SCRITTI POLITICI DI BENITO MUSSOLINI

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SC/10 Scrittori politici italiani. Con questa nuova collana, dedicata agli scrittori politici italiani, diretta da Massimo L. Salvadori e Nicola Tranfaglia, si intende prima di tutto fornire un'edizione attendibile e accurata secondo criteri di organicità dei testi fondamentali e piU rappresentativi della cultura politica italiana dall'Unità ai giorni nostri, colmando le lacune esistenti per quegli autori di cui non si dispone di un'edizione degli scritti piu importanti. Intento dell'editore è quello di offrire uno strumento agile ma rigoroso per una riffossione sulla cultura politica italiana che possa essere utilizzato dagli studenti universitari e da tutti i lettori interessati al dibattito storico-politico.

Scritti politici di Benito Mussolini

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Introduzione e cura di Enzo Santarelli
Feltrinelli

Per gli scri tti e i discorsi tratti dall'Opera omnia di Benito Mussolini

Copyright © b y La Fenice, Firenze.

Prima edizione: maggio 1979

Copyright by ©

Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano

D esign: Bob Noorda e Massimo Vignelli / Unimark

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Pag . 11 Saggio in trodutt ivo di Enzo Santarelli

5 9 Cr onologia della vita

6 5 Bibliografia

Scritti e discorsi di Mu ssolini, 65. - Scritti su Benito Mussolini, 66

Scritti politici di Benito Mussolini

71 I . L ' esordio socialista ( 1902 -190 4 )

1. La necessità della politica socialista in It alia, 73. - 2

Socialismo e movimento sociale nel secolo X IX, 75. - 3. Pagine rivoluzionarie. "Le parole d'un rivoltoso", 77. - 4, Per Ferdinando Lassalle ( nel 40" anniversario della sua mo rte ) , 81. - 5 . O pinio ni e d ocumen t i. La crisi riso lutiva, 84 . -

6. Uomini e idee. - "L'individuel et le socia/ " , 87. - 7. La teppa, 89

9 2 II. Il mito d ella rivoluzione ( 1908- 19 14)

1 Kart Ma rx ( nel 25° anniversario della morte), 94. - 2

Socialismo e socialisti, 97 . - 3. La filosofia de lla forza ( postille alla con ferenza dell'on T reves ) , 99: - 4 L a teoria sin dacalista, 109. - 5 . Lo sciopero generale e la violenza, 115. - 6. Il socialismo diviene, 120. - 7. Il pangermanismo

t eo rico, 122 - 8. Il discorso di Reggio Emilia, 130. - 9.

Indice

L'impresa disperata, 136. - 10. Contro il neutralismo nel PSI, 139. - 11. Neutralità e socialismo, 149

153 III. Alla scuola della guerra (1914-1918)

1. Audacia!, 155. - 2 . Il monito di Oriani, 157. - 3. "L'armée nouvelle", 160. - 4. Avanti, il Mikado, 169. - 5. Trincerocrazia, 171. - 6. Quale democrazia?, 174. - 7. Osare', 176. -

8. Novità , 179

182 IV . La "conquista" dello stato (1919-1922)

1 L e dichiarazioni del 23 marzo, 184. - 2 L'urto fatale, 190. - 3. [Gli industriali di Torino], 192. - 4. [L'imperialismo fascista], 193 - 5. Fascismo e terra, 197. - 6. Il primo discorso alla camera, 200. - 7. Relativismo e fascismo, 206. -

8. Maschere e volto della Germania, 209. - 9. Stato, antistato e fascismo, 214. - 10. Il discorso di Napoli, 219

224 V. La costruzione del regime (1922 -1932)

1. Forza e consenso, 226. - 2. Preludio al Machiavelli, 228. - 3. Il discorso del 3 gennaio, 232. - 4. Circolare ai prefetti, 237. - 5. Agli operai di Milano, 241. - 6. All'assemblea degli industriali, 242. - 7. Il numero come forza, 246. -

8. Alla prima assemblea del regime, 254. - 9. La dottrina del fascismo, 265. - 10. Su Napoleone e l'imperialismo, 274

278 VI. Il mito dell'impero (1932-1940)

1. Discorso per lo stato corporativo, 280. - 2. Piano d'azione per :fimpresa etiopica, 290. - 3 . Il discorso della mobilitazione, 292. - 4. Rivolta ideale in Europa, 294. - 5. "L'Etiopia è italiana", 296. - 6. L'asse Roma-Berlino, 297. - 7. Europa e fascismo, 301. - 8. Al consiglio nazionale del PNF, 303. - 9. "Noi marceremo con la Germania ... ", 313. - 10. Alla "Decima Legio", 316. - 11. Memoriale panoramico al Re, 318

322 VII. La prova della guerra (1940-1945)

1. "Popolo italiano! Corri alle armi... ", 324 . - 2. Lettera a Hitl er del 19 ottobre 1940, 326. - 3. Relazione per lo sta-

Indice
In dice
to maggiore, 328. - 4. Al direttorio nazionale del PNF, 329. - 5. L'ultimo discorso da Palazzo Venezia, 339. - 6. Pensitri Pontini e Sardi, 340. - 7. Il dramn1a della diarchia, 347. 8. Il "Testamento politico", 353

1. Una ricognizione sulla cultura, il pensiero e la prassi politica di Mussolini quali risultano dai suoi scritti e discorsi può essere doppiamente utile: come richiamo ai testi, a quel tanto di nucleo teorico che vi si può trovare, e come contributo allo studio di un aspetto importante del fascismo: la biografia piu specificamente "intellettuale" del capo. I biografi, infatti, hanno oscillato fra due poli opposti: ora insistendo sulla via dell'analisi psicologica della personalità mussoli niana,' ora esaurendo - o dilatando - il loro compito fino ad investire l'intera storia del fascismo.2

Rimarrà poi da vedere fino a che punto l 'ex socialista fondatore del fascismo sia st ato originale e quale fu l'intreccio, nel ruolo da lui giuocato, fra il pensiero e l'azione. Egli passa, essenzialmente, per un "uomo d'azione": e infatti soprattutto dall'iniziativa presa il 23 marzo 1919 la sua manifesta tendenza fu diretta con immediatezza al potere politico. La sua paro]a d'ordine, "audacia!", lanciata nel passaggio all'aperta campagna interventista, può trarre in inganno: ci sarà ancora un aspetto del "duce" pragmatista e maturo che si appiglia all'ideologia, non si spiega senza ideologia o all'ideologia ritorna. Tuttavia da un tale assiduo incrocio fra politica e ideologia non è nata alcuna opera di rilevanza teorica. In tanti anni di discussioni, di ricerche, di analisi, molti spunti sono g ià stati offerti e inoltre diversi elementi interpretativi possono esse re dati per acquisiti. Ma appunto, si diceva pill sopra, una rilettura critica dei testi mussoliniani, nelle loro strutture, nel loro linguaggio e svolgimento può risultare utile sia per realizzare un confronto d iretto con le piU immediate espressioni dell'uomo politico, sia per procedere, indirettamente, a una verifica della storiografia che, in un modo o nell'altro, ha già affrontato l'argomento. Non si entrerà ora nel dibattito - non certo trascurabile - sul

1 'f: accaduto tuttavia in minor grado di quanto non si sia verificato con Hitler: in fondo Mussolini si è psicanalizzato da solo, il personaggio offriva forse non troppo interesse 1:,e r questo genere di studi, e infine la tradizione italiana era in tal senso scarsamente ricettiva. Si veda però GASPARE GIUDICE, Mussolini, Torino 1969. z Cfr. RENZO DE FEUCE, Mussolini il rivoluzionario, Torino 1965; Mussolini il fascista, To dno 1966-1968; Mussolini il duce, Torino 1974.

SAGGIO INTRODUTTIVO

peso di certe personalità domina nti sulla scena del '1 cesarismo demagogico" nel periodo fra l e due guerre mondiali, sul momento "carismatico" presente in maggiore o minore misura nei leader dd fascismo . È già sta to osservato che, dal punto di vista del sistema di dominio politico, dietro l'irrazionalismo del "culto del capo" sta un elemento di "profonda fun zionalità interna" connessa alla natura dei fascismi.' Lo stesso moderno conflitto fra la cosiddetta "distruzione della ragione" e il "pensiero negativo" va recuperato o ricompreso in un piU vasto e articolato processo storico, ricco di implicazioni e tra sformazioni di base , senza le quali non si spiegano, in tutti i suoi connotati, l'emersione del fenomeno fascista e tanto meno le sue contraddittorie ideologie di massa. Ricorderemo soltanto che talvolta gli studiosi hanno preferito guardare alla storia e " natura" dei differenti movimenti e regimi partendo dalla biografia dei capi; in altri casi si è partiti dalla tipologia e aggregazione del sistema politico per giungere poi a una ritrattistica dei massimi esponenti. Dopo aver atteso a una prima o alla prima storia del "movimento" e del "regime" fascista in Italia , 4 ci siamo nuovamente accostati alla lettura dei testi mussoliniani, alla loro riconsiderazione specifica, con un atteggiamento problematico, con una sorta di distacco sperimentale, al fine di rendere piu fecondo possibile il confronto, filologico e di sostanza, con gli sviluppi ideologici e politici di colui che per primo ha realizzato il fascismo e che fino all'ultimo ha cercato di alimentarne la "causa" , rimanendone vittima. Non do vrebbe sfuggire e non si ricorderà mai abbastanza la correzione autografa che conclude i colloqui con Ludwig, dove Mussolini contesta il motto (" Oltre il destino!") che l'intervistatore sembra attribuirgli: "Del resto ognuno muore come - secondo il suo carattere - deve morire" . 5 Il richiamo potrà apparire banale o persino pretestuoso se rapportato ai dati empirici della cronaca (la morte per fucilazione per mano dei partigiani). Ma proprio qui il lavoro della critica, lo stesso giudizio storico si ricongiungono, trovano un punto fermo nella personalità mussoliniana, fino a rendergli "giustizia" nell'unico modo consentito. Mussolini non accet t a, nel '32, il motto 11 0ltre il destino!", segno di un estremo irrazionalismo eroicizzante che si rifletterebbe su tutta la "dottrina fascista", e ripiega su un pi\l empirico e neutro sogget-

3 Cfr. MASSIMO L. SuvADORI, Storia dell'età contemporanea dalla restaurazione all'emocomunismo, Torino 1976, p. 661. Per un adeguato approfondimento di questo punto nel dibattito attuale dr. inoltre: LUI SA MANGONI, Cesarismo, bonapartismo, fascismo, in "Studi storici" , n. XVII, 1976, n . .3 e UMBRRTO CE.RRONI, Per la ridefinizione del fascismo, in Fascismo e neofascismo, " I Problemi di Ulisse", a. XXX, n. LXXXII. o ttobre 1976.

• Cfr. ENzo SANTARHLLT, Storia del movimento e del regime fascista, Roma 1967

3 Cfr. EMIL LUDWIG, Colloqui con Mussolini. Riproduzione delle bozze di stampa dell11 prima edizione con le correzioni del duce, Milano 19.50, p. 225

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tivismo, da cui traspare anche un certo grado di distanza dalla élite e dalla massa fascista, dalla sua creatura. È uno spiraglio modesto ma sintomatico, su cui si tratta di lavorare ancora - senza tuttavia smentire (ci preme onestamente e apertamente dichiararlo) quel giudizio d'insieme sui capi e sui movimenti fascisti che è venuto via via assumendo, in uno con gli studi piU equilibrati e realistici, dimensioni internazionali ormai irreversibili.

Una duplice obiezione potrebbe essere avanzata: che Mussolini non è precisamente uno scrittore politico, non avendo lasciato testi « teorici" ragguardevoli, non essendo questa la sua fondamentale disposizione; che il capo del fascismo italiano, proprio in quanto espressione del fascismo, manca di una sua propria dignità, non essendosi il fascismo dimostrato storicamente autonomo - ad una considerazione di lungo periodo e strutturale - rispetto alle classiche tradizioni d el liberalismo o del socialismo. La prima obiezione anche se solleva d ei problemi è prevalentemente di forma. La seconda è di sostanza, " corrisponde ad osservazioni già avanzate da diversi storici del pens iero e delle dottrine politiche; forse non è valida in assoluto, ma pre senta elementi utili per individuare , a fronte dei suoi antagonisti e interlocutori, il posto che Mussolini occupa nella vicenda contempora nea . La ricerca, dunque , è legittimata proprio dal fatto che il / escismo - in parte anche dal punto di vista dottrinale - si è ins ·1·it:o nella crisi dello stato liberale ,6 a un suo stadio preciso (in Jwlia dopo l 'avanza ta "democratica" del 1919) e ha rappresentato un a risposta, illusoria e strumentalizzata quanto si vuo le, alla rivo111 7. ione e allo stato dei soviet. he .insomma si è confrontato con una classica problematica "europea", nei dibattiti fra le correnti ideologiche e sociali del suo tempo. In q uesto senso, dunque , si tratterà di puntualizzare piU di una ques 1ione particolare, appunto affidandoci agli scritti e ai discorsi di Musso lini e ritessendo cosi , ripartendo da ess i, da un lato le premesse Clilturali della creazione del fascismo a un certo livello soggettivo, dnl l'a ltro l'orditura ideologica che accompagnò e sostenne, nonostan1c ogni pragmatismo, l'opera politica di questo agitatore di masse "capopopolo" del XX secolo.

2 Il nome e l'opera di Mussolini rim angono collegati al tentativo, cs t:t:emamente ambizioso ma abbastanza rapidamente fallito, di dar vita a uno "stato fascista": è dunque sotto tale profilo che si può cog liere l'essenza della sua condotta politica. Si dovrà anche vedere fino a qual punto Mussolini effe ttualm ente si sia o non si sia com-

• Cfr. GruuANO PROCACCI, Appu11Ji in tema di crisi dello Stato liberale italiano e di oriAln i del fascismo, in "Studi storici", a. VI, n. 2, aprile-giugno 1965; NICOLA TRANFAGLIA, /)(I l/o Stato liberale al regime fascista. Problemi e ricerche, Milano 1973.

Saggio introduttivo ]3

portato come "uomo di stato". Assumere come centrale il problema dello stato, potrà forse consentirci con qualche vantaggio di fare astrazione da quelle incrostazioni ideologiche in cui spesso i biografi, per i piU vari motivi, sono rimasti invischiati. Ciò non significa, ovviamente, ignorare un complesso e non rettilineo graduale percorso umano, come non significa affatto evitare di misurarsi con la realtà storica del fascismo. La quale comunque è, nonostante tutto, piu semplice di quanto non appaia dalla letteratura sull'argomento: se ne continua a discutere anche perché, nel sottofondo, la lotta continua.' Significa soltanto isolare - con una finalità tendenzialmente comparativa - il momento del pensiero, cosi come si è cristallizzato di volta in volta per via di rifle ssioni o affermazioni davanti a ostacoli e traguardi particolarmente impegnativi, di un protagonista politico che ha agito (e parlato) assai piu di quanto non abbia scritto e "pensato". La produzione mussoliniana può distinguersi, grosso modo, in tre o quattro periodi: fino all'intervento, quasi in veste di pubblico ministero, al congresso socialista di Reggio Emilia, nel 1912, prevale nettamente il momento giornalistico; in seguito, per un decennio, fino all 'avv ento al potere , questo si alterna col momento oratorio; nel successivo ventennio, durante la permanenza al governo, la parte dell'oratoria politica prevale nettamente su ogni altra attività pubblicistica; dal colpo di stato del 25 lu glio 1943, infine, riprende il sopravvento la stesura scritta, nel declino dell'azione politica vera e propria. Un altro rapporto, pili intimo e organico, potrebbe poi essere inserito in questo sommario schema di periodizzazione strutturale: il rapporto fra "idealismo" che non è assente nel giovane Mussolini, e il suo costante "pragmatismo", che lo distingue nell'azione politica, con un netto privilegiamento dell ' aspetto "tattico", fino a cadute e impennate di stampo opportunistico nelle principali svolte della sua vita.

Raramente le sue elaborazioni superano la misura del saggio. La sua prova migliore -e sostanzialmente unica - nella saggistica, Il Trentino veduto da un socialista, nasce da aggregazioni successive, appartiene al periodo della giovinezza fra i 27 e i 28 anni, distinguendosi soltanto per diligenza e concretezza espositiva. La questione trentina che Mussolini affronta all'indomani della crisi bosniaca e poco prima dell'impresa libica risulta alquanto circoscritta e il pun-

7 Lo si vede ora dal grosso pamphlet politico-ideologico di DOMENICO SETTEMBRINI, Fascismo controrivoluzione imperfetta, Firenze 1978. L'autore, che deriva in parte da De Felice {e con lui discute estremizzandone l'int erpre tazione), fa di Mussolini una specie di Lenin italiano, in diuturna lotta contro il capitalismo Il titolo del libro cavato da Luigi Fabbri ("controrivoluzione preventiva") e da una frazione di Giorgio Galli (ubipattitismo imperfetto") recupera ipotesi e formule tutt'altro che nuove, e la sua originalità si risolve, pill che altro, nel sottotitolo o motto di copertina: "Movimento al servizio del capitale o primo esperimento di compromesso storico?".

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to di vista con cui la descrive, pili che analizzarla, non è molto origi nale. Anche prescindendo dalle teorizzazioni cli altri socialisti dell'Europa prebellica su analoghi temi, il confronto con il lavoro parallelo di Angelo Vivante, Irredentismo adriatico, pubblicato nel 1912 sempre nella collana dei "Quaderni della 1 Voce' ", non appare favorevole. Vero è che il socialista romagnolo era estraneo all'ambiente, e in fondo la "questione nazion ale " per se stessa non lo interessava gran che , ma in tutto il saggio si cerca invano un principio coordinatore: mancano seri punti di riferimento al pensiero socialista e quel tanto di novità nella visione storica e nella proposta politica che traspaiono invece nello scrittore triestino. E tuttavia quest'opera prima - e come tale rimasta senza seguito - sta a denotare, con l'estraneità dell'autore da ogni propensione irredentis tica, come l'affacciar si in lui dd II problema della patria" sia ancora, Lutto sommato, piuttosto lontano. Pill significativa e alla lunga piU produttiva, la presa di posizione sul 1'pange rmanesimo teorico", la so ttolineatura di certe differenze fra "l'internazionalismo dei socialisti tedeschi" e "l'internazionalismo dei socialisti latini , specie frances i" , la precoce e curiosa annotazione su l nascente (e in parte suppos to) intreccio fra il paretiano " concetto delle élites ", il pangermanes imo e il socialismo tedesco.8

.È questo il periodo in cui Mussolini comincia a di sporre di un giornal e suo quanto a di.rcz ione : prima co n un fo glio collegiale ligure, in vero :1lquanto periferico e leg ato a Serrati, e co n l 'Ol·gano del seg retariato del lav oi:o a Trento 1 po i co n "La Lotta di classe" che fonda a Farli e che sarà iJ suo trampolino di Jando verso l'" Avanti!" La svolta in questa carriera non so lo giornalistica si avrà con l'acqu isizione di un quotidiano di cui diviene proprietario: e sarà " Il Popolo d ' Italia", quando rompe col Partito socialista ed entra nella cerchia della stampa legata al capita le . Prima di questa svolta, Musso lini è alla ricerca di un 11 socialismo rivoluzionario 1 \ operazione essenz ialmente eclettica , nazionale in un breve contesto di suggestioni internazionali, che dovrebbe nascere dalla sua testa e sotro la sua egemonia: e, a fianco dell' " Avanti! ''i fonda la rivista <(Utopia", forse la sua creazione politico.culturale piU originale e sentita. Di un tale momento per cosl dire autonomistico e n on ancora scission i-

• Cfr. BENITO MussoLINI, Il Trentino veduto da un socialista. Note e notizie, Firenze 19 11, pp. 18 -19. L'autore sembra indulgere qua e là a un certo gusto per la rievocazione sto rica, da cui tuttavia non riesce a districarsi. A un romanzo storico d'appendice, si dedica quasi contemporaneamente. Questa mancanza di confine fra romanzo e storia, po. !e mica e ricerca {come nell'altro breve scritto su Giovanni Huss il veridico) ne l giovane Mussolini non isolabile dagli approdi pi\l maturi. Il libro di storia su cui :ivcva maggiormente indugiato, traducendolo, era La Grande Révolution di KROPOTKIN che certo influi notevolmente sulla sua visione politica. Per la genesi del lavoro sul Trentino, si vedano le lettere a Prezzolini, in EMILIO GENTILE, Mussolini e "La Vo ce", Firenze 1976.

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sta, sono inoltre testimonianza una serie di conferenze tendenzialmente revisionistiche, sul "valore storico e teorico" del socialismo. Sugli antefatti culturali e sugli svolgimenti propri di questa vicenda, in fondo abbastanza lineare, si tornerà in seguito: qui ci preme soltanto rilevare la progressione di una ancora modesta (ma non tanto) ascesa nel PSI e il non-sincronismo della linea proposta e po· sta in atto con la formazione ideologica che la esprime e sostiene. Il successivo periodo, gli anni di guerra e il violento dopoguerra, si risolvono in gran parte in una sorta di amplificazione e sviluppo, con altri mezzi e ad altro livello, di questo itinerario. Naturalmente, la qualità è nuova. Non mutano tuttavia gran che i dati di riferimento culturale di fondo, precedentemente acquisiti, mentre muta il quadro complessivo delle suggestioni politiche derivate innanzitutto dal conflitto europeo e mondia le e da una sua interpretazione in chiave nazionalistica che lo fa approdare nel 1919-20 a istanze imperialistiche già abbastanza pronunciate .' Se Hitler si impegna, in prigionia, dopo il fallito putsch del 1923, nella compilazione dei due farraginosi volumi di Mein Kampf e nel 1926 pubblica Die Siidtiroler Frage, se Lenin (il confronto, è ovvio, è soltanto formale , in un caso e nell'altro) aveva usato l'esilio per lo st udio e si era impegnato nel vivo dell'azione in opere geniali, nulla di simile, anche lontanamente, in Mussolini. Il quale non sembra ricercare alcuna pausa al suo attivismo . Né l 'opera mussolinia, na presenta carteggi o quaderni di appunti o vere confess ioni di qualche rilievo. Non mancano invece esercitazioni letterarie, quasi tutte del primo periodo , per lo piu di pessimo gusto e di basso livello, in gran parte prive di un diretto ed esplicito significato politico.'0 Si può tuttavia contare su qualche tentativo autobiografico, come quello avvia to in carce re nel 1911-12, precoce ma scarsamente indicativo risp e tto ad altre coeve espre ss ioni de l " pensiero politico". È poi sintomatico che Mu ss olini. negl i anni Ve nti, quando comi nciavano

' C fr. EN Z O S1, NTA Nl~ L1 1, M msolù1i e l 'ideologia imp erialis ta , in Fascis mo e neofascismo. St ud i t: p roblem i ,li riccrcfl, Il ma J974.

• 0 S u un n di qu es ti sc ritti , 011veg110 su/,rcmo, pubbl ica to ne l 1909, cfr . GASPARE GmUJ CH, 0/1. cit ., pp . I 13 - 114 . Vi s i rncconrn di un incontro segreto di masch ere e si conclu de c:o n le sc~u c nti pnro lc: "Q uu nd o to rnai alln ra g ione, il pavimento era coperto di :m:ncc i i.:: nel mcz:w <lc11n sal n sorgeva una spec ie di catafalco, formato di maschere".

La novel la - ~ccond o J' nc:t1t'fl anali si di G iudice11si distingue in una zona allegorica, pili supcrll cia1 i.::, 1c ndc ntc n dim os 1mrc l' i pocrisia dei vari personaggi della società borgh ese , e in un:1 pili se1: rc u1 c he c i cl:) il tema reale , che è quello di una disperazione so litaria elci p1-0 1nnoni s111 in un universo del tutto vanificato [. ] Trascurando l'ocasional c co in ci d e re.: dc lln si mbo log in di questa storia colla vicenda futura dello stesso Musso li ni, ca tas tro fi co di s 1ru11 orc d i ciu el mon do di masche re che egli stesso avev a innalzato orch cs trnnd o fun eb ri ··mb lcmi e mo num e n ti , il se nso piU diritto della n o vella è quello di un 'allego ria ciel ribell e t-o mc d istru ttore. La di struttività di chi vanifica il mo ndo per co lloc:1rvi false presenze e fol sc id eo logie, sa rà la componente finale d el potente demiurgo" .

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ormai a fiorire abbastanza numerose le biografie su di lui, dclcg il fratello, tanto diverso per carattere, di tracciarne una in ccr senso ufficiosa, e la stampi, contentandosi di rivederla, col suo n 111 c, mentre la Sarfatti, sua intima amica, si assume il compito ( t>c l'iverne un'altra, piU veritiera e pit'.i romantica. Del sostegno de l' nt:t ivit à oratoria di Mussolini poco si sa: i resoconti giornalistic ne i primi tempi, per la "Lotta di classe" ecc. nascono probabilme, 1c da pochi appunti che avranno sorretto talune delle sue confere1 zc; anche per i discorsi piu impegnativi, si può presumere che il gran parte siano stati affidati alle sue ben note capacità di imprm v isazione e comunicazione. Il tardo Mussolini darà infine segni < vid eoti di ripiegamento, su l piano privato e personale, con la Vita d /I ma/do e con Parlo con Bruno e infine con i malinconici Pensier pontini e sardi. Un'altra prova autobiografica aveva dato dal fron 1c, con Il mio diario di guerra, pubblicato nel 1915-1917, menm St oria di un anno, uscito a puntate nel 1944, si colloca a mezz, strada fra il momento privato e quello pubblico. Sempre questi mome nti 1 ' riflessivi" risultano alquanto grigi e poco vitali, scarsamen 1 credibili. Insomma, una attitudine rivolta principalmente all'a· , io ne, che da un certo punto in avanti si estrinsecò meglio nella vis o ratoria; come giornalista, invece, aveva dato le prove migliori nell' intensità polemica degli editoriali piu che nei tentativi, pochi del r ·s to , di qualche respiro, di regola infarciti di numerose citazioni. "Di questa particolare stru ttura dell"' ideazione" mussoliniana affidai a qu asi del tutto alla prassi giornalistica e a un buon numero di api untamenti oratori - da cui l 'uso di rilevarne alcuni fra gli altri 1c r renderli piu risonanti e politicamente incisivi - e del sotterrnneo ma acuto contrasto intimo fra il pubblico e il privato che ne vi e n fuori nei momenti di maggiore tensione personale (come nei o ll oqui riferiti da Ciano) bisogna tener conto. Essa sembra intanto .ri confermare un orientamento spiccatamente attivistico, senza solide ba si interiori. La ricerca ideologica e culturale viene come spezzat:, da fatti esterni e coinvolgimenti personali e si risolve, spede dal 1914, in una frequente "fuga in avanti", sempre al limite fra improvvisazione e autoconvincimento ..Tanto che la Dottrina del fascismo (1932), che è per cosi dire opera di governo, quando Musso lini e il fascismo al potere avevano raggiunto il loro culmine (poi i sarà ancora la conquista dell'Etiopia, ma a questo punto l'equilibrio delle forze trainanti e delle spinte centrifughe subito si incri· na), viene stesa con l'apporto di Giovanni Gentile, proprio sul problema centrale della concezione dello stato. Si tratta - a nostro avvi so - di dati non esterni al pensiero e all'azione di Mussolini, ma intrinseci alla sua storia di uomo politico. Ne deriva l'esigenza di una piu sistematica e rigorosa metodica nell'uso delle fonti docu ·

,\'a J!,gio introduttivo

mentarie: sul terreno e nell'ambito della biografia e del pensiero politico, quindi della valutazione critica della personalità non può non essere messa al primo posto l'Opera omnia, con alcune integrazioni. Ne deriva però anche una difficoltà di discernimento nel minerale grezzo, cosf frammentario (e spesso mistificato), da cui la cautela indispensabile nel selezionarne una serie organica di estratti sufficientemente rappresentativi.

Da un punto di vista di metodo, la nostra proposta è di separare, distinguere, isolare per il possibile i nuclei ideologici o meglio ancora "teorici" (nei limiti accennati) dell'iter mussoliniano, indicandone le fonti dirette e indirette, singole e "collettive" e le motivazioni emozionali o pratiche, per ricongiungerli poi in un giudizio articolato, in un nesso unitario che tenga conto della collocazione retrostante (politica e metapolitica) dell'uomo e dei "frutti", del significato phi generale del fascismo nella crisi e nello sviluppo della società italiana. La dimensione ''europea" è certamente un problema-limite nell'interpretazione del fascismo italiano: ma non è dal punto di vista del suo "autore,, una superfetazione, costituendone anzi la necessaria ed esplicita cornice soggettiva ed oggettiva. Entro questo schema complessivo si pongono, per le considerazioni già esposte, problemi filologico-interpretativi di diversa natura, a seconda che. si tratti dello scrittore o dell'oratore che comincia a porsi il problema della società e in seguito il problema del potere; dell'uomo di governo che ritiene di avere risolto tale problema o di dovere perfezionare e completare le soluzioni realizzate; dell'ex dittatore che, in seguito alla prova della guerra e al 25 luglio, non riesce a superare i limiti concettuali su cui aveva in precedenza costruito tutto il suo edificio e la sua "dottrina".

3. Conviene ora abbozzare un disegno sommario della formazione e della stratificazione culturale della personalità mussoliniana. PiU anziano di tutti gli altri capi storici dei movimenti fascisti, Mussolini è l'unico a poter vantare una abbastanza cospicua esperienza politica prebellica. Un problema centrale è dunque quello che riguarda, appunto, il periodo socialista. Sulla natura della reale fisionomia e portata del socialismo di questo giovane fra i venti e i trent'anni, molto si è discusso ora cercando di coglierne e esasperarne le contraddizioni, del resto abbastanza evidenti, ora tentando di spiegarle soprattutto nell'alveo di una ricerca e sviluppo personali; accentuandone cosf l'originalità o le singole particolarità, da un lato, e dall'altro l'imminente destinazione senza tuttavia troppo intaccarne la coerenza . Anche guardando solo ai principali nuclei di interesse di Mussolini - giovane e maturo - non è difficile notare come si addensino in certi periodi a preferenza di altri. Se dall'esperienza della

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guerra l 'ex interventi st a esce con un'immagine incongrua ma abbastanza definita dell'imperialismo, per il periodo "socialis t a" pili ma· turo e individualizza to , si avverte invece preminente il problema del potere. Ciò accade ancora, è ovvio, da un punto di vista subalterno, che si appropria di alcune analisi "realistiche" ricavate sommariamente da Pareto e Sorel, nel tentativo di innestarle nel quadro del.la corrente ideologia socialistica. È il momento in cui indugia su una certa sottolineatura della "lotta di classe", poco ortodossa e poco tradizionale: in questo senso si può parlare fin d 'ora di un "musso· linismo" emergente già intorno al 1908-1912, che a sua volta si inquadra nella crisi del marxismo socia ld emocratico, e tenta di reag irvi.11 Da un tale sostrato deriveranno i suoi piU tardi atteggiamenti sul problema dello stato, in cui finisce col dare prova di un empirismo fin troppo disinvolto.

Risaliamo però al primo Mussolini socialista. Angelica Balabanoff, che lo conobb e in Svizzera appena ventenne, lo ricorda imbevuto di idee libertarie, rivolu zionarie prima ancora che avesse potuto aderirvi per convinzione. 12 Immagine che non discorda con il rilievo, comune a tutti i suoi biografi., sull 'influenza paterna nell'ambiente romag nolo di fine secolo, per cui , nel suo caso, viene quasi ad avere sc arsa importanza il momento preciso in cui avvenne l'adesione formale al partito . Tanto l a Balabanoff che la Sarfatti, in una diversa pmspettiva, insistono sullo stato d'animo di rivolta e frustrazione individuale (e individualistica) del giovane emigrato, che adombra l a condizione ambigua del pro letario intellettual e abbrutito - ne ll e circos tanze di quel primo espatrio - dalla mancanza di la voro e daUa miseria . I primissimi scritti del triennio svizzero sembrano sfio. rare pers ino un socialismo d'impronta umanitaria ("noi che apparteniamo alla derisa ala evangelica del partito socialista": 18 ottobre 1903); un anno dopo è la volta della traduzione di un importante saggio di Kautsky , allora non sgradito ai "rivolu zionari" italiani. 13 uido Dorso ha parlato di "ora toria avveniristica e incendiaria" del Mu ssolini segretario della Federazione socialista di Forli e agitatore in Romagna. 14 A fare il punto fra la sua azione in Romagna e l'in· grcsso sulla scena del sociali smo a livello nazional e, rimane un em.

11 Cf r. ENZO SANTARELLI, Socialismo rivoluzionario e "mussolinismo" alla vi gilia del primo co 11/litto europeo, in "Rivista storica del socialismo", 1961, ora in La revisione del lfl(lrxismo in Italia, Milano 1977.

i i fr . ANGELICA BALABANOPF , Il traditore (The TraiJor). Benito Mussolini and His "Couq uest" o/ Power , New York, 1942-1943.

11 Cfr. KARL KAUTSKY , All'indomani della rivoluzione sociale, in "Avanguardia SO· cln li s tA" , 10 settembre e 7 dicembre 1904. La pubblicazione fu sospesa e ripresa da C!O>O nll'inizio del 1905.

14 fr. Gu 100 DoRSO, Musso lini alla conquista del potere, Torino 1949, p. 43.

Saggio introduttivo 19

blematico giudizio del vecchio socialista-anarchico Amilcare Cipriani, anche lui futuro intesista e interventista:

Quest'uomo mi piace. Il suo rivoluzionarismo è il mio, dovrei dire il nostro, cioè quello che si chiama "classico". A questo valoroso Mussolini manca solo e semplicemente questo: di essere socialista e sindacalista ad un tempo. 1S

Vedremo poi la portata di un'analisi cosi tagliente, da cogliere contemporaneamente l'unità e la scissione della posizione politica mu ssoliniana, alla vigilia della sua ctisi piu importante. Infin e Paolo Valera che lo aveva conosciuto bene a Milano, nel suo tipico linguaggio moderno e allu sivo lo definirà - una volta assurto alla direzione dcll' "Avant i! " - "Direttore del Socialismo". 16

Cerchiamo ora di ricomporre queste diverse tessere. In primo luogo va rilevato che pur rimanendo la collo cazione di Mussolini nel Partito socialista rara e, per certi versi, inedita, le sue posizioni trovavano riscontro in una realtà sociale e culturale non infrequente. La derivazione dal socialismo rivoluzionario di cui si era "imbevuto" in Romagna è del tutto scoperta: per taluni aspetti corrisponde persino alla incompiuta conversione dall'internazionalismo anarchico al partito marxista di cui fu protagonista Andrea Costa; per altri il maestro spostato ed espatriato, il giovane incerto fra politica ed insegnamento (1906-1907), il funzionario-propagandista è paragonabile ai sindacalisti rivoluzionari che dal Mezzogiorno si portano nella Valle Pad ana. Con una precisazione: che Mussolini, come Corridoni, da una regio ne agricolo-artigiana farà il suo impatto nella "grande Milano tradizionale e futurista", commerciale, industriale e operaia di cui parla Marinetti. Non senza essere passato attraverso quelle componenti anarco-decadent i che al margine del movimento operaio e nella scoperta di Nietzsche e di Stirner - due punti di riferimento "filosofici" che in Mussolini rimarranno costanti - vanno introducendo un fermento di novità, un primo indistinto scompiglio tanto nel solco del vecch io socialismo anarchico guanto nel piu recente socialismo evoluzionista, umanitario e classista. I nuovi innesti si inseriscono però su un ceppo premarxista - cui corrisponde un humus popolare "rivoluzionario'' - eterodosso rispetto all'ideologia corrente della Seconda Internazionale. E qui sorge una differenza di giudizio rispetto al rapporto Romagna-Milano con l'interpre taz ione di De Felice nella sua biografia: - le spinte revisionistico-modernizzanti (che acquisteranno nell'ambiente milanese e davanti alla guerra un senso spiccatamente eversivo nei confron ti della linea socialista) mantengono , a nostro avviso, un sa ldo persistente rapporto

20 Enzo Santarelli
15 Da l'"Humanité" del 26 agosto 1912, in "La Lotta di classe", 7 settembre 1912. 16 PAOLO VALERA, Mussolini, Milano 1924, p. 18, al cap. Il socialista rivoluzionario.

con una radice profonda, capace per sua natura di forti derivazi o ni. 17 Può essere interessante notare l'incontro, la precedenza e frequ e nza di certi autori preferiti, ricostruire una "tavola" delle influen ze e opzioni culturali attraverso l'Opera omnia e altre testimonianze: Marx e Bakunin alle origini, nel 1903, ma prirna e piu questo che quello ; Sorel e Pareto (e anche Kautsky) nel 1904; Nietzsche e Stirner insieme e quasi d'improvviso nel 1908; Blanqui, ma anche Bergson e Oriani nel 1909 ; Corradini nel 1913 . La mediazione de La Voce, da un certo punto in poi, è nota , e qui bisognerebbe cogliere tutta una serie di sfumature ... Ma anche da uno schema sommario, si trae l'impressione che Mussolini abbia ricevuto gli stimoli pill vividi e pregnanti fino ai venticinque anni, mentre in seguito gli spostamenti saranno graduali, su un terreno grosso modo rassodato; e solo la conversione interventista e la conseguente influenza na zionalistica agiranno a distanza, riassorbendo gli elementi ereticorevisionistici del primo periodo. Nuove reazioni politiche immediate insorgono nel dopoguerra; e nei tardi anni Venti sarà attratto o farà mostra d'essere attratto - nella repulsione del bolscevismo, nel "superamento" del socialismo - da altri approdi; James, Le Bon, Spengler saranno via via una giustificazione e un motivo di civettamento culturale ulteriore. Un secondo aspetto, forse pili radicato e autentico, va posto in evidenza in quanto non si pacifica nemmeno nel pili maturo o nell'ultimo Mussolini: una vaghezza utopistica, irrazionale, che non si configura affatto come un disegno organico, ma si oppone tuttavia alla realtà effettuale, anche per carenza di strumenti di analisi. Si tratta di un certo idealismo in lotta con un prepotente e preponderante individualismo. Non era quindi lontano dal vero Guido Dorso nel rappresentarsi l"1 oratoria avveniris tica e incendiaria" del "duce" di provincia alle prime armi. Impulsi e doti che poi qualificheranno Mussolini anche in rapporto alla massa piccolo-borghese del fascismo. Insomma si va svolgendo il filo, piu o meno spesso, di un certo messianesimo populistico dalle diverse valenze politiche, mai assente nel sempre diverso richiamo agitatorio a strati sociali di condizione ambigua o intermedia, a masse anonime e marginalizzate, a folle irreggimentate dalla guerra o dal regime , a gruppi subalterni alla ricerca di una propria identità. Una doppia origine socialistica, poi degenerata era qui evidente. 18

17 Insistendo suUe acquisizioni ideologico-culturali innovative, non dovrà peraltro essere svalutato quel che rimane all'altro polo di una cultura positivistica ed evoluzionistica che continuava ad essere nell'aria: il sociologismo delle razze e della guerra, per esem. pio, o la diffusa influenza del darwinismo, del resto variamente modulata.

15 Cfr. la testimonianza di ARMANDO BoRGHI, Mezzo secolo di anarchia. 1898-194J , Ntt· poli 1956, pp, 111-112, quando Mussolini dirigeva in Romagna "La Lotta di classe": "da noi il socialismo è un po' pill sublimato che altrove e io faccio il possibile ric rché l'alta pressione della mentalità rivoluzionaria si mantenga". Il testo preciso, da un'int c r·

Saggio introduttivo 2 1

Il giovane Mussolini era infatti trascorso da una corretta valutazione delle "energie coscienti" della massa organizzata a una posizione elitaria, che poneva via via l'accento sul momento vitalistico di quelle "energie", sulla ricerca di un socialismo sovrumano e plebeo, nella riva lutazione della "teppa", nella svalutazione dell'avanguardia operaia (anche in odio al riformismo sindacale) e nel riferimento diretto o indiretto ai valori rurali e piccolo-borghesi. Cosi si giunge alla rottura finale - che parve improvvisa e trasse appiglio da una "crisi di inazione" del PSI nonché da ambizioni personali -, alla fuoruscita dal socialismo ortodosso e operaio, alla frattura con l a "lotta di classe" a cui pure si era appellato. Da ora in avanti - a cominciare dal Mio diario di guerra e in ogni altro ripiegamento sul "privato" negli anni successivi - doveva riaffiorare o affiorare in lui l'illusione di contrapporre una sorta di spontaneità e naturalezza dei sentimenti alla tensione di lotta della vita politica: e in questo circolo riprendeva il sopravvento in forme del tutto sintomatiche la sua struttura di "piccolo borghese''. 19 Aveva dunque ragione Cipriani nel dare per non risolte nell a sua personalità - in questo ciclo preinterventista e prefascista - le sue due fondamentali componenti politiche e ideologiche, quelle del sindacalismo e del socialismo. Di qui il "piano di egemonizzazione" dei sindacalisti rivoluzionari che Mussolini persegui con la larga ospitalità offerta sull'Avanti! e su Utopia, da ultimo richiamato da Roveri insieme al "torbido protagonismo" dell'agitatore romagnolo ormai sulle soglie della maturità.'° Di qui - dal vol tafaccia del 1914-15, nonché dalla pratica politica che ne discende e consegue - la definizione gramsciana della personalità mussoliniana ormai fatta come quella di un "inscenatore di colpi di mano" . 21

4. La guerra per Mussolini non è una sorpresa, almeno in quanto la sua concezione è una concezione essenzialmente di lotta. Perciò vi si adegua senza sforzo. Nell'intervento dell'Italia intravvede uno sviluppo della lotta politica (la formula della "guerra rivoluzionaria" escogitata dal De Ambris gli offre la giusta passerella di transizione al momento giusto), in cui l 'uso della forza, il generalizzarsi della violenza potranno portare un chiarimento rispetto a tutte le precedenti esperienze. Non ha ancora scoperto la "psicologia delle folle" di Le Bon, ma la sua idea delle masse e delle classi era cosi indif-

vista dell'ottobre 1910, è stato ristabilito da Pier Carlo Masioi in CAMILLO BERNERI, Mussolini. Psicologia di un ditta/ore, Milano 1966, p. ,2.

