello che contempliamo al mezzogiorno: è un semplice arresto di sviluppo; quelle popolazioni sono rimaste alla civilt3 imperia le romana, mentre il mondo camminava in avanti Oggi, è vero, comincia no ad imitare goffamente il nord, ma invece di assimilarsene la superiore cultura, fini scono per perdere le vestigia pittoresd1c della loro originalità passata. Il "medi terraneo" è ·così in basso n ella scala culturale che Siviglia e Ate ne sono oggi città "meno europee'' di New-Yo r k e Melbourne. Fra i germani e i "caotid" e' è un abisso sul quale n on è p ossibile gettar ponti »-,

Naturalmente tutte le epoc bè che segnano un tournanl della storia sono dovute all'elemento germanico. La Rinascenza italiana o latina fo genere è opera di element i germani. Raffaello era biondo, Michelang elo non volle imparare le lingue classiche (le lingue del caos). Gio tto era tedesco. La rivolu zione francese è un prodotto dei germani. Di~ fatti tutti o quasi gli enciclopedisti era no germani. Le rivolte poi dei contadini « scopp iavano - dice Chambcrlain - col ~urore proverbiale del germano che ha troppo lungamente pazientato» Ma la razza caotica riprende il sopravve nto con quella Dichiarazione dei dirilli

156 OPERA OMNIA D l BENITO MUSSOLINI

de/I'11on10 negazione dell'imperfalismo, che ha bisogno per affermarsi di una rigida divisione delle caste. .Oggi l'Europa grande è la germana. Là c'è l'equilibrio. Nell' E uropa mediterranea c'è disquilibrio e dissoluzione. La futura unità europea avrà il sigil/11m germanico. Chamberlain prepara già un nuovo verbo religioso per questa Europa di uomini eletti. La sua religione non ha nulla di comune con ciò ch'egli chiama la « monolatria )) giudaica, incapace di far assurgere le anime ai rapimenti del misticismo. Né ha punti di contatto col monoteismo mediterraneo, divenuto « una idolatria». Chambcrlain è ostile all'universalismo della chiesa di Roma. Gli sembra pericoloso per uomini che te ndono alla conquista del mondo e hanno bisogno di una religione perfetta, Propone invece un ritorno al Vangelo, liberato da tutte le maschere contraddittorie di cui l'hanno ricoperto i preci di Roma. Una religione ·cristista che abbia qual punto di origine Cristo, ecco l'ideale del Chamberlain. Per lui Cristo è probabilmente un ariano; certo il suo temperamento era germanico. Cristo non è, .per Chamberlain, il profeta della rassegnazione, ma il profeta della conquista; non si rivolge agli umili, ma ai guerrieri. Lo scoppio d'ira che gli pose in mano le fruste per cacciare i mercatori · dal tempio, è una rivelazione di qualità germana dell'animo: - la negazione palese del fariseismo usuraio degli ebrei. Cristo è un imperialista. ·

Il suo vangelismo conve nientemente rimodernato e purificato può servire di base al cristianesimo germanico di Chamberlain. Preparatori della nuova religione sono stati Kant e Schopenhauer. Ora il suo trionfo è questione di vita o di morte per il germanesimo:

(( Se - dice Chamberlain - una vigorosa rinascita di id ealismo, creatrice e ·specificatamente religiosa ad un tempo, non si produce fra noi germani, se noi non possediamo più la forza plastica necessaria per trarre dalle parole e dall'aspetto del Figlio dell'Uomo crocifisso, una religione compl eta , vivente, adattata al nostro carattere, alle nostre disposizioni, allo stato attual e de lla nostra cultura, una religione cosi immed iata mente convincente, di una bellezza così fa. scinatrice, presente, plasticamente mobile, e ternamente vera e tuttavia cosi nuova che n oi dovremmo abbandonarci ad essa senza resistenza, come l'amata fra le br accia dell'amante, senza parole, senza esitazione, col cuore pieno di entusiasmo, una relig ione ~rfeuamente modellata sulla nostra essenza getman ìca particolare (che noi sappiamo ben dotata, ma facile alla caduta} da renderci capaci di impadronirci di noi stessi, di nobilitarci e di fortificarci sino in fondo all'anima, se noi mancheremo a questo compito, falliremo anche nella conquista del mondo».

Le sensazioni della semiestasi sono dunque elementi essenziali del cristismo germanico del Chamberlain. In qual modo eccitarle?

l?er mezzo dell'arte, questo filo d'oro che mette, secondo Chamber~ lain, in comunicazione il mondo della natura col mondo dello spirito.

J.L TRENTINO 157

E quale delle arti ecciterà più rapidamente e più profondamente l'animo alle intuizioni mistiche del cristismo germanico ? ·La musica. Wagner è il cantore del nuovo verbo. Senza Wagner, Chamberlain non avrebbe voluto vivere e certo non avrebbe potuto produrre. Per Chamberlain l'arte di Wagner è religiosa È « una rivelazione ì stantànea e vivente dell'inconoscibile». Senza la musica .dunque o l'arte in g enere, il cristismo germanico di Chamberlain rimarrebbe lettèra morta. E senza l'aiuto di questa nuova religione è impossibile vincere in noi gli a vanzi del caos, per condurre al trionfo le qualità germane che at tendono di essere risvegliate.

Come tutte le opere paradossali, anche quella del Chambulain è irta di contraddizioni. Qualche volta s'incontrano nella stessa pagina. Egli flagella e carezza, indifferenteme nte, colla steSsa mano. E a v olta a volta è tirannico e indulgente. Per il criterio del riconoscimento psicologico o delle affinità elettive ch'egli introduce ne lla sua concezione d el germanesimo, cadono gli esclusivismi che condannava no a vegetare fuori dell'orbita luminosa della civiltà i no n ariani. Chiu nque si mostra e si prova germano co i suoi atti, è germano qualunque sia il suo albero genealogico. Tutti dunque, anche gli afr:cani, p urché facciano professione di fede g ermanica, potranno far parte della grande futura dvilas germanica. Ciò consoli tutti coloro che dietro ai teorici del pangermanismo scorgonO i pericoli della conquista .guerriera e della conseguente schiavitù personale.

Ludwig Woltmann ha ripreso ìl motivo di ChamberJain, pur non arrecandovi molte variazioni. E gli, del resto, visse t~oppo brevemente per darci il «sistema» completo qual'è nei gusti dei pensatori tedeschi. Morl annegato nel Tirreno al principio del 1907. Woltmann comincia socialista sotto l'influenza di Marx e partecipa al movimento. Anch'egli è revhionista Tenta, insieme col Bernstein, di svecchiare Marx Non ci riesce e abbandona la politica per passare, grazie al}'jnfluenza di Nietzsche, sotto l e bandiere d ell'imperiali smo. Anche per Woltmann la Rinascenza italiana è una tappa intellettuale della razza germanica sottomessa a certe influenze locali di ambiente e di tradizione. I grandi italiani e· latini dell'epo~a furono t ed eschi. I loro nomi trad iscono le origini germane. Cosi Donatello Bardi viene da Barth; Gi otto è il tedesco Jotte: Alighieri è Aigler; Bruno è Braun; Ghiberti è \Vilbert; Santi è Sandt; Vinci è Winke; Vccellio è Wetzel; Tasso è Tasse; Buonarroti è Bohnrodt. E gli spagnuoli Vclasquez e !v[urillo furon o VelaJrisch e Moerl. La storpiatura di questi nomi è cosi evidente nella sua artificiosità che non v 'è bisogno di perder tempo a confutare.

P er il Seillère, « Woltmann fu un germanista nel senso puramente filos ofico della parola, un arianista, un profeta mistico dei destini

158 OPERA OMNIA
DI BENITO MUSSOLINI

della r azza b ionda dispersa sul globo intero e non veramente un pangermanista nel senso attuale e politico della parola». Tanto poco pangermanista i n quest'ultimo sigoi6cato che prima di finire cosi tragicamente la vita dubitava della missione civilizzatrice della razza tedesca.

« Io dubito - diceva - che la forma dello spirito tedesco e quella del la politica prussiana sia la più cara lleristica dell'anima germanica e I~ più degna della razza bionda »

Vero pangermanista nel ·senso politico e pericoloso della parola è l'austriaco L. Reimer, Egli , come gran parte dei panger manisti austriaci> è germanico d'adozio ne e suddit o spirituale degli H ohenzollern.

Il Reime r è figli o legittimo del G o bineau, di Chamberl ain, di Lapouge, di \X'olt mann Pe r Re ime r, a differenza di Gobineau e di Chamberlain, non è il semiti smo o la latinità il nemico del germanesimo, ma è il germano l'u nico nemico del germano e l'egemonia del globo si è disputata da quindici secoli fra potenze germaniche no n sempre conscie del loro essere e della loro origine. Per il Reimer, tanto nella prima quanto nella seco nda epopea ~apoleonica, è l'anima ger manica che sotto l'etichetta francese tenta·realizzare il suo sogno: l'impero universale. La nazione che più racchiude in sé di elementi germanici, la Prussia, è destinata a compirlo, malgrado la resistenza attiva e passiva dell' alpi no brachicefalo, razza inferiore di schiavi. D'accordo col Woltmann anche il Reimer r iconosce che il movime nto operaio attuale, conside rato dal pu nto di vista a ntropologico, non è che lo sforzo d'ascensio ne della couthe superiore o germanica d ella classe operaia verso il potere e verso la libe rtà. h un'altra facc ia dell'imperialismo. Q uesto si combatte fr a classe e classe; l'altro fra [azza e razza. I rivoluzionari dell'oggi, come i ri voluzionari dell'89, appar tengo no al germani smo. Saint Just, Robespierre, Siéyès non erano certo dei « brachicefali mongoloidi». Non avrebbero fatto la rivoluzione.

Il Reimer stima che la rivol uzione operaia non sarà possibile se il proletariato, in particolar modo il tedesco, no n r inuncerà all'inter~ nai.ionalismo uni versale, pericolosa eredità dell'ideale catto lico che abbraccia anche le raz ze inferiori corruttrici delle superiori. Come g li operai bianchi si difendono dalla concorrenza dei gialli o dei neri, cosl i germani dolicocefali d evono esse re garantiti d alla concorrenza dei brachicefali alpini. Al motto marxista <e Proletari di tutti i paesi unitevi I >> , è necessario sostitu ire questo: « Proletari germani di tutti j paesi unitevi I». Sòlo cosl sarà possibi le la rivoluzione.

Il concetto delle élite, che il Pareto ha int rodotto ne lla su a sociologia per spieg are la su ccessfone delle diverse classi al potere economico

IL TRENTINO 159

e politico deUe società, quel concetto fa la sua comparsa nell'antropologia -pangermanista del Reimer. La Hilt germanica del proletariato arriverà al sommo grado della piramide sociale, purché sappia scindersi d all a massa caotica e sappia respin gerla. Che il proletariato tedesco vada liberandosi dell'internazionalismo vecchia maniera è verità. Non cì p.ire ché gran parte vi abbiano il Rcimer e compagni Ma è un fatto che l'internazionalismo dei socialisti tedeschi è ben diverso dall'internazionalismo dei socialisti latini, specie francesi. I socialJsti tedeschi, come tutti gli altri cittadini, vogliono una Germania forte, agguerrita, capace di vincere n on solo nelle lotte industriali, ma anche in una guerra. Lo sciovinismo è malattia più diffusa in Germania che in Fran• e ia. ·Questa malattia ha in Germania delle esplosioni sintomatiche, Esempio recenti ssimo la discesa del Mayer bavarese nel Trentino per conquistarvi il castello di P ergine. Mayer e la sua banda furono respin ti a sassate, ma il castello di Pergine, sito in uno dei luoghi p iù panoramicamente deliziosi della Valsugana, oggi è tedesco, perché i pangermanisti l'hanno comperato dall'italiano vescovo di Trento; e mediatore del contratto è stato uno dei membri più influenti della Lega nazionale, che, come t ~tti sanno, ha lo scopo di serbare intatta l'italianità linguistica e territoriale dei paesi italiani sottomessi ali'Austria.

Secondo il Reimer, programma del pangermanismo d ev'essere la conquista pacifica o violenta dei paesi meno germanici, annettendo alla Germania i territori dell'Italia settentrionale, della Francia orien· ta le, dell'Austria tedesca e di t utte le piccole nazioni del nord dove l'ele· mento germanico è prevalente. Questo sogno di conquista europea (la Germania t venuta trop po tardi per crearsi un impero coloniale) è il sogno che scalda 1a g ioventù tedesca, I comitati pangermanisti che reclutano tante forze tra la gioventù accademica hanno già pubbli· c~to e abbondantemente diffuso una carta geog rafica raffigurante l'Eu~ topa verso il 1950. Tutto il centro d'Europa è divenuto tedesco. Le pjccole nazioni che oggi inquadrano la Germania sono scomparse inghiottite dall'impero. L'Italia ha ridotto i suoi contini a Udine. Trieste è tedesca. Questa cat_ta geografica non è un'anticipazio ne alla Wells. Assai difficilmente Trie ste pottà mai diventare politicamente italiana. È la Germania che tende a Trieste. Se domani la Germania possedesse Trieste, l'Inghilte rra vedrebbe irrimediabilmente minata la sua egemonia mediterranea e Malta diventerebbe forse un fortilizio tedesco.

Né basta ai ·pangermanisti indicare con tali piani le mete ideali d ella razza bi.onda; essi indicano anche i mezzi onde preservarla da ibridismi che turbandone la purità, ne Còmprometterebbero i destini.

160 OPERA
OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

E il Reimer prende dal I...apouge il metodo della selezione artificiale, tanto negativa quanto posit iva. La civitas ger manica avrebbe divisioni rigidamente castali come neUe società d'oriente. In alto ci sarebbe il gruppo dei germani pu rì, che dirigerebbero politicamente e spiritualmente la società ; in mezzo i semigermani tollerati; in basso, al piedistallo, i non-germani, spinti alla sterilità e alla morte. Il brachicefalo alpino sarebbe adibi to ai lavori più pesanti e malsani, vera bestia da soma, senza diritti e senza avvenire. Tale il quadro de1la società ger• manica quale ci vien prospettato dal Bellamy del pangermanismo, il do ttor Reimer.

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IL PANGERMANISMO PRATICO

11 Deut.Jcher Schulverein. - È una potentissima associazione, che ha ramificazio ni in t utti i paesi, tanto europei quanto trànsoceanid. Lavora con una tenacia teutonica, In quattro anni ha raddoppiato il numero dei soci e dei gruppi cd ha portato ·a più di un milione le ent rate ordinarie d ella società. Da u na relazione presentata all'assemblea annuale di B erlino risulta che le sovvenzioni in denaro pervenute in Austria nel 1908 raggiunser o l'importo di marchi nova ntaduemila, pari a ccntottomila corone austriache, dei quali circa cinquantamila vennero4<ievolut i per sostenere la lotta contro gli ~zechi in Boemia, Moravia, Slesia, g li altri quarantaduemila per la guerra contr o gli italiani e gli slavi del sud. Il Presidente dell'associazione ·è il ministro di Stato Hertig, che vuole agguerrire il pangermanismo contro il movimento aggressivo degli slavi, che si estende dalla Russia sino all' Austria, congiungendosi poi coll'irredentismo italiano e coll' Alliance française , composta quest'ultima, a detta del ministro, unicamente da ebrei.

L ' ultimo congresso ,dell'associazione è stato tenuto a Graz. Vi erano rappresentati milleottocento gruppi locali (Ortsgruppe) con ccntoquarantamila soci; gli introiti ordinari ascesero nell'anno 1908 a corone ottocentounomilaottocentonovantaquattrb con un aumento di corone cen tosettantamila in confronto del 19·07; vi fu inoltre un introito straordinario di corone trecentomila proveniente da lasciti e contribut i di nuo vi soci fondatori . Nell'anno di ges tione 1908 lo Sch11/11ereir1 incassò corone un milione centoquindicimilascicentosettaotatre e tenni! mille adunanze. Dall'ultimo congresso ha fondato quattrocentoventiquattro nuovi gruppi. Lo Schulverein possiede attualmente sessantacinque edi6.ci scolastici, cinqua ntotto giardini d'infanzia e sussidia centouno asili infanti1i . Questa società ha speso, a tutto il 1907, dodici milioni e novecentosettemiladuecentotredici corone per facopi soc iali. Qual differenza colla nostra Dante Alighieri, che nel luglio 1908 aveva lire duecentosessantottomilaci nquecentoquarantadue di entrata, duecentotrenta comitati e trent:a seim.ilaottocentododici soci e aveva erogato in vent'anni un milione di lire per scopi sociali I

Lo Sth11/verein possiede in Val d'Adige gli asili infantili di San

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Giacomo, Laives e Cortina, sussidia q\lelli di Bronzolo, mantiene due classi tedesche ai Laghetti, fa còstruire un asilo tedesco a Rovert della Luna, dove, secondo la statistica ufficiale, gli italiani sono o ttocentosettantotto e i tedeschi c inq ue. Ha assegnato un sussidio alla scuola dei Pòchi presso Salorno. Nella zona bilingue la direzione di questi gruppi locali è spesso per gran parte composta di elementi italiani. Si spiega questo fatto pensando alle facilitazioni matedali che i tedeschi accordano a tutti quegli italiani che siano disposti a ri nnegare la loro madre li ngua.

La Siid-,Mark. - Questa società pangermanista conta centosessanta• cinquemila soci, raccolti in circa settecento gruppi. N el 1908 le sue entrate sommacono a corone quattrocentoquarantatrc milaquattroccntolto (cinquan tamila in più dell'anno precedente). Un rapporto sull' at· tività di ques ta associazione tradotto con molto senso d'opportunità in italiano dalla Lega nazionale, ci dà il programma, i mezzi e i ri sultati o ttenuti. Anche la Siid-Mark ha per iscopo di estendere i confini del pangermanismo. 11 suo g rido di battaglia è: « Levatevi, o germani, e movete vecso il sud» Essa chiama « emporio commecciale tedesco» il porto di Trieste e consiglia: « Popo lo tedesco, non perdere di vista la tua meta, l'Adriatico I >>.

La Siid·Mark svolge la sua attività nel_ campo economico. Compra dei poderi al confine linguistico, ne espe lle i co ntadini i taliani e li sostituisce con fami glie tedesche. N el 1908 ha speso all'uopo quaran. tamila corone, comperando cinque poderi dell'este ns ione di otto· cento iugeri, Comperare gran parte di quella terra italica che un rela· ta re della Siid.J.fark chiama « terra d'oro» e trapiantarvi i tedeschi: ecco il programma della società. Però·questo processo di « colonizza· zione interna » sui gentri.r non ha dato finora grandi risultat i. Il conta· dino tedesco o non si abitua alla nuova dimora e alle nuove culture o abituandosi fini sce per prende re costumi e lingua della popolazione che lo ospita.

La S.id-Mark ha fatto, ma finora invano, una intensa campagna onde ottenere che i cosidetti ladini (quindicimila nell'Alto Adige o o ttantamila se vi si aggiungono gli abitanti delle grandi vallate di Fiem· me e di Non, nelle quali le caratteristiche ladine vanno attenuandosi) non vengano nel censimento uffici~le austriaco computati fra gli italiani. La Sifd.Mark combatte tutte le comunicazioni che allacciano più spesso e rapidamente il Trentino coll'Italia.

Come si vede, questa società trasc ura l'attivhà scolastica. E però i suoi progressi sono scarsi . Si sospetta che essa aderisca al Los von Ro!J!, onde anche i cattolici tedeschi mettono in guardia i cattolici, sia t edeschi

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che italiani, da una immigrazione di co ntadini p[otestanti. Quando si tratta della « solidarietà p rofessionale» i cattolici delle due lingue ne parlano una sola I ·

Il Volksbund. - Le origini di questa associazione prettamente antitaliana sono recenti. Al principio del 1901, sessantotto tirolesi di tutti i colod e le gradazioni politiche lanciarono un appello col motto « Il Tirolo ai tirolesi da Kufstcin (confine germanico) alla Berner Clause (chiusa di Verona)». In esso appello s'invitavano tutti i tirolesi fedeli alla provincia e all'impero a costituire il Tiroler Volksb1m d, allo scopo di coltivare fino al sacrificio la devozione della provincia, come pure al retaggio nazionale in lingua e costumi, in foggie e maniere, in leggi e diritti. Il 5 maggio 190 5 si riunirono a Sterzing, nell'albergo Stòlter, centotrenta ra pprese nta nti, quasi tutti tedeschi . PresiCdé il dottor Rohmeder, per il quale Dante è u n poeta d'origine ger manica, Durant Aliger. Può dirsi il Rohmeder fondatore dell'associazione. Parecchi individui dal nome italjano aderirono. All'inizio del J 906, esistevano g ià ventotto g rupp i. Dopo un an no, e cioè al 6 maggio 1906, i gruppi erano saliti a sessantuno, dei quali quattro nella zona italiana unilingue. Nella seconda riunione annuale del 1907, tenutasi a Bressanone, si numeravano centoventisette gruppi, con un numero di soci variante fra i quindici e i ventimila. I mezzi finanziari dell'associazione crebbero da tremila corone, introitate alla fine del secondo semestre 190h a cinquantacinquemila corone, incassate nel 1907. I gruppi dei « volksbund.isti )), si estendono su tutta la provincia, da H ochfib:en all' orien te, a T annheim, all'occidente; da Kufstein 6no a Luserna. Anche in altre provincie austriache sono sorti gruppi: due a Vienna, altri in Boemia, nel Salisburghese, nella Stiria; e anche in Germania, precisamente a Monaco, a Bruck, a Norimberga. Dalle ultime statistiche che abbiamo potuto esaminare dsulta che attualmente il Volk1bund conta ventimila soci, di visi in cento ttan tadue g rup pi. Nel 1908 i soci erano· ventiseimiJa e i gruppi centoventi. Basta confrontare queste cifre per dedurre che l'ingrossamento del Volksbund è fittizio. Difatti cresce il numero dei gruppi, ma diminuisce il numero de:i soci.

L'associazione ha per scopo di opporsi aJl'italianità, sia li nguistica che economica e politica-del Trentino, e di ostacolare con ogni mezzo l'irresistibile avanzata dell'elemento italiano nelle valli ladine.

Difatti si legge nell'almanacco d el Volkbund del 1908 che « l'associazione, con centinaia di 4iscorsi e di articoli di giornali, ha diffuso la giusta idea che j ladini non sono italiani >) E nelle valli ladine il Volk1bund ha concentrato tutta la sua attivi tà e non ha trascurato alcun mezzo, dai pacifici ai violenti, per dimostrare col fatto che i ladini unendosi

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coi tedeschi, fanno meglio il loro interesse. Cosl d' accordo colle altre società pangermaniste i « volksbu ndi sti » hanno fa vorito individualmente e col1ettivamcme ladini benemeriti colpiti da disgrazie, provvedu to alberi d i natale, sovvenzio nato società di veteran i, fatte offerte per il m onumento a Caterina Lanz in Livinall ongo, ma ndati libri scolastici e denari per la provvista di suppellettili scolastiche.

Ma non solo nel campo scolastico dispiega il V olhbund la sua at. tività, bensl anche nel campo p iù difficile dell'attività sociale. La Boduchutzfrage (questione del possesso fondiario) preoccupa il V olhhrmd, che avrebbe deciso, per impedire l'avanzata degli italiani in Valdadige, di assumere, ove occorra, una parte del pagamehto ·delle jmposte prediali e di fornir e prestiti con operazioni ipotecarie. Nell' ultima relazione del ... Volk1bund sta scritto:

Perché si sperperano d enari in scuole e fabbriche nei paesi trentini? Limitiamoci alla d ifesa del suolo n ella Valdadige e soprattutto oei dintorni di Bolz:ino. Che conta piantar scuo le t edesche nei villaggi italiani del Trentino, quando gli italiani avanzano continuamente lungo l'Adige? i.

C'è in quelle domande un'aperta confessione d'impo ten za e d'in· successo. Eppure l'assodazione si muove. Per far denari mette in ve ndit a zolfanelli, cartoline illustrate, franc obolli per la cassa di resistrnza, distintivi, pipe, matite, Sono q ueste entrate straordinarie che alime ntano il patrimonio della società. D ifatti di settantaseimila corone d' entrate annue, solo diciottomila sono date dalle tasse sociali. La fondazione di g ruppi piccoli o minimi che siano è incessante, Recentissimamente un g rup po è stato fon dato a Trento, immune sino a ieri di ·contagio « \".Olksbundista ». I « volksbundisti », specie qu elli italiani di nome e di stirpe, sono violenti, agg ress iv i e le lo ro gesta dannò molto spesso materia alle cronache e lavoro ai trib unali. Tuttavia il Volhbund comincia a suscitare i sospetti e le diffidenze d elle alte sfere austriache. Si no ta che i suoi cultori più accaniti sono bavaresi e prussiani~ tra gli altri il famoso squilibrato megalomane professor Edgard Mayer di Monaco, e che nelle riunioni « volksbundiste » si ostenta troppo il tricolore germanico. Il V olk1bund, fra tutte le associazioni pangermaniste, è quella che più urta e ferisce i trentini nel loro senti men to di nazionalità,

Il Dmt1cher Allgemeiner S ch11/verein. - Questa società pangerman ista dà la mano alle altre, specie al D ~ut!Cher Srhr,luertin , ma non fa sentire nel Trentino la sua particolare azione. Essa conta tuttavia trecento gruppi cd ebbe nel 1907 u n'entrata di d uecentosessantacinq uemilacinquecen tocinquantanove marchi. Fu fondata nel 188 1.

IL TRENTINO 165

LA DIFESA ITALIANA. LA LEGA NAZIONALE

Riccardo Pitteri, il noto letterato triestino, cosl definisce gli scopi e l'essenza della Lega nazionale:

« La Lega nazionale deve sempre salire, come è sempre salita, nell'affetto degli amici e nel rispetto di tutti, sia no negligenti o avversari, perocché essa, moderata e giusta, non usurpa, con.serva; non aggredisce, respinge; non combatte per un inte reSse, ma per un diritto; non addensa ombra sulla luce della su·a franchezza serena, non ha nei suoi entusiasmi che il grido di evviva, mentre tanti alt ri urlano morte t Essa è ordinata a legge di virtù con legge di gent i lezza, perché nelle aiole paterne serba, ed uca, diffo nde i fiori soavi del doke idioma, che negli itali giardini son nati, dalla primula selvatica di Ciullo al lauro immortale di Giosuc »

Voi sentite in questa definizione il poeta. Esaminiamo senza immagini vaghe le origini di questa associazione, gli scopi che si propone, . l'attività che svolge, il carattere che ha, gli elementi di cui si compone. In uno degli ultimi rapporti della Lega nazionale (Zippcl, 1909) sono narrati gli esordi della medesima. Profittando della legge scolastica austriaca del J 869, che coll'ordi n anza esecutiva del 1870 imponeva l'istruzione obbligatoria, ammettendo che questa si dovesse fondare sulla ling ua materna, i pangermanisti, d esiderosi d'impadronirsi d elle scuole trentine, pensarono di cominciare dalle «isole» od «oasi». onde, per opera dello Sch11/vtrein austriaco, vennero fondate scuole tedesche nei comuni di Trodena, Anterivo, Luserna, nei quattro comuni dell'alta Auna~ia e fra i Mocheni, dove la popolazione si poteva considerare bilingue, Ma la legge del 1 869 lasciava il gran carico d elle scuole quasi esclusivamente ai comuni, onde i suddetti, per liberarsi dall'onere molesto, ben volentieri affidarono a quella società il mantenimento della scuola, di cui non conoscevano l'importanza, sentendone soltar.to il peso Anche a San Sebastiano di Folgaria sorse uòa scuola t edesca. Contemporaneamente: all'istituzione di queste scuole, s'intraprese nei fogli tedeschi una violenta campagna g iornali stica, diretta a germanizzare o a permettere ' la « germanizzazione del Trentino». La minaccia svegliò i forse troppo pacifici trentini. Una vampata d'entusiasmo scaldò gli animi da Salorno ad Ala. Sotto l'impulso del dottor Augusto Sattorclli di

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Rovereto e di altri preclari cittadini la Pro Patria ebbe vita. In pochi mesi seimila trentini vi erano i nscritti, raccolti in quarantacinque gruppi. Ai trentini si associarono gli italiani del litorale. Nel 18 8 s la imperiale luogotenenza di Trento approvava gli statuti della nuova associazione e il 2.8 novemb re 1886, presenti anche i delegati di quindici gruppi della regione adr iat ica, ve niva a Rovereto inaugurata solennemente la società, Grande entusiasmo nei primi tempi e qualche ris ultato pratico, come la soppressione della scuola tedesca di San Sebas tiano e l'apertura di una italiana a Luserna. Ma poi il Governo, sempre sospettoso e reazionario, sciolse la società. Il decreto porta la data 10 luglio 1890. Immediatamente un gruppo di cittadini di Trieste ricostitul l'associazione col titolo di Lega nazionale. Fu dapprima proibita dal ministero dell' Interno, ma poi, dopo . molte vicende, fu tollerata e permessa

Nel Trentino la Lega nazio nale cominciò cof r iaprire la scuola di Luserna, da ndole il nome di Pasquale Villari. Poi rivolse la sua attività al punto più minacciato dai pangermanizzatori: la ladina valle di Fassa. Diecimila corone furono raccolte per fondare un as~lo della Lega nazionale in Fassa e sorse infatti nel 1901 a Campitello, « centro ecclesiastico della valle>), Venne poi istituito un asilo d'infanzia a Canazei e scuole serali e professionali in molte altre minori località. Nella zona bilingue al nòrd di Salorno non fu possibile che la costruzione di un asilo a Vadèna e l'istituzione di una scuola italiana a Piclòn. A L confine sud della zona bilingue più viva è stata l'aÌ:tività della Lega nazionale. A Ro verè della Luna, centro famoso di 11 volksbundisti » maneschi e intolleranti, è sorto un asilo ital iano. Lo stesso si è fatto a Sin Michele e a Gromo (1909). A Faedo, villaggio limitrofo funziona un a scuola cli cucito, La l otta è più violenta e difficile nell'altopiano di Lavarnne e Folgaria, do ve il « volksbundismo » ha già fatto prog ressi con siderevo li. Ma anche in questa zona sorgono asili italia ni (Folgaria, San Sebastiàno), scuole serali italiane (Carbona ne, Mezomonte, Novellari, Serrada) e scuole professionali di cucito Nelle valli del Lena (Terragnolo e Vallarsa) pure si dispiega alacre l'attività della Lega nazionale. A Trento ci sono due asili infantili, S an M artino e San Marco, che devono sottrarre i figli degli italiani all'asilo e alle scuole austro-tedesc"he mantenut e dal Governo per poche centinaia d' i mpiegati e ufficiali. Nella valle di Pergine la Lega nazionale sussidia diverse scuole serali. Anche in altri luoghi minacciati corre ai r ipari la Lega nazionale. Cosl nel campo scolastico, stando all'ult imissimo rapporto presentato al cong resso cli Gorizia (30 maggio 191 0), la sezione tre ntina della Lega nazionale mantiene nove scuole e nove asili, sussidia quat tro scuole e quattro asili con circa ottocentosessanta-

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quattco bambini, provvede alfistruzione di oltre millecentosettantanove ragazzi" e ragazze, di cui ottantacinque nelle· scuole popolari, quindici nella scuola per analfabeti di San Sebastiano, cinquantaquattro nelle scuole professionali diurne, settecentonovantatré nelle serali, duecento. .trentadue nelle scuole di cucito.

La Lega nazionale ha provveduto m'olto saggiamente all'i stituzione di biblioteche circolanti. Ne esistono ora sessantasette, provviste di oltre diecimila vòlumi, e diciannove piccole biblioteche - scolastiche, sette biblioteche per adulti nel Voralbcrg (qui vivono venticinquemil a italiani). Altre iniziative della Lega, che hà comitati maschili e femminili, sono l'invio di giornali e riviste, circoli di lettura, la distribuzione di vesti e giocattoli a bi mbi italiani nella rico rrenza del Natale, la organizzilzione di conferenze, il sussidio a otto fra maestri e maestre frequentanti l'università estiva di Firenze.

Il patrimonio della sezione tridentina della Lega naziona le è da to da private oblazioni di soci, dalla vendita di fiammiferi, dalla vendita dei propri fr ancobollì (tre milioni nel primo anno), dalla vendita di cartoline il,ustrate, dal ricavato di feste sociali.

Attu1Imente i comit.ati o gruppi della sezione tridentina della Lega nazionale sono sett_antotto con undicimilaquarantasei soci. Le entrate furono di corone quarantunomilasettarituno nel 1908, di corone trento ttomilaquattrocentonovantaquattro nel 1909. Il patrimonio netto, che nel 1908 era di corone centotrentamilaquattrocentotrenta, sall nel 1909 a corone centoquarantacinquemilacinquecentocinquanta La Lega nazionale difende l'italianità linguistica, ma non fa assolutamente opera politica. Non costituisce un pericoio per il « nesso dell'impero». Alle cerimonie della Lega nazionale sventola qualche volta il vessillo giallo e nero dell'Austria. Ciò significa che la Lega nazi(?nale vuol porsi al riparo delle leggi austriache. È forse queS:ta ostentazione di sudditanza all'Austria ima tattica accorta per evitare i sospetti e le persecuzioni dell'Autorità. La Lega nazionale opera quasi esclusivamente nel campo scolastico. T erreni non n e compra, neppure quando si tratta di salvare le terre trentine dagli acquirenti tedeschi. Ormai tutta 1a riva del lago di Caldonazzo è nel1e mani dei « volksbundisti ». Il vicino castello di Pergine fu venduto ai « volksbundisti » dal vescovo di Trento*, e qual mediatore nel Cont ratto funse un consigliere delle Lega nazionale. Altri casi potrebbero ci-

• li vtsro vo Celts1ino Endrizzi h11 poi rtrr11Jo di uusarsi dirhi11r1Zndo rh' tgU rrtdtvlZ di vtndtrt il ra1ul/o a una soritrà fondaJrire di un sanatorio , non al Volksbund. Ma a/J'infuo,i dti 11,oi f tdtli nw,mo ha preso sul strio la troppo 1ardit1a giustifirazion,.

168 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

tarsi per dimostrare che fra certi soci della Lega nazionale. e anche dei maggiori, non si conoscono scrupoli di coerenza. Tutto sommato ci sembra che l'azione della Lega nazionale sia troppo «legale» e informata qualche volta a criteri opportunistici.

Quali cle menti compongono la Lega nazionale? La nobiltà è assente. Molti nobili del Trentino che furono i più feroci persecutori dei patriotti italiani nel Lombardo-Veoeto, oggi occupano alte cariche nella burocrazia e nell'eserci to e sono i più fieri nemici di ogni manifestazione d'italiarùtà. * La grande borghesia sia industriale, terriera o commerciale, dà qualche memb ro alla Lega nazionale, qualche sussidio e molte platoniche adesioni. I contadini sono auscriacanti Talvolta i Coscritti di certe vallate trentine scendendo n ella città, cantano inni antitaliani, offendono gli italiani , gridano « Viva l'Austria I » Il clero ha dato nei tempi pa~sati qualche milite dell'italianità, sia linguistica chè politica. Oggi non più. Il clero trentino, e lo vedremo meglio esaminando l'opera e il programma dei diversi partiti politici trentini, predica la soggezione matèriàle e morale all'Austria. Il proletariato delle città non aderisce alla Lega nazionale. Non aiuta, né danneggia: è indifferente. 11 grosso dell'associazione, anzi la stragrande maggioranza, è formata dalle classi medie, piccoli commercianti, agenti, maestri, artigiani, pcofessionisti in genere.

Istituzioni che sussidiano, nel campo dc;l'italianità ling uistica, l'opera della Lega nazionale sono le scuole primarie o popolai-i. Il comu ne di Trento, da uno stanziamento in bilancio per l'istruzione di cinquantamila corone, è giunto a duecentomila co ronç. Altri comuni hanno seguito l'esempio. Le numerose società Pro C11/1t,ra .giovano a mantenere l'italianità ling uistica. Le società Pro C11l!11ra che sono da un trierinio riunite i n federazioni, laVocano per il miglioramento delle condizioni intellettuali del Trentino La pr i~cipale ha sede a Trento e fu fondata nel 1900. Conta oggi circa seicento soci ed ha un'entrata annua di corone seimila, delle quali tremila le vengono dal municipio e da altre istituzioni cittadine. Nel 1906 fondò i corsi popolari, che raggiunsero, d opo qualche anno, una frequenza media di trecento operai maschi e femmine. Il Gabinetto di lettura, sito in

• Nel Trenlino i più arrabbiati Ieqlfnlroman i sono applfnlo i procuratori d i Stai o, ,he riJpondono agli italianiuimi nomi di Tranq11illini, Te11adri, Ang elini. L '11nico per.sonaggio che a di/fere,rza degli uffi ciali e soldati p ott 4J.Siste, ~ impdsJibile alla ango.stit1nte impi"ag ione J ; Oberdan, durata ben sene minuti, f u proprio 11n tren1i110, ispeuore di po/;,:ia a Trie1u, Ci .sono state e à .sono naturalmtnte delle e((ezioni. LA fa miglia ne.sta del T ,anq11illùti ha tradizioni garib aldine, Afa è certo the l'Aurtria tonta anche tra gli italiani molli, tr oppi fun zionari de · i,otil simi all'im pero e a//'imperaJore/

12. • XXXIII,

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un'ampia ed elegante sala di un palazzo in via Belcnzani, dispone di una trentina di giornali quo_tidiani e cli ben centoquindici riviste. La Biblioteca di cultura moderna, iniziata nel 1907, conta già quattrocento volumi. Anche il Circolo filologico vive di vita non ingloriosa. La Pro Cult11Ta rivista è una splendida pubblicazione bimestrale , intesa ad illustrare il Trentino sotto l'aspetto storico, letterario, economico, sociale, Il Gabinetto della Pro Cultura di Trento è frequentat o da una media settimanale di ottocento persone. Ad iniziativa della Pro C11/1tm:1 si tengono dall'ottobre all'aprile numerose conferenze, talvolta con proiezioni ed esperimenti, frequentate da molto p ubbico. Quest'anno ne vennero tenute ventidue, con una frequenza com~ plessiva cli quattromilaottocentoventi persone. La Pro C11llura org anizza anche dClle visite ai monumenti della città e del contado e delle gite d'istruzione. Di quest'ultime. dodici ebbero luogo nei tre mesi della scorsa estate e vi parteciparono novecentotre nta persone.

La Pro Cu/11110 cli Rovereto ha una Biblioteca popolare abbastanza fornita e consultata. Nel 1909 furono dati a prestito undicimilatrecentoventuno volumi, dei quali novemilacentottantasette di romanzi e novelle. Il Gabinetto di lettura annesso alla Biblio teca conta quaranta fra giornali e riviste ed ha una frequenza media annua .di seimilacinquecentoquaranta persone. Nello scorso inverno furono tenute quindici conferenze, frequentate da duemilatrecentotrenta persone. Le società Pro Cultura di Mezzolombardo, di Cles, di Riva, di Lavis non dispongono di molti mezz.i, ma organizzano però lezioni e conferenze che sono abbastanza frequentate.

Le società Pro Culltira, dl cui l'azione si esplica anche nella zona bilingue, servono a conservare l'unità linguistica italiana del Trentino. Cosl dicasi dei giornali e quotidiani ed ebdomadari. Fra le riviste meritano special mezione la Tridentum, l'.ArçhiPio dell'Alto Adige, la Pro Cultura, la Vita Trent ina, il San ,Marco Il Governo tollera l'esistenza e l'attività della Leg a nazioriale. Il sogno della burocrazia austriaca sarebbe un impero tedesco, esclusivamente tedesco, nel comando, nella lingua, nei costumi, ma q ues to sogno cade di fronte agli insopprimibili antagonismi nazionali oggi p iù vivi di un tempo. L'Austria non potrebbe fate del Trentino ciò che ha, per esempio, fatto a G o rizia. Onde si limita a tollerare la L ega nazionale e a porre i soliti inciampi d'ordine burocrat ico. I pangermanisti però non disarmano e dipingono la Uga nazionale come una associazione irredentista sussidiata dalla Dante Alighieri. Fra queste società v'è quinili permanente c agione e stato dì conflitto. Si polemizza sui giornali, ci si batte per le i nsegne dei n egozì, anche sulle eccelse guglie deile Dolomiti ardv11. il fervore della lotta per la denominaziooe

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MUSSOLINI

dei valichi e delle cime. Questa guerra, che non fa strage di vite u mane ma è continua, esasperante, passio nata come le guerre fra e serciti, « non è - dice il Tambosi - piccola rivali tà cU trentini e tirolesi tedeschi, ma è la grande battaglia secolare tra il germanismo che vuol varcare le Alpi e il romanesimo che difende gli aviti confini».

Quali sarannò alla fine i ris ultati di questa guerra? Chi sarà il vinto ? Quale lingua e quindi, secondo la massi ma giobertiana, quale nazione scomparirà?

Per r ispondere a queste angosciose domande, bisogna dal presente figgere gli occhi nel futuro, Niente però tirate profetiche; trarremo invece una conclusione pròbabile dagli attuali elementi di fatto. Non siamo né troppo ottimisti, né troppo pessimisti. Non siamo troppo ottimisti, perché se l'Austria volesse veramente intedescare il Trentino, ci riuscirebbe. Ma tolta questa da n nata e pur n o n assurda ipotesi, noi non siamo pessimisti e cioè crediamo che il Trentino, rimanendo neutrale il Governo, conse rverà l a sua italianità ling uistica. 1 pessimisti, che vedono g li innegabili e incessanti successi della penetrazione slava a Trieste, credono che lo stesso avve nga per la penetrazione tedesca nel Trentino. Slavi da una parte e tedeschi dall'alt ra, d alle Alpi al Litorale, schiaccerebbero o sopprimerebbero la nazìonalità italia na . Ora il Trentino non si trova nella situazione tragica di Trieste. Questa città deve anzitutto difender si da due nemici egua lmente temibili e pericolosi: il tedesco e lo slavo. Il Trentino è minacciato solo dai tedeschi. Trieste è dal punto di vista linguistico isola ta dal mare, il Trentino si appoggia a territorio italiano e vi confina da tu tti i punti, eccettuato a nord j Trieste è cinta dagli slavi ·(alle mura di T rieste muore l'italiano e comincia subito l o slavo), Trento t difesa e protetta al nord da trenta e più chilometri d i zona unilingue e, dopo, da tutta una vastissima zona bilin g ue, che manda le sue estreme p ropaggini sino alle falde del Brennero. Trieste, g rande città, unìco porto della monarchia austro·ungarica, ha suscitato gli appetiti d elle limitrofe popolazioni barbare, che, conquistando Trieste, pensano di conquistare il benessere e la ricchezza. La lotta linguistica è divenuta quindi a Tries te lotta economica e lotta pol itica. Trento, piccola città di artigiani e di commercianti, non può susci tare le cupidigie delle orde teutoniche. Impossibili quindi le feroci competizioni economiche e politiche che travagliano e d ividono Trieste.

Ma l'Halianità linguistica del Trentino, più che dall'attività della Lega n azionale, è conservata inconsciamente dalla massa lavoratrice Sono i contadini italiani ch e si spingono al nord e sopprimono ogni res iduo tedesco. Trento, che all'epoca del Concilio aveva u na fo rtis-• sima colonia di artigiani e merciai tedeschi, ogg i non ba che ufficiali

IL TRENTINO 171

e impiegati governativi. * L'elemeno t edesco retrocede e l' italia no avari"za. Nelle vallate ladine il processo d' italianizzazione cont inua irresistibile ; anche le oasi tedesche sono minaccìate. I progressi del pang ermanismo n on sono te m ibili> pur dovendo preoccupare. Nelle relazioni dei pangermanisti s i leg ge infatti di « risultati desolanti», di « mancanza di maestri, dì interruzio ne nell'insegname nto». U n rapporto dell' Al(ge111einer Dwtscher Sch#lverein del 1906 dice:

« Il germanismo nel Tirolo <leve sogsiacere in questa lott~ inegua le, se i sessanta milioni economicamente fioren ti delrimpero tedesco non accorrono mo. tal mente e m aterialmen te in s uo soccorso o nJe· riconquistare la m:i.rca m eridionale, tu t ta tedesca, compreso Ver ona, e il lago di Garda, che, secondo U hland, fu culla un giorno di eroi tedeschi »,

I soccorsi non mancano, ma non bastano. L'eleme nto italiano r appresentato dal p opolo lavoratore guadagna terreno. I tedeschi

• Non deve però " edeuì , come vanno il{Jermando i pangermanùtì, ,he Tremo l'trJO il 1500 foJJe più JedeJCa , he italiana. Certo, a q ue/J'e po,a, la co· lortia tedeJca era più numer osa ed omog enea di quei che non sia oggi. Giuu fip e Zi ppei, n ella sua conf erenza l a civilti nel Trentino al declinare del medioevo (eslralJo dalla rivi!la Tridentu m, fas cicolo II, 1908), ammeue che l a srn:t111ra g otica della n11oiia chitJa di San Pielro, o rdi11alà da Giovanni IV, possa eJ sere stat o un omaggio <1 all'elemt'nto tedesco allora r,reva knte in quella p3.rte della città. che si ra ccoglieva ai piedi dd castello e in vicinanza della Porta d'A lemagna ». Dai documenti d eli'e poca, e cioi « d:i.i g ra vami o istanze che i tedesch i abitatori di Trento presfntavano :il vescovo cor:tro i consoli, nell o inte nto di ottene re ri fo r me 1.lello St.:1tuto favorevoli all'affermarsi della naziona lità germanica nell'amministrazione del com une e le risposte dei consoli a lle dog lianze dei tedeschi », i pouibile 1t11bilirt approJJim atit-am ellle le proporzioni de/le due stirp i nel ((;n1pleuo d ella popo lazione, l 1ede1chi dic hiaravano « di essere q u:isi la q ua rta pa rte della popolazione», i co,110/i addimo1tra van o al 11eicovo che in realtà i redeuhi « formavano la dodicesima parte della popolazione ». Ora ii Zippe/ ammette ,he i udeuhi for,mmero il quinto della p o polazion e, Em, in qt1al m odo rùponde vano i ,onsolì d el comune aiie richieJte della colonia t edeua: « Somma ingiustizia sarebbe, qua lora forestieri e nuovi abitatori dì una città pretendessero di muta rne g li statuti, le leggi, i costumi, le consuetudini; e se noi. tren tini portassimo le t ende in qualche città di Alemagna, è pur certo che Il non cambierebbero per questo le antiche usanze e a buon diritto c'intimerebbero: o rispettate le leggi e i cost umi nostri o uscite da queste mwa ». Trento t fa du11que a11che allora profondame11le italiana, né lo divenn e in ug11ilo, per ,m forte ìmmigazione di veneti, come van no affermando i pangermimùti E d'allo ra ad oggi, l'elemento ch e J 1/ato assi milato o eliminato è p,ecisamente il tedisco. Oggi, ltt colortia udesca a T rento, è Proprio u na quanti tC négligeable, Eu /u Ja la g11arnigio ne, Ji traJta di p oche reminai,,i di Jedeuhi, di contro a 11ertl0Jtom ila italiani/

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che non sono adatti alle nostre colture agricole devo no sgombrare. L'unità etnica psicologica e linguistica ita li ana si tinsalda.

Lo studio della lotta linguisti ca nel Trentino ci ba condo tto a fo rmulare questa previsione: In una zona bilingue, è la li ngua par!ata dalla parte economicamente attiva della popolazione quella che prenderà il sopravvento sulla lingua parlata dalla popolazione p:tssiva.

IL TRENTINO · 173

LA POLITICA NEL TRENTINO

Vi sono molti italiani che giungendo nel T:rentino credono dJ tro-·varvi uno stato d'animo u guale a quello delle popolazioni italiane (una élite delle stesse pc:rò) sofferenti del giogo austriaco in L ombardia prima del ·~9. nel Veneto prima del '66. Poiché i trentini, popolazione ita1iana, sono soggetti all'Austria, e poiché l'Austria è nemica dell'Italia, i « regnicoli » ingenui d i cui sopra credono all'e sistenza d i un irredentismo, di un movimento cioè antiaustriaco tendente a separare violentemente il Trentino dal cosidet to « nesso dell'impero>) per dcongiungerlo all'Italia, Non so se irre de ntisti nel senso tradizionale della parola, ci siano a Trieste, dove il sacrificio di Oberdan è troppo recente per essere dimenticato, ma è certo che a Trento irredentisti non cc ne sono, o se ci sono non si addimostrano apertamente tali, né ·del resto potrebbero costituire, data l'esiguità del lqro numero, un'associazione qualsiasi. Irredentismo e irredentisti non esistono nel Trentino, a meno che non si voglia far passare per irredentismo le sassaiole contro i l grifo della birreria Porsi {grifo del resto permesso e autorizzato dal comune), o qualche timida oste ntazione di coccarde tricolori (limitate però sempre all'elemento giovane per non d ir infanti le), o i piani rocambo lici di uno squilibrato qual'è il Colpi, o l'impiccagio ne di un fantoccio raffig uran te Hofer a pié della statua a D ante, o il g etto di uova fradice sug li stemmi aus t d aci compiuto nel cuor della no tte. Che i fogli tedeschi del Tirolo, quasi tutti sussidiati dalle associazioni pangermaniste, agitino period icamen te il babau dell'irrede ntismo trentino è comprensibile. Ma uno studio sul luogo, ma un sufficente lungo contatto coi trentini, basta per sfatare le leggende frredentiste. Neppure durante il nostro Risorgimento, vi furono movimenti irredentisti nel Trentino. Gli agitatori della nazionalità politica d'allora erano più che altro « valenti causidici, che pellegrinarono n ei parlamenti d'Europa, a Francoforte, a Vienna, a Kresinier, chiedendo prima l'annessione del Trentino al Veneto e poi l'indipendenza ammin istrativa del paese, facendo soverchie lezioni di storia sull'o r igine romana dei trentini e del Trentino, ma non ebbero un sol uomo che abbia tentato una resistenza armata. I p ochi fatti d'arme che nel ' 48 e dopo ebbero luogo nel Trentino, sono dovuti o all'eserci to ita-

174 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

liano o ai garibaldini; in·surrezioni dei trentini non se n'ebbero, né a Trento, né altrove)>. Cosl sccive Cesare Battisti, acuto cono scitore della sua terra. Se dunque mancarono moti irred entistici scd q u~ndo tutta l'Europa era in fiamme, se il Trentino non arse e non arse p erché spalmato di pece clericale quando Garibaldi lo popolò cli camicie rosse trionfatrici e liberatrici, assurdo sarebbe oggi cercare le t racce dell'irredentismo. Tutti sono rassegnati al giogo austriaco. Il t em peramento trentino non è rivol uzionario, ma conservatore. N elle ·vene d ella borghesia trentina, che d ovrebbe dare gli irredentisti come la b o rghesia italiana diede i patriotti , corre un sangue che non h a la febbre delle grandi battaglie. Né vi sono nella storia antica e moderna del Trentino avvenimenti o serie di avvenimenti tali d a imprimere un loro colore,' una loro anima alla politica attuale e uno s~cialc temperamento politico a frazioni del popo lo. Nel medioevo e sìno all'evo moderno il Trentino .è la te rra su cui si appuntano le cupidigie altrui, è la terra ag o gnata d ai dominatori de1 n o rd e da quelli d el sud, e il popolo trentino « subisce» gli avvenimenti che g li accadono intomo. Una sol a rivoluzione spezza la g rigia monotonia di una storia senza rilievi: nel 1407 Rodolfo Bdlenzani, capitano del popolo, solleva i ttentini e strappa al vescovo tiranno le franchigie quasi repubblicane, ma il suo liberale Governo è di breve durata. La « guecra rustica» non ebbe nel Trentino l'amp iezza di quella guidata dal Bokelson in Germania, né la ferocia delle jacqmrùs di Francia. Il peciodo della d o minazione madruzzea, che si chiude colla morte di Emanuele nel 1648, non ha quella fervidezza di vita politica che d istingue le nas~enti sig norie italiane. L'epoca che segue non ha avvenimenti d egni di nota. Oggi il Trentino no n può v ivere una vita po litica intensa, perché n on ha una nazionalità politi ca. l co nfini lo dividono d all'Italia, la ling u a dalPAustria. La sua vita p olitica quindi chìi.;isa, superficiale si no a l pettegolezzo, co ntraddittoria fin o all'ass u rdo, p:!Urosa e malignante, è la vita p olitica pro pria d i tutti i p aesi déraciné.r, p er usare l' espressione efficace di Maurizio Barrès, Tale la politica, tali i partiti. Sono tre che si contendono il campo: il Clericale, il Liberale-nazionale, il Socialista,

li Partito Liberale-Nazio11ale - Sino al 1900 e anche o ggi, ma io proporzioni ridotte, fu il Partito dominatore dei comuni, nelle diete, nel Parlamento, Esso vo rrebbe essere l'erede di quel simulacro d i Partito lrredentista che sj ag itò nel'Trentino nel '48 e nel ' 66 ma, trattasi cli un erede d egenere assai. Chi lo compo ne? L'eleme~to mo• decato, la borghesia benpensante, la piccola borghesia n on clericale e non socialista, È insomma nella sua composizio ne u n Par tito « pi-

JL TRENTINO 175

pistrello )>. Parve forte un tempo. Ma la rifor ma del Badeni (1896), creante una quinta curia ~leuorale, rivelò la debolezza dei liberaiinazio nali . Il suffragio universale poi ha p ortato alla ribalta i clericali e un socialista. Il Partito Liberale-Nazio n ale dà oggi scarsissimi segni di vita. Non ha prog ramma e non ha uomini.* Il vecchio·b andierone, difesa dei diritti nazionali e lotta per l'autonomia del Trentino, è stato defi nitivamente riposto e abbandonato.

Del resto questo Partito o pseudopartito è stato sempre d inastico, se no n proprio austriacante. La cronaca tridentina ce lo dimostra. N a rria mo colle pacale di un aut ore trentino l e imprese dei liberalinazionali n el 1894.

« Mentre il Govern o r egalava all'italiana Pirano le tabelle biling ui, a Trento il Partito Liberale-Nazionale si accinseva a festegg iare l'arrivo di Sua. Maestà !"impe ratore d'Aus tr ia. Il giornalismo libc!r.1Ie-nnionale :indava ormai da parecchio tempo predicando essere un ica àncora di salvezza pel Trentino, ondè ottenere l'a utonom ia ammini strativa, non già le fie re proteste, ma le umi li domande deposte ai piedi del tr ono e biascicate nelle anticamere ministeriali. Ed ecco uno dei capi del Partito Liberale-Nazionale, il dottor Riccabona, scrivere sul quotidiano del Partito che ·· l'imparzialità del monarca anima anche questo popolo ad esprimere con rispettosa fran chezza i. suoi voti ed a collocare sotto l'alto suo patrocinio inter essi di grande rilievo E dopo aver tessuto l'elogio del monarca :

" Ad un p rincipe ·siffatto è dovere d i esporre con fiducioso rispetto i lunghi travagli .... L' augusta paro la ci deve confort~re.... " ». 0

Il « buon monarca » dichia rò sdegnosamente che a T rento no n avrebbe accettato visite di dep utazioni e respinse i deputati che vole· Vano parlargli di autonomia, respinse i rappresentanti ptovinciali, mise alla porta i si ndaci delle città Accolse invece le depu tazioni dì contadini, che, naturalmente, andar ono a professarsi come sono, de. voti al trono e alla spada. Q u esto contegno dei liberali-nazionali no n

"' E ha molte JCiuioni I! Ion e per10na/i Ìntu11e V'è un (onfliuo imanahile ,ra i veuhi, .prudenti, Hn p o' .1fiduà,11i, i ntign iti di ,ariche e quùidi f.rri li alle dedizioni e-ai ,ompro,r.eui, I! i giovani, un po' piri audaà e battaglieri. li conteg no, ad eumpio, dell'avvoraJo Barlolini, vhepodl!Jtà di TrenJ o1 magna pars del Pa r1ito Liberale-Nttzionale e !lren No difemore degli italiani « volk1b undfr1i » agg ressori degli italiani.... iJdiani, ha w lleMIO JalvoJJa dl!ru.1tfoni e polemiche, Afa i /iberali-ntrzionali non hanno mai av1110 il '°raggio di allomanare e liquidare gli elem enJi 1puri, comprome/Jl!nli il Pa,#to e l'idea.

o No n 1i può, roml! ti ì 1en1aro, Jfluare q11e.1t o linguaggio da lacché ,on ronsiderazioni di opportunitmo I! Ji Jallira i11Jpi,ata all'opporluniJmo. Un Pdrtilo che ti umilia a qttel punJo, è Ptr me alm eno, rhe apprezzo sopra ogni ,01a l e .1pine dorsali l!rl!ltl!, un Partilo suidda E del rnlo, non Ii rivendicano dei sacro1anti diritti ,on genuflessi oni più o meno ipocrite! Si ottengono risultati negativi. Pro11a ne 1ia app,mto la noria modert1a del Tre,11ino,

176 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

suscitò nella popolazione il più piccolo sdegno. Tutta la città fu imban• d.ierata: orifiammi ed a ddobbi dovunquej s i contava no sulle dita le case prive di bandiera. Folla enorme di gente plaudente ; i n città arri varnno coi tren i, durante la giornata, tre dicimila persone~ immenso fu il concorso della gente ve nuta a piedi o colla diligenza dal contado. L'imperatore entrò in città acclamato. E un ex-garibaldi no, il vicesindaco pronunciò questo discorso:

«Sire! La sciagura che colpiva il signor podestà procura a me l'alto onore di salu tare, coi sentimenti del più profondo rispetto, a nome della cittadinanza, la Maestà V ostra nell'occasione che si degna graziosamente di onorare di sua a ug usta p resenza la città di T rento Io adempio con gioia a quest'onorevo lissimo incarico e mentre umilio, Sire, ai vostri piedi i sentimenti di omaggio e d i devozione della cittadinanza, v i p rego di voler gradire gra.ziosamente il benvenuto che vi dò a no me. della stessa».

Il giornale liberale-nazionale si prosternava laidamente davanti al « buo n monarca )), che aveva v oluto il capestrn per Oberdan. I pochiss ìmi protestatari passarono, naturalme nte, per squilibrati. L'autonomia non venne, e la turlupinatura sovrana fu immensa.

Dieci anni dopo; nel 1904, l'impe ratore discese, i n occasione delle grosse ma novre, nel Trentino e fu ancora una v olta osannato. Nel J909, i deputati liberali nazionali parteciparono al banchetto imperiale di Innsbruck. Si potrebbe essere pi ù smidollati di cosi? Memrc il P artito Liberale-Nazionale non dà segno di vita, non ha una linea d i condotta e va, specie nei suoi r apporti col movimento operaio e col Pa rtito Socialista, rivelando sempre più il suo spirito grettamente rea• zio nario, i rappresentanti alla dieta e· al Parlamento danno quotidiano e ripu gnante spettacolo d'incoerenza. Al Parlamento, .oltre i clericali, anche i liberali-nazionali votano gli aumenti delle spese mi litari desti nate contro l'Italia. Essi sono gl i asca ri di tutti i ministeri. La loro politica è quella dei mendicanti. Mai un gesto, mai una parola : assenza nel paese, dedizione nel Parlamento. La loro ope ra di difesa nazionale si riduce ormai al solo campo scolastico e finisce per confondersi con quella della Lega nazionale. D ell'autonomia parlan poco o nien te. Sembrano e sono dei rasseg nati alJa loro manifesta impote nza. Essi si dichiarano trentini, non italiani e noi siamo « regnicol i »: Grazios issimo termine di distinzione I Se la reazione giallo.nera minaccia il Trentino, ess i fanno i morti. Sdegnano il contatto col· proletariàto e rinunciano a qualsiasi. protesta. Se il proletariato si agita e scende in lo tta per le sue conquis te economiche, i liberali- nazionali diventano più preti dei preti e :ceclama no l'intervento del braccio secolare au· striaco e denunciano gli agitatoti « regnicoli» che t urbano la· quasi funerea tranquillità del paese. L'amore di questi liberali-nazionali per

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l'Italia è tepido, platonico, clandestino. Essi, che so no dei borghesi, vedoflo l'Italia coll'occhio dd borghese che vuole, a salvagua! dia delle sue cassefor ti, uno Stato forte, magari feudale.

