IL RISORGIMENTO ITALIANO ANNO XIII

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IL

RIS0R6IMENTQ ITALIANO NUOVA SESTE put>licata dalla

SOCIETÀ STORICA SUBALPINA SOTTO LA DIREZIONE

FERDINANDO GABOTTO con la collaborazione DI

G. E. Curatolo, P.I.RiNiERi e Teof.Rossi K DI iinolti studiosi di storia patria

VoLX III {=Bsbs,Suppl.Kisorg.lS- 16)

ir ji IH roma - torino - milano Fratelli Bocca editori 1917 OM»la Monf.- Tip.Cooper»tiv« • BeUaton^BoMO • 0.


1^

^

4

FERDINANDO GABOTTO 8i

spento, dopo lunga

è

vembre

1918, in età di

malattia,

nella

sua Torino,

il

24

no-

anni 52.

Libero docente nell'Ateneo torinese dal 1891, professore di storia

moderna nella R. Università di Genova dui 1900, fu il Maestro a tutta una scuola di giovani e di cultori delle storiche discipline, i quali gareggiarono, in un ventennio, a dare, per lui, il più largo contributo agli studi di storia subalpina.

Fondatore nel allievi,

189<)

della

SocieUì Storica Suhalphia, con pochi

creò rapidamente, attorno al

suo vasto programma di

illu-

strazione della storia del passato in Piemonte attraverso gli studi

un movimento di persone danno tuttora alla Società P appoggio

e le pubblicmioni documentarie medievali,

e di enti locali, che diedero e

morale «• materiale, per il compimtMito della nobilissima idea. In Venti anni, la Società pubblicò 20 volumi di bollettino Storico Iìiblio(jrafico,

80 volumi completi di Biblioteca della Società Storica


»H

Snbalpitm compresi scicoli del

i

volumi del Corpus Ohartarum

Risorgiìnento, oltre ai

Suppletnenti savoìiesi e genovesi.

Italiae,

17

fa-

volumi pubblicati in parte, ed ai

La serie dei sedici Congressi storici

subalpini, interrotta nel 1914 dalla guerra, diede

la

sanzione degli

studiosi del Piemonte e d'Italia a questa mole di lavoro, che fu

veramente tutta opera di Lui, e che costituisce il più bel monumento che possa immaginarsi innalzato alla memoria di uno studioso Egli sperò di legare il suo nome ad una grande opera, appena incominciata

:

Storia dell'Italia Occidentale del medio Evo, della

la

quale sono editi

i

due primi volumi

la continuazione di

cepita.

I

:

la

morte inesorabile troncò

questa opera poderosa, quasi audacemente con-

700 numeri di bibliografia gabottiana, stanno ad affermare

l'attività di

quest'Uomo straordinario, il quale, in mezzo alle lotte

perenni della letteratura e della vita, combattè, per trent'anni, più bella battaglia per la libertà della critica e della scienza liana,

la

ita-

allorquando tutto il mondo scientitìco ufficiale d'Italia guar-

dava al di là delle Alpi e

si

abbandonava ciecamente nella esage-

razione dei metodi tedeschi.

Di Lui Storica

si

riserva, assai

più diffusamente, trattare la Società

Subalpina, con una pubblicazione speciale in suo onore,

mentre oggi si unisce dolente al compianto universale per la perdita che essa e la coltura italiana hanno fatto nella persona illustre di

Ferdinando Gabotto.

\


IL " PARTITO

CATTOLICO „ PIEMONTESE NEL 1855 £

la legge Sarda soppressiya delle coinimitii religiose

La legge sarda soppressiva delle comunità religiose,elaborala e discussa fra tanto fervore di passioni,tra i più gravi e diversi

avvenimenti

— sciagure di Reggia, bagliori della guerra d'Orien-

te,afTermarsi di salde e fortunate direttive di politica estera, difficoltà finanziarie

— .segna un momento decisivo nella politica

interna piemontese,una pietra miliare nell'orientamento dei vari «partiti ».

Dopo il disastro di Novara,dopo le reazioni di Parlamento e di popolo che tennero dietro alla tragica giornata, per alcuni anni

rimane piuttosto incerta, piuttosto dubbia, l'azione che svolgerà l'unica monarchia costituzionale rimasta nella penisola. Sedata la rivoluzione di Genova,richiamata da Ancona la piccola flotta

sarda,consolidato il gabinetto D'AzegliOjOttenuta dalla Camera riottosa la ratifica del trattato di pace con l'Austria, un'apparente quiete sembra ristabilita nel regno : la vita publioa, le discus-

sioni del Parlamento,le mutazioni ministeriali, l'opera di restau-

razione delle finanze, le relazioni con gli altri Stati d'Italia e di F^uropa, tutto procede secondo un ritmo norniale,con tranquillità, senza notevoli scosse. Coloro che sono restati fiduciosi nello

avvenire ad onta delle terribili delusioni della primavera del '49, convinti che l'unità d'Italia si compirà nonostiinte ogni coali-

zione di forze avversarie, riguardando il Piemonte si chiedono

dubbiosi quale sarà la vicenda dell'unico Stato rimasto fedele al principio costituzionale

:

s'esso farà di tale princìpio scopo alla

sua attività; se sacrifìcberà la sua stessa essenza nazionale,traRiaorg.,n

l


—2— mutandosi,rinunciando alla propria individualità e adunasene di vantaggi economici e morali connessi alla propria posizione,

allontanando da sé le stesse tradizioni più care, per divenire l'assertore della unità d'Italia o se rimarrà pago della propria ben ;

regolata libertà, pago dei propri! ordinamenti interni, e,memore delle dolorose esperienze del '49,conscio dell'intima diversità di

sentimenti e d'idee che lo divide dagli altri popoli che pur parlano la medesima lingua,si mostrerà geloso della propria auto-

nomia,e si renderà di ostacoloal compimento dell'unità italiana o se, infine, col prevalere di coloro che non sanno perdonare la

;

follia di Carlo Alberto, e cui si vanno sempre più accostando altri che hanno divisi gli entusiasmi der48,ma sisonopoi ritratti

spauriti da quel triste spettacolo eh 'è il concretarsi di un sogno in realtà, la monarchia costituzionale si muterà in monarchia as-

soluta e non rappresenterà più che un'altra resistenza da abbattere.

La politica ecclesiastica appare il lato dell'attività del Governo piemontese dove si manifestauna maggiore decisioned'indirizzo,

dove più palese appare una continuità d'intenti. Mantenuta la legge contro 1 gesuiti votata in tumultuosi momenti tenuto fermo il rifiuto dell'annuo calice alla Santa Sede riconoscimento della sua signoria feudale sul principato di Masserano, la con;

tea di Crevacuore,Cisterna,Montafia,San Benigno e le altre terre comprese nella bolla di Benedetto XIV Provida Romani Fontificis del 3 gennaio 1740,nel concordato 5 gennaio 1741 (1) e nella bolla Circumspeda del 13 luglio 1753 (2); approvata la legge abolitrice del foro ecclesiastico,stabilita la necessità dell'assenso

regio per gli acquisti dei corpi morali tutti, ecclesiastici e laici

;

soppresse le decime nell'isola di Sardegna agitala ad ogni di;

scussione di bilancio la questione dei supplementi di congrua ai parroci poveri ,e costantemente chiesta dai liberali di ogni gra-

dazione l'eliminazione dal novero degli oneri dello Stato di tali supplementi, che gravano per novecentomila lire circa sul non lauto bilancio

(1)

;

— la tensione con Roma

si aggrava sempre più,i

Traités publics de la l'oyale Maison de Savoye, 11,519 segg.^nn.cxix

e CxXjTorino, 1836-1861. (2) Ibidem, 111,1^4 segg.,ii.cxLVi.


—3— vari negoziati non sortono esito alcuno (l),le amichevoli interposizioni degli agenti (liplomalicidi Francia e d'Inghilterra non

hanno alcun frutto ("2),le lettere tra il Re ed il Pontefice non fanno progredire di un sol passo le trattative per un accordo. Appare indubbia la direttiva anticurialista dei Gabinetti D'Azeglio e Cavour ; appare palese

il

loro intento di diminuire di

molto la condiijione di favore fatta alla Chiesa dalla legislazione del regno,di restringere al minimo gli elementi di confessionalità proprii allo Sta to,di affievolire

— fermo

il

rispetto alla gerar-

chia e senz'alcun pensiero avverso alla unità della Chiesa

il

sentimento di fedeltà incondizionata del clero verso la S. Sede e di ridurre al tempo stesso l'influenza morale del clero,secolare e regolare, sulle popolazioni. Ma in pari tempo, come non ap-

pare sicuro il risultato della lotta tra il Governo del piccolo Stato e la S.Sede,così si mostra incerto l'esito che avrà nell'interno

del paese la lotta delle coscienze,e sembra impossibile afferma-

non si spaventano dei monitori e delle censure e guardano in faccia anche

re se la vittoria spetterà in definitiva a coloro che

il

pericolo di uno scisma,convinti della necessità ineluttabile di

affermare i principi della sovranità dello Stato,o se la vittoria arriderà invece ai molti, diversi tra loro per convincimenti e spe-

ranze, ma uniti nel credere che non possa esservi un avvenire di trancfuillità,di prosperità, di pace, per il paese che abbia meri-

talo la condanna del Vicario di Cristo.

Finché le trattative con Roma continuano, finché il Governo proclama al Parlamento ed al Paese il suo desiderio di giungere a stipulare un concordato, ed accetta o promuove i buoni uffici di Potenze amiche, la questione che divide il paese resta sempre

aperta nessuna delle due parti può dirsi vittoriosa. Se nel cam:

(1) Per la storia dei negoziati vedi 'S.BiASCUi, Storia documentata della diplomazia europea in //«//n, VI, 353-884, e VII, 45-87,Torino, 1865- 1872.

Cfr.perle trattative fino al 185(),T.BuTTiNt,£)o7t Giacomo Margotti ^iu. Itiv. '/'//.,Roma,1914,(300 «egg. (2) Vedi le lettere del barone Riccardo Lyons, diplomatico inglese in Roma, e dell' ambasciatore francese a Roma conte Alfonso do Rayneval publicate sotto numeri LXiv,LXVii e Lxvni in // Itisorff.it., lX,i-n (=H.Hbs, i

Supj)l.Iiisory.9-10),TorÌBO,V.)lG.Cfr.Bì\ìiciu,O]».cit.,\l;.r(ti segg.,e i do-

cumenti ivi inserti sotto il numero uva pp.595 segg.; nonché VII, 49, 58* 59,81-83.


pò legislativo gli oppositori della Curia hanno trionfato, non è stata intera e completa la loro vittoria, che il progetto sul matri-

monio civile così modesto nelle sue disposizioni, è caduto, che la questione dei supplementi di congrua, la più importante come quella che dovrebbe dare modo allo Stato di affermare un suo potere di disposizione sui beni della Ghiesa,è sempre impregiudicata. E guardando attorno a sé nel Paese, i devoti, i timorosi

della condanna della Chiesa, possono trarre buoni incitamenti a

sperare salda nell'attaccamento ai principi aviti la Savoia,che :

solo per fedeltà dinastica e per nobiltà di tradizioni ha dato il

sangue dei suoi figli alla prima guerra d'indipendenza, combattuta per una causa nazionale cui essa si sentiva estranea,e nuo-

vo nobile sangue darà ancora sui campi di Crimea e di Lombardia ti

;

il

popolo delle campagne rispettoso del clero,amantedei fra-

e delle monache, corrucciato all'idea della chiusura dei con-

venti ferma nella fede degli avi l'aristocrazia, la cerchia di co;

loro che circondano il Re

;

contrari ad ogni idea di riforme ec-

clesiastiche attuate in contrasto con Roma gli uomini che da più

decenni appaiono eminenti per scienza e per saggezza, che ri-

scuotono la stima ed il rispetto universale,che possono dirsi al di sopra delle discussioni e delle lotte

;

viva ancora nella mente

di tutti, nobili borghesi artigiani,eai cuori di tutti i Piemontesi

sacra e cara^l'imagine ammonitrice del martire che tutto diede al-

— corona, pace deiranimo,affetti

la causa dell'Indipendenza

fa-

miliari vita

— ,ma che, tutto concedendo, una sola cosa chiese, una

sola impose

:

,

il rispetto completo,integro,assoluto,alla religione

dei padri.

Con l'approvazione della legge soppressiva delle corporazioni religiose l'equilibrio è rotto: appare chiaro che la maggioranza delle energie della nazione fa capo a coloro che ritengono la so-

vranità dello Stato debba affermarsi anche in àmbiti per l'in-

nanzi riservati alla Chiesa appare decisiva la sconfitta dei de;

voti alla S. Sede. Essi stessi ne hanno chiara coscienza l'effìme:

ro successo delle elezioni del '57 non li inebria nel loro cuore è ;

ormai la certezza che il passato non risorgerà,che l'avvenire del regno di Sardegna non comporta alcun successo per le idealità loro.

Con l'approvazione della legge 29 maggio 1855 il campo di co-


—5— loro che sono stati fedeli monarchici e fedeli cattolici, desiderosi

del bene dello Stato e sostenitori dei suoi diritti, ma al tempo M) umili di fronte agli ammonimenti ed alle censure della >a, viene ad essere scisso

:

per coloro che non intendono ri-

tirarsi dalla vita publica, sorge la necessità di risolvere la crisi

spirituale per quanto dolorosa essa sia; si separano quelli che,

pur restando devoti e praticanti cattolici,a tutto preferiranno le fortuned'ltalia (anche il giorno in cui il loro Re varcherà la frontiera pontificia,anche il giorno in cui lo saluteranno sul Campi-

doglio) e coloro che, perduta ogni fede nella vittoria della loro idealità, si sentiranno d'ora in poi estranei in patria, sentiranno

di non aver più bandiera e di non aver più Re,e trascorreranno i

loro anni in un'amarezza troppo spesso acre,ingiusta,astiosa.

La legge è approvata allorché s'inizia l'azione piemontese in (irimea.U secondo avvenimento è di gran lunga più importante per le conseguenze che ne scaturiranno, per le fortunate vicen-

de cui darà inizio: fuori del Piemonte se ne comprende,o almeno,se ne sospetta, tutto il rilievo. Ma nel regno sardo il turbamento delle coscienze per la discussione della legge, per le vicende •

he portano alla sua approvazione,è troppo intenso perchè ogni

altro avvenimento non passi in seconda linea. In realtà, se sui

rampi di Crimea si maturano gli eventi che permetteranno al genio di Camillo Cavour di condurre l'esercito francese a liberare la Loml)ardia ed

a rendere possibile l' uniti» d'Ralia, nelle aule

di palazzo Carignano e di palazzo Madama, attraverso la

lunga

«liscussione, irta di cifre stati8tiche,di citazioni storiche ecanoiiistiche,si foggia il

paese che adempirà la parte più ardua nel-

l'opera di unificazione. La soppressione dei conventi in apparen-

za non ha altro risultato che di alleviare di un piccolo onere il

bilancio dello Stato; in effetto i suoi risultati, non voluti ed ignorali dai suoi autori, vanno molto più in là: con l'offesa al senti-

mento ultracattolico della Savoia si aftievolisce la fede dinasti<-a

che in assenza di un vincolo di nazionalità e di lingua tene-

va avvinta quella regione al Piemonte; ed all'opposto si unisce per la prima volta con un saldo vincolo alla dinastia Cìenova, la

non può dimenticare la sua grandezza republicana se non per avere fede in una diversa grandezza italiana,che

i^^ran ril)(»lle,che

non sa non può non vuole essere la seconda città di un piccolo


- 6 — regno,nondimoradellaCorte,ma sa di essere,edè,la fucina di ogni rinnovamento con l'affermazione della sovranità dello Stato anche a danni della Chiesa si legano alla Corona gli uomini che fino allora ne sono stati servitori dubbi ed incerti, che fino a quel giorno si sono chiesti se sia possibile ad un re scorgere nella ;

propria persona il designato dal popolo anziché l'unto del Signore la sconfitta dei più vecchi e più devoti seguaci dell'antico re;

gime li pone fuori dalle vive correnti della vita nazionale, libera il paese dai servizi di uomini integerrimi e caldi di amor patrio, ma che sarebbero stati un peso morto nei giorni fortunosi delle guerre d'indipendenza e delle annessioni.

Esaminare

— anche senza scorta di nuovi documenti, ma solo — pensiero della parte cattolica piemonte-

attraverso fonti note

il

se sul declinare del '54 e nei primi mesi del '55, ci è sembrato degno

argomento di studio. Senza alcuna prevenzione ci siamo accostaair ambiente non vi grandeggiano figure che possano acco-

ti

:

starsi a quella dell'uomo che domina nel campo opposto, che

possano stare a raffronto con Camillo Cavour,ma abbondano uo-

mini illustri per cultura, per esperienza di governo, per saggezza, per severità di costumi, per integrità di vita, per calore di fede.

Alcuni uomini che i contemporanei, posti nella necessità di combatterli ed abbatterli, irrisero e disconobbero,oggi, al l'osservato-

re imparziale che scorge con occhio pacato quelle lotte d'idee e di sentimenti ormai scomparsi, appaiono sotto tutt'altra luce,mirabili anch'essi per tenacia, per fede, per la saldezza con cui re-

sistettero ad ogni minaccia e ad ogni blandizia,con la irraggiun-

gibile sicurezza propria soltanto di chi si tien certo di essere de-

positario del vero. Si tratta di un episodio della lotta di due mentalità diverse, di due sentimentalità opposte, di un mondo che declina e di uno

che sorge non vi s'intrecciano conflitti d'interesse. È una lotta di uomini puri, sono a fronte due fazioni di quel meraviglioso :

popolo subalpino che in ogni tempo, sotto una maschera di freddezza e di quiete, ha ignorato lo scetticismo, ha avuto calde fedi, ed ha saputo per esse combattere e soffrire. * * * 1 pochi che di sfuggita si sono occupati del « partito cattolico » qual era nel regno di Sardegna negli ultimi anni del regime as-


—7— soluto e nei primi di quello costituzionale,sono quasi sempre caduli nel facile errore di lasciarsi influenzare daH'imaji^ine di ciò

che quel partito divenne negli anni dipoi, allorché era svanita ogni speranza di accordo tra la Monarchia ed il Papato,allorchè

con l'unitìi d'Itiilia erasi compiuto l'irreparabile nei rapporti tra le due grandi forze morali. Gli avvenimenti verificatisi tra il '55 ed il '61, il naturale disparire degli uomini più rappresentativi del pensiero e del sen-

timento assolutista, della fede nel sovrano tale per diritto divino, la scomparsa dell'elemento savoiardo, che aveva caratteristiche sue proprie così spiccate, alterarono profondamente i caratteri e l'aspetto di quello che di solito si designa indifferente-

mente, riferendosi agli anni del Risorgimento,come «partito reazionario » o come « partito clericale ».

Nell854r55 la distinzione tra i due gruppi,dei clericali e degli assolutisti (i nomi non rendono esattamente i concetti, ma sono

troppo penetrati nell'uso per tentar di mutarli), sussisteva ancora,ed era ancora sufficientemente avvertita dalle coscienze. Queste due parti,tanto spesso in contrasto tra loro nella vecchia mo-

narchia piemontese, che aveva conosciuto il gallicanismo ed il giurisdizionalismo,eransi avvicinati durante la bufera rivoluzionaria, l'Impero, ed ancora negli anni del breve regno di Vittorio Emanuele I,affatto pacifico in tutto ciò che riguardava la politica ecclesiastica ; ma si erano poi di nuovo distaccati sotto

Carlo Felice. IntiuQst'ultimo re del ramo prìmogenito,cui da non molti anni la storia ha cominciato a render giustizia,rivivevano tutte le caratteristiche dei migliori trai principi assoluti del Sette-

cento: la salda fede nella pienezza dei proprii diritti, l'iriflessibililà verso chiunq uè si attentasse a conculcarli ,l 'orgoglio dinastico

che si proponeva le stesse mire e raggiungeva medesimi scopi che si sarebbe proposti ed avrebbe raggiunti la fierezza nazioi

nale. Il ricordo tanto prossimo della grande raffica rivoluzionaria, la minaccia liberale e carbonara,rendevano concilianti Governi

e Chiesa,conscì entrambi della necessità di reciproca intesa

:

nel

regno di Carlo Felice non vi furono attriti tra la Corte e la S.Se-

de,non palesi lotte interne tragiurisdizionalisti e ultramontani.

Ma non di rado un mal celato astio, una reciproca (iiffì(lenza,divi>.;<.

1.'

*li!<.

parti :i!

He rifriiard*'» <'ori non nascosto sospetto la


—8risorta potenza gesuitica (1), sentì ed affermò alta la necessità di

tenere a sé avvinto l'episcopato (2). Diverso il sentimento di Carlo Alberto

:

ma anche durante il regno del religiosissimo sovrano,

che in cuor suo doveva portare severo giudizio su quella ch'era stata la politica ecclesiastica di più d'uno dei suoi predecessori

del ramo primogenito (3), non venne mai meno la distinzione tra regalistì e i curialisti: distinzione che si affermava sopratutto

i

nei Senati, dove sedevano numerosi magistrati che avevano in-

dossato la toga sotto la Repubblica e l'Impero e si erano formati

sotto l'influenza della tradizione napoleonica, e nelle facoltà

giuridiche, ambiente tradizionalista per eccellenza, dove ancora vive erano le dottrine dei canonisti di Vittorio Amedeo II (4-5). All'inizio del regime costituzionale,tra il grande differenziarsi

dei * partiti »,la distanza tra i due gruppi dei regalisti e degli (l)]Si ricordi lo scioglimento da lui YOÌntodeìV Associazione dell' Aìtiiei-

zia Caff elica (cfr.[SoLARO della Margarit A],Memorandum storico-politico^fl segg., Torino, 1852). Per il sentimento antigesuitico di piemontesi rigidamente ortodossi vedi L.Sauli d^Igiaaììo, Reminiscenze della pro-

pria vita,l,BdQ segg., Roma-Milano, 1908. (2) Cfr. D. Ferrerò, (?a idtimi Reali di Savoia del

ramo primogenito, 29d

segg.,Torino,1889 e vedi anche A. Lattes, Le leggi civili e criminali di ;

Carlo i^eiece,281,Cagliari,1909. (3) C£r. tuttavia per qualche reazione del Re aUe intemperanze di mons. Fransoni e del partito gesuitico, [SoLARo],ilfemo?'awrf«/rt, 220 segg. (4) Sulle dottrine regaliste ai tempi di Carlo Alberto cfr. [SoLARO],ilieniorandum,lA8 seg.: « Rassegnai [al Re] le mie riflessioni. Non potersi con profitto degli studii togliere all'Università il Cavaliere di Collegno che anche sotto la sua sorveglianza s' insegnavano da alcune cattedre dottrine, le quali erano ben lungi da ciò che esser doveano per informare uomini che conoscessero ciò che devono a Dio e al Re che quelle dottrine avevano la sanzione di un secolo che lo stesso Cavaliere di Collegno, col suo ;

;

;

zelo, riuscito ben era a moderarle, non a farle variare.

— Duolmi che in quel

deposito di tanta scienza [l'Università] si serbino massime e dottrine che

ne offuscano lo splendore e duolmi che invece d'interpretare il diritto canonico siccome lo interpreta la Chiesa, sómma maestra in materie che ad essa spettano, s'interpreta invece alla foggia de' suoi nemici che bevvero alle impure fonti dei pretesi riformatori del secolo decimosesto. Per l'attaccamento a tali dottrine anche degli elementi più moderati cfr. Sauli ;

D'lGLiANO,iRe?«misce??2e,I,395 seg. (5) Per contrasti con i gesuiti

nel 1844 cfr.CoKSTANCB d'Azeglio née

AL,FiERi,Soiivenirshistoriqiies tirés de sa correspondance avecson fils Em-

mawMei,65,lett.B6,Torino,1884.


.

—9— ultramonUini appare quanto mai diminuita. D'altronde essi han-

no ormai assoluta comunità di nemici e di tìmori.quasi completa identità di speranze e d'immediati intenti. Tuttavia si scorgo-

no ancora due mentalità ben diverse. Per i regalisti, nessun errore del sovrano, nessun atto nefasto ch'egli compia, può diminuire l'obbligo dell'assoluto rispetto e dell'incondizionata devozione.il regime costituzionale dev'essere sinceramente rispettato in sé e nei suoi organi, in quanto

emana dalla volontà del re il loro

;

i

deputati compiono legittimamente

compito, non in quanto rappresentanti del popolo, ma per-

chè designati da questo in seguito a volontà del sovrano, in virtù di una delegazione di parte del regio potere. Occorre fare tutto il

possibile per conservare quanto resta delle prerogative del re,

per impedire ch'esse gli siano suo malgrado sottratte, che sia

comunque diminuito il suo potere,il suo prestigio bisogna anche :

agire sulla persona del monarca per indurlo ad arrestarsi sulla

pericolosa via delle rinuncie nella quale egli si è posto,per con-

vincerlo della impossibilità di conciliare la rivoluzione ed il trono. Ma ov'egli non scorga il pericolo,e liberamente compia nuo-

ve rinuncie, non rimane che seguirlo sino in fondo alla via che

intende percorrere, salvo a difendere con ogni sacrificio la sua sacra persona nel giorno doloroso della prova Nella politica estera, i regalisti conservano viva la tradizionale avversione sabauda e

piemontese all'Austria (1) :non si dol-

gono della calda amicizia per l'Inghilterra; sono freddi per la Francia, e nel terzo Napoleone non scorgono che un usurpatore. In |)olitica ecclesiastica, nulla dev'essere tralasciato per manten»!re la condotta dello Slato sulla direttiva segnata dallo Statuto, ch'è quella stessa del codice civile albertino, delle Regie Co-

stituzioni di Vittorio Amedeo riassunte dalla Restaurazione co-

me legge fondamentale, della tradizione sabauda. Nessuna avversione ai religionari ed agli ebrei, ma condizione di as.soluto

predominio della religione cattolica mantenimento degli exequatar e degli appelli d'abuso^ma grado e trattamento di alti ;

(1) Per la <liinostrazione della parte che presero a quest'avversione na-

zionale gli stessi (lu«^ ultimi sovrani del ramo primogenito cfr. Pbkkkro, Op.c<7., 200-229,6 vedi pure N. Bianchi, Op.ci7.,IV,260 8egg.;G.OTTOLBN-


— 10 — dignitari dello Stato ai maggiori prelati, ma collaborazione pie-

na ed accetta del clero nell'attività sociale dello Stato ;conseivata la tradizione regalista nelle Università e nei Senati, ma ispirati a saldi principi cattolici l'istruzione e

l'educazione pubii-

ca rispettati i concordati,da modificarsi secondo le esigenze dei ;

tempi, ma sempre medianti nuovi concordati con pieno accordo ,

tra le due potestà.

Con molta maggiore libertà di giudizio i clericali valutano l'opera del Sovrano e del Governo. Mentre tutti 1 regalisti avevano sofferto del crollo del regime assoluto e riguardato con dolore lo

Statuto,non pochi dei clericali nei giorni del '48 avevano nutrito fiducia nel nuovo stato di cose,e salutato senza rammarico la

caduta di un sistema che in più di un periodo era stato per loro

ben triste (l). Ma nel momento che noi consideriamo, mentre i regalisti riguardano con rispetto ed indiscutibile lealtà gli ordi-

namenti costituzionali,! clericali, che sono ormai certi ch'essi

nascondono la loro oun ritorno allo statu quo ante desiderio non sempre e non puramente platonico si ricordino i moti della Valle d'Aosta del'53,forse non organizzati dal clero, si rivolgeranno sempre a loro danno, non

stilità palese, il loro desiderio di

:

ma certo frutto delle idee che

i

foglietti cattolici ed i propagan-

disti dei cenacoli più arditi ed intransigenti diffondevano per le

campagne.La devozione al sovrano è affermata ripetutamente; ma v'è sempre il vecchio presupposto che la Chiesa può deporre i re, che gl'interessi della religione sono da anteporre a quelli delle Corone, e v'è anche il concetto, frutto dei nuovi tempi, che il popolo possa e debba valutare da seguali siano le proprie convenienze, ed imporre tale sua valutazione anche ai sovrani ed ai governi costituiti.

Contro i governi,! ministri,il Parlamento,gli attacchi e le la-

gnanze sono continui,aspri, spesso astiosi. Si sentecheagli occhi del partito clericale tali istituzioni

non hanno alcun attributo

loro proprio (riflesso del carattere sacro della Corona, mani festa(1) Sulla partecipazione dì ecclesiastici agli entusiasmi del '48 vedi To-

maso Chiuso, La Chiesa in Piemonte dal 1797 ai giorni nostri, III, 223 segg. Torino, 1887- 1892.Cfr. anche il mio lavoro La questione della proprietà ecclesiastica nel Begno di Sardegna e nel Regno d' Italia, 2b segg., ,

Torino, 1911.


— Il zione della volontà del popolo, espressione tangibile della Nazione) che li renda di per sé meritevoli di riguardi e di rispetto.

Guardando fuori dei confini d'Ilalia,essi sentano profonda avversione,e più che avversione,odio,per l'Inghilterra. Nulla dicono al loro cuore il ricordo di lontane alleanze,di prove di amicizia

avute nei giorni tristi in cui splendeva l'astro napoleonico, ricordi che la rendono cara ad alcuni degli uomini di antico stam-

po; non è neppure l'opinione comune del tempo,che guarda con antipatia Vinfìda Albione,\o Stato dalla politica mercantile e interessata (oh, illusioni e mirabili sdegni del romanticismo diffuso nelle moltitudini borghesi !) (1),quella che si riscontra nei clericali :no,è

l'avversione per l'Inghilterra protestante, che do-

vunquedà protezionee sussidio al proselitismo riformato,è l'avversione per l'Inghilterra formidabile ed irreducibile nemica del

papismo,ravversione per la Corte di S.Giacotno,che,sola tra le Corti d' Europa, sembra sentire e mostrare palesemente la sua simpatia per il Gabinetto del contedi Cavour,è l'odio perla stampa inglese larga di elogi alla politica dei ministri piemontesi, e sopratutto larga di consigli e di esortazioni a proseguire sulla

buona via,a non transigere di fronte a Roma (2). 1

Sauli, RemÌ7iiscenze,I,38i

:

La Gran Bretagna, specchio e modello

«

d'ogni bottegaia... ». (2) SoLMio, Discorso alla Nazione,165 segg., Torino, 1866 : 1 ministri pos-

sono opporre alle accuse € il grato olezzo delle lodi britanniche e la supposta ammirazione di straniere genti sCcattoliche, o alla rivoluzione devote per la stupenda maniera con cui essi resistono alla Santa Sede, reprimono il

Clero,attentano ai diritti, alle libertà della Chiesa ».Gli articoli stranie-

ri di

elogio molte volte sono stati elaborati a Torino. « Ma sianvi pure al-

cuni articoli non compri nel Morning Post, neWIndependance, nei Debats o in altri sianvi elogii spontanei qual meraviglia che i nemici del Catto:

;

licismo, che i protettori delle sette i)ui--t>- t':iv'!Ì><eV Voi

Minio ^- Coi.

i.

Il

,

applaudano a chi quello perseguita e

avete le lodi di quell'Inghilterra che mandava Lonl

a predicar per gl'interessi suoi lo sconvolgimento della

penisola di quell'Inghilterra che qui vanta libertà,e la reprime nelle Iso;

le Ionie, in Malta,nvunque ha dominio; di quell'Inghilterra che ha messo

sotto il giogo il Portogallo, che ha usato tirannica violenza al re di Gre-

boli questo e quello, ma ha piegato il ginocchio e chiesto venia agli

Uniti d'America quando con insolente orgoglio mostrarono non temere la regina dei mari».Cfr.7f Ca^/o//co, giornale, Genova, U.15G8, 2 dicembre IH')! !> ''"v7>r/HO/je,giomale,Torino,1866,n.2: Gli Im/Ì*y' '•• /'•'"-


— 12 — Per Napoleone III,dal 2 dicembre i cattolici del Piemonte han-

no viva simpatìa non si riscontrano tenerezze legittimiste in loro, allorché parlano delle cose in Francia. Sentirono sempre re:

pulsione e diffidenza per Luigi Filippo, macchiato ai loro occhi di un peccato di origine

:

per Napoleone III, che ha sventato il

pericolo ri voluzionario,che ha sai vato laChiesa francese da tante e diverse minacele, che si è reso benemerito del Pontefice, essi

non hanno che parole di elogio (l).Per l'Austria dimostrano vera e profonda amicizia. Forse neppure nei clericali piemontesi tace affatto l'avversione nazionale, così profonda, per il vicino Im-

pero, Ma troppe riflessioni, troppi altri sentimenti, soffocano que-

st'avversione. Con l'Austria essi hanno comunità di nemici

:

la

più gran parte,la parte più attiva di coloro che sono contro l'Austria è contro la Chiesa

:

le sorti dell'una saranno guelledell'altra.

Inutile rievocare ricordi lontani, ancora così vivi nella mente dei legittimisti, ricordi degli sdegni del '97,deirambigua politica del-

monte n. il: Pagherete e non farete oh /; n.é8:Gli eroi della civiltà. Colgo l'occasione per far presente che le ricerche inerenti a quest'articolo per circostanze indipendenti dalla mia volontà poterono essere compiute sol:

;

tanto nelle biblioteche di Roma, quasi del tutto sprovviste di giornali pie-

montesi e liguri del '54-B6, e completamente prive di giornali savoiardi, nizzardi e sardi di detta epoca. Avendo avuto in passato ad occuparmi di questo perìodo con maggiore comodità di ricerche, credo di poter affermare che la deficienza delle mie indagini attuali non mi ha condotto a tra-

scurare alcuna idea o tendenza di qualche rilievo, ma ha influito soltanto sulla scarsità della documentazione. Non mi consta ch'esista un'opera sul

giornalismo retrivo piemontese-ligure nei primi anni del Risorgimento (sulla inesistenza di sifatto lavoro vedi Buttini, in jRiu.d'/^, 1915, pp. 952

segg.: Questionai'io ,nA5.T>\ie ottimi saggi sulla materia, che rivelano pie-

na conoscenza ed esatta valutazione della temperie, sono quelli della prof.

Teresa Buttini, *S'/e/ano Sampol e due giornali torinesi [1848-1850) e Don Giacomo Margotti eia nascita della* Campana »,inii?iy.d'i^.,1914,pp,600 segg., 615 segg.

(l)[SoL.ARo],Mewo?-a?iiZMm,343: «il Principe Luigi Napoleone, il quale con tanta accortezza e con insigne coraggio ha sottratto la Francia, anzi r Europa, alla rabbia del furente socialismo, e fa tanto sperare di lui nell'avvenire... «.Guglielmo A.VD\?>io,Quistioni politiche, 2QQ nota,Napoli,

1854

« Felice la Francia, la quale cooperava al gran pensiero che nel dicembre vinceva per l'ordine pubblico una battaglia, al cui confronto sono ombre le vittorie del primo Napoleone » .Cfr.IZ Ca ?n/?a /ione, giorù ale, To:

!

rino, 1856, n. 38

:

Opinionedi uncampanaro sulla politica di Napoleone III.


e

- 13 l'epoca napoleonica,delle trame, vere o supposte,ma credute veredai più,contro Carlo Alberto principe di Garignano è ben diverso. Una nuova guerra all'Austria

il

presente

presuppone il go-

verno nelle mani degli uomini da cui la Chiesa più ha da temere

:

un'alleanza con l'Austria significa l'allontanamento dall'orga-

nizzazione statale,dairinsegnamento,dallo stesso territorio del

Regno,di quegli emigrati che costituiscono il pericoloso fermento perturbatore; significa una situazione netta, in cui molti tra gli uomini che oggi si dicono con la Monarchia ed hanno influenza

nell'andamento della cosa publica si dichiareranno nemici del

Re e delle istituzioni; significa l'assunzione al Governo di persone da cui la Chiesa non deve temere ostilità; significa, infine, tutta una mutata concezione di politica italiana, una perfetta e

cordiale intesa del Piemonte con i vari Stati della penisola, intesa che indirettamente tornerà anche di vantaggio ai rapporti col Papa quale capo della Chiesa (1). (1)// Ca//oi/co, giornale, Genova, n. 1492,1 settembre 1854; L' Ainioiiiu,

giornale,Torino,n.7,10 gennaio 1855

:

Le 7iozze teutoniche

:

«

A marcio di-

spetto degli italianissimijle nozze teutoniche non tarderanno a celebrarsi.

L'Armonia tiene e terrà sempre in conto di vera fortuna l'alleanza del Piemonte coli' Austria.Oltre le circostanze presenti, quest'alleanza è voluta dalle condizioni e dall' indole dello Stato nostro e sarà 1' unico mezzo tanto per ischiacciare la rivoluzione che ci divora, quanto per rimetterci ;

in onore presso i potentati europei. Egli è perciò, che noi facciamo voti ac-

ciocché il trattato presto si sottoscriva, se non è ancora sottoscritto » .Esalta quindi l'Austria recente, non quella di Maria Teresa e Giuseppe Il,mar « Austria giovine, robusta, venerata,l'Austria di Francesco Giuseppe », di cui enumera le prove di ossequio alla religione. « È questa la donna che conviene al Piemonte. Con questa seconda Austria giovanissima, ricchissima, fortis.sima,8tringiam pure le nozze, e forse sarà il caso in cui l'uomo infe-

dele sia convertito per la fede e religione della moglie. La consuetudine della vita, la frequenza dei consigli, la comunione degli interessi poco a po-

co serviranno a migliorarci, e verrà tempo in cui si dirà Nel 1848 il Pie:

monte volle cacciare il barbaro teutono;nel 1866 ne invocò l'alleanza; buon per lui giacché senza il barbaro non sarebbe scampato alle barbarie » ,

L' Armonia,n.2tì,{i febbraio 1855 liana del Piemonte

:

«

:

;

Im Relazione del Lama e la politica ita-

Qual fu dunque il vero e genuino motivo, per cui il

solo Piemonte fu invitato,anzi costretto.a sottostare alla calamità del pre*

sente trattato? Fu la politica itallana,aggres8Ìva dell'Austria, che i nostri ministeri costantemente profes8arono,e tuttavia apertamente professano.

Questa politica, dopo averci fruttato l' abbominevolo armistizio, e la pace onorevole dei 72 milioni, le corone di cipresso all'Adige ed a Novara, e la.


.

— 14 — Nel complesso,! clericali appaiono più prossimi a noi, più fatti per il lorosecolo,più atti alle lotte che nel loro momento si combattono,di quel che appaiono i legittimisti. Nel '54-55, dopo un

periodo di dubbi e d'incertezze, essi hanno ormai avuto l'intuito che un movimento di sentimenti e d'idee è qualcosa di organico

può amputare in un suo lato o deviare e modificare senza stroncarlo. Essi sentono che il movimento unitario, quale è stato inizialo e quale ha ormai la sua

e d'inscindibile, che non si

chiara configurazione per una necessità sentimentale più ancora che per una necessità logica, si svolgerà contro la Chiesa e contro il Papato ; sentono la vacuità degli ultimi tentativi neoguelfi,

non solo, ma l'impossibilità di arrestare il movimento antichiesastico nei limiti che gli uomini della Destra, i moderati, il Governo, vorrebbero assegnargli. Dicono di detestarci moderati più dei giacobini, perchè è appunto la tattica moderata quella che

rende vano ogni sforzo inteso a spezzare con atti violenti la coalizione a danno della Chiesa (1). perdita di quel grado, che prima tenevamo in Europa, ora ci frutta per soprassello il disastroso trattato della Crimea con appendici imprevedibili »;

n,31,9 febbraio st.a. Il principio di conquista n.35,14 febbraio Alleanza :

:

;

del Piemonte coli' Austria

;

n.72, 30 marzo Se vi fosse buona fede! :

:

«

Ri-

guardo poi ai contribuenti piemontesi, non ispiace loro di pagare le tasse, purché il governo osservi i canoni della giustizia,e sostenga i ministri del culto cattolico dispiace loro soltanto di pagarle, e che poi il frutto de' lo:

ro sudori sia gettato in sussidi sìVeroica Venezia, in regali all'emigrazione rivoltosa, in pensioni ai martiri del 1821 o 1833 o si scialacqui in ca;

pricci, in giornali, in cospirazioni, in processi ingiusti, in guardie nazionali,

in feste ridicole o si sprechi nelle ridicole fortificazioni di Casale, o vada ;

finalmente a gettarsi nel Mar Nero > Il Ca???pano?ie, giornale, Torino, 1856, ;

n.28 1 savi e i matti n.29 In che si risolse V ingrandimento del Piemonte ! n.42 Chi vuole V intervento straniero « Ad ogni provocazione de' no:

;

;

:

:

:

stri giornali, che l'Austria disprezza, essa giganteggia vieppiù per la sua

moderazione, e noi ci rimpiccioliamo fino a confonderci colle cose più meschine ed abbiette >.Cfr.AuDisio,Op.aY.,153 :« Vi rimembrino i danni passati e presenti. Una corona spezzata,e un Re tornato polvere a' suoi lari ; i figli

della patria cacciati a perire inutilmente in una guerra sciagurata ;

la vostra esistenza politica, dovuta non al vostro senno ne alle vostre ar-

mi, bensì alla generosità del vincitore che ve la concedeva in grazia da No-

vara » (1) Gr.AuDisiOjOp. d^.,14 n.:«Il nome di moderati è già entrato abbastanza nelle lingue per designare quei prudenti della rivoluzione., che a


17)

Con gli occhi dell'affetto e del timore,! clericali vedono nell'avvenire più acutamente e più precisamente dei moderati più illustri. Se talora affettano,p3r la tattica comune a tutte le parti

di tutti 1 tempi,di attendere una reazione benefica,di credere in

un proprio finale successo, troppo spesso mettono a nudo tutta ramarezza,tutta la sfiducia, la disperazione anche,ch'è nei loro cuori: è con amarezza e con odio al tempo stesso,che ripetono

Voi non potrete frenare la marea che oggi precenon vi arresterete alla soppressione di alcuni conventi dovrete andare più oltre sempre oltre,inesorabilmente.Voi non ai

moderati

dete

:

;

:

;

salverete il rispetto alla Chiesa, né la religiosità del popolo. Cre-

deste di sopprimere i privilegi della Chiesa, d'instaurare la libertà religiosa più completa, la libertà di proselitismo peri protestanti

;

quella di critica per i razionalisti

:

verrà giorno in cui

dovrete constatare con animo angosciato la decadenza della fede in Cristo, il distacco degli uomini da Dio (2).

dosi misurate e sufficienti la fanno inghiottire ai popoli ed ai sovrani. Mazzini e Proudhon sono colombe innocue a petto di costoro. Inchinandosi ai troni, e bel bello col riso sulle labbra, ne spiantano i fondamenti. Vantano

verso la Religione le profonde convinzioni, e lavorano per costituirsi un

Papa in camicia ed in farsetto. Per non soggiacere alla Chiesa, la vogliono divisa dallo Stato ; ma per ispogliarla e incatenarla, la rimettono immedia-

tamente sotto i piedi dello Stato >.Cfr./f Campa/io/te, 1856, n. 32: Convinzioni de' mode>'ati. (2) Sarebbe qui fuor di luogo una esposizione dei sentimenti del partito

retrivo nei riguardi del liberalismo e del movimento nazionale, nonché del-

l'atteggiamento assunto verso lo stesso sovrano dopo che apparve chiaro com' egli avesse lealmente legata la sua sorte a quella dell'ideale liberale e nazionale. Per interessanti episodi o accenni a tali sentimenti, contenuti in scritti ben noti,cfr.CoN8TANCE d'Azeglio, SojiWHirs, 440 8eg.,540 seg.jlett. 176,246,247; E. Della Rocca, /ln/o6io^ra/?rt di «71 rWera/io, 1,146, Bologna, 1897 Raffaello Ricci, Memorie della baronessa Olimpia Savio, 1,42, dove peraltro è probabile che l'episodio citato s' identifichi con quello di cui il Della Rocca, 0/?.cì7. ,lB(),nega la verità), 137,200 8eg.,293,294 seg.; 11,36 seg., 234, Milano, 1911. L'ultimo degli episodi citati, la narrazione che fa la baronessa Savio del come nel 1870,dopo la partenza del principe Amedeo per la Spagna, si fosse formata in Torino « intorno alla principessa Maria Vittoria,regina di Spagna (sconsolata di lasciare Torino), una fazione che disegnava niente meno di dividere l'Italia in tre regni, quello del Nord al principe Amedeo, quello centrale al principe Tommaso di Ge;

nova, quello meridionale al principe Umberto», mostra meglio nella sua co-


.

— 16 — Non mancavano eminenti personalità di entrambe le tendenze costituenti l'estrema Destra.

Anzitutto Vittorio Amedeo Sallier de la Tour marchese di Cor-

don,decano dei cavalieri deirAnnunziata,ministro di Stato, decorato dei più insigni ordini cavallereschi d'Europa, maresciallo, ministro degli Affari Esteri fino al 1835 e poi vicepresidente del Consiglio di Stato carlalbertino, presidente della Commissione superiore di liquidazione, senatore

:

figlioccio dì Vittorio Ame-

deo III, soldato fedele alla bandiera sabauda,aveva combattuto a fianco degl'Inglesi contro Napoleone, aveva domato la Rivoluzione der21,e sopportato con dignità e fierezza l'ingiusto trattamento fattogli in quei giorni. Appariva per unanime consenso il primo dignitario del Regno (1) non aveva contro di sé odi, :

riscuoteva unanime rispetto; il rimproveroche gli muove il Sauli, nelle sue Reminiscenze, ^^t avere apposto la firma ai famosi patti

dotali di Maria Beatrice di Savoia senza rilevare quanto in essi

era contenuto in danno del principe di Carignano (2), mostra chia-

ramente la ri verenza che avevano per lui icontemporanei,il compito altissimo di custode delle più sacre tradizioni e dei più sacri diritti che gli affidavano nella loro mente.

Antonio Brignole Sale marchese di Groppoli,ca valiere dell'Annunziata, ministro di Stato, antico ambasciatore a Parigi (il fa-

moso «grande ambasciatore di un piccolo re »), patrizio splendido e generoso,palesemente avverso al nuovo regime

:

senatore

dal '48,attese a prestare giuramento che la legge sulle comunità religiose fosse portata dinanzi alla Camera alta,ed allora soltanto

giurò per acquistare il diritto di votare contro la legge

;

nel '61,

micità la tenace riluttanza di una parte dell'aristocrazia piemontese ad accettare le nuove diretti ve. Vedi anche Isabella vonBunsen,I7i tre legazioni, in. iJass. yia3io?i.,a.XXXII,t.CLXXVI,6]6 segg., Firenze, 1910.

(l)[SoLARo],ilfe/noranrfMm,106:«Il Conte della Torre... era l'uomo di

Stato più rispettabile del Regno. Come Governatore di Torino, vedeva ogni

giorno il Re ne mancò mai di esprimergli con quel senno, in cui a ninno va secondo, quanto era più conforme alla gloria ed al bene dello Stato.... Il nome del Conte della Torre rimarrà nella storia, mentre si dimenticherà ;

quello de' suoi emuli > (2) Op.d<.,I,406 segg.


-

— 17 — due mesi prima della proclamazione del regno d'Italia,abbaiidonava il Senato. Clemente Solaro della Margarita, il celebre ministro degli Affari Esteri di Carlo Alberto,rautore del

Memorandum jConvìnio un

fedele del diritto divino dei re (1), rappresentava tuttavia

anello d'unione tra i regalisti puri ed i devotissimi di Roma dei :

primi aveva l'incapacità a comprendere le nuove tendenze della Nazione e le nuove vie per cui fatalmente era avviata, l'inet-

titudine a saper parare i colpi avversari con qualche sapiente

concessione, con qualche omaggio alle idealità dominanti; dei

secondi la tendenza a giudicare i suoi sovrani,a condannarli anche, quante volte essi agissero contro i dettami della religione. Il Solaro, che nulla

accordava ai nuovi tempi, che avrebbe va-

gheggiato un ritorno al Settecento (al Settecento piemontese di Vittorio Amedeo III, non a quello volterriano di Federico II né

a quello regaiista e giansenista di Giuseppe li), il Solaro che a-

veva atteso la tìne della dominazione francese per prendere di accademici all'Università di Torino, a fine di non

i

gra-

dover fare

un solo atto di omaggio airusurpatore,diveniva giudice severo, talora acre,dei suoi re {-2) non solo Vittorio Emanuele II, ma an:

(1)

mere

Memorandum,Al8 « A Vittorio Emanuele mi sia permesso di esprivoti di un suddito leale, che per tanti anni ai fianchi del suo augu:

i

sto genitore, non iscansò fatica nel servigio di Lui. Se fossi a' suoi piedi io gli direi

:

Sire, la vostra autorità ve l'ha data Iddio, per Lui regnate, non

riconoscetela da altri in terra. Dell 'adempimento de' vostri doveri, che nel far trionfare la Religione e la giustizia tutti si racchiudono, non dovete

conto che a Lui, a Lyi solo.Il diritto dei popoli, il primo diritto dei sudditi, è

di essere ben governati » .

(2)

Memorandum ,2 seg.:* Nel parlare dei Re, ogni scrittore che non ha

fatto mercato di Sua co^cienzajè compreso da religioso terrore. Se non lice in caso alcuno alterare la verità, se nel giudicar le azioni degli uomini, con-

viene farsi carico d'ogni circostanza, onde non ledere la giustizia ; molto più importa, quando si tratta di Principi, ai quali solo Dio,da cui ricevettero il potere, sovrasta ». « Se Tacito prometteva,sul principio delle sue storie, di

essere imparziale, parlando di Oalba,di Ottone e di Vitellio,dai qua-

non riconosceva né bene né male; io, per ragione inver8a,mifo legge d'imparzialità a riguardo di Carlo Alberto, né mancherò a cosi sagro dovere. Non vi mancherò per amor della verità,ch'è cosi sublime cosa, e pel desiderio che queéte memorie siano il corollario della mia carriera pubblica, consentanee alle massime che ho seguitele come il testamento politico del

li

Riaorg., 17

'


— 18 — che il piissimo Carlo Alberto, anche il severo Carlo Felice, ave-

vano più di una volta demeritato ai suoi occhi; lungi, ben lungi, dovevano ricercarsi le colpe che avevano prodotta la doloro-

sissima situazione presente; nessuno dei sovrani succedutisi do-

po la restaurazione poteva dirsene iaimune. Entrato alla Camera dei deputati rappresentante di San Quirico,con la dichiarazione di considerarsi eletto dal Re, da cui solo emana ogni potestà, il contatto con la temperie ricca di sag-

gezza politica,la frequenza in quell'assemblea che così bene meritava della Nazione e che sarebbe stata degna di reggere le sorti

di un grande paese, nulla avevano mutato l'animo del conte

della Margarita

:

egli restava il ministro di un piccolo principe

assoluto di altri tempi, appariva fuori del suo secolo. Mentre il

Piemonte lavorava incessantemente,penosamente,con ogni sforzo, con ogni sacrificio, a foggiare l'unità d'Italia, il conte della

Margarita,che rimpiangeva l'errore commesso da Carlo Alberto nel '48 non accorrendo in Lombardia a conculcare per conto del-

l'Austria il popolo ribelle (l),cercava di convincere il Paese che « la politica della Corte di Sardegna » non aveva ad essere esclu-

sivamente italiana, e lanciava l'idea d'ingrandimenti a danno della Svizzera (2).Facile mira agli strali del conte di Cavour e dei

maggiori uomini del Centro e della Sinistra,il Solaro sembrò ai suoi contemporanei mediocre d'intelletto e di animo oggi, a pas:

sioni sopite, la sua figura rigida ed inflessibile, che non piegò

mai a minaccie di avversari, a cortesie di Corti straniere, alla reverenza che incute la parola di un re in un credente del diritto divino la sua figura d'uomo su cui nulla potè il soffio dei tempi al ;

quale neppure i più forti resistono, che disse sempre a voce alta, senza freni

né veli, senza timore dell'irrisione o dell'odio, quanto era in più completo contrasto con le idealità e le speranze dei suoi avversari,

— questa figura

ci appare non scevra di no-

biltà e di grandezza.

Luigi Provana di Collegno, inviso ai liberali di ogni gradazione,già sospetto ai tempi del governo assoluto come assai più del'ultimo Ministro che servi il successore di Emmanuel Filiberto e di Vittorio Amedeo, seguendo le tradizioni di otto secoli di ventura » (1)

Memorandum, ^IQ segg,

(2) Questioni di >Sto«o,17-34,Torino,1854.

.


- 19 — volo ai gesuiti che non al trono (2)

;

il

conte Cesare Trabucco di

Castagneto, già segretario di Carlo Alberto e che aveva tutta la religiosità illimitata del piissimo re; il cav. Alberto della Mar-

mora,austero patrizio, geloso di ogni innovazione del nuovo regime che potesse comunque diminuire il prestigio della Corona il marchese Leone Costa de Beauregard, deputato di Chambéry, ;

autentico rappresentante della Savoia cattolica e legittimista,

che non avrebbe potuto far parte dell'Italia liberale sorta sui troni rovesciati dalla Rivoluzione e sulle rovine del dominio tem-

porale dei Pontefici

gadro della Motta;

;

Ignazio Costa della Torre ed Emiliano Avo-

— erano modesti ed indefessi operai della 6mo-

na cau8a,cari al « partito cattolico ». Tra il clero, mons.Fransoni,arcivescovo di Torino,tenaee nella sua decisa avversione al nuovo regime, inflessibile nel suo ri-

gore

:

soffrì la detenzione a Fenestrelle,soffrì la piccola sofferen-

za dell'esilio lionese, donde continuava a reggere la diocesi secondo le sue direttive, ed era uomo capace di soffrire tormenti ben più gravi; che v'era in lui tempra di martire, se si potesse concepire un martire cristiano cui fosse ignoto il perdono. V'erano poi Andrea Charvaz,arcivescovo di Genova, nobile figura di prelato,caro al sovrano,sospetto alla più gran parte dell'episco-

pato ed alla stampa clericale come infetto di liberalismo; Luigi Nazari di Calabiana, vescovo di Casale, il consigliere di Carlo

Alberto nelle ore di angoscia Alessandro d'Angennes, il santo arcivescovo di V'ercelli, dinanzi a cui non v'era avversario che ;

non chinasse il capo reverente mons.Qiovanni Tomaso Ghilar;

di,domenicano, vescovo di Mondovì, forse di tutti i prelati il più avverso al nuovo ordine di cose. « * «

Accanto ai dicroti del trono o dell'altare, raggruppati ormai in un'unica parte, ed avversi in fondo al regime costituzionale,

o per istintiva repulsione, o perchè consci di tutto ciò ch'esso avrebbe fatalmente dovuto abbattere in breve volgere di anni, v'erano in Parlamento e nel paese altri uomini, di tale regima assertori e devoli (o per antico ooiivincimenlo o per averne va{2)Cfr.[SoiJiBO],Memora>i(iiim,n,i6.


— fogliato i vantaggi e per essersi persuasi della impossibilità di un

ritorno al Governo assoluto),i quali, discosti per animo, per desideri, per avversioni, dal « partito » dei retri vi, si trovavano schierati accanto ad essi quante volte erano in gioco gl'interessi della

Chiesa.

Non vi fu mai in Piemonte un « partito cattolico liberale »: ma sempre vi furono, e sotto il Governo assoluto e nei primi anni della Costituzione e dipoi, spiriti liberi ,uomini dalle idee ampie, nontimorosi delle innovazioni pii^i ardite,! quali ebbero coscienza di cattolici gelosissima, suscettibile di offuscarsi per ogni misura

che ledesse un privilegio della Chiesa. Non costituiti in gruppi

né in leghe,alieni quasi tutti dalle lotte politiche,questi uomini

non esercitarono grande influenza sulla publica opinione

;

ma

poiché vi erano tra essi cittadini illustri, benemeriti della scienza e della filantropia, uomini superiori ad ogni parte, la loro voce

fu ascoltata con rispetto, se pure esercitò scarsa effìcacia,allorchè

venne in discussione la legge eversiva delle corporazioni religiose. A questo gruppo appartenevano Federico Sclopis di Salerano,il principe dei giuristi piemontesi (1)

;

il conte Ottavio

Thaon

di Revel e di Pralungo,che aveva seduto come ministro nel consiglio di conferenza ch'elaborò lo Statuto, finanziere di gran valore, cui i contemporanei vaticinavano i piìi alti destini di uomo

di Stato ; Gustavo Benso di Cavour, l'amico del Rosmini

;

Roberto

Tapparelli d'Azeglio l'abate Ferrante Aporti (che alia discus;

sione della legge non prese per altro alcuna parte) (2); il conte

Lodovico Saulid'Igliano.

Non lungi da questi per tendenze, buon numero di deputati •savoiardi, o di collegi eminentemente rurali della Liguria e del

Piemonte uomini oscuri,di cui nessuno ricorda oggi più il nome; :

fedeli allo Statuto, e che non avrebbero neppur concepito un ri-

torno all'antico, ma incapaci di sancire col loro voto ciò che la

Chiesa aveva condannato. * * »

Quanti sedevano in Parlamento, fosse pure sui banchi della Estrema Destra,dichiaravano la loro fedeltà al governo costitu(1) Vedi

N.RoccA,Le comte Frédéric Sclopis de Salerano, Pa.ris,1880.

(2) Sulla guerra fatta nel 1844 all'Apporti dal Fransoni e dal partito ge-

suitico vedi [Sol. aro], Memoraìidiun, 219 segg.


— 21 — zionale, respingevano con sdegno ogni accusa di avere giurata

con qualche restrizione mentale ladovuta fede allo Statuto. Nessun giornale, neppure dei più irosamente retrivi, neppure tra quelli che coglievano con gioia ogni prelesto per fare strazio deuomini nuovi,osava propugnare un ritorno al regime asso-

gli

luto.

Come ponevano essi in accordo le loro vere tendenze,i loro veri sentimentijCol dichiarato ossequio alla costituzione?

È questo un punto che merita qualche esame. Dopo passata la bufera del '48 e del '49 e svanita la speranza di un regno italianoodi una federazione guelfa, nel regnodi Sardegna ricevettero unanime consenso idee relative allo Statuto diverse da quelle oggi da tutti accettatesi tenne cioè per fermo

da ogni parte che lo Statuto, costituzione octroyée dal Sovrano, rappresentasse un ubi consistam assolutamente inalterabile,superiore ad ogni potere, non suscettibile di essere mutato né dal

Re,vincolato dal prestato giuramento e dalla definitiva rinuncia alla sua plenipotenza, nò dal Parlamenlo,dolato di semplice

potere legislativo, non già di potere costituente (li.

A questa immutabilità dello Statuto faceva riscontro un'altra immutabilità, non così unanimemente ammessa né così palese-

mente affermata, ma riconosciuta in fatto da tutti, anche da giuristi del

valore dello Sclopis (2) quella del codice civile. :

Quindi ad ogni controversia d'indole legale che si manifestasse in Parlamento o nella stampa sorgeva la duplice questione:

della conformità degli avvisi espressi da ciascuna delle parti alle disposizioni dello Slatulo,della loro conformità alle normedel

codice ci vile. Nelle discussioni parlamentari o forensi o giornalistiche degli anni di cui ci occupiamo non si trova mai sciolta

una questione siffatta con la risposta che oggi troncherebbe facilmente il dubbio non essere lo Statuto limite, se non d'indole :

morale e di natura puramente direttiva, al potere del legislatore

;

avere ogni legge facoltà dì modificare le disposizioni del codice Per un più ampio svolgimento di questo punto cfr.il mio articolo La natura e la portata dell' art. I dello Statuto, in Riv.di dir. pubbl., 1,249 1

1

8egg.,iyi3. {2) Atti del

Parlamento Subalpitio,YUl,T25 segg., ed. Galletti e Trom-

peo, leg. V,8e88.I*, Senato, D)«(*}/««.


— 22 — civile. Nel 1854-55 sacro appariva lo Statuto, sacro lo stesso co-

dice civile,che aveva raccolte le tradizioni giuridiche della Mo-

narchia,che aveva ancora una volta sancito i principi fondamentali da oltre un secolo inseriti nelle Regie Costituzioni.

Ora il Codice Civile nei primi tre articoli dettava

:

«La religione Cattolica Apostolica Romana è la sola religione dello Stato. « 11 Re si gloria di essere protettore della Chiesa, e di promuo-

vere l'osservanza delle leggi di essa nelle materie che alla podestà della medesima appartengono.! Magistrati supremi veglie-

ranno a che si mantenga il migliore accordo tra la Chiesa e lo Stato, ed a tal fine continueranno ad esercitare la loro autorità e giurisdizione in ciò che concerne agli affari ecclesiastici, se-

condo che l'uso e la ragione richiedono ». «Gli altri culti attualmente esistenti nello Stato sono sempli-

cemente tollerati secondo gli usi ed i regolamenti speciali che li riguardano».

Ed all'art. 436 stabiliva che i beni della Chiesa non potessero essere amministrati ed alienati se non nelle forme e con le regole loro proprie. Lo Statuto aU'art.l" ripeteva la dichiarazione di confessionalità dello Stato e di tolleranza degli altri culti inserita nel codice civile, ed all'art. 29 dichiarava l'inviolabilità dì

tutte le proprietà senz'alcuna eccezione.

Sulla base della inderogabilità di tali fonti, non era diffìcile alla parte ultraconservatrice ed alla parte ultracattolica di soste-

nere che tutta la sua attività si manteneva nei limiti dello Statuto, si svolgeva secondo lo spirito dello Statuto

;

non era ad es-

si diffìcile atteggiarsi a difensori dello Statuto contro chi inten-

deva manometterlo e falsarlo. Le sopravvenute leggi che avevano alquanto alterato la situazione di diritto della Chiesa la leg:

ge 19 giugno 1848N.735 che interpretando gli art.1 e 24 dello Statuto aveva assicurato agli acattolici il pieno godimento di tutti i diritti

politici ; il decreto legislativo 25 agosto 1848 N. 777 sop-

pressivo dei gesuiti; le due leggi Siccardi 9 aprile 1850 N. 1013 soppressiva del privilegio del foro ecclesiastico e 5^iugno 1850

N.1037 suU'obbligo del regio assenso per gli acquisti di tutti gli enti morali la legge 15 aprile 1851 N.1192 che aveva tolto le de;

cime pagate per l'innanzi al clero dell'isola di Sardegna tutte :


-

!23

queste leggi, e le altre che potessero essere emanate in appresso

non erano di ostacolo alla tesi di quanti scorgevano nello Statuto il palladio della religione cattolica e della sua condizione di privilegio. Ammesso che la legge non potesse modificare loSta-

tuto,era logico concepire come viziata d'incostituzionalità quel-

lanormajosse pure approvata dalle due Camere e sanzionata dal Re, che allo Statuto contravvenisse; e l'accumularsi di norme sifatte nulla mutava; niente scalzava la base legislativa su cui

poggiava lo Stato, su cui si fondava ogni legittimo potere: dalle leggi viziate non scaturiva altra conseguenza che quella politi-

ca e sociale della necessità di un'energica azione intesa a ridare allo Statuto, non nell'orbita della legittimità ove nulla poteva

diminuirlo, ma nell'orbita della vita pratica,quella piena efficacia, quella piena attuazione ch'esso aveva perduta.

Ad essere imparziali occorrpriconoscereche,posto il principio della invariabilità dello Statuto, ammessa la ricerca dello spirito di esso, non era

sempre mera abilità dialettica quella che

confortava le argomentazioni della estrema Destra. Assai spesso, sul terreno sul quale impegna vasi la discussione, erano gli ul-

traconservatori e gli ultracattolici dalla parte della ragione

;

e

toccava ai moderali ed ai liberali di ricorrere alle sottigliezze d'interpretazione od agli abili sofismi per difendere le loro tesi.

Quando si discuteva intorno ad un qualsiasi aspetto della questione religiosa,bastava evocare la figura del sovrano che nella

compilazione dello Statuto aveva voluto attendere personalmente alla elaborazione «Ielle

norme che interessassero la religione,

per intuire che i Revel,i Castagneto,gli stessi Della Torre, Della

Margherita, Di Collegno,erano assai più prossimi al suo spirito

ed ai suoi intenti di quel che fossero i D'Azeglio,! Siccardi,i

Cavour, i Rattazzi.A così breve distanza dalla promulgazione dello Statuto,allorchè sedevano in Parlamonto diversi di coloro

che ne erano stati icompilatori,allorchè la memoriadi Carlo Alberto era così viva in tutti e cosi sacra al cuore dei più,e nes-

suno ignorava quali fossero stati suoi intenti ed suoi voleri, oltremodo difficile era il compito dei ministri che intendevano i

i

distruggere la condizione di privilegio della Chiesa e portare la

mano, sia pur soltfinto per un equo riparto, sopra suoi l)eni,e oh»' (raii'.>...i..n,.., osavano (o per mancanza di un profondo coni


- 24 — vìncimento in proposito,© più probabilmente per un rispetto all'opinione dei più,per un senso di ossequio alla memoria di Carlo Alberto, per un principio di prudenza che consigliava di non

distruggere una reverenza così diffusa e che poteva in più cir-

costanze essere freno saluta re) proclamare l'indipendenza del potere legislativo dallo Statuto, la facoltà di modificare la Carta

costituzionale.

Ancora una volta si trovavano in contrasto da un lato la lettera della legge e lo spirito ben palese del legislatore,dairaltro la forza delle cose, la volontà della maggioranza delie energie

nazionali, non disposta ad arrestare il fatale andare della Nazione

per rispetto alla Carta costituzionale. Chiaro doveva essere il contrasto nella mente del Cavour,chiara in lui la necessità di pas-

sare oltre i limiti segnati dalla costituzione, di andare ben lungi dal volere di Carlo Alberto elementare prudenza di uomo di Sta:

to, rispetto di suddito,grimponevano di mascherare il contrasto,

di negarne l'esistenza.

Affermata l'immutabilità dello Statuto, negato al Parlamento

non il solo potere di modi fica rio, ma fin quello d'interpretarlo {1), « il partito cattolico » faceva scaturire da esso conseguenze tali che,una volta ammesse, avrebbero reso il regno di Sardegna poco meno che una provincia dello Stato pontificio. L'art. 1 dello Statuto importa per lo Stato l'accettazione di tutto il

codice religioso del cattolicismo

:

esso costringe legalmente

governo « ad accettare le leggi ecclesiastiche perchè la « violazione di quelle importa la violazione di questo ».ll suo senso il

non può essere se non quello di « accettare la religione cattolica qual'è nelle sue credenze e nelle sue istituzioni, rispettare sì,ma

solamente tollerare gli altri culti conformemente alle leggi (2) »: esso ha consacrato « i diritti della Chiesa in modo altrettanto

imperituro quanto lo Statuto medesimo (3) » (4). Il potere legisla{l)AtH del Parlamento,cìt.,VIll,(JOd. {2)11 CaftoZ/co, giornale,]!. 1677, 14 dicembre 1854. Cfr. Discorso dell'on.

Pallavicini, tornata 20 febbraio 1855, in Atti citt.,VI,2891. (3) Discorso sen. Di Castagnette, tornata 23 aprile

1855 [Atti citi., Vili,

604). (4) La stessa interpretazione dello Statuto era già stata data da Cesare Balbo nella discussione della legge per l'abolizione del foro ecclesiastico;


i25

Uvo può di regola modificare ed abrogare ogni legge;* ma se queste leggi appartengono al diritto pubblico ecclesiastico, se sono

coUogate colle leggi della religione dello Stato,se questa religione è proclamala nello Statuto della monarchia la sola religione dello

Stalo,senon è possibile alienare le proprietà che alla Chiesa appiu tengono senza flagrante violazione delle leggi a lei proprie,

allora il potere legislativo trova un ostacolo insuperabile nel variare queste leggi civili, perchè sono inseparabili dalle relazioni

dello Slato colla Chiesa e perchè mutandole arbitrariamente si

violerebbe il primo articolo dello Statuto (1) ».

Tale il punto di vista cattolico. Applicazione precipua di tali principi il « partito * ultraclericale faceva nella questione della tolleranza religiosa. * L'art. 1 dello Statuto, dice il guardasigilli, ha proclamato la

tolleranza»

— scriveva L^ Armonia,ìì maggior organo del «par-

tito » cattolico— .« Falsissimo! quell'articolo non ha niente pro-

clamato,non ha niente innovato haconferuiato riguardo ai culti :

tollerati l'antica Iegislazione,dicendo che questi

sono tollerali

conforme alle leggi; non una parola di più ». Lo Statuto ha ac(« (lato soltanto la libertà di coscienza, la quale * non ammette ii.s-una pubblicità di culto; è cosa dell'individuo, e non può autorizzare un atto pubblico che riesca a scandalo o ad offesa di altri individui, e della religione dello Stato. La libertà dei culti non esiste tra noi.ed anzi il nostro Statuto apertamente la comli

batte, parlandodi semplice tolleranza (2)». Le leggi regolatrici di lille tolleranza « stanno scritte nel Codice penale : variare queste I

-I

modo che la tolleranza diventi libertà,è modificare so-

in

.'u'i

iiizialmente lo Statulo,è spergiurare (3) ».

« Che cosa è dire una parola in favore del protestantesimo ? È fare unacensuraaIloStatuto.se la religione protestante è vera, " {>or il Balbo l'art. I era < una dichiarazione di diritti politici, unadi*

razione che le leggi, o consuetudini, o convenzioni politiche della religione cattolica sono fatte leggi dello Stato, leggi fondamentali, statuta-

Stato » (tornata 6 marzo 1850, ^»i, 886, leg.IVjSess. 1850, Came-

rie tlello

ra, /)/j<r««/».).Cfr.nella stessa tornata il discorso dell'on.Marongiu, inspiralo.sinao conreito, ibidem , SIS.

to :il .1

Itixorso sen.Cataldi, 5' maggio 1865,/l«i,VlII,700.

{2) L' Armonia,n.b, 12 gennaio '<'

^

'

1

1851

r;«o«/a,n.29,9 marzo ìSò-ì

:

:

lìenignitàe rigore.

Sfìergiuri ed inseutati!


— 26 lo Statuto piemontese incomincia con una bugia (1) ».Sesi vuole

accordare ai protestanti « apertamente la libertà del proselitismo..., si viola evidentemente io Statuto,e si calpestano le inten-

zioni del Re Carlo Alberto (2) ».

L'odio al protestantesimo, esacerbato per una inopportuna e sterile propaganda ostentata in quasi tutti i centri del Piemonte,

l'avversione ai Valdesi cui non si perdonavano ancora i festeg-

giamenti e gli omaggi ricevuti nelle indimenticabili giornate della primavera der48,si combinavano con l'avversione all'Inghil-

terra, ritenuta sostenitrice e sussidiatrice di ogni

propaganda

protestante, patrona del Governo liberale del conte di Cavour,

cupida di fare del regno di Sardegna uno Stato vassallo. « Ecco dunque accennata per sommi capi la via che tenne lari-

voluziune piemontese contro la Chiesa »

— scriveva ancora V Ar-

monia .« Espulsione dei Gesuiti la Chiesa esclusa dall'insegnamento; proclamata l'indipendenza da Roaia,e la nullità dei Concordati

;

;

allontanamento di Vescovi dalle loro sedi,e le sedi

rimaste vacanti o non provviste, o ben tardi provviste sione della Compagnia di S. Paolo

;

;

soppres-

un monumento elevato per

dare uno schiaffo al Papa parrochi imprigionati,e il clero scre;

ditato e impoverito, escluso più tardi dalle opere di beneficenza,

dove si ammettono Ebrei e Valdesi eccitamento dei giornali mi;

nisteriali allo scisma, colla promessa di soccorso per parte del

governo a quei preti che fossero perseguitati dai Vescovi

;

ten-

tativi di matrimonio civile, ed incameramento di beni ecclesiastici ; progetti di legge contro ì parrochi con pene inaudite.

{\)

U Armonia, ^2, \Q marzo 1854: La terza riscossa contro TL.

{2) L' Armonia, TX A0^4k aprile 1SÓ4:: Indirizzo

il

E d'al-

clero.

al Senato dell' arcivescovo

di Cfiambery e dei quattro vescovi d' Aosta, Tarantasia,Moriana,A7inecy; Il Campa7ione,18òQ,nA

:

Cattolicismo del Re

:

«

No

:

la base del governo di

Vittorio Emanuele non è la libertà di coscienza. ^g\i di questa libertà lascia giudice Iddio, ma nell'esterno regime, che è suo proprio, vuole osservato lo Statuto, che proclama il Cattolicismo religione dello Stato, e tolle-

ra gli Ebrei ed i Valdesi secondo le leggi vigenti, non alcuna altra setta....

Questa sola è la iolleranza,àì cui agli occhi suoi non già è simbolo la religione, ma sopportatrice a contemplazione dell'umana miseria e per degni

riguardi di fatti anteriori nei limiti della prudenza e della legalità » .Cfr. lo stesso giornale, 1856, n. 8

:

Chi viola lo Statuto,o\e sostiene che importa

violazione dello Statuto il lasciar publicare Bibbie protestanti.


.

— 27 tra parte

giornale

:

;

Emancipazione dei Valdesi

;

stabilimento di un loro-

tolleranza sui loro libri,e le loro propagande ; inau-

gurazione di un tempio

;

interpellanze e leggi in loro favore ;

concorso della guardia nazionale alle loro solennità

:

i

loro pro-

gressi celebrati ; le loro insolenze taciute ed impunite ». * Questo complesso di fatti e molti altri,che potremmo aggiun-

gervi, ben dimostrano che cosa volessero e che cosa vogliano tut-

tavia i rivoluzionari piemontesi. Essi cercarono e cercano toglierci la Religione Cattolica (1) ».

Ed il canonico Gugliemo Audisio, ultimo rettore delfAccademia di Superga,dairesiliodi Napoli, nelle Quistioni politiche, feroce libello in aperto senso assolutista, inneggiante a Ferdi-

nando II conculcatore della Rivoluzione,scriveva: « L'erezione in Torino d'un tempio protestante è un arbitrio

ministeriale, illegale, incostituzionale ; ma è

un fatto che entra

in una serie di fatti, perchè è un fatto rivoluzionario ».Ed ac-

cennando alle agevolazioni ai protestanti :«La chiavedell'enim-

ma è l'Inghilterra :la rivoluzione piemontese, per reggersi, metteva il Piemonte, come un bambino addormentato, ai piedi dell'Inghilterra. Questa lo va fasciando e rifasciando; ma gli

ha

dato forse una goccia di latte, salvo il corrottissimo della Pro-

paganda biblico-rivoluzionaria ? Qual è la politica dell'Inghilterra? È che ella ha dovunque tanti sudditi,quanti sono protestanti o protest izzanti

e lo sa l'Italia. Era però conveniente anche un tempio per solennizzare tanti suoi trionfi sul Piemonte ;

:

e fu innalzato (2j».L'arl.l dello Statuto aveva riportato-i primi articoli del codicecivile: segno palese che nulla era mutato nella

condizione degli acattolici, e che quesUi doveva restare quella ch'era innanzi al '48.A rigor di lermini,di mutato non v'era che

questo

:

che prima del '48 esisteva un sovrano plenipotente,che

bene avrebbe avuto la facoltà di emanciparli

1

;

dopo il '48 non

N. 11,26 gennaio 1854 Eterodossia della rivoluzione piemontese.

(2) Op.cit.yW) 8eg.,n.

:

— Per la storia della erezione del Tempio valdese

in Torino vedi T.Cmirsoj^a Chieaa in /ì(emo;</<>,IIl,1088eg.Per le inten-

zioni di Carlo Alberto aii questo punto cfr. D. Zanichelli, Ia) Statuto di

Carlo ^/6er/o, 91, Roma, 181i8 Consiglio di conferenza del 10 febbraio 1848: :

Sa Sflaje8té...déclare...que les protestans ne doiventpaa avoirde temples apparens dans Ie« p«y8 catholiques » «


— 28 — eiavi più nello Stalo alcun potere capace di mutare lo stato di

cose che lo Statato aveva inalterabilmente fissato. Con le leggi alla mano il «partito ultra» di mostrava che secon-

do diritto il Piemonte doveva proprio essere e restare quel paese ideale che il Solaro tratteggiava nelle sue Questioni di Stato,s\ne-

gando come dovesse intendersi la massima che « la politica del Governo di Sardegna ha da essere esclusivamente cattolica» :

«Trattasi di rispettare e far rispettare le leggi della Chiesa tute-

lando il sacro ministero e l'autorità spirituale del ceto ecclesiastico, siano Vescovi, Parroci o semplici Sacerdoti ; trattasi di esi-

gere l'osservanza delle feste e d'impedire lo scandalo di chi pu-

blicamente le trasgredisce trattasi di proteggere la purità della fede, non tollerando che iniquamente s'insulti o si semini;

no errori ».«Se quelli che governano vogliono ne' governati la schietta professione della cattolica religione, eviteranno il gra-

vissimo scandalo di non escludere dagli impieghi coloro che si manifesterebbero impudentemente alla medesima avversi. Pare difficile a seguirsi tal massima, e lo è fra tanta corruttela dei tem-

pi,

ma ove si tentasse di porla in pratica,non tarderebbero a sce-

mare il numero de' pubblici spregiatori della Religione. Sarebbe palese che la politica del Governo è cattolica,e gli ipocriti stessi renderebbero omaggio alla verità, cooperebbero, malgrado lo-

ro,a confermare quella politica.So quant'è spregievole l'ipocrisia, qual conto abbia a farsi di chi s'infinge

per interesse o ti-

more ma lasciar si deve a Dio scrutator dei cuori il giudicio di ;

quegli infelici ciò che importa allo Stato è che la Religione sia :

altamente professata

;

lo scandalo di chi la conculca è male mil-

le volte peggiore del mendace ossequio a chi senza interno af-

fetto la osserva (1)».

Superfluo dire quale rispetto meritassero i concordati a par:

te le ragioni basate sul carattere sacro di simili patti, sulla so-

lennità di sifatti impegni, altre se ne traevano nella, storia del

Piemonte. « I Cartaginesi del 1850 »

— scriveva

il

canonico Audisio

—«

ti-

rando una linea sui Concordati, facevano un servizio ben tristo al loro Stato. Perchè il dominio civile della contea d'Asti e del-

(lì Questioni di Stato,81 seg., Torino, 1854.


— ^y — l'abazia di S.Benigno,e così il principato di Sa ti Giulio,Orta,Goz-

zano e Pieve, e d'altre terre ancora, essendosi ceduto dai Papi alla Casa di Savoia in forza dei Concordati del 1740 e 1767,sciolti questi,

cade a terra la legitliuia signoria del Piemonte su quel-

le contrade, che di

pieno diritto ritornerebbero alla giurisdizio-

ne civile del Papa (1) ». Ciit'a i beni della Chiesa, lo Stato non doveva che prendere at-

to della dottrina canonica la quale nega al potere civile ogni in-

gerenza su tali temporalità e riconosce al Pontefice una piena facoltà di disposizione ciò era imposto dalla legge fondamentale :

dello Stato, dai numerosi Cóncordati,dal dovuto ossequio verso la religione; nonché da quel fattore cosi difficile a valutarsi,

ma

cui in ogni epoca tutte le parti fanno appello con fede sicura,e

ch'è costituito dalla volontà del paese. * « «

All'inizio del regime costituzionale, nei tumultuosi mesi del '48 e del '49,quando nessuna riforma sembrava troppo ardita né

troppo radicale,numerose,sebbene senza eco nell'animo del paese, erano state le proposte di innovazione completa dei rapporti

patrimoniali ecclesiastici, mediante un incameramento dei beni ecclesiastici e l'adozione del sistema del clero stipendiato.

La politica, basata su un vivo senso della realtà, instaurato nel paese dopo

il

proclama di Moncalieri, aveva relegato tra le

idee abbandonate questi propositi, per qualche tempo dimenticati.

Erano rimaste le lunghe e tediose dissertazioni storico-giusnaturalistiche,che continuavano a fornire materia di articoli. di opuscoli.di discorsi, intese a dimostrare il diritto della Nazione sui beni ecclesiastici

:

dissertazioni di nessun valore giuridico,

di scarsissimo valore storico.basate su frasi vaghe, su astrazioni, intese ad affermare un principio indeterminato quanto mai,

che per gli uni altro non era se non il riconoscimento del diritto virtuale dello Stato di disporre mediante leggi dei beni della

Chiesa, per gli altri significava riconoscimento di una apparte-

nenza al Demanio dei beni ecclesiastici — il principio republicano francese — ,per altri quello di una proprietà su tali beni l) Op.cit., IdO.


— 30 — dell'insieraedei fedeli, costituente la nazione e rappreseD tato dagli organi dello Stato (1).

Ma perduravano pure, ben più importanti e più vive, le necessità finanziarie che strettamente s'intrecciavano con le nuo-

ve e sempre rafforzantisi tendenze politiche,e che facevano sentire ogni giorno più imperioso negli uomini di tutte le frazioni

del partito liberale il desiderio di cancellare dal bilancio passi-

vo dello Stato la somma di lire 928 mila destinata a pagare i supplementi di congrua ai parroci poveri. Alla Restaurazione, il Governo, previo calcolo del patrimonio posseduto da ogni parrocchia, aveva stabilito supplementi tali da portare a cinquecento lire il minimo della congrua parrochiale: erano sorti così supplementi gravanti sullo Stato,stabilmente fissati poi dal Concordato del 14 maggio 1828 (2), il quale li

aveva peraltro riconosciuti come derivanti ex Regia munifi-

centia et Majestatis suael iberalitate.DoTpo l'avvento del regime

costituzionale erasi costantemente pensato ad un ricorso a beni della Chiesa aventi una destinazione di dubbia utilità per sod-

disfare tali oneri -.unico modo di liberare il bilancio dello Stato, e di assicurare la sorte dei parroci, di cui

non era possibile

ad alcun Governo il disinteressarsi. Già il 22 febbraio 1850 il ministro Siccardi si era fatto promotore di una Commissione per lo studio di una riforma intesa a

migliorare le sorti dei parroci, a procurare la soppressione dei diritti di stola ed a liberare al tempo stesso così lo Stato come le Provincie e i Comuni della Savoia e del Nizzardo dalle spese

di culto. La relazione ministeriale al Re accennava chiaramente alla possibilità di ricorrere perii raggiungimento di detti scopi ai beni delle quindici abazie del Regno ; ed esprimeva la fiducia

che la S.Sede avrebbe aderito ài risultati della Commissione ove questi fossero apparsi convenienti (3).

Più tardi, nel 1852, erasi avuto nel paese un movimento accentuatissimo (1)

— tanto che

il

Governo stesso aveva dovuto porvi

Anche su questo punto cfr.il mio lavoro La questione della proprie-

tà ecclesiastica jA3 segg. (2) Bolla

Gravissimae, in Traités,Y,d'14: segg.,n.xxxv.

(3) Gazzetta

1850.

piemontese, giornale ufficiale del Regno, n.57, 26 febbraio


— 31 — qualche freno a fine di non lasciarsi prender la mano,sicchè aveva vietatoagli organi comunali e provinciali di aderirci

— inteso ,

ad ottenere 1* incameramento dei beni ecclesiastici, la riduzione del numero dei vescovati e la soppressione delle comunità reli-

giose: questo movimento si era manifestato sopralutto col mez-

zo di cui facevasi tanto largo uso nei primi anni del regime costituzionale, l'invio alla Camera di numerosissime petizioni. La

Commissione per l'esame delle petizioni aveva consegnalo alla Camera la sua relazione, opera di Amedeo Melegari,il 20 dicembre 1852. Affermato che secondo la tradizione piemontese « Tasse ecclesiastico non appare che come una parie distinta, ma non

separata dell'asse pubblico »,fatlo salvo il diritto dello Stato di

incamerare i beni della Chiesa, e confutata l'obiezione derivante dall'art. 29 dello Statuto, la relazione

pronunciavasi peraltro

contraria all'incameramento ed all'adozione del sistema del clero stipendialo,8Ìa perchè tale sistema, dove aveva trovato altua-

zione,aveva dato fruiti non buoni nei riguardi dell'ossequio del clero allo Stalo, sia perchè sembrava pericoloso togliere ai biso-

gni religiosi « la guarantigia benefiziaria e abbandonare alla for-

tuna dei bilanci il mezzo di soddisfarli in avvenire ». Osservava la relazione che il numero degli ecclesiastici

era senza dubbio

di gran lunga superiore ai bisogni della popolazione

va come utile riforma la riduzione dei vescovati « presi gli opportuni concerti »

;

menziona-

— da attuarsi

— e l'abolizione civile e la soppres-

sione di fatto degli ordini religiosi i quali non sembrassero più di grande utilità alla società moderna, nonché delle collegiate e

dei benefici canonicali in genere

;

ma riteneva necessairi ulteriori

studi, altri accertamenti di c-arattere finanziario,e proponeva l'or-

dine del giorno puro e semplice sulle petizioni chiedenti Tinca-

meramento(l). Cosi, per allora,era rimasta sospesa ogni radicale riforma la questione. posta nei

;

ma

semplici termini della necessità di libe-

rare il bilancio dello Stato da ogni onere per spese di culto^veva continuato ad essere agitata in Parlamento e nel paese,a formare

oggetto di raccomandazioni di deputali e di promesse di ministri ad ogni presentazione di bilanci alla Camera finché nel bilancio ;

(1) .^//),yin,879 segg. ,Camera,leg.IV,8e88.8*,1862.


e

di previsione per il 1855 era scomparsa la

somma destinata o-

supplemento di congrue. Tale eliminazione significava l'impegno di promuovere a brevissima scadenza una sostanziale riforma mediante la quale lo Stato,di sua autorità,avrebbe posto mano sui beni della Chiesa tuttavia il Paese era sembrato non accor:

gersi del grave passo compiuto,e l'eliminazione non aveva in-

contrato opposizioni violente da parte del « partito » clericale.

Vèrso la fine del '54 appariva ormai chiaro ai piìi che le trattative con la S.Sede,iniziate dal gabinetto D'Azeglio e continuate

dal gabinetto Cavour, attraverso più di un pieni potenziario,con replicati interventi dei governi amici di Francia e d'Inghilterra,

non avrebbero portato ad alcun risultato. La cattiva volontà di entrambe le parti li condannava all'insuccesso. Bravi cattiva volontà nella S. Sede, animata da diffidenza verso i ministri piemontesi persuasa che i fini ultimi della politica del Regno erano tali da non consentire mai ad esso,neppure ove avesse ottenuto ;

.

dalla S.Sede quanto questa poteva concedere senza venir meno alle sue tradizioni,di restare unito alla Chiesa da vincoli di de-

vozione e di sottomissione,di dare larga parte nel suo governo all'elemento ecclesiastico timorosa sopratutto di eccitare giuste ;

pretese e legittimi malcontenti negli altri Stati d'Italia accor-

dando alla piccola monarchia costituzionale, che già con più di una legge erasi mostrata ribelle alla Chiesa, agevolazioni o facoltà non concesse ai principi lorenesi o borbonici da vari decenni ossequentissimi al Pontefice. Eravi cattiva volontà nei ministri, persuasi che un Concordato non sarebbe stato se non un

impaccio per lo Stato persuasi anch'essi della impossibilità di ;

conciliare

una politica liberale ed italiana, comunque venisse

svolta, con un sincero e durevole accordo con la Chiesa

;

fidu-

ciosi della possibilità di superare felicemente la crisi di coscienza

e l'agitazione politica che una legge d'incameramento avrebbe

prodotta nel paese, e convinti che dovesse preferirsi tale crisi

passeggera a qualsiasi accomodamento transitorio, a qualsiasi

accordo che dovesse essere fonte più tardi di nuovi contrasti,

che d'altronde avrebbe prodotto delusione e scontento in una notevole parte del paese, desiderosa di un atto di energia verso la S. Sede.

Decisa l'adozione di un provvedimento in virtù di legge dello


— 33 — Stato e senza consenso della Chiesa, veni va naturale di pensare alle Corporazioni religiose, come a quelle che costituendo una

gerarchia a sé, e non rappresentando gli organi normali destinali al soddisfacimento de' bisogni religiosi delle popolazioni,

potevano essere colpite, senza alcuna ripercussione nella costituzione del clero secolare, nel funzionamento della sua gerarchia, nei suoi compiti di cura d'anime. Un

provvedimento a danno

delleCorporazioni religioseera poi suggeritoda ragioni politiche: sia per l'avversione ch'esse destavano in gran parte dell'ele-

mento liberale, il quale, a ragione od a torto, le considerava ostili ad ogni ti ; sia

idea innovatrice, attaccate ai vecchi regimi assolu-

perchè sifatto provvedimento avrebbe permesso di sfruf-

tare gli ultimi residui della secolare avversione del clero secolare verso il clero regolare.

Da ultimo — ciò che per altro poca o nessuna efficacia ebbe sulla formazione della legge 29 maggio 1855

— l'incameramento

dei beni delle comunità religiose poteva per parecchi di essi ap-

parire come il ritorno su un'illegalità commessa in passato,come il

ripristino di uno slato di diritto violato.AUa Restaurazione,

infatti, eransi restituiti alle comunità quelli dei loro beni inca-

merati che trovavansi ancora nella disponibilità del Demanio ora, se in

:

massima non poteva dubitarsi della facoltà del Go-

verno di rinunciare a propriodannoalla sanatoria generale delle confìsche ed incameramenti operati durante la Rivoluzione con-

cessa dal trattato di Parigi, si dubitava però della legalità di tali restituzioni, attuate senza le forme richieste dal diritto sabaudo (l).Donde una disputa di natura giuridica, rinnovatasi più volte durante la discussione della legge,e diretta ad accertare se lo

Editto 21 maggio 1814,ripristinando l'antico ordine di cose, non

avesse spinto i suoi effetti fino a far venir nieno la natura di beni

demaniali nei beni dellecomunità ecclesiastiche appresi dal De-

manio

;

se, nella ipotesi negativa, fosse nulla a termini di legge

la restituzione operata dallo Stato ; se, infine, non

avesse potuto

perfezionarsi dapartedellecomunitàrusucapionedi tali beni (là). (1) I^ggi e

Costituzioni del /770,l.vi,tit.n.

(2) Relazione alla Camera sul progetto Kattaz zi-Cavour : «... il demanio,

cai spetterebbe forse il diritto di rivendicare a sé quegli immobili che nel-

l'anno 1814, in forza della prima soppressione, cadevano fra i demaniali, Ritorg., 17

3


e

— Sili disegno

di legge presentato dal Rattazzi alla Camera il 23

novembre 1854 (l) nella sua parte abrogatrice stabiliva la soppressione,ed il divieto di ricostruzione se non in forza di legge, di tutte le Corporazioni religiose, eccettuate le Suore di Carità e di S.Giuseppe e quelle comunità precipuamente destinate all'e-

ducazione ed istruzione publica,alla predicazione o all'assistenza degli inferrai; la soppressione delle collegiate e dei benefici semplici. In altre disposizioni, per così dire ricostruttrici, poneva poi il

fondamente di quegl'istitutiche costituiscono parte precipua del diritto ecclesiastico oggi ancora vigente determinava,cioè,che i :

beni degli enti soppressi sarebbero passati sotto l'amministrazione del Demanio, con l'obbligo per quest'ultimo di versare i loro redditi in una cassa (la cassa ecclesiastica), la quale avreb-

be provveduto alle pensioni per i membri degli enti soppressi, ai supplementi di congrua ai parroci bisognosi, alla

somma neces-

saria pel clero sardo. Inoltre il disegno stabiliva la quota di con-

corso imposta che trova un precedente nel contributo a favore :

del fondo di religione austriaco; imposta progressiva a favore

della Cassa ecclesiastica sugli enti ecclesiastici aventi redditi superiori alle loro esigenze, determinata con aliquote diverse se-

condo la natura degli enti colpiti. Il disegno,che rivelava la sapienza giuridica del guardasigilli, e

la moderazione e le rare doti di equilibrio di cui ben poteva

vantarsi il Ministero, risolve va così il diffìcile problema di prov-

vedere ai bisogni dei parroci poveri medianti beni della Chiesa,

essendo dissenzienti l'autorità ecclesiastica ed il clero tutto; di evitare ogni

provvedimento avente natura di confisca, ogni

profitto dello Stato derivante da beni della Chiesa.

Per altro questo punto essenzialissimo,che differenziava sostanzialmente il progetto da ogni legge d'incameramento, non perchè era legge antica e fondamentale della monarchia, rinnovata nel Codice civile, che i beni del demanio fossero inalienabili a qualunque titolo si gratuito che oneroso, e l'abbandono degli stessi beni alle varie comuni-

tà religiose di nuovo instituite venne poscia eseguito senza nemmeno os-

servare le consuete forme delle alienazioni » (Atti del Parlamento, leg.V, sess.l853-54,docum.,p.l632). (1) Atti,YUI,i301 segg.,leg. V,8ess.I«.


fu percepito' nel suo valore dalla coscienza del Paese: non solo j?li

avversari parlarono sempre di legge diconfìsca,ma gli stes-

si difensori

non seppero né tentarono di porre in tutta la sua lu-

ce la diversità esseuziale,di dare rilievo alla moderazione governativa.

In fondo, come la questione finanziaria così quella giuridica

restavano in seconda linea

:

il

punto sostanziale,attorno a cui si

acx;endevano le passioni,restava sempre quello politico

— l'affer-

mazione del potere dello Stato di regolare materie ecclesiastiche, di esercitare un'azione distributrice sui beni della Chiesa, nolente e contrastante la Santa Sede.

« «

Non staremo a rammentare le note vicende del disegno. Approvato dalla Camera,contrastato al Senato ed approvato infine con- profonde modificazioni accolte in poche sedute frettolose dalla Camera,con vinta che non v'era modo di premere oltre sulla

volontà dei senatori dai quali già erasi ottenuto assai più di

quanto molti avessero creduto lecito sperare. Troppo noto per dover essere particolarmente ricordato l'episodio politico che interruppe per qualche giorno la discussione al Senato: la proposta dell'Episcopato annunciata in Senato da

mons.Ui Calabiana il 26 aprile 1855 (1), intesa ad evitare la soppressione delle comunità, ed a stabilire un assetto provvisorio, de3tinato a durare fino ad un prossimo concordato. Tale assetto si

sarebbe basato sulla ripartizione su tutto l'asse ecclesiastico

della somma per l'innanzi spesa per congrue e supplemenli,con-

correndo però anche in tale somma quell'organo misto, governativo ed ecclesiastico,ch'era il R, Economato Generale Apostolico :8Ìfatto riparto, secondo l'originaria

proposta deli'Episco-

pato,avrebbe dovuto essere eseguilo per opera esclusiva dell'autorità ecclesiastica, sebbene più tardi i vescovi avessero ammes-

so un riparto ad opera di commissione mista. Tutti ricordano come il Cavour, pur non risparmiando parole di elogio ai

vescovi per l'opera di conciliazione tentata con

l'avanzare tale proposta, presentasse al Re le dimissioni del Ga(1 ) /!//{, Vili, 071 : la storia delle trattative

trovasi fatta nei discorsi Di

Calabiana e Durando della tornata del 5 maggio 1855,i&.,695-697.


— 36 bi netto, ritenendo la propria persona troppo invisa alla S.Sede

perchè la sua presenza al Governo non fosse di ostacolo ad un

accordo e come la Corona affidasse al generale Durando l'inca;

rico di formare un nuovo Gabinetto

:

Gabinetto che avrebbe avu-

to il compito precipuo di stipulare il Concordato. Seguì quella

breve crisi,che presenta interessanti analogie esteriori con un'altra crisi recente viva nella mente di tutti. Il

Durando dovette constatare come la questione che sì agita-

va fosse esclusivamente politica come non si trattasse già di conservare o sopprimere le comunità, ma di dimostrare che lo Sta;

to attuava un potere di disposizione sul patrimonio ecclesiasti-

co senza il consenso della Chiesa. I parlamentari cui si rivolse per formare il nuovo Ministero furono quasi tutti d'avviso che si

potesse cedere in quella che apparentemente era la sostanza

della questione e lasciar sussistere le comunità; ma ritennero tutti impossibile consentire nella questione di forma, e far luo-

go al ritiro del disegno, voluto dall'episcopato. 11 Durando allora propose ai vescovi di rinunciare alla forma da loro esposta, e di venire ad un componimento sulla base di un'adesione cosi del Governo come della parte cattolica alla proposta del quinto commissario dell'Ufficio centrale del Senato, sen. Colla: proposta consistente nel ridurre la legge alla sola imposizione della

quota di concorso. Si sarebbe cosi rinunciato alle soppressioni, e l'Episcopato avrebbe avuto sostanzialmente causa vinta

;

ma

poiché si sarebbe anche affermato il principio che lo Stato può

con la sua autorità disporre dei beni della Chiesa,la proposta fu giudicata dai vescovi inaccettabile.

Intanto una grave commozione turbava il paese, la capitale sopratutto, dinanzi al timore di una ritirata dello Stato di fronte alla S.Sede.

Su questo punto sono in completo disaccordo le narrazioni dei contemporanei appartenenti ai due campi peri liberali,si trattò :

di una vera commozioneT popolare,così grave da far temere per-

sino per le sorti della dinastia ; per i clericali, di chiassate di studenti, gonfiate a proposito dalla stampa,dal municipio torinese,

dal Governo, per diffondere in tutto il regno l'idea che il ritiro del disegno avrebbe causata una rivoluzione.

Può facilmente ammettersi che i disordini torinesi, come qual-


— 37 — minoranza numerica, costituente però maggioranza di energie, che sempre compare ed agisce nei momenti decisivi di ogni Nazione; può anche ritenersi che la maggioranza del paese,che nel *55 non si era ancor reso conto di ciò che fosse per il Piemonte il conte di Cavour, desiderasse il successo dell'incarico conferito al gen. Durando, ed un accordo con l'episcopato e la S. Sede. Ma è impossibile ammettere che tutto il turbamento si riducesse ad un disordine studentesco,e che lo spirito di parte tanto potesse anche su narratori posati e meritevoli di ogni fede da far loro falsare a tale punto gli avvenimenti (1); è impossibile ammettere che senza una siasi altra agitazione, furono opera di quella

commozione vera e profonda di tutta la parte liberale, senza uno sdegno così forte da poter persino prevalere sull'attaccamento alla dinastia, Massimo D'Azeglio si decidesse a scrivere la bella celebre lettera al Re, che probabilmente

ebbe tanto pe-

so sull'animo di Vittorio Emanuele. D'altronde v'è una serie di

circostanze accessorie che conferma il convincimento della esa-

cerbazione degli animi. I resoconti parlamentari della discussioni al Senato,nella loro autenticità ufficiale, ricordano frequenti

incidenti tra i senatori e le tribù ne,affol late di un publico u-

niforme per colore politico,che manifestava palesemente la sua disapprovazione per gli avversari del disegno

— e clericali, se i

poterono lanciare l'accusa, non sostenuta ,di una claque organizzata, non poterono negare il fatto; il grande numero di petizioni inviato daentranil)e le parti al Parlamento; il ricordo degli

avvenimenti di quei giorni conservatoci dagli epistolari e dalle

memorie di contemporanei: il posto che vi dedicava la stampa quotidiana, così concisa e parca di notizie, in quel tempo; tutto lascia credere che la parte liberale, in ispecie la gradazione di

sinistra ciipitanata da Angelo BrofiFei*io, deputato di Genova, ma

popolarissimo in Torino ed in tutto il Piemonte, fosse disposta Jid ogni violenza, fosse anche pronta a passare sopra all'ossequio

ed all'afFeltoal Sovrano, piuttosto di consentire a un ritirodel di-

segno, a una capitolazione tanto più grave in quanto la Camera

aveva già col suo voto sancita la soppressione delle comunità ed il

principio teorico ch'essa involgeva. (1)

Michelangelo Castelli, Iticordi editi per cura di L.ChiaIa,81-85,

Torino, 188-<.


— 38 — Dopo la rinuncia del gen. Durando al manda tOjl'approvazione del disegno apparve sicura

:

troppo decisamente erasi manife-

stata la volontà della parte piii attiva della Nazione, troppo sal-

da erasi rivelata tale volontà, perchè il Senato potesse opporvisì,e negare il suo voto ; ed il Senato approvò,tra gli applausi fra-

gorosi delle tribune, con 53 voti favorevoli e 42 contrari (1). * * * Il « partito cattolico »

non ebbe dubbi né remore nel manifestare

sua ostilità piena, decisa, assoluta, al disegno di legge. Nes-

la

suna distinzione tra le varie frazioni del « partito »,su questo puni to

:

nessuna distinzione tra le diverse parti del disegno per gli

oppositori, Tutte le norme in esso contenute, quelle distruttricdelle comunità ecclesiastiche,delle collegiate e dei benefici semplici, come quelle creatrici della Cassa ecclesiastica e della quo-

ta di concorso,apparivano ugualmente énormi,erano dichiarate

ugualmente inammissibilijesivediogni principio del diritto naturale,dello Statuto,del codice civile,offensive di ogni senso morale. Sarebbe lungo riportare tutti gli articoli, i discorsi,gli opu-

scoli meglio atti a rivelare l'eccitamento degli spiriti, a rappre-

sentare la violenza del linguaggio

:

il

disegno veniva chiama-

to sprezzantemente « il progetto Mottino »,dal nome del famoso

grassatore, così paurosamente ricordato dalla tradizione popolare ed a rendere sempre più odioso quel nome d'incamera men;

to, Z;'i4rmoma,con tratto di spirito assai mediocre, intitolava « In-

cameramenti » la rubrica della cronaca quotidiana dedicata ai furti ed alle aggressioni. Il

conte Solaro della Margarita, nel suo discorso alla Camera,

deiril gennaio 1855, dopo aver proclamato «La legge che ci è :

proposta è più che un insulto,è una ferita alla Chiesa è più che ;

un insulto alla giustizia, è un tradimento verso questo popolo il

quale plaudiva al primo articolo dello Statuto per cui la reli-

gione cattolica era posta per base fondamentale del medesimo »;

dopo avere detto che la legge « lacera lo Statuto,sanziona un sa(l)J[^<i, Vili, 839. L'art. I della legge fu però approvato

posto dal sen.Des Ainbrois li

contro 45 contrari.

il

— nel testo pro-

10 maggio 1855, con soli voti 47 favorevo-


— 30 crilego latrocinio »; sintetizza va il suo sdegno « ripetendo con Lat-

tanzio :v«nct7 officium linguae sceìeria magnitudo (1)». Nell'opposizione,! Piemontesi erano più violenti dei Liguri e

— se

degli stessi Savoiardi. La persona del Re

velato strale deW Armonia (3)

si

tolga qualche

— restava al di fuori della lolla

:

nel * partito cattolico » in quest'epoca vi era ancora troppo ri-

spetto troppa istintiva devozione per l'istituto monarchico,per-

chè si potesse trascendere a parole irriverenti verso il Sovrano.

Né si trattava puramente di rispetto Vittorio Emanuele appariva agli occhi dei clericali come il sovrano ingannato,abbindolato :

da ministri malfidi cui sorrideva il proposito di scalzare il trono a favore dei republicani o dei protestanti appariva come un de:

bole, non come un

nemico anche più tardi,quando ogni ponte :

era rollo, anche nella lotta feroce dei primi anni dell'unità italiana, V. E. apparve ai cattolici piemontesi

punto dai cattolici delle altre regioni

— diversi in questo

— piuttosto comeM'uomo

trascinalo dagli eventi e dai cattivi consiglieri che non come i

I

nemico per proprio convincimento (3).

Non è facile riassumere tulli

i

capisaldi, così eterogenei tra

loro,deiropposizione cattolica al disegno di legge. Eravi naturalmente l'obiezione fondamentale,quella della con-

danna della Chiesa e della conseguente impossibilità per ogni cattolico di approvare, e per uno Stalo cattolico di adottare, ciò

che la Chiesa aveva condannato. Obiezione così forte nella coscienza di alcuno, da ronrìerf npcessarif» jriiislifì''azioni al fallo

(1) ^</;,VIII,2627,2629,leg.V,8es8.I«,Camera, Z)/«ca«s.

^2) N.43,23 febbraio 1855 : Florileffio : « Arrigo,re di Scozia, nella

Maria

Stuarda dell'Alfieri, parlando con Maria, che cosa intenda egli per gli ol" traggi che nella sua Corte riceveva

:

Oltraggi io chiamo l'alterigia, i modi

Superbi usati a me dagli insolenti Ministri, o amici, o consiglieri, o schiavi.

Ch'io ben non so come a nomar me gli abbia Quei che intorno ti stanno. E oltraggi chiamo

Quanti ogni giorno a me si fan ; del nome Appellarmi di Re, mentre mi è tolto,

Non che il poter,perfin l'inutìl pompa Apparente di Re ». (8)Cfr.il giudizio che ne dà il Chiuso, Op.ct/.,IV,137-141.


-

4C)

di portare altri argomenti contro il disegno senz'arrestarsi a quello fondamentale della condanna pontifìcia.

La sola condanna del disegno pronunciata dal Pontefice nel-

— dichiarava 25 aprile in Se— « basterebbe, lo ripeto, secondo marchese BrignoleSale

l'allocuzione del 22 gennaio (l)

nato il

il

l'intimo mio convincimento,a troncare ogni discussione

rocché il non riconoscere

;

impe-

le decisioni del romano Pontefice e-

manate ex cathedra sopra materie riflettenti al dogma non solo,

ma eziandio alla morale, o il pretendere di confutarle, sarebbe voler sostituire il proprio giudizio a quello del supremo pastore, e deviare perciò dallo spirito e dai precetti della cattolica reli-

gione (2).

A prescindere da tale obiezione fondamentale,si faceva ricorso all'effetto che la legge avrebbe prodotto fuori dello Stato,alla ne-

cessità di non inasprire i dissensi interni del paese, alla viola-

zione dello Statuto e del codice civile che la legge importava, alla natura dell'obbligo assunto dallo Stato dì pagare le congrue ai parroci (obbligo sorto da un vero contratto nel quale anche lo

Slato aveva avuti i suoi vantaggi),al dubbio esito finanziario dell'operazione, al fallimento che tutto il piano del Governo avrebbe

avuto ove i parroci avessero rifiutato di accettare i supplementi pagati dalla Cassa ecclesiastica

;

s'insisteva sopratutto sul pe-

ricolo insito in una legge che violava il diritto di proprietà e

stabiliva un'imposta progressiva, ed appariva pertanto come mi-

sura rivoluzionaria, suscettibile di ulteriori estensioni. « Quant à

rexterieur,voulez-vous savoir quel sera le résultat

de cette loi ? »

— chiedeva

il

22 maggio in Senato il maresciallo

De la Tour — .« C'est la rupture avec le Saint-Siège,c'est le schisme,car le Pape repoussera, condamnera cette loi,qui est déjà dailleurs condamnée par les Gonciles ainsilui méme ne pourrait pas l'accepter. Nous nous trouverons par conséquent dans ;

le schisme;etquel estce pays^quiseradans leschisme?

(1) L'allocuzione

— Rap-

Probe memineritis, del 22 gennaio 1855, corredata da

sessantotto documenti relativi alle trattative svoltesi tra il Regio Gover-

no e la S. Sede, trovasi publicata in Pii ix P.M.^c^a,II,i, 6-435 [Roma, s. a.]. Nello stesso volume, a pp.436 segg., trovasi pure l'allocuzione Cuni saepe di condanna della legge.

(2)^«i,Vni,651.


— 41 pelez-vous que c'est celui qu' il y a quelques années aflRchait la préleQtion de conquerir l'Italie par les armes ; aujourd*hui qu'il

a un

peii

rebattu de ses prétentions, il se présente coninie le

pays raodèle que l'Italie doit imiter. Que croyez-vous,MM.,que l'Europe pense de cela ? Quelles seront les conséquences de notre schisrae ? » E con scarsissimo senso di opportunità, porgendo

al conte di

Cavour l'occasione per una nobile replica, giungeva

a prospettare come possibile un intervento straniero a favore delle comunità piemontesi, citando l'esempio della guerra d'O-

riente cui aveva dato origine una questione religiosa (1).

Più abilmente il Brignole Sale cercava di fare appello all'a-

mor proprio nazionale,ricordando gli entusiasmi guelfi del' 48 e l'indignazione di allora contro l'Austria conculcatrice dei diritti

della S.Sede,e lamentando « clie i fautori del primato d'Italia

e della sua indipendenza servilmente imitassero i forestieri e in-

dossassero le viete spoglie » da quelli gettatesi di dosso (2). Fiducioso nell'idea federale,il deputato di Voltri Lorenzo Ghiglini diceva la legge contraria all'unità d'Italia, giacché « la via

per cui possiamo sperare con più fondamento di giungere o pri-

ma o poi alla attuazione completa della nostra nazionalità è pur >requella dell'unione fra gli Stali d'Italia, liberi dalla domi»ne straniera ; unione cui riesce indispensabile preparamen-

to la conformità delle istituzioni politiche »:a sifatta conformità era destinata a recare ostacolo la legge sulle comunità,* la quale renderà avversi, per doveri di coscienza, al Governo par-

lamentare tutti i cattolici d'Italia »,e pertanto toglierà a tale for-

ma di governo « ogni possibilità di pacifico ritorno negli Stali dove già ebbe sede, e solo potrà accadere che vi rientri per una via aperta da sanguinose rivoluzioni (3) ».

Più felici erano i richiami alla necessitii di non inasprire idls-

Già nella tornata del 24 aprile il maresciallo Della dava un severissimo giudizio del disegno « Cette loi que nous discuiiijourd'huì, prise dans son. ensemble rappelle d'anciens statuU^ du te |.^ féodal,qui existaient dans quelques cantons de Nonnandie,et qui (lisixiont que /e» aerf» ètaient taiUablea et corvéables à merci. Ce que l'on vous demande aujourd*hui de décréter taillable etcorvéable à merci c'est (1) ibidem ,830 seg. •'

:

I

le clergiW(i6.,626).

!2i/l«/,VIII,653. :•

.1//J,VI,2862.


— 42 — sensi interni del paese :i*ichianii che per altro astraevano dalla

ferma volontà della Sinistra,astraevano dal fatto che il dissenso di animi era ineluttabile ed irrimediabile attesa la estrema di-

vergenza di sentimenti e d'idee tra i vari « partiti », sicché il bene del Paese esigeva la rapida scomparsa dell'equilibrio del mo-

mento che rischiava di condannare il paese all' immobilità, e l'affermarsi, fosse pure attraverso una crisi violenta,di vincitori e di vinti.

Questo timore di dissensi era proprio non dei soli cattolici, ma

anche di persone d'indubbia fede liberale (1); ma erano naturalm^ente i primi a farvi più frequenti richiami. « Noi versiamo in tempi difRcili,gravi di avvenimenti cui non

è dato alla mente umana di prevedere », ammoniva il 5 maggio il

senatore Gaspare Coller, vecchio magistrato, patrocinando il

ed. disegno del V Commissario, inteso a limitare la legge alla sola imposizione della quota di concorso. « La spedizione d'Oriente, comunque giusta ed inevitabile, fece piangere molti padri e molte madri, e continuerà a farne piangere.! percettori delle contribuzioni dirette ed anche indirette picchiano ogni giorno

alla porta dei contribuenti, e coi loro avvisi ed ingiunzioni an-

nunciano ancora che in quest'anno si dovrà pagare il 10 per cento di più sopra ogni contribuzione. Non illudiamoci, signori.

Gran parte della nazione misura il pregio delle istituzioni dal bene materiale che sente. In conseguenza, o signori, l'affettOjl'entusiasmo che vi era da principio per lo Statuto,temo molto che sia diminuito. Noi tutti sentiamo il bisogno della riunione degli

animi, e di non gettare una fiaccola di discordia nel nostro paese». Ed evocando suoi lontani ricordi, rammentava la soppressione da lui fatta eseguire a Mondovì quale commissario di Go-

verno della Republica: « Allora era già passato l'anno VII, era (1) Cfr. la lettera

19 gennaio 1855,n.2l0, della marchesa D'Azeglio

:

«

Je

crois que de graves perturbations pourraient naìtre de cette mesure si elle était adoptée.

— Il faudrait expulser par violence les habitants des cloì-

tres,ce qui serait déja un déplorable effet.Ensuite les curés ne pourraient

accepter ce que le Gouvernementleur assignerait sans risquer d'ètre sus-

pendus parleurs évèques.Orvoudrait-on envoyer tout l'Episcopat en exil et emprisonner les curés V Et,ceux de ces derniers qui accepteraient^ seraient scbismatiques comme les prètres a&sermentés de la revolution. Enfin e 'est

une mallieureuse idée qu'on a eu là » [Souvenirs cit.,492).


- 43 passato il regno di Carlo Emanuele IV,di Vittorio Amedeo III,

che era defunto, i quali avevano già soppresso tutti i corpi minori, tutti i conventi minori, e il Governo dell'anno VII aveva fatto facoltà a tutti i frati che volevano sortire, di sortire ; di ma-

niera che conventi non erano più in gran numero: tuttavia io dehbo assicurarvi,o signori,che quella soppressione fece un'impressione dolorosissima; argomentate da questo quale sarà l'imi

pressione che farà questa soppressione (1) *.

Quasi tutti i senatori e deputati che presero la parola contro il

disegno fecero richiamo agli art. 1,24 e 29 dello Statuto, ed

agli art.418,433,436,— ed anche agli art. 441,446,447 interi a tu-

telare la proprietà ed il possesso Il

— del codice civile.

punto saliente di questa controversia legale si ebbe alla Ca-

mera nella seduUi del 19 febbraio allorché Ottavio di Revel,che come ministro di Carlo Alberto aveva preso parte alla compilazione dello Statuto, rivelò, facendo appello all'inedito verbale del consiglio di conferenza, che la dizione dell'art. 29 dello Statuto aveva « avuto precipuamente per iscopo di garentire la pro-

prietà agli stabilimenti ecclesiastici » ed era stala adottata pre-

via discussione svoltasi « in cospetto del Re al momento in cui

stava per firmare lo Statuto ». « Quest'articolo » Revel, additando

il

— esclamava

il

ritratto di Carlo Alberto — «fu scritto ap-

punto per tutelare la proprieU'i della Chiesa,e Re Carlo Alberto, il

quale non volle dare a me l'assenso di legalizzare la espulsio-

ne dei gesuiti, perchè credeva di andar contro a quanto aveva

promesso,conceduto, firmato, Re Carlo Alberto,la cui effige ci sta dinanzi.se in questo momento vedesse che le sue intenzioni ven-

gono in questo modo interpreta te, ritirerebbe quella mano che si stende a giurare lo Statuto,la

ritrarrebbe sicuFamenle('-2-3) ».

(l)^m',VIII,712. (2) i4«»,VI,2876-83.

(3; Il

verbale della seduta del Consiglio di conferenza 24 febbraio 1848

Lo Ministre Borelli poursuivantson rapporta donno lecture dea ar« ticles qui suivent: Toutes les propriét«s sont inviolables snns aucu« ne exception.sauf le cas d'e.\propriation tbrcóe pour utilité publique,mo«yennant une juste indemnité.— Le Ministre observe qua l'article ainsi « con^u comprend soit les biens de l'État que ceux dea Communes et de « rEglise.conformément à la volonté manifestée par 8.M. » .Può darsi che della dichiarazione del Re siavi traccia in alcuno dei passi dei verbali non dice

:

«

publicati dallo Zank iii:r.i.t, I .n Sfnfiifn dì Cmln /1/^r/o, 110, Roma, 1898.


.

_ 44 — 11

senatore di Castagnetto, soffermandosi particolarmente sul-

la questione costituzionale, premetteva che il Parlamento era pri-

vo pur della facoltà d'interpretare lo Statuto,attesochè rart.73 si riferiva alle altre leggi, non al patto fondamentale, per affer-

mare poi che l'art.l"* fu la più solenne e costituzionale confer-

ma degli art. 1,2,25,418,433 e 436 del Codice civile, consecrando i

diritti della Chiesa in

modo altrettanto imperituro quanto lo

Statuto medesimo,e ponendogli sotto la salvaguardia degli articoli 24,25,26 e 29 del patto fondamentale (1) ». Il senatore

De Maugny, considerando rart.29,osservava « que

jamais les plus spirituelles etles plus adroites subtilités du plus célèbre avocat des deux hémisphères ne pourront faire croireà

un homme de sens que le legislateur alt employé des termes qui excluent si bien tonte exception,pour faire précisément une exception au préjudice d'une classe de citoyens (2) ».

Al codice civile si riferiva il senatore De Margherita, il quale,

dopo aver ricordato di avere dato il suo voto alla legge sull'abolizione del foro ecclesiastico e al disegno sul matrimonio civile, dichiara va di non poter votare il disegno in discussione,di perchè lesivo del codice civile,e poneva il principio che in caso estinzione di enti ecclesiastici non succeda loro lo Stato, bensì la Chiesa. « Nelle controversie di proprietà

quale è la presente,

la sola legge che ora presso di noi debba consultarsi ed eseguirsi

è infallantemente il codice civile che ne governa. Ivi è definita la proprietà, ivi è dichiarato a chi ne sìa conceduta la capacità

;

ne sono determinati gliattributi,coniene sono regolati i confini

E tale è la potenza di questa legge, che né anche il Corpo legislativo, per quanto largamente si distenda l'ampiezza del suo

potere, avrebbe abilità sufficiente a toccarvi, scemando d'un mi-

nimo che il diritto di proprietà a chicchessia spettante,non eccettuata la Chiesa, in virtù del codice civile (3) ».

E il dotto Sclopis, mentre faceva salvo, in opposizione al De Margherita, il diritto dello Stato sui beni delle comunità religiose che venissero ad estinguersi, credeva di doversi pronunciare egli pure contro il disegno per le considerazioni d'indole

(l)^«i,Vin,603seg. (2)il«i,Vin,647. (3) Am,YIlIfiQb segg.


— 45 — giuridica

:

« Noi non siamo potere costituente ;noi siamo potere

letrislativo : la legge,qualeci fu presentata, non è legge che voglia

itilaecare lo Statuto,non è legge nemmeno che deroghi ai piincipii del codice civile; è una legge che applica (1) ».

Da sifatte considerazioni sul contrasto tra il disegno e lo Statuto prendevano argomento giornali clericali più accesi per trari

ne conseguenze catastrofiche. Nonostanti le rivelazioni sulla genesi dell'art. 29

— scriveva — ,«si

L'Armonia all'indomani del discorso del conte di Revel

continuò a difendere il progetto Rattazzi col pretesto che Carlo Alberto non avea lasciato nessun esecutore testamentario ».Ma « lo Statuto è un contratto, e chiaoiasi patto fondamentale. Quando una parte lo viola,dà all'altra pienissima ragione d'infrangerlo». Pensino i deputati «che se Carlo Alberto è morto, tutta la sua autorità vive,e avendo trasmesso in altri le sue obbligazioni, vi ha trasmesso egualmente tutti i suoi diritti ('2) ».

ArgomenUizioneassolutauiente inconcludente dal punlodi vista del diritto costituzionale,posto che la pretesa violazione della

Statuto non poteva aver luogo se non col concorso del Re,cui

aspettava di sanzionare la legge

;

ma argomentazione sintoma-

tica dell'acredine polemica della stampa cattolica.

Ed altrove lo stesso foglio, esprimendo la fiducia che le male piante della separazione della Chiesa dallo Stato,del matrimonio

civile,deirincameramento dei beni ecclesiastici,deirabolizione dei conventi o presto o tardi sarebbero seccate sul suolo pie-

montese,* se pure non verrà qualche scure che le atterri », sog-

giungeva:* E poiché

tutte queste piante

sono nate all'ombra

della Costituzione,noi temiamo che siccome si prese lo Statuto

a pretesto per piantare ed educare quelle piante, così si pigli il pretesto d i astiare a Costituzione, perchè si detestano le piante (3). I

Un altro argomento d'indole costituzionale portavasi ancora contro il disegno

:

quello tratto dall'art. 18 dello Statuto. Que-

st'articolo,di('ui l'interpretazione è sempre rimasta controversa,

e che nei primi anni del regime costituzionale ebbe interpreta-

ci) i4«t,VIII,726 8egg.

2 N.43,23 febbraio 1866: L'articolo 29 dello Statuto. 3 N. 118,30 settembre 18M

:

Della vitalità delle costituzioni politiche.


— 40 — zìoni svariatissime (1), veniva richiamalo a proposito della sop-

pressione dei benefici semplici,col pretesto che « la soppressione de' benefizi appartiene indubitamente alla materia beneficiaria,

altrettanto quanto la loro istituzione e le loro modificazioni (2)

:

« sostenendosi poi che l'art. 18 aveva costituito una nuova garan--

zia data da Carlo Alberto alla Ghiesa,col sottrarre all'ingerenza

delle Camere ogni diritto che in materia beneficiaria eventual-

mente spettasse al potere civile (3). Il

disegno « viola l'art. 18,che riserva la materia beneficiaria

al Re, sottraendola alla giurisdizione delle Camere coU'evidente

scopo di tutelarla e non lasciarla esposta alle passioni dei partiti »

— osservava alla Camera

il

deputato di Varazze, marchese

Francesco Pallavicini.* E qui notate che noi facciamo la parte di conservatori, mentre noi difendiamo un diritto della Corona,

onde ci sembra che voi altri abbiate fatto poco conto. Né serve il

dire che avete presentato questo progetto d'ordine del Re, poi-

ché se un ministro ingannasse il sovrano fino al punto di fargli porre in non cale i suoi diritti, dovrebbe sorgere il Parlamentò, geloso custode dei mede3imi,ed impedire lo strazio meditato (4) ». « Non si può supporre »

dentico concetto

— « che

— scriveva Z('^rmowia,esprimendo

il

l'i-

Re volesse mai in nessun caso rinun-

ciare ai diritti proprii della sua Corona,! quali, affidatigli dal

magnanimo Carlo Alberto suo padre, vorrà certamente trasmettere interi e inviolati a' suoi successori.il solo pensare questo

sarebbe un'ingiuria fatta alla Regale Maestà, sarebbe un pensa-

non solo agi' interessi della Dinastia, ma alla nota lealtà del figlio, e alla venerata memoria dell'amato e immortale suo Genitore ».« Qual mai trista figura non farebbe la Camera davanti al Paese, e davanti all'Europa, s'ella non. si dichiarasse incompetente di votare un tale progetto di legge, alre cosa che s'oppone

(1) Sulla portata dell' art. 18 dello

Statuto cfr. il mio lavoro L^ammini-

strazione ecclesiastica {Primo trattato completo di diritto amtnin.ital.a.

cura di V.E.Orlando,X,ii,24-29). (2) L' Armonia,n.3,'i: gennaio

ISbb Attentati contro la legge fondamen:

tale del Regno. (3) Dal verbale del Consiglio di conferenza del 2 marzo 1848

appare al-

tro essei-e stato l'intento dei costituenti sardi nel formulare quest'articolo (Zanichelli, Op.ciY., 114 seg.). (4) ^«i,VI,2893.


— 47 — meno per quella parte che riguarda

i

iKJueticì ecclesiastici? Da

quell'ora lo Statuto apertamente infranto non esisterebbe più

:

se finora fu una.ménzogna,secondochè disse e ripetè la Voce della /v»6er/à,ella fu una menzogna in qualche modo palliata; d'al-

lora in poi,sarebbe una menzogna aperta. Conviene dunque con-

chiudere,che il nuovo progetto di legge è una macchina dei mazziniani e degli altri nemici dello Statuto e della nazione,per togliere al Piemonte questo generoso dono di Carlo Alberto, per

rovesciare la ^fonarchia di Savoia, e inabissare il paese in una

anarchia (1)*.

Numerosi anche i richiami all'origine dell'obbligo assunto dallo Stato di pagare i supplementi di congrua ai parroci tena;

ci le difese all'obiezione che i beni delle comunità ecclesiastiche

erano in gran parte beni illegalmente ceduti dallo Stato alla Restaurazione. * Le Ministère dit vouloir par ce moyen faire disparaìtre la somme des francs 928.412,30 du budget, conformément au vote

émis par la Chambre »

— constatava nella seduta dell'll gennaio — « La somme dont s'agit n'a

Carlo Despine,deputato di Duing

.

il

été,messieurs,comme les biens rendus depuis 1814 aux couvents, qu' une restitution partielle des biens spoliés et vendus par la revolution fran(;:aise,et,sous ce rapport,elle constitue pourl'Etat

une dette legitime (2) ».

— incalzava nella seduta del 15 febbraio profLuigi Genina, deputato di Lanzo — «fu stabilita dietro una tran, sazione solenne fatta tra lo Stato e la Chiesa. — In tale transaTale somma

il

zione si compresero tutti i com[)ensi che la società civile dovette dare alla Chiesa per alienazioni già fatte precedentemente di

beni ecclesiastici in una somma molto maggiore (3)».

Più particolareggiatamente insisteva su questo punto in Senato l'arcivescovo di Chambéry,mons, Alessio Billet,spiegando co-

me delle 928 mila destinate a supplementi di congrua, quattrocentomila circa fossero impiegate a pagare il clero della Savoia, e queste non costituissero che un obbligo ereditato dal Governo francese, il quale alla sua volta l'aveva assunto con l'art.lSdel (\) L' Armonia, uJQ cit. (2) i4m;Vl,2617.

(3)i4m,VI,2835.


- 48 — Concordato del 1801, non a titolo di spontanea liberalità, bensì quale corrispettivo della sanatoria della vendita di beni ecclesiastici accordata da Pio VII all'art. 13(1). La residua parte delle 928 mila lire era costituita da supplementi, già pagati in Pie-

monte dal Governo francese, per portare a cinquecento lire la congrua dei parroci e ciò allo scopo di riparare il danno degl'incameramenti. « 11 est donc vrai de dire que,pour le Piémont,comme pour la Savoie, cet article du budget est bien réellement une ;

dettedel'Etat(2)».

non paga i debiti,e viola e ruba le sostanze della chiesa », sintetizzava L'Armonia, con la consueta temperanza (3). « L'ingiustizia è doppia, perchè il governo

Più deboli erano le opposizioni fondate sull'esito finanziario della operazione

:

si

contestavano bensì i dati statistici fatti ac-

curatamente raccogliere dal Governo e presentati al Parlamento in appendice al disegno di legge, si elevavano molteplici dubbi sul successo finanziario della vendita dei beni, si osservava giu-

stamente che tale successo sarebbe stato assai compromesso dalle censure che l'Autorità ecclesiastica non

avrebbe mancato di

comminare contro gli acquirenti di beni incamerati,e che avrebbe avuto per effetto uno scarsissimo concorso alle aste (4) ma ;

peraltro era troppo viva in tutti la coscienza del carattere emi-

nentemente politico della questione che si dibatteva, perchè gli oppositori potessero fare troppo affidamento sull'argomento fi-

nanziario.

(1) « Sanctitas Sua prò pacis

bono felicique Religionis restitutione, de-

clarat eos qui bona Ecclesiae alienata acquisiverunt molestiam nullam ha-

bituros, neque a Se, neque a Romanis Pontificibus Successoribus suis, ac

consequenter proprietas eorumdem bonorum,redditus et iura iis inhaerentia, immutabilia penes ipsos erunt atque ab ipsis causam habentes «.Tale sanatoria valeva per le alienazioni di beni esistenti nel ducato di Savoia e nella contea di Nizza, non già per quelli del Piemonte e della Liguria.

Ad istanza di Vittorio Emanuele I, Pio VII col breve 20 dicembre 1816 Z)atis ad Nos estese a dette due regioni l'art. 13 del Concordato, esortando in

pari tempo il Re a provvedere ai bisogni delle chiese e monasteri spogliati {Traités, lY, 290 segg.,n.ccxxxii).

(2)Atti,YIlI,G09. '3) N. 148,9 dicembre

1854 IZ progetto Rattazzi-Mottino. :

(4) Discorso Di Revel,19 febbraio

1655 (^^fi,Vl,187B segg.).


— 49 — Numerosissimi sacerdoti avevano inviato petizioni al Parlamento dichiarando che non avrebbero accattato i supplementi (li tonnina dalla Cassa eccJesiastica se non intervenisse un assenso della S.Sede;e pertanto non si mancava dagli oppositori di far presente il pericolo che né

i

parroci accettassero le con-

grue, né i frati e le monache la pensione, ed il Governo dovesse accorgersi di avere ridotto sul lastrico tutto il clero.

Ma era pericolo che lasciava molto scettici

i

difensori della

legge, i quali non credevano né in sifatto eroismo del clero se-

colare e regolare, né in tanta ostinazione della S. Sede, Una certa liducia neiradaltabilità del clero non era ingiustificata ti

liberali non mancavano nel Paese, ne sedevano alla

:

pre-

Camera

(si ricordino Giorgio Asproui e Giuseppe Robecchi),e fino allora

avevano saputo mantenersi coerenti alla fede liberale ed alla disciplina del « partito » senza addivenire ad una rottura con la

Chiesa era noia la esistenza di frati desiderosi dello scioglimento ;

dei vincoli del chiostro,e si sapeva come avessero anche fatta per-

venire notizia al Rattazzi di tale loro desiderio (1). Quanto alla S. Sede, predominava ancora un certo ottimismo sull'attitudine

sua a prendere atto dei fatti compiuti, e d'altronde si rammentava il precedente della legge 23 marzo 1853, contro la quale la S.Sede aveva protestato, autorizzando però il clero sardo a riscuotere l'assegno come surrogato delle soppresse congrue, per

quanto in virtù di surrogazione illegale ed ingiusta.

Ma l'opposizione più viva, più nutrita, che si sapeva trovare maggior eco nella borghesia ed essere presa in più attenta considerazione, era quella diretta a provare che la legge costituiva

un pericoloso precedente di lesione ai diritti della proprietà e d'imposta progressiva,un pericoloso saggio di principi comunistici. Qui sopratutto era necessario al Governo ed alla parte libe-

rale di correre ai ripari e di sostenere vigorosamente la polemi-

ca; che se la coscienza delle classi colte, in cui era ancor vivo il

ricordo delle lotte giurisdizionaliste svoltesi ai tempi dì Vittorio Amedeo li e di Carlo Kmanuele 111, non

ripugnava all'idea

di accettare una legge condannata dalla C;hiesa;se la più

gran

parte della popolazione restava indifTerente alle questioni di di-

( 1

)

Cfr.CHiU80,Op.ct/.,IV,2C)4.

Rièorg., 17


e

— 50 — ritto costituzionale che il disegno sollevava; se i più

compren-

devano che i turbamenti della coscienza publica cui il disegno dava occasione erano inevitabili, e che la vittoria dei cattolici non avrebbe recato minor divisione interna della vittoria dei liberali ;

— all'apposto era viva l'avversione di tutte

le classi del-

misura che ricordasse procedimenti giacobini d'infausta memoria; che sembrasse preludere a concessioni alle tendenze « comuniste » o « socialiste » tanto invise. la popolazione per ogni

i

La legge — diceva il senatore De Maugny nella tornata del 25 aprile 1855

— est entanchée d'un principe rétroactif.communi«

ste et révolutionnaire. Principe qui menacerait bienlót l'inviolabilité

de toutes les propriétés collectives,et plus tard celle mé-

me des propriétés particulières(!). Dopo incamerati beni delle corporazioni religiose — scriveva L'Armonia — ,« si porrà la mano su tutte quante le opere di i

beneficenza ».« Spogliati i monasteri,gli ospedali edi tempii, verrà la volta dei municipii ». Verrà anche la volta dei nobili,* una

parte de' quali, immemori del loro grado e delle loro tradizioni,

non si vergognano di tenere il sacco ai rapaci. Essi non solo perderanno i proprii titoli, che sarebbe poco,ma eziandio i proprii beni (2)».

La stessa quota di concorso, misura in apparenza così modesta, incontrava tenaci resistenze.

«L'imposizione di detta quota di concorso »

— esponevano

i

senatori Ludovico Sauli d'Igliano e Federico Sclopis di Salera-

no, membri dell'Ufficio centrale del Senato, avversi al disegno

« od è una detrazione di proprietà sui generis,o si ravvisa come

imposta speciale.Nel primo caso, essa incontrerebbe l'ostacolo dell' art. 29 e

ricadrebbe sotto la riprovazione legale che abbia-

mo accennato parlando dell'art. 1 di questo progetto oppure des;

sa è un'imposta speciale, ed allora non si presenta più graduata colla regola imprescrittibile stabilita dall'art. 25 dello Statuto,

diventa invece una vera imposta progressiva, cattiva in sé, pes-

sima per l'esempio (3)». (l)^«j,Vni,647. (2) N. 65,22 marzo

1855: Una fa'dle profezia sulV avvenire del Piemonte.

(3) Relazione 7 api ile 1855 dell'Ufficio centrale del Senato (Colla,relat. )

^</i,leg.V,se8S.I»,docum.,p.58.


— 51 Approvato sollecitamente dalla Camera il nuovo testo della legge votato dal Senato,seguì con ogni premura la sanzione reale e la promulgazione.il Governo fu generoso e prudente nell'applicazione: risparmiò gli ordini maggiormente benemeriti e più cari al popolo, evitò ogni violenza. Non si verificarono i timori di scisma,di rifiuto del supplemento di congrua da parte dei parroci, che molti avevano nutrito. Le istruzioni della S.Penitenzie-

ria '^ luglio 1855 accordarono la facoltà di percepire dalla Cassa

ecclesiastica pensioni ed assegni, dopo fatte le opportune proteste: stabilirono pure che le chiese ed i conventi

non fossero da

difendersi con la violenza,sebbene si dovesse cedere soltanto alla coazione (1).

Fosse ordine della S. Sede. fosse convincimento della inutilità di ogni violenta reazione, fosse ricordo del triste esito «lei moti

della Valle d'Aosta del '53, nessun tentativo di sommosse popolari si ebbe a deplorare da parte dei clericali : anche nelle cam-

pagne,anclie nella cattolicissima Savoia,il popolo restò tranquillo. Una cerbi reazione della coscienza popolare alla legge non si ebbe che eoa le elezioni del '57 riuscite così favorevoli alla parte clericale ma,altesa la legge elettorale del tempo, fu piuttosto ;

reazione di classi colte che di contadini ed artigiani, e sarebbe difficile dire se v'influì

maggiormente la soppressione delle co-

munità, o il ricordo dei sacrifici fatti per la guerra d'Oriente e

non ancora coronati da alcun visibile premio. Approvala la legge, seguì un periodo di relativa ealma,di apparente tregua tra due gruppi e le due tendenze. i

Era ormai nella coscienza dei più il sentimento ohe qualcosa d'irreparabile erasi compiuto. Il contrasto tra la Chiesa e l'idea liberale, insito nei primordi del Risorgimento nelle

prime aspi-

razioni costituzionali ed unitarie,ch'era parso smentito un mo-

mento negli entusiasmi del '47 e del primo '48,e si era poi di nuovo alTermalo sempre più fortemente,era ormai giunto ad un punto tale che più nulla contro di esso avrebbero potuto la volontà degli uomini di governo,la pressione di gran parte del pae-


— 52 — se. L'unità d'Italia sarebbe §tata attuata ad opera della parte li-

berale, in opposizione alla Chiesa e con la condanna del la Chiesa. Il

sangue e le sofferenze di una generazione non sarebbero stati

sacrificiosufficienteallaformazionedella patria. Una moltitudine d'Italiani, diversi tra loro per senno ed intelletto, ma capaci tutti

di saldi convincimenti e di profonde fedi,si sarebbe trovata a

dover scegliere tra l'ossequio ai precetti della Chiesa, in cui fer-

mamente credeva,e l'affetto vivissimo per la patria tra la voce della coscienza, che indicava come santa l'opera della unificazione d'Italia, e gli ammonimenti di chi parlava in nome di un potere ultraterreno, condannando l'impresa. ;

Materiata di sacrifici e di angoscie, dello strazio di carni lacerate e del terrore che pone nell'animo del credente la condanna di chi parla con un'autorità ultraumana,di entusiasmi e di dubbi

mortali, d'impeti eroici ed'indicibilìansie,doveva formarsi salda indistruttibile eterna, adorata da tutte le generazioni che sareb-

bero venute dipoi, l'unità d'Italia.

Arturo Carlo Jemolo(I).

(l)Le bozze di questo studio non poterono essere rivedute dal ch.° autore, ufficiale combattente, per la sorte del quale, mancandocene da parec-

chio tempo notizie, siamo trepidanti.


Ferdinando Dal Pozzo dopo il 1821 CAPITOLO II. L'esilio in Inghilterra.

(182:V1831) IJ.'ospii'jl-. .... .^lic/izu di

Lo/ulra.

— -.Rispetto tenace per

i

.,

.ni

e lotta ancora più tenace contro i loro ministri nelle Observations

8ur la nouvelle organisationjudiciaire.

— Z.Un" opera del Dal Poz-

zo di diffìcile consultazione :0\>SQV\dl\on^ sur un nouveau et vaste pian (l'impòts communaux.

— A.tJna estate in Isco2ia.— 5.Cit la-

dino inglese, tratta questioni inglesi :Ca.thoìicism in Austria or an Epitome of the Austrian Ecclesiastical Law e D.e la nécessité trèsurgente de soumettre le Catholicisme romaiin en Irlande. difesa dei Valdesi.

— Q.Una

— Ritorno alla storia patria Essai sur les an1.

:

ciennes assemblées nationales de la Savoie eie.

— S.Quali siano

le

sorti attuali dei manoscritti e dei carteggi dèi Dal Pozzo ; FAr•

ì' il- io

Dal Pozzo in Montebello.

— 9.La scomparsa di una autobio-

HI 'i/ia inedita e del De la revolution du Piemont du 1821 et le Frin-

ce de Carignan.

— \Q.La morte della prima moglie e

il secondo

ma-

frii/ionio.

l.

— [n Inj^liillerra molti

iiltri

t'uorusciti italiani,* cacciali

dalla Svizzera, malveduti e malmenati in Francia,rigettati dalla

Spagna invasa dai Francesi e ricaduta sotto il governo assoluto, e travagliati dagli agenti di polizia negli altri Stati, andavano di mano in mano rifugiandosi, e specialmente a Londra, donde (rainba««Malore sardo] conte San Martino d'Agliè scriveva al La Toh \'os pro8crits,en arrivant ici,trouvent hon seulement denoiiiiMi'iixamisde leur parti, mais méme un accueildanslasocicté (ju' ils ne pourraienl pas trouver aillcurs.Le marquis deCarail (1 a él»' admi» dans les assemblées les pi us brillantes,au point )

(1) Carlo Emanuele Asinari, finché visse il padre,marchese di San

zano, usava il predicato di Caraglìo, da altro feudo famigliare.

Mar


- 54 — que J

ai dù m'absenter desquelques societés pour ne pas le

ren-

contrer,,(l) ».

È a credersi che uguale accoglienza vi abbia trovato il nostro Dal Pozzo, non meno illustre del San Marzano per nobiltà di casato e per liberalismo,e certamente a lui superiore per ingegno, per esperienza della vita e per ricchezze. Se disponessimo di tutti

i

copialettere dell'esilio del Dal Pozzo sarebbe assai facile de-

sumere le molte sue relazioni con la migliore società londinese politica,intellettuale e aristocratica. Dall'unico fascicolo,del ISSISI, che potemmo consultare (2),si

può però arguire ch'egli era amico di sir George Shee segretario dello « State of office » (3), del capitano EUiot londinese e dei suoi figli lady Anna Maria (4) e lord EUiot Murra y-Kynynmond de Minto (5), di lord Petty de Lans-

downe (6),del principe di Cimitile ambasciatore napoletano (7), delle miss Hamilton (8), Irma Gros (9) e Da venport (10). Così ancora da questo fascicolo si apprende che il Dal Pozzo era socio dell'aristocratico « Travellers Club » londinese e della « Literary U-

nion » (11), nonché in cordiali rapporti coll'ambasciatore sardo conte Cesare Ambrogio San Martino d'Agliè (12), con il Panizzi (13), il Pecchi© (14), il Berchet (15),GiambattistaTesta(16),e con i

(1)D. Ferrerò, GZi ult. Reali di Sav., AìOAlì. (2) L.C. BohhBA, Dieci mesi di cari, di

F.Dal Pozzo,in BSSS,XlX,u.

[3] Ibidem, jp.yii.

[4:}Ibidem,W5 segg., lett.36,38,53,72,84,106,138,182 del Regesto. (5) Ibidem,iOG, lett.55 del Regesto. (6) Ibidem.,10Q, lett.57 del Regesto. (7) Ibidem,lOi segg., lett.26, 174,215,228,268 del Regesto.

(8) Ibidem,lìé, lett.215 del Regesto.

(9) Ibidem,106. lett.55 del Regesto.

(10) lbidem,l08, lett.87 e 163 del Regesto. (11) Ibidem, 106 segg., lett. 57 e 282 del Regesto.

(12) Erano cosi noti i vincoli d'amicizia del Dal Pozzo con il D'Agliè, che gli esuli italiani, per ottenere favori dall'ambasciatore sardo, si rivolgeva-

no al Dal Pozzo (Vedi append.l,ix di questo Capitolo). (13)L.C.BoLLEA,Dieci mesi di cart., 106, lett.57 del Regesto. (là) Ibidem, \06 segg., lett.57,223 e 239 del Regesto; G.Pecchio, Ossert'a-

zioni semi-serie di un esule piemontese sull' Inghilterra,!!! ,Lng3ino,1833

;

M. Lupo-Gentile, Gùts.Pecc/tio nei moti del '21, in ^/t-. d'/i., XIII, 324,. Roma, 1910. (15)L.C.BoLLBA,D?ec« mesi di cari., 103, lett.l9 del Carteggio. (16) Vedi append.l di questo Capitolo.


— 55 — migliori Italiani residenti in Inghilterra (1), quali i conti Luigi

Poiro.Sautorre di Siinla ròsa, Luigi di Collegno, il Iadini,Luigi

Angeloui ed Ugo Foscolo (!2).

Con tutti costoro, allo scopo di far conoscere agli Inglesi l'Italia nel suo passiito ai tistico-letterario e nelle misere condizioni del presente,il Dal Pozzo voleva fondare un giornale italiano

letlerario-politico (3), L'estensore in capo doveva essere Sautorre di Santarosa;

i

collabora tori,oltre il Dal Pozzo,* pochi e scel-

ti » patrioti : Scalvini,Pee<'hio,

Berchel, Mossoti!, LTgoni e Panizzi

(4).Ma,quandogià si era provveduto il capitale perle spese della publicazione,il Santarosa,che avrebbe con l'autorità del nome

infuso maggior vita al giornale.se ne andava in Grecia. Allora

l'impresa del giornale fu sospesa

;

ma l'idea non fu abbandonata

del tutto,perchè si sperava nella collaborazione di Camillo Ugoni e del Pellico, che una notizia, sparsasi fra gli esuli,diceva essere stato liberato dalla prigionìa dello Spielberg (5). Quando gli esuli s'avvidero che l'Ugoni preferiva starsene a Parigi e che la

notizia delia liberazione del Pellico era falsa, rinunziarono alla

generosa publicazione (G) ;e il Dal Pozzo divenne,con il Pecchio e il Panizzi, divulgatore di una Rivista italiana lil)erale diretta

da Pellegrino Rossi ed edita a Lugano (7). Amicizia che onorava il nostro Dal Pozzo agli occhi del mon{!) L.C. BohVKA, Dieci mesi di cari. ,105 8egg.,Iett.41 ,57,174,179,182,223

e 239 del Regesto. (2; A.CAMPANi,L''«a iìigigne collezione

di autografi -.notizia e catalogo^

22( Bianca Milesi-Mojon a L. Angeloni , 18 settembre 1825)Milaiio, 1900.

Il

SisDiondiida Chénes,il 22 ottobre 1823, annunciando a Santorre di Santarosa l'arrivo in Inghilterra di Bianca Milesi, scriveva: « Je ne doute point que nos amis communs.Dal Pozzo, Porro, Ugoni, Foscolo, ne la re»,'oivent et ne la fòtent comrae une soeur persécutée » tN.BiAN'CHi,3/*;H. e lett.ined.di S.Santa Rosa con append.di lett.di G.C.5t«»>o>ufi',119,Torino,1877).Ugo Foitcolo il 27 luglio 1826 scriveva al Panizzi « Non ho scritto aspettandomi di ve<iere il cavaliere Dal Pozzo,al quale avrei dato la lettera, perch'ei la facesse francare da qualche membro del Parlamento »(L.Faoan, Z>//ere :

ad i4./Vi/j/2z/,3tì, Firenze, 188U). iJiL.C BoLLBA, I>/>ct mesi di ca^^.51. \

Ibidem, h2.

•'))

Ibidem, bS.

>'^

7

}il.LvvoiiK\Tit.K, (i. Pecchio nei moti del '2J,l.c.,S2i.

L.FAdXSj^lt.nd A. l'ani zzi. IH. f¥).


- 56 do londinese era indubbiamente la relazione sua con ilducaWellesley di VVeI]ington,che fu invitato dall'esule piemontese a farsi difensore

dei propri! compatrioti Valdesi (1) e che elogiò, in

piena Camera dei Pari, il Dal Pozzo per una sua publicazioiif d'ar-

gomento inglese (2). il

Perrero, ricordando il disagio finanziario in cui si trovava-

no molti degli emigrati italiani a Londra, e la generosità inglese che con volontarie sottoscrizioni e con diversi comitati raccolse considerevoli soccorsi,si compiace di notare che« anche i più facoltosi fra gli emigrati si impiegarono a tutta possa nella pietosa opera » e menziona « in ispecie il marchese di Caraglio ed il conte Porro » (3). Bene avrebbe fatto ad aggiungere il nouie del Dal Pozzo non abbiamo molti elementi per ciò sostenere,ma :

come vedremo —ancora nel 1831-32 in Parigi egli donava denari e promoveva sottoscrizioni in favore dei fuorusciti poveri. Nella penuria di documenti dei la sua vita inglese abbiamo due sole prove di questa generosità sua in Londra, ma bastano ad inscriverlo nellacategoria dei benemeriti. Una è l'avviso messo nel frontispizio delle Ohservctions sur le regime hypothécaire, nel quale diceva che il libro

— tutelato dalle leggi francesi, es-

sendo-stato edito in Parigi dal Bessange nel 1823 -

ej*a

affidato

alla delicatezza altrui, poiché il provento della vendita era de-

stinalo « au soulagement du malheur » dell'esilio. L'altra dimostrazione della bontà d'animo del Dal Pozzo noi

trovammo in un minuscolo carteggio— forse frammento di altro più importante,e certamente uno dei pochi salvatisi alla dilapidazione del suo archivio,come più avanti si vedrà— con un giovane suo conterraneo, esule egli j)ure nel 1821 per sfuggire alla

condanna a morte.Era questi il letterato GiovanniBattista Testa (I)F.Dal 'P 07,7.0, Lettere a un suo amico succit., lett.IX,21.Vedi il paragrafo 6 di questo Capitolo. (2) Traduzione di un articolo inserito nelF or eì

gn Quarterly Review

di maggio 1834 riguardante un' operetta del tonte Dal Pozzo intitolata:

Della felici tà che gli Italiani possono e devono dal Governo austriaco procacciarsi,e?a Giovine Italia,7n.,Parigi,Cherbuliez,1834:,pp.32 in 8°, posseduta dalla Biblioteca Civica di Torino, Risorg., 111,2,21. (3) D.Perrero, G/« tdt. Reali di Savoia, 411.


G

— 0/ — (l),che, sebbene avvocato,coUivò più le Muse che le Pandette. Au-

tore di una tra*,V(iia I/Olgiati (2) e di un volume di Poes/e, stampati nel 18-29 e nel 1855 in I)oncaster,dove aveva trovalo modo,

insegnando, di campare onorevoln»ente,e compilatore di un Discorso sul sabato e di una Storia delle guerre di Federico 1 (3), il

Testa erasi rifugiato da prima a Ginevra (4), indi a Londra

(ó),a Gravesend (ti) ed a Doncaster (7), dovunque sempre ricordando l'amico Dal Pozzo. A questo. nei momenti critici egli si rivolgeva domandando imprestiti, sicuro di ottenerli anche se a distanza di soli venti giorni l'uno dall'altro (8). La confiden-

za giovanile, espressa con grande freschezza di sentimenti. verso quest'amico maturo d'anni incontralo nella terra d'esilio, e l'amore profondo che sempre il Testa nutrì per lui, onde

sistemali

i

proprii mezzi d'esistenza— lo ricordava con piace-

re e affettuosamente lo invitava a

Doncaster per averlo ospite

nelle sue* non splendide, ma pulite )»camere,sono la miglior te-

stimonianza della condotta altamente amorevole del Dal Pozzo verso gli sventurati suoi compagni d'esilio. E non il solo sollie-

vo materiale egli offriva ad essi, ma anche il conforto morale che faceva sgorgare dall'iinijua poetica del Testa la nostalgìa dei colli

monferrini (0),la protesta contro il Comitato italiano per un ap-

pello alla carità inglese publicatosul Times e redatto informatale da «dare un diploma di

passata mendicità. ..anchea quelli che

[avevano] tira[t|o avanti la propria vita colle loro fatiche *(10), e la confessione delle tristi condizioni famigliari, per cui si sentiva « in obbligo di concorrere anche con poco alla spesa dell'e-

( 1 )

L. Torre, ScrUtori vìon ferrini, 181 Casale M onfena t o. 1 808 ,

:

R

.

a u-

.NBTT,/1 hintory of Italian /;,^7erfl^M^c,881, Londra, ISS.*(2) Vedi il giudizio laudativo che ne diede il Botta, in i\.i\ìA,\^..snnn tu-

tonìo alla viln di Carlo liottn, in Mem.R.Acc. se. Tot-., s.II, t.LIIl, p.l63. '3)G.MAZZ()Nr.//0//oreH/o,in .S/or./<»«.rf'i/a/w,p.ll64,Milano,19l3; A.

yiASSo, In/hrm. sul IV«/m«o, 190. (4) Append.n.l di questo Capitolo, leti. 2 geun.1826. (5) Ihhlom, ìùtt.l ott.1824.

(6; i/>jV//'w,lett.26 sett.— 6 nov.1824. {,!)

— 3 magg. 182G. — ^l ott.1824.

[f>ii/pni, leti. 2 genn.

^8) Ihideni, ìett.l

(d) IhidemMt.i on.l»24. ^l\

fi.:.i.....

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..,,

!<.)«


— 58 — ducazione dei fratelli (1) », sopratutto dopo che suo padre « forse per [su]a cagione [aveva] vi[stoJ anzi tempo l'ultimo suo gior-

no (2)». Il Governo sardo, conosciuta la nuova dimora dell'esule Dal Pozza,temette che anche quivi la coltura e il prestigio di lui si affermassero cosi da dominare persino gli agenti diplomatici, come del resto accadde. Ad evitare questo grave inconveniente, poco dopo il 9 giugno 1823 il conte De La Tour informava il D'Agliè dei precedenti del cavaliere Dal Pozzo. conchiudendo -«Il seroit inconvenable que les ministres du Roi eussent avec lui le

moindre contact sous tout autre rapport que celui de la surveillance qu' ils doivent exercer envers un ennemi commun-et re-

doutable de la légitiniité et dn bon ordre (3)». Ilconted'Agliè,acui le istruzioni superiori vietavano ogni co-

municazione con quanti erano stati condannati per publica sentenza,giusta una nota relativa consegnatagli, non erasi mai creduto in obbligo di chiudere la porta agli emigrati non inscritti nella detta nota.Ond'è che aveva ammesso presso di sé il colon-

nello Ci ravegna (passato poi al servizio dell'Inghilterra), il cavaliere Castiglione e qualche altro; e quindi, non avendo ancora

ricevuto alcuno divieto dal ministro,aveva accolto il Dal Pozzo al suo arrivo a Londra. Pervenutogli poi il dispaccio,il D'Agliè

rispondeva scusandosene con l'ignoranza dei nuovi ordini e proseguiva :«11 [Dal Pozzo] me dit qu' il avait publié un autre livre depuis peu,malgré l'avis des personnes qui lui étaient les plus attachées,et qui avaient cherché a l'en dissuader,maisque,s'agissant de questions purementlégales,il avait cru qu' il ne pourrait encourir aucun blàmeen le publiant.ll me

son

'.

nomma les per-

s,pour lesquelles il avait apporté des lettres de recomman-

dation c'étaient tous des membres de ropposition,mais de ceux ;

qui Jouissent d'une réputation publique et qui pourraient devenir ministres, si un changement dans le cabinet avait lleu... .11 a été chez moi trois ou quatre fois et il ne m'a demandé d'autres

services que de luì préter la Gazette de Turin et de lui procurer (1) iòirfem, p.s. (2) Ibidem,lett.2 genn.1826. (3)D.PERRERO,6rfi ult. Reali di Sav., 403, n.l. La data appare da L.C. BoLLEA,Z)^eci mesi di caì't.,A5, lett.32.


— 59 — l'admission à quelqiies endroits publics où les étrangers sont

admis sans distinclion....Lehazard ui'a faitconnaìtre que parmi les nuances,qui divisent les opiaions de ceiix qu' il frequente, il

a été note par eux pour a^oir soutenu que le Piémont pouvait très bien alter sans constittition (1) *.

Ci pare un po' strana quest'ultima afferuiazione, perchè se vi tu uomo il quale con scritti, con discorsi, con azioni abbia coo-

perato per tutta la sua vita a dare al Piemonte una Costituzione,questi fu proprio il nostro Dal Po?zo:ond'è che noi dubitia-

mo che il D'Agliè in buona fede riferisse di seconda mano al suo Governo una notizia cervellotica. Siccome pochi giorni dopo questo scambio di lettere fra il La Tour e il D'Agliè compariva come vedremo fra poco un nuovo libro di critica del Dal Pozzo, così non vorrei che il lettore

fosse da questo spunto di lettera del D'Agliè tratto in equivoco.

L'«autre livre,depuis peu » publicato,che il D'Agliè qui ricordava,erano le già da me esaminate Observations sur le regime htjpothécaire.U senso di affanno, con cui il D'Agliè le annuncia-

va al La Tour, dicendo che persone,* les plus attachées »al Dal Pozzo, ne l'avevano dissuaso, prova che, se questo era l'^autre livre»,il libro che l'aveva preceduto in ordine di edizione erano i

famosi Opuscoli politico-legali di un avvocato milanese,^ cau-

chemar*dei ministri antecedenti. Del resto, il Dal Pozzo a guisa di * memento » l'aveva ricordato sulla copertina del libro, aggiungendo al proprio nome,come qualifica avvalorante la sua competenza in merito, la dichiarazione «auteurdesOpusco/tetc».

L'affermazione del D'Agliè che,* s'agissant de qucstions purement légales,(il Dal Pozzo] avait cru qu' il ne pourraitencourir aucuti

blàme en le publiant», dimostra da quali sentimenti

fosse animato il nostro profugo in questa sua produzione di critica scientilica degli ordinamenti patri i(!:2).l'>a tanto l'amoresuo

verso il proprio paese che, anche lontano e con la convinzione di

non più ritornarvi, egli sentiva il bisogno di consacrargli e-

nergiL' intellettuali e fior di quattrini per le spese di stampa e di

divulgazione dei volumi

!

(1)D.Perkbro,G/ì ult.Reali diSav.,\()'.'',u.\. (2) F.Sci.opi8,<Si/or. ddla legis.pìem., in Mem.H.Acc. se. jror.,(1861ì,8.II,. t.XL\.p.;i3.


- 60 Lannimcio tremebondo di questa opera teorica del Dal Pozzo rivelavachiaro che non il contenuto,marautore,eiauno )!.

stecco negli occhi dei ministri piemontesi. Giustificata apparve

quindi l'intonazione polemica delle Observations sur la noiivelle organisation jiidiciaire étahlie dans les états de S.M.le Boi de

Sardaigne par Vedit du 27 septemhrel822 edite poco dopo.Scrittoin francese,questolibro— composto nell'esilio ginevrino (1) vide la luce a Londra, nella tipografia di Richard Taylor, in una

edizione nitida di caratteri e decorosa per carta.

Appena le nuove Observations furono edile, l'ambasciatore sarche per il Dal Pozzo aveva una do, conte San Martino d'Agliè non dubbia simpatìa, come appare dalle sue ulteriori relazioni con luì, non ostante il divieto del proprio Governo (2) ,scriveva il 12 settembre 1823 al ministro: «Je me fais un devoirde transmettre à V.E. un exemplaire d' un ouvrage, que M. le chev.Dal-

pozzo vient de publier à Londres.II est écrit dans le méme style que les précédents.Quoiqu' il n'ignore pas mon opinion sur sesdifFérentes publications,il m'a cependantadréssé deux exemplaires de cette dernière,accompagnés d'un billet,dans lequel il

me dit:" Comunque io faccia, bene o male, a far l'opposizione, non ne slate informato ,,.C'est un bien étrange travers que celui dans lequel il io non debbo stampar qui un libro, che voi

s'est jeté et dans lequel parait vouloir. perse vérer (3) ».

«Écrit dans le méme style que les précédents » dice il D'Agliè nuovo libro del Dal Pozzo: ma a noi ciò non pare,perchè in esso v'ha innegabilmente un sapore aggressivo contro i ministri,ehe gli altri suoi scritti precedenti non contenevano. Non li aveva mai elogiati, ma ora anche la lode peri principi dava all'autore occasione di dir male dei loro consiglieri. Così scriveva che, dovendo il

— a meglio criticare ziaria

il

nuovo editto per l'organizzazione giudi-

— richiamarsi a disposizioni legislative di antichi conti e

{l)'L.C.BoL,hKA,Lariv.piem.del'21 nel cart.diun 6o/.,lett. 6 aprile 1823. Vedi pure Append.B del capitolo precedente. (2) Ancora nel 1831

il

Dal Pozzo, da Parigi, inviava in omaggio al D'A-

gliè i proprii scritti (L.C.BoLLEA,Z)/ea mesi di car^., 106, lett. 67 del Regesto) e nel 1838 lo difendeva in uua lettera a Carlo Alberto (Append.9 della Parte IV (1/ ritorno di

Ferdinando Dal Pozzo in patria), di prossima

edizione. (3) D.Perrero,(?Zi ult. Reali di Sav.,AQ\, n. di p.403.


()l

duchi di Savoia, « son coeur se trouva ainsi soulagé de ce qu' if y avait d'inj?rat daos le dit travail,en voyant que [il] elevai [t] en

ménie temps un monument à la sagesse de celle auguste faniille.[ll] n'en pfeulj rien,si le

public dira

:

pourquoi n'a-t-elle plus^

de ministres et de conseillershabiles,commejadÌ8?». Continuan-

do su questo tono, il Dal Pozzo diceva i consiglieri moderni così poco saggi,clie i Piemontesi erano ormai disgustati delle loro innovazioni, con lequaliavevanosciupato le migliori istituzioni.

E prevedendo da parte dei flagellati la solila accusa di ribelle agli

ordini del Re, il Dal Pozzo, fiero della propria fede devota

e inalterata nei principi sabaudi, distingueva due lati nelle leggi

:

quello di comando del sovrano al quale si deve obbedienza,

e quello astratto «li scienza. Questo secondo è discutibile, ed

il

Dal Pozzo,* ayant fait de l'étude et de l'application des lois l'oc-

cupation de toute [sa] vie», si credeva in diritto di discuterlo,

anche se non avrebbe lasciato « dormir sur un Ut de roses des ministres et des conseillers de la couronne,qui ont prétendu tout coneentrer en eux (1)».

Anche questo regio editto del 27 settembre 1822 porgeva all'antico « avvocato milanese »,clie aveva rivelato tanta prepara-

zione nel criticare l'ordinamento giudiziario del 1818 invocan-

do riforme positive e concrete (2), l'occasione di svolgere tutta una teoria giuridico-scientitìca, ricca di note storiche, preziose per la storia del Piemonte specialmente sotto il regno di Carlo Felice.

Dopo una discussione sul preambolo dell'editto, in cui trova modo di augurarsi che ministri nel redigere tali atti siano in i

avvenire più sinceri, il Dal Pozzo esamina i vantaggi che la ri-

forma giudiziaria si era proposto di apporta re,dimostrando quando, e fino a quale punto, essa vi fosse riuscita e quali vantaggi reali

importantissimi avesse omesso di procurare.

Questo era il giudizio spassionato che il Dal Pozzo dava della riforma giudiziaria effettuata nella sua cara patria (3),ed era sin(

1 ) Prefazione delle Obsercat.surla nouvelle organisation judiciairt etc.

(2)Ve<li

Ferdinamlo Dal Pozzo prima del /«i?/,cap.III,§ 2. Ragionamenti quat-

(3) L.Anoeloni, Z)€//a forza nelle cose jxttitiche

tro. . . dedicati all' Italica

Nazione, p. 20, n. IH, Londra, app. l'Autore, st. G.

8chulze^lU26, 8Ì nerviva di quest'opera del «dotto e rinomato italico giurista >,per combattere le istituzioni monarchiche.


— 62 cero e franco. Invero egli,divenuto « citoyen lemporaire de l'Angleterre», ormai si sentiva sicuro e indipendente, perchè le leggi restrittive piemontesi non lo potevano toccare, e perchè l'In-

ghilterra liberale concedeva agli stranieri tutti i diritti goduti

dai suoi cittadini (1), Il

conte d' Agliè ancora una volta, il 7 ottobre 1823, scrivendo

al La Tour,aveva occasione di discorrere di quest'opera del Dal

Pozzo

:

« Je crois de

mon devoir de rendre compte a V. E. d'une

entrevue, que j' ai eu avant hier avec Mr.le chev. Dalpozzo. Il a

dù se présenter chez moi pour obtenir un certificat de vie qui lui était nécessaire pour retirer quelques rentes en France. Je pris

cétte occasion pour lui parler de son dernier livre je lui fis re:

marque en general qu'ayant cultivé tonte sa vie et avec succès l'étude de la jurisprudence.il ne devrait pas employer son loisir

à publier des ouvrages éphémères et de circonstance, mais plutót s'occuper de quelque grande question legale et la traiter en

grand, sans s'attacherà des minuties et des localités et surtout

sans y mettre de la passion et des personnalités....Pour ce qui regarde son dernier ouvrage, je lui fis remarquer quelques passages qui peuvent discréditer notre pays dans l'étranger et qui

doivent nécessairement indisposer le gouvernement de S.M.toujours davantage contre lui.Je lui répétai que d'après les ordres,

que j'avais reQu,je me trouvais obligé à ne plus le voir,et que comme ancienne connaissance,je regrettais sincèrement qu'il se fùt place dans une position qui nous éloignait décidément l'un •

de l'autre. Il me dit que quant à la position dans laquelle il se trouve placé,ce qu'il avait le plus à se reprocher, c'était de n'avoir pas suivi le conseil que Mr.le ch.Gholex lui avait fait don-

ner,de ne pas demeurer à Genève.

. .

.Quant à ses dernières publi-

•cations,il m'avoue qu'accoutumé à lire etàécrire presque tonte

sa vie, cette occupation était devenue son seni délaissement. Il

me dit que cependant,il ferait ses réflexions sur les observations que je lui ai faites sur ce su jet,et il ajouta qu'il croyait pouvoir m'assurer dès à présent que s'il publiait quelque chose à l'ave<nir,ce ne sera pas dans le genre de ce qu'il a publié dans ces

dernières années.Je désire qu'il tienne parole. Son dernier ou-

(1) Prefazione di Observ.sur la nouv.organ.judic.


— 63 — vrage se vend ici,mais comme le sujet et la manière doni il a traile sont d'un intérèt purement locai Je ne pense pas que ce li-

vre aura une grande circulation ni ici ni ailleurs (1) *.

A Londra le Ohservaiions sur la nouveìle organisation judinon potevano aver fortuna, poiché « le sujet et la manière dont il a traité [elaie]nt d'un inléret» non inglese, e « ail-

ciaire

lieurs » ebbero uguale insuccesso, perchè le mene della diplomazia sarda ne ottenevano il boicottaggio. (ìosì l'S ottobre 1823 il Dal

Pozzo scriveva da Londra all'amico Balbis a Lione

:

* Uscì final-

mente alla luce il mio libro Observations sur V organisation ju(liciaire nouveìlement introduite duns les États de S.M.le Boi de Sardaigne.Ne mandai un pacco a Parigi,e il librajo Paschoud, mede Seine.a cui lo indirizzai, mi avvertì che il Comitato di censura (il quale io credo stabilito a bella posta e unicamente per l'introduzione de' libri forestieri),dopo averlo trattenuto cinque giorni,gli diede ordine di riesportare i libri che conteneva fuori

del Regno (2) ». 3.

— Furono gli amorevoli consigli del conted'Aglié ad in-

durre il Dal Pozzo a ritirare dalla circolazione la nuova opera, edita un anno dopo,riel 1824,in Londra ? il

pure l'ira sua contro

patrio governo si veniva smorzando col volgere del tempo?

O infine le lusinghe di Londra e della vita inglese lo dominarono cosi da fargli amare la nuova terra da lui prescelta e desiderare una dimora tranquilla (3), nella quale non pervenisse nep-

pure più l'eco delle recriminazioni della Corte piemontese"? Certo si è che il cavaliere di Castellino scriveva

una terza serie di

Oòseri'aWons, minacciando cosi di ripetere sotto il re Carlo Felice

quanto aveva fatto con </li Opuscoli iwlitico-legalì ai tempi di (1) D.Perkkuo,G/< ('2|

ultimi licali di Ò'af.,4o4-406,cont.della n.di p.403.

L. C. Boi.LKA, Im riv. piem.del 1821 nel cari, di un'bot. lett, 8 otto-

bre 1823, (3)< Vivo in canipagna,e se mi dolessi del clima di Londra, quanto a me

avrei torto.Le [picjcjwe inglesi sono bellissime ri anni di

;

ma bisognerebbe aver va-

meno per piacer loro.Ond'io le evito,come fuoco, e mi contento

dei piaceri più confacenti alla mia età

:

mangiare, bere, dormire, passeggia-

re,chiacchierare quando posso, leggere e scrivere. Ma in quest'ultimo articolo mi sono moderato assai » [Arch.Dal Pozzo, MotitebeUo,Sez.l[Carte I)(d Pozzo], Lett.di F.Dal Pozzo al nipote Seba8tiano,n.88,Londra 7 settembre 1824).


— 64 Vittorio Emanuele l,quando ad un primo ne era seguito un se-

condo,epoi un terzo e via dicendo sinoalla vigilia della di lui abdicazione al trono; ma questa volta parve volersi arrestare nell'impresa.

Observations sur un nouveau et vaste pian d^impóts commur

naux sì intitola la nuova opera, com'egli scriveva in forma di appunto nel suo copialettere.il Dal Pozzo ne inviò copia solo l'il ottobre 183,1 al notaio Calza, all'avvocato Giacomo Giovannetti

novarese, a Pier Dionigi Pinelli e al nipote del dott.Gastone,don Baruffi professore di filosofìa nelle scuole S.Francesco da Paola di

Torino (i), Così, sette anni dopo la stampa, il Dal Pozzo poneva in circolazione questo suo libro, dando incarico al nuovo editore parigino e ginevrino Cherbuliez di venderlo insieme con le altre sue publicazioni (2), mentre prima ne

aveva fatto tenere co-

pia alla sola moglie « per seppellirla nei [suo]i archivi » di Mon-

calvo (3). Il

titolo è abbastanza significativo, per cui è possibile conget-

turare il contenuto di questo scritto del Dal Pozzo, sebbene non

possiamo farne un esame minuto, poiché non ci fu dato di trovarne copia nelle biblioteche torinesi. Qualche notizia ce ne fornisce però una sua lettera da Londra, 12 marzo 1824,al giurista ginevrino Billot (4), nella quale do-

po aver discorso di vari altri lavori

— scriveva

:

« J'ai

main-

tenant la téle fortement préoccupée de certaines lettres-patentes royales,qui ont été publiées en Piémont très-recemment conce r-

nants les octrois communaux.J'ai les plus funestes présages sur les suites de ces lettres-patentes, qui ouvrent, suivant-moi,une

nouvelle mine d'impositions bien desastreuses pour le pays». Così anche l'intonazione della critica del Dal Pozzo ci è nota

:

egli vedeva compiersi per causa dei pseudo-liberali ministri di

Carlo Felice una nuova rovina della propria patria, e dava l'allarme. Ma gli occorreva avere a tale scopo gli elementi sicuri, e perciò continuava a dire al Billot (1) L.C. BoLLEA, Dieci mesi di cari. ,20 e

:

« Les lettres-patentes

pu-

106,lett.64 del Regesto e 16 del

Carteggio. {2) Ibidem, ÌOQ lett.60 del Regesto.

(3) L.C.BoLLEA,

La riv.piem.del'21 nel caìi.diun 6o^.,lett.22 nov.1825.

(4) Vedi Appendice 5 del capitolo precedente.


— tJÒ bliées en Piémont,que j'ai viies ici sur une gazelte de Turin,porlent la date du ^7 novembre dernièr:.je voudrais vcdr ce qiron

a i>ublié en Savoie d'analogue,sous la mènie date, ou sous une

date differente, ce qui arrive quelque fois, parcequ'on fait lou-

jours deux originaux distincts,run italien.l'autre franca is pour la Savoie,et quelquefois il y a

mème des dififerences essentielles

enlre les deux textes.II vous est sans doute très-aisé d'avoir une

copie de ces leltres-patentes,de celles qu'on imprimenten feuilles, parceque la

réimpression dans les volumes du recueil,que

vouz connaissez,est toujours plus tardive,et.je vous prie en consequence de ni'en faire faire une copie littérale en petits caractères et en papier fin pour que le pori n'en soit pas trop coùteux et de me l'envoyer au plutót possible ».

Perchè il Dal Pozzo,dopo aver stampato questa terza serie di 0b8ervation8,\e abbia tolte dalla circolazione, per rimettervele so-

un mistero. 4. Una lettera del !2;2 novembre 1825 del nostro cavaliere dal prindi Castellino al solito amico Balbis ci rivela ch'egli

lo sette anni dopo, è per noi

•«

cipio dell'agosto [era andajto in Scozia e che [aveva] preso casa

per sei mesi ad Edimburg(l) ». Per quale causa avesse mutato

domicilio ["1) non ci è dato di poter conoscere pare però che non :

vi fossero motivi particolari che lo inducessero a tornare a Lon« Dopo tal tempo cosa da me si farà, non Ondeggio tra il rimaner qui, il ritornar a Londra o l'andar rifugiati sono più che a Bruxelles, dove pretenriono dire che

dra. Infatti continuava

:

si sa.

i

tollerati, cioè accolti e

protetti ».

Stanco della solitudine, poiché in mezzo ai fuorusciti italiani di Londra e di

Edimburgo egli si sentiva a disagio (3),troppi an-

ni correndo fra lui ed essi, e forse perchè egli era uno spirito libero in mezzo mi anime settarie, il Dal Pozzo de.««iderava vivamente la

compagnia di Pi«*r Bernardo Marentini, canonico torinese ed ex(1) Il 5

marzo 182G scriveva ancora da Edimburgo alla nipote Carolina

Dal Pozzo {Arch. Dal /*ozzo,8ez.I [carte Dal Z'ozzo], le tt. di Ferd. a Sebaat* n.54). \2) Nel 1824 il Dal Pozzo abitava in Londra in Alpha Road,3l,Regent S.Park ìbidem, n.dS). (8) « Il desiderio di vedere [Sebastiano] più felice che io non sono, mi ha fatto tra8corrorp questa digressione» (Ibidem,n.dS). {

:i

Ri»org.,l'ì

5


— m— capopresidente della Giunta di governo nominata dal Reggente nel 1821. Perciò aggiungeva

:

« Se, nella quasi

certezza che du-

rante il regno di S.M.Carlo Felice non ci sarà permesso di ricovrare in Piemonte, il canonico si disponesse ad andar anch'esso

a Bruxelles

— dove,al dir di tutti quelli che colà risiedono,si vive

eccellentemente e a buon mercato,in una bellissima città, senza molestie della polizia,ec.ec.

— sarebbe anche per me un grande

incentivo ad andarvi. Vi si parla generalmente francese; poi cre-

do che per tutti gli altri rispetti è una città assai più piacevole ad abitare che Lione», dove abitava il Marentini (1).

Neppure in séguito a questo invito il Marentini abbandonò la prima sede prescelta nella fuga dal Piemonte e dalla quale come vedremo più innanzi non si mosse se non nel 1831 per

tornare in patria,graziato inpartibus dal Sovrano. Ed

i 1

Dal Pozzo,

scartata quindi U» dimora di Bruxelles, non esitò ad optare, fra Edimburgo e Londra, per quest'ultima, che più d'ogni altra terra lo seduceva dopo la rinuncia forzata alla « ex-patri a. Poiché come nominar patria ancora « il paese che[lo] respinge[va] ? ». Egli non ne aveva in quel torno di tempo «alcune particolari notizie [era] un paese stagnante, in cui sempre più si aumenta:

[va] ciò che negli stagni occorre[va]. L'Inghilterra [invece era]

una limpid'acqua,che corre[va], irriga[va], feconda[va] e da[va] vita. Che danno però,che sia così difficile il parlar la lingua del paese e il sostenere la spesa che si esige per far una vita mezzanamente comoda (2) ». Forse erano questi motivi che l'avevano allontanato da Londra ? Non crediamo, perchè ad Edimburgo non trovava di sicuro una lingua più facile della inglese e perchè, tornato a Londra, vi menò poi una vita ben più che « mezzanamente comoda». In!

i

vero il pronipote cavaliere Alfonso, vivente oggidì a Firenze, ri-

corda che la« zia inglese »,cioè la seconda moglie del Dal Pozzo, e amici inglesi, svernanti in Italia, rievocavano certe serate fastose in casa del nostro Ferdinando,alle quali interveniva tutta Véìite londinese della politica, del sangue e dell'ingegno, serate degne della casa dei grandi signori inglesi.

(l)L.C.BoLLEA, La riv.piem. deV2t nel caH.di un &o<a7i.,lett. 22 novembre 1821. (2) Ibidem.


- 67 — £diinhur(?o fu suo soggiorDo più lungo dei sei mesi stabiliti : infatti Gio.l^atlisla Testa ancora il 3 maggio 1826,da Doncaster, si indirizzava a lui ad

Edimburgo. Il giovane lo invitava

— se

aveva rinunciato alla « gita a Manchester ed a Li ver pool, perchè... piene di tumulti e di miserie»

— ad andare almeno «a Doncaster,

dove tutto e[raj in calma e senza alcun sospetto di turbolenze » ed a « visitare le manifatture « a Sheffield, [dove] n' [erajno delle stupende, ed a Lud ».

Vi andò il cavalieredi Castelli no,accettando l'invito del grato

compagno d'esilio,chegli offriva « una stanza o due vicine alle [su]e,non splendide,ma pulile,e buon letto »perfare con lui,«-come diversi Piemontesi, alcun poco penitenza» (l)f Noi non lo sap-

piamo certo (>erò il 2 ottobre I826scriveva da Dublino alla con:

tessa Gabriella Compans di Brichanteau,nata Di Pralormo> Je

suis parti pourallerpasserquelquesjoursdansdifférens pays de

rAngleterre,etmaintenant.je me trouve en Irlande,où la beauté

du pays et plusieurs invitatiuns me retiennent,de sorte que je ne serai de retour à Londres, od est mon domicile fixe,que vers la tin d'octobre,ou au commencement de novembre (2)». Il Dal Pozzo fu adunque un esule il quale colse l'occasione della dimora in Inghilterra per accrescere la propria coltura con una conoscenza profonda della vita economica e sociale di quel paese,che i liberali italiani si erano posto da lungo tempo davanti coipe miraggio. Attestazione sicura di altri suoi viaggi attraverso il

mondo

britannico è una lettera del tìdato segretario Giuseppe Mico,che gli amministrò

esilio. Il

il

patrimonio in Piemonte durante il lungo suo

29 settembre ISiW narrava questi al conte Sebastiano

:

* Quanto al di Lei zio,egli mi scrisse in data 13 andante da Tun-

bridge Wells

:

" Fo un giro sulle coste di mare. Fui a Margate,

Itamsgate.Dover.Hastings ed ora sono a Tunbridge Wells,e fra quattro o cinque giorni sarò a Brighton.Il mio giro, il quale fo per rinfrancare la salute, la quale è.jrrazie a Dio, in un lodevole stato, sarà di circa un mese. Da qualunque luogo io vi scriva voi

dirigete sempre le vostre lettere a Londra .,.11 predetto signore è (1) App«nd.I,8 maggio 1826. l2) Arch. Dal Pozzo in .yfontehello,Sez.l (Carte dal Pozzo"*, Mise. VI, n. 4,

Ieratiche ili off mi Scdntinjti-Moìiiile-Iirirhaiitetni.


- 68 sempre nell'idea che l'Inghilterra sia il solo paese a lui convenienle,soggiungendo " Lo stato di Francia èancora Iropponuo:

vo e il Belgio vedete come è a soqquadro ,, (1) ». 5.

— « Dopo quel nato-morto pamphlet delle Observations »

8ur un nouveau et vast pian dHmpòts communaux,ì\ Dal Pozza « non aveva più pubblicato nulla, ma [era] gravidissimo » di lavori (2).

Laliberaleospitalitàinglese,l'aristocraziadiconsuetudini,rintiraità dei rapporti con le famiglie più illustri e con gli uomini

politici più notorii avevano tanto conquistato l'animo del nostro-

esule, eh 'egli

— penetrato nello spirito del paese — con profonda

competenza trattava di argomenti politici locali.

Da un terzo di secolo in Inghilterra si discuteva sulla questione cattolica. I ministeri ne avevano fatta uno dei capisaldi della loro politica, e i giornali si battagliavano. Da un lato i grandi

nomi di Pitt, Fox, Buike, Canning

;

dall'altro lord Liverpool,El-

don,Peel, seguiti dal sentimento inglese e dai protestanti irlandesi unanimamente contrari alle domande dei cattolici. Pitt nel nel 1801, pur non volendo una «unconditional and unqualified e-

mancipation»,avevadovuto rassegnare al re Giorgio lille dimissioni del suoministero, dopo avergli indirizzato il 31 gennaio una nobile lettera in difesa delle libertà cattoliche irlandesi (3). Quattro anni dopo,ii 19 maggio 1805 aveva pronunciato

un impor-

tante discorso mantenendovi sempre le stesse idee (4). I ministeri successivi avevano tutti dichiarato essere questo il problema più vitale e più importante dello Stato, ma non una questione ministeriale, per evitare crisi di gabinetto. Si erano accontentati di

concedere ai cattolici irlandesi provvedimenti strappati con agitazioni e molte volte intempestivi, e di tollerare una serie di

abusi per cui i vescovi in Irlanda erano nominati dalla Corte di

Roma su proposta degli Stuart pretendenti al trono inglese.e a Du(1) Ibidem ,Misc.X, n.2,Mico a Sebastiano Dal Pozzo,29 settembre 1830. (2) L.C.Boht,EX,Lariv.piem.del'21 ntl cari. di (3)

un 6o^.,lett.22 nov.1825.

Fu ristampata in De la uécessité très -urgente de soumettre le Catho-

licisme Romain en Irlande à des règlemens civìls spéciaux pai- le comte Ferdinando Dal Pozzo etc,xiii-xvii, Londra, Rolandi,[G.Schulzestamp.],.

1829. (4) i6idem,xvin-xix.


— 69 blino funzionava un'associazione cattolica, che faceva leggi, applicava pene e giungeva tino a boicottare i ministeri del re! Pilt solo aveva fatto qualche cosa di grande con l'unione dell'Irlan-

da alla Gran Bretagna, ma non aveva potuto integrarla con i necessari provvedi menti, perchè paese e re erano stati a lui contrarissimi.! ministeri, che gli erano successi, non avevano fatto nulla né di favorevole né di utile ai cattolici. Il Dal Pozzo, che riteneva per più

te

molivi di poter prendere par-

a questa disputa politica inglese, pur essendo uno straniero,

nel 18:27 puhiicava un'opera dal titolo Catholicism in Austria:

|or,|an Epitome\ofte\Austrian Ecclesiastical Law ;\nith a Disaertation upon the Rights and Dnties\ofthe Euglish Government, \tvith resped to the\ Caiholics o/" ire/and (1). Questa opera riappa-

riva due anni dopo, in veste francese (2),a Bruxelles,con il titolo

Le Catholicisme en Aiitriche.ou abregé dn droit eccesiastiqtie autrichien,avec un dissertation sur les droits et les devoirs duGou-

verncìnent anglais envers les catholiques d'Irlande (3). In tale occasione il Dal Pozzo

— quasi come

plus ampie développement » del precedente

« unesuite,ou

un

— publicava un altro

scritto De la nécessité très-urgente de soumettre le Cathocilisme ro-

inain en Irlande à des régìemens civils spoeta uà; (4). Un 6t7/,se-

condo il Dal Pozzo contrario ai catlolici.approvato dalla Camera dei Comuni, stava per passare il 4 aprile 1829 in seconda lettu( 1

ìByCount F erdinando Dal PozzoJ late maitres des requète8,anrf First

Presideìit of]the Imperiai Cour of Genoa, fj>ndra,3 MuTra.y ,[ata.mp.'W Clo.

were], 1827, pp. 252 in 8». L'unico esemplare che conosciamo è nellaBiblio-

teca della R. Accademia delle scienze di Torino, di provenienza F. Sclopis, come la dedica dell'autore dimostra. (2} lì

Dal Pozzo scriveva il 14 maggio 1889 al conte Nomis di Coesilla,

inviandogli una copia di Ije Catholicinme eu Au(riche,che questo < futpublié à Loudres,et en anglais en 1827. et ensuite,par les soins obligeans de

Mr Van de Weyer, ministre maintenant de la Belgique à Londree,publié en tran ,ai9 à Bruxelles en 1829 » {Museo naz. del Risorg.it.di Torino,Ca/<i/.-<////J</,n. 137-138).

(3)

Bruxelles, P.J.V'oglet,1829,pp.248 in 16».

(4) Première livraÌ80D,Londra,Rolandi[Schultce8tamp.],1829,pp.xxxil-

250 in 8". Ne trovammo una copia presso il discendente nobile Don Alfonso Dal Pozzo di CaHtellino e San Vincenzo a Firenxeed un*altrs,di provenienza C.Oazzera-Sclopis, nella Biblioteca della R.AccademiA delle Scienze di Torino.


— Torà davanti ai Lords, non ostante che la presidenza del Ministero fosse tenuta dall'irlandese Arturo Wellesley duca di Wellin-

gton (1). Siccome nella di lui « energie, qui le caractérise »,il Dal Pozzo grandemente confidava (2), perciò lanciava la nuova publicazione.

In questi tre scritti riguardanti l'Irlanda l'autore rivela una

profonda conoscenza del diritto ecclesiastico, per cui possiamo affermare che la coltura giuridica dell' « avvocato milanese era »^

compiuta in ogni sua parte. Ricordando come da quando il Cromwell debellò con crudeltà l'Irlanda (1649-51) a tutt'oggi 1918 questa terra infelice non abbia

ottenuto mai la piena autonomia, per cui alla vigilia della grande

guerra attuale ancora lottava per quel « Home rule » che fu già

causa della caduta dal potere di Guglielmo Gladstone,non ci meravigliamo che, il Dal Pozzo, dimorando in Londra, abbia partecipato ai dibattiti per la libertà irlandese.il trattamento usata

dall'Inghilterra verso l'isola sorella era dei più iniqui

:

spogliati

gli abitanti dei beni,essa li aveva costretti a vivere poveramente come semplici affìttuarì'e

contadini, a pagare le tasse eccle-

siastiche per mantenere la Chiesa anglicana, perseguitandoli in

aggiunta per indurli ad abiurare il cattolicismo.Le rivolte a nulla

erano servile

:

ancora i Feniani non avevano agito in prò' del-

la libertà irlandese.il loro terrorismo più tardi, nel 1869,costr)n-

gerà a porre fine alle persecuzioni religiose e ad abolire le ini-

que tasse ecclesiastiche, ma ciò non è ancora tutto. Vivaeraperciònell8271aquestionereligiosaintnghilterra,edil Dal Pozzo interveniva nel dibattito con questi suoi scritti, dichia-

rando «aux amis etauxennemis de l'emancipation catholique», che come straniero la sua partecipazione poteva parere arroganza,

ma come cattolico e sopratutto come studioso che altra volta

si era occupato dei

rapporti fra la Chiesa e lo Stato,era più che

naturale una sua propria opinione.

Un primo errore degli Inglesi era di credere che un cattolico (1) Nato a Dublino nel marzo 1769,fu grande generale in

India, nel Por-

togallo,nella Spagna e a Waterloo, poi uomo politico, presidente del Consiglio dei Ministri dall'S gennaio 1828 al 16 novembre 1830, e mori a Wal-^

mer Castle il 14 settembre 1852. (2) De la necessità, \).ui-\v.


— 71 — slraniero.considerandoda vicino le condizioni della Chiesa cattolica irlandese, potesse giudicarne opportuna laemancipazione

completa,che cioè sì accordassero ai suoi proseliti tutti

i

diritti

politici, senza alcuna limitazione. Sul continente europeo tutti de-

sideravano ciò, liberali perii principio del la piena libertà, gli ani

tiliberali

perchè ne speravano vantaggi. In Inghilterra la quasi

totalità era contraria a qualunque concessione. Ed in Irlanda un

buon nucleo di cattolici slessi non volevano troppa libertà, perchè temevano che per mezzo del cattolicismo si affermasse il dispotismo. Il Dal Pozzo non era d'accordo con nessuno di costo-

ro,ma con l'e.x-rainistro Pitt. Egli infatti non approvava né lo stato persecutorio contrario

ad una sana dottrina liberale, né l'assoluta emancipazione come troppo pericolosa, e suggeriva un metodo graduale per arrivare alla

completa libertà. Questa si poteva ottenere concedendo il

pareggio dei diritti politici e civili fra cattolici e protestanti, ad eccezione della entrata dei primi in Parlamento da aggiornarsi sino alla constatazione degli effetti delle concessioni ac-

cordate. In pari tempo la legi.slazione inglese, in vece di respingere sempre il cattolicismo,doveva tendergli una mano protettrice,

pur mantenendovi il controllo governativo, non in virtù di un concordato, ma per l'incontestabile diritto di sovranità dello Stato.Sbarazzatoilcattolicismodelle molte superstizioni edelle pretese esagerate della Corte

romana, la legge inglese avrebbe re-

golato l'esercizio del culto, di cui,* par rapport à la police exlérieure »,il re d'Inghilterra avrebbe dovuto essere il capo, come lo è dell'anglicanismo: tutte riforme che il Dal Pozzo riteneva

conseguibili senza danneggiare né la libertà dei cattolici, né la

sostanza della dottrina religiosa di H()ma,cosa per me discutibile.

Ma,a fare tutto ciò,occorreva agli Inglesi una maggiore e più profotjda conoscenza del cattolicismo nella sua struttura ed im-

portanza (l):e perciò il Dal Pozzo offri va, nella loro lingua, un e-

same generai della Chiesa cattolica sotto l'aspetto della organizzazione e del diritto ecclesiastico che la regge. Chiarite

le fonti

del Cattolicesimo e del |K)tere papale, fra le

quali egli ricordava le fahsi decretali (risidoro,operadi un* im-

ì)f^ CathoUcùme eu ilr'/r{cA«,i*re&z.daUta il 14 gennaio 1827.


— 72 — posteiir» che volle «éleverextraordinairemenl le pouvoirdu pontife romain»(l),il nostro autore indagava l'origine della potenza

ecclesiastica e la sua natura, affermando che la suprema autorità in materia di fede non spettava al Pontefice,

ma al Concilio

dei vescovi. È vero che ancora non era slato proclamato il dog-

ma deirinfallibilità papale, ma è certo che il Dal Poz70,così scrivendo,era un cattolico non supinamente docile alla Chiesa. Con-

tinuando di questo passo,egli ricordava che

i

primi Concili ecu-

menici si erano raccolti per ordine degli imperatori in veste di avvocati della Chiesa ed erano stati ind.etli, non dal vescovo di

Roma con autorità di primate, ma da tutto il Collegio episcopale e con il consenso dell'autorità civile. Specificati i diritti essenziali,gli acquisiti,gli avventizi e i con-

troversi del Papa

— nati questi ultimi dal

monarchie absolue »—

,

il

« faux principe de là

Dal Pozzo scendeva lungo la scala ge-

rarchica, studiando i cardinali, le loro congregazioni, i legati apostolici,! vescovi, i coadiutori e i vicari episcopali, i capitoli delle cattedrali, i generali e

i

provinciali degli ordini monastici, i

curati; e in questo suo studio si serviva delle condizioni della

Chiesa nell'Austria e delle limitazioni quivi impostele dalla legislazione civile.

Fra i vari paesi cattolici il Dal Pozzo aveva scelto come modello l'Austria, perchè essa gli appariva come la meglio organiz-

zata sotto l'aspetto dei rapporti fra Chiesa e Stato. Liberale schietto,egli enunciava il suo parere circa questa

spinosa questione,

dicendo « que Fune de ces sociétés peut exister à coté de l'autre

;

que l'un et l'autre pouvoirs,civil et ecclésiastique, subsistent par eux-mémes et sont indépendans(2)»;anzi chiariva rapporti loro in nove leggi e negava la fondatezza del potere temporai

le (3).

Infine chiarite le mutue relazioni 3ei diversi culti basate sulla tolleranza (4), il Dal Pozzo esortava calorosamente Irlandesi

ed Inglesi, cattolici e anglicani, ad accettare il suo disegno, che

aveva segnato col proprio nome, anziché con un comodo pseu(l) Ibidem, \d. {2) Ibidem, d9. (B) Ibidem,108-lVÒ.

(4ji&idem,l47.


- 73 — doninio per dare una garanzia ch'era opera di scrittore competente. « Accoulumé à faire des sacrifices au bien public », il Dal

Pozzo si esponeva così alle eventuali « traeasseries * e «à deplaire aux deux partis » liberale e conservatore H Kpur di cooperare

alia soluzione dello spinoso problema.

Per quanto gli Inglesi « non si poftesseroj persuadere che uno straniero sapfesse] vedere bene addentro e giudicare rettamente le

loro cose (^2) »,il libro del Dal Pozzo non passò inosservalo in

sappiamo infatti che,in séguito ad un giudizio dail -2^ giugno 18:27 scriveva una lettera che compariva sul giornale il 30 delk» slesso mese (3) con il titolo Bemarks on MS Piti 's Letter to His Late Majesty, concerning Catholic Emancipati on,dated Jantiary 1801 (4). Il duca di Wellington, primo ministro in quel tempo,e diversi altri membri del Parlamento inglese lodarono il Cutholicism in Inghilterra

:

tone dal Times, egli

Austria (5). Il Foreign Quarterly ^e»rten' (6), prendendolo in esa-

me, ne censurava invece il sistema e pretendeva che il cattolicisrao in Irlanda non dovesse essere per nulla ristretto né regolalo da leggi civili, né nella disciplina del culto esterno, né nella

corrispondenza con Roma, né nell'insegnamento ecclesiastico,

né nelle comunità o corporazioni religiose, né nella giurisdizione che l'autorità ecclesiastica esercita, insoiijma per niun rispetto. La rivista inglese, per scrivere questa confutazione, si fonda-

va essenzialmente su due dati

:

la condizione speciale dell'Irlau-

(ì j Ibidem, p.v.

(2) AppeDd.n.l,vni di questo Capitolo, lett. 5 febb.1825.

(3; (F. Dai. Pozzo] , Tiaduz.di un artic.del

«ForeignQuarterlyRe-

wiew »,p.lO,n.di p.9. (4)F.Dai. Pozzo, De la necessità très-urgente etc.,p.xx-xxix. i5)[F.Dal Pozzo], Traduz.di un artic.,9,n. Non si comprenderebbe quindi il biasimo di F.ScL.OPìS,St. della leginl.del Piem., in Mem.H.Acc. «r. Tor., 1861, 8. II, t.XIX,49,n.2:« Le idee ristrettive del Dal Pozeo non vennero per nulla apprezzate ed accolte né dal Parlamento, né dal ministero, ed il duca di Wellington rispondendo ad una lettera di lui non gli la.sciò il minimo dubbio che egli si fosse male apposto con quel huo tratto di zelo governativo *, se non si pensasse che lo Sclopis ciò dice, dopo

di aver elogiato tutti gli scritti del Dal Pozzo precedenti allo studio criti-

co anWKdit di S.M.le lioi de Sardaiyne, perché questo nuovo lavoro del

Dal Pozzo combatteva il Consiglio di Stato,di cui lo Sclopis era membro. (6)Fasc.VII,Londra,l827.


— 74 — da, paese libero e affatto diverso dagli altri Stati, e la poca cono-

scenza di questa isola da parte del Dal Pozzo (1).

Questa critica non persuase punto il cavaliere di Castellino che, estraneo alle passionalità inglesi e liberale di fede temprata,

ma non sino ad accettare ciecamente anche le teorie catastro-

fiche in omaggio al principio di libertà, nel 1826 si era recato in

Irlanda, a studiarvi direttamente il travaglioso problema, e un

anno dopo aveva ristampato

— come già dicemmo —

il

Catholi-

cism in Austria. Perciò nel 18!29 mandava fuori la nuova opera surriferita, De la nécessité très-urgente de soumettre le Cafholi-

cisme Romain en Irlande à des réglemens civils spéciaiix,àedì-

candola al nuovo primo ministro, duca di Wellington, al quale in una lettera 1 novembre 1829, che riassume il pensiero fonda-

mentale dell'opera, diceva: « La grande question catholique ter-

minerà sous vous,.j 'espère (2)», Lo studio del Dal Pozzo doveva constare di due volumi (3), ma ne fu edito solo il primo, il quale

dimostra che« des réglemens civils spéciaux y sont indispensa-

bles,soitcommeconditionsde la simple tolérance dece eulte public, soit

— et encore plus — comme conditions de sa plus pleine

admission dans rétat,en concedant aux catholiqucs de plus amples droìts et privilèges (4) ».

Le speranze del Dal Pozzo che il suo disegno, avvalorato dal

nome di Pitt,finisse per trionfare, prima erano confuse, ma poi si erano,* pour ansi dire,éclaircies,et...devenues plus vives,quand

nouveau chef du cabinet prononga cette sentence...,si pleine « Something must he done », ce qui implique... qu'il faut taire quelque chose,et qu'il ne faut pas faire tout ce que les chefs du parti catholique demandfaijent, et surtout de la male

de justice

:

nière qu'ils le demand[ai]ent (5) ».

Preziosa è per noi la dicliiarazione della fede religiosa del nostro Dal Pozzo: « Je suis catholique ;j 'alme ma religionet la li-

berté tout ensemble

;

non pas une liberté démagogique,mais une

(1)[F.Dal Pozzo],Traduz.di un artic.,9,n. questo Capitolo. (3)[F. Dal Pozzo], Z)e la nécessité très-urgente etc.,p.ni àelVAvis au

(2) Ristampata neirappend.2 di

lecteur. (i) Ibidem. (5) Ibidem, 10.


- 75 liberté sage et raisonnable,

— et quand oq voit que les doctrines

ultramontaines soni professées plus hauteraent que jamais,et

non pas sans talent, ni sans innuence,par les sectateurs de De Maistre,par le8 Bonald,les de la Mennais — quand on voit com;

mentles liberlés gallicanesontde la pei ne à se souteniren France ce que la cour de Rome a repris d'empire après la chùle de

Napoléon

— ce que peuvent les lutrigues jésuitiques,les congré-

gations secrètes,et ce qu'on appelle \e parti prétre dan un grand

nombre de paysjes discordesjes agitations,et les troubles,qu'ils y causent,

— on ne doitpas s'étonner qu'un catholiqueétranger

désire que le Catholicisme soit place en lrlande,c"est-à-dire dans

une si belle et intéressante portion d'un si puissant empire, sur

un pied qui n'alarme pas les véritables amis des libertés civiles et réligieuses,et qui rende les catholiques de ce pays dignes de la

jouissance de plus amplesdroits civilset politiques. Un tei exemple serait incontestablement d' une grande utilité pour L' Euro-

pe entière (1) ». Il

De la nécessité consta di tre parti distinte. La prima conlie-

nealcune avvertenze al lettore, la dedica del libro al duca di Wellington ed un gruppetto di documenti per dimostrare come le i-

dee svoltevi fossero affini a quelle del grande Pitt(2).La seconda parte è una lunga introduzione di carattere storico e polemico (3).

La terza consta di nove capitoli di discussioni tìlosotiche sulcattolicismo e sui suoi rapporti con lo Stato (4).

L'introduzione alla seconda parte è riassunta dallo slesso Dal

Pozzo in forma di un * Bill pour la pacifìcation de rirlande,pour amener dans 8on sein la prospérité et la concorde, et en méme temfpjs donner plus de stabilite, de force et de bonheur à tout le royaume uni (5) ». Questo « bill » constava di ventidue stimma capUa,che stabilivano per i cattolici irlandesi Tuguaglianza civile e politica, ad eccezione del diritto di sedere in

da conferirsi loro più lardi

;

il

Parlamento,

pareggio delle chiese cattolica ed

anglicana, ugualmente stipendiate dallp Stato la proclamazione;

(DiÒJdem, 14-16. (2) Ibidem,iii-xxix.

(3) Ibidem, 1-9^. {4) Ibidem, dl-25().

(5) /6trf€w»,90.9f).


— 7« del re d'Inghilterra a « prolecleur et chef extérieur de 1' ?glise

catholique d'Irlande»; rincameramento del beni ecclesiastici da vendersi a beneficio dello Stato che si impegnava a pagare lo sti-

pendio al clero, a riparare le chiese ed a far fare nell'Irlanda lavori di pubblica utilità

;

l'abolizione delle decime

;

la nomina dei

vescovi e dei maggiori dignitari della Chiesa cattolica irlandese valida solo dopo il placet dello Stato e il giuramento di fedeltà

a questo; l'abolizione di tutti

i

proventi dal dì in cui si fosse ini-

ziato il pagamento degli stipendi la

;

la fissazione dei diritti di sto-

— se ancora ammessi — da pa rte del ministro degli interni lo ;

scioglimento degli ordini monastici

;

il

divieto di corrisponden-

za con l'estero per cose riguardanti il culto ad eccezione che con

Roma; la facoltà al re d'Inghilterra di trattare con il papa quale capo politico dello Stato

pontefìcio come avevano tutti gli al-

tri monarchi ; la creazione di un ufficio per il culto cattolico pres-

so il ministero degli interni

;

l'istituzione di un regolamento per

la polizia del culto (appello contro gli abusi, le discipline da in-

segnarsi nei seminari, etc.),che sarebbe stato fatto da questo ministero e approvato dal Parlamento, modellandolo sulle norme esistenti nei paesi cattolici ; la nazionalizzazione della coltura dei la collaborazione delle due Chiese cattolica ed anglicana per la pura istruzione ed educazione dei giovani l'abolizio-

chierici

;

;

ne del viceré o lord luogotenente d'Irlanda

;

il divieto di

associa-

zioni politico-religiose; il riordinamento delle norme che rego-

lavano i meetings cattolici e la proibizione della parola emancipazione, caìunuiosa verso gli Inglesi dopo le concessioni state già accordate ai cattolici irlandesi.

La terza paite del De la necessitò dimostra che, se la libertà di coscienza non va sottoposta ad alcuna restrizione, è assurdo però pretendere lo stesso trattamento per la libertà religiosa che questa è una parte della libertà civile, e deve esserle subor;

dinata; che non può esistere libertà religiosa senza alcune limitazioni, le quali sono da determinarsi unicamente e con particolari criterii dall'autorità civile; che l'intolleranza è il più bel

omaggio che si possa fare alla libertà,quando impedisce di compiere del male; che la natura stessa della libertà religiosa e di ogni società relativamente alla società civile dimostra essere fal-sa ed assurda la dottrina che l'autorità civile non debba occupar-


— // — si di religione : che è un grande vantaggio avere in uno Stato

una

religione dominante, di fianco alla quale può esservi una ragione-

vole tolleranza per gli altri culti, e che vi sono diverse forme di cattolicismo,riducibili a due ptincipali.delle quali una è la più

pura, la più spoglia di superstizioni e di abusi, la più favorevole alla societii civile ed all'autorità politica, e l'altra.contraria alle

publiche libertà, favorevole al dispotismo, all'ignoranza.è pronta a servirsi dell' intolleranza e d^elle persecuzioni per arrivare

ad impadronirsi del potere temporale. « Nous ne pouvons mieux décrire la premier modèle,qu'en faisant un tableau rapide du

système autrichien (1) >»,e per ciò il Dal Pozzo aveva scritto due anni prima il Catholicism in Austria ed ora aggiungeva nuovi elementi a dimostrare che lo Stato da imitarsi era l'Austria. Con

un esame della tendenza esclusivista del cattolicismo, dell'intolleranza e delle persecuzioni che ne derivano,delle massime e delle pretese della

Corte di Roma, il Dal Pozzo giungeva alla con-

clusione che « il n'y a aticun autre moyen d'assurer la liberté religieuse d'un pays quelconque,où le catholicisme existe dans

une cerlaine force, que par l' intervention frequente et presque continuelle du gouvernement dans les affaires de ce eulte (2) ». Il libro del Dal Pozzo non era compiuto con questo primo volume:* Nous continuerons ce sujet, qui n'est pas si facilement épuisé,dans le suivant(3) k volume che non venne mai. Questo studio di diritto canonico vergognosamente non è co-

nosciuto dai cullori italiani di questa dottrina,mentr'esso è saturo di coltura storica e giuridica. I concetti, ai quali sono improntati i rapporti fra la Chiesa e lo Stato,caratterizzano il liberale schietto, non animatoda spirito settario, ma neppure cosi tol-

lerante da permettere che la politica sia mancipia dell'autorità chiesastica. Lo Statuto carloalbertino di quasi vent'anni dopo,

proclamando religicme dominante la cattolica con tolleranza degli altri culti, riconsacrava nella pratica quanto il Dal Pozzo aveva dimostrato teorica menle,e se ancora oggi, non ostante gli strilli

degli anticlericali di mestiere,questo articolo della Costi-

Ut /ftiV/*»»!, 172.


— 78 — tuzione italiana esiste,ciò prova che una politica liberale schietta e onesta riconosce in esso un elemento benefico per lo Stato. Il Dal Pozzo riassumeva

i

suoi principi per la risoluzione dei-

una franca lettera al primo ministro del tempo,duca di Wellington, che ci parve opportuno di riprodurre qui in appendice (1), sopratutto perchè questi si comprola questione irlandese in

mise tanto con l'emancipazione dei cattolici d'Irlanda,da doversi dimettere dalla carica

6.

nel novembre 1830.

— Affine per contenuto al Catholicism in Austria ed al De

la nécessité frès-urgente era

The complete emancipation of the

Protestant Vaudois of Piedmont,advocated in a strong and un-

answerahle argument^and siibmitted te the Duke of Wellington by their country man, Count Ferdinand Dal Pozzo, late Maitre des Requétes,and first President ofthe Imperiai Court of Ge-

noa (2). Di questo scritto del nostro cavaliere di Castellino, così raro oggidì che nessuna copia se ne conosce all' infuori di una conservata nel British Museum di Londra, il pastore valdese Pietro Bert,contemporaneo dell'autore, fece una traduzione francese, di recente edita (3).

Come aveva difeso la libertà religiosa in favore dei cattolici d'Irlanda, che ottenevano poco dopo l'emancipazione desiderata, così, da perfetto liberale, il Dal Pozzo spezzava una lancia peri

Valdesi delle valli del Pellice e del Chisone. Scrive il Jahier: « Nous ne connaissons pas en détail les circonstances qui l'ame-

nèrent à s'occuper des Vaudois. Il ne les ignora is certe pas,puisqu'il avait contribué autrefois à modifier la Constitution d' Es-

pagne en leur faveur.ll est à supposer qu'il fut interesse à leur cause par quelques amis Anglais haut-placés Il est tout naturel de croire que,en sa qualité d'exilé piémontais,il eùt maintes occasions d'approcher et de connaìtre quelques-unes des nom-

(l)Append.2. (2)Londra,C.J.G.et J.Riwington,1829.

D .J ABiER, L'' Emancipation complète des Protestans Vaudois du Piemonte réclamée dans un argument fort et sans rèplique, et soumise à Sa Gràce le Due de Wellington, par leur Compatriote, le Comte Ferdinand Dal Pozzo, ci-devant Maitre des Requétes et premier President de la Cour Imperiale de Génes,in BuUetin de la Società d' histoire vawdozse, 34,42-61, (3)

'Torre Pellice,1915.


- 79breuses personnes de marque,faisanl parti du « Cornile Vaudois de Lor.dres »,expresst'ment fonde pour la defense des Vaudois du Piémont Quanl à la dédicace au Due de Wellington, elle s'explique aisément. Quoi de plus naturai que de soumettre une re-

quèted'émancipation^lesProtcstans Vaudois du Piémontàl'auteur prineipal de l'émancipalion des Catholiques Romains d'ir-

lande? Aurait-on pu trouver, pour la plus noble des causes, un patron à la fois plus puissant et plus dévoué?Il ne faut pas oublier que le vainqueur de Wateiloo,depuis nombre d'années que

dirigeait les destinées de son glorieux pays, n'avait cesse de donner des preuves tangibles de sa sympathie envers les Vauil

dois (1)*.

La difesa dei Valdesi scritta dal Dal Pozzo poggiava tutta sulla validità giuridica dei diritti acquisiti

durante il regime fran-

cese e dichiarati illegalmente nulli dalla Restaurazione del 1815.

Fortunatamente trovammo nell'archivio della famiglia Dal

Pozzo la lettera dedicatoria!^) di questo 2>/atdof/er al duca di Wellington, in data 15 giugno 1829, nella quale il cavaliere Ferdi-

nando diceva di aver già conferito con uno de' suoi ministri, il conte di Aberdeen (3) che si era ricredulo un pochino nei suoi giudizi sui Valdesi e sui lóro diritti.

Uq fascicolello autografo del Dal Pozzo d appunti Sur les Vaui

dofs(4)ci assicura ch'egli non aveva buttata giù avventatamen-

questa protesta, ma dopo averne assunto notizia precisa e

te.sa

sicura dalle Brevi osservazioni sui Valdesi di G.Louther e Costa di Beauregard.

7.— L'8 ottobre 18;23 scriveva il Dal Po/.zoda Londra all'amico Bai bis

:

« Io scrivo ora Des anciennes libertés et franchises

du Piémont,e sarà di là che scenderò al marzo ed aprile 1821 (5)»; ed il 22 novembre 1825 da Edimburgo gli contìdava che dal 1824 {l) Ibidem, id. (2) Append.B di questo Capitolo, da

me comunicata al Jahier,che la pu-

hlicò tradotta in francese, /6tV/em,(U. iH) Nato ad

E<limburg nel 178-}, il conte di Aberdeen firmò il trattato di

Parigi del 1815. Più volte ministro inglese, nel 1854 come presidente dei

Consiglio preparò l'alleanza franco-inglese-piemontese contro la Russia. (4) Arch.Dal Pozzo, in Monlebello,Sez.I {Carte Dal Posso),misc. V,n.2 e 8.

(5) L.C.BoLLBA, 1H2!^.

La rivol. piem.del 1821 nel cart. di un bot., leti. 8 ott.


— sonori aveva «più pubblicato nulla, ma fera] gravidissimo (l) ». Fi-

nal mente nel 18:29 gli editori Ballimoree Cherbuliez,a Parigi ed

a Ginevra, publicavano il primo volume di un Essai sur les anciennes assemblées nationales de le Savoie,du Piémont et despays

qui y sont ou fiirent annexés, che è parte del suaccennato Dea

anciennes libertés et franchises du Piémont,cui l'autore ora mutava il titolo. I

manoscritti ed i carteggi del nostro Dal Pozzo ebbero do-

lorose vicende, come più innanzi diremo

;

ma due di essi si con-

servano oggi nella Biblioteca di S.M.in Torino. Sono di poca importanza, perchè semplici zibaldoni di note e di appunti, per noi

però utili in questa trattazione.

Da uno di essi, nel catalogo dei manoscritti della Biblioteca chiamato Observations sur Vhist.ire de la Savoie et du Piémont (2), si

ricava quel lungo titolo Anciennes libertés et franchises de

la Savoje et du Piémotlt;\8on état plus moderne, {ses malheurs

des mois de mars et avril 1821,\ avec des pièces inédites relatives

à cette dernière epoque. \Il y est joint une Défense des pròscrits\ et

un Mémoire justifìcatif de l'auteur] etc.,che il Manno dice d'a-

ver visto, senza specificare dove (3). Sulla stessa pagina vi sono diversi motti, che nell'intenzione dell'autore dovevano servire di epigrafe. Oltre la biblica didascalia, ricordata dal Manno: « Qui sine peccato est vestrum,pri-

mns in illam lapidem mittat », qualche altra sentenza illustra le intenzioni del Dal Pozzo. Così Sully gli suggeriva

:

« Les révolu-

tions ne sont point effet du hazard,ni du caprice des peuples », e il visconte De Calonne:« Le pouvoir judiciaire est la plus sùre

caracleristique de la bonté d'un gouverMement»,da cui l'autore

derivava

e

contrario

:

«

Senza varie precauzioni

le leggi

sono

troppo deboli pel forte.troppo forti pel debole e, diventano anche

sinonimo di tirannia »; epigrafi tutte che chiaramente alludeva(1) J6ide/n,lett.22 nov.1825. (2)

La collocazione attuale è Ms.,Varii,l02S.È un grosso volume rile-

gato in mezza pergamena ma sfasciato, di 765 pp. numerate, di cui le prime

26 bianche e le successive alternatamente scritte e bianche per eventuali

aggiunte e correzioni. Precede un fascicolo di 16 pp. non numerate, sulla prima delle quali stanno titoli, epigrafi e date surriferite. (3) A. Manno, In/", sul Veni u7io, 18, n.S.


-sino ai moti del 1821 e successive repressioni. Più importante si è l'annotazione « 31 aoilt 1823 »,che ci offre la data precisa dell'inizio del lavoro,non ancora finito nel 1832, come appare da lettere del Dal Pozzo (1). Ili

una seconda n;dazione il titolo suonava

:

« Défense des pro-

scritsdu Piémonl\avec une dissertation préliminairelsurles anciennes compositions du pouvoir, franchises et Ubertés des pays, \

|

qui comp'jsent maintenant la monarchie piémontaise\ et oU plu8ieur8 faits relati fs à la révolutions de ces pays\ de mars et avril

182 1\ sont éclairés, rectifiés, et appuyés des pièces inédites.\Par M.le CHEV." Ferdinand Dal Pozzo| ancien premier président de la cour imperiale de Génes, et Ministre de Vlntérieur pendant la dite epoque *. Fra le varie epigrafi qui v'era riportata sola-

mente quella del Sully. Il contenuto del ms.è una raccolta d'osservazióni sulla storia medioevale della Sa voia,del Piemonte,Genevese,Chiablese,Faucigny, della valle d'Aosta e della contea d'Asti sulla dominazio;

ne francese in Piemonte dal 1536 al 1559; sul consolidamento dell'assolutismo sotto i successori di Emanuele Filiberto e sulle

concessioni di franchigie ai Valdesi, ai marchesati di Saluzzo e di Monferrato, ad Alessandria, alla Lomellina.a Valenza,ai paesi

staccati dal Milanese,a S. Benigno, Montanaro.Lombardore ed altre terre già appartenenti alla S. Sede. Rappresentano queste note la

materia j^regj^ia sulla quale il Dal Pozzo tessè l'opera sua.

Di uguale valore è l'altro ms. della Biblioteca di S.M.,chesi intitola Zibaldone storico di Savoja, Piemonte e paesi adiacenti Ci).

Sia che la materia fosse di troppo cresciuta con il progredire della trattazione ed imponesse una suddivisione del lavoro, sia

che l'autore abbia voluto spogliarla della parte polemica recente,intendendo di desistere da un tal genere di lotta

— infatti un

anno d(»po,nel 1824,iron metteva in circolazione le Ohservations sur un nouveau et vaste pian d'impóts communaux

— ,dal lavo-

ro suo scaturirono due volumi di Essai surles anciennes assem-

(l)L.C.BfHXEA,/)/>r4 mesi di ca/7.,j)p. 1,5-7. 14-15, 25,H8, 41. (2) La collocazione attuale è

Ms-Storia patria,l(y24. Lo Zibuldoìie stori-

co è rilegato in tutta pergamena, con nn indice onomastico in principio, di |»ag.lOO nn.ed altr.-tfoiit.' bianche in séguito. Httorg., 17

«


— 82 blées nationales e un terzo De la revolution du Piémont du 182 L

Carignan (1). Con V Essai sur les anciennes assemblées nationales il Dal Pozzo ritornava a studiare un argomento di storia patria, non ostante le dichiarazioni fatte anni addietro al conte D'Agliè.La carità del luogo natio ve lo riportava almeno con il pensiero del resto et le Prince de

:

— come l'indignazione avrebbe fatto poeta Giovenale, se la natura non ve lo avesse creato — ,così,di fronte alla minaccia di un nuovo male politico al suo paescl'indignazione risvegliava nel nostro Dal Pozzo il temperamento battagliero.

Apparentemente,r£'ssai sur les anciennes assemblées nationales aveva un carattere di pura erudizione storica con un solo spun-

to polemico con un anonimo; quindi la promessa di

non« met-

tre de la passion et des personnalités » era per ora mantenuta.

Due anni dopo vedremo il nostro Ferdinando ritornare alla polemica politica con tutto l'ardore che gli era proprio.

Al Dal Pozzo

— che, pur vivendo in esilio,

si

teneva in tutti i

modi, e particolarmente con il mezzo epistolare, al corrente con la vita piemontese— era sembrato che i partigiani del governo assoluto da parecchio tempo aspirassero ad addormentare i sudditi del regno sardo e ad eluderne il desiderio di un governo co-

stituzionale, presentando il progetto di un Consiglio di Stato,di

stampo speciale, come la migliore istituzione che potesse essere largita dal sovrano.

Corifeo di questo partito conservatore era stato il conte Na-

pione di Cocconato,* homme de beaucoup d'erudition,mais im-

bu des plus étranges idées en fait de politique »,che aveva scritto un libriccino Appendice al titolo VI dell opera intitolata Cariche del Piemonte (2), per esaltare il Consiglio di Stato disegnato :

e per deprimere gli antichi Stati generali della Savoia e del Pie-

monte.

Questa era forse stata la causa recondita che aveva spinto il

Dal Pozzo ad alterare il piano primitivo della sua opera, sepa("lì

Per il titolo del De la revolution vedi L.C.BoLLEA,Z)jeci mesi di cari.,

pp.1,5-7,14-15,25,38,41. i2) Stampata

in Torino nell'anno MDCCXCVIl {Consiglio secreto di

Stato}, Torino, Pie, 1820, pp.BO. Edita anonima, quest'appendice era opera

del conte G.F.Galeani Napione di Oocconato.


— 83 —

N

rando la trattazione storica delle assemblee nazionali dalla narrazione polemica dei moti del ISìtì.

Senza fare il nome del Napione,!! nostro autore scriveva nella prefazione che,a vendo visto come da alcuno si tentasse di fal-

sare il valore delle antiche assemblee politiche, egli si era pro-

posto di mettere le cose a posto. Però si sentiva in dovere di fare due dichiarazioni

:

che non si sognava punto,difendendole,di

volerle risuscitare,e che non celava affatto « le désir de vòir in-

Iroduireunereprèsentation nationaledans[s]a patrie». Egli «l'avouerai[t] sans détour, si cela pouvait s'obtenir sa ns revolution {{)»: ma. siccome non si occupava « ni du temps auquel ce changement arriverà, ni des moyens pas lesquels il sera opere », così il suo desiderio era innocente e puro, come il suo linguag-

gio franco e sincero. Civilista e penalista di polso negli Opuscoli di un avvocato mi-

/auescgiurista originale e profondo nelle Observations sur le rè-

gtme hypothécaire e Surla nouvelle organisation ju(iiciaire,cuitore dotto e di vedute moderne del diritto ecclesiastico nel Caiholicism in Austriaca Dal Pozzo si rivelava in questo Essai sur Jes anciennes assembìées storico di grande erudizione e geniale

interprete di documenti. Da vero cultore di questa disciplina, egli offriva ai suoi lettori una bibliografìa di storia piemontese, che ancora oggidì potrebbe essere utilmente consultata e, sentendo ;

le strettoie nelle quali si dibattono le scienze storiche per le esal^rerate

paure e gli stolti criteri che vietano la consultazione de-

^li archivi publici,ne domandava l'apertura agli studiosi.

Sapendo di essere stato precorso da altri studiosi nella trattazione dell'argomento, il Dal Pozzo prendeva in esame le opinioni del Mably,del Guichenon,del Grenus,del Grillet,del De Beau-

regard.del Muller,<lel Tesauro,delNapione,del Botton di Castel-

lamonte (^),e,siu utilizzando dette teorie. sìa servendosi della re(i)£ notevole questa dichiarazione, che il Dal Pozzo ripeterà più tardi ancora,e che dimostra come egli avesse accettato nel marzo del 1821 dal Principe reggente il portafoglio di ministro degli Interni con lo scopo oiH'sto di servire il Principe e cooperare al trionfo in Piemonte del costitu-

y.ionalismo.K chiaro adunque che la sua nomina non era frutto ne di com< plotti di loggia né di intrighi di vendite rivoluzionarie. i

2 Tratta) limitatamente questo argomento anche PRO>rERO Balbo, 06-

seriHtl ioitH sur le Couseit d' État et tturles Communes sous le reffiie iVEnW'

nwl PhUiberi^ìn un ms.di 83 pp. rimasto inedito in liib!. di S.M., Torino.


— 84 — lazìone deirambasciatore veneziano a Torino Andrea Boldù del 1561, determinava l'autorità degli Stati generali nei rapporti con il

sovrano.

Con questo primo volume l'autore studiava le antiche assemblee nazionali della Savoia: il Piemonte e i paesi annessi, cioè il

Vaud,la Eresse e il Bugey,il Faucigny,la valle d'Aosta, la Pro-

venza e il Monferrato,erano destinali ad un secondo volume. Lo studio delle libertà di un popolo importa necessariamente lo studio della sua storia, e perciò il Dal

Pozzo traccia con ma-

no sicura e con dottrina di vero storico le vicende della Savoia dai tempi più antichi fino ad Amedeo IX, altra verso le varie dominazioni romana,borgognonee franca ed alla signorìa dei principi sabaudi.

Ogni capitolo deW Essai è arricchito di un' abbondante illustrazione documentaria appendici opportune discutono specia;

li

argomenti, sviscerandoli nelle loro particolarità.

Giudice più profondo il Dal Pozzo non potevasi sognare di quello che trovò in un amico incontrato a Ginevra durante l'esilio. Il grande storico Gian Carlo fatti il

Sismondi gli indirizzava in-

2 febbraio e il 29 oiarzo 1830 due lettere da Ginevra e

da Parigi per enunciargli la sua leale e franca critica (1):«Nous différons plutót sur l'appréciation de la valeur morale de làits, sur l'existance desquels nous sommes d'accord. C'est aussi de cette manière que je me permettais de contester l'autorité du comic Tesauro.J'aurais admis sur sa foi un fait qu'il aurait raconté

sans qu' il en donnàt la preuve; mais quant au degré réel d'influence qu' exergaient les États, quanta l' independance des députés, quant à la hardiesse avec laquelle ils soutenaient les intéréts du pays contre les Princes,ce sont des appréciations mo-

rales », sulle quali non è possibile un accordo. « Aussi ce n' est

point sur tei ou tei fait,sur Ielle ou Ielle citation,que je me fon-

de dans mon estimation generale des libertés du moyen àge; c'est la marche desévénemens,c'estla tyrannie qui reparaìtsans

cesse et partout, e' est l'instabilité de tous les droits et de tous les constitutions qui me font estimer assez peu ces antiques ga-

ranties (2) ». (1) N. Bianchi, ilfem. e leti. ined. di S. Santa Rosa con append. di leti, di

(?.C.5/swo?irf«,125-128,Torino,1877.

{2)i6Jdew,128.


- 85 Tuttavia il Sismondi scriveva al Dal Pozzo

:

« Cependant j'a-

vais éprouvé beaucoup de reconnaissance de lenvoi d' un livre

qui témoignait que vous vous souveniez toujours de moi, et bien plus encore,d'une manière plus générale,de la composition

de ce livre,de l'efforl que vous faisiez pour recueillir tout ce qui reste des Etatsde Savoie,pourréhabiliter leurs droits,pourprouver que c'étail la liberté qui était antique et legale, le despolis-

me qui a été moderne et usurpé.Il faut bien que j'en convienne, j'attendaisd'avantagequecequevousavezpu recueillir; la fante n'en est certes pas à vous. Tout ce que l'érudition, l'étude et la pallente investigàtion pouvaient faire,vous l'avez fait,tout ce

qui existe vous l'avez recueilli et mis en lumière mais ce qui ;

existe est bien peu dechoseetnullementconvainquant....Je proflterai de vos recherches.et je citerai

votre livre dans raon His-

ioire des Fran^ais, quand j'aurai occasion de parler de l'histoire

de Savoie (1) ». Pur non accordandosi con il Dal Pozzo, il Sismondi gli usava

massimo onore per uno scrittore, annunciandogli di servirsi, citandolo, della sua opera in una storia che stava scrivendo epil

:

pure aveva torto. L'assai del cavaliere di Castellino rappresentava «i primi e monchi tentativi di indagini, le quali richiede-

vano, per essere fruttuose appieno, di essere fatte negli Archivi dello Stato ed in quelli dei Comuni (2) ».

Questo aveva più volte domandato invano il nostro Dal Pozzo al sovrano. Carlo Alberto però costituiva poco dopo la R. De-

putazione sopra gli studi di storia patria, e Fi»derico Sclopis si faceva tenace assertore del

programma scientifico del nostro

Ferdinando, con le ricerche e la stampa dei documenti e con li

Saggio storico degli Stati generali e d'altre istitmìoni politiche <fe/ Piemonte e della .Sa vota (3). Così anche in questo

campo il Dal

Pozzo fu lo spirito nuovo che precorse tempi,ricavandone amai

rezze, che gli sconsigliarono persino la stampa del secondo vo-

lume deir^8«ai,ed altri colse invece frutti, È vero ch'egli esponeva molle congetture e poggiava su pochi documenti ma era i

:

il) Ibiiiem, I2(i. (2i BiAN(i(i,j7>/rf<»w,129.

(3) In 3f*»m./?./lrrarf..'»r.7'or..8.II,t. XII. parte ii.l.423.Tonno.l851.


— 86 — torto suo se il materiale scientifico gli era inibito,e se la sua lon-

tananza dalla patria gli rendeva ancora più difficile la consultazione dello scarso patrimonio documentario? Sta di fatto che Sismondi,per quanto storico di tale valore che ancora oggidì le sue opere non soffrono l'ira del tempo,era in errore dubitanil

do che la Congregazione degli Stati in Savoia fosse un fatto antico e costante e che avesse operato validamente,ed il Dal Pozzo è perciò tanto più benemerito degli studi storici e giuridici. Critico non meno lusinghiero, per quanto spiritualmente non.

ben disposto verso il Dal Pozzo per motivi personali come più innanzi vedremo, fu nel 1850 Federico .Sclopis,che nella introduzione al saggio storico Degli Stati generali e d'altre istituzioni politiche del Piemonte e della Savoia scriveva

:

« Circa

vent'an-

ni fa uno scrittore piemontese di mente acuta e di molta dottri-

na erasi mosso a proporre quasi una divinazione della storia di quelle assemblee, traendo induzioni dal poco che si conosceva al molto ch'egli credeva essersi occultato per istinto di servili-

tà,o per deferenza a chi dominava. Questo libro intitolato Essai

sur les anciennes assemhlées nationales de la Savoie,du Piémont et des pays qu y sont ou furent annexès etc.,par le comte Ferdi-

nand Dal Pozzo, mentre rende testimonianza del molto acume critico dell' autore, dimostra ad un tempo quanto sia improvvido partito per un governo quello di fare che si occultino fatti storici (1) ».

L'attesa fra gli esuli liberali il nostro autore perla

— che profondamente stimavano

sua grande dottrina

— doveva essere gran-

dissima questo Essai storico era destinato a dimostrare che nel :

1821 essi avevano in fine dei conti reclamato quelle franchigie

popolari.che in forma diversa i loro antenati già avevano godute.. « Quanto Ella deve godere nell'animo suo,signor cavaliere,—

scriveva l'I ottobre 1824 Gio.Battista Testa al Dal Pozzo— nel-

r esercitare il nobile suo ingegno attorno un'opera che le deve destare il plauso dei presenti e dei vegnenti buoni Piemontesi.

Quando sarà finita e che verrà tutta bella alla luce, io non so se dovrò maggiormente rallegrarmi allora con lei o con tutto il nostro Paese; poichè,se a lei ne verrà gran fama,grandissimo van-

[1) Mem.R.Acc.Scie7ize di

rormo,s.II,t.XII,parte ii.2,Torino,1852.


— 87 — laggio arrecherà agli abitanti del Piemonte quel libro,che nelle

sue pagine porta stampate le isloriche libertà e franchigie del paese. Voglia Iddio che il re di Sardegna non mandi fuori qual-

che barbaro editto a distornela (1) ».

Ben diversa fu raccogl lenza dell'Essai da parte dell'autorità governativa patria.... È logico,del resto,che anche quest'opera di erudizione non abbia trovato grazia (2) memo propheta in patrta. Innanzi tutto l'asso» era scaturito dalla penna indocile di un

irriverente verso i cortigiani ; in secondo luogo combatteva un

disegno ministeriale in fieri ;ed infine le sole parole « Stati generali » puzzavano di rivoluzionarismo, se dobbiamo estendere al regno di Carlo Felice i criteri storici che dominavano nei pri-

mi tempi di Carlo Alberto. Racconta intatti il Manno che persino * alla Deputazione di storia patria, creazione applaudita [dal re stesso],era proibita la trattazione degli " Stati Generali ,, e che la

pubblicazione dei relativi atti fu discussa in udienza reale e

in ultimo respinta per timore che originasse controversie aieno

coerenti, per avventura, ai principii della Monarchia (3) ». Come

sempre, il Manno si astiene dall'indicare la fonte della sua infor-

mi) Vedi

(2

)

Append.n.l di questo Capitolo, lett.l ott.1824.

Una eco di questa indignazione governativa trovasi in una lettera da

Londra, l'J gennaio 1880,del cavaliere di Castellino al nipote Sebastiano: « Voi mi dite che si fa sempre più necessario il mio ritorno, alludendo alla penlita [di mia moglie] che io ho fatta, ma che io ancora ultimamente ne ho allontanata la possibilità coìV Essai ecc. Vi assicuro che il desiderio del mio ritorno in Patria, che non fu mai grande, attese le circostanze, andrà sempre diminuendo, non essendovi più il domestico conforto di una moglie amorosa. Quanto a' miei affari, sono perfettamente tranquillo in Mico.Nel resto, quanto alla possibilità di ri tornare, durante le stesse circostanze,non si è resa né più facile né più difficile per la pubblicazione dell'i^sRe è irremovibile per certuni. Marentini è sempre a Lione, e non

sai. 11

stampa. Castiglione sempre esiliato, benché non condannato,ecc. ecc. Questi a forza di suppliche ottenne di andar a Torino per un tempo limitato,

ma con tante condizioni e di abitar fuori e di non restar che tanti giorni aW Essai io l'ho scrit-

ecc. ecc. che una negativa é quasi migliore. In ordine

to il più prudentemente che potei,e credo che nissuno d'animo diritto mi

potrà intaccare >\Arch.Dal Pozzo in .\foiitebeUOySez.I {Carte Dal Potzo), Lett.di Ferdinando al nipote Sebastiano,n.42i. (S) A. Masso, Aneddoti documentati stilla censura

di «/.rcc.,I,26-27,Torino,l!)(»T.

in Piemonte,'ìn BOA.


- 88 — mazione,ma non crediamo d'errare indicandola in un Giornale ms.del conte Cossilla delle cose accadute negli Archivi, che potè in altri tempi di maggior libertà scientifica essere consultato dal

Manno e da altri, Racconta Luigi Nomis di Cossilla,dii'ettore dei R. Archivi ai tempi di Carlo Alberto — poco scrupoloso come di-

mostra la preziosa raccolta sua di autografi d'illustri, ora for-

tunatamente proprietà del Comune di Torino (1)

— che

la publi-

cazione degli atti degli Stati generali era stata dal Re da prima assentita, poi sospesa per l'intervento dei soliti cortigiani più

ignoranti che conservatori, in fine riperraessa al conte Sclopis di

Salerano ed al cavaliere Luigi Cibrario.Il Nomis sotto la data 14

agósto 1834 registrava questo avvenimento,giudicando la edizio-

ne degli atti degli Stati generali « assolutamente contraria al bene dello Stato e della Monarchia in questi tempi di effervescenza politica ». Molto probabilmente altri spiriti della tempra del

conte

di Cossilla tornarono a sussurrare a Corte contro l'autorizzazio-

ne accordata dal Sovrano, il quale volle in una udienza reale ridiscutere la opportunità della stampa dei detti atti e finì per attenersi al parere retrivo dei ministri, come il Manno ricorda. Ed il

Nomis aggiungeva a guisa di commento

:

« Credo veramente

che questa volontà di dar tanta publicità a cose che per loro natura dovrebbeìo tenersi nascoste sia dettata da uno spirito che

poco è in armonia colle sane dottrine monarchiche che in un paese come il nostro debbono sole prevalere (2) ». Ciò non toglie che uri anno dopo il conte Prospero Balbo ottenesse l'incarico di esaminare la convenienza, o non, di man-

dare gli atti delle Congregazioni alle stampe, e il 6 aprile 1835 sorgesse una Commissione di aiuto, costituita da Federico Sclopis, Luigi Cibrario e Giuseppe Manno, i quali in

una lettera 27

gennaio 1836 ripeterono i voti degli studiosi affinchè il sovrano concedesse ai tanto desiderati documenti di vedere la luce. Ma

non prima del 1851 lo Sclopis poteva publicare,con alcuni documenti, nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze, il suo succitato Saggio storico intorno agli Stati generali e ad altre istituzioni politiche del Piemontese non prima del 1858 veniva inca{V Biblioteca Civica di Torino, CoWeiione di autografi Cossilla. ^2) Giornale del conte Cossilla succit., voi. II, p. 91-92 e passim.


— 89 ricalo di preparare « la colleziooe la più possibilmente intiera e

compiuta degli Alti relativi agli Stati generali *. Questo incarico veniva poi riconfermato il iS gennaio ÌS^^A ad Emanuele Bollati,che d^l 1877 al 1884 curava la tanto sospirata edizione,* non

senza tenere a scorta le opere di Ferdinando Dal Pozzo e Federigo Sclopisje sole che hanno finora trattato della materia con

qualche larghezza (1) ».

Se sotto il re riformatore così si agiva, non meraviglierà che durante il regno di un principe conéervatore quale fu Carlo Felice un ordinanza ministeriale del 7 dicembre 18^9 respingesse alle frontiere l'assai. L'introduzione del libro del Dal Pozzo fu sù-

bito proibita in Piemonte. perchè come diceva l'autore il governo di Carlo Felice voleva non solamente essere ma anche

essere sempre stato

— assoluto. persino al tempo dei suoi ante-

nati (2j,

Non fu più favorevole del Governo la R. Accademia delle scienze di Torino, che il 15 gennaio 1828 con un

programma, firmato

dal presidente conte Prospero Balbo e dal segretario prof. Costan-

zo Gazzera.aveva indetto un concorso per un lavoro « di genere storico e

d'argomento in qualunque maniera relativo ai

Stati, ovvero all'Augusta

regi

Casa che li governa », fissando come

premio una medaglia d'oro di lire seicento, a ciò spinta dal fatto « che in ogni parte d'Europa e[ra] felicemente risorto l'amore alla .storica letteratura,ed in particolare alle cose patrie (3) ».

Dal Pozzo il 6 novembre 1829 inviava al concorso il suo Es-

11

sai 8ur les anciennes aasemblées [i),e quattordici giorni dopo,a

meglio assicurarne le sorti. scriveva al proprio avversario, conte Napione di Coccorta lo, presidente dei R. Archivi torinesi, una

nobile e franca lettera, nella quale diceva che «confutando ivi

principalmente le opinioni espre.««se da [lui] sulla stessa materia, f|aceva| dovere di far(gli) tenere un esemplare del detto vo-

[sji

lume

e di dichiararfgli] ad un tempo che [egli era), ciò non

ostante, pieno di rispetto e di stima per la persona [sua], il cui 1 E. Bollati, Fa congregazioni dei tre Stati della Valle d' Aonta^in Hist. Patriae Moìittmenta,t.XlY-Xy ed a part«,t.IV,p.xil,Torino,1877-18S4. (

)

(2) A.MASSo,Aned.docum.AulUì reus.,16.

[S)

Me m. li. Acc. scienze 7V>mio,t.XXXlIi, parte n,1899.

|4» Vedi l'app.»» di questo Capitolo.


— 90 — distinto merito letterario, oltre le altre doti e virtù sue,e[raj dap-

pertutto conosciuto ed apprezzato, [ej che fsji lusing[ava] della

sua delicatezza che [il Napione],come parziale, non si [sarebbe] inframme[ssoJ nel giudicio che del [sujo lavoro d[oveva] portare

l'Accademia (1) ».

Pochi mesi dopo la R. Accademia delle scienze di Torino emetteva il suo giudizio sul concorso predetto e assegnava il premio,

diviso per metà,a C. Delfino Muletti e a L.Pietro Datta per i loro rispettivi lavori

:

Memorie storiche e diplomatiche della città e

m,archesato diSahizso e Memorie storiche de' Principi d''Acaia (2),

senza neppure nominare l'opera Essai sur les anciennes assemblées del

Dal Pozzo,come potemmo noi stessi verificare de visu

nei registri dei verbali delle sedute accademiche, avendocene

data autorizzazione il segretario dell'Accademia Ettore Stampini.

Non vi è dubbio che le opere premiate erano,per il tempo in cui furono scritte,e sopratutto quella del Muletti, meritevoli del

premio per il loro alto valore storico intrinseco

;

ma non vi è pu-

re dubbio che il silenzio sull'assai del Dal Pozzo, mantenuto an-

che dopo per una vera congiura, corrispondeva ai desideri governativi di lasciar dormire un così rivoluzionario argomento.

Non crediamo che il conte di Cocconato abbia influito sinistramente sull'animo dei giudici, perch'egli era in condizioni di salute tristissime e moriva proprio il 12 gennaio 1830. Anzi

—a

detto di Giuseppe Mico,segretario personale del Dal Pozzo— « la

morte del conte Napione giustifica[va] il motivo, pel quale [il cavaliere di Castellino aveva] precipit[ato] la stampa del suo libro

;

giacché... egli avrebbe ancora ritardato a stamparlo, se non vi

fosse stato il timore di veder prima spento

il

suo antagonista;

nel qual caso temeva che gli fosse rimproverato d'aver attesa la

morte del leone per attaccarlo. A proposito di questo libro [il Mico prometteva il 26 giugno 1830 al conte Sebastiano Dal Pozza che], quando av[esse avuto] un po' d'ozio,[gli avrebbe] comunic[ata] la corrispondenza eh' esso [aveva] d[ato] luogo tra il sig.

Cavaliere ed il presidente dell'Accademia delle Scienze (3) ». (1) Append.5 di (2) Il

questo Capitolo.

primo secolo della R. Accademia delle Scienze di Torino notizie :

storiche e bibliografiche,S2,ò° concorso, Torino, 1883.

{2)Arch.Dal Pozzo iti Montebello, Sez.l {Carte Dal Pozzo Mise. X,n. 2. i,


— 91 Ricercammo questo carteggio nell'archivio famigliare Dal Pozzo, ma siccome esso fu sac^^heggiato dopo la morte del cavaliere

Ferdinando per conto del Governo piemontese come vedremo ,così naturalmente anche la polemica con la R. Ac-

più avanti

cademia delle scienze di Torino fu eliminata agli sguardi indiscreti. Fummo un poco più fortunati nelle indagini nostre nell'Archivio di questa Accademia (l),dove trovammo una lettera del 16 aprile 183U indirizzata da Londra al conte Prospero Balbo,al quale il Dal Pozzo in bel modo rimproverava il giudizio

emesso dagli esaminatori. Felice d'essere slato vinto,poichè * questo [gl]i e[raj prova che

assai più valenti storici che [egli] non [sji [fosse],sorg[evaJno in

Piemonte e che per gl'indefessi loro lavori non [avrebbero i Piemontesi] tard[ato] a vedere dischiuse tutte le [loro] antiche istituzioni, leggi,costumi,fatti,associazioni politiche, religiose,com-

merciali. insomma che l'immagine degli antichi tempi sar[ebbe stala loro] presentata un poco più fedele e sopratlutto più com-

piuta di quella che 1 passati scrittori [avessero] trdmanda[t]o », il

Dal Pozzo si dichiarava pago dell'esito. Però,sebbene certo che

l'Accademia fosse stata « imparziale nel suo dotto giudizio », desiderava controllarne in bella maniera roperato,e perciò domandava al conte Balbo « per s[uo] maggior lume,di conoscere le savie osservazioni... de' signori Accademici ».In pari

tempo rim-

proverava all'Accademia di non aver assegnato air^'ssat almeno « dn 'onorevole memione,che non a vrebbe altera ta la d istribuzio-

ne del premio »,dato che era di competenza dell'Accademia fissarne quante gliene fosse parso opportuno (!2). Non per il libro in sé il Dal Pozzo rimproverava il mutismo, ma per « il conato... degno di lode,trattan<Iosi di un argomento quasi nuovo,e sì im-

perfettamente trattato da altri,e che altronde [era] ad ogni uomo

sensato così interessante ». Il

rimprovero arrivava giusto :gli Accademici avevano temu-

to la trattazione di un argomento così incendiario com'era par-

lare nel 1830 di libere assemblee nazionali. mentre « il saviissi-

(l)Àppend.6 di questo Capitolo. (2)Édit du roi de Sardaigne Charles Albert du 18 aoùt t83t^portant création d'un Conaeil d* État...par ¥ .Ukl Pozzo,6,n.,Parìgi,Cherbuliez,. 1831.


9^2

DIO Henrion de Pansey..., benché grave d'anni e occupando la

quella cioè di più luminosa carica della magistratura francese [aveva] non esit[adi Cassazione primo presidente della Corte

to] di spendere gli ultimi tempi della sua faticosa vita nello scri-

vere il suo libro Des assemhlées nationales de Frante ».

E per ultimo — vera freccia del Parto — il Dal Pozzo,per « redimere il mal fatto e procurare in altra guisa quell'utile alla [su]a patria che... non [aveva] saputo... col [suo] solo lavoro ac-

quistarle», propone va all'Accademia « la fondazione di un pre-

mio, simile a quello » non vinto,* di una medaglia d'oro del valore di lire seicento pel migliore lavoro storico, che [fosse] pub-

blicato o mandato manoscritto, sulle antiche assemblee nazionali della Savoia, del Piemonte e de' paesi che vi furono o sono riuniti, all'esclusione del ducato di Genova, o

sopra altra mate-

ria analoga concernente specialmente le istituzioni politiche in-

terne de' paesi anzidetti »,cioè sullo stesso argomento del proprio Essai sconfitto. Ad agevolare questo concorsogli Dal Pozzo

avvisava il conte Balbo d'aver * dato gli ordini necessarj a chi a[veva] il maneggio dei [suo]i affari costì [a Torino] di sborsare le lire seicento pel suddivisato oggetto quando e come [fosse] piaci [uto] al

presidente della R. Accademia »,che delegava a fissare

tutte le altre modalità del concorso, unicamente domandando « che non si escludessero dal concorrere gli Accademici, paren-

do[gl]i che nel seno di cotesto insigne corpo debbansi trovare i

soggetti i più abili a trattar sì alto argomento ».

Più audace sfida non poteva essere lanciata V Essai non era :

parso degno di una semplice « Menzione onorevole »? Ebbene il

suo autore invitava cortesemente quanti storici vi erano nel Piemonte a trattare meglio di lui lo scabroso argomento nella penuria grande del materiale archivistico,gelosamente tenuto nascosto dal Governo. Anzi allargava i termini della sfida così da

potervi includere anche i rigidi Accademici che avevano tenuto in nessun conto la sua opera

;

ma questi — padroni della situazio-

ne*— si salvavano non accettando ad unanimità l'offerta medaglia d'oro di lire seicento, come risulta dal registro dei verbali delle adunanze accademiche, che noi potemmo esaminare. Que-slo rifiuto non tolse la possibilità che alcuni anni dopo,nell852 mutati tempi e gli umori politici ,le Memorie della R.Ac-

i


— 93 — cademia delle Scienze di Torino ospitassero il succitato lavorodei presidente Federico ScIopis,Z)e^/« Stati generali e d'altre tatituzioni politiche del Piemonte e della Savoia (1), ricco di quei

documenti dei quali il Dal Pozzo aveva invocato la stampa per il bene della coltura. Il secondo volume dell'essa» sur les anciennes assemblèes na-

annunziato nella primo del quale conosciamo il materiale greggio chiusa del e tionales del nostro cavaliere di Castellino

dallo Zibaldone storico manoscritto della Biblioteca di S.M.

il

19 maggio IS33, quando il Dal Pozzo licenziava alle stampe il Della felicità, non era

ancor Onito. Anzi egli credeva « di non po-

[terloj probabilmente compiere che dopo un fsu]o viaggio in Pie-

monte (2) » Lo terminò vera mente Antonio Ronna, probabilmen"?

.

te figlio del

suo segretario personale durante gli anni di esilio

in Parigi (1831-1838), assicurava di sì, scrivendo che « certaines

susceptibilités politiques soulevées contre l'auteur le détermi-

nérent à différer la publication du second volume (3) *,e augurandosi « que la veuve de M.Dal Pozzo ne laissera pas inédit un livre qui a coùté tant de recherches à rauteur,d'autant plus que le gouvernement piémontais se montre aujourd'hui très-bien di-

spose en faveur des études historiques (4) ». 8.

— La vedova di Ferdinando Dal Pozzo invocata era la se-

conda moglie sua, Mary Richardson, morta aTorino,d'anni cinquantanove, il i24 agosto 18()(i (5). Essa non diede ascolto all'esor-. tazione del Ronna,e perciò il se(5ondo volume dell'assai SMr /es

anciennes assemblèes nationales non vide la luce.

Dove se ne conserva oggi il manoscritto? Ci è ignoto e, per quante ricerche noi abbiamo eseguite, non potemmo sciogliere il (l)S.II,t.XII, parte n,Torino,1852.

(2)F.Dal Pozzo, Della felicità che gli Italiani etc.,p.4. (8)11 Dal Pozzo lavorava attorno a questo voi. ancora nel 1881, quando faceva fare ricerche storico neirArchivio del Senato di Chambéry dall'Alexandry {L.C.BolIjEX, Dieci meni di c/^i;7.,lett.n.46 del Regesto). (4)

A RiiSS\,Not. uecrolog. HUr F.D"! f'u-yn.hì Jti'r.,1»' Jrnif fr.i't l'fr..

1. 1, Parigi, 1844, p.5-6

dell'estratto.

(5) Risultano questi dati

necrologie!

iiiii

/ift/isfro tnìir iiitnii iin /.>fK»,

conservato negli Archivi Comunali di Torinoi Uff. di Stato Cirilo.La. Ri-

chardson mori in Corso di piazza d'armi, n.(?, piano 3" della casa Pinchia,e il «uo decesso fu «lii-liiitr-ito (lui ì)iiionf scnatorf Giu.Hej)|ie Sapj>a e dal conte Luigi Laiolo.


— 94 — velo del mistero che avvolge la sorte di questo e di altri manoscritti del nostro autore, nonché dei carteggi suoi, miniere pre-

ziose per la storia del Piemonte dal 1815 al 1843, date le grandi relazioni sue con le persone più significative della politica del

tempo. Confidammo da prima di trovare ogni cosa nell'Archivio del conte Don Albertino Dal Pozzo, in Montebello (Pavia), ma le

cortesemente concesseci dal nostro buon amico non tardarono a disilluderci,anzi ci persuasero, da un esame delesplorazioni

le carte ivi raccolte, che

qualche intelligente saccheggio deve,

probabilmente essere stato effettuato negli anni che seguirono alla morte del cavaliere di Castellino.

Egli era un appassionato conservatore di qualunque pezzo di carta che avesse avuto una minima attinenza con la propria vita o fissato, non diciamo un pensiero, ma anche solo un'anno-

tazione sua. La frase « seppellire ne' [suoi] archivj » di Moncalvo, ch'egli usava il 22 novembre 1825, parlando di un libro inviato alla moglie perchè lo serbasse fra le sue carte non scrutabili da

occhio profano (1), indica chiaramente l'immensa mole di docu-

menti accumulati.L'esame,che noi facemmo delle reliquiedi detto archivio

— per ragioni famigliari trasportato a Montebello —

ci assicurò che —se vi esistono tutte le numerose carte domesti-

<5he del secolo XVIIl

;

gran parte della corrispondenza del cava-

liere Ferdinando negli anni in cui fu membro della Consulta Ro-

mana e Primo presidente della Corte d'Appello di Genova ti

i

manoscritti e appunti dei suoi Opuscoli politico-legali

;

;

tut-

i

do-

cumenti d'interesse privato relativi ad una controversia avuta •con il Magistero dell'Ordine Mauriziano per la commenda del-

l'Immacolata Concezione, istituita dal padre del nostro Dal Pozzo e abolita dal regime francese, che si voleva dall'Ordine risorta con la Restaurazione ; e qualche documenlo,rara avis in gur-

gite vasto, del quale ci

al 1815,

siamo valsi in questo studio, posteriore

— mancano per contro tutti carteggi, copialettere ed i

i

ogni documento dopo il 1820.

Troppo evidente appare quindi la cura nel razziare questo patrimonio spirituale che anche dopo la morte dell' irrequieto

suo autore

— avrebbe recato noia a qualcuno. cani, che sanno I

(l)L.C.BoLLEA,La rivol.piem.del 1821 nel cart.di un 6y/.,lett.22 nov. 1825.


— 95 — leccare gli stivali al padrone e usano del fiuto loro fine per isco-

vare al loro signore la preda a fine d'ingraziarselo e ricavarne favori, non mancarono mai in ogni tempo. ...Ma quando ciò av-

venne?

-

Non vi è dubbio che si attese la morte del cavaliere di Castellino Un fascicolettodi quesiti giuridici autografo del nipote suo,

conte Sebastiano Dal Pozzo, che tentava di impugnare il testa-

mento dello zio, troppo generoso verso la propria seconda raoglie,ciò dice chiaro :* Il testatore avendo lasciato tutte le carte e

manoscritti di qualunque natura all'erede [Mary Richardson], lo scrivente ha sin qui con insinuazioni ed osservazioni indirette instato inutilmente perchè vengano descritte e comprese nel-

l'inventario. Fra queste carte ve ne sono molte di famiglia, e pro-

prio del padre dello scrivente da cui se le fece imprestare il de-

funto,avidissimo di riunire in sue mani tutti i titoli e le scritture di famiglia (1); altre carte sono manoscritti di storia e di

scienza legale, i quali possono avere un dato valore, e sono au-

— a quanto dice— lire 8/m (3) alcune di esse carte,come interessan-

tografi (4), ed uno ve ne è di Napoleoneche costò

va il defunto ti

;

lo Stato furono richieste per parte di S. M.e fra tutte potreb-

bero anche rinvenirsi titoli di credito e rimili. Queri^wr se lo scrivente abbia diritto di pretendere che di tutte dette carte si faccia lo spoglio in sua presenza e se possa instare perchè le mede-

sime siano classificate,descritte e comprese nell'inventario... od anche far apporre, benché un po' tardi, i sigilli su dette carte (4)». (1) Queste carte passate a Sebastiano Dal

Pozzo sono oggi presso i suoi

discendenti neìl^ Archivio Dal Pozzo in Montebello. (2)

Una piccolissima parte si trovano nel suddetto Archivio, e precisa-

mente gli originali e gli appunti degli Opuscoli di un avvocato milanese

:

tutto il resto fu razziato.

(3)Publicato con alcune lacune dal nostro Dal Pozzo {Copie d'un manuscrit de la main de Napoléon Bonaparte avec V ortographe qui existe

dans le manuscril wi^me, Parigi, Truchy e Amyot, 1841, pp.l6, in-8») con una prefazione firmata C.F.D.P., fu ristampato da Vincenzo Promi8,7'osition jHìlitique et militaire du départementde Corse au premier jiiin 1793, édition revue sur le

wi/t. ori^»>»a^,

Torino, Bona. 188:^, pp. II. K". L'originale

trovasi oggi nella liihl.di S.M.,in TorÌ7v>. {\) Arch.Dal

Pozzo, in Afontehello, Sex. i (Carte Dui yv^z^o, Mise. Vili,

n.^, Fascicolo di osservazioni giuridiche mosse dal conte Sebastiano alVav-

vocato De MargherHa,f.l^n.


— 96 — Le * alcune carte interessanti lo Stato * furono di certo il pretesto per fare il « repulisti » anche dei carteggì,copialettere e manoscritti storici del cavaliere di Castellino. Furono essi distrutti, o

sono conservati nell'Archivio di Stato di Torino (1)? Noi con-

fidiamo che la piccinerìa cortigi'anesca non sia giunta sino alla distruzione di queste preziose carte,e in questa fede ci conforta la compera del copialettere n.l4(25 agosto 1831-31 maggio 1832)

che nel 1914 potè fare, presso un libraio fiorentino, la Biblioteca

Nazionale Centrale di Firenze. 9.

— Per intanto, oltre carteggi, dei quali basta questo pici

colo saggio (2) a dimostrazione della loro grande importanza,

dobbiamo per ora rimpiangere la scomparsa di tre opere ragguardevoli del Dal Pozzo. Esse sono il succitato secondo volume deir^'ssai sur les anciennes assemblées nationales, una. autobiografia

— a quanto pare scritta negli ultimi anni di sua vita — e

una relazione dei moti piemontesi del 1821. Il nipote suo, conte Sebastiano, in una lettera 16 gennaio 1844 ad Angelo Brofferio che lo aveva richiesto di notizie sulla vi-

— — ta dello zio ricordava d'avere

il 2 settembre

1842 « parlato del

nome e decoro della famiglia » in una lettera,che il cavaliere Ferdinando aveva « accol[to] con gusto », facendola « vedere agli amici » e mostrandosi « voglioso di riunire alcuni cenni sopra gli

anni che aveva trascorso,così che e[ra] assai probabile che qual-

che cosa di simile si trov[asse] fra le sue carte (3) ». Sapendo quali

vicende ebbe l'archìvio Dal Pozzo,possiamo argomentare do-

ve sia finita questa autobiografia. (l)Ci induce in questa speranza la seguente sibillina lettera: €

R. Archivio di Stato in Torino - Sezione 1 - N.142 - Hiscontro a lette-

ra 7 corrente - Oggetto: Carte del conte Ferdinando Dal Pozzo. Torino addì 14 gennaio 1915, Mi pregio informare la S.V.che presso questo Archivio vi sono atti e documenti relativi alla famiglia Dal Pozzo, ma non si conservano carte del Conte Ferdinando Dal Pozzo consegnate in deposito. Al Signor Alfonso Dal Pozzo di Castellino II Sopraiatendente Via Pico della Mirandola n.8 - Firenze. Giovanni Sforza. Di carte consegnate in deposito non ve ne saranno, ma di non consegnate ^

in deposito,Tperchè prelevate abilmented all'archivio famigliare,si,nevvero ? (2)

Fu edito da me in Dieci mesi di carteggio etc.

(3) Vedi Appendice n.7 di questo Capitolo.


— 97 — Più importante ancora è il De la revolution du Piémontdu 1821 et le

Prince de Carignan, che ha un alto valore storico, perchè

inte^:razionp delle due narrazìqni Carbonara-massonica del San-

tarosa (1) e liberale-moderata di Carlo Alberto (12). Di fronte agli attacchi del primo ed alle difese del Principe, la voce del mini-

— che coqie tale doveva avere conosciuto mol— avrebbe una grande importanza,anche se que-

stro degli interni te segrete cose

sta storia fu concepita nel 1823 come parte di una trattazione più

ampia (3) e condotta a termine nel 1831, in un periodo di crisi della devozione dell'autore verso il proprio augusto pupillo(4),

che lasciavasi influenzare da malvagi ministri.

Pur non possedendo questo De la revolution du Piémont, ne possiamo intuire i criteri direttivi spulciando le confidenze che il

Dal Pozzo ne faceva agli amici nel 1831, e quanto ne disse,

qualche anno dopo, in un'altra opera. Riferendosi a questa sua inedita storia dei moti piemontesi, nel 1833 il Dal Pozzo stampava:* Varie cose che allora [nel 18211 si

passarono, rimangono ancor oggi celate. La prudenza, il timor

di nuocere, un'amnistìa piena che si fece sempre lampeggiare agli occhi de' proscritti, e a cui io non

voleva oppor nuvoli, mi

trattennero dal publicar la miastoria di quei giorni :dico la »iia, poichè,ne' tempi di partili massime,ognuno fa la sua. Santa Rosa così fece nel suo opuscolelto De la revolution piémontaiaey (1)[S.DB Sant ARO» a], Z)c la r évol. piém .succitÀtsL. (2) I

due memoriali di Carlo klberto (liapport et details de la Revolu-

tion etc.e Ad majorem Dei f/loriatn) in V. Fiorini, (?/< scritti di Carlo AlIterto »uccit.,p.3-G0. (3) Vedi § 7 di que.siu * Jijntolo.

A prova di questa crisi d'animo del Dal Pozzo, leggasi quant'egli scriveva il 21 settembre 1831 all'amico ginevrino Vermeil, che gli aveva of(4)

ferto d'e«8ere padrino d'un suo figlio : € Je n'ai jamais su que M.Paschoud 86 nommàt aussi Albert, et je ne sais pourquoi Adele (Martin, la marraine}

préfere ce nom à o«lui de Jean Jacques sous lequel il était plus connu et qui à une Oènèvoise me paraìt devoir ètre bien cher.Le nom de Jean Jac-

ques Rousseau est par toutestimé, mais le GónóvoÌ8,maÌ8 les mères doivent

Taimer encore davantHge. Enfin chacun a ses goùts.Quant à moi, le nom d'Albert ne sonne pas fort agréablement à mes oreilles néammoins je m'y ;

accomoile.et je dis que la volante d'Adele soit faite.Le nom d'Albert s'embellira ausai à mes yeux, portò par votre enfant et mon cher tìUeul «(L.C.

B()iA.KA,Dieci mesi di cari., p.l04,\6tt.n, 32 del Regesto). HtMorif., 17

7


— 98 che porta per epigrafe Sta la forza per lui, per noi sta il vero, il qual opuscoletto ebbe maggior voga di tutti gli altri, che in su :

tal argomento comparvero alla luce; e così praticarono gli

piémontaise,

au-

Les trente jours de la revolution Le simple récit des événements du Piémont etc —

tori degli scritti intitolati

De la revolution

:

«

du Piémont avec V épigraphe

:

«

Quorum para

magna fui'*, e alcuni altri. Rispetto l'anonimo degli autori viventi, o

Il

che credo viventi (1) ». titolo della storia sua appare chiarissimo da una lettera del

Dal Pozzo :« De la revolution du Piémont du 1821 et du prince ,tirée des ms.de M' le Comte F.Dal de Carignan (2) par un tei Pozzo,e il tei doveva essere « un uomo di lettere francesi (3) ». Intenzione dell'autore era di introdurvi l'iconografia dei principali attori della rivoluzione

piemontese perciò cercava il ri:

tratto del Santarosa (4) e del Marentini (5). Il libro doveva avere il

formato in 8° (6) e nel settembre 1831 era finito (7).

Causa del lungo ritardo dell'apparizione sua era stato « che veramente pendente che Carlo Felice viveva [il Dal Pozzo] non poteva stamparla impunemente. Troppo vivamente vi [era]no, benché giustissimamente,censurati i tre proclami di Modena e l'aver preteso di annullare la reggenza, istituita da suo fratello, cogli atti da questa reggenza emanati. Ora [nel 1831 il Dal Pozzo] non po[teva] temere una processura e dic[eva] " Carlo Felice più non vive, io non son più suo suddito suoi atti appartengono all'istoria ,, e [s]ì ap[riva] cosi un campo libero (8) ».

:

:

i

(I)P.Dal Pozzo, Della felicitatetele. (2)« Sto in procinto di terminare la mia operetta De la revolution du

Piémont du 1821 et du prince de Carignan » (L. C. BoLLEA,D/eci mesi di cart.,1).

penna di un uomo di lettere par un tei.... tirée des ms.de Mr le Con-

(8j € Il mio lavoro uscirà manufatto dalla

francesi nel frontespizio vi sarà ;

:

te Dal Pozzo [Ibidem,38). (4) Ibidem,^) 105,lett.n.41

nel Regesto.

(5)<L' oggetto di questa mia è di pregarvi..., di pregarvi di far fare il vostro ritratto in litografia che possa essere adattato a un libro in 8°, del

quale mi propongo di fare buon uso *{ Ibidem, ài). (6) Ibidem.

< Quanto allo spedire il mio lavoro prestamente, altro non posso dire 'uorchè farò di tutto perchè prontamente sia finito » {Ibidem,b).

(7) Ib.,Sl.

{8) Ibidem,!.


- 99 — 11

piano dell'opera era chiaramente enunciato dal Dal Pozzo

in una lettera 23 settembre 1831 al parente Pier Dionigi Pinelli

:

In « una mia piccola storia della rivoluzione del 1841. ..vi saran

nuovi fatti, atti inediti, le trattative col ministro russo etc.,e in fine di essa

una lista di tutti

i

processati, destituiti o esuli, per

far vedere in quale numero e di quali classi erano gli amici del

governo costituzionale: e ciò al fine di rettificare l'opinione che s'è voluta spargere non in Piemonte solo, ma per tutto il mondo, che essi erano pochissimi, una piccola mano di giovinastri e di

scimuniti che del resto il grosso della popolazione è soddisfa t;

ti.ssimo del dispotico governo, e che il Irovan buono per l'estate

e per l'inverno. Dividerò la lista in due, di civili e di militari. Il

pubblico e la posterità

contemporanea (così Madame de

Slaél chiama i forestieri) che futura

— sapranno che

i

Piemon-

tesi maritavano un governocostituzionale.V'isarà infine una spe•cie di giustificazione

mia propria (1) ».

L'auiore era convinto che la sua operetta sarebbe stata « tro\a[[a,] compititissima quanto ai fatti e in •di

ordine alle riflessioni

cui e[ra] tutta sparsa (2) *,e, non fidandosi,a dieci anni di di-

stanza dai fatti, né della memoria, né della propria spassionai ita, cercava il parere del canonico abate Bernardo Marentini,fra tutti gli

esuli

il

più caro (3), e del dottore Gastone (4).

Dell'aiuto di questi amici e di altri,quali il notaio torinese Gio-

vanni (lalza e il giurista Pier Dionigi Pinelli, il Dal Pozzo si serviva per raccogliere

i

documenti che dovevano avvalorare il

De la revolution dti Piémont du 1821 et du prince de Carignan. (1) Ibidem, 14. Di questo elenco dei compromessi

tini ri settembre 1831

:

parlava pure al Maren-

Farfò] in fine una nota di tutti quelli che furo-

no condannati, esiliati, puniti, insomma implicati ostensibilmente in quegli avvenimenti, col fine di provare che gli amici del governo costituzio-

nale erano infiniti ed in tutte le classi nlbidem^b).

[2ìlbidem,l(Si L.C.Bollba,/.^

rivoluz.piem.del '21 nel cart.di un {>o/.,lett.22 nov.

18tM. (4« Il

26 agosto 1831 scriveva al Marentini

:

«

Ddirò poi il vostro avvi-

co.... Se foste ancora stato in Lione, sarei venutoa comunicarvi [la mia ope-

retta] prima di stamparla »(L.C.Boi.lea,Z>i>cì me*i di rar/.,l)ed il !• set-

tembre

:

Con [il dr

<

'astone) mi confidai sulla mia opera intorno al-

la nostra rivoluzione... oi discorrere di essa ^li aprii il

<f<m,6).

mio pensiero »( /bi-


- 100 Così ricercava le carte del grande botanico piemontese Gio. Battista Balbis,che, tornato in patria dopo un' assenza di quasi do-

morto poco prima, lasciando molti documenti e lettere e « una nota stampata in bella carta fina e con nitidi

dici anni, vi era

caratteri di tutti

i

condannati, esuli, ecc. ecc., la quale si crede

stata impressa per uso de' diplomatici (l) » e noi opiniamo sia

stata sfruttata dal Manno nel suo «Dizionarietto dei compromessi (2) ».Gosì

s'adoprava per avere « una copia della proclama-

zione segnata da Santa Rosa e da un altro in Carmagnola li 10

marzo (3) » per « sapere il nome di quel generale savojardo che ;

fu nominato governatore della Savoia invece del conte Andeze-

no e che andò a rassegnare a quest'ultimo la sua nomina

;

e[ra]

un nome simile a Guillers »,e per conoscere* i nomi di quelli che intervennero e segnarono il processo verbale dell'ultima seduta della giornata dei 9 aprile 1821 », poiché detto « processo verbale lo tenfeva] fra le carte, che [il Marentini gli aveva] inviate varj

anni sono, ma nel principio e nel corso del processo verbale [erajno indicati come sottoscritti [vari personaggi] e le soscrizioni manca[va]no (4) ».E non avendo avuto dal Marentini tutte le

notizie necessarie,cercava di averle dall'avvocato Bruno di To-

rino (5); mentre al primo— che nel 1821 era « anda[lo] in Ales-

sandria per vedere d'indurre que' militari ad acconsentire alle condizioni che si erano concordate con Mocenigo », domandava

schiarimenti circa un comma di quell'abboccamento, poiché il

Marentini,* dopo aver molto ragionato con essi, [aveva] dìmanda[to] la loro risposta in iscritto a cinque questioni (6) ».

(1) « Altre carte pure interessanti dovevano esservi

unite. Balbis le por-

tò egli in Piemonte ?o veramente qual fu il loro destino V Molto esse gio-

verebbero al mio intento » (Ibidem ). [2) AM\ìi^o,Inform.sul

Ventuno,^. 1^2 -2(^.

(S)L.C.BoLi.EA, Dieci mesi di cart., 5, là,'óS. (4:)

Ibidem,6 e m.

(5) « Da[ll'avv. Bruno] bramerei sapere (confidenzialmente s'intende) chi

erano i decurioni intervenuti alla seduta della Giunta dalli 9 alli 10 aprile »(Ibidem,lG).

(6)€ La quieta questione è cosi posta: « 5*

zioni militari ».E la loro risposta fu

:

«

Continuazione delle operaL'armata piemontese non può ac-

consentire a circoscrivere le sue operazioni militari, finché l'Austria con-

tinua le sue misure ostili in Italia ecc.» .Ora mi pare, affinchè vi sia senso


-

101

Copio (ii sentenze di condanna del dott.Tadini di Novara, di "Calvelli capilano nel reggiuienlo Cuneo,di De Rolandise Fran-

chini luogolenenli e di Don De Ambrosis parroco di Motta Conti

(1) ; notizia delle * determina/ioni pre?:e da Carlo Felice a [su]o

riguardo e comunicate a M.'^de Magny dal conte de la Tour con lettera delli 16 marzo 1822 e di cui esso M."^ Magny [avrebbe] do-

accertamento del grado militare [che] avevano all'epoca della rivoluzione del 1821 * Villamarina,quello v[ulo] informar[loJ (2) »

;

che fu nominato ministro della guerra prima di Sanlarosa,e Ciravegna (3) »

;

indicazioni bibliografiche della letteratura stori-

ca del moto piemontese (4) tutto ciò il Dal Pozzo ricercava dai :

suoi corrispondenti. Ma ben più importanti erano «alcune notizie che riguarda[va]no Carlo Alberto »,che occorrevamo al nostro

autore,* per dare compimento al s[uo] lavoro della rivoluzione -del

1821 ».

La figura del Reggente è la maggiore in quell'episodio storico piemontese.e perciò è a credere che una fonte,a lui cosi vicina come era il Dal Pozzo, fornirebbe non poca luce alla risoluzione del problema del* tradimento > dell'* esecrato Carignano». Nella mancanza del manoscritto,bisogna accontentarci dei giudizi che l'autore dava di Carlo Alberto in una lettera 2 novem-

bre 18:il al notaio Calza, parlando della propria operetta: « Ap[)artiene alla difesa degli infelici implicati in quegli av-

venimenti,! quali sembrava che

— all'avvento al potere supre-

mo di quello che essi proclamano loro complice — giustamente si potessero lusingare di essere pienamente e onorevolmente

am-

nistiati ;appartiene,dico,alla loro difesa il dimostrare che vera-

mente egli fu complice, se infatti lo fu; il che io ignoro, per non easere entrato jier nulla in ciò che precedette lo scoppio della ri-

voluzione ». (ìosì l'elemento principale della responsabilità,omeno,di Car-

-corrispondente,che conviene leggere la quinta questione cosi: « CircoscriTtione delle operazioni militari *{I bidet», G).K chiaro che il Marentini ave-

va fornito al Dal Pozzo una relazione Hcritta del convegno di Alessandria. il) Ibidem, lì.

(2) Ibidem, 16.

[3] Ibidem, n. (i) Ibidem, 2b.


— 102 lo Alberto nel moto piemontese del '21 anche nella relazione ine-

dita del Dal Pozzo viene a scadere. Egli non può pronunciarsi a

questo riguardo, non essendo « entrato per nulla in ciò che precedette lo scoppio della rivoluzione »,cioè nella preparazione se-

greta fatta nelle Vendite e nelle Loggie.

Cionondimeno l'autore non esitava a scrivere: «Tutta l'Europa,per così dire, lo ha creduto. Ma io ne trovo la maggior prova,se alcuna vi può essere, nel trattamento che gli fece Carlo Felice. Desidero perciò un ragguaglio circonstanziato di

questo.Mi

pare certo che esso fu esiliato, cioè impedito di entrare negli sta-

tue che questo esilio durò sino a che venne di Francia,cinto degli allori colti al Trocadero.Fuegli,ono,privalo della sua carica di

gran mastro d'artiglieria? Conservò egli un grado militare? Non fu egli privato de' suoi scudieri e della Corte nobile? Lo fu an-

che,o noi fu, la principessa sua moglie? Dopo il suo ritorno dal

Trocadero,certo fu per(ionato,ma il re Carlo Felice lo trattò sempre molto freddamente una prova ne è il non avergli mai con;

ferito il titolo di Altezza Reale, lasciandolo così sempre inferio-

re a sua moglie che ne gioiva, né avendogli mai dato gli onori a

corte ad Altezza Reale spettanti, che all'occasione del matrimo-

nio della Principessa di Savoia che sposò il re d'Inghilterra (1)».

Con buona pace del nostro Dal Pozzo, il trattamento inflitto da Carlo Felice al principe di Carignano non era affatto « la maggior prova » « che veramente egli f[osse] complice » dei Carbonae Federati nella congiura; ma solo che il re ne disapprovava vivamente la condotta durante tutto il periodo rivoluzionario. ri

Forse nessuno meglio del cavaliere di Castellino, liberale indi-

pendente da viluppi settari, conosceva la tempra del suo pupillo di un tempo e gli ideali politici identici ai suoi, che non sentiva-

no il bisogno del tepore incubatorio della Vendita e della Loggia per isvolgersi ma in quel periodo di tempo un fatto doloroso ne aveva scossa la devozione verso il Principe. Il 27 febbraio 1851 ;

Carlo Alberto era salito sul trono, per la morte del cugino, e il

4 maggio il nostro Ferdinando gli aveva indirizzato una no-

bile e generosa lettera, che

— come vedremo — fu messa nel di-

menticatoio per malvagità di cortigiani. Carlo Alberto ebbe in{1} Ibidem, SS.


— 103 — negabilmente il torlo di non ricordare chi fosse stato il Dal Pozzo e,circuito da ministri maligni, lo confuse con gli altri ribelli. Di qui una serie di equivoci reciproci, i quali portarono ad una rottura dei rapporti spirituali che un tempo li univano.e di qui

perciò l'atteggiamento non sereno del cavaliere di Castellino nel giudicare l'operato del

Reggente del 18;21,come meglio ap-

parirà dall'esame del suo carteggio del 1831 in un prossimo capitolo, mentre la pensava ben diversamente prima dell'esito infelice della sua lettera al re. Così il 5 maggio 1831 scriveva al ca-

valiere di Montiglio: « Une infinite de personnes croient,dans

l'étranger sur tout,que notre jeune roi fut le chef de la révolu-

lione e'i 182l.Quant à moi,mieux que beaucoup d'autres Je sais

qu'ilne le futréellement pas: maisqu'ilaitsouri à la revolution, qu'il l'ait encouragée hiéme sans trop s'en apercevoir,c'est une

chose qu'il serait difticile dernier;du moins on ne saurait guère persuader le public du contraine (1)». 10.

— Uno dei grandi dolori di Ferdinando Dal Pozzo,abban-

donando Torino nel 18^1, era stato il dislacco dai parenti e specialmente dalla moglie Vittoria Della Valle Galliziano di Soglio, che,debole di salute, l'aveva fatto una sola volta padre di un bimbo, non molto robusto e perciò morto poco dopo la nascita {'2).

Non permettendole le sue condizioni fisiche di affrontare

i

di-

sagi dell'esilio, la nobile donna aveva visto partire il marito,con la

morte nell'anima e con la speranza di un suo presto ritorno.

Noveanni invece trascorsero nell'inutile attesa,conforU»la nei primi anni da due visite in Isvizzera.quando il cavaliere di Castellino viveva a Ginevra; ma poi ch'egli n'era stato allontanato,

Vittoria Della Valle aveva dovuto rinunciare pure a questa gio-

brume inglesi sarebbero state micidiali per il suo, organismo. Cosi, privadella dolce compagnia coniugale,essa aveia, f)OÌchè le

va trascorso

i

suoi ultimi anni in Torino,dove il 9 gennaio 1830,

nel palazzo domestico di via della Zecca, veni va a morire (3). (1) Vedi Append.8 del Capit.III di ijuehtu Parte III

.

/". l)<il

Pozzo dopo

a t82t). (2)L.C.BoLLEA,/>/eri mtxi di cart.,&2.

« Dal Pozao Vittoria (3 Per l'ubirAzione del palazzo vedi ibidem fi e 6. Maria Elisabetta, n. Della Valle Galliziano di Soglio, d'Asti, d'anni 64,ba'

ronessa, figlia delli furono Conte Lorenzo e Teresa Canavero,già gtugali


— 104 — Ferdinando,che aveva amato teneramente la moglie — compagna sua nella brillante carriera ai tempi dell'Impero da Torino a Parigi, da Genova a Roma —, fuggendo dal Piemonte l'aveva lasciata in condizioni finanziarie floridissime, mettendole di fianco

un fidato amministratore generale dei beni nella persona del compaesano Giuseppe Mico,ca podi visione del ministero delle Finanze (1).

Nei due anni di esilio ginevrino il nostro cavaliere di Castellino aveva fatto venire a sé ben due volte la consorte, e con lei, co-

me già vedemmo, aveva rinnovato il viaggio di nozze attraverso alla Svizzera. Recatosi nella lontana Inghilterra, il suo animo di frequente era ritornato alla dolce Vittoria (2), per la quale nel-

l'ottobre 1824 con « pensiero...., nuovo non solo, ma alla signora

sua consorte affettuoso e conseguente alle [monferrine] abitudini religiose », incaricava il compaesano avvocato Giov.Batttista

Testa di tradurre un sermone di « Hug Blair,one of the Ministers of Highchurch, ex- professore di belle lettere in Edimburgo »,

nonché diligente studioso delle poesie d'Ossian (3). 11 Testa approvò l'idea geniale di mandare la traduzione di detto sermone -«

a festeggiare le castagne del Monferrato » nella festa dei morti

;

ma poi,o perchè « indietro nella lingua inglése ed anche poco valente nella nostra » com' egli dichiarava, o perché le edizioni del Blair possedute da lui (4) e dal piovano di Gravesend v'egli dimorava

— non contenessero

il

— do-

sermone prescelto dal Dal

Della Valle Galli ziano di Soglio resasi defunta li sette e sepolta li nove

gennaio 183(l, superstite il Sig. Cavaliere Ferdinando Dal Pozzo suo marito » (Archivio parrocchiale di S.Francesco da Paola, Torino, Registro dei

decessi dell'anno 1830).

(l)L.C.BoLLEA,Z)/eci mesi di cari. ,8. (2)« M' immagino

che Vittoria inviterà voi e i vostri cÌ7ii d'andarla a

vedere a Moncalvo. Anche a me fate piacere ad andarvi se non potete per :

molto, andatevi per poco. E giusto che Vittoria conosca il vostro figliuolino,e tanto il buon cuore di questa eccellente mia compagna, quanto il vostro interesse comune e la gratitudine esigono, che si coltivi assiduamente, e si accresca la sua affezione *{Arch.Dal Pozzo, MontebeUo,Sez.I( Carte Dal Pozzo), Lett.di F.Dal Pozzo al nipote Sebastiano, n. 38, Londra 7 set-

tembre 1824). (3) Vedi Append.n.l di questo Capitolo, lett.l ott.1824. (a) Ibidem.


- 105 — Pozzo (l),o perchè intestarditosi nella traduzione di un altro, « On the influenoe of Religion upon adversity », bello e che gli

andava a genio (:2),o perchè caduto ammalato (3), il Testa non attese all'impegno assuntosi. Ed il nostro Ferdinando,fermo nel suo i>ensiero amoroso verso la moglie,alla cui fede religiosa sapeva di far cosa accetta, traduce va egli stesso il desiderato ser-

mone, di cui vedemmo il fascicolo originale nell'archivio della famiglia Dal Pozzo, dal titolo

:

Sermone siilìa Morte\tradotlo dal-

Vinglesel dal Sig.'' Cav/ Ferdinando Dal Pozzo\ e da Londra\tra'

smesso a sua moglie in Mancai ro,per\ essere tei recitato nella sera precedente la\ commemorazione de' fedeli defunti alla solita\

adunanza che si fa in tale giorno] in casa Dal Pozzo\ 1824 (4). Tre anni dopo, avendo ricevuto lagnanze dalla moglie, che si vedeva trascurata dai nipoti Dal Pozzo.il nostro Ferdinando si

preoccupava delia tristezza della diletta Vittoria. La migliore molla per correggere « Carolina,naturalmente graziosa,dolce ed amabile )»,e suo marito « Sebastiano, freddo di maniere, però non iltiero )».era ricordare l'eredità della zia, affinchè

un qualche

confessore fanatico,istigato massime... da altri di contrario partito», non avesse loro a giuocare qualche brutto tiro. E il

buon

cavaliere di Castellino suggeriva. per mezzo del segretario Mico, ai nipoti la tattica da usare per accaparrarsi l'affezione della zia

e per.. .rendere più dolce l'esistenza di questa vedova di un marito viverìte.* Una giornaliera e continuata serie di minute e de-

licate attenzioni e tali inoltre che a[ vesserò] l'aria di naturalez-

za » da parte dei due nipoti e del loro figliuoletto Fernandino,

combinata con l'intervento ai ricevimenti del mercoledì di Donna (l) Ibidem, \e>tt.b ott.1821. [2] Ibidem

Mn.l ott.1824.

(3)i6iV/«nj,lett.7 ott.1824. (4) Arch.Dal

Pozzo, MonteMlo, Sez. I iCarte Dal Pozzo

i,

Sermone àidla

morte, « Se siete andata a [Torino], avrete intesa qualche predica,ma diffi-

cilmente delle cosi belle, come tanno qui questi eretici. Ne avete avuto un sH^i^io in quella che vi mandai, e che mi dite che a Sebastiano e ad altri ìmn molti altri piacque infinitamente, inclusivamente al vescovo di Vige-

vano,e alle donne. che non poterono trattener le lagrime, a.scoltandola. L'autunno prossimo ne manderò un'altra,8e avrò abbastanza ozio per questo: il

che vi farà ridere, ma pur la cosa è cosi •(ibidem, Ictt. di F.Dal Pozzo al

nipote Seba8tiano,D. 39,Edimburgo,5 marzo 1826).


— 106 Vittoria, avrebbe ottenuto il duplice risultato. Né ciò bastava:

occorreva che Carolina fosse « graziosa anche colle persone della società » di sua moglie,* poiché [egli] conosc[eva] Torino e le

idee della società torinese ben angusta ».Via adunque * le barriere di ferro tra una classe e l'altra » ch'esistevano nella capitale sarda, per cui * una dama, ammessa a corte,disdegna[va] di

conversare, e massime di mostrarsi in pubblico, con quelle che

non a[veva]no questo alto onore »!... Peggio ancora per il Dal Pozzo era il pregiudizio sociale, per cui « dalla nobiltà. ..la compagnia dei bourgeois e[ra] nettamente riputata cattiva compagnia ».Pev allietare la zia. Carolina non doveva imitare in ciò sua sorella, la contessa di San Fermo,che « non vedeva e non salutava più la signora Bocca, la moglie dell'Intendente, comunque fossero amicissime un tempo »,nè tante altre dame dell'aristocrazia torinese (1).

Un anno dopo, il 26 agosto 1828,il cavaliere di Castellino tornava a raccomandare alla nipote Carolina di « anda[r]e presto, se già non vi [era], a Moncalvo,[dove su]a moglie,massime essendo sola, [avrebbe] gradi[to] la [sua] compagnia » (2) Quando perciò nei primi del gennaio 1830 « ebb[e] da Mico,[sua segretario a Torino], l' infaustissima notizia della perdita della

cara Vittoria», il Dal Pozzo la pianse con amare lagrime.* È vera-

mente una gran perdita — scriveva il 19 gennaio da Londra al nipote Sebastiano — poiché un'anima più bella e più virtuosa non è possibile d'immaginare. Per me poi ebbe un'affezione vivissi-

ma, e che non si smentì in alcuna occasione (3) », neppure sul letto di morte, dopo sette anni dall'ultimo loro colloquio in [sviz-

zera, ed infatti lasciò erede universale il marito (4).

Pervaso sempre dai teneri ricordi coniugali, due anni dopo

avendo rinunziato a qualunque idea di ritorno in patria,ed ordinata conseguentemente la vendita della propria casa in Tori-

no— stabiliva con delicato pensiero che quanto di intimo e di caro era appartenuto alla defunta fosse escluso dalla vendita e (1) Vedi append.4 di questo Capitolo.

(2) Arch. Dal Pozzo in Moìitebello, Sez. I {Carte Dal Pozzo), Lettere di Ferdinando al nipote Sebastiano, n. 41.

(3)i6irfem,n.42. (4)i6ìde/n,n.48.


— 107 inviatogli nella terra d'esilio (1). E notisi che questi sentimenti egli niitriva,quando già aveva, nuova compagna affettuosa e fe-

dele,una graziosa giovane di ventiquattro anni.

Villanamente lesule Muzio {-l) in un poemetto satirico,scrittQ contro il Dal Pozzo nel 1834 come sfogo di un Italiano irritato

da una sua publicazione (3), tornava più volte su questo argomento delle seconde nozze Ed ammogliato in Albion mi sono (4) :

E vecchio amai la conjugale vita (5) Se sapeste (ahi !) quant'è cosa molesta In vecchie membra il pizzicor d'amore;

E come duole di levar la cresta 6) E ho da temere dì figliuoi venturi Che di moglieina ancor sono amoroso (7). Se l'autore di questo poemetto avesse avuto senso di educazione, come il grado suo di tenente d'artiglieria di marina (8) o la sua condizione altolocata di finanziere parrebbe assicurare (9),

non avrebbe mai mescolato in una polemica politica la vita intima deU'avversario.Se poi avesse pensalo alla diversità di anni che correvano fra il Dal Pozzo e gli altri profughi, avrebbe for-

se compreso come su l'animo di un vecchio sessanUit reenne

lontano dai suoi cari e dai comodi della vita fa mi {.Mi a re - quei

(l)L.C.BoLLEA,/)/ea meni di car^,p.l2ii,lett.296. (2)Paò essere Vincenzo Muzio esale piemontese (A. Manno, //i/'.<su/ VentuiWj'p. 179 o il banchiere fiorentino Mondolfijdi cui il pseudonimo settario '

era Muzio iQ.ÌAAZZisi,Epistolario,lll,13S,lmoì&,ldOd}. (Sj Paroiliando il titolo dell'opera del

Dal Pozzo, il poemetto satirico si

intitolava Dello felicità {7a/o-a««/riaca, Parigi, De la fore8t,1834,pp.vni-16 in 16''.NeeMÌHtf> iimi copia iiflLi lìììtliotecaCivictt ili Tori no, 111,2,21. {A)[Mir/A<ì\J/fii<i feitc.tt.-(iusi.,\i. (b) Ibidem, 4.

(B) Ibidem, 12. (1) Ibidem,

U.

(8) A.MAHììo,Inf.»ul

Ventuno,n9.

(9)G.MAZziNi,/v'pi,'rf.,III,183.

M isrell .Rì^org., .


— 108 — •dieci anni d'esilio fossero pesati ben

più terribilmente che sui

giovani fuorusciti, E se questo vecchio, anche occupando molta parte della giornata a scrivere lettere,a dar gratuitamente pareri

giuridici d'ogni sorta ad amici ed a compagni d'esilio e a but-

tare giù volumi di critica sulle patrie istituzioni errate, sentiva

ancora troppo triste la solitudine delle ore libere

— tanto più do-

po che l'unico suo legame spirituale si era infranto con la morquale male vi era ch'egli avesse riempito quete della moglie

sto vuoto dell'anima desolata? Se, bazzicando i migliori clubs

londinesi e frequentando le riunioni famigliari inglesi per isvago,il Dal Pozzo aveva scoperto un fiordi fanciulla onesta ed amo-

rosa in una modesta istitutrice,la sua Mary, liglia del sarto sir

Emanuel Richardson e di mistress Mary Massey (1 ), perchè avrebbe dovuto trattenersi dal condurla il 24 novembre 1830 in isposa (2), anche se essa era protestante (3)"?

Non aveva egli in giovinezza sorretta la malferma Vittoria Della Valle? e non poteva ora,in vecchiaia,cerca re un'affettuosa com-

pagna nella ventiquattrenne Mary Richardson ?« Pour l'esprit judicieux et les vertus morales elle est digne de succeder à ma

première femme », scriveva il 27 dicembre 1830 il cavaliere di Castellino al nipote Sebastiano capitano dei carabinieri, e continua-

va « Gomme celle-ci était loin de désapprouver que,si j'avais le malheur de lui survivre, j'eusse choisi une autre compagne,qui m'aidàtàsupporter le fardeau de la vie;je me suis persuade que si elle avait pu prévoir mon présent choix,elle l'aurait sans doute approuvé,et peut-étre y applaudit-elle tout-à-Pheure du haut :

des cieux ».

Come poteva non restare conquistato da tanta grazia femmi(1) I nomi dei genitori di

Mary si ricavano dal suo atto di morte (Aì'chi-

vio dell' Ufficio di Stato Civile di J'on'wo, Registro delle morti,] 866 J.Ema-

nuele Richardson fu Guglielmo era nativo di Burton (contea di Westmo-

Pozzo in Moiitebello, Sez.l (Carte Dal Pozzo), Pratiche del conte Sebastiano, IV, p.23). Per la sua professione, vedi [Muzio],

'vìl&ndL] [Archivio Dal

Della fel.it. -aust., Le. (2) Arch.Dal Pozzo

in Motitebello, Sez.l {Carte Dal i'ozzo ,IV,p.7,e Ap-

pend.8 di questo Capitolo. (3)« ..'.dice la Bibbia, che noi Protestanti leggiamo ancora più che i Cattolici », scriveva

Mary il 16 dicembre 1836 al nipote Sebastiano {Ibidem^

Lettere di Ferdinando a Sebastiano, n. 67).


— 109 — nile il Dal Pozzo?* Ma jeune épouse possedè... beaucoup d'in-

struclion,(letalensrares,ungrandamourdel'étudeeldelaretraile,det^ qualités enfin qui

me font esperer en elle.je dirais mieux,

qui m'assurent (car je la coiinais depuis plusieures années) une

compagne fidèle et tendre,une vérilable amie,pleine de vùes élevées et surtout desi ntéressées, une confidente siire, un excellent conseil dans les ditficultés de la vie, un collaborateur dans mes

études, maitresse eclairée dans quelque unes,discip]e studieuse

dans d'autres, un secrétaire laborieux,une sovrintendente soigneusedesaffairesdomestiques,une consolation et un garde-malade infatigable, si je devenais infirme ».

Non era adunque stato un colpo di sole da estale di San Martino questo matrimonio: i requisiti constatati nella giovine spo-

sa rivelavano l'equilibrio mentale del nostro Ferdinando. Sape-

va apprezzare « son aspect agreable, sa taille line et élevée,ses

yeux noirs,beaux etspiriluel8,sa cbevelure noire et belle, sa conversalionanimée,piquanteetpleine d'intérét»; manon erano bastate queste doti a deciderlo al grave passo.* On ne se marie pas

seulement pour avoir des enfans, ou pour satisfaire les desirs des sens on se marie aussi,dans la vue d'une assistence mutuel:

le »,e prò \

mutuo adjutorio erano state celebrate appunto le nuo-

e nozze.

Mis .Mary non era nobile, ma * la nobles.se de son ame vaut bien plus que tous les parchemins insignes et titres dont .se pare la vanite humaine (l) ».Non era ricchissima,

ma neppure po-

vera :era « figlia unica,e da' suoi genitori e da qualche altra per-

sona poteva ereditare competentemente (2)». (

1) Append.n.b di

questo Capitolo.

mesi di cari., (>9. Da « suo padre e sua madre (benché in non alto stato) ella può benissimo ereditar col tempo una co(2) L.C. BoLLBA, Dieci

spicua somma, cospicua pel continente, non per l'Inghilterra »(Arch. Dal

Pozzo iìi MonteMlo, Sez.l [Carte Dal /'ozzoi.Lett.di Ferd.a Sebastiano, n.63).A questo discreto patrimonio Richardson si riferiva il libellista Mu'

zio, alla fine del suo precitato poemetto satirico,

dicendo Per lei fremono d'ira gl'antenati

:

Li quali troppo abborrono la scrana,

Che al genitor fruttò tanti ducati. Oli antenati Da\ Pozzo fremevano per la professione di « sartore » di Emanuele Richardson, come il Muzio spiega in una nota.


— no — Il

Da 1 Pozzo stesso ammetteva la « grande jeunesse » della spo-

sa. I suoi 24 anni erano

un po' pochi « proporzionalmente alla Mary era

[sua] età »,ma egli non temeva per questo alcun guaio

:

« piena di buon giudizio »,e perciò « nel [suo] consorzio vivfeva]

assai felicemente (1) * e sempre vi visse sino al di della sua morte.

L.G.BOLLEA. (l)L.C.BoLLEA,Z)ieci mesi di cari. ,82.


.

LE ORIGINI DEL

RISORGIMENTO ITALIANO PRIMA DELLA

Rivoluzione francese Che la Rivoluzione francese abbia accelerato e plasmato di una sua parlicolar forma il RisorgÌQientoitaIiano,non si potrebbe negare da chiunque non sia sfornito aflatlo di senso storico ma da questo all'asserire.come fanno niolti,(he senza la Rivoluzione francese il nostro Risorgimento non sarebbe stato, eh' esso deriva esci usi va mente da quella,corre un bei tratto. La Rivoluzione francese non fu l'unico e neanche il massimo fattore del Risorgimento italiano: molti altri coeffìcenti essenziali del medesimo preesistevano a quella, senza la forza dei quali, anzi, nella ;

loro azione complessiva, la Rivoluzione francese avrebbe forse

sviato il nostro Risorgimento da quella che doveva essere,e infatti fu, la

sua logica, necessaria, soluzione .-rUnità d'Italia sot-

to la Monarchia di Savoia.

Questi fattori preesistenti alla Rivoluzione francese, e perciò

non subordinati ad essa, si possono distinguere e raggruppale in tre grandi categorie 1) Fattori

remoli;

2) Fattori

prossimi

3) Fattori in

:

;

formazione. I.

— Pattori remoti

§ 1. La tradisione nazionale.

— Anche più scalmanati — vori

''«dipendenza totale del

rei quasi direi più selUirl —assertori "*

Risorgimento italiano dalla Rivolu/i il

i

francese, come,ad e«.,

Masi. riconoscono l'esistenza di una « tradizione n;v/ioii.ile »


— 112 — con radici mollo addietro nei secoli, salvo a dirla « vaga,indeterminata, incerta »,« puramente letteraria»,© a dirittura « soltanto poetica *,e a discutere se « unitaria » o « federale », « guelfa *

o «ghibellina»,* monarchica » o « republicana ». Riguardo al

contenuto politico.è giusto dire che vi troviamo tutte le correnti,

comprovata ognuna da manifestazioni più o meno caratteri-

stiche; riguardo alla sua consistenza,essa ci appare volta a volta personale e collettiva, aulica e popolare,nel pensiero e nell'a-

zione. Facile sarebbe enumerare tutta una serie di studi in proposito, dalle prime e più serie indagini a recentissime rifrittured'oc-

casione tra le une e le altre, nomi insigni quali di Giambattista :

Giorgini,Tullo Massarani, Alessandro D'Ancona, Ferdinando Petruccelli della Gattina,Isidoro Del Lungo

— accanto ai quali for-

se non inutile anche la modesta opera mia.

In realtà,ed in breve, l'Italia, ammaliata dal fantasma imperiale, fu nell'Europa occidentale e centrale il paese in cui sorse più

tardi la coscienza di « nazione », più tardi si affermò il relativo

sentimento. Ben è vero che il nome « Italia » rimase sempre vivo

— anche presso il popolo,se in alcuni dialetti si ebbero le forme orali e scritte « Raglia » e « Italgia » — ma per più antichi sei

;

coli del Medio Evo spesso « Italia » fu solo la valle del

Po o la-

penisola meridionale fra i golfi di Napoli e di Manfredonia on;

de « re d'Italia » s' intitolarono i successori dei Carolingi, e « re di Sicilia e d'Italia» talvolta i re normanni. Nessun'idea nazionale nella lotta dei

Comuni contro il Barbarossa Pontida e Legna:

no furono create e consacrate lega e vittoria « italiche» dagli scrittori del Risorgimento per ftirne alto squillo di guerra contro lo straniero del secolo XIX. Bisogna arrivare a Dante per trovar netta la concezione geografica accanto a una visione politica in cui quella concezione, se non ancora una vera idea nazionale, come pur vuole alcuno,si combina con la vecchia tradizione romana, imperiale. Ma sùbito, dopo l'ultimo esperimento idealistico di Enrico VII e la brutale realtà della spedizione di Lodovicp il 6auaro,coscienza e sentimento nazionale si appalesano vivissimi

:

la coscienza,nei rozzi versi di Bindo di Clone del Frate,

già attribuiti a Fazio degli liberti ; il sentimento,neiralata poesia del Petrarca.

Di qui al pensiero comincia a'disposarsi l'azione. Antonio Lo-


— 113 — schi da Vicenza, Francesco di Vannozzoda Padova,Simone Ser-

— cioè più significativo — di anonimi, inneggiano a Giovan Galeazzo Visconti, invitan-

dini da Siena,con una folla di minori e

dolo a redimer l' Italia, tutta raccogliendola sotto di sé; ed egli si

vale di quei canti come arma di guerra per agire sulla opinio-

ne publica delle città italiane, ma effettivamente mira a stringere sotto alla sua soggezione quante più può di quelle città e

aspira apertamente alla corona di « re d'Italia »

— sia pure sol-

tanto dell'alta e della media, sebbene si sappia che volse cupi-

do lo sguardo fino alla Sicilia. I condottieri al suo servizio ti

italiani

— battono in nome di

lui, nell'interesse di lui,i

— tutFran-

cesi a Castellazzo, i Tedeschi a Brescia, gì' Inglesi a Paderno;e

già la semplice cronaca e raspra,ma schietta Musa popolare ed

anonima

— anche qui — avevano salutato,non meno che la pro-

sa latina ufficiale delle bolle di Urbano VI, la sconfitta dei venturieri stranieri a Marino come un trionfo italiano,acclamando

eroe nazionale Alberico da Barbiano.