19 Cfr, PAOLO MONELLI, Mussolini piccolo borghese, Milano 1950.

:m Cfr. ALESSANDRO RovERJ, Il sindacalismo rivoluzionario in Italia nel periodo della Seconda Internazionale, in "'Ricerche storiche", gennaio-giugno 1975, pp, 37-38.

21 Cfr. ANTONIO GRAMSCI, Sovversivismo reazionario in "L'Ordine nuovo", 22 giugno 1921, ora in Socialismo e fascismo, Torino 1966, p. 205.

22 Enzo Santarelli

ferenziata che il rapporto pratico con esse si era risolto, e s i ~:1rchbe risolto in una manipolazione che non riteneva nulla di "cduca 1ivo" in senso autenticamente rivoluzionario al modo, per intenderci, della Luxemburg o anche di Lenin. E in questo risiedeva un'a l tra fondamenta le differenza con le sinistre socialiste , rilevata del resto in Italia tanto da Serrati e dalla Balabanoff che di Mussolini era stata consigliera e stretta collaboratrice, ma non convinta, all' "Avanti!", quanto da uomini come Turati e la Kuliscioff . Se mai Mussolini anche nella svolta del 1914-15 assumeva su di sé l'eredità del sovversivismo antiparlamentare di sinistra, assai pill popolaresco che classista. Fino allora aveva cercato nel suo rivoluzionari smo istintivo, dall'impronta anarchica, rivol tosa, solo apparentemente ideologizzato in schemi blanquisti, di diffondere i contrasti politici, il senso della non uguaglianza degli uomini . Perciò aveva esercitato il paradosso, purché piacesse, colpisse l'avversario del momento e gli tornasse utile: e in questo esprimeva il suo pessimismo esistenziale , che trovava un riscatto nelle esibizioni oratorie e giornalistiche.

In tal quadro si colloca la svolta "realistica " del 1914 che, per il modo in cui si verificò , tradendo una caduta morale, non cesserà di riaffacciarglisi come un fantasma (dal dopoguerra rosso al tempo della Repubblica sociale); perciò la sua psicolog ia di "spostato" lo indurrà in seguito a nuove fughe in avanti, a una ricerca di altre ca tegorie politiche, e gli consentirà persino - entro una certa misura - un recupero tattico del suo passato. Muovendo dall'esperienza della guerra, dal suo spettacolo come prova di forza, dal rovesciamento di rapporti e valori che essa rappresentava, anche in vi.rtu del suo personale passaggio da un campo all'al tro, Mussolini compiva abbastanza rapidamente l 'impatto con la categoria della nazione in un contesto culturalmente imperialistico. Sorgeva da un lato una nuova forma di socialismo nazionale, nel momento stesso in cui una buona parte del ceto medio intellettuale, della piccola e media borghesia in riflusso verso destra, passava al nazionalismo. Dall'altro egli stesso apprendeva, recepiva la categoria dell'imperialismo, inteso come lotta dei popoli, degli stati, basato essenzialm ente su un confronto di risorse umane e materiali, quindi demografiche, territoriali e di armi. Inteso insomma nei termini di nazionalismi naturalmente ostili e combattenti , e la cui lotta poteva essere potenziata o depotenziata dall'intervento delle ideologie politiche. Derivazioni quindi da una concezione della vita assai pill "darwinistica" che marxista, alimentata dalle filosofie della classe dominante; e conseguenze pratiche su l terreno dell' azione, attraverso le lezioni di una guerra tendenzialmente "totale". Gli scritti mussoliniani del periodo bellico, pubblicati sul "Popolo d'Italia", si svolgono su questa li nea, sono una delle pili perspicue e lu cide testimonianze, nel l oro insic-

Saggio introduttivo 2J

me, della "propaganda di guerra", di cui spesso costltwscono un esempio estremo. Certo, c'è ancora molta demagogia in questa prima fase postsocialista, ma vi sono anche i germi nuovi - del resto non solo mussoliniani - della mitologia patriottarda postbellica. Il periodo della guerra non presenta piu elementi culturali in senso stretto che si cristallizzino organicamente in espressioni di tipo saggistico come quelle prodotte nel periodo prebellico: eppure l'ex ideologo subisce un mutamento di rilievo, si pone problemi nazionali e internazionali che prima non si era posti.

Sussiste inoltre un decisivo elemento di continuità fra il primo e il secondo Mus solini su cui è opportuno indugiare ancora un momento, prima di procedere oltre. Scrive Paolo Alatri che "il socialismo di Mussolini non aveva mai avuto un carattere veramente marxista [

] ma piuttosto un carattere blanquista e anarchicheggiante" . 22 Quanto al secondo termine Masini ha specificato che "il rapporto fra il socialismo rivoluzionario di Mussolini e l'anarchismo è assai complesso, fatto di attrazione ma anche di dif!idenza, di affinità politiche e di incompatibilità culturali" . 23 Entrambi ricordano la giustificazione a posteriori degli anni Trenta (" in ogni anarchico sta dentro un dittatore fallito"; "bisogna riuscire - come me - a divenire dittatori dopo essere falliti come anarchici, per capire gli estremi tra cui la democrazia muove il suo giuoco "), e Masini indica come questo concetto sia farina del sacco di Nietzsche, dalle Considerazioni inattuali. Accantonato rapidamente lo sforzato esordio "evangelico" 1 l a psicologia del giovane era rimasta insomma, per tanta parte, quella di un "individualis ta autoritario ". Da queste antitesi, del resto sinceramente espresse nell'autobiografia del 1911 in pieno periodo socialrivoluzionario, la chiave del successivo atteggiamento politico che dunque ci si presenta fin dalle origini come qualcosa di staccato dalle formule correnti.

Affiora negli scritti di Mussolini giovane un forte divario non solo dal marxismo della Seconda Internazionale, ma dalla filosofia marxiana e anche - piu in generale - dall ' etica propria del movimento operaio organizzato e della stessa dirigenza socialista. Un analogo discorso può farsi per il socialismo anarchico, ove si pensi alla tradizione e alla scuola associazionista di impronta malatestiana. Il socialismo mussoliniano, riepilogando, era venuto alla luce all'alba del secolo fra l'ambiente romagnolo e l'ambiente svizzero, a ridosso della svolta "democratica" imposta dalla convergenza Turati-Giolitti; c'era poi stato un oscuro ma sintomatico periodo di silenzio su cui

11 Cfr. PAOLO ALATRI, Profilo biografico di Mussolini, in Le origini del fascismo, Roma i9 ~ 6 fr.P~\:ARLO MAsoo, Introduzione a LEDA RA.FANELLI, Una donna e Mussolini, Milano 1975, p . 15.

24 Enzo San/are/li
..
.

non disponiamo di molti dati; e piu sintomatico ancora è il fatto che la vera e propria militanza politica II rivoluzionaria" cadadopo un'adesione alquanto eclettica - in coincidenza con un'altra crisi della vita del paese nel 1908-1909, quando il pendolo della coscienza nazionale torn ava ad inclinare verso destra; e qui si ag. ga nciano, con logica successione le diverse ma concatenate esperien· ze compiute da Mussolini nel Trentino, nel ritorno in Romagna, nell'approdo a Milano. Il suo era stato un soc ialismo in prima persona, decadente e primitivo: "Io ho del socialismo una nozione bar· barica" , aveva scritto sulla "Lotta di classe"; un socialismo inquinato da l '1 pregiudizio che fosse rivolu zionario tutto ciò che era violento, mutevole, catastrofico", secondo l'osservazione di Alatri. Ha quindi ragione Franco Livorsi quando dice che "l'opera del Mussolini 'socialista' può essere intesa come mediazione cosciente, di tipo sovver · s ivo 1 politico', t ra istanze soreliane e PSI tradizionale":

Il sovversivo puro, che credeva nei caratteri e non nei programmi, nella fede irrazionale e non nella scientificità delle prospettive, nei miti e non nell'attua· lità storica del socialismo, in se stesso piU che nella collettività di partito e di classe , era evidentemente pronto a qualsiasi scelta in grado di soddisfare istan· zc sovversive, irrazionali e da capo-storico che il PSI sembrava frustrare ne1la politica e in lui: ciò sarebbe accaduto di fronte a un'esplosione collettiva di portata mondiale, la grande guerra. Per cogliere· tale occasione, Mussolini passò al nemico di classe .24

Del resto si era già notato come Mussolini - nel quadro delle sue avances per u na revisione del programma di Genova del 1892 da cui era pur nato il PSI - non avesse atteso la guerra per abbandonare l'idea di una rivoluzione sociale, per equipararla e ridurla ad un semplice rivolgimento politico." Nel 1914 del socialismo Mussolini abb andona l'elemento internazionalista, fondamentale sempre, ed anzi essenziale , ma nel momento dato pill importante che mai; e lo fa prima ancora di dichiararsi interventista, non partecipando ali'incontro di Lugano - cui era stato delegato - che fu il principio primo della ripresa socialistica dopo il crollo della Seconda Internazionale; e irridendo alla tradizione internazionalista su "U topia". Al ricordo di questa epoca risale una successiva definizione di Ellenbogen: "Egli è rimasto non soltanto un giornalista e un blanquista, ma anche un volt agabbana senza carattere" .u. Comunque era

14 Cfr. FRANCO L1voRSI, Il pensiero politico italiano. 1893·1943, Torino 1976, pp, 30-32. Cfr. ENZO SANTARELU, La settimt1na rona, in Il socialismo anarchico in Italia, Milano 1959, p, 174.

,. Cfr. ERNESTO R.AGIOHIEJLI e LEo VALIANI, Socialdemocrazia t1ustritJCa e socialisti italiani 11ell'agosto 1914. Un colloquio di Wilbelm Ellenbogen con Benito Mussolini e Claudio 'l'revu, in "Studi storici", a. Il , n 1, gennaio-marzo 1%1, p. 113.

Saggio introduttivo 25

rivelatore - nei motti scelti per "Popolo d'Italia" - l'accostamento Blanqui-Napoleone.

Ci sembra dunque molto difficile per non dire assurdo - se non si confonda sovversivismo con rivoluzione - sostenere che Mussolini sia rimasto "rivoluzionario" persino dopo il 1914-15. E ciò sia per i precedenti ambigui e già involutivi del suo indirizzo e atteggiamento politico personale, come per il fatto che solo dal movimento operaio e socialista poteva oggettivamente scaturire un moto, un programma, una forza di rivoluzione come del resto si vide nel corso stesso della guerra. Si tratta, però, di un falso problema . Il punto c he può avere indotto in errore è a nostro avviso manifestamente un altro. Si tratta di comprendere le ragioni e i limiti del PSI alla vigilia del conflitto, quando - nonostante tutto - esso era ancora in fase di crescita associativa e politica, tanto che ebbe la forza di espellere dai suoi ranghi prima i riformisti di destra e poi Mussolini (e i dati organizzativi ed elettorali confermano questa tesi), ma non riusci a consolidarsi sul terreno ideologico e teorico, anticipando cosi la crisi postbellica, come mostrano puntualmente le biografie dei suoi leaders, da Serrati a Turati a Lazzari, e di coloro che in seguito ne uscirono o vi entrarono , da Bordiga, a Gramsci, allo stesso Nenni. Il problema della rivoluzione in Italia, anche se Mussolini continuò in qualche modo ad agitarlo - peraltro nella forma abbastanza scoperta di un grossolano diversivo - non poteva essere seriamente posto se non da sinistra, nonostante i limiti del massimalismo socialista: e difatti su questo terreno nasce la divaricazione fra Bordiga e Mussolini, che - con cosi diverso spirito e coerenza - avevano appartenuto nell'anteguerra alla stessa frazione. Ma il 1 ' caso Mussolini", pure tenendo ferme le "ragioni" del PSI, va infine ricondotto ad alcuni caratteri di fondo dell'avanzata e crescita socialista in Italia, come hanno indirettamente dimostrato le riflessioni e gli studi pill recenti sul movimento operaio, sulle sue storiche e organiche contraddizioni. "L'Italia" , ha notato Barbadoro, "costituisce una significativa variante del noto schema di Jurgen Kuczynski, basato sulla successione temporale delle fasi 1) dell'industrializzazione, 2) della formazione della classe operaia, 3) dello sviluppo sindacale del movimento, 4) dell'affermaz ione della coscienza politica di classe. In effetti da noi non si verificava la sfasatura temporale tra momento sindacale e momento politico, tipica dell'Inghilterra e di altri Paesi avanzati" ,17 ma un andamento di segno opposto. Un'organizzazione operaia moderna e diffusa (anche se limitata al Centro-Nord e qualificata nella Valle Padana da una forte com-

26 Enzo Santarelli
27 Cfr. 1DOMENEO BARBADORO, Prefazione a ERNESTO RAGIONIERI, Ii movimento socialista in Italia. 1850-1922, Milano 1976 , p. 6.

ponente di socialismo rurale unica in Europa) si era formata soltanto sulla fine del secolo e si andava affermando, nella distinzione fra partito e sindacati, nell'età giolittiana, ma l a coscienza socialista aveva preceduto gli strumenti classici. Di questa e in que sta sfasatura, accresciuta fra il 1908-1914 - dalla scissione sindacalista alla settimana rossa e alla guerra europea - aveva emblematicamente rise ntito Mussolini: l'intervento sulla scena sociale e politica di nuove forze - strati mezzadrili , frange di proletariato rurale, piccola e media borghe sia urbana e corrisponden te intellettualità, nuclei urba ni di proletariato indu striale di recente formazione - lo spin gono obiettivamente a far si portavoce di una crisi che tend eva a rompere gli argin i della democrazia parlamentare e della disciplina sociali sta.

Assai sintomatici in questo senso: a) la proposta di alleanza con gli strati operai e popolari non qualificati; b) l a rivalutazione della "cu ltura" piccolo-borghese rispetto al partito , anche nel fare politica; e) In riduzione del marxismo alla "dottrina del determini smo economico" , della lo tta di classe al "concetto di catastrofe"; d) l'importanza " ttribuita alla "lega come strumento di rivoluzione che spezza il duali smo capitalistico" . 28 All'interno dell'intero corpus degli scritti , delle conferenze, delle intervi ste , dei discorsi mussoliniani nella transizio ne dal socialismo al fa scis mo , assume pertanto un rilievo centrale il problem a dello stato. In primo luo go per le dichiara zioni e gli intenti di tipo programmatico espressamente manifestati dal pubblicista irrazionalmente "socialista" e modernamente "anarchicheggiante" (al modo di Sorel-Stirner-Nietzsche) già volto a solu zioni autoritarie, ma anche per una esigenza di raffronto con le diverse vie, ptoposte da altri protagonisti , allo stesso problema; il che consentirà in un secondo momento di stabilire un piU preciso giudizio critico sul concetto di "stato fascista" conseguito e costruito da Mussolini e dal suo movimento nel contesto storico degli anni fra le due guerre mondiali. Col problema dello stato si pone , inoltre e fonda mentalmente, il problema del capitale , delle sue trasformazioni.

Tra questi termini Mu ssolini si muove, concretamente, per tappe successive, nel ' 14, ma anche prima, nel ' 19, nel ' 22 e dopo.

11 Cfr. in particolare il riassunto della conferenza su "Ciò che v'ha di vivo e di morto nel marxismo" tenuta da Mussolini il 1° maggio 1911. Significativo l'atteggiamen to di d ue anni dopo: "Se un socialista rivoluzionario italiano osasse affermare che accanto al J> ro udhon piccolo borghese e filisteo della Filosofia della Miseria sch iacciato da Marx, c 'è un Proudhon vivo e vivente , un Proudhon socialista, che vale la pena di conoscere t d i far conoscere, verrebbe subito bollato e scomunicato come 'anarchico"'. Cfr. Il "011gresso di Brest e un tentativo di revisionismo socialista, in "Avanti!", 23 febbraio 19 13. Solo con l'interventismo , proclamerà il "diritto di tornare a Proudhon" e afiermer:\ che questi "ha qualcosa (o molto) d i vivo", e in seguito gli si richiamerà piU di un:i volta. Cfr. Dopo l'adunata, in "Il Popolo d' Italia ", 28 gennaio 1915.

Saggio introduttivo 27

Qual è l'idea dello stato che questo sovversivo alla rovescia si è potuto fare traendola di volta in volta dalle sue esperienze e dalle sue letture? Almeno fino a un certo punto, l'analisi dei riferimenti contraddittori potrebbe essere abbondantissima, fino dai primi momenti, ma poi ci si accorge della sua scarsa utilità: la coerenza o l'incoerenza vanno cercate nella dinamica dell'uomo, e non nelle formule ideologiche che viene svolgendo , in quanto ha ben poco - e poco vuole avere - di sistematico. Prendono invece rilievo - sempre nel passaggio dal "primo" al "secondo" Mussolini - una serie di interrogativi e di spunti relativi alle derivazioni-improvvisazioni "intellettuali" che costituiscono l'orditura di scelte estremamente ricettive ed estroverse tutte risolte nella pratica. Mussolini, infatti, ipostatizza tre diverse sfere non solo nel socialismo, ma nella concezione della società: "un elemento dottrinale, uno pratico, uno ideale" . 29 È questo un dato permanente che a nostro avviso supera la descrittiva degli stati d'animo, delle ass unzioni culturali sproporzionate alle proprie forze, e delle prese di po sizione "tattiche" nel Mussolini giovane e nel Mussolini maturo; altrimenti non si potranno mai scostare del tutto i veli dell'ideologia mussoliniana, sempre uguale, inceppat a e in continuo rinnovamento. C'è infatti una superiore continuità fra il singolare e mutevole sovversivismo del "rivoltoso" prebellico e la fragile originalità del fascismo. La "tattica", com'è noto, ebbe una importanza preminente nei success i del fondatore dei fasci, ta nto da coprirne i limiti strategici ai suoi stessi occhi e da convertirsi - infine - in un complessivo fallimento teorico e storico. Ma appunto, data la natura di nuova fondazione, di palingenesi politica che l'uomo proponeva come obiettivo e metodo della sua lotta, questa predominanza diviene addirittura macroscopica, una contraddizione in termini, e su di essa non si può evitare di misurarsi approfondendone - fra l'altro - le carenze e le motivazioni sociali e culturali.

Anche volendo scendere su un terreno piu concreto - il modo di "rifare" il paese ("l'Italia non esiste", aveva detto prima del 1914), di governarlo, di ricostituirne i poteri, il modo insomma di concepire la politica e di fondare, se si vuole, una nuova democrazia autoritaria - il fondo della questione non muta. Prende invece corpo quella che si potrebbe chiamare la "metapolitica" mussoliniana: e cioè una sorta di galassia piu propriamente ideologica, sfornita di precise opzioni economiche, che ha costituito una delle principali risorse del fascismo, uno del maggiori rompicapi dei suoi seguaci, avversari e interpreti. Una volta abbracciato il mito sindacalista , dopo

28 Enzo Santarelli
29 Cfr. Socialismo e socialisti, in "La Lima", 16 e 21 maggio 1908, firmato con lo pseudonimo "Vero eretico".

lo sciopero generale del 1904, guardando allo sviluppo ideologico mussoliniano, si apre il vuoto di un preciso disegno economico della società futura. Mussolini, che non ha alcuna diretta espericmm delle lotte del lavoro, che nello stesso sindacalismo privilegia il momento cli rottura sulla prefigurazione di una società senza classi e di una democrazia proletaria, e che tuttavia rimane legato alla falsa coincidenza del materialismo storico col determinismo economico,30 fa del socialismo un valore in gran parte escatologico, scarsamente coordinato con la dottrina e con la prassi. Di qui l' "economica", per cosi dire, mussoliniana, il suo rilevante senso negativo. Al massimo giunge a postulare, con Paolo Orano, la "conquista del mondo economico" (1908). Di Marx ignora la teoria del capitale e ne fa, tirando acqua al suo mulino, "un volontarista e un ribelle; tanto che organizzò una rivolta armata".31 Senza essere liberista, risente ce rtamente della "crisi del marxismo" . Tutto ciò avrà conseguenze non secon darie anche in seguito: nel distacco dal Partito socialista, nella fondazione dei fasci fino alla gestione del potere una volta sali to al governo. La sua personale interpretazione (e riduzione) cli Marx acquista cosi una portata politico-culturale che va al cli là del periodo prebellico. In piu luoghi infatti il suo punto cli vista sulla dottrina marxista o marxiana si caratterizza - nel 1904, nel 1908, nel 1911, nel 1914 - per l'assunto che "forse alcune delle conclus ioni economiche del marxismo possono essere errate, ma le concezioni sociologiche sono esatte" . 32 Segno di un'altra dicotomia non pili superata.

Il cosiddetto cinismo o opportunismo di Mussolini deriva anche di qui, da una sua sostanziale indiHerenza o irrisolutezza per un mode llo o per l'altro cli vita sociale, dalla incomprensione e dalla dis tanza che lo separano dal meccanismo e dal governo dell'economia, di un apparecchio produttivo che gli rimarrà costantemente estraneo. Di qui i limiti del suo concretismo 1 della sua preparazione e nello stesso tempo i dubbi che continuerà a nutrire su se stesso. Ne na sce un rapporto fluido e ambivalente tra falsa Realpolitik e politi ca cli scena, che si riabilita , talora, nel compito cli fare storia cli se stesso (dell'ideologo e dell'uomo d'azione, dove il primo è in rli nzione del seçondo).

'° L'equazione "determinismo economico o materialismo storico" è esplicita già nell'arti co lo celebrativo Karl Marx del 14 marzo 1908. L"'economico" aveva in Mussolini qualcosa di molto elementare e primitivo: si veda lo stralcio dall'opuscolo Il Ventre e la t ua questione non piU pubblicato, nell'articolo Il pane e l'alfabeto, in "Lotta di clas11e " , 9 maggio 1914.

J i Cfr. il resoconto della conferenza su "Il valore attuale del socialismo" in "La Lotta d i classe" , 9 maggio 1914.

11 Si veda la nota di cronaca sulla conferenza sul "Neo Marxismo" tenuta a Los:innn nell' au tunno del 1904, riferita da "L'Avvenire del lavoratore", 19 novembre, oru in Ovcra omnia, voi. I, nella sezione documentaria, p 263.

Sagg io introduttivo 29

Si chiarisce cosi il senso di tanta arruffata e incomposta metapolitica di questo socialista mancato. In essa confluiscono alcuni dei termini piU o meno mutevoli, da cui nascerà la "dottrina" del fascismo: l'idea delle masse (o delle folle) subalterne alla volontà dei capi e all'arbitrio delle élites; il posto attribuito alla "filosofia della forza", il mito della violenza risolutrice e risanatrice , gli equivoci insiti e i significati riposti in tutta la problematica "demagogica", in quello che s,i potrebbe dire il biologismo o virilismo sotteso alla personalità stessa di Mussolini.

Avrà alcune felici e forse non casuali intuizioni, quando nella primavera del 1914 affronta un tema nuovo, quello delle intersezioni fra politica ed economia, del potere che diventa "Stato-monopolista, Stato padrone" per cui "in casi estremi" - come nella vertenza fra ferrovieri e governo nata in seno alle FF.SS - "lo Stato organo di gestione chiede soccorso allo Stato organo di autorità" . 33 Ma cos'era lo stato per Mussolini? In fondo poco piu del governo, e comunque qualcosa che non poteva modellarsi sulle strutture del capitale se non teoricamente, giacché Mussolini era per questo verso alieno da qualsivoglia ricognizione analitica e innovativa. Predicava invece l' "intimidazione" delle masse verso lo stato, al vecchio modo degli anarchici, aggiornato sulla base di piu o meno fresche teorie sociologiche. A proposito dello stato poteva accostare senza battere ciglio Engels e Ostrogowski.

Dello stato aveva una concezione in un certo senso barbarica 1 che faceva derivare da Nietzsche, a cui aveva mescolato un poco di Darwin:

Per Stirner, per Nietzsche e per tutti[ ... ) gli "Antisofi dell'egoismo" , lo Stato è l'oppressione organizzata ai danni dell'individuo. Ma come è sorto lo Stato? Forse in seguito a un Contratto sociale come Rousseau e i suoi illustri seguaci pretendevano? No. Nietzsche nella sua Zur Genealogie der Moral ci descrive la genesi dello Stato.34

Ma che cos'è lo stato nella sua diretta materiale estrinsecazione? si era ancora domandato nel Trentino veduto da un socialista, e aveva risposto: "Lo stato è l 'esercito e la burocrazia".35 Mus solini concepisce poi lo stato al plurale: non in rapporto alle strutture sociali e al grado di sviluppo dei ,apporti di produzione, ma in quanto sussistono diverse forme di organizzazione statuale nelle diverse nazioni; semmai, c'è un salto da questa pluralità degli stati alla pluralità dei governi: in Italia 11 10 Stato, oggi, è il 1 Governo 1 Salandra"

33 Cfr. L'assalto allo Stato, in "Avanti! ", 10 aprile 1914.

M Cfr, La filosofia della fori.a, in "Il Pensiero romagnolo", 29 novembre 1908.

35 Or. BENITO MussoLINI, Il Trentino veduto da un socialista, cit., p. 80.

30 Enzo Santarelli

(anche se Salandra è appena asceso al potere).36 Perciò lo stato po trà essere "smontato nella sua compagine e paralizzato nella sua azione repress iva" 37 e contro di esso si potrà porre in movimento l'intimidazione delle masse organizzate, di cui parlava Ostrogowski nel suo Démocratie et partis politiques. 38 Con il che siamo a un sol passo - almeno nelle premesse - dalla teorica della "saturazione dello stato", dalla "conquista dello stato" di cui Mussolini si farà banditore nel dopoguerra, nella marcia del fasci smo sul potere. In altre parole, lo stato "in assolu to 11 non esisteva, e venivano a predominare al suo interno i rapporti di autorità o di ribellione fra governi e governati, e per questa via il "politico 11 tornava a prevalere sul "sociale 11 • Nella politica "pratica" di Mussolini - al di là degli elementi formali e alterni dell 'adesione a questa o a quella «sociologia" e nel suo slancio vitalistico, camuffato e insieme sublimato sotto l a maschera dell' "ideale" - premeva l 'elementare giacobinismo di un capo popolo in cri si , che si stava spostando verso un virulento radicalismo di destra.

6. Fra guerra e dopoguerra si comp\e la metamorfosi di Mussolini: mutano gli indirizzi e gli obiettivi sociali, ma la metodologia e la teoria politica (una teoria che nasce dai fatti e non dal pensiero) si sviluppano ancora dai nuclei prebellici. Mussolini come "animale politico" rimane se stesso. Da un punto di vista ideologico (la riproduzione continuativa dell'ideologia gli è ora necessaria per non perdere del tutto la propri a id entit à e i propri collega menti) trasferisce, per cosi dire, le vecchie "idee", l 'a rmamentario dei suoi miti, su un altro terreno , ne fa un'altra cosa. Si è già vis to come avesse della società una concezione " triadica", scomponibile. La sua " Idea" , dunque, già densa di elementi irrazionali, separata dalla dottrina e dalla pratica, che lo aveva posto in minoranza nel movimento operaio, cresciuta q ualitativamente e quantitativamente a mito per la massa, viene ad innestarsi nel campo della piccola borghe sia radical-patriottica. La durata della metamorfosi, la qualità dell 'innesto, sono certo importanti, ma non vanno disgiunte dal significato, dall'indirizzo preso dall'operazione. All'inizio c'è, ad esempio , un'opera di stimolo, di apert ura intellettuale in senso nazionale, intrisa di adulazione ma anche d i insegnamento politico indiretto, che Prezzolini esercita su Mu sso lini nel passaggio all'interventismo." E al tempo del sommovimen-

J6 Cfr. L 'assalto allo Stato, cit

.17 Cfr. il testo della conferenza fiorentina su "Il valore storico del socialismo", in " Avanti!", 15 febbraio 1914 .

n Cfr L'assalto allo Stato, cit

.l'I Cfr . MARIO ls NENGHt, Il mito della grande guerra. Da Marinetti a Malaparte, Bari 1970 , p. 127, dove l'autore enunzia e documenta la tes i della "confisca dei quadri rivo luz ionari" giuocata dall'inte llettuale fiorentino nei confron ti di Mussol ini. Su qucst n strad a il precedente richiamo a L'armée nouvelle di Jean J aurès si trasforma, nel 191 5,

S aggio introduttivo J I

to nazionalista che scuote l'opinione borghese sulla questione di Fiume, Mussolini è già pronto a ricevere altre lezioni di politica, ormai da buon autodidatta . Nasce insomma, grado a grado - in anni di scuola pratica straordinariamente intensi -e si sviluppa non solo la piattaforma di un giornale, "Il Popolo d'Italia", che divi ene ancoraggio e strumento di lancio di un movimento associativo, ma una piU ardita e matura idea del colpo di mano all'interno della borghesia e dello stato, entro uno schema "nazionale" che in parte ricava dall 'impresa, dal "gesto" di D'Annunzio a Fiume. Ma nello stesso tempo impara anche, e forse di piu, ricollegandosi alla sua esperienza di agitatore di folle compiuta nell'anteguerra, dalla mischia sociale in corso nel paese: dalle lotte di strada, di fazione, in cui si svolge lo scontro di classe: impara, come si intravvede dalle sue prese di posizione, dall'AMMA di Torino (l'Associazione del padronato industriale) e dall'Agraria dell ' Emilia .

Fino dal 1914-15 grava su Mussolini, e incide , l'ipoteca nazionalista, cioè di una subalternità della sua ideologia, cultura e politica alla linfa prodotta da una scuola che è in piena espansione nel paese, anche se nel dopoguerra lascia scoperto un notevole spazio per le forze concorrenti. Alla fine dell'esperienza bellica il "Direttore dell'interventismo" (parafrasando Valera) avrà subito a sufficienza il plagio del clima "nazionale" in cui si era svolta la "grande guerra" del 19151918, e alla fine della guerra civile del 1919-1922 la sua creatura, il fascismo, fagociterà l'Associazione nazionalista italiana. Cosi il grande mito mussoliniano della "lotta di classe fra le nazioni" - asse portante del regime fascista quando l'Italia muove all'attacco dell'Etiopia e poi delle "plutocrazie occidentali" fra il '35 e il '40pur infarcito di demagogia sindacalista tratta dall'arsenale giovanile , era stato teorizzato da Corradini già al congresso di Firenze del 1910.'°

Il compiersi di questo revirement è possibile proprio in quanto l 'integrazione fra il vecchio e il nuovo avviene attorno al modo mussoliniano di concepire e fare politica, sempre imperniato sulla manipolazione di ampie masse, cooperatrici o subalterne. Ed è possibile in quanto Mussolini non si porta dietro, dalla sua fase prefascista , alcuna seria elaborata convinzione internazionalistica e nessuna autentica analisi del moderno imperialismo, di cui debba disfarsi. Perciò sarà portato a recepire dalla propaganda e cultura di tipo nazionalista una

in diversivo e ritorsione: sottoposto ormai all'influenza del "nuovo nazionalismo" del gruppo vociano, Mussolini ha tutte le doti e i numeri per raccogliere e rilanciare a suo modo il vecchio motivo (italiano) della "nazione armata" e lo farà facendo appello appunto a Jaurès, contro il neutralismo internazionalista del PSI.

40 Sul rapporto fra nazionalisti e fascisti, cfr. FRANCO GAETA, Nazionalismo italiano, Napoli 1%5. Sugli atteggiamenti cli fondo cli Mussolini davanti al nazionalismo da un Jato e al socialismo dall'altro, si veda poi, dello stesso autore, Il vero nemico del fascio, in "Avanti!", 7 settembre 1975 .

32 Enzo Santarelli

visione della guerra come scontro di popoli e stirpi in lotta per l'esistenza, uno scontro dominato da elementi nazionali, territoriali, militari ed economici tradizionali, a cui non tarderà ad appellarsi per farsi portatore delle spinte espansioniste che stanno venendo avanti negli ultras della borghesia. Nasce cosi, sul vuoto teorico e sul fallimento del sovversivismo giovanile, precocemente, il suo socialsciovioismo che si esprimerà abbastanza compiutamente fra guerra e dopoguerra nel preannunzio di una politica estera "fascista", sia pure ancora alquanto indeterminata nelle scelte . Fino dal 1915 adotta il motto di Oriani: "Nemico immutato, l'Austria. Mare nostro, l'Adriatico" per attingere poi, nel discorso di Pola del 20 settembre 1920, al mito imperiale di Roma e nel discorso di Napoli dell'ottobre 1922 ad un compiuto orizzonte mediterraneo .

A questo punto la mitologia mussoliniana ha già cambiato pelle da qualche stagione. L ' impatto con la guerra piu nuova dà a Mussolini una tendenziale superiorità sul terreno dell'azione e organizzazione politica, nel campo delle destre nazionali, degli interventisti intervenuti, e gli offrirà il destro di un incisivo recupero nelle alternative che già si pongono, prima sul fronte interno e poi nelle lotte postbelliche, contro le sinistre di classe. Vediamo ora a grandi linee il cammino percorso dal mito della Rivoluzione, che si trasforma via via in mito dell'Impero. A studiare una tale vicenda al microscopio c'è il rischio da un lato di non afferrare i permanenti e sempre piu gravi limiti moraliintellettuali dell'agitatore e ideologo, il suo ralliement alla borghesia, d all'altro di non valutare a pieno la sua tecnica e arte politica. Seguendo la via inversa, si avrà forse qualche inconveniente: e innanzitutto quello di isolare dalle trasformazioni sociali e culturali del paese l'itinerario e la figura di Mussolini. L'indagine sarà tuttavia suflicienter.lente veritiera, se si stabiliranno i necessari collegamenti con la crisi culturale e sociale del vecchio blocco di potere, già abbastanza avanzata nell'età giolittiana e poi precipitata in forme sempre pili acute e drammatiche nel contesto della crisi rivoluzionaria europea sul fini re della guerra. Spo st an do un poco l'obiettivo , si può partire da un momento cruciale, sia dal punto di vista ideologico che politico, quando Mussolini nell'estate del 1918 giunge ad una ulteriore svolta, log ica conseguenza delle scelte precedenti: a) dichiara che "gli operai in genere sono agnostici" ; b) stringe rapporti definitivi, organici col grande capitale; c) abbandona anche formalmente la divisa "socialist a ". È in questo momento che conduce un discorso teorico di qualche pes o, in parte raccolto dal suo primo e forse migliore biografo america no.41 Siamo, ormai , alla vigilia della disfatta au stri aca sul Piave , del·

Sagg io introduttivo 33
11 Cfr . GAUDEN S MEGARO, Mussolini dal mito alla realtà, Milano 1947 , p. 384.

la ripresa alleata sul fronte francese, e Mussolini recepisce e svolge la lezione di quella che chiama la "guerra qualitativa,,. Considerazioni di una certa importanza (fra l 'altro curiosamente attinge al popolare

I grandi iniziati di Schurè) in quanto pongono, in termini nuovi, reattivi, di mobilitazione, il problema dell a "massa 11 considerazioni di politica militare, che si rovesceranno poi, a guerra finita, negli ordini e indiri zzi della tattica e strategia fascista Sotto l 'aspet to innocuo di una semp lice propaganda di guerra, emerge - quasi a riprova dell'ideazione intuitiva e graduaLnente improvvisatrice che gli era propria - il motivo della "saturazione delle trincee ", che si trasformerà poi in "sa turazione dello stato". Riaffiora, dalla scuola della guerra, sul suo terreno (dietro il tavolo di un direttore di giornale) il migliore Mussolini , acuto e maturo. C'è l'idea del "ren dimento" delle masse nel conflitto armato, quindi del ruolo delle minoranze attive e persino della selezione degli "elementi negativi " di fronte agli sviluppi del meccanismo bellico.

I mezzi materiali e morali per giungere a queste trasformazioni esistono. Bisogna far vibrare certe corde. Bisogna mettere nel gioco carte d'ordine materiale e carte d'ordine morale·. Bisogna convincersi che un individuo cosciente e coraggioso vi dà il rendimento di cento, e che, viceversa, cento individui ignavi o vigliacchi non vi danno il rendimento di uno solo. Io sono d'avviso che invece di saturare le trincee con elementi negativi fisiologicamente e spiritualmente , sia pill utile e redditizio ai fini della guerra di moltiplicare gli strumenti meccanici, affidati a uomini che facciano la guerra con convinzione e con passione.42

È già un "produttivismo" bellico, forse persino interessato (dati i contatti con l'Ansaldo) , convergente con i discorsi ai "produttori" di Geno va e Brescia pronunziati da Corradini nel 1916. E del resto Mussolini, che sta per trasformare "Il Popolo d ' It alia" in "organo dei combattenti e dei produttori", adotterà il produttivismo economico della scuola nazionalista. Ma nello stesso articolo, il punto piu interessante quanto alla teoria politica, ai materiali che confluiranno nella prassi fascista, e un altro:

Il macigno è la massa, la mina è la volontà. La mina fa saltare il macigno. Ponete una volontà di acciaio, tesa e implacabile contro una massa e voi riuscirete a sgretolare la massa. Le leggi della fisica sono universali. Voi potete far "leva" anche sugli uomini come fate " leva" sulle cose inerti. Le masse umane hanno la stessa "inerzia" delle masse inorganiche. Il "datemi un punto d'appoggio e vi solleverò il mondo" è vero anche e soprattutto, forse, nd mondo dello spirito Si tratta di tro vare un punto d'appoggio. Quelli che Schurè ha chiamato " i grandi iniziati" hanno trovato questo punto d'appoggio: Buddha,

42 BENITO MUSSOLINI, Osare!, in "Il Popolo d'Italia", 13 giugno 1918,

34 Enzo Santarelli

Cristo, Maometto hanno trovato un punto d'appoggio e hanno sollevato tre mondi . 43

Sono chiari, nella polemica contro il disfattismo rivoluzionario socialista che parallelamente conduce, la tensione antioperaia e il nocciolo autoritario. L'" homme qui cherche" del 1912, il collaboratore de " La Folla" sta trasportando sotto altre bandiere e verso tutt'altre sponde, ormai di tipo reazionario, la teoria del movimento a cui si era avvicinato sotto l'influenza (e l ' alibi) di un Sorel e di un Bergson. Questa idea della "massa" da rimuovere, spezzare e mobilitare gli darà un punto di superiorità, come si è detto, sui suoi amici-rivali e sui suoi avversari-nemici. Il suo "osare" è molto al di là del "memento audere semper" di D'Annunzio . Certo, il fascismo non nasce secondo un programma predisposto, è figlio di una crisi collettiva profonda, di una improvvisazione molteplice, e sarà un'illusione di Mussolini di averlo creato o anche di poterlo spezzare (nel '21) con le sue mani o infine di farlo "durare" o rivivere quando comincerà la parabola discendente e dopo il crollo del regime. Ma ne è la mente politica direttrice, e ne traccia via via il percorso. È lui che procede all'incontro con la forza dirompente di una nuova generazione, i giovani e i giovanissimi "figli della guerra", che gli portano il consenso della piccola e media borghesia prima urbana e poi rurale stretta fra la pressione del bolscevismo e l'ambizione di dirigere lo s.tato. Ed è lui che incarna per guesti ceti il mito di una rivoluzione alla rovescia, che cammina tuttavia sulle proprie gambe, nella difesa e nella rivendicazione di interessi proprietari minacciati dall'ascesa dei rossi, dall'inflazione, dalla stessa crisi del sistema di tutela giolittiano. È ancora Mussolin1i, infine, che raccoglie e commisura in un unico coacervo lè ambivalenze ideologiche della piccola borghesia , facendosi portavoce di un nuovo blocco sociale spostato sulla destra.44 Il mito della rivoluzione sopravvive, dunque, ma si incrocia col mito della "piu grande Italia", dell'Italia di Vittorio Veneto, nel compromesso con le forze della monarchia, che rappresentavano la continuità dello stato. Non c'è un programma unico dei "fasci" tracciato per sempre dal loro fondatore: c'è piuttosto un aggregarsi da pili fonti, su pill punti e attraverso piu documenti, anche collettivi, di una intelaiatura programmatica che ora segue ora precede il movimento. Esempio classico, il problema della terra, che viene elaborato nel vivo di una lotta sociale asprissima in Emilia, segnatamente a Ferrara, in una zona di braccianti , di bonifiche, segnata dal sindacalismo rivoluzionario e dalla presenza di un'Associazione agraria che mira a rompere il fronte contadino nel suo punto debole: il

Saggio introduttivo 35
4 J BENITO MussOLINI, Osare!, cit. 41 Sulla natura, collocazione, battaglia di destra dei fascismi, cfr. LEO VALIANl, Osservazioni sul fascismo e sul nazismo, in "Rivista storica italiana", a. LXXXVIII (1976) , n. J.

rapporto fra organizzazioni socialiste e piccola proprietà45; e di queste tendenze Mussolini si impossessa.