E per questi liberali nazionali l'Italia è un paese troppo rivoluzio... natio . Me glio l ' Austria, dove c' è un esercito che n o n sche rza e un proletariato non pericoloso ! Gl'interessi economici modellano la menta~ lità di ques ti liberali- nazionali, che in Italia figurerebbero d egnam~ntc nel Partito Clerico-Moderato.

La loro stampa è reazionaria. Nel maggio del '98 si invocava dai loro giornali la fucilazione i n massa degli insorti. Il loro quotidiano è un tentativo che si ripete t recentosessantacinque volte all' an no p er conciliare la scolorata vernice d i liberali smo-nazionale col fondo del rispetto alle istituzioni aus triache Il loro nazionalismo è di ca rto ne. Quando i liberali-nazionali si trovano davanti a i giudici austriaci, tengono un co ntegno poco e roico. Nessuno ha il coraggio di apologizzare il proprio atto. Si umiliano, s'inchinano, chiedono grazia. Il processo di Rovereto do po i fatti di Pergine, quello Amorrh a Tre nto, il recentissimo degli i mbratt atoti degli stemmi austriaci, provano le nostre affermazioni. Questa gente non ha spina do r sale, E gli avvocati liberali-nazionali difendono gli aggressoci « volksbundisri )) contro gli aggred iti italiani I

E nessuno protesta. Le associazioni dormono. Si abbandonano agli eventi. Il governo n on cien calcolo dei liberali-nazionali. Conosce ormai trattarsi di un simu lacro di Partito. Nient'altro. Difatti il Partito Anti-Irredentista, pagato dal Governo, non esiste più. Questo Partito artificiale, co mposto quasi esclusivame nte degli impiegat i, della nobiltà intedescata di Trento e di pochi venduti, ricco cli mezzi fin an. ziad e di uomini senza scrupoli , forte dell'incondizionato appoggio governat ivo, doveva fronteggiare il Partito Liberale-Nazionale, ~fa quando il Go verno s'accor se che i liberali~nazio nalì trentini erano fedelissimi sudditi, più deì tirolesi tedeschi, sospese gli stipendi, converti il giornale antitaliano La Patria in un bollettino esclusivamen te riservato alla pubblicazione degli editti ufficiali e i m embri del Partitone governativo en trarono, a seconda delle idee e degli i nteressi, fra i clericali o ì liberali nazion ali.

Dinanzi al Partito Liberale- N azio nale sta il solito, supremo dilemm a : o rinnovarsi o morire. Ri nnova rsi ? Ne dubitiamo. L'anno scorso era venuta l'occasione propizia nel centenario hofcriano. Il quoti diano parve per un momento rit rovare un po' d i slancio lat i no . Illustrò un numero col ritrat to di G ari baldi, naturalmente sequestra to, e fece, quantunque in ri tardo, una v iva camp~gna, diretta dallo Stefenelli, attuale di rettore, contro la partecipazione dei trentini alle feste d'lnns-

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bruck. La bufera reazionaria pareva dovesse rialzare le sopite erlcrgie trentine. Ma fu un'illusione 1 I deputati liberali-nazionali parteciparono al pranzo di co rte; un comizio pro autonomia non ebbe luogo per la proibizione poliziesca, né fu te ntato malgrado il divieto. Al successivo scioper o generale proclamato d al proletariato, aderirono nolenti i liberali-nazionali, ma non p ortarono la loro voce nel comizio, né illustrar~no nel loro giornale il significato dello sciopero stesso. Furono, come sempre, <<sorpresi» dall'avvenimento, al quale essi non erano preparati, ma che d ovettero per forza subire.

Può vivere, ripetiamo, un P artito senza programmi, senza uomini~ senza una linea di condotta? No. O rganismo inutile ed i ngombrante, sarà eliminato. Le tracce che di sé ha lasciato nella storia sono lievi. Cosi avviene a tutti i partiti che non h anno agito e si sono limitati all'adorazione passiva dell'ideale.

li Partito Clericale. - È . il più forte economicamente e politicamente. Recluta i suoi aderenti fra tutte le classi della popolazione. Solo poche migliaia di operai delle due città principali e di qualche centro minore non subiscono l'influenza clericale. Ma i b o ttega i, i commerciaot\ gli industriali che van no a chieder sconti alle due banche cattoliche, ma i contadini che fanno debiti presso le Casse rurali o si servono dei Consorzi ag rari e delle Cooperative clericali sono d ominati dal prete. Cosl dicasi dei p rofessori nelle città. Uno di q uesti fu oggetto di una viva campagna da parte di un foglio clericale, sol perché aveva commentato in classe un brano di 1-krlin Coccai, I maestri nelle campagne sono mancipi del parroco. La scuola, quando non è diretta da un pre te, è sempre dipendente dalla sacrestia. G uai ag li insoffe. renti I Le gesta di don Plotegher, condannato a cinq ue mesi di carcere duro (agos to 1909) per aver aizzato un'intera popolazione contro un povero diavolo di maestro, informino. Gli alt ri ceti professionistici si inchinano tacitamen te davanti alla potenza e prepotenza clericale A Trento si respira ancora l'aria .del Concilio. All'ingresso della città sta il grande. palazzo del Vaticano trentino, cogli uffici di due banche, di due giornali, di una libreria. Il quotidiano supera in ti• rat ura tutti gli altri del Trentino, la tipografia di spone di trè linotype C di una rotativa. Il giornale è passivo, poiché delle settemila copie molte sono distribuite gratis. Cosl dicasi del settimanale, che tira ben quattordicimila copie. Ma i passivi della stampa: e d ella propaganda sono compensati dall'attivo delle banche cattoliche, mischiate a tutte le speculazioni capitalistiche italiane e austriac he. L'organ izzazione professionale cattolica è tuttavia una povera cosa. Esiste u n scg re. tariato di azione economica, ma, eccettuate poche d ecine di ferrovieri

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e qualch!! grupp o nella zo na bili ngue, la grande massa d egli o perai non segue l'indirizzo clericale. Anche in questo campo però ferve l'at tivi tà: i propagandisti dcric-ali, fra cui _ figura no pochi do tto ri e alcuni studentelli, vanno nelle campagne, tengono co nfe.r~nze pr i~ Vate, a p aragrafo due, come si dice in gergo burocratico, pe r ev itare il contraddittorio, e tornano trion fanti a Trento· dopo aver fatto votare dall'uditorio dei lavoratori un ordine del giorno di « rinuncia al socialismo }>,

Colui che volesse studiare co n p rofitto Ja formazione, l'essenza, la t at t ica di un partito schiettamente, sinceramente clericale, dovreb be soggiornare qualche tempo nel Trentino, Qui il clerical ismo non è adulterato o mascherato dalla religi o ne o da vernici modernistiche : è g e nuino. E si mostra anzitutto co me una vasta e ben co ng ::g nata o rganfazazione d'interessi profani, org anizzazione che deve co nservare il dominio politico, economico, spirituale d ella popolazione. La massima d ei cler ical.i tr e ntini è que lla del v escovo Pe lizzo d a Padova : ~< una chiesa di meno e un g'iornale d i p iù ». Ma per assicurare i g io rnali occorrono cespiti fissi; di qui b anche, cooperative, imprese industriali La rete degli interes~i clericali è cosi fitta da soffocare il Trentino. Ma a questa soggezione materiale v a unita quella spirituale. I fogli dei preti esercitano una specie di censura Su quanto scrivono e pe nsano i cittadini e questa censura t occa molto spesso i termi n i della diffamazione e della delazione. Per i clericali trentini il nemko è l'Italia. Es~i sono austriacanti. * Nel loro g iornale si leggeva che « se si vuol ottenere qualcosa dallo Stato austriaco, bisogna esserne feddi sudd iti ». N ei ricreatori cattolici si cantava e forse si canta ancora questa strofe tta:

Colla p,11 d, Garibaldi ne f artnu11 t ant i t amburi. Tiro/ai, st~ sim ri, G ariba/dj no 11en p u.

Per le feste hoferiane celebratesi l'anno scorso, i clericali h a nno organizzatO le bande dei trentini che si recarono, per poche decine d i lire, a sfilare in parata dinanzi all'imperatore per dimostrargli che Tre ntino e Tirolo non costituiscono che una sola, indissolubile provincia. Il vescovo Don Celestino mandò u na circolare a tutti i parroci e d ecani eccitandoli a far dal pergamo il panegirico di Andrea H ofer, per suggerimento, probabilmente, del Governo. E poiché « oporlel r/uiàu lairosque t1111J epùcopis suis co11iun f/hsi111e I)/pere 'ti agere » (cosl leg -

• N on tulli, natural mente, r ollo stesso ,11tusi11nno Questione, pì N , b , 11/l ro, dì temperament o; o d i quaJJtilà, n on di qualità

180 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

gevasi in testa alla cx- V,m Callofica , oggi giornale I l Trentino), l'ele· me nto laico clericale tenne un contegno equi voco, biasimò le dimostrazioni anti tirolesi, rinnovando le sue proteste di devozione all'im· pero e allo Stato. E cco l'inno che i l foglietto setti manale di propaganda clericale pubblicava otto o d ieci anni fa.*

Del/' Aurtria al m eriggio tu sorgi, o T ren tino, serbando nel rore di Critto i~ Jé.

ù spoglie innocenti ti dil S imonino, Virf.ilio l'a more t ' I sangue ti dié.

A l t , salve, o Trento, rht l'urna rauhiudi del vescovo santo ,be un d} t 'illustrò

C ol bian,o e ,ol giallo vusi//o di Roma anela la part , he il 1anto invocò.

Ma anche la gialla t nera bandiera le forz_e di lflfti congiunga ed i cuor.

E se odi 111onart lo squillo di guerra del prode Pauirio invita il valor,

L'apologia dell'Austria, del P apa, del Tirolo e di Hofer non p~ trebbe essere più evidente.

Tepidi amici dell'italianità linguist ica, i clericali trentini sono dichiara tame nte avversi all'italianità politica. All'ultimo congresso in• ternazionalc dei cattolici austriaci ad Innsbruck e nel q u ale, come in tutti i precedenti, si fecero voti per la restaurazione del po te re temporale, mandarono la lo ro adesio ne jl vescovo e i vari dirigenti del Va·

• Q11e11'inno / 11 rip11bblirato dal Po polo all'epoca delle fnu hoferiane (ago !IO 1909), Nrm aveva e non ha frn1e a11c01a perd11Jo l'aJJNalilà.

IL TRENTINO 181

t icano t ~enti n o e n o n m ancarono i clericali tre ntin i. L'I t a lia p er i cler icali tre nt ini è il laicis mo, la m assone ria, una. mo n archia di sinjstra, un esercito che non ha cappellaoj di r eggi mento, né obbl igo pci soldati d i asco ltar messa e con fe ssarsi ; un e sercito che non presta servizio al Corpt1s do,nini, facendo scor t a al baldacc hino e sparand o s alve d 'allegria ad ·ogni fermat a. P er i clericali tren ti ni l'Ital ia è un paese in convulsione, dacché il Pap a è prig io ni ero ed ha perduto i suoi dominl terreni. P oiché i clericali trentini sono t cmpor3.Iist.i e uno dei loro g ridi pr eferiti è quello di « Viva il P apa ·Re».

Quanto a ll'aut o nom ia politka o semplicemente ammin istrativa del Trentino, i _ clericali vi h anno ri nunciato. La loro azione in questo senso fu sempre equi voca e fiac, a O ggi sono. caduti gli ultimi p udo ri e si accc n a toto çordt fin o all'ulti ma conseguenza l 'Austria e il suo Governo. I deputati clericali trentini (e sono tutti, ad eccezione d'u n socialista per T rento, eletto a su ffrag io u niversale, e di u n libe rale naziona le per Roveret o) sono gli ascari più fedeli di Bienerth e di qual u nque m inister o austriaco. 11 Gove rno protegge i clerical i trent ini e li accontenta co n.... promesse. Nient'altr o che promesse. La loro politica di c ieco ministerialismo non ha raggiunt o g li scopi che si p ropo neva. Lo stesso gesuita depu tat o Gentil i dove tte confessarlo nel suo famoso d iscorso di Levi co, Ma non per questo i deputati clericali passeranno all'op posizione ; adorano troppo l'Austria e odiano troppo l'Italia

L ' influenza dei clericali si fa d isas t ros am"ente sencire su tutte le manifest azion i della vita civile e laica. Nel 1909, quando i socialisti trentini i niziar ono un'agitazione per o ttene re l' aboli zione dell'obbligo della messa per i bambini delle scuole popolari, obbligo che es iste solo nel Trentino, i clericali iniziarono la controagit azione, raccogliendo millecentott antasette fir me di mad ri e pseudomadri cristia ne. L'agitazion e cadde poi per ma ncanza d 'alimento e pc [ alt ri avve nimenti, che assorbirono per a lt ri scopi le energie del popo lo e i bambini sono obbligati anco ra ad ascoltar ogni mattina l a messa. I clericali t rentini s'associaro no ai persecutori di War hmund, professo re d i diritto ca~ no nico ad Inpsbruck, atrualmente a Prag a per il suo coraggioso opuscolo su L ' indirizzo catlolùo e la .rcitnz a IJIOdtrna, e giub ilarono del seques tro o rdina to dalla Procura anche sull' ed izione i taliana (ordi nata a cura del profe ssor Socin di Rovereto). I clericali tre nti ni si opposero a che foss e eretto un busto all'antropologo Alessandro Canestrini, trentino . ll bu sto fu eretto, ma u na mat tina lo si trovò col naso .spezzat o. L o si sostitul co n un bus to i n br on zo tuttora esistente. D urante u na notte del penultimo carnevale, alcuni ·avvinazzati posero u n'i ndece nte maschera sul volto dell"erma di Carducci, sit uata nei giardini d ella stazione. E bb ene, all"indomani, il foglio cler icale trovava gra-

182 OP ERA OMNIA DI BENITO MU SSOLI NI

zioso questo oltraggio plateale al p oeta italiano. D o po l'assass inio di Ferrer, Io stesso foglio non so lo giustincò e apologizzò Maura, ma ebbe il coraggio di annunziare la compilazione di un numero u nico contro Ferrer. L'odio che i clerical i trentini nutrono co ntro tutti coloro che non li seguono è ten ibile. Dal silenzio vanno al boicottaggio e giungono alla delazione sfacciata. I rapporti fra Polizia e Vati cano trentino sono stati più volte messi nella debita luce.

La situazione economica, politica, morale del clericalismo t rentino è ora eccellente. Banche piene di denari, imprese industriali, associazioni, ricreatori, scuole, g iornali, deputati al Parlament o e alla dieta e, malgrado il suffragio a curie, ma grazie all'equivoco co ntegno dei liberali-nazionali, anche tre consiglieri comunali a Trento. D urerà ? N o n lo crediamo. Nello stesso campo clericale non c'è l'accordo completo. Accanto agli affaristi che gridano << una chiesa di meno e un giornale di più», accanto ai mercat ori, ai banchieri della religio ne, vi sono dei giovani molto giova ni e dei vecchi, ormai forse troppo vecchi, che vorrebbero scinde r be ne ciò ch'è relig io ne da ciò ch'è affare, che vorrebbeto non confusi gl'interessi spirituali con quelli materiali. Questo dissfrlio esiste e potrebbe domani para!izzare l'azione clericale. Inoltre la sfacciata dedizione dei clericali trenti ni all'Austria ha disgustato gran parte della popolazione urbana. Nelle campagne poi, i contadini cominciano ad avvedersi della turlupina tura clericale. Tutte le tasse, anche quella a ffa matrice sulla polenta, furono votate all'unanimità dai clericali t re nt ini in amorevole accor do coi cle ricali tir_olesi. È quindi assai probabile che le prossime elezioni a suffragio universale segnino una clamo rosa sconfitta del Partito Clericale. Qua rito convien fissare pe r ora, riassumendo queste n ote ed a edificazione d ei << regnicoli » irredentisti, è che il Partito Clericale Trentino, dominatore della maggioranza della popolazio ne> è apertamente austriacante e antitaliano . Se per dannata ipo tesi l'Austria ind icesse un referendum fra gli abitan ti del Trentino onde si pronunciassero per l'adesio~e agl i Absbu rg o o ai Sav oia, partirebbero dal Vat ica no trentino carovane di preti a propugnare per tutte le v allate che l'unione all'Italia è contro alla relig ione e ai voleri della divina. provvidenza. Questo riferend11m d arebbe, ne siamo sicuri, una strabocchevole maggioranza di voti favorevoli all'Austria. Poiché l'inno . p rogramma dei cattolici trentini si augu ra e vuole che

l a g ialla e nera bandiera le f orze di lutti t ongiunga ed i ruor.

IL TRENTINO 183

li Partito Socialista. -Le sue origini sono recenti. Il 2 febbra io 189 ) usciva· il primo cd aJlche ultimo numero del p rimo giorn ale t rendno di propaganda socialista, co l nome d j Riuù l a Popolar, Trentina F u co nfiscato sino all'ultima copia Scoraggiati non t anto dalla v iolenza poliziesca CJuanto dall'apatia e incoscienza della massa la voratrice e pu r decis i a non cedere, i socialìsti t rentini trasportarono le tende nella capitale dell'Austria, e a Vien na, ai primi di novembre dello stesso anno, usciva l'A vnnire. 1 redattori cosi spiegavano il perché dell'and ata a Vienna. ·

« Ci siamo trasportati a Vienna ~rch é in meno allo stupjJo antisemitismo e a l fedifrago liberalismo e' è un po· di posto anche p cl socialismo vero e senza sottintesi. Nelle nostre provincie ita liane si respira un·aria afosa, soffocante, si sta fra una Polizia paurosa, che non tien conto dei tempi e un liberalismo anche più g re tto. Non gii che qui si respiri tutfaria os'sìgenata, tuttavia m odo di camparla, m;1gari con qualche mese d i prigion e, c ~ ».

D opo alcuni numeri, che suscitarono grande emozione, specie fra i nazionalisti, il g iornale tornò nel Trentino . Nell'ottobre d el 1896 usd a Rovereto l' Avvtnirt del Lavoralort e con ques to giornale i l Partito andò assumendo consistenza e individualità. Il congresso del settembre 1897 riusd una prima e importante manifestazione dì forze socialiste. Tre anni dopo ebbe lu ogo il secondo congresso V i fu t rattata la questione dell'autonomia e l a fondazione di un quotidiano sociallsta. Due mesi dopo. e cioè nell'aprile del 1900, usci va il P opolo. Nel suo prog ramma dichiarava di avere un duplice scopo:

« Quell o di cooperare a lla conquista d i quelle li bertà, altrove ormai da decenni ottenute d:ille borghesie e qui totalmente mancanti, e quello di fare tra le masse operaie propaganda per le idea li tà del P:utito S0<ialista »

Il qt.otidiano iniz iò l a campagna pro autonom ia politica ed amministrativa del Trentino. È questa la pagina pjù bella nella storìa del Partito Socialista T rentino. Tra il 1904-'05 violenti dissidi personali scoppiarono nel campo social ista. Il Popolo cessò di essere organo del Partito e divenne propr ietà del direttore Cesare Battisti. Si ebbero in que~ tomo di tempo, nella sola città di Tre-nto, tre settimanali socialisri che si combattevano a vicenda. Dopo un lungo e tempes toso periodo di lotte inte:itine, parecchi socialisti se ne andarono, il Partito si ricompose, riordi nò le sue i stituzioni p oli tiche ed economiche, i n pr imo luogo la Camera del lavoro di T rento, ri pubblicò l' A vvt~i re del Lavoratort, organo del P art ito Socialista e del Segretariato trentino del l avoro. Oggi, l' Avvenire ha una tiratu ra che supera le duemi la co p ie e mentre è quas i sconosciuto nel Trentino, dove, all'i nfuori degli opc.rai, ha scarsissimi lettori, è diffusissimo nella zona bilingue

184 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLlN[

e più al nord del Tirolo, nel Voralberg, nella Stiria, in Carinzia, Carniola, Boemia, do ve sccve a mantenere fra i gruppi degli emigrati l'italian ità li nguistica. I gruppi politici socialisti de l Trentino non sono molti. Però le maggiori ist ituzioni economiche (Camere del lavoro di Trento e Rovereto) sono n elle mani dei socialisti. I socialisti trentini dipendono da Vienna. È una dipendenza morale, poiché nel fa t to i due movimenti socìalisti hanno carattere divetso.* Le organizzazioni econom"iche invece sono tutte federate a Vienna, dove esistono le cosiddette centrali, cioè le d irézioni di ogni singola organizzazio ne professionale. Queste centrnli sono potentissìmi organismi b urocratici, che dispongono di tutta u na lunga gerarchia d ' impiegati e che esigono obbedienza e regola::ità di pagamento dai soci fe de rati. Non si fa sciopero senza ,il permesso delle centrali. Ai ribelli non si da n no sussidi. Le casse di queste organizzazioni taccoglievano od 1909 nove milioni di corone. Questo tipo d'organizzazione fortemente accent ra~ trice e burocratica tende a costituire sopra le ling ue e Je raz ze l'unità. materiale e morale del proletariato austriaco. Unità forse i mpossibile a solidamente raggìungersi, poichi ogni razza, ognì popolo porta od movimento operaio una < t sua» anima, né si può livellare ciò ch'è fondame ntalmente diverso. Acca n to a ll'unità burocratica e m ilitare del Governo austriaco, che non fa sottili distinzioni fra italiani e boemi, fra slavi e tedeschi, e natta gli otto popoli dell'i mpeto alla stessa stregua, esiste l'unità proleuria, che della prima ha la burocrazia e la disciplina quasi militaresca e p retende di realizzare una effimer a i nternazionale fra operai che n on s i senton frateLi. Effimera, e già i segni dello sfacelo s'annunciano. Nella Boemia esistono i separat isti n azionali e i separatisti soci al isti e operai. Fra non molto Je pote nd orga nizzazio ni operaie della Boemia si staccheranno da Vienna pe r centralizzarsi a Praga. Da n o tare, cosl en pauanl, ch e il m ovime nto ope· raio boemo h a molti caratteri del movimento o pera io francese ; quindi è favorevole al decentrame nto , alle b a~se quote, all'autono mia dell'azione sindacale.

Anche nel Trentino albeggiano tendenze separatistiche fra gli operai. Un primo conflitto e grave è già scoppiato fra la centrale dei muratori, e l'Avvenir? dei LatJOralore, organo del Segtetariato trentino del lavoro. Forse non c'è nel Trent ino un proletariato autentico, numeroso e cosciente da poter m a nte nere istituzioni sue proprie, autono me d a Vienna, Il Ttentino, e lo di mostreremo meglio in altra p arte, non

+ Lt, Camera del law;ro di Trento, (I/meno qu:mdo aveM sede in v ia S an Pie. Jro 2.3, ,iceveva dal comune, a 1i10lo d i su1sidi o, /' esen zione d l'I pagamen10 del ammrno di IHce e/eurica, ciu a cir,q uerer110 corone annue Coru,o l a conreui on, di qu eSla esazi owe non mancava d i batldgliare l 'organo q u otidiano dei clericali. ·

lS.• XXXIII ,

JL T RENTINO IS5

è industrializzato come alcune provincie della Boemia. Manca il proletariatO, ·es iste invece \!artigianato. Cosi il Partito Socialista non potrà mai giungere a g rande floridezza, perché gli manca un substrato di pro letarì autentici.

Nofl solo, ma le r ecenti scissioni lo hanno ancora più indebolito. La ques tione Barni-Avancini non è un semplice episodio personalistico; né semplice scontro cli temperamenti opposti e irriducibilment e antagonistici il frigidismo b urocr atico, m eticoloso , teutonico dell'ono r evole Avancini e . l'impulsivismo del Barni. V'è, oltre alle persone, un conflitto d'idee o p iuttosto un conflitto di m et odi. C'è chi vuole tutelare politicamente la classe operaia e c'è invece chi ripudia ques ta tutela. I pcimi si raccolgono nella società elettorale o in altro organismo politico, gli altri hanno nelle ma ni la massima is tituzione del proletadato: l a Camera del lavo ro di Trento. Ancora. C'è chi si per mette di criticare l'accent ramento tedesco in fatto di organizzazione operai a e c'è invece chi ri t iene questo accentramen to 1a forma p iù perfetta dell'organizzazion e e guai al reprobo che pensa al contrario.

Ci sono nella massa oper aia del Trent ino tendenze separatistiche, antiteutoniche, anticentralistiche ; albeggia nel Trentino il m ovimento separatist a c he ha scisso i lavoratori di Boemia dagli altri dell'Austria

Il concetto dell'azione operaia autonoma, libera dalle influenze d ei pastori politici, padrona quind i di scegliersi i suoi mezzi di lotta sul terreno s ind acale, è ormai diffuso. La massa che ieri venerava i l deputat o, oggi lo trascura. L'azione parlamentare decade nella stima d egli opexai ; subentra l'azione diretta del sindacato. Quando l'onorevole A va nci n i rassegna le sue dimissioni, il fatto passa inosservato.

C'è dunque nel Tre nti no una nuova mentalità operaia. Sono s tati i reg nicoli, fra i quali un po' anche Io scdttore di queste linee, che hanno spas toiato il socialismo trentino d alla ro11t ine elettoralistica; e questa o pera faticosa non poteva non produrre la v iole nta scissione di cui si so no occupate l argamente le cronache trentine del 19 10 .

Nell'ultimissimo congresso (il q uatto rdicesi mo) d ei socialisti i tal iani del Tirolo, Trentino, Vo ralberg, tenutosi a Trento il 18-19 febbraio 19n, la scissione è s tata u fficialmente consacrata. I « barnisti >> n on sono stati accettati al congresso, e lo stesso Barni n o n ha avuto accesso, neppute come giornalista, nella sede del con g resso C'e.rano una quantità di delegati. Vennero approvate le .relazioni della gi unta esecutiva del g iornale, del deputato. Ma quanto all' attiv ità fu t ura, si preferl... passare :all'or dine del giotno. 11 relat o re a veva proposto quali principali compiti alla futur a commissi one esecutiva i segue n ti: l'agitazione contro il rincaro della vita, la l otta per la conquista d el voto nella ptovincia e nel comune, la costruzione di una buo-

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INI
MUSSOL

na organizzazione di P artito. L'onorevole Avancini, « pur essendo d'accordo colle proposte del relatore, crede che sarebbe troppo azzardoso prefigge re al Partito un p iano precisato d'attivi tà. Q ues to potrà essere fatt o da11a nuova giu n ta esecutiva, quando avrà potuto farsi un criterio sicuro de lle for ze di cui può disporre». (Avvenire del LavoraJore, anno VII).

Tuttavia la relazione è sta ta approva ta. Come si v ede nel programma d'attivit à del Partito Sodal ista Trentino (ultima formul azione), non si fa n eppur p iù cenno di campagne autonomistiche.

Là campagna pro aulono1JJia - Eppure la campagna pro au tonomia è, come dicemmo p oc'anzi, la pagi na più bella nella storia del Partito Sociali sta Trenti no. Dal 1895 al 1901 i socialis ti trenti ni diedero tutta la loro attività a l ragg iu ngimento dell'autonomia politica e amministrativa del loro paese. Nel gennaio d el 1891 i depu tati dietali trentini chiesero Ja discussione sopr a un p rogetto d'autonomia. A tale domanda il co nte Merveldt rispose dichiarando, in nome dell'imperatore, chiusa la dieta. D ì fr onte a t ale contegno i d eputati t rentini dieder o le loro dimissioni e sino al dicembr e del 1900 s i as te nnero dall'i ntervenire a lle sedùte d ell a Dieta. Quest'astensione, dapprima incomple ta per l'assenza dei clericali, ma p oi generale, unita a v ivissima agitazione nel paese, eccitò la r eazione governativa. Questa durò poco e il Governo ritornò al suo sistema : carezzare e prometter e. D ifatti l'imperatore a una commissione di setta nta rap presentanti di comuni trentini a ndati ad Innsbruck e capitanati dal barone Malfatti dichi arava « che il suo Governo si era già altre volte occupatò di sl im portante vertenza, la quale riconosceva fi no allora insoluta per molte diffi. coltà ; che egli av r ebbe incar icato il suo Governo di prenderla nud ~ vame nte in esame pe r condurla ad una sol uzione, tenendo conto de i maggior i interessi dello Stato.... ; che non poteva fate una promessa, ma che dava l'assicurazione che gli interessi della popolazione italia na gli stava no a cuore non meno di quelli di qual unque altra ».

D al 189 ) al 1897 i ministri Plener, Wind.ischgditz e Badeni continuarono a.... promettere. Quest'ultimo invi tò i deputati d.ietali t rentini a « elaDocare un progetto d'au t onom ia », che poi avrebbero discusso ins ieme e sottoposto all'approvazio ne imperiale. Badeni non chiamò mai i deputati a presentare il famoso progetto, ma nel luglio del 1897 il luogotenente d'lnnsbruck fece a q u attro deputati tren t ini la seguente, strabHian te comunicazione:

Il Governo convinto dì poter, d 'accordo colla magg ioran za d ella dieta, provvedere ai b isogni del Trentino, megl io che cogli organismi ammin istrativ i proposti dai depu tati trentini,

IL TRENTINO 187

Ma.i turlupinatura di governo austriaco fu più impudente t Il paese tacque. I liberali nazionali si squagliaro no. Un opuscolo socialista d eplorava il loro assen teis mo e dprendeva la campagna. N el giugno 1897 il congresso socialista austriaco si era, relatoce il Daszinsk i, dichiarato « favorevole all'autonomia delle provincìe qualora queste non siano il prodotto d'intrighi cliplomàtici e di vecchie ingiustizie, m a rappresentino delle unità politiche nazionali a base democratica>). Il congresso dei socialisti trentini afferma va il suo proposito di lottare per l'autonomia e votava in proposito il seguente ordine del g iorno :

« I socialisti italiani del Trentino e del Tirolo raccolti nel loro primo congrt"sso, affermando il diritto di tutti i popoli a reggersi ed amministr:usi da s~ ; considerando che l'annessione del Tren tino al Tirolo è dannosa allo S\·iluppo economico del T rentino e quindi al sorgere di un proletariato cosciente; considera ndo che solo la concessi one dell'autonomia al Trentino porterà chiara e precisa la lo tta fra borghesia e prn letarialo, stabiliscono di accettare nel loro programma mi ni mo la lo tta per il consei;ui mento dell'autonomia, di lott:ue per essa ind ipendenteme nte dagli altri partiti mediante comizi, opuscol i e conferen ze ed estendendo la propaganda anche fra i comp3sni tedeschi della provincia J>,

Co n quest'ordine del giorno i socialisti trentini s'impegnarono alla battaglia. Organizzàrono comizi, pubblicarono opuscoli, frustrar ono l a inutile astensione dei liberali nazjonali eccitandoli a pai-alizzare il lavoro della dieta d' ln osbruck mediante l'ostruzionismo, occuparono le piazze con un corteo di parecchie centinaia di operai quando la dieta ti rolese nel gennaio 1 898 « respin se in bl occo il prògetto delle tramvie trentine, proibl alla città di Trento di prestar garanzja per un prestito .!.ulla linea de lla v~l di Fiemme, tentò di smembr.;.re l 'unit à li nguistica del Trenti no staccando alcuni comuni italiani dcli.a. val di Fass a per aggrega rli a l capitanato t edesco di Bolzano ».

Le elezioni politiche del m aggio-giugno 1898, la ·inaug ur azione (1897) e l'anniversa rio (1899) dell'inaugurazione del monumento a Dante porsero occasione ai sociali sti per insistere s ull'a utonomia Nel 1900 il loro congresso non poté non trattare l'inquietante problema. Il· famoso voto di Briinn dei socialisti austriad fu il centro della .discus sione. Riportiamolo, perché detto ordine del giorno è la sintesi del pensiero dei socialisti a~striaci di fronte alle nazionalità che compongono l'impero e alle lotte. che le travagliano.

• L' Austria - così comincia b. d ichiarazione di Briinn - deve costituirsi in una confederazione d emocratica, Alle s toric::he provincie vengono sostituiti d ei corpi nazionali autonomi circoscritti, la cui legislazione ed amministrazione emana da Camere nazionali elette in base al suffragio universale eguale e diretto. Tutti i territori della stessa na zione forma no insieme un'unica confederazione nazionale, la quale provvede ai p ropri bisC1gni nazionali in modo del tutto a utonomo. Il diritto delle minoranze naziona li viene garantito mediante una legge specia le

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stabilita dal Parlamento de lla Confederazione. I socialìsti a ustr iaci non r iconosccmo alcun privilegio nazionale e perciò res pingo no la tendenza a introd urre una ling ua di Stato. Per quanto concerne la n ecessità di u na lingua di comunica• zione, verrà deciso dal parlamento della Confederazione ».

Questa dichiarazione, c he fa ancora t esto poiché non fu abrogata , né modificata dai congressi nazionali austriaci successiv i, vagheggia una confederazione di popoli o rdi n ata sul tipo svizzeco e una form a di reggimento repubblicana. F ine delrimpero secolare degli Absburgo e smembramento dell'Austria. &co la dichiarazione di Brilnn , la quale però ci lascia all'oscuro in quanto concerne i mezzi per raggiungere lo scopo. L'azione dei socia listi austriaci non ha finora i ndebolito il « nesso dell'impero>>. Anzi ì socialisti austriaci tedeschi combattono accanitaffiente qualunque movimento separatista, sia esso nazionalista o operaio;

Per conto loro i socialisti trenti ni v otaro no u n ord jne del giorno co l quale, « considerando che solo l a con cessione dell'autono mia al Trentino potterà chiara e precisa la lotta fra b o r g hes ia e proletarjat o », s tabilivano « di accettare nel loro programma minimo la lotta per la conquista dell'autonomia, di lotta re per essa, alleandosi eventualmen te con quelle frazioni della borg h esia che sono favorevoli ad una seria lo tta mediante comizi, opuscoli, conferenze».

Mentre altra volta si dichiarava di lottare· da soli, ora s i accettava il concorso della borghesia. D e l resto i mezzi ultralegali d'agitazione no n potevano spaventarla per q ua nto timorosa si fosse 11 g iornale quotidiano si impegnò a fon d o nella campagna au tonomis t ìca. Co me mezzi di protesta co ntro il malgove rno della Dieta tirokse, consig liava Jo sciope ro delle amministrazio ni comunali t:centi ne _ e l 'ost ru~ z ionismo alla Dieta. !I.fa quest'ultima m isura era accolta co n lazzi e scherni e stupide ins inuazìoni da parte dei deputa t i liber ali nazio n ali, che. credevano d i compiere il maggiore degli eroismi astenendosi dal p artecipare ai lav ori della D ieta. Il quotidiano liberale-nazion ale definiva l 'os trnzionismo un mezzo « per ottenere un po' d i governo assoluto>> . Chiamava « sci occhezze e ingenuità ì> il v entilato sci opero d ei comuni. Voleva -~·m astensionismo cortese. Mano ferma , m a prudente; ecco il motto riassument e tutto il machiavellismo di ba ssa lega de i liberali-nazionali, che in fondo in fondo non volevano d isgustare l 'Austria e rendersela iueconciliabile n emica. Il quotidiano so cia lista fosisteva.

<t Convenfa mo: l"arma d ell'ostruz ionismo non è un'arma intellettuale, No : ìl cantare, il gridare, il valersi di un rego lamento per far perdere ore di tempo in vane forma lità, il far r umore levando magari le a ssi d elle panche, no, tutto questo non è intellettuale, Ma è forse intellettuale il contegno degli avversari,

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che si valgano di una forza numerica per negarci il diritto alla vita, all'esistenza, allo sviluppo libero della n ostra vila n:i.zion3lc, economica, soda le-? t forse intellettuale il criterio de i d epu tati ti rolesi, che vot ano pei loro paesi, per le loro imprese due milioni e mezzo d i coronè ( in gran parte no~tre) e d anno al T rentino la vil carità di ventottomila corone? :E: forse un crite rio intellett uale quello che spinge i deputati tirolesi a dichiarare terra di conquista le nos tre valli, imponendoci a forza una ling ua ig nota? Contro la violenza, la violenza» . ( Cfc. P opolo , 18 maggio 1900).

Ma più che questi appelli, altri avvenimenti indusse ro i de putati dictali a cambiar la loro tattica, I boemi, mediante l'os truzionismo, ottenevano insperati success i al Parlamento austriaco, e al Parlamento italiano, mediante l'ostruzio nismo, l'estrema sinistra trio nfava su : Pelloux e soci. Il s giugno 1 900 i dep utati dictali si riuni vano in Trento e deci devano di pretendere una risposta dalle autorità ministeriaE e in caso di rifi ut o di p assare all 'ostruzio nismo. Questa decisione costituiva un successo pei socialisti. Al comizio pubblico, che ebbe lu ogo pochi giorni d?po ad iniziativ a d ei socialisti e di alcuni liberali disside nti, partecipàrono ben seimila cittadini. Il G overno rispose che non voleva saperne d'autonomia; i dep utati dietali iniziarono quindi l'ostruzio nismo. La dieta convocata nel dicembre non poté funzionare. Si chiuse nominando un comitato incarkato di elaborare un progetto da discutere. nella successiva sessione. Il progetto fu elaborato e cadde. Jl paese tacque rassegnato e la campagna dei sociali sti cessò L'autonornia, che figurava nel prog ramma minimo come postulato da r3.gg iungersi subito, è passata nel pro gramma massimo, come vaga aspir azione ideale. Gli ultimi echi li troviamo in un discorso elettorale <lel 1908 pro nunciato da un candidato socialista. Nel 1909 si annu nciò un comizio pro autono mia, ma una proibizio ne p oliziesca bastò per farlo rientrare e nessuno si fece vivo. N el 190 8 il candi dato socialista dichi arav a esser necessario « u n p rog r amma di distruz.ìone prim a, di azio ne poi Un d eputato socialis ta dev' essere come la spola d i dinami te in mezzo a tanto vecchiume ». Oggi i liberali-nazionali benedicono l'Austria t:: i socialisti impotenti) la tollerano e la subiscOno.

L'esito disastroso della campag na pro autonomia merita un breve commento sul quale gli irredentisti faran bene a riflettete. Q ues ta campagna è merito cli un so lo Pa rti to: il Socialista. I liberali-nazio nali o steggiano l'agita.zionc, i clericali cercano di stroncarla Sa lvo poche e g randi occasioni, le masse non partecipano alla l otta. La po polazione rurale è assente I deputati dell'astensionismo passano all' ostruzionismo. N iente altro. Tut ta l'agitazione è leg ale. Nessuna violenza, nessun sacrificio, nessun martire. Ci dica no ora g li iuedentisti i talici, ai quali, come nella massima cristiana, molto bisogna perdonare per-

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ché non sanno quel che si dicano e facciano, ci dica no se un paese che lotta cosi blandamente per l'a utonomia può essere d omani capace cli uria insurrezione per l'annessione all'Italia. Ne dubitiamo. Se tu tta la popolazione trentina ave sse v eramente voluto l'autonomia e fosse stata capace di qualcuno de ' sacrifici sin goli o collettivi cli cui va gloriosa la recente st oria, ad esempio, d ella Finlandia, l'autonomia sarebbe stata concessa. Ma il Governo austriaco non igno rava che gli autonomisti socialisti costituivano un'infima mino ranza con scarso seguito , quindi poco pericolosa. Il Governo t enne duro e v inse. Il liberalismo nazionale, vile come sempre, si · rassegnò alla sconfitta. L'appoggio delle frazioni b orghesi che i socialisti avevano c hiest o non venne. Non esiste nel Trentino una b orghesia nuova, giovane, liberale, capace di impegnarsi in lotte politiche; l a borg h esia trentina si" compone di n egozianti e m erciai, come il proletariato cli a r t igiani La bo rghesia t ren tina b o t tegaia, taccag na, prct inizzata non conosce idealità e no n s i scalda per l otte poli tic he. Ha rin unciato all'anneSsione, rinuncia all'a utonomia.

T o lta la campagna autonom istica, n on vi sono nella storia del Pa ctito Socialista Trentino altri avvenimenti deg ni di nota. Bisogna tuttavi a ricordare gli scioperi gencca li nel 1907 per il suffragio univ ersale, nel 1909 per la reazio ne politica. Grazie all'allacgamento del suffragio, T rento è rappresentata da un deputato socialista, Augu sto Avancini. Il suffragio ristret tissimo a' curie, vigente ancora nel comune di Trento, ha impedito l'elezione di consiglieri sociali sti. Il Partito Socialista Trentino ha o ra ingaggiato la lotta per ottene re il suffragio uni versale anche per le elezioni comunali o almeno un aJ. largamento del suffrag io.

Il sistema del vot o per curie è un avanzo di m edioevo. Basta esam inare la costit u zione dei tre corPi elettorali della città _ di Trento. Nel primo corpo sessanta ele ttori h anno d od ici rap pi:esc nta nti; uno ogni c inque e forse anche solo uno ogni q u attro ; perché vi hanno una decina di elettori che non s o no persone ma ent i econo mici. Cosl il vescovo vota per sé e può votare per il Duomo. N el seco ndo corpo~ cos id detto dell'intelligenza e della media borghesia, seicento elettori eleggono dodici consiglieri. Di"inque un rappresentante ogni cinquan ta elettori. M algrado l'intelligenza, ci vogliono dieci ele tto ri p e r mi::ttere insieme i di ritti e il valore di un elettore del primo corpo. Nel terzo corpo si danno altri d odici cons iglieri a duemila elettori; un consigliere ogni ce ntosessan ta. E poi v i sono almeno d uemilacinquecento citta dini senza alcun diritto d i voto. Ma gli elettori n o n sono soltanto i cittadini maggiore nni. H a nno di ritto di vOta re con p rocura anche i bambini e le donne,· purché possidenti e paganti t asse, e un' infinità

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di e nti amministrativi. E poiché a nche i santi e i lo ro altari son o compresi fr.i gli e nti amminjstrativi, e ccovi comparire nelle liste elettor ali di Trento, con diritto di voto, San Biagio, San V igilia, San Pietro, ecc. Le don ne elettrici sono p uecchie centinaia e la cacti a alle lo ro - procure, specie da parte dei cler icali, è uno spettacolo altamente i mmoraJe.

Contro il suffragio a curie solo il Partito Socialista si è agitato e si -agita. Dicci anni fa i libera li votarono una riforma, ma fu bocciata dai clericali in seno alla Dieta di Innsbruck, alla quale spett~ il diritto di sanzione. In questi. ultimi tempi pare che i clericali trentini volessero agitarsi per l'allargamento del suffragio. Ma poi, colla lo ro abituale ip ocrisia, si ritirarono, contentandosi dei ·1oro consiglieri entrati da poco in comu ne. A ll'ultimo comizio organizzato dai socialisti alla vigilia delle elezio ni comunali per riatt ivare l'agitazione contro i l suffragio a curie mancavano i clericali e i liberali-nazionali. Non aderirono neppure. E ciò avveniva ment re un professore, gran luminare del nazionalismo, si rimangiava tutta l'intervista avuta da l ui con un giornali sta del Regno e nella qua le aveva espresso giudizi.... un po' ere tici sull'ordinamento delle scuole austriache. Oh.. .. gran cor aggio di questi eroi della nazionalità I È probabile che nelle prossime elezioni politiche le campagne s i p r onundno favorevoli aì candidati socialisti. In queste lotte eletto rali è destinata ad esaurirsi l'attività del Partito Socialista. II quale, salvo pochissirrù regnicoli, si compone di trentini che dei trendni hanno i pregi e i difetti. 1n un paese senza vero proletariato, in un paese stanco che « ha bisogno di punture e·di iniezioni per non cadere in pe~iodiche catalessi n, in un paese senza tradizioni rivoluzionarie, mancano le condi zion i per lo sviluppo di un forte Partito Socialista. Qualche successo eletto rale non può smentire ques t'affermazione,

Il regime governativo. - Esiste nel Tre ntino uno special r egime politico austriaco? C'è una legge d 'eccezione per il Trentino? Cer. chiamo di -rispondere a queste do mande. La libertà di pensiero è garantita sino a un certo punto . La confisca di libri pericolos i è all'ordine del giorno L'ufficio di censura è monopolizzato dai clericali. E si sequestra a caso. Dall'opuscolo scientifico del professor Warhmund si passa al roma nzo Orkinzia, scritto da un operaio. Del libro di Bebel La don,ra e il socialismo non è stata tollerata la circolazione in Austria. N egli u ffici postali c'è la censura per tutte le pubblicazioni che giu ngono dall'estero, specie dall'Italia. In questi ultimi tempi fu p roibita in .Austria ·la ve ndita dei gio rnali I l Te mpo, La Ragione, I l Resto del Carlino e La Pau. La libertà di stampa è alla mercè della procura di Stat o.

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Mentre nelle altre parti de11'Austria non si sequestra mai o quasi mai, nel Trentino le forbici della P rocura fanno strage tra le pubbLicazionì

· p eriodiche, Vi si confisca il giorn ale per un sola riga oppure ve lo sve ntrano completamente, Escono dei giornali bianchi o quasi. Vi sono periodi speciali in cui i sequestri fioccano. Talvolta il procuratore vi sequestra ciò che è stuo impunemente pubblicato su giornali tedCschi, Queste misure vi esasperano. Il sequestro si .riduce -però alla soJa confisca delle copie. Salvo casi .specialissimi, il processo non segue mai. Il deputato social ista ptcsenta un'in terpellanza al Parlamento, legge gli articoli sequesttati, li passa agli atti e ve li immunizza. Voi potete allora .ripubblicarli e cavarvi, dopo qualche settimana o qualche mese, questa rnag ra soddisfazione.

Nelle altre parti dell'Aust.ria, i sequestti sono cosl .rari, da costitui re, quando vengono, una spec~e di avvenimento, l' Arbeiler Zeilrmg, ad esempio, il quotidiano dei socialisti austriaci, è stato sequestrato pochissime volte. Per questo il gruppo parlamentare socialista austriaco non h a ancora sentito il bisogno di reclamare, accanto all'ottenuto suffragio universale, l'abolizione del sequestro ptcventivo dei giornali.

La libertà d'associazione è concessa con una legge del 1867. No n è tollerata in Austria l'esistenza di un partito politico propriamente detto. I socialisti si confondono cogli organizzati (difatti parte delle quote di costoro vanno alla cassa del partito) o, .riunendosi i n gruppi, devono copridi con nomi come i seguenti: la « Fraterni tà sociale)), la « Lega per la cultura sociale», « Gruppo di studi sociali )}• ecc. Al costituirsi di ogni associazione, sia essa economica o pol itica o intellettuale o Sportiva, è necessario manda re alla lu ogotenenza d'Innsbruck cinque copie del regolamento interno ed un memorandum sugli scopi che l'associazione si prefigge Il luogoteneòte o chi per lui esamina · l'incartamento e concede se del caso rautorizzazione. La quale vien subito se trattasi di società operaie, mentre invece tard a o non viene se tratt.asi di società ginnastiche o sportive o politiche. Un'associazione non autorizz:i.ta vien sciolta· dalla polizia. L'Austria non tollera società segrete.

Il governo può ad ogni momento sciogliere qualsiasi associazione che gli sembri pericolosa. U n grido, una passeggiata, l'oste ntazione di una coccarda sono motivi ·suffic ienti. La pubblicaziqne di un manifesto contro i1 centenario hoferiano (1909, agosto) portò l'immed iato scioglimento dell'associazione degli studenti trentini e la con6sca· del lo ro patri monio. L a divisa delle bande musicali dev'essere approvata dall'imperial r egia luogotenenza Non si tollerano uniformi che ricordino da vicino qudle di alcuni corpi armati italiani.

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Il diritto di riunione è abbastanza rispettato. Ci sono due specie di rjunj o ni, Quella·indet ta a pa ragrafo due, cioè privata, e quella c hiamata pubblica sociale. Per entrambi bisogna preavvisa re la P olizia o il capitanato almeno ventiquattro ore prima. A lle riunioni private n o n inte r viene la Pubblica Sicurezza, alle riunioni pubbliche non manca mai il funzionario, il quale d ev'essere presentato all'udito rio dal pres idente che dirige l'assemblea.

Difficilmente il commissario v'interrompe. Qualche volta è un tedesco che mal comprende l'italiano. P otete di re ci ò che fo rse non si tollererebbe in Italia. Guai però se toccate l'imperatore I C'è da b uscarsi una buona dose di carcere d u r o. Potete attaccare i p ~eti, ma non la r eligione. Accenni al Riso rgimento italiano, alle guerre fra l'Austria e l'Italia non sono tollerati. Pe r far rizzare le orecchie al commissario basta-ricordare Garibaldi. I cortei nel1e strade sono permessi. Quando siano improvvisati , la Polizia nello sciogli~di è meno brutale e sanguinaria dell'italiana. Le truppe non intervengono che in c asi di dichiarata sedizi one. Nei g ravi frangenti si chiamano i gendarmi dalle campag ne.

La Pol izia si c ompone di trentini, o riginari però delle vallate. Gli alti funzionad sono tutti t edeschi. Gli agenti di polizia hanno quasi tutti fami glia e no n sono, come in Italia, mal visti e odiati dal resto della popolazione. La polizia austriaca tren~ tina non è feroce come ~oppongono quelli che son r imasti al •48, G li . assas sini compiuti dai poliziotti in Austria non raggiungono certo la cifra di quelli compiuti da p oliziotti italiani. Le manette sono abo-lite, e non si applicano che i n casi specialissimi di resistenza e riotto-sità. Cosi nelle Assisi mancano le gabbie. Gli sfratti politici o amministrativi ordi na ti dalla polizia no n sono cosi numerosi . come quelli ordinati, ad esempio, da l cantone repubb licano di G inev ra (mill equattrocentocinquantatré espulsioni amministrative nel solo anno 1904).

Il regime carcerario a Trento e Rove reto è i nfinitamente migliore dell'i taliano. Silvio Pellico non potrebbe più scri vere le sùe la men tose memo rie. *- I condannati a meno di due anni lavorano tutto il g iorno

"' Nel grande dhcorJo pronuncialo recentemente dal unato, t G ,abmayr alla ud11ta plenaria detle delegazioni i ~ B udapeJJ il 23 febbraio 1911, diJCon o che Il S«olo del g i orn o waeJJivo riportava in cxtenso, ho trovalo qunto .Periodo, , he ha col m io, 1uùto 1111 anno prima, una !lr.#na ,oi11àdenza di ,011ce110 e d i formd Ha detto il unato re G,abmayr: «Gr;,.zìe a[ cielo, le casematte di Bri.inn sono d;,. lungo tempo fuod . .servizio e ossi nessun Silvio Pellico potrebbe più scrivere quelle "Mie Prigioni·· che ci commossero t3n to ncHa nostra giovine22a, invadendoci l'anima di p rofonda pietà. Oggi le vittime i n massa d ella crudeltàaustriaca non esistono p iù che nella fantasia Jei più esaltati irredentisti.... ».

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o nei cortili delle carceri o fuori nei campi e nelle colonie agricole. Le celle sono comode, le finestre non sono a bocca di lupo come nei cellulari italiani, la disciplina non m olto rigida. Pote te tutti i giorni farvi portare il pranzo da fu ori e leggere ·uno o parecchi quotidiani e scrivere a piacimento vostro.

La Polizia, che è lo strumento diretto dell a reazione governativa, non è cosl feroce come si può supporre da·coloro che vedon l'Aust ria moderna attraverso i ricordi d i Radetzky, Haynau e soci. Può però diventarlo quando le alte sfere tedesche premono e il paese è agi tato E allo ra non è soltanto feroce, ma stupi~a. Qualche episodio no n farà male. La « Fraternità sociale» di Ro vereto deve inaugurare la sua rossa bandiera. L'autorità pone il ve to. L'Austria non permette l'esposizione di stracci completamente rossi. Bisogna turbare l'omogeneità del colore, La <<Fraternità» allora fa ricamare in bianco sulla bandiera la sacramentale frase di Marx « Lavoratori di tutto il mondo u nitevi ! )) e la band iera può liberamente sventolare. Un t empo s i face va la caccia ai ritratti di Umberto, alle spille coll'effigie dei sovrani d'Italia. Oggi sono tollerati; però si eleva contravvenzione al fon ografo che ripete l'i nno di Garibaldi. Durante le solennità hoferiane furono arrestati due bambini di età inferiore ai dieci anni, colpevoli di aver fischiereilato l'inno di Mameli. N ello stesso to rno di tempo capitò a Trento un giovanotto vestito da bersagliere. Tutta la Polizia fu mobilizzat a per arrestarlo. Si trattava d'un innocuo collegiale. Le gaffes creti ne della Polizia trentina sono innumerevoli Bene spesso abusa di un privilegio che le è concesso : quello cioè di condannare i dimostranti da un minimo di un giorno a un massimo di quatto rdici g iorni. Q ueste condanne in Polizia, senza interrogatorio, senza processo, sono un residuo dell'Austria barba ca di al tri tempi, Riassumendo diremo che il regime governativo aust riaco nel Trent ino non è gran fatto diverso da quello applicato nel resto dell'impero. In momenti dì crisi poi, quando si tratta di rep rimere, l'Austria no n distingue fra popolo e popolo. Italiani o tedeschi o slavi, il regime è identico. Basta per convincersene ricordare i fatti di Trieste, le repressioni d i Galizia, lo stato d 'assedio a Praga, il processo di Zagabria.

Trentino e Tirolo. - Sono due parti della stessa provincia; due parti. non solo diverse l'una dall'altra, ma in antitesi i rreducibile. Il Tirolo è il tutore, il Trentino è il pupillo. Il Trentino «subisce» una amministrazione compos ta in gcan parte dalla borghesia cle ricale e feudale del Tirolo. La lame ntevole situazione politica ed anche economica" del Trentino dipende da questo connubio forzato colla gente di oltre Brenner o. E ciò a dispetto, dice una scrittore trentino, « del-

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le più evidenti leggi di natura, offese da simile procedimento; dispetto dCi nostri fiumi che inviano le loro acque all'Adriatico, mentre i ghiacciai del Tlrolo mandano il loro tributo al torbido Danubio, attraverso i laghi e il Reno al mare del nord; a dispetto della lingua che qui si chiama lingua del sì, mentre lì vanta il nome di lingua di · Goethe e di Schiller; a dispetto della coltura del suOlo, che qui fa pompa di viti, di ulivi, di gelsi e Il di abeti e di prati; a dispetto degli ordinamenti economici, Il. germanici e qui latini.... ».

La enumerazione delle differenze fra le due regioni e i due popoli potrebbe, come ognun vede, conti nuare all'infinito, ma senza modificare lo stato di fatto. Oggi il Trentino è politicamente e ammini strat ivamente unito e sottoposto al Tirolo: i trecentomila trenti ni sono un iti e sottoposti alla borghesia tirolese rappresentante cinquecento. mila tirolesi.

Eppure il Tre,ntino ha sempre cos tituito, dai tempi romani fino al 1814, uno Stato a sé, affatto i ndjpendcnte dal Tirolo. G li avvenimenti di quell'anno lo agg regarono all'Austria e in essa al Tirolo. Che fino al 1814 il Trentino fosse un quid a sé, non una parte del Tirolo, fu sancito dalla Corona stessa, che accanto al tfrolo di conte del Tirolo ·metteva quello di principe di Trento. Il capitolo diciannovesimo della costituzione austriaca stabilisce che tutte le nazioni dello Stato abbiano u8"uali diritti. Quindi il Trent ino doveva avere una sua propria D ieta, completamente autonoma dal Tirolo. Nel 1849, ad esempio, si eressero a provincie la Sli:sia, !:i. Bucovi na, Ja Carinzia, il SaHsburghese, che prima erano aggregate rispettivamente alla Moravia, alla Galizia, alla Carniola, all'Austria superiore. N el 1861 anche il Voralberg ebbe Diet a propria. Ai paesi italiani del litorale furono assegnnte tre D iete. Solo il Trentino non fu eretto a provinci a, ma forzato a unirsi col Tirolo. La disparìtà della rappresentanza alla Dieta è dimostrata col· le cifre. N el 1816 la Dieta di Innsbruck aveva sette seggi pe r i trent ini coatto qua rantacinque dati ai tedeschi. Più tardi si tentò riparare all'i ngiustizia e nel 1848 furono accordati venti seggi ai trentini cOntro cinquan'tadue:. E ciò in un tempo in cuì la popolazione del Trentino era di trecento ventimila anime e quella del Tirolo di circa quattrocentomila. Finalmente, per calmare Je p roteste dei trentini, nel 1861 si realizzò una riforma, che vige pur oggi e in base alla quale il T renti no ha un deputato ogni .Jo.808 abit anti di borgate e città e uno· ogni ventottomilanovecentosessantanove abi tanti dei comuni rurali, ment re il Tirolo ha un deputato ogni novemilacentosettantaquattro abitanti di città e uno ogni diciassettemilaquarantanove dei comuni rurali.

I trentini sono sempre in m inoranza e devono subire la maggioranza tirolese. È chiaro che i tede schi fa voriscono il l oro Tirolo, servendosi

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anche delle contribuzioni del Trentino, il quale deve content arsi delle briciole che cadono dalla tavola dell'Epulone tirolese.

Ur1: esempio fra i tanti conforterà questo richiamo evangelico. Nel 18 8z si ebbero parecchie disastrose inondazioni, Nel Trentino i danni furono di gran lunga maggiori. Ebbene, i · sussidi ve nnero cosi ripar titi: 6orini un milio ne ottantatremila per il Trentino, fiorini. cinque milioni quattrocentoquarantaquattromila p er il Tirolo. Lo stesso Governo au striaco trovò il coraggi o d'opporsi a q uesta deliberazione dei sùoi buoni amici tirolesi e abrogò la relativa disposizione imponendo una meno ingiusta retribuzione. _ Altro caso. Il Governo in varie r iprese assegnò alla provincia dei sussidi per la scuola popolare. Nel 1886 il sussidio fu di fiorini trentottomila. Il Consiglio scolastico provinciale ne conferl ottomila al Trentino e il res to al Tirolo , Nessuna meravig lia, perché il Consiglio scolastico p rovinciale è composto in maggioranza da elementi t edeschi e clericali; da ciò frequenti atti di os tilità a"lle scu ole it::iliane, da ciò regolamenti scolastici ad uso e consumo del dominio clericale (come il regolamento che stabilisce l'obbligo pci b ambini delle elementari di udi r q uotidian amente la messa). Il maestro è r idotto cosi a fare il sagrestano e, co me narra uno scrittore trentino, si arriva al punto di ritenere pedagogistimodello uomini che han p o tuto, in un'antologia scolastica, « camuffa re sacrilegamente l'inno a Satana di Carducci sotto il titolo di i n no alla ferrovia, mutilandone conelativamcn te il contenuto . }>

Se la situazione del Trentino r ispetto al Tirolo è dal punto di vista politico, umiliante, dal punto di viS ta economico, che esamineremo fra poco, è disastrosa.

Ora di qu::ili mezzi dispongono i trentini per opporsi all'egemònia tirolese almeno nelle sue più violente e ur tanti manifestazion i? I rappresentanti della Dieta son o preti in sottana o clericali o lib erali che non sarebber o oggi capaci dì rinnovare il tentativo ostru ziqnistico di un decennio fa. Organizzare la resistenza nei comuni, circa quat trocento, del Trentino ? Anche i comuni sono ne1le mani d ei clericali. Nelle città vi ge il suffragio a curie e l'elemento p o polare non può avere rappresentanze o, avendole, non sono in numero sufficente per spiegare un'efficace opera di cont rollo e di negazione. Il Tre ntino è oggi impotente. Non« può» combattere il Tirolo perché non « vuol » combattere l'Austria. Pochi ingenui confidano nell'avvenire e sperano che H Trentino riuscirà un giorno a sottrarsi al dominio polit ico ed econo mico del Tirolo.' Q uali sono in questo caso le ipotesi?