Dopo quello di Giovan Galeazzo Visconti è il tentativo — ancor più spiccato da un certo punto di vista — di Ladislao re di Napoli, che,profittando dello Scisma Pontificio, s'impadronisce di

Roma

:

salutato anch'esso dagli stessi entusiasmi

non soltanto

letterari e cortigianeschi : e in tutto il Quattrocento un pensiero

relativamente unitario permane, rivolto ora a Filippo Maria Vi8conti,ora ad Alfonso di Aragona scita

goli

— per quanto straniero di na-

— ,ora infine a Francesco Sforza. E, meglio che uomini sin-

— poeti e principi— ,comincia a stendersi tutto attorno,con

l'intento sempre oltre

— fin a Milano ed alle spiagge di Puglia

— l'unghia rapace,e protettrice insieme,del Leone di San Marco: il

saggio Senato veneto dalla politica lungimirante,tenace senza

fretta,che scriverà il nome « Italia * sulla sua bandiera quando

l'indipendenza d'Italia

— ch'era stala un fatto nel secolo XV —

starà omai per tramontare per più di trecent'anni. Significativo è pure, per l'affermazione della coscienza italiana, l'appellativo di spregio agli stranieri

— « Barbari » — ,come griderà a sua voli

ta papa Giulio IL (literò io il Pistoia, il Sasso, l'Ariosto? Ricorderò la disfida di

Barletta e la sua eco nella storiografia e nella cronaca, nella poesia latina e volgare, personale e popolare del tempo 1 Ri$or§., 17

arrecheB


-turò il magnifico appello finale del Principe ? Che la « Disfida » ab-

bia un significato intimo e profondo di ribellione del sentimento nazionale italiano contro l'* oltraggio gallico »,nessuno vor-

rà negare, come non negherà che sia sincero il sentimento del Pistoia e del Sasso

— o del Pico e del Tebaldeo — sincero ;

il

sentimento e lucida l'idea italiana dell'Ariosto: dubito invece assai della sincerità del Machiavelli. Chi applicava alla teorica della politica l'utilitarismo epicureo della vita privata della Ri-

nascita non pare fosse l'uomo più adatto al concepimento di un

volo augurale e lirico di patriottismo come quello della chiusa del PWndpe.Nondimeno la stessa insincerità dell'utilitarista politico non è senza rilievo,anzi ha forse maggiore importanza che

se quel volo fosse un'esplosione irresistibile di un sentimento

intimo e profondo, perchè viene a dire che l'ideale italiano era talmente nella coscienza pul)lica del suo tempo,che il Machiavelli

trovò profittevole avvalersene per rinforzare tutta l'argomen-

— oltre già no— l'emulo del Machiavelli —

tazione del suo libro. Non dimentichiamo

tati—che Francesco Guicciardini

i

fatti

intitolò la sua « Storia d'Italia »,e così il Vettori, il Cresci ed al-

— a Torino,

si osservi —, una sommossa di popolo contro la prepotenza soldatesca. spagnuola ha tri ; e che nel

per grido

:

1525,a Torino

« Italia

!

Italia

!

».

Baldassare Olimpo degli Alessandri, Giovanni Mozzarelli,il Guidiccioni, l'Alemanni, il Molza, il Della Gasa e più e più altri poeti illustri ed oscuri, conosciuti ed anoni mi ,giù giù fino al Chia-

brera,al Marino,al Testi, al Tassoni, al Boccalini,a tutta la lette-

ratura— insomma

— della età e della Corte di Carlo Emanuele

di Sa vola, rappresentano il perdurare di una tradizione re allora soltanto letteraria

— attraverso

il

I

— sia pu-

Cinquecento; ma col

forte Duca sabaudo che vantava sé « Difensore della libertà d'Italia » e a tale si atteggiava romanamente,nè soltanto con la pen-

na,ma con la spada,con l'una e con l'altra combattendo e facendo combattere la dominatrice della penisola da Milano a Napoli, da Cagliari a Palermo,sì ritorna ad aver l'azione accanto al pensiero. E già la diplomazia più avveduta comincia ad accorgersi che per l'equilibrio e la pace d'Europa è necessario si ristabilisca l'indipendenza d'Italia e si avveri la sua unione, almeno federale è del 1(510 il trattato di Bruzò lo, deluso dal pugnale del ;


— 115 — Ravaillac nel pello di Enrico IV. Durante la successiva guerra

sabaudo-ispana è in orgasmo la coscienza nazionale italiana in ogni ceto di persone: la molteplice poesia lirica e satirica, la

fioritura dei « ragguagli di

Parnaso», lo scoppiettio dei libelli

prò' e contro Sa voia, Venezia, Roma, provano,così con Tanonimia di tanti scritti come con l'interessamento dei Governi ai mede-

simi,quanta ne fosse la portata dentro tutta Italia e fuori di essa. Nel rimanente del Seicento la tradizione nazionale languisce

;

ma ogni nota non tace cantano Ciro di Pers, Carlo Maria Maggi, :

Francesco Lemene,Alessandro Marchetti e, più noti degli altri, il

Filicaia ed

il

Guidi, mentre di nuovo, rivolgendosi a Savoia,

presagisce Eustachio Manfredi

ma non nella gente

— sia pur errando nella persona,

:

Italia, Italia, il tuo

soccorso è nato.

Siamo agli albori del secolo XVIII,e la politica tutta italiana di Vittorio Amedeo II ha già stampato la prima orma egemoni-

ca della sua Casa, imponendo all'Europa, prima della pace di Riswick,la famosa * neutralità d'Italia », or si apparecchia a conse-

guire,ed ottiene,corona regia e larghe foglie dell'omai proverbiale « carciofo » le del

— che sarà prima la Lombardia,poi tutta la val-

Po, infine l'Italia intera. La tradizione poetica e letteraria

accompagna la nuova azione progressiva non mancano accenti :

nazionali all'Algarottl e al Bettinelli, al Passeroni e al Pignotti, e un abate Pietro Tosici stampa nel 1718 un libro intitolato La libertà deir Italia dimostrata ai suoi prencipi e popoli

;

ma sop-

pratutto ascoltiamo ora Scipione Maffei

— in relazioni strette col

primo re sabaudo,che molto lo apprezza

— ,e con lui, fra una tur-

ba di minori, Francesco Maria Zanotti, Paolo Rolli e due poetesse romane tutti

— una Paolini-Massimi ed una Maratti-Zoppi — ,che

concentrano oramai gl'inni loro e

le

speranze italiche

nella Casa sabauda. Il fatto è di per sé gravido di significato,tanto più quando a quella tradizione letteraria si consociano le batUjglie di Torino e di Guastalla. di Parma e della Madonna dell'Ol-

mo, Peroica di fesa di Cuneo e il fulgido trionfo deirAssielta,travolgenti volta a volta Francesi, Tedeschi, Spagnuoli, Francesi an-

cora,senza dire inoltre dell'immortale * cacciata » degli Autria€i da Genova, benché in quel momento alleati di Carlo Emanuele III. Ogni guerra,ogni pace, ingrandisce lo Stato sabaudo,la do-


— 116 — minazione straniera è ridotta alla Lombardia e a poche altre terre,mentre l'antico vessillo di Venezia sventola tuttavia in Istria e in Dalmazia, nelle Isole Ionie e sulle coste dell'Albania e dell'Epiro.

Ed ecco nelle trattative del 1733 il disegno D'Ormea-Chauvelin,in quelle del 1746-46 il disegno più completo del D'Argenson, diretti l'uno e l'altro ad escludere ogni straniero, nel primo caso

contro cessione della Savoia alla Francia, nel secondo senza nep-

pur la medesima e con la federazione di tutti gli Stati d'Italia, che r avrebbero resa « signora e donna » di sé, salvo l' influsso dei Borboni nel regno di Napoli e Sicilia e nel ducato di Parma e Piacenza, Or perchè la Francia, in persona dei suoi ministri,

giungeva ad ammettere, anzi a promuovere, la confederazione italiana?

La ragione ci è appresa da un dispaccio dell 'inviato francese a Firenze,che proprio in quel torno dichiarava alla sua Corte

:

« [In

Italia] il popolo comprende il bisogno di un' unità, aspira verso

una reazione in senso veramente italiano. Solo il re di Sardegna rappresenta questo ideale egli solo incarna la vera nazionalità ;

italiana». In altri termini, l'accorto diplomatico prevedeva che l'unità italiana si doveva fare,e additava le ragioni per le quali

sifatta unità doveva essere

il

suo Governo, alla propria volta, cercava di correre al riparo

compiuta dalla Gasa di Savoia ;

col disegno della confederazione

:

un secolo innanzi, i concetti

del 1859 per prevenire... il 1860!

§ ^.L^ azione muUisecolare della Casa di Savoia.

— Adden-

triamoci un po' nell'esame di quelle ragioni per cui il compito dell'unificazione d'Italia era assegnato dalla Diplomazia, fin dalla prima metà del Settecento, alla Gasa sabauda.

Le vecchie cronache di Savoia e la volontà stessa della dinastia,specialmente in quel periodo da Carlo Emanuele I a Vittorio

Amedeo II nel quale essa aspirò nientemeno che ad un « elettorato » germanico, ne riportavano le origini ad un Beroldo, sas-

sone, nipote dell'imperatore Ottone e discendente da Witikindo : figlio di Beroldo, emigrato in

Savoia, queir Umberto detto poi

dalle bianchi mani da cui prendeva allora le mosse la storia cer-

ta della Casa. In tempi molto più recenti si volle trovare ai Sa-


,

— 117 — bandi

— incorante in tal senso re Carlo Alberto — un'origine più

italiana:

si

ideniitìcò Beroldo con Otton Guglielmo, figlio di A-

dalberlo e abbiaiico di Berengario II d'Ivrea, re d'Italia nel sec.

X; qualcun altro aveva già prima fantasticato un riattacco,al meno in linea femminile, con re Arduino. La verità oggi è ben nota la Casa di Savoia proviene da Lodovico IH, imperatore e re di Provenza e d'italia,nalo da una figlia dell'ultimo Carolingio del ;

del ramo italico e discendente a sua volta dai re sassoni di Kent.

Qualche cosa di sassone e d'italiano, insieme, vi era dunque nei progenitori del Bianchemani e nella sua stirpe ma né l'una cosa né l'altra hanno importanza per lo svolgimento delle sorti ;

successive della famiglia. La regione savoiarda

—, divisa tra

i

— in senso lato

molti figli di Lodovico III, fu riunita press' a po-

co tutta, per morti, successioni e concessioni nuove strappate al re di Borgogna e poi agl'imperatori tedeschi, nelle mani di Oddone secondogenito del Bianchemani non di quest'Umberto, che della Savoia propriamente detta non fu mai conte, ma soltanto della Morienna e di Aosta. Oddone, sposando la consanguinea Adelaide dei marchesi di Torino e d'Ivrea— ma il distacco dei rami risaliva al tempo di Carlomagno o poco dipoi congiunse ai domint transalpini larga partedell'odierno Piemonsuoi tigli la Casa sabauda ebbe in Europa considerate. Sotto ;

i

zione uguale a quella delle fanììglie regnanti:! principi tede-

— quel— dal ripudiarne la sorella Berta « perchè l'inimi-

schi scongiurarono l'imperatore Enrico IV di Weiblingen lo di Canossa

cizia di Savoia avrebbe potuto essere fatale all'Impero».

Ma con la morte di Adelaide sopravvennero

i

rovesci, e i Sa-

baudi si trovarono ridotti a non possedere più al di qua delle Alpi che il « comitato » di Aosta e <|ualche tratto della valle di

Susa.Ha principio d'allora un'opera lenta, faticosa, tenace,(ii ricostituzione :vi lavorano,con vario successo, Umberto II [che,co-

me conte di Savoia, dovremmo dir II I], Amedeo III, Umberto III, Tomaso I: questi ultimi, specialmente, cominciano ad applicare una norma che sarà costante nella Famiglia -la partecipazione intelligente a tutte le grandi lotte del tempo. Seguendo questa regola, Amedeo IV,Tomaso II, Pietro ILfl^H di Tomaso l,rie-

8Cono,detreggiandosi fra Impero e I^apato.ai tempi di Federico II e d'Innocenzo IV',con poco scrupolo.con molta accortezza, non


— 118 — senza favor di fortuna, a rimetter piedi saldamente di qua dei monti. E noi li vediamo adottare un metodo, da cui si discoste-

ranno di rado un metodo che verrà praticato su più larga scala dal 1848 al nei momenti supremi del Risorgimento d'Italia ;

— — 1870 quello delle dedizioni spontanee, anche se prepa:

rate abilQiente dalla diplomazia o dalle armi

;

onde si può dire

che la formazione territoriale dello Stato sabaudo subalpino

XV è come

nei secoli XIII,XIV e

il

simbolo profetico della for-

mazione dell'Unità italiana nel XIX. Apre la serie Pinerolo nel 1246, la chiude (per adesso) Roma nel 1870.

Per un momento la moltiplicità dei figli ed abbiatici di Tomaso I aveva posto a grave rischio l'avvenire dei Sa vola. Chi non

vede il pericolo del frazionamento all'infinito nella ripartizione dei domini fra tutti i coeredi e nel trapasso della successione della primazia comitale, non per linea di primogenitura,

ma di mag-

gioratico?Già tre rami della famiglia si erano costituiti uno oc:

cupato nelle cose della Svizzera, l'altro in quelle d'Italia, sorvegliante il terzo su tutto ; e fin qui fu un bene. A che dal bene non si generasse il male,

Amedeo V stabili la successione per primo-

genitura, l'indivisibilità ulteriore dello Stato, la dipendenza

medianti opportuni compensi

— delle linee del Vaud e di Acaia

[Piemonte] dalla savoiarda comitale. Così si procedette innanzi

con il doppio sistema non vi è grande avvenimento internazio:

nale del secolo XIV^ che tocchi l'Italia in cui la Casa sabauda non

intervenga sia la spedizione di Enrico VII o quella di Giovan:

ni di Boemia, la crociata contro i Visconti e lo sfacelo del domi-

nio angioino in Piemonte, la grande lega contro Galeazzo II e Bernabò o la conchiusione della guerra di Chioggia, l'impresa napolitana di Luigi d'Angiò,la calata dell'Armagnac o la complessa questione dello Scisma, E le dedizioni si susseguono: Ivrea nel 1313, Possano nel 1314,Savigliano e Ghieri nel 1347, Biella nel

1379,Nizza nel 1388,Mondovì nel 1396,per ricordar solo i luoghi principali. Anche fazioni di Asti e di Genova guardano a Sa vola, e più tardi

Amedeo Vili, partecipando alla guerra di Venezia

e Firenze contro Milano, poi accordandosi col Visconti, ottiene

Vercelli ed altre terre nel 1426-27 e Chivasso con la supremazia

su tutto il Monferrato nel 1435. Né mancano in quel momento fondate speranze di acquistare alla morte di Filippo Maria l'in-


— 119 triu uiH.iiu i*)iiil)arilo e portare Un d'allora i conflni nientemeno

che all'Adda ed all'Enza. L'errore fatale di aver promosso la riconciliazione del re di

Francia col duca di Borgogna, per cui Carlo VII riuscì alcuni anni dopo a cacciar gl'Inglesi fuorché da Calais,e la stolta avven-

tura del papato di Amedeo Vili (Felice V),che pur recò allo Stato sabaudo, primo,il singoiar vantaggio del diritto di p/acef, fer-

marono la marcia ascendente del medesimo. Si aggiunsero cagioni interne di debolezza, e l'assestamento della Lombardia sotto

Francesco Sforza; onde per molti anni la Casa di Savoia perdette ogni

opportunità di cospicuo ingrandimento. Nondimeno, in

quello stesso periodo doloroso di minorità,di reggenze,di discordie civili e d'intrusioni straniere,sfolgorano un istante l'ardire

personale e la coscienza italiana di Carlo I il 5ruerriero,che, stretto alla lega italica degli Sforza, degli Aragonesi, dei Medici, fa

valere contro Francia i suoi diritti di superiorità sul marchesato di Saluzzo e durante l'assedio della capitale nemica, agl'inviati di Carlo Vili che gli comandano con mal garbo di desistere. risponde

virilmente: « Dite a niio bel cugino il re di Francia

che prenderò Saluzzo e poi ascolterò volentieri il piacer suo ».E nel 141)6-97, sotto Filippo il Sema Terra pervenuto al ducato do-

po una vita travagliata, la Corte di Torino diventa, pel senno diplomatico e la visione nazionaledell'* ultimo dei troveri »,il centro del movimento politico di Europa,ch'egli si sforza di domi-

nare per escludere di nuovo dall'Italia ogni invasione ed ogni intervento straniero. 1/ amicizia del buon

Carlo II per Francia non lo salvò dalle

granfie di suo cognato Francesco I; meglio valsero le lusinghe

femminee di sua moglie verso il cognato di lei Carlo V a procurargli, nella rovina generale dello Stato, il novello acquisto di Asti. Ma alto tenevano il prestigio del valore iUilico,degne che

(ìaribaldi le donLeone d'Italia ne tiizzarde,ributtanti,con Caterina Segurana, dagli spalti del ca-

di lor alvo uscis.'^e nudi

il

,

stello i Gigli e la Mezzaluna uniti contro la Croce bianca di Sa-

voia. E venne a ristora re,dopo la vittoria di San Quintino, Ema-

nuel Filiberto, Teafa di /erro ; venne,e ricostruì su basi più stil-

de la Monarchia piemontese e l'avviò agli ulteriori destini, pre. parando con la pace l'avventuroso ducato di Carlo Emanuele I


— 120 -

— quel Carlo Emanuele

I

intorno a cui già abbiamo veduto ac-

cogliersi ed accentuarsi la tradizione nazionale d'Italia.Il fatale

cammino è segnato

:

già nel futuro ordinamento federale d'Italia

contemplato negli accordi di Bruzòlo il primo posto di fatto è concesso a Savoia. Gli eventi possono affrettare o ritardar l'avvenire, non più mutarlo. Dopo la parentesi delle due Madame Reali, Vittorio

Amedeo II avvia sicuro il prini) passo decisivo ver-

so la mèta —gl'insuccessi medesimi della sua diplomazia giova-

no alla causa nazionale Carlo Emanuele III, secondato da uomi;

— come pa— patriottica, ne segue dre dalla poesia le orme. Con Sabaudi

ni come il D'Ormea ed il Bogino, salutato anch'egli

il

i

corrispondono il veronese Maffei,il modenese Muratori; presso di loro sono onorati di publici uttìcì i siciliani D'Aguirree luva-

ra è l'Italia che comincia ad affratellarsi da ogni parte intorno ;

a Savoia,che è,d 'altronde, l'unica forza militare veramente paesana. Ecco perchè la Francia è ornai convinta che l'Italia dev'essere e sarà presto indipendente da ogni straniero ; ecco per-

chè propugna un disegno federale a fine di sfuggire alla minaccia incalzante, giudicata omai di attuazione inevitabile dalla sua

diplomazia, dell'Unità italiana sotto la Monarchia sabauda. § 3. L' affievolimento dei nemici d'Italia.

— Ma se alla metà

del secolo XVIII la diplomazia francese è arrivata ad

una tale

conchiusione,non sussistono dunque più in quel tempo le ragioni che hanno impedito fin allora il risorgimento nazionale d'I-

talia? Certo esistono ancora, ma tanto affievolite, che è lecito pre-

vedere il giorno più o meno prossimo in cui cesseranno tutte di operare.

i suoi « neLe forze contrarie al costituirsi nazionale d'Italia — erano state sempre essenzialmente quattro due d'ordine generale, interne ad un tempo ed estiinseche l'Impero e il Papato due,invece,particolari,di cui interna l'una,

mici »,per così dirli

:

;

esteriore l'altra Il

il

particolarismo e la Francia.

sogno deir« Impero »

— sempre romano di nome sotto gli

Ottoni come sotto i Carolingi, sotto i due Federici di Stauffen co-

me sotto

i

Cesari di Weiblingen

— dell' Impero avente per sede ;

naturale e legale Roma e per giardino ritalia,accecò gl'Italiani fino almeno a Dante, compreso. Anche il Petrarca oscilla spesso


— 121 — tra l'ideale imperiale e Tideale republicano ; sente e definisce geo-

graficamente l'Italia meglio ancora di Dante, ma non sa distaccare lo sguardo da Carlo IV e dai « signori » suoi vicari, di cui

frequenta le Corti, a quel modo slesso che la sua anima vola a

Cola di Kienzi,ma,ad onta delle invettive contro la Babilonia avignonese, vi torna e ritorna con la persona, con le amicizie e

— perchè tacerne? — con gl'interessi. Lo stesso Bindo di Cione vuole sì, un

*

virtuoso re che ragion tegna * in Italia, ma lo

vuole da « quel Buemmo che '1 può dare », perchè * mantenga la

ragion dell'Impero». A Carlo IV, a Wenceslao di Boemia,

a Roberto di Baviera, a Sigismondo di Ungheria, più tardi a Federico III e a Massimiliano d'Austria,si rivolgono

i

* signori »

d'Italia per legittimare il loro effettivo dominio con titoli di conti, marchesi, duchi, e fin

le republiche

come Firenze e Venezia,

per aiuti contro di quelli, nel Tre e nel Quattrocento. L'« Impero », nonché aver perduto ogni autorità ed efficacia dopo l'insuc-

cesso di Enrico VII, in certo modo idealmente si rafforza nella

nuova concezione dantesca, ri pigliata e perfezionata dai giuristi Cino e Bartolo, cioè come un potere immanente, che sovrasta a tutti gli altri per alti fini di giustizia e di morale come una fun;

zione superiore, ideologicamente continua, praticamente in opera solo quando occorra per ripristinare il diritto violato; princi-

pio supremo del diritto stesso,che soltanto da esso emana e ad

esso unicamente fa capo. In tal senso Faulorità dell'Impero è ge-

neralmente ammessa senza contestazione nella seconda metà del secolo XIV' e per tutto il XV: ciò non impedisce l'indipendenza politica degli Stati italiani, grandi e piccoli, monarchici e repu-

blicani : non ne impedisce le leghe aspiranti ad abbracciar tutta

— non impedirebbe quindi uno Stato unico in forma federale e forse neppure — se mai potesse allora avverarsi — unitaria. Questa concezione dell'Impero coer Italia

— non escluso

il

Papa

;

siste jiertanto con la tradizione nazionale, che in quel tempo ap-

punto si sviluppa e si afferma.. ft chiaro, nondimeno, che gl'interventi imperiali, i)er quanto

sempre più rari e formali più che effettivi, mantengono accesa una tradizione diversa da quella puramente italiana, o — alme-

no complicano questa as-sai è chiaro del pari che la concezione accennata e la sua applic^zione,anche se di fatto iotermitten» ;


- 122 — te, lasciano sussistere una forza che, in determinale condizioni,

potrà turbare lo svolgimento logico della vita nazionale. Le spedizioni di Massimiliano d'Austria hanno già un carattere ben

diverse da quelle di Federico III

:

venga Carlo V, rappresentante

interessi spagnuoli ed austriaci suffragati da questa forza del no-

me imperiale, e al nome tornerà a congiungersi la potenza di fatto.

Per fortuna, nel momento in cui l'Italia è asservita, Carlo V

non la raccoglie sotto rimpero,dandola a quel ramo tedesco della sua Casa a cui rimane annessa la Corona cesarea. Tra gl'infiniti danni, la dominazione del ramo spagnuolo ha almeno questo vantaggio, che rimpero,omaì impersonato nella Casa d'Austria,h"a,per tutto il Cinquecento ed il Seicento, sempre minor occasione d'intervenire nelle cose d'Italia appena vi si fa sentire qualche volta per appoggiare la politica della Spagna, o chiamato da Stati minori della Penisola a difesa contro il Papato o contro qualche Potenza" maggiore italiana o straniera; tuttavia il :

miraggio imperiale è tale ancora che se ne lascia adescare qualche istante la grande anima sabauda di Carlo Emanuele I. Gli splendidi acquisti della prima guerra di successione settecentesca vanno a beneficio della Casa d'Austria come tale, non dell'Impero, scaduto ornai anche in Germania per le guerre di religione, la doppia azione della Svezia e della Francia,la pace di Westfalia e la formazione della Prussia:

qualche riconoscimento po-

steriore di diritti imperiali disusatilo qualche investitura presa

— per es. dagli stessi Sabaudi — per farsene difesa contro ambizioni altrui,non accrescono il potere effettivo di quello che allora appunto può dirsi davvero diventato un « nome vano senza

soggetto». Chi preme suU'Ilalia non è omai più l'Impero come tale è la Casa d'Austria ; ma questa non ha dietro di sé e per sé :

una tradizione simpatica di molti secoli, non il prestigio della grandezza antica di Roma o della funzione civile e semidivina dell 'Impero. Dopo la terza guerra di successione la sua domina-

zione sarà ristretta alla Lombardia fra il Ticino, il Po e l'Adda, e al

Mantovano: si comprende come fosse facile il pensiero di

cacciarla anche di là,e nel 1745-46 non poteva parer difficile nep-

pur l'attuazione di quel pensiero. Rispetto al Papato,è d'uso riportare le parole del Machiavel-


- 123 li : «

Abbiamo,dunque,con la Chiesa e coi preti noi Italiani que^

sto priaxo obbligo, di esser diventati senza religione e cattivi;

ma no abbiamo ancora uno maggiore, il quale è cagione della rovina nostra. Questo è che la Chiesa ha tenuto. ..questa nostra provincia divisa.... Solo la Chiesa ha impedito questa unione in Italia, perchè avendoci

abitato e tenuto il potere temporale, non è

stata abbastanza forte per occuparla tutta, né abbastanza debole da non potere, per paura di perdere il dominio temporale,chiamare in Italia un nuovo potente che la difendesse contro chi mi-

nacciava occuparla. Cosi essa è st/italavera cagione,per la quale r Italia

non si è mai potuta riunire sotto un capo, ma è resta-

ta sotto più principi e signori.... Di ciò noi abbiamo obbligo conia Chiesa e non con altri ».

Lasciamo stare il primo punto,sul quale vi sarebbe molto,ma molto a ridire; solo che sarebbe qui fuor di luogo. Anche è da domandarci se il Papato aspirò mai al dòtainio temporale di tutta Italia alla quale domanda io non esiterei a rispondere negae segno ben forte questo tivamente, tranne un momento forse tempo di Giulio II. Ma il far della Chiesa la causa u— ai forse nica, esclusiva, della mancata unità d^talia e delle invasioni straniere, e tanto più poi per la sola* paura di perdere il domi:

nio temporale »,è un'esagerazione evidente del Machiavelli, tanto più colpevole di esservi caduto,in quanto egli non poteva igno-

rarne le altre cagioni

— Impero,Francia, particolarismo — ed era

in grjido di sapere quello che fu meglio assodato dagli studi mo-

derni :che,nella calata di Carlo VIIl,chi si comportò più italia-

namente contro «li lui fu proprio il Papa Alessandro VI, il Borgia Ma se nondi^nque l'unica causa, una causa fu, sebbene non sempre per il suo amore del potere temporale, ma più spesso,anzi,per ragioni perfettamente legittime, anzi doverose, dal punto !

di vista pontificio. (ìli

è che noi dobbiamo considerare il Papato,non sotto un u-

nico.ma sotto un triplice aspetto: dell'autorità spirituale,deirautoritìi morale e, infine del potere temporale, e questo ancora distinguere rispetto al territorio del cosidetto Stato pontificio e rispetto ad ogni altro paese cosi dentro come fuori d'Italia.Come l'autoritii

morale si sviluppa dalla spirituale, così il potere tem-

porale in parte deriva dall'una e dall'altra, ma in parte anche


— 124 — sorge quale necessità imprescindibile dei tempi a difesa e tutela dell'indipendenza spirituale e morale del Papato.

Inutile ricercare qui le origini di questi tre distinti aspetti dell'autorità e del potere della Chiesa romana e dei loro diversi rapporti, nelle varie epoche della sua storia, da quando bisognò a

Gregorio II e a Gregorio III sottrarsi all' iconoclastia di Leone Isaurico senza diventare cappellani di Liutprando il langobar-

do [come altri Papi furono nondimeno alcun tempo di Carlomagno e dei suoi successori],a quando s. Pier Damiani e Ildebrando dovettero, per riformare il costume del clero, emancipar la Chiesa dagl'imperatori ghibellini,appoggiandosi ai Normanni, o a quando Alessandro III fu contro il Barbarossa e Innocenzo IV contro Federico II, non certo puramente per questioni di possessi territoriali, ma per la situazione rispettiva del Papato e dell'Impero in Italia e nel mondo. Inutile seguire passo passo le vicen-

de del potere temporale tanto come signoria territoriale più o meno immediata in Roma già condominio del Papa e dell'Im-

peratore insieme,

— e nel cosidetto Stato pontiticio,quanto come

supremazia su altri paesi in Italia e fuori

— Sardegna e Corsica,

Napoli e Sicilia, Inghilterra, Polonia, Ungheria. Qui basta indicare come non sempre la maggiore autorità spirituale o morale

coincida col maggior potere temporale territoriale in Italia, mentre anzi il vero costituirsi dello Stato pontifìcio nei secoli XIV

e

XV avviene nel momento in cui il prestigio morale del Papa-

to comincia ad esser scosso dalla dimora avignonese,poi ne sce-

ma assai anche l'autorità spirituale per lo Scisma,

i

concili di

Costanza e di Basilea, la formazione della dottrina gallicana, le

numerose eresie pullulanti in Italia e in tutto l' Orbe cristiano, nella prima metà del secolo XVI il grande movimento della Riforma che stacca mezza Europa dalla Chiesa di Roma. La grande arma spirituale e morale delle scomuniche contro infine

i

principi,degrinterdetti controgliStati,comincia allora a spun-

tarsi

anche di contro a governi rigorosamente cattolici, come

Venezia nella nota questione con Paolo V, o Francia sotto Luigi XIV

:

un po' più tardi terranno testa alla Chiesa anche

i

sa-

baudi Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III, finché verran-

no a non farne più alcun conto Giuseppe II d'Austria e Leopoldo di Lorena-Toscana. Nello stesso periodo di tempo, con le dif-


— 125 — ftcoltà frapposte a sottoscriver trattati con Stati acattolici nella

pace di Westfalia,il Papato si taglia fuori da sé dai grandi accordi diplomatici internazionali, nei quali cercherà poi

invano

rientrare. Né occorre dire che intanto la superiorità su grandi

Stati fuori d'Italia è andata perduta per sempre; in Italia vien

meno anche su Parma e Piacenza, rivendicate dairimpero,e perdura appena nominale, ridotta a quell'omaggio della «chinea» che non tarderà pure ad essere negato,sopra il regno napolitano. Rimane,sì,lo Stato pontificio, poco o niente rispettato da qualsiasi belligerante cui occorra attraversarlo

;

senza dire che si par-

ladi ripigliargli certe terre, comeComacchio dagli Estensi, Castro

dai Farnesi e loro successori, e la Francia non esita a staggire ad

ogni incidente Avignone e il Contado Venassino, Napoli a metter la

mano su Benevento. Contro il Papa stesso Luigi XIV ha mi-

nacciato di rinnovar le prodezze degli sgherri di Filippo il bello

ad Anagni,e già,oltre cent'anni prima, il duca d'Alba, pel cattolicissimo Filippo II di Spagna, si è avanzato in armi su

memore ancora del sacco dell' Grange. Si può dire che

Roma,

domini temporali territoriali del Papato servono per coercirlo anche in materia spirituale o morale senza il menomo rispetto. L'idea dell'intangibilità dello Stato pontificio non è del tempo ressa può dirsi, verrà creata in epoca solo molto più recente, dopo il 1846, vero prodotto neoguelfo e poi clericale

i

— nel senso moderno della

parola. Nel secolo XVIII, alla metà e, più, alla fine di esso, il potere

temporale era un minor ostacolo al risorgimento politico d'Italia di quanto fu cento anni dipoi.

Bi.sogna infine tener presente che si drizzavano allora contro la

Chiesa romana nuove gagliarde energie. Da una parte è il

« giansenismo »,che in Italia prende un atteggiamento di rifor-

ma religiosa contenuta entro i termini del Cattolicismo,ma con tendenza a diminuire sempre più l'autorità centrale del Papato.

Da un altro lato è il « giurisdizionalismo », che attacca l'immistione della Chiesa in genere,deirautorità pontifìcia in ispecie, nelle cose interne, siano pure d'ordine religioso, degli Stati cattolici quante volte vi sia interessata di contro l'autorità civile;

e qui è a rilevare la lotta tenace della

Monarchia di Savoia in

materia di diritti di placet e di exequaiur per la nom^Via dei vescovi e degli altri beneficiari e per la publicazione degli atti


— 126 — pontifici e vescovili soltanto con l'assenso della podestà regia

e possibilmente secondo i voleri della medesima,nonchè riguar-

do all'assorbimento di piccoli territori inchiusi nello Stato piemontese,già sotto la dipendenza diretta della Santa Sede, come i principati di Masserano e della Cisterna, le abazie di San Benigno e di Lucedio,etc. Finalmente, proprio nella prima metà •del Settecento comincia a diffondersi per tuttta l'Europa occicombinazione di riti e sudentale e centrale la «Massoneria»

perstizioni orientali,risalenti forse ad antichità remote,con tra-

dizioni di maestranze medievali trasformate politicamente in

Inghilterra; il tutto sotto l'influsso di veri o pretesi continuatori

dell'Ordine dei Templari. La Massoneria, per le sue origini o-

— ba— come istituzione politica, ma da se ed essenza del medesimo

stile al Cattolicismo come religione, e tanto più al Papato

principio dissimulante il suo fine,è condannata nel 1736 da Cle-

mente XII,ricondannata nel 1751 da Benedetto XIV. Essa accentua allora più che mai la sua lotta, finchè,presa di mira la principale istituzione suffragante nel Cattolicismo il Papato,cioè la

Compagnia di Gesù, che si sforzava di porre un qualche argine al decadimento del medesimo,riuscirà ad abbatterla,almenotem-

porariamente, grazie alle animosità, alle gelosìe ed alle cupidigie delle Corti borboniche, nonché ad un movimento di opinio-

ne publica sapientemente preparato, non senza calunnie e turpitudini molte, per cui non potrà apparire ingiusto che le sette massoniche distruggano un giorno non lontano, ad uno ad uno, Borboni di Francia, di Parma, di Napoli e, se

tutti i troni dei

non ancora definitivamente —di Spagna. Anche il Papato, pertanto, nel secolo XVIII, e già alla metà di esso, è una forza antitalica grandemente affievolita. Più saldo, più tenace, più restio a venir debellato, il terzo nemico il particolarismo. Senza risalire alle contese fra Roma, Milano e Ravenna per la capitale nel IV e nel V secolo, o all'antagonismo fra Milano e Pavia protrattosi dal Basso Impero e dall'età dei Langobardi per tutto il Medio Evo, né ai contrasti etnici ed economici fra Austria e Neu stria nell'Italia langobardica e franca,è notorio che nell'epoca comunale ogni città fu nemica mortale della sua vi:

cina. Milano distrugge Lodi e vuol distrugger Como; Cremona


- 127 — fa distrugger Crema

dal Barbarossa e concorre con Pavia alla

distruzione di Milano; Tortona, riconciliandosi con Federico, inette fra le condizioni che sia disfatta la nuova città di Alessan-

dria ; e se ora si contesta l'epico episodio di Farinata al Congres-

so d'Empoli,è difficile dubitare che i vincitori di Monta perti non

pensassero almeno un istante a distrugger Firenze. La dolorosa litania potrebbe facilmente continuare

:

Firenze ha distrutto Fie-

sole e Semi fonte, Vercelli distrugga Casale, Chieri distrugge Te-

stona,Asti distrugge Pollenzo e vieta di ri edificarla. Famoso l'o-

dio fra Modena e Bologna, culminante nella tradizione eroicomi-

ca della * secchia » men noto forse, ma non meno acerbo.quel;

lo fra Bergamo e Brescia, Novara e Vercelli, Asti e Alessandria,

Alessandria e Genova, Genova e Savona,Alba ed Asti, Firenze e Siena. Siena ed Arezzo, Pisa e Lucca...., Trani e Bari, Palermo e

Messina. ...La formazione delle «signorie» e dei « principati » nei secoli XIV e

XV attenua le cagioni di questi odi, concilia for-

zatamente sotto l'autorità di un governo centrale le rivalità delle città singole, diminuisce

il

numero dei grandi centri: ornai

Pavia,Lodi,Como, Milano. Cremona,obbedendo ugualmente allo stesso signore, non

hanno più occasione di mordersi se non in

contese letterarie o in processi dinanzi all'autorità superiore

celebri,al riguardo, le diatribe e le liti fra Pavia e Cremona nel

Cinque e nel Seicento. Siena ed Arezzo, Pistoia e Prato, Livorno e Pisa,San Gemignano e Colle. soggiaciono ugualmente a Firenze nel granducato mediceo ; Bergamo e Brescia si acquetano sotto l'insegna comune di San Marco; le città di Romagna obbedi-

scono tutte ai legati vlel Papa ;e parecchi Stati e semi-Stati sono scomparsi, come Bologna, Rimini, Urbino, i marchesati di Sai uzzo e di Monferrato,Carpi, Mirandola, Bozzolo,Novellara, lo Stato PalIavicino,persino il ducato di Mantova.... Il

frazionamento diminuisce sempre più, ma si accentua per

contro il particolarismo dei centri maggiori. Ad ogni tentativo più o meno unitario l'opposizione più seria, più tenace,più sal-

da fu sempre in Firenze contro Giovan Galeazzo VÌ8conti,contro Ladislao di Xapoli,contro Venezia. Al tempo di Carlo Emanuele I di Savoia muove principalmente dalla Toscana la cor* :

rentea lui ostile poesia satirica,libelli parnas8Ìani,azionediplo:

matica, persino miseri soccorsi militari a S|)agna

— notevoli so-


e

— 128 — lo come dimostrazione di

sentimento avverso.Non a torto, per-

ciò, in tempi molto più vicini, verrà

posto nel contegno e n^Uft

decisione della Toscana il segreto dell'Unità d'Italia, e Napoleo-

ne III affermerà che l'annessione di quella al Piemonte vorrà dionde naturale la sua renitenza alla medere appunto l'Unità sima, e tanto maggiore il merito del patrizio Ricasoli e del popo-

lano Dolfi di aver combattuto e vinto il particolarismo locale,cui

assentivano i Giorgini,i Ridolfi,i Peruzzi e forse fin quell'anima candida ed entusiasta del Montanelli, Del resto,anche Milano accoglieva di mala grazia Carlo Emanuele III e fremeva al pensiero di poter diventare provincia di uno Stato avente la capitale

a Torino;

— né dimentichiamo che sarà ancora così nel 1848,

che esulterà con Modena,Bologna,Firenze,alla notizia della Convenzione e delle giornate torinesi del settembre 1864.BolognaT a sua volta, si pavoneggia tuttora,nel Settecento, di reliquie di antiche istituzioni che le danno sembianza di autonomia da Ro-

ma Genova preferirà lasciar la Corsica a Francia anziché a Sa;

voia,e nulla paventa quanto di cader sotto questa.

NondimenOji frequenti mutamenti dinastici della prima metà del secolo XVIII, il Governo di Piemontesi in Sicilia e la venunon che quelli non fossero mal veta di Siciliani in Piemonte

duti nel breve tempo di lor residenza neirisola,e questi cacciati

dall'Università torinese e dagli altri uffici appena fu possibi-

le,fra il plauso del paese all'autore della cacciata, conte Caisotti

— inoltre, l'unione temporanea di Parma e Piacenza alla To;

scana e poi alla Lombardia, le riversibilità napolitano-parmensi e piacentine, piìj tardi il matrimonio Estense-Cybo con la prospettiva della fusione della Luiiigiana nel ducato di Mode-

na:

— tutto ciò costituisce una serie di colpi tarabureggianti,se

non penetranti a fondo, contro la barriera particolaristica e il particolarismo stesso,se contrario all'Unità, non era ugualmente proibitivo del sistema federale. Insomma,anche da questa par;

te un qualche notevole progresso si è avverato,giovevole alme-

no per l'a vvenire,che così viene pur qui maturando verso la méta fatale.

Resta a toccare della Francia

— della Francia nemica storica

e geografica d'Italia o, come altri ben disse,deiritalia amicissi-

ma sempreché Italia le sia soggetta o vassalla.


— 129 — Dì tutti i popoli barbari di sangue germanico i Franchi furono sempre i prediletti della Romanità e del Cattolicismo.I modi praticati da essi nella guerra goto-bizantina

non valsero a di-

stogliere l'imperatore Maurizio dal chiamarli di nuovo contro i

Langobardi,nè dere i Papi

i

loro comportamenti rispetto a questi a dissua-

— da Gregorio III ad Adriano — dal ricorrere al loI

ro aiuto, finché Carlomagno impose la sua dominazione airita-

sua dipendenza la Chiesa di Roma, la quale premio il rinnovato Impero. Esclusi i re di Francia

lia e recò sotto la

gli diede in

dalla Penisola dalle vicende successive fino al secolo XIII, inva-

no Innocenzo IV invoca Inglesi e Spagnuoli contro gli Svevi;

ma chiama il francese Carlo d'Angiò,e l'Italia è ai piedi del vincitore di Benevento solo in Piemonte reagisce Asti « republica:

na »,sostenuta dal marchese di Monferrato, da Genova e da Pavia più lardi Sicilia tutta si scuote « per la mala signoria *, al suono della campana del « Vespro ». Filippo il beilo oltraggia il Papato in Anagni non importa il Papato passa ad Avignone, mancipio del Re e dei suoi successori. Filippo di Valois — a cui ;

:

;

e al padre già troppo note le vie d'Italia

— appena sul trono cer-

ca farvi conquiste sotto il nome di Giovanni di Boemia e se,po;

co dopo, le disgrazie del primo periodo della Guerra dei Cento

Anni assicurano per qualche tempo l'indipendenza italiana,non sì tosto le sorti tornano propizie a Francia abbiamo il disegno del « regno d'Adria » per un fratello del Re, poi la spedizione del medesimo contro Napoli inizio di tutta una serie di ten-

tativi dei suoi discendenti— , infine l'acquisto orleanese di Asti,

l'occupazione di Savona e la scandalosa compera regia di Genova. I^e discordie civili di Arraagnacchi e Borgognoni e la vittoria inglese di Azincourt stornano un'altra volta i Francesi dalle vie d' Italia e

danno modo di rigettarli fuor di Liguria: Car-

lo VII, vincitore dej?r Inglesi, si affretta a riprenderla. Luigi

XI

spadroneggia nello Stato sabaudo, lasciando a Giovanni di Angiò di scorrere fino ai fondo della Calabria da cui prende il titolo ducale; ma Carlo Vili rivendica il Napoletano per sé; Luigi XII, il Na{K)letano e la Lombardia ; Francesco l,la Lombardia, il

Napoletano e da ultimo anche

di Savoia

:

i

paesi di suo cognato Carlo li

soltanto la fiammeggiante spada di Rmanuel Filiber-

to a San Quintino restituisce a Savoia la terra avita,di cui FranHi»org.,l':

9


— 130 — eia tuttavia gli detiene la porta alpina del marchesato di Saluzzo. Carlo Emanuele I, profittando di favorevoli ci rcostanze,occu-

pa il Saluzzese,e per tener chiusa la porta di casa sua e d'Italia allo straniero, fa con Enrico IV un trattato « da re a mercante »,

cedendogli in cambio più vasto e popoloso territorio di là dei monti, talché merita da lui nove anni dopo le solenni, ma vane

promesse di Bruzòlo.E tosto il cardinale di Richelieu vuol rimettere piede in Italia con la cessione di Pinerolo che strappa a Vit-

torio Amedeo II

;

poi il Re Sole,grazie a quel Mattioli di cui fa-

rà la leggendaria « Maschera di ferro »,vì aggiunge l'altra briglia di Casale

:

entrambe scosse da Vittorio Amedeo II con la de-

strezza dei negoziati più che col valore delle armi pel momento

non fortunate. Soltanto quando — per fortuna della patria nostra

— Luigi

XIV si decide a preferire la politica dinastica alla nazionale, a voler Filippo V sovrano di tutta la monarchia spagnuola anzi-

ché unite alla francese parecchie provincie italiane,é finalmente

chiuso— jBno alla Rivoluzione

il

periodo degli sforzi di Fran-

cia per aver possessi diretti in Italia. Ma quella politica segna il

decadimento della potenza francese,quella rinunzia è il primo

postulato perchè l'Italia possa risorgere e ricuperare la sua in-

dipendenza in forma unitaria o federale. È ovvio che la Francia,quando comprende le conseguenze necessarie di una politica che le condizioni generali d'Europa le tolgono omai la possibilità di mutare, preferisca la federazione e tenti avverarla ap-

punto in previsione della presto o tardi inevitabile Unità, II.

— Fattori prossimi.

Ad agevolare e ad accelerare il risorgimento politico di una nazione concorrono per lo più il suo risorgimento intellettuale, il

risorgimento morale, Io sviluppo dell'opinione publica e quel

risveglio politico locale che del risorgimento politico nazionale

è sintomo precorritore e determinante insieme. Passiamo così dai fattori

remoti ai fattori prossimi del Risorgimento italiano

sempre, s'intende,prima della Rivoluzione francese.

Senza esagerare il deca§ l.Il risorgimento intellettuale. dimento intellettuale d'Italia nel secolo KVII,è certo Cxxc tra gli


— 131 uomini insigni nati ancora nel Cinquecento, quali il Galilei, il Campanella, il Chiabrera,il Marino, il Testi, il Boccalini, il Tassoni.e la generazione che, sebbene abbia avuto in parte i natali nel Seicento.esplica la sua attività solo negli ultimi anni di quel

secolo o nel successivo, intercede come una lacuna, non lunga,

ma sensibile. Nelle scienze matematiche,è vero,continua a rifulgere la scuola del Galilei col Torricelli,col Cassini, col Viviani, ool Marchetti, facendo proseliti fino in Francia

ilGassend

— primo di tutti

,e anche nella medicina eccellono un Redi e

un Mal-

pighi.Ma il pensiero filosofico propriamente detto, cioè la più alta espressione dell'intelligenza umana, dopo il Bruno e Galileo

languisce o fa soltanto opera di continuazione e di commento

senza nessuna originalità di concezione la poesia, per stolta ri;

cerca di novità formale, dà in quel gonfio e stravagante che si dice appunto « secentismo » benché abbia origini e precedenti

remoti e sia più accentuato nei primi decenni del secolo che nei successivi

;

il

teatro si riduce quasi interamente a « scenari » in

cui l'autore cede il primo posto agli attori, se anche abbia inge-

gno drammatico come il Della Porta, fin l'arte degenera nella « maniera», talché, pur tra il fiorire di poderosi artisti, l'archi-

tettura si carica di linee soverchie e violente, mentre la pittura

pone la sua eccellenza nell' orgia dei colori e nell' abbondanza dei particolari più che nella sobrietà e nella perfezione dell'in-

sieme.

Non mancano pertanto gli scrittori che fanno dipendere il risorgimento intellettuale d'Italia nel Settecento da influssi stranieri e specialmente dal * filosofismo » francese,ossia da quel mo-

vimento che si raccoglie intorno aW Enciclopedia ed ha per massimi rappresentanti il Montesquieu ed il Voltaire, il D'Aleml)ert, il

Diderot ed il Rousseau, oltre una schiera numerosa e cospicua

di minori. Or che influssi stranieri,e non di Francia soltanto, siansi e.sercilati

sulla coltura italiana nel secolo XVHI,non si po-

trebbe ragionevolmente negare.e ne avrò a dire qualcosa fra poco; ma l'inizio del risorgimento intellettuale d'Italia in quel

tempo ha origine e caratteri perfettamente nazionali. Apre la schiera dei rinnovatori Gian Vincenzo Gravina con gli studi giuridici e critici Originum iuri«,De romano imperio, Della ragion poetica — «quando sommi pontefici dell'^^MCt-

i


— 132 — clopedia non erano ancora nati o vagivano appena, e li Monte-

squieu

— Un po' più vecchio e che, ad ogni modo, ne vuol esser

distinto Zois.

— era tuttavia lontanissimo dal meditare V Esprit des

Non da costoro,certamente,viene il pensiero di Pietro Gian-

none nelle molte opere storico-politiche non quello di Scipio;

ne Maffei nella trattazione filosofica della storia teologica non quello dell'Intieri, del Galiani,del Carli, in materia economica, ;

nè,fino ad un certo punto,dello Spedalieri nella scienza sociale.

Ma sopratutto ha ragioni e spirito ezzenzialmente italico, senza iinpressione esotica di sorta, la mente altissima del Vico,che già si rivela nelle concezioni

— in parte poi ripudiate — del De Anti-

quissima Italorum sapientia, per isvolgersi ed integrarsi perfettamente nelle fasi sempre più profonde della' varia redazione della Scienza nuova

il

più grande volo ad ali tesi del Genia

filosofico d'Italia.

Più tardi il Genovesi, il Beccaria e persino in qualche parte Mario Pagano poi anche il Fìlangieri,il Romagnosi,il Gioia,suhirono l'azione delle opere del Montesquieu, del Voltaire e, meno ;

assai,del Rousseau,perchè verso quest'ultimo,il D'Alembert ed il

Diderot le tendenze dello spìrito italiano rimasero sempre piuttosto ostili. Ma il Montesquieu molto aveva appreso dall'antico Aristotile e dal Machiavelli, il Voltaire qualche cosa almeno dal

Vico,e tutto insieme il gruppo degli enciclopedisti, più divulgatori che pensatori originali, attingeva a larghe mani i suoi prin-

cipi dalla filosofia inglese del Locke, dell' Hobbes, dell' Hume,

connessa a sua volta con quella dello Spinoza che in tanta parte derivava dal Bruno. Talché, pur quando i nostri pensatori me-

no profondi e meno originali del secolo XVIII ricorrevano come il Soave, infine, non farà che copiare il Condillac, semplice continuatore ed apostolo del Locke ,essi torna vano,con un circolo più o meno vizioso,al puna fonte al filosofismo d'Oltralpe

to di partenzadel nuovo pensiero europeo: la Rinascita italia-

na del Quattro e del Cinquecento. Nella scienza pura il secolo XVIII non aveva neanche a rinnovare, ma soltanto a continuare. E nella continuazione dell'opera quali progressi, quali scoperte destinate

— queste sì — a rin-

novare il mondo Basta ricordare, fra una pleiade di nomi illu!

stri

come Morgagni e Spallanzani, Scarpa e Mascheroni,! due


— 133 — eccelsi del Volta e del Galvani

:

la pila elettrica e il

magneti-

smo animale; da cui l'inesauribile fecondità della scienza ulteriore. Il secolo XVIlIjin Italia,ebbe per gli studi ecientiflci non

soltanto ammirazione e passione, ma un vero culto,e quella che fu chiamata V* Arcadia della scienza > ne è la manifestazione

più rumorosa, ma non certo la sola né la più eletta.

Qui però viene in acconcio un'osservazione. Questo nomignolo « Arcadia della scienza » è una trovata geniale ed espressiva, ma serve pure a sviare di solito da una considerazione di ben altra entità. L'Arcadia

dia »

— la tradizionale, l'Academia dell'* Arca-

,fin dagl'inizi, sotto la veste di quella riforma formale che

per contrastare con la semplicità agli eccessi del Secentismo porterà alla versicoleria senza contenuto poetico,è di fatto l'accolta

del fior fiore dell'intelligenza italiana, la quale trova nella poesia il

diletto, il passatempo,ma esercita la vera opera sua in tutt'al-

tro campo. L'« Arcadia » fondata in Roma nel 1690 sorge e si af-

ferma per virtù essenzialmente di giuristi pensatori come il Gravina, d'iniziatori

— siano pure rudimentali — del metodo critico

nella storia letteraria come il Crescimbeni e il Bacchini,di ar-

cheologi come il Ciampini e Raffaele Fabretti,di eruditi filosofi

come il Bianchini, di poeti satirici come il Menzini,e sopratutto di scienziati come il Malpighi,il Lancisi, il Viviani,il Redi, il Magalotti, il Marchetti

— tutti

i

^ù alti ingegni del Seicento — ;nè

si dimentichi che vi fu ascritto quasi sùbito

nientemeno che il

Vico. Questa circostanza è notevolissima e caratteristica; ond'era naturale, per le sue origini stesse, che l'Arcadia

— all'infuori

degl'influssi stranieri, pur in qualche parte da ammettersi

— finis-

se di per sé col porre in versi la scienza, e della scienza in versi creasse

una moda simpatica, promotrice di coltura là dove al-

trimenti questa avrebbe trovato terreno più difficile a penetrare.

Qui ben più che nella pastorelleria è anzi l'intima essenza del

movimento creato con la fondazione della male a proposito derisa academia, diretta —dicasi

anche spesso inconsciamente

a diffondere nel gran publico le risultanze di quei fini che era-

no proprii delle altre lodatissime del «Cimento» e dei « Lincei». In una parola r« Arcadia » fu la gran benemerita dell'allarga-

mento della coltura nell'Italia del Settecento; e non mi par poco pel risorgimento intellettuale [e con8eguenlemenle,poi,civile e politico) della Nazione.


,

— 134 — Un altro compito gravissimo assolse essa inoltre con le sue infinite « colonie » in

ogni città, in ogni terra d'Italia,con i di-

plorai largamente dispensati a chiunque

— non indegno — ne mo-

strasse desiderio, con le sue publicazioni collettive per nascite^

matrimoni e morti, per dolori e per feste d'ogni sorta era una :

forma di unione sacra, sia pure pel momento soltanto letteraria, degl'Italiani dalle Alpi al mare, per cui si annodavano relazioni e amicizie da Napoli a Trento, da Venezia a Torino, dalle ultime

balze dell'Aspromonte e dell'Etna ai verdi colli della Brianza e alla spiaggia

sempre ridente dell'antica Sirmione. Questa fun-

zione italiana,nazionale,deir« Arcadia » non è ancora stata mai

messa, e dev'essere, nel dovuto rilievo qualcosa come i Congressi :

scientifici dal 1839 al 1847, forse con minor coscienza dei fit)i,ma

con maggior libertà di mezzi. Clemente Vannetti poteva vantare l'italianità del Trentino senz'essere costretto ad emigrare,e quanti

altri Arcadi cantarono i voti e le speranze della patria inneg-

giando

— già ne abbiamo ricordato qualcuno— all'Italia e a Sa-

voia! Ben sapevano il fatto loro i generali di Francia quando,

varcate le Alpi, cominciarono a republìcanizzare !'« Arcadia »

!

E Napoleone,imperatore e re, fece poi anche di meglio inarca:

diò

— mi

si

passi il

nuovo conio

— la sua Massoneria ufficiale

sotto gli auspici del Monti.

Nel campo prettamente letterario, e soprattutto nella poesia, il risorgimento intellettuale d'Italia nel secolo XVIII è un feno-

meno così chiaro e così noto che non ha bisogno di essere illustrato con molta ampiezza solo conviene avvertire anche qui :

ch'esso pure fa capo air« Arcadia ».Tale origine non è. vera sol-

tanto per i poeti della prima metà del Settecento che vi sj riat-

taccano più direttamente, come il Lemene,il Rolli, il Metastasio r

— quest'ultimo, anzi, rappresenta a dirittura

il

prodotto più per-

fetto dello spirito poetico dell'academia arcadica in quanto ave-

va di meglio. Anche'i poeti più tardi come il Gerretti,il Mazza,

Fantoni,e non esclusi i maggiori — Goldoni, Parini, Alfieri non solo furono tutti ascritti all' « Arcadia», ma ne svolsero i

il

principi fondamentali della naturalezza e della semplicità for-

male da quei maestri che furono,cioè non soffermandosi alle apsche di troppi altri

donde le fanciullaggini pastorellere,ma penetrandone le ragioni più intime e

parenze esteriori di essi


— 135 — protoiule.Ai (inali principi, in sostanza,è assenziente e aderente lo stesso Barelli, che frusta bensì le *arcadicherie »;ma inten-

dendo condannare così le esagerazioni e le degenerazioni dì teorie giuste, riconosce e conferma quelle direttive

che sono real-

mente le doti di ogni sana e vera letteratura. Perchè questa appunto è l'essenza del fenomeno dell'* Arcadia » avendo preso le mosse da una reazione sentita o motivata contro il mal gusto, :

da quei sentimenti e motivi i veri ingegni trassero in alto, deboli od inetti precipitarono in basso: effetti diversi, ma naturali i

e logici,di un'unica causa.

Un posto particolare e precipuo nel rifiorire della vita intellettuale italiana nel Settecento spetta agli studi storici, nei quali

vediamo insieme perdurare la tradizione nazionale ed affer-

marsi una forma di lavoro dell'intelligenza destinata ad un gran-

de avvenire. Lasciando da parte il Vico e

i

suoi discepoli imme-

diati (Stellini,Duni),che vanno considerati come filosofi, non co-

me veri storici, nonostante l'enorme influenza che il pensiero vichiano eserciterà più tardi sulla concezione e sull'indirizzo della storia —, Lodovico Antonio Muratori ripiglia e portii a compi-

mento un disegno di Apostolo Zeno del Melastasio nel melodramma

il

precursore immediato

— con la grande raccolta dei Re-

rum italicarum scriptores che abbraccia le fonti narrative della storia di tutta Italia dall'anno 5(X) al 15(X),e completa il gran-

dioso lavoro con le Antiquitates italicae Medii Aevi e con gli Annali (V Italia, in cui ordina il materiale publicalo in

quadro

un vasto

— vorrei dire,con espressione in apparenza contraddito-

ria ed oscura, precisa invece e chiara solo che vi si pensi sopra un

istante,— di «sintesi analitica*. Il Muratori negli AwnaK ha l'oc-

chio soltanto agli avvenimenti politici della civiltà italiana nei secoli di mezzo discorre però in quel riassunto delle Antiquita:

les in lingua volgare che si può dire costituisca in effetto,fino ad

una certa misura, un'opera nuova avente con gli Annali un rapporto di reciproca integrazlone.il Tiraboschi dà poi,8empre con lo stesso concetto nazionale

— almeno geograficamente

- la Sco-

ria della letteratura italianaM l^inzi la Storia pittorica d' I-

talia,i\ Carli Delle monete e della institmione delle secche d^ ltalia,ìì Mazzuchelli gli Scrittori d'Italia;'ì\ Bettinelli, inlan-

to,concepisce e stampa,con molte e gravi inesattezze di fatto, ma


.

— 136 —

con larghissima veduta d'insieme, il suo libro Del risorgimento (l'Italia negli 8tudii,nelle arti e nei costumi dopo il Mvlle,e il Denina,con pari ampiezza di sguardo e qualche maggior precisione nei particolari, riassume a larghi tratti l'opera muratoria-

na con la sua Storia delle rivoluzioni d'Italia. Ora già il Zeno, il Maffei,il Muratori, hanno creato quel metodo critico negli studi storici che applicano con successo,perfezionandolo,accanto al Mazzuchelii,al Carli,al Tiraboschi, anche i numerosi scrittori locali dei casi politici, degli uomini di Stato e di guerra,delle lettere e specialmente dei letterati

:

Foscari-

ni,Liruti,Facciolati,Giulini, Terraneo, MuUatera, Affò, Poggiali, Sarti, Fanluzzi,Savioli,Marini,Tafuri, Di Gregorio...

— l'elenco,

a voler essere un po' completi, non finirebbe più. Questi studioi maggiori dei quali non si limitano a' lavori di erudizione si

storica, ma scrivono di svariati argomenti

:

il

Zeno, melodrammi

ilMaffei,]a tragedia Merope; il Muratori, Della per fetta poesia

;

;

il

Carli, di filosofia e di economia; l'Affò, il Salvioli, il Bettinelli,

versi non sempre disprezzabili

— ricostruiscono

le

biografie e

gli eventi sui carteggi e sugli alti di archivio, vagliando l'autenticità e la credibilità delle fonti, raffrontando un documento con

raltro,cercando la verità con l'indagine più severa e minuziosa. Lo straniero farà poi suo questo metodo, e ritalia,riprenden-

dolo da esso, gli si metterà ai piedi, già risorta inchinando la Ger,

mania come faro di un sapere che per quella è d'importazione, mentre presso di noi ha avuto l'origine ed un primo splendore in tutto il secolo XVIII.

Tutto ciò che si è detto fin qui non implica punto che,nel Settecento,influssi stranieri in Italia non siano stati, né senz'alcu-

na efficacia sul nostro risorgimento intellettuale di quel tempo ad es.,il romanzo in Italia, nei secoli XVII e XVIII, è tutto d'imitazione oltremontana. Di questi influssi stranieri si deve pur tenere il debito conto, come si devono distinguere secondo la pro:

venienza e l'intensità.

Tiene senza dubbio il primo posto l'influenza francese. Antiche e alterne le relazioni intellettuali tra Francia e Italia, da quan-

do nei secoli XII e XIII venivano di qua delle Alpi trovatori e troveri,e recando questi sulle grandi vie dei pellegrinaggi e dei

commerci le

•«

canzoni di gesta », nuova materia traevano per al-


— 137 tre dalle vicende e leggende nostre, mentre Marco Polo e Marti-

no da Canale scrivevano in francese « come nella lingua più dilettevole e conosciuta del mondo ».Più tardi, nel Trecento, l'avi-

gnonese Valchiusa educa il Petrarca all'amore di Madonna Laura, e se non

da testi francesi, da cantari deri vantine, attinge il Boccaccio i suoi poemi romanzeschi. Ma già va in Francia la

schiera sempre più numerosa degli umanisti o dei letterati, che terrà la Corte di Francesco I,di Enrico li, dei tigli di Caterina de'

Medici, con un'azione così viva non soltanto sulla coltura, ma sulla slessa lingua francese, da provocare quella sdegnosa protesta di Enrico Estienne e dei suoi amici, la quale non impedirà

però menomamente le imitazioni petrarchesche e italiane, in genere.della Pléiade,nè il successo del Marini e del marinismo al-

THòtel Rambouillet.GoU'avanzar del Seicento torna la Francia

ad estrinsecare la sua influenza letteraria in ltalia,e questa cresce ancora nel secolo XVII 1.

Non parliamo della «moda» nel costume, in cui la Francia diede sempre norma all'Italia: da tempo immemorabile, fra le la-

mentele e le satire di moralisti piagnoni, d'interessati spilorci e

guardava unicamente a Parigi, se ne chiamavano sarti e vestiti, vi si mandava a scuola di taglio e di

di nazionalisti in erba, si

cucitura. Ma nel Settecento la miglior Società parlava spesso francese, né vi era « elegante * che noi sapesse, ed era infetto anche il

volgare di numerosi vocaboli e forme galliche, come un tem-

po il francese d'italiane; finché anche da noi nasce la reazione

impersonata

— dopo le frecciale del Parini e del Carli — nel

li-

bro DeìVuso e dei pregi della lingua italiana del conte piemontese G.F.Galeani Napione.Il teatro francese è tradotto,imitato,e

non rimane senza efficacia neppure sul Goldoni e suirAllìeri; l'imitazione nel romanzo, già ricordata, perdura fino alla redazione deirOr<«s,inchiusa; e la francomania

— che d'allora in poi

a Milano verrà meno un istante solo sotto la sferza giacobina e le imposte napoleoniche

— giunge nel circolo del Caffè a far an— triste relaggio ai posteri

teporre da Pietro Verri in ogni cosa

— la Francia all' Italia. Ninna meraviglia, pertanto, per la di()endenza rilevata di parecchi scrittori italiani dal Montesquieu,dal Condillac e sopratutto dal Voltaire, né se questi impera anche in Italia pontefice e nume delle lettere, dei letterati e del publico.


— 138 — Al Voltaire, che non intendendo né Dante né Shakspeare,si scaglia contro l'uno e l'altro, fa eco da noi, riguardo al primo, il Bettinelli con le famose Lettere di Virgilio agli -4rcadt, quantunque

siasi molto esagerato nello sdegno contro un libro che non ave-

va tutte le mire denigratorie attribuitegli e che se é spesso unilaterale e paradossale, non manca neppure di qualche osservazione assennata, da riprendersi e svolgersi ragionevolmente in

— né in questo al — dall'imitazione di ciò che è inimi-

altra forma,e tende sopratutto ad allontanare Bettinelli si può dar torto

tabile, specialmente in tempi così diversi. Ma contro il Bettinelli

insorge a difesa di Dante, fra il plauso unanime d'Italia, Gaspare Gozzi ; contro il Voltaire appuntano le armi, per lo Shakspeare,il Baretti,e,per l'Alighieri, il men noto Vincenzo Martinelli,,

cui l'assalito degna rispondere, pur chiamandolo «un

pauvre

homme ».I1 nume » ha dunque suoi adoratori, suoi templi, ma anche suoi miscredenti d'altronde sappiamo che una del•«

i

i

i

;

le maggiori e più geniali fra le sue opereX Essai sur les moeurs,

è soltanto un'esplicazione ulteriore del pensiero vichiano,da cui

deriva; e che non solo al Machiavelli, ma al Vico stesso. si ispiri largamente il Montesquieu, fu

già notato da un contempora-

neo illustre, Ferdinando Galiani

l'ammiratore ed ammiratìssimo del Voltaire, ma così originale e così poco francese come

pensatore nostro. Insomma, l'influsso francese in Italia,nel secolo XVIII,è grande ;

ma sotto certi aspetti — né solo indirettamen-

te,come già si è detto

— é un cavallo di ritorno.

Anche fra Italia e Inghilterra abbastanza remoti gli scambi intellettuali. Senza risalire ai tempi di Gregorio Magno e del ve-

nerabile Beda,o alle origini sa bande, dopo le relazioni politiche del secolo XIII abbiamo nella età della Rinascita l'influenza del

Boccaccio sul Chaucer,poi del Petrarca sul Surrey e del Sannazzaro sul Sidney, quando già intorno al duca Umfredo di Gloucester si era formato un circolo di umanisti italiani avvivato

dalla frequente corrispondenza del nostro Decembrio. È noto

quanto debbano alle novelle e tradizioni italiane molti drammi dello Shakspeare,e già ho accennato alle origini indirette della filosofia sensista del Locke e dell'Hume dalle dottrine del Bruno e, si

deve aggiungere, di tutta la scuola del Telesio. Ora anche

l'Inghilterra rimanda nel Settecento all'Italia un influsso note-


— 139 — vole, prima e sopratutto attraverso alla Francia, poi anche più

direttamente, con la poesia del Milton, del Pope, dell'Addison, del Thompson, e con l'ossianismo macphersoniano che dilaga

nella versione e nella propaganda del Cesarotti, mentre Antonio

Conti ed Alessandro Verri imitano i drammi shakspeariani,ed al

Grey ed al Young risalirà più tardi, dopo quella di tanti oggi oscuri, l'ispirazione luminosa del Pindemonte e del Foscolo.

Degl'imitatori e fin dei traduttori italiani degli scrittori inglesi

nel secolo XVIII non tutti conoscevano la lingua loro: molti

tradussero od imitarono attraverso a versioni francesi —come

Gaspare Gozzi rispetto allo Spectator,a. cui ispirò il suo Osservatore. Tuilavia. molti si recavano per diporto o per istruzione in Inghilterra, e ne tornavano con

una conoscenza più o meno

sicura od incerta della lingua,dei costumi e dello spirito inglese; di là seri ve va no, tessendone le lodi, il Rolli, il Baretti e altri

parecchi

;

fin gli avversari del

sensismo, come il Doria,il Mura-

tori, il Gerdil,apprendevano la lingua del Locke per meglio com-

batterlo. Vi è in Italia, allora,un'anglomania come una galloma-

nia, ma più seria e più feconda

:

il

Robertson, l'Hume e special-

mente il Gibbon sono storici di ben altro polso che il Raynal,il Mably e lo stesso Voltaire, ed il culto del Newton— che si può viene a costituire un episodio non indegno veramente dir tale di quella fioritura scientifica che abbiamo veduto essere non sol-

tanto una moda letteraria, ma l'essenza slessa, con gli studi storici, della coltura nostra nel

Settecento intorno al nucleo divi-

natore del pensiero del Vico. Infine, un'azione essenziale, finora

non abbastanza messa in rilievo, dell'Inghilterra sull'Italia e sullo spirito italiano del secolo XVIll,è nell'importazione e nella diffusione della

Massoneria, con le sue ulteriori conseguenze

in prò' del principio liberale e nazionale, che 8i sarebbero svol-

te—sia pure ir\ altra forma — anche senza il grande sovvertimento della Rivoluzione francese. almeno fin oltre i Intensità e portata di gran lunga minore tempi di cui ci occupiamo — ebbe l'infiusso tedesco. Nonostante la circostanza delle non mai interrotte relazioni fra Germania e Italia e della dominazione austriaca prima in tante nostre contrade e stabilmente poi, per tutto il Settecento, in Lombardia, la

la lingua e la letteratura tedesca ebl)ero allora

scarsa diffusi©-


— 140 ne tra noi. Certo non mancarono cultori ed ammiratori che si studiarono di far apprezzare una poesia la quale cominciava a far sentire qualche nuova nota, e ne scrissero specialmente taluni come il Corniani,il Denina e principalmente il Bertola, che furono pure di persona in Germania. Ma anche 1' ultimo tradusse spesso da versioni francesi anziché dall'originale del Gleim,delrHagedorn,del Kleist e fin dello svizzero Gessner,la poesia idilliaca del quale meglio rispondeva colla sua estrema semplicità ai principi dell'* Arcadia ».Nè la scarsa conoscenza della lette-

ratura tedesca che da quei lavori e da quelle traduzioni veniva all'Italia segnò qui direttive nuove. Gleim,Kleist,Weisse,Klop-

stock ed Mailer sono conosciuti dal Fantoni e ricordati, tradotti,fìn imitati, da altri poeti nostri

nel secolo XVIII

;

ma un'azio-

ne efficace della coltura tedesca sull'italiana non si fa sentire

prima dello Schiller,del Goethe e del Winkelmann,per affermarsi poi poderosamente con la scuola romantica dei Grimm e degli Schlegel, la filosofica dell' Hegel, la storica del Niebhur, del

Mommsen e del Pertz. Nondimeno anche le idee fondamentali del romanticismo non vengono all'Italia dal Lessing e dall'Her-

der, di cui i Grimm e gli Schlegel sono in realtà soltanto i continuatori esse vi sono precorse teoricamente dal Conti, dieci an:

ni prima la nascita del Lessing, e praticamente da Carlo Gozzi nelle Fiabe, qua.n6o l'Herder era appena diciassettenne. Pur in

questa parte, adunque, il Settecento anteriore alla Rivoluzione francese mette innanzi l'Italia nel campo del risorgimento intellettuale proprio là dove questo sarà più strettamente connes-

so al risogimento politico futuro.

Una più considerevole efficacia si deve riconoscere invece all' influsso

spagnuolo.I contatti fra Italia e Spagna erano stati

da quando, almeno, Sicilia e Aragona avevano operato alte cose nell'esaltazione comune dei rispettivi cronisti. Grandissima la fortuna di Dante,del Petrarca e del Boccaccio in Ispagna,fin dal Tre e dal Quattrocento,dal marchese di Santillana ad Auziaz March, a Juan de Mena, ad Andreu Febrer,— per citar solo qualche nome più insigne. Nel secolo XV la Corte napoletana di Alfonso il magnammo e del ramo bastardo degli Aragonesi da lui discendenti era stata un centro di scambi intellettuali tra l'Umanesimo italiano e la poesia italofrequenti in ogni tempo,


— 141 — spagnuola rappresentala sopratutto da Benedetto Gareth

il

Carlteo; più tardi, la lunga soggezione di Sardegna, Sicilia,Napoli e Milano ai viceré e governatori mandati da Madrid non era

rimasta senza azione reciproca delle due colture di Spagna e d'Italia: donde il sorgere poi della contesa se

il

mal gusto secen-

tistico fosse stato comunicato da questa a quella, o viceversa.

L'importanza dell' influssso spagnuolo in Italia nel Settecenti tuttavìa insLi in sifatta contesa ben più che nelle imitazioni

negabili e maggiori di quanto si creda comunemente

— del Me-

tastasìo dal Calderon e del Goldoni da Tirso de Molina, da Lope

de Vega,dal Moreto,dal D'Alarcon,o nelle versioni dall'italiano in ispagnuolo e dallo spagnuolo in italiano, di cui il miglior e-

sempio è dato dai quattro volumi della Colecion de poesias castillanas tradiicidas en verso toscano é ilhistradas da Giambattista Conti. L'efficacia di questa Colecion in Italia fu quasi nulla, e soltanto al

principio del secolo XIX, con il movimento an-

tinapoleonico della Spagna e le imprese dei soldati del Regno italico per combatterlo, verrà dalle Sierre all'Apennino l'eco dei

canti patrii del Quintana, cui loderanno il Pecchio e

il

Berchet

e non disdegnerà imitare nella canzone AlVItalia il Leopardi.

Nella seconda metà del Settecento la vera azione esercitata dalla Spagna sul movimento intellettuale italiano è tutta nelle

contese agitate principalmente per la venuta in Italia dei Gesuiti

spagnuoli espulsi dì lor patria dalla politica dei Borboni. Era-

no,! più, uomini d'ingegno pronto e vicace, di molta dottrina,di

vaste cognizioni,che recarono naturalmente con sé nella terra di esilio. L'opera di costoro, fra i quali si annoverarono un Isla,un

Andres,un Arteaga,un Masdeu,un Millas,fu doppiamente feconda per l'Italia. Essi scrissero in italiano parecchie opere di non

grande valore intrinseco perchè spesso superficiali, ma di larga e geniale concezione oggi dimenticate, ebbero non poca eco di :

rinomanza quando furono publicate e giovarono senza dubbio all'incremento della coltura italiana, in ispecie all'infuori del mondo più strettamente scientifico e letteriario.Ma sopratuito quelle contese,che culminarono in asprezza fra ilTiraboschi

— col Napoll-Signorelli — e

il

questioni che presero sùbito

I^mpillas, svolgendosi intorno a

— né poteva essere a Uri menti — un

carattere nazionalistico, ebbero in sé il grande pregio di venire


— 142 — appunto a diffondere il sentimento italiano in riscossa contro chi sembrava voler attentare alla grandezza tradizionale d'Italia o almeno falcidiarla. Qualche cosa di simile era già avvenuto nelle lotte per Dante ma ora le proporzioni sono più vaste, ;

i

problemi più complessi, l'interesse più intenso e generale. In

mezzo a quelle contese il sentimento del primato intellettuale •d'Italia si fa strada, e 11 secolo che aveva preso inizio da affer-

mazioni del Vico donate

— siano pure in parte state poi da lui abban-

— nel De antiquissima italorum sapientia,si chiude con

un'esplosione significativa di coscienza nazionale riguardo alla gloria patria nelle lettere,nelle arti e nelle scienze che precorre di oltre cinquant'anni, preparandone intanto parecchi materiali,

l'opera magnifica nella sua stessa esagerazione

— con cui Vin-

cenzo Gioberti darà lo squillo nunzio ed ammonitore della gran-

de ora omai giunta. Agl'influssi stranieri e

— anche in altri modi più diretti — al

risorgimento intellettuale d'Italia, in genere, portarono un certo contributo i numerosi viaggi e le prolungate dimore d'Italiani all'estero e di stranieri in Italia, senza tuttavia che a questa for-

ma di contatti e di scambi debba darsi una soverchia importanza.

A prescindere dagli « avventurieri », che costituiscono una ca-

tegoria a parte, molti degli uomini più insigni d'Italia nel Sette-

cento nel campo del pensiero e delle lettere furono più o meno

a lungo in Francia Marco Foscarini, Carlo Gastone Rezzonico :

"della Torre, l'astronomo Piazzi, Antonio Conti, l'abate Galiani,il

Bettinelli, il Beccaria, Alessandro Verri, il Goldoni,rAlfieri,iILail Soave vi doveva andare quando fu trattenuto in Savoia dall'annunzio della Rivoluzione. Fra gl'Italiani che viag-

Lgrange

;

giarono o dimorarono in Inghilterra vanno menzionati in pri-

ma linea il Maffei,ilBaretti,rAlgarotti,il Rolli,Antonio Conti ed Alessandro Verri,Vincenzo Martinelli, Antonio Cocchi e,qualche tempo, anche rAlfleri,il Volta, il Pindemonte. In Germania tro-

viamo il Denina,il Lucchesini, ancora l'Algarotti e ilLagrange, e poi il medico Giovan Lodovico Bianconi, il Rezzonico della Torte, il Pilati,il Passeroni,i cardinali Lucini e Garampi e quel fa-

moso Pier Antonio Gratarol che di là passò poi anche in Isvezia.In Austria,a tacere del gran capitano Eugenio di Savoia,s'in-

-comincia col Zeno e si pr^oCgue col Metastasio,ai quali fanno


_ 143 — volta a volta corona il letterato e diploniatico Koscarini,il ma-

tematico Sebastiano Ajala, l'erudito Angelo Maria Bandini, il commediografo De Gamerra,lo storico ed economista Carli. Alla catastrofe della Polonia assiste Scipione Piattoli, mentre in Russia il Casti loda e satireggia insieme Caterina

In [spagna, finalmente,si ricordano

co Farinello

il

e la sua Corte.

li

— oltre l'onnipotente musi-

Baretti,G.B.Conti,il Napoli-Signorelli, il medi-

co Mariano Pizzi e quel singolare marchese Malaspina che vi stette lungo tempo in prigione ; in Portogallo,di nuovo il Baretti.

L'emigrazione italiana airestero,più o meno stabile o temporaria,è dunque costituita dal fior fiore dell'intelligenza nostra: vi abbiamo scorto tutti, o quasi, i nomi più illustri, pochissimi ec-

cettuati che mai non uscirono d'Italia. Dalla Francia, invece, non

sono molti gli scrittori e pensatori ragguardevoli venuti anche solo per diporto fra noi

:

vi furono l'erudito Montfaucon,il presi-

dente De Brosse,il Montesquieu, il Rousseau, il Bergeret Lalan;

de,RoIand,Dutens,Guyot,l'agronomo Lullin de Chàteauvieu,le due scrittrici Madame de Boccage e Madame de Genlis quest'ul-

tima in compagnia della duchessa di Chartres

— poi una schie;

ra di abati, tra cui emergono soltanto il Ducloze il Barthélemy

— molto al di sotto,

il

Coyer e il Morellet

— ;una turba, infine,di

oscuri, tra i quali merita un accenno appena Max Lemberg pel

suo 3/émorta/ d'wn wtondain col motto* Italiani Italiani !»,epiù ancora per la nota amicizia col Casanova.Solamente sullo scor!

cio del secolo XVIII viene anche Elisabetta Lebrun e all'inizio del XIX cominciano ad affluire le maggiori figure di Paul Louis

[Courier],Chàteaubriand, Madame de Stael,Beyle [Stendhal, che

vantava

la

sua non remota origine milanese], quando già tra

Francia e Italia sono intervenuti ben altri rapporti per effetto della Rivoluzione e la fortuna e il genio del Buonaparte.Ma l'In-

ghilterra manda all'Italia i suoi migliori per tutto il Settecento

:

gentiluomini statisti come lord Essex,il duca di Mall)orough,il

marchese di Rochingam;i poeti Addison,Gray,Joung, Moore; Gionata Richardson Samuel Sharp,* il maldicente »; lo storico ;

Gibbon,che pensa la sua grande opera sedendo e meditando sulle

rovine di Roma antica; lady Montagne, che si ferma e muore

sul lago d'Iseo; il « malinconioso » Smollel,che viene in Italia

per tre volte; l'irlandese Martino Sherlock e più e più altri che


— 144 — sarebbe troppo lungo e tedioso enumerare. Anche là Germania

dà un concorso notevole: Adler, Buschling,tiedge,Fenber, l'astronomo Bernoulli, l'avventuroso barone di Pollnitz e,massiaiì,

Herder,Goethe,Winkelmann e, sulla fine del secolo, Arndt.Finalmente,tra gli Spagnuoli si rìcordano,oltre i Gesuiti già menzionati, Leandro Fernandez de Moratin,Josè de Silva Bazan,il marchese di Santa Cruz tra i Portoghesi, Verney di Correa, il cavaliere d'OIiveyras e l'abate Antonio da Costa tra Russi, un Or;

i

;

loflf ed un Chéreraeteff.Di tutti costoro, parecchi hanno lasciato

lettere, memorie

o libri appositi sulla loro dimora in Italia, di

cui conobbero non soltanto gli usi, il paesaggio, i i

monumenti è

divertìmenti,ma gli uomini più insigni,la società colta,la par-

stra di allora

:

della vita nose non sempre la migliore qualcuno più acuto, come ad es.l'Addison, accen-

te più appariscente

na pure al risveglio [o, meglio, ali 'affermazionejdella coscienza nazionale italiana,e presente,se non presagisce già, un non lontano risveglio politico effettivo. § 2.Ji risorgimento morale. —Furono rammentate di sopra le vigorose polemiche dantesche del Gozzi contro il Bettinelli e di Vincenzo Martinelli contro il Voltaire, al quale toccarono an-

che quelle del Baretti,ricredentesi per sentimento nazionale dai giudizi non sempre riverenti pronunziati prima sulla Commedia. Il rifiorire del culto dantesco segna il passaggio dal risorgimen-

to intellettuale al risorgimento morale dell'Italia settecentesca,

perchè nello studio del « divino » poema non è soltanto un'affer-

mazione della coscienza e del sentimento italiano, non soltanto una prova della rinvigorita intelligenza fatta capace di comprendere ed apprezzare tempi e spiriti diversi in forma diffìcile e coercitiva di dottrina e di meditazione profonda,

ma è an-

che,e sopratutto, l'asserzione di più alte idealità d'ordine morale compenetranti gli

animi e suscitanti quel miglioramento non sarebbero

pratico della vita senza di cui sifatte idealità

che ipocrisia od incoscienza.

Non che nel Seicento l'Alighieri fosse stato trascurato del tutto: ebbe edizioni ed anche qualche imitatore. si delle stampe del poema dantesco nel

Ma il moltiplicar-

secolo XVIII denota la

più larga e frequente lettura del testo, mentre si fanno più vive


— 145 — le discussioni sulla maggiore o minore originalità della

Comme-

dia,e cominciano a consacrare alla biografia del poeta o all'in-

terpretazione della sua opera studi calorosi uomini come il Pelli, il

Bottari,il Dionisi,il Vannetti. L'imitazione, poi, elevandosi

da quella esteriorità formale che potrebbe anche essere solo un' onde non del tutto a torto esercitazione più o meno retorica ,dava frutti di ben altro valore con la combatteva il Bettinelli

le

Visioni del Varano e qualche poemetto giovanile del Monti

che lo preparava degnamente all'In morte di Ugo Basville.

Né il rinvigorirsi dell'ammirazione e dell'amore per Dante e una rifiorita di sentimento religioso quale emana dalla Commedia e senza di cui essa non è Intel leggibile né, tanto meno, apprezzabile. Parrà singolare a taluno la scoperta nel Settecento di un più intenso dello studio del suo poema può sceverarsi da

e profondo sentimento religioso in confronto del secolo che lo

precede l'età del filosofismo, del volterianismo, considerata co:

me più fervida e più sincera in materia di Fede che quella che lien dietro sùbito alla

Riforma cattolica

;

l'

epoca della sopres-

sione della Compagnia di Gesù, più che il tempo dei suoi trionfi.

Ma il sentimento e la coscienza religiosa non sono sempre in

rapporto diretto colla fortuna del culto esteriore e delle pratiche di chiesa,e neanche con un'acquiescenza— in fondo indifferenti-

stica

— al Cattolicismo romano o ad altra confessione imperante

in un certo momento della storia. Senza dubbio,è molto più difficile determinare ciò che vi sia di vero,di sentito,di intimo, nel-

la religiosità di un popolo quando non discute la religione

che

pratica,e se la pratichi per fede o per superstizione, per convin-

zione o per timore o per interesse mondano nel tempo in cui essa é appoggiata dalla forza statale. Nondimeno, la discussione in materia religiosa é indizio sicuro del fervore delle credenze,

e in questo senso il Settecento presenta,accanto ai numerosi predicatori di vaglia e agli scrittori e pensatori cattolici

Gerdil,uno Spedalieri,un Turchi, un Ortes

— come un

— ,tutta la schiera dei

giansenisti italiani, ben diversi dai francesi in quanto, non ristretti ad alcune speciali questioni teologiche, volevano la rifor-

ma generale del Cristianesimo con un ritorno verso le sue origini, ma senza uscire dal Cattolicismo; schiera in cui si contano un Tarn burini, un Zola,un Degola R%*or§., 17

— che avrà poi parte notevo10


— 146 le nella conversione del

Manzoni— e ,

i

vescovi Benedetto Sola-

rì,di Noli, e Scipione de' Ricci,di Pistoia, sopra ogni altro famo-

so, in odio sì al

temporalismo della Chiesa romana, né sempre

— a quanto — e di convinzioni sincere e profonde. Non di-

irriprovevoli nella loro opera, ma d'intenzioni pure

pare,almeno,

si

mentichino,del resto, per la conoscenza e l'apprezzamento della religiosità in Italia nel secolo XVIIl alcuni fatti singoli, ma di

capitale importanza. Il Giannone, così avverso al Papato come istituzione politica, ed anche al primato spirituale di esso, si fa

prendere prigioniero passando dal territorio dalla libera, ma protestante Ginevra a quello della cattolica Savoia per la lusinga di venirvi a compiere il precetto pasquale e godere il sacra-

mento eucaristico. L'avventuriero Casanova, ciurmatore di cabala e di alchimia, primo donnaiuolo d'Europa, all'occasione baro etruffaldino,proclama nelle sue Memorie inconsciamente o volontariamente ciniche,ma schiette e veritiere come ogni dì più

appare,

— la necessità della religione, la sua credenza nel Dio — egli già imprigionato per Massoneria — la sua av-

cristiano

,

versione decisa,principalmente,al filosofismo volteriano miscre-

dente a dirittura. Infine è noto l'aneddoto del Parini,cbein al-

cune odi e sopratutto in quattro sonetti supera per forza di sentimento religioso innegabile le poesie del Lemene, di Agostino e Giovanni Paradisi e di altri che pur preludiano coi loro versi

agl'/wwi sacri del Manzoni tolto il Crocifìsso dalla sala della :

Municipalità di Milano,a cui apparteneva,già in pieno sanculot-

lismo cisalpino,ricusa di rimettervi piede con le coraggiose parole

:

« Dove

non entra il cittadino Cristo, non entro io »! E il

Ranza,diventato democratico matto per i violati diritti tradizionali della sua Vercelli dopo le RR. Costituzioni del 1770,non rin-

negò mai, in quell'orgia briaca, l'avita credenza cristiana, se anche la storse secondo i traviamenti del suo ingegno,disordinato,

non scarso. Fin nella Corte di Roma la malignità non può più mordere, né per la sostanza né per l'apparenza, la vita di alcun

Papa con quelle ragioni o quei pretesti onde addentava ancora mezzo secolo innanzi un Pamfìli,un Chigi, un Rospigliosi i Pontefici del Settecento sono semiasceti come Rezzonico e Ganganelli,o spiriti superiori come Lambertini. :

Il Settecento, è vero, è l' età del

Cicisbeismo, cioè

— si dice —


— 147 — delladiesoluzione della famiglia. Lasciamo stare che sul cicisbei-

smo l'ultima sentenza non è pronunziata, e che le testimonianze non sono tutte consone, anzi talune opposte, né manca qualche osservatore straniero che nella singolare istituzione di fatto vede anzi una valvola di sicurezza del matrimonio, una garanzia della fedeltà corporale della moglie al marito, mentre, il « servente » sarebbe stato soltanto il custode dell'onestà femmi-

nile insidiata da tanti altri ed avrebbe

compiuto una funzione

in sostanza non molto diversa da quella dal primo eunuco nella

famiglia musulmana. Accettiamo l'opinione consueta

mento dei costumi

; il

:

il

decadi-

rilassamento,se non a dirittura lo sfacelo,

del vincolo famigliare nella prima metà del Settecento. Oh

!

non

sono senza significato le proteste unanimi della poesia non meno che del pulpito contro tale condizione Quante le satire e le !

invettive, che culminano nel dell'Alfieri,

Giorno del Parini e nel Divorzio

ma formano intorno a quelle note maggiori tutto un

concerto di voci unissone Né sono proteste vane, querimonie !

sterili, Il Parini non terminò forse il Giorno per ragione d'ordine

librario

;

ma quando tali ragioni erano probabilmilmente scom-

parse, egli stesso ci fa sapere che era pur venuta meno ogni op-

portunità,ogni convenienza, di combattere ancora quello cheo-

mai più non esisteva.! combattenti, dunque, avevano vinto: segno che la corruzione era più superficiale e leggera che non paresse segno sopratutto che si era formata una sensibilità alla sferza morale,e così la vergogna salita alle guance aveva potuto correggere il cervello ed il cuore. La Rivoluzione francese completerà il non sorprendente miracolo, ma senza dubbio più con la reazione che provoca dopo il primo triennio, che per se stessa erano davvero morali e moralizzatori i «commissari del;

:

la Republica », ladri del

publico e del privato,divorziati e riam-

mogliati più volte [come più volte rimaritate erano le loro mogli], o accompagnati da stuoli di

rinnovantisi concubine? Non

di là, per certo, il miglioramento dei costumi, il riordinamento e il

rinsaldamento della famiglia,che pur è fatto compiuto entro

il

secolo stesso.

Questo miglioramento morale è attestato anche da cosa in apparenza più futile, quale l'ingentilirsi dei divertimenti. Nel giuoco,nella danza,negli spettacoli, fin nell'amore, tutto si fa più fine


— 148 — e quindi, per vari rispetti, più morale. La grossolanità dei dadi

scompare affatto dinanzi al favore sempre più grande delle combinazioni delle carte in cui, accanto alla fortuna, ha quasi sempre la sua parte l'osservazione, e spesso l' ingegno non si giuoca più sulle piazze e per le vie,se non per eccezione e in piccoli centri, ma In eleganti « ridotti »,e quando questi degenerano in « bische », cominciano contro di esse e contro i bari non abbastanza avveduti provvedimenti più o meno severi di polizia,che si riattaccano talvolta a vecchie leggi, ma sono informati a tutt' altri criteri ed intendimenti. Così ai balli dalle mosse libere e non di rado impudiche,come la « furlana » o la « monferrina », sottentrano il minuetto e altre danze a figure corrette e se si fan;

;

no ancora a Roma, a Siena ed altrove le corse dei 6eròeH,sorgono già voci autorevoli a riprovarne le « barbarie ». Sul teatro, i « lazzi » delle « maschere » scompaiono a poco a poco sotto la riforma goldoniana e il nuovo « dramma lacrimoso »,e lo stesso Carlo Gozzi fa succedere sùbito alle volgarità delle Tre Mela-

rance altre Fiabe non meno fantasiose,ma implicanti ammaestramenti profondi sotto veste di ben diversa dignità. Nel Settecento non vi è più un nobile che concepisca, nonché tenti praticare

— almeno nell' Italia superiore — una di quelle violenze

dourodrighesche così comuni nel secolo avanti nei rapporti ir:

regolari fra uomini e donne si osserva invece un certo riguardo esteriore, una certa decenza, che non è effetto d' ipocrisia né di

temuti rigori statali o chiesastici, in tal materia spuntati, ma di

una nuova condizione di tutto lo spirito della società,peT cui se vi sono ancora bastardi — e ve ne saranno sempre — non si allevano più insieme con i figli legittimi e si cerca di nasconderli anziché ostentarli sfacciatamente come prima. Soltanto il teatro republicano riporterà sulla scena,per fini politici, qualche sguaiataggine come il cosidetto

— e mal detto — Ballo del Fapa,e

ì

giacobini di là e qua delle Alpi ristabiliranno, fra le più iperboliche ciancie di virtù, un momentaneo impudente trionfo della

lussuria.

Infine,come i divertimenti,così s'ingentiliscono anche i proce-

dimenti giudiziari. Assai prima del secolo XVIII erano insorte voci di scrittori, e specialmente di giureconsulti, di teologi, di predicatori, contro gli orrori della « tortura», i supplizi feroci,


- 149 — l'imprigionamento per debiti, la durezza e l'insalubrità delle carceri, ma allora soltanto la propaganda s'intensifìca,e la cam-

pagna vigorosamente condotta in nome di più elevate concezioni giuridiche e di sentimenti più aftìnati,cui ripugnano e disgustano le brutalità penali e carcera rie, riesce abbastanza presto a conseguire la maggior parte dei suoi fini. Della tortura, infatti, a breve distanza dal libro del Beccaria (1764), è chiesta solenne-

mente l'abolizione dagli Stati provinciali di Aosta (1766) e viene decretata successivamente da Maria Teresa in Lombardia, da Pier Leopoldo in Toscana e da Ferdinando 1 a Napoli. Così le pene corporali più atroci,già limitate dall'Imperatrice-Regina, so-

no escluse del tutto dai Godici di Pier Leopoldo e di Giuseppe Il e dalle RR. Costituzioni di Carlo Emanuele III di Savoia e di Francesco III di Modena, mentre emanano disposizioni legislative anche per il miglioramento delle carceri e del loro regime

a Napoli, in Toscana, in Lombardia, e negli stessi paesi è abolito l'imprigionamento per debiti.

§ 3. Lo sviluppo délV opinione publica.

— La riprovazione del

vizio, la correzione del costume,relevazione del sentimento reli-

gioso, il * risorgimento morale » insomma,deiritalia settecentesca, trova

il

suo punto di appoggio, come appare di per sé da

quanto si è accennato, in un'azione sempre più valida ed efficace della publica opinione, che col biasimo o la lode nel campo

morale,con le discussioni nel letterario e neireconomico,con le indicazioni prò' o contro nel civile e politico, acquista una for-

za con la quale diventa impossibile non contare. In ogni tempo vi è stata una opinione publica, ma essa varia

d'intensità secondo la temperie 8torica,come ne variano le manifestazioni e diversificano le maniere d'indirizzarla piuttosto

un senso che in un altro. Anche senza risalire all'antichità greco-romana, non ne mancano bagliori più o meno vividi per in

tutta l'età di mezzo,dalle attestazioni degli annalisti del IX se-

colo sui sentimenti diversi del popolo franco nelle lotte fra Ix)-

dovico il pio ed i suoi figli, agli scritti polemici del tempo prò' e contro i contendenti e le ragioni ideali e personali del dibattito ; dalle passioni sollevate in

vo e morto, con

i

Roma intorno a papa Formoso, vi-

relativi libelli, alla copiosissima letteratura


- 150 della lotta per le investiture; dalle bolle-manifesti dei pontefici ostili agli Svevi,alle controlettere federiciane scritte da Pier delle

Vigne dalle « tenzoni » e « sirventesi » dei trovatori e dalla sati;

ra dei giullari e dei goliardi, al pulpito dei predicatori e alle o-

pere solenni di Dante e di Egidio Colonna, di Marsilio da Pa-

dova e dei guelfi francesi. Cresce la potenza dell'opinione publica dal Tre al Quattrocento, sotto le forme più svariate lettere :

ed invettive degli umanisti,* lamenti » dogliosi e « novelle » sorridenti,gravi canzoni petrarchesche e petrarcheggianti e sonetti

maliziosi nelle code interminabili,* macaronee » latine e sati-

re volgari, tutto serve ad esprimere i sentimenti e i giudizi ano-

nimi o di persone illustri, a premere sulla coscienza altrui per volgerla contro o a favore d'individui o di Stati. Intanto comin-

ciano gli « avvisi », prima solo alle Corti,ai Governi, poi da questi lasciati o fatti ad arte diffondere ; e le notizie liete per l'uno,

tristi per l'altro, servono

ad attrarre al primo o ad allontanar

dal secondo. Così accade anche per le predizioni astrologiche, i

famosi « pronostici » non meno temuti che sollecitati per la me-

desima ragione.AlI'inizio, poi,del Cinquecento, mastro Pasquino, dapprima innocuo raccoglitore di componimenti accademici, diventa,nelle mani altrettanto adunche quanto sottili del ter-

ribile Arentino, l'espressione della satira publica più audace ed

intemperante,fìnchè « avvisi »,« pronostici »,*pasquilli », si com-

bineranno in quella nuova arma potentissima, espressione e determinazione insieme dell'opinione publica, che sarà il giornalismo. 11 vero giornalismo

d'Italia; qui

nasce soltanto nel secolo XVII, ma fuori

— dove pure troviamo le prime gazzette,

a.

Venezia

ed a Roma, intorno al 1536,ma non sono più che fogli di « avvisi » a stampa

— ,ai tipi vecchi — di cui taluno,come

ci »,cade in disuso

i

« pronosti-

si aggiunge solo, sul principio del secolo,

e presto languisce anch'essa, la nuova trovata dei « ragguagli di

Parnaso » nella quale eccelle il Boccalini e con cui lottano Saanzi,ad esvoia, Spagna,Roma, Venezia. Ben con il Settecento ,il giornalismo propriamente detto non ser precisi,fìn dal 1668 solo penetra, ma si diffonde rapidamente e largamente anche

in Italia. È dapprima,e si capisce,di materia esclusivamente letteraria per la libera espressione politica dell'opinione publica :


- 151 i

tempi non sono ancora maturi. Ma dalla fioritura dei gior-

nali letterari, dalla critica e dalle

polemiche su autori ed o-

pere,di cui è massimo esponente la Frusta del Barelli, si pas-

sa ad un'azione morale con

V Osservatore di Gaspare Gozzi, si

entra nel dominio dell'economia publica e della vita civile, se

non ancora politica, non senza spunti di scandali amministrativi tra Verri e Greppi, ad

esempio, nel sintomatico Ca/fè, Gros-

se questioni cominciano ivi ad essere agitate da scrittori di al-

un publico che legge e s' interessa, se ancora non si appassiona a dirittura. E quantunque veri giornali politici non vi siano prima dell'arrivo dei Francesi in Lombardia, cominciano a stamparsi opuscoli come quelli del Gorani,del to valore, e vi è

Ranza,dei Vasco,che toccano argomenti di Stato, talvolta col favore dei Governi, talvolta con la loro tolleranza, sovente anche non senza loro sdegno e persecuzioni agli autori. La spinta è data, la porta dischiusa ranche se non fosse sopragiunta la precipite fiumana transalpina, più adagio,ma sicuramente,al giorna-

lismo politico si sarebbe arrivati, con tutte le sue conseguenze.

Né dimentichiamo che prima della Rivoluzione la censura era in genere molto più larga di quanto sia stata dopo il 1814; e,sen-

za di quella,avrebbe continualo ad esser tale

— e forse,fra breve,

relativamente, sarebbe diventata più larga ancora.

Intanto una grande palestra era aperta senza troppe difiBcoltà.

Teatro è mezzo efficacissimo di azione sul publico,purchè risponda a idee e sentimenti che già esistono inconsci nel medesiIl

mo e di cui le produzioni teatrali hanno appunto per compito di suscitar la coscienza. Questo compito è assolto in modo egregio

dal Teatro settecentesco italiano. Per certo, vi sono,come sempre, le une accanto alle altre varie tendenze, correnti diver8e,e si plau-

de ad un tempo al melodramma del Metastasio e alla tragedia deirAlfìeri,alla commedia del Goldoni e alla fiaba di Carlo Gozzi, al

dramma del Chiari e a quello del Gamerra.Ma la diversità

è più superficiale e meno profonda che a primo aspetto non paia,e gli eff'etti si rassomigliano anche movendo da cause disfor-

mi e talora contrarie. L'ammaestramento morale che inculca con

immaginazioni il conservatorismo del Gozzi non è sostanzialmente altro che quello che emana dal riso gio-

le sue spettacolose

condamente arguto del suo odiato rivale e Regolo che dà la vi;


— 152 — ta per il dovere, per la gloria, per la patria,Temistocle che vuol

morite piuttosto che combattere contro la sua città, Catone che veder Roma schiava di Cesare, ed Emilia che ne auspica un non lontano vendicatore,non destano fiamme misi uccide per non

nori dell'incendio onde fanno avvampare i cuori Virginio, Agide, i r3ruti. La « vedova scaltra » insegna con l'esempio a prefe-

spagnuolo; riempiono

rire l'italiano al francese,airinglese,allo il

melodramma di Esio grandi nomi di Roma e d'Italia di fronì

te ai

Barbari vinti, e nel vocabolario alfieriano le voci più fre-

quenti sono, tra loro perpetuamente contraposte, « tirannide » e «libertà». La preparazione morale ed intellettuale dell'animo italiano al risveglio nazionale è continua e poderosa

— anche,

quando non voluta di proposito, ma per lo più intesa e intendente

— nel Teatro nostro del Settecento — parlo dei grandi autori, :

è ovvio,ma anche qualche minore più modestamente coopera a

questo rivolgimento della publica opinione nel senso sopraindicato.

Altri centri di conversazioni, di scambi di pensieri ed'idee,di

commenti sulle questioni del giorno

— non escluse le politiche

— erano caffè ed ridotti. i

i

Fin dal Medio Evo convenivano alla « taverna » tutti gli sfaccendati ad ascoltare il racconto od il canto dell'ultimo forestiere arrivato

o ribaldo

— pellegrino o giullare, troverò o mercante, chierico

— ma soltanto dopoché s'introdusse l'uso del caffè co;

minciarono a raccogliersi, sopratutto a certe ore, negli spacci della bibita fumante, persone di classi più elevate,ciascuna delle quali recava alla brigata il suo contributo d'informazioni, di

commentì, di pettegolezzi

:

il « fiore

dei notizianti » della città o

del borgo in gara di dare e di ricevere di più e di meglio. Chi

non ricorda il Don Marzio alla bottega da caffè^E il giornale dei Verri, del Carli, del Beccaria, di cui ho chiamato poc'anzi «sintomatico » il titolo? Ma vi è di più ghiotto

:

il

Goldoni stesso rac-

conta nei suoi preziosi Memoires come si trovasse in Milano in qualità di gentiluomo di camera del « residente » veneto, assente il giorno dell'occupazione della città da parte delle truppe di

Carlo Emanuele III di Savoia in ottobre 1733,e la notizia lo cogliesse a letto sul far del mattino, senza che di nulla avesse sospetto. Che fa egli per sapere la verità ed i particolari del caso?


- 153 Si vesle,corre al « caffè »,ed ivi dieci persone insieme gli spiffera-

no il tutto in dieci maniere diverse, tra le quali però il Goldoni si raccapezza e può sùbito mandare un espresso a Venezia ad av-

vertire

il

« residente >» di far

presto ritorno alla sua sede. L'a-

neddoto, meglio di ogni altra testimonianza, mostra che cosa fossero i caffè fin dal Settecento vere succursali delle « gazzette », :

gabinetti di lavoro dell'opinione publica, della sua preparazione, del suo indirizzo. Circoli [nel senso preciso della parola] non vi furono in Italia

prima dell'avvento della Rivoluzione

;

ma vi erano

sini, nei quali si danzava, si giocava, e anche si

i

ridotti,o ca-

chiacchierava

così come nei caffè.E nei salotti privati si riferiva, si discuteva, si montavano

persino le piccole congiure di Consigli a Venezia

ed a Genova,e si preparavano gl'intrighi di Corte a Torino, a Firenze, a Napoli. Dapertutto, in ogni maniera, con i mezzi vecchi

ed i nuovi, l'opinione publica si formava,si rimutava,veniva organizzata e faceva sentire la sua voce assai più che in passato,

dando arra di forza sempre maggiore per l'avvenire. In questa temperie,tutte le questioni,anche quelle di carattere letterario o di primato intellettuale, implicanti però germi vi di feconde idealità civili e di

nuo-

ben temprati sentimenti nazio-

nali, suscitavano un'eco via via più larga e vibravano più pro-

fonde e più intense nei cuori italiani, rinvigorendo e rischiaran-

do in più vasti orizzonti la coscienza nostra in formazione. Già un fermento di lievito inusitato correva da un capo all'altro del paese,e cominciavano a sentirsene localmente gli effetti, ancorché ai risvegli politici parziali concorrano anche cause multiple diverse.

§ 4.

— Il risveglio politico locale. — Alla seconda metà del

secolo XVII I in Italia,e più propriamente al periodo che si esten-

de dalla pace di Aquisgrana all'invasione francese, vien dato notoriamente il nome di « età dei principi riformatori ». Ma quale fu la portata e quale, sopratutto, il valore delle cosidette « rifor-

me», di cui sono piene le storie di quei tempi? In Francia, alla vigilia della Hivoluzione.l'ancten regime era

diventato odioso a tutti,tranne a coloro che ne profittavano la :

maggioranza della popolazione si sentiva oppressa dalla Corte,


- 154 dal Governo e dai funzionari del medesimo,e i « Parlamenti » -^

unica istituzione moderatrice che esistesse

— per

il

loro modo

di reclutamento e per le esose parzialità che commettevano,ap-

paiono screditati anche quando si ergono a paladini di cause giuste. Ma non era così dapertutto in Europa,dove,pur all'infuori dell' Inghilterra, troviamo

ancora in pieno Settecento molte

antiche « libertà » e molte vestigia di altre. Il

modo di concepire la « libertà » è ora molto diverso che in

passato. Oggidì la «libertà» ha per fondamento l'uguaglianza

dinanzi alla legge in altri tempi, invece,la « libertà » consisteva ;

essenzialmente nel privilegio, cioè nella sottrazione di persone singole o d'intere classi alle norme comuni. Ora non dimenti-

chiamo che nel Medio Evo non vi era classe di persone così umile,gruppo d'individui così abbietto,che non godesse di un qualche « privilegio », di una qualche «libertà». Tutti questi diritti speciali, tutte queste eccezioni alla legge, si controbilanciavano pili o

meno tra di loro in maniera da stabilire quello che io in-

sisto a chiamare,con una frase che mi pare acconcia, 1'* equili-

brio dei privilegi ».Un equilibrio instabile,si comprende, che si

spostava di continuo, pencolando ora in un senso ora in un al-

una classe o di un gruppo, ora a danno di questo o di un altro equilibrio che si venne sempre più alterando per il prepotere di taluni ordini sociali e di talune istituzioni politiche in primo luogo la Monarchia fra i secoli XVI e XVIII. Nondimeno tutto non era ancora scomparso dovunque. In tro, ora a favore di

;

Inghilterra !'« equilibrio dei privilegi » si era a poco a poco e-

voluto in quella mirabile « costituzione » che è come la sintesi della vita multisecolare di quel paese e del suo popolo in Aragona e nei regni annessi di Sicilia e di Sardegna rimanevano, per quanto ridotte di potere in linea di fatto, le vecchie assemblee degli « Stati » la Germania era ancora un avanzo caotico di Medio Evo,con tutte le caratteristiche di quella età solamente attenuate, ma non distrutte, al momento stesso della Rivolu;

;

zione francese; in Polonia l'esagerazione delle « libertà » personali aveva condotto allo sfacelo della nazione fino alla perdita

dell'indipendenza, attraverso alle aberrazioni del liberum veto e della formula respublica regni.Gosì in Italia a Venezia, a Ge-

no va, a Lucca e,fino ad un certo punto,almeno apparentemente,


— 155 a Bologna ed iu qualche altra città dello Stato pontificio, domi-

specialmenna va,sì, un'aristocrazia, ma non chiusa del tutto te a Venezia ed a Genova— ,la quale,benchè escludesse dal go-

verno ogni altra classe, non era però oppressiva, tranne per ec-

comportava tutta una rete di privilegi persistenti a vantaggio dei non partecipi al reggimento .nello Stato veneto, una graduazione fra nobili delle città suddite della « Dominante », cittadini veneziani non ascritti all' aristocrazia, cittadini semplici delle altre città, di ognuna delle quali i rapporti con la « Dominante * non erano in diritto perfettamente uguali in Liguria, poi, vi era una specie di Stato federale nel senso che le citerano legatalvolta anche assai piccole tà minori e le terre te ciascuna con vincoli particolari, sanciti da solenni trattati, con Genova,tantochè,ad esempio,Noli aveva con la * Dominante » ligure quasi assoluta parità di diritti. Nello Stato sabaudo la Monarchia era da secoli temperata, più che da residui d'istituzioni rappresentative,omai in disuso tranne in qualche regione come la Valle d'Aosta, dalla forza morale di una magistratura di regola integerrima,costituita nei forti organismi dei «Senati » di Torino e di Chambéry e della « Camera dei Conti », capaci di tener testa al Governo,di cui d'altronde si potevano considerare come parte essenziale la volontà del Sovrano trovava un limite indiscusso nella « legge »,emanante sì dal medesimo, che la poteva modificare, ma nella pratica soltanto con l'inter-

cezione, e

;

:

vento dei predetti grandi corpi giudiziari però alla « legge »,u;

na volta emanata e finché essa vigeva, lo stesso Sovrano doveva pur sottostare. Si aggiungano, prima delle RR. Costituzioni del 1770,i diritti dei « Comuni »e delle rispettive « borghesie » vocabolo allora indicante la nobiltà cittadina di contro alla nobiltii

feudale delle campagne, sebbene avente spesso identità di

— esisten— e principalmente quelli della

origini persino famigliari —; quelli delle corporazioni ti

ancora dapertutto in

Italia

vecchia aristocrazia militare e terriera, un po' dura, un po' ignorante, ma in genere retta, onesta e paterna nei rapporti con i proprii dipendenti. Nello Stato pontificio il potere del

Papa era li-

mitato da quello dei Cardinali,e già si è accennato che vi erano

ancora molte città ordinate ad avanzi di tipo medievale, molti

San Marini più grossi, per cosi dirli, in varia relazione col Go-


- 156verno centrale e con i rappresentanti locali di esso.Di Sardegna e Sicilia già si è toccato,e se a Parma, a Modena,in Toscana, ben

poco rimaneva delle antiche « libertà » sotto dinastie che trop-

po distavano dalla sabauda ricordare tuttavia i tentativi degli ultimi Medici di richiamarne a vita alcune per salvar l'indipendenza del paese

— persino a Milano ed a Napoli, al tempo ,

della dominazione spagnuola, l' oltracotanza dei Governatori e dei Viceré trovava un freno nell'autorità di corpi locali che a-

vrebbero potuto, volendo, far molto di più di quanto non facessero per corruzione o per viltà.

Questo quadro dell' Italia avanti il 1750 è un po' diverso dal consueto, non perchè non siano vere molte cose che si leggano al riguardo in tutti i libri,

ma perchè in questi per lo più si è

trascurato del tutto il punto di vista da cui mi sono posto scrir

vendo la pagina che precede. Or son da mettere le cosidette riforme » in confronto con le condizioni accennate sotto tale pun•«

to di vista.

Notiamo anzitutto che gli Stati italiani nei quali durante la seconda metà del Settecento si compiono a preferenza riforme, e riforme di maggiore entità, sono precisamente quelli che sta-

vano peggio, dov'era rimasto meno di «libertà» particolari e quindi era più forte il peso, se non l'oppressione, di una classe sulle altre, a tutto danno di queste

Napoli e Milano, Toscana e Parma. In Lombardia ed in Toscana soffia sopratutto uno spirito di riordinamento amministrativo, con il doppio intento di aumentare le risorse fiscali dello Stato senz'aggravare le popo:

lazioni^anzi possibilmente sgravandole in qualche misura; spira inoltre un gagliardo vento contro la potenza e la ricchezza del clero,la sua immistione nella vita civile del paese,i suoi legami

con Roma. A Napoli ed a Parma, i Borboni, padroni nuovi co-

me gli Austro-Lorena a Milano e a Firenze, dirigono anch'essi la somma delle riforme nel medesimo senso ; tendono di più nel

Napoletano a scemare anche la potenza della numerosa nobiltà

:

in sostanza, le riforme mirano a rafforzare dovunque il potere

dello Stato, a rendere più assoluta la Monarchia, avvicinandola al tipo francese. Anche altrove,per vero,si hanno tentativi legali

ed estralegali di riforme, in senzo diverso sopratutto a Vene-

zia ed a Genova,mentre a Bologna ed a Lucca le prove

— falli-


- 157 — te

— rientrano piuttosto nella prima che nella seconda catego-

ria,ed in Piemonte si svolge un fenomeno,gravicÌQ di conseguen-

ze future allora incalcolabili, colla disforme sopraffazione della

vecchia nobiltà feudale e cittadina da parte della nobiltà nuova

venuta su dagli affari, dagli appalti, dai prestiti allo Stato e costituente così una vera * borghesia » nel senso moderno della parola. L'antica aristocrazia feudale,in Piemonte,è di fatto rovina-

ta dalla necessità di abbandonare la dimora delle proprie terre,

lasciandone lo sfruttamento ad agenti che alienano da essa la

popolazione agricola, per recarsi nella capitale a contendere d'influenza personale coi nobili nuovi,consumando rapidamente gli scarsi redditi, costretta quindi ad indebitarsi e ad alienare

a poco a poco i beni aviti per sostenersi in una residenza e in

una vita molto più costose. La nobiltà cittadina, a sua volta,ossia l'antica « borghesia » nel senso tradizionale subalpino della

parola,è a dirittura privata dei privilegi locali e nobiliari dalle

RR. Costituzioni del 1770,che la gettano fra il popolo a portarvi un fermento di malcontento, di opposizione, di rivolta. Tale è l'essenza delle « riforme » della seconda metà del secolo XVIII nei vari Stati d'Italia; ma con tutto ciò esse costituiscono un pro-

gresso diretto e grandissimo verso il Risorgimento nazionale.

Perchè questo venisse facilitato ed affrettato col sorgere del nuo-

vo concetto della libertà e una tendenza sempre più viva verso di essa, bisogna va che fosse spazzato via quanto restava delle « libertà »

vecchie e dell' antico equilibrio dei privilegi a tut-

to vantaggio della

Monarchia o di qualche classe bisognava ;

che dove questo era già avvenuto, la classe fin allora favorita ed ora tocca si risentisse e desiderasse anch'essa un reazione nella sola forma possibile permessa dal sorgere e dal diffondersi delle idee nuove; bisognava

sopratutto che nascesse un'agi-

tazione di acque turbate e sconvolte fuor dell'antico ristagno.

Assai più che per se stesse pre, valgono ììen

poco

— per se stesse sovente,se non sem-

— le riforme » di quella età hanno im«

portanza come sintomi ed agenti insieme di risveglio politico locale, come produttrici di spinte ulteriori di carattere diverso che si

volgeranno via via verso il Risorgimento politico nazionale.

Dovrò io ora ricordare partitamente i nomi e rojiera di Maria Teresa e di Giuseppe 11 in l^mbardia,di Pier Leopoldo e del


— 158 — vescovo Scipione de' Ricci in Toscana, del Tanucci a Napoli, del

Du Tillot a Parma, di Carlo Emanuele 111 e del Bogino a Torino? Parlare della fondazione e della vita apparentemente brillante ed effettivamente stentata della « Società patriottica »,o

dell'aggregazione del « Banco di Sant'Ambrogio » al « Monte di

Santa Teresa » e della fusione di questo col « Monte di San Carlo» a Milano? Ritessere i casi che menarono alla sinodo di Pistoia o ne furono conseguenza? Raccontare ancora una volta co-

me Maria Carolina massoneggiasse nei primi anni nel suo regno, dominando sul poco intelligente marito, salvo a virar bordo tostochè scorse l'addensarsi delle nubi e il montare dei marosi della Rivoluzione? Mi indugerò a rievocare i nomi oscuri dei ministri di Vittorio Amedeo III, diventati

— più — nobili da pochi i

anni e perciò più superbi e gelosi dei privilegi nobiliari che nes-

suno fosse mai stato in Piemonte? Tutto ciò è contingenza che potrebbe esser utile rilevare soltanto quando fosse mal nota o si trattasse di circostanze contestate. Ai fini di questo studio ba-

ormai tutto un complesso di cause,fra le quali non ultima questa del risveglio sta la conchiusione generica a cui siano giunti

:

politico locai e,prepara e determina per un avvenire,che sarà più

o meno prossimo o più o

meno lontano secondo le evenienze

politiche generali,il Risorgimento nazionale d'Italia. III.

— Fattori in formazione.

Ai molteplici fattori prossimi e remoti di questo Risorgimento fin qui studiati altri ancora dobbiamo aggiungere e prendere

in esame: quelli che abbiamo denominati « fattori in formazio-

ne » tali,cioè,che la loro azione non è ancora perfetta prima che ;

sopravenga la Rivoluzione francese, ma nondimeno hanno origine prima di essa e indipendentemente da essa, ancorché la loro efficacia sì possa apprezzare per intero soltanto posteriormente. Il carattere di sifatti elementi e del loro complesso è del tutto

diverso da quello degli elementi finora esaminati anziché a ra:

gioni d'ordine prevalentemente politico e morale,qui ci trovia-

mo dinanzi a forze d'ordine esclusivamente economico. § 1. GV inizi della trasformazione economica mondiale e Vinelli ttabile influenza della medesima sulla econom,ia della regio-


— 159 — ne italiana.— Una grande trasformazione in questo campo stava avvenendo in tutta Europa

do

si potrebbe dire in tutto il Mon-

— con qualche variante — anche in Italia. L'Antichità e Medio

— ,e già l'eco di essa

di forma e d'intensità

si

ripercoteva

il

Evo avevano conosciuto e praticato con larghezza il commercio così del denaro come delle derrate,nè era nìancato qua e là qualche bel saggio d'industria manifatturiera su larga scala, come la fabbricazione di armi e di cotti in qualche città della Germania e d'Italia e sopratutto la lavorazione della lana e della seta nelle Fiandre e in Toscana, un po' meno in alcuni luoghi della

Lombardia e del Piemonte attuale. Ma oltreché il fenomeno era stato sempre sporadico, transitorio, localizzato, non riguardava

che qualcuno appena degl'infiniti generi a cui si rivolge l'attività dell'industria moderna: la base dell'economia publica era sempre stata in prevalenza agricola,e i prodotti naturali avevano sempre avuto molta parte negli scambi, tanta almeno quanta gli artificiali. In materia d'industria, ogni paese, in genere, pro-

duceva quello che gli abbisognava nella quantità che gli occor-

ma tranne nei casi soprarilevati in via di eccezione, non mai in misura sensibilmente maggiore del fabbisogno locale.

reva

;

Senza esagerare la portata di questo «sistema curtense», come fu detto per il periodo del Medio Evo più antico,ed ammettendo

via via più tutte le attenuazioni immaginabili, specialmente nei

rapporti tra le città e gli altri maggiori centri di abitazione e le rispettive campagne circostanti, è un fatto incontestabile che l'e-

sportazione come fine determinato e preciso non entrava nelle viste e nei calcoli dei produttori locali. Anche il commercio del

denaro, nonostanti i ritrovati della « cambiale », della « tratta », dell' « accomandita », vertiva essenzialmente sul prestito « pas-

sivo »;gli esempi del cosidetto « prestito attivo » sono piuttosto rari, e

riguardano per lo più soltanto qualche opera di utilità

publica cittadina. Ora tutta questa condizione sta mutando,e ab-

bastanza rapidamente, giù durante il secolo XVIII, per dar luogo [toì ad un movimento sempre più intensivo e febbrile nel secolo XIX e nell'età nostra. Il capitalismo industrialistico

— con-

siderata come un'industria anche la « banca »— tende da per tutto a sopraffare la proprietà terriera, dando luogo pure al feno-

meno sociale del costituirsi ed affermarsi della « borghesia » nel


— 160 — senso presente del vocabolo la stessa agricoltura andrà a poco :

a poco rivestendo la forma di un' industria,con effetti sociali di grave entità. La trasformazione, com'è naturale, non avviene di colpo,nè dovunque contemporaneamente: precede nei paesi più evoluti, ad es.in Inghilterra; ritarda altrove; e non è compiuta

neppur oggi da per tutto, neanche in senso assoluto in tutta quanta l'Italia odierna. Ma quella è omai la corrente irresistibile dei nuovi tempi, e alle conseguenze di essa non poteva sottrarsi, come ogni altro fenomeno storico, quello che abbiamo veduto determinarsi già da altri fattori diversi: — il Risorgimento nazionale italiano. Già di alcun aspetto di sifatta trasformazione si è avuto a toccare per incidenza. La tendenza a distruggere le antiche « libertà »,donde sorgeranno il sentimento e il bisogno della « libertà » secondo il concetto moderno della parola, porta via quanto rimane del sistema corporativo medievale delle «arti »,che nel suo cristallizzarsi aveva finito per diventare un impaccio, un vero freno, alla formazione della grande industria, limitando talvolta statutariamente la produzione nell'interesse combinato della maestranza e del consumatore locale, ai quali giovava,o pareva giovare, l'accompagnarsi della mancanza di esportazione con la

non sovrabbondanza dei prodotti. Tolto di mezzo tale impedimento,vediamo già nella Lombardia settecentesca iniziarsi qualche tentativo d'industria libera con intenti di produzione larga a fine esportati vo,e poiché a questi intenti si oppongono le trop-

po frequenti barriere doganali e le difficoltà di comunicazioni, è ovvia la conseguenza che il sorgere di una sifatta industria alimenti la disposizione degli animi alla formazione di Stati maggiori in cui tali barriere e difficoltà più non esistano e sia invece agevolata la trasmissione dei prodotti per un raggio più lungo. Altrettanto si può dire per quanto riguarda il traffico del de-

naro. La sicurezza del prestito in Stato diverso è, tranne in casi speciali di garanzie internazionali, sempre più aleatoria che nel-

l'interno di uno Stato medesimo

ora la « banca » già nel secolo XVIII tende ad allargare il campo delle sue operazioni,a cui perciò è anche qui di ostacolo la piccolezza degli Stati italiani così in sé come sopratutto relativamente al loro numero. Siamo al:


- 161 — l'epoca nella quale fa la sua comparsa la * carta-moneta », modificando profondamente,e si potrebbe dire sconvolgendo di fatto,tiitla l'economia monetaria dei secoli anteriori.

Ma la

-<

carta-

moneta » [derivante in sostanza dalla cambiale e che dovrebbe essere intatti una cambiale al portatore con la scadenza in bianco,ossia pagabile a vista in numerario metallico] in realtà cessa Slìbito di

corrispondere esattamente alla riserva metallica che

presuppone, per diventare oggetto di speculazione, come sopratutto nei primi istanti di al)€rrazione, o rappresentare almeno

una produzione fittizia di denaro, come negli Stati moderni, pe-

rò— ad un certo punto — con la medesima conseguenza del deprezzamento e del relativo rincaro delle derrate. Tutto ciò,sebl)ene grave,è comportabile in Stati vasti, a larga base di risorse,

ma non è neppure supponibile in entità statali piccole, malfornite di risorse,in cui perciò il fallimento sarebbe sempre immi-

nente. La prudenza di Vittorio Amedeo 11, respingendo le pro-

poste del Law, risparmiò nel primo Settecento al Piemonte un

esperimento che doveva risolversi in un disastro così clamoroso nella Francia; ma il fatto che il finanziere scozzese siasi rivolto al re subalpino prima che ad ogni altro non è senza significato

:

anche nell'ordine economico la Croce sabauda appariva nuova d'Italia. Xon dimentichiamo,del resto,che quan-

la stella

do l'unificazione d'Italia si compirà effettivamente, alla sua attuazione avranno parte grandissima,con le ragioni storiche, politiche, sociali, gì* interessi

economici di regioni e di gruppi in-

dividuali,onde la curée dei primi decenni del nuovo Regno tur:

pe sfruttamento di sante idealità e di giusti bisogni, che pure,

senza quelle avide brutture, avrebbero incontrato molto maggiopf' (lifTii'oltà ad

4^ -1.

avverarsi.

La questione del carbone e V applicazione pratica delle

grandi scoperte scientifiche.— La trasformazione economica generale, che si ri()ercuote anche fra noi, con il connesso sviluppo della grande industria. che ne costituisce la faccia più notevole, implica

una grossa (juestione che sarà pure un fattore indi-

retto doi nuovi bisogni e delle nuove tendenze d'Italia.

Finché il legname fu adoperato soltanto per la costruzione di ca8e,di navi,di mobill,e per riscaldamento, non vi era da temerRi»org., 17

11


— 1&2 — ne la deficienza, e tanto meno quella del carbone vegetale,© di legna, l'uso del quale era ristretto a poche occorrenze. D' altra

— e cosi anche l'Italia — era coperta di molte e dense foreste, mentre sembra che fredparte, nell'alto Medio Evo,tutta l'Europa

il

do fosse meno intenso, o almeno maggiore la resistenza umana al medesimo, se ancora in pieno Quattrocento spesso le finestre anche del castelli e delle case signorili erano chiuse non da vetri, ma da tela o da carta, e le persone stesse di condizione più elevata dormivano senza camicia, completamente nude, nell'inverno come nell'estate. Senonchè a poco a poco la boscaglia va-

scomparendo,specialmente nell'Italia Superiore,dinanzi al progressivo dissodamento di nuove terre coltive,mentre il fabbiso-

gno di carbone cresce parallelamen-te all'allargarsi di certi mestieri in vere industrie, come la lavorazione dei metalli, la fabbricazione delle ceramiche, etc. Con l'avvenimento della grande industria, poi, la questione carbonifera assume un carattere di più singolare gravità. 1 paesi in cui la possibile produzione di

carbone è limitata sotto rischio di danni rilevanti per un eccesso di disboscamento ulteriore, si trovano impacciati nell'ascesa del movimento industriale,e devono provvedere con l'importa-

zione

;

ma qui insorgono nuovi ostacoli nelle barriere frapposte

fra i molti piccoli Stati italiani. Divieti di esportazione del le-

gname così da lavoro come da ardere s'incontrano frequenti fin dall'Età media

:

lo Stato che ha la fortuna di esserne fornito,dif-

ficilmente consente a lasciar uscir legna o carbone vegetale se

non a condizioni onerosissime per lo Stato che ne difetta,e quanto più aumenta il bisogno,tanto più la situazione si tende.

È vero che da tempi relativamente assai remoti era già usato in Inghilterra il carbone fossile, che si comincia pure ad adope-

rare in Francia, a Parigi, per il riscaldamento, nella seconda metà del secolo XVIII. Ma il trasporto del carbone minerale,quan-

do entrerà in uso in Italia, darà luogo a complicazioni d'altro genere, specialmente per gli Stati che non hanno approdi marittimi, come Milano, Parma, Modena, o li hanno insuffìcenti e con comunicazione incomode con il rimanente del paese, come il Piemonte per mezzo di Nizza e di Oneglia. Di qui un'altra ragione di fusione degli Stati dentro terra con quelli posti sulla marina,

come della Liguria col Pieraonte,che avverrà, nel fatto,a periodo


,

— 103 —

— dopo, — ma che nonostante malcontento,anzi l'opposizione di Genova, era pure indispensabile per molte cause d'ordine economico — non per questione del carbone soltanto — ,costituendo un pririvoluzionario e napoleonico finito, per motivi politici,

tuttavia.unaprecedentecomunitàdi vita nell'impero francese il

la

mo passo verso l'unione di tutta Italia sotto Casa Savoia,ancbe

— a prescindere dalle altre cause — perchè la necessità dello sbocco diretto al mare sentita dal Piemonte doveva imporsi u-

gualmente,e più,alla florida industria lombarda.

La questione del' carbone, implicita nella formazione della grande industria,si acuisce molto più,diventando a dirittura capitale per la vita della medesima, con l'invenzione della « macchina ».

La « macchina » propriamente detta,cioè l'applicazione pratica del « vapore »,non è italiana né si riattacca alle grandi scoperte scientifiche nostre del Settecento. Ma se il nuovo elemento ha le sue origini fuori d'Italia,questa non poteva però tardar molto a risentirne pur essa la portata e gli effetti. Di più, tutto

un allr'ordine di lavoro nasce dall'* elettricità »,che ha la sua base prima nella * pila * voltaica,e neanche oggidì la produzioTie dell'energia elettrica è riuscita da

per tutto a far senza car-

bone.

Ma la « macchina »,a vapore o ad elettricità, importa pure una profonda rivoluzione non solo dell'industria, ma in tutta la vita economica e sociale. Il progresso umano riceve un impulso enorme,e tutto ciò che è avanzo di forme omai passate e superate di civiltà tende a scomparire. Cosi

il frazionamento di paesi, che formino unità geografiche ed etniche ben definite, in molteplici Stati viene ad essere combattuto anche per questo rispetto e

sotto la pressione di queste nuove forze che si sviluppano indi-

pendentemente dai casi di Francia, sebl)ene poi

medesimi non manchino di agire alla loro volta su di esse,imprimendoal moi

to un'accelerazione ulteriore. Tutte le più svariate energie, di

provenienza diversissima e fin opposta, vengono combinandosi tra di loro nel crogiuolo immenso della vita umana, concorren-

do verso determinati fini impliciti nella natura loro e nel loro insieme. Il

fenomeno.senza dubbio,non si restringe nell'ambito del se-


— 164 — colo XVIII,anzi in esso appena s'inizia

:

il

suo vero svolgimen-

to appartiene all'età succcessiva. Ma appunto perciò io chiamo

questi cosifatti « fattori in formazione »,ed al mio assunto basta

che il loro principio,anzi la loro ragione di essere e di agire, sia pure indirettamente, sulle sorti nazionali d'Italia, venga accertato prima dell'anno fatale 1789, colonna d'Ercole

all' indie-

tro— di una scuola che il Risorgimento nostro vuole esclusi-

vamente effetto della Rivoluzione francese, § 3. La necessità di agevolare le comunicazioni e d^ intensificare i rapporti fra le varie parti d' Italia. '— Da tutto quanto

precede emerge ancora che incominciava a premere, e più premerà dipoi,un bisogno impellente,irreducibile, di più comode e rapide comunicazioni materiali ed intellettuali fra le varie parti d'Italia, proprio allora che a questo bisogno le nuove scoperte

scientifiche e le loro applicazioni pratiche davano la possibilità di rispondere sotto certe condizioni, fra cui

prima l'abbat-

timento degl'impedimenti frapposti dalla molteplicità degli Stati

italiani.

Sarebbe ingiusto negare o dissimulare che di provvedere alle nuove condizioni richieste

già si preoccupa l'Impero napo-

leonico, il quale raccoglie tutta l' Italia press' a poco in tre soli

organismi statali

— oltre la Sardegna e la Sicilia — ,cioè terrii

tori uniti alla Francia, il « Regno d'Italia » ed il vecchio « Regno

di Napoli », mentre fa costrurre grandi strade, con ponti, come

attraverso i valichi alpini, in Piemonte, in Liguria. ...Ma le semplici strade rotabili e le vie naturali dei fiumi navigabili e il mi-

rabile artificio dei « navigli » lombardi sono omai insufficienti

dinanzi a tutto il nuovo movimento che si viene determinando il «

:

vapore » e !'« elettricità » aprono nuovi orizzonti agli uomi-

ni anche per quanto riguarda la facilità, la rapidità,la frequen-

za delle comunicazioni, e se il telegrafo compare soltanto quan-

do il Risorgimento nazionalé^ d'Italia è già direttamente incamminato al suo compimento, la questione delle ferrovie agita il Paese proprio al momento in cui esso sta per entrare nelle fasi risolutive della crisi, culminando, in

mezzo a tanti altri, negli scritti fondamentali d'Ilarione Petitti e di Camillo Cavour.E le stesse difficoltà che l'Austria ed altri Governi opporranno ai


— 165 — raccordi ferroviari per timore di agevolare con essi il movimento nazionale, renderanno invece questo sempre più necessario.

Tanto è vero che ancora nel 1860-(U la fusione dei singoli Stati italiani con l'antico Regno sardo è dovunque accompagnata dalla costruzione di nuove ferroviere quali, mentre rispondono per lo più ad un bisogno reale del Paese nel senso ora indicato,

servono anche alle nuove forme dell'impiego del denaro, anzi della speculazione più esosa, con sopraprotitti tali da creare in breve fortune enormi, non senza quell'accompagnamento di disonestà e di scandali che sono connaturati alla formazione del

capitalismo commerciale e industriai istico, per essenza propria sfruttatore egoista non soltanto del lavoro, ma di ogni più alta

idealità.Così il Risorgimento nazionale d'Italia, vagheggiato at-

traverso i secoli da pensatori e da poeti, preparato dall'opera costante della Monarchia di Savoia,agevolato dal decadimento dei

nemici nostri interni ed esterni,dal risorgimento intellettuale e

morale del Paese con i fenomeni concomitanti, affrettato infine dalla Rivoluzione francenon si può contestare e plasmato se, troverà l'impulso definitivo nella trasformazione economica

generale e nei bisogni che ne derivano [con inizio prima di quella], per avverarsi col

trionfo di quella nuova classe che, nata ad

un tempo dalla trasformazione economica e dalla Rivoluzione di Francia, meno di ogni altra avrà dato alla causa nazionale

fuorché il concorso dei proprii interessi. Torino,i25 aprile 1918.

Ferdinwndg Gabotto.


APPUNTI GIOBERTIANI TTna lettera di V. Gioberti.

Nell'introduzione all' Ultima Replica ai Municipali di V.Gioberti, io publica va, traendola dall'archivio della Biblioteca Civica

di Torino,una lettera del 19 giugno 1852 colla quale Filippo Ca-

pone domandava al Gioberti che gli permettesse di serbare la copia da lui avuta in dono dal famoso opuscolo soppresso (1) :

« In sostegno della mia preghiera sarei proprio tentato ad invo-

care il sacro diritto di proprietà, ma il timore di sembrarvi un'

avvocato pedante mi fa tacere il diritto quantunque invero l'or;

dine da voi datomi senta un poco di socialismo e peggio, ed io onesto padre di famiglia dovrei protestare ». Io soggiungeva di

non aver ritrovato nel carteggio Capone traccia in altra lettera che il Gioberti avesse aderito o no al desiderio del giovane amico, avendo però buono a sospettare che il Capone non si fosse

indotto a distruggere la preziosa copia dello scrittarello. Questa

mia ipotesi viene ora confermata dalla seguente lettera colla quale il Gioberti, in data 6 luglio del medesimo anno, annuiva alla

richiesta dell'amico

:

Mio carissimo Capone,

Non riscrissi subito alla cara vostra per aspettare un' occasione di privato ricapito.

La minaccia che mi fate di bandirmi per sociaIista,se persisto nel richiedervi di quella tale baldoria,è così terribile, che mi è forza condi-

scendere al vostro volere. Serbate adunque a piacer vostro il misero aborto, purché niuno lo

vegga; di che mi affido sulla vostra prudenza. lo sono finalmente riavuto della mia indisposizione e

posso dire di

star benissimo,mercè questi caldi,che da alcuni giorni sono eccessivi, e vi ricorderebbero a passarli quelli di Napoli.

Qui le cose sono in istato di lenta dissoluzione. (1) Pagg.72-74,Torino,Fratelli Bocca,1917.


— 167 — >t* le

cie/.iuiu i!igit'si,c()rne si cre(le,saranno libei'ali,il Ministero Aze-

glio potrà mantenersi. Si parla di un viaggio del Cavour a Londra (1).

Demeis (2) è guarito e vi saluta caramente. Ricordatemi a Madama Capo'ne,al Mamiani,al Gando (3),e continuate ad amare chi gode dirsi tutto vostro Gioberti.

Farigi,6 luglio '52.

AiriU.mo Signore Il

Sig.Avvocato Filippo Capone Genova.

Questa lettera fu recentemente (ionata,pei buoni uffici del conte seft.Frola,daIl'erede del Capone alla Biblioteca Civica di Torino con altre lettere del Gioberti al Capone, già edite dal Massari (4).

Essa però fu già publicata da Luigi Ferrajoli, in appendice alla sua Commemorazione del Comm. Gennaro Ctauarrm,Na poli, 1892, nel ristrettissimo numero di trenta eseoiplari (5).

Emendasioni. prof..Adolfo Colombo, nel suo articolo

11

La morte di Vincen-

zo Gioberti ed il padre Taparelli inserto a pp.l05-l!2"2 del voi. Il

della Miscellanea di studi storici in onore di Antonio Manno (6), (1) Infatti

il

Cavour,che il 7 luglio si trovava a Bruxelles, scriveva già

<la Londra il 13 luglio a Michelangelo Castelli. Vi si trattenne fino a mez-

zo agosto. Il 23 luglio riferiva in una sua lettera al generale Alfonso della Marmont il risultato delle elezioni a cui qui accenna il 6iol)erti.Cfr.C. i>i

Cavour, Ae^/^rc edite ed inedite, raccolte ed ili mitrate da L.Chiala,!,

518-622,Torino,l884. (2)

Angelo Camillo de Meis (1817- 1891), che dopo il 1860 insegnò per un

trentennio la storia della medicina nell' Università di Bologna. Scrisse parecchi libri di medicina e di scienze natutali. (3 Cfr.la prefazione alle Poenie di Gujseite 1

Gando dell'ab. Jacopo Ber-

nardi, Torino, 1881. Sette lettere del Gioberti al Gando furono edite dal

M

A.S.S ARI, /^ioorrfe

biografici e carteggio di l'.G., 11,284, -103, 742

:

111,16,31,

58,352,Torino,1862, (4) Op.r//., Ili, 542,586,687. Intorno al Capone vedi mie

notizie in Ulti-

ma replica, 11, n. 2. i5)Que.sta publicazione non fu registrata ne\l& Il ibi iogra fin delle lettere

a stampa di K.G'.,di Giovanni GENTii.E,PÌ8a,1916. (6)Torino,Fratelli Bocca, 1912.


— 168 trascrive dall'archìvio dell'Opera Pia Taparelli di Saluzzo la lettera colla quale Emanuele d'Azeglio dà notizia alla madre, il 4 novembre 1852,della morte del Gioberti e dei suoi funerali (l;.

A righe 8-9, pag.ll2, di quella lettera, nella trascrizione del Colombo si legge: « L'infortuné abbé Taparelli s'était glissé à mes cótés,mais je le pulvérisai des mes régards farouches ». Quell'aòòe Taparelli lascerebbe supporre a qualche lettore inavveduto che si tratti di Prospero d'Azeglio; ma non si riusci-

rebbe d'altronde a capire perchè il nipote lo polverizzasse coi suoi sguardi. L'enigma è facilmente risolto da un confronto che io istituii coll'autografo, dove il Colombo ha letto una parola ed

una sillaba che non vi sono. In vece di abbé Taparelli, sta scritto semplicemente Rapelli. Si tratta adunque di quel Carlo Rapelli che fu tra i più cari amici del Gioberti e venne da questi appunto durante la sua ambascieriaa Parigi nominato segretario di se-

conda classe di legazione (2).

Quando il Gioberti nel maggiodel'49sidimisedaquellacarica. Massimo d'Azeglio con lettera inedita Lei 30 dello stesso mese (3) (1)11 domani della morte Emanuele ne aveva anche rferiti i particolari allo zio

Massimo in una lettera tuttora inedita. Cfr. intorno ad essa

Lettere inedite di Massimo d'' Azeglio al marchese Emanuele d^ Azeglio a

cura di N. Bianchi, p. 210, Torino, 1883. Interessanti notizie sulla morte e sui funerali del Gioberti si leggono nelle lettere di Giovanni Ruffini alla

madre del 27 ottobre, 3,15 e 22 novembre, edite dal prof. Carlo Cagnacci, G.Mazzini e i fratelli Euffìni,Tp.dl3 e segg.,Portomaurizio,1893. .

(2) Rapelli Carlo Giuseppe Antonio, n. a Torino il 17 gennaio 1809 e mor-

to pure a Torino il 21 aprile 1880. Vedi intorno al medesimo le notizie for-

nite da Agostino Verona nella Sesia di Vercelli del 26 e 27 luglio, 14 agosto e 24 settembre 1895. Nel Catalogo degli oggetti e documenti esposti nel

Padiglione del Risorgimento italiano all'Esposizione del 1884 in Torino, figura a pag.ll, n.36: « Dal signor Edoardo Piatti un volume contenente la coi-rispondenza di V.Gioberti col prof.Rapelli » . Quattro di queste let-

tere furono edite da Leone Fontana, cui passarono successivamente in proprietà, nel Bollett.stor. bibl. s?i6afp., anno V,pp. 141-146, Torino, 1900; altre

tre dal Carle,in Atti della R.Accad.sc. Tor., XXXVI,748,752,755 ; altre due

frammentarie in Gazzetta del Pop. della Dom., 28 aprile 1901 e 1902, e in Nuovo R isorgiineìito, XI, Q-1 smno 1901. Speriamo che l'on. Faldella si de,

cida finalmente à publicare quelle che gli restano in possesso, tuttora inedite. (3) Questa lettera si conserva nell'Archivio dell'Opera

Saluzzo.

Pia Taparelli di


— I(i9 — commise a suo nipote,chesi trovava allora a Londra,di trasferirsi a Parigi per assumerne Vinterim.K fu in questo tempo, proprio nell'estate del '49, che in un suo rapporto particolare allo zio sui

funzionari della legazione Emanuele d'Azeglio così scriveva a

proposito del Rapelli

:

Quant à l' abbé Rapelli, du su.jet du quel vous m'avez écrit il y a quelque temps, je vous dirai sans détour que mon avis sarai de lui óter le grade de secrétaire de légalion dont on l'à affublé et qui est un manteau des plus embarassants pour lui et pour les autres.et méme de lui donner un emploi à Turin,qui •«

lui permeltra de vivre.Ici encore je ne me porterai point juge des

differents bruits qui ontcouru sur son compte.Lecaractère ser-

viable qu'on lui prète ne parait point prouvé;du moins je n'ai

pas été à méme d'en juger pour mon compie. Mais sa capacité «st assez limitée méme pour le genre des compositions de chancellerie.et il faut le tourner à l'employer exclusivement dans les

passeports. Mais ce qui paraitrait moins rassurant c'est que ses

coUeguesme paraissentarmésdans leursrapports avec lui d'une certaine défiance et l'accusenl d'une curiosité excessi vfe qui pourrait devenir dangereuse s' il

y avait des secrets à garder. Mais

comme il n'y arucune méfait special à alleguer et que ces imputalions peuvent étre calomnieuses, comme en outre cetex-ecclesiastique ne possedè méme plus la benefìce des legons de langue qu'il donnait,il faudrait lui offrir une existenceailleursqu'ici.... ».V^orrebbe collocarlo in

un rango d'impiegati fuori della

diplomazia col titolo di 1° o 2° segretario di cancelleria. Osserva però a proposito del Rapelli « que comme ami de Gioberti il faudrait éviter d'agir contre lui avec ce qui pourrait paraitre de l'a-

nimosité soit contre son parti, soit contre sa caste. Ed outre, en

sa qualité de mon ancien répétiteur je (lois implorer vótre cle-

mence ». Si comprende da questo referto come il Rapelli non fosse punto nelle grazie del D'Azeglio, e ci riesce così più agevole la spie-

gazione di quel « je le pulvérisai )»,che male si adatterebbe al Taparelli. Notisi ancoraché il Colombo, ignorando che la moglie del

Craven fosse la famosa de la Feionnays (1), ne altera

il

(l)Pauline de LaFeronnayH,dame Augu8tu8CraveB,n.aParigi neI1820. Tradu88e dalT italiano la Affre de Dieit del Capaoelatro, publicù parecchi romanzi e collaborò nel Correttpondant con fervido spirito clericale.


— 170 — noto casato in quello di Terronaij{1),e non badando che con una più esatta versione nella lettera di Emanuele si parla di una Bibbia poco ortodossa e di un giornale, trovati presso il Gioberti,

torna a ripetere, desumendone la notizia dal Massari, che sul letto vedevansi aperti due libri

:

I Promessi Sposi e V Imitazio-

ne di Cristo.

Gustavo Balsamo-Crivelli.


UNA LEGGENDA ATROCE IL GENERALE GABRIELE

MARIA GALATERI^

e la sua condotta in Alessandria

NEL 1833 Non sempre

i

giudizi dati dagli storici sono scevri di mende;

a questo ho pensato leggendo quelli talvolta benigni, ma il più

sovente severissimi,emessi in merito alle azioni di un mio concittadino, la fama del quale ha varcato i confini della Patria

:

il

Conte Gabriele Maria Galateri. Mi sono pertanto proposto di verificare su quali documenti quei giudizi avessero fondamento, ed ho esteso le mie ricerche tanto nelle biblioteche quanto negli archivi di Torino e di Ales-

sandria e Comuni vicini, dove ebbi le più cortesi accoglienze,

nonché fra le carte famigliari gentilmente messe a mia disposizione dalla cortesia del Conte Comm. Annibale Galateri di Genola. 11 ti

risultalo di queste ricerche,fra cui figurano vari documen-

tuttora inediti, varrà a gettare nuova luce sull'opera del Con-

te Gabriele Maria Galateri, e ad ogni

modo porterà un contri bu-

to,8ia pure modestÌ8SÌmo,alla storia del nostro Risorgimento.

Dividerò la mia trattazione in due parli. Nella !• parte traccerò la biografìa del Conte Gabriele (ìalateri in base a documenti editi ed inediti,senza entrare in discus-

sioni. Questa comprenderà sei capitoli: Cenni sulla famiglia Galateri, na.scita e giovinezza; in Russia; in Piemonte (governo della

Divisione di Nizza); A Cuneo; In Alessandria; Ultimi anni. Nella 'ì* parte discuterò la condotta del Galateri nei processi

del 18:J3.


— 172 — PARTE I. T.

— Famiglia, nascita e giovinezza.

La famiglia Galateri,o Gallateri,è una delle più antiche che abbiano illustrata la città di Savigliano.Essa diede alla patria uomini insigni per opere militari e civili (1). Troviamo memorie di questa famiglia fin dal secolo XIII. Con istrumenti del 1214 per beni che tenevano in Marene sarebbero

nominati un Giorgio ed

i

suoi due figli Giovanni ed Antonio,

possessori del castello di Suniglia^nell'agro saviglianese. Un Lo-

renzo fu addì 9 maggio 1228 testimonio ad un contratto Manue;

le Gallateri e Porfirio Cambiani alli

19 febbraio 1271 e 16 ago-

sto 1282 vennero investiti dal priore di S.Teofredo di Cervere di

beni posti presso Marene,la Salsa, Montiglio e S.Vincenzo e addì 11 ottobre 1304 Pietro Gallateri rogava un atto come notaio. ;

Giacomo Galateus o Galaterius il 6 agosto 1320 viene menzionato fra i primi consiglieri comunali di Savigliano.Nel 1349 il signor Giovanni Gallateus interveniva col signor Antonio Tap-

parello,entrambi «burgenses Savilliani »,qualì « sindaci,actores et procuratores » del Comune, alla dedizione che fece di sé Savi-

gliano ad Amedeo VI conte di Savoia ed a Giacomo principe di Acaia.Il Tapparelli,nobile d'albergo,rappresentava l'aristocrazia terriera,ed il Gallateri la nobiltà cittadina e la società del po-

polo (2).

Nel 1439 troviamo un Costanzo Gallateri che fu piìi volte sindaco di Savigliano e che, come capitano, prese parte alla espu-

gnazione di varie città ai confini del Piemonte e della Lombardia.

Alla famiglia aggiunse gran lustro Gabriele Galateri,che per le sue virtìi ed il valore nelle armi,nelle quali assai si distinse, divenne benemerito del Sacro Romano Impero e fu creato dal-

l'imperatore Carlo V cavaliere decorato dell'ordine Costantiniano, conte palatino, consigliere aulico dell'Imperiai Concistoro, (1^ Tutte le notizie sulla famiglia Galateri furono da me tolte dalle « Memorie del Luogoten. Saracco » esistenti nell'Archivio del conte Annibale

Galateri, e dalle quali riportai tali brani, oppure Turletti, Storia diSavi-

^iiano, Savigliano, 1879- 1888. (2) Turletti, Op. d<.,III,756.


— 173 — on molti altri priviiejfì imperiali che si trovano scritti nel di[tloma dello stesso Carlo V,dato in Piacenza il 24 ottobre 1529 t'd

approvato dalla Regia Camera dei Conti li 19 novembre 156:3,

tra i quali l'autorità di aggiungere all'arma sua gentilizia l'A(juila imperiale ed un diadema d'oro e d'argento.

Dalla gloria dei suoi maggiori non degenerò Filiberto Galateri

dei signori di Castelnuovo,il quale, dopo d'aver sostenute lu-

minose cariche nella Corte e nella milizia,fu creato primo auditore di Camera (cioè Collaterale) del duca Emanuele Filiberto di

^avoia,e morì l'anno 1573 come consta da la{)ide sepolcrale nel,1

chiesa di S. Grato in Savigliano. Questi ottenne dal suddetto

l*rincipe di aggiungere due ruote al suo molino nel borgo di Ma-

rene in Savigliano, col diritto di proibire la pesca lungo il torrente Mellea,durante il tratto della bealera d'esso molino,sotto

pena di L.'àò d'emenda. Primogenito di Filiberto fu G. Francesco Galateri. Costui, ad-

uno dei «quattro deputali della patria» •ssia dei suoi 649 Capi di casa,a giurare la fedeltà al duca Ema-

lottoralosi in leggi, fu

luele Filiberto e al suo primogenito ciò che egli esegui il 15 novembre 1575 nel palazzo del M. Agostino Tapparelli. Trascorsi linque anni, compieva la stessa missione verso il novello duca larlo Emanuele l,il quale nel 1584 lo creò suo Vicario e»Goveriiatore della città di Cuneo, Ebbe nel 1573,per la morte del genitore, la signoria di Castelnuovo con diritti feudali sopra Marene,Salza e molino di Ponte Melica ;del che tutto ricevette inve:

'

stitura nel 1581,

Antonio Galateri possedeva il castello feudale di Su ni^lia, ereditato dai suoi maggiori :esso passò quindi al tìglio Nicolò,eda (juesto ad altro Antonio, nipote ex-filio; infine a Marc' Aurelio, tìglio del

suddetto, il quale vi aggiunse per acquisto parte del

feudo di Genola con annesso titolo comitale. Questo Marc'Aurelio fu

uomo d'armi e di valore; ebbe l'ufficio di alfiere nelle

Guardie nel corpo del duca Carlo Emanuele l,il quale « scorgendo concorrere in questo giovane colla nobiltà del sangue il valore e la fedeltà nel servizio della guerra, nominollo con patenti

date da Torino il 2 gennaio 1(i25 Capitano Generale di cavalleria nella stessa compagnia del principe Tommaso suo tiglio

:

fu poi

ucciso dai Francesi nello stesso anno in un fatto d'armi presso-


— 174 — Alessandria, nel quale, colpito il 17 maggio da palle nemiche,

cadde sul campo di battaglia il 21^ in età di 40 anni; magnificamente funerato e sepolto nella chiesa di S. Maria di Castello, lasciando orfani i figli e vedova la moglie Elena Ortensia Grotti.

Succedeva al conte Marc' Aurelio il conte Marc'Antonio, suo figlio,che si ammogliò con Maria Negro di S.Front,figlia del conte Ercole, generale di Cavalleria e Governatore militare di Savi-

gliano.Questi lasciò a sua volta erede il figlio Annibale Nicolò,

sposato prima con una Doria del Maro e poi con una Marenco di Castellamonte.Al conte Annibale Nicolò segue il conte Carlo

Antonio, il quale, dopo -aver servito vari anni nell' esercito, fu ..Scudiere della principessa di Savoia-Soisons. Erede di Carlo An-

tonio fu il conte Annibale Nicolò, morto il 27 ottobre 1788, che

da una figlia del conte di Baldissero e Santena-Tonnère ebbe cinque maschi e quattro figlie. Tre dei figli sono ora capostipiti di tre distinti

rami della famiglia.Il primogenito prende origi-

ne dal conte Garlo,ammogliato nel 1789 con una Merindol; il secondogenito dal conte Gabriele, oggetto del presente studio; il terzo dal cav. Emanuele di ciascuno esiste tuttora discendenza. La suddetta linea secondogenita conserva il titolo comitale di :

maschi(^in jnaschìo per Decreto sovrano 29 maggio 1817, « in ricompensa degli importantissimi servizi resi allo Stato ed alla Causa buona del Trono e della Religione *. Gabriele Maria Galateri nacque nel 1762 dal conte Annibale

Nicolò e da Paola dei conti di Baldissero.Di svegliata intelligenza e di robusta costituzione fisica,acquistò ben presto una notevole predisposizione alla vita delle armi. Difatto, arruolatosi in

giovanissima età, usciva dall'Accademia Militare di Torino in qualità di cadetto il 23 luglio 1776(1), e veniva incorporato nel

reggimento Dragoni di Piemonte. Già due anni dopo,e cioè il 31 agosto 1778, lo troviamo promosso al grado di « Cornetta sopran-

numerario ». Il 22 maggio 1781 aveva il grado di « Cornetta a mezza paga».e il 2 agosto dello stesso anno quello di Cornetta effetti vo.Tre anni dopo, il 30 marzo 1784, fu chiamato al grado di «Cornetta colonnello » e nell'anno seguente,24 maggio 1785,pro-

mosso a Luogotenente. (l) Memorie cit.del luogotenente Saracco.


— 175 — Nel 1701, « Luogotenente-capitano dei Dragoni di Piemonte », distrusse, con pericolo di vita, una banda di assassini da lungo

tempo terrore dell'Alto Novarese e principalmente della Comunità di Canobbio.

1/8 febbraio 1794 (1) è nominato « Capitano tenente »,ed il 7

settembre dello stesso anno « Capitano effettivo * (2).

Come Luogotenente,Capitano-lenente e Capitano effettivo prese parte alle campagne del 1793, '94 e '95 contro gli eserciti re-

pubi icani guidati dal Buonaparte e cooperò alla breve restaurazione del 1799 operata dagli Austro-Russi (3).

II.

11 9

— In Russia.

dicembre 1798 re Carlo Emanuele IV fu costretto a ripa-

rare neir isola di Sardegna. Il conte Galateri,che al sopravvenire della rivoluzione e dell' invasione francese era stato uno di

quegli eroici piemontesi che gagliardamente, ma infelicemente,

l'avevano combattuta,anzichè sottomettersi al governo invasore,preferi andar, esule volontario, lontano dalla Patria, sotto gli

ordini del generale Souvarow,pur di combattere contro le bandiere republicane.E rifiutando le promozioni di grado che la

Francia gli prometteva,* entrò nel servizio di S.M. l'Imperatore di tutte le Russie nel 17^H) in qualità di Capitano, quantunque

avesse ottenuto da S.M. il grado di Maggiore, che egli, per delicatezza,non fece valere per essere la promozione dì data posteriore a quella in cui prese il servizio russo (4) ».

La nomina a Maggiore è del 7 settembre 1799(5) quindi la sua ;

andata in Russia è posteriore a questa data. Prima, però,partecipò con i Russi alla campagna contro i Francesi in Italia ed in Isvizzera: il decreto di nomina a Maggiore dice appunto che «sta prestando

i

suoi servigi |)resso

il

Quartier Generale del

Gran Maresciallo Suwarow Kiuraischi ».Fu dopo la campagna

(liDoClMKSTO vii.n.l. (2) Memorie Saracco. {S) Ibidem. (A} Ibidem.

(5) Docu-MENTO vii,n.8.


— 176 — di Svizzera che, per ricompensa, venne

promosso al grado di

Maggiore nello stesso anno 1799(1).

Ad illustrare l'opera del Galateri in Riissia,più che altro serviranno i documenti seguenti, cioè le copie di « certificati russi ed altri tradotti in lingua francese dall'originale, e legalizzati per la fedeltà della traduzione e verità dei medesimi dal princi-

pe Kaslofruschi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di S.M.r Imperatore di Russia presso la nostra Corte, 20 mag-

gio 1817 (2)».

Suir Ems il 22 ottobre 1805 egli fu il primo a lanciarsi su un ponte nonostante il fuoco nemico, e vi rimase finché il ponte stesso venne distrutto, incoraggiando col suo valore i suoi soldati. II 24 ottobre dello stesso anno si distinse valorosamente in

un combattimento presso la cittadella di Ettingen, rimanendo ferito alla testa. Per questi atti venne fatto cavaliere dell'Ordine di S.Vladimiro della quarta classe (3). Inoltre, in ricoQipensa, fu

promosso il 30 giugno 1806 Luogotenente-colonnello al séguito dell'Imperatore. Con questo grado partecipò alle campagne contro i Turchi, e più precisamente al combattimento presso l'isola

di Tenedo quale comandante di una parte della squadra di sbar-

co diretta daSeniavine VS marzo 1807,e pressoi Dardanelli il 10

maggio sul vascello Silnoy, ed il 19 giugno presso Monte Santo (4). In premio ottenne la croce di cavaliere della quarta classe

delf'Ordine militare di San Giorgio (5).

Dal 5 maggio al 3 giugno 1808 il Galateri, trovandosi agli ordini del comandante Barclay de Tolly, luogotenente-generale dell'Imperatore, fu esempio costante di ottimo soldato,tanto che gli

venne affidato il comando dell'avanguardia del corpo (6).

Il

20 novembre 1810,per anzianità, il Galateri fu promosso Co-

lonnello (7). Come addetto al Corpo d'armata comandato dal conte Steingel, partecipò nel 1812 a vari fatti d'armi in Livonia ed

(1) Memorie Saracco. (2) Ibidem.

(3) Documento T,n.l.

{é)Ibidim,Tì.2. (5) lbidem,n.3. {&) Ibidem, n.éi. (7)

Documento ih.


— 177 — in Curlandia,dove ebbe incarichi militari particolari che seppe

condurre a termine con rara energia (1). Le lrup{>e del Luogotenente-generale Stengel si unirono,' alle

squadre del generale Wellieminoff, ed il Galateri, sempre come Golonnello,si distinse nelle giornate del 15,16,17,18 e 19 settem-

bre ISi'ì come comandante dell' avanguardia, in combattimenti presso la città di Riga. I

suoi consigli furono di grande utilità per conseguire la vit-

toria del 19 settembre 1812 presso Garotzen,e la sua condotta

eroica venne citata nell'ordine del giorno (2). Eletto Colon nello-Quartier Mastro nello Stato Maggiore impe-

trovò come tale

Corpo della « Grande Armata * francese, e prese parte a vari affari dopo riale, si

all' inseguimento del li e del V^I

Polotzk fino a Czaszniki, distinguendosi in parecchi scontri per il

suo valore militare.

Come comandante dei corpi che trova vansi a Riga, gli venne affidato il comando della cavalleria dell'avanguardia del corpo

del generale Lewis (3). li

Wellieminoff, in data 26 novembre 1812, scrisse al Galateri

per chiedere rinforzi contro il nemico, pregandolo con insistenza di affrettarsi perchè era incominciato il combattimento (4),ed

dicembre dello stesso anno ritornava con insistenza a racco-

il

mandarsegli, qualora il nemico non lo avesse perseguitato,affln-

chè si recasse a lui con parte della cavalleria (5). II Galateri, intanto, destinato

nel mese di novembre 1812 alle

funzioni di General-Quartier Mastro nel Corpo comandato dal generale Paolucci,era nominato General-Maggiore il 13 dicembre di quell'anno per essersi distinto in vari combattimenti (6).

Dopo aver inseguito le truppe del maresciallo Macdonald,do|K) aver fatto

prigionieri soldati, equipaggio e magazzini, il 14 di-

cembre 1812 il (ìalateri si unì colla sua cavalleria al distaccamento del general'' lìithilz, cooperando ad interrompere le coDo( TMKNTO I,U.7.

li

[2) Ihitiem, nn.ó e 8.

{S)IbUlem,uM. (4jDoCl'MENTt) Il.u.J. (b) Ibidem, n. 3. ifi)

DocirMKNTO i,n.fi e 12.

Kiéorg., 17

' .

It


- 178 — municazioni dei Corpi prussiani col maresciallo Macdonald (1).

Dopo la con venzione stipulata col Luogotenente generale Vork, egli inseguì il rimanente delle truppe del Macdonald fino a Kò-

nisberg,facendo centinaia di prigionieri. Mentre stava per entrare primo coi suoi cosacchi in Kònisberg (Prussia), cadde da ca-

vallo; in conseguenza di che rimase inattivo per due mesi (2).

Nel giugno del 1813 fu a Lissa in agosto gli venne affidato un ;

corpo volante composto di quattro reggimenti, coi quali dal 10 al 22 sostenne vigorosamente gli attacchi del maresciallo Oudi-

not contro il principe reale di Svezia presso Gross Beeren, impe-

dendo con abilità strategica ad un corpo nemico di sfilare sotto quel luogo e distruggendo così il piano di attacco dell'Oudinot contro il fianco destro russo. Fra il 13 e il 25 dello stesso mese, in un combattimento contro nemici due volte più numerosi e forti, sostenne due vigorosi attacchi, dopo i quali dovette ripie-

gare. Solo in un terzo attacco riuscì a vincerli, uccidendone molti

e molti facendone prigionieri.

Molto si segnalò nel combattimento sotto Lipsia il 6 ottobre

;

nel novembre,essendo General-Maggiore,sotto Strogonoff,airas-

sedio di Harburg,ottenne il comando della cavalleria e degli a-

vamposti, presso i quali rimase fino alla fine di gennaio 1814.

Di là passò in Francia, al corpo del Generale di cavalleria barone di Wintzengerode.In séguito si trovò alla presa di Reims e di Soissons; ed a Saint Didier,impotente contro le forze delBuo-

naparte,cooperò al buon ordine della ritirata (3).

Dopo il Congresso di Vienna,il Galateri ritornò in patria, donde scrisse al generale Suchtelen per raccomandargli un giovine ufficiale,suo aiutante di campo, il signor de Tiempson.Solo il 10

marzo 1815 il Suchtelen rispose al Galateri con lettera affettuosa, nella quale chiede scusa per il ritardo,dovuto al fatto che la

sua posta era rimasta ferma alle isole Aland.È lieto di poter far cosa grata al suo amico,e mentre sì rammarica di saperlo fuori della Russia,si augura che la lontananza non abbia a dissipare la loro salda amicizia (4). (1)

Documento ii,n.l.

(2) Ibidem, n.d. {B) Ibidem,nn.lO e il.

(4) Ibidem,nA.


e

— 179 — III.

— In Piemonte.

Nel KSl4,restitiiitosi in Piemonte re Vittorio Emanuele I, pri-

mo desiderio del conte Gabriele Maria Gala teri, dalla Russia, fu di ritornarsene in Patria, come egli stesso scrive in lettera di-

retta al «Cav.De Geneys,Maggiore Generale d'Infanteria e primo

segretario di Guerra e Marina»

:

«Ritornato quindi l'Augusto so-

vrano negli aviti domini di Terraferma, tosto domandai a ritornare in patria sotto i regi vessilli, e se le mie brame furono al-

quanto ritardate,ciò soltanto provenne dalle incontrate varie diflicoltàdl ottenere dall'Augusto Imperatore Alessandro l'assoluto mio congedo,come risulta dalle prove esistenti presso questo Ministero di Guerra (1) ». Rientrato nelle milizie nazionali col grado di Maggior Generale in aspettativa con patenti 12 ottobre 18l6,fu fatto segno ad ingiustizie nella promozione di grado,come egli stesso lamenta nella citata lettera « Venni prima del ritorno assicurato da S.E. il conte Maistre per parte di S.M.,che ripassando al di Lei servizio,rango ed anzianità mi sarebbero conservati giungo in Torino su tale fiducia, tutto zelo ed affetto, e poco tempo dopo mi vedo nel pubblicato elenco preceduto da vari uffìziali generali molto meno anziani di me. Sensibilmente ferito da tale non meritata precedenza, ne porgo rispettose doglianze al Ministero; questo restando di niun effetto, chiedo di ritirarmi :ma mi si risponde col darmi speranze di riparo.e vengo conservato in atti:

;

vità (ià)».

Queste ingiuste parzialità dice ilGalateri dovute alle pressioni fatte dalla parte rivoluzionaria,che

vedeva in esso un uomo

capace di tutto in difesa del trono (3). Rientrato in attività il 20 maggio 1817, è destinato al coman-

do della Divisione di Nizza (4). Dal 20 maggio 1817 al 14 settembre 1822 tenne tale comando. Del governo di Nizza non ho potuto avere notizie. Questo solo mi con8ta,che nel maggio del 1820 il

conte di Robilant, segretario della Guerra e Marina, Io propoli )Docl'mbnto VI.

(2)Ihidfm. (3i Ibidem.

(4} Documento vii,n.4.


— 180 — neva ad Ispettore delle truppe di fanteria di linea e leggera delresercito,carica che egli dapprima rifiutò perchè temeva di tro-

vare ostacoli gravi, dovendo urtare contro persone potenti che

non dividevano le sue idee, ma poi accettò per insistenza del Robilant medesimo (l). Appena ricevuta la nomina, partì dai bagni dì Aix,dove si trovava per motivi di salute, per recarsi a Chambéry,dove a quell'epoca erano di stanza la Brigata di Alessandria, un battaglione di Cacciatori di

Savoia ed un battaglione

della Legione Reale leggera, Qui vi trovò che ai soldati si tene-

vano discorsi atti ad ispirare sentimenti che egli credeva fermamente contrari alla fedeltà ed all'ordine per cui radunò le trup;

pe e le arringò a non dare ascolto a quei discorsi e a mantenersi costanti nella fedeltà giurata.

Fece un'attiva inquisizione per scovare tutto quanto avesse potuto nuocere al servizio,ed avendo scoperto che un segno della setta dei Carbonari consisteva nel portare un pizzo al mento,

ordinò che i soli granatieri potessero portare i baffi, e che tutti gli altri militari dovessero mantenersi completamente rasi.

Questo, che il Galateri disse « un atto di fermezza »,« produsse un grande malcontento; si venne a sapere da tutta l'Armata

che doveva ispezionare venne dipinto come un insopportabile ;

rigorista del quale conveniva sbarazzarsi, la propaganda diven-

ne intensa anche a Torino dove era centralizzato il focolaio delle nuove idee ». li

Galateri, che sentì questo vento dì rivolta contro di lui e ne

previde le conseguenze, scrisse ad un alto personaggio della Corper informarlo, ma le lettere non ottennero risposta, e poco tempo dopo ricevette l'annuncio del suo richiamo. Venne poi a sapere che le sue lettere erano state intercettate,' e che erano ugualmente scomparsi tutti ì documenti che portavano alla scoperta del complotto e delle sue ramificazioni. Tornato in famiglia, sempre pervaso dal convincimento che le

te

sette minassero il trono e la patria,continuò a levare, come pri-

vato,alta e coraggiosa la voce contro ì rivoluzionari, e fece pre-

sente al Robilant, ministro della Guerra, le sue inquietudini per

l'imminente pericolo. Il Robilant gli dà ragione, ma bentosto

(1)

Documento ih.


- 181 — vittima egli stesso di una più attiva propaganda, lasciò il portafoglio della Guerra.

•Avvennero torbidi,ed il Galateri offrì ancora i suoi servizi disinteressati, servizi che non furono accettati senza che gli fosse-

ro notificati i motivi del rifiuto.

Durante la rivoluzione del 1821 rimase a Torino,tenace nella sua devozione alla monarcliia,e la sua ferma condotta sMmpose

anche agli avversari. Fu durante la sua permanenza in Torino nel 1821 che Gabriele Galateri accolse ed ospitò in casa sua il futuro avvocalo Angelo Brofferio, facendolo passare come un suo nipote,allievo del-

l'Accademia militare di Berlino, per salvarlo dall'ira della Polizia(l).

Tornata la calma,il Galateri si rivolse alRe(2),rispettosamente esortandolo a scartare dagli impieghi le persone troppo indul-

genti o sospette, qualunque fosse il loro grado e la nobiltà dei

loro natali, a fine di non essere * ripiombati di nuovo nelle cala-

mità da cui la Provvidenza aveva salvato quasi miracolosamente e l'Augusto Trono e la iMonarchia di Savoia », minata,secondo lui, nelle più solide fondamenta.

Scrisse (3) poi anche al ministro della Guerra, De Geney8,al

quale fece presente i servizi da lui prestati, le campagne e le gloriose ferite, i torti ricevuti, le accuse immeritate,domandando di

essere rimesso in servizio col grado che gli competeva, tenuto

conto anche della mediocrità del suo avere. IV. 11

— A Cuneo.

14 settembre 1822 Gabriele Maria Galateri fu trasferito dal

Governo di Nizza a quello di Cuneo (4). Anche qui l'albero della libertà, piantato dai patrioti di Francia,quantunque sfrondato dai nuovi governi,aveva messo salde radici, In questo periodo di tempo si assiste ad un continuo lavorio delle sette liberali per far trionfare i loro Ideali, e ad una (I)Anobi.o Brofferio, l miei tempi : memorie,X.lll,lG8,c.ldQ,Tonno, 1867. (2)

DOCUMKNTO IV.

(8)D()Ct:MENTO VI. (4)

Documento vii,n. 6.


— 182 — accanita reazione della polizia dello Stato,che non cessa un istante dal vigilare questi moti, a fine di reprimere le aspirazioni dei nemici del legittimo governo.

Di questo parere reazionario è anche il Galateri,il quale ordina l'ammonizione di un certo Tolosano, perchè osava comparire davanti al comandante di Fossano colla cosidetta mosca o

spagnuola al labbro inferiore,distintivo dei costituzionali ste per avere una

;

insi-

nota dei borghesi che portano la spagnuola

medesima,e chiede un nuovo stato dei relegati politici, sotto sorveglianza a Fossano,col loro nome,cognome,condotta politica e morale. Ai primi di dicembre fa interrogare ed arrestare Michele Vi nderolo, medico chirurgo, assentatosi per qualche tempo dal-

la città di Fossano,e ne fa perquisire il domicilio, Fugge il Vin-

derolo,e la sua famiglia cade in miseria.La moglie non esita a

mandare una supplica al governo regio per avere un sussidio,

ma essa viene respinta, senza però che di ciò si possa far carico personale al Galateri(l).

Anche l'esercito, sempre in pericolo, merita ben più le cure di chi sta in alto. Un soldato di nome Dionisio Garino, partito da

Savigliano per recarsi a Saorgio,sua patria, si ammala a Fossa-

no,ed è ricoverato in casa di certa Giovanna Maria. Il Governatore chiede immediatamente spiegazioni sul conto del soldato,

della buona donna che lo ricoverava, dei discorsi tenuti, della

gente che ha frequentata la casa. Intanto, già fin dal marzo erano sorti gravi timori sulla pre-

senza di libri politici. Dal dicastero delle Finanze si danno ordini agli impiegati delle R. Dogane affinchè non abbia luogo l'in-

troduzione in Piemonte di un'opera stampata in Ginevra in lin-

gua francese sotto il titolo « Annales de législation et d'economie politique par M."" J).^ Bellot Dumont», perchè si ravvisano in esso massime pericolose. Si proibisce un'opera segnalata il 24 marzo che ha per titolo Observations sur le regime hypotecaire établi dans le Royaume de Sardai^we, quantunque si venda a Lione e a Ginevra (2). (Ij Queste note furono tratte in riassunto dalla publicazione di V.PoN-

GiGri.iOìiE,

La polizia piemontese alla caccia dei patrioti nella provincia di

Cuneo dal 1821 al 1848,in Bsbs., Sappi. Risorg.2^Gd-18. (2) È la nota opera del cav. Ferdinando Dalpozzo di Castellino, di cui parla il Bollea in II Risorg.ital. ,[=Bsbs. ,Suppl.Risorg.l^],SS3 segg.


18:3

Dal He \ it- ut- (uudentemente determinato che sia vietata l'introduzione del Corriere SvÌ22ero,de\V Album e della Gazzetta di

Losanna. Soltanto si permette l'ingresso della Gazzetta ticinese, dietro promessa fatta dal suo editore di renderla « conforme ai principi di sana politica ».

Due individui,qualiticatisi per frati spagnuoli, provenienti da Nizza e transitali il 3 marzo per Cuneo, forniscono materia di

grave sospetto. Si fa anche ricercare certo Uriati Landa Ferdi-

nando, di Siviglia, scomparso da Nizza, dopo cinque anni di dimora,e qualora questo individuo si ritrovasse,se girsi rinvenisse qualche scritto che potesse in qualche

modo aver rapporto

cogli affari politici,si ordina di arrestarlo senz'altro. Si segnala persino con somma sollecitudine l'arrivo a Possano di un certo Bolla, luogotenente di gendarmeria in ritiro dal servizio dijFrancia, che viene in casa di un suo parente speziale per passare il congedo di sei mesi statogli accordato cosa non insolita per averla fatta detto signor Bolla già gli anni scor-

si

,e si giudica conveniente e

prudente il portare sugli anda-

menti di lui un occhio di particolare vigilanza.

Succedono risse fra i costituzionali e i non costituzionali, ed i

contendenti vengono arrestati. Frattanto

i

costituzionali sono dal Galateri qualificati per ne-

mici deirordine,perchè, vedendosi insidiati da ogni parte, ricor-

rono a vari mezzi per le loro corrispondenze segrete mezzi che ;

le spie

hanno scoperto.

Un espresso, certo Bianco venuto da Torino a Fossano e Salmour con varie lettere che non può recapitare per non aver trovato le |)ers()ne a cui erano indirizzate, viene perquisito ed arrestato dai carabinieri in Carmagnola,sotto pretesto che le lettere

medesime mancavano di bollo,e sollecitamente se ne rende avvisato il governatore di Cuneo. Non si sa come sia terminata la

faccenda, ma il fatto sta che posteriormente una lettera anonima accusiiva il Bianco di essere l'autore di uno scritto fatto con un

pezzo di mattone sul muro di facciata della cappella detta di S. (..azzaro nel territorio di

Fossano, scritto che diceva Viva la Co-

stituzione piemontese! ed il Galateri ordina di verificare il fatto

per dar luogo all'arresto e punizione del colpevole, e se questa verifica non fosse possibile,di intimare al suddetto individuo di


-184recarsi e presentarsi al Governatore sotto pena dell'arresto per-

sonale.

La reità non è provata, ma il Bianco è obbligato di portarsi il 23 ottobre a Cuneo,dove è severamente ammonito dal Governatore e sottoposto a vigilanza speciale al suo ritorno in patria.

Intanto il 10 gennaio 18M,alle ore sei, muore l'inflessibile re Vittorio Emanuele I.La polizia, che vorrebbe parere tanto calma,

diventa invece furibonda contro tutti i sospetti: si moltiplicano le circolari di

repressione; la Regia Segreteria di Stato insiste

per conto saio ed emana ordini continui negli uffici non vi è più ;

riposo.

Ultimo rivoluzionario segnalato dal conte Galateri è certo dottor Gioachino Mariano Fortea,già capo della Camera pel Civile presso la R. Udienza di Valenza (Spagna), che credesi trovarsi negli Stati sardi e che giova riconoscere se mai sia nel distretto del comando di Possano.

L'S giugno 1824 il comandante della Divisione di Cuneo,conte Galateri di Genola,annunzia ai subalterni il suo trasferimen-

to al comando della Divisione di Alessandria e dà loro l'addio

con cortesi parole. V.

— In Alessandria.

maggio 18M(l)il conte Galateri viene destinato alla sua più alta carica, se non per grado, certo per la fiducia che il Re manifestava di avere in lui un rescritto regio lo nominava goIl 17

:

vernatore della Provincia di Alessandria e relativa Cittadella.

Ed a ragione poiché Alessandria,dopo Torino e Genova, era la ;

città più importante come popolazione, oltrepassando i 20 mila

abitanti

;

più importante per le sue fortificazioni, che avevano re-

sistito a tanti eserciti ; importante

ancora perchè serviva come

tappa fra Genova e la Capitale. Gara poi, in special modo, doveva tornare al Galateri quella residenza. come luogo consacrato dal valore e dal sangue di un suo antenato,Marc' Aurelio Gallateri, morto il 23 maggio 1625 e sepolto ivi nella chiesa di Santa Maria di Castello.

(1)

Documento vii,n.6.


— — 185 — Il :20

giugno 18!24 Gabriele Galateri publicò(l) un proclama

che conteneva tutto un programma, una professione ed un invito, quali certamente doveva avere per mira un governatore che aveva scelto per sue guide Dio,Re, Patria. Un programma di sicurezza publica e privata....: « il pubblico e privato bene »;una professione che invoca dai ministri degli altari che « alle nostre

uniscano pure le loro preci, onde l'Altissimo da cui tutto dipen-

de voglia illuminarci nelle diffìcili circostanze e renderci meno arduo l'esercizio della nostra carriera »; un invito a tutti di concorrere per il bene comune, e più che governatore volendo egli essere padre, sotto questo titolo si rivolge ai padri di famiglia: « Raccomandiamo l'educazione religiosa, morale e politica della

rispettiva fìgliuolanza, quale sacro dovere ch'essi hanno verso

Dio e Re e Patria, rammentando loro che da ciò si forma la più solida base della pace interna e della felicità dello Stato ».

Sono parole che dovrebbero essere scritte in carattere d' oro presso qualunque popolo, e non si addicono ad uomo, come vo-

gliono i suoi nemici, solito a considerare il despotismo, il kuut e le galere come regola del buon vivere civile. In tutto il l^empo durante il quale ebbe l'alto incarico di go-

vernare detta piazza non venne mai meno al suo programma, che, come dissi, consisteva essenzialmente nel tutelare la sicurezza publica e privala. Questo ci attestano la dispersione e l'arresto,eseguiti sotto i diretti suoi ordini, delle bande di facinorosi che infestavano i Comuni di

Mombercelli e di Melazzo; l'esser venuto in soccorso colla sua stessa borsa privata alle popolazioni della provincia di Voghera vaganti per le campagne a

motivo dell'atterramento fatto dal terremoto del 18i28(2j;etc. opere tutte che ad una ad una basterebbero ad illustrare la me-

moria di un uomo. E molte altre certamente andarono obliale, <li

cui i documenti, sia a caso,sia a bello studio, furono dispersi.

Del ;24 novembre è la seguente letterina indirizzata al capita-

no Petrini,del Genio Civile: « Darà immediatamente gli ordini opportuni e prenderà le misure le più pronte e le più energiche affine

che la staffetta per Genova non soffra il menomo ritar-

(DDOCIMENTO vili. ,0\ ÌVmIMKS T" VMII.


— 186 — do(l)».Piccola cosa in apparenza,ma che dimostra quanto egli te-

nesse alla puntualità nell'esecuzione degli ordini suoi e special-

mente dei suoi superiori elemento quindi non inutile a giudi;

care il vero carattere dell'uomo.

Che i sentimenti da lui manifestati nel suo primo proclama non fossero un'esagerazione dell' occasione, e che jcercasse di usufruire di ogni opportunità per inculcare gli alti sentimenti del dovere verso la Patria ed il Ele,abbiamo una prova in altro

proclama in occasione della rinnovazione del giuramento prestato dalle truppe della Divisione di Alessandria al Re (2). Riful-

ge agli occhi di chi lo legge la convinzione sincera e profonda

primo dovere sia quello di essere inscindibilmente fedele a Dio, alla Patria,al Re.È un proclama che manifesta l'uomo di fede, che vuole Dio a testimonio delle azioni sue e dei suoi dipendenti; l'uomo di onore, che osa proclamare alto ai suoi soldati « Il vostro vecchio Generale vi sarà ognora guida del Galateri che

:

e compagno sul sentiero dell'onore e del dovere ».

Preso possesso del nuovo ufficio ,dopo aver mandato un saluto all'esercito che era la parte più cara al suo cuore di capitano

invecchiato nelle armi, volse subito la sua attenzione ed attività all'ordinamento civile della sua provincia,ed in data 28 agosto 18M inviava una circolare colla quale insisteva sopra la for-

mazione di tabelle da cui si potessero constatare lo stato di servizio, le idee e la condotta di ogni suo funzionario (3). Egli, che era stato vittima della camarilla di Corte, temeva di soggiacere all'influenza di quelli che lo attorniavano nella promozione dei suoi dipendenti, e basta dare un'occhiata alle domande a cui do-

vevasi rispondere per farsi un concetto della precisione e della portata di tale casellario. Da uomo pratico degli affari non si li-

mita a dare ordini generici, ma per l'unità della pratica unisce egli stesso una tabella di esemplare. E su questo ritorna con mag-

gior insistenza in altra circolare (4).

La sua attività non si limitava all'ordinamento militare,mantenendo la sua guarnigione in completa attività di guerra con (1) Archivio

Comvnale di Alessandria.

Documento x. (B) Documento ix. (4) Documento xi.

(2)


- 187 — continui esercizi, né all'ordinamento civile dei suoi amministrati,

ma si dedicava ancora sia al materiale miglioramento della

sua Cittadella, sia al benedelle popolazioni agricole a lui affidate,,

come dimostrano il riarginamento del Tanaro ed il canale di irrigazione da lui denominato Carlo Alberto per l'alto rispetto ed affezione che aveva per il suo Sovrano. Il quale, conscio delle

sue benemerenze da lui acquistate, volle che l'isolotto del Ta-

naro fosse da lui nominato Gabriele Galaleri ed il Consiglio di ;

Alessandria, accogliendo la decisione regia,per manifestare tutta la riconoscenza della popolazione, stabiliva nella seduta del

7 gennaio 1833, liberamente e spontaneamente, di apporre

una

lapide marmorea con relativa iscrizione che tramandasse ai posteri la memoria del Galateri e delle sue benemerenze verso la

città (1).

La Giovine Italia tentava in quei giorni di stendere le sue file in ogni parte della penisola e specialmente nel nostro Piemon-

le;ed Alessandria, come città principale per importanza militare, politica e civile, era stata scelta quale centro di agitazione

e

di propaganda. Là, al dire degli storici, convenivano d'ogni parte gli aflfìliali,specialmente dalla vicina Genova e dalla non lon-

tana Marsiglia.

Sarebbe ingenuo supporre che il Galateri non avesse notato un tale stato di cose,e non ne avesse riferito a chi di ragione;

ma fino allora non aveva avuto ordini al riguardo,e quindi, tolti

quei provvedimenti di indole generale da lui stesso accenna-

ti

nella già citata lettera del 2 maggio 18i21(2),nulla aveva fat-

to di particolare.

Si trovava {pertanto a Torino in cura della sua malferma salute, quando il

ministro della Guerra ordina vagli si restituisse immantinentlalla sua sede e-davagli in mano il filo della congiura accusando il sergente Domenico Ferraci della Brigata Cu(1) Documento xii.La relasione di detta sedata venne scrìtta su pergamena,che a nome dell'avvocato Bonzi veniva rìchiesta al Consiglio Municipale dall'avvocato senatore comm.Dossena in data 3 novembre 1887 e riconsegnata al Museo di Alessandria in data 22 febbraio 1899 con lettera a cui il rnimiirlin ili A 1t»^<iuiil riii ri-^iwindeva in data 23 stesso luese stes-

BO ann(>

l2)Do(r.MKNT<> IV.


— 188 — neo ed il procuratore Andrea Vochieri, l'uno come proselite,raltro come depositario delle carte riguardanti la cospirazione (1).

Ritornato in sede, sùbito esegui gli ordini impartitigli facen-

do arrestare Ferrari, Vochieri e tutti quelli che dalle indagini fatte risultarono compresi nella setta rivoluzionaria.

Andrea Vochieri, dopo l'arresto, fu mandato in cittadella.il suo processo venne fatto dal Tribunale Militare, al quale il Governatore si manteneva completamente estraneo, essendo presie-

duto direttamente dal conte della Manta. Dì ufficio, la difesa del Vochieri venne letta dal tenente Givio e compilata dall'avv. Gio-

vanni Allìora,di Alessandria.il 20 giugno 1833 il Consiglio di Guerra emanò la sentenza, con decreto vistato dal Governatore Galateri il 21. La sentenza fu eseguita il 22.

La condotta del Galateri ottenne piena approvazione dal Re, quale nello stesso anno gli inviava la più alta onorificenza, cioè il Collare della SS. Annunziata per cui veniva ad essere suo il

cugino (2). Nel 1835 il Galateri porgeva un' istanza per essere esonerato

da ogni carica o almeno per essere trasferito dal Governo dì Alessandria a quello di Cuneo,meno gravoso,e a Iui,data la sua età e la sua malferma salute, più adatto. Carlo Alberto rispose al

Galateri una lettera affettuosa per non perderlo è disposto a di:

spensarlo dalla sua residenza in Alessandria, e, quel che è più, si

dimostra preoccupato di quel che potrebbero dire i suoi ne-

mici (3).

A tale lettera, il giorno seguente, il Galateri rispondeva pieno di riconoscenza, ma nello stesso tempo

disinteresse e il suo buon cuore

— ciò che dimostra

il

suo

si preoccupa delle condizioni^

del comandante la Divisione, che veniva ad essere sovracarico

di lavoro, e propone di rinunciare in favore di lui a parte del

proprio stipendio (4). Ristabilitosi nella sua città avita, da Savigliano continuò ad

occuparsi di Alessandria,specialraente per gli affari più impor(1)

Angelo BROPPERio,-S'<ona del Piemonte dal 1814 ai giorni nostri,

parte 111, -S'c^ianmewft, Torino, 1849.

Documento hi. Documento xiii. (4) Documento xiv. (2)

(3)


— 189 — taDti,e ce ne fa fede una lettera in data 27 novembre 1837,in cui si richiama

l'attenzione del Governatore sui moti che andava-

no continuamente manifestandosi fra le truppe (1). Uno degli ultimi atti da lui compiuti, di cui ci resta documenPolizia in merito ad una certa Luisa Arduino soprannominata Lavizzona,di Nizza Marittima (2) da notarsi la clemenza con cui venne da lui giudi-

ti,è una lettera alla Soprai ntendenza della

:

cata.

Questo lavoro indefesso, la sua tarda età, le sue sofferenze tìsiche, lo accasciavano non tanto per la fatica,quanto perchè nella sua retta

coscienza temeva di non poter corrispondere vera-

menle alla dignità del suo posto,come ci fa capire molto bene in sua lettera del 16 marzo 1838 diretta al cavaliere Pes di Villamarina,colla quale lo prega di volere spiegare al Re il suo desiderio di ottenere il riposo che altra volta aveva verbalmente ricercato e del quale sentiva d'avere bisogno dopo settantasette anni di esistenza e Cri di fedeli servizi (3). Il

suo desiderio finalmente fu appagato,e il 17 marzo 1838 ri-

ceveva dal Ministero della guerra una lettera che,mentre lo eso-

nerava dal servizio della guarnigione, lo innalzava ad Ispettore Generale (straordinario) delle truppe di fanteria e cavalleria (4).

marzo 1838 il Galateri saluta la Divisione (5),ed il 21 dello stesso mese in modo particolare dà l'addio ai suoi fedeli ca11 19

rabinieri (6). 6.

— Ultimi anni.

Lasciamo al Turletti (7) Ialine della storia del Conte Gabriele Maria (ìalateri

:

« Conseguito nel

seguente anno il suo collocamento a riposo^

si ristabili in patria, ove lo

vediamo eletto, addì 3 giugno 1835»

al pietoso ufficio di Direttore aggiunto delle Opere Pie del Buon

l)

Documento xv. '

KSTO XVI. r.STO XVII.

4)D<>crMB>n'o xviii. 5)

Documento xix.

il Documenti xx.

7)TiRLETri,op.cit.,IV,75» seg.


a

— 190 — Consiglio ufficio che tenne sino al 1 giugno 1842. In questo frat:

tempo il Galaleri,per riposarsi all'ombra dei suoi allori, si costruì una sontuosa villa in Suniglia,che nomò da lui la Gabriella; ricostrutta, poi decorata e provveduta la vicina chiesuola di S. Grato, fece dipingere sul fianco d'essa che prospetta la pubbli-

ca via,framezzo a trofei, tutte le sue decorazioni, in argomento di quel ch'egli con ciò intendeva esprimere,valeadire: " Ho servito fedelmente e gloriosamente

Re ed Imperatori, ma poi rac-

coltomi in questa solitudine, e riedificata la casa di Dio, depon-

go in omaggio a questi le attestazioni della mia vita ,, imperocché aveva ognor tenuto caro quel suo detto " Fedeltà a Dio,aI;

:

la Chiesa e al Trono

!

,,

».

« Prediligeva egli l'Ospedale dei Cronici e l'Istituto delle Ro-

sine, ed in pegno del suo amore per essi faceva loro un lascito,

quello in vita,a questo in vita ed in morte ». « Nel

lungo suo soggiorno in Russia, il Galateri si prendeva

in isposa certa Tchernaieff,ed ebbe da essa

due figli

:

Giuseppe

e Pietro, capi di due linee».

«Cessò di vivere nella sua Gabriella addì 20 gennaio 1844 e,fattosi il trasporto solenne della sua salma dalla cappella ardente

alla parrocchia di S.M. della Pieve,ebbe onorevole sepoltura fra •i

Cavalieri dell'Ordine nella Chiesa della Certosa di Collegno ».

Probabilmente il Turletti è caduto in errorre in un punto

:

in-

vece della Gabriella, doveva, scrivere la cascina Braidabella. Sia di fatto che la costruzione della villa Gabriella appare di data

assai più antica, mentre la villa di Braidabella è di costruzione

più recente ed è, se non sontuosa,almeno abbastanza comoda ed elegante. La chiesuola di S. Grato*, poi, non è posta a poca distan-

za dalla Gabriella, in vicinanza della quale vi è un'altra cappella

dedicata al S. Bernardo, ma invece trovasi a pochi passi dalla Braidabella.

È appunto in questa chiesuola, e sul lato esterno prospiciente la via publica,che si leggeva l'iscrizione citata dal Turletti.

Ho detto « si leggeva »,perchè questa chiesuola, rimasta trascurata e in parte diroccata, fu pochi anni addietro demolita. La pietà e la buona memoria del conte comm. Annibale Galateri fecero

al suo posto costrurre un cosidetto pilone, su cui campeggia la fi-

/gura di san Grato,e sotto di esso è, nel piedestallo, riportata l'i-


— 191 — scrizione che prima

si

leggeva sul lato esterno della cappella

medesima.

Che poi Gabriele Galateri abbia passato gli anni di riposo nella cascina Braidabella si desume ancora dal suo testamento da-

tato dai * fini della Città di Savigliano, regione Braidabella,il 12

maggio 1841 (1) ». In conferma abbiamo ancora le memorie dell'aiutante di campo Saracco (2), il quale scrive: « Queste memorie furono da me prese nelle carte di famìgla di S. E. il Conte Grabriele Galateri,

con sua particolare permissione, [a] Braidabella, presso Savigliano, li 17 dicembre 1840 ». Ho citato questo testamento del conte Gabriele anche per molti altri

moti vi. In una lettera del suo figlio Pietro (3) (che più a-

avanti avrò occasione di citare), si legge * Chi più di me, (che) :

figlio rispettoso, obbediente e senza veruna colpa diseredato?».

Dal testamento risulta che non solo il

figlio Pietro,

l'altro figlio Giuseppe, furono non diseredati,

ma anche

ma legitlimati,cioè

ebbero a dividersi in parti uguali la terza parte del patrimonio del padre.

Usufruttuaria degli altri due terzi fu chiamata la vedova del testatario eredi universali, i discendenti dei figli ;

Pietro. In difetto l'eredità

Giuseppe e

doveva passare al nipote ex-fratre

cav. Gabriele Gaspare Galateri, figlio del fu fratello Cav.ed.Avv.

Emanuele. Il

generale Galateri non ha dunque diseredato per motivi po-

litici Il

o per ingiusta parzialità un figlio piuttosto che un altro.

vero motivo apparirebbe nel timore che i figli non avessero

abbastanza cura dell'eredità paterna, poiché altrove raccomanda ad essi « la maggior parsimonia nelle spese per non sciupare in cose inutili le rendite delle sostanze che io solo ho accumulate

mercè un'accurata economia ». Dal testamento si rileva anche il cuore tutt'altro che indurilo del Galateri, poiché lascia diversi legali ai poveri, ai parenti a cui deve riconoscenza per servizi prestatigli, nonché ad estranei benemeriti come Don Luigi Ferrari, canonico decano dell'i n(1) Documento xxi. (2) Vedi »opra,p.l72.

(3) Documento xxii.


__ 192

-

signe Collegiata di S. M. della Neve in Alessandria, « perchè fu

sempre persona di sua confidenza,che ha fatto, sotto la sua sorveglianza pressoché giornaliera, varie commissioni, di cui lo incaricava, mentre per semplice compiacenza dimorava a questa

sua Villa (Braidabella),dandogliene continuamente i conti,a misura che venivano eseguite ».

Più di tutto appare ancora dal testamento l'amore immenso che il generale Galateri nutriva per la Dinastia di Savoia, poiché ai figli raccomanda « di essere mai sempre sudditi fedeli del legittimo Sovrano ».

PARTE II. La condotta del generale Gabriele Maria Galateri nei processi politici

di Alessandria del 1833, specialmente in rapporto con

Andrea Vochieri,ha dato luogo a quella che si potrebbe chiamare la leggenda di lui. Leggenda di cui dobbiamo ora esaminare se,e fino a qual punto,risponda al vero,o se non sia invece un prodotto di successive alterazioni via via crescenti di fatti semplicissimi, non implicanti alcun disdoro per la persona del Galateri stesso.

Nulla servirà meglio a questo fine che l'esposizione di quanto fu scritto in proposito, seguendo l'ordine di tempo,per discutere

poi serenamente quei soli dati che risultino primordiali e di qual-

che valore. A tacere di Ludovico Sauli d'igliano (l),di cui le Reminiscense furono publicate soltanto nel 1911, e che mette il Galateri « fra quei

governatori che per conseguire onorificenze e

premi soliti a distribuirsi ai zelanti, trascorsero al di là dei confini, privarono di libertà non pochi innocenti e tolsero di vita taluni che forse,per reo desiderio,non già per misfatti commessi, meritavano l'estremo supplizio »,la prima voce che siasi levata invero molto autorevole, per quanto

contro il Galateri è quella

di Giuseppe Mazzini, il quanon insospetta di spirito di parte le così scrìsse tra il maggio e il settembre 1839 nella quarta let-

tera Sulle condizioni e sull'avvenire d'Italia publicata nel Mon-

(1)L. Sauli d''Igl,iaso, Reminisce7ize della propria vita, commentario^

a cura di Giuseppe Ottolenghi, 11, 248, Roma, 1909.


— 193 — thly Chronicle (1), riferendosi ai processi del '33 e ad uno dei

processati

:

giorno dopo ari tolsero i miei libri,cioè una Bibbia, un libro di pre«rhiere e una storia dei capitani illustri del Piemonte.Fui cambiato di Il

carcere, e mi fu messa la catena al piede.La prigione era scura, nuda,

con una tlnestra a doppia grata e una porta a doppia sbarra. La catena,attaccata ad un anello nel muro,mi permetteva di avvicinarmi alla

mia stava la cella del povero Vochieri. Avevano praticato tre fori al basso della mia porta; e siccome quella del carcere del Vochieri era a bella posta lasciata aperta^ io non poteva star finestra. Di fronte alla

vicino alla mia finestra senza notare la luce che attraversava quei fo-

ri.Guardai,curvandomi.e vidi il povero Vocheri 6eduto,con una pesante catena al piede : due sentinelle gli stavano ai fianchi colla spada nu-

da; di tempo in tempo gli lasciavano mutar posizione,senza che le due sentinelle lo abbandonassero la. Venivano

mai o gli indirizzassero una sola paro-

spesso due cappuccini a parlargli. Durò siffatto spettaco-

lo una settimana intera,finchè lo condussero al supplizio.

Questo accadeva ad Alessandria.Togliamo questo passaggio da una rifiessione originale manoscritta,che abbiamo sotto gli occhi,scritta da

uno dei prigionieri per l'affare della Giovine Italia, oggi libero e fuori d'Italia

Tutto ciò fu fatto in fretta, senz'ombra di legalità, senza alcuna di quelle apparenze di solennità che rendono almeno imponente la giustizia umana.Era una specie di rabbia,qualche cosa come il terrore ri-

voluzionari. ),senza la grandezza dello scopo. Si aveva fretta, come se si

avesse paura che qualche avvenimento giungesse a strappare le vitti-

me ai loro aguzzinosi sormontavano con atti arbitrarli tutte le difllcoluna volontà assoluta ordinava di colpire.Carlo Alberto reclamava la sua preda. I processi, le condanne erano opera di commistà. Dall'alto

sioni di guerra militari e borghesi era tutt'uno. :

Le proteste furono inutili

:

una regia patente del

1

giugno IS'ó'ó le re-

se nuUe.La difesa era una ironia: si trasmettevano i processi ai difensori incompleti....Le esecuzioni si facevano più spesso in punta di gior-

no, quasi nella nott«. L' impronta del delitto incombeva su tutto ciò.Si

fucilava come si sgozzava. Qua e là si ebbero orrori di particolari da

fremere.I servi esagerarono in bassa crudeltà sul padrone, certi come

orano del sorriso regio (2)

:

Il

Generale Morra a Chambery,il governatore

(l)Q.ììlAZ7ASi,Scritti politici editi ed j;i«rfi7i, Vili, l88,Imola, 1916. (2) « Basterà che citi qui la condotta del Oalateri

riguardo al Vochieri di

cui abbiamo già ve<luta la lunga agonia nel carcere. Il Oalateri fece tatto ciò che pot<' per estorcergli rivelazioni. Irritato del rifiuto,Io copri di con-


— 194 — governatore Galateri ad Alessandria, si

di Cuneo, Fevezes, il generale

segnalarono per la loro ferocia. Carlo Alberto li ricompensò.Al più feroce di tutti conferì l'ordine della S. S. Annunziata che kIì 'l'i il diritto di chiamare il re suo cugino.Egli lo meritava.

Dopo il Mazzini, per ordine cronologico ci si fa innanzi Vincenzo Gioberti, che nella prefazione al libro che ha per titolo II Gesuita moderno ha queste parole

:

« L'amare la Patria era col-

pa sotto il governatore Galateri, di Alessandria, uomo di trista

memoria in quella provincia *,e nel 1847,17 settembre,ribadiva, « Fa tuo conto che il Conte

scrivendo a Pier Luigi Pinelli (1)

:

Gabriele Galateri di Genola, applicato alla Segreteria degli esteri, mi scrisse una lunga lettera di querela pel complimento che

ho fatto al suo zio, chiedendomi una ritrattazione. Risposi con rispetto, ma negativamente. Volevo aver copia delia lettera

mia

e mandartela ; ma mi mancò il tempo. Egli è bene in ogni caso

che tu sappi almeno la cosa. Tutto ciò che esce da quei benedetti affari esteri mi dà sospetto. Non vorrei che si covasse qualche tranello,

A ogni modo la mia risposta fu'scritta con franchezza

e prudenza, e non mi potrebbe far torto (se non 4a troncano od alterano), quando la mandassero attorno......

A questa lettera Pier Luigi Pinelli rispose in data 24 7'^^^^ 1847 « Vedo che la pazzia non era primogeniale nell'agnazione :

Galateri, perchè mi pare più pazzo il nipote che viene a rimestare la puzzolente memoria dello zio che non questo. Hai fatto be-

none a negare la chiesta ritrattazione spero che il Conte lascierà correre e non cercherà altro intanto io ne scrissi confìdenzial:

;

tumelie.Dopo il giudizio,fu ancora a vederlo e lo spronò a rivelare, dicendogli che avrebbe pur voluto poter fare qualcosa che gli fosse gradita.

" Ciò che potete fare di più gradito per me, gli disse il Vochieri,in mezzo alle sue guardie, è di liberarmi dalla vostra odiosa presenza ,,. Il Galateri

gli assestò

una pedata nel ventre. Vochieri stretto dalle corde, gli sputò in

viso. La sola grazia domandata dal Vochieri fu di non passare, andando al-

aveva colà la moglie incinta,una sorella e due figli in tenera età. Gli fu rifiutato. D'allora in poi sua sorella è folle. Per fucilarlo furon dovuti scegliere alcuni sbirri lo ferirono nella via alla prima scarica. Il Galateri assisteva ali 'esecuzione. Fu lui che Carlo Alberto onorò più degli altri *iNota del Mazzini). (1) Lettere di Vincenzo Gioberti a Pier Luigi Pinelli pubblicate con prefazione e note da Vittorio Cian, 224, lett, chi, Torino, 1913. la morte, dinanzi alla sua casa

:

;


e

— 195 — mente al Conte di Castagnette pregandolo di far capire a questo signore che gli conviene di usare prudenza,che altrimenti ci ob-

bligherebbe a pubblicare una biografìa per cui m'impegnerei di trovare i documenti (1)». E ilGioberti gli rispondeva il 2 ottobre 1847 : « Godo che approvi la disdetta data al nipote di colui a cui

venne dedicato l'isolotto sul Tanaro(!2) ». Nel 1849 Angelo Brotterio riportava in un suo scritto (3) « Un condannato di Alessandria che sopravvisse alle lunghe torture :

di Fenestrelle, lasciò scritto nelle sue memorie le cose seguenti « Innanzi

:

a tutti mi furono tolti, eie. ».La narrazione del Mazzini

-ubisce nelBrofferiodelle variazioni: in luogo della "storia di ca[)itani

illustri,, scrive: una "historia dei Cappuccini illustri del

Piemonte,,: aggiunge alle due guardie,una terza, col fucile. immol)ile

dinnanzi alla porta del carcere e.... "fu lunga, fu spaventosa

la sua agonia...

Inoltre,procedendo nella narrazione, soggiunge

:

« L'ira del Go-

vernatore controVochieri si andava di più in più accendendo per-

chè colla certezza che avrelbe potuto fare importanti rivelazioni non riusciva pur mai

a strappargli dal labbro un accento;

({uanto più era grande la costanza di Vochieri, tanto più si osti-

nava il Governatore a tormentarlo con nuove crudeltà. Non vi era mezzo di terrore che non fosse impiegato: l'oscurità, il di-

giuno, le catene, i

i

tolti

sonni, i negati riposi, le insidie tenebrose,

tradimenti occulti e gli insulti e le minacele e persino le per-

cosse non avevano ribrezzo di praticare i gallonati cannibali».

È da avvertire sùbito che in appendice allo stesso volume il BrofTerio riporta tutta una serie di lettere indirizzate al Galateri

da Carlo All)erto,dal conte di Cimella,dal marchese di Villa-

marina e dall'Escarène, sulle quali avrò in séguito a ritornare, ma che è bene dir fin d'ora notare che non solo non confermano la

narrazione antecedente, ma sembrano anzi essere poste a cor-

rezione e ad antidoto di essa. Mentre il racconto brofiferiano fu

tenuto pre8ente,come vedrerao,da quasi tutti gli scrittori poste(1) Letter& inedita nella Bibl.

Civica di Torino.

— Per gentile comuni-

cazione del prof. Gustavo Balsamo Crivelli. i2) V. Gian, Op.ci7,, 226,lett. civ.

(3i A. Brokkrkio, Storia del

«eRi;. .Torino. 184'.).

Piemonte dal 1814 ai giorni ){o«frt,III,56


-- 196

riori, queste lettere,che pure sono documenti di altissima impor-

tanza, sembrano invece essere sfuggiti all'attenzione di tutti (1).

Nel 1851 Giuseppe La Farina, parlando della prigionia di Vochieri,scrive: « Mentre, con le

mani legate dietro le reni e co'

ceppi ai piedi attendeva l'estrema sua ora, il Galateri sollecita-

valo ad accusare i compagni, ed avutone altere e disdegnose risposte, con viltà pari alla ferocia lo ripercuoteva ». Tace dello

sputo,ed aggiunge parlando dell'esecuzione

:

« Stette presente il

Galateri,con insane e vituperose parole insultandolo (2j », Circostanze nuove,queste,e di cui il La Farina non indica la fonte.

Nel 1854 abbiamo il libro di Carlo A-Valle intitolato Storia di Alessandria, k dare un'idea del linguaggio di Carlo A-Valle,

ne riporterò qualche brano

:

« Di ritorno in Piemonte, poiché vi

fu ristaurato il trono sabaudo, il conte Gabriele Galateri ripiglia il

suo posto fra le milizie nazionali e vi recò tutte le doti di buon

soldato di cui l'esperienza lo aveva fornito »,e poco dopo * Ga:

lateri seguì ancora per anni il corso delle sue prepotenze e delle sue follie:

ma

i

cittadini, costretti a chiudere il proprio ribrez-

zo nel più addentro all'anima, si guardarono dall' aizzare nella tigre governativa la sete del sangue, ed

il

conte Galateri, dopo

una vita di sospetto e di inquietudine che sono quaggiù il retaggio delle coscienze crudeli.. ..(3) ». Il

Galateri, mandato ad Alessandria specialmente per la sicu-

rezza ed il riordinamento militare,teneva sempre la sua guarni-

gione pronta, come egli stesso dice nei suoi proclami, per combattere per la Patria e per il Re. Di tutti quegli alti di sorveglian-

za ed attività militare che vennero tramandati nella storia in o-

nore di altri Generali, 1' A-Valle si serve per gettare il ridicolo sul governatore di Alessandria. Nel narrare i patimenti del Vo-

chieri e degli altri congiurati, egli non fa che ripetere il Mazzini ed

il

Brofferio, aggravando la narrazione in modo sensibile

:

(l)Non le conoscono neanche i proff. Bragagnolo e Bettazzi,clie pure citano altri documenti della stessa natura, altrove sommariamente indicati. (2)

G.La Farina, Storia d'Italia dal 1815 al 1850, li, 195 seg., Torino,

i 851'. (3) C. A-Valle, Storia

1854.

di Alessandria, 111,629,664 segg.,l.v,c.4,Torino,


— 197 — così, ad esempio: « Andrea Vochieri era incatenato ai piedi,alle

mani, al collo ». Questa catena al collo è un nuovo particolare trovato dall' A- Val le.

Non citerò tutto il racconto che riguarda il tempo passato dal Vochieri in carcere, la scena di lui col Galatéri, l'aver questi fatto chiudere le porte della città nel giorno dell'esecucuzione:

ma farò notare soltanto che l'A-Valle attribuisce la fucilazione, non a militari, ma a borghesi. Anche della narrazione di Giovanni Dossena (1855) riporterò qualche brano per dare un'idea delle esagerazioni ond'è infarcito il suo racconto ritto di vita e di

:

« Dominava nel 1833 in questa città,con di-

morte (sic) accordatogli dal paterno governo

sugli Alessandrini, il governatore Galatéri, resosi in breve tem-

po odioso a tutta la popolazione per inumanità di costumi, per naturale barbarie, per l'istinto della distruzione e dello stermi-

nio che trapelava in ogni sua minaccia contro chi gli era sospetto di liberale (1) ».E più innanzi, parlando del supplizio sopportato

da AndreaVochieri « Non vi fu genere di strazio e di tortura che non sia stato messo in opera per abbattere quell'anima vigorosa. In una piccola camera della Cittadella lunga cinque passi e che prendeva poc'aria e luce Ba una finestra situata a livello del pavimento,con digiuni,con sonni turbati,col peso di gravi catene...», lo pone l'autore « giacente a terra sopra un sucido e breve pa:

gliericcio, sì che le gambe poggiavano sul nudo pavimento ; un

grosso cerchio di ferro gli cingeva il collo, ed entrambi i piedi

erano pure ricinti di cerchi di ferro assodati ad una catena infìssa al muro.di lunghezza tale da non permettergli di muovere che po-

chi passi ».Ed ancora, parlando della sentenza e della esecuzio-

ne

:

"

l

gallonati sicarii pronunciavano il dì ÌO giugno 1833 la

sentenza già stampata nel giorno antecedente al giudizio, e de-

negando al Vochieri quando le leggi veglianti al dispotismo accordavano, la scelta di un difensore, lo condannavano a morte -ignominiosa per alto tradimento militare ». Nel lH5f) Luigi Anelli, publicando anonima una Storia d'itatalia dal 1814 al 1850 (!2), parla pur egli del Galatéri, lo chiama (1) O.DoKSBMA, Vochieri e il monumen/o, Alessandria, 1865. (2) Storia

d'Italia dal 1814 al IS.W, l, 284 segg. Torino, 1866.Che que-

st'opera sia la prima edizione della Storia dell'Anelli, ristampata col nome


a

— 198 — «disonesto e scelleratissimo ». narra l'incidente del calcio al Vochieri,che avrebbe risposto con uno sputo in faccia, e sog-

giunge

:

«E per quell'ardimento il prigioniero fu tratto al pati-

bolo per vìa disusata e tale che rivedesse la propria casa, dove

sapeva di lasciare infelicissime la sorella e la n)oglie con due figliuolini,e dovette inoltre sentirsi spettacolo al vigliacco che,

mentre lo faceva ammazzare dagli stessi carcerieri, in assisa del grado,accavalcato a un cannone, sbramava si di vederne anco il

sangue ». Niente di importante e di nuovo racconta nel 1860 Giuseppe Ricciardi (1), che, ogni qualvolta vuole segnalarci qualcosa di rilievo, non fa che riportare le precise parole del Brofterio,aggiungendo al racconto di questo a proposito dell' esecuzione « Non :

furono soldati, ma guardiani dei galeotti, quelli scelti per uccidere Vochieri »

.

L'Anelli, ripublicando nel 1864 la sua opera (^),attenua anche l'ultimo tratto della narrazione sul Galateri e sul Vochieri, re-

stringendosi a dire,dopo il racconto dello sputo

:

« Per quell'ar-

dimento il prigioniero ebbe morte più atroce ». Francesco Bonola (1869) ripete soltanto, più o meno interpolate, le parole degli scrittori già citati, dal Brofferio al Ricciardi (3).

Cesare Gantù (187^), non avendo trovato alcun documento per

appurare la famosa tradizione del condannato di Fenestrelle,fa precedere tale narrazione da queste parole:* Se crediamo al Brofferio...., un condannato che....(4) »,e

ne riporta le precise parole. Ma alla sua coscienza ripugna ancor più di narrare la

scena fra Galateri e Vochieri in carcere, e mancandogli docu-

menti,anche di un compagno di sventura del Vochieri, la tralascia dicendo

:

« Per onore della umanità

vogliamo credere false

dell'autore e con notevoli ritocclii, oltre la continuazione fino al 1863,

Milano, 1864, risulta da uno studio di F.Gabotto in IL Bisorg.ital., X,i-in

[= Bsbs,Suppl.Risorg.n-ld],Tonno,ldl8. (1) G.IiicciXRDijMartirologio italiano dal 1792 all847,l.ix,^G seg.,Fi-

renze,1860. (2) Storia (3)

d'Italia dal 1814 al 1863, 1,327,Milano,1864.

F .Bonola, / patrioti italiani storie e biografie, III, 13-25, Milano,. :

1869. (4) C.CANTÙjDeWa Indipendenza, italiana, cronistoria, 111,304, Torino,

1872-76.


199

o esagerale le sevizie usategli dal governatore Galaleri,clie gli avrebbe fin dato un calcio nel ventre..,. ». Atto Vannucci riproduce in tutto il Brofferio moditieaiido soltanto l'aggettivo alla catena del Vochieri,che da « pesante * di-

venta « enorme » (1). Gli storici locali saviglianesi Novellis e Turletti tacciono del tutto.

Anche Giovanni Faldella, nel 1895, ci dà una narrazione che non è se non una serie di brani tolti di peso dagli autori precedenti. Dossena ed A- Valle, infarciti di insulti e di esagerazioni.

Aggiunge di nuovo questo

:

« Oltre

i

deperimenti morali adope-

ravansi i deperimenti fisici. Dapprincipio si era concesso di ricevere il vitto dalla propria casa, poi si prescrisse l'ordinario gra-

mo e costoso della prigione. Un po'di sugo di pomodoro, nel tempo in cui il prezzo ne era vilissimo,si faceva pagare 40 cent., un boccone di spinacci bolliti nell'acqua 70 cent., una porzione di pesce una lira e mezza * Si era finito col

;

una coscia di pollo due lire e più ».

portare la quota diaria di quel vitto meschi-

no a dieci lire; prezzo enorme per quei tempi ed un'altra tortura per le borse sottili una boccata d'aria si comprava dall'aiutante il prezzo di due lire al giorno ». «Niente forchette e coltelli....; un cucchiaio ed un bicchiere di ;

stagno erano l'unico arredo della mensa. Una speziale ordinanza.era sempre attenta al pasto. Proibiti

i

libri e la pipi:. Non ba-

stando la scarsezza e la insalubrità del vitto,il governatore co-

mandava digiuni, veglie forzose,eseguiva sveglie di soprassalto con visite improvvi.se di giorno e di nolte,ad ore diverse,con minacciosi apparati. 11 proconsole riteneva così santa ed esemplare la sua ferocia,che ne voleva partecipi i cari e bravi figli Giu-

seppe e Pietro avuti dalla nobile TchernaieflF impalmata in Rus."^ia.ed

usava irrompere minaccioso nella muda .seguito dal suo

Stalo maggiore e dai .suoi figli, provocando il f>overo prigioniero con sarcasmi di spirito e di collera...... « Si era già incatenato il

Vochieri alle mani e ai piedi. Il Go-

vernatore pensò di porgli pnn» un cingolo di ferro al collo. \'o-

(1) A.VAN.MUCCI, / martiri della libertà italiana ''^

"

^'

'

"^"^

''

"-ritto b Uguale in

dal 1794 al 1848, II',

tutte le edizioni precedenti.


— 200 — chieri prosternato sul suo letto di Frocuste, affissato per

i

ferri

che gli cerchiavano polsi e caviglie,sraaniava sopratutto per quel collare, con cui lo si era voluto sfregiare dell'immagine di Dio e abbassarlo di bruto. Urlò accanitamente convulso. Per placarlo mandarono a chiamare la moglie, la

quale parve incanutire

nel mirare il marito aggirato e stretto dalle catene,come un ani-

male alle quattro estremità e al oollo,i denti chiova ti, tramortito, irriconoscibile, springare dal breve pagliericcio sul pavimento i

piedi nudi e orribilmente piagati. Il Governatore investì coi più

violenti rabbuffi la

donna addolorata, supponendo che avesse

propinato clandestinamente il veleno al marito per defraudarne il

patibolo. Il dabben medico, che, fatto

un esame chimico degli

alimenti,conchiuso che il veleno era prodotto precipuamente dai martiri morali, tocca va pure un acre rimbrotto. Senza rimuovere le catene,si ordinò che al priginniero si desse piìi lauto trat-

tamento affine di conservarlo in vita per quei pochi giorni che lo separavano dal supplizio (1).

Costanzo Rinando ('3) riporta intera la narrazione fantastica del Faldella, mentre Pietro Orsi (3) tace di tutto.

Raffaello Giovagnoli dice soltanto

:

« Dopo avere per 53 gior-

ni gagliardamente lottato contro quella fiera del Galateri,che

con sevizie e contumelie giornaliere lo tormentava per indurlo a rivelazioni, egli andò a morte con fronte alta e con passo sicuro. ..(4)». I

professori Bragagnolo e Bettazzi nella loro recente opera e-

scono in queste parole: « Se dovessimo prestar fede ai cronisti contemporanei e alla tradizione, dovremmo anche noi scrivere che il Galateri fu un mostro di crudeltà. Noi ci limitiamo a dirlo strumento efferato di tirannide, rigido esecutore degli ordini che gli venivano dal

Governo Centrale, partecipe del folle e crimi-

noso proposito dell'autocrazia, per il quale si credeva possibile soffocare nel sangue, disperdere con le prigioni e le esecuzioni (1) G. Faldella, (Scoria della

Giovine Italia,lV,S05 segg., Torino, 1895.

(2)C.RiNAUD0,Ii Risorgimento italiano: co?i/ère?ize,I,338,Torino,19ll. i3) P. Orsi, Italia moderna -.storia degli ultimi 150 a?^?^^, 100, Milano, 1901. (4

)

1912.

R. Giovagnoli, Risorgimento Italiano dal 1815 al 1848, 512, Milano,


-ricapitali o^iii ^1 (leltii

1

die di libertà (l))».Essi tacciono le scene e lecru-

del Galateri verso il Vochieri, cavandosela con queste pa-

role :« Forse questi ordini di repressioni feroci .trovavano l'a-

nimo di lui disposto ad accoglierli, sia per la lesione cerebrale che forse gli aveva offeso le facoltà psichiche ed ottuse le morali.sia che alla durezza eccessiva lo avessero adusato i sistemi

terroristi in vigore nell'esercito russo ».È da notare l'importan-

za dell'apprezzamento nella nota sul carteggio del Galateri. In sostanza,a tre si riducono le vere fonti li

:

1)

i

giudizi del Sau-

d'lgliano,del Gioberti e del Pinelli;2) la narrazione partico-

lareggiata del Mazzini ; 3) il materiale documentario portato dal nrofferio,a cui qualche altro verrò in séguito aggiungendo.

1^ stessa narrjizione del Brofferio,come abbiamo veduto,è ricalcata, salve le varianti indicate, su quella del Mazzini, e tutti gji altri non hanno fatto

che amplificare più ancora il Mazzini

e il Firofferio,come l'A-Valle e il Dossena,o riferirvisi più o me-

no sommariamente, sia pure qualche ritocco nuovo cóme il La Farina e il Vannucci, mentre la tendenza dei più recenti è,al contrario,di smorzare anziché aggravare le tinte. Solo il Faldella ha rincarato ancora la dose con molti particolari che mancano negli scrittori precedenti.

Cominciamo ad occuparci del racconto del Mazzini, poiché gli apprezzamenti non hanno valore se non alla stregua dei fatti. Nel racconto del Mazzini dobbiamo distinguere due parti l'una per cui cui adduce la testimonianza « di uno dei prigionieri per l'affare della Giovane Italia »; l'altra per «ni non reca alcu:

na autorità. Per quanto riguarda la prima,essa si riduce alla constatazione di fatti relativi all'informatore e di fatti relativi al Vochieri.

L'uno e l'altro avevano la catena al piede, ma se l'informatore del Mazzini riconosceva che era abbastanza lunga da permettergli di |)ercorrere la sua cella

avvicinandosi alla porta, se ne

inferisce che doveva essere lo stesso per la catena del Vochieri.

Questi, in più, in quegli ultimi giorni era continuamente sorvegliato da due sentinelle armate (li spada sguainata,che yterò non gli im|)edivano di muoversi ; inoltre il Vochieri aveva una sedia,

(l)G.BRAaA(}NO(.o ed E.Bettazzi '/7<a//a,II,856,Torino,1917.

7V.. ;..o

.,,.//,,

yf.>,-ia

del

Piemonte e


— 202 — e la porta del suo carcere era aperta, onde la prigione rimaneva

aereata. Sifatti particolari permettono di smentire parecchie delle esa-

gerazioni degli scrittori posteriori, cioè la catena anche alle mani e al collo; l'essere il Vochieri costretto a giacere sopra il pa-

gliericcio,unico mobile della prigione,e impedito in ogni movi-

mento come un animale, etc. Quanto ai punti assodati, essi entrano nelle norme del regime carcerario del tempo per un condannato a morte,senza aggravamento di sorta sulla normalità del regime stesso. La seconda parte della narrazione non può provenire dallo stesso informatore, non solo perchè ciò avrebbe il Mazzini indicato,

ma perchè in contraddizione con la prima. Se il prigioniero

alla cella del Vochieri potè vedere. entrarvi ripetutamente i due

cappuccini, avrebbe veduto ed anche notato l'ingresso del Gover-

natore e la scena violenta che sarebbe avvenuta. Si deve perciò ritenere che la seconda parte del racconto maz-

ziniano provenga solo da voci

;

ma ammesso pure che le voci

avessero qualche fondamento, dal racconto stesso del Mazzini

appare che il Galateri si sarebbe appressato al Vochieri, non con intendimento di tormentarlo o di strappagli rivelazioni, ma semplicemente per compiere un atto di gentilezza, fosse pure nelle

forme più ruvide,domandandogli « se potesse fare qualche cosa per lui ».Ora basta considerare con serenità la psicologia di uo-

mini come il Galateri, devoti al Re e alla Monarchia assoluta fi-

no al fanatismo, ma altrettanto a Dio e alla Religione Cattolica, per ammettere non solo la possibilità, ma la naturalezza, di un atto di pietà cristiana verso un condannato a morte in chi pur l'avesse fatto condannare in esecuzione al proprio dovere e alle

proprie convinzioni. Ora,ad un atto simile, si potrebbe dire corretta, nonché eroica la risposta attribuita al

Vochieri? E, data

l'antenticità della medesima, rimarrebbe sì altamente biasime-

vole il subitaneo scatto d'ira del Galateri, ma si dovrebbe anche

ammettere non innaturale né disumano in un uomo avvezzo a comandare e essere ubbidito, di fronte alla risposta villana ad un suo atto di cuore. Senonchè,escluso che il racconto sia stato fatto al Mazzini dal prigioniero di contro, vi è nella stessa testimonianza del medesi-


2()3

mo un forte argomento per negare lutto l'incidente Galdteri-Vo* chieri. Possiamo intanto stabilire

che nei processi e nelle sen-

tenze il Galateri, ufficialmente almeno,non aveva parte. La com-

missione era composta di un Consiglio di guerra presieduto dal luogotenente generale conte della Manta, e il Galateri non ave-

va altro compito che di vidimarne e farne eseguire le sentenze.

ma di un influsso mapuò accusare una persona senza addurne prove si-

Egli poteva forse influire indirettamente lefico non si

;

cure, che nel caso presente mancano del tutto. In queste condizioni, il Galateri verrà ad essere

un semplice

esecutore, il quale poteva in cuor suo assentire o dissentire alle

sentenze che doveva far eseguire. È probabile che assentisse

:

nondimeno, contro la leggenda della ferocia di quest' uomo sta la sua condotta nel 1821 a riguardo del

giovinetto Brofferio,di

cui si è parlato in un capitolo precedente; sta la preziosa notizia

— dataci in una lettera di suo figlio Pietro

di Alessandria, nella quale questo

in pieno contrasto con quelli del padre,scrive lui

(1) al

Municipio

suo figlio, di sensi liberali :

« La nuora di co-

più volle prostrata alle ginocchia dello suocero implorava

da hii,C()n le lagrime agli occhi,grazia a favori di molti, fra cui per un Bordes,il quale dall'esilio ritornava all'amplesso della te-

nera genitrice,al l'abbraccio del vecchio padre paralitico; ....colui finse volentieri ignorare i caritatevoli maneggi del figlio;....

colui, infine, aderì lieto, e .soventi, alle calde supplicazioni della

nuora ».II Galateri non era dunque animalo contro liberali da un fanatismo cieco, incapace di distinguere. Appare invece un uomo che sapeva tener conto dell'età e delle circostanze dei compromessi,e regolarsi variamente secondo la varietà dei casi. i

Che abbia cercato di indurre il Vochieri e gli altri carcerati nelle prigioni di .\lessandria a riveIa/Joni,è cosa naturale. Tutto sta a vedere i modi adoperati, la misura delle blandizie e delle

severità. È cerio che nei primi tempi della carcerazione del Vochieri, questi non sembra avesse a lagnarsi del Galateri.

A questo

riguardo è molto importante una lettera inedita del detenuto. Vochieri alla moglie,clie (|ui si riferisce (2): (1) Documento xxn. (2) Archivio

Comunale di Alesttandrui.


— 2()4 Dalla Cittadella, 24 maggio 1833. Dilettissima moglie, ora che la bontà del nostro buon Governatore -mi permette di scriverti, ti dico che quantunque io abbia per cinque

giorni continui sofferto una ardentissima febbre,ora tuttavia sto bene di salute. La scorsa notte però non ho potuto dormire

un momento a

causa che la coperta clie mi ai mandato per essere troppo stretta e leggera ho sofferto gran freddo.Procura perciò entro oggi di farmi avere la coperta bianca o quella a quadretti bleu. Mi manderai pure delle camicie, fazzoletti da collo e da nas©,mezzi fazzoletti,cufIie da notte, un cavastivali ed i pantaloni di panno usati, perchè quelli che porto presentemente si sono scuciti in più luoghi per cui domani li manderò onde tu possa rappezzarli. Spero che il mio buon fratello avrà preso la direzione del mio studio; abbraccialo da parte mia e pregalo in mio nome di non privarvi della sua assistenza.Tu devi obbedirlo in tutto e per tutto e cercare ogni mezzo per renderti a lui cara.Qualora Clementina e Celestina mancassero,secondo il solito,al loro dovere o fossero disobbedienti a mio fratello, non tralascia di castigarle severamente. Dirai a mio fratello di sollecitare Repatta a curare l'esigenza dei «rediti che tengo viérso diversi miei principali,e principalmente di quelli dell'anno scorso. Dammi delle tue nuove e di quelle della mia piccona Angiolina,la quale ò sempre presente ed imploro dal paterno cuore di S.E.la grazia di lasciarmela qualche volta vedere. Rassegnati ai voleri del Cielo sopportando coraggiosa la nostra separazione,conservati in salute,ed ama nei miei figli l'infelice

tuo Andrea. P. S. Dirai a mio fratello che nel banchino del mio studio vi esiste in

un piccolo secretarlo tutte le ricevute che mi hanno spedito i Signori Repatta e Mazzocchi a saldo del lord stipendio,e ciò onde potersi regolare,e lì osserverai che il Repatta mi è debitore di Lire 12 oltre agli esposti in una sua causa.

Non sarà certo in quei giorni in cui si usava tanta larghezza relativa al Vochieri

— fino al punto di non sequestrargli le carte

e permettergli che la moglie ne passasse al fratello, mentre pure, sotto apparenza di affari privati,avrebbero potuto contenere im-

portanti segreti politici,— che si sarà cercato d' indurlo a confessioni con le violenze,i maltrattamenti e i digiuni di cui par-

lano, non il Mazzini, ma gli scrittori posteriori che pur attingono in sostanza da lui.

Ma neppure negli ultimi giorni si può dire siansi volute aggravare le condizioni di Vochieri dandogli scarso vitto o facendoglielo pagare a prezzi elevati,come accenna il Faldella. Ripor-


- ^5 — tìanio anche a questo riguardo un documento probatorio che sf

trova nel Museo Civico di Alessandria

:

16 giugno 1833. Conto del Signor Andrea Vochieri

Viveri somminiBotegone in Cittadella. un cattò nero s. 3 una ffolata doppia un ver Rom 8 più un cafè nero 3 più due minestre un quartino 6 altra Troiata doppia un pane 7 due minestre un quartino 6 frolata doppia 6 un ver ratafià 2 pranzo: un piatto cervella mezzo polastro una buta supa pane L. 1 [s.] 8 id.due piatti,uno pessi carpionati uno vitello uno quartino l [s.] 2 più un Bocale 4 s. di sera tre ova al Butiro e sol formagio 7 più una buta vino 5 due frolate,un ver rom,un pane 9 pranzo mezzo polastro,un piato cervella,pan supa,vino L. 1 [s.] 8 fruta e formagio 5 di sera.tre uova frite al Butiro s. 6 un sigaro 1 una frolata doppia 6 pane, un ver rom 3

jjtrati al

17

18

19

:

20

:

21

1

sigaro

1

pranzo una tencha

12

mezo polastro

10

cervella un po' un piatto

10

una Botta vino Bianco pane una Botta vinoinero una minestra due caffè un ver rom

10

2 5 2

8

Tinca carpionata tabacco pane un piaiiw «i >fiia due ver rosogli da prendersi

L. s.

' 1

3

2 8

.

4 12.12

due candele

6

pagherete la presente nella prima parcellata. A. Vochieri. (

\

riii'iri.\\)\r\\\:ìì-ii

ili

a Totale

u«ityi, Modìsfatto A CUaUto 'l'M ^"Vri

Zeni ajutanu

12.18


— 2()6 Rimangono alcune circostanze che non sono nel Mazzini, ma solo nel Brofferio, le quali però trovano conferma almeno indiretta in una lettela che un nipote dei Galateri scrisse al Gioherti

in risposta al giudizio dato dal medesimo nella prefazione al

Gesmta Moderno, leiieVa. inedita che inseriamo, insieme colla risposta,pure inedita.del Gioberti, tra i documenti (1).

A parte il sentimento che moveva il nipote Galateri nello scrivere al Gioberti, e a parte la risposta di parole ben sonanti, ma

senza nessun dato di fatto positivo,del Gioberti medesimo, si ri-

cava da questi due documenti che veramente il Galateri assistette appoggiato ad un cannone al supplizio di Andrea Vochieri,

ma questo fece per ben giustificate ragioni di ordine publico, e che se altri atti commise passibili di giudizio sfavorevole, per essi egli non ha responsabilità che come esecutore di ordini dei

quali rimanevano nel 1847 le prove scritte presso la famiglia.

Dico « rimanevano », perchè è ricordo presso i discendenti che

un figlio del Galateri consegnasse al re Vittorio Emanuele II,di cui era ufficiale di ordinanza, i documenti più gravi che avrebbero servito a giustificazione del padre. Che questa tradizione famigliare abbia un fondamento, risulta in modo perentorio da 'una publicazione recente del Bollea che menziona nell'inventario dell'archivio personale del Re tre lettere in data 33 giugno 1833,7 giugno '34,e 9 febbraio '35,dirette da Carlo Alberto rispet-

tivamente al Galateri (2), dell'ultima delle quali soltanto è rima-sta copia nell'archivio famigliare ed è quella già da

noi ripor-

tata. La stessa mancanza di copia delle altre due ne fa sospetta-

re la maggiore importanza dal punto di vista per il quale quelle lettere vennero rimesse dalla devozione della famiglia Galateri verso la dinastia di Savoia.

Ma come appare da quell'inventario stesso,tre soli sarebbero stati i documenti consegnati, o almeno conservati da Vittorio Emanuele II. Prima che quella consegna fosse fatta, molte altre lettere di

<]arlo Alberto,del Villamarina.dei conti di Cimella e dell'Esca(1)

DOCUMKNTI XXIII e XXIV.

(2) L.C. Bollea, L'archivio personale di

Vittorio Emanuele //in 11 Ri-

:Sorg.ital.,X, iv [= Bsbs, Suppl. Risorg. 16], 452. Si noti che la

queste lettere è del giorno Uopo il supplizio del Vochieri.

prima di


- so: rène al (ìalaleri erano siale, [)r(»l)al)ilnieiiie dui tiglio liberale Pietro, passate ad Angelo Brotferio affinchè rettificasse il raccon-

to inserto nella sua Storia del Pieinonte,ed il Brofiferio,pur sen-

za ritornare sulla narrazione fatta, le aveva inserte in appendice allo stesso volume. Queste lettere,e qualche altra non recata dal Brofferio, ma di cui è rimasta altrove notizia (1), dimostrano in

modo evidente quello che si è sopra affermato che il Galateri :

noji fu che un

semplice esecutore di ordini superiori (2), da lui

piuttosto attenuati, come fa fede la lettera del Vochieri alla moglie (sopra riferita),anzichè aggravati.

In conclusione, la fama di personale crudeltà, anzi efferatezza, di Gabriele Galateri non riposa storicamente su solide basi,ma

soltanto su voci di avversari delle idee che egli rappresentava e sosteneva,su sviluppi logici delle narrazioni anteriori e su stratificazioni successive di

aggiunte fantastiche di vari scrittori.

Asserire che di nessuna durezza sia responsabile per conto proprio, non è forse possibile; ma in materia di accuse l'onere della

(li Catalogo della Commissione milanese per la sezione * Storia del Risorgimento nazionale » aìln Esposizione Generale Italiana in Torino 1884, p. 48, Milano, 1884, Ivi 8i elencano come esposti dal s.r Amilcare

Ancona

:

Galateri Gabrie-

Sotto

Bsoin

il

l«f»tnxioB8

le

gen. governa-

tore d' Alessan-

l'ordiii

241

Lettera al cav. Capriglio,

5

agosto capitano aggregato allo Sta-

1833

to Maggiore, circa la cospi-

razione militare di Alessan-

dria.

dria.

375

•211

Conte di Cimella

6-22

Tre note al conte GsJbrie-

consigliere di sta-

agosto

le Galateri, govematoredel-

18

la fortezza di Alessandria,

to di Piemonte.

ttUimbn

relative al processo in cor-

1833

so, con istruzioni e note in-

tomo

ad alcuni detenuti

per cospirazione militare. _'

12

Coqte di Cimella

Vi

Nota al conte Galateri con

iittombn

cui trasmette l'ordine del

1883

Re di desistere da ulteriori procedimenti contro duedetenuti politici.

2

L'arresto del Vochieri

BROKKERIO.Op. «7.,III,Ij.

iiaiu

nominalmente dal Re iDoc. in


— 208 — prova spetta agli accusatori, e la prova da essi, finora almeno, non è stata data. Quanto all'animo col quale il Galateri eseguì gli ordini superiori, può avere colpito nel segno il Sauli attribuendo la sua condotta a desiderio di essere gradito in Corte e di ricevere più ampi onori, ma è anche possibile e piìi probabile un'altra cosa,da-

to quello che non si dovrebbe dimenticare e che noi dimentichia-

mo troppo spesso,cioè le rigide, profonde e sincere convinzioni di molti uomini di parte assolutista,i quali credevano fermamente che il bene della Patria,da essi amata fervidamente, fosse in-

separabile da quegli ordinamenti e da quelle forme contro cui

combattevano invece i seguaci delle opposte tendenze. Il

Galateri, quindi,avrebbe agito in conformità di tali convin-

zioni per un senso di dovere, movendo da un punto di vista che

non può più essere il nostro, ma di cui la storia imparziale deve riconoscere la sincerità.

Maria Baralis.


Al

LETTORI

La morte di Ferdinando GrABOTro, commemorato nel faucicolo ultimo della rivista^fu un grave lutto per la Società Storica

Subalpina, c/»eAa in Lui perduto non solo V animoso suo fondatore^

ma anche il Direttore intelligente e laborioso delle sue nu-

merose pubblicazioni.

Fra queste^dal 19 15, annoverasi la presente rivista che la Casa editrice

Bocca volle

— dopo sei anni di direzione della Società

ufficiale di storia del Risorgimento italiano ed uno di T.Palamen-

ghi-Vrispi

— affidare al Gabotto e alla Società Storica Subalpina.

Questa già dal 1912 era risolutamente entrata nel campo del

Risorgimento italiano con una serie di quattro Supplementi al suo Bollettino storico-bibliografico subalpino ;an2/ nell'annuncio primo di questi supplementi {ì) erano stati elencati i titoli dei

vari studi

sporadicamente

editi, in

precedenza, nel medesimo

bollettino, per dimostrare come, fin dalV inizio suo, la Società Star

rica Subalpina avesse pensato a coltivare anche la storia del Ri-

sorgimento, con intendimenti già esposti in un precedente avviso (2).

Dagli stessi criterii sarà animata ora cietà Storica

la rivista, che la So-

Subalpina ritenne di continuare, campo aperto a

quanti vorranno collaborarci di qualunque fede essi siano, senza

alcuna eccezione. Soltanto la nuova Società crede bene di trascurare quegli studi (1) L.C. BoLi.BA, Assumendo la direzione del fascicolo « Il

Risorgi»

mento »,in /^'/. »/or.-foiW.«ufta/p.,Siippl.l,pp. 1 e «egg., Torino, 1912. (2) Per la storia del liison/imento, in copertina del lioU.xtor.-bibl.sub.f a.XVI, fase. 4, Torino, 191 1.


- !2U) — di carattere

puramente regionale ed estranei al Piemonte, che

non abbiano una speciale importanza nelVan/pìo quadro del Risorgimento nazionale, pur tenendone, all^ occasione, il debito conto bibliografico.

Per il nuovo anno sarebbe intendimento di rinnovare tipogra ficamente la rivista, per rendere la stessa di lettura più piacevole, di consultazione più, facile e di

compilazione bibliografica

più scientifica e più ricca di notiziarii. Certo

hanno

le difficoltà

economiche, che gli avvenimenti mtndiali

creato, lottano assai contro

tutti questi

buoni propositi,

ma la rinascita della Società Storica Subalpina dà affidamento per una vita più gagliarda della rinnovata

rivista, mentre

ne è

prova fiduciosa l'appoggio della Casa editrice Bocca, continuante oggidì

le

nobili tradizioni tipografiche domestiche di

vn tempo,

quando essa fu palestra e rifugio per tanti artefici della Italia nuova.

La Direzione della Società Storica Subalpina.


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LETTERE INEDITE DI CARLO BOTTA

AL FIGLIO SCIPIONE INTRODUZIONE. Scipione Bolla, figlio primogenito dello slorico, nella biografia

che scrisse del padre confessa schiettamenle la propria inferiorità in confronto a'suoidue fralelli,e parlicolarmetileal secondogenito, Paolo Emilio, il noto naturalista, viaggiatore e archeo-

logo (l),e parimenti confessa la propria instabilità di propositi,

che in gioventù. e anche dopo,doveva più volte fargli mutare professione (!^). La condotta di lui, benché irreprensibile nei riguardi della moralità, fu causa di gravi apprensioni per il padre tino agli ultimi mesi della sua vita,cosi travagliata per lunghi anni

e,appunto a cagione del figlio, non tranquilla neppure nella vecchiaia, quando e onori e agiate/za avrebbero potuto ristorarlo delle passate avversità morali e materiali.

Modesto Publio Scipione Botta (3) era nato in Torino il l^ maggio 18()l,o nieglio il i^'^ fiorile dell'anno IX,secondo lo stile repubblicjino del tempo,nieiUje il padre era uno de' sei membri del Consiglio che assisteva rAmniinistralore generale della i27»

Divisione militare, quale era allora diventato il Piemonte come preludio della prossima definitiva unione alla Repubblica fian-

(l)

Vita privata di Carlo Botta. Kagguaifli domejttici ed aneddotici rac-

colti dal Mito maggior figlio ScM'loSB.pp. 17,24,29-30,82 e 34, Firenze, 1877. i2) Op. cit., pp. 6G-67. 1

3) Come il primogenito ebbe il nome del vincitore di Zama,coBÌ il secon-

do^Piiito fu chiamato Paolo Emilio e il terzogenito Cincinnato, tutti e tre, coiiif si

tempo.

vede, nomi di celebri porsonaggi romani, secondo la moila del


<2io

_

cese, voluta dal Bonaparte. Stabilitasi la famiglia in Pari},'i,il

Scipione da prima fu chierico e poi studente in leggi

;

poscia,

grazie alla squisita cortesia del generoso mecenate del padre, il

conte Tomaso Littardi,Kicevitore generale delle finanze del di-

partimento del Varo, eccolo impiegato in Tolone nell'amministrazione finanziarla, impiego che però abbandonava dopo circa

un anno per farsi incisore di stampe. A questa professione il tiglio dello storico si dedicò

per un certo

numero d'anni, senza

però mai ricavarne molto profitto finanziario, il che era causadi

continuo affanno perii vecchio padre. Finalmente assai più tardi, istituitesi in Piemonte le Scuole tecniche, egli fu, nel 1856,no-

minato Professore di lingua francese nelle scuole di Torino (1), e come tale, su proposta del Ministro della Pubblica Istruzione

Domenico Berti, nel 1867 fu insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine mauriziano(2).Morì in Torino nel febbraio del 1879.

Durante il lungo tirocinio che fece nell'arte dell'incisore il giovane, che oramai aveva da tempo toccata l'età della ragione,

continuò a pesare sulle finanze paterne, pur così deboli nel periodo di tempo che va dalla caduta di Napoleone al 1826, anno in cui

poneva mano alla « continuazione del Guicciardini » col

sussidio fornitogli dalia sottoscrizione iniziata dal conte Littardi. Ma, nonostante le strettezze finanziarie, lo storico, che pure

già era privo della compagnia degli altri due figli, l'uno viaggiatore e l'altro militare, si privò ancora, benché solo in parte,della

compagnia di Scipione, che

volle andasse ad abitare fuori del

tetto famigliare, pur continuando a sedere quotidianamente al

desco paterno. Scipione ascrive questa determinazione del padre

al

desiderio di lui che egli « provasse, studiasse e cono-

scesse da sé il trameslìo sociale » (3). Questo motivo ci dovette essere nella mente del padre, ma solo come corollario di (1) Frutto del suo

un altro

insegnamento tu una Grammatica francese compa-

rata colle forme della lingua italiana (Torino, 1861), che è uno dei primi libri italiani di tal genere, e che nel VI Congresso pedagogico italiano, te-

nutosi in Torino nel settembre del 1869, fu premiata con medaglia di 2° grado. (2) L'annunzio di questa onorificenza concessa al prof. Botta, insegnante di. lingua francese nelle « Scuole tecniche di Dora > di Torino, leggesi nella Gazzetta Piemoììdene del 4 marzo 1867.

(3ìOjt?.a7.,pp.59-60.


- 2i:j motivo, che il fìllio ij^norò, credo, fiucliè visse il padre, e forse

anche dopo. Ne dirò in seguito. p:iacchè se ne parla in tre lettere che qui vedon la luce come appendice di quelle al figlio. Frattanto nel giugno del 1834 Scipione si trasferiva a Torino, lasciando definitivamente Parigi, dove non trovava sufficiente lavoro, e lasciando anche il padre, che non doveva rivedere mai più. Al motivo di questo distacco lo storico non accenna neanche nelle lettere agli amici più intimi; il figlio lo spiega dicendo ch'egli fu ciiiamalo a Torino « per incidere la Flora sardoa dell'illustre botanico, prof. Moris » (1). Forse non vi fu estranea una certa passione,che il padre sperò, ma invano per allora, di soffocare in tal modo, come si vedrà dalle lettere. Fre-

quentando non so quale società il giovane, forse incautamente, aveva contratto relazioni femminili non adatte all'indole sua e tanto meno alla sua borsa. Questo dovette essere il motivo principale che spinse il vecchio genitore ad allontanare del tutto da sé il figlio, tanto più che si presentava opportuna per lui l'occa-

sione di aver lavoro,almeno per un certo tempo, in Torino come incisore.

Le lettere che qui si riproducono soii()ap[)unto rivolte al figlio Scipione dopo il suo trasferimento a Torino, e vanno dal 10 set-

tembre 1834 al 2i2 giugno 1837, poche settimane prima che lo storico morisse. Esse, come le tre che le seguono nelT* appendice ".e di cui dirò in seguito, provengono dall'archivio privato dell'ing. Vincenzo FonUina di Torino, che possiede una ricca rac-

colta di lettere bottiane (2). Queste letterc,come tutte le altre dirette al tiglio Scipione e

moltissime agli amici, sono scritte in

lingua francese, che era per lo storico il linguaggio domestico e per conseguenza quello usato nella corrispondenza epistolare coi figli. Si ricordi a questo proposito che la consorte del Botta (l)Op.c»7.,p.70. Ci

La raccolta intera trovaHJ da tempo presso lo scrivente, al quale con

<ieliiato senso di mecenatismo volle temporaneamente affidarla

Boro, perchè egli potesse valersene a suo agio. Ali 'egregio

il

po8ses>

ingegnere Vin-

cenzo Fontana rivolge lo scrivente i sensi della sua j)iù profonda riconoscenza.


— 214 — era savoiarda e che

i

tre figli

furono educati e istruiti quasi

esclusivamente in Francia.

L'esame di queste lettere,che sono solamente una parte delle molte dirette al figlio negli anni sopra indicati, rivela lo storico sotto un aspetto nuovo, che nessuno de' suoi biografi conobbe,intenti tutti, può dirsi,a studiare lo scrittore piuttosto che l'uomo,

compreso anche il Dionisotti,il quale, pur essendo cosi minuto e accurato, non dovette tuttavia conoscere questi elementi, che la ventura doveva poi far capitare nelle mie mani. È dunque un aspetto nuovo quello sotto il quale si rivela lo storico in queste lettere, aspetto simpatico in

quanto ci mostra di lui le qualità

più intime di padre, di quel padre esemplare, che ad ogni altro

pensiero antepone il pensiero dei figli, e piìi pensa a queJlo di essi che gli dà meno conforto e più gravi fastidì, e per lui

più adopera appunto perchè più abbisogna de' suoi consigli e del

si

suo aiuto. Dal le medesime lettere inoltre si rileva l'origine vera dell'ultimo lavoro a cui attese lo storico, la traduzione dell'o-

pera del Duhaut-Gilly,che non doveva però veder la luce se non

qualche anno dopo la morte del traduttore (1).

Due sono pertanto gli argomenti principali delle letter-e bottiane che qui vedono la luce ; ma l'uno è strettissimamente con-

nesso con

l'altro. Sotto

questo riguardo le lettere

si

possono

raccogliere in due gruppi, distinti anche cronologicamente

:

il

primo comprende poche lettere degli ultimi mesi del t834 e dell'anno 1835 e quelle più numerose del 1836

;

il

secondo quelle del

primo semestre del 1837. Le lettere del primo gruppo sono dieci, e riguardano tutte quante il proposito che il figlio nutriva di contrarre matrimonio. In queste lettere vibra tutta l'anima paterna riboccante di affetto verso il figlio, ma sgomenta per il

passo che questo stava

per fare con imperdonabile sconsideratezza. E invero, a parte le qualità della donna che pare avesse conquistato l'animo di Scipione, oramai non più giovanetto,donna che non possiamo tut-

1

1)

Viaggio intorno al glòbo, principalmente alla California ed alle isole

Sandwich negli anni 1826,1827, 1828 e 1829 di A.Duhaut-Cilly,coj9Ìtano di lungo corso, cav. della Legion d' onore, ecc., con V aggiunta delle osservazioni sugli abitanti di quei paesi, di Paolo Emilio Botta, Tradu-

zione dal francese nell'italiano di Carlo Botta, 2 voli., Torino, 1841.


41.")

tavia giudicare solodagli accenni che a lei fa lo storico in queste

può non ritenersi assennatissima l'obiezione che il wcchio fmdre ripete continuatuenle al figlio sino a farne un vero

lettere, non

ritornello, che cioè, prima di pensare a prender moglie, pensi a

pagare i debiti di cui si è oberato. Purtroppo a trentatrè anni sonali di età. il primogenito dello storico non era ancora dotato di

quellVlementiire buonsenso, in grazia del quale ogni uomo non atiorniale sente che la

prima e più necessaria delle condizioni

che occorrono a chi si accìnga a crearsi una famiglia è quella (li poterle provvedere il necessario. Si è visto già come Scipione si

mostrasse tino allora molto incostante quanto alla profes-

sione da seguire; dalle lettere che gli rivolgeva

il

padre si

ri-

leva che,giunto a Torino,egli trovò il modo di ingolfarsi nei debili, cotitraendoli

specialmente con Stanislao Marchisio e col

dottore tjiovanni Giordano, della profonda amicizia dei quali per suo padre egli mostrò in tal modo di abusare,il che provocò

amara-

nel vecchio genitore quel risentimento che risuona cosi

mente nella prima di queste lettere. Curiosa è in essa l'osservazione «•h'ejjrli fa intorno alle donne piemontesi confrontandole con li' parigine. Certo la fiera lettera paterna dovette fare una profonda impressione sull'animo del tiglio. Ne è prova la breve lettera successiva

con la quale il padre lenta di mitigare l'a-

sprezza della prima, attribuendone a circostanze estranee alla

sua volontà la severa intonazione. Anzi, per dimostrare al figlio con un argomento veramente palpabile che l'animo suo era affatto sgombro della

nube passeggera, eccolo allentare i cordoni

della borsa

Tuttavia del matrimonio non si parlò più per qualche mese. -Vnzi tra padre e tiglio, ()er quel che risulta dalle lettere del primo, non se ne parlò \ era mente di proposito |)er il resto del 1834 e per

tutto il 18.Tj.SoIo rìella lettera del 40 febbraio <li questo anno, la ler/:a di

quelle che ({ui vedon la luce, 1() storico, oramai vecchio

e da tempo malato, nelTinviare al figlio

una copia del proprio le.stanienlo,inoslra di non di.sapprovare che il tiglio pensi al ma-

trimonio.anzi riconosce ch'egli è de' tre fratelli il solo che possa

prender inotflie

;

ma poche righe prima s'era compiaciuto con lui

che gli aveva espresso la speranza di poter presto pagare

i

propri

debiti. Vel P.^S.poi di un'altra lettera del medesimo anno si trova


- 216 un accenno molto j^eueiico al malrinionio con queste |)arole,clie potrebbero forse anche ritenersi dette in tono scherzoso: « J'ai

vu un de ces derniers Jours notre bon ami m'Guerbois qui m'a charme de te saluer et de te dire, si tu veux te marier.de prendre une femme brune et de large poitrineril pretend que celles-là seules font des enfants bien portants et robustes » {Leit.ined.,20 aprile 1835).

Ma col 1836 ricominciano tra padre e tl^dio le discussioni intorno a questo argomento; eleggendo le lettere del primo, si vede che, come il figlio aveva condotto oramai le cose in

modo da far

prevedere prossima la soluzione del problema, cosi il padre lo

andava stringendo di argomenti di una gravità evidentissima,! quali ebbero per ciò il potere di procrastinare l'effettuazione di

quel progetto, che doveva

[)oi

naufragare come quello prece-

dente.

Di M.i^e Charlotte Belzi,che Scipione Botta presentava questa volta al proprio padre come l'eletta del suo cuore,sappiamo solo

quel poco che intorno a lei si può licavare da queste lettere dello storico. Né costei

divenne la sposa di Scipione Botta; il quale

solo più tardi,dopo la mortedel padre, contrasse un niatrimonio,

che non doveva tuttavia renderlo felice (1). (l)Sua consorte fu una valdese, Fanny Castagnier, della valle del Pellice.Da questo matrimonio nacque un figlio, Francesco, circa l'anno 1854,

giacché la morte di Scipione Botta (4 febbraio 1879) fu denunziata all'Ufficio dello Stato Civile del Municipio di Torino

appunto dal figlio Fran-

cesco, che dichiarò di avere 25 anni di età e di essere studente in Medicina.

La vedova fini poi la vita nell'indigenza. Peggio fu del figlio, il quale, a traverso a un'esistenza di crescente abbrutimento, contaminò turpemente l'illustre casato, di cui si mostrò assolutamente indegno. Queste notizie mi

furono fornite parte dall'ingegnere commendatore Camillo Boggio di Torino, la cui famiglia è oriunda di S.Giorgio Canavese,e parte dall'avv.cav.

Ettore Ferreri del Municipio di Torino, il quale ultimò fece per me le op-

portune ricerche negli Uffici dello Stato Civile edell' Anagrafe. Ad entrambi rivolgo un pensiero di gratitudine. Si aggiunga che in una nota del vo-

lume Carteggio di Alessandro Manzoni a cura di G. Sforza e G. Gallavresi, parte l*,pp. 113-15, Milano, 1912, accennandosi agli scritti e ad altri ricordi dello storico, visti da Prospero Viani nel 1840 presso il figlio di lui Sci-

pione in Torino, è detto che Scipione lasciò « erede un figlio scioperatissimo.che sperperò miseramente ogni cosa ».E quanto alle condizioni di Scipione Botta negli ultimi anni della sua vita è notevole un breve ar-


- ^17 Anche questa volta dunque la vinse il padre. Ma quanto dovette essere turbato l'animo suo in quei prinii mesi del 18i% è

provato dall' incalzarsi delle lettere di lui al tijrlio, lettere che

sono veri monumenti di sagjjezza paterna, in quanto che tutte sono intente a far ponderare seriamente al tiglio la gravità di un passo quale è quello del matrimonio, special mente j)er un uomo <li coedizione civile. Riconosciute nella donna buone qualità intellettuali e morali, pur non

vedendo di buon occhio

i

rapporti

di lei con quella verso la quale avea dovuto altra volta mettere in guardia il figlio, egli esamina la questione sotto l'cispettodella Siilute della

donn;),che riconosce non soddisfacente, e sotto l'a-

spetlo finanziario. Sono questi

due argomenti che più gli gravano sulTanimo turbandolo profonda mente. Anzi può dirsi che il pensiero delle ristrettezze finanziarie della donna e speciali

mente del figlio era quello che più lo tormentava. E ne aveva ben figlio per una parte non ritraeva dal suo lavoro che lo stretto necessario per sè,e d'altra parte non aveva ancora potuto o saputo pagare neppure una minima parte de' suoi debiti. E cosi il ritornello* Paye tea dettes » risuonava sempre più insistente nelle lettere di lui ragione l'avveduto padre, giacché sapeva che il

al fiuflio caparbio. È lecito credere che questa insistenza

imper-

malisse un poco il figlio, giacché, dai rimproveri che gli njuove.

padre nelle sue lettere, si comprende che quelle di lui dovet-

il

tero farsi ben rare dal maggio in poi. Anche questo fatto doveva riuscire penosa mente grave allo stanco vecchio, tanto piùch'egli

era costretto a confessare al figlio che le proprie condizioni

fi-

nanziarie erano tali da non permettergli affatto di aiutarlo pe-

cuniariamente uè subito, riè al tempo del matrimonio (1). Si ag-

giunga che contemporaneamente prese a manifestare una certa tìcolo del De Gubematis, il quale nel 1875 lamentava che il figlio quasi ottantenne dello storico dovesse campare mi.seramente del modesto ufficio d'InH»*>;nante di

lingua francese in- una Scuola tecnica di Torino, e

sollecitava il Ministro della P. I.struzione R. Bonghi a collocarlo a riposo

coU'intero meschino stipendio, compiendo cosi un'opera pietosa e doverosa

Hm Rivinta europea, ottobre 187fi, pp, 378-379).

(1) Deirapprensione del vecchio padre per il silenzio del figlio verso di

lui

si

ha traccia in una sua lettera alP amico dott. Giordano di Torino,

ch'egli pregava di esortare il figlio a scrivergli

Torino, 1 811.

/.cftere ifi Carlo Hotta,SÒ,


— 218 freddezza verso di lui quella che oramai pareva diventata la sua

futura nuora; e questa freddezza dovette aumentare in seguito e forse anche degenerare in qualche atto sconveniente verso il

vecchio storico, tanto da strappargli quel giudizio poco benevolo, che intorno a questa donna si legge nella lettera del 22

giugno 18H7,che forse fu l'ultima da lui scritta al figlio Scipione. Abbiam visto altra volta il Botta rammaricarsi del cruccio manifestato dal figlio per una sua severa paternale e cercar di confortarlo con parole affettuose e, argomento più persuasivo nelle

condizioni di quello, con l'allentare

i

cordoni della borsa, Ma

questa volta, se non difettavano le parole, gli difettavano però le risorse finanziarie.

Ed ecco lo storico, vecchio,malato e stanco

fisicamente e moralmente, ravvivare tuttavia le sue forze intellettuali e rimettersi al lavoro per poter raccogliere

un poco di

denaro col quale aiutare il tiglio a liberarsi dai debiti.

La lettera del 24 gennaio 1837,con la quale si inizia il secondo due gruppi accennati, è un comniovente documento degli

dei

squisiti sensi di paterna bontà ond'era ornato l'animo nobilis-

simo dello storico. Il suo primogenito è incapace di crearsi una fortuna sia pure modesta,guadagna appena il necessario per sé, si è ingolfato nei debiti e non sa liberarsene nonostante quanto scriveva prima

al

padre (t), eppure persiste nel proposito di

prender moglie,e alle assennate obiezioni del padre si adonta e

non nasconde.il proprio risentimento. Che cosa fa allora il vecchio genitore? Con un'ammirevole forza d'animo resiste al peso de' suoi settant'anni,reso tanto piìi grave dai mali che lo tra-

vagliarono negli ultimi anni della vita e di cui egli stesso parla

sovente nelle lettere agii amici, specialmente al Giordano,al Littardi,al Greene,al Marchisio e al figlio stesso, e si accinge sere-

namente e con lena giovanile alla traduzione accennata dell'opera del Duhaut-Gilly e dello studio del suo Paolo F^milio,che

opportunamente la completa. Il lavoro è da lui condotto alacremente pur in mezzo alle sofferenze fisiche; di queste egli si lagna spesso, ma del lavoro, di quella fatica assunta solo con l'intento di far del bene al figlio, non fa assolutamente parola con alcuno

:

parrebbe ch'egli tenesse gelosamente chiuso nel cuore questo selli Cfr. la lettera del 20 febbraio

1835, che è la terza di questa raccolta.


- i>19 — greto,per assaporarne lui solo l'intima gioia. E solamente quando il

lavoro fu eompiuto,e non rimaneva che da ricopiarne qualche

parte,egli aperse al figlio il proprio cuore. Ciò che infatti più col-

pisce e commuove nella lettera del 24 gennaio 1837 è Tinfona-

zione della prima parte di essa, che le dà quasi l'aspetto di una rivelazione, a cui s'aggiunge la emozione viva che traspira da

ogni frase. E vera rivelaziorie dovette essa riuscire per il figlio, di cui

conosciamo lo stato dell'animo verso il padre in quel

tempo; anzi la frase,con cui in principio della lettera il vecchiopadre accenna a quella ricevuta il giorno stesso dal figlio,fa pensare che questa dovesse essere scritta in termini piuttosto recisi: ed è facile comprendere quale ne fosse l'argomento princi-

pale, se si pon mente all'accenno che in fondo alla sua il padre fa al matrimonio del figlio e alla Belzi.

secondo dei due gruppi in cui abbiamo raccolto queste lettere del Botta al suo primogenito,e che s'inizia con la bella letIl

tera del 24 gennaio t837,ne comprende nove,cioè tutte quelle che

l'archivio Fontana contiene dello storico al figlio durante gli ul-

timi mesi della sua vita. Esse sono veramente notevoli, noiì tanto

perchè ancora contengono qualche accenno al matrimonio del figlioe particolarmente alla futura sposa,quant() piuttosto perchè ci

mostrano l'origine, gli

intenti e le vicende di quella

che fu

lultima fatica dello slorico,il suo testamento lettera rio. Esse per una parie completano e rischiarano le scarse notizie che intorno a questo lavoro si

potevano fin qui dedurre dalle poche lettere

edite che vi accennano, e d'altra parte correggono l'asserzione

un po' ingenua del Dionisotti,il quale afferma che il Botta attese a <piesto lavoro « per ingannare le sue sofferenze e sottrarsi alla

noia », pur soggiungendo però « e per desiderio di spandere sui

primi passi del diletto suo Paolo Emilio, che aveva preso parte

<on molla di.*itinzioncalla spedizione, un raggio di sua gloria »(1). belle lettere edite che parlanodi quest'ultimo lavoro del Botta due sono premesse al primo volume della traduzione stessa: la (•rima (2 marzo 1837) è una specie di de<lica dell'opera al tìglio i5cipi(me e non accenna all'origine vera di essa; la seconda (2<.)

marzo 1837) è diretta al marchese Holu-rtc» d'Azcizlio a Torino e (l) Vita di Carlo lìoHa scritta da

Carlo DioNi»om,4bO,Torino, IbtlT.


E

— m) rispecchia la disillusione del vecchio storico, il quale è costretto

a confessare che nessun editore è disposto a stampare la sua tra-

duzione a proprie spese, sicché essa dovrà rimanere inedita fra le sue

carte; e anche in essa è taciuto il principale fine da lui

pr()|)ostosi nello scriverla (1). Da

un'altra al medesimo perso-

naj;gio(22 maggio 1837) si rileva che, grazie a valida sollecita-

zione di lui, il re di Sardegna Carlo Alberto erogò una somma per sostener le spese della stampa (2). la una lettera all'amico dott. Giordano di Torino (27 marzo 1837) non vi è che un fugge-

vole accenno alla traduzione per annunziarne il termine (3).

finalmente in un'altra al conte Tommaso Littardi (28 giugno 1837) troviamo notizie più precise, in

quanto che a questo suo

benefattore, il quale ben conosceva e le condizioni finanziarie dello storico e le qualità del suo primogenito, egli confida, con

termini però piuttosto miti, la causa vera che lo indusse a questa fatica, cioè i debiti del figlio, oltre al desiderio di

render noto il

nome del secondogenito così diverso dal suo fratello maggiore. In questa è pur menzione di ricerche fatte di un editore disposto a compensare il traduttore e del patto conchiuso per un com-

penso di 700 franchi, a cui devono aggiungersi 500 franchi dati dalla munificenza del re Carlo Alberto (4). Si noti inoltre che

questa lettera è del 28 giugno 1837, cioè posteriore all'ultima da

me rinvenuta di quelle scritte al figlio Scipione. Le lettere attinenti a questo argomento e che vedon ora la luce per la prima volta, come già si è detto, son nove, compresa quella già esaminata del 24 {gennaio 1837, e appartengono tutte a questo

medesimo anno. Le otto rimanenti ci mostrano le difficoltà che si dovettero superare per trovar finalmente un editore disposto ad acquistare per un prezzo conveniente la proprietà letteraria della traduzione, 6 non già semplicemente a stamparla a proprie

spese,comeil Botta scriveva al marchese Roberto d'Azeglio nella

prima delle due lettere a lui rivolte a proposito di questa traduzione.

'1) Viaggio intorno al globo ecc cit.,1, pp.vi-vii e vni

(2

)

segg.

Rivista contemporanea a.lO°,vol. 28", p.339,Torino,1862 riprodotta ^

;

in DioxisoTTi, Vita di C.B., 482, nota l.'' il

nome di Duhaut-Cilly è trasformato

(4) Lettere di Carlo Botta al conte

Tommaso Littardi ,ìbìj,(}enovsi,lSlS.

'à'

in

«

Lettere di C./i. cit.,85, dove

Buhaut-Cellez »

.


veramente molte. Innanzi tutto Scipione forse avrebbe prelVrilo cbe il padre risolvesse lui stesso l'affare per mezzo di u:i editore parigino, come si rileva dall'accenno al I^e diflic-ollk fiirotu»

Baudry col qu

le

comincia la lettera del 4i febbraio (l).Ma lo

storico desiderava che l'opera si stampasse in Torino e che il figlio ne trattasse lui |)er proprio conto. E^^rli

aveva pur fatto la

sua parte pensasse ora il figlio a trarne quel profitto che era :

tutto per lui. Ed eccolo aggiungere ai consigli della lettera pre-

cedente nuovi suggerimenti per il

modo della slampa, suggeri-

menti d'una chiarezza e d'una precisione tali che, completati da quelli della lettera successiva del

1(>

marzo, rivelano in lui un

profondo conoscitore di simili affari e uno studioso ricercatore della più minuta precisione nella tecnica del libro.

La lettera del i>9 marzo è un commovente documento della dolorosa rassegnazione che il vecchio storico sembra voler imporre

a se stesso.quando raccomanda al tìglio che conservi nelle carte di famigliu il manoscritto della traduzione ch'egli dispera possa

veder la luce e che resterà testimonio della sconsigliatezza di chi scrive in italiano (!^); raccomandazione ch'egli ripeteva ancora nella Ietterà successiva del 19 aprile quando ancora pareva impossibile trovare un editore disposto a com()ensare l'opera con almeno 500 franchi. Il tono di quest'ultima lettera però non è più di rassegnazione sia pur accompagnata da un amaro sorriso, come quello della lettera precedente, ma bensì quello di chi, stanco di ri|>elute ri{uilse,butta sdegnosamente da parte il frutto delle sue fatiche.deciso a non mendicare più quello che giustamente sognava di ricavarne. Basta a (jiieslo proposito ricordare le parole: « tu enfermeras le raanuscrit dans ton tiroir, où il resterà parmi les papiers de la famille».In questa lettera però compare già il nome del marchese Roberto d'Azeglio,che appare

qui come soccorritore

(1

1

II

(\r\

vecchio storico. Per comprendere

le

Baadry era Teditore che nei liiii2 aveva publicato la continuazione

^lel Guicciardini.

-,

numerose difficoltà, prevalentemente d'indole commer(•i;ilo,tlie pare hì opponessero alla stampa di opere italiane, il Botta si lagna 2) Di gravi e

t'rcquHiitissimamente nelle sue lettere. Si ricordi a questo proposito ch'egli

nel 1815 aveva dovuto vendere a peso ad un droghiere parecchie centinaia 'li

copie invendute della sua storia americana.


— i222 — parole (Iella lettera le quali si riferiscono al patrizio piemontese, bisogna notare che questi, pur non occupando alcuna carica nella corte di Torino, era intimo consigliere del re Carlo Alberto, del quale godeva illimitata fiducia, e d'altra parte era da tempo

entrato in corrispondenza col Botta per opera del conte Littardi

che aveva procurato allo storico suo protetto la benevolenza di questo autorevolissimo personaggio. E questi aveva recentemente scritto al Botta nell'occasione in cui

il

Re aveva onorato lo

storico donandogli una copia de« La Reale Galleria illustrata > di lui (1). Il 29 marzo il Botta aveva scritto, oltre che al tìglio Sci-

pione, anche al marchese d'Azeglio la lettera citata,in cui lo rin-

graziava di quanto gli aveva scritto, gli anpunziava la traduzione'dell'opera del Duhaut-Cilly e si lagnava dell'impossibilità forse di trovarne l'editore, e inoltre aveva scritto pure al Re una

dono onde l'aveva onorato (2). Ma nella lettera al Marchese, come già fu notato a suo luogo, lo storico aveva taciuto quello che era il primo dei fini propostisi lettera di ringraziamento per il

nell' accingersi alla traduzione; ed ecco

al tiglio di aprire per lui

perchè ora consigliava

interamente l'animo suo al Marchese

facendogli leggere le lettere scrittegli intorno a questo affare. In

questa lettera non appare ancora superato il li moie di dover ri(1)11 marchese Roberto Taparelli d'Azeglio (1790-1862) figlio di Cesare,

per volere di Napoleone fu, appena dicianovenne, Uditore del Consiglio di Stato di Parigi e poscia Commissario a Lauemburg,dove rimase fino alla •disfatta di Lipsia. Alla restaurazione rimpatriò, lieto di non dover più ser-

vire lo straniero. Offeso però dal sistema reazionario del Governo piemontese, si fece carbonaro, e come tale nell'infelice tentativo del '21 trattò con

Carlo Alberto, col quale era in dimestichezza. Per conseguenza, pur non es-sendo processato, dovette esulare riparando a Parigi presso l'ambasciatore

sardo marchese Cesare Alfieri, di cuiavevasposata la figlia Costanza. Nel '26

tornò a Torino, dove visse appartato. Carlo Alberto, divenuto Re, lo volle seco

;

ma egli preferì tenersi a una certa distanza dal trono, pur consi-

gliando talvolta il Re. E appunto per suo consiglio il re Carlo Alberto fondò nel 1832 in Torino la « (Talleria dei quadri » ,che in parte furono acquistati e in parte furono raccolti dai vari castelli e palazzi dei Savoia. La forma-

zione di questa pinacoteca fu diretta da Roberto d'Azeglio stesso, il quale la illustrò con l'opera La Reale Gallerìa illustrata in 4 voli. (2)

La prima è la lettera, già citata, edita in Viaggio ecc., p. vili segg.;

la seconda è edita dal Manno in Curiosità e ricerche di Storia Subalpina,

Y, 276,Torino, 1883.


-

i2-23

-

Dtinziare alla slampa dell'opera; ma

non si può dire che lo sto-

rico disperasse assolutamenle,giacchè con essa autorizza formal-

Dìente il figlio a trattare e concludere l'affare in nome suo.

Nella lettera del 3 maggio si comincia a respirare un'aria più serena. Il Botta consiglia ancora

il

figlio di

respingere la pro-

posta dell'editore Chirio, t)enchè questa già offra qualche vantaggio sia pure a lunga scadenza editore, e

si

parla di un

;

ma si accenna a qualche altro

minimo di 6(.)() franchi di compenso,

come se si trattasse di un'offerta realmente ricevuta. InterCvSsante sarchile il conoscere la lettera che qui lo storico dice di aver scrittoi

il

giorno prima al marchese d'Azeglio; ma essa non fu

puhlicata né dal Bianchi né dal Manno, che misero in luce un

numero notevole di lettere bottiane rivolte a uomini di stato piemontesi (1). Parimenti non trovasi fra questi a utojfrafi il «petit

mot » ch'egli dice di aver rivolto a Scipione insieme con la lettera suaccennata.

L'entusiasmo che traspira dalla breve lettera del 'ì-1 maggio

prova evidentemente che l'offerta di 500 franchi dovuta alla munificenza del Rcopportunamente edotto dal marchese d'Azeglio,

era stato un meraviglioso ristoro a quell'anima stanca. La lettera del medesimo giorno al d'Azeglio, qui nominata, è quella chegià conosciamo..Ma all'entusiasmodi quella sottentra un'om-

bra di tristezza nella lettera del 9 giugno, tristezza dovuta al fatto che nulla ancora il figlio aveva potuto concludere riguardo

alla stampa dell'opera. Nulla si può aggiungere che chiarisca

il

* mauvaìs ofiice» qui attribuito all'editore Bocca di Torino. Nella lettera successiva del !^ giugno però lo storico appare più sereno

per quel che riguarda il suo scritto, giacché mostra di ritenere^

prossima la conclusione del contratto {)er la s^Uimpa dell'opera per parte dell'editore Chirio. K per questo egli dà al tiglio nuove

llN.BlAN«iu,C<i//o Hofta e Carlo AUjerto, lettere

ineiiih-, lu

Unt.sdì

Contemporaneità l. e; N. Bianchi, IjO vtrità trovata e documentata sul l'arrejtto e. priff ionia di Carlo liotta verso la fine del sec.XVIII,e le sue re-

lazioni con Carlo Alberto I\inci}>e di Carignano,poi He di Sardegna, Do-

cumenti inediti, in Curioxità e ricerche ecc., II, 96 segfj.. Torino, 1876; A. Masso, Una scarsa nel mio portafogli, Notizie e carte sjmrse sopra i monumenti torine»i,il Re Carlo AUterto, Catto liotta ed altri illustri, ibident, V, 242 aegg., Torino, 1883.


-2^24

istruzioni intorno alle modalità ch'egli desidera siano seguite

nell'edizione, e indica 1 nomi di coloro ai quali sarà doveroso fare ooiaggio di

una coj)ia dell'opera. È nolo però che allo sto-

rico doveva essere negato questo contorto di veder compiuto il

suo desiderio: egli spirava il 10 agosto successivo, mentre la

sua traduzione usciva alla luce solo nel 1840 per parte dell'editore Fontana di Torino. * *

Oltre a ciò che si è esposto fin qui intorno a queste lettere bot-

tianedel secondo gruppo e che riguarda la traduzione dell'opera del Duhaut-Cilly, nelle medesime lettere non mancano accenni

ad altri argomenti che pure occupavano molto l'animo del vecchio padre, e cioè i debiti del figlio e la negligenza di lui riguardoai beni che lo storico possedeva nel natio borgo di S.Giorgio Ga-

navese,e della cui amministrazione egli aveva incaricatoli figlia dopo che questi si era stabilito in Torino. Questa negligenza del figlio doveva anzi tormentarlo in modo da strappargli talvolta espressioni quasi violente di rimprovero,come ad esempio nella lettera del

29 marzo e in- quella del 9 giugno. L'ultima poi di

queste lettere, quella cioè del 2i2 giugno, che probabilmente fu

anche l'ultima scritta al figlio, contiene due passi che meritano di essere rilevati in modo particolare. Neil' uno troviamo l'accusa esplicita di dissipatore ch'egli muove al figlio, nonché, un monito severo perchè innanzi tutto si ricordi di pagare i debiti e d'altra parte non si lasci trascinare dalla propria sconsideratezza

a fare spese straordinarie, mentre invece gli occorre di ridurre

queste al più stretto necessario; e non si può non provare un

senso di compassione per il vecchio padre, che conosciamo pur cosi tenero verso i figli, quando lo sentiamo vietare al figlio di recarsi a visitarlo a Parigi, benché egli sentisse oramai prossima la sua line. L'altro passo è quello che contiene il severo giudizio

di lui intorno alla signorina Belzi. Questi due passi si direbbero le ultime due frecciate scoccate contro i due fastidi che più ango-

sciosamente pesarono sull'animo del povero padre negli ultimi

anni della sua vita, e ne sembrano quasi la sintesi dolorosa. Questi

pensieri tristissimi

non lo abbandonarono dunque neppure

negli ultimi giorni, quando già il male aggravandosi andava di-

struggendo a mano a mano quella fibra pur robustissima. Gon-


— !225 — forta l'animo |)erò il credere che forse,giunlo al passo estremo, il

buon padre sentì svanire il pensiero grave del primogenito

nella luminosa visione della fama verso la quale moveva sicuro i

primi passi il suo Paolo Emilio, il figlio così degno di tanto

padre. * * «

Un'ultima osservazione mi sembra opportuna intorno a tutte queste lettere del Botta al figlio Scipione. In esse non si parla di l>oIitica, benché questo fosse argomento carissimo allo storico.

Unica eccezione è l'accenno ch'egli vi fa nella lettera del 9 giu-

gno 1837 a proposito dei benevoli sentimenti manifestati dal tìglio verso il re Carlo Alberto, e che sono come un'eco delle espressioni che intorno a questo Sovrano lo storico aveva rivolte al figlio nella lettera del 22 febbraio del medesimo anno. Altrettanto deve dirsi dejle altre numerose lettere del Botta al figlio Scipione, ap[>artenenti all'archivio Fontana. Una sola (5 agosto 1835) è veramente di argomento polltico,giacchè tratta delle con-

dizioni della Francia contemporanea, rispecchiando

le

idee del

Botta a questo riguardo. Essa vedrà presto la luce insieme con altre simili dello storico, pure inedite e dirette ad altri.

* * *

A queste diciannove lettere di Carlo Botta al figlio Scipione mi pare non inopportuno far seguire, come appendice, l'edizione di te altre lettere inedite di lui al suo amico e concittadino Giu-

seppe Filli, il quale curò i suoi interessi in S.Giorgio dal 1829 al principio del 1835, cioè fino a quando l'amministrazione dei l>eni paterni appare assunta da Scipione residente in Torino (1). (1) Giuseppe Antonio Maria Filli di S.Giorgio Canave8e( 1774-1849) fu da prima ufficiale nell'esercito cisalpino e poscia nella Gendarmeria, che ab-

l>andonò presto per entrare nella carriera amministrativa dal 1802 fino al ;

principio del 1814 tu Sottoprefetto del Circondario di Acqui. Al ritorno della Casa di Savoia in Piemonte esulò in Francia, dove il 1» gennaio 1816

era nominato Capo di Divisione della Prefettura della Senna,ottenendo subito dopo la cittadinanza francese. Come Napoleone

I

nel 1812 lo aveva

creato Cavaliere dell'Ordine imperiale della Riunione, cosi

il

re

Luig^

XVIIl nel 1820 lo creava Cavaliere della Legion d'onore.Nel 1826 otteneva la pensione di riposo e nel

1829 si ritirava nel natio S.Giorgio con La con-

sorte Carolina Bonnaire di Berry e l'unica figlia Giuseppina.Quivi ai dell

Rùorg. ital. ,\l-Xn

15


.

-

226 -

Scritte fra la metà del novembre e poco oltre la metà del dicembre del 1829,esse non riguardano alcuno degli argomenti in-

torno a cui si aggirano le prime, Mi pare tuttavia che possano trovar posto qui, giacché anche in esse l'argomento principale,

anzi unico,è il matrimonio. Non si tratta però ancora del matri-

monio del figlio, ma bensì di un progettato matrimonio del padre stesso, e che per poco non ebbe la sua attuazione. È questa una

contingenza non conosciuta da nessuno dei biografi dello storico e neppure

— è lecito asserirlo ~ da nessuno degli amici più in-

timi di lui, eccettuato uno solo, il Filli, al quale egli dovette per necessità confidare quello che era e doveva rimanere per sempre

un gelosissimo segreto. Alla fine del 1829 dunque, cioè quando già aveva compiuto il sessantesimoterzo anno di età, lo storico pensava a riprender moglie. Questo mi pare il motivo principale che dovette indurre verso quel tempo il Botta a collocare fuori del tetto famigliare il figlio Scipione, cioè l'unico che rimanesse

presso di lui. Il Scipione, là dove parla di questo momento della dico all' educazione della figlia, alla lettura di libri specialmente francesi e alla musica, di cui era appassionato cultore Mori poi in Torino il 6 luglio

1849 (Carlo Avalle, Biografia del cav. Giuseppe Filli da San Giorgio, Torino, 1850).

L'amicizia fra il Botta e il Filli fu protonda, benché per parte dello storico non desse mai luogo ad alcuna di quelle vivaci manifestazioni di affetto

che cono frequentissime nelle sue lettere agli amici. La loro fu un'amicizia più pacata, dovuta specialmente alla fiducia reciproca. Le lettere dello storico al Filli infatti sono tutte di argomento finanziario il Botta esigeva per l'amico in Parigi le quote periodiche della pensione spettantegli come Cavaliere della Legion d'Onore, e il Filli a sua volta amministrava i beni di lui in San Giorgio ed esigeva le quote periodiche delle due pensioni annue di 3000 e di 10<^^0 lire, concesse al vecchio storico dal Re Carlo Alberto rispettivamente nel 1831 e nel 1832. Per questo i due s' inviavano :

scambievolmente a tempo opportuno i necessari certificati di vita » Delle lettere che il Botta scrisse al Filli dal 1829 in poi, cioè da quando questi tornò in Piemonte, una sola è edita per intero iDionisotti, Vita di C./?., 473-474), e di un'altra è publicato un breve passo (DiONisoTTi,CaWo Botta a Corfù, scritti inediti, 155 nota, Torino, 1875). Lo scrivente ne rinvenne venticinque tutte autografe nell'archivio dell'ing. Fontana, donde •«

provengono appunto le tre che qui vedono la luce

;

di altre cinque trovasi

la copia manoscritta nella Biblioteca Civica di Torino.

Ma queste lettere,

trattando quasi esclusivamente di interessi finanziari, hanno un' impor-

tanza molto limitata.


— 227 — propria vita, non precisa la data della sua uscita dalla casa pa-

terna in Parigi solo dice che allora il padre stava lavorando in;

torno alla continuazione del Guicciardini (l);e questa, come è nolo, fu scritta nel quinquennio dal 1826 al 1830. In queste lettere al Filli il Botta dichiarava che

il

matrimonio vagheggiato

era per lui un debito di riconoscenza verso la donna che stava per sposare. Chi fosse costei non mi fu possibile rinvenire. Che c'entrasse qui quella Hocquart nominata nella lettera del 10

settembre 1834,o quella Pal$»ndre,che lo storico doveva poi a dirittura detestare? In questo caso Scipione dovette essere con-

sai>evole del fatto, e ne tacque per un riguardo alla memoria del

padre.

{Continuai

Carlo Salsotto 1ì

Vita privata diC.Ii.,tì3.


LlLITiffllCflEILiniSiDIIOiD'llMIO (a proposito di

una critica onesta;

G.Bro}?iioligo,or fa un anno, ha parlato sul Fanfulla della do-

menica (1) <li un mio studio su Massimo D'Azeglio e sui rapporti amorosi della moglie Luisa Blondel con il Giusti (2) e ne ha parlato

da critico leale che, pur facendo riserve, ha riconosciuto i *

miei intendimenti scientifici.

Gli sono grato di non essersi messo nel codazzo di quanti per una mal collocata ipersensibilità patriottica ostentano indignazione edi quanti tentano di diffamarmi dicendomi, non ricostruttore, ma demolitore del Risorgimento italiano, nella vana speranza di distogliere, con il ferra villiano « ha detto male di Garibaldi » (3), l'opinione pubblica dal constatare il proprio girel-

lismo politico. Sicuro nella mia coscienza di studioso che crede funzione della storia la ricerca della verità (4), non

m'imbranco nella

turba degli idolatri di feticci patrii, né mi dispongo a. ..cortesi

adattamenti della storia ai comodi settari!, e trovo conforto nelle 1

critiche serie e oneste, anche quando esse

(1

— come questa del

G.Brog^oìago, Uommi e fatti del Risorgimento, in Fanfulla della

domenica, a.XL, n. 7, Roma, 7 aprile 1918. (2)L.C.BoLLEA,iV/a.s.s«//?o D' Azeglio, il caaéello di Envie e gli amori di

Luisa Blondel con G.Giusti,ìn II risorg.it. ìs .S.,lX,12i^-Hl ,Tonno,ldlS. (3) «Ha detto niale...degli Austriaci, Massimo D'Azeglio »e perciò questa mia difesa, che ribadisce le accuse di massonismo del « cavaliere senza macchia », non ha trovato ospitalità nel Fan f itila della domenica, per dichiarazione scritta del direttore Carlo Segre. Cosi se a « dir male di Garibaldi » si può essere impiccati, a « dir male degli Austriaci » si ottiene l'as,

solutoria di tutte le colpe nostre !... (4) Vedi

a questo riguardo K.CKGQrE^^,Pa7iegiristi o sloricifìxi. prefa-

zione al grosso volume L.C.BoLLEA,?7wa « silloge » di lettere del Risorgi?nen^o,Torino,Fr. Bocca, 1919.

i


.

— 229 — Brognolisro— concedano un tantino, se pur involontariamente, alTantiazzo che ha finora impedito alla storia del Risorgimento italiano di assumere carattere di dottrina scientifica (1). Il

titolo Massimo D^ Azeglio, il castello di Envie e gli amori di

Luisa Blondel con G. Giusti indica chiaro

i

due principali argo-

uienti del mio studio.

Sui rap|>orti fra il D'Azeglio e

cortesi abitatori del castello

i

di Knvie, documentati con lettere inedile, non vi fu da parte del

critico osservazione alcuna ;e sugli

amori della Blondel con il

poeta di Monsummano,a detta del Brognoligo, « nessun dubbio

può più cadere ». Parrebbe quindi chMo abbia assolto per intiero il compito propostomi, invece sugli elementi accessori verte essenzialmente la critica del Brognoligo,che pur riconosce come da me« non sian

risparmiate lodi all'accusato » e che dalla « serie di documenti

intorno a Massimo d'Azeglio [da me addotti] l'immagine di colui

che fu detto il cavaliere senza macchia esce un po' offuscata ».

Non nego quanto il critico sospetta, che cioè io pensi invece che questa immagine esca non solo un po', ma « forse molto.offuscata » da quanto ci mostra il D'Azeglio « parlatore ed episto-

lografo sl)occalo,trivialissimo,pocoo punto rispetloso,tra

suoi

i

intimi e non intimi.di quel re del quale si diceva, e fu, servitore

devoto, esempio non certo di virtù al nipote Emanuele. da lui

pur teneramente amato, padre, non oblioso, a dir il vero, di una figlia illegittima (2), marito conscio, e

quasi compiacente, degli

(HContro questa corrente parrebbe mettersi N.Vaccaluzzo,/^ cari, di M.D'Azer/lio (N. Antologia, a. 63, fase. 1114, p. 345,Boma, 1918V Esortando alla compilazione dell'epistolario d'azegliano, egli osserva che « il

mate-

riale inedito è ancora notevole » e che « in quel che vi è di edito del car;

teggio D'Azeglio si riscontrano gravi mutilazioni e lacune per ragioni politiche e domestiche > t

H' « il

1

facendo, il

numero delle figlie illegìttime aumenta

:

la

Bice

verso il 1828 lin una lettera 23 ag.l8i5 Massimo dichiara che

frutto delle sue viscere ha 17 anni*

:

vedi il mio studio 8uccit.,p.35 del-

restr.,n.l),ebbe una sorella in illegittimità.a quanto pare. Laura Zanecchi,

amica intima del D'Azeglio si da farsi sua epistolografa l'il gennaio 1866 et" Di: RKisRT,3/f'.<{ souveuirìf,!.' un.de l'U.et Vun.de /'/l//*»m., 76,Parigi, 19<i:ii,.Hcriveva il 4 febbraio 186<) al detto conte De Keiset « M™* D'Azeglio n'a passe que quelques heures à Tunn,quittant son mari la veilìe de :


— 230 — amori della aioglie Luisa Bloadel con Giuseppe Giusti, insidiatore delle mogli altrui e in particolar modo di quella dell'ammi-

raglio Persano, massone e carbonaro attivissimo, anzi capo di

massoni e carbonari tino al '48,compiacente a massoni da ministro e rinnegatore di essi e di ogni sètta in genere, vale a dire di sé e del suo passato, nei Ricordi » (1).

Non mi meraviglia che al Brognoligo paia « che da tutto l'opuscolo del Bollea traspiri un'aria che non è di simpatìa per il D'Azeglio [e] che il Bollea calchi un po' troppo la mano sull'accuse e sull'accusato ».

ji

Nella storia del Risorgimento italiano regna ancora tanto ro-

"manticismo che la coscienza, non dico del popolo, ma degli studiosi stessi si sente violentata da qualunque critica onesta la

quale voglia richiamare alla realtà i fatti e i personaggi, sì che umanizzarli appare loro quasi demolirli. Parlo per esperienza di cose

:

le noie datemi dal potere politico, inconscio

strumento

nelle mani di pseudostorici e di rivali. ..di mestiere, allorquando volli dare un contributo documentario importantissimo, che'da due anni corre l'Italia senza che a questa sia venuta rovina alcuna (2),finchè un mese fa comparve con il no;ue del vero com-

sa mort.Elle a été choquée de trouver près de lui la fiUe née pendant son

mariage.C'est da moins ce qu'on a dit pour expliquer cette simple apparition » (Ibidem, 18). Or bene, il

matrimonio D'Azeglio-Blondel era avvenuto nel 1835 (Vedi n. 2, p. 18 dell'estr.del mio succit. lavoro) e quindi « la fille née pendant son mariage » non è identificabile con la Bice nata nel 1828. (1) Riporto

queste parole dallo stesso G.Broquoligo, Uom. e /atti det

Risorg.,l.c.

(2)F.GABOTTO,f7»a 1 silloge » di lettere del Risorgimento, in 11 risorg. IX, fase. i-ii, Torino, 1916. Per la paternità vera del grosso volume, vedi l'avvertenza del Gabotto inserta a p.543 e la prefazione dell'estratto, edito ora (Torino, Frat. Bocca, 1919) sotto il mio nome e con uguale titolo. Il mistero di questa sostituzione di nomi e di responsabilità, è noto a tutti gli studiosi di storia del Risorgimento. Chi avesse vaghezza di conoscerne alcun poco veda 'R.G\(iG,¥^ii¥:., Panegiristi o storicifin Secolo.'KLl^^ n. 171 65, Milano, 24 genn.1914 F.Guardione,ì^ monopolio nella storia del Risorg., in VorajXY, n. 27, Palermo, 26-27 genn. 1914 e Le opinioni politiche nella storia ecc., in Riv. rf' J<.,XVII, p. 770-771, Roma, 1914. Per i posteri riserbo un mio opuscolo documentato, Per la libertà scientifica, per V onestà e per la verità. ^/. ,N.S.,

;


-

;^31

-

pilatDif il), possono lestimouiare quali ciiterii piccini animino

quanti stanno. ..suU'altia riva della storia del Risorgimento italiano, se anche essi sono pronti ad imitarmi, quando loro tocca la

fortuna di un buon niaiiipolo di dmumenti inediti e di farsi

COSI un piedestallo iier salire, salire... al settimo cielo della de-

mocrazia mo<lerna.

Ma lascio la critica «generale del Brognolij^o, per venire agli clementi positivi da luì addotti contro di me. « Perchè un giusto giudizio sul voltafaccia (del D'Azeglio] ri-

spetto alle sètte sia possibile, occorre attenderle che, come sono state ricercate le sue relazioni coi se'tarii anteriori al '48, siano

ricercate anche le posteriori, e allora, forse, potrà apparire spie-

galo e giustificato l'atteggiamento del D'Azeglio nei Ricordi,! (jiiali

non bisogna dimenticare che furono scritti con uno scopo

insegnalivo,cui la vita dell'autore fu soltanto, vorrei dire, occa-

sione e pretesto*. Cosi scrive il Brognoligo,al quale potrei rispon-

dere che, se per dire del D'Azeglio settario prima del '48 e del contrasto fra la sua opera massonica e

j

giudizi che ne diede, si

dovesse attendere quando — a dispetto dei divieti governativi rirca la consultazione dei documenti si

«lei

R. Archivi di Slato

saprà qualche cosa di concreto anche sui rapporti del D'Aze-

glio con la massonerìa dopo il 1848, si currerebbc il pericolo di

non ricostruirne la figura storica. È dalla somma dei contributi degli studiosi che potrà nascere l'opera compiuta è, se, dalla stam|)a di uno .solo,in una rivista prelt;»mente tecnica e scientifica, la lun

frettoloso deduce già la

condanna del personaggio

studiato, la colpa non sarà da imputarsi allo scrittore,ma...alla •ratta che

per la furia fa

i

gattitii ciechi.

f*are del resto * insegnativo» scrivere contro le sètte lutto quel

po' po' che il D'Azeglio sparse a larga mano nei suoi fiicorrf». la-

gnandosi che « la bugia e il fingere [siano] una necessità »,che vi

sia * nella natura italiana la tendenza a camminare sotterra,

l'istinto talpa», che* nell'lUilia, nel |)ae>e classico delle sètte,

delle dissimulazioni politiche... tutto degenerfij in c-oqì briccola, in consorterìa, in lavoro a .sottomani i»,che la massonerìa ricorra

(l)L.C.BoLLBA, Una • MÌUoge* di Mtere del lii»oiyimento,Torìx\o,Fr. Bocca, 1919.


-232a « simulazioni,esclusioMÌ, persecuzioni pretine » e si sostituisca « all'azione leale,chiara e pubblica dei poteri politici e delfa so-

cietà » (l)

— pare, dico, « insegnativo » scagliarsi tanto contro la

menzogna, l'ipocrisia, il buio e non avere in pari tempo il colaggio di confessare il proprio errore giovanile d'aver partecipalo

a tutto questo settarismo? Forse che una onesta dichiarazione <li questa specie non avrebbe avvaloralo ancora più lo scopo educativo prefissosi dall'autore? Che dire adunquedeirOrt.7mee scopo

dell'Opera scritto uel 1865 e di tutte il

le

belle norme morali che

D'Azeglio là dentro incise a propria lode? Che vale vantarvisi

di «farsi da sé in certo modo il processo » nel « giudicare gli atti

della giovinezza e della virilità »

;

parlare di « prova di sincerità

e di giustizia »,di « uno studio morale e psicologico »,di « questa

specie di autopsìa morale »

;

sperare di « offrire a chi vorrà leg-

ger(lo] assai miglior derrata che non s[ia l'autore)»; dichiarare

di aver sempre cercato « di conoscere e seguire esclusivamente il

vero ed il giusto, senza passione di parte, e senza occupar[si]

se ciò piacesse o dispiacesse » e di aver « inveterata in [sjè l'abi-

tudine di chiamare uom dabbene o ribaldo chi [sij cred[e] tale

realmente» e infine snocciolare un bel ragionamento su «quella preziosa dote che con un solo vocabolo si chiama carattere »,per

concludere che « il primo bisogno d'Italia è che si formino Italiani dotati d'alti e farti caratteri », perchè* pur troppo s'è fatta*»

rttalia,ma non si fannogl'ltaliani » (2)e poi non averli coraggio di rivelare d'essere un dormiente?

Che vale fingere di dir male delle sètte, mentre abilmente si ammette che « la perfetta luce, ossia il gran segreto, non è poi cosa tanto spaventevole come si dice da taluni », « che in molti paesi da qut'st'associazione si ricava parecchi vantaggi sociali »,

«che non v'è nulla di piìi innocuo del Grand'Oriente,del Re Iram, del Principe Cadoc, del grembiulino e del martellino ecc. » e che la massonerìa è

benemerita per « beneficenze, mutui appoggi..,

ospedali, tutte cose eccellenti » (3)?... È questo il sistema disonesto accordato ad ogni fratello che salva sé stesso dall'altrui con-

(l)M. D'Azeglio,/ miei ncorrfi,II,34n.342,Firenze, 1869. i2) Ibidem, 1,2-1. (^) Ibidem, li,

SU.


- 233 ~ <luiiiia

mor.iie «'.per quanto può, anche ristiluzione.viluperando

i setta ri

i

e lodando la lojr<ria.

Ma il Brojjnoligo mi dirà che « l'esperienza può e deve avere mutato le idee e la pratica del D'Azeglio su questo proposito, si da fargli vedere un male gravissimo dove prima aveva veduto un bene e quindi mettere in guardia contro di essi quelli che voleva migliori continuatori dell'opera sua». Me ì»e duole per il critico. ma anche questa sua pietosa congettura cade,quatidQ gli

anticipi quella prova che amava serbare \>ev rispondere all'altro

suo appunto, che « 1' uomo e le sue benemerenze volevano che l'accusa, poiché tanto peso morale è dato a questo t'atto.che poco

mancò egli non fosse eletto gran maestro della carboneria [corrige: massonerìa], axeiise più solido fondamento che non siano le parole di due amici, siano

nomi e cognomi,

pur essi autorevolissimi e ne siano

assicurarono il Bollea che " V Unità Cattolica ne pubblicò il documento probativo un tren-

indicati

i

quali

t'anni fa .,(p. 27, n.8)».

h fuori dubbio che

i

Ricordi tuiono scritti negli ultimi anni

di vita del D'Azeglio. Lo dichiarano la data « 1805 » apposta a\-

V Origine e scopo deW Opera {l) e il genero Matteo Ricci in una Nota hiografìca. nella quale ricorda che

il

2 dicembre

18(55

il

DWyj'uVu) « .scrisse di gran voglia parecchie pagine (che furono le ultime) di questi Ricordi C^.) » .U inassonismo del D'Azeglio era

finora

— prima ch'io lo mettessi chiaramente in luce — mal noto

e lo era solo per gli anni anteriori al 1848: dunque nel lungo lasw) di tempo interceduto egli p<»teva — Vìno

«

come pen.sa il Brogno-

avere mutato le idee e la pratica su questo proposito »;

ma che dirà il critico qu.indo sappia che il docunjento probativo deW Unità Cattolica dimostra che nel giugno del 1804 Massimo D'Azeglio era ancora in loggia massonica?. ..Quando nel 1916 io giurava sulla parola onesta di due gentiluomini, non ricordavo che questo stesso documento da loro affermatomi esistente era .stato rif)ubblicatosolo dueaniii prima da CPatruccolojfliendolo dal Bollettino del Gr.'. Or.', della massoneria in Italia. I,

p. 17-18, Torino.Vercellino,18(>4. Quando più liirdi

l\

Ibidem, \. 13.

2)Jludeiu,U,488.

me ne 8ov-


— 234 — venni, mi accontentai di segnarne l'indicazione bibliografica sulla copia del Massimo D'Azeglio e il castello d' Envie,che tenga

a mano, fra il materiale mio di più usuale consultazione: la critica del Brognoligo mi dà ora modo di riconsacrare,quanto pre-

cedentemente avevo asserito, con la prova ineccepibile del documento storico (l).Fra gli Atti della Prima Costituente Massonica Italiana, raccoltasi in Firenze, nei locali della loggia Concordia, con 72 delegati di loggie italiane, il 15 maggio 1864 per quelli di Rito Simbolico Italiano ed

il

21

maggio per quelli di

Rito Scozzese, havvi il seguente decreto (2)

:

L'Assemblea Costituente della Massoneria italiana decreta: Il F.'.

Giuseppe Garibaldi è nominato G.". M.-. dell'Ordine i*).Val.-. del-

l'Arno, il 23» ^.'.,111 m.-., a.-. V.-. L.-. 5864.