Cosf - mentre è attratto da simpatie per il travaglio di destra della Germania di Weimar - il capo del fascismo ripropone in termini schiettamente politici il problema dello stato come' un "sistema di gerarchie", per affermare che "vuole lo Stato\ cioè il governo del paese, contro " l'anti-Stato sovversivo". "Il posto del fascismo", scriveva su "Gerarchia", "è defìni to dalla dottrina e dalla pratica" . 46 Mussolini ha scoperto e scopre la "borghesia del lavoro" , quindi il produttivismo patriottico ; in seguito polemizza con lo "stato mono polizzatore" , che va restituito alla prassi della libertà economica, smontandone le bardature pubblicistiche. Breve parentesi tattica, suggerita dallo stato d'animo e dagli interessi antidemocratici dei grandi gruppi economici; una linea peraltro a-ideologica, che privilegia il rapporto col potere economico. Predomina in tutto il ciclo il motivo di una "economia nazionale " che sfocia nel cosiddetto corporativismo. 47 Qui l'ideologia è suggerita dal bisogno di alleanza con le confederazioni e concentrazioni padronali, mentre il nucleo vero della politica fascista interpretata da Mussolini è quella dell "'assalto allo stato", della "s aturazione dello stato", cioè a dire della conquista - per intero - del potere. La sua teorica dello stato prima dell'avvento al governo, e in funzione di questo, è povera e riduttiva: si ispira agli interessi delle classi dominanti e si ammanta di istanze elitarie pill o meno candidamente credute (non è ormai questo il problema) contentandosi di trarre uno stimolo negativo dal pensiero socialista classico e una lezione pratica dal cosiddetto "esempio russo":

respingiamo la formula socialista dello Stato, che da "'comitato d 'affari" ddl a classe dirigente, dovrebbe trasformarsi nella semplice "'amministrazione delle cose": una specie di enorme "'ragioneria" pubblica. Tutto ciò è incerto e assurdo. L'amministrazione delle cose è una frase priva di senso, quando voglia significare la negazione dello Stato. In realtà chi amministra governa e chi governa è Stato, con tutti gli annessi e connessi. L'esemp io russo è là a dimostrare che "l'amministrazione delle cose" provoca la creazione di uno Stato, anzi di un super-Stato, che aggiunge alle vecchie funzioni di tutti gli Stati -

45 Cfr. ALESSANDRO ROVERI, Le origini del fas cismo a Ferrara, 1918-1921, Milano 1974 e PAUL R. CoRNER, Il fascismo a Ferrara. 1915-1925, Bari 1974.

-t6 BENITO MussoLINI, Stato, anJistaJo e fascismo, in "Gerarchia", 25 giugno 1922. 47 Il Governo Mussolini nel 1923 soppresse il ministero del lavoro cd i stituf un ministero dell'economia nazionale; e lo stesso Mussolini fu titolare del nuovo ministero delle corporazioni dal 192.5 al 1929. Nei rapporti col potere economico (come nei rapporti col potere spirituale o ecclesiastico), nella varietà e duttilità delle posizioni via via assunte il fascismo e il suo capo diedero il segno di un preminente realismo. Su questo ordine di problemi dr. VALERIO CAsTRONOVO, Storia economica, in Storia d'Italia a cura di Ruggiero Romano e Corrado Vivanti, vol. N, tomo I, Torino 197.5.

36 Enzo Santarelli

gu erra e pace, polizia, giustizia, esazione dei tributi, scuole ecc. - funzi o ni di ordine e'conomico.48

L'avversione al revisionismo bernsteiniano si era rovesciata nel suo opposto: in una opportunistica "concretezza" che ben presto si sarebbe tradotta in una pura e semplice "amministrazione delle cose"; si trattava ormai - su questo punto - di banale propaganda, e il paradosso consisteva nel negare originalità e inventiva alla rivoluzione dei Soviet, sulle orme della borghesia occidentale. Il fascismo avrebbe avuto comunque la sua rivoluzione politica, riservandosi una volta giunto al potere la piu ampia libertà d'azione. La manovra dell'ideologia, come carta cli riserva della lotta politica sui tempi brevi e sui tempi lunghi o medi, toccava il suo culmine:

Il fascismo non nega lo Stato; afferma che una società civica nazionale o imperiale non può essere pensata che sotto la specie di Stato; non va, dunque, contro l'idea di Stato, ma si riserva libertà di atteggiamento di fronte a quel particolare Stato che è lo Stato italiano.49

Alla vigilia della marcia su Roma, Mussolini parla alle camicie nere delle squadre d'azione radunate a Napoli: il programma della conquista o saturazione dello stato (non liberale ma ''semi-socialista") è ormai compiuto, il movimento operaio è stato disarmato e battuto e le classi dirigenti si apprestano alla resa. Il capo ha mobilitato e raccolto i reparti d'avanguardia della reazione nella guerra civile, ha fatto saltare la resistenza delle masse provocandon e una pill favorevole dislocazione (" le masse laboriose esistono nella nazione. Sono gran parte della nazione, sono necessarie alla vita della nazione ed in pace ed in guerra . Respingerle non si può e non si deve .. . ") e conclude la sua manovra avvolgente puntando sulla capitale, scardinando per vie ioterne quel che rimaneva del governo. A Napoli non allude soltanto al "Mediterraneo nostro", proiezione della penisola e del Mezzogiorno (il "triangolo" Napoli-Bari-Palermo) io una sorta di elementare e suggestiva geopolitica a sfondo imperialistico . Ribadisce, in modo pregnante e conclusivo, dandole un contenuto nazionale , la teoria del "mito" . L'affermazione , esplicita e basilare, verrà notata e messa io rilievo da Cari Schmitt, il teorico della dittatura, come classico esempio di una teoria politica di tipo nuovo, di impronta specificamente soreliana.50 Passano cosl a rinforzare il potere valori demiurgici, filtrati da un'esperienza II collettiva,, .

43 BENITO MussOLINI, Staio, antistato e fascism o, cit ,

• 9 Ibidem.

so Cfr. Il discorso di Nap oli, 24 ottobre 1922, in Opera omnia, XVIII, p. 457: "No i ab biamo creato il nostro mito. Il mito è una fede , è una passione. Non è neccss riri o che sia una realtà. :B una realtà nel fa t to che è un pungolo, che è una speranza, che è fede, che è coraggio . Il nostro mito è la Nazione! E a q uesto mito, a ques ta grandc;m1,

Sa ggio introduttivo 37

7. Il ciclo della dittatura fascista, fra le alrre del periodo fra le due guerre mondiali, si segnala per la sua durata e complessità, ma costi· tuisce per la scienza politica un modello complesso . Un oppositore e critico libertario ha indicato , intorno al 1932, il contesto europeo post· bellico in cui prende corpo l'esperimento mu ssoliniano : " L a nostra è un ' epoca delle dittature: Pilsudski in Polonia, Stalin in Russia, Horthy in Ungheria, Kemal in Turchia ... Ed è d'ieri la dittatura di Primo de Rivera. In Germania Hitler guadagna terreno ... " 51 Questa, fu certamente l'epoca dei successi di Mussolini al potere , ma non ba sta a spiegare la specificità delle forme di governo lungo un intero ventennio. L'esperienza mussoliniana , oltre che per la sua durata, è ricca per gli incentivi e i limiti peculiari che ha trovato per via: la chiesa cattolica e la monarchia in primissimo luogo. Abbraccia inoltre due d ecenni alquanto diversi, consentendo da un lato di descrivere, discutere, analizzare la prima forma storica di fascismo sorta in Europa (e di di stingue rla dagli altri regimi citati dal Berneri), dall'altro di osservarne il processo di degradazione e quindi di decadenza organica, lino alla brusca caduta del '43 e all'effimero conato di ripresa dello stesso anno, sot to altre spoglie. Di qui un primo periodizzamento 1 in cui trovano posto - sempre a grandi linee - i tentativi di sistemazione teorico-politica che Mussolini realizza nella sua nuova posizione di "comando". Questi tentativi corrispondono, grosso modo, al primo decennio di governo, poi - toccato il culmine - si interrompono, si disperdono e si esauriscono in pill rivoli. Per gli anni Venti si possono assumere come principali punti di riferimento almeno tre o quattro scritti: l'articolo Forza e consenso e il Preludio al Machiavelli (1923-1924) che non a caso coincidono esattamente con le premesse del delitto Matteotti preannunciando, di getto nel primo caso, in vesti paludate e contorte nel secondo, la crisi di crescenza da cui usciranno le forme della dittatura, la definitiva soppressione della libertà e lott a politica da lungo tempo preparata ; il saggio Numero come forza (1928) in cui si riassume tanta parte della metapolitica prefascista, filtrata dall'esperienza recente della guerra, proiettata nei nuovi miti di massa del regime e sintomatico tratto d'unione con la cultura tedesca del tempo.52 E

che noi vogliamo tradurre in una realtà completa, noi subordiniamo tutto il resto". Per la fortuna e l'eco teorica di questo passo, si veda

Carl Schmitl o dell'iperpoliticismo, in CARL ScHMITT, La dittatura. Dalle origini dell'idea moderna di sovranità alla lotta di classe proletaria, Bari 1975, p. XX.

51 Cfr. CAMuLO BERNERI, Mussolini . Psicologia di un dittatore, cit., pp. 23-24. Titolo originale: Mussolini gran actor, Val enda 1934 sz Parlando del paradosso demog rafico di Hitler e Mussolini il Viereck molti anni fanel 1941 - ha ricordato che "i nazionalisti romantici sentono sinceramente - e quasi istintivamente - che un 'organi smo' nazionale, la cui crescita tanto nella popolazione quanto nell'estension e territoriale sia statica (non già in diminuzione, ma soltanto statica) è condannato". Cfr. PETER VIERECK, Dai romantici a Hitler, Torino 1948, p. 216.

38 Enzo San tarelli

infine quella Dottrina del fascismo, di cui Mussolini firma anche la parte dovuta a Gentile e che ha o dovrebbe avere il compito di co11tribuire a stabilizzare l'opera politico-istituzionale fino allora compiutn; :i Mussolini comunque si deve, con certezza} il nucleo sulla pncc e sulla guerra in essa contenuto: "solo la guerra porta al massimo di tensione tutte le energie umane e imprime un sigillo di nobiltà ai popoli che hanno la virtu di affrontarla". La natura scadente e ambigua di questa mezza filosofia della storia si ricava dal suo corollario - "l'orgoglioso motto squadrista 'me ne fre go' [ ... ] è un nuovo stile di vita italiano" - che ne ri velava peraltro le piu immediate origini plebee. Tendenza alla stabilizzazione dottrinaria, dunque, ma niente :1fiatto risolta: intanto il sincretismo proprio di tutta l'esperienza "ideologica" del fondatore e capo del fascismo trovava qui un punto ulteriore di coagulo, nell iaccostamento alla filosofia idealistica, all'attualismo gentiliano in particolare, e alFespressa ripulsa della "religione della libertà" allora formulata da Croce .

Asceso al potere, Mu ssolini legge Il Principe (non è sicuro che lo avesse avuto per le mani a Predappio) ma lo interpreta a suo modo. E subito ne scrive, definendolo fra l 'altro un vademecum dell'uomo di governo. È un esempio classico del suo uso mistificato della cultura e teoria, ridotte ad un ruolo contingente. Sul testo di Machiavelli riversa, con dichiarata soggettività, le solite osservazioni sul "dissidio" fra "forza organizzata dello Stato", frammentarismo politico e "atomismo sociale": all'ombra di questo Machiavelli porta a compimento la sua operazione autoritaria. Non molto differente e anzi analogo è, poco dopo , l'atteggiamento verso La psicologia delle folle di Le Bon; la fonte letteraria copre e ispira il suo disprezzo per le masse. Si è già visto come Mussolini assai prima si fosse incamminato per questa via; ora coglie, in gran ritardo, ciò che gli serve: le masse si trasformano in "folle", dopo che ne ha disgregato la coscienza democratica e di classe, usando la "mina" delle squadre d'azione. D ' altra parte, il positivista Le Bon gli gioverà per attribuire un fondamento "scientifico" e un lustro intellettuale alla sua critica anarchico-dispotica della democrazia rappresentativa e della sovranità popolare che del re sto ha sempre coltivato ." Il filo che conduce dunque alla dottrina o carta o manifesto dei fa scismo si svolge da una

' J Cfr. GusTAVE LE BoN, Psicologia delle folle, Milano 1927, prima edizione italiana. Nel '26 Mussolini dichiarò di avere letto l'intera opera del Le Bon e di essere tornato pi U volte, in particolare, alla Psicologia delle folle. Le Bon e ra autore di una rea:zionaria Psycologie du socialisme , Paris 1899. Questo scarnbio di amorosi sensi continua nel 1931 p er via telegrafica: Rispondo alla vostra lettera. Democrazia è il Governo che dà o cerca di dare al popolo la illusione di essere sovrano. Gli strumenti di codesta i/fu . sione sono stati vari per le epoche e per i popoli , ma il fondo e gli scopi non so no cnmbiaci. Ecco la mia preci sa opinione ." C&. BENITO MUSSOLINI, Op era omnia , XXV, I>. 262.

.\'11gg io introduttivo I'/

serie progressiva di esigenze pratiche. .f: poi singolare, ma niente affatto inspiegabile, che nonostante il giovanile richiamo a Pareto, ripreso poi tardivamente per ragioni di prestigio, la teoria delle élites (Gaetano Mosca non è mai citato) non sia affatto al centro - nonostante certe apparenze - del pensiero di Mussolini. Evidentemente il fascismo, che si rifaceva piuttosto al patrimonio ideologico dei nazionalisti, preferiva "idee pil.l fumose" e comunque né il suo capo, né il personale che gli stava attorno erano capaci di distinguere tra il valore scientifico e l'uso ideologico di quella teoria.54 Lo stesso Mosca, per contro, teneva proprio in quegli anni a distinguere mar. catamente "la dottrina del superuomo e le teorie razzis te" dalla "teoria della classe politica"." In questo quadro, per quel tanto che l'osservazione può valere sul terreno limitato della cultura ufficiale e corrente del "regime", si dovrà poi notare che gli incontri piu recenti di Mussolini - con Korherr e con Spengler oltre che con Le Bon - assumevano, psicologicamente e socialmente, un senso con· servatore e regressivo a mala pena dissimulato.

È tuttavia Mussolini a sgomberare il campo da ogni possibile fraintendimento : e lo fa nei Colloqui con Ludwig (1932), do ve prende risalto l'interesse a coronare, seppure con un certo equilibrio, il ruolo della sua persona, ormai pienamente in auge in Italia e fuori d'Italia. Il mito si aggiunge al mito (gli aveva fatto da battistrada D'Annunzio) e si intreccia con sempre maggiore frequenza al richiamo millenario alla romanità. Questo scavo nei tempi antichi è un tratto CO· mune ai vari movimenti di tipo fascista un po' in tutta l'Europa ed è a quanto pare redditizio nel tentativo di saldare attorno a strati intellettuali di piccola e media borghesia aspirante o giunta al potere piu larghe masse popolari su una piattaforma "nazionale". Nel caso italiano Mussolini fin dal 1920-21 aveva colto - in termini certo grezzi ed ambigui ma pur tuttavia adatti alla bisogna - il peso e il disagio del mondo cattolico e della Chiesa di Roma nel tramonto o nell'eclisse o comunque nelle trasformazioni dello stato liberale: e ne aveva ricavato un altro motivo, di politica interna ed iiiternazionale, per procedere ad una sorta di grande alleanza col potere spirituale, disegnando sullo sfondo la possibilità di un'ulteriore convergenza fra la forza potenziale di "400 milioni di cattolici" e l'avviato sforzo imperialistico dell'Italia. In questa marcia sulla Chiesa e attraverso la

54 Cfr. NORBERTO BoBBIO, Saggi sulla scienza politica in Italia , Bari 1971 , p. 247.

55 Cfr. GAETANO MoscA, Lezioni di storia delle istituzioni e delle dottrine politiche, Roma 1932, pp, 305 sgg:. Sulla distanza prospettica fra Mosca e il fasci smo cfr. anche EtTORE A. AumRTONI, Gaetano Mosca. Storia di una dottrina politica, Milano 1978; si veda inoltre MARIO DELLE PIANE, Gaetano Mosca classe politica e liberalismo, Napoli 1952

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Chiesa, Mussolini era stato ricompensato come lrn uomo della Provvidenza". Intorno al 1929-30 nasce all'interno di questi sviluppi quel " nuovo sistema semantico" caratteristico di tutto il decennio successivo, e dì cui rimane in fondo prigioniero ("prigioniero" è un lapsus che gli sfugge conver sando con Ludwig ); si tratta di una forte ::iccentuazione retorica, della velleità di "fare storia" nel corso dell'azione, e, in definitiva, di una simbologia che se pretende all'assoluto s i innesta su una sorta di mimesi napoleonica.56 È una sovrastruttura che indica tuttavia un reale punto di svolta: piegati gli avversari, vinte le opposizioni, venuto a patti con i poteri tradizionali - con la riforma costituzionale del 1928 e il compromesso concordatario del l929 - creata qualche nuova istituzione Mussolini può assidersi sul piedistallo e in qualch e modo recitarvi, con minore !Jbertà d'azione, continuando a dare prova della sua rinomata maestria. Questi atteggiamenti e il successivo venire meno di contrasti, riflessioni e scambi capaci comunque di coinvolgere la cultura politica nazionale (subentrano varie scuole di "mistica fascista 11 ) denotano un processo di in1:egrazione ormai avanzato fra la dittatura, la società civile e l'apparecc hio produttivo.

C'è ancora un punto da rilevare : lo svuotamento di ogni contenuto del concetto di "rivoluzione", e la sua progressiva subordinazione al mito dell'impero. Tutto si svolge fra le celebrazioni decennali della " marcia su Roma" e l'intervento in guerra al fianco di Hitler, lungo gli anni Trenta. Sopra ttutto in quest'ultima fase scopertamente controrivo lu zionaria - come si vide nella guerra civile di Spagna - la politica mussoliniana si rivela anche all'estero per quello che è: qualcos a che i suoi oppositori e le sue vittime, nel primo e lungo frastornamento, non avevano pienamente afferrato: un "radicalismo delb Destra eversiva" . 57 Termine intermedio e risolutivo il breve ma importante conflitto etiopico del 1935. Dunque, la svolta dei primi anni Trenta , non è soltanto "semantica", anche se questo -a stretto rigore - è l'aspetto che c'interessa di piU, investendo direttamente la lettura e l 'in terpretazione degli scritti e dei discorsi di Mussolini . Cogliamo schematicamente alcuni dati transitori ma significativi del nesso che intercorre fra i fatti e le "idee". Un po' a caso si possono indicare il convegno di Ferrara (1932), in cui la cosiddetta sinistra corporativa viene battuta e riassorbita dal ministro Bottai; il ristagno "s indacale" e poi la burocratizzazione del sistema corporativo; il formarsi di un nuovo equilibrio fra la mano dello sta to e il capitale privato fra il 1931 e il 1936; i relativi successi del regime fascista di fronte

56 Cfr. GASPARE GIUDICE, op. cit., pp, 492494. Anche GIUSEPPE ANTONIO BoRGESE, Golia. Marcia del fascismo, Milano 1946, parla del "bovarismo" del tardo Mussolini, " Cfr. ERNESTO RAGIONIERI, La storia politica e sociale, in Storia d'Italia, cit., vol. IV, 1omo III, Torino 1976, p. 2102.

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alla crisi economica; le accresciute difficoltà dell'opposizione proletaria e comuni sta, segnalate dalla polizia in seguito al tent ativo di "svolta" del 1930. Tutto ciò fa si che il regime si senta abbastanz a sicuro all'interno per poter volgere altrove la sua attenzione, riconvertendo sul piano della politica estera il suo ro vello demagogico. Ora Mussolini non dimetteva -a parole - la sua in voluta tradizione "rivoluzionaria", in cui era cre sciuto, solo ne cambiava il segno, proiettandola nel futuro, senza intaccare le strutture capitalistiche italiane ed europee e la sua collocazione nello schieramento di classe internazionale. Si manifesta cosi una linea di continui tà fra l 'in dirizzo di reazione populista già imboccato da tempo e le scelte imminenti di "guerra proletaria" dei paesi "poveri" contro i "ricchi" sollecitate e suggerite dalla crisi del 1929.

Il riscontro piu elementare di questo processo lo si ha al livello istituzionale. Soppresso di fatto il parlamento, si procede ad una temperata riforma dello Statuto: in parte ripristinando una monarchia di tipo autoritario, in parte promuovendo le competenze - per Io pi\J consultive - del Gran Consiglio del fascismo e innestando sul vecchio stato il programma corporativo (la Carta del lavoro del 1927 ha un valore essenzialmente programmatico e indicativo). Il PNF non ingloba lo stato, avviene se mai il contrario, o, meglio ancora, per essere piU precisi, nell' amminis trazione si realizza un equilibrio instabile e precario fra i vecchi e i nuovi poteri . Ma il potere del capo del governo, dittatore di fatto, accresciuto anche per via legislativa, si pone al centro del sistema. Come contraccambio, insieme formale e sostanziale, Mussolini e il fascismo riconoscono e usano la vecchia struttura statuale (esempio classico la Circolare ai prefetti pure del 1927) e di fatto privilegiano i vertici tradizionali o non li toccano che in minima parte: la Chiesa, la Confindustria, lo Stato maggiore. Lo stesso irresoluto parallelismo riguarda del resto i principali organi del cosiddetto "stato fascista": il Gran Consiglio rispetto al Governo, fin dal 1923; la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale rispetto all'Esercito e alle Forze armate; le varie magistrature speciali create dal regime, il Tribunale per la difesa dello stato e la magistratura del lavoro, rispetto al consueto ordinamento; la figura del "Duce" per tanti aspetti eslege e perciò preminente quanto discussa, e l a posizione del re che rimane al vertice, seppure in ombra. Mussolini tornerà poi su questo punto, divaricazione sempre immanente ed emblematica, le cui radici risalgono peraltro alla concezione originaria dello stato comune a tutto un ceto politico, né rivoluzionario né integrato, che il capo rappresenta nelle istanze piu elementari. Per ora può essere sufficiente sottolineare come al cristallizzarsi della figura del dittatore all'inizio degli anni Venti corrisponda nei tardi anni Trenta la posizione solo in apparenza piu prestigiosa di " maresciallo

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dell'impero" - titolo dovuto attribuire allo stesso monarca. In questo senso c'è una verità piu profonda, che tocca il rapporto fra rivoluzione e stato, fra guerra e politica, peculiare del fascismo italiano, nell'intuizione di chi vede in Mussolini al tempo della rivolta squadrista o della marcia su Roma un "generale da poltrona" e un "Cesare da poltrona" al momento in cui si comincia a preparare , in segreto, l'impre sa d'Etiopia . 58

8. La "filosofia della forza", la teoria e la pratica della violenza, la dottrina della guerra erano state volta a volta l'asse portante, il risvolto ispiratore dell'azione mussoliniana. In che rapporto sta questa fase preparatoria con la fase successiva , che si sta aprendo all'inizio del secondo decennio della dittatura? Una prima rispo sta si trova nella successione e nella logica degli eventi, nell'analisi cont estuale dei principali documenti prodotti in questo secondo e piu maturo periodo dal dittatore, fondatore di imperi e provocatore di guerre. Lo scontro fino alla guerra civile all'interno, alla conflagrazione fra le potenze nell'ordine internazionale, viene configurato da Mussolini come la pietra di paragone di ogni autentico fascismo. Le origini plebee di tale tendenza risultano altrettanto chiare. Si rivela qui una tipica malformazione del quadro semi e paramilitare delle formazioni fasciste, riflesso di una pratica bellica di massa, ricavata dall'esperienza del primo confitto mondiale, e riflesso altresf - specialmente in It alia e particolarmente accentuato in Mussolini - del virilismo esibizionista comune a tutta una generazione piccolo-borghese in larga misura influenzata dalle correnti falsificazioni della dottrina dell'Ubermensch . Quando questo ceto politico raccogliticcio e questa generazione scatenano infine la guerra, almeno ad un certo livello, emer gerà in pieno il loro provincialismo e dilettan tismo. L 'esp erienza italiana è forse la piu probante, perché la si può giudicare in un "ciclo completo" attraverso un'attivi tà oratoria pili che decennale, e in diversi teatri d'azione. Nel caso di Mussolini - piu che in quello di Hitler - si può inoltre seguire, quasi al rallentatore, tutta una serie di esiti ideologici e di esercitazioni pratiche, che si collocano e si muovono su diversi piani: prima l a ginnastica "rivoluzionaria" d'anteguerra, il passaggio dall'herveismo al socialsciovinismo, le tattiche di mobilitazione delle 1 ' squadre" e la fa l sa "conquista" dello stato, e infìne - attraverso la militarizzazione delle masse e del regime - l 'impatto in gran parte provocato con la guerra vera e propria. Ma Mussolini non ha nessuna nozione della massima machiavelliana, il nemico non si minaccia, si spegne. Se mai si nota in lui la tendenza a cogliere l'occasione

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51 Cfr. LAURA FERMI, Mussolini , Milano 1963, alle pp. 173 (Il 1919 e dopo ) e 322 (Il fondat ore di imperi).

dalla crisi economica per trasformarla in conflagrazione spirituale, e a gettarsi nella mischia profittandone in qualche modo. Sarà sufficiente indugiare quel tanto che basti su alcuni momenti e passaggi teoricopolitici dell'ultimo decennio. Un documento notevole del salto nel ciclo bellico è dato dal piano d'azione per risolvere la questione etiopica, che reca l a data del 30 dicembre 1934. Forse per l'ultima volta le direttrici indicate sono tenute separate da ogni intruglio metapolitico, anche se le premesse e gli sbocchi sono ancora là. Il piano, preparato di persona, propone di muovere contro l'Etiopia distruggendone le forze armate e occupandone il territorio. La vertenza, provocata con l'incidente di Ual Ual, è divenuta un "problema di forza 11 e richiede una manovra e lotta diplomatica in Europa, ma appunto - senza la rottura della guerra -l 'iniziativa politica dell'Italia fascista sarebbe incompleta: "L'Impero,,, scrive, "non si fa altrimenti".59 Mussolini non rifuggiva certo dalla guerra e ne era anzi intellettualmente molto attratto."' È indicativo che uno dei suoi scri tti di poco precedente la svolta bellicista del 1914 - Lotta sociale e lotta politica - tenti di sviscerare il rapporto fra l'una e l'altra, nel riverbero del suo intimo conflitto fra coscienza socialista e dottrina sindacalista (discute infatti con Agostino Lanzillo) . Ma come si è visto brucia nell'azione ogni r esiduo dottrinario e supera ogni scrupolo morale di vecchio tipo; e in fondo si riconnette al suo costante biologismo: ad una concezione molto elementare della lotta per la vit a presente tanto nel destino dei singoli come nel destino dei popoli. E su questa base aveva innalzato il suo edificio ultra-realistico, a partire dalle lotte civili del dopoguerra. L'esperienza della trincea gli aveva detto che non era un cattivo soldato, la sua ambizione e la sua vocazione agonistica lo avevano spinto a capeggiare un movimento basato sulla forza. Negli anni in cui può disporre del governo e delle risorse del paese era entrato in una lunga spirale di avventure guerresche: la riconquista della Libia, che comunque sarebbe stata tentata anche da un governo liberale ma che condusse implacabilmente (1926-1932), la conquista dell'Impero avviata e conclusa fra il 1932 e il 1936, l'intervento in Spagna ( 1936-1939), l'intermezzo, inutile e gravido di conseguenze, dell'aggressione all'Albania ( 1939) e infine l'ingresso - inevitabile per la sua psicologia - nel conflitto scatenato da Hitler. In questo quadro, sempre nel '40 e poi nel '4 1, rientrano l'attacco alla Grecia, per molti versi gratuito e affatto preparato e l 'invio di un corpo di spedizione

59 Cfr. ALESSANDRO LESSONA, Memorie. Al governo con Mrmolini, Roma 1963, pp. 16.5-171, al cap. Direllive per la controversia italo-abissina.

60 "L'amore della guerra fu uno dei suoi tratti pi\l caratteristici, come l'amore del potere". Or. GASPARE GIUDICE, op. cit., p . .592. "La guerra," soleva dire Mussolini, "sta all'uomo come la maternità sta alla donna" (maggio 1934).

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con tro l'Unione Sovietica sproporzionato e peraltro privo di mezzi adeguati: due operazioni discusse o osteggiate dai suoi piU eminenti collaboratori militari. Soprattutto, temeva di restarsene in disparte e di rimanere estraneo alla spartizione del bottino e non esitò a sacrificare consapevolmente migliaia di vite umane, come dimostrano le sue dichiarazioni confidenziali a Ciano e a Messe a proposito dell 'attacco alla Francia e dell a guerra di Russia. Il confronto fra il comportamento nella preparazione calcolata e nella condotta dell 'impresa etiopica e l'atteggiamento incongruente , su balterno , disuguale nel corso della non belligeranza e poi del secondo conflitto mondiale consente di andare piu a fondo nell'esame della personalità mussoliniana e di individuare, a questo punto, con maggiore precisione il rapporto fra la sua "cultura" e la sua ispirazione "politica", fra i mezzi di cui disponeva e i fini a cui tendeva. Cer to , si trattava di risolvere problemi molto differenti, e oltre all'eterogenei tà obiettiva fra una situazione e l 'altra, vi furono - nel secondo caso - gravi error i di analisi, primo fra tutti l'indifferenza irragionevole di fronte ai sentimenti del paese e delle masse. Ma il comportamento del dittatore come uomo politico si differenzia, nel '35 e nel '40, anch e in ragione del diverso tipo di confronto a cui deve o vuole rispondere. Il trasporto di Mussolini per la guerra si rivela nel medesimo tempo oscillante e passionale (i o stesso accade infine per Hitlet ma a tutt'al tro livello), tale da non poter vincere anche per ragioni soggettive. Clausewitz basava la sua 11 filosofia" della guerra su un'equazione articolata fra forze materiali e morali dei due avversa ri , da registrare con cura nella preparazione e svolgimento della lotta, evitando peraltro il ricorso alla v iolenza senza ragione, per non comprome ttere l'esito dello scontro; ma Mussolini - che tardivamente esibisce il nome del teorico tedesco - fa di tutto ciò una vera e propria caricatura:

Ora Clausewitz, che è un gran maestro della guerra - dichiara al direttorio del PNF nel marzo del '43 - dice che la guerra è un duello moltiplicato per milioni . Que·sto nella piU semplice espressione. E in un duello cosa si fa? Ognuno cerca di accoppare il nemico e metterlo in condizioni di non pili nuoce re , e ciò richiede un certo animus, senza di che non si combina nulla.61

Mistificazioni

letterarie a parte, si ha l'impressione

che Mussolini

quando la guerra raggiunge i suoi livelli piu alti, al di là della "vio-

ei Dichiarazione inserita nel rapporto al Direttorio nazionale del PNF dell'll marzo 1943. Di poco precedente, i n Italia , CARLO VON CLAU SEWITZ, La. guem1. Pagine scelte, Firenze 1942 , a cura di Oete Bl atto, dall'edizione germa nica de l 1940. Di passagg io, per con traddirlo, Mussolini aveva citato Clausewitz nel 1917. Poi nel 1944: "Clauscw itz diceva ... Già, ma ch i ha veramente letto le olt re seicen to pagine del libro di Clau~ witz?•

) :i Saggio introduttivo 45

lenza primitiva", non sia pili padrone dei suoi mezzi. Riesce infatti lucidamente a calcolare le mosse e i risultati solo nei confronti di un avversario nettamente inferiore - anche in una situazione internazionale difficile ma non insuperabile - come gli era accaduto nell'impresa etiopica. Questa tendenza a farsi forte coi deboli l'aveva dimostrata con lo stesso gusto e la stessa "bravura" facendo occupare CorfU nel 1923. Quando però si passa ad una guerra non "civile", non "coloniale" l'atteggiamento di Mussolini subisce una bruSca caduta. L'uomo non è piU giovane, non ha la stessa fiducia di un tempo nel suo regime - il fascismo - è intorpidito da un insistente amore senile, e risulta profondamente inquieto per l'impari confronto in cui si impegna. Ma già nel corso della repressione in Etiopia e nella guerra civile di Spagna, aveva dato crescenti segni del suo tendenziale sadismo. Da poco Maresciallo dell'Impero tradisce la sua rabbia davanti all'opposizione interna, che comincia ad estendersi, nel discorso al Consiglio nazionale del partito del 25 ottobre 1938 . Indipendentemente comunque da queste e altre possibili considerazioni, le eccezionali punte di nervosismo e il blocco di ogni piu ragionevole soluzione di fronte al nodo del 1939-40, di cui pure era responsabile, denotano radici remote. Impacciato dall'imprevista radicale iniziativa hitleriana contro la Polonia, risolverà la sua frustrazione abbandonando ogni perplessità e scavalcando - d'altra parte - ogni adeguata analisi dei reali rapporti di forza internazionali e delle difficoltà economiche, del resto ben note, affidandosi ad una specie di giuoco d'azzardo, a una decisione determinata soltanto (e consapevolmente) da motivazioni tattiche, i cui vantaggi erano limitati in partenza da una forte dose di rischio.

In questi atti, in questo modo sup remo e contorto di "fare storia" per sottrarsi a un temporaneo e obiettivo stato d'inferiorità, c'è molto non solo del carattere ma dei limiti di pensiero originari ed acquisiti di Mussolini. Originari, per il riproporsi emo tivo dell'esperienza del 1914-15 - "Popolo italiano! Corri alle armi ... " ripeterà nel giugno del '40 - acquisiti , perché dopo i successi riportati in Etiopia e in Spagna e dalla Germania nel cuore dell'Europa, tutto sembra spingerlo a non rimanere inerte, a ritentare la prova. Lo turba e lo svia un acuto senso di rivalità col Terzo Reich, che considera il suo all eato-nemico . Non l 'arresta la coscienza di stare alla testa di un grande stato non ancora posto ad un sicuro livello internazionale e certamente sfornito del potenziale necessario per entrare in gara. La disfatta della Francia lo induce infine all'int ervento, ma la sua assunzione di responsabilità è viziata, anche in queste condizioni da un soggettivismo cresciuto a dismisura negli ultimi anni. Questa non univoca predisposizione alla lotta, cosi costantemente dimostrata, e l'approccio finale all'ultima guerra riconfermano insomma la sua statura

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di un uomo di gove rno incauto, instabile e - soprattutto - incapace di autocontrollo. L'uno e l'altro aspetto, per usare un'espressione classica, danno luogo al suo "avventurismo". Buon diplomatico almeno sui tempi brevi e in singole occasioni e ottimo tattico, gli manca essenzialme nte il senso della proporzione , la dote di un equilibrio prima di tutto interiore. La sua lunga pratica di governo non ha cancellato, nonostante tutto , i limiti del capo egocentrico, assai pili volontarista che volitivo, di ideologo cli fazion e decaduto in atteggiamenti oltreché dispotici, fortemente devianti.

Alla vigilia de lla sua maggiore deci sione elabora un imbarazzato Memoriale panoramico al Re ( 31 marzo 1940 ), che sembra stare agli antipodi delle direttrici di marcia del 1934 . È forse l'ultimo testo mussoliniano in cui si avverte qualche residuo tentativo di riflessione su11e alternative ancora aperte. Informando il capo dello stato, fa di tutto per escludere il non intervento nel conflitto: l ' Italia "è in mezzo ai belligeranti, tanto in terra , quanto in mare", e verrebbe comunque co involta. II non-intervento è una pura ipotesi ma Mussolini non la prende nemmeno in considerazione, tanto è vero che non prevede, per il caso, alcuna contromisura. Invece, sottintende o paventa un difficile confrontp con la Germania, una "guerra che l'Italia dovrebbe sostenere da sola": e in questa sottolineatura si nasconde la speciosità racchiusa in tutta la premessa, che ri sulta quindi - nonostante la pa rvenza di una analisi obiettivamente condotta - tendenziosa, nel senso che è ri volta ad ottenere -e nella sua logica apparente otterrà - il consenso del re. Quindi, nessun "voltafaccia". Predisposizione invece a qualcosa di molto strano, che potremmo definire "guerranon-guerra" . In termini politico-m ilitari si tratta infatti di un non se nso: il piano strettamente militare è di difensiva su tutta la linea, salvo che in mare; ed anche q ui il coordinamento salta fin dal primo impianto. Con ciò l'illu sionismo politico rientra dalla finestra : con la pretesa che un siffatto intervento possa determinare, in breve, la "decisione" della lotta. Anche le previsioni immediate, su cui tutto il ragionamento si basa appaiono sfocate: ritiene che fra la "guerra d'at· lacco" e la "guerra di resistenza" Hitler sceglierà quest'ultima! Di qui il progetto, quanto mai confuso, di una "guerra parallela" , cioè di una guerra nazionale italiana, da inserire nel conflitto europeo. Partiva dall'estrema difficoltà cli avanzare previsioni sullo sviluppo degli avve nimenti, ma taceva sulla "politica di paesi lontani", ritenuta quasi indecifrabile , e soprattutto degli Stati Uniti. Un quadro, nel complesso, pill furbe sco che realistico, privo del necessario respiro. li capo del fascismo, che tanto presumeva di sé pur essendo in fondo co nsapevole di non di sporre di forze adeguate, era giunto all'ora della verità, alla prova della guerra - ma non si era affatto depurato dell'a mbiguità emotiva e culturale dei suoi presupposti ideologici, che ora

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stava per scontare definitivamente. Il suo rapporto "panoramico" al re poteva anche essere un sotterfugio burocratico che giuocava contro se stesso, privo com'era di un qualche legame con la negativa ricognizione del potenziale del paese . Comunque, su tutto sovrastava una visione geopolitica sconfinata e imprecisa:

i nostri obiettivi [ ] si compendiano in questa affermazione: libertà sui mari, finestra sull'oceano. L'Italia non sarà veramente una nazione indipendente Sino a quando avrà a sbarre della sua prigione mediterranea la Corsica, Biserta, Malta, e a muro della stessa prigione Gibilterra e Suez. Risolto il problema delle frontiere terrestri, l'Italia, se vuole essere una potenza veramente mondiale , deve risolvere il problema delle sue frontiere marittime. La stessa sicurezza dell'Impeto è legata alla soluzione di questo problema .

Se c'erano stati momenti in cui Mussolini aveva saputo affrontare difficili problemi d'azione ed era riuscito a risolverli, tornava ora a prevalere - nonostante la patina e lo sforzo di ragionevolezza ----. la sua metapolitica a sfondo imperialista e di origine attivistica. In questo gli si deve riconoscere di essere rimasto fedele alla sua burrascosa tradizione personale, al suo modo di essere e di sentirsi "fascista". Passo dopo passo il suo "ducismo" aveva finito col travolgerlo, in parallelo e in contrasto con Hitler, a differenza di altri dittatori della sua epoca ben diversamente ancorati alle rispettive realtà nazionali. Chiusa l'ultima pagina della sua vita politica, si può convenire su un dato abbastanza semplice: non possedeva le qualità dell'uomo di stato, e alla fine l'avrebbe -a quanto pare - riconosciuto . 62

9. L'esame dell'intero arco della <(produzione politica" mussoliniana ci ha condotto da Mussolini al fascismo, da un segmentato "pensiero" individuale a un problema di storia: Mussolini e la storia del fa . scisma. Siamo ormai alle ultime battute e ci si consentirà di riprendere le mosse da una piu precisa collocazione culturale-sociologica di questo "dittatore della borghesia", avvalendoci, fra l'altro, di alcune indagini estese all'ideologia fascista, cui finora non si è accennato, e richiamando quelle interpretazioni che hanno preso in particolare considerazione il ruolo svolto da Mussolini come statista e come rivoluzionario (il problema è unico).

Già l'andamento del nostro l avoro sta ad indicare che non si nega la presenza di un'ideologia del fascismo elaborata con i mezzi a sua disposizione dal suo primo e massimo autore: si discute invece sul suo

62 Cfr. I VONE K1RKP ATRICK, Storia di Mussolini, Milano 1964, p. 601, riferisce di un ultimo verosimile giudizio autobiografico (teso a Goffredo Coppola e raccolto in Mussolini si con/essa su "Il Corriere d'informazione" all'inizio del 1946 ): ulo non sono uno statista. Io sono un poeta, e un poco matto."

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posto nella storia, a cominciare dal carattere e dal peso delle diverse componenti. In un saggio recente sulla "dinamica delle rivoluzioni)' si ricorda un'opinione espressa, sulla base di inda gini sociolo giche prodotte negli anni Trenta, da Arnold J. Toynbee: "la forza propulsiva" che portò Mussolini e Hitler al potere fu generata dall'esasperazione di un "proletaria to intellettuale [ ... ] schiacciato dalle due macine del Capitale organizzato e del Lavoro organizzato". Ed anzi, pili precisamente, quella "classe media inferiore che aveva fatto gli studi e magari l'università senza poi trovare la possibilità d'impiego" doveva considerarsi un'autentica "spina dorsale del PNF in Italia e della NSDAP in Germania . 63 In queste connotazioni, è abbozzata la teoria di un declassamento, di un sottoproletariato intellettuale o di qualcosa che si pone al suo limite o rischia di divenirlo: e in questa linea di tenden za si riconosce senza sforzo un tratto comune nella biografia giovanile tanto di Mussolini che di Hitler. Vi è qui, in questo dato di agevole rilevazione, un anello di collegamento vivo e reale con una buona fetta dello squadrismo cosiddetto "plebeo" pure comune al fascismo e al nazionalsocialismo, un dato che spiega a nostro avviso se non tutti, alcuni dei caratteri propri, doppiamente oscillantiverso la borghesia (il "grande capitale" di cui parla Daniel Guerin) e verso il proletariato {la "nazionalizzazione delle masse" di George Mosse) - di entrambi i movimenti nei loro diversi periodi e modi di ascesa, di conquista e di dominio. Il motto "me ne frego" raccolto da Mussolini - l 'apologeta della "teppa" del 1904! - attraverso il personale delle squadre, gli ex arditi e trapassato parecchio piu tardi persi no nella Dottrina del fascismo - non senza la mediazione e l egittimazione dannunziana - ci appare alla fine indicativo di questo non meccanico e tutt'altro che indolore itinerario sociale e culturale, una sorta di sintesi ideologica primitiva Soccorrono a questo punto due testi, l 'uno americano (e filofascista), l'altro italiano sull'ideologia del fascismo colta, per cosi dire al suo livello superiore. 64 Mentre Gregor teorizza il fascismo come 1'il primo regime di movimento rivoluzionario di massa,, (è un po' confuso!), Emilio Gentile, essendo soprattutto sensibile agli sviluppi interni del movimento, giunge a una interpretazione a un tempo troppo dottrinaria e troppo benevola:

61 Cfr. Luc1ANO PELLICANI, Dinamica delle rivoluzio ni Il ruolo delle guerre di classe nella nascita del mondo moderno, Milano 1974, pp. 207-208 . Si veda anche ARNOLD J. ToYNBEE, Storia comparata delle civiltà. Compendio di D.C. Somervell, Milano 1974, vol. II, pp. 40-41.

64 Cfr. A . ]AMES GREGOR, L'ideologia del fascismo, Milano 1974 (ed. originale: Tbc Ideology o/ Fascism: The Rationale o! Totalitarism, New York-London, 1969) e EMILIO GENTILE, Le origini dell'ideologia fascista. 1918-1925, Bari 1975.