A11to11on1ia? Anneuio11e? S lalu1 quo? - La formula a uto nomi• stica « Governo n ostro a Trento in n ome del popolo e pel p opolo»

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lanciata d;ti socialisti durante la lo ro campagna è già superata e le probabilità di un"autonomia del Trentino sono diminuite invece di aumentare. Dall'alto no n verrà e dal basso nessuno si agita per volerla. Dall'alto non sono cadute: che promesse e turlupinature, una più solenne dell'altra. Dalla prima promessa forma le di render giustizia al Trentino fatta dall'imperatore Leopoldo nd 1790, a quelle ministeriali del 1871 , 189;-'94, è tutta una collana di lus inghe e di tradimenti, E il popolo trentino non ha mai avuto uno scatto di rivolta. I propugnatori dell'auto no mia, i Gazzoletti, gli Este_rle, i MarsiH, i Dordi, sono scomparsi senza vedere fruttificare la loro seminagione. La loro azione del res to non toccò che superficialmente le classi lavoratrici della città e d ella campagna. Una cooperazione omog,:nea di tutte le energie trenti ne n o n ci fu _ mai. L'alto clero era e d è antiautonomista. Al principio del secolo scorso il principe vescovo Pietro Vigilia contrattò la vendita del principato i al principio di questo Celestino Endrizzi ha venduto ai « volksbundisti » il magnifico castello di Pergine. Il clero minuto ebbe un tempo delle velleità autonomistiche. Oggi non più. L'al ta borghesia accetta l'Austria. I suoi deputati non hanno compiuto grandi ge~ta alla Dieta tirolese: dall'astensione passarono a un blandissimo ostruzionismo e da questo alla più supina e vergognosa dedizione. La popolazione rurale è austriacante. Gli operai delle città e bbero il loro quarto d'ora autonomistico; oggi, per tema d'imbrancarsi fra i pecoroni del nazionalismo, trascura n o la politica. Quelli che un t empo si agitarono per l'autonomia, oggi si sono ritirati e il loro posto è stato occupato da indifferenti o da procaccianti che appoggiano l'Austria. L'ag itazione orale e scritta è cessata da un pezzo: l'ultimo comizio (1909) pro autonomia fu proibito. Quel divieto poliziesco, che nessuno ebbe .il coraggio di fra nge re e contro al quale ben fio che si Jevaron alcune voci di protesta, è s tato una specie di sigillo funebre dell'agitazione pro autonomia. Il Trentino è r assegnato alla su a sorte e n on pensa di « redimersi ».

L'anneuiont? - Questa ipotesi, allo stato attuale delle cose e forse anche dopo, è la più assurda. V'è in Italia diffusa fra tutti i ceti della popolazio.ne !'atte.sa e la spera nza di chi sa mai quale paling enesi alJa morte di Francesco Giuseppe. La fine del vecchio imperatore segnerebbe l'immediatÒ sfacelo dell'impero-mosaico. La divisio ne avverrebbe cosl: L'Austria tedesca alla Germania, la Boemia si costituirebbe in reg no autonomo, cosl l'Ungheria, gli slavi del sud forme• rebbero la Joro nazione, gli italia ni ricadrebbero in seno alla madre- . patria. Questi calcoli sono fantastici. Lo Stato austriaco non s i smembrerà alla morte di Franz Joseph, poiché il successore c'è già, è già

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pronto e se non regna governa e si fa sentire Del resto non sono più questi i tempi in cui la successione d'un sovrano produce la catastrofe di uno Stato, Ma che cos'è lo Stato nella sua diretta materiale estrinsecazione? L o Stato è l'esercito e la burocrazia. Ora lo Stato austriaco, che dispone di un fedelissimo esercito e d i una burocrazia imperiale non per dovece. ma per sentimento. è lo Stato per eccellenza e non può quindi essere frazionato e annientato dalla morte d'un sovrano. Quando l'esercito è compatto, Jo Stato esiste e: resiste. L'Ungheria stessa ha p erduto ormai ìl coraggio della su a indipendenza. L'Ungheria stessa oggi è austriacante, checché ne dicano coloro che son rimasti alle gesta e agli entusiasmi repubblicani del '4 8. E c'è in Austria, di fronte all'onnipotente burocrazia e all'esercito cesareo, un elemento di di ssoluzione statale? No. Il proletariato austriaco. che dovrebbe far « saltare» l'Austria, ne garantisce e ne prolunga i nvece l'esistenza. Il proletariato austriaco gode del su ffragio universale e di molte altre rifor me d'indole sodale ; fra !e altre la Cassa per operai ammalati, Poi attende le pensioni per la vecchiaia. Il pro letariato austriaco accetta l'Austria. Agli stessi socialisti ripugna il pensiero di una d issociazione delle nazio nalità eterogenee che co mpongono l'impero. La dichiarazione di Briinn ammette infatti una co nfederazione di popoli austriaci, non il lo ro d istacco per unirsi alle rispettive maggiori nazionalità. N on esi· stono dunque in Austria elementi di disgregazione : non nei residui impotenti dei vecchi part iti nazionalisti, non nelle organizzazioni proletarie. Il movimento separatista boemo potrebbe essere faci lmente schiacciato domani da un esercito rimasto fedele a lla di nastia. E c'è ancora da chiedersi : accetterebbero le al t re nazioni lo smembrame nto ddl'Austria ? Per questo l'ipotesi cli una insurrezio ne di p opoli alla morte di Francesco G iuseppe, con conseguente smembr amento dell'impero, ci sembra assurda. È certo poi che i tre ntini non insorgerebbero. La loro anima n o n è rivoluzionari a, ma çonservatrice, misoneista. Subisce, ma non crea,

V'è una seconda ipotesi che bisogna por sul tappeto. L'annessione all'Italia per cessione. Questa speranza lusingò i trentini e molti italia ni all'epoca dell'annessione della Bosnia Erzegovina e si addimostrò vana, L 'Austria conquista e annette, ma non cede. L'ipotesi dunque d i una cessione pad6ca o di u na vendita, non si è real izzata neppure nell'unica occasione possibile ; è qui ndi assurda come l'altra. L 'Austria non può cedere il Trentino. Vi ha profu so decine e decine di m ilioni, no n ad estirpar la pellagra ben inteso, ma a cost ruire forti . caserme e strade militari. Tutte le vette delle m ontagne sono fortifica te, Se l'Austria fos se r assegnata in un avvenire più o me no lon-

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tano a p erdere il Trentino, non lo coprirebbe di fortezze e di guarn igioni. ·

V'è ancora un'ipotesi e cioè quella di una guerra fra l'Austria e l'Italia, con la vjttoria dell'Italia e l'obbligo p e r l'Austria sconfitta ·di cedere parte delle terre irredente Rinunciamo ad altre i potesi. L'avvenire pross imo del Trentino è lo stalli! q110 cogli inevitabi li alti e bassi di reazione e di libertà che caratterizzano il regime politico borghese.

La situazione economica. Caraflerùtiche del suolo e distribuziont della popolaziom. - Il Trentino ha un'estensione di chilometri quadrati seimilatrecentocinquantasette, l'estensione media di una provincia del Regno d'Italia, e comprende ·due città con proprio stat uto, Rovereto e Trento, otto distretti politici, ventisei distretti giudiziari e trecentosess.intasei comuni. Abi tazione assoluta alla fine dicembre 1900 di abitanti trecentosessantamilace otosettantanove, con un aumento di diecimilanovecentottan ta, c ioè quattro e ventisette per cento da quello che era alla fine del decennio anteriore. La popo lazione relativa da cinquantotto è salita a sessanta abitanti per chilometro quadrato, inferiore alla media austriaca, che è di settantatré per chilometro q u adr ato, inferiore alla media i taliana di centotredici, appena superiore a quella del la Sardegna. Tutta la popolazione è distribuita in ottocentocinquant anove l o calità, delle quali seicentosessan tadue in media contano singolarme nte meno di cinquecento abitant i, centottantuno più di cinquecento e meno di duemila, quattordici più di duemila e meno d i cinquem ila. Inoltre la città di Rovereto con undicimila abitanti e Tre nto con ventottomil a.*

Del suolo appena scimi1aseiccnto ettari sono coltivati a vig na ; i ca~pi arativi, g li ort i, i prati in gran p arte sulle coste dei monti , con proprietà sminuzzatis sima e pe r natura e in parte pe r in sufficente coltivazione poco fertili, rappresentano in cifra tonda novantamila ettari di suolo coltivato ossia il tredici p er cento del suolo inte ro. I b oschi e i pascoli (purtroppo sterili e non sfruttati razionalmente) sono in cifra tonda quatt rocentosessantamila ettari, cioè quasi tre quarti del suolo intero e sono in gran parte proprietà collettiva, dei comuni e delle co munità, alcuna delle quali (esempio Fiemme) ricordano da vicino la comunità agricola slava, il mir. Ettari settantamila e cioè circa il d odici per cento sono. rocce e suolo incolto. Il suolo produttivo

• Queste cifre vanno leggermente a umentate in seguito ai risultati del J' ultimo censimento.

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è dunque l'ottava parte appena deJ territori o e ciò spiega la scarsità deJla popolazione, ridotta alla metà della media densità della popolazion e in Italia. Causa ed effetto di questo rapporto fra suolo, utilizzazione del suolo e popolazione è anche la prevalenza nel Trentino <li ragg ruppamenti piccolissimi dclla,.popolazione.

L'ag ricoltura assorbe la maggior parte dell'attività economica dei trentini. L'insieme degli ind ividui . che lavorano la terra è di centoÙ-entaseimilaseicentosessantanove, dei quali quarantaquattromilatrentasei sono agricoltori indipendenti, contadini dipe nden ti diecimilaottocentonovantanove, braccianti o giornalieri tremilaquattrocentodieci. Si noti l'enorme numero di piccoli proprietari, i quali sono tutti indebitatissimi e alla mercè delle istituzioni bancarie ed economiche clericali. Il più abbondante prodotto agrìcolo è l'uva. D al upporto pubblicato a cura del Consorzio d ei commercianti di vino all'ingrosso, r isulta che la produzione vinicola del Trentino per l'anno 1909 sali a quintali ottoce ntonovantottomilatrecentoventisctte, un buon terzo in meno dell'anno precedente. Gran parte del prodotto viene esportato, ma il reddito netto diviene ogni anno più scarso e ciò a cagione del1e malattie che colpiscon le viti, dei dazl provinciali aumentati, dell'aggravio dei noli ferrovfari e della concorrenza dei vini esteri. La situazione dei viticultori trentini è critica. Difatti non appena il ministro austriaco delle Finanze, Bilinsky, ebbe annunciato un nuovo balzello sul vino in ragione di' quattro corone per ettolitro, ben trecento viticultori trent ini si riunirono nella sala comunale di Lavis (borgo a sei chilometri d a Trento) per protestare.

Nella selvicultura sono occupati tre milacentoquarantasei individui, dei quali novantasei sono indipendenti. Nel lavoro delle miniere si impiegano settecentoquarantasei operai. Maggiore è il numero di quelli addetti all'est razione e alla lavorazione della p ietra Raggiungo no la cifra di d uemi laottocentosettantotto individui.

La grande industria è appena agli inizi. Inizi penosi perché il Governo ostacola l'immigrazione di capitale italiano. Trento è una città artigiana. Lo stabilimento più import an te, la falegnameria \Volf, no n arriva ad occupare duecento operai. Rovereto ha qualche stabilimento di tessitura. Nelle vicinanze sorge la grande manifattura del tabacco, che occupa parecchie centinaia d ì uomini e di donne. Tanto nella città di Trento, come in quella di Rovereto, il maggior contingente della popolazione classificata conforme ai diversi gruppi, è quello delle persone addette al servizio dello Stato, compresavi la milizia attiva e ad altri servizi pubblici. Seguono gli individu1 occupati ne;ll'agri~ coltura, quelli occupati nell'indus tria degli articoli di vestìario e nelle aziende commerciali. Q uesto fatto spiega forse la psicologia d elle

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città tre n tinc. T rento è un grande empo rio co mmerciale, èbe rifornisce le vallate.

' L'industria edile ab braccia tJ:edicimilaccntodieci inclivjdui, dei quali gran parte trov a lavoro nella zona bilingue o oltre il Brennero.

· A questo gruppo segue quello delle industrie attinenti al vestiario, che occupa novemilaseìcentoquacantadue individu1, quello d ella industria dell'albergatore, che abbraccia ottomilatrecentonovantaquattro Jnd.i v id uì, quello della lavorazione del legno con settemilacinquecentoquarantanove, quello delle indust rie alìmentarì, con seimil aottocentoventisette. Meno numeros i sono i gruppi delle industrie meu.llurgiche (tremilacinquecentoventiquattro individui), delle industrie t essili (tremilacinquantasei) ed ancora minori quelli delle industrie meccaniche (millecentottantotto individui) , delle industrie affini alla metallurgica (miJJecentoscssanta), .delle indus trie chi miche (milleottantac inque), delle indus tde della carta e del cuoio (millediciannove) e delle industrie grafiche (cinquecentosette).

Nella terza categoria stabìlit.a. dall'annuario della Camera d i commercio cli Rovereto, che comprende co loro che si danno alla d.istribuzi_one dei prodotti, figurano gli addetù alle aziende commerciali con d iecimilanovecentosettantacinque ind.ividul, gli occupati nei servÌ2i domestici ( tremilaseicentoventi), gli addetti ai tr.::s?orti (cinquemilaqu atuoc~ntosettantotto).

Infine la categoria di coloro che attendono a funzioni intell ettuali (pro fessiorii liberali e artistk:he) comprende una picco la mino ra nza di seicentotredici individui.

La fre q uente scarsezza del terre no coltivabile, l'esigua produttività dello stesso, le imposte onerose che opprimono ì piccoli possidenti, nei p aesi alpini l'eccessivo rigore delle leggi fore stali, che rend ono difficili la pastorizia, le enormi passività e la povertà d'industrie nel paese, sono le cause ptinClpal.i che cost r ingo no g r an parte d ei trentini ad emigrare. Gli emigranti temporanei salgono alla cifra di circa tredi~ cimila individui. Una gran p arte di questi emigrano nel Tirolo, nel Voralberg e nei due stati vicini Svizzera e Germania; u na r idotta minoranza emigra nell'alta Francia dal distretto di Tione in Italia.

L'immigrazione trentina in l ia '.ia non è molto forte. Si t ratta d i un migliaio d'individui. Di questi i segantini, gli arrotini, i b raccianti e ì domesdci si dirigono in Lombardia. I solandri della va l di Sole sono ramai che. si recano in Itali a, specialmente nelle provincie d i P arma, M odena, Bologna, p oi i n Toscana e in L igu cia. Parecchi di costoro rimpatriano regolarmen te al tempo dei lavori nei ca mpi o del raccolto del fieno Essi hanno d ue patrie e coll' ìntraprendenza

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che li distingue curano il commercio nel Regno d'Italia e l'allevamento del bestiame nella valle di SoJe. L ' emigrazione periodica nelle vici ne region i dell'Alta I talia fu a ncora più i ntensa nel passato e a ricordo d'uomo non ri ma nevano a casa che l e d onne, i vecchi decrepiti, i fanciulli. In certi luoghi c'era u n tempo p erfino il costume di p rendere a prestito dal comune i denari pel viaggio verso deposi to di q ualche pegno, che veniva riscattato al r ito rno.

L'emigrazione permanente si dirige in America, Negli ultimi cinque anni sono stati rilasciati sessantamila passaporti, dei quali quasi seimila per emigranti di retti verso paesi d'oltre oceano , L'emigrazione permane nte è in leggera diminuzione, L'emigrazione tem poranea è in aumento . Essa ha raggiunto il trentaci nq ue per mille. Questo significa che le condizioni eco nomiche ge nerali del Trentino non sono notevolmente mig lio rate.

M oviment o commerciale e · fi11anz.iario. - Il Trentino dispone di circa duecento chilo metri di ferrovie, sulle q uali si effettuò nell'anno 1907 un movimento di un milione cinquecentomila persone e di seicentomila to nnellate dì merci. Paragonando le statistiche del 1883 e l e attuali r isulta che il movimento è aumentato in questi ulti mi tre nt'anni di circa trecentomila tonnellate di merci.

Nei t redici istituti di credito e nelle numerose casse rurali erano depositate verso la 6.ne del 1907 corone centoquarantatremilioni L'istituto più antico è la Cassa di r isparmio cli Rovereto, fondata nel 1846 ; ìl più recente è la Banca industriale di Trento, sòrta verso la fine del 1907. Le casse rur ali sono basate sul sistema Reiffeisen ed ha nno di mira la facilitazione del credito ag rario. G li statuti loro, compilati in conformità alla legge 9 aprile 1873 sui co nso rzi economici, si prefiggono lo scopo di migliorare le condizioni morali dei soci con la concessio ne cli prestiti, accettazione a r isparmio di depositi, anche in piccoli i mporti , nonché col favori re la fondaz ione di altri co nsorzi cooperativi (di consumo, di smercio, cli produzione), accordando prestiti ed anticipi, La prima delle Casse rurali nel Trentino venne fondata nell'anno 1893 dietro iniziativa di un prete, Il loro numero andò rapidame nte aumentando e nel 1897 erano cinquantuno con tremilaottantuno soci. Alla fine del 1907 le Casse rurali federate erano cent ocinquantatre e i lo ro depositi a ri sparmio ammontavano a sedici milioni di corone. Quando si pensi che tutte queste i stituzioni di credito sono fon date e dirette da preti, si compre nde rà faci lme nte il p erché d ell'onnip otenza clericale nel Trentino.

La fo rzata unione col T irolo è la causa, fo rse principale, del disagio economico del Trentino. Il Tirolo, la borghesia tirolese è una spe-

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cie di pompa che aspira le migliori energie economiche del Trentino, L'a.mmiriistrazione provinciale ti[Olesc non dà nulla ai comuni de1 TrCntino, i quali sono costretti a provvedere a tutti i bisogni loro con imposte comunali gravissime, che contribuiscono al depaupcra·mento della p opolazione. Basta dire che p ochi anni fa l'impone co mplessivo delle imposte comunali era cli circa due milioni di corone, Ogni trentino pagava in media corone cinque e sessanta, mentre Ia media generale di tutta l'Austria era nello stesso tempo cli corone due e venti per abitante. Vimposta sul pane ragg iunge la cifra di due milioni dì co rone. I debiti comunali e consorziali del Trentino sommano alla cifra di circa undici milioni di fiorini (con tendenza ad aumentare), mentre il vicino Tirolo, più vasto, p iù popolato, più ricco di comuni non ha che un debito comunale di fiorini sette milioni. Il confronto fra il paese tutore e il paese pupillo, dice il dottor Battisti, è purtroppo evidente. Su ogni tirolese i debiti pesano in proporzione di fiorini sedici, su ogni trentino di trentuno Le vicende dei contribuenti sono quindi tristissime.

Il debito ipotecario raggiungeva nel 1901 la somma totale di settantasei milioni, vale a dire il duecentodieci per cento del valore fondiario, In alcuni distretti si supera ancora e di molto questa cifra. Nat uralmente questa proprietà indebitatissima è soggetta a trapassi, pignoramenti e incanti. Dal 1860 al 1900, ben trentaduemila capifamiglia, possidenti o artigiani, ebbeco i loro beni messi all'asta. Il depauperame nto co"stringe ad un'alimentazione malsana le popolazioni agricole e l a ter ribile statistica dei pellagrosi ne dava nel 1898, presenti nel Trentino, quasi tremila. ·Il venticinque per centQ d ei p azzi accolti nel manicomio di Pergine sono pazzi per pellagta. Dei comuni con tremilacinquecento abitanti, come Folgaria, avevano nel 1900 circa cinquecento pellagrosi. Le ingiustizie amministrative consumate dal Tirolo a danno del Trentino si trovano anche nella distribuzione del bilancio stradale (centocinquantasei dùlometri di ferrovia nel Trentino, settecento nel Tirolo), in quello delle opere pie, in quello · dell'istruzione pubblica, in quello delle spese d'amministrazione, che qualche volta ammontarono al trentacinque per cento sul totale delle entrate. Al fondo per l'istruzione pubblica la provincia del Tirolo contribuisce con una miserrima quota del venti per cento mentre al resto d evono pensare i comuni.

L'avvenire economico del Trentino è legato al suo avvenire p olitico. L'autonomia dal Tirolo è la prima condizione per lo sviluppo delle energie economiche del Trentino. Il Governo e la Provincia ostacolano sordamente e palesemente tutte le iniziative private tren-

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tine o italiane. L'Austria teme e non vuole un Trenti no industrializzato. Difatti le grandi fotzc naturali restano inutilizzate. Negli ulti mi dieci anni vennero costruite cc;nt rali elettrich e ·.per q uindicimila cavalli a vapore. Ocbene, le forze idroelettriche raggiungono il decuplo.

M a d ati gli ostacoli governativj e i l carattere alquanto timido del t rentino pochissimo è il capitale trentino investito nelle industrie. Se il benessere generale è alq uanto aumentato in quest'ult imo ventennio, Io si deve non a un regime governativo meno dissang uatore, ma al lavoro degli emigranti, specie temporanei. Questa fortissima esportazione di braccia è la fonte maggiore di ricchezza nel Trentino

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APPENDICE

Confini e gruppi lingµùtùi. - Prima di parlare della lotta linguistica nel Trentino, non sarà inopportuno determinare il piò. esattamente possibile il campo nel quale essa s i svolge. Quel territorio che nel linguaggio burocratico dell'jmpero austriaco si chiama Sud-Tirol. si può dividere, dal punto di vista ling uistico, in due parti: il Trentino ·propriamente detto, unilingue e italiano; l'Alto Adige, bilingue, tedesco e italiano. .Salorno, paesello a u na trentina di chilometri al no rd di Trento, lungo la v alle d'Adige, è il confine convenzionale, poiché anche al di là di Salorno vi sono p aes i, specie nel Bolzanino, nei qua li g l' italiani costituiscono la maggioranza o la totalità della popolazione e parlano fra di loro il dialetto delle vallate trentine. I confini linguistici di un popolo non sono mai nettamente determinati, anche quando siano accompagnati da particolarità naturali (montagne, laghi, co rsi d'acqua), che rendono pjù possibile e più rapida la delim itazione dei linguaggi. V'è sempre una più o meno vasta zona bilingue o mistili ngue, in cui gli idiomi si cozzano e cercano di sopraffarsi. Nel nostro caso questa zona è formata dai territori al nord di Salorno e dalle valH che sboccano~ se mpre al nord di Salorno. nella valle maggiore dell'Adige.

Mentre il Trentino raccoglie il novanta per cento degli italiani e su trecentocinquantaduemilaquattrocentove ntidnque . citt adini austriaci non ha che ottomilanovecentosettanta tedeschi (compresi i soldati de lle guarnigioni), nella p arte meridionale del Tirolo tedesco (zona bilingue), contro duecentoventimilacentodue tedeschi, stanno v entitremiladuecentosessantatré italiani, cosi divisi: cinquemilasettecentodieci abitano i distretti prettamente italiani di Ampezzo e Livinallongo, cinquemilacentosetta ntotto la Badia Ladina (distretto di Enneberg), tremilasettecentoventinove la Gardena parimenti ladina (distretto di Castclrut), circa seimila lungo l'Adige nella città di Bolzano coi limitrofi comuni di Zwòlfmalgre ien e Lcifers e nei distretti di Caldaro e di Egna; particolarmente numerosi in quest'ultimo, dove, malgrado una recen te stat istica che lì fa dimi nuiti di numero, rapprese ntano il venticinq ue per cento della popolazione totale.

in questa zona che la lotta fra le due li ngue è più aspra, e con risultati non favorevoli all'ele mento i taliano. Difatti mentre Ampezzo e L i-

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vinallongo si mantengono italiani, nella Ladinia si insegna, si corrisponde fra uffici in tedesco. Solo l 'insegnamento religioso viene impartito in ladino o in italiano. Si domandò u na scuola ita liana li Consiglio provinciale scolastico che siede ad Inn sbruck e si compo ne di antitaliani concesse un'ora al giorno di insegnamento in lingua nostra, ma l'incarico fu affidato a.... un maestro tedesco che non sapeva una parola d'italiano. In G ardena il processo d'intedescamento è anco ra più avanzato. Attorno a Bolzano, nei comuni di ZwOlfmalgreien e Leifers, nei distretti di E gna e Caldaro, la situazione degli i taliani è critica. Nessuna manifestazio ne pubblica è permessa nella lingua italiana. A Salorno, per esempio, i (e volksbundis ti » impediro no ai parenti di un giovane italian o defunto di porre una ghirlanda sul feretro, perché la ghirlanda era mandata dal Circolo di lettura italiano e perché la scritta era italia na. Di simili e peggiori episodi della lotta linguistica abbo ndano le cronache antiche e recenti. T uttavia q ues ti ventitremila italian i disseminati o ltre Salorno sono u ti li alla causa i talian a, in primo luogo pe rché turbano l'unità linguistica dell'elemento tedesco, e secondariame nte perché oppongono, magari per so la fo rza d i inerzia, una prima diga all'invasione pangermanista che tende al sud . In questa zona bilingue si pubblica una rivista italiana, l'Archivio de/l'Alto Adige, diretta dal professor Tolomei, cordialme nte d etestato dai « volksbundisti >>. A Bressanone esce da parecchi mesi u na rivista bilingue, allo scopo di affratellare nella pratica del vicendevole r ispetto italiani e tedeschi. In tutti i centri maggiori e minori gli italia ni han no fon dato società politiche, eco no miche, ricreative, dove si leggono g iornali italiani e s i tengono conferenze i n itaUano .

Gli operai org anizzati n o n rinnegano la propria n azio nalità. N e sia P r ova l'esempio seg uente. I fal egnamì itali ani d i Bolzano, uniti nel gruppo locale coi tedeschi, domandarOno di potere esprimersi in italiano nelJe assemblee professionali. L a d irezio ne della società, composta in maggioranza di tedeschi, no n accettò la domanda, e allora gli italiani costituirono un proprio gruppo autonomo, motivando la separazione dai tedeschi con un ordine del giorno, che meriterebbe di essere riportato per intero. In esso gli operai italiani ri vendicavano il diritto di parlare in italiano « poiché l'internazio nale proletaria rion esclude, né opprime, ma p ro tegge tutte le nazionalità>> . Bella lezi o ne per certi liberali nazionali che in t empi di elezio ni pubblicano a Trieste i manifesti in slavo e a Trento in tedesco ! Da osse rvazioni perso nali posso affermare che degli operai italiani dimoranti in ·te rra tedesca i più facili ad imbas tardirsi sono gli incoscienti, i crumiri, mentre gli o rgani zzati, socialisti o no , si mantengo no fedeli alla nazionalità cui appartengono.

IL TRENTINO 207

La t.011a nnilingue. - È formata dal Trentino propriamente detto, territorio che confina con la Lombardia, la Venezia, il Tirolo. La sua s uperficie è ·di seimilatrecentotrenta chilometri quadrati, la sua popolazione è di trecentosessantamila abitanti. Questa zo na è uniLingue, ·cioè prettamente italiana, e i gruppi linguistici diversi che v i si trovano non possono turbarne l'omoger;ieità linguistica, come l'unità li n. guistica del Regno d'Italia n on può ritenersi alterata dai gruppi che nell'altopiano dei sette e tredici comuni parlano il tedesco; da quelli che parlano il francese, come in val d'Aosta, o dagli albanesi del distretto di Castrovillad. Vi sono nel Trentino, oltre agli itali ani, i ladini e poche migliaia di tedeschi disseminati nelle cosiddette «oasi)> , delle quali la più importante è quella dei mòcheni. È precisamente nelle valJate abitate dai ladini che il pangermanismo dispiega tutte le sue energie di propaganda e cli conquista. P er i professori del Vofksb11nd, capitanati nel Tirolo da l dottor Rohmede r, i parlat"i ladini lin g uisticamente sono i residui della favella di antiche popolazioni retiche.. In uno dei rapporti annuali del Volktbund si legge:

«L'associazione· si occupò con istancabile attività anche del secondo suo compito: la conservazione dei due antichi popoli tirolesi, il ladino e il tedesco. In centinaia di discorsi e di articoli di giornali la nostra associazione ha diffuso la g iusta idea che i ladini non sono italiani, ma un popolo a sé e molto più antico di quelli ».

Ora la « giusta idea)) del dottor Rohmeder non resiste al più elementare esame fatto in base allo studio comparativo degli idiomi. Gli studi dell'Ascoli hanno dimostrato che il ladino appartiene alle parlate ro manze delle popolazioni alpine, confinanti al nord col tedesco, al sud coll'italiano del Lombardo-Veneto. ·Il dottor Carlo Battisti, insegnante di lingue neolatine all'Università di Vienna, in una conferenza su Il dialetto trentino t enuta alla Pro C11/J11ra di Trento nel gennaio dell'altr'anno, si è occupato del ladino in un brano che val la pena di riportare integralmente.

« le parlate ladine non sono esseniialmente diverse nei loro tratti originali dagli attigui -dialetti italiani antichi. Esse si svolsero però molto più lentamente delle italiane, mantenendo certi caratteri che questi perdettero da secoli e svol · gendone degli altri che nelle seconde rimasero soffocati 6n dai primordi. E ciò avvenne perché ai ladini mancarono quei centri di cultura ai quali ( per esempio nell'Italia settentrionale) d evono H loro sviluppo i dialetti milanese e veneziano. Mentre dal sud venivano a noi a larghi fiotti vita e cultura italiana e stampava no la loro impronta sui dialetti trentini , i p :1.rlari ladini, segregati da invin cibi li barriere geografiche dai dialetti fratelli e dalla cultura italiana, assumevano uno svi luppo individuale, svolgendo di secolo in secolo cani.tteri speciali. La parlata ladina è sore lla della nostra, so rta con lei e come lei dal gran ceppo latino e svoltasi in circos tanze più tristi ma sim ili . Anche nel nostro paese essa sta come barriera secolare tra noi e il tedesco» .

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Questa barriera accenna però a scomparire, poich é il processo d'italianizzazione dell'elemento ladino è ogn i g iorno più visibile lnfatti, il dottor Battisti, IÌella g ià citata conferenza, ci dice che:

« Una volta il ladi no era molto p iù esteso verso mezzoBìarno. Al di là di val d ' Adige, l'alta Auna nia è ancora o fu per lo meno fino a p ochi decenn i fa semiladina. Attraverso il fiorente piano di Cald aro e il t ratto a tesino, il fass ano si allacciava a!J'anauniese i n un'unità, interrotta solo al principio dell' evo moderno da un'invasione tedesca, sicché per le tre valli dell' Avisio, dell'Adige e della. Novella i l ladino si spingeva a mezzogiorno per lungo tratto. l processi contro le streghe della val di Fiemme, nei primi decenni d_el ,oo e un fove nla rio delle Giudicarie anterio re della fine del }00 ci p resenta no fenom eni ladini in queste due valli • ·

Al giorno d'ogg i so lo la val di Fassa, seco ndo la ·classifi.cazione dell'A scoli, è ladina. Epperò anche qui si trova il processo dell'italian izzazione. Per c ui da Alba e Pe ni a, dove il ladino cen trale r isuo na q uasi purissimo, a V ìgo e Moena, dove l'italiano è o rmai v itto ri oso, a Predazzo, primo borgo uffic ialmente riconosciuto per non ladi no, e fin giù a Cembra, la cui parlat a è quasi uguale a quella dei dintorni d i Trento, il ladino perde continuamente terreno e fin irà per essere sostit uito dall'i taliano: Anc he la val d i Fassa presenta fenomeni d'italianizzazione. I « volksbundisti » ne sono desolati, incolpano di ciò il clero fassano, non so con q uanta ragione; e chiedono la separazione della valle dalla diocesi di T rento e l'an nessione mo rale a quella di Bressanone. I rappresentanti politici dei << volksbundis~i » si sono opposti e si oppongono co n tenacia teutonica a tutte le ini ziative destin ate a render più rapide ·Jc comunicazio ni materiali e spirituali delle valli ladine con Trento . I « volksbundisti » non vogliono che << i fratelli ladini siano denaturalizzati da quelle poche mig liaia di usurpatori parla nti italiano, dei quali solo una minima parte è i taliana nd senso di r azza, cìoè pertinente al popolo italiano i n ri guardo sto rico ed etnico)) Ma tutte le disin teressate premure dei german izzatori non impediranno l'italianizzazione dell'elemento -l adino, elemento che no n modifica, per quanto ho espos to, l' unità linguis tica -del Trentino.

Né questa unità ling uistica può ritenersi modificata d alle cosiddette «oasi» tedesche. Da una conferenza d i Antonio T a mbosi, presidente della Legione tridentina della Lega nazionale, si rileva che su trecentosessantasei comuni del Trentino solo dicci godono la frescura delle «oasi)) tedesche e sono i q ua ttro comuni della valle di Non con mi llecinquecentoventicinque abitanti, Troden a e Atcrivo i n valle d i Ficmme co n millctrentatrè, la valle dei mòchcni coi co muni di Frassilongo, Fierozzo, Palù con milleseicentot tan tacinque, e Luserna (divenuta la Mecca dei pangermanisti g r azie all'oper a di u n rinnegato italia no,

IL TRENTINO 209

DI BENITO MUSSOLINI

Simone Nicolussi) sull'altopiano d i Lavarone con settecentottantatre abitanti. Si tratta di cinquemila abitanti sui trecentosessanta mila che popolano il Trentino. E anche in ques te « oasi)> è s tata la scuola ted esca che ha creato i tedeschi. Il g ruppo linguistico più compatto e · numeroso è quello de i mòch en i o tedeschi della valle del Fe rsina. Il professor Baragiola dottor Aristide ha pubblicato · u n opuscolo interessante sui mòcheni, dal quale stralcio le notizie che segu ono . I mòcheni abitano la val F ierezza, detta anche valle del Fersi na , amen a v alle che sale a nord-est d a P ergine. Questa valle comi ncia col villaggio di Canczza c d è solcata d a l to rrente Fers ina. Nei vilJaggi p ost i s ul declivio a sin istra del F ersina, si parla tedesco-mòcheno; in quelli a d estra, da tempo imme mora bile, italiano. Gli italiani vivono ragg ruppati in villaggi (Sers o, Viarago , Mala e Sant'Orsola), mentre i tedeschi, come gli an tichi german i, vivono in piccoli casa li o in capanne ap partate, disseminate tra i b oschi. No n si sa b ene perché si chiamano mòcheni. Alcuni vogliono che l'appellati vo deri vi' dall'uso frequente ch'essi fan no del verbo 111ochen (111achm , fare), altri credono c he 1110,hen significhi minato re e il verbo mocht n lavorare nelle mi niere, Anche le loro origini etniche non sono b ene accertate. Comunque, s ta il fa t to che i mòcheni sono rimasti tedeschi non solo quanto allo spirito eminen temente conservatore, ma anche nei loro tratti esterni, nelle loro fogge, nei loro costumi. Nella loro lingua predomina l'elemento baiuvaro-tirolese, b ase d ella parl at a, che, per 1'isolamento delta valle, ha potuto conservare l'impron ta antica tanto nd sistema fon etico , quanto nella formazione delle p arole e nella coscru2ione. Sebbene la parlat a dei mòcheni non sia s tata ancora filol ogicame nte studiata, pure è lecito affermare che i m òcheni sono ri masugli del cosiddett o germanesi mo cimbro, che a ncora nel secolo passato si estendeva, i n una continuità q uasi non interrotta, d alle valli di Fiemme (FJeims) e Cembra (Zimmersi) , per quelle d i Pinè (Paneid) e del Fcrsiva, nell a Valsugana superio re, nel ve rdeggia nte altipiano di Lavarone (Lafraun) e F o lgaria (Folgareit), nella va11e Lagari na (Lagerthal), nel Veronese (tredici comuni) e nel Vicentino (sette comuni). Nelle scuole dei mòcheni la lingua d ' insegnamento è la tedesca, e i pangermanisti hanno molto lavorato in questi ultimi tem pi per conservare il tedeschismo d ella valle. Malgrado tutto l'elemento italiano avanza irresistibilmente conquistatore. Già ne abbi àmo i sintomi, afferma il Daragiola, poiché j mòcheni tutti, non sempre peÌ'ò le donne, parlano anche il dia letto italiano dei loro v icini; non solo, ma nei casolari e nelle capanne più a valle di Frassilongo e Roveda, specie a mez.zo d i mat rimon i misti, va man mano infiltra ndosi un elemento prett amente italiano, che ha le sue sentinelle avanzate anche neg li altri paes i più a lti, sicché dall'u l-

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timo cens imento del 1900 risulta che di milleottocento undici abitanti, centosettantatré sono di ling ua italian a. Da questa infiltrazione nasce un certo ibridismo i n parnle e costrutti, che hanno dell'italiano e del tedesco o nell'uso di parole prettamente italiane nel bel mezzo di fras i, proposizioni e periodi alla tedesca. Le canzoni cantate nelJa valle sono per l o più italiane. I pochi L i eder tedeschi che vi si o dono sono di r ecente importazione e dovuti specialmente a lla scuola tedesca. Per concludere:

« la parlata tedesca dei mòdieni è un cimelio linguistico, che sim ile al le consorelle che ancora si odono nella zona italica, fornisce un ma teria le interess,tnte per gli studiosi, i quali vi trova no ancora tracce p re ziose dell'antica lingua te utonica »

Ma come il ladino, anche le <( oasi )> tedesche non resisteranno al processo d'italianizzazione Già a San Sebast iano e in Folgaria il tedesco si è spento e cos i avverrà per gli altri luoghi. Le inalazioni d'ossigeno dei « v olksbundisti » pot ranno p"rolungare l'agonia d i questi gruppi ling ui stici, ma la loro fine è certa. Un autore tedesco ha scritto giusta mente che << il viandante tedesco s'imbatte spesso n elle pietre sepolcrali della sua nàzionalità ».

li dio/e/lo t rentino - È parlato. come si è detto, dal novanta per cento dei cittadini austriaci abitanti il Trentino e ci presenta un tipo au to nomo in cui si fondono i l ladino, il veneto e il lombardo. D el ladino si è già tra ttato Quanto al d ialetto veneto, la sua infiltrazio ne, specie nella parte orientale del Trentino, fu contemporanea allo splendore politico, commerciale, m ilitare di Venezia. Nel tratto da Avito a Matonello è altresl sensibile l'i nfluenza del dialetto veronese. Ma, secondo il dottor Battisti, il fondo del dialetto tre ntino è Jombardo e appartiene fino a un certo gra<lo anche presentemente a quel g ruppo di parlati che si estende dall'Adige alla Sesia e dalle Alpi al Po. Le sue origini debbono ce rcarsi « n el latino parlato dalla popolazione mista al principio dell'era cristiana ». La trasformazione del latino rust ico a dialetto romanzo avvenne lentamente sotto l'influsso delle invasion i b arbariche e della dominazione due volte secolare dei longobardi, sl che l'epoca longobarda h a per la formazio ne dei d ialetti h alia nosettentrionali presso a p oco la medesi ma importanza che l'epoca dei Franchi per la ling ua francese >> (Battisd). Già nel secolo X I i l di aletto trentino può dirsi formato, D all'XI al XIV si diffuse i n t utta la val d'Adige. Però nei secoli X I V e XV una forte immigrazione tedesca, dete rmi nata da cause politiche cd economiche, restrinse il dialetto t rentino quasi alla sola città di Tre nto, l\11.inatori ed art igiani tedeschi,

IL TRENTINO 211

esistenti in corporazioni dal '200 in poi, corrompevano il dialetto trentino introducendovi i termi ni della loro arte. Ma questo fenomeno fu di breve durata, perché il dialetto riprese i territori perduti, mentre si raffinava sino a rives tire forme letterarie. Sono tuttavia v isibili ancora le tracce di questa infj.ltrazione tedesca. Il vocativo frequentissimo « toi » o « tei >> deve p rovenire dal tedesco dx. I residul d el tedeschismo nel dialetto trenti no vanno scomparendo e il dialetto s tesso s 'italianizza nelle sue parole · e nelle sue costruzioni. Già t rent'anni fa il Malfatti notava che le parole tedesche Grobian, Fraila, Pinlrr, Tùskr cadevano in . disuso e cedevano il posto alle parole italiane · « vilan 11, « siorata )), << botar ))> <( ma rangon >). Questo processo el.iminatore dei tedeschismi continua.

La lingua italiana - La lingua italiana letteraria non è p arlata molto volentieri nel Tcentino. No n c'è da meravigliarsene, poiché il feno meno è comune a quanti parlano un dialetto faci lmente comprensibile. Molto spesso il trentino impiega il suo dialetto, anche conversando con <( regnicoli )> che parlano italiano. Alcuni difetti di pronuflcia ci spiegano questa specie di b oicottaggio dell'italiano. Il trentino pronuncia la u come i lombardi e i francesi, la s. strisciante, aspra, le doppie come può. <( Ferco )> dive nta « fèro >) e «querela>> . aggiun ge una 1. Non insisto, per non sembrare pedante. Del resto nessuna reg ione d'Italia può vantarsi di parlare l'italiano vero; neppure j t oscani, specie i fiorentini, colle loro aspi ranti teutoniche

L'it~liano trentino si màntiene abbastanza puro data la vicinanza col confine linguistico. Ma questa purezza è minacciata da una specie d i imperfal regia lingua i taliana, che io ho frequentemente ammirato rlellc arringhe dei procuratori di Stato aust riaci e nel ge rgo della burocn zia. Livio Marchetti, trèntino, in una pubblicazione su La mltHr a nel Trmtino, ha deplorato ques ta corruzione dell' italiano scrivendo :

« Contro le buone influenze dei giornali ita\i:mi (trentini e regnicoli) sta quella lingua barbarica, obbrobriosa, che potremmo chiamare il tedesco austriaco tradotto in italiano, o peggio l'itaJi;mo scontorto a imitazione del tedesco austriaco, che si usa nei tribunali e in tutti gli uffici pubblici, e che, molti impiegati ed avvocati trentini, a furia di abitudine, finiscono per ritenere l'italiano più corretto e per usare anche fuori dell'ambiente degli affari. Anche più spaventevole ! l'italiano degli avvisi affissi dall'autorità militare, i quali sono sempre ornati, oltreché da molteplici fiori di lingua, anche da qualche svarione di ortografia » .

Altri hanno.scritto sui giornali di unimperial regio lingua "italiana.... austriaca. C'è della esagerazione, ma sarebbe desiderabile, specie negli uffici ed e nti loca1i non governativi, un maggior rispetto dell' italiano. Chi entra nell'atrio del municipio di Trento legge ~na t abella sulla

212 OPERA OMNIA DJ BENITO .MUSSOLINI

quale stan scritte queste parole di colore oscuro: « Rcferato civile, Fisica to · militare». Nella prosa dei giornali trentin i, 4' insinuare» vllol dire <e iscriversi » i nel linguaggio curiale, « interpo rre g ravame» significa « presentare .ticorso ». Più grave è l'infiltrazione nella prosa italiana di locuzio ni tedesche, voltate alla lettera Accade sempre di leggere o. di sentire « avanti alcu ni giorni, avanti anni», invece dell'italiano « giocni sono , anni fa». La fo rma trentina, cosi frequente nei giornali, non è che la traduzione del modo avverbiale t edesco por einigen Tagen, vor Jahrm. Fra gli italiani della zona bilingue gli ibridismi sono ancora pili madornali. 11 « co nferenziere» diventa u n «refe rente)>, i manifesti si chiamano « placcati )) (qualche ·volta il doppio c è sostituito da una k), le categorie o classi di operai (( caste>>, una seduta è uguale a una «sessione » (noi per «sessione» intendiamo un seguito di sedute), i ·padroni sono « datori di lavoro>), traduzione dal tedesco Arbeitsgeber E potrei continuare.

Non c'è tuttavia da alla rma rsi. Tutte le lingue sono oggi più o meno spurie. Anche nel tedesco l'immissione di vocaboli neolati ni è enorme e co"ntinua da un secolo oramai, senza tregua. Già si grida esser necessario eine Reinigtmg der Sprache, coll'espulsione dei francesismi, italianismi, spagnolismi, quantunque il tedesco si presti meno ad esser corrotto, per il fatto ch'esso, colla desi nenza ieren, assimila p.i:ònt ame nte tutti i verbi esotici. Cosi p asser div:enta paisieren, adresur, adressieren; guillottiner, gttilloffinieren.

Enrico Hcine ci dà due verbi di questo genere in una sola strofa del suo Deutschland

So ho"'rt ich fragen . Doch brauchm wir uni in unserer Zeil zu genieren?

Die H rif ' gen dni Kiin'ge a111 Morgenland 1ie l:.iinnen wo anders logieren.

Per conservare al confine lingu istico la purezza dell'idioma patrio ed .eliminare il pericolo di ulteriori e più pericolos i cor_rompimenti è necessario, come invoca Livio Marchetti, « di aiutare i trentini nei loro n obili, ma non sempre felici sforzi d'intensificare i rapporti colle altre provincie d'Italia». E d io mi associo a lui quando giustamente chiede che le « riviste di cultura riducano la quota d'abbonamento per le p rovincie italiane dell'Austria alla misura delle tariffe i nterne)>

(La Voce lo ha già fatto) e che <e i migliori autori italiani mandìno gratuitamente qualche copia delle loro pubblicazioni ali;\ società Pro C11/t11ra del Trentino».

IL TRENTINO 2 13
LA MIA VITA DAL 29 LUGLIO 1883 AL 23 NOVEMBRE 1911

INTRODUZIONE

L'idea di raccontare la mia vita, e cioè le vicende tristi e liete di cui s'intesse la vita degli uomini, mi è venuta improvvisamente nella notte dal 2. al 3 dicembre, nella cella numero trentanove delle carceri di Forll, mentre cercavo invano il sonno. L'idea mi è piaciuta e intendo tradurla nel fatto. Ho ventotto anni. Sono giunto, io credo, a quel punto che Dante chiama « il mezzo del cammin di nostra vita ». Vivrò altrettanto? Ne dubito. Il mio passato avventuroso è ignoto. Ma io non scrivo per i curiosi, scrivo invece per rivivere la mia vita. Da oggi, giorno per giorno, ritornerò ciò che fui nei miei anni migliori. Ripasserò per la strada già percorsa, mi soffermerò alle tappe più memorabili, mi disseterò alle fonti che io credevo inaridite, riposerò sotto l'ombra di alberi che ritenevo abbattuti. Io mi scopro. E,,e homo. Ricompongo la tela del mio destino.

Cominciato il 4 dicembre 1911, ripreso il 2.4 febbraio 1912.

15, • X.XXIII.

I.

Sono nato il .29 luglio 1883 a Va rano dei Costa, vecchio casolare posto su di una piccola altura nel villaggio di Dovia, frazione del comune cli Predappio. Sono nato in giorno di domenica, alle due del pomeriggio, ricortcndo la festa del patrono della parrocchia delle Caminatc, la vecchia torre cadente che dall'ultimo dei co ntrafforti appenninici digradante sino alle ondulazioni di Ravaltino d omina, alta e s olenne, tutta la pianura forlivese.

Il sole era entrato da otto giorni nella costellazione del Leone. I miei genitori si chiamavano Alessandro Mussolini e Malt oni Rosa.

M:io padre era nato _nel 18, 6 nella c asa de nominata Collina in pa rrccchia Montemaggiore, comune di Predappio, da Luigi, piccolo possidente che andò poi in miseria. I g noro come si chiamasse mia n onna, Mi o padre era il secondogenito di quattro 6gli. Il primo, Alcide, vi ve tuttora a Predappio. Le altre d ue figlie sono contadine : l'una nel comune natio, l'altra nel Salemitano. La prima si chiama Francesca, la seconda Albina. M io padre passò i primi anni de lla sua i nfanzia neHa casa patema. Non andò a scuola. Appena decenne fu ma ndato nel vicino paese di Dovadola ad apprendervi il mestiere dd fabbro ferraio . Da D ovadola si trasfed a Meldola, dove ebbe m odo di cono• scere, fra il '75 e l" 8o, le idee deg li internazio nalisti. Quindi, padrone orma i del mestiere, aper se bottega a Dovfa. Questo villaggio, detto allora ed oggi « Piscaza », non godéva di buona ·rinomanza. V'era gente rissosa. Mio padre tro vò lavoro e cominciò a diffondere le idee dcll'Internaz.iona1e. Fondò un ·gruppo numeroso, che poi fu sciolto e disperso da una raffica poliziesca. Aveva ventisei anni .qU:ando conobbe mia madre.

E ssa era nata a San Martino in Strada, a tre chilo metri da Fo rll , nel 1859, da Maltoni ...., veterinario.empirico, e da Ghetti Marianna, orig inaria della bassa pianura r avennate. Mio ·nonno aveva avuto da una prima moglie altre tre figlie e cioè L uisa, v issuta e morta a San Martino in età già avanzata; Cate rìna, vissuta e m orta a San Pietro ,in ·vi ncoli1 dove ha lasciato numerosi figli; e Angiolina, tut tor a vi•

vcntc a Forll. Mia madre p oté frequentare le scuole a Fodl, sostenne un esame di maturità, ebbe la patente di maestra del gr ado inferiore. Esercitò dapprima a Bocconi, frazione del Comune di Portico lungo la strada che da Rocca San Casciano conduce al Muraglione . Vi r imase, Credo, un paio d'anni. Molti suoi allievi, ora uomini maturi, la ricordano ancora, Da Bocconi si trasfed a Dovia Qui verso il 1880 conobbe mio padre. Si amarono e si sposarono nel 188z.. Io venni alla lucè un anno dopo. Poco tempo dopo, la scuola fu portata a Varano. Questo g rande palazzo, disadorno e _ melanconico, domina il crocevia dove dalla strada provinciale del Rabbi si distacca la strada comunale che conduce a Predappio, il rio omonimo e il fiume Rabbi. Questi due corsi d' acqua hanno una grande impo rtanza nella sto ria della mia adolescenza. Varano è circondata da poggi, un tempo boscosi, ora non più o coldva ti a vigna. In ·complessoi il paesaggio è trist e

lo fru go penosamente fra la mia memoria p iù lont ana per ricostniire i primi anni della mia infanzia. Rico rdo di essere stato colpito verso i quattro o cinque a nn i da una tosse convulsa, che per alcune settimane mi schiantò il petto Avevo terribili attacchi, durante i quali mi si portava fuori i n u n piccolo orticello o ra scomparso. Alla stessa età incominciai a leggere il sillabario. In breve seppi legg_ere correttamente. L'immagine di mio nonno sfuma nelle lontananze. La mia vita di relazio ne cominciò a sei anni. Dai sei ai nove anni andai a scuola, prima da mia madre, poi da Silvio Marani, altro maestro superiore a Predappio, ogg i direttore didattico a Corticella, provincia di Bologna. Mia madre e mia nonna mi idolatravano. lo ero un monello irrequieto e manesco Più v olte tornavo a casa colla tes ta rotta da una sassata. Ma sapevo v endicarmi. Eco un audacissimo ladro ·campestre Nei giorni di vacanza mi armavo di un piccolo badile e insieme con mio frate llo Arnaldo passavo il mio tempo a lavorare nel fiume. Una volta rubai degli uccelli di richiamo in un paretaio. Inseguito dal padrone, feci di Corsa sfrenata tutto il dorso di una collina, traversai il fiume a guado, ma no n abbandonai la preda. Ero un appassionato giocatore. Frequentavo anche la fucina di0 mio padre> che mi faceva tirare il mantice, Notevole i l mio amore per gli uccelli e in ·particolare modo per la civetta, Trascinavo a mal fare parecchi miei coetanei. Ero il capo di una piccoli banda di monelli che imperversava lungo le strade, i corsi d' acqua e attraverso i campi. Seguivo le pratiche religiose insieme con mia ma·dre, credente> e mi a nonna. Ma no n po tevo rimaner e a lu ngo in chiesa, specie in tempo di grandi cerimonie. La luce rossa dei ceri accesi, l'odore penetr ante dell'incenso, i colori dei sacri paramentì, la cantilen a strascicante dei

220 OPERA OMN IA DI BENITO MUSSOLINI

fedeli e il suono dell'organo, mi turbavano profonchmente. Una volta caddi a terra svenuto. Aveyo nove anni quando mia madre avvisò dì mettermi in collegio. Fu scelto quello dei salesiani di Faenza, Qui mi ricordo bene, qui sarò dettagliato.

LA MIA VITA 221

Il.

Abitava a Casaporro, distante quattrocento metri da Varano, una signora, certa Palmira Zeli, figlia del più ricco possidente di Predappio e maritata a tal Piolanti Giuseppe, possidente lui pure. Avevano numero sissima prole. La signora Palmira era bigotta sino alla idiozia e questo suo bigottismo si è vieppiù esasperato col volgere degli anni. I suoi figli minori frequentavano la scuola di mia madre e per questo fatto s'era stabìlita una certa relazione fra la maestra e la madre degli allievi. Fu la signora Palmira che consigliò mia madre a mettermi nel collegio dei salesiani di Faenza. La Palmira vi aveva già messi due figli, Pio e Massimo, e magnificava sotto ogni rapporto la disciplina, il trattamento, l'ordine, la religione cli quel collegio. Per corr e·ggermi e per farmi diventare un bravo giovinetto con ·tutti gli attributi e le qualità desiderabm, mia madre si decise al malo passo. Pe~ché io lo chiami «malo» si vedrà in seguito. :Mio padre era dapprima risolutamente contrario, poi finl per cedere. Gli avevano fatto credere trattarsi di un collegio laico.

Nelle settimane che precedettero 1a ·mia partenza fui più monello del consueto, ~ntivo _ entro di me una vaga inquietudine, presentivo confusamente che collegio e carcere erano quasi sinonimi, volevo godere, stragodere per le strade, pei campi, lungo ·i fossati, attraverso le vigne dai grappoli maturi del sangiovese eccellente, gli ultimi giorni della mia libertà. Verso la metà d'ottobre tutto era prònto: abiti, corredo, denaro. Non ricordo che mi dolesse molto di lasciare i miei fratelli. L'Edvige aveva allora tre anni, Arnaldo sette. Mi addolorava invece profondamente di abbandonare un Iucarino che tenevo in gabbia sotto la mia finestra. Alla vigi lia della partenza mi bisticciai con un compagno, certo Valzania Romualdo, gli sferrai un pugno, ma invece di colpire lui, battei nel muro e mi feci male alle nocche delle dita. Dovetti partire con una mano fasciata. Al momento dell'addio piansi.

Nel biroccino trascinato da un asino prendemmo posto mio padre ed io. Allogammo le valige sotto il sedile e ci ponemmo in marcia. Non avevamo fatto duecento metri che l'asino incespicò e cadde. Noi restammo incolumi. Mio padre s'affrettò a rialzare la bestia e disse: « Brutto segno I». Frustò e continuammo. A Devia, salutai Donato Amadori e altri miei coetanei . Durante il tragitto non facevo

222 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

parole. Guardavo la campagna che cominciava a spogliarsi del suo verde, seguivo il volo delle rondini, il corso del fiume. Attraversammo Farli. La città mi fece una grande impressione. C'ero già stato, ma non mi ricordo. So che allora nel primo viaggio a Forll mi smarrii e mi ri t rovarono dopo alcune ore di angosciosa ricerca seduto tranquillamente al desco di un calzolaio, che a me, fanciullo appena quattrenne, aveva dato generosamente da fumare un mezzo sigaro toscano.

L'impressione più forte che ricevei entrando in Faenza, fu proVocata dal ponte di ferro che gittato sul Lamone congiunge la città col borgo. A compiere il tragitto di trenta chilometri impiegammo sei ore. Potevano essere le due del pomeriggio quando bussammo alla porta del collegio dei salesfani. Ci ven nero ad aprire. Fui presentato al censore, il quale mi guardò e disse: « Dev'essere un ragazzetto vivace I». Poi mio padre mi abbracciò e mi lasciò . Anch'egli era molto éommosso, Quando sentii rinchiudersi alle spalle di mio padre il grande portone d'ingresso, ebbi uno scoppio di lacrime. Ma il cen sore mi accarezzò e mi disse: « Su, da bravo I Non piangere. Qui troverai non un padre, ma venti pers one che ti faranno da padre e avrai non uno ma duecento fratelli I ». Attrave rsammo un lungo corridoio, un vasto cortile, salimmo due rami di scale di un edificio nuovo, entrai nella camerata di San Michele, dove trovai un istitutore, che mi as· segnò il mio posto, il mio letto e mi diede altre indicazioni. Dopo fui accompagnato nel cortile. Erano le quattro. L'ora della ricreazione. Guardai a giocare. Rimasi solo, in un angolo, col pensiero rivolto altrove.

LA MIA VITA 223

Ill.

n collegio dei salesiani di Faenza è dedicato a Don Giovanni Bo sco, fo ndato re dell'ordine, È un edificio di vastissime proporzioni, diviso in parecchi rami. C'erano allora tutte le scuole, dalle elementari al liceo , diversi labor atori di mestiere fre quentati anche da alunni esterni, una chieSa sacrata alla Maria vergine a u siliatrice, un t eatro dove talvolta si d àvano rappresentazioni e concerti.

Il personale dirigente si c o mponeva di preti e di laici. Il diretto re era un prete che si chiamava G. Battista Ri naldi. Lo ricordo. Era un uomo spaventosamente mag co. Mi face va p aura. Mi semb rava uno scheletro a mbulante.

I maestri delle scuole elementari erano laici, gli insegnanti delle scuole classiche preti. Il numero degli alunni superava i duecento. Erano divisi in tre grandi categorie: la prima dai sei ai dieci anni. la seco nda dai dieci ai quindici, la terza dai quindici in su.

Ogni categoria disponeva di un cortile per la ricreazione e giochi, Tanto in chiesa quanto al teatro si evitava ogni promiscuità fra gli alunni delle diverse categorie. N on fu cosi facile per me l'abituarmi alla vita monotona d el collegio e di un collegio clericale. Le prime settimane fui divorato dalla malinconia. Pensavo ai miei genito ri, ai miei amici, alla mia libertà p erduta.

Avevo deg li accessi di nostalgia e allora vaghegg iavo il prop osito di fuggire. Mi sen tivo schiacciato d alla di sciplina, ossess io nato dalYocchio vigile del sorvegliante, che n o n ci abbando nava mai un minuto d alla mattina alla sera.

La sveglia suonava alle sei del mattino d'inverno, alle cinque di estati;;, O vestivamo e prima ancora di prendere il caffè ci obbligav ano ad ascoltare la messa, che veniva quotidianamente celebrata nella chiesa del collegio. La funzione durava circa tre quarti d"ora. P oi. ci somministravano una broda indecente che chiamavano caffè e latte.

D alle 7,30 alle 8,30 studio. Dalle 8.30 alle u . 30 scuola, Io fui iscritto alla terza clementace. Le lezioni cominciavano e terminavano con u na pceghiera. Dalle n. 30 alle 12 ricceazione. Poi, 'pranzo.

In o maggio alla eg uaglianza evangelica pceclicata e praticat a· da Cristo, i salesiani ci avevano diviso in tre t av ole: nobili, media, comune. I primi pagavano sessanta lire mensili, i secondi quar antacinque,

224 OPERA OMNIA DI BENITO _ MUSSOLINI

gli ultimi trenta. Io, naturalmente, sedevo alla tavola comune> che era la più numerosa. ·

A mezzogio rno ci porcavano una minestra e una pietanza. U n soldo di p ane. Niente vino. A tavola non si potev a parlare. Mentre si divor ava il magro e talvolta ripugnante cibo, un alunno, dei g r ancli, ci suppliziava l'orecchio colla lettura ad alta voce del Bolle/lino ral rsianQ.

Dopo il pranzo, la ricreazione durav a sino alle 2. Da lle 2 alle 2.30 p,epatazione alle lezioni. Dalle 2..30 alle-4.30 scuola. Alle 4. 30 merenda Ci davano un pezzetto di pane. D opo mezz'ora di ricreazione, dalle j alle 6.30 studio. Alle 6.30 ce na, sul genere del pranzo. U n'alt.ca o r a di ricreazione. Poi ci recavamo per isquadre guidate dai nostri istitutori nella sala del teatro, dove si recitava una preghiera collettiva di tiog raziamento. .Quindi a u no a uno baciavamo Ja mano del d.ir.cttore. Poi, finalmente, ci conducevano in camerata al riposo. Biso• gnava spogliars i in silenzio, p er non disturbare la lettura del Bolltttino salesiafflJ

Qu est a la vit a i n collegio. All'infuori delta passeggiata domenicale, all' infuori delle rapprese ntazion i t eatrali o di qualche sole nne festa religiosa, non c'erano variazioni a questo r egime. Sempre cos). A poco a poco mi assuefeci Strinsi a micizia con alcuni miei compaesani. Ricordo, fra gli altri, Gimelli Jcilio, Monti Francesco, Pio e Massimo Piola nti, tutti di Predappio, Ettore D allani di Teodorano,

LA MIA VITA 225
I I

I V,

L'inverno del 1892 fu assai rigido. Mi vennero i geloni ai piedi. Chiesi un bagno, ma l'istitutore della mia camerata s i mise a ridere. Noi della t avola comune avevamo diritto al bagno, ma solo d'estate Allora, credendo di guarire, mi feci alcuni pediluvi ad acqua fredda, La situazione dei miei piedi peggiorò. In quel torno di tempo capitò a Faenza mio padre, Vedendomi zoppicante mi chiese la r agione, Cercai una scusa, che non persuase mio padre, il quale m'impose di togliermi le scarpe. Avevo i piedi sporchi e rovinati, Fu chiamato un dottore, il quale mi ordinò anzi tutto un bagno caldo di pulizia e una polvere essiccatrice. Mio padre protestò energicamente presso le autorità del collegio.