Per la Commissione esecutiva G.Alvisi

Enrico Cliambion

E. Arrighi

A.Franchetti

(*)Alla elezione parteciparono 50 delegati, ed

i

Cesare Luner

De Zugni G. Od.DeMontel voti vennero cosi

ilivisi :

G.Garibaldi voti 45

B.Ricasoli

A. Franchi

M. D'Azeglio

»

3

voti 1 »

1

E basta parmi per il massonismo del D'Azeglio anche dopo il 1848! Per quello anteriore il Brognoligo non fa discussione

:

lo

ammette schiettamente professato e confessato. Ma non ricorda egli la Proposta di un procjrafnma di (1) A.. Luzio, parlandone

a scopo vanaglorioso

il

opinione nazionale ita-

meco, ebbe a dirmi essere finzioni massoniche:

far figurare in elezioni interne il D'Azeglio, il

Nigra ed altri. Io penso che, senza accorgersene, il Luzio favorisca invece quella corrente massonica che cela gelosa: aente i nomi dei « fratelli » per vergogna, o per meglio riuscire nella conquista della vita pubblicavo che nega il settarismo di quanti illustri « fratelli » si vengano a conoscere, sino a infirmare i proprii atti uitìciali. {2)1 Decreti ed atti dell' Assemblea Costituente di Firenze comunicati

a stam,pa a tutte le loggie Italiane di qtialunque Rito, dalla Commissioìie esecutrice, con circolare datata da Firenze il 3 giugno J 864, furono editi, con molti altri documenti massonici di provenienza Buscaglione, da Carlo PxTRUCCO, Documenti su Garibaldi e la Massoneria ntW ultimo periodo del Risorgimento Italiano, ia Boll.stor.-bibl.subalp.,Saip]p\.Iihorg.^Tì.S^

23-109,Torino 1914 ed a parte, Alessandria, 1914.11 doc. succit.è a pag.B9dell'estratto.


— 235 — /tona (1). die il DAzeglio pubblicò nel 1847, per ben thiuiire i concetti che dovevano guidare e insieme rattenere entro certi coafÌQi li molo politico italiano? Dopo aver detto che le « rivo-

luzioni di Napoli e Torino del 18:20-^1 furono le maggiori, le più violente, le più preparate da uiezzi nascosti e società segrete;

conseguenza anch'esse della fede nella forza materiale,alla quale i

deboli non credon poter opporre se non il mistero e l'astuzia;

sperando per queste vie giunger essi ad impadronirsi di quella forza medesima e poterne disporre »^ che « le società segrete,e la

tendenza al razione nascosta e privata, che sono, come abbiam notato, conseguenz?i ed espressione del culto alla forza materiale,

venner proporzionatamente mancando con esso» ('à);e che* i mezzi di rivoluzione armata, società segrete ecc., sono dimoformanti ostacolo invece d'aiuto

strati inutili, e anzi nocivi e

ad ottenere il line fdell'indipenden/a nazionale, e] la loro forza è istrumento infranto ed inservibile »,il D'Azeglio aggiungeva

:

«NelTesprimere un'opinione contraria alle società segrete. intendiamo di astenerci dalla questione, se ed in qual grado possano essere state utili per il passato alla causa italiana. Basta nostro assunto dichiar^e ciò che stimiamo vero quanto al tempo presente. Molto più intendiamo asternerci da ogni sinistro-

al

giudicio circa il carattere e le intenzioni dei?li uomini che hanno

creduto utile ed opportuno il promuoverle.Crediamo anzi dovere di giustizia l'aggiungere. che in origine la responsabilità'

cade sui governanti più che sui governati. Siccome il contrab-

bando ha la sua radice nelle cattive leggi

;

così lo società segrete

sorgono e si estendono là dove un ordine politico non adatto ai bisogni sociali chiude violentemente ogni via alia loro manife-

stazione ed al loro sviluppo » (3). Così già nel 1847 il D'Azeglio condannava in pubblico la Massoneria (4), e in pari tempo scorribandava l'IUilia centrale a (1 ) Firenze, Le Monnier, 1847, pp. 64 in 16" pie. ^2i Ibidem, pp. 4 e 7.

S) Ibidem, p. 17, n. 1.

4) Alluce a qualche scherzo o si riferisce ad glie, quando proprio il 2 gennaio

conati-Trotti

an dato preciso il D'Aze-

1847 scrive alla marchesa Costanza Ar-

« Sarei curioso di sapere se il V»icchi...è arrivato a capire chi,diOiacinto e me,è il Orand'Oriente »?(N.Vaccaluzzo, i9«ar/. <// U :


- 236 — rannodare i legami delle loggie

;

si faceva

— da buon cattolico —

donare un autografo di pugno di Pio IX (l^,e presentava al cardinale Ferretti, segretario dello Stato Pontificio, il Gran Cotto del rito massonico egiziano Bernardino Druvetti (2) !...

Passiaaio alle altre critiche del Brognoligo,che m'invita a ri-

cordare come « una liga di scritto p[ossa] bastare per far impic-

care un uomo» e come «un uomo, stizzito, pfossa] lasciarsi scappar di bocca, nonché dalla penna »,espressi(>ni non corrispondenti alla sua « fedeltà ».Parmi che il Brognoligo avrebbe dovuto pas-

sare oltre all'episodio Barbèra e badare che le « righe di scritto bastfevoli] per far impiccar un uomo »,da me addotte, siano pa-

recchie e come la « stizza » del D'Azeglio, per cui si lasciò « scap-

par di bocca, nonché dalla penna »,frasi irriverenti verso la Casa di Savoia, fosse... un po' troppo abituale in questo «fedele» ministro, che nel 1850chiamava Carlo Alberto « magnanima chiollay^,

nel 1863 battezzava la Corte « postribolo dove non incontrfava]

se non il fiore dei furfanti », nel 1864 ironicamente diceva

l' in-

tervento di Garibaldi in Ungheria «sublime invenzione dell'a-

mico di Rosin [contessa di Mirafiori] »,nel 1865 profetizzava, con evidente compiacenza, la fine della Casa di Savoia nella persona di Umberto 1, perchè rea di fare una politica che non gli era accetta, e diifamava Vittorio Emanuele li mettendone in dubbio la

paternità.

La difesa ultima del linguaggio pornografico, degli amori extraconiugali con relative figlie illegittime (3), delle insidie alle

DMz., /.e, 349). L'intonazione seria della lettera, l'essere Giacinto Pròvaua di Collegno gloria carbonara dei moti piemontesi del 1821 e la marchesa

Costanza moglie di un altro esule del 1821 mi fanno sospettare che veramente qui si tratti di una nuova prova del massonismo del D'Azeglio. (l)L.C.BoLLEA,Mas6'mo D' Azeglio e Pio IX,\n Bollett.stor.-hibliog.subalp.,XYI, 256,Torino, 1911. (2iL.C.BoLLEA,ilf.Z)'^2., il cast .d^ Evvie, etc.

,

l. e. ,

Ab-AG dell'estr.

(3) Colgo l'occasione per segnare, in aggiunta alla nota 1 di

pag. 35 del

mio M.D^A. e il cast, di Eiivie, un'altra notizia sulla Bice Ronco.ll 13 dicembre 1864 il D'Azeglio scriveva al conte De Reiset, ambasciatore francese ad Hanovre e suo amico « Bice a perdu son mari, qui est mort sans testament, ne lui laissant rien, car il était ruiné.Il lui faudrait un mari, :

mais la marchandise est rare » (Cte De Reiset, Mes souvenii'S, L' unite de .l'Italie et l'unite de l' Allemagne, 76, Parigi, 1903).


...

^7 -

mogli altrui, dei cattivi esempi dati al nipote,della arrendevole

consapevolezza degli amori della propria moglie con il Giusti, sino a scrivere per tutta la vita lettere affettuosissioie a lei (1) e in pari tempo... a terzi turpitudini atroci sul cono suo e sino

a vivere in un trio idilliaco con la moglie e ramante,non trova agli occhi miei sufficiente base nella morale scaduta del tempo.

K questione di misura È del resto storicamente vero che verso !

la metfi del secolo scorso « la

morrle era assai più ribassata che

oggi» fio ne ho profondi dubbi, specialmente se fermiamo

il

nostro esame sugli uomini politici nostri dopo l'andata al potere, nel 1876, della Sinistra storica(:2). Il

rifiuto del Fanfulla della domenica a concedere ospitalità a

queste mie controbbiezioni al Brogholigo mi dà agio di rispondere ad un altro mio critico. È questi Plinio Carli che. in una

rassegna bibliografica giustiana.ha trovato modo di accettare i frutti del mio studio e... di denigrarlo. Quando non si vuole rin-

negare la verità evidente e in pari tempo non si vuole urlare l'opinione uftieiale, da un lato,* modificando una [propr]ia antica opinione,(si] cred{e] che non si possa ormai più dubitare dell'e-

sistenza dfellaj relazione

amorosa * Blondel-Giusti, e

ciò

non

per le « non poche discussioni fino ai giorni nostri » avvenute,

non per* gli argomenti del Marinoni », elogialo precedentemente nella stessa rassegna bibliografica, ma per le « testimonianze ir refulabili » del BoUea : e dall'altro lato si condannano queste te-

stimonianze.* La parte più importante dell'articolo che il BoUea

ì)

La... stranezza di queste lettere tenere verso la

moglie adultera era

tanta che, quando questa le fece stampare dal Carcano, destò l'indignazione dei parenti. Matteo Ricci, genero del D'Àzeglio,8criveva che si era,« cosi,

stranamente, e stava per dire iniquamente, abusato dell'autorità e del chiaro nome dei morti per soddisfare i rancori o servire alla cupidigia dei vivi. E neppure esso, l'.\zeglio, fu interamente al riparo di questa pèste; con grave disgusto di chi gli voleva bene, e scandalo di tutti gli animi gentili >

(M.Ricci,<SScrt7/i pontumi di M.D' Azeglio, p.ii, di Al l€tiote,Firenze,

1871). (2) Per conoscere la morale dell'Italia naova leggansi i tre capitoli « La conqMète,La curée,Le gouvernement » di X.MKKi.iNO,/v'//a//> Mie qu^elU

est (Parigi,A.Savine,18JK)). terribile requisitoria, tutta poggiata sui docu-

menti, dell' Italia dal 1860 al 1890.E se qualcuno continoasse T opera del

Merlino dal 189(> ad oggi?!...


— 238 ^consacrò a Massimo D'Azeglio. al castellodi Envie.ecc.è appunto quella che si riferisce agli amori fra la moglie dello Statista pie-

montese e il Poela toscano »,per cui « ogni dubbio ormai apparirebbe peggio che ingenuità »,dichiara il Carli, il quale visto ch'io

sono entrato buon ultimo nell'agone degli amori blondeliani

— dopo il

il

Martini, lo Scherillo,la Giorgini-Manzoni,il Renier,

Marinoni e dopo di lui stesso— non osa rimproverarmi d'aver

toccato questo tasto. Pennò egli abilmente attenua,con un « tolto

questo »,un giudizio anonimo dato dallo stesso Giornale storico della letteratura italiana (l), che suona

:

«Con manifesto compia-

cimento il B.dà notizie ampiamente documentate, ma di interesse discutibile, intorno alla vita privata, anzi intima,del D'Azeglio ». Signor Carli,questo giudizio colpisce lei. discorritore degli amici blondeliani, prima di me!. ..Non le è esso parso giusto"?

e perchè allora lo ha mantenuto contro di me? Lei dunque esclude, con il « tolto questo »,che le « notizie ampiamente documen-

tate » sugli amori della Blondel e del Giusti,sianO'«di interesse

discutibile» e ne riconosce l'importanza scientifica: glie ne sono grato, perchè uno studioso' del Poeta toscano giustifica così l'ar-

gomento mio pili scabroso. Contro quale parte del mio studio ribadisce quindi il Carli il giudizio, punto equanime (2),deirat)onimo dei Giornale storico ? <<;iontro la « diminu|zione deljle benemerenze dello Statista pie-

montese verso la causa nazionale »? Sfido il Carli a trovare una mia espressione che l'autorizzi a questa... inesattezza e dire che il Carli se la prende con il Marinoni per alcune sue sviste [)uramente letterarie !... Contro « la conoscenza precisa del D'Azeglio :

,

nella sua vita intima »,da me « diligentemente documentafta] »?

Ma signor Carli, le pare da condanna l'si un contributo alla biografia di un letterato e statista, quando Ella stessa deve ammet-

tere che è « ormai ridicola la denominazione di " cavaliere senza macchia ,, che fu attribuita » al D'Az<'glio,e che « v'è il sospetto (i) Giornale storico della

letteratura ^7a^ia«a, voi. LXXIII, fase. 217,

%pp.77-78,Torino, 1919. (2) Si noti il

controsenso del Carli prima ammette che «la parte più :

.importante » del mio studio sia quella degli amori giustiani indi con un « tolto questo >vuol condannare tutto lo studio, mentre logicamente,* tolto :

-questo» che è « la parte più importante » ,non rimangono che gli accessori.


— 239 — — non del lutto infondato — die nella benevolenza straordinaria e nella protezione accordata da

Massimo al Persano |>esasse

non pofo r ammirazione per

mo(f!ie di

la

« v'è il sospetto non del tutto infondato »

lui », quando. cioè

che al « libertinismo

quasi cinico della viUi privala » del D'Azeglio (sono parole del critico) sia dovuta Lissa, una delle più

nali? Ma no!

si letrge

fra rigo e rigo

grandi sventure nazio-

— per

il

Carli è « di in-

teresse discutibile » quanto egli invece dichiara « assai più im-

portante »,vale a dire* la dimostrazione della parte che il D'A. .ivrebbe avuto nelle faccende della Massoneria » dizi

:

ma « gli in-

che il B. raccoglie e sui quali fonda per conio suo con-

clusioni di assoluta certezza, non avranno per tulli un uguale

valore probativo, e forse anzi lasceranno perplesso ed incredulo più d'un lettore », scrive

il

Carli chiudendo con questa frec-

ciata da Parto... la liquidazione del

Ah

!

mio studio.

quel «certo accanimento e [quella] certa deplorevole com-

piacenza di demolitore » del Bollea in queste sue ricerche sulla correttezza morale del D'Azeglio, solo a parole massoniclasta,

come urlano i nervi del cr"tico!Ma che dirà egli ora dopo la surriferita

documentazione

lolla dal Bollelflno ufficiale della

Massonerìa? Ne prenderà atto sul Giornaìe storico, perchè non resti sul .settarismo

d'azegliano « perplesso ed incredulo più

d'un lettore » suo ? Ne dubito...: gli rimane l'ancora di salvezza offerta dal

Luzio,che cioè i massoni scherzano di tutto, anche

delle proprie Costituenti e sono capaci di vota,re in elezioni in-

terne anche un profano! e il Carli si attaccherà di cello a questo

comodo espediente del Luzio.


Metodi elettorali del Ministero D'Azeglio

Sono note le vicende parlamentari subalpine seguite alla battaglia di Novara e alla situazione prodotta da questa nel Pae-

se (1). Finalmente, con il proclama di Moncalieri

con la volontà del Governo

si

— e, più forse,

era riuscito ad ottenere una

nuova Camera favorevole al trattato di pace stipulato in Miil Piemonte e l'Austria il 6 agosto 1849. Questa Camera era stata convocata il 20 dicembre. Ciò che interessa il mio scritto si è il rilevare come nella tornata del lano tra

4 gennaio 1850 essa avesse annullato l'elezione del Collegio di Gavi,dove

aveva ottenuto il suffragio degli elettori Tomaso

Spinola, impiegato dello Stato di grado inferiore a quello di

Intendente generale (egli era legio Commissario presso la Bancadi Genova) e

quindi ineleggibile.

Ma ciò era accaduto contro l'aspettazione e con vivo dispiacere del Governo, il quale aveva forse credutoci poter far pas-

sare

un suo funzionario in onta alla legge. Comunque occor-

reva ora correre al riparo, e proporre un nuovo soggetto che desse ogni affidamento di esser ligio al Ministero. E poiché

questo sapeva quanto fosse costata l'elezione d'una Camera favorevole, non intendeva certo trascurare mezzo per impedire

che fosse guasto, anche soltanto parzialmente, il risultato con

grande fatica ottenuto.

E ciò che fece il Governo Piemontese in questa circostanza, per mezzo dell'Intendente — oggi si direbbe Prefetto

— di Novi

Ligure, che allora era capoluogo di Provincia, ci è rivelato dalla lettera che pubt^Jico, la quale è

(1) Vedi L. C. BOLLEA, I^

una conferma diretta e

mistero dell'abdicazione del re Carlo Alberto,

in II risorg. it., N. S.,VIII, 196-197,Torino, 1915.


— 241 — specifica di

quanto già lasciavano argomentare, in rapporto ai

metodi di governo di Massimo D'Azeglio, i lavori recenti del Gabotto(l)e del Bollea (i2), per accennare solo a due onesti e franchi contributi alla storia del Risorgimento. Da essi ap-

pare che

il

D'Azeglio predicava * quasi » bene, ma razzolava

male... anche in materia di morale. come il Bollea (3), ora riba-

disce in

una sua risposta ad una critica del Brognoligo.

Nulla di strano che il D'Azeglio facesse altrettanto

— per

mezzo del ministro dell'interno — anche in politica, a soli due anni dalla promulgazione dello Statuto

;

la qual cosa,d'altronde,

più che la ripetizione sporadica di un atto di quell'assolulismo

che era da poco scomparso, più che un'inconscia manifestazione dell'abitudinario sgoverno dei ministri passati sui sud-

conferoia che qualunque sia la forma del Governo, quando vi siano degli amministrati o cittadini e degli amministratori o uomini politici, sempre chi è in alto fa, e farà, proprio comodo. il Infatti il D'Azeglio, non una, ma più volte era caduto nel reato di abuso di potere inframmischiandosi nell'elezioni politi-

diti, era la

che. Già durante la discussione parlamentare per la

verifica

dei poteri, svoltasi in più sedute della Camera, e specialmente

dicembre 1849, quando erasi proceduto all'esame delle operazioni elettorali del Collegio di Canale, era apparsa l'ingerenza del potere politico nel campo delicato delin quella del 22

l'espressione dei voleri del popolo sovrano. Fra le altre proteste invero addotte per

impugnare la regolarità dell'elezione

di Canale, era stata presentata quella di un elettore, tale dottor

Vincenzo Ferreri, il quale aveva esposto « essere pubblico e notorio che il signor intendente della provincia [di Alba] spedi circolari segrete, confidenziali, a molte persone,le più influenti^

(1) F. Gabotto,

Im reazione sotto Massimo d'Azeglio e la censura tea-

trale, in Hall, stor.-bibliogr. «tx^a/p., suppl.Klsorg.ffasc.lf pp.116 e segg.,

Torino, 1912. (2) L.C. BoLLBA,

Massimo D^ Azeglio, il castello di Envie e gli amori

di Luisa Blondel con G.Giusti, in II risorg. t/., N.8., IX, 729-777, Torino, 1916. (3) L.C.BoLUKA, L'idolatria storica e il massonismo di M.iy Azeglio {a proposito di una critica onM<«), ibidem, XII, pp.229-239. Il Ritorg. ital.,

XI-XH


del circondario di Canale e Cambiano, acciò prestassero il valido loro concorso alla

nomina a deputato di questo collegio

del barone Giuseppe Sappa, consigliere di Stato

;

che di queste

circolari vari pubblici funzionari se ne servirono a grave de-

trimento della libertà di voto, ed in appoggio di questa sua instanza » presentava una copia della nominata circolare.

La circolare, riportata nella relazione, è del tenore che segue Alba 5 dicembre

:

1849.

Oggetto confidenziale. Ill.mo Signor Padrone Colend.mo,

Pelle avute comunicazioni e notizie pervenutemi, debbo accennare

a V. S. lU.ma in tutta confidenza e segretezza che il candidato proposto pel collegio elettorale di Canale è il signor barone Sappa, consigliere di Stato, da

cui

si

può ripromettere una valida azione pel

conseguimento dell'importante scopo che l'ordine ed

il

bene pub-

blico trionfino, e che lo Stato ritorni a quella floridezza cui sono ri-. volti

quali

nostri comuni desiderii.Ne renda consapevoli tutti coloro da può sperar lutile concorso, gli esorti a prestarlo energicamente,

i

e gradisca intanto

i

sensi della più distinta stima con cui ho l'onore

di essere

Di V. S. Ill.ma

dev.mo ed obb.mo servitore L'Intendente generale Spinola.

La discussione, seguita a questo punto, è assai

istruttiva,

ma per il mio oggetto basta riferire il pensiero del ministro dell'Interno, Galvagno, attraverso ad alcune delle sue dichiarazioni.

Galvagno incominciò col contestare che potesse definirsi « circolare » il documento surriferito, limitandosi ad ammettere che non si trattasse d' altro che di « una lettera scritta negli stessi termini a diversi elettori (SMsswrH, segna qui il verbale della seduta) »,e perciò si trattasse semplicemente di « una lettera dell'Intendente che scriveva ai suoi amici ». Ma, a parte che i termini di essa la dimostrano piuttosto diretta a funzionari dipendenti, vediamo ciò che aggiungeva subito il Ministro: «Ora io dico francamente che l'Intendente aveva l'incombenza di dichiarare a' suoi amici quali fossero le persone che egli credeva amiche al Governo, la cui elezione quindi si Il

J


— 243 — credeva influente al buon andaiiiento della cosa pubblica »

:

ne concludeva che in lutto ciò nulla Vera che potesse avere influito sulla libertà del voto, non

essendo avvenute né mi-

naccie, né violenze, né seduzioni {Rumori alla sinistra).

avesse un rimprovero a fare all'Intendente di Alba

ancora il Galvagno greto

il

<fi

Se si

— asseriva

— quello sarebbe di aver voluto tener se-

-suo operato, mentre era

stato autorizzato a

fare

a

questo proposito aperte dichiarazioni, non serbando in ciò il

Governo alcun sej^reto ». La discussione si fece allora animata. Il deputato Lanza non seppe trattenersi dal censurare la teorìa del Ministro, secondo la quale* nulla impedisce al Governo di proporre i propri)

can-

didati e di sostenerli, d'appoggiarli e di promuovere l'elezione

con tutti i mezzi che stanno a sua disposizione » e se Camillo ;

Cavour non approvò la tesi del preopinante, che

il

Governo

dovesse invece rimanere impassibile davanti all'azione degli elettori, mirando

unicamente a che essi votassero liberamente,

egli dovette pur convenire, né avrebbe potuto fare pubbliche di-

chiarazioni in senso diverso, che illecita sarebbe stata da parte del Ministero ogni minaccia o promessa fatta agli elettori stessi.

Naturalmente su questo punto non vi poteva essere dissenso.

Ma se allora si trovarono tutti d'accordo sulla teorìa, non lo si

poteva essere nel fatto, di fronte alla reale circostanza di

un « raggiro confidenziale »,come lo definì elegantemente il deputato Pescatore.

Se non che, tornando al documento che qui viene pubblicato, in questa

nuova elezione si andò dal Governo assai più

innanzi. Il ministro Galvagno aveva riconosciuto in sostanza

che non sarebbero state lecite da parte del Governo « né minacele, né violenza, né seduzione, né alcuna cosa che possa le-

dere la libertà dell'elezione »: che censurabile sarebbe stato

— da parte del Governo o di un suo funzionario — segreto

il

il

tenere

suo operato, in questa materia e il mandare circo-

lari ai sindaci.

Orbene, quando si trattò della nuova elezione del collegio di Gavi, lo stesso ministro Galvagno smentì in modo troppo evidente queste sue mas8Ìme,facendo esercitare dall'Intendente di Novi Ligure pressioni e minaccie sull'animo degli elettori;


_ 244 — e il torto risaliva al Ministero D'Azeglio, se anche si voglia ammettere che l'Intendente abbia potuto, coli' infelice poscritta

di cui infra, eccedere l' intenzione del Governo. Ed ecco la lettera che è diretta al sindaco di Castelletto d'Orba (1), uno dei

Comuni del collegio elettorale di Gavi

:

R. Intendenza

Novi, il 19 Gennaio 1850.

DELLA Provincia di Novi (2) Ill.mo sig. Sig. Padrone Colend m»

Non può tardare guari ad

Confidenziale.

uscire

il

R.

Decreto, col quale deve essere rinnovato il

Collegio Elettorale di Gavi pella nomina

di altro Deputato in

surrogazione

To-

di

maso Spinola, la cui elezione venne annullata dalla Camera perchè impiegato.

AlVIll.i^ Sig. Sindaco

Importa grandemente che Sia eletto un

di Castelletto.

Deputato savio e moderato al pari di quella "

ch'è stato insospettatamente escluso.

Non ignora per certo la S. V. 111.»»» che tra la Camera attuale ed il Governo del Re esiste il miglior accordo ed una reciproca confidenza, dalla cui stabilità dipende la conservazione del regime costituzionale, la quiete, ed

il

ben comune dello Stato. Se

il

Collegio

di

Gavi

nominasse mai un Deputato dell'opposizione a vece di un conservatore

si

esporrebbe il rischio d'incorrere nel biasimo e nella rispon-

sabilità di avere alterato la

buon {sic) armonia felicemente stabilita

tra i grandi poteri dello Stato. Siffatto evento pernicioso troppo deve

essere ad ogni

modo impedito.

Ma dove rinvenire un candidato moderato e versato ad un tempa (1) Sindaco era il mio avolo Francesco Gerolamo Pesce, nato in Ovada» quantunque di famiglia rossiglianese e partecipe di questo consortile feudale. Laureato a Genova in medicina nel 1832, risiedette in Castelletto, dove fu sindaco per un ventennio d'anni, dal 1849 in poi. Uomo integro, seguendo le tradizioni famigliari, non seppe ne volle mai adattare la

propria coscienza ed azione a sistemi ed a metodi meno che

corretti,,

anche nell'esercizio delle- pubbliche funzioni. (2) La lettera è scritta su carta d'ufficio, per cui seguono, sotto, le soRisposta Divisione... lite indicazioni a stampa < P. G. n... C. L. n... :

alla lettera del... 18..., n....

— — — Oggetto:... — Allegati n...», tutte lasciate

in bianco. Il foglio è listato a nero, durando re Carlo Alberto.

il

lutto per la

morte del


— 245 — nelle cose governative

da proporre agli elettori? Nel distretto elet-

torale, e nel restante della Provincia vi

ha detlcienza di soggetti.

Dovendosi necessariamente ricercare altrove questo candidato, il Ministro dell'Interno opportunamente mi ha suggerito di proporre agli elettori

il

Cav.«> Bianchi Pietro, che fu per molti anni Intendente

Generale dell'importantissima Divisione, di Torino. Egli percorse con

molta distinzione tutti i gradi della carriera amministrativa sino a che pervenne a coprire la detta carica, da cui cessò nel 1848 con

una onorevolissima giubilazione. Il

del

ColU'^'io

non potrebbe perciò fare una scelta migliore di quella

predetto Cav.r» perchè manderebbe alla Camera un uomo, che

membro da oltre 30 anni della pubblica amministrazione le porterà l'utile concorso de' suoi himi e della sua lunga esperienza, e vi appoggerà il Governo del Re, che ha dato luminose prove delle sue leali

intenzioni.

Per la qual cosa, convinto che tutte le persone savie, nel cui novero è V. S. lU.^a^riuniranno i loro sforzi ai miei perchè sia eletto alla deputazione il proposto candidato,io mi rivolgo a Lei con piena fiducia pregandola di voler persuadere gli elettori ed esercitare su di essi tutta la sua influenza acciò accordino al

medesimo i loro suffragi.

Voglia impiegare costi con zelo l'opera sua, la quale non resterà infruttuosa, poiché in tutti i Comuni dei due mandamenti ho persone influenti che

sono determinate ad. appoggiare calorosamente

l'ele-

zione del detto Cav.re Bianchi.

Attendendo dalla di lei gentilezza un favorevole riscontro, ho l'onore di protestarmi con ben distinta stima Dev.mo obbl.ino servitore

Di V. S. 111.°»»

De Benedetti.

P.S.— Pregola altresì di procurare che gli elettori accorrano in gran numero all'elezione nel giorno che sarà determinato dal decreto, avvertendoli che sarà trasmessa al Governo la nota di coloro che avranno mancato d'intervenirvi. A tergo : AU'IU.nio sig. Sig, Padrone Col.mo Il Sig.

Sindaco del Comune di

(L'Intendente di Novi

Castelletto d'Orba

De BenedetU)

La lettera, chi usa con ceralacca e bollo deirintendeDZa,scritta tutta di

pugno dell'Intendente stesso, compreso rindirizzo a

tergo, indica chiaramente, con tutte queste cautele, come il De

Benedetti sapesse di fare azione contraria alle libertà popò-


— 246 — lari e

sperasse nell'accondiscendenza dei sindaci per il trionfo

del candidato governativo e nella loro convivenza, prò bono

pacfs,per farla franca.

Non possono essere sfuggite all'attenzione del lettore le massime di diritto costituzionale contenute nello scritto, che sono poi presso a poco le medesime sostenute alla Camera dal Galvagno e dal Cavour (l) ed applicate tuttora, in contrasto con

quelle di cui

si

era fatto assertore il Lanza, più ingenuo e più

onesto.

Ma la maggior importanza della lettera risulta dal confronto suo con quella dell'Intendente d'Alba, pubblicata negli Atti

— pur palesando una ispirazione ana— contiene forti pressioni e vere minacele, anche prescin-

parlamentari, sia porche loga

dendo dal postscritto,sia perchè vi si nomina il ministro Galvagno,co] quale poi era evidentemente consenzi»^nte il D'Aze-

ha la prova palmare ch'essa era stata diad un sindaco astrattamente, e non ad una persona qualsiasi, rivestita casualmente dell'autorità sindacale, mentre per glio; sia perchè si retta

la circolare incriminata alla Camera si era proceduto solo per

induzioni, basandosi sull'espressione

:

« diretta alle persone più

influenti del luogo », fra le quali si osservava esservi ragio-

nevolmente i sindaci. Tali illecite ingerenze a nulla valsero

:

gli elettori, forse più

indipendenti che il Governo non pensasse cora, per fortuna, il

— non esisteva an-

suffragio universale — votarono per un altro

soggetto, il conte Enrico Avigdor la cui elezione fu convalidata il

13 febbraio, dopo discussioni vertite su certe qualità legali

dell' eletto,

ma non su accuse di scandalose imposizioni, che

la caduta del candidato ministeriale, senza tentativi di difesa,

escIudeva,come lo escludevano le qualità personali del sindaco di Castelletto d'Orba.

Genova, gennaio 1918.

Ambrogio Pesce. (1)

Non meraviglia il contegno di Cavour, figura sempre glorificata fi-

nora secondo il clichet ufficiale, mentre dovrebbe essere studiato un po' più umanamente. Vedi per i suoi concetti in materia di libertà F. GaBOTTo, Gravi documenti di un piccolo archivio, in Boll, stor.-bibliog. subalp. supplem. Rigor g., fase. 1, p. 120-121, Torino, 1912.


Antonio Maghella nel forte di Fenestrelle (OTTOBRE-NOVEMBRE 1815)

Il

compianto mio suocero, il conte Antonio Cavagna-Sangiu-

liani di Gualdana (1), aveva nel 1906

esposto a Milano, nella

Prima Mostra sistematica del Risorgi mento,parecchie carte originali (;2),da lui raccolte con altre numerose nella sua biblioteca della Zelada (3).

Più tardi, per comodo degli studiosi, io avevo elencato il madocumentario del Risorgimento italiano posseduto da

teriale

mio suocero (4); né l'opera mia era stata inutile, come mi adsu detta mia

dimostrò la ricerca delle carte maghelliane che indicazione — fece

il

barone Livio Carranza da Pisa.

Per accontentare il legittimo desiderio di questo studioso che, quale parente del Maghella,.accoppia all'amore per lari-

cerca scientifica l'affetto faoìigliare (5), pubblico questi docu-

menti su

la

prigionìa di Antonio Maghella nel forte di Fene-

strelle, nell'ottobre e

novembre 1815.

I numerosi acquisti librarli e cartacei falli dal conte Cavagna in Torino, come in tanti altri centri italiani e esteri di

(1) L.C. Bollosa, Ju

memoria del conte Antonio Cavagna Sangiuliani

di Guatdana nel primo anniversario della sua

morte {5 aprile 1913-6

aprile 1914 .Pavia, 1914. i2) Bollettino ufficiale del

Primo Congresso

storico del Risorgimento

italiano, fase, ó, pp. 254-256, Milano, 1906. (8) Ki Ki'LA e Thuhnbr, ^Vi/jerua Jahrbuch der Gelehrien ioe^,p. 1142,

Strasburgo, 1914. (4) L.C.BoLLBA,/>«

carte del Risorgimento italiano contenute neWar-

chivio Cavagna Sangiuliani in Zelada di Bereguardo (Patfia), in Boll, stor.hibl. subalp.,Xy, 879-422, Torino, 1911. (5i

La contessa Paola Chiappe, moglie del Maghella, era sozeUa dell'ava

paterna del barone Livio Carranza.


- 248 — cultura, mi inducono a credere che altri

originali di

questa

piccola serie di lettere del Maghella indirizzate al Governo

Sardo siano conservati nel R. Archivio di Stato di Torino. 11

fascicolo Maghella dell'archivio Cavagna è oggi ridotto a

— dal tipo — della carta e dall'inchiostro essere state scritte una sessansei sole

pagine, di formato protocollo, che paiono

tina d'anni

fa.

L'ultima lettera del Maghella alconte Vidua,supplica in vero più che lettera, del 22 novembre 1815, è monca della parte finale, perchè il mezzo foglio corrispondente alle pag.7 e 8, strap-

pato dal relativo mezzo foglio delle pag. 1 e 2, in origine cuciti

con il foglio delle pag. 3-6, andò perduto.

Congetturo che altre lettere del Maghella non siano andate perdute, a colo

;

e

meno che esse fossero scritte su un secondo fasci-

penso che il « Compendio storico di tutta la carriera

politica » del Maghella e « la copia d'alcuni scritti » suoi, citati nella lettera 6 novembre 1815 al conte Vidua, probabilmente

non siano stati dal copista trascritti, perchè

egli

li

avrebbe

logicamente fatto seguire alla lettera stessa, come fece per la supplica a S. Maestà dopo la lettera 26 ottobre 1815, in cui essa è accennata.

Non per questo il « Compendio storico » è inaccessibile agli studiosi, come succede di ogni carta del Risorgimento nostro

sepolta negli Archivi di Stato, perchè l'originale, che

il

Neri

ignorava dove fosse (1), è posseduto da Nicola Maghella, pronipote di Antonio, ed ha servito

al

barone Livio Carranza per

scrivere quella biografìa del Maghella attorno alla quale il Weil

ricamò quattro parole di presentazione e aggiunse qualche documento, formando un tutto organico ^2). Nel « Cenno biografico su Antonio Maghella » di Livio Carranza, che rivela quale fu la vita di questo misterioso perso-

naggio, narrasi a proposito della partenza del Maghella da Napoli nel 1815 « Entrati

:

che furono in Napoli (22 maggio 1815) Leopoldo di

{1) A.1!ì[FjKÌ], Appunti intorno ad Antonio

Maghella,in Giorn.stor.lett.

della Liguria, voi. IX, pp. 432-436, Spezia, 1908. (2) M.H."WEiL,4ra<07iio Maghella, Documents biographiques inèdits, in

Miscel.di studi stor.in onore <Z^ ^.iJfanrao, 1,335-364, Torino, 1912.


— 249 — Borbone, principe di Salerno, ed il

il

generale austriaco Bianchi,

Maghella chiese al principe, prima per lettera [23 e !24 maggio]

€ poi

il

26 maggio di persona, ad essere esonerato dalle sue

funzioni. 11 principe lo accolse benignamente, lo ringraziò, a

nome del Re, suo padre, per quanto, coll'aiuto della Guardia di sicurezza, aveva fatto per

mantenere l'ordine e lo assicurò che presto gli avrebbe dato uu successore intanto rimanesse :

in carica. Dopo pochi giorni il cavaliere Medici, ministro delle

Finanze di He Ferdinando IV, assunse pure il ministero di Polizia generale. E qui

comincia un periodo abbastanza miste-

rioso nella vita del Maghella. 11 4 giugno egli ebbe l'avviso di tenersi pronto per lasciar Napoli, e poco

dopo

il

governatore

di Na|K)li, conte Neipperg,per mezzo del generale Eckhardt,gli

che egli sarebbe stato trasferito a Mantova. Dietro le

notificò

energiche rimostranze del Maghella, che trovarono, pare, ap-

poggio nel marchese di Saint Clair, ministro della guerra di

Ferdinando IV, l'ordine fu revocato, ma poco dopo fu irrevocabilmente confermato ed il 16 giugno Maghella, accompagnato

da un ufficiale e da due soldati, partì per Mantova. Dopo lungo ammalato. non lasciò questa fortezza se non il 18 ottobre per es-

e faticoso viaggio vi giunse stanco ed

Egli

sere consegnato al

governo sardo che lo internò nel forte di

Fenestrelle. In queste sue dolorose peregrinazioni egli non fu mai abbandonato da un fedele suo amico, il dottore Marchesi. Il Maghella ha sempre protestato solennemente e pubblicamente di non conoscere motivi di così rigoroso trattamento ed ini

vocò ri{>etutamente dal governo austriaco e sardo un regolare giudizio. Tale soddisfazione non gli tu mai concessa. Si temeva

memoria ed il suo archivio, molto ben fordocumenti interessanti è che e^Mi era. pare, riuscito a

forse la ferrea sua nito di

porre in salvo » (1). « Dopo una

sequela di fastidiose pratiche, Maghella ottenne

finalmente di poter uscire da Fenestrelle, ma egli fu confinato, sotto la sorveglianza della polizia sarda, nella sua tenuta di

Borsa, vicino a Varese Ligure »,dove morì

il

9 aprile lS.T(»,di

anni otlaDtaquattro,essendovi nato il 10 settembre 1766.L'esilio

(l)i6irf«w, 357-358.

i


— 250 — suo non durò però tanto, perchè, salito Carlo Alberto al trono nel 1831,11 21 aprile dell'anno appresso Antonio Maghella era creato barone di Borsa (1) e Torino diveniva sua residenza abituale (2).

Certo a spiegare l'enigma della prigionìa di Mantova e di

non basta la carriera politica del Maghella. Compartecipe della rivoluzione di Genova nel 1797, ministro di Polizìa ivi nel 1800, senatore ligure nel 1802, presidente del Magistrato di guerra e marina e della Commissione di sanità, incaricato di ricevere Napoleone I nel 1805 in Genova (3), cavaliere della Legion d'Onore, deputato al Corpo legislativo di Francia dopo l'annessione della Liguria, Consigliere di Stato e Prefetto di polizia a Napoli per Gioachino Murat dal 1808 al 1812 e poi ancora nel 1814, il Maghella aveva patrocinato l'alleanza austro-napoletana del Murat contro la Francia e la restituzione degli Stati a Pio VII. Dunque non era bastato l'atFenestrelle

teggiamento politico degli ultimi anni a rabbonirgli l'Austria e lo Stato Sardo?... Qualche cosa di più grave bolliva in pentola: il Maghella era stato infatti

magna pars delle associa-

zioni segrete massoniche e carbonare (4), e non un accidentale

intruso com'egli voleva far credere. Narra invero, sulla fede

sua il Carranza: « Mentre il re Gioachino si dibatteva in mezzo ad inestricabili difficoltà internazionali, il Maghella con severa energìa provvedeva a mantenere, più che fosse possibile, tranquille le capitali e le provincie. La carboneria aveva fatto im-

mensi progressi e minacciava di creare seri imbarazzi al governo. Chiamati a sé capi dell' associazione, il ministro di Polizia chiese loro quale fosse il fine che realmente si prefigi

gevano. " Una costituzione liberale,, risposero. metto, in

(1)

nome

— "Ve la pro-

del Re e mi costituisco responsabile dell'osser-

A.Manno, Il patriziato subalpino, 1, 82, Firenze, 1895.

(2) A. Ì^Ieri], Appunti

'

intorno a ^.iVfa^AeZ^a, L e, pp. 435-436. Napoleone la Genova {30 giugno-5 luglio 1805), in Revue CR\GG\, (3) Napolèonnienne di A. Lumbroso, a. V, p. 56, n. 2, Torino-Frascati, 1906. (4) Lo sviluppo degli elementi settarii dalle forme massoniche a quelle assai più vivaci delle vendite carbonare, ebbe

luogo sotto

gli

auspici

del ministro napoletano Maghella (Beaumont-Vassy, Histoire des états italiens dépuis le congrès de F^e?l?^e,cap. III, Bruxelles, 1851).


— 251 — vanza di questa promessa,, .Si mostrarono contenti e senz'altroimpegnarono a fare assumere a tutti gli associati il nome

si

di costituzionali, a convertire le loro

congreghe misteriose in

pubbliche società costituzionali da crearsi in ogni provincia, quali società tutte avrebbero avuto

le

come

il

loro

corona-

mento in una Società primaria sedente in Napoli e della quale sarebbe stato il capo... il Re! " La Società costituzionale primaria, assicura

il

Maghella,fu fondata in Napoli ed altre so-

cietà costituzionali sorsero numerose in provincia, ..Maghella,.

per celebrare questa sua alleanza colla Carboneria, liberò tutti coloro che si trovavano detenuti per questo solo titolo. Questa

trasformazione della Carboneria in partito costituzionale murattista appare così

semplice e piana che involontariamente viene

fatto di chiedersi

:

Qui trompe t-on «ci .^)» commenta in fine ilCar-

ranza (1), comprendendo quanto puerile sia questa spiegazione dei rapporti del Maghella

con la Carboneria, e non a

torto.

Racconta infatti uno storico nostro, evidentemente iniziato nei misteri massonici, che la Carboneria, introdotta nell'Italia meridionale da alcuni Napoletani esuli dal 1799, ebbe notevole incremento quando « verso il 1811 vennero di Francia e di Spagna certi cospiratori, che per acquistare influenze e ricchezze o per altre ragioni, e considerando il Regno di Napoli molto acconcio ai loro piani, proffersero alla polizia spandere l'ordine per incivilimento di popolo e tutela di governo. Ciò fu favorito dal

genovese ministro Maghella, forse già iscritto

nella Carboneria della sua città natale, se è vero che Genova

abbia avuto propria Carboneria, favorito da' Giuseppe e poscia

anche da Gioachino» (2). Il

Dito, il quale erra annotando che * il Maghella non In mai

ministro (e solo) fu incaricato in parecchie occasioni di reggere il

Ministero di Polizia » —

e, per con vincersene, veda il « Cenno

biografico» scritto dal Carranza e... sé stesso (3)

— ritiene

le sur-

riferite « notizie (clie (lice tolte da certe memorie (i>l tutte veroili M. H. Wfau, Ant. Maghella, l. e, p. 866. J) O. Dito, Masgoìieria, Carboneria (lei

ed altre società segrete nella storia

insorgi mento italiatio, pp. GÌ n.e 204,206 n., Torino, 1906.

[di Ibidem,

{i) Memorie sulle

Società segrete dell' Ittita meridionale, txadmione


— 252 — simili » e scrive che non « sfuggì al genovese Antonio Maghella,

uomo consumato alla vita settaria ed organizzatore della Polizia

napoletana, il grande aiuto che ne avrebbe potuto rica-

vare, ad incivilimento del popolo e come sostenitrice degli ordini nuovi non solo, ma anche a bilanciare la grande influenza

della Massoneria » (1) cesarea nel nome di Napoleone. Altra ra-

gione trova il Dito, a spiegazione del carbonarismo del Maghella, nei diversi attentati delle società segrete borboniche, fiea/ Corpo

Urbani realisti di Carolina e i TrÌM«<arn, contro le quali erano inefficaci i provvedimenti polizieschi, per cui occorse che,« colla chiamata del genovese Maghella a direttore genedegli

rale di Polizia, si cambia[ssero] metodi di

governo ».

« Consumato alla vita settaria, il Maghella (2) comprese che

a combattere questo fa

il

le

sètte

era necessario opporre altre sètte. E

suo programma di governo ottimo programma :

poliziesco, ma che può riuscire, come si sa,un coltello a doppio

taglio e così fu » (3). Infatti presto flitto

la Carboneria

con Murat che nulla accordava, mentre

i

in

con-

settarii

vole-

fu

vano una costituzione,ma quando alla vigilia della spedizione, il

Re « cercò di rendere del tutto officiale

la Carboneria e

di

mutarle forma e nome per averla di valido appoggio nelle

Marche e nel rimanente dello Stato Pontificio, spediva il suo fido Maghella a organizzare vendite carbonariche e logge mas-

soniche e a preparar e a tener desto lo spirito pubblico » (4). dall'inglese di A. M. Cavallotti, in Bibl. stor. Risorg. it., s. IV, 2,Roma,

1904. (1) 0. Dito, Mass. Carb. ed

(2) Il Dito

altre soc.segr.,61.

dice che della morte per colica di Cristoforo Saliceti, ante-

cessore del Maghella nel Ministero di Polizia, non « mancarono i sospetti

contro lo stesso Maghella, presso il quale il Saliceti aveva pranzato il giorno precedente » (i6?de»z,204), e che « il Maghella nella sua giovinezza fu

impiegato presso un ricco banchiere di Genova, la cui signora lo presentò e lo raccomandò alle autorità francesi» {Ibidem,205,n.l). (3) Ibidem, 204

e 205.

(4) Ibidem, 219 e 221.11 Dito accenna al Maghella in

•di

una nota a pag. ix

La campagna murattiana della indipendenza italiana, in Bibl. stor.

Risorg.it., ser. VI, voi. 7, Roma, 1911 altre notizie vedansi in B.Marco:

LONGO, La massoneria nel secolo XVIII e le origini della Carboneria, in Sttidi storici del Crivellucci,XIX,407 e XX,267 e segg., Pavia, 1910-1912 •G.De Castro, Milano e le cospirazioni lombarde [IS 14-1820) giusta le ;


— 253 — II Dito non dice donde abbia attinto questi dati, ma non vi dubbio che la fonte sua fu la Storia del reame di Napoli è

dal 1734 sino al 1825 di Pietro Colletta, di cui riproduce quasi

ad litteram le parole. Scriveva infatti lo storico napoletana nella testé citata sua opera * Nell'anno 1811 certi settart, fran:

cesi ed

alemanni, qua venuti, chiesero alla Polizia di spander

come incivilimento del popolo e sostenitrice de' governi nuovi. Era ministro un Maghella ge[Carboneria] nei Regno

la

novese, surlo dagli sconvolgimenti d'Italia e di Francia, al

quale furono argomenti e raccomandazioni la simiglianza delle sette massonica e carbonara, la facilità provata di assoggettare i

Massoni, il bisogno di farsi amica

la

plebe, ed infine la po-

tenza degli stati nuovi, continua istigatrice di imprese arri-

male accorto non pensava che le fazioni giovevoli oprano alla svelata, sì come le contrarie hanno d'uopo di mistero e secreto e che le opinioni di una setta, schiate. Il

a' governi

;

quando accordino agli interessi di un popolo, prestamente si spargono, tenacemente allignano; cosicché

la Carboneria, pro-

fessando in principio i desiderii de' Napoletani e le dottrine del secolo, apportava di

sua natura temerità alle moltitudini,

pericoli allo Stato. Tutto ciò

non vedendo

l'inabile ministro,

propose l'entrata di quella setta a Gioacchino, che per istinto di re più

che per senno di reggitore

vi

si

opponeva; ma fi-

nalmente aderì, e quasi pregata la Carboneria entrò nel Re-

gno » (1).

E ancora a proposito del lavorìo di Murat

nell'Italia

alla

vigilia della

sua spedizione, il Colletta dice che « il re... spedi

nelle Marche

un Maghella suo ministro a concitare,coi segreti

mo<li della polizia e delle sette, i popoli contro il pontefice » (2).

Le succitate Metnoira of the secret Societies of the South of Italy, particulary the Carbonari, transìated from the originai m«, inglese, ma di anonimo italiano, edite a Londra nel 1821 e ritradotte in italiano dalla Cavallotti, danno del Maj^hella un poejfieje caricature,i diaiii e altre testimonianze del /e/» po,p.lG9, Milano, lSiy2; A.Lv7AO,/m

massoneria sotto il Regno Italico e la restaurazione

austriaca, ia Arch. stor.lomb.,ti. XLIV, fase. Il, ed a parte, Milano, 191B. (

1

)

Voi. IV, p. 91 (lib. Vili, parag. 49),Capolago, Tip. Elvetica, 1834.

(2) Ibidem, t. Ili, p. 246 (lib. VII, parag. 74).


— 254 — cenno biografico sommario (1) così preciso che si direbbe redatto sul « Compendio storico » autobiografico che servì di recente al Car r anza. h^ Memoirs anzi, per spiegarsi il Carbonarismo del Maghella, narrano « Alcuni a Napoli credettero che la Tugendhund (Unione della Virtù) in Prussia, avesse sug:

gerito al Maghella l'idea di formare società segrete,come mezzo

per dirigere l'opinione pubblica contro i Francesi ma, secondo ;

la Minerva Napoletana (n. 7) egli potè

aver trovato esempi

mili nel proprio paese » e fanno seguire

si-

un brano di questa

fonte coeva.

Continuano le Memoirs a raccontare « 11 Maghella, in tal modo, sarebbe stato il riorganizzatore della società. Per dare :

poi ad essa il

uno sviluppo maggiore, ne

sforzò, per così dire,

suo crescere, innestandola sul vecchio tronco delia Masso-

neria ed ammettendo nella società ogni Fratello Massone col solo voto, senza sottoporlo alle prove preparatorie richieste pei candidati ordinari » (2).

L'opera settaria del Maghella, da questi pochi elementi messa in luce, è sufficiente a chiarirci l'atteggiamento ostile assunto

nel 1815 dall'Austria e dal Piemonte verso di

Logici sono quindi

i

lui.

giudizi dati dal Masson e dal Madelin

sul lavorio massonico e carbonaro del Maghella egli era l'anima

:

per il primo

dannata del Murat, il Genovese tenebroso che

medita già di lontano d'accordo con i primi carbonari di Roma la rivoluzione italiana (3) per il Madelin era un « politicien ;

louche » (4).

Una grave accusa gli muoveva addirittura Tito Manzi, già professore dell'Università pisana, segretario del Consiglio di Stato napoletano sotto Giuseppe Bonaparte, compagno del Ma-

ghella nel 1813 nella organizzazione del Governo provvisorio

(1) A. M. Cavallotti,

che

il

Mem. sulle soe. segr., l. e, 21-27, dove va corretto

Maghella, fatto prigioniero dell'Austria, non fu mandato « in una

fortezza ungherese »', ma a Mantova.

(2) [bidem, 28. (3) F. MASSOì^,Napoléo7i et

sa famille, t.VI (1810-1811) p.202 e 308,Pa-

rigi,1903. (4) L.

Madelin, La Rome de Napoléon, La domination from^aise à Eo-

.me de 1809 à 1814, p. 602,Parigi, 1906.


— 255 — a Roma, per conto del Murai, e tìduciario in Toscana di Napoleone I dopo il 1815. Il 14 febbraio 1817 da Roma il Manzi scriveva a Giustino Fortunato, procuratore generale di Cassazione nel 1809, collega del Manzi e del Maghella nel 1813 a Roma, e

presidente del Consiglio dei Ministri di Ferdinando II nel 1849-

1852: « Maghella è ancora a Finistrelle.Guai a lui se non

avesse rubato: che sarebbe ora con 18 mesi di carcere? Per

questo è sempre bene il portar via e conservare. Quest'uomo

sembra vittima di una persecuzione genovese,che vendica forse te, me e Saliceti » (1). Il Sanchez ci rivela che nel 1809 eranvi stati dissensi fra il Maghella pretetto di polizia e il Fortunato

procuratore generale di Cassazione a Napoli (2); ma

il

lavoro

carbonaro in comune a Roma nel 1813 non li aveva rappacificati ? È questione

da risolversi ancora.

Dopo giudizi così severi sul Maghella, non può esservi alcuna meraviglia se le sue suppliche dirette dal forte di Fenestrelle al Re di Sardegna, Vittorio Emanuele I,e ai suoi ministri dell'Interno, conte Vidua,e di Polizia,conte Lodi, abbiano

trovato nei primi tempi orecchie sorde ai lagni del detenuto,

come risulta delle seguenti lettere: 1.

Dal Forte delle Fenestrelle li 26 8bre 1815. Eccellenza,

Prego V, E. di mettere sotto gli occhi diS.M. la supphea che ho l'onore di compiegarle.

Dovrò intrattenerla successivamente intorno alla mia posizione. Spero che V. E. vorrà permettermi di diriggerle le mie memorie per ottenere quella giustizia che non mi è stata resa finora.

Ho l'onore di essere con rispetto etc. Fi ni) (Ito Maghella.

A Sua Eccellenza il

Sigr Conte Segretario di Stato Ministro dell'Interno.

lì B. Croce, t/tw lettera di Tito Manzi a Giustino Fortujiato, in rixorgimmto italiano, a. IV, p. 721, Torino, 1913. I

//

2) Y*. ^AscìiKZ], Necrologia di G. Fortunato ;R.Wkil, Le rapjìel en Frnucp d' A Maghella, marB-avril J8J2,in Arch.st.prov.napol.,XKXYlU., p.7:?-B<;, Napoli, liU3.


— 256 2.

Sacra Reale Maestà,

Mi presento, Sire, al vostro Real Trono sotto apparenze ben poca favorevoli. Quando

il

Ministro di V.M. potrà occuparsi di me, rileverà

agevolmente gli errori, nei quali è stato indotto sul mio conto, il

Governo Austriaco. Gravi ragioni di circostanze m'avevano, nei tempi andati, obbligato

a domandare la cittadinanza Napoletana. Vi fui ammesso con le solennità prescritte dalle leggi allora vigenti.

Cessato il Governo di cui ero divenuto suddito, sciolti i legami, che

avevo con esso contratti, riempiti infine tutti i doveri, che mi erano imposti dalla mia posizione verso il Paese in cui servivo, verso

il

Governo di S.M. il Re Ferdinando, che ritornava in Napoli, verso le Armate Alleate entrate nel Regno, il mio primo pensiero fu quello di rendermi alla mia famiglia per impetrare da V.M. l'onore di essere riconosciuto nel numero dei nuovi sudditi del vostro Ducato di Genova.

Piacque al Generale Comandante l'Armata Austriaca i

di

ricusarmi

passaporti, che avevo chiesti per Genova, e d'assoggettarmi invece

ad una misura quanto ingiusta altrettanto inutile.

Ben lontano dal profittare delle facilità, che avevo, per sottrarmene,. l'ho

sopportata invece con la tranquillità d'animo, che è propria del-

l'uomo onorato, che non ha né rimorsi, ne colpe.

Rimesso finalmente all'autorità del vostro Governo mi affretto,^ Sire, d'inviare ai piedi del Vostro Real Trono l'omaggio di sudditanza accompagnato dal franco e libero giuramento d'essere fedele ai vostri voleri, ubbidiente alle vostre leggi e zelante gli interessi della Vostra

Corona.

Lo stato mio attuale, il luogo da dove parte questa mia

dichia-

razione, potrebbero farla sospettar forse, o leggiera, o poco sincera. I

principj d' onore, che ho professati sempre, il carattere, che

non

ho smentito mai, i molti argomenti che si pf-esentano owj, garantiranno, io spero, la lealtà dell'omaggio, che supplico V. M. d'accogliere colla bontà, della quale è si

eminentemente distinta.

Sono con profondo rispetto

Firmato : Maghella.

A Sua Maestà. 3.

Dal Forte delle Fenestrelle li 26 8bre 1815. Eccellenza,

Sono stati compresi negli ordini, che riguardano la mia custodia


- 257 — III

«jin->i"

ed

il

ruiu-, il si^. Francesco Marclit-.-i ihk- compa>fnu di

\ian'^i\j,

cameriere Gio. Batta Guerrini addetto al mio servizio domestico.

Sono profondamente amareggiato, che qualche equivoco abbia poi suddetti alla stessa misura, che il Governo ha

tuto far assoggettare

creduto dover addottare verso

di

me.

Devo alla verità, ed alla giustizia, alla mia tranquillità le premure, che

Ilo

l'onore di diriggere all'È. V. in favore dei medesimi, pregan-

dola ad interessarsi perchè sia corretto l'errore. Il (li

Sig.r Francesco Marchesi stabilito in

Livorno dal 1812 all'oggetto

sollecitare personalmente l'esigenza d'un

suo credito in Napoli,

staccò in aprile pp.il suo passaporto, e giunse in Napoli, per la via di

mare, nei primi di maggio. Venne colà a visitarmi. L'antica nostra

conoscenza mi fece olTrirgli una camera in mia casa. L'accettò. Era ben poco questo per la stima e l' amicizia che professo a quest' ot-

timo e sventurato padre

di

famiglia, ben

Genova, ed in Toscana sotto un

conosciuto d'altronde in

nome onorevole.

Giunto il giorno della mia partenza per Mantova, chiesi al Sig.r Generale d'Ekat8(l) incaricato degli ordini del Generale in capo per me, di

poter condur

meco una persona di confidenza per mia compamostrato che non vi era

gnia. Il predetto signor Generale, avendomi in ciò la

menoma difficoltà, comprese tosto nel passaporto del §ig.»"

Generale in capo il nome d'un segretario e d'un domestico, senz'altra indicazione.

io

Avevo deciso di condur meco un altro, ma combinandosi di esser soggetto a frequenti incommodi d'afiezioni nervose, mi rivolsi in-

vece al sig.' .Marchesi Professore di Chirurgia e sulflcientemente istruito

anche nella Medicina. Accettò egli il mio invito e mi accompagnò.

Non mi consta che il Governo Austriaco abbia mai considerato il nella misura, che è stata presa contro di me. Non mi consta neppure che ne sia stata fatta menzione nell'atto della consig.r Marchesi

segna eseguitasi

me, per parte dell'Autorità Imperiale a quella di

V. M. Il

Guerrini mio cameriere è nella stessa categoria del signor Mar-

chesi.

Tanto il primo, quanto il secondo continuano ad essere meco volentieri,

ma si l'uno che l'altro hanno dei doveri verso le rispettive

famiglie. Il sig.r Marchesi, principalmente stimabile sotto tutti

i

rap-

porti, lasciò in Livorno la

sua con disegno di ricondurla e di stabilirsi in Genova sua patria subito dopo il di lui ritorno da Napoli. il)Sic nella copia Cavagna-Sangiuliani, ma va corretto Eckhardi.


— 258 Devo un tributo di lode all'immenso attaccamento, ed all'affezione invincibile, che quest'onest'uomo

Prego intanto la bontà sig.r Marchesi

conserva per la sua famiglia.

a voler impetrare che tanto il quanto il Guerrini possino liberamente partire a loro dell'E. V.

piacimento se mai potrà convenire,o abbisognar loro di lasciar questo soggiorno, e d'esser intanto qua considerati non

come

prigionieri,

mediante però quelle precauzioni, che per rapporto a me fossero credute necessarie a loro riguardo.

Mi lusingo che V. E. vorrà perdonare alla mia importunità, se poco conoscitore ancora della gerarchia nelle cariche di questo Regno,

mi dirigo con confidenza all'autorità deirp].V. quando invece avrei forse dovuto innoltrare ad altri le mie preghiere.

Ho l'onore intanto ecc. F^rmaio Maghella. :

A Sua Eccellenza Il S.'T Conte Lodi, Presidente e

Capo del Buon Governo (1). 4.

Dal Forte delle Fenestrelle li 6 9bre 1815. Eccellenza, Sarei un

uomo desolato se non mi trovassi finalmente sotto l'auto-

rità del Sovrano al quale

ho l'onore d'appartenere.

comandò nella scorsa primavera il Corpo Imperiale in Napoli, fu ingiusto, lo dico senza rancore, verso di me nel privarmi, anche momentaneamente, senza ra11

Sig.r Tenente

maresciallo Bianchi, che

non ho mai demeritata. Sono rimasto poi col dolore di veder lasciate in un silenzio as-

gione, e senza diritto, d'una libertà, che

soluto tutte le rimostranze, che ho nel tratto di quasi cinque mesi, dirette alle primarie autorità austriache.Devo probabilmente a questo silenzio, la

continuazione d'una misura che se mi affligge mi acquista

e mi assicura titoli maggiori a quella pubblica e pronta giustizia,

che ardentemente imploro dal Governo di Sua Maestà.

Ho passeggiata oramai quasi tutta l'Italia circondato da scorte militari. Fui

relegato in Mantova: sono ora custodito nel Forte delle Fe-

nestrelle. Non fui, né sarò

mai accompagnato dal rossore d'alcuna

colpa.

Qualunque sia stata la posizione politica in cui sono stato collocato dalle circostanze, non ho avuto per guida, che l'onoratezza, e la (1) N.B. Questa lettera

è stata passata a S, E. il Sig.r Conte Vidua mi-

nistro dell'Interno [sic nella copia Cavagna-Sangiuliani).


- à59 feilelià, ji >i.. ,y,,

t.-,-enziali,eil indivisibili del mio carattere. Sono con»

solato di lasciare dietro di singo, sempre

il

me molte

cose, che

onoieranno, mi

lu-

mio nome e la mia condotta.

Prego V. e;, di non attribuire questo linguaggio a vanità e ad orgoglio inopportuno. Ho diritto di risorgere alla mia vita civile, ed al

godimento della mia libertà: ho pure quello di difendere il mio onore maccliiato da apparenze poco fauste, sotto l'ombra della

Suprema

Autorità.

Invoco

in

S.M. il cuore di Padre, se può nella sua bontà creder-

mene degno. Provoco io stesso Tultrice sua giustizia se l'ho meritata. Ricorro alla saviezza, alla perspicacia, alla rettitudine del suo Ministero, ed a quella principalmente dell'E. V. aflìnchè le mie suppliche,

che umilio per di Lei organo ai piedi del Reale Trono, sieno esaudite. Se le imputazioni, che ho avute sono di natura a meritare un processo, eccomi pronto a subirlo ovunque. Se sono di natura ad essere

confutate e dileguate con ispiegazioni,con dilucidazioni, con ischiarimenti, eccomi disposto a dare tutti quelli, che sul

mio conto mi

saranno richiesti.

la

Ho frattanto l'onore d'inviare a V. E, un Compendio storico di tutta mia carriera politica, al quale unisco la copia d'alcuni scritti, dei

quali vi è fatta menzione, ed portafoglio. Tutto

i soli che conservo ancora nel mio mi consiglia di chiederle, che mi già permesso di

pubblicarlo colle stampe.

Questa breve e compendiosa esposizione è suscettibile d' uno sviluppo maggiore.Lascierò che il tempo v'aggionga qualche linea dippiù in

mio favore.L'alta giustizia dell'Inviato Austriaco, the fu in Napoli

ed

al Quartier Generale Napoletano nel

1814, ne potrà forse

sommi-

nistrare qualcheduna dippiù se fu, come è da presumersi, esattamente

a giorno di tutto.

Formo dei voti per essere liberato da questo duro, ed aspro soggiorno con quell'istessa sollecitudine, che praticai in Napoli, assunto che ebbi il Ministero di Polizia nel 1811, per ottenere la liberazione d'alcuni infelici Napoletani, che vi erano stati condotti

prima della

mia Amministrazione.

Ho l'onore etc. Firmato: Ma^hella.

A Sua Eccellenza Il Sig.T Conte

Vidua Segretario di Stalo Ministro dell'Interno.


— 260 — Dal Forte Fenestrelle li 22 9bre 1815. Eccellenza,

Dopo d'avere invocato la giustizia di S. M. sono ridotto al caso d'im-

^

plorare la sua umanità.

Dacché sono in questo forte, la mia salute è sensibnmente peggiorata. Attaccato da lungo tempo da affezioni nervose, ne sono ora tormentato al punto, che posso veramente dire, che non ho avuto un'ora libera senza risentirne. Vi si aggiongono da alcuni giorni dei

dolori reumatici in tutto

il

forti

corpo, e quello che m'angustia dippiù

sono i dolori veementi e spasmodici, che provo alla testa. Il

mio servitore ha già avuto tre lunghi attacchi di febbre intermomento è a letto affetto da un quarto.

mittente, ed in questo Il

mio compagno di viaggio, naturalmente cagionevole una forte costipazione di petto e che desidero non lo

big. Marchesi

di salute, ha

forzi al decubito. In questo stato di cose mi rivolgo all'È. V. pregandola di voler ottenere dalla bontà diS.M.,ch'io possa passare a mie spese in un

appartamento in Torino. Il Governo ha tutti i mezzi che crede di aver bisogno per la sicurezza della mia

Con questa lettera acaudata ha termine il fascicolo maghelliano dell'archivio Gavagna-Sangiuliani.

Chi fosse

il

Marchesi, medico e compagno di viaggio del

nostro compromesso, io non potei chiarire molto probabil:

mente agli occhi delle polizie austriaca e sarda non era l'ingenuo che il settario voleva far apparire. Altri —e perchè non potrà fare argomento di studt più il barone Livio Carranza? cui io mi accontento profondi la figura di questo Carbonaro

di portare

il

presente contributo

— e troverà modo di illumi-

nare la liberazione dal carcere del Maghella ed anche il misterioso suo medico.

Zelada di Bereguardo^ settembre 1911.

L.C.BOLLEA.


> «LjwF—wir

»

UN'ODE PATRIOTTICA DEL 1831 Nell'ArcTiivio Dal Pozzo in Monlebello,Sez.l (Carle Dal Pozzo), Misceli. V,n. 11, si

conserva il foglio a stampa coevo, donde

trassi l'edizione della presente ode.

Anonima, e senza indicazione alcuna né del luogo di stampa uè dello stampatore, propendo a crederla edita in Francia, dove

dimorava nel 1831. dopò dieci anni di esilio in Isvizzera ed Inghilterra, Ferdinando

Dal Pozzo di Castellino e San Vincenzo (1), il celebre ministro del reggente Carlo Alberto nel 18i21, Nelle sue carte— pervenute in minima parte (2; all'attuale erede conte Albertino (3) Gli ultimi

-

io trovai appunto il foglio a stampa.

due versi; « Qui la voce dell'esule

t)ardo

|

Nel so-

spiro gemendo spirò » paiono avvalorare la mia congettura.

Credo che quest'ode sia inedita — non la trovo infatti nel Tambara (4)

e, poiché

lanti si sono

difficilmente di tali generi di

stampe vo-

conservate molte copie, reputo utile fissarla in

una rivista per gli studiosi. L'ode « All'anno 1831 »,a

«

l'anno grande del grande ri-

scatto »,deve essere stata composta sulla fine del 183() da qual-

che esule italiano che viveva le fila il

in Parigi, donde si

stendevano

delle congiure itaIìaDe,che fi'davano in Luigi Filippo,

re delle barricate.

(1) L.C.BoìA.K\, Ferdinando Dal Pozzo prima del t82t ; Fertl,,„i„„„ Dal Pozzo e i moti del ^21 ; Ferdinando dal Pozzo in esilio ; Ferdinando Dal Pozto di ritorno in patria, in II liiitorg. it., Nuova serie, a. Vili,

X, pp. 321-353 XI, pp. 63-110. {2)L.C.huuuKA,Iiima.sugli di un archivio mon ferrino, '\n Hiv.di st.,

pp. 3'21-368, 627-5<;<J; a. IX, pp. ;^X»-(kì6

;

;

arte, arch. della prov. di Alejtxandria, a. XXIV, fase. 67, Alessandria, 1916. (31 Porgo

vive grazie al cortese amico don Albertino Oal Pozzo, che

tanto .signorilmente mise a mia disposizione l'archivio famigliare. (Il G.Tambaka./x^i lirica

politica nel liitionji mento italiano, iu

gtorJiijtorg. it., s. VI, vol.l, Roma, 1909.

BUA.


E un inno di attesa dei grandi avvenimenti che dovevano succedere nel nuovo anno 1831. Chi poteva conoscere in anticipo tutte queste cose, se non gli affigliati alle società liberali segrete, che nella massoneria riconoscevano la

grande madre,

da cui tutte derivavano? Il« Ministro del fato», dal quale

si

aspettavano tante cose

strabilianti e che doveva brandire la lancia di guerra e squas-

sare l'elmo piumato, era il duca Francesco IV di Modena, che

era parso alle sette un possibile campione della rivoluzione,

poiché l'ambizione sua era più grande che il suo attaccamento all'Austria. Il

Fato, che aveva scelto Francesco IV a suo ministro per l'o-

pera sublime, già

gli

profetava

le

più lusinghiere sorti, per

punto più debole: il suo nome sarebbe stato inserto nei fasti della patria nuova, « glorioso pei lauri mieAmmirato per fulgidi rai, Benedetto fra gli anni..... tuti solleticarlo nel

|

|

I

Dalla voce di tutte

le età ».

« L'Umana Ragione »,che si identificava con la massoneria,

aveva già preparato il terreno per il trionfo: « Anch'in AuFin in Russia la strada s'aprì » e con stria si aggira segreta, |

illuminava gli ottenebrati, chiamandoli a nuova suo influsso illuminatore già la Francia aveva

la sua fiaccola

vita. Sotto

il

fatto la rivoluzione del luglio 1830 e Svizzera e Belgio e Po-

lonia

si

erano messe in agitazione e già « gareggiavano di pa-

trio valore ». Tutto

il

mondo era in fiamme per il lavorio oc-

culto del Fato massonico che più tardava l'Italia? Dalle Alpi :

all'Etna

1'

«

Umana Ragione» era

corsa gigante, invitando

a * deporre la mitra »,cioè il predominio della Chiesa, ed. a cingere invece l'elmo per cacciare la bicipite aquila aul'Italia

striaca, « che

due rostri [le] figge nel seno ».I tiranni disprez-

zano come popolo imbelle gli Italiani, che nel genio fulmineo di Napoleone I ebbero il loro grande campione, davanti al quale « quei tiranni, che opprimon la terra, stavan tutti tre|

manti

».

Ma « la foriera del giorno di pace » squassa

ancora più la fiaccola della libertà e tutta l'Italia già impugna le armi per « la vorace grifagna snidar », poiché « l'anno del sacro riscatto » è spuntato sull'orizzonte.


-

263

AL L' ANNO 1831. ODE.

Magniti ab integro saeculorum na^cilur ardo. Su braniiisci la lancia di guerra,

Squassa in

front<>

quell'elmo piumato,

campo. Ministro del fato Oh quai cose si a8()ettan da te! Nel cammino che '1 tempo ti sejrna, Scenil'ni

L'iperborea nemica grifagna

Che due rostri ti fi\i^e nel seno, La cui fame non venne mai meno.

Ma col pasto si rese maggior, Ti divora, ti lania, ti sbrana.

"

Offni

passo sia ti*aQcia profonda,

Per le trenti memoria gioconda, Riniembran/a tremenda pei re. Oh! se compi quell'opra sublime Ond'il Fato Ministro t'ha fatto,

L'inno grande del grande riscatto,

U tuo nome ne' fasti sarà. Gloi'ioso per lauri mietuti. Ammirato per fulgidi rai. Benedetto fra gli anni sarai.

rua foriera l'Umana Ragione, A gran passi ricerca la meta: si

aggira segreta.

Fin in Russia la strada s'aj)h.

E scotendo l'etei'na sua face, Mentre passa ripete sovente: Sorgi, sorgi, mortale languente, 8on l'alba del nuovo tuo

lo

di.

K qua' detti, che l'eco ripete.

gran cerchio la Gallia già spazia, Ed Klvezia, Hrabante, Sarmazia,

In

Già gar«';.'f:ian di (>atrio valor; E que' delti son sodi di Noto

Neirincendio di vampe frementi; E son vampe le fervide genti. Agitate da I>alle

nuovo furor.

cime dell'Alpi nevose.

Alla vetta dell'Etna fiammante. Ella passa e ripassa j^iganle, '

All'Italia

parlando cosi

:

Cingi l'elmo, la mitra deponi, vetusta signora del mondo: Sorgi, sorgi dal Io

Vive faci d'esempi brillanti. Ti percuoton da lunge gli sguardi ; E tu torpi? che pensi.? che tardi? La fortuna seconda l'ardir. Chi ti batte con verga di ferro Al tuo duòlo schernendo sogghigna, V. ripete nell'alma maligna: Chi sei soffre sei merta soffrir.

Dalla voce di tutte l'età.

Anch'ai Austria

Né tu scuoti l'inerzia funesta? E non tronclii la gemina testa, In un moto di santo furor?

sonno profondo, son l'alba del nuovo tuo di.

Ove sono, domanda taluno, I

nipoti de' Scipi, de' Bruti?

Soli <iue'

greggi di schiavi battuti,

Rispondeniio quell'altro gli va. Non in altro che in pietre spezzate. Può mostrarci l'Italia gli eroi/ Cosi chiede, ridendo fra' suoi.

Fin quel vile, che vile

ti

fa.

Ringoiate, beffanii superbi, II

veleno che '1 labbro

vi tinse:

In quell'Uno che tutti vi vinse tigli l'Italia mostrò. Quel tremendo gigante di guerra Obliaste che nacque sua prole? I

suoi

Fu scintilla dell'Italo sole La grantt'alma che il mondo abbagliò.

La sua possa tra gli urtt nemici Fa tra' venti saldissima balta; ('orne

cedro sui rovi s'innalza,

Ei s'ergeva sul volgo dei re.

Di sua

mano nel libro de' fati,

segnava la pace e la guerra; Quei tiranni che opprimon la terra Stavan tutti tremanti al suo pie. El


264 Tramontata la viva sua luce,

sangue versaste.

Scellerati che

rialzaron dall'imo lor fondo,

Fin punendo pensiero e desio.

Come l'ombre risorgon sul mondo. Quando il sole dal mondo sparì. Ombre nere di nordica notte,

Dall'ampolla dell'ira di Dio Già quel sangue bollendo fumò. Gli esalati vapori squallenti

Sulla terra del sole addensate;

Muti muti si strinsero in nembo. Per quai teste le covi non so.

Si

Ombre nere, svanite, sgombrate. Io son l'alba del

nuovo suo di.

Almo nido dell'arti leggiadre. Vera patria d'ingegno divino.

Così dice, la face scotendo,

La foriera del giorno di pace, E agitata raddoppia la face.

Calpestato Saturnio giardino, Fia cangiata la sorte per te. ,Saran rotte le vostre catene,

Quasi conscia, l'eterno fulgor. Incalzate quell'ombre funeste Contrastando già vagan d'intorno: All'annunzio del prossimo giorno

Scuote

che in ceppi languite; che il giogo solfrite. Calcherete quel giogo col pie. fratelli

fratelli

Italia l'indegno torpor.

Inspirato mio genio, deh tuona,

Che profeta l'Eterno t'ha fatto:

Arme, grida Sabaudia guerriera, Arme, grida l'audace Liguria,

Dì che l'anno del sacro riscatto

E rinsubria, l'Emilia, l'Etruria

Per l'Italia già l'ali spiegò.

Ma se pigra l'Italia dormisse.

A que' gridi brandiscon Tacciar;

Se ponesse nell'opra ritardo

Dalla vetta dell'Etna fiammante

Qui la voce dell'esule bardo Nel sospiro gemendo spirò!

Alle cime dell'Alpi nevose, Giuran tutte le schiere animose La vorace grifagna snidar.

Dopo tante belle speranze, dopo tanti sogni radiosi, l'« esule bardo » nell'ultima strofe ramento.

«Ma se pij^^ra

si

lasciava sorprendere dallo sco-

T Italia dormisse,

|

se ponesse nel-

»,che sarebbe mai avvenuto? A tanto dolore non reggeva l'anima del poeta clie« nel sospiro gemendo spirò». E non -passavano invero molti mesi che il 1831 si rivelava essere tult' altro che « l' anno del sacro riscatto » bastò che Luigi-Filippo obliasse gli impegni assunti con « i fratelli » di l'opra ritardo

:

loggia nella sua salita al trono e denunziasse all'Austria, per propiziarsela, la congiura di Modena, perchè Francesco IV alla

sua volta si affrettasse a rivelare le trame del « re delle barricate » e nella notte dal 4 al 5 febbraio 1831 Ciro Menotti e gli altri congiurati fossero t?atti in arresto per ordine del com-

pagno di cospirazione e finissero poco dopo sulle forche ducali.

L.C. BOLLEA.


-^j-

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'»

I

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» »»

UNA LEGGENDA ATROCE IL GENERALE GABRIELE

MARIA GALATERI

e la 8ua condotta in Alessandria

NEL 1833 {Continuazione: V.vol. XI-XII,;fitóc. I,n.l7)

DOCUMENTI I><1CU

1

MENTO I.

Copia di Certificati russi ed altri tradotti in lingua francese daWoriginale,e legalizzati per la fedeltà della traduzione e verità dei

medesimi dal principe Kastofruschi (2) inviato straordinario e ministro plenipotenziario di S.M.V Imperatore di Russia presso 1,1

nnstrii Curi»

-'Il

ìi,,ir-o

1817.

Monsieui- le major Comte de Galatt*, En r(*compense de la valeur distin^uée que vous avez mòntré dans les combat» qui ont eu lieu contre les troupes francaìses,dans les quels le 22 8.br« dernier, sur la riviere de

Ems.non obstant la feu à mitraille

que fósaient les ennetnis, vous vous le'prt^mier t*lanct' à travers les flammea d* un poni embrasé poor en rompre la partie qui etait du cot«'

de rEnnemis,et vous étes demeun^ jusqu'à l'entière destruction de 1) I documenti si danno con la loro grafia, anche .'

'ri te

<ir.

se spropositata (spe-

nelle copio ilell'Archivio Galateri'^.

corr.: Kapsloffski. Cfr. infra, n. 12 di questo documento

I.


— 266 — ce pont à encourager la troupe qui etait sous vos ordres,et le 24,près (le la petite ville

d'Etingen,vous vous étes conduit très vaillainment,et

avez 6ié blessé d' une balle à la téte, je vous fais Chevalier de l'ordre de S.t Wladimir de la 4meclasse,eten vous en envoyantle signe,.je vous ordonne de vous rappliquer,et de l'apporter à la boutonnière avec

une rosette,conformément au Reglement,étant persuade que cela vous servirà d'enpouragement à continuer d'autant plus longtemps de servir avec zéle. .Te

demeur votre aftectionné {Sigile) l'Empéreur Alexandre

(Contresigné) Le Ministre le Prince Vrosorovoski

St.Petersbourg,le 12 janvier 1806. N.2.

Attestai.

Le Lieutenant Colonel de la suite de SlM.Imperiale de toutes les Russies,<:!omte de Galaté, ayant été au nombre des troupes de débarquement sur l'cscadre que.je commande, le 8 mars 1807 a été présent au combat contre les Turcs dans l'Ile de Ténédos où il a montré son courage,et aidé avec ses Justes rémarques sur le position énnemie,et avec les sages conseil.Après cela, il a été présent sur le vaisseau Silnoy au

combat de mer de nòtre Escadre contre celle des Turcs,le 10 Mai près des Dardanelles,etle 19Juin près Montesanto,où il a montré également son courage et sa bravure, se conduisant toujours noblement et d'une manière analogue à son inérite;en temoignage de quoi je lui donne ce certifìcat avec ma signature,et y apposant mon chachet.

Vaisseau Toverdoi, près de l'Ile Ténédos le 5 Juillet 1807. Vice Amirai de S.M.lmpériale de

mon Auguste Empéreur du

Pavillon Rouge, Commandant

Escadre de l'Archypel des

l'

mers Adriatiques et Mediterranée, et des troupes des terre dans l'Albanie Russe etdans les ìles de la République Jonienne, Chevalier de l'Ordre et du S*. Martyr et Guerrier George de la 4me Classe et du S*. Apòtre Prince Vladimir de laé^e Classe et de Ste Anne de la 2nQe Classe.

Seniavin.

N.3.'

(Lettre de l'Empéreur).

Au Comte de Galaté Lieutenant-Colonel de nòtre suite dans la partie de l'tltat Major de l'Armée.

La valeur distinguée que vous avez montré et les belles actions que vous avez faites dans le combat livré à l'Escadre turque le 19 Juin de


— in.>

quel vous trouvant «i bord du vaisseau Le Fort(Siluus avez étt' pendant tout le temp du combat sur le tielac,ave/ fiiiire.tiaiis le

.

.

lliSl

.\

observé la man<KUvre de l'Escadre eDnemle,et excité et soutenu l'ai-

deur de l'équipage par l'exemple de vòtre bravure et de vòtre pr<?sence d*e8prit,attirent sur elles nutre attention et nos graces;pour preu-

ve des quelle», nous vous avons nommé Chevaller de la 4°»» Classe de

rOrdre Militaire de l'illustre Martyr et Trionphateur S». George, dont nous joignons ici nos marques et nous ordonnonsde vous en rr^vfHir et de les porter en vous conformant aux Status. I>u reste,nous sommes assurés que rt'cevant un honiu-iu >i (usuiiltui', \MUS vous efforcerez encore à l'avenir de vous rendre digne de nòtre Bienvieillance encore plus speciale,en continuant de servir avec zèle.

Donne a St.Petersbourg,le 23 settembre 1807. (Signé) L'Empéreur Alexandre (L.S.).

(et plus bas) L'Amirail Omhakoff.

Aflestat.

Le Lieutenant-Colonel dans TÉtat Major gént'ral à la suite de S.M.lmperiale,le Comte De Galaté, depuis le 5 Mai Jusqu'à la date du présent,

ce temp qu'il a étt' aupres du corps queje commande,il

p«"

«

'US les ordres

'

qu'on lui a donne de la manière la plus di-

8tinguée,et avec un zéle etempressementexemplaire,en mòntrantdans "il

-ions ses infaticables soins.À cause de son experience il lui

»

le

'

commandement de l'Avant-garde du corp,et il a rerapli

e service à ma parfaite satisfation.C'estpour cela queje lui donne cet da ma niain,et avec mon chachet.

*

!!•''

Verkaus,le 3 Juin 1808. I.ieut.t General

de S.M. TEmpéreur mon Auguste Maitre,Chef da

3m«'R«''jfiment de Cliasseui-s et commandant d'un Cor{)s d'Arm<>e,C"lK'v. (le S**. Anne de la premiere Classe, de St.George de la 3n»e ciasse,et du S«.Apòtre Wladimir de la 2««»« Classe, de la taande Croix,et Chev.de l'Ordre de Frusse de l'Aigle Rouge

Barclay de Tollv n..s.).

TraducHon du Uapport du L'

'

ral Eiseu en date 'J2 r^ro 1»1ri.

i.c l'j .Mi»ieinbre,au matin,r«^nneml avaitaiiit.jn.- avec .supt'nuriti' df

rces l'avant-garde I

1

fs de

que commandait le Gi'ncral-Major VelliemlnotT TAuberge de Garocen, oii aboutissent quattres differente!*


— <ìm — routes celles du Ha\vs(iiie,(ie Mito w, de I'eteriioll,et(rKcau. Le General :

Wellieminoflf avait l'ordre d'observer ce qui c'y passait.

L'Ennemi commencaparattaquernosprémierspiquets,placésàtrois werstes de l'Auberge de Garocenne, sur le chemindeBawsque. Mais le

2meRégiment de Cosaques du Major Céliwanoff,et un Escadron d'Hussards de Grodno,le culbuttérent complettement,et le chasserent à deux

werstes de là.

Dans cetattaque on flt5prisonniers,etplusieurs hommesfurenttués, I/Ennemi commenca à cannonner nutre flanc droit. Le Comte Galaté, Colonel de l' Ètat Maj or, qui se trouva à cette avant-garde, j ugea cet atta-

que faus, assurant que l'ennemi etait intentionné d'en faire un véritable surnòtre fianc gauche pourtacherde couper nòtre avant-garde par la prise du chemin d'Écau.

La vérité de cette assertion ne tarda pas à se manifester. L'ennemi se porta avec toutes ses forces sur nòtre liane gauche; il se mit ensuite à traverser à gué une rivière qui se trouvait sur son passage,pour

se rendre maitre du chemin d*Écau.

Le Général-Major Wellieminoff chargea le Comte Galaté du soin de defendre ce

liane. Les

deux premières tentatives fùrent bientòt ré-

poussées par les tirailleurs du Régiment de Lithuanie,etpar les Cosa-

ques que commandait de Liout.t-Colonel Lascheline. L'ennemi se renlorcant continuellement,passa enfln la troisieme fois la rivière à gué, 11

se disposali dejà à s'etìparerdu chemin d'Écau,mais nòtre artillerie

commandée par le Lieut.tGerbel, les Cosaques par le L.t-Col. Lascheline,et un bataillon du Régiment de Ne\vski,envoyé à l'appui de ce liane, le chasserent du chemin,et le répoussérent au delà de cette rivière lei l'on

fitprisonnier un Officier superieur et quelques soldats.Cet ef-

fort de r ennemi contre le liane en question obligea le Général-Major

Wellieminoff de le renforcer de deux corhpagnies du Régiment de Pe-

pour la quatrième fois l'ennemi passa la rivière, et fùt de nouveau culbuté et chassés.Ensuite on renforca encore ce flanc de deux

troff. Mais

compagnies du Régiment Petroff.Vers le soir le feu commeneait à diminuer,mais enfln il s'ouvrit de nouveau bien au dessus de la riviére,que l'ennemi passa avec un plus grand nombre de troupe.Les bataillons de

Ne\vski,commandés par le Colonel Seheltin,etcelui de Petroff,que com-

mandait le Lieut.t-Colonel Cousmine,fondirent sur les colonnes de l'ennemi, et après un feu qui dura jusqu'à la nuit,ils parvinrent à chasser

encore l'ennemi -au delà de la rivière. Nos troupes gardèrent leur pre-

mière position sans avoir cède un pouce de terrain.Le combat dura

douze heures presque sans discontinuer.

Au dire des prisonniers, l'ennemi avait au commencementde l'affaire


- 269 — cinq piéces d'artillerie volaDte,quatre EdcadroDs complets de Cavallerie, et cinq

Bataillons complets. Vers le soir il récùt encore un renfort

considerable,et cependant,raal}fré la superiorità d'un nombre doublé, il

fut obbliga de eéder à la bravure de nos troupes.L'ennemi eut deux

pièces démont^es,et un gran nombre de tués et bléssés.Nótre perte en

un combat si long et opiniàtre n'est pas considerable.Nos troupes (1rent preuve d'une intrépidité sans exemple,en repoussant cinq fois les

attaques de l'ennemi sur nòtre flanc gauche. Le General WellieminofT

rend complétement justice au Colonel Comte Galaté,en lui attribuant

reccomande de méme particuliérement ceux qui s'y distinguerent le plus,savoir les Colonels Tomehierai-

tout le mt'ritè de cette aflFaire;il

noffet Scheltin,le Lieut.t d'artillerie Gerbel.le Lieut.t-Colonel Cousmine,le Capit.»» du Régiment de Minsk, Kopuiloff, et en general tous les Officiers qui se trouverent à ce combatte Lieut.t General Essen termi-

ne 8on rapport en observant que la sortie de Riga du Corp commandé

par le Comte Steingel, et ces combats livrés,où la perte de l'ennemi à surpassé la nòtre,ont eut pour résultat d'obliger les troupes de Macdonald à s'éloigner de leur premiere position. Par là le Corp du Comte

Wittgenstein oblient une grande facilité pour ses mouvement8,qui seronts secondés par le Comte Steingel.

(Pour traduction conforme au texte Russe qui est rapportè me-

me sur une feuille Russe qui tient le General Galateri). ("S'irne) .Michel de

Polétika.

Conseiller d'état actuel de S.M. l'Empereur de Russie, et Chevalier de l'Ordre de S.t« Anne de 1" Classe. Niì.

Attestai.

Monsieur le Comte De Galateri Général-Major et Chevalier de plu«ieurs Ordres,lor»qu'il était encore Colonel à la suite de S.M. l'Empereur, dans la partie de l'État Major General, il fut destine de faire les

fonction» de General QuartierMaitre au mois de 9n>bre I812 près du

corps que je commandais, où

l'avant-garde du corps

détaché du

Gént'ralLieut.* L<^viH lui a éi6 confiée,composóe de 1000 hommes de Cavallerie, 1000 d'Infanterie, et les piòces de canons, atee les quelle» 11 poursuivit l'ennemi souslecommandement du Maréchal Macdonald, où 11 tìt 300 prisonniers et enleva les charriots d'equipages.SoJt dans

cette circonstance,

que pendant tout le temps qu'il était sous mes

ordres.le Comte de Galat<' par sa conduite distinguée contre l'ennemi dan.<?

les

combats a ét«« fait General-Major et il a montre une grande

intelligence dans les dispositions.

Quant nos troupes sontparties de la frontière, M. le Comte de OaUtt}


— 270 — «•>!

passe' sous le Comm.t du General

de Cavalleiie Conile de Wittgen-

stein. Fourconstaterses Services, je lui ai donne le présent signé de

ma

main,et j'y ai fait apposer le cachet de mes armes. St.Petersbourg,le 2 l^r^^ ]h\ì. (L.S.).

De S.M l'Empéreur mon ill.Souverain son Général-Adiutant Lieut.tGc'néral,Comniandant en chef des troupes,Rt'gent la partie civile de la Livonie et de la Courlande,et Chevalier des Ordres

de Alexandre Newsky et de S.te Anne Ire Classe, de S*. Wladimir 2ine Classe, de S*. George 3™e Classe et Militaire de $t. Maurice

et de St.Lazare de Sardaigne

Marquis Paolucci.

N.7.

Attestat.

donne cet attestat au Généràl-Major et Chevalier Comte de Galaté, qui etait Colonel dans l'année 1812, et près de moi dans le temps .l'ai

que je commandais un Corps d'Armée, et dans les affaires contre Tennemi dans la Livonie et la Courlande, le 14 7'»^re près de TÉglise de Dalenne,le 15 près Écau,16près ÉzodéneetZaudoli,dansla ville de Bawski,17 près la Douane et près Ronudol,18 prèsTzewalen et Annebourg,

19 près Garosen etPeterdorff, et dans la Russie blanche,dans B^re 7 et

8 pres la Rivière Ouschacet, aux environs de Polotsck, et il a eut dans les affaires militaires de Courlande des commissions particullères,les

quelles il a remplis comme il appartient à un courageux et intelligent olflcier.

Pour attester cela,je lui ai donno le présent Certiflcat,en ayant appose le Sceau de mes Armes,et Signé de ma main. Abo, le24 8brel814. (L.S.;.

De mon Auguste Empéreur Lieutt.-Général,Commandant les troupes de Finlande,et Chevalier des Ordres de St.Alexandre, et de S*.

George 3me classe, de St.Wladimir 2me classe, de Ste. Anne

Ire Classe, et de l'Epée d'Or

Rouge de Prusse

enrichie de Brillant,et de la Croix

Comte Steingel.

N.8.

Dèclaratioìi

donnée au Général-Major et Chevalier Comte de Galaté,de ce que lui par la réunion du Corps du General-Lieut*. et Chevalier Comte Steingel avec les troupes qui étaientdans ladernière

campagne près de la

ville de Riga, s' est trouvé le 15,16,17,18,19 septembre de l'année 1812 dans r avant-garde sous mon commandement,étant pour lors encore

Colonel,et dans la continuation de cette méme expedition de cinq jours.


i>71

-

son intrèpide bravoure pèrsonelle, mais avec ses très utile pour repousser rennemi,et particuliére-

inent le 19 près de 6arozen;sur quoi je lui rend toute la justice qu'il m«'ritt%et pour cette affaire le Comte De Calate «^tait sur la relation du 19 7mbre^et pour cela je lui ai donne la présente déclaration,à la quelle j'ai appose le cachet de

mes Arme8,et signé de ma main.

St.petersbourg,le 30 8bre 1814.

De mon Auguste KmpéreurGeneral-Lieut.tà la suite de l'Armée, et Chevaliers de plusicins ndics \\'<M!ieminoff (

\

'.'

Attestai Miii ^^n^^M^lll «ifiicr.ii \'iieirtÌer-MaÌll-f (ifs .'vniics ,icti\es dt* >..\i.hlii-

periale TEmpereur de Russie certitìe par cet Attestat que le GeneralMajor Comte De Galaté,ayant servi pendant la campagne de l'annt^e 1812 comme Colonel Quartier-Maitre dans l'Ètat Major de S.M. Imperiale, s' est trouvé

comme tei à la poursuite du 2™© et 3™« Corps de la

^'rande Arm«^e francaise depuis Holotzk jusqu'aux environs de Czaszniki dans plusieurs affaires,mais surtout

dans l'affaire que le Genegagna près dfe ce dernier endroit,et près du \ illage de Sucaleine,sur ces Corps ennemis des Maréchaux Victor et Oural Comte Wittgenstein

<Imot le 19|31 8breet le 2|14 Qmbre 1812; il s'est toujours conduit de la

maniere le plus distinguée,tànt par son courage brillant que par ses conri.ii-^ances.

A\ uni t>t(.5 commande* au Corp.s de tronpes qui

m truuvaieut à

Rij,'u,

un lui confia le commandement de la Cavallerie de l'avant-garde du lal Lévis. Ayant

poursuivi les Corps ennemis sous les

chal Macdonaid,et leur ayant emporté des prisonniers,

de l'equipage et des magasins le 14 Yjnhn I812,le Comte Galaté se joint avec cef te Cavallerie au detàxihement qui se trouva alors sous mes or•

tnitnlà à couper les comunications des Cofps l'russiens avec Maréchal Macdonald.Après la Convention concine avec le Lieut.*-Gé-

Ires, et

le

n<''ral

.Iork,le Comte Galaté

commanda toujours mon avantgarde, et

poursuivant les restes du Corps de Macdonahl jusqu'à K<»nigsberg avec sun courage,et savoir faire connu,il eut plusieurs affaires d'avant-gar-

de dans les quels il flt quelque centaine de prisonniers. Prt^t il'entrer Hvec .««es cosaques le prt^mier à K(>nigsberg,en Prusse,il tìt une mallieuleuse chùte aVec son cheval,qui in*iva l'Armée pendant deu\ >ervice de cet Officier distingui^.

En verta de quoi,donn(1 au Quartier General de Varaovle,le 1; 1814.


— ^272 — Lieut.t General des Armées de S.M.I.l'Empéreur de Russie,Clief de la 6me Division d'Infanterie,Q.«r Maitre Generai des Armées Ac-

tives,et Che valier d es Ordres de S*. Alexandre de Newski et de St

George S^e classe, de St.Wladimir Grande Groix 2meciasse,de Ste.Anne lreciasse,de l'Epée d'Or ornée de Diamants,avec l'inscription pour la bravoure,de la petite Groix de Marie Thérèse,et Commandeur de celui de Léopold d'Autriche,et Chevalier '

des Ordres de Prusse de l'Aigle Rouge 2me Classe, et pour le

Mérite

Le Baron Diebitz.

N.IO. Atteslat.

Cet attestat est donne au General-Major Comte De Calate, de ce que lui se tiouvant à l'État Major general dans la partie des Quartiers-Mai-

tres, corame Colonel,au temp de l'armistice de l'année passée de 1813,

au moi de Juin, a été commandé pour le Corps du General de Cavallerie Baron Wintzengerod,au quel il se presenta dans la

méme temps à

la ville de Lissa(?),et au commencement des operations militaires.

Au mois d'Aoùt de la méme année il lui a été contìé un Corps volant compose d'un Régiment de Basku et de trois de Cosaques du Don,avec les quels dans le temps de la vigoureuse attaque qui eut iieu le 10|22 Aoùt parie Maréchal Oudinotcontre le Prince Royal de Suède près de Grooss-Beeren,avec son habilité a beauooup aidé,empecliant un Corps ennemi à passer un deffllé sous Grooss-Beeren,composé d'un grand Corps ennemi avec son artillerie de cette manière non seulement il a fait beaucoup de mal à l' ennemi, mais il a empeché au Maréchal Oudinot .

:

d'eflfectuer son pian d'attaque contre notre flanc droit; et ensuite le 13|

25 du méme niois,il a eut un chaud et long combat avec une colonne

deux fois plus forte que la sienne,pour renforcer la quelle sontarrivé un Régiment de Cavallerie Westphalienne et de rartillerie,de sorte,qu'après deux vigoureuses attaques de rennemi,quoique son Corps ait été obligé de se réplier,par une troisieme attaque de son coté il lui reussit de les renverser,ayant tue beaucoup de monde,et fait prisonnier un Officier et 30 Westphaliens. En dernier Iieu il poursuivit ce dernier le

15|27 après une chaude escarmouche avec l'ennemi près du village de

Lino, ou le General Prussieo Worbeser le sécourut. Le Comte Calate

chassa l'ennemi de sa position et du bois, où il prit beaucoups prisonniers,eten tua beaucoups sur la place.Ensuite son détachementse réuuit à celui du Général-Lieutenent Comte •Orourk,et le Comte De Calate lui

méme recùt ordre de se présenter au Quartier general du General

de Cavallerie Baron de Vintzengerode, et il se trouva présent à la bataille de Dennevitz.À l'avancement au rang de General-Major dans le


I

273

-

<;ombat sous Leip/jg,il commandaìt une Hrigade de Dragons et une Com

pagaie d'artillerie à cheval,à la quelle se Joignirent liuit pièces de c*

nons prussiens. Dans l'affaire du 6 81^»"» il est alle avec son artillerie à rattaque,la nuit,à la portée de la mitraille,et se battit contre l'artillerie de rennemi,deux fois plus forte que la sienne,lui

tìt

quittersa pla-

ce,efquand rennemi dans cette occasion lui mit contre une artillerie plus forte encore,alors le Corate De Galaté choisit une positión plus fa-

vorable,etrési8titdepuis deuxheures après Midi jusqu'à la nuit,etquoi-

que il perdit beaucoup,la perte de l'ennerai a été plus considerable.

À la fln de Novembre le Corate de Galaté a été coraandé,se trouvant à la ville de Bremen,au Corp du GénéralAdjutant Corate Strogonoff,qui bloquait dans ce temp la ville de Hamburg, où il apris le comraanderaent de la Cavallerie et de toue les avant-poste, et où il est reste jusqu'à la fin de .lanvier 1814. Et de là il arriva au Corps du General de Cavallerie Haron de Vintzengerode,en Franee,et ensuite il s'esttrouvé à la prise de Reiras et de Soissons,et aux deux batailles près de Laon, et il

se trouva partout avec les flanqueurs.

À la bataille de St. Didier, où toute la force de l'ennerai, sous le coraraanderaent de Bonaparte lui raérae.s'estjétté (sicjsurle Corps du General Vitzengerode, qui fut obligè de se rétirer,le Corate de Galaté a

beaucoup coop(^r<^ «lans cotte rare rétraite et il a maintenu le bon ordre dans le Corp

Moi etant le cIum uc

i

hiai Major giMUM-al de ut; (^uipj^Jai vu par raoi

méme toutes les' actions railitaires du Corate Galaté, et je certitìe que dans toute» les affaires cydessus spécitìés de cette memorable guerre il

s'pst

toujours raontré brave,actif et prevoyant. St.Petersbourg,le 25 Xbre i814. (L.S.).

De S.M. Imperiale mon Auguste Enipéreur,de la Suite de S.M.dans rÉtat-Major generarle General-Major etChevalier de S*.Geor.

gè 3«neClasse, SteAnne Ire Classe, et St.Wladirair 2me Classe, et la. Grand Croix do l'russe pour le Ménte, et CorìimimdfMir de rftpée Suedoise

Renni.

N.ll.

Declaration. .l'atteste par le présente que Mf.le Général-Major et Chevalier Cora-

te De Galaté a commandé la Cavallerie etses avant-poste du Corp qui

bloc de la fortéresse de Hambourg,et que à l'affaire de8 Janvier 1814, ensuite de la quelle rennemi fut obligé d'évacuerle

lui était conile au

viUage qui entoure la fortéresse, il coramandait l'aile gauche avec cette activit*' et bravoiire qui le distinguenf.enlcvantttvec des forces tré»


^274

inférieuresà celles de l'enneini les eadroits fortitiés de Ma^rbourg et

Lauenbourg,où il s'est maintenu malgré tous les eflforts employés par Fennemi, supt'rieur au nombre,pour lui faire abbandoner ces villages.

En foi de quoije lui ai dc^livré lapn'sente, munie de ma signature, et avec appositions des Chachets de mes Armes. St.Petersbourg,19 Janvier 1815. (L.S.;.

De mon Magnanime. Empéreur son Lieutenent General Cliambellan, Actuel Chef de la 2'»e'(jivision des Gardes Impériales,

Commandant le Régiment des Grénadiers de la Garde,et Chevalier des Ordres de St.Alexandre Newki et de S^George 2me Classe, St. Wladimir 2me Classe, Ste. Anne 'e Classe, enrichie de 1

brillants,Commandeur de l'Ordre de St.Jean de Jerusalem,€hevalier de V Épée d'Or gamie de brillants avec l' inscription à la Valeur

Strogonoff'

N.12. Certificai.

Donne a Monsieur le General-Major congédié Comte De Galaté,en ce qu'il à été promu au grade de Général-Major,d'après la raccomanda-

tion faite,en égard de la manière distinguée dont il a servi dans les

uombatsqui onteulieu aumois décembre 1812etparticulierementpour la promptitude avec la quelle il a réuni son détachement au mien, ce qui a beaucoup contribué-au couper les Communications entre le Corps Prussien du General Jork et le Corp francais du Marèchal Macdonald,

de manière que l'ancienneté de Monsieur le Comte De Galaté pour le

rang de Géhéral-Major doit étre date du 13 Xbre 1812. En assurance de quoi,est donne le présent Certilìcat, avec ma Signature et le Scéau de

mes Armes. Mohilen sur le Nieper,ce 5 Juin 1816. (L.S.).

Le Lieutt.-Général des Armées de S. M. Imperiale, nion Auguste Maitre,Chef de l'État Major de la K© Armée, Chevalier des Ordres de Russie d'Alex^indre Newski orné de dfamants, et de S*.

Wladimir de 2meciasse,de St.George de 3«ieciasse,de l'Épée

d'Honneur enrichie de diamants, des Ordres d'Autrichede Marie Thérèse de 3™^ classe, et Commandeur de Léopold, des Ordres de Prusse de l'Aigle Rouge de Ire Classe et de la Croix

du Mérite

Baron Diebitz

Legalizzazione - (Copia) di S.E.il Principe Kaploffshi Ambasciatore a Toririo. Nous Envoyé Extraordinaire et Ministre Plénipotentiaire de S. M. r Empéreur de toutes le Russie, ayant fait collactionner les présentes


traiiuctious av«'clesOnginaux,ainsi que la traduction parfaitement au-

teniique et exacle,nous les avons certifias,comme nous lescertiiions,

par les pr^sentes, les ayant munis de nòtre Signature, et x ayant fait

apposer le Chachet de nos Armes. Fait à Turin,ce 8|20 Mars 1817. .

(Sig^né) le Prince Kapsloffski Pierre.

Documento II. NI. Lettere di generali nissi al Galateri. l'upie d'une lettre autographe dtu

General B^.Diebilt Quartier-Mai-

Ire General des Armèes Russes à S.E.le Comte Galaiè.

Mon cher Comte, .le

suis enchanté de vous savoir près de moi,et j' espère méme

que

nous pourrons bientòt nous joindre tout à fait,d'autant plus que le Corps General Lévis doit se joindre à celui de Wittgauffein. \ cause que vous,Monsieur le Comte,étes tout aussi attaché a la bon-

(hi

ne cause que moi,.je crois vous devoir encore répéter ici qu'il me sérait absolument nécessaire que vous,avec vùtre avant garde,ainsi que tout le Corps du General Lévis, suiviez la direction la plus droite sur Vihitt pour porter les derniers

coups à Macdonald,d'autant plus que

de Camp Koutaugotf (sic) et de Wlastoff est faible,etque les Corps de Wittgenstein etSteingel sont encore/ assèz éloile Corps de Gén.i Aide

gnés. Memel n'a qu'une faible garnison,et est prét à se rendre à nous,

mais je n'ai pas voulu l'occuper itonr emjiloyor tout ce '|ue,i*ai contre Ifts

forces de l'ennemi.

.le

crois pourtant qu'on pourrait euvoyei- de vous un paiti

lort, compose de Cosaques,et quelque infanterie, avec

un peu

un ouìcier d'in-

telligence etsurtoutde probité pour ménager les habitants,qui sontde-

jà prévenus par moi de l'arrivée prochaine de nos troupes..Ie vous explique mes idées là-dessu.s,'mon ciier ComTp.c^tant persn;id<< quo vous les partagérez au

moin en grande pan

Si voli- l'tes a mt^me d'en parler au(ìt'inrai Lovisjo crois que ceia ne

MMais j.as inauvais.

Adieu.mon clier Ctmìte, j'espére vous voire bientòt à jamais. \Vorny,13Xbrei813. Vnfro tros liùmhle et oheissnnt serviteur

Hiofu'

f'omtp Galaiè.

Monsieur le Comte, -.

I

.iiiicmi

ne vous porsuivit I- 1- -••n-./

i..

.,,.>


— 276 — de vòtre Cavallerie- par Baldon vers Nelgat au soutien du Colonel Cikeirn,qui attaque Tennemisur ce point.Je vous rémercie pourlabonne noiivelle que vous me donnez. Qìie Dieu vous donne bonheurJ'ai l'honneur d'étre avec la conside-

ration la plus distingée Monsieur le Comte

6Xbf 1812 Vòtre tres humble et ass.* Serviteur

De Welliaminofif.

N.3.

Copie d'une autre lettre autographe du GénJ Russe DeWelliaminoff. Je vous prie,Monsieur le Comté,venez le plus vite possible,avec tout

•cequè vous pouvez de Cavallerie, en laissanttout car nous allons étre

coupós du grand cliémin de Mittau.

Le combat est eommencé;révénez le plus vite possible.

Le26 9mbre]812. .

Votre trés humble Servit.r

De Welliaminoff.

N.4.

Copie d'une lettre autographe du General comniandant les Corps ser-

vants en Russie Suchtelen (Lorsqu'il ècrlvit celie lettre, il avait etait envoyé ambassadeur en Suede).

Au Comte Galaté: Monsieur le Comte, Les postes de Russie ayant été arretées pendant fort long-temps aux Iles d'Aland,je n'ai eu

que depuis peu de jours le plaisir de récévoir

vòtre obligeante lettre du 26 Xbredernìer,et je m'empresse de vous re-

mercier,Monsieur le Comte,des sentiments dont vous m'avez renouvéle l'assurance.

Attachant inflniment de prix a ceux-ci et à la conflance que vous avez

eue en moi, rien ne me séraii plus agréable, que l'occasion de vous obliger en faisant bonneur à vòtre recomandation en faveur de votre

Aide de Camp M^.de Tiempson,mais avant que je puisse faire quelque

démarche à l'effet d'obtenir pour cet Offlcier la Croix du Chevalier de rOrdre de l'Épée, il est de nécessité que je sàche quel grade a Mr.de Tiempson,puisque cette Croix on ne l'accorde pas aux Offlciers qui n' ont point encore le grade de Capitaine. Je vous prie en conséquencede me donner des éclaircissiments à ce

sujet,en me faisant savoir en méme temps si Monsieur de Tiempson,

au cas qu'il ne fùt pas encore Capitaine,se contenterait de la Medaille •d'Officier.

Quoique il en puisse étre, et quelque tardive qu'elle soit la récom-


— 277 mandatlon deVòtre Excellenceje suis trop persuade qu'elle est le prix. du vrai mérite,et je m'employéraitavec plaisir à faire valoirses dmits à Monsieur de Tiempson. (^uelque naturelle qu'elle soit larésolution que Vòtre Excellence a prise de retourner dans son paysje ne saurais m'empécher de réjrretter que notre service séra privt^ d'un Officier de la plus grande distinction.Cette idt^e de devoir rénoncer peut-étre pour jamais au plaisir de

révoir un ami, m'alllige veritablement.

l*ermettez-moi,mon cher Comte, d'espérer que vous me conserverez partout un souvenir d'amitié;persuadez-vous que.j'en férais autant,et

récévezje vous prie, les assurances de la consideration la plus distinguée,avec la quelle j'ai l'honneur d'ètre,de Vòtre Excellence Stockolm,le 10 mars 1815.

Le trés luimble et obeissant serviteur

Suchtelen

N.ó.

Altre lettere,in numero di dodici, ho trovate originali nelle carte che r ottimo mio signor Generale mi trasmise con permissione di trascri-

vermele, degli Ec.™« P.Principe Walckouski,del Re di Svezia,G.Diebitz,. Mauvillier, Lord Grey,Tanenzein,Paolucci,etc.etc., comprovanti in ge-

nerale l'eroica sua militare condotta, ed il conto che i suoi Superiora ne facevano in campagna,le quali tralasciai per brevità,essendo già ogni cosa comprovata dai magnifici Attestati in questo trascritti.

Furonmi pure rimesse altre copie sue di carte,piani di battaglia, metiiurie, indirizzi

a S.M. l'Imperatore di tutte le Russie, per conservarle

presso di me in segno, di sua piena soddisfazione dei piccoli miei servizi prestati nella mia qualità di Aiutante di Campo,e queste pure ge-

losissimamente conserverò per segno alla mia famiglia dell'alta distin^^ zione e confidenza della quale vommi onorato da si eccelso personaggio quale si è l'Ecc.™» mio sig.Generale Conte Gabriele Galateri. (

>s.servazioni dello scrittore ed Aiut. di Campo

Luog.t« Saracco

I

'^1(1 to

"OCUMENTP in.

delle (a/npa^'/ie. Feritele Ricompense, nonché dei Servizii pre'

stati tanto nello stalo,quanlo all' Estero,da S.Eccellensa il CJ' Oai"feri,Ispett.'-«

GenMdi FantMe Ca».<« (Archivio Galateri). 'Servixii militari.

Kntrato al Servizio di S.M. in qualità di Cadetto nel Reg.to Dragoni. ii.mbre 177(J,

Proposto al grado di Cornetta Sovrannumerario il 3i A^.^to r.'.x.


— 278 — con R.e Patenti C.teChiavarina.A Cornetta a M. paga 22 Maggio 1781.8.»; ("occonito.

Cornetta EHeUivo ~! Agu.^lu ITHl.S'Cuccoiulu.

Cornetta Colonnella 10 Maggio 1784.

Luogotenente il 24 Maggio 1785. Capitano-Tenente 8 Febbraio 1794.

Maggiore il 7 Settore 1799.S» di S.tAndré. Entrato al servizio di S.M.rimperaiore di tutte le Ru.ssie nel 1799 in qualità di Capitano, quantunque avesse ottenuto da S.M.il grado di Maggiore, che per delicatezza non fece valere, per essere la Commissione di data posteriore a quella di cui fu preso il servizio russo.

Promosso poi al gracfo di Maggiore per ricompensa dopo la Campagna della Svizzera nello stesso anno 1799. Luogotenente Colonnello per ricompensa li 30 Giugno 1806. Colonnello per anzianità li 20 9bre I8IO.

Generale-Maggiore per ricompensa il 13 Dicembre 1812 come risulta dairattestato del Tenente Generale B.oeijiebitz.

Capo dello Stato Maggiore delle Armate esistenti alla R.ì» Segreteria non datava che dal 15 Settembre

di Guerra sebbene la di lui nomina

.1813.

Rientrato al servizio di S.M.in aspettativa al grado di Maggiore Generale con Patenti 12 8bre 1816, con riserva di flssarle (sic) l' anzianità.

Maggior Generale in Attività al Comando della Divisione di Nizza il 20 Maggio 1817.

Nominato Governatore della Divisione di Cuneo con Patente 14 l^^e 1822.

Destinato a Governatore di quella di Alessandria, con disposizioni Ministeriali 17 Maggio 1824.

Promosso a Luogotenente Generale di Cavalleria il 30 Giugno, 1830. Generale di Cavalleria di propria bocca di S.M. passando per Alessandria li 6 X^ra 1832. Ispettore Generale delle Regie Truppe di Fanteria e Cavalleria li 7

Marzo 1838.

Campagne al servizio di S.M. Campagne del 1793-94-95 fino alla pace del 1796 contro i Francesi. Campagna di Verona nel 1799 con i Francesi,di pochi mesi.

Campagne al servizio di Russia. Campagna del 1799 in Italia e Svizzera contro i Francesi. Campagna del 1807 in AUemagna contro i Francesi.


~ 279 — uinpagna dei 1807 per mare e per terra conti»,

<

i

Tiii(!lii.

S.B.Una campagna di mare vale per dite i^na del 1808 contro i Svedesi.

I

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iiiiì iiiTiu'

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181213 e 14 contro i Francesi. Ferite.

In colpo di Moschetto al capo airaflTare d'Ettingen. [•ne contusioni,una al capo,e l'altra alla coscia sinistrala prima alli

itfairUa di Leipzi>r,e la seconda in Francia.

!

III

I

lislocazione alla spalla destra,per una caduta fatta col cavallo

inseguendo di nottetempo il nemico presso Kònisberg.

Ricompense militari. l.N"500 Ducati d'Ólanda,accordatigli da S.M.l'Imperatore di Russia. •?/{)i \

un*)Annua pensione di 1500Rubli,perduta colla partenza dal ser-

izio russo.

a.Croce dei S.t> Maurizio e Lazzaro. 4.Croce di S.^Wladimir di 4t«riassso.

ò.Rango di Maggiore.

6.Rango di Luogotenente Colonello. "^.Croce di S.^Giorgio 4** Classe.

8.Croce di Malta.

9,Promozione al grado di Maggior Generale 13 X^re 18I2 (coll'annotasione prec.** fatta). lO.Croce di S.t'Anna di 2*Cla«se. ll.Croce di S.n\viadimir di 3»Cla«se.

12.Croce di Svezia delle Due Spa<le.

IS.Commendatore di S.oLeopoldo d'Austria. la in Oro guarnita di Diamanti coU'iscrizione al Valore. •

ne di S.t'Anna.

16.Medaglia di Russia per la Campagna 1812. 17.M

Ita in Parigi delle Armate Imperiali nel 1814.

l^^l

11

lui ritratto nella GalUMia doi « GUirieux Souvp.

Mira » dell'Imperiale Palazzo in Russia

V lì.l.'rsjtressioiif sottolineata si trova jielLa lettera direttagli dal Irimiin' W'alcliOHski

H giugno

ii<'.i2).

i9.Cavaliere di Gran Croce dei S." Maurizio e Lazzaro 15 Agosto 1820.

20.Decorato del Gran Cordone di Cav.Oran Croce dell'Ordine dei SS.M. e L.20 Gennaio 1832. 21. Decorato del titolo di Kccellenza il 24 Gennaio 1832.

22.!)e8tin8zione .Sovrana del nome di Isolotto Galateri ali isolotto «lel

Tanaro in Alessandria.


--.28()

-

23.Decoratu(leir()r(luie Supremo della SS.maNuiiziata il 12 Ottobre 1833.

24.Decorato della Mauriziana Medafjlia il 3 Gennaio 1840.

DocC.MKNTO IV.

{Mèmoire très interessaci).

2Maj 1821. Sire,

Sur la fin de l'orage déplorable suscité par une infame trahison contre le Throne de vos Augustes Ancétresj'éprouve le bésoin Irrésistible

de venir déposer aux pieds de V.M.les sentiments que j'éprouve,dictés

par mon inviolable attacliement,par l'élan de ma conscience et par ces prlncipes d'honneur et de fldelité, qui sont le plus noble héritage d'un

vieux soldat bianchi dans la carrière des armes et couvert d'honorables cicatrices. Dans les circonstances actuelles V.M. dalgnéra accueillir le

langage d'un de ses plus francs et loyaus serviteurs, qui n'à d'au-

tre but que l'intérét de l'État et la gioire de votre Couronne. Je parlerai le langage de la vérité,le seul qui convienne à la situation des cho-

ses trop longtemps compromises par un sistème de connivence et de

ménagement,qui à produittoutle mal que nous avons à dépìorer.Il me séra^d'autant plus permis de le tenir, que, le premier, je m'honore d'avoir été à la source du mal, et d'en avoir indlqué les causes et les ré-

médes. Si

mon zéle fut infructueux à une epoque trèe rapprochée des cir-

costances actuelles, e' est que la mauvaise foi et les principes dange-

reux approchaient malheureusement trop près du Throne,et que la voix de vos plus fldeles serviteurs était étouffée par l' intrigue, par la corruption et par le machiavélisme le plus raffiné ainsi que tandis que la ;

bonté la plus parternelle versait les graces et les bienfaits particulie-

rement sur rarmée,ringratitude la plus noire par des trames audacieuses puisait la rébellion à la source la plus sacrée.

Au mois de Mars 1820,au moment ou je m'y attendais le moins,M. le Comte de Robilant,d' heureuse memoire,prémier secretaire de Guerre et Marine,daigna jetter les yeux sur moi pour me proposer la commission, delicate autant que difficile, d' inspecter les Troupes de l'Infanterie de ligne et légère de l'Armée.Je m'en deftendis en lui observant que

mon caractère était incompatible avec une charge d'une telle importance, parce que d'après les principes que je voyais en tait impossible

vogue il m'é-

de ne pas heurter contre les personnages envieux et

puissants,qui ne portageantpas ma manière de voir les choses,auraient été en opposition constante à toutes les reformes que j'aurai pu pro-

poser: ce qui m'aurait mis dans le cas de ne pas pouvoirsuivre jusqu'

au bout la commission qui me sérait conflée.


!281

-

Malgré ces observations et plusieures autres qu' il sérait trop long de dtHailler à V.M.,le Comte de Robilant persista dans la première resolution, et dans le mois de Mai suivant je réjus

ma nomination offl-

cielle de charge ad interim de la susdite inspection.

Je partis immediatement des bainsd'Aix,où je m'étais rendu pour

motifs de sante. Mes premièrs soins se portèrent à donner l'inspection

à la Brigade d'Alexandrie,au Bataillon des Chasseurs de Savoie et à un Batailion de la Legion Royale Légère,trois Corps qui à cette epoque étaient de garnison à Chambéry.

Les ayant réunis successivcment,sur quelques informations secrètes des discours qu'on ténait aus soldats,dont la tendance etait de leur inspirer des sentiments contraires aux principes de fldélité et de subor-

dinationje leuradressai la harangue suivante:« Je sais,braves soldats!

qu'on cherche à semer parmi vous des principes de corruption pour

vous devier des sentiments de fldélité que vous avez juré au Roi,et du réspect que vous dévez à vos Superieurs. Sicelàest arrivé,venez m'en

informer,ou si jamais j'etais dejà loin de vous, faites en part à celui de vos offìciers superieurs, qui vous inspirerà le plus de confience ».

Mes perquisitions continuelles pour decouvrir tout ce qui pouvait étre nuisible au service,me mirent bientot à méme de me convaincre

qu'un signe de ralliement s'était introduit parmi pleusieurs offlciers. Il consistait à faire parade d' un large point de henri au menton,présentement la dévise de la secte de Carbonari tant repandue en Euro-

pe sous difTerents dénominations. Je fus d'autant plus confirmé dans

mes supfons, que le liberalisme hautement professe par la plus part de ceux qui affectaient de porter cette dévise inspirait ma juste metìance:je crus alors qu'il etait dans Tordre de deffendre ce signe contraire à l'uniformité qui doit regner dans rArmée,et je prescrivis que les seuls grénadiers fussent auctorisés a faire usage de moustaches.

Cette deflense trouva des nombreux opposant8;des propos hardis

eurent lieu dans le Caffé; mais ayant use de mon auctorité d'une manière ferme,le signe indiqué disparu nonobstant toute opposition.

Ce fut à la suite de ces actes de fermeté,que des lettres circulaires partirent pour tous les autres Corps de l'Armée.aux quels je dévais

donner successivement l' inspection on me peignit comme un insupor;

table rigoriste dont il fallait se débarasser atout prix,et la cabale des

novateurs s'agita contre moi,parce que on m'avait reconnu des dispositions décidées à arracher le

masque partout où je pourrais le ren-

contrer,et sur quelque visage qu'il futCette cabale fùt surtout trés active à Turin,où était centralisé le foyer principal dea nouvelles Idóes

:

elle eut assez de credit pour jetter de la défaveur sur mon zèle et pour

Ritorg., 17

IS


— 282 — atteindre son but.J'avais prévu d'avance ce qui m'arrivait,.i*en avais

informe dansT intervalle un personnage du premier credit à la Cour, en le prévt^nant que le but évident des mecontents était de m'enlever touteinfluence sur les troupes pour ne pas rencòntrerdes obstacles à leurs projets; mais cette lettre n'obtint aucune reponse, et quelque temps apvèsje recut l'annonce de mon rappel. C'ètait la consequence du sisteme en vogue,car dans la situation des choses Un (pil scrutateur incorruptible et sevère ne pouvait que rencontrer l'improbation de la faiblesse et la baine des conspirateurs. Jé regrette vivement de ne pouvoir ici reproduire la lettre confidentielle dontjeviens de parler, attendu que j'en ai malheureusemeut égaré la copie. Après les funestes événemens dii mois de Mais dernier, j'ai appris par un fèdere, au quel j'ai eiigagé una parole d'honneur de ne pas le nommer, que de gens de son parti eraployés au Bureau de la guèrre

avaient iiitercepté' et fait disparaitrè mes lettres confldentièlles,ainsi

que la note que j'ehvoyais de tous les offìciers qui excitaient mes supcons.Cet individus m'a ajóuté, que e" est de cette maniere qu'on avait

égalementenlevé toutce qui pouvàitdonnerie fll du vaste complotqui s'était tramé,et dont les ramifications étaient da la plus grande étendue.

Rentré dans le sein de ma famille,,je me vis borné à déplorer le funeste aveuglemeùt des premiei*s soutiehts du Throne au moment mé-

me oii l'État était sur les bords de l'abime tóutes foìs je ne gardais pas ma voix courageuse se flt souvent entendre par tout où :

le silence, et

elle pouvait produire son éffect.Je fìs tous mes eftorts pourqu'elle par-

vint aux oreilles de S.M.; mais le parti contraire la redoutait aussi.Je

crus inutile de renouveller mes demarches.

Dans unelongue entrevue particulière que j'éus chèz moi à Turin avec le Comte De Robilaht,je lui fis de noùvéau connaìtre mes vives inquiéfudes sur la compósition de l'Arméé, sur le ifiauvai's esprit, l'im-

moralité et les principes des liberalisme que j'avais remarquéregner parmi la plus pa'rt des Offlciers et bas Offìciers, et je lui mis sòus les yeux avec franchise combien il étoit urgent d'apporter des rémèdes à la gravite du mal mon but était moins de répoussér les calomnies dont j'avais été Tobjet, que d'éveiller la soUécitude du Ministre de !h ^;n^ri-e sur la màlàdiecOhtagieuse qui avait gangréné les troupes. M.i* le Comte de Robilant rendit justice à mon zèle, ainsi qu'à me» principes; il m'asàurà de tonte la confiance du Roi, mais bientòt victi:

mè lui riiénie d'une cabale toujours plus active,il quitta le porteféuille de la Guerre sans avoir pu opérér le bìen qui était dans son coeur.

Des chagrins enlevrent à l'État un de ses plus braves et loyauz militaires.Tout à coup la révolte lèva audacieusement la téte, et fes Dra-

peaux de l'honneur se souillèrent d'une inétacable ignominie.


Au premier momeDt de la trabison j'offris pour la defense da Thro-'e de me« force» presque épuisées pardes longset uti^ if~ eux.tìer de pouvoir les cousacrer pour la boote des traltres.et pour le trionpbe de la tìdéllté,mai$ mes offres désintéréssées tés sans que je puisse en connahre le motif. II'

:

.

-'-

lice les événemenUposterieur8,qui ont fallii d'allumer les lorcbes sanglantes de la guerre civile dans le sein de TÉtat.

Ce tableau est trop dégoutant pour que Je puisse-yarréter mes regards. Je me boruérai à mettre sous les yeux de V. M. que pendant tous le

temps de Torage js suis reste a Turin,et que ma conduite,ferme autant que dignìteuse.a toujours commandé le respect mème aux factieux les plus exaltés.Le dévouementsans bornes que je professe à notre ancien ne M narcbie et à la personne sacrée de V.M.me font un devoir de vous re- tifici-

Sire, que si des mésures séveres n'arra-

respectueusement,

chent pas le masque bipocrite qui couvre bien des coupables rassurés

par les intri^^ues et par les adbérences

;

si les

bommes snspects,ou trop

indulgents,ue sunt pas rigouresement écartés des emplois,quelque soit leur rang ou lear naissance, l'Etat séra de nouveau replongé dans les nt la main

<a

du Ciel vieni de le tirer presque miracouleu-

iuguste Throne «le I;ì Mai-ctn dp Savoie sappé dans sesplus

5»e!.:.

soUdes fondements. huuorable carrière;mon ambiqu'à une plaisible réiraite d'ou je puisse encore.sourire

-'ix,o Sire,a.ur la lìn d" qiie ti" ^

.

voile gloire,à la prosperile de FÉtat et à la félicité de toos vos Ade-

1»--

>ll!»'ts. li

i

I.»-

lionneor d'étre avec le plus profond respect ries bumblejetrèssenriteuretfldèle Snjét

Comte Galateri,Major-Général de Cavalene. Modenese 2 Mai 1«21 -

a

j

ajpui

<ie

ce niemoire res^unani da ma

conser^'ées, je suis toujours à

méme de les

produire toutes les fois que j'en serai requis. IKKITMENTO V.

Aa commencement da moia de Mai demier j'ai eu rhonneui (

<:-

-ser aux pieds de Vòtre Miyesté un mémoire détaillé pour lui faire 'iinaitre toutes les circonsianoes qui avaient précède

ma nomination

a rinspection interinale des Troupes d'Infanterie, et les intrigues qui


— 284 m'avaient presque aussitót fait rétirer cette mission de conflance.Mon but,Sire,fut celui de mettre sous les yeux de V.M.les sentiments parti-

culiers de ma douleur, d'après

ma convintion intime, qu'ayant reconnus la source du mal,on ne voulut pas me laisser les moyens d'y por-

ter rémède.

Dès que Vòtre Majesté a été rendue aux yeux des fldèles sujets de cette Gapitaleje me suis fait un devoir d'écrire au premier Secrétaire

de Guerre et Marine pour offrir au service du Throne Auguste de Vòtre Majesté le reste des forces d'un ancien soldat vieilli dans la carriè-

re des armes, couvert d'hoQorables cicatrices,et toujours invariable-

ment fldèle dans le sentier de l'honneur. Mon zèle et ma bonne volonté ne s'étaientpas démentis dans le moment qu'un deplorable delire ménagaitun boulversement general :j'ose assurer Vòtre Majesté, que plus les circonstances étaient critiques,

plus mes efforts pour étre employé devinrent préssants,sans pourtant

pouvoir réussir.Pour que Vòtre Majesté puisse s'en convincre,j'ose unir à ce memoire les pièees à rappui,ainsi que la copie de ma corre-

spondance particulière,qui prouvent le devouement et la franchise de

mes demarches infructueuses. J'ajouterai seulement une circonstance remarquable.C'est que le Dimanche 11 Mars dernier au moment où l'on perdait le temps en vaines contestactions lorsqu' il fallait agir d' une

maniere décidée,m'étantrendu à la Courpour offrir déréchef mon bras, et me trouvant dans la grande salle de parade auprès de la cheminée

à coté de S.E.le C.^de Roburent,je lui dis tout bas à l'oreille dans un élan de mon coeur :« Pourquoi ne me placez vous pas dans la Cittadelle ?0n peutcomptersurmoi ».S.E.me repondit:<S Oh!je

ne me mèle pas

de ces affaires ».

En adressant ce nouveau memoire à Vòtre Majesté, j'ai la respectueuse conflence,non d'avancerque mon devouement eutpu arréter le tourbillon révolutionnaire,mais de l'assurèr que tout mon sang eut été re-

pandu pour une cause sacrée avant que le Drapeau de V honneur eut été souillé.

Mes sentiments séront toujours les mémes, mon unique désir séra constamment celui de pouvoir consacrerà Vòtre Majesté mes faibles Services toutes les fois qu' Elle pourra les croire utiles, non par senti-

ment d'orgueil,ou d'ambition personelle,mais par celui de l'honneur et de l'inaltérable attachement que je professe à Vòtre Majesté et à Vò-

tre Auguste famille. Sire

de Vòtre Majesté

Le très humble très soumis et très fldèle Gabriel Galateri Turin,Ie 26 Novembre 1821.


— 285 — Di^^rvKNTO VI.

,

Torino,li 8 agosto 1822.

All.ni.«noSig.Cav.r)egenneyt Maggiore Generale d'Infanteria e Primo

Segretario di Guerra e Marina,Torino. Più avvezzo a trattare rarmi ed a esporre la vita in difesa del Tro-

no e della Patria,che a maneggiare intrighi ed ambiziose brighe,nella dolorosa situazione in cui io mj trovo da molto tempo, non posso più oltre differire di deporre in seno di V.S.IU.m» u miei disgusti e pene,

perchè tutta conosco l'affettuosa bontà del di lei cuore generoso! Parlerò il lingusiggio d' un vecchio soldato nudrito nel sentiero delronore,il di cui petto,coperto di gloriose ferite,si risente tanto più vi-

vamente dei torti sofferti, che si tiene sempre pronto, quantunque già oppresso dagli anni, di affrontare ogni periglio per la causa della Religione e del Trono

!

Un tal franco parlare è degno del carattere di V.S.Ill.»n»,cui fra tanti pregi riconosco sommamente giustizia e franchezza; è degno anche di me,a cui giova tutto far conoscere l'interno del cuore.

Allorquando,dopo gloriosi e sanguinosi sCorzi,dovemmo cedere alla forza ed al tradimjento,e che la Patria gemeva oppressa dal turbine rivoluzionario, io disdegnai un oscuro riposo ne' Lari paterni per impugnare la spada a difesa della Causa comune,e cercai fra le amiche schiere moscovite ad (sic) impiegare i miei servigì.Ritornato quindi l'Angusto Sovrano negli aviti Domini di Terraferma, tosto domandai a ritor-

nare in Patria sotto i Regi Vessilli, e se le mie brame furono alquanto ritardate, ciò soltanto provenne dalle incontrate varie difficoltà di ot-

nere dall'Augusto Imperatore Alessandro l'assoluto mio congedo, co-

me risulta dalle prove esistenti presso questo Ministero di guerra. Venni prima del mio ritorno assicurato da S.E. il Conte Maistre per parte di S.M.che,ripaasando al di Lei servizio,rangoed anzianità mi sa-

rebbero conservati.Giungo in Torino su tale tìducia,tutto zelo ed affetto,e poco tempo dopo mi vedo nel publicato elenco preceduto da varii

molto meno anziani di me.Sensibilmente ferito da tanon meritata precedenza,ne porto rispettose doglianze al Ministero,

Ufflziali generali le

e queste restando di niun effetto, chiedo di ritirarmi,ma mi si risponde col darmi speranze di riparo, e vengo conservato in attività.

Mentre il mio attaccamento al Sovrano cosi mi consigliava di rinchiudere in petto tale non meritata umiliazìone,ecco che il Conte Mai8tre,al quale però non ricuso distinti pregi militari, viene promosso al

sen izio di S.M.in qualità di Colonnello,quantunque contasse tanti e più anni meno di me nella Milizia, e non avesse in Russia che il grado di Luogotenente Colonnello

! !


— 286 — A parità di meritij'equità richiedeva che io fossi'promosso al grado di LuopfOtenente Generale; ma oltre all'essere di bel

nuovo dimentica

ta,(quand')ad un punto stesso mi succede un altro più doloroso disgusto. Scelto dalla sovrana confidenza per passare a rivista d'Ispezione la

fanteria di linea e leggiera deirArmata,non tralascio in così importante incombenza di far prova di quella energia militare,che dalle circon-

stanze mi veniva dettata, mostrando una condotta ferma, altrettanto

che giusta e leale; cercando insomma ad (sic) investigare li motivi dei disordini introdottisi nella disciplina e nel morale del soldato, a schian-

tare quei falsi principii d'innovazione e di liberalismo, che pui'troppo

conobbi in fermento fra alcuni spiriti guasti della Ufficialità; ed allor-

quando con indefesso zelo io mi adoprava al sacro adempimento del mio dovere,mi venne all'insaputa tolta l'Ispezione interinale, e chi mi veggo prescelto alla nomina d'Ispettore? Qui tacer non deggio,e son forzato a dire con libera franchezza che se fui rimosso dall'Impiego, ciò fu r opra della fazione rivoluzionaria che con ragione temeva la

mia influenza sullo spirito del soldato, la mia inalterabile fermezza e vigilanza,la mia imparziale e pronta giustizia!!! Sì,fu essa, che sorprese la religione (stc) di S.E. il conte di Roburent

con perfide calunnie e infami raggiri, perchè già io avevo scoperto ed inutilmente svelato il filo dell'infernale trama di cui purtroppo ora ogni buon suddito compiange

i

funesti eccessi: le carte comprovanti

quanto espongo furono messe sotto gli occhi di S.M. ultimamente in

Modena quando ebbi l'onore di offrirle l'omaggio della mia servitù. Incalzato così dall'odio di quelli, che, quasi sotto gli occhi del religioso Monarca, meditavano un scellerato tradimento,non mi recò sor-

presa se,neirultima promozione del 1820,diversi Maggiori Generali me-

no anziani di me furono di preferenza promossi al rango di Luogotenenti Generali, e se nel numero vi figuri il sig. Conte Gifflenga, che poi fu di nuovo sul punto d'impugnar l'armi contro la causa del Re!!!

Che più? Due governi rimanevano vacanti, e due Maggiori Generali

meno anziani furono prescelti per coprire tale importante carica.Scoppia infine la nefanda rivoluzione del Piemonte,ed a S.M. sono noti tutti gli infruttuosi passi

da me fatti onde venir sempre impiegato in ma-

niera di poter efllcacemente agire. contro i ribelli!!!

Neirudienza,che S.M.si degnò concedermi il 26 novembre scorso,non tralasciai di porre sotto gli occhi dell'Augusto Sovrano i torti sofferti,

e che se nulla giovò la mia buona volontà nelle trascorse vicende,alla

costante ripulsa di essere impiegato se ne deve attribuire.il motivo

Parole per me sommamente consolanti io riportai dalla Regia accoglienza; ma che? S.E. il Conte d'Agliano, all' occorrenza della di lei de-


- ^287 — stinazione in qualità di Vice-Re perii Regno di Sardegna, viene pro-

mosso al rango di Luogotenente Generale, ed io sono di bel nuovo dimenticato!!!

Vorrei cUe la mia voce fosse di bronzo onde farne più che mai sentire il rimbombo a' piedi del Trono affinchè il giusto e clemente Monar-

ca sappia che quell'empia setta,per cui geme la Patria travagliata da irreparabili disagi,vive ajicora e sussiste nel cupo silenzio di atrocis-

sime speranze:si,è essa a cui attribuisco,e me ne onoro.i torti e l'inazione a cui mi vedo ridotto,destramente insinuando ai gelosi,incauti o tìnti Realisti

che la mia testa è troppo vulcanica e che non sarebbe pru-

dente di contidainii avanzamento o comando per non avere sufficiente politica e prudenza! Diciamo il vero,non è la testa vulcanica,che tema

l'accennata fazione, ma ben piuttosto la franchezza del mio carattere, l'illimitata devozione al Sovrano, l'intrepidezza di un cuore capace di

nun sgomentarsi innanzi ogni qualunque siasi cimento,quando si tratti del di lei servizio!!

Dopo tanti dolorosi e non meritati disgusti, a qual'altro partito meglio mi gioverebbe appigliarmi se non che ricorrere alla giustizia im-

parziale di V.S,Ill,«na ond'ella mi ponga di bel nuovo sotto gli occhi di S.M. per ottenere il riparo dei danni sofferti nel

mio onore, che molto

più dell'interesse mi stimola? Spero che V.S.IU masi degnerà prendere in considerazione ch'io sono il M^aggiore Generale più anziano dell'Ar

mata, contando 46 anni di consecutivo servizio per la causa di S.M. ed

un numero di campagne e di gloriose ferite, che sole formano tutta la ricchezza del mio avere; che nella mia tarda età, quantunque ancora fervida e capace d'un attivo servi zio,attesa la mediocrità del mio avere. mi

giova sperare nella patrona sollecitudine del benigno Monarca,

nel ca80,che non potendo ottenere l'attività d'i mpiego,che credo poter

meritare, io mi veda costretto ad implorare la mia ritirata definitiva.

Questo si è l'ultimo passo a cui il dovere e l'onore da tanto tempo mi spingono,e che di superare m'accingo allorquando V.S.IU.™» si sarà degnata riscontrarmi sull'esito di questa mia memoria,ciò che con tutta liducia attendo alla di Lei benevolenza e conosciuta giustizia.

Ho l'onore di protestarmi col massimo ossequio (Jalateri

8 agosto 1822.

Documento VII.

NI Commissioni regie •.registro. Il l:r ,i!/-rff:rin:

l'orino, gli 8 febbraio 1794.

Abbiamo conferito al Cav. Gabriele Maria Galateri,gi4 luogotenente


— 288 — nel Reggimento dei Dragoni di Pienaonte,la carica di Capitano-Tenente nel medesimo,con tutti gli onori,autorità e prerogative che ne spet-

tano ed appartengono, invece del Cav. Ferraris di Castelnovo fattovi

Capitano effettivo.Vi ordiniamo pertanto di assentarlo in essa qualità, e di farlo godere dell'annua paga di lire 1525 di Piemonte,-Un trabante, alloggiamento, utensili e piazze di fieno portate

dallo stabilimento

nostro de' 27 agosto 1774 e dai successivi ordini nostri a voi diretti,in-

cominciando dal giorno del suo assento e continuando in avvenire durante la di lui servitù,ed il nostro beneplacito,chè tale è etc. N.2. Il

Re all'Ufficio: .

Torino, li 27 maggio 1794.

Nella persuasione, in cui siamo, che corrispondendo il Cav.Gabriele

Maria Galateri,Capitano-Tenente nel Regg.to dei Dragoni di Piemonte, alle nostre grazie, ci sarà" per dare colla sua buona condotta e coli' attività zelo di cui si è mosti;iato fornito, maggiori motivi di essere soddisfatti dei di lui servizi,Ci siamo degnati di promuoverlo Capitano ef-

fettivo in esso reggimento, don tutti gli onori, autorità e prerogative

che ne spettano ed appartengono, invece del Marchese di Novello dismessosi.

Vi ordiniamo pertanto di assentarlo In essa qualità e di farlo godere dell'annua paga di L.1525,un trabante, alloggiamenti, utensili, piaz-

ze di fieno e di biada, ed altre cose portate dallo stabilimento dei 27

agosto 1774 e dai successivi ordini nostri a voi diretti, incominciando dal giorno del suo assento,e continuando in avvenire durante la di lui

servitù ed il nostro beneplacito.

Che tale etc. '

N.3.

Cav.Galateri.

Torino li 7 7mbre 1799. Il

M.roThaon all'ufficio del soldo.

Per un effetto di sentimenti di gratitudine e di particolare estimazione che professiamo alla persona di S. A.il Principe Suwaroff Kiu-

mischi,Gran Maresciallo,essendoci con piacere disposti a secondare le

premure da lui manifestate a favore del Cav.re Gabriele Galateri,Capitano nel Reg.t» Dragoni di Piemonte, il quale sta prestando i suoi servigi presso il Quartiere Generale dello stesso Maresciallo,ci siamo de-

terminati a decorarlo provvisionalmente del grado di Maggiore nelle

Regie Truppe di Cavalleria e Dragoni con tutti gli onori,autorità e pre;

rogative che ne spettano ed appartengono e colla paga di Maggiore di Cav.riae Dragoni con tutti gli etc.stabiliti dagli 8 'd'^'ore 1795.


— 289 Regùi patente.

N.4.

(Galateri).

Vittorio Emanuele I.

Genova,li 20 Maj?gio 1817.

L'occasione presentandoci favorevole per compire alla riserva fattaci,allorchè nominammo Majrgiore Generale d'Armata il Conte Gabriele Maria Galateri, ci è jjrato d'approfittarne onde manifestarceli il con-

to che facciamo della di lui persona.Egli è nel Comando dellaDivisio-

ne di Nizza che attendiamo da lui l'esercizio a nostro e pubblico vantaggio delle doti che egli acquistò a forza di vigilanza, coraggio e valore, militando sotto estere bandiere.Quindi è etc.il prefato Conte Ga-

briele Maria Galateri per Comandante della divisione di Nizza da noi etc.ed all'ufficio etcldi determinazione de' 15 Xm*^» 1815 incominciando

dal venturo luglio e continuando etc.

Regia patente.

N.5.

Carlo Felice. Torino,li 14 Imhn 1822.

Accoppiando a molti pregevoli qualità militari e ad una carriera onorevolmente percorsa ed illustrata da nobili prove di valore più i

illibati

sentimenti di onore ed una leale e ferma devozione al Trono ed

al Siervizio Nostro, il Conte Gabriele Maria Galateri di Genola Maggior

Generale d'Armata, non solamente meritò la nostra piena approvazione per la condotta da lui sempre tenuta e per i distinti servizi che ha prestati,ma c'inspirò altresì tale fiducia nelle rare di luiqaalità,che assai volentieri abbiamo determinato di affidarli il Governo della Divisione militare di Cuneo. La viva di lui sollecitudine per tutto ciò che può contribuire al

maggior bene del nostro servizio ci è sicuro garante del-

l'impegno col quale egli profitterà di si importante incarico per offrirci nuovi

motivi di soddisfazione ed acquistare maggiori titoli di bene-

merenza presso diNoi.Quindièche perle presenti,di nostra certa scienza e Regia Autorità abbiamo eletto e co8tituito,eleggiamo e costituiamo, il prefato Conte G. M. Galateri per Governatoi*e e Comandante Generale della Divisione di Cuneo, con tutti gli onori, autorità,prerogative,preminenze,privilegi.utili,diritti.ed ogni altra cosa a tale carica ap-

partenente,con ciò che presti il dovuto giuramento. Mandiamo pertanto a tutti ti nostri Magistrati,Ministri etl l'fHziali si «li giustizia che di

guerra. ed a chiunque altro fta spediente.di riconoscerlo e farlo rico-

noscere per Governatore e Comandante Generale della Divisione di ('u-

neo da noi come sopra costituito, di assentarlo in tale qualità e di farlo godere, a cominciare dal 20 di quei*to

mese;della paga, dei vantaggi

« delle indennità che gli competono secondo le determinazioni del 15 <licembre 1K15. Che tale etc.


- 290 N.6.

Regia patente. C [a l'Io] F [e lice]. Genova, li 17 marzo 1824.

Pienamente soddisfatti della lodevole nianiera con la quale il Maj?gior Generale Conte Galateri di Genola corrispose all'onorevole attestato di fiducia che, gli abbiamo dato nel confidargli il Cornando della

Divisione di Cuneo,raolto di buon grado ci siamo disposti a manifestargli come venne essa crescendo "in tal

modo, e quanto da Noi si hanno

in pregio sia gli onorevoli servizi da lui prestati sia le qualità distinte di cui è fornito e gli ottimi di lui s^timenti,ed abbiamo quindi deter-

minato di trasferirlo dal suo Governo a quello della Divisione di Alessandria,.

Mandiamo. ..etc.per Governatore e Comandante Generale della Divisione di Alessandria, di assentarlo in detta qualità e di continuare a farlo godere dell'annua paga e dei etc.vantaggi fissati dalle nostre de-

terminazioni del 15 Dicembre 1815; oltre ogni altra cosa dalla suddetta carica dipendente.

Tale essendo etc. N.7.

C[arlo] F.[elice]. Torlno,jl 30 giugno 1830.

Allorché ci è piaciuto di affidare al Conte Gabriele Galateri di Genola,Maggior Generale di Cavalleria,il Governo della Divisione di Cuneo, e poscia queHo della Divisione di Alessandria, gli

abbiamo in chiaro

modo fatto conoscere quanta estesa fiducia da Noi si riponga nella di lui

fermezza e nei puri sentimenti d'onore e di devozione al Trono dei

quali si mostrò animato e irremovibile. Ma volendo contrassegnare an-

che in modo più distinto le di lui virtù militari, e le molteplici prove d'intrepidezza e di valore ch'egli ha date nel lungo corso de' suoi onorevoli servizi, e per cui lasciò di sé illustre

rinomanza negli eserciti

russi ove ha con gloria militato, molto volentieri Ci siamo disposti ad

innalzarlo alla carica di Luogotenente Generale di Cavalleria, soddisfatti ch'egli vi trovi altresì

un sicuro e pubblico attestato della piena

nostra approvazione per la maniera affatto lodevole con la quale sostiene il governo della suddetta Divisione di Alessandria.

.

Quindi è che per le presenti, di nostra certa scienza e Regia autorità, abbiamo eletto e costituito,eleggiamo e costituiamo, il prefato Con-

te Gabriele Galateri di Genola per Luogotenente Generale di Cavalleria nella nostra Armata, con tutti gli onori e le autorità,prerogative,

preminenze,privilegi ed ogni altra cosa a tale carica appartenente, mediante presti il giuramento dovuto.


.Maiiiìiiinu» si di

pertanto a Tutu U

no.stri Maj^istrati, Ministri

od

l

itiziah

giustizia che di guerra, ed a chiunque altro fla spediente,di rico-

Doscerlo e farlo riconoscere per Luogoienente Generale di Cavalleria nella nostra Armata da Noi come sopra costituito,e di assentarlo in tale qualità, poiché

questo è il nojafro volere.

N.8.

Torino òdicembre 1832. L'incessante sollecitudine e la fermezza sempre e^ruale in ogni cir-

costanza con cui il Tenente Generale di Cavalleria Conte Gabriele Galateri di Genola,Governatore della Divisione di Alessandria, ha costan-

temente sostenute tutte le incombenze che gli vennero commesse, si uniscono nel miglior modo alle molte virtù militari di cui è adorno per attestare nella maniera più onorevole la costante ed illimitata di lui

devozione al nostro servizio. Epperò riponendo noi per ogni riguardo la più estesa fiducia nelle

pregevoli qualità ond'è fornito, e tenendo

anche in singoiar conto, sia i zelanti servizi che fin*ora ci ha prestati, sia le molteplici prove di valore che egli diede neila lunga ^commen-

devole sua carriera per cui lasciò di sé illustre rinomanza negli eserciti

Russi ove ha con gloria militato, molto volentieri ci siamo disposti ad innalzarlo alla Carica di Generale di Cavalleria,soddisfatti ch'Egli trovi in tal guisa un sicuro e pubblico contrassegno del pieno nostro gra-

diaiento,e del singolare pregio in cui ci piace di avere la di lui persona,Àieritevole sotto tutti i rapporti <lella particolare Jiostra propensio-

ne.Quindi è che per le presenti, di nostra scienza e Regia Autorità, ab-

biamo eletto e costituito,eleggiamo e costituiamo,ilprefato Conte Gabriele Galateri di Genola per Generale di Cavalleria nella nòstia ar-

mata,con tutti gli onori.. ..etc. N.9.

C[arloJ A[lberto]. Torino il 17 di Marzo 1838. Nella circostanza in cui,secondan<lo il desiderio del Conte Gabriele

Maria Galateri di Genola, mio Cugino, Generale di Cavalleria,Ci siamo indotti ad esonerarlo dal grave peso del Governo della Divisione di A-

iessandria da lui sostenuto finora a piena nostra soddisfazione,volen-

do che Egli continui al nostro servizio in modo che possa meglio conciliarsi coir avanzata sua età e cogli incomodi di salute

a cui va sog-

getto,ed abbia ad un tempo un distinto.contrassegno ilei pieno nostro'

gradimento,il quale gli faccia vie maggiormente palese,t&nt(> il pregio Del quale Ci piace di tenere la saviezza che da lui si unisce a maturo accorgimento siccome ne diede assai chiare prove anche nelle più dif-


— 292 — circostanze ed in tutte le delicate ed importanti incumbenze che

tìcili

gli vennero

commesse,quanto la viva soddisfazione che prova l'animo

nostro nel ricordare ogni passo dell'onorevole e lunga sua carriera e nel por mente alle specchiate di lui virtù,ed all'incessante sollecitudi-

ne da cui fu sempre animato per tutto ciò che ridonda a vantaggio del nostro servizio ed a maggior decoro della nostra milizia, ci siamo assai volentieri disposti a nominarlo Ispettore Generale delle nostre Trup-

pe di Fanteria e di Cavalleria, con dispensa dalle rassegne ordinarie,e con incarico di eseguire soltanto quelle straordinarie che gli verran-

no volta per volta da Noi commesse per mezzo del nostro Ministero di

Guerra con appositi ordini speciali. Quindi è che per le presenti,di nostra certa scienza e Regia Autorità, abbiamo eletto e costituito, eleggiamo e costituiamo, il prefato Conte Gabriele Galateri di Genola per Ispettore Generale delle Truppe di Fanteria e Cavalleria, con tutti gli

onori e le autorità,prerogative,preminenze,privilegi ed ogni altra cosa

a tale carica appartenente, mediante presti il dovuto giuramento.

Mandiamo pertanto a tutti li nostri Magistrati, Ministri ed Uffiziali sì

di giustizia che di guerra ed a chiunque altro sia spediente di rico-

noscerlo e farlo riconoscere per Ispettore Generale delle nostre Trup-

pe di Fanteria e di Cavalleria, da noi come sopra costituito, di assentalo in essa qualità e farlo godere dal 1° di aprile prossimo dell'annua paga di lire diecimiia come Generale di Armata e dell'altra paga di lire cinquemila in qualità di Ispettore Generale,oltre 6 razioni di foraggio al giorno, derogando espressamente a qualunque anteriore dispo-

sizione che a ciò potesse riguardarsi contraria, poiché tale è il nostro volere....

N.IO.

C[arlo]A[lberto]. Vedova Galateri di Genola ^^^^

Iwanowna Tcherniajefl".

In

Torino, il 2 marzo 1844.

considerazione dei lunghi e

pgj. q^^^ riguardo distinti servizii

resi dal fu Conte don Gabriele Galateri di Genola, mio Cugino,Generale

d'Armata ed Ispettore Generale della Cavalleria e Fanteria, abbia-

mo volentieri determinato di accordare alla di lui vedova Contessa Anna Iwanowna Tcherniajeff una pensione di annue Lire millecinquecento.

Ordiniamo pertanto che sul bilancio militare le sia corrisposta durante il nostro beneplacito la suddetta pensione d'annue lire 1500 a •

cominciare dal 1° di questo mese,perchè tale è il nostro volere.

Da Torino, il 2 marzo 1844. (Firmato) Carlo Alberto (Controssignató) Di "VlUamarina.


— 293 NMl.

C[arlol A[lberto]. Galateii Pietro.

Torino il 4 Marzo 1845.

Volendo dare al Cav.fo Pietro Galateri,Capitano in soprannumero nel Re^ff.to .\osta Cavalleria applicato alla nostra Segreteria di Stato

per

un nuovo attestato della piena nostra soddisfazione,8iapel modo commendevole con cui fece prova delle pregli affari di Guerra e di Marina

gevoli di lui cognizioni nelle varie incumbenze di cui ebbe da noi speciale incarico, sia anche pei molti titoli dì

benemerenza del fu di lui

Genitore,Ci siamo di buon grado disposti ad accordargli un particolare assegnamento di annue lire 600 oltre al di lui stipendio,da goderne sino ad ulteriore nostra disposizione. Ordiniamo pertanto che sul Bilancio Militare,Categoria assegnamenti diversi,gli si corrispondano du-

rante il nostro beneplacito

le suddette annue L.'WO

a partire dal pri-

mo corrente, poiché tale è il nostro volere. (Firmalo) Carlo Alberto. {Controssi gnato) Di Villamarina.

Documento Vili. 20 giugno 1824. Noi, Conte D.Gabriele Galateri di Genola, cavaliere

Gran Croce della

Sacra Religione ed Ordine Militare dei SS. Maurizio e Lazzaro; degli Ordini Russi di S.Anna di 1«»» classe e di S.Giorgio di 4** classe; com-

mendatore di S.Leopoldo d'Austria e diS.Wladimirodi Russia; cavaliere della spada di Svezia; cavaliere onorario di S.Giovànni di Gerusalemme,della sciabola d'oro guarnita di brillanti coli' iscrizione « Al valore » e della medaglia del 1812 in Russia; Maggior Generale di Cavalleria, Governatore e Comandante Generale della Divisione di Ales-

sandria.

Onorati d'un nuovo tratto della Sovrana preziosa Aducia, colla quale S.M.volle degnarsi di

contrassegnare la nostra servitù ed illimitata

divozione,chiamandoci al Comando Governativo di questa importante Divi8ione,ci affrettiamo d'annunziare agli abitanti di essa il nostro ar-

rivo al Capoluogo per assumere l'esercizio dell'autorità che ci venne affidato.

Ci serviranno invariabilmente di guida quegli stessi principi e quelle massi me, che già formarono la

norma del nostro Governo in altra

Divisione, ed ebbero la sorte d'incontrare il Sovrano gradimento, uni-

co scopo,che fu e sarà mai sempre,delle nostre indefesse premure.

Costante nostro impegno sarà perciò quello di secondare con tutti


1^94

li

mezzi possibili le paterne cure di S. M.a vantaggio dei suoi sudditi;

di

mantenere in quella Divisione, con imparziale giustizia, la pubblica

tranquillità e particolare sicurezza; d'invigilare inline accuratamente colla necessaria fermezza alla conservazione del buon ordine.

Non cesseremo di promuovere in ogni circostanza,per quanto potrà da noi dipendere,il pubblico e privato bene; ad ogni persona di qualunque ceto,grado e condizione sarà libero l'accesso presso di Noi per affari di Regio Servizio,ed a tutti porgeremo eguale attenzione ed acco-

glienza.

Confidiamo neir efficace cooperazione delle Autorità tutte, il di cui zelo sarà da Noi sommamente apprezzato. Dai Ministri poi degli Altari,dei quali non è meno utile e necessario il concorso pel comune van-

taggio,attendiamo che alle nostre uniscano pure le loro preci,onde l'Altissimo, da cui tutto dipende,voglia illuminarci nelle difficili circostanze,e penderci meno arduo l'esercizio della nostra carica.

Ai padri di famiglia raccomandiamo l'educazione religiosa, morale e politica della rispettiva flgliuolanza,qual sacro dovere che essi han-

no verso Dio, verso il Re e verso la Patria, rammentando loro che da ciò si forma la più solida base della pace interna e della felicità dello Stato.

Le nostre sollecitudini e li nostri sforzi.,che sebbene in età inoltrata consacriamo tuttavia con non minor ardore e con pienezza di zelo in servizio di S.M., riceveranno la più bella e da Noi ambita corona,se col-

r incontrare la Regia approvazione, avranno altresì potuto meritarci

la confidenza di questi Abitanti, che sarà il colmo della nostra consolazione il vedere ognora di concorde animo intenti a gareggiare con tutti gli altri Sudditi nel nobile impegna a far prova della devota e sin-

cera loro affezione all'Augusta e Reale Casa di Savoia. In Alessandria,dal palazzo del Governo, li 20 giugno 1824. Il

Governatore Galateri.

Documentò IX. Copia di circolare di S.E.il Governatore della Divisione di Alessandria diretta all'. Signori Comandanti della medesima in data 28 agosto 1824-N.2133.

Regio Governo della Divisione di Alessandria,

sopraintendenza di powzia. Qual Sopraintendente della Polizia della Divisione,ravviso come una delle più importanti cose,e necessaria per ben governarla, quella di

.studiare in modo il più scrupoloso ed esatto le persone le quali, sia per


— 295 ~ h wnpiejfhi che occupano,o per altra ragione, mi potrebbe occorrerò dovere instantaneamente farne un perfètto giudizio (stc).

Cadono nella elasse ili siffatti impiegati non solo

i

sindaci delle Cit-

tà o Comuni,ma eziandio 1 loro segretari,! quali essendo, stante le lo-

ro funzioni, piucchè ogni altro in contatto immediato colla massa principale del popolo,fa d'uopo che siano ben cogniti in tutto ciò che riflette la loro opinione e condotta politica, civile, morale e religiosa.

Per giungere al proposto intènto, debbo interessare la S-V.!!!.»»* onde voglia contribuirvi con tutta quella premura ed intelligenza che la distinsero in altre non meno importanti emergenze, attenendosi alle norme ed istruzioni qui appresso dettagliate. Le unisco qui annesse due taftelle,su di cui debbono essere inscritti i Sindaci e Segretari della Cit-

tà,Borghi o Comuni della Provincia da Lei comandata.

Una di queste tabelle dovrà rimanere nel di Lei uflicio,e l'altra sarà rimandata a questo Governo tosto riempita.Il nome della città etc. dovrà figurare nella prima colonna per ordine alfabetico. Affinchè non manchi niuoo delli elementi che m'abbisognano in com-

pimento del lavoro di cui si tratta, ed abbia la necessaria uniformità, ho creduto bene unirle, qui compiegato, un foglio contenente un complesso di domande, le cui risposte dovranno essere estese nell'una e nell'altra tabella e nelle rispettive colonne.

Oltre alle notizie,che devono racchiudere i chiesti riscontri,ella som-

ministrerà le particolari di lèi annotazioni, le quali debbono essere il

legame e l'aggiunta delli altri raccolti lumi,e a questi potrà dare quella latitudine ch'ella ravviserà necessaria onde

maggiormente svilup-

pare e chiarire tutto ciò che riflette ciascun individuo.

Queste sue proprie annotazioni dovranno figurare nell'apposita co-

lonna della tabella,che rimarrà in di Lei ufllcio.

Riguardo a quella (ta rimandarsi a questo Governo, le dette annotazioni prenderanno luogo dopo i riscontri alle fatte dimande,avverten<ìo

di lasciare in bianco le due altre colonne della medesima non inte-

state.

Le aggiunte,diininuzioni,'o qualsiasi varìaziòne,che potranno occorrere in progresso di tempo tanto in ordine alle persone che ai fatti,sarà «li

lei

cuia in.xoriveile .sulla tabella di suo rrtlcio,dalla quale poi se ne

farà ricavo, onde Inviarmele, acciò se ne possa fare uguale

menzione

sovra quella esistente presso questo Governo.Le persone chiamate in .surroga/ione *li altii impiegati, se avvi suflìclentè 8pazio,dovranno fi-

gurare immediataniente dopo li medesimi, oppure in fondo della tabella,facendone menzione,ove sarà tnscrltfo il Suo antecessore.

Siccome potrà occorrere dover fare delle aggiunte in ordine al con-


— 296 — tegno degli inscritti, ravviso anche necessario che non vi si contempli più d'un individuo su ciascuna facciata della tabella.

Raccomando in modo particolare che tutto ciò che riflette e riguarda questo lavoro venga' ravvisato qual cosa di Polizia segreta,e tenuta sotto chiave,e riservato alla conoscenza delle persone che per loro im-

piego

confidenza meritano esserne edotte.

Persuaso che anche in quest'occasione sarà per dare nuovi contrassegni di suo zelo per il bene del Regio Servizio etc. Il

Governatore Galateri

Quesiti pei Signori Sindaci

:

l.Se abbi coperti altri impieghi, quali, dove, quando e come.

2.Da che tempo esercita le attuali funzioni. 3.Capacità,zelo retto,imparziale,interessato,pel vantaggio de' suoi amministrati.

4.Quale reputazione gode nell'opinione pubblica, e da cosa provenga.

S.Condotta morale, religiosa, civile e politica. 6.Fortuna,se in fondi o in commercio.

T.Quale sia la di lui opinione politica,quali persone sia solito frequentare.

Quesiti per li Signori Segretari, l.Se abbia. esercito altri impieghi, quali, dove, quando e come.

2.Epoca dell'attuale. 3.Abilità,zelo e riputazione.

4.Quale influenza abbia nelli affari amministrativi e politici. 5.Se diretto da spirito di partito.

6.Condotta in genere. 7.Quale sia la di lui opinione politica,quale sorta di persone sia solita frequentare. l.Le Città, Borghi etc. dovranno essere posti per ordine di lettere

alfabetiche.

2.Designare a quale famiglia appartenga la moglie,chi sia vedovo,

con chi sono ammogliati i flgli,e qual carriera abbiano intrapresa.

3.Le epoche dei fatti succeduti, la natura e la qualità degli impieghi,i luoghi,i tempi debbono venir espressi colla maggiore pre-

cisione possibile.

4.Le osservazioni tendono a far conoscere l' attuale opinione d©L

Comandante su ciascheduno.


- i.dl Documento X. (jrdtne del giorno del Governatore Galateri alle Truppe della Divi-

sione Militare di Alessandria per la rinnovazione del giuramento a S.it.il Re.

30 marzo 1825. Soldati,

A giorni s'appressa l'epoca in cui Voi dovete rinnovare il Giuramento di fedeltà all'Augusto Vostro Sovrano : Voi conoscete

l'

importanza

tutta di quel Sacro Rito! Voi avete già nel cuore quello che il Vostro

labbro va a pronunciare! Soldati, l'affetto che promettete al Vostro Re,sia puro Sia leale Sia !

!

sommo! Voi dovete mostrarvi orgogliosi di nudrir in seno sì magnanimi 8ensi,manifestarli in tutte le vostre azioni e le vostre parole,riprovando sdegnosi chiunque osasse metterli in dubbio, o cercasse di scemare in Voi sì nobil tìamma. Giurando in faccia a Dio invincibile di sacrificar la vostra vita in difesa del Re,voi brandirete con gioia quell'armi che Egli vi dà, ansiosi di versare all'occasione tino all'ultima stilla del vostro sangue pel so-

stegno della Corona, per la felicità e la gloria della vostra Patria, che

mai non potranno andarne disgiunte. Soldati

!

11

vostro vecchio Generale vi sarà ognora guida e compagno

sul sentiero dell'onore e del dovere; fidate in me,com'io ripongo in Voi la mia fiducia, ed animati tutti dello stesso spirito, in

ogni qualunque

incontro giulivi esultanti grideremo: Viva il Re! Viva Carlo Felice! Il

Governatore e Comte Generale dellq. Divisione

Conte Galateri

DOCUMBNTO XI. Copia di circolare di S. E. il Signor Generale della Divisione di Ales-

sandria diretta alli Signori Comandanti nella medesima in data 30 settembre 1826 y. 15^8.

Con mio foglio circolare 28 agosto 1824 ho dato le norme necessarie per la formazione della statistica personale dei Signori Sindaci e Segretari delle civiche e comunali amministrazioni, coli' incarico a V.S. Ill.«n*di

farmi conoscere non solo le variazioni che sarebbero occorse

nelli impiegati,

ma eziandio parteciparmi quelle ulteriori notizie ac<

quistate e che per la loro natura potessero contribuire a viomfL'Iio caratterizzare chi ne fosse il soggetto.

Quantunque abbia motivo di essere soddisfatto della maniera con cui RUorg., 17

18


— 298 — venni corrisposto in sififatto lavoro,tuttavia mi giova interessare la S. V. Iil.»»aonde voglia somministrarmi tutto ciò che le sarà risultato in

aggiunta delle prime trasmissioni. indicare li non ancora designati nuovi impiegati in un colle necessarie spiegazioni.

Oltre al procurarmi quanto vengo ora di chiederle,questa mia ha per

scopo uh più esteso incarico in genere di statistica personale,col quale bramo formarmi un quadro

morale storico della Divisione,onde co-

noscere chi sia meritevole de' riguardi dovuti alle persone^abbene e di distinguere quelli

che debbono essere giustamente sottoposti alla

attenzione particolare della Polizia.

Per conseguire il proposto intento mi abbisognano tre separate tabelle,cioè una destinata per li Ecclesiastici di ogni grado, la seconda per lì

Impiegati Regi, e la terza dovrà comprendere i privati in genere.

Qui annesso le invio la modula e la dimensione della carta su cui devonsi compilare le or citate tabelle. Un doppio delle medesime dovrà

rimanere ben custodito presso la S.V.Ill.ma. Le maggiori nozioni che si potranno avere in progresso di tempo,sia che trattasi di fare nuove designazioni di persone,che riguardo alle restrizioni od amplificazioni sulle annotazioni già trasmesse, dovranno

essermi inviate tosto che peryerranno alla di Lei conoscenza.

Debbono figurare nella prima tabellari Vescovi, gli impiegati della, Curia,i Parroci,! capi e le direttrici delle case religiose,e li ecclesiasti-

conducano saviamente e con somma esemplarità, che fanno azioni virtuose,che si rendono cari ai loro simili e che giustamente riscuotono una buona riputazione; quelli che le loro ricchezze e loro opinioni gli danno -dell' inci sì regolari che secolari, distinti, per sapere che si

fluenza; quelli stati sottoposti a delle punizioni o correzioni per in-

condotta qualunque; che manifestarono opinioni pericolose nel politico, come pure in genere di religione e di moralità; nonché quelli rico-

nosciuti scandalosi e di cattivo esempio. .

Le Autorità, li Funzionari Regi di qualunque classe, appartenenti al

giudiziario, al militare, all' educazione od istruzione pubblica, alle am-

ministrazioni in ogni ramo dovranno figurare nella tabella N.2.

Le annotazioni intorno a questi debbono estendersi, purché, sia possibile, sulla loro condotta passata e presente,sia come privati, che im-

piegati Regi.

Le circostanze rilevanti loro capitate nel decorso della vita,le virtù di ogni sorta, i talenti, debbono trovare un'onorevole menzione, e si debbono

non

omettere le loro mancanze, sia che abbiano o no eccitate

delle lagnanze.

Nella terza tabella avranno posti i forti possidenti, siano o no sud-


- iì99 diti (ii S.M., anche abitanti in estero paese, e piucchè sarà possibile si dovrà fare dettaglio storico della loro persona, e origine di famiglia,

come pure di quelli aventi favorevole riputazione acquistata o per scienza,per dignità,impieglii eminenti coperti,in qualunque luogo,tempo ed

occorrenza e per ragioni di qualità distinte. Gli individui cogniti per le loro pericolose opinioni religiose, politi-

che e morali, qual sia il rango e condizione, debbono pur anco essere designati, e sarà utile di dare a loro riguardo i più estesi dettagli che si potranno raccogliere.

Infine voglia penetrarsi ciie questo

importante lavoro deve essere

una esposizione morale,ristoria di ciascun individuo.il timore dei malevoli, e la speranza del merito.

Costituirà il quadro morale, se ogni individuo distinto per impiego, funzioni,qualità di ogni sorta,sarà conosciuto colla designazione delle notizie e accidenti personali seguiti ed osservati sino dall'infanzia: si

ottiene cosi la storia delli individui, e sarà il timore de' malfacenti se le loro mancanze essendo note, si teme che esse possano nuocere alla

loro ambizione e al loro benessere.

Sarà infine la speranza del merito,se ogni virtù,se ogni talento,quando anche nascosto, vi trova(no) una onorevole menzione. •''on

questa raccolta preziosa, potrò distinguere facilmente l'uomo

nullo e pericoloso dall'uomo utile e devoto. Distinguerò quello che per le sue facoltà intellettuali si è distinto,é quello al quale le sue ricchez-

ze e le sue opinioni (gli) danno delle influenze. Ella scorgerà senza dubbio quale sia l'importanza di questo incom-

bente,che affido alla di Lei segretezza, persuaso che nel raccogliere il necessario materiale impiegherà la massima circospezione e destrezza onde non si scopra il fine a cui tendono le dimande sia in jscritto,

che verbali,che le occorrerà di fare ai Sindaci e alle persone di confi-

denza da lei ravvisate capaci e utili a secondarla nelle cure che vorrà, intraprendere.

Le osservazioni particolari che V.S.IU.»»* crederà giovevoli al maggiore sviluppo e per riunire ciò che le risulterà su ciascheduna persona, potranno pur anco servire a formare quella perfetta opinione che

desidero acquistare sull'attuale loro situazione e posizione morale,politica.religiosa e civile.

Mi farebbe cosa grata se V.S.IU."* potesse favorirmi tutto ciò prima della scadenza dell'andante annata.

Le persone che debbono essere conteiiiiu.itc

m «lucsto lavoro, e le

quali non è guari che presero dimora volontaria o per ragioni di im-

piego in cotesta provincia, farà d'uopo che ella interessi il Signor Co-


— 300 — mandante della Provincia daddove provengono, onde ottenere li schiarimenti che mi abbisognano. Voglio sperare che in questa, come nelle altre occasioni, ella vorrà

darmi prove non equivoche del sommo interessamento, di zelanti cure e di buone disposizioni onde secondarmi in ciò che ravviso utile per viemeglio adempire l'obbligo che tengo da S.M.nelle cose riflettenti la Polizia. 11

Governatore Galateri.

Alessandria li 30 settembre 1826.

Per copia conforme : Il

Maggiore Generale Capo dello Stato Maggiore

De Sonnaz.

Documento XII. Copia di Convocato, in pergamena, del 7 gennaio 1833. L'anno 1833 ed alli 7 del mese di gennaio nella città di Alessandria e nella sala del pubblico Palazzo, ove suole adunarsi il Consiglio Ge-

nerale dell'Ili. ma Civica Amministrazione della medesima,avanti l'ill.o

Signor Cavaliere Bianchi Pietro dei Conti di Lavagna,Cavaliere della

Sacra Religione ed Ordine militare dei SS. Maurizio e Lazzaro, Intendente generale di questa Divisione e Provincia, convocato e congregato d'ordine del Signor Sindaco di 1.™» classe il Consiglio generale di

questa Civica Amministrazione, previo avviso fatto pervenire a caduno dei membri che La compongono dalli Servienti questa Città, Giuseppe

Limonta e Giovanni Viola, come li medesimi hanno qui riferito e riferiscono, sono intervenuti gli

IIl.>»i Signori Conte^ D. Giovanni Angelo Calcamuzzi di Montalero, Sindaco di l.«»a Classe,Avvocato Carlo AUio-

ra sindaco di 2.da classe,Marchese D.Ludovico Faà di Rruno,D.Gaspare

De Negri, Cavalier D.Alessandro Gavigliani, Conte D. Giuseppe Nicola CanefrJ,Cav.D.Gerolamo Melazzi, D.Gerolamo Panza, consiglieri di l.m» classe ; Stefano Ludovico Straneo,Giovanni LucaCrivelli,Nicola Masso-

Mocca, Giovanni Piacenza, consiglieri di 2A^ classe componenti li medesimi i due terzi dell'intero Corpo Civico. la, Avv. Sebastiano

Il

Signor Sindaco di l.ma classe nel presentare a questo Civico Con-

siglio il dispaccio di S.E.il Signor Conte D.Gabriele Galateri di Genola,

Governatore di questa Divisione, in data del 10 gennaio corrente, con cui, comunicando a questa Civica

Amministrazione il Regio Brevetto

del 29 dicembre precedente,in virtù del quale S.M.,in contrassegno della sua Sovrana approvazione e soddisfazione per le opere dal medesi-

mo fatte eseguire nell'Isolotto situato sotto corrente del fiume Tanaro,


- 301 attiguo alle Fortificazioni di questa Cittadella,8i è degnato di determinare che il detto Sito venga quindi innanzi denominato Isolotto Galateri in memoria dell'incessante sollecitudine dello stesso

Governatore,

della particolare propensione che la M.S. si compiace di avere verso la

commendevole di Lui persona, esternerebbe in tale partecipazione la preiodata E.S. il desiderio,che la copia del surriferito Regio Brevetto

venga consegnata negli Archivi di questa città a perpetua conservazione di tale Sovrana disposizione, il prefato Signor Sindaco si fa un dovere di rappresentare a questo Civico Consiglio meritarsi una si importante e preziosa partecipazione tutta l'attenzione ed

i

sommi ri-

guardi di questa Civica Amministrazione. Trattasi difatt^di un singolarissimo straordinario favore del Mimi

ficentissimo Sovrano accordato ad un Personaggio già chiaro e distinto per gloriose militari gesta sotto la Primaria Potenza d'Europa,

insignito e ricoltnodei più onorifici ordini stranieri, nonché delle pili

decorose cariche ed onorificenze dello Stato, premii tutti befi larga-

mente meritati,e rapidamente compartiti in ragione degli incessanti ed eminenti suoi servizi al Regio Governo trattasi della primaria au;

torità politica e militare di questa cillà,che da nove anni ha la fortuna di possederla ed ammirarne l'alta Saviezza J' Integrità e la eminente imparziale Giustizia nel buon governo di questa Divisione, sempre

dalla di lui instancabile attività e vigilanza preservata da ogni funesta conseguenza nelle piti difficili circostanze colla conservazione della pili perfetta tranqtiillità e buon ordine, e con sempre pronti e

provvidi mezzi onde assicurare la pubblica salute e sicurezza,di quell'autorità insomma di cui si compiace e commenda lo stesso

Augusto

Sovrano con replicati pubblici segni di cospicue distinzioni, il di cui splendore, nel mentre che altamente onora e fa campeggiare gli esimii suoi meriti, non cessa di ridondare a maggior lustro ed ornamento di

questa Città e per cui, indipendentemente dalla già per altri titoli dovutale benemerenza,nuovi diritti viene ad acquistare all'alta sua indelebile riconoscenza.

Non dubitando pertanto ii prelodato Sig. Sindaco di 1» classe che questo Civico Consiglio non sia per accogliere una simile partecipazio-

ne con tutto quel trasporto di vera esultanza e piena venerazione che l'alto suo oggetto ha a lui stesso inspirato nel

riceverla,ha l'onore di

proporgli che non solamente se ne faccia col presente Atto onorevole e grata

menzione col mandarsi deporre e gelosamente custodire in

quosti Civici Arcliivii il prementovato Regio Brevetto, ma. che ad eter-

nare pubblicamente la memoria di un sì raro e prezioso tratto di So-

vrana Magnanimità a favore della Primaria cotanto benemerita Auto-


30-2

-

rità Governativa di questa Città e Divisione,se ne decreti una Lapide con analoga iscrizione da collocarsi sul lato destro all'uscita del Ponte Tanaro,pregando,corne prega,questo rispettabile Consesso ad emet-

tere le sue deliberazioni In proposito. I

Signori Congregati, accogliendo colla massima premura, soddisfa-

zione ed esultanza la suriferita importantissima comunicazione fatta a questa Civica Amministrazione da S.E. il Signor Conte Galateri, Go-

vernatore di questa Divisione, di cui si dichiarano altamente sensibili e tenuti e per cui glie ne rendono le ben dovute distintissime pubbliclie grazie, e l'analoga proposizione del Sig.

Sindaco di 1» class e, con

pari sollecitudine e contentezza approvando con tutti i ben giusti e

degni sentimenti che raccompagnano,gloriandosi della presente som-

mamente propizia e ben gradita circostanza onde poter dare alla Prefata E. S. qualche pubblico e perenne attestato dell' alta Loro ricono-

scenza e profonda venerazione a tanti titoli dovuta ad una Primaria Autorità cotanto benemerita di questa Città e Divisione, hanno del più

unanime, pieno e grato consenso deliberato, come deliberano, doversi

non solo fare di una sì preziosa partecipazione,come ne fanno col presente,onorevole e grata menzione,mandando, come mandano, deporre in un con copia del presente,e gelosamente custodirsi a perpetua con-

servazione,il sullodato Reg'o Brevetto,col dispaccio di S. E. che lo ac-

compagna, in questi Civici Archivii, ma ad eterna e pubblica memoria di un sì fausto avvenimento rte decretano una lapide con analoga iscrizione da collocarsi sul lato destro all'uscita del Ponte Tanaro, od in quell'altro sito che sarà giudicato più conveniente e di maggior gradi-

mento alla Prefata E. S., deputando

frattanto,

come deputano,

gli

lU.mi Signori Sindaci di presentare in nome di questo Civico Consiglio

copia del presente atto alla prelodata E. S., esternandole tutti i senti-

menti di sincera congratulazione,di cui sono penetrati in sì fortunata occorrenza.

E per l'esecuzione della presente deliberazione,per ciò che concerne la formazione della lapide colla relativa iscrizione e suo collocamento

ne^ sito opportuno, hanno deputato, come deputano, gli lll.mi Signori

Sindaci Marchese Faà di Bruno consigliere di 1» classe e Nicola Massola consigliere di 2* classe,conferendo loro tutte le facoltà necessarie

ed opportune,con incarico inoltre ai Sig." Sindaci di fare tutti quegli altri incumbenti che si riscontreranno necessari ed opportuni per il più pronto compimento di tale pubblico voto.

A precedente lettura e conferma di quanto sopra si sono li prefati Signori Congregati sottoscritti.

(Seguono le /Irme).


- 3()3 Tenor d'iscrizione

:

(iALATERl

HA DA NOMAR SKMPRE LO ISOLOTTO NKL TANARO PER VOLERE DEL RE CARLO ALBERTO. RI.M VNERATORE MVNIFICO DELLE PACIFICHE DOTI E DEL VALORE GVERRIERO, SI

COME CHE U. CONTE GABRIELE GALATERI DI GENOLA, GENERALE DI CAVALLERIA GOVERNATORE DELLA DIVISIONE DI ALESSANDRIA, ERA FAVTORE PRINCIPALE E DIRIGEVA LE OPERE ONDE AFFORZAR LO ISOLOTTO A DIFESA DELLA CITTADELLA. LA CIVICA AMMINISTRAZIONE POSE yVKSTA LAPIDE A RICORDANZA ETERNA DEL SOVRANO FAVORE E DI LVI CHE LO HA MERITATO

FEBBRAIO 1833. lV)Cl'MENTO XIIl.

(copia) .le

Turin,le 9 fevrier 1835.

m'empresse, mon clier a mi, de repondre à votre lettre, et de vous

assurer de tout le plaisir que j'éprouverais de faire quelque chose qui

VOUS fut agreable,mai8,quoique je connais dejà votre désir de changer votre gouvernement pour celui de Coni,je n'ai pu encore m'y décider,

par la penst^e que,malgré toui ce que nous pourrions dire,(que) les coquins feraient grand bruit ici et au dehors,et qu'ils chanteraient victoire.En leflechissant a l'etat de votre sante, qui me tient infìniment

à coeurje comptais vous ferire pour vous dire, que je vous dispenserais entierement du séjour d'Alexandrie et de toute occupàtion relative au gouvernement,tout en conservant ses titres e* avantage8;com-

ptant pourtant puis,si un guerre éclatait, ou que nous eussions le mal-

heur d'avoir quelque bouleversement dans le pays.que vous repréniez le

commandement pendant ce temps, il me paraissait que c'tHait le

meilleure manière de tout combiner.

Faverges n'a point été nommé gouverneur de la cittadelle, mais il a r<''cù

un congé jusqu*a ce qu'il aie pu payer ses dettes,ce qui sera fort

difficile.

Gomme, dans tous les cas,que vous ne désirérez ce transfere-

ment àConi.qu'au mois d'avril,8i vous continuérez,malgré lesretìexion qup i" vitMw ,!p voiis fiiii-o, '!:t'i^ Ir. fTiAmo dèsir.alors je vous contenterai .le

vous enibrasse,et suis votre ami C.Albert.

DocrMBNTo XIV. Sire!*

Penetrato dalla più profonda riconoscenza per la nuova luminosa prova di bontà che la M.V.si dejirnò darmi col graziosissimo autx)graro


- 304 -

.

Suo foglio del 9 andante,io vengo,o Slre,a deporre a piedi dell'Augusto Vostro Trono le mie più vive grazie; e poiché la M.V. nell'alta di Lei saviezza non crede, per le espressivi ragioni,di traslocarmi al Governo di Cuneo,e ch'era Vostra mente,o Sire,di dispensarmi dall'obbligo del-

la residenza e da ogni incumbenza relativa a questo Governo,io mi ap-

profitterò di così generose intenzioni,ed allora,quando il tempo lo consenta,io mi ritirerò alla mia campagna per colà attendere a migliora-

re l'alterata mia salute. Nell'atto pertanto ch'io starò attendendo gli ulteriori cenni della M.

V.sul proposito, io mi permetto di rassegnarle una mia preghiera.Sic-

come per la continuata assenza

dal

mio posto, le occupazioni del

Mag.e Gen.ie Com.tedi questa Divisione, Sig. Conte Saluzzo della Manta,si faranno necessariamente di gran lunga maggiori,io sarei quindi a

supplicare la M. V. che in compenso di tale straordinario servizio io

venga autorizzato a lasciare allo stesso L.4100 annue da perceversi sui fitti

de' spalti di questa Cittadella senza alcun obbligo di spese di Can-

celleria,e che di tale disposizione (ne) sia fatta menzione della lettera ufficiale che la M.V.si degnerà di farmi scrivere pel mezzo del compe-

tente Ministero, onde sia così conciliata la

mia delicatezza e quella

grandissima del prefato Signor Magg.^e Generale pel quale io nutro

un verace attaccamento, permettendomi

di 'porre

sott'occhio della

M. V. che ciò non mi sarebbe per altra parte di grande agra vio, poiché di

gran lunga minore alla perdita cui io avrei dovuto soggiacere,pas-

sando al Governo di Cuneo. Nello apparente ozio in cui rimarrò alla mia villeggiatura, e senza

occuparmi di ciò che è relativo al mio Governo,io seguirò però l'andamento delle cose in grande,ed ove avvenga,che Dio non voglia,clie sorgesse un qualche turbine che oscurasse l'orizzonte politico, io sarò

pronto a restituirmi al mio posto onde tributare a servizio della Sacra

persona della M.V. e della Corona l'avanzo dei miei giorni.

Ho l'onore etc. C.te Galateri.

Alessandria.lO febbraio 1835.

Documento XV. {Copia di lettera della R. Segreteria di Stato per gli Affari delVinlerno,Gabinetto Part.,del 27 Pbre i837, diretta a S.E. il Signor Governatore della Divisione di Alessandria).

Regio Governo della Divisione «di Alessandria. Eccellenza!

Giusta le nozioni or ora pervenute al Ministero degli Affari Esteri,e

da esso partecipate a questa R. Segreteria di Stato, sembrerebbe che


- 305 — ^li intrighi

ed i maneggi delle fazioni rivoluzionarie si facciano piuc-

chè mai attivi, che anche le relazioni {r& i settari dei varii principali punti d'Italia riprendano nuova vita,che il Piemonte sia quello da cui

dovrebbe partire l'iniziativa e un moto insurrezionale e che i faziosi sperino di trarre appoggio nelle R.Truppe per mandare ad effetto siffatti

loro disegni.

Simili nozioni sembranmi perciò di natura da essere senza indugio

ed in via riservata per me portate a notizia de' Signori Governatori delle Divisioni, siccome quelle che, quand'anche potessero

ess^e in

qualche parte esagerate,vogliono però che si prendano ad ogni modo colla dovuta circospezione le più efficaci misure di vigilanza per isco-

prire le macchinazioni che a danno del R.Governo si ordissero, e i tentativi che per avventura si facessero presso le Truppe onde pervertir-

ne lo spirito. Finisco adunque col raccomandare caldamente a V.S.Ul.™» ed Eccell.™* un oggetto,rimportanza e delicatezza del quale sarà di leggieri

da Lei sentito,e pregandolo per ultimo di voler ben tenermi a giorno di tutto ciò e quanto potrebbe essere meritevole di qualche attenzio-

ne in proposito,ho il pregio di ripetermi con distintissimi ossequi Di V.S.Illm» ed Eccell«n»

Per il Primo Segretario di Stato Dev.nao ed obbl.™» Servitore

Lazzari. Doi.(

.>ii-.;Mt'

-WI.

(Copia di lettera autografa di S.E.il tìig.Governatore della Divisio-

ne di Alessandria diretta al Sig. Maggior Gerterale C'om.t« la Città e Provincia di Alessandria in data 14 marzo Ì838,N.''466). Rv< '" GoVKRNO DKLLA DIVISIONE DI AKESS.\M>HIA.

SOFRAINTKNDENZA DI POLIZIA. Trovasi da alcuni anni in questa città sprovvista affatto di carte una rtglia nubile chiamata Luisa Arduino, di Nizz^i Marittima,soprannomlnataLovizona,dimorante in una casa sulla Piazzetta del grano, la quale oltre di

avere già dato alla luce tre ti;fli,avrebbe nell'anno scorso

estorquito ad una donna di questa città la somma di lire cento,promet-

tendo alla medesima che si sarebbe impegnata per far liberare il di lui Aglio dalla leva militare sebbene fosse egli esente dalla legge per es

sere stroppio da ambe le gambe. Sul riclamo di detta donna, e riconosciuta la verità e le circostanze attenuanti,fecr restituire le carpite li-

re cento ed ordinare alla suddetta Luisa di partii*sene da questa città. -Ora avendo dt>vuto riconoscere ch'I'iii ikm) «vrebbe obtempornt.». le


— 306 — feci nella scorsa settimana rinnovare, per siffatto motivo e per la sua

illecita condotta, l'ordine della partenza da questa Divisione fra tutto il

giorno 20 corrente mese, nonostante il disposto della circolare di

questo Governo delli 3 gennaio 1833,N.°16,che credo non riferibile alla circostanza di cui si tratta.

Nel prevenire di quanto sopra la V.S.Ill.ma io vengo ad invitarla di voler far conoscere alla succitata figlia una tale mia invariabile deter-

minazione, e che qualora si credesse lesa, l'autorizzo, pendente tal tempo, a rivolgere le sue istanze presso la Regia Segreteria di Stato

per gli affari dell'Interno.

In attesa di sentire dalla di Lei sollecitudine il risultato, mi riprote-

sto con distinta stima e pari considerazione Il

Governatore Galateri.

Documento XVII. (Còpia di lettera particolare al cav.Pés di Villamarina).

Amico carissimo. Le diverse disposizioni da me fatte onde,sebben lontano dal mio posto, essere sempre ragguagliato sul modo con che le cose relative al servizio avrebbero proceduto durante la mia assenza, avendomi con-

dotto a conoscere che queste lasciavano nella loro esecuzione alcun-

ché da desiderare, pensai di far ritorno a questa mia residenza, onde

procurare di porvi riparo.

Appena perciò qui giunto e riordinate quelle d'esse che mi parvero mezzo di nuovo apposito avviso, le udien-

le più urgenti,vi instituì,col

ze particolari,che determinai atre giorni fìssi d'ogni settimana,ed avvi-

sando che come era probabile che nel novero di coloro i quali pote-

vano valersi delle medesime,alcuno vi sarebbe stato,cui o per timidezza naturale, o per tema di compromettersi, o finalmente per umani riguardi,non gli avrebbe consentito di presentarsi in persona,ordinai che la bussola per le lettere di polizia fosse rimossa dal posto in

che tro-

vavasi e collocata in sito più comodo,onde con questo mezzo facilitare

specialmente a questi ultimi il clami

;

il

modo di farmi pervenire

i

loro re-

che s' eseguiva.

Io non istarò qui

ad indicarvi partitamente né a quanti,nè a quali

inconvenienti io abbia rimediato, né é mia mente di farvi un ufficiale

rapporto sui medesimi, non volendo dare pubblicità a cose che giova meglio sieno condannate all'oblìo ; io mi accontenterò solo di dirvi che molti essi furono e ninno di poca importanza,se si riguarda alle funeste conseguenze che dalla loro tolleranza avrebbero potuto tornare al

Regio servizio ed alla pubblica morale!


- 307 — Siffatta tensione dello spirito e- del corpo però più non potendo con-

venire né all'età mia quasi ottuagenaria,nè alla caKionevole mia salute,bisognevole di quiete; né potendo negli ultimi giorni di mia esisten-

za gravare la mia coscienza delle conseguenze degli accennati inconvenienti.i quali col mio allontanamento, verrebbero per certo, a ripro-

dursi, né infine espormi un'altra volta alle amarezze, cui per eccesso

d'amore pel servizio del Re mio Augusto Signore, io fui, non è guari,in preda,io vi prego istantemente a voler disporre la M. S. a concedermi quell'onorevole riposo di che io ebbi altra volta a verbalmente ricercarla,e dal quale io sento d'aver d'uopo dopo 77 anni di esistenza, e 61 di fedeli servizi.

Nella speranza die siate per riferire alla M. S. questo mio desiderio, il

quale non muove già da capriccio,ma bensì dall'intima convinzione

in che sono di non

poter più oltre continuare i miei servizi con quel-

l'energia di che l'animo mio è capace, siccome io mi riservo di meglio

convincere ì? M.S. verso la metà di maggio, in cui,di ritorno da Casale,

ove penso di recarmi nell'installamento di quel Senato,avrò l'onore di chiederle un'udienza particolare, io vi pregherò frattanto di soggiungerle che nel pacifico riposo in cui Le piacerà di collocarmi io non ad-

diverrò punto insensibile per tutto ciò che La riguarda; ogni suo glorioso evento scenderà gradito sul mio cuore,siccome amarissima ogni

sua più lieve perturbazione, e che ricambiando coi più fervidi voti di prosperità pel suo Regno e per la Augusta Sua Famiglia le infinite

prove d'affetto di che mi colmava, aspetterò che si spenga una vita ch'io dedicai mai sempre a sostegno della sua Corona ed a difesa dello Stato.

Di tanto,mio amico carissimo, io vi pre^o nell'atto che passo a ricon-

fermarmi invariabilmente Alessandria,il 16 marzo 1«3h Vostro G.M.Galateri.

Documento XVIII (Copiu di lettera in data deìli i7 Marzo /.vo, Innsiune l'ersonale S'.H03,dirella a S.E.il Signor Conte Galaleridi Genola,Goi'ernatore di questa Divisione, dal Ministero della Guerra).

RKdlO OoVEKNO DELLA DIVISIONE IH ALESSANDRIA. S.M. sebbene non abbia ravvisato opportuno di aderire alla domanda. che V.K.le umiliò poco tempo fa perchè concernente il di Lei ritiro

totale e deflnitivo,non potò tuttavia giudicare minore il biaogno,che la i/ravi'

l'fjY

»»

t'Ii

inriMiiodi di salute h^-ih vm «^.i.racftn l'K V.le facevano,


- 308 di una posizione meno faticosa assai di ciò che non (lo) sia quella del

Governo di una Divisione. Egli è quindi nel por mente a questa circostanza particolare ed alle esigenze del R.° Servizio che in udienza di -questa mattina determinò nell'Alta Sua savieziite. di esonerarla dal Go-

verno di cotesta Divisione e di firmare ad un tempo le patenti per la di Lei

nomina all'alta carica d'Ispettore Generale delle R. Truppe di

Fanteria e di Cavalleria, assegnandole l'annua paga di Lire Diecimila

come Generale d' Armata, nonché l'altra paga d'annue Lire Cinquemilla come Ispettore Generale, oltre sei razioni di foraggio al giorno, incominciando dal l.'di Aprile prossimo. Quindi la M.S.,riflettendo che questo Ministero tiene già a disposizio-

ne un Ufficiale superiore per far eseguire annualmente e quando può •occorrere le riviste dei Corpi di truppa per la parte contabile, e che

perciò che riflette l' istruzione sono già incaricati

i

Governatori pei

Corpi stanziati nella rispettiva Divisione, siccome cosa inerente alle ordinarie loro attribuzioni, determinò anche in considerazione degli

incomodi di salute da cui V.E.si trova molestata;di dispensarla dall'obbligo delle rassegne ordinarie e di fissare che Ella debba soltanto ese-

guire quelle riviste straordinarie che le verranno dalla M.S.commesse volta per volta con appositi speciali ordini, sempre quando la di Lei salute le possa consentire.

Piacque inoltre al Re di chiamare a successore di V. E. nel governo di cotesta Divisione il Sig.Barone Righini Luogotenente Generale, ora

Governatore della Divisione di Novara, a cui assegnò dal 1.» prossimo aprile,oltre la paga ed i vantaggi stabiliti per cotesto Governo di Ales sandria; anche un'annua indennità di L. 3400 sul bilancio delle Regie

Finanze in compenso dei proventi degli spalti di coteste fortificazioni, che dovranno quind'innanzi,a seconda delle Sovrane intenzioni,passare per intiero senza eccezione al Regio Demanio,a norma dei successivi concerti che verranno presi tra questo Ministero e quello delle R.

Finanze,come mi riservo di farne poscia informata l'E.V. In modo più circostanziato e positivo, anche per le disposizioni che da lei puonno

dipendere. Al Governo di Novara, che si lascia vacante dal S. Ba.^e Righini pel

suo trasferimento in Alessandria, il Re destinò in qualità di Governatore il Signor Conte Renaud di Falicon,Luogotenente Generale,ora Co-

mandante della Divisione di Torino,il quale nel comando di questa verrà rimpiazzato dal Signor Luogotenente Generale Saluzzo della Manta ora Com.te di quella di Alessandria, colla continuazione della paga e •vantaggi ed indennità di cui ora gode.

Nel far quindi V.E.informata d* tutte queste Sovrane determinazio-


— 309 — ni per di lei norma, ed anche

perchè si compiaccia di dare in esegui-

mento delle medesime gli avvisi che puonno da lei dipendere,di8ponendo anche a che il Signor Conte della Manta,rimesso il Comando interinale di cotesta Divisione al Maggior Generale Sig.Cav.Bava Comandante la Brigata Piemonte,si rechi alla nuova datagli destinazioneja pre-

go di voler gradire le sincere espressioni dell'inviolabile mio distintis-

simo ossequio. Il

Primo Segretario di Guerra e di Marin

.

Di Villamarina

Per copia conforme Il

:

M. Generale Capo dello Stato Maggiore

De Sonnaz.

Documento XIX. Regio Governo della Divisione di Alessandria. '

Ordine del giorno i9 marzo iif38.

S.M., sebbene non abbia ravvisato opportuno di aderire alla domanda

che io le umiliava non ha guari, perchè tendente ad ottenere il mio ritiro totale e definitivo,non potè tuttavia giudicare minore il bisogno

che la grave mia età e gli incomodi di salute,a cui io vado soggetto,mi facevano sin'ora d'una posizione meno faticosa assai di ciò che non

mi sia quella di un governo di una Divisione,e quindi nel por mente a questa circostanza particolare ed alle esigenze del R. Servizio, deter-

minò in udienza del 17 andante di esonerarmi dal governo di questa Divisione e di firmare ad un tempo le Patenti per la mia nomina all'alta carica di Ispettore generale delle R.Truppe sì di fanteria clie di cavalleria,chiamando a mio successore nel Governo di questa divisione il signor Barone Righini, Luogotenente Generale, Governatore della Divisione di Novara.

S.M. nella medesima udienza destinò il Sig. Luog.t« Generale Conte

Saluzzo della Manta al Comando Militare della Divisione di Torino, il quale consegnerà perciò il Comando di questa al Sig. Cavaliere Bava,

Maggiore Generale,Comandante la Brigata di Piemonte.

Prima di lasciarvi.o Soldati,consentite che io vi parli anco una volta amorevoli parole,e con queste io rattempri l'amarezza da che l'animo

mio è compreso nel dipartirmi da voi. Sianvi esse la misura dell'afTetto che io vi portava e delle assidue cure con che mi adoperai onde vieppiù farvi degni degli sguardi del Re. Serbate illesi quei sentimenti di devozione per il Sovrano, di che nel giro di poche lune voi feste qui bella lodevole prova.Recate in qua-

lunque

luo^ro vi

condurrete quella militare disciplina, quel marziale


— 310 — •contegno,queiramore infine per il servizio del Re,di che io ebbi tante volte a lodarmi,e di cui mi è dolce in oggi porgercene questa solenne amorevole testimonianza. Rispèttate,emulate le virtù di coloro che la

volontà del Re trascelse a vostri condottieri nella nobile ed insieme difficile carriera delle armi. Così

operando, e respingendo mal sempre

dal vostro petto ogni funesta dottrina,voi diverrete l'onore delle vostre famiglie, lo splendore della nazione, una gloria del Principe, al

quale voi porgerete cosi fidanza ch'ove un suo comando v'ingiungesse

d'impugnar l'armi a difesa della Sua Corona e dello Stato, Ei troverebbe in voi

i

condegni pronipoti di quei prodi, che, capitanati da Emanuele

Filiberto, da Vittorio Amedeo li e da Carlo Emanuele III, invitti e gloriosi Suoi Avi, trionfarono a San Quintino, in riva all' Eridano, e fra le

balze della Pourrière e dell'Assietta. 11

Generale di Cavalleria Ispettore Generale delle R.Truppe di Fanteria e Cavalleria

Galateri.

Per copia conforme: Il Generale dello Stato Maggiore De Sonnaz.

Documento XX. Re(;io Governo della Divisione d'Alessandria.

Ordine del Giorno 21 marzo 1838. Prodi e fedeli Carabinieri Reali,

A voi pure, a voi eletta porzione dell'Armata, a voi che in mille guise cimentate i giorni vostri a prò del pubblico bene, a voi, generosi e fedeli Carabinieri Reali,che pel corso di ben quattordici anni tante pro-

ve mi deste e della vostra solerzia e della devozione vostra al Sovrano, io rivolgo in oggi le mie parole.

Esse sian brevi,ma tali però,ricordandole, da mantenervi a quell'altezza in cui la Maestà del Re Nostro Signore vi ha collocati. Serbatevi

mai sempre ligi e fedeli all'onore, a quell'onore cui è scuola la religione de' nostri Padri,e la morale; a quell'onore senza cui niun esercito può sussistere, ninna umana istituzione lungamente sorreggersi; a quell'oronore,in fine, che nutrite in petto, e per cui io sono in oggi lietissimo di porgervene questa onorevole testimonianza.

Sovvengavi ognora che se molta è la fede che il Sovrano e lo Stato

hanno in voi riposta,molta del pari debba esserquella con cui adoprarvi dovete nell' importante vostra missione, che in voi

stauno

i

mezzi


- 311 di prevenire la col pania voi il Re s'aspetta la sicurezza della Sua Co-

rona e dello Stato. generale di Cavalleria Ispettore Generale

Il

delle R.Truppe di Infanteria e Cavalleria

G.Galateri.

/Vr C'/^y.«

'

•,,>/'antie : 11

Ma^rg.Gen.e Capo dello Stato Mag/riore

De Sonnaz.

Documento XXI. Testamento del cojite G. M. Galateri. ,

Cupio dissolvi et esse cuin Christo.

Io Conte D.Gabriele Maria Galateri di Genola,Cavaliere del Supremo

Ordine della SS.»*»» Nunziatajspettore Generale delle Regie Truppe di Fanteria e Cavalleria, sapendo essere negli immutabili decreti della Divina Provvidenza, che io debba morire senza poterne presagire il

tempo e l'ora, giudicai opportuno sinché sono nell' integrità de' miei sentimenti di disporre delle mie sostanze nel modo seguente.

Supplico prima di tutto L'Onnipossente Iddio a volermi concedere il perdono di mie colpe;e per determinare la sua clemenza imploro l'intercessione della Vergine SS.™» e de' Santi tutti.

\ suffragio dell'anima mia prego il mio Esecutore Testamentario di far celebrare cento

messe lett^ entro il termine

di giorni quindici

dopo il mio dece8so,e di corrispondere ai sacerdoti l'elemosina di lire

una per ciascuna, autorizzandolo perciò a prelevare dalla massa ereditaria lire cento per tal oggetto.

Essendo dall'instituto del lodato Supremo Ordine della SS.™* Nunsono per munificenza Sovrana decorato, determinate le

ziata,di cui

funeree pompe, e detto che la Salma mia mortale sia tumulata nella

Certosa di Collegno, luogo destinato pei Cavalieri del Sud.o Ordine, supplico S.R.M. a permettere che seguino colla maggiore parsimonia, attesa la tenuità del patrimonio, che lascierò morendo.

Lascio lire quattrocento per una volta tanto ed in complesso a dieci famiglie per caduna delle quattro l'arrocchie della Città di Savigliano, le quali lin; qiiiittrocento saranno

rimesse, in ragione di lire cento, ai

quattro Parroci di detta Città per essere da essi esclusivamente distribuite a quelle di dette famiglie fra le più indigenti e meritevoli per

costumi morali. Lego, ed a titolo di legato lascio, alla mia figlioccia, e figlia di mio Aglio Pietro, nominata Oabriela-EmiUa, un'azione di lire tremila sei-


- 312 — cento stata da

me acquistata sul Canale d'Alessandria denominato

Carlo Alberto,con tutti li diritti annessi alla medesima.

Lego al mio nipote Conte Annibale Galateri per sincera riconoscenza del vero attaccamento ognora dimostratomi,particolarmente per l'indefessa' cura, zelo ed affezione pendente le sofferte tie,la canna di giunco con

due gravi mialat-

pomo d'oro già appartenente a S.R.M. il Re

Vittorio Amedeo III di sempre felice rimembranza.

Lego, ed a titolo di legato lascio, cioè: alla mia figlioccia e pronipote

damigella Valburga,flglia del sud.oConte Annibale Galateri,sei cucchiai, sei forchette d'argento e sei coltelli. Questi effetti si prenderanno fra

quelli esistenti in mia casa.Avendoio affidata alla mia affezionatissima

cognata Bianca-Giacinta vedova Galateri l'amministrazione e direzione delli miei affari, e munita di mandato ricevuto dal notaio Rosa, ed avendomi essa presentati i di lei conti di caricamento e scaricamento,

che ritrovai perfettamente conformi, come ero persuasissimo, ai miei voti, perchè regolati dall' integrità ed illibatezza che

sono i caratteri

che sì la distinguono,passai alla medesima piena liberazione per scrittura privata,ed intendo perciò e voglio,in forza anche di legato particolare,che li miei eredi non possano per qualunque titolo, pretesto e

causa,e per qualunque circostanza,ascriverle contabilità veruna, giac-

ché essa attualmente e da qualche tempo, per tratto della di lei compiacenza,non mi presta che la mera personale assistenza.

Ero per effetto di verace riconoscenza risolto a dare alla medesima

un efficace testimonianza di mia singolare stima,se essa non mi avesse manifestata una volontà diversa, ma riceva in contraccambio del di lei

disinteressamento tutto il mio buon volere.

È mia precisa intenzione che la stessa mia cognata non possa mai venire molestata né ricercata,tanto direttamente, che indirettamente,

per parte dei miei eredi,o di chiunque altro per essi, relativamente al contratto stipulato fra me e

la,

medesima con scrittura privata fatta

per doppio originale del venticinque giugno milleottocento trentasei, dietro alla quale io ho fatto abbattere la propria fabbrica di cassina di

detta mia cognata riedificandogliene una nuova a mie 8pe.se,mediante

però il corrispettivo,che ho finora ricevuto e ricevo a termine di detta scrittura,quale dovrà omninamente avere il suo effetto, forza e vigore,

senza che mai si possa rinvenire contro questa scrittura per qualunque titolo,pretesto e causa,stando però ferma ogni convenzione posteriore fra noi stipulata con instromento rogato Rosa del ventun ottobre ul-

timo scorso, insinuato

;

lo

chetutto dispongo a favore di detta mia

cognata a titolo,bisognando,di legato particolare.

Lego alla mia consorte contessa Anna Iwanowna Tchernaieva, ia


— 313 titolo di usufrutto,la porzione disponibile dei miei beni si stabili

che

mobili, ad eccezione della parte di questi ultimi della quale ho col

presente altrimenti disposto, che ascende ai due terzi, e ciò mediante intendo che essa non possa elevare altra pretesa sotto qualsiasi ra-

gione,raccomandando poi alla medesima (che), ricevendo da S. M. una pensione qualunque, di voler concorrere con essa per i trasporti dell'amor materno'al miglior benessere dei comuni tìgli. Ella è mia precisa volontà che la sciabola coU'elsa e la guaina in

parte smaltata di brillanti,sovra la quale sta scritto in russo: « Zax

per Spocnz * cioè « Al valore » la quale mi fu data in premio nella battaglia di Lipsia seguita Tanno 1813 da uno dei più grandi Regnanti

dell'Europa, l'Imperatore Alessandro di felice memoria, oggetto per

me di esimio onore,sia conservata gelosamente dal mio flglio,Cavaliere Pietro, per trasmetterla ai suoi discendenti, e cosi dagli uni agli altri in infinito, unitamente alle carte di famiglia, certificati, diplomi con-

statanti

il

mio servizio, e lettere autografe di S. R.M.Carlo Alberto,

inchiuse in uno stucchio d'argento colla cifra dorata C. A., cose tutte

da preziosamente custodirsi, come monumenti che ricorderanno in ogni tempo i servizi da me prestati,e specialmente quelli in una delle più memorande guerre.

Siccome il sig. D. Luigi Ferrari, canonico decano dell'insigne collegiata di Santa Maria della Neve in Alessandria,fu sempre ed è persona di

mia confidenza, che ha fatto sotto la mia sorveglianza pressoché

giornaliera varie commissioni, di cui lo incaricavo,mentre per semplice

compiacenza dimorava in questa mia villeggiatura,dandomene conti-

nuamente i conti a misura che venivano eseguite, così, nel mentre che con questo mio testamento gli manifesto li sensi della mia riconoscenza per tanta attenzione graziosamente e per mera compiacenza usata a

mio riguardo, dichiaro essere mio preciso volere che egli non possa venire sotto alcun rapporto molestato dai miei eredi, legandogli, ove d'uopo, una piena e perfetta liberazione per tutto ciò e quanto abbia

potuto e potesse sino all'epoca del mio decesso operare di mia commissione.

All'importante oggetto che questa mia t«stamentaria disposizione

abbia l'immediata sua esecuzione prego rill.™oRev.«no Sig. Teologo

Francesco Vinardi, Abate e Vicario Foraneo dell'Insigne Collegiata di S. Andrea in

Savigliano,ad accettare la nomina che con questo testamento io fo nella sua persona per mio Esecutore testamentario, ed il nuMiesimo non poteiulu per qualunque causa,è mia intenzione che venghi subito surrogato da un altro soggetto, che verrà eletto e deputato da S.E. 11 Sig.Governatore della Divisione di Cuneo,che aquesto fine ilo) prego instantemente.


— 314 — Lascio ad arbitrio del Sig. Esecutore testamentario di scegliere quel Notaio, che le (sic) sarà beneviso per redigere una privata descrizione

od inventaro di tutti gli stabili o mobili all'evenienza del caso,escluyo a questo l'intervenzione giudiciale. Instituisco eredi a titolo particolare

i

miei tìgli Conte Giuseppe e

Cavaliere Pietro nella terza parte della mia eredità,in piena proprietà e possesso, senza alcun carico o condizione,e tale terza parte per giusta

metà fra essi; egli è mio volere, che per soddisfare a questa terza parte venghi assegnato, come sin d'ora io assegno a detti miei figli la fabbrica civile e rustica, con altrettanti beni alla medesima aggregati,

denominata «Roma», situati sovra questo territorio nella regione Suniglia, a giusto estimo, però comprendendo la metà dell'orto che io avrò assegnato alla « Gabriella », altra mia cascina, e vasi vinarj ed attrezzi, che saranno di mia spettanza coi passaggi, dritti d'acqua ed altri inerenti, ben inteso

che

l'

irrigamento de' prati séguiti per rap-

porto a quelli della « Gabriella» come si è sempre praticato. Nel caso che questa cascina « Roma »,coi beni ad essa appartenenti,

non fosse(ro) sufficiente alla soddisfazione di detta terza parte d'eredità, si dovranno estrarre, a farne il compimento, beni della cascina «la Gabriella», a minor danno possibile di questa. Dichiaro essere mia intenzione che li sud.i due miei figliuoli abbino l'usufrutto della porzione de' stabili e mobili caduti nella parte disponibile dopo il decesso della carissima

mia Consorte, nella di cui pro-

prietà istituisco erede i loro proprii figliuoli in stirpe,soddisfatti però tutti

i

debiti e legati col presente testamiento disposti, per lo che si

rapporteranno all'inventaro da redigersi.

.

Consiglio intanto la concordia fra i. detti miei figli, di osservare la

maggiore parsimonia nelle spese per non sciupare in cose inutili le rendite delle sostanze che io solo ho accumulate mercè un'accurata economia, e provvedere rispettivamente alla decente educazione della loro prole, facendo precetto ad entrambi di mantenersi costantemente

nell'osservanza della nostra Santa Religione Cattolica, Apostolica e

Romana, siccome quella sola ch^ è la vera ed unica, per guadagnare l'eterna salute, e di essere mai sempre sudditi fedeli del legittimo Sovrano. Proibisco detti miei figli di frapporre impedimenti ed ostacoli sotto

qualunque pretesto all'esecuzione di questa mia ultima volontà nel presente atto consegnata sotto pena a colui che contravverrà a tale

mio ordinamento di decadere senz'altro dal beneficio di usufrutto, e e che ogni sua ragione venghi limitata alla pura quota legittima dovutagli a termini della Legge, nella quale voglio che s'imputi tutto ciò

che avesse per l'addietro profittato a titolo di usufrutto.


— 315 — Ed in tutti li restanti miei beni, si stabili che mobili, ragioni ed azioni,ovunque siano e l'itrovar si possino,scrivo,instituisco e nomino in eredi universali,e voglio che siano, li figliuoli maschi nati all'epoca

del mio decesso, e nascituri, da detti miei figli; e

non esistendovi figli

maschi,instituisco in ciascuna linea le figlie dei rispettivi miei figliuoli

sunominan Qualora poi in ciascuna linea vi fossero maschi e femmine.cioeiìgli e tìglia,in questo caso dovendo la mia eredità deferirsi ai figli maschi di ciascuna linea, come si è sopra detto, dovranno quelli passare alle

loro sorelle una congrua dote equivalente alla porzione legittima, da

pagarsi tale dote nell'oceasione del rispettivo loro matrimònio, con obbligo ai predetti miei

tìgli

di

primo grado, ed usufruttuari come

sopra, di provvedere alla diversa educazione della loro prole.

Quando poi non vi fossero né figli né figlie di detti miei figliuoli Conte Giuseppe e Cavaliere Pietro,oppure essendovene non potessero o non volessero essere Eredi, instituisco in tale contingenza per mio

Erede universale nella proprietà il mio nipote ex-fratre Cavaliere Gabriele Gaspare Galateri,figlio del fu mio fratello Cavaliere ed Avvo-

cato Emanuele.

Voglio che, ritrovandosi fra le mie carte una scheda sul cui esteriore fossero scritte* Estote parati », si osservino dai miei eredi usufruttuarii ed

Esecutore testamentario tutte le disposizioni addizionali che io

avessi prescritte in detta scheda.

Revoco ogni altro testamento fatto prima di questo, volendo che questo solo abbia forza e vigore. Voglio che tutte le suppellettili di Chiesa, esclusi i quadri che sitro» veranno far parte del mio patrimonio, tanto delle Cappelle interne,

quanto di quella di

S. Grato, debbano

lasciarsi tutte a disposizione di

quest'ultima, con facoltà ai miei Eredi di servirsene anche nelle Capelle interne, qtalora essi ottenessero col

tempo

facoltà dal Sommo

Pontefice nostro Santo Padre di far celebrare la messa nell'Oratorio privato.

E finalmente quanto alia nomina del Notaio per la confezione dell'in ventaro, deputo il

notaio Rosa, che riceve questo testamento; desso

non potendo, sarà ricevuto dal notaio Vincenzo Chiesa, di Savigliano. Tale si è l'ultima mia volontà precisa e testamento, quale dovrà sortire l'intiero e pieno effetto a termine delle R.« Leggi,

scrivere dal predetto notaio Rosa. In fede mi sono scritto, come pure in ciaschedun

avendolo fatto

come infra sotto-

mezzo foglio presente.

Dato sulli fini della città di Savigliano, Regione i{rajdabella,alla mia Villa detta pure Hraidabella, li dodici maggio milleottocento quaran-

tuno.

OD. Gabriele Oalateri di Genola.


— 316 — DOCUMKNTO XXII.

Rimozione della lapide in onore del Governatore di Alessandria Galateri collocata nel 1833 per la denominazione dell'isolotto otnonimo

sul Tanaro.

Consiglio Raddoppiato 1848(21 febbraio, foglio 259). »

»

2\ febbraio 1848

»

(20 marzo, dal foglio 289 al 304).

— Protesta contro tale rimoziohe,del Cavaliere Pietro

Galateri, figlio del suddetto Governatore.

lU.mi Signori Sindaci,

Perchè amnialato,ieri l'altro soltanto mi fu palese l'odiosa deliberazione presa l'otto del corrente da cotesto Consiglio Municipale e riferita nei giornali in un modo a cui non si può trovar nome per definirla.

Se prima,come ivi si dice,quei bravi signori del Municipio Alessandrino non osavano, per timore, far prova di subitaneo slancio per quanto era in bene alla Patria, a niuno parve poi che con questa

seconda delibe-

razione abbiano fatta cosa né troppo onorevole per loro,nè tanto meno dato prova di gran buon senso e di squisiti sentimenti, coll'inaugurare il

sommo favore del Re concesso mediante un atto vile, infame, irreli-

gioso ed al tempo medesimo irriverente alla Maestà stessa del Sovrano, L'insultare alla memoria d'un morto è codardia, è nefandità; l'osar rompere quanto dal Principe fu, nella di lui saviezza, decretato, è più

che irriverenza. Il

nome all'isolotto fu dato dal Re, la lapide posta fu cosa al Governo

appartenente: perciò né quegli cambiato, né questa tolta può essere a

piacimento d'un Municipio. In tal modo adunque viene ora turbato il riposo di chi più non é ; cosi

rispettati i sovrani voleri, è questo il progresso ed incivilimento; que-

sta la gloria di nobili e civili intendimenti?

Siffattamente operando,cotesti bravi signori del Municipio fecero prova bensì di poco intendere le intenzioni del Magnanimo Principe,di me-

no capire il vero senso di un Governo costituzionale.

Per qualunquesiasi governo,in ogni tempo, la requie ai defunti fu dovere, fu vera filosofia del cuore!

Ed anche proibiva tosto una simile nequizia il giusto Monarca.Fu palese l'infamia, sia palese il divieto.

Se fia poi colpa a quest'ora,se fla delitto aver amato,ramare grandemente il Sovrano, ebbene mi s'infami pure per la mia parte, che io mi vanto di essere in ciò, al pari del padre, colpevole; mentre quell'io che, sebbene in altri tempi, quando ognuno temente tacea,osassi quasicchè solo palesare altamente idee di progresso, ma di vero, utile, non disor-


— 317 — dìDato progresso, avrei ciò nonpertanto,brdinandolo il Re,difeso colla vita il passato Governo ; cosi quell'io 8tes80,ora,lo stesso Re volendolo.

Re e Costituzione son pronto col sangue a difendere. Se vi ha qualcuno che possa forse lagnarsi dell'uomo che ora si vili-

pende, chi più di me che, figlio rispettoso, obbediente e senza veruna colpa, fui diseredato? So per altro dignitosamente tacere e rispettare,

con la memoria del padre,le ceneri dell'uomo su cui,dopo il giudizio di pio, non sta ad altri il proferire.

Certamente che cotesto Municipio Alessandrino nell'infamare cotanto un tal nome, non rifletteva che lo stesso portano onoratamente i membri di tutta una onorata famiglia; non rammentava al certo che il figlio di colui in tempi difllcili aiutò di soccoi'si e di consigli varii fra i citta-

dini 8uoi,che la nuora di colui più volte prostrata a ginocchi dello suo-

cero implorava da lui con le lacrime agli occhi grazia a favore di molti, fra cui per un Bordes,il quale dall'esilio ritornava all'amplesso della

tenera genitrice, all'abbraccio del vecchio padre paralitico non consi;

derava che colui finse volentieri ignorare i caritatevoli umani maneggi del figlio; che colui,inflne,aderì lieto e soventi alle calde supplicazioni

della nuora.

Queste cose io non avrei ricordate mai, se l'emergenza del caso non esigesse a dirle, mentre io nulla dagli uomini attendo, tutto da Dio! Li prego, IH.™» Signori Sindaci, a voler far sentire al Municipio Ales-

sandrino questo doloroso grido del cuore d'un figlio,nel padre cosi atro-

cemente offeso questo grido acerbo del cuore lacerato di un padre pel nome ne' figli infamato; questo grido ultimo alto e sonoro che va agli ;

uomini cliiedendo vendetta, a Dio giustizia! Sono con tutta sincerità e franchezza Cav. Pietro Galateri di Oenola. Torino, 21 febbraio 1848.

Documento XXIII. Airin.«»o Sig. Abate

Vincenzo Gioberti in Parigi

Torino,! settembre 1847.

Se ignoti giungono aV.S.Ill.m» questi caratteri,ignoto però non le arriva il nome della Famiglia di chi le vergò.Sacro amor di giustizia e di

verità e dovere di riconoscenza fanno

che benché rozzi io li

indi-

rizzi allaS. V., certo che de8si,comunque 8iano,per l'importante scopo

«ui mirano, saranno urbanamente accolti.

Vengo al soggetto ho letto non so se con maggior sorpresa o dolore :


_— 318 nella dedica da Lei fatta al Dottor Robecchi della recente sua opera

R

Gesuita moderno che « l'amar la patria era colpa sotto il Governatore d'Alessandria, Galateri, nome di trista memoria in quella Provincia». Queste asserzioni, a verità contrarie, prendono, non vi è dubbio,da relazioni calunniose

— di persone accecate dallo spirito di parte — la loro

origine,e non mi meraviglio che Ella,da molti anni lontana dalla Patria, sia stata dalle medesime tratta in inganno.

Mi conceda un qualche istante, ch'io con rapido cenno Le presenterò nel vero suo essere la persona in discorso. Il

Conte Galateri,flglio cadetto di numerosa antichissima famiglia,fa-

vorito dalla natura di ferreo temperamento e di spiriti ardenti e generosi,abbracciò Ano dalla prima giovinezza la carriera militare nella ca-

valleria,combattè con distinzione nei vari fatti d'arme che ebbero luo-

go nell'anno 1793 e nei seguenti fra le armate francesi e le sarde,quan-

do queste tentavano indarno di impedire a quelle l'ingresso in Italia. Nel 1791, essendo luogotenente-capitano dei Dragoni, distrusse con grave rischio della propria vita una banda di assassini da lungo tempo terrore della provincia di Lomellina,e principalmente della comunità di Canobbio.Ed infatti gli amministratori di questo comune, penetrati di riconoscenza per l'importanza del servizio ricevuto, insieme a pub-

bliche azioni di grazia gli offrirono una bella tabacchiera con sópravi effigiata la beneficata Canobbio.

Fu aflldata quindi nel 1798 allo stesso la missione di purgare la provincia di Alessandria dai malandrini che feroci ne tenevano continua-

mente gli abitatori in forse della vita e delle sostanze loro,ed ebbe eziandio questa volta la consolazione di condurre felicemente a buon esito l'assunta impresa con soddisfazione degli abitanti e del Governo.

Allorché poi il Re Carlo Emanuele IV di b. m.venne dalle vittoriose falangi repubblicane forzato di abdicare al Trono avito ed a rifuggirsi nell'isola di Sardegna, il Conte Galateri, mal comportando la vista dei

suoi concittadini associati ai destini di straniere genti, rifiutati i militari avanzamenti offertigli dai conquistatori della Patria, preferì pas-

sare con grado minore sotto le insegne russe,neirunica mira di coope-

rare,combattendo virilmente sotto di esse,alla liberazione del Piemonte ed al ritorno in esse della R.Casa di Savoia.Non le parlerò delle singole arrischiate imprese militari che in quei procellosi tempi fornito Io chia-

rirono d'indomabile coraggio, di non comuni militari talenti, e di mas-

simo disinteresse; e passerò pure sotto silenzio le molteplici somme onorificenze che ne furono la giusta conseguenza. Solamente noterò alla S.V. Ill.ma che l'Imperatore di Russia Alessandro,Monarca che non aveva la fama di onorare i malvagi,decretò che il ritratto del Generale fos-


- 319 .>e

cwin.Lai.-

liellii [iu[>eria.ìe Galleria, des glorieiLv

soìivenirs in Pietro-

burgo.

Per la mutata sorte delle armi,o mei?lio,per decreto della Provvidenza Divina,ridonata al Piemonte la sua indipendenza,ed insieme con essa l'Augusta Reale Sua Famiglia Sovrana,il Galateri,per tale sospirato

avvenimento cessata vedendo la causa per cui erasi dal paese natio volontariamente allontanato ed aveva preso a militare sotto vessilli

che sventolavano contro i soggiogatori d'Italia,non tardò a supplicare lo Czar di Russia per il suo definitivo congedo,ma abbisognando ancora in quell'Impero dell'opera sua.si soleva mettere ritardo nell'accordar-

glielo.Per la qual cosa l'ardente amor patrio del Galateri, insofferente

d'indugio, lo spinse a chiedere senz'altro le dimissioni della sua carica di Generale Maggiore ed a rinunziare in tal guisa intieramente agli sti-

pendi ed alle pensioni da cui era da quel Regnante generosamente provveduto,per correre ad offrire i suoi talenti e la sua spada al reintegrato Principe Sabaudo. Prego V. S. di notare che nulla riportò dalla Russia

fuorché la coscienza di aver versato sotto gli stendardi di essa il san fiue a prò' della Patria e di non dovere che alla sua spada la percorsa

luminosa carriera. Rimpatriatogli Galateri venne dalla munificenza sovrana destinato alle cariche di Comandante Generale della Divisione di Nizza,di Gover-

natore delle divisioni prima di Cuneo, poscia d'Alessandria,ed a quella d'Ispettore G.ie dei R.E8erciti,e finalmente dall'Augusto Saggio Regnante Carlo Alberto, del quale Ella stessa celebra meritatamente le lodi,

nominato nel 1H33 Cavaliere dell'Ordine Supremo della SS."» Annunziata,dignità massima che ascrive chi ne è fregiato tra li cugini del Re.

Nominai or ora Alessandria: bisogna che io mi arresti un pochino, perchè a tenore di quanto scrive l'ill.mo Sig.Abate nel succitato libro, si fu

in detta Provincia che Galateri lasciò trista

memoria di sé. Per

altro in ogni disgraziato o disastroso emergente che occorresse nella

sua Divisione il Galateri sollecito sempre si prestò colla sua persona, obliando in tali circostanze e l'avanzata età ed i molti gravi incomodi di salute; si

prestò col consiglio e col denaro a seconda della varietà

dei casi II dimostrano i pecuniari soccorsi da lui in persona portati nella provincia <h Vogiiera ad intiere |)opolazioni vaganti perle campagne

a motivo dell'atterramento fatto dal terremoto del 1828 (se non erro)» lo dimostrano la dispersione e l'arresto eseguiti sotto li diretti suol or-

dini delle bande di facinorosi che in/estavano i comuni dlMombercelli

e di Melazzo, e lo dimostra la qostruzione del canale irrigatorio Carlo

Alberto,àeì quale fu uno dei principali promotori.Lo prova poi evidentemente la lapide in una delle spalle del ponte a cavaliere del Tanaro in


— 320 Alessandria,collocata a cura del Corpo Civico (1) sopra della quale scolpito leggesi quanto segue:* Galateri si ha da nomare sempre l'isolotto

per volere del Re Carlo Alberto,rimuneratore munifico delle pacifiche doti e del valor guerriero come che il Conte Gabriele Galateri di Genola, Generale di Cavalleria,Governatore della Divisione d'Alessandria, era

fautore principalissimo e dirigeva le opere onde all'orzare lo isolotto

a difesa della Cittadella.La Civile Amministrazione pose questa lapide a ricordanza eterna del Sovrano favore e di lui che lo ha meritato. Febbraio MDCCCXXXIll ».

Se poi volgesi uno sguardo alla vita privata del Galateri,si rileva che godette l'amicizia di molti venerabili vescovi del Piemonte; che fece a

proprie spese restaurare ed abbellire due chiese: quella di S.Bernardo, nella quale una tavola di marmo con iscrizione latina.dalla riconoscen-

za collocata,tramanda ai posteri la memoria del benefattore,e la Chiesa di S.Grato,anibedue nelle vicinanze di Savigliano,sua patria; che no-

nostante la tenuità del suo patrimonio operò vivente delle elargizioni agli Ospedali Maggiore e dei Cronici della già

mentovata Savigliano;

che consumò li suoi stipendi nel dare lavoro agli artieri e nel soccorrere a domicilio nella invernale stagione miserabili famiglie; che con-

dusse una vita sobria e laboriosa,e che infine, carico d'anni, munito di tutti i conforti della Divina Religione nostra,tranquillamente morì la-

sciando ai figli un retaggio più di gloria che di ricchezze.ebbenchè lucrosi impieghi fossero stati da lui per molti anni onorevolmente sempre sostenuti. Ciò non pertanto al medesimo

non mancarono acerrimi ne-

mici,e questi non si vergognarono di valersi delle più nere calunnie e

per denigrare, per quanto loro era possibile, la di lui fama. Ed ecco le colpe capitali al Governatore Galateri dai precitati imputate: 1.0

le fucilazioni che in Alessandria (come in altre città dei R. Stati)

tennero dietro alla scoperta dell'orrenda congiura del 1833.

2° l'avere assistito assiso sopra di un cannone ad alcuna di esse. 3." la severità con

cui amministrava la Divisione.

In quanto al primo punto farò notare alla S.V.lU.nia che l'azione del

Governatore si riduce a convocare il Consiglio di Guerra; che viene detto Consiglio presieduto dal Generale della Divisione, il quale a quel

tempo era il Luogotenente Gen.ie Conte della Manta che non può il Governatore sul medesimo esercitare influenza di sorta perchè privo della ;

presidenza e di voto ed a cui neppure interviene,e che sarebbe taciare

(1) N.B. -L'isolotto fu d'ordine sovrano appellato Galateri,

coli' iscrizione

ma la lapide

sovrastante fu spontaneamente fatta erigere dal Corpo

Civico. [Nota di G. Galateri].


— 321 — di carnetìci li onorevoli membri òhe il composero il supporre che non il

prescritto della le^ge ma estranee considerazioni avessero motivato

le loro sentenze.

li

O

Galateri venne con libelCirca ai secondo punto Le osservo che il minacciato di veleno e di pugnalate se non impediva l'esecuzione

delle emanate sentenze, e che si vociferavano e si temettero disperati

tentativi per parte de' complici de' condannati per mettere la città a

soqquadro e liberarli che pertanto il Galateri pervenne ad un tale atto non per bearsi di quel sanguinoso spettacolo,come alcuni dei suoi avversari malignamente insinuarono, ma bensì per togliere colla imper;

territa sua persona ogni disastrosa velleità di agire ai minaccianti,e col rendere in tal guisa inviolata la legge e impedire maggiori disgra-

zie ed ulteriore eftusione di sangue,sempre deplorabile anche se necessaria.

E qui non posso rendermi ragione come la S.V.,predicatrice di moderazione e di legalità, prenda indirettamente la difesa dei settari della Giovine Italia che vogliono rigenerare e ricomporre la società religiosa e politica della nostra penisola colle strairi.coi veleni e cogli incendi.

Che a tale empia setta appartenessero i giustiziati lo provarono,coemblemi dei franchi muratori,stocchi,pistole con baionette,veleni ed abbomine-

gli atti del processo,le sequestrate armi insidiose,pugnali con

voli istrumenti.E che! dovrassi per*ialvare la vita ad alcuni scellerati

lasciare immergere il pugnale nel seno dei più onesti cittadini?

Relativamente poi al terzo punto,conviene riflettere che il Generale della sua vita; che,coetaneo della Ri-

(liihiteri trascorse tra le armi */s

voluzione Francese.conservò delle stragi di essa tristissima memoria,

per cui apportò forse nel civile reggimento quella severità che più si addice alla militare disciplina, ma l'apportò nella ferma convinzione che des.sa varrebbe a tenere lontano dalla Patria le orribili sanguinose vicende per le quali passarono 1 nostri vicini d'oltre monti. D'altronde, se fu severo il Galateri, fu pure giusto,e la severità a giustizia congiunta non puossi in alcun modo appellar delitto. Il

sovraesposto è tutto intero esatta verità,senz 'ombra d'esagerazio-

ne.Fer non oltrepassare di troppo i contini di una lettera,le taccio tutte le gloriose gesta del Galateri nelle passate e memorabili guerre e molte

commendevolissime di lui azioni in tempo di pace.l tigli del medesimo ne custodiscono gli autentici documenti. che potreMtei'o all'uopo appieno assicurare chi ne dubitasse.

Sarà adunque,Abate illustrissimo, nemico della Patria, di triste metti I, ..•(. .'i) 111 ,rii,.i-i:i n prezzo del proprio sant'Ile Hill»-

fiii.iii ,.,,ini ,1...


— 322 — perossi costantemente con tutte le sue forze in servizio di essa? Il sarà colui che nemico dichiarato delle cabale e consorterie, ebbe sempre per

motori di ogni sua azione l'onore, il dovere,rintimo convincimento? E come spiegare le onorevolissime speciali ricompense stategli impartite da Monarchi in Europa e Stimatissimi? E come il fatto parlante della marmorea lapide statagli eretta volontariamente e liberamente dal

Corpo Civico di Alessandria di cui fu per 16 anni circa Governatore, e ciò a perpetua e pubblica testimonianza delle esimie doti delle quali

andava adorno? Di uomini di tal fatta puossi senza presunzione asserire non solo doversi onorare il Piemonte,ma l'Italia.Del resto, malgrado le fatte indagini, non ho potuto venire a capo di scoprire qual contrasto politico abbia avuto col defunto mio adorato zio,che tale per me appunto si fu il

G.ie Galateri,il signor Dottor Robecchi,di Lei amico, persona scono-

sciuta flnanco di nome in Alessandria,e della quale mai udii far parola

medesimo io sia con-

dal predetto mio Zio,benchè famigliarmente col vissuto.

La S.V.Ill.ma,che tanto geloso si dichiara dell'onore suo,non lascierà certamente che la fama d'alti'i venga per opera sua,nella parte più nobile,lacerata,e vorrà,non ne dubito,in un pubblico scritto, siccome giustizia lo esige, ricredersi di

quanto male informata, epperò in buona

fede, scrisse d'ingiurioso alla memoria del personaggio di cui si tratta.

Imperocché metto tanta maggiore importanza alla richiesta rettificazione,in quanto che ereditario essendo nella famiglia Galateri l'amore patrio, dessa non può, senza protestare,lasciare che alcun suo membro

venga su questo argomento anche leggermente intaccato. Mi lusingo che la S.V. lU.ma sarammi cortese di un riscontro, e che proverammi in siffatta maniera non avere io fatta inutilmente con questa mia lettera un appello alla di Lei equità.

Gradisca frattanto etc. .

Gabriele Galateri.

Documento XXIV. Ill.mo sig. Conte,

Ricevo la sua pregiatissima del 1» del corrente in questo punto, e

mi fo premura di risponderle. Capisco e rispetto il dolore e i nobili sensi che dettarono la sua querela; ma non potendo con mio rammarico fare ciò che Ella desider.

,

mi credo in debito di significargliene

succintamente le ragioni. Prima di tutto la prego a considerare che la

menzione da me fatta del C.^ Gabriele Galateri si restringe (come risulta dal contesto), alla partecipazione ch'egli ebbe in Alessandria ai


— 3^3 rigori del 1833 e che quindi lascia intatta tutta l'altra parte della saa vita(l).I fatti di Alessandria come pubblici, appartengono alla storia

e a quel genere d'azioni, intorno alle quali gli scrittori possono espri-

mere liberamente il loro parere, eziandio quando gli autori di essi sono ancora in vita. Ma giudicandoli severamente io non ho perciò inteso ili condannare le intenzioni, il cui scrutinio spetta a Dio solo e

sfugge affatto all'umana apprensione. Resta a vedere se i portamenti del C.t« Gabriele Galateri nel caso menzionato siano stati tali che giustifichino la sentenza da me portata sovra di essi. Per chiarire questo

punto bisognerebbe fare una minuta storia di quei successi, e non accontentai*sidiun ragguaglio generico; imperocché quando si tratta del

valor morale dei fatti, bisogna aver l'occhio a tutte le circostanze che 11

accompagnano. Ora, com' Ella vede, un tale lavoro è impossibile a una lettera; e anche potendo mi ci indurrei mal volentieri,

farsi in

perchè troppo mi spiacerebbe, entrando nei particolari di rincrudire l'afflizione di V. S. Ill.ma e della sua nobile ed onorata Famiglia.

Mi contenterò dunque di accennarle sommariamente il modo dame tenuto nel conoscere i fatti e nel giudicarne. Quanto al primo articolo

posso assicurarla che non porsi orecchio a incerti rumori, e cavai le

mie notizie da gravi ed autorevoli testimonianze, seguendo il costume degli storici che ricorrono sopratutto a testimoni imparziali, nei quali l'affetto non può fare neanco involontariamente velo al giudizio.

Rispetto poi alla qualificazione dei casi avvenuti, mi dorrebbe assai se V. S. 111.™» credesse che io

mi sia governato col mio

e coll'altrui

risentimento. Io ebbi una sola norma, cioè la legge evangelica, e un solo scopo, cioè l'utilità pubblica. Insignito del sacerdozio e avvezzo

datrent'anni a studiare la morale,io sono profondamente convinto che rigori politici non si possono giustificare se non sono netti eziandio da ogni ombra di crudeltà, e se la giustizia non è temperata dalla cle-

i

menza. Tale è la mia persuasione, tale è quella del Clero Cattolico, incominciando dal Sommo Pontefice, che all'insegnamento aggiunge l'esempio. Siccome poi tocca ai Chierici insegnare la morale evangelica ai secolari, e non ai secolari insegnarla ai chierici, io mi

stimo tanto

più in obbligo d'inculcare quelle massime che credo vere e non potrei

torcere e svisare senza offendere la mia coscienza.

Come 8critt<)re,poi, mi reputo obbligato a fare quel poco che posso (>) Per dichiarare un uomo nemico della Patria bisogna avere Tocchio sopra la pluralità delle azioni dell' individuo, e non sopra di una sola d'altronde la parte che ebbe mio zio negli avvenimenti del 1838 è nella:

mia lettera appieno giustificato, nò dal Signor Abate impugnata con argomenti. (Nota del nipote Galateri).


- 324 — affinchè le buone massime prevalgano contro li mali esempi, condan-

nando questi altamente senza riguardo alle persone, onde il biasimo impedisca l'imitazione di essi. 11 che tanto importa, clie se dovessi a tale effetto disapprovare le azioni del mio proprio padre, non esiterei

a farlo, anteponendo

ai riguardi della pietà figliale l'amore del pub-

blico bene.

Eccole, Ill.™o Signor Conte, le ragioni che mi vietano d'accondiscen-

dere al suo desiderio, e mi affido che, trattandosi di un punto di coscienza,Ella piglierà in buona parte la mia risoluzione come io apprezzo il

generoso impulso che suggerì la sua domanda. Gradisca i sensi di alta osservanza con cui mi reco ad onore di essere

di V.S.m.ma

Dev.mo servitore

Vincenzo Gioberti. Parigi, 16 settembre 1847. P.S. La prego di scusarmi se per la poca salute, la moltitudine delle

occupazioni e il desiderio •

di

non soprattenere la risposta le mando

così questo foglio senza copiarlo.


LE CARTE DEL CONTE DI CAVOUR Camillo Cavour stese le sue volontà testamentarie due volte, il 9 aprile 1849 e l'S novembre 1857, ma le prime disposizioni legalmente mancavano d'ogni valore stante le altre successive,

consegnate al notaio Giuseppe Turvano ed aperte e pubblicate il

di

medesimo della morte

del testatore, il 6 giugno 1861, a

richiesta di Carlo Rinaldi, segretario della tamiglia.

Nel testamento « del 1849 aveva, salvo per la quota legit-

tima dovuta a suo padre allora ancora vivente [morì il !25 gennaio 18501, istituito erede universale il fratello Gustavo, surrogandogli però in caso di premorienza, il nipote Ainardo,che egli

considerava ed amava come un

figlio. Gustavo

era nel

1857 molto malato tìsicamente e moralmente e sopravvisse a

Camillo meno di tre anni [morì

il

!2

febbraio 1864]. Forse

Conte s'indusse ad un nuovo testamento per lasciare

il

il

suo

patrimonio direttamente ad Ainardo, temendo che Gustavo non aves.se

lunga vita (1) » e per evitare così il pagamento di una

duplice tassa di successione.

«Tutta l'eredità del .conte andò, per effetto del secondo testamento, al nipote Ainardo, che consegui di poi una gran parte anche dei beni di suo padre Gustavo, che lo istituì erede in parti eguali con la sorella Giuseppina sposata nel 1851 al marchese Carlo Alfieri. Rappresentò quindi il nome glorioso di Cavour dopo il 18(>4 l'unico superstite maschio della famiglia, Ainardo, [che] nato il 183.*i, entrò giovanissimo, compiuti gli studi, nella carriera diplomatica. [KgliJ accompagn[ava] suo zio nel 1858 al Congresso di Parigi; nel successivo si tro%'ava

dicembre

presso la legazione sarda a Firenze, ove suo zio lo

(l)M.MAzziom, / testamenti del conte di Cavour, in N. Antologia, a. 49, £uc. 1016, p. 644, Roma, 16 aprile 1914.


— 326 — [avevaj raccomandato all'avv. Vincenzo Salvagnoli; nel marzo del 1858 all'Ambasciata di Londra, raccomandato con grande

premura alla contessa Holland. Il Conte, accortosi che

il

nome era divenuto impopolare

egli

in Inghilterra, perchè

suo si

adoprava apertamente a promuovere un conflitto con l'Austria, ciò che turbava [come sempre] gli interessi britannici, credette opportuno di non lasciar colà il nipote e lo fece tornare in congedo in Piemonte. Il 9 gennaio del 1861 lo destinò a Napoli col Nigra,che recavasi colà come Ministro sotto la luogo-

tenenza del Principe di Carignano (l). Assistette con affetto lo zio nella breve, ma letale, malattia di lui. Nel commovente rac-

conto, che di quei giorni nefasti lasciò la marchesa Giuseppina Alfieri, si legge

che Ainardo, per evitare all'infermo la fatica

disturbo di conferire con persone che andavano a vederlo,

e

il

si

pose di sentinella alla porta della camera del malato ed im-

pedì l'ingresso a tutti. [Una] lettera della marchesa [Gostanza]

d'Azeglio accenna al grave dolore di Ainardo per la sventura, che colpì la sua famiglia e l'Italia. Rimase poco

tempo

ancora nella diplomazia. Dopo una non lunga permanenza all'Ambasciata italiana a Costantinopoli, lasciò la carriera e, ridottosi a vita privata, si diede ai viaggi. Nel 1862 Ainardo per-

corse per parecchi mesi trasse

il

Sennar e di poi

l'Egitto, ove

con-

una malattia che lo costrinse a tornare in patria e lo

spense a soli 42 anni nella sua villa di Santena, il 30 agosto del 1875 (2) ». « Ainardo, con testamento del 27

giugno 1868, depositato lo

stesso giorno presso il notaio Gaspare Cassinis di Torino, pubblicato

il

31 agosto, 1875», fece

numerose disposizioni

in fa-

vore di Giuseppe Massari, di Michelangelo Castelli e di Rug-

gero Bonghi, amici del suo insigne congiunto, della Città di

Torino e della sua Biblioteca Civica, delle nipoti Luisa ed

Adele Alfieri, della cugina Ortensia di Selloh,del segretario Felegò da ulderico Barani, dell'Ospizio di Carità di Torino e •«

ed inedite di C Carowr, voi. VI, p. 667, Toanche L.C.Bollea, La luogotenenza del princijye di Carignano a Napoli ed uno scandalo ferroviario del 1861, di prossima edi(1) L.Chiala, //e^fere edite

rino, 1887; vedi

zione. {2) ÌsIMazziotti^I testamenti

del conte di Cavour, l. e, ^Q.


— 327 — timo al conte Eugenio De Roussy de Sales,suo cugino residente in Tliorens (Savoia), la casa in Torino con tutti i mobili, carte ecc. che vi staf\a]no,eccelto Targenleria appartenente a [su]a sorella Giuseppina ». Lasciò

pure al De Roussy « la villa di San-

tena con la cascina nuova è masserìa e le case possedute dalla

sua famiglia nella borgata di Santena », con l'onere di pagare

un annuo vitalizio ad un suo agente, nonché

tutte

le

carte

domestiche, con preghiera di «bruciare quelle inutili e conservare quelle che gli parevano degne di interesse (1) ».Così l'archivio del conte Camillo di Cavour era passato nelle mani del nipote suo Ainardo e successivamente in quelle del conte

Eugenio De Roussy. Il De Cesare (:2), a proposito della celebre lettera di Cavour al Nigra del

i-ì

settembre 1860, acquistata da Emilio Curàtulo

a Berlino nella vendita di una collezione di autografi e da lui riedita in facsimile (3) poiché era troppo sconciata l'edizione

norcina del Chiala (4), racconta di aver domandato allo stesso

Costantino Nigra nell'agosto 1900 spiegazione delle vicende di detto

documento e d'aver da lui appreso che « il Nigra aveva

l'abitudine di restituire al grande Ministro gli scritti più intimi, e Cavour era talmente

compreso della delicatezza di lui, che il 21 agosto 1859 gli scriveva da Ginevra:" Je vous renvoie la lettre du Prince Napoléon] c'est une pièce curieuse à ajouter à celles,que je vous legnerai pour que vous écriviez, après ma mort,rhistoire de notre lemps „. Questa lettera, pubblicata anch'essa dal Chiala, fu diretta a Zurigo. dov'era il Nigra coi plenipotenziari sardi Des Ambrois e Jocteau. L' affetto di Cavour pel Nigra era profondo, quasi tenero: il Nigra :

f

era la sola persona che ne penetrasse il pensiero:" il possedè

de touts mes pen8ée8,méme les plus secrétes ,, , scriveva Cavour

(DIbidemMd e 661. (2l R.De Cerare, ^oma e lo Stato del Pajxi dal ritorno di Pio IX al 20 settembre, II, &)-6l, Roma. 1907. ^.CvRkTViA),Garibaldi, Vittorio Emanuele, Cavour nei fasti della /,168-16'i, Bologna, 1911. (4) L. Chiala, I^tt. ed. ined. di

C Cavour, voi. IV, p. 12. Quest'opera di

castrazione e di alterazione delle lettere di Cavour è da taluno detta « meritoria opera di devozione e di pazienza » (F.RuFFisi,La giovintua del contendi Cat'oar,vol.I,pag. xli, Torino, 1912)

!


— Basai barone De Roussy, nel marzo 1860 (1). Dunque nessun dubbio

che se Cavour avesse rifatto il testamento avrebbe lasciato al

Nigra le sue carte, ma ciò non avvenne »•, conclude sare, che

il

De Ce-

continua:* L'unico testamento di lui segna l'ora del

suo maggior sconforto, il marzo 1859 », affermando così due cose non vere, l'unicità del testamento e la epoca della redazione delle volontà ultime del conte di Cavour che ritarda

dair8 novembre 1857 al marzo 1859. « Ainardo di Cavour ereditò, dunque, le sostanze e le carte dello zio, e di queste fece

dono agli amici. La lettera del 22 settembre 1860 egli la regalò per mezzo del conte Guido di San Martino, poi senatore, a persona amica di cui il San Martino, [oggi morto], non crede[tte di] declinare [al De Cesare] il nome. Come sia andata a finire in una vendita di autografi, rimane ancora un mistero (2) ».

Lo stesso De Cesare dichiara che i documenti 1859 a tutto

il

nistero degli Esteri e che essi

dal maggio

1860 non esistono nell'archivio segreto del Miil

Nigra

gli

avrebbe confidato che

furono comperati con denaro di Vittorio Emanuele II e

sepolti nell'Archivio segreto di Corte (3).

Su quali elementi egli si sia poggiato per affermare la non esistenza dei detti documenti nell'archivio segreto del Ministero degli Esteri, che fa parte del R. Archivio di Stato di Torino, non

sappiamo. Un recente volume (4), compilato per

la

massima parte notoriamente (5) su copie tratte proprio da detto Archivio segreto e ricco di centinaia di lettere del 1859-1860, è la smentita piìi

lampante che si possa dare al De Cesare.

Come il Nigra potesse attribuire a Vittorio Emanuele II tale incetta di documenti

non comprendiamo, poiché non

ci

pare

che né nel secondo semestre del 1859 né nel 1860 gli interessi della casa di Savoia siano stati in contrasto con alcuno degli

{!) Ibidem,Ill,22é. (2) R.

(B) R.

De (;!esare, Roma e lo Sfato del Papa, e. De Cesare, La fine d' un regno, 1, 487, Città di Castello, 1900,

(4ì L. C. BoLLEA,

l.

Una * silloge » di lettere del Risorgimento^ Torino,

Frat. Bocca, 1919. (5) L. C. BoLLEA,

Come fu compilato l'epistolario farirdano, in Boll,

stor.-bibl. SMÒa^p., suppl. Risorg., fàsc. 1, pp. 63-90, Torino, 1912,


— 3i29 — avvenimenti

italiani, per cui

convenga tener celato

docu-

la

metitazioiie dei fatti. 11 povero Archivio segreto di Corte (1) è

ormai «iiventato il « Sancta Sanctorum » di tutte le carte storiche irreperibili sistema comodo, ma poco onesto, per spiegare le lacune nella narrazione del Risorgimento Italiano, ;

La morte di Ainardo di Cavour, avvenuta il 30 agosto 1875, e più ancora le sue volontà testamentarie che portavano l'ar-

chivio Cavour nelle mani di un francese, per quanto

conte

il

Eugenio De Roussy de Sales fosse un cugino del defunto, destarono logicamente inquietudini politiche nel Governo.

Non si comprende veramente come questo non abbia pensato ad intervenire nella faccenda, sùbito

il

occasioiie dell'apertura del testamento del

6 giugno 1861, in conte Camillo di

Cavour, per procedere a quella cernita di documenti di natura politica e di carattere pubblico che spettavano allo Stato come

sua proprietà. Un sentimento di deferenza verso

l'illustre fa-

il Governo da questa azione, anche si confidò nel tatto di Ainardo di Cavour che,

miglia trattenne probabilmente e forse

come agente diplomatico, doveva apprezzare l'alta importanza del

patrimonio politico e storico affidatogli, mentre

dona-

la

zione da lui fatta della succitata lettera 2:2 settembre 1860 pare

dimostrare

il

contrario.

Certo il De Roussy

si

trovò subito contestato

il

possesso

delle carte lasciategli in eredità daj cugino e, volendo reagire,

vertenza prese la via giudiziaria. 11 21 febbraio 1876, neppure sei mesi dopo la morte del marchese Ainardo, la Pretura

la

emanava un decreto favorevole alla governativa,che Giovanni Nicotera, ministro degli Interni,

di Torino (sez. Monviso) tesi il

5 ma^fgio 1876 ricordava in una lettera

rino, come

al Prefetto

di

To-

vedremo.

De Roussy dovHtn quindi consegnare al R. Archivio di Stato di Torino, dove bevvi il deposilo delle carte segrete del Mini.stero degli Interni, tutti documenti cavouriani trovati nel palazzo Cavour di Torino. sito nella via omonima. Fuvvi una commissione delegata alla scelta delle carte? Il Il

i

Mazziolli afferma di

sì : « di

queste carte fu fatta una cernita,

(DD.PzRKKUO, Sullo Mventramento di un archivio pubblico a di un risorto archivio seg reto, Torino, liUdS.

fizio

bene-


— 330 — e quelle che potevano avere un interesse politico e biografico

vennero depositate presso l'Archivio di Stato di Torino dopo il

1876 (non dopo, perchè certo la consegna avvenne dal "il feb-

braio al 29 aprile 1876, quando

un colloquio a tale proposito

del Preletto di Torino con Nicomede Bianchi, che ne tenne nota,

dimostra già avvenuta questa prima consegna dei documenti), e si convenne in tale circostanza, d'accordo con

l'erede, che

esse non potessero pubblicarsi prima della decorrenza di 50

anni dalla morte del Conte » (1). Cotesto sopraintendente del R. Archivio di Stato di Torino usava registrare su foglietti volanti i colloqui con personaggi illustri, le notizie

storiche più

piccanti

o significative e lo

svolgersi di fatti che avessero una qualche importanza. Così

è a noi pervenuta per

il

tramite del Bianchi una narrazione

del conte Carlo Alberto MafiFei di Boglio del 3 giugno 1876 (2), intrecciata con informazioni e

commenti

del Bianchi

stesso,

che ci illumina su una seconda consegna di carte cavouriane, rinvenute nel castello di Santena.pure dismesso dal marchese

Ainardo nelle mani del conte Eugenio De Roussy. 11 conte Maffei aveva appena sigillate le carte cavouriane provenienti dal palazzo di Torino, per impedire che occhio

profano le consultasse prima dei cinquant'anni dalla morte del grande statista secondo gli accordi passati con il De Roussy,

quando Andrea Armissoulio^Regio Procuratore Generale, lo rendeva edotto della esistenza delle

altre

carte cavouriane

nel

castello di Santena. Al conte Maffei parve la faccenda facilis-

sima a risolversi, ricorrendo ad una clausola inserta da Giuseppe Battisti, Pretore della Sezione Monviso, nel suo decreto 21 febbraio 1876, che diceva « doversi consegnare all'Archivio di Stato

anche

le

carte che si potessero rinvenire in seguito

nell'eredità di Cavour ».

Invece Andrea Armissoglio, Regio Procuratore Generale, cui la passione politica faceva velo persino nelle funzioni profes-

sionali, volle impedire

che le carte cavouriane di Santena pas-

sassero nelle mani dell'odiato nuovo ministero Depretis, che (ì) Due proposte del senatore Mazziotti su Cavour, in Boll.Soc. Naz. per la st. del Risorg., I, n. 6, p. 13, Roma, 15 giugno 1912. (2) Vedi Appendice 1.


- 331 — era formato il '25 marzo, e seguì la via delle tergiversazioni.

Cominciò a scrivere al Ministro dell'Interno a Roma e a insinuare nel Prefetto di Torino, Vittorio Zoppi, che bisognava

andare adagio, perchè facilmente sarebbero sorte contestazioni da parte (lei l'erede De Roussy, il quale poteva pretendere di esaminare quelle carte per vedere se tra esse non ve ne fossero di interesse privato, e così far noti

i

segreti di Stato in

esse contenuti, ottenendosi precisamente l'opposto di quanto il

Governo desiderava. Luigi Melegari,ministro degli Esteri, ritenne opportuno inter-

venire nella faccenda e scrisse al Bianchi di effettuare, come

futuro depositario delle carte cavouriane, il ricupero degli importanti documenti di Stato e questi

si

adoperava

in tutti

i

modi, ma inutilmente. Il

Procuratore Generale era gentilissimo con l'Archivista,

ma domandava libertà di azione, garantendo di venire presto a capo della faccenda, mentre Prefetto e Ministro degli Interni nulla rispondevano alle lettere sollecitatorie del Bianchi. programma di Paolo Onorato Vigliani, ex- ministro di 11 Grazia e Giustizia del ministero Minghetti caduto il 18 marzo,

programma ch'era pure quello di Marco Minghetti, si attuava pienamente. In c^psa di quest'ultimo

si

era infatti ventilata la questione se,anzi che dare l'allarme

e mettere

il

nuovo ministero Depretis — che rappresentava

trionfo della .sinistra

per

— a detta del conte MafFei

le

il

— sulle traccie di ciò che si era fatto

carte di Cavour e nel desiderio di

convenuto intendersi con

la

vederle, non

fos^^e

parte avversaria, e, affidandosi

alla buona fede del conte De Roussy, lasciargli ancora le carte,

con promessa di accontentarlo nei suoi desideri in miglior tempo. Perciò veniva incaricato di queste trattative il Ribotti e

il

Borani,ex selciarlo di casa Cavour, incontrando il Bian-

chi, poteva assicurarlo che

il

Ribotti aveva consigliato

il

De

Roussy a non cedere le carte cavouriane. Ma non desisteva l'opera del Governo per venire a capo della faccenda. Il ^25 aprile Giovanni Xicotera, ministro dell'Interno, aveva «già fatto noto (al Prefetto di Torino] quanto [gli] premesse che fosse risoluta la vertenza cogli eredi del conte di Cavour circa le carte rinvenute nel palazzo di Santena ». Quando poi si ag-


— 332 — giunse « il desiderio, espresso [al Nicotera] anche dal suo collega degli Esteri, perchè quegli importanti documenti politici

non tardassero ad essere consegnati al Sopraintendente degli Archivi di Stato Piemontesi ^ e si avvicinò il « termine di sca-

denza dell'inventario dell'eredità Cavour », il Ministro degli Interni tornò, il 5 maggio 1876, alla carica con il Prefetto di Torino per « portare questa pratica al suo compimento ».

Come già aveva notato il conte Maffei, la « soluzione non poteva tornare né dubbia né difficile, seguendo la via del precedente

ricupero delle carte Cavour ultimamente ottenute, non trattandosi che della prosecuzione di quello ». Bastava che il Prefetto di Torino

— in virtìi dell'art. 16 del Regio Decreto 27 maggia

1875,n.2552,s.2*(l)

— prendesse direttamente

i

concerti op-

portuni colla Pretura Monviso, per l'esecuzione del Decreto da essa emanato il 21 febbraio 1876, nel quale era contemplato ap-

punto

il

caso

carte che si

della

consegna all'Archivio di Stato « delle

potessero rinvenire in seguito nell' eredità Ca-

vour ».

Dal lato giuridico la questione eradei resto pienamente risolta, perché l'atto di consegna delle prime carte cavouriane rinvenute nel palazzo di Torino era stato firmato dai procuratori del conte De Houssy e della casa Alfieri, i quali

espli-

citamente avevano riconosciuto tali carte come proprietà dello Stato ed acconsentito alla consegna di esse e di quelle che in seguito fossero state rinvenute. Eppure il conte De Rouscy op-

poneva ora una sorda opposizione, che il Nicotera sperava non arrivasse sino ad adire ai Tribunali, per quanto persuaso « che il diritto indiscutibile che il Governo [aveva] al ricupero dei documenti di Slato di natura così gelosa [dovesse] farsi valere senza peritanza, giacché nulla avrebbe potuto infirmare la morale certezza di vederlo fatto trionfare dalla magistratura ». (1) «Accadendo la

morte di magistrati o funzionari pubblici, o di per-

sone che abbiano avuti pubblici incarichi, massime diplomatici o ministeriali, presso cui fossero atti

di

proprietà dello Stato, sarà cura del

Prefetto della provincia di fare quanto sia necessario, perchè

tali

atti

vengano trasferiti tosto nell'Archivio, al quale spettano per ragioni di materia o di luogo » (R. Decreto che stabilisce le regole per l'ordinamento generale degli Archivi di Stato, n.2552, s.2*, in Gazz. Uff. del Regno, n.l44,

Roma 22 giugno 1875).


— 333 — Che voleva opporre il De Roussy alla consegna delle carte del castello di Santena, quando queste erano state « portate a Torino per sola comodità delle operazioni d'inventario*? « quando ejii:li,con rogito precedente, aveva ceduto quel palazzo alla marchesa Alfieri senza riservane di mohili, né d'altro »? e « quando vi era l'espresso consenso della predetta marchesa

proprietaria ? » Si

conosceva però

il

segreto

conte De Roussy, tanto che

il

motivo dell'opposizione del

18 aprile

il

Prefetto di Torino

aveva comunicato al ministro Nicotera « la disposizione del conte De Roussy di recedere da ogni opposizione, conche il Governo da parte sua gli concedesse alcuni documenti riguardanti la Savoia (1) ». Anche rArmissoglio,R. Procuratore Generale, aveva scritto al ministro di Grazia e Giustizia Mancini, * per mettersi in

qualche buona parte », offrendosi di « conti-

nuare le trattative sulla base della cessione delle carte della

Savoia »,ed il Ministro aveva risposto « che in massima approvava, ma che si riservava di intendersi col ministro dell'Interno (2) »,cosa non facile, perchè Nicotera trovava « assoluta-

mente inammissibile che il Governo avesse a dare un compenso per ciò che di diritto gli spettava » e che « non potevasi in verun modo ammettere di riprendere con un privato una pratica trattala internazionalmente, e

riprenderla per conce-

dere al conte De Roussy ciò che non si [era] eredfuto] di poter

concedere ad una Nazione vicina ed amica ». Invero dal al 18()7 la Francia

documenti, che

il

\SiìO

aveva fatto passi per avere « taluni antichi

conte De Foraz vivamente sollecitava [ora,

per mezzo dell'amico De Roussy],dicendo spettare alla Savoia ». In allora era intervenuto nella faccenda il Consiglio di Stato, il

quale aveva dichiarato che

quanto

spet|,ava

alla

Savoia

era già slato consegnato in seguito alla cessione del 1796 e di interesse regionale, e non isterico, piìi non erano stati richiamati dalla Savoia a Torino ». Giustamente il Nicotera aggiungeva « che quegli antichi documenti fanno parte dell'Archivio famigliare della Real Casa, ossia dell'Archivio di Corte, il quale — benché ora unito a

che altri documenti

(1) Appendice n.2. (2) Appendice n. 1.


— 334 — quello di Stato

— potrebbe essere quandochessla richiamato a

Palazzo ».

Apprezzava i sentimenti del « signor Foraz,storico savojardo, genealogista ed archeologo »,ed

i

suoi « nobili desideri »;era

pronto ad autorizzare copie di documenti savoiardi, a riprendere pratiche interrotte per scambio di manoscritti con la Francia, «ma tutto questo doveva rimanere estraneo al ricu-

pero delle carte Cavour, sulle quali il Governo non poteva mettere in discussione

il

suo pieno diritto ».

Nicomede Bianchi nel frattempo premeva su tutti per avere le

carte Cavour, ma l'Armissoglio taceva e taceva lo Zoppi.

Pietro Vayra, archivista zelante ed onesto, era in quel

tempo

andato da Torino a Roma,non sappiamo con quale incombenza, ed il Bianchi, che lo conosceva e apprezzava molto, gli

scri-

veva per farlo agire presso i Ministeri. Intanto la

poli-

tica, che

crisi

aveva portato al potere la Sinistra, era diventata crisi

di

prefetti e, in mezzo alle polemiche vivaci dei giornali (1),

il

senatore Angelo Bargoni assumeva la direzione della Pre-

fettura di Torino.

A lui pure veniva scritto per le carte Cavour

e finalmente, in seguito a varie altre lettere, i sospirati docu-

menti venivano consegnati all'Autorità governativa (2), con la (1)

La Pei'severanza del tempo aveva artìcoli vivacissimi contro il

Ministero, che accusava fucinato nelle loggie massoniche, e contro i prefetti Zini e Bargoni, loro esponenti. (2) La

consegna di queste carte è cosi raccontata da

U Opinione del

tempo (n. 137, 18 maggio 1876), in una delle « Corrispondenze italiane » « Torino, 14 maggio. — Lasciando una buona volta da parte le brighe e le noie della politica, rechiamoci un po' collo spirito in un ambiente :

più sereno, più puro. Un po' di storia retrospettiva ci farà questa volta le spese. Finalmente

tutte

le

carte politiche del conte Benso di Cavour

sono pienamente assicurate ad uno dei più importanti di quei depositi, che si chiamano Archivi di Stato, donde si trarranno i materiali per la storia avvenire. Molte delle carte ora ricevute in consegna dall'illustre

Nicomede Bianchi erano state trovate nel palazzo di Santena,e mi consta che la stessa egregia famiglia, cui ora quel luogo di storica memoria è passata in proprietà, desiderò e si adoperò a che le carte stesse fos-

sero conservate nell'Archivio di Stato. Quanto poi al contenuto delle

medesime, ogni diceria messa in giro dev' essere riguardata come di nessun valore le carte di Santena non furono da alcuno passate in esame fattone l'elenco, furono immediatamente suggellate. Codesta precauzione di affidare alla custodia gelosa del suggello, togliendole per ;

;


— 335 — clausoia che non fossero resi pubblici se t'aniii dalla

non dopo cinquan-

morte del j?rande Ministro.

L'Archivio di Stato di Torino ne divenne il depositario ed occhio profano non scrutò

i

preziosi carteggi cavouriani,che

furono detlorati solo da Sopraintendenti. a cominciare dallo slesso Nicomede Bianchi (l),o

— per contri di nomini politici

altolocati e con l'autorizzazione dei ministri degli Esteri e degli

Interni

— da qualche archivista (2).

Però nel marzo 1878 A{?ostino Depretis, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri e

interinalmente degli Interni,

avvisato dal Bianchi della natura gelosissima di alcune carie (3),

ordinava che fossero tolte dall'archivio Cavour le carte relative a S. M. Umberto

I

ed al secondo matrimonio della Du-

chessa di Genova, per depositarle nell'Archivio segreto della

Casa Reale. Il Bianchi, « chiamato l'archivista cav.Vayno Carlo, chp a[veva] ingerì mento "per uffizio nella cuslodia delle carte e datogli comunicazione del dispaccio ministeriale, si portava seco ad aprire l'armadio dove stavano chiuse le suddette carte e, avendole

cercale in tre cassette, furono trovale

nella

mag-

giore di esse. Immediatamente l'archivista Vayno,alla presenza

e colla cooperazione del Sovraintendente. pose le due buste in

un plico a cinque suggelli e.coll'indirizzo aS. E. il commendatore Depreti.s, prima delle ore

11

('elio

stesso

mattino

[11

marzo, in cui era arrivato l'ordine ministeriale], fu consegnato consegaenza alla curiosità di chicchessia, le carte che vengono o spontaneamente o per legge accolte e depositate negli Archivi di Stato, mi pare ottima. Il provvedimento che la autorizza è tale che certo ogni partito politico deve desiderarlo e procurare che esso sia rigorosamente praticato essendo :

il

solo

mezzo yter cui chi possiede carte

di

politica

importanza possa consegnarle con guarentigia che non saranno innanzi

tempo usate o conosciute > l 'S. BiASCHi, Storia documentata della diplomazia europea in Italia dairnuno JfiN all'anno /è^tf/, voli, otto, Torino, 1865-1872 (vedansi le numerose appendici, che provengono da questa fonte) ;G. Sforza, A'ei primo centenario della nascita di Camillo Cavour, ricordo del Comitato pieniont«>se per la storia del Risorgimento italiano,Torino,1910 A.LusiO, l^i intuire di Giuseppe Mazzini, Tormo, Fr. Bocca, 1919. (2) L.C. BoM.EA, Comff fu compilato l'epistolario di Ij. Carlo Farini, {

'i

;

in Boll. stor.4>U}l.subalp.,9\ì\>^\. Hisorg., fase. 1, pp. 63-9(», Torino, 1912. (8) Vedi N. B. dell'Appendice n. 8.


— 336 — all'ufficio postale, dandone in pari tempo avviso per telegramma

allo stesso signor Ministro e poi, nel corso della giornata, scri-

vendo al medesimo fiina] lettera riservatissima. Nell'aprire cassette indicate

le

trovò che, ad eccezione di alcune buste

si

sulle quali era stato posto

un suggello in Roma dal commen-

datore Tornielli, tutte le altre erano aperte, onde si presentava facile di attirare il

su di esse la curiosità, ove venisse di nuovo

caso di togliere dalle me<lesime cassette alcuna nuova pra-

tica.

A togliere questo inconveniente e a rimettere possibil-

mente le stesse cassette nelle condizioni di prima e anzi ad assicurare meglio la segretezza per tutti dei documenti in esse contenuti, [venivajno sigillati tutti isingoli pacchi di carte con

un bollo, del quale siipo[s]e nel processo verbale, [da cui togliamo queste parole], il tipo, e che quindi [veniva] consegnato al fonditore onde lo rendesse inservibile (1) ». Cosi raccontavano

il

Bianchi e

il

Vayno, a dimostrazione

della scrupolosa sorveglianza fatta delle carte Cavour...., dopo

che il Bianchi se ne era servito fin dal 1865-1873 per le sue norcine appendici (i2) e per suggerire, da buon cortigiano, al Depretis di richiamare dal R. Archivio di Stato le buste « Principe Umberto »,« Secondo matrimonio della Duchessa

di Ge-

nova », « Corrispondenza tra il Papa e il Re » e « Lettere di Vittorio Emanuele II » (3) !'

Undici anni dopo il successore del Bianchi nella Sovrain-

tendenza dell'Archivio di Stato di Torino, il barone Bollati di S. Pierre, rompeva le carte Cavour

i

suggelli apposti nel 1878, per consegnare

ad un suo subalterno, incaricato da Domenico

Farini di sfogliarle e di copiarne quanto ritenesse conveniente

per uno studio storico che

il

presidente del Senato intendeva

di fare sul padre suo e che, ridotto ad un semplice epistolario,

è oggi in corso di stampa (4). L'esame delle carte fu fatto dal (1) Appendice n. 3. (2) N. Bianchi, «Stoj-ia documentata della diplomazia europea

in Italia,

Torino, 1865-1872 vedansi, a proposito dello scempio dei carteggi cavou;

riani, F. Gabotto, Come si

pubblicano

le

lettere

di Camillo Cavoi'r, in

Il Risorg. it.,'^. S., Vili, 505-526, Torino, 1915 ; [L. C. Bollea], Per

Vepi-

stolario di C. Cavour, ibidem, X, 184, Torino, 1917. (3) Vedi

N. B. dell'Appendice n. 3.

l^\'L.l^k\A, Epistolario di Luigi Carlo dal 1911 in corso di stampa.

i'aj-ini, Bologna, Zanichelli,


- 337 — tebbraio 188V) al 18 maorgio 1890, come risulta da un Promemoria di questo cortese collaboratore del Fariiii (1). Dopo d'allora, pare a noi che soli il marchese Alfieri come pa-

''J7

rente del Cavour Ci), e Giotanni Sforza abbiano visto questi preziosi documenti ;anzi lo Sforza, come sovraintendente dell'Ar-

chivio ebbe l'onore di servirsi di carte cavourianeper compilare

quella sua pubblicazione che uscì, nel centenario della nascita <lel

conte di Cavour, per (onto della Società Ufficiale del Ri-

sorgimento italiano (3) e Che fu in parte meglio chiarata e precisata da uno di noi (4), cui fu dato anche di pubblicare un grosso volume di documenti (5), per la massima parte provenienti, onestamente (6), dalle carte Cavour. Anzi^il

dioso, provocato nel

mondo degli

panico invi-

studi storici dal

semplice

annunzio di questa pubblicazione (7), diede nel 1912 l'ultima spinta al Governo, che si decise alla creazione di una Commissione Reale per l'edizione ufficiale dell'epistolario del conte di Cavour, apparendo

ormai troppo monca ed incompleta

la

raccolta del Chiala (8).

Che cosa abbia fatto in qut&li sette anni, trascorsi

dal

della sua costituzione, la Commissione Reale è finora un

di

mi-

(li Appendice n. 4. (2) Vedi

N. B. dell'Appendice n. 3.

(3) G. Sforza, ^el

primo centen. della naso, di C. Cavour succii.

(4) L. C. BoLLKA, Il « grido di

dolore » dfl 1859, in Boll, stor.-bibl. su-

balp.,Xyi, fase. 4% pp, 219-266, Torino, 1911. (5) L.C. BoLi.EA, Una * silloge » di lettere del Risorgimento italiano, pp. VIII-544, Torino, Frat. Bocca, 1919. (6) i6jV/e»j, Prefazione.

(7) TX 4 giugno 1912 il Presidente del Consiglio dei Ministri del tempo, rispondendo in Senato ad una interrogazione dei senatori I.Del Lungo

e M. Mazziotti, dichiarava che « none bene sfatare delle leggende che sono Ix-lle e che solo i posteri studieranno a dovere » {Atti jìarlomentari

della Camera dei •^na/or{,Discus8Ìoni,legisl.XXIIl,vol.XI,p.8335,Roma, 1912). Pochi giorpi dopo si apprendeva dalla comparsa dello studio di L.C^ Bor.t^RA, Il « grido di dolore > del 1859 testé citato, che questo studioso disponeva delle carte Cavour e subito veniva nominata la Commissione

Reale per l'eilizione delle lettere Cavour, (/io//. 5<>c.A'a«. per la st.del Biforg., I, n. 10, p. 3, Roma

20 ottobre 1912).

(8) L. Chiai.a, />«//erf edite

ed inedite di C. Cavour, voli, sei, Torino.

1888-1887. Del primo volume furono fatte una seconda edisione nel 1884

ed una terza nel 1913.


— 338 stero e

— poiché pare che essa

si

avvii per hi stessa strada

di tante altre Commissioni incaricate dell'edizione delle opere di illustri letterati, scienziati e

uomini

quali non

politici, le

arrivano mai a portare a termine i loro lavori, quando pure ne alterano i documenti —così ci pare conveniente far

non

conoscere sommariamente agli storici del Risorgimento quanto possano aspettarsi dalle carte cavouriane.

Dal verbale redatto dal Vayr^, per suo uso personale, circa l'esame dell'Archivio Cavour eseguito per conto del Farini,ci pare risultare che questo sia costituito da tre serie di carte,

[ognuna delle quali formata da più mazzi], e da parecchi pacchi senza numero, e cioè: Serie I* {Rivolgimenti italiani

— Politica piemontese) di mazzi

14.

Serie

II* di

Serie

III* di

4 mazzi.

almeno 8 mazzi.

Mazzi senza numero: uno di corrispondenza riservata

e

tre,

almeno, di Copialettere confidenziali contenenti il carteggio di Cavour

con Nigra.

Non abbiano notizie pili precise a questo proposito. Come appare dall'Appendice informe (4) che qui segue, solo dì pochi

documenti ci è dato

il

regesto

lettere ci consta solo

il

nome dell'autore

così scarjla, la notìzia

:

per la maggior parte delle esse

di

;

ma, anche

non è del tutto inutile. Gli studiosi non

se l'abbiano con noi per tanta povertà di informazioni, che speriamo siano, presto, più chiaramente fornite dalla Commis-

sione R^ale cavouriana (5),

,

T. Rossi e L. C. Bollea. (4) Appendice n. 5. (5) Vedasi sulla storia della formazione di questa Commissione il Boll. st. del Risoi-g.,l, n. 3, p. 13 n. 10, p. 3, Roma 15 giugno, 20 ottobre 1912 II, n. 3, p. 31 n. 4, p. 52 n. 8, p. 131 n. 12, p. 209, Roma 20 marzo, 25 aprile, agosto, dicembre 1913.

Soc. Naz.per la

;

;

;

;

;


-

3:^0

-

APPENDICI. N. 1. Il

conte C.A.Maffei di BogUo narra le vicende laboriose attraversoalle quali

giugno

furono assicurate allo Stato le carte cavouriane (S

1876).

(Narrazione Maffei, 3 giugno 1876).

Quando il conte Maffei ebbe sigillate le prime carte Cavour, nelTuscire dall'Archivio, trovò Armissoglio,che Io attendeva sotto i portici. Avvicinatoglisi

in

grande confidenza, gli disse: «Si sono trovate

a Santena altre carte ». Maffei

:

«

Ma bisogna vedere di averle subito ».

«Lasci fare a me, già sa che ho messo una clausola nell'atto del Pretore, per il quale sia sicuro, forse Ella non sarà partita, che queste carte seguiranno le altre ».

Invece

il

Procuratore Generale si pose su tutt'altra

via. Scrisse

a

Roma e insinuò al Prefetto di scrivere che bisognava andare adagio, che facilmente potevano sorgere delle contestazioni, che dagli eredi pretendere di

si

poteva

esaminare quelle carte e così far noti

i

segreti di Stato. Narrazione a Bianchi del Prefetto, 29 aprile 1876. In-

tanto avendo il Ministro degli Esteri scritto al Bianchi, questi si portò tosto dal Procuratore Generale per vedere che cosa si poteva fare:

Lo trovò gentilissimo, ma gli disse :« Lasci fare a me, vedrà che farò tutto e presto ». Lettera Bianchi al Prefetto: nulla

si

fece.

motore segreto del Procuratore Generale era di guadagnar tempo ; per impedire che le caHe passassero nelle mani del nuovo Ministero Il

(Dichiarazione a Bianchi del Segretario del Pretore, a cui l'Armissoglio lo disse).

Cosi

si

lasciò

passare

il

tempo

fino

alla

(ine

di

aprile. Lettere

Bianchi al Prefetto e al Ministero, nessuna risposta. La pratica dorme. Cosi era il pensiero del Vigliani e del Minghetti.A casa del Min-

(Narrazione Maffei) si ventila la questione, anzi che dare il nuovo Ministero sulle traccle di ciò che si era fatto sulle carte Cavour, di 'vedere se non convenisse intendersi col Roussy e, affidandosi alla sua buona fede, lasciargli le carte con promessa di contentarlo, nei suoi desideri, in miglior tempo. Il Ribotti

ghetti

l'allarme e mettere

fu incaricato di

i\\XQ\V\xf[\c\o (Narrazione

Maffei). Co»\

rimase spie-

gata la dichiarazione fatta dal Borani, nella sala dell'inventario,

me « Sa cosa ha consigliato Ribotti al Roussy ? Non date queste carte ». :

Dovendo il Maffei tornare a Torino, Minghetti gli disse: «Passi da me », onde vedere se si potesse o dovesse fare qualche passo rela>


— 340 — tivo alle carte Cavoui- a Santena. Ma, mentre parlava cosi, entrò Spaventa, e-, mettendosi a ridere, disse :« Non state a combinare sulle

carte di Santena » ed ecco legger loro

il Fanfulla. Vi era la notizia che le carte di Stato erano state trasportate nell'Archivio di Stato.

Venuto il Ministero Mancini, il Procuratore Generale, per mettersi qualche buona parte, gli aveva scritto che vi erano tali carte e che prima chiedeva se il Ministero di Grazia e Giustizia era del pain

rere che

continuassero le trattative sulla base della cessione delle

si

carte della Savoia. Il Ministero rispondeva che in massima approvava,

ma che si riservava di intendersi prima col Ministero dell'Interno. Cosa aveva intanto fatto il Sopraintendente? Pressava. Il Procuratore muto

;

Il

Prefetto muto. Lettera al Vayra(l); lettera al nuovo Pre-

fetto; Analmente! Partenza del Borani; lettera Roussy. Le carte

tano. Approvazioae.

par-

[N.Bianchi]. N.2.

Il viiìiistro Nicotera

vinte

le

scrive al Prefetto di Torino, insistendo perchè, opposizioni del conte Di Roussy,le carte cavouriane

siano assicurate allo Stato (5 maggio

1876).

Roma, 5 maggio

1876.

Colla nota del 25 pp. aprile ho già fatto noto a V.S. quanto mi pre-

messe che fosse risoluta la vertenza cogli eredi del conte di Cavour circa le carte rinvenute nel palazzo di Santena.Ora il desiderio espres-

somi anche dal mio collega degli Esteri, perchè quegli importanti do-

cumenti politici non tardino ad essere consegnati al Sopraintendente degli archivi di Stato piemontesi ed

il

vicino termine di scadenza

dell'inventario dell'eredità Cavour mi fanno sentire l'urgenza di nuo-

vamente raccomandare a V.S. di veder modo di portare questa pratica al suo

compimento.

E a mio avviso la soluzione non può tornare né dubbia, né difficile, seguendo la

via del precedente ricupero delle carte Cavour, ulti-

mamente ottenuto, non trattandosi che della prosecuzione di quello. Quando, in conformità di quanto si è già.praticato la prima volta, V.S. in virtù deirart.l6 del R. Decreto 27 maggio 1875 prendesse diretta-

mente i concerti opportuni colla Pretura di Monviso per l'esecuzione del Decreto da essa emanato il 21 febbraio 1876, non può esservi da

dubitare che il desiderato intento sarebbe senz'altro ottenuto. (l)Iu quel tempo il Vayra si trovava a Roma in missione presso il Ministero Interni e, pregato dal Capo divisione De Paoli, si occupò di •^juella

pratica [P. V.].


^ Nel

Ciic.iw

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i-K'iv.i K.ic

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.-ui.iemj. litio

appunio

il

caso della

consegna, all'Archivio di Stato, deWe carte che si potessero rinvenire in seguito nell'eredità Cavour. L'Atto di consegna delle prime rinvenute fu firmato dai procuratori del conte di Roussy e della casa Alfieri, i quali

esplicitamente riconobbero

dello Stato ed acconsentirono alla

tali

carte come proprietà

consegna di esse e di quelle che

in seguito fossero rinvenute, all'Archivio, cosicché dal lato giuridico

questione è già pienamente risolta. Nò pare che il conte di Roussy davanti a questi precedenti debbasi così di leggieri indurre a persistere in una opposizione che la

per fatto suo, è già giuridicamente pregiudicata e vi sono bastanti ragioni per non invogliarlo ad un'azione in giudizio.

Giova anzitutto ritenere che quelle carte furono riportate a Torino dal palazzo di Santena per sola comodità di operazioni di inventario

— quando egli con rogito precedente aveva ceduto quel palazzo alla marchesa Alfieri senza riserva né di mobilio né d'altro, il perché verrebbe a mancargli il titolo legale per opporsi alla consegna di esse all'Archivio di Stato, mentre sarebbe in favore della consegna la non

opposizione, anzi l'espresso consenso, della predetta Marchesa proprietaria. I precedenti adunque tlella prima fase di questa stessa pratica e Torà accennata circostanza, pare debbano rendere poco presumibile che il conte di Roussy voglia insistere tant'oltre nella sua opposi-

zione da adire

i

Tribunali. Ma

ritto indiscutibile, che

il

quando ben fosse, giudico che il diGoverno ha, al ricupero dei documenti di

Stato di una natura così gelosa, debbasi far valere senza peritanza,

giacché nulla potrebbe infirmare la morale certezza di vederlo fatto trionfare dalla Magistratura.

Governo affermerebbe anzi con ciò un proprio diritto che era buone consuetudini dell'antica, Monarchia e del quale non si farebbe che, con opportunità, riprendere l'esercizio. II

nelle

Gli inconvenienti di

un giudizio peritale accennatimi nella nota di

V.s. 18 pp. n. 139, per carte di natura così riservata (;ome ni si tratta, sarebbe

certamente desiderabile

si

quella di

potessero evitare,

ma essi non potrebbero per avventura presentarsi così gravi quando, come a buon diritto si può aspettare, fossero scelti a periti persone che per posizione morale e nota autorità fossero degne della fiducia del Tribunale. Da un giudizio peritale siffatto

maggiori inconvenienti

<li

quelli cui

non sarebbe a temersi poteva dar luogo l'intervento

delle persone delegate già all'inventario, potendosi anzi circondare di

maggiori garanzìe.


- 342 In ordine a quanto V. S. mi aggiunge nella citata nota 18 p.p. aprile

della disposizione del conte di Roussy di recedere da ogni opposi-

zione conche

il

Governo da parte sua gli conceda alcuni documenti

riguardanti la Savoia, debbo anzitutto osservarle come sia assoluta-

mente inammessibile che il Governo abbia a dare un compenso per ha legittimamente reclamato e gli fu già dall'Autorità giudizmria aggiudicato. Con ciò non si farebbe che infirmare e compromettere il diritto stesso e su questo terreno non potrebbonsi ammettere trattative. Ma su di ciò mi giova, per metterla pienamente a giorno, soggiunciò che di diritto gli spetta e per ciò che

gerle alcune informazioni.

Le carte che il conte di Roussy domanderebbe come compenso consistono in taluni antichi documenti, che il conte de Foraz vivamente sollecita per sua intromissione, dicendo spettare alla Savoia.

Ora quegli stessi documenti formarono già oggetto di una pratica diplomatica durata col Governo Francese dal 1860 al 1867, e risolta allora coU'autorità del Consiglio di Stato che emise sulla questione le seguenti conclusioni: 1.°

— Che Tart.X ecc.

iste)

Davanti alle pretese messe innanzi dalla Francia

si

dimostrò

al-

lora, senza che essa potesse disconoscerlo, che quanto spettava alla

Savoia era già stato consegnato in seguito alla cessione del 1796, e

che altri documenti di interesse regionale, e non istorico, più non erano stati richiamati dalla Savoia a Torino.

È sovra questa pratica, risolta diplomaticamente da presso a dieci anni, che

il

conte di Foraz

e, per

esso, l'amico suo conte

di

Roussy

vorrebbero si rinvenisse. È facile vedere la sconvenienza di questo passo. Non potrebbesi in

verun modo ammettere di riprendere con un privato una pratica trattata internazionalmente e riprenderla per concedere al conte di

Roussy ciò che non si credette di poter concedere ad una Nazione vicina ed amica.

Basta ciò, senza che più occorra osservare che quegli antichi do-

cumenti fanno parte dell'Archivio famigliare della Real Casa, ossia dell'Archivio di Corte, il quale, benché ora unito a quello di Stato, potrebbe essere quandochessia richiamato a palazzo e del quale non sta al Governo

il

poter disporre.

Si comprende agevolmente che il sig. Foraz, storico savoiardo, ge-

nealogista ed archeologo, senta vivo desiderio di veder ricuperati alla

sua patria taluni documenti storici; è spiegabile com'egli trovi

che le pratitihe allora passatesi tra governo e governo siano state mal


- 343 — condotte con danno della Francia e

ch'egli, per

un movente certo

commendevole, ambisca ad essere posto in grado di far egli di meglio che non seppe fare, a suo giudizio, il suo governo, e tenti anche di far valere

i

suoi disegni a mezzo dell'onorevole compatriota suo. Di

Roussy, ma da tutto ciò ad un atto simile per parte del Governo italiano

vi

hanno di mezzo non lievi doveri di riguardi internazio-

nali.

Lungi dal non desiderare anch'io di veder appagato il nobile desiderio dei conti di Foraz e di Roussy in quanto fosse possibile, io sarei

sempre disposto, nell'interesse degli studi storici, a facilitare la comunicazione di copie dei documenti che interessano la storia della Savoia ed anche a riprendere col Governo Francese le pratiche per

cambi di manoscritti interessanti la Francia, già una volta iniziate, e sarei lieto di apportarvi le migliori disposizioni per farle riuscire;

ma tutto questo deve rimanere estraneo al ricupero delle carte Cavour, sulle quali

il

Governo non può mettere in discussione

il

suo

pieno diritto.

La questione quale viene posta dal conte di Roussy, essendo inammessibile, non resta se non che V.S. insti per l'esecuzione del Decreto della Pretura Monviso 21 febbraio 1876, lasciando libertà al Di Roussy di far valere le sue opposizioni.

Al Si g. Prefetto di Torino. 11

Ministro Nicotera.

N.3.

Verbale, redatto

da Nicomede Bianchi e da Carlo Vaytio sulla aper-

tura delle carte cavouriane,per V asportazione di alcune di esse ordinate dal ministero Depretis {ÌS

Nel mattino del giorno

11

marzo

1878).

marzo giunse per la Posta di Roma as-

sicurata l'annessa (1) lettera di S.Eccellenza il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro degli Affari Esteri e interinalmente Ministio

deirinterno,commendatore Agostino Depretis.In essa veniva ordinato al Sovraintendente degli Archivi

sitate nell'Archivio Segreto

<ii

spedire a Roma per essere depo-

della Casa Reale, iiue

buste, contenente

runa carta relative al secondo matrimonio della Duchessa di Genova, e l'altra carte di S.M.il He Umberto.

Considerando che manife.stahiente con questa domanda

il

Presi-

dente del Consiglio dei Ministri mirava a togliere ogni possibilità che

anche in tempo remoto dal presente siffatte carte, massime quelle (1) Questa lettera, annesMi al

presente verbale, non ci è pervenuta.


— 344 relative al

matrimonio della Duchessa

vedute ed esaminate da indagatori

di

di

Genova, potessero essere

documenti, mentre che appar-

tengono, come, si rileva dalla loro indicazione, ad un argomento affatto privato e delicatissimo, e credibilmente degli intimi vincoli di

come

tali

e in

sangue che passano tra Sua Altezza

vista

Du-

lu,

chessa di Genova e sua Maestà la Regina, debbano propriamente essere

custoditi

sottoscritto

nell'Archivio

circondandolo di tutte

le

della i^ale Casa, il

privato e segreto

non ha esitato a dare corso a

tale

delicato incarico,

cautele che richiedono le carte di prove-

nienza Cavour. In

primo luogo

il

sottoscritto

chiamato T archivista, cav. Vayno

Carlo, che ha ingerimento per ufficio nella custodia delle carte e datogli

comunicazione del dispaccio ministeriale, si è portato seco ad e, avendole

aprire l'armadio dove stanno chiuse le suddette carte

cercate in tre cassette, furono trovate nella maggiore di esse.

Immediatamente l' archivista Vayno, alla presenza e

colla coope-

razione del Sovraintendente, pose le due buste in un plico a cinque suggelli e coll'indirizzo a S. E. il commendatore Depretis, prima delle 11

dello stesso mattino fu consegnato all'ufficio postale, dandone

in pari

tempo avviso per telegramma alla stesso signor Ministro e medesimo l'unita lettera

ore

poi, nel corso della giornata, scrivendo al

riservatissima (1). Nell'aprire le cassette indicate, si trovò che, ad eccezione di alcune

buste sulle quali era stato posto un suggello in Roma dal commen-

datore Tornielli, tutte le altre erano aperte, onde cile di attirare su di esse la curiosità, ove

di togliere dalle

si

presentava

fa-

venisse di nuovo il caso

medesime cassette alcuna nuova pratica.

A togliere questo inconveniente e a rimettere possibilmente le stesse cassette nelle condizioni di prima e anzi, ad assicurare meglio la segretezza, per tutti, dei gillati tutti

i

documenti in esse contenuti, si sono

si-

singoli pacchi di carte con. un bollo, del quale si pone

nel presente processo -verbale

il

tipo, e

che quindi si è consegnato

al fonditore, come risulta dall'annessa dichiarazione (2), onde lo ren-

desse inservibile. Torino,

H marzo 1878.

L'Archivista C. Vayno

(1)

II

.

Anche questa lettera

Sovraintendente N. Bianchi

del Bianchi al ministro Depretis

non

ci

è

giunta. (2) Pure

questa € annessa dichiarazione » del fonditore non trovasi

unita alla copia del verbale che ci servi per la presente edizione.


— 345 — richiamo di queste carte fa provocato dal Bianchi stesso con gli segnalava la natura gelosi:i;'ima di tali carte e gli suggeriva di farle ritirare nell'ArN. B. Il

una lettera confìdenziale al ministro Depretìs in cui chivio segreto del Re. Depretis

si

richiamò, ma -~ cosa osservabile

affrettò

ad accettare la proposta e le

— non ne accusò subito ricevuta, né

telegramma né alla lettera d'invio. Allora Bianchi riscrisse domandandone ricevuta questa si fece aspettare ancora un bel poco e finalmente giunse una lettera ministeriale di recezione, ma cosa singolare! questa lettera non era firmata né da Depretis né da altri !!... Facemmo osservare a Bianchi che una siffatta ricevuta serviva poco di rispose al

:

scarico per carte cosi importanti, ma egli se ne accontentò!

E finalmente da notarsi che, dopo quell'apertura e sigillamento delle carte Cavour, esse furono riaperte e vedute da Farini

e

dal marchese

Alfieri e, scomposte dalla disposizione primitiva, ricevettero

un nuovo

ordinamento diverso. A più precisa informazione dei fifitti sopra accennati posso aggiungere 1°) che la lettera del Presidente del Consiglio Depretis esiste veramente fra gli atti di ufficio; essa è senza data, giunse in Torino l'il marzo e tu protocollata con questa data; 2») che precedentemente il Bianchi aveva scritto una lettera privata (che e[ra] conservata dal cav. Vayno) a Depretis in data 4 febbraio 1878, dicendogli che conveniva fossero richiamate all'Archivio segreto della R.Casa: a) la busta recante l'indicazione « Principe Umberto », b) quella intitolata € Secondo matrimonio della duchessa di Genova » • » « Corrispondenza fra il Papa e il Re » e) » * IMtere di Vittorio Emanuele II ». rfi » La lettera del ministro Depretis sovra citata richiamava solo i due primi numeri. Non so se gli altri due siano stati pure compresi in quell'invio, o se furono mandati dopo, ovvero restarono ancora tra le carte Cavour. [P-V.] :

N.4.

Verbale di P. Vajra, fatto a proprio u^o personale, durante V esame delle carte cavotiriane (21 febbraio 1889-16

maggio 1890).

Archivio Cavour,

Intraprendo l'esame di tutte le carte Cavour per incarico di S. E. Farini, a ciò autorizzato dal ministro degli Esteri e degli Interni.

27 Febbraio

— Ricevo oggi dal Sovraintendente barone Bollati, dell'Archivio Cavour e dei RivolgimefUi Italiani,Politica I*ie7nontese, serie l*,i mazzi l',2%8*e 4» e ne comìncio

l'esame.

30 Marzo

— Restituiti 5»aU'8«.

i

detti quattro mazzi e ricevuti dal mazzo


— 346 — 9 Aprile 10 Aprile

24 Luglio 24 Luglio

— Restituiti mazzi dal 5° — Ricevuti mazzi dal 9° al — Restituiti mazzi dal 9° al — Ricevuti mazzi 13° e 14° della serie all'S".

i

12°.

i

12».

i

i

1*

e 1° e 2° della

serie 111». .

Ottobre

,

— Restituiti

i

detti mazzi 13° e 14° della serie I» e

1° e 2°

della serie III".

Ottobre

—Ricevuti

mazzi

i

3°, 4°, 6"

e

7° della III» serie e

10°

della I» serie.

6 Novembre

— Restituiti nuto

»

»

il

mazzi 3°, 4°, 6" e 7° della III» serie, e rite-

i

10" della I» serie.

— Ricevuti

il

mazzo 8° della serie III» e il mazzo senza

numero di Corrispondenza riservata. 26 dicembre

— Restituiti

»

— Ricevuti 3 mazzi senza numero (continuazione dei

i

mazzi 8° della serie III» e il mazzo senza

numero e. s. »

Copialettere confidenziali 1860-61) e

il

mazzo

il

mazzo

della serie I» per rivedere.

16Maggio 1890— Restituiti il mazzo 10° della

serie e

della 1» serie più i 3 dei Copialettere Cavour e Nigra. »

»

Ricevuti

i

mazzi

e 4° della serie' II» (I).

N.5.

Notizie somìnarie sul conteìiuto dell' archivio cavouriano, desunte nel 1889 e 1890.

SekieI^ PIAZZO 1° (Busta autografi Cavour): 1854,29 luglio

— Decreto preparato per dichiarare Genova in stato d'assedio, già Armato dal Re e da Rattazzi, con in

bianco il nome della persona cui si conferivano

i

pieni poteri. 1850, ottobre

- Relazione del consigliere del Municipio di Torino, conte Benso di Cavour, relatore della Commissione incaricata di riferire intorno alle tasse annonarie

(Tassa del pane): autografo Cavour (2). 1850,24 ottobre —- Il sindaco, con sua lettera di questa data, resti(1) Evidentemente il verbale Vayra non è compiuto per intero: prova ne sia che non risulta la restituzione dei mazzi P e 4° della serie II», avuti in esame il 16 maggio 1890. Crediamo che sia andata smarrita la seconda parte del presente verbale Vayra. (2) Edita in Atti del Municipio di Torino, seduta, 10 marzo 1851.


— 347 — tuisce l'autografo al Conte e gli trasmette la copia in bollo, perchè la firmi. 1855, novembre

— Memorandum presentato da Marco Minghetti a

1860,13 febbraio

— Lettera Ricasoli a Cavour (copia fra le lettere Ca-

Lord Clarendon.

vour a Nigra). 1860,5

marzo

—Si parla del trattato segreto deiranno scorso per la

cessione di Savoia e di Nizza'e Cavour esprime

l'idea di distruggerlo, perchè se venisse ci

scoperto

porrebbe in una posizione difficile davanti

l'Inghilterra. Lord

Russel ne aveva negata

al-

l'esi-

stenza al Parlamento inglese, ora se scoprisse che

l'abbiamo ingannato, sarebbe furioso (1).

marzo §4 marzo

1860,20 »

— Lettera di Vittorio Emanuele

II

al Papa (2).

— Cavour a Nigra :« Cowsi^wa^wm es<. Le traité de la cession

de

la

Savoie et de Nice à la France est

signè >(3). »

4 aprile

— Cavour a Nigra:*

je feral tous mes efforts pour

faire passer le traité (di cessione di Savoia e Nizza)

et j'y reussirai peut étre.Mais une fois cette tacbe

remplie,je quitterai deflnitivement les affaires, Ze

coeur plein de degoiit pour Valliance franga se... L'affaire de Nice est

pour moi,une repetition de

celle du mariage.Je ne m'e.tposerai plus à une troi•

1860, 24 aprile

sieme affaire de ce genre

»(4).

— Cavour, ritornando da Firenze, visita Spezia e Genova.* Dans cette ville l'agitation mazinienne reprend un peu de force et se rallie autour de Garibaldi.On veutpousserleGouvernementàsecourir la Sicile et

on prépare des expeditions d'armes et de

munitions. Je soup^onne le Roi de favoriser impru-

demment ces projets.J'ai

donnt^

l'ordre de sur-

veiller et d'empécher,8i cela est poss'''"

"

•«

tpn-

tatives desesperées » (5). (1) Edita

dA L.C.BoLLKA, Una « silloge » di te//., p. 2(16, dee. 227.

(2) Edita in G. Massari, Vita di Vittorio Emanuele II, p.87, Milano, 1880.

(8) Edita

da L.C. Bou.ea, Una . siUone » di lett.,p 228, dee. 247. apunto, importante politicamente come dimostrazione del-

(4) Questo

ret«rna vacuità della fratellanza latina, non figura nella lettera, edita da L. C. RoLi^BA, Una « nilloge • di te//., p. 28i, doc. 252, non trovandosi nella copia (5) Edita

donde l'editore trasse la sua per le stampe. {6fV/<>m.p.244,doc.26l.


— 348 — 1860,2 maggio, Firenze

— (Per errore invece di Bologna, dove Cavour

era in detto giorno). Importante lettera al Principe di Carignano. Per evitare la

Rattazzi, l'uomo les luttes

et voir il

venuta

di Novara, è

al

potere di

pronto a « endurer

du Parlement, les injustices des partis,

méme les mauvais procédés du Roi ».Egli

giorno stesso del suo arrivo a Bologna, ha inter-

rogato un personaggio influente,* s'il ferait partie d'une nouvelle combinaison ministerielle ».

— Cavour, da Parigi, al generale A. Lamarmora:

1859.29 marzo

Intelligenze prese coU'Imperatore sulla guerra,decisa fra 'due mesi. Essa si farà sul Po,« aussi bien

qùe sur le Rhin » ecc. ecc. Bisogno urgente di armare ecc. Guai a noi se dovremo la nostra liberazione unicamente alla Francia (1).