Saggio introduttivo 49

C'è uno sviluppo logico nella concezione mussoliniana dal socialismo al fasci. smo, attraverso l'esperienza: prima, della rivoluzione socialista; poi, della guer· ra come rivoluzione; infine della rivoluzione come restaurazione [. .. ] In questo sviluppo, dunque, Mussolini sembra seguire una sua logica politica, che lo porta dal rivoluzionarismo, come fede nella palingenesi futura, al rea. lismo, come cer tezza della immutabilità della natura degli uomini, delle costanti psicologiche delle loro azioni, dell'insopprimibile dualismo fra potere e società, fra governanti e governati.65

Ma è questo il ritratto di un politico impulsivo e tendenzialmente combattivo - bisogna riconoscerlo - di un incerto quanto sanguigno protagoni sta passato attraverso tanti cambiamenti di fronte? La dialettica interna del personaggio, e i suoi reali rapporti con gli schieramenti antisovversivi della maggioranza del mondo borghese ci sembrano svalutati. Nel 1921, ad esempio, proprio nella fase di transizione dai fasci al Partito nazionale fascista, Gentile vede Mussolini quasi esclusivamente come un intellettuale attratto dal "rela tivismo" di Giuseppe Rensi, quando è vero - se mai - il contrario (il filosofo presta un'ideologia consentanea al capo del fascismo):

Aderendo alla "filosofia dell'autorità" di Rensi , Mussolini elaborava la sua concezione antidemocratica dello Stato, come autorità derivante da una forza che si impone al di là di qualsiasi vincolo ideologico, al di là delle formule e degli schieramenti tradizionali.66

Sotto tali auspici - e cosi tardi! - sarebbe sorta la "svolta a destra" di Mussolini! Ora, il 1921, indugiando ancora un istante su questo punto, rappresenta non solo un aspro dissidio interno al fascismo, ma un ben piU decisivo confronto fra tutte le forze eterogenee in esso convenute e le forze del movimento operaio e socialista: e ben si sa di quale "confronto" si sia trattato. Un Mussolini che "cerca" l'occasione storica di tappa in tappa per realizzare un suo progetto "da rivoluzionario" - sia pure attraverso una graduale "degradazione" di questo - appartiene a uno schema interpretativo scarsamente realistico, che finisce col porre piu problemi di quanti non ne risolva.

Di fatto la cosiddetta ricettività ideologica mussoliniana (di cui tanto si è parlato) con tutte le sue aporie e nella sua insistita continuità, è il segno esteriore di un continuo sforzo di mediazione e di organizzazione sociale nel proposito arduo, non uniforme e non agevole di costruire e conservare un certo blocco di potere, di una corrispondente ricerca di mezzi tecnici e "sociali" dell'azione politica, in cui Mussolini dà prova, insieme, di aridità, di meccanicismo e di notevole po-

50 Enzo Santarelli
u Cfr. EMILIO GENTILE, op. cit., pp. 236-237 66 lbid., p. 235.

vertà ideale. Se non si coglie tale aspetto di fondo - che certo aggrava il tema della crisi morale e intellettuale del popolo italiano prima durante e dopo il trionfo del fascismo - si rischia soltanto di girare attorno alla questione e di non affrontarla in tutta la sua portata. Ora, nel fascismo (lo aveva ben visto Curzio Malaparte) è ben piu importante la tecnica del colpo di stato che non la teoria dello stato. Non a caso si ha qui la massima defaillance di Mussolini ideologo1 teorico 1 uomo politico 1 e la sua massima contraddizione 1 non solo forma le, fra la negazione che lo stato sia un "assoluto" (prima della conquista del potere) e l'affermazione che esso sia 1 invece 1 precisamente un "assoluto " (dopo) . Mussolini è dunque dedito alla ricerca di nuove tecniche di azione politica, e le sue piU brillanti operazioni, dal punto di vista del successo, hanno in un certo senso un carattere ripetitivo. Vi è spinto ad un tempo dal problema di potere suo e del suo movimento, pili tardi e in maggiore misura dall'intreccio di interessi e dai rapporti ormai saldamente stabiliti con i gruppi capitalistici. Stanno qui, a ben guardare, la coerenza nell'incoerenza e il piu alto grado di imp ietosa originalità del fondatore e capo del fascismo italiano. E qui sta anche il massimo di razionalità che poteva dare e avrebbe dato nell'organizzazione del sistema di dominio fascista come "regime reazionario di massa". 67 Ma il passaggio dall'ideologia (!'"autobiografia del fascismo") alla teoria politica non sarebbe completo se non si insistesse su un altro ordine di difficoltà. Fra il quadro finora spiegato dai biografi-storici e quello reso dai biografi-analisti (come Gaspare Giudice) rimane spesso un notevole divario. Esso riguarda la gestione del potere, nel movimento e nel regime , quando Mussolini ricorre alle ideologie per costruirsi e per costruire quel cangiante complesso autoritario, sempre immanente nella sua personalità. Bisogna ammettere che è assai piU facile registrare nell'opera giornalistica e oratoria di Mussolini certe derivazioni lett erarie invece di altre. E non si tratta tanto di ristabilire un certo ordine fra psicologia e ideologia, attribuendo un certo livello di "cultura" al personaggio. Se mai, sarebbe opportuno incalzarlo passo a pa sso nella pratica, intima o politica, in cui scioglie i suoi problemi d'azione ora con ruvida brutalità ora non senza incertezze, ma sempre oscillando tra la tendenza immediata all'uso della forza e un freno non tanto di natura etica o ideale quanto di calcolo. Il punto principale da risolvere si colloca in questa zona di indeter-

67 Cfr. P ALMIRO TOGLIATTI , ùzioni sul fascismo, Roma 1970: "L'ideologia fascista contiene una serie di elementi eterogenei. Dobbiamo tener presente questo perché quest a c::iratteristica ci permette di cap ire a che cosa questa ideolog ia serve { ] Non guardatt· all'ideologia faJcista sen:r.a veder l'obiettivo che il fascismo si proponeva di raggiungere in quel determinato momento con quella determinata ideologia." Op. cit., p. 15. Il corsivo è nel testo.

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minatezza, nell 'esigenza di conciliare nella sua figura suggestioni tacite e moventi pratici spesso ambigui e malcerti. Avanziamo soltanto qualche ipotesi, forse non disutile per una lettura adeguatamente critica dei testi mussoliniani, dei loro "silenzi" o delle loro inflessioni pil.l riposte. Ad esempio, oltre l'influenza documentabile, persino macroscopica dell'idealismo di scuola italiana e dell'irrazionalismo moderno (e cos'era l' "italianismo" di cui giustamente fa cenno Emilio Gentile se non una cultura diffusa tendenzialmente di destra?) rimane un sottofondo organicista che solo nel caso di Le Bon trova tutti i suoi espliciti riscontri nell'Opera omnia Ma l'uomo non è soltanto quel che scrive o dice; è anche quello che sente e fa, quando non cita alcun autore. Ora, la rispondenza fra organicismo sociologico, psicologico e ideologia del fascismo è stata ben rilevata da diversi autori, seppure con diverse angolature.68 Senza dubbio questa componente non è prioritaria nella "cultura" di Mussolini, ma certamente c'è qui un dato del suo "pensiero" piti profondo, oltre che una serie di punti di contatto fra la mentalità del capo e il composito personale che lo segue. Si prenda, per esempio, la concezione della donna, che sconfina con la concezione dell'esistenza e della guerra: invano si cercherà in Mussolini un compiuto punto di riferimento letterario, un testo preciso, in proposito. I riferimenti rimangono per lo pili indiretti e frammentari: il privilegiamento dei due , quasi unici, antifemministi del socialismo, Proudhon, teorico a suo modo del sublime nella guerra, e Sorel, è già indicativo, ma non è sufficiente per negare una stratificazione sommersa che sfugge ad ogni rilievo puramente filologico. L'intreccio popolaresco fra "rosso" e "nero" presente anche nel Mussolini socialista, non sempre si traduce in enunciati espliciti, giacché egli aveva bisogno che questi divenissero "attuali" perché li potesse esternare e come giornalista e come politico. Tutto il resto faceva parte della sua carica personale, te sa all'affermazione nella vita pubblica, e non aveva bisogno di porlo in luce gratuitamente, se non in alcuni sprazzi di maggiore sincerità o abbandono, che del re sto non mancano. Gregor richiama a proposito di questo sottinteso o sotterraneo coacervo ideologico presente nel fascismo il Gumplowicz di Rassenkampf (prima edizione 1883, seconda 1909) in cui si intrecciano psicologia e biologia, minoranze governanti e minoranze dominanti, nazionalismo e socialismo. Molto di Mussolini, si direbbe: ma Mussolini non cita mai Gumplowicz. L'edificio di Gregor sarebbe dunque, per questo aspetto, del tutto infondato? II fascismo avrebbe

68 Cfr. ÙRLANDO LENTINI, L'analisi sociale durante il fascismo, Napoli 1974. Lentini attribuisce un certo posto alle teoriche neo-organiciste di Corrado Gini, studioso solo apparentemente isolato, a cui si riferisce anche la citata opera di Gregor

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tratto da o si spiegherebbe con Gumplowicz, e non Mussolini? Si può presumere - è l'ipotesi piu verosimile - che oltre le ben note e certo piu rilevanti e dirette mediazioni di Pareto-Sorel-Nietzsche-Le Bon sempre manipolate e mescolate, sussista nello stesso Mussolini una sfera che investe l'intero rapporto fra personalità-cultura-politica. Un altro sintomo dello stesso problema si trova nell'opera di Gaston Bouthoul, là dove si afferma che Mussolini avrebbe cavato di peso da René Quinton , un biologo francese, i suoi stereotipi sulla guerra,69 ma Mussolini non lo cita neppure una volta. Sono elementi di dubbio che stanno comunque a indicare l'e sigenza di un ampliamento non unilaterale di quella che si suol dire " l'ideologia" (in senso culturale) di Benito Mussolini e, allo stesso tempo, di un suo approfondimento (in senso storico). Formuliamo cioè l 'ipotesi che le teorie dello scontro biologico , fisico fra popoli, razze, classi, gruppi e quindi del dominio di minoranze attive e aggressive formate da individui par· ticolarmente dotati, che erano nell'aria e ampiamente circolavano nel· l'epoca dell'imperialismo abbiano di fatto influenzato Mussolini, intrecciandosi nel suo spirito con pi6 marcate ed esibite suggestion i: costituendone il sostrato meno documentato ma in qualche caso pil.l fecondo.

In altre parole per tornare alla pienezza dei problemi, è necessario ri salire dalle "idee-forza" di cui parlava Mussolini alla reale dialetticr dei rapporti in staurata fra classi sociali, forze politiche e istituzionali È infatti solo nella concretezza del contesto e del processo storico eh, il fascismo finisce con l 'indi viduarsi e le ideologie del suo capo diven gono politica, in un attivo ricambio fra teoria e pratica. Si è visto co me il mito della "nazione guerriera", derivato dal 1915-1 8 e da pre cedenti concezioni proprie ma non esclusive di Mussolini, abbia co stituito un punto di passaggio essenziale nel tentativo di ridimensio nare in senso '1 imperiale" le istitu zioni e la società civile italiana e si dovrà ancora sottolineare come per pili lu stri il capo del fascism< nei suoi discorsi si sia mantenuto fedele a siffatto impianto iniziale piegando ad esso il produttivismo economico (dalla " batt aglia del gra no" alla campagna per l'autarchia, fino alla vera e propria "economi, di guerra"). Korsch agli inizi del secondo conflitto mondiale ha soste nuto la legittimità della propria definizione del fascismo come "con

69 Cfr. GASTON BouTHOUL, Le guerre. Elementi di polemologia, Milano 1951, p. 114 "Mussolini nei suoi famosi discorsi bellicisti ha plagiato Quinton: le sue frasi piU ser sazionali le troviamo, parola per parola, in Les Maximcs sur la Guerre , specialmente parallelo fra il compito della guerra per l'uomo e quello della maternità per la donna. Delle Maximes mr la guerre di René Quinton era uscita l'edi zione postuma nei 193( e la traduzione italiana apparve nel 1935. Le suggestioni di Mussolini potevano per avere anche altre ascendenze, e le sue affermazioni quanto alla guerra furono certament precedenti. Bouthoul, alla stessa pagina fa ino ltre della Psycologie des Joules di Le Bd (la critica italiana non lo ha rilevato ) "una specie di teoria della crudeltà dei grup umani".

Saggio introduttivo 53

trorivoluzione": il fascismo "o è diretto contro un precedente movimento rivoluzionario oppure in una situazione storica critica ( oggettivamente rivoluzionaria), mira a prevenire una rivoluzione imminente"; e ha potuto citare in propo sito l'autodife sa di Hitler del 1923: "Se io oggi sostengo la parte del rivoluzionario, è quella di un rivoluzionario contro l a rivoluzione'' 70

1O. La politica di Mussolini può bene essere misurata sotto un preciso profilo teorico. Non c'è per questo bisogno di andare troppo lontano: i giudizi di Antonio Gramsci e di Guido Dor so , nella loro sintesi, possono servire di introduzione alle nostre conclusioni. Gramsci pone in rapporto l'ex socialista e il fascista, il supposto "rivoluzionario" e il dittatore della borghesia: getta le premesse della sua anali si nel '2 1, muovendo dal primo discorso mussoliniano pronunciato alla Camera, e ne tira le conseguenze nel '2 4 (prima del delitto Matteot ti ).

Si dirà che il giudizio è polemico: in realtà fa appello a precise categorie della scienza politica contemporanea . Le premesse:

Il blanquismo è la teoria sociale del colpo di mano ma, a pensarci bene, il sovversivismo mussoliniano non aveva preso di esso che la parte materiale [ ... ] Del blanquismo Mussolini aveva ritenuto solo l'esteriorità , o meglio, egli stesso[ .. .] lo aveva ridotto alla materialità della minoranza dominatrice e dell'uso delle armi nell'attacco violento. L'inquadramento dell 'azione della minoranza nel movimento di massa e il processo che fa della rivolta il mezzo per una trasformazione dei rapporti sociali , tutto ciò era scomparso ( ... ] Il blanquismo , nella sua materialità, può essere oggi sovversivo, domani reazionario. Sempre però esso è rivoluzionario e ricostruttore solo in apparenza, condannato a man care di continuità e di sviluppo, dannato a non saper saldare insieme l'uno e l'altro colpo di mano nella linea di un processo storico.71

L'analisi supera già , se non svt.iota, o gni discorso meramente ideologico, investendo il nodo della tecnica politica (qualcosa di piu interno alla "tattica\ all a capacità di "manovra" e cosi v ia) ; dal carattere di grezza materialità rive stit a di miti, si ipotizza un limite di incid enza storica, quindi, anche di presa e validità politica dell'esperimento mussoliniano, rilevandone in sieme i suoi punti di forza e di debolezza. Tre anni dopo, Gramsci negava a Mussolini la qu alifica di un Capo storico: la sua - da socialista e da fa scista - sarebbe .rata ed era in ogni caso una rivoluzione senza programmi: "non poteva essere il capo del proletariato; divenne il dittatore della borghesia". Dopo

711 Cfr. PAuL MAn1cK, lu.ItL KoRSCH, HErnz LANGERHAN s, Capitalismo e fascismo verso la gue"a. Antologia dai "New Essays"', Firenze 1976, p. 172. ":B indubbio, aggiungeva Korsch, che i movimenti capeggiati da Hitler e da Mussolini rappresentano proprio ques to tipo di movimento."

71 Cfr. ANTONIO GRAMSCI, Sovversivismo reazionario, cit.

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averne messo in rilievo la fallacia come esponente rivoluzionario (nell a Direzione del PSI e nel movimento della settimana rossa), n< rileva l'inconsistenza come capo di stato:

Benito Mussolini ha conquistato il governo e lo mantiene con la repression t pi\J violenta e arbitraria. Egli non ha dovuto organizzare una classe, ma sofo il personale di una amministrazione. Ha smontato qualche congegno dello Stato pi\J per vedere com'era fatto e impratichirsi del mestiere che per una necessiti originaria. La sua dottrina è tutta nella maschera fisica, nel roteare degli occh entro l'orbite, nel pugno chiuso sempre teso alla minaccia .'2

Gramsci tocca qui un problema di sostanza, su cui ancora oggi si mi surano le interpretazioni del fascismo: il confronto effettuale con I, r ealtà dello stato italiano. Da un lato il parallelo con Lenin, rivoluzionario e statista in un'epoca di rivoluzioni; dall'altro la maschera del l '" uomo forte", scelto dalla borghesia per terrorizzare e repri mere. St un diverso versante, ad esperienza compiuta e non senza stimolant convergenze, si leva la voce di Dorso in un saggio sulla "ditta tur: borgh ese da Napoleone a Hitler".

Siamo fra la ricognizione e il bilancio, ma la pagina rimane: in quan to salda l e caratteristiche dell'uomo, un ateista in politica, con il dop pio carattere del suo movimento: l'antiparlamentarismo fascista e m modello di "come si do veva fare per combattere il comunismo"; e ii quanto teorizza l 'esperienza delle dittature fasciste "di tipo moder no". Perciò ne diamo uno stralcio abbastanza ampio:

Mussolinl [ .. .] era dittatore in pectore, poiché aveva già dimostrato il suo ate: smo politico, l'uso e l'abuso spregiudicato di tutte le formule ideologiche [ ... Era pi\J facile mettersi d'accordo con lui [ ] che tentare di riordinare il pae~ sulla base di formule serie, e sulla normalizzazione della lotta politica [ ... ]

Nacque cosi la diarchia italiana, formula mista, che doveva precedere l'esplc sione della formula pura. L'operazione si perfezionò e si sviluppò in piU temf a causa delle varianti del processo storico [ ...] Ma queste varianti hanno valot relativo perché allora nacque il ducismo e la violenza di stato, la soppression della libertà fu senza precedenti, lo Stato-partito sostituf la vecchia struttut statale e le bourrage des crdnes distese sul paese una nebbia di menwgne ide( logiche che solo la guerra doveva squarciare [ ... ]

Per quanto adulterata e non ancora condotta alla perfezione era nata la ditt: tura politica permanente di tipo moderno.73

u Cfr. ANTONIO GRAMSCI, •capo • , in " L'Ordine nuovo", 1° marzo 1924, ora in J costruzione del partito comunista, 1923-1926, Torino, 1971, p. 16. Due appuc al testo: Mussolini aveva già espresso l'idea dello stato come amministrazione e il mol va dello "smontarne" i congegni, ma Gramsci sembra individuare questi punti dall'azi ne del fascismo; la rappresentazione caricaturale del capo fascista, divulgata da Gabrie Galantara fra il '24 e il '25, è assunta a simbolo della mistificazione mussoliniana f borghesia e proletariato.

73 Cfr. GUIDO DoRso, Dittatura classe politica e classe dirigente, Torino 1949, p. 11

Saggio introduttivo 5;

In entrambi gli scritti vi è certamente qualcos~ di quella interpretazione del fascismo come "invasione degli Hyksos" - ed è ben comprensibile se ripensa al punto di osservazione dei rispettivi autoriun punto di vista certamente da superare, e su tale strada non può non esservi oggi una generale concordia.74 Ma in questi "classici" che si sono formati negli anni Venti e che hanno continuato ad elaborare le loro teorie , rimane anche qualcosa di acquisito, almeno come punto di partenza. Per esempio, l a rimessa in funzione del "personale" del vecchio stato con metodi nuovi e la categoria della "dittatura permanente di tipo moderno", sulle cui forme si continua a discute re . Lo spartiacque di queste discussioni è stato variamente colto, in Italia e per l'Italia, anche di recen te, in un dibattito che è partito dalla questione del rapporto fra forza e consenso, ed ha toccato le diverse forme e tecniche della macchina del consenso nella transizione dal mo vimen to al regime.75 Cosi, cercando di chiarire i problemi sollevati dal 'interpretazione di De Felice, si è rilevato in primo luogo che questi dà "facile credito a Mussolini di una onestà intellettuale ed etica che egli certo non ebbe" (Marina Addis Saba) ; si è ribadito il senso generale del fascismo come movimento di "destra" sotto le vesti dell'instaurazione di un "nuovo ordine" come è dimo strato dalla lotta politica, ideologica e di classi che si è sviluppata nell'avvento al potere , negli anni Venti, negli anni Trenta, tanto nella politica interna come nella politica estera, e poi nella guerra (Leo Valiani); e tutto un gruppo di storici legati a scuole diverse ha posto in dubbio l'utilità di un prevalente ricorso al punto di vis ta etico -poli tico che privilegia i mom enti sovrastrutturali sulla base di fonti troppo legate al regime fasci sta ("Italia contemporanea"). In generale, almeno su questo versante della storiografia, si è poi cercato, pur mirando alla specificità del fascismo, di guardare piu a fondo alla continuitànella crisi - fra stato liberale e stato fascista, nonché ai rapporti fra fascismo e capitalismo, soprattutto per quanto riguarda il sistema di dominio costruito o corretto da Mussolini.76 D a ultimo, si è poi giu-

7• Cfr. ERNESTO RAGIONIERI, Prefazion e a P ALMIRO TOGLIATTI, op. cii., p. xxv. 75 Cfr. MARINA ADDIS SABA, Il dibattito sul fascismo. Le inJerpreta1.ioni degli storici e dei militanti politici, Milano 1976. Il dibattito era esploso in seguito alla pubblicazione di RENZO D E FELICE, Intervista sul fascismo, a cura di Michacl A. Ledec n, Bari 1975 a cui ha fatto seguito, in parte consentendo, GIORGIO AMENDOLA, Intervista sull'antifascismo, a cura di Piero Melograni, Bari 1976. Sulla polemica pubblicistica allora sollevata dr. Un monumento al duce? Contributo al dibattito sul fascismo, F ire nze-Rimini, 1976 , con introduzione e repertorio bibliografico a cura di Piero Meldini. Si veda anche ENZO SANTARELLl, Prefa1.ione a SILVIO TxENTIN, Dieci anni di fascismo totalitario fo Italia, Roma 1976. Inoltre: Una storiografia afascista per la "mag gioranza silenziosa", editoriale di "Italia contemporanea", a. XXVI, n. 119, aprile-giugno 1975 e LEO VAU AN I, Osservazioni sul fascismo e sul nazismo, cit.

1" Cfr. NICOLA T1tANFAGLIA, Dallo stato /;berale al regime fa scista. Problemi e ricerche, Milano 1973, e Fascismo e capitalismo, a cura di Nicola Trnnfaglia, Milano 1976, con saggi di Alatri, Carocci, Castronovo , Collotti, Qunzza, Rochnt, Tranfa glia.

56 Enzo Santarelli

stamente rivendicato un elemento cli "continuità" nell 'antifascismo , rilevando in particolare il "legame fr a le soluzioni dottrinarie acquisite nel ventennio e le realizzazioni ideali e materiali che si vogliono assumere a fon damento dell'Italia dopo il '4 5".n

Per concludere, a noi sembra chiaro - dopo una rile t tura dei testi mussolini ani - che a) l 'aver assunto la figura di Mu ssolini al centro di una interpretazione biog rafico-storici stica del fascismo ha condotto nel caso di De Felice, al privilegiamento del ruolo della personalità in un processo soci ale assai piU vas to, che vicev er sa è rimasto in ombra o è sta to distorto nei suoi t ra tti piu peculiari; b) che il tema delle origini rivoluzionarie del dittatore (già enunziato su pos izioni idealistiche da Benedetto Croce nella sua Storia d'Italia) h a condotto ad uno sviam ento del problema chiave della dimensione europea -controrivoluzionaria del fascismo, anche perché, nel ca so italiano, ci si è trova ti di fronte a un Mussolini giova ne semplifica to a Mussolini "socialista" e non bene riso l to sulla ba se di piu appro fonditi studi di stori a del movimen to operaio e del pensiero socialista; e) che è ora di ricongiun gere - com e da varie parti si sta facendo -gli studi di storia agli studi di scienza politica e (se nza ignorare gli apporti del materiali smo storico in senso classico, marxiano e n on "volgare") la bio grafia del fonda to re e capo del fa scismo italia no alla storia sociale italiana e alla cri si europea fra le du e guerre mondi ali. Si aggiunga che il dib attito storiografico su ll a natu ra e co llocaz ione del fasci smo, quindi sulla interpret az ione del nesso id eolo gia-pras si nella fi gura e nell'operare pratico di Mussolini, può indirettamente contribuire ad una pertinente v isione del problema del "pensiero politico" mussoliniano, ta nto e teroge neo nelle fonti, e sincretis ticame nte personale nelle forme e nei tempi dell'ideazione (perciò il suo carattere di originalità deri vata), quanto inconsistente n ei risultati. Vi ha contribuito e può contribuirvi, in primo luogo, la necessa ria distinzione , a livello di teoria politica, fra la categoria as tratta e scarsamente utile del "totalit ari smo" e le peculiarità dei fascismi ; in secondo l uogo la di s tinzione, ma non contrapposizione fra le diverse forme e g radi di int ensità dei fascismi europei e quindi delle di verse fasi dello stesso fascismo italiano.

In ultimo, una duplice osservazione , che vuol essere anche una avvertenza m etodologica nella lettura dei testi mussoliniani e nella indivi du azi one del loro filo condut tore : non risalta in ess i (s i sarebb e dovuto comporre un "Cosa ha veramente detto" e un.. "Cosa ha vera mente fat to " ) la brutalità dell'avvento al potere e nell'esercizio

- -Saggio introduttivo 57
77 Cfr. SIMONA Cou.RIZI, L'Italia antifascista dal 1922 al 1940. La lotta dei pro t agonisti, Bari 1976, p . 7.

del potere (per il caso Matteotti, per lo squadrismo, per la liquidazione di avversari come Gobetti o per l'uso di mezzi di sterminio cli massa nelle repressioni coloniali o in guerra, testimoniate da disposizioni ufficiali, ordini, telegrammi ecc.) . Allo stesso modo è importante ciò che Mussolini non elabora o firma direttamente: la scarsa partecipazione al definitivo e compiuto formarsi della dottrina corporativa dello stato, come pure agli sviluppi del produttivismo che il movimento fascista recepisce tempestivamente dalle impostazioni nazionalistiche, non deve trarre in inganno. Si aggiunga, infine , che si è volentieri rinunciato a integrare i "testi d'autore" con quei documenti collettivi e ufficiali - come i programmi dei fasci e del PNF, gli statuti di queste ed altre organizzazioni, la Carta del lavoro, la Carta della razza, la Carta della proprietà, il Manifesto di Verona- in parte delineati col suo concorso, in parte da lui approvati, commentati e sostenuti .

58 En zo Santarelli

CRONOLOGIA DELLA VITA

1883 Il 29 luglio nasce a Predappio (Forll) nella frazione di Dovia Benito Amilcare Andrea Mussolini, da Alessandro, fabbro ferraio, e Rosa Maltoni, maestra elementare. Benito è il primogenito della famiglia e i nomi che gli sono imposti ricordano il rivoluzionario messicano Benito Ju8rez e gli amici del padre, Amilcare Cipriani e Andrea Costa. Dal padregià esponente locale della bakuninista Federazione italiana dell'Associazione internazionale dei lavoratori e poi prosindaco di Predappio - deriva la sua inclinazione socialista. I Mussolini erano una famiglia di "piccoli proprietari agricoli decaduti e perciò rimasti senza terra" (Paolo Alatri).

1885 Nasce Arnaldo Mussolini, fratello di Benito, il cui nome ricorda Arnaldo da Brescia.

1892 Frequenta il collegio salesiano di Faenza, ma rivela un carattere violento e rissoso; ne sarà escluso per indisciplina.

1894 Prosegue le scuole a Forlimpopoli, prima come interno poi come esterno presso un collegio diretto da Valfredo Carducci.

1898 Si orienta verso il socialismo e comincia a frequentare la sezione socialista di Forlimpopoli.

1901 L'S luglio consegue il diploma di maes tro el ementare.

1902 Dal 13 febbraio è maestro a Gualtieri (Reggio Emilia), dove rimane fino al termine dell'anno scolastico. Il 9 luglio emigra in Svizzera in cerca di fortuna . Versa in difficili condizioni economiche, si sposta da una località all'altra. Entra in contatto con gli ambienti del Partito socialista italiano in Svizzera e collabora con L'Avvenire del lavoratore e altri fo. gli socialisti .

1904 Si iscrive ai corsi della scuola di scienze sociali di Losanna, ma poco dopo, in novembre, rientra in Italia. Nel frattempo il tribm1ale militare di Bologna lo condanna per diserzione semplice.

1905 Dall'8 gennaio pre·sta servizio presso un reparto bersaglieri a Verona. Gli muore la madre.

1906 In seguito al congedo militare, ottiene un posto da maestro a Tolmezzo (Udine).

1907 Nell'estate fa ritorno in Romagna e nel novembre consegue un diploma che lo abilita all'insegnamento del francese nelle scuole medie.

1908 Con l'appoggio di Serrati - che ha conosciuto in Svizzera - è insegnante di francese presso un collegio di Oneglia. Collabora intensamente al giornale socialista locale La Lima, riprendendo cosi, dopo tre anni, l'attività politica Nel luglio rientra a Predappio. :e, coinvolto nelle lotte fra braccianti e mezzadri per 1a questione delle macchine trebbiatrici.

Manda un articolo su Klopstock alla rivista sindacalista Pagine libere e sul repubblicano Il Pensiero romagnolo si occupa di Nietzsche .

1909 Dal 6 febbraio è nel Trentino, dove dirige il segretariato del popolo (ca. mera del lavoro) del capoluogo e il suo organo Il Popolo di Trento; collabora inoltre al quotidiano di Cesare Battisti. È coinvolto in vari processi. "Breve stagione di letture decadenti, anche se mal comprese" (Gaspare Giudice) Si accosta a Sorel e Stirner ed è influenzato da La Voce di Prezzolini. Il 26 settembre è espulso dal territorio austriaco. Si unisce con Rachele Guidi.

1910 Il 9 gennaio fonda a Forli La Lotta di classe. È segretario della federa .. zione socialista forlivese e per la prima volta è delegato a un congresso nazionale del PSI. In appendice a Il Popolo di Battisti pubblica un romanzo anticlericale; prepara Il Trentino veduto da un socialista. II 1° sette'mbre gli nasce la figlia Edda.

1911 Tra marzo e aprile impegna la federazione di Farli su posizioni di au· tonomia rispetto al PSI. Collabora a La Soffitta, organo della frazione socialista di sinistra. In Romagna promuove uno sciopero generale con· tro la guerra di Libia. Viene arrestato con Pietro Nenni.

1912 Al XIII congresso nazionale del PSI contribuisce in maniera eminente all'espulsione dal partito dei riformisti di destra. Entra nella direzione socialista. Dal 1° dicembre è direttore dell'Avanti!

1913 Abbozza una piattaforma politico-ideologica del "socialismo rivoluzio.. nario" distinguendosi sia dai riformisti che dai massimalisti, e in questo tentativo fonda, il 22 novembre, la rivista Utopia in cui chiama a rac· colta gli irregolari del socialismo. È candidato politico a Farli.

1914 Al XIV congresso del PSI appoggia l'espulsione dei massoni. Sostiene il movimento della "Settimana rossa" e critica la CGL per la sospen· sione dello sciopero generale. In seguito allo scoppio del conflitto euro· peo, si pronunzia contro la linea neutralista del PSI (18 ottobre). Il 15 novembre fonda Il Popolo d'Italia e il 24 è espulso dalle file soda· liste. Conduce la campagna interventista.

1915 Il 31 agosto è chiamato alle armi (non si presenta volontario) e il 2 set· tembre è al fronte. Il 9 dà inizio ad un diario (Il mio diario di guerra).

1916 Il 29 febbraio è promosso caporale. In primavera durante una licenza sposa con rito civile Rachele Guidi.

1917 II 23 febbraio durante un'esercitazione è ferito dallo scoppio di un mortaio. In agosto viene riformato e può riprendere l'attività giornalistica e politica. Dopo Caporetto si lega sempre piU alla destra nazionale e nelle campagne del "fronte interno", a cui dà un violento carattere antisocialista, propaganda la formula "date un contenuto sociale alla guerra!"

1918 Il Popolo d'Italia abbandona il sottotitolo di "quotidiano socialista", di· venta organo "dei combattenti e dei produttori" (1° agosto) e viene segretamente finanziato dall'industria di guerra. Alla fine del conflitto, primo incontro organico fra Mussolini e gli Arditi.

1919 Il 23 marzo fonda a Milano i Fasci di combattimento. Il 15 aprile fa .. scisti futuristi e arditi devastano l'Avanti! Alle elezioni del 16 novem· bre il movimento fascista è clamorosamente battuto e non riceve che 4.657 votL Arresto di Mussolini.

60 Cronologia della vita

1920 I Fasci si espandono nella Valle Padana e sono sostenuti dall'agraria. Lo squadrismo diviene un movimento a carattere nazionale. Su lla questione di Fiume Mussolini opera il suo distacco da D'Annunzio.

1921 Il movimento mussoliniano partecipa al Blocco nazionale promosso da Giolitti: una trentina di fascisti, e fra essi Mussolini, entrano alla Camera dei deputati . In novembre si forma il Partito nazionale fascista.

1922 Nel marzo Mussolini è in Germania per osservare gli ambienti delle destre tedesche. Ai primi di agosto le squadre fasciste reagiscono allo sciopero generale "legalitario" ed espugnano le ultime cittadelle del movimento operaio. In autunno si sviluppa la manovra fascista per la conquista del potere. Il 29 ottobre Vittorio Emanuele III dà a Mussolini l'incarico di formare un nuovo governo, che si appoggia sui partiti borghesi.

1923 Il 12-13 gennaio, ottenuti dal parlamento i pieni poteri, Mussolini convoca il Gran Consiglio del fascismo e procede alla formazione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale.

1924 Elezioni politiche sulla base di una riforma ele'ttorale "maggioritaria". In seguito agli illegalismi fascisti, Matteotti chiede l'annullamento delle elezioni: viene rapito e ucciso da una squadra fascista.

1925 Il 3 gennaio Mussolini si accolla la responsabilità politica del delitto Matteotti, esce dalla crisi e conserva il potere. Il 4 novembre fallisce il primo attentato contro di lui, ordito da Tito Zaniboni.

1926 In aprile, viaggio di Mussolini a Tripoli. Dopo il nuovo attentato Zamboni (31 ottobre) la costruzione del regime fascista viene coronata da una serie di leggi eccezionali che rimarranno in vigore fino al 1943.

1927 Il Gran Consiglio approva la "Carta del lavoro", assunta a base dell'ordinamento corporativo.

1928 Appare in inglese la My Autobiography, stesa da Arnaldo Mussolini e rivista da Benito. Due anni prima Margherita Sarfatti aveva scritto Dux.

1929 11 febbraio: Mussolini e il cardinale Gasparri concludono quasi tre anni di trattative fra l'Italia e il Vaticano, siglando i Patti lateranensi.

1930 Edda Mussolini sposa Galeazw Ciano.

1931 Il 21 dicembre muore Arnaldo Mussolini, che dal 1922 aveva assunto 1a direzione de Il Popolo d'Italia.

1932 Una volta compiuta l a riconquista e· "pacificazione" della Libia, il generale De Bono, ministro delle colonie, viene invia to ad ispezionare l'Eritrea, futura base di lancio dell'impresa etiopica. Mussolini celebra il decennale dell'avvento al potere, partecipa alla stesura della Dottrina del fascismo e lancia la parola d'ordine "O Roma o Mosca".

1933 7 giugno: Patto a quattro, detto anche "Patto Mussolini", fra Italia, Francia, Gran Bretagna e Germania. Rappresenta una fase interlocutoria della politica estera fascista, basata in questo momento sull'equilibrio in Europa, sul contenimento della Germania in cui Hitler è appena asceso al potere, e su una affermazione di prest igio dell'Italia.

1934 Dopo il fallito incontro con Hitler a Venezia (14-16 giugno) Mussolini ordina la mobilitazione delle truppe italiane al Brennero per impedire l'Anschluss dell'Austria alla Germania (26 luglio).

1935 3 ottobre: ha inizio senza dichiarazione di guerra l'attacco contro J'Etiopia.

Cronologia della vita 61

1936 9 maggio: all'indomani dell'occupazione di Addis Abeba, Mussolini proclama l'"Impero". L'll giugno, in seguito ad un rimpasto governativo, il genero di Mussolini diventa ministro degli Esteti. In luglio, intervento fascista a sostegno del colpo di stato militare contro la repubblica spagnola. Il 28 ottobre, poco dopo gli accordi italo-tedeschi firmati da Ciano, Mussolini proclama l'" Asse Roma-Berlino". Nello stesso anno si lega a Claretta Petacci.

1937 In marzo secondo viaggio del Duce in Libia, dove si atteggia a protettore dell'Islam e viene sorpreso dallo scacco del corpo di spedizione italiano a Guadalajara. Dal 25 al 29 settembre, prima visita ufficiale nella Germania di Hitler: poco dopo l'Italia sottoscrive il Patto Antikomintern ed esce dalla Società delle Nazioni.

1938 Mussolini subisce l'Anschluss, lancia la campagna antisemita e alla conferenza di Monaco appoggia Hitler nello smembramento della Cecoslovacchia Il 30 marzo si fa proclamare "maresciallo dell'Impero".

1939 23 marw: inaugurazione della Camera dei fasci e delle corporazioni. Per tener dietro all'espansionismo germanico, Mussolini ordina l'occupazione dell'Albania (7 aprile). Il 22 maggio viene fumato il Patto d'acciaio col Terzo Reich, che pone l 'Italia, senza garanzia alcuna, a rimorchio delle iniziative di Hitler. Il 1° settembre ha inizio, con l'attacco alla Polonia, il secondo conflitto mondiale: Mussolini, impreparato sul terreno militare ed economico, opta per l a non belligeranza.

1940 10 giugno: in seguito alle vittorie di Hitler sui fronti occidentali e senza consultare le assemblee del partito e dello stato, Mussolini rompe in guerra con la Francia e la Gran Bretagna. Il 28 ottobre, consigliato da Oano, attacca la Grecia.

1941 In seguito ai rovesci subiti nella campagna di Grecia, ispeziona il fronte albanese (2·21 febbraio) . L'Italia perde l'Africa orientale e in Libia è sostenuta dall'Afrika Korps del generale Rommel. Mussolini segue Hitler, il 23 giugno, nell'aggressione all'Unione Sovietica. Dal 23 al 29 agosto ispeziona le truppe italiane in Ucraina. L'll dicembre l'Italia si schiera contro gli Stati Uniti. Per ricordare il figlio morto in guerra (7 agosto) Mussolini pubblica Parlo con Bruno.

1942 Dal 2 al 19 giugno è nelle retrovie dell'Africa settentrionale dove attende dall'avanzata sull'Egitto una rivincita alle sorti alterne della guerra. Il 31 luglio è a Gorizia dove presiede una riunione per le misure di controguerriglia al confine orientale e nei Balcani. Segue, in ottobre, la definitiva sconfi tta di El Alamein .

1943 Con gli scioperi operai del marzo cede il fronte interno. In seguito allo sbarco anglo-americano, il 25 luglio Mussolini è posto in minoranza al Gran Consiglio: Vittorio Emanuele lo fa arrestare. Scrive Pensieri pontini e sardi. I tedeschi lo liberano dalla prigionia, al Gran Sasso, il 12 settembre . ! condotto in Germania e da radio Monaco annunzia la costituzione della Repubblica sociale. Poco dopo rientra in Italia e stabilisce un governo collaborazionista nella regione del Garda. Dal 28 settembre redige numerose note giornalistiche per l'agenzia "Corrispondenza repubblicana" .

1944 Il 10 gennaio il Tribunale di Verona condanna a morte i gerarchi che nell'ultima riunione del Gran Consiglio avevano votato contro il Duce.

62 Cronologia della vita

Mussolini rifiuta alla figlia Edda la grazia per Galeazw Ciano. Dal 19 giugno, sul Corriere della Sera, pubblica Storia di un anno (Il t empo del bastone e della carota). Il 16 dicembre, discorso al Teatro lir ico di Milano.

1945 Davanti all'insurrezione partigiana e all'avanzata alleata, tenta la fuga verso la Svizzera. t riconosciuto dai partigiani in una colonna tedesca in r itirata ed è fucilato a Giulino di Mezzegra, presso Dongo (Como) il 28 aprile, per ordine del Comitato di liberazione nazionale .

Cronologia della vita 63

Scritti e discorsi di Mussolini

1. L ' Opera omnia

"Una prima raccolta generale, benché non prestabilita in un piano organico, fu d ata dalla Casa Editrice Alpes di Milano con l 'u nione dei volumi annuali dei Discorsi, con i tre volumi apparsi sotto il titolo di La Nuova Politica dell'It alia a cura di Amed eo Giannini [la cui prima edizione risaliva al 1923 per la Casa Ed itrice "Impe ria " del PNF]. Infatti i discorsi del 1930 apparvero con il sot· totitolo di: IX vol. de La Nuova Politica de/l'Italia. Nello stesso volume, sulla pagina precedente il fronte sp izio, si trovano elencati, sotto il titolo generale di Opere di Benito Mussolini, i nove volumi suddetti preceduti da I discorsi della Rivoluzione e da 1 discorsi dal banco di deputato [ editi nel 1928] e seguiti da Diuturna [scritti scelti dal "Popolo d'Italia", 1a ed. 1924 ] e da Tempi della Rivoluzione Fas cista [ articoli apparsi su "Gerarchia", editi nel 1930] ". In queste par ole (MARJNO PARENTI, Bibliografia mussoliniana, vol. I , Firenze 1940) è sommariamente indicata la ge nes i del primo diso rganico tentati vo di una raccolta editoriale unica, non critica e non completa, comprensiva degli scritti e dei discorsi. Nel 1934 ebbe inizio l a p ubbli cazione degli Scritti e di· scorsi di Benito Mussolini con la dici tura "Edizione definitiva" (Ulrico H oepli edirore , Milano). Ne usci ro no tredici volumi, l'ultimo de'i quali, nel 1940, com· prendeva quasi tutto l'anno 1939. Le due iniziative - le Opere e l 'Edizione definitiva - non solo non erano complete, ma escludevano il periodo prece. de·nte la fondazione de " Il Popolo d'Italia". Un'autentica Opera omnia di Benito Mussolini poté realizzarsi solo con la cad uta del fascismo, a cura di Edoardo e Duilio Susmel, e apparve fra il 195 1 e il 1963 in 35 volumi presso la casa ed itrice " La Fenice", Firenze. Segui poi un trentaseiesimo volume

2 . Altre fonti

L'Ope ra omnia è attualmente in corso cli integrazion e : intanto è apparso, fuori della serie, BENITO MussouNI, Corrispondenza inedita , Milano 1972, a cura cli Duilio Susmel, comprensivo di 229 documenti (a p. 9 il cur atore annuncia il reperimento di "migliaia e migliaia fra lettere , cartoline, telegrammi, m essagg i, proclami , rapporti e note"). Tu ttavia è l 'Opera omnia che continua a fare 1cs 10 ,

BIBLIOGRAFIA

specie per quanto riguarda pili propriamente il pensiero politico del capo del fascismo: le successive acquisizioni appaiono poco rilevanti.