Alla sera, passando accanto al direttore, che parlava col censore, afferrai qùesta frase: « :È il figlio di un capopopolo I ». Da quel giorno notai un rincrudimento della sorveglianza disciplinare contro di me. La più insignificante mancanza bastava per severamente punirmi, L'inverno Ìigido e lungo passò. Venne la primavera. Ai primi tepori di marzo, i mìei piedi guarirono e potei di nuovo partecipare alle ricreazioni coi miei compagni.

Subii in quei m~si parecchie umiHazioni e privazioni. Una domenica durante la passeggiata mi allontanai, inavvertito, dal gruppo dei miei compagni. L'istitutore stese contro di me un r apporto per t enta ta fuga. Fui condannato a tre Jllesi d i «angolo» e cioè a stare continuamente fermo e in silenzio in un angolo del cortile a osservare la ricreazione degli altri. Le misure vessatorie contÌo di me s'inasprirono. Il sentimento della rivolta e della vendetta germinava nell'animo mio.

V'era un uomo fra g li altri su1 q uale io concentravo tutti i m iei odi e i miei rancori: il maestro della mia classe, certo Bezzi. Era un u omo di cirèa quarant'anni. Ho· ancora viva nella memoria la sua abominevole immagine. Basso di statura, il suo volto triangolare era incorniciato da una barbetta rada e grigia. Aveva gli occhi piccol i e indagatori. 11 naso prominente. Le mani scimmiesche. Padava con voce untu,osa, scandendo le siliabe. Il suo ridere stridulo m'incuteva terrore I ·

Egli non mi poteva soffrire ed io lo · esecravo, lo esecro ancora s'egli è vivo e se è morto sia pur sempre maledetto'. Non so, noii posso perdonare a chi mi h a diabolicamente avvelenato gli a nni mi-

226 OPERA OMNIA DJ BENITO MUSSOLINI

·gJiori della mia vita. Due episodi basteranno a dimos trare q uali rela:z:ioni _di simpatia intercedesseto fra maestro e scolaro.

Un giorno, mentre i miei comp agni di scuola reci tavano la preghiera di ring raziamento al termine della lezione, io distrattamente battevo un tempo musicale, Frequen tavo, fra l'altro, la scuola di musica. Non l'avessi mai fatto I U maestro Bezzi mi aveva adocc hiato e aveva già pensato d'infliggermi immediatamente il castigo. Mentre stavo per varcare la soglia della scuola, fui agg redito e cosl violentemente schiaffeggiato da quel degnissimo educato re cristia no che caddi a terra fra i banchi . Dal naso e dalla bocca mi uscivano rivoletti di sangue. Accecato dal dolore e dall'ira, mi rialzai, afferrai un calamaio e lo scaraventa.i contro il maestro. Non lo colpii.

Quest'atto d'insubordinazione m i pottò dinnanzi al Consiglio di disciplina. Ci fu chi. propose la mia esp'ulsione dal collegio. Sarebbe sta~ la mia fortuna ! Invece fui privato per un mese, e cioè siiio alla fine dell'anno, del passeggio~ della pietanza~ della ricreazione e venni cambiato di studio. '

Ottenni la sufficenza agH esami e fui p romosso alla quarta. Ma la vendetta del maestro Bezzi n o n era ancor paga. Non partecipai alla gcande passeggiata annuale che nel '92. venne fatta a Brisìghella, T re g io rni prima delle vacanze il Bezzi mi chiamò a sé e mi cLisse: « Voglio r estituirti i libri che ti ho sequestrato durante l'anno scolast ico ». Io lo seguii nello studio. Qui eg li aperse una scansia, invece dei libri prese un regolo di canna d'india, mi afferrò per una mano e cominciò a pe rcuotermi. .

Alle mie gdda accorse un a ltro istitutore, certo CasteUano, che· mi liberò dal m io aguzzino.

Finalmente to rnai a casa Durante il v iaggio di ritorno confessai tutto a mio padre. G li narrai le sevizie patite, le umiliazioni subite, la fame sofferta. « Non ci rito rnerò pi ù - g li dissi - in q uel collegio d i assassini .... O io morirò». Mio padre m i ascol tava. e il m io cuore s i apriva alle più dolci speranze .

LA MIA VJTA 227

V.

Durante i tre mesi delle vacanze estive tutti si convinsero · che il collegio non mi aveva per nulla migliorato. Tornai ad essere quello di p r ima: la disperazione dei miei genitori e la preoccupazione dei vicini. Mia nonna - pove retta l - mi seguiva dalla· mattina alla seta n elle mie peregrinazioni lungo la ri.va del fiu me, Temeva che mi annegassi. lmpressioni di quei mesi ne ricordo parecchie. In luglio e agosto seguivo talvo lta la m acchina trebb iatrice di mio padre, la ptlma i ntrodo tta nel comune di Predappio. Passarono diversi cani i d rofobi, che spaventarono 1a: popolazione. Una scorribanda campestre con fotto di mele cotogne fu disas trosa per un mio compagno, che saltando un fosso cadde in malo modo e si ruppe una gamba. Le sassaio]e e rano sempre all'ordine del giorno, Verso settembre to rnò sul tappe to domestico la questione del collegio. Dopo molte discussioni s i decise dì farmi to rnare a Faenza. Colla disperazione nell'animo mi r assegnai alla volontà dei miei genito ri, A metà ottobre varcai per la seconda volta la soglia di quel colJegio.

Cominciai a frequen tare la quarta elementare, Fu queHo un an no ricco di avve nimenti dra mmatici , che sono rimasti indelebilmente scolpiti nella mia memoria.

Il regime disciplinate del collegio no n era cambiato. Era di venuto, se possibile, più terro ristico. G ià d alle prime settimane fu i d iverse volte punito Mi d ecisi a n o n più frequentare la m essa a lla mattina. Mi diedi p iù volte malato . Un giorno fui tras_ci nato g iù dal letto e condotto per forza in c hiesa.

G li istitutori ne r iferirono al direttore, il quale mi chiamò ad 1,11diendum verbu111 e mi diede una lavata di capo senza precedenti. Atterrito dalle sue minacce, io g1i chiesi perdono. Egli allora, lieto d el mio pentimento, mi regalò una medag liet ta della Maria vergine ausi liatrice e m i congedò. Avevamo un prefetto di disciplina che non ·1a4 sciava sfuggire occasione veruna per farci delle noiose paternali. Era un prete. Secondo lui, il mondo era p ieno di gente malvagia, posse4 duta dal demonio. Oltre le mura d el collegio com_inciava l'inferno. Si tendeva a separarci dai nos tri simili. Si scavava lentamente u n abisso fra noi e g li altri , cioè g li e retici, i frammasoni [sicJ, i nemici della chiesa.

Fin lo stesso vincolo famili a re v eniva indica to come fo nte di pec4 cato. <( San Luigi - ci diceva questo prefetto di disciplina del q uale

228 OPERA OMN IA DI BENITO MUSSOLINI

non ricordo più il nome preciso - San Luigi, per non peccare di desiderio, non guardò mai volto di femmina, neppure quello di sua madre, e mori in onore di grande santità».

Le rappresentazioni teatrali mi turbavano profondamente. Ricorderò sempre un drammaccio intitolato Sciano, che mi faceva soffrire. Non era certo quello un teatro educativo. I drammi si riferivano tutti all'epoca cristiana, Da.una parte lè crudeltà degli imperatori con scopo di sangue e di martirio che mi facevano rabbrividire, dall'altra il coraggio umile .e tenace dei fedeli che nel nome di Gesù affrontavano sereni la morte.

L'educazione morale che subivo mi portava a raffigu.urmi un mondo di peccatori e di traviati , nel qual mondo solo i preti rappresentavano la bontà, il disinteresse, la pietà. Io temevo il «mondo». Lo immaginavo pieno di gente torbida che mi avrebbe ghermito e perduto. Questi insegnamenti dei prefetti di disciplina trovavano la loro consacrazione solenne n ei sermoni domenicali, tenuti quasi sempl"e da frati. Costoro ci attercivano. È la parola.

Quando, verso .l'aprile, si trattò di avvicinarmi per la prima volta al sacramento eu,caristico, attraversai una crisi interna gravissima. Durante la settimana di passione, bisogn~va guardare [sic] sempre e dovunque il più rigido silenzio. Bisognava inchiodarsi la lingua in bocca. Era Ja settimana degli « esercizi spirituali». Ricordo la visita ai sepolcri di tutte le chiese fa~ntine. Il silenzio e la. p enombra delle chiese, il profumo dei fiori e degli incensi , il viavai di tante donne abbrunate come penitenti, le estenuanti preghiere mi esaurivano.

Alla sera, quando finalmente mi gettavo sul letto, ero sfinito e avevo una grande nostalgia del mio paese, Mi addormentavo colle lacrime agli occhi.

I LA MIA VITA 229

VI.

Nella settimana che precedette il giorno fissato per la mia prima comunione, non frequentai la scuola. Mi avevano messo insieme cogli altri comunicandi e ci avevano affidato ad un frate che dov eva prepara rci a degnamente ·e sa nta mente ricevere Gesù. D alla mattina alla sera catechismo, rosari, prediche, storia sacra. Ci fec ero imparare a memoria due o tre salmi in latino,cheripetevamo ad alta voce, senza che nessuno di noi ci capisse qualcosa. Alla vigilia , il frate ci tenne un discorso minaccioso. « Badate - ci disse - che ness uno di voi si presenti a ricevete l'os tia consacrata se n o n ha l'anima completamente pura da ogni peccato. Confessate tutto I Non t cntàtc di nascondervi. Jddio vi vede e p uò colpirvi. A Torino un giovinetto si accostò all'Eucaristia in istato di peccato rn:ortale, ma non appena si fu inginocchiato alla balaustra, venne colpito da g ravè malore e stramazzò a terra morto, fulminato ».

Questo episodio ci spaventava. Io lo ritenevo v ero. Credevo che · quel giovinetto fosse stato raggiunto dal dito di Dio. Temevo per me, Il frate ci diede altre utili indicazioni. Ci disse di osservare il più stretto d igiuno, ci avverti che se la particol a si fosse attaccata al palato non dovevamo m ettere i1 dito in bocca per rimuoverla, e altre esortazioni del genere.

Io ero mol to preoccupato, Il sabato sera mi confessai. Dissi tutto: i peccati commessi, quelli che non avevo commesso, ma pensato, e quelli che n o n avevo né pensato , né commesso. Mt!i11r trai abundare q11am tkftce,-e. L'immagine del giovinetto fulmin ato n o n mi lasciava un minuto, Alla notte rifeci un a ltro diligentissimo esame di coscienza, Frugai, rifrugai, rovistai come un ladro tutte le masserizie del m io « mondo interno», gettai all'aria tutto quanto e mi sovvenni di altri peccati veniali che avevo dimenticato nel mio primo colloquiO col confessor e. Alla mattina mi affrettai a chiedere un << supplemento » di confes sione, che mi venne accordato. Nuova p enitenza e nuova as 4 soluzione.

Alle I I ci presentammo in chiesa. Erano presenti tutti i collegiali e anche molti invitati. Attraversammo a testa bassa la chiesa e c' ingi4 n occh iammo <:1,innanzi all'alta re p arato a fest a. Ufficiò lo stesso d iret• tore Quand'egli, accompagnato da un corteo cli preti e di chierici che g li reggevano la lung hissima stola luccicante di ger oglifici d 'oro,

230 ! OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

discese dall'alta.re e, col calice levato in alto, si diresse verso di noi, il mio cuore batteva fo tte come non mai, Agm11 dei qui Jol/is p ucala m11i1di Allungai la lingua, curvai profondamente il capo. Degl,utii, Fu un attimo. Iddio era ormai prigioniero nelle mie viscere. Lentamente rialzai il capo, mentre n ella chiesa dominava un silenzio d i tomba, rotto solo dalla voce squillante del direttore. I.a comùnio ne era finita. Guardai di sbieco, Tutti i miei compagni erano puri, perché nessuno di essi era rimasto fulminato.

A cerimonia ultimata uscimmo dalla chiesa e ricevemmo d ei confetti. Poi il prefetto di disciplina ci inflisse un altro piccolo sermone. N el pomedggio uscimmo a passeggiare. Non rico rdo altro.

La particola divina non avev a prodotto visibili cambiamenti den• tro di mc. Ero sempre lo stesso e lo di mos trai poche seccimane d opo, capeggiando una specie di rivolta che noi «piccoli» facemmo a ca· gione del pane, nel quale d a parecchio tempo trovavamo delle formi• che. Fui punito coll'<<angolo >). Ma ben più grave punizione mi v enne inflitta il 2.4 giugno successivo.

Quel giorno era giorno di grande fest a, poiché ricorreva la ce1e· brazionc di San Giovanni Battista e di D o n Giovanni Bosco fonda· to re dei salesiani, Alla mattina passavano una specie di solenne ri· vista, a mezzogi~rno ci davano u na pietanza in più e meno cattiva del solito, alla seta le mense venivano erette nei cortili illuminati alla ve neziana. Ora avvenne che dopo cena io trovai q ues tione con u n mio compagno, nativo del comune di Ravenna. Di lui mi sono di mcn t i• cato il nome. Fatto sta che ci scambiammo dei pugni ed io, per giun.ta, lo fe di di coltello a una mano. L: grida del ferito richiamarono l'istitutore, il quale mi acciuffò e m i rinchiuse immediatamente in u no stanzino contig uo alla sala del tea tro. Atterrito di quanto avevo fatto, mi misi a piangere e implo r are perdono, ma nessuno si fece vivo. Per. qualche t empo mi g iunser o le vod ed i rumori dei miei comp agni che si divertivano nel cortile. Poi t utto tacque. La no tte era già inoltrata quando udii camminare alla mia volta. Diedi un balzo. Po i misero la chiave nella toppa e una vÒce cavernosa, che riconobbi subito per quella del maestro Bezzi, mi ordin ò: « E sci I». Non appena fui nel corridoio, il Bezzi mi afferrò e mi disse: « La tua coscienza è nera come il carbone I )). Sono passati ven t 'anni, ne passeranno quaranta, ma io non dimenticherò mai queste parole, E prosegui: « Tu dormirai coi cani di guardia stasera, poiché chi t enta uccidere i propri compagni non deve più aver contatti con lo ro». E ciò detto mi abbandonò i n mezzo al corridoio ,

LA MIA VITA 231

VII.

Accasciato dal dolore, dalla disperazione e dalla paura mi misi i n ginocchio ed invocai tutti ì santi del cielo. Poi a tentoni mi diressi verso il cortile. Un latrato ·dei cani di guardia mi fece ritornare sui miei passi. I cani s'allontanarono. A ttraversai rapidamente .il cortile per re carmi nella mia camerata. Ma il cancello d'ingresso alle scale era chiuso, Lo scossi. Inutilmente . 11 rumore del ferro richiamò i cani_. Fu quello un momento di tremenda paura. Mi arrampicai sul cancello e riuscii a scavalcarlo, non tanto in fretta però da non lascia re un lembo inferiore dei miei pan taloni fra i d enti agu.zzi di que11e bestie feroci. Ero salvo Ma o.rmai estenuato Avevo ap pena la forza di gemere.

Dopo molto tempo, l'istitutore della mia camerata ebbe pietà di me. Mi raccolse e mi condusse a letto. Alla mattina non potei_ alzarmi. ·Avevo una febbre altissima. Deliravo. Dopo tre gio rni fui giudicato e condannato alle seguenti pene e cioè: alla retrocessione dalla quarta alla seconda elementare; all'angolo sino alla fine dell'anno, alla privazione della pietanza, a otto giorni d'isolamento in un camerino di fronte all'aula della quinta ginnasiale. Non mi espulsero dal colleg io perché le vacanze est ive erano jmminenti. Si trattava di po~ che settimane. Espiai le mie pene, senza chiedere, come mi veniva consjglfato, il perdono ,e la grazia del direttore.

E venne anche H giorno della grande passeggiata annuale. F u scelta quale meta Lo ngrano, paesello nel circo ndario di Rimini, famoso per una chiesuola dove c'è dipinto un Cristo dalle proporzio ni spettacolose, t anto da essere proverbiale in Romag na. Andammo in treno.

L'escursjone durò quasi una settimana, ma venne alla vigilia del ri torno funestata da una sciagura mortale. Ci avevano aHogati in u n vecchio convento di frati, e dormivamo sulla paglia.

Una mattina, alla sveglia, mentre gli inservienti attraversavano un cortile, fecero una raccapr.iccia nte scoperta: trovarono il cadavere di un alunno immerso in un lago di Sangue. In un baleno si diede l'allarme e tutd ci precipitammo nel cortile, ma il cadavere del· nostro pove ro compagno era già. stato rimosso e portato altrove. In qual modo aveva trovato si orribile morte ?

Il dram ma fu ricostrui to, Il morto si chiamava Giuseppe Band..ini, aveva quattordici anni, era nativo di M.arradi. Si era a lzato· presto alla

232 OPERA OMNIA DI BEN ITO MUSSOLINI

mattina per vedere il levare del sole Era m ontato sul davanzale della 6 nes tra> aveva spinto le persiane, aveva perduto l'equilibrio, e ra caduto al suolo spezzandosi il cranio. La sciagura ci desolò. P er due giorni non sj udi una voce Il giorno do po giunsero da Marradi i genitori del m otto. Mi par di udire ancora i ge miti strazianti di sua madre.

Ai funerali partecip ò anche tutta 1a popolazione. Il povero Banclini fu portato al cimitero, la ma ttina del giorno fissato per la nostra partenza. La musica del collegio suonava una marcia funebre. Al cimitero, dinnanzi alla cassa .scoperta, parlò il direttore e un'altra persona del paese. Il nostro povero compagno vestiva la divisa del collegio. Le mani incmciate sul p etto stringevano un croce6sso d'argento. La faccia diafana era recinta da u na benda, che nascondeva allo sguardo l'orribile ferita del cranio. Fu q uello un momento d'~t~nsa commozione.

Pover o Bandini I Il d es iderio di v edere il superb o spettacolo del sole che sorge ti costò la vita I Io ti ricordo ancora. Tornammo al collegio coll'angoscia nell'anima. D opo una settimana cominciarono le vacanze. Lasciai il collegio e questa volta per sempre.

Durante le vacanze mi r ecai insieme con mia madre a trovare i nostri paren ti della pianura r avennate. I miei ricordi sono· confusi. So che al Mezzano fui ospite del compagno che avevo ferito il . 14 giugno. In casa sua vidi per la prim a volta e ne riportai grande impressione la Diuina Com111edia illustrnta da Gustavo D oré. ·

L A MIA VITA 233
l&. • XXXUI.
,

VIII.

I miei genitori, constatato l'ev idente insuccesso d ella educazione dei salesiani, decise ro di farmi cambiare aria e scelsero il collegi o d i Forlimpopoli, da p ochissimi a n ni istituito Quando i salesiani seppero che stavo per andare a Forlimpopoli, intentarono una lite a mio padre per mancato pagamento di certe spese varie. Queste « spese varie >> costituivano un furto in piena regola. La causa dal giudice conciliatore passò a lla Pretura, dalla Pretura a l Tribunale. Le duecentocinquanta lire della p rima citazione divcntacono alla 6 ne novece nto. Fu messa ipoteca sul nostro p odere Vallona e di questa ipoteca ci siamo Ii. bcrati solo dicci o d odici anni dopo.

Entrai nel collegio G iosuè Card11cd di Forlimpopoli nell'ottobre del 1893. Il direttore Valfredo Carducci, fratell o del poeta, non sapeva jn qual classe mettermi. D opo u n esperimento d ' i taliano scritto che sostenni flella direzione stessa, fui i scritto a titolo di prova nella quinta elementare. F i n dai primi giorni notai l'enorme d ifferenza fra l'unO e l'altro collegio.

A Forlimpopoli, .nessun prete, né l'orma del pretismo . Ist ituto prettamente laico. A messa nella chiesa attigua (fu riattato a collegio u n vecchio convento) ci anda va chi voleva e i volenteroSi non giungevano alla decina sopra sessant a convit to ri. Ero passato dall'i nfe rno al paradiso. Vitto m iglio re , camerate sal ubri, p osizione incantevole nell'aperta campagna in v ista d el Bert in oro « alto ridente », di scipl ina p iù umana. E ro verame nte felice del cambiamento e partecipai la ·

mia g ioi a ·a mio padre

Le scuole tecniche e le scuole normaJi erano interne, le elemen ta ri invece esterne, Bisognava andare in p aese. 11 maestro di quinta, lo ricordo bene, tanto nelle sue sembianze fisiche, come nella sua figurazione spirituale, si chiamava Alessandro Massi, di Bertinoro. E ra uri uomo attempato, piuttosto magro, d ai grandi baffi g rigi. Aveva una cura meticolos a dei propri abiti. Portava le sopramaniche di pan no ne ro come i vecchi scrivani. Era un fervente relig ioso e volent ieri ci intratteneva su argomenti religi osi Conosceva molto bene 'il lati no.

Mi regalò quale ricordo un volumet to, Charila!, in cui egli aveva raccolto certi suoi discorsi e mo lte ep ig rafi in latino e in italiano. Prese a voler mi bene ed io nulla trascuravo sia nella disdplina come nello studio per meritat mi il suo affetto

234 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI
·

R icordo il nome di parecchi compagni di scuo la che h o ritrovat i mo lti anni dopo nella vita. Di parecchi non ho avuto più notizie. Non eravamo che sedici o diciassette alunni. D ebbo ricord are fra i tanti certo Giunchl, che a metà d ell' an no scolastico emigrò colla famiglia alla ~pezia e che non ho più incontrato. Egli mi mise i n relazione con sua cugina, certa Elena G iunchi, figlia di un oste , bambinella della mia età. Ci scrivemmo alcune innocentissime lettere d'amore....

Il bidello della scuola, tal Zoli, era un vecchio cisposo, da una folta capigliatura incanutita dal tempo. Lo chiamavano Caronte. Quell'anno scolastico passò rapidamente senza incidenti degni di particolare menzione. Fui p~omosso. Passai le vacanze nella massima tranquillit à di spirito e coll'ottobre [1 89j ] to rnai a F o dimpopoli e m 'iscrissi alla prima tecnica.

D ell'anno scolastico 1894-'95 [leggi 189,:-1896] non rico rdo nie nte di spccìale Le figure dei professori n on h an no lasciato solco profondo nella mia memoria~ Li ricordo appena. Fui naturalmen te promosso alla seconda t ecnica.

N el 1896 , al 1° di marzo, riportai una formidabile impressione dalla sco nfitta di Adùa. Quel giorno ero a mmalato. Verso le 10, corse da me i n camerata un· mio compagno, tal Cattoli di Faenza, figlio, credo, del famoso patriota repubblicano, con un foglio aperto g ridando : « Leggi I Leggi I )). Afferrai il giornale. Era i l S ecolo. Dalla prima pagina all'ultima non parlava che della disastrosa battaglia. Diecimila mo rti e setta ntadue cannoni p erduti. Queste cifre mi martellano ancora il cranio All'in domani, ar rampicati sulle mura di c inta del collegio, assistemmo a una interminabile sfilata di gente della campagna che si recava a protestare jn città. Per parecchie settimane, anche i n collegio, non si parlò d'altro.

Nel mese di maggio una g rave sciagura funestò il collegio. Morl dopo po chi g iorni di malattia un nos tro compagno, Aclùlle Paganelli d i Savignano, Quando una mattina, all'ora della sveglia, si diffuse la notizia, la costernazione più viva si impadronl dei nostri cuori.

· 11 Paganelli era uno scolaro degli ottimi. D i famiglà povera, riceveva u n suss idio per continuare gli studi. La famiglia riponeva in lui tutte le migliori speranze. Faceva il primo corso n ormale, Per alcuni g iorni, il collegio fu m uto. Sospese lt: lezioni, i cortili e rano deserti. Si taceva dovunque, Nei corridoi, nel refettorio Pareva che le nostre grida d oves sero risvegliare il nos tro povero compagno morto appena diciassettenne. Giu nsero i suoi genitori. Suo p adre e metteva dei gemiti che non avevano quasi nulla dì umano. Ul ulava. li dolore gli soffocava il pianto nella strozza. I fu nerali riuscirono impo ncntis-

LA MIA VITA 235

simi Tutte le scuole del circondario avevano mandato rappresentanze La cittadinanza forHmp opolese vi partecipò in massa. A l cimiter o," sulla bara che noi avevamo ricoperta di tanti fiori, parlò prima il diretto re, Valfredo Carducci, poi lo seguirono altri sette ·orato ri. La cerimonia · ci lasciò trìsti Poi a poco a poco col passare dei giorni, il collegi o .dprese il suo ritmo abituale d i v ita.

. Venne la fine dell'anno. Fui promosso senza esam'e in quasi tu tte le materie. Fui bocciato ìn m atematica e mi dispiacque a,ssai. Allora grìdai all'ingiustizia del professore, oggi riconosco di aver meritato la esemplare bocciatura.

236 OPERA OMNIA
DI BENITO MUSSOLINI

Le vacanze estive non furono per me molto liete. Passavo le mie giornate in casa o seguivo mia nonna nelle sue peregrinazio ni attraverso il fiume, dov'essa andava a cercare la legna abbandon ata dall'acqua dopo le piene. Mia nonna aveva settantotto anni allora e avev a le inevi tabili manie della vecchiaia. D o rmiva da sé, non voleva mangiare a tavola con noi, ci riemp iva la casa di legna. Temeva il freddo . Era una donna alta e forte. Mod quasi all'improvviso. Mi r ic ordo. Un giovedl 4 settembre, mia mad re e noi tre figli ci recammo a passare il p o meriggio in una v igna che possedevamo oltre (asola, quasi sulla cima del moOte Era una delle mie passeggiate pre• fer ite, perché di lassù l'occhio abbraccia quasi tutta la p ianura foc. livese, insino alla linea del mare. In quella vigna che dal proprietado che a noi l'aveva affittata per nove anni si chiamava vigna di CudM, ho passato molti giorni della mia fanciulle zza Vi ripassai dopo molti anni d'assenza nell'agosto del 191 1 e sentii nel mio cuore ribattere i loro colpi delicati, lontane e immarcescibili emozioni.

Quel pomeriggio di settembre era melanconico, Mia madre ci cantò tan te vecchie canzoni. Discendevamo sull'imbrunire i n sile nzio, quasi preoccupati, Appena giunti a Varano ci dissero: «La Maria nna sta male». Fu un colpo. La trovammo a letto. Vaneggiava. Corremm o peJ medico e questi non ci nascose la gravità del caso. AlJora mandammo a chiamare mia zia, Francesca Mussolini, che ab itava a P iola oltre la riva del fiume, perché l'assistesse. Prima cli me2zanotte e nt rò in agonia Confortata dal prete, ve rso l'alba spirò. Al mattin o n oi andammo da nostra .zia. E vi restammo sin dopo i funerali.

M i pa r d i udire ancora il suo no fun ebre della campana d urante il trasporto dalla casa a l cimitero. Fu sgombrata la stanza di mia no nna e rovistato fr a le masserizie per trovarvi il testamento. Nulla si trovò, Quella stanza ve nne quindi occupata dai miei genitori, Dopo qualche settimana ritornai in collegio, superai l'esame d i riparazione e entrai nella terza tecnica Mio fratello intanto veniva manda to a Meldola alle scuole elementari. Il 14 gennaio 1898 fui (:'spu1so dal collegio ed ecco perché. Quel giorno eco nello studio, occupato in un lavoro di computisteria. Un mio compag no, D ionesi Umberto di Rimini, mi scarabocchiò il foglio. Ne nacque un diverbio. Egli m i diede uno schiaffo. Io afferrai il temperino co l quale st avo g rattando la macchia d'jnchiostro e gli v ibrai un colpo. Lo colpi i io una n atica, G ra nde emozione,

L A MIA VITA 237
IX.

Accorse immediatamente il rettore del collegio, Antonio Dalle Vacche; che ordinò il mio immediato allontanamento dalla classe. Il fatto, se non la ferita, era grave. Si riunì il consiglio dì discipli na. Tutti i professod, ad eccezione di uno, il professor C. G. Mohr, vo~ tarono la mia espulsione. A nu lla giovarono le raccomandazioni di mia madre. Fui espulso dal collegio, non dalla scuola. ~fi recai per alcuni giorni a casa, dove la notizia era giunta ampliata di molti dettagli inesistenti; poi tornai a Forlimpopoli, alunno estc,rno. . Andai a pensione in casa di Francesco Bassi, veterinario, marito di una Fortunata Valzania, una sciancata appartenente alla famiglia del famoso colonne11o garibaldino cesenate.

Verso la fine dell'anno scol astico fui sospeso dalle lezioni per otto [leggi dieci] giorni. Mi r ecai a Fodl per sostenervi l'esame di licenza t ecnica e fui natutalmente bocciato in diverse materie, D ei professori che mi facevano scuola nelle tecniche e che ritrovai poscia nelle n ormali non faccio cenno ora. D egli altri ne ricordo due: il professor Pizzigati dì computisteria e la professoressa Ines Gossoli di frances e. Con costoco, la scuola diventava un carnevale. Narrare gli scherzi, le burle, i tiri giocati è superfluo. Chi ha frequentato le scuole, può immaginarli. La prnfcssoressa era belloccia. S'focontrò col prbfessor Dalle Vacche g ià rico rdato, poi si sposarono. Oggi è, mi pare, segretaria delle scuole normali femminili a ForH. ·

L'anno di cui parlo fu quello della guerra greco-turca. Anch'io avevo progettato di partire. Le corrispondenze che il Ciancabilla pubblicava sull'Avanti I mi entusiasmavano per la Grecia. Ottenuta ne!J>esame di riparazione la licenza tecnica, nell'ottobre del 1898 tornai a Forlimpopoli per frequentare come alunno esterno le scuole normali.

L'anno scolas tico '98·'99 non merita particol?,re menzione. Ero il migliote della classe. Però la mia condotta lasciava alquanto a desiderare . Non frequentavo regola rmente le lezioni, facevo della politica, non portavo sempre il dovuto rispetto ai miei professori. M'invaghii in quel torno di tempo di una bella fanciulla, certa Vittorina F , sorella di un mio compagno di scuola. Le dichiarai il mio amore. Mi rispose, dilazionando. Allora io mi decisi a fermarla per istrada. La aspettai una sera in un vicolo Essa tornava dal lavoro. Vedendomi, arrossi e si fermò. Io balbettai alcune parole. Essa non rispose e conti nuò la sua strnda. Constatai il mio insuccesso e me ne adontai.

Però la bella non era completamente sorda ai miei richiami e sep pi che conservava le mie lettere e accettava i mazzi di viole che io le mandavo per mani di una ragazzina sua vicina di casa. Poi quest' amate passò. Tornai a casa.

238 '. OPERA OMNIA DI BEN ITO MUSSOLINI

X.

L ' anno veni~nte '99-'900 cambiai pensione. Andai in casa di u n sensale, tal Benedetto Cclli, uomo violento, ma buono. Aveva un omicidio sulla coscienza. Ora è morto. Suo figlio, Massimiliano Celli, è maestro a Rimini; sua figlia, Amalia, è maestra, ma non so dove sia. Quando la conobbi eta una ragazza formosa dai capelli cenden ti al rossigno. Studiava da maestra alle scuole normali di Ravenna. Le feci qualche tema.

Capitai nel borgo delle chiacchiere: H b o rgo di San Nico lò. Di. nanzi alla mia pensione· c'erano molte ragazze. Con una di loro, ta l Caterina , intreccia i un amoretto. Ci scambiammo dei biglietti n i, delle rose e anche dei baci. :A,l principi o dell'anno scolastico , m arinai una lezione di disegno e fui sospeso per otto giorni. N e profittai p er fare d elle incantevoli passeggiate mattutine lungo i declivi di Bertinoro e per ridicoleggiare in uno scherzo poetico taluni dei miei profess o ri e qualcuno dei miei compagni.

Era con me a pensione dal Cdli tal Eugenio Nanni di Lo iano. f'acev a la terza normale. Era zopp o. L'incompatibilità di carattere fra noi due si rivelava ad ogni momento. Quando cominciaYamo una discussione, dalle parole finivamo ai pugni. Egli era lo spirito della contraddizi one. Mediocrissi mo in fatto d'intelligenza, corteggiava l e donne e si vantava di grandi conquiste. Subi un processo a Berti no ro, nel quale ci fece una vergognosa h gura.

CoStui m'iniziò ai postriboli . Una domenica ci recammo a F orll, in una casa innominabile. Q uando entrai, sentii il sangue afflu irmi alla faccia. Non sapevo che dire, che fare. Ma una delle prostitute mi prese sulle ginocchia e cominciò ad eccitarmi con baci e carezze , Era una donna attempata, che perdeva il lardo da tutte le parti. Le feci il sacrificio della mia verginità sessuale. Non mi costò che ci nquanta centesimi. Uscii da quella casa a testa bassa e vacillante come u n ubbriaco Mi pareva di aver commesso un delitto,

L' improvvisa rivelazione dd godime nto sessuale mi turbò. La d onna n uda entrò nella mia vita, nei miei sogni, nelle mie cupidjgie Svestivo, cogli occhì, le fanciulle c he i ncontravo, le concupivo vfolen te• mente col p en si ero. Frequentavo, durante il carnevale , i b alli pubblici e ballavo. La musica, il ritmo dei mov imenti , il contatto co11e r agazze dai capelli profumati e dalla pelle secernente un sudore acre al l'odo-

I.A MIA VITA 239

rato, mi risvegliavano gli .appetiti della carne e mi sfogavo alla domenica néi postriboli forlivesi. Giocavo d'interesse coi miei compagni. Quell'anno cominciai anch'io a scrivere versi. Talora svolgevo in poesia gli si:essi temi che ci assegnava il professore d 'italiano . E chi non poetava fra noi? Scrissi un'infinità di poesie su tutti gli argomenti, 1 luoghi comuni abbon davano, Alcuni anni dopo ritrovai i quadernetti contenenti la documentazione delle m"ie giovanili fornicazioni colle abitatrici d el Parnaso e li dannai al rogo,- Non salvai che un sonetto, dedicato a Bahoeuf [tic], che pubblicai più tardi nel numero di 1° maggio 1903 dell'Avvenire del LaPoratore (Svizzera). Un sonetto scolastko, meno malvagio degli altri e che trascrivo qui non per raccomandarmi con esso aJia considerazione di chi mi leggerà, ma per documentare,

Termi{U)ro trionfa e maledelta ,ade la schirra dei ribelli Guata torbido il pret e dal conjin l'auetta ntfle arterie p lebee intanguinala, Sordo avanza il furor della vendetta negli etili e 11ti rischi germinata. Oh pauaro i bei dJ come 1aetta gli epici giorni della <( cannonata».

Ma torride Baboettj. N t' morittffi occhi gli paua il la,npo dell'idea, la vi.rion dei 1eroli venturi.

E il supremo pensier che lo sostennt q11ando ormai vinto, vindice ,hiedea l a legione infernale delle Ardenne.

. L'anno scolastico passò rapidame nte. Alla fine però avvenne un incidente di una certa g ravità. Pare che il Nanni se 1a battesse colla moglie di un sensale. Costui aveva trovato un biglietto indirizzato dal Nanni alla moglie nel quale le chiedeva un appuntamento. Il marito d ecise di vendicarsi. Una sera degli ultimi giorni di giugno, ·io e il Nanni stavamo tranquillamente seduti fuori della porta di casa, quando un uomo ci venne incontro e senza dir parola svirgolò una tremenda bastonata al Nanni. Alla prima ne seguirono altre. Io cercai di difendere il malcapitato e riuscii a gettarlo dentro al portone. L'altro, intanto, profferendo più gravi minacce, si allontanava. Portammo il Nanni nella sua sÌ:anza. Non era gravemente ferito, ma era più morto che vivo dalla paura.

240 ! OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

Si avvicinavano gli esami finali e il nostro Ganimede non osava uscire di casa, Perdere dunque un anno ? Lo incoraggiai ad affrontare la situazione e a recarsi a scuola. Mi proposi di accompagnarlo. Accettò. L'amico era zoppo, ma la paura di qualche brutto incontro lungo la strada, g1i dava 1a velocità di MCrcurio. Diede gli esami, ma fu ovunque bocciato. La paura gli aveva squinternato il cervello Inutile dire che il fatto- sollevò g rande emozione nella cittadinanza e nel ceto studentesco. Prima della fine d ell'anno fui raggiunto da una altra buona notizia. Era morta la nostra parente di Mezzano e a mia madre erano t occate diverse migliaia di lire. Non ho mai saputo la c ifra esatta. Dovevano superare le diecimila lire. Un bel colpo. ma mio padre non seppe utilizzarlo.

Cominciò col disperderle pre ndendo dei poderi in affitto a T ontola e a Voltre, Furono magri affari. C'erano inoltre m olti debiti vecchi da estinguere. Due anni dopo gli ultimi denari furono investiti nel podere Vallona, intestato a mia madre ed ora passato a n oi. Un podere stimato dal Monte dei Paschi a ottomila lire.

Questa è tutta la nostra fortuna immobiJiare ed è quanto ci è rimasto dell'eredità toccataci dalla v ecchia zia lontana del Ravennate, Mio padre, sia dettò fra parentesi, era un buon uomo, i ntelligentissimo, autodidatta, ma non aveva assolutamente il genio degli affari. Era troppo ottimista e si fidava di tanti che non meritavano la sua .6.ducia.

LA MIA VITA 241

XI.

L'ultimo anno delle scuole normali '900-1 901 lo frequentai in collegio, dove fui .riammesso e do ve ottenni un sussidio di trecen to lire. I ptimi mesi passarono velocemente. Alla fine gennaio dé:l 190 1, il t elegrafo annunciò la morte di G. Verdi. Sospendemmo una rap presentazione drammatica e all'i ndomani sera si diede a me l'incar ico cli pronunciare un discorso commemorativo, prima della rappresentazio n e, Accettai. Raccolsi dai g iornali qual'lto più materiale p o tei, l o ricostruii e affrontai la ribalta. Mi feci ascoltare ed applaudire. I professori si cong ratularono meco . Fu quello il mio debutto oratorio.

Nei mesi che seguirono, nulla d'interessante. La vita scolastica continuava il suo ritmo monotono, Nel mese di giugno, mentre sgobbavo per gli esami finali, mi capitò fra mano un libro dell'avvocato F. Bonavita, intitolato / boz.zelli dtll'esule. Ne fecì una critica feroce e mandai l'articolo ali' ÀPanti ! Sconosciuto, temevo che mi cestinassero e mi sarebbe dispiaciuto. Invece comparve nella Piccola p oJ/a il seguente inciso, che mi riempi di gioia e di orgoglio: « La vostra c dtica cì va. La pubblicheremo non appena ce lo consenta lo spazio nella rubrica libri e riviste>~.

Aspettavo giorno per giorno l'articolo , che no n venne. Il Bonavita, capitato a Roma, impecll la pubblicazione dell'articolo, protestando ragio ni di opportunità. Poi scrisse a me per dichiarare che il mio auto da fi lo lasciava indifferen te, dal momento ch'egli poteva lusinga rsi di aver ricev uto le congratulazioni di G. [;ic] De Amicis. Replicai. Se avessi insistito la redazio ne avrebbe pubblicato l'articolo, ma io rinunciai. Fu quello il mio abbastanza fortunato debutto giornalistico sotto veste di critico letterario. Conobbi poi di persona l'autore che avevo ~osl acerbamente maltrat tato e mi legai con lui amicalmente.

Prima degli esami finali, fui nuovamente espulso dal coUegio, per essere rimasto assente una no tte intera. Non ci feci caso. Mi presentai agli esami formidabilmente agguerrito e a'ttenni, insieme con Alberto Calderara, la licenza d'onore. Poi venne il giorno dell'addio. La fraterna .intimità degli studi s'interruppe. Ognuno di noi affrqntava il suo destino e dall'a ngusto campo della scuola muoveva nel più vasto e pericoloso campo della v i ta.

Tornai a Varano. Ormai anch'io possedevo il documento, lo strac-

242 jOPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

eia di carta che abilita a qualche cosa, il diploma col quale si può conquistare il pane. Avevo diciotto anni. Da parecchio te rripo avevo abbandonato le pratiche chiesastiche e mi dicevo socialista. Ora si trattava di farsi largo, Prima di continuare, sento il bisogno di fermarmi a ricordare le figure dei miei compagni e dei miei professori. : Valfredo Carducci, fratello del poeta grande, c'insegnava italiano. Non era un'aquila. Il suo insegnamento si limitava al prngramma, quindi pochissima parte allo svolgimento critico della storia della letteratura italiana, commento d ei poeti limitato alla lettera , temi scritti che vertevano su quella decina di precetti, di massime, di aforismi concernenti la patria, la famiglia, la virtù, il dovere e altri venerabili luoghi comuni del genere. Talora io svolgevo un t ema contro al tema o non lo svolgevo affatto. Certi temi mi davano il senso della asfissia. Come professore era buono, indulge nte e ci voleva bene. Anch•io lo rispettavo e lo amavo.

Carlo G iovanni Mohr, lombardo, professava pedagogia e mo rale. In realtà il suo insegnamento era un caos, un omnibNs di tu tte le p iù disparate nozioni e culture, Egli mescolava insieme storia, geografia, pedagogia, filosofia, musica, poesia. Era infatti un enciclopedico. I nsegnava storia nelle tecniche, -pedagogia nelle normali, scriveva versi e li musicava. Non aveva metodo. I suoi libri di pedagogia erano un impasto di positivismo, di ideali smo, di empirismo. Aveva grandi idee innovatrici. T al volta ci assegn ava dei temi inverosimili. Ostentava le sue idee democratiche e s"OCialistoid.i sin nelle cravatte vermiglie. Aveva dato alla luce diver se pubblicazioni. Di essé ricordo un libro intito lato La dotina, caratteristico libro pieno zeppo di versi di tutti i poeti, di tutte le età. Un libro che non è stato preso sul serio. Forse per il suo contenuto, certo per la sua fo rm a Il professor Mohr mi p rediligeva fra tutti ed era con me di u na grande i ndulgenza. D opo il 190; lasciò la scuola_ di Fotlimpopoli, Ignoro il luogo preciso ove egli si trovi.

La storia e la geografia ci venivano insegnate dal professor Antonio Dalle Vacche. Uomo mediocrissimo costui e pedante sino all'abbrutimento Le sue lezioni erano torture, Ci costtingeva a degli esasperanti sfor2i mnemonici, Pretendeva l'esattezza assoluta nelle date della storia, nelle cifre della geografia. Bisognava imparare aila lettera e ripetere come pappagalli addomes ticati. Non sapeva parlare. Talvolta voleva elevarsi a voli oratori, ma le papere frequentissime Io gelavano sul più bello. lo mi dive rtivo ad annotarle. Avevo riempito tutto il retro bianco della carta dell'Africa. Egli se n'era accorto, ma non gliele risparmiavo. Talune papere g rottesche ed id iote le r icordo ancora, benché siano passati undici anni. « Fughire » invece cli fug-

LA MIA VJTA 243

gire, «capitombolò» invece di capitolò, «polonici>> invece di polacch i, « Obbligarietà » invece d i obbligatorietà, ccc. O g n i lezio ne era u na fioritura cli tali sche rze tti, che fornivano un pretesto cont inuo alla nost ra spregiudicata ilarità. Quest o professore mi avrebbe certo volentieri bocciato, ma. io lo prevenni imparando tutto a memoria, anche l'indice.

Il professor Tobia Cinsarelli ci ammaestrava nelle matematiche e scienze naturali. Il nome di Tobia gli va a pennello. È u n t emperamento linfatico. ,

Dì Angelo Ferai, professore di disegno, dì Godoli Pietro, professore di ginnastica, di Pedrelli, l'indescrivibile macchietta, professore di canto, di T erzo P eZ.Zi, insegnante di agraria, non vale la p e na di occuparsi.

Ecco ora le si lhouettes dei miei compagni. Garfield Morselli di Mirandola, grande grosso e minchione. N on ho avuto più sue notizie, Alberto Calderara di Bolo gna, studioso, sg ob?one. Sono anco ra in ra pporti d'amicizia. Inseg na a Bolog na. Cicognani Oberdan di ForU, mor to tisico . Sante Bedesch.i di Massalombarda, intelligente, spirito motteggiatore. Mario Alberici, lo studente «preciso». Ha fatto carriera. Insegna a Venezia. Genserico Baroncdli , la prova vivente e inoppug nabile che l'uomo d iscende dalle scimmie, Giuseppe Cocchi, orbiter elegantùrrum. Intellettualità meschina. Insegna a Bologna , No n ho più avuto rapporti con lui. Garavini Giovanni di Pesaro, maniaco e deficente. Ora direttore didattico a Santa Sofia. Allo ra innamorato cot to Carattere chiuso. Intelligenza meno che mediocre C.elli Dario, Riguzzi Secondo, Righi Natale, Bartolozzi Flavio, t utti di Fo rlimpop oli I più d eficenti della classe. Negli anni che seguirono m' inco ntrai con taluni di questi m iei compag ni di scuola. Nessuno aveva osato avven.turarsi per le vie d el mo ndo come ha fatto chi scrive q uest e pag ine.

244 OPERA OMNIA DI BENITO M
USSOLINI

XII.

Nell'estate del '901 mi preparai p er sostenere un esame s~ritto nella gara d'onore fra tutti i licen ziati delle scuole normali d'Italia. A Forlimpopoli ci presentamn:i.o io e il Calderara. Il tema venne da Roma. Dopo alcuni mesi si conobbe l'esito del concorso. Nessuno fu ritenuto meritevole della medaglia d'oro e d'argento. Quella di bronzo fu assegnata ad Alberto Calderara, col quale io sinceramente e amicalmente mi congratulai.

Nel settembre del lo ·stesso anno mi presentai a un esame di con• corso per quattro posti d'insegnante elementare · in Ancona, città. Andai, sostenni gli esami. Ero il più giovane fra una sessantina di concorren ti, alcuni dei quali colle barbe grige. Capii che per me non c'era nulla da fare. Non mi sono mai neppure preoccupato di conoscere il mio posto nella graduatoria generale.

Tornai a casa, e, nell'attesa di un posto, cominciai ad avvicinare una: discreta ragazza mia v icina di casa, certa Virginìa B. Il lavoro preparatorio non fu lungo. La fortezza non era i nespugnabile. Si tratt ava di una ragazza generosa. Un bel giorno, mentre tutti di Varano uomini e donne erano accorsi a San Cassiano ad ascoltare un por tentoso frate missionari<:>, io la presi lungo le scale, la gettai in un angolo dietro una porta e la feci mia. Si rialzò piangente e avvilita e tra le lagrime mi i nsultav:i. Diceva che le avevo « rubato l'onore ». Non lo escludo. Ma di qua le onore si parla ? Però Virginia non fu a lungo imbronciata con me. E per ben tre mesi ci amammo poco coll'anima e assai colla carne. Era di condizione povera, ma aveva una pe lle fresca e bianca. A poco a poco la relazione divenne palese Diventammo semplicemente più guardingh i.

Sul finire del carnevale 1902. intrecciai un nuovo amore colla si~ gnorina Venezia P. Dopo molte ricerche fui chiamato ad occupare un posto d'insegnante in una· scuola rurale del comune cli Gualtieri Emilia. Lasciai le mie fidanzate e partii. Giunsi a Gualtieri Emilia

Gualtieri Emilia è un paese situato sulla riva destra del Po, tra Guastalla, città di una cert a importanza, e Ba retto È congiunto a Parma dalla linea ferroviaria Parma-Suzzara. Il paese dista un chilometro circa dalla riva del Po, dal quale è difeso da argini possénti, sui quali cotrono le strade, Vi giunsi in un pomeriggio nebbioso e triste, C'era qualcuno che mi aspe ttava alla stazioni::. Conobbi nella

LA MIA VITA 245
il J; febbraio,

stessa giomata i maggio renti del paese, socialisti e a mministratori, e mi allògai a pensione p er quaranta lire mensili dalla famigli a Pa nizzi H mio stipendio era di lire italiane cinqua ntasei .mensili. No n c'era da stare allegri.

Il p aese e gli abitanti mi fecero buona impressione. Alla ·mattinadopo mi recai seni'altro a far scuola. L a mia scuola distav a due chilometri circa dal paese ed era situata n ella frazione di Pieve Saliceto, Avevo u na quara n tina circa di ragazzetti dall'indole assai mite. Presi ad amarli L'o rario era continuato. All'una finiva la scuola ed io ritornavo in p aese, dove potev o di sporre a mio piacere delle o re pomeridiane e se rali.

I p r imi giorni furono monotoni. Poi il cerchio delle conoscenze si allargò e divenne più intimo. Tutte 1e domeniche si ballava. O andavo anch'io. Fu durante il ballo che imparai a conoscere una bel· lissima sposa ventenne, che aveva il marito soldato, mi pare a Sulmona. Mi piacque. Simpatizzammo. Le scrissi Mi rispose D opo alcune m_is sive, fissammo un incontro, che ebbe luogo la sera del 2.0 marzo nella casa numero nove del vicolo Massa, piano secondo. Ricordo. Giulia F. mi aspet tava sulla porta. Aveva una camicetta rosa che spiccava nel chiaroscuro. Salinuno le scale e per due ore fu m ia. Torna i a casa ebbro di amore e di voluttà. Anch'essa to rnò a casa dai genitori di suo marito.

La nostra relazione durava da qualche settimana quando fummo scopert i. Il marito seppe e diede ordi ne di scacciare la moglie. E ssa si p rese i l suo piccino e riparò nella stanza dove ci eravamo incontrati la prima volta Allora fu mmo più liberi Tutte le sere io l'andavo a trovare. Ella mi aspettava sempre sulla p orta. Talora ci recavamo i n campagna e ci abbraccia_va mo sui prati lungo le rive del Po. Furono mesi incantevoli . Il n ostro amore era violento e geloso. Q uindi i ntercalato d a alterchi e da collere di breve d urata,

Il 1° maggio pronunciai un d iscorso che e ntusiasmò la folla . Fu u na giornata calda. Alla sera però non mancai all'abituale convegn o. Ci recammo insieme sulle rive del Po. Dì fronte a noi brillavano i lumi di Pomponesco sulla costa ma ntovana, A poco a p oco io l'abituai al mi o amo re esclusivista e tiran nico. Mi obbediva ciecamente. D isponevo cli lei a mio piacere. Nel p aCSe, la nostra relazione era oggetto dj scandalo, ma noi ormai no n ne facevamo più mi stero alcuno. Ci recammo insieme a certe sagre c ampes tri. I mesi intan to fuggivano. Le vacanze estive erano i mminenti. Allo ra io feci il divisamento di emigrare in Svizzera e te ntare la fortuna. Dopo avrei chiamato con me la Giulia,

246 OPERA OMNIA D( BENITO MpSSOLINI

XIII.

Il z9 giugno poco mancò non mi annegassi durante una traversata a nuoto del Po. Travolto dalla corrente, sarei senza dubbio perito se non mi fossi imbattuto nel canotto di un pescatore che aveva lanciato le reti, Fui raccolto e salvato. Nello stesso periodo di tempo lasciai la Venezia P. Essa mi scrisse una lettera angosciante, ma non mi fece recedere dal mio proposito. Telegrafai a mia madre pec avere il denaro necessario pel viaggio. Mia madre mi mandò telegraficamente quarantacinque lire. Gli ultimi giorni li passai quasi sempre in casa della Giulia. Ricordo tutti i particolari dell'ultima notte. Giulia piangeva e mi baciava. Anch'io ero commosso. Alle 5 della mattina la baciai per l'ultima volta. Il treno partiva alle 6. Le feci un cenno colla mano alla svolta del vicolo; poi continùai la mia strada, verso il mio nuovo destino. Sono passati dieci anni. Non l'ho più riveduta. Nei primi tempi del mio soggiorno all'estero mi scriv~va una volta alla settimana; poi, quando il marito che l'amava pazzamente l'ebbe, malgrado tutto, ripresa con sé, le sue lettere diventarono più rade. L'ultima cartolina la ricevetti nel 1905 al campo di .monte Baldo. C'era un semplice saluto. Ma la soreHa di Giulia mi mandò l'altr'anno 1910 una cartolina illustrata colla dicitura: «I buoni amici non si dimenticano mai». L'anno scorso 1911, da un amico di Gualtieri Emilia, ebbi notizie della donna che avevo tanto amata e della quale conservo sempre in fondo· al cuore il più gradevole dei ricordi, Anch'essa non può avermi dimenticato e forse sin nella più tarda vecchiaia il mio nome e 11 mio amore le torneranno dolci nella memoria.

Il 9 luglio a sera giunsi a Chiasso. Nell'attesa del treno che doveva portarmi nel centro della Svizzera, treno che parte alle 10,40, presi il Suolo e fui un poco stupito e addolorato quando nel corpo_ di una corrispondenza, intitolata Dùordini elettorali in due ,om1,1ni1 trovai la notizia dell'arresto di mio padre. A Predappio e ad Orte gli elettori di parte socialista e popolare avevano fracassato le ur.ne per impedire la vittoria ai clericali. L'Autorità giudiziaria aveva spiccato diversi mandati di cattura e uno di questi aveva colpito mio padre. Questa notizia mi pose davanti al bivio. Tornare o procedere ? Immaginai eh~ si trattasse di cosa di lieve momento e decisi di continuare il viaggio. Fraternizzai con alcuni rivenditori ambulanti di Pontremoli che

LA MlA VITA 247

si recavano a yverdon . Io no n avevo meta fissa. Avevo ingannato i miei genitori facendo creder lo ro che io avessi già il posto ass icurato. In realtà io non sapevo neppure dove sarei andato a fi nir e. N el pomeriggio del xo lug lio discesi alla stazione di Yverdon. Avevo in t asca clue Lire e dieci centesimi. Vendetti un bel co ltello a manico fi sso che avevo comperato a Parma e col qua le avevo ferito a un braccio la Giulia durante una delle nostre frequenti scenate. Ne ricavai cinque lire . Potevo vivere una settimana. ·

Yverdon è una picco la ·città. Pestalozzi vi nacque e la statua del grande pedagogista si trova nell_a piazza magg iore. Cercai lavoro, non ne trovai. Esaurite le mie d eboli risorse finanziarie, alla domenica mattina decisi di recarmi ad Orbe, paesello vicino, nel quale i fratelli Bertoglio stavano costruendo una fabbrica di cioccolata. Chiesi lav or o da manuale e mi accettarono. Il lunedl mattina, alle 6, entrai nel cantiere. Io non avevo mai lavorato e dopo poche ore le mani mi si gonfiaro no e screpolarono. Quella fa t ica era per me una to rtura. Lo o ra rio era sfibrante. Ben dodici ore al giorno I V'era un orologio sopra al cantiere. Io avevo di continuo gli occhi fissi su le frecce, che, a mio avviso, non si muoveVano mai. Alla sera, schiantato, colle ossa rotte, mi gettavo sopra un giaciglio di paglia e cercavo invano il son no DUrai una settimana, poi mi congedai, e alla d omenica mattina, insieme co n un bohhnien che ritrovai più tardi c/01v11 di un circo equestre, presi il treno per Losanna. G iunsi in questa città in un p omer iggio nubiloso. Le strade erano d eserte. Avevo alcuni indirizzi, ma non cercai nessuno. Avevo una venti na di franchi e mi recai a dormire in u n albergo di secondo ordine. Avevo studiato il francese, ma non lo capivo, perché le mie orecchie no n erano ancora abituate ai suoni d ella ling ua straniera. Ma su perai q ues ta difficoltà in poche settimane. Cercai lavoro, non ne trovai. Mc n'andai d all' albergo dopo aver salda to ·il conto e poiché non avevo più denari dell'alloggio mi feci il le tto dentro una cassa sotto a u na delle arcate del Grand p oni e v i passai parecchie notti. Dì giorno girovagavo nei dintorni della città e ml nutrivo _ di frutta e di pane. Venne il momento in cui non ebbi più neppure un soldo. Stetti più di quarant'ore senza tocca! cibo. Alla no tte, verso le 3 del mattino, mentre intirizzito dal freddo e lacerato d al digiuno uscivo dall'arcata del Grand poni, due guardie di Polizia mi scorsero, mi fermarono e credendomi un malvivente mi condussero al posto di Polizia. Capirono che avevo fame Mi diedero del pane. Videro che tre mavo d al freddo. Mi diedero delle coperte e mi chiusero in guardina. Mi avvolsi nelle coperte, mi gettai sul ta· votaccio e mi addormentai, Verso le 10 fui risvegliato e condotto alle carceri, ~ll'Evéthl, n el-

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l'attesa d i in formazioni. Si leg itt imò il mio arresto per vagabondaggio.

T emevo una espulsio ne, ma poiché avevo le carte in regola, fui scar~ cerato dopo tre giorni e messo in libertà. Allora mi presentai a t aluni dei miei compagni di fede . Ero riluttante a tal passo, poiché te mevo di e ssere confuso coi soliti scrocconi di mestiere. Fui prima di tutto soccorso da E milio Marzetto. Egli s'interessò del mio stato e mi diede ospitalità in una specie di solaio.

Il Marzetto, vicentino, scul tore in leg no, era una vittima d el '98. Espulso dalla Francia, si era trasferito a Ginevra e di qui a Losanna , dove aveva trovato lavoro e dopo faceva attiva propaganda social ista.

In quell'epoca.si stampava a Losanna, nella tipografia Ruedi, l' Au11e1tire del Lavora/on. Ne aveva assunta la direzione .il .professor Tito Barboni, p rofugo dall'I talia, dove ave va riportato una grave condanna per diffamaz ione. Cominciai a scrivere nel giornale. Un articolo in• t ito lato La virtù dell'allua fu riportato dalla Gùutizia di Reggio Emil ia. Il Barboni m'incaricò di scrive re regolarmente una cronaca politica della settimana. Bibliotecario della Fed erazione social ista italiana nella Svizzera era allora Gaetano Zanini, co macchiese, uo mo generoso sino al sacrificio Io lo aiutavo n el disbrigo delle sue mansioni ed egli mi passava qualche sussidio in denaro. Chiese ed otten ne per me, rendendos i lui g arante, una sta nzetta all'ultif!l,O piano della casa ch'egli abitava, 1a penultima <lei g rup po di Montmeillon, di fronte alla funicolare del Signa!, i ncantevole posizione fra i boschi. In quella stanza passai l'inverno 1902-903 .

LA MIA VITA 249
17, · XXXIII•

XIV.

Intcodottomi nell'ambiente socialista e operaio, fui conosciuto e apprezzato, Nel settembre trovai lavoro nel costruendo deposito delle macchine a Ravens, oggi subborgo [sic] di Losanna. Guadagnavo e vivevo, Mi era ormai abituato alle p iù rudi fatiche. Alla domenica tenevo conferenze nei paesi vicini. Inscrittomi al Sindacato manovali e muratori di Losanna, composto nella sua stragrande maggiora nza di operai italiani, ne divenni segretario, retribuito con cinque lire mensili e le consumazioni gratis durante le assemblee, che si tenevano nella sala superiore del « Caffè Bock )), in prossimità della piazza della Rissonne. Mio compito era quello di compilare i verbali, Teµninato il deposi to delle macchine, venne l'inverno e piombai nella disoccupazione. Il giorno di Natale del 1902 - lo ricordo bene - avevo tre soldi in tasca. G li amici mi aiutavano e i mesi tristi passarono, Nel marzo del 1903 mi recai a Berna. Fui accolto dai fratelli Cugnolfo e trattato fraternamente. Mi occupai come manuale. Per un infortunio sul lavoro, riposai durante tutto il mese di maggio. Ricordo che mi recavo di sovente ai giardini pubblici, dove avevo occasione d'incontrare assai di sovente una bionda tCdesca, che m'interessava. Feci in quel torno di tempo alcune conoscenze nella colo nia russa. Cominciai a balbettare il t edescò.