— Lettera di Cavour all'abate della Voce circa un di-

1848,27 agosto

scorso di Gioberti (2). (3) Mazzo 4» :

— Estratto del giornale del Principe Napoleone, cioè

1859,11 luglio

pratiche della pace di Villafranca.

Mazzo 5»: 1860,8 settembre— Processo verbale

delle

offerte

dimissioni di Ca-

vour e Farini al Re per le opposizioni di Garibaldi. Riassunto di corrispondenze Panta1860,20 novembre-1861, 16 marzo

leoni,Bozzino ecc.riguardanti la Questione Romana.

Mazzi 6° e 7»

:

Sono una miscellanea, da ordinare, di molte lettere e documenti, dei quali alcuni importanti. Parecchie di queste lettere

dovrebbero-

essere inserte nei mazzi 9 e segg. delle « Corrispondenze particolari ».

Alcune sono molto importanti. 1856.30 luglio e agosto

— Lettera del Papa al Re per una concilia-

zione per mezzo di Gilardi, vescovo di Mondovì,.

che si insinua presso il Re. Vittorio Emanuele II è

propenso a trattare e desidera di finirla. Rattazzi ne lo dissuade (Vedi lettere Rattazzi a Cavour, a. questo proposito, nel mazzo (1) Edita in I

.

9° della serie I»).

Chiala, Lett. ed. ined.di C. Cavour, III, p. 53.

(2) Ibidem,!, p.l87. (3)

Manca qualsiasi indicazione dei mazzi 2° e S».


- 349 (1) Mazzo 9«:

Corrispondenze di Kossuth;Regaldi; Contessa Rasini Ruggiero Settimo Rabattino ; Rotschild B^e Ricci Vincenzo Russel lord ; Russel Fanny Solaroli Siotto Pintor Scialoia Sauli marchese Lodovico San;

;

;

;

;

;

ta

;

;

;

Rosa Teodoro Sliaftsbury Avigdor Giulio Aubery Bezzi Arriva;

;

;

;

;

bene; Alfieri Carlo (un rapporto sulla Francia e lettere) ;Tonelli;Tecchio Sebastiano leccio; Balbo Cesare ;Blanqui (sulla libertà di com;

mercio) ;Geymet B. ;Rattazzi (trattative con Roma 1856 ed una lettera del Papa); Vigliani;Verasis di Costigliole; Valerio

Lorenzo ;Walpole;

Mamiani Terenzio; Manno ;Marochetti; Martini contessa Maria: Martini conte Borromeo Oladston Gramont Grattoni Greppi Guerrieri Guiche;La Marmora Ottavio Leopardi Pietro ;Liedekerke; Lobo de ;

;

;

;

;

;

;

;

Moira Nigra C. Butenval Joctea u.

Mazzo

;

;

;

10":

Seguono le lettere di Pictet; Harry; Hudson; Ferdinando

di

Savoia

(relazione del viaggio di Londra e Parigi); Forster; Boccardo Gero-

lamo;Nigra conte e ministro della R. Casa Gioja F'ietro; Eugenio ;

di

Savoia-Carignano (molte e importanti) Elena D.;Boncompagni; Cas;

sinis G.B,;Gualterio (una); Valerio

Lorenzo ;Pepoli Gioachino; Palla-

vicino Giorgio; Guerrazzi Domenico; Vimercati; Fanti

ministro della

Guerra ;Farini; Bruni aw.Gio. Vincenzo^ Mathieu, governatore di Sar-

degna ;Minghetti Marco Belgioioso Luigi, sindaco di Milano. :

Mazzo

11°:

Seguono le lettere di Corti Cobden ;

;

Di 8. Marzauo

;

Di Pralormo ; Di

Perrone;Di Pollone; De Stackelberg;De Solms principessa Maria; De

Roussy Felice; De Revel; De la Tour; De la Rive Augusto ;Cibrario Luigi (due lettere); Cavour Gustavo; Casati Gabrio (una memoria e una tera); Bombrini;Boggio Pier Carlo ;Ni8co

let-

barone Nicola; Ribotti; Cle-

menti Giuseppe Greco Antonio Devincenzi G. Della Minerva De Gal;

liera

;

;

;

duca F.;Di Costigliole contessa Virginia; Di Collegno; De

Cir-

court Adolfo (molte lettere) ; Di Castelborgo; De Breme marchese; De

Breme A.; De Boigne; D'Azeglio Massimo 1853-00 (molte lettere) Dan;

dolo Kmilio;Co8ta di Beauregard L.;Cordova Filippo (molte lettere); ('erutti Marcello; La Marmora Alfonso (molte) ;Cergia D.;Accossato Gottardo; Centurioni Stefano ;Guglianetti; Di Santa Rosa Pietro;Ca-

dorna C.;Per8ano conto óiu. iti. sin... ^;[<».y k T.

1

'

Manca qualsiasi indicazioue del mazzo 8.*


350

Mazzo

12°:

Seguono le lettere di Dabormida gen.le Cantono di Ceva De Launay ;

;

;

Di S. Martino Ponza ;01dofredi conte (rapporti interessanti di politica,

da Parigi nel marzo '54 sulle viste politiche di Napoleone in Italia

conversazioni e trattative con Manin);Clarendon; marchese di Villa-

marina (manca trasmessa al Ministero in settembre 1887,n.l927);Michaud Salvagnoli De Boyl conte A. Barrault Alessio; Panizzi; Pernati; Migliorati G.P.; Minto lord; Monti abate; Paleocapa; Pallavicino Fabio; ;

;

;

Pallavicino Francesco BaldUino Sebastiano ;

;

Benzi ; Bianchi Giovini ;

Bixio Alessandro (parecchie Ano al 1861);Bixio Cesare Leopoldo; Ba-

rante o Basante; Massi (,?);Vineis Nicolò ;Bolmida; Collegno ;Thiers A. (1852, gli

manda lettere di presentazione per l'Inghilterra e il Belgio,

dove ("avour si recava).

-

Mazzo 13°: Lettere di De Salmour;Ricasoli Bettino; Medici generale; Castelli

Michelangelo; D'Azeglio E,;X (un pacco mancante

di

col

n. 156);

Adelaide regina; principessa Matilde Bonaparte; Napoleone III.

Mazzo 14°: Lettere del Principe Napoleone (lettere e dispacci 1859-61); di Pantaleoni D.(1861,da Parigi); Desambrois; Romano Liborio ; Depretis (agosto

1860);Casalis avv. Bartolomeo (1860); Della Rovere A.; Corsi principe; Couza (1859);Bardesono conte (1860);La Farina (1856-59-60); Massari (1860);Cialdini E. (^1859, Casale 10 maggio;29 maggio Vercelli, con risposta di Cavour ;Osimo 24 settembre 1860;Mola di Gaeta 24 Xbre

1860;Sabbato

progetto pei Garibaldini); Garibaldi Giuseppe (1857,

26 luglio, a favore di Montanari arrestato pei moti mazziniani e che Garibaldi dice avere complice di quei tentativi) ;G.Fasciotti (1860 set-

tembre-ottobre,annessione di Napoli);Amari M.(1860-61);Giulini della

Porta Cesare (con annessa lettera di Sirtori da Genova, 5 maggio 1860, pubblicata dal Bianchi con data 3 maggio); Morando Alessandro (1859);

De la Tour d'Auvergne (1859j;Belgioioso Cristina (1860, Marche e Umbria); Sirtori generale (1861, per la

sua classificazione richiamo); Du-

rando generale (1860); Valerio Giuseppe (1858-59) Mancini (1860-61) ;F. Arese (1860,da Pai'igi) Serra governatore di Ciamberi (1860);Duca di ;

;

Mignano '(1860-61) ;Farini ministro Lavori Pubblici (1861, dimissioni); Winspeare barone (1860); Piola (luglio-agosto 1860 Sicilia) ;Pettiti generale (1859); Orsini Felice (1857 marzo) ;Vegezzi (1860); Serra ammiraglio (1860 maggio, disposizioni per sventare un tentativo

di Gari-


— 351 — baldi sulle RomaKne);Peruzzi Ubaldlno (1860 febbraio; ;Montezemolo

luogotenente del Re in Sicilia (1860-61); Edwin Giacomo Astengo (1860 ;

sett. ottobre, annessione

delle Provincie Napoletane); conte di Casta-

gneto (maggio -giugno

1860, spedizione

di Garibaldi ); Ferrara

prof.

(1860 luglio, annessione della Sicilia); Della Rocca generale (1860-61);

A de Bourzin (1860) Morny De Flozoga Talleyrand De Remusat Carlo ;

;

;

;

;

Pietri senatore francese ;Guell y Ruente;De Persigny ; Perrone Ferdi-

nando (1860.Toscana); Butta deputato (23 magrgio 1856, memoriale sulrindirizzo da darsi alla politica piemontese).

[Skrie 2* {ì)]: Indicazioni di lettere e dispacci delcmte Camillo di

Cavour a varie persone: 1859 gennaio 20, al generale Durando a Costantinopoli (cifra) ; 20, al cav. Boncompagni a Firenze; 23, al marchese Villamarina a Parigi; 23, al

generale Klapka a Parigi; 25 e meglio 29, al marchese Villamarina

a Parigi febbraio 7, al generaie Klapka a Parigi;?, al Principe Napo;

leone a Parigi; 10, allo stesso a Parigi; IO, al conte della Minerva a

Roma;13,al marchese Villamarina a Roma;18,al marchese Ridolfl;

marzo 21, al marchese d'Azeglio a Londra;aprile

9, allo

stesso

a

Londra.

Dicembre 25,al cav. Boncompagni; 25, al barone Ricasoli; 25, al cav. Farini;28,al cav.Marliani a Bologna (edita) (2) 29, al cav.Farini;30, ;

al cav. Boncompagni ;30, al marchese Gualterio a Firenze ;30,al

comm

Vigliani;3U,ad Antonio Ricci a Firenze; 1860 gennaio 6,al conte Bel gioioso a Milano; 8, al generale Fanti a Bologna; ll,al comm.Boncom

pagni a Firenze; 11, al marchese Grimaldi; 18, al cav. Farini (edita) 20,a Ma.ssimo d'Azeglio;2l,al cav. Cadorna Consigliere di Stato;21,a

C()mm.Lanza;22, al cav.Torrigiani :22,al conte Mamiani ;22, al cav Mailiani (memoria edita); 23, al cav. Massimo d'Azeglio; al cav. Desam brois a Parigi;24,al cav. Elena governatore d'Alessandria; 25, al Prin

cipe Napoleone (edita); 25, al marchese d'Azeglio a Londra (edita); 25, al cav. Farini ;(8.d.)al marchese Montezemolo a Nizza 27, al cav. Desambrois a Parigi; 28,al marchese Orso Serra a Ciamberi;30,al cav.Mar;

liani

a Londra (editai; 30, al cav. La Farina ;(s. d.) al sig.Kinnarid a

Londra. (Il

Manca qualsiasi notizia della serie 2*. Che queste sommarie infor-

mazioni, prive di indicazioni archivistiche, sì riferiscano al contenuto di detta serie? i2 Di qui innanzi le lettere, segnate edite, sono già state pubblicate o da N. Bianchi, /.rt Politique ifn Comte de Oiroiir, Torino, 1886, o da

L. CiilALA, lettere edite e inedite di C. Cavour, Tor'u.o, I883-J887.


— 352 — Febbraio l,al sig.Guell y Ruente a Genova; 2, all'Intendente di Bonneville;3,a Pietri a Parigi; 4, al Principe Napoleone (edita); 4, al mar-

chese Pepoli a Parigi; 5, al càv. Desambrois;8,ad Alessandro Manzoni; 7,al cav.Boncompagni;8,a Bettino Ricasoli; 8, lettera del Re al Papa (1)

sulla missione Stellardi a Roma; 8, istruzioni Cavour aStellardi;9,let-

tera al cav. Marliani (edita);9, al barone Ricasoli; 9, al conte Arese a Parigi; 10, al cav. Valerio governatore di

Como; 11, al

cav. Depretis

governatore di Brescia (2); 11, al cav.Nigra; ll,al marchese Villamarina a Napoli; 12, al marchese d'Azeglio a Londra (edita); 12, al comm.

abate Stellardi a Roma; 17, al march. d'Azeglio a Londra (edita) (3); 17, al cav. Marliani (edita); 17, al

cav.Farini a Modena; 18,al gen. Fanti

ministro di guerra, (riservalissima)

;

19, al conte Arese; 25, al

cav.Nigra

a Parigi (4); 25, allo stesso; 28, al conte Arese; 29, al barone Ricasoli; (s. d.) al

Marzo

generale Durando a Costantinopoli. 13, al

marchese Villamarina a Napoli (5'; 16, al cav. Massimo

d'Azeglio a Milano ;(s.d.) al marchese Montezemolo a Nizza (6);22,all'Avv. generale di Ciamberi;27,al Re (8) alla Veneria (7).

Aprile 8,al principe di Carignano a Firenze.; 10, al cav. Nigra; ll,al detto; 13, al cav.Lanza presidente della Camera; 13, al cav.Nigra; 14, al

Principe di Carignano; (s.d.) al conte Arese; 28,al cav.Nigra; 28,al detto.

Maggio 10, al viceammiraglio Serra a Genova (edita); 11, al Principe di Carignano; 12, al

cav.Nigra; 16, al conte Persano a Cagliari; 16, al

barone Ricasoli; 16, al colonnello Cugia a Bologna; 18, al principe

di

Carignano; 18, al marchese d'Azeglio (edita);23,al cav. Nigra; 29, al ba-

rone Ricasoli; 31, al detto;31,al cav. Nigra (dispacci).

Giugno 2, al detto; 3, al principe di Carignano; 3, al barone Ricasoli;

marchese d'Azeglio (edita); 6, al generale Durando; 9, allo stesso marchese d'Azeglio, ma forse Nigra); 13, all'arcivescovo Billet di Ciamberì; luglio 8, al cav. La Farina a Palermo; 7, al conte Amari; 8, al cav.Jocteau a Berna; 15,al cav.Nigra {dispacci); I7,al marchese Gual4, al

(cioè

terio a Genova; 18, al comm. Magenta a Genova; 18, al barone Ricasoli; 18, al

generale Durando a Costantinopoli.

(lì G. Massari,

Vita di Vittorio Emanuele 77, 83, Milano, 1880.

(2)-(7)Alle sei lettere, qui sopra segnate con richiamo, corrispondono i seguenti dispacci 1860, febbraio 10, al cav.Nigra 14, al medesimo 21, al marchese D'Azeglio a Londra 23, al medesimo e a Nigra a Parigi 24, al cav. Nigra; marzo 7,20, 25, al medesimo. (8) Il Re aveva manifestato il desiderio che fosse modificato il proclama, o quello del 25 marzo ai popoli dell'Italia centrale, o quello del 1° aprile agli abitanti di Savoia e Nizza, e più probabilmente questo. :

;

;

;

;


- 353 — c.tv. Nigra;3,al

Aj?ostu ^.a.

detto ; 3, al detto ;(s.d.) al marchese Vii-

lamarina a Napoli; 9, al detto; 9, a Cordova; 16, al cav Nigra (1);16, al cav.La Farina; 21, al Principe di Carignano;23,al De Launay a Berlino; 27, al

marchese Villamarina;27,al cav. Valerio; 26, al marchese Gual-

terio;27,al cav.Depretis:28,al principe di Carignano.

Settembre 4, al principe di Carignano a Firenze; 7, al marchese Vil-

lamarina a Napoli; 11, a Kossuth

;

generale Fanti

17, al

al

campo

marchese Villamarina a Napoli;22,al marchese d'Azeglio a Londra (edita) (3); 24, al conte Boyl comandante la Divisione di Genova; 24, al cav. Serra-Magenta (2); 25, al marchese Villamariria

(edita) (2); 17, al

a Napoli >25, al cav. Nigra (dispacci); 20, al generale Fanti (edita); 30, al marchese Pepoli. Ottobre 15,al generale Lamarmora; 18,al marchese Pepoli; 18,al dott. Pantaleoni;(s. d.)al signor James Hudson; 22, al generale Durando; 27, al generale Fanti; 27, al cav. Mancini; 30, al

Novembre

barone Ricasoli.

barone Ricasoli i(s. d.), al deputato Galeotti; 28, al

l,al

dott. Pantaleoni (v. trattative con Roma);29jil cav.Cassinis ; 29,al mar-

chese Gualterio a Perugia.

Dicembre

marchese d'Azeglio a Londra (edita); 16, al cav.Cas-

13, al

sinis a Napoli; 16, al dott.Pantaleoni (trattative con Roma); 27, al detto

{ibidem). 1861 gennaio 4, al .generale Cialdini;4,al marchese d'Azeglio a Lon-

dra; 8, al generale Della Rocca; IO, al càv Verdi; 13, al cav. Magenta go-

vernatore di Genova :(s.d.), al cav.Nigra a Napoli; 17,al detto; 18,al

barone Ricasoli (edf^Jl'jl^lS.al marchese Montezemolo a Palermo; 16,al conte Vimercati a Parigi; 19,ad Onorato Bevelli a Perugia;(s. d.\al conte Vimercati a Parigi

;

1

conte Vimercati a Parigi

;

21, al cav.Nigra a Napoli ;29,a

31, al

7, al cav.Nigra a Napoli ; 20 (o 20 febbraio),al

Madama Sand

;

conte Vimercati a l'arigi;(s. d.), al causidico Onorato Bozzino a

Vercelli.

Febbraio

cav.Scialoja;4, al prof. Michele Amari; 5, al barone

4, al

Sono anite a qaeste Ietterò al Nigra le seguenti 13 agosto, lettera a Cavour colle istruzioni n. I e n.'2 al comandante la « Vittorio Kinanuele » 13 agosto, dispacci e lettere di Nigra a Cavour icon(

1 )

:

di Persiino

;

fetenza di Toeplitz

:

informazioni di Nigra) 18 agosto, lettera di Nigra a ;

Cavour sugli affari d'Italia. 2) (i. M.\.s.sAKi, Vita di Vittorio Emanuele II, 83, Milano, 1880. i3)Sonvi unite una lettera e tre dispacci di Nigra a Cavour del set*

teinhre 14,2(t e

2»;. sulla

rottura colla Francia.


- 354 — leccio (vedi trattative con Roma); 5, al detto leccio (vedi trattative

con Roma); 6, al conte Vimercati;6,al barone leccio (vedi trattative con Roma);9,al cav.Nigra;(s.d.),al barone Ricasoli;9, al conte Peruzzi; 9, a

Bixio a Parigi; 11, al dott. Pantaleoni (vedi trattative con Roma);

11, al

cardinal D'Andrea (vedi trattative con Roma); 14, al cav. Nigra;

20,al^barone Ricasoli;20,al barone Ricasoli; 20, al causidico Sozzino

con Roma); 21, al cardinale Antonelli (vedi trattative

(vedi trattative

con Roma);21,al Padre Passaglia e al dott. Pantaleoni (vedi ibidem); 22,al

cav. Nigra; 23, al principe

Napoleone ;23, a Layard;23, al mar-

chese d'Azeglio; 25, al cav.Nigra a Napoli;21,al conte Vimercati; 26, al

barone leccio (vedi trattative con Roma); 27, al cav.Nigra

conte di Persigny;29, a Carlo Laffltte a Parigi marzo ;

2, al

;

29, al

conte Vi-

mercati; 2, al cav. Nigra (vedi trattative con Roma); 2, al marchese d'Azeglio (edita); 4, al cav. Nigra; 5, al principe di Carignano;9, al ge-

nerale Klapka; 10, al barone leccio (vedi trattative con Roma);9,al

conte Vimercati; 12, "all'ammiraglio Serra (edita); 12,al cav.Nigra (vedi trattative con Roma); 12, al barone Teccio (vedi ibidem); 13, a,]

conte

Vimercati; 16,aUo stesso; 16,al principe Napoleone(edita); I6,a monsig.

Charvaz arcivescovo di Genova;20,a S.M.il Re;22,al dott. Pantaleoni (vedi trattative con Roma); 23, al

barone Teccio (vedi ibidem) ;2S,BìI

conte Vimercati; 28, al marchese d'Azeglio a Londra (edita). Aprile 2, al dott. Conneau a Parigi

;

2, al principe Napoleone ; 2, al cav.

Nigra a Napoli (relativa a Tosti); 2, al visconte di Circourt;2,al conte Vimercati; 7, al detto; 7, note del gen. Klapka sullo stato dell'Ungheria; 10, al

conte Vimercati; 10, al detto (forse la stessa della precedente);

padre Passaglia (vedi trattative con Roma); 12, al barone Teccio (vedi ibidem) 17, al principe Napoleone (vedi ibidem) 26, al padre PasII, al

;

;

saglia (vedi ibidem) ;mdiggìo 9, al conte Vimercati (missione Pantaleoni

a Par'gi

— vedi trattative con Roma).

Serie 3», Mazzo

1°:

1856-1859, luglio

— Corrispondenza particolare del marchese Villama-

ri'na

da Parigi.

1860

— Carteggio Vimercati da Parigi. — Lettere particolari Nigra da Parigi (numerate).

1860

1860-61

»

s>

e riservate Nigra da Parigi (non

nume-

rate).

1860 1860-61

— Bollettini di notizie e informazioni segrete. — Lettere Groppello, in assenza di Nigra, da Parigi dal 6 ottobre 1860

al

20 aprile 1861.


— 355 — Mazzo 2" Legazioni italiane, n. 26 [Lettere particolari di Boncompagni.D'Azeglio,Salmour,Della Minei'va,Massari a Rica^oli (pubblicate).Un fascicoletto di memorie economiche di Cavour,autografo,8u Ginevra,nel n.26]:

Londra — Corrispondenza Marliani (1860). Corrispondenza Durando <186(»).

— — Corrispondenza D'Azeglio (1856 1859). Pietroburgo — Corrispondenza Sauli e Aldoini (1856-59). Vienna — Corrispondenza Cantono di Ceva (1857). Tangeri Consolato — Corrispondenza Pavia Rossi (1859). Roma — Corrispondenza Della Minerva (1856

GpstAntinopoli

Londra^

59).

Legazioni (Corrispondenza particolare):

— Corrispondenza Jocteau (1856-59). Bruxelles — Corrispondenza De Montalto (1856-59). Berna

Francoforte

— Corrispondenza De Barrai (1856).

Napoli — Corrispondenza Di Gropello (1856-58). Berlino — Corrispondenza De Launay (1856-58). Costantinopoli — Corrispondenza Durando (1856-59). Toscana — Corrispondenza Sauli-Boncompagni (1856-59).

Mazzo 3": Interni (Lettere di autorità e privati a Cavour); Ministero deirinterno (1858-59): Copia di tre lettere di Cavour riguardanti Mazzini t

Lettere di Salvagnoli, di cui una notevolissima.

Mazzo 4«: Polizia segreta.— Lettere dell'Intendente di Genova al conte

Cavour nuì partito mazziniano (1858-59); minuta autografa di Cavour in margine a lettera al C«)nte.lO iremiaio 1850. ritmardante una canzone sull'Italia. Miscellanea.

— Lettere

di

autorità o privati (lH55-59);alcune let-

tere di Salvagnoli ed altre; Al n.8 lettera Nigra con inclusa la di

Dispo'

relazione del suo ultimo colloquio con Manin; due lettere ^'

a Cavour (21 luglio 1857 e 19 settembre 1858).

i

'

;

fra gli altri di Astengo (Napoli '60), Azeglio (Lon-

dra), Claldini (Gaeta), Eugenio di Savoia (Napoli '60), Fanti (An-

cona '60), Fasciotti (Napoli '60), Gropello (F^arigl '60), Nigra (Parigi e Napoli), Pepoli (Perugia '6^B^ersano (Napoli '60), Valeria

(Ancona '60), VUlamarina (NapoH '60), Vimercati (Parigi '60), Sua Maestà il Re (Teano 27 ottobre '60), Caratiti (Napoli '60), Go.von,Montezemolo,Gualterio,Buoncompagni ecc. ecc.


— 356 — — Pratica (1861). — (1857^1860), nulla di notevole. Ministri esteri epnua<«(1856-1858). — Lettere Hudson,Stakelberg, Luckmaier.

Lettere e memorie.

Gramont, La Tour'd'Auvergne,Russel ecc., di poca importanza per gli argomenti; complimenti, raccomandazioni e simili.

Permuta di beni tra TEcoìiomato e il Patrimonio privato di S. Maestà.

— Progetto aprile 1861 e parere di Cavour.

Carteggio di privati (1860).— (fra le altre sonvi lettere di Hudson» di K. de Circourt,2

Carte da ordinare.

marzo

1860, ecc.).

— (Lettere e memorie varie, specialmente del

I860):tra le molte notahsi lettera di Minghetti a... (Castelli?),

nov. 1856; altra di Minghetti a

6 luglio 1857; lettera di Jules

Bastide (importante),28 apr. 1858; lettera di Panizzi,23 ottobre 1858; lettera del principe Eugenio al Re {s.d.) (raccomanda il

duca di Parma pei suoi interessi privati) lettere ;

al

di Cavour

barone Nisco, 31 luglio 1860; a Liborio Romano, 31 luglio

1860;a

?gennaio 186l;copia di lettera di Mazzini a Gari-

baldi (4 pag. grandi), 8 gennaio 1861 ; lettera di Juan di Borbon al Re (adesione), Londra

23 aprile 1861; il verbale del Consi-

glio dei Ministri del 22

maggio 1861; un memoriale del La

Cecilia sulle condizioni d'Italia e

sul

suo avvenire, scritto

per Brennier, ministro francese, e comunicato dal La Cecilia a Cavour.

Mazzo 5» della Serie 3» manca (l). Mazzo 6°: Presidenza (Carteggio del 1860-61). Lettere varie private,suppliche,

raccomandazioni, ringraziamenti ecc. fra le altre sonvi una ;

lettera di Cristina di Belgioioso per le elezioni

ecc;unadel

Lacordaire ad una signora sulle sue viste sull'Italia, 24 febbraio 1861 (n. 106), importante e in copia.

Mazzo 7°

:

Carteggio durante il viaggio a Londra ed a Parigi nel 1855: suppliche, inviti e simili, di

nessuna importanza; memorandum

per le Provincie Romane al Congresso di Parigi del dicembre 1859; Corrispondenza La Marmora durante la spedizione d'O-

riente e la sua preparazione a Parigi affari ecclesiastici; ;

pratica Astico;mis^^tie Stellardi nel 1860 (edita dal Bianchi);

Corrispondenza Pantaleoni nel 1860; dispacci (1) Cosi

di

Cavour a

dichiarava il barone Bollati di Saint Pierre nel 1889.


— 357 — Nigi'a dal 14 febbraio

al

29 settembre 1860; relazione Sal-

mour sul Ministero degli Esteri nel 1857; risposta dell'episcopato nel 1855(di dare una somma per »v ir .n. ii ^oppressione).

Mazzo 8«: Toscana: lettere Boncompagni e Massari a Cavour ed e Ricasolt; Gualterio, Perrone, Cugia, Poggi. Scritto autografo di Cavour di considerazioni sulla politica francese, su Luigi Filippo,sul Guizot e sul discorso del Trono (s.d.).

Discorso della Corona, IO gennaio 1859. Interni 1859; indirizzo e tlrme dei Collegi

Notai di Venezia

;

degli Avvocati

e

dei

indirizzo di Cremonesi (1860).

Senza titolo (oltre i documenti sonvi estratti), lettere del Re a Garibaldi ecc. (estratto).

Memorandum Cavour 12 settembre 1860 (minuta autografa). Mazzo senza numero e serie: Copialettere confidenziali del conte

di

Cavour degli anni 1859-

1860-1861 (estratto).

Altro id.id.id.dal 1860-61

f

estratto).

Altro intitolato Congresso di Parigi i856 e lettere a lui direttein quel

tempo, a Parigi, di poca importanza.

Altro copialettere e dispacci di Nigra da Parigi nel 1860.


RECENSIONI Gustavo Balsamo-Crivelli, Del « Primato » di Vincenzo Gioberti (estratto dal voi.

XXIV della « Collezione di classici

italiani *,Torino U.T.E.T.,1919).

In questo .«grande fervore di studi giobertiani, ottimo tu

il

consiglio di ripubblicarne il Primato nella Collezione di Classici Italiani, e di affidarne la

ristampa ad un profondo inter-

prete del pensiero del sommo statista e filosofo torinese, a Gu-

stavo Balsamo-Crivelli. Questi vi premette una introduzione

densa di contenuto, la quale abbraccia sinteticamente

le più importanti questioni intorno all'origine, allo scopo, all'efficacia di quel libro meritamente famoso. In essa egli si giova dei manoscritti giobertiani inediti della Biblioteca Civica di To-

rino (in

modo particolare del ms. 24°), e pubblica per la prima

volta due lettere assai notevoli del Gioberti

ai

18, XII, '40 e 6, IV, '41) ed altri documenti,tolti da

Mamiani (del un fondo gio-

bertiano, accessibile per ora a lui solo.

Le lettere al Mamiani, sebbene non contengano concetti penon si possano ricavare da altre fonti, sono pregevolissime, perchè spiegano e riassumono gli accorgimenti regrini o che

seguiti dal Gioberti nella composizione della Introduzione allo

studio della filosofia

e, in

generale, nella graduale manifesta-

zione del suo pensiero politico.

Nella prima, egli distingue nettamente il potere temporale dallo spirituale e proclama, nel campo spirituale, l'inscindibilità

Papa e della Chiesa; riprova il gallicanismo e il giansenismo da una parte,e le esorbitanze del De Maistre dall'altra;

del

vuole un'aristocrazia elettiva tanto negli ordini religiosi che i^ei civili e prega Iddio che salvi la Chiesa e lo Stato da un governo plebeo vagheggia la federazione di quattro monarchie ;

civili e sorelle (Piemonte,Toscana,Roma e Napoli) e la cacciata

quanto al governo temporale dei non ha osato di dirlo iterchè il chiaramente neìV Introduzione, suo libro sarebbe stato messo SiìV Indice, e quindi non piti letto dalla maggior parte dell' abborrito austriaco. In

papi, egli vorrebbe secolarizzarlo ; ma


— 359 — una gran parie de* secolari. moderò le sue parole, commiserando l'età avanZiita del pontefice, 1 dolori che d'ogni parte lo allliggono, non Ed ecco la ultimo de' quali è l'apostasia del Lamennais

del giovane clero e neanco da

Oltracciò

ejrli

conclusione della lettera:* Il modo più sicuro, più dignitoso, più efficace di sanare la Chiesa, sta nel riconciliarla coi civili progressi. E a tale effetto uopo è creare in Italia una scuola di filosofia, di libertà. di civil sapienza, cattolica, moderata, antifrancese, antigermanica e veramente italiana * (conclusione che rispecchia quello che su questo argomento egli pensò e scrisse prima e dopo della Introduzione). Nella seconda lettera, spiega al Mamiani in quale senso egli abbia chiamato il papa primo ciltadino italiano (e non pritno principe come avrebbero voluto monsignori della corte pontificale), e si scusa di non poter scrivere contro i vizi della Curia; questo è il punto di pratica, e non di teoria, in cui dissente dal Mamiani. Ripete che, ove avesse scritto o scrivesse nel senso voluto dal Mamiani, il suo libro sarebbe scomunicato, ed osserva che « il nemico di quanto v'ha di vero, di sacro. di generoso fra gli uomini... non risiede sul Tevere,ma i

Neva e sulla Senna... A petto di questo gran male imminente,! disordini della Curia romana sono poco o nulla... Quel pochissimo di bene, che anche pel rispetto delle cose cisulla

mie opericciuole potranno forse tare ai chierici italiani, io l'avessi scritte in altro modo ». Verso la fine, esorta il Mamiani a « mostrare che il risorgimento civile

vili

le

sarebbe mancato, se

d' Italia sarebbe eziandio il risorgimento spirituale di Roma ».

Fin dal 1914, nel fare uno studio accurato dei manoscritti posto attenzione a quello segnato col n.'H,e ad una dissertazione monca Sul Progresso, in varie re-

giobertiani, io avevo

ivi contenuta. Questa dissertazione è, come dice il Balsamo-Crivelli,* il vero embrione del Primato ».La sua compo-

dazioni

da collocarsi sicuramente dopo V Introduzione, giacad essa l'autore rimanda esplicitamente e ripetutamente \':'<-ix a cui pare non abbia fatto attenzione il Bal.samo-Crivelli).Non credo di sofTermarmi su questo argomento, di cui mi orriipo e8pres.samente in una memoria che uscirà in uno dei j)r(»ssimi numeri del Giornale storico della letteratura italiana. Il Balsamo-Crivelli, dopo di aver indicato nella Introdwrione e nella di.«;sert azione sul Progresso gli antece<lenti prossimi del Pri»ia/o. accenna con ogni diligenza agli .scritti anteriori, in sizione è ^


— 360 — il concetto del Primato {\). Poi fa la cronistocomposizione e pubblicazione del Primato, deUe lodi e delle critiche, e delle ragioni che indussero il Gioberti a scrivere V Avvertenza al Buono e i Prolegomeni al Primato: anche in questa parte, dal materiale manoscritto a lui affidato» trae notizie importanti date al Gioberti da' suoi amici intimi,

cui già appare ria della

quali

il

Baracco, lo Spalla ecc.

commento mi occuperò a edizione finita. Per mi resta che dare lodi amplissime al prof. BalsamoCrivelli, i cui studi giobertiani crescono ogni giorno di mole Del testo e del

ora, non

e d'importanza; ed a fare l'augurio che si possa in breve ad-

divenire ad una edizione completa nazionale degli scritti giobertiani editi ed inediti. Sarebbe questo il maggiore tributo che l'Italia nuova darebbe al suo massimo scrittore politico ne' tempi moderni.

Le mie Prigioni, mem,orie di Silvio Pellico da Saluzzo con prefazione di Alessandro Luzio,G. B.Paravia, 1919. L'importanza della nuova edizione consiste nel testo « esemplato sulla prima edizione Bocca del 1832 e sull'autografo, conservato nel Museo del Risorgimento di Torino »,e nella prege-

vole prefazione del Luzio. Il quale

ci

mostra quale timore

avessero le autorità sarde di Silvio ammalatissimo, reduce dallo Spielberg! Il governatore di Novara lo fa richiudere nella caserma dei carabinieri reali, giudicando assai pericolosa la di lui presenza in

Piemonte, e si

di lasciargli proseguire

il

rifiuta, senza ordini superiori,

viaggio. E

quando Silvio fu a To-

rino, fu disposto attorno a lui per la conveniente sorveglianza,

cosicché egli « non poteva muovere un passo, senza che lo seguissero gli arghi della pojizia torinese»; la sorveglianza si accrebbe ancora dopo la contrastata pubblicazione de Le Mie Prigioni.

— Notevole è la difesa che

il

Luzio fa della calda

amicizia del Pellico per il Maroncelli,e della importanza del libretto pellichiano de Le Mie Prigioni, che saranno sempre care per •« la fede consolatrice, la carità indulgente onde sono

pervase ».

Pier Angelo Menzio.

(1) Farmi debbasi dare maggiore importanza al ragionamento del

Vidua,

Dello stato delle cognizioni in Ka^ia, giacché il nostro ne fa uno spoglia nei manoscritti inediti e ne parla nella corrispondenza epistolare. In

quanto a

U Illustre Italia di Salvatore BETTi,mostrerò altrove punti

di contatto col

i

Primato del Gioberti.


^'o\

VINCENZO GIOBERTI E GLI SGOIiOPII (Il

carteggio di Gioberti e del padre Solari)

Da una nota dei « Prolegomeni » del Primato, nella quale il Gioberti in contrapposto all'educazione gesuitica lodava la perizia e la

buona riuscita dei religiosi delle Scuole Pie e dei giovani, toglieva argomento

Barnabiti nell'arte dell'educare il

i

padre Giovanni Solari, rettore delle Scuole Pie di Savona, per

una corrispondenza, che durò dal 10 luglio dicembre '48. Notevoli in essa gli accenni da parte

iniziare seco lui '45 al 27

del Gioberti al Marenco, il poeta tragico di Ceva,ed i suoi consigli

per l'introduzione dello insegnamento della ginnastica,

utile

anch'esso nel suo concetto di una vita operosa a scuo-

tere il torpore del

quetismo ascetico e quella codarda ignavia,

che egli reputava il vizio principale degli Italiani (1). Le

let-

che io pubblico qui per la prima volta corredate di alcune note dichiarali ve luronotrattedalla* Sestone Gioòerhana» tere

della Biblioteca civica di Torino. Il Padre Solari apparteneva

all'ordine fondato da San Giuseppe Calasanzio (2) e di lui

il

Gioberti faceva onorevole menzione ricordandolo come « uomo

noto e caro airitalia,come benemerito dell'educazione italiana e tale per

le

doli dell'ingegno e dell'azione che sarebbe su-

perflua ogni lode aggiunta al suo lari

nome » (3). E del padre So-

appunto egli pubblicava il « Prospetto di educazione del

(l)Cfr.O. B.Oekim, l.rr'.f le sue i,ì,. 'he, in Atti d^Ua R. Accademia delle .Sci>Jiz«,vol.XLII,pp.ti 11.,17 marzo 19()7 e specialmente per quanto ha tratto aire«iucHzione tÌ8Ìca a pp. 616-626. nìiisejtjte e i padri Oe(2) Intorno al Calasanzio vodi N.T<»mmam:<i. ."^

«ut/j, Prato, 1847. t3) V. Gioberti, li (rr.su ita Il Hitorg. ital.,

Xl-Xn

modrrno, t. i \

,

p. .)o<», Losanna, 1847.

88


— 362 R. Collegio delle Scuole Pie di Savona e

le

Regole di civiltà

per i signori Convittori » (t).

Gustavo Balsamo-Crivelli. I.

Il P. Solari

a V. Gioberti. Savona addì

10 luglio 1845.

111. Slg.re

Una nota onorevole per le Scuole Pie che laS.V.si compiacque apporre ad una introduzione al suo Primato (^),ik ch'io, ultimo forse degli Scolopii del Genovesato, ma Rettore al tutto immeritevole d'un

loro fiorente Collegio in Savona (3), osi inviarle un umilissimo pro-

spetto di educazione, nel quale sono nel più umile e compendioso

modo esposti i principi! che reggono e governano- l'educazione che dà (4). Ho voluto unir quel progetto

ai giovani in quel Convitto si

all'antica nota delle condizioni materiali di ammessione,per maggior

decoro e dignità, della quale non potranno mai abbastanza mostrarsi gelosi

li

educatori (5). Ho voluto inviarne alla S. V. una copia perchè

abbia in quella, se v'è, migliori giustificazioni

di ciò che del modo di

educazione proprio delle Scuole Pie ha voluto asserire: e

si

degni

notarne le mancanze e i difetti, se ve ne trova, a chi avrà preziose e autorevoli le sue osservazioni. Il

mio nome, oscurissimo, non può certamente darmi alcun diritto

alla sua

bontà (6). Potrà per altro esserne uno presso della S.V. così

saggia neir appreziazione dei meriti, il sapere, eh' io, professore un (1) Ibidem, t. V, p. 296-4Ò5, Documenti e schiarimenti, dee. xxviir.

accenna si dice: t non mancano nella nolodevolmente all'educazione dei giovani. Citerò per cagion di esempio i religiosi delle Scuole Pie e i Barnabiti del Genovesato e del Piemonte la perizia e buona riuscita (2) Nella

nota cui qui

si

stra penisola altri Ordini, che attendono

;

dei quali in tale arte difficile è lodata da tutti » (V, Gioberti, Proie^'o-

meni, p. CLVii,n. i, Losanna, 1845). (3) Gli Scolopii

avevano due case, l'una in Savona e l'altra a Carcare.

(4Ì Sono le « Regole

di Civiltà pei Signori Convittori » che il Gioberti pubblicò nel Gesuita Morfer?io,t.V,p.399 e segg.,Docum.e schiarìm.doc. xxviii, n. II, Losanna, 1847. (5)

È il n. I del doc. xxviii, a p. 397 dell'op. cit. pubblicò in Chiavari nel 1840 una Orazione

(6) Il P. Solari

in occa-

sione della protessione religiosa delle signore Teresa Serafina e Candida

Rosa e nel 1840 in Savona (dalla tip. dì Felice Rossi) un Elogio funebre di M. Agostino Maria de' Mari, vescovo di Savona e Noli.


- 363 — tempo, se non fortunato, almeno zelante, di Filosofia Razionale in questo stesso Collegio, ho dovuto ai 27 anni, far quasi divorzio involontario con quella tanto cara scienza per indossarmi l'erculea fatica di Rettore di Convitto, alla quale in dì, mi

si

fa più

mi sento minore, e che

di

di

grave e insopportabile. Non sono meno di 90 i gio-

vani alla mia cura commessii Quanta responsabilità innanzi a Dio e agli

uomini!

Se questo primo pegno di profondissima stima e sincera gratitudine non ha per essere dalla S. V. mal'accetto, mi farò ardito a inviarle al finire imminente dell'anno scolastico

i

generali sperimenti

che danno di loro studio i nostri giovani, dai quali potrà la S.V. dedurre il metodo nostro di insegnamento.

Ho l'onore di dichiararmi Ubb. Osseq.mo

D. S. V. 111.

P. Solari. II.

V. Gioberti al P. Solari.

Parigi

1

1

luglio '46.

19 Allèe d'.Antin, aux Champs Elysées.

Rev.™o mio Signore, Io

La ringrazio quanto so e posso dei favori e dei doni onde mi

ha onorato; e la mia riconoscenza è tanto maggiore, quanto che non avendo alcun titolo verso di quelli, li riconosco dall' eccesso della sua cortesia. La dichiarazione ch'Ella si è degnata di fare mi è pre-

me ne servirò con quella prudenza che Ella desidera e che mi reco a stretto debito. Preziose pure mi riescono le due operette

ziosa; e

stampate, come specchio vivo ed ingenuo della eletta educazione suoi confratelli degnissimi danno ai giovani, e che fa vei ramente uji singoiar contrapposto con quella dei Gesuiti. Il mio la-'

ch'Ella e

voro è finito e già in parte ricopiato ma non potrò cominciarne la stampa che fra qualche settimana (1). Non mi stendo di più, perchè sono atTaticatissimo, e la mia salute è di una debolezza eccessiva. Ma spero che Ella sia per vedermi nell'animo quell'afl'etto rispettoso e riconoscente che non posso esprimerle colle parole, e con cui mi reco a onore di essere di V. P. Rov."

Dev.™o e obblig."»» servitore Gioberti

(1) Allude al Qesuita Moderno. Cfr. lettere al Pinelli del !• e 21 luglio

e del 5 ottobre '48 in lettere, di rino, 1013.

V.G.a P. D. I*ineUi edite dal Cian,To,


— 364 — III.

Il P. Solari

a V Gioberti. .

Savona, Real Collegio delle Scuole Pie, 15 luglio '46. Chia.moS. Abate,

Le scrivo dal letto, dove la debolissima mia salute mi tiene da qualche dì. Ringrazio la S. V. della gentilezza colla quale ha voluto accogliere quel povero mio scritto, che, toltone

il

convincimento che l'ha ispi-

rato, nulla ha che lo renda pregevole. Però La ringrazio della gentile

lettera di cui ha voluto onorarmi, e ch'io terrò

come pegno stimabi-

lissimo di sua cortesia.

E tornando a quella mia dichiarazione, io non intendo che la prudenza arrivi sino alla viltà repperò, se dessa sia per giovarle, metta pure il mio nome, solo abbia la bontà di darvi la forma d'una corrispondenza particolare colla S.V. poiché non paia una protesta ch'io

non ho avuto l'incarico di fare.Son sicuro che avrò l'approvazione della maggior parte de' miei confratelli e se alcuno vi sia (disgrazia nostra) fra i miei Super.ri che non divida con me quei sentimenti, sarà utilissima lezione per lui, tanto io non posso con loro più in;

fingermi. Né, se -lo potessi, lo vorrei. Tutti aspettano qui con impazienza

il

suo libro. Io più di tutti. Ma

più di tutti ancora io la prego a volersi dare qualche riposo, e storare

le

ri-

forze perdute alle quali sono appoggiate molte nostre

<

speranze.

Nel prossimo autunno io andrò forse, come soglio ogni anno, a passare qualche giorno in Torino. Vedrò volentieri in quell'occasione ne le sarei il Sig. Balbo (1). Se la S.V. volesse annunziarmi a lui, io gratissimo, e mi presenterei con più fiducia a quel valente italiano. Quando la sua opera sia stampata, amerei leggerla subito. Ho l'onore di dichiararmi con tutto rispetto e devozione

Obb. Oss.^o servo

Della S. V. Ch.m»

P. Solari. IV. y. Gioberti al P. Solari.

14 agosto '46.

Parigi, 19 Allée d'Antin.

Eccole due righe pel sig. conte Balbo, a cui sarà gratissimo il conoscerla di persona. Gli ho già fatto annunziare la sua visita. Quanto (1)11 conte Cesare Balbo.


— 365 — mi duole Tintendere che Ella non sia bene in salute! Ella è di que' pochi, a cui io desidero una sanità perfetta e inalterabile cosi vivamente come bramo il bene della mia patria, di cui è sì zelante cooperatore. Non le scrivo di più, perchè anch'io son mezzo indiposto, benché stia un po' meglio di prima. &Ii comandi e mi creda quale sono con profondo rispetto

Suo dev.mo e obbl.^o servitore Gioberti V. Il P. Solari

a V. Gioberti. Savona, 2 ottobre 1846.

Chia.mo s. Abate

Sapendo quanto la S.V.Ch. s'interessa di tutto ciò che può servire o nuocere a questo dilettissimo nostro Paese, le dò l'infaustissima

nuova che il cav.Marenco dalla S. V. assai conosciuto e stimato moriva in Savona il giorno 20 p.p. (1). La S. V.avrà saputo della di lui morte dai giornali, non può per altro aver saputo, con quanta

co-

stanza d'animo, con quanta confidenza in Dio, con quanta pietà morisse quel grande, lo

che fui chiamato a dargli

della Religione da lui

conforti estremi

i

con tanta sincerità d'animo professata, clie ho

ricevuta la di lui confessione, né mi sono più staccato dai di lui fianchi finché

non gli avessi composti in pace gli occhi, posso dirle

che dubitai se più eccellenti dovessero dirsi in lui le doti telletto, o quelle

del

cuore ;che piansi

di

dell'in-

tenerezza aff"ettuosa, che

vergogno di me stesso a tanto confronto. Rimangono di lui alcuni scritti inediti che io credo degnissimi di (1) Carlo Marenco n. nel 1800 a Cassole di Lomellina, m. nel 1846 a Savona dove si trovava consigliere dell'Intendenza generale. Rivesti nelle sue tragedie [Il Ijcvita d' Efraim, Ezzelino terzo Il conte Ugolino, Ixi Pia etc.),& giudizio del Mazzini, un disegno classico di foggie romantiche. Cfr. la commemorazione di lui in Rivista Europea, sem.U, pp. 695,

69H, Milano, 1846, e

sulle

sue tragedie

II

Crepuscolo, voi. YUl, n. A-b,

Milano, 1857, nonché E, Orlandi, /f teatro di C. A/., Firenze, 1900. Nel

Primato, in un passo riferito d&W Ugolini {Peìisieri e giudizi di V.G., p. 313, Firenze, 1869) il Gioberti difese il Marenco dall'accusa di aver imitato gli oltramontani. E col Marenco egli fu in relazione epistolare nel 1845. Restano di quell'anno due lettere, l'una del 24 marzo, l'altra del 22 luglio, del

tragico piemontese al G. Nello prima gli scrive di

quattro volumi dell»* sue tragedie pubblicate per cura del lieviglio e coli' altra lo ringrazia dell'avergli fatto aver copia per avergli inviato

i

mezzo del Baracco del trattato Del Dello e gli esprìme la sua ammirazione per

i

Prolegomeni.


- 366 veder la luce. Appena possa occuparmene vedrò di metterli assieme.

ho scritti alcuni cenni biografici che forse saranno inseriti nel nuovo giornale che si stampa a Torino diretto dal sig.Predari (1). Duolmi di non esser da tanto da poter adeguare il soggetto, ma non

Io

ho saputo contenermi dal rendere un qualsiasi tributo di lode a quell'uomo che, se per ingegno avrà degli uguali, non è certo a nessuno secondo per generosità di indole e rettitudine di cuore (2).

Perdonimi Ill.S. V.la presami libertà e mi permetta di riprotestarmi Della Chiar. S. V.

Ubb.mo Oss.»»» P. Solari. VI.

V. Gioberti

a P. Solari. Losanna 9 maggio '47.

Reverendissimo Padre, Egli è

un secolo che io volea scriverle per ringraziarla delle sue

amorevoli lettere e del suo prezioso dono.

V Antologia, eàìto dal Pomba e dinon comparvero i cenni sul Marenco del T^.Soì&vì. Gii Scritti inediti di CAf. furono editi da F, La Mounier in Firenze nel 1856, con una breve prefazione di Giovanni Prati. (2) Questo discorso, di cui non ho potuto rintracciare copia, ma stam(1)11 giornale cui qui accenna è

retto dal Predari, dove però

pato in Savona, Tip. Rossi, 1846, deve essere quello di cui discorre il Ba-

una sua lettera inedita del 12 maggio '47. « Ho udito in questi due ultimi martedì un lungo discorso d'un prete della Missione, in occasione dei funerali di Carlo Marenco, il quale non si recitò ma deve stamparsi. E scritto con tale ardimento che son certo non sarà stampato in Piemonte. Egli dimostra che Marenco fu poeta cristiano e veramente patrio, che l'elemento cristiano non fu mai dimenticato nelle sue tragedie, che esse mirano sempre a trasfondere negli uditori il deracco in

siderio della indipendenza della nazione e ciò dimostra coli 'analisi delle

sue tragedie medesime. In ciò che lo scrittore nelle sue ire contro quelle composizioni

si

distingue dai più è

drammatiche specialmente ve-

nute di Francia, che più che sensi virtuosi fan nascere il disprezzo della morale nel cuore degli uditori e dove poi stupisce è nella energia colla ;

quale egli parla a favore della italica indipendenza e solo parla a nome di tutto

il

clero italiano (a pari per tuti coni eh' a son

dicendo che essi saranno

i

è tuttavia rivoluzionario, eh

fora d' base) più fidi collaboratori a quest'impresa. Non !

oh anzi egli dice che se i vicari di Pio i Tedeschi saranno obbligati ad !

IX imiteranno il suo esempio, anche

imitarlo, e mostra per ciò di contentarsi che gli Italiani abbiano isti-

tuzioni libere anche dove son sudditi dei Tedeschi piuttosto che voler cacciar questi a schiopettate

!

»


- 367 sono qui in Losanna sin dal novembre per accudire alla stampa mio libro, onde il discorso funerale del Marenco ch'Ella mi ha favorito dee esser giunto a Parigi durante la mia assenza, ma non Io

del

mi fu mandato qua avendo Isisciato ordine che si ritenesser tutti stampati; e mi si mandasser solo le lettere. Cosicché io avrò il piacere di leggerlo appena giunto in quella città. Dico piacere, considerandolo come opera di Lei ma temperato da gran dolore per la mestizia del soggetto perchè non posso esprimerle quanta afflizione gli

;

;

abbia ricevuto dalla perdita di un

uomo in cui

i

pregi dell'ingegno

e dell'animo erano si eminenti.

Ben mi conforta l'avere inteso dalle sue lettere e da altre relazioni che la molte del Marenco sia stata degna di quel vero cristiano che era stato in vita, cioè rassegnata, pia, forte, piena di gioia spirituale e di speranza.

Ma per tornare al mio fallo di aver tanto indugiato lo scriverle, debbo dirle che dappoi in qua che mi trovo qui a Losanna fui travagliatissimo di salute; e ciò nullameno dovetti lavorare come un

uomo sanissimo, per non interrompere la stampa. E oltre le fatiche di questo genere ebbi noie, brighe, dispiaceri di altra specie; e dovetti scrivere un mondo di lettere per cose urgenti;

tanto che fui costretto a soprastare alla risposta di quelle che non

erano di stretta e immediata premura. Ora grazie a Dio

la

stampa

una settimana credo che l'opera potrà mettersi in via. Io La prego ad accettare quella copia che da gran tempo le ho

è finita; e fra

destinata come un piccolo segno della mia devozione. Ella vedrà che io

mi son preso l'ardire d'inserire tra i Documenti, i due suoi opu-

scoli

stampati sull'educazione delle Scuole Pie. Ma i miei volumi po-

tranno essi pervenirle alle mani? Ne dubito assai. Pare che

la cen-

sura sarda, che diede corso liberissimo a tutti i libelli scritti contro di

me, e ne permise non solo la vendita, ma la stampa, sia risoluta

a vietare severamente l'entrata della mia Difesa. Cosi va la giustizia a questo mondo. Tuttavia io manderò le copie e pregherò

il

mio amico aw. Baracco (1) di fare ogni poter suo per

avjTne una per Lei e l'altra pel P.Sapeto Missionario (che credo abiti t'Unti; e

( 1 )

di

mandarle loro (2).

Cfr. lettera al Baracco, del

(2) Oiuaeppe Sapeto, prete

orientalista (Cfr. per

le

22 maggio '47, in ediz. cit. p. 228.

della congregazioDe della MisHione e dotto

sue pubblicazioni G. Pakliaim, Ca/ato^o (i<>^a

£,i6rertrt //a/ta;w, voL III, dall'anno

per mezzo di Gaspare Gorresio

1847 a tatto

il

1899, Milano, 1906)

al Gioberti documenti per la sua campagna an ti ge.su itica, pregandolo poi in lettera a il

12 aprilo 1846

ofl'ri


— 368 — Il

mio timor principale tuttavia non riguarda il Piemonte, ma gli

Stati ecclesiastici. Benché io sia certo dell'eminente equità del Pontefice, temo di

(Juesto

qualche sorpresa, perchè i RR. PP. sono abilissimi in genere di maneggi. Perciò se Ella conosce in Roma qualche

persona influente a cui potesse raccomandar vivamente la mia opera, Ella mi farebbe un favore a cielo. Io starò ancora qui circa 20 giorni

e poi partirò per Parigi, e tornerò nel mio antico alloggio.

Mi comandi se posso ubbidirla e mi creda quale sono con profondo rispetto

diV.P.Rev.mo

Dev.mo Servitore V.Gioberti. VII. V. Gioberti

a P. Solari.

Da Parigi ai 10 agosto '47. 19 AUée d'Antin, aux Champs Elisées. '

Chiariss.™» e Reverendiss.o Padre, Egli è

un secolo che io volevo scriverle, ringraziarla della nuova

copia che mi

mandò del suo prezioso

lavoro, e .ubbidirla dicendo-

gliene il mio giudizio.

Ma Ella non può farsi un concetto proporzionato delle brighe di ogni sorta onde fui assediato sin da quando ero ancora in Isvizzera e da che ho fatto ritorno in Parigi. Il suo Discorso è bellissimo, ele-

gante, aflfettu oso e da ogni parte proporzionato al soggetto. Ella non

dee inquietarsi delle critiche

di

quel certo Signore, che può esser

ma la monon è la sua leva. Le tragedie del Marenco hanno tutte quella

giudice competente nelle materie di letteratura schietta ralità

;

moralità che nasce dal soggetto e conviene ai lavori poetici ;i quali il 19 luglio '46 di tacere il suo nome nel citarli. Il G. pubblicò nel Gesuita Moderno (t. V, p. 168 e seg. n. xxx) sotto

lui indirizzata

infatti

li

la rubrica Persecuzioni

mosse dai Gesuiti alVordine nascente della Mis-

« La seguente notizia mi fu comunicata un dotto e pio prete della Missione. I documenti originali

sione con queste avvertenze in Parigi da

:

che vi sono citati, si trovano negli Archivi francesi del sodalizio ».I1 Sapete gli aveva suggerito di scrivere:"

Un ex-missionario della

Congregazione che per lunga pezza fu tra gli amministratori della Congregazione apprese ,, oppure " Un amico di Missionari che ebbe per le mani le lettere autografe di S. Vincenzo de' Paoli ,, o ancora: " Un :

sacerdote che per alcuni giorni potè a suo grand' agio esaminare

le

lettere di S. Vincenzo, mi rimise intorno ai Gesuiti quanto sopra

,,.

" In questo modo, soggiungeva nella lettera inedita citata, non mi pare di dover essere sospettato ,,>.


— 369 — non sono omilìe nò prediche, e debbono quindi esprimere e far sentire la virtù senz'aver viso d'insegnarla.

Mi pare dunque che Ella abbia rajjione affatto nelle sue sentenze: benché sia vero che dir si possa dei drammi del nostro amico ciò che in altro senso diceva il poeta di altro soggetto: L'arte che tutto fa nulla

si

scopre.

E questo, non che esser difetto, è cima di perfezione. Ho veduto con piacere la protesta del P. Inghirami contro le asserzioni del P.Boero (1). Né Ella né il P.Sapeto missionario non avranno ancora ricevuto il mio libro consacrato all'anatema del governo piemontese. Chi lo avrebbe creduto? Ma spero che sia per averlo col tempo; giacché mi par gran cosa che cotesto governo voglia calpestar la giustizia e mostrarsi più savio della Toscana e di Roma. Io ricevetti in Losanna 4 volumi del Volgarizz. di Livio dato alla luce

dal P. Pizzorno suo confratello (2). La prego a ringraziare in

nome

mio il dotto editore del suo gentile e caro dono. Annoverando in una noterella del mio libro alcuni illustri cultori viventi della nostra memoria, dimenticai il P. Pizrammarico che ebbi della mia smemorataggine, nel ricevere il Livio; ma la emenderò in un'altra edizione. 11 sig. Sambolini C3) libraio di costì ebbe la gentilezza di man-

lingua, e servendomi in ciò della sola

zorno. Non posso esprimerle

ti) Accenna

il

all'opera dal padre Giuseppe Boero, gesuita, intitolata

:

Sentimenti e fatti del padre Silvestro Pietrasanta, della compagnia di Gejiù, in difesa di San Giuseppe Calasanzio e/c, Roma, 1847. Il libro del padre Boero produsse una protesta del padre Inghirami, generale delle Scuole Pie. La protesta fu pubblicata nel numero 29 di luglio del 1847 della Gazzetta di Firenze e viene riferita dal Gioberti in nota alla «

sua

Lettera all'editore romano della vita del Ganganelli » Cfr. Operette po-

litiche di F. (t., voi. II,pp.22 e segg.jCajìolago, 1837. (2) Sono fji Deche^

Volgarizzamento del buon secolo, redatto a miglior

lezione da Fkancesco Pizzorno, edite in Savona dal Sambolino. U voì.b"

ed

il

6» furono pubblicati nel 48-49.

(3) Luigi

Sambolino, libraio editore di Savona, entrò in relazione col 18 giugno 1814, proponendogli di scrivere un Cam-

fnolpt'rti fino dal

jnuiiiio della

storia d'Italia dalla

caduta dello Impero Romano fino

all'anno 1840, in due volumi di circa 800 pagine l'uno. Nella stessa lettera

soggiunge « Varie cose già feci imprimere e fra le altre le Caìi-

mio concittadino cav. Pietro Giuria ed attualmente ho in corso di associazione un volgarizzamento del buon secolo delle deche di T. Livio, messo a nuova lezione dall'egregio prof. P. Francesco Pizzorno delle Scuole Pie, della quale opera ho già dato in luce tre volumi o sarà compresa in sei. È quel volgarizzamento di cui •' •'fl-

tiche e poesie liriche del


- 370 — darmi due ritratti del Marenco. Ella mi farà grazia di esprimergliene mia viva riconoscenza. Mi conservi il suo prezioso affetto, mi co-

la

mandi se posso servirla e mi creda qual mi pregio

di

essere con

singoiar riverenza di V. P. Rev.mo

Dev.J»o servitore V. Gioberti. Vili.

n P. Solari a V. Gioberti. Savona 11 7bre 1847. Chiar.mo Sig.re,

Eccole una copia del Programma dell'Accademia ch'ebbe luogo in questo nostro Collegio in occasione della solenne distribuzione de' premii(l). La poesia è del P. Pizzorno

qui

maestro

di Rettorica,. il

mezzo mio delle gentili cose che volle dirgli nell'ultima lettera di cui mi ha onorato, È giovane di bella mente, e di ottimo cuore, e lo raccomando quanto so e posso alla di Lei stima ed affezione, che le prometto non sarà mal collocata. Quanto alla quale La ringrazia per

Prosa, io Le chiedo perdono d'aver io stesso osato compendiare le sue parole. Fu mio primo pensiero dire con altre parole quello che V. S.Ch.ma dice della Civiltà cristiana su ciò che era nostro scopo, te-

mendo che potesse offendersi della libertà ch'io mi prendeva sulle cose sue. suo trattato DeW Elocuzione tanto raccomandava che si pubblicasse > Il Gioberti in data 23 luglio gli rispose di non poter accettare l'incarico. Il 29 novembre 1847 gli inviava alsig. Paolo Costa nel

agli Italiani

.

cuni esemplari della Orazione del P. Solari detta nella chiesa parrocchiale dì S. Giovanni Battista di Savona nell'ultimo dì del triduo solenne fatto all'Altissimo per la conservazione del grande e

magnanimo Pontefice

Pio IX. Lo ragguaglia della esultanza di Savona € per la riforma concessa da Carlo Alberto e gli annuncia che " presto pubblicherà la prima dispensa del nuovo commento di Dante del P. Gio. Battista Giuliani intitolato Dante spiegato con Dante... ,,.I1 10 maggio '47 per mezzo del sig. Chonet di Lion gli spediva i cinque volumi del Livio del Pizzorno e insieme « due ritratti del fu cav. Marenco che vi feci fare a

mio conto

permesso della famiglia alla memoria cara ancora per me di tanto > Il 22 aprile 1852 il Gioberti gli raccomandava la pubblicauomo del Montanelli, forse delle Memorie sull'Italia che fuun'opera di zione

e col

.

rono invece poi edite nel 1853-55 in Torino dalla Società editoriale Italiana. (1)

Un programma di accademia per conchiusione dell'anno scolastico

1847 dato dagli Alunni del Collegio delle Scuole Pie di Savona, intitolato Religione e Civiltà, stampato coi tipi di Felice Rossi in Savona.


— 371 — Ma viuse il desiderio che il nobile soggetto fosse espresso colle parole che, se si può adeguarne la bellezza, la nobiltà, sono le sole

che la adeguino. E la S.V.Ch.™» spero mi menerà buona, in vista della

buona intenzione, l'audacia e la temerità. Ho aggiunte alle sue pamie relative all'epoca presente della civiltà. E questa è temerità maggiore della prima, lo ho espressa in quelle una mia opinione che forse non sarà giusta, ma non ho potuto in ordine a quell'epoca trovare ne' suoi scritti parole che si potessero compendiare quanto i limiti d'un programma d'Accademia volevano. Ella non ha role alcune

bisogno d'ulteriori triontijpure l'ho desiderata qui a godere del dolce spettacolo che era vedere quanto i nostri giovani erano profonda-

mente penetrati delle idee che la S. V. ha svolte nell'acceso suo caquanta simpatia per questo eccitarono nell'uditorio. Non mancarono i viva per la S. V. ripetuti, e pel Papa che è fattura della Provvidenza prima e poi di Lei.

pitolo e

Se V. S.Ch.»»* si degnasse farmi sapere se s'è in nulla offesa di quella

mia doppia temerità, ne Le sarei gratissimo dovesse pure la:

varmi la testa. Finisco per non aver rimorso di toglierle tempo a più gravi oc-

cupazioni, e mi ripeto

Ubb.mo Osseq.mo Dev.

Di V. S. Ch.ni»

P. Solari.

IX. V. Gioberti

al padre Solari.

Da Parigi ai 22 di 7bre '47. 19 Alfée d'Antin.

Cariss.o e Reverendiss.o Padre,

La ringrazio del suo bel dono; ma non posso accettare

il

modo

con cui me lo porge. Io debbo saperle grado non piccolo dell'onore che ha fatto alle mie parole; ed Ella vuole che io ne la scusi? Questo è un porre il mondo alla gesuitica; cioè a rovescio; e un tal sacrilegio

non può capire nei Padri delle Scuole Pie. Si assicuri che il vedere le mie piccole cose fregiate e autorizzate cogli amorevoli suoi suffrstgi,

me lo reco a somma ODor3.nza.

La sua bontà m'inanima ad aprirle un mio pensiero; che in ogni altro caso

avrebbe del temerario e del presuntuoso. Mi pare che sa-

rebbe di bello e utile esempio per l'educazione italiana.se i Padri delle Scuole Pie fossero i primi a dar l'esempio della ginnastica. Questo por-

rebbe il colmo

al privilegio

che essi godono

di

andare innanzi a

ogni altro pio sodalizio nella Instituzlone dei giovanetti.


— 372 — Mi congratulo col valoroso Poeta dei versi eleganti e nobilissimi; con Lei delle vive e fondate speranze di una generazione migliore -che il Collegio di Savona porge alla comune patria. Mi creda qual sono con alta stima e venerazione -e

Suo dev.mo servitore V. Gioberti.

X. Il

P. Solari

a V. Gioberti. Savona addì 27 Sett.^'® 1847.

Chiar.mo Sig.^e

Due righe subito subito per consolarla

colla notizia che

il

suo

[programma?] (1) di cui la ringrazio come del pegno migliore di amicizia che potesse darmi è da qualche tempo adempiuto. Son già quattro mesi che i miei alunni si esercitano nella ginnastica, e hanno maestro, e macchine all'uopo, e danno già bella prova di forza e d'agilità alle distinte persone del paese che vengono a visitare il Collegio. Son pure due mesi che si esercitano nelle manovre militari, per le quali, hanno pure maestro, e fanno bellissimo vedere per marziale contegno, e prontezza di evoluzioni. Io

non le dirò i disgusti che da parte d'alunni d'abiti Scolopi, ma

d'animo peggio che Gesuiti, ho dovuto per quella novità sopportare, contento di dirle che il bene s'è fatto, e lieto che la S. V.Ch.a lo creda tale veramente.

Credo siamo in questo i primi tra gli altri Ordini Pii insegnanti: il Collegio di Savona è primo ed unico

e questo so pur troppo che

ancora tra i Collegii delle Scuole Pie del Piemonte. Se la S.V. potesse trovar modo di far sapere all'Italia questo notabile progresso nell'educazione Scolopica, e presto, assicurerebbe alle

Scuole Pie e al Collegio di Savona l'onore della precedenza in questa parte importante d'educazione, sancirebbe colla sua autorità l'impor-

tanza dell'istituzione,e farebbe un gran favore a me che ho pochissime relazioni, e poco e niente conosco, e non mi basta l'animo ad imparare l'arte tanto utile in questi tempi di farsi avanti.

Né ch'io non m'avveda che dopo tutto quel gran bene che

la S.

V. Ch.a si compiacque dire di noi, non dovrei desiderare, e chiedere di più, e

guardare invece di rendermi degno degli encomii immeriche non l'ho ancora ringraziata; ma s'io per

tati de' quali ricordo

-avventura eccedo, ne incolpi, Signore, la Sua bontà.

(1) L'originale

a questo punto è lacero.


- 373 — [Sappia per sua] regola che 11 P. Inghirami cui per vincere [le rilut-

tanze

di

]

mi sono diretto, approvò la ginnastica (1).

In questi giorni

è

venuto alunno

in

questo Collegio

il

Contino

Carrù-Trinità figlio della Marchesa Rorà, che la S. V.avrà forse conosciuta in Torino.

Dio voglia che s'avveri il suo augurio, e la sua speranza del bene

che l'Italia è per ricevere dal Collegio di Savona Da me, le prometto !

nulla mancherà che abbiano

il

più perfetto compimento. Le confesso

nondimeno che sono stanco stanco per le improbe fatiche sopportate e più stanco per i disgusti d'ogni maniera tollerati, e -ancora per le strettezze in cui il Governo permette che stiamo, mentre altre Corporazioni, altri Collegi rigurgitano di danaro, cosa pur troppo in;

dispensabile al bene. Il

P.Pizzorno La ringrazia delle cortesi espressioni della sua let-

tera che lo riguardano. Io

con tutto l'animo mi dico

DiV.S.Ch.™»

Ubb.Osseq.™» P. Solari.

XI. Il P. Solari

a V. Gioberti. Savona 24 Nov.bre 1847.

Ill,mo e Ch.mo Sig.ro

Le mando un esemplare d'un discorso che ho fatto qui

in

occa-

sione d'un triduo per Pio IX sperando che il soggetto e la circostanza

faranno sì ch'Ella mi perdoni i mille difetti che in esso sono (2). Se v'è qualche cosa di buono è tutto suo di mio però questo v'è pure di buono, la convinzione profonda, e la sincerità. :

Ho letta la lettera che si compiacque mandare HXVltalia (3) per far (1) Il Oioberti in Riniiovaynento^ìxh. U, cap. ii, richiedeva che fino dagli anni primi s'inspirasse nei fanciulli l'affetto agli esercizi militari, facendo in guisa che i balocchi ed i giuochi servissero di preparazione

perchè gli («piriti guerreschi inclinano a generosità e m&nsoetadine quando sono acconciamente con temperati dai civili >

alla milizia «

'

(V Ctr. la nota

3 della lett. VII.

V Italia usci in Pisa dal 19 giugno 1847 al

1 agosto '48. Fondata suo programma in due parole < Riforme e nazionalità » La lettera qui accennata è quella che il Gioberti inà'xrìzzh al Montanelli da Parigi ai 4 di ottobre 1847 (Riferita in *U sogno di V.G.* dall' Orlando in Afarrocco, 26 sett. 1910). Dice quella lettera: Mio carissimo Montanelli, vi do una notizia che vi

(8)

dal Montanelli, dal Centofanti etc. racchiuse :

il

.

sarà grata e che è degna del vostro giornale. Oli ottimi padri delle


— 374 — sapere a tutti che gli Scolopi non sono ultimi nei progressi dell'educazione

fisica de' loro alunni.

Almeno potessi contraccambiarla di tanta bontà con far qualche cosa di utile alla comune patria, per la quale V. S. ha fatto, e faticato già tanto!

Son breve, perchè temo di riuscirle importuno.

Sono però sempre Di V. S. Ch.ma

Ubb.o Dev.mo P. Solari.

XII. V. Gioberti al P. Solari.

Parigi 30 Xbre 1847. 19,Allée d'Antin.

Chiarissimo e carissimo Padre,

Non so che cosa Ella avrà detto del mio lungo silenzio. Ma conoscendomi, m'affido che non l'abbia attributo a elezione o trascuranza.

Da un mese in qua, anzi più, sono afflitto di scalmana e di altri maScuole Pie, che hanno il Governo del Collegio di Savona, v'introdussero (sono oggi mai quattro mesi) l'uso della ginnastica e si provvidero a ;

macchine opportune e di egregio maestro. I paesani e i viaggiatori che colà convengono raccontano le meraviglie della bravura e dei progressi ginnici di quei giovanetti. Ciò solo basterebbe a rnostrare che gli scolopi sono solleciti e intendenti dell'ottima educazione e che conoscono in ispecie quella che oggi s'addice all'Italia, la quale, entrando dopo l'ozio vergognoso di tanti secoli nella vita guerriera, ha bisogno che anche i giuochi e i trastulli fanciulleschi cospirino a prodarla. Ora la ginnastica è attissima a far tale effetto, come tale effetto di tutte le

;

quella, cho oltre all'accrescere la forza e la sveltezza del

corpo, è per

qualche verso una palestra della milizia. Ma vi ha di più. 1 buoni Padri di Savona, consci del loro debito e delle patrie

condizioni, vollero av-

vezzare i loro alunni a un'immagine più viva e immediata di guerra, addestrandoli alle armi, e facendo loro eseguire sotto eccellenti maestri le militari

evoluzioni. E anche qui le prove di quei putti sono tali, che

innamorano chi li vede. Voglia il

cielo

che tali esempì siano seguiti

e che ogni collegio italiano, oltre all'essere un ginnasio di civil sapienza,

diventi eziandio

un piccolo collegio militare Frattantp benediciamo !

i

buoni Padri delle Scuole Pie, che sono i primi ad entrare in questo sentiero, e il nobile padre Solare (da oui mossero principalmente i nuovi ordini del collegio di Savona) che intende cosi bene i bisogni della patria e del secolo.

Vostro di tutto cuore V.Gioberti.


— 375 — Ianni (I) ;oltre

una tale selva di occupazioni e di fastidi che baste-

rebbe a intricare l'uomo più spedito e me^rlio disposto del mondo.

Ma non voglio che finisca l'anno senza che io Le oflfra

i

miei voti

sinceri e fervidi pel nuovo. Gli accolga benignamente, perchè vengono

dall'intimo dell'animo mio. La ringrazio delle sue dotte, assennate ed

eleganti composizioni che

con

lessi

chiostri somigliassero alle Scuole Pie

pareggiassero

il

P. Solari [Tuttavia

!

sommo piacere. Oh se tutti E se tutti i soci di queste scuole i

contentiamoci della magnifica au-

rora che spunta. Vero è che il tempo a Roma si abbuia; ma speriamo

che sia un nuvolo passeggiero e ben tosto torni il sereno. Unisco questi augurii generali a quelli che fo per la di Lei felicità in particolare; giacché

di Lei

il

patria. Mi creda qual

nome è di quelli che non si separano dalla

sono con alta e atTettuosa stima

Suo dev.»no servitore V. Gioberti.

P.S. La prego

ringraziare l'ottimo sig. Sambolino dei doni che mi

9,

ha gratificato. E mi scusi seco se non gli scrivo per difetto di lena e di tempo.

XIIL Il

P. Solari

a V.Gioberti. Savona 7 feb.o 1848.

Chiar.mo Signore, Il

piacere grandissimo che ho di scriverle, e di avere di tanto in

tanto qualche Sua parola vince

il

timore che pur sento forte di es-

serle noioso, e importuno, e senz'altro

prendo la penna, e Le scrivo.

Quale e quanta serie d'avvenimenti Cb.™o Sig. in poco tempo! Quale e quanto in

mutamento di cose in Italia! — Io non so se sia maggiore

me l'allegrezza o la meraviglia. Che mirabil'ordine di Provvidenza

nella straordinaria connessione di cause e d'effetti onde si compone

l'epoca presente!

— Mi son provato più volte a scrivere qualche cosa,

ma ho trovata tanta sproporzione tra qualunque umana parola, e i

fatti odierni, che

buono. si

ho perduta la speranza di dire un nonnulla

di

— E dire che Lei Sig. fu lo strumento di cui la Provvidenza

valse a cominciare

una tanto straordinaria Sua opera! Quando

penso a ciò Le prometto che non so come ardisca indirizzarle discorso, tanto 6

il

rispetto di che per Lei

il

mi sento compreso. Sia

lodato il Signore e in Lei, e in tutto ciò che per Lei di bene ha operato.

Né lo, passando dal generale al particolare sono l'ultimo a doverle (1) Cfr. la lettera al Pinelli del 36 dicembre in carteggio edito dal Gian.

ed. cit..p. 234-235.


— 376 — gratitudine e riconoscenza per l'efficacia delle Sue parole.

— Che per

Lei le Scuole Pie furono restorate dell'ingiusta dimenticanza in che

eran lasciate, e avean testé dai Municipio Genovese bellissima prova di preferenza e di stima. E il Collegio di Savona veniva in riputazione anche degli strr-nieri. Al qual proposito non voglio tacere un bellis-

simo fatto. Or sono quindici giorni che vennero a cercare di me un Signore che conobbi forestiere, e un ragazzo di forse 15 anni. Chiestogli

il

suo

nome e la Patria, mi rispose, sé

essere Pietro Connelly

Inglese, già Ministro Anglicano, or Prete Cattolico, quello stesso di cui

Cretineau-Joly parla nella sua storia de' Gesuiti, come d'una lora

conquista al Cattolicismo(l):aver letto

le

opere di Gioberti, avervi

veduto il programma di educazione del Collegio di Savona, esser venuto a portarvi suo Aglio, che si pentiva aver lasciato fin qui in uno stabilimento d'educazione Inglese diretto dai Gesuiti, mentre andava a Roma. Dolersi assai che per credere la V. S. in Brusselle, non avesse

potuto vederla al suo passaggio per costi. Il

Connelly è persona, Le premetto degnissima; è dotto molto e al-

— Aglio è un bel giovinetto, di elette spe— Ora impara un po' d'Italiano, e poi percorrerà, con onore

trettanto galantuomo.

ranze.

Il

spero, la carriera de' suoi studi.

— Fu toccante

il

vederli

quando si

separarono il padre dal Aglio, e ne sono ancora commosso. Sul conto poi de' Rugiadosi ne ho saputo delle bellissime da questi

giovani testé loro alunni: senta questa. Il giorno che la città di Ge-

nova mandò loro l'ordine di consegnare qui tanti alunni (quelli pei paga la città medesima; e ve ne restano ancora pei quali pagano altre amministrazioni) che doveano passare alle Scuole Pie, la sera ad ora insolita il campanello della comunità ossia del Collegio chiama tutti quanti i convittori in Oratorio. Ivi é un CrociAsso in mezzo a due candele accese: un calice sovra l'altare. I Convittori stanno meravigliati ad aspettare se forse qualcuno de' RR. volesse dir Messa a ora così tarda. Viene il S. Ministro, legge penosamente quali

l'intimazione della Città, poi profonde in lacrime, parla di martirio etc. e

li

congeda.

— Di

lì i

Conv. vanno in Refettorio cessa allora l'in:

fluenza magica sotto la quale erano stati in quella scena inaspettata, e le

uno scoppio di ridere unisono, solenne, prolungato rallegra

mense. (1)

Non mi venne fatto di rintracciare nei sei volumi della Histoire

religieuse, polìtique et litteraire de

la

Compagnia de Jesus, composée

sur les documents inedites et autentiques par J.Cretineau-Ioly, Parigi, 1846-48, la menzione qui accennata dal Solari. La prima edizione usci nel 44-46.Cfr.U.MEiNARD,J. Cre<meaM-<7oZ?/, sa vie politiqtie, religieuse. et litteraire, Parigi, 1875, p. 336.


— 377 — Né i RR. SS. lasciarono i loro convittori senza de' pii ricordi, senza preghiere a preservarsi dal male che in questo Collegio troverebbero.

Ometto di dirle quello che s'è saputo di ben preciso sui barbari modi di punizione che si usavano, e si useranno forse sempre (perchè i Gesuiti non si convertono mai) in quel Collegio. Son cose orribili. Cose da far agghiacciare il sangue nelle vene. Ella ne sa anche troppe. Qui stiamo in aspettazione di quello sarà per fare il Piemonte dopo i fatti di Napoli e le promesse di Toscana. Ma omai non si può più dubitare del buon esito delle cose:t»e pure non ci rendiamo noi immeritevoli del bene che la Provvidenza ci vuol fare. Ho abusato della Sua pazienza abbastanza. Mi perdoni. La prego, l'indiscrezione. Abbia riguardo, per Dio, alla sua salute. Quando ha un quarto d'ora da perdere, mi scriva anche solo che sta bene.

E mi creda sempre DiS.V.Ch.*

Ubb.Osseq. P. Solari.

XIV. llP. Solari a V.Gioberti.

Savona addì 6 Marzo 1848. Chiar. Sig.

Avrà udita dai giornali la tristissima storia del nostro Prov.ie.Fu questo l'ultimo dolore dopo i mille da quell'uomo procuratimi. Io lo salvai

sempre finché ho potuto; e forse ho fatto male. Le mando ora

una protesta che ho creduto mio dovere far subito, 6 pubblicare.

Ho letta la lettera ben necessaria; e

io

di V.S.Ch.* sugli

affari

di

costi (U.Dessa

era

l'aspettava con ansietà; sicurissimo che non

avrebbe taciuto in una circostanza che potrà esser fatale, per noi, se

i

nostri Principi

non faranno bene e presto ciò che devono.

Oh si decidesse Ella a venire in Italia a farvi almeno un viaggio! Non oserei indirizzarle questa preghiera, se non avessi oggi letto un articolo della Concordia, in cui Le era fatta da altri (2). E se si deci* desse a venire, volesse accettare un ospizio nei PP. Scolopi! A Savona

I

L'ho saputa di nuovo indisposta, e Dio sa se me ne dolse. Io

sono convalescente di leggiera infiammazione per la quale fui

salassato due volte. Ma di

me poco può calere a nessuno.

(l) E' la lettera sai fatti ii Francia, pubblicata il 2 marzo in aupple. mento al n. 54 del giornale Ixi Concordia di Torino. i2) Im Concordia del 6 marzo '48, anno I, n. 67. recava un brano di lettera di V.G. a Roberto d'Azeglio.

n Siaorg. iUU., Xl-Xn

M


— 378 — Si

abbia 111.1»» s. V. i miei rispetti, e mi permetta

di

Di V. S. Ch.ma

riprotestarmi Ubb. Osseq. P. Solari.

Il P. Solari

a V. Gioberti. Savona 4 Maggio '48.

Chiar.mo sig.

Anche a me sia permesso congratularmi colla mia Patria, d'aver ricuperato in momenti tanto in

difficili la di Lei

persona, e ringraziare

nome di essa mia patria la S. V. clie forse ha rinunziato alla mi-

gliore quiete che godeva nel Suo onorevole esiglio, per venire a la-

vorare ancora per essa (3).

Mi dicono che la di Lei sanità è poco fiorente. Si conservi, La prego, al bene d'Italia, all'amore di tutti, e special-

mente di chi si protesta Ubb.o Oss.o

Di V. S. Ch.a

P. Solari.

non avessi la responsabilità del Convitto sarei già volato a vederla. Vicino a rinunziarla, per non poterla più sopportare, spero che non andrà molto ch'io verrò a tentare se mi sia concesso espriP. S. Se

merle di persona il mio rispetto.

XVL Il

P. Solari

a V. Gioberti. Savona 22 Maggi© '48.

Ch.o Sig.re

Persona di qualche importanza, e fortemente attaccata alla causa Italiana sebbene straniera, m'incarica dirle: che voglia costì in Roma

cercare del Padre Giusto Cappuccino, in piazza Barberini, il quale è

persona attissima a farle conoscere con verità

la

condizione di

Roma; che amaV. S.e professa intere \e sue dottrine politiche, che ha la confidenza e la venerazione di tutti i partiti; che infine Le potrà servire moltissimo al compimento della missione che va a compiere nella Città Santa. Se il Papa è, come si dice, in confidenza adesso con Lambruschini Lambruschini che mi si qualifica come uomo che sa transigere, farà ciò che il Padre Giusto vorrà. La medesima persona aggiunge, che se V. S. vorrà avvicinare il Principe D'Oria :

attuale Ministro della Guerra potrà facilmente guadagnarlo; che egli (3) Il Gioberti era tornato a Torino il 30 aprile del '48.


— 379 — é uomo ingenuo, sìncero, leale; che solo sarà necessario nella maniera d'avvicinarlo, tnenagei' alcun poco la sua boria patrizia. La medesima

persona scrive con questo stesso corriere alla Principessa moglie di Doria colla quale è in confidenza, e le parla molto della S.V.e la esorta a valersi dell'influenza molta che ha pel Principe per farlo venire ove la S. V. lo vorrà.

non so l'uso che la S. V. sia per fare di questi consigli, che e per persona che li dà, e per la tenuità loro io quasi non osava sci*i-

Io la

vere.Ma ad ogni modo mi perdonerà la buona intenzione.

Era mio desiderio vederla a Genova.Ma non sempre si può ciò che si vuole.

Abbia riguardo alla Sua sanità. Si guardi dai Gesuiti e mi permetta di protestarmi Di Vos.» Ch. Sig.

.

Ubb. Aff. P. Solari.

XVII. Il P. Solari

a V. Gioberti. Savona 27 Dic.b« '48.

Chiar.nio Sig.re

Degnissimi rappresentanti d'Un popolo generoso, li Sig." Bergalli e Celesia vengono e supplicare a codesto Ministero che non sia tolta alla Città di Finale la giudicatura

che da lungliissimo tempo

vi

è,

e nella quale è il migliore decoro e vantaggio d'una terra che per posizione geografica, e altre condizioni, non può sperar dal com-

mercio, e dall'industria sorte migliore. Io

spero che le loro domande saranno ben accolte da un Mini-

stero che essendosi dichiarato Democratico, non può non abbracciare nelle sue vedute

anche

i

più piccoli paesi che compongono lo Stato;

d'un Ministero che ha protestato di volere innanzi tutto pensare a sollevare tutte

le

miserie, a confortare tutti

i

dolori.

Nondimeno, se la mia preghiera presso la S.V.C. che tanto buona e gentile è, potesse per qualche cosa intendo unirla, e caldissima a quella dei Flnariesi per cosa che è per essi di tutta imj)ortanza;e ch'io per cognizione che ho precisa tielle condizioni del loro |tao>»e,

credo giustissima. Si

abbia, Chiar.ni* V.S.i miei più umili rispetti, e mi

permetta

dichiararmi DI Vos.* Ch. Sig.

l

bb.Osseq.Dev. F. Solari.

di


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Ufim/IOiPllTiTTICHELLr'iliHOiEi,, DEL 1848-49 A me non pervenne che un canto deW Inferno patriottico, ma accenni contenuti in una lettera dell'autore e la numerazione del canto stesso, Irentaseismo, lo indicano chiaramente

come parte di un tutto. «

Un nuovo canto infernale » indirizzava il 14 agosto 1849

un poeta patriottico, tal Fabio dal cognome illeggibile, al marchese Carlo Guarnerio Guasco di Castelletto (1), per scusare il proprio ritardo a recarsi a godere « l'amenità della vita di

campagna » nel suo bel castello di Envie. Così egli sperava di poter supplire.* al tedio delle [su]e parole rivoluzionarie » con « questa nuova bolgia da [lui] trovata

a punizione di qualche Santo Padre del moderno loiolismo ».

Se si trattava* di un nuovo canto e di una nuova bolgia, segno è che di canti antichi e di antiche bolgie ve n'erano già stati, e forse in numero di trentacinque. 11 marchese di Castelletto, di pensieri politici, morali e religiosi ben diverso dall'imitatore dantesco, trovò probabilmente « il tenore delle rime non consonanti appieno coi suoi pensieri », ma non distrusse il canto infernale (2), che pur voleva bollare Pio IX, il cardinale Antonelli, Pellegrino Rossi, il Guizot,il Barrot e il principe Luigi Napoleone Bonaparte, e preferì lasciare ai posteri di dare unicuique suum... anche al poeta.

Questi aveva nel canto precedente servito di dovere il Guer(1) L.C.BoL.LEA,iSi/mo Pellico e il castello

di

£wwe, Pistoia, Off. tip.

coop.,1912,pp. 60 in 16°; Massimo D'Azeglio, li castello di Envie e gli

amori di Luisa Blondel con G. Giusti, in 11 Eisorg.it.,'N.s.,IX:,129-ni, Torino, 1916. (2) Mi

fu infatti favorito dalla compianta marchesa Clementina Mala-

baila Provana Romagnano, erede dei Guasco di Castelletto.


— 381 — razzi e

il

triumvirato toscano del 1848-49 e stava consacrando

...all'immortalità delle sue rime l'eroismo di Venezia assediata nel 1849. Non fi,\ì difettava quindi l'amor patrio ; ma certo gli

mancava la stoffa del

poeta.

Ecco la lettera dedicatoria

:

Torino 14 -8- '49. Signor Marchese gentilissimo,

La narrazione dell'assedio di Venezia mi à obbligato e mi obbliga tuttora a rimanere a Torino :i numerosi Veneziani, che qui

si

tro-

vano,mi sono d'aiuto immenso.Àvrei ben voluto recarmi al di Lei castello: la

sua gentilezza e l'amenità della vita di campagna mi erano

d'incentivo e di sprone: però non potendo aderire a questo vivo desiderio,ò pensato di supplire in parte,dirigendole un nuovo Canto infernale.

Al tedio delle mie parole rivoluzionarie potrà supplire questa nuova bolgia da me trovata a punizione di qualche Santo Padre del moderno loiolismo. La prego vivamente a perdonare il tenore delle rime non consonanti appieno coi suoi pensieri; obbligo di giustizia mi ha spinto a scriverle e non palinodia politica. Infine il vecchio adagio unicuique suum è per me un domma. Suo obb."»» servo (3) Fabio.

Canto XXXVl.

Quando Guerrazzi si nascose a noi, E colle membra si tuffò di buttò. Col mio maestro ci avviammo poi Ove si tiene in lacrimevol lutto Gente, che sconta nelle nere bolge Di lunghe colpe

il

velenoso frutto.

sommo Dio, la sapienza volge Dell'opre tue

si

mirabil corso.

Che nulla cela e tutto in sé rivolge. Come cavallo che s'attacca al morso Corre diritta nell'eterna via.

Senza la tema di sentir rimorso. S'apre una valle più dell'altre

ria.

Ove di chiovi fatto a sassi e^^uzzi Era il terreno che sol c'apparia. (8)

Cognome illeggibile.


— 382 Come fanciullo, che con altro ruzzi, Vidi Si

i

dannati ritrovarsi in coppie

che vicini si trovan co' buzzi (1).

Quale il cocchiere, cui la frusta scoppie,

Alza le braccia e le superne spalle. Cosi

gli spirti coi

baston da stoppie

Fan d'ululati rintronar la valle, L'uno dell'altro percotendo il dorso, Coi piedi Atti nel maligno calle. Distilla

sangue il flagellato torso,

Sangue le piante e sangue pur la bocca. Rotto per l'urlo delle vene il corso. Cresce il dolore, ma la verga fiocca Colpi spietati ed al percosso estinto

Cosi

Far la vendétta sul primiero tocca. li duo per un bestiale istinto. Fatti nemici e non sapendo il come, S'ancìo in eterno, in nere pene avvinto.

Tutte d'orror mi

si

rizzar le chiome

Ed a Virgilio con la voce fioca: « Cosi le colpe son quaggiuso dome? »

Come si vede sopra l'aia un'oca. Poggiando il corpo sulla ferma zampa. Quindi sull'altra, se desìo l'infuoca Di

camminar, tale da noi si stampa

L'orma fra il chiovo e la petrosa punta, Quando la voglia d'appressar c'avvampa. Ma là mia forza in guisa tal fu munta. Che, ove mancato fosse a me il poeta; Non vi sarebbe la mia lena giunta. Giunti ai compire della nostra méta S'allarga in giro quella trista foce

Ove il dolore quei tapini inquieta. Quando un percosso, cui la spalla cuoce Per lunga offesa, verso noi rivolto. Disse tai detti con rabbiosa voce: « II vostro

senno si fé' manco, o stolto.

Quando a venire v'ha spronato quivi,. Ove Giustizia c'avanzò il ricolto

(1)

Buzzo indica ventre (Nota del Poeta).


- 383 Per l'opre nere, sebben foste vivi ? Se dannati, prendete pur la verKa,

Se non, fuggite dal dolenti rivi >. «

Pensa alle piaghe e alle percorse terga A flagellar l'altro tuo compagno.

Né dentro il fato il tuo pensier s'immerga », Disse Virgilio; e

come avvien se lagno

Nasce nel centro a popolosa via

La prima gente all'altra fa ristagno. Quindi la terza verso là s'avvia.

dannato il detto

Si del maestro e del

Ver noi i percossi e

i

percotenti invia.

Tremavo allora nel vedere eretto Ogni bastone sulla nostra testa,

Come scuolaro innanzi al suo prefetto. Chi bestemmiava le divine gesta,

Chi dell' Eterno chiamò ria condanna

La pena atroce al corpo lor molesta. Non pur gli Ebrei nel domandar la manna Tale gridaro;nè cosi in bigoncia

Un deputato tanto a dir s'affanna. Quando Virgilio con la faccia broncia Si volse a quello che parlò primiero

Colla favella inusitata e sconcia

E tal gli disse: « Non ti sia severo. Se lo ti domando la lugubre storia, Che qui ti trasse a maledire il vero ». E allor lo spirto :« Lascierò la boria. Che lo mio grado mi donò nel mondo. Quando la fama m'innalzò di gloria. Nacqui da let^) maritai fecondo. Alle falde dei monti in Sinigaglia, Conte e signore d'ubertoso fondo.

Conobbi ahi! lasso, se la donna vaglia E, mentre affetto mi fé' scarno e macro,

Sembra che ad essa l'amor mio non caglia. Chiesi pace trovar nell'ordin sacro.

Ebbi tonsura e fui nomato chierco

D'un arcipre* superstioso ed acro.

Nuovo dolore, mentre pace io cerco. Sorge ambizione a domandar gli onori Che nello aver di nuovi fa' ricerco.


- 384 E SI fui scaltro ad ingannare i cuori Che venni alzato al più sublime seggio, Che fa meschini tutti gli altri infuori. Quando del trono me signore veggio, Lasciai il cammino cui calcò Gregorio, De' miei pensieri non fu quello il peggio. Detti riforme, poi coli' aspersorio

Benedicendo la festiva Roma Di libertade la rendei l'emporio.

La libertade mi fu dura soma, Sparì de' plausi lo scipito orgoglio,

Tornò superbia già tapina e doma, Tornò nei detti la parola « voglio », Tornò nei fatti il dispotismo altiero. La ipocrisìa ed il chiercuto imbroglio, L'arti malvagie inesorabil fero

Verso di me la non illusa gente In guisa tal che vi perdei l'impero.

Fuggii di Roma e mi rendei cliente Del Re Borbone: si fu quella l'ora.

Che rese manca del cervel la mente. Empia Gaeta, putrefatta gora D'ogni sozzura e d'ogni ria vergogna, Il

tuo fetore si solleva ancora:

Ljà, se il

delitto di brillare agogna.

Ve lo diranno i porporati drudi. Per cui virtude vi fu posta in gogna,

Là fra le feste ed i profani ludi. Dispregiando la povertà di Piero, Spesi l'onore e i maleavuti scudi:

Né qui cessa\ a l'alto vitupero. Ch'anzi, imitando la papal magagna.

Chiamai gli sgherri d'ogni re straniero.

Venne la gente dalla fiacca Spagna E numerosa sovra immensi burchi (1) Quella che il Reno e la Garonna bagna. Chiamai da Vienna li tedeschi lurchi. Pronti agli stupri e a saccheggiar le ville,

Come fa l'uso dei feroci Turchi, (1) Burchi

= barche veneziane (Nota del Poeta).


- 385 — Mille conflitti preparare' a mille

Morte sul campo non die mai la fama :

Opre più degne al favoloso Achille. L'opra nefanda ora vendetta chiama Al trono eterno ed io che volli sangue

Ho qui possanza a satisfar la brama.

Come talora un giuocator, che langue In vii miseria, bestemmiò la bisca, Che fé' la borsa di denaro esangue, Così pur io la condotta prisca Ora bestemmio, che per me in eterno

Pose sul cielo questa ria confisca.

Ora tu vedi quale mal governo Faccia del corpo lo bastone altrui,

Mosso per sempre da Instancabil perno. Del mio percosso nella vita fui Caldo seguace, e si nommò Antonelli,

Venimmo insieme in questi luoghi bui. Ove Giustizia ci dannò fra quelli Neri codini che a tarpar le alia Di libertade si mostrar più felli ». <

E ben ti sta,o traditor d'Italia », Ratto dissi,* che fu per te costretta

La patria mia di tornare a balia. Dì te, dell'altro, della nera setta

Saprassi il vero,o cardinal Mastai,

Nel mondo su dove tornar mi spetta. Vieni, maestro, che frenare omai

Non posso l'ira che m'opprime il petto Sotto la soma de' narrati guai ». Nell'avviarci per il calle infetto

Un correndo vien di quei percossi. Che dalla gola fa sanguigno getto,

E mille dietro :«

Pellegrino Rossi,

Non v'ò quaggiUBO ambasciator ministro, Né si comanda in questi neri fossi. Sariati meglio di cambiar registro

:

Pensa che in morte ritragghiamo insieme

Medesmo frutto dall'oprar sinistro. Ricorda l'atto del latino seme

E pur ricorda che la nostra verga Del tuo bastone il rotear non teme ».


— 386 — Appena detto, gli fiaccar le terga Di colpi tali, che non ne à mai tanti

Un asino, che monti alla Superga. Pianse lo spirto e ricordò fra i pianti L'ordin,la legge violati in lui,

Vhabeas corpus^lo Statuto infranti. « Eh via, buffone! » un de' compagni sui

Ratto rispose

:

«

non parlar di legge

Son noti al mondo i reggimenti tui

:

;

Nota è la scuola al dottrinario gregge Di cui Siam parte e meglio noto ancora Il

punimento che qui noi corregge ».

Quei forsennati disparirò allora.

Ma pur conobbi fra la morta gente Quelli per cui lo mondo ancor s'accuora.

Vidi Guizot ed il Barrot servente Di Bonaparte che, signor di Francia,

La libertade travagliò sovente, Ed Oudinotte, che impugnò la lancia AUi servigli della ria Gaeta, Per la vergogna impallidir la guancia. Quivi ebbe fine la dolente méta.

Fatta più lunga per l'acuto calle,

Che fra li vivi sarà già compieta.

Quando alla bolgia voltammo le spalle. Artisticamente questa imitazione dantesca è cosa meschina:

storicamente non può essere tenuta come documento su cui

poggiare alcun studio critico. Essa non avrebbe quindi alcun valore, quando

non fosse testimonianza indiscutibile che nel

periodo laborioso dei martini e delle guerre, dei raggiri diplomatici e delle congiure settarie, l'ombra del gran padre spirituale dell' Italia aliava su tutta quella pleiade di grandi e di piccoli artefici del riscatto patrio.

L. C. BOLLEA.


CARTEGGIO di

Giuditta Sidoli con Biuseppe Mazzini e con Sino Capponi

NELL'ANNO 1835 iCont.: vedi II Risorg.it., X,iy [== Suppl.liisorg.lQ],430 segg.;.

LXXVII. G. Mazzini

Grenchen,23 agosto

a G. Sidoli.

1835. (trad. dal francese).

Ricevo la tua lettera dell'S agosto. Io non intendo più nulla né di

me, né di te per la tua maniera di capir quello che ti scrivo.— Ho

perduto ogni facoltà di spiegarmi?© ti affaccendi a trovare in delitti

me

che non ho verso di te?o ti affaccendi a riconoscermi freddo,,

agghiacciato, mentre sono ardente, convulso?— La

28 luglio ti ha recato dolore.

mia

lettera del

— Vado cercandone la causa, e ram-

mento assai bene non quel che scrissi, ma bensì quello che io devo aver scritto, quello che io sentiva scrivendoti. Se io potessi giudicar la

mia lettera solo da quel che mi dice la tua, io dovrei averti riil prometterti di vivere quando tu sia per-

sposto :€ mi é impossibile

duta per me, perduta anche materialmente, o in pericolo per quello

che avrei

fatto, giacché io

ho dei doveri verso

la

mia Patria, che

possono ordinarmi di morire, poiché la mia vita non é per te, ma per essa ». Rileggi la mia lettera se la conservi, rileggila colla mia

anima tutto ciò che vi è scritto, tu ci vedrai altra cosa. Tu mi chiedevi che mi obbligassi a vivere, qualunque cosa intendessi di te, tu mi annunciavi determinazioni fatali, mortali rischi che ti sonò scoti rispondeva, e ti rispondo: tu vuoi perderti, il mio pennon può trattenersi sull'orlo dell'abisso; tu ne segui un'altro di avere una missione da compire verso tuoi tigli, alla quale devi

nosciuti. Io

siero

i

da me di più, che io me ne resti colle braccio incrociate, continuando una vita fredda e ma-

saci-iticarmi sacriticando te stessa, ed esigi

teriale, testimonio di

tua rovina e della tua perdita; tu esigi di più*


— 388 — •che io faccia calcolo delle

mie forze e della disposizione del mio

essere per quando venisse a realizzarsi quella minaccia. Io potrei voglio; io non ti ho ingannato giammai, t'ingannerei momenti solenni? Nò, non lo voglio. — Posso io saper se, quando sarà estinta l'ultima scintilla che rischiara la mia notte, io avrò tanta forza da trascinarmi ancora per qualche tempo in questa vita amara, amara e nel passato e nel presente e nell'avvenire, che mi è grave come un peso sproporzionato? Posso io sapere se in uno di quei momenti di avvilimento, di solitudine profonda, io non mi annoierò di esser solo? Posso io sapere se, mentre adesso per combattere il disgusto che talvolta mi opprime, ho bisogno di consacrarmi a te, a mia Madre, per impormi dei doveri, lo potrò più quando il più potente de' miei sostegni mi sarà tolto? Oramai per me la vita individuale non è più. Il mondo passa d'innanzi a me, e mi trovo talvolta in atto di guardarlo, in atto di guardare me stesso, come se in questo mondo fossi due persone, come se io morto, io spettro potessi riguardare freddamente l'io macchina vitale, che agisce, soffre, Provo straordinarie allucilegge, parla e muore, perchè lo deve. nazioni il malessere intorno mi rode talvolta desidero persino che voi tutti siate morti, che il cholèra porti via tuttociò che mi è^ caro, per avere il diritto di morire. Eppure vivo e sento di non poter morire. Mi crederei colpevole, vile nel volere abdicare al dolore, quando tu soffri, ingrato verso di ce e verso mia Madre. Io ti amo dirti, sì; non lo

in questi

e taccio, e trqvo ancora la forza di sorriderti, d'abbracciare

il

tuo

ritratto; ma allorquando tu vieni a dirmi :« ascolta, io me ne vado: ho

un gran dovere da adempiere vado verso i miei figli vado là mentre non posso andarvi nasca quel che sa nascere, vado a chiudermi viva in una prigione, o che so io?tu vivrai, ovvero io ti maledirò », io sento in me dei movimenti di rivoluzione, d'irritazione straordinaria, e mi dico: «il mio essere sarà dunque sempre passivo? le persone che mi amano possono far tutto, possono rinunziare alla libertà, alla vita, a tutti gli affetti per adempire un dovere, per seguire una ;

voce di cuore, che li trasporti altrove; ma io, io continuerò ad agire, essere negativo ? oggi mi

si

taglierà

un braccio, domani una gamba,

ed io proseguirò il mio cammino, riprenderò la mia vita, e la riporterò su tutto quello che mi resta. Di più la vita non è forse bella?

non ho io un buon lotto nella vita? posso

bere, dormire, mangiare,

passeggiare nella sera, leggere libri che mi annoiano, giornali che mi oltraggiano

che

si

— ciò va benissimo — conosco uomini, milioni di uomini

contenterebbero di meno, ma io non sono

di

quelli. Se in

un bel giorno io non ne posso più, e protesto solennemente contro


— asola fatalità del mio destino che dopo avermi dotato di an istinto, dii una capacità di felicità gigante, immensa, dopo avermi riempito di un desiderio inesplicabile di arrecare felicità, m' ha ridotto a non poterla né provare, né comunicare, m'ha ridotto a dover tremare e soffrire per tutto quello che io amo, posso io garantire, che quel mo-

mento non giunga? Posso io garantire che al ricevere una nuova di te, per cui ti conosca vicina a perderti, non accadrebbe che, vedendo una via per salvarti, non m'inoltrassi in quella via

fosse?

per quanto pericolosa essa

— e frattanto posso garantire una cosa, di soffrire cioè immo-

d'uomo lo permette, e questo perchè tu me l'hai rammentarmi le tue parole, le tue ultime volontà, allorché il cuore € le mie passioni mi trascinano verso qualche risoluzione e, quando il restante sarà divenuto inutile, di gettar quelle parole e quelle volontà dall'altra parte della bilancia, anche nel moquesto posso impormento più terribile di trasporto e di orgasmo bile finché forza

detto, vale a dire di

so che potrò mantenerlo, e te lo dico. melo per un sopra più Ecco quel che io devo averti scritto, almeno quel che io ho voluto scriverti. E frattanto che ha di comune con questo la politica? Io non vi pensavo affatto, non vi ho pensato mai, quando ho tenuto il

pensiero su di te

— in tutto questo la mia patria era cosi lon-

tana da me, che io dovrei forse arrossirne e tu spieghi la mia espres:

sione « le tue volontà conteranno nelle mie decisioni, come se ess& fossero una chiusa di contratto, un pensiero di equilibrio fra te ed altra cosa ».Non

mi hai inteso

non voglio più

dir

— non mi hai voluto intendere — io

nulla. Oramai

dispero di sapermi spiegare

tutto quello che io poteva dirti sopra ciò che vuoi fare, te l'ho detto.

— Intanto aspetto la mia sentenza — non posso più dar formula a cholèra, Genova, Roma, le decisioni già nulla — ho la testa confusa, il

prese, mistero in parte sulle cagi(tai che le precipitano, malattia, rim-

proveri, tutto questo io

lo

vedo, da ogni parte che mi volga male,

male, e poi ancora male. Non dirò altro temendo

di

maledire. l<y

t'amo, questo lo so, e te lo dico colle lagrime agli occhi. Ti abbraccio. Sì, è il

tuo fratello che ha tradotto, ed assai bene a quel che si dice,

Marco Visconti. Mia Madre avrà dolore perchè io ti abbia raggua-

gliata del

mio stato prima di Lei, ma poco importa. — Agostino ha

lasciato Parigi, prima perché

non vi stava tranquillo, poi perchè

si

annoiava, ed anche per amore di me, per non lasciarmi solo. Ti abbraccio, amami.


— 390 — LXXVIII.

G.SidoU a G.Mazzini.

Rome, 25 aoùt 1835.

Mon cher, tu as raison.EUe m'a été bien

retardée ta lettre du 6

courant, car je ne l'ai eue que hier au solr, mais elle paye et dédom-

maf?e mon attente par la manière dont tu m'y parles.Je répète,tu PS raison, tout ce que tu m'y dis est pour l'as

moi sans réplique,et tu

doublement, parce que tu tiens le langage que je voulais de toi,

qui m'avait habituée à penser que tu m'aimais non seulement à ta

manière, mais aussi un peu à la mienne;c'est à dire à celle queje veux de toi, et que tu commencais à ne plus ne me laisser croire. Tu as raison, je dois me conserver pour mes enfants, et, comme tu dis,aussi pour toi, quoiqu'il se pourrait que tandis que mes années se pas&eront dans cette attente paciflque, tu te vis engagé, et alors

sans réplique de

ma part à ne plus vouloir te conserver toi méme.

Mais je me dois à mes enfants, eux m'attendent, et leur volonté ne

me fera jamais défaut, Je le sais très bien, et tu me le fais sentir à me rougir de moi-méme,je me leur dois, et une vie entière de sacriflces et

de douleurs ne devrait étre rien,quand il y aurait la pos-

sibilité

de leur étre utile un instantJe le sais, je' me le suis dit mille

fois,je

me le dis encore, mais te l'avo uerai(-^e)?Je me le dis, oui,

mais je ne puis le sentir,je ne puis m'en pénétrer, mon coeur se tord,

mon étre se révolte tout entier. Je suis fatiguée, la vie m'accable,et précisément parce que mes maux viennent de mon coeur, je ne puis plus les supporter.

Au reste tout ceci sont des bétises. L'individu qui

pensait s'inté-

resser à moi ne vaut guère la peine que moi je m'impose une

loi

quelconque ou le moindre changement dans mes idées.J'avoue du reste que je ne sais guère qu'il m'arrive de mettre à la place de

mon étre quelque chose qui soit autre que moi-méme et, quand j'ai dit que refùsant telle chose je me verrais forcée à embrasser telle autre, ce n'était point dans la prévision que tout cela serait suffoqué

en naissant, comme il en est advenu;bien que trouvant des gens

moins imbécilles, la chose aurait avancé,'et me serais vue par là à amèrement reproché

refuser formellement ce qui aurait pu m'étre

comme manque d'amour et de tout sentiment envers mes enfants. Et ici encore je

le répète, ce n'était le jugement de personne que je

craignais, bien celui de tout le

monde, qui pouvait devenir celui de

mes enfants. La possibilité que jamais puisse naitre dans leur esprit la

pensée que je les ai aimés peu, me fait toujours vouloir renon-

cer à la vie.


- 391 Il

moment un temps abominable,il est demiheure après Ton n'y voit presque plus, et de ma fenétre je n'apergois

fall dans ce

muli, et

seulement plus ni Rome: ni S.Pierre: il déluge. Far ta lettre je vois que je me suis bien mal expUquée.Je n'avais pas voulu dire d'étre déjà obligée à une autre détermination,bien

que je m'y serais vue dans le cas, où je n'aurais point pu accepter. Aujord' bui Je te

l'ai

n'y à refuser ni à accepter, puisqu'il n'en «st plus rien.

il

écrit dernièrement, je fai dit aussi

que cela ne détruisait

pourtant pas ce qui aurait pu adveair de mei, par moi-méme, et je le dis encore, quoique je pourrais l'épargner, car quand une chose n'a pas son jour flxé ni toutes ses conditions, elle est toujours ceile-ci l'est, car je n'ai

(sic)

que cela de ferme qne je sebs aussi vive-

ment que la vie, que je suis lasse, et que je ne vois point possible commencer encore un hiver, puisque le cholera pourrait bien faire sa part.Ahlmes pouvres enfantsiet si tous meurent,qui leur dira que je les ai tant aimés?

Continue de m'aimer,je t'en serai toujours reconnais<«ntP

io

fem-

brasse avec bien de tendresse.

LXXIX. G. Mazzini

a G. Sidoli.

(Grenchen), 28 'Agosto 1835.

Cara, ho scritto poche linee a mia madro, ne scrivo pòche a te:

m'è impossibile scriverti a lungo, poi cosa scrivere, e perchè? quando s'è detto s'è

in vita, s'è detto oggimai quanto preme: il resto è do-

lore, il resto è noja di vita, sazietà di dolori, irritazione, maledizione:

perchè scrivere?

A Marsiglia molti sono morti, non chi c'importa. Il morbo è sul cessare in quella città, nessuno il

suo posto tì)

di Sindaco

morrà spero. D...(I) non ha mai lasciato

o altro che somiglia e, mentre tutti fuggi-

Di Demostene Olivier, cosi M. Accurei scriveva da Parigi il 3 luglio

'35: «(Questi è

uno di quei capi del partito repubblicano di Marsiglia.

N«irei)oca che Mazzini era a Marsiglia, vi era fra loro un legame strettÌHHÌmo di amicizia uomo agiato e di molte relazioni, egli fu uno dei :

più operoHÌ a teuer celato Mazzini alle polizie francese e piemontese, che voi sapete come furono corbellate, principalmente la prima che agiva nel proprio interesse. E un

uomo di molta influenza sul suo partito. Ha

un fratello che abita a Livorno, e ai chiama Aristide, anch'esso repubblicano, ma più moderato ;è nell'impresa dei Ixattelli a vapore francesi. Ecco ciò che di positivo e di vero ho potuto raccogliere».


— 392 — vano, è rimasto. Bensì figurati

clie silenzio

da lui! aggiunta alla na-

turale inavvedutezza la distrazione dell'impiego e della paura. So non esservi male, ecco tutto. Oggi gli scrivo. A Genova

il

mi scrivano pietosamente ingannando, infierisce: so

morbo, checché

persone a me note morte, amiche di casa, amiche delle mie sorelle: non so di più

perchè temo assai di quella tra le mie sorelle maritata, e questo è nulla appetto di ciò che io temo per te. Tu parli di morte, come se fosse cosa deliberata, certa, immancabile; aspetti il cholera a Bologna,

verrà, verrà; poi andrai ad incontrarlo, e lo incontrerai con una pre-

disposizione che basterebbe a far morire; fosse non la malattia più mite, benissimo morrai, e poi? sarà

il

cholèra, ma

ventura pe' tuoi

me non parlo. Ah Giuditta Mia Madre, mi scrivono oggi, ha ricevuto la tua dell'S agosto, il dì 20, sicché non t'aggravi il suo silenzio. Anche il choléra ha da esserle scusa; e quanto alla mia posizione finanziaria, tu sei a quest'ora rassicurata. Non piego in nulla dal mio giudizio sopra Emilio (1), lodo ciò che egli ha fatto, lo biasimo per ciò che non fa, pel carattere ultra leggiero, per le accuse goffamente scagliate non a me, che poco m'importa di accuse e di lodi, ma a gente che vai più di lui, ha sagriflcato più di lui, è pronta a sacrificare più di lui, ha più affetti di lui, più principj,più amor di paese, che egli non ha. Anche tuo fratello (2), che pur m'è inimico a Parigi, accanito sino a non voler giovare ad uno che si lascia sfuggire di bocca una parola in mia lode, a Ginevra, dov'è ora, fa grandi elogi di me: che vuol dir ciò? Lasciamo di cofigli? di

!

teste sciocchezze: qui nulla di nuovo, io sto bene di fisico, malissimo di

morale; anche non dicendotelo, lo crederesti, quindi non fo male

a dirtelo aspetto tue nuove, e del cholèra con un certo viso di de;

monio, che consola chi lo ha sulla bocca, e chi lo vede. T'amo, t'amerò sempre, questo posso dirtelo, tu devi crederlo, se fé caro; mi vien più che mai dal fondo del cuore, che ho sempre a un modo, ma che ormai

mi pesa e mi sembra scherno svelare in una parola.

— Addio, mia

Giuditta, t'abbraccio piangendo.

LXXX. G. Sidoli a G.Mazzini.

Roma, 29 ago'sto 1835. Caro, era giusto che in tanta miseria la tua amorevolezza

mi

sovvenisse. Ricevo adesso due lettere tue, 17 e 18 corrente, e n'ebbi (1) Belgioioso. (2) Carlo Bellerio.


— 393 — un'altra,ieri l'altro, del 10: quella mi fu assai ritardata^ l'ultime vanno

bene, particolarmente la scritta

mi e cara e benefica

il

18 che

ha

il

timbro del

19. Essa

cuore, come ne avevo bisogno, ed è dire

al

molto, te lo assicuro, lo non avevo mai pensato di stare con te in silenzio, e non so intendere come t'avessi scritto dissi che per un po' di tempo non avrei potuto riparlare di talune cose, ma non credevo di farti intendere silenzio pel resto. Ti sei messo in pace con me, e io te ne so' grata, come se tu avessi di nuovo incominciato ad amarmi. Quella tua di ieri l'altro m'ha dato assai da pensare. Vedrai a quest'ora come tu devi temer poco per me; faccia il Cielo, che così io non cominci a tremare per te, benché sia oggi superfluo parlare :

della inquietudine che io ti ho cagionata e rispondere alle preghiere

che in essa mi hai fatte voglio però sempre dirti, per norma tua in :

ogni cosa e in ogni tempo, che giungendomi quel tuo foglio, quand'io

mi fossi stata alla

vigilia

d'ogni cosa, e chiedendomi tu

come

in

esso, non revocazione, ma ritardo e sospensione, l'avevi senza parole.

Ora v'è il choléra, e tu non potrai [pensare] diversamente di me se,

dovendo forse morire, come quasi mi pare, io mi trascini vicino ai miei poveri tìgli; e a ciò fare mi parrebbe assai meglio prima che già

non dopo, e probabilmente non tarderà Toscana. Mai, dovendomene andare, ho visto sì lontano e si buio il luogo dove io m'aveva da giungere.Tosto fosse in queste parti, che

molto, essendone già

afflitta

mi sarà concesso risolvere, te lo dirò subito. Io farò ogni cosa per non farmi venire il choléra, e lo farò sicuramente, perchè ormai che so dare esso morte tormentosissima, non lo guardo più con tanta pace, ma l'ho in orrore grandissimo. Intanto per fare star male senz' altro e predisporre al peggio, qui v'è una mutazione di temperatura stranissima: fa freddo e io ho una Hnestra aperta per lasciare entrare un po' di sole che mi scaldi. Io ho fatta una grandissima mutazione nelle mie abitudini, quale ancora non riesco a far mai: m'alzo la mattina per tempo e mi corico presto .Quando faceva più caldo, dormivo un po' il dopo pranzo, che anche in questo ho mutato, e con pranzo più, come sempre, tardi, ma due ore dopo mezzodì, ora no, e fò anche che v'avrò pensato ancora un

po', e

meno tardi la cena. Sono contenta quando per tempo sono fuori del letto, mi pare d'avere perduto meno tempo, e sto un

tu devi sapere che

il

poco più quieta:

pensiero di perdere il tempo è venuto per me

come una manìa. Non leggere un paio d'ore il giorno, m' è causa d'una scontentezza indicibile: ho una grandissima fretta, come se fi <o sempre per venirmi meno il tempo, e me ne sto oggi alla '-'ta Deca di Tito Livio, con una cupidigia d'altro e una insazia.

II

Ri»org.iUa.,XI-Xll

»


— 394 — me

senza nome. Questo a

bilità

che mi conosco pare

cosa naturalissima e quale deve essere. La mia

non

è

mano

nuUameno sta meglio,

però ancora guarita, ma l'adopro come sana. Ho dovuto

chiudere la finestra, s'è alzato un vento d'un'impeto spaventevole, vi sarà un'altro

temporale: da otto

di

a oggi non fanno che succe-

dersi e cadono lulmini a tutti momenti, a due o tre ogni volta; for-

tuna che i campanili e le chiese son molte e che per esse siamo salvi noi altri: v'è però sempre d'avere gran paura, e io l'ho sempre grandissima. Volevo scriverti più a lungo, ma ho scritto a casa, e

non me ne resta altro tempo ho avuto pessime npove, questo dopo :

pranzo, di Livorno, vi sono gran guai pel clioléra. 11 giornale porta 41

casi

in

due giorni

:

1'

affare

si

fa

serio

— l'avremo, io penso,

ovunque, e credo Reggio sarà meno aggravata dell' altre città. Questo dover morire lontana dai miei figli senza né vederli, né abbracciarli, senza dir loro

amo, è cosa che m'altera

una volta ancora, colla mia voce, quanto li la

mente

tinua a volermi beile, e se dopo

e

mi

fa

disperare. Addio, con-

me tu non vorrai

vivere, racco-

manda ai tuoi amici, di dire un giorno ai miei figli, che io li amavo. FMon:Monsieur David Hemerling Poste restante (Svizzera) Berne

LXXXI. Giuditta Sidoli a « Jean Tirelli ».

Roma, 29 agosto 1835. Amico carissimo (l),per completare ogni mia amarezza s'è aggiunto choléra:io sono in un angustia maggiore delle mie forze. Speravo oggi vostre notizie e non' le ho. Non v'é però notizia allarmante per

il

costì,

ma cattive sono quelle di Toscana, e la distanza é poca. — Qui

non v'è nulla, v'é però una stranezza di atmosfera e un cambiamento di temperatura oltremodo sensibile; fa quasi freddo vi sono stati dei temporali d'una violenza senza memoria, e continua un vento e un variare di cielo continuo, cose tutte assai poco buone. Credo :

che

il

choléra verrà qui e dapertutto, e, se dovessi dire, penserei

Reggio dovere essere uno dei luoghi meno soggetti a vedere strage e intìerimento: la popolazione è poca, la città è spaziosa, l'aria ne è in ogni tempo pura e salubre, e non v'è gran miseria, e generalmente (1) Questo Tirelli era uno di famiglia, forse imparentato co' Sidoli dimorava a Reggio, come risulta da questa lettera. Se non erro, è il T., a cui la Sidoli affibbia il moccolo à''imbecille nelle Lettere x, xvni, xxviii.

;


— :\m neppure ^ran sporchena, e piuTH)Sio pulitezza. K veramente fessevi anche il choléra, e altrove non vi fosse, vorrei ad ogni modo venire costi. E cosi

sarà dapertutto e dovrò forse morire senza rivedere i

miei figli: questo pensiero m'anticipa ogni ora e ogni istante la

morte. Morire, ma almeno abbracciare i miei

tìgli! Povera me... che

funestissima esistenza, che vita fui condannata a avere. Raccomantìgli di non mangiare frutti e non erbe, e non bere acque schiette, e dite e pregate la mamma perché faccia a ciascun

date ai miei

d'essi

una fascia di flanella che passi loro il ventre: sopratutto non

far loro spavento e neppure parlargliene. Vi raccomando quanto più

posso che mi scriviate subito. Addio.

Fuori : Monsieur Jean Tirelli. LXXXII. Giuditta Sidoli a Gino Capponi.

(Roma), 29 agosto 1835.

Caro Gino, mi fosse tolto a un tratto

il lume dagl' occhi, non smarrimento di quello in cui mi sto da jeri. È dichiaratissimo il choléra a Livorno, e da costi non si viene più senza quarantena di quasi tre settimane. Dunque non vi vedrò

avrei, io penso, maggiore

più e non si

er

ci potremo veder più questa pare cosa da poco, quando pensa che dae o tre mesi fa non v'era di ciò alcun progetto, e :

lata a stare

.

lontana da voi, come da altri; e se col cuore

\are ragioni, le troverei io stessa cosa non seria. Pure la

s-d['

sento serissima e da farmi stare come io sto. lo voleva vedervi, l'ho desiderato con un desiderio immenso, ho immaginato dover avere da voi assai più bene, che forse ne avrei avuto realmente; ho visSDto da un tempo unicamente nella gioia di quei giorni, l'ho voluta

sempre credere, e benché si potentemente la volevo, sdegnavo sempre dubitarne, e ripetevo* voglio vederlo, come forse lo vedrò ». E oggi

mi 8i dice« no »,e fra noi la morte sta a due passi; doveva essere amico come mi siete non avete nulla da ridire a voi stesso; ma per me, che con meco ho ben altro

cosi. E sentite, Gino, per voi no, che

e assai diversi conti da fare, a ogni modo, o colpa, o sogno, quanto

mi

fu

caro altrettanto oggi m'è aspro e scontro. Ma tutto a un tratto

mutare, avere rfvuto siero che m'era

in

mezzo a tutti

i

miei guai o dolori, un pen-

un sollievo, e in un subito vedermelo

tolto, instar-

mene come mi fosse tolto il cammino per via e il bastone che m'era d'appoggio, è un male per me, quale io non so dire. Speravo avere oggi vostre nuove: ma non le ebbi. V'ho scritto il 22, scrivo come una


— 396 — pazza perchè infatti poco ho sana e quieta la mente, e perchè anche

ho brevissimo tempo. Farete bene se mi scriverete movente e presto. Io

non ho più voglia di restare qui. E capite anche benissimo che

oltre alle ragioni del choléra, per essere vicina ai miei Agli, l'altra

per andarmene, dopo che penso non vederci: naturale.

— Vogliatemi

bene, e ditemi se fate conto, volendomi bene, di continuare a dirmelo

;

oppure se pensate di non dirmelo più.Qui non v'è nulla,ma fa pessimo tempo. Ve ne prego, scrivetemi

vi raccomando, e vi comando di poruna fascia di lana intorno al ventre. Abbiate cura di voi, non solamente per le vostre figliuole che hanno famiglia e marito, ma anche per me, perchè di perdervi io non so rassegnarmi, ed è pensiero che non so affrontare. Addio. Fuori Sig. Marchese Gino Capponi ;

tare

:

Firenze

LXXXIII. G. Sidoli alla figliuola Corinna.

Roma, 29 agosto

1835.

È cosi, mia cara Corinna, che tu sai voler bene alla tua povera Mamma? Stando un secolo senza scriverle, e forse anche senza parlar^ di lei?t'é mò una gran fatica prendere nelle tue manine una penna e su un po' di carta scarabocchiare « Cara Mamma, ti voglio 6ene»i^ Oppure vuoi che io pensi che la mia Corinna non mi scriva perchè del bene me ne vuol poco, e non ha neppure voglia di mandare un bacio alla Mamma? Sai tu, mia Corinna, quante volte in un giorno io ti sono vicina col pensiero e col cuore, e quante carezze ti

fo tra

il

dolore e

le

lagrime? Poverina! tu non lo sai, non mi vedi

mai ritornare e venirti abbracciare

;

e scordi

forse ciò che tu

sei

per me, angiolo mio, e quello che io sento per te, per voi altri miei tìgli

che mi siete la vita, e per cui io vivo. Lo scordi, e tieni silenzio.

Non lo scordare, Corinna, m'è troppo dolore. Piglia la penna e dimmi che sai quanto ti vuol bene la Mamma, e quanto tu ad essa ne vuoi, e dì alle tue sorelle che anch'esse lo facciano, e dà a ciascuna

bacio per me, e non una volta, ma tutti i giorni. Addio, mia dolce Corinna, t'accarezzo e t'abbraccio, e ti stringo al

mio cuore la

Fuori: Alla mia Corinna.

tua Mamma.


— 397 — LXXXIV. G. Sidoli alla

cognatn Xitìina.

Roma, 29 agosto 1835. Mia cara NinÌDa,io non ho mai pensato che tu potessi dimenticarmi, e la fiducia che ho sempre avuta nella tua affezione per me e per i miei tìgli, m"è stata in ogni tempo ragione per consolarmi. Nullameno veggendo come fra tutti i parenti sono pochi quei che ricordano amorevolmente il mio nome, l'assicurarmene come tu fai, scrivendomi con si affettuose parole, m'ha recato un nuovo e vero conforto. Forse a

me è tolto di poterti dire un giorno colla voce la

gratitudine che

professo per quanto

ti

miei figli; adempia al-

fai ai

meno il Cielo il voto che fo, perchè essi lo mostrino per me con altrettanta affezione. Continua loro le tue premure e, se

per sempre

rivederli, baciali per

il

ogni tempo, dacché mi sono

mi fosse tolto

me e ripeti loro sempre che in

figli, io li

ho amati sempre al disopra

m'amino sempre Ma io t'attristo, perdonami, cara Ninina, io soffro ormai da troppo tempo, e non so più profferire il nome dei miei figli senza dolore e senza lagrime. E male che <li

tutte le cose, e che

ogni giorno peggiora,e se non v'è pronto rimedio,non so dove si andrà.

Bacia anchf i tuoi

figli

e

anche

loro, che

non mi conoscono, acca-

rezza a mio nome. Fa i miei più affettuosi doveri alla tua signora

madre, e dimmi un'altra volta come va di salute e se hai nuove di

mamma

tuo padre, fratello, cugino e

zio. Ricambia alla

rosi saluti e ricordami, se

pare, al nonno. Di a D. Prospero che non

mi scordi, e tu

ti

fa lo stesso e

i

miei fervo-

vuommi sempre bene.

P.S. Ma e di Teresina che n'è?Oh quante volte me la vedo davanti agl'occhi, e vorrei vederla

davvero!

M'è caro che il mio Achillino incominci a studiare; ma dimmi, e Manetta che fa? Elvira e Corinna son buone? Come stanno di fisico? e come si forma il loro morale? Addio, mia cara Ninina; morta ancora, mi ti raccomando. Ti prego di dire alla Mamma che desidererei che si facesse una fascia di flanella per ciascuno

ventre, e che

si

dei

miei Agli per fasciare loro

il

vietasse loro assolutamente il mangiare frutti d'ogni

specie e erbe, si che

Fuori: Per Ninina.

il

bere acque schiette.


— 398 — LXXXV. G.Mazzini a G. Sidoli. (Grenchen),2 septembre 1835.

Ma chèreje recois fort tard dans la matinée ta lettre du 20 aoùt. Je n'ai que peu de momens pour t'écrireje suis inquiète, j'ai de som-

bres pressentimens pour

le Cho)éra,je crains ijour deux personnes. Aujourd'huijour de courrierje n'ai pas une ligne de Génes, mes amis non plus:je crois que quelque malheur nouveau piane sur moi. 11

y a des momens dans lesquels je

me surprends à désirer que

tout ce que j'aime, ou envers qui j'ai de devoirs sacrés, meure en

un jour pour étre libre et me débarasser une fois pour toutes des chagrins qui me récomblent. Nous sommestrois ici qui nous tuerions volentiers,peut-étre n'y aurait-il divergence que dans la manière de

mourir. Tout ceci ne vaut rien;mais la vie comme cela encore moins, c'est déjà assezje crois pour le commun des hommes, d'avoir

comme

moi mis mon àme en paix sur ravenir,rénoncé depuis long temps à tonte vie individuelle, rénoncé à tonte joie,à' tonte èmotion de

bonheur, et dit à moi mépie:« Je ne vis plusje ne dois plus vivreje suis

un spectreje dois exister,et souffrir par devoirje dois m'ac-

croupir, m'hébétiser, si faire se peut, et attendre la

fin »^Maintenant

mes réves, mes deux réves sont la négation du bonheur pour moi, la paix, la ealme, si non le bonheur pour toi que j'aime, puis pour les autres.Toi

róunie à tes enfans, perdue à jamais pour moi, m'ou-

bliant,ne pouvant plus m'écrire, mais tranquille ;eux avec leur mère,

m'oubliant aussi;ma mère, et mes soeurs m'oubliant aussi, leur vie

assurée pour un certain nombre

d' années: voilà

mes pensées.Je

caresse avec une sorte de rage

moment d' étre

seul, isole

le

dans

tonte la force du terme; le moment auquel je pourrais dire:« Pas une

àme vivante ne pensa à moi; pas une sur laquelle j'influe;pas une qui ne m'ait oubliè»!Du pourquoi je ne m'en rends pas compte;je n'ai

pas changé,je n'ai pas modiflé un seul de mes sentimens,je

t'aime toi comme quelque chose qui enveloppe

mon à.me,je m'en

apercois par ce que je souffre de tes décisions, de

mes erreurs,j€

alme eux aussi, et beaucoup, j'aime tout ce que tu y aimais, et comme j'aimais;mais j'ai un levain de rancune contre le ciel, l'air, le soleil, et la moment de ma naissance. Pourquoi dois-je non seulement renier le bonheur, mais étre torture de minutes en minutes par tout ce que j'aime? et pourquoi quand je ne demande pas le bonheur pour moi, tout ce que j'aime ne pourrait-il pas étre heureux, tranquille ?suis-j e un irapie, un infame, une créature maudite. les


- 399 — — quand mdme ce n' est pas

pourquoi rien de ce que je désire

et

pour moi

— ne peut s'accomplir

?

Ta lettre me fait plaisir, mais je ne sais si j ai lori ou raison,car premières

tes

faire, et

me rassui-ent sui' quelque chose que tu voulais me parlent

lifjnes

que je n'ai jamais bien compris;les secondes

comme si la manière directe dont tu veux t'y prendre pour atteindre ton but, renfermait encore plus de dangers que la première. Tu

ne veux pas étre tuée moralement?comment l'intends tu? te livrer sans un mot de demande?te livrer fière et insoumise?Ton but serait

manqué, ta première

affection, celle

de tes enfans traine, prends-y

garde.Moi je ne te dirai pasrdemande, ou ne demande pas gràce;je ne te le dirai point, parceque cela ne servirait à rien avec

parceque j'admettrais en

te

toL, et

conseillant le principe, contre lequel

mes forces, sans autre droit que celui de mon àme qui souflfre, mais je te dirai seulement ce que tu dis que sera ma voùv sur l'esprit de mes enfans, quand ils penseront queje ne

je proteste de toutes

:

suis pas sans reprocheì est une fausse idée si elle se rapporte à tout

acte de domande. Tes enfans ne pourront jamais te faire dans leur

pour t'étre réunie à eux par quelque voie que

esprit un reproche

ce

soit.

Maintenant à toi de songer;à toi de voir si entre deux routes,tu n'es pas obligée par le but, par Tamour de tes enfans, p&r égard aussi

un peu pour ce que tu me fais et feras souflfrir, de choisir exclusi-

vement celle qui peut presentar quelques dangers de moins. Je t'aime autant que tu pourrais (l»'siier

le

désirer de moi, si tu pouvais

quelque chose au-delà de tes enfans..Je ne te le dis pas lon-

guement, mais à moi aussi dans cette crise, dans des momeni^ aussi décisifs

que ceux-ci, les mnts me paraissent une ironie. Je t'embrasse

avec amour, et douleur. Ton Joseph.

LXXXVl. G. Sidoli

Roma, 5 settembre

a G. Mazzini.

1835.

Mio caro, il mio spirito e

lu

imi

.niiruit

vanno errando non so non ho più

dove. Non ti ho scritto da otto giorni a questa parte, e

ricevute lettere di te fuori quella di oggi. Tu mi privi a lungo, per

dirmi che ho avuto torto; lo credo senza penale nel caso continuo

a crederlo. Ti ho male inteso

:

si

trattava di quel eterno morire, di cui

non parlerò più, giacché, facendolo, divengo ridicola a me stessa. Tu ilici

n<>ii:i

ti)!(

ii.tti.iii

:>li-une cose olio i.> <>:«pi8co assai bene.ed hai torto


— 400 — di dirle, perchè certi mali appariscono ed ingrandiscono nominandoli.

La salute va bene. In questi giorni ebbi un poco di colica: la notte scorsa fui agitata, oggi mesta, col cuore aggravato e compresso come se vi stesse sopra una pietra sepolcrale.

— Amo scriverti cosi,vagando

da dritta a sinistra, senza pensarvi, scrivendo cogie il bianco cosi il nero. Ma al pensiero di rincrescerti mi adombro, e non dico più una parola.

Ho letto l'altro ieri una storia di Masaniello, storia simile ad una prefazione nella lunghezza, nel resto, tolto il nome e le gesta del po-

vero pescatore, scritta con amore, non per vero spirito di principj,ma per una puerile simpatia di carattere nazionale. L'autore è un Napoletano, già s'intende per il nome,e il titolo di Masaniello : la lingua in cui è formato non

mi piace affatto.— Fra gli italiani preferisco i

Lombardi nello scrivere. Non ti ho mai detto se il Marco Visconti mi è piaciuto, ed oggi per parlarne è troppo tardi, voglio dire è passato

troppo di tempo dacché l'ho letto e poi? potrei giudicarlo? Quel libro mi ha fatto passare dolcemente due o tre giorni, e vi è in questo di che perdonar tutto quello che può dirsene in contrario. mal fatto a scrivere a tua Madre. Ciò mi da pena. Si (jice

il

choléra ad Orbetello

:

— Ho dunque

non è vero è a Livorno, dove ;

fa

strage, anche un pochino a Firenze.

Addio, non temere di sentirmi presa dal choléra,vi è qui ogni sorta di ricette eccellenti. Ho della canfora sul mio tavolino e poi negli Stati

del Signore non è ancora entrato.

Amami: se te lo dico poco, non è perchè lo desideri meno. Addio. Questa mattina sono stata colpita,affacciandomi al balcone,di vedere d'innanzi alla mia casa un individuo, che ti rassomigliava; egli guar-

davasi d'intorno. Sono corsa più avanti verso la balaustra, spinta da mille emozioni: quell'uomo

mi guardava, poi ha proseguito

il

suo

cammino colla stessa indifferenza. Sono rientrata. — Ti abbraccio. LXXXVII. Giuditta Sidoli a Gino Capponi.

Roma, 5 settembre 1835. Caro Gino, jeri l'altro ho ricevuta una lettera vostra. Essa è senza data. Quanto mi vi dite, mi è cagione di molta mestizia. Ieri mattina assai di buon'ora mi posi a scrivervi, perchè soffrivo assai e avevo bisogno di dirvelo.Oggi incomincio di nuovo, e il foglio di jeri non lo voglio inviare più. Avevo jeri l'animo infermo, e non L'ho meno oggL

Soltanto sento che oggi non voglio parlarne.Come v'hanno dei giorni.


— 401 — in cui

bisogna piangere, ve n'hanno degl'altri nei quali

le

lagrime si

soffocano. Vi dicevo jeri che anche il modo col quale mi annunciate di non volervi spostare da costì, cosa ragionevole e giusta perchè d'ac-

cordo colle vostre affezioni maggiori, m'aveva fatto del male, poiché moltissimo me ne facea la minaccia d'un progetto che ignoro, poiché lettera antecedente all'ultima non ho che quella del 13 agosto, in cui

non v'è cenno né del novembre, né d'alcuna altra cosa nuova, che ho [lerò come minaccia d'un altro dolore, e che già come dolore irrevocabile e non

ignoto s'ta dentro di me. L'avere fissato un'epoca e

il

cer-

care,come fate,di mitigare con delle generalità e dubbiezze.m'è prova sicura di quel che prevedo.Vi mostrate pietoso con me dolendovi l'affliggermi, ed io penso per questo che già m'avete afflitta. Sicuro, voi

avete risso in novembre di partire d'Italia, qui finisco. Ricordatevi sempre che io vi voglio bene. Addio.

Fuori Al Sig.Marchese Gino Capponi :

Firenze

LXXXVIII. G. Mazzini

a G. Sidoli.

(Grenchen),? settembre 1835.

Mia cara, ancor io ho avuto un poco tardi, vale a dire due giorni dopo dell'ordinario, la tua lettera. Dopo quel che mi hai scritto, alcuna delle mie lettere intermedie si rende inutile, ma nel leggerle tu penserai che io non sapeva nulla,che non vedeva come comprendere la

tua maniera di spiegarti, ed ero tormentato in un

potersi spiegare per la vicinanza delle cose decise da

tere e quella che

modo da non te. Le

tue

let-

mi annunci mi fanno un bene Immenso ne ave:

vo bisogno. Sentivo troppi dolori, il cholèra, te, mia Madre, il Duca, tutto

faceva tempesta nella mia povera testate come se io avessi

qualche cosa di pesante e di mobile: m'è insopportabile il pensare,e

penso sempre. Intanto qualche .momento di riposo — di quasi riposo

—"un timore di meno, è qualche cosa. Perché mi scrivi come se tu non dovessi contar nulla nella mia vita? sai bene, che è il contrario sai bene che, tolto un caso, caso di stretto

;

dovere, caso per cui avrei

anclìe il tuo consenso senza richiedertelo, la mia vita è per te. Io non la rischierò per mio piacere

— la guarderò come in depositc.per nulla,

solo perchè me l'hai detto, solo perchè, benché la

mia vita sia nulla,

non valga nulla e noti ti serva per nulla, pure ti risparmia un dolore, quello della •o:

!•••

mia morte. Tu sola rompendo de' legami, che mi sono ;•••:•; -,pin<.n'rmt Mia Madre mi s.\frit1r;irl:\ ad altro ri

.


— 402 — ha scritto su di te, sulla tua lettera, che ha ben intesa ressa vorrebbe

ma tu non devi attribuire il suo silenzio del momento ad altre cause fuorché all'inquietudine, in cui dev'essere per il choléra. Si muore molto a Genova, e mio Padre è sempre in mezzo ai cholerici egli è rimasto, mentre un gran numero di altri medici è partito ha fatto bene, ma è ben duro il non poter adempire nel mondo un solo dovere, senza correre rischj mortali per se e per gli altri. Non ti nasconderò che sono inquieto, assai inquieto non ho mai sentito l'esiglio come adesso. Ti ho sempre davanti agli occhi, sogno di te, e i miei sogni non sono piacevoli. Questa notte tre o quattro uccelli notturni si erano adunati in un giardino vicinissimo alla mia finestra essi schiamazzavano, gemevano come fanciulli, che si voglia soffocare, mi facevano fremere per non so qual timore scriverti. Lo farà,

:

:

:

:

superstizioso, indefinibile. Tutto ciò sa di fanciullezza, lo so, ma la di-

sgrazia ha forza di colpire profondamente, di renderci superstiziosi,

non vorrei più muover nulla intorno a me, sa-

deboli, tremanti, lo

pere tutto il mondo in calma, felice per quanto può esserlo, ogni voto esaudito, fuorché

i

morire. Addio, non

miei, poi ti

non sapere più

nulla, farmi

stupido,

scrivo a lungo perchè, come vedi, farei un la-

gno continuo e perchè farlo? perchè inasprire i tuoi dolori? perché aggiungere qualche cosa al tuo malcontento? Ti stringo a me con ardore ed affetto. Curati. Amami finché ti é possibile. Addio.

LXXXIX. G. Sidoli a G.Mazzini.

Roma, 12 settembre

1835.

Mio caro, l'altro jeri ed oggi ho nuove di te, due lettere assai brevi, ed anche più melanconiche. Sono vivamente inquieta per il

silenzio che ti agita intorno a tua Madre e gli altri; ed il dolore de' tuoi

amici che ti stanno d'appresso e che in te certo é più grande, mi fa

concepire e spiegare lo stato, in cui ti mostrano a me le tue lettere.

uno stato che vorrei sollevare per molto de) mio vivere, e se ho sempre serbato il silenzio su ciò che mi è convenuto fare e sul sentirmi incatenata in Italia dai miei doveri, oggi ti dico che non vorrei esservi e che trovo in ciò profondo dolore. Almeno che non avvenga alcuna disgrazia ai tuoi amici. Temo molto per la loro madre: per la tua non dico nulla, perchè l'ho assai più nel cuore, e sentirei per essa il colmo del dolore. Quel che mi dici riscontrando la mia lettera mi È-

piace se

:

la

tua opinione è

la sola

che io vorrei seguire in quel caso,

pur si avverasse. Sì, là dove sorgerà conflitto, tempesta di diverse


— 403 — sensazioni, che tutte racchiudono per me causa di vita e di morte, te solo io invocherò, te solo riguarderò per aver norma di. sentiero, integrità di cuore; ma l'indulgenza, la tenerezza,che tu nutri per me non ti

rendano troppo compiacente,e non potrebbe anche e8sere,che perchè^

sono donna,tu usassi nel giudizio di me un'altra legge,un'altra misura, e che vedessi in me bene quel cìie non sarebbe che mediocrità ne' tuoi simili? Questo non sarebbe quel che attenderei dopo tanti anni di soffrire. Oggi

sto

meglio, ma, per

dirti

il

vero, sono

parecchi giorni

ma nojosi, e avrei potuto spaventarmene per il tempo che corre, ma non lo sono affatto. dacché ho dolori continui, non molto

forti,

Anche i miei nervi soffrono uno stato di singolare irritazione, e ciò nella mattina specialmente mi dà dolore, per tutto quel che mi accade, per quel che sento, per quel che penso, per tutto. Ti ringrazio di tua sollecitudine nello scrivere aD...(l):pensi tu là quando vuoi morire? In-

ferma, relegata, o trascinata e impotente,credi tu, che cotesto pensiero

non peserà sempre nel mio spirito ? Pure ascolta quel che sono per seriamente. So quel che costa sopportare una vita straziata,

dirti

come la nostra apparisce a noi stessi, ma non ho mai creduto che la tua dovesse sembrarti tale tinche io fossi vissuta, tinche non fossi sotterra.

.Mi

sono ingannata

lo

:

travedo da qualche tempo

:

non ne

fo meraviglia, né rimprovero; solo poiché tu sei giunto a questo puntò

ecco quel che mi resta a dirti :« adempì i tuoi doveri verso gli altri;

quando sarai libero, muori, se tu vuoi; io ti disciolgo per mia parte da ciò che puoi ed hai voluto dovermi. Sarebbe troppo per me il rillettere

che tu

soffri tante

punture, tanti mali: l'esistenza infine per

me sola, sarebbe un rimprovero — che dico? un tormento, una pena. Giacché che mai, che mai può compensare le fatiche di una vita,di cui

non se ne vuole più? Tutti e tre voi avete desiderio di morire, solo non vi accordate sul modo? Se non avessi pensato, che eri tu quello che lo diceva, avrei più che sorriso a questa linea della tua lettera; io credo che quelli che non sono d'accordo con te sul genere della morte,

non abbiano grande smania di morire ». Ascolta,Gustavo (2) è eccellente,ma caratteri com'è il suo ve ne sono molti altri,intendo dire ani-

me senisibìli.ma incostanti,non trafitte dall'una all'altra parte. Ecco una ridicola

maniera «^ parlare

:

a proposito ho capito che devo essere

meno negligente nello scriverti e devo esprimermi con maggior attenzione e chiarezza, poiché vi sono cose nelle mie lettere passate che hai capito assai poco ed io non vi torno sopra, perché

non vuol dir

nulla.

Qui di cholora non ce questione, come pure di vedere i tigli miei: (1)

Demostene Olivier.

(2) Gustavo Modena.


— 404 — a Livorno va male,ma come nulla,o quasi nulla nel resto della Toscana. Nel Re^no di Napoli si sta benissimo, ma vi sono rigori sanitari di

nuova singolarità. Il tempo non

è

cattivo. Crederesti

che B. non mi

ha più scritto da quattro mesi? Per gli altri miei parenti ciò è naturalissimo, e come sempre, ma per lui non so che pensai e,o per meglio dire non penso più a nulla, giacché non sento forse nel cuore che io

devo rimanere sola? Pure, se una volta, dopo molti anni, quando sarò morta, un uomo anderà esaminando le vicende ed i mali della mia esistenza in ogni parte, in ogni dettaglio e suo rapporto, s'avvedrà che io ho sofferto troppo

— sarà troppo tardi — allora io starò in pace.Oggi

non si sa che io sto al mondo, o solo quelli lo sanno che mi fanno del male; si sa, come un sogno, che io mi chiamo Giuditta: in qualche luogo rammentasi che questo nome esprime disgrazia: tu sai che io soffro molto, ma tutto quello che io soffro chi è che lo sa? Ed io

forse di

dirlo? Dimmi

amo

quello che tu fai: non potresti un poco lavo

rare (1)? conti tu forse di scribacchiare sempre foglietti, accidentalità, cose momentanee? parlo per azzardo,e secondo quello che va,del passato. Ora

non ho alcuna traccia del tuo vivere da molto tempo in

qua, ma se anche adesso è così, ti dico che tu devi alla nostra terra

natale un testimonio de' doni che ti ha fatto: un romanzo è troppo

poco per

te

— un istoria, quale? e poi come scriverla sull'orlo del

proprio letto (2)?— Filosofla,letteratura,non basta.Ahlquel Sismondi! quell'infaticabile lavoratore vorrei esser lui. Addio, amami. !

Fuori : A M.David Hemerling

— Berne. XC.

Gino Capponi a Giuditta Sidoli. Firenze, 12 settembre 1835.

Mia cara Giuditta, vi scrissi, e credo il 22 agosto, e vi dissi del choléra e degl'impedimenti a muovermi.Aggiunsi che, finito ottobre, io

non poteva rispondere con sicurezza di me,intendendo che alcune ragioni di famiglia mi avrebbero tenuto fermo.Vi' scrissi un'altra volta il

29,e perchè la prima temevo si risentisse del malo umore che mi ro-

deva, aggiunsi maggiori spiegazioni; e quanto agl'i^npedimenti del no-

vembre, li confermai come dubbio, temendo appunto

le interpreta-

zioni peggiori. Pare dalla vostra avuta ieri raltro,che la prima non l'ab-

biate ricevuta (è quest'ultima forse senza data) e che di più vi sia di•

spiaciuta.Io so con quale animo la scrissi, ma non so con quale ('l)Ne pourrais-tu point un peu travailler? (2) Sur le séant de son lit.

animo


- 405 — l'abbiate voi Ietta.So che la vostra risposta è una di quelle che m'hannofatto del

male.E non ne aveva bisogno, cara Giuditta.Il giorno che la

ricevei era quello destinato per mettermi in viaggio.Ora non ho nulla

più di destinato, nulla d'avvenire, vivo come talpa, avrei bisogno, non fosse altro,d'aria e invece non esco quasi mai di ca8a,perchè il morale lo curo meglio in casa, il tìsico non

m'importa. Ho poi cara quajito vi

bisogna,e m'è carissima cosa l'ubbldirvi.Del resto qui nulla,e a Livornola malattia pare che declini.Ma ve lo dissi così alla florentina,perchè

vedrete

— la noja,il sospetto,la incertezza,la paura,tutti gli elementi de-

primenti avranno azione lungbi8sima,direi maggiore del male in sè.Io^ quel che farò non so, né "posso saperlo.Uscita per ora non la veggo, e

conosco il mio destino che m'impania qui. Voi nell'ultima lettera discorrevi (sic) di lasciare Roma ; in questa nulla,fuori che le espressioni del

vostro malumore. Voi sapete, cara Giuditta, se io rispetto, se amo

i

vo-

ma perchè nasconderli,perchè mostrare invece un proposito stizzoso di nasconderli, nasconderli a me, forse me colpevole del

stri dolori;

vostro proposito,tentar disfare le povere nostre tanto piccine consolazioni, forzar me a dire o a pensare che avete torto? Voi,Giuditta,avete

torto, quando voi siete di mal umore.Scusate,Giuditta,per questi rim-

proveri; ma ho tanto gusto ad affliggermi per voi, che mi dispiace

troppo quand' io devo rigettare de' vostri malumori meno fondati.A proposito dimenticavo (fortuna che m'è venuto in mente) la cosa chfr

preme più. A uscire d'Italia non penso punto né poco,è impossibile ch'io possa formare un pensiero simile. So che una catena di ferro mi lega a queste mura di carcere, e non mi scosto per non sentirla. Vorrei non potermene scostare nemmeno col pensiero, questa è altra faccenda, e di queste cose vorrei parlarvi con confidenza, e mi sarebbe pur caro, ed anche sarebbe giusto che io potessi farlo con voi.Ma dite voi,Giuditta,8'io posso.Sicchè sentite, io dirò volta

per volta il più che sup-

pongo conveniente secondo le impressioni nelle quali voi sarete, studierò parole che non sieno male interpretate, anche la dolcezza dello scrivervi mi sarà perduta,non potrei intendermi nemmeno con voi,ma questo dovea saperlo.Voi mi direte ciò che vorrete, s'intende, ma se poi le mie parole, e anche i miei disegni soffriranno della delle parole vostre, e delle

mancanza

conseguenze d'alcune che fanno male, la

colpa non sarà mia.E malgrado tutto ciò, 8appiate,Giuditta, che io vi voglio bene, ed io non ve lo dico in fretta; e seriamente vi dico

come

e perchè a cotesta vostra testa indomabile voglio bene anche così ai sospetti e alle ingiustizie non voglio bene, a tutto il resto lo voglio

senza eccezione.Insomma ditemi se volete, qualcosa di voi; di

me sa-

pete ogni cosa, cioè della mia situazione.K dell'animo potreste sapere


— 406 ogni cosa,se voi mi lasciaste dirvelo.Ma voi ogni tanto,pare,vi studiate

non solamente a chiudermi la bocca, ma anche a respingere ogni sentimento e pormi nell'animo una confusione disagradevole e senza conforto.Almeno non vi scordate, se mi volete bene, di dirmelo.

FzioW :Sig.Giuditta Sidoli

Roma. XCI.

La madre di Mazzini a G. Sidoli a Roma. "

Da Genova li 12 settembre 1835. Mia ottima amica,

In mezzo alla sventurata tempesta in cui ci troviamo

non potei ri-

scontrarvi l'ultima vostra dell'I agosto. Spero vorrete perdonarmelo.

Oggi vi scrivo queste poche linee, per assicurarvi che noi tutti di mia famiglia, e quella dell'amica stiam bene: che

il

morbo dopo orrenda

strage è in diminuzione, e che a senso de' nostri dottori si spera che in

pochi giorni abbia a cessar del tutto. Dio esaudisca i nostri voti! Della

mia nipote lontana (^1), di cui voi siete cotanto buona amica,ho recenti notizie che dessa stava bene solo mi è spina al cuore la sua agitazione :

per noi scrivetele, e fate di confortarla, incoraggiatela a sperare 11 :

bene da quella provvidenza che ci amò sempre e non ci abbandonava

giammai nella serie tutta di nostra lunga angustia fatelo,ve ne priego. Quanto all'oggetto che nella vostra m'indicavate circa all'angustia finanziera, in cui la mia Emilia (2) si trovava, venne da me supplito a :

quB!?to quindi sia a vostra quiete,ed abbiatene la naia riconoscenza pel :

tratto amichevole che io ne scorgea nell'avermelo voi accennato. Scri-

vetemi una sola linea di voi e de' figli vostri, e tenete per fermo, mia

buona amica, che Dio un giorno ci farà tutti consolati nel vicendevole ci ha riserbati. Addio, amate quanto vi ama

abbraccio di gioia a cui l'amica vostra

Maria. XCIl.

G.Mazzini a G. Sidoli. (Grenchen) 13 settembre 1835. Cara, ho la tua del 29 agosto e se il tuo essermi dolce non mi facesse dolore quasi quanto il tuo essermi irata e severa, non potendo (1) Giuseppe Mazzini.

(2) Giuseppe Mazzini.


— 4()7 nomi la mia Giuditta; ma quando io ti avrò chiamata de' più dolci nomi che io mi sappia, tu sarai forse in mezzo ai pericoli del cholera e peggio morrai ed io pure o subito o non moHo dopo, perchè, vedi, quantuoi desiderj, quand'anche volessi far d'anche io volessi seguire

abbracciarti, ti ringrazierei e chiamerei dei miei più dolci

i

forza a me stesso, lasciarmi trascinare da un'illusione. come quella di

accostarmi un di a tuoi tìgli e dir loro piangendo la tua storia e il tuo cuore, e ciò che per loro amore hai patito, e dirlo ad

altri, e

morire,

mio santo legato, lo potrei io? Credi tu che io dopo te possa vivere lungo tempo? io so che tu sei necessaria alla vita; io so che lontano anche come tu sei e sorgente per me di continue inquietudini e di continui dolori, mi sei cara non solo, ma dolce, anche scontenta, anche irata, conforto e quand'anche io ti scrivo malcontento, e come sdegnato, non dimenticarlo mai, mi sei conforto.unico conforto alla vita sicché, se tu muori, io morrò; anche ov'io non m'uccidessi, morrò; e sapendolo, sentendo la vita un peso da non sopportarsi cosi, mi torrò forse di morire in un modo che renda testimonianza, non fosse altro, dell'animo mio e delle mie credenze politiche, ma di ciò sciolto questo

lasciamo.

Mo sognato tutta notte di te; ma in un modo sì rotto, sconnesso ed incerto, che

non potrei raccozzare più sillaba: da più notti sto in-

quieto, nervoso, mi sveglio subitamente trasalendo,mi par di udir voci

che mi chiamino e allora svegliato appena, rispondo e chiamo poi :

mi avvedo subito e sorrido di me stesso — e ti dico queste cose per dirti tutto, non perchè io n'abbia male oltre la notte. Sto bene, ti giuro e non risento conseguenze di questa mia irritazioncella nervosa che passerà forse tra giorni e che, come sai, non m'è nuova.— Il cholera infievolisce, mi

dicono, a Genova

:

ho perduto conoscenti e pa-

ma nessuno che mi fosse vincolato di vero affetto,oche io amassi dawero.Oggi ho lettere di tatti di casa fuorché di mio padre, ma in renti,

lui il silenzio non è indizio di male spero che il choléra lasci Genova senza toccarmi persona cara. Ma e tu? dove vai? perchè vai? io non ti dicQ nulla, bensì riflettilo tutto o nulla.O tu hai modo di raggiungere i tuoi bambini, ed io oltre a ciò che ho detto non dico: tu mi ami,anii tuoi figli ;8ai che devi non cercar di raggiungerli per morire, ma di raggiungerli un giorno per vivere e vegliare sa d'essi — o non ;

i

devi, non intendi recarti per ora tra loro e allora perchè andresti in

cerca del choléra invece di fuggirlo per essi? 11 chokM'a uccide rapida-

mente e tn,non immediatamente vicina, non raggiungeresti chi fosse assalito dalla malattia. Del resto io tremo per te, non pe' tuoi figli:

aon troppo giovani ancora e troppo innocenti

— non v'è terreno pel


- 408 — morbo! e infatti vedi come nelle città anche più tormentate muoiono

— da più tempo cupo, scuro,

pochi ragazzi. Aspetto tue lettere. Qui siamo in inverno giorni

il

freddo

è

insolito, piove, fa

vento, un

grave da non idearsi. Ho meco, mentre io ti scrivo queste poche linee, Us...(l) venuto

a vedermi per ripartire immediatamente conGiov.;ti

saluta e ti prega a serbarti se puoi. Rimane meco Agostino.

Sto dove sono per ora, perchè non saprei dove andare: per tutto

son conosciuto da troppa gente e per tutto nojato da queste pseudopolizie buonissime e innocenti per se stesse, ma serve del

basciatore a cui piace lagnarsi e minacciare siffatte

:

primo Am-

ora lagni e minacce

non mancano. Se il choléra svanisse d'Italia, se io potessi ri-

pormi per un po' di tempo l'animo in quiete! Forse alcune circostanze probabili mi stringeranno ad un viaggio fuori di Svizzera. Ma di questo, ove occorra, parleremo più tardi. Cosi

non so nulla di me

vivo alla giornata. Tremo quando non ho lettere, tremo quando ho lettere, tremo Si

sempre

:

sto

muto e stiamo muti

le

intere giornate,.

vive male, ma e tu? povero angelo tormentato! potessimo almeno

vivere, soffrire e morire insieme! Ti abbraccio. Amami.

xeni. G. Sidoli

a G.Mazzini.

Roma 17 settembre 1835. Per non tenerti nell'inquietudine ed aggiungerla alla tristezza che mostravo,non ti ho detto nell'ultima mia che stavo attendendo una risposta per partirmi di qua: l'ho avuta favorevole ed in un modo il più cortese. Volevo scrivertelo subito nell' ultimo corriere, non l'ho fatto

per non mostrare gioja in me, mentre in giorni come questi tu hai forse perduto qualcuno de' tuoi tremi sempre per tua Madre,per quella :

prossimo mese, prima che volga la metà, conto di abbandonare Roma, non ^enza dolore allora io mi troverò ben vicina de' tuoi amici. Nel

:

ai miei Agli,

ma li vedrò per questo? Mio Dio! quando verrà adunque

un tal giorno,in cui possa riabbracciarli ? e quale ne sarà il dì seguente ? per me non felicità ma riposo ? Giacché sento in me spesso un gran turbamento,benchè non reagisca più contro il mio de-

vi sarà in esso

stino, non aspiri più verso certe fantasie dello spirito e del cuore. Vi

sono de' momenti di una spossatezza ardente, noj osa, ne' quali dovrei avere o la lestezza del lampo o l'immobilità assoluta della tomba, ne' quali questo passo lento, questo tintennamento

monotono della vita

non può più sopportarsi vado errando altrove, sento leimagini fan:

(1) Usilio.


-'409

tastiche di un doloroso delirio. Ho continuato ad avere delle coliche,

come ti diceva ultimamente sembra che abbia qualche incomodo nell'utero e l'attribuisco a non essermi bagnata abbastanza, ma il tempo :

era cosi incostante che i bagni mi avrebbero fatto danno, e me ne

sono astenuta. Non vi è qui choléra. Vedrai che, se viene a Bologna, io

non ne morrò certo. Vorrei essere cosi sicura di tutto quello che

hai di caro nella città de' tuoi natali Mio Dio, mio Dio ! scrivimi, te !

^

ne prego. Addio, fa di amarmi anche presentemente: io ti amo, e se per oggi non so bene come e quanto,basterà che mi rammenti quel che io ho provato circa un mese fa,quando travedeva di non avere più notizie di te. Non te

ne scrissi una parola, anzi al contrario ti scrissi

allora come se il pensiero di te non contasse più nulla nel mio essere

e nel

mio cuore mi piaceva mostrarmi cosi, lasciare che io fossi :

giudicata,biasimata,condannata, mi piaceva tacere.

Ho avuto istanti di un dolore assai profondo, ma mi sono ben astenuta dal lasciar sulle mie lettere le trsu^cie delle mie lagrime mi pia:

ceva esser così, il perchè non lo rammento. Ti abbraccio.

XCIV. G. Iridali a G. Capponi.

Roma, 19 settembre 1835. Caro Gino, poco fa ho ricevuto una vostra lettera e sono contenta. Solamente mi tormenta il pensare quanto tempo ancora mi toccherà aspettare prima di averne un'altra.E mi dispiace che voi mi abbiate intesa cosi malamente e abbiate interpretato mal

umore ciò che era

ben altro.Poichè non partite e poichè.avvezza ad avere sempre dolori, io mi Hono ingannata, figurandomene un nuovo, che proprio non avrei

voluto a alcun patto, vi chieggo scusa pel male della mia lettera; purché voi non facciate proponimenti di sostenutezza, gravità e disa-

morejo ritorno un poco ^avia, all'ugual modo di prima.$e voi sapeste, caro Gino, quello che io ho sofferto in questi giorni aspettando la vostra lettera, non vi dorreste del mio dirvi brevemente e in fretta

come vi voglio bene.Non vi scrissi stizzosa, bensì rammaricata aasai: dovevo parlare con voi d'un dolore,che mi veniva da roi stesso? dalla vostra volontà, come sarebbe stato il progetto che ho sospettato e che

mi ha fatto tanto male? Ho taciuto altre volte e non mi dovea essere diffìcile essendovi lontana, e poi come dolermi, con che dritto! Quanto ho in cuore per voi non m'ò garanzìa né misura da giudicare

più

voi verso me ; e avrei potuto con ciò che di più semplice e più naturale

mi sarebbe sfuggito dall'animo parervi strana, pazza, bizzarra.Parlare

n IUtorg.iUU.,Xl-Xn

»


— 410 — poi per muovervi a compassione né pùre;éhè le iagrime,(;|uando non le reprimo,iK)sso nascondèrlé.E ciò sia: détto una volta per sempre,se mai

dovesse accadere di fare voi o dire di quelle cotàli cose,per cui il mio silenzio vi sori)rendesàe.La Vostra lettera mi sarebbe carissima,se non

mi mostrasseùn pi'oposito di serietà che mi spaventa.Povera me guar!

date se merito una penitenza non solamente senza il peccato, ma dopo

un dolore.Siate buono,mio caro Gino. Ditemi tutte quelle belle cose che mostrate alle volte aver voglia di dirmi,perchè se'esse sono per il bene

che vi porto, le melato molto, ve lo assicuro. Ho cominciato in sogno a volervi bene, ma destai poi ho continuato sempre,e anche quando V. S.

né ci pehsàva,nè' lo meritava.E questo in mie e vero prodigio, miracolo, destino,fataUtà,che soglio sempre essere prima a disamare, in amare

seconda. Sentite Una bellissltiia cosa e menò stupida, perchè non mia.

Ho chiesto ed ho ottenuto di andare a Bologna e il mése venturo me ne anderò. Capite che io sarò vicina ai miei figli come mai dopo partita io ancora lo sia stata, e anche dà costì non sarò troppo lontana;

ma a

rivedervi non ci voglio più pensare perché divento inquieta,convulsa,

un po' pazza in flne.E non vi venga timore de' rischi che io possa correre per la vicinanza di Modena e per l'accaduto mesi fa dell'estradi-

zione di due

tre individui

:

io penso che il Duca né s'occupa,nè vorrà

torsi pensiero di me.Se poi mi chiedesse, ne sarei avvisata.Scrivetemi

subito,perchè è già troppo il tempo,che perdono le lettere per istrada (la vostra di stamane è del 12), senza che s'aggiunga

a tormentarmi, a

farmi stare tiggiosa, irrequieta, kneìie pigrizia, ó noia, o svogliatezza vostra. Qui stanno bene e sono malati tutti come ài solito. lo ho già da

quasi dieci giorni continuamente dèi doÌori,fo di tutto per non averli, mia è sempre lo stesso.Sóno sicura clVe la lana la portavate già prima,

che quél gran merito d'obbedienza non è poi che continuare quanto era adottato non importa, m'è caro assai, che lo facciate, e mi diciate, :

e vi sia caro obbèdirini.Mà perchè poi fate quella vita, restate tanto in casa ?Ditemi,làVorate? scrivete? e per questo dovete ammazzarvi?

quell'altra stranissima cosà di' dire che il fisico non v'importa, vi pare

essa da scriversi a chi purè Sapete avreìibe beh altro bisogno che di

sapervi malato ?"E voi la pensate simil cosa? Io mi sono sempre doluta di essere si

misera cOsa, e assai me ne dolgo anche adesso, mentre

vorrei essere qiiàlche cosa jJér vòi,e non posso essere nuila.Ma ricordarvi che una '(lonnà lion felice ha dolcezza; nel pensiero di voi, può "

esservi nulla?

M'avete taciuta la morte di Nobili; l'ho saputa dal Temps.Essa m'ha colpito come m'avesse strappato qualche cosa dal cuore. Avevo amato

Nobili assai. Egli mi dispiaceva per moltissime cose,ma per molte anche


— 411 mi piaceva.Mi pare poi per l'Italia perdita gpave,voglio dire per le scienze fisiche e matematiche. Voi avete voluto risparmiarmi un dolore e ve

ne sono grata; pure avreste dovuto dirmi che era malato, cliè la morte non m'avrebbe cosi aspramente sorpresa.Assolutamente una vostra lettera è stata smarrita,ho fatto delle ricerche,ma inutilmente. Dite che di voi io so tutto ; io trovo invece che non so nulla e vi prego assai a par-

larmene. So dove state di casa, che avete una madre e due figlie, altro

non so. Ditemi un po', fate all'amore? Sarebbe ottima cosa in simili tempi, per fuggire il timore del choléra,ma penso che,no.Addio,caro Gino;

mi nasce alle volte il sospetto che sia erroreil vostro credere di volermi bene,come alle volte lo è stato in me per certi affetti d'immaginazione, che breve tempo e corto, esame distruggono.il tempo non lo temo più, temerei una più intera e recondita conoscenza.Ho del buono che

si

vede e può piacere assai ho anche del male che si vede e dispiace ;

meno però che non piaccia il bene.Ne ho poi di quello che non si vede, che fa cadere la bilancia, e supera d'assai ogni cosa di buono Jo non potrei soffrire di accorgermi una volta che voi mi vorreste men bene;

piuttosto amerei dubitarne adesso,e

che non incomincio di ieri,

ma ora penso così. Esaminatevi adunque tutte le volte e a tutte le parole che mi scrivete.Se a un tratto vi mostrassi de' bruttissimi peccatle delle tendente

viziosissime del mio animo, avreste voi abbastanza di bene di

me da

mettere contro,da non essere, tutto sorpreso e forzato di rinvenire non

solamente dal vostro giudizio di me, ma anche dall'amor che n)i portate ? Direste « mi sono ingannato » e finireste, anche senza volerlo, a

non volermi neppure più un'ombra di bene.Tutto questo può succedere: cosa mi risponderete ? Addio, caro Gino.Questa volta davvero, che vi

debbo avere annoiato. Vogliatemi bene. i-'Mor» :Sig.Marchese Gino Capponi

Firenze \('V. G.'ilfazzini a G.Sidoìi.

(r.renchen),22 settembre 1835.

Prima

di

tutto, che

io

ti

dica la cagione del

stato per qualche giorno assente -^ è stato ritornato. Avrei vizio trarsi

voluto

scriverti,

mio

necessario

;.

ilenzio.Sono

— ora sono

ma in quei piccoli paesi il ser-

un modo orribile. Bisogna inconcon il portatore delle lettere, di cui non si sa il nome, per es-

della

posta è eseguito in

sere aicuri dell' invio. Una lettera per l'Italia è un affare di Stato.


— 41 — ià

Amai meglio

aspettare. Ricevo, nel

mio ritorno, la tua lettera del

giorno 5 settembre: ora le tue

camminano più lentamente. Tu sei,

mi dici, nello scrivere leggera

e

vana. Volesse Dio e guarda qual !

desiderio sono costretto di fare? ciò è perchè la vita, considerata

seriamente, è ben

triste, ed io, come tu hai rimarcato, lo

sento assai

profondamente per me e per gli altri del resto questo non è che per ridere. Né tu, né io possiamo esser vani e leggeri: tu eri ben altra cosa quando hai scritta la tua lettera essa é scritta in un :

:

modo come se tu volessi burlarti di alcuno, di te stessa. Ho perduto ogni facoltà e volontà insieme di spiegarmi, di quel che mi sta nel cuore, tu quella stessa in

d' intendermi, di

dire

parlare a te

mia vece. Quando sono cupo, malinconico, o incoerente,

sento nel mio cuore così vivamente quel che tu

soffri, che vorrei realmente poterti cangiare in un essere vano e leggero: tu non sa-

resti allora più la

mia Giuditta, ma saresti meno

infelice. Non direi

così, se noi potessimo essere infelici insieme : piangerei con te, ti aiu-

terei a soffrire: non penserei Il

ad altro.

choléra diminuisce a Genova. Tolto Genova e Cuneo, non credo

che la

di

lui

intensità sia stata o sia grande altrove. Si esagera

molto. Fino ad ora la Toscana ha sofferto poco. Adesso che

il

fla-

ha diminuito la sua gravezza, penso che mia madre ti scriverà, seppure non ti ha già scritto. Mio padre mi ha scritto alcune linee per provarmi che non vi era nulla di serio in una leggera indisposizione che ha sofferto. Ti dico questo, perchè ti rammenti che da un tempo immenso non mi dava sue notizie. Sì, quelli che scrivono meglio in Italia sono ancora i Lombardi; ma anch'essi formano un piccolissimo numero, ed hanno molta mollezza, nulla di forte, di vigoroso uno stile da Cristiano rassegnato» del resto non leggo nulla. Si è impressa a Parigi una Prefazione di gello

:

un Giornale letterario storico sotto il titolo di Biblioteca Stranieray composto, se tant'é che si realizzi, da una parte originale e da una parte tradotta delle migliori raccolte Inglesi, Allemanne e Francesi. Quello che vuole intraprenderlo è un libraio di Parma, per nome Pastori. Ignoro come si regolerà per sostenerlo. Non vi è nulla che io possa fare: egli mi ha diretto il Prospetto pregandomi d'inviargli qualche cosa. Si stampa anche a Parigi un Quadro Storico dell'Italia del Nord, opera di un tal Canuti dello Stato Romano. È sotto torchio un drannma. storico Alessandro de' Medici :VaLutoTe è un giovane Genovese, per cui sono ben dolente a tuo riguardo, giacché il dramma racchiude, a mio parere, grandi bellezze ed é quello


— 413 non ti

stesso su cui Gustavo (1) ha scritto l'articolo nel Temps, che

è piaciuto.

Gustavo trovasi con la sua sposa a Strasburg: sembra contentistollerato, ma sempre provvisoriamente, per indulgenza, per

simo è ;

deferenza all'artista.Egli pretende che nell' inverno anderà ad aprire

due corsi, uno di letteratura italiana per le dame, l'altro di Diritto

Romano! Tuo fratello ha

lasciato

Ginevra per Parigi. M. de Montebello,

ambasciatore di Francia in Svizzera, è ora giunto munito

di

mille

reclami contro non so chi e non so che. I Governi di qui sono

di-

hanno paura: ma da ciò non verrà che un bel in questi giorni minacciato della visita di un

sposti a tutto, perchè niente. Sono

stato

uomo, nativo niente meno che della Scandinavia, che io conosco, che è stato con

me in circostanze assai serie, che è poeta, dotato di

molto talento e di una immaginazione viva, esaltata, e che pretendeva stabilirsi presso di

me, sotto il medesimo tetto, per non so quanto

tempo. Io gli ho scritto che non poteva vivere con alcuno, che non faceva eccezione fuori de' miei due amici d'infanzia, che io aveva un

bisogno estremo di essere solo, ch'egli era più forte di me, che avevo

molta stima ed anche un poco di affetto per lui, ma che il coabitare insieme ci avrebbe fatto perdere mutualmente uno nello spirito del-

non è venuto da me, benché a due passi di distanza. io, la misura approssimativa delle mie disposizioni abituali, a te che mi dici debole e vittima delle convenienze. Fa caldo; il buon tempo è tornato. Le Alpi si disegnano sull'orizzonte con una nettezza, con una purità, che non ho mai veduta. Le guardo molto, voglio dire guardo dalla loro parte, dalla parte del mio paese, del tuo paese. Seguo le nuvole: sento sempre più, che non voglio morire presso lo straniero. Sto bene, ma dormo poco ed agitato. Mi curo , di quel che non ho: evito tutto ciò che mi riscalda e m'irrita, non per bisogno di salute, ma perchè ogni piccolo malessere fisico aumenta il mio male morale. Ora ne ho quanto basta...Voglio restare quel che sono sino al mio ultimo giorno. Voglio essere abbastanza forte nel mio morale, perchè alla prima crisi di dolore, tale quale può venirmi da Genova o da te, io possa morire, se voglio, e nel modo che voglio, ma non di venire pazzo. Bevo l'acqua di Seltz, \>oìcììè quella di qui non mi piace. Nel restante nulla è cangiato nella mia vita dal come te la dipinsi qualche tempo indietro. l'altro. Egli

Questo darà, credo

Agostino resta molto nella sua stanza, tutta la mattinata (1) Oastavo Modena.

:

la

sera


— 414 — a dieci ore siamo quasi sempre separati. Ho fatto a te: te ne ringrazia e fa altrettanto. Mi richiede

lui

i

saluti di

spesso tue nuove.

Generalmente è un poco malinconico. Usig.....aspetta, credo, suo fratello

che a quest'ora deve aver

la-

sciato Corfù.Ti abbraccio. Addio.

XCVI. G. Sidoli

a G. Mazzini.

Roma, ,23 settembre 1835. Mio caro, mi ero proposta di scriverti a lungo, di ragionare un poco mia anima e della tua, di starmene quieta nella calma che

della

provo da ieri in poi per l'ispirazione celeste che mi dà

la

memo-

ria del tuo amore ; mi era affrettata nel vestirmi per avere più tem-

po e sono venuti a darmi noia, e l'ho perduta. Ti scriverò dunque poco, ma se queste poche linee non ti daranno alcuna dolce emozione, mi dirò che non ti ho bene espresso la mia anima, che la tua non partecipa più le impressioni della mia. Io mi sento come desta da un sogno lungo e fatichevole ad una voce a me cara che mi appelli dolcemente è la tua, sei tu, che vai ripetendomi < mia Giuditta, io t'amo». Mi scrivevi con tanta tenerezza nella tua ultima, mi parlaTi con tanta semplicità di quel che provi per me, che hai :

sospesi

i

miei pensieri e li hai svolti dal cammino arido e melan-

conico ove s'inoltravano. Sono riconciliata

coli' esistenza, e

non

ri-

guardo più con odio i giorni' che devo vivere ancora: forse a questo stato

ha molto contribuito l'aver io ottenuto quel che desiderava.

Non vorrei esserne tolta così presto, ma sentirmi come sono per te, è solo per te^se lo' posso. Ho avuto in queir istesso giorno lettere"^ di tua Madre che mi dice il choléra diminuire di molto. Tuttavia da quel tempo può essere accaduto qualche altra cosa per cui debba tremare e tu sii preda della più dolorosa tristezza. Mio Dio!

rammenta che tu mi ami e che ciò dà colla sua idea un qualche riposo alla mia vita malmenata scuotiti, vinci la tua malinconia, :

non altro in vista del dolore che a me giunge al pensiero del tuo. Sii per me com'è l'iride in un cielo tempestoso non obliarmi, se

:

non volgere altrove i tuoi sguardi: no, no, tu hai del mal umore verso di jne, io lo dimentico dimenticava che io non sono quella, che avrei dovuto essere per te, ma tronchiamo o termino di parlare. Di salute sto assai bene, ma ho sempre dei dolori che io credo di utero e di più, benché usi rimedi, il cambiamento della stagione mi ha dato nuovamente il mio male ai labbri. Non ho fissato il ;


— 415 — giorno della mia partenza, ma penso che il tuo riscontro alla pre-

non mi troverà più. qui: l'avrò nello, stesso modo. Nulla nuovo sul choléra:bo su ciò notìzie dei qiiei figli è meglio che mi taccia per oggi. Achille mi ha scritto insieme ai due nipoti sente di

:

che stanno in collegio con

lui : vi

è in quelle tre lettere qualche

cosa di sì profondamente satanico, che mi dispera, mi. dà dolore, odio, avvilimento, che sconvolge la mia anima. Vedi! io qredo che d'in-

torno a me vi sia un raggio

tometto

ai

Ui prestigio, di potere, c^ie talvolta ^sot-

miei desideri, alia mia volontà. :yi è di

me un potere feroce, invincibile, contro

cui nulla

.sopra jdi

pi(i

mi difende, e

la

lottaè desolazione, morte. E i mi?i penso che nel lasciare Roma, d.Qve U mio spirito- stato un poco trasportato a studiare l'antico, e nell'andare a Bologna voglio tigli..... basta,

CUI

io

basta; ascolta,

.

dedicarmi un poco al medio evo. Comunicami un poco

le

tue idee

mie letture e dammi i tuoi consigli. Mi sembra talvolta che io dovrei mettermi, se non altro, a studiare per scrivere qualche novella per i miei tìgli, ma bisognerebbe riflettere; ciò mi toglie ogni

sulle

coraggio. Quel che non mi viene subito non viene più, e siccome

ho una vita di episodi ^d uno spirito ripieno di mas'si me, credo che ditlìcilmente sarei capace di quel che dicesi un capitolo ; e poi scri-

vere l'Italiano? ecco un' altro studio da farsi. Adc^io, fa d'uopo che .

ti lasci.

Vorrei poter venire a parlarti un poco. Mio Pio! come

8ai;^i

con-

tenta di rivederti Ti abbraccio. Amami, te ne prego..Si, mi hai detto !

che Gustavo si è ammogliato. f*?/on M. David Hemerling :

Berne XCVII. ('.Sidoli

Rome, 26 septembre

ad Achille Bischoff.

1835.

Mon cher BischofT,tu m'as fait la loi en gardant le silence, et je n'ai point

voulu l'enfreindre.Je t'écris aujourd'hui pour te dire une

chose qui me fait un véritable plaisir, que j'ai obtenu, d'aller à Bologne. Je quitterai

donc Rome sous peu;tu voudras.j'espère.me dire

près de qui je pourrais trouver un crédit à Bologne, et m'y écrire

à mon adre88e,po8te restante.Comme j'ai un mois ardere, je ne compte point prendre d'avantage, que celui-ci et le prochain.En pensant à 8i seneux et si long.je me suia dit que bien oertainement cette fois il n'a point la couleur de paresse et d'oubli comme

ton silence


— 416 — exanimé ma coscience vis à vis de toi, encore je n'ai me l'ètra merité.Je ne m'en suis plus plainte, parce que dans ce monde je ne me reconnaia droit qu' à la ju8tice,et qn'ici

les autres.J'ai

point vu

il

n'y avait que faveur et amitiè de ta part, dont tu étaia le maitre,

et dont tu

peux disposer à ton gré.Je me suis tue, et je n'ai point

cru faisant ainsi me mériter tes reproches, mais suivre la ligne que

me tragais. Tu me feras un très grand plaisir si en m'ecrivant, corame je te prie, tu voudras bien me donner les nouvelles de Char-

tu

lea,Louis,Lalle3 et Achille.Si tu peux,fais de sorte d'oublierles griefs

qui te font étre ai sérieux envers moi. Ilest digne de toi au moins

de me les cacher, puisque moi je te dois et porte reconnaissance. Adieu.Je t'embrasse et te recommande de m'aimer.

Fuori: Mona. Achille Bischoff.Milan.

xcvm. Gino Cappóni a Giud'tta Sidoli. (Firenze),26 settembre '35.

Ricevo in questo punto, mia cara Giuditta, la vostra lettera e rispondo subito. Questo vostro andarvene a Bologna fino da quando cercaste venire a Roma lo trovo naturale, e capisco che vi dia gioia, e vi lodo, e vi approvo, e me ne rallegro per voi, che almeno avrete, povera Giuditta, le nuove de' vostri figli spesso e sollecite, e potrete

anche vederli; e non ostante gli esempi che mi citate, e a' quali anch'io pensava, e credo vi sarete vicinissima, e in atmosfera più vasta,

almeno più vicina alla vostra. Per. me questa vostra traslocazione mi affligge cioè, intendiamoci bene, io non m'affliggo più

di

nulla,

perchè non ho pretensione di godere mai di nulla. Veggo spegnere

uno a uno quegli anni lontani, i quali talvolta ho

la

fiacchezza di

vedere in pochi momenti d'illusione veramente fanciullesca, che pos-

sono una volta avvicinarsi e cavarmi da queste tenebre puzzolenti;

ma ci sono poi tanto avvezzo ormai e tanto certo di non potere più sperare mutazioni alla mia vita,e giungerebbero troppo tardi,che

ognuna di queste illusioni codarde mi comparisce soltanto come un avanti morbo di ragione, e un ritorno alla realità nella quale ora studio solamente a farmi uno stupido piacere d'abitudine, un mestiere che mandi innanzi la vita, come quella d'un meccanico, d'un lavoratore a giornata. Se avessi gusto a mangiare, a giocare, a guidar cavalli, farei tutte

queste cose senza averne scrupolo né rammarico.

Fare all'amore, per Dio, no (1); nemmeno pensarvi; fuggirei ogni simile (1) Gino Capponi era allora sui

43 anni, e padre di famiglia, e nonno.


— 417 — yaneggiamento come

pestifero, vergognoso, disadatto. Ho tra

de' lavori letterarj stupidi, materialissimi. Sono tutto

in

mano

questi, non

ho materia di conversazione fuori di questi, e perchè in Firenze non nemmeno un pedante per discorrere di queste cose, non discorro

v'è

con alcuno, non esco di casa altro che a bujo per vedere le figliole

;

e se devo escire prima per qualche affare, bestemmio ; se discorrere

mi è rimasta nella mia quietudine. Anche gli studi più vivi che importino qualche cosa, che abbiano relazione con qualche cosa, li sfuggo come l'amore.Questi sono un aromatismo pel tempo che corre, come l'amore per me. Ecco tutta la mia vita, ora la sapete tutta.Non buona per la salute, ma che volete voi che io faccia? Non mi vanto d'un martirio volontario, d'altra cosa, bestemmio questa sola intolleranza :

né eroico; ma ogni altra cosa sarebbe peggio, ormai lo so.E quanto a a me; anzi mi fa un

voi. la vostra andata a Bologna non vi ravvicina

effetto molto contrario, e voi l'intenderete

come me,cara Giuditta.A

Roma mi era promesso un mese o due di serate passate con voi e qualche passeggiata che io mi trascinava innanzi con un certo gusto, con

un lume di speranza (come se simili cose potessero entrare nella mia non

vita, sciocco, insanabilmente sciocco): a Bologna è un'altra cosa, e

se ne parli più. Anche in questi ultimi giorni discorsi, che io subiva, di

quarantena abbreviata,di choléra che spariva.mi avevano fatto vaneggiare un'altra volta; e anche immaginazioni

si

facevano come. una

specie di cucina (?) in un canto (?) di 16 ottobre, sul quale avevo fatto di-

8egno,disegno dei soliti ; e già anche il colèra mi pare di vederlo cammi-

nare carponi sopra questa terra, dove nessuna cosa cammina a testa alta, e ogni tanto mette fuori il viso in qualche loco,cosi un pochino,

anche jeri sera due altri casi qui in Firenze,dove da un pezzo non se ne aentiva.Ed io non mi muovo di Firenze nemmeno per pigliare un po' d'aria, perchè così bisogna che faccia per causa della famiglia,per non

«ssere in pena l'uno dell'altro. Sicché tutto l'autunDo.e chi sa quanto, starò in città.Finisco ogni discorso di coléra,anderò a Varramista (1) e vi starò quanto

posso

e, se

potrò, lunghissimamente, solo, chiuso, per

fuggire almeno ogni noia di fuori.ogni occasione di rabhia.cioè di vista,

« affogarmi tutto in quel mestiere che ho detto. Voi m'imagino non passerete di Firenze, di dove,oggi è un anno, faceste la bella cosa di partirne,e credo farete bene.Dunque,mia cara Oiuditta,ditemi soltanto

quando io devo cominciare a voltare le mie lettere da mezzogiorno a tramontana, e questo è tutto quello che importa dirmi. Quindi la interrogazione rivoltagli dalla Sidoli (/W^.CXIV) è veramente ridìcola.

(l)Era la villa del Capponi.


- 4.18 — Equi dice che le lettere saranno d'ora innanzi meno frequenti ; che se la Sidoli sente per esso minor bene lo dica, che non si stupirà^ né se ne affliggerà, non affliggendosi pia di cosa alcuna; che essa si

fàccia coraggio, curi la salute etc. Vi chiedo,Giuditta,che voi non lasciate Roma come si lascierebbe Fi-

renze,senza fare qualche pas8eggiata,e senza poterla poi ripasspggiare col pensiero, se pure volete concedervi questa distrazione, che io

non

sarei tanto severo di negarvi; e vi sono delle passeggiate in Roma,alle

quali penserò di qui e da Varramista come se le avessi fatte,e appunto

doveva farle in questi giorni.Ma* di queste, se le fate, non m'importa che me ne parliate.Le. vostre nuove m'importano e le aspetto sempre con desiderio. Addio, cara Giuditta. lo vi sprissi due volte ne' giorni che v'indicai, Nell'una dicevo la fine di ottobre, nell'altra

dopo novembre. Che una sia perduta è brutta

cosa.

XCIX. G. Sidoli

Roma, 1 ottobre 1835.

,,

a G.Mazzini.

,

Siamo già '.in ottobre. Resto perduta nel breve tempo, che deve scorrere innanzi la mia partenza trovo in ciò un tormento, che prima non avevo. Non so come possa scriverti ho una ayogliatezza singolare: pure è stato troppo il bene che mi hai dato colla tua ultima lettera perchè possa dimenticarlo, e non te ne ringrazii. Quella lettera mi ti mostra come ti vorrei sempre e come vorrei tutte le tue ;

;

lettere, triste, melanconico, con

l'impronta del nostro dolore, ma in-

sieme con quella espressione di dolcezza che spande in chi la sente

un sentimento di vera e viva tenerezza. Ma dimmi? perchè vorresti un pensiero di te solo? Non vuoi consultarmi ? direi,

tu viaggiare? è no. Dimentichi

forse

i

pericoli che ti circondano

ne prego, non discostarti se tu mi :

da ogni parte?Te

dici «non voglio consultarti» e

perchè questo? è forse perchè io posso e potrei distrugger^ le ragioni

mi ricerchi per misurare mio timore ed il mio coraggio? lo ti dico, temo tutto, diffido di tutto il mondo,porto dubbio come peri tuoi decisi nemici, fanatici, crudeli, così pef i tuoi amici imprudenti: sono inquieta, ed ogni qualvolta accada ciò, lo sarò mille volte di più. Ma hai tu forse bisogno di cotutte in forza delle quali tu vuoi agire ?o il

noscere questo? Perchè mi dici* ne parleremo ?> È perchè vuoi rassicurarmi, dispormi a te? Sarà inùtile, e sarìa stato lo stesso l'annun-

ciarmi la tua risoluzione già presa e decretata. Certe cose di te le


— 419 >•

vedo sempre con timore di malafede, giacché so quanto alcune realità della vita siano disprezzate da te e ti sfuggono e non ho più fiducia per quelli che ti circondano.

Desidero approfittare di questi ultimi giorni per vedeì*e ancor quello

che mi resta, ed è molto; ed il cattivo tempo mi è contrario e me l'impedisce. Sarò restata tutto questo tempo, e me ne andrò senza conoscere Roma come avrei desiderato. Rimprovero eterno, ma non tutta

mia colpa. La mia salute va bene,l miei labbri no; spero che tu non avrai più alcun timore per il choléràresso non va più avanti. Dammi

nuove di A (1) è egli presso D...?(2) Addio, ti abbraccio

;

se non ti scrivo

in seguito, rispondimi a Bologna,.

Fuori M. David Hemerling :

,

Berne.

G. Sidoli

a G.Mazzini.

Roma, 6 ottobre 1835. Mio caro, nell'altro corriere ebbi la tua del 22 settembre essa mi ;

ha dato molto di bene; benché tu dica di non voler più mostrar tenerezza, la dolcezza che vi è sparsa mi parla senza parole, e l'amo, e la vedo. L'amo anche più perchè

si

manifesta cosi tacitamente.Oggi ti

tempo di mia partenza é un poco protratto, e non perchè il pern|esso mi sia tolto o modificato, ma per sola causa di me, di mio particolare volere. scrivo per dirti che per più ragioni infinitamente giuste, il

Vorrei poter dire che cotesta tua piccola assenza già stata sia quella, di

cui mi

hai

minacciato, ma purtroppo credo che no. Che cosa è

quella malattia o incomodo che haifO credi di avere in seguito? mi fai

paura e resto contenta per aver tu lasciato quel che ti poteva nuocere. Cominci adunque a entrare un poco meglio nella realtà della vita, giacché temi i mali fisici; ciò è per me vera gioja.Ti dirò che hai risvegliato in

me uno sciocco desiderio che ho da gran tempo, senza

avervi ceduto mai, e che v-oglio combattere a dispetto del mio carattere, che vuole che io non

possa combattere nulla di

me stessa, cosa

vergognosa, ma non perciò meno vera; e questo desiderio è quello di

prendere un poco di oppio per sentire un poco di e8altazione,(li quella esaltazione, che tante volte ho intesa dire nasce da esso, per .sentire

scuotersi un poco 11 mio cervello, che mi sembra cosi irrigidito e rappreso. Non aver timóre per questo, non ne farò nulla.

U) Sempre quel comun figlio! (2) Demostene Olivier.


— 420 — La Biblioteca straniera sarà, ne sono certa,un& assai cattiva cosa; non scrivere per lei, non scrivere più per cose piccole non fare che tu stesso venga trascinato da quel crudele destino,che ci guida per :

il

bujo e per l'ombra.Restiamo ciechi,ma senza pretendere divederci;

.sofifriamo la compassione, e non l'irritamento dei secoli avvenire.

La mia salute è assai buona. Sono stata jeri a vedere una infinità di frammenti antichi.Come fabbricavano i Romani! Quel che mi piace

più di tutto è laRotonda,il Pantheon di Marco Agrippa: quale maestà! Pitture e quadri superbi sono da per tutto. Non so

come mi abi-

tuerò a vivere altrove dopo essere stata qui. Al di là degli Apennini

il

paese diviene prosaico. Come partire da casa quando non è per vedere templi, chiese,

pitture?

Credi però che tutto questo basti per tenermi sempre fissa alla vita •e

desta? oh! no, assai spesso non curo più nulla. Ho ricevuto da Ma-

netta una lettera sciocca, quanto può esserlo una lettera.

Quando tu rimiri il mio ritratto e in esso freddezza, serietà, tu vedi

me tale come io sono divenuta. Sento che si opera in me gran cambiamento e che quel che io potrei provare oggi nel rivedere i miei figli, non sarebbe quello che avrei inteso in altri tempi,altre volte.La mia vita è corsa ben avanti. Addio i

:

rendi sincere grazie

al

tuo amico per

suoi saluti. Agostino diverrà egli qualche cosa, dopo che ha studiato

tanto? Addio. Ti abbraccio e ti amo molto.

Fuori :A\ Sig.David Hemerling Berne.

.

G. Sidoli

CI.

a Capponi.

Roma (6 ottobre 1835). Mio caro Gino,Ebbi alcuni giorni fa la vostra del 26.Non risposi subito, sperando potervi dire

qualche cosa di meglio determinato sul

•conto mio; ma veggo le cose mie andar per ie lunghe e vi scrivo affin-

chè mi scriviate ancora qui. Vi ringrazio di parlarmi di voi, come fate in quest'ultima letterario ho bisogno di sapere

sempre tutte le cose

vostre e quando me ne vedo informata da voi,per vostro yolere,ne ho

maggior bene, perchè mi penso essere per voi non un trastullo, ma •qualche cosa di più. E questo, caro Gino, se m' intendete, dico non per

amarezza né cattiveria, ma per ben diverso sentimento, che vi spie.gherei,se potessi mostrarvi quello che provo a vedervi ridotto d'animo

•come voi siete.È male il vostro che io non conosco che troppo per mia j)ropria esperienza, e le triste parole « ho finito »,che per me ne sono


— 421 — la espressione, le dico, se sapeste, più

che non vorrei.Ma che io noa

abbia mai potuto capire la mia vita, abbracciare rassegnatamente

con ragione il mio destino, coli' indole e

la

e-

stranezza mia lo capisco;,

che voi colla saviezza vostras late scontento o sottomesso come chi ha disperato di tutto ciò,no.Voi direte che io sono stupida,parlando così, e forse avrete ragione. L'è il male e basta e basta davvero,che per me, vi credo, anche più che non dite. Io credo però

che Anche noi deside-

riamo, non siamo pienamente infelici, e in voi vedo speranze svanite, illusioni scomparse.Ma le speranze,se oggi sono morte, nacquero jeri e, per questo

dico, rinasceranno dimani.Mi

persuado aver voi ancora

assai vita nel cuore, facoltà eguale a essere felice, come a bramarlo.

Ma se non desiderate più nulla, se il mondo per voi non ha più nulla di caro, allora taccio e dirò per voi quello

alle volte dico per me.Di salute

cosi male? Bel gusto

che compassionevolmente

vò meglio.Ma perchè consigliaìte me

davvero trascinare una salutacela che vi vieti

poi qualunque vostra voglia; che cosa ne avverrà,continuando voi quel

vostro bellissimo sistema? È dunque incerta la mia partenza di

qui,,

cioè m'è incerta l'epoca, e questo per ragioni ragionevolissime.Non

credevo, benché lo temessi, dovervi essere più lontana andando a Bo-

logna quel vostro * non se ne parli più » avrei pur molto desiderato :

non vi fosse escito dalla penna: riporre me con asprezza là dove non volli restare, mi mostra voi quale io non vorrei, così veramente,come sempre foste verso me. Non ne parlerò più. Addio, mio caro Gino, fate di volermi bene,ve Io raccomando; per mesapete che vi sono condannata.

Fuori Sig.Marchese Gino Capponi :

Firenze.

(Continua). I.

RlNIERI.


ACHILLE MENOTTI NOTE. [Dtorn9 ad Achille Menotti possediamo una buona monografia

volume di Leonardo Salimbeni (1), il quale si è dato cura

nel

di riportare, in appendice, una bella copia di lettere e inoltre al-

cuni

scritti

men noti

meglio conóscere

del Menotti, che contribuiscono a far

tendenze filosofico-letterarie

lo spirito e le

del figlio di Giro. Ma troppe cose evidentemente sono accen-

nate solo di sfuggita e qualcuna ignorata, specialmente degli anni che conducono sino al 1860; che sono poi piìi importanti, giacche poco dopo di quegli anni fortunati e fortunosi i

come a vita privata

Achille Menotti

si ritirò

solo, un po' per

sua inclinazione e molto anche per la grave

e

visse

per sé

malattìa che io tormentava e lo rendeva nervoso e spesso di cattivo umore. Alcune carte riferentisi ai Menotti, recentemente

entrate nella Biblioteca

comunale dell'Archiginnasio

di

Bo-

logna, mi pongono in condizione di recare nuovi contributi alla

memoria e alla conoscenza di un uomo

stessa famiglia dei Menotti e

i

patrioti

sul quale e la

avevano riposte le più

alte e fulgide speranze.

Della molteplice e fervida anima del padre suo egli ereditò più importanti, ma pur coguarda al vario ingegno e al concetto altamente

solo qualche aspetto: non forse spicui, se

si

i

umano

sui fatti, e allo sguardo ampio, se non sempre profondo, con il quale Achille soleva vedere le cose.

e largamente

(1) Achille

Menotti. Ricordi biografici con lettere e scritti del mede-

simo, per cura di Leonardo Salimbeni, Modena, 1880. La parte biografica

occupa le pag. 1-99. 11 reslo del volume è dedicato all'epistolario e

alla ripi-oduzione di •e

l'altro

e

due scritti inediti, dei quali uno tocca dell'Alfieri

De la politique des Italiens au XVI siècle »


- 493 — Nato e cresciuto nella rivoluzione, e pur avendo vissuto lunjjhi anni a Fari^'i, proprio nei

momenti

in

cui

di rivolu-

zione parlavasi e agivasi, sopratutlo per operèi dei

profughi

mantenne sempre

un'alti-

d'Italia e di tutte le nazioni, egli

tudine tutta sua, che si staccò assai dallo sf)irito che animava gli altri

amici e compagni di sventura. Il suo carattere, l'a-

non portavano alla rivoluzione e neanche all'agitizione più o meno ribelle.! suoi studi non erano un mezzo per accedere ad una concezione politica erano anzi lo strumento di ponderazione, di moderazione, di calma e sor pratutto di astrazione di ciò che era in via, che affretta vasi verso un nuovo avvenire sociale e politicò. Gli studi quetavano il suo animo, aprivano gli occhi della sua mente alla riflessione, davano a lui e a lur>kUo un contentamento e una soddisfazione che gli restavano entro, lieto che la sua mente apprendesse nuovi veri o comprendesse nuove bellezze. Ma la sua cultura, ma la sua arte, ma il suo pensiero non furono mai istrumenti diretti di azione nazionale, o- meglio vie per bito, la cultura

:

le quali

giungere alla rivoluzione, o alla negazione della vita

passata e alla distruzione della medesima per costruire tutta

una nuova base su cui erigere

nuova Italia. Compassato, modo suo, non sentì l'importanza dell'insurrezione, non com)>rese la forza dell'azione, indispensabili per poter giungere ad un nuovo assetto. Dello stato futuro aveva un coùcetto certo altissimo, una teoria che non faceva grinze, una idcijlizzazione perfetta; ma non intendeva che per giungere alla realizzazione dell' idea non bastava figurarsela nella sua essenza, non bastava vederla e affermarla, non era sufficiiente mostrarne le bellezze, era sola

osservatore, veggente nel futuro, anche, ma* a

pratutto indispensabile conquistarla; e per far questo, passare

sopra una infinità di reazioni, di

forze

abbatterli e. schiacciarli. Non bastava

nefaste, di

nemici, e

dunque il pensiero, oc-

correva un'azione, e un'azione ordinata che avesse la forza sufficiente per trionfare. .

Infinitamente diverso ip questo, anzi

Celeste, che aborrendo da ogni idea di

il

contrario^ dello zio

moderazione, credeva

solo nell'azione, non contenuta da impacci, ma rivoluzionaria

;


— 424 — ed era divenuto per questo un fido, un intimo di Mazzini (1), Diverso dal fratello Massimiliano che, pur informato a un concetto dissimile da quello di Celeste, tuttavìa perseguì con ugual forza di lui il concetto dall'unità dell'Italia, accettando le armi e la forza, e questa

non insurrezionale o rivoluzionaria, ma

contenuta e regolata da quelle vie che parevano le più indicate

a condurre al buon fine, e cioè quelle del Piemonte « di Casa Savoia. In questo senso Massimiliano fu tutto azione; con minor cultura di Achille, con più ponderatezza di Celeste, egli seppe battere la via giusta, e pur staccandosi assai da Achille, in-

tendere di lui il

le

nobili idee, e nello stesso

tempo riprendere

vecchio e fondamentale concetto del padre suo, martire, che

alla unificazione d'Italia, comunque raggiunta, anche

con la

monarchia, aveva dedicato la sua opera e la sua giovine vita. « « *

primo dei figli di Ciro, era nato il 10 luglio del Modena e Spezzano e Carpi, e cioè nelle dimore consuete del padre e dei nonni e nelle case e nei beni della madre Francesca Moreali. Suoi maestri furono Pietro Leveque (2), patriotta, poeta anche, colto Achille, il

1817. La sua fanciullezza la passò tra

e buono; l'eruditissimo canonico Gallinari per il latino, uno degli uomini più dotti che allora avesse Modena (3); e per

il

francese l'unico insegnante che là trova vasi, il Gibertoni. Aveva 13 anni o poco più quando il padre suo affrontò l'estremo supplizio. Di là comincia la triste odissea di tutta la famiglia

Menotti. Quella povera madre con

i

suoi quattro figli, non ha

luogo ove stare tranquilla: il Duca e le sue spie sono conti-

nuamente attorno a Lei a sorvegliare ogni movimento, a tormentare vieppiù il suo dolore, a tenerla continuamente agitata.

(1) Di Celeste Menotti molti dissero qua e là alla sftiggita e per incidenza ma la singolare e nobile figura meriterebbe uno studio comprensivo che non solo ne tracciasse la vita, che fu tutta sacrifizio per la causa italiana, ma ne facesse vedere e intendere gli ideali. (2) Pio Sabbatini, Pietro Leveque, in Archivio emiliano del Risorgimento nazionale, a. II (1908), p. 168 seg. (3) Moltke in varia guisa si occuparono del Gallinari, specie nelle ;

Memorie cu religione ecc.


— 425 — Essa fugge ora qua ora là, da Spezzano ove intese la ferale nolizia,alCarpi,a Bologna, via via dove trasporta vaia il suo dolore,

Duca (1). Veramente tristi anni quelli che immedialamenle seguirono al maggio del 1831 per la miove

costringeva

la

il

sera donna, per quei teneri figliuoli. E di questi colui che più

comprendeva e più pativa, era appunto Achille, il maggiore, fornito com'era di ingegno precoce e di animo sensibile. Dopo aver apprese le prime nozioni e compiuta quella che chiamasi la cultura elementare e di compimento, voleva la madre che il tìglio allargasse e completasse la sua istruzione. Non era possibile fare ciò a Modena, e perchè era vietato alla vedova di risiedervi, e perchè le scuole medie e supeerano slate chiuse o rese inaccessibili; perciò pensò essa

riori

di rivolgersi all'amico fedele del marito suo, al compagno delle

sue idee, Enrico Misley, che abitava a Parigi, ove avevalo rag-

giunto anche la consorte Ruffini, e a lui affidava

il

figliuolo.

Sulla metà del dicembre Achille, accompagnato da Giuseppe Castelli, commesso dei Menotti, per la via di Marsiglia e Lione giungeva a Parigi, accolto con grande festa dai coniugi Misley. Essi dovevano trovare per il giovinetto una scuola adatta per

formazione della mente e del carattere. Si pensò dapprima, mentre egli intanto provvisoriamente abitava presso il Misley,

la

di collocarlo nella Scuola di Saint-Cyr, ma Achille non aveva

tendenze militari: fu perciò preferito

il

collegio privato di

Fontenay-aux-roses presso Parigi, ove Achille entrò nell'aprile del 1832 e ove rimase sino al 1835.

Del profitto, delle tendenze, dell'animo di Achille e degli studi

da lui fatti nel collegio è Isella e chiara testimonianza una (l)Per le dimore continuamente mutantisi della vedova Menotti e prime occupazioni di Achille, se la sbriga troppo brevemente il Salimbeni. Intereesanti notizie 8Ì trovano nell'ARCHivio di Stato di Modena, £)ocMffie«^i riservati, Govertiaiote e

dei suoi quattro figliuoli, come per le

poi//Mon Governo, aW Anno 1831 e seg. figliuoli

;

altre riferentisi alla vedova e ai

conaervanHi nella Raccolta Lugli della Bkìlioteca COMUNALB

altre furono pubblit^ate in N.Morini, La vedova di Ciro Menotti nelle carte bolognejti, in Archiginnattio^ a. XII (1917), Bo-

dell'Archkjinnasio

;

logna, e in estratto a parte. Il Santi sul passaggio della vedova Menotti

per

il

Frignano fece una interessante comunicazione alla Società dello

iScoltenna. Il

Rùorg. Ual., XI-XIL

17


— 426 — lettera di A. Gournaud, direttore del Collegio, alla reali inviatale a Sassuolo

desse poi

il

il

madre Mo-

28 marzo, innanzi che essa pren-

partito di andarsene a Bologna e quindi in Tosca-

na. In essa il Gournand, dopo di aver affermato che era grande

onore per luì l'essergli stato affidato il figlio di Ciro Menotti, continuava :« Achille, dopo che è presso di me come un mio figlio, ha

mostrato sentimenti elevati, una intelligenza vivace,

penetrazione, trasporto per

il

lavoro, ma

un trasporto

il

cui

focolare più che nella riflessione e nell'abito naturale, è nel-

l'immaginazione. Ne subisce perciò le conseguenze.il suo fuoco

non si ferma a lungo sullo stesso oggetto, e quantunque egli cerchi di combattere questa sua tendenza, pure essa ad ogni

momento ritorna. Nella stessa guisa la sua

istruzione è più

varia che prò fonda, senza negare con questo che egli non abbia

buoni frutti dalle utili lezioni impartite. Queste sono state a lui date con grande amore dalla più parte dei maestri,

tratto

i

sentimenti dei quali hanno corrisposto ai

sotto tutti

i

rapporti

miei. Achille è

un carattere elevato. Quando

egli

avrà

spesa una parte della sua attività di giovinotto, senza dubbio si

dedicherà con costanza agli studi severi, ed egli possiede

tutto ciò che occorre

per riuscire. Neil' attesa non

consuma

tempo, e se la regola alla quale è sottomesso non è rigida, è però logica e affettuosa a un tempo, come conviensi al suo il

ho che da lodarmi dei suoi rapporti con i maestri e con me: sono pieni di buoni sentimenti e di buona creanza. Sotto quest'ultimo rispetto non bada invidiar nulla a nessuno; e quel che mi consola è che questa cultura esteriore non diminuisce per nulla la forza de' suoi pensieri. Nei suoi studi hanno il primo posto le lingue e la filosofia; le scienze sono da lui comprese; e profitta in matematica e in naturale. Non

fisica. Riesce assai

bene nel disegno. Gli esercizi del corpo gli il fioretto. Il suo fisico

sono famigliari. Sa maneggiare bene si

sviluppa felicemente cresce senza dimagrire. La sua figura :

è bella, l'occhio espressivo, i capelli

fitti

e inanellati. Egli at-

tira l'attenzione di quelli che non lo conoscono, figuratevi

degli altri

!

».

Grande intuizione doveva possedere quel signor Gournand, perchè aveva saputo indovinare alla perfezione le tendenze


— 427 — del suo .allievo. Ben è vero che a lui erano rivolte le cure e le alteiizioni

più particolari

!

Terminando la sua lettera il Cournand annunziava alla Moreali che da qualche mese si era messo in rapporto anche con

i

parenti che allora abitavano a Parigi, o meglio a Bali-

gnoUes, e precisamente con notti e Celeste

;

il

nonno

e

lo

zio, Giuseppe Me-

ma non si allungava su questo tasto, il che sta

forse a provare che

le idee di Achille e forse anche della madre, non si conformavano perfettamente Qon quelle di Celeste, il capo della famiglia dei loro parenti, il che combina

con quanto dicevamo più su (1). Più tardi i rapporti con Batignolles divennero più frequenti. Anzi sappiamo che Achille, uscito pochi mesi dopo della lettera del Cournand dal collegio di Fontenay-aux-roses, a ca-

gione del fallimento e della chiusura del collegio, si ritirò presso lo zio e il nonno a Batignolles, dove visse per parecchio tempo.

Ai primi del 1836 Achille tornò in Italia, in Firenze, a riabbracciare la madre, la sorella, i fratelli (2). Gli inviava il ben-

venuto e gli esprimeva tutto il suo cuore affettuoso e gli dava i più amorosi consigli il vecchio nonno, da Batignolles, con questa lettera che è piena di tanto interessamento e di

lutti

tanto affetto. Porla la data del 19 aprile 1836: Carissimo Achille,

Spero che al momento che scrivo ti troverai in seno della tua famigliola, e fra le braccia della tua cara

madre incomincerai a go-

dere l'aria pura della deliziosa Italia. Ho ricevuto

le

tue tre lettere

datate da Chàlons, Lione e Marsiglia, dalle quali osservo che il viaggio ti

ha alquanto annoiato, ma ora ne riceverai

Spero però che in mezzo

costì

la

ricompensa.

ai tuoi contenti ti risovverrai di

tutti gli altri tuoi congiunti

me e di

ed amici per farci avere tue nuove e

che si incrocieranno con questa mia: cosi se non ho il bene di possederti da vicino, almeno che abbia la consolazione di sapere ogni tanto il

tuo ben stare e della famiglia. Con tutto che sia in età avanzata

• costretto di vivere nell'esiguo, non

ho perduto del tutto

la spe-

li) La lettera è pubblicata in francese dal Sai.imbbki, op. cit., pp. 15-17. i2) Il Salimbeni

non ha nessuna notizia di questa venuta in Italia di

Achille e della sua dimora in Firenze colla

fÌEuniglia.


— 428 — ranza di rivedere la mia cara patria! Se ciò succede, e che il destino voglia compiere i miei desiderii,sarò contento di essere vivuto tanti

anni nella cattività per avere la consolazione

di vedermi una volta

contornato di tanti cari esseri che amo. E qual gioia ne sentirà il mio cuore in poterli abbracciare e possederli per quel tanto che la

Provvidenza mi vorrà accordare di sopravvivere a tante, per ora, immaginate consolazioni patria, congiunti, amici, cui spero che ancora ve ne siano, saranno per me tanti motivi di contento! :

Intanto io non tralascierò di raccomandarti di costì comportarti

prudentemente e di eseguire le tue promesse, di dare un abbandono a Mad.P[oliti]ca(l),od usarne con una nobile precauzione, come cosi nella scelta degli amici, onde evitare d'avertene a pentire. Mi lusingo

pure che manterrai la tua parola per una esatta continuazione ne' tuoi studi, che infine ne resterai più soddisfatto che di spendere un tempo così prezioso nella tua fresca età nell'ozio, o con degli amici viziosi, e

bile

cercare di sfuggire questi ultimi per quanto ti sarà possi-

perchè è una, peste che fa breccia facilmente nel cuore ancor

giovine, ed ancorché esperto s'illude facilmente. Se hai osservato

il

mio bel gallo, ancorché mechaìit, batteva le ali più volte avanti di cantare così ti consiglio di fare anche tu di prima pensare in ogni :

;

incontro avanti di eseguire o proferire i tuoi giudizi.

Su quanto parlassimo avanti la tua partenza in merito

alle

tue

pensioni, io non ho ancor fatto alcun passo in proposito, avendo do-

vuto guardare per alcuni giorni il letto per una forte infiammazione alla mia gamba, ma dopo un salasso questa è quasi del tutto spa-

tempo lo permette, posso fare qualche piccola

rita; ed ora, quando

il

passeggiata dunque

me ne interesserò nel corso del mese, per dirti

:

più tardi

il

risultato.

Quando avrò incontro di scrivere a Tondini, lo che succederà in questa settimana, uniti ai miei le compartirò i tuoi ringraziamenti

per le cure e gentilezze che ti ha prestato al tuo passaggio da Lione, come così farò con Pirondi per i servigi che ti ha prestati nei pochi giorni che colà ti sei fermato. Ti

mandai lettera per Francia di Li-

vorno, prevedendo il caso che potessi giungere colà in un'ora avanzata, perchè sapeste ove ricorrere in caso di bisogno e per coadiu-

varti per

il

comodo di proseguire il tuo viaggio fino a Firenze.

Intanto che attendo notizie del tuo felice arrivo presso tua madre, io

passo a darti un caro abbraccio assieme a lei, a Pulissena (2), al (1)11 ms. ha €P.ca»:la completazione della parola da

ci

noi proposta

sembra essere giusta.

(2) Polissena Menotti, la gentile sorella di Achille, mori ancor giovine a Spezzano il 29 febbraio 1860. Di essa mi occuperò in un altro scritto.


— 429 — mio caro Adolfetto(l), che mi ci ricorderai, ed al grsisso Massimiliano (2),. da parte della nonna VerginiaO) e tutti di casa ed amici,e con tutto il cuore mi dico TafTezionatissimo tuo Nonno (4).

Ma il povero e buon nonno, così sollecito per l'avvenire del nipote e così

provare

la

innamoralo della sua Italia, non doveva poi

sua suprema gioia, che era quella di rivedere

il

suo paese innanzi di morire! (5).

Immaginarsi le accoglienze che ebbe Achille dalla madre che non lo rivedeva da cinque anni, dalla gentile Polissena, dagli altri fratelli! Furono cari mesi quelli della primavera e dell'estate del 1836. Ma spinto dalla

sua irrequietezza, dai de-

smania di vedere e osservare, dalla innata tendenza ai viaggi; non spaventato né impressionato di abbandonare i patrii luoghi, mosso dalla sete irresistibile del nuovo e del vario. Achille aveva pensato di mettersi di nuovo in viaggio, e stavolta non verso la Francia, ma siderii spesso mutantisi, dalla

in Isvizzera,

La Svizzera era la terra di ritugio di tanti italiani, la Svizzera era buona e amica e quasi più cara al cuore italiano della patria stessa ove si era continuamente sospettati e perseguitati, in Isvizzera infine

s'

erano dato ritrovo

i

migliori

ingegni nostri: egli pensò quindi di recarsi colà. Ne scrisse (per manifestargli

il

desiderio di vederlo) allo storico e repub-

blicano Sismondi,che allora trova vasi in Italia, e precisamente

a Valchiusa di Pescia, e quegli rispose al giovine (1) Adolfo, fratello di Achille, ohe si

figlio di

dedicò specialmente all'ammini-

strazione dei beni famigliari. (2) Massimiliano si

dedicò alla vita delle armi, combattè a Monte Pe-

lago e a Monte Pulito nel 1860, mentre nel

1855 aveva strenuamente combattuto alla Cernala. Morì generale e deputato nel 1889. (9) Virginia, la madre di Giuseppe Menotti. Anche una sorella di Ciro Menotti ebbe nome Virginia e di essa si occupò il Canevazzi parlando

di Cesare Rosa. (4) Lettera che conservasi nel suo originale nelle Carte Menotti della Biblioteca Comunale DBLL'ARCuiaiNNASio di Bologna e che furono recentemente da me catalogate (i4rcAi^»/irkwto,XllI,fis«c. 6-6). (5) Qioseppe Menotti aveva dovuto spatriare al ritorno in Modena del Duca nel 1831 si ritirò a BatignoUes col figlio Celeste, col quale sempre rimase mori là e lu sepolto in quel cimitero. ;

;


— 430 — Ciro con una splendida lettera, che è necessario conoscere, non solo perchè è inedita, ma perchè, insieme all'altra, che recherò dopo questa, diretta alla vedova Menotti, ha notevolis-

simo interesse per la contenenza stessa, e per i pensieri che muovono. Così scriveva il 7 settembre da Valchiusa il Si-

le

smondi al giovine Achille

:

Monsieur, Je viens de recevoir et de lire avec émotion la lettre que vous

m'avez écrit le 3 septembre.Il sera doux pour moi de témoigner le plus vif intérét au

fils

ou au proche parent de Ciro Menotti. Je re-

grette de n'avoir pas un

lit

à vous offrir dans notre tout petite

maison, mais vous trouverez une bonne chambre à l'auberge qui est

manger notre soupe, voulez vous que le dimanche ou de lundi prochain.Je vous dirais tout ce que

fort près, et vous viendrez

soir de

je sais de la Suisse, comme residence et

comme lieu d'études.Je ne

puis vous cacher qué je regrette toujours de voir les Italiens quitter l'Italie : peut-étre

essayerai-je d'adoucir le sentiment

amer qui vous

porte à vous en éloigner, mais il faut que je connoisse mieux aupa-

ravant et vos sentiments et vos projets.Ce sont donc des" choses à réserver pour notre conversation.Venez et croyez à la vive sympathie que vous reiicontrerez chez

ma femme et chez moi.

Je suis avec des sentiments bien-distin'gués

Votre devoué serviteur J.C.S. de Sismondi(l).

Non potevansi scrivere più belle parole dell'Italia nel rapporto colla Svizzera da uno svizzero. Il giovine Achille andò

a Valchiusa a trovare l'illustre storico; e la conversazione e le ragioni e

i

concetti di lui dovettero essere ben fermi e si-

curi e persuasivi, se

il

Sismondi riuscì a distorre

il

giovine

dal viaggio e dalla dimora in Isvizzera. Il Sismondi stesso nell'ottobre riceveva

annunzio della nuova determinazione dalla

madre, la quale pure aveva sentito, per

il

recesso del figlio

dalla decisione prima presa, la più grande soddisfazione ; e alla stessa scriveva questa lettera che non è meno importante dell'altra

:

(1) Biblioteca

Menotti.

dell'Archiginnasio, Carte Menotti, fascio di Achille


- 431 — Pregiatissima signora.

Non saprei esprimere con quanto piacere sua graziosissima lettera che il suo

figlio

io

abbia sentito dalla

abbia rinunziato al suo

nome che come onorevole all'Italia, e il suo dovere è di restar puramente italiano.Forse il tempo non verrà mai in cui potrà mostrarsi degno di questo nome in una carriera pùbblica, ma sta in lui d'onorarlo sempre nella vita privata come buon figlio e buon fratello, come buon difensore dei diritti privati s'egli entra nella carriera legale. Quel sentimento di quanto egli deve a un tanto nome viaggio e resti unito a lei ed alla famiglia. Egli porta un

sarà sempre caro

e un tanto infortunio, mi ha reso forse più contrario a quanto ho

potuto osservare

di

francesismo in

lui, al

segno forse di contradirlo

più d'una volta.Tanto più mi consolo e gli son grato d'aver avuto

tanta influenza sopra di favorito; gli

lui

che di farlo rinunciare al suo progetto

ma sono persuaso che

i

veri studi profittevoli sono que-

che uà giovine di sua età fa senza maestro col solo impulso del-

l'inclinazione e del dovere, che l'esempio della gioventù è più spesso

funesto alla gioventù dalla sua presunzione che da' suoi

vizii, che

quella di Francia specialmente ha oggimai la pretensione d'insegnare

invece d'imparare, e che il suo Achille guadagnerà

nrille

volte più

dal consorzio d'una madre, quale ella comparisce nella sua lettera,

che da nessuna scuola d'oltre monti. Se prima della nostra partenza per Roma ripassiamo per Firenze, mia moglie ed io ci faremo un onore d'andargli ad esprimere e la nostra profonda simpatia per quanto Ella ha sofferto, e' nostri voti per tutto quanto Ella ha tuttavia di caro. Sono con profondo rispetto Suo devot. obbl. servitore J.C. S. deSismondi

Valchiusa presso Pescia,iO ottobre 1836 (ì).

Quanto Achille rimanesse in Toscana presso la famìglia non sappiamo precisamente a quel che pare, tentò di ottenere un :

decreto che lo ahilitasse a rimanere definitivamente in Italia e prender parte a concorsi ed ottenere un buon posto (2) ; ma,

o che il decreto non venisse o che egli preferisse quel suo tenore di vita un po' girovaga a cui era indubbiamente por(l)BiBUOTBOA dsll'Archioinnabio, Car^e A/e/to/<t, fascio

di Achille

Menotti.

l2)Ciò sembra risaltare da una lettera del prof: Giovanni Gandoltì, da Modena, in data del 19 novembre 1839. E una lettera di ringrazia-


— 432 — tato, certo si è

che tornò in Francia e forse andò anche al-

trove. In Francia intanto erasi dato

alla vita di pubblicista,

più che di giornalista, collaborò a parecchie riviste, tra cui la Bevue du

dixneuvième siede e la Revue Nouvelle, con arti-

coli in ispecie letterari e storici.

Nel 1842 era di nuovo in Toscana e davasi alle escursioni sui luoghi più notevoli degli Appennini. L'anno seguente prese

più ampio volo, si recò in Oriente, a visitare la Grecia e Co-

procurò commendatizie di il-

stantinopoli. Per tale viaggio

si

lustri personaggi di Parigi, e

fra di

esse quella dell'illustre

Michele Chevalier, il grande fautore, come economista, del

li-

bero scambio, e già fin dal 1840, a poco più di trent'anni,^pro-

mandava in To-

fessore al Collège de France. 11 Chevalier gii

scana una lettera da presentare all'archeologo Bertrand, che in quei tempi faceva degli scavi per conto del governo fran-

cese in Atene. E' una bella lettera, che prova la grande stima in cui Achille era tenuto dai dotti

parigini

:

« Homnie

jeune

de talent» chiamava il Menotti «qui manie cette arme mo-

et

derne de

la

piume, arme victorieuse de toutes le autres»(l).

Altrove accenniamo alle impressioni che quel viaggio fece in

premurosamente e regolarmente comunicava alla sorella Polissena (2). Poco dopo il ritorno dall'Oriente, certo nel 1844, e non già Achille, le quali impressioni

come altri vogliono più lardi (3), il Menotti tornò in Francia, a Batignolles,la residenza consueta di

Là riprendeva

i

gliori rifugiati e gli

lui e dei suoi parenti.

suoi sludi prediletti, le sue relazioni coi mi-

con molti dei francesi, stabiliva rapporti con

elementi che meglio sentivano l'italianità, conversava con

mento per una cortesia ricevuta, nella quale a un certo punto si legge « Dio faccia ch'Ella ottenga il bramato decreto, e che sia fatto in tempo :

opportuno per poter entrare nel concorso ».La lettera pare appunto diretta atl Achille (Biblioteca dell'Archiginnasio, Carte Menotti, fascio di Achille Menotti). (1) Biblioteca

dell 'ARCm ginnasio, Car^e 3/e7ioi!^j, fascio

di Achille

Menotti. La lettera ha la. data del 15 maggio 1843, ed è indirizzata al

Bertrand ad Atene. (2) Vedasi il mio scritto

su Polissena Menotti, in corso di stampa, ma

sopratutto il Salimbeni,o/). d/.,a p. 28 seg.

(3lDi questa opinione sembra essere, a torto, il Salimbeni.


— 433 — Mazzini, Ricciardi, la Guiccioii, il Libri, i Ruffìni e mille e nello stesso tempo

altri,

detiicavasi alla collaborazione di riviste

nelle quali molti scritti di lui figurano in quegli anni.

Dei suoi rap{K)rti con alcune j>ersonalilà nostre o simpatizzanti per l'Italia sono rimasti parecchi

frammenti di

corri-

spondenza nelle carte menotliane dell'Archiginnasio riferite appunto a quesJi anni della sua residenza in Francia. Ora è

Giovanni Ruffìni che

volge a lui da S. Germain-en-Laye

si

perchè volesse indicargli persone in Firenze e Roma che potessero accogliere come

si

conveniva il signor Mac Connel e

a fare un viaggio. « Si vorrebbero loro usare, egli scriveva al suo " Caro Pelide,,,

la signora di

lui

che si recavano

si usano ai forestieri e delle quali, a vero sono così larghi a chi si presenta coi debiti

quelle cortesie che dire, gli Inglesi

requisiti )».« 11

gran punto poi è questo, di raccomandarli a

persona della buona voglia della quale si sia sicuri, e tale da far concepire al forestiero piuttosto

favorevole opinione dei

nostri confratelli in Italia » (l).Ora è la celebre madame Louise Golet, al Menotti legata dalla più cordiale amicizia, che vita a teatro a sentire la Boxane, o gli reca

i

biglietti

l'in-

per

il

ballo della principessa Czarloriska,o lo invitaal Don Giovanni di Mozart (2). Ora è Guglielmo Libri

il

quale stabilisce accordi

e discussioni sulle vicende politiche tra il Menotti e Guglielmo

Pepe in Parigi (3). Ora è lo scrittore Arthur de Gobineau che (1)

BiBMOTECA dell' ARCHioiNNASid', Carte Menotti, fascio

Menotti. < Se potete rendermi

Achille

queeto servizio, aggiungeva Giovanni

Rutfiui di Staggia, farete piacere a me e a mio fratello Agostino, e

il

più presto sarà il meglio. Stendete due righe e mandatele all'indirizzo

qui sotto. Ad evitare ogni equivoco usate una frase che implichi, senza

non conoscete di persona i coniugi M 'Connel, come sarebbe da un a m /co o simile >, e terminava chiamando!«i suo * fratello in umanità *. La lettera ha la data dell' 11 settembre liAb. (2) Carte Menotti, loc. eit. Le lettere della Louise Colet di questo periodo sono tre, e tutte per qualche lato interessanti. Non portano data, ma una di esse è del 1845, come rilevasi dal timbro postale, e non lontane da tal <lata le altre. (3) Carte Menotti, loc. cit. Le lettere di Guglielmo Libri sono due, una del 29 aprile 1844, nella quale si dichiara spiacente di non poter trovare un impiego a un suo raccomandato l'altra del 22 luglio 1845 dirlo, che

che sono a voi raccomandati

;


- 434 — tratta

con lui di questioni letterarie (1). Ora infine è

la

con-

tessa Guiccioli che Io porta al teatro italiano nel suo palco e

a pranzo nel suo palazzo (2).

Ma, come s'è detto, il Menotti non poteva stare a lungo fermo in un luogo. C'è fra le carte di Polissena un passo, accuratamente trascritto, che rende perfettamente il concetto che aveva Achille Menotti del viaggiare: la breve scrittura è firmata II Cosmopolita, e se sotto quel pseudonimo non deve riconoscersi Achille, certo è che

il

pensiero di lui vi è ben

adombrato. « L'universo, si legge, è come un libro di cui non si è letto

che la prima pagina, quando non si è visto che il

proprio paese. Ne ho scorse un gran numero, che ho trovate

ugualmente cattive. Questo esame non mi è stato infruttuoso. Odiavo la mia patria. Tutte le impertinenze dei differenti poi quali sono vissuto mi hanno riconciliato con essa. Quando dai miei viaggi non avessi ritratto che questo solo benefizio, non ne lamenterei né le spese né le fatiche » (3).

poli fra

riguarda i concerti col generale Pepe. « Posso dirle, scrive il Libri, che

anche il generale Pepe approva molto, come già io avevo fatto, la determinazione da lei presa ieri, alla quale mi è carissimo il pensare che il suo affetto per me ha potuto contribuire. Di che le ne sono e sarà sempre gratissimo » (1) Arthur de Gobineau, l'illustre scrittore e diplomatico morto poi a Torino nel 1882, ha tre lettere dirette all'amico suo Achille Menotti, nelle quali gli dimostra molto affetto e grande stima. Trattano, oltre che di ragioni particolari, di studi storici, letterari, filosofici. Su di lui vedasi il Vaperau e la Grande Enciclopédie (Carte Menotti, toc. cit.). (2) Le lettere al Menotti della contessa Guiccioli, grande protettrice dei profughi italiani a Parigi, sono tre, senza data, improntate alla più

grande cortesia. Fra le carte menottiane di questo periodo vi sono due ad Achille e firmate dall' < amica » Margherita, che abitava a Passy, rue Neuve, Bois Levant. Sono piene di spirito e assai interessanti è una inglese che scrive in francese, in italiano e in tedesco. Sono senza data, ma un periodo serve a indicare il tempo, che è di poco innanzi al viaggio di Achille in Inghilterra, e la patria della scrittrice « Godo molto di sentire, per via del nostro buono tedesco, che siete sul punto di vogare verso la nostra bella isola ed anche di penetrare sino alle mie alpestri montagne » .Vi sono anche lettere di Giuseppe Lamberti, del Versan, del Dufour, ecc. lettere dirette

:

:

!

(3)

Carte Menotti, fascio di Polissena Menotti, citazione posta come

a motto su di una coperta di Memorie.


— 435 2 luglio del 1846 facevasi fare il passaporto per ringhia

Il

terra (1), il 4 di quel mese era già all'Havre, diretto a Londra.

Partiva con lui Agostino Raffini, ed era accompagnato da sa-

amici parigini. Michele Amari gli

luti e da incarichi dei suoi

diceva tre giorni avanti la partenza :« Mi valgo della sua gentile offerta

mandandole una lettera pel bravo e cortese nostro

Polandri. Le auguro buon viaggio e che l'Inghilterra, secondo

me il solo paese d'Europa veramente libero, infiammi vieppiù il

generoso animo suo nello amore di quella patria che noi

non abbiamo per anco » (2) sante, accorate parole degne del siciliano. La contessa Guiccioli gli dava una lettera per Lady Blesington, che desiderava egli conoscesse, trattandosi di persona ugualmente distinta così per i talenti come per l'amabilità, e inoltre lo incaricava di saluti ai pa:

!

grande storico

triotti là

profughi (3).

A Londra strinse frequenti e cari rapporti con Giuseppe Mazzini, col quale del resto era in relazione

tempo. Tra

il

Mazzini e

il

amichevole da molto

Menotti era grande divergenza di

ma ciò non tolse che due corressero in ogni tempo i migliori rapporti. Vivo

vedute politiche e di finalità di scopi, fra

i

desiderio del Mazzini era di fare

un

proselite nel

figlio

magr

giore di Ciro Menotti, come aveva fatto un seguace fedele del

ma quantunque la cosa non riuscisse, non turbò affatto le loro relazioni. A Lond^a Mazzini fu fratello di Ciro, Celeste:

il

largo verso

il

Menotti delle maggiori cortesie. Riproduco due

letterine dirette dal Mazzini

ad Achille, a prova di tali ami-

chevoli rapporti. Nella prima Mazzini gli dà indicazioni per connotati indicati nel passaporto per Achille Menotti sono 1 se-

(1) I

guenti

:

altezza un metro e 68 centimetri, capelli scuri, fronte mediana,

sopracciglia «astane, occhi rossi, naso ben fatto, bocca media, barba ca-

stana, mento rotondo, viso ovale, carnagione sana, e colari

come segni parti-

ne era indicato uno alla gota sinistra. Conservasi nelle Carte Me-

notti, toc. cit. (2)

notti)

in

La bella lettera di Michele Amari (che conservasi nelle Carte Meha la data del 80 giugno

184tj,

scritta dalla casa

da lui abitata

Rue d'Alger, 13. (3) La Guiccioli lo incaricava specialmente dei saluti per Pepoli e per

Paltrineri {òarte Menotti, toc. eit.).


— 436 l'alloggio, pensiamo

Londra

immediatamente dopo

il

suo arrivo a

:

Carissimo Achille, Eccoti l'indirizzo della signora cii'io t'indicava per un alloggio: 16, ;Sidmoutli Street,Gray's inn Land. Sbocca, credo, in High Holborn, poco

prima di giungere a Holborn Hill. Vedila perchè credo ti converrà,

A rivederci domani alle sei da Cesarini. Tuo Giuseppe (1).

Pochi giorni dopo il Mazzini gli inviava questa seconda lettera, che è assai più interessante e utile per conoscere le abitu-

dini degli italiani a Londra e intendere gli schietti e sinceri

rapporti che erano tra

i

due

:

Caro Achille, Io

ho aspettato lunedì sino alle otto da Cesarini, ma tu non ve-

nisti,

e tutti voi dottrinari rassegnati a viver nell'epoca, non a tra-

.sformarla, avete, ho notato, ripugnanza pel popolo: credo ci troviate

un rimprovero. Scrutati bene addentro nell'anima e mi dirai se indovino.

Andrai al Parlamento; ma l'andarvi in questi giorni sarebbe stata

opera perduta: correvi il rischio di non trovare quaranta membri;

una seduta che meriti, e andremo insieme. Domani vado a seppellire un morto, ma pranzerò da Cesarini. Ve-

sceglierò per te

nerdì,mi bisogna escire alle due;rientrando, spero, alle tre e mezza.

Sabbato, sarò in casa, penso, pressoché tutto

il

giorno.Verrei da

te,

ma tu devi essere in giro e non ti troverei. Parleremo di Goethe, ch'era buono, ma in cui, grazie ad una falsa teoria della vita, le cerveau finit par potnper le coeur.

Addio: credimi amico tuo Giuseppe (2).

Forte e strano a un tempo zini, dà di

il

giudizio che un grande, Maz-

un altro grande, Goethe!

Né si contentò Achille di vedere Londra, ma proseguì per Edinburgh (3), e vide le principali città della Scozia e dell'Ir(1) Carte Menotti, fascio di

Achille Menotti. La busta originale, oltre

la letterina trascritta, contiene

un biglietto da visita di M." Henry R.

Richards, con dietro di mano del Mazzini stesso 's

:

«

With. mr. Mazzini

corapliments ». (2)

Carte Menotti, Ice. cit. La busta porta la data del 16 luglio 1846. Edinburgh gli è diretta, ad es., una lettera di un banchiera di

(3) In


— 437 — landa/Verso la metà di ottobre partì da Londra per fat ritornoa Parigi, il 20 era a Boulogne sur raer (1), pochi giorni dopoa Parigi, accolto festosamente dagli amici.

Nel marzo del 1848, l'anno delle grandi promesse e del rente risveglio delle libertà in Italia, Achille Menotti, lutti

Italia, I

altri

gli

patriolti

fio-

come

Francia e d'Inghilterra, venne in

di

toccando prima Milano.

patriotti reduci dall'estero dividevansi in due schiere: dei

repubblicani ossia mazziniani, derivanti dalla Giovine Italiane di coloro

che volevano pure la libertà e l'unità d'Italia, ma le-

gate all'opera di Carlo Alberto,e a questi ultimi aderiva Achille Menotti. Dissidio insanabile fra le due tendenze. Grande lavoro a

Milano ci fu fra illustri rappresentanti dell'una parte e dell'altra per venire a una intesa, per fondere tutti gli sforzi generosi in

un solo scopo, ma nonostante le speranze che pure parevano avere un lontano fondamento, l'unione non potè effettuarsi. II

Salimbeni parla di una lettera scritta nel 1848 da Achille

a Mazzini nella quale si delineavano

le

differenze sostanziali

due tendenze, e l'errore della teoria mazziniana, lettera che sarebbe scomparsa (2) ma a delineare le sostanziali differenze, non solo di quell'anno, ma di prima ancora, serve molto opportunamente la lettera del 1846. che sopra abbiam

fra le

;

riportata, di Mazzini a Menotti.

Menotti venne quindi a Modena, con

il

Huffini ed altri, ab-

compagni di sventura, gli amici, pochi che avevano potuto ritornare, baciò i membri della sua famiglia che

bracciò

i

i

pure eransi dati

il

ritrovo nella città natale (3), e si mise tosto

a disposizione del governo provvisorio, e tutto fu infervorato nel concetto della collaborazione col Piemonte, esplicando

le^

sue idee in parecchi articoli che furono pubblicati nell'inatta centrale di

Modena, ed altri nel Veaaillo italiano.

Londra per avvertirlo di uno chèque che per lui era alla National Bank of Scotland, in data del 26 settembre 1846. A Londra fu pure in stretti rapporti, ed anche epistolari, coU'amico Paltrineri. (Carte Menoiti,{siacio cit.). (1)

La data dell'arrivo a Boulogne si trae dal visto posto dalle auto-

rità consolari sul passaporto. (2) Op. cit., pag. 4 seg. (8) La famiglia Menotti era tornata dalla Toscana alla villa di Spezsano sino dal J845.


— 438 •e

La disfatta di Novara portò il lutto in tulli i buoni italiani, nuovo dalla terra loro patriotti Achille si recò

cacciò di

i

:

in Toscana e là stette fino al 1852.

Nel 1853

si recò nello stalo piemontese, a Genova, e qui fondò il giornale La Stampa, che seguiva la politica liberale

di Cavour. Dell'opera svolta dal Menotti nella altri giornali

mente

il

e della

Salimbeni (1), e non è

il

caso di ripetere. Aggiun-

gerò solo qui che Achille Menotti ottenne dietro sua esplicita

di pari data

si

Stampa e in

sua vita di Genova parlò già diffusa-

il

5 agosto 1853,

domanda, la naturalità sarda. Con decreto

dichiarava ammesso il Menotti nei R. Stati al

godimento dei diritti di regnicolo sotto l'osservanza dello statuto fondamentale e delle leggi, e alla condizione che nel regno si stabilisse e prestasse il giuramento di fedeltà (2). Così fece il Menotti, il quale da Genova passò presto a Torino, che divenne poi la sua sede prediletta e quivi rimase, salvo brevi intervalli, per tutta la vita. Di là faceva di tanto in tanto viaggi

ed escursioni. Lo troviamo a Parigi nel 1855, ospite del Didier, l'amico degli italiani (3), e in altri luoghi della

Francia

e della Savoia.

Nel 1859, poco dopo che per plebiscito fu dichiaqata l'adesione delle Provincie modenesi al Piemonte, il Menotti

si

recò

nella sua Modena. Il Farini, appena del governo del Re in

nominato rappresentante Modena, il 6 luglio volle mettere a pro-

fitto la

dottrina del Menotti con

risulta

da questa lettera:

un onorevole incarico come

Mentre importanti considerazioni mossero il sottoscritto a decretare

11

ristabilimento dell'antica benemerita Scuola militare del Ge-

nio, sopprìmendo V Accademia estense, la. gravità del compito in bre-

vissimo spazio afììdato alla relativa commissione, determinava in

(1)

Op. cit., pag. 50 seg.Vedansi poi nell'epistolario, pubblicato ia ap-

pendice ai cenni biografici, molte lettere del Molena e dell'Onigo riferentisi a questi anni e alla

Stampa.

(2) Il diploma originale conservasi nelle Carte Menotti, fascio di Achille

Menotti. (3) Si trae

da una simpatica lettera di Aglaé Didier diretta al Me-

notti, nella quale è detto clie suo marito si sente italiano t pour sym;patliie ».


— 439 — pari teoàpo

il

sottoscritto

alla scelta di

persene la cui segnalata

esperienza e dottrina fosse per concorrere degnamente alla pronta

ed augurata restaurazione. Si

compiace pertanto di partecipare colla présente la nomina della Commissione creata col decreto di ieri, e la

S.V. a Segretario della

invita a prendere gli opportuni accordi col Presidente intorno alle

norme applicabili per l'istituzione medesima. 11

Governatore: Farini (1).

Ma non si limitò a questo il Farini; con decreto del 31 luglio lo

nominava * Segretario generale presso la direzione del

Ministero di Pubblica Istruzione » e il prof. Grimelli il 5 agosto,

dandogliene la comunicazione, si compiaceva con lui (2), Il 14 agosto fu nominato deputato del 19.° Collegio (2.° di Sassuolo),

pur conservando il suo ufficio; finalmente con decreto fariniano del 10 dicembre il Menotti era nominato Direttore generale delle

poste (3). Questa carica tenne sino al marzo del 1860, e si di-

mise per potere presentarsi candidalo alla Deputazione del

Regno d'Italia per il Collegio di Sassuolo; ma prima di lasciare il suo posto esprimeva al Governo i suoi avvisi su quell'importante servizio e le riforme che egli pensava utili fossero portate (4).

Ricco e interessante è il carteggio che eglilenne in questo

anno venturoso con i patriotti più noti lustri. Ci

e le persone piìi

il-

limitiamo a riportare qualche spunto epistolare di

quella bizzarra e pur simpatica figura di Giuseppe Ricciardi,

(1)

L'originale della lettera del Governatore Farini conservasi nelle

Carte Menotti, fascio

cit.

La lettera del Grimelli ha la data del 5 agosto

da essa rilevasi che lo stipendio annesso alla carica era di L. 4(XX), con inizio dal primo <2)

ago-tto. Cosi

il

;

decreto come la lettera sono nelle Carte Menotti.

(3)11 decreto originale, che ancora conserv:isi, era accompagnato da

una lettera del Capo di Gabinetto Riccardi, di pari data. Del medesimo decreto esiste nelle Carte Menotti anche una copia autentica trasmessa

Menotti dal Torrigiani sotto il 24 dicembre del 1859. suggerimenti sono autografi ma frammentari, redatti sotto forma di lettera al Ministro. In sostanza tendevano a formare della Direzione delle poste un ministero a parte, o quanto meno un ufficio indipendente dal Ministero dei Lavori Pubblici, dal quale appunto allora dipendeva. al

(4) Tali


— 440 drammaturgo, romanziere, poeta, politico, ma sopratutto caldo patriolta. Ecco una lettera del 12 marzo scritta da Genova: Spedisco oggi stesso, sotto fascia, una copia del mio Martirologio italiano, pregandoti di farne parlare nella Gazzetta di Modena dai

nostro Canuti (1),

il

quale potrebbe anzi trascrivere qualche brano

dell'opera mia.

Hai veduto il mio compaesano prof.Trinchera? Il quale io confortai a visitarti e porgerti i miei

saluti. Ti spedii altresì

una copia d'una

memoria francese sulle cose di Napoli e Sicilia. La ricevesti? E ne spedii pure a Canuti e Farini.

Ebbi a suo tempo la cara tua dei 14 febbraio, colla risposta di quel tal

personaggio (2), che, invece

tico e diemmi ciò che

i

di

rispondere a tuono, fé il diploma-

Francesi direbbero de l'eau bènite de cour,

mentre prestò buon orecchio e porse anche aiuto a certi guastamestieri

che nulla fecero e nulla faranno, perchè non han credito al-

cuno. Tutt'altro io m'aspettavo, non tei celerò, dato che ben mi co-

nosce e che ha pur dato a divedere abilità somma nel condurre le pubbliche cose, spiegando, siccome ben

dici, prudenza o ardimento, secondo i tempi e le circostanze. Per me sta, che, bandita appena

l'annessione (cui nessuno oserà oppugnare), un moto avrà luogo nelle

Provincie romane tutt'ora soggette allo sgoverno papale, il qual moto

porgerà occasione preziosa agli Abruzzi a levare l'insegna dell'unità nazionale

!

Senonchè l'armi difettano in quelle contrade, ed urgente

sarebbe il farne un deposito a Rimini, ponendole a disposizione di tale

che indicherei. Qui siamo in trattative con G. (3) il cui nome

equivale ad un esercito. È inutile il dirti che il tuo vecchio amico

non sarebbe l'ultimo a muoversi, lietissimo di poter spendere un misero avanzo di vita dolorosissima a prò della causa per la quale durava 24 anni d'esilio, il sequestro delle sostanze, una condanna alle forche ecc.

Fa di comunicar con bel garbo il sugo di questa lettera al F. (4). studiandoti di fargli capire l'immensa importanza di una rivoluzione nelle Sicilie, senza

il

cui aiuto l'indipendenza italiana sarà sempre

un bel sogno! Né indugiar troppo ad iscrivermi. Spero che modo in un altro ci sia dato ben presto trovarci insieme. Ama intanto il tuo aff.™» amico

in

un

G. Ricciardi.

PS. Avrai ben presto (1)

una visita

della Luisa Colet, che fu qui in

E il bolognese Filippo Canuti, noto esule e giornalista.

(2) Il Farini. (3)

Garibaldi. Si allude ai preparativi per la spedizione di Sicilia.

(4) Farini.


— 441 novembre ed ora è a Milano. Godo assai di sapere che tuo fratello Massimiliano sia caposezione. Oh perchè m'ho una gamba di meno !

ed anni 51 sulle spalle ?(1).

Splendida lettera che ci apprende non solo raoimo caldo ed entusiasta del Ricciardi per la causa dell'indipendenza, ma reca indiscrezioni sui preparativi di Garibaldi, e ci allude

ci

ai tentiitivi di

insurrezione delle provincie dello Stato ponti-

ficio. Cose tutte

15

che si avverarono piìi tardi.

Ricciardi, uomo fogoso e d' impulso, tornò a

Il

scrivere

il

marzo al Menotti in risposta ad una sua del 14, senza aspet-

tare la risposta alla precedente sua sopra trascritta l".

:

A.

Ricevo in (questo) punto la tua dei

14, in

cui sembri confortarmi

a recarmi costì od a Torino, a fine di confabular col F.(2).Ma è questi

veramente disposto a vedermi ed a secondarmi ? Pregoti rispondermi, in modo reciso intorno a ciò, non volendo fare un viaggio inutile, e molto mepo compromettere la mia dignità! Aspetto una tua risposta immediata.

Scusa questa seccaggine ed ama il tuo aff.mo G, Ricciardi. P, S. Piawìciati indicarmi

il

giorno preciso della partenza di costì

delF.(3).

Dinanzi a queste vivaci lettere e a questi caldi progetti, il Menotti, che era parte del governo, e di

veva procedere con tutte

le

un governo che do-

cautele, non volle, come

si

suol

dire,sbilanciarsi e rispose breve e circospetto, Il Ricciardi ne fu

come offeso, e comprese che le sue proposte grandiose non sarebbero state accettate dal Farini. Nella lettera del 24 marzo si

lagna di freddezza col Menotti, parla della Colei che l'aspet-

Genova nel recarsi a Torino per il 31, e lasciava capire di aver compreso come il tava a Milano, lo invita a passare da

Farini non fosse troppo propenso a secondare tutte le ardite

proposte del Ricciardi,* Ben capirai, egli aggiungeva, le ul-

time tue non es.sermi semt)rate tali da stimolarmi a conferire

con F..Ì1 quale noi mi trattò con prosof>o|)ea da ministro, an(li

Carte Menotti, fascio di Achille Menotti,

(2) Farini. (3) Carte Menotti, t'ascio cit. Il Riaorg. ital.,

Xl-XH.

'

»


— 442 — modo che avrei meritato, mentre prestò pure l'orec-

zichè nel

chio a imbroglioni, che abusarono della sua buona fede. Ma

va il mondo e così andrà sempre msii.Et amen ».(1).

così

colloquio probabilmente non ebbe più luogo, ma in breve

Il

vicende cambiarono in guisa da essere reso inutile. D'altra

le

parte

il

Farini sapeva per ben altre

vie

ciò

che bolliva in

pentola e non gli conveniva di prendere impegni che in qualche

modo potessero ostacolare i grandi avvenimenti che stavano cautamente maturandosi.

La breve e modesta vita politica del Menotti nella sua nuova veste di Deputato è stata illustrata dal Salimbeni

;

quale

dal

apprendiamo anche il tenore della sua vita privata, da quando cioè abbandonò la deputazione, per darsi ai viaggi, àgli studi, consuetudini famigliari.

alle

Morì in Torino il 29 giugno del 1878 e fu sepolto il 1 luglio nel camposanto di quella città (2).

Achille Menotti avrebbe forse potuto dare assai di più di

quel che realmente produsse. Fornito di buona cultura, con un

ingegno svegliato se non profondo, ma schivo restìo a piegarsi, aborrente

dall' apparire,

da tutto ciò che era esibizione,

non ebbe mai voglia o modo di mettersi in vista e assurgere a gran condizione.il suo stesso carattere, non facil le illu,

sioni di trionfi che erano mancati, lo resero stanco di tutto, lo

allontanarono dalla vita e gli inspirarono quel senso sottile

di

misantropia che fu

cagione di una vita che parve strana

la

volutamente e di persona superba e disobbligante, invece che di bonaria e gentile qual era.I veri amici che ben e appartata

conobbero, tali gli rimasero fino alla morte: gli

lo

(1) Carte Menotti, fascio di Achille Menotti. Fra

altri

che

queste carte trovansi

Menotti nelle sue funzioni di deputato e testimoniano pure della considerazione in cui lo teneva il Farini. (2) Sulla sua tomba fu dai fratelli collocata una lapide con questa

molti biglietti che riguardano

epigrafe <

il

:

Achille di Ciro Menotti

|

modenese

|

nell' incolpevole

esigilo l' nel-

l'Assemblea Costituente della provincia natale nel Parlamento Itanella stampa esempio d'amor patrio e di senno operoso la vita lico intemerata sacra all'indipendenza e alla libertà chiuse sessantenne |

|

j

|

I

nell'ospite Torino tello diletto

|

|

|

I

|

a dì 29 giugno 1878

Q. M. PP. »

|

|

|

Adolfo e Massimiliano

|

j

al fra-


— 443 8on soliti a vedere solo l'esterno e la lutti i rapporti cercano il

proprio utile, lo abbandonarono non solo, ma spesso nasco-

stamente

lo

attaccarono.

Su Achille, il primogenito, la madre aveva fondate le maggiori speranze ; voleva essa

che nei nuovi destini del paese

assumesse la parte che giustamente spettava al figlio di Ciro Menotti. E devesi, crediamo, alle insistenze della

madre se si

presentò deputato, e se nel 1859 e 1860 accettò cariche. Venuta

a morte essa, con al capezzale il suo Achille, egli sentì venir

meno lo scopo, la molla maggiore

dell'oprare suo; e lenta-

mente, ma recisamente, si raccolse tutto in una vita privata, data solo all'afFetto dei

fratelli e di

pochi amici.

Albano Sorbelli.


TEATRI E CENSURA Iji PIE|VIONTE NEL RISORGIMENTO ITALIANO (1849-1861)

La

revisione delle produzioni destinate ad essere rappre-

sentate sul teatro ebbe in ogni tempo la triste sorte di rappre-

sentare per gli autori e pei capocomici un grave peso, molesto

quasi come una colonna di fumo densissimo ad un paio d'occhi malati. Vi fu chi la volle definire feroce tarpatrice dell'in-

gegno umano. Costui era senza fallo uno di quei tanti commediografi incompresi, che ne avevano sperimentato i flagelli e i morsi. È fuori d'ogni dubbio però che, comunque sia esercitata, fatalmente essa fu, e sarà sempre costretta a procedere attraverso ad una schiera di detrattori e di malcontenti.

Lasciamo ad altri la briga

di

arrovellarsi

ricercare se le sue origini siano più o

il

cervello per

meno remote, e di di-

scutere se essa fosse proprio già nota ai Greci, i quali, secondo si

narra, imponevano agli autori drammatici di sottoporre al-

l'Arconte

i

loro lavori

prima di vederli rappresentati. A noi

qui ora non monta di sapere se Eschilo,Sofocle,Aristofane,Euripide abbiano dovuto passarle sottomessione, e se anche Teo-

dorico avesse introdotto qualche cosa di simile per le produzioni che si volevano rappresentare per passatempo de' suoi soldati. Non

discutiamo neppure se verso

il

tramontare del

secolo decimosesto san Carlo Borromeo, a tutela della moralità

pubblica, già discretamente maltrattata sul teatro, l'avesse ri-

messa in vigore e la facesse esercitare in Milano dal parroco di S.Barnaba, beato Alessandro Sauli. Nulla ci preme di sapere se Luigi XIV di Francia, le Grand Boi, punto sul vivo per qual-


— 445 — che frase poco ortodossa lanciata con nessun riguardo contro la sua solare persona, abbia instituito la censura politica. Ac-

come sono, fatti compiuti e, prendendo le cose come stanno, accontentiamoci di esaminare alla buona,

cettiamo, cosi così

i

un po' da vicino, com'essa funzionasse il

in Piemonte durante

periodo, nel quale furono combattute le guerre per l'indi-

pendenza e per l'unità d'Italia.V^edremo grattacapi che censori e direttori dei teatri ebbero a provare nel decennio che intercedette dall'anno 1849 all'anno 1859, e viceversa quelli che i

fecero toccare alle loro vittime.

Meglio dire subito che le rivelazioni saranno molto discrete e punto compromettenti. Non solleveremo i veli e le pietre che

coprono le magagne se non per quel tanto che basti per lasciarci vedere ciò

che è

lecito. D'altronde

a che frugare nei

cimiteri? Per la maggiore intelligenza di certe cose ci toccherà di spingere il

il

nostro sguardo un po' fuori del campo, entro

quale a rigore di termini dovremmo restringerci. Cercheremo

non ci porti ad abbandonar» la via kjhe ci siamo tracciata, per divagare di qua o tuttavia che l'escursione sia breve e

di là. II.

In primo luogo teniamo per fermo che la censura teatrale

massima fedeltà il pensiero e le tendel sovrano chiamava a reggere la cosa pubblica. Finché il governo del Piemonte ebbe rispecchiò sempre colla

denze di coloro che

la fiducia

forma assoluta, la Censura fu stretta, intransigente sino grettezza. La base .^ulla quale poggiava

solo

il

Nihil de Deo,parum de principe

il

alla

suo edifizio era non

ma la

lotta

ostinata

contro quanto anche lontanamente poteva offuscare la moralità e

il

buon costume, il rispetto alle persone e ai

principi.

Di piegarsi a concessioni, a mezzi termini non era da pensare.Guai a chi avesse ecceduto la misura! I fulmini e le saette

non si contavano più. Altro che bavaglio! Possiamo anzi aggiungere una parola <ii più quando pure per una svista fosse sfuggita ai censori una licenza di rappresentazione ad un la:

voro poco ortodosso, il pubblico slesso insorgeva scandalizzato e faceva giustizia

sommaria

della produzione. Sembrerà


- 446 — strana questa affermazioDe,od anche esagerata, eppure il fatto successe realmente e oggi, a novant'anni di distanza, ne esi-

stono ancora le prove che riassumerò qui brevemente. L'episodio avvenne nel maggio dell'anno 1829, La manìa suicida

sembrava allora dovesse mettere radici in Torino. Nel

breve giro di poche settimane se ne erano contati tre. La cittadinanza, che non era avvezza a sentir ragionare di sì deplorevoli eccessi, ne era oltremodo

scandalizzata e rattristata,

anche perchè temeva che il malo esempio si propagasse e mietesse

nuove

vittime. Ad

un giovane

attore della

Compagnia

Sarda venne il capriccio di sfruttare lo stato d'animo dei to-

un dramma nel quale figurasse appunto un suicidio. Poco tempo innanzi si era fatto un gran rinesi e di abborracciare

parlare su di un avvenimento consimile, che si era svolto in

Milano. La sempre esuberante città i

sepolcri

della

triste

si

era

commossa così, che

eroina, suicida per amore, e del suo

amante, che ne aveva raccolto l'esempio, erano diventati

la

méta di numerosi pellegrinaggi, che badavano a

co-

perti di fiori. Anche la

battezzare col

moda

capricciosa

si

tenerli

era affrettata a

nome della giovane anelli, cappelli ed altri og-

getti di vestiario.

dramma, che l'autore aveva battezzato Le due Catterine, urtò subito negli scogli, ma ahimè potè resistere al cozzo. ReIl

!

visori, direttori, attori stessi si dichiararono unanimi contrari

alla rappresentazione. La prima attrice, signora Marchionni,non

esitava a definirlo di nessun valore; ma l'autore contava ap-

poggi attivi, intraprendenti, tenaci che seppero così bene agitarsi

ed agitare da strappare una vittoria insperata su tutti

gli oppositori.il pasticcio tu rappresentato. Per chi

fosse cu-

rioso di conoscerne la trama, riferisco un documento, che credo inedito, che la espone così: Adele, figlia di Dorby, è amata da Warwich e da Suflfolck. Questo ha ottenuto il suo amore. Warwich minaccia il rivale di far conoscere che ha preso parte alla cospirazione contro Elisabetta d'Inghilterra. La

mano di Adele è premio del silenzio, e così l'ottiene. I

rimproveri di Suffolck all'Adele e i rimpianti di questa conducono i

due amanti al disegno del suicidio.

'

Adele finge di dormire per ingannare Warwich che si è ritirato


— 447 da una parte e così essa paò venire ad un appuntamento e assicurare l'amante ch'essa ò sempre pura e intatta.AUora i due, tenendosi

per la mano, dichiarano che

la loro

unione è un vero matrimonio,

perchè è l'espressione verace del loro cuore.

Due pufrnali gioveranno a porre termine alle loro sofferenze quaguna regióne dove il loro amore sarà coronato.Adele si trafigge per la prima e Suffolck,gettando il pugnale, si uccide con quello stesso che ha servito al suicidio della donna e confonde così due sangui. Giungono il padre ed il marito, i quali sono colpiti dalla vista dei due cadaveri. giù ed a riunirli per sempre in

i

È peccato, che l'autore non li abbia indotti a seguire

l'e-

sempio.

La rappresentazione

riuscì

burrascosissima.il pubblico

si

schierò recisamente unanime dalla parte di coloro che si erano chiariti opposi tori. Nauseato pel dramma, che gli si ammaniva,

clamorosamente e fece giustizia sommaria di un la-

prote.'^lò

voro, cho gli stessi spregiudicati definivano

uno scandalo. la rumo-

Qui non si arrestarono le recriminazioni, perchè

rosa catastrofe di Le due Catterine non fu considerata alla

stregua degli insuccessi teatrali, che

si

registrano comune-

mente. Molli protestarono fieramente. Fra tutti chi alzò più violenta la voce fu il

miti

marchese Cesare Tapparelli d'Azeglio.! più

accontentarono di giudicare il dramma come privo af-

si

fatto di

buon senso e di morale. ili.

Il

dieci d'aprile dell'anno 1849 venne per Decreto Reale isti-

tuita una Nuova Direzione generale dei Teatri alla quale venne

deferita la vigile sorveglianza su tutti indistintamente gli spettacoli

scenici della Capitale e su

La Direzione, che praticamente

quanto si riferiva ad finì

per avere

la

essi.

massima

doveva essere sotto la dipendenza diretta del Ministro dell'Interno. Vennero chiamati a costituirla il cavaliere Massimo D'Azeglio, il Ciivaliere Giovanni Battista Cossalo, l'avvocato Luigi V' igna, il libertà

di azione, era quasi scevra di controllo e

cavaliere professore Pier Alessandro Paravia, il conte Pietro

De Rossi di Santa Hosa,il cavaliere Domenico Promis, il maeMassimo Turina, il cavaliere ardiitetto

stro l'ielro (ìjovanni


— 448 — Pelagio Palazi, il maestro Giuseppe Riccardi, il conle Cesare della Chiesa di Benevello, il cavaliere Felice Romani, il cavaliere David BertoloUijl dottore Angelo Massoni, l'avvocato Gio-

vanni Minghelli segretario.

Non tutti questi personaggi accettarono con lieto animo il mandato. Taluno si

ritirò subito, altri si

dimisero più tardi,

morì quasi subito. Siccome con queste defezioni, volontarie o non,i membri di essa si erano ridotti a sette, cosi furono nominati il marchese Ferdinando Arborio di Breme in

altri

sostituzione del Santa Rosa dimissionario, il conte Gabaleone di Salmour tenne luogo del conte Benevello defunto, il

commendatore Michelangelo Castelli e il cavaliere Domenico Ferri vennero aggiunti in cambio di altri dimissionari. Collo stesso decreto fu ancora provvisto all'abrogazione di altro del tre marzo dello stesso anno (pel quale il teatro Regio

era posto sotto la dipendenza immediata del Ministro dell'Interno) e alla costituzione di

un Consiglio di Direzione presie-

duto dall'Intendente Generale della Divisione di Torino. Di esso

erano anche membri il Sindaco e

il

Questore.

La nuova Direzione Generale rivolse le sue prime sollecitudini, nell'atto stesso in cui assumeva il mandato, a riformare l'istituto della Revisiope, in tliodo da renderla r/ indizi osa, tem-

peratale in perfetta armonia colle nuove istituzioni politiche

(

1 ).

Apparve però subito un guaio, dal quale scaturirono certe conseguenze, che dovettero tornare inaspettate e sgradite

ai

nuovi sovraintendenti sulle faccende teatrali.

La soverchia fretta, lungi dal contribuire a migliorate cose, le scombussolò così da richiedere nuovi

studi

e

le

nuove

riforme.

Per comprendere bene, innalziamoci per poco sulle miserie di

quaggiù, e giudichiamo spassionatamente e serenamente

dall'alto. La censura, come funzionava sino al giorno nel quale

se ne richiese imperiosamente la riforma immediata, n(m me-

ritava

una riforma così fulminea. Si disse, per giustificare l'ur-

genza, che la persona alla quale era afiQdato il compito delibi) Akch. di St. DI ToKmo^ Ministero degli /nfer?ii,Div. Il, Teatri.B&i

vari mazzi, che costituiscono questo fondo, sono tolti si

trovano citati o ricordati qui.

i

documenti fhe


-

catissimo «li

persona di

rivedere

altri

le

-

449

produzioni destinate

al

teatro era

tempi, col cervello pieno di idee antiquate.

Era tanta la sfiducia, che i novi homines avevano in lai, lauta la premura di liquidarlo, che il sedici di aprile dell'anno stesso, scrivevano già al Ministero invitandolo a nominate un altro Censore

da mettere a fianco airantico,del quale pur condiritti acquisiti. Qualora poi non si tro-

veniva rispettare vas.<e

li

i

per li dal .Ministero un soggetto idoneo, erano pronti

a suggerirne uno. Il

revisore cosi maltrattato dai

nerale era

il

nella cattedra al

membri della Direzione Ge-

professore Carlo Facelli, canavesano, succeduto «li

letteratura italiana nella Accademia Militare

notissimo Anton Maria Robiola

«la

Arignàno.Il Facelli era

uno di quei caratteri tutti d'un pezzo, alieno da compromessi, che si era fatta fama di intransigent % di. pedante, di retrivo e di puzzare di sagrestia. Povero prof es^^ore Chi lo conobbe e !

sua figura bonaria. dura fatica a credere che fosse «*osì temibile Minosse da far impalli<lire il suo omo-

ancora rivede egli

la

nimo di dantesca memoria. Egli il

però, che

forse

aveva fiutato

vento infido, aveva già bulbito le mani avanti, per non ca-

dere, insistendo perchè, in vista dell'aumentalo lavoro e delle

sue molle oceupazioni, gli fosse concesso di valersi nel diffìcile

coinpilodi censore dell'opera di suo

figlio

Olimpio. La

sua domanda venne accolta, ma perchè la revisione non fosse infeudata nella dinastìa dei Facelli, gli

si «lette

un collabora-

tore litolare in persona del dottore in leggi Federic«) Biancardi.

problema della ritorma della Revisione con questo ripiego non aveva fatto al«'un j)rogresso verso una soluzione. .Ministro Il

e Direzione Generale noti durarono molla diflicoltà a convin-

cersene e dovettero pr«>vare l'amara disillusione di essersi in-

gannati a partito. Non poca dovette essere la loro mortificazione, quando

si

avvidero di dovere forzatamente assistere al

ril<irno trionfale di ciati

per

la porta,

riammetterli

certi

sistemi facelliani. Li avevan«> cac-

ma trovavano ben spalancaUi la finestra per

e, quello

che è |)eg^Mo, in forma né purgata né

corretta. Il retrivisnio «lei professore canavesano era vemiicato. Il

triste risultato del dualismo di idee apparve subilo anche

ai ciechi. Fac^-Ui e Biancardi, che

stavano un jk)' In cagnesco.


— 450 avevano pensato bene di dividersi i teatri in due grappi, uno per ciascuno. Siccome tutte e due i revisori tenevano a professare liberamente

le

dizi rappresentassero

loro opinioni, avveniva che. i loro giule

contraddizioni più stridenti che

si

potessero immaginare, le quali conducevano a risultati veramente strani. Tizio vedeva per esempio un suo lavoro respinto

da Facelli?Non si comraoveva per cosi poco. Senz'altro lo portava a Biat:cardl e lo vedeva approvato. Gaio non era riuscito a strappare a Biancardi

il

parere favorevole? Pacelli lo acco-

modava subito. Intanto il pubblico si divertiva un mondo questo curioso spettacolo, dal quale rata e

la serietà

a

usciva vulne-

re\isori screditati e malconci.

i

Le conseguenze di queste baruffe in famiglia fornivano, e questo è peggio, argomento valido a coloro che colla censura erano più direttamente a contatto, per dare al vocabolo Libertà significati sempre più anipì.Gapicomici d'ogni risma, autori di tutte le levature si valevano di questo stato di guerra,

due revisori, per mettere in opera scherzi di catnon poetiche, abusi di ogni conio indecorosi per quella povera arte, che già per sé stessa navigava in

accesa fra

i

tivo genere, licenze

certe acque tutt'altro che chiare e tranquille.

IV.

È doveroso registrare che certi sistemi,

i

quali al postutto

riducevano il teatro ad un'officina di canzonatura del pubblico e della censura,erano per buona sorte non usati in Torino. Qual-

cuno aveva fatto capolino durante il brevissimo periodo, in cui aveva spadroneggiato il giacobinismo di pochi audaci mestatori, ma non aveva attecchito. Vi era ricomparso dopo la proclamazione dello Statuto, quando in nome sempre della Libertà teatri si danneggiavano l'un l'altro con un tenace accanimento e i loro proprietari non sapevano trovare modo di accordarsi per togliere di mezzo una concorrenza, che li opi

primeva e li rovinava. Questi gravi abusi, che timidamente

si

erano presentati ed

ora si rivelavano sfacciatamente,richiedevano uno stringimentodi freni altrettanto frettoloso

quanto energico. Il credere che

l'opera del Revisore teatrale

si

dovesse ora limitare a dare il


- 451 — semplice parere favorevole o negativo sulla rappresentabilità

un lavoro drammatico, era ormai un assurdo. Non erano

di

più

beati tempi in cui la carica di « Membro della Direzione

i

Generale dei Teatri » si riduceva ad un semplice titolo onorario, o poco meno. Era venuta l'ora di agire colla massima energia. Il

pretendere che da sole la Direzione dei Teatri e la Cen-

sura bastassero a rimettere le cose a posto e a ritornare l'ordine e

la disciplina là, donde

tanati, era

più o

meno erano slati

allon-

volere l'assurdo. Il male era troppo complesso,

il

troppo profondamente radicato, perchè si potesse curare presto e bene. I sistemi e gli abusi che si terlo, erano importati

in Piemonte

deploravano, giova ripeassai

:

lontani ne erano

i

focolari. Tutto stava nell'impedire che attecchissero e si propa-

gassero nel piccolo regno. A questo solo dovevano tendere gli sforzi

della Censura e della Direzione Generale dei Teatri. Se

vi siano riusciti è quanto appunto noi

verremo considerando,

ma converrà prima che noi diamo uno sguardo alle magagne, che affliggevarìo sura acuiva

il

tutti

i

teatro drammatico e contro le quali la Cen-

suoi sforzi. V.

Ecco intanto un fatto caratteristico, che guai, che più rapidamente diffìcile e

si diffuse, e

ci

rivela

uno

dei

che richiese una lotta

annosa prima di essere debellato.

Verso la fine del maggio dell'anno 1849 il capocomico Giannuzzi, che sbarcava piuttosto

rappresentare

al

drammoni

forti

teatro

malamente

il

lunario facendo

Gerbino dalla sua compagnia

certi

un colpo da maestro sfruttando negli utili una buona occasione. Fece adunque affìggere per le vie di Torino un manifesto col quale si ina

tinte, credette

di

fare

vitava « il colto e l'inclita » ad assistere in gran numero alla

rappresentazione di un

dramma grandioso intitolato La bat-

taglia perduta pei tradimento del generale di divisione, ossia la fucilazione sospesa. Annesso al cartellone e quasi a convin-

cere meglio

il

pubblico della verità inoppugnabile della cos^i,

stava un disegno a colori, capolavoro di un qualche ignoto Raffaello nel quale si vedeva un generale piemontese, insignito-


— 452 — del Collare dell'Ordine dell'Annunziata in atteggiamento umile

e dimesso davanti a due ufficiali austriaci, che lo squadravano

da capo a piedi orgogliosi e sprezzanti. L' infelice battaglia

Novara e l'armistizio erano

di

fatti

della vigilia... Le gravi

responsabilità del disastro erano l'oggetto di tutti e la vivissima discussione

menti, che

si

facevano attorno

Ramorino. Il buon punto. rale

titolo

del

al

discorsi,

i

era ancora rinfocolata

da'

com-

il

gene-

processo contro

dramma, il disegno venivano a

Per quanto il manifesto fosse subilo lacerato, non ne sfuggì

l'importanza ai signori del giornale « Il Risorgimento >*, che col Ministero

non avevano troppo buon sangue. L' occasione

per un buon attacco all'avversario non poteva essere piìi favorevole: infatti fu colta a volo e sfruttata a dovere. Con un articolo abbastanza vibrato « Che fa la Direzione Generale dei

Teatri?» fu impegnala vigorosamente la battaglia e

il

Mini-

stero ebbe la sua frustata a sangue. I^a

Direzione Generale dei Teatri, attaccata e battuta in brec-

con tanta furia, cercò, inquisì. Per colmo ebbe ancora il danno di vedersi tirare sassi in colombaia da un suo membro cia

rimasto (ufficialmente almeno) sconosciuto. Costui colla veste di rettificare

alcune inesattezze scrisse al furibondo giornale

una lettera, che venne subito fatta pubblica, colla quale mentre scagionava sé stesso e separava la sua responsabilità da quella de' colleghi, si schierava recisamente coi protestanti. Il

putiferio e la discordia gettata nel

campo di Agramante

furono opera esclusiva del Giannuzzi. Risultò infatti che egli

aveva bensì presentato

alla

censura un

dramma nel quale

incidentalmente si parlava della fucilazione di un generale,

ma trattavasi di un vecchio dramma del Federici, morto da qualche tempo, intitolato 11 cavaliere Baiardo. 11 revisore Facelli, non

ravvisandovi cosa alcuna che potesse impedirne la

riproduzione, lo aveva approvato, ben lungi dal sognare ciò

che sarebbe avvenuto. Il

fatto

poteva non rimanere isolato. Si studiò subito dalla

Direzione Generale

il

mezzo energico per togliere ai capico-

mici la bizzarria di introdurre nei loro manifesti certe trovate

non sempre felici per quanto immaginose. Dalle misure esco-


— 453 gitale per conseguire

l'

intento balzò fuori una

nuova

e più

radicale riforma nell'ordinamento della censura, che se potè apparire per un certo senso più liberale, coloro che l'ebbero

a provare non ebbero difficoltà a giudicarla non

meno

ves-

satoria.

Prima di accennarvi

in

modo

speciale, vediamo

come

fu

risolta la questione dei manifesti. Il questore, che era meQibro

nato del Consiglio di Direzione, si impegnò a regolare le cose in

modo che tutti

cartelloni

i

teatrali

fossero sottoposti ad

una specie di censura, la quale sarebbe esercitata dal suo ufficio. Le

variazioni

ai

titoli

originali

delle

produzioni

non

verrebbero tollerate assolutamente, sopratutto quando apparissero determinate dallo scopo evidente di trarre il pubblico

quelle

in inganno. L' uso delle divide nazionali militari e di

che per avventura fossero indossate da impiegati

civili dello

Stato verrebbe vietato. Gli abusi riscontrati nei manifesti teatrali ed altri, ad onta di questi provvedimenti, continuarono a sussistere. Vero è ail-

che che i

rigoristi, gì' incontentabili, i

serappuntini. che non

mancano mai, avevano fatto idea che la Censura sui manifesti dovesse esercitare

la

sua opera a tutto ciò che per qualsiasi

motivo si doveva affìggere per le strade, quando pure si tratta'sse ^1 semplice pubblicità. Tutto ciò che non sembrava loro abbastanza stretto, costituiva una buona ragione per bandire la croce addosso alla Revisione e alla Direzione Generale troppo

corrive nel lasciar passare ciò che loro veniva sottoposto. La foga dell'accusa andava tant'oltre, che anche

i

confini

della

giurisdizione dei direttori teatrali venivano da quelle buone

persone ampliali a loro uso e consumo, senza badare che essi si

limitavano a ciòcche streltameote apparteneva agli spet-

tacoli scenici e loro affini.

Così rìell'anno 1853 apparve attaccato alle cantonate di Torino un avviso col quale la cittadinanza era invitata ad ac-

correre a Porta Palazzo durante gli ultimi giorni di carnovale

per ammirare due... ragazze adulte

mostruose, straordinarie.

Gli scandalizzati si scagliarono senza più contro la Direzione dei Teatri, che permetteva simili spettacoli, e contro

la

Cen-

sura, che non aveva vietato l'affissione dell'avviso al pt*bblico.


— 454 Le discolpe furono assai facili, percfhè la prima non aveva mostra delle dònne grasse, quindi non

affatto ingerenza sulla

poteva

vietare

simili

spettacoli, se

così

possiamo definire

questi amminicoli ormai indispensabili delle tiere e delle ricor-

renze carnovalesche,che erano compresi nella categoria « mostre

commerciali » e quindi di competenza della Questura. Ad essa voleva. essere girata la protesta e rivolto l'invito di

investi-

gare come, da chi, con quali norme fosse stata concessa l'esposizione dei due fenomeni e sino a qual punto essa si potesse conciliare cogli interessi della moralità pubblica e della scienza

anatomica.

Nel bandire la lotta contro i cartelloni illustrati il questore

non aveva fatto assegnamento che sulla sua autorità di capo dell'Ufficio di Polizia. Egli non si era reso conto che le parole, gli atti non bastano, se non vengono suffragati con argomenti pili

perentori. Precisiamo, l capocomici erano usi a

conside-

rare le prescrizioni restrittive. dalle quali erano colpiti, come altrettanti ostacoli insopportabili, che

inceppavano la loro li-

bertà d'azione -e danneggiavano lo svolgimento pacifico della loro azienda. Il signor Pubblico per altra parte, segnatamente

quello che costituiva la massa de' frequentatori de' teatri popolari o diurni, voleva bere grosso.

Non per nulla l'adagio latino Vulgus vult decipi è parecchie volte secolare. Certi sgorbi, per quanto antiartistici, antiestetici, anacronistici, battezzati

col

nome

di

incisioni colorate,

esercitavano un fascino straordinario sugli occhi e sui sensi

fermavano l'attenzione. Si aggiungano i titoli reboanti delle produzioni, gli ossia di prammatica di due o tre sottotitoli non meno sonori, la divisione delle parti dei passeggieri e ne

prolissa e gonfia e l'ubbriacatura era completa. Il teatro si riem-

piva di spettatori e

il

noto sonetto di Neri Tanfucio

Fuvvi tiranni ognora e sempre sonci (1).

aveva efficacia anche in Torino, per descrivere l'ultima scena d'un drammaccio rappresentato in qualche teatro diurno. Dwm-

(1) Neri Tanfucio, S'oneff?

tragedia.

in vernacolo Pisano, L'ultima scena

d'una


- 455

modo

veniant, dicevano soddisfatti

i

capicomici

e

seguita-

vano imperturbati nel loro sistema. La Questura sbraitava e colpevoli brontoloni. Sanzioni penali per colpire con essa e i recidivi non esistevano quando non era offesa la moralità i

i

:

o la ragione di Stato con una pittura .sconveniente, nulla si poteva obbiettare.il delitto di lesa arte non fu mai d'altronde contemplato dal codice penale. Poco a poco colle incisioni si tornò a sdrucciolare, tinche si cadde in falso.

La mattina del sei aprile dell'anno

1854, il Questore

strappare dai suoi agenti un manifesto, col quale

il

fece

capoco-

mico Mugnaini invitava la cittadinanza ad assistere alla rappresentazione dì non so quale dramma militare, che si sarebbe esposto sulla scena del teatro Giardini, baraccone di legno ora

scomparso che sorgeva nei prati ove è l'attuale via Pio Quinto, dietro al tempio Valdese. Il guaio stava non nel cartellone per sé stesso, ma nell'incisione, nella quale era

il

solito Generale

piemontese in mezzo a tre Croati prono davanti ad un collega austriaco.

Questa volta la pazienza del questore non fu piìi contenuta.

un termine a questo abuso ormai inveterato e di impedire una buona volta la comGli parve essere giunta l'ora di mettere

parsa sfacciata di quel disegno offensivo, che- i capicomici ac-

quistavano in altre regioni d'Italia e introducevano nel Regno.

A scarico della sua responsabilità credette bene di riferire la cosa al Ministro. Il disegno a suo giudizio non era stato acquistato a Torino, ma veniva dal di fuori e produceva senza

dubbio pessima impressione. Non era spuntato finalmente

il

giorno in cui, messi da parte gli scrupoli, era utile provvedere, perchè si potesse porre finalmente un freno rigoroso a certi abusi troppo inveterati f « Per i fatti atroci, od allusivi a cose apiacevoli, di religione e «imi7i. scriveva egli, c/ie per

lo

più

rappresentano iairoggetlo colla loro 8trnvaffama,che giammai

ha a che fare colla produzione annunziata, d' ingannare il pubblico specialmente men colto onde indurlo a recarsi al teatro) producono un pessimo effetto sulla popolazione oltreché poi ai lagna detr inganno, cui è fatta segno, sema contare le dicerie,

dw «I fanno eziandio contro i Autorità per lasciar rappreaentare tali cose »


- 456 Il

questore aveva ragioni da vendere e, per suffragarle me-

un altro fatto. Pochi giorni innanzi suoi agenti avevano lacerato un manifesto abbellito da uno dei soliti sgorbi rappresentanti un fattaccio. Gli sembrava perciò opportuno di rivolgere un monito ai signori capicomici presenti a glio, narrava

i

Torino ed a quelli che sostituirli, a

fra

pochi giorni sarebbero venuti a

cagione dell'imminente cambio delle compagnie,

per avvisarli che non

si

sarebbero più tollerati manifesti che

recassero disegni. Il

Ministro approvò subito

la

proposta e ne autorizzò pie-

namente l'esecuzione immediata. Si crederà che almeno questa volta l'ordine venisse eseguito ?Oibò! Diciasette giorni dopo e precisamente la mattina del ventritrè aprile le guardie stac-

cavano sull'angolo <ii via Po e di piazza Castello un manifesto con un disegno rappresentante la risurrezione di una sepoltaviva.Il capocomico Giardini aveva fatto le cose bene, l'incisione era di proporzioni maggiori delle solite e

parivano più grandi

:

il

le

figure ap-

titolo della produzione era anche stato

opportunamente variato. Questa volta il questore fece chiudere il teatro per due sere. II divieto delle incisioni venne mantenuto integro sino all'anno 1857. Fu temperato per aderire alle richieste del capo-

comico Seghezza, che intendeva di rappresentare convenientemente un dramma, che traeva il suo nome da Emanuele Filiberto. Si stabilì allora

che le incisioni relative a fatti storici,

o riconosciuti analoghi all'azione, fossero tollerate, purché il capocomico le sottoponesse a preventiva approvazione della questura. VI.

Un'altro de' motivi, che ostacolavano l'opera della Censura in materia di

manifesti, fu già accennato di scorcio. Consi-

steva nel malvezzo di variare poco o molto, secondo

costanze e il

capriccio, i titoli delle

le cir-

produzioni, od anche di

aggiungervi sottotitoli, più o meno appropriati, che per solito finivano per .sostituire i veri, perchè venivano stampati con

dimensione e per colore. Il pubun dramma con un titolo nuovo.

caratteri più appariscenti per

blico trovava annunziato


— 457 — senz'altro abboccava all'amo e, attratto dalla lustra di

assi-

una produzione a lui sconosciuta, affollava il teatro. La t?i()ia dei capicomici.cbe avevano così bene teso la rete, era di breve durata. Gli spettatori, quando si accorgevano di essere stati ingannati, protestavano clamorosamente contro chi li aveva gab! ati e non risparmiavano i loro strali contro la Revisione, che tacitamente approvava la frode e contro la Direzione Generale, che le prestava il suo aiuto compiacente. stere ad

Questa per sé slessa e pe' censori cercava

tando

la res[H>n sabili là del

di

scolparsi, get-

brutto tiro sui veri colpevoli, ma

invano. Costoro, che invece vi trovavano

il

loro tornaconto,

fingevano di non accorgersene e di dormire della grossa e la-

sciavano che il pubblico si sfogasse e anche disertasse per

qualche sera 11 teatro. Quando supponevano un po' svanito il

malumore e un po' scordato il tiro, lo ricominciavano. Quantunque sfruttato largamente, esso dava sempre ottimi risultati. I

maggiori e più ostinati colpevoli erano

i

capicomici dei

non disprezzavano di valersi dello stratagemma, quando ciò poteva loro tornare utile, sebbene usassero maggiori cautele e una mano più inguantata. È facile immaginare quali e quanti tentativi si facessero per estirpare questo nuovo sistema di canzonatura a base di nuovissime vecchissime. Per quanto si facesse, i mezzi usati erano sempre troppo blandi e di nessun effetto :i capicomici erano volpi vecchie e sopprafifine.Il questore, non sapendo più teatri diurni :gli altri

a che santo votarsi, fini per convincersi che senza

ricorrere

a rimedi estrerai, non sarebbe mai riuscito a far cessare questi abusi. Ancora una volta fece ricorso al Ministro degli Interni in nome suo e dei colleghi della Direzione Generale dei Teatri,

invitiindolo a disporre perchè gli fossero concessi poteri sufficienti

il

per togliere anche questo abuso.

Con una premura lodevolissima il Ministro. appena ricevuto rapporto, ordinò che fosse subito spedila una circolare a

tutti gli Intendenti Generali del Regno, colla quale si

ordinava

massima vigilanza sui manifesti teatrali, lye produzioni dovevano essere rappresentate col loro vero titolo, quale figurava sul copione o su libri: non si am-

che fosse esercitata

la

mettevano a nessun patto varianti. La stessa circolare fu anche inviata alla Revisione.

n Rimrg. ital., Xl-Xn

M


- 458 Il

questore di Torino poi, onde nessuno dei capicomici pie-

senti in quel

tempo nella capitale potesse addurre a sua giu-

stificazione di ignorare l'ordine che lo toccava così da vicino,

pensò bene di chiamarli a sé e di comunicarlo loro a voce. Questa volta almeno egli faceva calcolo di avere vinto

la

partita e di poter contare la vittoria, ma se mai potè accarez-

zare questo pensiero, dovette deporlo subito. Passarono appena

sua ammonizione apparve già in pratica affatto dimenticata, quasi datasse da sei secoli. La mattina del

sei giorni e la

diciannove agosto dell'anno 1855 (l'ammonizione era stata fatta il tredici dello stesso mese) le guardie di questura ebbero la sorpresa dì trovare sul solito angolo di

piazza Ca-

stello e di via Po un cartellone, col quale il capocomico Napoleone Tassani chiamava il pubblico al teatro Sales, ora de-

molito (1), per farlo assistere alla lappresentazione di un dramma, nel quale si sarebbero ammirate certe meraviglie, che il questore non riteneva essere consentite dalla ristrettezza del palcoscenico. Forse in questa circostanza si interpretava un po' troppo strettamente alla

lettera, e

della circolare ministeriale, perchè

il

litera

occidit, il

testo

capocomico sembia non

avesse posto sul cartellone che la distribuzione materiale delle parti del dramma. Ad ogni modo, nel solo primo atto si do-

vevano vedere

il

bordo di un bastimento ai fempi di Luigi

XI V, Varrivo di Barabba,i figli delVesilio, ecc. ecc. Pel questore, che aveva fatto staccare e portare in

ufficio

il

manifesto in-

criminato, il tatto rappresentava una bella -e buona canzonatura. Occorreva dare

occhi a

un esempio che servisse a far aprire gli

tutti. Propose al Ministro che il capocomico fosse con-

dannato a tenere chiuso il teatro almeno in una sera di giorno festivo: nei feriali la punizione

perchè o non introitava che

il

sarebbe stata meno sentita,

puro e semplice spesato serale,

o gli avveniva di dovere tenere chiuso il teatro per mancanza di pubblico. 11 ministro annui e fissò

che il Sales dovesse stare

chiuso la sera della domenica ventisei altro

di

agosto. Anche un

capocomico aveva contravvenuto al decreto: si trattava

(1) Era

in corso Regina Margherita, dove ora sta

cietà dei Tramway.

un edificio d'ella So-


— 4ÒU — del Seghe?za,che agiva al teatro della Cittadella, baraccone in

legno che sorgeva ove ora è

il

giardino omonimo. La colpa

era veniale, perchè si trattava di ampliticazioni,che toccavano soltanto

il

j)ersonaggio di lerrticcio protagonista del dramma.

Era stato semplicemente chiamato in questura,ove gli era stata

una buona lavata di lesta. nTassani,che era Napoleone di nome e di fatto, non era uomo da perdersi d'animo per così poca cosa. Accolse il provvedimento che lo riguardava con una semplice e rispettosa profatta

testa,senza cercare di scolparsi. Peccato

!

Per la sera del ventisei

aveva deciso di rappresentare un nuovissimo dramma intitolato La battaglia della Cernata, dal quale sperava di ricavare fi-

nalmente un po' (li fortuna per rialzare le sorti molto depresse del suo teatro, confinato a Porta Palazzo. Il lavoro era d'occasione, è vero, ma gli

cosUiva un occhio per l'allestimento,

perchè vi erano combat imenti a fuoco vivo e ad arma bianca, marcie, e chi più ne ha, piìi ne metta. A conti latti però il castigo

non veniva a colpire lui,Tassani, ma

Silva

il

il

signor Luigi

quale, lavorando di giorno e di notte, era arrivato in

meno di otto giorni dal ^rlorioso fatto d'armi a portarlo drammatizzato sulla scemi.

Per riconoscere il prezzo di tanta fatica gli era stato ceduto tutto l'incasso della prima rappresentazione del nuovo lavoro. Egli personalmente, Napoleone Tassani,erM un ardente patriota.

Tutto l'incasso dell'ultima rappresentazione fatta, novantotto lire, aveva

versato a benefìcio «Ielle famiglie povere del con-

tingente piemontese inviato in Crimea.

Come si poteva resistere a tanta generosità e a tanto amore patrio? Il ministro ne fu tocco e, tenendo conto delle fatiche

compagnia, che secondo la

del sijfnor Silva e di tutta la

fra-

seologia teatrale prendeva parte alla rappresentazione,e della filantropia del «'apocomico, rinviò la chiusura del teatro ad un

giorno feriale da

fissarsi dopo, la

rappresentazione del nuovo

spettacolo. Sì ha <|iial(-ht' dubbio rììi' noti se ne sia parlato più. II.

\

Oltre a quegli uialaniii, alli gravi. Non ci

i

.st-

ne rlMontravano non meno

fermeremo tuttavia ad esaminarli, perchè ci j>or-


— 460 — terebbero troppo fuor di carreggiata, e soli

e

i

ci

limiteremo a due

quali toccavano più da vicino la questione della Censura

ne assorbivano tutte

le

cure.

Gli abusi che chiameremo, per intenderci meglio, di palco-

una delle forme più frequenti dei guai, che procuravano attacchi alla Revisione. Erano di due specie. Molti artisti si davano il lusso di trattare gli spettatori con una dislnvoltura,che non garbava a tutti, trasformando il palcoscenico costituivano

scenico e

i

passaggi fra

le

quinte in altrettante stazioni di

telegrafia ottica, o attaccando addirittura discorso col pubblico.

Costoro erano ancora

i

più discreti.

Altri invece, per strappare alla parte

meno colta

del

pub-

blico fragorose risate, applausi e la riputazione discutibile di

saper lavorare òewe, introducevano nella recitazione frasi a

doppio senso, scurrilità, sguaiatezze, che talvolta accompagna-

vano anche con gesti analoghi. Si comprende di leggieri come questi sfoghi molto liberi potessero irritare coloro che non

erano dilettanti del genere e jndurli a protestare vivacemente.

La seconda specie di abusi era ancora

peggiore. Si reinte-

gravano in barba a tutte le prescrizioni dei Revisori frasi, battute, scene intere, che erano state soppresse, quando pure non si

arrivava a introdurre allusioni personali intente a col-

pire la vita privata dei personaggi rivestiti

di

cariche

pub-

bliche o a commentare e a discutere le stesse leggi dello Stato^

o a criticare le discussioni parlamentari.

Ognuno può vedere dove conducessero

questi eccessi, e

i

disgustosi risultati che ne derivavano. Un basso comico, che

cantava il CoZwme//a, graziosa opera del Fioravanti ora scordata, in un recitativo della scena detta dei passi, nel dire le parole « Oh quanti matti!» aprì il

le braccia e tese le mani verso

pubblico. Ne nacque un putiferio, l'artista fu arrestato e

costretto a presentarsi sulla scena in mezzo a due carabinieri

per chiedere scusa dell'ingiuria. Dopo la rappresentazione poi

accompagnato al Palazzo Madama e per tre giorni stette a meditare sulle conseguenze del suo gesto. Un caso consimile

fu

avvenne ad un burattinaio. Una retata di oziosi e di vagabondi, fatta in previsione di una dimostrazione politica, gli suggeiì di far dire

da Gianduia, a proposito di questi arresti, che fra


— 461 — gli oziosi era stato

preso anche

il

cuoco

di

un

alto

perso-

naggio, che, per non nominarlo, diremo solo avesse fama di essere mollo tirchio e poco ospitaliere. Egli però ne fece

il

nome. 11 pubblico proruppe in una omerica risata, ma il burattinaio linguacciuto fu condotto a dormire sul pancaccio.

Non si creda che

fatti

simili si verificassero soltanto

nei

minor conto. L'esempio era contagioso. Pur troppo! alle risate degli uni facevano risposta le vivaci e non sempre calme proteste degli altri. Chi ne andava di mezzo era la Direzione dei Teatri per un verso, la Censura per un altro, le teatri di

quali finivano per diventare le vere teste di Turco, contro

quali

si

le

vibravano furiosi i colpi dei malcontenti. Per mettere

un freno a questi eccessi, la Direzione Generale si vide costretta a stabilire in ogni teatro un servizio speciale di vigilanza, affidato ad uno dei suoi membri, al quale erano conferiti

poteri speciali per l'applicazione, in caso di necessità, di

rimedi pronti ed

efficaci. Vennero incaricati di questo compito

Romani pel teatro Carignano, il cavaliere Davide Bertolotti pel teatro Sales, il professore Paravia pel Su-

il

cavaliere Felice

iera (ora Rossini), il conte di Benevello pel D'Aqgennes, il ca-

valiere Promis pel Gerbino, l'avvocato Sabatini pel Nazionale.

Vili.

Le agitazioni convulse della vita politica italiana si ripercuotevano in tutti e su tutto e davano origine ad uno stato di nervosità generale al quale nulla poteva sottrarsi.il teatro

più di tutti soffriva le conseguenze di questo malessere.E gli spettatori la

fatti

irrequieti, esigenti,

sembravano aver perduta

nozione esatta di quello che volessero. Dflle produzioni'

drammi lagriniosi, sentimenKotzebue,che per tanti anni avevano attirato il pul)-

della scuola romantica pura, dei tali, alla

blico e formalo il passatempo più gradito delle platee iUiliane, non era più il caso «li parlare. Erano venule a noia e si tolleravano svogliatamente, con un senso di disgusto, proprio perchè mancava altro. Si volevano novità chi non era in condizione (li prometterne, o doveva chiudere bottega oppure, se non gli garbava di recitare alle panche, di ricorrere a certi mezzi ingannatori che già abbiamo veduto. :


— 462 — novità, ma

Abbiamo detto che il pubblico voleva

quando

era ora di parlare chiaro e intendersi bene sul genere desiderato, le cose mutavano, perchè nessuno sapeva dirlo. Gli autori,

ondeggianti fra il vecchio stampo, dal quale non avevano

il

coraggio di staccarsi perchè conservava ancora ammiratori scarsi forse, ma convinti, e

il nuovo non ben definito, non sapevano risolversi. Si accontentavano, per uscire dal bivio, di

fabbricare drammoni impressionanti, pieni di frasi sonore, di

paroloni roboanti, (che avevano una fortuna insperata), conditi di

quella rettorica da proclami e da comizi. che ubbriaca

le

menti, ma ha la vita di una bolla di sapone. La ricetta per

la

manipolazione di questi lavori

uno

si

riduceva a tre pizzichi

di politica, uno di anticlericalismo, un terzo di

lità. La

dell'uno o

prevalenza

dienti era lasciata

ad arbitrio

dell'altro

di

:

immora-

questi

ingre-

dell' autore. L' accoglienza, che

ottenevano in generale questi lavori, non era lusinghiera. Alcuni dopo di essere

stati

faticosamente varati, appena usciti

dal porto andavano a finire nelle secche, o affondavano addirittura per le

male arti di qualche censore, al quale faceva

difetto quell'intelligenza superiore, che si richiedeva per af-

ferrare le bellezze prodigiose, ma troppo riposte, di certe pro-

duzioni. Altri, che

pili

filare la scaletta del

o

meno felicemente arrivavano

ad, in-

palcoscenico, si perdevano nell'oscurità

troppo scarsamente rotta dalle fiammelle deboli ed oscillanti

non mancava mai di una voce di biasimo contro l'opera dei signori della

della ribalta. Dal malcontento generale

uscire

Revisione, che lasciavano rappresentare lavori destinati a ca-

dere irremissibilmente. Crisi di autori adunque"? Sì, ma parziale

di liete speranze per l'arte v'era si

perchè di buoni,

un discreto numero: chi poi

sentiva il coraggio di condannare anche

i

buoni a capola-

vori forzati?

Da crisi invero il teatro italiano non er^ immune per un altro verso. Mancavano

i

buoni

attori, o

meglio erano scarsi

in proporzione del numero smisurato e sempre crescente delle

compagnie drammatiche. Dia di questo male non è ora il caso di parlare.

Come provvide la Direzione dei Teatri per combattere colla


- 4<Ì3 — itiiissiiua

assiii

«'iHTjjria

po'

(jiieslo

malautii, dai

di

[)«"

quali altri

scaturivano? Non si può certo pretendere che essa ope-

campo d'azione era piuttosto limimodo ess«i fece quanto potè e se l'opera sua può

rasse meraviglie.il suo tato. A<i

ogni

apparire a taluno un po' limitata, se ne deve ricercare la ra-

gione in due circostanze specialmente, nella ristrettezza del

tempo concesso e nell'impossibilità di esercitare

i

rimedi esco-

contro disordini che erano merce d'importazione.

gitati

Ciò che fece, si può dire cosi. In primo luogo si rifiutò

re-

cisamente di concedere licenze per l'apertura di nuovi teatri, resistendo alle frequenti

richieste di

speculatori, che briga-

vano direttamenle e indiretUimente per strappare l'assenso. Finché era durato la forma del governo assoluto, si era rispettato, forse l'unico della

Governo Francese per

i

col

lunga serie, un provvedimento del

quale era fissato un turno di apertura

vari teatri di Torino. Non

spettacoli

si

potevano avere più di due

contemporaneamente, e ancora

si

badava che fos-

sero possibilmente di vario genere. Colla proclamazione della lil)erlà

per tutti, questa consuetudine, che pure aveva

il

suo

buono, era slata giudiciita incompatibile. La concorrenza, prima tanto paventata e combattuta, ora non accennava a produrre più danni. Ognuno tirava l'acqua al suo lato

mulino: peggio per gli altri. La popolazione di Torino era bensì ;iccre8ciuta per l'emigrazione dei patrioti di "altre regioni d'Italia, a

favore dei quali

di beneficenza,

si

moltiplicavano le rappresentazioni

ma non cosi che potesse autorizzare la contem-

poranea apertura di mezza dozzina di teatri. 11 divieto di aprire nuovi spettacoli, mantenuto fermamente, giovava se non altro ad impedire che majrgiore fosse

il

numero

delle

compagnie

«Irammatiche lasciale sul lastrico della futura capitale d'Italia. In secondo luogo

l' istituto

della

Censura fu mutato

radi-

calmente. I^e produzioni da es|)orsi sui teatri dovevano essere pre.sentale

direttamente alla Questura

fatte e.saminare, ne

sivo,!

descriveva

nomi dell'autore e

questo, poi

le

il

titolo

la

quale, dopo averle

con numero progres-

del revisore e

il

giudizio dato da

restituiva a chi le aveva presentate colla dichia-

razione del volo favorevole o negativo.

Contro il verdetto della revisione autori e capocomico potè-


— 464

-«,

vano rieorrere ad una speciale commissione, detta di appello, composta di cinque membri della Direzione Generale dei teatri, rinnovantesi per un quinto al mese. La Commissione, della quale il più anziano era il presidente, nominava un relatore, il quale esaminava il lavoro e ne riferiva per iscrittoci voto collegiale motivato era inappellabile.