Un'altra fonte, sussidiaria ma interessante , è EMIL LunwIG, Colloqui con Mussolini. Riproduzione delle bozze della prima edizione con le correzioni autografe del duce, Milano 1950.

Fra il materi ale edito, comprendente carteggi, colloqui, ecc. si devono inoltre segnalare alcune altre raccolte . Ad esempio: Carteggio Arnaldo-Benito Mussolini, a cura d i Duilio Susmel, Firenze 1954 e Carteggio D'Annunzio-Mussolini (1919-1938), a cura di Renzo De Felice e Emilio Mariano, Milano 1971 ; Mussolini e "La Voce", a cura di Emilio Gentile, Firenze 1976 (con le lettere a Giuseppe Prezzolini degli anni 1909-1920).

Rilevanti per le relazioni con il nazionalsocialismo, con la Germania e sul problema della guerra: RENZO DE FELICE, Mussolini e Hitler. I rapporti segreti 1922-1933, Firenze 1975; HITLER e MusSOLINI, Lettere e documenti a cura di Vittorio Zincone, Roma 1946; RODOLFO Moso., L'Europa verso la catastrofe, Milano 19632; GALEAZZO CIANO, Diario 1939-1943, Milano 1963 ; Do cumenti diplomatici italiani, serie VIII e IX

Rapporto al Duce, a cura di Giordano Bruno Guerri, Milano 1978, include il testo stenografico dei colloqui tra i segretari federali del PNF e Mussolini nel 1942.

LUIGI FEDERZONI, It alia di ieri per la storia di domani, Milano 1967, reca in appendice un resoconto dell'ultima seduta del Gran Consiglio, con gli interventi di Mussolini.

Corrispondenze private compaiono in L EDA RAFANELLI, Una donna e Mussolini, Milano 19752 e in RICHARD COLLIER, Duce.I Duce.I Ascesa e caduta di Benito Mussolini, Milano 1971 (alle pp. 451-461 le lettere scambiate con Claretta Petacci).

Altri testi di Mussolini non compresi nell'Opera omnia si trovano qualche volta in alrune delle principali opere di storia piU oltre indicate; come per i titoli precedenti si tratta tuttavia di fonti interessanti piU l'ambiente e il contesto dell'azione che il "pensiero politico".

Scritti su Benito Mussolini

Poiché gli studi su Mussolini e sul fascismo (spesso è difficile distinguere) sono straordinariamente numerosi, si è ritenuto di dover rendere conto: a) delle opere generali sull'argomento; b) dei profili piU strettamente biografici; e) di quegli studi monografici di maggiore attinenza al pensiero politico mussoliniano o alla sua fonnazione. Si è cercato, cioè, di dare un quadro sufficientemente articolato, proprio al fine di garantire una rigorosa selezione di titoli. In ogni caso si sono escluse: la pubblicistica di scarso valore critico o superata o marcatamente apologetica e la memorialistica di regime e sul regime. Si è ritenuto inoltre di poter pre scindere da trattazioni di carattere ma nualistico o istituzionale, come storie delle dottrine politiche o dell'età contempo-

66 Bibliografia

ranea (salvo alcune storie d'Italia), voci di enciclopedia o di dizionari biogi::1fici, articoli di riviste e rassegne bibliografi.che.

1. Opere di carattere generale

Ci si limita a quei titoli - tutti di taglio storiografico o comunque importanti per una interpretazione storica del fascismo - indispensabili per un inquadramento complessivo dell'azione e del pensiero di Mussolini. Sull'intera questione e periodo: GIAMPIERO CAROCCI, Storia del fascismo, Milano 19723 e Storia d'Italia dall'Unità ad oggi, Milano 1975; FEDERICO CHABOD, L'Italia contemporanea, 1918-1948, Torino 196!2; RENZO DE FELICE, Mussolini, Torino 19651974; GIOVANNI DE LUNA, Benito Mussolini. Soggettività e pratica di una dittatura, Milano 1978; ANTONIO GRAMSCI, Sul fascismo, a cura di Enzo Santarelli, Roma 1975; ERNESTO RAGIONIERI, La storia politica e sociale, in Storia d' It aNa a cura di Ruggiero Romano e Corrado Vivanti, vol. IV, tomo III, Torino 1976; LUIGI SALVATORELLI e GIOVANNI MIRA, Storia d'Italia nel periodo fascista, Torino 1952; GAETANO SALVEMINI, Scritti sul fascismo, l\filano 1%11974; ENZO SANTARELLI, Storia del movimento e del regime fascista, Roma 1967 e Fascismo e neofascismo, Roma 1974; ATTILIO TAMARO, Vent'anni di storia, Roma 1971 2 ; PALMIRO TOGLIATTI, Lezioni sul fascismo, a cura di Ernesto Ragionieri, Roma 1970; NICOLA TRANFAGLIA, Dallo stato liberale al regime fascista. Problemi e ricerche, Milano 1973; GIOACCHINO VOLPE, Storia del movimento fascista, Milano 1939. Sulle origini e il primo periodo: PAOLO ALATRI, Le origini del fascismo, Roma 1956; AnRIAN LYTTELTON, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Bari 1974; ANGELO TASCA, Nascita e avvento del fascismo, Firenze 1950. Sul fascismo maturo e tardo: SILVIO BER· TOLDI, Salò. Vita e morte della repubblica sociale italiana, Milano 1976; GIOR· GIO BoccA, La repubblica di Mussolini, Bari 1977; FREDERICK W1LLIAM DEAKIN, Storia della repubblica di Salò, Torino 1963; DENIS MAcK SMITH, Le guerre del Duce, Bari 1976. Per le· direttrici di politica estera di Mussolini e del fascismo: G10RGI0 RuMI, L'imperialismo fascista, Milano 1974, con una nota biografica a cui si rimanda.

2. Principali profili biografici

La biografia pitl esauriente e "analitica" è quella di GASPARE GIUDICE, Mussolini, Torino 1969 ("La vita sociale della nuova Italia", collezione diretta da Nino Valeri), cui si affiancano contributi d'insieme piuttosto ampi costruiti per un pubblico non italiano (quindi un "Mussolini giudicato" secondo una prospettiva democratico/occidentale): LAURA FERMI, Mussolini, Milano 1963; IvoNE KIRKPATRICK, Mussol'ini, Milano 1964; MAX GALLO, Vita di Mussolini, a cura di Paolo Spriano, Bari 1967; RICHARD COLLIER, Duce! Duce! Ascesa e caduta di Benito Mussolini, Milano 1972. Per quanto si arresti al periodo giovanile e sia stato licenziato alle stampe nel 1937, GAUDENS MEGARO, Mussolini. Dal mito alla realtà 1 Milano 1947 offre tuttora un ritratto classico, criticamente costruito, della personalità mussoliniana. Una immagine vivida, ma ufficiosa, è

Bibliografia 67

in MARGHERITA SARFATTI, Dux, Milano 1926, piU volte ristampato. GIORGIO PINI e DUILIO SusMEL, MussoNni. L'uomo e l'opera, Firenze 1957-195fV, 4 voll., ha un'inflessione apologetica ma è ampiamente documentato. Di scorrevole lettura e con notizie di prima mano PAOLO MONELLI, Mussolini piccolo borghese, Milano 19656 • Profili redatti da contemporanei: ANGELICA BALABANOFF, Il traditore Mussolini, Milano-Roma 1945; ARMANDO BoRGHI, Mussolini in camicia, Napoli 196 1 i ALCESTE DE AMBR IS, LUIGI CAMPOLONGHI, MARIO G1RARDON, MARIA RYGIER, Benito Mussolini. Quattro testimonianze a cura di Renzo De Felice, Firenze 1976; CESARE Rossi, Mussolini com'era. Radioscopia dell'ex dittatore, Roma 1947 e Trentatré vicende mussoliniane, Milano 1958; PAOLO VALERA, Mussolini, Milano 197.52. Un dossier di testimonianze letterarie cronologicamente ordinate è in Muss olini, nascita di un dittatore, a cura di Enrico Ghidetti, Firenze 1978.

3. Studi monografici vari

Sul primo Mussolini, un contribu to importante e non trascurabile continua a venire dalla pi\l specifica letteratura sul movimento operaio e socialista di ispirazione democratica: GAETANO ARFÈ, Storia de/l'Avanti/, Roma , 19772; ENZO SAN· TARELLI, Il socialismo anarchico in Italia, Milano 19732 e La revisione del marxismo in Italia, Milano 19772 ; LUIGI LoTTI, La settimana rossa, Firenze 1965; DUILIO SusMEL, Nenni e Mussolini. M ezzo secolo di fronte, Milano 1969; LEO VALIANI, Il Partito socialista italiano nel periodo della neutralità. 1914-1915, Milano 1963; AA.VV.• Il sindacalismo rivoluzionario in It alia nel periodo della Seconda Int ernazionale, in "Ricerche storiche", 1975; FRANCO L1v0Rs1, Amadeo Bordiga, Roma 1976; GHERARDO BOZZETTI , Mussolini direttore dell'"Avanti!", Milano 1979. Precedenti ma ancora utili i saggi di CAMILLO BERNERI, Mussolini. Psicologia di un dittatore, a cura di Pier Carlo Masini, Milano 1966 e Gumo DORSO, Mussolini alla conquista del potere, Torino 1949. Non meno rilevanti le rie vocazioni storico-politiche di ARMANDO BORGHI, Mezzo secolo di anarchia. 1898-194 8, Napoli 1954 e PIETRO NENNI, Vent'anni di fascismo, Milano 1964. Su particolari momenti e rapporti politici, con taglio storiografico e documentario: MARIO ISNENGHI, Il mito della grande guerra da Marinetti a Malaparte, Bari 1970; GIAN BIAGIO FURIOZZI, Sorel e l'Italia, Messina-Firenze 1975; Nrno VALERI, D'Annunzio davanti al fascismo, Firenze 1963;

RENZo DE FELICE, Sindacalismo rivoluzionario e fiumanesimo nel carteggio De Ambris-D'Annunzio, 191 9-1922, Brescia 1966 ; ROBERTO VIVARELLI, Il dopoguerra in Italia e l'avvento del fascismo, I. Dalla fine della guerra all'impresa di Fiume, Napoli 1967 EMILIO GENTILE, Le origini dell'ideologia fascista, 1918-1925, Bari 1975. Sull'uso linguistico e sull'oratoria di Mussolini: ERASMO LEso, MICHELE A. CoRTELAZZO, IVANO PACCAGNEL LA, FABIO FORESTI , La lingua italiana e il fascismo , Bologna 1977.

68 Bibliografia

SCRITTI POLITICI DI BENITO MUSSOLINI

Per il momento in cui l'Opera omnia è apparsa - prima e indipendentemente dal risveglio degli studi sul fascismo - si può dire che essa abbia avuto, anche per la sua mole, una circolazione limitata a un esiguo ambito di studiosi e di specialisti, o comunque alla cerchia di coloro che negli anni Cinquanta ebbero qualche in teresse a prenotarne l'acquisto.

Per quanto - salvo un 'unica eccezione di rilievo - i testi qui inclus i figurassero già nella citata edizione, è in sostanza per la prima volta che viene presentata a un largo pubblico una raccolta organica e critica, tale da rendere accessibile , sia pure i n un solo volume, "tutto Mussolini", dagli scritti giovanili agli ultimi pensieri: e di ciò va dato atto all'editore Feltrinelli, che a tal fine ha dovuto superare non poche difficoltà.

Sebbene ogni scelta sia necessariamente soggettiva, il curatore ha cercato, col mass imo scrupolo, di evitare ogni arbitrio e qualsias i sollecitazione ai testi. Ai lettori si è inteso offrire un quadro il pit'i. possibile· aderente alla personalità mussoliniana - nei limiti di una collezione dedicata agli scrittori politici italiani.Invece di dare un numero ristretto di testi nella loro integralità, il che avrebbe comportato squilibri non giustificati fra una parte e l'altra , si è preferito appoggiarsi sui nuclei centrali di interesse teorico e storico, periodo per periodo, pur evitando una eccessiva frammentazione. In una certa misura si è cercato di tener conto delle indicazioni obiettivamente emerse da un lungo e collettivo dibattito.

Nell 'indicare le fonti, ci si attiene ai consueti dati bibliografici, quali r isultano dagli originali e si rinvia, di massima, alle prime edizioni. I titoli, salvo qualche abbreviazione, sono dell'autore: per i discorsi ci si è attenuti a una tradizione con solidata. Sopra o sottotitol i, di regola, sono stati omessi.

Degli articoli brevi si è preferito dare la lezione integrale. Gli stralci introdotti nei testi di qualche ampiezza rispondono all'es igenza di avviare ripetizioni o inutili appesantimenti. Nella determinazione dei tagli si è seguito un criterio di aderen za al testo dell'autore, escludendo ad esempio precisi paragrafi già da questi delineati oppure, nei discorsi, digressioni poco significative o troppo contingenti.

E.S.

I. L'ESORDIO SOCIALISTA (1902-1904)

I primi scritti '1 politici" (prescindendo da un breve pezzo sul "romanzo russo' uscito nel 1901 ne " I D iritti della scuola') sono strettamente legati all'emigrazione: appaiono sull"'Avvenire del lavoratore '\ organo del Partito socialista italiano in Svizzera, diretto da Tito Barboni ( uno di essi, La virtu dell'atte sa, fu anche riprodotto da "La Giustizia' di Ca millo Prampolini), su " Il Proletario", settimanale dei socialisti italiani negli Stati Uniti che usciva a New Yo rk, sul f oglio socialista-anarchico "Il Risveglio" , edito a Ginevra da Luigi Bertoni e sul/'" Avanguardia socialista", della frazion e rivoluziona ria del PSI che a Milano / pubblicava un'edizione per l 'este ro .

Il " periodo svizzero" (1902-1904) quando Mussolini non aveva ancora assunto posizioni esplicitamente élitarie , è separato dal successivo da una sorta di parentesi, gli anni 1905-1907, ed è quindi ben delineato, da un punto di vista biografico e da un punto di vista ideologico. Per contro corrisponde a un 'a ttività alquanto framm entaria , distribuita fra varie testate giornalistiche, a una linea politica ecle tt ica e poco personalizzata, ma non per questo meno sintomatica dei successivi sviluppi. Ad esemplificarne la tematica e le posizioni baste ranno pertanto pochi scritti, indicativi sia delle fonti culturaU del giovane, sia d i alcuni motivi ricorrenti, che nella fase successiva acquisteranno maggiore rilievo. Il primo articolo politicamentd impegnato è una recensione-segnalazione ( sistema che si ripeterà per anni e anni) dell'opuscolo di Costantino Lazzari, La necessi tà della politica sociali sta in Italia ( Milano 1902) in cui l'ex operaista lombardo prendeva in esame il conflitto di t endenze in atto dopo la svolta del 1 900 nelle file socialiste. Muss olini non ope ra u na scelta precisa sul problema evoluzione-rivoluzione, e se la cava affermando che "l'evoluzione accel era anche la rivolu zione 11 • Una istanza possibilista, che si ritroverà

1. La necessità della politica socialista in Italia. - 2. Socialismo e movimento sociale nel secolo XIX. - 3. Pagine rivoluzionarie. "Le parole d'un rivoltoso".4. Per Ferdinando Lassalle (nel 40° anniversario della sua morte). - 5. Opinioni e documenti. La crisi risolutiva. - 6. Uomini e idee. "L'individuel et le socia!", - 7. La teppa.

poi nel gruppo degli {(integralisti'1 • Ma scrive anche: "noi non abbiamo formule'\ e qui, a conoscere il seguito, f accento è piU personale e rivela un primo impianto di natura pragmatica.

L 1articolo è poi importante perché indica come Mussolini non esordisca come rivoluzionario, ed anzi respinga, forse con un certo sforzo, le proposizioni di Lazzari pur subendone il fascino: comunque la sua successiva problematica politica nasce dal classico dibattito fra riformisti e ri voluzionari. Il secondo scritto mostra già un respiro relativamente piU ampio, anche per il suo riferimento a Sombart: Mussolini vi, si ascrive con una punta di autoironia venata da scetticismo alt'ala detta "evangelica» del partito, comincia ad usare il gergo socialista (lotta di classe, azione pratica positiva, nuova classe} energia cosciente} rapporto capitalistico-proletario) innovandolo qua e là. Nell'articolo Atei! (in "Avanguardia socialista'\ 13 marzo 1904) usciva in una esclamazione curiosa e rivelatrice: "Non è pur noto che Marx, Engels} Labriola, Kautsky} Sorel sono anarchici?" - dove evidentemente si trattava non già del grande Labriola, ma del leader del gruppo di opposizione che da qualche tempo si veniva enucleando. Nel 1904 Mussolini si inoltra verso idee « rivoluzionarie ". Non c}è ancora ombra di un pensiero politico autonomo , ma fopzione personale comincia a d'iventare chiara. Quanto al suo eclettismo} è poi ancora interessante [> articolo dedicato a Lassalle} precedente lo sciopero generale sindacalista del settembre} in cui parla di "nuova classe'1 e di energie che si sprigionano dai sindacati operai. Dove Mussolini presenta i germi di una prima originalità è nell'approccio alla lezione di Pareto, appena orecchiata. Cerca infatti di trarre vantaggio dal pensiero di '' questo economista borghese" contrapponendo sul terreno dell"'osservazione scientifica" i suoi "insegnamenti" alla linea dei riformisti e mostrando di apprezzarne il "sano p_ositivismo". Insistiamo su tale descrittiva e su precise citazioni per rendere piU evidente il sincretismo dell'apprendistato socialistico di Mussolini, che non accetta volentieri di collocarsi in alcuno dei gruppi del partito. Mussolini giovane si forma anche- bisogna aggiungere - a contatto con fambiente anarchico: traduce del Kropofkin Le parole di un ribelle '( di un "rivoltoso", nella sua terminologia preferita) e presentando il libro per l'" Avanguardia" allarga il discorso ai problemi della "rivoluzione", mostrando quanto deve a questa influenza ideologica. Su di essa si innesta già l'influenza di Sorel, cui seguirà quella di Nietzsche, un poco piu avanti.

In tanto c'è un sintomatico motivo ricorrente nell'ideologia mussoliniana ancora in embrione: dall'agosto del 1904 comincia a citare una frase ad effetto di J. M. Guyau, l'autore de L'irreligion de l'avenir: "Vivere non è calcolare - è agire"; è un motto che colpisce la sua sensibilità e fantasia, tanto che lo riprende e fa suo, tale e quale per

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Scritti politici di Benito Mussolini

alcuni anni. Un altro punto notevole, dopo lo sciopero gwerale di settembre, è la sua difesa della « teppa", nelt>omonimo articolo di fine d'anno, in cui approva ed esalta "la violenza delle folle in movimento''. In questo stesso testo Mussolini accosta nozioni che gli derivano dalle scienze umane nella loro versione positivistica (" biologia» 11 meccanica", "vita inorganica" e "vita sociale;' ecc.) alle pulsioni che trae da !ma cultura politica elementare in lui certo profondamente radicate.

1. La necessità della politica socialista in Italia •

Tale il titolo d'un opuscolo scritto da Costantino Lazzari e pubblicato dal Sorgete! , giornale socialista del Lodigiano. Il momento abbastanza sintomatico della sua comparsa e il nome dell'autore ci spingono a farne parola su queste colonne.

Anzitutto, nell'uomo , che se non ingiu stamen te certo spietatamente fu condannato, ammiriamo la serenità dei giudizi e lo spirito animatore della critica scevra di quelle punte velenose ch'escono dalla triste fucina del personalismo.

Il suo opuscolo comincia con una lunga disamina della nuova tattica di Filippo Turati, del "metodo rivolu zionario" di Enrico Ferri, del soci alismo astensionista in politica e beatamente radicale in economia di Saverio Merlino e della u pregiudiziale variante" di Arturo Labriola.

Il Lazzari si domanda: Qual è stata la causa generatrice cli questa diversità di vedute che hanno provocato non l'equivoco, come vorrebbe il buon Dinale, ma tendenze spiccatamente diverse?

"Una pretesa rivolu zione parlamentare" e cioè la salita al potere della sinistra costituzionale con un programma - restato finora programma - di libertà.

Certo, dopo un decennio di reazione - incarnata in tre uomini: Crispi, Ruclini, Pelloux, seminatori cli stragi e cli lu tti per le contrade d'Italia - la formazione cli un ministero che clichiara le associazioni economiche dei lavoratori aver diritto di sciopero perché ess i possano vivere da umani , è un fatto confortante che merita di essere studiato .

Ma studiandolo, senza preconcetti cli idealismo politico, noi vecliamo che Ia "famosa rivoluzione" si riduce ad un'abile manovra delle classi dirigenti le quali - incalzate dalla marea dei tempi nuovi -

• Da "L'Avvenire del Lavoratore", n. 165, 38 agosto 1902, VI .

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capirono che andando a ritroso con un potere alla Pelloux od alla Crispi rischiavano di gioca re - con sicurezza di perdere - la vita del sistema. Non le schede di fiducia gettate nell'urne ministeriali dall'Estrema Sinistra, ma una grande forza morale sviluppatasi in tu tto il paese "costrinse" chi molto può a volgere il timone della barca politica verso le prode (finora semplicem ente intraviste) di un savio governo. E persistendo, anzi fortificandosi vieppiU l'energia morale nella coscienza delle masse organizzate, la rotta della barca sarebbe stata piu decisiva, se l 'Estrema Sinistra non avesse blandito amabilmente la vecchiaia de gl'incerti nocchieri; ma li avesse invece fustigati con un'accanita politica di opposizione e di guerra.

A questo punto sentiamo dirci : Voi avreste, cosi operando, perduto il primo ministero liberale (?) che l'Italia abbia avuto dopo il '70 e avreste favorito la scalata del potere agli uomini della forca , ai compari del '94 e del '98.

È una strana allucinazione di politicanti, dice il La zzari, quello di vedere un ministero liberale l addove gli uomini che lo compongono sono le volpi della reazione. I fatti poi smenti sco no questa pietosa leggenda di liberalismo che l a democrazia parlament are colla sua condotta aveva creato e diffuso tra il popolo. Noi pensiamo che il ritorno della reazione terroristica sia molto improbabile, se non impossibile. Gli uomini che ebbero il potere nei tristi periodi in cui furono manomess e le pubbliche liber tà e il sangue proletario corse per le strade, non furono capaci di conservare le livree dei ministri e caddero sopraffatti dall'esecrazione di tutto un popolo. Per loro son chiuse le vie del ritorno. E ad ogni modo noi preferiamo una reazione sfacciata a questo genere di reazione ipocritamente pudibonda che illude quelli che non dovrebbero illudersi.

Filippo Turati fu costretto a verificare che la politica del ministero attuale va a zig-zag; proprio come quella del gruppo socialis ta. E va a zig-zag la politica del Giolitti perché vuol riuscire a contentar due settori: la destra di cui rappresenta gli interessi e la sinistra di cui gabba i voti e la fiducia.

Ora noi comprendiamo che l e frazioni radicali appoggino il "governo delle leggine inconcludenti", ma non possiamo approvare la massima per cui i rappresentanti del proletariato danno continuo suffra~ gio di aiuto a un potere borghese che - finché tale - ci è sempre nemico, tentando poi di giustificare l'incoeren za manifesta con abili logomachie che conducono sino alla sfrontatezza di chiedere l'autonomia nell'azione parlamentare del gruppo. Di questa politica a base di compromessi il popolo ha ormai ragione di diffidare; e se fu tr adito l e cento volte dai dominatori ha il diritto di non essere turlupinato da coloro che si professano suoi amici. Es so ha bisogno, urgente bisogno di una sana politica socialista che "come fanfara di

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guerra squilli sempre per il cielo italiano soverchiando i picco.li rumori dei vari partiti borghe si".

Non è quindi la politica di chi raccomanda la temperanza nelle agitazioni operaie per non mettere in pericolo la libertà... che non abbiamo; non è la politica dell'" appoggio condizionato", prosaica formula che ridurrebbe il partito conquistatore del mondo ad una "bottegàia azienda di dare e avere"; né la politica che si compendia nella peregrina trovata del "meno peggio" perché la gradazione del cattivo come del buono non ha limite alcuno. Pelloux è piu forcaiolo di Zanardelli, ma Torracca - poni caso - è piu belva di Pelloux. Domani, caduto Zanardelli, occorrerà appoggiare Pelloux, per salvarci dal Torraca!! Queste le "deformazioni logiche" che ci vorrebbero imporre i parlamentari.

Non è questa la politica che necessita in Italia.

Noi ci basiamo - dice il Lazzari - su di una verità geometrica: la r etta è la piU. breve distanza fra due punti . I due punti ci sono noti: la civiltà borghese presente, la civiltà socialista avvenire. PiU ci allontaniamo da quella e piU ci avvicini amo a questa. Se ci fermiamo a scaramucciare colle varie frazioni borghesi, non solo perdiamo il tempo, ma rischiamo di perdere anche l'obbiettivo finale che deve sempre risplendere chiaro per l 'educazione della pubblica opinione e della pubblica coscienza.

Noi non abbiamo formule. Solamente ci auguriamo che il partito nostro ritorni ai suoi metodi antichi di lotta, incalzi con una combattività implacabile i poteri costituiti senza mai discendere - in barba ai deliberati di congressi -a patti e a mercature. La sua fisionomia resterà intatta come la sua integri tà morale che andrebbe miseramente perduta qualora continuasse a battere una strada che lo confonde fra le frazioni della democrazia radicale e borghese e gli scema il prestigio sulle moltitudini. La necessità della vecchia e corroborante politica socialista è sentita e noi speriamo che, insieme all'unità del partito, ver rà affermata nel prossimo congresso.

2 . Socialismo e movimento sociale nel secolo XIX•

So tto questo titolo, Werner Sombart, professore a l 'Università di Bl'eslavia, ha raccolte le conferenze da lui tenute a Zurigo nel 1898. No n mi par inutile riassumerle.

* Da " Il Proletario", n. 42, 18 ottobre 1903, VIII.

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Egli, con lo sguardo profondo dello studioso, abbraccia in rapida sintesi i tratti caratteristici e differenziali del movimento proletario, ne rivela le cause, l'intima struttura, lo sviluppo, le finalità.

Comincia dall'ammettere incondizionato il principio della lotta di classe. Ne allarga, anzi, i confini nel tempo e nello spazio.

La storia dell'umanità non sarebbe che una lotta continua per il pascolo o per la biada.

Semplice è la genesi di questo dualismo che divide e ha divisocon forme progressivamente meno selvagge - il genere umano. La differenza di classe produce un interesse di classe, l'interesse un contrasto, il contrasto antagonistico la lotta di classe.

Il movimento odierno è sociale perché creato da una classe, è socialista perché tende, nella produzione economica, a sos titu ire la comunità all 'individuo .

Il proletariato -o la nuova classe, che imprime energia cosciente a questo moto - è la risultante della produzione capi tali sta; tende - come meta ideale del suo sforzo -al socialismo, perché questo germina inevitabile dai nuovi rapporti economici e da essi acquista forme di vita e di realizzazione storica.

È bene insistere: senza il rapporto capitalistico-proleta riato, gli ideali sociali sarebbero rimasti utopie senza valore. Cosi, prima dello sviluppo dell'industrialismo borghese, il socialismo era una divinazione di poche menti elette, ma non poteva divenire necessità coordinatrice d'una azione pratica, positiva.

Per questo i sistemi dei precursori socialisti furono imperfetti e non potevano non esserlo dato il rapporto sociale dell'economia contemporanea. Intuizioni talvolta sublimi, mezzi sempre inefficaci.

Owen credeva togliere le cause della miseria riformando l'ambiente e correggendo, con l'educazione, i costumi dd popolo; Lamennais in Francia e Kingsley in Inghilterra facevano conto sull'ideale etico e sullo spirito cristiano.

Fourier, che fu pure uno spirito rivoluzionario, aveva fra le altre, la candida ingenuità di aspettare da un capitalista la somma necessaria per la costruzione del primo fa l ansterio.

L'utopismo delle vecchie dottrine socialiste derivava, dice il Sombart, "da una sconfinata sottovalu tazione della forza avversaria, originata dalla credenza che i detentori della ricchezza potessero cedere davanti alla semplice e pura predicazione del bene".

Solo quando la borghesia ebbe sulle rovine del blasone, affermato il suo imperio - scomparso il medioevale rapporto economico corporativista - sorse il dualismo fra i detentori degli strumenti di produzione e i produttori. Ecco il proletariato moderno.

Scorti i criteri di questa nuova fase dello sviluppo storico, il complesso dei loro studi, informati a rigidezza di metodo scie ntifico,

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Mussolini
politici di Benito

diede corpo a nuove dottrine che, prendendo le mosse dal mondo della realtà economica, dovevano necessariamente essere comprese dalle folle operaie, alle quali e per l'agglomerazione nelle grandi città e per l'insicurezza costante del domani riusciva piU facile la concezione d'una società comunista.

Con Carlo Marx abbiamo il primo teorico del movimento sociale . Dalla premessa che l 'uomo agisce in conformità dei suoi interessi e sotto lo stimolo dei suoi bisogni, sorge la concezione che se qualcosa si vuol ottenere al mondo, bisogna chi amare a raccolta l'interesse. All'interesse della classe capitalista non si può opporre l'eterno amore, ma alla forza si deve contrapporre una forza, una forza reale fatta solida dall'interesse . Questa constatazione - filosoficamente logica - conduce non soltanto alla teoria, ma anche alla pratica della lotta di classe. Lotta cli cl asse che diventerà sempre piu acuta via via che l'armata proletaria andrà occupando le posizioni e acquisendo le attitudini indispensabili per il suo avvento al potere politico ed economico.

Sombart non crede ad una espropriazione pacifica della borghesia e la scia supporre la fatalità della Rivolu zione Sociale. Però egli dedica queste parole agli empirici amatori del bel ges to:

È passato il tempo dei colpi di mano, delle rivoluzioni condotte da piccole minoranze coscienti, alla testa di masse incoscienti. Dove si tratta della completa trasformazione dell'organismo socia le, è necessario avere con sé le masse già conscie di che si tratta e del perché del loro concorso. - Questo c'insegna la storia degli ultimi 50 anni. Urge quindi "preparar le coscienze" con lungo, assiduo, tenace lavoro ... [ ... ]

L'ultima constatazione solleva l'animo anche a noi che apparteniamo alla derisa ala evangelica del partito socialista.

3. Pagine rivoluzionarie .

" Le parole d'un rivoltoso"

A Marzo Les Parol es d'un Révolté usciranno nella versione italiana. Le Révolté era il giorna le che Kropotkine pubblicava a Ginevra prima diesservi espulso . Les Paroles sono gli ar ticoli comparsi su quel glorioso periodico dal 1879 al 1882, raccolti poscia in un volume da Eliseo Réclus, quando l'autore scontava nelle prigioni di CJairvaux la condanna avuta pei fatti di Lione.

* D:ill'"Avanguardia Socialista", n, 67, 3 aprile 1904, li.

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Venti anni sono passati, ma L es Paroles sembrano di ieri tanto vibrano di attualità. Leggendole, si ba una prima impressione che afferra l'animo, all'infuori delle teorie enunciate. Esse riboccano di un grande amore del genere umano oppresso e di una infinita bontà. A lato dello studioso, del filosofo, voi sentite Boradin, il principe fuoriuscito dalla sua casta che si fa operaio per diffondere nelle fabbriche di Mosca il verbo della Rivoluzione - il recluso dei bastioni di Trubetzkoi - l'agitatore cacciato da tutti i paesi - salvo dall'ospitale Inghilterra ; e un arcano senso di ammirazione vi prende davanti a quest'uomo la cui vita precorre i tempi nel puro e illuminato ascetismo dell'Anarc hia!

Le sue Parole paiono a prima vista non formare un tutto organico. Tale sarebbe il giudizio di una superficiale lettura. Ma meditandovi, si trova una continuità di pensiero logico, quantunque gli argomenti siano vari e disparati.

Kropotkine comincia da un esame critico della situazione attuale. Caos economico nella produzione capitalista, progressiva decomposizione degli Stati Europei, fallimento della morale cristiana, perita, dopo XX secoli d'ingloriosa esistenza, contro l'egoismo borghese; leggero valore pratico dei famosi diritti politici delle Carte Costituzionali, grande movimento anti-autoritario e di libera critica in tutti i campi dello scibile umano.

La Ri volu zione balza inevitabile - date queste condizioni di fatto. Essa diventa un bi sogno in certe epoche di profonda trasformazione storica. E Gevinus, nel suo Saggio d'Introduzione alla Storia del Secolo XIX e Giuseppe Ferrati nella sua Ragione di Stato, hanno concluso alla fatalità di un vasto e intetnazionale movimento di popolo.

Ai pessimisti, agli increduli, agli impazienti , Kropotkine risponde : "P iU la Rivoluzione tarda, pill sa rà matura". Del resto Rocquain nel suo libro L'Esprit Révolutionnaire dans la Révolution Française, ci avverte che la Rivoluzione fu su l punto di scoppiare nel 1751 e nel 1754. Avremmo potuto scrivere nel 1848 e nel 1871. Gli scioperi e le agitazioni che sommavano il proletariato, so no i segni precursori. Prima dell'89 Taine enumera piu di 300 parziali rivolte di contadini affamati e la generosità dei nobili nella famosa notte del 4 Agosto venne sin istramente illumin ata dalle fiamme dei loro caste lli feudali.

Ora la prossima Rivo luzione sarà distinta dalle precedenti perché sarà genera le e do vrà condurre all'espropriazione della borghesia e all'abolizione dello Stato. Probabilmente trarrà origine da una disorganizzazione del potere centrale al seguito di una guerra provocata dalle gelosie reciproche di preponderanza economica sui mercati internazionali. I grup pi rivoluzionari ne approfitteranno per met-

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1crsi all'opera. E quantunque oggi essi siano minoranza, è certo pe rò che diverranno 1a forza predominante nella Rivolu zione , se la lo ro, sarà 1a vera espressione degli intere ss i proletari. Prima che la Bastiglia cedesse sotto l ' urto del popolo di Parigi, ben pochi era no i rivoluzionari e questi isolati. Kropotkine ricorda l a frase cl i Camilla Desmoulin s: "Noi eravamo appena dodici repubblic ani a Parigi prima dell'89 " .

La Ri voluzione socialista, ini ziata da minoranza, sarà presto se nti ta dalla maggioranza, perché attaccherà la ba se dell'ingiustizia sociale, cioè: la proprietà privata. La sua parola d 'o rdine sa rà l 'espropriazione di tutti colo ro che hanno mezzo di sfruttare esseri umani. Ritorno alla comunità di tutta la ricchez za sociale accumulata e dei mezzi di produzione economica.

I rivoluzionari non aspe tteranno un decreto per espropriare la borghesia, ma - dovunque e agli inizi - sostituiranno la produzione comunista alla produzione capitalista. Che l a Rivoluzione futura, ammoni sce Kropotkine, non manchi di pane ! È necessario quindi, che fi n d'oggi, le minoranze rivoluzionarie acqui stino la capacità tecnica pe r riorganizzare la produzione economica sulle nuove ba si di giust izia, il giorno in cui verranno espropriate le aziende capit alistiche . Dalla soppressione della proprietà individual e, conseguirà u na nuova forma di organizzazione politica . Lo Stato - comitato di difesa degli interessi delle cla ss i ab bienti - non avrà pill ragion e d'e ssere. Kropotki ne, vede - nelle svariatissi me Associazioni e Federa zion i di ogni colore e per ogni causa - svolgenti la loro azione al di fuor i e al disopra dello Stato, - l a tenden za , diffu sa e pronunciata che condurrà ad un 'organizzaz ione politica senza leggi e senza autorità, basata invece sul libero accordo delle sue parti. Que sto concetto fu largamente trattato dall'autore nella sua Conquista del Pane. Nell e Parole - lo riafferma e prevede la Comune - quale organamento politico dell'avvenir e . Non il Comune medioevale coll'esclusi~ vis mo sordido delle sue Giurande e corporazioni; non la Comune di Pa:igi - ucci sa non t anto dai Ver sagliesi quanto dal pregiudizio gove rnamentale che inceppò l a libera ini ziati va delle forze popolari: ma la Comune Sociali s ta, composta da grupp i federali a seconda d ell e loro attitudini e t endenze, uniti fraternamente dalla solidarietà dei propri intere ssi. Senza bi sogno di governo, di codici, di tribunn li; uomini e gruppi troveranno le vie dell'accordo - per og ni qu es tione che fosse per sorge re nel seno dell a Comunità.

P rima di finire - debbo segnalare la critic a del Sistem a Rapprese11l ll tivo, lo studio sulla "Comune di Pari gi ", quello di rara compcl c nza su lla " Questione Agraria", il capitolo " Lo Spirito di Ri vo lt :1 1 ' e lo sc ritto breve , acu to , intitolato: Tutti socialisti!

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Già dall'82 Kropotkine osserva una degenerazione del senso socialista. Forse, non avrebbe mai preveduto che si fosse andati fino alla partecipazione diretta al potere borghese. Ma cosi è. Kropotkine ricorda che nei primi tempi si domandava al nuovo socialista: Ammettete , voi la necessità di abolire la proprietà individuale? di espropriare a profitto di tutti gli attuali detentori del capitale sociale? di vivere conformemente a questi principi?

O ggi invece, grazie agli avventurieri della media borghesia che vanno foggiando un socialismo di penetrazione e collaborazione; grazie alle lusinghe delle classi conservatrici, il partito socialista non è piu l'avanguardia vigile del proletariato, ma un 'eterogenea accolta di malcontenti, una rappresentanza di tutti gli interessi, un vasto movimento pietista. La borghesia rassicurata apre ai nemici di ieri prodigalmente le porte d ei suoi consessi legislativi, affinché il socialismo autentico naufraghi nel compromesso del sistema rappresentativo e dei suoi organi parlamentari. In nome del soci ali smo, oggi rutto si compie; anche la difesa dei gend armi! l'apologia delle istituzioni monarchiche, l'appagamento delle piu ignobili vanità!

Tutti socialisti!

Il socialismo non sa piu di petrolio, da quando fu definito, "sogno di poeta in una notte d 'estate"! Della Casa, divenuto rosso tempera le asperitudini della tattica antica, ormai relegata dai saltimbanchi del riformismo, fra gli oggetti senza va lore . Non piu lotta di classe, ma cooperazione di clas se; non piU la Rivoluzione sociale ma la metà piu uno dei balordi di Montecitorio; non la conquista delle officine , ma la conquista delle municipalità!

Tutti socialisti! e a buon mercato. Basta votare ogni cinque anni per l'onorevole del partito e organizzare qualche innocua sbandierata .

Qual senso di profondo sconforto pervade l'anima , ripensando quale fu l'idea madre del Sociali smo e a qual dege nerazione l'hanno condotta i fuorusciti della borghesia infiltratisi nel movimento per corromperlo e ritardarlo!

Ma il Socialismo, presto o poi, ritornerà quale fu agli inizi: operaio e rivoluzionario. Solo a questo patto potrà raggiungere la sua mèta. Quanto alla fun gaia riformistica, essa sarà già scomparsa il giorno della Rivoluzione Sociale.

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politici di Benito Mussolini

4 . Per Ferdinando Lassalle (nel 40' anniversario della sua morte) •

[ .. . ] Ferdinando Lassalle è oggi dimenticato. E si comprendono le ragioni di quest'oblio, quando si pensi ch'egli fu il rappresentante della ideologia sociale, come Giuseppe Mazzini fu il rappresentante della ideologia politica. L'uno pone alla base della sua repubblica l'idea del dovere, l'altro , alla base della sua concezione socialista, l ' idea morale della classe operaia, la scienza, l'amore.

I ntelletto versatile e profondo "passato col lavoro pill rigido e pill se rio della filosofia dei greci e del diritto romano attraverso le piu diverse branche della scienza storica sino all 'economia politica e alla s tatistica moderna", Ferdinando Lassalle si plasma da Fichte direttamente e attraverso Fichte da Hegel , Schelling e Kant, la piu potente tetrarchia filosofica che conti la storia.

I limiti forzatamente brevi di un articolo commemorativo non mi permettono di esaminare le diverse opere scientifiche di Lassalle, dalla Filosofia del malinconico Eraclito d ' Efeso in cui egli, coordinando la sua vasta cultura, penetra nel "cosmo" filosofico della Grecia antica, a quel Sistema dei diritti acquisiti che segna una data nella storia del diritto e resta uno dei piu poderosi lavori filosofici del secolo scorso.

Cercherò invece di riassumere la sua concezione del movimento operaio, e sarà pill interessante dal nos tro punto di vista. Nel 1848, La ssalle aveva 23 anni. Usciva allora dall'università di Berlino, laureato in legge e dottore in filosofia. Dagli studi balzato nella vita vissuta , egli si trovò sulla scena storica, attore e spettatore, nell'anno in cui l'incendio della rivoluzione passava da Vienna a Parigi, da Berlino a Milaoo, attraverso tutto il centro d'Europa.