Nel mese di g iugno scoppiò lo sciopero de.i carpentieri. Una domenica mattina, l'<( Unione latina» di Berna, società in cui si federavano la sezione socialista e il Sindacato manovali e muratori, aveva indetto un'assemblea per discutere sulla situazione. C'era n ell'aria l'idea di uno sciopero generale. Io parlai, sostenendo questa proposta e accennando alla necessità di ricorre.re all'impiego dei mezzi violenti. Il mio discorso fu riferito alla Polizia. Nel giorno successivo ebbi un alterco col sopraintendente i lavori e mi licenziai. Dimoravo allora al « Mattenhof ». in Cecilienstrasse. Il 18 giugno, alla mattina, trovai una cart a colla quale mi s'invitava in questura, Vi andai. Introdotto in un ufft:io, mi trovai di fronte a un funzio na rio, che mi fece parecchie domande. Poi si alzò e mi dichiarò in arresto sotto l'imputazione di m inacce Comparve ro immediatamente due sbirri, che mi cacciarono i n una cella del carcere. Subii di versi interrogatori. L'accus a sfumò. Rimasi in prig ione dodici giorni, durante i quali non u scii mai di

250 / OPERA OMNIA DI B~NITO MUSSOLINI

cella. Il giorn o 19 fui sottoposto per due ore alle umilianti cd esasperanti misurazioni antropometriche. Fui fotografato cli prospettiva e di profilo e la mia immagine, numerata col' 1n 1, passò agli archivi della Polizia incaricata del servizio di sorveglianza sugli individui pericolosi. La mattina del 30 mi fu aperta la cella. Mi caricarono la valigia sulle spalle e mi condussero alla stazione. Nelle guardine _ della stazione mi fu comunicato il decreto di espulsione in linea amministrativa da tutto il cantone di Berna. Fu quello il primo saggio delle libertà repubblicane.

La notizia del mio arresto e conseg uente sfratto produsse una ce rta sensazione in Italia e negli ambient i italiani della Svizzera. Giornali e sodalizi elevarono unanimi proteste, ma intanto io venni condotto alla frontkra d'Italia. Giunsi a Chiasso il 1° luglio e fui consegnat o ali'Autorità italiana di Pubblica Sicurezza. Non parlo del viaggio da Berna a Chiasso nella stretta cabina del vagone cellulare i nsieme con altri quattro espulsi l Saremmo morti asfissiati dal caldo e dal fumo, se di quando in quando non avessimo trovato lungo le stazioni della linea del Gottardo delle persone caritatevoli che ci pagarnno qualche çhope [sic] di freschissima birra. Da Chiasso passai a Como e poiché qui nulla si trovava a rniò carico fui r ilasciato, Mi recai alla r edazione del Lavoratore Comasco, dove trovai il Momigliano, che mi riconobbe e mi soccorse. Rifeci un biglietto per la Svizzera e mi fermai a Lugano. Ma qui, appena disces0 dalla stazione, fui pedinato, arrestato e trattenuto alcune ore. L iberato, mi diressi a Bellinzona, e qui trovai fraterna ospitalità presso la famiglia Barboni, che vi si era trasferita insieme coll'Avvenire dti Lavoratore, che per alcune settimane fu compilato in gtan parte da me. Tenni diverse conferenze nel canto n Ticino. Poi, tra il luglio e l'agosto, ritornai a Losanna.

Di qui mi recai per alcuni giorni a Basilea, do v'e ra scoppiato un grande scioper o di muratori. Tornat o a Losanna, trovai occupaz..i one· quale commesso presso la ditta in commestibili Antonio Tedeschi. A metà settembre chiesi un aumento di salario, che non mi fu concesso e allora mi congedai. Mi accolse un altro commerciante, il De Paulis, nella rue Mercerie, e mi affidò le stesse mansioni. Vivacchiavo. Fu durante ·quell'estate che io feci a lcune conoscenze ne11a colonia rùssa. Con alcune raj legai con vincoli di viva amicizia. Ricordo la signorina Alness di Pietroburgo e Eleonora H ., colla quale l'amicizia si tramutò presto in amo re. Degli uo min i ricordo il Tomoff, bulgaro, l'Eisen, rumeno, e altri.

LA MIA VITA 251

Sul finire d'ottobre ricevetti da m io fratello Arnaldo il telegra mma seguente: « Mamma aggravatissima, vieni subito». L'istessa sera consegnai indumenti e libri all'amico mio intimo Sannini e partii. All'ind omani nel pomeriggio giunsì a F a rli. Noleggiai una vettura. Arriv ai alle otto di sera a Varano. Sulla_porta di casa trovai mio padre, mio fra tello e mia sorella, piangenti. Temei per un istante che mia mad re fosse morta e ch'io fossi gi unto in r itardo e nOn feci paro1a. Nell'anticamera incontrai il medico. Non era morta, ma Si trovava i n condi2ioni disperate, Il medico stesso mi proibl di penetrare ne lla stanza dove mia madre agonizzava. L'emozione di rivedermi dopo due anni l'avrebbe forse uccisa. Obbedii. Nella più angosciosa alternativa di speranze e di sconforti passarono otto giorni. Una sera mi decisi finalmente a farmi vedere, Mi avvicinai a mia madre. Mi riconobbe. Non poteva articolare le parole, ma la sua mano stringeva ne rvosamente la mia. I suoi occhi scintillavano di contentezza. I~ m'inginocchiai accanto al suo guanciale e non potei frenare le lacrime. Quella notte esaurimmo diverse bombole d'ossigeno. Temevamo la catastrofe da u n momento all'altro.

Alla mattina, invece, il medico constatò un tenue migliorame nto Alla sera il miglioramento era più accentuato. Non illudiamoci, però, diceva il medico. Non si può a ncora dire che ella abbia superato il punto cr~tico della malattia. Ventiquattr'ore dopo il iniglioramento era visibile. Il respico era meOo affannoso, il polso da centoven ti a centotrenta era ritornato a un rittno più r egolare, cominciava ad articolare qualche parola. Io la assistevo giorno e notte. Passarono alcuni giorni e il medico, dopo un'accuratiss ima vis ita, ci disse: « Ogni pericolo è scongiurato. L'ammalata è in via di guarigione, ma dovrà starsene in letto ancora per dive.rse settimane>>.

E il periodo della convalescenza cominciò. A poco a poco la vita ritornava a rifluire in quell'organismo che la malattia aveva atterrato, ma non vinto. Io seguivo giorno per giorno i progressi consolanti verso la salute. Sorvegliavo il regime dietetico per evitare ricadute. Facevo talvolta da medico, sempre da i nfermie re. E accanto a me l'Edvige, Arnaldo, mio p adre facevano t utto il possibile per affrettare la guarigione. Tutta la popolazione di Dovia e dell'intero comune si era vivamente interessata della sorte di mia madre. E durante la convalescenza

252 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI xv.

persone di ogni ceto vennero a congratularsi e a portare regali. Finalmente un giorno, sentendosi in forze, volle discendere dal letto. Si appoggiò a noi e, tremando, giunse sino alla finestra. E ra un tepido pomeriggio decembrale. Ella guardò rapita l'aspetto di quelJe cose che pareva non dovesse più r ivedere e pianse. Soleva dire che io l'avevo guarita. Prima di Natalè era completamente ristabilita.

Nelle ultime settimane di dicembre portai a compimento la traduzione dal francese ìn itali ano delle Parole.r d'un révolli di Kropotkin. Compii quel lavoro dietro incarico del gruppo comunista anarchico del Reveil di Ginevra.

Nella primavera del 1904 io dovevo andare soldato. Decisi invece di ritornare in !svizzera e precisamente a Ginev.i:a, dove l'avvocato Salvatore Donatini di Siena voleva fondare, insieme con me un giornale, anzi una rivista, I TeHJpi Nuovi. Mio fratello Arnaldo aveva finito i corsi della scuola agraria di Cesena ' e n on aveva trovato occupazione. 1'.fanifestò il proposito di venire con me. Mia madre si rassegnò dinnanzi alle nostre volontà decise. Ci preparò il denaro e H 27 d icembre partimmo. Gli amici di Dovia ci accompagnarono per un buon tratto di strada.

Alla mattina del 19; io deposi mio fratello alla stazione di Berna, lo consegnai ai fratelli Cugnolio che mi aspettavano. Io proseguii per Ginevra. Vi giunsi al 30. Faceva un freddo siberiano. Poiché D onatini era stato espulso da Ginevra, egli si era stabilito ad Annemasse, paese della Savoia, sulla frontiera, Lo andai a tro vare e c'intendemmo circa il giornale. Io dovevo in particolar modo occuparmi dei preparativi.

Facemmo e spedimmo delle circolari in Italia e in Svizzera, m'informai presso alcune tipografie ginevrine delle tariffe, sc rissi a diversi amici sollecitandoli ad aiutare la nostra iniziativa. Ma il nostro appello non fu raccolto. In quindici giorn i raccogliemmo appena un centinaio di franchi tra abbonamenti e sottoscrizioni. Con tale esigua somma ci parve follia insistere nell'attuazione del nostro progetto e ci rinunciammo.

Portai le mie tende ad Annemasse e mi allogai a pensione presso il e< Caffè di Provenza)), tenuto da u na coppia oriunda del sud della Francia e precisamente da Grange. Trascorsero i mesi di gennaio e di febbraio, lo e Donatìni facev amo del1e grandi passeggiate lungo le strade che costeggiavano H Salève du etremb#ru a Veyrier. Feci alcune conoscenze i nteressanti.

Un'avventuriera parigina, tal Rosa Dauvergne, aveva fatto girare la testa all'amico mio D onatini e )a signora Emilia C., nostra vicina di casa, flirtava con me. C'era fr~ noi due una sellsibile differenza d'età,

LA M IA VITA 253

ma (>amor,!! supera tutto. La signora Emilia venne a trovarmj nella mia garro11nilre a Ginevra, al boulevard de la Cluse trentacinque, ma non co nsumai l'adulterio. Ero ammalato e nell'imposs ibilità t empouoca di consum~rlo, Quell'amore è certo uno degli epìsodì pill strani dèlla mia giovinezza. Era una donna che aveva varcata la trenti na ed aveva cinque figli. Pure in quel torno di tempo commise le più pericolose follie, Sarebbe certo scoppiato lo Scandalo, se io sul finire di gennaio non mi fossi definitiv amente st abilito a Ginevra. Ci scrivemmo ancora per molti mesi, poi a poco a poco le lettere diradaro no. Nel gennaio del 1905 ricevetti un'ultima cartolina illustrata fer mo posta Verona, poi più nulla.

Ad Annemasse conobbi e amai per alcuni giorni, quale intermezzo sentimentale e platonico, Giulietta F .• una gra2iosa e pallida midineflt . Intanto, nel marzo 1904, fui condannato a un anno di reclusione, in contumacia, dal Tribunale militare di Bologna, per . diserzione semplice. ·

Il z3 marzo sosten ni, nella Maison d11 peup/(J di Losanna e dietro incarico della sezione socialista di quella città, un contraddittorio col pastore evangelico Alfredo Tag lialatel a di Roma, sul tema L'11omo e la divinità. Il resoconto di detto contraddittorio fu più tardi raccolto in opuscolo e pubblicato dalla Biblioteca internazionale di propaganda ra2io nalista, di cui io, insieme c on Luigi Piazzalongo di Ginevra e altri, ero stato il fondatore. D etto opuscolo è oggi quasi irreperibile.

A Ginevra le mie relazio ni con E leonora H. divennero p iù amicali. L'amicizia divenne qui ndi amore. Era una donna coltissìma, di origine polacca, sposata in Russia. Studiava medicina. Ho passato con lei delle ind imenticabili serate.

Io vivevo dando lezioni d'itaUano e scrivendo sui g iornali. I l Pro• /etario, quotidiano socialista in lingua italiana di New York, m i compensava gli articoli in misura di dicci franchi l'uno. Lottavo col disagio eco nomico. Passavo le mie ore libere nella Biblioteca universitaria di Ginevra, dove fortificai e accrebbi la mia cultura fil osofica e sto rica. Scrivevo regolarmente sull' Aovenire dd Lavoratore, che avev a trasportato le sue tende a Lugano, e sull' Auanguardia di Milano, allora diretta dal Labriola, dal Mocchi, dal Mo nicelli e da altri socialisti dell a sezio ne estrema.

254 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

X VI.

Il 18 marzo parlai, in rappresent anza dei sovversivi ita liani, in un g r ande comizio commemorativo della Comune, che si ten ne alla sala Handwerk ·a Ginevra. La Polizia, informata, cominciò a sorvegliarmi.

Il 6 aprile fui arrestato negli u ffici di Polizia, dove mi ero recato per ritir are il permù de .dj(}HT' rilasciat omi dalle Autorità fran cesi e accusato di altera zio ne della data del passapor to. L'accusa era un pretesto. Fui incarcerato nella prigione di Saint'Antoine. M a il colpo poliziesco n o n pass ò inosser vato. L a stamp a locale socialista, U Pmple, e anarchica, Le Reveil, denunciò l'arbitrio. D opo tre giorni la Camera di Consiglio mi proscioglieva per i nesistenza di reato. E leono ra H. mi veniva a tro vare tutti i giorni e mi confortava. Credevo di essere rimesso in libertà; invece mi venne comunicato un decreto di sfratto. Peci no tare alla Polìzia la mia qualità di disertore, Mi si lasciò la scelta della frontiera, Ma il venerdl sera 13 aprile, se n o n mi sbaglio, venn i condotto alla stazione e mi si fece p artire per Berna, I miei amic i di G inevra, info rmati, capirono l'infame tra~ello poliziesco e corse ro ai ripari Fu telegrafato ai compag ni del cant o n Ticino. All'indom ani, nella seduta del Consiglio canto nale ticinese, il liberale A nto nio F resoni spezzò una landa in mio favo re. D isse che le Auto rità politiche t icinesi non p o tevano re ndersi complici della polizia ginevri na n ella sua tentata e .p alese violazione dcl jnr genli11m, Giunsi il sabato sera a Lu cerna e vi passai la dome nica nella cella di transito, Era giorno di Pasqua. Le campane di Lucerna suonavano a festa. Fu quella una delle giornate più melanconiche della mia giovinezza. Ndla serata giunsero altri quattro italiani.

li luned.l mattina c'incatenaro no e ci condussero alla stazione. Di quj prendemmo il treno per Chiasso , Fu un viaggio infernale. Giungemmo nel pomeriggio ad Airola , la prima stazione sul versante italia no dopo il lnnnel del Gottardo . Appena fermoil convoglio nellistazio ne, un gendarme mo ntò nella n ostra vettura cellulare e domandò : « Chi è il Mussolini? >> . « Io », risposi, e mi feci vedere. « Voi discenderete a Bellinzona >)', replicò quegli. Il mio cuore s' aperse alla speranza. Mi fermavo prima de!Ja front iera itali ana, Il tren o si rimise i n mot o e dopo un'ora si fermava a BeUi nzona, Qui ven ni fat to discendere

LA M IA VI TA 255

Alla stazione ad aspettarmi c'era Giuseppe Rensi, che allora prendeva attivissima parte al movime nto del Partito Socialista. A cagione di alcune form alità, dovetti recarmi alla gendarmeria. Qui mi diedero da maogiare. Poi mi posero fo libertà. Andai a trovare il Barboni.

· Passai la serata in ·casa del Rc nsi. Telegrafai subito a Ginevra 1a mia scarcerazione. L'agitazione sollecitamente intrapresa ed energ icamente condotta dai miei amici mi aveva salvato.

Rimasi tre giorni nel canton Ticino. Poi tornai a Losanna. Di qui mi recai in battello a vapore ad Evians-les-Bains sulla costa della Savoia. e in treno giunsi ad Annemasse. Non vi tcovai Donatini. E gli a veva trasportato le tende in un piccolo paese vicino, del quale in questo momento mi sfugge il nome, Vi andai il giorno stesso. La mia apparizione fu una lietissima sorpresa per lui, che, ignai:o degli avvenimenti, mi pensava già consegnato alle Autorità m ilitari italiane. Alla sera stessa r itornavo ad Annemasse. dove mi tratte nni un paio di giorni.

Poi da Veyrier, col tram a vapore, una sera osai rientrare i n G inevra, malgrado il decreto di espulsione e quelli che lo avevano eseguito. Eleonora mi rimproverò la mia audacia e mi nascose nella sua casa. EUa se ne andò a dormire da una compagna e mi lasciò solo, sen:z:a però avvertire la padrona di casa, la quale, avendo sentito del rumore durante la notte e sapendo che Eleonora era assente, temè un'invasione di qualche ladro e fu a un pelo di mandare il marito a chiamare la Polizia. Anche quella fu una notte assai critica p er me.

Tornai senza incidenti ad Annemasse. Qui mi congedai dal D onatini e da Emilia, che fu in ciue i giorni vfrtima di una caduta dalle scale. Tornai a Losanna, dove il 9 maggio m'iscrissi all'Università, nella facoltà di scienze sociali.

I/avvocato ~assim Oscar, membro del Co mitato internazionale socialista sedente a Bruxelles, mi fece ottenere dalla Poljzia un permesso di sogg iorno per sei mesi, a patto che mi astenessi dalle ma nifestazioni politiche. Questa clausola forcaiola non ebbe alcun valore, poiché continuai a scrivere articoli, tener conferenze, ecc, S'iniziò quindi un periodo nuovo di vita bohème. Mia madre mi mandava qualche po' di denaro, davo delle le:z:ioni, scrivevo articoli e facevo della miseria. M'ero alloggiato in rue de la Carolinc, tredici , quasi di fronte alla Maùon du pe11ple. La mia padrona1 di casa era una buona vecchietta, che aveva una straordinaria fiducia in me. Molte sere, verso le 5, m'invitava a prendere con 1ei una tazza di tè. E aliora mi raccontava i casi della sua vita. Suo marito, un ubb riaèone," era morto da vent'anni; suo figlio - unico - era rimasto ucciso da un tegolo caduto dalla chiesa di Saint FrançOisin una giornata ventosa Glielo

256 OP.ERA OMNIA
DI BENITO MUSSOLINI

portarono a casa col cranio spezzato. Erano passati più di trent'anni e la voce le tremava ancora e g li occhi . le si riempivano a nco ra ·di lacrime quando ricordava quc:l fi glio ventenne cosi tragicamente ghermito dalla m orte, Sua figlia era cassiera in una latteria. Si alzava prestissimo e rincasava dopo le 10. Io stesso, che pur restai sei mesi in quella casa, non la vidi che pochissime volte. La. vecchia rimaneva quindi sola ·per tutta la giorn ata. Aveva settantrè anni e t emeva i ladri. Io uscivo di rado e quindi le facevo compagnia.

Fu quella un'estate di forte occupazione intellettuale. Divorai; si p uò dire, una biblioteca intera. Alla mattina mi recavo all' Università, nel pomeriggio studiavo in cas a e bevevo quantità inverosimili di tè zuccherato, Tradussi dal fran cese I cia rlatani nm· del Malot per la Biblioteca di propaganda razio nalista e p ortai a compimento, i nsieme colla Balabano.ff, la traduziooe, per l'Avanguardia S odalùta, del libro d i Kau t sky Am Tage. nach der 11Jzfalm Revolr,tion. Facevano con me la v ita da bohème il Serrati, pubblicista, tornato da N ew Yo rk, il T omoff, bulgaro, che ho già ricordato, l' Eisen, rumeno, il Bontscheff, bu lgaro, Gateaux, un parigino, Sigismondo BartoH, sarto romano. Ci aiutavamo reciprocamente. Il bene d i ognuno era il bene di tutti. Io m'ero specializzato nel portare i pegni al Monte di pietà. Nell'estate feci un giro di conferenze per Ja Svizzera ed ebbi modo di fare alcune conoscenze interessanti, come il professor Gaberel di Ne uchat el, il Pindes, superstite della Comune, a La Chaux de Fonds, e d i ri trovare q ua e là vecchi amici. Tenni nello stesso torno di tempo un « disg raz iatO » co ntraddittorio co n Vandervelde alla Maùon du peuple di Lo· sanna. Lo sciopero generale d el settembre ci mise in grande orgasmo. Eravamo ingannati dalle no tizie fa ntastiche dei gi orn ali svizzeri.

LA MIA VJTA 257

Sul principio d'agosto Eleonora H ., accompagnata -dalJa sua fida Sirotinine, partì per la Russia. Si fermò una notte a L osanna con me e da Losanna partimmo insieme. Ci lasciammo a Zurigo, Né p iù l'ho riveduta. Ho ricevuto lettere dalla Russia sino all'ottobre del 1908, quando stavo a Porli in via G iove Tonante. Ma da quattro anni non ho più sue notizie. Dimorava e fo rse dimora a Jaroslaw sul Volga. Dopo lo sciopero generale, la fam ig lia del re d'Italia fu allietata da un <C fausto evento». Cosl dicono nel loro gergo i fogli monarchici. Ven ne concessa un'amnistia, nella qua le fu compreso anche il reato di diserzione semplice, pel quale; come h o de tto, ero stato condannato in contumacia a un anno di reclusione

Due opposte idee tenzonavano nel mio cerveilo durante le prime settimane d'aut unno. Tornare in Italia, come desiderava ardentemente mia madre, oppure andarmene a New York? Considerazioni di natura complessa, materiali e sentimentali, mi fecero abbracciare il primo divisamento e nel novembre, fra il 1° e il 10, presi commiato dalla mia buona vecchietta di ruc de la Caroline, dai miei amici, dalla città ospitale e presi il treno pc.e l'Italia. Mi fermai a Berna a salutare mio fratell o, il quale aveva già provato la vita avventurosa dell'emigrante; mi fermai a Lugano due giorni, durante i quali, insieme colla Balabanoff, che allora di.cigeva il S11 Compagno I unitamente con Maria Giudice, incominciai la traduzione di un opuscolo .neomalthusianista di un dottore zurighese, lnderstgin 11nd k ein~ E,,de, di poi comparso in veste italiana sotto il titolo Meno figli, l'lltno .rchiavi; conobbi a Milano alcuni d egli << avanguardisti», fra i quali il Lazzari, e giunsi a ForU. Trovai mia madre in ottime condizioni di salute. Anche mio padre e mia sordla s tavano bene,

Ve nnero i giorni dell'inverno. Di giorno supplivo mia madre nella scuola; alla sera ci raccoglievamo attorno al fuoco nella più stretta ed affettuosa intimità. Il 1904 fini.

Il 14 gennaio del 190J partii soldato. Pernottammo a Modena, giungemmo a Verona il 16. Faceva un freddo cane. Ero stato asse• gnato alla terza compagnia del deci mo reggimento bersagl ie ri. ·

I primi giorni di vita miHtare passarono senza incidenti. L'esercizio fisico mi faceva be ne. Conobbi diversi r omagnoli, mi familiarizzai coi soldati di a ltre rcgionì.

258 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOL\NI
XVII.

Sul finire di gennaio fui non poco sorpreso da una lettera di mio padre, nella quale mi accennava a u na ricaduta di mia madre. Ritenevo però trattarsi di cosa passeggera Mi giunsero altre lettere, quasi quotidianamente, sempre più allarmanti. Io ero nella più angosciosa delle tcepidazioni. Una mattina il capitano Simonotti Achille della mia compagnia mi chiama e mi dice: « È g iunto per vo~ un telegramma urgente>). Glielo strappo di mano e l eggo : « Mamm·a aggravatissi ma Vieni». Rimango di pietra. Il capitano mi dice : « Oggi stesso part irete, all'una. Vi auguro buone cose. Speriamo in bene}}. Balbetto un g razie e mi ritiro in camerata in preda alla più triste desolazione, a i presentimenti più funerei. Quelle ore di attesa mi parvero lunghe come l'eternit à. Partii. E ra il 17 febbraio.

Giunsi a Porli alle 8 di sera. Senza preoccuparmi di prender cibo, m'Ìnqtmminai verso Predapp io. Feci di corsa quasi tut ta la str ada. Allo svolto di Dovia, v id i le fin estre della camera di mia madre illuminate. « È ancor viva I» pensai. Nell'anticamera trovai . mio padre, che si nghiozzando mi disse: « :8 fini ta I». Mi precipitai nella stanza. Mia madre si trovava da qualche ora in istato comatoso, aveva gli occhi offuscati, non mi riconobbe più, né poté articolar verbo. Solo le mani stringevano ner vosamente i lenzuoli. Il petto era scosso da un lento e profondo singulto, la fronte cerea gocciolava di un sudore freddo di morte. Gli astanti piangevano. Capii che la catas trofe era o rma i inevitabile, Il medico stesso aveva p erduto ogni speranza. Vegliai quella no tte.

Il giorno dopo, sabato, la situazione andò peggiorando. Mia madre era religi osa Il prete venne e cominciò a biascicare le sue preghiere Noi ci eravamo riti rati nell'anticamera. Alle 2. la porta si apd, H prete venne verso di noi e ci disse: « È in fin di vita I )>, Allora tutti accorremmo. Io m'inginocchiai accan to al guanciale e, coprendo di baci e di lacrime q uella mano già fredda, chiesi perdono a mia mache.

« Addio mamma I Addio mamma I Perdonami, se ti diedi dei di spiaceri 1 Perdonami I ». Poi a p oco a poco il singulto s'indeboll, il cuore rallentò il suo ritmo. P oi un grande silenzio. !viia madre era mort a. Alcune vicine la composero e la vestfrono, Noi, disfatti dal d olore, ci recammo a ~redappio. D ormimmo da mio zio Alcide.

Il lunedl mattina discendemmo a Varano pei funerali. Prima che la salma fo sse racchiusa nella cassa, io volli vedere ancora una volta le care sembianze. La motte aveva reso più esile il volto, più d iafana la carne, più bia nca la fronte. Pareva dormisse. I suoi li neamenti erano composti nella calma suprema del sonno che no n ha risveglio. Poi la rinchiusero nella cass:1. A h, i colpi del martello che batteva i chiodi come rimb o'mbavano sinistramen te nella casa deserta. Pareva che le

LA MIA VITA 259

punte acute si configgessero nel m io cuore sanguinante. Non parlo dei funérali. Furono semplici e solenn i. Mia m adre aveva quarantasei an n i. Solo· quarantasei anni ! Temeva di morire g iova ne e temeva la morte. 19 gennaio 19oj, la data più triste della mia giovinezza.

Le settimane che seguirono furono di silenzio e di dolore. Mio fratello Arnaldo ci scrisse da Be ma una lettera straziante. Il comando del reggimento mi accordò una licenza s traordinaria di due mesi Mio padre sembrava come paralizzato dal dolore. Non era più un uomo, , sibbéne l'ombrà di un uomo. La casa ci pareva cosi vuota da quando mancava lei I Venne m arzo e i p rimi tepori primaverili n o n ci sollevarono dalla melanconia. Gio rno e notte il pensiero nostro era rivolto all'assente che non· sarebbe più tornata.

260 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

XVIII.

Ai primi del mese il comune ordinò 1a riapertura della scuola, che venne affidata a una giovane maestra di Forlì, Paolina Dant i. Io stavo continuamente al sole.

La huova maestra era una signorina assai discreta, che strinse b entosto amicizia con mia sorella, addimostrando di prendere sincera parte al nostro dolore. Cominciammo cosl a parlare nelle due ore d'i ntervallo fra le lezioni del mattino e quelle del pomeriggio, del più e del me no. A poco a poco si strinse fra noi due un legame di vivissima simpatia, che divenne amore. Ci amavamo fortemente quando io tornai soldato a Verona. Dopo qualche mese però, a cagione di un malinteso, interrompemmo la nostra relazione epistolare.

Non dirò nulla della mia esiste nza sotto le armi. Sono stato soldato semplice. Non ho voluto gradi. Ho avuto occasione nel '9 0s di soggiornare alcuni giorni, durante il campo, sul monte Baldo, da cui si abbraccia con un colpo d'occhio il meraviglioso panorama del lago di Wrda, nel '906 a Recoaro e vicinanze, posizioni incantcvòli.

Quando fui congedato nel settembre del 1906, non tornai più a Varano. Mio padre aveva dovuto sloggiare per cedere i locali alla maestra titolare e si era trasferito a Dovia. Tra il settembre e l'ottobre stdnsi una specie di relazione semiamorosa colla maestra Virginia Salvolini.

Il 2.3 ottobre andai a Tolmezzo, capoluogo della Carnia, come insegnante elementare. Ricordo che pioveva sempre. A Tolmezzo ebbi il piacere di incontrare un mio compagno dì scuola, tal G iuseppe Lombardi di F orlimpopoli, che o ra si è sposato e stabilito definitivamente lassù. Dopo alcune settimane di pensione al « Cavallo bianco », cambiai e mi trasferii alla « Trattoria della Scala».

Sin dai primi giorni m'a vvidi che la professione del maestro non era la più indicata per me. Avevo la seconda elementare, che contava quaranta ragazzetti vivaci, taluni dei quali anche incorreggibili e pericolosi monelli. Inutile dire Che lo stipendio era modestissimo. Appena settantacinque lire mensili. Feci tutti gli sforzi possibili per tirare innam:i la scuola, ma con scarso risultato, poiché non ero stat o capace di risol vere sin da principio il problema disciplinare Seppi intanto che la Virginia Salvolini er a ad Osoppç>, che la Paolina Danti si trovava a Resia. Riallacciai le vecchie relazioni e ci fu uno scambio assai

LA MIA VITA 261

attivo _ di lettere. Intanto la vita della scuo la e più anco [a fa v ita del paese mi abbrutivano.

Jl 1907 è stato per mc. almeno durante i primi suoi otto mesi, un anno di abbrutimento e di dissipazione fisica e spirituale. ·

Durante il carnevale strinsi una relazione amo.rosa con tale Graziosa Bocca, che abbandonai per la padrona della pensione, Luigia P., d o nna sulla trentina e ancor bella e piacente nonostante il suo avventu roso passato. Dall'aprile all'agosto durò assidua la nostra relazione. Il mari t o ringhiava, ma il disgraziato non sapeva che partito prendere.

L'anno : scolastico terminò, ma io restai a Tolmezzo, perché a vevo molte lezioni private, che m i raddoppiava no lo stipendio. Gli ultimi mesi forano assai tempCstosi. Ebbero luogo tra me e il mati te della P. spiegazioni assai penose, scambio d'invettivc e un pugilato, nel quale la peggio toccò naturalmente a l m arito, più vecchio e più debole di me Nel paese n on si parlava che cli questa nostra scandalosa relazione. La P . mi v oleva bene, un bene esasperato dalla gelosia e dal sospetto~ in parte giustificato. Mi amava pazzamente.

T ra i miei scolari privati ricordo Tullo Mazzona di Verzegnis, Antonio Del D ogan da Ebemonzo, la signorina Candussio e altri.

Verso la fine d'agosto m i decisi a tornare in Romag na, Gli ultimi g iorni di comunanza colla P. furono appassionati e folli. Ci scambiammo lettere, regali, promesse, giu ramenti. Poi una sera part ii. Quando la salutai per l'ultima volta, ell'era evidentemente commossa e tratteneva a stento le lacrime. Le scrissi anco r prima di g iungere a casa, da Ven ezia e da Bologna. Per alcuni mesi la P. mi mandò giornalmente lettere e cartoline. La lonta nanza non aveva affievolito il suo amore e il mi o ricordo. L o aveva anzi esaltatp I

Tra il settembre e l'o tto bre conobbi e stri nsi una relazione amorosa, a dire il vero assai su perficiale, colla signori na G iovànnina P. [di] Fiumana. Il 14 settembre partecipai alle feste d ant esche di Raven na. Nell'ottobre mi preparai alacremente per conseguire all'Università di Bologna il diploma di abilitazione all'insegnamento del francese nelle scuole secondarie. Sostenni l'esame e, n aturalmente, riusci i, Da Bologna comunicai l'esito felice dei m iei esami alla signora di T olmezzo. Tornai a casa e trascorsi nell'attesa di un posto i mesi invernali. Nel gennaio mi prese vivissima nostalgia della Carnia e delle sue don ne, Il 14 gennaio del 1908 sbarcai a Udine; di q ui alla stazio ne per la Carnia. Non trovai la diligenza e feci a piedi la strada. Si tr atta di quattordici chilometri. Alle 1 0 di sera, coperto da un ampio manteJlo, con un berretto di pelo calato sugli occhi, bussai alla porta della« Tratto ria della Scala ». Mi venne ad aprire Luigia. Mi g uardò negli occhi. Mi riconobbe. Sembrava folle d alla sorpresa, Salimmo le sca le che mi

262 OPERA OMNIA DI BENITO M
USSOLINI

erano cosl note, entrai nella stanzetta dov'ero solito mangiare. .. . E il marito? D ormiva. Mi rifocillai. Passammo alcune ore deliziose; poi, sempre in incognito, mi recai a un albergo vicino. Nessuno del paese mi riconobbe, nessuno ebbe no tizia del mio arrivo. Alla sera avvertii della mia presenza alcuni amici, che mi Vennero a salutare all'albergo e capirono lo scopo della mia improvvisa scappata lassù. Pi ù tardi, lungo la strada, m'incoptrai colla P., accompagnata da sua sorella. Ci scambiammo nuove promesse, ripetemmo i vecchi giuramenti. All'io• domani mattina partii. Mi fermai alcuni giorni a Udine, poi riguada· gnai la Romagna.

Ho dimenticato di dire che nel 19Ò7 mia sorella Edvige andò sposa a Michele Mancini, bottegaio di Premilcuore. Mìo padre dmase solo ,

LA MIA VITA 263

X IX.

A mezzo di certo Fietta, che ha un ufficio di collocamento per insegnanti a Milano, mi capitò sui primi di marzo 1908 un p os to di professore di francese nel collegio civico di Oneglia. Accettai e partii. G iunsi a Oncglia il 6 marzo, a sera.

Ero caduto nel solito tranello. N on dovevo solo insegnare, ma fare l'istitutore nell'intcrrio del collegio. Rifiutai questa mansione antip a· tica e poiché l'an no scolastico era inoltrato il rettore Pacifici si rasseg nò alla mia precisa volontà. Mangiavo in collegio, ma non avevo nessuna ingere nza nell'andamento disciplinare interno del medesimo; finite le mie lezioni, tornavo libero cittadino. Avevo una stanza in via Umberto I.

A Oneglia mi ambientai facilmente. Il comune era amministrato da socialisti . Simpatica città dalla gente franca e ·ospitale I Ne avrò sempre nel cuore la più grata delle ricordanze I I miei compagni mi assegnarono il compito di di rigere La Lima, il settimanale socialista del collegio e tale compito assolsi sino alla mia partenza, L'anno scolastico passò senza incidenti degni di nota. Pcrònelmese d i magg io fummo turbati da una grave sciagura. Un collegiale, nativo di Cagliari, dove il padre esercitava la professione di medico, tale Ac hille Anchisi, morì dopo brevissima malattia, Non p arlo delle polemic he sostenute da me nella Litna contro i monarchici del Giornale Ligure, rappresentati da un imbecille sgrammaticato, che firmava Cbicot le sue slavaturè da sguattero II prefetto Rovesenda della vicinissima Porto Maur izio fece pressioni sulla direzione del collegio onde ottenere il mio licenziamento, e, natu ralmente, ci riusd . Avevo grandi simpatie nella cittadinanza onegliese, e una fanciulla, tale Giovannina A , mi aveva dato H suo amore.

Ai primi di luglio abbandonai , con grande rimpianto, Oneglia. Gli amici mi diedero alla vigilia un suntuoso banchetto, nel quale intervennero tutte le notabilità onegliesi.

Tornai in Romagna. Giunsi a Predappio in Un periodo di agitazione agraria per la questione dello scambio d'opera durante la trebbiatu ra. V i partecipai e venrii arrestato il 18 _ luglio e accompagnato a Porll con una scorta di tre carabinieri e trentasei cavalleggeri. Un corteo fantasticò> al chiaro di luna I Giudicato per direttissima> venni condannato il martedl successivo a mesi tre di reclusione e miJle lite di multa.

264 OPERA OMNIA DI BENITO .MUSSOLINI

Ottenni la libertà pro~isoria d opo dodici giorni di arresto e al giudizio d'appello nel n ovembCe la Corte sgonfiò del tutto l'assurdo e infame pallone p o liziesco, riducendo la pena a d o dici g io rni, co l beneficio d ella legge del perdono e l'aluo d ella non iscrizione della condanna nel casellario penale.

Scarce r ato, riallacciai la re lazione con la Giovannina P. di Fiumana, relazio ne che interruppi definhivamcnte di lì a poche settimane , N ell'estate dello stesso anno mio pa dre, i n s9cie tà con certa Anni na Lombardi, vedov a Guidi, decise di trasferirsi a Forll per ese rcitarvi un'ost er ia i n so bborg o Mazzini.

Affittammo il podere Vallo na per nove anni a certo Sebastiano Malucelli, al prezzo annuo di quat t rocentonovanta lire e col 1 ° novembre 190 8 s alutammo il nost ro v ecchio e caro villagg io di D ovia e ci stabilimmo a Fo dl. P oiché per me n on c'erano stanze dispo nibili nella casa pat erna, presi una stan za in vi a G iove T o nante. L e p rime settimane di commercio an da ro no a gonfie vele , tan to ch e sul fi nire dell' anno una d elle fig lie della Lombardi, la Rachele, lasciò la farniglja ov e si trovava a servire pe r venire in casa nostra. La Rachele no n era più la bambina alla quale avev~ fatto scuola tante volte invece d i m ia madre ; e ra invece una rag azza nel fi ore della giovi nezza e fin dal primo momento in cui la vidi m i p iacque e decisi di farla mia, come infatti è accaduto. ·

Pass ai i mesi di novembre, dicemb re, gennaio a Forll. Nel febb raio del 1909· mi fu offerto il p osto di segretario della Camera dd lavoro di Tren t o e quello di diretto re d el per iod ico socialista l' Avvenire del Lavora/ore, pure di Trento Accet tai e p artii. Prima di partire feci capire alla R achele che io, torni1, to dall'Austria, l'avrei sposata.

Giun si a Ttcnto il 6 feb b raio , alle 9 di sera N evicava. C'erano alJa staz ione a ricevermi a lcuni co m pagni, fra i qu ali l 'o norevole Avanci ni ed ~mesto ·Ambrosi , col quale m i avvinsi di p o i colla più fr aterna amicizia. Uscendo dalla stazione riportai un'indicib ile impressione del colossale m onumento a Dante. Alla mattina seg uente, insieme co l Gasperi n i Domenico, mi reca i per u n a c onferenza a Merano, il K urort più quotato del basso Tirolo. N ei g io r~i seguenti presi possesso del mio u fficio Trovai un gio rnalino di formato microscopico e fatto con criteri giornalistici assai dubb i D opo quattro ,numer i mi presi la resp onsabilità di ampliare il forma to. Il te ntativo riuscì. La t iratura da milleseicento sali a due mib.quattcocento. Il Gasperini, che da T re nto si era ·recato nel Voralberg , lavora va per la diffusione del gio rnale in quella v asta provincia, ·dov e lavo rano non meno di v enticinque mila italiani.

D fod.ì in seguito la m ia co11aborazio nè al P op olo, il q uo tidiano s o-

LA MIA VITA 265
18.
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dalista diretto dal Battis ti. Le violenti polemièhe ch'ebbi a sostenere coi cle r icali diedero luogo a molti i ncidenti e piccoli proèessi, terminati con liev issime condanne, che ho espiato: La mia azione tra le masse operaie, che guidai in alcune agitazioni fortunate (falegnami, terrazziéri) e in altre sfortunate (ricamatrici), la mia propaganda orale e la mia opera di giornalista aveva no risvegliato l'ambiente; Un'intervista con una santa (Susà) fece grande impressione. A mezza estate entrai redattore capo al Popolo. Questo fatto eccitò i clericali e i nazionalisti. Cominciarono le trame segrete per ottenere il mio sfratto. Io continuavo sempre a battagliare violentemente. Mi sottoponevo a un lavoro sfibrante, qual'è quello di dirigete u n a Camera del Lavoro e compilare quasi da solo un quot idiano, sia pure di formato modesto, e un settimanale. Vegliavo tutte le n otti. Ho passato delle sere indirilenticabili. Non parlo delle mie relazioni col sesso gentile. Ebbi diverse relazioni. N o n faccio nomi perché sono troppo recenti.

Improvvisamente, il 10 settembre alle ore 4 del pomeriggio, fui arrestato C: tradotto a Rovereto sotto l'imputazio ne di diffusione di stampati incriminati (accusa insostenibile). I miei amici non indugiarono. Capi rono che l'arresto era il pretes to per colpirmi d i sfratto. Si agitarono a Trento e a Vienna, ma non p oterono deprecare l'inevitabile. Tradotto dinnanzi al Tribunale di Rovereto, fui assolto. ,Lo stesso Pubblico ministero ritirò l'accusa. Ma il procuratore di Stato mi trattenne in arresto. Allora incominciai lo sciopero della fame. Le Autorità, impressionate, accelerarono il corso degli avvenimenti. Alla domenica matti na 2.6 settembre mi ve nne comunicato il decre to cli sfratto e alle 2. del pomeriggio partii in vettura per Ala.

266 OPERA OMNIA DI BENITO
MUSSOLINI

La Polizia aveva cercato di fare le cose clandestinamente, m a pur tu t ta v ia la notizia del mio sfratto do veva esseretrapelata,poichéquando la ca nozza uscl dal portone delle c a rceri, parecchie decine di pecsone m i s alutarono e mi acclamarono, Giu nto ad Ala, fui rimesso i n libertà, previa d ichiarazione al commissa r io ch e sarei partito. Ad A la ebbi occasione di salutare diversi amici c he mi avevano seg uito col tre n o s uccessivo . Alle 9 dì sera giunsi a Ve rona. All'in d omaÒi scoppiò in tutto il Trentino lo sciopero generale di protesta cont ro il m io sfrat to. Sciopero impressionante e solenne. Tut t a la stampa italiana e austriaca si 'OCcupò diffusamente del mio sfratto v oluto da l cle ricalismo trent ino a11eato colla Polizia regio-imperiale.

Res tai una settimana circa a Verona. A1la domenica successiva 3 ottobre ebbi un ultimo convegno coi miei amici trentini a Peri, l'ultimo paesello itaUano verso la ·frontiera austriaca. Anche quella fu u n a giornata indimenticabile.

La mia attività intellettuale nel Trentino fu quasi completa me nte giornalistica. Collaborai nella rivis ta V ita Trentina, tradussi le }.,femorie di un'operaia dal tedesco, raccolsi il materiale pe:r un libro, che h o pubblicato nel 1911 sul Trentino, e per un romanzo, che fu pubblicato nelle appendici del Popolo dopo il mio sfratto Un r o manzo da s arti ne J, smtation. Mi dicono c h'ebbe un gran successo . Il che non d epone molto a favore d ella mentalità dei lettori delle appendici nei fog li quotidia ni.

Il j ottobre g iunsi a Fo r B e presi alloggio n ella mia casa. Nelle sett imane che seguirono dich iarai il m io a more alla Rachele, che mi corrispose. Nell'attesa di unirmi con le.i la m and ai, tra il 1909-'10, a San Martino ~ da sua sorella. Volevo toglierla dall'ambiente. di q uell'os teria, tanto più che non v'era ormai p iù assoluto bisogno dell'opera d i lei. Mio padre e sua madre erano decisame nte contrari - ognuno per diverse ragioni - al nostro matrimonio e ci furono in quel torno di tempo episodi assai tempest0si.

Quello del 1909 fu per me un ben triste Natale I D'altra pa r te n o n sapevo ancora che. fare per guadag n ar mi la v ita. I compag n.i di Porll mi o ffrivan o il posto d i segre tario della Fed erazio ne socialista ; il mun icipio di A rg enta mi aveva già nominato impiegato c ap o allo Stato civile; avevo g randi probabilità di a n dare in America ·come g iorna-

LA .MIA VITA 267
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lista. D ~cisi di restare a Forll e qui fondai La Lolla di Claue, giÒrnale che nacque sotto tristi auspici . il 9 gennaio 1910, ma che ha smentito però le lugubri profezie dei suo i volonterosi necrofori. Questo giornale, a l qua:le h o dedicato gran par te della mia attività, ha g ià amplia~o · e sta, m entre scrivo, per ampliare il suo formato Da organo di una Federazione diventato organo dei socialisti di tutta la provincia e da milleduecento copie iniziali ha portato la sua ticatura a quasi tremila.

Il 17 gennaio del 1910 mi unii, senza vincoli ufficiali, né civil i, né r eUgiosi , con Rachele Guidi. Prendemmo un appartamento ammobiliato in via Merenda nu mero uno, interno, e ivi abbiamo passato l a nostra breve luna di miele. Breve, perché il 2.7 gennaio mio padre fu colpito da malore e precisamente da g rave emiplegia con perdita delle articolazioni di tutto il lato d estro. Lo portammo all'ospedale e qui le sue condizioni migliorarono, tanto che il 9 febbraio successivo pote mmo riportarlo a casa. Qui poté dopo alcune settimane abbandonare il le tto e camminare appoggiato a un bastone e trascinando Jé gambe. Ormai era l'ombra di un uomo! Egli venne qualche v olta a trovarmi in via Merenda, durante l 'estate.

Il 1 ° sc;ttembre, alle 3 del mattillo, la mia compagna partorl felicemente una bambina, alla quale ho pos to no me Edda.

A mezzo ottobre mio padre volle rivedere un'ultima v.olta Predappio. Vi andò, festeggiatissimo, e v i cimase alcuni giorni. Quando tornò a Ferii, ebbe un nuovo attacco. Si pose a letto domenica 11 novembre. Nelle quarant'otto ore successive il suo stato andò aggr avandosi. Perdette la paro la. Telegrafai ai miei fratelli, che si affrettar ono a venire Un giorno, il me rco ledl, Rachele portò la nostra piccina al no nno. Eg li la prese vicino e sorrise. Fu l'ultimo lampo della sua intelligenza.

li g iovedì entr ò in agonia. Il sabato mattina , alle 4, spirò, assistito da mio fratello Arnaldo e dalJ'Ed v ige. Non aveva che cinquantasei ann i. Amore e pietà fig liale mi spinsero a scrivere di lui un elogio funebre, che comparve nel numero della Lolla di Claise uscito l a setti mana successiva. Dopo la morte di mio padre, cedemmo ad altri l'osteria. La Nina si stabill con noi, che trasportammo, il 3 d icembre 191 0, le tende in via Albicìni C.esare.

Nel 19u ho continuato 1a m ia ope ra giornalistica. Ho tradotto il primo volume della Grande révol ution d el Kropotkin, ho scritto un volume su Huss d'imminente pubblicazione. fo maggio mi sono teasferito in ·piazza XX settembre.

Dopo lo sciopero generale di protesta contro l'impresa di Tripoli, e precisamente il 14 ottobre, ·sOno stato arrestato. Processato dal 18

268 , OPERA O~INIA DI BENITO MUSSOLINI

al 23 novembre, il Tribunale di F orlì mi condannava a dodici mesi di d etenzione, che la Corte d'Appello dduceva il r 5 febbraio a soli cinque mesi, ch e ho già espiati, poich é tra sedici o re sarò scarcer at o .

Ho avuto una g iovinezza assai avventurosa e tempestosa. H o conosciuto il berie e il male della vit a. Mi sono fatto una cultura e una salda scienza. Il soggiorno all'estero mi ha facilitato l'apprendimeri.t o delle ling ue moderne. In ques t i dieci anni ho deambulato da un orizzonte all'altro: da Tolmezzo a O neglia, da O neglia a T rent o, da Trento a Forlì, Sono tre anni che mi tr ovo a Forll e sento già nel sangue i l fermento del nomadismo che mi spinge altrove. Io sono un irrequieto, un temperamento selvaggio, sch ivo dì popolarità.

Ho amato molte donne, ma ormai su questi amo ri lo ntani stend e il suo grigio velo l'oblio, Ora a mo la. mia Rachele e anch'essa profonda men te m i a ma

Che cosa mi r iserba l 'avve nire?

F inito d i scrivere l ' u marzo 1912, vigilia della m ia scar ce razione, ore 3 pomeriggio, cella nume ro tre ntanove, carccr.i di Forti.

LA MIA VITA 269

GIOVANNI HUSS IL VERIDICO

PREFAZIONE

Narrare la vita di Giovanni Huss non è certo, almeno in Italia e coi mezzi di cui si dispone qui, la più agevole delle imprese. Le ope re latine dell'eretico boemo sono irrcfÌeribili nelle n ostre b ibli oteche, le opere czeche o voltate in czeco non sono state anco r a trado tte in italiano, né chi scrive queste righe ha la fortuna di appartenere al gru p po minusco lo degli italiani che sanno leggere correntemente lo czcco Malgrado queste abbastanza grnvi difficoltà, ritengo di · aver fatto opera non inutile. Io spero che la lettura di queste pagine familiarizzerà il pubblico dei liberi pensatori, coll'epoca, la vita, l'opera del pi ù ig norato degli eretici d'oltre Alpe. A titolo bibliografico dirò che assai nelle mie ricerche mi sono g iovato degli scritti di Luigi L oger, pubblicati nella Rtvfle Suisse (1879), Huu et fu huuiles; del Bezhold, Storia ddla rifor,114 in G ermania; del Cantù, Racronti di storia llflivt na!t ; della Biografia universale; del cardinale H ergcnr6ther, Storia universale della . Chiesa; e di qualche altro minore.

Consegnando questo libretto alle stampe, formulo l'augurio ch'esso susciti nell'animo dei lettori l'odio · per qualunque forma di tirannia Spi rituale e profana, sia essa teocratica o giacobina.

B M

L' EPOCA E I PRECURSORI DI HUSS

L1 g rande corruzi one della Chiesa di Ro ma nei secoli XIII ·e XI V e successivi è ort;nai pienamente docu mentata e messa nella debita luce. Nessun paese d'Europ a può dirsi immune dallo scandalo morale d egli eccJesiastici

I cronisti d'Italia, d i Francia, d i Germa nia, di Aus tria, ci offrono un materiale immenso. Le invettive dei poet i italiani - Dante , Petrarca - sono il grido di anime esacerbate dallo spettacolo d i u na degenerazione irresistibile. I movi menti ereticali che :fiorirono i n Ita lia, in Franda, in Boemia rappresentano tentativi d'opposizio ne alla Chiesa di Roma decaduta dal suo minis terio antico, schiava del metcantilismo profano, legata al Dio Mammone, al denaro che umilia tutte le fed i. Nel XIV secolo la Chiesa cattolica era diventata una colossale agenzia d'affa ri spirituali e materiali; i primi serviv:ano di pretesto e di maschera pei secondi. Roma era la sede centrale della ditta, ma le filiali erano disseminat e per t utta Eur opa. Commessi v iagg iat o ri, in ves t e talare o laici~ passavano da convento in convento, da città a città., da n azio ne a nazione, intenti sempre a rinsaldar e le trame e ad assicurare i p rofitti commerciali della Cu ria. Fede rico van Bezhold, professore all' Università cli Erlange n, nella sua magn ifica Storia della rifor111a in Germania (opera tradotta dal Valbusa e pubblicata nel 1901 dalla Società &litrice Libraria di Milano) scrive:

« La Curia fu definita una macchina g igantesca per far denaro; il proverbio ch e in Roma era tutto venale non era pun to un'esagerazione, poiché col dena ro si poteva aver tutto, dalla più piccola prebenda al cappello cardin aliz io e dal permesso di usare il burro m~ i ,giorni di digiuno sino all'assoluzione de ll' assass inio e d ell'incesto ». (Pag. 8).

I conve~ti che, secondo i primitivi fondatori, avrebbero dovu to costituire un asilo di uo mi ni puri, erano diventati il ricettacolo di tutti i parassiti, adoranti il Signore, con letizia di sensì e dl piaceri viziosi.

Dalla s~nsualità e d alla rapacità dei monaci, n essu ~o - maschio o fe mmina - si salvava. Fed e rico vo n Bezhold a pag . 101 naHa i seguenti episodi:

« Al pro bo benedettino (rara avisl) Nicolò von Stegen una volta le donne de lla sua . p a tr ia narrarono tra molte risa ; "Oh imè , i [ nost ro q uest uan te dell'Ordi ne di San Agos tino abbraccia tutte le fanciulle che incont ra, ed è ben diffici le che una fantesca g li passi d 'accanto senza essere da lui baciata· . G eiler vo n Kaisersberg (un u onista tedesco) d ichiara che "tutti i conven ti non rifor mati sono ricettacoli di malfatto ri . Le monachelle e i novizi che enlr:ino g iovine tti, diventera nno bagasce e furfan ti" Una libertà s candalosa - continu:i Bezhold - segnalava innanzitutto i conventi femminili Gli amanti and;ivano e veniva no a lo ro piacere. Le mona che andavano attorno in abbig liame nto cive tt uolo e bene attillato, ballavano e frequentavano per6no i bag ni pubblici. Dal convento di Mariensec nel Brunswick fuggì una mon;1ca, la fi,s:liil del duca G uglielmo, ves tita da uomo, e q uando il suo amante, u n cappellano, si rifiutò di fuggire con lei, se ne anJò sola Pel mondo in cerca di nuo\·e avvent u~ amorose. Q uarlto non è commo11ente un raccon to del Tri temio di un convento di monache nella Frisia, al q uale i d iavoli non lasciavano un momento di pace: "Si vede vano 10110 for ma di giova ni entrare per l e fines Jre, salt(!re nel dormiIorio e nirrere nelle re/le .. », (Bezhold, pag. 102).

La venalità della gerarchia ecclesiastica non conosceva limiti , né ostaco li. Le cariche s i comprav ano e si vendevano. Col denaro si g iungeva 6.nanco alla sedia di Pietro. L a compravendita delle cariche nella gerarchia ecclesiastica era uno d ei maggiori cespiti d'e ntrata per la Curia roman a. E Andrea di Cescky Brod, cronista boemo , con fras e concisa, lapidaria afferma:

« Fra g li ecclesias tici nessuna d isciplina, fra i vescovi pubbl ica simonia, t ra i monaci d isordini senza fine, tra i laici nessun abuso che gli ecclesiastici non abbiano già pra ticato :t

Il celibato ob b ligato rio aveva d eter minato tra i preti il concubinagg io pubblico, permanente e legalizzato, previo pagame nto di co ngrua tassa.ai vescovi. Le cerimonie del culto avevano assunto uno spiccato carattere carnevalesco.

Ora !i va ,on motti e ,011 ù a d~ a preditar, t pur che ben 1i rùla gonfia il cappuccio e più mm Ji richitdt

dice Dante. La comicità, lo s cherzo, il lazzo, qualche volta tu r pe, infiorano i ser moni dei predica tori d ell'ep oca. . Be nvenuto da I mola ci narra di un Andrea, vescovo di F irenze, ch e portava in pulpito un

276 OPERA OMNIA DI BE NITO MUSSOLINI

granello d i seme di rapa, poi traevasi di sotto la tuni~a -una grossissima rapa e diceva:

« Ecco, quanto è mirabile la potenza di Dio, che da sì piccol seme trae sì gran frutto!».

La qual constatazione p ro vocava uno scoppio di sonore risate nel pubblico dei fedeli. Assai di frequente i goliardi occupavano le chiese e vi facevan baldoria. Huss stesso, con accento savonaroliano, ci desc rive una di queste scene:

« Ahimè, nella mia giovinez:t.1 h o partecipato una volta a una ma schera ta. Uno studente infame fu nominato vescovo, lo si mise a cavalcioni di un as ino colla faccia voltata verso la cod a, lo si condusse alla messa. D avanti a lui veniva recato un piatto di mi nestra e un boccale di birra e anche nella Chiesa veniva no tenuti dinanzi a lui. Lo vidi da r l'incenso al["altare, a lzare i l piede in aria e. gridare a voce alta: "Bevuto!". E gli student i porta vano dav.:inti a lui d elle grandi tor ce a guisa di ceri, egli andava incens.:indo da a lta re ad alta re. Poi gli studenti voltarono a rovescio i loro berretti. e si misero·a ballare ne lla Chiesa e: il popolo guardava e rideva e s"immaginava che si tratta sse di riti sani.i e legìttimi. Infamia! Abboininazionc! ~. ·

Si vede, dal contegno del popolo, che le messe e le funzioni praticate dai ministri di D io non dovevano differire di molto da q uelle dei giocondi goliardi di Praga

Questi episodi ci dimostrano che, tanto in Italia come in Boemia, la Chiesa cattolica presentava g li stessi fenomeni d ege nerativi.

Il popolo, che reggeva col suo lavoro, col suo sangue, l'impalcatura della società ecclesiastica e civile, era immerso in una spave nte• vole ignoranza, veniva depauperato, da monaci e profani, si no all'esaurimento, taglieggiato e massacra~o non appena accennasse ad insor• gere. E ra l'unico che portasse la eroe~ in quel mondo di gaudenti seg uaci del Cristo. Dalla corruzione della Chiesa e dalla miserevole situazione del popolo traevano le eresie alime nto di idee e di proseliti. E ogni eresia ci presenta infat ti un qualche contenuto sociale, talvolta socialistico. Gli eretici padano in nome del popolo e al popolo. È un ritorno al Vangelo ch'essi vogliono; un ritorno alla vita povera, ma solidale delle prime comunità cristiane. Questa invocazione s'accompagna di fr equente C<?n u n grido di rivolta e di guerra. Vi sono, tra gli eretici, gli ottimisti che sperano e i pessimisti che negano. Vi sono i peosatòri che danno un contenuto ideologico all'eresia e i propagandisti infiammati che la diffondono, da paese a paese, fra le turbe dei delusi, dei poveri, degli aspettanti. La p redicazione è pubblica o segre ta a seconda dei luoghi e delle circostanze, Efficace e so mmovitricc sempre, a nche q uando non sia coronata dal martirio I

GIOVANNI HUSS 277

Noi dobbiamo occuparci di u n eretico, G iovanni Huss, e di una eresia che da lui p~cnde il nome di hussismo. Ma per l'in te lligenza del lettore i~aliano è forse necessario dare anzitutto alcune indicazioni del paese dove l'eresia naccjue e dei p recursori che la elaborarono. Ì nclicazio ni geografiche e storiche, che aiutano a comprendere il carattere peculiarmente. nazionale, cioè boemo, dell'eresia hussita

La Boemia è una penisola slava circondata dalla Germania. La catena degli Erzgebi-rge la separa al nord dalla Sassonia, i · Riese ngebirge la divido no al nord-est dalla Slesia prussian-a. All'ovest la Boemia , ·onfina con la Baviera, al sud coll'Austria p ropriamen te tedesca. La Boemia è czcca, cioè unilingue, la Moravia è mistilingue, ma l'elemento preponderante è lo slavo. Il territorio della Boemia è formato da un altipiano di media altezza traversato da due g randi fi umi: fa Moldau, che bagna Budweis, Praga e si getta, a Mclnik, nell' Elba, il grande fiume che dopo aver percorso la Boemia passa in Germa nia, tocca Dresda e si getta nel mar del Nord. La superficie de lla Boemia è di circa cinquantatremila cb ilometc i quad rati. La popolazione oscilla fl'.a gl i otto e nove milioni. La capitale è Praga con cinquece ntomila ahi-

Praga fu appunto il focolare più ardente dell'eresia hussitica.

Nel XIV secolo, la Boemia no n era u nita all'Austria, come oggi, ma formava u n reg no autonomo. Già nel rn9z i discendenti di Boczigov I ottennero da Enrico JV la trasformazione del loro ducato i n r egno . L a monarchia fu elettiva sino al u3 0, poi e reditaria.