In terzo luogo provvide, come si è detto, alla nomina di un Commissario speciale per ogni teatro coll'incarico di vigilare sulla recitazione e di provvedere agli abusi, che ai potessero verificare. Queste tre deliberazioni

furono approvate dal Mi-

nistro dell'Interno con decreto del tre giugno dell'anno 1849

ed applicate in via provvisoria. Durarono però, come vedremo, sino all'anno 1856. Il

trenta giugno dell'anno 1850 alla stessa Direzione Gene-

rale venne, con

un altro decreto ministeriale, affidata

la Cen-

sura letteraria su tutte le produzioni destinate a venire rappresentate dalla Compagnia

Drammatica Sarda, più nota

col

nome di Compagnia Reale. {Continua)

S. Corderò di Pamparato.


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Un memorandum d'azegliano E UNA FALSA ATTRIBUZIONE 01 NICOMEOE BIANCHI

Aderendo all'invilo degli alleali, di recarsi a Parigi e a Londra, il re Vittorio Emanuele partiva il 23 novembre 1855 a quella volta, imbarcandosi a Genova, e per la via di Marsiglia si recava a Lione, dove il conte di Ca'.our e Massimo d'Azeglio lo aspettavano. Il ,23 la missione Reale entrava

in Pa-

rigi, non festevolmente accolta dai coniugi Imjieriali come vuole il

Massari (1), e abbandonava

la

capitale francese nei

primi

mese seguente diretta a Londra, dove il 4 dicembre era ricevuta « nel modo il più soddisfacente »,a detta del Cavour (2). Il Nelson Gay ha ricostrutto in modo conveniente questo viaggio, pur forzando un pochino la lesi dell'amicizia inglese verso il Piemonte (3), «-d a lui occorre richiamarsi per conoscere minutamente le vicende di questa gita di V^ittorio Emanuele. Il 7 erano già tutti di ritorno a Parigi, dove un colloquio del

di notevole importanza avveniva fra l'Imperatore e

il

Mini-

stro Sardo, come appare dalla lettera da questi inviata la mat-

dopo al D'Azeglio. Pur trovandosi tutti e due a Parigi, Cavour aveva il tempo così assorbito dagli affari il 10

tina il

erano già di ritorno a Torino il

— che r>on poteva conferire con

D'Azeglio e perciò gli scriveva: «Ieri sera l'Imperatore a

brille

pourpoint, mi disse: " Ecrivez confidentiellement à Wa-

(1) Ot. MAB8AIÌI, La vita e il regno di Vitf. Km. II di Savoia, 196, Milano, 1880; L. Chiala, Lettere edite ed inedite di C. Cavour, U, 116,

Torino, 1884.

Chiala, lettere edite ed inedite, II, 875. H. Nelson OAY,ri7/orio Emanuele e Cavour a l'aruji e a Ixmdra

<2) L. (8)

{1865), in MÌKcell. di studi »tor. in onore di A. Atanno, U, TS-93, Torino, 1912.


— 466 lewski ce que vous croyez que je puisse taire pour le Piemont

combinare con te questo lavoro o meglio ancora pregarti di farlo, mentre stai oziando qui a Parigi. Al et l'Italie ,,. Vorrei

tuo ritorno a Torino l'esamineremo assieme, e lo manderò a

Walewski » La collaborazione dell'ex-presiderite del Consiglio dei ministri, a cui Cavour aveva dato tre anni prima lo sgambetto, proprio avversario — e ciò per la grandezza del — è qui manifesta. Cavour stesso apertamente l'aveva

insieme con paese

il

confessato pochi giorni prima, quando'dal castello di Windsor

aveva scritto al D'Azeglio: « Per essersi fatto aspettare il successo dell'opera tua est compiei (1) », riferendosi al discorso

da lui compilato per il Re come risposta all'indirizzo del Municipio di Londra; ed

aveva riconfermatala paternità delle

parole regali, scrivendo a Luigi Cibrario: « 11 Re lesse mirabil-

mente il discorso che Azeglio aveva preparato (2) ». Vero è quindi quanto il Bianchi scriveva di introduzione ad una Memoria d'azegliana per servire ai plenipotenziari sardi nel Congresso di Parigi. « Sottentrato Camillo Cavour all'Azeglio nella direzione della politica piemontese, allorché questi

con pieno disinteresse personale, con molto accorgimento e

con finissimo tratto stimò giunto cedergli ficoltà

il

il

momento opportuno

di

posto, non ci fu negozio di momento, non ci fu dif-

grave di politica interna ed esterna, ove il consiglio di

Massimo non fosse cercato, ove l'aiuto suo di opera e di parola non fosse domandato dal Conte, che egli scherzevolmente chiamava V empio rivale, intanto che a lui come ad amico an-' tico e provato e a uomo di Stato tenuto in grande stima, non tralasciava di prestare tutta la fruttuosa cooperazione dell'as(li

etc.

»

A questa lettera di Cavour a Massimo D'Azeglio

:

«

Nella speranza

edita da L. Chiala, Lettere edite ed inedite di C. Cavour, II, 156

(374), Emanuele

D'Azeglio apponeva questa nota rimasta inedita: « Mio quando il Re venne a Winsdor soffriva assai di denti, e probabilmente non potè venire a Londra il giorno clie S.M. andò a Guildhalle dove pronunziò il discorso di cui si parla, che era stato redatto da mio zio, in presen-ia di Cavour che dormiva, una sera, a mezzanotte, mentre io tenevo la penna. E. D'Azeglio ». zio,

(2) Ibidem, 31Ò. Il discorso del

11,1, 506, Milano, 1869.

Re è edito in L. Zini, Storia dUtalia,-


— AiM — sennatezza e finezza di mente, della conoscenza di nomini e di cose

da

di spirito

possedute ed avvalorate da un'altezza e nobiltà

lui

molto rare. E il conte di Cavour

la

cercava sempre

e ne protiltava negli affari maggiori, onde si valse dell'acquistata influenza dell'Azeglio sopra ì ministri inglesi per indurli

a sostenere

Piemonte contro l'Austria nella controversia

il

pericolosissima dei sequsstri ; alla, saviezza ed alla virtù per-

suasiva della sua parola ricorse quando si trattò della gravissima e combaltutissima spedizione di Crimea; volle avere per iscritto

il

suo parere attorno a punti di maggior rilevo da dare ai plenipotenziari Sardì al Congresso

nelle istruzioni

di Parigi del 1856 (1) e lo desiderò in quel Consesso

primo oratore di Vittorio Emanuele II

europeo

; lui incaricò di studiare

memoriale per rispondere al famoso quesito di Napoleone qu'on peut taire pour l'Italie? * (2). Alla buon'ora Nicomede Bianchi nel 1884 si decideva a riconoscere, lanciando

il

« Qu'est-ce

la

confessione in mezzo a tante altre notizie, ciò che ancora

l'anno prima non aveva voluto riconoscere..., per non ammet-

a Cavour un memodovuto invece alla penna del D'Azeglio. Cosi l'opera del

tere d'aver errato nel 1870 attribuendo riale

Bianchi, criticamente già tanto svalutata dallo spirilo parti-

giano con cui rabberciò, alterò e castrò documenti (3), rivela

anche errori dovuti all'ostinatezza dell'autore nel non averli egli voluto ammettere neppure quando gli apparvero evidenti;

ma di tutto ciò vedremo più avanti. All'invito di Cavour di preparare una risp(isla alla diiiiatula di Napoleone 111, che

cosa

pote.><se egli

fare per

per l'Italia, Massimo D'.\zeglio aderì con

il

Piemonte e

un memoriale

così

voluminoso che oltrepassò certamente le intenzioni del richiedente. « Fa(lJlo, mentre stai oziando qui a Parigi »,gli scriveva il

Cavour l'S dicembre 1855, mentre fin dal 5 già sapeva che (1)

E precisMinuMiU!

In

luenioriH eiiiiu

da N, HiANCUl, i,ti /xilitlca

ili

Manniìito D'Aztv/lio dal 184S al 1859, 246 segg., Torino, 18««. ("Ji

Ihitì^m, '243-244.

Uno storico <Ul Hisorgimento laliano, {N. liianchi), Hassegna del Risorgitnento, IV, 213 e segg., particolarment* 241, n. 1, dove sono citati molti studi demolitori dell'opera storica del H,{i. Sforza,

in

i

Bianchi, Roma, 1917.


— 468 — verso il 10 sarebbero stati entrambi di ritorno a Torino. Dunque

tempo limitato richiedeva un lavoro modesto; invece il memoriale occupa ben 30 pagine fitte, di formato in 8" grande, nella <S<or/a docwmew^a^a del Bianchi (1). Quinrii anche se il D'Azeglio pensò alla risposta mentre era ancora a Parigi, certo la concretò e fissò sulla carta al suo ritorno a Toiino, impiegandovi su per giù quasi un mese. Questo spazio di tempo intercede appunto tra il ritorno della missione Reale da Parigi e la prima notizia che si abbia del memoriale d'azegliano; ed .egli stesso, come vedremo, lo conferma in una lettera al Panizzi.Da altra di Cavour al suo collaboratore, in data 20 il

gennaio 1856, edita dal Ghiaia (2), risulta pure che il Ministro

Sardo volle eliminare nel memoriale qualche cosa che poteva essere impolìtico data la sua

scrivendo

la lettera

riputazione di anglofilo :« Sto

a Walewsky. Dovendo andare al funerale

mi rimane tempo di passare da te. Intanto ti dico che, avendo ripensato alla bellissima tua memoria, mi venne in mente che sarebbe opportuno il non parlare dello stabilimento di una legazione inglese a Roma. Questo consiglio nella mia bocca parrebbe sospetto, giacché sai che nelle Tuileries sono tenuto per anglomano ». La lettera di Cavour al Walewsky, ministro degli esteri di Napoleone III, datata da Torino, 21 gennaio 1856, fu edita per la prima volta dal Bianchi nel 1870 (3) e ripublicata nel 1884 dal Ghiaia (4). Lunga oltre la misura normale di una semplice corrispondenza, questa lettera ha il carattere di un vero « memorandum » per quanto in essa il Cavour dichiarasse « Je me réserve de faire parvenir plus tard le mémoire complet», ridella Regina, non

:

il puro carattere epistolare memoriale d'azegliano fu veramente poi dal Cavour fatto pervenire all'Imperatore? Questo

conoscendo così implicitamente della lettera al Walewsky. Ma

il

non crediamo perchè troppi elementi depongono in senso contrario. Il 15 marzo Massimo D'Azeglio scriveva al Panizzi, fe(1) N.

BiAXCHi, (S/orm documentata della diplomazìa europea in Italia

.dal 1814 al 1861, VII, 568-598, Torino, 1870. (2) L. (3)

Chiala, Lettere edite ed inedite, II. 381.

N. Bianchi, Storia doctim. della diplom. eur., VII, 562-567.

(4) L. Chiala, L»tt. ed. i?ied.,ll, 382-389.


— 469 —

.

nomina a Direttore generale del Brllish Siamo giusti T invidia, della quale m' hai spessoparlalo, o tacque o fu vinti» dunque non è lei che comanda costi e non è poco », perchè qui a Torino le cose vanno alla rovescia — avrebbe potuto aj^giungere Ne vuoi una prova? «Dopo questo ti dirò che un paio di mesi fa feci (per incalicitandosi per la sua

Muscum

:

*

:

;

rico) un lavoro sul

modo di preparare un riordinamento ita-

modi abbonderebbero e mi pare che ne tronon solo non abbonda, ma quasi totalmente manca la buona volontà, in chi può, di far qualche cosa per noi, ho cercato di tenermi proprio al prezzo ristretto, accennando però a qualche cosa di più, caso mai il diavol facesse che si cogliessero quei signori in un momento di buon umore. Tutto questo lavoro non è servito a nulla, perchè chi me l'aveva chiesto ne ha fatto lui uno in una mattina, che confesso non mi piace un corno, ma che piacendo a lui ha adoperato invece del mio. lo però che son testardo e che non credo nelle riforme di carte geografiche..., ma crederei all'efficacia di altre riforme; non volendo d'altronde aver lavorato un mese proprio per niente, mando ad Emanuel [suo nipote e ambasciatore sardo a Londra) il mio scartafaccio. Io mi lascio dar dell'asino su tutlo— amen ma sulTItalia no. L'ho tanto corsa, studiata e rivoltata per tutti versi che — diavolo fello non avessi proprio ad averla capita com'è Dunque io credo che nelle mie idee ci sarebbe del buono. Ora, fra voi due, vaietevene come credete. Se non ad altri, a Minto, mi pare, si dovrebbero far conoscere, ed a Lansdowne. Non si potrebb»^ aggiustare il mio lavoro per un articolo di rivista? liano. Siccome

i

verei dei bellissimi, ma purtroppo

i

!

!

Insomma fate voi»(l). Iv'amore per

la

causa liberale univa D'Azeglio e Cavour,

ma la simpatìa persoriale reciproca non era grande; anche l'abituale rimprovero all'anglofilo

Cavour di non aver viag^riato non conoscerla quindi, non mancava. Diavolo! sull'Italia l'asino nim era il D'Azeglio E non vorremmo che l'Italia e di

!

questa stizza (lersonale avesse influito a fargli rinunciare.

liL. Fauan, /W/ere ad A. Panisti di uomini Ulutttri e di amici italiani, 269, Firenze. 1880.


— 470 — rS febbraio, Fonoritica carica di plenipotenziario nel Congresso di Parigi, per

quanto l'avesse

ji^i

usti fica to con altri motivi (1),

-creando così un'infinità di « diftìcullés où le refus de Massimo

D'Azeglio nous plagait », come scriveva in quel giorno il Cavour all'ambasciatore Villamarina a Parigi. Per ciò infatti « malgré les innombrablesaffaires, qui réclamaient[sJapresenceàTurin,

malgré [s]on excessive répugnance à faire le diplomate »,Cavour non esitò « à annoncer au Roi que [il] étai[t] prét à partir pour le Congrés », dove riteneva di « finir [s]a carrière », che, si

può

appena cominciata (2). annunciava al Panizzi. il D'Azeglio aveva in verità due giorni prima spedito a Londra al nipote Emanuele il Memorandum con una lettera di accompagnamento che diceva: « CoH'^mpio, credo, che vogliamo la stessa cosa come fine: ma quanto al modo ed alla forma proprio non ce la possiamo dire, era

E, come

intendere. Non parlo di quell'andar avanti a forza di ripieghi e spesso di h...{sic in Bianchi), che

ciedo metodo falso, so-

pratutto in oggi, e che ad ogni modo non va al mio carattere.

Ma anche sul modus fenendi per ottenere il grande scopo di mi posso accordare

migliorare le condizioni delTItalia, non lui.

Non credo d'essere infallibile: sbaglierò io. Ma alla

fine, da

40 anni non fo altro che girar l'Italia, studiarla, co-

con

noscere uomini e cose; non fo altro che limarmi per combinare ciò che può essere utile a

il

cervello

lei e compatibile colle

condizioni generali d'Europa. Da tutto questo lavorìo, salvo essere proprio un rapa, doveva necessariamente uscire un'opi-

nione chiara, definita, ponderata assai e non buttata

una fregata di mani (3) e che mi

niente

fa

l'effetto di essere

con

affatto maturata. Quando

nessuno s'aspettava all'accettazione dei 5 punti (4), [Cavour] mi disse di far una memoria sul fat-

(1) N. Bianchi, Le^f ere

inedite di- M. D'Azeglio al

march. Emanuele

D'Azeglio. 273-275, 279-280, Torino, 1883. (2) L. Chiala, Leti. ed. iìied., II, 393-394. (3) «

Movimento abituale di Camillo Cavour > annota il Bianchi a pie ,

di pagina, ma che

aveva qui chiara significazione

di

leggerezza nel-

l'agire. (4) Si riferisce

all'adesione della Russia alle

per cui s'iniziarono

le

richieste degli Alleati,

trattative per la pace dopo la guerra di Crimea.


-

171

libile in favore dell'Italia. Io ci

lavorai con tutti i sentiujeiili

e eoiridea sopralutlo che bisognava prendere per base la poca (leggi, nessuna) inclinazione dei cani grossi a di caria geografica. Dopo raccellazione dei

far

mutazioni

cinque punti na-

turalmente molte cose dovevano diventare o superflue o inopportune; non

volli

però correggere, parendone che ne restas-

sero pure ancora delle opportune abbastanza. Dopo che ebbi

questo lavoro non se ne sono serviti, ed invece hanno presentato uno scritto fatto in fretta, che mi fu letto e che per la mia lunga conoscenza delle cose italiane mi è impossibile approvare. Credo, sia quel medesimo del quale m'hai scritto e che mi dici aver copiato modificandolo ». E dopo aver detto che una memoria scritta contemporaneamente a fatto tutto

Roma (da chi?) veniva alle stesse sue conclusioni, lo che lo confermava nell'opinione di vedere le cose come erano e di non sognare, concludeva Ho pensato di mandarti il mio scritto con due fini », di comunicarlo occorrendo, anche castrato -^ ad alcuni uomini politici inglesi direttamente o indirettamente per mezzo del Panizzi. oppure di tenerlo in serbo, ma dopo :

averne preso personale visione (l).

Adunque

il

memoriale del D'Azeglio non arrivò

all'alta

sua destinazione, perchè agli occhi di Cavour non parve corrispouilere ai bisogni del

momento. Emanuele D'Azeglio, che

poteva saperne qualche cosa di positLvo, annotava

conferma: « Mio zio lavorò

a

infatti a

un Memorandum per servire

agli interessi nostri in quella circostanza [del Congresso] (2).

Questo Memorandum si troverà in questa raccolta (3). Ma credo ricordarmi che il Conte Cavour

lo

modificò poi interamente,

non trovandolo a suo parere abbastanza pratico, ^la mio zio <linfi"i

in

ipi.'^fo

i|;i|

SUO

parer»' (il -.

(1) N. Bianchi, Utt. ined.di M. D'Azeglio, 276-^8. <2) Errava Emanuele D'Azeglio, perchè occasione alla compilazione del

Memorandum non fu il Congresso di Parigi, ma un colloquio di Napoleone III con C'avour, come vedemmo; per il Congresso suo zio compilò un altro Memorandum, qui pjire già da noi succitato. (8) L'editore vero delle I^t. ined.di M. D' Azeglio, non fu il Bianchi, ma Emanuele D'Azeglio. i4) N. BiA.NCin, Ult. itied. di

M. D'Azeglio, "212.


— 472 — Non ci manca sulla Memoria del D'Azeglio il giudizio diretto del conte di

Cavour. In lettera 21 gennaio 1856 alge-

nerale Alfonso La Marmora, che trovavasi in quel tempo a

Londra, scriveva egli infatti

:

« Azeglio a achevé son mémoire;

c'estun magniftquetravail, maisilestd'unelongueurdémesurée

de plus il a l'inconvénient de ne pas arriver à des con-

et

clusions nettes et précises. Si Je l'avais envoyé de suite à

Walewski il ne l'avait probablement pas ru;oudu moins on n'y aurait pas fait attention. J'ai cru en conséquence devoir

formuler mes idéesdans une lettre de quelques pages àWalewski en

le

priant de la mettre sous les yeux de l'EmpereuiL J'en

envoie copie à Villamarina et à Azeglio avec ordre de te la

communiquer » (1). Sappiamo dallo stesso D'Azeglio che suo nipote Emanuele la copiò « modificandola »: perchè? Ciò nonostante Cavour inviò al Villamarina a Parigi il Me-

morandum d'azegliano, da trattenersi all'ambasciata, poiché 28 gennaio scriveva ancora al La Marmora, passato da Londra

il

in

Francia: «Je te prie, avant de quitter Paris, 1") de

lire

le

mémoire que Massimo a préparé pour l'Empereur. Arese à qui je l'ai communiqué,craint qu' il ne fasse un mauvais effet. 11

est

incontestablement trop long, trop dittus, surtout pas

assez coneluant. En

le

remettant on est à

peu prés certain-

qu' il ne sera pas lu; mais on ne court d'autre risque que de faire accuser

son auteu'r d'étre peu pratique; 2^)

;

3") Tache

de voir encore l'Fmpereur et de l'amener sur la question ita-

lienne.Sans avoir

à Walewski et

l'aire

de connaitre la lettre que j'ai écrite

dont tu auras pris lecture, sonde-le sur les

points que j'y ai traités » (2). Il

dì appresso

Cavour ritornava alla carica con il La Mar-

mora: « Ti prego di leggere e ponderare lo scritto D'Azeglio che Villamarina ti avrà comunicato, onde giudicare se abbia o non da essere inoltrato all'alta sua destinazione. Villamarina mi scrive che la mia lettera aWalewski non dispiacque » (3).

Non fu inoltrato, annota il Chiala a pie di pagina, appoggiando la sua affermazione alle stizzose parole della lettera 15 marzo di Massimo D'Azeglio al Panizzi. (1) L. Chiala, Lett. ed. ined. di C. Cavovr, II, 389-390.

('J)I6irfem, 391-392. (3) Ibidem, B93.


— 473 — Ma vediauio un po' se, nella controversia, il U'Azfglio potesse avere qualche elemento a difesa del suo Memorandtim.

Cavour {ifliene aveva fissato l'argomento l'S dicembre 1855 nel

modo seguente: « Coirimperatore conviene concretare il più possibile considerando tutte le ipotesi, meno la guerra col;

non entra

l'Austria, la quale per ora

nelle sue idee. La ces-

sione dei Principati [Danubiani] all' Austria contro la

bardia ed idee che

i

Ducati; il dare

i

Lom-

Ducati al Duca di Modena, sono

non furono male accolte. Non respinse pure l'idea

sottrarre le Romagne al Papa, ma meno esplicitamente. Con questi dati puoi preparare un tema molto utile tosto o di

per far risorgere il povero nostro stivale » (1).

tardi per noi

Stette fedele alla

consegna il D'Azeglio, nel redigere il Me-

morandum'ìUn esame sintetico ci potrebbe illuminare su ciò,

ma pare a noi più conveniente offrirne ai lettori un'idea, riproducendo i diviso

il

tre

sommari

originali delle tre parti in cui è

Memorandum, che mancano nelle due sue edizioni

mancano i tre sottotitoli, che noi possiamo dare da una copia di questo studio di Massimo D'Azeglio, tutta di pugno del nipote suo Emanuele, posseduta da uno di

esistenti (2), come

noi.

Annexe à la lettre ii7.

MEMOIRE ÉCRIT PAR MASSIMO D'AZEGLIO EN JANVIER 1856. Première partie.

Ce qu'on peut faire pour l'Italie.

Sommaire: Interrogation de l'Empereur sur la question Italienne.

— On ne sau-

y répondre que d'une manière relative, c'est à dire en prenant Doublé point de vue sous lequel on pour base ies faits existents. rait

doli envisager la question.

— — Observations préliminaires. — Lutte per-

manente dea deux principes.

— D'une pari la France et l'Occident, — On doit combattre la coalition,

d'autre pari la coalition de l'Orient.

ou

la dis.soudre,ou lui donner un contrepoids.

— Examen de ces trois

moyens.— Le premier est douteux. Les forces actuelles de l'Occident Le second est impospour combattre la Coalition?

sufflront-elles

(1) Ibidem, 3ie. (2) Vedile /{

già succitate nelle note a pie di pagina.

RUorg. ital., XI-XH

W


- 474 — sible. L'Autriclie

ne se détachera jamais de la Coalition.

— Reste le

former une grande alliance occidentale, en detrui-

troi.sième,celui de

sant le système inauguré par le Congrès de Vienne.

Piemont appellés à

l'aire

— L'Italie et

le

partie intégrante de Ja nouvelle alliance.

— L'état actuel de favorable aux intéréts de la Coalition. L'Italie attend. — Trompée dans son attente, elle devient un sujet l'Italie

(i'embaras pour l'Europe, un prétexte d'intervention pour l'Autriche.

— En tous cas

si

elle reste

dans l'état actuel

liance.

elle

est parfaitement

— L'Italie est nécessaire à cette al-

inutile à l'alliance de l'Occident.

— Nécessité de la reconstituer. Seconde partie.

Mesures pratiques pour obtenir le but qu'on se propose. t

Sommaire

:

Necessitò de suivre un pian arrété et d'en flxer pour base le principe de nationalité.

— Moyens à- suivre dans la doublé éventualité

d'une rupture avec l'Autriche et d'une entente avec elle, ou de sa neutralité.

— Uans le premier cas

l'Italie

devient l'une des champs

de bataille et son indipendance est le prix de ses efforts contre l'ennemi

commun.

— Dans le second cas la diplomatie occidentale

doit refaire dans un sens

contraire l'oeuvre des négociateurs de

Vienne qui ont livré l'Italie à l'influence morale et matérielle de l'Autriche.

— Cette puissance est de fait la maitresse absolue des

— Elle s'attribue le droit d'inter— Convenance d'en examiner les

Etats Italiens, le Piemont excepté.

venir pour apaiser les troubles.

causes et la nature de les prevenir par des réformes raisonnables. :

— L'Autriche aftecte une grande terreur des révolutionnaires liens.

Ita-

— La police autrichienne -sait parfaitement les faire servir à

son proflt.

chose en

— L'Autriche à chaque revolution gagne toujours quelque

Italie.

— Elle y est maintenant plus influente que jamais, — Ce n'est pas la revolution,

malgré l'occupation fran?aise à Rome.

mais les réformes qui font peur à l'Autriche. l'évolutionnaire.

— Le Piemont n'est pas

— Etrange abus que Fon fait de ce mot. — Réformes

— Nécessité — Dans ce but on propose les moyens sui-

de 1847 interrompues par les événemens de 1848 et 1849. de recomencer par là.

vants: 1") Les Ministres de France,d'Angleterre et de Sardaigne accredités en Italie devraient appuyer tout projet de

réformes soit poli-

tique soit administrative; 2»)Ils devraient tenir à cet efifet un lan-

gage ferme et identique partout

;

3") Se

mettre ouvertement en rap-

port avec les hommes inlluens du pays et les soutenir dans la manifestation pacifique et paisible de leurs projets de reforme;4'') Se


- 475 mettre eo rapport entr*eux et s'informer r<'ciproquement;5»)Soitì des Gouverneinents de TOccident dans

en Italie

; 6°) Keprise

le

choix de leurs Ministres

des nt'gocialions pour former une association

— Ces mesures peuvent étre exticutées immédia— Leur ertìcacit<«. — Ar^ument de.riiistoire de 1845.—

douanière Italienne. tement.

tiri^

Autres mesures.^ Reprise du de

la Rumarne

memorandum de 1831.— Les troubles

ont toujours ouvert à l'Autriche

coeur de l'Italie.

ìe

chemin droit au

— Solution de la questiorf romaine. Troisième partie.

C(»NT1NLATI()N DE L'ARTICLE PKKCKIìKNT.

Sommaire : Question des Principautés. la Russie

— Moyen d'éviter toute collision entre — Intromission de l'Autriche. — L'Au-

et les Principautés.

triche maitresse du Danube et du Po acquérait par là une force pré-

pondérante.

— Un protectorat collectif des Principautés aménerait

mème résultat. — L'agrandissement de l'Autriche et par consé-

le

quence de la Coalition équivaudrait à une diminution du Piémont et de rOccident.

— Necessitò d'aflfaiblir l'Autriche du coté du Po. — Que-

Exemples de chanjremens de souveraineté, tirés de l'histoire de nos temps. — Impopula-

stion de l'annexion des Duchés au Piemont.

rité des Bourbons

en Italie.

— L'annexion était devenue en 1848 un

accompli par le suffrajre universel.

fait

— Popularité de

la

maison

— Noble et traditionnelle ambition des Princes de Savoie conquérir l'indépendance de l'Italib. — Un Etat puissant en Italie,

de Savoie. «le

loin (Tètre contraire, serait favorable

aux intéréts de

la France

et

— Résultats de l'annexion. — Nécessité de comprendre dans l'annexion la de Plaisance. — Conclusion. de rOccident.

villie

Bastano questi tre sommari a dimostrare che Massimo i)'Azevflio

era rimasto fedele alla consegna di Cavour

tare

più possibile, considerando tutte

il

le

:

* Concre-

ipotesi, meno

la

guerra all'Austria » questi aveva scritto TS dicembre 1855, e il

D'Azeglio aveva considerato

il

problema mollo grandiosa-

mente, mettendo in evidenza il contrasto fra Occidente (a capo del quale slava la Francia) e slria), per

TOriente (appoggialo dalTAu-

dimostrare la necessità di un'Italia forte ed indi-

pendente, ma sahjaraente legata airOccidente neirepic^i lotta.

Questo avvenne

in

tempi recenti e che si vide^!/ Italia, legata

nella Triplice Alleanza all'Austria e alla Germania, staccarsene

per passare agli Stali Occidentali, secondo

il

progetto d'a/e-


— 476 — gllaDo,diventando la salvezza loro,mentre l'Austria e Germania cape^:giarono

inutilmente

la

lega con

l'Oriente (Turchia e

Bulgaria) (1). Intanto, non potendo consigliare a Napoleone III una guerra

contro l'Austria, guerra « la quale per ora non entrava nelle

sue idee» a detta di Cavour, li D'Azeglio proponeva un aiuto continuo, a mezzo della diplomazia degli S! ali Occidentali, a tutti gli agitatori liberali

che avessero turbata la quiete degli

Stati italiani ; insomma non la guerra manu militari, ma quella

sorda, di sottomano, trasformando gli agenti diplomatici in

agenti politici provocatori, per far pressione sull'Austria e sui Principi italiani ed indurli a riforme liberali. Il

secondo comma della consegna cavouriana diceva

:

«

La

cessione dei Principati [Danubiani] all'Austria contro la Lom-

bardia ed idee che

i

Ducati; il dare i Ducati al Duca di Modena sono

non furono male accolte ».E il D'Azeglio nella parte

terza svolgeva questi concetti, dimostrando la

necessità, per

separare Russia e Turchia, dell' autonomia dei Principati e della loro unione all'Austria a

compenso della cessione

dei

suoi domini italiani (2), e che per intanto potevasi indebolirla

circuendola anche dal sud con

la

potenza del Piemonte, me-

diante l'unione dei Ducati al regno di Sardegna.

Terzo concetto fondamentale del programma tracciato da

Cavour era di « sottrarre le Romagne al Papa », idea che non era stata respinta dall'Imperatore nel suo colloquio con

il

ministro Sardo; ma da quest'orecchio il D'Azeglio non ci senil motivo al proprio nipote, Emanuele, il 16 maggio 1856, giudicando l'opera di Cavour quale plenipotenziario al Congresso di Parigi « Non si poteva

tiva assolutamente e ne dichiarò

:

sperar di

piìi

di quel

che ha fatto. Una cosa sola non avrei

(l)Ad onore del vero, devesì notare che dell'Oriente mancò agli Imil nucleo più importante, la Russia donde la debolezza

peri Centrali

;

nella lotta fra Oriente ed Occidente.

Era questa la vecchia idea dei liberali italiani, disillusi dell'esito moti rivoluzionari del 1821. Vedansi J.^.Marocchetti, 1/6 partage de la Turchie et Vindépendance de Vltalie, Parigi, 1829, 1832 e 1833, e lo studio critico che ne fece uno di noi, in L. 0. Bollea,/ ri('2j.

infelice dei

voluzionari biellesi del 1821, di prossima edizione.


— 477 — fatto io,appunto perchè conosco ritalia.Non avrei proposto mai

quel pasticcio della separazione delle Legazioni. Egli, non essetwlo mai stato a Bologna, non

può veder le molle segrete (1). Tulio questo bel piano nasce da una coterie. Pepoli, figlio della Murai, che, sposalo la P(rincipes8]a Sigmaringen,naluralraenle

ha anche lui il solletico di diveniate una frazione di P[rincipej e Sovrano, ora che il vento lira per i Napoleonidi e vede in questa combinazione il regno di Romagna ai suoi piedi (coU'aiuto dell'Imperatore?). Malvezzi,Tanari,Minghelli (che fa

all'amore con Jannelte, sorella del futuro monarca) si vedono ministri, grandi

del

regno, ecc. ; come sai,Minghetti andò a

non si sono addormentati. Però non ci ha guadagnalo. Si è già sollevato un vespaio nell'emigrazione e son venuti da me in deputazione dicendomi voler fare una prolesta. Io ho messo Parigi, Malvezzi venne qui e

la loro riputazione in Italia

pace, promettendo dire qualche parola al Senato, come feci

come avrai

e

visto nella Gazzetta Piemontese» C^).

Non fu però questa manchevolezza del D'Azeglio nello sviluppo della tesi aftidalagli che valse ad impedire che gli occhi dell'Imperatore fatti

si

posassero sul suo Memorandum. Cavour in-

nei diversi cenni

facciò

che ne fece in lettere ad amici, non rin-

mai al D'Azeglio di averne trascurato alcuna parte...,

anzi lo accusò di prolissità. La veritìi

si

è che la

fine preci-

pitala della guerra di Crimea per opera dell'Austria mandava

a rotoli tulli

i

progetti del ministro Sardo. Il 16 gennaio 1856

una grave risoluzione si prendeva a Pietroburgo: la Russia, avendo riconosciuto l'impossibilità di continuare la guerra, ade.' iva^ senza litiiilazioni. alle

proposte di pace messe innan/,i

(1)N. Bianchi, lA-tt. meii. di M. //.l ;-'//'" "' march. Kman.,'2fHK ^2)

Come il solito, il Bianchi traiti

m

ijiìi>i;i,

seconda parte nell'edi-

zione delle lettere inedite del D'Azeglio. Fortunatamente uno studioso,

Adolfo Colombo, le collazionò sugli originali neìVArchivio delVOpera JHa Taparelliìn Saluzzo, gentilmente trascrivendo errori e castrazioni sui

volumi di proprietà di uno di noi, per cui fd dato già aL.C.BoLUBA,

amori di Luisa lìlondel con G. Giusti, in // ri.sorg. it.,'S. S., IX, 729-777, Torino, 1916, di recare documenti inediti preziosi e citazioni da un volume d'azegliano del Coin \f. D'Azeglio, il castello di Knvie e gli

lombo, tuttora inedito. Questo diciamo come garanzia degli spunti dì lettere qui dati da noi per la prima volta.


— 478 — dall'Austria. La notizia fu saputa a Torino la sera del 19. « Le

moment est grave, je suis abattu. mais non découragé », scriveva ad Alfonso Lamarmora il conte di Cavour il '20 gennaio (1) e il giorno dopo al medesimo « La paix est deplorable :

pour nous.J'en suis désolé, mais ne pouvant l'empécherjl faut l'accepter et chercher de lirer tout

le

parti

possible de la

mauvaise position, où nous a placés cette rusée commère de l'Autriche »• (2). Perciò, dovendo esporre all'Imperatore « d'une fagon tout à fait confldentielle,[s]on opinion sur ce qu'il pourrait faire dans

l'intérét de ce

pays », il lavoro, « trop long

achevé » del D'Azeglio, « ayant été entrepris nière

et

non encore

avant que la der-

démarche tentée par l'Autriche eùt amene un

resultai

décisif », non poteva più servire. In vei'o « les consequences aux

quelles il doit aboutir se ressentent de l' incertitude qui re-

gnali dans les regions politiques.il ne pouvait en étre autre-

ment,car si les sentimen[t]s généraux de l'Empereur pour l'Italie ne sauraient varier, son action en sa faveur doit se modifìer, selon les

rapports existants entre la France et les autres

grandes puissances européennes, l'Autriche en particulìer ».

Fra parentesi notiamo come il conte di Cavour sapesse valersi dell'opera altrui. Poco fa lo vedemmo ricorrere al D'Azeglio per

il

discorso del Re in risposta a quello del lord

Maire di Londra (3) e altra volta raccomandarsi a Luigi Carlo Farini per il discorso della Corona nel 1861 domandando « qual-

che cosa come il grido di dolore del 1859 o V Italia degli Italiani del 1860» (4), ed ora eccolo presentare il memorandum d'azegliano come un tentativo proprio. « J'ai essayé de tracer

un tableau fldèle de l'état actuel de l'Italie en indiquant les moyens d'améliorer son triste sort», scriveva il conte di Cavour al Walewski,ma «au moment où mon travail allait étre achevé » la notizia della pace con la Russia « a fait cesser tonte incertitude en fixant d'une manière nette et précise le point (I)Ij.CkiaIjA, Leti. ed. ined. di Cavour, ILI, SSì. (2) Ibidem, 38Q.

(3) Vedi

più sopra.

(4) L. 0. BoLtiBA, Il « grido di dolore » del 1859, in Boll, stor.-bihl. sub.,

XVI, 2B0, Torino, 1911.


— 479 — de vue d'après lequel il faut envisager la questìon ItalieDoe. D'après cela il me faudrait modifìer ou refondre tiion long travail et arriver à des ooiiclusion plus pratiques». Tranne il

particolare della paternità del Memorandum Aulle le restanti

affermazioni di Cavour corrispondevano a verità. Il « travail »

non era ancora « ache ve », tanto è vero che l'ultimo comma del programma cavouriano sulla disannessione delle Legazioni

— come già vedemmo af— senza arriver à des con-

papali non vi figurava, ed era redatto

fermato in altre lettere di Cavour clusions nette et précises *

;

e poiché

«

il « travail »

era « incon-

lestablement trop long, trop diffus », così Cavour stesso redi-

geva « un résumé précis et succint » in forma di lettera al Walewski,con elementi nuovi di fatto, dato che nuova diventava, dopo il 16 gennaio 1856, la situazione europea. al quale l'unica vera obbiezione mossa dal Il D'Azeglio Cavour sul Memorandum era la non convenienza di « parlare dello stabilimento di una legazione inglese a Roma » essendo in bocca sua una simile proposta sospetta, giacché alle Thuileries egli era ritenuto un anglomane (1) —non volle affatto comprendere il fatto nuovo della pace accettata dalla Russia

e si rifiutò di rRoccare il memoriale. Lo dichiarava egli stesso al nipote Emanuele, il 13 marzo 1856: «Dopo l'accettazione dei

cinque punti naturalmente molte cose dovevano diventare ó superflue o inopportune; non volli però correggere, piìrendomì

che ne restassero pure ancora delle opportune abbastanza »(;2). Dello stes.so parere non era Cavour. Egli \V'alew.-«ki

:

«.le

— pur scrivendo al

me réserve de faire parvenir plus fard le mé-

moire complet » e, pur ess.^ndo rimasto titubante parecchio tempo, come

marmora —

vedemmo già negli spunti di fini

lettere

sue al La-

per lastnar dormire sul suo tavolo da lavoro

memorandum d'azegliano.

il

Il -

Résumé |>récis et succint» del conte di Cavour partiva

dal fatto che rintromissione dell'Austria nella guerra di Crimea, per sancire la pace, la metteva di fronte airEuron.». .ni

(,

I

.

»*ss.i

m una condizione particolare

riconn^r-tMil»'. .

<|iiinilì

eli»'

L. Chiama, lAtf. ed. ed ined. di Cavour, li, 88_».

{•2 ) ìì.

Bi \scm. Iyeti. ined. di M. D* Azeglio al marvh Hiuan ,277.

fiOU


- 480 — moment du moins, aucune en Italie ». Però si poteva forzare «l'Autriche à rendre justice au Piémont et à tenir les engagements le si

poteva domandare, « pour le

sacrifice territorial

qu'elle a contractés avec lui »,ad usare « un adoucissement au

regime de fer qui pése sur la Lombardie et la Vénétie » co;

strìngere

il

Re di Napoli « à ne plus scandaliser l'Europe

ci-

une conduite contraire à tous les principes de la justice et de l'equité^e ristabilire « l'equilibre en Italie tei vilisée par

qu'il a été établi par le Traile de Vienne, en rendant possible le retrait

des troupes autrichiennes des Legations et de la Ro-

magne,soit en plagant ces provinces sous un Prince séculier, soiten leur procurant les bienfaits d'une administration laique

indipendante » (1).

et

Vaghe erano le richieste prime del Memorandum del D'Azeglio,non meno vaghi sono primi desiderata del Cavour relativi ad una politica interna più mite da parte dei Governi austriaca e borbonico e di migliori relazioni fra Piemonte e Lombardoi

Veneto. Più concreto era

il

progetto d'azegiiano di un'annes-

sione dei Ducati alla Casa di Savoia e più concreta è pure la

proposta del Cavour della separazione e autonomìa delle Legazioni papali, che

il

D'Azeglio non aveva voluto includere nel

Memorandum per le note ragioni. Perciò, in nel

ultima analisi,

campo sostanziale la divergenza fra D' Azeglio e Cavour

era stata questa sola delle Legazioni.

Le parole del conte di Cavour con le quali accennava, nella una sua « mémoire compiei », valsero a trarre in inganno nel 1870 Nicomede Bianchi, che in appendice ad uno dei volumi della Storia documentata lettera al Walewski, all' esistenza di

della

diplomazia europea in Italia (2) pubblicava

il

Memo-

randum del D'Azeglio come farina genuina del sacco di Cavour, intitolandolo

Mémoire de M. le comte de Cavour sur le moyens

propres à préparer la reconstittition de Vllalie e firmandolo in fine

con tanto di « C.Cavour ».

marchese Matteo Ricci, ignaro che lo suocero suo. Massimo D'Azeglio, l'avesse qualche anno prima bistrattato nella Il

(1) L. Chiala, IMt. ed. ed (2) N. Bianchi, Storia

ined. di Cavour, II, 388.

docum. della dipi, eur., VII, 568-598.


— 481 — corri pendenza con

il

nipote Emanuele (1), volle subito riven-

— di temperamento — non osò annotare l'errore compiuto dal Bianchi

dicare la paternità del Memorandum, ma

mido (2)

ti-

l'anno innanzi. Così, allo scopo di « onorar la memoria di un

uomo caro ed illustre e di rendere al tempo stesso un servigio i^lle

lettere, alla storia, alla scienza

politica », pubblicava gli

Scritti postumi di Massimo D'Azeglio e, fra questi, una nota di-

plomatica « integralmente di suo carattere, e gelosamente da lui serbai [a] fra le sue carte particolari (3) », dal titolo Sur le mo-

yena propres à préparer la reconstitution de V Italie (1856), con questa nota a pie' di pagina: « Ognuno riconoscerà di leggieri la gravità dell'argomento trattato dal D'Azeglio in questa

scrittura, e l'arte colla quale esso è discusso. Aggiunge poi

pregio e importanza grandissima a tal lavoro, la considerazione

che 6880 fa perfetto riscontro alla risposta data al medesimo quesito dal Conte di Cavour in quel celebre di cui

corse altissimo

il

Memorandum,

grido per tutta Italia; ma non se

n'ebbe piena contezza che poco fa, qtiando lo leggemmo nella

genuina sua lettera nell'ultimo volume uscito in luce della Storia diplomatica di Nicomede Bianchi (4) ». (1) In una delle tante lettere castrate da ìi.BiA'SCni (Leti. ined. di M. D^Az. al march. Eman. ,S16) del 25 feb. 1863, Massimo scriveva al nipote € A proposito di Cannerò m'è venuta un'idea. 3/i par di vedere che a te piace, ed ho poi veduto un^ altra cosa, a per dir meglio V ìw preveduta e la prevedo, n mio dolce genero Matteo è un angelo, ma un'idea :

di gusto, di tatto e simile non può entrare nel suo cervello. Io da un^altra parte sono affezionato

a Cannerò come ad un mio parto; e non

vorrei che andasse in man dei barbari che lo mandassero a male. Vorrei

dunque che, senza levarne interamente il valore a Rina e alle figlie sue, potesse passare nelle tue bianche mani, che n^avresti cura. Che ti sembrerebbe ecc Quanto è in corsivo fu dal Bianchi tralasciato nell'edizione succitata. (2) L'8 giugno 1852 Massimo D'Azeglio annunciava al nipote il matrimonio della propria figlia Rina con il marchese Matteo Ricci e gli scri-

veva: «...non ti dico è fatto. Afe scordavo il più curioso. Ci sono fondati motivi per credere che lo sposo è vergine. Per quanto non

mi ri-

cordi molto di questo stato, ho peto idea che deve essere qualche cosa

di molto rispettane » {ibidem, 197). II corsivo fu dal Bianchi tralasciato nell'edizione sua. (8) M.D*AzBOLio,SStTt7/t

renze, 1881. (i) Ibidem, 24b,n.

postumi a cura di M. Ricci, p.v e vii, Fi-


— 482 — Fosse timidezza di editore o riverenza verso certo è che « che

fa

il

Ricci parlò del

perfetto

riscontro alla risposta data al

quesito dal conte di Cavour

con

la

Il

è

il

Bianchi,

medesimo

genuina sua lettera » al

nella

Walewski, senza mettere in rilievo

dopo questa lettera vi

il

Memorandum di suo suocero,

particolare che subito

il

Memorandum d'azegliano, ma

firma di Camillo Cavour.

Bianchi nel 1883 curava la stampa delle Lettere inedite

Massimo D^ Azeglio al marchese Emanuele D' Azeglio, che quest'ultimo aveva preparate per una edizione, e, senza accorgersi, lasciava intera un'annotazione apposta ad una lettera 22 di

gennaio 1856 (n. GXV), in cui sta detto si

:

« Questo

Memorandum

troverà in questa raccolta (1) ».

marzo 1856 (n.CXVII) (2), memoriale « annexe à la lettre 117 », come dice il manoscritto autografo di Emanuele ora in nostre mani, per non darsi la zappa sui piedi, o per non dover confessare il proprio errore nella prima edizione del 1870. Poi, nel pubblicare la lettera 13

eliminava

il

Differenze sostanziali fra l'edizione Bianchi (1870), quella Ricci (1871) e il manoscritto di

Emanuele D'Azeglio non esi-

stono quasi, se si eccettuano il Sommario delle tre parti, nelle

due edizioni a stampa saltato a pie' pari insieme con i sottotitoli delle tre parti, il comma criticato dal Cavour circa la Legazione inglese a Roma ed un'aggiunta finale, che si trova nel solo manoscritto di

Emanuele D'Azeglio, e non nelle due

stampe. Il

comma, dal Cavour non trovato conveniente in sua let-

tera 20 gennaio 1856 (3), nell'edizione Bianchi non esiste

;

ma

può egualmente conoscere, perchè l'edizione Ricci lo contiene. Esso suona così

si

:

« On doit

regarder

comme hautement important l'établissement

d'une légation britannique à Rome. Des démarches devraient étre faités

en consequence auprès du cabinet anglais, pour l'engager à

chercher les moyens de triompher de l'opposition ultraprotestante, qui a jusqu'ici reussi à contrarier une mesure d'une portée tonte (1) N. Bianchi, Leit. ined. di

M. D^ Azeglio al march. Eman., 272,

(2) Ibidem, 276-278. (3) L. Chiala, Leit. ed. Ì7ied. di

Cavour, II, 382.


— 483 — politique, et nullement religieuse; complétant le système de prepon.

dérance de l'Occident, qu'il importe de gouveniements italiens » (1). II

faire

prévaloir auprès dea

manoscritto di Emanuele D'Azeglio sostituisce invece:

« L'antipathie que le parti protestant Anglais eprouve pour le pape

et

pour tout ce qui le represente le rendt aveugle sur son veritable obstinement à envoyer un representant Bri-

intèrèt. Eh se refusant

tannique a Rome, pour eviter de voir un Monsignore se promenant

par les rues de Londres, non seulement il ne cause aucun dommage à la papauté, mais il lui rend service;car le veritable moyen de la

combattre serait d'avoir a Rome un representant qui ouvertement et

loyalement se flt le promoteur des reformes politiques d'accord

avec les representans de la France et du F*iémont, ainsi qu'avec les

hommes sages et liberaux du pays^Né dans la commnnion catholique que le pouvoir temporel de la caste clericale est

et convaincu

la

plaie la plus funeste de la religion, je crois rendre service au veri-

table sentiment religieux de

mon pays en indiquant les moyens prò*

pres à saper les fondamens de ce pouvoir funeste ».

L'aggiunta tìnale,esisteutenel solo manoscritto,è la seguente « Au

:

moment de finir cet ecrit nous recevons la nouvelle que les

quatre points sont acceptés. Nos prevoyances que l'Autriche n'aurait pas tourné ses arraes contre la Russie se sont averées. EUes ont été

méme «iepassées dans le sens que l'habileté de l'Autriche est parvenue a sauver la Russie des consequences de son entetement et la Coalition

de sa ruine.

Turin,Janvrier 1856.

Max. D'Azeglio».

Oltre a queste varianti 80stanziali,8onvi degne di' nota alcune varianti formai i.Ksse sono tre note, esistenti a pie' delle pagine 578, 579, 580 del volume VII della Storia documentata del Bian-

chi e nel manoscritto di Emanuele D'Azeglio, mentre mancano

nell'edizione Ricci, e la ripetizione, nel nis.e nel Bianeni, per

due

volte, di

una data, 1856, che nel Ricci

è invece 1855(2),

senza però nessun pericolo di minor chiarezza, nonché un nu-

mero grandissimo di errori di lettura e di ortografia francese, che

umano l'edizione Bianchi, mentre quella Ricci è molto

più corretta.

(1) M.D'AzBOLio, Scritti

(2)/6trfem,268 e 274.

.

postumi, 266.


— 484 — Cavour e D'Azeglio si accapigliavano e si sfogarono in polemiche con

terzi, per trovare « les moyens propres à preparer

de l'Italie », mentre a Parigi non sì davano neppure per intesi di tanta tensione di spinti. Walewski non la reconstitution

faceva troppo buon viso a queste proposte e aveva risposto calorose sollecitazioni di Villamarina

alle

con piena fran-

chezza: «Ora non è partito savio né prudente d'aggiungere alla questione d'Oriente, una nuova complicazione coU'agitare la

questione italiana. Essa non è matura. Il Governo francese

riconosce che

le

condizioni d'Italia sono sregolate; ma non

ha pur anco studiato a sufficienza i mezzi

usabili

a riordi-

narle. Rispetto alle Legazioni e alla Romagna, non è possibile sollecitare che vi siano allontanati

i presìdi! austriaci, come non è possibile che ì Francesi sgombrino da Roma, da che non si potrebbero prevedere le conseguenze dì questi due

fatti, in

vista del contegno minaccioso del partito rivoluzio-

da un momento all'altro potrebbe mettere compromesso la tranquillità dell'Europa». nario, il quale

in

E così Napoleone III. aveva invogliato Cavour ad esporre un piano di azioni possibili in beneficio dell' Italia; questi aveva seguito la trama già fissata nel loro colloquio e alla tutto si infrangeva contro l'opposizione dì un ministro, mentre si erano tesi un pochino dì più i rapporti di antipatìa fine

fra

i

due grandi statisti piemontesi. Teofilo Rossi e L. C. Bollea.


A proposito del Maghella e dell'ode patriottica del 1831 F. Ilario Rinieri, che dispone di preziosi

documenti sul Ri-

sorgimento italiano, aveva messo mesi addietro a mia disposizione gli Esami giudiziali del signor marchese Raimondo

Dona, il celebre carbonaro-spia del 183^, che sotto il nome di Stefano Degregori fece le sue delazioni davanti alla Direzione

Generale di Polizia di Milano. Per riguardo verso Alessandro Luzio, che nel volume su La madre di Mazzini (1) annunciava

uno studio sul Doria, preferii non servirmi giudiziali. Però credo di poterne stralciare

di questi Esami una piccola parte

a complemento del mio articolo su Antonio Maghella nel forte di Fenestrelle (i2).

Nel Terzo esame del marchese Doria, avvenuto il 9 ottobre 1832, egli diceva

:

«Richiamando alla mia memoria gli avve-

nimenti di Genova ho potuto ricordarmi altri nomi di carbonari, ivi conosciuti, che m'affretto di partecipare: il prete De-

simoni di Montaggio, certo Croce proprietario, il possidente Codevilla figlio, Hattilana impiegato nell'azienda dei sali e ta-

bacchi, Ouis proprietario di Galluri e cognato di Battilana,Gar-

rivaldo proprietario e,credo, fabbricante fuor delle porte d'Al-

visagno, il medico Deferrari, il presidente torinese Felice Bisino, l'altro presidente

pure di Torino Ortalda, l'avvocato torinese

Badariotti, l'avvocato di Novara ('Kit^oardi, l'avvocato di Genova Riccio, Quello poi che sovralutti importa di far conoscere, si

è il Maghella, il quale attualmente s'occupa dell'occulte

ri-

forme che si

Re

vati

facendo nello Stato Sardo, senza che

il

medesimo s'avvegga a che si voglia condurlo colle invisibili manovre che si adoprano per fargli adottare or l'una or l'altra misura sempre in st>nso antiaustriaco. Il Maghella non ha nl(1) Torino, 1919. (2- In //

Risorg. it.. voi. Xl-Xil, pp. 247-260, Torino, 1919.


-- 486

cuna qualità esteriore per nominare agli impieghi,© destituire, ma in sostanza egli è l'anima di tutto, ed essendo stato dignitario della Setta Carbonica, dirige ogni operazione in modo

da secondare l'impulso rivoluzionario. In ogni modo giova che si sappia con certezza che questo è uno dei personaggi più pericolosi e da sorvegliarsi colla massima attenzione. E qui, poiché son entrato a parlar d'un individuo sì importante,

devo ancor nominarne alcun altro che per la loro posizione sociale e politica stanno in grado eminente e possono agire contro di

me nei modi più violenti, io devo pregare che tutte

comunicazioni di questa spezie, che io sarò per fare, siano custodite col più geloso secreto in modo che le persone intele

non ne possano traspirar nulla, e ciò devo tanto più avvertirlo, in quanto che il Maghella, quantunque senza caratressate

tere ufficiale, è l'anima del Ministero dell'Interno, ed a lui si

deve attribuir, io credo, il contegno riprovevole tenuto in questi affari dal primo uffiziale Taffini, del quale dovrò, a suo tempo,

lungamente parlare».

A proposito del Taffini, il marchese Boria nel suo Quarto esame, il 10 ottobre 1832, dicendo d'un certo suo progetto antirivoluzionario che aATebbe dato « in mano la chiave di tutte le

rivoluzioni ch'erano imminenti all'Italia », soggiungeva:

«Quest'operazione di grande rilievo che avrebbe impedite le rivolte di Modena, di Parma e di Bologna, non ebbe la fortuna di incontrar l'aggradimento del

marchese Taffini, il quale ri-

spose che non doveasi far tale spesa per sorprendere dei segreti relativi al

regno di Napoli, quasiché non fosse noto, che

come unico è lo scopo dei settari, d'abbattere tutti governi, comune è anche l'interesse di tutti i governi di prevenir le i

macchinazioni dei settari. Io mi diressi al Governo Sardo perchè

medesimo é in alleanza con tutti gli altri Governi d'Italia, né mai poteva prevedere che il marchese Taffini ricevesse così freddamente una notizia da cui poteva dipendere la tranquillità dell'Europa. Non è a mia cognizione che il marchese il

Taffini sia Carbonaro, ma

il suo contegno in questi affari fu quanto egli sia scarso d'ingegno e di cognizioni, io non posso rinunziar alla mia persuasione, che se non è Carbonaro egli stesso, per lo meno agisse sotto l'immediato

tale, che, per


— 487 loro impulso, e questa credenza è animata in me, ancor

più

dal vedere, che in tutti gli ultimi cambiamenti di Ministeri, cui io credo oprati

dai Carbonari, Taffini

fu

sempre

al

suo

posto, ed anzi di provvisorio divenne stabile, ed ora è tutto

creatura di Maghella, col quale esso non aveva alcuna relazione ».

Queste delazioni del marchese Doria ci uiostrano il Maghella in pieno lavorìo settario, anche quando apparentemente si go-

deva gli ultimi anni della sua vecchiaia nella tranquillità della natia Borsa. E Carlo Alberto inconsciamente premiava questo suo occulto nemico conferendogli

titoli

nobiliari!

Come meglio l'avevano conosciuto le polizie austriaca e sarda del 1816!

* « »

L'ode patriottica del 1831, da. me edita come d'ignoto auinvece, e me lo comunica gentilmente da Verona Giuseppe Biadego,di Gabriele Rossetti. Essa comparve "a Bastia nel 1849 in Iddio e V uomo. Salterio di G. Rossetti e altre poesie del medesimo autore, e in diverse altre edizioni. Ciò non infirma quanto io scrissi nell'illustrazione dell'Ode, anzi ne avvalora le mie illazioni, poiché non è mistero che Gabriele Rossetti, il commentatore dantesco che volle spiegarsi La Divina Commedia con il simbolo massonico, appartore (l), è

teneva a questa associazione. L. C. BOLLEA.

(l)/6idew,pp. 261-264.


RBC EN S O N 1

I

La Madre di Giuseppe Mazzini Carteggio inedito dei 1834-1839, con prefazione e note di Alessandro Luzio, Torino, Bocca, 1919.

Alessandro Luzio ha avuto la fortuna di trovare nel R. Archivio di Stato in Torino (sala 1"3, armadio 7) copia esatta delle lettere

spedite da Maria Mazzini Drago (1774-1852) al figlio

nella Svizzera ed a Londra. Queste lettere, impostate a Genova,

passavano per Torino, dove uno « oscuro sgobbone di amanuense » le trascriveva « dalla prima all'ultima riga, con meticolosità burocratica ». Osserva il Luzio « La vera rivelazione :

che ci offrono gli atti' torinesi, è costituita dalla personalità di Maria Mazzini, sfolgorante dalle sue

[)roprie

lettere; come

mai non era apparsa sino ad ora, in tutta la sua stupenda energia di carattere ».Ed a questo carattere adamantino contrastano, in questo stesso epistolario, le parole del dott. Giacomo,

che

— nonostante le sue debolezze — aveva cuore di padre, era

un galantuomo, e si gloriava

della

virtù

sovrumana, dell' o-

nore immacolato, della gloria del figlio!

Maria Mazzini adorava Giuseppe, che credeva predestinato a grandi cose, prediletto di Dio, « l'essere del sacrificio » (lett. 31l-'37),la cui « vita di sacrifizio a prò degli uomini sarà indubi-

tatamente da Dio incoronata »(lett. 10-2-'37) di lui conservava :

religiosamente

le lettere (1) ; lui

confortava, incoraggiava, aiu-

tava finanziariamente con mille accorgimenti e ingegnose provvidenze, che solo una tal madre figlio, a cui si (1)

poteva trovare per un tal

compiaceva di assomigliare fisicamente (e nelle

«E come? pensi tu dunque che io possa distruggere

le

tue

let-

tere? Mai e poi mai furono, né verranno giammai distrutte in etemo » <lett. 27-8-'38).


- 489 accenna al pallore del volto, ad un neo sulla faccia, ai capelli, alla pelle, al colore, ecc.) e moralmente (nella iperelettere

stesia, fant<»5iia

eccitabile, amore

cismo, forza di

volontà, ecc.), tanto che poteva dirgli: «Per

della

solitudine, fede, misti-

quanto o^rnun conosca i tuoi pregi in generale... puro sento un'intima convinzione che io sia l'unica a conoscerne la tua propria verace squisita essenza, essendo immedesimata teco in ogni menoma piega dell'anima tua...» (lett, 15-10-'37) (1).

Vogliamo dare una scorsa a queste lettere? Ecco qui il prof. Viviani,che fugge pauroso a Levanto, sua patria, quando

il

colèra ancora stava nella mente di Dio (lett. 10-10-'35);ecco le

fredde accoglienze di Genova all'arrivo del Re (parole della sorella Francesca 5 ll-'35);ecco rievocata dalla madre la famosa

ricordato

profezia del colonnello Patroni (15-ll-'35) e

l'inso-

lente discorso dello Zar Nicola ai polacchi !(30-il-'35). Maria il

Dal Pozzo i8-3-'36),

figlio di fare lina

scappata piena di

Mazzini giudica aspramente l'Orioli e

non approva l'idea del

pericoli a Genova (2-r>'36;

:

gli

scrive che

nell'Università di

Pavia ad una statua di Sallustio era stato apposto il nome di lui (27-.>'36) lo conforta contro la calunnia, giacché * il punto ;

essenziale è l'oprare

il

bene, indi lasciare che ogni

persona

non è basato sulla pretta verità casca tosto da per sé e non nuoce giammai all'uomo onesto, anco se talora ne venga bersagliato indebitamente »(21-7-'36). Si professa entusiasta per Lamennais e lo prega di trascrivergli altri brani di un suo libro «che quello scritto contiene cose grandi e sante: par d'udire un profeta » (31 -3-'37) é lieUi di avere, dopo molle ricerche, stanato per il figlio « la Congiura del Vacchero manoscritta, e scritta proprio dal Raffaele Torre, segretario del Senato non scriva quel, che

le piaccia, dacché tutto

ciò che

;

solo, ma delegato sp<»ciale ne' processi di que' congiurati » (9-

.V.37);lo informa di

una piccola émeute sansimoniana avve-

nuta a Ijavagna (l()-7-'37); sorride del (1) < Non

padrino al fonte

puoi crederlo né anco tu stesso tino a qual grado io sia

teco imme<ie8Ìmata, e se per ipotesi, che ventassi

tìglio

morale ed al

mai Iddio non voglia, tu

di-

meco, io intenderei tutto quanto giovasse al tuo tno minimo desiderio senza il menomo cenno tuo» (29-

muto

fossi

6-'3a). Il Ri$org. Uni., \i-.\il

*1


— 490 — battesimale, che

impone al neonato il nome del marcire sici-

liano Procida (15-10-'37); spera che <5orpo ed

il

diavolo porti via

anima quel mostro d'iniquità del duca

{30-lO-'37); trema per

il

sospetto che

il

ip.

Modena

di

postale tra

segreto

madre e figlio sia violato dalla polizia (15-l-'38). In seguito, esprime una fede incrollabile nel figlio che non può deviare ed esclama

:

« Benedizione

a Dio che volle in sua predilezione

dotarti di qualità rarissima quella cioè d'aborrire l'abbiezione :

morale di te stesso, col non prostituire vilmente ed in ninna circostanza la santità del tuo raro carattere», e, nella stessa lettera, gli

sinetti

dà notizia di una pubblicazione di un parroco Fras-

contro ai giansenisti (13-7-'38); rievoca

le

ansie dei

giorni della spedizione di Savoia: « Mio Dio! quell'epoca, campassi io mille anni, non sortirà tali e tante

mai più dalla mia memoria:

furono le sensazioni a cui fui in preda... » (24-9-

'38); della classe letteraria dice: «I nostri letterati

d'oggi in

massa tengono piiì che altri agli agi e quindi al denaro una •elegia che lor frutti ciò è tutto quanto agognino, e sé lor giovi :

decantare l'ingiustìzia, lo fanno con la stessa alacrità con cui

canterebbero la virtù » (2-2- '39)

;

distinta parte del globo, e tutto

e dell'Italia: «L'Italia è la più il

grande ed

il

bello è sua

messe; non v'ha contrasto; quindi non è possibile che possa soggiacere sempre nella abiezione e riprenderà quando che sia

il

debito

splendore » (23-2-'39). Predicava in Genova in

quell'anno (1839) il futuro martire lui

dell' Austria, Ugo Bassi; di

parla con entusiasmo, ed aggiunge: «Mi

si

accerta che

abbia molla somiglianza col celebre Tizio [= Mazzini] pallido, figura ovale, bei capelli nerissimi, aria interessante ecc. Ca:

pisci ? » (2-3-'39) ed in una lettera posteriore

dito pel predicatore

:

donne pazze

di

:

•«

Entusiasmo inau-

lui, suo

ritratto

che

si

vende dai librai, gli studenti e tutta la gioventù pazza di lui; moltissimi continuano a volerlo rassomigliante a te, ed infatti il padre, che vide il ritratto da Beuf, lo dice anch'esso» (30-3-'39) ed ancora: «Il celebre predicatore ha finito con far ;

piangere di tenerezza tutto l'uditorio: poesie stampate ed inedite al suo elogio... L'ultima predica si è stati lì lì per una generale battuta di mani » (6-4-'39). Dopo aver letto la Mar-

gherita Pusterla del Cantù, scrive al figlio: «Certo quel libro


- 491

-

è arditissioio, perchè descrivente appunto ed

il

'33 e l'epoca

precìsa attuale »(l8-5-'39).

Segue nell'appendice I la corrispondenza fra Giuseppe Mazzini ed Eleonora RufTìni; II il carteggio dell'esule colla sorella

Antonietta Massuccone (mirabile è la lettera alla Antonietta dopo la morte della povera Cichina, altra sorella, ed affettuosa la risFK)sta dell'Antonietta); III altre lettere di minore importanza, e IV un capitolo intitolato « la polizia sarda e la famiglia Mazzini ».

La pubblicazione del Luzio è importantissima per la storia del risorgimento. Attendiamo con vivissimo desiderio gli altri

due volumi ch'egli ci promette di compier tra breve, dei quali * descriverà

l'uno l'attività carbonaresca » di Mazzini e gli inizi

della Giovane Italia iniesseròi l'ultimo quel

fosco, procelloso

periodo, che si chiude con la spedizione di Savoia e la con-

danna a morte di Garibaldi ». Pier Angelo Menzio. }^Ia>hìsu)

i)' .\/.miAo,

hacconti, leggende, ricordi della

l'ita

ita-

liana (introduzione e note di Marcus de Rubris, Torino, U. t. e. d.

1919) La lega

lombarda (id. id.).

Quando, nel maggio del '5(),Giuseppe Torelli [= Ciro D'Arco] dovette dimettersi, per il mal animo del Rattazzi e la man-

canza (li appoggio del Cavour, dalla direzione della Gazzetta Ufficiale, \ enne a trovarsi in condizioni economiche poco liete.

Pensò allora di pubblicare un periodico settimanale, a cui pose il

nome II Cronista; e il D'Azeglio, non immemore dell'amico

che, sostenendolo, aveva suscitato

le ire

nerosaraente dargli una mano. Difatti, il

rattazziane, volle gè-, !• numero del

perio-

dico reca la prima puntata della serie di questi Racconti, leg-

gende, ricordi della vita t/a/tana, che « ispirarono all'Azeglio

possono considerarsi storicamente e

l'idea dei Ricordi, ili cui

artisticamente l'antiporta ». Secondo Marcus de Kubris. la serie dei

racconti

azegliani

è

perspicua « anzitutto

autobiografici che non

si

ritroveranno in altre opere dell'au-

per elementi

tore; quindi per il carattere di pretto giornalismo estem^Hìraneo

che lo richiama stranamente alla più moderna produzione letteraria

;

infine

come uno de' primi esperimenti di quella no-

vellistica regionale

divenuta ormai

florida ».


— 492 — L'autore, nel dipingere

i suoi persona^rgi, raggiunge una ninon si ritrova piij «noi Ricordi. Restano impressi mente del lettore il sor Checco Tozzi, la sora Maria, il

tidezza elle nella

sor Virginio Maldiira, la

Maldura (cap. I)

poi ;

sora Nina, la zia Aniia, il sor Mario

vengono gli ospiti

roni, ex- mastro di stalla

:

il

sor Baldassarre Ce-

dell'ambasciatore di Spagna, e don

Filippo de' Duchi (ch'è il don Luigi de' principi Spada dei Ricordi) (cap. II). Nel cap. IH * le società segrete » dislingue acu-

tamente tra orgoglio e vanità, e nota che « nelle riunioni d'uomini,! partiti più violenti sono sempre proposti da chi vaf

meno ed è notato per leggerezza ». Un vero gioiello è il capitolo IV * dolori e gioie della vita artistica », dal quale tolgo

questo passo autobiografico

:

« Se in

vita

mia ho potuto non

troppo uscire di quella via per la quale mi son messo fin dai primi anni, e che ho giudicata fosse per me la via del dovere,

ne debbo saper grado a que' lunghi soggiorni che per tanti anni feci nelle selve e nelle campagne, libero, indipendente, solo, a fronte de' mille dubbi, delle mille difficoltà

d'un av-

venire che allora poteva esser lungo per me, pieno del grave

pensiero che ogni uomo deve la sua vita alla terra ove nacque, e del caldo desiderio di trovar modo onde lasciarla, morendo,

in migliore stato che

non era quando nasceste ». Il cap.V in-

titolato « 11 sor Checco Tozzi » è in realtà una scorribanda nella

tempo; nel VI «Visita di congedo al sor Checco» ci troviamo dì bel nuovo a Marino, e facciamo conoscenza col politica del

notaio-improvvisatore sor FumasonLcol sor lacobelli di Rocca di Papa e col suo morboso sentimentalismo, con Peppe Rosso,

con Natale Raparelli,con Andrea Pigna, ecc. Ecco quello che il letterato-pittore dice della sera di Marino: «In ogni parte è bella quest'ora, ma nei climi meridionali è è

un vero iùcanto un risorgere alla vita dell'intera natura, un rinnovarsi di

tutte

le

r

sue bellezze, de' suoi colori, delle sue fragranze: dalle

alture sulle quali siede Marino, l'occhio

scorre

sull'antico

Lazio, sino ai monti de' Sabini, di Viterbo ed al mar Tirreno:

quando l'ombre della sera gettano i loro misteri su quella vasta regione, quando soltanto rimane all'orizzonte un'ultima striscia arancia infuocata, che sfumandosi pe' campi dell'aria, e

si

perde nell'umido azzurro e trasparente ove già scintillano


- 493 prime sielle quando si uniscono l'umido soffio della notte, il fresco della rugiada. il mugj?ito degli armenti, il suono del-

le

;

l'avemmaria debole e lontano, e persino quel fioco eppur così dopo una giornata' ardente

gentil canto del grillo, e tuttociò

di fatica e sudori, creda, caro lettore, che è un insieme di tale felicità

per chi ha notizia del bello, e un po' di vita nel cuore,

da lasciar mille miglia addietro tutti

1

balli, i teatri, le feste,

una parola, di questo mondo. ..compreso quello di fare il ministro ». Il volume si chiude col « Ricordo di una vita italiana » ossia di Giacinto Gollegno, a proposito del quale intende confermare la massima che « salute tutti

i

gusti artefatti, in

de' popoli, più assai de' grandi talenti, sono i grandi caratteri, e lo studiarli è la più profittevole delle scuole».

può dire E veniamo a La lega lombarda, che non porta — — nessuna novità sulle due precedenti edizioni, ma è pregevole si

per la diligentissima introduzione di Marcus de Rubris. L'idea del

romanzo (rimasto

interrotto

dopo

il

capitolo ottavo) fu

forse suggerita al D'Azeglio da Cesare Balbo, dal quale « erano stati composti numerosi capitoli,siebben saltuari, di un romanzo

su La lega di Lombardia, che nell'Archivio dei conti Balbo

sono ancor oggi conservati con

la

inediti nel

manoscritto originale

data degli anni 1815 e 18l(j».Egli vi pose

mano effet-

tivamente solo nel settembre 1841 (nel maggio aveva finito di pubblicare

il

Niccolò de' Lapi); ma* fin dal 1828 avea

ad illustrare su

la tela, da

preso

quel valente pittore eh 'erasi affer-

mato in .soggetti storici, l'azione della gran lotta culminante sovra i campi di Legnano attorno al palladio del liberato Comune ». Seguendo passo passo il carteggio del D'Azeglio colla seconda moglie Luisa Blondel, Marcus de Rubris ha potuto ricostruire cronologicamehte la compilazione degli otto capitoli azegliani

;

fra

i

consiglieri del D'Azeglio, al nome venerato del

Balbo s'aggiunge quello simpatico di Tommaso Grossi. Le prime pagine del romanzo furono scritte solo nel 1843, dopo due anni di studi preparatori; nel '45 il romanzo fu abbandonato. Perchè? Secondo D'Azeglio, questi smise

il

il

marchese Matteo Ricci, genero del romanzo perchè oramai poteva far

intendere tutto quello che gli piaceva e più chiaramente e più interamente in

una mezza colonna di giornale o

in

un


- 4©4opuscolo di quattro pagine. Ma Marcus de Rubris non crede che questa sia la vera ragione, ed osserva: «Il

fine

politico

dei romanzi del D'Azeglio era ancor da perseguirsi con Io stesso mezzo letterario anche dopo ch'egli aveva abbandonala

La lega Lombarda, perchè quella libertà di stampa per le aspirazioni nazionali cui vuole alludere

il

Ricci era gelosamente

anco nella libéralissima Toscana la pubblicazione della memoria Degli ultimi casi di Romagna avea prointerdetta, se pur

vocato al popolare e tanto amato scrittore un clamoroso sfratto dallo Stato granducale».

Pier Angelo Menzio.


INDICE DEI VOLUMI XI-XII ARTICOLI E STUDI. Bai^amo-Crivelli G., Appunti giobertiani V.Gioberti e

»

pag.166

gli Scolopi

.

.

.

»

361

HAHALisM.,Una leggenda atroce: il Generale G.M.Galateri pag. 171,265 BoLi.KA L.C.,F. Dal Pozzo dopo

il

1821

:

l'esilio in

Inghilterra .pag. 53

»

L'idolatria storica e il massonismo di M.D'Azeglio

>

»

A. Maghella'nel forte di Fenestrelle(l815)

»

247

»

Un'ode patriottica del 1831

»

261

»

Un'imitazione patriottica della «Divina Comme»

380

»

485

»

325

»

465

.

.

dia » del 1848-19

A proposito del Maghella e

dell'ode patriottica

del 1831

collaborazione con

Le carte del

»

(in

»

(in collaborazione con 7. Rossi) Un memorandum

conte

T. Rossi)

di Cavour

228

.

.

.

d'azegliano e una Talsa attribuzione di N.

Bianchi

Corderò di Famparato S., Teatri e censura in Piemonte

nel

Risorgimento italiano Direzioni? DELLA SociktX Storica Subalpina (La), Ai lettori

.

»

444

»

209

»

1

GABOTroF.,Le origini del Risorgimento italiano prima della Rivoluzione Francese Ikmoi/> A. C, II* partito cattolico » piemontese

1

nel 1855 e la

legge sarda soppressiva delle Comunità religiose

Pesce A., Metodi elettorali del ministero D'Azeglio RiNiKRi

1

,

Il

» .

1

240

.

carteggio di Giuditta Sidoli con Giuseppe Mazzini e con Gino Capponi

Rossi Teofilo (in

»

387

»

325

collaborazione con L. C. Bollea), Le carte del conte di Cavour


- 496 — Rossi Teofilo {in collaborazione con L. C. tìollea), Un

randum d'azegliano e una

falsa

memoattribu-

zione di N. Bianclii

Salsotto C, Lettere inedite

di Carlo Botta

pag.465 al

figlio Scipione

SoRBELLi A., Achille Menotti

*

211

»

422

RECENSIONI. Balsa'sio-Crivelli G., Del * PiHmato * di V.Gto6er<f'(P.A.Menzio)pag.358

Luzio A., Le mie Prigioni, memorie di S. Pellico (P. A. Menzio) >

La madre di G. Mazzini (P. A. Menzio)

.

,

.

*

360

»

488

»

490

RuBRis (Marcus DE),Racconti,leggende,ricordi di M. D'Azeglio (P. A. Menzio)


Gennaio-Giugno i92o

VoL. XIII

IL

Fasc. l-^

RISORGIMENTO ITALIANO Nuova Serie pubblicata dalla

SOCIETÀ STORICA SUBALPINA

DI

UNA PRIMA EDIZIONE

della "STORIA

DAL 1814 „ DI LUIGI ANELLI

D'ITALIA

Tutti conoscono la Storia d'Italia dal 1814 al 1863 di Luigi

Anelli (18 13-1 S^XJ), prete republicano intransigentissimo, mem-

bro del Governo Provvisorio lombardo nel 1848, poi esule a Nizza e quindi ancora deputato di Lodi, sua patria, alla VII Legislatura, durante la quale compiè la più degna delle sue azioni, sebbene ispirata da passione settaria anziché da puro

sentimento italiano: un fìerissimo discorso contro il mercato

cavouriano di Nizza, di cui tentò far risalire la colpa al Re (1). Ciò che s'ignora, o si sa da pochi, si è che l'edizione milanese del 1864,presso la Tipografia editrice Francesco Vallardi,con

dedica a Giuéeppe Ferrari, non è la prima dell'opera anelliana i

due primi volumi cor.

il

titolo Storia d'Italia dal

:

1814 ai

1850, furono stam|)ati altra volta, precedentemente, in Torino, nel 1856, dalla « Tipografia Nazionale di G.Biancardi ( Via del

Fieno, .W. 8) » anonimi e con

la

data « Italia» [ma la vera in-

dicazione tipografica in fine di ogni volume] e un'avvertenza « Al lettore » a

firma « Sancio Abarca e Comp. ».

A mettermi sulle

traccie

dell'identificazione dell'edizione

anonima torinese di una Storia d'Italia dal 1814 al 1850 con la nota opera (lell'Anelli valse anzitutto una noterella del Branca, relati va a quella,del tenore seguente « È opera coscien:

ziosa del signor L.A.,e l'editore milanese signor G.Schie{Kìtti

opportunamente sta per intraprenderne una nuova edizione,

(l) M.Rosi,/^ Rùtorff. ital.,dizion. Ulustr. ,11,10. L^trticólo^di

O.Badii,

non è molto esatto per quanto riguarda le opere dell'Anelli. 77 Ritarg.

i(nl.,Xni

1


2 migliorata e continuata (mediante altri due volumi) fino al-

l'anno 1861 (1) ».Tostochè fui messo sull'avviso da quelle iniziali,corsi al riscontro,e l'identificazione rimase tosto stabilita.

Non si tratta però di una semplice ristampa nel '64 dei volumi già editi nel '56: il libro ha subito un rimaneggiamento formale, che talvolta però tocca anche lo spirito, se non la sostanza, della narrazione. Da principio le differenze sono minime, ma assai presto si comincia ad averne di maggiori.

Dopo aver infatti enunciato

i

'64 vi si dice

1850»

«dal 1814

al

— e anche nel — e accennato ai grandi

limiti dell'opera

eventi dei primi quattordici anni del secolo, già raccontati da altri

— cioè principalmente dal Botta e dal Colletta, così pro-

seguono i due testi

:

Ediz.1864:

Ediz.i856: Materia ben diversa io tesso in

Materia ben diversa io tesso in istoria.

istoria.

Le sole prove infelici che fece

Le prove

infelici

che fecero

Vltalia per aver terra propria

magnanimi cospiratori da soli

e con leggi, pensieri e costumi

e le più fortunate che il Piemon-

proprii rimettere in istato la sua

te tentò colVajuto dell'armi stra-

sua civiltà, io entro a raccontare. DalV efficacia dello

niere per far libera la patria,

italiani posero a

proprj rimettere in istato la sua

quest'impresa, sta a' iniei leggi-

vita e civiltà, io entro a narrare..

vita e la

zelo, che gli

tori

segnare il grado di vergo-

gna e di gloria che ad essi è do-

e con

leggi, pensieri

Vedranno

i

lettori

e costumi

cadere gli

sforzi de" primi perchè i popoli

vuto. Ma considerando le cagio-

non risposero

ni, donde fallirono le chiare fa-

colle parole e co' fatti vollero in-

tiche de^ pochi, i quali tentarono

riporre od almeno ravvicinare

namorarli dell'antica grandezza. .Ifa perciò non condannino

a"

generosi che

a grandezza la patria, conchiu-

con sentenza troppo severa

dano che dove abbondano lasci-

talia, e pensino

via e ingordigia di sensuali di-

da solo non racquista la perduta libertà che con prodigi di virtù, che nondimeno sono im-

letti, dove le cose temporali sono

tutto, nulle

(1) G.

le

idee, invilite

le

che

l'I-

un popolo

Braso A, Bibliografia storica di ogni ?i02?one, 147, n.2475, Milano,

1862.11 libro è edito dalla' « Libreria antica e moderna di Gaetano Schiepatti »

,

il

che spiega la nota surriferita.


-3leggi, e tutte

ciali

quante le forze so-

ridotte in

un

solo, quivi

possibili dove gli odj non hanno

ancora avvampato sì lutigamenche basti a farli prorompere

appunto tentativi dt libertà non fanno prova che per mezzo

rovinosi in feroci passtoni,dove

di prodigi di virtù. Bisogno di

il

mia, istinto di grandezza 50w/«o-

deltà atrocissima ogni istinto di

I

te

dispotismo combatte con cru-

ve i popoli: la tirannide tutto

grandezza, dove le cose tempo-

nega, tutto combatte con atroci-

rali

tà crudeUssìme, e quelli incodar-

vilite le leggi e disoprappiu una

discoìio. Non è questa la manie-

sfrenata avidità di sensuali di-

ra che le nazioni si riscuotono a libertà e ne abbiamo in fede gli eventi.A chiunque parewe duro il mio dire risponderò che,

letti

sono tutte, nulle le idee, in-

sprofonda i popoli

blio della loro

Italiani

nell'o-

dignità. Se agli

parranno dure

le

mie

parole, risponderò che se molti

odiando e adulando, ^jf ai soglio-

ambiziosi

no gli ambiziosi di fama, io forse

darebbero riputazione

a' miei

scrivere odiando e adulando, io

libri darei

riputazione;

di

fama passeggera al

loro

ma nel silenzio dell'oscurità, uè

nell'oscurità del silenzio sdegno

da' potenti, 7tè da' servili, né da'

il

dimando plausi ed elogi; imperocché niun suono di vana lode mi tocca, e narratore veritristi

tiero esser debbe chi cerca Vonesin sola e

il

bene della patria.

plauso de" potenti, de' servili e

de' tristi, tiè cerco altro vanto,

che di giovare co' mieiracconti alla patria. Raccorrò senza dubbio avversione da quanti nelle mie storie riceveranno biasimo,

Raccorrò senza dubbio avversio-

perchè incapaci di rimorso vor-

ne da quanti nelle mie storie ri-

rebbero impunite persino di cen-

ceveranno biasimo, perchè di lor

sura le loro vergogne. Ma recar-

brutture i cattivi non rimorso,

mi a noja questi odii sarebbe far

bensì

hanno vergogna di sentir-

le disvelate. Ma.

istitìl!)

di

chi

ril^-ì-it:!

.li<i,! t.y/o

recarmi a noia

questi odii sarebbe far istiraa di chi merita di-iiic/./d.

Sotto

la

|Mnìij...

IMI

ii<i>,iiiw

l.iciliaiiaiiienle moialej.^^Matile,

come nell'altra redazione, non è chi non veda subito un sintomatico mutamento. Nel 1856, quando rAnelli così nell'una

vive nel Rej/no sardo. <? (juesto è ancora l'unico fulcro da cui |)08r«i

irra(iiar luce di

nale, egli *

speranza ad una nuova riscossa nazio-

quanto « infelici », per aver terra propria » a tutta « l'Italia »,od almeno genericaattribuisce le « prove », per

mcjife alle * rhinn* f.iticlic (li pochi »: nei istil, quando p-Ii av-


—4— venimenti lo costringono ad ammettere a denti

stretti « le-

[prove] più fortunate che il Piemonte tentò — notisi il verbo

— coJl'aiuto dell'armi straniere per far libera la patria » talia » ed •« i

1'

« 1-

pochi » [in genere] diventano i * magnanimi co-

spiratori » che fecero « da soli » le « prove infelici » del periodo

commenti guasterebbero^ Non essendo possibile, né meritando, un raffronto minuto

precedente. Rilevi da se

il

lettore ;i

di tutta intera la Storia anelliana nella sua duplice edizione,,

mi limiterò ad aggiungere a questo primo saggio alcuni altri più significativi, soffermandomi di preferenza su passi relativi al Piemonte e alla Casa di Savoia o in connessione con la parte di questa nel Risorgimento italiano. Comincio dal '21. Nel 1856, stampando anonimo in Torino^ fra

i

capitale dello Stato che a lui e ad altri fuorusciti, ancorché

notoriamente republicani, dava ricovero, l'Anelli scriveva (I, 154) « E scioccamente credendosi non so qual bugiarda voce :

di risposte

animose date dalla reggia alle querele altiere de'

ministri viennesi, etc. »•

;

nel '64 (1, 178)

:

divulga-

« I cortigiani

vano inoltre non so qual fama bugiarda di risposte animose che il re aveva date all'Austria, etc. », dove, con sottil malizia le voci « bugiarde » (1) vengono attribuite ad opera artificiosa e cosciente dei « cortigiani », ossia della Corte, quasi la loro di-

vulgazione fosse promossa e voluta dal Re. Poco oltre (1,156 seg.) si narra il tumulto studentesco del 12 gennaio, e lealtà vuole io dica che fino ad un certo punto

il

racconto procede

molto equo in entrambe le edizioni, tra cui non è differenza giunge là dove si accenna come il conte di Pratolungo, riuscito vano ogni tentativo di persuadere gli studi rilievo finché

denti a sgombrare l'Università senza sforzo militare, fece sfon-

dare le porte. Qui la prima redazione recava (1, 157)

:

« Feroci

i

tumultuosi innanzi al pericolo, spauriti nel fatto, gittano giù

i

sassi, con miserabile

scompiglio corrono di qua di là a na-

scondersi, e in pochi momenti svanisce ogni apparenza di contrasto »

(1) Che

;

la

seconda ha invece (1, 181) « A quella vista allenta :

quelle voci fossero in realtà tutt'altro che « bugiarde » afferma

D. Ferrerò, Gli ultimi Reali di Savoia del ramo primogenito ed il principe C. A. di Carignano, 200-229, Torino, 1889.


—o— a un tratto il tumulto: assalitori e assaliti tutti sono alla rinfusa, ma questi fuggono, quelli incalzano colle baionette ignude alle reni »

;

nel rimanente, le varianti

sono soltanto di torma.

Tralasciate alcune minuzie, non però tutte senza portata (1), è doveroso notare qualche attenuazione rispetto a Carlo Alberto,

Così dopo aver detto della carica eseguita per suo ordine in piazza Castello [il 13 marzo], la prima edizione (1, 168) prose-

guiva

:

* Consolava

alquanto gli sdegni in quella vendetta

il

principe Carlo Alberto, che salito finalmente alla reggia narrò l'ardore e le pretensioni dei sollevati », mentre la seconda ha

solo (I, 194): « Salito finalmente

trafelando l'ardore e

le

principe alla reggia, narrò

il

pretensioni dei sollevati ». Parimenti

aveva scritto, a proposito del partito di temporeggiare, ch'egli attribuisce al principe di Carignano sùbito dopo la sua assunzione a Reggente « Per uomo che avesse avuto l'ingegno di Tiberio, era desso ottimo consiglio per nel 1856 l'Anelli

:

;

Carlo Alberto, già di compiuta malizia, ma ignorante, il pessimo, che tenersi in piedi tra la furia d'opposte passioni è gran briga sino a chi abbia spiritoso intelletto »

invece (1, 196-7) :« Per

berio, era desso ottimo consiglio egli

;

nel 1864 leggiamo

uomo ch'avesse avuto l'ingegno di Ti;

per Carlo Alberto, il pessimo

;

era troppo al di sotto della rivoluzione, e destreggiare tra

la furia

d'opposte passioni è gran briga sino a chi abbia spi-

ritoso intelletto ». Ed ancora, prima leggevasi (1, 174)

fortemente

le

:

« Lasciar

speranze del trono egli non sapeva, perchè non

d'animo era», dove poi troviamo (1, 201): fortemente le speranze del trono era da uom forte e virtuoso più ch'ei non fosse». Ma lo spirito settario non tarda a riprendere il sopravvento

forte, né valoroso « Lasciar

(1) Così nella

prima edizione (1, 168)

trovarsi ornai solo a portare tutto

«l'accampare ad Asti »

,

il

:

«

Laonde Vittorio, lagnandosi di

peso della deliberazione, ordinò

ma nella seconda (1, 194): € Vittorio allora, di poco

aìiimo, di poche speranze, lamentarsi di avere a Ironte grandi pericoli, e tuttavia

non avere chi consigìi&rìo; invocare Iddio, i satiti, gli amici,

tinalmente ordinare di far buona oste intorno ad Asti, e quivi al bi>

sogno combattere > Ed ancora (U, 168) « La regina... durò animosa istigatrice a mostrare il viso e rompere i ribelli »,è mutato in |I-, 195): « durò animosa istigatrìce di guerra > .


^ —«— nel nostro autore, onde egli che nel 1856, parlando del colloquio

avuto la sera del 21 marzo da Ferdinando Dalpozzo col Reggente, aveva chiamato il primo (1, 178) « cittadino che fu chiaro

da giureconsulto, da pubblicista, da magistrato », nel 18G4 sopprime tutto quest'inciso (I, 205). E poco stante, anche a proposito di Carlo Alberto, così differiscono le

Ediz. 1856 (1, 180).

due redazioni:

Ediz. 1864 (I, 208).

Venuto a Milano, crede^ie

Venuto a Milano, Wcei'ei/e dal conte Bubna, generale supremo

tro-

varvi dal conte 'Bubna, generale

degli austriaci,le accoglienze che

supremo degli austriaci, le acco-

a principe non si potevano nega-

glienze che a principe non si po-

re,

tevano negare, ma le ottenne me-

ma dovette soffrire V audacia

a fiero scherno, che fieramente gli cosse e non seppe

del tedesco che mescolò a quelle

scolate

orgogliosamenle lo scherno

vendicare.

Né men grave è un'altra modificazione introdotta in passo, pur relativo a Carlo Alberto stesso, tosto dopo

altro

suo

il

avvenimento al trono. Diceva di lui nel '56 (I, 278) che « per meglio ingannar V Austria con esempi d^animo mutato, spiava l'opportunità di mostrarsi non da meno d'ogni altro re e saper egli del pari briconeggiare negli intrighi della politica »; nel

1864 la frase « per meglio ingannar l'Austria con esempì d'a-

nimo mutalo» è scomparsa (I, 320)

:

il

che per noi, oggi, può

parere più consono alla verità storica, ma tra l'Anelli

il

'56 ed

il

'64

non la toglieva per aver meglio compreso Carlo Al-

berto, bensì per parzialità politica, in connessione a

tutto

il

rimaneggiamento dell'opera sua.Infatti alcune pagine appresso prima edizione porta « E per non venire all'impensata in poter de' ribelli, tolse d' uftipio, in pena di mancata (I, 283) la

:

energia, il governatore ed altri magistrati [della Savoia] », ma la

seconda (I, 325)

:

«

E perciocché il sospetto arde nei re come

focosa libidine, ioWi d'ufficio, in pena di mancata energia, ef e».

E la mano si aggrava anche più a proposito delle repressioni del 1833: Ediz. 1856, (i, 283).

Ediz. 1864 (1, 326).

Con ciò nacquero al Piemonte

Con ciò nacquero al Piemonte

giorni foschi di lutto. Rinfocaro-

giorni foschi di lutto. Carlo Al-

no Vira

berlo non era mite di

di Carlo Alberto, negli

natura;


mas-

non voleva metter la sua vita a discrezione de' liberali ; s'era uìiito co' re; aveva al fianco un

sime di Villamanna, che pure era

consigliere feroce e strapotente,

stato cospiratore collo stesso re

il

imminenii pericoli di non antiveduta cospirazione, i conforti di consiglien tristissimi e

nel 1831, erf

oggi era ministro

Villamarina, che pur esso era

stato cospiratore nel 1821.

con potenza da principe.

K però rilevante che. parlando del Galateri, mentre nel '56 l'Anelli lo chiama « disonesto e scelleratissimo »(I, 284), nel primo epiteto (1,327) e, narrato il consueto incidente del calcio al Vochieri, che avrebbe risposto con uno '64 toglie

il

sputo in faccia, si limita nella nuova edizione (1, 328) a soggiungere che « per quell'ardimento il prigioniero ebbe morte più atroce », sopprimendo

il

lungo e consueto racconto, che

era nell'edizione precedente:* E per quell'ardimento il pri-

vi

gioniero fu tratto al patibolo per via disusata e tale che

vedesse

la

ri-

propria casa, dove sapeva di lasciare infelicissime

la sorella e la

moglie con due fìgliuolini.e dovette inoltre

sentirsi spettacolo al vigliacco che, mentre lo faceva ammazzare

dagli stessi carcerieri, in assisa del grado, accavalcato a

cannone, sbrama vasi di vederne anco

il

un

sangue (1, 285) ». Ma,

quasi pentito di questa relativa moderazione verso un assolutista, il

buon republicano si affretta a ricalcar la mano sul

Re, e accennati

trovi

il

i

giudizi dell'Austria più miti che quelli del

aggiunge di nuovo affatto (1, 329) « Ma se pagiudici di Carlo Alberto a quelli di Francesco primo

Piemonte, nel rajfoni

i

'(>4

:

divario che è dall'uomo duro all'uomo brutale *.

Per non dilungarmi Troppo, salto al 1848. Molte varianti, più

o meno interessanti, potrei notare qua e là: per es., dove si fa

menzione dei capi del movimento in Milano prima del 18 marzo nuova edizione aggiunge (li, 87) che il solo Crivelli però mantenne esulando vita onorata », e dove si parla (11,76 seg.; la

dell'intervento del Cattaneo nella

loltii

contro gli Austriaci

(II,8()),com pietà l'espressione «si fece cuore d'aiutar [le masse] «•ol

proprio .senno » con « e col consiglio, e se fosse d'uopo far

sua parte con l'arme e con la mano » (11,91). Ma mi preme arrivare a cose più rilevanti, e perciò non mi soffermo nepla

pure sulPuvverbio « facilmente » mutato con malignità settaria


-8— più libera di sfogo nel '64 che nel '56 — in « onestamente » nel tratto riferito a Carlo Alberto

:

« cupidigia

di regno è troppo

radicata nelle ossa de' principi perchè facilmente la tempe-

rino

»•

(IP, 108 IP, 127). Veramente grave, essenziale, è la dif;

ferenza fra le due redazioni riguardo ad Enrico Martini ed alla

sua missione a Milano durante le Cinque Giornate, in un passo

che involge anche un nuovo più severo giudizio su Carlo Alberto

:

Ediz. 1856 {II,

HO seg.).

Ediz. 1864 {li, 129 seg.).

Carlo Alberto all'opposto non

Carlo Alberto all'opposto non

credeva affrettata né improvvi-

credeva precipitosa

da la guerra, nella quale milanesi inermi e da sé non poteva-

nella quale i milanesi che inermi

i

la

guerra,

e da sé, e solamente cadendo da

no vincere, ina giudicava che

bravi e vendicati o negli assalti

ove egli avesse assaltato gli au-

o sulle difese avevano già inde-

striaci debilitati da sanguinoso

bolito il nemico, finirebbero cer-

combattere, li avrebbe messi in

tamente ogni fatica

iscoììfitta. Preso

opi-

tanto solo ch'ei v'entrasse colle

di

queste

e pericolo

nioni e ignorante di politica,

sue schiere, perchè la vittoria là

nella persuasione che volgesse-

corre dove è ìnaggiore il nume-

ro afflittissime le cose dei mila-

ro, la

nesi, s'avvisò di profferirsi loro

e allevato da principe,/"act7e alle

pronto sostenitore, solo che pro-

speranze ed alle paure,in quelle

mettessero di porsi sotto l'ubbi-

ardito da cittadino italiano, in

dienza di

fortuna e il valore. Nato

principe, e

queste abietto e incostante peg-

per natura di regno che d'ogni

gio che despota, avvezzo a veder

lui. Nato

popoli grandi

ninna

affetto generoso è selvaggia, non

ne'

sentiva che la magnanimità del

virtù, ei credeva che la potenza

cuore e delle azioni ìneglio che

vizi,

mandava ai reggitori della ri-

dei re non si sostiene con essi per magnanimità d'azioni, ma solo per ragion di patti o per tiinor di peggio. E cupido d'acquistare e serbare a sé tutta la

voluzione. Era desso il conte En-

gloria della nostra indipenden-

rico Martini, lombardo, iìi que'

za, si pensò d'offrire ai Milanesi

giorni venuto pe' suoi piaceri a

pronti 'soccorsi

Torino. Da

cose loro volgessero afflittissime,

i

patti venali lega

re, e

i

popoli ai

tanto meno, poteva capir

questo vero nell'oratore ch'egli

non so qual indole

prima che

le

bestiale sottoposto a libidine, era

ma dimandando promessa di

costui corrotto nel sangue da vi-

poi tenerlo per re. Il negozio era

tuperose lascivie e

sfrenato

brutto, e bisognava

impiegarvi


—9 di coscienza da noìi rispettare

un uom basso ; si fatta genera'

in se stesso la dignità delVuomo.

zione però abbonda nelle corti,

nomi

Dei

di

patria, di libertà

e di giustizia ricopriva

desideri di

snoi

i

guadagnarsi nella

ed egli appostava pe' suoi biso-

gni i pia pratici nell'adulare perchè più, vili. Lo scelse, e forse

congiuntura de" tempi un soldo

non poteva trovarlo migliore

che supplisse almeno in parte

perchè

sue fortune rovinate per

alle

rijt. Strisciare à' piedi deH'injriu-

stizia

coronata, prendere

dalla

atea

dicerie

bisogni,

quant' altri mai, e con animo servile parole santissime di

li-

bertà a profusiotie.Strisciaire ai

medesima idee e volontà era arte

piedi

a lui nota;seifuir l'opera della

prendere

dell'ingiustizia

dalla

coronata,

medesima idee

fortuna e, mancando l'avvenire,

e

ritornar all'antico padrone, pru-

denza. In breve, uomini più mal-

quanto il far da stallone a prin cipesse e a titolate bagasce ; se-

vagi

guir l'opera della fortuna e,man-

si

fecero parte, per avven-

tura, della

nostra

ninno tuttavia più

rivoluzione,

cando ravvenire,ritornare all'an-

montò

tico padrone, prudenza. In breve,

vile

sulla scena politica negoziatore di

volontà, era arte a lui nota,

grande interessi, e ciò non o-

uomini

malvagi

più

si

fecero

parte, per avventura, della nostra

stante ora fomentatore di guer-

rivoluzione, ninno

ra, ora autore di pacifici consi-

in corte ed ebbe onori e alti uf-

montò sulla scena politica come negoziatore di grandi interessi. E ciò non ostante, anche dopo le sventure che dovrò narrare, (lueW impuro avanzo d'ab-

dal ree da' ministri,che pur

bietto materialismo, neZ suo pu-

gli secondo

i

capricci di chi lo

pa^ara, quell'impuro avanzo d' abbietto materialismo

fizi

fu

caro

}tassano ancora per liberi.

tuttavia

più

vile

tridume sempre dimenando testa in su

la

per cercare chi gli

gettasse in gola qualche pugno di

fango men fetido, ebbe onori

ed alti uffizi, perchè i migliori

strumenti delle false libertà so-

no i cattivi.

Più che nella rappresentazione della persona, io cui tocchi sono diversi, ma la sostanza è identica, la gravità del divario i

prima edizione l'inviato del Rea Milano un pessimo soggetto, ma non è scelto perchè tale, mentre la sua viltà e bassezza è, nella seconda, proprio la ragione della

sta in ciò. che nella è

scelta; oltreché nel 1856 l'Anelli, publicando anonima la sua


— 10 — Storia,non ha scrupolo di fare in lungo e in largo il nome del

nome, tace

Martini, mentre nel '64, ristampandola col proprio

invece

il

nome del ^Martini stesso, quasi per un

bisogna osservare che nel '56

il

Martini

si

riguardo. Ma

trovava in

diffi-

economiche per il sequestro de' suoi beni da parte del Governo austriaco; protetto sì dal Cavour — donde l'allusione coltà

anelliana ai « ministri che passano ancora per liber[a]Ji », tolta via nell'edizione posteriore

— ma inviso a molta parte dei ,

più influenti emigrati lombardi, e perciò a sua volta senza

gran credito in Piemonte, anzi spesso assente da questo, a Pa-

nuovo deputato, considerato

rigi ; nel '64, al contrario, era di

dal Ministero Minghetti e pronto a tutelare la sua reputazione

con la pili grande energia (1). Il « riguardo » della seconda edizione rispetto alla prima trova facile spiegazione.

A questo punto

i

saggi potrebbero forse bastare

:

non sarà

tuttavia inopportuno addurne ancora qualche altro. Cosi nella

nuova redazione, dopo aver menzionato lo scioglimento volontario della Consulta lombarda e detto che « i soli Litta ed Anelli

— cioè

lo storico stesso, che si

ricorda in terza persona anche

nell'edizione del '64 col suo nome

~ mantennero

il

loro posto »

(11,221), aggiunge il tratto seguente che manca nella prima:

«Antivedendo i nuovi ministri che se l'armi francesi scendevano in Italia, l'ingrandimento della Casa di Savoia era disperato, perchè la Lombardia s'ordinerebbe in istato indipendente e libero, il re preferiva di vederla rioccupata dall'Austria an-

ziché campeggiata da un esercito republicano »

- stolta mali-

gnità che scritti autentici di Carlo Alberto e de' suoi

figli

smentiscono (2). All' « in più » antiregio fa riscontro un « in

meno * antimazziniano: nel '56,infatti,leggevasi (11,278) «Maznovembre del 1848, immaginando che per sommuovere di nuovo la Lombardia bastasse, lui capo, il nome :

zini stesso, che nel

di libertà, efc. »; nel '64 è tolto

1,1)

quel significantissimo ironico

Cfr. C. Pagani, Uomini e cose in Milano dal marzo alVagosto 1848,

11 segg., Milano, 1906. [2} Il

duca di Genova, Ferdinando, lasciò scritto persino che se l'Italia

avesse voluto ordinarsi a republica, avrebbe ugualmente combattuto per

sua indipendenza. Altra aggiunta ad esaltazione del Governo della Republica Romana perchè tale vedi nel voi. II, b34. la


— 11 «lui caj)o*.K ve^'ji:ausi pure significative, fra

Alberto

le differenze, non

gravi, ma pur

due testi, a proposito della morte di Carlo

i

:

Ediz. 1864 (11,340).

Ediz. 1856 {11,284).

Nò però l'esilio fu lungo. Dopo

Né però l'esilio fu lungo. L'amportava,

quattro mesi, né per anco in là

tica infermità

c/te

vi

cogli anni, conquassato da lun-

V angoscia

la

ripugnanza

ga infermità e da amare a/fiizioni venite manco per morte

della fortuna, in quattro mesi lo

ordinaria. Le

adulazioni

finirono di morte ordinaria. Le

esaltarono Carlo Alberto da eroe

usate adulazioni, cAe oggi empiono di mofiumentali menzo-

e da martire

usate

dell'indipendenza

e

ch'hanno i re a patire V onta

gne le capitali

d'Italia.

e

le

Provincie,

esaltarono Carlo Alberto da eroe e

da martire dell'indipendenza

d'Italia.

Ma il più

bello — dico o contrariis

— è proprio alla fine

dell'opera. Nell'edizione del '56, l'Anelli terminava con un ra-

pido quadro delle condizioni dei vari Stati d'Italia dopo la

caduta di Venezia quadro che, natumlraente, più. non si trova nell'edizione del '64 in cui di quegli Stati si discorre più mi;

nutamente nel voi. IH. In questo, a p.tlG segg., leggiamo: «Così nella instabilità. che di lor natura portavano secò le cose d'Italia, e nella rialzata fortuna dell'armi austriache, il duca di

Modena (1) diede molte promesse, e

i

sudditi

credettero che,

venendo volontarie, sarebbero fedeli. Sembrando che in Austria prevalessero l'opinioni di libero governo, e Timperatore si didisegni del principe Schwarzemberg, egli non migliorato da' corsi pericoli, ma più modesto e circospetto fé' credere di volere slontanarsi dal governare passalo. Ricomspones.se a seguire

i

pose infatti le amministrazioni a consigli di Stato, e a consulte

o camere con una corte di conti

;

con tribunali d'amministra-

zione e di giustizia, supremo de' quali era zione. Vi trovavi tutte le apparenze di

la

corte di cassa-

quasi libera costitu-

zione; se non che ministri, consiglieri di Stato e di consulta, consiglieri d'amministra/iono, ma<ristiati d'ogni online «> trratio

1)

Francesco V d' Austria- Este.


12

erano tutti eletti da lui e mutabili a suo piacimento. Ingannato così il volgo, non i saggi, plaudivano i molti, alavano silenziosi i migliori che avevano cara supremamente la libertà, né credevano che da quelle innovazioni avessero a risultarne reali vantaggi, con principe che per natura e educazione non la tollerava.

— Non

s' ingannarono.!^' indole

e l'ingegno di lui

erano stati momentaneamente battuti dalle recenti sventure...

Meno astuto, ma nella diversità delle azioni duro quanto il padre, e non meno severo nei principj della potenza assoluta, cominciò a dire che dapertutto trovava scompiglio, rovinosi essere

i

liberali, le

prime dolcezze aver dato loro troppo or-

goglio prudenza non fidarsi di loro per non tornare ai mede;

simi trambusti; necessità maneggiarli con rigo re, resistere, perseguitare, insomma

non lasciarli fare. Decisi

i

nuovi modi di

governo, furono irrevocabili. Taciturno per orgoglio, né piacente che ai soldati..., cogli altri ufficiali publici,dai più chiari agli ultimi, mostrarsi sostenuto di trattare, guardare

i

sudditi

con non so qual disprezzo, tener conto non istima di chi gli prestava servigio, e pretendendo che ninno volesse esser

li-

bero perchè ei voleva tutti servila tutti gl'impiegati ricordare a

modo d'avvertimento gravissimo che con impero assoluto,

uguale, irresistibile tutti pel pari doveansi costringere a piena

ubbidienza. Anima infoscata dalla passione del dispotismo alterata dall'odio dei liberali, spinta a crudeltà dal timore che il

solo vacillare traesse i sudditi a ribellarsi di nuovo... »• e via

^i questo passo per parecchie pagine, non senza aneddoti che porgono all' autore occasione di esclamare « Sensi degni di :

uomo il quale più che di re abbia il cuore di fiera » Orbene, !

si

confronti tutto ciò, scritto nel 1864, ma detto senza distin-

zione di tempi fra il '50 ed il '59, con quanto troviamo in quelle

pagine soppresse dell'edizione 1856(11,365 seg.):«Fra tanti strazi pubblici e privati si

il

solo giovine

duca di Modena non

macchiò di tiranniche esorbitanze. Conservato in trono dal-

l'armi tedesche, nei patiti pericoli aveva nondimeno imparato

moderazione e wwawitò. Fermo di non condescendere a liberali istituzioni, non che il reggimento, ne lasciò sino il nome, ma non per questo infuriò a vendetta, quantunque vi avesse rspinta dall'esempio di tutte l'altre parti d'Italia, dove, se ne


— 13 — togli

il

Piemonte, i reggitori salivano in nequizia. Tenne la

promessa, crebbe le gravezze non oltre il bisogno, e ne impose le

sue stesse sostanze private, del principato recise l'antico

spendere e fece più savie

le

amministrazioni comuni. Sotto-

posta a leggi certe la coscrizione, prescritte metriche tutte le

misure e ordinata l'istruzione pubblica con norme scarsissime senza dubbio alla civiltà dei tempi, ma pure meno disdicevoli delle vecchie. Faccia Iddio che

repentito de'

falli

proprii,li

espii correggendo le antiche leggi troppo disformi dagli attuali

bisogni, facendone di utili e necessarie al ben essere de' soggetti e

migliorandone ancora di governo. So che qualunque impulso

civiltà la quale, senza vita e attività propria, riceva

e

movimento dal solo potere umano, ingenerato com'è d'inso-

lenza e debolezza, va incertissima, perchè il potere, dove forza libera e simultanea di tutti gl'interessi sociali noi' freni, ben

ma in mezzo al comune imperversare dei Vanimo despoti, posa a trovare un solo principe assoluto che almeno qualche sembianza di rispetto ai popoli non ricusa*. Anche qui, mi pare, ogni commento guasterebbe. presto si corrompe

Torino, 29

;

marzo 1918. Ferdinando Gabotto.


IL ed

i

LIBERALISMO TOSCANO

suoi rapporti con Cesare Balbo ed

il

suo gruppo

durante la questione Tosco-Modenese per

pos-

il

sesso della Lunigìana dalFottobre al dicembre

1

847

Vincenzo Gioberti, il 29 settembre 1847, ai Montanelli scriveva, sperando, che lo leggessero, oltre che il professore pisano, anche il principe di Toscana e gli uomini posti a capo della cosa pubblica del granducato, dimostrando, che, se da un lato dovevasi combattere ogni manifestazione ed ogni forma di libertà eccessiva, tale che avesse potuto mutarsi rapidamente in licenza, se volevasi, dall'altro, conseguire la corrispondenza di sentimenti fra sovrano e popolo, così indispensabile per giungere alla meta desiderata della liberazione dallo straniero, Leopoldo^I era in obbligo di facilitare siffatta fusione coll'iniziare una era nuòva di libertà :« Solpopoli tumultuano e infieriscono » diceva il filosofo, tanto « dove rettori si ribellano alla pubblica opinione, mentre governi si arrendono quietano docili e devoti, ovunque che esser principio non riforme, Le voti di essa. ai legittimi di violenze e rivolgimenti, ne sono l'unico rimedio » (1). E quali riforme desiderasse l'autore del Primato, ognuno ben conosceva per il Gioberti tutto quello, che erasi ottenuto fino a quel momento in Toscana e negli Stati Pontefici, non era altro che il principio dell'unione, non solo delle varie i

i

i

:

classi sociali d'Italia, ma di tutte le diverse parti della nostra

penisola in un'armonia fatte

esse consapevoli

di di

pensiero e ciò

di

azione, affinchè,

che ne doveva costituire Tul-

li) Gioberti, Operef/e politiche, con proemio rf?

polago,Tipogi-Hfia Elvetica, 1851,11, 5.

Giuseppe MASSAKi,Ca-


— 15 fine, avessero trovato la forza atta a raggiungerlo. Chiaro riesce intendere anche, perchè e come il nostro pensatore avversasse, parlando con il Montanelli, ogni tendenza la quale avesse potuto impedire o trattenere lo svi-

timo

luppo progressivo delle nostre libertà e si opponesse, conseguentemente, ad ogni corrente politica, che, pur conce-

dendo con lui nelle formule generali, non convenisse nelle sue massime di saggia prudenza, precipitando gli eventi, con il sostenere, come molte teste calde di Toscana facevano, un radicale mutamento nelle istituzioni governative, creando un nuovo sistema politico, cui non erano, nel settembre del 1847, preparati gli uomini e le cose. Ma quel, che il Gioberti voleva che fosse compiuto in siffatto volger di tempo, liberali moderati Toscani avevano tentato di effettuare da diversi giorni. Dopo la concessione della civica, della consulta e delle altre ben note riforme non potevano e continuare ad aver vigore antichi sistemi di governo, e rimanere a capo dello Stato persone troppo tiepide per un regime di libertà, le quali non sapevano liberarsi da uno spirito austriacante e retrogrado nei loro i

atti

ministri e di uomini. Il

di

nuto, in

virtìi

di

steriale, per cui

un

siffatto

24 agosto 1847 era già avve-

stato di cose, un rimpasto mini-

alTHombourg ed al Cempini erano stati so-

il Corsini (1): ma con tutto ciò la grande questione, del modo con cui sarebbe stato iniziato l'atteso nuovo regime, da molto tempo promesso e non ancora attuato, rimaneva insoluta. Ond'è che, facendosi sempre più sentire il bisogno di un cambiamento radicale di gabinetto e di governo, Leopoldo II chiamò a dirigere la cosa pubblica del granducato il marchese Cosimo Ridolfi

stituiti

il

Baldasseroni ed

come quegli che, raccogliendo la stima e l'ammirazione generale, rappresentava

(

liberalismo

moderato, che era

fi. yii'i presidente del

ConttiffUo dei MinÌJttri,Vireme,

a 'li S.Antonino, 187, pp.'iJW aeg/?.^

.

(ioRi A., storia della Rivoluzione Italiana durante il periodo delle 1

in

1^ tìAuuAHHVMiìSiJjfiopoUio li, granduca di Toscana « i suoi tempi, Afe-

'" •

il

''"f*"

M -narzo 184Hi, Firenze, Barbera, 1897, pp. 258.

ri-


— 16 — quello speciale

momento

la

niente e più rispondente

Che così fosse, dimostrò

tendenza

alla il

natura

politica

più

conve-

dello Stato Toscano.

giubilo diffusosi alla notizia del

mutamento di ministero e di indirizzo di governo (1) tanto più che il Ridolfi aveva inaugurato l'era della libertà con un atto energico, abolendo il 27 settembre 1847 la Presidenza del

Buon Governo (2). Il Vieusseux scriveva al Centofanti,

due giorni dopo, così « Io era a Cortona per ricerche arquando è accaduta la gran rivoluzione ministeriale. Ridolfi in que' giorni si è comportato magnificamente e l'aver rovinato per sempre quella baracca della polizia è un passo immenso. Ora siamo davvero sulla via delle riforme. Ma rammentiamoci che Roma non fu fatta in un giorno e che certe cose sarebbero pericolosamente intempestive (3) ». Il 30 settembre il Centofanti rispondeva: «Io congratulo al Ridolfi.Vi ha bisogno d'uomini, meno indegni dei tempi che sia possibile» (4). Il Tommaseo,,che seguiva intensamente ciò che avveniva nel Granducato, che per note ragioni considerava quasi come casa sua, ne parlava al Capponi, il 1 ottobre 1847, ne' termini seguenti «Me ne rallegro più con la Toscana che col Ridolfi. Verranno le ore prosaiche anco per lui; ma il buon senso pubblico l'aiuterà. Tutte queste son buone cose, ma il fatto si è che bisogna rifar la Toscana de luto suscitare filios Abrahae{5) » .E il marchese Gino a Cesare Balbo, il quale teneva dietro a ciò che avveniva in Toscana con immensa attenzione ed infinita passione che egli, come il Gioberti, vi vedeva l'attuazione delle sue idee e tremava per l'opera sua, e che dagli amici e da' suoi cooperatori del granducato si faceva tenere al corrente quasi :

chivistiche

:

(1) ZoBi A., Storia civile della

Toscana dal 1737 al /S48,Firenze.Molini,

1852, V, p. 153. (2) Cfr. ciò che ne dice il Giusti in Memorie

inedite di G.G. pubblicate

per la prima volta da F. Martini, Milano,Treves, 1890, p. 121. (3j Archivio di Stato di Pisa. Carte Ceìito fanti, Corrispondenza. Busta

N. 19. (4) Biblioteca nazionale di Firenze. Carteggio (5)

Vieusseux.

Tommaseo e CAPVoy^i, Carteggio inedito per cura di I. del Lungk) e^

P.Prunas, Bologna, Zanichelli, 1914, voi. II, p. 633.


— 17 — quotidianamente di ciò che vi avveniva; Gino Capponi,adunque, del valore dell'assunzione al potere del Ridolfi, così parlava all'autore delle »S/76'/"tf/zz^, il

mente

i

1

ottobre 1847 «Qui certa-

bravi uomini si trovano addosso una grande respon-

Ma in tutti

modi la prova fatta ci rassicura per il Governo e per il Paese.ll Governo, poi, s'è scritto, che tutti lo vogliono e lo vogliono forte dunque, perchè sia forte davvero, non altro rimane che ricostruirlo sopra le basi larghe che abbiamo, senza però abbassare il vertice per allarsabilità.

i

:

gare troppo

la base»(l).Il Ricasoli, al Salvagnoli, il 30 settembre 1847 «Siccome il nuovo ministero ha opinione di essere nelle sane idee » scriveva « così il nostro Programma si

riflette

su

di

lui.'Di

già egli stesso trova nel nostro Pro-

gramma l'espressione dei voti nazionali e lo guida ai futuri suoi atti». Ed giorno dopo, barone Bettino dimoil

strava

al

il

Lambruschini

strettamente

il

necessità di unire

la

al Ridolfi

più

Salvagnoli, testa bollente, che avrebbe voluto

attuare il programma del liberalismo con un modo piìi rapido di

quello che comportasse

la

natura

circostanze, in-

delle

formando, per quanto fosse stato possibile, l'indirizzo della Patria all'operato del nuovo gabinetto (2). Infatti questo periodico, lo

stesso

parole

uomini, chiamati dal Sovrano ad iniziare una vita

gli

1

ottobre 1847, salutava

con

le

seguenti

nuova nello Stato toscano: « Finalmente un ministero è formato. Il marchese Ridolfi e il conte Serristori non sono ignoti, poiché fin dalla loro di

essere degni eredi

per amore

merata e

di

di libertà. Se le

la fiducia

giovinezza hanno dato prova

nomi

illustri

per virtù cittadina e

testimonianze

di

una

vita inte-

nei costumi son guarantigie di un uomo

pubblico, noi non abbiamo da temere. Anzi dobbiamo grandemente sperare e rallegrarcene... Il Serristori ed Ridolfi il

vogliono avanzare sempre, ma senza impeto, né vogliono

lettere rfi G. Capponi e di altri à lui raccolte e pubblicate da à.CarRAKEsi, Firenze, Successori Le Monnier, 1883, voi. II, p. 363. 1

)

(2) lyeftere e documenti del barone Bettino Rrcasoli pubblicati per cura di Ambuu Gotti e Marco KABARRiNi,Firenze,Succe88ori Le Mon-

nier, 1887,1, pp. 212-215.

n Ritorg. i(a^., Xin

%


- 18 perdere, ma afferrare tutte litico

le sicure opportunità di un popérfezionamento.Quindi noi gli accogliamo con giubilo,

con plauso e con fiducia la nostra compiacenza e le nostre speranze vengono dall'aver noi fede, che il Ministero così :

rigenerato voglia e possa soddisfare alle gravissime necessità

della cosa pubblica, cosicché il nostro uffico di franchi

espositori dei bisogni del paese

e neppure Gli

altri

di

debba essergli di conforto

sprone (1)».

organi pubblici del liberalismo

non

toscano

si

esprimevano diversamente dalla Patria nell'auspicare vita lunga e felice al nuovo gabinetto, nel dimostrare la loro piena sicurezza che esso sarebbe riuscito nel compito assuntosi. Concordi erano tutti liberali toscani nell'appoggiare il Ridolfi, a qualunque sfumatura del partito appartenessero; dal Montanelli al Capponi. Il Marchese Cosimo non solo era un uomo onesto e di una certa capacità, ma rappresentava un principio ed inaugurava un'epoca nuova: onde maggiore necessità di sostenerlo, perchè tutti fautori dell'antico regime e gli intemperanti d'ogni specie non avrebbero mancato certo di arrestarlo con ogni mezzo, nell'aspro cammino, ed impedire, con lui, il trionfo della libertà e della indipendenza d'Italia.. Non lievi difficoltà, infatti, sia di politica interna, che estera attendevano all'opera il nuovo ministero granducale le teste esaltate, gli stessi liberali avanzati credevano che con un mutamento di gabinetto sarebbe stato possibile dall'oggi al domani inaugurare un sistema di governo apertamente ed assolutamente opposto al precedente non valutando, nella i

i

:

:

sua compiutezza, la delicata situazione del Ridolfi e de' suoi compagni, di fronte alle potenze europee ed a' principati italiani, attribuivano

la

prudenza e la lentez-za a noncuranza

o a mal nascoste tendenze ed influenze conservatrici. Ond'è

marchese Cosimo, se era stimato generalmente come uomo, come ministro fu, quasi subito dopo la sua assunzione al potere, osteggiato da chi in un senso o nell'altro aveva che

il

interesse

(Ij

che precipitassero

gli

La Paf ria, ì:i. 25,1 ottobre 1847.

eventi. Come

reazione a


— 19 — queste manovre

grande maggioranza del partito liberale, del Balbo e per consapevolezza propria, si raccolse in una più stretta collaborazione con il nuovo gabinetto perchè questi, sentendosi sostenuto dalla parte sana del paese, potesse serenamente agire almeno nei primi giorni della sua vita; e la stampa liberale rivolse ne' per

consiglio

la

replicato

primi dell'ottobre 1847 inviti or blandi or risentiti ai partiti

estremi, perchè non

si

facessero complici degli oscurantisti

e dei conservatori.

Ma la questione interna non era né poteva essere in sé di grave momento, perchè, avendo seco la grande maggioranza dell'opinione pubblica, non sarebbe stato dif-

e per sé

cessare

turbolenze e

stività di taluno, ricorrendo a mezzi

le intempepersuasività vera preoc-

cupazione per il Ridolfi ed

compagni era il fronteg-

ficile

giare

al Ridolfi

la

far

il

i

le

suoi

situazione, in cui la questione lucchese aveva posto

lo Stato di

Leopoldo II.

Non è ignoto ad alcuno come molti fra' liberali toscani, primo fra' quali il Capponi, fin da quando il Primato e le Speranze avevano tracciato un programma per l'indipendenza della patria, avessero mirato ad un'unione di Firenze con Lucca tentando di applicare, in piccolo, ciò che il Gioberti ed il Balbo avevano precisato in linee ampie e sicure. Al Salvagnoli il marchese Gino, dopo aver parlato della importanza e dell' effetto di quelle due' opere, concludeva « Dicono che si farà la lega doganale con Lucca e questa pure farebbe storia e dà piacere al Balbo (l).Il 22 dicembre 1846, quando era ancor fresca negli animi di tutti l'impressione per l'atto granducale del 10 dicembre dello stesso :

>•

:

anno, per jl quale era implicitamente affermato il diritto di Leopoldo II sopra domini di Carlo Ludovico (2), il Capponi, i

1) Capponi. /W/<*r«, op. cìt.,II, p. 189.Contront« anche

in

id. i.l. lettera

del Capponi al Centofanti 81 maggio 1844, p. 167. Lettera del Petitti al Cap-

poni 24 Inpli" '«n -

'

r-

1

ir

"ì'honlCap|>oni,29 8etteml)n>

1844, p. 179. (2> Zoili, .S7o<«/

c<///('

po/(/o //. op. rjt., p. 2<>.4.

</.7/.i

7'o^(u;/«,op.cit.,V, 79.BALUA.ssRK(»NI,/.#>o\


~ scrivendone in

al

breve corso

^20

Capei, formulava l'augurio, che fossero uniti di

tempo

i

due Stati vicini fondendoli pos-

sibilmente in un solo, quando si fosse presentato il pericolo,

che all'unione desiderata fossero fatti impedimenti da tratcongreghe politiche (1). Il Capponi non prevedeva forse, che l'ostacolo massimo

tati

per conseguire questa

finalità

era rappresentato

da Carlo

Ludovico. Se noi non dobbiamo ne possiamo senz'altro accettare ciò che ne diceva il Giusti il quale non si peritava, discorrendone il 2 agosto 1845 col marchese Gino, dal denominarlo « duca da lupanare e da taverna » (2), non consentiamo in tutto con il giudizio favorevole che ne hanno dato persone valentissime, che se ne sono di recente occupate (3).La natura delle nostre ricerche non ci consente di esaminare a fondo questo interessante problema storico :

che è

la

ricostruzione politica e morale dell'ultimo signore

del ducato lucchese

:

ma non riesce difficile intendere come

e perchè Carlo Ludovico avversasse non solo ogni principio liberale,

ma una fusione od alleanza con

lo Stato

di

Leo-

aveva con Vienna e con Modena e si tengano nel conto dovuto le sue idee religiose e politiche. Un sovrano che, sebbene amante di una vita indipendente e desideroso di governare il proprio dominio secondo le convinzioni sue proprie, era confinante con principati ligi all'Austria ed a questa doveva il trono, non poteva, nelle direttive generali della sua condotta, esimersi dal seguire le regole che gli erano imposte dalla volontà imperiale: specialmente quando essa aveva piìi volte manifestata, in modo poco latente, l' intenzione di rendere, con una occupazione militare, più obbepoldo II, quando

si

considerino

i

rapporti

che

egli

dì Capponi, Le^^ere, op. cit.,11, p. 276. (2) Giusti G., Epistolario edito ed inedito, raccolto ed ordinato ed anno-

tato da Ferdinando Martini con l'aggiunta di

XXI appendici, Firenze,

Le Mounier, 1904,11, p. 293. (3) Oltre gli studi dello

Sforza che son serviti ad illuminare la vita di

Carlo Ludovico di luce imparziale, notevole è anche ciò che ne dice il Martini nélV Epistolario del Giusti, voi. Ili, appendice XIII, p.459 seg. e nelle Afemo/'ie inedite del G., op.cit.,

XXIV appendice p. 272.


— diente

il

vassallo

i2l

-

ribelle (1). D'altra parte

Carlo Ludovico,

sebbene fosse stato costretto sia da considerazioni

di

op-

portunità, sia dagli argomenti religiosi del Lacordaire a

tornare nel

grembo del

cattolicismo, non

poteva veder

ri-

di

buon occhio un movimento, il quale possedeva uno schietto carattere di religiosità ed il neo guelfismo doveva, per necessità di cose, averlo avversario inconciliabile. E se ciò non fosse bastato a tenerlo lontano da qualsiasi aderenza alle nuove idee politiche italiane, sarebbe stato sufficiente il fatto che egli, considerando lo Stato come cosa sua, non intendeva di accumunarne con altri l'amministrazione, modificandone di conseguenza il pacifico andamento. E ciò non soddisfaceva né liberali del granducato, né quelli lucchesi, quali, sebbene fossero pochi, ben pochi, bastavano però a tener desta l'agitazione. Erano essi aiutati sudditi di Carlo Ludovico, nella grande dal fatto che, se maggioranza, non si occupavano di politica in generale e di i

i

i

come erano della tranvivevano e del paterno governo del duca, non tolleravano gli eccessi che il loro sovrano commetteva nella sua vita privata, e gli facevano colpa, pili di quel che si sarebbe potuto credere, della sua indulgenza per le dissolutezze del suo primogenito. Il Farini che, stando in Viareggio, conosceva, e bene, quel che accadeva in Lucca e ne teneva continuamente informato il Balbo, narrava all'autore delle Speranze, quando gli si presentava il destro, le azioni del padre e del figlio, le quali, per la loro enormità, poteliberalismo in particolare, contenti quillità in

cui

vano porre sotto la luce più odiosa la casa ducale lucchese ed esser di -vantaggio all'idea liberale. Così il 25 luglio 1846, ragionando del viaggio del d'Azeglio per l'Italia e delle mene che erano state tramate nel granducato contro il marchese Massimo, il Farini osservava all'amico Balbo « se Ella :

gli

scrive, gli dica in grazia, che ne aspetto novelle, perché

(1) ZoBi, .9/oria civilt della

Toscana, op. cit.,V, p. 190 seg. BiASCHì, Storia documentata della Diplomazìa Europea in Italia dal-

l'anno 18N all'anno /S67,Torino, Società l'Unione Tipografica Editrice, IV,p.298,V,p.4().


C)J>

mi tarda sapere

come sia

a Lucca. So

ricevuto

stato

quel Duca diventa matto un giorno più dell'altro

che

e che

il

Duchino figliuolo suo fa lo scappato (sic) come dicono i Toscani ed il baroccio, come dicono Lucchesi, a tutta possa. E non vorrei che D'Azeglio fosse fatto segno ad una scappataggine o ad una barrocciata » (l).Il Centofanti poi, che da Pisa esercitava una grandissima efficacia sulla gioventù del vicino ducato, la quale accorreva numerosa alle sue lei

zioni filosofiche

e patriottiche insieme, si

chiare ragioni, del padre e del notevoli imprese

al

figlio

ne

e

interessava, per riferiva

più

le

Vieusseux, perchè a sua volta le diffon-

desse nel gruppo degli intimi che avrebbero provveduto a pubblica ragione. Il 26 marzo 1847 il filosofo

renderle di

pisano narrava troppo

-

al

signor Pietro

vicini, che in verità

:

«

Qua

ci

questa Lucca è

Bel Paese. Un P...,la cui moglie fu

affliggono il

mali

vituperio del

trovata da lui a sollaz-

zarsi con alcuni soldati; ricorse al Principe Ereditario, il quale

ordinò che fossero date cinquanta bastonate al dorso pecorile

dell'uomo. Date tra urla e pianti, che erano

sentiti,

ma

non intesi, il povero marito dicesi, n'è vicino a morte o è ma, se mi soffrisse l'animo di farmene qui il narratore, trovereste in piccola immagine l'infelicità dei tempi di Caligola. E mentre si stampano tante irrisibilità puerili, di queste infamie non grido d'indignazione» (2). Parole, queste, si sa alzare un piene di fuoco, alle quali il Vieusseux rispondeva il 27 marzo 1847: «Le cose che mi narrate di Lucca fanno fremere: come dite bene, sono degne dei tempi di Caligola, ed io aggiungo, non saper medicarle che con una scena di medio evo » (3). nostri valentuomini esageravano sia nel male che nel rimedio: ma è certo che fatti, come quello descritto dal Centofanti, accadevano, e non di rado, nel ducato Lucchese e fini-

già morto. Molte di queste turpitudini le saprete

;

I

(1) Archivio Balbo. Corrispondeyiza del conte Cesare Balbo. Lettera 7.

(2) Biblioteca Nazionale di Firenze. Carteggio (3i Archivio di Stato di Pisa. Lascito

N.19.

Vieusseux.

Cento ^a)iti. Corrispondenza. Busta


— 23 — vano con lo stancare la pazienza dei pacifici abitanti, quali se non sarebbero ricorsi, come accennava il Vieusseux, ad una ribellione medioevale di congiure e pugnali, avrebbero però in qualche maniera posto rimedio ad un tale stato- di cose. Ed a rendere difficile la situazione di Carlo Ludovico non cooperavano solo le scappate e le biricchinate sue e del figliuolo, perchè, in fondo, una certa parte del popolo stesso non avrebbe mancato di riderne e scusarne quasi gli autori, per quel senso di umorismo boccaccesco così i

connaturato nella gente toscana.V'era, e molto più seria, la questione finanziaria, aggravata dalla noncuranza del duca

smania spendereccia, causata, molte volte, dal desiderio di piacere, più che a sé stesso, agli amici ed ai favoriti di corte. È noto quale effetto avesse in tutto lo Stato lucchese lo sbilancio economico prodotto dal sistema di vita del sovrano a noi importa solo rilevare, come ciò dovesse e dalla sua

:

allontanargli la simpatia della popolazione de' suoi domani, attiva e

parsimoniosa e come se ne servissero efficace-

mente

nostri liberali. Il Farini,già dal 24 dicembre del 1846,

i

ne ragionava in questa guisa al Balbo « A Lucca cresce il malumore. Il Duca ha voluto creare un debito pubblico^ di ottocentomila scudi il ministro delle finanze non ha voluto "intenderla, sapendo che non si poteva fare ed ha dato la sua dimissione. Accettatala, il Sovrano ha nominato in vece :

:

di

quello un certo Thomas Wart (sic) inglese, protestante, ve-

nuto qui nel 1838 dalle stalle valli

in

Londra per governare ca-

1840 dalle

inglesi, passato nel

ticamere Ducali

di

qualità di

domo Tanno scorso, oggi ministro cato

decreto

il

pel

stalle Lucchesi alle an-

cameriere, divenuto maggior-

debito. La

di

finanze! Si è

pubbli-

Toscana ha pubblicamente

Gran Duca, non so quanto politicamente prudente, ha diffidato dal 'prestare e credere al piccolo Duca protestato e

ed ha

il

fatto affiggere la diffidazione su

per tutti

i

canti come

depoopera pe' falliti. Tutti hanno gridato allarme.Tutti siti della cassa di risparmio sono stati ritirati di paura che si

i

malumore è sommo. Ieri l'altro era scritto su tutti muri di Lucca abbasso il Ministero, viva la costituzione oggi mi dicono che si prepara una protesta in cui lo Stato

li

i

:

ingoi, il

:


— 24 — si

chiede

tato del

ciie

il

Duca governi secondo le norme di un trat-

1805, che fu richiamato negli Atti del Congresso di

un Senato deliberante insieme al Duca. Vedremo come finiranno anche questi imbrogli » (1). Ed il 6 gennaio 1847 il Farini all'autore delle Speranze faceva notare: «A Lucca seguita il malo umore specialmente in causa del debito pubblico, ma non si osserva veruna disorbitanza di popolo o di potere.Ognuno pone studio per moderare il primo, il secondo è moderato dalla paura » (2). Era impossibile, con il lungo andare, il continuare in questo stato di cose: e lo capì anche Carlo Ludovico. Sono noti oramai fatti che precorsero gli avvenimenti lucchesi dell'ottobre Vienna, trattato che sancisce

la

costituzione

di

i

1847.1 liberali toscani seguivano, per le ragioni conosciute,

passo per passo

tutto quel

che avveniva nel vicino ducato

:

così dell'intempestivo motuproprio del 27 luglio 1847, il quale

non poteva avere altro effetto che di eccitare gli animi e di far perdere le speranze in un ravvedimento del governo e del principe verso migliori propositi, il Centofanti discor-

reva col Vieusseux commentandolo nella maniera seguente « Ci I

fatti

farà ridere e di

un certo

riso

:

un po' dispettoso » (3).

del 2 settembre 1847 rialzarono

generale,

la fiducia

che era scossa profondamente in tutti. Il Vieusseux che vesuoi più deva in que' giorni realizzarsi l'un dopo l'altro ardenti desideri, scriveva, in quell'occasione, con entusiasmo giovanile all' amico pisano « Evviva il Massarosa Evviva pure il Duca di Lucca. Ma con quest'ultimo si può sempre temer qualche inganno. Ora corre voce che egli sia corso a Massa. Speriamo non sia vero. Il Pornaciari crede di dover aspettare di venir richiamato. Bisognerebbe che il Rossini i

!

:

chiedesse

il

riposo e lasciasse luogo a

La notificazione

di

Lucca dovrebbe far

lui

nella Cattedra...

sollecitar

qui

un

(1) Archivio Balbo. Corrispondenza del conte Cesare Balbo. Lettera F. (2^ Archivio Balbo. Corrispondenza del conte Cesare Balbo. LefteraF.Cfr.

documenti pubblicati à-AGvxhTERio,&liy Itimi rivolgimenti italiani. Parte seconda. Firenze. Le Mounier, 1851, vol.I, p. 479-29-481 seg. (3) Biblioteca Nazionaledi Firenze. Cai leggio Vieusseux.Civ.ZoBi, Storia civile dello

Toscana, op. cit.,V, p. 180-183.


-

-_>.")

uno slancio dava notizia al Balbo, rappresentando la cosa, com'era avvenuta in realtà, dovuta cioè non ad una concessione blanda di Carlo Ludovico al decreto della Consulta > (1). Il Salvagnoli, con

minore

di

quello del Vieusseux ne

Massarosa, ma

vittoria conseguita dalla

del Sovrano esercitata dalla

volontà

pressione sull'animo

popolare (2). L' uno e

non si facevano in sostanza grandi illusioni sul Duca: lo stesso Vieusseux, facile a veder più il bene che il male negli uomini e negli avvenimenti, non sapeva darsi completa ragione dell'emigrazione della famiglia ducale a Massa, nulla conoscendo ancora della scena tragicomica, che era stata fatta colà a' deputati lucchesi ma il Capponi che era quasi sempre in possesso delle verità più riposte, il 15 settembre 1847, scriveva al Matteucci: «Questa fuga del Duca di Lucca è la cosa più grave di lui a Lucca verranno cred'io Modenesi o non so che e che farà il Governo nostro, che faranno nostri magnanimi? La temperanza e l'eunucaggine buon senso o quel che volete: vero è che tempereranno mali ma non sapranno mai spegnerli, non che fondare q iniziare qualcosa di buono che la Toscana potrebbe » (3). timori del marchese Gino erano condivisi dal Tommaseo, sebbene questi, scrivendogliene il 20 settembre 1847,cercasse di dissiparglieli, sperando che iosser fandonie le voci che si l'altro

:

:

:

i

il

i

I

sussurravano rali (4): i

quelli

in circoli ristretti

suoi desideri, egli

che formulavano

lismo toscano,

i

i

di

uomini

politici

e di libe-

diceva all'amico Capponi, eran

migliori rappresentanti del libera-

quali lavoravano

con

tutta la

loro energia

Ma tutto

perchè

il

ciò era

macchinato nell'ombra temendosi le conseguenze di

siffatto

operato, quando fosse s ato fatto alla luce del sole:

ministero granducale compisse

i

lor voti.

giacché ognuno sapeva che l'Austria attendeva soltanto l'occasione propizia per intervenire negli

affari

di

Lucca e

N.t9. 2) Archino liulhu.CornapuiuUiiZii ilei conte Cesart lìalho. lettera S. (3) Capponi, /W/*'^^op.c^^, II, I». 345. •

44iToMMASKOeCAPFO.si,Car/«^fir»o iMedi7o,op.cit.,II, p.483.

di


— 26 — Firenze insieme (1). Sotto questo punto interpretò l'atto

berò il

il

di vista il

D'Azeglio

principe ereditario lucchese, che inal-

del

tricolore sul palazzo del comando militare di Lucca,

2 settembre 1847. Molti liberali di Firenze, di Pisa se ne rallegrarono,invece;

duchino fu approvato dalla gioventù, entusiasmata da il persone che andavano per la maggiore, come il Centofanti ed il Montanelli. Ma il Vieusseux,il quale piìi addentro alle segrete cose, sia per la piiì ampia conoscenza degli avvenimenti, sia per ciò che gli faceva osservare il Capponi, e

comprendeva che l'apparire era in

modo intimo

del

vessillo

tricolore, allora,

ad un'idea eminentemente

associato

rivoluzionaria e che poteva quindi turbare l'accordo necessario fra

i

principi della penisola, separando la Toscana dal

Piemonte e dagli Stati Pontefici, intralciando lo sviluppo della confederazione

politica, della

ziata la trama, sotto il

nostro editore, il

il

2

quale in que' giorni erasi ini-

velo della lega doganale. Ond'è che

settembre 1847, al Centofanti « riflet-

tre colori italiani è offennotava che metter fuori nemici del Danubio » (2). E principi italiani, quanto dere poiché né il filosofo pisano né il Montanelli si persuadevano del pericolo, che il tricolore poteva rappresentare per la causa dell'indipendenza, il Vieusseux tornò alla carica, scrivendo al primo la lettera seguente « Io sono commosso, fortemente commosso al solo pensare allo spettacolo che presentava Livorno ler l'altro ed alla imponenza, alla maestà delle nuove feste civiche che si stanno preparando.Ma, caro Silvestro, a che pensano quei che fanno sventolare il vessillo tricolore? Non vedono che servono le mire dell'Austria principi italiani, vanno ad impedire la e che, spaventando lega, l'unione, la federazione contemplata e desiderabile? Quando saremo arrivati a potere stabilire questa lega, allora si potrà senza inconvenienti proporre una bandiera

tete »

«

i

i

i

:

i

(1) ZoBi,<S'/or«a

civile,

della Tosca7ia,Y,-p. li. Yedì

anche la lettera di

Massimo d'Azeglio alla moglie in (2) Archivio di Sfato di Pisa. Lascito Ceìifofanti. Corrispondenza. Busta

N. 19.


- 27 — mie simpatie certamente saranno pel bianco, pel rosso, pel verde ma nel momento attuale il vessillo tricolore è considerato come segno di rivoluzione diretta contro tutta la podestà italiana e coll'innalzarlo facciamo paura non solo a Carlo Alberto, ma ben anche a Pio IX con gran giubilo dei Metternich dei Guizot e dei Rossi e di tutti quei diplomatici, che non vogliono inunica per

la

Federazione e

le

:

teressarsi alle cose nostre che per rovinarle. In

adoperate nesi e

i

Pisani

:

si

nome d'Iddio

per persuadere

tutta la vostra influenza

mettano fuori quante

si

i

Livor-

voglia bandiere

toscane, lucchesi, papaline, sarde, eziandio quelle di Napoli,

che tosto o tardi sarà con noi tutte quelle

:

facciano stendardi

si

bandiere riunite, fuse, combinate

in mille

con

modi,

ma si lasci per ora quel simbolo tricolore che può farci tanto male diplomaticamente parlando e far nascere scissioni dolorose nel centro d'Italia, che tanto ha bisogno di unione e di forza. Tutto questo vi dico anche a nome di Thouar e di altri comuni amici » (1). Identica copia di questa lettera spedì il Vieusseux al Montanelli nell'intento di unirli nello scopo particolare, cui egli mirava (2). Da prima e il Montaed il Centofanti non compresero il valore dell'argomentazione dell'editore dell'/l/z/o/o^/^.'chè a questo il Centofanti il 9 settembre rispondeva < Ebbi ieri la vostra lettera. Non andai a Livorno perchè mi sentivo poco bene. Ma avrete saputo che le bandiere e fuochi tricolori erano molti e che quel governatore locale ne dava l'esempio. Qua, nelli

:

i

dove si valutano non diplomaticamente- le cose e dove tutti hanno in petto l'unione fra principi e popoli, come non si sente l'idea contraria alle potenze italiane che attualmente esistono, così non si guarda tanto a que' tre colori o si accolgono come un segno dell'Italia riunita sotto suoi Principi. Con tutto ciò ho parlato e parlo in conformità dei vostri ;

i

(1) Archivio di Stato (il l'isd.J^iMcito Ventofanti.CorrispomieiiZii.LiHsta

N. 19. \2)}AoSTXs^\AA, Memorie shW Italia

tt

siìecialiuente sulla ToKcana dal

1814 al /*<.Vy.Tonno,Sfx'.ietà Editrire Italiana, lfci53, II, p.l7. A. D'Ancona, Ricordi Storici del Hi»orgimento /<a/ù>;io.Firen'M,San80DA, pp.218-219.


— 28 intendimenti. E costà verrà Pisa con bandiera tricolore, così

almeno spero che sia» (1). Il Centofanti considerava la questione da un punto di vista ideale e non poteva perciò scorgere

il

pericolo che nel tricolore in quel

deva, con ragione, il Vieusseux. A questo

si

momento veunirono altre

persone come il Farini,che da Viareggio il 7 settembre 1847 osservava in proposito all'avvocato Bertini di Lucca, cosi « Oggi ti scrivo per dirti come l'apparizione della bandiera :

mi abbia sorpreso e recato dolore. Non si può a mio avviso uscire oggi dai termini segnati dalla formula della Lega dei Principi italiani... Mi piange il cuore di venostri popoli presi a balocco da un mentecatto » (2). dere Queste parole del Farini, l'opinione del Vieusseux e di altri

tricolore

i

valentuomini del partito liberale toscano aprirono gli occhi a chi non voleva vedere, come

il

alla realtà, fece associare

settembre 1847, in Livorno

a' tre

l'otto

Montanelli

che, ritornato

colori, il giallo: bandiera, che quattro giorni

dopo com-

parve nella grande festa nazionale che vi fu celebrata cosa questa, di cui si compiacque vivamente il Ricasoli il quale ;

meno desiderosi di non era certo fra' più temperati ed nuove cose (3). Ma chi piiì del Capponi, del Vieusseux, del Farini e di molti altri intese il pericolo, dove realmente era, nell'apparizione del tricolore in Lucca e giudicò una provocazione i

alla

causa dell'indipendenza

l'atto

surricordato del principe

ereditario, fu, come abbiamo accennato,

il

D'Azeglio che ben

conosceva segreti della diplomazia e il desiderio vivissimo del governo di Vienna di approfittare della minima occasione per entrare in Toscana ed in Roma e rovesciare l'edificio costruito con tanta fatica dal liberalismo italiano (4). Il 9 ottobre 184711 marchese Massimo ne parlava così all'amico Balbo: i

(1) Biblioteca Nazionale di Firenze. Carteggio (2) Epistolario di Luigi

Vieusseux.

Carlo Farini per cura rfìL.RAVA. Bologna,Za-

nichelli,!, p. 693. (3) Ricasoli, Lef fere e documeuti, op. cit.jl, p. 207.

(4) Bianchi, «S/orm

documentata della diplomazia, o^.cìt,Y,f. 82 pos-

sÌMS.Cfr. anche GvALTKmo, Gli ultimi rivolgimenti italiani.Parte seconda.

Firenze, Le Monnier. 1851, vol.I, pp. 557-558.


— 29 Duca un po' ma-.to, un po' ciuco, un po' birba aveva con-

< Il

cesso ed accettati

ringraziamenti, e ii duchino inalberata la

i

bandiera tricolore (gofon) poi s'era pentito, scappato a Modena e mezzi chiamati tedeschi >(1). Che il D'Azeglio non si i

ingannasse e a quale scopo mirassero Carlo Ludovico e suo figlio, abbiamo una prova anche da quanto Giacinto Collegno,

ben addentro agli affari di Italia, scriveva all' autore delle Speranze il 4 ottobre 1847: «Qui nulla di nuovo. La neve caduta nelle vette dell'Appennino rende le strade difficili e raffredda gli animi. È vero che TAbetone non è il S.Bernardo, ma Radetzky non è il primo console e poi ci siete voi sul fianco destro. Dicono che la squadra inglese ancorata a Livorno abbia a bordo truppe da sbarco che sono a disposizione del governo di qua » (2). E si intende anche per quale ragione cercassero molti le

liberali toscani

espresssioni violente usate da taluni

di

giornali

mitigare del gran-

ducato, come VAlba e il Corriere Livornese, contro l'operato dell'Austria nella questione di Ferrara e nell'atteggiamento

preso dal Governo imperiale

nella questione

italiana

;

era

troppo debole la Toscana e troppo facile alle truppe austria-

che

il

penetrarvi per non cercare

carsi su

di

essa

uno

di

stato di

tutti

mezzi per vendi-

i

cose

tollerato, per forza

maggiore, da un anno. Il desiderio generale del liberalismo toscano e di quello piemontese e romano fu soddisfatto da Carlo Ludovico, pefr

mezzo del Ward, il 4

ottobre 1847, nella

maniera e

nelle*

condizioni ben note (3). La prima impressione fu di immenso

gaudio, che

i

patti

pochi giorni dopo

< Chi non si è ralnon ha amato e stimato il suo qùe' giorni, è uomo di coscienza perduta, è un in-

legrato » scrive simile in

della cessione furono conosciuti soltanto

il

la

firma del trattato

Giusti

«

:

chi

(1) Archivio Balbo .CorrÌHpondema del conte Cesare Balbo. Triterà A. (2)

Archivio Balbo. Cor rinpoudenza del conte Cesare Balbo. Intera C.

(SìZOBì, Storia civile della Toscana, op. cit. V, 192. Montanelli, 3/«-

mori^ suir Italia, op. cit., II, p. 32. Bai.dassekoni, Ijfopoldo II, op. cit., p.248. Bianchi, S/orm della diplomazia Europea, op. cit.,V, 42. Bianchi, I ducati estensi dalVanno 1815 cU 1850.Torino, Società Editrice Italiana.

1862,1, p. 186.


-

3()

-

felice senza rimedio perocché anche il malvagio si comportò onestamente e spianò le rughe dalla fronte » (1). Ragione principale del giubilo comune era che, coli' annessione di

Lucca, diminuiva

il

numero in cui era divisa la nostra pe-

nisola, facilitando cosi quella

condizione ritenuta indispen-

sabile da' grandi scrittori del liberalismo italiano per effet-

tuare l'indipendenza della patria. Eco di somma importanza dello stato generale degli animi è una lettera del D'Azeglio al

Balbo: il marchese Massimo veniva in Toscana dagli Stati

Pontefici, ove

aveva gettato

le basi

di

una organizzazione

militare in quelle regioni e ravvivato lo slancio delle popo-

addormentate da una perniciosa saporifera politica austro-gesuitica e, con la scusa di tornare in Piemonte, si preparava a lavorare nel granducato « Gli affari di Lucca » diceva il D'Azeglio all'amico Cesare « ci tenevano in pensiero. Il Duca un po' matto, un po' ciuco, un po' birba aveva concesso e accettati ringraziamenti...: poi s'era pentito, scaplazioni

:

i

pato a Modena e mezzo chiamati

i

tedeschi. Io e molti predi-

cavamo la difesa. e si faceva sul serio questa volta, che il paese è eccellente per ciò, tanto in uomini che in luoghi. Ora, giorni sono, ha avuto talento una volta in vita sua e ha abdi-

cato e Lucca è riunita alla Toscana e di sette pezzi ne' ab-

biamo fatti sei e non vengon piii tedeschi e al solito abbiamo una fortuna impertinente e tutto va a vele gonfie. Io venni da Firenze con Luisa e a Pisa si radunò gran gente sotto le finestre (2) e mi toccò- al

presi

solito arringare

dal terrazzino

e

soggetto della riunione di Lucca; e, quantunque non

il

vena e parlassi come un cane, ebbi applausi e urli venne la guardia nazionale e quando uscii mi misero in mezzo a una selva di bandiere e mi accompagnarono fin fuori di porta al Debarcadero colla banda che parevo proprio il dottor Dulcamara. Alla finestra avevano messo parati e le donne sventolavano bandiere e fazzoletti e Luisa,che veniva appresso con amici nostri, ebbe anche essa suoi applausi. Al Debarcadero mi toccò arringare di fossi in

a iosa

:

poi

i

i

il) GiVHTi, Memorie niedite,OY>.cit. ,-p. 101. (2) Montanelli, Afe»?or?> shU' Italia, op. cit.,11, B5.


- 31 nuovo

e, arrivato

a Lucca, ricominciò

all' incirca

la

stessa

scena fino alle nove della sera che fu l'ultima predica dalla finestra. Certo che vita non ne manca qui. Ho sempre battuto sul beneficio dell'unione, sul fare elogi, che lo spirito municipale ceda allo spirito nazionale e sul gridare viva Leopoldo II, Pio IX e la Lega degli Italiani. L'insieme del popolo è contento, la nobiltà

di

corte fa

il

muso e glielo

la-

sciano fare. In questi momenti, nello stato presente dell'opi-

nione e degli

affari Italiani, tutto

quel servitorame ed il suo

egoismo di anticamera mi fa rabbia > (1). Le dolorose condizioni della cessione di Lucca vennero a conoscenza dei nostri liberali dopo la prima decade dell'ottobre del 1847, ma parve che non ne fosse stata compresa tutta la gravità. La soluzione favorevole della questione di Ferrara, il

rapido progredire delle riforme in Roma ed in

Firenze dovevano aver riempito

gli

animi

della

maggior

parte dei nostri liberali di una fiducia cieca in un avvenire lieto

e felice, traendone

la

persuasione che ogni eventuale

sarebbe stata superata senza eccessivo sforz^o, in di tempo. Il Vieusseux il 15 ottobre 1847 scriOggi gran dimostrazione per la S. Leoveva al Centofanti poldo. Ed in verità dopo la lettera per la Guardia Univerdifficoltà

breve corso

:

-

dopo che la civica è chiamata a Pitti il Gran Duca si merita sinceri evviva. Potesse finir bene la questione fivizzanese » (2). Il problema interno sembrava preoccupare il

sitaria e

nostro editore più di quello estero

l'indipendenza dello Stato. Per riti

fossero

stati

tranquilli

il

al

quale era connessa

Vieusseux, quando

e concordi, sarebbe

gli spi-

stata

cosa

non disagevole sciogliere la cessione della Lunigianà e della Garfagnana, come se questo fatto fosse dipeso esclusivamente dalla politica interna toscana. Maggior ottimismo ancora dimostrava il Salvagnoli,che, parlrfhdone con il Balbo, l'undici ottobre 1847, diceva: * Qui il Ridolfi ha fatto il gran colpo di Lucca e si va di bene in meglio. Stamperò hi nota

A) Archivio Balbo. CorriMpondeuza del conte Cestare Balbo. Lettera A. Vi) Archivio di Sfato di Pina.LaicUo Cetitofaìiti.CorHitpoiidema.Biinta .V.

19.


32

e tutto quello che

vi farà piacere. Gradirò un articolo sul bene generale della riunione di Lucca alla Toscana» (l).Ed il 17 dello stesso mese « Qui tutto va bene. L'affare di Lucca è stato grosso. I tedeschi intervenivano, non era stato detto nulla alla Toscana, ma l'Arciduca Massimiliano aveva portato da Vienna l'ordine di far entrare in Lucca circa 2000 :

soldati » (2). Per

il Salvagnoli e molti dei suoi amici l'avere granducato una parte cospicua di terra toscana, l'aver conseguito l'allontanamento del pericolo immediato di

aggiunto

al

una invasione nemica e la concordia, che sembrava si fosse allora ottenuta fra le classi sociali dello Stato, valevano bene ciò, che Leopoldo II era stato costretto a subire con trattato del 4 ottobre 1847. Forse non è eccessivo il supil porre che quei valentuomini, convinti che, presto o tardi, o le nuove idee avrebbero persuasi il duca di Modena e quello di

Parma o sarebbe scoppiata la guerra per l'indipendenza,

si

preoccupassero assai poco, nei giorni immediatamente

seguenti alla nota convenzione, della sorte della Lunigiana

e della Garfagnana, rimandando ad vole

il

liberare questi loro

occasione

piij

favore-

fratelli.

L'illusione in una soluzione piana ed agevole del problema lucchese durò breve corso di tempo, anche perchè il Duca di Modena non celò né le sue vedute né le sue azioni (3). Gli uomini posti a capo del Granducato, temendo per il paese gli effetti sia della cieca beata fiducia,nella quale

erano vissuti fino a quel giorno

i

loro amici e collaboratori,

non poteva mancare quando fossero state rese di dominio pubblico le convensia della violentissima

reazione che

zioni diplomatiche, dovettero sentire la realtà a' capi

ch'essi, con

i

piìi

mezzi

notevoli del di

il

bisogno

liberalismo

di palesare

toscano per-

cui disponevano, preparassero la co-

scienza nazionale alle nuove dolorose ed impedissero che

(1) Archivio

Balbo. Corrispondenza del conte Cesare Balbo. Lettera S.

(2) Archivio

Balbo. Corrispondenza del conte Cesare Balbo. Lettera S.

('^)ZoBi, Storia civile della Toscana, op. cit.,V, pp.24-222.Baldasseroni^

/.eopo/rfo //. op. cit., p. 255. Bianchi, ^S^or/a

della

Diplomazia Europea^

op.cit..V,pp. 44-45. Bianchi,/ ducati estensi, op. cit.,I,p. 192.


— 33 — le folle ad

avanzati trascinassero

partiti

i

e perniciosi. La calma era tanto

piìi

eccessi pericolosi

necessaria, perchè

la

mancanza assoluta di ogni specie di difesa e la incombente minaccia delle truppe modenesi ed austriache rendevano incerta l'integrità del territorio granducale. Ben a ragione il Ridolfi

berali

suoi colleghi di gabinetto chiesero aiuto ai lied che avevano dato loro il potere, perchè gli avvenii

menti del 17 ottobre 1847 Lucca, in Pisa ed

Pontremoli e quelli già acca-

in

primo sentor della dubbio sulle intenzioni dei radicali e di molti altri, quali, quasi all'oscuro degli affari di governo, si lasciavano trascinare dalle passioni di parte e dalla impresduti in

Livorno, al

in

verità, non lasciavano i

sione del momento. Ed a questi esaltati

univano uomini

si

autorevoli come il Montanelli, che, giudicando male l'operato

e

le finalità

del Ridolfi, prima di conoscere la verità, diffon-

deva nelle folle l'idea che fossero state abbandonate volontariamente allo straniero preziose terr^ italiane e che real-

mente lievi

paese fosse stato tradito, creando così difficoltà non cosa pubblica. Con il Montanelli era il

il

rettori della

ai

Galeotti (1) e con

sebbene

si

lui

molti

altri

fra

gli

stessi

liberali, che,

da moti una cessione di territori, per nemico la porta di casa. La ragione

fossero mostrati

per

alieni

passato

il

incomposti, si ribellavano ad la

quale era aperta

di

stato

la

chiamata a raccolta

al

non poteva preoccuparsi di sentimentalismi donde :

ralismo del paese. E gli al

Centofanti, che

di

tutte le forze più salde del libe-

effetti

furono immediati. Il Capponi,

doveva tenere

i

pisani

commossi ed

tolleranti di freni governativi e di indugi, il 16 ottobre

scriveva lesi

:

<

L'aver fatto alla palla

di

in-

1847

que' poveri Pontremo-

purtroppo è la macchia di questa faccenda che è buona

nel vero. Spero

che sia questa l'ultima volta che si disponga si fa? Avete tatto gran bella cosa voi Pisani e Livornesi e tu hai fatto bene a scrivere al Ridolfi il quale è a Lucca (2) come saprai.il a quel

modo delle anime, ma ora come

(1) QoHl

,

storia della h'ivvluznmr /^//<a//a, op.

<

it

,

p. .»41.Zohi,4S7i//'<cì

cirilf delln rojjcawrt.op. cit.,V,'21l.MoNTANKLLi,3/ewjonc »idla Italia, op. «

it.,II, ]>p.i^2•3^.RRvxf^^^l^J mettere e r/oct<me«//, op.cit.,I,p.2l8.

(2

7.0UI, Storia ririle della /{ Ritorg. ital., XIII

Toscana, op. cit.,V, pp. 201 seg. »


~ 34 cambio colla terra di Boemia sarebbe nobil cosa a proporlo, ma non credo riuscirà meglio potrebbe il Granduca tenere Pontremoli in affitto finché non si riunisca a Parma.Questa :

però e Modena

gnerebbe

io

dubito consentissero

offrirlo » (1).

Che

il

:

a ogni

modo bisor

marchese Gino avesse scritto

questa lettera dopo avere avuto dal Ridolfi* dati e consigli è fuor di dubbio (2) un documento, che doveva divenire di ;

pubblica ragione o servire ficile, non

di

di

base ad una campagna

dif-

poteva non essere a conoscenza degli uomini

governo e da essi comunicato a chi solo volevano.L'auCapponi faceva fede di quello che egli asseriva, che le sue parole potevano essere accolte con piena si-

torità del sì

curezza e tranquillizzare gli animi, pacificando le folle agitate, fnoltre, desiderando una conciliazione perfetta di sentimenti, il marchese Gino, nella succitata lettera al Centofanti,

concedeva, in quanto poteva e certo non discorde il Ridolfi, alle manifestazioni popolari, come cosa giusta, in un determinato momento, ma che con il lungo andare avrebbe causato danni gravissimi. La necessità imperiosa

di

cedere a

forza maggiore era espressa in termini precisi dal Capponi,

che con sobrietà, ma con efficacia, Ricordava come si dovesse da ognuno non intralciare il cammino ai governanti toscani, cammino già di per sé stesso aspro ed impervio, pur lamentando ciò che era avvenuto. Ed alla stessa finalità fu ispirata l'opera del Ricasoli,del Lambruschini,del Salvagnoli.Al primo il Ridolfi, in una lettera della quale é ignota la data, ma che tutto porta ad ammettere debba essere non posteriore al 20 ottobre 1847, raccomandava di seguirlo di pari passo nell'ardua impresa, di salvare il decoro e l'indipendenza toscana, con gli scarsi mezzi di difesa, che il Granducato possedeva (òj. Il Barone Bettino eseguì fedelmente gli ordini dell'amico e del primo ministro dello Stato: il 19 ottobre ad una persona, forse il Lambruschini, non solo dimostrava il

U) Capponi, Z^ef fere, op. cit.,II, p. 360. (2) BiANCHi,-S7on« della Diplomazia Euro2)€a,Y, p Ab. BiAScm,! ducati Estensi, op. cit.,I, p. iy2. \3) Rio AfioiA, Lettere e rfocMme?«//, op. cit.,1, p. 218.


— 35 — danno di ogni manifestazione intempestiva, quale poteva essere la stampa clandestina, dalle parole incendiarie, e dalla poca sostanza ma, pur dolendosi acerbamente di dover pieil capo alla prepotenza nemica, riconosceva necessario tacere ed obbedire alla forza delle circostanze (1). Il Sai vagnoli uniformandosi alle idee del Ricasoli osservava il 20 ottobre 1847 a Cesare Balbo: «Bisogna che mi scriviate una lettera non lunga e da pari vostro sulla difesa della Toscana, secondo i suoi nuovi confini. pazzi urlano contro il cambio di Pontremoli ci risponderò voi assistetemi. Il governo va lento e non è secondato. L'incorporo di Lucca dà molto imbarazzo e mancano uomini » (2). L'aiuto promesso non tardò a farsi sentire. Mentre parte della stampa toscana, seguendo la corrente generale, lasciavasi andare a giudizi temerari sugli uomini, che avevano nelle loro mani destini della patria e formulavano propositi pericolosi per la pace del Granducato, gli organi dei libe:

gare

I

:

:

i

rali

moderati e dei giobertiani, piiì coscienti e più al corrente

della verità delle cose, come V Italia e la Patria iniziarono

una campagna a fondo secondo la volontà del Ricasoli e momento. Non era certo facile perchè in questa maniera, implicitamente, erano sostenute opinioni ed erano suggerite norme di vita politica che ripugnavano, nel fondo dell'animo, a que' sinceri e leali patriotti ma appunto perchè amavano la patria, come dovevasi amare, intendevano essere loro dovere di arrestare in qualunque modo un andazzo pericoloso alla salvezza del loro paese. II Ricasoli al Lambruschini il 29 ottobre 1847 scriveva :« Guidare l'opinione pubblica non è altro che associarsi a ciò che ha di nobile e di buono per rilevarlo ancora di piiì. Stato ed Indipendenza sono le nostre divise. II nostro giornale deve ora svolgere grandi istituzioni che aneliamo, deve trattare ora le questioni di diritto internazionale, in ciò che si rifele necessità del

:

riscono alle relazioni nostre pretese dall'Austria: trattare la

grande lega dei popoli e dei principi» (3). Voleva li) Ri(;AsoLi,/>e//ere e

il

Rica-

documenti, op cit.,I, p.222.

(2) Archivio naibo. Corrispondenza del

conte Cesare Balbo. [Attera S.

(S)RiCA8ou, Lettere e documenti, op.cii.,lfp.22d.

n RiMorg. ital.,XUI

8*


- 36 — soli, secondo le idee del Ridolfi, che il popolo fosse veramente educato alla nuova vita italiana; che valutasse nuovi i

concetti politici sopra fra

non

diversi Stati

i

:

i

quali basavansi i reciproci rapporti

che intendesse

la

situazione come era e

Bettino, mentre

barone compiva ciò che il marchese Cosimo desi-

derava, agiva

in

piena corrispondenza colle idee del Balbo,

quel

momento affermava, più che mai indispen-

il

lasciasse trascinare ad eccessi

si

quale

in

sabile la formazione politica del

derlo capace

perieolosi.il

popolo italiano per ren-

della preparazione morale e militare, senza di

non era possibile iniziare la lotta. Sarebbe troppo lungo il seguire, passo per passo, la stampa liberale toscana in questo suo compito ed esorbiterebbe altresì dal nostro tema. Però fra le molte pagine scritte in quell'ora, nel senso ben noto, pieno di efficacia fu un articui

colo del Centofanti pubblicato

lonne

deW Italia.

Il

nell' ottobre

1847, nelle

filosofo pisano, ricevuta la

co-

lettera sur-

ricordata del Capponi, messosi d'accordo coll'amico Vieusseux,che in que' giorni della seconda metà dell'ottobre 1847 viveva quasi sempre in casa del marchese Gino, aveva affrontato il Montanelli esponendogli lo stato delle cose ed esprimendogli ciò che il Capponi attendeva da amici provati ed amati. Né dovette essere difficile quest'opera al Centofanti, perchè il Montanelli, pronto a lasciarsi vincere dalla prima impressione, conosceva, ritornando sui fatti, quanto fosse imprudente e dannoso il discostarsi da una saggia e calcolata norma di vita. Non invano il Capponi il 15 ottobre pregava il Centofanti così « Seguitate voi altri a fare del bene neW Italia, che ne fate assai e ce n' è bisogno » Il Montanelli, che implicitamente era compreso in questo invito, abbandonando il contegno assunto alle prime nuove di patti della cessione lucchese, divenne collaboratore efficace del Centofanti nel predicare la calma e la forte moderazione. 11 filosofo pisano, poi, riferendosi a quello che il marchese Gino gli aveva suggerito, scrisse un lungo arti:

.

colo fondato su principi politici e sulle rivelazioni diplomatiche contenute nella nota lettera del Capponi. Sferzando con termini sobri ma profondamente sentiti la prepotenza


- 37 — aveva avuto ragione solo perchè aveva violato ogni principio di giustizia; lamentando la sorte dei fratelli di Fivizzano e Pontremoli, abbandonati per forza maggiore ad un governo austriaco, e promettendo loro che un giorno non lontano sarebbe venuto in cui sarebbero stati

straniera, che

rivendicati

i

loro

Centofanti, nello

diritti, il

tempo,

stesso

cercò di dimostrare che sarebbe stato vano, per il momento, l'opporsi alla necessità dolorosa delle circostanze

lontà del Granduca » egli diceva

'r.

i

consigli e

le

«

:

La vo-

industrie

hanno di fronte altre volontà ed altri gabinetti di principi. Dovere del nostro governo si è quello di estimare profondamente le cause morali e civili che muovono Fivizzano e Pontremoli a non saper tollerare la loro separazione dalla Toscana e di eguagliare con la schiettezza e

dei ministri

generosità delle

diplomatiche

necessaria virtù e generosità che anima questi uomini barattati » (1). Il Centola

arti

la

pur dando soddisfazione ai sentimenti della folla e riconoscendo ben naturale la loro ribellione all'abbandono fanti,

quelle terre toscane, faceva

di tile

il

osservare

come

con violenza alle disposizioni sanzionati da altre potenze. Non invano

protestare

trattati

fosse inu-

e

di

atti

il

nostro

scrittore ricordava queste circostanze: ognuno

sapeva che non avrebbe mai tollerato di venir menomata nei propri diritti garantiti da documenti diplomatici e conoscevasi anche con quali mezzi il Governo di Vienna sapesse tutelare nei paesi italiani propri interessi politici ed economici. E, mentre le parole del Centofanti alludevano in l'Austria

i

modo particolare alla minacciata invasione, ricordavano, non a caso, l'italianità del Granduca, il quale, se poteva aver com-

messo degli errori, erasi dimostrato principe desideroso e volenteroso di mantenere Pindipendenza propria e quella de' suoi sudditi. E giuocando una carta difficile, usando delle confidenze che gli aveva fatto il Capponi, il filosofo pisano « Proporgli mezzi opportuni » diceva alludendo a Leopoldo II «sarebbe un vanamente ripetere cose oggi mai divulgate i

{l)7,o\il. storia virile tiellii

p. iTT.

Tosta

>

riinifiiiì,


— 38 per bocca

o tentare un'impresa assai delicata. Ma a

di tutti

amore dimostratogli, a tanta fiducia in lui riposta da popoli que' e dalla Toscana intera, è dovuta in verità una

tanto

corrispondenza

sentimenti magnanimi. Si mostri egli di-

di

sposto a sciogliere que' legami che tuttavia lo congiungono

a paese straniero offra

le

coloro che fu solito

di

:

di

sue terre di Boemia a riscatto chiamare suoi figli dia anche :

questo nobilissimo .segno di voler essere tutto italiano» (1).

Rialzando

le

speranze del popolo in una possibile solu-

zione per una iniziativa particolare del Granduca il Centofanti rali.

veniva riavvicinando a quest'ultimo le simpatie gene-

E nello stesso tempo

fondere

il

nostro filosofo cercava

la fiducia nel governo

di

dif-

annunciando anche un'even-

tuale intromissione dell'Inghilterra in favore del granducato

e rafforzando la sicurezza generale negli uomini posti a capo della cosa pubblica toscana: «Noi auguriamo» scriveva il Centofanti « al governo la beila sorte di mutare per siffatto modo una questione politica, miseramente fondata sull'arbitrio, in

e

di

una questione di

civiltà

poterla risolvere con successo »

.

e nazionalità italica

E concludeva

:

« I

no-

comuni destini sono in via: la necessità del loro svolgimento dovrà uguagliare le condizioni politiche dei vari stri

stati

della penisola

:

ogni ragione di municipalismo solitario

vuoisi in verità posporre alla gran causa

comune » (2).

Nobilmente il Centofanti adempiva la sua missione con rammentare a' propri concittadini che al disopra dei priil vati interessi era la grandezza e l'indipendenza della patria: indirizzandoli a questa finalità, li ammoniva che sapessero attendere il momento per conseguirla temprando nell'aspettazione la volontà e le energie per la riscossa. E al Centofanti si univa nel medesimo intento, discostandosene forse talvolta nella forma, il Montanelli, dando ^HX Italia l'indirizzo

voluto dal Ricasoli e dal Capponi. Né limitava

al

suo giornale; con

gli

il

filosofo

amici, i

pisano

si

conoscenti, con

(l)ZoBr, Storia civile della Toscana. Appendice di Docu motti, Y, p.l77. {2} ZoBi, Storia civile della Toscaìia. Appendice di documenti, OT^.cit.^Y,

p. 179.


— 39 — chiunque gli

offriva l'cnzcasione, operava come

suo dovere gli suggeriva e fuori di Pisa, con attiva corrispondenza, si

il

;

tentava di diffondere, fra coloro che gli erano fedeli, le sue idee. Ne

abbiamo 'una prova

in

quello

che

il

30 ottobre

1847 gli scriveva, da Pontremoli, Antonio Albertosi (1): «È

un bel consigliare " diceva l'Albertosi al maestro „ la moderazione a un popolo che trovasi alla vigilia di perdere la massima parte dei beni civili, dei quali godendo era, se non felice, almeno contento della sua sorte. Non mancano in Pontremoli persone moderatissime, del cui numero faccio parte anch'io, perchè la più grande moderazione parmi in questi critici momenti del maggiore interesse per il bene del mio paese e d'Italia, le quali non cessano dal combattere, a qualunque ora e quando loro riesce il farlo, le idee di una resistenza armata. Ma in fede mia le giuro che non concludiamo nulla. La moltitudine non ci disprezza, perchè abbastanza conosce la devozione nostra alla causa italiana ma non ci ascolta, oppure lo fa per risponderci tumultuosamente e in modo da non poter ribattere la risposta; non per effetto di ragioni prodotte, ma per causa di passioni irrompenti a guisa di torrente devastatore. Per calmare un po' Pontremolesi è stato necessario armare provvisoriamente la civica ed aprire una sottoscrizione per provvedere subito fucili e munizioni. Oggi il paese è quieto ma chi può dire: così sarà domani? Una notizia per quanto vaga ed incerta, un forestiero che arrivi tra noi da Parma o da altrove è capace di metter sossopra Pontremoli. nostri concittadini sono così intesi che al minimo tocco della nostra campana maggiore si troveranno alla piazza grande. E allora, chi sa? Del resto torno ad assicurarla ch'io non cesso, né cesserò giammai anche a costo di sacrifici dal proclamare moderazione legale e resistenza passiva le raccomando il mio paese » (2). Non sarebbe stato difficile al governo ed ai liberali to:

i

:

1

:

tl)

Del Lunoo e Prunas, Tommaseo e Capponi, Car/e^^to inedito, oi>.

cit.II,7&4. (2) Archivio di Stato di Pi»a.fxueito Cento fanti. Cor rispondenza, lì usta

N.l.


— 40 — scani, che aderivano alla politica del gabinetto, il calmare

l'opinione pubblica del paese se le cose fossero andate in

modo calmo e regolare. Ma la condotta del Duca di Modena^ che

si

sentiva appoggiato dall'Austria, mentre faceva te-

mere sempre pili un'invasione militare, inaspriva del granducato con gli

gli

animi

e del 22 ottobre e del 5 e 7

atti

novembre 1847(1). Gli stessi moderati compresero che si potevano fare poche illusioni su di una soluzione pacifica della vertenza ed

il

governo

di

Firenze cercò aiuto e so-

stegno nella eventualità di una lotta (2). Mentre per calmare animi eccitati, il 9 novembre 1847, Leopoldo II emanava un motuproprio, desiderato dal gruppo del Capponi ed ispirato dal Ridolfi e con altra disposizione, pubblicata due giorni dopo, raccoglieva un campo di concentramento in Pietrasanta per soddisfare il desiderio generale e mascherare, contemporaneamente, lo s-tato disastroso della difesa del granducato, liberali favorevoli al Ridolfi e gli altri che temevano, per la Toscana e piìi ancora per il trionfo dell'indipendenza della patria, cercarono in tutti modi possilato bili di fronteggiare la situazione, allontanando da un il pericolo di una insurrezione interna suscitata da' radi-

gli

i

i

cali

e da' repubblicani, coll'affrettare l'organizzazione

mili-

tare del paese, dall'altro studiando di ottenere, coU'appoggio de' principi italiani, una soluzione diplomatica della questione

lucchese, che, salvando la dignità del granducato, rendesse impossibile a Modena ed

a Vienna

il

servirsi

delle

loro

forze militari per costringere alla loro volontà l'imbelle To-

scana.

A tanto compito provvidero Il

primo, come egli stesso

taneamente dato

fin

ci

il

Montanelli ed

narra, non

il

Ricasoli.

sappiamo se spon-

per nascosto incarico governativo (3), era an-

dagli ultimi giorni dell'ottobre

del 1847 in Roma

(1) Bianchi, 1 Ducati Estensi, op. cit. 1, p. 192.

(2) GoRi, Storia della Rivoluzione Italiana, op. cit., pp.b44

segg.-ZoBi,

Storia civile della Toscana,oY>.cit.,V ,2iu seg.- Bianchi, «S^orm della diplo-

mazia europea, op. cit., V,p. 46.- Montanelli, Mé?noriie sull'Italia, op. cit.,, II, pp. B8-39. (3) Montanelli,

Memorie sulV Italia, op. cit., Il, pp. 39-42-44-47.


- 41 — per studiare quale fossero

il

pensiero e

le

Pontefice. Le notizie di ciò ch'era avvenuto

intenzioni il

del

7 novembre

pervennero al Montanelli quando già aveva iniziato il suo comprendendo V urgenza di una soluzione chiara ed esatta, cercò di trascinare Pio IX ad agire in maniera favorevole ed aperta alla Toscana ma non vi riusci. Noi non possiamo discutere, se rispondano alla pura lavoro diplomatico

:

:

\erità dei fatti le parole

con

ha descritto l'opera sua

di

le

quel

quali

il

nostro patriotta ci

tempo certo è che il Papa ;

non voleva, né poteva fare quel che il Montanelli desiderava, quando ancora gli gravava sul capo la scottante quedocumenti che abbiamo sott'occhio stione delle Legazioni. tacciono sulla missione del Montanelli ma chi legga, quanto V Italia pubblicava in quell'epoca su siffatto argomento, può I

:

intendere quale sconforto avesse causato fra' liberali del granducato l'atteggiamento del Pontefice,con cui veniva a mancare un sostegno validissimo alla pericolante causa toscana. Gli articoli del periodico suddetto, scritti in Roma dal

Montanelli e manipolati

in Pisa dal Centofanti

e dal Gior-

che si sforzavano di rappresentare le cose in maniera tale da non far perdere al popolo le speranze riposte in Pio IX, risentivano dell'inquietudine, dello scoraggiamento e

gini

del dolore dei loro compilatori, e trapelavano il loro timore

che

la

Toscana fosse

lasciata sola nell'arduo cimento.

prima notizia dei

Ricasoli, alla

Il

fatti di

Fivizzano, di-

moderazione che aveva sostenuto essere necessario dopo la formazione del ministero Ridolfi, sentì un impeto di ribellione contro tutto e contro tutti. Il 12 novembre, facendo della satira amara, scriveva così al fratello Cencio « Si vuole far uso soltanto della menticando

il

principio della

:

carta, inchiostro

e

polverino, uniche

munizioni

di

cui di-

spone abbondevolmente Toscana. E, se il Re Sardo non sostiene, resteremo come siamo, con grave danno, a parer mio, dell'onore toscano e della causa italiana. Nella disposizione d'animo di chi ci regge non v'è da sperar altro fuor di quel che dico>(l). Il primo impulso del barone Betf !

'

Rl«'ASn|,|,

/

_. ..


— 42 suo gruppo era stato di sciogliere il problema fivizzarese con le armi e la certezza della assoluta debolezza militare del granducato aveva destato nel Ricasoli un senso profondo di ribellione, contro chi aveva colpa, di questo stato di cose. Fermo nell'idea, che senza una lotta fierissima sarebbe stato vano lo sperare attuabile l'indipendenza d'Italia, egli aveva pensato a colui che solo tino e quello del

:

poteva disporre del mezzo richiesto dalle circostanze: associando la ca^isa toscana alla libertà della nostra penisola, primo forse fra' liberali del granducato, precorrendo gli avvenimenti, prevedeva che sarebbe stato possibile

il

riscatto

della patria, quando a

capo degli italiani, non distinti ne' vari principati, ma uniti sotto una stessa bandiera, si fosse posto il Re di Sardegna (1). Dato ciò si intende come egli accogliesse favorevolmente l'invito, che il 16 novembre 1847 gli rivolse il Serristori di recarsi come messo straordinario presso Carlo Alberto. Il giorno dopo il nostro barone scriveva così al Lambruschini « L' affare mi è simpatico e l' ho accettato » Ma, conscio della situazione, soggiungeva « Avrei avuto delle difficoltà ,

:

.

:

bisogno

di consiglio

e invece

mi trovo affatto solo, salvo

Dio » (2). I consigli gli pervennero poche ore dopo dal Ridolfi e dal Salvagnoli. Lasciando per amore di brevità quello che il presidente dei ministri toscano diceva all'ambasciatore granducale, perchè cosa ben nota, è interessante esaminare ciò che il redattore della Patria riferiva all'amico sulla natura del momento storico, sul compito che l'attendeva.

Le idee del Salvagnoli infatti avevano uno speciale vada Toove era stato ospite di Cesare Balbo, ne rappresentava in un certo qual modo, le concezioni politiche, cercandone di attuare in Toscana il programma politico. lore in que' giorni perchè egli, arrivato di recente rino,

(1) Zanichelli, Bettino Ricasoli e l'azione politica

unitaria, pp. 37-39,

in La Toscana alla fine del Granducato, Firenze, Barbera, 1909. (2) Ricasoli, Lettere e documenti, op. cit., I, p. 225 ; per la missione del

Ricasoli cfr. Biacchi, Storia della diplomazia,o-p.cit.,Y,TpAl.-ZoBi,Storia civile della Toscana, op. cit.,V, pp. 227 seg.


— 43 Il

Balbo, che per quanto fautore ed aperto sostenitore di

un'azione lenta, sicura, metodica, specialmente in que' giorni in cui gli

e

la

avvenimenti si succedevano con rapidità fulminea

mutava quasi di ora in ora, non po-

situazione italiana

teva non sentire

il bisogno di approfittare delle occasioni che la natura de' fatti gli veniva offerendo propizie per il raggiungimento dei suoi ideali, aveva iniziato da' primi del 1847 e in Piemonte e nelle altre nostre regioni, servendosi di amici fidati e de' moltissimi collaboratori che egli aveva nella penisola, un'opera energica per conseguire quello che

apparivagli

mezzo essenziale per

iniziare

effettivamente

l'impresa dell'indipendenza della patria, l'unione, cioè, fra

ed

concentramento delle energie italiane intorno a Carlo Alberto. Egli aveva compreso che lo stato della questione italica, dopo ciò ch'era avvenuto in Ferrara e stava avvenendo nella Lunigiana, poteva da un lato favorire come mai si sarebbe potuto sperare l'alleanza fra il Piemonte, Roma e Firenze, rinsaldando il principio monarchico nel nostro paese, e dall'altro, quando questa fusione fos^e venuta meno, agevolare le mene de' radicali e principi riformatori

il

de' repubblicani, che, ritiratisi nell'ombra

dopo l'insuccesso

della loro politica di avventure, avrebbero ora approfittato

dell'ignavia dei sovrani italiani per riprendere

il

loro pre-

masse trascinandole ad imprese perigliose ed « Il maggior pericolo delle inutili passioni popolari » egli scriveva in que' giorni « non è quello che elle sieno catstigio sulle :

ma solamente ne' mezzi. ma si vuole male in modo da non arrivarci: ecco tutto » (1). E con particolare riguardo agli avtive

irragionevoli nello scopo,

Si vuole

il

bene,

venimenti « Finora il Papa e il Gran Duca » notava nel settembre del 1847 « hanno sufficientemente conservata la loro potenza governativa. Ma questa corse già non poco :

pericolo

in

Roma

al

mese di

Luglio, in

Toscana a Set-

tembre e forse questi pericoli non furono scartati, se non da quel grande errore di Austria, da quel fatto di Ferrara :

(1)

Archivio Balbo. Manoscritti originali: abbozzi diversi di Cesare

Balbo, voi. XriI, foglio 676.


- 44 — f

che riunì tutte le opinioni, tutte le parti nel pensiero d'indipendenza. Ma non progrediendo, come par che non progredisca Austria nelle sue minacce, passerà in breve il pericolo dell'invasione, e risorgerà quello delle disunioni, delle

esagerazioni interne. Non è da celare

:

il

Gran Duca è buono

papa almeno buono. Sperare che il nessuno approfitterà di tali debolezze, o che approfittandone alcuni, più sorgeranno a diffendere (sic) due goe certamente debole:

i

i

interamente

verni, a lasciarli

ma non è forse

bile,

nelle

liberi

riforme è possi-

ragionevole. Speriamo

nel senno,

nell'ingegno, nella civiltà progredita degli Italiani, al

punto

di

dire che

di

in

non

colà di esagerazioni » (1).

vi

sia pericolo

Ma, il Balbo mentre vedeva con quali

ma non

certezze, non al punto

mutar tali speranze

la

lucidità

sua propria

conseguenze sarebbero derivate alla causa della mo-

narchia e a quella d'Italia che le era intimamente connessa, se essa non avesse saputo afferrare a volo l'occasione che

comprendeva con altrettanta chiarezza che l'ostacolo maggiore era là dove si sarebbe creduto l'ap-

fortuna le offeriva,

poggio migliore, la più fervente adesione. Carlo Alberto non tutto, come il Balbo aveva fede nella serietà de' propositi de' toscani e de' romani e nella loro sincerità, e gli eventi dimostrarono che egli non si ingannava; sia perchè non reggevagli l'animo di arrischiare il frutto della sua politica di diciassette anni in una mossa arrischiata. Egli aveva un'arma poderosa nel suo esercito e voleva

poteva, né voleva agire in tutto e per

desiderava: sia perchè non

adoperarla contro

il

nemico, nel momento

più

propizio,

quando cioè questi se la fosse meno aspettata: ed il Carignano sapeva che dopo Ferrara, nella questione della Lunigiana, le milizie austriache, se con un

occhio guarda-

vano verso Roma e Firenze, coH'altro, e con maggiore attenzione,- puntavano verso Torino ove conoscevano essere. il

pericolo

reale

per

la

sicurezza del

loro

dominio nella

nostra penisola.

(1)

4>'chivio Balbo. Manoscritti originali: abbozzi diiìersi di Cesare-

Balbo, voi. XIII, foglio 681.


- 45 — Ond'è che Carlo Alberto non si pronunziava nella questione lunigianense come Balbo avrebbe voluto; e con lui il

avrebbero desiderato molti liberali degli Stati Sardi e del resto d'Italia. Le riforme concesse dal Carignano, in quel volger di tempo, erano una promessa, ma gli eventi che si succede-

vano con rapidità vertiginosa avevano bisogno di azioni e non di parole e speranze. 11 Balbo quindi si era proposto vincere

di

le

vani fossero

i

titubanze del

coll'Austria, persuadendolo

che

eran pronti a correre sotto all'impresa con

che

suo re dimostrandogli, come

suoi timori di essere lasciato solo nella lotta

i

mezzi

di

le

cui

i

popoli dell'Italia centrale

sue bandiere contribuendo avessero potuto disporre, e

avesse mancato all'Italia, se Casa Savoia non si messa a capo dell'insurrezione italiana approfittando quello speciale momento, la politica Austriaca, appogs'egli

fosse di

giata

da' suoi eserciti

poderosi, schiacciando

Roma e To-

scana, avrebbe soffocato nel nascere la libertà della nostra penisola. Senza Casa Savoia

l'Italia non sarebbe potuta esQuesto concetto Cesare Balbo aveva replicatamente svolto; nel settembre, dopo che, alla prima nobile reazione di Carlo Alberto per Ferrara, era seguita una incompren-

sere.

e freddezza; nell'ottobre, quando

sibile indifferenza

si

era

delineato il pericolo austro modenese, in vari scritti, uno de'

Sovrano (1) ed in colloqui! che egli aveva avuto numerosi con personaggi piiì vicini al principe, quali, per quanto non considerassero fatti e non condividessero tutte le idee dell'autore delle Speranze, ne intendevano lo spirito animatore e con lui dovevan convenire della ineluttabilità degli e.venti, della necessità di una azione nitida e palese. Così ne' giorni seguenti all'annessione di Lucca, il Balbo notava: « Celui qui écrit ces lignes a la passion de l'indépendance de l'Iquali era riuscito a far pervenire al

i

i

talie et il

de

la

1)

ne vit celle ci presque pas possible sans Talliance

maison de Savoie. Il en a une de plus; c'est de voir

O. pAgsAMOXTi, Uìia Memoria di Cenare Balbo a Carlo Alberto Risorgimento Italiano, Torino, Bocca, 1913, pp. 708

nell'ott(hre 1847, ia

seg.

i


— 46 ou du moins largement acheminée dans le quel il s'est acoutumé à personifier les espérances de l'Italie des sa jeunesse, depuis 33 ans: s'il se trompe, il' espère que le Roi lui pardonnera ses deux passions » (1). Ed il 19 ottobre « Vi sono in quell'avvenire non una o due, ma molte cette oeuvre accomplie

par

le

Roi, par Charles Albert, par celui,

:

a

eventualità favorevoli

Non fa bisogno de-

casa Savoia.

vedono e ninno di quella casa le perdette mai di vista. Ognuno secondo il suo naturale, e le

scriverle:

tutti

le

circostanze, le affrettò o le preparò

:

poiché le guastarono.

Ma elle sarebbero guastate irremediabilmente, se l'opinione quest'epoca solenne importanda Casa Savoia. L'epoca attuale è quella in che si gettano le fondamenta del nuovo edificio italiano » (2). Altrove, nello stesso periodo di tempo, affermava' dovere essere scopo della dinastia piemontese « di cacciar di casa italiana s'alienasse ora, in

tissima,

:

l'Austria

dall'Italia,

quanto

sia

mente »

.

possibile

sottentrarvi essa, casa Savoia, per

di

legittimamente, lealmente, prudente-

Ed accennando alla unione delle forze italiche ci-

politiche, morali, sotto Carlo Alberto, ne difendeva il sacrosanto diritto: « Negare la legittimità d'una politica d'ingrandimento in generale, negare che questa potrà mai essere legittima anche con mezzi e trattati legittimi, sarebbe negare la legittimità di tutte le monarchie presenti

vili, militari,

d'Europa, la legittimità

di tutte le

guerre, di

di tutta la politica fino al dì d'oggi. litica

tutti

i

trattati,

Oggi poi che nella po-

non solamente teorica, ma talora nella prattica (sic)

stessa s'è cominciato a tener conto de' diritti delle nazioni, della legittimità delle tendenze loro a nazionalizzarsi

:

oggi

che mezza Europa protesta d'anno in anno contro la nazionalità Polacca distrutta e che tutta l'Europa ha ricostrutta la nazionalità greca e che la compiutezza della nazionalità germanica è uno de' principii piij invocati in tutta la politica europea, oggi, dico, sarebbe sconoscere questo principio

(1)

Archivio Balbo. Manoscritti originali: abbozzi diversi di Cesare

Malbo, voi. XIII, foglio 569. ^ (2) Passamonti, Una memoria di Cesare Balbo, op. cit., pag. 787.


— 47 — nuovo delle nazionalità e più santo forse che nessuno de^ precedenti, se si negasse alla nazione Italiana sola la legit-

sua tendenza

timità della

a un Principe Italiano

denza,

in

del Balbo

il

al

nazionalizzarsi

diritto

se

:

negasse

si

d'entrare esso in

tal

ten-

politica nazionale > (1). Queste ed altre parole non dovevano essere lette o riportate dai fedeli

tal

interpreti del pensiero dello storico illustre a Carlo Alberto

senza effetto, che il Carignano aveva dovuto riconoscere nel Balbo una cognizione profondissima de' problemi italiani

ed un'autorità somma acquistata per pratica poderosità

di

opere, per nitidezza

di

di

anni, per

spirito, per

influenza

esercitata fra gli uomini piìi elevati della penisola. Né la va-

lutazione della facoltà di percezione di quest'uomo dei proal Principe, che ben rimomenti, ne' quali, se avesse ascoltato la voce del Balbo, avrebbe risparmiato a molte persone, ed a lui stesso, dolori ed angosce senza fine; onde, pur non accogliendone immediatamente le teorie, pur conservando per quanto poteva, la condotta prudente che si era prefissa, Carlo Alberto doveva e riconoscere che sostanzialmente il Balbo aveva ragione, e cercare, nello stesso tempo, di incamminare la politica del suo stato verso quella finalità, usando de' mezzi additatigli, suggeritigli dall'autore delle Speranze. Cesare Balbo però intendeva e valutava l'esitazione del torti Re. Egli sapeva che il Carignano non aveva tutti quando temeva che alla resa dei conti, venuto il momento di mettere in pratica propositi, formulati alla prima impressione degli avvenimenti, non avrebbe trovato forse che un'eco vaga confusa di molti vuoti discorsi. Onde l'attività del Balbo

blemi dell'ora doveva esser nuova cordavasi di

altri

i

i

erasi adoperata per preparare l'opinione di Roma e Toscana all'azione bellica, usando de' suoi amici

piij

fidi, i

quali la-

voravano apparentemente per conto proprio e per quello dello Stato in cui si trovavano, ma in realtà obbedivano ai suggerimenti che il grande storico inviava loro frequente-

(1)

Archivio Balbo. Manoscritti originali: abbozzi diversi di Cesare

Balbo, voi. XIII, foglio 716.


- 48 ed a voce, per mezzo di uomini fidati e sembrava starstorici sene in disparte attendendo a' suoi studi o ad osservare ciò che avveniva nella penisola, dirigeva in realtà il movimento dì preparazione morale, politica, militare che il liberalismo moderato veniva svolgendo negli Stati Pontefici ed in Toscana^ completando, facilitando l'opera del Gioberti opera troppo vasta in sé per poter esser compiuta in tutta la sua interezza senza un'azione pratica e metodica, quale quella del Balbo e del suo gruppo. Per mezzo loro si abituavano Romani ed Toscani a considerare il Re di Piemonte, come l'unico sovrano che avrebbe potuto salvare l'Italia, onde imparavano a confidare in lui, dimenticando ciò che egli aveva compiuto in altri tempi, in particolari circostanze di spirito e di volontà: e nello stesso tempo preparavasi una relativa organizzazione militare, la quale, variando secondo mezzi, offriva tuttavia alle sfere politiche sarde luoghi ed e a Carlo Alberto modo di sperare con una certa fondatezza che, quando fosse scoccata l'ora segnata dal destino all'Italia, le regioni centrali avrebbero contribuito all'impresa. In questo modo il Piemonte, sicuro che non sarebbe rimasto solo nel periglio, poteva iniziare, senza attender piia oltre, un'azione apertamente favorevole a Roma e Toscana nella vertenza ferrarese ed in quella della Lunigiana. Ma era necessario che si attuasse seriamente questa preparazione militare e si infondesse nelle masse sopratutto la 'convinzione di considerare il, Piemonte ed il suo Re le sole vere speranze della patria; eliminando sospetti e

mente con

lettere

capaci. Così l'autore delle Speranze, mentre

i

i

i

i

diffidenze di

Roma e Firenze si rivolgessero

confidenza. Questo

il

Balbo

si

a Torino

piene

era proposto e per questo

aveva lavorato, negli ultimi giorni dell'agosto e nel settembre e nei mesi successivi del 1847, in modo ancor più energico dell'usato, raccogliendo nel suo Rubatto gli uomini

piìi

emi-

nenti del liberalismo italiano a' quali aveva, con la potenza della fede che l'animava, infuse le proprie convinzioni, rin-

viandoli, così trasformati, nelle loro regioni perchè essi alla

con gli

altri,

sapeva che quando fosse

stata

lor volta agissero

come egli con loro. Il Balbo attuata

questa sua opera


— 49 — la prima parte della sua dottrina polisarebbe stato più agevole il giungere alla mas-

sarebbesi realizzata tica ; donde

sima finalità dell'indipendenza d'Italia. Per questo l'autore delle Speranze aveva veduto con piacere la missione del Ricasoli per questo notevole era ciò :

che il Salvagnoli scriveva al barone Bettino alla vigilia della sua partenza da Torino, perchè, reduce di fresco dal Rubatto, l'anima piena degli insegnamenti del Balbo, indicava all'amico quale via egli dovesse seguire, a chi appoggiarsi per giungere alla meta desiderata. Due erano punti fondamentali a' quali il Ricasoli, secondo il Salvagnoli, doveva attenersi nella sua missione. Più che il cercare di ottener compensi o dilazioni nell'esecuzione del trattato, che su questo non si facevan più illusione coloro che, conoscevano lo stato reale della questione, era necessario che il barone Bettino si proponesse di facilitare l'unione dei due principati italiani affrettando la conclusione delle trattative per la lega doganale ed infondere nelle sfere governative sarde la persuasione che la Toscana attendeva fiduciosa che il Piemonte si ponesse a capo della guerra per la libertà della patria, essendo essa disposta a collaborarvi con tutte le sue forze. La missione, che Cesare Balbo aveva indicato già al Carignano, era quella stessa che il Granducato, per voce del suo ambasciatore, doveva specificare al Re di Sardegna, attendersi in Firenze da lui ed assicurarlo che egli avrebbe riscosso nella terra di Dante non diffidenza e sospetto, ma confidenza e dedizione completa. « Io credo » scriveva il Salvagnoli al Ricasoli « che la Riforma romana, toscana e piemontese sia una cosa che non si possa mandare indietro e ch^ anzi debba esser compiuta. Questa Riforma l'ha cominciata il Principato; ma, perchè il Principato possa compierla da sé stesso e compierla fino a quel limite che vuole egli stesso, bisogna che non abbia disturbi di fuora disturbi ora vengono dall'Austria e da Modena principalmente ». Ed esaminando l'ufficio che spettava al Piemonte, il Salvagnoli notava « La sua diplomazia non può parlar del Piemonte soltanto, ma deve parlar dell'Italia, perchè la parte riformata l'interessa come propria e quella non rii

:

i

:


— 50 — formata l'interessa perchè divenga propria. La supremazia italiana

deve essere esercitata

dell'Italia» (1). Queste

idee

Piemonte a vantaggio

dal

erano, del

Capponi e dagli amici suoi

nel

resto, condivise

novembre

dal

1847. E che

del

Ricasoli, per conto proprio, ne fosse oltremodo convinto, provò r aver egli ripetuti suaccennati concetti, quasi ad il

i

novembre 1847 al San Marzano « appena arrivato nella capitale piemontese » con

literam, nel dispaccio che inviò il 19

il

quale atto

il

diplomatico toscano illuminava

il

ministro

sardo sulle intenzioni sue e quelle del suo governo (2).

Noto è il modo come il Ricasoli compì il suo ufficio come chiare ad ognuno sono le difficoltà tra le quali egli dovette dibattersi, per la riluttanza degli uomini di governo piemontesi nel fare della questione fivizzanese una questione italiana. Invano il Galeotti nella Patria, del 22 ottobre 1847, con il tacito consenso forse dello stesso Ridolfi aveva scritto in proposito « Roma e Piemonte sono interessati a impedire che qualunque violenza sia fatta a Leopoldo II ed alle popolazioni della Lunigiana e devono e possono intervenire nella vertenza italiana... È ormai tempo che Principi Italiani, in ciò che tocca le cose loro, proclamino come fondamento :

:

i

di

nazionabilità

il

principio

della

solidarietà

pur vogliono impedire che la proclamino Il

Papa, come aveva ben indovinato

il

i

reciproca, se

popoli stessi » (3).

Montanelli, cercava

non compromettersi maggiormente coll'Austria; e Carlo Alberto doveva lottare, oltre che con sé stesso, come abbiamo veduto, anche con ministri prudenti e diffidenti del Granducato, ai quali il movimento popolare mal contenuto in Roma ed in Toscana destava serie preoccupazioni per la conservazione e la solidità della monarchia sarda (4). Ed il Ricasoli, che intendeva ciò, cercava, ispirato dal -Balbo, di porvi rimedio assicurando gli uni e gli altri, ma non poteva celare, a chi di ragione, che due cause principali trattenevano il governo di Torino dal dichiararsi per Firenze contro di

(1) Ricasoli, Lettere e documenti, op. cit., I, pp. 23L-232. (2) Ricasoli, Lettere e documenti, op. cit., I, p. 234. (3) Patria, 46, 22 ottobre

1847.

(4) Ricasoli, Lettere e documenti, op. cit. , I, p. 152.


— 51 — Modena

la

:

deficienza militare toscana, ed

moti livornesi

i

che incominciavano, già nel novembre del 1847, ad assumere un aspetto pericoloso per le istituzioni che allora pre-

dominavano in Italia (1). Quello che il Ricasoli con il suo fare rude ed efficace in-

sieme dichiarava ne' rapporti inviati al Granduca nel novembre del 1847, liberali toscani avevano manifestato da vari mesi al paese. Non poco merito toccava al Salvagnoli anche perchè andato in Piemonte, quando l'Italia era agitata da ciò che avveniva in Ferrara, aveva, nel confron,to fatto con le milizie sarde, compreso lo stato deplorevole delle truppe granducali. Seguendo fedelmente gli ammaestramenti del Balbo, obbedendo a' suggerimenti del Capponi il quale dell'armamento del suo paese si era preoccupato da vario tempo, il Salvagnoli, ritornato in Firenze, aveva iniziato una attiva corrispondenza coli' autore delle Speranze, perchè egli contribuisse apertamente, coli' efficacia che egli solo i

poteva avere, a destare l'opinione pubblica toscana e a persuaderla del bisogno di occuparsi, oltre che di quisquilie sulle

forme politiche da

talia, della

Patria

preferirsi per

il

futuro assetto d'I-

difesa della propria terra, con il pubblicare nella

articoli

di

argomento

militare

appositamente com-

28 settembre 1847 all'illustre storico il Salvagnoli scriveva < Mandate, e subito, lettere militari, splendide, fulminanti». Il 30 settembre gli notificava con termini pieni di giubilo che, dopo la concessione della civica: «la gioposti. Il

:

ventù e

la virilità

sono a tutte a far gli esercizi > Ma il 2 « Per carità lettere militari, lettere .

ottobre tornava all'appello militari, lettere

militari.'...

viene?». Ed il 20 ottobre

:

E :

<

il

libro militare quando venne nella Patria la vostra

vostro

Ieri

nota: ecco come l'ho annunziata e prodotta. È piaciuta universalmente. Ora bisogna che mi scriviate una lettera non

lunga da pari vostro sulla difesa della Toscana secondo :

auoi nuovi confini. Ho bisogno ancora

di

una

i

lettera sul

modo di fare un esercito tosco-romano. Ma di queste due lettere

;

1

1

ho bisogno subito, subito, subito » (2).

Ricasoli, Lettere e documenti, op. cit. I, pp. 21^ i-'iGlS.

(2) Archivio nnU>o.Corri»fM)ìKletizti del conte Cesare lialbo. Lettera S.


— 52 — Salvagnoli avrebbe desiderato che

Il

dicato

tutta

sua energia

la

Toscana: ma

alla

il

Balbo avesse de-

Toscana e alla salvezza

che era vissuto in dimestichezza con l'illustre storico, doveva pur sapere bene che, per quanto laboriosissimo egli non poteva fare miracoli. Anzitutto l' autore delle Speranze era in quel tempo dietro ad alcuni suoi lavori che aveva iniziato da vari anni, notevoli fra gli altri uno sopra la morale cattolica e l'opera della chiesa nel della

egli,

corso dei secoli, l'altro sulle istituzioni

non

citare studi di politica estera;

necessità di dirigere

le

fila

del

costituzionali, per

in' secondo

ed

luogo la

movimento moderato ita-

senza perderne vantaggi faticosamente conseguiti in un luogo per sostenere con forza maggiore le vacillanti sorti in un altro, rischiando cosi di rovinare tutto l'edificio, dolori ed infine una salute malferma, e per l' età e per sofferti non potevano porre l'illustre storico in condizioni tali da dare al Salvagnoli quanto questi chiedeva. Tuttavia alla voce dell'amico fiorentino che gli chiedeva aiuto per salvare l'opera comune, il, Balbo non rimase sordo ed oltre

liano,

i

a lettere scritte a questo ed a quello, lettere ricche di condesideri del Salvasigli preziosi, egli cercò di soddisfare i

gnoli

nelle colonne della Patria alla prepa-

contribuendo

razione morale della popolazione toscana, per persuaderla del dovere che le la il

incombeva di dare denaro ed uomini per comune. Ed il primo pensiero l'ebbe

difesa della patria

15 settembre 1847, che in quel giorno egli gettò di primo

acchito un

abbozzo

di

articolo

sotto

la

forma

di

lettera

quale stabiliva criteri fondamentali da seguirsi per una rapida organizzazione militare di Roma e di Toscana. Quasi a dimostrare l'importanza dell'argomento egli prendeva come ispirazione la famosa frase amletiana to be or noi io bejhat fs the question ed esaminava che cosa dovessero compiere le sfere politiche di Firenze per rendere il grannella

i

ducato sicuro dagli

assalti

nemici e porlo in condizione tale

da cooperare con glialtri eserciti degli

moménto opportuno.

stati

italiani, quando

Balbo riteneva indispensabile per la Toscana una completa unione con Roma costituendo con essa una compagine militare tale da resi-

fosse arrivato

il

Il


— 53 — con efficacia

stere

stesso

agli Austriaci

e diminuire nel tempo

pressione delle soldatesche

la

monte. Erano

in

sostanza

i

concetti

di

già

li

ignorava e

li

sul Pie-

noti

a

chi

ma

il

popolo

volevano ignorare

i

stato al corrente della letteratura liberale,

gran parte

Vienna

fosse in

conserva-

tiepidi o coloro che, fautori di nuovi sistemi poed scorgevano nel neo guelfismo, la cui base era l'unione litici, dei principati italiani, lo ostacolo maggiore al conseguimento

tori

i

Il Balbo, dopo aver calcolato a mezzo numero dei combattenti che avrebbero potuto dare Roma e Toscana dimostrava la necessità di armarli ed invitava ogni cittadino di questi stati a versare una

delle loro finalità.

milione

il

quota proporzionata alle rispettive sostanze per acquistar e le munizioni indispensabili. Questo pensava di pub-

fucili

Patria: ma la sua idea vera era che ciascuno provvedesse direttamente al proprio armamento o a quello di persone che, atte al servizio militare, non fossero in condizione finanziaria tale da sostener una spesa siffatta « Si amano da molti le pubbliche dimostrazioni ^ scriveva in altro blicar nella

:

luogo,

ma

nello stesso

momento « delle quali, come delle

cose di questo mondo, alcune sono buone, alcune cattive, e molte mediocri. Ma la pili buona e la più bella, e pili

pili

pubblica, e più chiara e più seria e più efficace delle

dimostrazioni sarebbe provvedersi, ciascuno che possa, un'u-

non possa, domandarlo od anche accattarlo non sarà vergogna, se lo saprà portare »(1). da altrui, che E conchiudeva < Dia ciascuno la parte sua che può e ciascuno più ricco, per chi non può, volontariamente. Sarebbe stupendo se si facesse. È difficile a farsi. Ma è pur necessario. Essere o non essere questa è la questione Questa questione dell'armamento e quella seguente dell'ordinamento si potrebbero esporre con due parole sinonime: la prima è questione di denaro, la seconda è questione di vita: tutte e due son questioni di sacrificio: ma sacrificio niforme

:

e, chi

:

Portogallo scritti da uh Uffìc'ale //«/«/«o.Torino.Stamperia .Sociale degli Artisti TijH>grafi, 1847, p.2<)4, noltt a margine di C. B. : Archivio liaUìO. il

n,>,.r.,. ,t,il

.

XIII

A


;j4

davvero delle due cose, che costano davvero a sacrificare, danaro e vita. Chi non si sente di fare questi due sacrifici (tutti e due badiamo) non vada oltre in questo scritto, anzi non parli, non pensi, non entri in queste due cose, non dica di voler esser libero, di essere Italiano » (1). Nulla, sostanzialmente di nuovo, asseriva il Balbo ma le sue parole dette da lui, con la sua forza di persuasione ed in quel momento, acquistavano uno speciale valore: onde le preghiere continue del Salvagnoli. Di qui l'articolo che grande storico inviò alla Patria, ove comparve il 19 otil tobre 1847 (2) e gli altri che, abbozzati, furono pubblicati sotto altro nome. Ma il Balbo aveva in Toscana un aiuto efficacissimo ed il migliore collaboratore in Giacinto Col:

legno. Questi, per le

ben note

ragioni, stabilitosi

dal

1845 in

suo soggiorno definitivo in Piemonte non eragli ancora stato concesso, aveva dato tutto sé stesso al Firenze, che

il

trionfo dell'idea liberale per la quale aveva sofferto fin dalla

sua giovinezza; e, con l'esperienza che in fatto di cose militari

possedeva, si era prefisso di riorganizzare ed inquadrare

le milizie

e

la

guardia civica del granducato. Se

il

Balbo

era la mente, il Collegno era il braccio e ce ne possiamo per-

suadere sfogliando gli epistolari conosciuti ed inediti de' principali

uomini

politici, di

que' tempi, in Toscana. Il governo

granducale, dopo gli avvenimenti di Fivizzano, aveva affidato al

Collegno l'incarico di visitare le località dell'Appennino atte ad esser fortificate, affidando completamente al-

pili

piemontese la difesa del paese da eventuali invasioni da parte di Modena. E del come

l'antico e valente ufficiale

venisse stimato e valutato dai

piiì

capaci

liberali

toscani

non solo è prova la maniera con la quale lo si chiamava premurosamente a partecipare ad ogni manifestazione che avesse un reale significato: ma lo fanno comprendere le espressioni con le quali a lui essi si rivolgevano e di cui si

(1)

Archivio Balbo. Manoscrifti originali: abbozzi diversi di Cesare

Balbo, voi. vili, togli 357-358. (2)

Patria, 48, 19 ottobre 1847.


Oi>

servivano per parlarne fra di loro, nelle loro corrispondenze private basterebbe per tutti il Giusti, nelle lettere del novembre e del dicembre 1847 (1). Ma il vecchio soldato avrebbe desiderato una ricchezza minore di complimenti e :

chiacchiere e una quantità maggiore di

di

fatti;

e talvolta

disperava di poter conchiudere qualcosa di serio con xjuella

brava gente toscana, valente nel dichiarar guerra a discorsi, per ogni minima occasione, all'Austria, ma intollerante di ogni ferrea disciplina militare ed insofferente di sacrifici effettivi. Il

Collegno

si

faceva poche

fatiche e di quelle del Balbo: e

illusioni sull'esito delle

con

lui

sue

conveniva, sebbene

a malincuore, per un certo mal celato orgoglio paesano, il

che mascherava la sua disillusione con la sua satira che, se faceva male a chi era diretta, recava dolore maggiore a chi la scagliava: « Da una pianura melmosa » scriveva il poeta all'amico piemontese il 7 dicembre 1847 « e intristita dalla nebbia, un voltar di mondo ci ha lanciati altissimo e, assuefatti all'aria grossa, monte un di cima sulla non abbiamo ancora il polmone alla fine. Dunque, se vedi governo e popolo andar soggetti tuttavia a qualche colpaGiusti,

rello di tosse, incolpane l'ossigeno. Sono stati trentatrè anni

colle mani in mano lasciandosi

anco da' pimmei e

si

sono

mangiare la pappa in capo

ridotti

alla

miseria miserabilis-

sima di credersi piìi piccini della loro stessa piccolezza. Il fare un fermala all'Austria anco d'un quarto d'ora pare una monti son belli e accavallati e cosa da giganti e si che i

gran carro del nostro Giove tuonante da Vienna va soggetto a volte a inciampare in un osso di formica A noi il

abbonda l'ingegno, ma siccome non è diretto da forti istituzioni,

questo acume che

ci

porta a squattrinare

le

cose

minutissimamente. e a voltarle e rivoltarle per tutti gli aspetti

che hanno, invece ci

di

frutta perplessità e (lì

fruttarci

previdenza e deliberazione

sgomento. Siamo scettici nati, ai quali

Giusti, Epistolario, op. cit , III, pp. 3(», 48, 64,74. - Ottolbxohi,

Im tnta ed i tempi di Giacinto JVovana di Collegno, Torino, Loescher, 1882, pp. 77-81. - Ranalu, /y Mtoric Ifaliaue dal lH4<ì al 1863, Fii«'n/.»'.

\a'

Monnier, 1868, I, p. 286.


— 56 — siamo come ballerini filo, ma. sempre in aria » (1). Lo scetticismo del Giusti era ben poca cosa di fronte a quello del Collegno che, non volendo e non potendo aprirsi interamente con gli amici toscani, si sfogava la troppa luce abbarbaglia di

corda,

atti

il

cervello,

a camminar sopra

un

col Balbo. Questi avrebbe desiderato

cospiratore non milizie,

per

la

si

che l'opera dell'antico

fosse limitata solo all'ordinamento delle

ma, prendendo questo fatto come punto di partenza liberali del grandu-

sua azione, avesse diffuso fra

i

cato la persuasione di un'intima sincera collaborazione fra

due regioni italiane. Ma il Collegno, conosciuto l'amaveva compreso che molte speranze non si potevan fondare e cercava di richiamare alla realtà delle cose l'amico provato, cui ne gli anni, né l'esperienza amara della vita avevano spento l'entusiasmo e la fede. Così il 17 novembre 1847 il Collegno prospettava al Balbo lo stato militare e politico della Toscana « Ti avrei scritto prima d'ora se non aveste oramai in Piemonte giornali toscani, che ti dicono di Firenze tutto quello che te ne poteva dire io e spero bene che non giudichi di noi dagli articoli della Bilancia ripetuti dalla Gazzetta Torinese, né da quelli (Ìq\VAIlgemeine Zeitung che annunciavano che il Granduca le

biente,

:

voleva fuggire e porsi in salvo a Torino dal furor rivoluzionario toscano. Qui le cose interne procedono

bene

:

dacché

giunsi, cerco per ogni dove que' radicali anarchisti de' quali si finge temere un e non trovo chi parji di resistere a veruna delle disposizioni emanate dall'autorità. Se v'hanno

degli ardenti nella guardia civica, questi

dere armi per andare

alla

frontiera

si

limitano a chie-

modenese; dacché

il

governo ha spedito a Pietrasanta quasi tutta l'armata e affidata la sicurezza interna del paese ai civici, tutti sono concordi. Ora poi verrà l'adesione di

truppe torneranno

ai

Modena alla lega, le

loro quartieri, i civici alle lor case

;

si

promulgheranno le nuove leggi organiche, toscani saranno soddisfatti. Rimarrà però che siano soddisfatti anche quelli che si sentono italiani e che non credono sia rinata l'Italia i

(I)

Giusti, Epistolario, op. cit., Ili, pp. 48-51.


— 57 perchè si permette

lo

sventolare

di

ban(;jliere

screziate di

verde, rosso e bianco. Questi credono che la Toscana darà

qualche sacrifizio alla patria comune

questi vorrebbero che che pur ha da venire contro 300.000. Ma non sanno come persuadere al governo che oltre alla pace interna vi sono altri bisogni urgenti. Contro l'avversità esterne, diceva qui la Gazzetta di Firenze, abbiamo Leopoldo II e Dio. E appunto alla frontiera modenese di Val di Sachio hanno scritto gli Estensi Dio e Francesco V V'è anche qui chi grida armi, armi per ora, per^ il poi, per sempre. Ed il governo dice « non ci sono quattrini » e si ripete sottovoce Toscani non sono penseranno stati mai soldati piemontesi a difenderci se saremo minacciati d'oltre Po. Nei consigli del governo uno solo dei Ministri ha parlato della opportunità di creare un esercito o esercituccio ed è stato costretto al silenzio dai colleghi e più ancora dal supremo reggitore. Ora conviene lasciare che 1.6000.000 italiani si limitino ad avere due reggimenti di 1.000 uomini ciascuno, male armati, male eserovvero si dee spingere ed aiutare chi vorrebbe camcitati biare lo spirito antimilitare di questa provincia? A te non parrà vero che si possa esitare fra due partiti e a te lo dico francamente, che se in Toscana v'ha da sperare armamento, conviene che la cosa muova dal Piemonte. Il Capo militare della Lega Italiana ha dovere di esigere che tutti membri della lega contribuiscano alla difesa comune. Un monito benevolo, un consiglio fraterno da cognato a cognato deciderebbe la questione me lo ha fatto dire in confidenza quel ministro che osa parlare di armi > (1). Il Collegno voleva, più che una reazione immediata alle prepotenze di Modena, la preparazione lenta coscienziosa i

toscani

preparassero

si

alla

:

lotta,

i

:

i

:

:

i

:

i

:

i

:

alla

guerra dell'indipendenza, come avevano proclamato e

dimostrato

gli

scrittori

del liberalismo italiano.

Ma egli non

vedeva, come forse non lo intendeva lo stesso Balbo, che compiere ciò che si desiderava da loro, equivaleva a creare dal nulla

un complesso armonico, il che avrebbe richiesto

(1) Archivio

Balbo. Coin.^f,,,,,, ir, iza del Conti

(

r.xz/r

Halbo, Mtera C.


— 58 — tempo e spese gravissime. Queste ultime specialmente il governo toscano non poteva sopportare dopo la cessione nella lettera alil Collegno di assumersi la forza non si sentiva l'autore delle Speranze, le responsabilità di creare un esercito al granducato quando ne mancavano moltissimi mezzi. La poesia ed il sentimento non governavano gli Stati. Ma anche se il marchese Cosimo lo avesse voluto, avrebbero egli ed il Collegno trovato ostacolo quasi insuperabile nel popolo, che non doveva esser liberali e in quella specie di gente atta a confuso con trar partito da ogni notevole avvenimento per loro privati ed inqualificabiliinteressi.il concetto di un'Italia, divisa, fosse pure, in Stati federati, ma unita nella volontà e nei mezzi verso un'unico fine, non era inteso dalla gente toscana per la quale l'idealità non usciva fuori degli immediati bisogni materiali, lieta com'era del pacifico andamento delle cose sotto il governo granducale. E v'era inoltre la difficoltà rappresentata dalla diffidenza che esisteva in molti, e non tutti piemontesi il che rendeva del popolo lavoratore, contro al Balbo ed al Collegno e a' liberali del granducato che inpiù, tendevan come stesser le cose, ma che non erano aspro il cammino. Sarebbero essi riusciti a scuotere l'apatia di

Lucca. Il Ridolfi, cui alludeva

i

i

:

i

e a vincere

sospetti illuminando le coscienze della folla

i

mezzi da usare per costituire saldo in Toscana il senso della italianità ma erano necessari a ciò .tempo ed una continua opera di educazione civile e militare, sia con la pubblica stampa, sia con scritti che sulle finalità

da raggiungere e sopra

i

:

fossero stati composti da persone superiori ad ogni sospetto

e conosciute per

come già il

«

il

la loro integrità. Per

questo

il

Collegno,

Salvagnoli, esposta la condizione in cui versava

Granducato, pregava il Balbo che gli venisse in aiuto Pensa tu » gli diceva « se hai mezzo di far giungere qui

:

questo tale invito, questo tale consiglio. Pensaci insomma e fa

come giudichi, ma fa come se la cosa venisse da te solo o da chi vorrai, ma

non nominare me. Sto ora compilando quel da mettere in tasca ad ogni comandante di distaccamento in tempo di guerra ho girato, giorni sono, la frontiera modenese mi pare sapere come si farebbe a tratlibricciuolo

:

:


— 59 — tenere un corpo che volesse, come nel 1815, attraversare la

Toscana per minacciare poi a Tolentino chi si ritirasse dalle Marche ma tutto ciò a che serve, se non vi sono fucili e :

chi sappia servirsene ? Che

il

volere non basta in tal caso.

Non so se, nel caso previsto nei tuoi studi, Firenze, sarebbe pronta a quanto vorresti

:

ma credo che

vi

si

potrebbero

trovare parecchie migliaia di uomini da portare nell'Appen-

nino e farvi

guerra d'avamposti e prepararsi così a imci vuole sempre un nocciolo di truppa

la

prese maggiori. Ma

regolare per sostenere

il

coraggiosamente

:

si

la vita

anche vuole un'armata regolare o non

buon volere ci

chi

di

offre

fa nulla » (1). Il

Collegno ed

il

Balbo ragionavano come loro dettava supporre che si in-

l'anima di patriotti che non potevano

dugiasse un attimo solo

denza d'Italia

:

di

fronte al problema deirindipen-

ma erano spiriti vissuti nel dolore per questo

nobile fine. Non solo, ma erano, il Collegno, piìi

ancora di Cesare Balbo, uomini di azione e non riuscivano a comprendere le difficoltà che un governo come il toscano avrebbe incontrato nel costituire una armata vigorosa come la necessità richiedeva che non si poteva prevedere quale contegno avrebbe assunto l'Austria di fronte ad un improv:

viso destarsi di militarismo nel granducato. Più pratico del

cugino Cesare e dell'amico Collegno, Massimo D'Azeglio,

che da diplomatico qual'era valutava zione

in

cui

si

dibatteva

il

tutti

i

lati

della situa-

gabinetto fiorentino, cercava di

spiegare all'autore óeWe Speranze, i\ 14 novembre 1847, ciò

che non era riuscito al Collegno, il perchè ed il come Toscana non rispondeva all'appello come si sarebbe sperato da chi osservava gli avvenimenti fuor de' confini del granducato Qui tutto procede bene e .non ti lasciare spaven:

tare dalla chiassata fatta per Fivizzano e dalla crociata che

formava per andarlo a liberare con quattro parole di Rie un po' di guardia civica s'è subito sciolta. Tuttavia il governo avrebbe bisogno di forza morale, e questo sta si

:

dolfi

a

lui ; e

{\)

di forza

materiale, e ciò pure tocca a lui, pensarci

Archirio Balbo. Cornspondfnzn ttn tonte

<

! '

i!J}o,

irtimi i

;

.


- 60 — ma ha bisogno di spinta per vincere certe irresoluzioni e ritardi e dubbi ed altro. Ora ti

molto

utile

e

dico ufficialmente che sarebbe

che venisse

si, desidererebbe

di costì, dal go-

eccitamento a formare qui uno stato

verno, un consiglio

militare competente, mostrandone la necessità al

presente. E se a ciò

momento

aggiungesse qualche offerta di servizio per aiutare l'impianto, non sarebbe altro che bene. Ciò farà effetto e deciderà. Ora che non v'è piià Villamarina, non si

so a chi rivolgermi per ciò vedi tu se

ti

:

riesce fare

arri-

vare questo suggerimento là dove importa e procura d'esser felice negoziatore che farai probabilmente un gran bene» (1). I

due

liberali

piemontesi che

si

trovavano nel novembre

del 1847 in Toscana, se dissentivano nel giudicare in alcuni

suoi

lati

per

la

la

condizione politica e sociale del Granducato,

loro diversa natura, convenivano

nella imprescindi-

bilità, se volevasi giungere a qualcosa di serio, di organizzare questo Stato con sistemi usati nel regno sardo. E forse non erano molto lontani da quello che pensava in proposito

Carlo Alberto nei resoconti esposti o nelle lettere private agli amici o inviati agli uomini del suo governo, il Rica:

soli,

non per suo particolare sistema o per idea fissa, ma

per convinzione formatasi dall'esame della realtà, insisteva sulla questione di

concludere

il

problema degli armamenti

come quello che avrebbe avuto per soluzione immediata l'appoggio pieno e sicuro del Carignano.Ma ciò che

brava chiaro

al

barone Bettino, non pareva

sem-

altrettanto evi-

dente a molti che vedevano in questa voluta dichiarazione di

debolezza, nelle lusinghe e

negli inviti, piìi o

meno di-

retti

del Piemonte, mal celate intenzioni di intromettersi nelle

cose

di Stato. Ed

nanti toscani

eran geJosissimi della libertà loro

non ostante

le

nuove

dottrine e

la

i

goverconvin-

una unione reale gran parte dei liberali stessi del Granducato non si mostravano teneri di concedere la direzione delle cose proprie ad altri, fossero stati questi animati dalle migliori intenzioni, per una innata, reciproca diffidenza, non superata mai anche

zione che essi nutrivano del bisogno

di

11) Archiviò Balbo. Corrispondenza del Colite Cesare Balbo. Lettera A.

;


— 61 — dopo dolorose e lunghe esperienze. Organizzare l'esercito sì,

ma con ufficiali ed uomini

proprio

del

paese. I liberali

^toscani intendevano che affidare la sistemazione militare del

una missione sarda equivaleva ad aggrela Toscana al Piemonte facendone condividere la fortuna e la sventura ed era per essi rischio troppo pericoloso costringersi volontariamente in un sistema politico, del quale non comprendevano il valore ma prevedevano danni. È chiaro quindi dedurre che il desiderio del Collegno e loro territorio ad

gare implicitamente

:

i

del D'Azeglio, le aspirazioni del Balbo, le speranze segrete del gabinetto sardo e delle sfere militari piemontesi, rima-

sero insoddisfatte. Vi contribuì

forse

ciò

che avvenne

in

Firenze per festeggiare la concessione delle riforme fatta da

Carlo Alberto, che fu celebrata dal ministro sardo presso Leopoldo II e da alcuni circoli locali in maniera da destare la suscettibilità della la

fossero riconosciute

imposizione .

grande maggioranza

liberale toscana,

quale, se desiderava operare, voleva che le

come sua emanazione

di volontà altrui (1). Non si

sue azioni

diretta

e

non

poteva passare d'un

tratto dalla Toscanina ad uno stato che fosse parte di una grande nazione libera e forte (2). Questo compresero il Balbo ed il Collegno e desistendo dalla loro prima idea, cercarono,

specialmente

il

secondo, di dare

in

altro

modo, ma con

lo

stesso slancio, l'opera propria alla rigenerazione politica e militare toscana. Mezzo

scherzando e mezzo discorrendo il 17 dicembre 1847 all'autore delle Speranze < Qui la prima nuova della lega doganale e delle riforme vostre pare avere tolto ogni sospetto che l'Austria volesse un giorno mischiarsi delle cose toscane. Fino al novembre. dici;imo, siamo stati troppo piccini per sul serio egli scriveva così

ibGli epistolari degli uomini più in vista del liberalismo toscano ne gli scritti e le opere contemporanee sono concordi nel lamentare gli eccessi di piemontesismo del ministro sardo e di chi gli era vicino in tacciono

;

quell'occasione. Bai.uasseroxi, fjeopoldo //. op. cit.,p.2r>6.-ZoBi, >*»/oriVi civile ilella 7b.'»crt/ta,op.cit.,V', 243. Moxtanei, i.l, 3/pmone sull^Halia. op.

<it.,II,pp. KKJ-IOT. r>

7\\l< lU-l II. ]l.-ff'n,n /,'„,,v,,/;

,,T,

,

;.

IO


()2

abbiamo bisogno di pensare a resistere e rispondono così con un tuono di Giove Capitolino a chi parla d'armarsi » (1). Questo stesso^ concetto aveva in termini più amari espresso già al Balbo il 29 novembre 1847, quando, fresca l'impressione del disinganno sofferto, vedeva tutto nero nella questione degli armamenti granducali. « Qui sono decisi » asseriva nella suddetta lettera del 29 novembre « ad aumentar l' esercito e hanno ordinato la formazione di quattro compagnie di votentar di resistere. D'allora in poi, dicono, non

lontari. jMa la

tenuta

fin

volontà

qui in

vi si entri

manca a questi e la truppa

è stata

poco conto che è inutile sperare che

meno che per forza» (2). Vinta la reazione

del

primo momento, il Collegno si era rimesso al lavoro con costanza e serenità: e continuando nell'opera alla quale si era accinto, ne teneva informato il Balbo, come nella seA me poi hanno fatto l'onore di credere guente missiva che predicando si organizzasse un esercito e di chiedere se ne voleva il comando, e hanno finito coli' annunziare come misura di somma energia che l'esercito regolare, che è di tre o quattromila uomini, sarà portato nel 1848 a cinquemila. E di lì nessuno li persuaderà ad uscire se il capo militare della lega italiana non lo esige come condizione di sua protezione. D^\ resto tutto è da creare qui in punto :

<

spende ora ogni anno circa mezzo milione di ritiro; e permettere in ritiro gli incapaci di servire attivamente, converrebbe forse spendere il doppio. Il materiale di artiglieria dipende dal Regio Comando militare, militare: si

pensioni in

cioè dal

pili

vecchio degli Ufficiali

di

Fanteria: il materiale

del genio dallo Scrittoio della Regia Fabbrica e Giardini. Ca-

fonda poco. Quando giunsi qui fine d'ottobre, cercai del Ministro della Guerra e lo vidi un minuto dopo vari tentativi. Scritto un primo articolo sulla Patria (3) mi si disse di mettere per iscritto le misure che dopirai

che con queste basi

si

[l) Archivio Balbo. Corrispondenza del Conte Cesare Balbo. Lettera C. \2ì Archivio Balbo. Corrispondenza del Conte Cesare Balbo. Lettera C.

(3)11 Collegno scrisse vari articoli, nel novembre e nel dicembre 1847, di argomento militare nella Patria.lsel n. 67, 13 novembre 18i7 e nel n. 80, 26 novembre 1847 trattava della difesa della Toscana contro un eventuale


>:$

— la persona che le prenon se ne fa nulla. Con-

vevansi adottare furono presentate :

sentò mi disse per sola risposta clusione

:

da Torino, se volete

batti

date qui un

:

:

si

faccia qualcosa. iMan-

uomo di attività e di spirito (invece dell'ottimo

Carrega che starebbe benissimo a Bruxelles o a Pekino) (1) e questo abbia missione di esigere che si armi. Ricasoli, che fu a Genova tutto novembre, dice che gli fu detto « in caso di guerra faccia la Toscana di reggere tre giorni ed lo farò il resto». Tre giorni è una gasconnade ma tre settimane basterebbero a parer mio ebbene non si resisterebbe tre ore e il Duca di Modena ne ha la ferma convinzione coi soli mezzi propri verrebbe fino alle porte di Firenze quando che sia! Il piano del governo, e se ne stimano come di misura energica, sarebbe in caso d'invasione di ritirarsi a Portoferraio e protestare lasciando il paese di fare quello che volesse fare, come lasciarono Fivizzano. Vedi se siamo lontani dal poter fare una diversione nella valle del Po in caso :

:

:

fosse assaltato

il

Piemonte. Dunque sappiatelo bene:o esi-

gete voi che ritalia collegata pensi alla organizzazione militare

principiando dall'abbicci o preparatevi ad essere soli

a trattare nuti

il

secondi

ruvido ferro. Ti dico che ho veduto per 45 miin

tutto e per

tutto

ho veduto per 45 minuti primi

il

ministro della guerra:

comandante d'artiglieria, ma al quale hanno fatto credere ch'io volessi contrastargli posto. Pensa s'io

vecchio militare dell'esercito

il

italiano,

il

possa qui servire a

qualcuno » (2). L'amarezza e l'ironia del Collegno trovavano profonda rispondenza in molti liberali toscani cui non poteva l'affetto per il proprio paese togliere l'esatta conoscenza dello stato delle cose. La lettera del patriotta piemontese era stata scritta il 17 dicembre 1847 e fin dal 3 dello stesso mese, pur rimanendo salvo l'onore del governo e del paese, cui tanto teneva il Ridolfi, la questione fivizzanese era stata attacco austriaco

:

far collocare

nel n.88,4 dicembre 1B47. Rtii<liava il modopit\ rapido

per armare la guardia civica di cannoni.

(1)BaLI)ASSERONI, //Wpo/rfo //

'"

della ToMcana, op. cit., V, p. 248. 2} Archivio Balbo. CorrispondeiiZii Jil Conte t'wu/c ISalljo.Letleia t'.


_ 64 — sciolta in modo favorevole al

Duca di Modena, prima perchè

così doveva essere per virtìi delle convenzioni diplomatiche prestabilite, poi, e piti specialmente, perchè

erano mancati mezzi efficaci per imporsi al nemico e quelli indispensabili per cattivarsi gli amici ed simpatizzanti. Il Ricasoli, che, appena giunto in Piemonte, aveva compreso la condizione reale de' fatti, non aveva un sol giorno cessato dal predicare la necessità delle armi e partendo da Torino, il 2 dicembre 1847, inviava al fratello Vincenzo ampli schiarimenti intorno al modo con cui comportarsi nella campagna sostenuta dalla Patria per domandare pronti e stabili armamenti. Il 4 dicembre al Des Ambrois il barone Beta Firenze

i

i

;

di modello piemontese per le miche gli era concesso e comunicato del 7 dello stesso mese. Non solo, ma il Rica-

tino

chiedeva mille fucili

lizie

civiche toscane

con

lettera

:

il

non celava al Granduca la imperiosa necessità di fortificare la Toscana, quando il Sovrano lo aveva chiamato 15 dicembre 1847 per offrirgli la carica di gonfaloniere il di Firenze (1). Concordando in molti punti con il Collegno, egli proponeva al Ridolfi, poco tempo dopo il suo ritorno da Torino, che le truppe del Granducato si uniformassero a quelle del Re di Sardegna (2). Al Ricasoli si unirono coloro che erano rimasti umiliati dal contegno del Re di Piemonte e del Papa da un lato, dalla forza di Francesco V dall'altro, ed amareggiati dalla soli

impossibilità di convincere

condo.

primi e di fronteggiare

i

il

se-

Giusti, scotendo la sua innata indolenza non solo

Il

prendeva parte attiva alla campagna per un pronto armama lavorava presso suoi amici perchè lo coadiu-

mento,

i

vassero

in

quest'opera

di

rigenerazione morale. Sfogliando

suo epistolario dalla metà del novembre 1847 ai giorni che precedettero immediatamente la guerra intendiamo quale ardore ponesse il poeta nel convincere dubbiosi e nell'incitare lenti perchè dessero tutti loro stessi alla causa che egli aveva abbracciata (3). Il Montanelli agiva coll'entuil

i

i

(1) Ricasoli, Lettere e rfocwme/^^^,op.cit.,pp. 265-279-281-283-290. \2) Ricasoli, Lettere e documenti., op. cit., 1, p. 285.

(3) Giusti, Memorie, op. cit., pp. 134 e seg. Id., Epistolario, op. cit., Ili,


— 65 — siasmo suo proprio liberali

ed anche nel campo de' radicali e de'

:

più spinti era sostenuta con la

pili

forte energia la

necessità di una salda compagine militare. L'Alba per la gopenna del La Farina il 24 novembre 1847 flagellava vernanti toscani per avere lasciato il paese in una deplorevole debolezza morale ed invocava che fosse posto imi

mediato rimedio a tanta negligenza: il 17 dicembre tornava sullo stesso argomento, quando, scagliandosi contro le arti della diplomazia, asseriva esser

dovere dei popoli

vedere con

loro

le

proprie

lismo toscano, che

moderata a'

alla

forze

ai

ispiravasi

più energica,

concetti sostenuti dal

si

alla

bisogni (1).

idea liberale

univa

in

fogli

il

prov-

giorna-

dalla

pili

questo argomento

La Farina, primi organi la Patria

e X Italia, che, per gli uomini da' quali eran i

Il

più importanti della pubblica opinione

erano grandu-

diretti,

del

cato ed esercitavanvi la più larga influenza.

Di fronte a tale manifestazione dell'anima toscana

i

mi-

nistri di Leopoldo II non

potevano rimanere indifferenti, tanto più che gli avvenimenti avevano dimostrato loro il bisogno di essere forti. Ma non fecero quanto avrebbero potuto, non ostante le deplorevoli condizioni economiche, se avessero voluto cogliere il momento favorevole e non agisaputo rono come potevasi attendere da uomini che, come loro, erano stati chiamati ad inaugurare un nuovo sistema di governo, fondato su una schietta italianità. La storia ci dirà, un giorno, compiutamente le ragioni di questa maniera di mezzi che abbiamo, non riesce chiaroagire, che a noi, con d'intendere nelle sue titubanze e nelle sue contraddizioni. ministri di Leopoldo II insistevano sul Mentre da un lato doversi ottenere una soluzione favorevole alla Toscana nella i

i

vertenza lunense, dall'altro trascuravano gli elementi indispensabili per conseguire lo scopo prefissosi. Certo è che si

dovettero trovare impreparati, non

pur militarmente, ma

politicamente e diplomaticamente, onde

quel vagolare

da

cfr. le prime 9<i pagine del volume che sono ispirate tutte allo stesso con-

cetto. 1

1

VAlba^ 8(). 24 novembre 1847 « Armi ed armati », n. 90, 17 dicembre

IHtT « La Diplomazia », 114,6 gennaio 1848 t Questione Pontremoleee >.


— un

partito all'altro, quel

()()

piegare, mascherato da una

don-

chisciottesca alterezza, che caratterizzò l'opera del ministero Ridolfi nelle trattative per Fivizzano. Considerati individual-

mente molti

del gabinetto presieduto dal marchese Cosimo,

e forse questi stesso, pensavano in

modo diverso dal come

agivano in qualità di uomini di Stato ma, anche riconoscendo :

le

immense difficoltà tra le quali si eran venuti a trovare

ammettere che la non fu all'altezza della loro dignità e della loro missione. E ce ne può dare una idea quello che il conte per colpa non tutta loro, è indiscutibile loro condotta

R. Agostini scriveva al Centofanti

il

2 'dicembre 1847 a pro-

posito di una visita fatta dal Ridolfi per supplicarlo di non

abbandonare, come abbandonava, le terre toscane reclamate dal Duca di Modena

« Torno in questo momento dalla breve udienza che ho avuto dal Ridolfi. Mi ha ricevuto con indif-

ferenza

:

somma e con

freddezza invincibile. Ho procurato

ma inutilmente. Solo mi ha detto che la nostra causa è rimessa all'arbitrato di Pio IX e Carlo Alberto, ma che frattanto conveniva a noi di stare a vedere tranquillamente quello chQ ne sarà. Quanto poi al passato, mi ha fatto capire che se il Duca di Modena persisteva anche senza le sue donchisciottate nella determinazione di di rimetterlo sulla questione,

voler Fivizzano, la Toscana lo avrebbe ceduto perchè così trattati. Questa parola trattati mi ha fatto monsangue alla testa, in maniera che nel dubbio di non sapermi contenere ho preferito il silenzio a inutili spiegazioni e nie ne sono venuto via. Capirete che debbo essere e sono sconsolatissimo» (1). Se la relazione del Conte Agostini non rispondeva com-

parlavano

tare

i

il

pletamente alla realtà per il risentimento, che il nobile signore doveva provare contro l'uomo di Stato per la sua supina acquiescenza alla forza degli eventi, acquiescenza, in

questo caso, forse esagerata, per calmare gli animi ecfacendo loro vedere che, anche chi avrebbe potuto,

citati,

non osava levare alta la voce, cedendo ad una forza sudi ^rc^ùvo di Stato di Pina. Lascito Centofanti. Corrispondenza. Let..tera A.


ti;

periore a quella delle armi stesse e del diritto dei popoli,

è certo che il Ridolfi non aveva nella questione fivizzanese avuto uno slancio, compiuto un atto che avesse dimostrato in lui e nei suoi collaboratori

un'anima italiana, una intel-

ligenza piena della realtà dei problemi italici. Se la coscienza della propria debolezza li aveva messi in condizione di es-

Duca Modena, v'era pur sempre da ricordarsi la recente con-

sere matematicamente incapaci di sollevarsi contro di

dotta del Ciacchi, che aveva dovuto cedere

puto ce(^ere.

E

se

le

quale

si

elevava

ma aveva sa-

armi austriache avevano

eransi arrestate di fronte la

;

alla

il

piegato od

porpora cardinalizia, dietro

la figura ieratica del

Pontefice riforma-

accanto ad un ministero Toscano che avesse nobilmente dimostrate al mondo, e non con parole sole e queste

tore,

vuote e fredde, come nel

il

diritto dei

popoli fosse conculcato,

modo piiì brutale, dalla forza cieca e dalla diplomazia

reazionaria ed impedito nella propria esplicazione dal desiderio solo di risparmiare dolorosi eventi al paese, sarebbe

sorta

l'Italia

con 'le sue forze

migliori.

Ma sarebbe stato

necessario agire con pienezza di volontà. Schierarsi since-

ramente con chi anelava ad un giorno migliore; cadere, ora, ma cadere di fronte, per rialzarsi piìi forti e più alti il dì della riscossa. E non temere chi avrebbe dovuto essere il compagno più fido, non limitare adesioni ed impedire preparazione militare e morale non tentennare tra una politica di piena libertà ed una di reazione più o meno addolcita. Ma il ministero Ridolfi non aveva saputo trovare questa via che avrebbe richiesto caratteri adamantini e ferree volontà. Posto tra lo spavento di una invasione, la quale poteva servire di spauracchio, ma che una serie di circostanze avrebbe impedito al momento opportuno, con l'incubo delle conseguenze che alla dólce vita Toscana avrebbe arrecato, ed il timore di una politica italiana, la quale avrebbe coinvolto il Granducato con il Piemonte formando delle due signorie un organismo in cui Tuna e l'altra superficialmente avrebbero conservato la propria indipendenza e le proprie organizzazioni, per costituire sostanzialmente un ente militare e politico solo titubante tra il darsi anima e corpo :

:


— 08 alla causa italiana ed il soave, lento, neghittoso andazzo abi-

tuale della vita, senza eccessive scosse, come

un carretto da un asino, sotto il sole di luglio, che va piano per le ampie strade maremmane, che sussulta ad un ciottolo che incontra qua e là, ma che continua la sua placida via, contentandosi della lieve ombra degli alberi radi paventando che. una politica finanziaria energica, indispensabile per affrontare le spese della organizzazione bellica, gli avrebbe sollevato il ceto dei ricchi ed il clero de' quali aveva tanto bisogno per vivere: ed infine tremante al primo soffio di tempesta che venivagli dal partito repubblicano e ritenendo che Tiniziare una politica di italianità, in collaborazione con sollevato la ribellione di chi, cheto nelil Piemonte, avrebbe l'attesa, non avrebbe voluto mai, l'aiuto della*monarchia sarda per l'indipendenza d'Italia; il ministero Ridolfi aveva piegato un po' a destra ed un po' a sinistra, sorridendo agli uni ed agli altri facendo un cenno d'intesa, tutti cercando di tenere a bada e non soddisfacendo nessuno tentando di mascherare la propria debplezza con un'improvvisa mostra di energia e svelando in ogni sua manifestazione la sua fiacca

tirato

:

:

costituzione e la decrepitezza dell'organismo statale.

E

se ne erano accorti

amici

e

nemici

:

fossero

questi

Austriaci e Modenesi o repubblicani, che, prendendo a pre: testo la condotta tenuta per Fivizzano e gridando essere il

paese

alla

rovina per l'ignavia ministeriale, cercavano

di

loro interessi e Granducato a subbuglio per sollevare lo sapevano altresì gli amici interni che tacevano per amore di patria e gli esterni che, non potendo fidarsi degli uomini di Stato toscani, non volevano per costoro compromettere tutta la causa della libertà d'Italia. Il Ridolfi non aveva compreso che un governo fiacco, incapace di una affermazione non poteva che condurre alla rovina il paese non aveva capito che era meglio cadere, ma in piedi, sprofondando anche nell'abisso senza speranza di scampo, piuttosto che ginocchi a questo e a quello, divenendo ludibrio piegare di neri e di rossi. Onde quegli uomini, che avevano fatto sperare tanto di loro, non perchè si fosse creduto che essi avessero potuto cambiare d'un tratto lo stato politico e moil

i

:

:

i


— 69 — rale toscano, ma

perchè avrebbero inaugurato un nuovo

mondo nel Granducato, facendovi alitare uno spirito di itaed elevatezza, avevano piegato al primo ad operare come sarebbe stato necessario per la Toscana e per l'Italia. E le persone che avrebbero potuto aiutarli eran tenute lontane. Nella disgregazione delle forze sane del paese prendeva vita sempre maggiore l'elemento torbido e violento, che invano cercavasi di ricacciare donde era uscito con paliativi esso aveva inteso di non avere di fronte a sé una volontà capace di dominarlo e di stritolarlo. Cosciente di questa debolianità, di

forza

urto, dimostrando la loro incapacità

:

lezza, cresceva nell'ombra, preparandosi nell'ombra, macchi-

nando nell'ombra la rovina della libertà della Toscana che nelle sollevazioni che avvenivan qua e là nel Granducato :

tramonto del 1847 si delineavano le sventure che dovevano nell'aprile di due anni dopò piombare sulla terra di Dante, ove le milizie austriache avrebbero cosparso in

quel

le

strade di Firenze, le mura di Livorno, di generoso sangue

triste

italiano.

Eugenio Passamonti.

Il Riéorg,

itat.,Xni


LETTERE INEDITE

DI

CARLO ROTTA

AL FIGLIO SCIPIONE (Cont.

:

y.Il Risorgimento italiano, vol.XI-XIl, f.III, p. 211

LETTERE INEDITE (1). I.

Paris 10 septembre 1834.

Mon cher Sclpion, Je continue d'aller de mieux en mieux(2j.J'ai regu ta chère lettre

du 4 courant.Je suis bien charme que tu te trouves si bien dans ta nouvelle situation (3).J'aurais bien désiré que tu n'eusses pas pese sur la (1) Le lettere di Carlo Botta al figlio Scipione conservate nell'archivio Fontana sono 52, cioè 18 del 1834, 10 del 1885, 15 del 1836 e 9 del 1837 sono tutte autografe e inedite. Argomento predominante in esse sono le notizie personali dello storico e degli altri due figli di lui rarissimamente ;

;

l'argomento varca la cerchia delle pareti domestiche. L'importanza loro dunque, se si eccettuano forse le diciannove qui riprodotte, è molto limitata. Di un'altra lettera inedita del B. al figlio Scipione trovasi la copia

manoscritta nella Biblioteca Civica di Torino. Una sola (2 marzo 1837) è edita nel primo voi. del Viaggio ecc., p. vi è la lettera con la quale lo sto:

rico dedica al figlio la traduzione e della quale

si

parla nella lettera xiii

di questa breve raccolta.

Avvertasi che le lettere che qui vedono la luce furono trascritte fedelmente dagli autografi, dei quali riproducono la forma genuina anche nei casi in cui la grammatica e rortografia,specialmente nei riguardi dell'accentuazione, non sono rigorosamente rispettate dallo scrittore. I casi nei quali si tratta evidentemente di sviste di lui sono contrassegnati col (sic). (2) Già in questo tempo lo storico era di quando in quando

tormentato

da una malattia della vescica questo male, aggravatosi in seguito e divenuto cronico, non lo abbandonò più, (3) Scipione Botta da quasi tre mesi era stabilito in Torino, dove lavorava come intagliatore. Egli era partito da Parigi il giorno 17 giugno (lett. ined.l6 giugno 1834 al FiUi archivio Fontana), e nei primi tempi era stato ;

;


— 71 — bourse de mes amis pour les avances que tu as eté obligé de faire;ce 8ont de nouvelles obligations que je leur ai (l).Tu as-donc,toi,des amis

de papiers à Turin.Le mal maintenant est faitCest à toi à le réparer

en restituant ces fonds sur les premiers fruits de ton travail.ll ya là de-

dans une délicatesse extrème.Songes y à chaque instant ;et ne te livre pas à ton indotence accoutumée;mon nom et toutes mes affections y sont intéressés.C'est une chose terrible.

La caisse pour l'académie est prète à partir.Paul Emile à écrit au président ; Tambassade a bien voulu se charger de la lettre (3). Je suis étonné que tu me parie (sic) encore de m.» Hocquart.

M.«Palandre est venue pour me voir, il y a trois jourg.Je n'ai pas voulu la recevoir à cause de la conduite indigne qu'elle a tenue envers toi. Elle à

demandé où tu étais;on lui a dit à Turin.3e ne serais pas

étonné qu' un beau jour cette femme vagabonde ne te tombàt sur les croustes à Turin \S). Scipion, mon cher Scipion,ta bonasserie te perdra.Et si cela arrivo,

je serais obligé de t'abandonner.Rappelle toi de ce que je te dis

ici

dans mon lit.Si tu veux te marier, et je le désire beaucoup.Tu trouveras en Piémont bien mieux que des femmes de salon e,t des vagabondes.

EUes ne seront peut-étre pas si brillantes,mais elles seront à coup sur plus aimables et meilleures ménagères il ne peut sortir que de mal de :

m.« Palandre.En te disant cela, je crois remplir un grand devoir envers toi,

mon cher Scipion ;c'est un pére qui te chérit qui te parie ainsi et

avec le coeur tout ému.

Encore une faute que ton indolence fa faitcommettre.Pourquoi n'astu pas écrit à mr.Lallemand aussitòt après la reception de la machi-

ne? (4) Est-ce avec cette négligence qu'on répond aux attentions de ses

ospite del doti. Giovanni Giordano, ano dei più saldi amici di suo padre (cfr. le lettere del B. al Giordano in Ijettere di C.lì.,1b 8egg,Tonno,1841).

(DQuesti amici dello storico erano il Marchisio e il Giordano (lett.ined. 22 ottobre 1834, nella quale il B. raccomanda al figlio di restituire a questi suoi amici il denaro avutone in prestito). (2)À questa cassa, contenente preziosi esemplari di piante raccolte da P.E. Botta nA* suoi viaggi di esplorazione scientifica in varie parti del

mondo e inviata al Museo di Storia naturale di Torino, acocimii pure Scipione Botta {op. ci/., 65, nota 2*). (S) Tradazione letterale di un'espressione piemontese corrispondente al-

l'italiana « capitar tra capo e collo » (4)11 Lallemand era un incisore, probabilmente quello

che avviò nella

propria arte il figlio dello storico, e al quale parecchi anni prima questi

aveva 8{)erato di poter associare il figlio stesso (lettera da Parigi, 18 raag-


72

amis?Certes,dans l'état où je suisje ne puis ni lui écrire, ni rien

lui

faire diie.Tu te tireras de là,comme tu pourras.C'est vraiment honteux.

Je commence à croire que ta paresse est incurable,et bien certaine-

ment elle est inexusable. Il

(l)petite vìnt à Paris pour

valait bien la peine, vraiment que ce

se meubler la caboche de pareilles sottises!

Mon cher Scipion,je te prie de ne pas t'affliger de ce que je fai écrit d'autre part;je te vois maintenant dans une situation si heureuse et si

promettante que je tremble à la seule pensée que quelque chose

puisse venir de Paris pour la troubler; pardonne moi mes expressions

un peu chagrines. Donne de mes nouvelles à mes amis;je me porte mieux,beaucoup mieux. Paul Emile Sembrasse et fera ta commission.

La caisse des livres est-elle arrivée? Je t'embrasse dans toute l'effusion de mon coeur.

Ton aflf.épère Charles Botta. IL Paris, 29 septembre 1834.

Cher Scipion.J'ajoute deux mots à la lettre de Paul Emile (2). Je te prie de nouveau d'oublier tout à fait ma lettre qui t'a fait de la peine. J'étais souftrant lorsque je récrivais,et l'arrivée de m.e Pallandre dans

ce moment là a bouleversé toutes mes idées.Comment as-tu pu t'imma-

giner (sic) que tu cesserais un instant d'étre n'est pas, cela ne peut pas étre,et cela

mon cher Scipion?Cela

ne sera jamais.Ainsi,oublions

tout cela,je t'en prie.

gio 1826 al Balbis, in Zvccin, Lettere inedite di Carlo Botta a G.B.Balbis, estr. dalla Miscellanea di studi storici in onore di G. Sforza, Lucca, 1915).

Da quattro lettere inedite al figlio Scipione, anteriori alla presente, si rileva che il Lallemand curò con grande premura presso

un meccanico pa-

rigino la costruzione della macchina da stampa delle incisioni qui nominata. In altre undici lettere del 1834 e dei due anni successivi, cinque delle

quali seguono in questa raccolta, si parla di questo incisore, per

il

lo storico mostra un profondo e

quale

premuroso interessamento. Se ne rileva inoltre ch'egli nel gennaio del 1836 si trasferì da Parigi a Torino, condottovi da Alberto della Marmora.E tra le tavole, incise da Scipione Botta per una delle opere del Gene e delle quali si parlerà in seguito, se ne trova una firmata da « S. Botta » e da « A. Lallemand ». (1) Parola illeggibile. (2) Scritta sul medesimo foglio che contiene questa dello storico.


— 73 Après demain ou vendredi prochain en envoyant mes certiflcats de vie à mr.FilliJe le prierai de te remettre 200 f. à prendre sur l'excédant de mes pensiona sur la sienne(l).Ce sera un à compte et en déduction des 500 f. queje fai assignés sur les revenus de St.Georges.Je lui écrirai aussi de te remettre,s'il le peut,quelque

somme sur les dits

revenus, mais je ne sais,s'il le pourra.J'écris ci-dessous deux mots à l'ami Giordano que tu lui feras voir.J'écris aujourdhui(stc) à Marchisio

et à Oviglio (2).Je t'embrasse du fond de mon coeur.

Ton aflf.* pere Cliarles Botta. III.

Paris 20 fevrier 1835.

PlaceSt.SulpiceN.8.

Mon cher Scipion, Lorsque ma maladie était menagantej'ai regretté de n'avoir pas fait d'avance quelques dispositions testamentaires qui

me parassaient

nécessaires pour vous épargner, après ma mort, des difflcultés et des

embarras.Pour ne plus me trouver dans le méme cas, je viens de faire

mon testament olographe en doublé originai dont un,comme tu verras, resterà dans mes papiers, l'autre est celui queje t'envoie ci-joint. Liis le attentivement et conserve le soigneusement sous

clef.Comme e* est

(Dintorno alle pensioni, di cui erano fomiti il Botta in Piemonte e il Filli in Francia cfr. nell'introduzione la nota che riguarda il Filli. (2) Stanislao Marchisio (1773- 1859), scrittore non spregevole dlcommedie

(Opere fea/ra/i di' S.M., Milano, 1820,4 voli.), fu amico di vari

letterati,

come il Foscolo, il Grassi, l'Ugoni, il Pellico, il Botta. Ma l'amicizia sua con quest'ultimo fu più viva e più affettuosa che con gli altri per lo sto;

rico il Marchisio fu l'amico del cuore nella vecchiaia.il copioso carteggio, 'che con lui tenne il Botta dal 1821 fino alla

morte, si conserva nella Bi-

blioteca di S.M. il Re, in Torino (Cfr.la mia « bibliografìa > bottiana,stam-

pata già in parte in II HLsorgimento italiano, n. s. IX, 4.°, 806-807.

L'Oviglio era un vecchio amico di gioventù, col quale lo storico nei tempi della Rivoluzione aveva tenuto carteggio ìPave.sio, />€//. in. rfi C. li., 72, 112, 140, Faenza, 1875). In quei tempi l'Oviglio era ufficiale nell'esercito cisalpino. L'amicizia loro non scemò col tempo e quando, nel 1824, il B.si trovò impacciato riguardo alla publicazione della St. cflLdal 1789 al 1814, che nessun editore volle stampare a proprie 8pe8e,l'Ov>glio si offerse di sostenere la spesa della stampa, benché poi non potesse mantenere la promessa. E la storia fu i>oi stampata,com'è noto, a spese del cav. Poggi di Piacenza, altro amico e ammiratore del B.,d^ quale era stato collega nel Corpo legislativo. ;


— 74 — une affaire de famille, il n'est pas nécessaire d'en parler, et tu le garderas uniquement pour toi.Accuse m'en la reception. J'ai recu hier ta lettre du 13 courant.Je vois avec beaucoup

sir quetu as de l'ouvrage, que tu travailles,etespères

de plai-

pouvoir payer

tes dettes sous peu de tems.Quant à ton désir de te marier, je le trouve

très légitime,et je voudrais bien le voir accompli.Selon toutes les ap-

parences,tu es le seul parmi mes enfants qui sera dans le cas de se marier, et je désire de tout

mon coeur que tu effectues ce projet.

Tu feras bien de voir mr.de Saluces pour ton J.J.(l).Tu lui presenteras mes compliments.Je ne doute pas qu'il ne s'emploie pour te faire avoir ces oeuvres, surto ut si tu lui dis, que tu es incapable d'en abuser,

que tu les garderas absolument pour toi,et que cette édition t'est chère, parceque c'est le don et le souvenir d'un ami que tu aimes beaucoup. Dis à notre bon et cher Giordano que j'ai recu hier la lettre du 14 courant,que je suis charme qu'il aitrecu les Instruments de chirurgie

que je lui ai envoyés.Dis lui aussi combien j'ai été aflfecté de la maladie de son jeune et bien intéressant Scipion.J'ai senti d'autant plus vive-

ment le contrecoup de ce malheur, que moi méme je me suis trouvé dans de pareilles transes pour Paul Emile qui disséquant des cadavres

à Rouen avait contraté (sic) une maladie affreuse(2).J'écrirai un de ces jours àGiordano.Disluique masantévatoujours s'améliorantquoique

lentement.Mes urines sont beaucoup plus libres, mais je suis encore obligé de me servir de tems en tems de la sonde.J'aime bien les bons conseils qu'il me donne,et je ne tarderai pas à en profiter,si mon mal

ne se dissipe pas tout à fait sous très peu de tems.

Paul Emile se porte bien et te salue.ll a entendu deux ou trois fois le nouvel opera des Puritani de Bellini et il en est enchanté.Marbout

(1) « Jean Jacque Rousseau » .Tra i libri spediti dal B.al figlio e dei quali

è cenno in fondo alla lettera I, un'opera del filosofo francese era stata se-

questrata durante la visita doganale. Il voi. fu più tardi consegnato al le-

gittimo proprietario

;

ma la pratica fu lunga e laboriosa e fu risolta solo

per l'intromissione di uomini autore voli. Cfr. a questo proposito la lettera

bottiana da me edita in II Risorgimento italiano, n.s.,YlIl,S.°-A.°, 457,

Torino, 1916.

Mr.de Saluces è il conte Cesare Saluzzo di Monesiglio (1777-1853Ì, segretario perpetuo della Classe di Lettere della R. Accademia delle Scienze di

Torino, il quale fu in rapporti di benevola amicizia con lo storico, che spesso parla di lui nelle sue lettere al figlio e ad altri. (2) Di questo pericolo corso dal fratello suo Paolo Emilio parla Scipione

Botta nella citata biografia di suo padre (pp. 54-55).


— /o — se rappelle à ton bon souvenir: il est tocgours fort bon gargon et très

attaché à Paul Eriiile (1). J'ai des nouvelles fraiches deCincinnatus par une lettre qu'il à écrite

à mr.Littardi qui est en ce

moment à Paris et me l'a communiquée.ll pour étre promù à une sous-

est maintenant en très bonne position

lieutance (sic); car il est porte le premier et avec d'exellentes notes

sur le tableau d'avancementde la dernière inspection.Nous ferons tous

nos etforts ici pour obtenir enfln cette sous-lieutenance.Cincinnatus se plaint de toi à cause que tu ne lui écris pas.

Paul Marochetti est marie depuis avanthier.il est venu me voir hier

au soir avec son épouse qui est fort aimableril est très cortent(2). Dis à Giordano de faire savoir à Carena que je n'ai pas encore regu le volume de Tacadémie (3).Di8 lui ausai que j'ai écrit à notre ami Mar-

1

1

1

La frequenza con la quale il B., nelle sue lettere al figlio, nomina

questo Marbout, che accompagnò il suo Paolo Emilio nel viaggio in Arabia e altrove, fa pensare ch'egli fosse un suo fedele servitore. (2) Fratello secondogenito del famoso scultore Carlo Marocchetti.I due fratelli dimoravano in Parigi, dove fin dal

1821 era morto

il

loro padre

Vincenzo, avvocato presso quel Consiglio di Stato, e che era vissuto in fraterna amicizia col Botta.Ricchi di censo, essi ospitarono spesso il vecchio storico nella loro villa di Vaux-sur-Seine.Di quest'ospitalità trovansi

frequenti cenni nelle lettere bottiane (Cfr.il mio studio sopra l'epistolario di C.B in // Risorgimento italiano, n, s ,VIII, 456, n. 3.», Torino, 1916). (3i Giacinto Carena (1779-I859i di Carmagnola

(Torino) era Segretario

della R. Accademia delle Scienze di Torino. Il Botta fin dal 17 gennaio 1801

era stato eletto membro dell'Accademia, come « Socio nazionale residente» della Classe di Scienze tìsiche, matematiche e naturali.

Ma alla restaura-

zione, nel 1815, quando l'Accademia fu ricostituita come era al 1" gennaio 18r»f», egli

ne era stato escluso (Manno, 7i primo secolo della li. Accademia

delU» Sciame di Torino, 162,T©rino, 1888).

Ma nel 1832, nell'occasione del

suo viaggio in Piemonte, il Botta fu implicitamente riconfermato come «Socio nazionale non residente • della Cla'jse di Scienze morali, storiche e filologiche. Infatti la Gazzetta piemontese del 20 novembre 1832 annunziava che alla seduta del 15 novembre della Classe suddetta dell'Accademia aveva assistito il socio Carlo Botta. E alla pag.xiii del tomo 36* delle

Memorie dell'Accademia stessa (Torino, 1833) il nome del B. ricompare in capo all'elenco degli « Accademici nazionali non residenti in Torino» della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, mentre nell'elenco del volume precedente

non esisteva. Di questa riconferma si rallegrava

toeto il Botta in una lettera del ?>\ maggio 1833 da Parigi all'amico dott.

Giordano di Torino {Utttre di C.B., 69,Torino, 1841).


— 76 — chisio mon opinion sur l'histoire du General Colletta, et qu'il se fasse

montrer ma lettre (1). Je Sembrasse du fond de moti coeur.

Tonatt'.épère

Charles Botta. Je te recommande la cassina et le Cérlal (2).Vas les voir souvent en allant à St.Georges

:

ils

valent la peine qu' on s' occupe d' eux et qu' on

en ait grand soin. J'ai recu dans le tems ta lettre du 8-8bre dernier avec les imprimés

y joints.Si tu vois le prof.Gené (3) salue le de ma part et remercie le beaucoup de son bon souvenir.Paul Emile le salue. (1) Interessantissima è la lettera al Marchisio qui accennata

e che con-

tiene un severo giudizio del Botta intorno alla storia del Colletta, ch'egli

giudica rispetto alla forma e rispetto al contenuto. La foima è per lui scorretta tanto dal lato lessicale quanto dal lato grammaticale. Riguardo poi al modo onde il Colletta tratta la materia, egli loda l'ordine,

ma trova che

troppo spesso il racconto è interrotto da dissertazioni ;il quale difetto, a

suo giudizio, è proprio della scuola napoletana. D'altra parte condanna il Colletta sia per la sovrabbondanza delle riflessioni, per cui pare voglia far

sempre il Tacito, sia per le contraddizioni nelle quali lo fece cadere, secondo lui, lo spirito partigiano che anima l'opera sua. Questa lettera conservasi nella citata Biblioteca di S.M. il Re, in Torino. (2) « Ceriale » chiamavasi una porzione dì terreno che faceva parte di una cascina detta « dei Dossi » .proprietà della famiglia Botta nel territorio di S.Giorgio Canavese (Torino). Il Cenale era stato dal padre dello storico, fin dai primi anni del secolo, assegnato a lui per testamento in compenso di una somma di denaro somministratagli dal figlio per pagare taluni debiti. Questo prelegato paterno fu allò storico causa di

del fratello arciprete Isidoro fin da

amarezze per parte

quando viveva ancora il loro padre

(lettera del 12 ottobre 1806 al fratello Isidoro, in II Baretti, giornale sco-

lastico letterario, vili, 57, Torino, 1876). (3) Giuseppe Gene (1800-1847) di Turbigó (Milano), laureatosi

a 21 anni

nell'Università di Pavia, vi fu^ meno' di cinque a!nni dopo, aggregato al Collegio di Filosofia, e, non ancora ventisettenne. nominato assistente alla

cattedra di Storia naturale tenuta dal prof.Zendrini.Si dedicò in particolare

all' entomologia, e

nel 1828 fece

modo

un viaggio nell'Ungheria a

scopo scientifico. Nel 1831 il re Carlo Felice di Savoia, essendo morto Franco Bonelli, lo chiamò a sostituirlo sulla cattedra di Zoologia nell'Università di Torino e nella carica di Direttore del Museo zoologico. Il re Carlo Alberto poi, nell'intento di continuare gli studi sull'isola di Sardegna, già iniziati

sotto il suo predecessore, per conoscerla bene e poterne cosi migliorare le

condizioni, fec3 studiare l'isola sotto vari aspetti da vari scienziati. E per ciò, come Giuseppe Moris ne aveva studiata la flora e Alberto della Mar-


— 11 — IV.

Paris 6 janvier 1836.

Mon cher et bien bon Scipion, J*ai re?u ta lettre du 31

décembre dernier,et hier je suis alle voir

m.HeCliaiiotte Belzi que j'ai trouvée.Nous avons cause long tems en-

semble, et d'après cette première entrevueje l'ai jugée, comme tu Tas

jugée toi mème;elle m'a paru une très bonne per8onQe,ayant de la -simplicité et de la franchise.Deux choses seulement me font de la peine

chez elle.La première, c'est la crainte qu'elle ait peu de sante, la se-

conde c'est son acquaintance avec m.«Palandre.Cependant,je dois dire qu'elle condamne la conduite et les principes de cette petite folle.Mais

je crains ses oon8eils,et je crois que vous ne pouri-iez vous défendre

de la voir descendre un jour chez vous à Turin.M.ePalandre est une fort mauvaise connaissance pour m.'ie Charlotte ; tu sais qu'entre autres folies,elle est St.Simonienne ; et j'aimerais mieux voir chez toi la femme

du dìable qu' une St.Simonienne (l).Réféchis bien là dessus.Une chose

mora la studiava sotto l'aspetto fisico e geologico e sotto l'aspetto storicojcosl il Gene studiò l'isola sotto l'aspetto zoologico, facendo colà quat-

tro viaggi negli anni dal 1B83 al l838.Frutto di questi viaggi furono varie

monografie. Egli però vagheggiava un'opera grandiosa, cioè

la

t

Fauna

sarda »,che doveva accompagnarsi alla famosa Flora sardoa del Moris,la quale appunto allora si veniva stampando in Torino

;

ma la morte lo colse

troppo presto nel 1847.11 Gene fu celebre per la profondità della cultura e la chiarezza del dettato, nonché per l'afiabilità dei modi e la briosa vivacità nel conversare. Fin dal 1832 era

membro della R. Accademia delle

Scienze di Torino, e cosi fu membro di tredici altre Accademie o Società scientifiche nazionali ed estere e corrispondente di molte altre. La fama e Aa^ stima acqui^tate8i del

Gene sono inoltre provate dal fatto che numerosi

naturalisti diedero il nome di lui a nuove specie scoperte di animali. In-

torno a lui: Eugenio Sihmoni)A,/Z cavaliere Giuseppe Gene, in Gazzetta piemontese^Tonno, 17 luglio 1847; Notizie biografiche del professore cav. Giusepi>e O'en^ scritte dal dott. Eitoenio Sismonda, Torino, Stamjieria reale,

1848 (Estr. dalle Mem. li. Acc. Se. Torino, B.n,t.xi) -jM.Lkì^ììos A, Naturalisti italiani, 3d-b{i,Roma., 1884 ; L.Cambuano, in

Bollettino dei Musei di

Zoologia ed Anatomia, XX, Xi.4SS, pp.15 segg., marzo 1895. Di un suo corso di lezioni fu fatta, col' titolo di Storia naturale degli animali, un'eilizione

postuma da Fimim'o Db Fii.ipim iTorino, 1850). Pivi innanzi occorrerà notare che per le oi)ere del Gene incide varie tavole Scipione Botta. (Ì'\U • sansimonismo > che prende il nome dall' immaginoso e celebre nonché licenzioso filosofo e riformatore parigino fondatore di questa scuola, fu una dottrina socialii^ta assai diffusa in Francia nella prima metà •del sec. .\ix e che si proponeva di riformare la società intera, creando una ,


— 78 — que tu dois bien considérer aussi,c'est que m.ii» Charlotte, n'a rien ou fort peu de chose,et que tu n'as que le fruit de ton travall.Ce travail

pourra-t-U sufflre à l'entretien de ta femme,à l'entretien et à l'éducation de tes enfants,si tu en as?Je le dis avec le plus vif regret,mais je

ne pourrais vous aider, je ne sals pas méme si je pourrais vous étre utile au moment de votre mariage ; avant tout,il faut que je paye mea

dettes,dont l'idée me tourmente.Je dois beaucoup d'argenta mr.Littardi

pour ce qu' il a fourni à Cincinnatus, je dois 600 fr. à mr.Bonafous,et 300^ à mr. Levavasseur, ces derniers en remboursement de pareille somme par lui prétée à Paul Emile lors de son premier voyage (l).D'après cela, tu ne voudrais pas que je me privasses du nécessaire à

mon àge et

dans l'inflrmité qui ne veut pas me quitter tout à fait, sans compter celles qui pourront me survenir à mon àge de 70 ans.Songe encore que tu as des dettes, et que ce serait folle de se marier avec des dettes.Ce-

pendant, si tu peux les payer et les payer avant ton mariage,je n'al

nuova società nella quale, invece della lotta degli interessi e del vecchio sistema industriale tendente a sfruttare l 'uomo, dovevano dominare il principiò dell'associazione e l'ordinamento del lavoro

;

e per ciò, abolito ogni

privilegio di nascita, la proprietà e il capitale dovevano formare un unico

patrimonio sociale e ciascun individuo doveva occupare nella società un posto adeguato al suo valore e doveva essere retribuito nella misura delle

sue opere. (1)11 conte Tomaso Littardi è il noto iniziatore della sottoscrizione che-

forni al Botta i mezzi finanziari per scrivere la continuazione del Guicciardini.

Matteo3onafous (Lione 1793-Parigi 1852), di antichissima famiglia franil quale al principio del sec.XIX fondò quella famosa azienda di comunicazioni periodiche tra Italia e Francia per mezzo di un regolare servizio di diligenze, che andarono poi sempre sotto il nome di « diligenza Bonafous » .Mortogli il padre nel 1813, Matteo Bocese, era figlio di quel Bonafous

nafous, che s'era avviato allo studio della botanica, assicurò la continua-

zione dell'azienda paterna, pur proseguendo con ardore negli studi prediletti ; e, dopo, aver esplorati parecchi campi scientifici, si diede tutto alle

scienze agrarie. Essendo possessore di un ricco patrimonio,se ne servi per

compiere viaggi con iscopo scientifico e istituì del proprio fra il 1824 e il 1852 ben diciannove premi d'incoraggiamento per studi agrari. Oltre cinquanta sono i suoi scritti scientifici e ben ottantanove i titoli accademici che si meritò. La Reale Società Agraria di Torino,divenuta poi Accademia Reale d'Agricoltura, lo iscrisse fin dal 1819 fra i suoi membri e tosto gli affidò la direzione del suo giardino sperimentale, il che contribuì a far ài Torino la sua residenza abituale. Nei suoi numerosi viaggi visitò tutta l'Italia e inoltrerà Francia,la Svizzera,l'Inghilterra,il Belgio e l'Olanda..


— 79 — plus rien à dire à cet égard.Sur ce point,je dois te faire savoir que'

Paul Marochetti,que j'ai vn hier,se plaint beaucoup de toi de ce que tu ne lui écris pa8,et ne réponds pas méme à ses lettres;cela

me fait

de la peine,puisqu*il est notre ami, et qu'il fa obligé.Mais,pour en revenir à notre su jet, pése biea tes ressources flnancières,et décide toi

en conséquence;car il n'y a rien de plus malheureux dans le mariage qu'un pot au feu froid.Je ne sais quelles sont tes intentions pour effectuer l'union projectée.Viendras-tu àParis pour épouserta future? Dans ce cas,il y aura pour toi lucro cessante e danno emergente,c' est à dire

que ton travail sera interrompu,et pendant ce tems tu ne gagneras rien, et que d'un autre coté, ce sera un dépense considérable.Ou bien m.Ue Charlotte ira-t-elle àTurin pour que le mariage se célèbre danscette ville? Mais comment organiser cela? Il s'agit d'une jeune démoi-

8elle;comment et avec qui voyagera-t-elle?Où ira-t-elle loger en arrivant àTarin et avant son mariage?Ce ne sont pas là des objections

queje fais contre ton projet, et je serais affligé,si tu les regardais corame telles.Ce sont seulement des réfléctions que je te soumets et que je te prie de faire.Tu sais que j'ai toujours désiré que tu te maries, et m.UeBelzi me parait faite pour remplir tes vues et les miennes.sauf les observations relatives à sa santé.et à son acquaintance avec m.ePa-

landre,chose8 dont tu peux mieux juger que moi.M.We Belzi m'a promis de me venir voir;j'irai la voir aussi le plus souvent que me le

permettra le grand éloignement de sa demeure et mon incommodité d'urine.Elle est vraiment intéressante et il y a du plasir à causer avec

ma fllle,et je désire que les circostances permettent qu'elle devienne membre de notre famille.Mais je te le réelle.Je l'appellerai volontiers

péte,examine bien tes lìnances avant d'en venir à une déterminatlon dont dépend le bonheur ou

le

malheur de tonte ta vie et de celle de

cetle intéressante personne.Je serais au désespoir de vous voir souffrir, corame je le suis déjà de ne pouvoir vous aider.Pas méme à l'occasion de votre mariage autant je serais heureux de votre bonheur.

La morte gl'impedì di compiere altri due viaggi, già progettati, in Ispagna e in America [FAoge historique du chevalier Matthieu lionafous par le Commandeur Despink, in Annali della H. Accademia di Agricoltura di Torino, a. 1853). Fu amicissimo del Botta, il quale nelle lettere agli amici suole chiamarlo semplicemente Matteo oppure « il buon Matteo » Il Big. Leva vasseur era un ricco cittadino di Rouen, conosciuto dallo storico nel tempo in cui era stato Rettore di quoirAccademia.Scipione Botta

nell'accennare a questo prestito ( Vita pr.di C./i.,68) lo dice di « lire 8fKX)»

•.

ma nell'autografo della lettera che qui si riproduce il numero 800 è chia^ rissimo.


— 80 — autantje serais désolé devotre malheurrce serait mon coup'degràce dansmesvieuxjours.Adieu,cherScipion,-et'embrassebien tendrement et du plus profond de mon coeur.Je n'ai pas des nouvelles de tes fréres.

Ton aff.é pére CharFes Botta. .

AMonsieur

Monsieur Scipion Botta

-

Graveur

Turin Stradale del Re

Casa Saclrere. V.

Paris 8 janvier 1836.

Cher Scipion,

En te confirmant ma lettre d'avanthier dans tous ses détailsj'insiste sur la considération que tu dois faire de la sante de m.UeBelzi.Plus j'

y réfléchis et plus je crains qu'elle ne soitpas bonne.EUe m'a avoué méme (ce qui fait honneur à sa benne foi et à sa franchise) qu'elle

elle

avait eu une maladie de foie fort grave, que son médecin (je crois,si

je ne me trompe,mr.ROque) lui avait dit que si elle ne l'avait pas prise

à temps,cette maladie lui aurait cause une maladie de poitrine très

dangereuse, et sur ce, elle me flt voir les pillules qu'elle prend encore.

Ces maladies de foie ne se guérissent pas facilement, et signalent une

mauvaise constitution ce qui me confirme encore plus dans cette idée, ;

c'estqueje netrouvepasde fraicheurchezm.iieBelzi(l).Cesréflections

ne m'ont pas laissé dormir cette nuit,et j'ai voulu t'en faire part par le désir bien ardent que j'ai

de te voir heureux.Tu as besoin d'une

femme bien portante et qui puisse te faire des enfants forts et robustes. Juge,combien tu serais malheureux,si tu avais une femme qui fùt toujours au lit, qui ne pùt t'aider, et qui nous donnàt des enfants chétifs

ou ne nous en donnàt du tout.Je crois remplir un grand devoir de pére et d'ami en appelant ta plus sérieuse attention sur cet objet.Tu dois,

au reste, avoir sui* la sante de cette personne que tu connais depuis long tems, des données plus certaines que moi qui ne l'a (s^c] vue qu'

une seule fois.Examine tout cela avec sang froid et ne te laisse pas tromper par des illusions. Quant à moi, je n'ai d'autre vue ni d'autre désir que ton bonheur,et

(l)

.

A proposito di queste osservazioni dello storico si noti ch'egli era

medico e che in gioventù, prima di dedicarsi interamente alla politica e alle lettere, aveva esercitato con onore la medicina.


- 81 si la demoiselle en

question peut le faire, raéme sous le rapport de la

santéje souscrirai volontiers à ton union avec elle. Hier mr.Boulatiquier(l)est venu

me voir, et m'a dit t'avoir écrit,il

y a des mois et que ta ne lui as pas répondu;il fait la méme plainte que Paul Marochetti.Ta négligenee à écrire à tes meilleurs amis me fait

beaucoup de peine.Leur répondre est un devoir de société,et un

devoir d'amitié.Je suis bien fàché que y manquer (sic). Je n'ai plus vu mr.Lallemand;je ne sais ^'il est parti, ou s'il est en-

core à Paris. Je n'ai pas de nouvelles de tes frères (2).

Je t'embrasse du fond de mon coeur.

Le bon jour à nos amis.

Ton aff.épère Charles Botta, P.S. mr.Bonafous part mardi prochain pour Turin.Je crois qu' il ira

te voir;je te prie de le recevoir comme un de nos meilleurs amis.

A Monsieur Monsieur Scipion Botta Graveur

Piémont Turin Stradale del Re r:\<:\ >>;:icirere.

VI.

Paris 26janvier 1836.

Rue de Verneuil N.30

Mon cher Scipion, Je proflte du départ procliaiu «le mr. et ra.eLallemand pour te don-

ner de mes nouvelles. Elles sont assez bonnes,ei seraient encore meilleifres sans cette incommodité d'urine qui ne veut pas

me quitter tout

à fait.J'espère que mr. et m.«Lallemand n'auront qu'à s'applaudir de

U résolution qu'ils ont prise d'aller à Turin ;j'en suis méme persuade. Je n'ai pas besoin de te les recommander, vù l'amìtit^ que tu as pour

eux.Je suis sur que tu feras tout ce qui sera en ton pouvoir pour ren-

dre leur nouveau séjour a^rrt^able de mon coté, j'apprendrai avec beau;

coup de plaisir qu'ils sont contents. Je n'ai plus aucune nouvelle concernant l'affaire qui a forme le sujet

de nos dernières lettres.Je n'ai pu retourner dans le faubourg Poisson-

(1) Personaggio h lur: i^tiwio.

(2^11 secondogenito dello storico viaggiava allora nell'Egitto, e il ter-

zogenito militava in Algeria col g^rado di sottotenente di &nteria.


— 82 — .nière,par ce que les voitures irritent mon mal, et qu'il m'eùt été trop

pénible d'y aller à pied par les mauvais tems qu'il a fait(l).

Le bon jour à tous nos amis;j'attends de tes nouvelles avec impa:tience,et t'embrasse du profond de mon coeur.

Ton aff.épère Charles Botta.

A Monsienr Monsieur Scipion Botta

Graveur

Recommandé

Turin

aux bons soins -de mr.Lallemand

Stradale del Re

Casa Sacirere. VII.

Paris 8 fevrier 1836.

Rue de Verneuil N. 30.

Mon cher Scipion, Je n'ai que le tems de te dire que j'ai recu hier deux lettres de Paul

Emile datées d'Alexandrie,rune du 2,rautre du 8 janvier.Il avait eu

une heureuse traversée seulement de 18 jours,et se portait très bien. Il

était sur le point de partir

Sinai.La sante de Marbouth

pour leCaire,et ensuite pour le mont

n' était

pas encore bien rétablie;ce que

Paul Emile attribue aux mauvais tems qu'il a faitren Egypte.Paul Emile

me charge de donner de ses nouvelles à ses frères,et de lui en envoyer des leurs. Je n'ai pas de nouvelles directes de Cincinnatus;mais je sais par mr. Auguste de Marennes qu'il se porte bien; mr.de Marennes n'a pas su

me dire,s'il est encore à l'isle de Rashgoun,et s'il a été de l'expédition de Mascara (2). (1) Nel sobborgo Poissonnière^aXla, parte settentrionale di Parigi,abitava

la signorina Belzi, mentre il Botta abitava nella via de Verneuil nella re-

gione a sud della Senna. (2) € Racbegoune » chiamansi alcune piccole isolette di fronte alle coste

dell'Africa settentrionale, poste a owest-sud-owest del capo Oulasse, che

limita a mezzodì il golfo di Tlemcen, tra il 1° e il 2° grado di longitudine

owest da Greenwich. Mascara è una città del dip. di Oran nell'Algeria e fu patria di Abd-elKader,l'eroe dell'indipendenza del suo paese. La spedizione alla quale qui si

accenna è quella che portò all'occupazione della città per parte dei

francesi, i-^uali però in seguito la riperdettero, riconquistandola poi defi-

nitivamente nel 1841.


- 83 — Fais ajarréer mes complimenta à mr. e m.eLallemand que je crois arrivés àTurin.Mr.Lallemand doit t'avoir remis une lettre de moi(l).

Je suis étonné que tu ne m'aies plus rien fait savoir relativement à l'affaire de ton maria^e.Où ensommes nocis,mon cherScipion?Je n'ai

plus vu m.iieBelzi depuis la première fois.Je fai écrit les 6 et 8 janvier(2).

Le bon jour à tous nos amis.

Ton aff.épère Charles Botta. J'ai rcQU des nouvelles de mr.Greene.il est à Florence ; lui et sa femme

86 portent bien (3).

\ Monsieur

Monsieur Scipion Botta Graveur en Piémont

lurin Stradale del Re

Maison Sacirère. Vili.

Paris 4 avril 1836r

Rue de Verneuil N.30.

MoD cher Scipion, J'ai

regu tes deux lettree des 23 fevrier et 17 mars derniers.J'ai sur

le champ transmis par la petite posie à m.ii» Charlotte les deux petits

1

1)£ la lettera precedente del 26 gennaio 1836.

(2) Sono le lettere iv e v di questa raccolta. (Bi Giorgio Washington Greene (1811-1888) di Provvidenza, nipote del generale omonimo ricordato dal Botta nella sua storia americana, tu con-

sole degli Stati Uniti presso la Santa Sede. Innamorato dell'Italia, fu stu-

diosissimo della nostra letteratura e della nostra storia ; ne è prova l'attività sua a vantaggio dell'Archivio st.it., quando questo nacque nel 1842,

e del quale fu uno dei primi collaboratori e corrispondenti da Roma. In

Roma poi attese a ricerche di storia medioevale insieme con Diomede Pantaleoni, Achille Gennarelli e Paolo Mazio; e nel Saggiatore, fondato dai

due ultimi, publicò una memoria Sulla vita e sulle navigazioni di Giovanni Verrazzano,(\,2\^ segg.e 254 segg.).Tornato in fine a Provvidenza, vi fu nominato professore di storia e di letteratura italiane. Da una lettera di lui al Botta si sa che scrisse colà un Saggio sopra il Petrarca.Col Botta fu in rapporti di cordiale amicizia e tenne carteggio prima dall'America e poi durante il suo soggiorno in Italia. In parecchie sue lettere anzi lo storico gli forni notizie intorno alla propria vita, le quali servirono


— 84 — billets qui lui étaient adréssés.Je n'ai rien à ajouter aux considérationa quejet'avais prie de fair© pour ton projet de mariage;il me reste

seulement de l'inquiétude surla sante de cette exellente personne. C'est un point capital.Je dois te dire aussi, que je verrais avec beau-

coup de peine que tu te mariasses avant d'avoir payé toutes te§ dettes. que tu dois songer nuit et jour.Croire que tu pourras faire des économies, lorsque tu auras une femme, c'est

C'est à cette entière libération

évidemment une illusion trompeuse;réfléchis y bien,si tu ne veux pas étre malheureux.Quant à moi,sois bien persuade que je ne désire rien

tant que ton bonheur;j'ajouterai méme que le bonheur résultant de

ton union fera, mieux que toute autre circonstance,le repos de

mes

vieux jours. J'ai vu

Tautre jour le bon Paul (1), et lui

de ta lettre

ai lu l'article

qui le concerne. Il lui a fait plaisir, mais pourtant il ne s'est pas entiè-

rement décidé.Ecris lui donc,mon cher Scipion,c'est pour toi un devoir indispensable;je ne concois rien à ton indolence à l'égard d'un ami qui fa si généreusement obligé.

Paye tes dettes, mon cher Scipion,paye tes dettes. J'ai recu,il y a quatre jours, une lettre de Paul Emile datée du Caire le 19 janvier.Il était sur le point de partir pour le mont Sinai ; il se por-

tait très bien, mais il n'était pas très content de la sante de Marbouth; il

espérait néammoins qu'un climat plus chaud,et les bones sulphu-

reuses de Thor l'aurait rétabli (2).Paul Emile salue ses frères.

Cincinnatus m'a écrit qu'il désire d'entrer dans un Régiment de l'Intérieur.Je le désire autant que lui ; je viens de faire des démarches pour

cela,et j'espère de reussir.U est toujours à l'isle deRaschgoun.

Salue de ma part mr.et m,eLallemand,et dis moi,s'ils sont contents

du séjour deTurin. Le bon jour à tous nos amis,et particulièrement au bon et excellent Giordano.Je t'embrasse.

Ton aff.é pére

AMonsieur Monsieur Scipion Botta

Graveur en Piémont

Charles Botta. '

Turin. Stradale del Re

Maison Sacirere. al Greene per comporne la breve biografia, publicata poi da Carlo Milanesi

insieme con renze, 1855).

le lettere medesime {Arch. st.it. ,n.s.t.l°,p. 2», pp. 57-73,Fi*

(1) Paolo Marocchetti, del quale si parla nella lettera ili. (2> Si tratta indubbiamente di Tór,piccolo porto della penisola del Sinai


— 85 — IX.

Paris 12 octobre 1836.

Rue de Verneuil N.47.

Mon cher Scipion, .l'ai

reca ta lettre datée de chez Giordano,y joint ceMe que cet ami io-

comparablem'aécrite.Tu peaxbien t'imaginerleplaisirequ'elles m'ont fait.Quelques jours auparavant j'en avais recu une de m.' de Saluces

contenant beaucoup d'éloges de toi,ce qui n'a pas peu contribuì à ma satisfaction. J'ai re?u ces jours ci plusieurs lettres de Paulemilerelles sonttoutes

datées du Caire au mois de Juilletrexcepté la dernière qui est écrite de

Suez le 15 aoùt.ll se portait très bien et était plein de conflance pouT bienremplirsamissionil nedoutaitpas depouvoirentrerdaus l'Yemen

avec facilité et sureté(l).Marbouth était au plus mal. Il l'a laissé dans

un hòpital fonde par le pacha et l'a bien recommandé à Clot-Bey,maÌ8 il

n'a aucun espoir de le trouver vivant à son retour i2).

Depuis long tems je n'ai pas recu de lettres de Cincinnatus, l'imposteur effronté qui prend son nom n'est pas encore arrété.J'ai été appelé le 30 du mois dernier au parquet du procureur du Roi pour don-

ner des éclaircissements sur cet individu(3).J'y ai été,mais cette conrse

m'a été bien nuisible.Il faisait ce jour là,un tems affreux.A mon retonr surtoutje fus surpris sur le quai des

(4) d'une

pluie battante très

froide, accompagnée d'un vent d'ouest extrémement violent.J'arrivai

e stazione di quarantena per le navi dei pellegrini di ritorno dalla Mecca. Il luogo, ricco di piantagioni di palme, è

notevole per le vicine sorgenti

saline calde.

(l)Son noti i viaggi e l'attività scientifica del secondogenito dello sto-

Yemen a scopo scientifico per incarico avuto dalla Direzione del Museo di storia naturale di Parico. Egli si accingeva allora a penetrare nello

rigi. Frutto di questa

missione fu l'opera di lui

:

Relation d'uti vot/age

dans V Yennm,entre-pri8 en Ì8.S7 patir le Musèum d^Histoire iiatnrelle de /*orw, Paris, 1841. A questo viaggio e a questo scritto accenna vagamente Scipione Bottaio/). c{7., 65-66) attribuendoli erroneamente ad un tempo anteriore. (2) Antonio Clot (1793-18681 di Grenoble dal

1822 al 1849 fu medico mi-

litare in Kgitto. (3) Dei fastidi arrecati allo storico e al suo Cincinnato da

q li mitili it d tn

nome di quest'ultimo, il Botta paritt pure in altre lettere, in una delle quali (inedita, a S.Marchisio; Parigi, 5

quente, chesi nascondeva sotto

il

agosto 18B6) annunzia che il furfante fu scoperto. Dalla presente letteok però si vede ch'egli non potè essere arrestato. (4) Parola illeggibile.

n Ri$org. iUU., Xni


— 86 — à la maison très soufifrant;je me mia sur le champ au Ut; la flévre ne tarda pas à se déclarer,et en suite une diarrhée, mais sans coliques.

Aujourdhui, c'est à dire depuis deux ou trois jours cela a cessé.Mais je suis encore faible,et quoique je me lève un peu tous les jours, je

passe la plus part du tems au lit,d'où je t'écris.Il me reste mon incom-

modité d'urine habituelle,pour la quelle je dois consulter,ces jours-ci, avec m. de Blainviile, m. le Roi d'Etioles (1). Je n'ai aucune nouvelle de m.JieBelzi.Il m'est impossible de l'aller

voir,parceque demeurant si loinje ne puis y aller à pieds,et la volture irrite beaucoup trop

ma vessie.

Adieu,mon cher et bon Scipion;embras8e tous mes amis pour moi, et surtout le bon Giordano. Ton aflf.épère Charles Botta.

Paris 19 décembre 1836. Rue de Verneuil N. 47.

Mon cher Scipion, J'ai recu tes deux lettres du 24 Qi^e et du 4 décembre

courant doiit

rune m'a été apportò par m.^le chévalier Nasi et l'autre par m.Arri (2). (1) Henri-Marie

Ducrotay de Blainviile (Arques 1777-Parigi 1850), ce-

lebre naturalista il quale protesse i primi passi della carriera scientifica di Paolo Emilio Botta, che l'ebbe maestro, fu da prima musicista nel Con-

servatorio di Parigi e poscia allievo pittore. AH 'età di ventisette anni, as-

sistendo un giorno per caso ad una lezione del Cuvier,sentì destarsi quella

che era la sua vera vocazione. Due anni dopo si addottorava in medicina e tosto veniva assunto al fianco del Cuvier nel Collège de Franco e nel Muséum d'Histoire naturelle; ma l'irritabilità del suo temperamento gl'impediva di star subordinato ad alcuno. Nel 1812 fu nominato professore di Anatomia e di Zoologìa alla Faculté des Sciences, e nel 1832, alla morte del maestro, gli succedette sulla cattedra di Anatomia comparata nel Muséum.

A lui P. E. Botta dedicò il suo primo scritto. Dell'altro personaggio qui nominato non potei avere notizie. (2) Il cav. avv. Nasi era segi;etario dell'Ambasciata sarda in Parigi (Cfr.

Iett.l6 giugno 1884 al Giordano in Lett.di C.5., 75, Torino, 1841). Il teologo

Giannantonio Arri era assistente presso la Biblioteca Universitaria di Torino. Probabilmente durante questo soggiorno in Parigi l'Arri raccolse e

salvò i numerosi scritti inediti di G.B.Mabellini, dottissimo benché quasi

ignorato filologo piemontese, morto in Parigi circa due anni prima, e amicissimo del Botta. Questi scritti furono dall'Arri donati alla Biblioteca suddetta (Carlo Novellis, Bio^rra^a di G.B.Mabellini,ToTÌno, 1842).


- 87 Elles m'ont fait le plus grand plaisir,puisqu*il y avait si long tems que

je n'avads regu de tes nouvelles directement.Je suis étonné que tu n'ales pas des nouvelles de mM^ Belzi ; je lui ai pourtant fait passer très

exactement les billets que tu lui écrivais.Si ma vessie me le permetje ne tarderai pas à l'aller voir. Depuis les dernlères nouvelles de Paulemile datées de Suez vers la moitié d'aoùt et que tu connaisje n'en ai plus re?u.S'il a réussi a pé-

nétrer dan« l'Yemen, il resterai peut-ètre long tems sans en recevoir.

Depuis au moins trois mois je n'ai pas regu de lettres de Cincinnatus. D'après la malheureuse issue de l'expédition de Constantineje suis bien inquiet sur son compte.Je presume cependant qu'il n'en a pas fait partie.U faisait peut-étre encore le service dans la !'• Comp.de fusiliers

de discipline où il avait été admis en vue de la permutation qu'il sollicitait.Cette permutation n'a pu avoir lieu à la vérité,parce que l'oftì-

cier avec le quel il devait permuter a été

nome (sic) lieutenant, mais

malgré cela il est possible qu'il ait continue le service dans la dite compagnie, et je ne crois pas que cette compagnie ait fait partie de rexpédition.Aussitòt que je recevrai de ses nouvelles, je t'en ferais part(l). 11 y a environ un mois que mr.Bouiatiquier est venu me voir.Il m'a beaucoup demandé de tes nouvelles: il m'a dit étre, non pas facile contre toi à cause que tu ne lui écris pas, mais très affligé.Écris lui

donc,je t'en prie,ain8i qu'au ben Faul.C'est une mauvaise excuse que

de dire que tu es très occupé.On a toujoiH;;^ le tems d'écrire une lettre, qu xnd méme on devrait le prendre sur son sommeil. Je suis charme que mr.Lallemand se plaise à Turin.Fais lui me» complimenti.

Tu trouveras ci-joint un petit bout de lettre que j'écris au jeune Scipion Giordano.Fais moi le plaisir de le

lui

remettre.Tu l'embrasseras

de ma part,ainsi que son frère et son bon et excellent père(2).Tu m'exuseras aupiès du dernier dece queje ne répondspas pourle moment à sa chère lettre du 24 dernier.J'ai beaucoup ccrit ces jours ci et je me sena fatigué. (lìCkMtantina è la città capoluogo del dipartimento omonimo dell'Àlg«ria.Il B. accenna qui ad una delle molte fasi della lunga e laboriosa im-

presa francese d'Algeria. L'assalto alla città di Costantiua tu poi dato dal maresciallo Vallèe il 18 ottobre 1837. (2) Dell'affetto vivissimo del Botta verso il dott. Giovanni Oiordano.suo

conterraneo, e verso la famiglia di lui, presso la quale tra l'altro

il

suo

primogenito ebbe ospitalità al suo stabilirsi in Torino, si trovano provo nelle molte lettere dello storico all'amico lontano (/W/f re di C.B.,Al-&b. Torino, 1841).


— 88 — Tu n'oublieras pas d'aller t'inserire pour le jour de Tati chez l'ambassadeur de France,et chez mr.le chevalier Cesar de Saluces.Tu n'oublieras pas d'aller voir

non plus le chirurgien Rossi (1) et mr.Ouber-

natis (2) à qui tu présenteras mes compliments.Quant à nos

amis Mar-

chisio et Giordano, ils connaissent notre coeur sans autre

démon-

strations.

Ma sante est bonne et serait meme exceUente,si je n'avais pas cette incommodité d'urine qui ne veut pas me quitter tout à fait. Je t'embrasse du fond de mon coeur, Ton aff.épère Charles Botta. XI.

Paris 24 Jan vier 1837.

Rue de Verneuil N.47.

Mon cher Scipion, J'ai recu ce matin ta lettre du 19 courant,et lui réponds sur le champ.

Sita lettre est importante pour tori celle ci ne l'est pas moins;ainsi je te prie de la lire avec attention.il y a long tems que je songe à tes dettes,et à la situation fàcheuse où elles te mettent.J'avais,comme j'ai

encore,un ardent désir de venir à ton secours.Mais par quels moyens? C'est ce qui me tourmentait.Je ne le pouvais

par des moyens divers,

me suls dit alorsrje ne puis aider Scipion avec de rargent,mais je le puis avec montravail.À mon àge(car je suis entré dans ma 71eannée)et avec une sante tourmentée par une c'est à dire avec de l'argent.Je

incomftiodité d'urine, il m'est impossible de faire un bon ouvrage de

première invention;mais je puis faire,me suis-je dit,la traduction d'un

ouvrage intéressant par lui méme,et qui se rattache,pour ainsi dire, à

ma famille (3).Le produit, s'il pourra yen avoir, sera uniquement de(1) Si

tratta indubbiamente del cav. Francesco Rossi, prof, di chirurgia

e chirurgo delle LL.MM. il Re e la Regina di Sardegna. Era

uno dei sot-

toscrittori per la continuazione del Guicciardini

B. parla pure

;

di lui

il

nella lettera xix di questa raccolta. (2) L'avv.G.B.De Gubernatis, consigliere, archivista segreto e segreta-

rio particolare del Re Carlo Alberto, è pure nominato in un'altra lettera

del B. al suo primogenito. (Cfr. il mio precedente studio bottiano in 11 Ri-

sorgimento italiano, n. s., Vili, 3.°-4.», 452, e specialmente la nota 3.»). (3) Nella lettera del 2 marzo

successivo, la quale serve di prefazione e

di dedica della traduzione al figlio,dice che l'età avanzata non gli consen-

tirebbe di scrivere « con nervo opere di prima invenzione » ,Jtientre invece « le

traduzioni sono l'appoggio della mente dei vecchi, come il bastone lo

è del loro corpo > ( Viaggio ecc.. I, pp.vi-vn).


— 89 — 8tinó,à rextinction ou de tout,ou d'une partie des dettes de Scipion.