Lassalle vide la genesi di quel vasto sommovimento di popoli. L'i dea che aveva spinto sulle barricate i proletari di Germania e gli ope rai di Parigi, i fucilati delle casematte di Rastadt e le migliaia di vittime del "beccaio di giugno", traeva le sue lontane origini dalla trasformazione economica operatasi sulla fine del secolo XVIII. Una nuova classe, una forza che si era confusa colla borghesia dura nte la rivoluzione francese, che aveva aiutato la borghesia ad infrangere la produzione feudale nell'industria e nell 'agricoltura, che e ra stata ricompensata dalla borghesia dei suoi sacrifici e del suo sangue con una tavola di diritti politici; una nuova classe si ern fo rmata acquistando, sotto lo stimolo delle nuove necessità, la coscienza delle 11 sue proprie" rivendicazioni. E la Congiura degli

"' Dall'"Avanguardia Socialista", n. 90, 20 agosto 1904, II.

!./ esordio socialista (1902-1904)
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Eguali le riflett e, ancora pallide, incerte , nel misticismo rivoluzionario ed asceta di Caio Gracco Babeuf. Si affacciano - ormai chiare - nel '31 a Lione; prorompono infine, nel '48, col fragore della tempesta per affermarsi sulla scena della storia. "Cosf, come nel medio-evo la proprietà fondiaria, nell'età moderna il capitale, hanno costituito il principio dominante della società, col 1848 si è iniziata una terza e nuova epoca storica destinata ad e levare a principio dominante della società l 'idea morale della classe dei la voratori, il principio del lavoro" . E l'idea morale è questa: " L 'illimitata libera attività delle forze indi viduali mediante l 'indiv iduo per sé sola non è sufficie nte, m a in una comunità moralm ente ordinata ad essa deve aggiungersi anche l a solidarietà degli interessi, la comunione e la reciprocanza nello sviluppo".

Lassalle crede che siano maturi i tempi e sceglie a scopo della sua vita "l'alleanza della scienza cogli operai - di questi due poli opposti della società - che, abbracciandosi, schiacceranno nelle loro bronzee braccia tutti gli impedimenti che si oppongono alla civiltà".

Si preoccupa quindi di trovare un mezzo che migliori immediatamente le condizioni delle classi lavoratrici . Rifiuta, come palliativi, le varie istituzioni a carattere piccolo-borghese (casse di Risparmio, di Assicurazione, per la vecchi aia, l'invalidità, ecc.), rifiuta parimenti le cooperative di consumo che soccorrono l'opera io come consumatore e non come produttore, cosi pure le cooperative di produzione isolate, le quali possono avere qualche benefico effetto, ma sarà temporaneo e parziale a cagione di quella legge bronzea dei salari che Lassalle formula precisamente: "la mercede media degli operai resta sempre ridotta all'indispensabile per l 'esistenza e a quanto in un popolo è strettamente neces sario per vivere e riprodursi".

Lassalle vuole le associazioni volontarie d'operai "congiunte col suffragio universale e poste sotto l 'ausiliaria civilizzatrice egida dello Stato". Las salle fu uno statista accanito, ma lo Stato per lui s'identifica col concetto di comunità. Contro ai "moderni barbari ", i manchesteriani, egli difende l'antichi ssimo fuoco di Ve sta di ogni civ iltà, lo Stato. Nella concezione lassalliana lo Stato è l'unità e l'unione degli individui in un tutto morale. È l 'ultima fase integrante tutto il processo evolutivo nella vita delle comunità, dalla comunità di sangue, di lu ogo, d'interessi economici, alla comunità d'interessi intellettuali . La sua funzione è di condurre la l otta contro la natura, la miseria, l'i gnoranza, l 'impotenza, la schiavitU di ogni genere in cui ci troviamo allo stato di natura, all'inizio di questa lotta. L 'union e sotto forma dello Stato deve mettere gli individui in condizione di raggiungere sens i e gradi di vita, che i singoli non avrebbero mai potuto raggiungere. "L'ultimo e sosta nziale fine dello Stato è di

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portare la vita umana alla positiva esplicazione ed al progressiv o sviluppo, è l'educazione del genere umano alla libertà".

Questo Stato non governamentale e poliziesco , conquistato mediante il suffragio universale diretto, deve dare il suo "credito" alle associazioni operaie, deve porle in condizioni tali da poter competere contro le cla ss i abbienti nel libero gioco della concorrenza.

Questo è l'unico mezzo efficace! Esso richiede dai lavoratori un già progredito sviluppo intellettuale ed una chiara coscienza dei loro diritti!

Lassalle ci avverte però che questa non è la soluzione definit iva della questione sociale, che sarà l 'opera di generazioni ed il risultato di una serie d'is tituzioni e di mosse da cui si deve svolgere organicamente ognuna che segue da quelle che precedono. Le associazioni di produzione suscitate dal credito dello Stato sono appunto il mezzo designato, conduttore, anche perché debbono creare nel futuro rapporti che vogliono una ulteriore evoluzione.

Generalizzate e universali esse costituiranno una rivoluzione perché porranno un principio nuovo al posto di quello vigente.

Tutti gli altri mezzi consigliati dai radicali, filantropi, piccoli borghesi, sono riforme che conservano "il principio dello Stato vigente o lo portano a conseguenze pill miti o pili logiche, o pili giuste" .

Questa è - per sommi capi - la concezione che Ferdinando Lassalle aveva del movimento proletario. Oggi, l e sue '' Associaz ion i volontarie" sono divenute "i sindacati operai" che non chiedono "il credito statale " ma si preparano a compiere la Rivoluzione Sociale, espropriando la borghesia. La necessità di diffondere l a scienza fra gli operai è riconosciuta da tutti i pensatori soci alisti. Una specie di rivoluzione psicologica deve trasformare la mentalità dell 'operaio e fargli acquistare quelle attitudini tecniche e intellettuali indispensabili per gestire la produzione a basi comuniste. È nel ' 1 sindacato" che avviene questo "filosofico formarsi con coscienza" che Lassalle prende dall'epoca fichtiana e che si attaglia alle classi lavoratrici le quali annunziano una nuova morale di solidarietà mentre accumulano le energie che serviranno a compiere l 'abolizione della proprietà privata e degli attuali ordinamenti politico-sociali. La concezione ideologica lassalliana è passata e gli stessi operai che l'avevano accettata entrarono poi nell e fi le del Marxismo .

Ma di Lassalle resta la sua vita di lotte e di amori. Ogni socialista deve ricordare ancora il suo nome, con rispettosa memoria, perché Lassa lle fu uomo di pensiero e d'azione. La sua vita fu breve, ma intensa. Datosi alla causa del proletariato, sofferse persecuzjoni, calunnie, ebbe processi e fu condannato tre volte al carcere. I sacrific i aumentavano la sua combattività.

L'esordio socialista (1902-1904) 8}

Bello fisicamente e spiritualmente ancora piu bello - sotto l'imperio della sua voce, del suo ingegno e della sua logica - le masse ascoltanti piegavano, la critica pseudoscientifica era forzata al silenzio, e un vasto soffio rivoluzionario scuoteva la vecchia Germania. Dai severi studi giuridici passava al pamphlet e allo scritto polemico. Dall ' alto mondo della nobiltà, del sapere, della bellezza, Lassalle balzava tra il popolo delle officine a suscitarvi lo spirito di rivolta. Per l'" Associazione Generale Operaia Germanica II di cui era presidente - raddoppiò il lavoro. Dopo un solo anno di vita essa contava già parecchie migliaia di aderenti. Nel 1864 - pochi mesi prima della sua morte - Lassalle compi un trionfale giro di propaganda, e fu accolto dovunque come il banditore di una nuova religione, tanto le sue idee suscitavano l 'entusiasmo del popolo ... Cosf confortato, egli si apprestava a tornare alla penna e a nuove battaglie, quando uno di quegli amori potenti e invincibili che fu. rono cosi grande parte della sua vita, doveva preparargli un epilogo fatale.

/1. Ferdinando Lassalle - ne' pensieri e nelle opere - si attaglia la profonda massima di Guyau: "La vie ne peut se maintenir que à la condition de se répan dre . V ivre ce n'est pas calculer, c'est agir" .

5. Opinioni e documenti. La crisi 1·isolutiva •

A chi esamini il movimento socialista non dalle sue prime manifestazioni 11 patriarcali" , ma da quando - sotto la nuova pressione del dualismo capitalistico-proletario - ha preso forme di vita e di realizzazione storica, balzano agli occhi due fasi attraversate e una terza iniziatasi oggi e cau sa dell'attuale crisi. La prima fase è quella che si svolge ancora nell'orbita dell'influenza cristiana. Il socialismo è divinazione di poche menti elette, ma non diviene necessità coordinatrice di un'azione pratica e positivadato il rapporto sociale dell'economia contemporanea. È il periodo dell'utopia. Owen crede di togliere le cause della miseria riformando l 'ambiente e correggendo i costumi del popolo; Lamennais in Francia, Kingsley in Inghilterra, s'affidano all'ideale etico e allo spirito cristiano; Fourier che fu pure un'anima rivoluzionaria, aspet· ta ingenuamente da un capitalista la somma necessaria per la costru· zione del primo falansterio. E l'utopismo delle vecchie dottrine socialiste deriva - direbbe Werner Sombart - "da una sconfinata

• Dall'"Avanguardia Socialista", n. 92, 3 settembre 1904, II.

84 Scritti
politici di Benito Mussolini

sottovalutazione della forza avversaria, or1grnata dalla credenza che i detentori della ricchezza potessero cedere davanti alla semp li ce e pura predicazione del bene". Questo periodo si chiude col 1848. Comincia col "Contratto Sociale" di Rousseau e con Robespierre che ghigliottina i ricchi perché non possono essere virtuosi uomini della natura e finisce col "Ministero del Lavoro", gli Ateliers nationaux e le fucilate di giugno. È costellato dei piu svariati tentativi di realizzazione di società comuniste. Intanto l a borghesia si afferma dovunque, abolisce il medioevale rapporto economico corporativista, scava profondo il dualismo fra i detentori degli strumenti di produzione e i produttori , crea il salario moderno. Sarà allora possibile, prendendo le mosse dal mondo della nuova realtà economica, l'opera di Carlo Marx. Liebknecht ci dice che il Capitale non poteva essere scritto se non in Inghilterra. Né l e dottrine - che s'imperniano sul materialismo storico e sulla lotta di classe - potevano essere concepite senza l a nuova forma di vita sociale che - agglomerando le folle operaie nelle grandi città - sviluppava il senso d'associazione, il quale , per l'insicurezza costante del domani proletario, fecondava a sua volta il bisogno della resistenza, della difesa e dell'offesa.

La seconda fase riflette e generalizza i principii della Rivoluzione politica . La borghesia stessa si affretta a dare al vecchio servo della gleba un titolo che lo conforti nella sua posizione di salariato, e lo chiama "cittadino". Il socialismo allora si risolve in una lotta prevalentemente politica. Esso muove all'assalto dello stato borghese - non per abolirne il principio - ma a conquistarne le "funzioni". Cosi abbiamo il socialismo puerile della "metà piu uno" e l a mania legiferatrice degli eletti del popolo. Gli occhi si affissano ai "Parlamenti", la scheda è salutata come l 'arma formidabile del riscatto operaio, tutte le migliori energie vengono assorbite e sperdute dalla lotta elettorale. In questo periodo d 'illusione, non ancora tramontata, si riscontrano come "epifenomeni" alcuni caratteri della fase "cristiana 11 • La finalità socialista diventa un nebuloso regime di giustizia universale che mal si definisce in una aspirazione stanca di pace, di riposo, e giacché il socialismo dev'essere unguento di tutte )e piaghe, si domanda l'intervento della legislazione e la tutela governativa. La "riforma 1": ecco il portato di questa seconda falsa nozione del socialismo. Per essa si tenta la conciliazione temporanea di interessi contraddittori e si arriva logicamente alla cooperazione di classe. Il deputato socialista si preoccupa dei suffragi, e deve difendere non piu le idee che rappresenta, ma gli elettori del suo collegio. Non piu quindi la politica di classe, ma la politica delle "ca tegorie" . Bottegai , commessi, impiegati, sacrestani, ge ndarmi, passano a turno nel girone legislativo e, come dei pezzenti ag1i an -

L'esordio socialista (1902-1904) 85

goli delle strade, mostrano le rispettive infermità nell'attesa dell'elemosina governativa. L'azione socialista perde i caratteri distintivi di azione di "classe"; e sono gli identici motivi di ordine pietistico quelli che spingono i riformisti a preoccuparsi delle condizioni dell'industria; a consigliare gli operai di guardare i registri del padrone prima di dichiarare uno sciopero; a chiedere, come qui in !svizzera, un aumento di paga ai gend armi che guad agnano - poveretti! - un po' meno di un manuale muratore.

Oggi però si avverte una nuova concezione socialista, concezione profondamente '1 aristocratica" . Il socialismo divenuto necessità economica, del proletariato, si preoccupa solo degli interessi di questa classe sacrificata. Come il macigno, staccatosi dalla roccia, precipita nel vuoto ed obbedisce alla legge di gravitazione senza curarsi se nell'urto della caduta schiaccerà una rana o una formica, cosi il proletariato - che obbedisce alle leggi del suo fatale andarenon può né deve preoccuparsi se dovrà eliminare interessi antagonisti, sopprimere ceti e classi intermedie, rovesciare con la violenza della tempesta insurrezion ale, gli istituti che ribadiscono la catena della sua schiavitu . La meta non è piu la nebulo sa socializzazione dei mezzi di produzione, ma è l 'espropriazione della borghesia. Noi rinunciamo ad antivedere piu lungi, poiché non si può fissare oggi quali saranno nella loro crescente complessità le forme della produzione economica avvenire. Kautsky, nello scritto che sarà pubblicato dall'Avanguardia, dimostra che nel regime proletario, accanto alla nazionalizzazione dei mezzi di trasporto, sarà possibile la comunalizzazione di alcuni servizi pubblici, la proprietà collettiva di associazioni operaie delle grandi miniere, officine, proprietà fondiarie ed anche la sopravvivenza delle piccole aziende agricole a proprietà privata per le quali tanto hanno spasimato e spasimano i poeti e i pennivendoli della borghesia. Ma la terza nozione del socialismo, la nozione "sindacalista" per la quale si risolverà l' att uale crisi, trae l 'o ri gine da due premesse. Prima: La borghesia marcia verso la sua decadenza; seconda: Il proletariato acquista le attitudini necessarie per sostituirla nel dominio della produzione economica e nella direzione morale della società . L'azione socialis ta allora si risolve in duplice processo di differenziazione e di integrazione. Noi ci differenziamo già fin d'oggi nei rapporti e nella vita delle nostre comunità scavando ancor piu profondo il solco fra le nostre concezioni e quelle che informano la società borghese; noi "integriamo" nei sindacati operai - nuclei della futura comunità sociali sta - le capacità tecniche, intellettuali e morali, onde poter degnamente raccogliere il patrimonio materiale del sistema capitalista e portare alle ultime conseguenze la Rivoluzione Sociale culminante nell'espropri azione degli attuali detentori dei mezzi di produzione.

86 Scritti
politici di Benito Mussolini

La lotta elettorale diviene quindi un incidente nella nostra vita di par tito, un semplice mezzo di agitazione politica per ottenere dalla socie tà borghese non il " divenire progress ivo del Socialismo" ma ['"esaurimento" di tu tte le possibili modificazioni della sua struttura esterna fino al giorno in cui per "modificare" dovremo "sopprimere".

È tempo adunque di svecchi are la nozi one del sociali smo, di chiarire il concetto, di precipitare gli elementi eterog enei , di precisarne i con torni e le finalità. Dell e due, l'un a: o il sociali smo sarà prole tario e allora "sarà" anche nella realizzazione storica; - o il sociali sm o non trarrà direttame nte l'i spirazione della sua tattica dalle progressive necessità del proletariato e allora diverrà un movimento ideologico , una moda p olitic a e letteraria, come lo fu nella prima metà del secolo sco rs o il libera lismo . Soverchia to dagli avve nimenti , esso avrà vissu to ma sui libri e le riviste dei suoi dottori.

6. Uomini e idee.

" L'individuel et le socia! " •

È questo il tema della relazione presen tata da Vilfredo P aretoprofessore di Economia Politica e di Sociologia all'Università di Losanna - al secondo Congresso Internazionale di filosofia, tenutosi a Ginevra, dal 4 all' 8 del mese corrente. Si era annunciato un contraddittorio fra V. P areto e De Greef , il no to sociologo e sociali sta belga, ma D e Greef è ammalato e non ha po tuto intervenire . La relazione di Vilfredo Pareto, parmi, che sia stata l'unica not a di un sano positivismo, in quella morta assemblea di ex pastori, ex teologi, accademici o no e pili o meno tutti invecchiati. L'Italia era rappresentata dal senat ore Cantoni di Pavia. Il pubblico del Congresso - mi ha detto un tes timonio ocul are - si compon eva in maggioranza di donne e di bambini. Confortante precocità filosofi ca! Vilfredo P are to comincia dall'avvertire che il significato dei due termini: individuel et socia! non è definito; come del resto, è vaga e nebulosa tutta la te rminologia delle Scienze Sociali. Il termine "individuo" è preciso ma il termine "socie tà" è nebuloso e per determin arn e il valore occorre fissare pa recchie condiz ioni nello spazio e nel tempo. Gli aggettivi "indiv iduale" e "socia le" sono ancora pi u vaghi - poiché è impossibile di separarne i ca ratteri che hann o com uni - né si può conoscere in che differiscano senza qu est a separazione. Quanto ai sen timenti che evocano, sembra no talvolta

* Dall'"Avanguardia Socialis ta", n. 97, 14 ottobre 1904, IL

L'esordio socialista (1902-1904) 87

accennare ad una opposizione fra l'individuo e la società od Tùna maggioranza di questa. Ma mentre è impossibile che a un momento dato e spazio dato, esista una opposizione fra tutti gli individui di una società e la società; è però possibile - nel tempo - una opposizione d'interessi fra gli individui di un dato periodo storico e quelli di un periodo susseguente. Non solo, ma può esistere lotta d'interessi fra diverse parti della società stessa, intesa questa parola nel primo senso. È un fatto innegabile che gli uomini hanno degli interessi antagonistici; né valgono oggi, né valsero in altri tempi le melopee dei teorici o teologi sociali a negare o attenuare questa opposizione di interessi. E la famosa "unità" morale, intellettuale e religiosa della società, il cui ritornello ci vien cantato con desolante insistenza da molti riformatori, viene demolita da Vilfredo Pareto colla precisione e colla chiarezza che lo distingue. Egli dice: Le persone che vogliono realizzarla posano "modestamente" a rappresentanti della società e dichiarano a quelli dell'opposizione che sono degli individui perturbatori. Resta poi a sapere, prosegue V. Pareto, come si determina quella maggioranza che si gratifica del titolo onorifico di "società". Cita l'esempio del Parlamento svizzero, che non rappresenta affatto la maggioranza degli elettori, se una legge che fu votata alla quasi unanimità, venne re· spinta poscia dal popolo mediante il referendum. Nega quindi ogni fondamento scientifico al diritto sovrano delle maggioranze, diritto che oggi va sostituendosi a quello divino dei principi e finisce avvertendo della inconsistenza di tutte le teorie esposte sui diritti dell"'individuo" e in quelli della '1 società". La creazione del diritto, nata nella "società" e variabile secondo la costituzione sociale, è assolutamente impotente a separare l'individuale dal sociale. La teoria del Contratto sociale fatta in un tempo determinato e tramandatasi attraverso le generazioni è giu di moda. E quanto alla mutua dipendenza degli individui che oggi si rileva nella società e per cui parrebbe che il sociale prevalga sull'individuale o viceversa, non è che un duplice modo di esprimere lo stesso fenomeno .

Ho riportato quasi integralmente i punti sostanziali della relazione di Vilfredo Pareto . Essa è breve; ma precisa, chiara, matematica, come tutte le opere - dalle minori alle maggiori, date alla scienza contemporanea dall'illustre autore dei Systèmes Socialistes. Mi pare che lo scritto di questo economista borghese - simpatico certo per la franchezza e la precisione colla quale si esprime, - insegni a noi socialisti due cose. La prima riguarda !'"unità" e la seconda la "tattica" di partito. Quella ''unità" sigillata anche al concilio ecumenico di Amsterdam, rassomiglia molto a quell"'unità" morale, politica, religiosa di cui ci parla Pareto. Fra le diverse parti dell'aggregato socialista vi è

88 Scritti politici di Benito Mussolini

diversirà d'interessi s!a pure intellettuali, ma che possono però diventare materiali nel campo dell'azione. Volere l'uni tà è vole re l'uniformità e questa sarà piu dannosa e funesta data l a multiforme opera del partito socialis ta. Essa vorrà dire "impotenza". Meg lio dunque sarebbe preferire la scissione onesta al matrimonio adultero . La constatazione poi incondizionata che esistono differenze, pili o meno profonde, fra gli interessi delle varie parti dell'aggregato sociale conforta noi socialisti rivoluzionari, che non abbiamo ancora rinnegato - come i filosofastri del riformismo - la lotta di classe. È da queste differenze d'interessi fra diverse parti dell'aggregato sociale - nel caso no stro Borghesia e Proletariato - che ha la sua genesi naturale la lotta di classe. Ed è possibile che questa lotta, invece di assumere forme miti, andrà sempre via via acutizzandosi, a misura che da una parte e dall'altra si prenderà coscienza della diversità ir reducibile degli interessi.

Possiamo dunque logicamente concludere che, nel campo teorico, i riformisti sono fuori dall'osservazione scientifica; nel campo pratico, l o hanno troppo dimostrato, fuori dal socialismo.

7 . La teppa•

È ancora un argomento all'ordine del giorno. Dopo le esilaranti epistole settembrine del fu Maironi, abbiamo avuto i commenti della stampa rosea e gialla sulle elezioni. - La " teppa" responsabile del verdetto elettorale - ecco il motivo si nfonico odierno che va dai gravi fogli quotidiani ai giornalu coli di provincia e valica anche le frontiere patrie . Difatti il corrispondente italiano del Vorwaerts scriveva al suo giornale che, nel settembre scorso lo sciopero generale non era scoppiato dovunque colla stessa intensità, perché in molti luoghi si erano temuti gli "eccessi anarchici" contro le persone e la proprietà . - Oggi la "teppa" va diventando una istituzione ufficiale.

Della teppa autentica che vegeta nei bassifondi delle grandi città, non val la pena di occuparsi. - Essa è impotente a pregiudicare in qualsiasi modo la ri uscita di un movimen to proletario . - Può qualche volta favorire lo scoppio delle ostilità e accentuare il carattere della violenza fisica. - Talvolta è l'insurrezione medesima che redime questa categoria di individu i. I 3.000 repris de justice che si trovavano in Parigi nel '71 morirono quasi tutti eroicamente per la Comune contro gli assassini di Versailles. - Benedetto Malon po-

L'esordio socialista (1902-1904) 89
* Dall"'Avanguardia Socialista", n. 104, 10 dicembre 1904, Il .

teva scrivere che in quelle memorabili giornate le « carceri erano deserte e vuote come il Louvre ". - Se è vero dunque che ogni movimento di popoli ha un'appendice torbida dove si agitano elementi che non hanno alcuna idealità sociale e nessuno scopo da conseguire, è altresf vero però che questi elementi "precipitano" e sono eliminati.

Come la schiuma dell'agitato oceano proletario essi sorgono per un momento alla luce - sulle onde - e poi, ai primi urti, si confondono, si dividono, si disperdono - scompaiono. Ma i buoni apostoli (buoni nel senso cristiano) del riformismo, quando stigmatizzano nella loro prosa sonora (sonora, perché vuota) gli atti vandalici a cui si abbandonò la teppa - annuenti i (( torvi tribuni del Pulvinare" - intendono di condannare non già il teppismo, ma l'insurrezio ne. Il loro socialismo - strana amalgama di posi tivismo borghese e di pretismo cristiano - non concepisce l'idea di "forza". Per gli ideologi, per i professionnels de la pensée direbbe Sorel, per tutti coloro che al socialismo andarono attraverso le vie del sentimento, riesce impossibile di concepire la rivoluzione socialista come una semplice e pura questione di "forza". L'idea della "violenza" poi li fa rabbrividire. - Essi attraversano come ciechi quaranta secoli di storia!

Per noi invece - ignobili materialisti che con lo studio delle dottrine marxiste siamo riusciti a liberarci finalmente da tutto l'innocuo fatras del "socialesimo" degli ideologi - il problema dell'emancipazione proletaria si presenta nei suoi veri termini - progressiva accumulazione di forza nelle organizzazioni sindacaliste - impiego di quella forza per compiere l'espropriazione della borghesia - attore unico di questo processo - il proletariato - come classe che ha interessi antagonistici contro tutte le altre che compongono la società civile.

Ma prima di giungere a questo punto culminante, vi sono altri problemi preliminari la cui soluzione richiede pure l 'uso della forza.Ed ogni forza che si esplica, da statica passando a dinamica, comin~ eia con un periodo pili o meno breve, pili o meno intenso di violenze - nella biologia e nella meccanica, nella vita inorganica e nella vita sociale.

E la violenza delle folle in movimento si dirige contro gli edifici e i simboli del sistema che opprime. In certi casi e in determinati momenti, anche noi siamo "teppisti" . Dopo il giuramento della Pallacorda - il piu significante esponente psicologico della Rivoluzione è la demolizione della Bastiglia. La borghesia è teppista. - Sono i figli della borghesia gli spicconatoti [sic] della vecchia prigione di Stato. Piu tardi, le donne di Parigi capitanate dal vecchio Maillard, penetrarono alle Tuileries, ma per far ringoiare l'insulto ai banchet-

90 Scritti
politici di Benito Mussolini

tanti delle cene regali. Il 14 lu glio, la provocazione diretta manca, eppure la borghesia sente il bisogno di demolire l 'immondo edificio, simbolo della tirannide dell'ancien régime. E fu un generale grido di gioia all'annunzio della lieta novella. - Tale fu la commozione che fin a Pietroburgo i cittadini si abbracciavano nelle strade . La Bastiglia rasa a terra significava pe r tutti gli uomini liberi la rovina di un mondo!

Vi sono edifici contro ai quali s'appunta di preferenza la collera popolare. - Essi sono il ricordo di lunghe oppressioni - fra le loro mura si consumarono lunghe infamie - la loro presenza accende il sacro furore della demolizione.

Non era Carlo Marx che nel 1848 urlava in faccia ai democratici uso Rye, Blanc, Ledru-Rollin: "Noi siamo terroristi"? Non è Carlo Marx che ha scritto queste significa nti parole:

Non solo i socialisti non possono disapprovare certi atti comunemente denominati vandalici, ma quando essi siano diretti contro persone funeste o contro edifici ai quali si riconnettano odiosi ricordi , i socialisti devono assumerne la direzione ... ?

Ma oggi una parte di coloro che si dicono socialisti sono dei benpensanti, gente seria ... I vandalismi governativi trovano la prosa giustificatrice delle "pallottole errabonde". - I vandalismi proletari che in un cosf vasto svolgimento si ridussero all a eliminazione di un dentista prepotente, tro vano l 'aspra condanna dei dottori e degli avvocati della riformeria italica.

Ma che almeno i socialis ti rivoluzionari non s'inchinino alla nuova divinità - la teppa - anche a costo di riabili tar Genserico.

Poiché, o amici, il pericolo è grave ed imminente. - Domani, e un domani prossimo, si tratterà per il popolo d ' Italia di liberarsi da qualcosa che ci sgoverna . - Anche allora molto probabilmente verrà suscitato il sacro terrore della "teppa" ...

Piano, elettori, per carità . .. con calma, con prudenza ... Rispettate anche la Monarchia, se ... per caso ... talora .. . mai un monello potesse rompere le vetrine del Gambrinus!

I riformisti copiano la borghesia in quanto essa ha di poco nobile e poco coraggioso e non sanno imitarla in quanto essa ebbe un giorno di generoso e di grande!

L'esordio socialista (1902-1904) 91

Sotto il profilo « teorico-ideologico" il mussolinismo nasce nel Trentino e in Romagna fra il 1909 e il 1912 con i suoi vari ingredienti, finalmente associati (il 1908 può essere considerato un anno di transizione: continua l'eclettismo precedente, ma vi è anche l'approdo alla nietzschiana "filosofia della forza") e si sviluppa a Milano, fino alla crisi interventista. Sono gli anni di direzione, dopo La lima, de Il Popolo, La Lotta di classe, l'Avanti! Fra gli altri "ismi" del momento - il futurismo, il nazionalismo, ecc. - Mussolini prende posto nel« socialismo rivoluzionario'> e tende ad appropriarsene, attribuendogli le caratteristiche di un "corpus" sufficientemente delineato dal punto di vista culturale e dal punto di vista politico. Non a caso, al culmine di questo periodo, tale tendenza viene anche riconosciuta dall'esterno. Il giovane che in Svizzera aveva annunziato "non abbiamo formule" e si era fatto promotore di un periodico di « cultura socialista internazionale", dieci anni piU tardi fonda la rivista Utopia e dà vita ad una "Biblioteca del socialismo rivoluzionario italiano", in cui presenta uno scrittore francese, divenuto da "guesdista e collettivista" - si compiace di dire - "kropotkiniano e anarchico" . 1

Il 1908-1909 è il periodo del massimo sbando ideologico, mentre poco dopo subentra una linea di revisione da sinistra, ma intrisa di irrazionalismo, della piattaforma del PSI: a questi due momenti è dedicata la nostra scelta che privilegia gli scritti piu ampi e i discorsi di maggiore impegno e risonanza. Grandeggia il mito della rivo -

1 L'u nico testo pubblicato fu qu ello di CHARLES ALnERT e ]EAN D uCHtNE, Il socialismo rivoluzionario . Il suo Jerreno, la sua azione e il suo scopo. Usd a Faenza nel giugno 1913, quando Mussolini era già a Milano da alcuni mesi e anzi ne aveva dato alcuni estratti (già nell'aprile 1912) su "La Lotta di classe". A Milano Mussolini continuò a fare del "socialismo ri voluzionario" su "Utopia": continuità dunque su una stessa formula, invero molto ampia, fra aria romagnola e prima esperienza ambrosiana.

II.
(1908-1914) . • I _r ('
IL MITO DELLA RIVOLUZIONE
1. Karl Marx (nel 25° anniversario della morte). - 2. Socialismo e socialisti. - 3. La filosofia della forza. -4 . La teoria sindacalista. - 5. Lo sciopero generale e la violenza. - 6. Il socialismo diviene. - 7. Il pangermanismo teorico. - 8. Il discorso di Reggio Emilia. - 9. L'impresa disperata. - 10. Contro il neutralismo del PSI.11. Neutralità e socialismo.

luzione, che non sbocca tuttavia in una precisa teoria. Vi sono oscillazioni, non mancano ondeggiamenti verso destra. Rosso e nero si trovano cosi all'origine del proto-fascismo. È difficile dire in quale misura. Rimane comunque il tentativo di esorcizzare il socialismo rivoluzionario. La sinistra di Lazzari e di Serrati gli apre le porte, ma alla fine non si farà egemonizzare. Fallita la settimana rossa, al momento della guerra, i sindacalisti rivoluzionari sopravanzano Mussolini col manifesto interventista del 5 ottobre 1914, con la fondazione del Fascio rivoluzionario d'azione internazionalista. La mancanza di reale autonomia del socialismo «rivoluzionario,, mussoliniano viene cosi in chiaro. Ideologie e impulso all'azione non combinano piU, nonostante i tentativi dottrinari precedentemente espletati. Nel 1908 è già al limite fra ortodossia ed eresia, tradizione collettiva ed invenzione personale. Caratteristico l'enunciato di una concezione "triadica,, del socialismo: in cui ravvisa un elemento dottrinale, uno pratico, uno ideale ( si veda la collaborazione a La Lima). Nell'articolo ( celebrativo e un poco "ufficiale') su Marx ricorre anco ra il motivo della lotta di classe come "una questione di forza' 1 e quello del (( rapporto capitalistico-proletario'\ che in seguito si complica e si sfuma. Il Marx di Mussolini, nel 1908, è già un Marx dimezzato dalle polemiche sulla crisi e la revisione del marxismo. Mussolini si appaga di difendere il marxismo dati' accusa di "bancarotta totale», riconosce l'economia marxista in gran parte superata, attribuisce alla ''cultura 11 un valore autonomo "come elemento umano• interagente sulla lotta politica e sui rapporti sociali . Il piu esteso, certo informato ma anche alquanto vago, degli articoli di questo periodo ( sfiora per ampiezza e presunzione le dimensioni di un saggio) è dedicato a Nietzsche, come replica ad una interpretazione che gli sembra troppo riduttiva, dell'autorevole Treves: e siamo alla "filosofia' della forza, a un pezzo non a caso destinato alle colonne di un foglio repubblicano romagnolo. (Del 1909 è inoltre un articolo su Evoluzione sociale e lotta di classe, in cui contempera Marx con Proudhon.) È il tempo in cui Mussolini, nomade autodidatta fra diverse scuole e dottrine, cerca di dare spazio autonomo a un socialismo "diverso,,.

È anche il tempo per molti versi risolutivo dell'influenza della teoria sindacalista dello sciopero generale, che si intreccia con le derivazioni dall'an alisi della situazione italiana del movimento culturale rappresentato da Prezzolini. (L'articolo su Giovanni Giolitti del 12 ottobre 1909 costituisce la prima compiuta e organica presa di posizione, sotto l'infl,usso del sindacalismo rivoluzionario e del vocianesimo, sul problema storico-politico dell'Italia contemporanea.)

((L'Italia,'1 aveva scritto il 3 aprile1 "finora non è esistita.» Periodo, dunque, di negazione critica che apre la via di un rivolgimento nel

Il mito della rivoluzione (1908-1914) 93

Scritti politici di Benito Mussolini

rapporto fra socialismo ( nel suo duplice impasto teorico e ideale) e partito politico: verso una "politica senza partiti". Col 1910 tuttavia Mussolini fa ancora leva sull'unica certezza che il suo modo di concepire il socialismo gli concede: è l'ultimo ancoraggio all'idea/orza della "lotta di classe", cui intitola il giornale della Federazione di Forti. Il programma appare apodittico: "classe contro classe", 1'rivoluzione totale'\ rifiuto di "conquiste politiche" al modo dei riformisti, sforzo idealistico, una embrionale pedagogia di massa rivolta alla creazione di "uomini nuovi"; concezione del socialismo come il "piU grande dramma" dell1età contemporanea; e ancora via economica - evidentemente ispirata alla lezione sindacalista - per fespropriazione della borghesia, ma scarso interesse per le strutture del capitale . Abbozzo di una prassi dell'intransigenza totale, che sarà definita "la teoria del prof. Mussolini".

Un settennato di socialismo militante, dunque, tessuto di motivi decadenti, e diversamente accentuati e ritornanti. Nella scelta che segue l'accento cade sul prevalente sostrato ideologico, con esemplificazioni - data l'importanza e complessità del periodo - certamente non esaustive: l'articolo su Marx e non le conferenze sul marxismo e il socialismo; l'intero saggio su Nietzsche, nonostante l'estensione delle citazioni; l'intervento congressuale per l'espulsione dei riformisti di destra; pochi e brevi articoli dal valore II programmatico»; l'ampio scritto di rottura col neutralismo del PSI. I nsomma, soltanto i punti salienti di un'elaborazione assai piu sfumata e ricca di pur notevoli momenti transitori, alcuni dei quali si sono del resto richiamati anche nella presente nota.

[ ... ] I limiti forzatamente brevi cli un articolo destinato ad un periodico di propaganda non mi consentono di esaminare se non per sommi capi le nozioni principali delle dottrine marxiste. Noi dobbiamo in primo lu ogo a Marx il passaggio dal socialismo filantropico cristiano, al socialismo scien tifico. Nella prima metà del secolo scorso, lo spettacolo della miseria e dell'abbiezione degli operai aveva commosso molti filantropi di tutte le scuole . Era nato da questo impulso umanitario una specie di socialismo cristiano del quale si possono considerare rappre sentanti tipici il Kingsley in Inghil-

* Da "La Lima", n. 10, 14 marzo 1908, XVI. Pubblicato anche su "La Lotta di Classe", n. 10, 12 marzo 1910, I.

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1. Karl Marx (nel 25° anniversario della morte)•

te rra, Lamennais in Francia. Strano miscuglio d'ingenuità puerili e di bizzarre ricostruzioni sociali a base di virtu predicata e praticata, questo socialismo non si rivolgeva agli oppressi, ma ai dominatori per convincerli a rinunziare alle loro ricchezze per il bene comune e si credeva di raggiungere questo scopo con una ostinata predicazione della dottrina evangelica. Sorsero uomini, giornali e gruppi . Fiori una letteratura cristiano-sociale in cui predominava un esagerato ottimismo al riguardo della natura dell'uomo. Si fecero degli esperimenti comunistici al Texas, Cabet ideò un comunismo icarico, Owen rid usse in una trinità l e cause del male (proprietà privata, religione positiva, indissolubilità del matrimonio), Weitling credeva che liberatore dell'umanità sarebbe stato un nuovo Messia che sarebbe venuto a spargere la buona novella; Fourier aspettava colla fede ingenua d'un apostolo tutti i giorni dal mezzogiorno all'una il buon capit alista che gli avrebbe portato il denaro sufficiente alla costruzione del primo falansterio.

Ciò che caratterizza questa prima forma di socialismo è una sconfinata sottovalutazione della forza avversaria . È puerile credere che i ricchi possano spogliarsi dei loro beni cedendo alla semplice predicazione della virru. - La storia non offre esempi del genere. Una classe non rinuncia ai suoi privilegi se non quando vi è costretta. Il bel gesto della nobiltà francese, la notte del 4 agosto, fu dettato anzi imposto dalla paura del pericolo imminente.

Ora Marx fa giustizia del socialismo utopistico delle scuole francesi e inglesi. Egli non si rivolge ai dominatori, ben s1 ai dominati e a questi come classe che ha una determinata mi ssione sto rica. Il socialismo critico mira appunto a dare al proletariato l a coscienza di questa missione. La questione sociale sarà risolt a solo colla soppress ione del rapporto capitalistico-proletario e non coi palliativi dei filantropi. La classe opera ia non cerchi altrove i mezzi per redimersi. Non aspetti i Messia . Lotti colle proprie forze. "L'emancipazione dei lavoratori dev'essere opera dei lavoratori stessi ! " Questo grido che comprende l a nozione scientifica del socialismo inaugurata da Marx nel Manifesto dei Comunisti è in istretta relazione col determinismo economico o materialismo storico, altro punto capitale delle teorie marxiste. Si è spesso rimproverato ai soc ialisti di fare una questione di ventre . I Don Chi sciotte dell 'id ealismo non hanno mai perdonato a Marx di porre nell'intere sse ma te riale la molla principale delle azioni umane e di considerare tutte le superstrutture ideologiche della società (arte, religione, morale) come il riflesso e il portato del le condizioni economiche e piu precisamente del modo di produzione economico.

La vacuità pedante dell'ideologia ha chiamato Marx "ignobile materialista " . E sia. Ma la stessa ideologia ufficiale non è però ancor

Il mito della rivoluzione (1908-1914) 95

giunta ad infirmare la semplice constatazione di fatto eh,;- l'uomo è un animale essenzialmente egoista e prima cli fare delle statue, di dipingere dei quadri, cli scrivere dei libri, di comporre magari dei saggi trattati di morale, soddisfa i suoi primordiali bisogni: mangia, beve, si procura un riparo, lotta coi suoi fratelli per la conquista del pane. Ed è questa lotta colle sue particolarità, i suoi pericoli, le sue sorprese, le sue innumerevoli vittime , questa dolorosa lotta millenaria che oggi ancora non riesce a dissimulare completamente la sua tragica necessità , è questa lotta che modella la coscienza degli uomini attraverso le loro concezioni politiche, artistiche , religios e , morali. Esaminate tutti i movimenti del pensiero umano e troverete che furono "determinati" da motivi economici e profani. Il cristianesimo non fa eccezione. Cosi il socialismo - come movimento d'idee e come negazione rivoluzionaria - non poteva sorgere se non coll 'avvento del modo di produzione capitali stico . Intanto le nuove condizioni dell 'economia determinano il proletariato che tradurrà in atto le finalità teoriche del socialismo. Con quale mezzo? Colla lotta cli classe. Gli interessi del proletariato sono antagonistici a quelli della borghesia.

Tra queste due classi nessun accordo è possibile. Una cli esse deve sparire. La meno forte sarà "eliminata". La lotta di classe è dunque una questione di "forza•. Gli operai devono accumulare que sta • forza" che assicurerà loro la vittoria finale e per accumularla devono unirsi.

La lotta finale sarà violenta, •catastrofica", poiché i capitalisti non rinunceranno volontariamente al loro potere economico e politico. E in questo caso un periodo piu o meno lungo di violenza accompagnerà il passaggio dal modo di produzione borghese al modo di produzione su basi comuniste.

Con questo articolo non ho certo la pretesa cli aver dato un riassunto completo della dottrina marxista. Mi basta cli averla schizza ta specie in quelle parti che ancora oggi magnificamente resistono alla critica degli avversar! e dei compagni .

Sono passati venticinque anni dalla morte cli Marx - Mohr - come lo chiamavano i profughi tedeschi - dorme il sonno che non ha risveglio in un cimitero dei suburbi lonclinesi. Ogni anno nella ricorrenza del XIV marzo, dei grandi mazzi di garofani rossi vengono gettati sulla sua tomba. E il proletariato di tutti i paesi volge reverente il pensiero alla memoria dell'uomo che alla causa degli oppres.si sacrò tutte le sue energie e colla purissima fiamma di un ideale di giustizia, di fraternità e di pace , illuminò la lenta ascesa verso nuo~ ve e piu elette forme di vita.

96 Scritti p olitici di Benito Mussolini

2. Socialismo e socialisti • I.

Nell'articolo cli introduzione pubblicato sulla Lima del 16 maggio, abbiamo stabilito che tre elementi concorrono a formare la nozione di socialismo: Un elemento dottrinale, uno pratico, uno ideale. Oggi ci occuperemo del primo.