Il re d i Boemia era uno· dei sette elettori dell'impero ger manico. Sovra ni di Boemia ai tempi di cui ci occupiamo furono Carlo )V, Ve nceslao VI, Sigismondo, che abbracciano il periodo che corre fra il 1346 e il 1419. Fu alla battaglia d i Mohacz nel 1p6 che Ja Boemia perdette la sua ind ipende nza e d 'allora, malg rado diversi tentativi insurrezio nali, no n poté p iù li berarsi dal giogo austri aco.

l1 cristianesimo cattolico, che era stato predicato in Boemia fra 1'850 e il '900, soffriva tre secoli dopo delle stesse ta re degenerative che affiiggcvan6 tutto intero il corpo della Chiesa di Roma. No n i nsistiamo qui a documentare la nostra affermazione; lo faremo tracciando la storia di Huss e dell'bussismo, Risulta intanto da una delle lettere dell'impe ratore Carlo IV che tra il 1346 e il 1378 « c'erano in Boem ia e nei paesi limitrofi molti scismatici e infedeli che rifiutava no di ascolta re le p rediche in latino e che non si potevano convertire al cristian esimo». È certo che i valdesi del dclfinat o e i bogomili bulgari avevano prose liti anche in Boem ia. l1 mo vimento ereticale boemo sorge con carattere na2ionale, prima di tutto perché la storia delJa Boemia non è che una sto ria di guerre contro i tedeschi, poi perché i pi ù scan-

278 OPERA OMNIA Dl BEN ITO MUSSOLINI

d:ilosi prelati del clero boemo erano appunto quelli .di nazio nalità t edesca dimo ranti al vicus l eulon frorum di Praga. E sorge il p rimo riformatore : un mon aco austriaco, Corrado Waldhauser, chiamato a Prag a dall'imperatore Carlo IV.

Waldhauser, come tutti i rifor matori, comincia col denuncia re le piaghe della Chiesa e indica in part icolar modo, forse perch'egli era in grado di meglio conoscerli, gli ordini monacali. In questi « si v iolava - secondo il Waldhauser - palesemente e regolar mente la reg o la>>, Ora si chiede il Waldhauser :

« Q ual'è il viagg iatore che per att raversare il Danubio scegl ie u na barca rovinala e si es pone alla morte ? ».

I m onaci rispondo no ag li attacchi. Gli agostinia ni trovano nei disco rsi del Waldhauser sei proposizioÒi eretiche, i d o menicani n e trovano, a lo r volta, dicio tto. Ma Waldhauser insiste e precisa :

« I monaci - eg li dice - non vogliono che si rinfacci loro la d ecadenza del loro costume V'è un pun to tuttavia in cui sono mig l iora ti: a ltra vo lta litigavano sempre, si d isputava no cad averi dei ricchi per le loro chiese, come uccel li d a p reda; oggi sono tutti d' accordo contro Ji me».

Il Waldhauser non può chiamarsi un eretico nel senso p rofo ndo della parola. Egli non pone i n d ubbio i dogmi religiosi, né attacca le ist ituzioni ecclesiastiche , sibbene denuncia gli individui che no n sono all'altezza della missione religiosa e profanano la fede.

Il Waldhauser, malgrado le insidie dei monaci, non s ub! per secuzio ni di sorta. Fu pro tetto dall'arcivescovo ·e dal re. Mod a Praga tranquill amente nel 1369.

La predicazione del Waldhauser non av ev a lasciato g ra nd i tracce nel popolo. F o rse p erché egli era austriaco-tedesco, forse pe rché fu troppo visibilme nte p rotetto. Ma il suo successore, il mo r avo M ilicz di Kremsier, canonico e vicar io della cattedr ale di Praga, d iscese e portò l a sua parola fra gli umili. Come g ià Francesco, il poverello d'Assisi, anche Milicz cominciò dal rinunciare a privilegi, dignità, ricchezze. Quest o esempio gli valse u na grande p opolarità e gli cattivò l ' animo delle folle, che accorrevano da tutte le parti ad ascoltarlo e lo costri ngeva no a predicare fin tre volte al g iorno. irnicz era un mistico, u n apocalittico che pred iceva immi nen te la venuta dell'Anticristo e 1a fine del mo ndo tra il 1365 e il 1367 dell'èra cristiana. Le sue tendenze apocalittiche <e trovansi riprod otte perfino nelle o pere dei p ittori>) , Fu, n aturalmente, accusat o di e resia ed egli, munito di un s.ilvacondotto, rilasciatogli d a Carlo I V, si recò a Ro ma per g iusd 6ca rs i. Ma il P apa Urbano V si trovava ad Avignone. Nell'attesa, Milicz co-

GIO VANNI HUSS 279

minciò a. predicare entro R oma stessa, ma il grande inquisito re, insospettito, lo fece arres tare. Però Ut b ano V, non ap pena ebbe p resa visio ne del salvacondotto impeciale, ordinò la scarcer azione di l\Wicz e lo chiamò a sé. Reduce da R oma, la p redicazione di Milicz assunse Un nuovo indirizzo. No n p i ù la minaccia dell'Apocalisse, ma la denuncia della corruzio ne eccles iastica e profana. Matteo de J an ow, disce polo di Wlicz, cosi ci descrive . il maestro:

« Tutti coloro che gli si avvicinavano app rendevano dai suoi discorsi l'amo re, la riconoscenza, la dolcezza; tutti venivano consolati. Era un nuovo Elia Egli castigava, senza posa, il suo corpo coi digi uni, le mace razioni, la peniten za; la sua passione ~r il b<:ne del popolo, la sua attività senza tregua, né riposo, SU· peravano di molto la na tura umana, e le forze della carne. Confossava di continuo, visitava gli ammalati e i prig ionieri e convertiva i tepidi e i peccatori ».

Contro al mal costume, soprattutt o eg]i insorgeva. Milicz rassomiglia in ciò grandemente all' italiano Savonaro la. E pace che la sua predicazione fos se efficace e che i malviziati costumi m igliorassero.

Fatto si è che la Bella Venezia, u n quartiere di postriboli a Praga, fo abbandonato, purificato, ribattezzato col nome di Gerusalemme e trasformato in luogo di rifugi o per le femmine perdute e pentite:

I successi di Milicz acuivano l'acredine dei monaci fust igati. Costoro continuavano ad accusarlo di eresia. Il Papa porse orecchio alle accuse. Milicz. dovette infatti recarsi ad Avignone per discolparsi e in Avignone morl.

M ilicz, di scritto, non ci h a lasciato che pochi C ommmlarl degli E vangeli e un Trattato sulle differenze della Chiesa durante gli J1ltimi giorni ddl'A11t icrùto

Ma i discepoli immediati di Milicz furono scrittoci.

Mathias de Janow aveva st udia to sei anni a Parigi . Era un teologo. La sua predicazione è quindi più d o ttrinale e ad un tempo più ereticale. Janow non si li mita a denunciare, come i suoi precutsorì ave van fatt o, g li abusi del clero; egli va oltre, Non combatte solo i fili stei che osseivavano rigidamente la 1< lettera», ma ignorava no lo «spirito>> d el «testo», che credev ano, insomma , come dice egli stesso, più alle intenzio ni degli uomfoi che alla verità della vita e alla carità d el « prossimo » i ma combatte anche il <( cerimoniale>) quando invece di essere un «mezzo» diventi uno ((scopo)) e impedisca la comunione di retta de lle anime con Dio,

La parte rhuale della religione è un elemento di secondaria impor• tanza. Il prete è, fors e, un inutile i ntermediario fra l'uomo e la d ivinità. Queste idee precorrono il protest a ntesimo luterano. Esse sono riprese e sviluppate dal laico T ommaso dc Stitny, vissuto ira il 1,21 e il 1400 e autore di molte oper e pregevoli,

280 OPI:RA OMNIA DI BE NJTO MUSSOLINI

.r .e b fede -che salva Ie anime - ammo nisce Stitny - non la pratica meccanica, abit udinale, distratta del cerimoniale relig ioso La Scrittura - continua Stitny - dice : senza la fede è impossibile d'essere graditi a Dio, come è im· possibile di costituire una casa senza fondamenta. Se un frutto matu ra , lo deve alle sue radici; la rad ice non è belb. in s~. ma da lei viene tutta la bellezza del frutto dell'albero. Cosl senza la fede non si giunge aUa salvezza . Non si tratta - conclude Stitny - di digiunare, di fare dei pellegrinagsi, ma d i vi vere nel suo proprio stato ».

Nel libro La Repubblica <rùlùma sono concentrate le idee di Stitny, nella lor o essenza. Forse perché laico, egli non subi persecuz ioni. Solo i contemporanei ortodossi e pedanti gli rimproverarono di scrivere il czeco e di non essere baccelliere. Alle.quali stoltezze, Stitny rispondeva:

« Ogni lingua deve lodare Iddio. La Scrittura c'insegna che i l re Assuero aveva <!egli scribi di diverse ling ue per i differenti popoli. Poiché la Scrittura rico,Ja quest o fatto, perché Dio non puù scrivere agli czc:chi nella loro lingua? Mi si rimprovera di non essere b:iccellie1·e Ma se io volessi, sebbene indegno, p:iragonarmi a un gran genio, .San Bernardo era forse b:iccelliere? Piacesse a Dio (ne si ponesse attenzione al senso d elle mie parole e non a colui che le dice: qualche volta un miserabile cana le porta un'acqua pura».

Come tutti gli altri precursori dell'hussismo anche Stitny non esce dai confini della Chiesa ufficiale,

« rn tutto ciò che scrivo mi sottometto alla Chiesa e alla scuola» _(cioè al· l'Unive rsità di Praga).

La riforma, si, ma non lo scisma. Ecco il segno che accomuna tutta la predicazione ereticale an teriore al luteranesimo , Huss stesso , come ved remo, n on pensò m ai a creare 'un movimento scismatico i volle solo un movimento riformatore, sempre nel seno della Chiesa.

Waldhauser, Milicz, Janow, Stitn y e g li altri o scuri di cui la storia non ci ha tramandato i nomi, sono gli aratori che dissodano il terreno. Huss trova il solco g ià aperto, pron to ad accogliere e · a fecondare l'imminente seminagione.

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19. • XXXIII.

HUSS.IL VERIDICO

Nacque nel 1369 d a umilissima gente che lavorava la t erra nel villaggio di Hussinec in prossimità della frontiera tedesca. Ci manCano particolari precisi della su a .infanzia Studi ò all' U niver_sità d i Praga: Quella di Praga e ra allora una delle più fi orenti universfrà d'Europa. .

Fondata da Carlo I V nel 1 no, raccolse alcuni dece n ni p iù t ardi sin undicimila studenti; nel breve giro di quara nta anni ben ottocentoquarantaquatt ro maestri mo nta.cono a lle sue cattedre e n'ebbero i diplomi tremilao ttocentoventi tre baccellieri. Huss divenne baccelliere i n a rti e t eologia e maestro in a.rti. Nel 1401 fu nominato d ecano delle facol tà delle arti. Avev a v entinove a nni quando incominciò ad insegnare. L a prima parte della giovinezza di Huss non fu certo dissimile da quella dei suòi coetanei, e cioè scapigliata e vizi osa. D eve r iferirsi a questo periodo il ri mprovero che Huss rivolge a se stesso, in una delle sue lettere, di « aver amato troppo le vesti splendide e i l gioco >>. Durante la ·prima giovinezza anche H uss si è associato « alle follie goli ardiche, ma poi ha conosciuto la sacra Scrittura e se n'è pentito)> , D ifa tti, nel 1393, all'età di ve ntiquattro anni, Huss passava g ran parte del suo tempo in devozioni e i n penitenza, vivendo alcuni giorni a pane ed acqua. Aveva trent 'anni quan do fu ordinato prete. Egli si era g ià fatto n otare nel m o ndo ecclesiastico e universita rio e f u quindi incaricat o di p redicare alla cappella di Bethlem, una specie di santua rio nazionale, fondato da u n ricco borghese di P raga e dal cavaliere Giovanni di Muhleim. La cappella, c apace di tremila persone, er a sempre rigurgitan te di popolo. La predicazfone di Huss incontrò,_oltre al consenso delle- masse, anche quello della Corte e in particolar modo della regina Sofia, consorte cli Ve nceslao, allor a re dei boemi. Si vuole a nzi che Huss sia stato il confessore dellà regina Sofia.

Colla sua predicazione alla cappella di Bcthlem , Huss si proponeva di p urificare la Chiesa r omana, che attraver sava allora una g rande crisi. La rivalità dei due papi di Roma e di Avignone, gli scandali in alto e in basso, fomentavano l'eresia cd acuivano il bisogno e il desiderio cli una radicale riforma. Non alt rimenti si spiega il favore grande che accolse la parola di Huss. Nei suoi sermoni egli non poneva i n dubbio le verità rilevate o i dogmi della Chiesa, m a denunciava « i preti che

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organizzavano falsi miracoli, vendevano le reliquie, le assoluzioni, le indulgenze ; i ciarlatani che indicevano p ellegrinaggi, pe r venerare

· delle r eliquie apocrife » Secondo Huss, la religione do veva rito rnare al Vangelo, il prete all'umiltà. O gni moto ereticale s'i niziava sempre con un ri torno alle origini. Quindi, proseguiva Huss, p iuttosto che l 'osservanza minuziosa della lettèra, v aleva meglio la comprens ione profonda dello spirito. L e righe che seguono sembrano tracciate e spressamente p .:r i sacerdoti procàccianti e mestieranti delle pjscine di Lourdes del cattolicesimo moderno.

« I ladri e g li usurai - d ice H uss - pensano di essere grat i a Dio, offrend o una parte del denaro male a cqu istato ai preci, ai cappellan i, ai santu:irt Sant'Agostino dice che così fa cendo essi vog liono rendere Iddio complice dei loro furti e de ll a loro u sura. I pr eti prendo no, i monaci fanno alt rettanto e t u tti esa lta no i d on,uori; farebbe ro mesl io a d ir loco ch'essi peccano g ravemente e che, se vogliono veramente p ent irsi, d eb bono restitu ire i bep.i a coloro ch'essi hanno spog liato ».

Il sermone della Mo ntagna ha un'eco in questo brano dei sermoni hussiani.

« Colui che soffre una ·parola sgradevole p rnli tta più all'anima sua di col ui che spezza sul suo dorso tutte le verghe che possono crescere in una fo resta. Col ui che si umilia davanti a un inferiore profitta più all'anima sua <li colui che and asse .in pellegrin:1ggio da un capo all'altro del mondo, ve rsando il suo s:ingue lungo la strada . Colu i che è u mile piace a Dio; i pelleg rinaggi non sono un ordine divino, bcnsi una sciocca inven:.:ione umana».

E ancora:

« Il salvatore ha interdetto ogni dom inazione terrestre a i suoi a postoli, ma la sua divina paro la è divenu ta una derisione da quando l'impe ratore Costantino ha dato un regn o al Papa . Q uel g iorno f u udita una voce d a ll'alto che grid ava: il ve len o è stato versato ne lla Chiesa di Dio Colla r icchezza t utta la C hiesa cristiana è stata avvelena ta e corrotta. D a d ove · vengono le g uerre e le scomuniche, le querele fra i pa pi, i vescovi e g li altri m embri del clero? Da dove · viene la simonia, l'insolenza dei preti, i lor o adulteri ? Sempre da quel vele no ))

La condanna del potere territo riale dei papi e del potere temporale del clero in genere non potrebbe essere più esplicita. Ma il clero cattolico, d?po cinque secoli dall a predicazione hussita, n on h a modificato la sua condotta. I cle ricali d ' Austria e d'Italia protestano ad ogni cOngresso contro l'occup azione di Roma da parte del Governo italiano e il mondo neco à eì ges uiti non ha ancora perdonato, né, forse, perdonerà mai a « colui che detiene>).

I sermoni cli Huss alla cappella di Be thlem sollevarono le ire del clero. I preti cattolici t olleravano le discussioni, anche demoli trki,

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del dogma , purché n on uscis sero da un ambiente ristretto di accademici, ma ciò che i preti d'allora e d'oggi non tolleravano, né tollerano, era la spietata, la palese, la documentata denuncia dei loco scandali e . delle loro vergogne. La predi cazi one di Huss li esautorava. Di qui l'odio, il raggiro, la calunnia. Inv ano! Poiché Huss aveva in quell'epoca l'alta protezione della regina So fia e dell'arcivescovo Zbynick. Lo pcova il fatto che Zbynick qominò Huss riformatore ufficiale del clero boemo. E Huss cosi scriveva al suo protetto_re:

« La vostra paternità m'ha preg·ato di farvi co nosce re i difetti de l regime della Ch iesa. Ecco quanto ho a dirvi: com e accade che preti incestuosi e crimina li marcino li beramente come tori indomat i, mentre i preti umili che vogliono strappare gli sterpi del peccato, che compiono di buon grado i doveri della loro vocazione, i preti alieni da lucro offrentis i p°d solo amo r di Dio al lavoro evàngelico sono gettati come ereti ci ne lle pr igioni o soffrono l'esilio? Non possono credere che siate voi l'ordina tore di tali atti. Quale prete povero oserà ormai attaccare i delitti, accus:lre i vizi? In verit.ì. la messe è grande, ma i mietitori sono pochi».

L'attività riformatrice di Giovanni Huss non si esaur iva solo nella p r edicaz ione popolare alla cappella di Bethlem. Anche nell'ambiente universitario, Huss portava le sue preoccupazioni purificatrici. Egli era un fervente ammiratore di Wicleff, di cui Girolamo da Praga aveva fatto conoscere nel 1401 la dottrina. E all'Università fervevano le discussion i sull'e resia wicleffiana Sintomat ico e stra no il fatt o che J'opeta di Widcff, mentre . non lasciò tracce profonde in J ng hilterra, patria di lu i, ebbe invece molta efficacia e fortuna e di ffusione in Boemia.

"« Con Widdf - afferma Bezhold a pag. 150 della già citata Stor ia del/a Rif orma in Ger111a11ia - C non coi vaklcsi comincia la storia dd protestantes imo. Egli è il primo precursore di Lute ro e la sua figura ingigantis ce ai nostri occhi ogni volta che prendiamo il considerare il suo lavoro intellettuale, la cui efficacia fu qulls i dli.Ile successive g enerazioni dime nti ca ta di fronte al martirio di Huss eJ al c:irattere selvaggio della lotta boema. Eg li fu il primo ad assa lire sistematic3mcn te l'edificio della. Cl1iesa romana e ad idearne uno nuov o, i cui contomi si diseg nano al suo profet ico sguardo su ll e macerie dell'inevitabile caduta di quella. La Chiesa si trasforma per lu i nella comunità deg li eletti, de i predest inati alla beatit lldinc, fr a i quali no n v'è più d ifferenza alcuna tra !:t.cerdo te e laico: essi s tanno tutti come sacerdoti consacra ti a Di o <lavanti ai reprobi . Jn questa Chiesa sem:a gerarchia spariscono natu ralmente i sos teg ni Jel governo ieratico , quali il celib:ito, la confessione auricolare, e l'asso luzione. La transustanziaz ione è nega ta da Wicleff come " cont raria alla Scrittura e al senso comune" ed egli vi sostituisce la dottrina d ella comunione spir ituale, alla qual e però non partecipano se non gli eletti. Che Wicleff fa cesse dipendere l'effetto sa l uta re del sacramento dalfa santità de l sacerdote, che lo amministra, non provato; inv ece la sua teoria del diritto di possesso desun ta dal feudalismo e secondo b qua le ogni potestà umana, sp iritu:i.le o temp or ale è u n'eman azione della grazia divina e, pcrd em[o questa grazia, dovrebbe tornare nuovamente al Signore celeste, .provocò in realtà una app licazione rivoluzionaria, Unitamente all'aoto rità de ll a Bi bbia da

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lui sostenuta, essa forma il nucleo sostanziale del mo,·imento hussitico, che innal zò il d i ritto di vino ad un u nico titolo legittimo d el posses$0 e della padronanza e cercò di attuare la trasformazione d i tutta l'esistenza umana r ichiesta da Wicleff, sulle no rme de lla leg,;e evangeli ca . Per un s ingo lare concorso di circostan ze la do ttrina di Wicle ff, a lla cui sanguinos.1 rep ressione in Inghilterra il s uo autore non sopravvisse (morì nel 1384), fu trapiantata _ in Boemia e quindi, trovando un terreno be-n preparato, crebbe rapidamente Dapprima si esagerò l"in• lluenza delle comunità dei valdesi , nume rose anche in Boemia; ma certamente la Boemia, come appare da lla speciale p redile zione per la frequm tc e, potendo, anche g iornaliera partecipazione alla ce na eucaristica, prima di subire l'influ enza d el wiclt'fii.smo, trovavasi in uno s tato di g rande esaltazione religiosa. Ma la sua forma caratteristica hussi tica non fu assunta da lla rivoluzione boema, se non sotto la potente influenza del wideffismo, qua le era stato accettato e popolarizzato da Huss e dai p:utigi3ni »

Ritorneremo in· seguito, e più ampiamente, all'esame delle re lazion i fra i l wicleffismo e l'hussismo . La Chiesa intanto, preoccupata da l d.iffo.nde r si dell'eresia, corre ai r ipar i. Nel 1463 una commissione di teologi ortodossi estrasse ben quarantatré propos izioni eretiche d ai lib ri del Wicleff. L'e retico inglese fu proscritto dall'Università. A nulla val se la resistenza di Huss. La letturn di W icleff fu proibita. Di li a poco, l'arcivescovo, o sospinto o spaventato dai prog ressi dell' eresia tra le masse popolari, tolse ad H uss l a facoltà di predicare nella cappella di Bethlem.

Mentre si svo lgevano questi av venimenti a Praga, altri più g ravi avven imenti accadevano a R oma. Tre papi si disputavano la sedia d i Pietro. Nell'attesa- che il Concilio d i Pi sa scegliesse; il ce Venceslao e g li czechi de ll'Universi tà intendevano conservare una neutral ità assoluta. Anche Huss era fa vorevole alla neutralità. Ma questa urtava l'a rcivescovo e i professor i tedeschi che parte"ggiavano per il Papa di Roma G regorio XII. Il conflitto, sempre latente, fra l' elemento czcco e tedesco scoppiò. Zbynick i nterdisse Huss. 1fa il re Venceslao non abdicò ai diritti della sua nazione e deliberò cli accordare nelle faccende universitarie due vo ti agli czecbj, uno ai tedeschi. Con questa disposizione veniva inferto un te rribile colpo all'egemonia sino allora riconosciuta e incontrastata dell'elemen to t edesco all'Università di Praga. I tedeschi - maestri e scolari - decisero allo r a di abbandonare la capi tale boema e in massa si recarono a Lipsia ed ivi fondarono una nuova Università.

Ma l'esodo dei tedeschi non ris olse l a questione del ta neutralità di fro nte a l Concili o di Pisa. Si acut izza quindi il confl itto fra Zbyn ick e Vences lao, fra ]'autorità civile e l'au torità ecclesiastica. Il re o rdina che siano sequestrati i beni dei p ret i ribelli alle decisioni d el Concilio d i Pisa Il Papa di Roma scomunica allora la città di Praga. Ma

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tutte queste misure, m e ntre da un lato eccitano il sentimento nazionalistico dei boemi , dall'altro accrescono l a popolarità di G iovanni Huss.

E' in quel t orno di tempo, 1410, ch e Huss, soddisfatto del trionfo della causa nazionale, scriveva ques ta lettera a un professore di Oxford. . In essa v'è quasi il presentimento d el futuro martirio.

« La nazione che errava fra le tenebre, ha veduto la luce d i G esù Cristo e della verità ; tutti la ricevono, con ardore infinito, popolo, baroni, soldati, conti, semplici plebei. Il popolo non vuole ascoltare che la Scrittura, in particolare l' Ev:mgelo e le Episto le. Dovu nque, nelle città e nei borghi dove appare un predicatore, le masse accorrono malgrado le collere del clero. Per compiere questa missione, no i dobbiamo, in caso, sopportare la morte con umiltà»

Questo presentimento lugubre è ancora più chiaro i n un'altra lettera d el 1412.

« Il Cristo su lla croce - d ice H uss - pregò per i suoi assassin i dicendo : "Perdon:i. loro; essi non sa n no ciò che s i faccia no·•. Dietro al suo esempio un discepolo fede le deve lo ttare e per carità soffrire umi lmente la morte D eve amare l'anima d el suo nemico di più che il proprio corpo, Ed fo, prete, d tbbo agire, e sventu ra se, avendone l'occas ione, n on agissi. Poiché i o so che per questa cara sofferenu guadagnerò pel m io cor po la corona de l martirio, domerò la collera dei miei nemici, darò il buon esempio e, forse, colla mia pazienza, s.:i lverò l'anima del mio nemi co che la mia impazi enza o la mia resisten za avrebbero perduto Offrendo la mia vita per lu i, servirò la sua causa, la mia, quella d i tutte le a ltre chiese con u n ,glorioso martirio» .

L'accrescimento dell'infl uenza morale di Huss suscitava sempre più vive le collere del clero ufficiale. Huss fu denunciato al papa. D iamo il no me dei d enunciatori. Essi furono Stefano Paletz, .professore di t eologia, e Michele Causis. Noi li ritroveremo più tardi a Costanza a ricoprire la fun zione di Pubblico ministero contro Huss.

Alessandro VI porse orecchio alle accuse e invitò l' a rcivescovo di Praga a nominare una commissione, incaricandola di esaminare le opere di Wicleff.

Intanto venne chiusa la cappella di Bethiem Huss e i suoi seguaci firmaro no una petizione di protesta contro l'una e l'altra misura. Ma Zbynick rispose facendo bruciare co n solenni tà d uecento volumi del Wicleff e scomunicando Huss e i suoi seguaci. Il p rotettore _ era ormai diventato il persecuto re. La collera del popolo proruppe. Canzoni i ngiuriose all'indirizzo dell'arcivescovo passarono di bocca in bocca. Si ~iceva che « Zbynick aveva bruciato i libri senza conoscerne il contenuto».

Praga attraversò un periodo d i g rande agitazione. I preti non osa~ rono comunicare u ffic ialmente ai loro fedeli la scomun ica episcopale.

Il Papa G iova nni XXIll citò Huss a Roma. Ma il re Venceslao intimò ad Huss di non accettare tale fovito D i nuovo si profila il

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conflitto fra l'autorità ecclesiastica e l'autorità civile, fra il te e il Papa. Anche la regina Sofia, cli cui abbi am conosciuto le simpatie per Huss, scongiurava il Papa a · voler riaprire la cappella di Be thlem per la salvezza del popolo e l'onore del regno cristiano di Boemia». Huss ri fiutava obbedienza all'intimazione papale, poiché temeva di cad er vittima, lungo il tragitto, delle insidie dei suoi nemici tedeschi. A llo ra, davanti a - questo categorico rifiuto, il legato pontificio Ottone di Colonna scomunicò. l'eretico boemo.

La contesa tra il potere civHe e il laico trae, dalla scomunica, nuovo ·alimento. Venceslao intima all'arcivescovo Zbynick d'indennizzare gli studenti dei quali aveva fat t o arde re i libri. Ordi na nel contempo la confisca dei beni ai preti ossequenti alle disposiz ioni deUa Curia romana. La nobiltà appoggiava il re, poiché i beni del clero passavan o ai suoi cavalieri e ai suoi baroni. P iù che d'interessi religiosi, s i trattava di interessi profani. Zbynick, vista la mala parata, fuggl in Ungheria e v i morl.

D opo un breve periodo di calma, la vendita delle indu lgenze, lo scandaloso commercio che si praticava attorno alla remissione dei peccati e al traffico delle cariche ecclesiastiche, riaccese il moto ereticale.

Giovanni XXIII aveva indetto la crociata contro il re di Napoli, promettendo ai nuovi crociati grandi favori spirituali. P e r trovare il denaro, necessario quanto e più dei crociati, i legati pontifici furono incar icati di vendere le indulgenze. Quello di Praga poneva all'asta non solo le indulgenze, ma anche le diocesi, i decanati, le parrocch ie.

« le vendeva - dice H uss - a preti ignari, debosciati, giocatori che ave-vano comme5so dei g r:indi se:andali e s"intendevano meravig liosamente nel tassare i pe~itenti per acquistare il danaro necessario per arricchire upidamente ».

Huss non potev a tacere davanti allo scandalo e protestava nelle prediche, n egli scritti , annunciando di essere d eciso a sostenere su tale argomento una pubblica discussione in contradditorio all'Università.

L'arcivescovo, un moravo successore di Zbynick, invitò Huss ad un colloquio. Nel palazzo arcivescovile Huss s'incontrò coi legati pontifici. Luigi Leger ci dà una narrazione di quell'inconuo.

« I legati chiesero ad Huss: "Avete intenzione di obbedire agli o rdini pont ifici?". " B la mia intenzione" , "Allora", dissero i legati al vescovo, "eg li è pronto ad obbedire agli o rdini del papa". "Intendiamoci ", interruppe bruscamente Huss, "ciò che io chiamo g li ordini apostolici sono gl i insegnamenti deg li apos toli di Cristo. Quando gli ordini del papa sono d'accordo con questi insegnamenti, sono pronto ad ascoltarli; quando vi sono contrari, io rifiuto loro obbedienza, anche se si d ovesse accendere so tto gli occhi miei il rogo che arderà. il mio corp o·· ».

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In qu~st'affermazione c'è tutta la ragione ideale della Rifor ma, Huss rigetta l'auto;ità del papa per ritornare al Vangelo Huss vuol discutere, confrontare la dottrina ptimitiva colle applicazioni pratiche fatte dai papi; questo confronto s 'allargherà d omani a un giudizio Cfitico: · diventerà il « libero esame>>. Il riformatore diventa l'eretico. Dalla superficie va al fondo. D agli uomini passa alle istituzioni.

L'ag itazione antipontifi.cia aveva provocato un ristagno degli affar~. Le indulgenze erano ribassate di p rezzò. A Praga si satireggiava / ' auri .sacra Jamu_ della Curia romana in canzoni e pubbliche mascherate goliardiche, Gerolamo da Praga, iliscepolo di Huss, incitava gli studenti a i ntervenire alle prediche dei venditori d'indulgenze « per denunciarli al pubblico dei fedeli come simoniaci e scrocconi>> E gli studenti accolsero l'invito. Le chiese dove si trafficavano le indu lgenze divennero luogo di controversie e di tumulti. I nemici di Huss ne approfit t arono e ripresero a tortura re .Wicleff, ch'essi ritenevano la fonte di ogni male. Furono tcovate nelle opere dell'eretico i nglese altre proposizioni anticattoliche. Si a llargò i l co ncetto d'er esia e vi si comprese « ch iunque pret en da non doversi ve_nerare le rellquie dei santi, chiunque contesti al sovrano pontefice il diritto di chiamare i fedeli alle armi per la sua difesa o di chieder loro del denaro». Queste ~efinizioni comprendevano Huss e g li hussiti.

Noi assjstiamo ora a un repe ntino cambiamento nella condotta politica di re Venceslao. Noi l'abbiam visto protettore di Huss , noi l 'abbi~m visto tenere un contegno antiecdesiastico all'epoca dei primi anatemi arcivescovrn e papali. Ora -invece si getta dalla parte della Chiesa. Perché? Il suo temperamento mutevole, l'i nsufficenza ·della sua cultura, non bastano a spiegarci il fatto . Venceslao e il suo tn/011roge nobiliare compreser o for·se che la propagazione del wicleffismo avrebbe condotto alla guerra civile e a tentativi di comun ismo ? C'era nel wicleffismo certo ·una minaccia alle proprietà. E la predicazione hussita accentuava questa minaccia. Nel volume diciottesimo della Biogrnfta 11ni11er.rale antica e moderna (Venezia, I 826), a pag. 432, cosi si parla dell'eresia hussita:

« Una tinta di filosofia antica, sp.'.l.rsa nell'eresia novel!a, la rendeva più pe· ricolosa, poiché si sosteneva in essa che ogni creatura è Dio e vi si profess:iva il sistema dell"anima universale. False idee di libertà, di fraternità, d'uguaglianza si mescolarono alle idee di riforme religiose e s i accreditarono rapidamente fra le persone Jel popolo perché favorivano l'odio contro i nobili e contro i ricchi ~.

Dunque, panteismo nella religione, comunismo nella vita E che l'asp irazione delle p lebi a un ca mbiamento radicale dei rappo rti di propdetà esistesse, Jo provano tutte le insurrezioni paesane e agrarie

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OPERA OMNIA DI BENITO .M USSOLINI

che scoppiarono nel XIII, XIV, X V secolo. La riforma religiosa pre• cede la r ivolta popolare.

È probabile dunque che l'atteggiamento favorevole alla Curia assunto da V enceslao sìa stato imposto da considerazio ni d'i ndole politica e sociale. Il P apa era pur sempre la maggiore au to rità del mondo cattolico e Venceslao e ra t roppo d ebole per stargli di fr onte in eterno. Ond'è che Venceslao approva )e conda nne all'eresia wicleffiana pronunciate dall'Università d i Prag a. Fa emanare dai consoli della città un editto col q uale si proibiva severamente di disturbare le fu nzioni religio se. In conseguenza di tale editto una domenica furo no arrestati e trado tti dinanzi ai consoli tre stud enti disturbatori. Huss si presentò per assùmcrsi l a diretta respo nsabilità del crimine addebitatç> ai suoi d iscepoli, ma invano. I consoli promisero e ingann:1.rono. Allontanatosi Huss, i tre s tudenti vennero d ecapitati sulla pubbl ica piazza, Il p opolo, che non aveva potuto impedire l'esecuzione, r accolse p oi le salme dei giustiziati e le seppelll nella cappella di Bethlcm, che i tedesch i chiamarono p oi, per ischerno, « la cappella dei tre santi». I consoli che avevano decretato la sentenza di morte erano tedeschi. Questo fatto ri nfocolò gli o di nazionali. Per parecchi giorni, g randi masse di ·p opolo si" r accolsero a ma nifestazion i osti li sotto il palazzo di città. Huss non vi partecipò. Solo più tardi , quando le p assioni si furono ca lmate, Huss lesse in pubblico l'elogio dei tre primi marti ri della causa huss ita.

A Roma continuava con maggior zelo la macchinazione ai danni di Huss. I tedeschi soprattutto s'adoperavano a ll' infame bisogna. I d ifensori <li H uss furo no o in u n modo o nell' altro posti nell'impossi bi lità d i assolve re il loro compito. 11 Papa udi quind i solo le accuse, non le difese. E fina lme nte i l 19 luglio del 1 411 pronunciò la scomu n ica pontificia. Con questa scomunica , « veniva interdetto a qualsias i fedele d i aver relazioni con lui (Huss); perfino ì su oi servitori non d ovevano esser ammessi agli u ffici sacri. Se nel periodo d i venti giorni egli non si fosse sottomesso, la scomunica colpiva t utti quanti conti nuavano ad esser e in rapporto con lu i. D ovunque sarebbe passato, g li uffici relig iosi dovevano essere sospesi si no a ll'indomani della sua partenza. Se al termine d i una seconda dilazione di dodici giorni egli non si fosse sottomesso, l'interdetto si estendeva al luogo d i r esidenza sino a tre gioni dop o la sua partenza. L a scomunica· doveva essere proclamata in tutte le chiese, in tutt i i conventi, in t utte le cappe lle e tre pietre dovevano essere la nciate sulla casa che ospitava l'eretico in segno di d an nazione eterna ».

Huss veni va con questo decreto posto al bando dall'intero genere u mano. Huss o on v i si rasseg nò. Egli si dichiarò v ittima d'una grande

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ingiustizia. Suo intendime nto era quello <li riformare ]a Chiesa, non di proVocare uno scisma. Huss chiede appello a Cristo « contro Ja sentenza iniqua e la pretesa scomunica· dei pontefid, degli scribi, dei farisei, dei giuclici ch e siedono sulla cattedra dì . Mosè» e riprende a · Bethlem 1a sua predicazione. Ma anche qui non era più sicuro . D ifatti un giorno una banda dì soldati tedeschi invade quel luogo sacro, ne espelle i fedeli, minaccia d'aucsto l'oratore.·Huss si decide ad abbandonate Praga e ripara in un castello della Boemia meridionale. Il popolo co ntinuava sempre a riunirsi attorno a Bethlem e la popolarità di Huss diventava ogni giorno più profonda e diffusa. Il re Venceslao vi ra ancora una volta di bordo, modifica il suo atteggiamento e cerca di ottenere la pacificazione religiosa del suo regno. A tale scopo convoca un sinodo, quindi nomina una commissione speciale, da ultimo espelle dall'Università j più o rtodossi e fanatici vaticanisti, ma senza risultato.

Intanto Huss, ospite nel castello di Kozi, nella Boemia meridionale, propagandava le campagne. A Praga erano rimasti i discepoli Jacob di Stribro, Giovanni di Ribram, Rokycana ed altri. Mentre Huss alterna va l'opera intensa di propaganda orale colla redazione in latino e czeco di molte opere d'indole religioso-teologica, l'imperatore: tedesco Sigismondo stava organizzando, d'accordo col Papa, i l Concilio di Costanza, allo scopo di por fine allo scisma che travagliava la Chiesa romana. Sigismondo, che desiderava chiudere in Boemia l'età dei torbidi politico-religiosi, invitò Huss al Co ncilio di Costanza. L at ori de1l'invito imperiale furono due cavalieri boemi, Venceslao di Duba e Giovanni di Oum. Essi trovarono Huss ospite dd signore Lefi di L azan, nel castello di Kracovec, Non appena ebbe avuta notizia del Concilio e del desiderio dell'imperatore, Huss si recò a P raga. Nel salvacondotto imperiale, Sigismondo s'impegnava « a garantire l'incolumità personale di Huss durante il viaggio, non solo, ma anc he piena cd intera libertà a Costanza, e in caso di rifiuto a sottomettersi alle decisioni del Concilio, libertà di ritorno in Boemia».

Malgrado H salvacondotto, gli amici di Huss sospettavano il tranello; lo stesso messaggero imperiale Miche! Divoky avvertiva Huss che sarebbe stato condannato. ?\fa Huss, che si sentiva puro e credeva , forse un po' troppo ottimisticamente, nella lealtà dell'impe ratore, accettò l'invito. Ma prima d i partire volle disarmare i suoi nemici che lo accusavano d'eresia, volle in certo qual modo salvarsi le spalle

Nell'occasione di un 'assemblea del sinodo, Huss fece apporre alle porte di tutte le chiese di Praga un manifesto col quale invitava ad una pubblica e contraddittoria discussione tutti coloro che l'accusavano d'eresia. Nessuno si fece vivo. Coloro che tramava no in seg reto la

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rovin a di Huss , si guardavano bene dal discu tere con lui. Alloca H uss, all'indomani, fece affiggere una pe rgamena a lla porta del p alazzo del r e. In essa> con statata la l atita n za d egli orto doss i, chied eva al ri • gua rdo la t estimonianza del re. N o n solo . Prima di partire chiese ed o ttenne dall'inquisitore di Prag a , Nicola v e scovo di N azareth, un d o · cumcnto nel quale si attestav a che negli scritti e nella predicazi one di Huss « non aveva trovato mai né errore, né eresia>>. Q ues to d ocumento era autografo e sigillato coi t imb ri episcopali. Anche l'arc iv escovo ri lasci ò , sebbene in fonna trtcno esplicita, un documen to g iust ificativo del genere. Credendo in tal guis a e con simili testimo n ia nze di essersi salvaguardato da attacchi su b d o li, Huss cosi scrivev a a Sig ismondo imperato re :

« Sono pronto a reca rmi a Costa nza e anche a. soffrire per la legge di Cristo, p oiché eg li è il re de i. re e il maest ro dei maestri, ha soffe rto per noi e ci ha lasciato il suo esemp io affi nché noi lo seg uiamo, colla sua morie egli ha d iMrutto fa n ostra e ci h a invitati :a. soffrire con p ieno profitto cd umilcà. lui che h:a. detto : " Bea ti col oro che sopportano la p ersecuzione per la g iustiz ia; il regno dei cieli per loro " »-.

Pare, da questo brano, che, m algrado le t estimonìanze ecclesiastiche ufficiali le quali anche potev ano essere un tranello, H uss non si sentisse· pienamente tranquillo , Certo , i suoi nemici non d isar ma vano e lavoravano rintracciando i mate ri ali d ' accusa. Nel campo reli g ioso a d ue si rid ucevano le principali i mp ut azioni: Huss avrebbe dichia rato che malgrado la consacrazio nè il p ane resta pane e che un p rete in istato di p eccato n o n può d a re l'assoluzio n e A qu es ta accusa d 'ordine re)jg io s o alt re s'aggiungeva no d ' ordine n azio nale fra tedeschi e boemi, sped e all'Univ ersità. N on appena H uss le conobbe, post illò co lle sue d ifese l'incartamento dei su o i nemici e d o mandò alle autorità eccles iastiche che le sue g iustificazio ni foss e ro comunicate al pop o lo. Desid eriO ch e n o n fu appagat o . A lla vigilia del viaggio, H uss ind irizzò jn li ngu a czeca questa le t tera d'addio ai suo i fe deli seg uaci :

« Se mi condannano e mi fanno morire non voglio che sapendolo vi turbi il penSiero che 1a mia condanna sia dovuta alla professione di q ualche eresia Io voglio che voi perseveriate senza timo re e senza scosse a credere nella veri tà che D io vi ha fatto conoscere per mezzo d i p redicatori fedeli e col mio ministero indeg no ; io voglio che impariate a d iffid are dei predicatori men titori e ipocriti. lo parto senza il mio salvacondotto: sono circondato. da nem ici poten ti e numerosi, d ei q uali i più t emib ili so no i miei compatriotti. Ma spero nel mio Redentor e, che colle sue promesse e colle vostre pn!ghìere m i darà fa. forza e il coraggio di perse verare e di non fasciarmi fu orviare dal retto cammino, avessi anche da soffrire la tenta-z ione, le i ng iurie, la p rig ione, la morte.... Eg li ! D io e noi siamo le sue creature; eg l i il padrone e noi siamo i s uoi servitori ; egli è senza bi sog ni e noi siamo miserab ili. Egli ha sofferto; p erché non soffrir emmo

GIOVANNI HUSS 291

no i p ure? La nostra sofferenza ci purificherà d ai nostri peccati e ci s alverà d alle pene eterne. C osì ad unque, cari fra te lli e sorell e, pregate Iddio ch e mi dia la persevernn za e che mi preservi da qualsia si sozzura. Se la m ia morte è necessa ria alla sua storia e alla vos tra ed ifi cazione, ch 'eg li mi accordi di subirla senza tristi ti mori. Se, invece, potrò ritornare tra voi, che io possa torn::ire senza macchia. · Ci sia concesso d 'istruirci nella. legge divina, di spezzare le reti d ell'Antkristo e lasciare a i nmtrì fratelli venturi u n buon esem pio. Forse non mi ved re te p iù a Prag a prima della mia mo rte Se io r ito rnerò , il nostro incontro sarà ancor più g io ioso; in ogn i caso ci ri ved,e rno nella gio ia dei cie li,. »,

In un'altra lettera, l asciata al suo discepolo Martino e da aprirsi p osi n,ort em, Huss scriveva:

« Te ne supplico, non imita r mi in ness t.ina delle leggere zze d i cui sei stato testimo nio Prima del sacerdozio ho giocato spesso e con soverchio piacere agli scacchi, mi sono qualche volta adirato e ho trascinato a lla collera i m iei comp3gni. Per questa colpa e per tutte le altre che ho commesso, m i raccomando a lle t!)e preghiere. Ti lascio, in ricordo, se tu vuoi conservarla, la mia t unica g rigia; ma so che tu non am i questo co lore. Tu la darai a ch i vorrai Darai la mia tunica bianca al cu rato e la nera al mio discepolo Giorg io, poiché mi ha ben ser vito »

Queste lettere, scritte da Huss in un momento culminante della sua vita, me ri tano qualche co mmento Ancora una volta egli si difende dall'accusa d 'eresia. E gli non si proponeva che la pudhcazione del clero ·dagli elementi che ,lo demo ralizzavano. Strano è il presenti mento della morte. Huss si prepara, con piena coscienza, al martiriO. Nelle sue p reoccupazioni non c'è nulla di egoistico; non c'è la decl amazione; egli è semplice e non chiede che di morire con fermezza e co n coraggio . Da ques te lettere si r ileva che Huss non aveva alcuna fiducia nei certificati di ortodossia tilasciatigli d all'Auto rità episcop ale di Praga. Egli li aveva chiest i per d imost rare, in caso di condanna, che la Chiesa gli aveva teso un laccio e aveva giocato una tur pe commedia A nche nel salvacondo tto imperiale, Huss non r ipo ne soverchia fiduc ia, Eg li sape va che l 'Autorità imperiale av rebbe ceduto di fron te a quella pontificia Commovente è il brano della lettera al discepolo Martino. Le disposizioni testamentarie che vi si cçintengono ci p rovano che 1-Iuss aveva ql4isi la certezza di andare incontro alla mo rte. Stridente antitesi I Mentre i prelati alti e bassi della chiesa non m iravano che ad arricch ire e talvolta lasciavano in retaggio ai figli e ai nepoti r icchezze favolose , l'eretico Huss, come il Crisro, null'altro lascia all'infuori di alcuni poveri indumenti. Huss no n aveva solo predicato, ma anche praÙcato, e co me San Francesco d' Assisi aveva sposat o, cora111 p op 1tlo, mado nna Povertà.

L 't I ottobre del 1414, Huss lasciò il castello di K r acovec e si pose

292 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLIN I

in cammino per Costanza. « Che ldd io sia con te)>, g li disse u n popolano, i l calzolaio An d tea Po lak. « H o i dea che n o n t i vedr6 più » Di questa fras e profetica Hu.ss s i r ico rdò più ta rdi. Sal utò il segùace e prosegui olt re. Tre cavalieri boemi lo scortarono durante il v iag gio e molti altri seguaci lo accompagna rono.

Il salvacondotto giunse a Cos ta nza quando Huss trnvav asi già in prigione. Del resto, Sigismondo dichiarò poscia (al 1° gennaio 14 15) che egli, col salvacondotto, no n i n te ndeva punto d'impedire i l Concilio dal procedere conforme al di ritto vigente contro le p erso ne imputate di eresia. Sempre cosi.

Quando p orge la man Cesare a Pùro da q11ella Jt rdt a umano sang11e stilla.

GIOVANNI HUSS 293

VERSO COSTANZA

All'epoca del suo viaggio a Costanza, Huss aveva quatantacinque anni: era nella sua virile maturità.

La biografia citata dà ques to ritratto :fisico e m o rale d ell'eretico:

« Huss era di statura alto, di volto mesto, di aspetto cupo, pensoso e di un carattere irascibile al sommo. V ano, orgoglioso, ostinato oltre ogni credere, contrasse per tempo tali sciagurati vizi sulle panche della scuola.... » .

Non co ntestiamo i l pcofilo fisico, ma i documenti smentiscono il profilo morale,

U n facsim ile d 'incisione in rame d'epoca posteriore ci offre le sembianze dell'eretico boemo Bezhold lo ha riprodotto a pag. 1 s3 d ella sua opera già citata.

Il viaggio si effettuò senza difficoltà. Huss attraversò g ran parte della Germania tra l'ospitalità deferente delle popolazioni.

« Se Huss - dice Bezhold - nel suo peri coloso viaggio di Costanza nel P a la tinato superiore e specialme nte fiCJla Franconia con sua somma mera viglia trovò calde simpatie perfino nel clero, e se più tardi la sua condanna fu deplorata da alcuni tedeschi benpensanti, questi sentimenti rimasero isolati : scomparvero interamente di fronte all'opinione prevalente che nel Concilio di Costanza vedeva un titolo di g loria per la nazione tedesca e neg li hussiti soltanto eretici e b.ubari » .

Huss giunse a Costanza l'S nove mbre. Il Concilio aveva riunito nella piccola città sul lago omonimo g ran nu mern di ecclesiastici. C'era no gli ambasciatori dei principi, tre patriarchi, ventinove cardinaH, trentat rè arcivescovi, centocinquanta vescovi, centocinquanta aba ti , trecento maestri d'UniverSità. ,Dietro a costoro, naturalmente una falange cli servi, di valletti, di cortigiani maschi e fe mmine. Cesare Cantù, scrittore non sospetto d'eresia, nel volume dodicesimo della sua Storia Univer.rale, a pag. ~61 e seguenti, ci dà altri interessanti particolari statis tici r iguardanti q uel memorabile Concilio.

« Al Concilio di Co stanza - dice Cantù - assistettero l' imperatore, assai principi, signori e conti; contandosi, come dissero; fin centodòqua ntam il a forestieri co n trentamila Cava lli ; fra q uelli d iciottom ila ecclesiastici e duecento pro• fessori dell'Università di Parigi. Tra gli avventizi era gara di lusso; e in t empo che per diverse fogg ie distinguev.1si le va rie nazioni, spiccava l'immensa varietà di geote, venuta dagli estremi dell' Europa ~n abiti, armature, cortei pomposi,

294 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOUNI

massimamente i cardinali; moltissimi vi accorevano a spettacolo ; molti a sollazzo, d ov'erano trecentoquarantasei commedianti e settecento cortigiane ».

Si comprende agevolmente l'invettiva d i H uss, che definl il Concilio stesso « un'abbominazione >> , e anche la frase degli svevi, che dichiaravano ad Huss « essete n ecessario un periodo di tempo non minore dì t re nta anni per purgare la città dai peccati commessi dal Co ncifio ».

Eppure « il Concilio di Costanza doveva riunire la Chiesa di Roma smembrata da uno sci sma ormai secolare e decaduta, da uno scisma çhe aveva visto dieci papi contendentisi in due e financo in tre il dominio spirituale e anche temporale della Chiesa.... ». (Cantù).

N ell'at tesa dell'apertura ufficiale del Concilio, Huss visse appar tato dal mo ndo rùmoroso e mondano degli ecclesiastici e si occupò alacremente a raccogliere i materiali per la sua autodifesa. Egli voleva sventare. luminosame nte l'accusa cli eresia e most ra re « alla chiesa di Roma la causa e l'origine di ogni suo male». Nelle numerose lettere

· i ndi ri zzate da Huss in quel torno di tempo ai suoi compattiot ti, egli si duole eh.e i suoi accusato ri siano boemi.

No n ancora tre settimane eran passate dal suo artivo a Costanza, quando Huss fu improvvisa mente arrestato e carcerato. D apprima venne ri nchiuso nella casa di un canonico di Costanza; passò quindi in un convento di. domenicani, dal quale, secondo taluni b iografi, av rebbe tentato fuggi re. Di qui fu internato in un'isola in m ezzo al lago. Qui cadde ammalato. Ristabilitosi alquanto, il vescovo di Costanza lo fece tradurre nel suo castello di Gottlieben. Dopo b en sei mesi, e cioè nel giugno, fu d i nuovo ricondotto in c ittà per essere giudicato dal Concilio ple na rio . L'imperatore Sigismondo protestò b landamente per l'infrazione di quel salvacondotto ch'egli aveva promesso, ma se nza risultato Huss er a ormai caduco nelle mani della << vecchia vaticana l upa cruenta >). No n le sarebbe più sfuggito. Duraote i mesi di prigionia, H uss scrisse parecchie lette re e compose alcuni trat tati. Da ricordarsi quello sul Corpo di Cristo e un altro Sul matri111011io.

« Ho fiducia nelle vostre prrghiere - scriveva ,gli ai suoi compatriotti nel g ennaio 14 15 - e spero che D io f!li darà la forza di soffrire fino alla morte »

Invano Huss te nta di far intervenire in suo favore il re Venceslao. Né la di lui sorte vien modificata dall'abdicazione e daJJa fo ga del papa Giovanni XXIII, destitu ito poi il 2.9 ma ggio dal Concilio. Il 4 maggio i l Concilio o rdinò di « bruciare gli scritti di Wicleff ».

Il _s giugno cominciò il processo di Huss. E gli era accusat o di ave r abbracciato le teo rie di \'\'icleff, di aver partecipato ai torbidi

GIOVANNI HUSS 295

universi~ad che condussero all'esodo dell'elemento tedesco dallo StudùtJH d i Praga, di a ver e formulato ne i suoi sCritti trentanove proposizio n i ereticali. H uss si difese energicamente. N on ritrattò, non di minul se stesso, n é le sue idee, I r edatt0ri della Biografia 11niversale, sebbene cat, t ol.ici e partigiani, scrivono_:

Nulla poté muovere quel cuore inflessibile. Piuttosto che piegarsi, Giov:inni H uss avn~bbe preferito che gli fosse p osta una mola di a sino a l collo e che il gittassero in mare».

Os ò fronteggiare serenamente il Concilio, l'imperatore, la Chiesa. E sl, che non altrettanto sereni era no gli avversari o megl io i gi udici . Pare che di frequ,ente le discuss ion i del Concilio si concludessero in pugilato.

Nelle postille alla Storia del Cantù c ' è u n episodio che merita di essere segnalato, poiché addimostra l a violenza brutale cui t rasce ndevano i grossi ministri di Dio :

11 Nel Concili o seg ul un r umore fra l'l\rdvescovo di Milano e quello di Pisa e d a lle parole ne vennero a lle mani, vo lendosi strangola re l'un l'a ltro perché non avevan arm i. Onde mo lti si gettarono g iù per le finestre de l Concilio».

Di questo stampo erano in m aggio ranza i giudici di Huss Nessuna meraviglia quindi ci suscita il sapere ch'egli fu coartato, e no n si poté difendere. 1fa ribatté gl i attacchi con grande d ig nità e fermezza. Le ost ilità, le persecuzioni, le minacce non la disarmarono. Veggansi le lettere da lui dettate in que' g io rni.

Io vi invito - scri veva Huss in una di quelle ai suoi concittadi n i - a diffidare degli uomini perfidi, sopu.tt ullo dei preti indegni, di cui il Sig nore ha det tO che di fuori rassomigliano a pecore e dentro a lu pi voraci. Io vi invi to a fare l'e lemosina ai poveri e a com,1.nda rli con g iustizia, invito i borghesi a condurre on estamente i lor o negozi.. .. Vi scrivo q uesta lettera in pri gione, nei ferr i, atte ndendo da un giorno all' altro u na condanna a morte, sper,1n do che col l'aiuto di Dio non trad irò la verità divina e non consentirò a d abiurare g li errori di cui fa lsamente mi si accusa. Dio mi farà quest a grazia? In qual misura mi verrà in a iuto in -mezzo alle tentazioni? » .

In altra lettera del 14 giugno, cosi Huss parla della fuga del Papà G iovan ni XXIII.

« E voi, rispondetemi, predicatori che affermate che il papa è un d io sulla terra, ch'egli non può peccare, né commettere simonia, ch'egli è il cuore vivificante della santa Chiesa, il pozzo da l quale vengono tutte le poten ze e tutte le bon tà, il sole della sant3. Chiesa, il rifug io senza p,e<cato dove og ni cr istiano deve trovar ripa ro. Ecco che q uesta testa è stata tagliata, questo D io terrestre è stato dichiarato colpevole di tanti peccat i, è fuggito .... Il Concilio lo ha condannale;> come eretico Ah, se Cristo a vesse de tto al Conci lio: " Colui fra voi

296 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLIN I

che sì sente libero dal peccato di simonia, condanni il Papa", tutti, io credo, sarebbero fuggiti un dopo l'altro PerchC si ing inocchiavan dunque davanti a lui e baciavano i suoi pied i e 'Jo chiama11ano santissimo padre, sapendo ch'egli era eretico, omicida, come è stato poi pr,ovato? ».

Le u ltime· linee tracciate dalla mano d i H uss sono del 29 giugno. Sette giorni dopo, e bbe luogo, nella cattedrale di Cost~nza , la seduta solen ne per la condanna. Pjecro Madenovice, discepolo di H uss, ci ha lascia to una cronaca dettagliata dell'avvenimento, che il Lager r iporta per intero.

« L'assemblea suprema fu presieduta da Sigismondo re dei romani. Sopra una tavola erano deposti g li abit i ecclesiastid di Huss, vestit i che egli avrebbe indossato per subire poi la de.gradazione ecclesiastica. Entrando in chiesa, i l maestro s' inginocchiò e pregò. Un vescovo sa lì quindi al pergamo e tenne un d iscorso contro le eresie. Il procuratore d el Concilio chiese all'Assem ble;i. di finire il processo. Un vesco110 lesse g li articoli eret ical i attrib uiti ad Huss. Huss accennò a pa rlare, ma il vescovo di Chlmbray e quello d i ·Firenze gli tolsero violentemente la parola. Egli era accusltO, come abbiam visto, di a11er negato là transubstanziazione, di aver affermato che non può :issolvere ·dal peccato un sacerdote che si trovi in peccato. Al Conci lio una nuova e più ass urda accusa si aggiunse, secondo la quale Huss avr ebbe affermato d i essere "la quarta persona della divinità". Un altro articolo addebitava aJ Huss il fatto di essersi appellato a D io AUora H uss, a voce alta, dO minando le interruzioni rumorose dei suoi giudici, escbmò: "Ecco, o Signore, un Conci lio che condanna le tue azioni e la tua dottrina come un errore, tu che, q uand o fost i schi:1cciato dai tuoi nemici, confidasti la t ua ca uia a Dio, il supremo g iudice, dandoci cosl l'esem pio d i rico rrere a lu i nelle nostre ·angosce...... E aggiunse : "Affe rmo che ness un appello è più sicuro di quello che 11ien rivolto a Cristo; egli non si b scia sedurre da e mpi regali, n~ ingannare da fa lse testimonianze: eg li rende a ciascuno la dovuta gi ustizia" Dopo la lettura des ti articoli incrimin;itì, un prebto della l'\a?i one ital ian;i. lesse la condanna. I libri di Huss dovevano essere b ruciati e Huss consegnato al braccio secolare»

Udita la sentenza, Huss s'i nginocc hiò e mentre, con:i,e n a rra Pietro :t\.fadenovice, i più alti p rela t i sghignazzavano, egli pregò << Dio di perdonare ai suoi nemic i » Quindi sette vescovi cominciarono l a degradazione del condannato. A u n'ultima intimazione d'abiura, H uss <l ichiar ò :

« Q uesti vescovi mi esortano ad abi urare, ma io non vog lio farlo; sa rebbe un mentire io faccia a Dio, sarebbe ferire la mia coscienza e la verità di vina»

Togliamo letteralme nte dal racconto del discepolo i particolari d ella trista cerimoni a.

«"Noi vediamo", disse ro i giudici, "ch'egli è tenace nella sua malizia e nella sua eresia .... ... G li strapparono il Cll!ice dalle mani pronunciando le p3role dell'ana tema. "O Giuda maledetto, perché h;i.i abbandonato il Consiglio d ella pace e sei venuto a r.:ompromessi cogli ebrei ? Noi ti leviamo il calice d ella r eden-

XXXIII ,

GIOVANNI HUSS 297
20•.

rione", " Confido'', disse Huss, ··nell'oMipotentc Iddio e s~ro ch'Egli non mi torrà ·il suo calice ". Gli vennero strappati ad uno ad uno t utti i pa ramenti sacerdotali pr:onuncia ndo le maledizioni rituali. "Accetto umilmente", ~sdamò Huss, "queste bestemmie per l'amore del nostro Signore" »

Compiuta la svestfa:ione, si passò alla viola2ione della tonsura. I vescovi disputarono fra cli l oro, gli uni volendo impiegare il. rasoio, gli ahri le forbici.

Finalmente .i prelati pronunciarono la formula suprema :

« La Chiesa gli ha tolto tutti i d iritti ecclesiastici, non le appartiene p iù e dev'essere abbandonato al braccio secolare:».

E o rdi n arono di porgli in testa la corona ereticale. Una corona di carta, sulla quale stavan dipinti tre diavoli contendentisi l'anima di un dannato, coll'iscrizione lati na « Hic tsl ht rtsiareha ». D opo la condanna, l'esecuzione fu oltremodo sollecita. L'eretico usd dalla chiesa e s'incamminò al supplizio.

La sodetà dei dotti redatto ri della Biografia univt rsalt cattolica, a pag. 437, cosi narra le ore estreme del martire czeco.

« Qu~ to novatore fu consegnato al braccio sèco!are aj 15 di luglio dd 1415 e condotto al supplizio in mezzo a un concorso im,menso d i persone d 'ogn i paese. Egli salì con tutta l'intrepidezza del fanatismo il rogo, donde, come dal tea tro del suo trionfo, intonò cantici in mezzo alle fiamme che divoravano i l suo corpo e g li scritti suoi. Alcuni pròtestanti del secolo XVI, fondandosi sulla parola Huss, che in czeco vuol dire " CCI" , racconto.no gravemente che prima di spirare aveva profetato la venuta di Lutero gridando che si faccia morire un'oca, ma cent'anni dopo la sua morte risorgerebbe dalle sue ceneri un cigno, il q ua le sosterrebbe la verità ch'egli aveva d ifesa . .A detta di Enea Silvio, g li hussiti raccolsero la terra del luogo dove fu arso il maestro, la por.tacono a Praga e la distribuirono ai loro amici come una terra sacra».