Dans ces idées qui ont germe dans ma téte depuis sept à huit moisj'ai jeté les yeux sur le voya^e autour du monde de mr.Duhaut Scilly (sic),

voyage,dont ton frère Taul Emile tìt partie (1). Il m'a semblé que c'était là une alTaire de famille, et,que par ce motif,le public m'excuserait de (l) Paolo Emilio Botta (Torino 1802-Parigi (?) 1870), secondogenito dello

storico e del quale si son dati fin qui pochi cenni sparsi, fu il più degno

continuatore del nome paterno. La forte predilezione, da lui manifestata fin dalla più giovane età per gli studi delle scienze naturali e per i viaggi

avventurosi, uon

si

smentì mai in lui e diede anzi copiosi e splendidi

trutti. Leggendo le lettere del padre, e in modo particolare. molte di quelle,

tuttora inedite, dirette al tìglio Scipione e all'amico Marchisio, si potreb-

bero seguire quasi passo per passo i primi tre viaggi di lui. Egli non aveva

ancora compiuto il corso di medicina,al quale era iscritto presso l'Università di Parigi, quando, il 21 marzo del 182^5, partiva per l'Havre per imbar-

carsi colà sul vapore « Le Héros » comandato dal cap.Duhaut-Cilly, che

doveva compiere e compi infatti quel giro del mondo che è argomento del libro tradotto dallo storico e di cui si comincia a parlare in questa lettera. Questo primo viaggio durò fino al lugl'o del 1829. E ai primi di marzo dell'anno succe6SÌvo,dopo essersi laureato in medicina,?. E. Botta partiva

per l'Egitto, dove era a.ssunto come medico nell'esercito di Mehemet-Ali

e donde tornava ai primi di maggio del 1834. Verso la metà dell'ottobre del 18B5 eccole ripartire per l'Egitto, donde passava nell'Arabia per recarsi a compiere nel 1837 nello Yemen quella missione scientifica, della quale già si fece parola in tyi 'altra nota. Ma, morto il vecchio storico il 10 agosto 1837, mentre il tìglio si trovava appunto nello Yemen, cessano insieme con l'epistolario di quello anche le fonti per la biografia di questo. Si sa tuttavia che in seguito, datosi alla carriera consolare, fu Console di Francia a Mossul e a Tripoli e, secondo alcuni, anche ad A'iessandria d'Egitto. Durante il suo soggiorno in Mossul ecco aprirsi un nuovo campo alla sua attività scientifica :da medico e naturalista, si fece archeologo.il nome di P. E. Botta infatti è specialmente noto per le sue scoperte archeologiche nella Mesopotomia, le quali produssero, tra le altre sue opere, le due seguenti più lamose: lnncriptiona dècouvertett à Khorsabad icito l'ed. del 1848) e Afonumeiits de Ivinive,b voli. Paris, 1849-1850.1 successivi scavi dell'inglese Layard dimostrarono bensì ch'egli non

aveva scoperto, come credevate rovine di Ninive ma invece quelle del grande palazzo del re assiro Sennacherib tuttavia la sua scoperta rimane scientificamente impor;

tantissima. Altri scritti di lui in altri campi dello scibile non

si

notano

qui, giacché occorrerà citarli in seguito. Notizie intomo ai suoi viaggi e agli scritti che ad essi si riferim-.ono trovansi in P.Amat di San FrufPO,

Studi biotfrafici e bibliografici nulla gloria della Geografia in Italia ; vol.I Biografia dei Viaggiatori italiani colta Bibliografia delle loro opere,'2* ed pp. 67i-672.Roma 1882, e neW Appendice, p.27,aoma, 1884.

.

:


— 90 m'étre livré à une traduction après avoir fait tant d' autres ouvrages

d'une plus grande importance.Pour donner ancore plus d'intérét à cette traduction, et la rattacher davantage à la famillej'y ai joint la

traduction des observations de Paul Emile sur les habitants des isle

Sandwich et de la Californie,observations qui ont été imprimées dans les nouvellesannales des voyages(l).J'ai dono mis la main à ces traduc-

tions;elles sont^ntiérement terminées;la copie, méme,du leryol. de

mr.Duhaut-Cilly est faite,et prète à étre livrèe à l'impression.Il

me

reste à copier la traduction du 2® voi. de mr.Duhaut-Cilly et celle des

observations de Paul Eraile; ce qui pourra prendre un mois de tems. Cette copie aurait méme déjà èté faite sans la maladie qui m'a retenu

au Ut pendant tout le mois d'Octobre dernier.Or,voici quel est mon pian.

l°Je t'enverrai à Turin tonte cette traduction, quand la copie en

sera achevée;je pourrai

méme t' envoyer, des à présent,la copie du

lervol., si tu le juges à propos.Si tu le veux,écris le moi tout de suite;

je m'entendrai sur le champ avec mr.Bonafous pour la faire partir. 20 Tu iras voir sur le champ mr.Marchisio,tu lui feras lire cette let-

tre, le prieras de

ma part et de la tienne de nous aider de ses conseils

sur le meilleur parti qu'on pourrait tirer de cette traduction, à la quelle, portant

mon nom,le public pourra peut-ètre accorder quel-

qu'indulgence.Il s'agirà de touver un libraire à Turin ou àMilan qui veuille l'imprimer à ses frais, moyenant une somme convenne pour le

traducteur.Si on trouvait un autre mode,|e ne sais le quel, pour en tirer quelque argent,on pourrait le suivre,toujours en suivant les conseils de l'ami Marchisio.

3" La somme qu'on retirerait, serait

sition mais

mise toute entière à ta dispo-

uniquement et religieusement pour l'acquissement de tes

dettes. 4° Si cette traduction s'imprimait àTurin,ce quej'aimerais beaucoup

mieux,tu prieras de ma part et de la tienne l'ami Marchisio, de se charger du soin pénible de corriger les épreuves.Je lui ècrirai à ce sujet;je lui aurais mème écrit par ce courier,si je n'étais pas très fa-

tigué (2). 5°

Gomme il s'agit d'une affaire de famille, la traduction sera prècé-

(l) Nouvelles Annales des voyages,ei. 1831, -i", 129-115, dove è detto, in una nota,che il manoscritto fu comunicato agli « Annales » dal dott.Blain-

ville. [2 Al Marchisio lo storico scrisse poi a questo rigiiardo il 2 marzo e l'il giugno (lett. ined.in Biblioteca di S.M. il Re, in Torino). 1


— 91 — dèe d'une petite dédicace de moi à toi;je croi8 que le public la lira avec plaisir(l). 6*Mr.deBla)nville adans ses mains d'ultérieures observations encore inédites de Paul Etnile sur les isle de Sandwich et la Californie.

Cea uouvelles observations traduites aussi etjointes àia traduction ci-dessus,lui donnerait en,je crois plus d'importance.Mr. de Blainville

me les a olTertes;je les tradurai (sic) si vous le jugez important pour une négociation plus profltable avec le libraire(2). 7' Gomme il est question d'une traduction,il importe souverainement que tout ceci reste secret entre toi,Marchisio,et moi;car si le moindre bruit en courait,quelque mauvais gacheur pourrait nous gagner

de vitesse.faire et imprimer,avant la mienne,une traduction du méme ouvrage;cequi gàteraittoute notre afifaire.Tuen feras parta Giordano, mais sous la loi du secret le plus rigoureux.il ne fautpas méme qu'on di8e,qu'on sait que j'ai fait quelque chose et que le public le verrà bientòt.Il

faut le secret le plus absolu jusqu'à ce que l'affaire soit convenne.

L'ouvrage de mr.Duhaut-Cilly et les observations de Paul Emile présentent un grand intérét pour les marins et les naturalistes.J'ai mia

dans la traduction le plus de soins pos8Ìbles:elle présentait de nombreuses difficultés a cause des termes de marine.Je crois les avoir sur-

montéeb avec assez de bonbeur;le style en est partout simple,naturel et facile, et tei qui

convient à ces sortes d' ouvrages.Je

me suis at-

taché partout à conserver une forte couleur italienne f3).

Mon projet était de ne te parler de cette affaire que lorsqtie la copie des deux volumes serait entièrement terminée;mais l'urgence de tes circostances m'a determinò à hàter d'un mois la confldence (4).

Tout ce qui précéde,mon cher Scipion,te convaincra que,8i d'uiicòté je songe à toi,de l'autre je ne puis te secourir avec de l'argent.Après

une carrière très pénible de près de soixante ansj'ai de quoi vivre, mais rien de plu8.Je suisbien sur que tu ne voudrais pas que je me

1

1)

È la lettera dnl 2 mano successivo, testé citata.

(2) Questo scritto di P.E.Botta non fu poi aggiunto alla traduzione,per-

chè lo storico non ne ebbe dal Blainville il manoscritto. Pi ciò egli parlerà al figlio nella lettera del 29 marzo successivo. (B) Degli intenti propostosi con questa traduzione il Bol ... e... .a più ampiamente nella lettera al march. Roberto d'Azeglio (Parigi.29 marzo 1837) edita in capo alla traduzione

medesima dopo quella dedicatoria al figlio. figlio,nominata nella prima

(4; Queste parole provano che la lettera del

riga di questa, doveva essere di argomento gravissimo. Molto probabilmente essa conteneva una richiesta di denaro, come si può arguire dal

periodo sucoeMÌvo.


— 92 — prive du nécessaire. Ajoute à cela que je dois beaucoup d'argent à mr. Littardi, je ne sais pas positivement combien,mais certainement beau-

coup pour de l'argent et d'effets d'équipement qu'il a envoyés à Cincinnatus.Je dois 1200 fr. à mr.Bonafous somme qu'il m'a avancée pour me tirer de l'embarras momentané que

m'ont occasionné mes déménagements et emménagements, mes maladies ed une maladie fort serieuse et longue dePauline,et dont elle n'est pas encore entièrement guérie (l).Mais cette dernière somme ne m'inquiète pas;car je suis en me-

sure de la rendre à la fin du trimestre courant.J'ai payé,il y a environ

un mois,à Paris, une petite dette de (3incinnatus, dette qu'il avait contractée à Oran,pour de la viande fournie.Je lui ai envoyé.sur sa de-

mande urgente, 100 fr. le 19 janvier courant;c'est pour s'acheter des effets, dont il manque entièrement.La lettre est du 30 Décembre;il

me

demande de tes nouvelles,ton adresse,et il veut t'ecrire.J'ai une nouvelle lettre de Paul Emile datée d'Hodèida le 28 septembre (2)

:

il

salue

ses frères, se portait très bien, et etait prét à entrer dans l'Yemen.

Tu me feras le plus grand plaisir en écrivant à tes amis,comme tu promets. J'ai mis tout de suite à la poste la lettre que tu adresses à m.He Belzi.

Je suis si tatigué,que je ne puis continuer d'écrire pour te parler de

ton projet d'union avec elle.Au reste, je m'en rapporte à ce que je t'en ai écrit autrefois.J'ai la plus grande estime pour ses qualités morales ;

c'est seulement sa sante, et le peu de vos ressurces qui m'inquiétent.

J'attends un prompte réponse à ma lettre.Je t'embrasse du fond de mon coeur.Pauline a été attaquée d'une métrite très violente ;nou3

avons cru la perdre pendant deux jours;elle est hors de danger à présent^mais encore très souflfrante.C'est le médecin Anfossi qui

l'a trai-

(1) Questa donna, della quale lo storico torna a parlare poco più sotto, doveva essere quella sua vecchia governante ricordata dal BrofFerio là dove parla della visita fatta al B. in Parigi (I miei tempi, 'KYIU, i76 (cap. 167), Torino, 1861). In altre due lettere al Scipione lined.; 21 luglio 1834 e 21 luglio 183B)essa è nominata come persona vivente nella casa dello

storico affezionata a lui e al figlio. ;^2) Hodeida è un notevole porto del Mar Rosso e capitale del Sangiaccato omonimo del vilajet di Yemen nell' Aiabia felice. Per la sua posizione que-

sta città ha ora assorbito l'attività commerciale di parecchi mercati della

regione, un tempo attivissimi per l'esportazione del caffè, e in modo particolare della città di Mocca.Da Hodeida infatti si esporta ora il vero « cafié

mocca » (3) Il dott.Sisto Anfossi assistette poi lo storico nella sua ultima malattia {

DiONisoTTi, Vita diC.B., 485, n. 2»).


- 93 tèe (3), et nous avons appelé en consulation mr.Lisfranc (?). Soa mari,

qui te salue,n'a pas quitte son Ut: nous avons eu pour cette excellente personne tous les soins qu'elle mérite.Je t'embrasse de nouveau. *

Toh aff.épère Charles Butta.

M.u* Vaici s'est marìée;elle a epousé mr.Vitout,père de m."e Viiout qui tient le magasin de m.™«Andrey. Voici l'adresse deCincinnatus,à qui tu feras bien d'écTire.Monsieur

av premier Bataillon d'Infanterie ìègère de Varmèe d'Afrique.Oran

Botta, Sonslieutenant

Voici le titre de ma traiiuction: S'iajrgio intorno al globo, principal-

mente alla California ed alle isole Sandwich negli anni 1826, 1827, 1828 « 1829,di A.DuhautCilly,Capitano di lungo corso,Cavaliere della legion d*onore,etc.Con l'aggiunta delle osservazioni di Paolo Emilio Botta,Natu ralista, sugli abitanti di quei paesi.— Traduzione dal Francese nel-

ritaliano di Carlo Botta.

A Monsieur Monsieur Scipion Botta

Graveur Turin Stradale del Re

Casa Sacirere. XII.

Paris 22 fevrier 1837.

Rue de Verneuil N.47.

Mon cher Scipion, Je réponds à ta lettre du 6 courantJ'ai vu mr.Baudry;il ne peut pas 88 charger de l'impression à ses frais de ma tratluction du vovìige de

mr.Duhaut Cilly.Ainsi je t'en enverrai le manuscrit atin que tu puisse ea tirer quelque parti,s'il est possible.Quoiqu'il arrive,moD amour pròpre n'y est nullement intéressé.J'ai fait cette traduction dans le but unique de te procurer une ressource;8Ì cela ne peut s'obtenir tu garderas lemanuscrit dans les papiers de famille.Le manuscritdu premier

volume est déja entre les maina de mon.'Bonafous qui te le remettra à son arrivée àTurin..Ie lui avais móme déja remis le deuxième,si je n'avais pas óté Interrompu dans ma copie par la grippe qui m'a attaqué

Msez violemmenUmais ce(sic)commence à se calmer;mai8 la copie de ce vol.tUait dt*ja très avancée,et dans quelques jours elle pourra ^tre achevée.Restera la copie de la traduction des observations de


— 94 — Paulemile,mais c'est une affaire tout au plus d'une centaine de page.II ne faudra plus parler d'observatlons inédites;car je suis fatigué,et ne

me sens pas la force de me livrer à la traduction de celles qui 6ont entre les mains de mr.de Blainville.Mr.Bonafous anrais (sic) désiré que je misse en lète de la traduction, à coté du nom de Paulemile,tous ses titres académiques.Mais je me refuse absolument à cette idée;tu sais

d'abordquecelane lui feraitpasplaisir;ensuite il faudraitajoutertoua les miens;ce qui n'aurait

pas convenu, m'étant toujours appelé dans

tous mes ouvra.ges,Charles Botta tout court.D'ailleurs cela aurait al-

longé considérablement le titre de l'ouvrage qui est déjà trop long. Ainsi,si l'ouvrage s'imprime son titre doit exactement [étre] le suivant :

Viaggio intórno al globo, principalmente alla California ed alle isole Sandioich negli anni 1826, 1827,1828 e 1829 di A.Duhaut-Cilly, Capitano di lungo corso, Cavaliere della Legion d'onore etc.,con l'aggiunta delle osservazioni sugli abitanti di

qun paesi, di Paolo Emilio Botta.

Traduzione dal Francese nell'Italiano di Carlo Botta.

On pourra remarquer à l'occasion de cette traduction, qu'il y a depuis long tems disette de ces sortes d'ouvrages en Italie,qu'il y a méme une lacune enorme à cet égard depuis les traductions des premiers navigateurs que depuis lors la marine et la navigation ont fait de très ;

grands progrès, que l'ouvrage de mr.DuhautCilly en est au courant,et quej'ai cherché aussi à tenir la langue italienne au courant de ces

progrès que les Italiens commencent à elargir leur vue au de là [de la] ;

Mediterranée, et à les porter vers les mers du Sud, que les Genois surtout,peuple si actif,et si plein d'intelligence,commencent à les frequen-

ter;mr.Duhaut-Cilly en a rencontrer («e) plusieurs,Paulemile en a vu trois dans le port de Canton en Chine.Cet

ouvrage peut-étre rééelle-

ment (s^c) pour eux d'une utilité pratique et très précieuse. Tu trouveras dans le 2» voi. une ou deux pages qui sont indiquées dans la traduction et que je n'ai pas traduites,parce qu'elles ne confiennent que des chiffres numériques,et que le premier venu,toi méme

par exemple peut les traduire.Il y a dans les observations de Paulemile sur les isles de Sandvt'ich un vocabulaire très étendu du langage des habitants de ces iles.J'ai bien mis les mots francois en italiens,mais il

en est résulté qu'ils ne sont plus comme dans roriginal,dans l'ordre

alphabétique,parce que un grand nombre de mots francais ne commencent pas par les méraes initiales.il faudra que quelquuns (sic) se

charge du travail de remettre l'ordre alfhabtiqueis^c)en placant dans son rang alphabétique chaque mot italien.Tu pourras toi-méme faire ce travail, il ne demande qu'unpeu d'attention.

Tu peux maintenant parler de notre projét à toutes les personnes que tu jugera {sic) convenables {sic).


— 95 — Je t'enverrai une petite dédicace à toi bien simple et bien modeste. S.M. le Roi de Sardaigne vient de faire un bien noble cadeau, c'est un

exemplaire de la Galleria Illustrata par Roberto D'Azeglio.Je m'en sens, on ne"peut pas plus honoré.Ce grand Souverain me laisse un seul regret,c'e8t d'étre trop vieux pour pouvoir faire queique chose digne de

lui.Vous conserverez,après

ma mort,80igneuseusement(stc) ce beau

cadeau dans les papiers de la famille. Js consents très volontiers que tu graves mon portrait;.je le desire

méme (1). Mille choses aimables à tous nos bons amis.

Ton aff.népère Charles Botta. (1)11 parlare che qui ai ta di questo ritratto del fiotta mi porge l'oppor-

tunità di fare qualche osservazione intomo all'iconografia bottiana.

Negli ultimi anni della sua vita il Botta fu ritratto più d'una volta. Al 1832 probabilmente va ascritto il ritratto che di lui ;ece in Parigi il pittore Achille Deveria.Ma dell'opera originale del Deveria nulla si conosce forse non fu neppure un quadro a olio. Solo si sa che il Deveria ritrasse le -sembianze dello storico, e che Augusto Blancard ne fece l'inci;

sione per l'edizione originaria della «S/oria rf'//aZ/a

iìi

continuazione del

Guicciardini, i&tXsi. in Parigi dal Baudry nel 1802. A detta del Dionisotti Vita di C.B., 493, n.l'i e di altri, questo ritratto è il più rassomigliante.

(

Lo storico però non vi accenna mai nelle sue lettere. Ripetutamente invece e con evidente compiacimento il Botta nelle lettere a Scipione parla del ritratto fattogli nel 1835 dal Champmartin.Da

quattro lettere inedite dello storico al figlio (6 marzo, 20 aprile, 21 luglio e 3 agosto 1835), appartenenti pure all'archivio Fontana, si apprende che lo Champmartin ritrasse il Botta per desiderio del figlio Paolo Emilio, e

che, finito il quadro, che lo storico chiama « un chef d'oeuvre de ressem-

blance et de peinture »

tosto a Torino al che aveva maggiori probabilità di essere il

lett . 3 agosto 1835\, egli lo spedi

figlio Scipione, come quello

continuatore della famiglia, giacché Paolo Emilio viaggiava quasi conti-

nuamente lontano dall'Europa e Cincinnato era militare in Algeria. Questo ritratto rimase infatti presso Scipione Botta.E nello sperpero che di quanto aveva lasciato lo storico fece poi Francesco Botta, figlio di Scipione, il ritratto fu salvato, ed è ora posseduto dal Dott.Comm. Giorgio Rigoletti,

Medico Chirurgo di S. Giorgio Canavese, per o\>6th del quale esso nel 1911 figurò nella « Mostre del ritratto italiano » di Firenze. La tela ben conservata porta all'angolo superiore sinistro la firma dello Champmartin. Il Dionisotti dice che « nel 1869 si pubblicò dalla litografia Jiinck in Torino il ritratto dipinto da Allemand, il cui originale è posseduto dalla fa-

miglia * (loc. ci7.^. L'incisione edita dalla litografia Junck nel 1869 è assai diffusa; una copia conservasi nella Biblioteca di S.M. il Re in Torino,»


— 96 — P.S.Tu remarqueras que dans la traductioa du titre j'ai méme supprimé le mot de naturaliste qui se trouvait accollé,dans le premier projet, au

nom de Paulemile.il me semble que Paulemile Botta et

Charles Botta tout cours (sic) sonnent mieux.

Tu sais qu'il y a dans l'ouvrage quelques planches litographiées.Si reca la scritta:» l'Allemand dip. -Con perm.Torino Lit.J.Junck -Pedrone lit."» .Ma l'affermazione del Dionisotti non è esatta.Egli o non vide o non

osservò bene il ritratto dipinto dallo Champmartin che al suo tempo eon.

serva vasi appunto presso la famiglia dello storico, e non lesse quindi la

firma dell'autore sopra la tela. E cosi, leggendo sotto l'incisione la scritta »

l'Allemand dip. > attribuì senz'altro il ritratto all' Allemand, mentre in,

vece questa incisione riproduce proprio l'opera dello Champmartin. Questo errore, come vari altri del Dionisotti, fu ripetuto da quanti

dopo di

lui

parlarono di ritratti dello storico e così fece la Gazzetta del Popolo della ;

Z)ome?^òca,XVI, 46 (Torino, 13 novembre 1898) che riprodusse l'incisione saddetta. Il ritratto che il Dionisotti attribuisce all'Allemand è dunque quello dello Champmartin, del quale si parla in questa lettera e nelle altre citate.

Ma donde potè nascere l'errore del Dionisolti ? Poiché la tela, dalla quale fu tolta l'incisione, reca chiaramente la firma dello Champmartin, non v'ha

dubbio intorno alla paternità del quadro, che non può quindi supporsi del pittore Louis Hector Francois Allemand di Lione, il qual d'altra parte fa paesista e non ritrattista. Occorre dunque chiarire quell'espressione « l'Allemand dip. », la quale trasse in inganno il Dionisotti. In ben sedici lettere a Scipione, degli anni 1834, '35 e '36, sei delle quali figurano in questa raccolta (lett. i,v, vi, vii, vili e x) lo storico il

sig. A. Lallemand, l'incisore che era stato il

rigi, che per Scipione curò la costruzione di

nomina

maestro di Scipione in Pa-

una macchina per incidere,

inviatagli a Torino dal padre, e che finalmente nel gennaio del 1836 si trasferì anch'egli a Torino, e quivi esercitò l'arte sua, talvolta in collabora-

zione col suo ex-alunno (Cfr. la relativa nota alla lettera i).Si aggiunga il proposito di Scipione di incidere il ritratto del padre, e il consenso di quest'ultimo e l'incisione dov-eva naturalmente essere stampata. Ma ;

non ri-

sulta che Scipione Botta mantenesse il proposito manifestato. Non è im-

probabile che l'incisione propostasi da Scipione, che conosciamo di propositi tutt'altro che fermi, fosse poi eseguita dal Lallemand.

E l'editore

dell'incisione, operando parecchi anni dopo, quando forse il Lallemand non

era più in Torino, confuse probabilmente il nome dell'incisore con quello del famoso pittore Irancese, al quale attribuì senz'altro la paternità del

quadro.

In conclusione,comunque possa spiegarsi l'errore del litografo e del Dionisotti, l'incisione edita dalla litografia Junck riproduce

•Champmartin e non un altro.

il

quadro dello


— 97 — on l'ourait (,sfc;eii reproduire quelques unes dans la traduction,celaferait un bel effet(l). XIII.

[Paris, 16 mars 1837] (2).

Mon cher Scipion, Mon excellent ami m.^Bonafous part aujourdhui pour Turin.ll te remettra la traduction du

l»' voi. de

DuhautCilly, et celle des observa-

tions de Paulemile.Tu feras attention. quant à cette dernière, qu'elle est le brouillon,el

que je n'en ai point copie.En conséquence tu ea

auras bien soin.Je te répéte,qu'il faut mettre en ordre alfabétique (sic) le

vocabulaire des isles de Sandwich. Si la traduction s'imprime,il fau-

dra imprimer à la fin de chaque vol.,comme index,les sommaires contenus dans le vol.,ainsi qu'on volt dans l'ouvrage original.On pourra les copier à la téte de cliaque capitre. J'ai envoyé,il y a quelques jours,à l'ami Marchisio

ma petite dédi-

cace à toi.U te l'aura sans doate remise.Elle est bien barbouillée;tu feras bien de la copier (3).

La copie du 2«vol.est bientòtterminée;je te l'enverrai par le moyen que mr.Bonafous m'a indiqué. J'ai une lettre de Cincinnatus du 13 Fevrier.Comme il avaittoujours des douleurs dans les jambes.son Commandant l'a envoyé à Arzeux, poste tranquille, où il pourra se reposer.Au

moment de terminer sa

lettre, il allait s'embarquer sur le bàtiment à

vapeur le Gerbère pour

se rendre à ce dernier poste (4).

Je n'ai pas de nouvelles ultérieurs (sic) de Paul Emile.

Adieu,je t'embrasse de coeur,et fais en autant pour moi envers nos-

bons amis.

Ton aff.*père Charles Botta. (1) Nella traduzione esistono infittii due tavole litografate, una per cia-

scun volume. (2)

La data manca neirautografo,che è lacerato in questo tratto, ma ri-

sulta dal bollo postale. (3) K la lettera dedicatoria del 2 marco già citata, come

pure fu citata

già quella al Marchisio qui nominata implicitamente e che porta la mede-

sima data (Ctr. la relativa nota alla lettera xi di questa raccolta). (4) Àrzeu, l'antica «Arsenaria» dei Romani, sorge nella parte occidentale della baia omonima ed è un

buon porto a 87 km. da Oran. Possied» numerose rovine di monumenti antichi, ed è notevole per le sue saline fr per il commercio del grano.


— 98 — Je tousse encore par suite de la grippe mais je vais beaucoup mieux. ;

A Monsieur "Monsieur Scipion Botta

Graveur

Turin Stradale del Re

Casa Sacirere. XIV. Paris 29 mars 1837.

Rue de Verneuil N.47.

Mon cher Scipion, J'envoie aujourdhui à la diligence le manuscrit du 2» voi. du voyage

du Capitaine Duhaut-Cilly.Le paquet est adressé à mr.Bonafous qui te le remettra.D'aprés le contenu de ta lettre du 21 courant arrivée hier,

je commence à désespérer que cette traduction puisse étre impriraée. J'en suis bien fàché pour toi:cela resterà dans les papiers de la famille, et, n'ayant pu étre imprimée,ce sera un témoignage de la misere de quiconque écrit en Italien.Quant aux observations inedites de Paulemile, elles sont enti'e les mains de mr.de Blainville, mélées à beaucoup d'autres choses.Je n'ose lui demander de faire ce triage.Ainsi, il

ne faut plus y penser(l). J'ai recu,il y a quatre ou

cinq.jours,des nouvelles de l'aulemile par

deux lettres de lui datées d'une ville de l'Arabie les 25 Octobre et 15 Décembre derniers.Il jouissait d'une très bonne santé,et était fort content du succès de sa mission.lndépendamment de ses récoltes dans le regne animai, il avait déja amasse un herbier de dix à douze mille plantes, la plus part nouvelles.il allait partir pour Moka,où il doit étre en ceTOoment(2).ll ne manque jamais de saluer ses fréres dans toutes ses lettres.

Je suis bien charme que tu aies fait un voyage à St.Georges,mais je

ne sais,si tu as visite le Cérial et la Cassine.Je serais très faché,si tu ne l'avais pas fait.Tu aurais dù en parcourir les limites,et examiner l'état de la culture.Mais ces biens,qui

me sont si chers,paraissent aban-

donnés par ses màitres, puisque moi,je ne puis pas les voir,et tu as l'air de ne pas t'en soucier beaucoup.

Le professeur Rossi est mon ami intime depuis plus de vingt ans; ;mais 11 ne m'a pas donne son ouvrage,et je n'ose pas le lui demander.

(l)Cfr. ciò che a proposito di questo scritto di P. E. Botta si è detto in iiiota alla lettera xi.

(2)Cfr. in calce alla lettera xi la nota che riguarda Hodeida.


- 99 — €'est un homme de genie, et bien supérieur aux bavards qui font tant

parler d'eux.La France 8*est honorée en adoptant un pareil homme (1). J*ai

oublié Tadresse de m.ii®Belzi;je sais bien qu'elle

Rochechouart,mais je ne sais pas le n.*'(2).Si tu

demeure Rue

me le fais connaitre,

je lui écrirai,si pourtant tu ne préfères de lui écrire toi méme. Il

me semble de t'avoir déja informe que Cincinnatus était alle à

Arzeu, poste tranquille, oii il pourra se reposer. Adieu,cher Scipion;j'ai écrit avant hierà Giordano,etj'écris aujour•dhui à Bonafous.

Ton aff.é pére Charles Botta.

XV. Paris 19 avril 1837.

Rue de Verneuil N. 47.

Mon cher Scipion, Je réponds sur le champ à ta chère lettre du 13 courant.La démar-

che de mr.le m." d'Azeglio est,on ne peut pas plus aimable;je reconnais bien là cette ancienne et bonne amitié dont il m'honore.J'attends sa lettre, à la quelle je répondrai en lui témoignant tonte notre reconnaissance.Quant à la proposition de m. m.Chirio et Mina, elle est inacceptable, parcequ'elle ne remplissait nullement le but que je me suis

propose en faisant la traduction dont il s'agit(3).Il est essentiel que mr.d'Azeglio connaisse complétement ce but.ll est donc nécessaire qué tu ailles lui faire une visite pour le remercier d'abord.etensuitepour lui expliquer clalrement

mon but, lui donnant méme lecture de toutes

il) Pellegrino Rossi, da Ginevra, dove risiedeva fin dal 1816, era stato chiamato nel 1834 dal ministro Guizot ad insegnare Economia politica al

Collegio di Francia.Era già membro dell'Accademia; Tanno seguente di-

ventava cittadino francese e nel 1839 Pari di Francia. Il Botta lo conosceva e ne era sincero ammiratore (Lettera del 23 luglio 182'i al Balbis,in Makio ZvccHiJattere inedite di Carlo Botta a G. lì. lialbiif, eatr.daMa, Miscellanea di sludi storici in onore di Giovanni Sforza, huccs, 1915.Cfr.inoltre SciP. :

Botta, Op. ci/., 27). (2) La < rue Rochechouart > corre nel faubourg Poissonnier parallela appunto alla < rue du faurl>ourg Poissonnier » entrambi queste vie sboccano sul < boulevard du Rochechouart» nella parte settentrionale della città. (3)Chirio e Mina erano proj)rietari di una casa editrice in Torino (A. 'Bkovvkhio, Cenni storici intorno alVarte tipografica e suoi progressi in Piemonte dall' invenziotti della stampa al /^,95,p.40.Senza indicazione di ;

,

luogo, 187«?).


— 100 — les lettres que je fai écrites à ce sujet.Revenant maintenant à la pro-

position de m.m.Chirio et Mina, je répete qu'elle est inacceptable.il n& fant traiter avec eux, ou avec tout autre libraire ou

imprimeur que moyennant cinq cents francs au moins,et douze exemplaires pour cadeaux à nos amis,dont six pourtoi et six pour moi.Si on ne peuttrouver ces conditions,tu enfermeras le manuscrit dans ton tiroir,où il resterà parmi les papiers de la famille.Il est toujours bien entendu,que les 500 f. ou toute autre somme

qn'on retirerait,serait pour toi pour

étre employée à l'acquittement de tes dettes les plus urgentes.Je t'autorise par la présente à traiter et conclure en

mon nom avec tei li-

braire ou imprimeur que,ce soit pour cette affaire,promettant de tenir

pour bon et valable tout ce que tu auras fait. Le bon Giordano, à qui j'ai écrit hier,te donneras (sic) des nouvelles de Paulemile(l).Je n'en ai pas d'ultérieures de Cincinnatus.

Ta petite lettre a été mise à la poste. J'ai revu avec le plus grand plaisir l'aimable et savant mr.Sismonda. Il

m'a dit t'avoir donne quattre planches a faire (2).

Ma sante ne peut pas se rétablir entiérement par les mauvais tems qn'il faitJ'attends les premiers beaux jours pour sortir et reprendrcs (sic) des forces.Je Sembrasse.

Tpn aff.épère Charles Botta. Il

est évident qu'on ne pourra traiter sérieusement que lorsque tout

le manuscrit sera arrivé à Turin.Mais mr.Bonafous ne peut pas tarder

à paraitre. (1) Questa lettera de] B. al Gioi-dano, del

18 aprile 1837, è rimasta ine-

dita. Essa non è compresa tra le molte lettere bottiane a lui dirette e pu-

blicate dal Viani {Lett. di 6.B.,Torino, 1841). (2) Angelo Sismonda (1807-1878) di Corneliano

d'Alba (Cuneo) fu geo-

logo distintissimo. Prediletto dal Borson, che insegnava mineralogia nel

Museo di Storia naturale di Torino, egli potè, con l'aiuto del suo maestro, perfezionarsi negli studi in Parigi, donde tornò più tardi a Torino per

succedere poi al Borson sulla cattedra e nella direzione del Museo di mineralogia. Esplorò per lunghi anni le Alpi e ne trasse una ricca collezione di minerali oltre agli elementi per la carta geologica degli Stati di terra-

ferma del Re di Sardegna. Questi suoi studi furono di grandissimo giovamento nella grande impresa del traforo del Cenisio, giacché egli seppe indicare preventivamente la natura delle rocce, può dirsi, palmo per palmo. Il Sismonda godette altamente la stima dei re Carlo Alberto e Vittorio Emanuele li questi anzi lo volle maestro de' suoi figli, ch'egli accompagnò in tutti i loro viaggi in Europa. Anche il Governo gli affidò talvolta delicati incarichi. Onoratissimo in vita, fu Senatore del Regno e membro;


101

XVI. Paris, 3 mai 1837. Rue de Verneuil N. 47.

Mon cherScipion, Je ri^ponds sur le champ à ta lettre du 28 dernier.La proposition de

Chirio d'imprimer à ses frais remboursables préalablement sur la pre-

mière vente et de partager ensuite. les proflts pour moitié, n'est pas acceptable.Ainsi il ne peut pas en étre question.Si on ne peut point

trouver un prix au dessus de 600 f.; il faut accepter ces 600 f.avec quel-

ques exemplaires pour nous comrae je fai écrit par une de mes précédentes.Quelque (sic) soit le prix intrinsèque de l'ouvrage, on ne peut

pas régler sur lui le prix libraire,surtout quand il s'agit d'un ouvrage écrit en Italien,et cela

évidemment à cause des contrefacons.il s'agit

d'ailleurs d'une traduction.Mon

amour propre ne serait nuUement

blessé;c'e8t une nécessité qui tient à la nature des choses en Italie re-

lativement à l'impression et au commerce des livres.Ainsi, accepte les 600 f.,si tu

ne peux trouver mieux et pour cela tu traiteras avee

tei libraire ou imprimeur en qui tu auras plus de conflance.Je te laisse

parfaitement libre à cet égard.Je te répète seulement,que je désire

que l'ouvrage soit imprimé à Turin.Aussitòt que tu auras conclu,fais en part à l'ami Marchisio le priant de se charger de la correction des épreuves;je lui écrirai ensuite moi méme à ce sujet(l).Tu pourrais

méme le consulter pour le choix des caractères,atìn que rédition,san8 étre de luxe,soit propre.

Je fai écrit hier un petit mot avec une lettre pour mr. d'Azeglio (2). Si tu vois ce digne homme,remercie le de tout l'intérét qu'il nous porte. .

La grippe m'a laissé une toux fort rebelle; elle a cependant beaucoup

(iiminué.Je suis sorti hier et fait(?) une bonne promenade.Si je ne suis sorti plutòt(stc)c*est à cause des tems affreuxque nous avons constam-

delle principali Accademie e Società scientifiche

d'Europa (M.Lessona,

Naturalisti italiani, 75-82,Roma, 1884). 11 Botta lo conobbe ancor giovane in Parigi e

molto lo stimò (fjett.di C/i., 59-60, Torino, 1841). Le « plan-

ches » alle quali lo storico qui accenna furono realmente incise dal figlio

suo Scipione e publicate in istudi del Sismonda nelle Memorie della R. Ac-

cademia delle Scienze di Torino. 1) Al Marchisio aveva già scritto a questo proposito il 2 marzo precedente e riscrisse ancora l'il giugno, come già fu accennato in nota alla ;

lettera xi.

i2)Come si notò nell'introduzione, sono rimasti inediti tanto la lettera del giorno precedente al d'Azeglio quanto il

n RiMorg. Uni, Xlll

« petit

mot > per il Scipione. 7


— 102 — meni eus.Le printems n'a cooimencé que depuis trois jours.Si je ne suis pas sorti avant hier, ce fut pour ne pas me trouver au milieu de la foule qui inondait tout Paris à cause de la féte du Roi.

Je t'embrasse, cher Scipion,et embrasse pour moi nos amis;parmi les quels tu n'oublieras le boa et exellent Bonafous.

Ton aff.épère Charles Botta. XVII.

22 mai [1837] (1).

Cher Scipion, Mr.le marquis d'Azeglio par sa lettre du 10 courant m'annonce un nouveau^bienfait du Roi.Sa Maj.m'accorde cinq cents francs pour aider

à l'impression de ma traduction.Cette somme sera payée dans tes mains.Ainsi, en supposant que tu ne trouves pas plus que 600 f. chez un libraire ou imprimeur,tu auras toujours.llOO fr.pour payer tes dettes.Tu sens bien que d'après cette nou/elle bonté du Roi à mon égard,il est indispensable que la traduction soit imprimée àTurin.Ce serait une grande inconvenance et une grosse sottise que de l'impri-

mer à l'étranger.Tu trouveras ici joint une lettre que j'écris à mr. d'Azeglio

;

lis la, cachete la, et

va la lui remettre (2).Tu vois combien

nous devons à ce digne homme.Car c'est lui qui a informe le Roi de toutes mes intentions relativement à la traduction.Tu lui demanderas si on peut parler, au moins à ses amis,de cette nouvelle gràce

de S.M.

Tu suivras son conseil. J'attends avec impatience de tes nouvelles.Je n'en ai point d'ulterieu-

res de tes frères. Il

fait toujours ici un tems désolant:ce matin il est tombe du grésij

pendant une demi heure. Je t'embrasse de coeur.

Ton afif.épère Charles Botta. XVIII.

Paris,3juin 1837.

Mon cher Scipion, Voici une lettre de remerciment pour mr.de Villamarina.Vous la lui ferez parvenir;il serait méme convenable qu'elle lui fùt remise par (1) L'anno manca nell'autografo,

ma non può essere che il 1837.

(2) Questa lettera al d'Azeglio è edita in Rivista contemporanea, 1862,

p. 339, e in Dionisotti, Vita di

C B., 482, nota.


- 103 Charles (l).J'apprends avec beaucoup de plaisir que Charles est content.Je ne doute pas qu'on ne soit content de lui.J'ai

seule inquiétude,c'est que ses boubous

si

à cet egard une

souvent immaginaires, sur-

touten hiver l'empèchent d'aller au bureau ;s'il n'etait pas assidu,ce eerait un grand malheur pour lui et pour moi.Fais lui part de mes in-

quiétudes. Je suis enchanté des sentiments que tu as pour le Roi Charles Albert, si bon et si

bienfaisant pour nous.Ne te laisse pas ébranler parles vo-

ciférations de quelques ambitieux.Crois à la longue expérience de ton

pére. Si tu savais ce que j'ai vu

!

Je suis bien fàché que tu n'aies encore rien pu conclure relativement

à la traduction.Je suis étonné du mauvais olflce de Bocca.Il est peutétre piqué de ce que on n'est (sic) pas adressé a lui car il m'a toujours

donne des marques d'amitié.Il faudrait peut-étre le voir et lui parler. Il

a la réputation d'honnéte homme et de bien tenir ses promesses.Tu

feras là dessus ce que ta prudence te suggérera (2).

Le beau tems continue et je sors tous les jours pour aller faire une promenade aux Tuileries. Tu me consoles en me donnant de bonnes nouvelles de la campagne. Vas (sic) à la cassine, vas (sic) au Cérial et rends moi compte de leur ;

état.Il y a bien plus de trente [ans] que ce pauvre Cérial n'a pas vu pied

de maitre.Tu sais cependant qu'il fait du très bon vin et ce serait un

crime de le négliger.Donne de ma part le bon jour à Paulin de la casine. Le professeur Sismonda a écrit au professeur Gène pour le prier de te charger des planches de sa Faune de Sardaigne ; j'espère qu'il le fera.

Je lui ai écrit moi-méme pour le meme objet.Mais il conviendra que tu ailles le voir aussitòt après

son retour à Turin, retour qu'il (sic) doit

étre imminenUS).

(1) « Mr.de Villamarina»

è

il

march. Emanuele Pes di Villainarina, al-

lora Ministro dèlia guerra del Regno di Sardegna, oppure

il

figlio di lui

Salvatore (1808-1877), che fu poi il celebre diplomatico e che allora era segretario e aiutante di campo del proprio padre (Il luarchene di Villamarina. Memorie di un diplomatico publicate da F'ekdinando Bosio, Milano,

non è edita, né mi dove ai conservi. L* altro personaggio, indicato col solo nome di battesimo, non posso argomentare chi sia. (2) La casa editrice torinese Bocca è tuttora una delle più stimate d'Italia. Come fi'\k fu notato nell'introduzione, non è possibile stabilire in che cosa consistesse il « mauvais office > qui lamentato. (8) Come fu indicato nella relativa nota alla lettera xv, Scipione Botta incise alcune tavole per opere del Sismonda. Altre ne incise per vXrie mo1877). La lettera qui nominita del H. al Villamarina

risulta

\


— 104 — Nous ferons ta commission pour la toile imperméable. Jesuis dans une grande inquiétude au sujet de notre cherPaulemile;

car je n'ai plus re?u de ses nouvelles depuls celle que tu cónnais.Je n'en ai pas non plus de Cincinnatus ; mais vù (sic) le pays où il se trouve,

mon inquiétude est moindre que pour Paulemile. Salue Giordano,Marchisio et les autres aniis plus intimes.Je t'embrasse.

Ton aff.épère Charles Botta.

XIX. Paris 22 Juin 1837.

Mon cher Scipion, La présente eemaine a été bonne pour moi; dimanche Natus est arrivò; il est logé chez moi.Luudi je recus une lettre de Paulemile datée

de Bjidda Djidda (1) les 5 et 10 avril

;

il

était encore faible, mais les for-

ces lui revenaient,et il espérait reprendre bientòt ses travaux;il salue,

comme toujours,ses frères.Avant hier est arrivée ta lettre du 14.Tu as bien fait de t'en rapporter tout à fait à mr.D'Azeglio pour l'impression

de ma traduction.Si cette marche n'avaitpas été interrompue,raff"aire serait conclue,il y a long tems,avec Chirio qui a des obligations à mr.

d'Azeglio.Comme il y a, en plus, les observations de Paulemile, il conviendra que dans l'édition on transporte au leryol. le lerchap.du 2e vol..savoir le XI,afin que les deux vol.restent à peu près égaux.Je sup-

pose, et cela doit étre,que les observations de Paulemile soient impri-

mées à la fin de 2ovol.Paulemile n'a donne aucun détails sur la reception par les Américains à Callao,ou soit Lima.Ainsi,il ne faut pas parler de cela.C'est certainement un lapsus

calami qui m'a fait écrire

Duhaut-Scilly.Il ne faut pas de S(2).Je serais charme, si l'édition por-

nografie del Gene, non però per la € Fauna di Sardegna » che, com'è noto, l'illustre scienziato non potè scrivere

;

e altre ancora per un'opera di bota-

nica del Moris e del De Notaris, e per il Savi, altro botanico. Tutte queste incisioni, in verità finissime, insieme con gli scritti ai quali appartengono,

sono edite nelle Memorie della R.Acc. delle Se. di Torino, serie 1» e 2». (^1) Forse Djidde sulla costa araba del Mar Rosso a poca distanza dalla Mecca. In una lettera al Greene, del 5 ottobre precedente, questo nome è € Djidda » [Arch. st. il., n. s.,T, ii, 90). (2) Allude certamente al modo errato nel quale scrisse la prima volta questo nome nella lettera del 24 gennaio precedente.il figlio, vedendo il

nome dell'autore del libro colà scritto Duhaut-Scilly e altrove DuhautCilly, doveva, aver espresso al padre il proprio dubbio.


— 105 — tait les 4 planches de Touvrage

ne reiarde pas

gravées par toi.pourvù (sici que cela

la publication.Cela

me ferait vraiment beaucoup de

plaisir.Personne ne revera que tu es un dissipateur,et que c'est par in-

conduite que tu as contraete' quelques dettes;ainsi,tu n*as pas besoin

de certificat à cet égard.Tu payeras une bonne partie de ces dettes par la somme provenant de latraduction:mais il faudra,qu*en méme tems

et pour ne pas rendre inutile ce secours extraordinaire,que tu t'astrei-

gnes tant que possible, dans tes dépenses^et que, pour le moment, tu ne songes à aucune dépense extraordinaire.Ta première pensée doit étre celle de payer tes dettes ;quand ces dettes seront entiérement acquittées, tu pourras te livrer à quelques douceurs,et méme

me venir

voir à Paris ; mais avant cela,vie d'hermite.Tu penseras sans doute qu'ii

<;onviendra que tu envoies au Roi un exemplaire bien richement relié

de l'édition.Tu pourras t'entendre ou avec mr.César de Saluces,ou avec mr.Rossi(l)sur la manière convenable de faire parvenir cet exemplaire à S.M.Il est bien entendu que ces deux ^tersonnages doivent en

avoir,chacun,un.Quant aux autres amis,je m'en rapporte à toi.Seulement je te mets sous les yeux Filli qui doit en recevoir un.Quant à moi,

peux m'en envoyer sept à huit,tu me feras grand plaisir.Je te rapdans l'ordre alphabetique le vocabulaire des isles de Sandwich,et retablir dans la traduction les pages des chiffres, qui sont dans l'originai, et que je n'ai pas transportées dans mon ma-

si tu

pelle qu'il faut mettre

nuscrit.Le ben jour à Giordano et à Marchisio. Vas (sic) voir Bonafous, embrasse le pour moi,et dis lui que j'ai regu sa lettre du 1®' de ce mois et que bientòt Je lui répondrai.Ce bon et excellent ami doit avoir.aussi un exemplaire de ma traduction; ne manque pas de lui en faire hom-

mage.Je n'ai aucune nouvelle de mM« Belzi.Cette demoiselle n'est jamais

venne me voir, et je ne puis pas l'aller voir à cause de mes inlìrmités. Je t'avoue méme franchement,que quand méme je le pourraisje n'irais pas. Elle a fait trop peu de cas d'un

homme grave et malade,comme

moi, qui est alle lui rendre visite.Adieu,cher Scipion.J'attends de tes

nouvelles,de l'impression et de la cassine avec impatience.Je t' embrasse.

Ton air.* pére Charles Botta.(2) (

1 )

Chirurgo delle LL.MM. il Re e la Regina di Sardegna,nominato pure

nella lettera x. \

2) Questa è probabilmente

1'

ultima lettera scritta dal Botta al figlio

Scipione essa poi è una delle ultime lettere dello storico, il quale, come ;

è noto, mori il 10 agosto successivo. Di lettere posteriori a questa lo scrivente ne conosce una 8ola,quella cioè del 28 giugno 1837, al conte Littardi


— 106 —

APPENDICE LETTERE INEDITE DI G. BOTTA A G. FILLI

Paris 14 novembre 1829

Place StSulpice N. 8.

Mon cher ami, J'ai vu hier mr.Florestan (1) qui m'a dit qu'on àvait recu de vos nou-

veiles de Lyon,et qu'il vous croyait arrivé heureusement à St.Georges.

J'espère que je ne tarderai pas à recevoir de vos nouvelles. En atten-

dantjevous écrispourvous prier de m'envoyer,à valoirsur mes revenus de 1729, la somme de 1200 f.pour les derniers jours de la présente année,ou,aii plus tard,pour le quatre janvier prochain.Je sais très bien

que vous n'avez pas encore vendu mes denrées, du moins en totalité, mais c'est un service que je demande à votre amitié,et pour une circonstance extraordinaire.il est question de m'unir en mariage,préci-

sément aux premiers jours de l'année prochaine,avec une femme qui, depuis mon retour de Rouen (2), m'a donne constamment les marques

(Op. cit., L54-166). Questa al figlio Scipione è preceduta da una breve lettera del terzogenito Cincinnato, il quale annunzia al fratello

il

proprio

arrivo a Parigi per un congedo di tre mesi. Fu cosi che il Cincinnato assistette

il

padre negli ultimi giorni della sua vita e ne raccolse l'ultimo

respiro. (1) Questo Florestan potrebbe essere il principe Tancredi Luigi Ruggero

Florestano Grimaldi-Matignon (1785-1856), succeduto col nome di Florestan 1 nel 1841 al fratello Honoré V nel principato di Monaco, che il loro

padre Honoré IV aveva riavuto alla caduta di Napoleone, mentre il nonno loro Honoré III ne era stato spodestato dalla Rivoluzione. L'ipotesi che

qui

si tratti

di

nn membro della famiglia principesca dei Grimaldi-Ma-

tignon è avvalorata dall'aflfermazione di Scipione Botta [op. cit. pp. 35-36) circa i rapporti di amicizia esistenti, fin dai tempi dell'Impero, tra suo padre e un vecchio principe di questa dinastia, il quale abitava in Parigi nella stessa casa nella quale abitava allora il Botta. (2) Il Botta dal novembre del 1817 al novembre 1822 fu Rettore dell'Accademia di Rouen. Perduto questo impiego, lasciò Rouen la sera del 2 di-


— 107 — de la plus touchante amitié,à moi qui ne suis ni jeune,ni beau,ni riche.

Sans les consolations que cette excellente femme m'a prodiguéesje serais mort mille fois de chagrin.C'est une dette de reconnaissance que

je paye.et j'espére en méme tems me procurer une compagne qui me

soignera dans mes derniers jours(l).Vous

me connaissez assez pour

croire,que cette nouvelle union n'infiuera en rien ni sur le bien étre ni sur la fortune de mes trois enfants.Je renoncerais à tout plutòt que

leur occasionner le moindre préjudice.Vous verrez par cette confi-

dence, que la somnie que je sollicite de votre amitié m'est d'une nécessité indispensable;je compte sur votre empressement à

me la fournir.

Faitesmoi le plaisirdem'envoyerle plutòt possible,rextrait mortuaire de ma première femme, duement légalisé par les autorités compétentes (2).Je crois que vous pourrez faire tout cela sans vous déplacer, et

que quelque ami deTurin,prié par vous,pourra nous servir car je ;

serais désolé, si cela pouvait vous

donner trop de fracas.Comme la

chose n'est pas encore certaine, qu'elle dépend d'une circonstance de la famille de la dame eu question, circonstance qui pourrait ne pas se

réaliser.et que par conséquent le projet pourrait très bien ne pas avoir

son exécutionje vous prie de n'en parler à qui que ce soit, et de me

garder le plus profond secret.Bien certainement,s'il s'effectue,mes parents et mes amis en seront instruits.Mes enfants se portent bien. Paul Emile se dispose à partir pour l'Egypte (3) Ils ne savent encore rien de

mes intentions.Je ne leur dirai rien, si la chose n'a pas lieu;dans le cas contraire je les en informerai en tems convenable.J'attends de vos

nouvelles avec impatience.Tout à vous.

Votre ami Charles Botta.

F.S.Comme dans mon extrait de naissance déltvré par l'archiprétre de St.Oeorges, et que j'ai dans mes mains, le de précède mon

nom(de

BoUa),you8 examinerai (sic) dans votre sagesse, si dans l'extrait morcembro 1822 per tornare a stabilirsi a Parigi (lett. ined.2 die. 1822 a S. Marchisio, in Bibl. di S.M. il He in Torino). (1)

Lo storico aveva oramai compiuto

i

sessantatre anni e,dopo aver at*

traversato un lungo perimlo di penose strettezze finanziarie, cominciava

appena a condurre una vita relativamente agiata, grazie, tra l'altro, alla sottoscrizione iniziatadal conte Littardi perchè scrivesse la continuazione del Guicciardini, la quale fu composta appunto tra il 1826 e il 1830. (2) Antonietta Viervil, da lui sposata in Chambéry nella

primavera del

1800. (Sì Ofr.ciò che a proposito di questo secondo dei grandi viaggi di P .E Botta si è detto nella relativa nota della lettera xi.


— 108 —

..

tuaire de ma femrae il faudra ajouter le deJe dis cela uniquement pour la régularité de la chose;carpourle reste, vous savez que je n'y tiens

pas.

A Monsieur Monsieur Filli en Piémont à St.Georges Canaves

parTurin II.

Paris 9 décembre 1829. PlaceSt.Sulpice,N.8.

Mun cher ami, J'ai recu

votre lettre du 30 novembre dernier, contenant l'extrait mortuaire de ma femme,et de la délégation de 982 fr.sur mr.Roatta. Je vous remercie bien cordialement de toutes vos complaisances.Je crois que le dit extrait sufflra tei qu'il est.Je tàcherai de faire mes affaires avec la somme ci dessus de 982 fr.Ainsi ne vous mettez pas en

peine de m'envoyer les 218 fr.qui resteraient pour compléter la somme

de 1200 fr.Le mariage dont je vous ai prévenu par ma dernière,se fera selon tonte apparence;mais

il n'est pas encore tems d'en parler au dehors de la famille.Je vous en instruirai en tems et lieu.J'ai vu hier

mr.Florestan qui se porte bien,et vous dit les cljoses les plus amicales. Je ferai votre commission à Drovetti;il est un peu indisposé,et ne sort

presque pas (l).Mes enfants se portent tous bien et vous saluent.Paul (1) Bernardino Drovetti (1776-1852) di Barbania Canavese (Torino), lau-

prime vittorie del Bonaparte entrò nella milizia e raggiunse presto il grado di capitano nello Stato Maggiore dell'esercito reatosi in leggi, alle

cisalpino e poscia di capo dello Stato Maggiore della Divisione piemontese

dell'armata d'Italia.Dal 1801 al 1803 fu giudice del Tribunale militare di

Torino. Annesso il Piemonte alla Francia, spiccò tra gli Uiìiciali del Bonaparte, e ottenne tosto di recarsi in Egitto come Console della Repubblica

francese e colà rimase come Console dal 1803 al 1815, e poi come privato, ,

finché nel 1821 riebbe dal governo di Luigi XVIII la medesima carica che

tenne sino al 1829. L'abilità e l'energia ond'era dotato lo resero stimatis-

simo tanto in Egitto quanto presso i vari Governi che si succedettero in Francia. Ma il momento culminante dell'opera sua politica e militare fu nel 1807 allorché la sua mirabile energia e l'assennatezza de' suoi consigli a Mehemet-Alì che l'ebbe carissimo, riuscirono ad affermare in Egitto

l'influenza francese, che aveva corso pericolo di essere soppiantata da quella ingleàe. Nella sua lunga permanenza in quel paese il Drovetti potè pure esplicare la propria attività nel campo delle arti, delle scienze, dell'industria,dell 'agricoltura.

Ma ciò che rese più noto il suo nome è la ricca


— 109 — Emile se prépare à partir pour l'Egypte.Je vous ai envoye, de sa part, sa thèse(l);j*espère que vous l'avez recue.J'en ai également envoyé

un exemplaire,aussi de sa part,à mon chercousin Georges Dominique Boggio,que je vous prie d'embrasser pour moi.Je suis bien fàché de la nouvelle que vous me donnez de l'avocat Michel. S'ii succombe à la maladie,St.Oeorges aura perdu un homme de bien, un homme qui n'a ja-

mais donne dans sa longue carrière que des exemples de vertu (2).Je suis Charmt* de ce que vous me dites de Caroline et de Josephine (3).

Rappelez moi au souvenir de la première.Je vous embrasse loto corde. Votre bon ami Charles Botta. P.S.J'espère que par votre première vous me donnerez de meilleures

nouvelles de votre sante.

A Monsieur Monsieur Filli en Fiémont St.Georges Canaves

par Turili collezione di antichità egizie ch'egli

andò componendo, specialmente con

gli scavi di Tebe, e che, acquistata nel 1824 dalla munificenza del re Carlo

Felice, creò la fama mondiale del Museo egizio di Torino {Notizie biografic/ie del

cav. Bernardino Drovetti,desunte dai documenti da esso lasciati,

per cura de' suoi esecutori testamentari, Torino, Un. tip. ed., 1857 I.MaCAR\o, Cenni biografici del fu cav. fi. Drovetti, Torino, 1885).I1 Drovetti fu ;

grande ammiratore del Botta, suo quasi compaesano anzi ne segui con tanto interessamento le vicende,che, ricco com'era di censo, quando seppe, nel 1824, che lo storicovviveva in gravi strettezze finanziarie, gli inviò in ;

dono dall'Egitto la somma di quattromila lire (Dionisotti, Vita di C.B., 186. Cfr. inoltre il mio precedente studio bottiano,in II Eisor. it., n. s.. Vili, 439, n.5«).

(1)E la tesi per la laurea in medicina: De V usage de fumer V opiiiìn. ThHe préaentée et soutenue à la Faculté de Medicine à Paris le 23 novembre 1829 par Paul Emi le Botta, né à Turin docieur en medicine, Paris. Didot le jeune, 1829. (2) Giorgio Domenico Boggio,8oprannominato « il bello » (O. Faldella, Carlo Botta deputato, in Natura ed arte, 1904-905, pp. 147-161) nato nel

1777,er&e8attore, e apparteneva ad una famiglia Boggio staccatasi dal ramo principale di questo casato fin dal sec. XV II. Verso questo congiunto il

Botta conservò sempre vivissimo affetto V.DRrBTTi,/l/rM»je lettere ine(

dite di Carlo Botta, in // Risorgimento italiano,X, 4», 489-497, a cui è annea«Mi una Tavola genealogica della jxirentela femminUe di Carlo Botta).

Ghiaia l'avv. « Michel » non so forse era un famigliare, che il B., com'era ;

solito,indica col solo nome di battesimo in forma dialettale. l3) Rispettivamente moglie e figlia dell'amico.


- no IH.

Paris 18 décerabre 1829.

Place St.Sulpice,N. 8.

Mon cher et bon Filli, L'union dont je vous ai parie dans mes deux précédentes n'aura pas lieu;il s'est présente

un obstacle imprévu.Je n'en conserverai pas

moins de la reconnaissance pour les peines que vous vous étes données pour moi dans cette circostance.Ne parlez à personneje vous prie, du projet,puisqu'il n'a point re§u d'exécution.Je profiterai

tout

de méme de la délégation que vous m'avez donnée sur ms.Roatta, et

dont je vous remercie.

Nous nous pourtons bien,Paul Emile se prépare pour son voyage d'Arabie. Vous devez avoir regu sa thèse, et Georges Dominique aussi. Je vous en ai adressé un exemplaire à chacun.Je vous souhaite de

grand coeur une bonne et heureuse année,et vous prie de la souhaiter de ma part à tous mes bona parents et amis.

Votre ami Charles Botta.

AMonsieur Monsieur Filli en Piémont St.Georges Canaves

par Turin

Carlo Salsotto>


COSTANTINO RETA 1.

Costantino Reta e il giornale il « Telegrafo ». 3. Il

2. Il Reta e Cavour.

Reta nell' esilio {dal carteggio di Carlo Negroni e di Ema-

nuele Celesia).

I.

Costantino Reta e

giornale

il

II

" Telegrafo „.

La tìgura di Costantino Reta, genovese, che lega particolarmente il suo nome ad una pagina dolorosa nella storia del nostro risorgimento politico, cioè ai moti di Genova del 1849, e"fu uno de' triumviri di quel governo provvisorio, è meno conosciuta di molte altre di quel periodo su cui la critica storica

ha ancora ricca messe da mietere e da raccogliere. L'attività giovanile del Reta, che discendeva da famiglia genovese dedita ai commerci, si esplicò particolarmente nelle lettere che coltivò con amore,opera svariata se non molteplice: (1) più tardi nell'esilio doloroso diede saggi delle parttcolari ten-

denze allo studio mostrato negli anni giovanili, come in quel

suo saggio pubblicato a Lugano nel 1851 « La scienza nuova 088ia ragione di diritti politici sociali della civiltà*. Ma gio-

vane si era dato con fervore al giornalismo e al teatro e fu per vero nel Piemonte fra

i

primi a promuovere quel gior-

ni Fra l'altro ricordiamo la biografìa di Cristoforo Colombo, nell 'opera Biografia Iconografica iTorino, presso Filippo Sotteri e C. edita lb46 Tip. Baricco e Arnaldi) e già nel 1841 pubblicava una strenna intitolata VUbi;

que fantasticheria di Ponzio Àriolo membro dell'Accademia degli Scienziati (Tip. Cassone e Marzorati(8.d.) in V29)\ e nel 1843 compilava con Luigi Rocca la Strenna Piemontese che si pubblicava presso la Tip.Castellazzo di Torino del 1B4G sono I^e Memorie di un morto raccolte e compilate,Torino, preMO Luigi Contemo (s.d.) in 12« di pp. 292. Del Reta è pure un ;

sagginolo Sulla

Commedia del Cim/uecento (s. n. t.) in

16* di pp. 43.


- 112 nalÌ8mo letterario e politico che dopo -con le nuove

il

1847 doveva avere

leggi liberali di Carlo Alberto larga diffusione.

Prima del 1847 il giornalismo piemontese era ben poca e Torino non aveva che il Corriere

scarsa .cosa nel Piemonte (1)

:

Tortwese, gazzetta politica trisettimanale che mutatasi poi in

Gazzetta Piemontese diventò organo del governo: essa con-

tinuò a stamparsi al martedì, giovedì, e sabato. Fu nel 1835

che diventò quotidiana, ingrandendo

il

formato. Col

1

luglio

1848 al titolo del giornale fu aggiunta la indicazione Gazzetta Ufficiale del Regno e solo più tardi nel

1860 doveva diventare

solo la Gazzetta Ufficiale del Regno. Di questo periodico fu dap-

prima direttore il Raby, poi Felice Romani, giornalista, poeta, professore. Il

tile

Brofferioche da Torino collaborava sul Corriere Mercandi Genova (2), si

decise di

pubì)l:care

ad imitazione

di

in un Messaggero Torinese apparenza, ma che a quando a quando si ingegnava ad esprimere generosi sentimenti, facendo guerra all'opera conserva-

quello a Torino

foglio

letterario

trice della Gazzetta Piemontese, Il contratto che legava il Brof-

doveva cessare coldicembre 1847, perchè allora si era fondato un altro giornale e precisamente il Nasionaie» ma per quanto il Ministero degli Interni gli concedesse la autorizzazione, il Brofferio pensò di rinunciare al nuovo giornale, continuando ancora nella direzione Aq\ Messaggero ferio al Messaggero

a cui volle aggiungere la trattazione di materie politiche. A Novara usciva Viride che sul principio ebbe intendimenti particolarmente letterari, che pur vantava la collaborazione di uomini eminenti e che fu non senza influsso sul moto delle

idee della città posta al contine orientale dsl Piemonte (3).

A Torino, accanto al Messaggero brofferiano, nel 1847 com(1) Luigi Piccioni, nel Giornalismo

degli antichi Stati Sardi (Spigola-

ture d'Archivio) in Rivista d' Italia^novembre 1916 (Rass. Storica del Giornalismo Italiano redatta dal prof.Luigi Piccioni). (2) Il Brofferio scriveva anche suìV Italia di Genova contro gli inutili e

spesso ridicoli rigori della censura. Vedi II Corriere Mercantile alV avvocato Angelo Brofferio. f. voi., Torino, Castellazzo, 1848. (3) Vedi il mio contributo : Il primo giornale letterario

,ride Novarese, in corso di stampa.

di Novara : l'I-


- 113 — comparvero le Letture popolari dirette da Lorenzo V^alerio che si occupavano di morale come di lavoro, di religione come di igiene.

Le polemiche non m eincavano: Felice Romani sulla Gazzetta; il

Messaggero,»! graffiavano a vicenda, mentre il

Hroft'erio sul

giornale del Valerio, che nel 1842 si trasformò nelle Letture di famiglia, dava troppo ai nervi alla censura del tempo, tanto

che nel maggio 1847 ne decretava la soppressione.

Già dal 1840

il

Broff'erio

pubblic£^va un altro giornaletto

illustrato in sedici pagine, il Da gher Stipo, e lo diresse fino al 1842, anno

i!ì

cui passò nelle

mani

sardo che fu più innanzi deputato

Angius

del padre

— che

lo lasciava

— un

morire al

terzo anno di vita, facendolo tuttavia proseguire col nome di Il Liceo, sostenendo

aspre lotte con Giovanni Prati.

Del 1841 è VEridano bella rivista letteraria sul fare dell'ilntologia che dirigeva Francesco Predari, grande diffusore delle

idee giobertiane. Suir^rtdano scrivevano nomi che più tard^ dovevano aver fama fra cui Costantino Reta e Carlo Negroni, che affida il suo nome al culto di Dante ed a quello della lingua italiaija.Ma VEridano non ebbe lunga vita due anni dopo :

moriva. Ma

la fenice risorge dalle ceneri ; e così nel

stessi scrittori

1843 gli

deìV Eridano (1) fra cui Luigi Re, Luigi Rocca

e Costantino Reta fondano

un nuovo periodico: il Telegrafo.

Pubblicare in quel tempo un giornale non doveva essere

una impresa molto facile: il governo

del Conte Solaro della

Margherita aveva delle idee molto retrive in fatto di giornalismo. Nel suo « .Memorandum »(2) infatti ricorda che fin dal 183f>

ebbero principio le Lettun^^o polari «giornaletto che si

lasciò con troppa facilità pubblicare, sebbene le tendente do-

vessero far avvertiti che era un

primo saggio di fallaci leda quella classe che ha bisogno di lavoro, di quiete, non ad essere spinta a maggiori speranze che non reazioni, dirette

[l] L' Eridano, rivista scientifica letteraria, usci per due anni a Torino ;.

nel 1841 presso il tip.edit.E.Massaro.e nelH842 presso la tip.Caatellazzo.

Ogni anno comprendeva due volumi. Vi collaborarono Luigi Rocca, Giorgio Briano,Leonartlo Fea, A. Brignone,Caro A. Valle ecc. Ne raccolsero l'eredità oltre che il Telegrafo, Anche il Liceo e VOsservatore Teatrale. (2)

Memorandum, a p. 282.


— 114 — lizzandosi, ne annientavano la felicità. Vi furono articoli talr

mente in opposizione alle idee che giustamente dominavano -che l'estensore fu rimproverato dal cav. Lazzari nelle cui mani

era la polizia, ma a qual prò se presentandosi al cavalier di

Villamarina ne riceveva tutt'altra accoglienza? Fu forza alfine proibire

le Letture

popolari, ma. con

mise che risorgessero col

Con queste

idee, con

una incongruenza si per-

titolo di Letture di

questi

principi, si

famiglia

».

può immaginare

-quale era la libertà di pensiero in Piemonte, e che vita

po-

teva avere un giornale prima del 1847. In questo ambiente

si

pubblicava nel 1843 il Telegrafo, efte-

meride italiana che usciva ogni mercoledì dalla libreria editrice Gianini e Fiore, successore Pomba.

primo numero uscì mercoledì 4 gennaio 1843. La presentazione del giornale venne stesa dal Reta, che raccomandava la nuova effemeride «al favore del pubblico» fiducioso di esIl

sere confortato dalla simpatia degli animi gentili.

Luigi Rocca (1) nel stendere il programma scriveva

:

*^Il Tele-

grafo non innalza bandiera di persone, ma di idee. Loderà il bello. ed il buono sotto qualunque

stesso modo

nome si presenti, biasimerà nello

cattivo, ma per lui l'uomo sarà sempre inviola-

il

bile,anche qualora si vedesse costretto ad attaccare il letterato...

accoglierà nelle sue pagine, assai spesso, scritti di amena letteratura, come a dire racconti, schizzi di costumi, descrizioni di viaggi e via... via...» 7/ Telegrafo critica «né si

grafico

intendeva occuparsi di

dimenticheranno le Arti». Un bollettino biblio-

doveva dare un breve rendiconto

pubblicati in Italia e fuori di cui non

si

di

tutti

quei

libri

avrebbe potuto tener

lungo discorso. I collaboratori non mancarono oltre al Reta, al Rocca e Luigi Re — i tre R — si incontrano nomi di Carlo Felice Biscarra, di Carlo Negroni,di Armando Benvenuti, di.Terenzio Mamiani, ;

i

^l; Luigi Rocca, nato nel 1812, direttore

deW Eridano negli anni 1841-42,

nel 1843 direttore estensore del Telegrafo; più innanzi nel 1845-47 esten-

sore del Maestro di ricamo e dal 1869 al 1874 direttore della Rivista VArte

d^ Italia, mensile, insieme col Biscarra. Collaborò nel Messaggero del Brofferio e nel Dagherotipo. Scrisse più cose fra cui interessanti per le notizie del tempo, il volume A setta7it' aìini,Torìno,Roux e Fa vale, 1882, 8°.


- 115 — Andrea Bandi, di G. Morrò, di Giovanni Prati, di Saverio Cappa (1) ed altri che si occupavano prevalentemente di letteratura, di arte, di poesia. Dopo 12 mesi di non ingloriosa

di

esistenza

il

Telegrafo cessava col N. 52, uscito

il

20 dicem-

bre 1843, le sue pubblicazioni. Armando Benvenuti rendeva

conto del bilancio letterario del giornale e lino all'ultimo si confidò di poter continuare nell'impresa sotto la direzione di

Giovanni Prati, ma un incidente fece sciogliere la convenzione già in corso.

Era giunto In quel torno di tempo a Torino un giovane poeta, che si era andato rapidamente conquistando il

fama con

poemetto J5rmenflrarda.il Prati. Questi più per burla che per

disprezzo della religione parodiò alcune odi sacre

:

il

fatto per-

venuto all'orecchio della polizia, non fu senza effetti e al Prati

venne intimato lo stratto. Pare che fosse quel tale Vittorio Augi us già

Liceo

da noi ricordato come direttore del Dagherotipo e del

— sacerdote che fu più innanzi deputato per Lanusei —

a stendere il rapporto; fatto è che il Prati non potendo più occuparsi della direzione del Telegrafo siccome già aveva stipulato contratto coi precedenti direttori, alcuni di essi non ne vol-

lero più sapere e così

il

Telegrafo con

la

prima chiuse anche

l'ultima annata.

Fu il Reta che col Brofferio diede per il primo il benvenuto quando nel 1842 giungeva a Torino, aiutandolo nella vendita delle sue pubblicazioni poetiche. E tu il Reta slesso

al Prati

che confortò e aiutò

il

Prati

quando, accusato di disprezzo il Reta infine

alla religione, venne sfrattato dal Piemonte. Fu

che assisti

il

Prati durante la malattia che proprio allora lo

colpi e che lo obbligò a

protrarre

la

sua partenza da To-

rino (2) e che si fece promotore della formazione di quella se-

ti) Saverio Cappa nato a Bergamo nel lbl6, apprese in quelle scuole pubbliche i primi elementi compi in Vigevano suoi studi di filosofia. Si dedicò con entusiasmo alle lettere, amandiì di Intenso amore la patria, acquistandosi l'ammirazione di quanti lo conobbero. Ma a 38 anni moriva :

i

nel fior della vita: mori a Cassolnovo (Vigevano) nell'agosto del 1854. Le sue poesie vennero raccolte dal nipote ingegnere Matteo Cappa,Milano,

Tip. Ambrogio Sanvito, 187B, 8% di p. 228. (2) Oaxgeita del Popolo di Torino, 28 aprile 1849.


— 116 — cietà che

doveva venire in aiuto al giovane poeta espulso da

Toiino. Ognuno dei soci si assumeva l'obbligo di pagare cento franchi in cinque rate « con

che

il

Prati avesse successiva-

mente composto alcuni canti

italiani

stessa, la quale procuratane

vendita e rimborsatasi della

la

spesa, avrebbegli ancora spedito Il

il

e

sovrappiù...».

nome di Costantino Reta compare

di frequente

:

sono

ceduti alla società

nel Telegrafo

riviste, bozzetti, articoli sul

molto

teatro: ora

si

occupa della storia, del romanzo (N. 7) ora sulla professione del giornalista, ora del volume di Paolo Emilio Botta che proprio allora aveva pubblicato un'opera sull'Yemen,© del J?e Lear ;

di Shakespeare, tradotto dal Garcano, collaborazione vivace, attiva, satireggiante alle volte quando particolarmente polemizza

col Liceo, giornaletto che dirigeva Felice Romani.

Fra i collaboratori del Telegrafo abbiaaio accennato a Carlo

Negroni novarese che vi scrisse tre articoli uno sui Treni di Ge-

remia tradotti da Samuele Biava (pagg. 41): un secondo intorno al Giuliano di Leonardo Fea ed ai Salmi del Cappa (pagg. 121); un terzo, assai breve, su Ferrante Aporti a Torino (pagg. 176). Il

Negroni era in ottimi rapporti di amicizia col Reta: come

questa amicìzia si iniziasse, non sappiamo, ma con ogni probabilità essa si strinse per

mezzo dell'iride, giornale letterario

che si stampava a Novara dal 1836, uno dei primi periodici di provincia

che uscissero in Piemonte, e prima ancora a To-

Negroni era studente di leggi all'Università. Tanto il Negroni quanto il Reta frequentavano l'Accademia letteraria dell'operoso Canonico Clemente Pino che animato dal desiderio di favorire i buoni studi fondò e promosse in sua casa un'Accademia letteraria Fra i frequentatori vi furono il Negroni e Costantino Reta che riferì su alcune relazioni su viaggi nelle Antille (1). Più innanzi nel numero del 10 ottobre del 1842 dell'Iride Novarese il Negroni rivolgeva a Costantino Reta una delle sue briose Lettere Autunnali, iraitenendosi coll'amico lontano sulla distribuzione dei premi ai rino mentre

il

.

bambini delle scuole infantili

di Vigevano, discutendo

sopra

\1) RoccaIjVIGI, Accademia Letteraria PÌ710, in Curiosità e ricerche

Storia Subalpina, voi. Ili, puntata XI.

di


— 117 — questa forma di beneficenza che non dimenticò molti anni dopo nel proprio testamento. E quattro anni dopo nel 1846 il Negroni sì il

occupava ancora sxilV Iride (l) delle Memorie di un morto che Reta allora allora aveva pubblicato da Gonterno e Castellazzo

a Torino, recensione in cui

il

dell'amico. «Queste memorie

— egli scrive — sono un libro ec-

Negroni loda

la

composizione

cellente ». Finge il Reta di aver trovato il manoscritto delle Me-

morie nelle mani di un'onesta tabaccaia e lo decifra :è per vero un'operetta satirica contro i costumi del tempo, scritta con un certo garbo « con stile disinvolto e conciso » da cui figura di

sotto

la

don Barba si nasconde l'autore medesimo.

Intanto

i

tempi

si

facevano maturi

:

il

Reta pensava a fon-

dare un nuovo giornale con intendimenti

politici, e si consi-

gliava a questo proposito col suo amico Carlo Negroni.

Ma il teatro lo attraeva e il 29 giugno 1843, scriveva alamico novarese « il mio dramma o piuttosto commedia è nelle mani della revisione da 10 giorni questo ritardo comincia a darmi delle inquietudini.il Righetti che lo lesse mi ha promesso non solo un esito felice, ma mi assicurò che fa-

l'

:

rebbe del chiasso. Ciò malgrado io temo perchè come disse il nostro Rocca sul Telegrafo parlando di Male in peggio (2) la platea del Carignano quest'anno è

un mare combattuto da

venti molto incostanti ». 11

dramma non dovette però aver fortuna, che il 27 luglio

di quello stesso

anno

il

Reta ne dà notizia

commedia non ebbe quell'esito che autore e chi l'aveva

Iella, ne

la

al

Negroni «la

compagnia, il povero

attendeva essa ebbe molti ap;

plausi, alcuni sussurri e pochi fischi principalmente in grazia

della sostituzione che

si

fece di

un mio personaggio, cioè di

Bucciotli con quella bestia matricolata del Chiari, che oltre a

non averla intesa, volle stupidamente aggiungervi una certa spiritosità che perpooo.non interrompeva la rappresentazione».

La corrispondenza col Negroni si fu da questo momento più viva, più frequente: il 5 luglio gli comunica che è papà, papà di

un bel maschietto « bello come un angelo di Raffaellino del (1)2 Giugno 1846. (2) Vedi II

Telegrafo, n. 28 ; mercoledì 6 luglio 1843.

n Ritorg. Hai., XIU


— 118 Garbo». E più innanzi si trattiene attorno al dramma del Revere: I Piagnoni e gli Arrabbiati uscito di quei giorni. La lettera è tutta dedicata all'opera del drammaturgo triestino: rac-

comanda all'amico novarese di raffreddare il suo entusiasmo per questo dramma, e lo assicurava, che Luigi Re « che in fatto di estetica non è dei meno intelligenti non ha potuto andare alla fine di quei benedetti Piagnoni ». Anche il Tallone « ossia Armando Benvenuti che non è talpa nemmeno, ne disse le più brutte cose del mondo. Prati che è il primo estetico che io conosca, dopo che mi vennero nelle mani degli estetici, dopo aver fatta un'accurata disamina, convennero appuntino con noi... ». E il Reta nel numero del 19 luglio del Telegrafo pubblicava un articolo su questo dramma del Revere confessando che lo ha lasciato freddo, e ne fa una critica piuttosto

aspra.

Non tutto si poteva in quel teiQpo

pubblicare

:

la

censura

anche

civile ed ecclesiastica teneva gli occhi molto aperti e

venivano preventivamente

articoli d'indole letteraria

letti

e

censurati. E a questo proposito il 21 novembre di quello stesso anno 1843 il Reta scriveva a Carlo Negroni « Che ti dirò del Telegrafo? lì mio lungo e meditato articolo sul Montemanni venne prima fatto eunuco dalla censura ecclesiastica e poi de-

finitivamente proibito dalla civile».

Ormai il 1843 volgeva

alla fine

il

:

veva il Reta in quella stessa lettera

Telegrafo

— come scri-

— per la indifferenza del

pubblico minacciava una morte imminente. Il

lelegrafo pubblicava col 52

il

suo ultimo numero.

Dal 1843 al 1847 il Reta non resta inoperoso: scrive, pubblica (1) medita, si entusiasma alle riforme emanate da Carlo Alberto e si adopera per gettare le basi di un grande giornale politico

contando sulla collaborazione del Negroni, ma poi ab-

bandona l'idea per unirsi a quel gruppo che col Balbo e col Cavour doveva pubblicare il Risorgimento. (1) « i

Le mie Memorie di un morto, sono a metà della stampa,la commedia

Touristes è finita... e questo fia suggel che sganni coloro i quali credono

che io cominci molte cose e non ne ultimi alcuna «.(Lettera di C.Reta a CNegroui,12 marzo 1846). Del Reta è pure il volumetto di bozzetti Perla, memorie di Don Barba raccolte e compilate eia C.Reta, 2* ediz., Torino, :

Castellazzo e Vercelli, 1859, 24».


— 119 — li.

Costantino Reta e Camillo Cavour. Il 1847 fu un grande anno per il Piemonte Carlo Alberto aveva licenziato il Solaro della Margherita e pur professandosi !

contrario alla costituzione concesse l'elezione dei consiglieri

comunali e proviticiali, permise una limitata libertà di stampa, onde apparvero subito numerosi giornali che esercitarono un grande influsso sul moto delle idee. Il

primato dei giornali

politici

piemontesi spetta al Risor-

gimento di cui il primo numero uscì

il

15 dicembre 1847. La

fondazione di questo giornale non fu senza contrasti ; uscì col

programma dettato da Cesare Balbo il che può aver tatto credere che questi ne fosse

il

direttore, mentre in realtà la dire-

zione dei primi numeri dovette essere affidata collettivamente

ad un manipolo di aderenti, fra cui il Cavour che ne assunse tosto risolutamente e

fermamente la direzione. Fra i membri

della direzione fin dal principio, non ebbe ultima parte il ge-

novese Costantino Reta che ne fu il primo segretario estensore. Nel giornale prevalse l'idea giobertiana a cui tutti più o meno in quei giorni

erano devoti, programma che, conciliando l'in-

conciliabile, accontentava un po' tutti. Intorno al giornale, oltre al Palbo, al

Cavour, al Reta, si erano

stretti Pietro

di

Santa

Rosa, Michele Castelli, B.Galvagno, E. Rignon, Giorgio Briano, il

novarese Carlo Negroni.ll Cavour benché effettivamente fosse

il

più grande intelletto e il più liberale di tutti, per uno strano

apprezzamento della pubblica opinione era ritenuto da' più in quei primi momenti. come aristocratico ed illiberale e come il

meno simpatico della direzione, che si occupava del giornale. La Concordia fu

il

secondo giornale politico che apparisse

allora in Torino, ispirato ad alti i

sensi di

affratellamento fra

vari nuclei liberali, professante principi più avanzati ancora

del Risorgimento.

Come sorse l'idea «li l\)ndare il Risorgi mento? Chi fu il [>rimo a lanciarne l'idea? Fra

i

promotori, e certo fra coloro che più

spingevano a fondare la nuova effemeridi, fu

il

genovese Co-

stantino Reta; egli aveva ideato la fondazione di un grande


- 120 giornale politico, quando

il gruppo di uomini politici che dovevano fondare il nuovo giornale, assorbì e fece propria l'idea del Reta, che si associò alla nuova combinazione entrando a far parte della direzione, forse con la speranza di divenirne ma-

gari

Il

il

direttore.

Reta era un uomo di grande attività; fin dal 1847 si dava

attorno per gettare le basi della Società della Lega Italica e

a questo proposito ne scrive al suo amicissimo Carlo Negroni.

È entusiasta della riforma di Carlo Alberto, e questo entusiasmo trasfonde in una groni stesso (1)

:

lettera del

1

novembre 1847 al Ne-

« Ieri sera si inaugurarono le riforme in

modo

solenne e conveniente alla dignità di un popolo già molto inoltrato nella carriera dei fu

generale

come il

progressi civili. L'illuminazione

giubilo. Nessun freno

da parte del go-

verno per moderare l'entusiasmo il quale si mantenne sempre entro i limiti della moderazione. Gruppi di due, tre, quattro

mila persone correvano per ogni verso la città, preceduti da faci

accompagnati da un universale applauso, alcuni di questi

erano condotti da ufficiali che innalzavano elmi e sciacò sulla

punta della spada, li confondevano in segno di fratellanza coi cappelli borghesi ondeggianti sulle mazze. I carabinieri stessi

abbracciavano il popolo, né questo bacio fu quello del lupo alla giovenca. Alle dieci si fece correr voce che era sciogliersi, che le vociferazioni a notte inoltrata

tempo di

spiacevano

al Re. Io che era uno dei moderatori, mi gettai in molti gruppi,

posso dire che non uno di mi stringevano le manie mi gettavano le braccia al collo, e di cui io interrompeva pure la gioia ebbe a dirmi parole meno che oneste. Il popolo diede una prova più luminosa della stessa luminaria (perdonatemi il bisticcio) che il buon senso è la sua ragione naturale. Alle undici la arringai, feci spegnere le luci, e quelli operai, i quali

città era silenziosa

(1)

come gli altri giorni. Non si udì un grido

La lettera è autografa nella Biblioteca Negroni di Novara. Anche

le altre lettere o

tolti dal

brani di lettere citate nel corso di questo articolo sono

carteggio Reta-Negroni.


- 121 — sedizioso fra migliaia di voci che partivano da ogni ceto, da

ogni età! Scusami

ma è inutile che io tenti di descriverti uno

spettacolo che non ebbe e non avrà più l'uguale in Piemonte, dacché i primi entusiasmi sono i più forti, i più sinceri, i più belli ».

Così scriveva esaltandosi

il

una pagina viva di cronaca

Reta, e la lettera che

del

tempo

si

ci

porge

chiude coli' invito

all'amico novarese di venire a Torino per la festa della bandiera, e così in quell'incontro si sarebbe potuto parlare «del

giornale a cui non

pensa in questi giorni».

si

Dunque il Reta fin dal 1 novembre 1847 pensava ad un giornale: voleva scambiare le idee con sito, intendeva parlare

il

Negroni a quel propo-

de visu. Già dal 10 agosto gli scriveva

invitandolo a prender parte ai festeggiamenti che

si

dove-

vano tenere a Genova per l'inaugurazione del monumento a Cristoforo Colombo e in quella lettera si scaglia contro il conte Petitti che aveva preso a morderlo dietro alle spalle,

come pure si scaglia contro

i

titolati, contro ai conti « l conti,

amico mio, sono ad un dipresso tutti così, non eccettuato Alfieri, non eccettuato il Balbo, non eccettuato neppure quel Massimo D'Azeglio che colla penna in mano è tutto democratico ». Del Cavour non fa cenno, ma non tarderà a scagliarsi anche contro di

lui.

La corrispondenza fra il Reta ed il Negroni si fa ora più viva ed interessante: il 5 novembre mentre sì compiace che Novara potesse vantare una società patriottica che neppure Torino aveva, né fa colpa ai

tre fratelli Valerio « i quali col-

marono in questi ultimi giorni la misura dello scandalo e si

— continua — Reta di questo triumvirato di dittatori può dirsi senza limiti,

alienarono l'animo dei migliori ». «L'ambizione

il

nessuna idea, nessun piano si deve tener buono se non viene da essi suggerito». Ed è appunto in questa stessa lettera che il Reta parla chiaramente della fondazione di un nuovo giornale ed insiste cOll'amico su questo progetto sul quale intende ragionare vera-

i^nte sul serio. 11 titolo glie lo aveva suggerito lo stesso Negroni, ma non ci è noto quale fosse. « Intendo del giornale, il

quale avrà luogo col

titolo

che tu hai suggerito o con quello


— 122 — deW Alleanza quando non si consenta il primo. Tu sei nella nota degli estensori

il

cui

numero è di otto cioè avv. prof. Berti,

avv. Re, avv. Vigna, avv. Berio, avv. Negroni, Giorgio Briano,

Edoardo Soffietti, Costantino Reta; il quasi divino poeta popolare Carbone (1) è dei nostri, ma la sua modestia e forse più di questo l'essere di partenza per Roma, non gli acconsentono di collaborare collettivamente col titolo di estensore».

Come si vede il Reta aveva

fatto

un vero piano giornali-

stico, meditato, completo. Né

aveva dimenticata la parte finanziaria, come si apprende dal resto di quella stessa lettera. « Le azioni, come già

ti

scrissi, sono di

di L.5 caduna, l'editore è

il

L.180 pagabili

in 36

rate

Castellazzo il quale si incaricoKli

100 azioni, il libraio Schieppati, uno dei pochi galantuomini

che annoveri questa classe di arpie. La pubblicazione non può a

meno che essere quotidiana, perchè quotidiana sarà la Con-

cordia, giornale che nasce sotto gli auspici di Lorenzo Valerio e di qualche aristocratico, e che prevedono tutti, morirà con-

sumato di inedia, come V Antologia. Il lucro sarà diviso fra gli estensori e ne andrà anche una parte per l'ammortamento delle azioni, ma qui non istà il tutto. Se il giornale deve prosperare deve spuntare prima di ogni altro: onde ferro e fuoco. Preparami tu stesso la prefazione e cominciala subito in uno di quegli istanti di vena in cui le idee scorrono come il latte e miele nei campi d'Israello. Se vuoi che il giornale sia veramente popolare insinua alla lontana che proteggerà il popolo, che si impegnerà per mettere le armi in mano al popolo, guacantigia grandissima nelle monarchie temperate, desiderio ardente di tutta

la

gioventù, necessità di tutta l'Italia, la quale

prevedo che fra poco dovrà tutta agguerrire per cacciare

i

tedeschi il cui governo diventa ormai una anomalia in Italia.

Se non vuoi toccare la costituzione fai bene, ma per dio, non metterti in capo di combattere il principio di rappresentazione,

principio e fondamento del diritto naturale di tutte

le nazioni

più colte sia antiche che moderne. Poi se intempestiva era in (1) Domenico Carbone, nato

a Carbonara di Tortona nel 1823, morto a

Firenze nel 188B, ha legato il suo nome, come poeta, sopratutto a quella satira politica di sapore giustiano, che tanto si dice influisse su re Carlo

Alberto, il quale chiaramente vide un'allusione personale nel Re Tentenne.


— 123 — Toscana la questione, in Piemonte è vitale perchè essa per la sua posizione e per la sua forza è destinata a trasmettere alle sue consorelle il contrassegno (mot d'ord re) per progredire. Ora accettiamo il bene che

altri

ci

fece, commendiamo

inten-

le

non corrispondono appieno il desiderio pubblico, dimostriamo di essere persuasissimi che le riforme sono concesse per amore per desiderio del bene che son date in buona fede, e con moti veramente proprii ma non cominciamoci a precludere la discussione sopra un argomento zioni

anche quando i

fatti

che è vitale... ». proprio l'intenzione di fondare un grande Il Reta aveva giornale: molto contava sull'aiuto del Negroni,ma voleva far presto

prima che "sorgessero

altre

nove

iniziative. Passano

giorni ed ecco ancora il Reta a scrivere al Negroni (9 novembre 1847) e questa volta un po' sconsoIato.il suo progetto se n'era

andato in fumo « La buona volontà non basta ad alimentare un periodico che si proponga di esercitare qualche possibile influenza in paese :i nomi di pochi non bastano ad offrire un'arra di telice successo ». Il Reta, con tutta

la

sua buona

volontà, con la sua intraprendenza, non era riuscito a portar in porto

il

progetto e non era riuscito che a raccogliere

una

ventina di adesioni. E fu allora che cedette *di militare sotto la

bandiera di Balbo ».ln quella stessa lettera del 9 novembre

il Reta così scriRiaorqimento doveva uscire al 15 dicembre veva al Negroni « Stiamo ora combinando le basi di un gior-

il

nale politico che sarà quotidiano, che potrà, attesa la larghezza dei suoi mezzi, retribuire largamente gli scrittori fra

i

quali

arruolai molti che stavano per la Lega Italica. Per ora ti dirò

soltanto che

le

viste

del

nuovo giornale sono

tali

che non

contraddicono alle mie opinioni politiche. E ciò deve bastarti.

Sono nominato fra coloro che devono presentare gli Statuti nel mentre che il Malbo porrà mano al programma, l^irtiamo dalla base che

le

azioni sono di L.4(X) da pagarsi in quattro rate.

Sarà accordata una retribuzione fìssa a tutti coloro che collaboreranno nonché

ai

corrispondenti

scriverti, facendo conoscere tasi ieri. Come io

il

tuo

abbia parlato di

bassori non è mestieri che io dica

per cui non esitai a

nome alla Società -radunale in

presenza di quei bar-

ma — assai meglio — che


— 124 colle

mie raccomandazioni ti farai conoscere coi tuoi scritti ».

Del Cavour il Reta non lettera del 12

fa accenno se non più innanzi nella dicembre: fino a quel momento il nome del

grande ministro non compare. Così nella lettera del 13 novembre 1847 al Negroni in cui gli scriveva di aver assunto, o di voler assumere, la direzione dell'iride novarese, il Reta lo

dissuade, consigliandolo a

lasciare

il

giornale novarese

per unirsi «alla grande impresa del conte Balbo

>»^

cioè alla

fondazione del Risorgimento. 11 Reta era contrario di dare abito politico aWIride come pare avesse intenzione il Negroni

che « è cosa da muover

le

risa». E ritorna alla carica dieci

giorni dopo, il 23 novembre con una nuova lettera, spingendo

l'amico a occuparsi del Risorgimento e lo assicurava di aver

tenuto parola di lui al Balbo «come di un giovane di gran-

dissimo ingegno e come di un corrispondente che avrebbe potuto giovare molto al Risorgimento ». E lo sollecitava a collaborare e a fondere così

il

suo nome con nomi europei come

quelli del Balbo e del D'Azeglio « dei quali il primo sarà così

un articolo al giorno». Sembra che il Negroni ascoltasse se non in parte l'amico genovese: infatti nel numero 50 del 13 dicembre 1847 Viride in seguito alle nuove larghezze concesse alla stampa « smesso l'umile antico ambito in stretti confini» vuole «muoversi

attivo collaboratore da promettere

entro cerchia

consentanea

a'

più

importante, più

spaziosa, più

nostri tempi ».

dignitosa,

Ma nella nuova direzione il

nome del Negroni non compare

:

accontentava perfetta-

ciò

mente il Reta, che fra lui e il Camoletti, direttore responsabile del giornale novarese, non doveva correre troppa simpatia; nella lettera del 12 dicembre ha parole aspre contro il giornalista e commediografo novarese « un uomo che non ha altra convinzione che quella che bezzi sono (sic) onnipotenti, un Djercante e fabbricante di notizie che non interessano, di articoletti che non piacciono, di commedie che farebbero sbadigliare le banche della platea; con un uomo di questa fatta è egli impossibile di condurre a buon punto un'impresa i

come è quella di un giornale secondo lo spirito del tempo». E lasciando Viride e

il

e

i

bisogni

suo direttore in pace, il

Reta si compiace che il Risorgimento cammini col vento in


— 125 — di

fll

ruoUì:le 500 azioni erano ormai raccolte e si racco-

manda al Negrotti di decidersi di esser lui

corrispondente

il

da Novara sollecitandolo a mandare un articolo con la facoltà di poter stampare « 11

il

nome suo tra

i

collaboratori. E continua

giornale uscirà mercoledì prossimo o al più tardi giovedì;

al primo foglio terrà dietro un secondo poiché al primo giorno dell'anno la pubblicazione sarà quotidiana. 11 direttore respon-

Conte di Cavour, persona di molto merito come giu-

sabile è

il

dicherai

dalle

sue

popolari

opinioni

pagni,Giulio, Re, Mattei ed io siamo

con

i

:

Balbi, Sauli, Boncom-

collaboratori

attivi

Jo

titolo di redattore segretario generale della società, il che

non è un carico di poco momento atteso lo sviluppo dell'impresa. La Concordia vacilla dacché migliori l'abbandonarono i

e

il

nostro giornale sarà forse

il

solo *.

E non appena uscì il 15 dicembre il primo numero del Risorgimento

il

Reta si affretta a spedirne alcuni numeri (let-

tera 16 dicembre) colla preghiera di agli amici, di diffonderli, e al

parole benevoli che

il

distribuirne una parte tempo stesso lo ringrazia delle

Negroni gli aveva rivolte, e ancora lo

trattiene sulle sorti del Risorgimento e gli promette che ap-

pena ricevuti

i

suoi articoli sulle leggi nuove, sarebbero stati

inseriti.

E in una lettera successiva del 22 dicembre si duole che le sue molteplici occupazioni non gli permettano di scrivere a lungo come sarebbe suo desiderio «che il fondare un giornale politico quotidiano è impresa tale che richiederebbe

le

non sono « né larghe, né forti ». E gli invia copie del secondo numero raccomandandosi di poi firmare la supplica a Carlo Alberto. E il 2 gennaio 1848 mentre lo ringrazia degli articoli inviati (1), gli porge anche ringraziamenti « del direttore Camillo Cavour » e il seguente 18 gli invia una nota « per la sottoscrizione della statua a Balilla da eseguirsi in marmo e da mandarsi in dono a Cìenova dai piemonspalle di Atlante » e le sue

tesi » Il

Reta doveva avere un'attività prodigiosa

:

le lettere

sus-

(1) L'articolo di Carlo Negroni era appunto intolato I.t nuove Uggì

osci in parecchi numeri dal IS gennaio 1648.

che


— 126 — seguono alle lettere e al Negroni confessa quanto lavoro gli dà il Risorgimento e in quella stessa lettera benché sia senza data (dal bollo postale appare del 9 gennaio 1848) lo informa degli avvenimenti del giorno: pagina di cronaca che di essere riportata: «Qui succedono cose

merita

degne della piìi alta

meditazione. Giunsero i deputati di Genova e convenimmo ieri

quanti siamo che combattiamo per la causa del progresso. Gli uni volevano appoggiare la petizione dei genovesi per ottenere la cacciata dei gesuiti e la

guardia cittadina » (1).

« Il Risorgimento fece toccar con

-

mano che queste misure non

erano che palliativi, i quali nonché toglier via. il male lo aggravavano. Richiedersi qualche solida guareiitigia perché cessi questa sospensione che va crescendo e che non potrà risolversi che a detrimento della nazionalità: perchè per resistere ai

nemici non bastano

le

chiacchiere, i brindisi, le spaccate,

ma ci vuole un accordo veramente sincero fra governanti e governati. Il quale accordo non può mantenersi finché i diritti degli uni e degli altri

non siano destinati. Insomma il i2<sor-

gimento cui si faceva da alcuni scalzagatti l'imputazione di moderato, passò francamente il Rubicone e si tirò gli altri. Brofferio, Roberto D'Azeglio, Durando aderirono subito e con entusiasmo alla nostra politica, lo fui incaricato di annunziare la Venuta dei Deputati genovesi e di farlo in modo che non implicasse disaccordo, né avversione; appagai l'opinione. L'an-

nunzio é nel numero 8 che avrai già ricevuto, categoria dall'interno. Ora si sta preparando una supplica in cui appoggiando implicitamente le domande dei Liguri si conchiude col chiedere una consulta in tutte le forme. In fondo a tutto questa

una buona costituzione, ma bisogna star zitti, per non destare reazioni e rigore. I Valerio fecero una figura lacrimevole, per buona sorte ci sono avversi il conte di Cavour Camillo parlò colla logica, colla energia, coU'appiombo di un de-

é

:

putato inglese ^. Il

Reta non parlò: a lui bastava l'ammirazione tributata agli

quel tempo scoppiati alcuni tumulti popolari in Genova: chiedeva l'espulsione dei gesuiti, e una deputazione di notabili genovesi si recò a Torino per chiedere al Re l' espulsione dallo stato di (1) Erano in

si

quell'ordine.


— 127 — oratori, che seppero esprimere con eloquenza le sue stesse idee-

medesima sera il Reta avverte l'amico che altri liberali in casa del marchese D'Azeglio per leggere la supplica e aprire la sottoscrizione. Anche questo era fatica e si sentiva accasciato; non ne poteva più: politiche. In quella

doveva radunare con

si

era solo trattenuto in piedi dalle forze morali. Era la guerra

contro i tedeschi che egli voleva; leggiamo

piìi

stessa lettera al Negroni «con guarentigie

veramente valide

innanzi nella

siamo in sella e possiamo al caso marciare control tedeschi. Roma e Firenze ci dovranno seguire, ci seguiranno senza dubbio poiché non aspettano che noi e a noi toccava risolvere la vertenza. Ricordati

— egli continua — di una discussione che

avemmo tempo fa a questo proposito, in cui io ti parlava di un diritto pubblico necessario all'Italia; ricordati delle mie parole; queste vennero ripetute ieri con più eloquenza, ma non con minor convinzione da Durando, Sineo, Azeglio, Brofferio, Cavour, Santa Rosa. Dopo questo non dubito che per adead una politica che è quella della ragione e di chi ha già

rire

acquistato molti titoli alla benemerenza del paese; non parlo di

me che son poco e non mi reputo degno di alcuna lode». Coi fratelli Valerio non c'era modo di accordarsi; il Reta

quando parla di loro nelle lettere al Negroni, non li risparmia. 17

Il

gennaio 1848 scriveva: « gli scandali dei triumviri sono

ormai noti a tutti e stomacano tutti. Nella adunanza Azeglio guastarono

la mirabile

armonia che già regnava fra tutti

i

rappresentanti 15 st^impa. Sineo aiutò l'opera dei Valerio e poi fecero correr voce che si voleva guastar tutto per servire ad

un

partito straniero. Si

son tolti

la

maschera questi

farisei

del progresso. Oh, se avessi solo un quarto d'ora per scriverti

Nel foglio di domani vedrà

la luce

!

tuo secondo articolo, il

il

primo piacque molto». Il

Xet;roni fu assiduo collalK)ratore nei primi tempi del /Vi-

il Cavour lo apprezzava il i2i2 gennaio il Reta mentre accusava ricevuta di un suo articolagli scriveva :« trattandosi che quella certa frase è del Cavour glielo feci vetlere:

sori/imeneo

;

(l'articolo! lo trovò bellissimo e

:

mi incaricò di scriverli che

verrà inserito... Alcuni tuoi articoli sono già dati alla grafia

tipo-

da alcuni giorni, e gli articoli di Balbo, che Iddio e

il.


— 128 — pubblico glielo perdonino! tengono addietro le cose migliori ». Si comprende come il Reta vivesse della vita del Risorgimento e come scriva ancora e sempre del suo giornale all'a-

mico Negroni ora informandolo degli articoli, ora annuncianl'ingrandimento del formato. Così nella lettera del 30

dogli

gennaio 1S48 :•« Il Conte di Cavour mi fa osservare che inserirebbe volentieri

tuo articolo e lo inserirà se

il

lo desideri,

ma che finora non potrebbe occuparsi di questa importante questione per avere molti altri affari per le mani e perchè il

formato medesimo del foglio lo vieterebbe essendo il medesimo troppo ristretto per la quantità della oaateria. Ma all'una e alla altra cosa si provvederà presto. Vale a dire che per stre si adotterà

maggiori schiarimenti

il

trime-

Conte potrà metter mano alla que-

stione. Rispondi a questo riguardo

h

spiritoso su Roma e Parigi

« L'articoletto

rirsi

il

un formato più grande e che fra poco e dopo

non potrà inse-

perchè la politica del foglio è farsi amica la gran Na-

zione, o almeno

non pungerla e pungere invece il Ministero perchè pungendo questo si fa un servizio a tutti quei francesi che la pensano bene, 1 quali son molti». Era tanta

la

foga del lavoro che

il

Reta si lascia perfino

scadere una cambiale... senza pagarla. Così scrive il 3 febbraio 1848 al Negroni mentre si dilunga a parlargli delle feste av-

venute a Torino il 2 febbraio per la costituzione: «Gran gioia costì di

;

— scriveva — la città fu illuminata con gran movimento

folla

acclamante

il

Ministro di Napoli ». Accenna al di-

scorso di Vineis « più col cuore che col labbro » in nome dei torinesi, « parlò Brofferio e Pallazzolo che è uom pingue e credo

non dotato molto di vena estemporanea; se la cavò pregando il

Brofferio di esprimere per lui i sensi di gratitudine che sen-

tiva in quel punto. 1 molti

nostro D'Azeglio li

si

e

buoni bandierai

fra cui

era

il

diressero quindi verso Piazza Castello, lo

raggiunsi a metà di Via Nuova e venni salutato con ripetuti

andammo cantando sempre inni patriottici finché la gola potè reggere e poi ci sciogliemmo tranquillamente Quest'oggi alle 11 canteremo un evviva il Risorgimento! mi unii a loro e

Tedeum a S. Francesco e come dura la scempia inibizione del Franzoni al clero di prendere parte a ogni festa politica, l'inno


— 129 — ambrosiano ce lo canteremo da noi e cosi le parti sono cangiate, noi

i

sacrificatori ed

« Leggerai il

preti le vittime».

i

supplemento nostro al N.30 dove sono le leggi

napoletane. Noi lasciando a parte

cari Valerio

i

della Con-

abbiamo colto quell'occasione per esprimere un voto. Scrissi IO quelle poche parole e piacquero». Non basta: due giorni dopo il 5 febbraio fa seguire un'altra lettera dove incordia

,

Negroni dei moti di Torino per ottenere la guardia nazionale « Oggi la città si raduna alle 11 antimeridiane per

forma

il

proporre una supplica al Re all' uopo di ottenere la guardia il tutto. Il Santa Rosa farà la mozione per

cittadina; ma non è la

costituzione; e sarà appoggialo, isperiamo, dalla

rità; frattanto

il

popolo trarrà sulla piazza della

senza gridare, con degnissimo

contegno, solo

per

maggiocittà,

ma

dare un

segno di adesione. Si buccina che il Re voglia abdicare piuttosto che concedere la costituzione ».

«Ieri vi fu consiglio di Ministri e

si

dimostrò al Re il bi-

popolazione imitando l'esempio

sogno di cedere di Napoli e seguendo i precetti della logica. Si opposero Castagneto e Revel e invitarono il Re ad accertarsi non essere il desiderio dei torinesi di avere una costituzione dando una ai

voti della

Re uscì in carrozza sotto colore di visitare lo spedale. Accorreva immensa folla, si fecero udire evviva che andavano alle stelle, ma no» consapevole della trama, grido che avrebbe salvato il il popolo non fece udire quel volta nella città, e

il

paese deridendo forse

gneto e

il

il

Re. La Concordia appoggia

il

Casta-

Revel».

E ancora lo informa

del

fermento de' torinesi nell'attesa

della costituzione ; la lettera

dell' 8

febbraio è per vero, un

segno del tempo. Scriveva: « finora il Re non ha ancora deciso (sono le 7 del mattino). Ieri il Consiglio e per meglio dire la conferenza straordinaria dei Ministri durò dalle 8 del mattino sino alle 4 della sera, poi dalle 7 sino alle 10. Verso

le

4 il

Re ricevette i due Sindaci che gli presentarono il ricorso che avrai letto nel numero di ieri sera.S. M.si mostrò piuttosto accigliato e disse al marchese Colli sindaco: Qu'attende il tout ce

monde qui encombre la place ?iVìaz'/.a Castello che era stata

affollata tutto

il

giorno era affollatissima a quell'ora) Sire


— 130 — rispose il marchese

— c'est des curieux qui soni dans l'attente

du grana evenement qui doit accomplir les reformes que vous avez sayement données au pays. Qa me deplait — rispose il Re je ne deciderai rien jusqu'à ce qu'il y aura du monde sous mes fenefres.U marchese conchiuse: Souvenes vous, Sire, que ceux mémes qui etaient contraires aiix reformes avant le 29 en reconaissent la necessité m,aintenant. E in questo fu licen-

ziato. Quest'oggi

verrà certamente emanata la costituzione,

nessuno ne dubita perchè un no fatale sarebbe stato pronunciato subito. La durata della conferenza significa che si adottò il

gran progetto. E' un fatto che il Re disse a molte persone

di voler abdicare, ma pare che si ricreda: sono scrupoli, dacché le

sue parole ad un Re moribondo ed imbecille (Carlo Felice

morte giurò non avrebbe data la costituzione) non può ritardare i tempi. Ieri passai la sera col Santa Rosa diventato l'idolo di tutti. Egli non dubita della concessione:

al cui letto di

nessuno della nobiltà ne dubita. Il Risorgimento trionfa; domenica ci fu lautissimo pranzo nella sala del locale dove si fecero bei discorsi e si mangiò meglio». E dopo aver dato altra notizia di minor interesse, il Reta continua: «Alle 3 V2 va ad uscire la costituzione forse col nome di Statuto presso a poco come la francese con due Camere. Emancipazione degli ebrei, stampa libera. Questa notizia

sublime non ancora

ufficiale te la

dò e puoi annunziarla per

certissima». Si

giunge così al febbraio del 1848; è da questo momento

che devono scoppiare

i

malumori

carteggio col Negroni qui ha una

fra

il

Reta e il Cavour. Il

lacuna

:

bisogna giungere

marzo 1848 per trovare una nuova lettera del Reta che comunica la sua uscita dalla direzione del Risorgimento. Per temperamento, per idee politiche il Reta non si accordava col al 17

direttore del giornale-i forse nell'entrare a far parte della di-

una maggiore considerazione, aspiche non l'ufficio di redattore segretario. Egli era stato uno dei più focosi tra coloro che intendevano pubblicare un nuovo giornale politico a Torino già abbiamo veduto che con diversa direzione voleva fondare l'Alleanza, ma poi si accostò al nuovo gruppo che pubblicò il rezione egli aspirava ad

rava a qualche cosa di

piìi

:


— 131 — Risorgimento. Forse per un momento aspirò a divenirne il direttore, ma si trovò di fronte al

e spense

le

Cavour che di colpo smorbò

sue aspirazioni giornalistiche. La lettera di

cente pubblicata dalla prof. Chiama (l) ci porge del fatto. Pare che

il

il

re-

retroscena

Reta avanzasse diritti presso il Risorgi-

mento in quanto per entrare in quella redazione aveva rinunziato a.\\' Alleanza, ma il Cavour senza preamboli gli parlò chiaro « lo sono disposto a credere

— gli scriveva

il

Conte,

i prima quindicina del marzo 1848 —che suoi amici avrebbero provate molte fatiche a stabilire su basi

olla e

forse nella

solide e durature

un giornale politico, epperò io reputo che i

fondatori del Risorgimento, g\i resero un vero servizio, quan-

tunque alla loro insapuUi, distogliendolo da una impresa assai pericolosa ». E il Cavour gli presentava il dilemma ;o il Reta stimava il posto di segretario del Risorgimento come non a livello della

sua capacità e perchè allora lo aveva accettato,

e se d'altra parte credeva di essere in diritto di pretendere la direzione politica del giornale, perchè non dichiararlo aper-

tamente all'Assemblea? Forse il Reta, e il Cavour un po' rudemente glie lo scriveva, pensava chela qualità di segretario avrebbe somministrato pronti ed efficaci mezzi di provare

gli

alla società ed alla direzione la

sua capaciti)

politica. Ma

il

Reta aveva e professava princìpi opposti al Cavour, o forse

meglio aveva carattere diverso dal grande

uomo politico

il

quale gli scriveva di altener.si a quanto, secondo i patii convenuti, doveva fare quale segretario o

di

andarsene. E in

quella stessa lettera lo rimproverava per tre articoli comparsi sul Risorgimento. X quali precisamente alludesse il Cavour.non

sappiamo; a firma del Reta, in questo |>eriodico, ve ne ha uno «del Giornalismo in Italia dal lato dello stile» e senza firma e lo conosciamo per indicazione del Cavour — una briosa appendice teatrale in cui si censura la censura teatrale.

Cavour si lamentasse dell'avvenuta pub-

Per quali motivi

il

blicazione non

ci

è noto.

Reta

li

aveva

Forse

il

inseriti senzi»

il

consenso

dt'i

diret-

tore; forse agiva con troppa libertà e con troppa indipendenza

1

yuova Antologia, 1 luglio 1U17.


— 132 di

fronte all'avv. Castelli che rappresentava

rente del Risorgimento, ed

il

direttore ge-

Cavour non tralasciava di avvertirlo « che nel giornale l'avv. Castelli ed io dobbiamo essere considerati una persona sola». E in bei modi lo consigliava di lasciare

il

il

giornale «lasciando

il

Risorgimento ella

— gli scrive sempre nella stessa lunghissima lettera — riacquista la sua indipendenza, nel punto in cui la stampa fatta

un largo campo ai geni, alle opinioni gagliarde ed energiche quali sono le sue». Il Reta uscì dalla direzione del Risorgimento ed al 17 marzo 1848 scrive finalmente, dopo un libera apre

lungo silenzio, al Negroni, e giustifica l'indugio nel mandargli sue nuove. E' la sua una storia assai dolorosa che avrebbe dovuto « impiegare molte pagine a scrivere col sangue ». « Ha abbandonato egli continua — il Risorgimento il quale ha tra-

mie speranze. Nel modo più infame che tu possa immaginare, il Conte Cavour mi lusingò; mi lasciò avviare l'impresa, mi tolse quasi la salute, e poi mi fé' conoscere che io non poteva aver parte nella direzione del foglio jjarce queje n^avais pas une position sociale. Ora che l'elemento deojocraUco predomina, si morde le labbra, vorrebbe tornare indietro, dito le

o far tornare indietro la rivoluzione di Francia: ma l'ingegno,

non la nascita, non la banca fanno la posizione sociale e l'aristocratico si sente mancare il terreno sotto ai piedi e ne piange

Club dei Sibariti». Abbandonato il i2*sorpimew^o, il Reta pensa ad un nuovo giornale La Libertà « consacrato alle armi cittadine e alle Camere». Accenna in quella slessa lettera la cosa al Negroni, avvertendolo che aveva già un numero grande di aderenti e e con lui ne piange

il

Giovanetti (1) e

il

che ne sarebbe uscito presto il programma. Nel nuovo foglio democratico avevano promesso

la

collaborazione

il

Macchi,

Pietro Giuria e Giovanni Giuria, il Capellini, il Bertoldi, Ce-

sare Sacco. Pregava lo stesso Negroni di collaborarvi, e di più gli offriva

un posto nella direzione con una retribuzione

di

(1) L'avv. Giovanetti,novarese, illustrazione del foro, economista, si spe-

cializzò nella giurisprudenza delle acque. Nato nel 178fi morì, senatore del

Regno, nel 1849. Su di lui Prato Giuseppe, G. Giovanetti e il protezionismo agrario nel Piemonte di Carlo Alòerto,in Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino, vol.LIV, 10, 1918-19 a pagg. 565 e segg.


lire

1:33

-

milleduecento. E ciò solo nel principio dell'impresa «pro-

sperando, come non v'ha dubbio, fra il cadavere del Risorgitnento ed

il

cane idrofobo della Concordia sarà aumentata».

Per cauzione il nuovo giornale emise mille azioni da lire cento

cadauna pagabili in quattro rate da L. !25 gli azionisti avrebbero avuto uno sconto del 20% sull'abbonamento: chi acquistava almeno cinque azioni avrebbe goduto del 40%. Alla di:

rezione dieci fra direttori e redattori. Confidava il Reta nell'ade-

sione del Pareto e del Ricci « il cui ministero è largo quanto desiderar si possa iu uno Stato che non sia repubblicano».

Ma la Libertà non ebbe fortuna

nelle poche lettere che ancora formano il carteggio col Negroni non se ne parla più. Ritorna invece ancora su il Risorgimento e in una lettera del 23 marzo 1848 trattiene ancora l'amico sull'opera sua svolta a favore del Risorgimento da cui era uscito. « La storia del Risorgimento non si può scrivere in una pagina. Io fui il fondatore di questa società perchè ingannato dal Balbo. Appena mi fe-

cero smettere l'impresa

:

deW Alleanza a

forza di

belle frasi,

appena mi ebbero fatta rinunziare alla direzione affidatami prima e quando vi era qualche pericolo da correre, vollero servirsi di me comedi uno strumento ai loro fini ambiziosi, ma avvedutisi che io non era una tempra vendibile, cominciarono a diffidare; l'aver combattuto contro la stupidità del Giovanetti, l'essermi sempre adoperato contro le malversazioni e le reticenze del Balbo il quale non voleva guardia nazionale né statuto, il combattere sempre contro l'influenza aristocratica che voleva avere il predominio fecero si che alla prima convocazione generale della società, quando

si

doveva rivedere

ed approvare l'atto sociale fatto con secondi

tini, io fossi per cabala allontanato dalla direzione in cui vennero accolti nuovi

nomi e caldi fautori e leccatori di nobili. Ora la redazione non era contemplata nell'atto sociale. Non eran contemplati nel programma nomi dei direttori, cioì^ di un C)t)nte Rignon (inetto) di un Galvagno (leccatore); il famigerato Cavour ebbe i

a dire che se io fossi slato eletto nella direzione

si

sareblie

dimesso, che ci volevano uotniui che aves-sero une positiou «oc<a/e. Sogneranno la rivoluzìotie

di Francia e

ambe le mani per furor si morse; anche un li

Hùorg. iUiL. XIU

l'aristocratico

tantino per dof


- 134 — lore, dacché l'insetto popolano che egli credeva di poter schiacciare... insomma

il

ministero di cui egli si faceva sicuro, andò

in fumo e la sua influenza è nulla. In quanto a me non voglio

più udir parlar di Risorgimento, rinunziai ai miei 3000 franchi e

perdetti queir impiego che

mi acquistai perdendo molte

perdendo la salute

Non ricco il Reta dovette darsi

notti e

».

attorno per trovarsi un nuovo posto

:

in una lettera senza data,

ma dei primi di marzo, accenna al Negroni che ha accettato la direzione del Mondo Illustrato (ì) e il 20 marzo gli conferma

la notizia assicurandolo « che

il

Mondo Illustrato gli procura

un'esistenza onorata ed indipendente». Era questa una rivista

cominciò a pubblicare

il

assunto da Costantino Reta, che seguì

il

torinese che

2 gennaio del 1847 prima da Giuseppe Massalri il cui posto venne appunto

diretta

si

tiano del suo predecessore, propugnando berti di riunire gli italiani

liticamente, in

programma il

giober-

concetto del Gio-

economicamente, moralmente, po-

modo da fare delle molteplici volontà una sola,

ferma nei suoi propositi e nei propri intendimenti.

Non vi è argomento di attualità tocchi

:

politica che

nel giugno del 1848 si unisce alla

altri giornali

il

Reta non

campagna fatta da

piemontesi per un'azione più energica atta a

persuadere Venezia a seguire l'esempio della sorella lombarda e a

non rovinare l'edifizio dell'indipendenza italiana, ostinan-

dosi a non voler costituire con la sua adesione l'alta Italia.

della

il

regno del-

«A Venezia — scriveva il Reta — bastano le difese

penna del Manin

e del dizionario del

Tommaseo; ve-

dremo però se di fronte alle colonne del Nugent, saranno più efficaci de' cannoni di Carlo Alberto » {Il Mondo Illustrato, 25,

24 giugno 1848).

(1) Il Mondo Illustrato usci nel 1847; il Reta vi scriveva generalmente l'articolo di fondo, occupandosi di argomenti politici più che di argomenti letterari. E di questo tempo che pubblica l'opuscolo Popolo

Popolo (Torino, tip. Sociale, 1847) in cui predica la sincera uguaglianza Dio e alla legge, la necessità di unirci coi popoli italiani nuovamente risorti a nuova vita, e costituire una sola e fortissima famiglia. Intorno al programma del Mondo Illustrato, E. Passamonti, Il giornalismo gioheriiano in Torino, Roma, 1914, pp. 22 di ogni ceto innanzi a

e segg.


— 135 — Predicava il Reta dalle colonne del Mondo Illustrato a proy

posito del decreto del 28 dicembre 1848 con cui

il

Governo

prorogava le Camere, « che bisognava togliere ogni pretesto agli esagerati, adoperarsi

a promuovere tutte

le

Istituzioni

che possano ridondare a sollievo del popolo; mostrarsi determinati ad agire senza scrupoli, quando lo richieda la causa

dell'umanità. Questa è l'alta missione di un ministero presie-

duto da Vincenzo Gioberti * (numero del 28 dicembre 1848).

Ma contro il Gioberti muoverà i suoi strali nel marzo 1849, combattendo la sua politica (1).

Costituito

il

Parlamento il Reta fu eletto deputato nelle tre

prime legislature; rieletto a Santhià sul principio della terza, nella seduta del 6 agosto 1849 la sua elezione venne sospesa

a motivo di sentenza contumaciale per aver egli partecipato alla sollevazione di Genova.

Fin qui

il

Reta giornalista: da questo momento comincia la

sua dolorosa esistenza di agitatore e di esule di terra in terra, finché

la

morte, giovane ancora, lo coglierà dimenticato ed

affranto.

Guido Rustico. (Continua).

(1) (CosTANTi.s-- i^r.iAj

Impolitica diVincenzo Gioberti, Considerazioni

intorico-critiche, Torino, Federico G.Crivellari e C, 1849, 16» di pp.82.


Ferdinando Dal Pozzo dopo (Cont.

:

il

1821

V. Il Risorg. ital., voi. XI-XII, fase. 1, n. 17)

APPENDICI AL CAPITOLO II

1.

Lettere dell'esule avvocato Gio. Battista Testa a Ferdinando Dal Pozzo

(Gravesend 26 sett. 1824-Doncaster 3 maggio Fonte.

1826).

— A. Orig. in Arch.Dal Pozzo in Montebello, Sez. (Catìb Dal l

Pozzo), Miscel. X, n. 1, Lettere di G. B. Testa.

I.

15, Milton

Terrace

Gravesend - Domenica sera [26

settembre 1824] (1).

IH mo Sig.re Cav.r», (2)

Mi hanno scritto che il re è accolto con gran festa in Savoja,

però la tempesta avendo portato via tutti i raccolti ne' Comuni per

dove egli passò, i buoni Savojardi vanno sclamando :« La gréle précède Wt.dPoJ » e furono da S.M. fatti esenti dalle taglie per 4 anni... (3)

mi pregio di dirmi di V. S. 111.™» *Dev.™o ed ob.™» servitore j

Gio. Batta Testa (4). (1) La data è scritta di pugno del Dal Pozzo sul rovescio delle lettere,

prova chiara ch'egli le ordinava e conservava accuratamente. Questa corrispondenza del Testa sfuggi al saccheggio dell'archivio Dal Pozzo. (2) Narra minutamente le nozze di Lucia De Montfalcon di Carrouge con tal Decret, avvenute a dispetto del padre De Montfalcon, Consigliere di Stato del Cantone di Ginevra.

Dà notizie della contessa Scagnelli, ch'era a Carrouge. Una biografia di G.B. Testa, che ritornò dall'Inghilterra in Italia nel 1880, fu edita da L. Sylos, Un emigrato politico del ''21 {T'esca), To(3) (4)

rino, Roux, 1893.


— 137 II.

15, Milton Terrace

Oravesend - Venerdì mattina [l

ottobre 1824] (1).

lU.mo Sig. Cav.re,

Ho domandato dell'albergo most fashionable and best e mi fu detto esser quello del Falcon East Street, ove si mangia buon pesce. Io qui

mi vivo tutto in solitudine, né mi annojo punto per ciò; anzi

ne' giorni passati mi si era risvegliato l'amore dello studio e

il

culto

andava consolandomi con ciò, quando venne da casa mia una lettera piena tutta di sì brutte nuove, cbe mi cacciò via ben

della poesia ed

presto ogni pensiero della musa. Date le mie lezioni, consumo li mio tempo in passeggiate, e mi vanno tutte in sangue. — L'altro giorno ne feci una verso Rochester ben di cinque miglia — il tempo era

— e l'aria era viva e sot-

bellissimo; il cielo alto, sereno, aperto tile

come

quella del Monferrato,

già quelle lunghe

tìle

ma nelle campagne non vedeva

di vigne, quegli

alberi

carichi

— Ma

frutta, come si vedono sui colli Monferrini.

il

di

dolcissime

tempo, come dissi,

era bellissimo in Londra non ho mai veduto un giorno così bello, ;

e me n'andava verso Rochester tutto solo meditando i versi del Poeta « Sento r aura de' miei colli » quando

mi fermai sopra un' altura e

guardai verso il Tamigi che mi correva a sinistra, e che a questo luogo torce il muso verso Ponente.

— Nell'angolo che fa vidi un gran

numero di navi, che colle loro vele spiegate sembravano tante piccole casette bianche. — Se ne stavano là aspettando la marea per entrare nel porto di Londra; e di lì a poco venne la marea e con essa spirava un

vento gagliardo. Tutte in vento allora

queste belle navi verso

il

si

misero

porto, e come figliuole amorose correvano

a gara in seno della loro madre. tutte le ricchezze di questo

— Non v'è che

paese.

11

il

Tamigi che conosca

porto di Londra comincia

il mare « et prò termine posuerunt una mi ricordo d' aver letto in un ignoto del seicento.

fuori di Oravesend verso « rol » (2), come

— Infatti un vecchio albero tutto sdruscito, scarmigliato è termine del porto più ricco e più popolato del mondo. — Ho veduto qui la il

nave dell'AUon Bill sue vele.

;

ma

i

venti, com'EUa

sa, baciono

quasi mai le

— lo andrò spigolando per questi dintorni ancora per un

mesetto e poi raccoglierò su i miei manipoli, e me ne verrò a Londra

a maggior raccolto, se però qualche procella non me lo toglie via.

(1

1

(2)

Per la data vedi n. 1 della prima lettera del Testa.

Forma dialettale piemontese per € rovere ••


— 138 — Quanto Ella deve godere nell'animo suo, sig.*^ cavaliere, nell' esercitare il

il

nobile suo ingegno attorno un' opera, che le

deve destare

plauso dei presenti e dei vegnenti buoni Piemontesi!.. Quando sarà

Anita e che verrà tutta bella alla luce, io non so se dovrò maggior-

mente rallegrarmi allora con lei o con tutto il nostro paese poiché :

se a lei ne verrà gran fama, grandissimo vantaggio arrecherà agli abitanti del Piemonte (Juel libro, che nelle sue pagine porta stampate le isteriche libertà e franchigie del Paese. Voglia Iddio

che il re di

Sardegna non mandi fuori qualche barbaro editto a distornela! Io 'ho scritto alla sig.ra Sismondi e interpretando il suo pensiero le feci i suoi complimenti e le dissi che se ne stava in un cottage, che di

capanna non ha altro che il nome.

di chi sia

— In fede di Dio non so in seno — Io

quel cuore così avvampante per me, com'EUa dice.

ho l'onore di dirmi con gran rispetto e profonda stima quale sono di V. S. Ill.ma

Dev.»»» ed obbl.oio servitore G. B. Testa.

Sir Ferdinand Dal Pozzo 31 Alpha

road

Regent Park London III.

[15] Milton Terrace

Gravesend - martedì [5 ottobre 1824] (l). lU.mo Sig.r Cav.re, Io porrò con gran piacere ogni mio studio onde

porre ad effetto il

pensiero Suo, che trovo pur io nuovo non solo, ma alla signora sua

Consorte affettuoso e conseguente alle nostre abitudini religiose.

Però se la cosa potrà riescire come richiede la qualità della persona che la manda, e che la deve ricevere, /toc est

m vo<is,accertarmela non

posso; certamente no, poiché Ella ben sa come io sia indietro nella lingua inglese, ed anche poco valente nella nostra. Ma io, come dissi,

— Se io — Se,come penso, ella

mi proverò a misurarmi col signor Blair e verremo alle mani. sarò il vincitore, n'andrò doppiamente contento.

intende di parlare di Hugh Blair, rue of [the] Ministers of High church,

ex professore

di belle lettere in Edimburgo, non è mestieri, eh' Ella mi mandi il libro; l'ho qui in casa. Questo sig.r Blair è anche l'autore di un bellissimo discorso sopra le poesie d'Ossian. Se è di un

altro che Ella intenda, allora si compiaccia di mandar il libro al signor

(1^

Circa la data vedi n. 1 della prima lettera del Testa.


— 139 — Holanili,a n.» 20 Berners Street, che, coll'occasione che mi manda il di-

zionario di Baretti,me lo farà passare. Nell'uno e nell'altro caso è però

necessario ch'Ella mi significhi quale dei Sermoni gli talenta più di

mandare a festeggiare le castagne del Monferrato. — Tentai la traduzione di alcune linee del sermone « On the influence of Religion upon Adversity » e vedo che non si può far letterale. La prego di darmi il e mi va Questo sermone è più bello! suo consiglio su di questo.

— — — Ov'ella non n'abbia già un altro in vista, e a qualche suo fine più appropriato, mi proverò in questo — ed acquisterei tempo. nuovo Mayor. — C'era un fracasso che mi qui fu nominato anche a genio. Ieri

fa-

il

ceva ricordare

gli

ultimi giorni del nostro Carnevale e ho veduto il

Times ne' giorni passati, e vi lessi l'invito che fa il Comitato Italiano. si sarebbe potuto più nobilmente conseguire, e senza

— Mi pare che

dare pubblicamente anche a quelli, che tirarono avanti la propria vita colle loro fatiche sino al giorno d'oggi, senza dare, dico, un diploma di

paissata mendicità, ma questo inter nos. Io ho l'onore di riprotestarmi con ben distinta stima e profondo os-

sequio di V. S. Ill.n»*

Dev.mo ed Obbl.™» servitore Gio. Batta Testa. P. S.

Piegava questa mia quando venne a trovarmi il capo, ossia pa-

drone della scuola, dove io insegno, e mi disse ch'io sarò giovedì palo sapessi, sabbato

gato del mio trimestre, che è scaduto, senza ch'io

— Ricevendo io dunque questa somma di 17

scorso.

lire, se

Ella

mi

— — Le altre 6, che fanno

permette, manderolle un biglietto del Banco di Gravesend di 18 lire. 12 lire vanno per il mio debito che ho verso Lei.

150 fr. e più credo, desidererei che fossero psigate, almeno sino alla

somma di 150 franchi a mia madre in Casale. — Forse Ella sorriderà vedendomi mandare una si piccola cosa a' miei. Ma tanti sono i debiti, che l'infelice mio buon padre ha iMciato, che mi credo in obbligo di concorrere, anche con poco, alla spesa dell'educazione de' miei fratelli.

Il

disturbo del suo agente sarà, ove non abbia corrispondenti

in Casale, sarà di portare la in piazza Carlina, scrivendo rarli.

somma di 150 fr. alla Diligenza di Casale a Madama Anna Testa di recarsi a riti-

— Io le domando perdono, signor cavaliere, d'averle parlato di

queste inezie.

— Ma ho letto in un libro (ora non saprei più in quale)

— Questa in — in altri si certi luoghi va stendendosi in infinite pianure di sabbia che il cuore dell'uomo buono è come l'arena del mare. contenta di una piccola ripa come un fiumicello

buono

— tratta

le cose di gran

— cosi dell'uomo

momento, e non disprezza le minime.


— 140 — IV.

Giovedì [7 ottobre 1824] (1).

Ulmo Sig.r

Cav.re,

Neil' edizione che ho qui di Blair non vi sono che 30

(2)

tra quali non trovai quello che Ella mi accenna.

— Mandai

sermoni,

mio padrone di casa dal Piovano di questa città, quasi persuaso ch'egli l'a-

vesse.

— E in

fatti

il

me lo mandò subito, ma dell'istessa edizione, cosi

che io seguiterò in quello che ho già cominciato, ed ove Ella voglia

propriamente quello Della Morte, abbia la bontà di mandarmi il suo libro; che io qui noi rintraccierò mai più, non avendolo trovato a casa

del prete.

— Quanto alla Bibbia mi sono provveduto d'una italiana del

Martini

(3).

Ho l'onore di riprotestarmi con gran stima e profondo ossequio di V. S. Ill.ma

Dev.mo ed obb."»» servitore G. B. Testa.

15, Milton Terrace

Gravesend 31 ottobre [1824]. Ill.mo Sig.re Cav.re,

Io le scrivo dopo una mia piccola malattia: dalli 17 di questo mese mi viene ogni giorno la febbre, e la passata settimana mi si era tanto

arrabbiata addosso, che ho dovuto passarla con gran fastidio in letto e prendere dì molte e cattive cose. Ora, benché non mi abbia del tutto

abbandonato (poiché l'ebbi ancor quest'oggi), sto però meglio, e spero di cacciarla con poca fatica.

Ma non è a dire come questa malattia, la

quale non entrava per niente ne' calcoli del mio trimestre, non è a dire,

come m'abbia rovinato e nella persona, e nella borsa. Quanto al riavermi dalla prima confido in un buon Dottore di questo paese, ma per reintegrarmi la seconda non credo esserci altri che Lei; e perciò La

prego di volermi favorire di un imprestito di 12 lire sterline, le quali per mezzo del suo banchiere mi potrebbe facilmente far pagare a Gravesend. lo alla fine del mio trimestre, cioè

alli 15 di dicembre, pren-

derò 30 e più ghinee, ed allora mi farò un dovere di fargliene la restituzione.

— Benché io debba sapere non poterle arrecai^e incomodo

al-

Per la data vedi n. 1 della prima lettera. Unisce alla lettera il biglietto del banchiere di 18 lire sterline. (B) Domanda ricevuta del biglietto ringrazia del favore e annuncia

(1) (2)

:

d'avere già avvisata la mamma del prossimo arrivo del denaro.


— 141 — cono perse stessa questa mia richiesta, ciò non ostante, ricordandomi d'averle dato, non ha guari, simile noja, rassicuro che non mi sono dato l'animo di fargliela se non dopo d'avermi per molte volte ramme-

morate tutte le sue bontà, ohe mi ha usate per l'addietro. In tìne la prego anche di perdonarmi questo pessimo carattere, e di credermi quale ho l'onore di riprotestarmi con ben distinta stima e pari consi-

derazione di V. S. Ill.n»»

Dev.™o ed obb,™o servo G. B. Testa. VI.

Sabbato sera [6 novembre 1824] (1). Ill.mo Sig.r Cav.re,

Non mi stupisco dell'indolenza del sig.' Pattison fatto grasso grasso, ci vogliono

;

bue, quando é

il

gran pungoli per farlo levar su; se

fossero state 12/n, lipe sterline, si sarebbe, sia sicuro, posto ben presto in

corrispondenza con uno de' tanti banchi, che sono aperti in Gra-

vesend ; ma si tenga la sua pigrizia e i suoi denari quel banchiere arimartedì mi recherò a Londra, giacché la mia febbre quest'oggi non si fece sentire che come una leggiera pas-

stocratico. Io lunedì sera

sata; ed in questi giorni acquistando maggior salute, potrò, senza pericolo di ricaduta, commettermi a questa passeggiata.

— Non ho ve-

duto Santa Rosa e Collegno, e me ne duole, poiché questi due Italiani

SODO di quelli, co' quali è bello esser caduto in questa valle di miserie;

ma siccome non fui con loro che poche volte, ed ebbero pochissima con me dimestichezza, non ha dovuto loro venir in testa di cercar dove io seminassi la mia crusca. Qui si sta aspettando una nave lunga mille piedi più delle più grosse

che sinora si siano fatte. Mi spiace quello che mi disse del suo servitore.

— Aveva l'aria cosi

gentile,e modesta, ed era da Lei così bene trattato, che non avrei mai

creduto che la volesse pagare di questa moneta. Io ho l'onore di dirmi sempre con ben distinta stima e considerazione 4I1

V S III m» [)ev.°>o ed

obb.™* servo

Oio. Ratta Testa. VII.

Uoncaster 2 Gennaio 1826. lll.«>»<»Sig.f Cav.r*,

La ringrazio delle lettere, che si è compiaciuto di rimandarmi: v'era, (1)^*^1

D.

l

della

prima lettera.


— 142 — tra loro, la lettera che l'amatissimo padre mio, alcuni giorni avanti la

morte sua, scrisse al S.'Sismondi per ringraziarlo delle cortesie, che a

me pur volle con tanto amore usare, quando capitai nelle vicinanze di Ginevra; non potrei dirle, signor cavaliere, quanto questa lettera sia

piena d'amore per me,e di gentilezza per casa Sismondi.ll dolore rende l'uomo eloquente e le parole di un morente vanno più care e dolorose al cuore; la

mattina, che ricevei questa lettera, la passai tutta pian-

gendo e ripiangendo l'uomo, che non rivedrò più mai, e che forse per mia cagione vide, anzi tempo, l'ultimo suo giorno; pur troppo è così! Nel mezzo di questa lettera sono queste solenni parole che eternamente mi suoneranno nell'anima:* lo devo assicurarla, che al dolore, che pesa sul cuor mio pel fatai errore di questo mio flgliuoI<), di grandissimo sollievo sempre mi fu il pensare,che egli,benchè lontano dagli occhi miei, non ha abbandonato mai que' principi.] di condotta, per la pratica de' quali solamente si può pervenire ad avere in sorte la proIo glie ne so veramente tezione sua » ed in fine cosi si esprime «

grado; e se dal sommo Iddio sono i voti miei esauditi, ben presto avrò appresso di me quel caro mio

figlio, ed ella

continuerà ad avere in

sorte tutti que' doni e quelle felicità, che l'uomo

generoso e dabbene

merita di godere sopra la terra ».

Non sarà mai ch'io mi perdoni d'avergli tanto addolorato l'estremo della sua vita. Ma mi scusi, sig.f cavaliere, se di questa cosa gli parlo così a lungo; non ho qui con chi parlarne, ed è cosa che tanto

mi oc-

cupa ed empie l'animo, che, senza accorgermene, ne penso sempre e sempre tra me stesso ne ragiono. Le mando il foglio, dove sono scritte le virtù ed i miracoli del Whits Mussard Sud. Lei saprà dargli la tara; ma si vuole veramente che sia benefico alla salute dell'uomo.Voglia il cielo, che Ella non venga mai in condizione di farne esperienza, e se ciò accadesse, che giovi a lei,

come a me ha giovato. La prego di salutare tutti i nostri Italiani, e di tenermi sempre vivo nella sua memoria,che io per me mi sono per sempre dichiarato colla

più distinta stima e considerazione di V. S. lU.^ia

Dev.mo e obl.mo servo G. Battista Testa.

À Monsieur le Chevalier Dal Pozzo 46 Northumberland Street Edimburgh.


- 143 Vili.

5 febbraio 1826-Doncaster. Ill.nao Signor cav.r».

Quando le ho scrittoio era cosi pieno di quella lettera del povero padre mio.che ogni altra cosa mi era fuggita di mente; il mio viaggio fu felice,

ma non però tanto che io non sia incorso in un gravissimo peri-

colo sovra un ponticello, che si passa fuori della città, o borgo che sia,

che ultimo si lascia prima di arrivare a Ne wcastle. Questo ponte è piccolo si che dà via ad un solo coac/«,ed è altissimo e un po' lunghetto. Il

nostro guardiano non omise,come è suo dovere,di suonare la tromba per

avere libero e sicuro passo ed eravamo a metà quando i nostri cavalli ;

urtarono ne' cavalli di un altro coach :lo scompiglio fu grandissimo; quelli che erano di fuori calarono giù; ma quei di dentro notalo pote-

vano fare perchè l'una portiera batteva contro le ruote dell'altro coach, e l'altra contro al parapetto del ponte. Lei si può

immaginare i gridi

bestemmie e villanìe che i coachmen si scagliavano a vicenda.Con me era un signore, che deve essere di qualche autode' passeggeri e le

rità in que' contorni, perchè sporse fuori la testa, e parlava loro auto-

revolmente e loro diceva che se giungeva a Newcastle,voleva farli punire Qtc.;il torto veramente era dell'altro coac/imanw, ch'era ubbriaco

a più non posso, e che non aveva voluto dar ascolto all'avviso della

tromba.Per fortuna questo ponte, come sono quasi tutti i ponti antichi si allarga e forma certi angoli dove sono i pilastri ; e così,to Iti 1 cavalli,

spinsero uno dei coach un po' in uno di quegli angoli e

lo

tennero

fermo a mano, mentre l'altro con ogni diligenza passò e rasente sì che lo scroscio non fu piccolo e la paura grandissima. Quel signore di cui le ho parlato, è un amicissimo di Ciravegna;si trovò nella presa di

Genova con Lord Bentick.Mi si dice che sia l'unico passo pericoloso che si

trova in tutta la strada sino a Londra.

Non occorre che mi rimandi lo scritto del \\ lnii* .^iu^^a^•d Sud,perchè

me ne posso procacciare un altro senza disturbo. Le sarei però molto tenuto se volesse mandarmi un certo sonetto di Dante che troverà nella Vita nuora. Non posso darle ma^fgior indizio

quale ei sia che trascrivendone qui due terzine: parla di Fieutrice.

Ogni dolcezza, ogni pensiero umile Natsce nel core a chi parlar la sente

Ond'ò laudato chi prima la vide. Quel ch'Ella par quand'un poco sorride

Non si può dlcer né tenere a mente Si è nuovo miracolo e gentile.

;


— 144 — E uno de' più belli sonetti che io abbia letto, e so che Parini, quando era pregato di dire qualche poesia, usava sempre di recitarlo.

A quest'ora avrà Anito, credo, il suo scritto sopra V Emancipazione

La prego di farmene aver copia, perch'io lo faccia leggere a questi signori,che non si possono persuadere che uno straniero dei Cattolici.

sappia vedere bene addentro e giudicare rettamente le loro cose.

Ho ricevuto lettera da Malinverni e mi duole assai, che non se la faccia più così bene'; egli è, come sa, in Hastings.

— Muschietti pure mi

scrisse da Manchester; mi dice che si è finalmente guarito bene da una

certa qual malattia

Il

ritratto dell'ottimo Santa Rosa è finito, e

ben

presto ne manderà le copie a sottoscrittori.

La prego di darmi nuove del nostro Demarchi; se si sia rimesso in salute, e degli altri nostri Italiani e di rammentarmi qualche volta tra loro, e non voglia dimenticare,la prego di cuore,di disporre le sue cose

in maniera che,andando a Londra, possa fermarsi alcuni giorni in Don-

caster. Io procurerò di accoglierla onorevolmente quanto più per si potrà.

— Ritornato a casa, non ravvisai dapprima

me

le mie stanze,tanta

cura hanno avuto questi miei amici a pulirle, a dipingerle, ad addobbarle

!

Stia sano e mi voglia sempre bene,che io per me mi sono dichiarato

per sempre di V.S.IlI.ma Dev.nao ed obbl.mo servo ed amico

G.Battista Testa. IX.

3 maggio 1826 - Doncaster. Ill.mo Sig.r Cav.re,

Ho ricevuto jeri la sua, e giacché mi chiede del mio consiglio, le dirò ch'ella debba prima d'ogni cosa, mantenere la parola; se ha pensato di

lasciare per ora la sua gita a Manchester ed a Liverpool, perchè sono

piene di tumulti e di miserie, non dovrebbe anche esser distolto dal venire qui a Doncaster dove tutto è in calma e senza alcun sospetto di

turbolenze e se ha desiderio di visitare manifatture a Sheffield, città

da Doncaster diciotto miglia lontana, ne sono delle stupende ed anche a Lud, 27 miglia discosta di qui. E poi come le dà il cuore di mettersi in que' certi battelli a vapore in questa stagione che vogliono questi

mari essere così tempestosi? Arroga che il viaggio per terra, essendo per un paese da lei non veduto, la diletterebbe assai

:

ed è così breve

da Edimburgo a qui. Persuaso quasi che Ella verrà, parlai alla mia landlady e le preparerà una stanza o due vicine alla mia; non saranno splendide, ma pu-


— 145 lite e buon letto; ed

avrà il mio filting-room e cosi, come dicono i Pie-

montesi, farà per alcun poco penitenza.

— La venga dunque.

È già qualche tempo che Bezzi mi scrisse richiedendomi di raccomandarglielo per avere, per suo mezzo, un passaporto dall'ambasciatore sardo perchè intende, così mi scrisse, di rientrare.

Non gliene scrissi, perchè siccome so che tra lei ed il Conte d'Agliè tempo eh' io ero in Londra, interrotta ogni corrispon-

erasi, sin dal

denza, mi parve inutile il farlo; però se mi fossi in ciò ingannato, lo fo adesso, e farò a Bezzi quella risposta ch'Ella mi manderà. Cile fa Demarchi e come sta di salute? I Viaris ed i Rossi come se la

passano? Ho avute nuove che un certo Elia Montanelli, ottimo giovane che erasi recato a Berth ad insegnare, e che poi aveva dato il suo posto a Borsieri per portarsi in Grecia, è stato ucciso

— e così ad uno ad uno

ce ne andiamo.

La prego di salutare gli Italiani di costì e di fuggire, poiché* lo può fare con poco dispendio, la noja del mare e di darmi cosi un'occasione di mostrare quanto io sia di V. S. Ill.>»»

Dev.mo ed Obb.™» servitore Gio. Battista Testa. 2.

Ferdinando Dal Pozzo dedica ad Arturo Wellesley duca di Wellington, presidente del Consiglio dei ministri d'InghiUetTa,una sua opera sulla questione irlandese (1 novembre 1828). Fonte. Ediz. in F. Dai. Pozzo, De la nècessité très-urgente de souniettre le Catholicisme romain en Irlande à des règlemens civils

spèciaux, voi. I, p. v-xii, Londra, G. Schultze stampatore, 1829, pp. xxxii-250 in 8."

Milord Due,

Vou8 étes premier ministre: la grande question catholique terminera 80US vous, j'espère, J'en dis la raison dans l'Introduction de cetouvrage. Mais ce n'est pas de cette question que je me sois principa-

lement ou directement occupa, soit dans le « Catholicism in Austria »

que j'ai publi»*, il y a deux ans, soit dans l'ouvrage que je soumets à Votre Gràce maintcnant, et que je livre aussi à la coii<"i*""''"n ilu public.

— uu qu'uu — mon opinion est, qu'on ne doit pas laisser catho-

Qu'on fasse de nuuvelles concessions aux catholique^; n'en fasse pas;

le

licisme en Irlande tei qu'il est, et que dea règlemens civiU spéciaux-

y sont indispensables soit comme conditions de la simple tolérance de


— 146 — ce eulte public, soit, et encore plus, comme conditions de sa plus pleine

admission dans

l'état, en

concédant aux catholiques de plus amples

droits et privilèges. Il

est néamnoins vrai de dire, que les règlemens dont je parie, ne

sont pas, à beaucoup près, sans importance pour résoudre la grande question qui divise et met en feu tout le paysi(l). Je m'en vais dire la raison, et la faire toucher comme l'on dit, au doigt et à

l'oeil, autant

que cela est en mon pouvoir. Si quelqu'un se présentait àVotreGràce, et lui disait:« Voyez tous ces millions de catholiques qui fourmillent en Irlande, et qui, avec un clergé dominateur et quelques ambitieux

à leur téte, s'agitent si vivement, et sont dans un état perpétuel d'hostilité contre les protestans,et viceversa. Si j'avais le secret de rendre

tous ces catholiques protestans, la question ne serait-elle pas flnie? ».

Eh bien! Milord' Due, j'ai l'honneur d'assurer Votre Gràce que ce sera là, à

trés-peu de choses près, l'indubitable effet de règlemens civils

spéciaux sur ce eulte, bien combinés et exaetement observés. Les catholiques ne porteront certainement pas alors le nom de protestans; et qu'est-ce que le nom fait? Ils auront un petit nombre de dogmes spéculatifs de plus; un fil de communication avec Je siége de Rome, mais

de communication inspeetée et surveillée par le gouvernement et dans ;

tout le reste ils seront protestans véritables,c'est-à-dire ils auront une religion éclairée et conciliable avec la liberté; et le chef du gouver-

nement sera aussi le chef extérieur de cette religion (2). Une telle similitude doit apporter la paix et la concorde entre les uns et les au-

tres(3).Car pour s'aimer, il sufflt bien de se ressembler; il n'est pas

nécessaire d'étre, sur tous les points, identiques.Mais cette transfor-

mation ne peut s'opérer d'elle-méme: elle ne peut étre que l'oeuvre du gouvernement. Le protestantisme est-il né de lui-méme, ou seule^

ment des travaux et des efforts des particuliers ? (4). J'ai, Milord Due, la plus haute opinion du peuple anglais : je sais qu'ils

peuvent parvenir à faire des choses très-difflciles mais à l'impossible. ;

Voyez en bas la date de cette lettre. Voyez la note de la page ci-après. (3) Voyez la page 202 du * Cathoticism in Austria ». (4) € Si le moine Luther, dit Voltaire, si le chanoine Jean Chauvin, si le curéZuingle s'étaient contentós d'écrire, Rome subjuguerait encore tous les états qu'elle a perdus; mais ces gens-là et leurs adhérens étaient soutenus par des princes. Ce n'est pas VAlcoran qui fit réussir Mahomet ce fut Mahomet qui fit le succès de VAlcoran. Non, Rome n'a pas été vaincue par des livres. Henri Vili, Elizabeth, le due de Saxe, le landgrave deHasse,les princes d'Orange,lesCondé,lesColigni ont tout fait... » (1)

(2)

;


- 147 il

faut qu'eux aussi s'arréteDt. Or, à mon avis,voaloirtaiter les catho-

liques d'Irlande, comme des dissenters protestans

— vouloir laisser

le catholicisme en /Wawde (remarquez bien,en Irlandé) dans Tétat où il

est.sans restrictions,sans directions, sans surveillance. sans répres-

sions, s'il y échet; entiérement exlex en un mot;

— et prétendre d'un

autre coté que les Ubertés civiles' et religieuses du royaume-uni, sa constitution, et son protestantisme ne courent

aucun grand risque,

dans un tems plus ou moins éloigné, c'est vouloir l'impossible. L'évi-

dence de cette proposition ressortira de l'ensemble du présent ouvragè. Je ne puis la faire rejaillir ici

en peu de mots, ni en peu de mots

réfuter toutes les objections.Mais que Votre Gràce me permette, en at-

tendant, de lui alléguer un exemple. Pourrait-on avoir en Angleterre

une armée disciplinée d'une manière differente, qu'on l'a en France, en Autriche,en Prusse etc.?Cependant ces réglemens spéciaux,réputés nécessaires partout. imposent bien de restrictions pour des hommes libres.

De la méme manière je soutiens, que le clergé eatholique d'Irlande

a besoin de règles,de restrictions, de directions justes,raisonnables, cela s'entend; mais d'une discipline extérieure enfln, qui convienne à l'autorité civile,etqui la rassure parfaitement,en tout tems,eten toutes

circonstances. J'ai

nommé le clergé eatholique d'Irlande; car il est bon de remar-

(\vietT,(\\ì^

1^9 réglemens civils

specmwj?, auxquels je crois nécessaire

de soumettre le catholicisme romain en Irlande, n'apportent, dans le fond.des restrictions qu'au clergé eatholique et à la courdeRome.Pour s'en convaincre,Votre Gràce n'aurait qu'à donner un coup d'oeil rapide

au résumé que j'ai publié" des lois ecclésiastiques autrichiennes dans

mon « Catholicism in Austria ».Pour ce qui concerne les laiques, il résulterait au conlraire pour eux,de ces réglemens civils spéciaux,une

bien plus grande liberté. J'ai dit plus haut que ces réglemens civils

spéciaux ne seront pas

sans importance pour résoudre la grande question eatholique, et j'ai

donne pour motif qu'ils feraient des catholiques autant de protestans, à

peu de choses prés.sans qu'ils cessent cependant d'étre vrais catho-

liques, m^me devenant meilleurs catholiques qu'ils

étaientMais voici

à cet égard quclqu'autre observatiun.Quel est le noeud de la grande

question? La conciliation du catholicisme romain avec les libertós

ci-

viles et religieuses en general, et avec la constitution anglaiseen particulier. Peut-on

résoudre ce noeud ? Pitt a dit que oui et son autorité, :

sur ce point,doit, à ce qu'il me semble, l'emporter sur toutes les autres, ,]!!•. ,11

.wf !((>coiitiimt''

i"

'•"»r sur ce sujet, prises

ensemble;car nul.


— 148 dans ces derniers tems du moins, n'a róuni plus de genie à l'expérience de rhomme d'état. Or ce ministre, dans sa lettre adrfissée au roi Georges III en 1801, donne assez clairement à entendre que le seni, moyen

de concilier le catholicisme romain avec la constitution anglaise, est de soumettre ce eulte à plusieurs règlemens de l'autorité

civile. Je

prends la liberté de remettre ciaprès sous vos yeux cette mémorable lettre avec un petit comnientaire,que je

me suis permis d'y faire,et

qui fut inséré dans le Times du 30 juin 1827.J'y joins aussi un extrait

du dernier discours,'queM.Pitt a prononcé sur cette question, quatre ans apr4s sa lettre au roi; ce qui prouve qu'il a toujours conserve les

mémes idées.Ces règlemens il (faut bien le remarquer) ne se réduisent pas seulement à un veto

— ni méme à une part plus directe du gouver-

nement à la nomination des archevéques et évéques,conjointement à une surveillance de la correspondance avec la cour de Rome,ainsi que Canning et plusieurs hommes d'état ont suggéré.Ces deux choses sont, sans doute, très-nécessaires. Mais elles sont loin d'étres suffisantes,.eft les opposans à tonte

nouvelle concession en-faveur des catholiques,

ont bien raison de n'en étre pas satisfaits car elles ;

n' empécheraient

ni rinfluence,à peine perceptible quelquefois,mais continuelle et ©n

conséquence du plus grand effet pour les resultate, de doctrines préjudiciables à l'état et à la société civile, préchées dans la chaire,en-

seignées dans les séminaires,instillées dans le confessional, ni les vacillations et l'insubordination des

évéques une fois élus, ni Tefifet des

dévotions superstitieuses, et de l'ignorance qu'on pròne, etc.etc.Tous ces poisons subsisteraient également avec le veto, et l'inspection de la

correspondance écrite avec Rome. Ck)mment le catholicisme, ennemi .juré,tantòt ouvert,tantòt secret, mais toujours

également implacable»

du protestantisme,ce catholicisme,vis-je, laissé ainsi à lui méme, et mis encore (sans de bonnes pi'écautions préalables) à l'ógal du prote^tantisme par l'abolition de toutes les lois pénales,pourrait-il vivre en paix à coté de lui?lmpossible! Possible au Canada, où

il

y a soixantecinq

mille catholiques, fort éloignés de la cour de Rome et de l'Europe pos;

sible dans quelques pays des Etats-Unis d'Amérique; possible méme en

Angleterre,et en Ecosse,où les catholiques sont si inférieurs,en nombre,

à la population protestante, si épars et sans connexion speciale des

uns avec les autres, n'y ayant méme pas ce qu'on appelle une véritable hiérarchie catholique(l).Mais peut-on, méme avec une simple appari) L'Angleterre et l'Ecosse sont ce qu'on appelle à

RomePai/s du Mis-

sion où il n'y a pas de véritables évèques du pays, des chapitres cathé-

draux, des séminaires etc.,mais seulement des vicaires apostoliques, accessibles ad nutum.


— 149 — rence de raison,arguer de tels pays à rirlande?Ici une grande et forte et ancienne organisation ecclésiastique existe,qui domine cinq millions

de catholiques.concentrés dans une ile,— aigris,par de longs souvenirs,

— nourris dans une fonie de préjugós et exaltés par de non moina longues espérances.Cette organisation est babituellement hostile au pròtestantisme et à la constitution anglaise, dont le protestantismo fait partie.ll faut donc ou la détruire,ou la changer,c'est adire substituer,

à sa place, une organisation conforme à la nature du gouvernement et

en tout point salutaire.Dans cette alternative, il est bien clair que le dernier parti est le seul juste et politique;mais il est nécessaire. Cette nouvelle organisation ne peut-étre que le résultat des règie-

mens civils spéciaux dont je parle.La formation et Texécution de ces règlemens sera donc la seule et unique sùreté pour les nouvelles concessions qu'on fera aux catholiqaes

— celle qui sera vraiment'efflcace

— et qui éminemment comprendra toutes les autres sùretés imaginables.De nécessité,ces règlemens doivent étre nombreux ; premièrement,

parce que si le catholicisme

— non pas

tei que Jésus-Christ l'a fonde,

mais tei qu'il est devenu ensuite;si ce catholicisme n'obéit pas il do-

mine :w«t paret, imperai ; et ensuite pai* toutes les autres raisons, que j'allègue dans le cours de cette ouvrage (notamment au chap.IX), que je vous prie, Milord Duc,non pas de lire (.c'est trop long pour un ministre si occupé), mais de faire lire par des personnes de votre conflance.desquelles vous en ferez vous rendre compte. J'y démontre spécialement — ou du moins je crois y démontrer qu'il faut qu'on fasse, à peu de choses près,pour le catholicisme ce qu'on a fait pour le pro-

testantisme, si l'on veut obtenir de pareils résultats,c'est-à-dire si l'on

veut avoir un établissement religieux qui s'incorpore réellement avec rétat,un établissement religieux qui obéisse,et qui aide le gouverne-

ment, au lieu de lui resister, de le contrecarrer,et de le miner. 11 faut

que par un acte du parlement,le roi d'Angleterre soit déclaré protecteur et chef extérieur de l'église catbolique romaine d'Irlande(l);

qu'on fasse de dispositions réglementaires,méme minutieuses,sur tout ce qui est forme de eulte extérieur, discipline, hit'rarchie,éducation ecclésiastique, prédication, eie.— non pas en s'accordant avec le pape. (1) Sur la qualità de chef extériear de l'église catholique, que le chef d'un état (protestant ou catholique lui-mème, n'importe), peut justement 9'attribuer,voyez le l'osi itcriptum à la préfacedu « Catholici«iu in Austria» et plusieurschapitreddu présont ouvrage, notamment les V§ 4, VII et Vili. Le pape Saint Grégoire II appellait Leon III, dit l'Isaurien.empereur d'O-

rient,capu/ christianorumiVoyez la note de la page 240 ci-après). Et quelle sorte de chrétien était Leon /{ Ritorg., Ita/.,

XIU

!


— 150 — ni avec les évéques d'Irlande,

ciens et modernes, subsistent, sans

— mais en consultant les règlemens an-

— nationaux et étrangers, — qui ont subsisté ou qui

que la communion avec Rome

soit

rompue, et sans

qu'on ait considera la substance de la religion catholique comme en-

dommagée. La necessitò de ces règlemens est déjà,par elle-méme,une preuve de leur légitimité.Mais le principe qui,après tout,les légitime de la manière la plus incontestable,c'est le devoir que i'église a d'obéir à l'autorité suprème de rétat,en tout ce qui n'est^pas dogme.Ce devoir est

méme conforme au droit divin révélé. Si donc les dits règlemens civils speciawajpoar le eulte catholique,

sont légitimes;s'ils sont nécessaires, indispensables pour le bien de l'état; s'ils offrent une si grande sùreté pour la constitution anglaise,

pour le gouvernement anglais,et pour les libertés civiles et religieuses du pays; ^a seule sùreté,qui mérite vraiment ce nom; — si avec elle, l'état a toutes les autres sùretés,et sans elle il n'en a aucune,du moins aucune suffisante;la conclusion à tirer peut-elle aucunement étre douteuse ? Si dans quelqu'une de vos illustres expéditions,Votre Gràce n'eùt trouvé qu'une seule bonne route à suivre, et que, hors de cette route, si de plus, tout n'eùt été que sable mouvant, précipice, ou abyme vous aviez su que cette route fut heureusement pratiquée par d'autres

;

auriez-vous hésité? Je m'entends dire: « Vous empirerez la condition de l'Irlande, avec

votre projet de faire intervenir l'autorité du gouvernement dans les aflfaires des catholiques; vous la mettrez en insurrection ; il y aura une

guerre civile religieuse; jamais on n'endurera un tei état de choses ».

Pour toutes ces objections, ou plutót frayeurs, je m'en repose sur vous, Milord Due. Je sais comment les héros de votre caractère s'en détarrassent.

Je termine cette lettre, en vous exprimant les voeux ardens que je fais pour que mes confrères

de eulte obtiennent à la fin l'égalisation

de droits,soit civils, soit politi ques, avec les autres sujets de laGrandeBretagne, après laquelle ils soupirent depuis longtems. Mais lorsque je serais moi-méme natif de ce pays, ce désir ne m'aveuglerait pas au

point de souhaiter de le voir rempli, tant que le changement à opérer

dans le catholicisme d'Irlande, que j'ai indiqué, ne serait pas introduit, et n'aurait pas pris une certaine consistance. Puisque le sdrt de ma religion est assuré, dirais-je; puisque, loin de chanceler ou de s'offu-

squer dans les adversités, elle s'y affermit au contraire, et s'épure; tranquille de ce coté, et me reposant aussi sur la sagesse du gouver-

nement de ce pays, et sur la douceur des moeurs actuelles,je n'éprou-

'


- 151 — verais plus d'autre anxiété que celle de ne pas voir les libertés de ce

grand empire

le plus anciennement libre des états

— et

modernes

le Seul, j'oserai encore dire, vraiment et solidement libre jusqu'à cette

heure dans l'ancien monde

— courir le moindre risque.

J'ai rhonneur d'étre. Milord Due, de Votre Gràce, le très-humble et très-obéissant serviteur,

Ferdinand dal Pozzo. Londres,87,Regent Quadrant, ce l.»' Novembre, 1828.

Ferdinando Dal Pozzo invia al duca Arturo Wellesley di Wellington, presidente del Consiglio dei ministri d" Inghilterra, la sua pubblicazione in p^vore deiValdesi (15 giugno 1829). *

Fonte.

— A. Orig. autografo nell'Archivio Dal Pozzo in Moniebello,

sez. I (Carte Dal Pozzo), Mise.

1.', lett. 9.

Jane 15, 1829. Count dal Pozzo presents bis respects toHis grace the Duke of Wellington, and has the honour to send him a copy of the pamphlet he has

just published in favour of the Vaudois.

Lord Aberdeen's convefsation left the Count under the impression that the good ottìces of the English government in favour of this suffering people would be nearly of the

same kind as formerly, while

Count dal Pozzo's humble opinion is that their ancient claitns bave since 1802 become vesled rights

has been, in 1&14

ner

— and that the possession oftheserights

— implicitely indeed, but in noless obligatory man-

— warranted by public treaties, to which England has been a

party.

Count d. P., if he is not greatly mistaken,is confldent to bave elucidated this subject in such a way that Lord Aberdeen liimself will per-

hap8,upon a closer inspection of the matter, alter bis opinion;

— and

concludes by humbly entreating His Grace's indulgent pardon for having trespassed so

much upon his time. But the interest of his coun— and that of the glory of the English name

trymea, the Vaudois

atmiad

— bave been bis only motivo, which His Grace will flnd at

Icust excusable.

Traduzione italiana. Il

conte Dal Pozzo presenta i suoi rispetti a Sua Grazia il Duca di

Wellington e ha l'onore di mandargli una copia dell'opuscolo che egli Ila pubblicato in

favore dei Valdesi.


— 152 — La conversazione con Lord Aberdeen lasciò al Conte l'impressione uffici del governo inglese in favore di questo popolo sofferente sarebbero quasi della stessa specie come altre volte, mentre l'umile opinione del Conte Dal Pozzo è che i loro antichi reclami [o che i buoni

antiche pretese] siano diventati dal 1802

le loro

e che

il

invero, ma in

acquisiti — — implicitamente

diritti

possesso di questi diritti sia stato nel 1814

modo non meno obbligatorio — garantiti da trattati

pubblici, ai quali è stata parte consenziente l'Inghilterra.

Conte Dal Pozzo, se non erra grandemente, ha fiducia

Il

delucidato questo soggetto in

di

aver

modo tale che Lord Aberdeen stesso,

dietro investigazione più diretta della materia, cambierà forse la 'sua

opinione;

— e termina invocando umilmente l'indulgente perdono di

Sua Grazia per avere abusato del suo tempo. Ma l'interesse dei suoi compaesani, i Valdesi l'estero

— sono stati

— e quello della gloria del nome inglese alsuoi soli motivi, che Sua Grazia troverà per lo

i

meno scusabili. 4.

Ferdinando Dal Pozzo esorta, a mezzo del proprio amministratore Mico, i nipoti Sebastiano e Carolina Dal Pozzo a curare la zia Vittoria (28 agosto 1827).

Fonte.

— A. Orig. in Arch. Dal Pozzo in Montebello, Sez. {Corte Dal I

Pozzo), Mise. I, n. 8.

.

,

Hastings, 28 agosto 1827.

Mico carissimo, (1)

Egli è più che necessario che Sebastiano tanto per la sua per-

sona, che per

mezzo

di Carolina

e del loro

tìglio, si

cattivino in

sommo grado la benevolenza e l'interessamento di mia moglie, il che non si ottiene che con una giornaliera e continuata serie di m'nute e delicate attenzioni, e tali inoltre che abbiano l'aria di naturalezza. Ripartendole bene tra tutte e tre le persone, e sapendosi

maneggiare, vedranno che il sacrificio

tempo non è poi grandis-

di

simo. Ma è n ecessar iUy]^oichè la mia fortuna non dipende solo atti irrevocabili,

vocabili. È bene

da

ma anche da disposizioni di mia moglie ancora re-

che Sebastiano sappia le molte

difficoltà, che

io

ho

avute per superare la ripugnanza che mia moglie ebbe alle disposizioni fatte, penetrata dall'idea (che era falsa per molti versi, ma

che assaissimo la dominava) che io volessi spogliare i suoi nipoti.

(1) Accusa

ricevuta della lettera n. 459, approva che non abbia fatto

leggere la sua lettera al nipote Sebastiano

;

ora lo autorizza a farlo.


- 153 — tìgli

di sorella, per vestire

i

miei. Voi siete testimonio di queste dif.

a minuto narrargliele. Questa idea, che le attenzioni

ticoltà e potete

delicate di Sebastiano e Carolina possono sommergere, può facilmente

ricomparire

— essendo io assenta principalmente — e se

si

aggiunge

mia assenza la loro trascuranza. Non deve altresì sfuggire alla sagacità di Sebastiano quanto potrebbe un confessore fanatico, istigato massime, come negli aflfari d'interesse facilmente interviene,da alla

altri di

contrario partito. Se mia moglie ama -Sebastiano e Carolina,

e può esser animata da riconoscenza per

le

attenzioni ricevute e

l'assistenza prestata, non vi riusciranno così, facilmente

(l).Ho detto

che [bisogna che Carolina sia] graziosa anche colle persone tutte della società [di

mia moglie], poiché conosco Torino e le idee della

società Torinese,ben angusta d'idee. Carolina è naturalmente gr^iosa,

dolce ed amabile: Sebastiano è frullo di maniere, però non altiero.

Ma in Torino vi è tra una classe e l'altra delle

barriere di ferro.

Una dama, ammessa a Corte, disdegna di conversare — e massime di mostrarsi in pubblico con quelle che non hanno questo alto onore. Dalla nobiltà

— e massime da quelli più elevati — la compagnia dei

bourgeois è nettamente riputata cattiva compagnia. Questo uso è cosi tirannico, che mette anche le divisioni fra i parenti più stretti. Mad.» de Grésy, la madre della contessa Ternengo e della marchesai della Rocca, non vedeva in pubblico sua sorella, mad. Revelli, non s salutavan nemmeno, incontrandosi a piedi

al passeggio; e così fanno certamente le dette signore Ternengo e della Rocca coi loro cugini

Revelli, che son

pur cugini germani. La contessa San Fermo, sorella

di Carolina (ma

che essa dee non imitare), non vedeva e non salutava

più la sig. Bocca, la moglie dell'intendente, comunque fossero amicis-

sime un tempo. Quando un uso è stabilito, capisco che non si può da un solo individuo cambiare, ed alle volte bisogna esternamente adattarvisi. Ma bisogna altresì saperlo correggere e temperare,secondo le

esigenze

(2).

Quanto ai 30 jours de

la

revolution ptew. potete

incaricarne qualche viaggiatore sicuro, poiché é così piccolo e d'al-

tronde non ne ho premura (3). La memoria ms., che trovai unita ad un pacco di libri mandatomi e che riguarda le antiche tasse, corn-

ai) Continua

8U questo tono, (urendo che

i

nipoti irecjuentino i mer-

coledi di sua moglie. (2) Continua nelle stesse

esortazioni di prima, ringrazia Mico per un

invio di libri. (8) Ringrazia

celerifera.

per numeri della Gazzetta piemontese, e della collezione


— 154 — bina colle notizie che io avea già ricavate da alcune altre fonti e le

rischiara

(1).

Addio di cuore. F. Dal Pozzo.

Ferdinando Dal Pozzo, offrendo una copia dell' Essai sur les an-

cienne s assemblées etc. al conte ]S/apione di Cocconato,lo prega di non avversarlo nel concorso della R. Accademia delle Scienze di Torino (20 novembre 1829).

Fonte.— A. Orig. in Museo Nazionale del Risorg. it., Torino, Catalogo guida, n. 135. Ill.mo ed Eccell.mo sig. Conte,

A quest'ora ella sarà consapevole, che io ho pubblicato, ed inviato costì

il

primo volume di una mia Opera storica avente per titolo:

« Essai sur les assemblées nationales de la Savoie, du Piéìnont etc. »,

per esser presentato all'Accademia, e coll'intenzione di concorrere al

premio enunciato in un programma inserito nella Gazzetta Piemontese del 22 gennaio 1828.

Confutando io ivi principalmente le opinioni espresse da V. Eccellenza sulla stessa materia, mi fo dovere di farle tenere un esemplare del detto volume, il quale, credo, le perverrà franco di porto da Parigi,

contemporaneamente a questa lettera, o poco dopo, e di dichia-

rarle ad un tempo: 1." che io sono, ciò non ostante,pieno di rispetto e di stima per la persona di Y.E.,il cui distinto merito letterario,oltre le

altre doti e virtù sue,è dappertutto conosciuto ed apprezzato ; 2.» che io mi lusingo della sua delicatezza,che ella,comeparziale,non s'infram-

metterà nel giudicio, che del mio lavoro dee portare l'Accademia.

Amendue, eccellentissimo Sig. Conte, amiamo la nostra Patria, ma in diverso modo e con diverse viste. Chi di noi abbia ragione o torto,

è difficile il dirlo. 11 tempo solo lo aprirà. Ma quanto a noi individual-

mente il riunirci,che facciamo in uno «tesso fine,di buona fede dall'uno e dall'altro lato,è sufficiente per nodrir sentimenti di reciproca stima.

Ho l'onore di rispettosamente sottoscrivermi di Vostra Eccellenza Umilissimo, devotissimo, obbligatissimo Servitore

Ferdinando dal Pozzo. Londra, 87 Regent Quadrant,20 novembre 1829.

A Sua Eccellenza Il Sig. Conte Napione di Cocconato Primo Presidente e Presidente de' Regj Archivj

Torino.

(l)Ha ricevuto i conti; saluta i nipoti.


- 155 — 6.

Ferdinando Dal Pozzo scrive al conte Prospero Balbo, presidente della R. Accademia delle Scienze di Torino, a proposito di un concorso da questa indetto e ne propone un altro (16 aprile 1830). Fonte.

— A. Orig. in R. Acc. Scienze Torino, Carteggio della R. Accad.,

n. 251.

Eccellentissimo Signor Conte,

Non posso esprimere all'Eccellenza Vostra, in adeguati termini, il piacere che ho provato di essere stato vinto nel concorso che codesta

Accademia delle Scienze avea aperto pel miglior lavoro storico sopra cose patrie, che si sarebbe presentato nel termine da essa prefisso nel

programma de' 25 gennajo 1828. Questo mi è prova che assai più valenti storici

che io non mi sia, sorgono in Piemonte, e che per gl'in-

defessi loro lavori non tarderemo a vedere dischiuse tutte le' nostre

antiche istituzioni, leggi, costumi, fatti, associazioni politiche, religiose,

commerciali, in somma che l'immagine degli antichi tempi ci sarà pre-. sentata un po' più fedele e sopra tutto più compiuta di quella, che i passati scrittori ci tramandarono.La grande utilità che la nostra patria

dee quindi risentirne, a mio avviso, fa tacere in me qualunque senso,

anche il più lieve, di amor proprio

;

la carità di patria dovendo assor-

me tissorbe, ogni altro sentimento. Questa mia disfatta, per me soddisfacente, gloriosa pel Piemonte e

bire, come veramente in

segnatamente per l'Accademia, che per certo fu imparziale nel suo dotto giudizio, lungi dallo scoraggiarmi, mi anima a proseguire il mio lavoro con maggior lentie tentar di far meglio. Solo desidererei, per

mio lume, di conoscere le savie osservazioni, che si saranno fatte da alcuni almeno de' signori Accademici intorno al mio lavoro, é^lle quali mi farO premura di profittare nel portare a compimento il secondo volume della mia Opera. Io pregherò dunque Vostra Eccellenza di procurarmene la comunicazione.

Consapevole della mia insutlicienza, io già mi attendeva ad esser vinto, siccome ella

ha potuto rilevare dalla lettera che ebbi l'onore

d'indirizzarle in data delli 6 del passato novembre in un col mio libro.

Ma avrei sperato almeno, come ricompensa delle mie indagini, un'oworevole menzio7ìe,cììe non avrebbe alterato la distribuzione del premio; e se non potevasi fare, in coscienza, del libro, che

almeno si facesse

del conato, il quale io per certo aVrei creduto degno di lode, trattan-

dosi di argomento quasi nuovo, o si imperfettamente trattato da altri,

e che altronde mi pare, e dee parere ad ogni uom sensato cosi !nt»»rp>'sante.


— 156 — Tale il reputò il saviissimo Henrion.de Pansey, il quale benché grave d'anni, e occupando la più luminosa carica della Magistratura francese,

— quella cioè di primo presidente della Corte di Cassazione, —

non esitò di spendere gli ultimi tempi della sua faticosa vita nello scrivere il suo libro Des Assemblèes nationales de France ecc. in due

volumi, l'ultimo de' quali fu pubblicato, se non erro, dopo ch'egli mancò a' viventi.

Volendo io ora, in certo modo, redimere il mal fatto, e procurare in altra guisa quell'utile alla mia patria, che io intendeva, e che non ho

saputo, né è probabile che saprò colla continuazione del mio solo la-

voro acquistarle, sono venuto nella determinazione di eccitar altri a trattar lo stesso

argomento colla fondazione di un premio simile a

quello, che l'Accademia propose, e recentemente aggiudicò, di una me-

daglia d'oro del valore di lire seicento pel migliora lavoro storico, che

sarà pubblicato, o mandato manoscritto, sulle antiche assemblee na. zionali della Savoia, del Piemonte, e de' paesi, che vi furono, o sono riuniti (all'esclusione dei ducato, di Genova), o

sopra altra materia

analoga, concernente specialmente le istituzioni politiche interne de' paesi anzidetti. Se la mia proposizione, che prego Vostra Eccellenza di comunicare all'Accademia, sarà gradita, come spero, il

termine da

programmi di questo genere, sono lasciate all'arbitrio dell'Accademia. Solo vorrei, che non si escludessero dal concorrere gli Accademici, parendomi che nel seno prefiggersi, e le condizioni solite ad apporsi in

di codesto insigne corpo debbansi trovare

i

soggetti i più abili a trat-

tar sì alto argomento. Il valor del pr.'-mio non essendo fornito dall'Ac-

cademia, manca quel riguardo di delicatezza, che ha potuto in

altri

casi suggerire la condizione esclusiva. E altronde quanto all'imparzialità

mi pare che basti, in questo caso (e quanto a me basta certa-

mente), che sieno esclusi dal portar giudizio quelli, che concorrono,

ninno dovendo esser giudice nella causa propria, ma potendolo, e dovendolo, in più casi, esser nella causa di un collega.

Per sua informazione,rendo Vostra Eccellenza avvertita,che ho dato ordini necessarij a chi ha il manéggio de' miei affari costì, di sbor-

gli

sare le lire 600, pel suddivisato oggetto, quando e come piacerà a V. E.

Ho l'onore di protestarmi colla più distinta, e rispettosa stima, di Vostra Eccellenza

Londra, 87 Regent Quadrant, 16 aprile 1830 (l). Umilissimo, Devotissimo, Obbligatissimo Servitore

Ferdinando dal Pozzo. S. E. il sig.r conte Balbo ecc. ecc. {sic).

(1)

Di pugno di Prospero Balbo: ricevuta il 28.

\


— 157 — conte Sebastiano Dal Pozzo, richiesto da Angelo Broffer'o di no-

Il

tizie sul proprio zio Ferdinando, gli rivela Vitnpossibilità d'ac-

contentarlo (Torino 16 gennaio 1844).

FoNTK.

— A.Orifi. in Arch. Dal Pozzo in Montebello,Sez.l (Carte Dal

Pozzo), fase, di Pratiche del conte Sebastiano Dal Pozzo per l'an-

nullamento del testamento dello zio Ferdinando, \Y,^. 1819. [Torino] 16 gennaio '44. [Egregio] Avv.'o Brofferio,

Riguardo alle notizie che V. S. 111.™» desidera ^uUa vita dell'ottimo congiunto, che io più di tutti amaramente lamento, posciacchè* sino agli ultimi giorni del viver

suo m'ha sempre chiamato suo caris-

simo nipote e Aglio, Lq dirò che in una mia scrittagli il 2 settembre '42, occorrendomi

gli

parlargli del

nome e decoro della famiglia nostra,

aggiungeva (1):

So che allora accolse con gusto questa mia idea, che fece vedere la lettera agli amici, e che si mostrò voglioso di riunire alcuni cenni

sopra gli anni che aveva trascorso, così che è assai probabile che qualche cosa di simile si trovi fra le sue carte. Ma nel testamento che il 12 maggio scorso anno, in cui io suo nipote non son nominato, ogni sua sostanza (2), e precipuamente le carte di qualunque natura esse siano, essendo stata lasciata a sua moglie, sono fuori del caso di poter somministrare le notizie che V.S. IH. ma

copiò e sottoscrisse

bramerebbe; tanto più che, a malgrado

la

viva, vivissima affezione

che scambievolmente ci legava, le nostre esistenze per diversità d'età, di sof^giorno e di

carriera erano cosi per dire disgiunte.

Gii Kccellentissimi Sig." Presidenti Cav." Coller,Montiglio,Gromo e

cav.Mattey sono al certo più che altri informati delle sue fatiche e

accompagnarono le più luminose epoclie del memoria ed alla nota delle cala quale so esser fra le mani del sig. Mico, archi-

delle particolarità che

viver suo e col ricorrere alla loro riche che copri (1) Manca in

A. il periodo della lettera qui ricordato, che puossi

£&-

cilmente {Sgomentare dal seguito. (2) L'il

gennaio 1838 il cavaliere di Castellino aveva manifestato altre

intenzioni testamentarie in una lettera da Londra al nipote Sebastiano

:

mie disposizioni testamentarie io leg^, come è naturale, a mia moglie una conveniente pensione vitalizia, e il mobilio delle mie case si di Londra che di Parigi. Questo mobilio, tutto insieme, è di un valor considerevole, e può ancora bumentarsi • {Archivio Dal Pozzo, in Sioniebello,8ez.l {Carie Dal fono), Lettere di Ferdinando a Sebastiano, n.53). « Nelle


— 158 — vista delle R. Finanze, si potrà benissimo tessergli l'elogio che

ben

giustamente merita. [Sebastiano Dal Pozzo]. 8.

Ferdinando Dal Pozzo annuncia al nipote Sebastiano le proprie seconde nozze con Mary Richardson (27 dicembre 830). 1

Fonte.

— A.Orig.in Arch. Dal Pozzo in Montebsìlo,Sez.

I

(Carte Dal

Pozzo), Lettere di Ferdinando al nipote Sebastiano, n. 46. Paris, rue S.*eCroix d'Autin, n. l,lundì 27 décembfe 1830.

Mon cher neveu, Dans votre lettre du

ler de

ce mois, en ne donnant des nouvelles

du petit Ferdinand, notre flls et filleul respectivement, vous me rappelez les intelligences qui eurent lieu à l'epoque de votre mariage,

m'énoncez que déjà l'idée de l'éducation à donner aux en-

et vous

fans qui en seraient pravenus vous préoccupait alors. Vous réclamez

ensuìte

mon concours à la dépense maintenant nécessaire à cet eflfet,

ajoutant qu'à l'égard du il

mode de cette éducation, et de l'endroit où

la recevrait, vous étiez

toutefois

encore incertain, mais que vous penchiez

pour l'Académie militaire.

Je n'entre pas dans la discussion de ce dernier objet, si non pour

vous dire, que je n'aimerais certainement pas qu'il fùt élevé par des Jésuites.Le gouvernement actuel du Piémont a mis presque tonte l'instruction et l'éducation publique dans les mains de ces révérends

pères. Victor Amédée. Il, bisaieul du Roi actuel, pensait autrement. Il

leur óta toutes les écoles, et ne voulut plus lui-méme de confesseur

Jésuite.Je suis de l'avis de cet ancien grand souverain, et je pense

qu'une éducation militaire conviendra mieux à notre intéressant petit garcon, qu'une éducation jésuitique.

Quant à vous aider à la dépense à faire, je trouve votre demande payer ce à quoi vous croirez juste de me

trèsjuste, et je suis prét à

taxer.

Maintenant, je suis, à mon tour, dans le cas d'invoquer aussi, sur

un autre objet, les intelligences qui se passérent à l'occasion de votre mariage. «Je veux bien,je disais alors, favoriser autant qu'il esten moi, votre ètablissement: sous mes auspices, il n'y a pas de doute, vous contracterez une alliance plus avantageuse;je suis donc dispose a contracter quelqu'obligation en votre faveur: mais j'entends

néammoins conserver, autant que possible, intacte la liberté, soit de ma personne, soit de mes biens.Je veux pouvoir me remarier, si le


— 159 — cas se présente, sans qu'on puisse dire, qu'après avoir contribué à

vous faire marier,j'aie,en contractant moi-méme un second mariage»^ fait

une mauvaise action, et que je vous ai trompé ».Je voulais bien

ma mort une part convenable de ma succession vous fùt assi vous étiez mon propre enfant; mais jamais je n'ai entendu, que, de mon vivant, vous me géneriez davantage qu'un d& qu'à

surée, corame

mes propres enfans ne ferait;je voulais donc continuer à pouvoir disposer de ce qui m'appartient très librement, c'est à dire vendre, acheter, et faire tout ce qu'un maitre peut faire de sa chose.«Si .i'avais marie

un de mes propres enfans, ajoutai-je,je n'aurais pas con-

senti, pour cela, à lier

ni

ma personne, ni la disponibilité de mes

biens.Pourquoi le ferais-je pour un neveu?».Il est vrai que mon flls^ aurait trouvé à s'établir avantageusement, sans que je contractasse aucune obligation extraordinaire, uniquement parce que la condition

de

fils

le

mettrait en état de recueillir tout ou partie de

cession. Voilà tonte la différence.« Eh bieniòtons cette

ma suc-

différence »

me suis dit, et cela me conduisit à l'idée de vous conférer, ainsi que je le fls, dans le contrat de votre mariage, les droits qu'un flls

je

aurait sur

ma succession, ajoutant encore, afln d'exprimer plus clai-

rement ma pensée, la clause, Zors 7néme que vous, ou, à votre dèfaut, vos enfans concoureraient avec des enfans proerées par moi-méme.

Gomme lors de la passation de cet acte je n'avais aucun enfant, et que ràge de ma femme ne me permettait pas d'en espérer aucun d'elle, il était clair que j'avais dès lors en vue la possibilité d'un second mariage, et cette perspective fut tout exprès consignée dans

ledit contrat,

pour qu'il devìnt ainsi à la fois et un témoignage de

mon affection de pére pour vous, et une haute protestion.pour moi, de l'entière liberto que j'entendais cons«rver, soit de ma personne, soit Il

de mes biens. est

bon maintenant que vous sachiez, mon neveu, que je viens

justement de me prévaloir de cette liberté,et que j'ai,le 24 novembre (lernler, épousé

une jeune demoiselle anglais, dont le noni est Miss

Mary Richardson,et dont voici les

qualités. Pour

et les vertus morales elle est digne à succèder à

l'esprit judicieux

ma première femme,

dont la haute réputation et l' estime publique, qui l'entourait, vous sont bien connues. Gomme celle-ci était loin de désaprouver,que, si j'avais le malheur de lui survivre,j'eu8se choisl une autre compagne,

qui m'aidàt à supporter le fardeau de la vie; comme elle ne

me

donna méme des preuves claires d'une volonté contraire ;je me suis pei-suadé que si elle avait pu prévoir mon présent choix.elle l' aurait sans doute approuvé.et peut-dtre y appiaudit-elle tout-à-l'heure du.

haut des cleux.


— 160 — Ma jeune épousea en outre,beaucoup detalens rares,un grand amour de l'étude et de la retraite, des qualités enfln qui me font espérer en elleje dirais mieux, qui m'assurent(car je la connais depuis plusieurs

années)une compagne fldèle et tendre, une véritable amie,pleine de vues élevées et surtout désintéressées, une confidente sùre, un excell§nt conseil dans les difficultés de la vie, un coUaborateur dans

mes

études, maitresse éclairée dans quelques unes, disclple studieuse dans

d'autres,un secrétaire laborieux, une surintendante soigneuse des affaires domestiques, une consolation et une garde-malade infatigable, si

je devenais inflrme.

Avec une telle réunion de qualités, et d'aprés les preuves multipliées qu'elle m'a données d'une estime profondément sentie,et d'une vive et

tendre aftection pour ma personne,sa grande jeunesse méme (24 ans)

ne m'a plus fait peur.J'ajouterai,pour en compléter le portrait,que son aspect est agréable,sa taille fine et élevée, ses yeux noirs beaux et spirituels, sa chevelure noire et belle, enfin

que sa conversation est ani-

mée, piquante et pleine d'intérét.

Venons aux qualités négatives, car la nature et le sort ne lui ont pas tout départi,peut-étre pour mieux faire ressortir ce qui brille en elle. Elle n'est ni noble, ni riche.Elle porte néammoins un beau

nom de fa-

mille,celui du célèbre auteur de Clarisse, Grandisson etc et la noblesse ;

de son àme vaut bien plus que tous les parchemins insignes et titres

dont se pare la vanite humaine.Son défaut de richesses m'est cher à plusieurs titres ;je m'estime heureux de pouvoir partager avec elle la .

jouissance des quelques avantages, dont le sort ne l'a pas favorisée;

ma propre jouissance en devient plus belle,plus douce,et plus parfaite. Elevée fort honnétement, mais modestement,sans autre luxe que celui d'une excellente éducation, elle ne sera jamais extravagante, ses habi-

tudes ressembleront toujours àjcelles de ses plus jeunes années,et son entretien n'augmentera pas'de beaucoup la mesure de ordinaires.Je n'ai recu aucune dot;je l'ai

mes dépenses

méme engagée, avant de

m'épouser, à retrocèder à son pére un petit capit sur la banque d'Angleterre, dont son pére méme lui avait fait présent, le jour qu'elle de-

vint majeure d'àge

;

il

ne s'est fait aucun contrat dotai

;

mon patrimoine

n'a ainsi subi aucune nouvelle charge ; avantage que vous apprécierez

sans doute à sa juste valeur. Je ne doute pas, mon cher neveu,que ce récit frane et confidentiel, et surtout la peinture fldéle que j'ai ébauchée de mon épouse,devenue

à présent ro^re <an^e,n'excite en vous et en Caroline des sentimens de respeet et d'estime pour elle,comme je pense aussi,que lorsqu'elle

vous connaitra tous les deux personellement (et elle a déjà beaucoup


— 161 entendu parler de vous,ainsi que du petit Ferdinand) elle vous dira et vous convaincra,qu'elle vous est déjà fort a*tachée.Elle se regarde

comme de la famille,etil est,pour rintérétcommun,très-essentiel que nos sentimens (reslime et d'affection se confondent rèciproquement,et

que réunis en un faisceau ils augmentent de force je le dèstre aussi, j'ose le dire,dans votre intérét sp(^cial;parce que si vous raimez,elle vous aimera,et sera toujours une amie, une protectrice utile,q-ue vous :

aurez à mes còtes.Comme je ne crois pas étre plus exempt qu'un autre des faiblesses humaines,soit physiques,soit morales,il est possible que

dans le déclin de mes jours mon épouse acquerre plus d'influence sur moi,influence qui est une nécessité de la différence d'àge et de vigueur ; et qui biendirigée n'estque bienfaisante.J'aime àprévoirdès-à-présent-

qu'elle l'excercera en grande partie en votre faveur,et que vous l'aurez

mèri tèe pour votre bonne conduite en général,et aussi par votre respectueuse déférence et votre attachement pour elle.C'est ainsi que le plus souvent l'accomplissement d'un devoir devient encore ce qu'il y a de plus réellement avantageux. Je soumets ces réflexions à votre esprit sage et judicieux;car je sais

d'un coté qu'il est fait pour les apprécier,et de l'autre qu'il ne man-

querapas des personnes malintentionnées.ou à courte vue,qui chercheront à vous égarer et à semer,s'ils le pouvaient,entre nous la division. EUes vous représenteront,par exemple,comme un acte de folle le parti que j'ai pris de me remarier à mon àge.On cherche en general à couvrir de ridicule les mariages des personnes avancées dans l'àge.Et ce-

pendant rien n'est moins vrai que de dire que ces mariages soient toujours imprudens,ou déraisonnables.On ne se marie pas seulementpour avoir des enfans, ou pour satisfaire les désirs des sens:on se marie aussi, dans la vue d'une assistance nwitueìle (mutiaoii adJutorium):et

cette fin du mariage a toujours été reconnue lègitime et fort sage.Il

faut avouer,en effet, qu'un homme cherche en vain une pareille assi-

stance, si continuelle,si infatigable,si pleine d'affection,si complète et, 8*il

le faut, si héroique

comme celle qu'nne bonn€n^[>ouse (mulier f Or-

tis) vous apporte.Et il n'est pas du tout vrai, que le nombre des bonnes

épouses soit si petit que les gens du beau monde se plaisent à procla-

mer.U est aussi très-commun d'entondre dlre,que les mariages malheureux soicnten beaucoup plus grande ({uantitè que les unions hcureuses. Cela est d'une très-grande fausseté.La sociètè serait en dissolution, si les fiimilles

— et les mariages qui en sont le fondement — fussent dans

cet ètat de désaccord.L'apparence contraire provieat de ce que des ma-

riages heureux qui sont à millions on ne parie point,et l'on n'a point

réellement occaslon de paiiler,et que par contre

le petit

nombre d'u-


— 162 — nions mal assorties remjplissentde leur funeste éclatles mainsjes rues, iles

tribunaux, les papiers publies;tout retentit de leurs dissentions.

Cependant on convieni, que depuis la revolution francaise surtout, les ménages sont devenus beaucoup plus heureux,qu'ils n'étaient auparavant.C'est un des eflfets des progrès que la morale a faits dans le

monde civilisé. Bien certainement le bonheur domestique,qui est le plus doux,le plus durable et le plus pur de tous les genres de bonlieurs, qu'il soit donne à l'homme de jouir,ne peut exister que dans le mariage

ou par le mariage. Pourquoi voudrait-on en priver les personnes arrivées à un àge mùr, où à viellesse, elles qui surtout ne peuvent bien cer-

tainement en avoir d'autre; elles qui ont plus besoin d'assistance que les jeunes gens, précisément à raison de leur faiblesse et de leurs in-

firmités?J'ai lu quelque part que Mad.Neeker, mère de Mad.de Stàel,

dans son ouvrage intitulé * Ré/lexions sur le divorce » paru en 1784, a consacré un chapitre entier à traiter Du bonheur du mariage dans la vieillesse.Ce livre est devenu rare. 11 ne m'a pas réussi méme de le voir,

malgré toutes les recherches que j'en ai faites.

Quant à moi,je n'en ai pas besoin, pour étre convaincu de la vérité

^e cette proposition. L'espèce de justitìcation,dans laquelle je viens d'entrer pour une

ont le droit d'agir indépendamment,ne donnent aucune autre raison que ces sentimens n'éprouvent la plus légère atteinte de l'événement que je vous ai annoncé,et méme que le tems et affaire, où ceux qui

Iescirconstancestendentplutòtàlesaugmenterqu'àlesamoindrir...(l). Je finis par vous embrasser de coeuf et me dire

Votre très-affectionné onde

Ferdinand Dal Pozzo.. (1)

La parte qui tralasciata è di poca importanza

:

lo scrivente dice

che

per quanto sia doloroso il loro scarso carteggio, cosi vuole la prudenza per il meglio di tutti e due, e saluta Carolina ed il piccolo Ferdinandino.


Contributo alla storia della politica estera piemontese

DEL 1848-49 Alcuni

fogli di

domande di uno sconosciuto, scritti in fran-

cese (con le risposte in italiano di altra mano) a noi pervenuti dalle carte personali di Nicomede Bianchi, ci hanno richia-

mato alla memoria la prefazione dal conte F, Bettoni-Cazzago premessa a Gli Italiani nella guerra d' Ungheria (1848-49) (1). Ricordava il Bettoni che il barone Alessandro Monti bresciano (2), capo della Legione italiana in Ungheria nel 1848-49,

«tornato a vita privata, cercò di raccogliere ricordi e docu-

menti per dettare una memoria storica intorno all'impresa sostenuta da' suoi commilitoni » e che « a tale scopo diede incarico al suo Capo di Stato Maggiore nella legione, il cavaliere Giovanni Merlo, prode soldato e amico fidatissimo, di or-

dinare le note attinenti alla formazione del corpo italiano... », sollecitò i

da parecchi notabili maggiori, tra i quali Kossuth,

conti Teleky, Batthyanyi ed

altri, memorie della

guerra... e

ottenne dall'illustre Nicomede Bianchi la promessa di sten-

dere una compiuta relazione di quel glorioso episodio di armi italiane. Il

Bianchi promise e nulla fece; anzi, forse perchè «consi-

derazioni politiche lo trattenevano dal rendere pubblici i do-

»,« smarrì il manoscritto del cavalioro Merlo e alcumenti cune lettere importanti, richieste indarno». (1) Milano, Treves,

(2)

1887.

Hawene pure notizia nel GiomaU araldico-genealogico, p. 58, ieib-

braio 1906.


— 164 — Ora come per la storia della legione italiana in Ungheria quale per vivere dava « lezioni di lingua italiana a Bordeaux », il raccoglitore paziente delle fonti, così per la legione polacca, di cui è cenno qua e là nel Bettoni, un qualche volonteroso deve essersi accinto allo stesso lavoro dì raccolta documentaria; e dall'essere scritte in francese le vi fu nel Merlo, il

domande sue, congetturiamo che egli sia stato uno straniero o un esule italiano vivente in Francia, che potrebbe anche essere stato lo stesso cavaliere Giovanni Merlo.

Facciamo precedere le Domande e risposte sulla Legione Poun Elenco di appunti archivistici del Bianchi, che chiaramente indicano serie di carte e di lettere autografe conlacca, da

servate nel R. Archivio di Stato di Torino, del quale egli era il

sovrintendente ed

il

monopolizzatore nel campo degli studi.

Sono elementi modesti, ma che, da un lato, ci illuminano un pochino sull'immenso patrimonio culturale rinserrato nell'Archivio torinese e, dall'altro, ci offrono qualche informazione

non spregievole sulla politica estera piemontese del 1S48-49, ad integramento di quanto si compiacque raccontare il Bianchi stesso nella Storia documentata della diplomazia europea in Italia {1814-1861) (1).

Crediamo conveniente aggiungervi due altri documenti tolti dagli Autografi donati dal marchese D'Azeglio al Museo Civico di Torino nel 1888 e conservati attualmente nella Sezione « Manoscritti » della locale Biblioteca Civica, documenti di non stretta attinenza con la storia della legione polacca, ma che illuminano la politica piemontese del 1848-49 in Ungheria.

Teofilo Rossi e L. C. Bollea.

DOCUMENTO I. Elenco di documenti^ riguardanti la legione polacca in Ungheria nel

1848-49 e conservati nel R. Archivio di Stato di Torino, redatto da

Nicomede Bianchi. Fonte.

— Da copia fatta da uno di noi, alcuni anni

Bianchi.

Legione Polacca. Carte autografe del Governo Ungherese nel 1848.

(1) Torino, 1878.

fa,

dall'originale


— lOó — Lettere autografe del conte Casimiro Batthyanyi, ministro degli Affari Esteri del Governo

nazionale Ungherese negli anni 1848-49.

Lettere autografe dell'agente consolare Inglese a Bukarest nel 1849.

Carte autografe relative ai soldati Italiani combattenti nell'Ungheria (1849).

Autografi diplomatici del Governo Ungherese (1848-49). Lettere autografe di Luigi Kossuth, governatore dell'Ungheria. Cerruti.

Barone Spleny, Andreassy, Ladislas Ztunozski, Telechy, Anlewgky

.

Storia, traduzione Kossuth.

DOCUMENTO U. Serie di

domande di un ignoto., su dati storici riguardanti la Legione

Polacca in Ungheria nel 1849, e di risposte di Nicomede Bianchi.

Fonte.

— Da una copia redatta da uno di noi, alcuni anni

fe, dall'ori-

ginale.

Dom.(l).

— L'Ambassadeur de Sardaigne Brignole écrivait de Paris

20 juillet 1848, en réponse à une lettre que lui avait adréssé le capitaine Chodzko au nom de Mickiewiez: cN'ayant re9u de mon Gouver-

nement aucun avis relativement à l'organisation d'une Légion polonaise en Lombardie, je ne me trouve pas à mème de seconder le désir que V0U8 m'avez esprime Brignole n'en aurait-il rien ócrit a son Gou-

vernement à Turin ? Risp. {2i

— Nella corrispondenza ordinaria non

si

è

trovato alcun

cenno a tale riguardo ; manca quella confidenziale.

Dom. — Le 10 aoùt 1848, Adam Mickiewiez écrivait à M. Collegno, ministre de la guerre à Turin, une lettre

où il lui disait lui transmettre

copie de la note qu'il venait d'adresser à l'ambassadeur Sarde à Paris

y est fait allusion à des difiicultés diplomatiques). Cette lettre n'apoiut étó suivie de quelque communication au Ministre des af-

(il

t-elle

faires étrangéres?

Risp.

— Nella corrispondenza del Ministro della guerra con quello

degli Esteri

non si è trovato alcun cenno in proposito. Il Ministro degli

Esteri, scrivendo al Brignole ai 14 agosto 1848, dice che si astiene di scrivergli in proposito lasciandone la [Si

cura al Ministro della Guerra.

dà copia del brano di dispaccio relativo).

Dom. Lettre de M. U. Olszewski de Kulezcki au barou ile Saint Léger avec projet de convention 19 aoùt 1848, communiqué par M.Ni> !• (iomande sono «oritte d«llo «tcno pugno, ood nna torittrir» molto fina. Tutte 1« riipo«t« aono Mritt« d« alti» mano.

(1) Tutte (2)

/{

RUcrg., itat.,

Xm

U


— 166 — comede Bianchi, et transmis par M. Domenico Berti. N'y-a-t-il paa eu des instructions envoyées à Paris, à la suite de la communication, faite

par M. de Saint Léger des dits documents? Risp.

— Non

si

trovarono istruzioni nella corrispondenza ordinaria

quella confidenziale di tal epoca

;

manca in archivio.

— Dans la seconde quinzaine d'aoùt 1848, entraves apportées

Dom.

par le Consul Sarde à Marseille à l'embarquement des volontaires polonais qui se rendaient en Italie pour rejoindre la Légion. Refus à Gè-

nes de

les laisser

débarquer d'où nécessité pour eux de se rendre en :

Toscane. M. le Consul Sarde agissait-il en vertu d'ordres de son Gouver-

nementPOu quelles instructions lui auraient été donnéesV

Risp.

Il

Console agiva dietro istruzioni dategli dal Governo con

nota 13 agosto 1848 N. 6066, con cui gii si ingiungeva di rifiutare soccorsi ed

imbarco ai volontari esteri, e ciò a cagione della sospensione

delle ostilità in seguito alV armistizio. [Se

ne dà copia).

Dom. — Le 1° octobre 1848, lettre d'Adam Mickiewiez au baron de Saint Léger qui commence par les mots; < L'Autriche ne peut ètre détruite que par un appel compris des Slaves de cet empire. Les Polonais seuls sont en situation d'appeler les Slaves

au nom de la liberté

».

Aprés de longues conversàtions avec Mickiewiez, M. de Saint Léger a promis son concours. Mickiewiez

lui

adressa

un memorandum

le

12

octobre 1848. Saint Léger doit avoir transmis ce memorandum a Turin.

Y a-t-il aux Archives, le memorandum Mickiewiez du 12 octobre 1848? Et quelles instructions auraient été données à l'ambassadeur sarde à Paris ?

— Non si è trovato

Risp.

il

memorandum né istruzioni relative, forse

furono oggetto della corrispondenza confidenziale, la quale manca in Archivio pel 1848-49.

Dom. — Il comm. Nicomede Bianchi nella Storia documentata diplomazia europea (voi. V, p. 251) dice

:

«

della

Se la corte di Pietroburgo non

dichiarò apertamente la guerra a Carlo Alberto, tuttavia ruppe col suo

Governo ogni rela^iione diplomatica e assunse un contegno che si fece vieppiù ostile, come ai Polacchi fu concesso di entrare nell'esercito Sardo » Ne pourrait-on avoir communication du document par lequel .

furent interrompues les rélations diplomatiques avec la date? Et aussi la

communication faite au sojet des volontaires Polonais par le repré-

sentant de la Russie prés des autres cours d'Italie aux représentants

du Roi de Sardaigne ? Le 28 octobre 1848 M. de BouténieflF, ambassadeur de Russie a Rome, présentait à l'envoyè toscane Bargagli a Rome des


— 167 — observations contro Tadmission des volontaires Polonais au service de la Toscane. Sans

doute des iaits analogues se produirent-ils à l'égard

de l'admission des Polonais au service Sarde. Risp.

— Si dà copia delle relative note di Nesselrode ad Azeglio del

12-13 aprile 1848. Non risulta di osservazioni fatte dal Boutenieff od altri agli inviati Sardi nelle Corti d^ Italia.

Dom.

— Le 16 septembre 1848, Convention signée Dabormida, qui

admet une légion polonaise au service Sarde. De ce document a-t-il été

donne connaissance à l'ambassadeur Sarde à Paris et au Consul de Marseille?

Risp.

— Dalla corrispondenza ordinaria non risulta; la confidenziale

del 1848

manca.

Dom. — Quels renseignements etaient re^us au Ministèro des afiaires étrangeres. transmis de Paris ou d'a'Ueurs rélativement au General

Chzarnoivski? Risp.

— Nella corrispondenza ordinaria non

incidentale in

si trova che un cenno un dispaccio del Ruffini del 26 marzo 1849 (Se ne dà

copia).

Dom.

— Lettres et documeuts du compte Ladislas Zamozski et du

Prince Czartoryski ou les concernant. Risp.

— Si dà copia dei pochi documenti trovati^ omettendo come

estraneo alla formazione della legione Polacca

un

dispaccio del Bri'

gnole del ,30 settembre 1848, in cui si parla di un progetto di trattative per parte del Pr. Czartoryski coir appoggio del

Governo Francese^

per indurre i Croati e Serbi a separarsi daW Austria per formare una Confederazione Danubiana in cui entrerebbero l^ Ungheria, i Principati Moldovalacchi, etc.

Dom. — Czamowski nommé au Conseil des Ministres. Communication du Président du

à Bava qu'il cesse d'ètre general en chef par lettre

CouHeil, ministre des Afiaires iHrangerés, 11 Février 1849. Réponse de

Bava au dit Ministre le 12. Risp.

— Non si sono trovate né la minuta del Presidente, né la copia

della lettera del Coìisiglio al Generale

Bava

:

deìifi

rinposta di qtiesfo

si dà, copia.

DOCUMENTO III. Nesselrode, cancelliere dell' Impero russo, comunica al marchese Emanuele d^ Azeglio, agente diplomatico sardo

relazioni fra

i

a Pietroburgo, la rottura

loro Stati per la guerra del 1843 [31

delle

marzo 1848).


— 168 — Fonte.

— Dall'orig.

(1) conservato in Bibl. Civ. di Torino, Sez. Manoscr.,

Carte d'Azeglio.

— Si noti che

OsSERV.

il

31 marzo 1848

il

Nesselrode consegnava

il

passaporto al D'Azeglio, mentre nel doc. II risulta che il 12-13 aprile il

Governo Russo corrispondeva ancora con il D'Azeglio.

Le Sous3Ìgné,Chancelier de l'Empire, vient d 'apprendre en mème temps la résolution

que Sa Majesté le Roi de Sardaigne a cru devoir prendre

d'intervenir à main année en Lombardie, et celle que le Représentant

de l'Empéreur à Turin a adoptée en conséquence de protester par son départ contre cette àtteinte portée au droit des gens par un acte d'hostilité Il

non provoqué.

a l'honneur d'informer Monsieur d'Azeglio, que l'Empéreur ap-

prouve pleinement dans cette circonstance la conduite qu'a tenue Ministre de Russie. Les fonctions que Monsieur remplissait

le

le

Marquis d'Azeglio

ici se trouvant des lors sans objet, le Soussignè a été chargé

de Lui faire tenir ci-près les passeports nécessaire pour son départ.

En s'acquittant ainsi des volontés de Son Auguste Maitre, le Soussignè saisit cette occasion pour offrir à Monsieur le Chargé d'affaire» l'assurance de sa considération distinguée.

S.tPétersbourg,le 31 mars 1848. Nesselrode.

A Mr. le Marquis d'Azeglio.

DOCUMENTO IV. Casimiro Batthiany raccomanda ad Emanuele d'Azeglio, agente diplomatico sardo a Londra, il signor Carossini, ex-agente confidenziale

sardo in Oriente (7 febbraio 1852).

Fonte.

— Dall'orig. conservato ibidem. Paris, 13

Rue Mont Thabor 7 Fév. 1852.

Cher Comte,

Panni les hommes, qui nous ont rendu de fort bons services pendant la guerre de Hongrie, et par le moyen

desquels nous comptions surtout

à serrer le plus étroitement possible les liens d'amitiè entre l'Italie et la

Hongrie, et avec la puissance de l'Italie surtout, qui dut marcher à

sa tète, il y a Mr. Carrossini. Après un voyage en Italie et de retour

en Hongrie il fut à Belgrade et s'y maintint assez longtemps après la fin de la guerre gràce le Consul

au soutien de votre gouvernement d'accord avec

d'Angleterre. Mais finalement il dut partir, et quoique sujet

Piémontais, il dut renoncer à la protection Sarde à Belgrado. Il se trouve (1)

Unito vi è il passaporto iu msso.


— 169 — maintenant à Constantinople jouÌ3sant de la protection de la Légation, et ayant obtenù quelques promesses, qu'on s'occuperait de lui, mais toujoars sans emploi, et par conséquence sans fonda. Quand Mr. Kossuth g'eet

ouvertement lié à la faction Mazzini, lui comme tous les hommes

bien pensants, lui a offert sa résignation. Moi de mon coté, je ne puis

absolùment rien faire pour lui en matières pécuniaires. Je serai aux abois moi mème un de ces beaux jours. J'espérais, que

pour les Services, qu'il a renJus, et ceux qu^il pourra peut-ètre ancore renare, le gpouvernement Sarde lui ^onnerait quelque petit poste, dont il

pourrait vivre, et qu'il serait bien fait pour remplir, surtout si ce fùt

quelque poste d'agent dans la Turquie Européenne aux environs de 1%, Serbia et de l'Adriatique, puisque là il connait bien son terrain, et puis c'est un homme de tonte confiance, devoué, honnète, zólé, et assez adroit.

Mais le temps se passe et il reste là à Constantinople sans raisons et dans l'incertitude. Je me prends donc la liberté de vous en parler, cher Comte. Un mot de vous vaudrait beaucoup sans doute prés de votre onde. Il ne faut pas non plus perdre de vue l'avenir, quelque brumeux que soit le présent. Si on a péché une fois par le trop peu d'accord

dans l'action, cela doit servir d'avis à un gouvernement menacé par la malvaillance

et la vengeance, de

se tenir sur les gardes, et de se

préparer des alliés discrets et devoués. Eniin excusez, que j'aborde ce

pour servir un homme qui le mente bien par son dévouement et me fondant sur l'amitié, que vous avez toujours bien voulu

sujet. C'est

me témoigner. Veuillez bien

me la continuer d'or en avant, et me croire Votre dévoué Casimir Batthiany.


— 170 —

[ITim ÌLLH CORRISPOiDEiZll (con

DEL

lÉlÉE COL PINI//I

una lettera inedita)

Come e dove si conobbero il grande scrittore francese e il patriota italiano, esule in Inghilterra, non si è potuto sapere; certo però la

prima lettera del Mérimée al Panizzi, lettera che

porta la data del 31 dicembre 1850, attesta di precedenti rap-

due grandi uomini i quali, se a quell'epoca non forti vincoli dell'amicizia, dovevano almeno conoscersi e stimarsi. Infatti la lettera del 31 dicembre porti tra

i

erano ancora uniti dai

— allora conservatore degli stampati al — d'un lavoro di Stendhal, amico e maestro

è un'offerta al Panizzi

Museo Britannico

del Mérimée, morto lasciando sua sorella nella miseria. Il

manoscritto, di 14 volumi, conteneva l'analisi di alcuni

processi celebri e di avventure scandalose della corte papale e d'Italia.

Viene in seguito (1) una raccomandazione per un amico, Lagrené, che conduce sua figlia a veder Londra, quindi (2) una richiesta d'informazioni sul ritratto di Giulia

d'Angennes a

nome d'un altro amico, il Cousin.Ed è così che s'inizia la relazione tra Mérimée e Panizzi, relazione che andrà rivestendosi sempre maggiormente d'una bella intimità, pervasa tutta

dal sentimento di Patria che infiammava l'esule italiano.

Quando in Francia si tentò la ricostruzione della biblioteca imperiale e si voleva copiare il « Brìtish Museum » senza averne l'aspetto, Mérimée, incaricato di

del Panizzi

il

farne uno studio, approfittò

cui cordiale concorso gli rese

e gradevole. Panizzi l'ospitò per qualche

(1) Lettera

4 luglio 1855.

(2) Lettera

11 ottobre 1857.

il

compito facile

tempo e

il

ricordo


- 171 — dei giorni

lieti,

passati

schiettamente nell'amicizia che an-

dava via via cementandosi per comunanza d'idee e di spirito, spesso alla mente, lasciandogli il rimpianto delle

gli ritornerà

cose belle e fugaci.

Ma Panizzì.che pur diventando inglese era rimasto schiettamente ed appassionatamente italiano, sognava l'unità e l'indipendenza del suo paese. L'indipendenza d'Italia era allora l'argomento preferito dei liberali inglesi che sentivano di doverla emancipare. Perchè la Francia non avrebbe appoggiato l'Inghilterra in questa circostanza, non avrebbe dato

concorso, come per

il

suo

questione d'Oriente? Bisognava rivol-

la

gersi a Napoleone Ili, all' antico carbonaro

che doveva ricor-

darsi dell'Italia come *d'un amour de jeunesse» (1).

Ora, un diplomatico che viveva in intimità con l'imperatore, una

persona colta, intelligente e discreta, veniva amiche-

volmente presso di lui. Come Panizzi non avrebbe riconosciuto in Mérimée l'intermediario desiderato, come non avrebbe afferrato l'occasione"? E

i

due amici, che si erano riuniti nella

primavera del 1858 al British Museum, si ritrovarono nell'e-

anno a Venezia. Questa città in principio palazzi sporchi, mal conon piacque a Mérimée. Vi trovava canali troppo stretti, le gondole incostruiti e mal tenuti, mode. Pure: « il y a dans cette ville un je ne sais quoi qui vous prend malgré vous » scriveva ad una sua amica, parlando della città lagunare. E questo « je ne sais quoi », rinlocolato dal

state dello stesso

i

i

Panizzi, parve

accrescere

di

giorno

in

giorno e stringerlo

sempre più in un cerchio di simpatia. Egli conobbe l'anima veneziana e comprese che quell'Italia, tanto appassionatamente amata da Stendhal, era vicina alla sua fase suprema. E quando due uomini si lasciarono, per ritrovarsi poi altre i

volle a Londra, a Parigi,a Cannes, a iyarritz,runione delle loro

anime e del loro spirito era diventata più salda e più profonda. Le lettere che in principio sono scritte a lunghi intervalli l'una dall'altra, vanno facendosi sempre più frequenti — tanto da divenire talvolta giornaliere — sempre più amichevoli, e segnano cosi il crescendo di quell'amicizia cui rapporti non i

l

X.FiLOìXf Mérimée et ses amrs. Paris, Hachette, It^M.


- 172 — dovevano spezzarsi più fino alla morte dei Mérimée, avvenuta nel 1870.

Le lettere del Mérimée al Panizzi (1), per chi conosce il grande scrittore

francese che fu letterato, storico, critico, artista (2)

sono quasi una rivelazione perchè non solo ci confermano lo

1 Furono raccolte da Luigi Fagan e Olindo Guerrini ce ne diede una buona traduzione in due volumi, Bologna, Zanichelli, 1881. — A. Filon, nel suo libro Mérimée et ses a»iis, Paris, Hachette, 1894. dedica alcune pagine ai rapporti tra il Mérimée ed il Panizzi. Carducci nella sua prefazione al libro Le prime vìttime di Francesco IV duca di Modena (

)

:

(notizie di A. Panizzi), Roma, Soc. Ed. Alighieri, 1897, accenna alla cor-

rispondenza fra i due grandi uomini. (2)

Raramente penna di scrittore trattò argomenti più

disparati

af-

fermandosi con maggior profondità di pensiero, con maggior copia di seri studi e

con più acuto senso dell'arte I romanzi del Mérimée e

le

sue novelle hanno intreccio vigoroso, preciso, sicuro e sono scritte da

niano maestra. Le novelle furono chiamate dal Filon « Les médailles de notre art littéraire ». Meritano d'essere ricordati: Le Théàtre de Clara

Gazul (1825) che contribuì a sviluppare in Francia quella cieca predilezione per la Spagna, alla quale avevano già indirizzato le menti, prima di V. Hugo, De Musset e Alfred de Vigny, la Guzla (1827), la Jacqueries (1828), La famille Carvajal,la

Vénus d'Ille, che l'autore considerava il

suo capolavoro, Tamango, Vase étrusque, Doublé méprise uno dei lavori più fini e coscienziosi, Arsene Guillot, la Partie de tric-trac^ Matteo Falcone, Venlèvement de la redoute, 'Colomba (1840) capolavoro d'analisi morale, di

composizione e di

stile,

Carmen (1845), Lokis (1869). Mérimée

Pouchkine,Tourgueneff, Nicola Gogol e scrisse articoli su riviste e giornali tentando di attirare l'attenzione del pubblico sulla storia, le idee, i costumi ed il genio lette-

tradusse poeti e romanzieri russi quali

:

rario del popolo russo. 1 suoi lavori storici, in cui si manifestano la sua

individualità veritiera ed

i

suoi profondi studi coscienziosi sono

:

la

chronique du temps de Charles JZ (1829), la guerre sociale (1841), la conjuration de Catilina (1844), Vhistoiré de don Pedro (1848), les Faux

Demétrius (1852). Critico ed artista, fu nominato ispettore dei monumenti storici e scrisse rapporti dei suoi viaggi, che sono lavori eccellenti Voyage dans le midi de la France (1835), voyage dans l'ouest de la France. (1836), voyage dans V Auvergne et dans le Limousin (1838), voyage en :

Corse [iS'iO), Monuments historiques ; Peintures de VEglise de SaintSimon (1843). Fu sobrio sempre, netto, conciso. Eccelle nel racconto chiaro e possente

;

la divisa ch'egli

impose alla sua penna fu

:

«

rien de trop »

Ribellandosi alle teorie esuberanti del suo tempo respinse l'arte della

pura fantasia. Fu membro dell'accademia francese. Può essere chiamato l'anti-romantico per eccellenza.


-

scrittore colto, pieno di

173

-

spirito, equilibralo, scettico, talvolta

un po' sarcastico, un po' pessimista, ma dice ilGuerrini presentandoci i

— come giustamente — esse ci fanno co-

suoi volumi

noscere un Mérimée affatto nuovo, affatto inatteso: un Mériraée polìtico. È quasi tutta la storia del secondo impero

che egli ci

racconta in queste lettere famigliari, formicolanti di aneddoti, di piccoli fatti curiosi, ricche di particolari, ma sopra tutto di

notizie politiche.

Mérimée che aveva conosciuto ed amato T imperatrice Eufin dall'infanzia, occupava alla corte imperiale un posto di fiducia e così, sempre ben messo per vedere e per sentine, ebbe modo dì conoscere alcuni segreti della politica ch'egli ripete al suo amico dicendogli tutto ciò che sa '!) e tutto ciò che pensa. Nel marzo 1859, quando la guerra pare molto prosgenia

sima e il Panizzi spera per l'Italia l'aiuto della Francia, egli « Qui, sotto mano, si fanno dei grandi prepara-

Io rassicura tivi. Si il

:

fanno ritornare dall'Africa

i

soldati vecchi, si rinnova

materiale d'artiglieria ed abbiamo 300 cannoni

attaccali ». E poi ancora: « Ieri sera

il

pronti

ed

generale AUard mi giu-

rava che abbiamo già centomila uomini di là delle Alpi. Il 15

mese venturo avremo 700 mila uomini sotto le armi e il

del

l^di luglio tutta l'artiglierìa avrà ì SHoi cannoni rigali » (^>.

Quindi, dopo aver indagato il pensiero dell' imperatore, dice: « mi

pare che in fondo pensi dell'Italia quel che ne pensiamo

voi ed io, ma

che gli paia di aver dei riguardi da usare » (3).

(1) Il Guerrini nella Sua Prefazione (p. 3) dice: • Il Mérimée non si limitava a scrivere la storia del tempo suo, egli v*era dentro e mescolato intimamente e<i attivamente. Prendeva parte anch'egli alla storia e questa sarà la grande sorpresa, come chi dicesse il colpo di scena di questa pubblicazione > ed ancora \p. 5) questi due volumi contengono (lei veri dispacci diplomatici del Mérimée, dove la storia può fin d' ora

cercare

il

pensiero segreto e le segrete speranze della politica imperiale.

V. Huao, neir//M/oir« d'u/j crime, parlando del Mérimée diceva: «Mériméf ètait naturellement vii il ne faut pas lui en vouloir. Il s'est ;

il.uiif'»

à tort pour un des confidents du coup d'Etat. Il n'y avait pour-

tant pas de quoi se vanter. Mais la vérité c'est que Mérimée n'était confident de rien >. E ancora tit

:

«

Mérimée ètait un courtisan, voila ce qui

sa fortune. M. me de Montijo

le

presenta et l'empereur completa sa

cour par ce plat écrivain de talent > (2i Lettera 29 aprile 1859. (3) Lettera 25 ottobre 1800.


— 174 — E nel giugno del '66:« Mi dite che per gli affari d'Italia contate sopra Dio e Napoleone III e mi pare già che uno di questi

due si prepari » e poi « Fould ha intenzione di dimettersi e la sua dimissione vuol dire un imprestito e un imprestito la guerra». Due giorni dopo aggiunge ancora :« Penso sempre ad un modo, cioè che l'imperatore non permetterà mai che l'Austria riprenda la Lombardia*. E così egli ripete all'amico tutto ciò che può sapere sugli avvenimenti e sui destini d'I:

talia.

Se il Panizzi fu bene accetto alla corte imperiale, in parte si

deve certo all'influenza del Mérimée il quale, non solo cer-

cava di metterlo nella miglior luce possibile presso

i

suoi

amici di Saint Cloud, ma arrivava talvolta, per lui, a pensieri assai delicati « Presentai

i

omaggi alle Loro Maestà

vostri

specialmente all'imperatrice nel giorno della sua

e

festa, il 15,

immaginavate nemmeno » dice il 18 novembre 1863. Si fa poi messaggero delie aspirazioni del Panizzi presso la corte imperiale: il 16 dicembre 1859, alludendo ad un colloquio con l'imperatore, scrive: «gli pare voi, pagano che siete, non ve lo

lai di voi e del

desiderio che avevate di dirgli quello che ave-

vate visto cogli occhi della testa, per parlare ceme suo zio. Ri-

spose che avrebbe parlato volentierissimo con voi». E quando Panizzi intrapprese dei negoziati segreti per ottenere un'azione

comune della Francia e dell'Inghilterra a vantaggio dell'Italia, Mérimée rimise all'imperatore una prima lettera del suo amico, poi una seconda, dopo di che egli fu invitato a Biarritz. Il sogno politico per cui Panizzi fece il viaggio non potè essere realizzato, ma a corte egli fu ricevuto con grande amicizia e spesso poi Mérimée verrà incaricato dei saluti e delle affettuosità per l'esule italiano (1). 11 Guerrini

dice, presentandoci la corrispondenza del Mérimée

(1) Carducci, nella prefazione del suo libro già citato, dice del Panizzi :

Grande onore dell'emigrazione italiana, quando la tirannia disperdeva i nostri migliori in terra straniera, fu Antonio Panizzi, e grande onore «

fece all'Italia e ottimo concetto ne diede all'Inghilterra

;

ritratto com'egli

che ha di meglio l'animo e l'ingegno italiano quando è di quel buono, profondo, arguto, laborioso, tenace sprezzatore di leggerezza

era, di ciò

e viltà.

^


— 175 — « se raelterà

e sulla

anche una volta d'accordo sul suo lalento-

tutti

sua argutezza, uon avrà certo la stessa buona fortuna

sotto l'aspetto religioso e politico ».Ciò perchè il grande scrittore

francese, anticlericale

e

antirivoluzionario

allo

stesso

tempo è rigido nelle sue opinioni, schietto al massimo grado, pienamente disinteressato e dice, sostenendolo, tutto il suo pensiero.

Compatibilmente con le sue idee che, come vedremo in seesprimono con parole amare, talvolta ingiuste

guito, spesso si

per alcuni uomini della nostra indipendenza, egli fu deside-

roso del bene d'Italia. Se ne occupava e se ne preoccupava talvolta, quando

vedeva rabbuiarsi il nostro cielo e quando i

torbidi e gli avvenimenti gli facevano dubitare del buon esito finale. «*Mi

scrivono da buona fonte che lo stato d'Italia è

ancor più ribollente di quel che fosse quando c'eravamo assieme. Ma dove riuscirà tutto questo? I Russi dell'ambasciata

a Parigi non parlavano dell'Austria che colla tenerezza di

un milanese o un veneto. Disgraziatamente non credo che in caso di rottura completa prendano francamente le nostre parti. Che faranno gl'Inglesi '?»(!) dice al suo amico Ijisciando leggere nell'animo trepidante il dubbio del domani. E quando la guerra contro l'Austria gli pare inevi-

cui ne parlerebbe

tabile

pensa così :« quel che importa è d'essere uniti, onesti,

moderati e di fabbricar cartucce e non costituzioni. Ammazzar l'orso

ad ogni modo senza pensare a venderne la pelle e so-

piatutto a dividersela. Se potete persuadere gl'Italiani ad aver

bene» ed aggiunge: «Se l'Innon si caccia troppo presto nella baruffa spero che presto avremo resa possibile una pace vantaggiosa all'Italia» poi, sempre nella stessa lettera :« persuadete gl'Inglesi che gl'Italiani sono gente de razon che possono vivere senza croati

giudizio, spero che tutto andrà

ghilterra

che li tengano in briglia ("2)». Quand'egli parla dell'annessione

non approva pienamente, con un alto senso che coll'annessione noi prendiamo l'impegno morale di difendere l'Italia contro un assalto del-

della Savoia, che

del dovere scrive: «Spero

(1) Lettera 7

2 Lettera

genDaio 1869.

29 aprile 1859.


— 176 — l'Austria (1) » ed ancora: « Se due giorni fa aveste sentito l'im-

pecatore a parlare delle cose italiane, sareste stato contentis-

simo» (2) dice quasi provando egli stesso una viva soddisfazione, e poi « Veggo nel mio giornale della sera che le elezioni in Italia andarono bene. Voi altri Italiani siete davvero un popolo ragionevole, purché non siate né papi né preti (3) ». Ha accenti di dolore per la morte di Cavour, che ammirava «é l'avvenimento più grave e più disgraziato che potesse succedere (4) »;« la morte di Cavour é una grande sventura. Non so chi gli succeda, ma se avesse tutte le buone qualità ed il talento del suo predecessore, non avrà l'autorità sua e non potrà fare quel che Cavour faceva, cioè tenere i mazziniani :

nell'ordine e tuttavia rimanere a capo della rivoluzione italiana (5) ». Sinceramente pure si duole della morte di Bixio per

cui nutriva stima ed ammirazione (6) e nella stessa

lettera,

parlando dell'Italia, scrive: « Credo come voi che le faccende d'Italia siano bruttissime. Però

il

buon senso é più comune

da voi che nelle altre parti d'Europa e questo dà qualche speranza». Il 13 maggio del '66, accennando all'impossibilità di un'alleanza della Francia con la Prussia o con l'Austria dice: * Si può scusare l'Italia se si fa alleata della Prussia, poiché non potrebbe essere biasimata nemmeno se si alleasse col

diavolo per riprendere Venezia » dimostrando così quanto egli

comprendesse il sentimento degl'Italiani.

Come abbiamo detto più innanzi Mérimée era anticlericale

— quale condivideva — dà sfogo spesso al disprezzo ch'egli nutre

e nella sua corrispondenza al Panizzi le

sue opinioni

per il Pontefice e per tutto

il

clero

:

« Il

il

mìo modo di trattar

con Sua Santità sarebbe quello di dir così se la Vostra Sannon ci vuol secondare, io la pianto e la lascio assassinare :

tità

dai suoi fedelissimi sudditi, salvo dopo a vendicarla e a canonizzarla. Del resto io

non le chieggo che di non intralciare

(1) Lettera

31 marzo 1860.

(2) Lettera

16 novembre 1861.

28 ottobre 1865. (4) Lettera 9 giugno 1861. (5) Lettera 11 giugno 1861. (6) Lettera 27 dicembre 1865.

(3) Lettera


— 177 il

moto italiano e di non ricevere mai

il

ministro d'Austria

che alla Corte

in udienza particolare (1) » dice lamentandosi

di Roma siano stati nominati un generale ed un ambasciatore bigotti. E il

suo sentimento appare spesso mascherato dalla

torma ironica (o dallo scherzo spiritoso, come nella lettera del "20 gennaio 1860: «Benché il Papa non m'abbia ancora scomunicato, attribuisco alla sua collera un reuma all'anca che

da tre giorni mi fa soffrire ». Più tardi, assicurando al Panizzi che i piccoli riguardi usati dalla corte delle Tuileries al Re di Napoli sono cessati, aggiunge: * Una volta che s'è fatta la pazzia di rimanere a Roma e di lasciare che il Papa vi governi a suo modo era impossibile cacciar via il Re di Napoli (;2) ». Parlando poi

sizione, descrive

il

d'un

ritratto del Papa, visto

all'espo-

È una

testacela

Pontefice in tal

modo

:

grossa con una cera più intelligente di quel che credessi, cogli occhi rosso-cupi, infiltrati di sangue, che consentono di sperare

che lo scioglimento probabile sia un accidente (3)». E non si smentisce mai nella sua avversione che gli fa dire talora delle parole anche un po' forti

:

«

Di

Roma non so nulla. Il Papa

che dava speranza di passare a miglior vita, sembra rimesso in salute e più cocciuto che mai (4) » e quando sa che il Papa

male e che forse non avrà più lunga vita prorompe con un accento di sprezzo: « ne troveranno uno di peggio? mi pare

sta

impossibile » (5) « Il Papa è proprio un imbecille e

i

vescovi

che gli fanno da pertichini non lo sono meno» dice il 12 gennaio 1865, e il 26 marzo: « Intorno al Papa ci sono mólte canaglie vestite di rosso, di violetto, di nero ecc il 2 novembre

1866, ha

». Più tardi,

uno scatto d'ira :«Ek;co il Papa che come un melo fa delle

fa delle bestialità. Hisognava prevederlo

:

mele cosi uno sciocco fa delle sciocchezze ». E il 7 dello stesso

mese: «Il Papa dal canto suo non tralascia una sciocchezza da lare o da dire» poi, ancora :« È tri.ste dirlo, ma è vero,t7

papismo qui è quasi generale. Voltaire fece un fiasco solenne e l'infame è più possente che mai ». (1) Lettera

80 giugno 1869.

(2) Lettera

18 aprile 1861.

\8) Lettera 11

maggio 1861.

(4) Lettera

2 luglio 1862.

(5) Lettera

8 giugno 1864.


— 178 — La sincerità che Mérimée ebbe neiresprimere la sua avversione per tutto

il

clero riappare continuamente, cruda e fiera,

quando parla di Garibaldi e di Mazzini. Egli li giudica colosi rivoluzionari e talvolta

ha per

essi

delle

peri-

parole che

suonerebbero ben amaramente per gl'Italiani, se le dichiarazioni fatte più volte da lui stesso sul suo modo di pensare e se la conoscenza di

quanto egli fu sinceramente disinteres-

sato in tutta la vita, non ce lo facessero giudicare con animo

indulgente.

Mérimée è antirivoluzionario come fu anticlericale e chiama i rossi ed i neri « nemici del senso comune e dell'umanità (1) ».

Per questo egli dice al suo amico il 23 maggio 1860: « La spedizione di Garibaldi mi piace perchè mi piacciono molto i ro-

manzi e le avventure, ma infine è una cosa assai triste che

un eroe da romanzo possa mettere l'Europa in fiamme » e qualche giorno dopo « la spedizione di Garibaldi è una delle :

ch'io abbia mai visto (2) *.« Ho un'orpaura che uno di questi giorni la rivoluzione venga a

più stravaganti ribile

storici

picchiare alle porte di Roma» dichiara

il

1° luglio 1860.

L'U

ottobre chiede al suo amico « Conoscete voi qual cosa di più :

assurdo e di più atroce di questo partito mazzinista?» «Secondo me, Garibaldi ha messo in gran pericolo la causa italiana, prima con un'aggressione che non si può difendere senza smentire tutti -al

i

principi di diritto in Europa; poi col mostrare

mondo il fantasma della rivoluzione (3) » dice spiegando il

suo pensiero, e, parlando ancora di Garibaldi

« ora egli è l'uomo che può fare il peggior male all'Italia (4) » « Garibaldi in fondo :

è lo strumento di Mazzini e il cattivo genio d'Italia (5) » e, nello stesso dicembre •ed arrischiate di

Garibaldi

« Voi siete frettolosi come tutti gli esuli

metter tutto a pericolo per la troppa fretta.

me quando vi dico che il vostro peggior nemico è

Credete a

•qualità

:

;

nemico tanto più pericoloso in quanto ha tutte le

che bisognano ad un rivoluzionario, anche quella di dicembre 1863.

(1) Lettera

7

(2) Lettera

15 giugno 18G0.

(3) Lettera

3 novembre 1860.

(4) Lettera

21 novembre 1860.

(5) Lettera

11 dicembre 1860.


— 179 essere babbeo e di farsi strumento dei peggior bricconi » e VS aprile 1862 :« nessuno dà grande importanza a quel ch'egli

dice o fa (parlando sempre di Garibaldi). Non è che un animale

straordinario e il peggio è, secondo me, che ci sono troppe bestie

pronte a seguirà quella che va a brucare sull'orlo di un precipizio». Il 3 gennaio 1863 scrive: * Il giornale che leggo dice

che Garibaldi anderà a Napoli presto e credete pure che questo re degli sciocchi non ha detto ancora l'ultima sua parola ed ha ancora molte bestialità nel suo scrigno ». 11 6 ottobre 1867. unendo nel suo sfogo i suoi due peggiori nemici, il Papa

e Garibaldi, parlando del primo, aggiunge

:

« Egli è coraggioso,

ha anche la smania del martirio, ma del senso comune non ne ha nemmeno l'ombra. La sua è una zucca vuota come quella di Garibaldi » e il 25 ottobre, diventando sempre più veemente :« È doloroso che due vecchi imbecilli, ugualmente testardi tutti e due, minaccino la pace del mondo. Non veggo che un rimedio, sarebbe di relegarli insieme in un'isola deserta e lasciarveli fino a che infine: «Per

uno abbia convertito l'altro» e

me veggo tutto scuro. La battaglia s'appicca tra

due razze di gente che detesto allo stesso modo:i rivoluzionari ed

i

clericali » dichiara

il

16 dicembre 1867.

La sincerità che il Mérimee ebbe nell'esprimere suoi sentimenti fu piena e completa. L'amor di patria ch'egli pur sente non gl'impedisce di giudicare con la medesima franchezza i suoi connazionali « Quando questo popolo non ha niente da i

:

fare bisogna

che faccia qualche birichinata. I Francesi sono

come le scimmie che nell'ozio si mangiano la coda (1)» e poi, il 12 marzo 1859 quando pare che il popolo francese non voglia partecipare alla guerra, egli dice:* Quel che v'ha di certo è che i nipoti di Brenno non hanno nessuna voglia di prendere il

Campidoglio se fosse guardato anche soltanto dalle loro

vecchie nemiche

le

oche. Luigi Filippo

{>er

18 anni ha predi-

cato a questo popolo il culto degl'interessi materiali e il nostro

vecchio sangue s'è guastato. Siamo incredibilmente paurosi.

Non si pensa che all'effetto che la guerra può produrre sulla rendita o sulle azioni di ferrovia » e 1*8 aprile 1859: « Il nostro

(1) Lettera

12 maggio 1858.


— 180 paese è quanto mai ripugnante alla guerra e certo è questa

che dà all'Austria la sua presente prepotenza ». 11 6 ottobre del '(M) dice: «Che la Francia sia ambiziosa

non lo nego* ed

ancora, il 20 novembre '66, parlando del Pontetice ed accen-

nando alla circolare di [{icasoli che « se capita bene dai romani farà mandare al diavolo il Santo Padre », dice « È triste confessare che siamo bestie, ma sono convinto che nulla potrebbe essere più funesto alla dinastia regnante quanto la :

:

fuga di questo vecchio prete». * * * Visti così, sia pur brevemente, i rapporti tra lo scrittore fran-

cese e

il

patriota italiano, rapporti di schietta, d'intima ami-

cizia in cui balena

il

continuamente

— per riflesso del Panizzi

pensiero d'Italia, procedo alla pubblicazione d'una lettera

inedita del Mérimée al suo amico (1): Paris, 26 oct. 1860.

Mon cher Panizzi, Je vous ai rapporté

mon entretien avec notre ami de St.Cloud,et

depuis vous avez lu l'article du Constitutionnel. II me semble impossible d'en tirer une autre conclusion que celle doni je vous ai fait part.

Je désapprouve d'un còté,je n'aime pas de l'autre je m'opposerai à ce ;

qu'on se mèle des affaires des uns ou des autres, autrement que par voie d'avis et d' admonestation. Au sujet deAlterbe je pense comma vous. le n'y comprends rien, pas plus qu'à la contitiuation dans le com-

mendem.t d'un homme aussi mediocre et aussi facile à séduire que le g.i Goyon.On m'assure (de très bonne source) que l'occupation de Viterbe n'est que momentanee, q.ì je crois qu'on est en droit d'en inférer qu'on a désapprouve les dispositions prises,mais qu'on ne veut

pas trop le marquer. Nous verrons.Je ne sais ce qui a été fait pour Gaéte.Rien d'officiel au sujet du blocus n'a été publié.L'envoi de l'escadre francaise selon

ma manière de voir, serait plutòt une porte ou-

verte au Roi de Naples qu'un secours qui lui serait offert. Il parait que les bandes de Garibaldi ont recu une nouvel échec. Si cet imbécile

de

de roi avait connu ses forces il l'aurait jetè dans la mer avant ceder un ponce de terrain.Au reste ce mouv.t réactionnaire.

lui

(1) L'autografo si

trova nella Biblioteca Civica di Torino, tra la cor-

rispondenza del marcliese D'Azeglio. Su Emanuele D'Azeglio v. il recente Yo\\ì.m&: Carteggi o documenti diplomatici inediti, pubblicati ed illustrati per cura di Adolfo Colombo, voi. 1», Frat. Bocca, Torino, 1920.


- 181 — s'il

se

propa^e et s'il dure, est une très tnauvaise cbose. Lea jour-

Daux piémoatais parlent d'une espèce d'émeute à Rome. Je croia la chose très exagért'e.Je ne sais si cela est bon ou mauvais. Il faut savoir cooiment le Pape le prendra. Du moment qu'il sera bien prouvé que la population de Rome est agitée et qu'elle ne veut pas du gouv.t PontiAcal, ou peut lui poser ce dilemme: ou changez vos institutions, ou allez autre part. Nous

nous engageon» à protéger votre

personne, nuUemeat à défendre des institutions que nous avons toujours blamées, Il ne faut pas se méprendre sur la fagon dout on juge partout la conduite des Fiémontais. lls ont manqué à toutes les conventions politiques, à tous les principes internationaux, et ce qui à

mes yeux est le pire, e' est qu'ils n'out jamais agi avec franchise. lls

cut laissé l'expédition de Garibaldi se préparer au grand jour et

ont répandu en Europe l'idée que le gouv.t de V.' Emmanuel était impuissant pour contenir la revolution, lls out attaqué le Pape sous prétexte absurde ; lorsqu'ils venaient de donner l'exemple de ce qu'ils lui

reprochaient.Qu'on

(1) la

composition des bandes de Garibaldi,

et l'on conviendra qu'il est difficile d'y voir autre chose qu'un ras-

semblement d'aventuriers, plus mal disciplinés que ceux de Lamoricière et inflniment plus dangereux. Puis Tinvasion du

Naples, au

moment ou

le parti

royaume de

vainqueur, à force de sottises, était

meaacé d'une ruine complète. Tout cela se justifiera peut-étre aux yeux de la postérité, mais il eut été, à mon avis, plus honnéte et plus habile de dire franchement la vérité. Vous voyez ce qu'il nous en a coùté ici pour des hésitations et des réticenses dans cette affaire de l'annexion de la Savoie et de Nice. Je crains que M. de Cavour ne

un très grand tort qu'iì aura la peine à rél'enivrement du succès porte les Italiens à tout pré-

se soit fait en Europe

parer, surtout

si

comme vous que la constltution octroyée par l'Empereur d'Autriche ne signifle pas grand' chose. Cependant, elle don-

cipiter.Je crois

nera pour un temps une satisfaction à des gens toujours assez lents à se décider et depuis long-temps fa^onnés à l'obéissance. Si les Autrichiens profltaient des disiiositions qui peuvent durer six mois,

pour prendre l'offensive, et les prétextes ne leur manqueraient pas, je crois que tous pourraient étre remis en question. Soyez convaincu que rien n'a été

fait À Varsavie. Je uè crois pas plus à une alUance pos.sible entre l'Autriche et la Russie établie en vue d'une assurance mutuelle, qua une coalition contro la France. Mais ce qui est

dangereux c'est l'état de l'Orlent Lavalette, notre ambassadeur,ócrit (1) Parola illeggibile.

//

HiMorg. ita'.,XUl

*

IJ


— 182 — des lettres effrayantes sur l'état de la Turquie. Ce n'est plus son les jours de mort subite. La Russie préparéeje n'en sais rien, mais ce qui meparaìt évident c'est que nous ne le sommes guère.Ce seraitje n'en doute pas,une belle oc-

agonie prolongèe. 11 s'agit tous est-elle

casion pour des Ministres intelligents, de consolider l'alliance entre

un petit fait que je vous livre, ne le répandez pas. L'Adm.n des chemins de fer de la Mediterranée a été la France et l'Angleterre. Voici

requise de garde, à Paris et a Lyon toutes les voitures de 3e classe,

on leur paye quelque chose pour cela, et le résultat pourrait étre de mettre en trois jours 100.000 hommes au pied des Alpes. Cela peut avoir pour effet de donner à penser à l'Autriche. Adieu, mon cher P. mille amitiés

il

!

La lettera ha notevole importanza storica specialmente per momento in cui fu scritta. Essa deve essere compresa, per

ragione di data e ad integrazione della corrispondenza a noi

nota per lo stampe, tra quella del 23 e quella del 31 ottobre 1860. Come sia sfuggita al raccoglitore è

prendersi

;

cosa tacile a com-

con tutta probabilità l'autografo fu inviato per vi-

sione dal Panizzi al D'Azeglio, che lo conservò tra le sue carte.

Naturalmente essa è, per il nesso logico, intimamente collegata alla precedente ed alla susseguente e contiene motivi politici

che noi già conosciamo attraverso le altre lettere, spe-

cialmente di questo periodo storico così solenne.

Itala Manzone.


— 183

UN CIFRARIO ALFABETICO del

tempo di Carlo Emanuele lY

Fra i documenti del governo francese in Piemonte conservati alla 1* sezione dell'Archivio di Stato di Torino, e preci-

samente nel mazzo 35

V^II

Diplomatica, in mezzo a diversi

cifrari e decifrari vi è un foglietto scritto a mano che crediamo

opportuno riprodurre perchè interessante ed anche curioso, e certamente poco noto agli studiosi.

Esso non è un cifrario nel vero senso della parola, perchè

nomi delle persone e delle truppe non sono indicati con numeri o gruppi di numwi, ma è uno dei tanti cifrari alfabetici

i

molto usati nel passato e specialmente nella diplomazia, ed è

contemporaneamente cifrante e decifrante.

L scritto in inchiostro nero su mezzo foglietto di carta azzurrognola, allora, ora molto sbiadita. In testa al foglietto

si

legge:

Les noms ecrits en grandes lettres e souslignés signitlent.

Nella prima pagina sono scritti

i

primi venti nomi,

i

re-

stanti dieci nell'altra.

Da chi sia stato compilato questo cifrario, e quali persone se ne siano servile, non fu possibile sapere per quante ricerche

siano state

fatte.

K probabile che sia stato composto verso la fine del 1798,

nome del generale Suwarow (Saint Ignace), che venne appunto in Piemonte nel o meglio nel 1799, poiché vi è compreso il

maggio di quell'anno. Per diverse delle persone nominate, e

meno conosciute, ab-

biamo raccolte alcune note che riproduciamo in seguito.

Madame Sophie Madame Louise le

Saint Laurent

Le Rol de Sardaigne La Reine de Sardaigae le B&illi de S.» Oermain


184

— — — — —

Maurice

le Saint

— — — —

Madelaine

la

le S.t

Joseph

le S.t

Julien

le S.t

Philippe

le S.t

Juste

le S.t

Michel

— —

Augustin

la

Therese

Jeanne

la petite

— — — — — — — —

la dirothée

— le Saint George — Sempronius

la Cecile

Saint Isidore

Ciceron le

Saint Jrene

— — —

— —

le Saint

Victor

le Saint

Jgnace

le Saint

Gregoire

la

SnJ Berrà

le

Corate de Balbe

le

Marquis de Zey de S.t Marsan

le

Corate de S.t André

le

Commissaire Iraperial

M.r de Jackason

le S.r Janvier

le

Botta

medecin Pentené

le

le Marquis

la Catherine

la

le Theologien

— — — — — — — Mj —

— le S.t Francois — le S.t Thomas le S.t

Corate de Chalembert laComtesse deTernengue

le

— — —

mathilde

le Saint Siste

de Windham

Ginterleutner

le

Baron de la Tour

le

Chevalier de Balbe

les

Autrichieus

les francais le

Corate de Valaise

le

Corate de front

le

Corate de Castelalfleri

le

Cheval. de

les

Anglois

l'Arairal le

S.t

André

Nelson

general Suvvarow

l'archi-duc Charles le

Baron de thugut

le

general Bonaparte

NOTE. Il Re e la Regina dì Sardegna, Madames Sophie e Louise, sono evidentemente Carlo Emanuele IV e Maria Clotilde di Francia, .sua con-

sorte e sorella di Luigi

XVI;

Germain, S. Laurent, era il Marchese S. Martino di S. Germano, bali dell' Ordine di Malta, grande scudiere del Re, del quale segnò e controfirmò l'abdicazione S.i Maurice, il Conte Ambrosio di Chialamberto, ministro che segui il Re in Sardegna La Madelaine, la Contessa Gromo di Ternengo, dama della Regina il teologo Botta, confessore del Re, che accompagnò in *S'.* Joseph, il

Bailli di S.

;

;

;

Sardegna

;

S.^ Julien,

medico Pentenè, era medico della Regina;


— 185 — 5.' Juste,

Conte Prospero Balbo di Vinadio. ambasciatore

Emanuele IV a Parigi

di Carlo

5.< Michel, Marchese Tapparelli d'Azeglio, padre di Massimo e di

berto, era Piccolo

.

;

Ro-

Grande di Corte, titolo vigente allora e continuato

knche sotto i regni dei successori fino a Carlo Alberto: -S.' Angustili, probabilmente il Marchese Asinari di S. Marzano, che poi fa ambasciatore di Napoleone I a Berlino, quindi plenipotenziario sardo al Congresso di Vienna e ministro della guerra e degli esteri con

Emanuele I Franai*, Conte THaon di S. André, generale, padre di Ottavio

Vittorio -S.*

;

che fu ministro delle finanze sotto Carlo Alberto e del Generale di Ge-

nova di Revel morto da alcuni anni La Thèrese, M.r de Windham, molto probabilmenle M.*" William Windham, uomo di stato inglese, nato e morto a Londra (1760-1810i. Forse addetto allora all'ambasciata inglese in Piemonte ;

;

M.r Jackson, ministro inglese a Torino; La petite, Barone de la Tour, più tardi •maresciallo Sallier de la Tour Le SA Janvier, cavaliere Balbo di Vinadio, scudiere di Carlo Emanuele IV; Ixi Catherine,

;

Le Saint George, Conte Alessandro

di Vallesa, poi Cavaliere

della

S.S. Annunziata e ministro di stato per l'estero di Vittorio Emanuele I

;

La Cecile, Conte S. Martin de Front, ministro di Casa Savoia in Inghilterra

;

S.i Inidore, Conte Amico di Castelalfieri, ministro del

La Mathilde, Barone di Thugut, uomo striaco,

di

Re a Firenze

;

stato e diplomatico au-

promotore delle due prime coalizioni contro la Francia.

Non siamo in grado di dare indicazioni su SA Philippe, m. Berrà, probabilmente avente impiego a Corte," :

SA Thomas, Commissario imperiale austriaco Im Jeanne, Ginterleutner

;

;

Ciceron, Cav. di S. Andre, persona avente forse carica a Corte o in

diplomazia.

Vittorio Gianotti.


RECENSIONI —

Per l'epistolario di Vittorio Emanuele II, Adolfo Colombo. nel primo centenario della nascita, Torino, Paravia, 1920.

Da quando è stata compresa l'importanza del nostro risorgimento, sia in rapporto al passato, sia come genesi della vita contemporanea, e lo si è incominciato a studiare con metodo severamente scientifico, abbandonando i sistemi giornalistici ed i preconcetti politici con i quali era stato trattato, si è fatta sentire imperiosa la necessità di avere anzitutto a nostra disposizione la massima ricchezza di documenti, mezzo indispensabile per l'intelligenza di questa come di ogni altra epoca storica. Ed è evidente, che gli epistolari degli uomini i quali o in un modo o in un altro hanno contribuito alla formazione d'Italia e che hanno rappresentato una parte notevole nelle lotte per il conseguimento dell'indipendenza della penisola sia come capi, sia come gregari, rappresentano uno degli elementi più efficaci per esaminare con sicurezza di dati e ricostruire con certezza i grandi, diffìcili problemi politici e psicologici che si presentano a chi voglia coscienziosamente intendere uomini e cose. Ciò hanno incominciato a fare illustri scienziati e valenti storici del nostro risorgimento per alcuni dei personaggi più eminenti di questo periodo. Così per il Mazzini e per il Cavour attendono due benemerite Commissioni, a capo delle quali, per lo statista piemontese, è un nome che rende certi della perfetta riuscita dell'opera, come il RuPFiNi così per il Gioberti sta pensando il Gentile, per il Capponi ed il Ricasoli hanno fatto molto, e bene, il Carraresi, il Tabarrini ed il Gotti, per il Giusti il Martini, per il Tommaseo ed il Capponi provvedono il PruNAS ed il Del Lungo, per il Farini il Rava, e così via discor:


- 187 — rendo. Ma a chi abbia un'idea anche vaga di ciò che sia il risorgimento italiano, appare chiara l'enormità del lavoro da compiersi in questo campo della raccolta documentaria. E non v'è bisogno di particolare illustrazione per dare a divedere nitidamente quale valore abbiano gli epistolari dei sovrani, che allora regnarono nella nostra penisola e specialmente quello del principe, che rappresenta la formazione dell'unità della Patria. Onde, con saggezza e con intelletto d'amore, il Consiglio direttivo del Gomitato piemontese della Società Nazionale per la storia del nostro risorgimento ha, il 19 febbraio 19^0, espresso il voto che, in occasione del primo centenario della nascita del gran Re, si iniziasse la raccolta sistematica in un corpo unico delle lettere di Vittorio Emanuele II. E, come saggio, Adolfo Colombo ci dà alcune epistole del primo Re dell'Italia nuova, di notevole importanza, dirette ad alcuni illustri personaggi, dalle quali possiamo intendere come solo quando avremo tutte le lettere che il Re indirizzò ad amici, collaboratori, uomini politici, sarà compresa questa figura storica in tutta la sua interezza, in tutti i suoi lati, sia pieni di luce, sia talvolta coperti di ombra, ma viva, ma parlante, come deve essere, per chi vuole conoscere la storia quale essa è avvenuta, e non travisata, per obbedire a preconcetti di sorta. Il Colombo ci dà due lettere di Vittorio Emanuele II a Massimo d'Azeglio: una del 1 gennaio 1850 di un valore assai relativo, l'altra dell'otto dicembre dello stesso anno, nella quale il Re discute con lo statista della eventualità di successo, che avrà il colpo di stato di Luigi Napoleone. Più notevoli son quelle inviate dal Sovrano al Conte Ponza di S. Martino: di esse ci piace ricordare quella del maggio 185'2 ove Vittorio Emanuele II difende il suo operato per l'elezione del Rattazzi a presidente della camera e le altre del 3 e del 15 giugno 1861, in cui il Re d'Italia auguravasi uno scioglimento felice della scottante questione romana, auspicando al paese una facilitazione anche da parte della Francia, e lamentava insieme la recente perdita del suo massimo collaboratore: « La morte del Conte di Cavour» dice il Re «è un fatto grave e grandemente da me sentito; ma però tal luttuoso evento non ci arresterà un istiinte sul cammino di nostra vita politica ». E con un ottimismo, che gli eventi immediati dimostrarono forse eccessivo, ma con fede sicura nei proprii destini, continua: «Vedo


— 188 l'avvenire chiaro come in uno specchio e piente può sgomentarmi.

Auguro al Ministero presente forza e coraggio, perchè

gran prove ci sono ancora riservate, ma se Dio mi dà vita la percorreremo impavidi ed incolumi *. Importante è anche la lettera di Vittorio Emanuele II a Giovanni Cassinis, nella quale il Sovrano accenna alle sue idee sul modo di comportarsi di fronte al partito repubblicano. Un episodio personale del Re, durante la triste campagna del 1866, ci illumina l'epistola che Vittorio Emanuele inviò al generale Pettinengo il 23 agosto di quest'anno, nella quale il Re, riaffermando al valente soldato la sua piena fiducia, vuole consolarlo, così, dei torti che gli erano stati fatti. Con questa breve raccolta il Colombo ci fa sentire più vivo il

desiderio di avere, presto, l'epistolario del primo Re d'Italia.

Ci consenta però

il

Comitato Piemontese del Risorgimento di meglio, che esso si fosse

osservargli, che sarebbe stato forse

promuovere piuttosto la pubblicazione d'un sol gruppo di lettere, anche di un ristretto periodo, ma dalle quali limitato a

fosse stata fatta risaltare la figura del Re, in quello speciale

momento, che si fosse voluto trattare. Con ciò non intendiamo diminuire il valore intrinseco del contributo del Colombo, al quale va data lode per avere, in modo acconcio, fatto sentire, una volta di più, il bisogno di una delle maggiori raccolte di documenti del nostro Risorgimento ed avere partecipato a rendere omaggio alla memoria del primo Re dell'Italia nuova. Eugenio Passamonti. affatto di

— Fatti e dottrine economiche alla vigilia — L' Associazione agraria subalpina e Camillo

Giuseppe Prato, del 1848.

Cavour, Torino, Tipografìa S. Giuseppe degli Artigianelli, 1920. (Estratto dalla Biblioteca Italiana di Storia recente

della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Pro-

vincie

eja Lombardia, voi. IX).

Come chi, ascendendo verso la cima di un monte, vede, con l'appressarsi faticosamente alla vetta, ampliarsi l'orizzonte e

scopre bellezze nuove là dove credeva esser paesaggio monotono e brullo, così, quanto più viene compreso e valutato il nostro Risorgimento nella sua reale importanza, si intende


— 189 — quale gigantesco periodo esso rappresenti nella nostra storia e come vi sian intimamente connessi i problemi, che al giorno d'oggi ci affaticano e ci incalzano. Sia dal punto di vista politico, che da quello sociale noi ritroviamo nel Risorgimento italiano le ragioni vitali della nostra esistenza contemporanea, in quanto la vita presente non è che continuazione e sviluppo dei valori che furon tesaurizzati in quegli anni fatidici, in cui la nostra razza, cogliendo il momento opportuno, e ponendo in azione energie e volontà, apparentemente sopite ma potenzialmente esistenti nel corso dei secoli, era riuscita ad affermare il proprio diritto e le proprie aspirazioni di indipendenza e di libertà. E, dell'asserzione nostra, prova efficacissima dà oggi il Prato con questo suo lavoro, in cui egli, con la profondità della Sua coltura e la rara perizia in materia economica, per la quale va annoverato fra' nostri maestri, dimostra quale opera gigantesca fosse compiuta, modestamente, ma con l'efficacia che deriva da chi vuole e da chi sa, dalle menti più illustri del patriziato e della borghesia piemontese, nel periodo Che precede l'epoca, di cui anima fu Camillo Cavour e nella quale fu compiuta l'unità della patria. 11 Prato si propone in questo suo magistrale contributo alla storia del nostro Risorgimento di sfatare varie leggende e di combattere pregiudizi malevoli formatisi su uomini ed istituzioni. Esiste infatti un preconcetto dannoso, infiltratosi in molte persone del tempo nostro e non tutte animate da sentimenti settari, come potrebber essere i seguaci di certe correnti politiche e sociali, a' quali

il

desi-

completamente la misura del giusto e la visione della verità; preconcetto, che consiste nel ritenere, che i problemi economici, tanto importanti nella vita contemporanea, non siano stati mai compresi nella derio di conseguir

le

loro finalità

ha

tolto

loro natura dalle classi privilegiate ed intellettuali, le quali

per aver fatto

l' Italia, sono, relativamente parlando, quelle che ancor detengono il potere nel nostro paese. Credono i sostenitori del materialismo storico che gli uomini del nostro Risorgimento siano stati sognatori, poeti, filosofi, gente che. al modo di vedere di quei signori, non eran capaci di levar un ragno dal buco; e che l'Italia sia stata fatta, più dalle potenze straniere e da condizioni particolari di equilibrio europeo, che dalla volontà e dalla capacità dei suoi figli. Ma quando a questi signori si presentano problemi di primaria importanza.


— 190 — uno de' quali la spiegazione del come abbia potuto il Piemonte sopportare le gravezze fiscali impostegli dal Cavour nel glorioso decennio della nostra indipendenza, essi, che hanno giudicato il nostro movimento anteriore al 1849 come fenomeno patologico, o, tutto al più, letterario-filosotìco, si trovano in-

capaci di risolvere la nuova difficoltà e devono, se hanno un senso scientifico, confessare che in quegli uomini, sognatori e poeti quanto si voglia, erano una intelligenza ed una conce-

zione profonda della vita italiana ed una veggenza rara dei bisogni del nostro paese, se, presentatisi ostacoli che sembra-

vano quasi insormontabili, erano state trovate le energie capaci di superarli.

Questo adunque ha voluto fare il Prato, ed ha studiato il movimento di idee e di opere, che in Piemonte si proponeva

numerosissime questioni economiche le quali si imponevano e per formare l'Italia e per darle, una volta resa libera ed indipendente, la capacità di farsi grande e possente. Che bisogna pur convenire, che il problema della nostra, resurrezione era intimamente connesso con quello della nostra evoluzione economica. La povertà mineraria del

di affrontare, e sciogliere le

nostro suolo, la sua costituzione geografica, la varia distribuzione dei suoi prodotti dovevano far sentire, a chi voleva costituire un'unità politica italica, la necessità di sciogliere vari

problemi che dovevan precorrere il conseguimento di questa idealità. Una lega fra gli stati italici, inizio della unità della

patria

non era certo possibile se non fosse stata dimostrata rapporti fra le diverse reuna lega economica:

l'utilità di

gioni della penisola, per cui

i

i

prodotti del mezzogiorno e del

centro avrebber potuto esser scambiati con quelli del nord ed avvicinar fra loro le popolazioni, non si sarebbero effettuati

senza un ampio sviluppo delle comunicazioni agricole degli Stati Sardi, dal cui

:

le

condizioni

miglioramento tanto bene

doveva venire al paese, richiedevano ricerche

particolari

di

importanza che il problema operaio, già manifestatosi in Inghilterra ed in Francia, esigeva che fosse esaminata la condizione del ceto lavoratore nelle nostre terre, sia per l'effetto benefico che ne sarebbe derivato all'Italia, sia per evitare che potenze estere gelose allora, come ora, della grandezza della penisola italica, scienziati e di agricoltori ; senza tener conto della

avessero gettato seme di discordia e di guerra civile fra' nostri operai, facili alle pronte illusioni, quando si imponeva con-


— 191 — cordia di animi. Tutti questi complessi problemi il patriziatoe la borghesia piemontese, raccolti nell'Associazione Agraria,

affrontano negli anni che precedono il 1848, « animati da sereno ottimismo. Le figure più rappresentative dell'aristocrazia ereditaria tengonsi così laboriosamente affratellate con i migliori interpreti

della dilatata

coltura e cogli uomini nuovi della

sorgente industria. Produttori di ricchezze e produttori di idee seguono con pari fede e praticano con uguale coerenza un unico indirizzo logico. 1 vari gruppi della borghesia attiva-

mente collaborano allora ad una coscienziosa opera di autoeducazione e di irradiazione colturale, in cui le originali tradizioni della dottrina paesana ed i moderni insegnamenti della scienza ed esperienza straniera si incontrano e confondono ». E questa fusione di energie, questa forza meravigliosa del il Prato segue nella loro migliore esplicatraendone la conseguenza natueconomico, zione nel campo

nostro Piemonte,

rale, logica, che, come allora falsi, se

non facili, profeti presa-

borghesia e della nobiltà, affermandole givano inette a sciogliere i problemi dell'ora, e l'una e l'altra senza ciancie, senza rispondere a logorree di piazza lavoravano ed affermavano la loro capacità, così ora, mentre * altre e più la. rovina della

perigliose rimanenze borboniche minacciano di sovvertimento selvaggio i frutti della civiltà liberale, riconsacrata da sì eroico

olocausto », i discendenti di quella civiltà e di quella borghesia cento volte sepolte, cento volte risorte, sapranno trarre 1' Italia dal

malo passo e, soffocata l'idra rivoluzionària, ricon-

paese nel retto sentiero. La storia dell'Associazione Agraria Subalpina, osserva con ragione il Prato, « è nelle grandi linee abbastanza general-

durre

il

mente nota », che, di essa, della sua formazione e del suo sviluppo complessivo, ci ha lasciato notizie esatte il Predari. Poiché nell'epoca precedente alla concessione delle riforme non era possibile il preparare apertamente coscienze e volontà al grande cimento, che non poteva mancare all'aspettazione, al desiderio dei più, si cercò con il pretesto di un'Associamezzi per raggiungere lo scopò zione Agraria di ottenere fissosi eludendo la vigilanza del governo sospettoso tlel Conte i

Solaro Della .Margherita. Gli studi agricoli, rialzati in Italia dall'operosità intelligente di Cosimo Ridolfi, erano stati valutati e compresi nella loro importanza e nella loro conseguenza (iir*'lf.i ed indiretta dagli uomini più autorevoli del Piemonte,


— 192 — •dai più distinti fra essi, fra' quali Camillo Cavour, sebben fosse

tenuto da prima in disparte per la opinione poco favorevole che avevasi di suo padre, era riuscito ad affermarsi, era stato presentato a Carlo Alberto il disegno dello statuto per una Associazione Agraria negli Stati Sardi disegno che il Re aveva approvato, per averne inteso il valore intrinseco ed estrinseco, non ostante l'opposizione sorda del La Margherita cui non era sfuggito, come al sovrano, il significato politico della cosa, significato ch'egli non sentiva in coscienza di poter accettare. Noto è altresì, per ciò che ne ha lasciato detto il Predari, il dissenso che si manifestò nell'Associazione fra borghesi e nobili, per il quale il d'Azeglio ed il Farini si scrissero le note lettere, dissenso però più superficiale che sostanziale. Interessante è quello che il Predari non ci dice e che ci ricorda e rivela il Prato, sul come fu accolta da' diversi partiti questa associazione, da ciò che ne pensava quella buona lingua del Brofferio,a quel che ne giudicava la zia del Cavour, Vittoria de Clermont Tonnerre, la quale lamentava «che l'irrequieto cadetto si assorbisse nelle meditazioni dell'economia politica cette science erronee qui fausse l'esprit et n' est d' aucune utilité Ci voleva certo l'anima e l'ingegno di Cavour per continuare a vivere e lavorare in un organismo nel quale da un lato era veduto poco favorevolmente e in cui gli era fatta guerra accanita da' democratici capitanati dal Valerio e dall'altra volevano trarne i suoi, che se non tutti del pensiero della surricordata gentildonna non erano tali però da veder con favore il giovane conte in certe compagnie: ma egli aveva compreso il bene che per l'Italia poteva venire dall'Associazione Agraria e i vantaggi che ne poteva trarre per la sua preparazione politica: vi rimase e fu bene per tutti. Forte di un'organo proprio, la Gazzetta dell'Associazione Agraria, questa società, stabilito il proprio statuto, raccolti intorno a sé uomini celebri ed oscuri, :

ì* .

nobili e plebei, ricchi e

non

agiati,

ma tutti animati dallo

stesso intento e mossi dal desiderio unico della prosperità del

paese, iniziò l'opera sua con l'attività che le derivava dalla certezza della efficacia della sua missione. Vinte le prime difficoltà rappresentate dalla

questione dei rapporti fra nobili e trovavano per la prima volta a contatto e che eran pur sempre imbevuti de' pregiudizi di casta (e un borghesi, che

si

saporito episodio è la mancata elezione a presidente di Camillo Cavour, episodio su cui dà piena luce la sagacia del


— 193 — Prato), sormontati gli inciampi qua e là frapposti dal governo-. Lamargheritiano, coaie accenna il Carutti. dimostrò id-'e ^cpie e rispondenti allo spirito che l'aveva informata. Le concessioni statutarie servirono a stabilire ancor di più norme di vita più generose e più nobili, onde poteva esser ver. 'jiente degna di un paese chiamato, a' più alti destini. L'azione dell'Associazione Agraria il Prato distingue in tre grandi sezioni: economica, sociale-polilica ed intellettuale. Come abbiamo accennato, numerose questioni si presentavano a' membri di questo eletto consesso: fra le altre, le più notevoli erano il miglioramento delle colture dei cereali, del vino, della seta, l'organizzazione delle comunicazioni e con le regioni italiane e con l'estero, la lega doganale, e più preponderante di tutte il bisogno di stabilir fondi per poter condurre

ad effettuazione

i

diversi progetti formulati per fronteggiare tali

si propose anzitutto produzione con il promuovere efficacemente gli studi tecnici agrari. Furon stabiliti premi e onorifici e in denaro sempre più numerosi quanto più se ne scorgeva l'efficacia, come ad Alba, a Pinerolo nel 1844, ad Annecy nel 184Ó e l'anno dopo a Mortara e nel 1847 a Casale: essi vennero assegnati per miglioramenti introdotti dapprima ne' soli

e tanti bisogni. L'Associazione Agraria di perfezionare i mezzi di

prodotti de' cereali e della seta, poi in quelli del bestiame, dei virvi, della bieticoltura, tloricoltura.dell'aratura, delle bonifiche.

Si stabiliron nei congressi provinciali apposite sedute per di-

scutere questa notevole piirte del miglioramento dell'agricol-

tura paesana. Le società agricole, mosse dagli sforzi dell'Associazione, indiziano concorsi per ricerche scientitiche attinenti

a questo ramo dell'attività umana. Compreso il valore delTappliciizione della chimica all'agricoltura, che era stato fatto ri-

Piemonte da Giovanni Gioberti la nostra Associazione sostiene la necessità di continuare quest'ordine di studi e con le lezioni tenute all'Accademia di Agricoltura dal Baruffi e saltare in

;

;

dairAbl)ene e con pubblicazioni sia nella Gaezelta sia in appositi trattati, tra' quali de^ne di menzione quelle del V'egezzi Ruscalla e del Del Pozzo, diffonde gli ultimi risultati della scienza |>erchè vengano immediatamente applicati. E l'effetto

questo risveglio scientifico si risentì non solo negli anni immediatamente precedenti al 1848, ma nel 1804 quan<io il Cavour chiamò, divenuto ministro, i più autorevoli scienziati che avevan già dato prova della loro capacità nel seno deldi


— 194 — come il Solaro, il Selmi, il Peyrgne, perchè lo aiutassero nello sviluppo agricolo del Piemonte. Da ricordarsi brevemente, come comporta l'indole, di questo nostro cenno, è l'interesse che l'Associazione Agraria dimostrò sia per le ricerche degli elementi patogeni del riso e del fru-

l'Associazione Agraria,

mento, sia sulla mosca olearia, in quanto siffatti prodotti rappresentavano i più notevoli contributi di fertili regioni come il Novarese e la Liguria. E la zootecnia e la coltura dei foraggi e

i

caseifici rac^^olgono l'attenzione generale per i ricchi con-

tributi che

avrebbero dato al Piemonte quando fossero stati

condotti con tecnica sapiente. Le foreste, per le quali aveva fatto sorgere grandi preoccupazioni l'incuria del governo fran-

cese, furono oggetto di cure particolari dell'Associazione, la quale cercò attivamente il rimboschimento del paese. In un territorio come il Piemonte, in cui il legname rappresentava un prodotto di non lieve momento, il problema forestale, come già nel 1840 il Cavour osservava in una lettera, dataci dal Ruffini, era di capitale importanza ed alla selvicoltura sono applicati gli stessi metodi che abbiam veduto essere stabiliti per lo sviluppo della tecnica agraria. Notevole un progetto del Garassinì che voleva, per la conservazione del patrimonio forestale, fosse abolito il protezionismo de' metallurgici le cui officine, sorte sulla riviera ligure, eran una delle -cause del precipitoso esaurimento della ricchezza boschiva :

degli Stati Sardi.

Data l'importanza degli studi agrari, era naturale che l'Associazione stabilisse, da un lato di fondare scuole agrarie e poderi modello, dall'altro di creare dei tondi per l'incremento di questo ramo fondamentale dell'attività del paese. E collegi

di agraria ed insegnamenti di agraria da parte dei maestri e creazione di terre, nelle quali si sarebbero dovuto sperimentare i nuovi ritrovati della scienza, sono fondati e promjossi dall'Associazione. Da questa però, nella costituzione di poderi modelli, dissente il Cavour che si mostra scettico sull'efficacia reale di questi tentativi: ed al Cavour risposero il Donnet ed il Dubois in modi garbati. Il primo preferiva che gli esperimenti di migliorie fosser fatti da' privati, i secondi ribattevano che solo un'impresa pubblica avrebbe potuto disporre dei capitali necessari e dei mezzi per conseguire risultati effettivi. È certo che l'opinione del Cavour, rispondente alla realtà delle <5ose e della condizione economica del Piemonte e dell'Asso-


— 195 — ciazione agraria, non dovesse esser ben accetta da molti di que' valent' uomini che vedevano un po' color di rosa per

l'entusiasmo dei neofiti. E il Cavour viene sconfitto per l'opposizione del Sambuy, del Salmour, del Sireo e l'effetto ne è che, al rendimento dei conti, il bilancio dell'esperimento del

podere modello si chiude con un disavanzo di 15.100 lire: prova questa, come molte altre, della acutezza della Diente del grande statista e della sua rara perspicacia nello scorgere ne' vari problemi il lato reale ed efficace della questione. Più importante ancora dovea essere lo studio per trovare il modo di conseguire i mezzi pecuniari per attuare tanti notevoli progetti. Fu merito del Salmour l'avere organizzato sollecitamente il credito agrario come avviamento educativo alla creazione della Banca centrale agricola. Questa idea aveva avuto già nel 1784 Maurizio Solerà che aveva proposto a Vittorio

Amedeo III di stabilire un Banco di

agricoltura, ispi-

rato a' principi delle land banka: ed era stata continuata nel

da Luigi Castaldi e nel 1845 era stato fatto un tentativo un gruppo di capitalisti de' quali il Prato non ci dice il nome. Del resto un principio di ciò esisteva già negli Stati Sardi con i cosidetti monti di soccorso di Sardegna, alla cui prosperità aveva tanto contribuito il Conte 18:29

di porla in atto da

Bogino. L'opera del Salmour, distribuita a' soci dell'Associazione Agraria, si propose adunque di dimostrare la necessità, per l'agricoltura moderna, di un capitale d'esercizio che avesse

potuto ampliarsi con

il

trascorrer stesso del tempo ed il mol-

tiplicarsi delle sue azioni. Respinta l'idea di crearlo

sione di biglietti, come aveva avuto in mente

il

con emis-

Solerà, e

non

ritenendo indispensabile l'intervento governativo nel senso più ristretto della parola, proponeva il Salmour di formare

una società fra tutti gli stabilimenti di beneficenza e le opere pie del regno, i quali .si fossero obbligati «a riunire in una ca.ssa comune loro annui risparmi accumulando così un fondo con cui venisse alimentato il credito agrario per mezzo di prestiti ipotecari rimborsabili per annualità ». La somma così ottenuta avrebbe a>fevolato,da un lato lo sviluppo agricolo del paese e migliorato le condizioni economiche dei contadini e i

de' nullatenenti, a* quali sarebbe stato offerto

il

modo di ele-

varsi dalla loro triste condizione economica; dall'altro avrebbe inlhiito

potentemente su due

fattori indispensabili della vita

del paese: l'istruzione diffusa e

il

credito reso a tutti acces-


— 196 — Salraour non poteva non suscitare notevoli polemiche e in seno all'Associazione e nel paese; tra le quali una tendenza di conciliazione fu quella di Giovanni Lanza che voleva, che i capitali per le migliorie di alto costo e di risultati a lunga scadenza fosser forniti dal governo, e i minuti fondi per l'esercizio normale fosser versati a' piccoli lavorasìbile. L'opera del

tori dal credito ordinario.

Connessa a questa. questione è l'altra delle assicurazioni sia contro gli incendi sia coatro la grandine e gli infortuni cui sono soggetti le colture della terra e del bestiame. L'Associazione Agraria si servì del Despine per stabilire

i

criteri infor-

mativi della funzionabilità di siffatte organizzazioni tanto necessarie al benessere dell'agricoltura. E, poiché già esistevano due associazioni, la Società assicurazione generale mutua contro la grandine fondata nel 1832 e la Compagnia imperiale Austro-italiana del 1841, la nostra Associazione, sia per spirito scientifico che per sentimento patriottico, stabiliva che

Mutua fosse stato dato tutto l'impulso possibile, generizzandola e riorganizzandola su basi sicure. Così agiva saggiamente l'Associazione Agraria, nulla trascurando che avesse potuto migliorare e le condizioni del paese e lo stato dei lavoratori. E la statistica agraria, indispensabile per conoscere con dati certi il bene ed il male, e della cui importanza già Prospero Balbo aveva fatto consaalla

pevoli

i

coltivata,

Scienze con studi prooccuperemo noi in particolari ricerche, era

soci dell'Accademia delle

fondi, de' quali ci

come meritava, da' membri della nostra Associail Giulio, il De Bartolomeis, G. Forti, il Pes, il

zione, quali

Salmour.

La seta, che sebben non diretto prodotto agricolo, era però un certo senso con lo sviluppo dell'agricoltura

collegata in

rappresentava una delle produzioni maggiori del Piemonte, onde non a caso la mente profonda di Prospero Balbo le aveva consacrato tempo e ricerche non lievi, non poteva sfuggire a e

si occupava con tanta passione di ciò che poteva servire al miglioramento del paese. Ed i rapporti che questo prodotto aveva con il problema doganale interno ed esterno, lo riconnetteva strettamente con la quesf^one delle relazioni economiche con gli altri stati italiani ed europei. Di qui il suo valore speciale, di qui le ricerche apposite dei

chi negli Stati Sardi

membri dell'Associazione.


— 197 'E le ferrovie, che alla fusione

economica del Piemonte con

gli altri principati delia {lenisola erano intimamente connesse,

dovevano necessariamente occupare gran parte dell'attività degli studiosi e dei patriotti della nostra Società. Dal Cavour al Balbo, al PeUlti,di diversa sentenza in determinate questioni sommo grado, eran tutti concordi nell'unico scopo di di-

di

stendere sull'Italia una rete ferroviaria, la quale unisse le varie regioni in modo da non rendere lungo, quasi insormontabile, lo

spazio che

le

divideva per condizioni di terreno; ed agevo-

lasse così la intelligenza degli animi e costituisse quella base di fratellanza; senza della

quale non era possibile l'impresa

Prato, con l'acume suo proprio e la severità del metodo scientifico che nel corso dell'ampio lavoro

dell'indipendenza.

Il

manifesta ad ogni momento, dà a questa parte dell'argomento il più ampio sviluppo e gli scritti del Petitti che ebbero

si

;

tanta eco in que' tempi, e ciò che a' giornali austriaci rispose il Balbo, idee non tutte note e che noi daremo alla luce quando tratteremo dell'opera politica dell'autore delle Spe-

le chiare, lucide concezioni che sul problema delle aveva il Cavour, sono esaminati dall'esìmio studioso con particolarità e profondità insieme. Ben fa il Prato quando insiste sul valore patriottico che le ferrovie avevano, onde a Carlo Alberto, che nel 1846 aveva lasciato intravedere il suo animo, a chi aveva voluto comprenderlo, l'opera del Petitti suscitò gioia vivissima, ma nel tempo stesso timori nello scorgere tante chiare allusioni all'idea dell'indipendenza. 11 Carignano aveva abituato sé stesso per troppo tempo a soffocare pensieri e propositi perchè o potesse approvare o concedesse di parlar a viso aperto. E que' valentuomini, sulle ferrovie e per le ferrovie avevan detto quel che si poteva dire. La questione delle comunicazioni interne, la qual consisteva precipuamente nella costruzione di due grandi linee litoranee le quali si sarebbero congiunte in un centro del settentrione» programma questo che fu poi attuato dal Regno d'Italia, si

ranze^ e ferrovie

collegava all'altra dell'allacciamento di questa rete ferroviaria

italiana

con

le

zere.

E la linea che poi

fori

per

le

linee estere francesi, inglesi

e sviz-

fu detta valigia delle Indie, e

i

tra-

Alpi occidentali, uno de' quali, quello del Mon-

doveva circa dieci anni dopo essere iniziato dalla mente di Camillo Cavour, interessavano nostri patriotti che dallapertura sicura e numerosa di valichi alpini comprende-

cenisio,

i

// Ri0org. ii-l

Vili

IS


— 198 vano il bene che sarebbe venuto al paese. Alla questione delle comunicazioni si collegava, com'è facile intendere, quella del commercio, che da trattati doganali più o meno favorevoli, dalla quantità maggiore o minore di mercati aperti alla esportazione piemontese ed italiana, dalla facilità di ottenere le materie prime di cui il nostro paese difettava allora, come ora, derivava uno sviluppo o una deficienza incolmabile per la ricchezza e per l'economia pubblica della patria. Tanto più ciò in quanto, cooie è ben noto, l'Austria, che di tal verità era ben consapevole, aveva iniziato le ostilità con il Piemonte, in questo campo, con una guerra a base di tariffe doganali, mettendo quasi alla rovina uno de' principali rami dell'esportazione degli Stati Sardi, il vino, ed impedendo il transito del sale. Tutta la polemica che ne nacque, gli sforzi del governo sardo per opporsi a questa prepotenza, rapporti commerciali i

Francia, la Svizzera e l'Inghilterra onde incanalare per altre vie quella produzione che l'Austria aveva arrestato, sono studiati dal Prato in modo che la difficile que-

ampliati con

la

stione si presenta lucida e piana al lettore. E il Lanza ed il Sineo che dell'Associazione Agraria furono i rappresentanti più efficaci nel problema del vino, il Prato esamina con attenzione e ci fa seguire passo per passo gli sforzi che quel nobile consesso compie per diffondere nel mondo i vini piemontesi. Il 10 novembre 1846 è eletta una commissione nel seno dell'Associazione, che si propone un piano di campagna per lo smercio all'estero de' prodotti piemontesi e la compongono uomini di diversa condizione, ma di egual sentimento patriottico, di coscienza e di sapere forniti, come il Moris, il Lanza, il Buniva, il Sineo, il Valerio, il Sacchi, il Michelini, il Derolandis, lo Staglieno, il Borsarelli, che non risparmiano fatiche per raggiungere lo scopo. E le adesioni a questa nobile opera « pioventi da ogni lato» dimostrano come fosse com-

preso il valore degli sforzi della nostra Associazione. Un altro lato della questione delle ferrovie ed il più importante, la lega doganale,

non poteva non essere studiato dal

Prato, che ce ne fa risaltare l'importanza sia come storico sia come economista. Seguendo lo sviluppo di questa idea fin dalla sua genesi e ne' rapporti che aveva con

il

germanico al quale tanto rassomigliava, il Prato

movimento ci

fa assi-

stere alla graduale formazione dell'opinione pubblica piemontese, italiana della lega

doganale, dagli

scritti

sulla Zollve-


— 199 — rein (iel Cattaneo, del 1834, del De Luca e del Bianchini in Toscana, alle opeie dei grandi maestri del neo-guelfismo che stabilivano la lega doganale condizione sine qua non della confederazione politica, condizione dell'indipendenza della penisola. Ben dice il Prato quando afferma, che in Piemonte, più che nelle altre regioni d'Italia, la tendenza ad applicare in Italia ciò che è stato fatto in Germania, si afferma e precisa. Nel 1840 le Letture popolari pongono nella discussione pubblica questo problema; il Petitti risponde affermandone il valore e la necessità che venga subito risolto, ma dissentendo dalle Letture che non sarebbero state aliene da una lega con le Provincie lombarde: se la cosa deve essere, deve essere di marca schiettamente italiana. E Tidea del Balbo interviene a comporre il dissidio concedendo una lega fra soli principi italiani, riconoscendo però che per il momento non è agevole il giungere alla meta ed asserendo d'altra parte che rapporti coll'Austria, per quanto commerciali siano, non sono possibili. Il Balbo dà così al problema della Lega doganale il vero e proprio carattere politico che il Petitti aveva abbozzato, e lo seguono in questa via il Gioberti, il Durando, il Cavour, fino a che il 3 novembre 1847 son coronati i suoi voti quando è firmato dai rappresentanti del Piemonte, della Toscana, degli Slati Pontifici, il trattato che unisce questi principati in alleanza doganale. Tutto questo gigantesco movimento di idee che si svolse in seno all'Associazione Agraria ed in Piemonte intorno a' problemi ardui cui abbiamo accennato, è particolarmente studiato dal Prato in una minuta analisi di autori poco noti, come il Garabini, il Gibellini, discepolo del Genovesi, il De Filippi, il Michelini, il Battaglione, il Lencisa, che si occupò delle sete, il Giovannetti che attese all'abolizione delle tasse doganali, il Martinengo. il Salvarezza, il Credis, docente esimio di materie finanziarie, l'Eandi, il Gastaldi, il Conte Melano di Portula, e di opere di autori ben noti come Ilarione Petitti, Cesare Balbo, di cui molle però ancor sconosciute e che speriamo di dar presto alla luce. Luigi Cibrario, Carlo Ignazio Giulio, che il Prato ci rivela, sotto una luce vividissima, pensatore, economista di grande valore. Troppo lungo sarebbe dir, anche come comporta l'indole di questo scritto, ciò che il Prato ci regala con la sua profonda coltura in questo capitolo sulle « Idee e dottrine » economiche


— 200 — in Piemonte nella prima

metà del secolo XIX ci riserbiamo che faremo sui Balbo Pro;

di parlarne in altri nostri lavori

spero e Cesare e di invitare qualsiasi studioso di storia patria economiche di sapervi attingere come fonte di primaria importanza. e di scienze

Da menzionarsi, fra le altre bellezze dell'opera del Prato, per un certo sapore di attualità, che oggigiorno nelle agitazioni sociali, malcomprese idee di natura economica vorrebbero trasformare radicalmente i valori umani e perturbare l'organizzazione della società per gettarla in un abisso spaventoso, è l'esame della lotta dei nostri patriotti contro ogni ten-

tativo di comunismo fondiario. L'idea comunista che bella dal punto di vista ideale e religioso, è inattuabile in qualsiasi ramo della vita, per l'annichilimento che essa porterebbe all'attività individuale, causa principale dell'esistenza dei popoli, si era

già manifestata in Europa ne' primi del secolo XIX sia per l'influenza delle dottrine de' pensatori dell'epoche precedenti, sia per il contraccolpo che aveva suscitato la rivoluzione fran-

ormai a tutti, se contro la proprietà si era già

cese, alcuni rappresentanti della quale, noti

ne eran

fatti sostenitori. La lotta

fatta sentire, tanto

che

il

codice napoleonico,

nella evoluzione del diritto privato e pubblico

il

cui valore

non può sfug-

gire a nessuno, aveva sentito la necessità di determinarne le

norme fondamentali per le quali, modificando le concezioni che su di essa avevansi anche nell'antico regime, se ne riconosceva e se ne affermava il principio come base di benessere sociale e statale. La proprietà privata è indispensabile

per l'esistenza della società e dello Stato e « considerarla come strumento di dominio di classe », ben osserva il Prato, « significa

disconoscere singolarmente la natura e gli scopi. Devesi

bensì scorgere in essa l' espressione spontanea di un bisogno economico profondo, l'esponente del rapporto naturale che esiste tra libertà e garanzia della proprietà e produttività individuale e sociale della medesima ».

Che però un soffio nuovo di vita fosse infuso anche in Piemonte, lo provavano gli sforzi che l'Associazione Agraria fece per conseguire, da un lato l'utilizzazione dei latifóndi comunali abolendo le servitù che v'eran connesse, dall'altro per facilitare il frazionamento delle terre a' contadini dando lavoro a' disoccupati e aumentando la possibilità di produzione del paese. Delle terre incolte e del dovere di assegnarle a' lavo-


— 201 — eran occupali s{)ecial mente il De Filippi, il De Mail Piemoate, il Pes e il Baudi di Vesme per la Sardegna. E d'altra parte «specialmente in materia di polizia campestre l'Agraria spiega un'azione infaticabilmente vigorosa per estirpare le diffuse velleità di collettivismo agrario pratico di cui è unanime la lagnanza fra i migliori agricoltori», segno questo che allora, come ora, non mancavano né i pazzi, né i saggi. Seguendo e favorendo l'esempio di Francia che attende in quel volger di tempo della quarta decade del secolo XIX a stabilir le norme di un codice rurale, l'Assocìazione « non cessa di insistere perché da tutti i comizi si concorra operosamente a raccogliere dati, informazioni, sugratori, si

rese,

il

Piola per

gerimenti pratici onde poter promuovere le correzioni amministrative indispensabili a rendere pienamente effettiva la tutela legale del fecondo spirito d'intrappresa ». E ciò vien discusso, per determinati rami della questione, ne' comizi di Mortara. Vigevano, Alessandria, Cuneo, Tortona. E

insieme l'As-

sociazione propone, con il cav. Giovanetti, nel comizio di Novara, che la cura dei mali che affliggevano le coscienze dei lavoratori e dei furti e degli altri segni di degenerazione, fosse

ad una ampia educazione popolare, idea sostenuta dall'Aragno nel seguente comizio di ^Jondovì e che portò a affidata

deliberazioni utili e sagge.

Esaminata così particolarmente l'opera compiuta dall'Associazione Agraria nel campo economico, il Prato ne passa a stupolitica. Nella prima egli si occupa di vedere, quanto e come nel gigantesco movimento

diare l'azione sociale e quella

di idee causato e dalle ricerche naturalistiche e filosofiche del

secolo XVIII e dalla rivoluzione francese, movimento al cui

cammino noi assistiamo ammirati, ma talvolta anche atterriti che incontra, l'Associazione Agraria rapprebene; e, pur assorbendo delle nuove teorie quello che di giusto v'era, seppe eliminare ciò che sapeva di distruzione e di inapplicabilitii. Il Prato in pagine brevi ma, dense di pensiero, fa la storia del movimento socialista ne' primi tempi del secolo scorso e studia quello che l'Associazione Agraria compi in un campo tanto dìflìcile e delicato. Il (ìecconi, il Pelitti, il primo più «la poeta, il secondo da uomo saturo di reale correzione delle cose; il Giulio, lo stesso Balbo si occupano attivamente della questione, tutti però con tendenze schiettamente moderate, non per

le

diftìcoltà

sentò la parte di moderazione e di


— 202 — facili

all'entusiasmo, né scettici a priori,

ma volonterosi dì

fare quello che è possibile compiere. Il Prato

pone subito in

linea la chiaroveggenza del Cavour che, sebbene antisocialista,

fu

uno dei primi ad affermare la necessità dì una prudente

legislazione sociale difendendo la legge inglese dei poveri per la quale

non si doveva abbandonar nessuno fino a farlo ca-

dere nella più nera miseria ed asserendo nel Risorgimento^ nella fine del 1848, il proposito di patrocinare gli interessi operai. Questa fu idèa del Gioberti che egli affermò nel pro-

gramma politico del suo secondo ministero

questo voleva il Mazzini: ma né l'uno né l'altro potevano attuarle mancando loro quella cognizione esatta dei mezzi di conseguirle; cognizione che possedeva invece il Cavour, E il Petitti sosteneva il dovere del governo di partecipare alla lotta contro il pauperismo, e il Cerutti voleva che lo stato aiutasse con mezzi economici ed intellettuali l'evoluzione delle masse. Il Prato poi ci dà un elenco delle mercedi che riscuotevano gli operai per il loro lavoro giornaliero, utilissimo per il confronto con le condizioni attuali si ricava che il proletariato allora, non ostante tutte le buone volontà dei filantropi e dei sociologi, non dormiva in letti di rosa, pur essendo lontano da quelle descrizioni di miseria delle quali si compiacciono tanto gli arruffa:

:

popoli ed i superficiali osservatori della questione. Il danno che questi signori potevano fare alle masse, fu subito rilevato da Vincenzo Gioberti, che nel suo Rinnovamento sosteneva il dovere delle classi dirigenti di strappare le masse ai demagoghi e trasformarle in popolo cosciente di superiori deammaestramento questo, che non dovrebbe andar perstini duto per gli uomini che ci governano oggi. E l' idea del Gioberti fu sostenuta e diffusa dall'Associazione Agraria dal Valerio e dal Melata Plezza, consapevoli che bisognava offrir al popolo subito qualcosa di buono, se volevasi strapparlo dalle unghie dei mestatori e proponeva perciò, il 9 settembre 1846, che i possessori del suolo dovessero essi spontaneamente render partecipi in modo più largo i lavoratori de' frutti della terra e combatter il pauperismo prima che si fosser fatti sentire in modo pericoloso i dolori che il lavora:

;

tore soffriva

per tanta trascuratezza e

per tanto patire.

Il

Conte di Casanova nel comizio di Vercelli dava l'esempio distribuendo e cercando di formare una società fra i grandi proprietari, che concedesse o gratuitamente o quasi, a' lavora-


— 203 — esempio che a Levi il Cavour sejfuiva coscienziosamente e largamente. E la presidenza e la mutualità che tanto potevano influire sull'evoluzione delle classi lavoratrici, non ostante che esse, non intendendone il bene, talvolta, se non quasi sempre, fossero ostili a tentativi che si facevan di applicarle fra loro, e la disciplina del lavoro e l'assistenza delle donne e dei fanciulli eran tutte questioni che eran discusse e studiate nel miglior modo di attuazione dalla Associazione Agricola che dimostrava di intendere nella lor compiutezza e nelle lor conseguenze mediate problemi sociali dell'ora, che attravered immediate tutti sava. Essa mirava a dare al paese un assetto economico tale per cui, eliminate le cause di lotta, le diverse classi sociali si fossero fuse nell'unico scopo del bene e della grandezza del paese ed investiva « così veramente, in tutte le sue forze spiritualmente e concettualmente dirigenti la società che con laborioso progresso si veniva rinnovando». Da quanto siam venuti dicendo si può comprendere quale importanza l'Associazione Agraria avesse nel movimento nazionale e nell'lopera di preparazione alla epoca, che doveva condurre alla libertà della patria. Questa importanza il Prato dimostra nel breve ma efficace capitolo in cui esamina l'azione politica della società agraria. Egli pone subito in rilievo il fatto che intorno ad essa si eran raccolte le menti pili autorevoli d'Italia, le qiiali pur ragionando di cose agricole, industriali, di miglioramenti economici, avevano modo di intendersi, di eliminare i pregiudizi che avevan diviso fino lori suoi, medicinali, viveri sani:

i

a quel momento le energie nazionali, e di gettare, lentamente, quasi impercettibilmente le basi di una unione di spiriti donde

sarebbe poi conseguita la fusione della azione ed il raggiungimento dell'unico fine comune. Ond'è che, proponendosi questo scopo patriottico l'Associazione Agraria assolse mirabilmente il suo compito, ed il Prato ce lo dimostra, sia che egli ci dia l'elenco delle persone che vi aderivano pur abitando fuor degli Stati Sardi e abitanti ne' diversi principati della penisola, fra le quali i lombardi avevan il primo posto, sia che ci renda conto dei due congressi di Mortara e di Casale nei quali la nota deirindif)endenza fu la dominante e si svelò la vera essenziale natura dell'Associazione stessa. 11 l^a Margherita atieeosamente, come osserva con acume il Prato, parla dell'Assemblea tenuta dalla nostra società in Mortara


— 204 9 settembre 1846; che in essa convennero i lombardi; e il vedere uniti a' fratelli piemontesi quelli d'oltre Ticino in un'intesa spirituale, apparentemente economica, sostanzialmente italiana, non poteva sfuggire, e a chi non voleva senil

tir

parlar troppo d'Italia e d'intese italiane, e a chi

non de-

siderava turbare il regolare andamento degli affari di governo. Se non fosser bastati i discorsi privati che vi si tennero fra que' valentuomini e patriotti mentre ad alta voce trattavan argomenti di natura economica e sociale, sarebber stati sufficienti

i

brindisi che furon fatti al banchetto nell'ultimo dei

quali « si propinò prima per enigma, e a mano a mano che gli

animi si scaldavano e la piena del cuore traboccava, a Carlo Alberto ed all'Italia». I lombardi Freschi e Sanseverino inneggiarono al re che li aveva ospitati, e, ben nota il Prato, « furono i primi voti ed i primi omaggi resi pubblicamente da lombardi al principe sabaudo ». E le parole del Valerio non misurato nel suo dire tanta era la gioia di poter parlare come il cuore dettava, non lasciaron dubbio sulla indole della riunione. Ben fa il Prato a ricordare che Carlo Alberto non volle che fosser molestati gli intemperanti oratori, cosa questa inaudita per il governo sardo, situato a' confini coll'Austria, che teneva gli orecchi ben aperti. È vero che tali condiscendenza del re andava spiegata con il risentimento sovrano contro le prepotenze austriache nella questione delle tariffe doganali che tanto avevan danneggiato il commercio dei vini piemontesi e con l'opera di Pio IX da poco eletto al pontificato ma non perdeva per questo il suo alto valore, e l'opera patriottica dell'Associazione Agraria raggiungeva quel che si :

era prefisso. Eguale spirito

animò

i

congressisti -quando

si

riunirono l'anno dopo, il 15 settembre 1847, in Casale, in cui la tinta nazionalista prese tanto il sopravvento da prendere quella piega che tutti conoscono. Il Prato narra diligentemente ciò che avvenne e in assemblea e fuori assemblea e spiega le ragioni di quel modo di agire, come ricorda la fa:

mosa lettera del Garignano letta dal Conte di Castagneto, atta a togliere dubbi e a riportar la concordia. Come l'anno scorso la prepotenza austriaca aveva determinato il Carignano ad accettare implicitamente voti ed auguri, così ora, quel ch'era avvenuto in Ferrara, influì sulla condotta di Carlo Alberto, di solito chiuso e severo per gli altri e per sé, a svelare l'animo proprio. È vero che quello sprazzo di luce fu fatto scon-


— 205 — da due mesi di cupo silenzio che fece disperar molti uomini politici di Piemonte, primo de' quali Cesare Balbo che lavorava per spingere il Garignano nella via in cui aveva mostrato essersi messo ma è certo che la lettera letta a Casale tare

:

doveva essere documento di primo ordine, dagli effetti incalcolabili. E non senza ragione il re volle aprire sé stessp in Casale, che nella Associazione Agraria egli riconosceva l'organismo sociale, scientifico, morale, patriottico più saldo del

suo regno. E negli eventi che seguiron, lieti e tristi, negli anni seguenti, l'Associazione Agraria lavorò nel bene d'Italia. E non solo economica, sociale, politica fu l'opera benefica dell'Associazione Agraria piemontese, ma, ed in modo notevole, intellettuale e morale. Il movimento d'idee che essa destò in Piemonte per risolvere le numerose questioni che ragioni di umanità e di patria le venivan presentando, mentre chiamava le menti più nobili degli Stati Sardi, che lavoravan nelle loro biblioteche, lontane dal sole

il

mondo, a portare

alla luce del

loro contributo alla prosperità del paese, arricchiva la

scienza italiana di opere notevolissime e accentrava intorno

Piemonte l'attenzione generale d'Italia e d'Europa. Vincendo, con il tacito consenso di altissimi personaggi, la stupida ostilità che la polizia e la censura civile e religiosa moal

vevano a qualunque tendenza scientifica che avesse avuto l'intenzione di dar nuova aria al paese, l'Associazione Agraria aveva offerto mezzo agli ingegni degli Stati Sardi di svelarsi e di agire, come potevano essi agire. E nel popolo furon diffusi libri utili che ne migliorarono l'educazione, e periodici pian piano furon pubblicati, che servirono a preparare una coscienza là dove non era che vuoto o quel che v'era era male. E come fosse accolto questo risveglio colturale provò il fatto che V Enciclopedia popolare, dagli intenti ben noti, raccolse ben presto ò.OCK) aderenti. Da notarsi fra gli altri fenomeni questo risveglio intellettuale piemontese, auspice diretto o il 3 gennaio 184() il Galvagni inaugurava una scuola di diritto commerciale, aperta dalla Camera di commercio, avviandosi così a costituire, con di

indiritto l'Associazione Agraria, che

economia politica nell'Università degli .««tudi, un sistema destinato ad emancipare la pratica mercantile dall'ignoranza e dal tradizionale empirismo. E circoli di la cattedra di

tutto

lettura furon aperti

in Torino, per

il

Pomba, a Rivarolo, a

Cuorgnè, ad Alghero, a Cuneo, e lentamente negli altri centri


— 206 — grandi o piccoli del regno. E l' indirizzo intellettuale del paese doveva implicitamente essere assunto dall'Associazione Agraria, quando vi erano uomini aperti alle grandi verità della vita, che sapevano precorrere gli avvenimenti e dominare gli eventi come il Cavour, l'Alfieri, il Pareto e gli altri eletti

membri della società. Essi, quando si trovavan nelle lor

provincia, continuavano l'opera loro di rigenerazione morale ed intellettuale del paese, onde il buon seme sedi della

veniva diffuso e cresceva silenziosamente, ma con rara effiEd i frutti si raccolsero quando vennero i tempi. Conclude il suo ampio e geniale lavoro il Prato, sintetizzando l'opera del Carignano che aveva assistito favorevole, aiutando quando mensi sarebbe creduto, l'Associazione Agraria nel suo difficile compito, per l'intelligenza piena e sicura dei problemi economici del suo regno e per il criterio ampio di vita che egli possedeva non ostante l'apparenza fredda e restia a novità. E, nel raccogliere in brevi parole l'attività della Associazione stessa, riepiloga cosi lo stato di idee, l'evoluzione morale ed economica delle classi sociali piemontesi « Gli anni che corrono fra il 1830 ed il 1848, ci fanno assistere in Piemonte a un magnifico saggio delle vicendevoli correlazioni, per le quali l'evolvere dei fenomeni economici, il divulgarsi della coltura e la riforma di giuridici istituti, convergono alla creazione d'un rinnovato clima sociale a porger materia per i più geniali ardimenti ricostruttivi. Una borghesia non ricca, ma intimamente cosciente dekprincipii al cui contatto dileguano gli ultimi residui del vecchio mondo, spontaneamente si unisce ai migliori rappresentanti delle classi tutt'ora privilegiate nel favorire ed incoraggiare gli sforzi di un principe volonteroso verso un assetto sociale ispirato ai canoni della progrediente cacia.