È in Francia che noi troviamo sulla fine del secolo XVIII e il principio del XIX una specie cli letteratura socialista. Già gli scrittori dell'Enciclopedia ci offrono degli accenni di nuove dottrine economiche unitamente a bizzarri piani di rigenerazione sociale . Jaurès nel primo volume della sua Histoire Socialiste mette Barnave, un rappresentante del terzo Stato, tra i diretti precursori cli Marx.

Gian G iacomo Rousseau attacca il principio di proprietà privata, lo dichiara causa dell'infelicità degli uomini, e preconizza il ritorno alla società naturale. Caio Gracco Babreuf [sic] tenta nel 17 96 colla Cospirazione degli Eguali di creare un'appendice comunista alla rivoluzione francese, ma la borghesia che il 14 giugno del 17 91 aveva votato la legge Chapelier contro le coalizioni operaie, manda alla ghigliottina Babreuf e ne disperde i seguaci .

In tutti gli scrittori di quell'epoca notiamo la preoccupazione della questione sociale . Epperò manca l a dottrina completa , armonica, sinte tica che risalga alle cause vere del generale disagio e additi i mezzi della liberazione. Solo colla diffusione del sistema cli produzione capitalista, solo quando la borghesia ha raggiunto il dominio incontrastato del mondo e caccia nell'ombra le classi che l'hanno preceduta. Solo allora le t eorie caotiche dei novatori lasciano il posto a concezioni dottrinali che prendono le mosse dalla realtà dei nu ovi rapporti economici.

Carlo Marx è il piu grande teorico del Socialismo. Di lui abbiamo parlato nel 25° annivers ario della sua morte (Lima, 14 marzo, e.a.). Il marxismo è la dottrina scientifica della rivoluzione di classe , è la cr itica all 'economia che diventa consapevolezza della propria forza da parte dei lavoratori, è la proclamazione prima della scienza e della volontà del proletariato il quale "inizia la sua conquista del mondo economico" 1 e si libera dalla condizione di dover lavorare agli ordini e pel beneficio di altri uomini . Ammettiamo coi "critici socialisti" di Marx che alcune nozioni della sua economia siano erra te , ma non ci uniamo al coro equivoco di quelli che proclamano

Il mito della rivoluzione (1908·1914) 97
* Da " La Lima" , n. 2 1, 30 magg io 1908 , XVI. 1 P AO LO ÙRANO , in " La GioventU. socialista " , settimanale, 15 marzo 1908.

la bancarotta totale del marxismo. Altrove ne abbiamo detto il perché. (Vedi Lima del 14 marzo.}

II .

È solo coll'avvento del capitalismo che si rende possibile la nascita e lo sviluppo di una letteratura socialista. Quali ne saranno i caratteri? Anzitutto la descrizione tecnica, analitica del nuovo modo di produzione economica, e lo studio delle sue conseguenze politiche e morali. Engels ci ha la sciato un'opera di grande va lore: La condizione delle classi lavoratrici in Inghilterra che appartiene come del resto anche buona parte del Capitale a questo primo momento della letteratura socialista . Dalla constatazione del nuovo ordine di cose, i pensatori socialisti si rivolgono alle cause, quindi additano i rimedi e i mezzi per attuarli. Sorgono i sistemi socialisti - l'ideal eil socialismo e i risultati dell'indagine dottrinale diventano dominio del proletariato che deve "negare" la società borghese. Gli operai hanno un vago concetto della loro missione, della loro importanza, e soprattutto della loro forza . Sentono di essere sfruttati, ma non si spiegano né come né perché. È il pensiero socialista che attraverso il giornale, l'opuscolo, il libro, scende fra le grandi agglomerazioni dei proletari e li fa consci del loro diritto. È il pensiero socialista che dopo aver fissato le leggi dello sv iluppo della borghesia , dimostra l'ineluttabilità del trionfo della cla sse lavoratrice. È il pensiero socialista che dà un'anima agli oppressi e vi determina nuove concezioni id eali e per conseguenza una div ersa condotta pratica. h il pensiero socialista che mette la scienza a contatto immediato col mondo del lavoro ed eleva il livello generale della cultura. Ciò detto, invitiamo i banditori dell'anti-intellettualismo a leggere bene att entamente il di scorso pronunciato da Ferdinando Lassalle poco tempo prima della sua morte ali'" Associazione generale degli operai tedeschi".'

III.

Le nazioni che hanno maggiormente contribuito alla formazione di una letteratura-dottrinale socialista sono la Francia, la Germania e l 'Inghilterra. E si comprende facilmente qualora si pensi che in queste nazioni il capitalismo col suo tipo di società industriale-bancaria conta ormai un secolo di vita.

L'Italia ha dato pochissimo. Il libro Cinquant'anni di socialismo è

98 Scritti
politici di Benito Mussolini
2 Scritti di Marx, Engels , Lassalle, Editore Mongini, Roma.

sta to scritto da un avvocato con evidente scopo editoriale e il Capitale - l'opera massima dell 'eco nomia marxista - è stato vo lga rizzato da un poeta. L 'assolut a mancanza o quasi di cultura socialista, ci spiega la superficialità della nostra condotta come partito . Si inga nnano i "pratici " che non attribui scon o veruna importanza all'elemento teorico-dottrinale nell a vita del socialismo. È la cultura, è la sua massima diffusione, quella che de ve prepara re l 'anima nuova, è la cultura che ci darà l' elemento u mano capace di sollevarsi dalla vi ta be stiale di tutti i giorni, capace cli comprendere la bellezza di un'idea e di in teressarsi ai gran di problemi. L'infl uenz a della letteratura socialista sarà ancor magg iore quando l'operaio si volgerà al l ibro come ad un amico fedele e cercherà di raggiungere l'elevazione della propria intelligenza e la libera zion e dalla schiaviru dello spirito. È con questo sforzo voluto e co sciente che la classe la vora trice segnerà una nuova e luminosa epoca nella storia del gene re umano .

3. La filosofia della forza (postille alla conferenza dell'on . Treves) •

Piu che trattare di una Filosofia della Forza, e cioè cli una filosofia che abbia qual nucleo centrale e irradiatore una ben determ inata nozione di forza - la conferenza dell'on. Treves è sta ta una chiara, si ntetica, brilla nte esposizione delle teorie di Federico Nietzsche. Treves sa che il Wille zur Mach t è un punto cardin ale della filoso fia ni etzschiana , ma ci sembrerebbe inesatto affermare ch e a quell 'unica n ozione possano ridursi tutt e le idee di Nietzsche. No n si può definire questa filosofia , poiché il poe ta di Za r athu stra non ci ha l asciato un sistem a. Ciò che v'è di cad uco, di sterile , di negat ivo in tutte le filosofi e è preci samente il "s iste ma ", questa co struzione idea le, spesse volt e arbitraria e illo gic a, tale da dover essere interpre tata come un a confessione , un mito, una tragedia, un poema. Nietzsche non h a mai dato un a forma schema t ica alle sue meditazioni. Era troppo francese, troppo meridiona le, tro ppo '1 mediterran eo " per "costringere'1 le speculazioni novatrici del suo pensiero nei quadri di una pesant e trattazione scola st ica . Ma creatore di sistem i filosofici o no , Nietzsc he è pur sempre lo spirito piu geniale dell'ultimo quarto del secolo scorso e profondi ssima è stata la influenza delle

"' Da "Il Pensiero Romagnolo", nn. 48, 49, 50; 29 novembre, 6 e l3 dicembre 1908, XV.

11 mito della rivoluzione ( 1908-1914) 99
I.

sue teoriche. Per qualche tempo gli artisti di tutti i paesi, da Ibsen a D 'Annunzio, hanno seguito le orme Nietzschiane. Gli individualisti un po' sazi della rigidità dell'evangelio stirneriano si sono volti ansiosi a Zarathustra e nella filosofia dell'Illuminato trovano il germe e la ragione di ogni rivolta e di ogni atteggiamento morale e politico. Non mancano gli imbecilli che chiamano super-umanismo, certo equivoco dandysmo da efebi e invocano la solita "torre d'a vo· rio" per celare a chi sa essere osservatore il vuoto spaventoso delle loro scatole craniche. Infine - per completare il quadro - ecco i filosofi salariati che hanno la religione del 27 del mese - gli accademici - questi goffi rappresentanti della scienza ufficiale - che scongiurano la giovinezza di non cedere alle lu singhe dei nuovi pensatori liberi, dal momento che Federico Nietzsche, capo riconosciuto di questi homines navi, ha passato gli ultimi anni della sua vita nelle tenebre della pazzia. Nietzsche è dunque l'uo mo piu discusso dei giorni nostri. L'uomo, ho detto, perché in questo caso è l'uomo appunto che può spiegarci il grande enigma.

II.

Ci permetta !'on . Treves di aggiungere qualche cosa a quanto egli disse, e cominciamo dallo Stato. Per Stirner, per Nietzsche e per tutti coloro che Tiirck nel suo Der geniale Mensch chiama gli "Antisofi dell'egoismo", lo Stato è l'oppressione organizzata ai danni dell'individuo . Ma come è sorto lo Stato? Forse in seguito a un Contratto Sociale come Rousseau e i suoi illusi seguaci pretendevano? No. Nietzsche nella sua Zur Genealogie der Mora/ (pp . 71 seg.) ci descrive la genes i dello Stato.

È un branco di biondi animali da preda - è una razza di signori e di conquistatori che si getta sulle popolazioni limitrofe, disorganizzate , deboli, nomadi. È una violenza compiu ta da uomini che - nella e per la loro organizzazione guerresca, non hanno il concetto di riguardo al prossimo, di responsabilità, di colpa. Il loro egoismo di forti non ammette limitazioni. Essi sentono la pienezza della loro vita e la tensione delle loro energie sol quando possano stritolare un altro essere umano, Lungi dal comprimerlo essi danno libero sfogo al loro primordiale istinto di crudeltà. La loro divisa è la parola d'ordine dell'orientale setta degli assassini. Nulla esiste, tutto è permesso. E aggiungono: veder soffrire fa bene, far soffrire fa meglio.

Tuttavia, un principio di solidarietà governa le relazioni di questi biondi animali da preda. Anche i conquistatori obbediscono alle disposizioni che la collettività prende per salvaguardare gli intere ssi supremi della casta e questa può dirsi una prima limitazione della

100 Scritti politici di Benito
Mussolini

volontà individuale. Non solo i guerrieri si "costringono" a una rigida disciplina - manifestazione e prova cli una preesistente so lidarietà d'interessi, ma sono forzati a risparmiare e a proteggere gl i schiavi che producono i materia li mezzi di vita. Non basta creare delle nuove tavole di valori morali, bisogna anche umilmente produrre il pane . L'unico non può dunque mai essere "unico" nel senso stirneriano della parola, ché la fatale leg ge della solidarietà lo piega e lo vince. L'istinto di socievolezza è, secondo Darwin, inerente alla natura stessa dell'uomo. Non si concepisce un individuo che possa vivere avulso dall'infinita catena degli esseri. Nietzsche sentiva la "fatalità " di questa che potrebbe dirsi legge della solidarietà universale e per u scire dalla contraddizione, il superuomo Nietzschiano - l'eroe Nietzschiano, il guerriero saggio e implacabile - costretto a risparmiarsi all'interno - sca tena la sua volontà di potenza all'esterno e la tragica grandezza delle sue imprese fornisce ai poeti - per qualche tempo ancora - materia degna di conto.

Ma con la guerra e la conquista esterna, si allarga il cerchio della solidarietà positiva fra i dominatori, negativa verso i dominati. Nietzsche è nuovamente afferrato dalla contraddizione: o il superuomo è "unico" e non obbedisce a leggi - o ammette delle limitazioni al suo arbi trio individuale e allora rientra nella mandra. Davanti a questo dilemma Nietzsche immagina che la socie tà ro vi ni e crepiti come un gigantesco fuoco d'artificio. Nell'orgia della palingenesi finale l'unico osa finalmente di essere '1 unico" contro tutto e contro rutti! A questo punto della storia (Al di là del Bene e del Male, pp. 236 segg ., edizione tedesca) si rallenta l a formidabile tensione. D'un colpo la costrizione della vecchia disciplina si spezza: se volesse sussistere non lo potrebbe che sotto forma di lu sso, di gusto arcaico. La variazione, sia come tra sformazione in qualche cosa di pili alto, di piU fino, di pili raro - sia come degenerazione e mostruosità è d'improvviso sulla scena in tutta la sua pienezza e il suo splendore : l'unico osa di essere unico e di appartarsi dal resto. È il momento storico in cui si mostrano vicini l'uno all'altro e talvolta l'un coll'altro superposti e ingrovigliati sforzi multipli e superbi di elevazione e di crescenza. Una specie di "tempo" tropicale e una meravigliosa corsa alla caduta e all 'abisso grazie agli egoismi rivolti selvaggiamente gli uni contro gli altri esplodenti nello stesso tempo , egoismi che lottano insieme per il sole e la luce e non sanno ormai piU trovare né limite , né freno, né moderazione nella morale fino allora re gnante. Fu questa stessa morale che ha accumulato la forza sino all'enormit à, che ha teso l'arco in modo sf minaccioso; ora essa è superata, sarà vissuta. Si è raggiunto lo stadio pericoloso e critico in cui Ja vita piu grande esorbita dai confini della vecchia morale. L'individuo è là: forzato a darsi una propria legge - l'arte e la sagacia

Il mito della rivoluzione (1908-1914) 101

della propria elevazione, conservazione, liberazione. PiU nessuna formula generale - la caduta, la corruzione e i piu alti desideri orribilmente intrecciati - il genio della razza st raripante da tutte l e coppe del bene e del male - una simultaneità fatale della primavera e dell'autunno piena di nuove attrazioni e di misteri che sono proprii della corruzione giovane non ancora sazia e spossata. Di nuovo sorge il pericolo - il padre della morale - il grande pericoloquesta volta trasportato nell'individuo, nel prossimo, nell'amico, nella strada, nel proprio figlio, nel proprio cuore, in tutto ciò che v'è di piu personale e di piu segreto in quanto a desideri e volontà. I filosofi moralisti che sorgeranno in quel tempo che cosa avranno da predicare? Questi acuti osservatori scoprir anno che tutto è ben presto finito - che tutto intorno a loro perisce e fa perire, corrompe e fa corrompere - che nulla dura sino posdomani , eccetto una specie di uomini "irrimediabilmente mediocri". Solo i mediocri hanno la prospettiva di continuarsi, di transvegetare - essi sono gli uomini dell'avvenire, gli unici superstiti : Siate come loro! Diventate mediocri! grida ormai la sola morale che ha ancora senso, che trova ancora auditori. Ma è difficile da predicare la "morale della mediocrità", essa non può giammai confessare chi è e che cosa vuole.

È dunque in una specie di caos, in una gigantesca Cariddi che sprofonda l'organizza zione sta tale della casta aristocratica. E questo epilogo è determinato dal fatto che quando l'uomo non può piu calpestare , sacrificare, annientare il proprio simile - volge le armi contro se stesso e trova nella sua volontaria eliminazione dalla scena de l mondo l 'abisso e la cima del proprio ideale, oppure diventa mediocre , cioè filantropo, umanitario, altruista ... È allora che la tavola dei valori morali s"' inverte" e sorgono gli ideali ascetici delle reli· g ioni buddista e cristiana . La morale degli sch iavi finisce per avvelenare la gioia del tramonto all e vecchie caste - e i deboli trionfano sui forti e i pallidi giudei sfasciano Roma. - Ciò che era buono diventa cattivo . I deboli, i vinti , gli affiitti, i diseredati, gli avariati fisicamente e psicologicamente hanno una buona volta il cora ggio di proclamare la superiori tà della loro debolezza, della loro miser ia, della loro viltà! Lieti della loro ignominia terrestre che gli farà bene accetti nel regno de ' cieli, gli schiavi traggono dopo secoli di servaggio la loro grande vendetta. E i forti ruinano. Ma perché questa ruina è possibile?

Come avviene che gli uomini "duri" di Federico Nietzsche - gli uomini che sanno vivere al di là del bene e del male - gli uomini dalla vigilante tenacia, dall'impassibile crudeltà - dall'anima abituata alle grand i altezze del pensiero e alle diuturne difficoltà dell'azione, come avviene che possano ruinare davanti a una sollevazione di schiavi? L'inversione dei valori morali compiuta dagli schia-

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politici di Benito Mussolini

vi, come può togliere le ragioni di vita ai signori? Sono o non sono, i signori, al disopra di qualunque morale?

III.

L'inversione dei valori morali è stata l'opera capitale del popolo ebreo. I palestinici hanno vinto i loro secolari nemici rovesciandone le tavole dei valori morali . È stato un atto di vendetta spirituale conforme al temperamento sacerdotale del popolo ebreo . Treves ricordò questa colpa - se cosi può dirsi, che Nietzsche getta sulla nazione errante e melanconica - ma dimenticò di far risaltare che nel pensiero Nietzschiano è precisamente Gesti di Nazareth lo strumento, forse inconscio, della vendetta spirituale della sua razza e della conseguente inversione dei valori morali. Altrove Nietzsche ci parla di un Gesll assetato d'amore - dell'amore degli uominid i un Gesu che subisce l'onta estrema del Calvario per dare una prova immortale del suo amore per il genere umano. È il Gesu di Pietro Nahor - uno Jesus, squisito temperamento visionario - iniziato da Kuwcamithra asceta indiano - ai misteri e alle dottrine della religione d'oriente - Jesus - dotato di una straordinaria energia nervosa per cui facile gli riesce suggestionare la folla degli umili che a lui convengono sulle rive del Giordano; Jesus che s'av via al sacrificio - serenamente e umanamente - nella certezza intima che cosl vuole l'Eterna Saggezza. Ma in questo Redentore si personifica - secondo Nietzsche - la spirituale v endetta degli schiavi. Ed ecco come si esprime l ' autore di Zarathustra a pagina 14 della sua Zur Genealogie der Mora/ (Ed. tedesca).

Questo Gesll di Nazareth, quale incarnato evangeiio dell'Amore , questo Redentore arrecante ai poveri, agli ammalati, ai peccatori la beatitudine e il trionfo , non è il traviamento nella sua forma pill sospetta e irresis t ibile conducente all'ebraico rinnovamento dell'Ideale? Israele stesso non ha fors e, col giro vizioso di questo Redentore, di questo apparente avversario e dissolvitore d'I sraele, raggiunto l'ultimo scopo della sua sublime vendetta? E non appartiene forse a una segreta, tenebrosa arte di una veramente grande politica della vendetta, di una vendetta prelungoveggente, precalcolatrice e sotterranea, che Israele stesso abbia inchiodato alla croce e calunniato innanzi al mondo qual nemico mortale l'unico strumento della propria vendetta, affinché tutto il mondo, cioè tutti gli avversari d'Israele, potessero senza esitazione mordere a quell'esca?

E dell'esca cristiana, molti si cibarono. Lo prova una storia ormai due volte millenaria.

11 popolo ha trionfato, cioè gli schiavi, cioè 1a plebe, cioè il gregge o come vi piacerà chiamarlo e se ciò è avvenuto per opera degli Ebrei - ebben e, può

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dirsi che nessun popolo al mondo ebbe una missione storica cosf universale! I "signori" sono liquidati: la morale dell'"uomo comune" ha trionfato. La liberazione del genere umano è a buon punto - tutto si giudaizza, cristianizza, plebeizza e questo processo dell'avvelenamento attraverso il corpo dell'Umanità sembra irresistibile (op. cit ., p. 15) .

Colla caduta di Roma, scompare una società di dominatori - l'unica forse - da che gli uomini lasciarono ai posteri memoria degli avvenimenti che si svolsero sulla superficie del nostro pianeta. E Roma senti nell'Ebreo qualche cosa come la contro-natura stessa, come il suo antitetico mostro (op. cit., p. 34) . Ma chi riportò le palme della vittoria in questa lotta suprema? Roma o Giuda?

Per saperlo - aggiunge tristemente Nietzsche - basta guardare davanti a chi come alla sintesi d ei piU alti valori ci s'inchina oggi in Roma, e non solo in Roma, ma dovunque l'uomo è addomesticato o vuol diventarlo - davanti a tre ebrei e a un'ebrea: GesU di Nazareth, il pescatore Pietro, il fabbricante cli tappeti Paolo e Maria , la madre di Gesll.

Nietzsche è ancora e sempre decisamente anticristiano. Altrove ha proclamato il cristianesimo l'immortale stigmata d'obbrobrio dell'umanità. Nel libro Cosi parlò Zarathustra (Ed. Bocca, Torino) troviamo questi versi che a qualcuno sembreranno strani e che ci piace ad ogni modo di riportare:

Nel primo anno, cred'io, di grazia, un di La Sibilla ebbra, e non di vin , cosi Parlò « le cose volgon molto male Mai cadde il m ondo in basso in guisa tale! " Iddio si fece ebreo, imbestiò Cesare, e Roma putta diventò.

Per comprendere questo feroce anticristianismo Nietzschiano, dobbiamo esaminare alcun poco il « mondo interno" di Nietzsche . Egli era profondamente antitedesco . Negli ultimi tempi immaginò un albero genealo gico della sua famiglia in cui gli antenati erano nobili polacchi - Nietzschy - da cui il vordeutscht Nietzsche. La gravità teutonica e il mercantilismo inglese erano ugualmente indigesti all'autore di Zarathustra. Forse il suo Anticristo è l'ultimo portato di una violenta reazione contro la Germania feudale, pedante, cristiana. In faccia al popolo che beve colla stessa avidità insaziata e la birra e la Bibbia - in faccia ai lattiginosi teologi del Nord - Nietzsche proclama la bancarotta divina e scioglie un inno per chi sarà cosf "uomo" da diventare "l'assassino di Dio". Già prima di lui, un altro genio egualmente antitedesco, consigliava gli uomini di lasciare

104 Scritti politici di Benito Mussolini

Il paradiso agli angeli e ai passeri e di amare la terra che deve dare 11 tutti i figli suoi e rose e mirti e bellezza e piaceri e p iselli, piselli dolci non appena si sgranano i gusci. 1

Ma un'altra ragione b en piu profonda inspirava a Nietzsche la sua a,n pagna anticristiana. Col cristianesimo è la morale della rinuncia · della rassegnazione che trionfa. Al diritto del piu forte - base gra nitica della civiltà romana - succede l'amore del prossimo e la pietà . Dal giorno in cui Massenzio vide le sue legioni sgominate sulle rive del Tevere e Costantino trionfante; dal giorno in cui sui labari di guerra fiammeggiò la croce - i vecchi iddii abbandonarono i loro templi, un soffio di morte spense la giocondità dell'olimpo pagano, e il Nazzareno dalle ro sse chiome ascese il Campidoglio. Quando Giuliano l' apostata volle tentare un ritorno all'ellenismo, era ormai troppo tardi. E per 20 secoli la follia cristiana ha imperversato. Non piu il riso, la gaiezza del vivere, la serenità del morire, l a lotta, la conquista; ma lunghe teorie di peccatori dai nervi sfiniti, dalle anime nngosciate , dai corpi lacerati attraverso il cilicio, la penitenza, la nugellazione - uomini che alla vita non chiedevano se non la pre1 , arazione per il pauroso e misterioso al di là. L'amore del prossimo m dato venti secoli di guerre, i terrori dell'inquisizione, le :fiamme dei roghi e soprattutto - non dimenticatelo! - l 'europeo moderno, questo mostriciattolo gonfio della propria irrimediabile mediocrità, dall'anima incapace di "fortemente volere", non abbastanza reai ionario per difendere il passato feudale, non abbastanza ribelle per giungere alle estreme conseguenze della rivoluzione, piccino in ogni s uo atto e superbo del sistema rap presentativo che chiama la grande conquista del secolo, dal momento che permette una vasta poli1.i ca a base di clientele elettorali e l'appagamento delle inconfessabili va nità.

L'e uropeo moderno colla sua coscienza inquieta e torbida - ecco il ri sultato di venti secoli di cristianesimo. Le teorie egual.itarie degli ultimi filosofastri della felicità umana ecco le nozioni che si svolgono anco ra nell'orbita della vecchia ideologia dei nazzareni.

Dovunque oggi si predica la pietà, l'amore del prossimo, la compassione - lo ll pi rito libero troverà degli illusi e dei deboli. Solo chi patisce può compatire. Ahimè! le peggiori follie non furono forse sempre quelle dei pietosi? E che sa ha recato tanto danno al mondo quanto le pazzie dei pietosi? Guai a coloro che amano e non sanno elevarsi oltre la loro compassione. Una volta il demonio mi disse: "Anche Dio ha il suo inferno che è il suo amore per gli uomini" . E di recente lo intesi soggiungere queste parole: "Dio è morto per lrt su a compassione verso gli uomini". (Cosi parlò Zarathustra.)

Il mito della rivoluzione (1908·1914) 105
1 ARRIGO HE.INE, Deutsch/and, Kaput 2.

Affrancarsi dal cristianesimo, significa affrancarsi dalla pietà - dal concetto della lacrimarum valle, e ritornare alla gioia della vita.

O fratelli miei voi avete troppo scarsamente goduto; ecco il vostro peccato originale! Ma il grande meriggio della redenzione non è lontano: esso risplenderà quando l'uomo si troverà nel mezzo del suo cammino fra il bruto e ·il superuomo e celebrerà il suo tramonto quale la sua maggiore speranza; giacché questo tramonto sarà l'annuncio di una nuova aurora. Il perituro benedirà allora [se] stesso, lieto di essere uno che passa oltre; il sole della sua conoscenza splenderà di luce meridiana: Morti son tutti gli Dei; ora vogliamo che il superuomo viva!

IV.

Il "superuomo" ecco la grande creazione Nietzschiana. Qual impulso segreto, quale interna rivolta hanno suggerito al solitario professore cli lingue antiche dell'università di Basilea questa superba nozione?

Forse il tedium vitae ... della nostra vita. Della vita quale si svolge nelle odierne società civili dove l'irrimediabile mediocrità trionfa a danno della pianta-uomo.

E Nietzsche suona la eliana di un prossimo ritorno all'ideale. Ma a un ideale diverso fondamentalmente da quelli in cui banno creduto le generazioni passate. Per comprenderlo, verrà una nuova specie di "liberi spiriti" fortificati nella guerra, nella solitudine, nel grande pericolo, spiriti che conosceranno il vento, i ghiacci, le nevi delle alte montagne e sapranno misurare con occhio sereno tutta la profondità degli abissi - spiriti dotati di un genere cli sublime perversitàspiriti che ci libereranno dall'amore del prossimo, dalla volontà del nulla ridonando alla terra il suo scopo e agli uomini le loro speranze - spiriti nuovi, liberi, molto liberi che trionferanno su Dio e sul Nulla!

Ma di questi "liberatori" non v'è pur anca traccia nel seno delle no~tre società. Anche quelli che si credono liberi da ogni "ideale ascetico" come gli atei, gli anticristiani, gli immoralisti, i nichilisti, sono per Nietzsche gli "ultimi idealisti" della conoscenza. Essi non sono "spiriti liberi" perché credono ancora nella verità e la verità li riporta a Dio.

Chiedete - esclama Nietzsche - ciò che serve ad una maggiore espansione della vita, prima cli dichiarare la verità cosa divina e la menzogna arte diabolica. Nulla è vero, tutto è permesso! Questa sarà la divisa della nuova generazione. L'apoteosi dell'egoismo - ecco l'opera cui dedicheranno ogni energia gli "spiriti molto liberi" di Federico Nietzsche. E sotto ai loro martellamenti furiosi è probabile che qualche anima si foggi secondo le norme della nuova dottrina.

106 Scritti politici di Benito Mussolini

Il superuomo sarà. Ne troviamo una descrizione a p. 179 di Cosi parlò Zarathustra.

11 superuomo spu ta in volto a ogni us anza servile. Esso chiama cattivo tutto ciò che è curvo e basso: gli occhi che ammiccano paurosi, i cuori oppressi e quel contegno falso e arrendevole, che bacia colle labbra larghe e codarde. E di falsa saggezza esso dà nome a tutto ciò che i servi e i vecchi e gli stanchi stillano faticosamente dai loro cervelli e spec ialmente a tutta la follia religiosa, malvagia, insolente, oltre ogni limite astuta. Ma i falsi savi, i preti tutti, gli stanchi della vita, e coloro che hanno anime di femmine o di servi, quanto male hanno sempre recato all 'egoismo !... Ma a chi proclama perfettamente santo l'io e beato l'egoismo, un profeta invero cosi insegna: "Ecco viene, ecco è ptOS· simo il grande meriggio! "

[ ... ] E il grande meriggio verrà quando l 'uomo avrà fatto gettito di tutti gli scrupoli metafisici e asce tici e si sarà spogliato di ogni abito servile. Il super-uomo nietzschiano non è forse una delle tante manifestazioni d'anticristianesimo cosi frequenti da formare quasi il substrato di questa che Treves ha chiamato "Filosofia della forza"?

Il Cristianesimo ha detto: Beati i poveri, i buoni, i giusti, i soffe. tenti . Nietzsche grida: Maledetti i buoni, maledetti siano i giusti!

Il superuomo! ecco ciò che mi sta a cuore: Questo è il mio pensiero - non l'uomo, non il prossimo, non il piU povero, non il piU soffe rente, non il piu buono. Il cristianesimo ha detto : Mortificatevi! Nietzsche: Godete! La morale cristiana insegna a "rinunciare";

il superuomo nietzschiano v uole invece "conqu ista re". Il verbo di Gesu reca tristizia e, per usare un'espress ione del poeta di Odi barbare - cruccia gli uomini e contamina l'aria - Nietzsche per contro vuole apprendere agli uomini la gioia , l'arte del ridere, l'arte della danza con piede leggero al suono dei violini e vuole che il ridere degli uomini sia dionisiaco e li faccia partecipi della natura degli dei. La piU grande virtll del cristiano è la "rassegnazione". Il superuomo non conosce che la rivolta. Tutto ciò che esiste dev'essere abolito! Infine v'è nella predicazione evangelica un concetto che doveva ripugnare a Nietzsche. La parusia, cioè la fine del mondo. Cris to non parlava forse a dei contemporanei riservati ad una fine miracolosa e prossima? Non precisava l'ora, ma avvertiva i discepoli suoi con queste parole: Ten etevi pronti! A che giovava dunque cost ruire qualche cosa sulla terra? Tutto passa. O uomini preparatevi a una buona morte ond'essere degni della destra di Dio.

Quando questa nozione deprimente diviene legge morale - la vita s i converte in una "vegetazione" . Ogni stimolo cessa - l'aculeo angoscioso ma salutare della ricerca si spezza. L'uomo si esercita al mimetismo dei vili che si fingono morti per lasciare ad altri la tragedia del pericolo. Ed ogni nuova conquista è un pericolo e una tra-

li mito della rivoluzione (1908-1914) 107

gedia! Nel cristianesimo il superuomo è impossibile. Come potrebbe il cristiano superare se stesso, senza abbattere il suo Dio? Poiché, come poeticamente Nietzsche si esprime, l'uomo è cosa che d ev'essere oltrepassata ... l'uom o è un ponte, non una meta.. egli deve chiamar se stesso beato per il suo meriggio e per la sua sera onde gli è segnato il cammino a nuove aurore . .. comporre in armoniosa unità ciò che nell 'uomo è frammento e mistero e terribile caso ... Redimere il passato nell 'uomo è creare nuovamente tutto ciò che fu, sino a tanto che la volontà possa dire "Ma cosi io volli! Cosi io vorrò!" (Cosi parlò Zarathustra) .

Questa volontà di potenza che si esplica nella creazione di nuovi valori morali o artistici o sociali - dà uno scopo alla vita. Qui Nietzsche fraternizza spiritualmente con Guyau. L'autore dell'Irr éligion de l1avenir ha lasciato questa massima profonda. "La vie ne peut se maintenir qu'à la condition de se répandre. Vivre ce n'est pas calculer - c'est agir". E Nie tzsche: Creare! ecco la grande redenzione dai dolori e il conforto della vita.

Il cristianesimo grida: siate buoni! Amatevi come fratelli! Proteggete i deboli, rialzate i caduti, consolate i dolenti! ...

Nietzsche insegna: A ciò che sta per cadere bisogna dare un urto .

Colui al quale non potete insegnare di volare, spingetelo perché cada piti presto. O uomini siate duri!

V.

Ma il superuomo - questo essere che "supererà" l'uomo come l'uomo ha "superato" la scimmia - dovrà combattere contro due nemici: La Plebe e Dio.

Contro quest'ultimo la lotta non sarà pericolosa. Dio non è forse morto? E se non è morto è senza dubbio condannato all'impotenza.

A pagina 171 di Cosi parlò Zarathustra Nietzsche ci racconta allegramente la morte degli dei:

La loro fine non fu un lento crepuscolo: il dir questo è menzogna! Morirono essi un bel giorno per il troppo ridere. E ciò avvenne il di che un iddio pronunciò la pill atea delle parole: questa: Esiste un solo Dio e tu non avrai altro Dio avanti di me! Un vecchio nume barbuto, arcigno, invidioso poté obliarsi a tal segno! E tutti gli dei scoppiarono allora dalle risa sui loro troni esclamando: "Non consiste forse in ciò la divinità - che vi sono gli dei, ma nessun Dio?"

La plebe offrirà ostacoli maggiori allo sviluppo del superuomo. La plebe sufficiente [sic] cristianizzata e umanitaria, non comprenderà

108 Scritti politici di Benito Mussolini

mai ch e possa essere n ecessario un maggior grado di malva gità perché prosperi il superuomo .

L1 plebe colla sua lunga teoria delle piccole virtU, non sa ciò che sia grande e diritto e schie tto - la plebe che senza sua colpa è sempre storpia, semp re menzognera.

Tuttavia il superuomo trionfe rà sulla plebe e su Dio. Egli imporrà a tutti l a sua "volontà leonina". VI.

Per l'on. Treves il superuomo è una specie di figurazione si mbolica dell'adole scen za. Fra il superuomo e il fanciullo v'è identità psicologica. Que st a interpretazione mi sembra troppo assoluta. Non è possibile di st abil ire l 'equazione superuomo-fanciullo senza deform ar e da una par te la realtà dell e cose e d all'altra le con seguenze di una dot trina. La quale non è come Treves afferma : "un superbo esempio di arresto di sviluppo intell ettuale". Nietzsche era un poeta e Ja sua opera è il poema eroico della sua vita. Né vi manca la catas trofe ... Il superuomo è un sim bolo , è l'esponen t e di questo periodo angoscioso e tragico di cri si che attraversa la co scienza europea ne ll a ricerca di nuove fonti d i piacere, di bellezza, d'id ea le . È la co nstatazione della nostra debo lezza, ma nel cont empo la speranza della nostra redenzione. È il tram o nto - è l 'aurora È sopratlutto un inno alla vita - all a vita vissu ta con tutt e le energie in una tensione continua verso qualche cosa di piU alto, di piU fino, di piU tentatore . ..

O fratelli, sono mille i sentieri che nessuno ancora ha calcati. Mille i porti e le iso le nascoste della vita. In esaus ti e inesplorat i sono ancor sempre l'uomo e la te rra umana!

Da oltre un mese ho rice vuto questo nuovissimo libro d i Giuseppe P rezzolini e solo oggi ne scr ivo. Il ritardo è dovuto alla mia in ge-

Il mito delta rivoluzione (1 908-1914) 109
4 . La teoria sindacalista' •
I.
1 G1uSEP P E PREZZOLJNI, La teoria sindacalista, Edi 1ore Francesco Pcrrella , Napo li . " Da " Il Popolo", n, 2713 , 27 maggior 1909, X.

nuità. Ho aspettato la fine dell'agitazione postelegrafica e operaia di Francia. V'è stato un momento in cui, secondo i giornali, la "tempesta rivoluzionaria" minacciava di travolgere non solo la repubblica, ma la società. Hervé parlava d'insurrezione, Pataud di ri· voluzione sociale. Gli oratori sindacalisti celebravano la rovina del parlamentarismo, come una prima tappa verso l'espropriazione della borghesia . La tempesta è finita in un naufragio. Miserevole e pietoso naufragio senza eroismi di marinai. Naufragio da operetta, da pochade anzi. I postelegrafici sono tornati ad affondare nelle loro sedie di cuoio; lo sciopero generale non ha avuto seguito alcuno fra la massa operaia di Parigi; la Waterloo della Confederazione del Lavoro ci darà l'immancabile appendice di questioni personali e lo scaricabarile delle responsabilità: Clemenceau, il parlamento, e la borghesia trionfano.

L'alba di cui ci parla Marx, alba in cui canterà il gallo rosso della rivoluzione sociale non è per anca spuntata nel cielo di Francia. I sindacalisti di Parigi hanno troppo facilmente creduto nelle virtu rivoluzionarie dei ronds de cuir. Gli impiegati sono sempre impiegati. Q1ualche volta accade come la realtà supera la teoria, cosi l'avvenimento rende inutile il libro . Se dal movimento sindacalista di Parigi fosse risultato una profonda trasformazione, allora sarebbe stato forse superfluo parlare di teoriche sindacaliste.

L'epilogo disgraziato dello sciopero dimostra invece che il sindacalismo non è penetrato nell'anima proletaria. Il sindacalismo non è di ieri o di oggi: sarà di domani.

II.

Il libro del Prezzolini è uno dei migliori della recente letteratura sindacalista italiana. L'Autore non è sindacalista. Egli ha semplicemente esposto tutto quanto concerne il sindacalismo - ci ha dato insomma una quasi completa figurazione dell'ideologia sindacalista. Il libro è impersonale, eccettuato in tre punti : nella prefazione e nei saggi su Bergson e Sorel. Il grosso del volume non è di Prezzolini, ma come egli stesso dichiara , è "preso da testi autentici, dato nella sua espressione pil.l rigida e disposto nell'ordine piU logico".

Per dare il giusto valore dell'opera di Prezzolini domandiamoci : La teoria sindacalis ta, quale dal Prezzolini ci vien tratteggiata, è veramente la teoria sindacalista , o non piuttosto una caricatura, una deformazione del sindacalismo? In altri termini : i sindacalisti ritrovano o no, nel libro di Prezzolini, una fedele esposizione delle loro idee? Io, sindacalista ormai da cinque anni, rispondo affermativamente. Il libro di Prezzolini è una chiara sintesi di tutto quanto

110 Scritti politici di Benito Mussolini

sul sind acali smo è stato scritto e detto in questo scorcio di seco lo, non solo in Italia, ma in Francia.

Coloro che di sindacalismo hanno in teso vagame nte parlare, i compagn i che del sindacali smo hanno let to so lo gli ar ticoli dei fogli se ttimanali, gli studiosi che s'interessano della questione sociale e dei mo vimenti sociali, faranno b ene a comperare il volume del Prezzolini .

E con questo consiglio, potrei far punto, se, per la mala abitudine inval sa nel giornalismo , recen sione non significasse ormai abrégé int roduttivo del libro di cui si parla.

Che cosa è il si ndacalismo? E prima di tutto in che rapporto stanno sindacalismo e socialismo? Il si ndacali smo sta al socialismo come il figlio sta al padre. Senza un periodo superato di socialismo, non è comprensibil e il sind acalismo . Quale la differe nza? Il socialismo è un problema "u mano,, , il sindacalismo è un problema es clusiv ame nte "proletario ". Il socialismo intende attuare la sua realtà storica attraverso la progressiva d emocratizzazione dello Stato , il sind acalismo è antistatale e vuole giungere all'emancipazione della cla sse operaia attraverso il sindacato di me stiere, divenuto organo specifico di educazione, di dife sa, di conquista - organo specifico del proletariato. Per impiega re la terminologia volfliana, i socialisti credono al pas saggio per "via ideolog ica 1 \ i sindacalisti p er "via economica". I primi sono quindi parlamentaristi, gli ultimi antip arlamentari o as tensionisti. I socialisti ten dono a una leg islaz ione sociale che miti ghi l'asprezza del dualismo capitalistico-proleta rio, i si ndacalisti danno scarsa o ness una imp or tan za alla legi slaz ione sociale q uando non sia conquistat a coll'a zione diretta. L'etica sociali sta si muo ve in gran parte nell'orbita cristiana, evangelica anzi (amore dei poveri, redenzione degli oppressi ) con un 'aggiun ta di utilitarismo positivista; la morale sindacali sta, quale almeno vien disegnandosi, tende alla creazione di nuovi caratteri, di nuovi valori , di homines novi. II socialismo per amore del determinismo economico, aveva sottoposto l'uomo a delle leggi imperscrutabili che si possono malamente conoscere e si debbono subire ; il sindacalismo ripone nella storia la volontà fatti va dell 'uomo determin ato e dete rmi nan te a sua volta, dell ' uomo che può la scia re l'impronta della sua for za modificatrice su lle cose o sulle i stituzion i che lo circondano, dell'u omo che (( può volere" in una direz ion e data: il sindacali smo non rifiut a la " necessità economica" ma vi aggiunge la "coscienza etica". Cosi "come i sindacalisti o leghe di resistenza rappr esentano soprattutto nel loro co nfederarsi in Camere di La voro l'organismo piu alto creato dalla cla sse operai a, cosi l a teoria sindacali sta, nutrita dall'osser vazione di ciò che avviene nel seno dei sindacati , rappresenta il momento pill nito della coscienza teorica socialista" (op. cit., p . 52).

Il mito della rivoluzion e (1908,1914) Ili

Le cause psicologiche determinatrici di questo "momento" piU alto sono desiderio "di chiarezza, di logica, di realtà", un odio degli abbracciamenti teneri, delle riconciliazioni umanitarie, delle confusioni indebolitrici. Lungi dall'attenuare l'antitesi di classe, il sindacalismo vuole acuirla, estenderla, renderla insanabile. Esso rifiuta tutti i compromessi elettoralistici della frazione riformistica e non prende sul serio la filantropia dei capitalisti. Rinuncia ai piccoli vantaggi, alle b riciole che cadono dalla tavola dell 'Epulone borghese.

Perché un centesimo di piU all'ora, se deve significare soggezione piti lunga?