Òucaòte il tragitto dalla cattedrale al rogo, Huss vide l'focendio dei suoi libri e sorrise. F u condotto in un prato vicino al castello di Gottlichen. Qui s'inginocchiò, nell'attesa, pregando. I preti che lo scortavano~ gli negarono il confessore. Essendogli caduta dal capo la grottesca corona di carta, gli fu tosto rimessa, poiché egli « d oveva bruciare coi diavoli suoi complici )>.

« Gesù - invocò nell'ist:iote supremo Huss - io sono pronto a soffrire con umiltà e con pazienza questa morte ignominiosa pel tuo Vangelo e la predicaz ione della tua parola»

Gli fu tolta la tunica e legato a u n palo. Poiché egli era volto con la faccia ad oriente, fu cambiato cli p osizione. Il collo gli fu assicur ato al palo mediante una catena di ferro. Il martire sorrise :

298 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

« Cristo ha portato una coro na ben più d ura e pesante, non temo io, miserabile creatura, di portare q uesta in nome suo »

Prima di accendere la catasta il maresci allo dell'impero, Hoppe de Pappenheim, invitò ancora u na volta Huss all'abiura. Ma il maestro respinse l"invito.

« Dio m·~ testimone - egli disse - che non ho mai insegnato, oé predicato le dottrine che mi furono falsamente attribuite; non ho cercato che di strappare g li uomini aì loro peccati. N ella veri tà del Vangelo che ho scritta, insegnata, p redicata, conforme all'insegnamento d ei santi dottori, io sono pronto a morire con gioia».

La legge nda narra che una vecchierella portasse non una, ma d ue fascine al rogo. Onde nel vederla Huss avrebbe esclamato : « San(/a sìn1plicifa1 ». È un episodio leggenduio. ·

Mentre il fumo e le fiamme nascondevano e bruciava no il m artire, questi ebbe il tempo e la forza di pro nunciare alcune ultime invocazioni:

« Cristo, figlio del Dio vivtnte, abbi pietà di mc, di noL.. T u che sei nato d alla Vergine Maria .... ».

Il Leger ci narra la scena sul rogo con alcuni macabri particolari, che destano raccapriccio.

« Dopo Ja prima fia mmata, solo la parte inferiore del corpo era bruciata; il tronco semicarbonizzato r estava fisso al palo. Allora si rnvesciò il palo nella cene re, s i riappiccò il fu oco gettandovi un nuovo carro di legna, mentre gli a iuta nti del boia cercavano le ossa e le spezzava no perché bruciassero meglio. Così la testa venne spezzata in due e gettata n uovamente fra l e fi amme ins ieme col cuore non tocco dal fuoco . Anche le tuniche vennero gettate alle fiamme affinché i boemi non se ne facessero delle r eliquie. Fina lmente furono caricati su di un ca rro tutti i residui del rogo, ossa, ceneri e tizzoni, e vennero getta ti nei gorghi profondi del Reno».

Il g ran delitto papale era compiuto Ma la motte di Huss il veridico suscitò, come vedremo tra poco, una delle più vaste e sanguinose in~ surrezioni di popolo che rico rdi l a storfa. I vendicatori del ma"rtirc sorsero a migliaia e migliaia in tutta la Boemia. Non appena si seppe del rogo, a Praga scoppiò un tumulto violentissimo. Secondo l'Her~ gerirOthcr (Storia universale della C hì11a, pag. 11z), le case dei preti anti~ hussiti furono saccheggiate e d emolite, m olti eccles iast ici manom essi e bruciati, il palazzo arcivescovile assediato e l'arcivescovo si salvò a fatica , colla fu ga.

GIOVANNI HUSS 299

L'OPERA

Un'edizione veramente completa. degli scritti di Giova nni Huss non esiste ancora. Le opere latine furono pubblicate in parte a No r i mberga nel 1715 e a Vienna nel 18 56. La raccolta di tutte le opere inedite e manoscritte esistenti è stata fatta da Carlo Erbe n, direttore degli Archivi municipali di Praga. M a m o ltissime altre furon o disperse dalla persecuzione accanita d ei gesuiti, che sub odoravano l'eresia in ogni scritto czeco e gettavano j libri e talvolta anèhe i portatori dei medesimi alle fiamme . Bezhold cita infatti il caso di due ecclesiastici eretici tedeschi periti nel rogo a Ratisbona tra il 14zo-'z 5 e rei di aver tradotto le opere di Huss.

Ness una meraviglia dunque che nelle biblio teche governative e ·comunali italiane, quasi tutte di origine conventuale od ecclesiastica, ben poco ci sia di attinente ai moti ereticali del medioevo e nuJla che rjguardl propriamente Huss.

Fra le opere riunite da Et.ben sono notevoli un Commentar-io tul!a fede del cristiano, un Trattato J11l!a sin;onia, la Spitgazione dei Vangeli ddla domenica, lo Specchio del peccatore, gli Articoli d' oro, il Riauunto della fe dt ffÙliana, e altre di minor p regio e mole.

Huss sCrisse e predicò di preferenza in lingua volgare czcca, Prima di tutto per rendersi i ntelligib ile alle masse popo lari ignare del latino e po i per correggere e pu rificare l'i dioma czeco , co rro ttO, specie nelle città, dalle infiltrazioni del tedesco Non bisogna mai dime nticare che « come \Vicleff aveva cominciato la sua lotta contro Roma come patrio tta inglese, cosl Huss sin da principio si fece inna nzi come difensore dei suoi czechi contro . la tira nnia romana e tedesca ». Gli è ad Huss che Si deve la semplificazione dell'ortografia czeca, Fra g li scritti dell'Hus_s, quello sulla simonia è il più importa nte. I n fon do, non è che un violentissimo pamphlet contro la corruzione del dero. Huss flage lla senza pietà j p reti che (( disono rano le funzioni sacerdotali e me nano contro il Cristo la danza dell'Anticristo »

« Bestemmiatori - continua H uss - sono i pre ti che pretendono d i creare il corpo del Cristo quand'essi vogliano. Bestemmìa tori coloro che· dicono che il papa n on può errare e che g l i uomini devono semp re e comunque asco ltarlo ; bestemmiatori coloro che d icono c he il papa ! un Dio sulla te rra e che può fare quaggiù quanto g li piace e governare tutti g li uominì "·

300 OPERA OMN[,,\ DI BENITO MUSSOLINI

Come ognun vede, Huss batte in breccia l'infallibili tà papale, contro. versa ques tione che fu ri solta molti seco li dopo e in senso prettamente ortodosso.

Il trattato della simonia fu scritto nel 144z, nel qual anno cominciò appunto in Praga la vendita delle indulgenze. A tal prop osito scrisse Hu ss :

« Noi abbiamo visto quest'ann o dei pret i mentitori ·e debosciati, avari, di cui · le malvage dottrine negavano il Cristo e che insultavano alla sua vera dottrin a, derubare il popolo con indulgerne menz.og nere, in ven ta re le cose più assurd e e vendere il condono dei peccat i e il riscatto dell e pelle. E c'erano dei maestri che approvavano le loro dottL-ine, ch e le difendevano, che scri vevano che il Papa può co n dig ni tà fare la guerra e vendere le indulgenze. Ma il Signore Jddio ha dalo ai buoni sa cerdo ti lo Spi ri to san to, che li ha fatti co raggiosamente predicare contro questi mentito ri , e ai fedel i il coraggio di esporre sino la vita e di sac rificar la al Signore. Tali furono Martino, Giovanni, Stafe k, che furono decapitati a Praga per aver contestato delle predicazioni bugiarde. Altri sono stat i battuti, insu ltati, gettati in prigione ».

Questa campagna tenace co ntro la vendita delle indulgen ze, in sie me coll'alt ra fatta per smascherare i falsi miracoli del preziosissimo s angue di Wilsnack, acuirono enormemen te le ire degli ecclesiastici e anch e di quei maestri cui allude Huss e che devono essere i maestri tedeschi dell'Università.

Ne llo stesso tratta to, Huss si domanda:

<e li papa può esse re si mon iaco? Si risponde ch'egli no n lo può, attesoché egli è il pad rone del mondo intero e può prendere ciò che gli conviene e fare ciò che gli piace, poiché ei;li è il padre santissimo s ul quale il peccato non fa p resa . :Ma sappiate che molti papi sono stati eretici, peccatori e sono stati destitu iti dal papato. Lunga assai sarebb e la li sta. Non si può dunque affermare che un papa n on possa essere simoniaco. Colui che sostenesse il contrario e cioè che il papa non può e5sere simoniaco o peccare morta lmente, pretenderebbe di metterlo al disopra di Pietro e degli altri apostoli No n c'è che un padrone del mondo che non può peccare e che può fare tutto ciò che vuole. J;: Dio. Ma, si dirà, il papa è il santissimo padre. Sì, s'egli imita Cristo nella povertà , nell'um iltà, nella casti tà, nel lavoro; ma l'avarizia, l'o rgoglio,il peccato permettono di dubitare ch' egli sia il santissimo padre. Ma, si di rà, tutto l' universo lo chia ma così e tu non sei nulla. Co me si potrà credere più a te che a lui? Qui faccio notare che si va troppo lungi dicendo tutto l'univers o. Al massimo è la centesima parte dell'umanità quella che lo riconosce per vescovo di Roma . .l\fa quand'anche tutti g li uomini senza eccezione lo chiamasse ro s:intissimo, se le slle azioni sono con· tr;1rie alla dottrina di Cristo poco im po rt:i.no le denominazioni che gli si danno. Cosi il Signore ha detto: "Pop olo mio, co loro che ti chiamano felice fingano.o.no". Del pari i preti e i diaconi che vogliono ottenere i favori del papa lo chiamano santissimo. Eg li fini sce per c rederli e per permettere loro di chiamarlo così. Oh sventura di colui che si lascia in siffatta guisa ing anna re. Se il papa non imita Cristo e Pietro nell'eccellenza della loro vita, egli dev'ess ere chiamato non il successore, ma il nemico deg li apostoli. funzione pon ti ficale è que lla

GIOVANNI HUSS 301

degli apostoli: predicare la parola divina, fare delle cose sante e predicare per gli uomini. L'amministrazione dei beni. temporali appartiene a uno stato inferiore, lo stato laico. La potenza temporale non serve in nulla ai papi. Leggete le cronache. La potenza dei papj diminuisce sempre nel momento in cui fanno la guerra. Sant'lldegardo ha detto che la dominazione dei papi decrescerà e che appena Ja tiara episcopale rimarrà sulla loro testa. Sarà cosl o no? Tu lo sai bene, o Signore!».

Questo lunghissimo brano merita alcune brevi postiJle. In esso, è evidente il proposito di Huss di limitare ai confini del vero l a pret esa universalità del papato. D imostrare l'insussistenza di questa universalità è già un diminuire la potenza e l'influsso morale del p apat o. Questo abbandono d ell'antica idea internazionale della Chiesa romana è un portato delle nazionalità risorgenti. L'impero cattolico è ormai una 6nzione. Limitato il papato , almeno nello spazio, bisogna di minuire la personalità spirituale del papa. Questi non è il vicario cli D io, ma un re profano e dei re profani ha tutte le cupidigie. E gli non merita l'obbedienza dei fedeli dal momento che le sue azioni sono in acuto contrasto colla dottrina evangelica. Come più tardi Lutero, cosi Huss oppone jl Vangelo al papa. E Lutero dirà:

« L'Evangelo che noi abbiamo, H uss e Gerolamo da Praga l'hanno congui• stato col loco sangue »,

Interessante è nel trattato hussiano della simonia la d escrizione della vita che si conduceva allora nei conventi.

« San Bernardo - scrisse H uss - ci attesta che i mon:ici non serbano fede al loro voto di povertà e che ma le spendono le loro ricchezze,... T u non sei vissuto io Boemia, o Bernardo, m a ti assicuro ch 'essi h anno della birra nuova e vecchia, doppia e semplice Quand o essi ricevono la visita di un laico ignorato, gli danno d ella birra piccola, per fargl i credere che que lla è la loro abituale bevanda e perch'egli ne beva poca. J,.fa · ~ per contro, suppongono che il visi. tatore abbia l'intenzione di farsi seppellire fra di loro o di lasciar loro qualche cosa, a llora essi tirano fuori la birra .migliore e allegramente banchettano. Così q uegli infelici si sono talmente ritirati d:1! mondo, in quanto conce rne le gioie materiali, che nessuno al mondo conduce più di loro vita gioconda. I re, i p rin· cip i, i signori non hanno sempre tanta carne e così fresca ; i laici vedono qualche vo lta le Joro cantine vuote, i monaci g iammai; il ce po lrà mancare di pane, ma essi ne hanno sempre e del più bianco. l'inverno non li 1;ela, poiché essi ha nno d elle scarpe e delle pellicce gu:unite; l' estate non li brucia, poiché h anno le celle e le passeggiate fresche, Così, chi vuol vivere allegramente, s'affretti a entrare in un convento ».

Per documentare g li scandali del clero, Huss narra che in Mor avia e in Ungheria ogni prete-padre pagava per ogni suo fig lio un diritto di culla al vescovo, il quale veniva in- t al modo ad arric- .

302 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

chiesi più o meno r apidamente> a seconda della maggiore o minoce fecond ità dei suoi montoni è delle sue pecore, Nel segnalare questa 1< sfrenata scsSualità dei prelati», Huss li investe:

« Riconoscete d unque i vostri er rori, ladri della p overa gente, assassin i, briganti, sacrileghi! Se anche glì uomini non vi maledicessero,_Dio vi maledirà. Che sarà di coloro, il giorno di giudizio, c~e hanno preso il bene alt rui? Essi sono gli assassini dei poveri».

Il t cattato della simonia c o nclude con queste parole :

« Ho scritto queste pagine sapendo bene che non ne avrei tratto né lodi, né favori, né profitti temporali da parte dei preti avari o dei laici; d a loro nulla aspello, non domando che a Dio la mia r icompensa e la loro salvezza, Se debbo essere insultato e pe rseguitato, h o gii deciso che val meglio soffrire da parie loro che ricev ere in cambio del le mie lusiflg he una ricompensa t emporale, Se io p iacessi agli uomini, ha d etto San Paolo, n on sarei il servito.re di Dio. Ho detto fra ncamente e semplicemente dà che pensavo per ,vedere se mi riusciva di schiacciare la simonia. Che il Redentore mi aiuti. Il le ttore comprende bene che la mia intenzione non è quella che i buon i siano i nsultati e tormentati, ma distolti dal male, e che i cattivi si pentano».

Il trattato sulla simonia ci r ivela l'Huss riformatore, moralista, preclicatore, l'Huss della cappell a di Bethlem. Ma accanto all'Huss predicatore, c'è l'Huss teologo dell'università. Ci converrebbe o ra v.edere se e in quanto Huss merita di essere annoverato tra i g randi eretici che insorsero contro i dogmi della Chiesa o intesero fo ndare una nuova religione. Si tratta insomma di esaminare il conte nuto filosofico-religioso-sociale dell' hussismo, Tutta l'eresia hussi ta q uale fu elaborata dai precurso ri di Huss, da Huss massimamen te e dai maestri di Praga, può sintetizzarsi nei seg uetlti quattro articoli : CO· munione sotto le due spe~ e, libera predicazione de lla parola d ivina, secolarizzazione dei beni del clero, punizione con -castighi te mporali dei peccati mo rtali e delle colpe co ntro la Chiesa, Ora dice Bezhold:

-eo: Il calice ai laici, che Wideff non aveva chiesto e che Huss soltanto poco prima della sua morte aveva concesso all'amico suo Giacomo von Mies., la comun ione sotto le due specie non era che una formalità esteriore, ma non il vero punto del movimento insurrezionale, arrestato il quale, essa .rimase un misero pri vilegio dell'utraquismo ».

Il primo articolo della eresia de terminò la setta degl utraquisti. Non appena giunse in Boemia la notizia della morte di H uss, i si~ g no ri czechi e moravi si riuniro no a Praga in gran numero e, dopo aver dichiarato di ti6.utare obbedie nza al Concilio di Costanza, aderi~ rono in g ran parte a lle dottrine degli utraquisti o calistini (dal calice che essi reclamava no per premio alle comunità dei fedeli).

Gli altri tre punt i dell'eresia, e cioè la predicazione hussitica del

GIOVANNI HUSS 303

diritto divin o d i possesso e della estirpazione delle colpe, svegliò « le più selvagge idee di socialismo e di comunismo nelle classi infime della nazione, specialmente in "quella dej contadini )). (Bezhold). Sorse così la setta degli adamit i. Cost0ro volevano semplifica[e sino all'ecce5so il rito e il dogma. Huss negava la necessità della confessione aur icolare, deplorava come idolatria il culto delle immagini, d emoliva l'infallibilità papale, insorgeva contro il cerimoniale, che t endeva sempre più a .nasconde re la sostanza, denunciava il fariseismo ecclesiastico, pago solo di salvar le apparenze. Ma gli adamiti andava no oltre e Bezhold dice che « essi s i v alsero d ella confusione gcnera1e per professare apertamente le dottrine del libero pensiero ». Certo è che gli adamiti erano l'ala estrema del movimento hussita. Secondo loro, né Dio era in cielo, né il diavolo nell'inferno. Dio era nei buoni e il d emonio nei cattivi; i libri e i maestri erano inutili, lo Spirito santo bastava a creare d ei fi gli di Dio, essi costituivano la Chiesa e dovevano vive re eternamente, tutte le cose d o vevano essere in comune, anche le donne, il matrimonio era inuti le. I seguaci di queste strane dottrine sì e ra no riuniti sopra a un'isola del fiume Nczatka. Vivevano in uno stato di nudità assoluta e si abbandonavano, secondo narrano il T omek e il Leger, ad ogni genere di turpitudini; di nottetempo razziavano i dintorni e saccheggiavano il paese, poiché essi si ritenevano angeli di Dio inviati per castigare il mondo e sopprimere gli scandali. A poco a poco erano divenuti il terrore del la regione che li ospitava. Ma Zizka, capo dei taboriti, altra setta hussita di cui ci occupcramo tra poco, sì decise a distrugge re gli adamiti. La loro resistenza fu accanita, ma furon o dfafatti e dispersi. Quaranta pri gion ieri superstiti furono bruciati per ordine di Z izka. Uno solo fu conservato in vita perché raccontasse i dogmi e i riti della setta e questo racconto fu mandato a Praga per met tere in guardia i cittadini dalle lusing he del· l'eresia adamitica. 1

]l taboritismo, altra diramazione d ell'hussisrno, è il moto più importante e profondo di tutti gli altri. Non è solo religioso, ma nazionale. Quindi guerriero. I taboriti so no i combattenti della guerra civi le che travagliò la Boemia dal 14 19 al 1434. Parlando di q uesta guerra, illustreremo anche la dot trina dei taboriti. La storia di Huss il martfre si completa con quella di Zizka, l'eroe del popolo boemo.

1 Affen; agli fldamùi furono i « fossa ri » o mhtatori, uope,ti aJJai tempo app,euo nel 1501 in tm villaggio b oemo, dmo G11rricke da Lorenzo Glatr di R othenhauien, rh e riJmivans i di n outtempo in groÌle e tavern e per darvùi i1t preda a disordi 11i, spr,giavano chieu e Jarrame11ti e f11c e11ano proulili Ira le r/;tJJ Ì più tt!U, Eui amaro'!1o meglio e migrdre rh e rinunciare alla l o ro eresia , (Cdrdina! HERG ENR0THE R , Storia unive rsale della Chiesa, vo i. V, pag. 216),

304 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

ZIZKA E LA GUERRA HUSSITA

Il vendicatore di Huss, il Jeggendar io eroe boemo, di cui anche Giorgio Sand tracciò la vita, nacque nel mezzogiorno della Boemia, a Budweis, non si sa di p rec iso quando. Partecipò in giovinezza alle guerre intestine che afflissero il regno di Venceslao il pigro. Porse in una d i queste egli perdette un occhio . Negli anni della predicazione di Huss alla cappella di Bethlem, Z izka era ciambellano della regina So6a, ammiratrice e protettrice di Huss.

Zizka rimane nell'ombra s~no alla morte del re Venceslao. Successore doveva essere il fratello Sigismondo, imperato re di G ermania e re d'Ungheria, personaggio tristemente noto ai boemi, perché, malgrado il salvacondo tto , aveva abbando nato Huss alle vendette ddla Curia romana. Gli utr:aquisti sembravano propensi ad accettare Sigismondo a queste due condizioni: esercizio libero del loro culto, riforme della Chiesa. Ma il p opolo intanto app ro fittava dell' i nterregno per manifestare il suo odio con tro la chiesa e gli ecclesiastici di Roma. Grandi riunioni di p_opolo avevano luogo di frequente nei dintorni de.Ile città, sulle colline. A q ueste si davano nomi tolti dalla Bibbia~ una divenne fra le a1tte più celebre: il Tabor. Un Jtlese prima della morte di Venceslao, la folla riun ita al Tabo r aveva discusso di ·detronizzarlo e di sostituirlo con u n vescovo assolutamente autono mo dalla Chiesa di Roma, Dopo la morte di Venceslao, il Tabor diventò il centro di resistenza contro Si gismo ndo e la resiste nza eta d iretta dallo Zizka, ch e si era già fatto notare pel suo coraggio in una bat· tagl ia civile contro. la città di P raga,

Intanto , i partigiani di Sigismondo ponevano l'assedio a Pilsen. Gli abitanti di questa città fecero appello a Zizka. Qui comincia la carr iera militare dell'eroe boemo. Egl i difese Pilsen, ma dovette -cedere davanti a un nemico dieci volte maggiote di numero. A buone condizioni però e cioè che il rito utraquista avesse d'o ra inna nzi d iritto di cittadinanza e che a lui, Zizka, fosse concesso di r itirarsi l iberamente, coi seguaci , al monte Tabor.

Ma prima di giungervi egli d ovet te vincere unà battaglia · , antro duemila cavalieri imperiali. Quando nel matzo del 1410 tientrò al Tabor, la comunità aveva già p reso un assetto stabile. Le fam iglie erano aumentate di n umern. I più ardit i fautori della rifo rma r eligiosa,

GIOVANNI HUSS 305

i più accaniti nemki del papa e dell'imperatore, accorrevano in massa . alla mont:igna santa. Borghesi, contadini, piccoli proprietari vendevano i lo ro beni e si facevano accettare nella comunità taborita. I tab or iti assunsero il nome di « guecrieri di Dio )> Essi erano decisi a vivere, p o liticame~te, senza sovrano; forse volevano fondare una r epubblica o estendere a tutta la Boemia la loro comunità. Erano nazionalisti. In loro, << coll'ardente deside rio di fondare sulla t erra il r egno di Dio, s i frammischiava la fede nella speciale missione d el popolo czeco; col dovere di a dempiere la legge divina, conciliavasi egregiam ente l'antica avversione contro i t edeschi, che potevano combattersi altresl come stranieri intrusi e come cattolici avversari degli eletti >> , (Bezhold). Ecco l'inno che i « guerrieri di Dio » cantavano andando alla battaglia:

« Vo i siete i cam pioni di Dio e de lla sua legge, D omandate a D io l'aiuto e sperate in lui e, in fin de i conti, con lui vincerete sempre. Questo Signo re ci ordi na di non tem ere -coloro che tormcnt2no i corpi. Eg li ci ordina di 1acrificare la nos tra vita, per l' amore <lei prossimo. Cosl, fortifica te virilmente i vostri cuori. Il Cristo vi ricompenserà de i vostri mali. Lo promette e a l cenluplo Col ui che p er Cristo sacrifica la sua vita, n e avrà una e te rna. Cosl dunque, arderi e fo ncie ri dell 'ordine equestre, alabardieri e p or taflagelli di ranghi diversi, rkordatevi bene tutti le bontà del Signore. Non temete il nemico, non temete il n umero .Abbiate nei cuori il vostro Dio, combattete con lui e pt"r lui e nOn fuAAi te mai d in anzi al nemico. Altra v olta g li czechi dkevano e avevano questo proverbio: con un b uon capitano si vince la battaglia e con lui un buon serv itore diven ta cavaliere. Ricordatevi la parola d'ordine che vi h:mno dato; obbedite ai vostri o rdini, capitani, soccorretevi reciprocamente Ognuno stia atte nto e resti al suo posto. E poi giocondamente gridate: "Su ! Con tro di loro ! Su ! ", Affe rrate le armi! Gridate: ' ' Dio il nostro Signore " , Colpite! Uccidete! Senza pietà ! ».

Il fanatismo r eligioso.guerrie ro d ei t abodti era formidabile. Zizka li organizzò militarmente. Il mon te Tabor fu cinto da una muraglia ri nforza ta da t orri e bastioni. Da quest o mo nte i t abo riti irro mpevano attraverso la Boemia alla ricerca e a1lo stermi nio dei seguaci de ll a Curia romana e dell'imperatore Sigismondo. I seguaci di Huss, che prima di morire aveva proclamato la libertà di pensiero alfermando « che non si può uccidere un eretico solo perché tale », superarono · in barbarie la Chiesa di Roma. Il passaggio dei tabo ri ti significava saccheggio, incendi, distruzioni, strag i. Pare che Zizka non appro· vasse questi eccessi e che le sue opinioni fossero più moderate, ma i preti del Tabor che precedeva no le colonne guerriere non avevano sc rupoli, né poneva no limiti all'esplosione del loro fanatismo . Il tab o ritismo rigetta quasi tutti i sacramenti, sopprime ]a messa, conse rva solo la consacrazione del p ane e del vino (utraqu ismo), ri fiuta t utte le preghiere a ll'infuori del Pal1r 1 n on ammette né cappe, né dalma-

306 OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

tiche, né altri ornamenti di Chiesa. Questi ornamenti sono inve nzione demoniache che biscigna distruggere G li avversari dei taboriti sono i nemici di Dio: annientarli è opera pia. l

Il 1° marzo 14zo, il Papa Marti no V proclamò la crociata contro gli hussi t i; il 17 dello stesso mese l'imperatore Sigismondo invitò i principi t edeschi a marciare contro gli czechi ribelli, Ma Praga si p'repatò a resistete. I taboriti scesero in suo soccorso. Il zo g iugno Z izka entrò, trionfalmente accolto, nella capitale e assu nse il comando della difesa. I crociati papali di Germania, d'Austria, d ' Ung heria, di Francia e fin d'Aragona avevano posto l'assedio J Ma Zizka li sgominò, Sig ismondo stesso, dopo essersi fa t to i ncoronare pro forma nella Chiesa del castello di Atadczany, tolse il 30 luglio l'assedio a Praga .

Scomparso il pericolo esterno, ricominciarono le lotte intestine, provocate dal pietismo esagerato, quasi selvaggio dei taboriti. Alcuni di loro, odiato ri delle vanità mondane, percorrevano l a ci ttà t agliando i baffi ag li uomini, i cape1li o le vesti ·alle donne o saccheggiava no chiese e conventi. Chiedevano modificazioni radicali agli statuti della comun ità di Praga e queste richieste, dettate da un fanatismo esasperato nelle tragiche contese, suscitarono g ravi disordini, e i cittadini di Praga salutarono con gioia gli ospiti incomodi quando si decisero a ritot • nare sul loro Tabor.

Zizka, fortificata. Praga, continuò i n tutta la Boemia la guerra d i purificazione. Nel novembre del I4zo strinse d'assedio la c ittà ortodossa di Rachatice, e conquistatala vi lasciò compiere un g rande. massacro. I prigionieri furono t utti condannati al r ogo, salvo sette che appartenevano alla setta degli utraq uisti cd ebbero la vi t a salva. Venticinque disgraziati , rei di non aver voluto praticare . l'utraquismo, furono rinchiusi in una sacrestia, alla quale fu appiccato il fuoco con paglia e catrame. ·

Anche a Praga l'ortodossia ereticale di Z izka fe ce delle vittime. Nel dicembre del 1 42.0 egli o rdinò di bruciare sette preti taboriti che gli parevan sospetti.

Durante tutto l'anno 1421, Zizka guerreggiò nel nord-ovest della Boemia. Prese Kommotau; molte altre città, atterrite, gli apersero le porte. Sull'Oreb, i ncontrò una se tta affine, quella degli orebiti. Durante l'assedio di ·Litornerice, Zizka s' impadronì di un castello,

1 Ù gwuit manifmo dei taborili 11 tutta la rrhtianità (1431) dichiara la Chiesa poueriore a Couantino ( onte ude dell'eresia simonùua, il di vino di leggere la Bibbia ,omt ima mtuhina l'aura del /'opolo e la decima <ome una istit uzione in t1euhitua dt ll'A!Ui<o T tstamento Euo h1t1Ùa i'auro,ità de/J' i m/' t ro, a Jlrap/'are di bo<<a ai preti, <ani silenziosi, l'osso dei possessi t emp orali, a/fin<hl pouano nuoi·ament, abbaiare,

GIOVANNI HUSS 307

che conservò per sé e chiamò il « calice», in omaggio alla dottrina utraquista:

A lla Dieta di Gzaslav, gli stat i di Boemia e Moravia proclamaron o la decadenza di Sigismondo e aderirono solennemente a.i quatt ro articoli di Praga, dichiarando nel contempo nemico chiunque r ifiutasse fede ai suddetti articoli. Nell'attesa di un r e, che Zizka aveva chiesto a1la dinastia regnante in Polonia, Pamm inistcazione del paese fu affidata a venti governatori, tra i quali primeggiava lo Zizka. Fu convocato in Praga un sinodo per riorganizzare la Chiesa cristiana in Boemia. Zizka mirava a _raggiu ngere l'unità politica e l'unit~ religios a.

Nell'at tesa, non desisté dalla caccia degli ortodossi. In u na b attaglia perdé l'altro occhio e divenne cieco, Continuò tuttavia a g uid are militarmente i tabor iti e rito rnò ancora trionfalmente a Praga per resistere a Sigismondo, che minacciava un nuovo assedio alla capit~lc. Disperse ancora una volta le trup pe dell'imperatore, Zizka venne fatto cavaliere I cronisti dell'epoca lo chiamavano « capo delle c ittà dev ote alla Boemia e fedeli alla parola d i Dio ».

L a successiva campagn a in ungheria è quella che meglio rilev a le altissime qualità guerriere dì Zìzka. E fu ultima, poiché l' 11 ottobre del 1414 Zizka mori, ma non in campo di battaglia, come aveva des iderato. Egli spirò raccomandando a coloro che lo circondavano « di temere il buon Dio e di difendere stre nuamente e senza posa la sua verità per ottenere la vita eterna )). La leggenda vuole che Z izka morente raccomandasse ai suoi seguaci di abbandonare il suo corpo alle b estie, di levarne la pelle e di farne Un tamburo p er condurre i taboriti alla battag li a Per farsi un 'idea dell' adorazione fa nat ica c he i caboriti nutrivano pe r Zizka, basti dire ch e dopo la sua m o rte parte d'essi si chiamarono «orfan i )>

Assai rigida e ra la disciplina religioso-militare imposta da Z izka ai s uo i seg uac i. Disciplin a eg ualitaria pe rò, N on ci sono g erarchie di fron te alla espiazione d'un delitto .

« JI soldato sacchegi:;iatore sarà punito colla morte - comm ina Zizkachiunque esso sia: principe, signore, cavaliere, paggio, borghese, artigiano o lavoratore».

Il puritanismo hussiano rivive in questa intimazione dell'Ordine di Zizka:

(( N oi non vogliamo· n ella nos tra Com unità né g li infedeli, né i disobbe· dienti, né i mentitori, né i giocatori, ni!- g li ubbriachi, ·né i debosd:i ti, né g li aùul· Ieri, né le femmine di male affa re, Il frate llo G . Zizka e g li altri signori, cap it ani , borghesi, artigian i, intendono, coll' aiuto del Sig nore, castigare tutti i disordini colla sferza, la dccapituione, i-im piccagione, il fuoco e tulle le vendette poss ibili i.

308 OPERA OMNI!,, DI BENITO MUSSOLINI

È

lo Jehova implacato della Bibbia che ispira Zizka, n on il mite apostolo di Nazareth.

Il nazionalismo hussiano riecheggia in questo grido di ve ndet ta che chiude l'Ordim di Zizka:

« Noi vogliamo vendicare la causa di Dio e dd suo santo martire, !lfT rancare la veriti della legge divina, venite in aiuto ai fedeli della Chiesa e specialmente della lingua czeca e slava e dì tutta la cristianità, affinché i fedeli .siano -esaltati e gli eretici confusi. Che l'Onnipossente si degni di concederci il suo soccorso affinché possianlo vincere i suoi nemici e i nostri ».

Dopo Zizka, i taboriti furo no g u idati dai due procopi e la crociata papale passò di sconfitta in sc0n6tta. Allora la Curia di Roma suscitò la discordia fra gli utraquisti e i taboriti, indebolendo l'opposizione. Gli utraquisti, raggirati dagli emissari pontifici, decisero di mandare alcuni delegati al Concilio di Basilea. Ne usci un concordato equivoco. Il Papa tollerava la comunione sotto le due specie (pane e v ino), ma solo « pcovvisoriamente ». I taboriti insorse ro e scoppiò una tre menda guerra civile fra le due sette. I t ab oritl furono vinti e dispersi in due grandi battaglie nel 1434. La loro sconfitta segna la fine della guerra hussita. Sigismondo poté finalmente cingere la corona di Boemia. La non osservanza dd concordato stipulato dalla Curia cogli utraquisti, provocò altri disordini, ma furono rapidamente domati.

Un'altra creazione dell'hussismo furono i « fratelli » . d i Boemia, reclutati fra la nobiltà czeca. Quando, scrive il Bezhold, nell'anno 1434 i taboriti, come partito politico, ricevettero il colpo mortale, il partito religioso dell'hussitismo radicale si mantenne n el la sua m aggiore purezza nei cosiddetti << fratel li boemi )), i quali, del ·resto, non vollero più sentir parlare della distruzione deg li atei e della gue rra santa.

Ciò che il partito hussitico moderato ottenne di veramente durevole dalle trattative co l Conci lio di Basflea e che mantenne a n che di fronte alle crescenti pretese dei tabori ti, fu un indebolimento dei q uattro articoli originari, che non lasciò propriamente, se non il calice ai laici ed anche questo soltanto facoltativo e per consenso chiuse le porte a tutte le tendenze teocratiche per l'avvenire. La Chiesa ufficiale u traquista, con la sua gerarchia ed inquisizione, non aveva più tracce d ell'antico spirito hussitico, Mentre ì suoi fondatori, i maestri

·dell'Università di Praga, nei primi tempi del movimento, avevano ser:itenz iato che non si doveva attener si ad una Chiesa soggetta ad errori, n on ad un Concilio, ma alla ragione che non inganna, l'arcivescovo utraquista Rokycana perseguitava col carcere e colla t ortura la giovane comunità dei « fratelli », che egli stesso dapprima avev a

GlOVANNI HUSS 309

incoragg ia~o. E, tuttavia, questa creazione apparentemente oscura d ella rivo luzio ne h uss itica doveva essere dotata di una g rande vitalità. Il suo p~dre spirituale, Piero Cheltsc;hizky, assunse un atteggiamento suo proprio accanto agli utraquisti e ai taboriti, attratto secondo ogni apparenza dalle dottrine dei valdesi, come appare dal fatto che i « fratelli », subito dopo la loro prima mi ssio ne, cominciarono a mettersi in relazione coi valdesi tedeschi e in seguito mandarono rappresentanti pro pri presso quelli di Francia e d'Italia. Anche nella prima orgallizzazione della loro gerafchia ecclesiastica nell'anno 1467 s i associarono alcuni ecclesiastici valdesi. Perseguitati, sotto il nome di « picardi » (« beggardi ») e ssi riuscirono tuttavia ad avere sino alla fine del secolo in Boemia ed in Moravia alcune centinaia di comunità. Quantunque fossero avversari d ella q1iesa romana assai più decisi che i valdesi, non andarono però nel loro misticismo al di là dell'idea che si debba possibilmente adempiere alla lettera la legge evangelica e perciò sia da fu ggire il mondo. L'intrinseca affinità col protestantesimo radicale del secolo XVI evidente; anche la ribattezzazione era in uso presso i « fratelH » sino all' anno 1 536. La patte dogmat ica v iene addirittura in seconda linea dopo lo svolgimento pratico dell' ideale della comunità. I suoi ecclesiastici osservavano il celibato. Ciò ricorda i principi del monacato che riuniscono la preghiera e la cura d'animc col lavoro manuale. Nelle schiere dei « fratelli » lo spirito hussitìco si sollevò a progetti uni ve rsali e più di una volta fu espresso l'audace pensiero di dover colle armi o in via pacifica indurre tutta la cris tianità ad accettare la verità.

Il movimento ereticale hussita varcò le fr ontiere di Boemia, Le lettere eretiche, i manifesti popolari dei taboriti, nei quali s'invitavano tutti i cristiani, senza distinzione di nazionalità o di condizione, a liberarsi dal dominio 'dei pret i e ad impadronirsi dei beni ecclesiastici, ebbero diffusione perfino in Inghilterra ed io Spagna. Nel D elfiaato il popolo mandò somme di d enaro in Boemia e cominciò ad uccidere i signori nel senso voluto dai taboriti. (Cioè quei signori indeg ni del loro possesso). Principalmente nella Germania meridionale vediamo adoperarsi emissari taboridci. Due circostanze essenziali favorivano qui la propaganda boema: in primo luogo l'esistenza di numerose comunità di valdesi, in secondo luogo una forte te ndenza socialista, che si manifestò princi palmente nelle classi inferiori della popo lazione urbana e che, accanto ai giudei, minacciava la ricca ge• tarchia.

Predicatore dell'hussitismo nel VoigtJand, sul Reno, nella Svevia, fu un gentiluomo sassone, Giovanni Diandorf di Schlieben, arso vi vo a Wòrms nel 1441. Nella Franconia, nella Slesia e nella Svizzera l'hus~

310 OPERA OMNIA DI BENITO MUS SOLINI

sitismo fu propagato da Federico Reiser, vescovo dei taboriti, arso vivo a Strasburgo nel 14,:8, N ell'anno 1447, comun ità huss itc si t rovano in Aisch e T aubergrund, sotto la direzione del predicatore :MUller e nel 1461 segnalata l'esistenza di una setta egualmente hussita nel vescovato di Gichstadt.

Oltre le frontiere, l'hussitismo tempera o trasforma le sue dot~ tri ne. L'apocalittismo taboritico che cercava la salute avvenire in cinque città boeme, e riteneva imminente il regno personale cli Cristo, rivive, ma attenuato, nel gioichimismo tedesco.

L'hussitismo tedesco è più ·te mperato e si limita alle negazioni che noi conosciamo, cioè della tra nsustanziazione, della scomunica ecclesiastica, delle indulgenze, del culto dei santi, dei pellegrinaggi, dei digiuni, delle cerimonie d'ogni specie, del dominio temporale del clero, del giuramento e talvolta anche dei gradi ecclesiastici. È certo l'influenza dc1l' u manit:1rismo dei <( fratelli boemi>> che consigliava agli h ussiti di Gichstiidt l'abolizione ~ella pena di morte.

L'hussitismo tedesco prepara il terreno a Lutero e al protestantesimo.

Riassumiamo, per sommi capi, la storia del movimento ereticale hussita. Duplice è la sua genesi, poiché di due ek menti inscindibili si compone: il religioso e il nazionalistico. Entrambi hanno un'appendice sociale e socialista. I precursori dissodano, preparano, elaborano. Poi giunge l'uomo che riassume tutti i tentativi, raccoglie tutte le aspi· razioni, con.centra e dirige tutti gli sforzi di liberazione religiosa e mor ale. Quest'uomo è Giovanni Huss il veridico, La Chies a di Roma, minacciai:a, sì d ifende. L'eretico, gher mito con un tranello infame, sale al rogo , La dottrina si nobilita col martirio. I seguaci aumenta no di numero e di forza. Poi si d ividono i n varie sette. L'eresia1 dapprima monolitica, si sfalda e degenera V'è a destra ·l'utraquismo, a sinistra il taboritismo. Il fanat ismo trascina gli eretici hussiti agli eccessi barbarici r improverati prima ai cattolici La g uerra religiosa esau risce i contendenti e termina nel compromesso di, Basilea. L'eresia è uccisa dal partito politico. Il taborit ismo è infa tti un moto più politico-sociale che religioso.

Ma non invano è passata in Boemia la t ormenta ereticale. Col sac rificio del maestro e la guerra civile, il pensiero di Hu ss varca i confin i di .Boemia , penetra in Germania e prepara a sua volta l'insurrezione luterana. Tutti i movimenti eret icali dell'Europa centrale elaborano la riforma. ·

Cosl la storia della progressiva liberazione del genere u mano dai ceppi delle credenze dogmatiche n on subisce di secolo in secolo soluzi one alcuna di continuità

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LA CRITICA ORTODOSSA E HUSS

Come è stato giudicato Huss pc1t mortw1 dagli storici della Chiesa cli Roma? Sono stati gli storici più umani e più equi dei gi udici del Concilio di Costanza? A quest'ultima domanda noi dobbiamo dare una risposta negativa. La Chiesa di Calvino ha eretto a Champell un monumento a Michele Serveto, ar·so v ivo per . ordine del r iformatore ginevrino, ma la Chiesa del Papa non perdona e non espia mai. Gli s to r ici della Chiesa sono sempre più o meno affetti da1l'eracliteo n1orbfl1 socer: chiedere a loro ob iettività di giudizio e di critica è peifettamente superAuo. Lo storico cattolico non si spoglia mai della sua qualità di prete, e tenderà sempre a giustificare, se non ad apologizzare le gesta della Chiesa, anche se furono barbare. Documentiatno.

Il cardinale Giuseppe H e rgenròther è l'autore della Storia 11niversa!t della Chiu a, opera che si compone di parecchi volumi, rifusa dal monsignor Kirsch, professo.re all'Università cattolica di FriburgO, e tradotta recentemente in italiano .

L ' Hergenròther si occupa di H uss e dell'eresia d .i Giovanni Wicleff in Boemia nel volume quinto, d a pag. 199 a 216. Abbastanza obiettivo è il profilo fisico-morale che d i Huss ci dà l'Hergenròther.

<1 Huss era un uomo di costum i integri, Jotato di facondi:i, ma sofistico, non di g rande ingegno specul:itivo, pa llido e smunto, {an;itico nei suoi discorSi, affe zionato sopra modo alb. sua onio ne, app.usionato e p;esuntuoso ».

Il wicleffismo abbracciato, sulle prime assai tcpidarncnte, dall'Huss n o n aveva urtato il clero o rtodosso. Ma ciò che suscitò lo scandalo, dice l'HergenrOther, « furono i discorsi di Huss contro ì diritti di stola e l'accumulazione dei b enefizi)). Discorsi provocanti, continu a l'HergenrOther, e non smentiti, anzi difesi con « orgoglio e sofismi» davanti l'arcivescovo di Praga. Nell' agitazione contro l'arcivescovo che aveva ordinato di bruciare i libri di Wicleff, Huss si mostrò « un ardente fanatico >).

L'Hergcnròther riassume solo la parte t eologica della dottrina hussita, Egli opina che « la dottrin a di Huss sulla giustificazione è assai lontana da queJla di Luteco >). Ma sempre Huss blandiva« l 'orgoglio delle moltitudini, le innalzava a giu dici sull'autorità ecclesiastica e secolare, ' le aizzava al disprezzo e alla persecuzione del clero e dei

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monaci, La dottrina sua no n solo fu eretica, ma anche politicamente pericolosa in estremo ed al tutto ri volu zionaria».

L'HcrgenrOther .no n vuol disti ngue re fra il cler o corrotto e il clero morale. Contro il primo e solo contro il primo , Huss dirigeva le sue invettive e la sua p redicazione. Colle ultime parole, poi, l'HcrgenrOt her g iustifica il misfatto di Costanza. Huss n on era solo il riformatore religioso, ma anche l'agitatore politico. Ecco perché fu condannato. Ma la sottile d istinzione non ci tranquillizza, né giustifica la sentenza degli inquisitori di Costanza. Se le dottrine di Huss erano « politicame nte pericolose all'estre mo », non si capisce l'interessamento in suo favore della nobiltà b oema e polacca.

Noi sappiamo che Huss fu arre stato improvvisamente, malgrado H salvaco ndotto imperiale o meglio malgrado la promessa del salvacondo tto i mpe riale. Ma l 'eminente HergenrOther ci assicura che Huss fu arreStato perché, « n onos tan te il divieto, egli celebrava ogni giorno la messa e faceva discorsi ai curiosi che accorrevano ad udirlo »

Il testo degli interrogat o ri di Costanza trasmessoci dagli amici di Huss prova che non si poté difendere, che b ene spesso fu soverchiato, urlato, costretto a l silenzio. In quella larva di processo solo gli accusato ri, ma non già l'accusato, ebbero ampia libertà di parola

Ma secondo l'HcrgenrOther il processo di Costanza n o n ebbe nulla d'Ìnquisìtoriale, Anzi I I g iudici tutti a.ddimostravano una commoventi ssima premura dì salvare la vita all'eretico, Tutt i i novatori, da Bruno a Galileo, hanno avu to un momento di debolezza e sp iegabile: Huss. non mai. Egli no n si spiega perché sa di non avere errato.

H erge nrOther è costretto ad ammettere che « Huss sosten ne la pena degli eretici con abbastanza tra nquillità e costanza ». Però, tenta di giustificare la pe na raccapricciante :

« Il supp lizio del fuoco era voluto dal diritto allora viiente, e questo aveva Huss medesimo invocato i.

E aggiunge, a giustificazione di coloro che pronunciarono la condanna e per rigettarne sul potere civile la responsabilità :

« H uss non incont rò una .fine sì tragica per il suo zelo di r iforma, il quale in tanti s uoi contemporanei non fu punito, ma per i suoi errori dimostrati evidenti e perniciosissimi».

Certo; quando lo zelo d i rifo rma rimaneva inattivo, contemplante, accademico, la Chiesa non se ne preoccupava, ma quando lo zelo di r iforma usciva dalle aule universitarie per muove re il popolo, allora la Chiesa non perdonava e colpiva.

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Zl. · XXXIII

« D d r esto - ags;iunge HergeorOth« - non si può scusare Huss di or• goglio inteUt ttuale C' nazionale, di inconseguenza e fanatismo o

Ma erano queste colpe meritevoli di sl g rave cas tigo ?

· « Il salvacondotto poi - contin ua il cardinale H er genrOther -non fu violato, e non g ià come afferma erroneamente il G iescler "N utlam fidem barrelico eue u rvand a m " , ma perché esso documt'n to, e per sua natura e per il contenuto, non d ava che il passo franco e valeva bensì a difendere contro le straniere vess azioni, ma non contro i giudici ordina ri e contro la loro sentenza » ,

Però le promesse del salvaco n do tto di Sigismondo eran ben più ampie: in esso si garantiva non solo il passo franco attraverso la Germania, ma anche libero il r ito rno ì n Boemia a Giov an~i H uss, q ualunque fo sse p er essere la sentenza del Concilio.

Invece 1a p romessa del salvaco ndo tto fu un tranello. Gli amici di Huss lo capirono e il maes tro stesso eb be il prese ntimento del pericolo. J,.ia lo volle affrontare. La sua fede er a troppo salda per temere la morte.

Anche Ja voluminosa storia detrHergenrOther è fatta ad usum E cç/e;iae. L'ere tico meritava di essere brud ato, e la Chiesa infallibile di Ro ma, co me l'Agnello divino, è m onda di peccati, né la turba i l rimorso di delitti compiuti, Per fortuna, v'è un'altra sto ria che non deve servire all'appoggio di sette più o meno false e pericolant i e da questa storia la fi gura di Huss il veridico esce pura e r adiosa nella luce divina del mar tirio.

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DALL' EPISTOLARIO DI HUSS

Le lettere d i Giovanni Huss sono s tate raccolte dal suo amico no taio Piet ro Madenovice e Lutero le pubblicò per la prima volta rendendo omaggio alle dottrine~ alla fede, al carattere del loro autore. Lutero tradusse dapprima in latino quattro lettere che Huss aveva scritto in boemo e le pubblicò nel t B6, unitamente a quelle che i signori di Boemia e di Moravia indirizzarono al Concilio di Costanza. Nel t B7 Lutero pubblicò tutta la raccolta delle lette re di Huss, facendole precedere dalla interessante prefazione che qui sotto riportiamo, L'epi sto lario di Huss si può divi dere in due parti e ognuna di esse coincide con un diverso periodo della di lui vita. La prima va dal 1410 al 1411; la seconda, molto più inte ressante, abbraccia il perio do di tempo che dalla Partenza di Huss per il Concilio va si no alla vigilia del rogo. L'autenticità di queste lettere ci è data dalla seguente attestazione del notaio Pie tro Madenovice, inserita in fondo all'antica raccolta latina delle opere di H uss :

« Queste pagine son tutte {e<lelmente copiate sulle lettere è:li Giovan ni Huss, scr itte di suo proprio pugno; esse corrispondono parola per parola agli originali » ,

Pre fa zione di

Lutero.

« qualcuno legge queste lettere o le sente leggere, se, al tempo istesso, possiede una intelligenza sana e .se ha rispetto, dinnanzi a Dio, della sua propria coscienza, io non dubito ch'egli non confessi apertamente che G iovanni Huss fu dotato dei doni preziosi ed eccellenti dello Spir ito santo, Osservate, infatti, come egli s'è a ttaccato alla dottrina di Cristo nei suoi scritti e nelle sue parole; con q ual coraggio egli ha combattuto contro i dolori della morte; con quanta pazienza ed umi ltà ha sofferto ; con quale g randezza di animo ha affronta to da ulti mo una morte crudele per la difesa della verità. Ed egli ha fatto tutto ciò, solo, nell'imponente assemblea degli uomini più eminenti e possenti, simile ad un agnello in mezzo ai lupi e ai leoni . Se un tal uomo dev'essere considerato eretico, nessuno sotto al sole potrà essere ritenuto per un vero cristiano D a quali frutti r iconosceremo dunque la verità, se non si vede in quelli che Giovanni Huss ha prodotto e di cui egli era ador no ?

« Il più g ran delitto di G iovanni Huss è di aver d ichiarato che un papa empio non era la testa della Chiesa universale Egli ha riconosciuto in lui il capo di una chiesa particolare, ma non di tutta la· Chiesa; cosl come un ministro della

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parola di cui la vita sia crimina le è sempre ministro secondo le ap p:m::nze esterne, ma non è aff atto membro dei santi nella sua chiesa. Giovanni Huss ha neg11to perciò che un pontefice empio e scelJerato fosse un buon pontefice, sebbene assiso sul trono delb Chiesa. Si voleva dunq~ costringere Huss a d ire che un papa criminale dt'Ve essere ritenuto santo, cb' eg!i è infallibile, che le sue parole e j suOi atti sooo del pari santi e devono euere ricevuti e rispettati come altrettanti articoli di fede. Tutti quegli uomini così saggi del Concilio di Costanza avrebbero prestato orecchio favorevole a s imili discorsi, essi che detronizzando tre pontefici colpevoli non hanno ricohosci uto a nessuno il diritto di cond annarl i al fuoco ! Ma quando Giovanni Huss ha de tto le stesse cose, 1o hanno ttascì.nato al s uppliz io!

<i La porta è stata aperta ancora una volta a simili avvenimen ti a cagione d elle i ndu lgenze che il pontefice romano ha diffuso a profusione nel mondo intero e d el giubileo cha ha istituito a Roma per costruire la basilica di San Pietro. P oiché il p apa, fra le sue altre inven zioni, ha detto e confermato co lle s ue boll e che le anime di coloro i quali, dopo ave[ intrap reso il pellegrinaggio a . Roma, mod rebbc-ro lungo la strada, prenderebbe-io immediatamente il volo veno il cielo, ordinand o abbastnnza perentoriamente agli angeli, nella sua qualità di D io terrestre e di vica rio di D io, di pattare al delc,, su card velociS5imi, come si è detto, le anime dei defunti. Tetzel, porta to re del le indulgenze del vescovo di Magon za , ha d el p ar i inseg nato ch e le anime si slancerebbero dal p w gatorio a l cie lo non ap pena si sarebbe udito il tintinn io del d enaro versato nelle casse d el tesoro; ma ben presto confuso, egli chiuse la sua bocca sfrontata.

« Huss, predicatore della parola di D io nella cappella di. BethJem a Praga, si è o pposto a queste empietà, che rivo lte rebbero un bruto. Egli ha nega to che tale potenza fosse data al pontefice r omano ed ha altamente dichiarato che questi poteva ingannarsi su tal punto, come s u molte altre cose.

« Essendosi dunque permesso d ' insegnare che il papa può errart; (eresia ritenuta allora molto più spaventevole di q uelta che rinnega G esù Cristo), eg li fu costretto colla violenza a confe rmare ciò che aveva sostenuto, dicendo c~ un papa e mp io non è un papa pio. T u tti si agitarono allora come se fossero cinghial i, il loro pelo si rizzò, corrusa rono le fronti, agunarono i denti e infine, p recipita ndosi su di lui', lo condannarono crudel mente e malvagiamente a l rogo.

« Uno d ei primi articoli che bisognava amme tte re a q uelrepoca era l" infa l lìbilità del pontefice roma no; tale era l'opi nione dei giu,·econsulti de lla Corte romana. Non sembrava possibi le che r e rrore potesse cadere d a t anca a lte-zza ; ma a forza di presumere sì presume tropp o.

« Lo smarrimento pr od igioso di q uesti uo mini sopra a un pun to così g rave e gli oltraggi triviali di cui fu vittima da parte loro, riemp irono Huss di un gra nde coraggio. Una coscienza p u ra da ogni d elitto davanti a Dio come da vanti agli uomini offre all'uomo una grande conso lazione e s'egli soffre per i l nome e la g loria di Dio, lo Spirito santo, consolatore deg li afflitti, scende a lui, g li porge aì utò contro al mondo e contro ai demonì, cosl come Cristo ha promesso (M1tteo, X} dicendo : " Non siete voi che parla te, ma lo spirito del Pad re vostro che parla i n voi"; e (Luca, XXI): "Io metcerò nelle vostre bocche una forza e una saggezz.a alla quale i vostri av versari non resisteranno ".

H o saputo da alcuni deBni d i fede che l'imperatore Massimiliano d iceva, parlando d i Huss: "Hanno fatto ingiur ia a u n uomo eccellente " Erasmo da Ro tterdam, nei suoi primi li bri che .io possieda, ha scritto che ··G . Huss era sta to b ruciato, n oo convin to". E !"opinione d ei contemporanei era concorde nel ritenere ch' eBli era stato ingiuriato e vio lentato•

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« Racconte rò qui ciò che mi disse il dottor Stauplitz di un coll oquio ch'egli ebbe col suo p redecessore, Andrea Proles, uomo deg no pe r nascita e meriti, concernente la rosa del dotto re Giovanni Zaccaria. Costui era rappresentato nei chiostri con un cappello adorno dì una ros1, qual segno di d istinzione pe r lui e d i disonore per Huss. Prolcs, vedendo questa immagine, disse: " Io non porterei quella rosa". Staup litz avendogliene domandato il motivo, Proles rispose: "Quando nel Concilio di Costanza si sosteneva contro H uss !°infa lli bilità del papa, il dotto r Zaccaria allegò il passaggio d ' Ezechiele ( capitolo XXXIV): ., •· Sono io che sono al di sopra dei pastori e non il popolo" ". Giovanni Huss negava !°autenticità della frase e allora Zaccaria si offerse d i provargli il contrario colla Bibbia stessa che Huss aveva portato seco dalla Boemia, poiché Zaccar ia, come molti altri, aveva spesso visitato Huss, allo scopo di convincerlo ed era caduto s u q uella frase. La Bibbia fu dunque portata neU·assemblea e diede ragione a Zaccaria. H uss sostC"nne tuttavia che quella Bibbia non era corretta e che le altre nrsioni C'rano diverse; ma, sopralfatto dai clamor i dei suoi avversa ri, perdC'tle la caus.1 e Zacc:uia, a perpetu.1 memori.1 d ell'avveni mento, ricevC'tte una rosa d al Concilio. E pertanto, disse Proles, è certo che que lle parole non si trovano in nC'ssuna Bibbia corre tta, né ma noscritta, né s1ampat1 e che esse testimoniano tutte contro Zaccaria. Così parlò Pro!C's al dottor St:iuplitz.

« Quel vC"rsetto s i leg ge come fu cit~to da Huss in tutte le Bibbie tC'desche, lati ne, greche o ebraiche; ma a Costanza si volle invece accC"ttare la contraffa. zione del Zaccaria, che non meritava né di riceve re, né di portare la rosa.

« Gli avversari delle opinioni di Huss testimoniano della di l ui sapienza. TrC'nt°anni fa io OC' ho intes.ì parecchi, abili teologi dire:.. Huss fu un grand issimo dottore, e s uperava in erudizione e sapere tutti quelli. de l Concilio". I suoi scritti, e fra gli altri. il suo Tratlato della Chiera e i suoi Sermo11i confermano quC"sto e logio

« MC"ntr°ero studente di teologia a d Erfurt, la mia mano cadde un giorno nella biblioteca del monastero sopra un libro dei Sermoni di G. Huss. Avendo letto su quel libro le parole Serm oni di Giovanni Huu, fui subito pn=so dal deside rio di co noscC"re, percorrendo il libro sfuggito al fuoco e conservato in una pubbli("a biblioteca, quali pericolose eresie egli avesse diffuso Fui colpito da me raviglia nella mia lettura, meraviglia d ifficile a descrivere ricerca ndo per quali cause si era bruciato un sì g rande uomo, un dottore cosi grave e tanto abi lC' a spiegare e commentare le scritt ure. Ma il nome di Huss era allora esC'crato. Temevo parlandone con elogio che il cielo cadesse" su me e che il sole si nascondesse. Chiusi du nq ue il libro e allontanandomi col cuore pieno di tristezza, dissi fra me per consolarmi: "Forse egli scrisse tali cose prima di divC'ntare eretico··. Igno ravo ancora (iò che era avvenuto a Costanza.

Tutto qUello che potrei di re non fa rebbe che aggiungere lode a Giovan ni Huss. l suoi avversari gli rend ono un omaggio g rande e poco riflesso, poiché se i loro occhi bendati potessero aprirsi alla lucC', arrossirebbero al r icordo de ll e cose da loro compiute. 1·autore di una raccolta degli atti del Concilio scritta in tedesco e ricca di notevoli d ettagli, mette tutta la sua diligenza à ren dC're odiosa la causi di G. Huss e scrive tutla via che, vedendosi spogliato degli abiti d el suo ordine, Huss sorrise con intrepida fermezza. Secondo sempre questo autore, Huss, condotto al rogo, ripeteva sempre: " Gesù, figlio di Dio, abbiate pietà di me t •• .A lla vista del palo fata le dove C"gli fu incatenato per essere arso, cadendo ginocchioni esclamò: "Gesù, figlio di Dio vivente che hai sofferto tanto per noi, abbiate pietà di noi!", VedC'ndo un contadino che portava de lla JC"gna

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sorrise con dolcezza e disse: " Sanaa simplitùt11/".

1 Un prete domandò ad H uss se voleva confessarsi e q uesti a cconsenti ; ma ave ndo il prete insist ito sull'obbligo d i abiurare, H uss rifiutò dicendo ch e non si riconosceva colpevole di nessun peccato mortale.

« H o ricordato queste cose affinché siano un avvertimento salutare a quelli dei nostri teologi che si recheranno a l prossimo Concilio 1 ; poiché se essi rassomigli:i.no agli uomini che si riunirono a Costanza, accadrà a loro ciò che è accaduto ai loro predecessori : g li atti che vorranno nascondere e seppellire nel- · l'oblio saranno portati alla luce del g iorno e ovunque pubblicati. r dottori . di C ostanza erano convinti che nessuno oserebbe mai accusarli colla parola o colla penna e molto m eno ancora onorare Huss come un santo. GH eventi invece hanno realizzato , sia per mezzo mio, sia con altri, le predizioni di Huss Fo rti d ella autori tà , i nostri teologi no n presentono alcun pericolo. Che il loro potere sia dunque ug uale a quello che avevano ai tempi di Huss, a cconsento; ma no n è ce rto però che colui il quale era davanti ai loro tribunali sta oggi. in un luogo ove coloro che lo giudicarono d ebbono ri tirarsi innan zi a Jui ».