:

coltura scientifica. Si forma per tal modo una classe dirigente

degna veramente di tal nome perchè decisa a tradurre in atto omaggio ai quali soltanto si pronuncia l'ostracismo a rispettabili fedi ed a tradizionali superstizioni, sempre profondamente radicate nel popolo».

gli ideali dottrinari, filosofici in

Noi, dal canto nostro, vorremmo che questo magistrale lavoro e specialmente queste ultime parole fosser meditate da' nostri contemporanei, facili nel prevedere sventure e nel

pianger distruzioni di organismi sociali, atterriti da sistemi che non avranno mai vita, perchè fondati su sofismi, quando non si appoggiano a menzogne. Vorremmo che fosser lette e


— 207 — pensale con la consapevolezza piena, che nulla nella vita

si

distrugge e si sperde, ma si perfeziona e si evolve. Color che condizioni speciali di cose hanno temporaneamente costretto

ad abbandonar il posto di battaglia e a cedere il campo ad una gente nuova, mista di credenti, di esaltati e di indegni, ritorneranno più forti e migliori, quando la fede nella loro virtù li avrà nuovamente vivificati e resi capaci di lotte più fiere sì, ma di vittorie più grandi e più belle. Quella fede che in altri tempi ben più diffìcili moveva un gruppo di pensatori e scienziati a tentare un'impresa che sembrava quasi irraggiungibile, animi ora i vacillanti, i tiepidi ed i forti: la fede, che la patria non può morire. La patria non è un pezzo di pane, né una conquista di classe, né scatenamento di passioni e di odio; la patria é lo sviluppo di tutte le classi, il benessere di ognuno, che deriva dal Javoro e dalla fusione delle energie comuni, è compendio di ogni affetto più caro. Allora ottenuta la concordia degli spiiiti, domati gli istinti bestiali delle folle con disciplina severa, ma giusta, nelT armonia delle opere e della mente e del braccio, ritrovato l'equi-

momentaneamente perdulo, il nostro paese riprenderà cammino verso la luce, nel quale lo hanno indirizzato gli

librio il

uomini nobili e grandi, che lo hanno fatto risorgere, a prezzo anche della lor vita, perchè fosse ai secoli maestro di verità e di giustizia.

Eugenio Passamonti.

Arturo Segre. — Il Senatore Barone Antonio Manno, Torino, Bonis e Rossi, 1919. Qualsiasi cultore, e della storia italiana in genere e della pie-

montese in ispecie, dovette sentire un vivo dolore quando si diffuse la notizia della morte del Barone Antonio Manno. Che. sia per produzione personale, sia per attività spiegata presso gli studiosi di questa nostra terra, all'opera del Manno è collegato, in

gran parte, il risveglio di studi del periodo in cui

il

Pie-

monte incominciava a divenire il centro della vita e delle si)eranze della nostra penisola. Semplice, modesto, come egli fosse

un gregario e non un capo, promuoveva tutto il movimento intellettuale che ha dato negli ultimi trent'anni tanto ed importante contributo alla coDoscenza scientifica della storia del


- 208 — Piemonte e d'Italia. La sua opera « è così vasta e poderosa da apparire eccessiva alle forze di una mente sola per quanto munita di forte fibra e di infinito amore ». E, pure ammettendo che qua e là nell'enorme messa delle notizie, specialmente araldiche e genealogiche, il Manno abbia potuto commettere lievi inesattezze, la sua produzione, complessivamente parlando, rimane pur sempre contributo di primo ordine. Bene ha fatto perciò Arturo Segre a ricordare con elevate e sentite parole il Barone Manno sia come uomo, sia come studioso. E quest'ultimo il Segre segue da quando l'illustre Senatore pubblicò la preziosa Reiasione del Piemonte del signor di Sainte Croix, arricchendola di dense note utilissime per l'intelligenza degli Stati Sardi durante il secolo XVIII, a' primi amori con il periodo di Vittorio Amedeo II, amori chi il Manno non abbandonò mai e che dettero vita alla grande raccolta, da lui promossa, di studi e documenti sulle campagne in Piemonte e l'assedio di Torino: raccolta di cui sono usciti sette volumi ed altri ancor se ne attendono. Ed il nostro compianto Barone sìa che si dedicasse alla guerra di successione spagnuola, sia che lo attirassero- gli studi sugli usi Piemonte medioevale, sia che Carlo Alberto di-

e costumi del

venisse per lui oggetto di esame ponderato nella rivoluzione del 1821 e in alcuni periodi del suo regno, sia che Monsignor Corboli Bussi gli tacesse sentire il bisogno di un volume che ne ponesse in rilievo l'opera diplomatica nel periodo delle ri-

forme, seppe sempre dare cose degne di sé. E sarebbe mancanza imperdonabile, accennando all'enorme opera dell'illustre storico, il non ricordare la sua Bibliografìa storica degli Stati della Monarchia di Savoia, che ci auguriamo venga continuata con una certa sollecitudine, ed il suo Patriziato Subalpino; deìV una. e dell'altro speriamo venga presto alla luce quello che rimane tutt'ora inedito. Il Segre degnamente ha parlato del Manno come scienziato, di fronte al quale ci inchiniamo riverenti ed ammirati. E ci auguriamo insieme che altri, ed in modo più ampio, fissi in linee esatte la figura del Manno come gentiluomo e patriotta di fede integerrima e pura, affinchè in questi tempi dì scetticismo in cui ogni ideale sembra essere insozzato dalla marea di fango che gente nefanda solleva per bassi, triviali interessi, valga la memoria di questo nobilissimo uomo a animare 1 deboli, a confortare

i

forti,

Eugenio Passamonti.


— 209 — Carlo Contessa. — Il Conte Mario degli Alberti, Torino, Bonis e Rossi, 1919.

A pochi mesi di distanza dalla perdita del Barone Manno

i

un altro loro valente cultore. 11 Conte Mario degli Alberti, erede, per via di donne gentili, dell'archivio La Marmora aveva voluto degnamente onorare la memoria degli avi, illustrando con notevoli, poderose opere la figura di Alfonso La Marmora, che vissuto, politicamente parlando, in uno dei più agitati periodi del nostro risorgimento nostri studi erano privati di

era stato giudicato o con eccessiva severità, che rasentava talvolta la villania, o con una larga condiscendenza causata dal bisogno di difendere con l'uomo, un'idea ed il paese. Onde l'opera del Conte degli Alberti non solo ha valore per l'intelligenza di uno dei personaggi più noti del nostro Risorgimento, ma per l'esame imparziale, per quanto è umanamente possibile, di notevoli periodi degli ultimi settant'anni di storia italiana. Appunto perciò noi

sentiamo più vivo il dolore della morte di questo gentiluomo, perchè s'egli tosse ancora vissuto, come, chi lo conosceva, desiderava, avrebbe completato la ricostruzione dell'opera di Alfonso La Marmora, sia secondo il suo modo particolare di vedere, sia pubblicando integralmente l'epistolario dell'illustre uomo. Dell'attività del. compianto conte sono testimonianza preziosa non solo suoi numerosi contributi sul Ricasoli, il Cavour, il Tommaseo,! moti del Ì8^\ e il periodo della restaurazione in Piemonte, ma anche i tre grossi volumi sull'azione diplomatica di Vittorio Amedeo Balbo Bertone di Sambuy, poderosi per ricchezza di documenti e per note, che contribuiscono assai ad illuminare la politica della corte piemontese nel i

periodo precedente l'epoca delle riforme ed a restituire nella sua realtà Carlo Alberto, tanto calunniato, perchè poco cono-

Non solo di storia contemporanea

occupò il Degli un notevole studio sui rapporti tra Francia e Piemonte nella seconda metà del secolo XVIII, in occasione del matrimonio di Maria Giuseppina di Savoia con il Conte di Provenz^i, e gli sorrideva l'idea di contribuire alla conoscenza della Contro Riforma servendosi del carteggio di Giovanni Stefano La Marmora che fu nunzio a Praga ne' primi del XVll secolo. Opera saggia ed onesta ha fatto perciò il Contessa nel comsciuto.

si

Alberti, ma dedicò gli ultimi tempi della sua vita ad


- 210 memorare, degnamente, questo gentiluomo e studioso ed a formulare l'augurio che la sua opera venga continuata da «lette persone.

Eugenio Passamonti.

Italo Raulich.

— Storia del Risorgimento politico d'Italia,

Volume primo (1815-1830). Bologna,Zanichelli,1920, pp. 500. Ci limitiamo a segnalare

il

volume novissimo del Raulich,

riservandoci di parlarne adeguatamente, quando sia possibile

un giudizio pari all'importanza dell'opera. Già nel novembre dello scorso anno, discorrendo di questo suo libro nell'i^aWa

che scrive, il Raulich aveva accennato alle gravi difficoltà deldi rimproveri per la sua, l' impresa e anche alla possibilità

come chi dicesse, temerarietà. Niente di tutto questo

non vi non meriti il conto di essere tentata: forse, vorrei dire polemizzando col Raulich deW Italia che scrive, non tanto per « rabbonire il gran pubblico e riconciliarlo con gli storici » (il gran pubblico non legge certe cose, né è in grado di apprezzarle) quanto per dare a questa nostra scienza quella forma d'arte, che sembra sia andata smorzandosi to:

è impresa nobile che

talmente nel cuore e nel cervello degli storici nostri. Questo è quel che vedremo; e sarà la lode più bella alla fatica del Raulich.

Edgardo Gamerra.

Gli albori del Risorgimento italiano. I moti piemontesi del 1821 (in Nuova Antologia 16 marzo 1920).

Ferroglio G.

Da diverse importanti sentenze pronunciate a carico di una settantina di cospiratori del ventuno, il Ferroglio trae materia

per alcune considerazioni di carattere generale sull'indole di quei moti, i quali, diciamolo subito, ebbero un valore essenzialmente locale, né influirono, piìi degli altri congeneri, a correggere, meglio che a risanare le malefatte di un regime divenuto impossibile. Il misogallismo del governo restaurato, fatto ad imitazione di quello post-murattiano di Napoli, si lasciò andare a rapné paopresaglie e ad eccessi, di cui gli stessi bempensanti


lotti,

patcriiii

-211

- sentivano la nausea. Ora, il movimento,,

economico, ma, in fondo, proprio polida borghesi angariati e da aristocratici in urto con l'Austria, dopo un decorso, quanto mai drammatico e breve, falli. La forza, in mano alla reazione, soffocò quella rivoluzione intellettuale e romantica; tutti sanno che, a parto Carlo Felice, l'italo Amleto, una cosa e l'altra, cagion principale dell'insuccesso fu l'assoluta immaturità e imprepara-

che

tu, alla superfìcie,

tico, capeggialo

zione dell'atto. Il

Ferroglio, in

un articolo che è interessante tino a metà,

tenta un ravvicinamento di quei moti piemontesi con gli attuali italiani.

Francamente il tentativo mi pare

ardito, tanto

più che quando siamo alle conclusioni, l'A. non riesce a trovarle.

meglio, le trova, ma con resultato negativo.

Ed era da immaginarselo. Un grande argomento del F. è la quasi assoluta mancanza di violenza collettiva (rottura di vetri, sassate etc.) che- caratterizzò, a

difi'erenza dei presenti,

quei rivolgimenti. Verissimo. Mi verrebbe voglia di chiedere: solo in questo sta la disparitàf Sarebbe poco davvero sono le finalità che contano. Cosa volevano, in sostanza i cospiratori del '21 e cosa vogliono oggi :

masse tumultuanti'? Chi erano quei borghesi, carbonari e i moderni rivoluzionari? Cosa nasceva allora e cosa finisce oggi"? Problema gravi, e cui il F. lascia senza neppure affrontare. Edgardo Gamerra. le

romantici, e chi sono

E. Mayor des

Planches.

— Re Vittorio Emamiele II alla vi-

gilia della guerra del '70 (Nuova Antologia, 16 aprile 19120). I documenti inediti, che l'insigne diplomatico ha creduta opportuno pubblicare, a illustrazione di fatti, in ogni modo, ben noti, ma ancora bisognevoli di chiarimento, servono egregiamente a confortare l'opinione degli storici, per quanto risguarda lo stalo d'animo della politica italiana, e sopratutlo' del He, alla vigilia del conflitto franco-prussiano. Cose nuove Planches non ne dic^, né le potrebbe dire. La il Mayor des sua prosa è rigida, seccai, compassata: mente abituala a vedere nel documento diplomatico il canovaccio invisibile, su cui poggia tutta la trama, egli conforta quei telegrammi, che


— 212 — intercessero tra

il

'

Visconti Venosta ed

il

Re, di acuti e per-

sonali apprezzamenti.

Pure, se cose nuove non ci possiamo trovare, sentiamo che la

buona fede del Re era indiscutibile, allorché negava a Na-

poleone III un aiuto, il quale per esser sincero, avrebbe dovuto stanziare nel sentimento del popolo, finalmente appagato. Vittorio Emanuele, sul principio del luglio 1870, si tro-

vava in Valsa varanche a cacciare: nessuna preoccupazione più forte turbava l'animo suo: a Firenze ogni cosa era calma: in Europa sembrava esser pace. Ma del repentino mutarsi degli eventi, il Re ebbe notizia dal Visconti Venosta il 7 di luglio: l'otto un nuovo telegramma già parlava di guerra: poche ore appresso egli apprende che l'Italia manterrà verso la Francia una benevola neutralità. Il Re si secca di tutto ciò: si maraviglia del silenzio di Bismarck con lui: vorrebbe tornare a Firenze:

ma lo si lascia, per il momento, a cacciare.

sua interezza, il problema senza soluzione, al quale Vittorio Emanuele, con tenacia di montanaro e di galantuomo, assegna la suprema importanza. Nei momenti in cui sembra che la Francia riporti il trionfo diplomatico e l'Europa respiri per lo scongiurato pericolo, il Re pensa a Roma. Il 15 luglio torna a Firenze, deciso a far da sé. Nel nervosismo di ogni cosa, i suoi telegrammi a NaE- allora

si

profila, in

tutta

la

poleone sono di una sorprendente lucidità e padronanza di spirito: patti chiari e amicizia lunga. Il

Beust, ambasciatore austriaco, visti gli umori del Re,

scrive confidenzialmente al Principe Riccardo di Metternich,

che, ove

l'

Italia

si

fosse levata la spina di

Roma, sarebbe

stata col cuore a fianco degli alleati. Meglio d'altronde il Papa

salvaguardato da truppe italiane, che in preda ad « entreprises garibaldiennes ».Solo che "avvenuta la

dichiarazione di

neutralità da parte dell'Austria, Vittorio calma

i

suoi scru-

poli: e siccome la Francia avversava apertamente le aspira-

zioni nazionali italiane, cadute le

due condizioni

alle

quali

propria adesione per un

il Re aveva subordinato la eventuale soccorso, ogni cosa andò pel suo verso e chi dovette avere ebbe, e nessuno trovò a dirci nulla. Come ci fu possibile andare a Roma, col timore di quelle entreprises garibaldiennes, tutti sanno o almeno credono di sapere sufficientemente. Mi riservo di pubblicare tra breve, sulla stessa Nuova Antologia, una serie di documenti, relativi

soltanto


- 213 per l'appunto a una di queste enireprisea, che avrebbe dovuto

Roma. Edgardo Gamerra.

aiutare e favorire la marcia dei regi su

Vamba (Luigi Bertelli). — Un secolo di storia italiana {18151918), Firenze, Beraporad, 19-20, pp. 265.

Chi ricordi « Casa mia, casa mia » il fortunatissimo e appassionato libretto, con cui Vamba riusci a disegnare il profilo

allegorico del nostro risorgimento politico, non potrà non

far festa a questo nuovo lavoro, che traspira la vivacità del suo

autore, e risente di quella simpatia diffusa, che

si

stabilisce

subito fra chi racconta cose grandi con parole semplici, e le

anime semplici che abbiano disposizione ad udir cose grandi. In questo Il

il

Bertelli è sovrano.

libro, storicamente, ha

i

i

suoi difetti: ma non è un libro

i suoi critici debbono essere giovani: e si può star certi che il successo sarà completo. Basta aver pratica di scuola, per sapere come i libri di testo

per gli storici

:

i

suoi lettori e

conducano di preferenza ad odiare, che non ad imparare la storia. Quelle figure rigide, cristallizzate, ristrette in una prosa angusta e spesse volte ostrogota (i testi di storia sono, nove volte su dieci, in lingua ostrogota) non parlano al cuore dei giovani: sicché si finisce, dopo tre anni, col porre Re Pipino e Carlo Alberto sopra il medesimo piano. Il libro di Vamba è un ardito tentativo di riforma, che merita tutta l'attenzione di chi crede alla efficacia della storia nella

formazione dello

spirito. Quanto poi all'imbastitura dell'opera, ci sembra vera-

mente che le

ripartizioni, pur

non distaccandosi dalle con-

suete, si affranchino da alcune viete forme retoriche e spazino

per conto loro in un

campo più sano e

più libero: ottima da principio ai giovani che le quarantottate, non hanno assolutamente nulla a che fare col cosa, quella di

insegnare

fin

184^:

Edoardo Gamerra.


— 214 —

RECENTI PUBLICAZIONI UNA PREMESSA. Non è una bibliografia che vogliamo qui offrire e nemmeno unO spoglio accurato e sistematico degli innumerevoli contributi alla storia del Risorgimento apparsi negli ultimi tempi, ma si un breve indice di quelle fra le pubblicazioni migliori, le quali, appunto per essere seminate un po' qua e un po' là, risentirebbero troppo della eflmera vita dei fogli sui quali comparvero, e finirebbero col passare dimenticale. Chi si occupa di questi nostri studii sa, per pratica, quanto sia amaro il cercare, ove manchi una guida qualsiai^i, e come il perdersi in questo

mare sia facile e non sefnpre possibile venire a

porto.

Senza andar tanto in là, ci siamo rifatti dagli ultimi studii più degni, elencando e vagliando : sono infinite le lacune, ma quel che c'è, è

materia di no?i dubbia importanza e di indiscusso valore.

Edgardo Gamerra. Bassi Ugo. 1.

— P. G. BoFFiTO, Ugo Bassi (note bibliografiche). (Napoli, Giannoni, .1919).

Bonaparte. 2.

— L. Rava,

3.

— G. Sforza, Nuovi documettti sull'eccidio dei fratelli Bandiera

Il giornale di Bonaparte in Italia « Le Courier de l'Année d'Italie 1791 ». (Tip. Acc. Lincei, 1919).

Bandiera. e dei loro compagni. (« Rass. Storica Rlsorg. », dicembre 1919).

Cantìi Cesare. Cfr.

:

giornalismo italiano.

Capponi Gino. 4.

— E. Passamonti, Il Ministero Capponi e il tramonto del liberalismo toscano

?iel

1848. (« Rass. Stor. Ris. »,

I-Il,

1919).

Cattaneo C. 5.

— Momigliano,

F.,

Un precursore : Carlo Cattaneo. (« Mess. Dome-

nica », marzo 1919). 1

i


- ^215 — MoMKJLiANo F., Il classicismo di Carlo Cattaneo e la questione

(j.

(« Rivista d'Italia »,

della liìifTxa.

giugno

1919).

Cavour.

— Ricci U., Cavour antiprotezionista (« Rivista d'Italia», febbraio

.7.

1919).

CoUetta Pietro. X.

— M. Mazziotti, Un'atroce accusa contro P. Colletta (« Rass. Stor. Ris.»,

Ili,

1919).

De Lieto Casimirro. 9.

— VisALi.i Vittorio, Casimirro De Lieto e la lega italica del 1848. (Roma, Tip. Camera Deputati,

1919).

D'Azeglio M. 10.

— Paladino

G., Lettere inedite di D'Azeglio a

(4 Rass.

MI,

Stor. Ris, »,

Guglielmo Ludolf.

1919).

Garibaldi (jinseppe. 11.

— T. HiTTiM, Garibaldi e («

12.

Rass. Stor. Ris. »,

il

Governo sardo nel settembre Isis.

I-II,

1919).

— Luzio A., Garibaldi e la Marchesa Rajmondi. (* Lettura marzo

»,

1920).

Gioberti Vincenzo. 13.

— Gentilk

G., Il

realismo politico di

V. Gioberti. (< Politica »,

aprile 1919).

Guerrazzi F. D. 14.

— Oamkrra e., Francesco Domenico Guerrazzi e la sua prigionia volterrana nel i849 (documenti di archivio) {* Rass* Stor. Ris. »,

marzo

1919).

GiornaliHmo italiano. 15.

— G. Brognolioo, /l curato di Montacino - Episodio dell'attività giornalistica di Cesare Cantii.

(« Ra^s.

Naz. », 16 gen-

naio 1919). 10.

— E. Gamrrra, Giornali bolognesi del Risorgimento - La Gazzetui di

Bologna (1815-1870) (Bibl. dell'Archiginnasio). Ho-

logiia, Zanichelli, 1920.

17.— K. sti:i. \, // giornnlhmn patriottico in Calabria avanti il iHi8 (€ Rass. N izo 1919). IH.

— E, Gamkrra, Un giornale del P. Gavazzi (1848) {• Rass. Naz. dicembre

J919).

MaHHoneria.-

»,


— 216 — 19.

— SoRKiA R., Settecento tnassonizzante e massonismo napoleonico nel

primo ri&orgimento

storia patria », 20.

.

— Di Rubra

D.,

italiano.

(« Boll,

pavese

di

anno 1919).

Giuseppe Mazzini coìitro la massoneria - Studio Maria Capua Vetere, 1919).

storico-critico. (S.

Modena. 21.

— SoRBELLi A., Come e per opera di chi nacque la congiura Mattioli. («Rass. Stor. Ris. »,

111,

1919).

Mazzini. 22.

— L. Carcereri, i4 lettere inedite di Mazzini a D'Agnino (186872). (« Rass. Stor. Ris. Ital. »,

23.

li,

1919).

— Zagaria R., Lettere inedite di Mazzini. (« Rass. Stor. Ris. 111,

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1919).

24.

— Gentile, La madre di Mazzini.

25.

— Luzio, Il Mazzini e sua sorella Antonietta (epist. domestico).

(« Riv. d'Italia », maggio 1919).

(«Nuova Ant. », marzo 1919).

— PiccoTTi E., Marx e Mazzini. Riv. d'Italia febbraio 1919). 27. — Galimberti A., Giuseppe Mazzini nel pensiero inglese. Nuova 26.

»,

Ant. », luglio 1919).

Mnrat. 28.

— F. Masson, D'Ischia au Pizzo:

les

derniers jours de L Murai.

(«Revue des deux mondes », MI, 1919). Pellico. 29.

— Brognoligo, Un nuovo commento al Pellico (del Gustarelli). («Messaggero della Domenica», giugno

30.

1919).

Pepe Guglielmo. G. Paladino, G. Pepe e il ritiro delle truppe Napoletane dall'alta Italia nel 1848. (« Rass. Stor. Ris. »,

1,

1919).

Rivoluzioni. 81.

— G. Ferrerò,

Il

1848 (eccellente studio sulle rivoluzioni di quel-

l'anno) (« Nuova Riv. Stor. »,

I,

1919).

32. — G. Ubanti, La coscienza popolare nella rivoluzione siciliana

del 1860. («L'Ora», 2 aprile 1919).

Roma. 33.

— F. Gentili, In Roma,

il

Consiglio di Stato nel 1848, e il suo

primo presidente C. Luigi Morichini. (« Rass. Stor. Ris. », 111,

1919).

(Continua).


\'0L.

Luglio- Dicembre i920

XIII

Fasc. 3-4

RISORGIMENTO ITALIANO

IL

Nuova Serie pubblicata dalla

SOCIETÀ STORICA SUBALPINA

Wm\

Simo E CiSlI lEL REGI Bl

NEGLI iil

m%

MISSIONE PINELLI A ROMA i*l

E LA

Le libertà statutarie dei regno sardo superarono la seconda burrascosa crisi della loro esistenza dopo quella conseguente alla battaglia di Novara durante la lunga contesa giurisdizionale, che toccò un alto grado di tensione nel 1850. Grande era il disagio di quello Stato che ardiva reggersi con ordini costituzionali fra il malanimo di potenze grandi e piccole, le quali aborrivano dalla libertà come da un sovvertimento del principio di autorità, e temevano il contagio dell'esempio. Se il governo sardo voleva andar cauto e sicuro, gli bisognava giocar d'equilibrio e guardarsi così da una politica troppo audace, che l'avrebbe condotto partiti di sinistra per necessità di difesa a buttarsi con contro una sicura reazione di dentro e di fuori, come da soste e rallentamenti, cui non avrebbero tollerato liberali. La pace interna e la situazione politica internazionale non consentivano altra via. Tutte le virtù di misura, di fred-

i

i

dezza,

di

ponderazione, quasi diremmo

di

sopportazione,

del ministero d'Azeglio, tutte furono necessarie ad affron-

una discussione con la Santa Sede per una riforma giurisdizionale conforme allo Statuto. Perchè la questione fu anzitutto e sopra:utto politica. Le riforme per sé eran quelle che tempi volevano. E la Santa Sede le

tare la difficile prova di

i

<*) Dei documenti dell'archivio PinelH di Torino, che qui si pubMìrano « mì illuHtrano, siamo debitori al nostro Maestro prof. Pietro

KtMJfle dell'Università di Iloma, al

che riposo

in

noi affidandoceli

// Ritorg. ital., XIII

quale attestiamo

la

— per la fiducia

più devota gratitudine.

U


— 2J8 — aveva già subite, riconosciute, sanzionate quasi dovunque. Le avversava nel regno di Sardegna perchè qua lo spirito di

innovazione, la febbre della libertà,

nari

tenevano

piiì

sveglio

l'istinto di

i

fermenti rivoluzio-

conservazione della

Chiesa. Diremo di piiì, perchè la Santa Sede credeva obbligo

suo oppugnare le nuove istituzioni politiche e negare quello che si era concesso altrui era il solo modo possibile di osta;

colarne l'applicazione e la pratica. Alla contesa assistevano,

prendevano parte nell'ombra, curiosi e interessati, gli Stati europei, pili attivi quelli assolutisti, che appoggiavano la Santa Sede. Duplice era dunque l'aspetto del problema per ministero d'Azeglio, che era allora al governo del regno. il All'esterno, conseguire, se possibile, il benevolo consenso della Santa Sede alle disegnate riforme, tenendo insieme alto il prestigio del regno e intatta la sua dignità di Stato sovrano; all'interno, preservare il paese dalla reazione e dalle convulsioni rivoluzionarie, adoperandosi a togliere ogni

sorta di pretesti all'una e alle altre. L'aspetto interno

non

aveva meno peso dell'esterno per il governo, né meno

in-

teresse per noi.

L'accordo, che durante

i

primi tempi del regime costitu-

zionale nel regno di Sardegna parve stringere in un solo fascio liberali e cattolici, nasceva da un equivoco. Inaugurata l'era novella dal Pontefice, si era formata in molti catla

tolici

credenza che

la

pacifica

rivoluzione

svolta così com'era cominciata, che le litiche

si

sarebbe

nuove istituzioni po-

potessero benissimo conciliarsi col rispetto alla

gione; né pensavano che

reli-

Chiesa venissero disturbati nei loro secolari privilegi. Non condivideva cotesta credenza che la pietà del re Carlo Alberto giovava ad alimentare solo un esiguo numero di ultra-clericali, il quale contrastava tenace al movimento innovatore e sapeva di trovare consensi e aiuti fuori del regno. Per un altro canto viveva nel cuore di molti liberali la fede in una riforma religiosa (1). Essi sognavano che la religione

(1)

il

clero

e

la

Accenni alla riforma

si

trovano nei Carteggi cavouriani, e nel

Carteggio d' Azeglio-Pantaleoni qui sotto citato. Vedi pure lo studio del


— 319 cattolica si sarebbe spontaneamente purificata di tutto quanto

era considerato, con troppa semplicità, come una incrostazione parassitaria nata da interessi mondani, per ritornare allo schietto spirito evangelico; e che non avrebbe piìi osteggiato, ma accompagnato e benedetto io svolgimento

riguadagnando essa stessa l'antico Speranze siffatte di rigenerazione spirituale e politica illusero anche uomini di ardito pensiero: fino a un certo tempo sembrò crederci lo stesso Mazzini (2). Pio iX fece credere da principio di avere animo bastante a dare la spinta alla riforma. Quando, dopo il 29 liberali sognatori intesero che era vano attenaprile '48, derla da lui, non ne abbandonarono tuttavia l'idea, e credettero di poterla ancora attuare « cominciando dalla circonferenza per andare al centro» (3), procedendo cioè dal basso politico della nazione,

prestigio e potere spirituale.

i

clero su su fino al Pontefice. Un po' di

questo colore, stavano

i

piìi

avanti ai liberali

dell'avanguardia,

progressisti

non molti in verità nel regno di Sardegna, ma accesi, esaltati, turbolenti, risoluti a romperla col passato, e ostili per proposito al clero. Erano capeggiati in parlamento dal Brofferio.

Con queste premesse non è a stupire se quando si pose mano ad applicare e sviluppare principii contenuti nello i

Statuto, e

si

palesò l'incompatibilità

di

quelli

con

e privilegi ecclesiastici, un'incolmabile scissura

due

le

clero

correnti,

si

mosse

fino

i

poteri

aprì fra

illusioni.

Il

serrò a difesa delle minacciate sue prerogative, e

BarzbIìLotti, L'idea religiosa in

allora da diverse

si

net/li

uomini di Staio dH Itisorgi mento,

Nuova Antologia, fase. 12, 16 giugno 1887. p. 613. (l)

lettera di O. Mazzini a Pio IX, in Scritti editi ed inediti di G.

Mazzini, 2.» ed., voi. VI,

Roma 1881, p. 166. Tuttavia più tardi, nel

1858, il Mazzini scriveva:

t

sf»<^r»'te

videro

<'ht'

Pio IX,

le

terreno all'insurrezione, poi

come in apoHtolo e duce della redenzione Italiana, si accen-

Scritti, voi. ''J

il

moltitudini d'Italia guardare quasi universaliuente in

trarono non creduli, '

Nel 1847 gli uomini che nelle associazioni

repubblicane avevano preparato

X, p

ma inssi-iiiiii/i intortm

rssimo d* Azeglio r iJiomrao l'antiiwuni .

p.

249.

di

:ill;i

lui

IhukIìi'im

»,

161. (

iirte(/gi(>

medilo

,

io-


— 220 — così soltanto si trovò necessariamente contro le libertà statutarie.

Le discussioni si inasprirono presto. La libertà di stampa dava campo alla manifestazione delle opinioni e delle passioni più sfrenate. Alcuni giornali, organi dei progressisti e

portavoce delle frazioni estreme della sinistra parlamentare, con violenza il clero, lo accusarono di avere

assalirono

ostacolato e ritardato l'attuazione dei nuovi ordini politici

e attaccarono in fascio preti, Chiesa e principii religiosi, fra il

disgusto del clero pili aperto alle nuove idee e con grande

scandalo

di

molti cattolici che Credettero gli eccessi frutto

naturale della libertà, e disertarono le schiere liberali ritor-

nando col desiderio ai tempi

in

cui la

censura preveniva

così enormi empietà. Tuttavia le intemperanze stesse ser-

vivano come reagente e affrettavano

il

processo di chiari-

liberali, anche non potevano, davanti alla solleva-

ficazione della situazione politica interna. i

cauti e moderati,

pili

zione del clero, ristare e dare indietro,

I

— per quella vecchia

verità che le rivoluzioni, maturate attraverso un lungo svol-

gimento storico, sono piti forti della volontà degli uomini che le compiono, e li trascinano anche nolenti. E si disposero, con gli uomini del governo alla testa, a procedere sulla via segnata dallo Statuto, senza darsi pensiero delle oppoanche quelli che piìi avevano vasizioni; ben decisi a vincere con la fergheggiato una riforma religiosa

mezza gli ostacoli che si frapponessero. Sicché, in definitiva, per quanto concerne la situazione interna, le lotte giu-

ricale

e

ebbero per effetto

di

differenziare

moderato-costituzionale,

assegnando

risdizionali

partiti

i

a

cle-

ciascuno

posizioni nette (1).

documenti che qui vengono pubblicati illustrano appunto se non mutano le grandi oggi conosciuti dall'esono avvenimenti come linee degli sposizione che qualche studioso ne fece, dopo aver avuto I

taluni aspetti di quelle lotte; e

(1)

Ciò

si

rileva

anche dalla successiva lenta trasformazione dell'at-

teggiamento deìV Armonia, che si schierò definitivamente contro il governo e le istituzioni liberali solo nel 1850.


2^1 __ dei documenti

medesimi diretta o indiretta conoscenza, illuminano in compenso molti particolari che giovano a dare una pili piena visione dei fatti e a rettificare molte storture di giudizio.

m do speciale, e

La politica del gabinetto d'Azeglio, in

concorso personale del suo presidente, potranno esser meglio valutati. Nei liberalj-moderati, nonostante tutto, per-

il

sistette a

lungo

la fiducia di

cordo colla Santa Sede

;

conseguire un amichevole ac-

e la disposizione a transigere fino

all'ultimo limite, senza lesione dei diritti sovrani dello Stato,

e

cura di dar prova, davanti al mondo che guardava, del

la

più

benevolo spirito

di

conciliazione, attribuirono alla con-

dotta del ministero un carattere di debolezza di cui

i

pro-

gressisti fecero carico al d'Azeglio. In verità egli parve non

rendersi conto, se non tardi, che la ragione politica a Roma la piìi forte, e che l'avversione, tenuta viva dalle potenze assolutiste, alla costituzione sarda distoglieva la Curia

era

da pensieri di pace (1). Nel ministero egli rappresentava la tendenza più misurata e prudente, né sempre si trovò d'accordo in tutto con colleghi, col Siccardi in forse

i

modo speciale,

il

quale

ci si

manifesta, nella lunga vertenza

con Roma, come il più sagace, chiaroveggente ed energico. Il

d'Azeglio intendeva di praticare con la Santa Sede il prin-

«fare e non chiedere», sicuro che

al fatto avrebbe riconoscimento (2). Eccellente principio, il Quale, però, applicato troppo letteralmente e rigidamente, e

cipio

tenuto dietro

il

scompagnato dalle cautele che gli avrebbe consigliato una conoscenza più adeguata delle disposizioni di Roma, condusse prima al rifiuto della Santa Sede di accedere ai negoziati offerti dal regno sardo, quando già era presentata irrevocabilmente al parlamento la legge di soppressione del foro ecclesiastico, e poi al fallimento della missione Pinelli.

\l) Bianchi N., Im poUrim di Massimo d'Azeglio dal lS4ii al 1849, Torino 188-1, p. 218 e segg.

(2)

Bianchi, op. cit., p. 195.


^2^2'i

I.

primi malumori fra cattolici e liberali puri furono pro-

1

vocati dalla libertà di stampa, che sottraeva

gli

scritti

pro-

fani alla revisione ecclesiastica e per converso sottoponeva gli

scritti

sacri alla revisione laica (ottobre 1847), e dall'e-

mancipazione dei Valdesi e degli '48).

soppresse, fra

Israeliti

(febbraio-marzo

— col decreto del 25 agosto '48 — erano

Poco dopo

amari commenti del giornalismo cattolico,

gli

Compagnia di Gesià e la Congregazione delle Dame del Sacro Cuore (1), e, con la legge Boncompagni del 4 otla

tobre '48 sull'ordinamento dell'amministrazione defla Pubblica Istruzione,

erano

aboliti

tutti

i

privilegi degli

ordini

d'insegnamento, veniva tolta all'arcivescovo Torino la carica di cancelliere dell'Università e annullata ogni ingerenza dei vescovi nell'istruzione religiosa imreligiosi in fatto di

partita

nelle

commenti

scuole governative. Questa volta agli

della

stampa cattolica si unirono

i

aspri

richiami (2)

— dei vescovi delle provincie ecclesia-

rispettosi del resto

stiche di Torino, di Vercelli e della Savoia. Intanto, nel settembre del

medesimo anno, uno spiace-

governo e l'arcivescovo di Vercelli. Monsignor d'Angennes era stimato ed amato per le sue inclinazioni liberali. Si diceva che avesse incorag-

vole incidente era sorto fra

(1)

il

È forza riconoscere che questo decreto era, proprio agli inizi di

un'era costituzionale, un pi-ovvedimento anti-costituzionale ed anti-liberale, poiché colpiva la libertà guarentita ai cittadini dallo Statuto ;

ma dal punto di vista politico esso era necessario per la quiete stessa del paese. V. a questo proposito

il

discorso

del conte di (Cavour in Se-

nato nella tornata del 9 maggio 1855, in Atti del Pari. Sub., legisl. V, sess. 1», 1853-55, p. 514 e segg. (2)

La legge oifriva un

appiglio alle proteste, perchè, conservando

riinsegnamento religioso nelle scuole, affidava la scelta e

la

nomina

— V. le proteste in Artnoìiia, II, Richiamo di parecchi vescovi al niinistero —

degli insegnanti all'autorità laica. 19,

12 febbraio 1849

:

«

»

Richiamo dei vescovi della provincia ecclesiastica di Vercelli al ministero » — II, 22, 19 febbraio 1849 € Richiamo dei II, 21,

16 febbraio 1849

:

«

:

vescovi della provincia ecclesiastica della Savoia »


- 4-23 — il re a concedere lo Statuto; la Concordia, nel suo primo numero, aveva affermat ch'egli, nella questione della

giato

)

stampa, aveva tenuto

libertà di

luglio del '48 aveva, in

libertà

governo; il 28 una pastorale, approvato le nuove parti del

le

come conformi alla religione., Dopo l'armistizio Sa-

lasco, egli

aveva accondisceso senza obiezioni all'occupa-

zione del

seminario, del

e

convitto ecclesiastico e di quat-

— ma, richiedendoglisi ancora quattro chiese

tordici chiese

monasteri delle Clarisse e delle Suore di Carità, ricusò

i

6 settembre a una seduta del Consiglio civico s'intratdiritti della religione e del rispetto dovuto alle chiese. Si scatenò allora contro il vecchio arcivescovo una e

il

tenne dei

violenta dimostrazione popolare, che trascese ad aperte ingiurie,

senza che dall'autorità

merla. Anzi

civile

si

cercasse

Pinelli, allora ministro degli

il

di

repri-

interni, indirizzò

monsignor d'Angennes una lettera nella quale lamentava linguaggio a cui il vesc vo si era lasciato andare verso il Consiglio civico, gli addossava la responsabilità dei tumulti, si meravigliava che tutto ciò fosse accaduto per opera di un prelato il quale era pure senatore del regno, chiedeva infine una riparazione. L'incidente ebbe, s'intende bene, una ripercussione presso cattolici e divenne un'arma nelle mani di quanti affermavano che il governo era, per prina il

i

cipio, ostile al clero (1).

Ma quelle erano appena le prime schermaglie. La lotta vera incominciò quando clesiastico. Nel 1841

cordato (2) per giudizi del

li) I,

18,

venne a sopprimere il foro ec-

Carlo Alberto

— auspice

— aveva stipulato con

Margherita ai

si

il

quale

foro

gli

civile.

la

il

Solaro della

Santa Sede un con-

ecclesiastici

venivano

sottratti

Gravi inconvenienti ne deriva-

Anchn dai liberali fu riprovata Taziooe del Governo. 11 Fischietto, 1848, immagina che all'anima del ministero della mediazione

S. Pietro

chiuda la porta del paradiso, ma che poi fi;lie Tapra S. Ignazio,

seguito ad un dialogo in cui il santo ricorda, come titolo d'onore lei ministero, TepiHodio: * S. Ignazio: Non sei tu che tartassasti il ve-

in •

scovo dì Vercelli e lasciasti vivere quello di Nizza b quello di Asti?». (2) Sot.AKo UBLLA Marghbkita C, Memorandum ntorioo politico, •

Torino \^'^\

]i ,

•_»«xi

e segg.


— secondo guardasigilli conte — Avet dagli stessi sacerdoti e persuasero governo sardo rono, che furono lamentati

il

il

della necessità di ritornare sulla questione e di sopprimere

foro ecclesiastico: infatti nel novembre del 1847 11 conte Avet fece rilevare al ministro per gli affari esteri l'urgenza di una riforma in quella materia. Ma, concesso lo Statuto, gli art. 24, 68, 71 decidevano la questione in modo non il

dubbio (1). S'iniziarono quindi con

nuovo accordo

la

Santa Sede trattative per un

— trattative sollecitate dal guardasigilli

4 maggio '48 faceva osservare al ministro degli esteri la necessità di procedere senza esitazione alla riforma perchè un indugio da parte del governo conte Sclopis, che

il

non solo non ne avrebbe impedita l'effettuazione, ma avrebbe generato gravi conseguenze con pregiudizio dei buoni rapporti

che

«

le

gouvernement de S. M. désire vivement de le St. Siège » (2). Al marchese Pareto, mi-

maintenir avec

nistro sardo presso

la

Santa Sede,

d'iniziare le conversazioni

in

affidato

fu

il

compito

proposito. Nei due colloquii

che l'incaricato ebbe col cardinale Antonelli, questi strò favorevole alla riforma alla nota del

ma

;

il

si

mo-

cardinale Soglia rispose

15 giugno '48 con una contronota in data 27

giugno, che lasciava poche speranze d'un' amichevole

in-

tesa; poiché in essa si dichiarava non potere la Santa Sede

ammettere il principio che materia

in

del

di

foro

si

dovessero innovare

ecclesiastico per

governo civile. In ultimo

per trattare col Pareto

si

il

le

norme

variare delle forme

sceglieva

il

card. Antonelli

quelle facilitazioni che la Santa

« di

Sede avrebbe potuto fare al governo sardo in materia ec-

flì

Art. 24: Tutti

i

regnicoli,

qualunque

sia

il

loro titolo o grado,

sono uguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici e sono ammessibili alle cariche civili e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi. Art. 68 La giustizia emana dal Re Art. 71 ed è amministrata in suo nome dai giudici che egli istituisce. Ninno può essere distolto dai suoi giudici naturali. Non potranno perciò

:

:

essere creati tribunali o commissioni straordinarie. (2j Chiala L., Une page d'histoire da gouvernement représentatif en Piémont, Torino 1858, p. 24.


- 4^5 nominò una commis-

clesiastica » (1). Il guardasigilli allora

sione (composta

del

Manno, dèlio

Stara, del Pinelli,' del-

TArmisoglio e del Girod) per redigere un disegno

di

con-

cordato, che venne, ultimato appena, trasmesso al ministro

sardo presso la Santa Sede (14 luglio '48). L'Antonelli rispondeva con un contro-disegno, che aveva basi desunte dal concordato respinto poi dal governo toscano: in esso si conservavano le disposizioni del '41, per ciò che riguardava la giurisdizione in materia criminale; si chiedeva una

completa indipendenza dei vescovi e del clero nei loro rapporti sia con fedeli sia con Roma si voleva infine che i

;

nomina dei vescovi dipendesse interamente dalla Santa Sede (2). Questo contro-disegno, mettendo avanti il principio dei compensi, toglieva al governo sardo più di quanto gli concedesse e poteva essere considerato osservava la

più tardi Il

il

d'Azeglio

— come un

Rosmini (allora presso

nelli

l'aveva

soppressa ch'egli

la

Ietto, insistè

la

rifiuto di

Santa Sede),

presso

il

clausola riguardante

al

negoziare

(3).

quale l'Anto-

cardinale perchè fosse la

nomina dei vescovi,

giudicava «inutile, inopportuna»

e

di

natura

da

Che rAntouelli e non ilCorboli Buhsì, come affermò VArmotiio 22 marzo 1850) — tosse incaricato di trattare coH'arabasciatore sardo, risulta da quanto a questo {)i-opo-«ito dice il Rosmini ne La missione a Roma, Torino 1881, I, pp. HI e seg. Inoltre nessun accenno al riguardo si trova nelle lettere del Corboli in Manno, L'opinione re1»

\III, 35,

1830 al 1850, ricercata nell" corrispondenze e nelle confìdetize. di Afons. Corboli Russi, in lìibl. di Storia

ligiosa e conservatrice in Italia dal

Italiana recente, Torino 1910, III. ("il Le vicende delle trattative fino a questo punto sono desunte specialmente da ciò che ne dicono il Boomo, La Chiesa e lo Stato /« Piemonte, Torino 1864, I, p. 284-291; e il Chiuso, Ixi Chiesa in Piemonte

dal 1797 ai giorni nostri, Torino 1889, III, p. 313 e segg. (3) (Questa fu l'unica vera trattativa corsa fra il governo sardo e la Santa Se^le intorno alla questione del foro; al contro -disegno Antonelli alludeva evidentemente il d'Azeglio nel suo dispaccio al conte di

Pralorrao, ministro sardo a Parigi, in data 11 ottobre 1850: « un contreprojet par lequel la cour de Rome a répondu aux propositions que nous lui

avons faites en 1848. contre-projet qui écjuivaut & un refus de néBianchi N., Storia delia diplomatili europea in Italia, Torino

ijocier »,

IHdit.VI, p. 607.


— 226 pregiudicare il buon accordo fra

Roma e Torino; ma l'An-

tonelli fu

irremovibile (1). L'ostinazione

pareva

ministri sardi

ai

delia Santa Sede anche più singolare, perchè il foro

ecclesiastico era ormai stato abolito in quasi

tutti

d'Europa, senza opposizione per parte del

Pontefice, né

esisteva in

Toscana e

nel

gli Stati

Napoletano (2). Intanto, respinto

dal regno sardo il disegno, propugnato dal Rosmini, di

una

confederazione italiana, respinte ripetutamente dal Pontefice profferte piemontesi nel periodo dell'esilio a

Gaeta (3), governo sardo comprese l'opportunità di non continuare le trattative per evitare nuove ripulse. Nell'agosto del '49 la questione del foro si complicava con quella dei vescovi di Torino e di Asti (4). L'arcivescovo di Torino, mr. Fransoni (5), uomo chiuso ad ogni idea di libertà e grettamente rigido, era stato nel marzo del '48 invitato dal ministero ad abbandonare Torino per evitare il ripetersi dei tumulti e dei torbidi, che già avevano avuto luogo il 24 marzo dopo qualche esitazione egli aveva accondisceso e si era recato a Ginevra, con sollievo del governo, che l'avrebbe anche visto volentieri sostituito definitivamente nel suo ufficio. Quanto al vescovo di Asti, mr. Artico, incolpato di un turpe reato, era stato costretto a cercar rifugio contro l'ostilità dei suoi diocesani in una le il

:

(1)

Rosmini, op

c/t., 1, p.

31 e segg.

Lettera del Ministro Sardo presso S. M. Siciliana al Conte cardi in data 26 marzo 1850, App., p. I, doc. 8.° (2)

Sic-

i8) Successivamente erano stati mandati a Gaeta il marchese di Montezemolo e mr. Riccardi di Netro, il conte Enrico Martini e il conte Cesare Balbo, con missione quest'ultimo di persuadere il Pontefice che

era bene conservare le istituzioni liberali nello Stato pontificio. V. Ga-

BOTTo, Silloge di lettere del Risorgimento, Il Ris. It., IV,

1-2, 1916, let-

tera XII. (4)

V. il libello di G. Moxgibello (pseudonimo del M&r gotti, Viaggio

dell' Arcivescovo

di Torino e del Vescovo di Asti alla 5* Camera Subal-

pina sul vapore Siotto- Pintor nell'agosto 1849, Torino 184y. i5) CoLOMiATTi, Mr. Luigi dei Marchesi Fransoni, Arcivescovo di Torino, l'orino 1902. — V. pure ciò che molto giustamente dice di questo prelato A. C. Jemolo, Il < partito cattolico » piemontese nel 1855e la legge sarda soppressiva delle comunità religiose, Il Ris. It., XI-XII, 1-2, 1918-19,

p

19.


villa

presso Asti. L'on. Siotto Pintor

lava

il

il

22 agosto interpel-

De Margherita, sulla

ministro degli Interni, barone

prolungata assenza dei due vescovi dalle loro sedi e chie-

deva ch'essi venissero o fatti ritornare alle loro diocesi oppure allontanati interamente e definitivamente da esse. Il

ministro rispose opporsi alla rimozione dell'arcivescovo

di

Torino per parte del governo

canoniche, op-

leggi

le

ad una punizione qualunque l'assenza

porsi

vera colpa

di

nell'arcivescovo, essendosi egli allontanato solo in parte per

propria volontà. Quanto

al

vescovo di Asti il ministro fece

notare che, se non risiedeva proprio

però entro opportuno riprendere quel processo che, troncato nel 1847 per volontà del re, non poteva svolgersi senza grande scandalo. i

in Asti, era

confini della diocesi e' domandò se era

Su proposta del dep. Brofferio, la Camera deliberò allora che fosse

«

vestigare

il

nominata una commissione con l'incarico d'ir> modo più opportuno e piìi legale per mettere riparo alla deplorabile condizione delle diocesi di Asti e di Torino». La singolarità del fatto osservava il Pantaleoni era che la Camera cercava di forzare alla residenza due vescovi che né essa né il Ministero avrebbe

<

voluto

posto >! (1).

governo intese allora che era conveniente riprendere

Il

le

al

trattative e cercare ancora una volta l'accordo con

Roma.

Nel settembre dello stesso '49 partiva per Portici il conte Siccardi col duplice compito di ottenere definitivo di

l'allontanamento

mr. Fransoni e di mr. Artico dalle

loro

dio-

Santa Sede ad approvare l'abolizione del foro. < Subordinatamente ed accessoriamente a quel primo oggetto (la rimozione dei vescovi) affermava il Siccardi nel suo discorso del 5 aprile '50 al Senato siccome recavano le mie istruzioni e nel solo caso di favocesi e di indurre la

revoli

disposizioni

prima vertenza, intorno

1

1

di

soddisfacente

scioglimento della

era incaricato di ripigliare

le

trattative

recavano veramente le del Siccardi? Oppure il guardasigilli presentava

alla

istruzioni

io

e

Carteggio

giurisdizione». Così

rii


— 228 — la

sua missione sotto questa forma allo scopo

e

di vincere

l'opposizione che

si

di

prevenire

temeva di incontrare nel

Senato, dove, dopo l'affermazione ufficiale e pubblica dell'Antonelli che il Siccardi « ninna trattativa aveva intrapreso su questo »(1), pareva a molti che il governo non avesse ancora esaurito tutte le possibilità di un'intesa con la Santa Sede? (2). A dimostrare la buona volontà del governo sardo il Siccardi era pure incaricato di designare,

via

in

per

ufficiosa,

la diocesi

P. Garassini, Provinciale

il

di

Genova

degli Scolopi,

— atto che implicava

la rinuncia

governo alle candidature precedenti, che non avevano il favore della Santa Sede (3). Dai dispacci del Siccardi al d'Azeglio sappiamo ch'egli ebbe dapprima un colloquio d'indole generale con l'Antonelli, il quale si mostrò conciliativo nella questione del foro, ma espose il dubbio che nulla si potesse fare nei riguardi dei due vescovi. Nel medesimo giorno l'inviato ebbe pure un colloquio col Pondel

incontrato

1) Nota del card. Antonelli al marchese Spinola, pubblicata dallM?*monia, III, 36, 27 marzo 1850. (2i II contenuto dei dispacci del Siccardi al presidente dei ministri (dispaccio l.° ottobre 1849, App., p. I, doc. 2.°) ci pare giustifichi questo dubbio. Forse anche il Siccardi provocò, durante la missione, le istruzioni alle quali accenna qui e che diedero alla missione stessa quell'avviamento che a lui pareva migliore. \'ò\ Il dispaccio del Siccardi al d'Azeglio in data 1.° ottobre accenna a due candidature: quella di un mons. Càvre e quella dell'abate Aporti. Chi era mons. Càvre? Non siamo riusciti a rintracciare alcuna notizia intorno a lui, ne il suo nome figura nelle Series episcoporum del Gams (Ratisbonae 1873). Il dubbio che si trattasse di una grafia errata Càvre per Charvaz affacciatosi dapprima come ipotesi accettabile, cadde quando per la cortesia della dott. M. Avetta ci fu concesso di prendere visione di un dispaccio del Bertone, plenipotenziario sardo presso la Santa Sede, al Jocteau, in data 16 gennaio '62, dal quale risulta che la Santa Sede desiderava in quell'anno di veder designato dal governo alla diocesi di Torino proprio mons. Charvaz. Non si comprenderebbe dunque perchè la Santa Sede nel '49 non avrebbe voluto il Charvaz a Genova quando più recente era la ben nota opposizione di quel vescovo al governo nella questione della libertà di stampa, che doveva renderlo accetto a Roma se nel '52 era disposta a risolvere per lui la scottante questione di mons. Fransoni e a piegare in ultimo dinanzi al governo sardo. {


— tetice si

:

il

22i)

Santo Padre si rammaricò che « dal Governo (sardo)lamentò la li-

lasciassero correre le cose a precipizio »

cenza della stampa ed sità di

insistè

abolire lo Statuto

in

,

con frasi velate sulla necesPiemonte (1), affermò non di

meno di essere disposto a cercar termini di

ma

conciliazione

vescovi, da

prima non ne parlò ed infine non diede alcuna risposta deciPio IX scrisse il Siccardi siva (2). Nei due colloqui per

la

questione del foro,

circa

i

e l'Antonelli parvero essersi scambiate le parti concilianti »

toccarono

al

cardinale, le

«

:

le

«

dolci e

severe ed impo-

nenti al buon Pontefice », « ma queste quadravano così poco alla bontà del suo cuore, alla nobile ed ingenua affabilità del suo aspetto, che in verità, s'egli volle sgridarmi, posso quasi dire di non essermene accorto » (3). Nella questione dei due prelati si obiettava che vescovi non si potevano rimuovere se non per cause canoniche accertate con un giudizio. Rispondeva l'inviato sardo che il governo riconosceva il principio dell'inamovibilità ecclesiastica, ma riteneva tuttavia sufficiente « un consiglio autorevole dato (ai vescovi) da Sua Santità per indurli ad una rinuncia >, e che il governo stesso si dichiarava pronto, in caso di rinuncia, a favorire particolari interessi dei due prelati. Se non che l'Antonelli, di rimando, esprimeva il dubbio che il consiglio non riuscisse efficace per le discussioni sorte in parlamento, le quali potevano far apparire ai due prelati quel passo come non conciliabile colla dignità del loro grado (4). Giunte le conversazioni a questo punto, fu delegato a trattare col Siccardi mons. Catterini, il quale, fedele alle più audaci dottrine della curia romana, i

i

<

mise fuori alcune teorie

(1) Lettere hietlite

.tidente, in

in

materia ecclesiastica, le quali

di tre Ministri del Gabinetto d^ Azeglio al loro Pre-

Hans. Naz., XIV, 262, 1 ottobre

'112,

lett.

V, p. 466.

— La-

gnanze sull'andamento della politica in Piemonte il S. Padre rivolgeva anche al conte di Collobiano, ministro sardo presso il re di Napoli, il. 17 gennaio '50: App., p. 1, doc. 7." (2)

Disp. Siccardi

(3)

Intere ittedite ecc.. Iftt. V, p. 107.

(4)

Disp. cit.

cit.


— 230 — avrebbero potuto parere eccessive anche in altri tempi Affermò che « al solo Papa spettava di giudicare un vescovo >>

accusato di delitto, qualunque esso

luogo commesso, e che

si

fosse ed in qualsiasi

non se ne dovevano ingerire, quando pure ne fosse andata di mezzo l'autorità delle leggi e la

i

Magistrati

laici

sicurezza dello Stato», infine parlò

di

scomuniche incorse o da incorrersi dai magistrati, che

si

fossero

scriveva

il

«osservazione questa — — che non sarebbe certamente sfug-

arrogato tale diritto; Siccardi

gita al Cardinale Prosegretario di Stato, che vede molto piiì

innanzi

in

queste cose e mostra

di

comprenderle meglio

assai del suo delegato ».(!).

Nei riguardi dei due vescovi il Catterini invitò il Siccardi a presentare una memoria per iscritto, in cui fossero indicati

ad uno ad uno « gravami » che si facevano agli accusati con le annesse prove e documenti. Si voleva insomma l'indicazione di vere cause canoniche da cui far dipendere la rimozione, trasformando così il governo sardo in accusatore, prelati in accusati e la Santa Sede in giudice. Il Siccardi i

i

vide

il

pericolo e cercò di scansarlo, mettendo in luce la

necessità di

provvedere ai bisogni dell'ordine e del serdue diocesi, necessità creata da uno

vizio spirituale delle stato di cose

piìi

nalmente, dopo

i

o

meno imputabile ai due- prelati (2). Fi-

colloqui col Catterini, il Siccardi ricevette

la risposta definitiva dairAntonelli,il quale, pur riconoscendo

quanto l'inviato sardo aveva esposto intorno due vescovi, dichiarò che nulla si poteva fare: essere pericoloso stabilire un precedente che avrebbe costretto il Santo Padre a procurare in seguito altre molte dimissioni la giustezza di

ai

di

vescovi (3). Fallita

la

prima parte delle trattative, il Sic-

cardi troncava le conversazioni e ritornava in Piemonte. L'inviato sardo

concetto

aveva

iniziato le conversazioni col pre-

— non privo del resto

di fondamento

due questioni quella dei vescovi era

« in

— che delle

sostanza

la

(1)

Disp. Siccardi in data J7 ottobre '49. App., p. I, doc. 5.

i2)

Pro-memoria del Siccardi a Mr. Catterini. App., p. I, doc. 4. Disp. Siccardi in data 16 novembre '49. App., p. I, doc. 6.

(3)

sola


nella cui risoluzione

il

231

-

concorso della Santa Sede fosse as-

solutamente indispensabile *(1). E questo suo convincimento aveva cercato di far intendere agli incaricati della Santa Sede, lasciando trapelare che la legge sul foro si sarebbe

si

trattava solo di vedere se

« con loro o senza di non « se si sarebbe fatta o non si sarebbe fatta » per attuare in tutta la sua ampiezza governo sardo Il dell'uguaglianza giuridica e civile, che lo Staprincipio il doveva cercare pura e semplice tuto aveva proclamato l'approvazione della Santa Sede all'abolizione del foro; un concordato che consacrasse reciproche concessioni, sarebbe stato un nuovo intoppo, intorno a cui il regno sardo non poteva neppure accettare la discussione. Ma il Siccardi non s'illuse a lungo: e poiché si preoccupava di non spin-

loro » e

fatta

gere la cosa

«

a quell'ultima stretta cui arrivano ordinaria-

mente le trattative infelicemente ferme in due opposti sistemi » (2)

protratte di

— che

la

divenuta troppo profonda, né si sarebbe

due volontà

scissura sarebbe

piìi

potuto sperare

Sede un'approvazione postuma della legge, su cui in fondo il governo contava non appena rilevò la riluttanza della Santa Sede a fare ampie concessioni, abbandonò questo punto per insistere unicamente sulla quedalla Santa

dei vescovi. Per un altro verso il malvolere della Santa Sede era comprovato dalle tergiversazioni e dalle stione

mons. Catterini, non esser note al Pontefice ed all'Antonelli. E questo malvolere trova un commento ed una spiegazione esauriente nella prima parte del colloquio del Papa col Siccardi, che rivela la ripugnanza ormai radicata nella Santa Sede per il regime

lentezze degli incaricati e dalla scelta le cui

di

opinioni poco conciliative non potevano

costituzionale, al quale clericali dei deputati

si

faceva colpa degli eccessi anti-

e della stampa progressista avanzata

del Piemonte. Il

governo sardo si ritrovava così senz'armi per agire due vescovi e, quanto alla questione del foro,

contro

i

(1)

Disp. Siccardi

(2)

Diacorso del Siccardi in Senato nella tornau del 6 aprile '50.

cit., in

data

1

"

ottobre '4J>.


<232

la Curia romana che non voleva riforme^ Camera che non avrebbe tardato a prendere l'inizia-

era premuto fra e

la

una legge ed avrebbe proceduto senza troppi rila Santa Sede. Era rischioso, in tempi così difficili per il regno, suscitare una questione ecclesiastica che per la confusione fatta da molti fra Chiesa e religione, non avrebbe mancato di turbare jnolte coscienze e di sutiva di

guardi verso

scitare discordie profonde. D'altra parte era preferibile

— come osservava

il

senza dubbio

d'Azeglio — che

l'inizia-

tiva della nuova legge partisse dal ministero anziché dalla

Camera, era preferibile affrontare apertamente le difficoltà con ormai inutili rinvìi era in-

subito, anziché allontanarle

;

fine necessario al ministero d'Azeglio dar

prova di spiriti far tacere liberali per sospetti di tendenze reazionarie e questa era la miglior occasione (1). Per queste considerazioni lo stesso Siccardi, che nel gennaio del '50 era succeduto al barone De Margherita nel

i

ministero di Grazia e Giustizia, presentava alla Camera dei deputati nella tornata del 25 febbraio un disegno di legge

che sopprimeva

il

foro ecclesiastico

e

l'immunità locale,

limitava la sanzione penale per l'inosservanza delle feste religiose alle sole

domeniche ed a sei

anno, vietava agli

istituti

cali di

acquistare o conseguire beni

tra vivi

solennità per

altre

o corpi morali ecclesiastici o stabili

per donazioni

e disposizioni testamentarie, senza aver ottenuto

facoltà dal re e l'avviso del Consiglio di Stato (2). si

lai-

è detto, a compiere l'atto ardito

spingeva

il

Come

gabinetto

d'Azeglio anche il convincimento, ben radicato nei ministri,

ma specialmente nel presidente, che con Roma cessario

« fare

rebbe venuta (1)

in

fosse ne-

e non chiedere » e che l'approvazione sa-

in

seguito (3).

L'opportunità della legge, dal punto di vista politico, fa rilevata

modo speciale dal Cavour nella tornata del 7 marzo '50 della Camera

dei deputati. (2) Il disegno di legge valse al Siccardi un nuovo libello di G. MoNGIBELLO, Panegirico del Conte Giuseppe Siccardi, Ministro di Grazia e Giustizia in Piemonte, Torino 1851. (3) < Mémoire de M. Maxime d'Azeglio à M.Tocqueville sur la Cour

Romaine (6 septembre 1849) >, in Bianchi N., La politica, p. 193 e segg.


— 233 — La legge, che assumeva in quel momento agli occhi del pubblico un significato politico grandissimo, appassionò gli poteva animi e la stampa e determinò in parlamento una lunga discussione, nella forse essere altrimenti? quale la questione fu esaminata sotto tutti gli aspetti. La maggioranza si professò favorevole all'abolizione, che fu di-

mostrata necessaria, opportuna, utile, in numerosi discorsi, notevoli per la moderazione degli oratori (1); la minoranza di

opposizione si scisse

in

due gruppi: un gruppo esiguo

ravvisava nella legge un'offesa alla religione e zione dello scisma la

e

necessità

la

un

;

altro, più

la

provoca-

numeroso, ne riconosceva ma appoggiandosi al

bontà intrinseca,

principio dell'equiparazione dei

concordati

coi

trattati in-

che non la Sede ed Santa poteva attuare senza il consenso della si insisteva perchè le trattative venissero riprese. Al che riconcordati non sono trattati, regalisti che spondevano

ternazionali, affermato dai

i

canonisti, asseriva

i

ma la semplice documentazione di concessioni fatte in altri tempi e revocabili quando sia necessario; e che anche la forza obbligatoria di un trattato cessa per lo Stato, al quale l'osservanza ne diventi assolutamente impossibile, in virtù della clausola rebus sic stantibus, che

deve essere ritenuta

come implicitamente stipulata in tutti

i

trattati. Tutti poi, so-

sullo Statuto che ed oppositori, si veniva diversamente interpretato: sostenitori dichiaravano voluta la legge dagli art. 24, 68 e 71, mentre gli oppositori la dicevano contrastante con l'art. 1, nel quale si vedeva non solo una tutela della religione, ma ancora del clero e dei privilegi suoi (2). Il 4 marzo, prima della discussione, Portici una nota, in cui, mentre il d'Azeglio aveva inviato a

appoggiavano

stenitori

i

avvertiva che la presentazione della legge era irrevocabile,

affermava ch'essa non toglieva tuttavia tare con

la

Corte

di

Roma, purché

la i

possibilità di trat-

negoziati venissero

(1) Di questa moderazioDe andò orgoglioso il d'Azeglio, che il 81 marzo ne scriveva anche al Villamarina, Gabotto, Silloge, lett. XIX,

e Carteggio cit., p. 263. (2i

della

V. fn proposito l'incidente Balbo-Novelli, nella tornata del 7 mano

Camera dei Deputati. Il

RUorg. ital., XIII


— 234 — aperti questa volta a Torino (1). nelli

non poteva comprendere come dopo essersi dee di conseguenza da non assogget-

nola, che

— tare a discussioni —

finita

Ebbe buon gioco l'Anto-

a ribattere, in una nota del 9 marzo al marchese Spi-

immutabile

la

decisione presa dal governo,

si

tempo stesso invitata la Santa Sede ad un accomodamento con trattative da farsi a Torino, « se pure non si

fosse nel

volesse che

il

sere semplice

pontificio rappresentante

spettatore

e con

la

si

limitasse ad es-

sua presenza concor-

resse ad approvare le proposte innovazioni » (2). Mentre in parlamento si svolgeva la discussione,

i

vescovi

degli Stati sardi pubblicavano vivaci proteste che V Armonia si

a stampare. Alcuni

affrettava

ammonivano che

quanti

avessero partecipato alla fornjazione della legge, sarebbero

secondo le decisioni del concilio scomunica e per conseguenza sarebbero stati privati dei di Trento sacramenti, eccetto che non si ritrattassero (3). La minaccia incorsi nella

sdegno del partito liberale, cui l'eccitazione del momento vietava la serenità del giudizio; ma non si può

suscitò lo

disconoscere né dimenticare che

i

sacerdoti erano, per

il

loro duplice carattere di chierici e di cittadini, sottoposti al

Santa Sede e che l'abolizione del foro, operata contro il volere della Curia romana, poneva il clero nell'alternativa di scegliere fra due doveri. Non di meno il 9 marzo la legge venne approvata dalla

governo sardo e

Camera mentre (lì

dei il

alla

deputati

Senato,

con 130 voti favorevoli contro 26; sospendeva l'abolizione delle

l'S aprile,

Nota del Marchese Spinola a S. E. Rev.m» il Sig. Cardinale AnSua Santità, in Bianchi N., La po-

tonelli, Prosegretario di Stato di litica, p.

200 e segg.

(2) V. nota

1,

pag. 228.

Arm., Ili, 33, 34, 35, 41, 46, 1850. Colomiatti, op. cit., p. 138 e segg. V. pure, circa la scomunica, Colomiatti, p, 544 e segg. La mi(3)

— come

naccia non riusciva nuova ai governo, poiché già era stata pronunciata da mr. Catterini contro

si

è detto

i magistrati e poco

dopo l'Antonelli annunciava severo il giudizio di Dio per tutti quelli che avessero preso parte alla formazione delle leggi. V. « Dépèche réservóe de M. le Marquis Spinola au Òhev. Maxime d'Azeglio (mai 1850Ì», in

BiAKCHi N., Z/fl politica, p. 203.


— 235 — ma approvava

feste,

29 no.

Il

rimanenti

i

giorno seguente

la

con 51

articoli

legge riceveva

la

contro

sanzione

reale.

L'esaltazione dei partiti, che della soppressione del foro facevano una questione sostanzialmente politica, era venuta

crescendo di giorno in giorno: «Jamais, méme à l'ouverture scriveva la Marchesa d'Azeglio de la seconde campagne ni lorsque l'invasion était à nos portes les esprits n'ont paru si montés » Durante la discussione in Senato le tribune erano così affollate che la marchesa scriveva al figlio cje crains que la galene démocratique ne finisse par tomber sur les tribunes aristocratiques, vu la fureur de vouloir voir et entendre> (1). Finalmente la sera dell'S aprile aveva indice del grado di tensione a cui erano giunti luogo una dimostrazione di giubilo, disciolta tosto gli animi dalla truppa, che Massimo d'Azeglio, in divisa di colonnello, ebbe la bizzarra idea di capitanare (2). Sanzionata la legge, parve, per un momento, che il partito cattolico piemontese volesse temperare l'acerbità dell'opposizione. Tanto almeno annunciava il suo principale

.

:

organo, V Armonia :

<

sanzione) nulla muti dottrine, doverosi

Sebbene questo evento alle nostre

(la

triplice

convinzioni ed alle nostre

riguardi verso

le

Autorità

supreme

del

paese ci impongono qualche modificazione nel nostro contegno e nel linguaggio con cui in proposito del progetto Siccardi abbiamo espressi sensi dell'animo nostro in primo luogo osserviamo che, ove trattisi di una legge umana, i

la

quale direttamente

ritto (1)

divino rivelato o

opponga alle prescrizioni del dinaturale,

da quell'ordinamento

di

Soutienirn historif/ues de la Marquise Constance d^ Azeglio, née

Al/ieri. i2)

si

;

Torino 18H4, pp. ìi'.)'2 e aeg.

La dimostrazione che il d'Azeglio chiamò una mise en fchte, pro-

ritrò al presidente d(<i ministri la gioia di poter

dimostrare che il go-

verno era risoluto « a picchiare ugualmente sui

rossi e sui neri », Oa-

BOTTO, Silloge, lett. XXII. Il Fischietto IH, 46, 13 aprile 1860) pubblicò una caricatura del d'Azeglio rappresentato sotto le npoglie di Ettore FieramoHca € cha-<san les pigeons en piatita Castel » cosa di cui il presi;

dente, come

non si risenti punto, BiANCill, l^ettere iuediff dì M. d'Azeglio al March. Emanuele d'Azeglio, Torino, 1883, p. 7ii il

solito,


'236

non può nascere un'obbligazione nelle allora verificasi il caso in cui convien dire

un'autorità terrena

coscienze rette

;

:

bisogna obbedire a Dio, anziché

uomini

agli

noi

ci

af-

a dichiarare che di tal natura agli occhi nostri non è la legge del 9 aprile questa spoglia bensì la Chiesa

frettiamo

;

di

perfettamente

diritti

sopra titoli equiva-

legittimi, fondati

lenti in diritto e storicamente anteriori

a quelli dell'Augusta

Casa di, Savoia, alla Sua Corona, ma pur teniamo che questi nascono da fatti umani, da ordinazioni di origine ternoi dunque non vediamo nella legge che abbiamo con tanto calore combattuta quella radicale ed insanabile nullità, da cui sarebbe viziata una legge che fosse in opdiritti

rena

Teniamo

posizione collo stesso diritto divino immutabile

per certo che a quei

diritti, di

cui

si

volle illecitamente, se-

condo noi, spogliare la Chiesa con la legge che tuttora censuriamo, essa poteva volontariamente rinunciare». Infine

V Armonia ritiene che

la Chiesa darà prova ancora una materna carità verso gli stessi suoi oppressori, che la dispone a dimenticare facilmente ogni sua ingiuria per riabbracciare e riconciliare col cielo e con sé medesima coloro che l'avevano offesa » (1). Se non che quel benevolo spirito di transazione che V Armonia vedeva nella Chiesa non si riscontrava in realtà in tutti ministri di essa. Non era in mons. Fransoni (fin dal 15 marzo ritornato in diocesi) (2), che il 18 aprile diramava ai suoi parroci una circolare contenente le norme alle quali essi e tutti sacerdoti avrebbero dovuto attenersi, finché non fossero pervenute da Roma le istruzioni invocate, quando avessero dovuto in qualche modo subire gli effetti della legge del 9 aprile: norme che in sostanza si riassumevano nell'obbligo di ricorrere sempre per permessi e

volta di

« quella

i

i

i

le istruzioni alla superiore autorità ecclesiastica,

sero

citati

davanti

al

tribunale laico

dimento ordinario, e nella consegna (1)

o

quando fos-

sottoposti a procedi

opporre

in

ogni

cLa legge del 9 aprile 1850», in Armonia, III, 42, 12 aprile '50.

(2) Il

ritorno dell'arcivescovo in diocesi fu poco gradito al governo,

y. Chiavbs C, L'arresto e la condanna di Mr. Fransoni, ne La Stampa, 9 giugno 1909, lett. 1, e Colomiatti, op. cit., p. 116 e segg.


-

cedendo alla necessità, l'incompetenza del foro

caso, anche

e

i237

protestare che non intendevano pregiudicare

di

al

diritto

dell'immunità personale. Questa circolare che, scritta da un

vescovo, avrebbe potuto essere considerata con un buona volontà come un mezzo inteso ad appianare

altro

po' di

che sorgessero fra il potere una rinuncia alle prerogative ecclesiastiche, emanata dal retrivo mons. Fransoni provvisoriamente

le difficoltà

giudiziario e il clero senza implicare

assunse senz'altro un ben diverso significato agli occhi dell'universale e fu considerata come un vero eccitamento alla ribellione

contro

le leggi dello Stato.

L'opinione pub-

blica, già prima risentita contro l'arcivescovo, ne accolse con

sdegno la lettera, mentre il Pubblico Ministero, riscontrando in essa un reato di stampa, ne deferiva l'autore al potere 21 aprile del '50 la circolare veniva sequevescovo invitato a comparire davanti al tribunale civile. Il Fransoni all'invito rispondeva che per le disposizioni del Concilio di Trento e della circolare della Sacra Congregazione dell'immunità, emanata ad istanza di S. M. il 14 giugno 1823, si trovava nell'assoluta impossibilità di presentarsi, protestava tuttavia la sua « piena sottomissione alle leggi dello Stato in tutto ciò che non offendei'ff la coscienza», e faceva istanza perchè gli si concedesse il tempo necessario a chiedere alla Santa Sede il permesso; ottenuto il quale si sarebbe fatto il più stretto dovere di uniformarsi al prescritto della legge (1). Ostinandosi egli nel rifiuto, il 4 maggio venne arrestato, tradottto in cittadella, processato e condannato a 500 lire di multa e ad un mese di carcere (2). Il re, che trovavasi in quei giorni a Courmayeur col primo ministro, non appena conobbe la condanna si dichiarò disposto a graziarlo e il d'A-

giudiziario.

ed

strata

Il

il

(1) Il Ministro degli Interni, Filippo Galvagno, il 22 aprile, prima ancora che monsignore venisse citato in giudizio, l'aveva invitato a lasciare Torino, Colomiatti, op, cit,, p. 168 e segg.

(2)

L'arreslo del Fransoni fu vivacemei^e disapprovato dal Panta-

leoni,

che scriveva al d'Azeglio dolendosi che per tal modo si dessero

all'arcivescovo • «egg.

«

gli

onori d'una persecuzione >

,

Carteggio cit., pp. 266


- 238 zeglio

si

faceva premura di scriverne al Galvagno a Torino,

cui inviava senz'altro

grazia non

decreto colla riserva però che

il

concedesse, se non quando

si

si

fosse ben

la si-

che l'arcivescovo l'accetterebbe e non vi fossero motivi speciali per negarla. In realtà il decreto non ebbe corso (1). Naturalmente di fronte a questo nuovo e così grave fatto non tacque la Curia romana: l'Antonelli in una nota del 14 maggio protestava contro l'arresto del Fransoni e chiedeva « quella pronta a completa riparazione che la Chiesa cattolica ha diritto di attendere da un principe, che si pregia curi

di

essere tra

tal

modo diretto al

i

più devoti di

non

lei

figli».

L'appello era per

al

governo costituzionale del

regno, ed anche questa nota,

come la precedente, veniva

resa

di

re,

pubblica ragione dall' 6^/z/Ver5 e ripubblicata dall'/l/'-

monia, fra le proteste del governo sardo, meravigliato di così strani ed inusitati procedimenti diplomatici. Ne seguiva uno scambio di note, in cui la questione veniva ricondotta alla

discussione del

diritto

del

governo di abolire

il

foro

e l'immunità locale, diritto affermato dal d'Azeglio e negato dall'Antonelli con gli argomenti che già erano stati addotti

due partiti

dai

in

parlamento, corroborati per parte del mi-

nistro sardo dall'esempio della Francia, che nel 1845, prima

una corporazione non consentita dalle leggi, aveva cercato il consenso di Roma, premettendo tuttavia che le leggi « quelque soit le résultat des négociacions, di

sciogliere

executées » Altra protesta dell'Antonelli sopraggiungeva poco dopo per l'arresto di mr. Varesini, arcivescovo di Sassari, condannato per una circolare simile a quella del Fransoni (2), mentre il 21 maggio il cardinale Penitenziere Maggiore, a nome del Pontefice, comunicava all'arcivescovo di Torino la soddisfazione pontificia per la elles seront

circolare

.

emanata a proposito dell' abolizione

del

foro (3).

L'Armonia, a dimostrare lo sdegno del suo partito, iniziava intanto una sottoscrizione per offrire un attestato di (1)

(2)

Chiaves, art. cit. Vedi questa nota e le precedenti in Colomiatti, op. cit.,

e segg. (3)

Colomiatti, op. cit,, p. 342.

p.

323


— 239 — affetto all'arcivescovo. Di rimando la Gaz-

venerazione e di

zetta del Popolo ed

per un dono

al

il

Risorgimento ne iniziavano un'altra

conte Siccardi, ma, avendo egli dichiarato

che nulla avrebbe accettato, la

somma raccolta fu destinata

all'erezione del brutto obelisco di piazza Savoia in

memoria

della promulgazione della legge (1).

II.

Ma gli strascichi della legge Siccardi non terminarono con la condanna di mr. Fransoni. Gli animi erano tesi; due opposti partiti, ormai nettamente formati e caratterizzati, erano usciti dai limiti della moderazione; né dall'una né dall'altra parte vi era la benché minima disposizione a transigere. L'enfasi polemica dei clericali, che avevano magnificato il Fransoni quale martire della religione ed inii

ziato la sottoscrizione, aveva irritato

i

liberali; la

dimostra-

zione dell'S aprile in favore della legge e le grida di viva

avevano alla loro volta indispettito clericali baminima occasione per far divampare daccapo e più violento l'incendio: l'occasione venne\ e non fu di poco momento. Ministro dei Lavori Pubblici nel gabinetto che aveva pro-

Siccardi

stava

i

;

la

la legge di soppressione, era il cav. Pietro di Santa Rosa: ispirato da due sentimenti ugualmente profondi, la fede liberale e la fede religiosa, egli aveva costantemente ad essi consacrata la parte migliore di sé, convinto che

posto

potessero sempre accordarsi. Tuttavia, prima che Siccardi venisse presentata

al

la

legge

parlamento, qualche dubbio

era sorto intorno ad essa nella sua coscienza, ed egli aveva voluto risolverlo, ricorrendo al teol. Fantini, suo confessore, al

quale

si

era dichiarato pronto a

ove quei dubbi non

(1)

B^EKKAKis,

//

gli

venissero dissipati.

Munirijiio di

zione dei Foro rcrlrsìnsficn,

cembre 1912, p. 59t).

ritirarsi

Toiiuu

e

il

dal ministero,

Ma

il

Fantini

iiiuuumento per l'abolì'

Nuova Antologia, a. 47, faac. 984, 16 di-


— 240 — lo

aveva incoraggiato a procedere per la via per la quale

si

era messo e, dopo la votazione favorevole in parlamento,

aveva stretto la mano in modo significativo (1). Nel maggio circa un mese dopo la promulgazione della legge il Santa Rosa cadde ammalato. Al suo letto il Fantini nel frattempo era divenuto vescovo di Possano fu

gli

tosto chiamato il teol. Ghiringello, professore di sacra scrit-

tura nell'Università di Torino, il quale, confessatolo, rilasciò Viatico, che al Santa Rosa fu recato solo

biglietto

per

il

due giorni

piìi

tardi, quando la famiglia invitò

il

tare l'infermo

il

vice curato della parrocchia,

portare il Viatico ad del

ministro.

Il

a sacramenil

quale, nel

ammalati, passava presso

altri

vice-curato

d.

Vogogna

(il

casa

la

parroco

di

S.

Carlo, d. Pittavino, si trovava in quei giorni a Savona) (2)

prima di amministrare all'ammalato l'Ostia consacrata, acco« Caso che Vossignoria avesse parcontro propria coscienza agli ultimi fatti del Mitecipato la nistero, Ella dovrebbe ritrattarsene » al che il Santa Rosa statosi al letto, gli disse

:

,

rispose

«

aver preso parte con tutta coscienza ai

fatti

a cui

quel sacerdote alludeva, averlo dichiarato in pubblico e non

aver nulla a ritrattare sistè e gli clericali

amministrò

proposito »

in

Il

.

sacerdote non

Viatico. Corse

in-

voce (ed Santa Rosa si era solenneministro, ristabilitosi appena, smentì

il

pubblicarono) che

mente ritrattato. Ma il

i

giornali

il

dicerie, pubblicando nel Risorgimento del 15 maggio una particolareggiata narrazione dell'accaduto, che terminava: «Dichiaro di nuovo solennemente essere falso, erroneo e menzognero tutto ciò che, oltre al qui minutamente

le

espresso, siasi

detto

e

stampato

in

sodio non servì certo a rasserenare

Nel dal

luglio

il

proposito » (3). L'epigli

animi.

ministro fu daccapo violentemente

medesimo mal di petto e di nuovo desiderò

ma

i

assalito

conforti

che aveva ricevuto dall'arcivescovo ordini severi, non appena seppe della ricaduta del

religiosi;

(lì

il

Pittavino,

Esame del conte Teodoro di Santa Roa^. fcugino del ministro) e

del conte di Cavour, App., p. II, n. 9 e n. 10. (2)

Lettera del Pittavino, nelVAr7no7iia, III, 118, 7 ottobre '50.

(3)

Risorgimento, III, 735, 15 maggio '50.


— 241 — ministro,

si

recò appositamente presso il Ghiringhello e gli

dichiarò di nulla poter accordare, se

il

Santa Rosa non fir-

mava prima un'esplicita ritrattazione, essendo egli incorso scomunica coli' approvare

nella

le

leggi Siccardi (1). L'in-

le assicurazioni che dal Fanaveva ricevuto, oppose dapprima un energico rifiuto, nel quale persistette non ostante le frequenti visite del Pit-

fermo, forte e tranquillo per tini

tavino, fino al 4 di agosto, giorno in cui s'indusse a dichia-

rare per iscritto di

«

avere con

tutta

coscienza

non

di

lare le leggi ecclesiastiche, partecipato agli atti del

vio-

governo,

come uomo politico; e per quanto riflette dubbi che ne ponno ridondare tra la coscienza e Dio, averne sufficieni

temente

trattato col proprio Confessore » (2). Questa dichia-

razione, ritenuta sufficiente dal Pittavino, che quel giorno si

-allontanò dall' ammalato con la

Viatico il

il

promessa di

mattino seguente (3), non soddisfece

Fransoni, che

la

dei

le

il

contrario

respingeva come una semplice

cazione dell'operato del governo contro Pontefice e

portargli al

giustifi-

proteste

vescovi. L'arcivescovo suggeriva

del

invece

« potrebbe forse tutto al più dire che non ha creduto di violarle (le leggi della Chiesa) con aver preso parte a tali atti, ma che non essendone egli Giudice così potrebbe essersi ingannato, e che in tal caso volendo

un'altra formola

:

morire nella fede Cattolica Apostolica Romana, intenderebbe di disapprovarli e di ritrattarli > (4).

malato parve migliorare

:

Il

mattino seguente

il

volle allora dettare una lettera per

mons. Fantini, narrando ciò che intorno a lui accadeva e chiedendo consiglio (5). mons. Fantini si affrettò a mandare istruzioni al Ghiringhello per

esse giunsero quando già (1)

(2)

il

appianare ogni difficoltà, ma Santa Rosa era morto (6). In-

Esame della contessa di Santa Rosa, App., p. II, doc. 8. Saraceno F., Vita del Cav. Pietro Deroani di Santa Rosa, To-

rino 1864, p. 282. |8i

Esame cit. della contessa di Santa Rosa.

(4)

Lettera di mr. Fransoni al Padre Pittavino, in Boooio, op. f'f

.

p. 8'26. (5)

Saraobno, op. cit., p. 282 e seg.

|6)

r^ettera di

x

mr. Fantini alla contessa di Santa Rosa in data o

agosto, App., p. II, doc. 2.


pomeriggio del medesimo giorno 5 agosto l'inaggravò d'improvviso: chiamò daccapo presso di

nel

fatti

fermo

!242

si

Ghiringhello e concertò con

il

lui

una nuova formola,

simile a quella che il Fransoni aveva il giorno innanzi indi-

cata

come accettabile; ma non volendo

il

confessore intro-

durvi alcuni emendamenti, giusta il desiderio dell'ammalato,

ne nacque una discussione che la contessa di Santa Rosa di comporre, suggerendo al Ghiringhello di sentire dal Pittavino, prima che fosse firmata, se sarebbe ritenuta

cercò

valida (1). Il confessore acconsentì, ma non trovando il par-

roco

in

giunto

:

la dichiarazione, dopo di avervi agEcco la dichiarazione che sarebbe disposto di sot-

casa gli lasciò «

prego nel nome del Signore a farla gradire a chi di ragione ed ottenuto quest'assenso ad amministrargli Sacramenti, che il male s'aggrava e non vorrei che morisse privo di quei sussidi della Religione^, che ar-

toscrivere

io lo (sic)

;

i

dentemente implora » (2). Ma la dichiarazione, sottoposta giudizio della commissione di teologi, che mons. Fransoni aveva appositamente e segretamente nominata, fu trovata insufficiente ed il Pittavino, ritornato presso il moribondo, affermò che sarebbe stata accettata solo la formola che egli aveva presentata in una delle prime sue visite all'infermo (3) né piegò alla vista dell'agonizzante che protestava di non voler lasciare un nome disonorato ai suoi figli, né alle preghiere della moglie che in ginocchio lo supplicava di concedere il Viatico al marito (4). Così al Santa Rosa del quale erano universalmente note la pietà esemal

plare, la

giosi (5)

profonda fede e l'osservanza dei precetti

— per aver accordato ,

il

suo appoggio

alla

reli-

legge

il) App., p. II, doc. 7. Questa dichiarazione fu pubblicata con qualche variante dal Colomiatti, che la tolse dall' archivio arcivescovile, op. cit., p.

176.

Documento cit. (3) Saraceno, op. cit., p. 233. (4) Esame cit. della contessa di Santa Rosa. (2)

i5) Il profondo sentimento religioso del Santa Rosa è rivelato oltreché da tutta la sua vita da alcuni diarii, di carattere intimo, esi-

stenti nell'archivio

Santa Rosa.


- 243 foro ecclesiastico, era

abolitrice del tato

il

«

inumanamente rifiu-

conforto che dal Dio delle Maddalene, di Ezechia e

ha da abbandonar (1). Il Pittavi no Rosa accennato alla aveva nei suoi colloqui! col Santa possibilità che gli venisse pure negata la sepoltura in terra

concesso a

adultere viene

delle

questa vita mortale per

la

vita

chi

eterna »

consacrata; perciò, dietro consiglio del si

recarono

la

teol.

sera stessa del 5 agosto

dottor Malinverni presso

il

parroco

e,

Ghiringhello,

Cavour ed il

persistendo questi

ad affermare che non poteva accordare inviati riferirono la cosa al ministro (2).

il

Il

i

funerali,

due.

i

mattino seguente

vennero mandati all' arcivescovo a Pianezza il ministro della Guerra e il primo segretario dell'Interno, cav. Ponza di S. Martino, incaricati, il primo di ottenere il permesso per la sepoltura, il secondo la rinuncia del Fransoni all'episcopato torinese; il Ponza ebbe un rifiuto, il Lamarmora una risposta né precisa né definitiva, avendo l'arcivescovo chiesto tempo per riflettere, quando in realtà voleva attendere le decisioni della commissione (3). Alle 10 circa veniva comunicato al ministero che la sepoltura era stata acfunerali seguirono

cordata.

1

e dagli

urli

diretti

al

il

7 di agosto turbati dai fischi

Pittavino,

che prendeva parte

alla

cerimonia (4). L'opinione pubblica fu concorde nel biasimare la condotta dell'arcivescovo;

e vescovi e

(1)

la

la

disapprovarono anche molti sacerdoti

stessa Curia

romana (5); ma era legale, era

Lettera della contessa di Santa Rosa a mons. Fantini, App..

;

1

1.

doc. 3. (2)

Esame cit. del conte di Cavour. Cmiala L., lA-tterc m/tf .<( (unide

di C. Cavour, I, Torino 1883, lett. CXXIX, CXXX, CXXXI eCXXXII. Della visita dei due inviati del governo e del successivo arresto Fransoni lasciò una narrazione sotto tonna di lettera diretta al ca> nonico Luigi Anglesio e datata dal forte di Fenestrelle il 16 settembre (3)

il

1850, pubbl. in Colomiatti. p. 248 e segg. (4i Dei fatti che accompagnarono la morte del Santa Rosa, abbiamo una narrazione di fonte clericale in De Cakdbnas Q., IjO prima settimana di agosto vHfn nttii di Torino (lettera ad un amico), Torina

186". 1,5)

La ripru.....

!»« in nmiierosp lettere di

sacerdoti alla.


_ 244 — opportuno che il governo sedesse a giudice e procedesse contro l'arcivescovo in una questione strettamente ecclesiastica,

quale era quella del

fronte

quesito furono discordi dapprima gli stessi membri

al

del governo:

Ministri,

i

rifiuto

sacramenti? Di

dei

che erano a Torino, e che, trasci-

nati nella lotta, meno serenamente potevano forse giudicare,

ritennero che

dovesse agire senz'altro con

si

tezza ed energia, accordandosi con essi

trovava a Courmayeur col

tutta

Siccardi, che

il

considerata l'azione del Fransoni sotto definita

comportabile

si

Va notato che egli non era

re.

contraddetto in questa sua opinione dal sovrano, il

veva

pron-

tutti

quale,

gli aspetti, l'a-

oppressione e demenza » « indegna ed ind'Azeglio invece, da Acqui, scriveva che

«

» . Il

procedimento sarebbe stato un atto arbitrario, e comunque perchè la condotta dell'arcivescovo aveva fatto al governo « una posizione magnifica in faccia a Roma ed in faccia all' Europa » dalla quale conveniva trar partito (1). Ma del suo avviso non fu tenuto conto e il Fransoni il 7 di agosto veniva arrestato e tradotto a Fenestrelle il

impolitico

,

in

attesa dell'esito del processo.

Per tradurlo

una vecchia disposiclero detta di appello per abuso. Il vescovo venne condannato all'esilio e Padri Serviti, al cui ordine apparteneva il Pittavino, furono sfrattati; ma, come bene avevano previsto il d'Azeglio ed altri, l'arresto del Fransoni non fece che procurare al vescovo l'aureola del martire e al governo una nuova controversia con la Santa Sede e un rinfocolamento di odio nel partito clericale. zione contro

in giudizio si risuscitò

il

i

Massimo far valere

d'Azeglio, arrivato la

sua opinione,

si

a Torino troppo tardi per adoperò a quietare il ribol-

limento del partito clericale col sacrificio del Bianchi-Giovini,

il

direttore

anticlericale,

a

cose

fatte,

il

il

dell' Opinione,

di

colore

eccessivamente

quale fu allontanato dal regno. Del resto, presidente

si

dichiarò

solidale

•contessa di Santa Rosa, esistenti nell'archivio Santa

col

mini-

Rosa e nelle let-

tere di mons. Fantini al conte Morra, Saraceno, op. cit., p. 237 e segg.

V. pure Carteggio cit., p. 279. (1)

Chiaves, art. cit.


— 245 — Stero, la

condotta fu approvata esplicitamente anche

cui

dal re(l).

III.

Mentre a Torino il governo faceva fronte, nel modo che si

è detto,

provocati dai

casi

ai

gesti

dell'arcivescovo, a

Roma un inviato straordinario del regno — nigi Pinelli — negoziava per giustificare

i

il

cav. Pier Dio-

procedimenti del

governo e per chiedere ancora una sconfessione dell'arcivescovo, che quietasse l'opinione pubblica e rimovesse future possibili occasioni di scandalo.

A una nuova missione a Roma, però, dopo quella fallita era atteso a pensare quando il conaveva toccato gli estremi che sappiamo. Ben è vero che il legato sardo a Roma, marchese Spinola, in una nota riservata al d'Azeglio in data 2 maggio '50, aveva prevenuto confidenzialmente il governo che era fadel Siccardi,

non

si

fitto

giurisdizionale

tica

buttata voler

Consiglio non alla ricerca

del

trattare (2).

E

tuttavia

il

presidente del

era lasciato persuadere, e andava sempre

si

suo uomo. Furono

e ricusarono,

officiati,

Roberto d'Azeglio, il Gallina, lo Sclopis, l'Alfieri (3). Infine d'Igliano, assentendo dopo qualche riluttanza il conte Sauli alle preghiere del d'Azeglio, si disponeva nella primavera avanzata ad andare a Roma per riprendere l'opera interrotta dal Siccardi. Pareva gran fortuna al governo che cotesto gentiluomo si addossasse l'ingrato compito. Nessuno a Torino voleva andare, perchè nessuno credeva alla

pratica

neanche il Egli era

efficaci^ Sauli,

di

una

missione.

che ubbidiva per dovere

e credeva

all'utilità

Non

ci

di

disciplina.

uomo di vecchio stampo un regalista, un conser:

vatore intelligente con qualche blanda tinta liberaleggiante;

e capiva che avrebbe incontrato

(1) (2)

<

ostilità

così

nei

liberali-

App., p. II, doc. 4. Bianchi, !m politica, p. 201 e seg^ y CoNSTANCB d'àzbolio, Souvenirs ui.fiurKjues, p. 398 e seg


— 246 — •democratici come nei gesuiti,

disse egli stesso

i

d'Azeglio

quali ultimi sapevano bene

— che per tornare

dominio del Paese dovevano passare sul suo corpo. Perciò appunto era noto che a Roma non sarebbe stato l'inviato piiì accetto. Senonchè il governo non aveva fretta. Parecchio tempo passò fra indugi e discussioni. E intanto sopravvennero gli al

al

aveva in proposito, ed espresse una ben ferma opinione: l'atto del Fransoni per la sua natura non ricadeva sotto le sanzioni della giurisdizione comune; alla superiore autorità ecclesiastica spettava di giudicarlo e punirlo; il governo commetteva anche un errore politico a ingerirsene, opinione largamente condivisa da quanti vedevano più lontano. Le chiassate, ultimi dolorosi casi. Il Sauli

ministero,

al

diedero pretesto

funerali del Santarosa, parvero ad arte dall'autorità; e ne fu disgustato. Il governo non era del suo avviso e seguì altra via. Non si poteva chiedere al Sauli che andasse « a difendere in Roma alle quali

a

lui

i

eccitate

un provvedimento da lui condannato anticipatamente » Ed .

rinunciò (1).

egli

Si misero allora gli occhi sul Pinelli, già lora presidente della

Camera dei deputati,

ministro e alil

quale, scrive

maligno il Sauli, « ne moriva di voglia » (2). La scelta parve e fu buona. Lì per lì nessuno si sovvenne che due anni Pinelli aveva scritto che, se la lega non si faceva, la colpa era del Papa. Non se n'era dimenticato il Papa, cui lo scritto aveva fe-

innanzi, all'incirca, fra

i

rito.

il

principi italiani

Il

Pantaleoni, l'amico e corrispondente del d'Azeglio,

fu informato del malumore di Pio IX in via confidenziale,

quando già il Pinelli era a Roma; e, in via sempre confidenziale, cercò si

di

far

persuaso

il

era tutto dimenticato; anzi che

incarico di un

(1)

Pontefice che a Torino la

designazione

all'alto

uomo del passato politico del Pinelli, voleva

Sauli d'Igliano, Reminiftcenze della propria vita, Roma 1909, pubbl. da E. Casini

voli. I-II, s.V. della Biblioteca Storica del Ris. It.,

La missione Sauli non fu accolta di buon grado dai partiti avanzati che la considerarono subito come « un

e V. Fiorini, li, p. 297 e segg. j)asso retrogrado », ^2;

La Concordia, III, 185, G agosto 1850.

Op. cit., p. 301.


- 247 essere un segno

di

deferenza verso la Santa Sede (1). La

cosa non ebbe altro seguito. Pinelli partì

Il

Roma ferrato

19 agosto. Egli andava a

il

buone ragioni, credendo

di

nella

giustizia

della

causa di

faceva avvocato, e persuaso che, quando fossero veri intendimenti del suo governo chiariti alla Santa Sede cui

si

i

e poste

in

sodo tante circostanze di

Fransoni, si sarebbero sgombrati

fatto della

tutti gli

questione

errori di giudizio

e le deformazioni della verità, che lo zelo in

buona fede

degli uni e l'interesse partigiano degli altri avevano gene-

rato a

di

stizia

Roma. E v'era

allora motivo

— pensava

il

sperare nella ragionevolezza e nello spirito del Pontefice

contava

di

della Santa

agire

Pinelli di

giu-

e del cardinale Antonelli. Sopratutto

efficacemente

richiamando

l'attenzione

Sede sul dissenso di una parte considerevole

del clero piemontese dall'arcivescovo, e sull'esasperazione

popolare per quella persistente sistematica

ostilità

di

lui

governo, che, allontanando tante anime dalla devozione alla Santa Sede, sarebbe infine ricaduta a danno

agli atti del

della stessa religione (2).

Errore

di

apprezzamento, che

fa

spirito retto del Pinelli. Egli, come

il

onore del resto

allo

d'Azeglio, trascurava

o non si rendeva abbastanza conto di quanto, senza alcun dubbio, ebbe a veder meglio pili tardi; che la considerazione giuridico -religiosa della questione era a Roma sopraffatta dalla ragione politica, non confessata, ma non perciò

meno riconoscibile nel comportamento della Santa Sede. Qualcosa fu già accennato da noi in addietro. È da presumere che il legato sardo presso la Santa Sede fosse in grado di metterlo a giorno degli umori di Roma e degli intrighi e delle pressioni oscure contro il regno sardo. Senonchè "lo Spinola sottostava alle suggestioni della consorte, procacciante, attiva, devota ai gesuiti e ai retrivi, i

(1)

Carteggio Pantaleoni-d' Azeglio, p. 28f) e seg.

i2)

Dispaccio Pinelli in data 23 agosto, Appendice, |). IH, *.ìo<\ 2. Che

a Roma si rappresentassero i fatti contro veritÀ è confermato dal PanTALKONi, Carteggio cit., p. 279 e seg., il quale condivideva da principio la fiducia del Pinelli.


— 248 per mezzo suo, operavano sull'animo dello stesso

quali,

legato; e non

mancava neanche chi insinuasse che lo Spi-

nola, al quale pure fu fatta lode di onestà, di misura e di il partito avverso (1). Alquanto tempo dopo l'arrivo del Pinelli, alla metà di settembre, giunse a

destrezza, aiutava

Roma per minare

il

i

fatti

suoi chi meglio di ogni altro poteva

Pinelli:

il

Pantaleoni,

uomo

di

illu-

acuta e limpida

temperati eppur vigorosi, il quale, com'era di veste e di compito ufficiale, aveva il vantaggio di non essere punto in vista, mentre, d'altro canto, era ricco di amicizie e di aderenze in alta luogo, e si trovava in condizione di conoscere come pochi altri gli occulti maneggi e il sentire segreto degli uomini politici di Roma. Ma, fosse per scarsa confidenza reciproca, fosse per un esagerato scrupolo di riservatezza del Pinelli (2), mancò un'attiva ed efficace collaborazione, la quale peraltro non avrebbe potuto fare che ciò che fu non fosse. Il Pontefice, personalmente, se avesse potuto guidarsi da sé e acquistare una esatta e coscienziosa cognizione della vertenza, non sarebbe forse stato alieno da un accomodamento onorevole. Pare che a quell'epoca non avesse smesso ancora di pensare a riforme per cui chi gli stava intorno vigilava attento (3). Per verità, anche fra cardinali era chi inclinava a pensieri di pacificazione e aveva larghe e intelligenti vedute (4). Ma il gruppo piìi tenacemente restìo a ogni invito di moderazione, era incitato a tener duro dai diplomatici delle potenze che, come la Santa Sede, meno sapevano perdonare al regno di Sardegna le libertà statuvista, di

sensi

liberali

fra altro, spoglio

;

i

tarie, e,

come la Santa Sede e in

dinale Antonelli, spingevano le frettare

l'inevitabile

sfacelo

dotto, nell'opinione loro, le cratici

(1)

particolar

cose

agli

modo

il

car-

estremi per af-

interno a cui avrebbero con-

intemperanze dei

e rivoluzionari, l'abuso delle libertà e

partiti

la

demo-

debolezza

Carteggio cit., pp. 270, 279, 290 e seg., 312, 318.

(2)

Carteggio cit., p. 279.

(3)

Carteggio cit., p. 279 e seg. e 285. V. anche, sull'indole del Pon-

tefice, il (4)

giudizio del d'Azeglio, Bianchi, La politica, p. 195.

Carteggio

cit., p.

271.


— 249 — del governo. Gli ambasciatori della Russia e dell'Austria più zelanti (1). Non restava però erano in questa materia indietro neppure il rappresentante della Francia repubblicana, il conte di Rayneval, creatura dei gesuiti e dai gesuiti voluto a quell'ufficio (2). Nella prima fase della controversia la Francia non fu punto benevola verso il regno sardo. Anche colà si riprovavano gli eccessi della stampa subalpina, si giudicavano poco solide le nuove istituzioni, e si dubitava che il partito rivoluzionario, eccitato dalla intransigente opposizione della Santa Sede, e chiamato a sostenere l'azione del governo, avesse infine a prevalere e a prender la mano (3). Il ministro francese degli affari esteri, i

generale

De la Hitte, sviato e premuto dal

nunzio ponti-

ficio e dall'ambasciatore austriaco, nell'estate del

da prima

l'accordo e

1850 cercò

persuadere per via indiretta il regno sardo al-

di

profferse arbitro; poi minacciò un'intromis-

si

sione, e pensò anche di mandare a Torino

il

De Courcelles

per sollecitare

Il

d'Azeglio, con

tatto e

controversia.

la fine della

fermezza, seppe tener lontano il pericolo

complicazione.

Piìi

tardi

il

De la Hitte, meglio

di

cotesta

informato,

altre molestie, ed anzi trasmise nuove istruzioni Rayneval. L'Inghilterra invece fu sempre per il go-

non diede di

al

verno gli

di

Torino, lo confortò a proseguire nella sua strada,

offrì aiuti

e consigli (4).

Tali all'incirca le disposizioni che il Pinelli trovava a Roma

diplomatici. Conviene ancora aggiungere che, sommato, le leggi siccardiane e gli energici procedimenti del governo contro il Fransoni, avevano accresciuto a Roma stessa la considerazione del regno di Sardegna e fatto salire nella stima generale il d'Azeglio; e si andava nei circoli

tutto

più cauti nelle previsioni costituzionali del

(1) (2) (8)

di

prossima rovina degli ordini

regno (5).

Carteggio cU., pp. 276, 279. 284. * Carteggio cU., p. 270.

Anche il d'Azeglio, del resto, giudicava premature le nuove istiIm politica, p. 198.

tuzioni. V. Bianchi, (4)

Bianchi, Storia della diplomazia, VI, p. 877 e segg.

(5)

Carteggio cit., pp. 280 e 282. /{ Ritofg. «al.,

XIU

IS


- 250 Il

Pinelli

lasciati

il

riprendeva

i

-

negoziati

al

punto dove

li

aveva

Siccardi l'anno innanzi. L'« oggetto speciale e prin-

cipalissimo » della missione era la rimozione del Fransoni.

Le prime istruzioni del d'Azeglio in data 18 agosto anzi ne richiedevano

la

«formale disapprovazione» (1). I

fatti

degli

mesi facevano pensare che la Santa Sede si fosse infine resa conto della convenienza di un provvedimento che solo poteva metter termine a una tensione non piìi tolultimi

lerabile. Il punto di glio, doveva

partenza dei negoziati, secondo il d'Aze-

essere esattamente questo: isolare, in certa

guisa, l'ultimo incidente occorso p^f la morte del Santarosa dagli altri precedenti, negarne la « necessaria connessione »

;

una tattica che gli pareva utile per evitare di dare argomento alla Santa Sede di rappresentare l'arresto dell'arcivescovo come un attentato alla libertà religiosa. « Il secondo arresto di mons. Fransoni si giustifica e come misura d'or-

come atto di tutela e di protezione verso Governo del Re ha diritto ed la religione stessa, che

dine pubblico e

il

il

coerentemente ai principii del jus pubblico eccjesiastico del Regno, compendiato nei primi due

il

dovere

del codice civile, e confermati dallo Statuto quando

articoli si

di esercitare

come Religione dello L'assunto non era facile, in verità. E come il d'A-

proclamò

Stato »

.

la

Religione Cattolica

zeglio stesso sentiva in fondo l'artificio di cotesta posizione,

e prevedeva che la Santa Sede avrebbe voluto « confondere le varie questioni», il Pinelli era da lui messo in guardia. Circa la legge Siccardi, l'inviato aveva il compito di difendere il governo sardo dall'accusa di non aver ne-

doveva star bene attento a non lasciarsi tirare principii che quella legge consacrava e che erano già entrati a far parte del diritto pubblico europeo (2). Quanto al primo e principale punto, il recondito pensiero della Corte romana era che il Fransoni avesse ecceduto (3). La disapprovazione risulta anche dalle parole del cardi-

goziato, e

a discutere

i

ci)

Dispaccio d'Azeglio in data 18 agosto. Appendice, p. Ili, doc. 1.

(2)

Ibidem.

(3)

Carteggio cit., p. 279.


— 251 — naie Antonelli nel primo colloquio confidenziale col Pinelli il

23 agosto. Egli concedeva che quel prelato era «di ca-

rattere difficile > e opinava che

« il

giudicare della sufficienza

della dichiarazione cui era pronto

il

Santa Rosa, era una

'questione di apprezzamento in cui mons. Fransoni poteva

avere errato, ma ciò non costituiva delitto »

.

E tuttavia l'An-

lamentava l'inframettenza del governo « in una questione di amministrazione dei Sacramenti», protestava di non poter ^ giudicare il vescovo in cose di pura coscienza », confermava essere indubitabile la censura incorsa da quelli che avevano proposto, votato ed eseguito la legge, per coneludere che non era da punire il Fransoni, il quale infine aveva fatto il suo dovere conducendosi secondo le prescrizioni delle leggi ecclesiastiche e della sua coscienza (1). Era la « confusione delle varie questioni » deprecata dal d'Azeglio, per cui si richiamava in discussione tutta quanta la spinosa materia di contrasto con Roma. Il Pinelli cercò di ridurre la questione nei termini indicatigli da Torino, e insistette a mettere in chiaro la baldanza che da un mancato provvedimento avrebbero preso nemici della religione per screditarla, e il pericolo che il governo si vedesse obbligato dalla maggioranza della Camera a cedere alle proposte dei partiti di sinistra. E cominciò ad abbandonare la prima posizione offensiva assegnatagli dal d'Azeglio, spiegando che non si voleva una « formale disapprovazione», ma un «semplice consiglio di rinuncia del Santo Padre » (2). Nel secondo colloquio si vide meglio dove stava il punto del vero e irreducibile dissenso. Il Pontefice fece sapere che non avrebbe accettato di negoziare se non quando il governo sardo avesse dato soddisfazione per la legge del 9 aprile, che violava le prerogative ecclesiastiche (3). Quella era la grossa questione, lo scoglio sul quale era forza che andasse a naufragare la missione. Governo e opinione pub-

tonelli

i

(1;

Dispaccio Pinelli 24 agosto, Appendice, p. Ili, doc. S.

(2)

Ibidem.

(3) 1)Ì8paccio Pinelli

senza data, Appendice, p. Ili, doc. 4.

'


— 25^2 blica nel

regno sardo consideravano la legge Siccardi come

un

sorpassato

fatto

suoi

se lo Stato non voleva

e,

abdicare

ai

sovrani, irrevocabile. Si faceva assegnamento sul

diritti

tempo per ottenere la tacita approvazione della legge, e intanto si reclamava da Roma una misura qualsiasi a casi voleva separare e far conimpuntava la Corte di Roma. La sconfessione del Fransoni, in qualunque forma pronunciata, avrebbe implicato in certo modo il riconoscimento del fatto compiuto, e la Santa Sede era ben lontana ancora dal piegarvisi. Il caso Fransoni era per Roma un episodio della vasta contesa, da giudicare in rapporto con tutto il resto e avente radice nella legge del 9 aprile. Il Pinelli aveva già avuto notizia del modo pontificio di vedere la

rico del Fransoni,

il

cui

caso

siderare a sé. Qui invece

si

cosa, dal di Rayneval, il quale per l'appunto difficoltà

riponeva la

massima della missione (1). Ma il ministero sardo

non volle dar peso alle parole del Francese. Anzi, come egli aveva insieme offerto suoi buoni uffici, e a Torino si conosceva la pasta di lui e gli umori del momento di Parigi, governo credette di fiutare una trappola, e, supponendo il che il cardinale e il di Rayneval agissero di concerto per indurre il Pinelli a ricorrere alla mediazione del Francese, i

reputò prudente

di

mettere sull'avviso l'inviato (2). Di con-

seguenza il governo

invitò

dere categoricamente che sciando alla Santa Sede

il

Pinelli a insistere

il

Fransoni

fosse

rimosso,

del

modo,

— che era

la scelta

nel

chiela-

senza esigere la « formale disapprovazione » entrava nelle vedute del governo era quello che il Pinelli, a somiglianza del Siccardi l'anno innanzi, aveva suggerito all'Antonelli il consiglio di rinuncia e proprio per la ragione fatta destramente balenare dallo stesso prosegretario pontificio per renderlo quanto

dire,

Peraltro un

modo che non

vano

:

il

«

;

rischio di esporsi ad

l'arcivescovo. L'incaricato

(1) (2)

un

rifiuto »

per parte del-

ebbe istruzione di non ritornare

Dispaccio Pinelli del 24 agosto già cit. Dispaccio Jocteau in data 28 agosto, Appendice, p. Ili, doc. 5.


1253

-

proposto modo. Spettava alla Santa Sede

sul

di

escogi-

tarne uno più conveniente (1). 1." settembre fu ricePinelli Senonchè (2), dopo che « come privato » (3) dal Papa e intese da lui ripetere che la premessa dei negoziati doveva essere una ritrattail

il

vuto

zione del governo

in

cessò di credere

si

ordine alla legge Siccardi, a Torino

alla

supposta trama Antonelli-di Ray-

neval, e si comprese che pel momento non era possibile accordo di sorta. L'incaricato chiese se era il caso che abbandonasse senz'altro Roma. Gli fu risposto il 7 settembre riflettere

di

bene,

di

risolvervisi soltanto

quando ritenesse

non dignitoso e in nessun altro modo utile di protrarre la sua permanenza; che in ogni caso la partenza non doveva dare appiglio alla Corte di Roma di valersene per la sua causa che, partendo, egli avrebbe dovuto aver cura di per;

maggiore autorità di Roma, e in modo particolare gli ambasciatori di Spagna e di Francia, che era vano attendersi una buona riuscita dalla missione, e che tuttavia il governo non perdeva la fiducia in una futura riconciliazione. Una circostanza, messa in rilievo dal Pinelli, e dal governo sardo ritenuta di molto peso e tale da giustificare eventualmente la partenza dell'inviato, è che suadere

le persone di

Pontefice nel colloquio col Pinelli si era fatto assistere, contrariamente all'usanza, da un prelato, tal mons. Barnabò, segretario di propaganda « ciò prova » scrive il d'Azeglio il

;

che S. Santità non gode di quella piena libertà onde abbisognerebbe per provvedere imparzialmente ai bisogni effettivi della Chiesa», e parrebbe confermare il giudizio che e

noi

ricordammo circa il sentire personale del Papa e

spetti il

1

(2i

e

il. i,

so-

vigilanza della sua Corte (4).

Pinelli restò a

Roma. Ma da quel momento la vertenza

Imi.

A (juosLo punto non ci soccorrono più

«lualcosa

V'

la

i

si

i

dispacci del Pinelli, ma

può pur ricostruire dalle istruzioni del d'.\zeglio.

(3l

Coitomi ATTI, op. cit., p. IMU.

(4i

Dispaccio d'Azeglio in data 7 settembre, Appendici.-, p. III. doc. 8.

.

la versione che del fatto die<lero

i

clericali nel

CouìMIATTI, op. cit.,


- 254 — non fece altri passi verso la soluzione. Era giunta a un punto morto. E l'inviato si ridusse in sostanza ad attendere l'occasione

il

pretesto di partire. Già il 6 settembre

— e dunque

prima ancora che a Torino si sapesse chiaro dell'incaglio della missione al Pinelli, il quale chiedeva che cosa avesse

a fare e a dire nel caso che il Pontefice toccasse del conflitto col regno di Sardegna nell'allocuzione concistoriale, che era

allora annunciata per il 30 settembre, il d'Azeglio rispondeva: partire, se vi

e

vi

si

si

usassero parole

mostrasse che

zioni (1).

si

offesa

di

esigevano

al

regno sardo e

ritrattazioni

umilia-

governo poi, aggiungeva allo stesso proposito

Il

un dispaccio posteriore (2), sarebbe uscito dal prudente silenzio fino allora osservato, rispondendo con una pubblica protesta. Il Pinelli aveva anzi incarico di mettere sull'avviso il card. Antonelli, ma con garbo e per via indiretta, allo scopo di togliere alla comunicazione ogni carattere di in

^

intimidazione (3).

Però neanche dalle parole pubbliche del Papa non fu porta occasione

alla rottura dei negoziati. I

confidenziali

sempre

colloqui del Pinelli

— continuarono, e fu per l'appunto

il

prosegretario di Stato pontificio che, per girare la difficoltà pili

grossa, disse della possibilità di instaurare nel regno di

Sardegna una separazione fra Stato e Chiesa sul modello di quella che vigeva nel Belgio. 11 d'Azeglio trovò opportuna

la profferta e, facendo le

nienza

di

applicare

tal

quale

sue riserve circa al

regno sardo

il

la converegime di

un paese, com' era il Belgio, in condizioni storico-politiche tanto diverse, diede facoltà all'inviato di farle buon viso, e di assicurare al prosegretario che il governo di Torino era disposto ad entrare per la nuova via (4). Cotesto accenno a una riforma, per la quale ancora non eran maturi tempi, non fu più oltre sviluppato. Fu messo da parte in conseguenza dei nuovi fatti che invelenivano il conflitto, cioè il processo e la condanna di mons. Fransoni e l'incidente Mai

(li

Dispaccio d'Azeglio 6 settembre, Appendice, p. Ili, doc. 7.

(2)

Dispaccio 18 settembre. Appendice, p. Ili, doc. 12.

(3)

Ibidem.

{A.)

Dispaccio 12 settembre, Appendice, p. Ili, doc. 9.


— 255 —

se pure non era stato, per parte dell'Antonelli, una mossa tattica per vedere fin dove sarebbe arrivato il governo sardo. L'istruttoria aperta a Torino contro il Fransoni faceva apil suo punto in quei giorni metà di settembre circa corso e il Pinelli veniva avvertito che il ministero si sarebbe adoperato, fin dove era lecito senza ledere l'indipendenza della magistratura, a che, chiusa l'istruttoria, si provvedesse contro il vescovo « piuttosto in via d'appello ab abuso, che non in via di pubblico e formale procedimento ». Le parole rongiu,

del d'Azeglio meritano

la

nostra

attenzione

come

quelle

che mettono in chiaro le ragioni politiche dalle quali era mosso il governo a preferire un procedimento da molti, di opposti partiti, tacciato di illegalità. Ricorrendo al vecchio e non discusso appello per abuso, il governo intendeva di <

secondare... l'avviamento datosi all'affare » dal Pinelli

:

in-

tendeva cioè di dar segno di moderazione; e, più ancora, voleva « evitare la pubblicità e lo scandalo di un procedimento formale, in cui il Ministero potrebbe forse vedersi costretto a produrre documenti, che molti e delicati riguardi consigliano a tener celati, e dai quali risulterebbe infallibil-

mente una serie d'inconvenienti, che starà a cuore sicuramente alla S. Sede non meno che al Governo del Re l'antivenire * (1). Questo dei documenti, che prudenza vietava di

far

conoscere

al

pubblico, è

il

punto oscuro

di tutta la

questione. Si sussurrava da taluno di carte cadute in mano del ministero, che comprovavano

una trama

politica ordita

dall'arcivescovo con nemici esterni degli ordini costituzionali.

Intorno alla

maggio la marchesa Costanza Emanuele, precisava trattarsi Fransoni col principe di Schwartzen-

metà

d'Azeglio, scrivendo

al

di

figlio

un carteggio del berg, e di una lettera del card. Antonelli che scopriva gli intrighi del partito retrivo (2). La forma prudente, con la quale la nuova è riferita, lascia appena dubitare della sua di

esattezza. La fonte d'informazione della (1)

marchesa era

la

Ibidem.

Souvenir» historiques, p. 401. Menzogna chiama l'esistenxa dei documenti il Coi-omiatti. ]> '2U). (2)


- 256 — migliore che potesse darsi. E tuttavia ci guarderemo da te-

merarie ipotesi. Se il governo dei re aveva altrettanto inte-

Sede a lasciare ignorare documenti, è presumibile che non fosse, come qualcuno congetturò, questione resse che

la S.

i

cosa che compromettesse soli Fransoni e Antonelli. Fermiamoci qui. Ci basterà osservare che quelle del d'Azeglio erano sode ragioni né gli irresponsabili, coloro in ispecie che strillavano sulle gazzette e nelle piazze, avevan modo di penetrarle, o, in ogni caso, di ponderarle convenientemente. Quando il d'Azeglio scriveva nei termini che abbiam detto al rappresentante sardo, si prevedeva già che l'esito del procedimento sarebbe stato, come fu, lo sfratto del vescovo. E il presidente dei ministri, toccandone nel dispaccio stesso, osserva che, in quella ipotesi, la « determinazione dovrà avere, ed avrà l' impronta di una risoluzione definitiva ed irrevocabile, qualunque fosse per essere in seguito il giudizio Canonico, che a Roma venisse fatto relativamente al modo di procedere » del prelato (1). A quel punto, prima che il Fransoni fosse giudicato, venne ad arruffare la matassa, che il Pinelli penava già tanto a dipanare, l'incidente Marongiu. Con una legge sanzionata dal re nel marzo di quell'anno stesso, si era disposto perchè fossero estese anche all'isola di Sardegna le norme relative all'amministrazione delle opere pie laiche o miste, che nel continente erano state messe in vigore da un regio editto fin dal 1836. La disposizione la quale importava di

i

;

l'accertamento dell'ammontare in

e

patrimoni ecclesiastici,

grandissima parte amministrati dal clero, e della qualità alla bene-

modo di distribuzione delle rendite destinate

aveva anche la mira di preparare l'applicazione una legge, già approvata dalla Camera dei deputati e

ficenza di

dei

sottoposta all'esame del Senato, sull'abolizione delle

de-

cime ecclesiastiche e sulla conseguente nuova sistemazione finanziaria per provvedere ai bisogni del culto e del clero.

La commissione, nominata per gli studi preparatori a Cagliari, si

vi)

rivolse ai prelati dell'isola

Dispaccio 12 settembre

cit.

perchè fornissero

i

dati


- 257 — €

i

documenti necessari ai suoi

lavori. Tutti assentirono ad

eccezione dell' arcivescovo di Cagliari, mons. Marongiu, il quale, da prima ricusò asserendo di non essere amministratore della

Causa pia generale di Cagliari e poi, come l'auaveva inviato un giudice nel palazzo vescovile ;

torità civile

per trarre, dai registri e dai documenti,

i

dati richiesti, fece

affiggere una dichiarazione di scomunica contro quanti avevano ordinato ed eseguito la visita. Del Marongiu, simile in

questo

al

Fransoni, era

conosciuta

l'avversione

ai

nuovi

ordini politici del regno e l'ostilità verso tutti gli atti dell'au-

governo intese il significato dell'opposizione del Marongiu, e ne deferì il giudizio alla magistratura (1). La sua posizione, nel caso Marongiu, era pienamente giudubbi e disstificata e legittima, non dava luogo a tutti pareri che il caso Fransoni aveva fatto nascere fra gli amici stessi del governo. L'arcivescovo non poteva motivare il suo operato neppure con affermare che interpretava il pensiero di Roma in ordine a una legge da Roma stessa non

torità civile.

Il

i

riconosciuta. La sua era opposizione pura

e semplice alla

esecuzione di una legge dello Stato, vigente da' 1836 e fuori di discussione (2). In questo senso ne riferì il Pinelli a Roma. In altro momento la cosa n' n avrebbe dato occasione che del governo regio; allora, invece, che erano a Roma e a Torino, fu origine di nuovi malumori e nuovo impedimento a un'intesa. Una speranza di aggiustamento per altra via balenò un istante al ministero d'Azeglio poco dopo la metà di settembre. E merita che se ne parli per illuminare un punto ancora poco conosciuto della politica sarda nella penosa

a qualche dilucidazione

con

le disposizioni

vertenza. Si erano radunati a convegno a Villanovetta, presso

Saluzzo,

i

vescovi della provincia

di

Torino, per deliberare

intorno alle cose della loro diocesi (3); e avevano infine mali che votato un indirizzo al papa per rappresentargli i

(1)

Dispaccio

14

settembre, Appendice

JStoto e (hicsd, I, p. 3HfS p soprj (2)

Dispaccio cit

r\\

ft,w;.;...

I

,,

p. Ili, doc. 11.

C'fr.

Booaio,


- 258 — venivano alia religione stessa, e per invocare le richieste del governo cercando di giungere ad un componimento per mezzo del Pinelli. Due dal conflitto

che

accogliessero

si

dei vescovi firmatari al

re,

dell'indirizzo

offrendosi pronti ad andare

si

a

eran poi

Roma

a

presentati

perorare

in

favore del governo ed a coadiuvare l'inviato sardo. La pro-

competenza all'esame del Consiglio il d'Azeglio da Torino aveva incontrato dubbi e perplessità non poche. La condotta passata dei due vescovi non dava davvero garanzia di sincepista, trasmessa

per

dei ministri — assente

di propositi. Si dubitava che volessero piuttosto creare che rimuovere inciampi. Si poteva anche presumere, è vero, che la mossa non fosse -spontanea ma ordinata da Roma, rità

per coprire

la ritirata

e far apparire come dovuto all'inter-

cessione dell'alto clero piemontese quello che si concedeva

fermezza e alle buone ragioni del governo. Anche questo era possibile, E se così fosse stato in realtà, il governo non aveva motivo di ricusarsi alla manovra, purché ne uscisse salvo il suo buon diritto. Quando invece ci fosse fondata ragione di negare la buona volontà dei vescovi, si alla

pjoteva evitare di prestarsi al

gioco avversario, invitandoli

mandare a Roma l'indirizzo e ad attendere le ulteriori decisioni del governo. Combattuto da tanti dubbi e mancando

a

elementi positivi

di

deliberazione

fin

di

giudizio,

il

Consiglio rimandò ogni

a quando non fosse conosciuto in propo-

sito il parere del Pinelli, che^ a Roma,

meglio poteva vedere sapere giudicare. Le necessarie istruzioni furono inviate a

Roma

il

21 settembre (1). Il d'Azeglio, il quale era a Genova

dispaccio prima che proseguisse, intendendo come sempre a mostrare che il governo sperimentava volonteroso qualunque mezzo gli venisse indicato, in un poscritto e vide

il

aggiunto al dispaccio, si dichiarò favorevole all'accoglimento dell'offerta, e

confermò la sua opinione in un secondo po-

scritto quando seppe che l'indirizzo era partito per

Non conosciamo

il

parere del

Roma (2).

Pinelli, quantunque, dacché

(1)

Dispaccio 21 settembre, Appendice, p. Ili, doc. 13.

(2)

Ibidem.


— ^259 — i

vescovi non intrapresero il viaggio né

si

parlò più della

proposta, sia lecito congetturare che fosse sfavorevole. negoziati presero un più riVerso la fine di settembre soluto avviamento verso la rottura. Giunse a Roma la notizia che processi Marongiu e Fransoni si erano chiusi il 21 e il 25 settembre con l'espulsione degli arcivescovi. Strano, il governo di Torino si imaginava ancora che la soluzione non sarebbe spiaciuta alla S. Sede, in considerazione del riguardo che le si era usato di evitare la pubblicità e le lungaggini di un dibattimento ordinario (1). E invece Roma si irrigidì più che mai nel suo atteggiamento. La posizione del Pinelli era divenuta penosa. Tutte le sue conversazioni col card. Antonelli avevano avuto carattere confidenziale, non ufficiale: né gli era ancora riuscito di presentare le credenziali davanti alle mille difficoltà che gli i

i

faceva l'Antonelli. Egli liante

si

stizziva; trovava, a ragione, umi-

trattamento che gli si faceva e non dignitoso per lo

il

Stato che rappresentava. Eppure

il

longanime d'Azeglio,

preoccupato del giudizio altrui, ancora il 9 ottobre tardi

per trattenerlo più oltre a

dopo

— troppo

Roma — lo esortava a pa-

condanna dei vescovi, egli spiegava, la Corte di Roma aveva « apparenti ragioni di disgusto e di risentimento » e se non le si desse « qualche spazio per venire a più convenienti e temperate risoluzioni, il governo assumerebbe infallibilmente, in faccia all'Europa, l'aspetto zientare

:

la

;

di

aver intavolate trattative senza verun leale proposito di

venire a temperamenti conciliativi > (2). Una consimile opera di

persuasione presso il Pinelli aveva svolto a Roma il Pan-

taleoni, illuso anch'egli fino all'ultimo che, presso la S. Sede, sulla ragione politica

avesse da ultimo a prevalere

il

bene

inteso interesse della religione (3). Vedeva più giusto il Pinelli.

A una nuova domanda di presentazione delle creden-

ziali,

l'Antonelli rispondeva

volta (1)

il

Pinelli giudicò

con un esplicito rifiuto. Questa che ce n'era abbastanza per essere

Lettera d'Azeglio e dispaccio 26 settembre, Appendice, p. Ili, docc.

15 e 16. (2)

Dispaccio 9 ottobre, Appendice, p. Ili, doc. 17.

(3)

Carteggio cit., p. 283.


— 260 — giustificati

davanti all'Europa della rottura dei negoziati. E

r8 ottobre

parti (1).

meno accecati a Torino non stupirono. La stessa Gaz-

I

zetta del Popolo, organo di quei partiti di sinistra che pa-

ventavano un concordato come un passo indietro nella questione, quando seppe della rottura se ne rallegrò e scrisse che, se il governo poteva giustificarsi con dire di aver dato prova di ogni possibile buona volontà, la nazione aveva tuttavia preveduto che la missione fallirebbe. A parte gli eccessi polemici del linguaggio, il giudizio del giornale era

sostanza esatto ed equo (2). Il Sauli invece, velenosetto,

in

scrivendo che

il

Pinelli

«

fece un fiasco solenne »

(3), lasciò

intendere che un altro in vece sua sarebbe riuscito. E un

uomo del partito opposto,

il

qualche maggiore apparenza il

«

Bersezio, scrisse, con di

appena

equanimità, che il Pinelli e

suo consulente legale, prof. Tonello, andarono, inesperti, a impigliarsi nelle sottili reti del formalismo clerocratico,

zimbello alle volpesche scappatoie dell'Antonelli » (4). Registriamo senza discutere. Chi ci ha seguiti fin qui sa se

fatti

un

altro

uomo avrebbe saputo fare di più e di meglio. A. BOZZOLA e T. BUTTINI.

(Contìnua).

(i)

BoGGio, op. cit., I,

p. 303, Bianchi, Storia della

diplomazia, VI,,

p. 376 e segg. (2)

Gazzetta del Popolo, nn. del 12 e 26 settembre e del 16 ottobre.

(3)

Reminiscenze, p. 301.

(4)

Bersezio V., TrenVanni di vita italiana, Torino 1889, V, pp. 118

e segg. Anche di recente il Chiaves, art. cit., si lasciò andare a un giu-

dizio affrettato e imprudente quando scrisse che la missione «frettolosamente organizzata e male affidata, sorti esito infelice e ridicolo » .^


IL ed

LIBERALISMO TOSCANO

suoi rapporti con Cesare Balbo ed

i

durante

la

il

suo gruppo

questione Tosco-Modenese per

il

pos-

sesso della Lunigiana dall^ottobre al dicembre 1847.

(Cont.

:

V. // Risorgimento Italiano, voi. 'K.ill, fase. I-II, p. 14)

APPENDICE Lettere inedite di Giacinto Coliegno a Cesare Balbo

(1).

I.

Firenze, 4 Ottobre '47.

Carissimo, Dopo averti scritto

il

29, rilejrgo

Post scriptum della

il

tua del 24: e quell'opera santa alla quale mi invitavi mi girava e rigirava pel capo. Vedrai nella Patria di oggi

il

risultato: perdona

in favore dell'intenzione l'aver combattuto nell'applicazione alla To-

scana le tue idee generali intorno alle artiglierie civiche.

Exspecto resurreclionem. E perchè non viene almeno il programma che mi dicevi essere fatto da 15 di? Giacché dovete principiare ebdomadari, potete farlo anche con gli articoli 12 e 13 della nuova legge,

che mi paiono incompatibili colla stampa politica quotidiana; e se la

censura permette di ragionare di quella legge, riescirete a fare modificare

quanto v'ha tli impraticabile. Se poi volete si attacchi la legge

dal di fuori, scrivilo alla Patria, aìV Italia e non dubito ti serviranno.

Ma in ogni motlo non vi fate aspettare sino alla vitam venturi saeculi.

{l) I

documenti che pubblichiamo

in questa

appendice sono tutti

conservati n&WArchivio Balbo di Torino (Corrùtpondenza del conte Cejtare Balbo, cartelle n. 32-38). // Hitorg.itnl..

XIII

17


— 262 — Qui nulla di nuovo. La neve caduta nelle vette dell'Appennino rende le il

strade

e raffredda gli animi. È vero che l'Abetone

difficili

S. Bernardo,

non è

ma Radetzki non è il primo console e poi ci siete voi

sul fianco destro suo. Dicono che la squadra inglese ancorata a Livorno abbia a bordo truppe di sbarco che sono alla disposizione del

governo di qua. Altro moti\o di addormentarsi.

Da Roma pare che la consulta vada bene. Minghetti scrive lettere piuttosto consolanti. Sai che l'indirizzo o ringraziamento era scritto

da lui. Ha tatto senso presso taluni che appunto dopo le tue Prime parole si scrivano a Torino due giornali uno tutto di nobili, l'altro tutto di borghesi

:

a chi conosce gli animi e

le

cose vostre è facile

spiegare quel fatto, ma è un peccato non siasi potuto evitare. Risorto o no scrivimi e dimmi cosa fate e credi sempre al tuo G. Collegno.

IL

Firenze, 16 novembre 1847.

Carissimo, Ti avrei scritto prima d'ora se non aveste ormai in Piemonte giornali toscani che

ti

dicono di Firenze tutto quello che te ne poteva

dire io e spero bene che non giudichi di noi dagli articoli della Bi-

lancia ripetuti dalla Gazzetta torinese né da quelli della Allgemeine Zeitung che annunciano che il granduca voleva fuggire e porsi in salvo a Torino dal furore rivoluzionario toscano. Qui le cose interne

procedono e procedono bene dacché giunsi cerco per ogni dove quei :

fìnge ten:>ere

un 93 e non trovo chi

parli di resistere a nessuna delle disposizioni

emanate dall'autorità.

radicali anarchisti dei quali

si

Se v'hanno degli ardenti nella guardia civica questi

si

limitano a

chiedere armi per andare alla frontiera modenese e dacché il go-

verno ha spedito a Pietrasanta quasi tutta l'armata e affidata la sicurezza interna del paese ai

civici, tutti

sono contenti. Ora poi

verrà l'adesione di Modena alla lega: le truppe torneranno ai loro quartièri,

civici alle loro case, si

i

organiche e soddisfatti

i

promulgheranno le nuove leggi

toscani saranno soddisfatti. Rimarrà però che siano

anche quelli che

si

sentono italiani e che non credono

sia rinata l'Italia perchè, si permette lo sventolare di bandiere scre-

ziate di verde, rosso e bianco. Questi credono che la

Toscana darà

qualche sacrificio alla patria comune, questi vorrebbero che i toscani si preparassero alla lotta che ha pur da venire contro i 300.000!

Ma non sanno come persuadere al governo che oltre alla pace interna vi sono altri bisogni urgenti. Contro l'avversità esterna diceva ieri la

Gazzetta di Firenze « Abbiamo Leopoldo

II

e Dio ».

E ap-


— 263 — punto alla frontiera modenese di Val di Serchio hanno scritto gli estensi « Dio e Francesco V ». Ora l'entrata del Capitano Guerra in

Fivizzano mi pare dimostrare che anche in Italia Bios protege a los

malos.

Quando son mas que los buenos. Onde v'è anche qui chi armi per ora, per il poi, per sempre. E il governo

grida: Armi,

non ci sono quattrini e si ripete sottovoce, i toscani non sono mai soldati; s'aggiungerebbe se si osasse: penseranno i piemontesi a difenderci se saremo minacciati d'oltre Po. Nei consigli del governo uno solo dei Ministri ha parlato della opdice:

stati

portunità di creare un esercito o esercituccio ed è stato costretto al silenzio dai colleghi e più ancora dal supremo reggitore. Ora con-

viene lasciare che

i

300.000 italiani

si

limitino ad avere

due reggi-

menti di 1500 uomini ciascuno male armati, male esercitati ovvero si

deve spingere ed aiutare chi vorrebbe cambiare

militare di questa provincia?

tare tra

i

lo

spirito anti-

A te non parrà vero che si possa esi-

due partiti ^d a te lo dico francamente che se in Toscana

s'ha da sperare armamento conviene che la cosa muova dal Piemonte. 11

capo militare della Lega Italiana ha diritto, ha dovere di esigere

che tutti i membri della lega contribuiscano alla difesa comune. Un invito benevolo, un consiglio fraterno da cognato a cognato decide-

rebbe la questione; me lo ha fatto dire in confidenza quel ministro

che solo osa parlare di armi. Pensa tu se hai mezzo di fare giungere qui questo tale invito tale consiglio. Forse ti potrebbe aiutare Angelino. Pensaci

insomma e fa come giudichi, ma fa come se la cosa

venisse da te solo o da chi vorrai,

ma non nominare me. Sto ora

compilando quel libricciuolo da mettere

in

tasca ad ogni coman-

dante di distaccamento in tempo di guerra: ho girato giorni sono la frontiera

modenese dovunque: mi pare sapere come si farebbe a

trattenere un corpo che volesM

come nel 1815 attraversare la To-

scana per minacciare poi a Tolentino chi si ritirasse dalle Marche,

ma tutto ciò a che serve se non vi sono fucili e chi sappia servirsene?: chò il volere non basta in tal caso. Non so se nel caso previsto nei tuoi studi Firenze

sarebbe pronta a quanto vorresti, ma

credo che vi si troverebbero parecchie migliaia di uomini da portare nell'Appennino a farvi la guerra d'avamposti a prepararsi cosi

a imprese maggiori. Ma ci vuole sempre un nocciolo di truppa regolare per sostentsre

mente

la vita; ci

il

buon volere di chi oiTre anche coraggiosa-

vuole una armata regolare, una armatuccla di

venti, di quindici mila

uomini o non

si

fa nulla.

Se hai tempo scrivimi e dimmi che vi sia da sperare o da temere nel nord ovest d'Italia.

Dimmi se conosci un'operati un generale:

Lallemand, Des operations secondaires de la guerre.


- 264 — Dimmi se credi che la Toscana, chiedendo ai governo piemontese gliene sarebbero venduti. E poi sta sano e credimi Tuo sempre G. Collegno.

fucili,

III.

Firenze, 29

novembre '47.

Carissimo, ti avevo scritto due righe giorni sono dandole ad un ufficiale cili

che doveasi recare a Torino in tutta fretta per cercare fu-

e lo credevo già in Piemonte

quando mi

si

dice che egli

non

ha ancora ottenuto il passaporto. Altro che il tnanana dei nostri buoni spagnuoli. Ora però alla tua lettera del 24 rispondo che of-

frendomi a corrispondente ho inteso mandarvi nulla più, tu poi ed articoli beili

i

^ nuove

tuoi ne farete l'uso che vorrete;

di qui

e

ma mandare

e fatti tanto varrebbe dire a un cuoco di fare a Fi-

Il primo requisito della stampa periodica si è servez chaud; io ne «manderò lodole, tordi, becacce anche se ne passano, tu penserai a fare quei sahnis che

renze un intingolo da mangiarsi a Torino.

possono riuscire più gra,diti agli avventori.

Mi rallegro della riuscita del Risorgiment'). Ho letto qui a varie persone quella parte della tua lettera che concerne

le azioni; nis-

suno mi ha capito, ma avrete 60.000 franchi e con ciò è assicurato il

1."

anno: il talento dei redattori farà

il

resto. Al Salvagnoli poi

ho letto la bellissima frase per lui e per la Patria. Dice che ti scriverà ma io ti dico di no, perchè non lo può. È solo a scrivere, a mettere en pages, a riempire i vuoti quando ne fa la censura a cor reggere le bozze e poi non ha salute da buttar via. Qui si sono decisi a aumentare l'esercito e hanno ordinato la formazione di quattro compagnie di volontari; ma la volontà manca a questi e la truppa è stata tenuta iin qui in sì poco conto che è inutile sperare che vi si entri meno che per forza. Sono perfetta-

mente d'accordo sulla guardia civica ligura piemontese, ma per scrivere con conoscenza di causa vorrei avere

1."

tutti

i

regolamenti

sulla formazione dell'esercito nostro e particolarmente delle riserve ; 2.", copia della petizione

dei Genovesi che mi dicono molto ben fatta;

capisci che prima ch'io abbia questi documenti, sarà passata l'opportunità. Altra prosa che

non

si

può scrivere da lontano. Ma tu

tutte le buone ragioni che bai, fai sentire

che in caso di guerra ci

vogliono fucili in quantità immensa per armare Parma, Modena, Bologna, Brescia, Milano et. et. e dandone ora ai civici sarebbero persi

per la guerra dell'indipendenza. Tutto ciò non si può dire, lo so, conviene fare come i ristoratori di Londra che chiamano leone la lepre.


— 265 aquila la pernice. Quanto allautorità che vorresti dare sai

pure che... nemo prophela

al

mio nome,

ec.

Addio per oggi. Speriamo in quella stella che protegge T Italia e facciamo quanto sta

in noi

per meritare la protezione e non

i

co-

pernichiani la fermino se possono!

Tutto tuo G. Collegno. IV.

17

Dicembre

1847.

Carissimo,

La spiegazione sugli scrittori del Risorgimento l'avevo avuta dal programma, e con me tutti quelli che avessero potuto credere ai pettegolezzi che si facevano circolare. La tua idea di scrivere su quel-

l'inconveniente dell'accessione al Piemonte mi pare santa. Qui, massime la prima nuova della lega doganale e delle riforme vostre pare avere tolto ogni sospetto che l'Austria volesse un giorno mischiarsi delle cose toscane; sino al novembre dicevano : siamo troppo piccini per tentare di resistere. D'allora in poi dicono: non abbiamo bi.-^ogno di

pensare noi a resistere e rispondono cosi con un tuono

di Giove Capitolino a chi parla d'armarsi. A me poi, hanno fatto l'o-

nore di credere che predicando si organizzasse un esercito, e dire se

ne volevo il comando! e hanno Unito coU'annunziare come misura

somma energia che l'esercito regolare, che è ora di 3 o 4 mila uomini, sarà portato nel 1848 a cinquemila. E di li nessuno li persua-

di

derà a sortire se il capo militare della lega italiana non

lo esige

come condizione di sua protezione. Del resto tutto è da creare qui, in punto militare; si spende ora ogni anno circa mezzo milione di pensioni

di ritiro, e

per mettere in ritiro gli incapaci di servire at-

tivamente converrebbe forse spendere il doppio. Il materiale d'artiglieria

dipende dal regio comando militare, cioè dal più vecchio

degli ulliciali di fanteria: il materiale del genio dallo scrittoio delle

Regie Fabbriche e Giardini. Capirai che con queste basi poco.

Quando giunsi qui

fine

di

si

fonda

ottobre cercai del ministro della

Guerra e lo vidi un minuto dopo vari tentativi. Scritto un primo articolo sulla Patria mi si disse di mettere per iscritto le misure che crederei doversi allottare: furono presentate: la persona che le presentò mi disse per sola risposta: non se ne fa nulla. Conchiusione: batti da Tonno se volete

si

faccia qualcosa. Mandata qui

un

uomo di attività e di spirito (invece dell'ottimo Carrega che starebbe benissimo Bruxelles ed a Pechino) e questo abbia missione di esigere che si chiami Ricasoli che fa a Genova tutto novembre come


— 266 inviato straordinario

:

dice che gli fu detto

:

In caso di guerra faccia

Toscana di reggere tre giorni e io farò il resto. Tre giorni è una gasconnade ; ma tre settimane basterebbero a parer mio, ebbene la

non si resisterebbero tre ore! E il Duca di Modena ne ha la ferma persuasione: coi soli mezzi proprii verrebbe sino alle porte di Fi-

renze quando che sia.

11

piano del governo, e se ne stimano come

misura energica, sarebbe in caso di invasione ritirarsi a Portoferraio e protestare lasciando il paese a fare quello che volesse,, di

come lasciarono Fivizzano.Vedi se siamo lontani dal poter fare una diversione nella valle del Po in caso fosse assaltato Nelle

il

Romagne si organizzano seriamente le guardie

Piemonte!.

civiche,

ma

centro di difesa non c'è, piano di operazioni possibilità di avanzare, di

passare il Po, per inquietare

le

comunicazioni col nemico, sono

cose che non vengono in mente a nessuno. Dunque sappiatelo bene: esigete voi che l'Italia collegata pensi all'organizzazione militare

principiando dall'abbici o preparatevi a essere soli a battere il ruvido ferro. Ti dicevo che ho veduto per 45 minuti secondi in tutto e per tutto

il

ministro della Guerra: ho veduto per 45 minuti primi

comandante d'artiglieria, vecchio militare dell'esercito italiana ma al quale m'han fatto credere ch'io volessi contrastargli il posto. Pensa tu s'io possa qui servire a fare collocare qualcuno. Per Roma potrei dare lettere per due consultori e per queir Armandi antico colonnello d'artiglieria italiana, ora membro della commissione per l'organizzazione dell'armata. Vedi se ciò può giovare. il

Altro dato per l'avvenire toscano, il partito moderato, il solo che

abbia possibilità di riuscita, chiede che le municipalità siano tutto, il

governo centrale nullo: in questo senso lavora la Consulta e se si

chiedesse che le guardie civiche dipendessero non dai gonfalonieri locali,

ma dalla autorità centrale, si avrebbe adosso tutta Toscana meno

cento individui forse. La stessa opposizione

si

troverebbe volendo

dare all'Autorità un esercito di dieci mila uomini. I pisani giorni

sono fremevano che si volesse dare a Lucca una corte Regia, e corse qualche pericolo Montanelli per avere stampato che Lucchesi e Pisani erano fratelli e questo spirito vogliono fortificare i progressisti.

Ai fa pa nen. Dio è con sei più

noi. Go a head e sta sano. Ti ridico

che

giovane di chi à trent'anni: per ora non saprei dire sulle

guardie civiche non ìiate liguro piemontesi più 4 Ottobre:

di

quanto dissi il

dunque ringrazio tuo figlio della notarella

e

non man-

dare altro. Addio, addio. G. Collegno.


— 267 — Lettere inedite

di

M. D'Azeglio a Cesare Balbo.

Lucca, 9 Ottobre 1847. Caro Cesare, Come vedi, mi comincio a avvicinare. Venni a Firenze per Urbino e Borfro S. Sepolcro con molte avventure che ti racconterò a voce. Gli affari di

Lucca ci tenevano in pensiero. Il Duca un po' matto,

un j^' ciuco, un po' birba, aveva concesso ed accettati i ringraziamenti, e

il

duchino, inalberata la bandiera tricolore (gofon), poi s'era Io e molti i tedeschi

pentito scappato a Modena e mezzi chiamati

!

predicavamo la difesa e si faceva sul serio quella volta, che il paese è eccellente per ciò tanto in uomini che in luoghi. Ora, giorni sono, ha avuto talento una volta in vita sua, e ha abdicato e Lucca è riunita alla Toscana e di sette pezzi n'abbiamo fatto sei e non vengon più tedeschi, e al solito abbiamo una fortuna impertinente e tutto

va a vele gonfie. Ieri venni da Firenze con Luisa e^a Pisa si radunò molta gente sotto le finestre e mi toccò al solito arringare dal terrazzino, e presi

il

soggetto della riunione di Lucca e quantunque

non fossi in vena e parlassi come un cane, ebbi applausi ed urli a iosa, venne poi la guardia nazionale, e quando uscii mi misero in mezzo a una selva di bandiere e m'accompagnarono fin fuori di porta al Debarcadero colla banda, che parevo proprio il Dottore Dulcamara. Alla finestra avevano messi i parati e le donne sventolavano bandiere e fazzoletti e Luisa, che veniva appresso con amici nostri, ebbe anch'essa

i

suoi applausi. Al Debarcadero

mi toccò ar-

ringare di nuovo e arrivato a Lucca rincominciò all'incirca la stessa

scena fino alle nove di sera che fu l'ultima predica dalla finestra. Certo che vita non ne manca qui. Ho sempre battuto sul beneficio dell'unione, sul far elogi che lo spirito municipale ceda allo spirito

nazionale e sul gridare viva Leopoldo 11 viva Pio IX e la Lega degli Italiani.

L'insieme del popolo è contento: la nobiltà di corte fa ir

muso e glie lo lasceranno fare. In questi momenti

nello stato pre-

sente dell'opinione e degli affari italiani tutto quel servitorame ed il

suo egoismo d'anticamera mi fa rabbia.

Domani credo partir per Genova. Scrivimi fermo in posta. Dimmi se credi opportuno che venga a Torino o se ò meglio che non venga. Le nostre azioni sono calate dappertutto e presto saranno a zero e salvo per vedere te e

poche altre persone non ho una grande pre-

mura d'andar costi. Mi par di vedere quel tale che era seduto su un ramo d'albero e se Io veniva tagliando dalla parte del tronco e


- i268 più

gli si

diceva che darebbe il e

in terra e più tagliava. Basta,

che ognuno si diverte a modo suo. Addio.

Massimo. II.

Firenze, 14

novembre 1847.

Caro Cesare,

Ho scritto a Roberto lettera comunicabile a te con varie n(5tizie private e pubbliche. Mi rallegro delle vostre feste. Lo vedi se c'era

ma cosa che assai preme.

bisogno di me! Oggi ti scrivo in fretta

Qui tutto procede bene e non ti lasciare spaventare dalla chiassata fatta

per Fivizzano e dalla crociata che si formava per andarlo a

liberare, che

vica

s'è

con quattro parole di Ridolfì e un po' di guardia ci-

subito sciolta. Tuttavia il governo avrebbe bisogno di forza

morale, e questo sta a lui; e di forza materiale, e ciò pure tocca a lui pensarci,

ma ha bisogno di spinta per vincere certe irresoluzioni

e ritardi e dubbi ed altro. Ora ti dico ufficialmente che sarebbe molto utile e si desidererebbe che venisse di costi dal

governo un consiglio

o eccitamento a formare qui uno stato militare competente mostran-

done le necessità

momento presente

al

e

se a ciò

s'aggiungesse

qualche offerta di servizio per aiutar l'impianto non sarebbe altro che bene. Ciò farà effetto e deciderà. Ora che non v'è più Villamarina, non so a chi rivolgermi per ciò. Vedi tu se

ti

riesce far arri-

vare questo suggerimento là dove importa e procurare di essere felice negoziatore, l'altro

che farai probabilmente un gran bene.

parto per Roma ove pure finirò ad essere tre

di

Doman

dopo i

15.

Tutti sono nell'incanto delle cose di Piemonte e nello stupore che

siamo

stati

capaci

d' uscire

anche noi tanto dalla linea verticale.

Mi pare che colle dimostrazioni accadute non ci sarà dubbio sullo stato dell'opinione pubblica. '

Se vedi Valerio

digli

che ho parlato pel suo giornale e già ne

avrà ricevuto prove. Salutami tutti in casa e voglimi bene.

Massimo. Lettere inedite

di

V.

Salvagnoli a Cesare Balbo. I.

Firenze, 30 Settembre '47.

Mio riverito amico e carissinfio papà o babbo in florentinaccio. Mi approfitto della cortesia del cav. Solaroli e vi rimando un sa-


— 269 — lutone con mille altri per la cara famiglia del Rubatto. Avrete a^ato

nuove del ministero Ridolfl. Vedrete la Patria diventata quotidiana e con tutte le forme <lel vero giornale. Spero che ne sarete contento. Mandate lettere militari e tutte militari. Quando non si le

fosse

fatto

altro qui che

molto. Procurate di vedere

il

Martini e spingerlo più che po-

sig.

È certo che l'Inghilterra vuole e vorrà la lega di ogni specie

tete.

fra

mettersi tutti all'armi, si sarebbe fatto

i

principi italiani. Gli insorti napolitani ingrossano e stamani

sono giunte notizie alla nostra corte che il Re di Napoli non vede modo di seguitare l'antico sistema. Noi, quanto più vediamo il go-

verno operare lealmente nella via nuova, tanto più prendiamo a cuore le nuove istituzioni non solo con calma esteriore, ma pur con quiete di spirito. La gioventù e la virilità è tutta a far gli esercizi. Chiostri di conventi, cortili di palazzi tutti sono pieni di guardie che si addestrano. Che direbbe il Collegno se vedesse anche me come i

suoi fratelli? Stringetelo per

gnore; saluti ai figli. Salutate ilei

me al petto. I miei ossequii alle Sigli

amici. Addio. Addio. Ricordatevi

vostro

Chiacchierone. 11.

Firenze, 20 ottobre 1847.

Mio dilettissimo Papà e Babbo, Stanotte è arrivato Azeglio. Guarderò di vederlo al più presto. Voi

non scrivete. Per carità, lettere militari, lettere militari, lettere militari. Qui siamo tutti contenti del nuovo ministero la fiducia è rinata. :

nuovo nostro Programma. Datemene il vostro paE il vostro libro militare quando viene? E voi quando venite?

Ieri venne fuori

rere.

il

Venite, venite, qui

si

vive pertanto come costà solo al Rubatto. Con-

ducete anche il Collegno, anzi tutti e tutte. Sul serio, se costà non vi

«calda l'autunno venite a scaldarvi qua nel verno. Avvisatemi e vi troverò casa e tutto. Addio. Salute a tutti, ma scrivete, scrivete scrivete.

Salvagnoli. IH.

Firenze,

1

1

ottobre '47.

Ricev(t la vostra del di 8 che mi leva da gran pena: vi

credeva ma-

lato. Scrivetemi presto anco per dirmi solo >- sto bene e

penso a voi -

ma scrivetemi. Azeglio vi dirà tutto. Qui il Ridolfi ha fatto il gran colpo di Lucca e sì va di bene in meglio. Stamperò la nota e tutto quel che


— 270 — vi farà piacere. Gradirò un articolo sul ben generale della riunione di Lucca alla Toscana: lo potete fare anco di costà: fatelo e mandatemelo. Vi darà occasione a dir molto. Se non potete farlo scrivetemene a me e io vi saccheggerò. Addio. Mille cose al mio diletto Col-

legno, alla Signora, agli altri. Che faranno

i

prigionieri rugiadosi del

fiero Conte?

Addio. Salvagnoli. IV.

Firenze, 13 ottobre 1847.

Ho avuto la vostra e la pubblicherò. Grazie, ma, per ringraziare degnamente, vi chiedo altre cose militari e scritte militarmente. A quest'ora vi goderete Azeglio. Io son terzo in ispirito. Qui tutto va bene.

L'affare di Lucca è stato grosso. I tedeschi intervenivano certamente;

non era stato detto nulla alla Toscana, ma l'arciduca Massimiliano aveva portato da Vienna l'ordine di far entrare in Lucca circa 2.000 austriaci. Scrivetemi, scrivetemi. Fra

poco vedrete che le vostre pa-

role saranno seme.

Che frutti infamia al traditor ch'io rodo. Dante. Addio. Mille cose al Collegno, alle Signore e agli altri. Gino vi saluta. Benedite il vostro

Salvagnoli.

Firenze, 20 ottobre 1847.

Mio dilettissimo Papà e Babbo, Ieri venne nella Patria la vostra nota. Ecco

come l'ho annunziata

e prodotta. È piaciuta

immensamente. Ora bisogna che mi scriviate una lettera non lunga e da pari vostro sulla difesa della Toscana secondo i suoi nuovi confini. Ho bisogno ancora di una lettera sul modo di fare un esercito tosco romano. Ma di queste due lettere ho bisogno subito, subito, subito. I pazzi urlano contro il cambio di Pontremoli. Ci risponderò voi assistetemi. Scrivetemi e fatemi sapere nuove. Ora qui vi si chiama il general Balbo. Il governo va lento e non è secondato. L'incorpo di Lucca dà molto imbarazzo e mancano uomini. A Roma mancano di più. Leggete la Patria di oggi 20. Vi è un documento officiale di Napoli di sommo interesse. Salutatemi la Signora, il :

caro Collegno, gli altri, gli amici. Beneditemi. Il vostro Salvagnoli.


— 271 — Cesare Balbo a Vincenzo Salvagnoli. Dell ordinamento della guardia civica nell'Italia Centrale. Lettera d'un vecchio ufficiale ad un de' direttori del giornale

La Patria. 15 settembre 1847.

To be or not to be, that is the question. Caro Salvagnoli, Voi mi domandate

le

mie idee sull'ordinamento militare da darsi

airistituzione della (guardia civica in tre stati: del Papa, di Toscana e di Lucca

che v'hanno decretata. Il vostro invito è troppo lusinghiero

tema troppo importante perchè io non tenti di trattar questo a tutto sapere e poter mio pur rimanendo conscio quanto poco sia l'uno e l'altro. Ma tregua ai complimeìiti, anzi alla modestia. Avendo a pare

il

lar di cose militari,

miriamo alle militari virtù franchezza e pron-

tezza. I termini stretti del tema datomi da voi escludono ogni consi-

derazione civile e politica. Non è dunque mestieri che io il ripeta, ma il

ripeto pure sovrabbondantemente non entrerò qui se

sieri militari. Questi

mi paiono ora i più, forse,

i

non in pen-

soli urgenti. Io am-

miro ognidì più l'accortezza, la vastità delle menti Italiane. Ma queste sono pure menti umane ed ogni di più mi capacito della povertà di ogni mente umana. Come in qualsiasi uomo, così in qualsiasi nasone la

mente o le menti non possono occuparsi utilmente èftìcacemente

felicemente se non di una sola cosa alla volta. Bene e facciamo una volta militari esclusivamente ed io stava per dire

immoderatamente:

se non che non è, non è immoderaziòne attendere esclusivamente con

tutto il cuore con tutta l'anima nostra a ciò in che stia la salute della patria.

Quali che siano state

le

intenzioni gli scopi dei domandatori o dei

donatori della guardia civica, militarmente parlando non deve rima-

nere che un'intenzione, uno scopo per farla più numerosa possibile.

Chiunque abbia portato un sol dì uno schioppo o una spada: chiunque abbia studiato un libro militare o chiunque vi abbia meditato o vi mediti un momento, non ne può dubitare: le guardie civiche non possono essere pari alla milizia regolare

in disciplina, cioè in

forza.

Dunque bisogna ristabilir la parità col numero; dunque bisogna il maggior numero possibile. Dunque avere tutti, cioè, produrre, colla guar<lia civica, un armamento universale. Di lì non s'esce: o la guardia civica sarà un armamento universale o sarà un nulla, una mezza misura militare. Dirò una mesza misura


— 272 — che ti'arrà seco tutti i pericoli della misura intera e non ne avrà i vantaggi. Non v'è a dubitare un istante. La misura intiera: la misura intiera, l'armamento universale! 1

tre Stati che compongono l'Italia centrale che hanno ad ordinar la

guardia civica, contengono all'ingrosso quattro milioni abbondanti di anime. Togliamone la metà per le donne, la metà di questa metà per li

vecchi e li bimbi e gli adolescenti: resterebbe un quarto. Ma toglia-

mone ancor la metà per gli infermi di corpo che sien costretti o gli infermi di cuore che trovin modo di esentarsi: resta un ottavo. E tinalmente, invece di questo, prendiamone un decimo solo. Resta sempre il decimo di quatto milioni: cioè 400.000 militi. — S^ riesce ad averli, ad armarli ed ordinarli in modo utile, l'Italia centrale

non ha

bisogno di chiamare aiuto straniero, dico più, di i-ichiamo connazionale. Quattro cento mila uomini armati e di buona volontà resisteranno sempre a duecento, mila soldati regolari. E niuna Austria od

altra potenza al mondo potrà

mai condurre più né tanto nell'Italia armare questi quattrocento mila uomini: tale è la questione. Una questione di essere o di non essere. To

centrale. Adunque ordinare ed

be or noi lo he, that is the questioni mi si conceda il dirlo nella lingua

più amica cUe abbiamo.

Incomincio dalla seconda parte perchè è più spiccia. Bisogna ar-

mare 400.000 uomini. Per armarli ci vuole (sic) 400.000 fucili, altrettante baionette, altrettante cinture a cartucciera, e perchè non tutti fucili saranno

i

nuovi o con baionetta da sciabole perciò aggiungiamo

altrettante sciabole o stocchi o qualunque altra

arma bianca, senza

cui un soldato e tanto meno un civico non si tien per compiutamente e sinceramente armato. Ora per un fucile compiuto ci vuole una tren-

tina di franchi e mettiamone una ventina per il resto: son cinquanta all'incirca

per uno: sono venti milioni di franchi.

— Non è somma

inarrivabile, ma è grossa somma senza dubbio. La quale poniamo che si

possa ridur di un quarto, perchè qua o

là si

troveranno alcuni

sempre 15 milioni e resterà sempre somma grande perchè è da prendersi non sulle finanze de' tre Stati, che non son floride tutte e che non hanno sovrappiù alcuno e perchè non si tratta amici, resteran

:

di spartirla fra anni e tra mesi,

ma di trovarla, di porla fuori subito,

a un tratto, volontariamente, ciascuno la parte sua che può, e cia-

scuno più ricco per chi non può, volontariamente. Sarebbe stupendo se si facesse. È difficile a farsi. Ma pur è necessario. Essere o

non es-

sere: questa è la questione.

Domando licenza di una piccola degressione. Questa questione dell'armamento e quella seguente dell'ordinamento si potrebbero esporre


- 273 — prima è questione di denaro; la seconda ò

in due parole sinonime: la

questione di vita, tutte e due son questioni di sacrificio ma sacrificio

davvero delle due cose, che costano davvero a sacrificare, danaro e non si sente di fare questi due sacrifici (tutti e due badiamo!)

vita. Chi

non vada oltre in questo scritto, anzi non parli, non pensi, non entri in queste due cose, non dica di voler esser libero, di essere Italiano Scritti ineditidel Conte Cesare Balbo • (Archivio Balbo.

Voi. Vili, fogli 355-358).

Lettere inedite

di

Luigi Carlo Farini a Cesare Balbo. I.

Car.™o SigJ Conte, Grazie, mille volte grazie, o mio venerato Sig.' Conte, della sua affettuosa e confortante lettera delli 22 corrente. Ho l'anima piena di

una dolcezza che le parole non sanno tradurre. Ho notato nel decreto . d'amnistia alcune frasi, che io tengo in pregio tanto quanto il generoso atto di clemenza, e mi sono subito recata la penna in mano per iscrivere in Romagna e raccomandarle alla attenzione ed alla ricono-

scenza dei miei concittadini. Quel chiedere ai proscritti ed ai condannati alle galere una dichiarazione sulVoìiore

razione solenne a tutte

le

non vale .egli una ripa-

contumelie ed i vilipendii consegnati nelle

sentenze delle scellerate commissioni militari e nei pubblici giornali? Che, in fede mia, da malandrini e da perduti uomini non si domanda e non si accetta la parola dell'onore. E quello stenderla mano ai tribolati non è forse qualche cosa di nobile, si da parere nuovo pegno di

nuova civiltà a tutti che sanno, come il Papa a' soli principi stenda baciare? Ho anche scritto a Roma subito a chi può farlo sapere al Papa, quanti plausi si alzino;, la mano ed al resto de' fedeli dia il piede a

ho scritto quali siano

i

sensi de' veri Italiani, de' veri liberali; e mi

sono permesso di citar Lei, o non ho creduto né commettere una discrezione né far cosa che l^e sia discara. K può essere utile se io non

mi inganno. A Lei giovi intanto il sapere che in Romagna tutto è un gaudio è una festa tale quale non s'era vista mai, e che vengono levati a cielo il Papa ed i Cardinali Amat e Gizi, alla bontà e sagacia de'

quali si attribuisce tutto il merito di questa generosità, poiché é noto

che Matternich aveva consigliato molte eccezioni, e che diversi porporati non la approvavano.

lo ho fede nella Provvidenza, e (juindi ho fede negli uomini: non ho mai disperato delle sorti della umanità

e della nostra povera Italia: or lascio a Lei lo

immaginare quanta

speranza io accolga nel cuore ora che vedo la prima stella d'Italia, il


— 274 — Papato, splendere luce di civiltà ed amore. Farmi che questa elastica aria de* monti sia divenuta pesantissima, perchè qua m'è tolto espan-

dere l'anima mia con chi possa intenderla, e sospiro il momento in cui

mi sarà dato confortarmi nello udire il nobile linguaggio suo.

Spero di poterlo ai dieci circa del prossimo agosto. nale Amat siederà, come

si dice,

— Oh! se

il

cardi-

nei Consigli dello Stato Romano, vo-

gliamo provarci, o mio venerato Sigj Conte, a fare un gran bene all'Italia.

— Ne parleremo, e se anco saranno castelli in aria, sarà sem-

pre per noi una voluttà lo architettarli. Non ho più avuto novelle del nostro Cav.e D'Azeglio. Se ella gli scrive, gli dica in grazia, che ne aspetto, perchè mi tarda sapere, come sia stato ricevuto a Lucca. So

che quel Duca diventa matto un giorno più dell'altro e che il Duchino figliuolo fa lo scappato come dicono i Toscani e il baroccio, come di-

cono i Lucchesi, a tutta possa. E non vorrei che D'Azeglio fosse segno ad una scappataggine od una birocciata. Sia compiacente di fare li miei complimenti alla Sua Signora, al Marchese Roberto ed al C.te Petitti ed onori sempre di sua bontà il devotissimo Suo Farini.

Courmayeur, li 25 luglio 1846. II.

Mio venerato Sig.r Conte, Ella comincerà ad esser fastidito delle

mie

lettere,

ma dovendo

mandarle, come promisi, le notizie e le date che ho potuto raccorre sulle cose operate

da Pio Nono, non mi so tenere dal far seco Lei un

poco di conversazione. Voglio dirle avere io segnato solamente ciò che è officiale, ciò che è segno di deliberata volontà di riformare, ed è inizio

preparativo a riforme, lasciando da banda i piccoli acci-

denti di municipio, e le notizie relative alle persone. Credo però che

volendo portare un giudizio sul governo del Papa attuale, o indirizzare

le

menti altrui ad un giudizio, cada in acconcio notare, come

ogni giorno si vadano mettendo persone probe e saviamente liberali in

luogo de' tristi e degli inetti, onde la cosa pubblica veniva per lo

innanzi così male governata: credo che non di osservare, come la

si

debba pretermettere

censura siasi resa mitissima, lo che prova esi-

stere qualche circolare riservata che ne dona abilità! Credo buono il

rammentare con quanta umanità Pio Nono accogliesse il Galletti di Bologna ed il Renzi di Rimini condannato il primo alla galera perpetua, ed il secondo minacciato nel capo, e come al primo regalasse «una medaglia d'oro ed a tutti e due, e ad altri poi, ed ultimamente al


Conte

l.ovatelli

mio compagno di sventura parlasse parole umanis-

sime come Principe e libéralissime come Italiano.

— A coloro che

smaniano di impazienza, o si fanno paura del Papato, come i fanciulli della befana, e che dicono che cosa ha poi fatto? Che cosa fa per meritare lode ed onore, stimo che si voglia fare considerare — non

potersi in pochi mesi racconciare una barca che faceva acqua da tutte

molto meno potersi timoneggiare su mare non esplorato

le parti e

avanti, se prima non sia racconciata. Le diverse commissioni istituite, nelle quali

i

laici

hanno posto insieme agli ecclesiastici provano, a

parer mio, che si vuole mutare e mutare secondo i consigli dell'opinione pubblica: le persone mutate provano che la nota di liberali non vale più ostracismo e sospetto: le feste lasciate fare nell'occasione dell'anniversario di lo

Genova provano che non si guarda di traverso

sviluppo dello spirito nazionale. Tutto ciò è abbastanza per me,

e credo che chi vorrebbe spediti certi negozii al galoppo, non se ne

intenda.

Se Ella si decide a fare i conti del 1846 troverà certo che non solo si

è aumentato il capitale delle speranze, ma che abbiamo nuovi fondi

in cassa.

— Non dimentichi

i

fatti che provano il grande avanzamento

<lella pubblica opinione in Toscana e sgridi e flagelli bruscamente più

che con carità cristiana la mala genia dei disperati, che sono vera-

mente i nostri dannati, sono il legno delle sacre carte che vuole scure e fuoco.

— Glieli raccomando — e debbono essere bene raccomandati

all'autore e pro|»agatore delle savie speranze, e spero che scriverà dieci pagine per loro.

In Lucca cresce

il

malo umore. Il Duca ha voluto creare un debito

pubblico di ottocentomila scudi: il ministro delle finanze non ha voluto intenderla, sapendo che non

missione. Accettatala, certo

si

poteva fare ed ha data la sua di-

Sovrano ha nominato in vece di quello un

il

Thomas Wart inglese, protestante, venuto qui nel 1838 dalle

stalle di

Londra per governare

cavalli inglesi

— passato nel 1840

dalle stalle Lucchesi alle anticamere Ducali in qualità di cameriere in secondo, penetrato nel 1841

nelle

camere Ducali come cameriere

— divenuto maggiordomo l'anno scorso — oggi ministro di finanze! Si è

pubblicato

il

decreto pel debito. La Toscana ha pubblicamente

protestato, ed il Gran Duca, non so quanto politicamente prudente ha diffidato dal prestare e credere al piccolo Duca, ed ha fatto affiggere la diffidazione su tutti

gridato allarme. ritirati di

canti

i

come si opera pe' falliti. Tutti hanno

— Tutti depositi della cassa di risparmio sono stati l

paura che lo Stato li ingoi — il malumore è sommo. Ieri

l'altro era scritto

per tutti 1 muri

di

Lucca

— abbasso

il

ministero:


— "276 — viva la costituzione: oggi mi dicono che si prepara una protesta in cui si chiede che il Duca governi secondo le 1805, che fu richiamato negli Atti del

norme d'un trattato del

Congresso di Vienna, trattato

che sancisce la istituzione di un Senalo deliberante insieme al Duca.

Vedremo come finiranno anche questi imbrogli. — Intanto io finisco la lettera perchè

mi rimanga spazio alle notizie che debbo scriverle, e

la finisco, riverendo tutta la

sua famiglia, facendole nuovi auguri, e

stringendole la mano con tutto raff"etto.

Suo Dev.mo Amico Farini.

Viareggio, li 24 Dicembre 1846. III.

Viareggio, li 6 del 1847.

Mio venerato Sig.r Conte, Credo che Ella avrà avuta una mia lettera con diverse note cronologiche sulle provvigioni più importanti fatte dal Papa. Le scrissi

poche altre righe per mandarle una relazione di un buono e savio Ravennate, che mi pareva bella e confo rtatrice. Forse quelle poche righe e quella relazione avranno fatta cessare la sospensione d'animo in cui ella stava in causa degli arresti operati

dopo le feste del 5 Di-

cembre. Nulla di meno io stimo conveniente Io aggiungere qualche altro ragguaglio.

se

— In tutto Io Stato Romano non vennero arrestati

non che quattro individui di Ravenna che furono mandati nella

rocca d'Imola. Ella sa come venissero posti sollecitamente in libertà Non è noto a me che a Moe quale festa se ne facesse in Ravenna.

dena siensi fatti arresti: e non è noto a Lucca che è a poche miglia da Modena. So che in quel Ducato non si fecero altre dimostrazioni di quelle baldorie in fuori, che si accesero sugli Appennini dalla Liguria sino agli Abruzzi. A Firenze tutto è

finito.

A Lucca seguita il

malo umore specialmente in causa del debito pubblico, ma non si osserva veruna disorbitanza di popolo o di potere. Ognuno pone studio per moderare il primo: il secondo è moderato dalla paura. Le voci di intervenzione Tedesca sono svanite. Il

Governo Pontificio procede con passi misurati sulla via delle ri-

forme. Ha luogo in questi giorni una mutazione molto importante: cioè quella delle persone: si mettono in ordine dappertutto le guardie civiche. La nomina del Cardinale Amat a legato di Bologna ha conso-

Romagnoli. Il Vannicelli rappresentava il partito furibondo che ha straziato le Romagne per quindici anni: egli era il

lato grandemente

i

favorito di Papa Gregorio. Amat rappresenta le idee di progresso

:

in-


— 277 — viso egli al defunto Pontefice ed al Lambruschiiii: intimo di Fio Nono:

coDsigliero a Lui dell'amnistia e di molte savie misure è naturale che sia nell'amore e nella estimazione delle nostre popolazioni. Non so

come siasi detto e creduto che Amat fosse di sentimenti e pensieri il Petitti me lo ha scritto. Gli faccia per me sicurtà che è

contrarli:

stato ingannato ma pienamente ingannato. lo spero che i sudditi del Papa

non gli susciteranno imbarazzi: lo

spero perchè in realtà il numero maggiore dei liberali è rinsavito ed

anche perchè tutti portano amore e gratitudine all'uomo mandato da Dio per torli di mano al carnefice. La devozione cheè in tutti i cuori verso a Pio Nono è un fatto non si tratta di quelle misleali mostre che i partiti sanno fare, no — il Papa è amato e la sola dubitazione di

fare cosa discara a Lui corregge molte impazienze, intepidisce molti

riscaldamenti. Noi predichiamo da

mane a sera la moderazione, la

pazienza, la bontà. Di lontano è facile che ai Romagnoli venga nota di discervellati: è facile che appaiano

sempre que' fuorviati che furono

in passato. Ma a volere giudicare rettamente bisogna innanzi tutto

scendere sul luogo: bisogna sottrarre tuttociò che è proprio dei caratteri del luogo: ciò che le circostanze partoriscono. Ella capirà bene

che in Romagna non è immoderato e pazzo ciò che lo sarebbe qui od a Torino: non lo è, o non

lo

pare alle popolazióni, né al Governo. E

dico che non lo pare al Governo, perchè so che il Governo si loda della

= « Dirig— Governate

condotta dei liberali. Sa che cosa ha detto il Papa a molti? gete l'opinione pubblica in guisa che si possa governare

voi altri questa opinione: io farò il resto ». Ad un tale mio amico disse,

giorni sono * Fate capire a tutti che non voglio andare sin dove vor-

rebbe Mazzini: che non posso andare sin dove vorrebbe Gioberti. Aiu-

— In sostanza vuole Ella la mia opi— Le rivoluzioni in Italia sono merce screditata. Non vi sono

tatemi ad andare dove si può ».

nione?

più dieci teste che la sognino. Starei pagatore io del capo che non se

tentano più.

— Ecco un gran vantaggio — un gran fatto. —

11

Papa è

— Non dico più che « sarà * dico che lo è già. — In qualche popolo rimane troppa elettricità che va scintillando — ma

il

salvatore nostro.

se trascendesi la misura in certe dimostrazioni, però non

si

bastona,

non si ammazza più, non si fa più sedizione. Ed ecco un altro vantaggio, un altro fatto grande. Che cosa è da farsi? Prima di tutto è da cercarsi che si lasci tempo a (juesta opinione moderata nazionale di penetrare in tutte le classi: ed al Papa e ad altri governi che vogliono il

bene, di farlo senza scosse. Ciò significa che bisogna raccomandare

Ih

prudenza e poi la prudenza. Rispetto ai Romagnoli che sono forse

la parte più viva delle popolazioni italiane bisogna cercare che si oc-


— 278 — cupino del miglioramento morale e materiale del pa'ese, e se ne occupino molto perchè sono" di quei corpi (parlo da medico) che avvezzi a

molto esercizio non possono venire condannati al riposo senza che qualche malo umore ne sbucci fuora. Finché non saranno occupati

molto non è da meravigliarsi se, plettorici come sono, fanno qualche scappata... Ma

non bisogna nemmeno garrirli troppo quando queste

scappate sono pacifiche: altrimenti se ne disgusterebbero. in Toscana ed altrove non è da aversi paura.

— Qui poi

che questi popoli sieno

più civili, o più mogi, fatto è che sono molto più facili ad essere guidati, e non opereranno mattamente.

Dopo queste ciarle che ho fatte non so, se a proposito o no, dopo queste parole che mi sono cadute dalla penna senza che troppo le consideri ella capirà che non posso se non che insistere a pregarla, affinchè parli liberamente e pubblicamente agli italiani. Li scritti suoi

saranno utilissimi: io non veggo come e perchè debbano fare danno.

Anche il Petitti mi dice che aveva fatto un articolo in risposta ad un — Perchè

giornale tedesco o intedescato, ma che non può stamparlo.

non lo mette sotto forma di una lettera e non lo manda a Bologna? Colà la censura è oggi mitissima. Per carità, se vogliamo governar

— — E chi può farlo meglio di Lei, a illuminiamola più che possiamo. cui questa opinione fa oggi atto di piena venerazione? — lo sono bene l'opinione pubblica sicché i matti ed i tristi non la travaglino

sempre qua a suoi comandi, e memore di tutta la sua eccellente famiglia, le fo ossequio ed a Lei di nuovo me le professo con vivo affetto. Dev.nao Aff.o S.o ed A. Farini. IV.

Firenze, a' 30 settembre 1847.

Mio caro Conte Cesare, Io avrei

dovuto prima d'ora mandarle parole di congratulazione

pel matrimonio della gentile figliuola sua, ed avrei forsanco dovuto scriverle intorno all'andamento della politica negli Stati dell'Italia centrale. Ma a dir vero quantunque 'io m'abbia sempre

il

cuore e la

mente pieni di Lei, pure mi manca il twnpo per consegnare alla carta i

sentimenti affettuosi dell'animo, e molto più i pensieri e le relazioni

degli avvenimenti quotidiani. Laonde

debbo pregarla a non tenermi

per tepido amico suo, se di rado le scrivo, o per inoperoso ed ignaro se in mezzo a questa benaugurata operosità italiana non sono un no-

ha tanto merito di questa operosità. Vegga però che non taccio, quando credo molto utile il parlare. Ella conosce il felice mutamento di questo ministero. Ella sapeva vellatore assiduo con Lei che


— 279 già, come anche prima che avvenisse, il Governo Toscano fosse incli-

nato a dar favore alla politica Romana, che vai quanto dire italiana, e ad entrare nella lega per la quale è costà l'egregio Monsignor Corboli col Professor Fieri. Ora poi la Toscana desidera

ardentemente

che se ne stabilisca almeno il principio con sollecitudine, e per ciò manda ordini ed istruzioni al Sig.r Martini rappresentante suo. Si sa

che

il

Piemonte affaccia difficoltà relative ai Ducati di Modena e momento. Perchè, lasciando dal-

F'arma. Ma queste sono di ben poco

l'osservare, come, non avendosi intrecciamento di territorio Parmense

nei territori Sardi e Toscani, non si ha bisogno dell'adesione di Parma, si

osserva, che, senza trascurare gli

uffici

che possono condurre Mo-

dena ad accostarsi alla Lega, questa può intanto stabilirsi^anche senza

Modena stessa. E ciò per due ragioni. Prima perchè

i

trasporti di

merci e generi del Regno Sardo in Toscana e negli Stati Romani si fanno tutti, tutti per mare, e non per terra; ed in secondo luogo,

perchè si potrebbe benissimo pagar dazio alla frontiera modenese se ve ne passassero. Ciò non vuol dire che si debba non pensare a Modena, quando si potesse tirarla alla lega

:

ma ciò vuol dire che non

debbano subordinare i grandi interessi economici e politici di tre stati considerevoli, e di dieci milioni di Italiani, al buono o mal ta-

si

lento di uno Stato picciolissimo e di poca popolazione come è quello di Modena. Insomma Toscana e Roma vorrebbero

che non si trascu-

rasse questa occasione solenne per istringere vincoli economici e politici

col

Piemonte; vorrebbero che almeno se ne gittassero subito le

fondamenta, maturando appresso 1 provvedimenti di esecuzione. E Toscana, quando si abbia riguardo alla secolare sua libertà frumentaria

non è per porre alcuna condizione. Che s« il Piemonte rima-

nesse indeciso troppo lungamente, o si decidesse pel no, noi Romani e Toscani

daremmo opera efficace a combinare la lega Romano To-

scana, e ciò sarebbe a grande scapito di influenza politica del Pie-

monte stesso. Oltre di che bisogna considerare che minacciata come può essere la nostra indipendenza, se non si giunge a cementare è la lega economica e politica col Piemonte, saremo pur costretti a pensare a trattati politici ed accordi politico economici con potenze estere e forse coU'lnghilterra principalmente. Lord .Minto è costà e sicura-

mente prima di andare a Roma indaga, esplora, ai impara ciò che può servirgli di lume e governo. Impari adunque che il Piemonte si fa protettore della lega negli Stati nostri, e sarà per lo meglio d'Italia

tutta e per lo onore e gloria di Carlo Alberto. Queste cose che io

scrivo a Lei, verranno forse da altri .scritte a Lei stessa, e lo sono

cprtn

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Pr(»f.

!'!f*!"i

NpIIo sri'iven» a I.pì io ho lo intendimofito «li ri-


— 280 — ferirle non l'opinione mia, ma quella di persone autorevoli che aspettano confidentemente le risoluzioni Piemontesi, ed amano che Ella conosca ciò che si pensa qua, affinchè si giovi come sa e può di simi-

gliante conoscenza. Egli è bene che Ella sappia eziandio, non potersi dalla Toscana prendere l'iniziativa di veruno officio con Modena, con

Modena avversante il sistema politico Toscano da molto tempo, cioè sempre, cioè anche prima dello instauramento delia politica Nazionale. Roma potrà colla sua morale potenza, Piemonte il potrà colla sua potenza politica, ma Toscana, destituita dell'una e dell'altra, non

può farsi consigliera di un Governo col quale non vive in buona soddisfazione.

Ho la compiacenza di assicurarla che in Toscana le modeste opinioni nazionali prevalgono e che non temiamo verun risalto di spiriti superlativi. La mutazione del ministero e l'abolizione del tenebroso

potere della Presidenza del Buongoverno ha soddisfatti tutti i desideri. Don Neri Corsini che metteva innanzi opinioni per lo meno inop-

portune è stato generalmente biasimato. Io parto di qui per Osimo circa alli dieci d'ottobre. La mi farà

cosa

grata se qui mi scriverà una riga per assicurarmi che ha ricevuta

questa lettera. E se potrà di quando in quando, e quando abbia di che scrivere al Capponi od al Galeotti, farà a loro ed a me cosa gratissima,

ed utile a tutti. Le sia di norma, che delle cose, che io ho scritto qui,

non si fa parola da Noi con alcun giornalista, perchè non vogliamo che si commettano indiscrezioni ed Ella ci farà ragione della nostra riserva.

— Mi ricordi agli amici, faccia

i

miei complimenti alla sua

famiglia, e mi creda per la vita

Tutto Suo dev.mo Farini.


COSTANTINO RETA (Cont.: V. Voi. XUI, fase, i-ii, pag. 135)

III.

Costantino Reta Costituito

il

nell'esilio.

Parlamento Subalpino il Reta fu tra i primi ad

essere eletto deputato e lo fu per

il

Collegio di Santhià. Alla

opponeva però un ostacolo, essendo il Reta «corriere effettivo della R. Posta» ufficio che egli aveva

sua convalidazione

si

assunto uscito dal giornalismo, e che Io escludeva, come stipendialo dell'ordine amministrativo, dalla deputazione.il depuUito Pellegrini, relatore sulla nomina del Reta, sebbene con rincrescimento, ostava alla sua convalidazione per quanto ri-

conoscesse

nel

nuovo depuUito di Santhià un giovane

di-

stinto per talenti, per letteratura, per sentimenti liberali e italiani.

Ma contro la tesi del Pellegrino si levò la voce dei de-

putato Hiancheri che sostenne come

il

Reta non fosse un vero

impiegalo dell'ordine amministrativo, in quanto, sebbene corriere, non

godeva nessun stipendio del Governo, conchiudendo

suo discorso con le parole: « d*altroDde sono noti a tutti gli articoli del Reta e i suoi sentimenii caldi di amor patrio, il

ed

i

suoi articoli che

si

leggono sui giornali e specialmente

nel Mondo Illustrato provano ad evidenza

che abbia

illtistrato

i

suoi

S(;ritli

che non è il Mondo

ma piuttosto

i

di lui scritti

hanno illustralo il A/ondo. Conseguentemente anche sotto queIt Ritorg. ittU.,

XUI


sto rapporto la Camera deve desiderare di avere nel suo seno

una persona tanto eminenle» (Bisbigli) (i). Dopo una vivace discussione a cui presero deputati Buniva e Menabrea, messa ai voti

le

parte anche

i

conclusioni del

relatore sull'invalidità della elezione del Reta, essa venne ap-

provata (2) e così il 6 novembre prestava giuramento (3). Ma oltre che a Santhià, il Reta veniva pure eletto deputato al se-

condo collegio di Genova contro il Ministro Torelli e l'il novembre l'elezione veniva approvata dalla Camera (4). Anche a Recco si ebbe i suffragi, ma qui la sua elezione veniva annullata. Il

14 novembre 1848 con lettera al Presidente della Camera

il

Reta dichiarava di optare per il Collegio di Santhià e cosi

il

giornalista di ieri entrava risolutamente nell'arringo poli-

tico e subito partecipa ai lavori parlamentari.

Prende parte

alla discussione sul progetto

di legge sulla

pubblica sicurezza e sull'altro intorno alle disposizioni di beneficenza verso gli emigrati. Presenta un progetto di legge per la

fondazione in Genova di un collegio nazionale marittimo,

progetto che venne preso in esame con esso si mirava « a conformare l'educazione del popolo colle mutate condizioni dei tempi » intendendo così di agevolare non solamente a Ge:

nova che già possedeva talune di queste scuole, ma alla indumezzo di procurare una solida istru-

striosa riviera ligure, il

zione ai propri allievi marittimi.

Assiduo alle discussioni il Reta non tralascia dì prender la parola

:

sia per interpellare

il

Governo circa l'accettazione da

parte dell'Austria delle basi della mediazione, ora sulle inserzioni giudiziarie dei giornali, sia appoggiando

legge Antonini con

il

il

progetto di

quale si intendeva sussidiare Venezia,

la nobile città, durante la guerra in quelle provincie; e quando la Camera nella

seduta del 19 dicembre 1848 decretò un sus-

sidio mensile di L. 600.000 a Venezia, la

(1) Atti del Parlamento Subalpino, aeaaioue

(2) Atti cit. a pp. 711-712. (3ì Atti cit. a p. 726.

(4) Atti cit. a p. 726.

proposta ebbe una

del 1848 a p. 708.


— 283 — ventina di voti contrari. Ma il Cavour caldeggiò la cosa e

il

— che se era nemico personale di Cavour era però vente patriota — fu tra coloro che sostennero l'elargizione e Reta

fer-

parlò in favore dell'eroica città.

Altra volta patrocinò la petizione di chi aveva trovato

un

mezzo per ripopolare il mare di pesci e raccomandava altresì un progetto di certo Pozzi sull' * insalubrimento da praticarsi con tenue spesa nella darsena di Genova ». La corrispondenza col novarese Carlo Negroni dopo la elezione a deputato si va a mano a mano perdendo. Ancora qualche voce

:

il

9 gennaio 1849 scrive all'amico per occuparsi

delle elezioni, appoggiando la candidatura Longoni a Novara e

allietandosi della probabilità di riuscita di Raffaele Cadorna a

Castelnuovo Scrivia groni, a

;

il

17 gennaio

raccomanda ancora al Ne-

nome del comitato centrale, l'avv.Tavini

per

il

Col-

legio di Oleggio, ma il Negroni parteggiava per l'avvocato Gio-

vanni Antonelli, chj però poco dopo si ritirava dalla lotta.

Confermato deputato anche nella seconda legislatura, sul principio della terza il Reta venne ancora nominato il 22 luglio 1849 deputato di Sanlhià contro certo professore Tal ucchi.

Aveva fatto sentire ancora la sua voce il 20 marzo 1849 e al 24 marzo quando presentò un progetto di legge per la pronta mobilitazione della guardia nazionale che venne approvato nel-

l'adunanza del 24 mag(?io con alcuni emendamenti, e fin dal 17 marzo lesse l'indirizzo del Parlamento al popolo piemontese.

Ma al principio della terza legislatura avvenuti

i

fatti

di

Genova decadde dal mandato. Fu infatti Costantino Reta magna para in quei fatti genovesi del 1849 che la .storia non ha ancora giudicati. I

tempi erano grossi. L' infelice giornata di Novara, l'armi-

slizio di Vigna le,gettarono lo sconforto nell'animo dei patrioti.

Ma era giocoforza piegarsi ai patti dell'Austria che erano gravosi sì, ma non disonorevoli, (^he fare? Il paese rovinato,resercito

demoralizzato e disorganizzato, le finanze dissestate, le

potenze contrarie al piccolo Piemonte. Si erano levale voci gravi; chi gridava al tradimento, chi

rimproverava

il

Re

di

aver sostituito al dimissionario ministero Chio<io il ministero


De Launay-Gioberti composto di uomini giudicati retri vi. Molti deputati volevano la continuazione della guerra.

E Genova il 1 aprile 1849 insorge. Si era diffusa una voce grave: fra i capitolati dell'armistizio

anche quello di porre un presidio tedesco nella fortezza di Genova. E fu allora che Genova, la città che precorse Milano colle 5 giornate del 1746,decretò che la guerra contro lo straniero proseguirebbe. La sede del Governo doversi trasportare da Torino a Genova e a tal uopo vari deputati subalpini vennero incaricati di recarsi nelle varie provincìe ad di Vignale vi era

accendere gli animi.

A Genova venne mandato Costantino Reta con tutt'altra intenzione che di farsi capo di un movimento repubblicano (1)

che con calda parola invitava ad un'opera enftrgica: è quando

Didaco Pellegrini facendosi interprete

del

comune desiderio

propose un Comitato di pubblica sicurezza e difesa, il 30 marzo 1849 venne costituito un governo provvisorio e creati triunviri Giuseppe

A vezzana generale della Guardia Nazionale,] 'a vv.

Davide Morchio e Costantino Reta. Il 2 di aprile il Gomitato si mutava in Governo provvisorio, e fra le altre provvidenze nominava Lorenzo Pareto Ispettore Generale delle fortificazioni di Genova.

moto aveva potuto impadronirsi dell'arsenale ed obbligato il comandante a consegnare le fortezze. Intanto l' esercito regio accorreva al comando del Lamarmora dalla Spezia il 4 aprile era in vicinanza della città e rapidamente i bersaglieri ne superarono le mura. L'insurrezione fu domata e dopo giornate dolorosissime si conchiuse un primo armistizio e fuggiti i promotori non rimase che Costantino Reta che dopo essersi energicamente adoperato a difesa della città, si portava y bordo della nave da guerra francese Tonnerre per parlamentare col Corpo Consolare e da cui gli venne impedito lo sbarco. Invano il Reta protestò contro il comandante Gasquet del Tonnerre perchè neppure gli concesse di recarsi in Toscana o a Roma. Il coIl

:

(Ij

Lori aiOLA GuALTERio, Cro^iis^oria documeyitata illustrata de' fatti

di Genova

,

Sampierdarena, E. Palmieri edit., 1898, in 4.0


- 285 mandante francese gli aveva detto impedendogli di scendere e di recarsi dal Lamarmora ^Vons neiez ni prisonnier ni libre». E il Reta fu condotto a Marsiglia. Genova entrò nella calma, chiedendo l'amnistia al Governo per

ì

fatti

accaduti

esclusi fra cui Il

i

:

venne concessa, ma 12 cittadini furono

triunviri (9 aprile 1849).

Magistrato d'Appello di Genova con sua sentenza dtl 24

luglio 1849 lire di

condannava il Reta alla pena

di

morte e a 1000

multa: il processo tu in contumacia degli inìputati in-

quantocliè né il Reta né gli altri coinvolti si presentarono. L'ac-

cusa era di aver preso parte alla insurrezione di Genova il 1 aprile 1849 * all'oggetto di cambiare e distruggere

la

forma

di Governo con sostituirne

uno provvisorio a quello che legittimamente esisteva e col separare di fatto Genova dal resto

della Nazione ».

La sentenza accusa il Reta che «in una delle ultime sere di marzo prossimo passato, nell' arringare una moltitudine di

persone che trovavansi sulla piazza del Palazzo Ducale,

la eccitasse

contro il Governo cercando di persuaderla che

il

Regio Governo con arti subdole ed inique aveva tentato

di

ingannare le popolazioni, ma che

levasi

il

Parlamento non vo-

rendere solidale della vergogna derivante dall'armi-

stizio di Novara e risulta poi

da quelle deposizioni, non meno

che dai documenti relativi che nominato esso,Reta,a membi-o

mostrò dapprima qualche difficoltà ad accettare, se il Municipio non facesse parie di quel Comidel comitato di sicurezza

lato, ma ciò

non ostante per quanto il Municipio non facesse

parte di quel Gomitato e per quanto il Municipio siasi costan-

temente ricusato di entrarvi, egli accettò ed esercitò le funzioni

firmando in un coi suoi colleghi non solo quei decreti e proclami di cui

si

è

fatto

cenno parlando delTAvezzana, ma

eziandio i mandati ed ordini di pagamento fra cui uno scritto e firmato da lui solo, in cui sotto

la

data del 3 aprile s'in-

giungeva al tesoriere Provinciale

di

consegnare

al latore

di

quell'ordine il tesoro, previo inventario di quanto si conteneva in queiruf!ìcio, di

cui gli

sarebbe dato scarico dallo stesso;

ed altro ordine parimente da

lui

solo firmato, in cui s'impo-

neva al Municipio di pagare una somma di

lire

diecimila al


— 286 Governo Provvisorio; quale somma lo stesso Reta in una sua lettera al Sindaco, dichiarava essere stata da lui ricevuta e pas-

sata a

mani del conquisilo Weser per recarla ai soldati lom-

bardi in Bobbio, onde venire in aiuto della insurrezione » (1).

Per questa condanna il Reta non potè essere nominato deputato, se bene qualcuno sostenesse la tesi che il Reta avrebbe

dovuto essere giudicato non da un tribunale ordinario, ma dal Senato costituito in Alta Corte di Giustizia.

Mentre alla Camera si discuteva sul caso Reta, il Presidente comunicava una lettera scrittagli dal padre di lui, Giovanni Luca che annunziava come fosse consapevole che il figlio era lontano dall'Italia e che « avrebbe rinunciato alla carica di de-

putato onde evitare una questione delicata e forse troppo pericolosa, la quale avrebbe potuto

dividere gli animi e riac-

cendere gli odii di parte con discapito di quei sentimenti di

unione e di conciliazione che solo devono animare del popolo a tutelare

i

gli eletti

destini della Patria ».

La discussione al Parlamento subalpino tu vivace: Angelo Brofiferio fu strenuo difensore dell'antico avversario nel campo

giornalistico e sostenne che giusto l'art. 36 dello Statuto dovevesi considerare nullo ed insussistente

il

giudizio del Magi-

strato di Genova e che solo il Senato poteva pronunciarsi, ma il

Della Margherita, allora Ministro di grazia e giustizia, insi-

stette nel concetto che il Reta aveva perduti i diritti civili prima

dell'apertura del Parlamento e sostenne la

non validità della

elezione perchè avvenuta prima che emanasse la sentenza con-

tumaciale non doversi ammettere il Reta, perciò non potersi ;

annullare il giudizio del Magistrato di appello per cui si viole(1) Supplemento al N. 33 della Gazzetta dei Tribunali, Genova, lunedi 30 luglio 1849 a pp. 273-276. Per gli stessi motivi il magistrato di appello condannava in contu-

macia alla pena di morte

oltre

il

Reta, l'Avezzana, il Morchio, il Laz-

zotti, il Pellegrini, il Campanella, il Cambiaso, l'Albertini, l'Accame e

il

Borzini, il Weber come complice, a' lavori forzati a vita, e di più alla

multa di lire ventimila il Cambiaso e due mila

il

Lazzotti e di

lire

mille tutti gli altri.

L'avv. Davide Morchio e l'avv. Didaco Pellegrini si rifugiarono a Costantinopoli dove

si

dedicarono all'avvocatura: il Morchio fu costretto

a vendere la sua biblioteca.


— 287 — rebbe al disposto dell'art. 40 dello Statuto e quindi non poter venir ammesso alla Camera che pronunciò la sentenza « non :

potersi il deputato Costantino Reta ammetter* alla Camera stante l'effetto della sentenza contumaciale »(1). Dalle lettere che possediamo (2) vediamo di tessere brevemenfe la vita dolorosa del triunviro genovese nell'esilio. Condotto prima a Marsiglia, quivi passò due mesi vivendo

poveramente aiutatoda alcuni suoi amici di Torino (Gazzetta del Popolo, 19 aprile 1849) e studiando di eludere la vigilanza francese. Finalmente un amico gli accomodò un passaporto e il Reta

potè imbarcarsi per Bastia

;

di là, tardandogli di accorrere alla

difesa di Roma, già aveva noleggiata una imbarcazione, quando'

un vaporetto per Livorno, e fu sua avventura, perchè si levò una tale burrasca, che se fosse partito con una fragile imbarcazione, sarebbe stato indubbiamente sommerso. Da Livorno si portò a Civitavecchia e quivi mosse con altri compagni su Roma ma appena giunti dove erano accamparti

nella notte

pati gli

avamposti francesi venne arrestato minacciato di fuuna torre del Castello Ode-

cilazione e in ultimo chiuso in scalchi. Liberato, finalmente

passando per Viterbo potè rag-

giungere Roma e partecipare il 3 giugno alla pugna nicolo e prender parte francesi in Roma

il

il

9 giugno

al Vascello.

al Gia-

Ma entrali

i

4 luglio 1849 e caduta l'eterna città col-

l'Avezzana il ReUi fu sbalzato a Malta, ma anche di

gli fu

imposto di sfrattare. Potè tuttavia temporeggiare e cosi potè essere raggiunto dalla moglie e da' tre

a Malta

il

figlioli. Con

lui erano

Medici, il Campanella, il Cambiaso. Pure a Malta

venne fatto segno airaccanimento de' suoi nemici, li 31 luglio (1) Atti del Parlamento Subalpino, 2* sessione del 1849. Torino, 1849, a p. 64 e segg. Camera dei Deputati, tornata del 6 agosto 1849. (2) Una lettera assai notevole a Felice Oovean del 1 novembre 1849 venne pubblicata da Carlo Contbssa, Momenti tristi illustrati con di-

versa luce. Lucca, tip. Baroni, 1918 (Est. dalla Miscellanea di studi storici in onore di Giovanni Sforza). Altre a Oiorgio Pallavicino vedile nel vo-

larne: Daniele Manin e Giorgio Pallavicino. EpÌBtoìhrio politico con note

e documenti per B.C.Maineri,Miiano,1878, a pagg. 89<J-396.Nel carteggio del Cavour che giace nell'archivio di Stato di Torino vi hanno alcune lettere notevoli del Reta al grande ministro, ma la Commissione nominata

ad hoc non mi permise la consultazione.


1849 scriveva al suo amicissimo Celesia(l) « Mi si niega di posare il capo su questo scoglio, dove si lasciano approdare liberamente uomini d'ogni nazione e d'ogni fede. Non vorrei dolermi di questa inaudita persecuzione se fossi solo a soffrire. Vedendo

però che i miei innocenti bambini stentano, che

mia moglie piange e soffre, passo

i

miei giorni in uno stato in-

credibile di angoscia., tanto si guadagna ad amare la patria !..

Profugo e bersagliato dalle arti di nemici cui nulla è sacro,

nemmeno la sventura, troverei un conforto nei caratteri delle persone che stimo. Ma i morti e gli infelici presto si dimenticano ».

Forse a Malta, o mentre fuggiva da Roma, gli giunse la notizia della

sua condanna a u.orte e nel tempo stesso la sua

rielezione a depuato di Santhià

:

scrive infatti

al Celesia

in

quella stessa lettera del 31 luglio 1849 « sento che raccolsi de' voti nel

mio Collegio Elettorale e ne godo».

Fu allora che i suoi avversari gli mossero le più infami accuse, e

il

Prati, l'antico

amico e beneficato dal Reta, gli mosse

contro versi volgari che si compiaceva di recitare ne' salotti .e

ritrovi piemontesi. Anche

l'antico collaboratore (2) e

il

Risorgimento mosse guerra al-

Reta si difende (3).

Nel 1851 lo sappiamo in Isvizzera occupato a scriver un'o(1)

Emanuele Celesia nato a Finale in Liguria nel 1821, fu

storico

e letterato, pedagogista e poeta, fecondo scrittore, patriotta che tenne

largo carteggio con gli uomini

piìi

insigni del suo tempo. Fu pure pro-

fessore e bibliotecario dell'Università di Genova. Mori nel 1889. Di lui

dettò

una breve commemorazione A. G. Barrili in Annuario della R.

Università di Genova, 1890-91. {2) Gazzetta

del Popolo, 24 aprile 1849, N. 24.

(B) Ecco la lettera

del

Reta pubblicata nella Gazzetta del Popolo del

24 acrile 1849: € Mi venne riferito che il Risorgimento si provò di denigrare la mia fama pubblicando ch'io era uscito di p.ilazzo banchiere. Non mi posso adontare che lo Smascheratore, la Nazione ed il Risorgimento mordano

in

me l'uomo della Rivoluzione, ma deggio altamente risentirmi che

cerchino di togliere al profugo l'unica cosa che gli rimane... l'onore. In conseguenza io giuro alla presenza di dio e degli uomini, che es-

sendo entrato in Palazzo C07i tre scudi del mio in tasca, ne uscii con due soli, avendo regalato il terzo ad un soldato che mi portò un vi-


— 289 pera

:

« Proilromo della

scienza nuova » (l) nella quale

il

Reta

cercava o mej?lio tentava di * formare un'opinione pubblica e

concorde in Italia sulla libertà e suoi diritti». Il suo sistema

come scrive all'amicoCelesia di raj^ione a cui

il

ricco

si

fondava sopra un socialismo

quanto il povero devono tendere la

mano, perchè il primo troverà la le<,'ittimazione delle sue ricchezze, il secondo un sussidio efficace alla sua

povertà. E

il

suo amicissimo Celesia

12 febbraio 1851 scriveva ancora al

:

questo mio socialismo renderà i cittadini liberi e total-

«

mente indipendenti, non assoggettando a servitù che gli sregolati e

i

malvagi; né potrà sollevare contro sé altri nemici

che questi. Io chiedo esame e se questo esame appaga, la ragione, chiedo fede e attiva cooperazione perchè l'Italia educatrice

tre

volte del

mondo, non deve lasciarsi sedurre

dalle

utopie dei Proudhon e dei Barbés. II che avverrà immancabil-

mente da noi quando non si getti tra il disordine attuale delle menti, un'idea sintetica, una formula che possa

indirizzarle

ad una meta sola ».

E così tra lezioni e occupazioni il triunviro genovese tirava innanzi malamente la vita, non dimentico della patria, mante-

nendo decorosamente la propria famiglia, meditando un rinnovato sistema sociale fondato sulla ragione, sempre fisso il pensiero aWunità nazionale d' Italia damìo lezioni di lingua e storia in vari collesri, pensando di aprirne uno sotto la sua direzione. Ed a Ginevra lavora per l'indipendenza del paese; si compiace col Pallavicino per la costituzione della -Socieià iVazionale a cui non solo aderisce, ma raccoglie in Ginevra un ,

ghetto del prode Avezxana. Il Risorgimento (leggi Cavour) misura gli uomini da sé certo, se avesse avuto per alcuni giorni tutte le casse ;

del Governo in Genova, essendo già conte e banchiere, ne sarebbe uscito

con qualche titolo. Ma

i

liberali

che mi somigliano non arrossiscono di

dar lezioni d'Italiano a Marsiglia per campar la vita, finché Iddio non li

aiuti. Io dichiaro

che il Risorgimento ha impudentemente mentito. Costantino Reta >

Marsiglia, 19 aprile 1849. (1) Il

Brofferio cercò invano sottoscrittori per quest'opera, scriveva

da Torino

il

20 maggio 1851

al Celesia

<

Per Topera del Reta non ho

trovato neppure un associato. Tutto terminò colle IO azioni da me prese.

E cosa che fa disperare ». Vedi G. BusTico, Il Carteggio Brofferio-Ce:

lesia, Domodossola. IH 10, pag. 2f».


— 290 — — scriveva al Pallavicino 3 febbraio 1858 — intanto la mia piena esplicita adesione alla Società, ed offro

comitato. « Io dò

il

ad essa, per organo del suo degno Presidente la mia penna e la mia persona. L'una e l'altra valgon poco, ma l'oceano è composto di gocce d'acqua, e non potendo far altro, io vengo a deporre queste due gocce in seno alla Società» (1).

Noi non possiamo aderire alla sentenza del Laraarmora (2) e che il Degli Alberti (3) ha ripetuto, che il Reta sia stato un « faccendiere, intrigante

e maliziosissimo».

Fu invece e veramente il Reta un ardente ed efficace

pre-

paratore dei tempi nuovi in Piemonte. Deputato nelle tre prime legislature, giornalista, oratore, uomo politico,

il

Reta portò

sempre grande entusiasmo in ogni suo operare e se errò fu per

un soverchio desiderio di

fare.

Se avesse potuto appli-

carsi di proposito alle lettere, scrive il Bersezio, sarebbe forse

degno di memoria; ma egli per il tempo al riposo occupazioni onde divaganti scarso che aveva dalle faticose e riuscito scrittore originale e

consacrarsi allo studio doveva strappare

attingere

i

mezzi di sostentamento per sé e

la

famiglia.

Venne più tardi la politica che nei disastri del 1849 lo travolse e lo costrinse a vivere giovane ancora e misero nell'esilio.

Se sbagliò, sbagliò per un grande atiiore di patria.

Guido Rustico.

(1) (2)

Daniele Manin e Giorgio Pallavicino, e^iàtol&YÌo citato a pag. 392. Un episodio del risorgimento italiano per Alfonso Lamarmora^

Firenze, G. Barbera, 1875, a pag. 31 nota. (3;

M. Degli Alberti, Alcuni episodi del Risorgimento italiano, in

Bibliot. di Storia Ital. recente, I, pag. 438, Torino, 1907.


- 291 APPENDICE Lettere inedite di Costantino Reta a Carlo NegronL

I.

Amico carissimo, Torino, 19 ott. 47. Ti scrivo di volo e proprio sul punto delia partenza perchè avendo*

corso tutta la mattina in busca di qualche novella, ritorno colle mani

vuote e ricevo tardissimo il caro tuo foglio dei 18. Io

feci

ogni mio

un appuntamento a cui tutti davvero non so se abbia da fare con uomini ò con ra^

possibile per venire all'intento; fissai

mancarono

gazzi. La notizia che

mi trasmétti mi darà nuova lena e al mio ri-

torno da Ginevra, vale a dire domenica, reitererò sistenza. Ma sarà ella vera quella

le

preghiere e

l'in-

notizia? Se ne sentono bucinar

tante e si strane in giornata, che è giuocoforza attenersi al sistema

S.Tomaso: ma dacché tu asseveri, i miei dubbi si dileguano, supponendo io non senza fondamento, chg il parti [indecifrabile] ti provenga da chi ha le mani in pasta.Rocca mi scrive in questo punto che accetdi

terà con molto piacere l'opera (1) di cui ti parlai, edisiowe di Bruxel les f. 35.

e

Fammi adunque il piacere di spedirmela con mezzo sicuro

aprimi debito delle spese di cui ti compenserai nella mia prossima

si dice da tutti che il S. Marzano ha ricusato la grave soma: mi diedero la notizia per certa: ma io mi accosto ormai alla

tornata. Qui

setta de' Pirronisti. 11 tuo penultimo foglio non valse ancora a scuo-

tere l'inerzia, fu lodato, si riconobbe che

da quelle basi

non potremmo dipartirci

ma quando si tratta poi di agire la natura delle

marmotte ripiglia l'impero. Che vuoi fare con anime di questa fatta? M.uiiiiiiift

nel cattivo coro e sperare in

tempi e in uomini migliori tutto tuo C. R.

II.

.\mico carissimo.

Godo che il Gesuita Moderno trovi spaccio quantunque ciò m'impedisca di accomodarne l'amico Rocca, il quale ben provvisto di quattrini troverà in

un modo o nell'altro la via di procurarselo. Attendo

però riscontro da lui e nel caso che accetti la proposta senza la-

1

>

Il

Gesuita Moderno del Oioberti.


•sciarsi sbigottire dal

rincarimento del prezzo, te ne scriverò senza

ritardo, e coi dovuti ringraziamenti. Costi la polizia ci dà spettacolo

gratuito ogni sera (1): la scena è la Piazza

S. Carlo, gli

attori

sono

carabinieri, bersaglieri, cavalleria e sbirraglia, gli spettatori il popolo

non sovrano. Il quale rassembrandosi su diversi punti della scena e di

preferenza innanzi al Palazzo del Governatore, si mette in aspet-

tativa silenziosa e composto

come in una funzione religiosa. Non

tardano a farsi vedere i burattini di ogni colore e qui comincia lo spettacolo del guardarci a vicenda, 11 moversi degli uni del seguire degli altri e viceversa. Ieri sera

un centinaio di giovinotti, gente di

bassa mano e braccianti, correvano per la città urlando piuttosto che

cantando l'inno a Pio: si tiravano dietro un lungo codazzo di spettatori plaudenti. Trovandomi con parecchi amici seguivamo ex longe la tumultuante folla, quando suU'imboccare di Piazza S.Carlo venendo

dalla via di Porta Nuova, udiamo un improvviso scalpitar di cavalli e vediamo carabinieri' che a gran carriera ci venivano adosso: era un fuggire, uno sparpagliarsi, un aggrupparsi sotto le porte, nei canti, in lontano. Sopraggiunge il general Bava accompagnato da un aiutante di campo e da un drappello di cavalleria e vedendo noi con una dozzina forse di giovani raccolti sotto un porticato si ferma, ci ordina di ritirarci e che la pazienza del governo ha dei limiti, ci ricordassimo che il Governo ha il dessus, non volessimo cimentar oltre la forza pubblica. 11 buon Flecchia gli osserva « esser noi gente tranquilla, volersene ritornare a casa ed esserci rifugiati in quella

porta per non esser pesti dai cavalli » risponde il Generale e molto

umanamente « esser imprudenza la curiosità, non poter egli far distinzioni » e così ci separammo edificati di aver imparato che il Governo ha il Dessus, cosa, a vero dire, che risultava assai chiaramente per esser rivocata in dubbio. Le sere precedenti la scena fu più tu-

multuosa e il popolo non sovrano toccò contusioni e ferite: il paPeyron venne tradotto al Comando per non voler ubbidire ad

cifico

un carabiniere che gli negava gli si

il

passo verso casa sua. Conosciuto

consentì di andarsene a letto. Gli episodi sono molti, lepidi,

buffoneschi: ma

il

riso

non fa buon prò a chi pensa che sotto quel si nasconde un proposito scellerato che

ridicolo apparato di forze è quello

appunto di aizzare il popolo per aver il pretesto di aggra-

Q)Ciò accadeva di sovente intorno a questi fatti vedi una lettera di :

G. Massari a Vincenzo Gioberti, in Carteggio Gioberti- Massai-i (1838-1852), Torino, 1920 a pp. 404-405; e i Souvenirs historiques de le M.Constance d' Azeglio, l^uxm, 1884, a pp. 160 e segg.


— 293 — vare il giogo, di aumentare i rigori, di far man bassa. Molti concor-

dano neirasserire che la Polizia è la sola istigatrice di queste mene,

come attore, avvalora il sospetto. Re è in via di guarigione e si dispone di partir per Genova dove

e la convinzione di chi vi figura Il

è atteso con molta brama. Si spera che

il

suo viaggio sarà fecondo

di buoni risultamenti. I genovesi sono operosi e

civile

hanno quel coraggio

che manca affatto all'incerto popolo subalpino a cui, per in-

cidenza, mandarono la bella poesia che Il

ti

trascrivo

:

bacio paterno de' Popoli subalpini coi liguri 1.

Patria l'ira, il dissidio, la frode

Trina peste che aduggia ogni vita

La gran donna che all'alpi è custode

E colei che ha io scettro del mar:

Ma la voce del Santo Levita A discordia strappando la face Già le chiama agli amplessi di pace

Già le stringe, sorelle, a un aitar. Ei grida allor, v' invito

A coniugai convito Cada il livor feroce D'una codarda età Vi

fla vessil la

croce

D'amore e libertà. 2.

Son mutate d'Italia le sorti

Due province lunghi anni divise Son già fuse in un popol di forti Son già fatte una sola tribù. Al pio voto l'Eterno sorrise Ei sterpava ogni sdegno, ogni gara.

Qual sui campi dell'arsa l'aquara Sterpi gli odi l'insubre virtù.

Sull'Eridan già sento

Suonar l'amico accento

E del Tirren la foce Tutta echeggiando va Ci fia vessil la

croce

D'amore e libertà.


— 294 3.

dell'Alpi Lione

temuto

Cingi al crin di Guastalla gli allori

Corrispondi

al

fraterno saluto

Tu che stendi sui flutti l'imper Congiungete le palme ed i cuori possenti germogli d'Eroi

Pace, pace giurate fra voi

Guerra, guerra all'esoso stranier. Della concordia

Stese disfatta in

il

lampo

campo

L'idea civil che atroce Partia le due città E a noi vessil la croce D'amore e libertà. 4.

Plaudiam cinti dell'ilari bende All'aurora dei giorni novelli

Maturato da fiere vicende Spunta il sol che concordi ci fa. Giuran pace i fratelli ai fratelli.

L'aura echeggia d'unanimi grida. Questo il giuro ci fla di Pontida Di

Legnano il dì poscia verrà. E quando il giogo infranto Sciorrem di gioia il canto

D'un popolo la voce Rumoreggiar s'udrà. Ci fla vessil la croce

D'amore e libertà. 1

Genovesi.

Emanuele Celesia è l'autore di questi caldi

e bei versi che devi

:adoperarti di far conoscere in questa provincia. Riguardo al gior-

nale io credo omai di non poter giungere a superare la resistenza' d'inerzia di questa gioventù, la quale senza indirizzo, senza coraggio,

occupata dal terrore, si sfoga in belle declamazioni, ma è incapace di agire anche nelle vie legali. Il progetto di un'associazione anche

con fini onesti fa rizzare il pelo in capo ai più forti

ora va a far

giornali con codesta sorta di generali. tutto tuo C.

Torino, 26 agosto 1847.


Iiettere di Costantino Beta

ad Emanuele Ceiosia (1).

111.

Amico Carissimo, Sono in Malta dove speravo di trovare un posto: ma mi si nega il capo su questo scoglio dove si lasciano approdare liberamente uomini di ogni nazione e di ogni fede. Non vorrei dolermi

di posare

persecuzione se fossi solo a soffrire. Vedendo però

di quest'inaudita

che i miei innocenti bambini stentano, che mia moglie piange e soffre, passo i miei giorni in uno stato incredibile di angoscia tanto si guadagna ad amare la\)atria! E tu che fai? perchè non mi hai mai scritto una linea? Profugo

nemmeno la

e bersagliato dalle arti di nemici cui nulla è sacro

sventura, troverei un conforto nei caratteri delle persone che stimo.

Ma

i

morti e gli

infelici

presto

si

dimenticano.

Credo che dovrò partire per Grecia o per Barberia, non so se mi sarà consentita la dimora in quei luoghi. I vincitori

ci

vorrebbero

vedere oltre l'Atlantico e forse ci riusciranno. Sento che raccolsi dei voti nel mio collegio elettorale e ne godo perchè son pegno di una simpatia che mi accompagna nell'esiglio.

Se fossi deputato, la Camera non approverebbe la mia elezione perchè credo che vi prepondererà l'elemento moderatissimo. Ad ogni

modo che mi gioverebbe l'elezione; una camera moderata la renderebbe vana, una democratica sarebbe strozzata nelle fascie. Ti raccomando latori SS." Iterdonato,Bertolani (2) ed Erante. Appartenevano alla defunta camera sicula e vi rappresentarono una parte lodatissima. Portando seco un titolo che basta da per sé a raccomandarli presso ogni animo gentile, non mi dilungherò in parole. i

Qui vidi Medici, Campanella (3), Cambiaso (4): partiranno forse col primo piroscafo per Costantinopoli. (1 iSi

conservano alla Biblioteca Universitaria di Genova, di queste si

servi il prof.Peratoner per stendere un breve contributo Nel centenario di

Giovanni Frati; * Un patriota genovese ed una pagina di storia .Ilmonticata » , in Secolo X/X,Genova,22 aprile e 13 maggio 1914. (2)

Probabilmente Michele Bertolani di Novara di Sicilia pairioiui che

esulò nel 1849 in Piemonte. (9) Federigo Campanella di Genova (1804-1884) un altro de' proscritti da Genova. In esilio tino al 1869, tornò in Italia, dove continuò la sua propaganda repubblicana. Giace a Genova presso la tomba del Mazzini. Di lui Alberto Mario, TeMte e Figure, Patlova, 1877. (4) Il marchese Cambiaso Gio. Batt. (1806-1851), compromesso ne'


— 290 Salutami gli amici comuni e con occasione non dispendiosa (bastimenti a vela)

mandami notizie tue e di costà. Tuo aff.mo Amico Costantino Reta.

Malta Città Valletta, 31 Luglio 1849. Signore Signor Emanuele Celesia

Genova. IV.

Amico Carissimo, Malta, 1 Agosto 1850.

Nel mio amico Torre latore della presente ti procuro la conoscenza di

un romano degno del nome. Egli fu uno dei fondatori e scrittori

del Contemporaneo, ]^oi collaborò attivamente nel ministero dell'armi

dove fu ottimo consigliere e amico del nostro Avezzana. Ora per

colmo di gloria è un esule, e come tale ha un

alle tue sim-

titolo

patie e a quelle dei comuni amici, titolo al quale nulla possono ag-

giungere le mie raccomandazioni. Avrai dal Torre molti interessanti episodi dei nostri ultimi tentativi di Roma, e potrai vedere docu-

menti importantissimi che egli conserva e che pubblicherà in un lavoro a cui ha consacrato

gli

ozi dell* esigilo. Io credo

pertanto di

un pegno della mia costante ed affettuosa memoria presentandoti un fratello. NuU'altro aggiungo a questo riguardo perchè so che darti

conoscendo il Torre tu mi ringrazierai del regalo. Io dovrei tenerti

il

broncio dacché non vidi mai

i

tuoi caratteri

che sempre desiderai, e che gli amici mi avevano annunziati:

ma

non voglio ascrivere al tuo cuore la dimenticanza perchè conoscendo per prova quanto sia bello non ne potrei sospettare. Ad ogni modo voglio avere una prova reale e palpabile del tuo affetto, vale a dire

una lunga lettera che porterò cara nella nuova scena a cui mi chiamano i miei doveri d'Italiano. Potrai consegnare il foglio a mio cognato Giovanni Reta nell'ufficio dei R. Corrieri ed egli avrà presto, anzi a giorni l'occasione di trasmettermela. Se desideri sapere dove

mi chiami il dovere, ti dirò che occupai il tempo a scrivere un volume che porterà il titolo Ragione dei diritti del Popolo. Spero di non aver dato in declamazioni, né di aver edificato per aria il mio moti di Genova, visse all'estero, sempre cospirando per la causa della libertà. Morì a Parigi nella rivolta provocata dal colpo di stato del 2 dicembre 1851.


- "297 — sistema sociale. Ma che dico sistema!

Io

Don mi proposi di scrivere

un sistema di cui ne abbiamo già troppi; non feci che desumere i corollari dei canoni naturali e razionali che sono la conquista della civiltà;

ed applicarli all'assocjazione: non feci che crollare l'edilìzio i

moderni sono avvilupati come in una

rete, e dell'autorità positiva

che si è imposta alla ragione collettiva

del diritto positivo in

cui

dei popoli civili. Io considero la persona morale società come un ente in cui la ragione è ragguagliata alle forze, cioè la volontà al potere,

e deduco dall'organismo stesso del corpo sociale le cagioni della sua

costituzione e l'indirizzo de' suoi moti. Dio causa, perchè senza causa

morale il dritto diventa retaggio della forza com' è attualmente nel nostro stato, ateo in pratica, religioso nelle forme, e più religioso

dove lo morde il rimorso della sua pratica denegazione della divinità. Ammessa la quale viene di necessità che l'uomo esista per com-

piere un gran dovere. Questo dovere è la sorgente di tutti

i

dritti.

Spintovi dalla natura l'individuo singolare si consocia perchè trova il

complemento della sua ragione, nella ragione collettiva, e il com-

plemento delle sue forze nella forza collettiva. Ragione collettiva supremo criterio per determinare <iuesto dovere: forza collettiva potere di compierlo: quella ragione e quella forza, legillima autorità sociale. Su questi principii evidenti

meno che non

si

come una verità matematica (a

voglia negare Iddio) io innalzo l'edifìcio sociale e

scuopro armonie nuove ad ogni passo, e atterro ad ogni passo un

mostro creato dalla forza accopiata alla violenza. Insomma io m'avvedo di essere caduto in pieno socialismo ma senza che mi proponessi di andarvi, onde trovo tutte le ragioni del socialismo e la sua formola sociale.Tolgo il dritto della proprietà dalle mani della forza, dimostro com'essa sia una necessità sociale e ne fondo

il

titolo le-

gittimo del tributo. Il tributo in origine e sempre legittima la proprietà di cui sarebbe assurdo fondare le ragioni sopra zione, perchè questa

non poteva legare

i

una convenempio

posteri, assurdo ed

fondarla nella forza perchè una proprietà che ne dovesse seguire le vicissitudini sarebbe la

causa di una guerra perenne. .Ma legitti-

mando la proprietà col tributo ne nasce che questo debba considerarsi come alimento di governo e come compenso al proletario. Come elemento di Governo consacrarsi ed alimentare le forze tutelari dell'SLSsociazione, come

compenso, un sistema di educazione accessibile

a tutti e l'organizzazioie del lavoro. Infinite altre armonie prendono origine da questo principio e trovano tutte la loro applicazione politica. Questi

pochi cenni non bastano a metterli sulla loro traccia,

ma forse potrà farlo il cuore Il Riaorg. Mal.,

XIU

i

cui istinti seguono una via parallela !•'


- 298 — della ragione. Ducimi però che io non posso deffivera e sola guarantigia della libertà, perno attorno al quale

alle rivelazioni nirti la

aggirano tutte le mie applicazioni: guarantigia senza la quale vediamo la F'rancia cadere sotto una feroce tirannide con tutte le forme della libertà, guarantigia senza la quale ogni rivoluzione itasi

il principio di una nuova lotta. Ma basti il fln qui almeno a conoscere la buona volontà che avrei di metterti a parte delle mie scoperte. Mi venne supposto che i cenni ultimamente stampati sui moti di Genova siano di tua composizione. Se è vero io mi congratulo teco del tuo lavoro perchè è energico, utile ed opportuno (1). Non ti rendo grazie di aver vendicato il mio nome dalle calunnie dei moderati perchè non si ringrazia lo

liana sarebbe detto,

ti

basti

storico di dire la verità, e la verità a mio riguardo fu quella che trovandomi solo a palazzo il mattino jiei 5 aprile fino alle 11 anti-

mer.e

fui

indotto da quella vipera gesuitica di console francese a

recarmi a bordo del Tonnère per iscrivere una lettera a Lamarmora e pregare

il

corpo consolare colà raccolto

fln

dalla sera innanzi di

ricapitarla al Generale croato, voglio dire piemontese. Scrissi che ritirasse a

si

poche miglia da Genova e che allora saremmo venuti a

trattative. Compiuto quest'ufficio mi fu negato di sbarcare. Stesi

una

protesta e la diedi al Console e al Comandante che non ne fecero caso: scrissi ad Avezzana che mandasse di notte una guardia^nel

molo perchè mi sarei gettato a nuoto; ma il piroscafo andò ad ancorare lontano un miglio dal porto. Il mattino seguente potè sbarcare l'Albertini perchè non era custodito a vista, ma io avevo sempre al fianco

il

mio carceriere e mi fu impossibile evadermi. Questa ri-

balderia fu quindi confessata ufficialmente dal console Favre nella

relazione che egli spedì al suo governo

il

quale la fece pubblicare

« Pendant Moniteur dei 25 Aprile eccone le testuali parole le temps que dura l'armistis, M. Favre determina les principeaux chefs des insurgés à s'embarquer sur le Tonnère où ils furent retenus et traités comune prisonniers de guèrre. C'est ainci que MM.

nel

Reta, Lazzotti, Accame furent enlevés à l'insurrection qui privée de ses principeaux chefs, se vit bientòt reduite à capituler. Le sieur Albertini seul

echappa a la surveillance de MM. Favre et Gasquet ».

Se tu avessi riprodotto questb documento storico di cinismo avresti

menato un colpo a quei due ribaldi e giustificato pienamente dalla (l)Fu veramente il Celesia autore di un opuscolo su i moti di Genova Della Rivoluzione di Genova nelV aprile 1849 esposta nelle sue vere sorgenti. Memorie e documenti di un testimonio oculare, Italia,, 1850. i^Ma pubblicata a Marsiglia senza nome di autore). dell'aprile 1849 dal tìtolo

:


— -299 — calunnia un

uomo che

provarono non esser capace di viltà

fatti

i

perchè quantunque innesperto e padre di 3 figliuoli si trovava pochi

mesi dopo all'assalto di villa Corsini a Roma e vedeva cadérsi a lìanco molta prode gioventù. Ma io pure ziale giudizio, anzi credo

ti

ringrazio del tuo impar-

che tu abbia fatto bene ad occuparti più

dei fatti che delle persone. 11 tempo proverà ai miei concittadiai che

se mi avevano giudicato parzialmente circa le doti dell'ingegno, non SI

erano sbagliati sulla costanza e l'onestà del suo carattere. Cosi

non fossimo stati scannati prima di avere il tempo di organizzarci! Si buccina costà di amnistia. Scusami la parolaccia, amico mio, io mi strafotto di essere graziato dai bricconi che ci hanno venduto

all'Austria, e preferisco

il

cholèra di Malta, che ora infierisce, alle

grazie reali. Aristocratici piemontesi, cioè Grajani d'Asti e liberali

sono nemici mortali dare e ricevere la morte ecco le sole relazioni :

che possono esistere fra me e quel

tìglio di

un traditore che s'in-

Emanuele II. Sono stanco non pago di scrivere perchè mi pare di avere al fianco

titola Vittorio

.

un amico. Tutto tuo aff.mo Costo Reta. Al Signore

Signor Avvocato Emanuele Celesia

Genova. V.

Amico Carissimo, Dovrei teneili broncio perchè non mi hai mai dato un segno visibile della tua ricordanza, mentre io sulle mura di Mura di Roma, quanto di .Malta e fra le nebbie della Svizzera mi sovvengo sempre di te. Del che ti mando e prego gradire un nuovo pegno nel

sullo scoglio

Prodromo della Scienza Nuova. Quest'opera è composta, ma l'inclemenza dei tempi mi obbligherebbe a tenerla inedita se mi mancasse patrocinio de' miei concittadini ed amici. Ti sia adunque raccomandata a questo doppio titolo. lo tento (come ricaverai dal Prodromo) di formare una opinione

il

pubblica e concorde in Italia sulla libertà è i suoi dritti. Quindi ab-

bisogno della cooperazione di tutti quegli ingegni che hanno e meritutnente mantengono una vera inlluenza su quest'opinione. Esamina

adunque fonderli

i

:

miei principi e se ti parranno veri, impiega la tua a dif-

questa sarà una cospirazione feconda di rivoluzioni vera-

mente stabili e benefiche. Il mio sistema fonda un socialismo di ragione a cui il ricco quanto 11 povero devono tendere la mano, perchè


— 300 — primo vi troverà la legittimazione delle sue ricchezze, il secondo un sussidio efficace alla sua povertà. L'ordine sociale di questo mio

il

socialismo renderà i cittadini liberi e totalmente indipendenti, non

assoggettando a servitù che gli sregolati e malvagi né potrà sollevare contro se altri nemici che questi. Io chiedo esame, e se questo :

esame appaga la ragione, chiedo fede e attiva cooperazione dei buoni. Chiedo esame, fede e cooperazione perchè l'Italia educatrice tre volte del

mondo non Beve lasciarsi sedurre dalle utopie dei Proudhon e

dei Barbès. 11 che avverrà getti tra

immancabilmente da noi quando non

si

disordine attuale delle menti un'idea sintetica, una for-

il

mola che possa indirizzarle ad una meta sola. Ma lascerò che parli per me il Prodromo, e conchiuderò queste mie brevi osservazioni con un caldo augurio per l'anno che comincia, Dio te lo conceda lietissimo, e voglia anche gettare uno sguardo sulla nostra misera Italia e cessarne il martirio.

tuo

afiF.nao

amico

Costantin.0 Reta.

Ginevra, 12 febb.» 1851.

Signore

Signor Avvocato Emanuele Celesia

Genova VI.,

Amico Carissimo, La cara tua dei 2 corr.e mi empiè l'animo di conforto, non già che io potessi credere che tu m' avessi dimenticato, ma perchè non essendomi stato consegnato il tuo foglio dal Rossignoni, né altro riscontro avendo avuto alle mie lettere, dubitava che altre occupazioni e distrazioni avessero potuto

affievolire

in

te

la

ricordanza

dell'amico. Ma l'amicizia nostra si cementò in tempi troppo gravi e

memorandi per non lasciare impressione durevole. Le cure e i bisogni materiali della vita fan sì che per ora io non possa occuparmi d'altro che di dar lezioni di lingua e di storia: ma la Scienza

nuova è già tutta composta e non richiede che l'ultima

limatura, onde appena io posso avere una quasi certezza che le 800 azioni saranno colmate, ne

manderò alla stampa una parte e rico-

pierò la rimanente. Frattanto mi parrebbe utilissimo che gli uomini

d'ingegno

si

riunissero costà per gettar la fondamenta di una scuota

italiana, onde negli

imminenti giorni d'azione i nostri sforzi potes-

sero avere un indirizzo concorde.Tanto gioverà ad accelerare la vittoria e, che è più, a consolidarla. I principi

mi sembrano ineluttabil-


'M)\

-

mente lo;:ici e semplicissimi come la verità la sostanza del giusto di cui non il

>

al

continj^ente. Dovere neir umanità di

giusto assoluto, e

il

— Dio vertice, e in Dio

è nell'animo

umano che il relativo

andare dal giusto relativo

cammino corso o da correrai a quella meta

progresso. Dovere, dunque dritto di scegliere i mezzi che vi conducono, i quali SODO T interpretazione del giusto col criterio e colla

coscienza della nazione, sanzione del giusto col criterio e colla cocoscienza delle nazioni, cioè dell'universalità: quindi dritto di nazionalità, dritto della federazione delle nazioni. Diamo

una sanzione

religiosa al dritto pubblico e interna.zionale e allora solamente po-

tremo conciliarle l'umanità che tende a Dio come i corpi tendono al centro. I nostri avversarli scossero le masse al grido di Dio lo vuole

— — Dio lo vuole: e sotto l'ale di Dio consolidarono l'oppres-

sione contro la quale protestiamo oggidì. Ma quanta maggior forza

attingerebbero

i

principi liberali se fossero posti sotto

il

palladio

della divinità? La giustizia ha la^sua formola nell'uguaglianza senza la

quale sarebbe distrutto il concetto logico della cosa. Dunque Dio

uomini eguaglianza di doveri e di dritti come tra' membri di una^ran famiglia: dunque Nazioni libere e indipendenti in cielo, e fra gli

per la legge

di

Dio, e alleanza di queste

nazioni. Il reggimento in-

terno delle quali nasce come corollario dei principi sovraesposti: dall'eguaglianza il sulfragio universale come base di dritto pubblico:

ma questo suffragio universale non potrà servire per consacrare le usurpazioni delle maggioranze parlamentari, sibbene per consacrare l'oggetto del giusto proposto e discusso prima in seno alle assemblee. I

liberali

moderni non hanno fatto che perpetuare la tirannide coi

loro sistemi; e invero che importa che l'arbitrio sia di uno o di set-

tecento despoti ? Settecento hanno consumato zione di

il

delitto della spedi-

Roma: credi tu che se fosse stata consultata la coscienza

della nazione francese avrebbe dato

scellerati responsi <li un Mon-

i

talambert ? Io non lo credo perciiè non può essere e non fu mai una nazione atea, cosi non fu mai né potrà essere una nazione di assassini. Nell'ordine

economico emergono pure limpidissime le applica-

zioni dei principi. Nessun soldato e tutti soldati, perchè tutti

hanno

dovere di respingere una aggressione. La leva è un monopolio di sangue fatto gravitare sui poveri. Tolta di mezzo la calamità degli II

j'serciti

permanenti (anche Romagnosi

la

dimanda calamità) l'im-

posta fatta compenso di chi nulla possiede e legittimazione di chi

emergeranno armonie sociali lontane dalle utopie prudoniane quanto dalla triste realtà degli ordini presenti, ne' quali la possiede, ne

proprietà non ha altra consacrazione che la forza: onde meriterebbe


— 302 —

\

titolo di furto legale. Credo che questi principi bastino

11

di

come base

una scuola: raccoglietevi fra pochissimi e scelti a discuterli, fa-

tene la vostra fede politica e religiosa, insinuateli con attiva propa-

ganda e sarete gli uomini dell'avvenire. Perchè io vi dico che presto quest'edifizio di cartone che dimandasi Statuto sarà soffiato via dal

vento che spira di Francia, e se avrete saldi principi potrete salvare voi e la Francia medesima. All'Italia la sintesi, alla Franci? l'analisi, alla loro

unione Y applicazione della formola

riuniti fra

vitale. Quando sarete

due o tre, e sorgeranno dubbi o vorrete ulteriori schia-

rimenti e più ampio sviluppo del sistema, scrivetemene, e faccio per altri centri, farò

come già

più volentieri per i miei concittadini,

spiegherò cioè, tutto, vi dirò l'ultima parola conseguente alla pri-

vi

ma, perchè il sistema è uno, semplicissimo e da potersi comprendere senza sforzo d'ingegno o sussidio di lunghi studii filoseflci. Sa-

rebbe strano che Dio avesse racchiuso

la

scienza del bene in una

formola astratta. Non vi disanimi nemmeno

il

pensare che l'appli-

cazione de' principi sovra esposti non possa esser fatta che in un lontano avvenire: io vi dirò con Romagnosi « La parola è spada acuta e ninno

può sfuggire la sua possa quando serva

alla verità

ed

al

benessere universale. So che il tempo dell'apostolato é tempo di persuasione, ma so pure che è tempo di vittoria della parola. Pochi ba-

steranno per vincere, e in mezzo alla corruzione ed versale non

alla viltà uni-

manca la provviJenza di destare qualche animo forte

e grande che prepari

l'

ultimo termine de' suoi destini » (Scienza

della Costituz.). Io affido a te, amico mio, questo apostolato nella mia patria: essa

è terra fruttifera quanto altro mai in Italia: gli ingegni

si

son desti,

d'uomo che per sciagura nostra par quasi spenta nella capitale del Piemonte. Tu sei for-

vivaci e v'è universalmente sentita la dignità

nito d'ispirazione gagliarda e

ti

commuovi alle grandi e sante idee:

va, prosegui, lavora indefessamente che i tempi dell'azione son giunti e felice colui che saprà comprenderli e secondarli.

Sento che in Torino

si

fece la traduzione dello Spettro Rosso del

Romieus: è opera da diffondersi perchè eminentemente logica nel suo infernale cinismo

:

essa ha fatto un bene

immenso in Francia,

e ne potrà far molto in Italia perchè sviscera senza reticejize e paure i

fati inesorabili dalla riazione. Nulla vale

che i moderati di tutti i

colori ne declinino la risponsabilità: purché moderati stanno sulla

china dell'abisso da cui fu evocato

lo

Spettro Rosso e vi devono

precipitare. Essi non hanno un principio e per conseguenza

devono

rovesciarsi nell'individualità che in ultima analisi è la forza. Le pa-


- 303 ^ine del Komieu sono scritte col sangue e perciò destano un ribrezzo salutare negli uomini che non sono intieramente impervertiti. Cerca di diffondere questo libro in Genova e ne vedremo risultamenti felici.

Godo che Arduino(l)sia uscito di carcere e spero che vorrà aprire iieirutlkio deìV Italia libera l'associazione della Scienza nuova. Addio

— scrivimi e recapita le lettere a G. Maria che troverà modo di farmele avere con mezzo economico e sicuro. tutto tuo aff.mo

Cost.o Reta.

Ginevra,

1

(hukuc i?<51.

(Senza indirizzo, ma diretta a Emanuele Celesia]. VII.

Amico carissimo, Ginevra, 21 Selt.e 1851.

Non posso scriverti a lungo perchè ho troppo amaro nel cuore. l>a

relazioni verbali mi fu confermato ciò che esitai a credere leg-

gendolo ne' fogli moderati, voglio dire l'accoglienza festosissima fatta dai Genovesi al loro bombardatore. No. ti giuro, amicissimo mio, che io

non mi aspettavo questo sfregio da* miei concittadini

:

essi avreb-,

bero almen dovuto rispettare una sventura nobilmente offerta: per-

chè dopo le ovazioni

fatte al re, i nostri nemici possono gettarci in

faccia con ragione

oltraggioso epiteto di faziosi e intriganti. Non

l'

già che io sperassi grazie e amnistia dalla venuta del re in io

ben sapeva che dopo

di

Genova:

aver ordinato a' suoi ministri di opporsi

alla proposizione Rrofferio (unico motivo per cui fu reietta dalla ca-

niora; si era legato egli stesso le

mani: ma speravo che Genova non

avesse compiutamente dimenticate le vergogne di Novara e le bombe

con cai fu ricambiata la nostra generosa protesta. Taccio di due ca-

mere liberali sciolte, del proclama di Moncalieri. del sistema di corruzione introdotto dal governo e con ogni arte diffuso, della pi'e-

ponderanza dell'aristocrazia, delle transazioni con Roma e di mille altre minori vergot;ne: male

perdonarsi strette di

tre anni, lo

ili

dalle

labbra reali, né dalle

mano prodigate al servidorame municipale. Quest'ultimo

disinganno pose

lista.

bombe, per Dio, non avrebbero dovuto

in gja/.ia dei sorrisi discesi

il

suggello alle sventure da cui son bersagliato da

non avrei voluto che

Nicola Arduino

(

IbOT-lH'.'ll di

i

Genovesi facessero atti e dimo-

l'iuiio

.Maritra, patriotta e giorna-

Fu arretitato durante la insurrezione di Genova del 184H: acquistò

« dir«H8e Vltalia Libera.-


— 304 — strazioni ostili al re: no, sarebbero state inopportune e impolitiche;, io

sperava solo che sarebbe stato accolto il silenzio, unica protesta La condotta dei Ge-

che non disconvenga ai deboli. Ma le ovazioni

!

novesi ha distrutto ogni probabilità di amnistia per le vittime di Aprile, dacché è troppo ragionevole che i ministri abbiano detto al

abbiamo noi sempre assicurato. Sire, che cacciati da Genova pochi agitatori, la città si sarebbe sottomessa e fedele? E non

re « Non vi

ne toccaste con

mano una prova che sorpassò la vostra aspetta-

zione? E vorreste chiamarvi adesso in casa gli autori, i soli autori de' passati disordini? » Se fossi ministro così parlerei al re, se fossi

re crederei all'esistenza di queste parole. Non compromettano dunque i

Genovesi la bella fama monarchica testé acquistata con tentativi

che riuscirebbero infruttuosi. Noi sapremo soffrire con dignità e ras-

segnazione fino al giorno in cui un moto generale trascinerà dietro a sé, volenti o renitenti, Genova e Torino. Le quali città devo mettere adesso allo stesso

livello. Fortuna

che le altre parti d'Italia non sce-

sero a codarde transazioni colla monarchia: il loro contegno nobilissimo mi compensa dei disinganni venutimi testé da Genova. Questi dolori io verso nel tuo bell'animo, o Amico, e saprai compatirli perché

son certo che li dividi. Salutami tutti coloro che hanno spiegato carattere d'uomo e d'italiano nelle ultime turpitudini. Dubito che sien

pochi perché so che l'entusiasmo fu pazzo e universale. In quanto al Prodromo ti ringrazio

cordialmente de' tuoi tentativi, ma lo spi-

rito pubblico di Genova, me

li

fa

temere infruttuosi. La mia ricono-

scenza per te e pei pochi buoni che avranno cooperato teco ad un

opera patriottica, non sarà per questo minore. tutto tuo aff.rao Costantino.

Emanuele Celesia Sue proprie mani.

Al Signor Avvocato

Vili.

Egregio Amico,

Permettete che coli' occasione di un gentile signore inglese io vi mandi un amichevole saluto. Spero che gradirete la memoria dell'esule, come io avrei molto a caro se ricevessi di tempo in tempo vostre notizie. Ma aimè come é facile dimenticare gli assenti Né ho qui in mente di a-Uudere a voi che assumeste generosamente la mia !

difesa in tempi più tristi di questi.

Ma non posso tacervi, ottimo

amico, aver io una grossa spina al cuore dell'assoluta dimenticanza in cui

i

nostri concittadini misero quelle poche vittime che paga-

rono per tutti le pene di un infelice entusiasmo. A

me principal-


mente che rum avevo intinto neUajritazione precedente, a me che mi sobbarcai ripugnante a queil'eltìmero governo, che nuU'altro avevo sottocchio e in cuore tranne

il

desiderio di riparare, ove fosse an-

cora possibile, l'immenso disastro di Novara, a me tornò doloroso

oltremodo il vedere che la causa nostra

fu

patrocinata molto più

attivamente e calorosamente dai fogli di Piemonte che non da quelli di Genova. Che anzi gli ultimi articoli del Dritto non

furono tampoco

riprodotti dai giornali di Genova. E questa la solidarietà del partito

E chi penserà ancora, dietro siffatti esempi, a cimentar la

liberale?

vita per un intento politico? Devo confessarvi che gli stessi stranieri

condannarono questo^ modo di procedere. Sono certo che se Genova avesse concepito il pensiero di una supplica collettiva al Parlamento,

a quest'ora noi che esuliamo da sett'anni soffrendo tutti i mali che conseguono la proscrizione, e raccogliendo nessuna simpatia pel favore che incontra dovunque il Governo Sardo, avremmo potuto essere restituiti alla patria. Promettetemi toccare un' altra corda dolorosa. Mi consta che il povero Accame (l) soffre letteralmente la fame,

e che

i

suoi quattro bambini deperiscono per

mancanza di cibo.

Scrivo questo colle lacrime agli occhi, lo scrivo a voi genovese, ma arrossirei che lo sapessero gli stranieri. Oh

non ha più viscere di

umanità codesta nostra patria? Accame vendrà in altri tempi tutti i

suoi argenti di casa per mandarne il prodotto in Venezia, e

stenta adesso, e vede

il

Accame

suo sangue stentare senza che se gli stenda

una mano soccorrevole! Scrive Santa Rosa che i compromessi del passando da Genova per prendervi imbarco, ricevettero in pochi

21

giorni

f.

70.000 dalla carità patria de' Genovesi. È essa tutta estinta

quella generazione? trioti

E non si troveranno più in questa due mila pa-

che vogliano sottrarre con uno tenue sacriticio ciascuno la

famiglia di

Accame ad una certa rovina? Si tem.e' forse di compro-

Ma che direbbe il Governo se sapesse

che non per fare una dimo.strazione potitica, ma a semplice titolo di umanità si col-

mettersi?

letta

qualche centinajo di lire per ud proscritto? Vi scrivo questo

perchè ne parliate a' vostri amici e che cercliiate modo fra tutti di fare un'opera urgentissima di beneticenza inverso un povero padre

non è altra colpa che quella di aver voluto il maggior bene «Iella patria comune. Vi dovrò io dire che la proposta di una colletta in mio favore, mi venne fatta non sono ancora due di famiglia. In esso

(1) Accame Nicolu di Pietra Ligtire, nato nel

IHIT patriotta e .scrittore

:

implicato De' moti di Genova, fuggi aireHt^ro.Rifornuto in Italia morì a

San Pier d'Arena nel 18S7.


- 306 — mesi da' miei amici di Torino? Come bene potete pensare declinai l'offerta perchè, a Dio

piacendo, lucro con indefessa ed onorata fa-

tica nell'insegnamento

il

pane della mia famiglia, pane scarso, ma

tanto più saporito che proviene da' miei sudori. Ora perchè Genova

non tende -una mano ad Accame che versa

nelle

contingenze più

difficili? La libertà è ella concilabile coll'egoismo? Procacciate dunque

di fare quanto è in voi perchè non sia detto che Genova per cui Accame soffre da sette anni l'esilio, lo lasciò morir di fame in terra

straniera.

Non so ^he avverrà di questa insistenza del Z)n^to a battere sull'amnistia: certo che se

il

cederla, l'atteggiamento di

Governo avesse avuto intenzione di conGenova non l'avrebbe incoraggiato gran

me è indifferente che sia data

fatto. Per

o

negata quest'amnistia:

omai ho bevuto il più amaro dell'esilio che sta nella dimenticanza di coloro per cui si soffre. Ora non vagheggio che una còsa, ad una sola penso, per una sola m'adopero, e quest'è l'unità nazionale d'Italia. Il partito è già forte e

compatto nella fila della emigrazione ;

credo eziandio che vada acquistando ogni giorno terreno in Italia:

uniremo sotto questa bandiera il nostro riscatto non si farà ci balloccheremo dietro quistioni accessorie, morremo poveri, frazionati e coU'Austria sul collo. nomi delle parti devono omai essere cancellati fra noi, e un solo ha da essere

se ci

lungamente aspettare. Se

I

l'intento

— fuori lo straniero Le simpatie per noi rinascono per !

ogni dove, ma poco dobbiamo fidare nello straniero. Siam ventisette milioni, e bastiamo a questo e a maggior compito. Ma se

non ci aiu-

tiamo fra noi, con che dritto vorremmo essere assistiti dallo straniero Spero che nulla v'avrà adombrato in questo mio foglio, che anzi r averlo indirizzato a voi, devé^ provarvi che vi metto nel

numero

hanno cuore ed energia bastevoli a scuotere la comune e vergognosa atonia della maggioranza. di que' pochi

i

quali

tutto vostro aff.*»o

Costantino Reta. Ginevra, 27 Maggio 1856.

Al Signore

Signor Avvocato Emanuele Celesia

Genova. IX.

Amico Carissimo, Udii dal

comune amico Accame che vi siete caldamente adoperato

a promovere la mia candidatura, e ve ne ringrazio. Si, ve ne ringrazia


— 307

-

di cuore non tanto perchè io ambisca la deputazione in sé (pericolosa distinzione oggidì) quanto perchè pensando di ridurmi in patria

mi sarebbe dolce raccogliere sul limitare dell'esilio un

flore di ri-

conoscenza che mi venisse dalla mia diletta Genova. Una condanna a morte, seguita da ott'anni di amare sofferenze, tale fu

il

premio che raccolsi dalla mia fede liberale. Se gli amici della li-

bertà e miei concittadini mi accordassero adesso un pegno di simpatia mi compenserebbero di molti dolori, ed onorerebbero in me, non

l'uomo che passa, ma il principio che rimane. È infatti principio di

buona politica come di sana morale onorare la sventura incontrata per sostenere le convinzioni del proprio cuore. Onorerebbero ancora,

non solamente il deputato che corse a Genova ed offrì tutto sé stesso a difesa del principio dell'indipendenza, ma eziandio il cittadino che sostenne coll'armi in pugno sui bastioni, di

lo

Roma fino al giorno

della sua gloriosa caduta.

Un incoraggiamento dato a chi fu pronto a sacrificar tutto per la anche il mezzo di provocar nuovi sacrifizi. Se si gettano i (sic) rinnovano 1 fiori sulla tomba dei morti, sarebbe egli lo-

patria, sarebbe

i vivi non conseguissero che indifferenza ed abbandono? È vero che io desunsi la forza di affrontare le sventure che mi colpirono dalla coscienza di compiere un dovere. Ma ove ciò mi bastasse (come realmente mi basta) i miei concittadini compierebbero pure un atto degno di loro, ricordandosi che undici vittime sconta-

gico che

rono sole il fio dell'entusiasmo di tutta Genova. L'odio che raccolsi dai clericali, le calunnie onde mi perseguirono fin

dal primo giorno del mio esìlio, fin nel seno della mia famiglia,

provano abbastanza qual sia la mia fede. 11 vedermi messo in disparte indicherebbe, o che i miei amici temono questi eterni nemici del beneche credono alle loro calunnie. Vi confesso, amico mio, che se ricordo in questo mio foglio ciò che avrei desiderato tacere, gli é perdio mi sento poco preparato all'amarezza di questo disinganno. Ricordate a' miei concittadini che ho cinque figli! Io le

sarò presto a Genova munito di documenti tali che smentiranno

calunnie dei clericali. 1 più onorevoli ed indii^endenti tra gli ita-

liam'di Ginevra attestarono, infatti, che io mi servii

sempre dell'ìn-

fiuonza acquistata in Ginevra presso gli onesti per beneficare mille

condizione che fossero morali e poveri. dove insegnai, attestarono pure che io spinsi fino allo scru-

infelici proscritti alla sola 1

collegi

polo

il

rispetto dovuto alle credenze

<;ostà io venni dipinto

religiose

de' miei

allievi.

E

come un settario, ed un propagandista!

Qualunque sia poi per essere

il

risultamento delle pratiche ten-


— 308 — mia elezione, io ne conserverò sempre una gratissima memoria a voi, e a quanti l'avranno promossa. Se andranno a vuoto

tate per la

saprò rassegnarmi invocando quella forza d'animo che mi soccorse ne' tristi casi dell'esilio, se riusciranno, mi adoprerò a promovere in

Parlamento il bene della patria comune. Salutatemi l'Accame e quanti ricordano ancora ch'io vivo, e gradite anticipatamente

una fraterna stretta di mano dal vostro Aff.mo Amico \

Costantino Reta.

Ginevra, 6 Nov.e 1857. Al Signor Sig. Prof. Emanuele Celesia

Stati Sardi

Genova. X.

Amico Carissimo, latore di questa. Signor Greco, emigrato calabrese e amico mio uno di que' pochi ed egregi che, posto da un lato ogni secondo fine, si consacrarono animo e corpo alla causa liberale. E per questa nobile causa egli soffre l'esilio. Il Bomba non contento di avergli tolta la patria, un arcidiaconato, ed un canonicato, tenne modo che fosse anche espulso di Francia dove il governo del piccolo Napoleone è tutto devoto alla sua polizia. Ti raccomando questa vittima 11

è

di due schifose tirannidi, pregandoti di fargli conoscere qualche altro buon liberale, amico tuo, onde sieno più consolati i giorni del suo esilio. Non i

titoli

ispendo ulteriori parole a questo riguardo, perchè so che

del Signor Greco gli possono già cattivare la tua simpatia,

mentre son persuaso che quando avrai conosciuto i pregi del suo cuore e della sua mente muterai la tua simpatia in amicizia. Il Signor Greco ti potrà dare mie notizie, che son sempre quelle

uomo che soffre rassegnato e spera. Gli è certo che dopo il 2 dicembre ho dovuto mettere il cuore in pace; però quantunque io nulla speri dal partito liberale di Francia, vedo la possibilità di un d'un

mutamento dalla vanità del nipote di suo zio, il quale, come avrà messo sulle sue spalle di pigmeo la porpora imperiale, vorrà fare qualche bravata per illudere

il

mondo. Forse allora se

i

popoli

avranno imparato qualche cosa dalle ultime sventure, potranno cogliere il destro di una riscossa, il cui esito non sarebbe dubbio con

un po' d'unione. Ma si preparano essi i popoli a profittare degli erNon si lasciano essi ingannare da nuove e fai-

rori delle riazioni?


- 309 laci

apparenze? Perchè bisogna persuadersi che l'astro d'Italia (in-

tendo quello che tramontò ignobilmente a Novara) si mostrerà di bel

nuovo sull'orizzonte per precludere il campo all'idea rigenera-

trice. Voialtri che siete in patria, potete far molto, e questo è il tempo.

Ma per carità adoperatevi a distruggere quelle illusioni che ancor rimangono sulla Francia: ripetete sempre agli Italiani le parole che Carnot (se non erro) pronunziò all'Assemblea Nazionale di Francia

— Une natlon de 25 millions peut faire tant ce qu'elle veut. Salutami Raffo, e credimi tuo aflf.mo amico Costantino Reta. Ginevra, 21 Sett.» 1859.

[Senza indirizzo, ma diretta a Emanuele CelesiaJ.

Il Jiisorg. ital.,

XIII


Bibliografia di Carlo Botta

Questa bibliografia si propone in primo luogo di raccogliere in un solo corpo le indicazioni di tutte le òpere di Carlo Botta,

comprendendovi per una parte non solo le opere maggiori ma anche gli scritti minori, taluni dei quali son quasi sconosciuti, e d'altra parte gli scritti di

lui

rimasti inediti. In secondo

luogo si propone di dare un saggio di bibliografia della critica

intorno al nostro storico nazionale ed alle sue opere.

Trattandosi della bibliografia di un argomento vasto e molteplice, è

ovvia la dichiarazione che non

darne altro che un saggio.

IJ

si

è qui tentalo di

voler infatti raccogliere tutto

quanto fu scritto intorno alla vita e alle opere di un uomo, il

quale occupa un posto considerevole nella storia e nelle

lettere del suo paese, e alla distanza di oltre ottant'anni dalla

sua morte, è impresa quasi impossibile, perchè, per quanta diligenza si ponga in una simile ricerca bibliografica, rimarrà

sempre possibile ad

altri

il

trovar qualche cosa da aggiun-

gere.

In questa parte della bibliografia ho cercato di raccogliere in diversi gruppi le indicazioni degli studi riguardanti la vita e le opere del Botta,

unendovi quelle dei luoghi nei quali

della vita e delle opere di lui parlarono

più o

meno estesa-

mente i nostri più grandi storici, filosofi e letterati. Di qui appare manifesto che

il

fine

precipuo di questo

studio è quello di porgere la materia a chi voglia studiare la molteplice figura del nostro storico nazionale,

solo storico, ma anche letterato e scienziato e

che fu non

uomo politico.


- 311 » • I

criteri seguiti nella

seguenti

i

II

compilazione della bibliografia sono

:

capitolo

che enumera

I.°,

in tre paragrafi:

le

Opere del Botta, è diviso

Opere edite vivente il Botta, distribuite se-

I.

condo l'ordine cronologico della loro publicazione, che mi parve il più opportuno, perchè mostra il successivo svolgersi dell'attività dello scrittore; per questo ebbi di ogni

opera la prima edizione.

II.

cura di ricercare

Opere postume, indicate

anch'esse nell'ordine cronologico della loro publicazione,

benché quest'ordine non riguardi più

il

criterio surriferito.

Benché esse non siano numerose né tali da poter mutare la fama dello storico, mi parve tuttavia necessario farne l'elenco, perchè questo completa il quadro che, III.

Of)ere inedite.

come ho detto sopra, mostra il successivo svolgersi dell'attiLe notizie riguardanti questi

vità dello scrittore.

scritti ine-

spesso dalla Vita di Carlo

diti, e riferite nelle note, son tolte

Botta del Dionisotti, che fu studiosissimo ricercatore delle

cose bottiane. Ma, oltre che mi fu dato aggiungere qualche notizia inedita, ebbi anche la ventura di ritrovare quasi tutti i

manoscritti, talvolta autografi, di queste opere inedite, sicché

le

ad esse possono ritenersi sicure. cioè la Bibliografia della critica, è diviso più parti. In una prima ripartizione ho di-

notizie intorno Il

capitolo

2.°,

e suddiviso in

stinto le Recensioni degli

scritti

bottiani

dagli Studi di ca-

rattere generale intorno alle opere e alla vita di lui.

Sotto

il

nome di

* recensioni », distribuite

in

recensioni

delle opere storiche, delle opere scientifiche e delle opere letterarie,

dette,

sono indicate non solo

le

recensioni propriamente

ma anche, riguardo alle storie, gli scritti polemici che

esse suscitarono, e, quanto alle opere letterarie, tutto ciò che potei rinvenire di

scritto intorno

agli intendimenti letterari

del Botta e intorno alle sue opinioni in

fatto di lingua ita-

liana, giacché egli prese parte alla lotta

tra classicisti e ro-

mantici, schierandosi risoluUimente tra' primi, e mostrandosi nell'uso della lingua italiana tenacissimo purista. In questa

ultima parte ho compreso anche

gli

scritti

che riguardano


-siagli

intendimenti e

gusti artistici del Botta, soprattutto in-

i

torno alla musica, arte della quale egli ebbe profonda e scien-

conoscenza e fu appassionato cultore, e intorno alla

tifica

quale mai non ismentì

i

gusti manifestati fin dall'età giova-

nile.

Gli

•«

studi di carattere generale » sono distribuiti

paragrafi, dei quali alla vita

e gli

i

in tre

primi due registrano gli Scritti intorno

Scritti

Ma nel

intorno alle opere del Botta.

primo non sono indicate le sole biografie, bensì anche i luoghi delle opere di parecchi nostri storici,

filosofi e letterati,

che contengono considerevoli notizie intorno alla vita del nostro autore; e nel secondo sono compresi gli scritti riguardanti in generale l'opera storica del Botta e i suoi intendimenti storici e politici. E anche qui, oltre alle monografie

che studiano di proposito il solo autore nostro, ho registrato i

luoghi nei quali

scritti giudizi

i

nostri più grandi scrittori danno nei loro

o notizie intorno

all' opera

bottiana.

11

para-

grafo terzo riguarda gli studi che, sia per l'esiguità della loro

mole, sia per la scarsezza delle notizie contenute, non

mi

parve opportuno comprendere tra quelli dei due paragrafi precedenti. Qui la materia è distribuita in tre parti: a) Brevi biografie; b) Brevi scritti riguardanti per lo più il

Botta occupa nelle lettere italiane; e) Brevi

il

posto che

scritti

od ac-

cenni intorno a qualche punto particolare della vita o delle opere del Botta.

Segue poi l'elenco di un certo numero di articoli giornalistici

d'occasione, riguardanti specialmente mortali

resti

dello storico da

il

trasporto dei

Parigi in Santa Croce di Fi-

renze, e r indicazione di parecchi scritti poetici intorno allo storico; e in fine un'« Appendice» contenente qualche notizia di scritti inediti intorno al Botta.

Per l'ordine da tenere in tutte quante le parti della bibliografia della critica ebbi scritti

riguardo all'importanza dei singoli

che vi sono registrati.

È però facile comprendere che modo assoluto.

questo criterio non poteva essere seguito in

Non

si

meravigli dunque

in

prima fila.

il

lettore

che vedrà posposta ad

uno scrittore ch'egli vorrebbe veder magari 11 criterio da me seguito va inteso con una

altre l'opera di


— 313 — certa

larghezza, nel senso cioè che precedono gli scritti che

non potrà non consultare, e seguono quelli che non recano un contributo così notevole agli studi bottiani, senza dire poi che taluni di essi non recano contributo di lo studioso

sorta.

Seguendo questi

criteri

ho avuto cura di dare intorno a

ciascuno scritto registrato sommarie notizie che, se non m'illudo, potranno forse servire di guida allo studioso nella scelta delle fonti, a seconda del lato dal quale egli vorrà riguardare la figura del Botta.

di

Questo metodo rai porge anche

dimostrare che la

bibliografìa

fu

il

modo

compilata attingendo

sempre coscienziosamente alle fonti dirette, e non già, come si dice, di seconda mano. Che se poi in qualche raro luogo credetti opportuno di indicare uno scritto, di cui ebbi notizia solo indirettamente, non tralasciai di avvertire il lettore del tatto che non mi era stato possibile consultare l'opera indicata.

Capitolo 1.

OPERE DI CARLO BOTTA I.

Opere edite vivente il Botta. 1

Carolis Joskph Botta oppidi Sancii Georgii in Canapitio, R. PP. C. alum., ad prolysim inedicam, anno MDCCLXXXV, die IX maii, bora XI matutina, Augustae Taurinorum, ex typographia Ignatii Soffietti.

Contiene le « tesi » trattate dal giovanetto non ancora dicianovenne per ottenere la « licenza » nella Facoltà di Medicina della R. Università di Torino.

2 C. J. B. o. S. 0. in C, regii p. coli, convictor, ut medicinae doctorcrea-

retur pubiice dispiitabat anno MDCCLXXXVI, die XV aprllis, bora III

pomeridiana. Taurini, ex typ. Ignatii Soletti.

« Tesi » per ottenere la « laurea » in Medicina.


— 314 — C. B. a S. G. in C, ut

iìi

amplis.

3 medicorum collegiion cooptaretur,

publice disputabat in R. Taurinensi Lyceo, die III decembris, anno

MDCCLXXXIX, Taurini, ex Typis Regiis. « Tesi » per !'« aggregazione » al Collegio di Medicina della R. Uni-

versità di Torino. La 3.» {De musices efficacia in quibusdam curandis

morbis) fu ripublicata, tradotta in italiano, in Scritti minori di Carlo :

Botta (ed. Carlo Dionisotti), pp. 1-16, Biella, Amosso, 1860.

4 Giornale scientifico, letterario e delle arti, di una Società filosofica di Torino, raccolto e posto in ordine da Giovanni Antonio Gio-

BERT e Dottor Carlo Giulio, Membri di varie Accademie, [Torino], Stamperia Reale, 1789-91. Vi si leggono del B. quattro brevi scritti (1, 81-83 e 105-116; III, 13-23; IV. 156-159). Sono recensioni di studi di botanica, medicina e fisiologia, accompagnate da osservazioni e talvolta da notizie originali.

5 Comentarj bibliografici, 1792, Torino, Fea, 4 voli. Del B. contengono una lunga serie di articoli scientifici, per la massima parte recensioni di opere altrui (1, 58-72; 209-216; 254-265; II, 88-46; 129-134; 139-144; 217-225; 243-255; 255-259; 259-263; III, 16-21; 42-49; 62-66; 116-130; 153-166; 167-174; 229-235; 236-242; 243-248; 274-

281; IV, 3-11; 30-40; 60-72; 116-129; 136-147; 156-167; 203-217; 217-228; 228-237). Gli articoli dei tt. I e II riguardano

prevalentemente le Scienze na-

turali e sopra tutto la botanica; quelli del t. Ili quasi tutti le scienze

mediche; e quelli del t. IV sono svariatissimi, riferendosi taluni alla botanica, altri a viaggi, alla

fisica, alla

medicina, alla fisiologia ani-

male.

6 Proposizione ai Lombardi di una nianiera di govei-no libero, Milano, Stamperia altre volte di S. Ambrogio a S. Mattia alla Moneta, 1797 (della Rep. Frane, a. V). Fu ristampata più tardi sotto il titolo Pensieri politici di Carlo Botta, Italia, 1840. :

7 Il Repubblicano piemontese, 12 ventoso, a.

VII (2marzo 1799)

Nella rubrica « Notizie necrologiche » (pp. 149150) trovasi, firmata < Carlo Botta », la Necrologia di Lazzaro Spallanzani, nella quale il

futuro storico ricorda ehe l'illustre scienziato l'onorò della sua

amicizia.


— 315 — 8 Storia naturale e medica dell'isola di Corfii di Carlo Botta, Medico

dell'armata d'Italia^ Milano, Stamperia ital. e frane, a S. Zeno, N.» 534, Anno VII

republicano (1799).

9 Lettres critiques sur la nosographie métodique de Pinel, Morbegno, 1799.

10 Mémoire du Ciloyen Ch. Botta medecin de l'armée d'Italie et

mem-

ore correspondant de la Soctété de Sante de Grenoble sur la doctrine de Brotcn, Grenoble, Cadon et David, an. Vili de la Républ. (1800).

11

La Monacologia, ossia descrizione metodica di frati di Giovanni FisioFii.o (Ignazio

de Born), dalla latina nell'italiana favella re-

cata da C. B., Eridania, anno IX, dai tipi filantropici, pp. 37, oltre le tavole.

12 et du Piétnont adressé au general Jourdan conseiller d'état, administrateur general par le C.» Charlk.s Botta ci-devani membre du conseil de l'Ad-

Précis historique

|

de la Maison de Savoye

\

\

\

|

I

ministration

\

generale de la 27.» division militaire,

|

Paris, de

l'imprimerie <ip M;u"c!innt. An XI (1802).

13 de Vinstruction publique en Pièmont depuis C an MI, jusqu'au mois de ventose an XI par Braida, Charles

Vicissitudes

\

\

\

\

|

\

Botta, et Gikax'd blique

I

|

anciens membres du Jury

de la 27.^ division militaire,

|

\

d'instruction pu-

Turin, An XI. De l'impri-

merie de Felix Buzan. Questo volume di pp. 380, benché sia sotto il nome di tre aiHun, \a considerato come opera del Botta, perchè scritto quasi interamente da lui.

14 Mémoire sur la nature des tons et des sons, in Mémoires de l'Académie des sciences, Ulterature et beaux-artt de Turin pour les fi/un'-es

X et XI. Sciences phi/siques et malhèmatiques. PrenUère

partie, 191-214, Turin, Imprimerie des Sciences, an XII.

Trovasi tradotta in italiano negli Scritti minori di C. B., 17-89.


— 316 — 15 Storia della guerra dell'indipendenza degli Stati Uniti d'America, Parigi, Colas, 1809.

16

Adams Samuel. — Adams John. — Arnold Benoit. Sone tre articoli biografici, editi nella Biographie universelle, ancienne et moderne, I, 190193 e II, 520-521, Paris, Michaud, 1811 e sgg. Trovansi ripublicati in francese negli Scritti minori di C. B., 89-98.

17

La Camilleide ossia la distruzione di Vejo, poema eroico, libro primo, in Mémoires de L'Académie imperiale des sciences, litterature et

beaux-arts de lurin pour les annèes 1811-1812. Litterature et beaux-arts, 611-655, Turin, Galletti, 1813.

Questo primo libro del poema fu letto nella seduta del 5 maggio 1813.

18 Camillo,

Il

Vejo conquistata, Pa.rìs, chez l'Auteur, rue de la Tixe-

randrie, n. 41, Rey et Gravier, libraires, quai des Augustins, n. 55, 1815.

Precede il poema un breve « Avvertimento dell'Autore », nel quale si legge ch'esso fu cominciato nel 1809 e finito nel 1814, e che il primo canto fu letto il 5 maggio 1813 all'Accademia delle Scienze di Torino.

19 Mémoire sur cette question Pourquoi peut-on faire des vers italiens :

sans rimes ? (a.

Dice il Dionisotti che fu publicata negli « Atti delI'Acc. di Rouen » 1821, pp. 148 e segg.) e ristampata a parte pure in Rouen l'anno

dopo {Vita di C. B., 175). Ma io non vidi tali edizioni. Questa memoria trovasi però tradotta in italiano da Giacinto Ra velli nell'Annotatore

Piemontese, ossia Giornale della lingua e letteratura italiana, VI, 274-283, e riprodotta in

Trincherà, Lettere inedite e rare di C. B., minori di C. B.^

68-82, Vercelli, Guglielmoni, 1858; e poscia in Scritti

99-113.

20 Storia d'Italia dal 1789 al 1814, Parigi, Didot, 1824.

Se ne stampò contemporaneamente l'edizione francese.

21 Histoire des peuples d'Italie, depuis Constantin empereur,jusqu'en

1814, Paris, Raymopd, 1825. Ne fu tosto publicata per cura del Rosini di Pisa la traduzione italiana fatta da Giovanni Anguillesi (Pisa, Nistri e Capurro, 1825-27). Le


— 317 — altre

numerose traduzioni che se ne fecero non furono riconosciute

dallo storico.

22 Ragionamento sulle memorie di Lady Morgan, riguardanti alla vita ed al secolo di Salvatore Rosa, in Antologia, dicembre 1825, pp. 42-51, Firenze, Pezzati, 1825.

Fu contemporaneamente publicato a parte (senza indicazioni; solo reca in fondo la data: dicembre 1825), e più tardi ristampato in Lettere di C. B., 175-192, Torino, Magnatili, 1841, e poscia in Scritti minori di C. B., 127-140.

23 Del carattere degli storici italiani. Edito nel voi. 5.» (a. 1827) della suindicata traduzione dell' /fts^oire des peuples d'Italie, e non va confuso con la nota Prefazione di cui al

numero seguente.

24 Prefazione cbe riguarda il medesimo argomento e che fu scritta per l'edizione della storia del Guicciardini uscita nel 1832 in Parigi

in-

sieme con quella del B., che si indica qui sotto. Essa fu in seguito premessa alle numerose edizioni di questa storia del B.

25 Stona d'Italia continuata da quella del Guicciardini, sino al 1789. Parigi, Baudry, 1832 (1).

26 Il Camillo o

Veio conquistata di Carlo Bottìic. Seconda edizione cor-

retta ed

arr cchita di note deW Autore, con gli argomenti a

ciascun canto del Prof. C. Bao<.iolini, Torino, F'omba, 1833. (1) La copia autografa del ma., che servi alla stampa della 1.* edizione <lell 'opera,

fu dalla marchesa Teresa Sauli-Littardi donato alla Biblioteca

Nazionale di Torino (G. Db Fbkrari, Albero genealogico e parentela della f,itin;ilia LUtardi di Porto Maurizio e

BiK-ì^altipi, 1898);

Padano di Sassello, 18-19, Genova,

ma questo ras. andò quasi completamente distrutto

nell'iucendio del 19^)4. Altra copia pure autografii si conserva nel Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino, ed è dono dei fratelli Marochetti. Le molte cancellature e correzioni

che contiene fìmno credere

minuta dell'opera; infatti da moltissime lettere bottianc tanto edite quanto inedite si rileva che lo storico ricopiava da si stesso il lavoro a mano a mano che ne componeva singoli libri.

che hì

tratti della

i


— 318 27 Nella breve biografìa del Botta scritta dal Greene e corretta dal B. stesso che si noterà in seguito, tra le opere edite dello storico è indicata

una

Lettera al Sismondi sopra l'Alfieri, alla quale segue l'indicazione « Mem. sulle rime.

Mémoires de

l'Académie de Rouen, 1822 ». Io non potei però rinvenire questo scritto, del quale non trovasi notizia in alcun'altra biografìa o bibliografìa bottiana; solo

il

Dionisotti {Vita di C. B., 482) vi ac-

cenn"ti indirettamente, citando

il

Greene. Dell'esistenza di questo

non si può tuttavia dubitare, giacché in una lettera del Botta al Greene stesso (Parigi, 4 aprile 1836) leggesi: « Ho cercato ma non ho trovato quel mio scritto sulle opinioni del sig. Sismondi intorno ad Alfieri; andai da' librai Rey e Gravier, che ne avevano fin dal principio molte copie: mi dissero che lo cerchescritto

ranno, e se lo trovano, me lo manderanno » (Arch. st. it., n. s. 1, ii, 83).

Tra gli scritti del Botta, editi lui vivente, si potrebbero annoverare anche le risposte ch'egli a volte diede ai propri critici più severi. Queste non vengono qui indicate, perchè già trovansi registrate nella Bibliografia delV epistolario.

11.

Opere postume.

28 Voci di dubbio, ed incerto significato interpretate, in L'Annotatore

Piemontese, VI, 326-331, e VII, 135-140 (a. 1837).

Sono appunti lessicali, publicati da Felice di S. Tommaso, che li aveva ricevuti dal B., col divieto però di publicarli prima della sua morte. Furono ristampati negli Scritti minori di C. B., 141-152.

29 Viaggio intorno al globo, principalmente alla California ed alle isole Sandicich negli anni 1826, 1827, 1828 e

1829 di A. Duhaut-

CiLLY, capitano di lungo corso, cav. della Legion d'onore, ecc.,

con l'aggiunta delle osservazioni sugli abitanti di quei paesi, di

Paolo Emilio Botta. Traduzione dal francese nell'italiano di Carlo Botta, 2 voli., Torino, Fontana, 1841.


— 319 —

#

30 Sonetto intorno alla corruzione della lingua italiana, in Lettere di C. B. 117-118, Torino, 1841, riprodotto in Dionisotti, Vita di C. B., 131.

Nella lettera che lo coi\tiene (Parigi, 20 aprile 1835; al conte Luigi Nomis di Cossilla) il Botta dice di averlo letto nell'* Accademia allora detta Subalpina nell'anno 1802 o 1803 o 1804 »(1).

31 Sonetto intorno alla vecchiaia e al desiderio òhe il proprio nome so-

pravviva. Lo scrisse, in età di 69 anni, nell'agosto del 1835, e lo

comunicò al Greene in una lettera dell'I 1 dicembre 1835. È edito in

^1)

Ardi. si. it., 1, ii, 78, Firenze, 1855.

Nella medesima lettera il Botta soggiunge:

«

gli atti dei sovra in-

dicati anni della suddetta Accademia debbono far fede della mia lettura»

La ricerca da me fatta di questi « atti » fu infruttuosa. Tuttavia essi, o qualche cosa di simile, dovettero esser visti dal Dionisotti, il quale, ripublicando il sonetto, dice ch'esso fu dal B. letto nell'Accademia nel 1803, e soggiunge che nell'aprile del medesimo anno vi lesse la Narrazione di

un infelice caso occorso nelVisola di Zante nel 1140, edito poi dal Dionisotti stesso, come si vedrà a suo luogo, e che inoltre nella seduta del 21

agosto dello stesso anno 1803 vi lesse tre sonetti sugli argomenti

:

«

la

tomba, la fontana, il sentimento » {Vita di C. B., 131). Di questi scritti non riuscii a trovare alcuna traccia ne il Dionisotti indica la fonte donde ne trasse notizia. Del pari insufficienti sono le scarse notizie che dà il ;

Vallauri [Delle Società letterarie del Piemonte, libri due di Tommaso Val-

LAUKi, Torino, Favale, 1844). L'Accademia in questione sorse in Torino nel 1781 col nome di « Società filopatria » che visse fino ai primi rumori della Rivoluzione in Piemonte

;

e in questo primo periodo della sua vita

publicò gli Ozi letterari in Svoli., editi i due primi dalla Stamperia reale nel 1787 e il terzo dalla tipografia Fea nel 1791, e nel 1787 stesso iniziò

publicazione di un periodico che si chiamò da prima Biblioteca oltremontana ad uso d^ltalia, colla notizia dei libri stampati in Piemonte

la

(a.

1787 e 1788}, poi Biblioteca oltremontana colla notizia dei libri stam-

pati iti Piemonte (a. 1789;, poi Biblioteca oUremontana e piemontese (a. 179fJ e 1791, 12 voli, all'anno, con

numerazione delle pagine continuata

di tre in tre voli.), e finalmente Biblioteca deWanno... (a. 1792 e 1793, 4 voli, all'unno), «

in seguito la Società fu ricostituita nel 1801 col nome di

Accademia subalpina di Storia e Belle Arti >

;

il

Botta fu membro della

classe di Belle arti. Il Vallauri (op. cit.^ 260) si limita a credere che l'Ac-

cademia tenesse una sola adunanza publica il 15 settembre 1802, nella quale (la vari membri, tra cui il Botta, furono lette prose e poesie. Queste notizie incomplete del Dionisotti e del Vallauri fanno dunque credere all'esistenza di qualche altro scritto letterario del Botta inedito e forse per-

duto.


— 3-20 — 32 Scritti inediti di

Carlo Botta (editi dal Dionisotti), Biella, Amosso,

1860.

Questa raccolta comprende tre parti :« Memorie e pensieri sulla musica », « Scritti politici » e « Scritti letterari! ». La 1.* e la 3." parte si compongono di scritti tolti dalle opere del B. edite lui vivente. Solo per gli « Scritti politici » quindi questa raccolta va qui registrata; e questi scritti sono tre: una « relazione » (1) e due « discorsi » del « cittadino Carlo Botta » membro del Governo piemontese durante l'occupazione francese.

33 Quelques idées sur l'organisation des Etats-Sardes, in Dionisotti, W^a di C. B., 536-549, fra i « documenti ».

34 Carlo Botta a CorfU. Scritti inedili pubblicati in occasione del trasferiìnento delle site ceneri da Parigi in Santa Croce di Firenze, per cura di Carlo Dionisotti, Torino, Favale, 1875, pp. 176. Oltre ad un buon numero di lettere, trovasi in questo volume la novella: Narrazione di un infelice caso occorso nell'isola di Zante nel 1740 (pp. 23-36).

35

Una

<s

nota » autobiofrafica di Carlo Botta (suo soggiorno in Sviz-

zera). È edita da Giuseppe Roberti nel Bollettino storico della

Svizzera italiana, voi. XV, a. 1893, pp. 176-181.

Consta di un breve scritto autobiografico degli anni giovanili, inviato dal B. al Ranza, il quale raccoglieva la materia per publicare un « Martirologio piemontese ». Si estende fino al tempo della nomina del B. a membro della « Consulta » (giugno 1800), e narra la scena dell'arresto e con vivi colori il tragico viaggio a traverso alle Alpi esulando nella Svizzera. Notevole è il luogo nel quale dice di aver chiesto di recarsi come medico militare a Corfù, mentre dalle lettere di quel tempo appare ch'egli si adoprò molto per rimanere in Italia.

36 Alla propria autobiografia

il

Botta aggiunse due brevi biografie dei

patrioti Giuseppe Bianchetti e Doìnenico Cantello, suoi concittadini, periti

entrambi nel 1798 in Domodossola. Questi due scritti trovansi

nell'opera Giovanni Sforza, L'indennità ai giacobini pieìnontesi per-

seguitati e danneggiati (1800-1802), pp. 19-20, nota, Torino, Bocca, 1908.

{

1) Il ms. autografo

italiano di Torino.

conservasi nel Museo Nazionale del Risorgimento

i


- 321 37 Lo Sforza meilesimo mise in luce due « relazioni » non appartenenti però al solo Botta, bensì a lui e a Giovanni Giulio Robert, vale a dire Ai due colleghi patrocinatori in Parigi della causa del Piemonte presso il Direttorio di Francia durante Toccupazione austro-russa del loro paese, al quale tempo appunto si riferiscono i due documenti: A) Etat du Piémont depuis le passage du Tesin par les Austro- Russes jusque à Vépoque du 3 prairial; B) Sur les secours qu'il est nécessaire d'envoyer à l'armée pour rélablir les affaires en Piémont et des ressources qu'on pourroit ^sic) en tirer ensuite. Entrambe queste relazioni furono scritte per invito del Musset, che doveva presentarle al Direttorio <G. Sforza, L'Amministrazione generale del Piemoìite e Carlo Botta (1799), pp. 66-71 dell' estr., in Metnorie della R. Acc. d. Se. di Torino, s. Il, t. LIX, 215-339, Torino, Roma, 1909).

111.

Opere inedite.

38 Ipocrisia e maldicenza, commedia in 5 atti dello Scheridan, tradotta dall'inglese in italiano durante la prigionia (1).

39 Simplicio dei Simplici e Totolo dei Bandi amano Nonna e Mommo Pelarini romane, e quello che accade. Novella i2).

40 M^moire sur l'acide nitrique comme puissant fébrifuge, letta alln Società medica di Grenoble durante l'esilio. (1) Ctr, DioNisOTTi, Vita di C.

B., 26

Una copia manoscritta di questa

traduzione trovasi nella Biblioteca Civica di Torino [Manoscritti, 135) in-"

sieme con altre numerose carte, donate appunto dal Comm. Dionisotti. « Ipocrinia e maldicenza, Commedia in cinque Il grosso ms. è intitolato atti df'l Signor Scheridan, tradotta dall'originale inglese, da Carlo Botta. Inedita. Le parole t da Carlo Botta » e « Ine<iita » sono di mano del Dionisotti, che in capo al frontispizio appose pure la propria firma. Vita di C. B., iH'ì) questa novella fu scritta a (2) Secondo il Dionisotti Grenoble durante l'esilio dovuto all'occupazione austro-russa del Piemonte. Una copia ms. di essa trovasi nella Biblioteca Civica di Torino :

(

(

Manoscritti, 79). Di essa il B., in età avanzata, avrebbe desiderato la di-

struzione (</fr. la lettera XII, tra quelle premesse alla bibliografia dell'epistolario

.


— 322

-

41 Rapporto all'autorità superiore intorno allo stato del 3.° ospedale militare di Grenoble affidato alle sue cure (1).

42 Trattato ele77ientare di Storia Naturale di A. M. Constante Dt>aiÉKiL,

Dottore in Medicina, Professore di Notomia e di Fisiologia della

Scuola speciale di Medicina di Parigi, eie. etc. etc. Opera composta d'ordine del Governo per servire all'insegnamento ne' Licei, traslata nella favella italiana dal Dottor Carlo Botta (2).

43 Dissertazione sull'epopea, letta

il

13 marzo

1818 all'Accademia di

Rouen (3).

44 Dissertazione sulla vita di Sofocle, letta il 15 gennaio 1819 all'Acca-

demia suddetta (4).

45 Nella Biblioteca Civica di Torino {Manoscritti,

181),

trovasi un

grosso fascicolo ms. che porta sulla copertina la scritta:

Botta Carlo, Scritti inediti con alcune lettere della Sigja, Roggeri Teresa dirette a Carlo Botta, e nell'interno (di mano del Dionisotti): «Abbozzo di

un lavoro di Carlo Botta col quale voleva

tramandare alla posterità la Teresa Paroletti che fu poi moglie dell' Avv.o Roggeri d'Alba.

— La sua Mnfa Egeria

».

Piuttosto che di un abbozzo, trattasi di un lavoro incompleto. È una

specie di romanzo psicologico in forma epistolare, i cui personaggi sono Carlo Pamflli, il suo amico Ludovico Oresti, Teresa, e uno zio di lei. Le lettere sono tredici; e di esse solo la 3.* e la 4.» hanno la data

rispettivamente del 28 ottobre e del 16 novembre 1789 (5). L'ultimo (1)

Le notizie intorno a questo scritto e a quello precedente sono tolte

dall'opuscolo Demaria, Cenni sugli studi medici di C. B., indicato in seguito. Il Demaria afferma di averne avuto gli autografi dall'avv. Rigoletti,

nipote dello storico.

(2) Il ms. autografo (due voli., l'uno di pp. 115 e l'altro di pp. 148, oltre

l'introduzione, gli indici e le tavole alfabetiche) conservasi nell'Archivio di Stato di Milano. Cfr. il mio opuscolo Una notizia inedita su C. B., Torino, Vinciguerra, 1901. (3) Cfr.

DiONisOTTi, FiYa di C. B., 173-174.

(4) Cfr. DiONisOTTi, Vita di C. B., 174-175.

(5

1

Trattasi del lavoro di cui

il

Botta parla in una lettera scritta in


- 323 — quinterno del fascicolo contiene sette lettere della signora Roggeri allo storico, dal 14 gennaio 1832 al 25 luglio 1837. Sul frontespizio leg« Lettere di Mad. Roggeri a Botta. — La corrispondenza orig. compone di 22 lettere*. Delle 15 rimanenti non si ha traccia alcuna.

gesi si

:

46 Tra le opere inedite del Botta in tìne si può indicare una serie di una copia delle Opere volgari di M. Luca

postille da lui fatte sopra

Vai.enziano tortonese, MDXXXU. Tale copia di questo libro rarissimo trovasi, legata insieme con un'altra copia incompleta, nella Biblioteca di S. M. il Re in Torino. In fondo ad essa dopo l'indice leggonsi stampate le seguenti porole: « Stampato in \enezia per maestro Bertiar-

dino di Mlalli Venetiano ad instantia di Fede Hco da Geruasio yapolitano M.D.XXXII, adi il Marzo Ed ora in Parigi colle stampe di Angelo Ciò da Bologna. M.DCCCXVL In fronte al voi. il Bibliotecario scrisse là seguente nota: « Edizione curata a Parigi nel 1816 dal Didot sopra quella di Venezia per Bernardino de' Vitali del 1532 dall'Avv.to Lodovico Costa di Castelnuovo di Scrivia, che mandò questi due esemplari al Botta ed all'Angeloni per la correzione » < Quest'edizione rimase in magazzino non avendone esso mai terminata la stampa, né trovasi pubblicata ». « Promis ». Sul frontispizio interno poi delle due copie leggonsi rispettivamente le due seguenti note manoscritte del Costa: «Questo esemplare è stato corretto dal I

\

|

\

\

|

\

Sig. Carlo Botta, il quale me lo diede colle sue annotazioni venerdì 29 di novembre 1816 » e « Questo esemplare è stato corretto dal Sig. Luigi Angeloni il quale me lo diede Giovedì 5 di laihn 1816 ». A proposito dell'affermazione fatta nella sua nota dal Promis, che

principio del 1799 a Teresa Paroletti, allorché egli era stato chiamato a Torino a far parte del Governo provvisorio. « Da lun^o tempo ho esteso

una scrittura da stamparsi, che è un romanzo amoroso, mezzo istoria e mezzo romanzo. Mi rincresce di non poterlo trarre a fine per il motivo de' troppi affari, che mi impediMCono. Quando piacerà al cielo, che io ritorni a fiar bollire i cavoli nel mio privato pentolino, vedrò di terminarlo, e sarà poi quel che

Dio vorrà. Scrivendolo dico

se: apre

a

me

steso: purché piaccia a Teresa, son contento». (Pavesio, f^tl. in. di C. lì., ili

13<ii. Il Pavesio nota che non trovasi presso i biografi alcuna notizia questo scritto. Ma contemporaneamente alla raccolta di lettere bot-

tiane publicata dal Pavesio veniva alla luce il voi. del Dionisotti, Carlo

Botta a Corfù, Scritti inediti (Torino, Favale, 1876), nel quale si parla di questo lavoro ipp. 165 e segg.), di cui anzi é riprodotta per intero la

lettera quarta (pp. 106-173). Vi accennò in seguito,

ma solo di sfuggita,

Emilia Regis, citando appunto la lettera suddetta {Carlo Botta e Tfrtaa ParoUtti, iti Giornale storico e letterario della Liguri' 8-9 dell'eatr.).

'\'

T

« .. ••

i.i,


— 324 dell'edizione parigina non fu « mai terminata la stampa», va notato

che è ben$ì incompleta una delle due copie, la seconda in ordine di legatura, ma che la prima invece, e precisamente quella postillata dal Botta, è completa e porta in fondo il nome dell'editore, come ho notato sopra.

La copia passata per le mani dell'Angeloni è troncata alla pag. 240, mentre quella completa è di pp. 286; essa inoltre è in gran parte intonsa, e di correzioni non ne contiene affatto: l'Angeloni si limitò a sottolineare con la penna un certo numero di parole e di frasi. Le postille del Botta invece sono numerosissime e riguardano l'uso di singole parole e di intere frasi, e contengono talvolta osservazioni clie rispecchiano i di lui gusti linguistici (1).

47 Pavesio afferma che il Botta nel ISìl scrisse per il Bettoni di Milano alcune «Vite », tra le quali quelle di « Pietro il Grande » e di « Enrico IV» (2). Da una lettera infatti, inviata dal B. da Parigi il 31 luglio 1817 ad Andrea Della Libera a Padova (3), si rileva che lo storico qual11

che mese prima aveva inviato all'editore Nicolò Bettoni di Padova i manoscritti della, Vita di Carlo Ve della Vita di Maria Teresa. Nella medesima lettera egli si dichiara lieto che si realizzi il proposito del Bettoni di publicare una serie di vite di personaggi illustri, e soggiunge che da tempo ha completato la Vita di Pietro il Grande, che spedirà tosto al Della Libera stesso e che entro il successivo mese di agosto gli invierà la Vita di Enrico IV ; e inoltre gli suggerisce il modo di fargli avere il relativo compenso pattuito con l'editore. Non «i può tuttavia affermare che queste « Vite » siano state publicate e per ciò credo di doverle indicare tra le opere inedite. Lasciando da parte la \ita di Maria Teresa, che non esito a dichiarare inedita, qualche dubbio può sorgere riguardo alle tre altre. Infatti nell'opera Vita e ritratti di uomini celebri di tutti i tempi e di tutte ;

le

nazioni, voli. 10 (senza numerazione di pagine), Milano, Bettoni,

1820-1822, trovansi le biografie di Enrico IV re di Francia, di Carlo V 1.°, nn. 11 e 17) e di Pietro il Grande (voi. 2.°. n. 10). Sono anonime, brevissime, e in uno stile arido, che non ha nulla del bottiano. E nulla del nostro storico trovasi nelle opere congeneri dello stesso

(voi.

Bettoni, come nelle edizioni di lusso Vite e ritratti di illustri italiani, voli. 2, Padova, 1812 e Milano \%20,Vite e ritratti di donne illustri, Pa-

dova, 1815 (mentre la dedica, firmata Nicolò Bettoni, reca la data: Mi-

(1) Debbo la conoscenza di

quest'opera alla cortesia dell'egregio amico

dott. cav. Mario Zucclii della Biblioteca di S. M.

C

il

Re in Torino.

B., p. XXVI. Pavesio, Lettere inedite di (3) Guido Bustico, Lettere inedite di Carlo Botta, in Boll, delle Bibl. Civica e Negroni * Novaria » a. 1920, fase. 1-2, pp. 6-7 dell'estr. (2)

,


- 325 lano, 20 settembre 1821)

ili

cui usci

un solo fascicolo contenente 4

vite, e Vite e ritratti di venticinque uomini illustri, Padova, Tip. della

Minerva, 1822, la cui dedica dice che l'opera fu iniziata il 19 dicembre 1815 alla presenza di Francesco 1 d'Austria, e dalla prefazione si rileva che a questo primo volume ne dovevano seguire altri; ma questi non videro mai la luce. Si noti però che le vite 1.', 2.», 3.* e 11.» di quest'ultimo volume sono rispettivamente quelle di Carlo V, scritta da Francesco Maria Franceschini, di Maria Teresa, scritta da Cesare Arici, di Pietro il Grande e ài Enrico IV, scritte da Davide Bertolotti.

Capitolo II.

BIBLIOGRAFIA DELLA CRITICA (i) I.

Recensioni. In questa parte della bibliografia, oltre alle recensioni pro-

priamente dette, sono registrati anche gli suscitati dalle opere dello storico.

prese

scritti di

polemica

Quanto alla parte ch'egli

personalmente alle polemiche vedasi

la

Bibliografia

dell'epistolario.

A.

— Recensioni delle opere storiche.

i) storia della g-uerra delVindipetidenza degli Stati Uniti d'America.

1 Thirbaut-dr-Bkrnbaitd Arsbnne, Artide sur VUistoire de la guerre

de Vindependance des Etats-unis, Paris, 1810. Extr. des Annaìes des voyages, publiées par M. Mai.teBrun, tome XI, Cahier XXXI, pp. 15.

È tutto un elogio della storia. (1) È uscito nel

1914 il libro: Un precursore ddi^unità italiana. Scritti

mti.<ficali, iiru/uiatici e letterari di

Carlo Botta uniti e ordinati per cura

di Giuseppe Guidetti, Reggio Emilia, Guidetti, 1914. Esso non fu indi-

cato nell'elenco delle opere postume delio storico perchè non comprende

nulla di inedito né tra gli scritti vari né tra le numerose lettere che riporta. Della breve biografia del Botta premessa al volume si parlerà a suo

luogo. Qui invece, stimo neceMarìo rilevare che

il

voi. del G. contiene-


326

RosiNi Giovanni. Scrisse una serie di articoli nel Giornale enciclope-

dico di Firenze (Firenze, Moiini, Landi e C): tomo II, a. 1810, pp. 193-197; 225-232; 292-301 ; 330-336, e

tomo III, a. 1811, pp. 105-123.

Sono un'aspra critica intorno alla lingua e allo stile usati dallo storico, e per la massima parte ribattono le risposte date a volta

a volta da lui, sotto finto nome, tìqìV Analitico subalpino, neìVApe subalpina -e nel Giornale delle Scienze ed Arti di Torino (Cfr. Bibliografia dell'epistolario. Gap. I, nn. 25, 31, 33).

L.DKSEYEhi-SGEn, Prefazione alla sua traduzione francese della storia

americana del Botta (Paris, Dentu, 1812-13, 4 voli.).

Con la guida di nuovi documenti il De Sevelinges avvalora o completa vari punti del racconto del Botta. Parla poi distesamente della

lingua e dello stile da lui usati, e, accennando alle polemiche a cui questa lingua e questo stile diedero luogo in Italia, tributa grande

elogio allo storico. Questa « prefazione » fu più tardi tradotta in italiano dal cav. Luigi Rossi, membro dell'I. R. Istituto di scienze e Lettere, e premessa al 1." voi. della terza edizione italiana della storia del B., publicata in 3. voli, dal Ferrarlo di Milano negli anni 1819-20.

Y, in II Poligrafo, a. II, n. 23 (7 giugno 1812), pp. 359 361, Milano, dai tipi di Veladini.

È la recensione dell'opera: C. G. Londonio, Storia delle colonie inglesi in America dalla loro fondazione fino allo stabilimento della

loro indipendenza, Milano, Destefanis. In essa l'articolista lamenta

pure una Bibliografia delle opere di C. B. e degli studj relativi (pp. xxiiixxxii). Questa bibliografia è tutt'altro che completa, e a provarlo basterà il confronto con questa mia d'altra parte essa non è compilata seguendo un qualsiasi criterio. Ma, poiché la mia vede la luce dopo quella del Guidetti e col resto registra tutto il materiale contenuto in essa, io, pur rendendo il dovuto omaggio alla fatica del Guidetti, sento però il dovere di notare che il mio studio è anteriore al suo, dal quale non attinsi dunque assolutamente nulla. E a provare la priorità cronologica della mia bibliografia bottiana rispetto a quella del Guidetti, adduco la testimonianza ;

della rivista storica II Kisorgimento Italiano, III, 287 e 515 (Torino,

Bocca, 1910), donde risulta che il ms. del mio studio si trovava già nel 1910 presso la Società nazionale per la storia del Ris. ital. e aveva già ottenuto l'approvazione tanto del € Comitato delle pubblicazioni » quanto benché poi la Società non ne curasse la stampa.

del « Consiglio centrale »

,


- 327 che l'A. non citi la storia del Botta, come cita quelle di francesi e di inglesi, e fa un rapido confronto tra il Botta e il Londonio riguardo alla materia trattata e alla forma usata.

5

Anoeloni [Luigi], Lettera al sig. Y a Milano (Parigi, 24 ottobre 1812), in 11 Poligrafo cit., a. II, n. 47 (22 novembre 1812), pp. 756762. Fa un accurato esame del ragionamento preposto dal De Sevelinges alla propria traduzione francese dell'opera del Botta, approva piena-

mente le opinioni del D. S. circa la corruzione della lingua italiana, la quale aveva necessità di ritemprarsi alle pure fonti degli scrittori classici, e come il D. S. loda il B. per la sua cura di « ritirar la nostra bella lingua verso i suoi principj ».

6. Y, Osservazioni sull'articolo del sig. Angeloni, in a. II, n. 48 (29

11 Poligrafo cit.,

novembre 1812), pp. 770-771.

Nega la corruzione della lingua italiana, in quanto che esistevano ancora scrittori per i quali la buona lingua era in pregio; e nota ironicamente che lo scritto dell'Angeloni fu fatto proseguire oltre Milano, giacché non riguardava gli scrittori lombardi. 7

Angeloni [Luigi] Lettera al sig. Y a Milano, (Parigi, 14 dicembre 1812), in 11 Poligrafo cit., a. Ili, n. 2 (10 gennaio 1813), pp. 19-24. Ribatte le < osservazioni » di Y, e conferma le proprie opinioni circa la lingua italiana.

La polemica continuò in successive puntate del giornale, senza però più riguardare direttamente il Botta.

8 Lkdni M[ichelk], Storia della guerra dell' Independen za degli Stati Uniti

d'America scritta da Carlo Botta, in Antologia, 1822, VI,

201 233, Firenze, Pezzati, 1822.

Riporta un articolo comparso in una rivista di Boston (North American Revietc), che loda la storia per vari riguardi. II Leoni però disapprova la lingua arcaica usata dal B.

9 Manzoni Alessandro, Carteggio di A. M. a cura di Giovanni Sforza e Giuseppe Gallaresi, parte /.% i803-i82iy Milano, Hoepli, 1912-

Sono notevoli due lettere, degli anni 1808 o 1816, nelle quali 11 Manzoni elogia vivamenle l'opera del Botta. Nella prima mostrava di »doprarsi porr he la storia, tuttora inedita, ni stampasse in Italia (pp. 150ir)2

e 3()<J-374).


- 328 — Un'analisi accuratissima di questa e delle allre storie dei Botta trovasi nelle tre opere seguenti

:

10 DioNisoTTi Carlo, Vita di Carlo Botta, Torino, Fa vale e C, 1867.

Per la storia americana cfr. pp. 149-163 e 339-341.

11

Tommaseo Niccolò, Carlo Botta, in Biografìa degli italiani illustri

XVIII e de' contemporanei, compilata da letterati d'ogni provincia, e pubblicata per cura nelle scienze, lettere ed arti del sec.

del Prof. E. De-Tipaldo, Vili, 424-448, Venezia, Alvisopoli, 1841.

Questo studio fu ripublicato negli Studi critici (Venezia, Andruzzi, 1843; parte 2.*, pp. 3-34t e nel Dizionario estetico (Milano, Reina, 1852-53; parte moderna, 1853, pp. 31-44) del medesimo autore.

12 Pavesio Paolo,

Carlo Botta e le sue opere storiche, con

lettere inedite e di ragguaglio intorno

appendice di

ad opera del Botta rara

e poco nota, Firenze, Tip. ed. dell'Associazione, 1874.

e

Trovasi già in La Rivista europea, a. IV (1873), voi. II, fase. 1.°, 2° 3.», voi. Ili, fase, l.» e 3.", e voi. IV, fase. 1.°, 2.° e 3.°; ed a. V. (1874), 1.°, 2."

voi. I, fase. Si

e 3.», voi. II, fase. 2.° e 3.°, e voi. Ili, fase. 1.°, 2.» e 3."

confrontino inoltre gli

scritti del Giordani e del Borsieri, indi-

cati in seguito.

2) Storia d'Italia dal

1789 al 18 14.

(10,11,12) (1). DiONisoTTi, Vita di Carlo Botta, pp. 241-271, 326-338, 341-344;

Tom-

maseo, op. cit. Pavesio, op. cit. ;

13

Osservazioni e giudizi sulla Storia d'Italia di Carlo Botta, Modena, Vincenzi e C, 1825.

È una voluminosa raccolta (uscita a puntate negli anni 1825 e 1826) di scritti comparsi in vari periodici italiani e francesi.

Contiene i se-

guenti scritti: 1)

Estratto del

l<

Giornale dei dibattimenti », XIX e XXXI agosto,

IV settembre e I ottobre MDCCCXXIV (pp. 5-30). Il

che si capisce essere francese, mostra serenità di giuquando approva sia quando dissente dallo storico.

critico,

dizio sia

(1) 11

numero segnato tra parentesi indica che l'opera è già stata regi-

strata precedentemente sotto il medesimo numero.


- 329 2) Kstratto dall'* Amico d'Italia », giornale morale di lettere, scienze

ed arti, anno HI, fase. Ili e IV, voi. I\ (pp. 31-64). L'autore dell'articolo appare essere un piemontese, che in un luogo si

rivela figlio del Conte Roberto di Lagnasco, avverso alla rivolu-

modo particolare le affermazioni del Botta circa le condizioni del Piemonte e della Toscana prima del dilagare della rivoluzione in Italia. zione. Egli confuta in

3)

Nota sul Conte di Castellengo (pp. 65-66). Brevissimo articolo, firmato « Il Conte Adolfo Castellengo » e « La

Marchesa Faistina Castellengo Roero di Cortanze », dove sono chiamate calunniose le asserzioni del Botta circa il C. di Castellengo. 4)

Estratto dal « Nuovo giornale dei letterati *, stampato n.

a Pisa,

XVI, luglio e agosto (pp. 67-97).

Loda la lingua in confronto di quella della storia americana; giudica molto favorevolmente lo storico, pur rilevando qualche inesattezza. 5) Estratto

dal * Bollettino universale di scienze, lettere, arti e po-

litica »,n. 1, Bologna

a dì 3 gennaio 1825, Lettera (pp. 98 101).

Elogia vivanijente la lingua e l'efficacia dello stile nella narrazione

pur non riconoscendo perfetti né la lingua né lo stile. Giudica invece severamente lo storico, nel quale nota difetto di filosofia

dei fatti,

e

di sincerità; e conclude che l'opera del

sità 6)

Botta ha creato la necesche si scriva la stona dei tempi da Ini trattati.

Estratto dall'* Antologia, giornale di scienze, lettere ed arti », n.

XLVIIl, Dicembre 1824, Firenze (pp.

102-106).

Rileva taluni appunti mossi allo storico da varie parti. In nota è riportato un passo del < Journal des Débats, 19 aout 1824 », dal quale

appare che questo articolo dei Débats riportato in questa medesima raccolta (n.

1)

7) Articolo

estratto dalla « Rivista

è mutilato in più parti.

cembre i824 (pp.

Enciclopedica », fa^c.

:-'.

dt-

107-124).

È tutto un elogio dell'opera. 8) Estratto

l.\

dal « Giornale ecclesiastico di Roma »,

t.

I,

fas

febbraio 1825 (pp. 125-134).

Articolo di L. Nardi, che considera solo una parte dell'opera bottiana, e anche di questa non giudica se

non ciò che si riferisce alla

Cliiesa in genere. Termina con una digressione intorno alla gerarchla

ecclesiastica. 9) Id. id., fase. 7.» e «.«, aprile ì:

1825 (pp.

135-160), firmato A.

M.

una critica vivacissima di quanto nella storia del Botta riguarda


— asola Chiesa.

Con fine ironia il critico rileva l'uso di termini antiquati,

pur riconoscendo che il Botta in quest'opera, rispetto pecca assai meno che nella storia americana. 10) « L'amico

alla lingua,

della religione e del re, giornale ecclesiastico, poli-

tico e letterario », n. 136,

li

29 giugno 1825 (pp,

161-163).

Breve articolo di nessuna importanza critica. Estratto dalle « Memorie di religione, di inorale e di lettera-

11)

tura », Modena per gli eredi Soliani (pp.

164-409).

È una serie di sei lunghi articoli di M[arco] A[ntonio] P[arenti]; due ultimi, forse per errore di stampa, sono entrambi intitolati « Articolo quinto ». Contengono una minuta analisi dell'opera boti

tiana.

Collezione e sunto di note inedite sopra V opera del Botta, per-

12)

venute agli editori da varie parti d'Italia, a cui segue un Cenno d'omissioni (pp. 410-444).

È una serie di vivaci confutazioni. Lettera del conte G. Paradisi al signor Carlo Botta (pp. 445-

13)

477).

Tende a correggere

le

inesattezze nelle quali sarebbe caduto

il

Botta, nei luoghi dove parla del Paradisi e dello scoppio della ri-

voluzione in Reggio Emilia. Estratto dall'opera intitolata « Note perpetue alla Storia del

14)

signor Carlo Botta » (pp. 478-502). Il

Dionisotti (Vita di C. B., p. 182, nota 2.») attribuisce quest'opera

conte Paradisi.

al

15)

Osservazioni sopra alcuni luoghi della Storia d'Italia di Carlo

Botta (pp. 503-520). 16)

Risposta di Carlo Botta alle opposizioni del conte Paradisi e del

marchese Lucchesini alla sua Storia d'Italia, con annota-

zioni (pp. 521-543).

Sono due lettere ad un amico, l'una, lunghissima, del

13

gennaio

1826 e l'altra, breve, del 24 febbraio 1826, con la quale permette la

publicazione della prima (efr. Bibliografia dell' epistolario, cap.

I,

n. 52.

17)

Pensieri (pp. 544-551).

Contro

le

asserzioni del Paradisi e in sostegno del Botta sulla

scorta di documenti.


--

331

-

14 Alcune osservazioni critiche sulla Storia d'Italia scritta dal Sig. Carlo Botta, Poligrafa flesolana, 1825.

Videro la luce mentre usciva la raccolta surriferita di Modena, da cui sono tolte. Di questa publicazione trovasi un annunzio in un articolo AéiV Antologia (dicembre 1825, pp. 105-111), che non è una sem-

plice recensione,

ma un sensato articolo di critica serena ed impar-

ziale. Si accenna alla polemica del 6. col Paradisi nell'opera:

15 Sforza Giovanni, Contributo alla vita di Giovanni Fantoni (Labindo) in

Giornale storico e letterario della Liguria, VII, pp. 121-168;

241-277; 361-384, Spezia-Genova, 1906. Cfr. il cap. Ili, e specialmente la nota 42.*

16 Ragionamento critico sulla Storia d'Italia dal 1789 al Ì8i4 scritta da Carlo Botta, con la traduzione di quanto

[Pescuieri Ilario],

è stato scritto su di essa nei giornali di Francia, e con alcune risposte deW autore, Italia, 1825. 11

« ragionamento critico » è scritto in

termini moderati.

17 Storia d'Italia di Carlo Botta dall'anno 1789 aWanno 1814, con rettificazioni e note di Luigi Ioccko'si, scritte per questa edizione,

Milano, Silvestri, 1844.

Fa seguito all'edizione della « Continuazione del Guicciardini » che si

indicherà più innanzi (n. 29, nota).

18 N. N., Lettere di un italiano sopra la Storia d'Italia di Carlo Botta, Italia, 1826, 2 voli.

Queste lettere sono datate da Roma. Secondo il Melzi ne sarebbe autore uno dei fratelli Lucchesini, Cesare o Girolamo (I).

10 N. N., De Im Sicile, et de »es rapporti avec VAnglelerre à Vépoque de ìa constitution du 1812, ou Mémoires hittoriques (1) 0.

sur les princi-

Melzi, Dizionario di opn^ anonime o pseudonime di scrittori

italiani o come che sia aventi relazione all'Italia di G. M., 8 voli., Mi-

lauo. PiroU, 1848-69, voi. II, p. 117. col. 1.»


— 332 paux événemens de ce temps, avec la réfulation de VHistoire d'Italie, par MS Botta, pour les parties qui ont rapport à ces mémes événemens ; suivis d" une appendice de pièces justificatives, par un memore des différens Parletnens de Sicile, Paris, Ponthien et C, 1827.

La medesima opera fu più tardi publicata tradotta in italiano (Palermo, Olivieri, 1840).

20 Pecchio Giuseppe, Vt<a di Ugo Foscolo scritta da G. P., Lugano, Ruggia, 1830.

Muove due specifiche accuse al B., cioè di aver sorvolato « con equivoche frasi come chi traversa cor endo un pavimento infuocato » sopra l'invasione austro-russa del 1799 (p. 70), e di essere piuttosto piemontese che italiano col rendere giustizia solo al valore piemontese trascurando l'esercito dell'ex regno d'Italia, di cui dà lode sommaria solo alla fine dell'opera « senza specificare i tanti gloriosi suoi fasti dal 1805 in poi » (p. 129 nota).

A proposito poi della rivoluzione

di Milano del 21 aprile 1814, loda la fedeltà e la serenità dello storico

quale però, a suo parere, non manifesta sempre tali virtù, anzi si mostra « sempre di mal umore coi popoli che si muovono anche quando hanno ragione » (pp. 190191) (1). Del Pecchio vedasi anche la

il

lettera del 23 marzo 1833 all'Ugoni (Ugoni, Della letteratura italiana

della seconda metà del sec. XVII 1, IV, 607-608, Milano, 1858).

21 Zanolini Antonio, Antonio Aldini edi suoi tempi. Narrazione storica

con documenti inediti o poco noti, pubblicati da Antonio Zanolini, deputato al Parlamento italiano, 2 voli., Firenze, F. Le Mounier, 1864-1867.

In molti luoghi l'autore confuta dati e giudizi dello storico, special-

mente riguardo a Napoleone; e spesso lo accusa di falsità e di menzogna, giudicandolo parziale in favore degli austriaci e dei loro fautori e contrario a Napoleone e ai francesi.

22 Biblioteca italiana, o sia Giornale di Letteratura, Scienze ed Arti

compilato da varj letterati, t. XLI, a. XI, gennaio, febbraio, marzo 1826, Milano, 1826.

In un brevissimo articolo anonimo l'opera bottiana è giudicata non

(1)

Di questi giudizi si lagna il B. in una lettera del 2 settembre 1831 ad Antonio Pa-

al conte Antonio Papadopoli {Lettere d'illustri italiani

padopoli, 72, Venezia, 1886 j.


— 333 — degna m t>.>t-ie annoverata fra le « storie veramente classiche»; e cosi il critico approva i giudizi negativi di giornali e di autorevoli scrittori, indicando in modo particolare l'ampio esame di Marcantonio Pakknti nelle Memorie di religione, di morale e di letteratura.

Vili (Modena, 1825), riprodotto per intero nel voi. cit. di Osservazioni

e giudizi ecc., Modena, 1825.

23 Pezzana Angelo, Vita del padre Ireneo Affò, in Memorie degli scrittori e letterati parmigiani raccolte dal padre Ireneo Affò e continuate da Angelo Pezzana, t.VI, parte prima, contenente la vita dell'Affò, Parma, 1825. In una lunga nota (pp. 152154) rileva parecchie inesattezze del B., pur nominandolo con termini lusinghieri.

3) Storia d'Italia in continuazione del Guicciardini.

(10, 11, 12). DioNisoTTi, Vita di C. B., pp. 202-240, 302-326, 344-359; Tommaseo, op. cit. ;

Pavesio, op. cit.

24 Raynouard M., Storia d'Italia continuata da quella del Guicciardini, sino al 1789, di Carlo Botta, in Journal des Savans, année 1832, pp. 513-521, Paris, de l'imprimerie royale, 1832.

È un articolo di critica in cui si annunzia la storia suddetta preceduta da una nuova edizione del Guicciardini. Di quest'ultima dà un rapido esame; quanto al Botta il critico nota ch'egli, come il Guicciardini, ha il torto di non citare le fonti da cui attinse le notizie (1).

26 Id. in iti. anuèe tiioli.

Pp. 211-219. Esamina

il

1."

libro della continuazione del Guicciar-

accenna ai principali fatti narrati nella storia, ed esamina la congiura del Vacherò contro Genova, movendo qualche appunto allo storico. Pp. 321-329. Esamina l'impresa dell'Alberoni contro la republica di S. Marino, premettendo alcuni tratti sull'origine della piccola republica, ed aggiungendo in fine un cenno di quello che il B. stesso ne dini, e in seguito

scrisse nell'altra storia. Parla poscia delle opinioni letterarie espresse

(1)

Nella medesima annata del Journal trovasi da prima Pannunzio

della prossima publicazione della storia del Guicciardini e delle

B. (p. 56), e poscia

due del Pannunzio dell'avvenuta publicazione, con una ra-

pida analisi della continuazione del Guicciardini, che si chiude con un giudizio lusinghiero (pp. 701-708). Il

RUorg. ital., XUI

91


— 334 dallo storico nell'opera sua, e termina con un giudizio lusinghiero intorno al modo in cui lo storico ritrae e fa agire i personaggi.

26 N. N., Osservazioni sopra la Storia d'Italia scritta da Carlo Botta,

Torino, Speirani e C, 1833, pp. 30.

Sono tre articoli d'intonazione religiosa e di piena condanna della storia.

27 F[iTjppo] U[goni], Osservazioni sulla Storia di Carlo Botta in conti-

nuazione di quella del Guicciardini e difesa delle medesime in risposta al ragionamento di A. B. G., Marsiglia (Giovine Italia), 15 aprile 1833.

Queste

«.

osservazioni », che specialmente rimproverano al Botta di

essersi schierato tra i Classicisti e contro i Romantici, erano apparse,

come dice l'A. stesso, nel periodico II Tribuno, che si publicava con la data di Marsiglia. Io non potei vedere questo periodico. Le « osser-

vazioni » provocarono lo scritto del Bianchi-Giovini indicato qui appresso. L'Ugoni, ripublicandole a parte, vi aggiunse una violenta ri-

sposta al B.-G. A cagione di quest'aggiunta l'opuscolo delI'Ugoni dovrebbe posporsi all'altro l'antepongo invece, perché non potei avere sott'occhio II Tribuno (1). ;

(1) Il Dionisotti il •

afferma che t Luigi Angeloni Frosinate, nel giornale

Tribuno, che si stampava colla data di Marsiglia (n. 2, 23 gennaio 18B3

molte pagine contro la storia del Botta, per non averla dettata con propositi repubblicani » [Vita di C. B., p. 325, n. 3.*), e soggiunge che al Tribuno rispose il Bianchi-Giovini col suo Ragionamento (ibid.). Il Dionisotti ha ragione quando dice che al Tribuno rispose il BianchiGiovini ma equivoca attribuendo all'Angeloni lo scritto del suddetto scrisse

;

periodico. A complemento della propria affermazione egli cita la lettera

del 13 marzo 1833 diretta dal Botta al Bianchi-Giovini per ringraziarlo {Lettere di C. B., 140, Torino, 1811). Ma in questa lettera non son nomi-

nati né il periodico ne l'autpre dello scritto. In un'altra lettera invece,

del 3 maggio successivo, ad Antonio Papadopoli di Venezia, si trova un

passo che chiarisce questo punto della bibliografia bottiana. Scriveva il

Botta « Voi mi dite che alcuni mi danno dell'aristocratico per la testa ed io vi dico che Angeloni dal suo tripode di Londra dà dell'aristocratico a tutti i soscrittori della mia Storia, quanti siete. Sicché, mi rallegro con voi che abbiate anche voi un buon cappello d'aristocratico sul capo. Angeloni stampò uno sucida cartellaccia molto gofiPamente scritta, contro di me, contro i soscrittori, contro l'Accademia della Crusca, e poco :

;


— 335 — 28 [BiANCHi-OioviM AuREUo], In difesa di Carlo Botta. Ragionamento di A. B. G. Senza data, pp. 31. Neirnltima facciata reca: < Tipografia Elvetica di Capolago ».

Confuta le asserzioni dello scrittore del Tribuno. S>\ può ascriverlo, senza tema di errare, all'anno 1833, perchè lo storico ne ringrazia l'autore in una lettera a lui diretta da Parigi il 13 marzo di tale anno, e perchè lo scritto precedente, che in parte lo riguarda, è appunto dell'aprile dell'anno 1833.

29 N. N., Saggio di una analisi della Storia d' Italia recentemente pub-

blicada da Carlo Botta in continilaxione di quella del Guicciardini, Lugano, Veladini, 1834. E'

una minuta analisi di tutti i luoghi in cui si parla della Chiesa

mancò, contro tutto il mondo. Brevemente, egli debacchatur contro di me per istrano modo in quell'Inghilterra, ed io me ne rido, come delle forze d'Arlecchino, Ed ecco

un altro furioso, un giovinastro ignorante

ed impertinente, che bovinatur con ingiurie e con calunnie contro di me nella Svizzera italiana. Egli è un certo Filippo Ugoni, fratello in-

degno di un uomo stimabilissimo. Ed anche a questo rispondo, come si risponde ad Arlecchino, quando mangia i maccheroni sotto la tavola nel convitato di pietra, cioè ridendo. Egli è un Brighella Gambon, proprio da Brescia. «

Ma lasciamo stare questi vituperosi che dimenticano, che per esser

letterato

e<l

amatore della

ed i denigratori ed

i

libertà, e' bisogna prima esser

galantuomo

;

calunniatori non sono galantuomini, ma birbanti.

Amatemi voi, mio caro Antonio

che l' amor vostro compensa largamente quante contumelie e quante calunnie possano affastellare contro di me Luigi Angeloni, Filippo Ugoni e tutti i loro cagnotti. Fu poi anche stampatata in Capolago un'apologia di me contro tanti vituperi, opera del Sig. Aurelio Bianchi Oiovini, ch'io non conosco; ma certo ei fu, senza alcuna mia saputa, cortesissimo verso di me > {Ijettere d^ illustri italiani ad Antonio Papadopoli, 96-97, Venezia, 1886). Risulta dunque che contro il Botta, in quel tornò, di tempo, scrissero l'Angeloni e rUgoni. A questo appartiene lo scritto citato quanto allo scritto ;

.

;

dell'Angeloni si parlerà più innanzi. Filippo Ugoni bresciano (1794-1877) fu tra i Carbonari fe«lerati. Condannato a morte in contumacia, esulò in [svizzera, poi in Inghilterra e poi a Parigi insieme col fratello Camillo; nel 1888 potè rimpatriare. In-

torno al proprio fratello scrisse l'ffoni,

pubi, in fondo

al

italiana nella ir^ ,„«//--/,./

Milano, 1857.

4.»

:

Della vita e degli Hcritti di Camillo

ed ultimo voi. deiro{)era Della letteratura

w in

-...-.-.

...../.-....,-/;

e

^

....... i-.-mm,


— 336 — e dei Gesuiti per mostrare falso tutto quello che ne disse lo storico.

L'opera medesima trovasi pure sotto il titolo: ìi.ìì.^ Considerazioni

sulla Storia d'Italia di Carlo Botta in conti-

nuazione di quella del Guicciardini, Venezia, Rosa, 1834, pp. 195. Parimenti, con poche varianti di forma, non di sostanza, fu riprodotta ancora sotto

il

titolo:

Sulla Storia d'Italia contitiuata da quella del Guicciardini di Carlo Botta, considerazioni del C.Monaldo, Livorno, Migliaresi, 1836 (1).

30 Lanza Pietro, Considerazioni sulla Storia di Sicilia dal i532 al 1789 da servir d^aggiunte e di chiose al Botta, di P. L., principe di Scordia, Palermo, Muratori, 1836, pp. 591. L'autore, notando che varie regioni d'Italia lamentano gravi lacune nella Storia del Botta in continuazione del Guicciardini, si propose di riempire le lacune per

(1)

ciò che riguarda

la

La prima di queste tre edizioni è citata dal Dionisotti (Vita di

C. B., p. 302, nota 2). Egli dice che la critica fu

in

Sicilia, correggendo

da prima publicata

La voce della ragione, giornale che stampavasi in Pesaro dal Nobili.

Ma non mi fu possibile rinvenire questo giornale, per quanto ne fanon solo nelle Biblioteche governative, ma anche in qual-

cessi ricerca

che altra Biblioteca delle Marche. 11 Dionisotti stesso poi ne indica come autore il conte Monaldo Leopardi di Recanati la quale affermazione, ;

che può essere avvalorata dal titolo della terza ediz. qui citata, è resa certa dalla dichiarazione che Giacomo Leopardi premise al primo volume delle sue Opere, stampatosi in Napoli nel 1835 (Cfr. Leopardi, oltre

Scritti editi sconosciuti. Spigolature di Clemente

Benedettucci, 284-

299, Recanati, Simboli, 1835. Il dotto raccoglitore, accennando alle Con-

siderazioni che diedero luogo alla dichiarazione del poeta contro lo scritto del proprio padre, dice anch'egli che questo scritto fu da prima publie soggiunge che fu in seguito ristampato in Pesaro stessa, in Modena, in Lugano, in Venezia, in Napoli e in Palermo negli anni 1834 e 1835. A queste si può aggiungere l' edizione

cato nel giornale pesarese

;

citata di Livorno^. Il Dionisotti dice pure che la critica di Monaldo Leopardi servi alle note inserite nella prima edizione di questa storia fattasi in Milano. Una riproduzione letterale infatti della critica suddetta sono le note della Storia d'' Italia di Carlo Botta continuata da quella di Francesco

Guicciardini sino alVanno 1789, con ischiarimenti e note, Milano, Silvestri, 1843.

Ma prima essa aveva già servito all'edizione di Palerma

non è che una riproduzione, come dice l'editore stesso nella «prefazione». A quella poi fa seguita dell'anno 1835, di cui quella di Milano

l'edizione dell'altra Storia d'Italia indicata al n. 17.


— 337 anche taluDi errori in cui era caduto io storico. La critica che egli fa

è

Una breve recensione di questo studio del publicata da Giuseppe Di Cesare in 11 Progresso delle

assai temperata.

Lanza

fu

Scienze, delle Lettere e delle Arti, Vili, pp. 279-282, Napoli, dalla Tip. Flautina, 1837. 4) Storia dei popoli italiani^ ecc.

(10, 11, 12).

DioNisoTTi, Vita di Carlo Botta, pp. 184-186; Tommaseo, op.

cit.,

vBsio,op. cit. 5) I*recis historique

de la Maison de Savoie, ecc. (10, 12).

DiONisoTTi, Vita di C.B., pp. 127-129; Pavesio, op. cit.

(Continua)

C. Salsotto.

Pa-


L'ASSEDIO DI

MANTOVA DEL 1848

EPISODI E ANEDDOTI

Nel mese di maggio, quando fiorisce la rosa, e l'usignolo, innamorato

della rosa, canta sulle rive del Mincio, la

madre mantovana sparge di fiori

MontaQui i giovani toscani morivano gridando la

terra di

nara e dice

Curtatone al

e

di

figliuoletto

:

«

:

Viva l'Italia ».

MOKTANELLI.

Il

generale Cesare

De Laugier, che legò

il

proprio nome

— una disfatta

alla battaglia di Montanara e Curtatone

piiì

— ne' suoi Concisi ricordi, libro

d' una vittoria che può riguardarsi come inedito, essendo stato messo alle

gloriosa

stampe, ma poi distrutto (1), racconta: (1)

«

Giulio Martini, mi-

Cesare De Laugier, conte di Bellecour, nato a Portoferraio il 5 ot-

« morì nella sua villetta verso Fiesole presso S. DomeBarbacane n. 10, quasi all'improvviso, alle 5 antimeridiane del 25 maggio 1871». Cfr. Eugenio Barbarich, Cesare De Laugier e le armi toscane alla prima guerra d'indipendenza italiana, nella Rivista militare, ann. 1895, pp. 579-599 e 676-698. Entrò come cadetto nelle milizie del regno d'Etruria, ma dovette uscirne quasi subito per una baxuffa avuta con un suo compagno d'armi. Cfr. G. Margotti,

tobre del 1789, nico, in via

Cronache segrete della polizia toscana, Firenze, Barbèra, 1898, pp. 331come semplice soldato ne' veliti della guardia imperiale, si segnalò nelle guerre di Spagna, Promosso luogotenente il 1811, di li a due anni fu fatto capitano. Prese parte alla campagna di Russia; al fianco si battè contro gli austriaci sotto le bandiere di Eugenio

33. Ajrolatosi

;

del re Giovacchino fece la campagna del '15. Cfr. Giacomo Lombroso, Vite dei primari generali ed ufficiali che si distinsero nelle guerre na-

poleoniche dal 1796 al 1815, villano, coi tipi Borroni e Scotti, 1843, in-8.°

Dà la biografia del e colonnello » De Laugier a pp. 197-208 e


— 339 toscano

nistro

al

quartier

più volte mi scrive

grado

la

generale del re Carlo Alberto,

bramar S. M. meco abboccarsi. Mal-

debol salute, la mattina del 15 giugno [1848] meco

l'accompagna col suo ritratto, disegnato e inciso dal De Maurizio. Rientrato in Toscana il 1816, come capitano s'iscrisse nelle milizie granducali, che guidò come generale in capo alla guerra dell'indipendenza. Cfr. Pompilio Schiarini, Per un dimenticato : Cesare De Laugier, nellaRivinta mUitare italiana, ann.

XXXVIII [1893], pp. 31-49.

nno de' militi del Battaglione universitario, scriveva « Ieri parti di qua il generalissimo [Ulisse dalle Grazie il 27 di maggio D'Arco] Ferrari, il quale pulitamente è stato mandato a disimpegnare un ufficio più adatto alla pochezza della sua mente, ed è venuto De Raftaello Zei,

:

Laugier in suo luogo, uomo assai più capace nelle cose di guerra e che

ha dimostrato appena giunto qui la sua attività » Cfr. flettere di Raffaello Zbi, eroe di Curtatone, Firenze, Ufficio della Rassegna Nazio.

Minori Corrigendi], 1895, in-8.°, di pp. 55. [Estratte dalla Rassegna Nazionale, ann. XVII, fase, del 16 aprile '95]. « Il nuovo comandante » ison parole di Cecilio Fabris) « cominciò dallo stringere coU'imporre la regolarità del lavoro mediante i freni della disciplina l'orario e mediante istruzioni metodiche e colla rigorosa coazione di qualsiasi mancanza. La parola facile e vibrata, adatta a quei momenti d' entusiasmo, la fiducia da lui ispirata fino nei cosi detti patrioti, il suo fare un po' teatrale andavano a sangue ai subordinati e lo ponevano in grado d'infiltrare l'amore all'ordine e lo spirito di obbedienza nel piccolo, ma piuttosto incoerente esercito con cui da un giorno all'altro si sarebbe trovato a fronte di gravissimi eventi ». Cfr. Cecilio Fabris, Gli avvenimenti militari del 1848 e 1849, narrazione compilata colla scorta dei documenti, Torino, Roux e Frassati, 1898, parte I, voi. II, p. 371. Uà suo compagno d'armi nella guerra del '48, che € Il D'Arco Ferrari era poi salì al grado di generale, lasciò scritto un veterano di bello aspetto, nel quale però né soldati, né volontari e tanto meno gli ufficiali avevano fede come capitano da guerra. Li o<-rhi di tutti eran volti al colonnello De Laugier, vivace ed ambizioso soMato, che sotto le bandiere napoleoniche aveva acquistato reputazione, ben meritata, di raro valore, ed avea nome di liberale e non amico del governo Egli era senza dubbio e di gran Tutaga superiore a tutti gli ufficiali d'allora, per un buon insieme di militare dottrina, pratica di guerra (quantunque remota), animo vigoroso, operosità e attitudine al comando. Il suo marziale aspetto, il suo fare ardito e le sue balde parole ora in quei caldi momenti piacevano». Cfr. Carlo Corsi, 18441869. Venticinque anni in Italia, Roma, tip. Faverio e comp., 1870, voi. I, p. 78. Il general Cesare Fortini cosi lo « Laugier nacque soldato. Buon cuore, mente infuocata, smidipinge nale, [Tip.

:

:

surato zelo, disinteressato, credulo, generoso, instancabile in ogni

la-


- 340 — conduco per Valeggio il capitano Villa Marina (1). Sapendolo pratico della Corte, via facendo lo interrogo qual esser

possa

la causa di tal chiamata. Senza esitare risponde: Consultarla intorno alla guerra attuale. Mi sembra incre-

voro, soverchiamente sincero, impetuoso sovente, pronto alla dimenti-

canza delle offese ». E un ritratto colto dal vero. Tra il 1826 e il '27 stampò, in quattro volumi, GV Italiani in Russia,

memorie di un ufficiale italiano per servire alla storia della Russia, della Polonia e dell'Italia nel 1812; tra

il

1829 e

il

1832, in tredici

volumi i Fasti e le vicende dei popoli italiani dal 1801 al 1815, memorie d^un ufficiale, per servire alla storia militare italiana; nel '46 i Documenti storici intorno ad alcuni fatti di arme degli Italiani in Montevideo, stampati a Livorno, ristampati a Firenze, smerciati a mi-

Quel libro fece conoscere e incominciò a render po-

gliaia di esemplari.

polare Garibaldi tra' propri campatrioti. Cfr. J7

Alessandro D'Ancona,

Generale Cesare De Laugier ; ne' suoi Ricordi ed

Treves, 1902, pp. 67-101. Ecco che nell' ottobre del '48

il

affetti,

Milano,

generale Eusebio Bava pubblica la

Relazione storica delle operazioni militari da lui dirette come « coman-

dante il primo corpo d'armata in Lombardia». Il De Laugier, nel gennaio del €

'49,

«

per l'onore de' prodi » che gli fu dato di comandare e

nell'interesse della storia », stampa a Pisa, poi ristampa a Capolago

Le milizie toscane nella guerra di Loìnhardia del 1848, naì-razione istorìca,

titolo

che ristampò poi la terza volta, ampliata, in Firenze nel '54, col Racconto storico della giornata campale pugnata il dì 29 maggio :

a Montanara e Curtatone in Lombordia, dettato da un testimone oculare. Ne' forzati ozi della vecchiaia scrisse le proprie memorie dal 1789 al 1869. A sua stessa confessione, « comprese le note e i moltissimi documenti », questo «lungo lavoro» riuscì di dodici grossi volumi. «Con quale ardire darlo alle stampe?». Però, «stimandolo non af-

«un transunto, sopprimendovi eziandio gli E di qui che traggon la propria radice Con-

fatto inutile », decise farne

aggregativi documenti ». cisi ricordi

\

di un

del Vocabolario di pp. 432

è

|

\

soldato napoleonico

i

|

italiano

diretta da Giuseppe Polverini

|

\

Firenze

1870.

|

Tipografia

Due voli. in-8.°

con numerazione continuata. Ne sono scampati, per quanto

a mia notizia, due soli esemplari. Io ne posseggo una copia mano-

scritta. {1)

Tra' premiati dal Granduca di Toscana,

il

valore mostrato nella battaglia del 29 maggio,

29 di giugno, per il si

trova

« il

capitano

Villamarina, piemontese, aiutante del Quartier generale toscano, per

aver operato l'accosto nei movimenti dei singoli corpi, dispregiando

ogni pericolo ».

Francesco del cav. Emanuele Pes di Villamarina e della contessa TeSan Giusto, nacque a Cagliari il 29 giugno 1812. Cadetto nel

resa di


— 341 dibile,

ma abboccatomi col

giunge

:

Martini

ciò

conferma ed ag-

Ama il Re la franchezza ed il vero. Dunque parla

chiaro. Graziosamente ricevuto, Carlo Alberto, fattomi as-

sidere a

lui

vicino, dice:

Vuol farmi il piacere di narrare

a filo e verso la sua battaglia del 29? Non tema punto di noiarmi. Nulla tralasci. Obbedisco, e mai scorgo nel suo volto il menomo cangiamento. Ultimato il racconto, sta

mento sul pomo del suo lungo spadone (1). Poi lentamente prorrompe: E che ne pensa, generale, di questa guerra? Ed io: Sire! Non ho talenti per emettere una qualsiasi opinione. Ed il Re Parli, per poco taciturno, appoggiato

il

:

parli liberamente. Incoraggito, così comincio: Sire, calpe-

stiamo un terreno prodigo di lezioni lasciateci dal gran Si alza il Re, e presami la mano, fortemente stringendola, dice: Caro iMugier, altri tempi!... Ci rivedremo a pranzo. Sconcertato, confuso, recomi dal Martini e lo rampogno. Ei ride del mio mal'umore, dicendo: Non è da te scorarti per così poco. Alla tavola mi è assegnato il posto d'onore, alla destra del Re, avente lui alla sinistra il capo dello stato maggior generale conte Salasco, capitano

reggimento della brigata di Piemonte nell'agosto del 1881, fu promosso sottotenente ne' granatieri delta brigata guardie il 10 aprile del

2.0

'38, e

luogotenente il 6 aprile del '38; col qual grado entrò poi nello il 27 ottobre del '40. « Con riserva d'anzianità e paga ebbe la nomina a capitano il 10 marzo del '4B. 11 27 maggio

stato maggiore del grado >

,

dello stesso anno il Re lo scelse per suo secondo scudiere. Fece la campagna del '48 quale addetto allo stato maggiore, prima nel 1.° corpo dell'esercito piemontese, poi nelle truppe toscane. Per essersi distinto al fatto d'arme di Governolo

il

18 luglio '4b ebbe la medaglia d'argento

Promoeso nuiggiore il 10 marzo del '49, come addetto allo stato maggiore generale fece quella breve e disgraziata campagna. Il 1 agosto del '62 chiese d'esser messo in aspettativa; il 12 febbraio del '54

al valore.

volle esser collocato a riposo.

Per testimonianza del generale Alfonso La Marmora, « nell'eserchiamava lo Spadone (f Italia, perchè sull'elsa della medesima era maestrevolmente intagliato il misterioso emblema del leone seduto, col capo dentro all'elmo, lo scudo di Savoia in sul dorso, e un serpente Ira le unghie, col motto celeberrimo: J'atoiis mon astre ». Cfr. La Marmora A., Un episodio del Rinorgimento italiano, Firense, Barbèra, il)

cito

si

1875, p.

18f>.


— 3i2 e di fronte, nel lato opposto della tavola, l'ereditario di

Savoia. Altri diciotto, fra generali

ed

uffiziali

di

Duca stato

pur convitati, compiono il numero di venDurante il pranzo, Carlo Alberto non fa parola, e poche gli altri, sottovoce fra loro. Al termine del pranzo il Re a me dice Generale De Laugier vorrebbe compiacersi narrarci per intiero la sua battaglia del 29 maggio ^f^Sorpreso da tale inattesa richiesta, entro me stesso co/"50 concludo esser scopo del Re mortificare suoi consiglieri in quella giornata. Da simile idea dominato, comincio il racconto. Credo, in mia vita, mai aver avuta la parola sì facile, pronta ed ardita. Termino vivacemente così, quasi inspirato Dio mi renda pseudo profeta ! Ma come Cariatone esser poteva il primo anello delle sorti italiane, ripetOy Dio mi renda pseudo profeta, dubito, temo, esser il primo anello delle di lei sventure. Quanti erano astanti, meno il Re ed il figlio, lancianmi sguardi furibondi, ed in special modo il generale Lazzeri, comandante carabinieri. Incalorito, indispettito da quelle minacciose occhiate, ripeto energicamente il presagio disgraziatamente avveratosi quarantun giorni dopo Tosto si alza il Re, noi il seguiamo nel salone vicino. Ivi, Salasco ci dispone in cerchio. Alla mia destra v'è il Duca di Savoia. A lui, primo, il Re dirige poche parole, quindi a me, e così consecutivamente. Allontanatasi a mano a mano S. M. da noi, il Duca di Savoia, afferratomi il braccio destro, sottovoce, ma con vivezza, dice: Bravo Laugier! Ben faceste, ultimando il vostro racconto, presagendo V avvenire. Or sappiate che mentre voi e i vostri prodi toscani facevi meraviglie, questi signori (accennando gli astanti) vi guardavan col cannochiale dall'alto del campanile di Volta. Avea un bel gridare: Corriamo a soccorrer Laugier. Mi ridevan sul naso (sic, accompagnato da analogo gesto) (1). Ugual risposta ottenni il maggiore, essi

tidue.

:

.'^

i

:

i

;

!

(ly

Enrico Della Rocca, che era capo di stato maggiore della 5.» diDuca di Savoia e gli stava sempre al fianco,

visione comandata dal

non fa parola di questo episodio ricorda bensì la « strage » toccata a' ;

toscani, che udì dalla bocca

d'uno de' loro uffiziali, che incontrò, es-


— 343 — 6 giugno, pregandoli soccorrer Vicenza ! Persino m'offersi,

ma invano, accorrervi colla mia sola divisione » Ai primi

giugno alcuni volontari lucchesi, che ave-

di

vano combattuto a Montanara, passando da Volta, s'inconCarlo Alberto, il quale, fermatosi, diresse loro alcune parole d'incoraggiamento e di lode, terminando < Io fin dalla mattina avevo ordinata la vostra ritirata, per

trarono

re

col

:

evitare

uno scontro troppo sproporzionato. Voi però mi

avete dato motivo

fare

di

belli

piìi

i

elogi del

vostro

co-

raggio, mentre deploro sinceramente le perdite vostre (1) ». L'8 giugno del 1849, il Radetzki, « in Firenze dimostrò

pubblicamente l'ammirazione e toscani.

Ecco il fatto »

— così

Ministro

stima che conservava ai

la il

De Laugier ne' suoi Con-

cisi ricordi:

«

del Sovrano,

conduceva ad inchinare

gli

uffiziali

io allora della

guerra, il

Maresciallo

della guarnigione. Egli, insieme

stato maggiore, sull'alto ripiano della

per ordine tutti

all'intiero

suo

lunga scala dell'Al-

bergo dell'Arno, ci attendeva a capo scoperto. Appena

vi-

stomi prorompe nelle seguenti parole: .4/r.' vous voila enfin.

Cesi depuis le 29 mai 1848 que je desirai ardemment de vous connaitre. Mais bravo! Bravo! Vous avez squ me aendo in compagnia del Duca,

«

strada facendo tra Valeggio e Bor-

Le truppe del Radetzki, da Verona già arrivate a Mantova, avevano fatto una sortita, e in grandissimo numero si erano

ghetto >. Scrive:

«

precipitate su quelle poche migliaia di valorosi volontari isolati a Curil Bava non ebbe tempo di mandare i comandante generale De Laugier. Il numero

tatone e Montanara, ai quali rinforzi promessi al loro

dei morti e dei feriti toscani e napolitani era stragrande, e i superstiti

s'erano ri])iegati su Brescia». Cfr. Autobiografia di un veterano, ricordi storici f anexUlotici del generale

logna, Zanichelli, Il

Enrum» Dkli.a Rocca, f807-I8.')9, Bo-

IB97, p/ 208.

De Laugier racconta a p. 421 de' t>uui Co/a

.,,ot(ii: < Lh laatun utiiziale in carrozza lascia un biglietto porta della mia casa [in Firenze] per recarmi alla Corte <•>.•

lina del 10 febbraio 1865

d'invito alla alle 10

antimeridiane del giorno successivo. Obbedisco. Introdotto dal

Re, ringrazio S. M. delle generose parole da esso direttemi in Valeggio il

15 giugno del 1848. S.

M. mi risponde

:

Non me ne rammento. Un

colpo (|ua8Ì apopletico mi coglie. Mi conge<lo rispettoso da S. M. e non

andai più a Corte». (1)

Giornale privilegiato di Lucca, n. 97, 9 giugno 1848.


— 344 — 7 heures avec une poìgnée d'hommes!

ienir téte pendant

Ah si favais squ que vous etiez si peu, faurais fait passer soas Ics forches Caudines les Piemontais, comme je fis à Novara. Ad uno ad uno, agli uffiziali che combatterono il

29, volle stringer la

padre

mano e

Lungamente, qual

lodarli.

con

famiglia, s'intrattenne

di

noi,

e

nel

licenziarci

colmò di gentilezze». Non fu questa la prima volta che Maresciallo rese giustizia al valore de' vinti toscani. La sera stessa del 29 maggio feriti e Lodosi recò all'ospedale di Mantova a visitare vico Canini, uno appunto de' toscani feriti, l'udì esclamare ciascuno

noi

di

il.

i

;

:

Se avessi una divisione di soldati come voi, vorrei esser padrone del mondo (1). Fu anche detto gli uscisse di bocca: Que' maledetti ragazzi mi hanno fatto perdere una giornata con gravissimo danno. Interrogati varii prigionieri, tra gli altri il sottotenente Giuseppe Taddei, non voleva credere che toscani fossero quattro mila soltanto (2). « Straordinariamente energica, anzi eroica » chiamò nella relazione i

officiale la

resistenza di que' ragazzi »

«

Veterano austriaco scrivendo:

rona a Mantova]

«

«

(3).

Gli fece eco il

La nostra marcia» [da Ve-

era stata totalmente occulta al nemico.

« il generale comandante marchese annunciò Villafranca al e ^mandante di corpo Bevilacqua da tenente generale Bava che nella notte forti colonne nemiche erano passate da Isola della Scala nonché da molti altri luoghi in quella parte, e s'erano dirette a Mantova.

Soltanto il 28 » [maggio]

(1) Il

Canini, che era volontario nel 2.° battaglione fiorentino e poi

fu maggiore nell'esercito italiano, lo raccontò al capitano medico Gio-

Carteggio familifirp, dal marzo al

vanni Mazzei.

Cfr.

un milite del

2.° battaglione fiorentino (doti.

Itcglio

1848 di

Leopoldo Mazzei), con

proemio e noie di Giovanni Mazzei, Pistoia, Giuseppe Fiori, tipograto editore, 1903, p. 24. (2) Racconto storico della giornata campale pugnata il dì 29 maggio 1848 a Montanara e Curtatone in Lombardia dettato da un testimone oculare [generale Cesare De Laugier], Firenze, senza nome di stampa-

tore, 1852, p. 107. (3)

Relazione officiale austriaca. Cfr. Giuseppe Ugo Oxilia, La cam-

pagna toscana -391-393.

del

1848 in Lombardia, Firenze, Seeber, 1904

;

pp.


— 345 — Questi ne diede parte

generale toscano Laugier, che

al

sue truppe a Curtatone;

era colle

ma dichiarò esagerata

voce che faceva ammontare a sei o otto mila uomini quelle colonne nemiche; lo avvertt nulladimeno di stare la

all'erta, gli

ordinò, in caso di bisogno, di ritirarsi a Goito,

u gli promise soccorso, qualunque cosa fosse per avvenire.

Ma

il

soccorso non venne, e Laugier, abbandonato alle sole

sue forze, fu quasi schiacciato, Abbiam veduto che

la

di-

visione ausiliare/toscana, rinforzata da napoletani e da altre

truppe alleate, trovavasi a Curtatone od Osone. Qui s'era forti, appoggiando l'ala sinistra Montanara; sì che venendo noi ad investire di fianco ed alle spalle il nemico, queste truppe erano le prime esposte al nostro attacco. Codesta linea era della massima importanza per la posizione dell'esercito piemontese; grandissimo errore era quindi il lasciarla guardata soltanto da alleati, senza destinarvi una riserva a sostegno. E vero che nostri avversari erano stati colti improvvisamente, e che il primo corpo d'armata nemica aveva preso un alloggiamento molto sparso; ma è altresì vero che pel mezzogiorno potevano con tutta facilità giungere a Curtatone diecimila uomini di rinforzo ai toscani. Venuto a Mantova, e ricevuto necessari schiarimenti da Gorzhowsky» che conosceva appuntino la posizione del nemico, il feld-

trincerata con opere molto al

lago,. la destra a

i

i

maresciallo tracciò

la

disposizione dell'attacco

pel giorno

29 le truppe, fatto che ebbero il rancio, circa le 10 ore si posero in marcia. La divisione del principe Felice Schwarzenberg, composta delle brigate Benedek e seguente.

Il

Wohigemuth, prese la strada che mena diritto a Curtatone, Benedek alla testa e Wohigemuth nella riserva. La divisione Carlo Schwarzenberg, composta delle brigate Clam e Strasoldo, prese

la

direzione a sinistra della prima divi-

sione verso Montanara;

Clam formava testa, Strasoldo se-

A sinistra di questa colonna,

guiva come riserva.

il

prin-

cipe Federico Liechtenstein, del secondo corpo, s'avanzava

verso Buscoldo sull'Osone

;

colà egli doveva assicurarsi dei

passi di quel canale, e coprire

corpo d'armata,

o,

a

il fianco sinistro del primo seconda delle circostanze, operare


— 346 — contro sì

tosto

spiegò

fianco ed alle spalle del nemico.

il

ebbe raggiunto le

nembo

il

sue truppe a sinistra e

essendogli parso affatto inutile

di

della

Benedek, non

foltissima

coltura,

della strada, ed

a. destra

mandare

fuori

bersa-

i

avrebbe costato che tempo e uomini, diede le sue disposizioni per l'attacco. Le artiglierie trovarono non poca difficolta, e prima che potessero essere colglieri,

locchè non

locate a dritta e a sinistra della strada, si dovettero lanciar ponti su larghi canali, pieni d'acqua.

La qual cosa fu ese-

guita dai nostri pionieri con grandissima celerità nostri

cannoni aprirono contro

la trinciera

fuoco, che non produsse un notabile effetto su

ma le granate ed

;

allora

i

un animatissimo que'

forti

che piovevano dentro alla trinciera vi hanno cagionato qualche confusione, che si convertì in pieno disordine quando un razzo, caduto in parapetti;

i

razzi

un cassone di polvere, lo fece saltar in aria. Il divisionario Felice principe Schwarzenberg ed il colonnello Benedek smontarono da cavallo e condussero le truppe all'assalto. toscani fecero testa e respinContro ogni aspettazione sero due volte gli assalitori. Più fortunato fu il colonnello Doli, comandante del reggimento Paumgartten, il quale a dritta della strada s'era impadronito di un gruppo di case ed in tal modo appoggiò fortemente il terzo e piìi fortunato tentativo contro la trinciera. La brigata Wohlgemuth seguì a sostegno di Benedek, ed allora incominciò un nuovo assalto. Salirono pressoché simultaneamente la fronte della trinciera il maggiore Lilia dei fanti Paumgartten a destra, e il maggiore Seiffert dei fanti Gyulai a sinistra, sostenuti da un battaglione di confinari Ogulini, condotto dal capitano conte Neipperg. Il nemico ifuggì in indicibile confusione sulla strada di Goito. La linea era rotta, e la vittoria decisiva a nostro vantaggio, quantunque sull'ala destra si combattesse tuttavia con molto accanimento. Benedek piegò i

allora sulla sinistra, per investire di

fianco

nemica, e Wohlgemuth si diede ad inseguire suoi cacciatori ed ussari.

Il

tutta i

la

linea

fuggenti co'

capitano Ahsbahs degli

ulani

Imperatore, sostenuto da confinari e cacciatori, potè far prigione tutto intiero un battaglione che fuggiva da Monta-


— 347 — nara. Anche a Montanara si era intanto appiccata la pugna.

Ciam attaccò

il

villaggio sulla fronte e sui

qui pure furono respinti

con buon

esito,

due

una quantità

assalti.

due

fianchi,

e

Allora fece lanciare,

di razzi in

quel villaggio, che

era fortemente trincerato, e riusci finalmente al colonnello

barone Reischach, alla testa dei suoi due battaglioni Prohaska, e sostenuto da due compagnie Hohenloe, di penetrarvi e mantenervisi fermo.

Il principe Federico Liechtenche s'era avanzato senza incontrare il nemico, lasciò indietro alcune truppe per guarentirsi il fianco e le spalle,

stein,

e corse

difilato a

riserva

fuori

Liechtenstein.

di

Montanara. Il nemico aveva tratto la sua

quel villaggio, e fu in essa che s'imbattè toscani che, a quanto

sembra, credevano non aver a fare se non con un debole distaccamento, occuparono vari gruppi di rustici casolari, donde si difesero con gran valore; ma le truppe di Liechtenstein mano mano che arrivavano, essendo venute al fuoco, il nemico si trovò accerchiato da ogni parte e dovette metter giù le armi. Le truppe che dentro nel villaggio erano tuttavia alle mani con Clam poterono fuggire sulla strada di Curtatone. ma quivi, come già dicemmo, caddero nelle mani del capitano Ahsbahs, e dovettero esse pure rendersi prigioni. La nostra perdita fu di otto ufficiali e ottantacinque soldati !

di

morti, ventotto ufficiali e quattrocentonovantuno soldati feriti ;

sessantatrè furono

non

ci

fatta

(dobbiam rendergli questa giustizia) ella debb'essere

gli

sbandati.

è nota precisamente;

stata assai considerevole »

La perdita del nemico

ma stante la valorosa difesa

(1).

(1) Memoria della guerra d'Italia degli anni 1848-1849 di un Veterano austriaco (maresciallo Schònhals) prima versione italiana, Mi;

lano, tipografia Guglielmini, 1852; voi. II, pp. 24-28.

Per testimonianza

di

Lorenzo Isnardi, il Duca di Genova, € esun volume intitolato: Im cam-

sendosi stampato a Vienna nel 1862

pagna dell'armata austriaca nel 1848, considerava come questa giustificasse assai bene le armi piemontesi e nulla restasse a &r»i di meglio,

per rivendicare pienamente ad esse quella parte di onore che era loro dovuta, fuorché ristampare quel libro con apposite note, le quali in eeso rettificassero talune inesattezze che vi erano corse Il Duca aveva voltato quel libro dal tedesco in italiano e si proponeva di stam-


— 348 — Per testimonianza del Mollinary, uno de' combattenti nemici,

«

toscani,

i

rebbero

stati

secondo

il

schiacciati, se

piano del generale Hess, sail Mollinary stesso e il mag-

giore Rossbacher attardatisi la sera del 28 a un gran pranzo

dato dal governatore Gorzkowsky non avessero dimenticato

ordinare che

colonna destinata a prendere toscani sua partenza dalla città qualche ora prima delle colonne che avrebbero iniziato l'attacco di

la

i

alle spalle anticipasse la

frontale.

Questa inavvertenza menomò la vittoria del 29 e

rese vani

Certo

gli

è

sforzi austriaci di

questo.

soccorrere Peschiera »

Sopraffatta

schiera de' combattenti

e

sparpagliatasi

l'

(1).

esigua

Curtatone e Montanara, gli au-

di

andavano chiedendo: Ma dov'è il nemico? Dov'è il nemico? Gli uffiziali domandavano con viva insistenza a' prigionieri Dove sono i vostri generali, i vostri colonnelli? Il Tarugi, uno de' prigionieri striaci

vittoriosi

:

di

Curtatone, scriveva

al

Nerucci

:

«

Fummo posti in riga

davanti a un colonnello, il quale avvicinandosi ora a questo,

domandava quanti eravamo in campo, e noi rispondevamo la verità, cioè quattro mila, meno quattro compagnie, che due erano in riposo a Castelvecchio e due a Rivalta. Esso a tale asserzione s'inquietava e gridava: Come quattromila ! Voi avete avuto un rinforzo di Francesi (sic). Voi resistere per tanto tempo a noi che siamo 35 mila! Verificato poi dalla dichiarazione concorde di molti che quella era la verità, soggiunse: Voi siete dravi soldati / Capirai come ci si allargò il cuore a quelle parole, che il nemico pronunziava sullo ora a

tutti

quello, all'orecchio

nel nostro

stesso

campo di battaglia »

(2).

parne la traduzione, aggiungendovi commentarii opportuni secondo

che avessero ricliiesto le osservazioni a farvisi opportune e le osservazioni contenute nelle sue memorie, che assai probabilmente avrebbe in essi trasfuse ». Cfr. Lorenzo Isnardi, Vita di Sua Altezza Reale il Principe Ferdinando di Savoia, Duca di Genova, Genova, coi tipi del R. Istituto de' Sordo-muti, 1857, pp. 279-280. (1) Mollinary, 46 Jahre im ììsterreich-ungarischen Heere, Zurigo, 1905, voi. (2)

I,

pp. 129-131.

Gherardo Nerucci, Ricordi del

Battaglione universitario

to-


- 349 — I

prigionieri

fatti

a Montanara, sul far della sera vennero

condotti a Mantova. < Schierato in doppia fila lungo la via »

(racconta uno di essi)

<

stava un reggimento della guardia

imperiale; ed essendo esso composto d'una riscelta d'uomini da altri corpi scelti, quei granatieri eran perciò della bella era pure la loro unipili alta statura e virile aspetto forme con il morione di pelo, a cui la polvere alta non meno che sulle spalle e sui baffi, aggiungeva un marziale decoro. Ferma dietro ad essi eravi una signorile carrozza chiusa con elegante attacco. Stava affacciata allo sportello una giovane signora abbrunata, ed il suo tipo la denotava oltramontana, perchè bianca e rossa, bionda, con nasino ritto ed occhi cerulei. Allorché le prime file della nostra colonna ;

le

furono quasi a pari, essa, sporgendosi, cacciò fuori il suo

visetto piccante, facendo singolare contrasto tra

morioni

i

bronzo e mentre sembrava divorarci con gli occhi spiritati, e con una rabbia tutt'altro che genA/i ! ah ! vìve Pio nonne ! ah ! ah! tile, gridavaci a dileggio di

quei guerrieri

di

;

:

vive Pie

nonne! ah! ah!

ecc.

A quel vile insulto, l'of-

feso orgoglio di noi ardenti patrioti, già privi di

speranza

e di timore, reagì; e molte voci in coro, coprendo quella stridula della signora abbrunata, le

gridarono

:

Sì, sì,

Viva

Pio IX! Viva V Italia! A dispetto di chi non vuole!..... A queste esclamazioni tenne dietro una d'imprecazioni, forse non intese in tutto

scarica il

di

titoli

e

loro significato,

che lusinghiero; ma bastò perchè il roseo della lei mal cauta si accendesse per tutto il viso, ond'ella si ritrasse confusa. Un vecchio generale, baffi, le sedeva al fianco ed era proprio sorridente sotto maresciallo Radetzki, venuto a veder la retata dei malil nati ragazzi, che mercè la provocazione dell' inviperita tedeschina, provarono di non essere avviliti neppure tra gli artigli del nemico, ma sempre indomiti e fieri. Egli, forse per addolcire le asprezze della signora, fattosi allo sportello» con modo molto urbano, prese a dire queste precise parole» tutt'altro

delicata guancia di

i

stano alla guerra dell'indipendenza italiana del 184S, Prato, Salvi, 1891, p. 410. Il Ri$org. ital.,

Xm

St


— 350 — intese e riferite da

altri

che

si

trovavano più indietro

di

magnato; a Mantova magnerete ; non temete, non siamo barbari, come credete, non si tolgono gli occi, no ; e cosi altre cose, come per noi: Andate, poveri giovani, non avete

incoraggiare

era

la

i

prigionieri » (1). La

«

inveperita tedescliina »

contessa Zoe Wallmoden, sorella del generale, che

tanto nelle lettere del Radetzki alla figliuola, quanto in quelle del

Benedek alla moglie viene citata come una specie di

Ninfa Egeria del vecchio Maresciallo. I

toscani che tennero testa all'esercito del Radetzki fu-

rono 5267; a Curtatone ce n'erano 2592, a Montanara E insieme co' toscani, e compresi in quel numero,

2675.

c'erano 616 napoletani, 306 de' quali

i

civici capitanati

a Curtatone un battaglione del X da Cesare Rossarol (Abruzzi) reggimento di linea a Montanara. « Seppi poi » (confessa il De Laugier) « che a Curtatone avevo a fronte 25.000 austriaci, comandati dal tenente generale Principe Felice Schwartzenberg, avente 18 cannoni da 12, due obusieri e quattro batterie di racchette. In Montanara vi erano 10.000 nemici, con 18 cannoni, quattro batterie di racchette, ed il comandante n'era il Principe Carlo, germano di Felice». Leopoldo Mazzei, uno de' militi del 2." battaglione ;

fiorentino (2), scriveva alla madre

:

«

La strage dei tedeschi

23 battemmo la ritirata, perchè il neMi sono battuto mico ci aveva circondato da ogni parte a corpo a corpo coi tedeschi per tre ore continue, e ne Per quattro volte il maggiore Beho buttati giù parecchi

è immensa. Verso

le

raudi (3), che poi è morto di una palla nel petto,

ci

intimò

(1) Racconto storico della battaglia di Montanara dettato dal vete rano Ferdinando Raveggi, già milite volontario in quella campagna

Firenze, tip. del Fieramosca, 1886, pp. 66-68.

Giovanni Mazzei, bicordi

(2)

della vita e dei tempi del dott.

Leo

poldo Mazzei [1819-1901], Firenze, Francesco Lumachi, libraio editore 1902 in-8.'', con ritratto. (3) Il maggiore Tommaso Beraudi era uno de' « tre uffiziali sard graziosamente conceduti da S. M. il re Carlo Alberto» al Granduca ;

con l'incarico d'ordinare l'esercito toscano, facendo parte dello stato maggiore. Figlio di Giovambattista Beraudi e di Giovanna Daon, nacque a Boves, nella provincia di Cuneo, il 29 aprile del 1801. Entrato sol-


- 351 la

:

restammo a batterci coi

e per quattro volte noi

ritirata,

tedeschi

loro battevano

Viva V Italia! e avanti »

il

passo

(1).

di

carica, noi

si

gridava

Che « la strage dei tedeschi >

immensa » è confermato dal marchese Giorgio Pimodan, uno degli aiutanti di campo del Radetzki (2). « Le battaglie di Curtatone e di Montanara furono gloriosissime per le nostre armi prendemmo al nemico cinque cannoni, cinque carri di munizioni, e facemmo prigionieri 2000 soldati, 59 fosse

«

:

uffiziali

e 4

uffiziali

superiori. Quella vittoria

non fu da noi

meno caramente comprata: bisognava marciare allo

sco-

nemico diviso, prendendo d'assalto ciascuna casa, divenuta una fortezza dappertutto si esposero primi uffiziali. Il calcolo seguente lo prova abbastanza. Le compagnie erano di 120 uomini, e ciascuna compagnia aveva quattro uffiziali. La proporzione del numero dei soldati uccisi e feriti a quello degli uffiziali avrebbe dovuto essere come uno a trenta essa fu nel reggimento di Baumgarten come uno a nove, nel reggimento di Prohaska come uno ad otto, e negli altri come uno a dieci. Alla testa di quei reggimenti r- colonnelli Rehischach e Benedek s'impadronirono dei ridotti di Montanara e Curtatone e ruppero la linea nemica. La sera mi recava all'ospedale: esso era perto contro un

:

i

;

dato volontario nella brigata Cuneo il 5 luglio del '16, il 1 novembre dell'anno stes-so venne promosso caporale e il 1 decembre sergente. Il 21 febbraio del 1824 fu nominato sottotenente soprannumerario, e

il

26 gennaio del 1825 sottotenente effettivo nella brigata di Pinerolo della quale divenne luogotenente d'ordinanza aiutante maggiore in se-

;

conda il 14 maggio

'31 e aiutante maggiore in seconda il 81 marzo Promosso capitano l'II febbraio del 1839, divenne maggiore il 26 febbraio del '48; e col grado di maggiore, addetto allo stato mag-

del '82.

gioro, entrò nell'esercito toscano l'o^pt-daln di

nara

il

2i)

il

23 del successivo marzo. Mori nel-

Mantova per le ferite riportate nella battaglia di Monta-

maggio.

Degli altri due uffiaiali sardi, colontxello Giovanni

Campia e capi-

tano Davide Caminati, sarà parlato più innanzi.

Mazzri, CitrUgfiio famigliare dal marzo al luglio 1848 un milite del 2.' battaglione fiorentino, Pistoia, Fiori, 1903, p. 106. (2i Ok()R(ìe i»b PiMoDAN, Souvenirs de lo guerre d' Italie sous le ma-

\\) Lkoi'oi.ik»

di

rèchal

Uadetzky : nella

agosto 1850, pp. 616-66;'

}'••>,,,.

./„s

Deux Monde», tom. VII. i«ho. del 15


— 352 — nove uffiziali di un battaglione di Baumgarten erano riuniti irl una stanza. Uno di essi avea ginocchio rotto da una granata e pregava che gli fosse tagliata la gamba; lì presso il capitano conte Thurn, calmo e tranquillo, dava l'addio ad alcuni uffiziali che lo circondavano. Una palla gli aveva passato lo stomaco mentre marciava all'assalto del ridotto di Montanara e gli restavano poche ore di vita. Trovai anche là uno dei miei nuovi compagni, il povero Schònfeld, che avea lasciato la sua fapieno dei nostri

feriti:

il

miglia

e

cominciato a servire sol

quella battaglia.

pochi giorni prima di

Mi assisi sul letto per

ma

incoraggiarlo,

non avea bisogno delle mie consolazioni rideva della sua mala ventura, scherzava sulla sua ferita, e intanto tre giorni dopo egli era morto. Tornato a casa, fui spedito a recare ai generali Wratislaw e Wocher l'ordine di marciare il giorno appresso. Partii in vettura, ma cadaveri che si trovavano nella strada delle Grazie, spaventarono cavalli, che non vollero avanzare. Fui costretto di scendere e far la via a piedi » (1). « Glorieux combat » è chiamato dal generale Ulloa il « les écrivains autrichiens quale soggiunge eux-mémes on dit que la résistence des italiens fut héroYque, et ce n'est que justice » (2). Credettero essi di tale e tanta imegli

;

i

i

;

:

portanza questa

vittoria,

che, oltre

molte decorazioni

mi-

nori, dispensarono a diversi uffiziali quella di Maria Teresa, grandemente ambita, perchè conferiva la nobiltà ereditaria, privilegi alla corte. Di più, impoil titolo di barone e molti sero il nome di Curtatone a uno de' loro bastimenti da

guerra.

È ben naturale che piacesse tare,

di

«

il

general De Laugier sempre si com-

questa non breve, né inonorata fazione mili-

combattuta da un pugno di uomini, privi di mezzi opche per la prima volta vedevano il fuoco, contro

portuni,

un'armata numerosa, istruita, agguerrita, provvista

di copio-

Memorie della guerra d^ Italia del (1) Giorgio De Pimodan, MDCCCXLVIII, Bologna, tip. all'Insegna di Dante, 1862, pp. 99-100. Le general Ulloa, Guerre de V indépendance italienne en 1848 en 1849, Paris, Hachette, 1859, tom. I, p. 232.

(2)

et


- 3ó3 sissima artiglieria, condotta da antichi ed esperti generali,

animata dalla presenza dei principi imperiali e dello stesso imperatore futuro^. Giustamente lasciò scritto: «Vecchia

ed onorata reliquia dell'Impero, senza presunzione o

spi-

rito di parte oso affermare èsservi nella storia militare ben pochi fatti, che per l'effetto prodotto, e per la sproporzione delle forze, e per la lunga ostinatezza nel combattere a questo somiglino ». A ragione gli uscì di bocca « Il prode maresciallo Radetzki rese in iscritto ed a parole completa :

giustizia al generale

Liechtenstein,

altri

ed

ai

soldati

generali ed

toscani;

il

principe

di

non che giornali sola Italia ed in specie

uffiziali,

i

non fecero di meno; la Piemonte e Toscana sdegnarono retribuirne uguale giustizia ed all'uno ed agli altri » (1). Non tutti però in Piemonte gli furono ingrati. A buon conto austriaci

Gabriele Massimiliano Ferrerò dette questo giudizio

:

« L'in-

trèpide courage des Toscans déjoua les projets de l'ennemi

de s'attendre à une si héroìque résistence, et donna le temps à nos troupes d'effectuer les dispositions nécessaires pour ne pas étre surpris à l'improviste » (2). Così giudicò quella battaglia Ferdinando Pinelli « Soccombettero Toscani, ma soccombettero con gloria; e la vigorosa resiqui était loin

:

i

stenza loro preparò

la vittoria riportata

truppe piemontesi; ond'è che essi

all'indomani dalle

hanno acquistato

cruenti campi di Montanara e Curtatone diritto all'eterna

nei ri-

conoscenza d'Italia (3). Che Toscani a Curtatone e Montanara opponessero agli austriaci < vigorosa resistenza » lo riconosce il conte Carlo Canera di Salasco, capo dello stato maggiore generale (4). Un altro piemontese Giacinto Pro'

i

ci) Db LaiToiek, lUuatrazioni al Rapporto sulla battaglia del 29 maggio 1848 a Curtatone e Montanara. Si conservano tra le carte del Minuterò della Guerra nel U. Archivio di Stato in Firenze. Cfr. Nk-

Rucci, Op. cit., p. 259-276. (2) Oahhikl Maximilibn Fbrrrro, Journal d'un offlcier de la brigade de Savoje sur la campagne de Ijombardie. Senza anno, luogo e

nome di stampatore, p. 80. (8)

Frkdinani») Pinri.li, Storia militate del Piemonte, Torino, Unione

tipog^fico-etlitrice, (4) Scrisse nel

1856, voi. Ili, p. 429.

suo Diario:

*

2iì

lunedi.

11

corpo toeoano assalito a


— 354 — vana di

di

Collegno

sfogarmi teco

per

la patria

!

— scrisse a Gino Capponi in

una parola

di

:

«

Ho bisogno cadde

simpatia per chi

nostri toscani, combattendo disperatamente,

I

fermando il nemico per mezza giornata, hanno dato tempo ai Piemontesi di concentrarsi per resistere il giorno dopo al grosso delle truppe nemiche. Lode a tutti coloro che combatterono il 29 e 30. E ai toscani poi lode doppia per aver dimostrato che anche volontari italiani possono combattere davvero » (1). Questo il giudizio di Cesare Balbo: « Radetzki, l'insultato, ma ammirabil vecchio di 86 anni, si moveva da Verona a dì 27 [maggio], per far levar l'assedio [di Peschiera] con bella operazione. Veniva a Mantova (28), assaliva il mattino appresso con 40.000 5.000 Toscani e pochi Napoletani, staccati od anzi, pur troppo, sacrificati a Curtatone e Montanara; e Toscani mostrarono costì non essere la mancanza di valor naturale, e nemmeno quella della disciplina che impedisca di diventar militare, ma solamente la colpevole trascuranza de' lor governanti, forse l'avarizia del paese non vuole avere esercito per non ispendervi. Ad ogni modo, si fecero uccidere i

i

i

al

loro posto, gloriosamente. Né forse inutilmente del tutto i

da tal resistenza od altro, non proseguì in quel giorno, e non giunse se non alla dimane (30) all'attacco disegnato sulla punta della destra Piemontese a Coito » (2). Al Balbo fin dal 13 maggio del '48 aveva scritto Gino Capponi

che, fosse Radetzki indugiato il

fatto sta ch'ei

:

Paese militare in

Italia

non siete altro che voi, e noi siamo

di

Montanara e Curtatone da forze molto superiori, venute da Verona, è battuto ed in parte distrutto, malgrado vigorosa resistenza. La maggior si ritira su Goito, alcuni sopra Bozzolo e l'Oglio » Cfr. Mario DEGLI Alberti, Alcuni episodi del Risorgimento italiano illustrati con

parte

lettere e

.

memorie inedite del generale marchese Carlo Emanuele Fer-

rerò Della Marmora^ principe di Masserano ; nella italiana recente »

,

Biblioteca di storia

voi. I, p. 305.

(1) Lettere di Gino Capponi e di altri a lui, Firenze, Successori Le Mounier, 1883, voi. II, p. 410. (2) Balbo Cesare, Della storia d^Italia dalle origini fino ai nostri tempi sommario, Firenze, Le Mounier, 1856, pp. 471-472:


— 355 — Kran lunjra il meno guerriero per ogni ragione tradizionale, sociale, economica, ecc. ecc.: a questo non v'è riparo. Fiù di duemila soldati

Tanno è impossibile fare in Toscana, come ora stanno

le

cose.

11

Governo, due o tre mesi fa, propose una leva di quattromila sulle annate già decorse: io

primi a contrastarla, e non

fui de'

me ne

pento. Credo non s'avrebbono avuti i soldati, e si avrebbe guasta l'opinione. I contadini, che sono l'aristocrazia nostra or il popolo so-

vrano, oggi tirerebbero fspero) le fucilate ai tedeschi, se venissero;

ma d'arrolarsi non hanno voglia: si sarebbe guasto senza sugo spirito pubblico, tanto migliore oggi d'ogni

Io

speranza che si potesse

avere mai: i nostri contadini vivono a casa troppo meglio che in

caserma. E questo basti a mostrare che si è fatto e si fa quello che si

poteva e che si può: a leva

finita, si sarà cavato di Toscana cin-

quemila soldati in pochi mesi. Che non ci siamo preparati diciotto mesi prima lo so, e me ne duole: chi si è preparato? e chi ha osato innanzi tempo darsi aria bellicosa? Per voi altri, qualche deficienza nei preparativi immediati guastava poco, perch'eravate già guerrieri

da secoli: per noi si voleva creare dal nulla, ch'era darsi più apparenza, con forse minore

effetto. Accusano

i

volontari

:

che gli uf-

che i soldati veri si lamentino dei volontari, e che

fiziali di linea,

chiamino un impiccio ia intendo. Ma in questo impiccio, guar-

gli

date le cose un po' più in largo, è pure una gran forza d'Italia; quella che oggi

si

può avere e conta pure qualcosa. Che forse conta

nulla

una dimostrazione nazionale, di gente molle ed inerte fino a

ieri, e

che senza correre in casa pericoli, va lieta a cercare le palle

oltre Po, e vi rimane? Non

che Il

in loro soli è l'Italia

si

umilino, perdio, quei poveri giovani;

(l).

Governo Toscano, appunto nel maggio, non mancò di

render ragione della scarsezza del proprio esercito, stam-

pando

nella Gazzetta ufficiale

guerra ad un

tratto.

L'eroismo

di di

Firenze:

Milano

la

Scoppiò la rendè in un

«

subito necessaria, irrevocabile, nazionale. L'intervento del

Re generoso e delle sopra tutte fortissime armi piemontesi, all'Italia fiducia di compierla, e dovere di partecipare ad essa con quanti maggiori sforzi si poteva da ogni provincia. Prime ad avere passato il Po furono le armi toscane uscirono dalla terra sì lungamente pacifica per an-

diede

;

1)

Cai'I'uai

u,.>,.,

voi. II, pp. 394-396.

l^n

'''ronze, Succeswori

Le Monnier, 1883,


- 356 dare a porre sé medesime senza sotto gli ordini del

rispetti,

Re guerriero. Qua) sia

senza ambagi, il

loro

numero

fu scritto già in questo foglio officiale e quelle cifre di assai

son cresciute ora, e sempre

piij

cresceranno per l'invio al

campo di nuove milizie regolari e volontarie che Governo non trascura di fare a mano a mano che nei Depositi si trova raccolta e addestrata. Questo numero può esser giudicato scarso da chi volesse cercare in Toscana numero il

soldati proporzionato a quello

di

che viene fornito dal bel-

licosissimo Piemonte, necessitato da secoli per la sua geografica posizione a stare sulle armi e tutto a quelle rivolto.

Ma non è questo poi tanto scarso per la Toscana. Ognuno sa

come le precedenti condizioni fossero al tutto contrarie

;

e ognuno sa che un esercito non può essere improvisato in sei mesi,

nemmeno per via di articoli di giornali, buoni più

presto a consumare e a disfare che a creare l'esercito »

(1).

Cosa pur troppo vera. Il Radetzki non rifiniva di levare alle stelle giornalisti d'allora. Durante la guerra del ^48 andava dicendo essi mi han risparmiato la spesa i

delle spie.

cessario

(1)

Da loro sapevo appuntino quanto mi era ne-

(2).

Gazzetta di Firenze, n. 19, 22 maggio 1848.

Per testimonianza del De Laugier, « Radetzki complimentato per le sue vittorie del 1848 e 49 rispondeva Sin dal principio delle ostilità, ini ero accorto che i Piemontesi non avean generali ». Ctr. De Laugier, Concisi ricordi, part. II, pp. 265-266. Il Franzini, Ministro della Guerra, nella seduta del Parlamento Sardo del 4 luglio 1848 dichiarava con molta lealtà « Dirò che prima di partire per l'armata, io stesso, su cui vedeva, pur troppo, che il magnanimo mio Sovrano contava per la direzione della guerra, non che su io gli feci, per iscritto, le rimostranze che tutta la di altri generali nostra esperienza sul campo di battaglia, per quanto a me, non costava che da tre anni, come luogotenente di artiglieria a cavallo delle armate francesi; per quanto al comandante del primo corpo d'armata [Eusebio Bava], non costa che di due o tre anni di grado di capitano, abbandonato avendo l'armata francese all'età di ventun'anno; che quanto al comandante di un secondo corpo d' armata [Ettore Gerbaix de Sonnaz], non contava che di due anni di servizio come tenente negli usseri d'onore; che questo mi faceva dubitare che noi non avessimo, a malgrado di tutto il tempo che avevamo speso per imparare (2i

:

:

;


— 357 che condizioni

In

si

trovassero

le

milizie Stanziali

della

Toscana quando andarono in Lombardia è messo in piena evidenza dal De Laugier ne' Concisi ricordi. Ecco le sue stesse parole

per

la

«

:

Da trent'anni nulla essendovi di preparato

guerra, può esser facile immaginare quale e quanta

esser dovesse

la

confusione, il disordine e

la qualità degli

uomini e degli oggetti che si trovarono e presero in mezzo a tanta confusione e trambusto. Cannoncini da uguali, munizioni,

sieri

prendevansi

;

attrezzi

come venivan

sei,

alla

obu-

mano

furgoni, cassoni semi impudriditi, pesanti, rug-

ginosi; cavalli di posta e postiglioni, per

mancanza totale

di soldati del treno; truppe invecchiate nel

dolce far niente;

fucili

guasti e

tutti

a silice, niuno a percussione

tedesca; non carte topografiche; difficoltà

alla-

uffiziali

;

vestiario

in

parecchi

saperle leggere; tale, in succinto, l'aspetto di quel-

l'aborto d'armata. Il fiore di essa erano circa 80 cannonieri ed un centinaio di cavalleggeri, meglio educati militarmente

degli

altri.

!l

tutto insieme della milizia toscana

a circa 5000 uomini. pel

La miriade promessa

ammontava

dei

momento, non ascese che a 3500 uomini;

la

volontari,

maggior

parte giovani di distinte famiglie, professori, scienzati, universitari.

Fra

retrogradi, il

i

capi, gare, invidie, presunzioni,

inettezza,

non disposti ne capaci alla guerra. Il resto feccia

nostro mestiere, ed a me particolarmente che

prii la carica di

come

sette volte co-

capo dello stato maggior generale, del campo d'istru-

zione, dubitava, dico, di avere l'esperienza necessaria a cui affidare

il

successo della nostra armata e dell'indipendenza d'Italia. S. M., nella

prima volta che mi vide, mi disse che l'Italia dovea far da sé, e che non accettava le proposte di un maresciallo francese, che io proponeva come valente a raddoppiare il valore della sua armata ». Cfr. Atti del Parlamento Subalpino; Sestsione del 1848, Torino, Botta, 1866, p. 271. Di Carlo Alberto dà questo giudizio

il generale Alfonso La Marmerà: molta istruzione anche militare; era d'una bravura impareggiabile; ma disgraziatamente non posaadeva il seAso pratico per ciò che si riferisce alla disposizione delle truppe, e meno ancora per riconoscere il terreno. Egli difficilment<) sapeva orientarsi.

«Aveva molto spirito

e

Nella caiu})agna del 1848 i molti (>rrori commessi, e per retroc«'<iere in

provenivano ». Cfr. La iftilifitio,

i

quali dovemmo

pochi giorni dal Mincio al Ticino, da ciò in gran parte

Makmora

Firenze, Barbèra, 1876,

A., p.

Un episodio dei Hittorgimento

178.


— 358 popolo, che salvo alcuno, dei

di

soldato toscano ha

tal

intemerati,

piiì

poi vergogne, dispiaceri e disordini »

.

produsse

Aggiunge però

:

«

Il

amor proprio e discernimento da

potersi ottenere da

lui qualunque sforzo, purché imposto da chi stima od ama. Ma l'inoppiato Governo toscano dal 1815 al 1848 si occupò sempre dei preti, mai dei soldati. Chi dar poteva loro lezioni di militari esempi, d'amor patrio, di morale? I pochi residui di uffiziali che partecipato aveano, loro malgrado, alle guerre napoleoniche cinque anni? Ad essi, meno Iacopo Casanova, bravo uffiziale su-

periore,

ma illetterato; non parve vero poltrire ed

trire le

truppe, essendosi accorti esser

piacere

al

Governo.

I

nuovi

la

uffizialetti, figli

nobili e ricche famiglie, subentranti ai morti

collocati in riposo, eran

rare

i

impol-

miglior via

per

mal visti dalle

ed

ai

vecchi

naturalmente propensi a non alte-

morbidi sistemi trovati nella nostra milizia. Carceri,

bastone pei

ladri e

bestemmiatori,

Non è dunque prodigio, se

noncuranza del

resto.

soldati toscani, ad onta di tale educazione ed esempi, intatto seppero conservare l'onore della bandiera nazionale » (1), Il De Laugier ricevette « infinite lettere di congratulazione pel fatto del 29 maggio ». Tra gli altri gli scrissero il cone Pompeo Litta, il generale Teodoro Lechi, il prof. Carlo Matteucci e Francesco Domenico Guerrazzi. Questi due ultimi aggiungevano: «Però un'altra volta vinci! ».I1 De Laugier rispose « Datemi l'equivalente al nemico e allora, forse, vi appagherò ». Il Circolo di Firenze rivolse questo indirizzo i

:

Ai combattenti nella giornata del 29

maggio

a Curtatone, a Montanara, alle Grazie.

La Toscana fu piena di lutto all'udire quanto nemica si mostrasse fortuna alle eroiche prove del vostro valore; fu piena di lutto pen-

sando di quante valorose braccia, di quanti egregi intelletti fosse in un tratto vedovata l'Italia, a cui ella vi aveva educati e cresciuti.

Ma gioì nel pianto come seppe che in voi venne meno prima che il

valore la vita; che pochi, strenuamente resisteste a schiere sover-

(1)

De Laugier, Concisi ricordi, pp. 141-142 e 274-275.


- 359 — chianti in

numero di gran lunga le vostre; che l'aspetto della morte-

non vi fece retrocedere di un passo. Che sarebbe stato se aveste saputo che la vostra maravigliosa recerta, della disfatta inevitabile

sistenza assicurava una delle più belle vittorie che le armi italiane

abbiano nella guerra santa? Non vi confortò e non vi sostenne quel

non sigli estremi e al comando de' Onore ai prodi Napoletani, che divisero con voi la sciagura e la gloria di quella memorabil giornata L'Italia guerreggiante ripete con ammirazione. le vostre gesta per la bocca di tutti i suoi popoli l'Italia redenta scriverà i vostri nomi pensiero, eppure non cedeste se

capi. Onore a voi, prodi Toscani

!

!

;

fra

i

più efficaci cooperatori del suo riscatto.

La Toscana vi è grata, e confida in voi, che perseverando da forti, crescerete l'onor del suo nome, e farete ch'ella possa vantarsi di

aver avuta gran parte nella redenzione italiana. Se nel segreto del suo cuore materno ella deplora tanta ricchezza di coraggio, di valore e di senno di cui

riman priva, si consola pensando che, vinti

e vendicati, più giovò all'Italia la vostra sconfitta che ai nemici la

breve vittoria. Voi, sette ore durando a Curtatone, alle Grazie, a Montanara contro

un nemico cinque volte maggiore, otteneste una splendida vittoria alle fraterne il

armi

italiane.

Degnamente dopo sei

giorno della battaglia di Legnano. Sia

la

secoli

celebraste

fraternità delle armi

un'arra immanchevole della fraternità degli animi e la concordia

che ci

fa vincitori ci

darà finalmente una Patria.

Firenze, 7 giugno 1848.

A nome del Circolo suddetto ^

Il

Presidente, Chioso Marzucchi.

Il

Segretario, Pietro Touar.

Venne aperta anche una soscrizione per erigere Un monumento ai guerrieri toscani. Eccone manifesto: il

Nei giorni trascorsi ai

diletti fratelli

d'Italia, tutti

cittHilini

i

abbiamo pianto sull'immensa sciagura~i;he toglieva ai

più dolci amici, e

patria dei sooi il

ci siamo afTollati per le chiese a pregar pace che col loro martirio fecero più santa la causa

figli

i

più cari parenti, e faceva deserta la

più generosi.

È stato un lutto domestico di cui

nostro cuore non dimenticherà mai la profonda amarezza. Ma il

dolore di tutti

i

Toscani ha avuto un conforto dal pensiero che

I

hanno comb&ttato da prodi, che sono caduti da eroi^ e che hanno aggiunto una gloria novella alla patria. Dopo il pianto nostri fratelli

a

noi

ora rimane un obbligo, comandato esso pure dall'atTetto: ci


- 360 — rimane a onorare in più splendido modo

i

prodi campioni che hanno

confermata la loro fede col sangue. I nomi tiri

mar-

di questi gloriosi

meritano di essere scritti sul marmo, e di essere celebrati con

un monumento che ne eterni la venerata memoria. Perciò noi sotpreghiamo tutti i toscani ad unire insieme i loro sforzi per

toscritti

rendere questo il

13 e il 29 di

a tutti quei valorosi che

ufficio di pietà cittadina

maggio morivano combattendo contro il feroce stra-

monumento, in forma di colonna, o in altro modo creduto dall'art:", si avrebbe ad inalzare in una delle piazze di Firenze, e dovrebbe portare scritti tutti i nomi dei martiri. Questa niero.

Il

più conveniente

-opera sacra alla indipendenza d'Italia dovrebbe essere fatta colle offerte di tutti i toscani, col soldo del povero e collo scudo del ricco

e così sarebbe

monumento nazionale, non monumento

officiale,

onorerebbe altamente i morti e i vivi. Esso sarà argomento

:

e

ai fu-

turi per giudicare del valore mostrato dagli italiani di Toscana nella

guerra santa, e dell'affetto reverente che sentirono per essi concittadini.

I

i

loro

godranno i frutti dell'mdipendenza,

nostri nipoti, che

senza essersi trovati ai pericoli delie battaglie in cui fu conquistata, leggeranno con venerazione i nomi

di quei

generosi che

si

sacrifi-

carono per arricchire di un tanto beneficio la patria. Le madri con-

ducendo avanti al sacro monumento

i

loro

figliuoli

insegneranno

loro a pronunziare con affetto quei cari nomi, e narrando che quei

prodi combatterono per purgare il suolo della patria contaminato

da barbari uccisori di donne e fanciulli, accenderanno i giovani cuori che visiteranno le nostre con-

alla gloria e al valore. Gli stranieri

trade, trovando tra noi convenientemente onorati i martiri della patria, ci

stimeranno degni della libertà, e narreranno alle genti che

l'Italia è tornata all'antica grandezza.

Questo monumento farà anene

dimenticare l'obbrobrio delle statue, degli archi e dei sepolcri stosi eretti dalla vecchia tirannide

popoli, e cavarci in parte la

fa-

per eternare gli oppressori dei

vergogna dei monumenti medicei che

contaminano la bella Firenze. l

giornalisti e tutti

gati a dar

i

cittadini

amanti del patrio decoro sono pre-

mano con aprire soscrizioni e con tutti i modi che pos-

sono affinchè sia eternata la memoria dei martiri dell'indipendenza italiana.

Firenze, a dì 8 giugno 1848.

— —

Atto Vannucci Carlo Martelli Francesco Costantino Marmocchi Giuseppe Giusti — Giuseppe Arcan'

geli

— Giuseppe Mazzoni — Cirillo

MONZANI.


- ,%1

Il

prof.

presso

il

Carlo Matteucci, incaricato d'affari della Toscana Governo Provvisorio Lombardo, il 2 di giugno

scriveva, da Milano,

al

ministro Ridolfi:

Non ho termini per descriverle la profonda impressione fatta su tutta la città dalle gravi perdite, irreparabili, dagli enormi sacrifizi

Toscana per la santa guerra. La vittoria intera quasi che riportammo, la dispersione del nemico non bastano per consolare gli animi di questa buona popolazione. Già le signore fecero un indirizzo alle donne toscane. Il Governo ha fatto partire questa notte una ambulanza completa unitamente ad alcuni frati spedalieri ed un medico. Un incaricato milanese straordinario parte a momenti per la visita dei campi toscani e dei feriti, e verrà a Firenze per portare al Granduca e al Governo qualche parola di consolazione (1). Dimani vi sarà un servizio di chiesa (2) ed una colletta aperta in della

favore delle famiglie povere dei nostri perduti sul (1) Il

6 di giugno

campo (3). Tutti

generale De Laugier scriveva da Brescia al mi-

il

Giunge a questo quartier generale il sig. conte Taverna, incaricato del Governo Provvisorio di Milano, il quale si è dato ogni pena e premura per raccogliere nei vari spedali e ambulanze nomi degl'individui feriti, e che parte immediatamente per Firenze nistro della guerra:

«

i

con tutte quelle notizie che ha potute raccogliere » (2) Ebbe luogo nella chiesa di S. Fedele. Dopo la messa il prevosto D. Giulio Ratti disse

«

brevi ed eloquenti parole *; Achille Mauri

commovente discorso »

.

Cosi

\c iscrizioni.

Una diceva

il

«un

giornale II 22 Marzo. Del Mauri erano-

:

PRODI

.MILITI TOSCANI PRODI DEL BATTAGLIONE UNIVERSITARIO IL VOSTRO IMPETO MAGNANIMO RIVELÒ CHE POSSA IL Cl'ORE RINVIGORITO dall' INTELLETTO.

Un'altra:

GLORIA A VOI O PILLA E MONTANELLI MAESTRI D' ALTO SAPERE • CHE INSE<»NASTE ANCORA COME PER LA PATRIA fSI MORE. (3) Racconta II 22 Morto che l'accademia data nel Teatro Oircano « a b«neficio delle famiglie de' toscani caduti a Curtatone e Montanara > riusri « affollatissima > Della musica del maestro Panicza « piacquero il resto passò tnoMerrato, sebbene non privo di me1 due primi cori rito». La «poesia analoga» di Ottavio Tasca fu «Iodata per facilità .

;

e patrii concetti >


- 362 — i

giornali e

i

bullettlni del

Governo méttono in piena evidenza l'im-

menso servizio reso dai toscani nel giorno 29 all'Italia. Il loro eroismo sventò un piano nel quale si erano combinate tutte le armi interne

ed esterne dei nostri nemici. Radetzky con tutto

suo esercito e

il

arciduchi tentavano di aprirsi una strada sopra Cremona e Mi-

gli

si tentava un movimento per gettare abbasso Governo e sostituirne uno con alcuni che si ha grande fondamento di creder che fossero dall'Austria pagati. Nello stesso giorno giungeva un agente austriaco di alta polizia a Milano, che fu arrestato: a Pavia si tentò pure una sommossa. Ebbene: il nostro pugno d'eroi respinse un esercito quattro volte maggiore e non cede che alla fine della giornata e avendo così dato tutto il tempo all'armata piemontese di venire a Goito e battervi il nemico.

lano. Intanto a Milano il

De'

«

bollettini »,

parte, quello del 1

di I

il

Matteucci ricorda, trascrivo,

in

giugno:

fatti particolari,

parti,

che

Governo Provvisorio della Lombardia del

che di

mano in mano ci pervengono da varie

mettono sempre più in chiara luce il valore dell'esercito ita-

liano e l'importanza delle terribili fazioni combattute negli giorni di maggio contro

il

ultimi

nemico. La colonna austriaca che attac-

cava il 29 l'ala sinistra dell'esercito, mentre quella uscita di Mantova spingevasi sull'ala opposta, erasi mossa per Bardolino e Lazise coU'intento di venire in

aiuto

fu, con la solita atrocità del

dell'assediata Peschiera.

Bardolino

nemico, messa a ruba e. a sacco. Ma il

corpo de' volontari Pavesi, sostenendo per il primo da quella parte l'impeto austriaco, die

campo a tre distaccamenti

dei

reggimenti

Savoia cavalleria, Savoia fanteria e quattordicesimo Piemonte

di

sbaragliare il nemico e di ricacciarlo con gravissima perdita alla

terra di Caprino. Dall'altro lato, cioè da Mantova, l'austriaco met-

teva in campo ben ventimila uomini. Attaccarono

il

quartiere to-

scano da tre lati: alle Grazie, a Curtatone, a Montanara. I toscani,

dopo aver sostenuta animosamente la battaglia nelle prime due posizioni, si ritiravano in lo sforzo del

buon ordine verso Goito. Fu allora che tutto

nemico si rivolse contro le trincee di Montanara, te-

nute da soli duemila tra napoletani e toscani. E questi e quelli op-

posero un'eroica resistenza

di

ben

sei

ore sotto il fuoco più mici-

diale: ma' alla fine dovetter ceder terreno e raccogliersi in Bozzolo.

Una colonna di que' prodi, separata dal maggior nerbo, investita da una forza troppo prevalente e ridotta a mancar di munizioni per una bomba scoppiata sul convoglio che le trasportava, fece maggior


— 3(53 — sacrificio

mk>i e fu costretta di ripararsi a Guidizzolo. Una tale

di-

valorosissima resistenza dei toscani dava tempo ai piemontesi di raccogliersi con molte forze nei dintorni di Goito, ove nella mattina del 30 ricominciò la battaglia.

Questo l'indirizzo delle donne lombarde scane

alle

donne

to-

:

Ah

!

perchè mai l'animo nostro non può aprirsi interamente alla

stringe 11 nostro cuore si pensando a voi; noi vi veggiamo piangere e piangiamo con voi; troppo debole conforto, ma pur l'unico che a tanta sventura pos-

gioia di questa grande vittoria italiana?

siamo ortrirvi, o donne della Toscana. Noi innalziamo al cielo fervide preghiere per la pace delle anime di quei prodi

che pagarono col loro sangue la redenzione di questa

terra infelice: l'Italia redenta

li

proclama suoi liberatori: l'Italia re-

denta, esultante della propria salvezza, vi guarda e si conturba: madri,

spose, sorelle, esclama,

i

vostri congiunti caddero gloriosi pel

mio

trionfo.

Donne della Toscana, vi consoli Dio dei magnanimi vostri sacriquel Dio che vuole così fondare in Italia la perenne libertà e

ticii,

l'indipendenza perenne.

Lo sottoscrissero Teresa Manzoni e Costanza Arconati, Margherita Collegno e Giustina Verri, Marianna TrKulzio e Cristina Archinto Trivulzio, Marianna Borromeo e Luigia Casati,

Gina Somaglia e Luigia Melzi Brignole, Virginia

Bassi e Luisa D'Azeglio, Marianna Greppi e Costanza Ta-

verna, Carolina Litta e infinite altre (1).

Anche le donne bolognesi inviarono un care sorelle toscane »

.

Finisce

:

*

indirizzo

rendete al nostro affetto dolcissimo officio mandateci :

1

1

« alle

Di una grazia vi preghiamo i

;

nomi

L'ab. Raffaello Lambruschini scriveva da S. Gerbone, 1*8 di giugno

u Bellino Ricasoli

Hp08ta delle

:

«

Io porterò con

Donne Toscane

alle

me (a Firenzej una minuta di ri

Donne Lombarde

pel

loro indirizzo

Ve la farò sentire, e poi cercheremo soscrittori >. Cfr. BBrrriNO Rica SOLI. Ijettere e documenti, Firenze, Successori Le Mounier, 1887, voi. I p. i^ó^. L'indirizzo delle Donne Pisane alle Donne Lombarde, scritto da <'

>i

'rina Franceschi Ferrucci, fu ristampato da me. Cfr. Giovanni KZA, Memorie storiche della città di I*ixa dal 1838 al 1811, Pisa,

Valenti, 1871, pp. 106-109.


— 364 de' vostri cari e gloriosi estinti; di tutti, e che né pur uno ne manclii. Di quei nomi noi donne ce ne fregeremo il seno: sarà sublime ornamento per noi, e forti ci renderà alle dure prove clie ci rimanessero a sopportare ». Tra le soscritc'è Maria Di Serego Allighieri ne' Gozzadini, una discendente di Dante. Anche gli uomini di Bologna mandarono ai « generosi fratelli toscani » un indirizzo. V'è scritto « Finché non avremo al tutto spezzate le nostre catene

trici

:

sulla fronte esecrata degli stranieri tiranni,

ricorderemo le

guarderemo a quelle ferite ed il sangue de' vostri eroi tombe, ed impugnando le armi, faremo sacramento di non ;

deporle se non colla morte de' forti, o col trionfo

indipendenza »

lica

.

sare Bianchetti e di Filippo del

quelli

cardinal

dell'ita-

Tra' soscrittori, accanto ai nomi di Ce-

Luigi

Canuti,

Amat

due

patrioti

del '31,

e del P. Paolo Venturini

provinciale de' Barnabiti.

A Milano venne poi presentato al Governo Provvisorio seguente istanza:

la I

sottoscritti

profondamente commossi dalle notizie dei patimenti si trovano esposti i molti feriti nelle ambu-

a cui necessariamente

lanze del campo, dichiarano al Governo di essere disposti a procacciare gratuito ricovero e cura a tutti i feriti dei corpi de' volontari italiani

che fossero trasportabili a Milano, o nelle vicinanze, e tra

questi specialmente ai Toscani e Napoletani feriti nel 29 maggio ora scorso. Nel fare questa offerta i sottoscritti in

non parlano solamente

nome proprio, ma in nome dei generosi concittadini, che già die-

dero

le

più belle prove di pietoso animo verso i

feriti delle cinque

giornate, e che tutti sarebbero lietissimi di accogliere nelle proprie

case della città o della

campagna alcuno tra i prodi nostri fratelli

feriti.

Faccia il Governo conoscere questo vivo desiderio dei Mila-

nesi,

ponga in opera ogni mezzo per farci pervenire tutti quei vo-

lontari italiani le cui ferite consentano

il

trasporto, ed

i

Milanesi

saranno pronti ad attestare col fatto al valoroso esercito italiano la propria gratitudine ed a rendere qualche servigio a chi espose la vita

per la nostra libertà.

Questa la risposta: II Governo Provvisorio applaude al pietoso e patriottico sentimento che dettò il nobile indirizzo. Egli ne ringrazia, in nome della


-

Patria,

f^enerosi

i

soscrittori

:365

e

quant'altri

vorranno seguire

ne

l'esempio; egli va superbo per l'onore di questa Milano, che più nomi

donne fregino un foglio in cui s'inizia un atto di carità prepara l'unione in un fascio delle varie genti italiche: tutto presagisce non lontano 11 giorno in cui l'italica unità, sospiro di tanti secoli, sarà un evento 'compiuto. È bello intanto che gentili

cii

cosi fruttuoso. Tutto

i

vincoli della fratellanza siano resi più stretti ^ai dolci sentimenti

della pietà e della gratitudine. Il Governo avrà cura che il desiderio dei .Milanesi, espresso in codesto indirizzo, sia in ogni parte adempito.

Tra le gentili donne», che sottoscrissero figurano Teresa Manzoni, Luisa D'Azeglio e Costanza Arconati. Anche TUniversità di Bologna con una « solenne messa di requie » raccomandò a Dio « le anime di que' prodi »; e porse un « tributo di dolorosa ricordanza » al nome illustre di Leopoldo Pilla « irreperibilmente rapito alla sapienza italiana». Il Comitato di guerra in Brescia volle compiere « un dovere sacro e cari) verso tutta la prode preclara gioventìi toscana, che milita nell'esercito liberatore della Lom<

bardia *

,

quale

la

percossa da un nemico quattro volte

«

superiore di numero, sostenne una lotta eroica, sofferse crudeli, irreparabili «

Il

Lei le

Comitato

si

perdite >, scrivendo al generale De Laugier:

terrebbe favorito dalla fortuna se

per

di

mezzo potessero rinvenirsi sul terreno in cui caddero

spoglie dei due professori

pisani

morti

nella

battaglia

29 caduto, onde dar loro onorata sepoltura in una delle afche marmoree di questo nostro camposanto, destinata dalla del

carità cittadina ai prodi

che versarono

santa causa italiana. Ella, di

fare

verso

ogni

la

possibile

sig. generale,

diligenza

il

loro

sangue alla

è pregata pertanto

per scoprire ed

avviare

nostra città questi onorati corpi, dandone preven-

tivamente l'avviso, onde siano degnamente ricevuti. Questa pia inchiesta aggiungerà nuovo lustro al di lei chiaro nome ».

Alla propria volta,

cero istanza Pilla e del

al

i

professori dell'Università

di

Pisa

fe-

Governo granducale, perchè le spoglie del

Montanelli fossero, invece, trasportate a Pisa e

sepolte nel suo vecchio e famoso camposanto. 11 Governo,

lodando «questo generóso pensiero», promise di soddisfarlo < quanto prima Io consentissero le condizioni della /{ Kitorg. ital., XIII


— 366 guerra e quando

si abbia certezza che anclie il prof. Moncadesse estinto sul campo, non essendosi perduta ogni speranza ch'egli sia salvo » (1).

tanelli

(1) Infatti era vivo. € Dall'ospedale militare di Mantova » ,il 26 giugno,

scrisse a

Gino Capponi

:

«

Non mi la maraviglia che mi abbiate creduto

morto. Io stesso son stupito d'esser vivo. Sentii e

ti

il

ghiaccio della morte,

assicuro che morivo contento. Sul principio la mia ferita dava

qualche pensiero. Sentivo una grave compressione al petto dalla parte

muovere il braccio sinistro ma a poco a poco ho riacquistata la libertà del respiro, e comincio ancora a muovere il braccio lo che prova che non c'è nessuna lesione profonda. A misura del cuore, e non potevo

;

;

che progredisco nella guarigione sento più il peso della prigionia, ma sono rassegnato a soffrirla ancora per anni. Il giorno 29 comincia un'era

nuova per la Toscana. Dovevamo mostrare che anche i toscani sanno morire per una idea, e credo che dopo la prova di Curtatone e di Montanara nessuno oserà più metterlo in dubbio. Vincere era impossibile,

ma la nostra resistenza fruttò la vittoria di Goito > Solenni esequie in onore e a suffragio de' caduti Pisa, il 6 giugno, nella chiesa primaziale, e

si

celebrarono a

Sbragia ne disse le lodi, facendo particolare e mesto ricordo del Pilla e ricordando pure il Montanelli, che da tutti si teneva per morto e la sua morte era pianta con lagrime schiettissime. Cit. Parole dette dal prof, canonico Ranieri Sbracia nella primaziale di Pisa, il giorno 6 giugno 1S48, per le solenni esequie degli estinti sotto Mantova nella gloriosa giornata del 29 maggio, Pisa, Prosperi, 1848, pp. 6 e segg. A Figline furono celebrate solenni esequie al Montanelli e al- suo scolaro Torquato Toti. Sulla porta della chiesa si leggeva questa iscrizione, dettata daìl'ab. Raffaello Lambruschini PREGHIERA DI COMPIANTO E DI BENEDIZIONE PER TORQUATO TOTI E GIUSEPPE MONTANELLI CONGIUNTI IN VITA E NON SEPARATI NELLA MORTE: PER I FIGLINESI E I TOSCANI TUTTI CHE SUL CAMPO D 'ITALIA EBBERO LA PALMA DEL MARTIRIO VENITE, O FRATELLI, NEL TEMPIO DDL. SIGNORE LE LAGRIME VERSATE NEL SENO DI DIO CONFORTANO IL DOLORE E NON FIACCANO IL CORAGGIO. Il Montanelli, il 28 di maggio, aveva scritto, da Curtatone, ad Adriano il

prof. Ranieri

:

Biscardi

:

«

Che ti dirò del nostro campo? Dopo le glorie del 13 nulla di

nuovo. Vuoi ridere ? Siamo tornati ai foglietti. Facciamo dei proclami in latino, in ungherese, in italiano, e la mattina li andiamo ad affiggere fino sotto il tiro del cannone di Mantova. Sono diretti a guadagnare alla nostra causa la guarnigione ungherese, che già si dice ben disposta per noi »


— 367 — Singolare questa lettera d'un milite del Battaglione Uni-

È scritta

versitario.

il

23 di maggio « dalla spianata delle da Carlo Livi di Prato, che doveva

Grazie sotto Mantova >

,

un insigne psichiatro. Spigolo: < Eccoci qui al quartier generale delle Grazie a tre miglia sotto Mantova, che colle sue nere torri e la gran cupola di Sant'Andrea che le signoreggia nel mezzo, pare che levi le braccia e il capo e domandi, in nome del suo Virgilio e della comun madre l'Italia, la liberiamo dalla contaminazione tedesca. Il nostro poi divenire

servizio è aggravatissimo, e lo alterniamo un giorno sì ed

Quand'io ricevo le lettere del mio un no coi granatieri povero babbo, scritte là alla buona, ma con tutto il cuore d'un popolano, con la benedizione in fondo sempre, e dove mi dice che pensa sempre e prega in casa per me e per l'Italia, mi vengono le lacrime, e con le lacrime orgoglio e reverenza, e speranze grandi in questo popolo che ha in germi della vera virtù e civile grandezza sé Che ha da far l'Italia di tanti dottori ? È tempo che tutta questa gioventù, sciupata dall'ozio e da studi indigesti, si ritempri nelle severe discipline delle armi. L'Italia è anche dotta abbastanza; e ora dell'esser fjrte, più che d tta veramente abbisogna > In una lettera, scritta da Castiglione delle Stiviere « il di dell' Ascensione così racconta a Cesare Guasti quanto operò il Battaglione il 29 di maggio: i

.

>

Il

,

fuoco era già cominciato di mezz'ora quando

venne

ci

il

co-

mando di avanzare verso Curtatone, mezzo miglio distante. Fremevamo d'impazienza e d'ardire. Ci fecero fare alto a mezzo la via: razzi per aria, che si sentiva la romba delle palle, e si vedevano i

pareva una grandine. Io non mi potevo tenere, e con pochi de' più animosi lasciammo al

le Ale, e via

a corsa verso il campo. Arrivammo

ponte di Curtatone: eravamo proprio in mezzo alla tempesta: le

razzi, la mitraglia ci fioccavano sopra da tutte le parti: era i prima volta che le nostre orecchie si trovavano a quell'armonia; un momento esitammo, ma tino di noi, non so chi, gridò: avanti; e avanti ci precipitammo tutti, andando a porci dietro le barricate, palle, li

mescolati con i granatieri e con i volontari fiorentini. Nessuno però aveVa persa l'usata baldanza, la stessa allegria; caricavamo e scaricavamo come se fossimo ud una caccia piacevolissima. Ma la cam-

pagna dinanzi alle trincee era folta di grano e di alberi tiravamo, ma :


— 368 — senza mira. Dopo un'ora vidi arriv.are il nostro Battaglione, eh' era stato chiamato a soccorrere la sinistra, che cominciava a pericolare, lo era a destra cogli altri, e ci conveniva ripassare il ponte: que' sol-

dati si raccomandavano non tornassimo ad esporci ; ma chi ci avrebbe

tenuto? Ci riesci d'arrivare là salvi: eravamo co' Napoletani:

at-

taccammo un fuoco vivissimo, lo era accanto al capitano Pilla (i); ad un tratto lo sento gridare: son morto, q mi cade a'* piedi (2). Non ti so dire come rimanessi; un colpo di mitragliagli aveva aperto ventre e rotto un braccio, pure continuava a gridare Vivai" Italia.

il

Lo presi con un altro e a gran fatica mi riesci a trasportarlo indietro: credevo di morirgli sopra: dopo due minuti era spirato. Allora lo raccomandai ad una ambulanza, e cee,

me ne ritornavo alle trin-

quando per la via trovo il povero Luti (3) ferito nelle gambe,

il) Nato a Venatro (Terra di Lavoro) il 20 ottobre del 1805, dal 25 gennaio del '42 insegnava geologia nell'Università di Pisa, la quale ne conserva nella sua Biblioteca i manoscritti^ che formano diciassette grossi voluni. Cfr. U. MoRiNi, Pensieri di Leopoldo Pilla; nella e Miscellanea di erudizione» diretta da Pio Pecchiai, supplemento al fase. II dell'ann. I, pp. 27-29; e E. Michiel, Per Leopoldo Pilla [nel primo .

I

centenario della sua nascita), note ed appunti inediti \1842-1848) €

Miscellanea » stessa, ann.

I,

;

nella

fase. 5, pp. 186-200.

Lo stesso Livi, il 30 maggio, scriveva da Guidizzolo alla fidanzata:

(2)

Ero io accanto al povero Pilla; c'incoraggiavan\o a vicenda, gridando Ad un tratto una mitragliata lo ferisce in un braccio Viva l'Italia Non fu « una mitragliata », ma e nel corpo e me lo fa cadere ai piedi » « una palla di cannone » che « gli ruppe l'avambraccio destro e gli squaruno de' militi anch'esso del ciò il fianco », afferma Gherardo Nerucci Aggiunge inoltre: «Portato più indietro su fucili di vari, Battaglione. dopo circa venti passi spirò e fu lasciato in mezzo a un aia, dove io lo vidi e toccai nel ritirarmi. Cadde gridando: — 7 roppo presto / Viva E che gridasse cosi e fosse messo cadavere in quell'aia me Italia. lo conferma pure il milite Tognetti Domenico di Bedano in una sua lettera del 15 decembre 1890 ». Cfr. Nerucci, Ricordi storici del Batta«

!

.

,

'

glione universitario toscano. Prato, Salvi, 1891, pp. 289-290 e 333-334. (3) Raffaele Luti di S. Angelo a Lecore (Campi Bisenzio) apparte-

neva alla 3.* compagnia, di cui era capitano il prof. Luigi Pacinotti. « Ferito presso di me da un razzo alla congreve, che gli dilaniò le gambe, in mezzo alle più atroci sofferenze ci eccitava a combattere ed a vinCosi Torello Ticci della Castellina nel Chianti, suo compagno cere» d'armi. Odoardo Triscornia di Carrara gli prestò cure pietose. « lo non racconta conoscevo il povero Luti nel momento della catastrofe sua » « ma è un fatto che all' imboccatura della via in una sua lettera maestra nella ritirata mi si parò dinanzi nella strada un giovane su*^ .


— 369 che gemeva e si raccomandava lo togliessimo ai pericolo. Non ne potevo più, ma pure mi sforzai a soccorrerlo: con lui indosso rifatica, e a fatica mi riesci adattarlo di contro a il ponte a un muricciolo, per assicurarlo meglio. Ritornai di nuovo alle trin-

passai

cee: la pioggia micidiale cresceva:

si

sentivano

i

gridi feroci degli

Ulani e della cavalleria che s'avanzavano, s'avanzavano a grandi

Quel che facessi di poi, quel che seguisse non saprei dirtelo ritirai che al secondo suono del tamburo, quando

passi.

;

so che non mi tutti

i

soldati s'erano già sbandati pe' campi. Che

momenti terribili

quelli della ritirata! Il pensiero d'una fucilata nelle spalle mi faceva

più paura di tutte quelle mille bombe a cui aveva esposta la faccia. Alle Grazie si riesci alla meglio di ordinarsi e cosi ci ritirammo verso Coito. Ti dico che

non cedemmo che alla prepotenza del nemico.

Ma quello che non è da tacersi è il coraggio mirabile de' nostri professori: tutti sotti se

si

portarono in modo degno del loro nome. Mos-

ne stava là fermo e impassibile nel mezzo di noi come un

vecchio ufficiale di Napoleone. E si che la sua vita è preziosa. La

mattina dopo, al levarsi, si trovava con una palla in tasca. Ferrucci capitano e suo

figlio

seppero mostrarsi degni del loro nome che

portano. Montanelli, ch'era comune fra le

gravemente, e

fu

file

pisane, rimase ferito

portato via a viva forza sul campo.

Non finirei

mai se volessi a una a una ricordare le prove di coraggio, d'intrepidezza, di carità verso i feriti che mostrarono i nostri. vent'anni, che mi stese

le braccia, e con lui un altro mortalmente tedue gambe, per cui le polpe gli erano girate davanti. Mi feci aiutare da due soldati biaìichini a raccoglierlo ma questi, dopo un breve tragitto, non vollero stare più alU'assistenza, perchè veduto incalzare il pericolo, mi abbandonarono. Io allora quest' infelice me lo

rito alle

;

che a cento metri trovassi due carri, uno di munizione e l'altro col cannone. Mi attenni al primo e posi il ferito salla pedana ed io salii sul cassone accomodando bene diiigraziato giovane. Ma, ahimè, qual vista! Eccoti il postiglione, il stacca (-avalli dal carro di munizione e li nietu> a quello del cannone.

feci caricare sulle spalle e provvidenza volle

i

Gli atiHtriaci tacevano fuoco vivo sulla strada in quella diresione e al-

pormi in salvo, rifugiandomi irr le ruote e soetenendo il Povero giovane Soffriva immensamente e sempre mi diceva che lo gettassi nella fossa, che per lui tanto non vi era più rimedio. Ma io tenni fermo e in due minuti fu posto in salvo nell'ambulanza, dove erano altri due feriti, e mandato via, ma quasi mancante di respiro*. Trasportato a Ooito, mori il giorno dopo. K a stampa nei Calendario Pratese [ann. IV, p. 145 e sgg.J la commemorazione che di lui soriMe lora pensai

ferito.

Carlo Livi, suo

!

compagno d'armi.


— 370 — Oh il sacrifizio l'abbiamo

fatto,

vale per mille croati, per tutto feriti

l'

ma grande. Un Pilla certamente

esercito austriaco. Noi, tra morti»

e prigionieri n'abbiamo perso un

sesto de' nostri: e questo

mostra che nessuno mancò in quel momento al dovere. Abbiamo a

compiangere la perdita di carissimi giovani, speranze bellissime della famiglia e della patria (1).

Vincenzo Malenchini di Livorno, capitano della intrepida compagnia di bersaglieri che a Curtatone fu l'ultima a ritirarsi, si affrettò a scrivere ad uno de' suoi amici di Pisa :

Beppe Montanelli a Curtatone.

il di

lui eroismo

modo venir con me ogni volta che io avevo a fare recognizioni — Ad ogni allarme accorreva pronto alla trin-

ogni di

— sento necessità di raccontarti

!

— S'era aggregato alla mia compagnia. — Voleva ad

qualche pericolo.

cera assegnata ai miei per la difesa.

11

29 io fui mandato a ricono-

— non gli feci saper nulla, perchè così facevo ogni volta che poteva evitar d'esporlo — vidi tedeschi che avanzavano — ebbi le loro .prime fucilate — rientrai al mio posto. — Beppe era già al suo — sereno — senza esitazione; — fuoco vivissimo d'ogni specie d'artiglieria — la nostra principia trincera era un muretto debole — mal fatto — spesso lo passavano le palle di cannone — così era già morto uno de' miei, due altri feriti — una ne viene che fa piegarlo là dove stava Beppe, e io mi scere se

tedeschi avanzavano

i

i

il

faccio presso a lui, e insisto che

vada in un

altro

punto dove

al

muro s'univa una trincera di terra che le palle non potevano attraversare.

— Egli quietamente e tenacemente

si

ricusa, sicché dovei

— Dopo diverse ore di fuoco la nostra artiglieria

far la sua volontà.

tace

— alla baionetta sulla riva del lago si avanzano plutoni te-

(i)

Questa lettera fu stampata anonima nel giornale fiorentino La

Patria. Col

nome del Livi, la riprodusse Isidoro

Lungo a pp. 50-

del

52 del voi. VII delle Opere di Cesare Guasti, Firenze,

1912

;

in-8°. Indirizzò

lacrime miste di allegrezza e di dolore roso e bravo

tìglio,

tip.

Barberà,

una lettera anche al padre, che gli rispose

questi due versi:

ti

scrivo, caro

e

:

Con

bono e amo-

non posso assai esprimerti il pia-

cere e la consolazione che rese ieri sera la tua cara lettera, tanto a noi,

che a tutta la città; come pure di piazza del

all' un'ora

precisa fu letta in

mezzo

Duomo da Martino Pampaloni. Sopra lui era ritto s'un

tavolino e appena che ebbe letto la detta lettera fu

un viva generale

bravo giovine Carlo Livi..... La città di core ti saluta... Il tuo bono e amoroso padre ti bacia e ti dà la sua paterna benedizione. Giovanni Livi ». È in data del 1» di giugno. e si diceva e viva

il


— 371 — deschi contro

il

nostro posto di sinistra

il

posto cede

— a questa

Andiamo a sostenerlo — lo grida Beppe con me, e miei ci avviammo alla strada del mulino, per passare a

vista io grido:

con tutti i

sinistra. Giunti sulla strada del

mulino troviamo che verso il posto

non c'era più nessuno, che lolla di soldati e uffiziali s'avviavano al

Dicono a noi ripetutamente ordine generale di ponte e lo passavano. Noi gli seguiamo, ma arrivati al ponte ricusiamo d'andar ritirata.

— più oltre — a grida domandiamo ordini, che nessuno dà. — razzi, le granate, le palle piovevano. — Beppe conforta con j)arole di fermezza a resistere — parte di noi ritorna alla trincera — parte va I

al

mulino,

— là

si

tenuti

ma poi ci riuniamo, quanti eravamo restati, al

continua vivamente il

nostro fuoco, ed

mulino

i tedeschi son trat-

— io scendo al piccolo scalo dov'era Beppe — mi viene in-

contro esclamando: Povero Pietro! Che ferita che ha avuto! Oh s'è

condotto da bravo (1). In questo mentre lo colpisce una palla quasi ma senz'abbandonarsi ; Soti ferito, dice nel mezzo delle spalle. -

io Io

sostengo

fermezza. di

— — — egli insiste per restare, parlando con eroica

— Col MOrandini e Colandini della mia compagnia mi riesce

portarlo via in una stanza del mulino

— camminando senza osten-

tazione, con forti parole mi disse: Cencio, attesterai tu che la

ferita è onorata, che io non lo fuggivo il nemico.

— egli mi ordina che io — Io vuole nonostante la mia insistenza a restargli

a spogliarlo per riconoscere la ferita torni al mio dovere

appresso.

«

ri-

— Morandini e Colandini s'impegnano ad assisterlo in ogni

sua occorrenza (2).

(1)

mia

— Ci accingiamo

lo

prendo un suo bacio pieno d'affetto, e vado.

Qantunque capitano civico» (san parole d^l Montanelli), « Pietro

Parrà aveva voluto combattere da bersagliere,

ma la mattina del 29,

sul dare alle armi, indossò la divisa di capitano, e avrebbe voluto che la indossassi ancor io, perchè ci giovasse in caso di cadere prigionieri. Alto e ben fatto della persona, bruno di pelle, nero di occhi e di capigliatura, tìgura eminentemente italiana, disteso a terra, col suo abito

di capitano, colla taccia volta al cielo, e l'abituale sorriso,

rendeva im-

magine non d'estinto, ma solo addormentato guerriero ». Gir. MontaNKLLi, Memorie sulVItalia « »pecialmente sulla Toscana dal 1814 al 1850, Torino, Società editrice italiana, 1853, voi. 11, p. 342. « Dal deliquio, che mi aveva dato lo uscire (2) Scrive il Montanelli abbondante del sangue, mi riebbi in una stanza della casetta del mu:

lino

al

fracasso delle irrompenti

orde croate.

Due miei commilitoni,

.Morandini e Colandini, avevano sfidata la prigionia per assistermi. Di-

cono al capitano croato che entra nella stanza

:

Fate quel che volete di

ma salvate il nostro /erito. E il capitano, al cuore rispose col cuore, dicendo: Non temete, siamo tutti crisliani. E raffrenò la soldatesca innoi,


— 372 — — La fucilata continua anche venti minuti — venfrono finalmente i croati hanno già passata la trincera dei cannon c'è un minuto da perdere per non restar prigionieri

avvisi ripetuti, che noni, che

— io vo con altri per campi alle Grazie — fummo ultimi a ritirarci. — Mi dice che Beppe partisse prima di noi, sorretto gli

gli

i

si

da Morandini e Colandini, che sulla strada delle Grazie fosse visto fasciarsi,

per trattenere la perdita del sangue.

— Dipoi non ho po-

tuto saper niente, e temo, pur troppo, che ferito gravemente sia

ri-

masto nelle mani dei tedeschi. L'ing. Rodolfo Castinelli di Pisa, clie eletto

genio, per testimonianza d'Enrico Mayer,

«

a

capo del

nel giorno so-

lenne del 29 maggio esercitò ad un tempo gli ufficii d'ingegnere e di capitano, adoprandosi con ogni ardore a mantener ordinati fra militi primi movimenti della infausta ritirata, che al glorioso, ma troppo ineguale combattimento successe » (1), dal « campo toscano in Montechiaro », il 2 i

di

giugno, scrisse

la quale

i

al

Carlo Matteucci questa

prof.

lettera,

per cura del Matteucci stesso venne stampata nella

Gazzetta di Milano^ dove Domenica sera 28 maggio

si

la ripescai

:

seppe con certezza dal nostro ge-

nerale che la guarnigione di Mantova era aumentata di 15.000 uo-

mini e di molta artiglieria (2). 11 general Bava scriveva che si soste-

un giovane popolano Era Morandini una perla di cittadino, dottore in matematiche, ricco d'ingegno e di cuorfe, altrettanto virtuoso quanto modesto. L'amicizia mostratami dai due gentili, in cotesto frangente, è uno di quei doni vinti in grandezza soltanto dalla gratitudine alla quale legano. Levato dalla casa del mulino, una stridula voce, di cui sento ancor dentro l'asprezza diceva: 1 feriti da se; e fui separato dai miei angioli tutelari. Neil' ultimo bacio al mio Morandini sentii così mancarmi ogni cosa più cara, come se mi si chiudesse sul capo la tomba » Clr. Montanelli, Op. cit., voi. II, pp. 344-345. (1) Arturo Linaker, La vita e i tempi di Enrico Mayer, con documenti inediti, Firenze, Barbèra, 1898, voi. II, p. 458. (2) Racconta un testimone: « La sera del 28 maggio la piazza del furiata, che voleva darci addosso. Era Colandini

livornese, tutto cuore.

.

villaggio delle Grazie, ove era

il

quartiere generale toscano, era piena

di volontari e soldati, toscani e napoletani, spicciolati o riuniti a croc-

chio. Si distinguevano dagli altri per gioventù più verde, maggior brio

e quel certo fare caratteristico dello scolaro di Pisa, i militi del Batta-

glione universitario, che s'eran fatti padroni di quel luogo. Una log-


373 -

-

resse il meglio possibile l'assalto e poi

si

facesse una ritirata. Co-

minciò l'attacco simultaneo a Curtatone e a Montanara verso le óre

conobbe ben presto quanto era imponente. Tutti

10 li2 del 29 e si i

rapporti ricevuti da quel

momento confermano cl»e noi avevamo

a fronte 18 e forse 20.000 uomini (v'è chi dice di più) e almeno tre batterie, senza contare le

razzi alla congréve ed i mortai da bombe ;

1

quali artijrlierie tutte (questa volta a differenza del

13

passato)

agivano maravigliosamente. Figurati che fragore infernale produce-

vano! Eppure a nessuno, credo, veniva in testa di rendersi, voglio

quando verso le 2 li2 ne sentii parlare, mi parve una cosa inaspettata, te lo giuro. La nostra mezza batteria, accosto alla quale ero, diretta sempre dal tenente Niccolini, e per poco tempo dire di ritirarsi, e

dal capitano Sassi, faceva prodigi, tuiti,

per uno dei quali

il

ma ebbe a soffrire dei casi for-

nostro bello obiciere, dopo un'ora di

la-

voro, fu lasciato da parte. Due volte poi caddero dei razzi alla con-

gré\e sulle cariche prepai'ate pei pezzi. vicino

si

trovarono

in

I

cannonieri e chi era loro

mezzo alle tìamnie. Fra questi, i miei inge

gneri Sbragia e Vannuccini, ma specialmente quest'ultimo, del quale

non ho ancora nuove dirette, rimasero investiti dalle fiamme; Paolo Folini ed io, che

eravamo

dalla

fummo

parte opposta,

terzo e più grave incendio seguì quando fu colpito^un polvere. Questo tolse la vita

«avallo e

feri

e da civici.

di

i

cavalli del treno morirono.

I

can-

momento ed erano rimpiazzati da soldati

Ve ne fu uno ohe abbruciate tutte le vesti continuò fino

getta, ridotta a catte, faceva le veci deiìV Ussero del -del

Un

immediatamente a un uomo e ad un

varii altri. Tutti

nonieri Radevano ad ogni

illesi.

cassone

Lungarno pisano e

CoMfelmur fiorentino, piena d'aiutanti di campo, ufficiali d'ordinanza,

])rofe8sori, scolari, scienza, gioventù, tuniche attillate e

tutti insieme.

Un

tale,

che nessuno conosceva, che

veneto, sbucato ad un tratto di dietro

la chi«.sa

speroni sonanti, al parlare

delle Grazie

parea

come un

fantasma, rarcontava che nella giornata aveva visto gran quantità di Ui dal Mincio verso Roverbella, che da Verona an-

truppe austriariie di

davano a Mantova, e aveva udito dire che Radetzki voleva con quella gente dare una lezione ai toscani e liberare Peschiera, che stava per cadere. Egli stesso, coi suoi proprii occhi, avea veduto e riconosciuto in mezzo a quelle trupjje il vecchio Maresciallo austriaco e non so più quali altri generah, o quali arciduchi. Dopo che ebbe vuotato il sacco a beneficio dei curiosi della Imssa milizia, lo si condusse al quartier geiienile. tutto infatuato per la grande importanza delle notizie che recava. l'ero,

fltando noi da qualche giorno in sospetto della fede dei paesani, parecchi lo

giudicavano una spia, o un venditore di frottole ». Cfr. Gknbrai.K

Caki.(» Corsi, Venticiw/iie anni in Italia; pp. {»2-9.S.


— 374 — all'ultimo a caricare

i

pezzi, nudo perfino di camicia e con

i

soli

calzoni (1). Il bravo tenente Niccolini, ferito leggermente in un braccio e condotto via da qualche pietoso, fatti pochi passi, disse quasi pian-

Non posso, non posso abbandonare i miei pezzi e tornò a comandare la carica, Jinchè poi colpito, ma per fortuna non gravemente, sotto una clavicola, fu condotto via. Pekliner entrò per qualche tempo nel suo posto: il bravissimo sergente Calamai non abbandonò mai un momento i cannoni, i quali pertanto cessarono solo ogni tanto per pochi minuti di far fuoco, assistiti sempre da nuovi vogendo

:

;

Fra questi era il povero colonnello Chigi, al quale è stata amputata la mano sinistra sopra al polso (2). Frattanto il fulminar^ delle artiglierie nemiche cresceva sempre prodigiosamente e pareva lontari.

un fuoco di fila. Si avvicinarono gli assalitori al nostro campo e allora uscirono sulla destra

volontari Napoletani e Lucchesi e s'im-

i

pegnarono colla baionetta; ma con poco frutto, tanta era la turba dei nemici. Dalle nostre trinciere tiravano da circa quattro ore e non

senza uccidere molti di quei demoni, come abbiamo saputo dopo;

quando •cominciarono a mancare le cariche dei cannoni e fu investito

il

campo nostro dalla parte del lago.

A quel punto della mischia fu fatto avanzare il battaglione

uni-

versitario; e al solo apparire al ponte sul canale, ove il grandinare dei proiettili era continuo, un povero scolaro, uno Sforzi di Livorno,^ fu ucciso.

lino

Più in

là,

cioè al parapetto del Prato e intorno al

Mu-

caddero altri e fra questi il prof. Pilla. Il Mossotti se ne stava

intrepido, incoraggiando colla voce e coU'aspetto grave

i

suoi ra-

gazzi. Finalmente pensarono a ritirarsi, ma non senza che glielo ordi-

nasse più volte lenchini, fra (1) Il

i

il

colonnello Melani. Rimasero i bersaglieri del Ma-

quali era il Montanelli, che disse: Noi dobbiamo farci

colonnello Campia nel rapporto al general

De Laugier, fatto a

Elbano Gaspari della prima del centro, che abbruciato nelle vestimenta da un cassone di munizioni stato incendiato, si strappò la camicia e quasi nudo si mise pendente venti minuti circa a servire solo i tre pezzi » In premio ebbe da Leopoldo II la « medaglia di onore in argento » da Carlo Alberto la meBrescia

il

6 giugno, segnala

*

l'artigliere

.

;

daglia d'argento (2)

Il

«

al

valor militare ».

conte Carlo Corradino Chigi Benedetti, nato a Siena

l'J l

set-

tembre 1802, morto a Fivizzano il 26 marzo del 1881, nella giovinezza entrò nella marina sarda, e col grado di sottotenente di vascello, il 1825 prese parte alla spedizione Tripoli, nella quale si distinse. Col grado di tenente colonnello e in qualità di « Commissario del Governo » il 1848 segui l'esercito toscano in Lombardia; poi venne fatto capo dello stato maggiore al quartiere generale.


— 375 — ammazzare qui, ma non cedere ; e con altri di varii corpi sostennero 11 bersagliare sempre crescente e vicino dei nemici per più d'un quarto d'ora. Li cadde morto

diceva abbracciandolo

:

il

Parrà, e mentre il Montanelli

Povero Pietro ! e chiedeva al Crespi un altra

perchè il suo non esplodeva più,

fucile,

fu colpito

da parte a parte

in una spalla. Allora disse al Malenchini, che lo raccolse nelle braccia:

Dammi un bacio, e torna al tuo dovere: moriamo per l'Italia, e a chi saprà che sono colpito alle spalle, che ho però sempre guardato il nemico in fronte. Qui cessano le notizie esatte che si hanno di lui; poiché mentre è certo che fu portato dagli amici fuori tu dì

del ponte,

non si sa se là fosse abbandonato morto, o se sia stato

preso ferito dal nemici. Zannetti e Ranzi,che uscirono degli ultimi dal me<licare i feriti, non lo videro, e lo credono morto. V*è chi spera ancora che fosse portato a Castellucchio. Io, che quando ebbi dal

colonnello Campia(l) l'ordine della ritirata, abbandonatoli posto che avevo sempre tenuto al centro e un poco sulla destra, mi affaticava col generale e con

dati e

i

civici In tila,

1

Cipriani ed altri a cercare di rimettere

i

sol-

non seppi nulla allora delle scene del Mulino,

ove i nemici entrarono prima che altrovei Fino alle Grazie, fermandoci frequentissimamente, cercammo di rannodare i nostri; e visi adoperò anche Mayer, ma con poco successo: e bisognò dopo aver

salvato

(1)

1

pezzi, per opera principalmente di Caminati (2), di Pekliner

Giovanni,

presso Asti

figlio di

Matteo e di Maria Bricarello, nacque a Roatto

entrò come cadetto nel battaglione de' 29 ago.sto '14; venne nominato sottotenente nel

13 giugno 1786

il

cacciatori italiani

il

,

reggimento provinciale di Su^a il 4 marzo 1815, luogotenente nel battaglione de' cacciatori di Nizza il 12 agosto '19. Ebbe il grado di capitano il 17 gennaio *26, quello di maggiore il 18 giugno '39, quello di

colonnello

jl

14

novembre '46. Pas-sò

al

servizio della Toscana

il

26 febbraio '48; e dal Governo Provvisorio venne nominato maggior generale onorario e collocato a rii)OSo, con l'anmia pensione di lire toscane 3071.41.8. Tornato in Piemonte, come maggior generale comandò la

piazza di Sassari (7 aprile '4»), poi la brigata Cuneo (b() aprile '50).

Il

17 luglio del '58

venne collocato a riposo per anzianità di servizio.

combattimenti del 13 e 29 maggio e il Granduca lo decorò deirOrtiine del Merito sotto il titolo di S. Giuseppe. (2) Davide, tiglio di Giulio Caminati e di Lauretta Kossello, nato a Savona VS ottobre 18» >J), è uno de' tre uffiziali sardi dati « graziosamente » dal re Carlo Alberto alla Toscana. Entrò nelle guardie del Si distinse ne'

t'orpo il -20 marzo '2!); passò cadetto nella brigata Casale

il 15 decembre venne nominato sottotenente nella brigata Pinerolo il 1 aprile '38. ProraostK) luogotenente il 27 febbraio '39, ebbe il grado di capitano il

'31 ;


— 376 — e dei cannonieri, pensare a salvc.re

i

pezzi, tirandoli fuori a braccia,

non v'erano più cavalli, e fu abbandonato solo un carro di avantreno. Colla carrozza piena di feriti camminai un poco a piedi, percliè

un po' attaccandomi al predellino del legno.

Al Matteucci è pure indirizzata quest'altra lettera. L'ho copiata dall'autografo, che

si

conserva nella Biblioteca co-

munale di Reggio. È di Cesare De Laugier, il condottiero de' toscani

;

Montecliiaro, 2 jjiugno 1848. Carc^ Matteucci,

Puoi credere a quante cure devo rivolgere l'anima in questi momenti, tanto che neppur pensare alla mia salute con

le

costole am-

maccate e forse rotte nella mischia di Curtatone. Questo fatto, di cui

appena sinora mi riesce di raccogliere tutti i precisi particolari, e le conseguenze, è fatto tale, che se recherà il lutto in mezzo a migliaja di famiglie in tutta Toscana, darà pure nuova fama di prodezza alla sua gioventù, che vi si distinse per maraviglioso coraggio.

Fummo assaliti da oltre ventimila uomini con ventiquattro pezzi di artiglieria,

che fulminarono in modo terribile

le

nostre posizioni.

Alcune compagnie, ch'io mandava a prender di fianco il nemico, pie-

garono oppresse dal numero soverchiante degli assalitori, e un razzo 26 febbraio quale poi,

'48, sul il

punto di passare

al

servizio della Toscana; dalla

4 novembre, fu nominato maggiore.

Il

colonnello Campia

Rapporto sulla battaglia di Curtatone: « Il capitano mio aiutante di campo sig. Caminati, che pendente quasi quattro

scrisse di lui nel suo

ore attraversò la linea dei fuochi

nemici, ora rinforzando la sinistra

dove fervea l'attacco, ora provvedendo di cartucce e cappellozzi chi n'era sprovvisto, ora incoraggiando coli' esempio, finalmente, già incominciata la ritirata, coll'inimico padrone della sinistra, si portò sotto la mitraglia alla batteria, che rimaneva con due soli pezzi, senza cavalli e senza artiglieri (stante l'obice stato messo quasi mezz'ora prima .

con alcuni pochi salvò a braccia i due pezzi dal granduca Leopoldo II la croce dal di cavaliere dell'Ordine del Merito sotto il titolo di S. Giuseppe in salvo dal Pekliner), e

coi loro cassoni >

.

Ebbe in premio

;

menzione onorevole. Rientrato nell'esercito sardo il 3 marzo del '49, combattè a Novara, si distinse alla battaglia della Cernaia, comandò la Scuola normale per la fanteria. Promosso colonnello, fece la campagna del '59. Alla battaglia di S. Martino, « con indicibile coraggio ed abilità » condusse il suo reggimento all'assalto, ebbe il cavallo morto e poco dopo egli stesso fu ucciso combattendo. Venne per questo decorato della medaglia d'oro al valor militare. Cfr. Ordine re Carlo Alberto la

gftnerale dell'armata, del 12 luglio 1859, n. 42.


- 377 Hlla congreve, che

-

scoppiò delle nostre batterie, vi uccise o

feri

iTian numero di cannonieri, per cui rallentatosi il fuoco tinche questi

venissero suppliti, il nemico ne profittò, per gettarsi numerosissimi sulla sinistra del

Campo contro

i

nostri avamposti sul lago, mentre

ungherese fece una carica di fronte. Io spinsi avanti la nostra cavalleria, ma questa retrocedè, e mentre io tentava di

la cavalleria

trattenerla, m'investi e m'atterrò, sicché mi trovai calpestato dai cavalli nostri e ungheresi; ed io non debbo la vita che al bravo Giuseppe

mi costrinse a prendere il suo cavallo per mettermi La grandine di projettili nemici continuando a investire le nostre batterie, i nostri cannoni presto non ebbero più uomini che li servissero, benché quei pochi che restavano lol^acessero con una eroica intrepidezza. Gli avamposti sul lago avevano dovuto abban-

Cipriani, che in salvo.

donarsi, sicché la nostra sinistra non era più difesa che dalla parte

molino ove si condussero con incredibil valore i Bersaglieri del

del

Malenchini, cui davano nuovo ardore la presenza e

le

parole del

Montanelli, che qui rimase ferito. Alla sinistra furono pure disposti alcuni degli scolari,

ma ormai era impossibile il più prolungare una

resistenza che già da quattro ore durava. Fu allora ordinato

il

ri-

dopo che n'ebbi dato avviso al Giovannetti perchè facesse altrettanto. L'artiglieria fu messa in salvo, meno un cannone smon-

tirarsi

principalmente per cura del Gap.»» Caminati. La ritirata fu dapprima alquanto disordinata, ma presto si ricomposero le nostre colonne giunte al Quartier Generale delle Grazie, da dove mossi lenta-

tato,

mente verso Goito, senza che il nemico, la cui cavalleria si era spinta molestarci. Da Goito mi recai il giorno appresso a Guidizzolo, e là ebbi notizia di un corpo di Austriaci accampato in quelle vicinanze, e di cui diedi ripetuti avvisi al General Bava perchè lo prendesse alle spalle mentr'io lo avrei assalito di fronte, avendo ogni ragione di crederlo un corpo sbandato

sino alle Grazie, tentasse più di

che facilmente avrebbe deporto le armi, specialmente dopo la nuova della presa di Peschiera, e de* successi de' Piemontesi a Villafranca,

l'astrengo e Goito ; successi ai quali posso senza presunzione asserire

che contribuisse la nostra ostinata resistenza in difesa delle az-

/ailatr Ni ili

>~ ;

/ioni

-]. i.iii/,a di

che ci erano state atlldate in faccia avere

in

di

Mantova.

nostro potere questo corpo austriaco vi

mandai come mio parlamentario il bravo Leonetto Cipriani; ma fu ritenuto contro o^ni diritto di guerra da quel Comandante, e conilotto via

dall'accampamento, come poi seppi dal suo fratello Giu-

seppe, che pur volle recarsi come altro parlamentarlo per aver nuove del fratello, ma trovò partiti

i

Tedeschi.— 11 General Bava avendo


— 378 — troppo tardi risposto ai miei ripetuti avvisi sull'esistenza da lui igno-

non creduta di questo corpo, io dovetti secondo i primi or-

rata

dini avuti recarmi a Castiglione delle Stiviere, e ieri

mi sono rimesso in marcia, e qui mi trattengo. Qui ho avuto pur nuove del Giovanetti dopo avergli spedite replicate lettere per ottenerne. Il suo corpo è stato ancor più maltrattato del mio, avendo perduto l'arti-

non essendogli finora riuscito di riunire a Bozzolo più di

glieria, e

mille uomini. Eccoti in rapidi cenni la storia della "Divisione Toscana dal 29 maggio in poi, giorno che di lutto e di gloria

ti

ripeto essere stato ad un tempo

per noi.

Sono con affetto

Il

giorno dopo

strappar

Tuo De Laugier. tornò a scrivere

gli

han dell'omerico. Oh di

quei

ladini.

:

«

Valore eroico da

pianto a una selce. Gesta e fatti particolari che

il

panduri

f

!

!

perchè non hanno essi la disciplina I due Leonetti sono due eroi, due pa-

Leonetto è prigioniero contro ogni diritto delle genti,

avendolo io inviato da Guidizzolo ad intimar la resa ad un corpo che credeva interciso e che aveva Bava invitato ad assalirlo alle spalle mentre lo avrei attaccato di fronte (1). Castinelli, Campia ed altri son qui. Chigi amputato, Beraudi morto. Abbiam bisogno di riposo, di orc^inarci. Io piti d'ogni altro che servii di pavimento ai nostri e ai cavalli nemici. Ma se Tebe piange, Sparta non ride ». Delle molte lettere, da me raccolte, di volontari, che presero parte alla battaglia di Montanara, e raccontano quanto

videro e

operarono, ne darò un saggio. Questa è

da Bozzolo

il

scritta

31 di maggio:

Ti dettaglierò, per quanto posso, la tremenda giornata del 29. Non

era anche giorno che la nostra compagnia

di

bersaglieri usci da

Montanara e stette più di tre ore in perlustrazione a

S.

Silvestro,

luogo sprovvisto di forze nostre. Ritornati, si ebbe la nuova, che io credei favola, che quindici mila austriaci erano entrati in Mantova.

Non era passata un'ora che si gridò all'arme e suonò la generale. Schierate prontamente dietro le barricate

le compagnie di fanteria.

Cfr. Leonardo Mordini, La prigioìiia di Leonetto Cipriani a (J Mantova nel 1848; nella « Rassegna storica del Risorgimento», organo )

della Società nazionale per la storia del Risorgimento italiano, ann. IV, fase.

VI [novembre-dicembre 1917], pp. 778-79B.


— 379 — che erano in Montanara, fummo noi spediti, con diverse altre compaj?nie, in avanti, come bersaglieri. Dopo poco, cominciò a Curtatone,

un fuoco spaventoso; dopo poco, cominciò alla eravamo spinti sempre, per campi, un miglio in avanti. Aila fine il cannone si fece sentire sul centro ed il nostro rispose: quindi comparvero tedeschi davanti a noi, e noi sostenemmo il fuoco intrepidamente e giungemmo fino a tirare sui loro alia nostra sinistra,

destra, e noi

ci

i

i

cannoni. Ma essi si spingevano innanzi baldanzosamente, fidanti nel

numero, con baionetta spianata; noi retrocedemmo, facen*e sempre fuoco, poi ci

fermammo, e qui si durò per due ore il fuoco, e ti as-

sicuro si tirava col sangue freddo di vecchi soldati. A Curtatone seil fuoco come prima, sicché non vi era direzione ove noasi sentisse scariche. Qui cominciarono a diradarsi le nostre

guitava sempre

squadriglie, e molti amici e conoscenti mi caddero ai piedi chi mor-to,

ma in tali momenti noi sentivamo poco, e quasi ciechi momento avemmo il di-

chi ferito,

e sordi seguitavamo a far fuoco. In questo spiacere

veder cadere il nostro maggiore Beraudi, piemontese e

di

nostro istruttore (1). Questo fu per noi un gran colpo.

11

capitano

ci

mancava, il tenente cadde ferito, il sottotenente parimente, sicché qualche basso ufficiale soltanto ci guidava. Il fuoco cominciò da due parti, e noi ci Il

ritirammo, sempre portando con noi i feriti.

fuoco a Cariatone dopo più di cinque ore era cessato, e non si

sapeva come spiegarlo. Entrati dietro le barricate fiacchi, colla gola asciutta come l'esca e con un solo caffé nello stomaco, ci gettammo un poco a sedere, ma dopo poco, ritirati tutti i nostri, cominciò il

fuoco delle barricate, e questo fu tremendo per i tedeschi, giacché

caddero a righe intiere. le parti. Il

I

cannoni seguitavano a lavorare da tutte

Giovannetti, nostro colonnello, rimasto salvo, si sforzava

anche lui di farsi animo, sentito il fuoco dietro, e morti molti ufLa ritirata non poteva ordinarla senza staffetta del generale, che si trovava a (-urtatone. 11 fuoco delle nostre barbicate fece loro tìziali.

tanto danno e spavento che retrocedettero; allora noi

(1^

risortimino

Un testimone racconta: t 11 maggiore Beraudi >,che comandava

« dopo tante prove di valore, rientrava anch' egli, trascinandcHÌ a stento, colle braccia aperte appoggiate alle spalle dei due

agli avamposti,

da cui era sorretto alla vita; e chino il capo sul petto insangue per due ferite, astraendo dalla divisa, sembrava un Cristo spirante » Cfr. Kavbuoi, liacconto storico della battaglia di MonberHaglieri triso di

.

tanara, Firenze,

ltì8«, pp. 38-39. « Abile e valoroso ufficiale », aveva da sé stesso volontari alle manovre'di cacciatori ». Cfr. Corsi. Venticinque anni in Italia pp. 79 e 87.

addestrato

«

i

;


— e

:380

-

potemmo riprendere diversi nostri feriti e far diversi prigionieri.

Ma essi eran troppi, si ricacciavano avanti ed allora battè la nostra ritirata; si

un brivido corse per le ossa di tutti. In questo momento

aveva il fuoco da tre parti, fuorché da Curtatone, ci spingemmo

ordinati meglio che nostri dragoni.

I

si

poteva verso quella parte, protetti da pochi

cannoni ci seguirono, ma il fuoco cominciò anche

da quella parte per la strada maestra; allora ci disordinammo e si prese i campi. Tentammo difendere la nostra artiglieria, ma indarno, la cavalleria

ungherese ci inseguiva: bisognò contentarsi d'inchio-

dare qualche pezzo. Qui molti dei nostri caddero e non poterono

avere soccorso. In questo modo abbandonammo Montanara, lasciandovi molta roba e molti morti dei nostri; ma il numero dei tedeschi rimasti stesi su quei medesimi campi fu certamente maggiore. In-

somma noi a Montanara eravamo mille e cinquecento e si sostenne per più di sei ore l'urto del fuoco di settemila tedeschi. A Curtatone ed alle Grazie ugualmente.

tanara diciottomila tedeschi.

Il

Si dice

che fossero

sortiti di Mon-

loro progetto era di sbaragliarci e

correre a prender di dietro Peschiera, o Carlo Alberto; ma con loro

gran maraviglia non

lo

poterono.

Non ti posso descrivere in lettera la nostra ritirata quanto fosse disastrosa.

Qualunque direzione si prendeva, bisognava retrocedere di boIl fuoco non era già

per il fuoco che si trovava in faccia. schetto,

ma di cannone, di bombe e razzi alla congreve, che scop-

piavano in mezzo a noi. Iddio propriamente ci fece trovare a caso

una direzione in cui non si avesse il fuoco di faccia, ma solo dalle com'eravamo di forze, ci si

parti. Si entrò sulla strada, e rifiniti

fece

animo facendo un ultimo sforzo, e si proseguì la ritirata fin credevamo di trovare i nostri, ma questo luogo

sotto le Grazie, ove

era stato occupato dal nemico, il quale vedendoci arrivare ci diresse

moschetteria e mitraglia. Non so come presa allora la direzione di Castellucchio non

si trovasse di fronte

ostacoli,

ma eravamo sempre

inseguiti dalla cavalleria. In poche parole, giungemmo a Castellucchio,

ma pochi avevamo il sacco ed altro, lo vi giunsi col sacco e col fucile, che

non volli mai abbandonare. Erano allora

all' incirca

le

5

pomeridiane.

Mi dimenticava dirti che se la nostra ritirata fu disastrosa ci ha colpa molto il caso, giacché un'ora prima noi ci dovevamo ritirare per ordine del generale, ma il nunzio fu ammazzato per strada^ sicché

il

campo di Curtatone si ritirò prima di noi e così fu causa

che fummo presi e tagliati fuori. Ieri sera si ebbe nuova che i piemontesi, salvati (Mia resistenza disperata che facemmo noi toscani.


— 381 — disfecero i tedeschi e ne tagliarono fuori quattromila. Stamani si è avuta la nuova completissima olfìciale della presa di Peschiera. Ieri,

dopo aver pernottato a S. Martino e passato l'Oglio, si giunse qua a Bozzolo, luogo sicurissimo da assalti. Molti dei nostri in questo momento sono tornati a Bozzolo.

Un altro volontario, pur da Viadana, scriveva stesso

il

giorno

:

Avrai sentito

le

nostre peripezie, ma tutto

il

male ncn viene per

nuocere. Sembra che il piano del generale austriaco fosse quello di spedire a Mantova ventimila uominifcoi quali sbaragliare il piccolo

nostro campo, che ascendeva neppure a cinquemila, e quindi pren-

dere alle spalle l'esercito di Carlo Alberto, di fronte al quale sla-

vano altri trenta mila austriaci con numerosa artiglieria. Ma il piano

non potè avere la sua piena esecuzione atteso l'imprevedibile resistenza di un pugno di eroi, che ebbe

il

coraggio di sostenere sette

ore continue di fuoco di fronte ad un nemico tanto soverchiante di

numero, e la conseguenza fu che Carlo Alberto ha potuto battere completamente il corpo austriaco che aveva a fronte e prender Peschiera.

Da una lettera ricevuta quest'oggi da Gazzuolo, sappiamo

che tre persone andate ieri a vedere il campo di battaglia toscano,

sono rimaste sorprese di trovarvi un numero cosi prodigioso di tedeschi morti, che essi fanno ascendere a quattromila. È un fatto che i

nostri tiravano di dietro le trinciere ad un terzo di tiro e che con-

sumarono più di cento cartuccie per individuo! I cannoni ed i cavui^'A lasciati dai nostri

erano tuttora dove furono abbandonati; 1

tedeschi non hanno pensato che a ritirare

i

cadaveri degli uffiziali

superiori per render loro gli onori militari. Queste notizie sono con-

fermate anche da alcuni disertori. Da quello che è stato calcolato

campo e dal numero di persone che si vanno riunendo nei paesi al di qua dell'Oglio, pare che si possa argomentare

dai visitatori del

che la nostra perdita in morti è immensamente minore che

si

di

quella

supponeva in principio; quantunque il fatto sia stato cosi ac-

canito e micidiale, che il capitano Civitelli mi diceva ieri che aveva fatto quattro

campagne sotto Napoleone, ma non ne aveva mai ve-

duto una simile per la bravura ed tuti tutti

il

coraggio con cui si erano bat-

indistintamente e la strage che avevamo fatto dei nemici.

In ufTIziale ungherese, ferito e fatto prigioniero, stringendo la mano aveva ferito gli disse: Voi non siete soldati; siete eroi. I erano arrampicati sui gelsi per potere offendere i nostri che erano dietro le trinciere, ma appena che se ne furono accorti

il

chi lo

croati

si

/{ Hi$org. Hai.,

XIU

U


— 382 — buttavano giù quasi senza fallir colpo. Insomma è opinione

gli

tutti

i

di

vecchi soldati, che vi si sono trovati, che non vi è esempio

d'un coraggio così generale e di tanta annegazione e non curanza della propria vita.

Un altro volontario scriveva, pure da Viadana,

il

mede-

simo giorno: Ieri continuarono ad arrivare gli sbandati del campo di Montanara. I

volontari napoletani, che erano giunti

il

giorno prima, persuasi

da un ufflziale, che credo esser toscano, si risolsero d'unirsi a tutti gli altri raccolti in Viadana mr condursi a Casal maggiore, dove se ne trovano altri settecento. Da quello che ho potuto rilevare la nostra perdita in uomini sarà molto minore di quella supposta in principio,

ma ancora non

si

possono avere dettagli. Il dott. Giuseppe

Barellai ha fatto un tratto da spartano. Egli era allo spedale di Mon-

tanara: quando i tedeschi si avanzarono, qualcuno gli fece conoscere l'inutilità di lasciarsi fare prigionieri e lo invitò

a fuggire, ma egli

rispose che il suo posto era presso i suoi ammalati, che non avrebbe

mai acconsentito d'abbandonare e vi rimase (l).Un bullettino fatto pubblicare dal Governo Provvisorio della provincia di Mantova residente in Bozzolo porta la

Giuseppe Barellai

(l)

rito

Firenze, valentissimo medico e

di

beneme-

tondatore degli ospizi marini, visse dal 17 gennaio 1813 al 3 de-

cembi-e 1884.

tova

nuova che ieri mattina [30] quattromila piemon-

;

A Montanara venne fatto prigioniero e condotto a Man-

di là fu trasportato a Theresienstadt

prigionia venuto a morte,

il

nella

Boemia. Durante la

18 agosto, Alberto Acconci, uno de' vo-

lontari di Pisa, da' compagni, consentendolo l'Autorità austriaca, gli

venne fatto il trasporto funebre. « Girò il convoglio intorno alla piazza con rispetto e commozione da quei buoni boemi

della città, guardato

;

ed il Barellai, giunti che furono al cimitero, fra il generale silenzio recitò genuflesso alcune brevi parole, che furono seguite da pianti, singulti ed abbracciamenti. Vi

si

parlava di oppressione straniera, d'indi-

pendenza e di libertà, come se fosse detto in terra italiana fra liberi cittadini » Cfr. Enrico Poggi, Ricordi della vita di Giuseppe Barellai, nella « Rassegna nazionale » di Firenze, ann. X, voi. XL, fase, del 16 .

aprile 1888, pp. 495-498. Nella fortezza di Theresienstadt, tra gì' inservienti, vi era

un galeotto, che venne poi liberato, ed il Barellai se ne Ricordi di un prigio-

interessò moltissimo. Pietro Thouar, col titolo

:

niero di guerra, servendosi delle notizie somministrategli dal Barellai,

ne fece un bozzetto, che, inserito il 29 giugno del '49 nelle Letture poil popolo, di Firenze, fu letto in Toscana con avidità e tras-

litiche per

porto.


- 383 — tesi

erano giunti a Gazzoldo e che la strada per Coito formicolava

di

truppe di tutte le armi che si avanzavano per vendicarci. Infatti

il

cannone tuonava senza interruzione. Si conferma la notizia che

il

colonnello Giovannetti giungesse a Marcarla.

Pur da Viadana, e nel giorno stesso, è scritta quest'altra un altro de' volontari:

lettera di

Vi giuro che se sono qui sano è un miracolo incredibile. Non vi

dirò niente di quella giornata: solo che l'onore è

completamente

facemmo più che da eroi; ma è l'unica cosa che si abbia salvato. Molti del campo nostro di Montanara deploriamo tra morti, feriti e prigionieri. Abbiamo ucciso molti nemici, avevamo fatto moltissimi prigionieri: ma quando alfine si dovette cedere al numero tanto superiore, quando dopo sette ore di fuoco continuamente sostenuto da 2500 contro 10.000, sentimmo che aumentavano ancora

salvo, perchè

né si aveva più forza da resistere ebbene, allora in vece di poterci ;

sentimmo il grido di Si salvi chi può : né per questo sgominammo; si retrocesse sempre combattendo, credendo di

ritirare uniti ci

trovar libera la strada per le Grazie, ma invece alle spalle trovammo postati

i

cannoni, che

ci

bombardavano a poche braccia; i campi

erano gremiti di bersaglieri; i proiettili ci piovevano come grandine; pure si arrivò verso le Grazie, dove si sperava trovare i vostri per unirci a loro e rifar testa,

ma anche colà fummo invece ricevuti a

cannonate. Ci sentivamo

cavalleria addosso, le palle, al solito, ci

la

piovevano attorno, né si sapeva più qual direzione prendere. Si errava attraverso i campi alla cieca; pur finalmente non so come, certo per un miracolo,

ci

trovammo sopra una strada buona, e a

sera buia arrivammo a Marcarla suU'Oglio, ove potemmo dirci salvi,

perchè si ritira

c'è

un ponte che si alza e mette un fiume framezzo a chi

e chi insegue.

I

dettagli del valore di tutti i nostri, gli epi-

sodi straordinari sono infiniti, e sembrerebbero miracolosi. Ti accerto

che a non essercisi trovato non si può mai formarsi un'idea nem-

meno lontana di simili cose. Io devo alla mia forte tempra, si fisica, che morale, di avere resistito a fatiche omeriche: dei pericoli non parlo perchè erano comuni ed era assolutamente caso il salvarsi o no.

Bella questa lettera di Leopoldo Mazzei a Teresa Giunti la

;

propria fidanzata:

Mia cara. Il

29 maggio, grande e terribile giorno, nel momento della pugna

niun pensiero mi si affacciava alla mente tranne quello di distrug-


^ 384 — gere più nemici che poteva, ed una gioia feroce mi invadeva quando, incalzati dai nostri colpi, retrocedevano: con indifferenza mi vedeva

intorno cadere gli amici, e non mi venne mai il pensiero che una

me pure; ma nella ritirata, quando vidi che da ogni parte ci fulminava la metraglia, e che sarebbe stata stoltezza ed un sacrificarsi invano il volere ancora resistere, conobbi palla potesse colpire

che il dovere di cittadino e di soldato italiano lo avevo adempito. Fu allora che mi si affacciò alla mente il pensiero di mia madre e di te; fu allora

per la prima volta cne pensai

per voi due che sentii allora il bisogno

sando al nostro dolore mi volle salvo. Per più battaglia io restai nascosto fra

il

mio scampo; fu

al

di vivere, e

Dio forse pen30 ore dopo la

di

grano, in mezzo

ai

nemici, col

pericolo ad ogni momento di esser fatto prigioniero od ucciso. Senza

mangiare il giorno della battaglia, senza mangiare il giorno appresso, inzuppati gli abiti d'acqua, avendo attraversato a nuoto dei larghi fossi

per mettermi a riparo dalla cavalleria nemica, fui costretto per

sostenere la vita a cibarmi di tralci di vite e di poco grano mondato.

Rimasto solo, senza nessuna notizia di tanti amici, senza potereiinviare una lettera di conforto alla famiglia ed a te, ho passato delle

ore terribili (1).

Sulla disastrosa giornata ecco quanto scrive da Bozzolo

uno de' combattenti di Montanara: Ieri [29

maggio] si ebbe uno scontro tanto

fu costretti

sacrifizio

tìero

a ritirarsi, ma perdemmo tutti i pezzi

che non solo di

si

cannone, con

non indifferente di morti e di feriti. Il fuoco fu sostenuto

con energia grandissima a Montanara per più

di sei ore. Curtatone

fece la ritirata quasi un'ora avanti a noi e ciò fu causa che

fummo

mentre alle spalle ci avevano assalito con i cannoni; e noi che volevamo fare la ritirata da questa parte, fummo cinti anco dalla sinistra,

costretti a saltare nei

campi ove si vollero trascinare anco i can-

ma inseguiti a gran furia dagli

noni con

le

austriaci

un poco gli facemmo fronte intorno ai pezzi; poi veduto

nostre proprie braccia,

che ci sacrificavamo tutti senza poterli salvare, molto più che

vi

erano compagnie intere che non avevano neanche una cartuccia,

fummo costretti a fare una ritirata molto precipitosa in mezzo alle fucilate che riti,

(1)

ci

venivano da ogni lato.

I

nostri

compagni cadevano fe-

chiedevano soccorso e noi non potevamo darglielo; alcuni

Mazzei Leopoldo, Carteggio famigliare dal marzo al luglio 1848

di un milite del 2." battaglione fiorentino, Pistoia, Fiori, 19()3, pp. 109110.


- 385 — dei nostri

feriti

son rimasti aigli austriaci,

ma molti ci è riuscito

salvarne.

Augusto Conti tabandiera,

il

filosofo

— che a Montanara era por-

chiude una lettera ad un

così

congiunto

di

Sanminiato: Fer tre volte, udito il cenno del generale [De nello [Giovannetti] fece suonare si

ricusarono

i

i

Lauj^ierJ,

il

colon-

tamburi a ritirata e per due volte

nostri di lasciar le barricate,

dalle

quali animosa-

mente combattevano; partendo finalmente al terzo suono di tamburo con molto rammarico. Intanto frli austriaci, non più impediti a Curtatone. si raccolsero tutti a Montanara (il numero di loro era cannoni austriaci 72) stringendoci come di un cerchio di 20.000; fuoco. Usciti dalle porte del paese, cannoni del nemico ci mitragliarono fieramente. Prendemmo la via dei campi. Le bombe, le paUe di cannone e i razzi incendiati piovevano a guisa di grandine. 1 rami degli alberi fra i quali fulminavano le artiglierie ci cadevano intorno; e d'ogni parte amici e conoscenti davano testimonianza di i

i

sangue dell'amor loro per la nostra carissima Italia. Tentammo salvare un pezzo di cannone, ma in quel tempo nel quale preparavamo

un poate di tavole sopra un fosso onde farlo passare, il cannone e i

mosclietti austriaci fecero strage dei nostri: onde fummo costretti

lasciarlo. Giunti per

i

campi di fronte alle Grazie io spiegai la ban-

onde accogliere i

«liera

fuggitivi; d'ogni

parte sibilarono colpi di

moschetteria con furia tale da non poterla esprimere. Eppure né io,

né il mio fratello che mi stava a

lato,

né Antinori, né [Ermolao]

Rubieri, aiuto portabandiera, fummo colpiti minimamente. Allora ab-

bandiera,

ma risoluto di lasciarla colla vita, presi la via

di Castellucchio e

mi salvai. Tutti quelli che tennero una tale strada

basso

la

pervennero a salvamento: gli altri, che si ricoverarono in una casa, furono Il

fatti

prigionieri

combattimento di Montanara si chiuse con un episodio,

sfuggito agli storici rito

(1).

di

tutti

quella gloriosa giornata. È me-

del Raveggi, al quale fu raccontato

«

da alcuni

s Mdatf

che ne furono partecipi > l'avercene conservato il ricordo (2). Ecco quanto scrive: ,

(1)

Sborè Alfredo, Un brano di lettera d' Augusto Cotiti; nella « Mi-

scellanea d'erudizione », di Pisa, supplemento al l'ann. (2)

I,

t'a»c

II del voi. 1, del-

pp. 30-31.

Questi soldati, « usciti dallo spedale di Mantova • (son parole dtl


- 386 Un drappello di soldati toscani, che non ricordiamo di quanti comcomandato da un ufficiale, era distaccato a guardia un punto molto arretrato del campo. Colà quei soldati, per dimen-

posto, né se fosse di

ticanza, non furono avvertiti della ritirata, né se ne accorsero mal-

grado il fragore di una cinquantina di tamburi, essendo questo soverchiato e ricoperto dallo strepitoso uragano della battaglia. Si ten-

nero perciò al loro posto, ed essendo sul tardi attaccati dal nemico, forse da quello che occupava

Anche, visto

il

S.

Silvestro, si

difesero

bravamente.

pericolo di essere tagliati fuori, in buona regola

militare, sempre facendo fuoco si ritirarono in Montanara. Ma quale

non fu la loro sorpresa, allorché, invece di trovarvi i proprii comfumo e le fiamme delle

militoni alle barricate, altro non viderp, tra il

baracche, che i disseminati morti e qualche ferito che aspettava

il

soccorso dei vincitori, i quali invadevano

il

colpo di grazia, o

il

campo. A tale scoraggiante vista tentarono fuggire in direzione di Curtatone e poi in quella della Santa; ma, dovunque ricevuti a fucilate, doverono accorgersi di arrendersi, o

non restare per loro altra sorte che

morir combattendo, o almeno difendersi fino a che

avessero munizioni; e quest'ultimo full loro partito. Ad effettuarlo, chiusero nel piazzale interno o chiostra della grandiosa

tosto

si

villa

Cavalcabò, posta di flanco alla chiesa di Montanara. Tale chio-

stra,

spaziosa e di forma quadrata, ha tre lati chiusi da fabbricati,

cioè

il

palazzo in fondo e due avancorpi di caseggiato, che si pro-

traggono fino al muro, piuttosto alto, che chiude il primo lato, e nel centro del quale trovasi il portone d'ingresso, che fu chiuso e barricato alla meglio. Lungo questo muro si disposero que' soldati a far

fuoco dalle feritoie, che già èi erano aperte sino da lungo tempo

;

'e

cosi, ben riparati, tenevano a rispettosa distanza i nemici che avevano

a fronte. Ma riflettendo in appresso che per la meschinità del loro nu-

mero non potevano guardarsi dai tanti nemici, che, da qualche porta esteriore di quel fabbricato introducendosi o dalle finestre, avreb-

Raveggi) « giungevano con altri prigionieri d'ogni Stato d'Italia a Innsbruck sul fine di luglio [1848] e noi quivi, uscendo dallo spedale militare, proseguimmo in loro compagnia il viaggio sino a Linz. Giun;

toci

il

15 d'agosto l'ordine di tornare addietro, da Linz rifacemmo con

essi la strada fino a Firenze ; onde, avendo passato con essi alcuni mesi,

avemmo agio di riconoscerli veritieri. Le loro ferite, non ancora rimarginate, erano alle braccia, alla parte superiore del torace, specialmente dal lato sinistro, ed al viso

;

il

che confermava che avevano combatsi vedono tutt'ora nel palazzo

tuto dalle finestre. Altre prove materiali

o villa Cavalcabò, dove il combattimento avvenne » Cfr. Ra veggi, Racconto storico della battaglia di Montanara^ Firenze, 1886, pp. 55-59. .


- 387 bero paralizzata la loro difesa, mutato consiglio, andarono a chiudersi tutti nel palazzo. In questo

nuovo punto

esploder le armi dalle finestre, eravi colpire

i

l'

di difesa, dovendosi

inconveniente

di

non poter

nemici che si avvicinassero al muro restando riparati da

non

questo. Infatti gli austriaci, accortisi che da quelle feritoie

cevasi più fuoco, vi

si

fa-

avvicinarono e affacciarono; e, vista vuota

la chiostra, infilarono in esse i loro fucili, valendosene in

verso allo scopo per cui

le

feritoie

senso in-

erano state fatte, cioè conver-

tendole a danno, anziché a difesa, di chi occupasse l'interno. In con-

seguenza di ciò gli austriaci si trovarono in posizione più vantaggiosa di quella dei loro avversari, che essi pasteggiavano stando

bene al coperto; ed allorché gli vedevano far capolino alle finestre feritoie, e per

per tirare, tre o quattro colpi partivano da quelle

tanta comodità di tiro difllcilmente andando a vuoto, ben presto ferirono quasi tutti

i

difensori del palazzo. Irati gli austriaci per que-

sto ostinato ed inutile strascico di combattimento, tirarono contro il

palazzo qualche granata ed alcuni razzi incendiari. Uno di questi,

accidentalmente penetrando dalla rostra o inferriata sovrastante alla porta del palazzo, scoppiò nell'entrone, e sotto la volta di esso e di quella della scala produsse tale detonazione che parve subissare il palazzo. Allora finalmente quei toscani, sia per non restare schiacchiati sotto le rovine, sia per

non irritare maggiormente

i

nemici,

che ad alta voce gli invitavano ad arrendersi, promettendo salva la vita, fecero

il

segnale della resa e discesero ad aprire i portoni. Gli

primo ingresso si mostrarono se non mialmeno aspri, visti que' loro avversasi in cosi poco numero e quasi tutti sanguinanti, non poterono rattenersi dal fare qualf'he .'^egno di ammirazione e di addolcire il loro contegno. ufilciali austriaci, che nel

nacciosi

Il

9

di

giugno, uno de' volontari scriveva, da Brescia, al

direttore del giornale

La Patria:

Eccomi a soddisfare ai tuoi desideri! e a darti qualche ragguaglio 8ul nostro fatto d'armi del 29. Volentierissimo mi accingo a scriverti

un letterone in proposito, non tanto per il desiderio di compiacere ad un buon amico, quanto ancora per chiarire molte inesattezze incorse nei giornali, e segnatamente sul campo di Montanara. K perchè tu abbia un'idea più èhiara dei movimenti del nemico e dei pericoli

che sovra ad ogni altra delle nostre posizioni presentava il campo di Montanara, ti accompagno copia di una pianta delle località che sola mi è si

riuscito

scorge che

il

salvare, (iettando

uno sguardo sulla medesima

quartier generale delle (Jrazie restava protetto dai


— 388 — campi di Curtatone e di Montanara e dal lago superiore di Mantova, i

quali, oltre a difenderlo a' tianchi e di

fronte, allontanavano

esso il pericolo di un attacco di tergo. Le Grazie avevano anco

da il

vantaggio di una facile comunicazione con Goito, posizione natural-

mente forte e assai ben munita dai Piemontesi e dai nostri. Curtatone aveva guardato il fianco destro da Montainara, gli restava a tergo il paese delle Grazie ed al fianco sinistro il lago, praticabile vero con barche, ma privo di scali atti allo sbarco delle truppe

in

regolari, della cavalleria e

dell'artigliera,

cosicché questo

campo

non aveva completamente esposto che il fronte dirimpetto a Montanara. Montanara aveva soltanto sicuro il fianco sinistro, percliè appoggiato a Curtatone; esposto il fronte sulla via di Montanara, il fianco destro per la parte di San Silvestro ed

il

tergo per la parte

San Lorenzo, paesi tutti in comunicazione fra loro con diverse vie conducenti parimente a Mantova. Dei posti avanzati guardavano di

a giuste distanze questo nostro campo, e presso a poco sulla linea punteggiata.

Erano le

IO

quando si vide sulla strada di Mantova una forte co-

lonna nemica avanzarsi verso Montanara. Il bravo colonnello Giovannetti fece battere la generale e dispose molte compagnie ai parapetti della trinciera, stabilì quelle che dovevano avanzarsi sul ne-

mico in bersaglieri, richiamò quelle che erano ai posti più avanzati all'oggetto di concentrare forze ed averle disponibili al soccorso delle

posizioni più attaccate. Il

cannone nemico cominciò a fulminare, ma da principio

i

suoi

progettili non arrivavano a noi ; avanzatosi maggiormente, gli diresse

così

bene che non sortivano mai dalle nostre posizioni e dai para-

petti,

che sempre restarono saldi a difesa delle batterie e dei com-

battenti. sell

Due dei nostri cannoni, assistiti dagli ufficiali Araldi, Mo-

ed Agostini Della Seta battevano assai bene l'inimico. Contem-

poraneamente il prode Beraudi, maggiore piemontese, fin ora scordato nei giornali, oltrepassava la nostra fronte con bersaglieri (da lui istruiti),

non tanto per opporsi a

i

volontari in

quelli

nemici,

che già si avanzavano, quanto per pigliare con improvviso assalto la batteria tedesca;

il

quale ultimo

eff"etto

colpo imprudente di uno dei nostri avvertì

andò il

fallito,

perchè un

nemico, che si ritirò

qualche poco e si pose in guardia. Cominciava intanto l'attacco a destra per la parte di San Silvestro con bersaglieri

;

con bersaglieri

pure della linea nostra e napoletana fu ricambiato il fuoco; ma il

nemico sempre più ingrossava ed avanzavasi con più pezzi di arti-


— 389 .—

• glieria a molestare

il

campo di fianco (I). Un nostro solo obusiere ri-

spose a quelli vigorosamente. Erano corse quattro ore ed era cosi vivo il

il

fuoco quando

si

ebbe il piacere di vedere per un momento

bravo general Laugier, che con parole italiane incoraggiò e lodò

la nostra fermezza; ritornò quindi al campo di Curtatone, che poco dopo dovè abbandonarsi a malgrado la coraggiosa d'fesa dei nostri fratelli. Allora fu che il nemico cominciò a molestare anco la sinistra di Montanara, in prima con bersaglieri, poi con truppa di linea,

quindi con artiglieria. Delle eccellenti disposizioni furono date dal

coraggioso colonnello Giovannetti, sempre solo al comando, e mancante allora di aiuti per opporre anco da quel lato una valida fesa.

Il

di-

fuoco durava da sei ore. I feriti venivano trasportati all'am-

bulanza, e pieni di coraggio non facevano lamento, ma si volgevano ai combattenti gridando:

Viva V Italia. Molti dei giovani leggermente

offesi, appena fasciati, riprendevano l'arme. Beraudi, gravemente col-

ebbe

pito,

la forza

d'animo di rinviare quei giovani che lo traspor-

tarono, e volevano assisterlo all'ambulanza, dicendo loro: Questo voii

vostro posto, ma il campo. Quantunque attaccati da tre lati e da formidabile artiglieria, pure all'ora indicata non avevamo perduto un palmo di terra: le trincere erano salde, in ordine i nostri cannoni, avevamo già fatti dei prigionieri e fra questi due ufficiali superiori, uno dei quali pronunziò ai bersaglieri che lo trasportavano queste parole: O giovani, x^oi vi !'.

il

battete

da eroi, m.a finalmente dovrete soccombere. Egli ben sapeva movevano contro di noi. Venne un momento che il fuoco

quali forze

nemico rallentò, e quasi si tacque di fronte; allora ci lusingammo perfino della vittoria, giacché gli ordini cosi ben dati non avevano

mai

fatto

comprendere alle masse che tanto soverchia fosse la forza

che ci attaccava e che ogni difesa era impossibile. Il pensiero della ritirata

non era mai corso nella nostra mente, di modo che ci sor-

prese che alla settima ora di fuoco venisse ordinHtf»

iHsciare

i

(1) Racconta uno de' combattenti: « La energia dei toscani, lungamente repressa loro malgrado, non si smentiva nel combattimento; e gareggiando con bravi napoletani, non solo tenevano essi in rispetto il nemico, ma si spingevano audacemente ad incontrarlo ed a fargli cedere il terreno, ('osi gagliardamente sostenevasi la pugna all'estrema destra, ossia a S. Silvestro, punto più importante. Quivi il maggiore Baldini, malgrado la senile età e il suo fisico corpulento, sembrava esser i

tornato rito

i

ai

l>ei

gio.-ni delle battaglie

napoleoniche, e guidava imj)erter-

toscani di linea, che lo seguivano bravamente nei ripetuti e fìeri

ansalti »


- 390 -

parapetti, mettersi in colonne, piegare bandiere ed a

tamburo bat-

tente muoversi per la ritirata.

La riunione del no^ro corpo con quello di Curtatone non era più possibile, essendo stata quella posizione

occupata dal nemico. Re-

stava solo la via di tergo per Castellucchio, e per quella fu avanzata in ordine la nostra truppa e l'artiglieria, mentre

i

bersaglieri

volontari e di linea ci guardavano le spalle per ripiegarsi lentamente

su di noi. Ma la sorpresa di ognuno fu grande, quando oltrepassata

poco la porta di Montanara vedemmo avanzarsi una forte colonna nemica per circondarci e tagliarci la ritirata. Pronto il Giovannetti, di

comandò che le si postasse contro i cannoni e che i nostri attaccassero alla baionetta.

I

suoi comandi, in parte, eseguiti, portarono

qualche movimento retrogrado nell'inimico; se non fossero mancati tanti ufficiali e questi avessero a tutti comunicato il

comando, forse

buon effetto; ma la grand'artiglieria nemica veniva ad incalzarci anche da questo lato. La stanchezza e la sfinitezza in che ci aveva condotto la lunga, fiera e disugual battaglia fecero mancare il colpo e ripiegare la nostra colonna destra su grandi praterie, coU'animo di battere il nemico di l'intenzione del duce avrebbe sortito

fianco, che

sempre si avanzava. Ma l'azione durò poco, èssendo di

troppo inferiore la nostra posizione e ridotte le nostre colonne in disordine perchè fulminati di troppo dall'artiglieria. Allora

il

Gio-

vannetti diresse la ritirata verso le Grazie passando da viottole cam-

perecce; in questo mentre dei prodi giovani si sforzarono difendere e trasportare i cannoni sperando di portarli in salvo, non conoscendo, infelici!

che più non restavano a noi buone vie, buone non ne re-

stavano per l'ambulanza, che allora cadde in balìa del nemico con i

feriti

ed il medico Barellai, nostro caro amico, il quale, intrepido

e generoso, con bell'esempio non volle mai abbandonarla.

Giunto il Giovannetti in prossimità alle Grazie fu sorpreso dalla cavalleria ulana; la sua vita restò affidata alla intrepidezza, che non

venne mai meno ed anco alle armi dei militi che lo seguirono. Crebbe allora il disordine; sciolti, ansanti seguimmo in gran parte il duce, saltando campi e

fossi, inseguiti dalla cavalleria, battuti dai bersa-

glieri e dalle scariche di razzi e di mitraglia, che già il nemico lan-

ciava dalla posizione delle Grazie, che avea guadagnata. Questa fu la via fatale

che ci fu riserbata per la ritirata, dopo sette ore di

fuoco e quasi digiuni. Giunti a Castellucchio

ci

riordinammo alla meglio e passammo a

Marcarla ed il giorno appresso a Bozzolo. Qui riuscì al colonnello di riunire 1320 uomini dei 2200 che aveva a Montanara, che com-


— 391 — batt»ìrono in principio contro 8.000 austriaci, in seguito contro 15.000,

essendo questa (dicesi) la forza che sortì contro di noi da Mantova.

Per questi fatti credo non possa esservi alcuno che debba darci debito se la nostra ritirata fu soltanto fatta in ordine

e non in fine.

nel principio,

A quell'ora, colla mancanza assoluta di appoggio ad

una posizione sicura, senza via, e uniti da ogni lato da un numeroso cerchio di nemici, con formidabile artiglieria, non poteva effettuarsi altrimenti. Anzi soggiungo che è stato un prodigio il condurre

a salvamento più

di

due terzi della nostra colonna. Critiche osser-

vazioni potrebbero piuttosto farsi sulla èòelta di quella posizione

(Montanara) per stabilire un campo ad una piccola forza, come

la

nostra, miserabile in artiglieria e restìa a provvedersi degli altri

mezzi di difesa; come delle osservazioni potrebbero farsi pel partito

che doveva prendere appena avuta notizia dei forti rinforzi en-

trati in

Mantova.

che toscani trovarono a Brescia rende piena testimonianza questa lettera d'un volontario lucchese. È del 7 di giugno: Dell'ospitalità fraterna

i

10, siamo

Questa mattina, circa le ore

arrivati a

iSItr^c•la

da .Muii-

techiaro. L'accoglienza a noi fatta dai bresciani è degna di quel po-

polo che ha già tagliati tutti

i

suoi ponti, barricate tutte le sue vie

ed organizzata una milizia cittadina bella e coraggiosa, per difen-

dere la sua indipendenza e rendersi degna dell'italica libertà. Io era

commosso fino alle lacrime vedendo il Cristo inalberato sopra le sue mura presso il cannone, la bandiera italiana e la sentinella; sentendo i tantissimi applausi ed evviva, e vedendo quei visi, veramente italiani, agitati dalla gioia nazionale, e

quella sincera espansione di

fratellanza non ordinata, non studiata, non progettata. schierati sulla piazza del

Siamo stati,

duomo in numero di circa cinquemila tra

toscani e napoletani, e quantunque sulle armi dalle 3 del

mattino

e fatte dodici miglia di strada, pure non provavamo la minima stan-

chezza. Krescia è troppo bella e per le sue colline e per le sue fabbriche, e pei suoi prodotti territoriali e per le sue gentilissime donne.

A Brescia, co' torchi di F. Speranza, uno de' volontari fece ristampare le belle parole pronunziate a Prato da Giu-

seppe Arcangeli,

onore de' prodi toscani morti sotto Mantova »; e v'aggiunse una nota, da non andare dimenticata (1). È al brano in cui l'Arcanti)

la

mattina

del 3 giugno,

«

in

Parole pronutuìate da Oiusei'Fb Akcanuri.i nella cattedrale di


— 392 geli

esclama

:

<

Fuggiva l'austriaco davanti

ai

scani in quella memorabile giornata »; e dice:

vittoriosi to«

Ripariamo

all'involontaria omissione dell'oratore dichiarando

che fra che ebbero parte ai fatti memorabili della giornata 29 maggio, non poco si distinsero il battaglione de' volontari ed il secondo battaglione del X reggimento di linea, napoletani, che unitamente ai toscani si trovavano accampati a Montanara e Curtatone » (1). Alle « Donne Bresciane » rivolsero « riconoscenti ed afi

militi

fettuose » parole le

«

Donne Lucchesi ». Terminavan cosi:

«

Allora che lo straniero avrà varcato le Alpi, ci sarà dolce

il

pensare che da noi e da voi

guerra che segnar doveva

il

si

dette

una mano

alla

trionfo della libertà sul ser-

barbarie. Accogliete questo ardente voto e tenetelo come un pegno della nostra piìi viva

vaggio, della civiltà sulla gratitudine »

(2).

Due giornali

d'allora,

la

Gazzetta di Brescia e XEco

del Po, spargono qualche sprazzo di nuova luce sulla battaglia di Curtatone e

Montanara, avendo tenuto per guida

quanto » ad essi « riferirono testimoni d'ogni fede » glio bresciano stampa: «

.

Il

fo-

Prato, la mattina del 3 giugno, in onore dei ]ìrodi toscani morti sotto

Mantova nelle gloriose giornate del 13

e.

29 maggio di quesVanno di

redenzione italiana 1848, Prato, tip. F. Alberghetti e compagni, 1848 111-8.°

;

di pp. 8.

(1) Intorno alla parte avuta da' napoletani in quella battaglia sono da consultare Le giornate dei 13 e 29 maggio 1848 sostenute dai tosco-napoletani ^ Montanara, S. Silvestro e Curtatone e le consecutive de' 24, 25, 26, 27 luglio dell'anno stesso sostenute dai Piemontesi a Sommacampagna, sulla linea del Mincio, a Volta Mantovana, Goito fino a Piacenza, cenni biografici scritti dal testimonio oculare dottor Federigo Brandixi di Monte San Savino in Toscana, chirurgo maggiore, Italia, 1848; in-8." :

di pp. 19.

Solenni funerali nella chiesa dello Spirito Santo [in Napoli] in onore dei militari

deW esercito e dell' armata napoletana morti nelle vicende

di guerra 1848 e 1849, Napoli, 1850; 1^-8.°

Viglia,

Il

X.° di linea napoletano alla guerra dHtaliana indipen-

•denza, Napoli, 1848;

in-8."'

Furono stampate nel giornale lucchese L'Impavido, ann. I, n. 25, 16 giugno 1848. (2)


- 393 29 magjfio sarà

Il

ail

un tempo eternamente glorioso e lagrimaa tutta Italia pei fatti di Curtatone e-

bile a' toscani, a' napoletani, •li

Montanara.

l'erdite dolorose e atti d'indomabile coraggio, di va-

lore eroico, di devozione senza limiti alla santa causa italiana lo I due fatti di Currenderanno per sempre memorabile nell'istorie ma fu per essi sanguinosi, molto Montanara riuscirono tatone e di per necessario tempo avere il piemontesi poterono schiere che le

giungere sul nemico, sconfiggerlo, calpestarlo, preparando la luminosa vittoria di Goito e la resa di Peschiera, e sventando tutti i piani del generale Radetzki. Appena giunta la notizia di questi fatti

a Firenze, il ministero della guerra richiese la nota di quanti vi. si

erano distinti: ma ben diflìcilmente essa potrà darsi altrimenti che con l'invio dell'intero elenco della colonna, perchè

tutti

gareggia-

rono di fermezza, di valore, d'ardore; non meno i capi, che gli ufficiali; non meno gli ufficiali che i soldati; non meno i toscani, che napoletani. In questa nobile gara di prodezze e di sacrifici emersero

1

però particolari

fatti luminosi, fatti di virtù antica, che

non debbono

essere trapassati. Un Giuseppe Cipriani, livornese, a cui il fuoco d'una

homba abbrustoli il viso, in guisa che non avea più sembiante d'uomo, strappatosi di dosso il vestimento, che ardeva, e veggendo il general

Laugier scavalcato dall'urto della cavalleria, corse nudo alle Grazie, si

gettò indosso un abito alla rinfusa,

montò un cavallo, ritornò al

luogo del combattimento, consegnò a forza il cavallo al generale e in cotal guisa salvò quel prode, impavido nei pericoli, all'onore delle

armi italiane. Volle ventura che anche questo generoso trovasse poi un altro cavallo sul campo e si salvasse; e noi l'abbiamo ora qui in

Brescia e con isperanza ed anzi certezza di vederlo presto gua-

rito.

L'artigliere Elbano Gaspari della

dosso

le

vesti,

1.'

del eentro

quarto d'ora servi tre pezzi d'artiglieria.

Il

celebre Mossotti, pro-

una

intrepi-

riposati

e gravi

fessore dell'Università di Pisa, condusse al fuoco, con

dezza e con un ardore ammirabile in uomo studi, la

strappò di

si

che anche ad esso ardevano, e così ignudo per un

di si

valente schiera degli studenti dell'Università Pisana, e

tornò coU'abito tutto traforato dalle palle. Egualmente

l'altro

ri-

non

mon celebre suo collega Michele Ferrucci, che rimase intrepido sul ponte

di l'urtatone in

mezzo alle palle che gli fischiavano intorno

per ogni lato e trasportò sulle spalle in luogo di sicurezza un soldato napoletano, a cui prodigò tutte le cure possibili. Kgli aveva nelle lilc

anche il suo unico gioviìietto figlio Antonio. Questi ritornarono

salvi e illesi, trafitto sul

ma con essi già non tornarono il prof. Pilla, che cadde

terreno su cui combatteva, nò

il

prof. Montanelli, di cui


— 394 — tutt'ora ignorasi la fine. Di questi insigni uomini, rapiti alla scienza •ed alla patria, Brescia raccoglierà i venerandi avanzi in un'arca mar-

morea del nostro camposanto. Un tenente Nicolini, ferito, vide i suoi artiglieri cadere sui loro cannoni piuttosto che abbandonarli; salvati

poscia tre di essi dall'intrepidezza del capitano Camminati, aiutato

dallacompagniadelcapitanoMalenchini.il capitano Giuseppe Silvestri, livornese, ed il tenente Giuseppe Vigna,lanciatisi in mezzo la gran-

dine delle palle nemiche, strapparono dal mulino il quartier mastro de' napoletani Giulio Billi e il recarono all'ambulanza, ove poco dopo

mori in braccio a' suoi. Il- prof, di chirurgia Ranzi durante tutto il

tempo del combattimento si aggirò impavidamente sotto il fuoco nemico, medicando e trasportando feriti con un affetto di cui sarà incancellabile la memoria, secondato ed aiutato nella pia opera dal prof. Gabrielli di Siena e dai tenenti

Marcacci e Tigri, che dopo es-

sere stati dapprima a guida della loro schiera, fecero a gara per sottrarre alla morte e

nemici tante miserande vittime di un va-

ai

lore senza limiti. Sarebbe troppo e forse impossibile a voler narrare

tante chiare e belle prove di stupenda virtù, perchè la modestia in -qubste valorose milizie

si

dimostrò non punto minore dell'intrepi-

dezza. Richiesti di quanto fecero, altro non rispondono se non che

fecero

dover loro e che il fecero tutti. Certo l'Italia può andare

il

superba di trovar dopo il lasso di tanti secoli d'oppressione e d'inerzia ne' suoi figliuoli l'antica eredità di queste virtù

VEco del Po stampa alla sua volta Gli austriaci

romane.

:

erano discesi anche pel lago con barche

al luogo delle Grazie: di là, non

e

cannoni

avendo ritrovato chi li respingesse,

fecero continuamente un fuoco vivissimo, il quale, prendendo i nostri di fianco,

recò loro gravissimo danno, molestandoli per tutto il

tempo in cui durò il combattimento. Questo svantaggio provato dai nostri, fa •di

ancor maravigliare delli eroica e prolungata resistenza

que' prodi. Toscana esulta!

I

tuoi

figli

si

son mostrati degni ita-

liani. All'assalto delle trincere di Curtatone. la fanteria austriaca vi si

portò

di traverso,

passando d'albero in albero, e sbucò ver l'an-

golo destro del paese. cinarsi, lunga

pezza

la

1

nostri che

vedevano una tal truppa avvi-

credettero amica, e solo quando fu assai

vicina, riconosciutala, le spararono contro. La

danneggiarono assai,

ma non così come avrebbero potuto farlo, qualora non fossero incorsi in tale abbaglio. Il Giovannetti nella ritirata di Montanara aveva seco, oltre

i

civici pisani e livornesi

ed

i

napoletani, anche

il

bat-

taglione fiorentino. Fu anzi quest'ultimo che chiuse la ritirata. Stette


— 395 — luDga pezza ordinato, ma poi dovè cedere alla nece88ità suprema e si divise. Parte della 3.» compagnia seguì la bandiera; parte tentò,

ma indarno, di seco trascinare un cannone, che venne poscia rovesciato in un fossato. Con questi ultimi era il maggiore Facdouel. Sembra che la maggior parte siasi ritirata su Goito, poiché non se

ne ha notizia. Solo il piccolo branco che seguiva la bandiera era giunto

fin

presso alle Grazie. Là

si

fé'

udire alle loro orecchie

il

suono ben conosciuto della banda fiorentina. Spiegate la bandiera, gridarono esultando, e la bandiera venne spiegata. Un nuvolo di palle li

accolse.

La banda era stata fatta prigioniera nella chiesa

Grazie, ove attendeva

gli ordini,

delle

e gli austriaci l'avevano costretta

a suonare per trarre a sé gli illusi. La bandiera ciò non ostante fu salvata,

ma si dovette abbandonare la ritirata su Goito. A Monta-

nara gli austriaci, usciti da Porta Ceresa, erano entrati nelle ca.se, avevano appostati i cannoni allo sbocco delle vie, prima che i nostri, intenti a combattere di fronte, si fossero accorti della sorpresa alle

Furono colti dai muri, dalle finestre, da ogni lato. Tutti convengono nel confessare essere stato vero miracolo se cosi scarso numero fu perduto a fronte dell'orribile fuoco in mezzo a cui si trovarono. Nominare tutti coloro che si distinsero in quella quanto glo-

spalle.

riosa altrettanto infelice giornata non basterebbero intere pagine. Il

tempo retribuirà a ciascuno la sua parte di lode e di ricompensa

nazionale.

Una gentildonna scriveva da Trento il

a una sua amica,

17 di giugno: Il

9 fu annunziato die la sera sarebbero arrivati lOHU pngionuMi

italiani,

che dopo lunghissima e valorosa resistenza dovettero arren-

dersi a Curtatone (1). Il loro valore contribuì e fu anzi la principal

(1)

L'8 agosto del 1B48 fu conclusa a Milano una sospensione d'anni

per tre giorui e il maresciallo Radetzki si obbligò di dar

«

tosto gli or-

dini neceH.sarii perchè tutti gli ufiiziali, bassi uffiziali e soldati dell'esercito piemontese e delle truppe

ausiliarie

toscane, napoletane,

romane

e lombartie, si regolari che volontarie, siano libere di rientrare in patria nel più breve termine, mediante il trattamento in soldo e viveri stabilito respetti vamen te

per ciascun grado». Massimino Moschi di Prato, uno de' tanti volontari rimasti prigionieri, l'il di settembre scriveva da Salzbourg alla famiglia « La nostra gabbia è aperta e io mi son messo le ali per volare nelle vostre braccia. Addio dunque a presto, :

miei diletti genitori. Salutate tutti e state tranquilli per me. Non sono

mai stato cosi bene come in questo momento >

.

Offre intaresse la >«•


— 396 — causa della vittoria riportata dai Piemontesi a Goito. Moltissima gente si fece ad incontrarli, ma con estremo rigore si proibì a questa di accostarsi

a loro; anzi quei poveri prigionieri dovettero atten-

guente lettera che indirizzò al padre durante la prigionia. È scritta da Hall il 17 digiugno. « Dopo cinque giorni di permanenza a Mantova partimmo per Verona, quindi per il Tirolo. Ci avevano fatto sperare di arrestarci a Innspruck, ma ecco 15 giorni che si marcia a ragione di 20 e 25

abbiamo stamani lasciato da parte Innspruck arrostannon sappiamo dove ci fisseranno. Ci han detto però a Lipsia Avrete di già saputo i tristi dettagli della nostra disfatta, in cui non fummo che disgraziati. Dirvi i pericoli che corse ciascuno di noi non è cosa possibile. Gli ungheresi ci han conservato la vita. I croati si son limitati a spogliarci quasi intieramente tutti. Siamo qua tutti insieme solamente 1080, non compresi gli ufficiali, che sono stati messi da sé. Potrete da ciò arguire quale fu la perdita nostra Ci passano da mangiare a sufficienza, ma non abbiamo né scarpe, né vestiario. Le popolazioni ci accolgono col migliore spirito. Non sappiamo nulla di quel che accade. Siamo assai brutalizzati per la strada da' nostri conduttori ». Da una lettera alla madre, scritta da Dobris, nella Boemia, ma sènza data, stralcio qualche brano. * Il Governo Austriaco ha fatto una gran bestialità mandandoci in Boemia, dove le popolazioni fraternizzano con gl'italiani, i quali loro offrono piìi di un'analogia politica. Essi non possono soffrire gli austriaci quasi come noi, e non aspettano che il miglia al giorno

;

doci ad Hall, e

momento favorevole per sbarazzarsene. In Austria siamo bilmente,

stati

passa-

ma peggio nel Tirolo, da dove siamo stati brutalizzati da dei

contadini armati, che

conducevano, che invece di trattarci da fra-

ci

hanno trattato da veri nemici. Pure gli ufficiali austriaci, che hanno sempre diretta la nostra marcia, hanno sempre mostrato molta

telli,

ci

bontà per noi. Non è stato che in Italia e specialmente fra Verona e Trento, che abbiamo sofferto supplizi morali e fisici veramente incredibili. Figuratevi che fra Mantova e Verona, con la paura d'esser sorpresi da Carlo Alberto, ci hanno fatto fare più di 40 miglia lombarde, invece di 20 o 25, che effettivamente separano queste due città,

senza mangiare, né bere, né riposare un

momento

Il

nostro ve-

sono in uno stato compassionevole. I croati ci hanno portato via ogni cosa. Siamo tutti quasi nudi, e con questo clima ti assicuro che non è un piacere, sebbene siamo di luglio. stiario, e

specialmente

le scarpe,

Spesso piove mentre marciamo, e non abbiamo di che cambiarci. Oltre rancio, che spesso è sufficiente e qualche volta abbondante, abbiamo

il

25 centesimi di svanziga al giorno. Tu vedi che con questa somma non ci si leva un gusto, se si vuol bere qualche altra cosa, oltre l'acqua » Cfr. Un toscano a Montanara nel 1848, Siena, tip. e lit. de' Sordo-muti di L. Lazzeri, 1893, pp. 39-47. un esule siciliano che si era fatto fiorenIl dott. Paolo Morello

fresca

!

.


— 397 nir ....... a

potesse disperdere la folla e

...uri di città atllncliè si

far che entrassero

notte.

di

Nemmeno le lanterne furono accese.

\ erso le

10 di sera finalmente arrivarono. La città diede loro la cena;

lua tutti

erano assai dolenti che dovessero partire ancora il giorno

seguente a 3 ore di mattina, e cosi di non poterli vedere. Il rigore usato la sera non lasciava sperar quello che successe il giorno dopo.

Già si credevano partiti, quando verso le 8 antimeridiane si vedono sortire

prigionieri ed avviarsi verso

i

pane. Alcuni signori chiesero se

si

il

csistello,

per prendervi il

potesse dar loro vestiti, danaro

e ciò di cui abbisognavano. Si ebbe la desiderata risposta; ed ecco

che questa appena venuta in cognizione, si desta in tutti un entu-

siasmo commoventissimo. In contrada Lunga si gettava continuamente dalle case a quella

buona e valorosa gente; gli uni portano camicie,

altri scarpe, calzoni, pane; tutti vanno a gara. Chi non

^'li

la roba si leva gli stivali.

I

i

proprii vestiti, e

li

ha pronta dona a loro; molti si levarono

ragazzi poveri cedono quel tozzo di pane che doveva

servir loro da colazione; le donne, che il

sono avviliti, ma pieni I

vendono il latte, impiegano

danaro acquistato a consolare uomini che, sebbene prigionieri, non di

animo e di coraggio. Le famiglie Salva-

lori, Trentini, Parisi e molte altre si distinsero. Vi sorprenderà l'udire

che il borgo di S. Martino fu generosissimo; i fornai, non avendo più pane, gettarono loro focaccie. E chi fu che in un

momento animò

quella gente così povera ad essere sì generosa/ chi altro che Taffezione, la simpatia, la compassione, virtù dei

l'entusiasmo che destava la

.alorosi toscani, napoletani, lombardi

(1).

Quel lembo d'Italia, fremente sotto il giogo straniero, aveva, dato prova del suo patriottismo, indirizzando fin da' primi dello stesso mese di giugno «alla Maestà di Carlo Alberto, propugnatore glorioso dell'indipendenza italiana >, rindiri/zo seguente :

tigli

1

delle Alpi Tridentine, esuli in

significare per iscritto,

tino

il

30 maggio

Lombardia, si affrettarono a p. p. al

benemerito Governo

— andò anche lui volontario alla guerra e combattè a Montanara,

(love fu fatto prigioniero. Interessante è ture, che diede subito alle stampe. (',(r.

il

racconto delle sue avven-

Paolo Morbui^o, lAttert di un

prigioniero Haliiino alla sua donna, Firenze, Società tipografica, 1848: in-i»;.*, 1

di pp.

jìjh;.

Foglio ufficiale di Parma, n. Il, 28 giugno 1848. /( RiDorg. ital.,

XIO

M


- 898 Provvisorio di Milano la loro adesione a ciò che questo estremo lembo d'Italia, cui la straniera violenza annestò a provincia tedesca col nome di Tirolo meridionale, sia oggimai in unione agli Stati Lom-

bardi fuso e incorporato al nostro Regno. Si è detto è, e

adesione e dovea dirsi preghiera, che tale in fatto ella

caldissima; dappoiché il nodo abborrito che ci legava allo stra-

niero è reso per l'avvenire affatto imposssibile, e i voti nostri e le

nostre speranze altro scopb aver non possono che la perfetta rein-

tegrazione di nostra nazionalità. L'indirizzo da noi presentato porta i

nomi

soli

firme;

degli

esuli in

Lombardia, un centinaio o poco più

di

ma se ci fosse stato concesso di farlo pervenire e circolare

nelle città e

campagne native, non uno forse de' nostri padri e fra-

teHi, di cui

dividiamo le opinioni, i desiderii,

le

sventure, avrebbe

ricusato di associarsi a noi nella solenne dichiarazione. Sire, noi vi offriamo

sia

un paese povero, ma laborioso e fedele; non

da voi dimenticato in questa grande generazione d'Italia che Pio

IX colla croce, e voi operate colla spada!

I

petti

de' Trentini del

pari che le loro Alpi vi saranno schermo e barriera contro le settentrionali minaccie;

mentre l'importanza strategica del piccolo terri-

può senz'altro misurarsi dall'accanimento che pone e porrà l'inimico nel contrastarvelo.

torio da noi abitato

Circostanze di tempi infeliciisime, colpe di pochi, volpine destrezze di governo geloso e tirannico, valsero per il passato a rendere dubbio,

di fronte

a Italia, il nostro patriottismo

;

ma è egli possibile che un

paese italiano preferisca straniere catene a italiana libertà? Sventolino, o Sire, i vostri stendardi sulle nostre cime, e l'unanime

grido che s'alzerà ad accogliervi e festeggiarvi sarà la prova migliore di ciò

che oggi mai non dovrebbe più abbisognare di prova, del fi-

gliale nostro

attaccamento a Italia madre e della riconoscenza e di-

vozione alla gloriosa Vostra Maestà. L'indirizzo, per testimonianza del giornale milanese Pio

IX, che lo diede alle stampe in que' giorni, aveva « cento

e

pili

firme, rappresentanti le più distinte capacità del Tren-

tino »

Montignoso (Massa e Carrara), 30 ottobre 1920.

Giovanni Sforza.


LE ANSIE DEL GOVERNO BORBONICO NEL 1857 pel timore d'una visita di Giuseppe Mazzini nel Reame

Jl

2 luglio 1857 a Sanza (1), nel Vallone detto dei Diavoli,

falliva

miseramente e definitivamente

il

nobile tentativo di

Carlo Pisacane di liberare Tltalia meridionale dal triste go-

verno di Ferdinando II. Falliva quel generoso e di accordi fra

moto per deficienza di preparazione loro Genova e

congiurati mazziniani di

i

i

compagni del Mezzogiorno e per l'ostilità delle popolazioni dei luoghi attraversati dall "eroico manipolo. Popolazioni superstiziose, inculte, senza ideali e refrattarie dunque ad ogni sen-

timento di patriottismo. (1)

E da preti ignoranti aizzate (2) non

Provincia di Salerno. Circondario di Sala Consilina.

(2) Il Sottintendente del distretto di Sala Consilina in data 8 agosto 1857

nel far gli elogi dei sacerdoti di Sanza, scrive:

le

<

Si mostrarono al pub-

momento in cui ferveva la pugna; portando processionalmente

blico nel

Sacre Immagini de' Protettori S. Sabiifo e S. Antonio di Padova onde

intercedessero per la vittoria del popolo che combatteva contro di gente (gic) si

trista,

nemica

della religione,

pace e generale prosperità del Regno >.

un rapporto del

1*2

luglio del

dell'adorato Monarca,

e della

E ciò è confermato anche da

Giudice regio; rapporto pubblicato dal

La Spedizione di Sapri >. Ma soprattutto un sa> cerdote si mostrò zelante nella repressione del generoso conato come si rileva da questi dne documenti che trovansi, come il precedente, nelBilotti nel

suo libro

«

l'Archivio di Stato di Napoli, voi. bòB, parte 10. Infatti l'Intendente di Salerno in data

29 dicembre 1867 fra l'altro

Dagli elementi che ò sott 'occhio emerge che l'Arciprete Curato Don Domenico Castelli, del piccolo villaggio di Arenabianca annesso al Comune di Montesano, spinto dallo zelo che nutre per la no-

scrive:


- 400 — seppero vedere nei liberatori che una masnada di malfattori, capaci di sovvertire ogni ordine ed ogni sana tradizione. Bi-

sognava però distruggere quella rivolta di spiriti fin dal suonascere, ed arrestarne così la pericolosa

Onde

marcia

l'esiguo nucleo di eroi fu cerchiato e sconfitto. Il

governo di Napoli alla notizia della disfatta subita dai

stra Sagi-osanta Religione, e da divozione verso il Re N. S. (D. G.), appena seppe che i ribelli sbandati da Padula si erano dispersi per le campagne, animava quella popolazione a mettersi in azione, e tutti in-

distintamente accorrevano, in modo che riusciva catturarne diciotto,

che consegnarono a quel Capo Urbano il quale

gli (sic) fece

tradurre

in Sala »

E lo. stesso Castelli dà notizia degli avvenimenti a Sua Eccellenza il

Direttore della Polizia Generale con questa caratteristica lettera:

«

Signore

Il zelo

taccamento verso

la

che nutì-o verso la Religione, e la fedeltà ed atsacra Corona,

mi spingono a

che

parteciparle,

questi miei fedeli Popolani, il di primo Luglio corrente anno, appena inteso che

i

Rivoltosi sbandati da Padula eransi dispersi per le loro cam-

pagne, incoraggiati da

me che mi condussi seco

sopra un rialto con due Giovani studenti,

loro fuori l'abitato

accorsero tutti piccoli, e

grandi, uomini e donne, chi con bastoni, e chi con scure a catturarli ; e ci riusci farne pirigionieri

sino al

numero di dieciotto. Or siccome

qui non ci erano prigioni per custodirli, essebdo un piccolo Villaggio,

che appartiene al Comune, e Circondario di Montesano, cosi per maggior cautela si dovettero colà condurre. 11 Capo Urbano, capta occassione, senza essere andato all'attacco in Padula, perchè timido, il giorno seguente li fé' scortare dai suoi Urbani in Sala Capo Distretto, asserendo di essere stati tutti da lui assicurati in mano alla giustizia sino al numero di 21 senza incaricarsi de' miei poveri Figliani, che eransi esposti al pericolo della vita per la difesa del nostro religiosissimo so-

vrano, che Iddio e la Vergine S.S. sempre conservi e feliciti, mentre

ebbero molti colpi di Archibugi

;

reto loro tutelare, e protettrice

non furono colpiti. Ora essendosi sco-

e per miracolo della Vergine di

Lo-

perto l'intrigo, nel sentire che molti senza cooperazione alcuna sono stati

rimunerati e decorati! Ed essi loro dopo tanti

sforzi, e

pericoli,

non cale, sono rimasti dispiacentissimi, e molto avveliti Prostrato io perciò ai piedi della Ecc. a Sua la supplico a farli tenere in considerazione affinchè in altre occorrenze, quod absit, mostrassero maggior coraggio, e forza. Tanto si spera, e si avrà in esecuzione della giustizia commutativa e distributiva di cui è ben adorna l'Eco.* Sua,. nonché il nostro degnissimo sovrano. posti in

!

;

Arenabianca di Montesano, li 30 8bre 1857.

Domenico Castelli, Arciprete Curato».


— 401 — un respiro di sollievo; e con mezzi

rivollosi, trasse

e spesso moralmente atroci,

si

diede a reprimere gli

violenti

ultimi

conati del tentativo di ribellione inveendo contro gli sventu-

concedendo invece doni, regalie e promozioni a coloro che avevano contribuito maggiormente a sventare il rati superstiti e

movimento di sedizione.

Ma mentre

i

prigionieri superstiti della infelice spedizione,

disfatti dalla lotta e d'ogni

avere privati, languivano, in at-

tesa di essere processati, nelle orride prigioni di Sant'Antonio

un nuovo pericolo minacciava, secondo il parere

in Salerno,

dei governanti di Napoli, la ristabilita tranquillità del Reame. Il 2:2

luglio 1857 da Quisisana giungeva al Direttore di Polizia

Generale, e contemporaneamente a Sua Eccellenza il Commen-

dator Bianchini, Prefetto di Polizia,

il

seguente dispaccio:

Da segnalazioni in cifra del R. Console in Livorno si ha, che Mazzini è

a bordo del Corinthan che è sotto sorveglianza in quel porto,

e dal quale partirà per Napoli

11

22, cioè oggi.

Rimane alla saviezza ed alla sagacia di Lei provvedere alla massima sorveglianza da per dovunque, e, se possibile, pizzicarlo (sic), sia

qualunque il passaporto che esibisce.

Avvertirne eziandio le Autorità di Sicilia per fare le istesse pra-

prenda per quella rotta.

tiche, caso

Non

--

"

'iccia

il

minimo rumore. (Segue la firma ch'è illegiribile).

uoli/.ia, come si rileva dai numerosi documenti che conservano nel R. Archivio di Stato di Napoli (1), sgominò il governo borbonico come se dovesse sopraggiungere una banda di pirati o peggio. I dispacci dall'ufiTicio elettrico di

On»->i<i

si

Quisisana, in tutti

i

si

seguivano senza interruzione: venivano inviate,

porti e nelle principali città del regno, circolari sul

tenore di questa, Polizia

agli

mandata il 22 luglio 1857 dal Direttore di

Intendenti di

Messina, di Cosenza, Catanzaro,

Reggio, al Generale Alfan di Rivera in Catanzaro, a S. E. il

Luogotenente in Palermo e all'Intendente di Salerno A iossa: (1) Tatti i documeiiii iium m (jnesto smiio si trovnno nel Regio Archivio di Stato di Napoli al voi. 868, parte 82.


— 402 — Si

ha notizia che Mazzini è a bordo

del

Corinthan che trovasi

a Livorno, e che oggi parte diriggendosi (sic) per uno de' porti de' Reali Domini

— È necessario spiegare la massima energia e proce-

dere all'arresto del Mazzini, qualunque sia il passaporto che esibisse.

Mentre tali ordini giungevano a destinazione, e tutte le au-

davano moto per stabilire nel territorio affidato alla una sorveglianza scrupolosa, in modo di poter sorprendere « tutte le provenienze di mare » e nelle ri-

torità si

loro giurisdizione

sposte d'ufficio insolentivasi contro il Mazzini, qualificandolo

sovversivo pericoloso e settario, a Napoli

il

23 luglio dava

fondo il segnalato e temuto piroscafo inglese. Del suo arrivo il.

Commissario delegato marittimo Giambarba così scriveva

al Direttore di Polizia Il

Generale in data 23 luglio 1857:

piroscafo Inglese Corinthan testé giunto in questo porto, og-

mio rapporto di questa stessa data, giunse in Genova quindopo il movimento rivoluzionario. Da notizie precorse Mazzini partì da Genova il giorno precedente al movimento. Questo legno arrivato a Livorno il giorno 20 si ebbe sospetto da

getto del

dici giorni

quel governo che sul bordo vi fossero state delle persone sospette,

per la qual cosa, con l'assistenza del Console Inglese, in seguito di disposizione del Ministro di Sua Nazione residente in Torino,

si

procede con apparato di forza, e Funzionari pubblici, ad una perlustrazione la più minuziosa che si possa immaginare, la quale nulla offrì di osservabile.

Appena qui arrivato, il comandante

Sig.

John Milburn, con bel

garbo ha permesso non solo l'appello dell'equipaggio, fatto con tutte le i

indicazioni personali,

ma anche una perlustrazione in tutti

più reconditi del legno, e niente

si

è

i

siti

rimarcato tranne che tra

l'equipaggio evvi un marinaio siciliano a

nome Vincenzo Canarda,

imbarcato a Liverpool, sotto il nome di William Comak, che con uffizio della Prefettura di Polizia de' 13 Febb. 1856, 2. Ripartimento, risulta essere la qual cosa è

marinaro Regio suddito, disertato allo straniero, per rimasto guardato a bordo.

Ma il non aver trovato a bordo del « Corinthan » il Mazzini,

come si credeva, non rasserenò affatto

il

timoroso go-

veriìo di Napoli, che ordinò anzi di sorvegliare accuratamente

non solo il piroscafo ed il suo equipaggio, composto di trentaquattro individui, compreso il capitano, ma anche lo sca-


— 403 — rico delle merci

come se temesse (il Mazzini a loro giudizio

era capace di tutto) che il nobile cospiratore stesse rinchiuso in qualche cassa o che tra le merci si trovassero rimpiattate armi e libelli rivoluzioniri. E però il solerte Commissario delegato Giarabarba. nel discarico del piroscafo trovò qualche

pochino la serenità del suo animo!

cosa che turbò un

e

ne

die tosto avviso, come cosa importantissima, al Direttore del

Regio Ministero della Polizia Generale con la seguente lettera datata da Napoli

27 luglio 1857:

il

Signore — Quest'oggi gl'impiegati doganali han proceduto alla

vi-

sita di discarico sul piroscafo mercantile inglese Corinthian, oggetto di

precedente corrispondenza^ In risulta si son trovati due colli non

manifestati segnati

il

primo con lettera I. L. I. ed il secondo 767 («te)

N. 3, imbarcati in Livorno per Gibilterra, contenenti, uno, libri, l'altro

carta bianca, secondo viene assicurato. Tali colli sono stati

immessi nella Gran Dogana per divenirsi alla

veririca di ciò, che contengono.

La perquisizione e la sorveglianza per lo scarico ordinate Ferdinando II sul « Corinlhan », senza previo consenso del Console britannico iti Napoli, signor Lewis I. Barbar.', mosse quest'ultimo a sdegno, tanto che il 24 luglio dal governo di

1857 fra l'altro scriveva al Direttore di Polizia: ...

.Nel trattenerla

tlian ») non

su di questo fatto (la perquisizione del « Corin-

la mia sorpresa alla mancanza totale di quella cortesia che ogni autorità ha il diritto di attendere da un'altra; come pure è innegabile che il Real Governo avrebbe dovuto cliiedere il mio consenso e la mia presenza alla visita come la sola Autorità britannica rimasta in Napoli. Il Vapore venne pure visitato a Livorno, però prima fu il Console

posso astenermi dal manifestare

Hritannieo colà invitato ad un abboccamento sull'oggetto da S. A. I.

Principe ereditario di Toscana che trovavasi a Livorno e dopo venne fatta la visita dietro il consenso e nella presenza del Console.

il

Ella

dovrà convenire che il modo praticato a Napoli è ben diffe-

rente da quello di Livorno.

A questo richiamo di mancata cortesia, il Direttore di Pomodo la sua opera, scrisse una

lizia, a giustificare in qualche

lettera al

Console

in

dala del 28 luglio 1857 nella quale di-

chiaravi», senza troppe reticenze, che era stato costretto a prò-


— 404 — cedere ad una immediata perquisizione perchè

le «

ricerche

riguardavano non un soggetto semplicemente mal veduto dal Real Governo, ma sì bene il famijjrerato Mazzini, che reca do-

vunque rivolture ed ecci(Ji; e che ogni menomo ritardo avrebbe potuto dargli l'agio (laddove fosse effettivamente qui venuto) a sottrarsi ad ogni ricerca. « Sia certa, SIg. i

E la lettera aggiungeva:

Console, die il Real Governo usava sempre

maggiori possibili riguardi ed agevolazioni, come li ha usati

per l'addietro verso degli esteri, e segnatamente allorché trattasi di sudditi inglesi ».

Appianata in

tal

modo la piccola vertenza col Console in-

glese, e smentita utticialmente

Iji

notizia che Mazzini

si tro-

vasse a bordo del « Corinthan », mentre nulla di sospetto ebbe a risultare dalla verifica dei due colli di merco incriminati, il

governo borbonico trasse un altro gran respiro di sollievo.

Ma fu calma di breve durata, che quasi ad un tempo s'ebbe notizia

da Messina che Mazzini viaggiava su un'altra nave la

« Cuzzameti ».

A l'inaspettato avviso, cilie,'

governanti del Regno delle Due Si-

i

furono invasi nuovamente dallo sgomento e direi quasi

da un terrore folle, a giudicare da quanto risulta dalla corrispondenza relativa.

1

dispacci, gli ordini urgenti, s'incrocia-

vano con la massima rapidità attraverso l'intero Regno; tutti, dall'umile milite agli Intendenti, erano pronti per acciuffare « il

famigerato rivoluzionario ».

E non valse a mettere un Polizia napolitana,

il

|)o'

vìi

calma

nell'attività della

seguente biglietto mandato il 14 agosto

1857 dall'incaricato del portafoglio degli affari esteri, Curafa, al

Direttore di Polizia:

Venendomi assicurato da Torino, clie Mazzini si trovi nel momento nel Cantone del Ticino in Isvizzera, io

mi sollecito rendernela con-

sapevole per sua opportuna intelligenza.

Tanto è vero che si spedirono ancora circolari Provincie del Reame, con

i

Ma questi connotati, difft:rendo molto da quelli Intendenti dal Ministro degli Esteri si

in tutte le

connotati del « tristissimo Mazzini ».

il

inviati

agli

30 marzo 1854, quando

credeva che Mazzini viaggiasse, munito d'un passaporto


- 405 americano, sotto glesi, sotto

i

nome di M. B.

il

l*hilippe, e di altri due in-

nomi di Lorenze e Martinelli, rese incerti i fun-

zionari. Tanto che il Prefetto di Polizia di Napoli il 3 settembre

1857 potè scrivere fra altro al Direttore di Polizia Menti-e

compio il dovere accusare

revole uffizio di jeri pel

la ricezione

Rip.t» col quale

!•

del

:

di

Lei auto

mi ha trascritto i con-

trassegni personali del famigerato Giuseppe Mazzini, rispettosamente

sorametto che con

le

l'altro uffizio di cotesta

Prefettura dei 13

ot-

tobre 1854 pel detto Rip.to mi furono del pari dinotati i contrassegni del Mazzini, che differiscono dai primi cioè in questi è detto:

Statura piccola, ora giusta, naso aquilino, ora regolare, bocca grande, ora giusta, color terra, ora carnagione bianca, fronte alta e tonda, ora fronte bassa; ed è perciò che la prego a porgermi

i

suoi oracoli onde sappia a quali delle due filiazioni debba io atte-

nermi, mentre vengo assicurato da persona che ha avuto contatto col Mazzini che

i

di lui

lineamenti corrispondono al ritratto in lito-

grafia rimesso del R. Ministero

da più tempo e che qui si conserva.

Ma a precisare alquanto

veri connotati del Mazzini inter-

i

venne il Sottintendente di Lorino (Marchese F. De Mai), che, scrivendo in data 9 settembre 1857 al Direttore di P»ilizia, cosi

esprime:

-i

Avendo per effetto di officiale del Signor Intendente della Provincia del 3

andante

1"

uff."

comunicati a tutti i Funzionari di Polizia di

questo Distretto gli ordini

di vigilanza e di arresto pel

famigerato

Giuseppe Mazzini, questo Ispettore di Polizia mi rapporta quanto segue: « Signor Sotto-Intendente.

revole riservato

— Neiraccnsarle la ricezione dell'auto-

lei foglio del

li

5 corr. N. 281, non posso dispen-

sarmi dal rassegnarle, che i connotati del famigerato Giuseppe Mazzini, di cui tratta

il

citato di Lei foglio, sono sicuramente erronei,

perchè io lo conosco personalmente, nel seguente modo.

<lal

Nel 183? mi trovava nell'Italia centrale e propriamente in Li-

<

vorno per incarichi di S. E. il Signor Marchese Delcarretto, Ministro allora della Polizia, ed era alloggiato nella Locanda detta, la Pensione

Svizzera, ove venne ad alloggiare ancora lo stesso Mazzini, e si trat-

tenne diversi giorni pranzando sempre assieme alla tavola rotonda, 0(1

allora aveva la

fioo aiiMi

ojrra 1.

medesima mia età, per cui aver deve l'età mia, ;"•- '" ''N'^'-'-mì aveva prnpnamente 52

nnni 66, e non


— 406 — « In tutto

il

resto

connotati anzidetti corrisponderebbero, meno

i

che nel colore che invece

di

essere bianco allora era bruno, e denti

non gli mancavano ».

Con tutto ciò erano tali e tante le divergenze sulle caratteristiche fisionomiclie dell'agitatore Genovese da mettere in serio

imbarazzo le autorità, al punto che lo stesso segretariato d'alta Polizia fu indotto,

il

26 ottobre 1857, a domandare al Mini-

stro degli affari esteri notizie esatte in tersi

proposito

« onde po-

più agevolmente sorprendere cotesto famigerato cospira-

tore quante volte osasse metter piede ne' Regi Stati ».

E lo

pregava anche « di voler provvedere in guisa da acquistarsi tali

chiarimenti per

le

vie

Diplomatiche ».

Mentre adunque il timore di una visita di Mazzini a Napoli spingeva

i

governanti, consci del loro cattivo governo, a ri-

volgersi financo alla diplomazia per avere

informazioni sul

grande pensatore Genovese, e quindi con maggiore facilità impossessarsene o tenerlo almeno lontano dal Reame, Mazzini

aveva fin dal 6 agosto presa di nuovo la via dell'esilio, non prima, però, di essersi assicurato che i capi più compromessi

Genova, Livorno e Napoli fossero in salvo. Perchè, per una strana avversione a tutto ciò che sapeva di nuovo e che forse rispondeva a una migliore comprensione

dei moti di

del

mondo moderno, anche

i

migliori, e ve ne furono, non sep-

pero sottrarsi a quel moto di reazione, a quella rabbiosa tradizione di cose statiche in cui doveva cristallizzarsi il governa di Napoli.

E cosi questo grande scrisse

il

patriota

che

fu,

come giustamente

Carducci, « l'ultimo dei grandi italiani antichi e il

primo dei nuovi,

il

pensatore che di Roma ebbe la forza, dei

Comuni la fede, dei tempi moderni il concetto, l'uomo di Stato che pensò e volle e ricreò una l'Italia, finite,

la

Nazione », abbandonava

sorgente per lui di dolori inenarrabili e di gioie in-

mentre la sbirraglia napoletana vigile, scrutava il mare

in attesa della

nave che doveva darle il solitario genio del ri-

sorgimento italiano!

Dora Mazzoni.


RECENSIONI BoSelli Paolo.

— / discorai di Ruggiero Bonghi per la

Alighieri » (con

« Dante una introduzione storica) S. Maria Capua

V'etere: tip. Di Stefano, pagg. lxx-103.

Escono, per una felice coincidenza che ne accresce singolarmente il valore, questi discorsi di Ruggiero Bonghi, proprio mentre la Gazzetta Ufficiale pubblica lo Statuto Costituzionale del Regno nei territori ricongiunti alla Patria. L'opera del Boselli (poiché del Bonghi sono i discorsi per la Società « Dante Alighieri », ma del venerando patriotta è l'affettuosa dichiarazione storica che li precede) non poteva trovare sigillo più degno: si che io amerei concludere quelle pagine di fedeltà italica con le parole, onde ha termine la relazione ministeriale al Re, e che suonano a questo modo: « I nuovi cittadini d'Italia, senza distinzione di lingua, quelli che già ora entrano nella compagine dello Stalo e gli altri tutti che domani seguiranno per lo stesso sacro diritto, stringono oggi sulla Carta Costituzionale, che è vanto dJla vostra Casa, il patto di lede e di amore con l'Italia e il suo Re ». Così l'opera di Paolo Boselli, trova il miglior commento e coronamento nella attuazione del grande sogno, a cui concorsero gli uomini più puri e più rappresentativi, che l'Italia noverasse dalle origini prime del Risorgimento, alla luce di Vittorio Venet». Le pagine che precedono i sette discorsi del Bonghi (seguono alcune conferenze e lettere e articoli del grande napoletano) illustrano

rapidamente

la

storia delle

due terre sot-

tratte alPltalia per malvagità di trattati e per avverse vicende,

dimostrando la assoluta coneonlia degli intelletti che ne invocarono la liberazione, dai precursori Gian Rinaldo Carli,, dementino Vìintietti, Antonio Osari in parte e lulfa la scuola


— 408 roveretaua

— a^li ultimi apostoli martiri dell'irredentismo

— Guglielmo Oberdan, Giacomo Venezian, Cesare Battisti. In tutti,

dagli uomini di quel cadere di settecento filosofanti sul-

l'idea unitaria, senza riuscire a cavare dalla loro

anima un

giido di dolore, ma interminabili trattazioni di cui Napoleone si risero, a questi recentissimi assertori dell'idea volontà e desiderio di morte, alita un'intima assidua preoccupazione, che diviene sforzo e minaccia verso l'oppres-

e l'Austria

fatta

allarma più che non sembri per il sorgere se non teme il sonetto del Vannetti (1790) « Italiani noi siam, non tirolesi » rimane pavida di fronte alla sterminata schiera delle pensose ombre di patri otti, carbonari con Domenico Rossetti, giorlialisti con Francesco Dall'Ongaro, apostoli col Tommaseo, poeti col Prati, filosofi col Gioberti e col Rosmini. L'antica passione di Venezia, e con essa tutta la zona dolorante sotto il giogo straniero, da Trento a Zara, risorge ad ogni nuovo sbalzo della storia d'Italia verso l'indipendenza: durante gli inquieti sogni del '48, riposati nel decennale di raccoglimento in cui giganteggia la figura di Cavour, la questione dell'Italianità del Trentino e dell'Istria rfon riposa mai, essa si agita, segue un sore. L'Austria si

delle società di cultura fra gli irredenti

:

suo logico filo, si nasconde, ma non perisce: risorge, si abbassa, risorge ancora nel '66, tumultuosa, minaccievole con la richiesta dell'Università italiana a Trieste: e solo nel '70,

unificata a

Roma la Patria, si abbrunano

due vedove, e

la

le

bandiere delle

promessa d'amore valica l'iniquo confine,

come un richiamo e un giuramento. Da allora in poi è tutto un fremere di opere e giorni: e il Boselli accompagnala fremebonda campagna, non dimenticando Fiume, la città nobilissima, la cui italianità è così antica, che discutere sarebbe disconoscere la storia. Nella corrente irredentista, ora travolgente, ora paziente, ma in ogni modo perenne, passano vecchi tronchi, cui la forza delle cose conducono verso il gran mare in cui la giustizia si disseta, Francesco Crispi, Giuseppe Mar-

cora. rimbriani.

La Società di Minerva, espressione dell'in-

dimostrazione della forza, il Lloyd, la Pro-Patria, la custodia della lingua materna, ogni cosa serve al santissimo scopo: par di sentire risorgere il motto di C. Frantelletto, e le palestre ginnastiche,

vivificano la

cesco

Gabba

fiamma che non si spegne

:

tormentoso, di

« pensandoci tutti

:

:

sempre >», pensiero

fìsso, tenace,

dal Carducci, al Pais, al Barzilai, al


- 409 — Bovio, al Cavallotti, e poi al Bonghi

minosamente

la

:

col quale si inizia lu-

Dante Alighieri. L'eloquenza del Bonghi è

tratteggiata in pochi, maestrevoli tocchi dal Boselli, oratore anch'esso magnifico e vigoroso. « La sapienza del pensiero scrive l'A. a proposito del Bonghi dà luce al consiglio delle cose e degli eventi, l'entusiastno serba tutta la classicità dell'orazione italica e la verità rampognatrice scintilla spesso in arguzie leggiadre ». Codesto uomo, il cui spirito, « negli ultimi anni era andato a poco a poco quasi impercettibilmente spiritualizzandosi » (così il D'Ovidio) con quella sua sorprendente versalità ad ogni sorta di disciplina e di pensamento, si era adagiato nel programma della Dante Alighieri come in

un mondo ideale, nel quale si contemperassero e si acquietassero tutte

le

battaglie del suo pensiero e gli

urti

della

sua

vita politica. Dice bene il Boselli. che codesto eroe della penna

e della parola, fu anzitutto e sopra ogni dire,

Presidente

il

della Dante Alighieri. In quei suoi discorsi, riscaldati

gran fuoco interiore verdeggia la storia,

da un

lo spirito profetico,

l'esortazione. * Kgli parlava addolorato, ma fidente, ad un'Italia

accasciata » abbracciando tutte

le terre non ancora redente, ciascuna delle quali vedeva una scintilla dell'immortalila di Roma. Poi, quando la morte lo colse, egli passò persuaso che nella sua Dante Alighieri vi fossero gli elementi per durare e per vincere. Hanno, i destini nostri, dato solenne ragione alle speranze del vecchio assertore dell'italianità delle terre

in

irredente: ed è bello che i due nomi, del Boselli e del Bonghi^ si

incontrino a piede della nostra gloria,

riunisce, finalmente, tutti

i

figli

mentre

la

Patria

suoi.

Edgardo Gamerr.\.

Italo Raulich. Voi.

1.»

— Storia del risorgimento politico d'Italia. —

(1815-';j0),

Bologna Zanichelli,

19-20,

pagg.

.'KR).

A voler fare le cose a modo, dell'opera del Raulich non si dovrebbe discorrere chea pubblicazione compiuta. Ma da quanto ce ne è dato conoscere, e dalla mole del lavoro e da cor tesi confidenze dell'illustre uomo, questo compimento non wirà tanto sollecito: anzi, andando bene f)gtii cosa, occorreranno ancora cinque o sei anni. D'altronde l'impresa ci sembra tale, e il nome del suo autore egualmente, da non permettere in


— 410 — alcun modo il silenzio attorno ad una storia, la quale, senza dubbio, dovrà essere la più completa di quante si conoscano sull'argomento, avendo potuto il Raulich tener conto di quelle estreme conclusioni, a cui sapienti e meditati lavori, hanno necessariamente condotto. Questo primo volume, poi, offre un campo di speciale interesse, avendo a centro i moti del '21. dei quali appunto fa ora il secolo cosicché l'opera del Raulich costituisce fra l'altro, un cospicuo contributo agli studii particolari, che su quel moto si vanno apprestando. la sua distesa, solcato da Il periodo 1815-'30, è, per tutta :

quella irrequieta vena di insurrezione, che,

muovendo dal

Congresso di Vienna, sbocca tardivamente ma irresistibilmente, nelle barricate di Parigi e di Bruxelles. Dal trionfo della Santa Alleanza alla sua più grande sconfitta: e in questo tempo l'Italia, che in apparenza è un lembo d'Europa governato dall'Austria, vive la sua vita più bella di preparazione e di sacrificio. Il Raulich divide il suo lavoro per tappe e ogni tappa ha le sue stazioni intermedie: molto bene, trattandosi di un'opera vasta, il cui pregio deve consistere appunto nel tarsi leggere senza fatica e il riquadrare, il frazionare, lo svellere dal tutto le sue parti funzionali, giova a questa agilità e mobilità del lavoro. Sicché, si può dire che il libro non stanchi si arriva in fondo freschi come quando ci si era mossi: si contempla in scorcio tutto il cammino percorso; se il lettore ha virtù di sintesi egli può rappresentarsi il quadro politico :

:

:

dell'Italia in quei quindici laboriosissimi anni.N<>n era tacile:

né era così facile essere obiettivi come il Raulich dimostra di si compiace. Vittorio Emanuele I è, ad esempio, mirabilmente ritratto: così il Metternich, così la corte di Maria Luigia, in una miniatura perfetta. Le grandi, le giuste idee che formano la sostanza del quadro possente,

essere: vorrei dire, anzi,

sono in pienissima luce, ciascuna nel suo proprio piano. Il periodo preso a studiare dal Raulich é quello delle minoranze ardite, le cospirazioni, le sètte, gli esilii, il martirio sono retaggio di pochi: e mi par bene che il Raulich lo affermi fin d'ora, perchè giova sperare che egli insista su questo concetto, per me capitale, che tutto il risorgimento italiano fu lavoro dei pochi: i molti, la massa anonima, il popolo stette con la reazione. E il Raulich molto Dene profila la sètta coDie filiazione e come innesto la Carboneria appare piuttosto inne:


— 411 — «tata sul vecchio tronco massonico che non generata da quello,

ma dopo gli studii del Sòriga, qualcosa più Massoneria mi sembia andava detto. Perchè poi, è ancora controversa l'origine della sètta Carbonara, la quale non fu lutto bene, né tutto male: il fatto di aver già qualche secolo sulle spalle quando giunse in Italia coi soldati di Napoleone, non spiega queirindirizzo tutto provinciale che prese da noi, e che fu diverso a Napoli e in Sicilia, e differente in Piemonte. Dove il Raulich ci sembra veramente felice è in tutto quel complesso di idee relative al formarsi di una coscienza liberale, fenomeno veramente sorprendente e non solo politico, ma. sì, anche letterario. La lotua delle anime in quell'alba di un periodo nuovo, è tutta, per esempio, in quella resistenza del Foscolo ad accettare la direzione di un giornale autorizzato dall'Austria, resistenza che non offrì l'Acerbi * massone e perciò impaziente » di mettere i suoi servigi a disposizione del nuovo governo di Milano. Un altro segno del formarsi lento di quel liberalismo tutto piemontese che poi culminerà nell'idea di Cavour nei rapporti con la Chiesa romana, potrebbe trovarsi agevolmente nei giudicati del governo di Carlo Felice in materia ecclesiastica: l'opposizione •costante ad ogni pretesa tempora listica, ad ogni sopraftazione, ad ingerenza del clero nelle cose dello stato, palesa uno nei rami più alti

:

-della

«

.

«ì animo tutto particolare di quella politica, che giungerà all'abolizione del foro ecclesiastico, in una parola, alla legge Siccardi. E ciò solo in Piemonte, perchè altrove il ele-

stalo

ncato fu sempre al vertice della rea-'.ione, perfino nella mite To.scana, dove tutti spadroneggiarono un po'. Cosi, elevando

il

pensiero dalla limpida prosa del Raulich

a considerazioni più minute e particolari, il lettore giunge in fondo a questo primo volume col desiderio di incominciare il secondo, lia qual cosa non è sempre possibile, in tutte le opere, che, come questa, trattano di molte ca«*e in molti volumi. Edgardo Gamerh.a.

Adolfo Ma.ncu.vi. vorno,

off.

— F. D. Guerrazzi

-

grafiche G. Chiappini.

Detrattori, al Guerrazzi

Cenni e ricordi — .

V>ì(),

Li-

pagg. 139.

— e in vita e in morte — non sono

mai mancati, anzi, se si può dire, più

in

morte che in vita.


- 412 perchè eoa una lingua ad Ugugliolo come quella, c'era poco stare allegri a fare i gradassi. Le cagioni dell'antipatia sono varie e c'è chi si è compiaciuto di elencarle: secondo TAvv. Adolfo Mangini, che è invece il più nobile e il più avveduto assertore del buon nome e della fama del gran livor(la

si riducono tutte ad un unico denominatore comune: all'avere il Guerrazzi, vita naturai durante, sferzato

nese, esse

a sangue i moderati e in generale tutti coloro che in politica

furono e sono per le vie di mezzo e non hanno cuore di prendere posizioni precise. Buona anche codesta ragione, per quanto

me sembri un tantino semplicista. Al Croce, per esempio, il quale fu del Guerrazzi (e credo sia ancora) avversario irriducibile, sembra dare ombra più che l'antimoderatismo, il mistero della superfetazione retorica, per cui quello smagliante e roboante scrittore assoprellava le immagini nel proprio seno, e partoriva, il più delle volte, tigli a

mostruosi.

Di solito, la cosa è vera, e l'opera del Guerrazzi è, per tre quarti buoni, rimbombo e basta ma il quarto che resta intatto, ;

di quale luce maravigliosa è investito!

Il

torto,

secondo me,

è un po' di tutti, per volere e aver voluto considerare il Guer-

da un verso solo (romanziere, politicante, demagogo, non nel più ampio e veridico insieme del suo patriottismo. Come italiano, egli è, senza dubbio, dei più formidabili che il Paese nostro possa annoverare nella storia del suo risorgimento. Non si sale dalla platea, ove urla e gestisce la tolla scamiciata delle vie di Livorno, alla dittatura della Toscana, per discendere poi nelle più disperate celle del Mastio volterrano, e di lì, peregrinando sempre, prendere la via dell'esilio, senza qualche potente stimolo che persuada a ogni cosa soffrire, ad ogni male affrontare. E specie in tempi, in cui il moderatume alla Giusti, usava tanti rigiri razzi

leguleio, cospiratore) e

e

arzigogoli,

per restare illeso nello sballottio indiavolato

degli eventi.

Per questo, il nuovo libro del Mangini (che poi non è tutto nuovo, perchè raccoglie scritti già seminati di qua e di là) sarà accolto con simpatia, da quanti si occupano della Toscana, la cui importanza, nella storia del risorgimento, io ritengo non ancora completamente illustrata. C'è un preconcetto da sfatare, ed è che i toscani, con la scusa del sonno granducale, non sentissero lontanamente il bisogno di eman-


- 413 — (•i[)arsi

:

iiif^Mu», ui

i.ut-

uii<i

eosa sola col Pienioiur; tncglio

ancora, di unire le loro sorti con l'Italia e con Roma. Un accenno a questa indolenza toscana lo leg}?evo in alcune lettere, nientemeno, di Santorre di Santarosa, scritte net 1803, quando

ancora di indi|)endenza non parlavano nemmeno in Piemonte, dove la scintilla, è indiscutibil»:*, si manifestò per la prima volta in Italia. 11 Guerrazzi, almeno, nella politica, nella vita, come nell'arte non fece che contraddire a questa falsa leggenda e questo è suo titolo d'onore e deve valergli la gra:

titudine di tutti,

ma specialmente dei toscani,

i

quali, invece,

quando si tratta di lui, storcon») la bocca e si appellano al Giusti, il quale, in quell'occasione, non capì nulla. Questo p

V-'-M

r.) iif i t<i.

Edgardo Gamerra.

Gen. M. Albertoxe. Ricordi delVimpresa di Roma nel 1870 {* Nuova Antologia », 16 settembre 1920).

Sono appunti brevi, episodi varii, apprezzamenti p^^rsonali, questi, che per volontà dello stesso Generale Albertone, ven-

gono ora alla luce per le nozze d'oro di Roma italiana. E dobbiamo dire che, fra i diversi volumi che conosciamo sull'impresa del '70, queste pagine, che non conoscevamo ancora, sono fra

le

più belle e

possiede

dono

le

più interessanti. A parte che l'Albertone

della parola

facile e viva (e di questo ne avevan data sufficiente riprova le sue Memorie d'Africa) c'è tutta una serie di apprezzamenti acuti, avveduti, polemici, i (juali, pur senza parere, infiorano le brevi pagine di questioncine che meriterebbero la soluzione: sicché sarebbe desiderabile che codesti Ricordi vedessero interamente la luce. L'Albertone, ad esempio, si domanda come mai da Terni si andasse a passare sulla destra del Tevere a Borghetto, anil

ziché puntare direttamente su Roma, per la sinistra del fiume: la via sarebt)e stata più breve, lo

discussioni di

carattere

non vorrei invischiarmi in non sono:

militare, perché stratega

ma credo che per l'appunto

perchè quella sarebbe stata

la

strada più breve, il Governo italiano avesse ingiunto di ()as8ar dalia lunga.

Non so se mi spiego: il R. Governo, insomma,

i mezzi di evitar« un conflitto, spaventando con un energico spiegamento di forze, piccoli presidi di zuavi

cercava con

tutti

i

Il Ritorg. itnl.,

XUI

36


— 414 Governo pontificio, e tentando fino all'ultimo accomodamento. La missione del Generale Carchidio, fra l'altro, lo prova, e il fatto stesso di non aver voe più in là

un

il

pacifico

luto considerare la spedizione di Roma operazione di guerra,

punto di togliere all'esercito le indennità di entrata in campagna, può spiegare le incertezze, ritardi, le lungaggini, che al bravo soldato sembravano gretterie e inesplicabili errori. Non dico poi nulla della Divisione Bixio, fermata al Chiarone davanti a Civitavecchia, dei tentennamenti del Governo col deputato Ghecchetelli circa una spedizione azzardosa sulla città pontificia (cfr. Nuova Antologia, 16 settembre 1920 un mio saggio sull'argomento: pagg. 161-166) e la ancora incerta questione della capitolazione Serra. Ottimi spunti sono quelli relativi al fratello uterino del Generale Albertone, Cardinale Bilio, allo speronare che fece per al

i

tutta

Roma in cerca di alloggi per il Supremo Comando, al

plebiscito dei borghigiani, alla questione romana. L'occhio del

soldato vede tutto sotto un angolo di luce pratico, che risolve le situazioni più imbrogliate nello stesso modo, a dispetto quasi Il Generale Albertone, duce della memoranda colonna del 1896, dovette purtroppo convincersi come

della diplomazia.

la fatale

campagna di Africa fosse condotta proprio dalla di-

plonjazia a dispetto del soldato, con quei resultati che tutti

sanno.

Edgardo Gamerra.

Una lettera inejdita del Re Galantuomo, Lucca, G. Sforza. Baroni, 1920, pp. 26. Di Castello, in Val d'Arno fiorentino, già noto per la dimora sua madre Caterina Sforza, e celebre per l'amore che gli portò Cosimo I che l'abbellì con l'arte del Tribolo, del Bronzino, del Pontorno facendone un incantevole soggiorno che destò l'ammirazione del Montaigne e meritò il plauso del Redi per la fertilità delle vigne che lo circondano, parla, con la competenza che gli è unica, in fatto di storia toscana, Giovanni Sforza, ])er ricordare il tempo che vi trascorse xMaria Teresa, regina di Sardegna. Questa principessa, che, sebbene tedesca di sangue e di educazione, non fu mai dimentica né dell'uomo che ella di Giovanni dalle Bande Nere, quattordicenne e di


- 415 — aveva amato, ed amò fino airultimo suo giorno di vita, né dei doveri che le incombevano come sovrana dello stato italiano per eccellenza, desiderando di rivedere

la sua dolce soMaria Luisa, nel 18ól. determinò di andare in Toscana. Ma poiché le condizioni politiche del tempo non rendevano certo agevole a Maria Teresa, nella sua duplice qualità di figlia di Ferdinando III di Lorena e di vedova di Carlo Alberto, l'attuare il suo proposito, Vittorio Emanuele II studiò il modo

rella

migliore di soddisfare le aspirazioni della madre e della re-

gina di Sardegna ed in una bella lettera del 16 settembre 1851 a Massimo d'Azeglio il Re Galantuomo indicava al suo ministro le norme che avrebbero dovuto regolare il viaggio e :

domini di Leopoldo II della moglie del Carignano. Marchesa Bovi che gode tutta la mia confidenza di portarle questa lettera affinchè Lei con essa combinino che tutto vada bene nel soggiorno di mia madre in Toscana ed utile di darle. Non volli che andasse sbari consigli che sarà care a Livorno perchè là evvi il comando Tedesco e non voglio buffonate di nessuna specie. Il linguaggio che devono tenere le persone che accompagnano mia madre non deve essere cbe uno, quello che tiene Lei, Signor Marchese, che disimpegna con totale mia soddisfazione l'incarico difficile che ha per le mani. Faccia .sorvegliare le persone di servizio che devono pure regolarsi allo stesso modo. Tutti devono approla vita ne'

* Incarico la

vare cosa si fa in questo regno e saper chiudere la bocca a nostri operati. La vita di mia madre deve essere una vita di famiglia, non intervenire a nessune funzioni, né gran pranzi e non fare ricevioìenti in etichetta, non deve ricevere che in privato ». E si raccomandava che fosse premunita: * dalle machiavelliche Pretine che non mancheranno certamente e in gran copia ». Maria Teresa si at-

chi osas.se criticare

i

tenne scrupolo.samente a queste deliberazioni sia per noti suimbarazzi al figlio, sia {)erché anche a lei, i bianca,

scitare

come ella chiamava gli

Austriaci, ricordasvsero

il

lutto della

sua anima ed i dolori del diletto consorte. E cosi evitò Lucca, nella quale era convenula la corte loreuese, fermandosi nella vicina villa di .Marlia ove il granduca commise la villania,

non sappiam se per malizia o per deficienza di spirito, di visitarla in uniforme (ti generale austriaco, e co.sì nella dimora del

l)el Castello si rinchiuse, sacrificando a' doveri della 8ua posizione ufìiciale la visita alla tomba del padre in S. Lorrnzo.


- 416 — Il

16 ottobre ritornava in Piemonte, addolcito

il

suo animo

dalle parole e dalle carezze della soave sorella e si ritirò in

Moncalieri per piangere nel raccoglimento e ne' ricordi il suo amatissimo Carlo Alberto, E noi dobbiamo esser grati allo Sforza di aver saputo con la sua rara dottrina illustrare questo breve episodio di una nostra regina e di averci fatto conoscere una manifestazione importante del pensiero di Vittorio Emanuele II che sapeva, di fronte al suo dovere di gentiluomo e di Sovrano, far tacere anche il sentimento di figlio che lo avrebbe consigliato a propositi forse meno duri e severi. E ci auguriamo ancora che l'Autore ci regali, presto, altri contributi, come il presente, dai quali possiamo comprendere in modo sicuro, la figura della regina Maria Teresa, come donna e come principessa e valutare, nella sua pienezza, tutta la forte opera di italianità del Re Galantuomo. Eugenio Passamonti.

Giovanni Sforza.

— Un fratello di Napoleone ITI morto per — Nuovi Studi, Lucca, Baroni, 1920,

la libertà d'Italia.

pp. 66.

Lo Sforza in questo pregevolissimo lavoro, continuando le sue note ricerche sulla storia dei Bonaparte e sulla parte che essi presero ne' moti nostri rivoluzionari per effettuare l'indipendenza della nostra patria, si ferma con particolare riguardo ad illustrare l'opera politica di Napoleone Luigi nell'insurrezione del 1831. Le cause che lo spinsero a dare all'Italia l'ardente sua giovinezza, mentre premure vivissime gli venivano fatte per approfittare delle condizioni della Francia dopo la rivoluzione del luglio 1830 in favore di suo cugino, il duca di Reichstadt; le lotte contro i suoi, contro sua madre che dopo averlo ardentemente supplicato di rinunziare all'impresa si era messa in moto per condurselo via da' luoghi del pericolo; la sua vita di rivoluzionario, la fede che l'animava, i rapporti con i capi del movimento in Modena e nelle Romagne ed infine la rapida fine, inattesa da tutti e men dagli altri dalla regina Ortensia, sono rappresentati dallo Sforza e con la sua profonda dottrina e con documenti|preziosi. Fra gli altri è notevole una lettera di Napoleone Luigi al Pontefice Gregorio XVI nella quale spiegava le ragioni che lo avevano spinto a met-


- 417 — tersi per quella via: « Il m'adii que Votre Saintetéavait eprouvé de la douleur d'apprendre que nous sommes au milieu de ceux qui se soat revoltés conlre le pouvoir temporel de la Gout de Rome. le prends la liberté d'ecrire à Votre Saintetè pour lui ouvrir mon coeur et lui faire entendre un langage duquel Elle ne doit pas éte habituée, car oa lui cache, s'en suis sur le veritable étal des choses. Depuis que je melrouveau milieu des Etals revoltés j'ai pu m'assurer de l'esprit qui anime tous les coeurs. On veut des lols et une représentation nationaie: on veut étre au niveau des autres nations de l'Europe à la hauleur de l'Epoque... on veut à ce qu'il paraìt et d'une manière bien decidée, si la separation du pouvoir temporel d'avec le spirituel ». Questi concetti di modernità e di libertà di Napoleone Luigi, che non furon poi professali lutti da suo fratello che allora condivideva la sua fede, furon recali al Papa dal conte di Stòlling latore oltre che di questa lettera, di

un'altra al Re Girolamo in cui zio la

il

nipote ribelle rifiutava allo

domanda di aver pietà di sua madre e di abbandonare

rivoluzionarie. Breve fu però l'opera d'insorto di Napoleone Luigi che pochi giorni dopo il vaiolo, mal curalo, lo uccideva ed alla misera regina Ortensia non riusciva di strappare alla morte ed a' pericoli che il futuro Napoleone III. E le file

dal gettarsi a corpo stra.sse

il

morto nel movimento romagnolo non di-

principe neppure il pensiero della giovane consorte,

la bella e fiera Carlotta, della

quale lo Sforza

ci

dà notizie

preziose sìa nella vita di giovanelU in America, sia nell'esi-

stenza di sposa in Seravezza e ce ne cita vari eposidi piacevoli che ci ricordano una caratteristica figura di gentiluomo

slampo il conte Giovanni Sforza di Montignoso. Anche alla figlia di Giuseppe Bonaparte non fu lieta la sorte, che, rimasta vedova giovanissima, dopo vario tempo di lutto, del vecchio

passati ad altri amori perde la vita nella piena maturità e ri-

goglio in seguito a

tristi conseguenze di questi nuovi affetti. Bene ha fallo lo Sforza ad illustrarci, come egli sa fare, due de' più bei rampolli del grande ceppo napoleonico, che, mentre possiamo conoscere ancor meglio tutto quel mondo pieno di luce e di ombra, ma sempre interessante ed importante, ci è dato d! intendere un periodo notevole del nostro risorgimento

in cui le tristi

ma inevitabili esperienze della impossibilità di

liberare l'IUilia dalla soggezione straniera con inoli

violenti


— 418 — preparavano la via

all' idea

liberale

che sola avrebbe con-

dotto la nostra patria alla sua indipendenza.

Eugenio Passamonti.

Epifanio Vincenzo.

-

L'Idea italiana e i Re d'Italia nei se-

coli in Biblioteca Storico-letteraria di

divulgazione, diretta

da A. Belloni, Padova, Draglia, 1920, pp. 'ìbQ. Nelle prime pagine di questo volume l'editore annunzia di volere iniziare con esso una serie di opere che offrano al gran

pubblico ignaro dei progressi negli studi storici e letterari gli importanti risultati raggiunti dopo più di mezzo secolo di lavoro da una pleiade di studiosi. L'autore dichiara nella introduzione di non volere narrare particolarmente le vicende d'Italia dal tempo in cui sorse un regno che da lei ebbe nome,

ma rievocare a grandi tratti idee, figure e avvenimenti che, considerati insieme con molti altri d'interesse generale per la storia

della

nostra civiltà, non appaiono di solito così uniti

e conseguenti quali

sono nella maggior parte dei casi. 11 pro-

posito enunciato da editore ed autore è realmente effettuato

dall'opera dell'Epifanio?

A noi sembra che tutta la prima parte dell'opera che va Re d'Italia sino alla fine del Sacro Romano Impero poco meno di una arida e scheletrica esposizione di successioni di regni nella nostra penisola senza alcuna notizia al di là di quelle che si possano trovare in ogni testo di scuola. Non neghiamo che presti qualche interesse la visione, diremo così, prospettiva dei vari Re che si susseguirono nel dominio sull'Italia o su parte di essa, ma avremmo desiderato che l'autore, seguendo le idee dell'editore, ci desse saggio dei frutti apportati alla storia di quei tempi dagli studiosi in questo ultimo mezzo secolo. La seconda parte dell'opera che studia l'idea italiana e i Re d'Italia da Napoleone a Vittorio Emanuele II è fatta assai dai primi sia

meglio.

La trattazione assume più ampio respiro, abbondano

idee dei nostri migliori pensatori e vi sono pagine che dimostrano ad evidenza una elaborazione originale

le citazioni delle

di

buone letture. In una nota finale l'autore offre una non ricca, ma ben scelta,^

bibliografia delle opere che possono più utilmente essere con-


— 419 sullale

da chi intenda approfondire la sua conoscenza negli

studi storici.

Emilio Pandi ani.

Gamerra Edgardo. — Un progetto di spedizione a Civitavecchia nel settembre 1870. (Estratto dalla Nuova Antologia del 16 settembre 19^20, pp. 8).

11

Gamerra ha trovato nella Biblioteca Lambronica, e pub-

blica e illustra efficacemente,

un mazzetto di lettere e di tele-

grammi concernenti un disegno di spedizione a Civitavecchia per opera del partito d'azione, ideato pochi giorni prima che le

truppe regolari prendessero Roma.

I

documenti meritano

di essere conosciuti. Essi erano già noti alla direzione del Fan-

che vi alluse nei nn. dell'll e del 18 aprile 1879, cioè poco tempo dopo la morte delTon. Giuseppe Checchetelli, l'ideatore appunto della spedizione. Il principale collaboratore ed anzi esecutore del piano er? il livornese cav. Enrico Ghiellini. Egli pensava, d'accordo col Checchetelli, di entrare con un navicello nel porto di Civitavecchia sotto la protezione di una nave da guerra italiana, e di spiegarvi una « grandissima » bandiera per provocare il presidio pontifìcio e creare il pretesto di uno sbarco. Quando peraltro la spedizione stava per esser messa in atto, il presidio di Civitavecchia si arrese al Bixio (15 settembre). Il Gamerra mette giustamente in rilievo la circostanza che tutto era o doveva essere preparato d'accordo col Governo; ma attraverso la breve corrispondenza Checchetelli-Chiellini non si riesce a intendere se e quale poi fosse in concreto la partecipazione del Governo all'audace fulla,

piano.

Annibale Bozzola.

La rivoluzione piemontese nel 1821 di Santorrr Santa rosa coi ricordi di V. (ìousin sull'Autore. Versione italiana con

note e documei.ti a cura di Alessa-ndro Lizio. Torino,

Paravia, pp. .vv-^19.

Poiché il Kisorgimento usci dall'alleanza della rivoluzioDC con la Casa di Savoia, il raoto piemontese del 18ì£l è indub-


— 420 — biamente l'episodio più importante del Risorgimento stesso prima del 1848. Avvennero allora i primi conlatti, ai quali si ripensò poi semore con un senso quasi di nostalgia, e fu posto il

programma

dlie,

falliti

i

tentativi mazziniani e neoguelfi,

dopo il 1849, tutti i patriotti della penisola intorno al Piemonte e al suo Re. E in vero, mentre a Napoli i Carbonari miravano unicamente a quella costituzione spagnola che toglieva al sovrano quasi tutto il suo potere, qui in Piemonte i' Federati, o al-

raccolse,

meno

i più autorevoli, si contentavano moderata che il Re potesse lealmente concedere e fosse in pari tempo garanzia di uguaglianza politica ai fratelli lombardi; mentre in cima dei loro pensieri ponevano

di

i

una

più serii tra loro e

libertà

la guerra all'Austria per la ricostruzione, sotto lo scettro sa-

baudo,

di quel

Regno italico di cui, il 10 marzo, alzarono il

vessillo sulla fortezza di Alessandria.

e,

Moto quindi nazionale fu quello, non strettamente regionale, per gli sviluppi, allora non calcolati e non calcolabili, che

avrebbe poi aviiti, come successe nel 1859, unitario. Certo l'idea di combattere da soli l'Austria, anzi la Santa Alleanza, in campo aperto, appare oggi alla nostra esperienza, se anche si pensi che si poteva trar partito dal generale malessere prodotto dalla restaurazione e tutt'altro che superato nel 1821,

una fantasia romantica o, se si vuole, un gesto di disperata protesta; ma come non si può per questo rimproverare Vittorio Emanuele di non averla fatta sua, così non si deve essere avari della nostra commossa ammirazione a coloro che, per tradurla in realtà, offrirono ogni cosa più caramente di-

non esclusa la vita. Di questo manipolo fu Santorre Santarosa il duce ardente ed entusiasta. La sua nobile figura balza viva e parlante dalle sue stess<^ pagine e da quelle del Cousin, ora efficacemente letta,

tradotte da Alesst»ndro Luzio in questo volumetto, che non è soltanto un degno omaggio al Santarosa stesso e ai suoi com-

pagni di sventura e di gloria,

ma è anche un'opera di alto

patriottismo, se patriottico è, in quest'ora di sfrenati egoismi,

rievocare l'immagine di un uomo che, caduto in terra ellenica per il trionfo di quella medesima causa per cui aveva lottato invano nella sua patria, si meritò dal greco Kalergi, nel 1827, il singolare elogio: « Bel pazzo ad esser venuto a morir qua ». Di questi pazzi s'illumina il cammino dei savi nella storia


- 421 — del mondo; e perciò auguro al lavoro del Luzio la più larjza diffusione nelle scuole e tra

popolo.

il

Ma il Luzio, oltre che un palriotta, è uno storico e un eruonde nelle note aggiunte ai ricordi del Cousin e alla narrazione del Santarosa ha profuso, com'era da immaginare, documenti inediti e osservazioni critiche che interessano in dito:

sommo grado gli studiosi. Com'è noto, il tentiti vo piemontese del 18^1 fu impostato sulla fallace credenza che Vittorio Ema-

nuele volesse o potesse essere trascinato alla guerra conti'O l'Austria.

Lo credette anche Curio Alberto, il quale, sia per

gl'impulsi naturali della giovinezza, sia per la prima educa-

zione ricevuta nella Svizzera e nella Francia, sia per il timore

che austriaci e austriacanti conijiurassero a togliergli diritti di succe.*^sione al trono, simpatizzava più o meno apertamente pei rivoluzionari, e non potè separarsi del tutto da loro se non quando il seguirli sarebbe stato un atto di aperta ribellione al sovrano. Non intendo discutere, in questo brevissimo cenno, particolari della condotta sua e del Santarosa nelle tumultuose giornate che immediatamente precedettero e seguirono lo scoppio della rivoluzione; ma un sicuro giudizio d'insieme mi sembra che si possa ormai esprimere sulla base i

i

primi frettolosi abbozzi, tempe.stati di cancellature e di il Luzio ora pubblica per la prima volta, abbozzi quali rappresentano evidentemenl»* la versione più genuina e sincera dei fatti che diedero

dei

aggiunte, che del lavoro del Santarosa i

poi luogo a tante reciproche recriminazioni ed accuse. Orbene,

dalle .stesse parole del Saiilaro.sa risulla confermato che Carlo

Alberto, tra

il

e l'S marzo, pur esprimendo il desiderio che

non volle dare ad essa il suo nome € il suo appoggio, e si riservò la parte di « médiateur entre les insurtrés et le roi », cioè promise di adoperarsi affinchè la rivoluzione si facesse,

\'ittorio Emanuele accogliesse desideri dei congiurati, non mai di mettersi alla loro testa nel caso, come avvenne, di un reciso rifiuto. Questa cosa del resto nessun uomo di senno doveva pretendere dall'erede della Corona, il quale se, giovine e inesperto, commise anche lui suoi errori e maggiori iie commisero coloro che, più maturi di età, avrebbero dovuto almeno saviamente consiifliarlo vi.»4se in quei tragici giorni, e in circostanze personali senza ccuifronto più difficili, la medesima patriottica ansia del Santarosa e dei suoi compa^^ni e deve quindi essere oggi ad essi associato, non contrapposto, i

i

nella nnsti;i

riroiu>«i(W'fr/a.

F.

LkMMI.


__ 422

Adolfo Colombo. Carteggi e documenti diplomatici inediti di Emanuele D'Azeglio, voi. (1831-1854), Torino, tipogr. 1

Bonis, 1920, in Pubblicazioni del Comitato Piemontese della Società Nazionale per la storia del Risorgimento Italiano, voi.

IH.

L'operosità veramente instancabile di Adolfo Colombo ci ha offerto

zioso le

il

quest'anno un voluminoso carteggio, che rende prenome di Emanuele D'Azeglio, come quello che, per

cariche coperte e per la fajuiglia onde usciva, può fornirci

buona messe di

notizie

ad illustrare gran parte della storia

del nostro Risorgimento. Figlio di Roberto, uno dei più bene-

che vantasse il Piemonte, e grandezza morale e deliospirito patriottico e umano fanno fede quei Souvenirs che egli stesso <lava alla luce, Emanuele D'Azeglio, che teneramente amava e giustamente si gloriava di tali genitori, non poteva a meno di tenersi in continui rapporti con loro, e di render conto di ogni atto della sua vita sia privata sia pubblica a chi ben sapeva in grado di apprezzare i suoi moventi, e di ispirarlo e guidarlo con prudenza e saggezza nella fici

e dei più illuminali patriotti

di quella Costanza Alfieri, della cui

via brillante sì, ma irta di difficoltà e di pericoli ch'egli aveva

pur contiene non documenti diplomatici, che giovano ad

prescelta. Epperciò questo carteggio, che

scarso

numero

di

sagace di questo, se non geniale, zelante probo nostro rappresentante all'estero, si compone per la sua parte maggiore di lettere scambiate tra Roberto e Costanza da un lato ed il figlio dall'altro, lettere che non fanno che aumentare, se peranco è possibile, l'ammirazione nostra per quei due esseri, hobili veramente di razza e di cuore. Della cui mirabile arte educativa si ha una riprova continua nelle sapienti e spesso profonde considerazioni ad esortazione del tìglio, mentre dalle lettere loro e da quelle di Emanuele di continuo traspare quanto potesse in quella esemplare famiglia l'idea di umanità e di patria. S'inframmezzano poi al caristruirci sull'opera

e

teggio principale di

questi

tre lettere di altri

membri della

casa D'Azeglio pur famosi per diverse ragioni, che serviranno

ancor esse all'illustrazione di quell'ambiente in cui si compierono i più grandi avvenimenti della nostra vita nazionale. Questo primo volume, che ci vien presentato, comprende difatti, tra il 1831 e il 1854, parecchi carteggi in uno, che il Colombo


— 4-23 — suddivide in due parti

:

dal '31 al '48 e dal '48 al '54. Delle

primo periodo, come aventi un carattere più famigliare, date le cariche ancor poco elevate rivestite da Emanuele e la sua giovinezza, bisognevole, specie nei primi anni,

lettere del

sorveglianza e di sostegno dalla famiglia, il Colombo non ci dà l'edizione integrale, ma spunti collegati da lui in una trama, che ininterrotta ci guida attraverso la vita del gio-

di

vane diplomatico. _Noi troviamo cadere in tal periodo lettere Roberto e di Gostanza D'Azeglio al figlio e di questo a loro; un carteggio di Emanuele col cognato Salvatore Pes di V'illamarina quello col nonno Carlo Emanuele e col cugino Carlo Alfieri e finalmente il carteggio del padre Tapparelli coi fratelli Roberto e Massimo (1). Le lettere materne sono tratte da una raccolta che ne aveva di

;

;

fatta e ricopiata

Emanuele stesso coll'intento di farla seguire

Souvenirs, e rispecchiano tutta la soave affezione di cui poteva esser capace una donna di sì alto sentire: quanto a

ai

quelle del

padre, che, specie tra

il

1832 e

il

'40

hanno un

carattere eminentemente educativo, diremo col loro commentatore che « tutto

un

quanto un padre amoroso ed intelligente ed

cittadino sollecito dell'avvenire della patria

dalla sua esperienza e dai suoi sentimenti, noi

può stillare lo

troviamo

corrispondenza- espresso con squisitezza rara ». Di quest'uomo grande e modesto, inforno a cui i « Souvenirs » in

tale

della moglie già sono così ricchi di notizie, noi possiamo com-

pletare la biografia con teggi

:

<ia cui

quanto ci se ne dice

in questi car-

risplende, attraverso le lettere di Costanza e di

Emanuele, l'animo suo generoso, sia che ci ricordino la parte avuta da lui nell'alleviare le dure condizioni dei suoi concittadini nella tristissima calamità onde furono colpiti col diffondersi del colera nel 1835, sia che illustrino lo spirito suo vigile e alacre nel ricercare le c^use delle umane sventure e l'indefessa opera nel promuovere il bene. Da queste lettere rileviamo come in quell'anno istesso, in cui profondeva i tesori della sua bontà tra colerosi, egli già sognava di poter provvedere ad altre miserie, coll'isliluzione di un ricovero di mendiciUi in Torino, e fondava, primo esempio in Pienionte, una scuola femmitiile per Tinfanzia, precorrendo Tinizialiva di i

(1)

Dall'Archivio D'Azegliu

l'altimo.

i

priui.,

...*...

A;,.. ..io Torelli di Novara


- 424 quella società promotrice d'asili e scuole infantili, che tre anni

dopo sorse, auspici il Boncompagni e il Cavour. In questo tempo Roberto, nei riguardi del tiglio, si mostra alquanto severo pei trascorsi giovanili di lui, e dubbioso nell'accondiscendere al suo ingresso nella carriera diplomatica; ma, terminati da quello gli studi, il padre amoroso si lascia piegare e intercede presso il Re, ottenendogli l'ambita concessione, di cui abbiamo conferma nella comunicazione datagliene dal conte

Solaro della Margherita

il

18 marzo 1838. E una volta entrato

nella difficile vita della diplomazia, non vien mai meno ad Ema-

nuele

il

conforto dei paterni consigli

;

che costituiscono la

parte più rilevante di questo primo carteggio, poiché di assai

minor conto sono le lettere del giovane « attaché », in posi zione affatto subordinata, di cui dobbiamo accontentarci per

ora di vivaci dipinture d'ambiente delle varie sedi per cui gli tocca passare.

Scarso fin qui il notiziario politico: ma ecco comparire ben presto, col risorgere della questione orientale, nuovi perturba-

menti nell'orizzonte politico europeo; e queste agitazioni fofanno fremere di patriottiche speranze Roberto D'Azeglio, che dà sfogo al suo animo esagitato in una lettera al figlio del 14 dicembre 1840. Tristezze e crucci famigliari vengono frattanto a frammischiarsi colla nota politica nel singolare epistolario, da cui balzano egualmente illuminate di vivida luce le virtù private e pubbliche e talvolta anche i difetti di questa magnifica gente. Cosi una lettera di Gostanza ci ragguaglia sui dissidi di Massimo colla moglie Luisa Blondel, ed il giudizio non^ è al tutto favorevole all'illustre cognato; poi lettere più gravi, di tutti i D'Azeglio, che ne diriere di novità

mostrano l'apprensione per Melania, sorella di Emanuele, sposata al Marchese Salvatore Pes di Villamarina; dal cui testa-

mento morale il Colombo trae lo spunto ad illustrare quegli aurei consigli che questa come le altre donne di sua casa, di alti natali e di non meno alti spiriti, solevano dare dal letto di morte ai loro cari. Si susseguono quindi le lettere scambiate fra loro dai vari membri della famiglia dopo la fine di lei. le quali valgono anche meglio a rivelarci l'indole caratteristica di ciascuno di essi. Intanto, nel '42,

annunziata dal Solaro

della Margherita giunge la promozione di Emanuele a segretario di seconda classe; dopo di che sono a notarsi per qualche

considerazione politica sui

mutati sentimenti dei

genovesi

J


— 4^5 — verso

la

monarchia piemontese le lettere di Roberto D'Azeglio da quei cittadini ai Sovrani ed agli

(it-M-riventi le feste fatte

sposi duchi di Savoia nella loro metropoli.

Rileviamo nel '43 lettere del padre e della madre contrastanti per ragioni religiose al matrimonio divisato da Emanuele con una protestante nella sua nuova sede dell'Aia; un'altra di Salvatore di Villamarina sulle accoglienze fatte a Carlo Alberto in Sardegna e sulla soddisfazione del re nel veder migliorate secondo il suo volere le condizioni dell'isola: una di Roberto accennante alla tragica morte del Barbaroux; e, non priva d'importanza per la biografia di Massimo D'Azeglio, la lettera di Costanza che ci rivela il suo carattere alquanto leggero nei rapporti famigliari, poco atto a ricondurre la pace e l'amore nel suo focolare turbato. È del resto questo dei dissensi coniugali di Massimo un ritornello che spesso si ripete nel nostro carteggio, dove anche nel '41 già vi si accennava in lettere di Costanza e di Tommaso Grossi, zelante anch'egli della quiete famigliare dell'amico.

Di maggior conto gli

scritti

che ci danno notizia dell'opera

indefessa con cui Roberto D'Azeglio propugnò ed ottenne da

Carlo -\Iberto la fondazione della Regia Pinacoteca e della non meno assidua cura da lui data poi a presentarla degnamente nella R. Galleria illustrata, in mezzo a contrasti d'ogni genere e segnatamente economici; ai quali contrasti fa cenno Costanza,

ammiratrice devota dell'opera del benemerito marito, menti e ne toccano anche il conte di Castagnelto e Carlo Emanuele .Vlfieri confermando a Roberto il favore reale. Segue in quell'anno un gruppo di lettere che hanno riferimento a un incidente diplomatico scoppiato in Torino, che parve per un momento dovesse avere serie conseguenze: il ra[àmento di Ma«lamigella Heldewier, figlia dell'inviato d'Olanda, tolta alla famiglia per convertirla al cattolicismo e ritirata in un convento colla complicità della corte, della polizia e dell'arcivescovo. Dinanzi ai richiami del padre e della diplomazia, Roberto trova opportuno di informare della verità il figlio, residente all'Aia; e le sue |)arole suonano conferma alla versione data agli avvenimenti dal Gioberti, che torna men favorevole alla corte: alle sue si aggiungono le osservazioni della moglie Costanza, mentre sul conlegno tenuto dal Sovrano nella discussione colla famiglia interessata e di fronte alla diplomazia ci tiene informati il carteggio del Re stesso coU'Heldewier e^


— 426 — del Solaro col conte Liedekerke, riferito in appendice dai Co-

lombo (1). Da questo incidente appare quanta fosse ancora l'influenza esercitati

dai

Gesuiti su Carlo Alberto,

nel il

1844 quale

però, proprio in quei medesimi giorni, cominciava a scuotersi e a dar segno di volersene emancipare. Abbiamo in appresso

novella della promozione di Emanuele a segretario di prima classe, dataci al solito dal Solaro con poche parole di ricono-

scimento dei suoi buoni servigi: egli, poco dopo, passato coll'unione delle due legazioni di Belgio e Olanda, a Bruxelles, scrive alla madre dipingendole la società della sua nuova residenza. È del 1845 una lettera di Roberto al figlio, in cui mostra d'approvare i « Prolegomeni » del Gioberti contro i Gesuiti a lui Emanuele risponde facendogli conoscere le ristrettezze in cui viveva il grande filosofo nell'esilio, e i giudizi che correvano sui libri di lui; poi Roberto, tornaqdo ai « Prolegomeni », gli fa cenno della risposta del fratello, padre Tapparelli al Gioberti, a suo parere assai poco persuasiva. Scarso l'inedito nel '46, ed anche questo non gran che interessante, se si tolga una lettera del Solaro ad Emanuele, dove gli offre la sede di Pietroburgo, in cui avrà pure a reggere per interim la legazione, in attesa che lo si possa trasferire alla sede da lui ambita di Londra; ed una di Emanuele, ove si allude alla nuova pubblicazione dello zio Massimo « Gli ultimi casi di Romagna » di cui gli aveva parlato dislesamente il padre in altra sua già edita nei Sotivenirs. 11 '47 s'inizia colla nomina del nostro diplomatico a Consigliere di legazione: nel ;

carteggio di quell'anno, prezioso sopratutto lo scritto in cui

Costanza discorre al

figlio del nuovo

saggio « Sulle nazioni »

del padre Tapparelli D'Azeglio, ;3he fece andar fuori dei gan-

gheri Massimo, cui veniva a turbare nel

momento della sua

maggior popolarità, e in cui fa allusione a voci che correvano, che il Radetzky avesse offerto l'aiuto del suo esercito a Carlo Alberto contro i seminatori di disordini; di non poca importanza anche quello di Roberto, dove accenna agli sforzi fatti dall'Austria per ostacolare la nuova politica commerciale del .Piemonte, sforzi che riuscivano vani non solo, ma ridonda(1) V. Appendice III, p. 421 e segg. Di questa questione già il (>olombo aveva avuto ad occuparsi, pubblicando lo scritto del Gioberti, in

Un incidente diplomatico a Torino nel 1844, Saluzzo, Tip. Rovere, 1910.


— 4^7 — vano a lutto nostro vantaggio. Quindi, dopo uno scaiirtiio di lettere fra il Solaro ed Emanuele, il traslte ri mento di questo a Pietroburgo: donde, come sempre, scrive dando ragguagli alla madre circa il nuovo ambiente in cui è stalo introdotto, e fa qualche accenno agli avvenimenti politici d'Italia, come i casi di Ferrara, dando un giudizio suIIh debolezza di Pio IX, che dovevano poi dimostrare ben fondato i fatti. Entriamo a questo punto nella parte principale della raccolta,

la

quale anzi qui s'inizia veramente, colla |)ubblica-

zione integrale dei documenti del secondo periotio, poiché col quarantotto incomiocia la fase più grave e ricca di avveni-

menti della storia del nostro risorgimento, con cui coincide una cresciuta importanza degli scritti di Emanuele D'Azeglio, più maturo d'età, e salito ormai a gradi sufficientemente elevati nella diplomazia, per non essere più solo spettatore od attore affatto secondario nella grande tragedia, ma cooperatore e giudice competente ad un tempo di coloro cui era affidata la direzione della politica italiana ed europea. Emanuele, al suo passaggio alla sede tanto bramata di Londra, ci offre nella sua corrispondenza dell'anno 1848 una viva dipintura della vita e dei costumi della nuova società che fre<iuenta, non trascurando di informare i suoi sugli atteggiamenti dei persona;;gi più autorevoli e dello spirito pubblico inglese verso l'Italia, e accennando alla ripercussione che hanno gli avvenimenti italiani In Inghilterra. Sono per la maggior parte queste sue lettere dirette alla madre, della quale se ne aggiunge qualcuna tralasciata nella, pubblicazione dei Souvenira; rari invece gli scritti del padre, travolto in mezzo al lavoro immane procuratogli dalle sue iniziative, sempre crescenti coll'aprirsi dei tempi a nuovi orizzonti. Figurano nella raccolta, per questo periodo, parecchi documenti diplomatici inediti e carteggi di personaggi vari. Ed è curioso studiare, attraverso la loro più o men velata espressione nelle lettere famigliari, i sentimenti e

i

giudizi disparati sulle no-

che rapide si succedono, dì una parte della nobiltà piemontese e della ste.ssa famiglia d'Azeglio. In questa rapprevità,

senta l'elemento più accesso d'italianità, e più vicino al sentire del fratello Massimo, Roberto, il quale, moltiplicandosi

opere benefiche e dando larga prova di liberalism«) in podiventa l'idolo dei Torinesi e loro capo nelle dimostrazioni compiute ad incorare il sovrano nella via ardila delle in

litica,


- 428 riforme. Di lui il Colombo riproduce Ira Taltro per inUro

nobile protesta pel mancato ricevimento da parte del

una commissione di commercianti, che volevano

una Re di

offrirgli

e

vita e sostanze perchè bandisse la guerra all'Austria (1). Pur

ma un po' meno entusiasta, si mostra Couna certa diffidenza verso la democrazia che sale accampando sempre nuove esigenze e talvolta lasciandosi anliberale di spirito,

stanza, per

dare a volgarità ripugnanti ad animi aristocratici; a lei si accosta forse di più Emanuele, che, pur seguendo con simpatia

movimento, rimane sorpreso dalla sua rapidità, e, non per nulla allevato alla scuola del Solaro della Margherita, ne teme il

conseguenze sconvolgitrici: egli paventa difatti che non giunga ad eccessi, e la stessa concessione dello Statuto lo lascia perplesso e timoroso. Giustitìcabile del resto questo suo sentimento: vivendo egli lontano dai luoghi degli entusiasmi, nel freddo ambiente diplomatico ove tutto si pesa e si valuta con prudenza, e, nel primo periodo del '48, trascorso da lui ancora in Russia, di fronte a stranieri ostili, come quel ministro degli esteri, conte di Nesselrode, che sosteneva la lele

si

gittimità delle persecuzioni austriache di contro alle agitazioni italiane, e biasimava severamente la concessione dello Statuto.

Sono note le intimazioni dello tzar Nicola a Carlo Alberto, perchè non movesse all'Austria una guerra, che lo avrebbe inimicato anche colla Russia e le piccole punture di quella corte che resero diffìcile la vita a Emanuele, finché non si venne alla rottura, dopo la dichiarazione di guerra del Piemonte all'Austria (2). Lasciata la Russia e nominato consigliere di legazione a Londia, Emanuele chiede di servire la patria anche come semplice soldato di cavalleria e meriterebbe davvero la considerazione dei nostri ricchi odierni la lettera in cui prega i suoi, egli, il giovane brillante dell'alta società ed avvezzo allo spendere, di ridurgli la pensione, con queste parole: « pour mon compte je serai heureux de rester un pauvre bére si la bonne cause triomphe » (3). Nelle sue lettere, in cui descrive l'ambiente londinese, egli nota con rammarico ;

Questo scritto era stato pubblicato solo in parte dal Briano nella uomini illustri dipinti da illustri artefici^ estratti daWantica raccolta dei Reali di Savoia per (1)

biografia di Roberto premessa ai Ritratti di

Roberto D'' Azeglio, pag. xxxiii. (2j

V. Bianchi, Storia della diplomazia e

i3)

V.

lett.

7,

p.

*

Souvenirs » p. 230 e segg.

18 dei Carteggi.

n\


4^29

come questo sia piuttosto freddo per la causa italiana, temendo la corte e il governo ogni fatto che possa turbare la pace d'Europa; e la permanenza in mezzo a tale elemento, mentre contribuisce a raffreddare, se non ad abbattere il suo entusiasmo, giova a dargli una più chiara visione della realtà, suoi compatriotti in Italia. Pur tuttavia quale non hanno vive anch'egli tutta la passione di quelle ore; e colla madre i

egli

pure si strugge degli insuccessi,

si

lagna della lentezza

si adonta pel trattamento fatto in Milano al re sventurato dopo la scontìtta. Ma i fremiti di speranza e lo sconforto susseguito al disinganno, non fanno velo tuttavia al discernimento del

e dell'inerzia in cui

i

capi lasciano l'esercito,

tristo

diplomatico, che, mentre molti sperano nell'aiuto e nella me-

diazione inglese, mette in guardia contro tali illusioni, illustrando l'egoismo politico di quel popolo e del suo governo.

Emanuele Colombo « profondamente inquieto per la

Nel triste periodo, che segue alla prima disfatta,

D'Azeglio è, dice * crisi «

delicatissima del suo paese; nelle lettere sue a volte

prorompe sdegnoso contro le intemperanze del Piemonte, a

* volte «

il

contro

i

moti genovesi seminatori di guerra civile.

Nella purità del suo patriottismo non comprende gli obliqui

maneggi dei

politicanti in cosi gravi momenti: idea dominante per lui è l'allontanamento degli Austriaci dall'Italia; « prevede, è vero, dopo la conquista dell'indipendenza, un * lungo periodo di colvulsioni, di lotte e di sacrifizi indivi* duali, ma non importa, conclude nobilmente, pourvu que la * bonne cause et le pays triomphe » (1). Combattuto fra la speranza e il timore della ripresa della guerra, vede con amarezza le discordie degli italiani, mentre gli austriaci, posto fine alle lotte civili, si stringono compatti intorno al nuovo imperatore. Non teme l'avvento al potere del partito democratico, che vuol vedere alla prova; e, salito (juesto al governo, gli si accosta nell'esaer favorevole alla ripresa della guerra, (iissentendo in ciò dal pacare, che, pur essendo stato dei più accesi nel '48, ora, meglio informato per esser sul posto, e più chiaroveggente, vi si mostra risolutamente ostile, non altrimenti che il fratello Massimo, che con non minore amarezza e sfiducia giudica degli italiani e della guerra futura in una lettera del 17 j/ennaio lSil> dln-tta al marchese Handini «

«

(1)

Introduzioue, pp. cil-cl. //

Ritorg. itnL,

XUI

«7


- 430 Giustiniaoi (1). E.d Emanuele, che alla denunzia dell'armistizio s'era

come sentito sollevato da un incubo, sperando almeno

che, se si cadeva, si sarebbe caduti con onore, della disfatta si chiude

in

alla

notizia

un dolore cupo, reso anche più

triste dalla pietà degli stranieri

che lo circondano, presso cui

non era mai stata popolare la jHOstra guerra. Attraverso alle laboriose trattive per la pace,

si

giunge al

Colombo ne trae occasione per produrci dalle carte Pinelli due belle lettere di Massimo; in una ministero D'Azeglio; e

il

delle quali fin dal '48 rifiutava la presidenza del consiglio offertagli, nell'altra tracciava nobilmente il suo

prese

le

programma. Ri-

pratiche per ottenere l'aiuto diplomatico dell'Inghil-

il nuovo presidente manda con incarico particolare a Londra il conte Gallina, e il nipote Emanuele, benché riluttante, invia temporaneamente a reggere la legazione di Parigi

terra,

lasciata vacante dal Gioberti. A questa missione si riferiscono

alcuni documenti della raccolta che meglio lumeggiano l'azione di lui già

studiata

dal Bianchi. Trovato poco propenso ad

una azione energica verso l'Austria il Tocqueville, el)be Emanuele D'Azeglio maggiori speranze dal presidente della Repubblica Bonaparte, intorno al cui interessamento alle cose ita-

una conversazione avuta dal Thiers a Londra col sig. Senior, riferita da Emanuele in una sua « confidenziale » al ministro degli esteri (2). conversazione in cui il Thiers si vantava di aver dissuaso il Bonaparte, l'indomani di Novara, dall'intervenire in soccorso del Piemonte con un esercito di 250.000 uomini, e d'avere nello stesso tempo con tale minaccia piegato l'Hubner a più miti pretese. Notevolissimo un rapporto di questo tempo, in cui Emanuele fa rilevare allo zio presidente la sfacciata corruzione dell'ambiente governativo francese, e l'affannosa ricerca di danaro da parte di Luigi Napoleone, che, contratti molti debiti in Inghilterra, si trovava preso fra una lista civile meschina e grandi progetti d'ambizione; tanto che in suo nome si giungeva a proporre il suo appoggio al Piemonte di fronte all'Austria purché si fosse sborsata una somma dì danaro: proposta liane ci reca nuovi particolari

(1) (2)

V. Carteggi, appendice VI, p. 488. V. Carteggi, doc. n. 164, pagg. 280 e segg. Da tutto questo do-

cumento balza ben illuminato il

carattere leggero e millantatore del

Thiers, cui il D'Azeglio nelle sue osservazioni vare.

non manca di far rile-


— 431 — lo stesso Emanuele assai dubbioso, mentre Massimo nella sua risposta dà a divedere di non fidarsene affatto. Altre carte documentano il lavorìo della diplomazia piemontese, e per essa di Emanuele D'Azeglio, per ottenere l'aiuto

che lascia però

della Francia nelle trattative di pace, che continuamente mi-

nacciano di troncarsi, sopratutto per l'insistenza nelTesipere l'amnistia in prò dei compromessi sudditi austriaci, di cui il

Piemonte si fa un debito d'onore; lavorio nel quale il giovane diplomatico sa cosi ben destreggiarsi da meritarsi le lodi del legato a Londra, conte Gallina. Intanto gli affari interni del Piemonte continuano a procedere poco bene, e le lettere di Roberto, di Gostanza e di Massimo D'Azeglio concordemente lamentano la cattiva riuscita delle elezioni e la petulanza della nuova Gamera. il cui più focoso tribuno, il Brofferio, Roberto tratta di * infame gueux », mentre la moglie ne presagisce non lontano il tramonto. Tra queste lettere alcuni documenti non privi d'interesse: un rapporto importante per l'esattezza delle osservazioni e per le rivelazioni circa gli atteggiamenti delle varie potenze preoccupate pel ristabilimento dell'ordine, presentato per mercede da un tal Gobianchi a Ema-

nuele, al quale procura le

lodi

del

presidente del consiglio

pel danaro bene speso; un secondo rapporto dello stesso D'Aze-

glio sulle relazioni del Bonaparte con miss Howard; ifìdì una lettera

da Parigi a

lui,

ritornato a Londra, in cui

il

conte di

Pralormo gli espone la sua convinzione che convenga riaccostarsi alla Russia; il che fu poi trattato senza buon. esito da Massimo D'Azeglio a causa della presenza nell'esercito sardo di alcuni ufficiali polacchi. Nel 1850, dopo qualche ricordo di visite fatte a membri dell'aristocrazia inglese, che non avevano attinenza alla politica, se non perchè giovavano a conciliare simpatie al rappresentante del Piemonte e alla sua causa, troviamo nuovamente alcune recriminazioni di Emanuele e della madre, cui preoccupa la sfrontatezza della democrazia Emanuele però mostra di fare grande affidamento sullo zio Massimo, il quale gode di ottima considerazione in Inghilterra. Non cosi Gostanza, che non rista invece dal criticare il cognato |>er certe sue debolezze e per la poca energia nel governo, accordandosi cosi coi giudizi, che pur cita il Golombo, del Pallavicino, che lo disse nullo come uomo di slato h del Gioberti che ne fece un inetto. Queste critiche, indubbiamente esagerate, danno modo al Golombo di ricordare come invero Mas:


- 432 Simo D'Azeglio tutelasse fieramente

la dignità

nazionale, e era caduto,

come traesse il Piemonte dall'isolamento in cui suscitandojjrli simpatie all'estero e

preparando l'opera del Casi mostrò energico sostenitore dei diritti dello stato nel contrasto provocato dalle leggi Sicca'rdi; nel che lo approvava il fratello Roberto, sostenendolo valluamente in Senato. A questo proposito si ebbe pure un breve carteggio fra i vari membri della famiglia; e mentre Emanuele inviava al padre parole di fervido plauso pel suo operato, ricevendone in risposta una lettera esponente principi di vero e sano liberalismo, ben diversamente, ed è naturale, giudicava il padre Tapparelli, che non poteva darsi pace che un suo fratello fosse a capo dì un governo da lui vour. In quell'anno istesso, ad esempio, egli

ritenuto persecutore della Chiesa.

L'atteggiamento liberale del Piemonte piaceva in\ece, a detta Emanuele, a lord Palmerston e Roberto, rallegrandosene^ augurava un'alleanza coll'Inghilterra e inviava al figlio un di

:

libro sui volontari della guerra, perchè, tradotto in

inglese^

facesse conoscere a quella nazione il valore degli italiani. Tra vanno poi ricordati alcuni i documenti della nostra raccolta

appunti di Massimo D'Azeglio, presi prima di una discussione parlamentare sui rapporti colla Santa Sede, che accennano all'espulsione del Bianchi Giovani, il quale nei suoi articoli aveva attaccati vi )lentemente l'Austria e il Papa, e sostengono la legalità dell'arresto di monsignor Franzoni né di mir^or momento sono i dispacci austriaci sequestrati dal governo piemontese, comprovanti gli intrighi dell'Austria, che soffiava :

Piemonte e faceva disertare solil governo Sardo nella concessione di asilo agli emigrati, e trarne argomento a pronelle agitazioni interne del

dati suoi fedeli, per cogliere in fallo

teste presso le potenze europee. Compromesso nell'intrigo era il

segretario della legazione inglese a Torino, che trasmetteva

all'Austria notizie tendenziose sulla

politica

sarda: perciò

i

dispacci intercettati venivano da Massimo D'Azeglio comuni-

Emanuele, perchè se ne giovasse ad ottenere dal Palmerston qualche prova tangibile di benevolenza. E dopo poco Enanuele riusciva a gettare con quello statista le basi di un due paesi. In compenso dei suoi accordo commerciale fra servigi Massimo lo promoveva ministro plenipotenziario a Londra, nomina che aveva ritardata per tema d'esser tacciato di nepotismo, e che riuscì gradita alla regina V^ittoria ed al cati a

i


— 433 — suo j?overno. Viene, dopo alcune altre di limitato interesse, una lettera del '51 di Carlo Mayan, inviato a Londra a col laborare alla conclusione del trattato di commercio, in cui si loda grandemente l'abilità di Emanuele nel superare le dififi<;oltà dell'impresa cosi, trattando del prestito con c^sa Hambro ideato dal Cavour, il nostro diplomatico stesso ci dà contezza della parte avutavi, poiché ricorda come, oltre all'opera del Cavour, di Massimo, e del negoziatore Revel, giovasse non poco al buon esito l'influenza da lui esercitata sul pubblicoin«?lese. Ad un piccolo incidente diplomatico diede luogo l'apertura dell'esposizione generale in Londra il Pensano, comandante della Governolo, recatosi colà pel trasporto di oggetti, fu accusato di mali trattamenti ad impiegati doganali inglesi ; di qui una nota risentila del Palmerston, cui Emanu^e rispose dignitosamente, riscoti ndo l'approvazione dello zio presidente, significatagli con una lettera piena di generosa fierezza. Troviamo indi sparsamente nello stesso anno '51 giudizi di Emanuele su lord e su lady Palmerston, sulle grandi accoglienze londinesi al Kossuth, sul colpo di stato di Napoleone e il moto insurrezionale parigino cui aveva assistito occasionalmente. Feste, ricevimenti, visite a castelli formano il contenuto di alcuni scritti del 185'^: dai genitori Emanuele riceve a sua volta notizie spicciole di politica parlamentare. Trova qui il suo posto nell'ordine cronologico la relazione già citata sulle conversazioni fra il Thiers e il Senior, degne d'osservazione, oltre che per le notizie riguardanti il Bonaparte nel '49, per l'esposizione che il Thiers vi fa dei capisaldi della sua politica: considerare egli cioè supremo interesse della Francia mantenere le divisioni in Italia e l'equilibrio fra Austria e Prussia da una parte e Russia e Inghilterra dall'altra: l'interesse maggiore però lo presenta la chiusa del d'Azeglio, dove riferisce avergli il Palmerston dichiarato che vedrebbe volontieri un'occasione di rifare la carta d'Italia su principi o|>posti a quelli del congresso di Vienna. Dopo un congedo di due mesi, passando per Parigi, Emanuele si intrattiene col mini:

:

stro degli esteri francese sulla questione degli emigrati e gli eccessi della stampa, e

dà relazione dei suoi colloqui al presidente del consiglio, che, com'è noto, resisteva con dignità alle proposte di odiose misure venute dalla Francia. Di fronte alle parole altezzose usate in una sua lettera dall'inviato francese De Butheowal, Massimo glie l'aveva rimandata; donde


— 434 — ima rottura di relazioni: merito di Emanuele fu

l'aver otte-

nuto dal ministro francese la disapprovazione del suo rappresentante. Moriva in quel torno a Parigi il Gioberti, e il D'Azeglio coadiuvava il ministro sardo Salvatore di Villamarina nell'ordinamento dei funerali, per cui si temevano incidenti, dandone poi'i particolari alla madre. Due lettere di questa ci offrono in seguito un giudizio poco benevolo su Alassimo come uomo di stato, e uno spunto mordace sul Cavour, che aveva avuto un vivace dibattito parlamentare con Roberto. Partito da Parigi, Emanuele scrive nel '53 al padre, compiacendosi dei migliorati rapporti colla Francia e augurando un'unione anglo-franco-sarda, che considera essenziale al suo paese. Ed ecco ricomparire le opere benetìche cui si dedica incessantemente Roberto: avendo divisato l'istituzione di case per operai in Torino, egli ne dà ragoruagiio al figlio, il quale di rimando lo informa su quanto si fa a questo riguardo in Inghilterra. Poi l'epistolario si intrattiene stil soggiorno di Massimo a Londra e le accoglienze da lui ricevute; parecchi documenti si hanno pure sul viaggio del Duca di Gengva nella capitale inglese. Frattanto torna ad affacciarsi la questione d'Oriente; e i D'Azeglio si scambiano a questo proposito le loro impressioni Gostanza mostrandosi diffidente dello Czar, mentre Roberto ci appare entusiasta dell'eventualità di un trionfo della civiltà cristiana a Costantinopoli, prevedendo nello stesso tempo, nell'uragano che minaccia, un qualche possibile utile alla causa italiana, per quanto essa debba costare molto sangue e grandi dolori cosi pure Emanuele, che vede nella lotta tra Russia e Turchia il germe di grandi avvenimenti. Poi, dopo alcune notiziole minori, compaiono nella raccolta documenti contenenti una lista di emigrati cui si devono negare passaporti, e alcuni particolari su usi e costumi inglesi. Ad una lettera di Costanza, già comparsa nei Souvenirs, si aggiungono dal Colombo due brani inediti riguardanti l'uno le accuse di accaparramento del grano fatte al Cavour, l'altra l'interesse che ha l'Austria a che sia garantito il mantenimento dello statu quo in Europa. (a presenta il '54 alcuni scritti di Costanza pieni di minute notizie: sulla malattia del Pellico, sulle sommosse di Val d'Aosta provocate dalla miseria e dall'inasprimento delle tasse,, sulle sedute parlamentari. Degni di particolar menzione quelli sulla guerra di Russia che Costanza segue col massimo iute:

:

i


— 435 — ressamento: né meno di

lei

appassiona

vi si

il

figlio, che la-

qua e là come potrà il suo paese essere trascinato nel conflitto. Ma, più ardito, Roberto sostiene la necessità dell'intervento per il Piemonte, non per lusinghe di scia intravvedere

ma per la sua

vantaggi futuri,

dignità e

nostica Topportunità deirinvio di

prestigio,

e

pro-

un contingente Sardo

in

Oriente.

E qui si arresta, col chiudersi di questo primo periodo, il volume del Colombo. Sul quale, e per la mole sua e per l'importanza dei carteggi, ci è parso doveroso intrattenerci in una alquanto minuta, del resto assai agevolala dalla lunga e dotta prefazione che il Colombo stesso vi premette. Il complesso dei documenti non è tale, come ben si è avuto agio di vedere, da poter modificare in alcun punto la storia già nota di quei tempi fortunosi: ma quante piccole sfumature, quale corredo di particolari si viene ad aggiungere alla conoscenza generale che già ne avevamo! E qual nobile scuola quella di un'intera famiglia che vive si può dir solo d^l bene della patria, del culto pei più alti ideali! Questo ci par che basti a legittimare e a dar non lieve valore alla pubblicazione in sé. e alle pazienti ed amorose cure che vi ha dedicato il dii->a(i)ina

nostro coiìitnefflatore. I

Achille Corbelli.


430

-

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P.,

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Toranuuieo • Capponi.

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(lì

Archiginnasio », gennaio-giugno

1920).

Rimandiamo al prossimo fiucicolo la bibliogratia sulla Sardegna

nel 1H2I.

•)!

Pili

si

va occupando il Dott. Eilgardo Gamerra.



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INDICE DEL VOL. XIII MEMORIE E DOCUMENTI. Ferdinando Gabotto, Di una prima edizione della * Storia d'Italia pag. 1 dal 1818 * di Luigi Anelli Eugenio Passamonti, Il liberalismo toscano ed i suoi rapporti con Cesare Balbo ed il swo gruppo dxirante la questione Tosco- Modenese per il possesso della Lunigiana dair ottobre al dicembre i847

....

pagg. 14-261

Carlo Saf-sotto, Lettere inedite di Carlo Botta al figlio Scipione

pag. 70

.

Guido BusTico, Cos<aw/»no i?e/a L. C. BoLLKA, Ferdinando

pagg. 111-281

Dal Pozzo dopo il

18-Jl

.

pag. 136

A. BnzzoLA e T. BuTTiM, Stato e Chiesa nel regìio di Sarde-

gna negli anni 1849-50 e la missione Pinelli a Roma Carlo Salsotto, Bibliografia di Carlo Botta

* •

310

Giovanni Sforza, L'assedio di }fanfora del 1848

»

338

»

163

»

170

»

1^

399

1^

.

217

'ARIEi.v h A.StDDoTl TeoFiLo K(>s.si e L.i litica estera

.

iv^w. KK, Contributo alla

piemontese del 1848-49

stona della po.

.

Itala Manzonk, L'Italia nella corrispondenza del Mèrimée col

Panizzi (con una lettera inedita)

Vittorio Gianotti, Cn

cifrario

alfabetico

.

del

.

tempo di

Carlo Emanuele IV 1»<>KA

Mazzoni, Le ansie del Governo Borbonico nel 1837 pel

timore d'una visita di Giuseppe Mazzini nel reame

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Emanuele li nel primo ren'"'"'r''- -'"H-i M-fiff" '^F Passamontt^

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Passamonti)

A. Si^xuiE, Il

pag. 188

Senatore Barone Antonio

Manno (E. Passa-

monti) C. CoNTKSSA, Il

Conte Mario degli Alberti (E. Passamonti)

.

»

207

»

209

Italo Raulich, Storia del Risorgimento politico d'Italia (E.

Gamerra)

pagg. 210-409

Risorgimento italiano. I moti piemontesi del 21 (E. Gamerra) pag. 210 E. Mayor dks Planches, /2e Vittorio Emanuele II alla vigilia G. P'krroglio, Gli albori del

della guerra del '70 (E. Gamerra)

.

.

.

.

»

211

»

213

»

407

s>

411

»

413

»

414

»

416

»

418

»

419

»

419

»

422

Vamba (Luigi Bertelli), Un secolo di storia italiana (Ì8i51918) (E. Gamerra) Paolo Boselli, / discorsi di Ruggiero Bonghi per la « Dante Alighieri »(con una introduzione storica) (E. Gamerra) Adolfo Mangimi, F. D. Guerrazzi - Cenni e ricordi (E. Ga-

merra) M. Albertone, Ricordi

dell' impresa di

Roma nel 1870 (E.

Gamerra) Giovanni Sforza, Una lettera inedita del Re (galantuomo (Eugenio Passamonti)

Giovanni Sforza, Un fratello di JSapoleone III morto per la libertà d'Italia. I^ uovi studi (Eugenio Passamonti)

Vincenzo Epifanio, L'Idea italiana e i Re d'Italia nei secoli in« Biblioteca Storico-letteraria di divulgazione» (Emilio

Pandiani)

.

.

.

Edgardo Gamerra, Un progetto di spedizione a Civitavecchia nel settembre 1870 (Annibale Bozzola) Alessandro Luzio, Z,a riviluzione piemontese nel 1821 di Santorre Santarosa coi ricordi di V. Gousin sull'Autore (F. Lemmi) Adolfo Colombo, Carteggi e documenti diplomatici inediti .

.

di Emanuele D'Azeglio, voi. I (1831-1854) in « Pubblicazioni del Comitato Piemontese della Società Nazionale

per la storia de.l Risorgimento italiano »,vol. Ili (Achille Corbelli)

recenti fublicazioni E. Gamerra

:

pagg. 214-436


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