Lettere di Huss, Serie seco nda,

Lettera prima. A Martino,

« Mastro Martino, mio carissimo fra tello in Cristo, io ti esorto a temere Dio, a osservare i suoi comandament i e ad astenerti dalla compagnia de lle donne. Sii prudente ascoltando le loro confessioni perché satana no n ti lusinghi con parole dolci, poiché San t' Agostino ha detto: ·· Non fidarti d ella d evo:done, poiché talvolta la corruzione è tanto più g rande quanto maggiore è l'appa renza della devozione e appetiti sregolati possono nasconde rsi sotto la maschera della pietL. " Guardati dunque dal fare una perdita irreparabile e spero che resterai puro da qualsiasi commercio colte donne, poiché sin da lla tua giovinezza io ti ho i nse· g nato a servir Cristo. Sappi che g li è per aver combattuto l'avari zia e la vita scostumata dei preti che io soffro, grazie a Dio, una persecuzione che ben p resto term inerà con me. Io ti scong iuro di non r icercare le g rasse pr ebende Tuttavia se sei chiamato a u na cura, che la gloria d i Dio , la sa lvezza delle anime e il lavoro ti p reoccupino e non il possesso delle e red ità Se ottieni una chiesa non prendere per domestica una donna g iovane e guarda di non ado rna re più - del l'anima la tua casa; cura soprattutto il tuo edificio spirituale; sii pietoso ed u mile coi poveri_; non consumare in fes tini la tua ricchezza , Ti mando la mia t u nica grigia, che ho conservato in ricordo di t e; se non ti piace, ne d isporrai come meglio ti parrà. Darai la mia tunica b ianca al curato mio discepolo; dara i p ure a G iorgio o Suzikon sessanta gro1then d ' argen to, p erché mi ha ben servito. « .... Ti scongiuro di non aprire q uesta lettera prima di a vere fa certa notizia d ella mia morte» ·

J Tal, frau fu pronunciata in uef6 da Girolam o da Pr11ga, amiro di Huu e condannato nello 11e110 t orn o di umpo al rogo .

1 Si /ra fia del Concilio con11o ca10 da Paolo III, dapprima a 1'.fan1011a nel 1'37, q11indi a V icenza e fi nalmenle a T m 110 nel 1,42 ,

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Lettera terza. Scritta da Norimberga ai fedeli di Praga.

« Sappiate che da quando ho lascia to la Boemia, ho viaggiato a cavallo e a (acda S<Operta. Al mio arrivo a Pernau, il CW'ato m'a ttendeva unitamente ai suoi vìcari. Quindo entrai, bevette una grande tana di vino alla mia salute; ascoltò quindi la mia dottrina e disse ch'era stato sempre mio buon amico.

« Tutti i tedeschi mi videro quind i con piacere nella nuova città. Di q ui d recammo a Veyden, dove gran !oli.a ci cor se incontro quasi in atto dì ammirazione e quando fummo giunti · a Salzbach io dissi ai consoli e agli anziani della città : "Io sono quel Giovanni Huss d i cui voi avete senza dubbio sent ito parlar molto male. Eccomi. Assicuratevi d ella verità interrogandomi " . D opo alq ua nte discussioni, essi accolsero perfettamen te quanto io dissi loro. Traversammo q uind i lnnsbruck e passammo la notte nella città di Lauf, dove il cwato, gran giurista, venne coi suoi vicari e ricevette a ss.1i bene le mie parole. Ci <li rigemmo a Norimberga, dove akuni mercanti che ci pre~devano avevano annunciato il mio arri vo; la qual cosa indusse il popolo ad aspettarci sulle piazze, gua rdando e informandosi su l mio conto. Prima di d esina re, il curato Giovanni Helusel scrissemi che voleva intrattener si lungamente con me. L'invitai e venne. Poi i cittadini e i maestri si riunirono col desiderio <li vedermi e di conferire con me. Levandomi da t avola, anda i dinna nzi a loro e p oich! i maestri volevano parlare privatamente i o dissi : i• Parlo in pubblico; q uelli che mi vogliono ascoltare. m' ascoltino" E fmo a tarda notte dùcutemmo in presenza dei consoli e dei cittadini. Cera là un dottore dalla parola menzog nera e capii che Alberto, curato di San Sebold, osservava a malincuore l'approvazione che accoglieva le mie dot tri ne. Tuttavia i cittadini e i maestri Son rimasti soddisfatti...• "Maestro", mi han detto, " tutto ciò che noi abbiamo udito è cattolico ; noi abbiamo insegnato (IUeste cose da molti anni, le abbiamo tenute e le ri teniamo ancora per vere. Certo, voi ritorrete dal Concilio con onore". E ci lasciammo in buona amicizia.

« Sappiate che non ho ancora incontrato dei nemici e che in tutti gli alberg hi dove mi fermo sono accolto assai bene. la maggior inimicizia mi proviene d a taluni rhe sono in Boemia Che <lirv i d i più? I signori Venceslao e G iova nni di Clwn mi proteggono. Sono come g li ara ldi' o gli avvocati della verità, e, con loro, coll'aiuto divino, tutto va bene. L' im peratore nel regno, Venceslao Lesme , lo segue e noi arri veremo di notte a Costanza, verso cui si dirige il papa. Credo ch'egl i segua l'im peratore a una <list anta di sessanta mig lia.... ».

Lettera quinta G iovanni Huss al popolo di Boemia e ai suoi amici.

« Salute in Cristo. Entrammo a Costanza dopo la festa di Ognissant i, senza ave r sofferto molestia alcuna nelle città. che abbiamo traversato e dove abbiamo fatto delle locuzioni pubbliche in latino e in tedesco. Alloggiamo a Costanza, sulla piazza, di fronte all'albergo del papa e siamo venuti senza salvacondotto. 1 A ll"indomani del mio arrivo, Michele Causis ha affisso alla chiesa un'accusa contro di me L'ha firmata e fatta seguire da un lungo Commento, che in<l ica fra l'a ltro essere tale accusa diretta contro l'ostinato Giovanni Huss, scomunicato e sospetto di eresia. Io mi sforzo, coll'aiuto di Dio, di non curarmene

« Lutzembok e Giovanni l.epka sono stati dal Papa e g li hanno parlato di me; ha risposto che n on voleva far nulla colla vio lenza. Si dice, ma vagamente, che il Papa Benedetto viene al Concilio d alla Spagnai abbiamo saputo oggi che

1 Dell'i mperato,e,

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i d uchi di Borgogna e .di Brabante si sono r itirati dal campo. Bisogna che il Papa col Concilio attenda l'imperatore, che dev'essere incoronato 2d Aix, e pQiché ques ta città d ista da Costanza setta nta miglia, non credo che l'impera tore possa essere qui prima di Natale. Il Concilio sarà allora verso la fi ne, a meno che n on sia disciolto verso Pasqua. Qui la vita è molto cara: un letto costa mezzo fio rino per settimana. I cava lli costano moltissimo. Il signor Giot·anni ed io abbiamo ma n· . dato i. noStri cavalli alla città di Ravensburg, a quattro miglia di ·q ui, e penso che non tarderò molto a mancare del necessaì-io, Parlate della mia inquietitudine ai nostri amici. Il signor di Lutzembok è andato a raggi ungere l'imperatore e m'ha proibito di nulla intraprendere prima de ll'arrivo di Sigismondo. Spero che risponderò in una udienza pubblica. Qui ci sono molti italiani e parig ini, ma pochi vescovi e arcivescovi; i cardinali sono numerosi. Quando ho attraversato Costa.nza a cavallo, sono stato circo ndato da gran folla di cavalieri e -la genie si accalcava attorno a me. I nostri boemi hanno speso tutto il loro denaro strada facendo e sono già nel bisogno. M olto mi duole della loro mise ria, ma io non posso dare a tutti.. .. Nessuno dei cavalieri boemi si trova a Costanza, eccettuato G iova nni Lepka, che mi ha condotto e protetto come un vero cavaliere. Egli predica più di me, proclamando ovunq ue la mia innocenza.... ».

L ettera quattordkesima . A Giovanni di Clum.

« Mio buon signo re, cercate di farmi ave re una Bibbia e mandatemela per quest'eccellente uomo, e se Piet ro, il vostro segretario, ha dell'inchiostro, me ne dia, insieme con alcune penne e un calamnio

« Io no n so n ulla del m io servitore polacco, né del maestro cardinale. Ho saputo solo che vostra nobiltà è presso l' imperatore; per questo vi scongiuro di supplicare Sua M aestà in mio favore affi nché mi liberi dalle catene, possa disporre di me stesso e venire alla pubblica udienza. Sappiate che sono stato molto ma lato e che ho preso dei rimedi, ma ora sto meglio Salutate, vi p rego, i s~gnori boemi che sono alla corte del re » .

Lettera sedices ima. A Giovanni di Clum.

« I miei g uardiani si sono già tutti ri tira ti, nessuno pensa al mio cibo e igno ro il destino che mi a ttende nella m ia prigione. Vi supp li co d 'andare insieme cogli altri signori presso l'imperatore, affinché ponga termine alla mia cattività, perché non cada, causa mia, nel peccato e nella confusione. Vi prego anche d i venire a trova rmi insieme coi nostri signo ri di Boemia, poiché è necessa rio cheo io parli ron voi.... Temo che il gran maestro de lla corte papale mi cond uca questa notte con lui, poiché oggi è rimasto al monastero Il vescovo di Co5tanza m'ha sàitto rifiu tandosi d i trattare checchesia con me; i cardinali hanno fatto altretta nto. Se voi amale l'infelice Huss, procurate che il re mi dia guardiani della m a rorte e che mi l iberi stasera »

Lettera diciannovesima. A Giovanni di Clum.

« .... L' imperatore potrebbe do mandare chi deve essere il mio giudice, poiché il Concilio non mi ha chia ma to e non mi ha citato innanzi a lui e non sono ·stato accusato in sua presenza . Tuttavia, il Concilio mi ha gettato in prigione e ha ordinato al suo procurat ore di procedere contro me

« Se otte ngo l'udienza pubblica, io domando, nobile ed eccellente Giovanni,

OPERA OMNIA DI BENITO MUSSOLINI

che l' imperato re vi assista e che il mio posto sia presso di Jui, affinch~ possa facilmente ascoltarmi e capirmi; e prego pure che voi , col signor Enrico Y en· ccslao e gli altri miei protettori, siate, potendÒlo, presenti, affinc hé udiate le parole che Gesù Cristo, mio procuratore,. mio avvocato, mio g iudice, mi m etterà sulla bocca, affinché, che io viva o muoia, voi sia te per me veridici testimoni, e impediate aÉ;li im postori di dire che ho · abiura to la fede da mc predicata, « Sappiate che in presenza. dei testimoni e dei notati ho chiesto ai commissari, ne lla mia prigione, che mi mandassero un avvocato e un procuratore.· H anno promesso, poi si sono rifiutati.. .. Credo che contro di me non abbiano a ltri capi d'accusa all"infuori dei seguenti: gli ostacoli da me frapposti alla pubblicazione della bolla delle crociate (essi hanno il m io tratta to, me lo hanno letto ed io !"ho riconosciuto); mi accusano di aver officiato mentre ero -scomunicato; mi fa nno un de litto d el mio appello al Papa ( Io h anno letto alla mia presenza e l'ho riconosciuto con g ioia); infine mi accusano di aver lasciato a Praga uno scritto, che è stato letto a Bethlem e interpretato dai miei nemici contro di mc, nel qua le è detto: ' ' Lascio la città senza salvacondotto"

• « Voi risponderete che quando ho lasciato Praga, non avevo punto il sa lvacondo tto de l Papa e ignoravo, quando ho scritto queHa lettera, che voi d oveste accompagnarmi durante il viagg io....

« Dopo l'udienza pubbli ca, se l'otterrò, possa l'imperatore non più permett ere che io sia nuovamente gettato in prigione; possa io raccogliere il ftu tto d ei vostri buoni consigli e di quelli dei vostri amici e, piacendo a Dio, dire all'imperatore parecchie cose pel s uo bene e per q uello della crist ianità» ·

Lettera ventisettesima, A Giovan ni di Clum.

« Finora nulla so e ig no ro a qua.I li.ne mi sarà accordata l'udie nza Ho protesta to per iscritto in presenza dei notai, ho indirizzato anche a tutto il Concilio u na supplica, che ho mostrata a l pat ria rca, e nella quale domando che mi sia concesso di rispondere sep.ratamente ad ogni ar ticolo, come ho r isposto in particolare e per iscritto. L'udienza mi sa rà data forse per rispond ere in una forma scolastica o Dio me l'accorderà perché io faccia un sermone.

« Per ciò che riguarda la comun ione del calice, voi possedete lo scritto dove ho consegnato le . mie ragioni, ed io non posso dir nulla di p iù, se non che l'Evange lo e l' epistola di Paolo prescrivono questo costwne e ch'esso fu in vigore nella Chiesa primitiva. Se gli è possibile, fate in modo che coloro i quali domanderanno di parteciparvi per un motivo r elig ioso, possano ottenerlo~ considerate però le mie circostanze.

« Che i miei amici n on s'allirmino dalle mie risposte particolari N on vedo come le cose av rebbero potuto svolgersi diversamente, dal momento che tutto è stato de liberato dal Concilio, prima a ncora ch'io venissi incarcerato. In uno scritto che è stato pubblicato dai commissari e che mi è stato letto, io sono chia• mato un eresiarca e un seduttore del popolo. Ma io spero che le cose da me d ette all' ombra saran più tardi portate e predicate- alla luce.

« Sono stato interrogato sui quarantasette ar ticoli ; ho risp osto come nella m ia p recedente protesta. Mi h anno chiesto, prende ndo ogni articolo, se io volevo difenderlo; ho risposto che mi rimette vo a ll e decisioni del Concilio e ho detto, come dianzi ad ogni a rticolo: ' ' 13 vero, ma i n tal senso··. '' V0Je1e difenderlo ?" .

"No, mi rimetto alle decisioni d el Con cilio". Dio mi è testimone che in quel momento non ho trovato mig lior risposta, avendo già scritto di mio proprio pugno che io n on voglio null a difendere con ostinazione, men tre son pronto a

GIOVANNI HU SS 32 1

fa rmi" is trui.re. Queste domande n on sono state fatte, perché si è detto ai commissari che io avrei fatto noto all'imperatore di voler difendere solo tre o quattro articoli

Mi hanno perciò d omandato che cosa avevo dichi ara to all'imperato re; ma ho risposto di n on aver detto nulla. Michele Caus is e ra là con una carta, e stimolava il patriarca a fo rzarmi a rispondere e in quel mentre entrarono parecchi vescovi Michele Causis ha inventato ancora nuove accuse contro di me Il patriarca ha sostenuto esplicitamente che io era ricchissimo: Un arci vescovo mi ha detto: "Voi avete settantamila fiorini " , Michele mi ha domandato prima deg li altri: "Dov'è andata a fìnire quella t unka p iena di fiorini ? Quanto denaro vi custO· d iscono i baroni di Boemia?". Oh, cerio, oggi ho molto sofferto. Un-vescovo ha d etto: "Vo i avete stabilito una nuova Jegge " , un altro: "Voi ayete predicato tutti q ues ti articoli", ond' io coll'aiuto d ivino vivacemente ho risposto : "Pecché mi coprite d'i ngiwie? " »

L ettera trentesi ma . Ai suoi nobili benefattori.

« Io credevo che in questo Concilio d fosse più ordine e più dece nza Io soffro del ma le di denti e col caldo sono stato preso da vomiti d i sangue. Soffro altri do lo ri fisici Finché io saprò che voi, insieme coi nostri giovani s ignori, siete a Costanza, sarà per me una grande consolazione, q uand'anche d ovessi essere condannato a morte.... Due commisSari del Concilio mi han no chiesto nella mia prig ione se possedevo parecchi libri di cui avevo fatt o uso nelle mie ricerche. Ho risposto di sì. "E dove?" , m·han domandato. "In Boemia".

·· Ne avete qui?". Ho negato e infatti non ne ho, quantunq ue abbia p receden• temente portato .il libro delle sentenze, la Bibbia e altre opere. Ho saputo da loro che Giovanni, mio discepolo , si era ritirato dal Concilio ed ess i mi han d oma ndato : "Non avete altre conclusioni.da darci?". "No, ciò che ho de tto è la verità". ''Volete abiurare e r evocare?", "No, ma venite al Concilio, mì. ascolterete. Io ci debbo andare e là risponderò. Perché mi tentate? Sié!e venuti a consolare un prigioniero o ad aumentare invece le sue sofferenze? ". Allora, d opo aver scambiate a lcune altre parole, se ne sono anda ti ».

Lettera trentunesisma. Ai suoi amici.

• .... Avevo spesso dichiarato, sia in privato, sia in p ubblico nel Concilio, che a vrei consentito di sottopormi ad u na inchie:sta, all' istru zione, all' abiu ra, a lla pena qualora si fosse dimostrato che io avevo scritto, insegnato, risposto qualche cosa di contra rio alla ve:rità Ma cinq uan ta dottori, che s i dicevano emissari del Concilio, essendo stati da me spesso rimprove rati per ave re estratto falsamente degli articoli dalle mie opere, m i rifiutarono qualsiasi soddisfazione e non vollero neppur conferire con me, dicendo: "Voi dovete rimettervi alle decisioni del Concilio··. E il Concilio mi scherniva quando all' udienza pubblica io citavo la parola d i Cristo e dei santi dottori. O ra mi accusano di capirli a rovescio, ora m·insultano.... ,

« Un do ttore inglese;. che già privatamente mi aveva detto che Wicleff aveva volu to annientare ogni scienza e aveva riempito d i errori i suoi libri e la sua· logica, s i m ise a parlare s ulla moltiplicazione del corpo di Cristo nell'ostia; e poiché le sue ragioni erano deboli e g li fu imposto il silenzio, egli esclamò:

·· Q uest'uomo inganna il Concilio. Premunitevi ch'esso non cada in errore, come avvenne per Beinger ", Quando si tacque, un altro discusse rumorosamen te sop ra l'essenza creata e comune. T utti gridavano ad alta voce Io chiesi che lo si ascoltasse

322 OPERA OMNIA D( BENITO MUSSOLINI

e gli dissi: "Voi argomentate bene e vi r isponderei volentieri". Eg li aUora aggiu nse con voce cavernosa : "Cost ui è un eretico !". I signori Venceslao Duba, Giovann i di Clum e Pietro il notaio, valorosi campioni della \·edtà, SllflnO quali rumori, q ua li scherni indegni e qua li bestemm ie si alzarono 'in quel!'Assemblea contro di me Stordito da tante grida, io dissi: "Credevo che in questo Concilio ci fosse più decen za, più piet à, p iù d i sciplina ". Tutti tacquero allora, a vendo l'imrerato re ordinato il silenzio.

« Il rnrdinale che presiedeva mi disse: "Voi parlavate pili, umilmente nella vostra prigione ", Io risposi : " 1! vero, poiché nessuno vociferava contro di me, mentre ora vociferano tutti", Egli aggiunse: " V olete sottomettervi a ll'inchiesta?" "Acconsento ", replicai, "ma nei limit i d a me posti". "Ritenete intanto qual res ultato dell'inchiesta", aggiunse il cardi nale, "che i dottori hanno d ichiara to che g li articoli estratti dai vos tri libri sono errori che voi do vete cancellare, abiurando quelli sui quali hanno deposto i testimoni". L'impera tore d isse: "Questo, o Giovanni Huss, vi sarà comunicato p er iscritto e voi risponderete", " Che ciò sia fatto nella prossima udie nza", concluse il cardinale. E b. seduta fu tolta ».

Lettera trentaduesima. Ai suoi amici.

« .... Domando in nome di Dio che t utti i nostri sig nori riuniti so'llecitino dall'imperatore un'ultima udienza per me

« Egli me l'ha promessa e sa rebbe grave vergogna se non mantenesse la parola. Ma io temo ch'egli farà come pel sal vacondotto

« Già parecchi amici in Boemia m avver ti rono di diffidare del suo salva.condotto; altr_i mi dissero: "Sigismondo ti consegnerà ai tuoi nemici. 11 signor Miskeff è un di loro". Duwoky dinanzi a. Fessenitz: mi disse: "Maestro, è certo che tu sarai rond:annato... , ". Credevo che rim~ratore fosse versato nella legge di Dio e ne lla verità; comprendo ora che la sua saggezza non è grande. Eg li mi ha condannato prima dei miei nemici .... »:

Lettera trentatreesima': Ai suoi arrìici.

« Oh, qual conforto ho avuto nello string ere la mano del signor G io. vanni. di Clum, che non si è vergog nato d i pors,ere la sua a me eretico, clisp re%· 2:ato, · incatenato e a ltamente condannato da tutti ,

« Paletz è venuto a vis itarmi nella mia prigiòne e mi ha detto da vant i ai commissarl che, dalla nascita di C risto , non c'erano stati e retici p iù pericolosi di me e Wicleff. Ha soggiu nto che t utti quelli che hanno ascoltalo le mie prediche sono infetti di que5ta e resia, che consiste nel ritenere che il pane materia le rimanga nel sacramento dell"e ucarestìa. "O Paletz", io ho · risposto, " che questa parola è crudele? E qual peccato t u commetti verso di me. Io morirò; forse d i qui sarò condotto al rogo. Qua le r icompensa ti daranno in Boemia? ... "

« H o sempre in mente queste parole : " Non fidatevi dei prindpi.... "

Lettera tre ntanovesima. Al signor Haulikon.

« Pred icatore de lla parola · di Cristo, non opponetevi all'amministrazione del calice, sacrame nto i stituito da Cristo e dai s uoi apostoli. Nessuna parola della Scrittura è cont rada, ma solamente l' uso, e penso che questo si s ia stabilito pet neg ligen2:a e oblio. Ora, noi ooo d obbia mo seguir l'uso, bensì. l'esempio di

, GIOVANNI H USS 323

Cristo. 11 Concilio , seguendo l'uso, ha condanna to la comun ione dei la ici col calice quale un e rrore e h a defi nito erelico chi unq ue la praticasse La malizia d egli uomini rip rova già come erronea una istituzione di Cristo.... » .

Lettera quaran tesi ma. Ad alcuni amici. .

« Una moltitudine di persone sono venute per esortarmi e fra di lo ro molti d ottori e pochi fra te lli, comi!' dice l'apostolo . Sono stati prodighi di consig li è di frasi, m'hanno d etto che potrei e d ovrei abiurare i miei scrupo li sottomettendo la mia volontà a quella della santa Ch iesa, che il Co ncilio rapp resenta; ma nessun di loro evita la difficoltà quando io lo metto al mio posto e gli chiedo se, essendo certo d i no n aver mai peccato, né profe ssato, né difeso eresia, sarebbe di.sposto ad abiurat e un errore mai commesso.

« Taluni han detto che non è necessario di abiurare, sibbene di rin unciare a ll"eresia profeuata o no ; altri pretendono che abiurare significa negare ciò. che viene attribuito a to rto o a ragione. "Io giurerei", ho detto lo ro, ·• che non ho mai predi cato, né difeso g li e rro ri che mi si imputano e che non li predicherò, né li difenderò giammai ", Ma q uando p arlo cosl, j dottori si r itira no,

« Al tri sostengono che supponendo ·si trovasse nello Ch iesa un uomo vera· mente innocente e che q uest'uomo .si confessasse per umiltà colpevole, egli sarebbe bniemerito . A tal proposito qualcuno ha citato, fr a gli antichi Padri, un" certo santo, nel letto del quale e ra stato insin uato un li bro p ro ib ito. Inter pellato e incolpato di ciò , il santo negò il fall o. J suoi amici g li r isposero: "' Tu ·hai nascosto il l ibro e l'hai· messo nel tuo letto" Ed essendo stato trovalo il libro, il santo si confe~sò colpevole...

« Un ing lese mi disse: "' Se io fossi al vostro posto, in coscienia ab iurerei, poiché in Ing hilterra tutti i maestri e lutti g li uomini sospetti di ave r ade rito alle opin io ni di Wid eff sono stati cita ti ognuno d avanti al proprio ardv'escovo e hanno abiurato ". Infi ne si son messi d"accordo nell"impègn:umi a ri mettermi a lla misericordia del Concilio ,. »

Lettera quarantatreesi ma. Ai suoi amici,

(( .... Un do ttore mi ha de tto: " In ogni cosa io mi sottometterei al Concilio; tutto allora sarebbe buono e legittimo per me ", E aggiunse: " Se il Concilio dicesse che voi avete un occhio solo, men tre senti te di averne d ue, bisognerebbe dar comunq ue ragione al Concilio", "' Anche se il mondo intero , risposi, ·• Io affermasse, io non potrei conveni rne senza feri re la mia coscienza in sino a·che io avessi l' uso della ragione". D opo alt ri d iscorsi, il dottore abbando nò questo argomento e mi disse: "Confesso di aver mal scelto il mio esempio " ».

Lette ra quarantaquattresima. A un amico.

« Sap pi, mio carissimo, che Pale t1:, te ntando di persuadermi, m' ha detto che io no n debbo temere la verg og na di un' abiura, ma pensare al bene che ne verrà. Gli ho risposto: "L'obbrobrio di essere condannato e bruciato è più g rande che q uello di abiurare sincera mente. Qual ve rgogna temerei dunq ue, abiur'ando? Ma dimmi, Pa let1:, che faresti se tu foss i certo che a torto ti si attribuiscono degli e rror i ? Vorresti abiurare ?". " Ciò è duro infa tti", diss'eg li. E p ianse. N oi abbiamo pa.rlato in segui to d i mo lte cose che ho contra<l<lette

« Michele Causis, questo disgraziato, è venuto qualche volta davanti alla mia

324 OPERA OMNI A DI BEN ITO MU SSOLINI

prigione coi deputati del Concilio; e mentre io era con loro, egli diceva :ai guardian i: "Con la srazia di Dio abbruceremo ben presto questo eretico pel q uale ho speso ta nli fiorini", Sappi, tuttavia., o amico, che non esprimo affa tto in questa lettera un voto di vendetta. lo lo l ascio a Dio e lo prego dal più proforldo del cuore per quell'uomo.... ».

Lettera quarantacinquesima. A un amico.

• Domani, alle 6, debbo rispondere a qùanto segue. Mi si domanda, in primo luogo, se io voglio riconoscere per erronei tutti gli articoli estratti da i miei libri, s e li abiuro e se m'impegno a pred icare il contrario; in secondo luogo, se io voglio confessare che ho predicato g li :articoli che mi sono imputati dai testimoni; in terzo luogo, se 1i abiuro . Permetta Iddio che l'imp eratore senta le parole che il nostro divin Salvatore metterà nella mia bocca e se, come spero colla grazia di Dio, mi si darà della carta e delle penne, così risponderò per iscr itto : "Io, Giovanni Huss, servitore di Cristo, rifiuto dl riconoscere che u n solo degli articoli estratti d:ai miei li bri s ia erroneo, temendo di condanna re l'opi• nione dei santi d ottori e in pil.rtko la re di Sa nt' Agostino. In secondo luogo, ri fiuto di riconoscere di aver professato e predicato g li articoli che mì sono imputati da fals i testimoni. I n terzo luogo, rifiuto d 'abiurare nella tema d i. spergiurare....

Lettera quarantaseiesima. Al suoi amici.

« Queste sono cose che spesso il Concilio ha preteso da me, ma esse implicano·che. io revochi, abiuri, accetti una penitenza, e non posso fa rlo senza manrn.re in molte cose alla verità; i.o secondo luogo, abiurando, spergiurerei, confessandomi reo di errori che mi sono falsa mente imputati; in terzo luogo, darei un grande scandalo al popolo di D io che ha ascoltato le mie p rediche, e meglio varrebbe che una macina da molino fosse attaccata al mio collo e che io fossi immerso i n fondo al ma re; da ult imo, se agissi così., per sfuggire una confusione momentanea e una breve soffe renza, cadrei in un obbrobrio e in un dolore ben più terribili, a meno di farne espiazione co ll a motte.... ~-

Letter a· quarantasettesima. Ai suoi amici di Praga,

t< Ho dovuto avvertirvi, mie.i carissiÌni, di non lasciarvi p unto spavent are da lla sentenza. di coloro che hanno condanna to i miei libri a l fuoco. Rico rdatevi che' gli israeliti hanno bruciato gli scr itti del profeta Geremia senza tuttavia evi. tue Ja sorte ch'egli aveva loro predetto . Dio ordinò anzi, dopo la distruzione col fuoco di questa profezia, che u n.a nuova e più estesa profezia fosse scritta. Il che venne fatto, poiché Geremia dettava nella· sua prigione e Baruch scriveva, come si legge al capitolo XXXV e XLV di G eremia. t; inoltre scrillo nei libr i dei Ma ccabei che gli empi brllciavano la legge di Dio e ne uccidevano i depositari:. Sollo la nuova alleanza, essi ha nno bruciato i santi insieme coi libri ·della legge divina. I cardinali hanno condannato e consegnato alle fiamme parecchi libri di San Gregorio e ·li ·avrebbero bruciati tutti se non fossero stati salvati dal d i l ui servitore Pietro, Due condi? di p reti hanno condannato San Criso.Stomo come eretico, ma Dio ha" reso là menzogna loro manifesta dopo la morte di colui che stato soprannominato "San Gìovaoni bocca d'oro··.

$: Sapendo queste cose, il timore n 6o v·impedisca. di l eggere i miei libri

GIOVANNI HUSS 325
».

e non consegnateli ai miei nemici, che H brucerebbero Questo Concilio di Costanza non aridrà sino in Boemia; parecchi di coloro che vi partecipano moriranno prima di essere riusciti a strapparvi i miei li bri. La maggior parte di essi andranno dispersi da tutte le parti come cicogne e riconoscernnno, all'approssimar dell'inverno, ciò che essi avranno fatto dura nte l'estate. Considerate ch'essi hanno gi udicato il Papa, il lo ro capo, degno di morte pec dei delitti t'normi. Coraggio, e rispondete a questi predicatori che vi dico no essere il Papa un Dio sulla t erra, ch'egli può vendere i sacramenti, come dicono i canonici, ch'egli è la testa della Chiesa santamente amministrandola, ch'egli è il cuore della Chiesa spiritualmente vivificandola, ch'egli i!- la sorgente dalla quale scaturisce ogni virtù e ogni bene, ch'egli è il sole della santa Chiesa, !'a.silo sicuro d ove t utti i cristiani trovano il loro rifugio Ecco che già questa testa è come troncata dalla spada, questo dio terrestre è incatena to, questa sorgente perenne è essiccata, questo sole divino si è oscurato, que:sto cuo re è stato strappato e flagellato perché nessuno più vi cerca un asilo. Il Concilio ha cond anna to il suo capo, l a sua p ropria testa, per aver venduto le indu lgenze, i vescovati e ogni cosa, Ma fra coloro che l'ha nno condannato, "'era gran n umero di compratori, che hanno fatto a loro vo lta quel traffico indegno. Là c'era il vescovo Giovan ni Litomyssel, che per due volte e sempre i nvano h a tenta to di comperare il vescovado di Praga, O uomini corrotti! Perché non han no anzitutto levata la trave dall'occhio loro, s'egli è scritto nella loro legge che "chiunque comprerà col denaro una carica, ne sarà privato? Venditori dunque e compratori e chiunque farà t al vergognoso contratto siano condannati come San Pietro condannò Simone, che da lui \'O]eva comperare la virtù dello Spirito santo".

« H anno lanciato l'anatema al w~nd ito re e lo hanno condannato, ed essi sono i compratori; hanno offerto la mano a questo patto, e .rimangono impuniti! Che d ico? Essi trafficano con questa mercanzia sin nelle proprie dimore. C'è a Costanza un vescovo che ha vendu to, un'altro che ha comperato, e il Papa, per ave r approvato il mercato, ha ricevuto del dena ro da entrambi.... Se Dio avesse detto ai membri d i questo Concilio: "Che colui Ira di \'Oi il quale è senza peccato pronunci l'arresto di Papa Giovanni", è certo che tutt i uno dopo r a ltro si sarebbero riti rati.... Perché dunque, prima, piegavano il ginocchio dinanzi a lui? Perché gli baciavano i piedi ? Perché lo chiamavano santissimo, mentre vedevano in lui un eretico, un· omicida, un peccatore ostinato, poiché in quest i te rmini d i lui parlavano in p ubblico? Perché i cardinali !"han no fatto papa, sapendo ch'egli aveva fatto perire il s uo prede<essore? Perché l'hanno tollera to sl l ung o tempo, sapendo che trafficava le cose sante? Non for mano e-ssi il di lui consiglio per avvertirlo d i. ciò che è g iusto, e non sono anche loro colpevoli poiché hanno tollerato in lui dei crimini che erano còmun i a tutti? Perché nessuno ha osato resistergl i prima .della sua fuga da Costanza?

« Scrivo questa lettera il giorno di San Giovanni Battista in prigi one e coUe catene e p enso che San Giovanni fu d ecapita'to nella sua prigione per la parola d i. Dio».

Lettera cinquant~simà, Ai suo i amici.

« Ho deciso, cari e fedeli mie i in Cristo, di farvi sapere in guai modo il Conci lio di Cos tanza, gonfio di t anto orgoglio ed avarizia, ha condanna to come eretici i miei scritti in lingua boema, ch'esso non ha mai ne visti, né ud iti leggere e che non avrebbe compreso quand'anche ne avesse a scoltato la le tcura, Poiché

326 OPERA OM:NIA DI BENITO MUSSOLINI

questo Concilio è pieno d 'italiani, di fr ancesi, di tedeschi, di spagnoli e di gen te d'ogni paese e d' ogni lingua. I miei libri non sono stati capiti che d al vescovo litomyssel, da parr:cchi boemi, miei nemici, e da alcuni preti di Prag a, che han no calunniato dapprima la verità di. Dio e in seguito la Boemia nostra, che è, io spero, una contrada d i una fed e perfetta, notevo le per la sua devozione a lla parola di Dio e per i suoi buoni costumi. E se voi foste stati a Costanza, voi avreste visto l'abbomi nazione di questo Concilio, che si dice santissimo·e infallibile, abbominaiione che ha fatto dire a parecch i citladini di Svevia che la città di Costanza non pot rà purificarsene che in trent'anni.... » .

GIOVANN I HUSS 327

INDICE DEI NOMI A

Absburgo, la dinastia degli, 183, 189.

Affra, Ja suora, 90,

Agos tino, sant', 13, 34, 3 18, 3U.

Albe rici Mario, 244.

Alessandro VI, 106, 286.

Alessandro VII, 56, 89

A lessandro di Mazovia, 82.

Aligh ie ri Dante, 99, 125 , 140, I:56, I:58, 164, 174, 188, 217, 275, 276

A lness, 251.

A.bo ( L' ) Adige, V IU.

Amadori Donato, 222.

Anibr os i Ernesto, 265.

Amoretti Giovannina, 264,

Anchisi Achille, 264.

Angdini, il p r ocuratore di Stato, 169.

An na Maria, la regina, 42, 43, 44, 4 5, 49, 56, 89, 91.

Anna, l'arciduchessa, 44.

Arbei u r Zei11mg, 193.

A"hi11jo dell'AlJo Adige, 207,

A rdisò Roberto, 12, 13 , 15, 19.

A rensperg, cl' , il principe, 42

Aretino Pietro, 98,

Aristotile, 16.

A rrach, d', il cardinale, 42.

Ascoli G raziadio Isaia, 208, 209.

Avancini Augusto, 186, 187, 191, 265

A,,angN(m/ia Sodaliita, 254, 25 7.

Avanli!, IX, 238, 242

Avvmire (L'), 184.

Av venire (L' ) d el Lavoratore, V, VJ, 18 4, 185, 187, 240, 249, 2.51, 254, 265. B

Baboeuf François Emilè, 240.

Darone Francesco, .5, 17

Badeni, il m inistro, 187.

Ba in, 11.

B ak unin Michele, 8, 10, 14.

Ba labanoff AngeJjca, 257, 258.

Bandini Giuseppe, 232, 233.

Bara.gioia A ristide, 210.

Bari»covi Ve ttore, %, 89

Barberini, i cardinali, 57.

Barboni Tito, 249, 2.56.

Barboni, la fam iglia, 251.

Ba rd i D onatello, 1.58.

B arni Giulio, 186.

Bar oncelli Genserico, 24 4,

Barrès Maurizio, 175.

Bartoli Sigismondo, 257.

Bartolini, l'avvocato, 176.

Ba rtoloni Flavio, 244.

B assi Francesco, 2 38

Battisti Carlo, 208, 209, 2 11.

Battisti Cesare, VIII, IX, 175, 184, 204, 266

Bebel Ferdinando A ugusto, 19 2.

Bedeschi Sante, 244

Beinger, 322

Bellàr mino, il card inale, 26.

Be llenzani Rodo lfo, 82, 17 5

Belli Pietro, 46.

Benedetto, il papa, 3 19,

Benizìo, don, 42, 4.5, 50, 51, 52, 56, 57, 58, .59, 60, 61 , 62, 63, _64, 6\ 66, 67, 68, 69, 70, 7 1, 72, 73, 74,

76, 77, 78, 79, 81 , 82, 83, 84, 85, 86, 87, 88, to t , ~1 5, 116, 11 7, 118, 119, 120, 124, 126, 132, 134, 144

Bernard C laudio, 5.

Be rnardo, san, 302

Bernstein Eduard, 158.

Be rthelot Marcellino, 13.

Be rtoglio, i fratelli, 248.

Bezhold, Federico von, 273, 275, 276, 284, 29 4, 300, 303, 304, 306, 309.

22 - XXXIII.
7.5,

Be:zzi, il maestro, 226, 227, 231.

Biagio, san,· 192.

Bienerth, 18 2.

Bilinsky, il m inistro, 20 1.

Bocca G raziosa, 26 2.

Bòccaccio G iovanni, 97.

Bokdson, 17 5.

Bonapa rte N apoleone, 156.

Bonavita Fran cesco, 242.

Bonporto Bern ardino, 97.

Bon tscheff, 2 :5-7.

Borg ia, la dinastia dei, 99.

Bonigov I, ,278 .

Bosco Gio vanni, 224, 231.

Bossi Emilio, 3 5.

Brachvog el W olfgang, VIII.

Broca, il medico, 17.

Bruno Giordano, 5, 313.

Brilnn, 188, 189, 194.

Bruto, 86.

Bì.iclmer, 13.

Ca ldcra ra Alberto, 242, 244, 24 5.

Calvino G iovanni, 312.

Candussio; la s ig norina, 262.

Ca nestri ni Alessandro, 182.

Cantù Ces:i re, 27 3, 294, 29 5, 296.

Cttrducci Gi osue, 18 2, 197,

C ard ucci Valfredo, 2 34, 236, 243.

Carlo IV, 278, 279, 282 .

U.rtesio Rena to, '.5

Caste llano, l'istituto re, 277.

Castelnuovo, A ntonio di, il conte, n , 56, 58, 59, 60, 6 1, 70, 79, 82, 83, 84, 85, 86, 87, 88, 105, 107, 108, ll5, 116 , 11 7, 118 , 120, 124, 126, 132, 1}4, 140 , 144, 145.

C astelnuovo; la famiglia dei, 82.

Cate rina, 2 39

Cattoli, 235.

Causis M ichele, 286, 319, 322, 3 24 .

Celestino, il vescov o, 180.

Ce lli Ama lia, 239 .

Celli Benede tto, 239 ,

Ce lli Dario, 244.

Celti Massimi liano, 239, Cervantes Miguel, 43 ,

Cervin i, 8 1.

Chamberla.in Houston Stewart, 155, 156, 1~7. 1 58, 159.

Chel tschizky Piero, 310. ,

Ciancabilla, il gio rnalis ta , 23 8.

Cicerone Ma rco T ullio, 35.

Cicogn an i Oberdan, 244.

Cima, il tribuno, 78, 79 , 80, 8 1, 106, 107.

Cinsa relli Tobia, 244.

Clement Jac_q ues, 106.

C lemente VH, 106 .

Cleopatra.- 99, 116, ·

Clesio Bernardo, 42.

Coccai M erlin, 179.

Cocchi G iu seppe, 244.

Colonna, Ottone d i, 287.

Colpi Giuseppe, 174

Compte Augus to, 17, 18.

Cost:1t1tino, J'imperatore, 283, 3 07.

Crisostomo, San, 235.

Cugn olio, i frate lli, 250, 253 .

D

D allani Etto re, 2 25

Dalle Vacche Antonio, 2 38, 343.

D anti Paolina, 261.

Darwin Cha des Robert, 13, 30 , 156.

Daszinski, 188.

Dauvergne Rosa, 2 H .

D e Am icis EJmondo, 2.i2 .

Del D ogan Antonio, 262.

Della Croce Giovanm Maria (suora Bernar dina), 89, 90, 9 l, 92, 93, 102

D e Pauli s, il macellaio.

Di:indorf di Schliebcn Giovanni, 310,

D idero t Dionig i, 29.

Di Mo nte, il cardinale, 80, Dionesi Umberto; 2 37,

D i Rovasenda, il prefetto, 264.

D ivo k y .Miche!, 290,

Dooatini Salvatore, 253, 256.

Dordi, 198.

Dorè G ustavo, 233 .

D ovizi Bernard o, detto i l Bibbiena, 98,

D umas Alessandro, Vlll.

Eisen, 2 H , 257

E leonora H., 2n, 254, 255, 256, 258.

330 I NDICE DEI NOMI •
e
E

Elisabetta, la regina, 106.

Emilia C., 253, 254, 256.

En ~rizzi Celestino, 168, 198,

Enrico IV, 278.

Epicuro, 7,

Erasmo da Rotterdam, 316.

Erben Carlo, 300.

Esterle, 198.

Eukens Rodolfo, 17, Ezzelino III da Romano, 82

G iovanni, san, 325, 326,

Giovanni XXIII, 286, 287, 295, 296, 326.

G iovanni di Clum, 290, 319, 320, 3 211 322, 323.

G iovanni. d i Ribìam, 290.

G iovannina P., 262, 265,

G irardi Simone, 97, 98.

Girolamo da Praga, 2 84, 288, 302, 318.

G irolamo da Romano, detto il Roma. nino, 9 7.

G iudice Maria, 258.

Giulia F., 246, 247.

Giulietta F., 2 54.

Fera i A ngelo, 244.

Ferdinando Carl o, r a rddu ca, 44.

,Ferdinando III, 42, 44, 56, 89, 91.

Ferrari Giuseppe, 8.

Ferrer Francisco, 183

Ferrero Guglielmo, 22, 31.

Fe rri Enrico, 13, 31, 32.

Fietta, 264.

Filippo IV, 42, 49.

Floria ni Giuseppe, 89.

Fogazzaro Antonio, 13.

Fouillée, 13

Francesco, 5an, 292.

Francesco Giuseppe, 198, 199,

Francesco Sigismondo, l'arciduca, 44.

Fresoni A ntonio, 255.

G iulio JIJ, 106

Giunchi Elena, 235.

Giunch i, il cugino di Eleoa, 235.

Gitmizia (La), 249.

Glatz d i Rotheohausen Lorem:o, 304.

Gobineau Joseph Arthur, 153, 154, 155, 156, 159.

Godoli Pietro, 244,

G oethe Wolfgang, 156, 196.

G osso li Ines, 238 .

G rabmayr, il senatore, 194, G ran<lier Urbano, 2}.

Gregorio, san,· 325.

Gregorio XII, 285.

Grestal, ÙttJ.vio di, il barone, 83, 84, 85, 86, 88.

Guidello M :uio, 50.

G uidi Rachele, VIIr, IX, 265, 267, 26$, 269.

G uidi lombardi Annina, 265, 267, 268.

G abcrel, il professor, 257

q alilei G alileo, 5, 313 .

Gall, I I.

Garavini Giovan ni, 244.

Garibaldi Giuseppe, 175, 194, 195.

Gasperini D omenico, 265.

GateJ.ux, 257.

Ga:aoletti, 198 .

G en naro, san, 14, 24.

Gentili, il d eputato, 182.

Geremia , il profeta, 325.

Giescler, 314.

Gi melli Jcilio, 225.

G iorgio, il discepolo di Huss, 292, 318.

Giornale Ug11re, 264,

Giosuè, 18 , Giou o, 158.

Guyan, I, H

Hacke l, 13

H artmann, Eduard von, 20.

H aubitz, Tobia di, il barone, 57.

H aulikon, 323.

Haynau, 195.

Heine Enrico, 26, 213 ·

H elusel Giovanni, 319, Herder, 17.

Hcrgenrcither Giuseppe, 273, 299, 304, 312,313,3 14.

Hertig, il ministro, 162.

H ofer Andrea, 174, 180, 18L

INDICE DEI NOMI 331
F
G

H ohenro llern, la di na! tia degli, 159.

Horinsky Flavio Sergio, VI.

Huss Giovanni, V, X, 268,

.

I mperia, 99

Innocenzo X, 47, S6.

Lima (LA), 2 64.

Linneo Carlo, 17.

Litomysse:l Giovanni, 326,. 327.

Locke G iovanni, 11.

Loger Luigi, 273, 297, 299, 304

Lombardi Giuseppe, 261.

Lombroso Cesare, B

ùma (La) di Claue, X, 268.

Loyola, Ignazio de, I 56.

Luca, san, 316.

Lucrezio, 7.

Lucullo, 4 4.

Ludwig Emilio, IX.

Luigi, frate, 47, S6.

Luigia P., 262, 263.

Lutero Martin, 36, I 56, 284, 298, 302, 31S.

Lu tzembok, 319, 320.

lu.imara, 19.

K a isl!'rs~rg , Geiler von , 276.

Kant Emanuele, U7 .

Kautsky Karl, 257.

Kirsch, monsignor, 3 12.

K ropotkin P ietro, 253

Kremsier, .Milicz di, 279, 280, 281.

Jacob di Stibro, 290.

J anow, Matteo de, 280, 281.

l\faccario, frate, '56, 89.

Machiavelli. N iccolò, 98.

Madenovice Pietro, 297, 315, 323.

Madruzzo Carlo Emanuele,

Labriola Arturo, 2 54.

Lamarck: Jean Baptiste, 30

Lanz Caterina, 165.

l.apouge, 154, 1 55, 156, 09, 161.

l...avor11to re {li) Comas.o, 251.

lazzati Costantino, 258.

Le D antec, 13

Ldl: d i Lazan, 290.

Madruzzo

Madruzzo

Madruz:m Gaudenzo, 45.

Madruzzo Ludovico, H.

M ad ruzzo Vittorio, '52.

Lcibnitz, Goffredo Guglielmo von, 5, Madruzzo, la famiglia d ei, 42, 44, 49, 17,

Leone X, 106.

Leopo ldo, l'imperato re, 90, 198 .

l epka Giovanni, 31 9, 320.

l esma V e nces lao, 319

Leveghi Gipvan ni, 50.

Lidner, 10,

. 78, 80, 82, 83, 90, 142, 147.

Ma lfaui, il barone, 187

Malot A. H., 257.

Maltoni Angiolina, 2 19,

Maltoni Caterina, 2 19.

Ma ltoni Giuseppe, 2 19.

M:iltoni Luisa, 219,

332 INDICE D EI NOM I
304, 30S, 306,
11, 312, 313, 314, 31S, 316, 317,
32 5.
273, 27.5, 211, 21s
2a 1, 2s2, 283, 2s4, 2s,, 286, 287, 288, 289, 290, 29 1, 292, 293, 294, 29S, 296, 297, · 298, 299, 30 0, 301, 302, 303,
3
318, 319, 320, 323,
K
L
M
Vlll, 41, 42, 43, 44, 4 .5
46, 4 7, 48, 49, 50, .5 1, 52, 53, '54, , 55, 56, 57, '58, 62, 67, 69, 70, 74, 75, 76, 77, 8 1, 83, 84, 85, 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95 , 96, 97, 98 , 99, 100, 101, 102, 103, 104, 105, 106, 107, 108, 109, 113, 114, 11 5, 116, 118, 119, 127, 129, 134, 136, 137, 139, 140, 14 1, 142, 143, 144, 14 5, 146, 147.
Vll,
,
Cristoforo, 49, 51, 8 0, 98.
Filiberta, VlJl, H, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 61, 62, 69, 70, 76, 77, 79, 8 1, 84, 86, 108, 119, 120, 134.

Mattoni Ghe tti Marl.lnna, 219, 220, 228, 237.

Maluc"elli Sebastiano, 26~.

Mameli Goffredo, 195.

Mancini Michele, 263.

}.farani Silvio, 220.

Marchetti Livio, 212, 213,

Mariana, il generale, 106.

l\farsili, 198.

Martelli Paolo, 110, 111, 116, 117, 118, 119, 120, 121, 122, 123, 124, 125, 126, 127, 128, 129, 130, 131, 132, 133, 134, 135.

Martelli, il teologo, 98, 99, 101, 107, 110, 116, 118.

Martino V, 307.

Martino, il discepolo dì Huss, 292, 318.

Marx Carlo, V, 18, 158, 19 5.

Marzetto Emilio, 249.

MJssi Alessand ro, 234.

Massimiliano, l'imperatore, 316, Matteo, san, 316.

Maura, 183.

1',[ayer Edgard, 160, 165,

Mazzani Gino, IX.

Manona Tullo, 262

Medici, Lorenzo dei, 98, 112 ,

Mersi Giacomo, 50, Messalina, 9<).

Meynert, 11.

Mics, Giacomo von, 303.

Mocchi Walter, 254.

Mohr Carlo G iovanni, 238, 243.

Momigliano, 251.

Monicelli Tomaso, 254.

Monti Francesco, 225.

Mo rselli Garfield, 244.

Mo rtillet, Gabriele de, 9 , 17.

Moscati., il medico, 16.

Mosè, 18, 21, 290.

Muhleim, Giovanni di, 282.

Mi.iller, 12, 311.

Mussolini Albina, 219.

Mussolini Alcide, 219, 259.

Mussolini Alessandro, 219, 220, 222, 223, 226, 227, 228, 234, 237, 241, 247, 248, 252, 258, 259, 260, 2 61, 263, 265, 267, 268.

Mussolini Arna ldo, 220, 222, 237, 252, 253, 258, 260, 268.

Mussolini Edda, 268.

Mussolini Edvige, 222, 237, 252, 258, 26 1, 263,, 268.

Mussolini Francesca, 219, 237.

Mussolini' Luigi, 219.

Mussolini Maltoni Rosa, 219, 220, 221, 222, 234, 237, 238, 241, 247, 248 , 252, 253, 256, 2SS, 259, 260, 26 5

Nanni Eugenio, 239, 240, 241.

Negri Gaetano, 12.

Nicola, il vescovo, 291.

Nicolussi Simone, 210.

Nowicow, 13.

N11ot1a Ant'o l ogin, IX.

Oberdan Guglielmo, 169, 174, 177.

Orazio, 100. "

Ovidio, IÌ4.

Pare (Ul), 192,

Pacifici, il rettore, 264.

Pagane lli Achille, 23 5

Paganelli, i genitori di Achille, n5. , Pagine Libere, IX.

Paletz Stefano, 286, 323, 324.

Panini, la famiglia, 246.

Paolo, san, 321.

Paolo III, 106, 3,18

Pappenhe im, H oppe de, 299, Pareto Vilfredò, 159.

Particella Claudia, V, V II , VIH, 41, 42,

INDICE DEI NOMI 333
N
o
p
44, 45, 46,
64, 66, 67, 68, 69,
79, 81, 83,
96, 97, 99, 100, 101,
J0.5, 106, 101
108,
ll3, 114, 11', 116, 117, 118, 119, 120, 124, 125, 126, 127, 128, 129, 130, 13 1, 132, 133, 134, 13 5, 136, 137, 138, 139, 140, 141, 142, 14 3, 144, 145, 146, 147.
47, 48, 53, 56, 62, 63,
70, 71, 72, 74,
84, 86, 88, 92, 94, 95,
102, 103, 104,
,
109, tto, 111,

P articella Ludovico, 44, 46, '.10, .52, 70, n , 16, 17, s1, 83, 85, 86, s,, sa, 96, 99 , 100, 107, 114, 129, 136, 137, 139, 141, 143, 144.

Particella Vincenzo, 52, 54.

Pa·rtice lla, la fam iglia dei, 78, 84, 1}6, 144.

Passer, Arnold von (pseudonimo di Fran z Eduard Levy Hoffmann), VIII

Pedrellì, il professore, 244,

Pelizzo, il vescovo, 180.

P e llico Si lvio, 194,

Pello ux Leone, 190.

Perini Carlotta, VIII.

P estalozzi Enrico, 248.

P etrarca Francesco, 275.

Pe trolini O razio, 50.

PeHf,le ( L e), 255.

P ezzi Ter zo, 244.

Piana.longo Luigi, 2}4,

Pietro, san , 192, 325, 326

P indes, 257. ·

Pio V, 106 .

Piolanti 'Gi useppe, 222.

Piolanti M assimo, 222, 22 5.

Pio la n ti Pio, 222, 225,

Pitter i Riccardo, 166.

Pizzigati, il p~ofessore, 238.

Platone, 7 , 35.

Plener, il minis tro, 187.

Plotegh er Eugenio, don, 179.

P ola k Andrea, 293.

Polo, il cardinale, 80.

Pomponazz i Pietro, 26.

Ponta ter Corrado, 50.

Popolo (Il) , VII, VIII, 18 1, 18 4, 190, 2 65, 266, 267.

Popolo (li) d' I1alia, X.

Portinari Beatrice, 99.

Prezzolini Giuseppe, IX,

Privatelli Tobia: 72.

Pro Cuhura, IX.

Prodigu s, 1 3

Pro Ies Andrea, 31 7

Proletari o (Il), 254.

R

Rachele, l'ancelb di Claud ia P a rt icella, 66, 67, 71, 126, 128, 129, 130, 0 1, 132, 133, 134, 135, 136.

Radetzky de Radetz Giuseppe, 195,

Ragi one (La), 192, ' ·

Rassim Oscar, 256.

Reimer L., 159, 160, 16 ~.

Reiser Federico, 311,

R<"nan Ernesto, 1 53, Ren i Guido, 51.

Rcnsi Giuseppe, 256.

Reppert, 13.

Rescalli, don, 59, 62.

R n lo ( Il) d el Carlin o, 192

R e11cil (Le), 253, 2 55 .

R ttme S11iue, 273

RLCcabona, il d ottor, 176.

Riccio Domenico, detto il Brusasorci, 91 '

R ighi Natale, 244.

Riguni Secondo, 244.

Rinaldì G iovan Battista, 224, 228, 230. ·

R ivi!lrr P opolare Tremina, 184.

R obe,pier re .MaJJimiliano, 5.

Rohmeder, il dottor, 164, 208.

Ro kycana, 290, 309

Roma00 Giulio, 97, Rom ualdi Valzania, 222, Roselli Anacleto, 8 1.

Rossa to Art u ro, X.

Saçia-Mouni, 19.

Salvol ini Virg inia, 26 1, Saad Giorgio, 30 5.

Saaniai, 252.

Sanzio Raffaello, 156. .

Sapi Giovanni, 97, 98, Sarfatti Margherita, X.

Sa.rtore-lli Augusto, 166

Savoia, la dina.stia dei, 183.

Schiller, J, C. F. von, 196

Schopenhauer Arturo, U7 ,

S~ailles, 13.

S ecolo (1/), 194, 2 35, 247.

Segneri Paolo, 26.

Quattrini A., JX.

Seimre, U3, 08.

334 INDICE DEI NOMI
Q

Serrati Giacinto :Men otti, 2':i7, ~rveto Michele, 312.

S iegen, Nicolò von, 27G.

Sig ismondo, l'imper atore, · 278, 290, 291 , 293, 295, 297, 305, 307, 308, 309, 314,· 320, 323,

Silvio, Enea, 298, Simon Nicola, 34.

Simonotti Achille, 259, Sirotinine, 258.

Sisto V, 106.

Socin, il professor, 182.

Socrate, 7.

Sofia, la regina, 282, 284, 287, 305.

Spencer Erberto, 6, 13, 17.

Spinoza Benedetto, S.

Suuplit1:, il dottor, 317.

Stitny, Tommaso de, 280, 28 1.

S.11 Com pagno!, 258.

Suzijkon, il di scepo!o di Huss, 318.

V albusa, 275.

Valzania Fortunata, 238.

Venceslao .VI, 278, 282, 28 5, 287, 288, 289, 290, 295, 305.

Venceslao di Duba, 290, 319, 321, 323.

Venezia P., 245, 247.

Verdi Giuseppe, 242,

Vigilia; san, 192.

Vigilio Pietro, 198.

ViJlari Pasquale, 167.

V irgilio, 49.

Virginia B., 24S.

Vita Trtmtina, VIII, 267 .

Vittorina F., 238.

Vittorio Emanuele II(, 258.

V oet (La), IX, 1S t , 213.

Voltaire, F. M. Arouet de, 13. w

T aglialatela Alfredo, V, VI, 3, 8, 10, 1 2, 17, 22, 30, 31, 32, 254,

Tambosi. Antonio, 171, 209,

Tedeschi Antonio, 251.

Tempi ( /) Nuovi, 253,

Tempo ( Il), 192.

Terra nova, il duca di, 42,

Tt:rtullìano, 35.

T(ssa.dri Pio, 169.

Todeschini Giovanni, S7.

T o lomei, il profenor, 207,

T omek, 304.

T omoff, 251, 257.

Tormenti Ariste, VI, VII

Tianq uillini, il procuratore di" Stato, 169

Trentino (Il), 181.

Trewldi, don, VI.

Tylo r, 13.

Umberto I , 195.

Urbano V, 279, 280.

Wag ner Riccardo, 158.

Wagner Rodolfo, 8.

Waldhauser Corrado, 279, 28 1.

Warhmund, il professor, 182, 192 ,

Wellmann, il dottor, 1'.56.

Wicleff Giovanni, 284, 28}, 286, 288, 295, 300, 303, 312, 322, 323, 324

Windischgratz, il ministro, 187

Woltmann ludwig , 1'8, 15?.

Wums, 13, z

Zacc.iria Giovanni, 317,

Zanini Gaetano, 249.

Zbynick, l'arcivescovo, 284, 285, 286, · 287

Zizka G., 304, 305, 306, 307, 308, 309.

Zoli Palmira, 222.

Zoli, il bidello, 235.

INDICE DEI NOMI 335
T
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V
INDICE pag. Nota informativa • • • • V L'UOMO E LA DIVINITA (Contraddittorio avuto c~l pastore evangelista Alfredo Taglialatela 1a sera del 26 marzo 1904 alla « Maison du Peuple » di Losanna) Prefazione << Dio non esiste » . Conclusion e . La risposta . . Appendice. L'evangelismo CLAUDIA PARTICELLA L'AMANTE DEL CARDINALE (Grande romanzo storico dell'epoca r. Il. lii. IV. V VI. VII. VIII. IX. X. , del cardinale Carlo Emanuele Madruzzo) 3 5 26 30 33 41 49 56 65 78 89 105 112 137 144
338 INDICE
(Note e notizie) Prefazione II pang ermanismo teorico . 11 pangermanismo pratico . La difesa italiana, La Lega nazionale . la politica nel Trentino Appendice . . . . . . Introduzione I, Il. III. IV. V. VI. VII. VIII. IX. ·x. XI. XII.. XIII. XIV. XV.. XVI. XVII. XVIII.. XIX. xx... Prefazione LA MIA VITA DAL 29 LUGLIO 1883 AL 23 NOVEMBRE 19ll GIOVANNI HUSS IL VERIDICO L'epoca e i precursori di Huss . Huss il veridico pag. 151 03 162 166 174 206 217 219 222 22é 226 228 230 232 234 237 239 242 245 247 250 252 2 55 258 261 264 267 27 3 275 28 2
IL TRENTINO VEDUTO DA UN SOCIALISTA .
Verso Costanza . L'opera ,, Zizka e la g uerra hussita La critica ortodossa e Huss Dall'epistolario di Huss Indice dei nomi . , , INDICE 339 pag. 294 300 305 312 315 329
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