Perché maturare nelle casse sociali gli interes si, a mo' dei borghesi, se questo deve dare un attaccamento meschino al comodo momentaneo e legare di piU, colla zavorra dell'avarizia, il proletariato alla terra dell'asservimento? Meglio una coscienza nuova, che un taschino piU gonfio, una volontà pili tesa , che un'assicurazione contro la vecchiaia (p . 58).

Il sindacalismo, che ha per oggetto la formazione di un nuovo carattere, si diversifica dal socialismo tradizionalistico nella tattica. Nel ~oc ialismo tradizionalistico è il "partito" (accolta di intellettuali politicanti e incompetenti) che si prende il delicato incarico di realizzare il socialismo per conto degli operai, magari attraverso l a metà piu uno di un voto parlamentare; nel sindacalismo gli intellettuali, i professionnels de la pensée, gli ideologici non trovano posto. Il sindacato quale embrione della nuova società di produttori, non tollera parassiti nel suo seno. Il partito è possibilista; il sindacato è rivoluz ionario: il primo riforma per con serva re, l'ultimo "combatte costruendo "; il partito giunge alla "collabora zione . di classe e governamentale ", il sindacalismo tende a "dissolvere le forze dello Stato " e a trasferire nelle organizzazioni proletarie tutto quanto possono portare d'amministra zione pubblica; il partito dà una importanza esagerata alle lotte elettorali e al cittadino votante che affida a un altro l'incarico di difenderlo e di rappresentarlo; il sindacali.smo dichiara l'eguaglianza politica una parola vuota di significato per chi soffre della disuguaglianza economica. Il sind acalismo considera proletariato e borghesia come due eserciti nem ici che si preparano al grande urto: l 'az ione diretta è la tattica della nuova guerra, lo sciopero generale ne è la principale battaglia (p. 129). Lo sciopero generale nella teoria sindacalista è il momento mistico della totale liberazione degli uomini e dell 'ascesa della nuova dasse al suo posto per l'esplicazione completa della sua missione . È sciopero etico, piuttosto che economico, anche se l'economia ne è il pretesto (p. 131). Facendo assegnamento esclusivo sulle forze p roprie della classe operaia, lo sciopero generale è fra tutti i modi dell 'azio ne diretta, il piu semplice e il piu perfetto. Se il socialismo consiste nella nozione di classe e della lotta di classe, deve

112 Scritti politici di Benito Mussolini

approvare eminentemente quello che di questa lotta è capace di dare in grado altissimo la coscienza esatta. Lo sciopero generale si dimostra allora, non soltanto uno strumento efficace, che in un dato momento, per ora imprevedibile, potrà segnare l'arrivo della classe proletaria alla completa capacità di gestione sociale, ma anche come un modo di educazione per preparare il momento culminante sulla lotta: avrà per scopo l a conquista dei mezzi di produzione , l'eliminazione della borghesia come classe dalla scena della storia. I tentativi fatti finora non sono riusciti appunto perché tentativi , ma l'idea dello sciopero generale va conquistando la massa, cbe si allontana sempre pill dalla politica parlamentare e dai ciarlat ani della scheda.

III.

Come bo detto, nel volu me del Pre zzolini vi sono due saggi su Bergson e Sorel. Non mi sembra grande l ' influenza del Bergson nel formarsi delle teoriche sindacaliste, mentre invece Sorel è veramentt:. notre nzaitre e non v'è sindaca li sta un po' colto che non conosca l'e x ingénieur des ponts et chaussées che dopo aver "costruito" con pietre, si è dato a costruire con "parole u Esatta è la definizione che Prezzolini dà di Sorel : Giorgio Sorel appartiene agli "eccitatori", agli "svegliatoti", ai "rivelatori", agli uomini che non lasciano "sistemi" ai posteri, ma affacciano "problem i " davanti ai contemporanei. Il suo "sindacalismo" è sorto da un'interpretaziooc pila felice del marxismo - chiamato dal Sorel " un a dottrina di vit a, buona per i popoli forti, una dottrina che riduce l'ideologia al solo artificio per l'esposizione abbreviata alla realtà [s ic ]; essa stima cbe i progressi economici sono la condizione necessaria per la generazione di una nuova società; essa insegna agli uomini a voler conquistare i diritti dei quali possono sopportare il carico". Per Sorel l'o pera di Marx è "opera di consiglio e non di teoria, di pratica, non di scienza" . Non seguirò Prezzolini nella sua acuta analisi degli atteggiamenti spirituali di Giorgio Sorel; non farei che guastare. Mi soffermerò invece sulla "nozione II di violenza che Sorel ha riposto in circolazione

Io ho della violenza una nozione semplicista, ingenua, primitiva, tradizionale, se volete. Per me la violenza è una manifestazione fisica, materiale, muscolare. Le idee finché rimangono nei cervelli o negli scaffali delle biblioteche sono perfettamente innocue. Diventano per icolose solo quando vi siano degli uomini che mirano a tradurle in atto, a convertire l'ideale in realtà. L'urto fra opposte concezioni dell a vita, non è mai idilliaco come una di scussione accademica. Una classe che ha il dominio del mondo, non se ne va dietro un

Il mito della rivoluzione (1908·1914) JJ}

semplice ordine di licenziamento, accompagnato magari da un benservito. Si difende o si fa difendere. La borghesia non solo si fa difendere oggi, ma si prepara a una "res istenza personale". Le fabbriche dovranno essere espugnate come le fortezze. Espropriazione significherà anche "eliminazione" dei difensori del vecchio regime. Il proletariato non è giacobino ed è probabile che al suo trionfo non seguirà un periodo di persecuzioni e di terrore rosso; il proletariato non è però ingenuo e sa che si vincono gli avversari riducendoli all'impotenza. La Rivoluzione Sociale avrà dunque un periodo di violenze , un periodo eroico, insurrezionale. Bisogna preparare gli anim i. Gli assalitori della Bastiglia non erano armati di... chitarra e non recitarono una preghiera e non cantarono un re/rain commovente davanti ai difensori della vecchia prigione di Stato: massacrarono le guardie, demolirono le muraglie. Le grandi trasformazioni sociali sono consacrate dal sangue di uomini che difendono il vecchio mondo e di uomini che lo vogliono abbattere. Gli operai non credano di spezzare le catene della loro servitll economica senza sacrificio; si preparino invece a cimenti difficili e lascino le rosee previsioni, l'ottimismo evangelico ai pochi romantici ed alle femminette sentimentali. Ogni liberazione è una tragedia. Guai agli operai che si la sceranno "commuovere"! Guai ai "pietosi"!

IV.

Se, come afferma Alfredo Oriani, nella sua magnifica Rivolta I deale, ogni epoca non ha che uno scopo: "sviluppare un carattere umano", dovremo o no al sindacali smo la formazione d'un uomo nuovo, economico e morale? Il Pre zzolini dichiara che l'errore sindacalista sta nel non riconoscere che, per ora, la massa operaia è assolutamente incapace del coraggio che ci vuole per ado ttare l a dottrina dei sindacalisti. Ma non è un errore sindacalista, ma dei sindacalisti , i quali si sono finora addimostrati ignari quasi completamente della psicologia delle mas se e malcerti agitatori. Ormai il sindacali smo come dottrina, è compiuto: mancano gli uomini. Bisogna formarli. Non convertiamo il sindacalismo in una moda ideologica e letteraria da salotto o da caffè Aragno: l 'azione diretta, lo sciopero generale nou diventino luoghi comuni come il "lasciar fare, il lasciar passare)J degli economisti liberali della prima metà del secolo scorso. Sarebbe l a morte del sindacalismo che non deve essere "teorizza to" dai filosofi ma "fatto" dagli operai. Io credo che la massa operaia purificata dalla pratica sindacalista svilupperà il "nuovo carattere umano" .

114 Scritti politici di Benito Mussolini

I.

Questo volume che la Casa Editrice Lat erza di Bari ha pubblicato da poco tempo, e non aggiunge molto alla rinomanza di Giorgio Sorel, è tuttavia un notevole contributo alla letteratura sindacalista contemporanea. Giorgio Sorel appartiene alla schiera esigua degli scrittori che si leggono volentieri. Come ho det to in altra occasione 2 egli non presenta alla nostra intelligenza dei "sistemi" dottrinali compiuti, ma agita dei "problemi" che ci sforzano a pensare e convertono la nostra posizione di '1 spettatori" in quella di "attori". Ho conosciuto Sorel nella Ruine du Monde Antique. Confesso ch e la prima lettura mi giovò poco . Abituato ai manuali dottamente o rdinati secondo i precetti della geometria pedagogica e della topografia scolastica , quel volume che ha in fondo ad ogni pagina dozzine di richiami, di note bibliografiche , di postille, quel volume che come tutte le opere soreliane (eccettuata forse L}introduction à FEconomie Moderne) sembra mancare di nesso coordinatore, gettò un po' di scompiglio nelle mie consuetudini spirituali. Fu cosa di breve momento . Le letture successive mi familiarizzarono col pensiero e la forma di Sorel e quel che piU conta, ciò avvenne con una parte di mia personale collaborazione. Come nella mu sica wagnerian a [c'è] il filo melodico, cosi nell'opera di Sorel c'è il nesso logico: solo bisogna scoprirlo.

L'ultimo volume di cui mi occupo e che il Sarno ha fedelmente tradotto, è preceduto da una introduzione di Benedetto Croce. È no ta la parentela spirituale fra Croce e Sorel. Non è piu il caso di indagare se e in quanto le loro costruzioni dottrinali collimino: v 'è piut· tosto in loro affinità di costumi. Il filosofo abru zzese, come l'ex ingegnere parigino di ponti e strade, è un investigatore che batte vie non solite: entrambi ignorano i mezzi termini, le sapienti manipolazioni verbali, l'alchimia del pensiero, e l'uno e l'altro manifestano lo stesso desiderio di chiarezza , di sincerità, di probità nella ricerca: entrambi avversano il positivismo superficiale come la nebulosità metafisica: tutti e due insegnano agli uomini che la vita è lotta, sacri· fido, conquista , un continuo "superare se stessi".

1 GIORGIO SOREL, Considerazioni sulla violenza, Casa Editrice Laterza di Bari, Bibliot crn di cultura.

* Da "Il Popolo ", n, 2736, 25 giugno 1909, X. l Vedi un altro mio articolo sul "Popolo" del 27 maggio: La teoria sindacalista.

Il mito della rivoluzione (1908-1914) 115 5
1 •
. Lo sciopero generale e la violenza

Il volume si apre con la seguente delicatis sima dedica :

Al la memoria - della - compagna - della mia giovinezza -dedico questo libro - ispirato da lei.

Poi segue una lettera introduttiva a Daniele Halévy, una prefazione alla prima edizione francese.

Nella lettera di Halévy, il Sorel dichiara:

Io non sono né professore, né volgarizzatore, e neppure aspirante capopartito; sono un autodidatta che presenta a poche persone i quaderni che hanno servito alla sua propria istruzione. Per 20 anni ho lavorato a disfarmi di ciò che avevo ritenuto della mia educazione. Ho fatto muovere la mia curiosità attraverso i libri , da una quindicina d'anni lavoro per apprendere davvero, ma non ho mai trovato chi mi in segnasse ciò che volevo sapere. Mi è stato necessario essere il maestro di me stesso e in qualche modo, fare la scuola per me,

E a pagina 8 Sorel rivela il compito ch'egli si è proposto.

La mia ambizione è di suscitare tal volta la ricerca personale. Forse nell'animo di ogni uomo vh•e, nascos to dalla cenere, un fuoco vivificatore, tanto piU minacciato di spegne rsi quanto lo spirito abbia ricevuto, già belle e fatte, un maggior numero di teorie . Evocatore è colui che scaccia le ceneri e sprigiona la fiamma.

In questa lettera introduttiva, Sorel sviluppa la teoria "dei miti" in rapporto al mito dello sciopero generale proletario . Secondo Sorel, se le grandi idee hanno trionfato nel mondo, lo si deve al fatto che esse hanno agito nell'animo delle folle come miti, cioè come rappresentazioni dell'azione sotto forma di battaglie da cui uscirà il trionfo della propria causa . Mito cristiano fu l'apocalisse colla sconfitta definitiva di Satana, mito quello della riforma, quello della rivoluzione france se, quello dei mazz iniani. La Giovane Italia fondata dal grande esule genovese ha agito sull'animo degli Italiani come un mito rappresentativo che Ii spingeva a cospirazioni e battaglie. Cosi il mito dello sciopero generale - considerato come la battaglia suprema - dà all'operaio la forza di compiere la rivoluzione . Coloro che si oppon gono al mito dichiarandolo utopista dimenticano ch e in tutti i miti c'è l'utopia, ma "negli odierni miti rivoluzionari essa quasi manca. Il mito presente spinge gli uomini a prepararsi alla distruzione di ciò che esiste; l'utopia ha per effetto di volgere gli spiriti a riforme attuabili spezzettando il sistema".

Il socialismo non è "utopia"; è la preparazione delle masse produt-

116 Scritti politici di Benito Mussolini
II.

t ri ci che vogliono sopprimere lo stato e la proprietà. Non si trntt:1 o rmai piU di sapere come gli uomini si organizzeranno per godere della felicità futura: tutto si riduce all'"elemento rivoluzionario del ptoletariato" in vista di un'opera gigantesca.

III.

Perché il socialismo non si corrompa è necessario che non diventi sinonimo di "democrazia"; occorre insomma che esso renda sempre piu profondo l'abisso fra borghesia e proletariato: quell'abisso che la democrazia vorrebbe colmare con alcune formule tolte a prestito dal bagaglio dei sociologi di professione e con alcune riforme che dovrebbero mitigare l'asprezza del dualismo capitalistico proletario e renderlo accettabile, tollerabile in nome del "dovere sociale". Il socialismo se non vuole morire, deve avere il coraggio di essere barbaro. Esso deve agguerrire l'esercito proletario, generalizzare la lotta di classe che è il principio della tattica socialista, tenersi lungi dal parlamentarismo e rifiutare qualunque compromesso, ogni conciliazione. La pratica elettorale ha fatto bancarotta. Il socialismo parlamentare è stato assorbito dalla borghesia. Il fenomeno è particolarmente visibile in Francia, dove parecchi ministri socialisti hanno conquistato i famosi poteri pubblici, senza che il sacrosanto principio della proprietà privata sia stato menomamente attaccato. Anzi è stato difeso. Naturalmente i riformisti hanno voltato le carte in tavola ed oggi gridano che bisogna "penetrare" negli ingranaggi statali. Sorel ricorda che i cristiani non vollero mai "penetrare" nella società politica di Roma . Cristo fu l'unico Dio che rifiutò sempre l'ospitalità del Pantheon pagano .

I socialisti parlamentari ripongono sempre tutte le loro speranze di successo sul fatto della degenerazione borghese . Orbene, a noi sindacalisti questa borghesia timorosa, umanitaria, filantropica, questa borghesia dal "buon cuore" che fa della beneficienza inutile invece di accelerare il ritmo dell'attività economica, desta un senso di invincibile ripugnanza . Noi non vogliamo raccogliere il patrimonio della borghesia di un periodo di decadenza . Per gli interessi universali della pianta uomo preferiamo di avere di fronte a noi una classe borghese agguerrita, audace, conscia della propria missione, una borghesia che raggiunge l'apice della sua potenza e cade sotto al colpo decisivo dello sciopero generale. La violenza proletaria, mentre costringe il capitalismo a restare ardente nella lotta industriale e a preoccuparsi della funzione produttrice , è forse il solo mezzo di cui dispongono le nazioni europee, abbrutite dall'umanitarismo, per ritrov:11·c la loro antica vigoria.

Il 1é/o della rivoluzione (1908-1914) 117

Se di fronte ad una borghesia ricca ed avida di conquiste si l eva un proletariato unito e rivoluzionario, l a società capitalistica ra ggiungerà la sua perfezione storica.

Il pericolo che minaccia l'avvenire del mondo è appunto in questo storico desiderio di pace ad ogni costo, è in questo abbracciamento universale che vuole sopprimere sotto un'abbondante retorica umanitaria le aspre, irriducibili antitesi nell 'ordine dei fatti economici, è in questa borghesia che ha perduto l'antica fede in se stessa, in questo socialismo che si è annegato nel pantano parlamentare. Per evitare questo pericolo occorre che il proletariato realizzi, in quanto è possibile , la concezione di Marx.

La violenza proletaria, attuata come manifestazione pura e semplice del sentimento della lotta di classe, appare cosi molto bella e molto eroica. Essa è al servizio degli interessi fondamentali della civiltà; forse non è il mezzo piU adatto per ottenere immediati vantaggi materiali ; ma può salvare il mondo dalla barbarie (p. 102).

Tutti coloro che temono la violenza ricorrono col pensiero alle giornate dell'inquisizione , all'epoca del t errore, ai tribunali giacobini, all a ghigliottina permanente. È probabile che una rivoluzione condotta da ideologi, da gente che abbia la professione di pensare per gli altri, nel nostro caso per il proletariato, ristabilisca le antiche feroci procedure penali; ma le violenze proletarie non hanno alcun rapporto con siffatte proscrizioni. Sono puri e semplici atti di guerra e tutto ciò che appartiene all a guerra si compie senz'odio e senza spirito di vendetta ... ; i conflitti sociali prenderanno il carattere di pura lotta, simile a quello delle armate in campagna. Non si possono confondere le violenze sindacaliste usate nel corso degli scioperi da operai che vogliono il rovesciamento dello Stato, cogli atti selvaggi che la superstizione per lo Stato suggeri ai rivolu zionari del '93, quando ebbero il potere nelle mani e potettero opprimere i vinti, seguendo i principi che avevano ereditato dalla chiesa e dalla monarchia. Noi abbiamo il diritto di sperare che una rivoluzione socialista condotta da puri sindacalisti non sarà macchiata dai fatti abominevoli che macchiarono le rivoluzioni borghe si (pp. 124-128) .

IV .

Sorel fa una distinzione fra forza e violenza, distinzione necessaria per dissipare molti equivoci.

La forza ha per iscopo di imporre l'organizzazione di un ordine sociale, in cui governi una minoranza: laddove la violenza mira alla distruzione di quell'ordine.

118 Scritti politici di Benito Mussoli ni

La forza è l'espressione dell'autorità, la violenza è l'espressione della rivolta. La prima è del mondo borghese , l'ultima dell'organizzaz ione proletaria. La violenza si riassume nello sciopero generale che , come la guerra di libertà, è "la manifestazione piu spiccata delle for ze individualiste delle masse ribelli". Dall'esercizio della violenza proletaria sgorga quella che il Sorel chiama morale dei produttori, la nuova morale che dà vita rigogliosa a uno stato di spirito riboccante d'epicità e tiene tese tutte le energie dell 'anima, per realizzare le condizioni i n cui possa fondarsi l'opificio degli uomini liberi e ardenti ricercatori del meglio ... Alla violenza il socialismo deve gli alti valori morali coi quali porge la salvezza al mondo moderno.

V.

Tutto il volume di Sorel ha una vivace intonazione polemica diretta particolarmente contro i socialisti parlamentari francesi e il capo di essi Giovanni Jaurès. Si vede che queste riflessioni sono nate sotto all'impressione di avvenimenti recenti in cui hanno avuto parte perso naggi che noi conosciamo. I rigidi, schematici, pedanti dottrinari, troveranno biasimevole questo polemizzare in un libro d'idee; per noi invece il libro ha un pregio maggiore. Il socialismo contemporaneo delle nazioni latine deve molto a Giorgio Sorel. Attraverso i suoi libri noi siamo giunti a una piU sicura comprensione del marxismo che c'era arrivato dalla Germania in uno s tato irriconoscib ile. Sfrondando il socialismo di tutto quanto è orpello ideologico ered itato dalla tradizion e democratica e g iacob ina, nonché positivista, la nozione di socialismo "s'identifica con quella di sciopero generale".

Il socialismo non è piU un sistema campato in un futuro piU o me· no lontano, ma un tirocinio di preparazione rivoluzionaria di tutti i giorni, l'applicazione continua, violenta della lotta di classe. Borghesia e proletariato sono inconfondibili . La prima raggiunge attraverso i prodigi della tecnica e l'espansione coloniale il ma ssimo della sua potenza, l'ultimo si prepara ad espropriarla. L'espropriazione sarà il risultato dello sciopero generale il quale avrà proprio i caratteri d'un cimento supremo, di una battaglia napoleonica, e come voleva Marx, sarà il segno di separazione assoluta fra due epoche della storia.

Questa interpretazione del divenire sociale non ha nulla di comune colle ideologie dei socialisti ufficiali che credono nelle magiche virtU della metà piU uno. Non sarà certo con un voto parlamentare di un 'assemblea di avvocati che, come afferma Engels nella citazione riportata da Sorel , la socie tà "organizzerà la produzione sulle bas i di un 'ass ociazione di produttori liberi ed uguali , trasportando il ma c-

Il mito della rivoluzione (1908.1914) 119

chinario statale nel museo d'antichità a lato della ruota e dell'ascia di pietre".

Sarà invece con un grande urto in cui le due classi nemich e misureranno le proprie forze in una battaglia decisiva. Quella nozione catastrofica che i riformisti si erano affrettati a dichiarare erronea, è riposta da Sorel nella debita luce e nel suo giusto significato storico. Il socialismo purificato dalla pratica sindacalista, non è piu affare di dilettanti, di sfaccendati, di politicanti. Esso ritorna terribile come agli inizi. Letterati e sentimentali non vi trovan pill posto, l'opera degli intellettuali è accolta solo in quanto si limita a "negare il pensiero borghese in modo da mettere il proletariato in guardia contro un'invasione d'idee e di co stumi della classe nemica".

Questo sta to di guerra permanente fra borghesia e proletariato, genererà nuove energie, nuovi valori morali, uomini nuovi che si avvicineranno agli eroi antichi.

Queste parole di Giorgio Sorel con le quali chiudo le mie note io porgo da meditare ai compagni: è necessario che i socialisti si persuadano che l'opera alla quale si votano è grave, terribile, sublime.

6 . Il socialismo diviene

[ ... ] Il socia li smo diviene e la misura del divenire socialistico nel seno della civiltà attuale non ci è data dalle conquiste politichebene spesso illusorie del Partito Socialista - ma dal numero, dalla forza e dalla coscienza delle associazioni operaie - che costituiscono già oggi i nuclei della futura organizzazione comunistica . È la classe lavoratrice che, come dice Carlo Marx nella sua Miseria della filosofia, sostituirà nel corso del suo sviluppo all 'antica società civile una associazione che escluderà le cla ssi e il loro antagonismo e non vi sarà piu potere politico propriamente detto, poiché il potere politico è precisamente il compendio officiale dell'antagonismo nella società civile.

In attesa, l'antagonismo tra il proletariato e la borghesia è una lotta di classe contro classe, lotta che portata alla sua piu alta espressione è una rivoluzione totale.

I ciechi di mente non lo vedono, ma già oggi abbiamo istituzioni che rappresentano l e prime cellule dell'organismo di domani. Le associazioni di resi stenza hanno allargato il loro campo d'azione: in

* Da "La Lotta di Classe", n. 1, 9 gennaio 1910, I , col titolo: Al lavoro! Pubblicato, parzialmente, anche su "La Lima" (I, 104), n. 3, 1.5 gennaio 1910, XVII, col titolo: Il socialismo diviene.

120 Scritti politici di Benito Mussolini

questi anni sono sorte gigantesche cooperative di lavoro. In esse gli operai sono virtualmente liberi produttori e per esse gli operai vanno acquistando quelle attitudini tecniche, intellettuali, morali per cui saranno in grado di reggere in un avvenire non lontano i destini del mondo. È una società che si forma, direbbe Vilfredo Pareto, e l'arma colla quale i lavoratori si preparano a liberarsi dal padronato, è l 'o rganizza zione proletaria. La massa lavoratrice fatta ognora piU coscien te dei propri diritti e della propria forza attaccherà infine la classe capitalistica nel suo principio: la proprietà privata dei mezzi di produzione. La millenaria contesa sarà giunta allora al suo epilogo : da una parte i capitalisti appoggiati dallo Stato, dall'altra i proletari serrati nelle loro l eghe e già pronti a raccogliere l'eredità della borghesia . In mezzo alcune categorie in significanti che si orienteranno a seconda dei rispettivi bisogni . L'e spropriazione della borghesia sarà il risultato finale di questa lotta e la classe non avrà difficoltà a instaura re l a produzione su ba si comunistiche inquantoché già oggi nei suoi sindacati va preparando le armi, le istituzioni, gli uomini per la guerra e la conquista. Il proletariato "combatte costruendo", demolisce, ma getta nello stesso tempo le fondamenta della nuova società. Noi crediamo che il socialismo sarà realizzato dagli operai dopo lunga se rie di sforzi e di sacriJìci : crediamo insomma che il socialismo avverrà per via economica e non sarà il prodotto di riforme legi slative o di predicazioni umanitarie. Noi anzi spogliamo il socialismo di tutto quanto l'orpello sentimentale e cristiano di cui l'adornarono gli ideolo gici e i poeti e lo riportiamo nei termini marxisti come una questione di forza e il problema capitale della classe operaia.

Ciò premesso, come spiegheremo oggi la nostra attività di socialisti? La spiegheremo nell'organizzazione economica e in quella politica. Nelle leghe di mestiere gli operai socialisti devono costituire un'avanguardia vigile e combattiva, che sprona la massa a non perdere mai di vis ta la meta ideale. Qui i socialisti lottano contro la borghesia nel campo economico e promuovono istituzioni proletarie di resistenza e di cooperazione. Nei gruppi cosi detti politici i socialisti lottano contro le altre istituzioni borghesi e attaccano quindi il clero, il militarismo, la monarchia, ogni forma di privilegio politico, di ipocrisia morale , di possibilismo mercantile e democratico. Nei gruppi politici, i socialisti preparano l'elemento umano, gli uomini nuovi che si spogliano degli abiti morali e mentali ereditati dalla vecchia società che tramonta. I gruppi politici socialisti devono diffondere l'istruzione colla conferenza, il giornale, il libro, l'opuscolo, devono fondare scuole di propaganda e biblioteche aperte a tutti. Ogni cervello di uomo ha scintille che dormono sotto la cenere grigia dell 'ignoranza: si tratta di suscitare queste divine scintille! L'o-

Il mito della rivoluzione (1908-1914) 121

pera della scuola è monca: bisogna completarla. Nelle nazioni piu evolute ogni socialista ha la sua biblioteca domestica.

La Lotta di Classe promuoverà questo dissodamento delle intelligenze, aiuterà questo movimento ascensionale dei lavoratori verso forme piu elette di vita. Noi chiediamo la cooperazione, l'aiuto fraterno dei compagni. Ognuno faccia il suo dovere: ognuno compia il suo sforzo, anche piccolo: l ' umile operaio che sul lavoro, per la strada, nel ritrovo serale fa la propagànda spicciola agli incoscienti e ai refrattari è utile alla causa socialista quanto il giornalista che scrive un articolo o l'oratore che fa un discorso.

Dichiariamo infine agli avversari che le nostre polemiche e le nostre critiche avranno per base la sincerità, il rispetto di tutte le idee onestamente professate. Cercheremo di tenerci immuni da quello spirito settario , fanatico e giacobino che sembra preludiare a una moderna intolleranza rossa. Ma non avremo remissione per i ciarlatani, a qualunque partito si dichiarino inscritti, tutte le volte che andranno tra le folle operaie a cercare applausi, voti, stipendi e clienti .

Il socialismo non è un affare di mercan ti , non è un gioco di politici, non è un sogno di romantici: e tanto meno è uno spor t: è uno sforzo di elevazione morale e materiale singolo e collettivo, è forse il piu grande dramma che abbia agitato le collettività umane, è certo la piu cara speranza per milioni di uomini che soffrono e vogliono non piU vegetare, ma vivere .

7. Il pangermanismo teorico

Il pangermanismo conscio degli intellettuali non è che la spiegazione e la giustificazione e l'apologia del pangermanismo pratico che conquista i mercati del mondo e ruba le clientele coloniali all'Inghilterra. È notevole tuttavia il fatto che i precursori del pangermanismo "tedesco" e i dottrinari principali del medesimo siano sbocciati dapprima sul suolo di Francia. Già in Ernesto Renan prima della "crisi" del '70 troviamo accentuate simpatie per il pangermanismo ariano e il Seillère le ha diligentemente rilevate. Ma il vero dottrinario del pangermanismo è Gobineau. Il suo Essai sur l'inégalité des races è il vangelo del germanismo. Il pangermanismo è per lui " la manifestazione dell'arianismo imperialista" e l'ariana è la razza che porta nel suo grembo le forme superiori della civiltà. Due razze sono oggi sul suolo di Europa: l'indo-ariana superiore, dimorante al nord, e la latina o "caotica ''i inc rociata colla semita, brulicante al sud. Quest'ultima è un'insidia continua, un pericolo permanente per la pri·

122 Scritti politici di Benito Mussolini

ma. Il germanesimo deve quindi purificare l'Europa, riducendo in schiavitU e gradatamente eliminando la razza inferiore, la razza caotica o mediterranea incapace di un tenore elevato di vita. Natur.ilmente tutto ciò che è stato fatto di nobile, di grande, di ero ico è opera della razza ariana; tutto quanto è vile è certo prodotto dalla razza "caotica". Il preva lere accidentale di questa razza ci dà le epoche tenebrose della storia; l'egemonia ariana, quelle luminose. Il colore della pelle è il colore dell ' anima. Cosf, secondo Gobineau, abbiamo una psicologia nera, una gialla, una bianca. La psicologia nera è quella dei popoli mediterranei superstiti della corruzione imperiale e rinchiusi nelle antiche frontiere dell'impero. Sono i popoli che durante l a lunga pace romana si fusero e si confusero mischiando il sangue siriaco e l'abissino, il numida e quello delle Baleari, nel suolo della Francia e della Spagna. Questo miscuglio trattenuto e contenuto dai rappresentanti ultimi delle antiche aristocratiche schiatte umane sino all'epoca dei Cesari, divenne irresistibile con Caracalla, che allargò il diritto di cittadinanza a tutti i sudditi da Roma dominati nel bacino sudeuropeo. Non è già il cambiamento delle forme politiche, da repubblicane a monarchiche, che segna l'inizio della decadenza di Roma, ma è l a corruzione delle stirpi dominatrici al contatto troppo frequente e prolungato coi popoli inferiori. È questo un motivo nietzschiano. L'epoca tenebrosa che prende inizio dal miscuglio delle stirpi nella Roma postcesarea, è rotta solo dai padri della Chiesa, davanti ai quali Gobineau s'inchina. Poi, buio fitto, sino alla Riforma, opera del germanismo, il qua1e d'allora non ha avuto piU soste nella sua marcia verso forme di vita superiore e non le avrà in seguito, se saprà tenersi immune dal contagio del brachicefalo alpino.

Dopo il francese Gobineau, ecco un altro francese, Lapouge, egualmente saccheggiato dai pangermanisti. Il Lapouge, professore all'Università di Montpellier, ammette, come il Gobineau, l'esistenza di due razze in tutti i paesi d'Europa: una di conquistatori e di padroni per diritto d'origine, gli ariani o europei (homo europaeus) e uno di vinti e di schiavi (i celti o alpini). Le differenze fra le due razze sono profondissime, tanto dal punto di vista fisico come da quello morale . L'individuo appartenente alla razza ariana è alto, con capelli biondi, occhi chiari, carnagione bianca , colla forma del cranio nllungata. L'alpino è brachicefalo (cranio a base larga-piatta), è basso di statura, ha occhi e capelli bruni. Cosf la tinta del volto. Le differenze morali non sono meno profonde. L'ariano è audace, l'alpino è timido; il primo è protestante, il secondo è cattolico; l'ariano ha il concetto di patria, l'alpino non ha che quello di famiglia; l'ariano è cercatore d'idee, l 'alpino è invece accumulatore; l'ariano è nato per comandare , l'alpino per servire. Gli alpini autoctoni vive-

Il mito della rivoluzione (1908-1914) ]23

vano, secondo il Lapouge, nelle montagne e nelle foreste allo stato quasi scimmiesco durante l'epoca dr-Jla pietra. Gli ariani se ne servirono da bestie da soma. Poi nel corso dei secoli il miscuglio fra le due razze confuse i loro caratteri differenti, tanto che oggi la razza inferiore, la brachicefala alpina o quella del caos, minaccia seriamente la purità della razza bionda. Guai se questa purità minacciata oggi andasse perduta domani. L'avvenire della civiltà sarebbe irrimediabilmente compromesso. Ond'è che il Lapouge, preoccupato delle conseguenze di questo incrocio, propone, per conservare l a purezza della razza bionda, l'applicazione, con tenacia e coraggio, di radicali principi selett ivi . Egli propone l'impiego della selezione artificiale positiva e negativa: positiva favorendo la riproduzione degli individui atti, con procreatori "eugenici", cioè scelti; negativa distruggendo senza pietà gli elementi parassiti, ristabilendo dovunque la pena di morte e facilitando ai degenerati, agli avariés et débauchés, l'appagamento sfrenato del loro vizio, perché ciò gioverebbe rapidamente a eliminarli. Un a città, dice Lapouge, dove si vendessero vino e liquori gratis, diventerebbe subito la Mecca di tutti quanti gli alcoolizzati, i quali libererebbero i luoghi sani dalla loro molesta presenza, non rovinerebbero altri individui col loro esempio e uccisi dal vizio scomparirebbero in breve. Questi principi ritroveremo negli autori del pangermanismo tedesco . Riassumendo: il Lapouge, come Gobineau, dichiara "eletta II l a razza ariana oggi rappresentata in gran parte dal germanismo, non contenuto però solo nei limiti dell'impero tedesco attuale. (Secondo i pangermanisti, anche dodici milioni di francesi appartengono alla razza eletta.) La razza inferiore è la brachicefala dispersa sui territori dell'antico impero romano. La prima è fattrice, la seconda negatrice di civiltà. Quest'ultima deve scomparire o essere ridotta ai servigi pili umili e necessari:, per non ostacolare la razza ariana nel suo ascendente cammino. Per far scomparire la razza cao tica e per trarre dal suo seno tutto quanto vi si racchiude di germano , le classi dirigenti applicheranno la selezione artificiale. Questa, nel breve giro di poche generazioni, ci darà un 'umanità di uomini eletti, che potranno realizzare quelle forme di convivenza sociale oggi propugnate dalle diverse scuole socialiste. Senza una purificazione delle razze, colla graduale eliminazione della inferiore, non sarà mai realizzabile il socialismo!

D opo i precursori frances i , il pangermanista pili convinto, p ill en· tusiasta e piu discusso è stato Houston Stewart Chamberlain. Il suo libro Die Grundlagen des neunzehnten Jahrhunderts costituisce il vero vangelo del pangermanismo.

Chamberlain nacque a Portsmouth nel 1855, passò l ' infanzia a Versailles e studiò in Inghilterra, segui i corsi universitari nelle univer~

124 Scritti politici di Benito Mussolini

sità tedesche nella Svizzera. Chamberlain comincia botanico, poi non permettendogli la salute di applicarsi alle esperienze di laboratorio, si tramuta in critico wagneriano, finisce predicatore dell'imperialismo germanico con un'opera di grande mole, se non proprio di profo nd a dottrina.

Il criterio ch'egli introduce per distinguere le razze non è soltanto fisico, ma spirituale, anzi prevalentemente spiritu ale. Il colore dei capelli, la forma del viso, la forma e la capacità dei crani, non sono elementi in modo assoluto necessari per distinguere l'una dall'altra razza . I capelli biondi, gli occhi chiari, la statura elevata, il color bianco valgono poco, se mancano nell'individuo le qualità "germane" dell 'anima. I connotati spirituali dunque sono gli essenziali e quelli dobbiamo ricercare e fissare per non sbagliarci e confondere germani con alpini. Per trovare con prontezza e sicurezza questi connotati psichici differenziatori, bisogna avere quello speciale innato colpo di occhio degli allevatori professionali. Qui l'influen za di Darwin, di Gobineau e di Lapouge si fa sen tire, poiché anche il Chamberlain vuole la fabbricazione di una razza eletta. Meta non irraggiungibile quando si applichino i principi della selezione artificiale positiva e negativa , magari favorendo l'incrocio dei sangui, che non deve però essere né lungo , né troppo diverso. Con questo criterio puramente personale, Chamberlain trova che Davide, Golia e forse Salomone erano germani, che Dante era germano, che tutta la Rinascenza era opera del germanesimo.

Basta - dice Chamberlain - una sola passeggiata al museo di Berlino, nella galleria dei busti della Rinascenza, per convincersi che il tipo dei grandi italiani di quel tempo è totalmente scomparso ...

È un naufragio completo che il "germanismo italiano" ha subito dal 400. Per Chamberlain, Lutero è il germano, Loyola è il latino-m editerraneo; Napoleone, sempre per Chamberlain, è "il grande capitano del caos dei popoli", Goethe invece è il prototipo perfetto dell'ariano , l'uomo nella sua eccellenza. Per il discepolo di Chamberlain, il dottor Wellmann, Napoleone e Goethe sono en trambe meravigliose produzioni del germanesimo. Comunqu e il caos dei popoli esiste ed è una tara della civiltà .

Chi viaggia - dice Chamberlain - da Londra a Roma, va dalla nebbia verso il sole, ma nello stesso tempo da una civiltà raffinata e da un'alta cultura va verso la barbarie, la sporcizia, la brutalità, l'ignoranza, la menzogna, la miseria. Non è uno spettacolo di decadenza quello che contempliamo al mezzogiorno: è un semplice arre·sto di sviluppo; quelle popolazioni sono rimaste alla civiltà imperiale romana, mentre il mondo camminava in avanti. Oggi, è vero, cominciano ad imitare goffamente il nord, ma invece di assimilarsene la superiore cul-

li mito della rivoluzione (1908-1914) 125

tura , finiscono per perdere le vestigia pittoresche dcl.la loro originalità pas sata. Il "mediterraneo" è cosi in basso nella scala culturale che Siviglia e Atene sono oggi città "meno europee" di New-York e Melbourne. Fra i germanici e i "caotici" c'è un abisso sul quale non è possibile gettar ponti.

Naturalmente tutte le epoche che segnano un tournant della storia sono dovute all'elemento germanico. La Rinascenza italiana o latina in genere è opera di elementi germani. Raffaello era biondo , Michelangelo non volle imparare le lingue classiche (le lingue del caos), Giotto era tedesco. La rivoluzione francese è un prodotto dei germani. Difatti tutti o quasi gli enciclopedisti erano germani. Le rivolte poi dei contadini "scoppiavano'', dice Chamberlain, "col furore proverbiale del germano che ha troppo lungamente pazientato" . Ma la razza caotica riprende il sopravvento con quella Dichiarazione dei diritti dell'uomo negazione dell ' imperialismo, che ha bisogno per affermarsi di un rigida divisione delle caste. Oggi l'Europa grande è la germana. Là c'è l'equilibrio . Nell'Europa mediterranea c'è disquilibrio e dissoluzione. La futura unità europea avrà il sigillum germanico.

Chamberlain prepara già un nuovo verbo religioso per questa Europa di uomini eletti. La sua religione non ha nulla di comune con ciò ch'egli chiama la ''monolatria" giudaica, incapace di far assurgere le anime ai rapimenti del misticismo. Né ha punti di contatto col monoteismo mediterraneo, divenuto "una idolatria". Chamberlain è ostile all'universalismo della chiesa di Roma. Gli sembra pericoloso per uomini che tendono alla conquista del mondo e hanno bisogno di una religione perfetta . Propone invece un ritorno al Vangelo, liberato da tu tte le maschere contraddittorie di cui l'hanno ricoperto i preti di Roma. Una religione cristista che abbia qual punto di origine Cristo , ecco l'ideale del Chamberlain. Per lui Cristo è probabilmente un ariano; certo il suo temperamento era germanico. Cristo non è, per Chamberlain , il profeta della rassegnazione, ma il profeta della conquista; non si rivolge agli umili, ma ai guerrieri. Lo scoppio d 'ira che gli pose in mano le fruste per cacciare i mercatori dal tempio, è una rivelazione di qualità germana dell'animo: la negazione palese del fariseismo usuraio degli ebrei. Cristo è un imperialista.

Il suo vangelismo convenientemente rimodernato e purificato può servire di base al cristianesimo germanico di Chamberlain. Preparatori della nuova religione sono stati Kant e Schopenhauer. Ora il suo trionfo è questione di vita o di morte per il germanesimo:

Se - dice Chamberlain - una vigorosa rinascita di ideali smo, creatrice e specificatamente religiosa ad un tempo, non si produce fra noi germani, se noi non possediamo piU la forza plastica necessaria per trarre dalle parole e da1-

126 Scritt i polit ici di Be nito M ussolini

l'aspetto del Figlio dell'Uomo crocifisso, una religione completa, vivente, adattata al nostro carattere, alle nostre disposizioni, allo stato attuale della nostra cultura, una religione cosi immediatamente convincente, di una bellezza cosi fascinatrice, presente, plas.ticamente mobile, eternamente· vera e tuttavia cosi nuova che noi dovremmo abbandonarci ad essa senza resistenza, come l'amata fra le braccia dell'amante, senza parole, senza esitazione, col cuore pieno di entusiasmo, una religione perfettamen te modellata sulla nostra essenza germanica particolare (che noi sappiamo ben dotata, ma faci le alla caduta) da renderci capaci cli impadronirci di noi stessi, di nobilitarci e di fortificarci sino in fondo all'anima, se noi mancheremo a questo compito, falliremo anche nella conquista del mondo.

Le sensazioni della semiestasi sono dunque elementi essenziali del cristismo germanico del Chamberlain. In qual modo eccitarle? Per mezzo dell'arte, questo fi lo d'oro che mette, secondo Chamberlain, in comunicazione il mondo della natura col mondo dello spirito. E quale delle arti ecciterà piu rapidamente e piu profondamente l'animo alle intuizioni mistiche del cristismo germanico? La musica. Wagner è il cantore del nuovo verbo. Senza Wagner, Chamberlain non avrebbe voluto vivere e certo non avrebbe potuto produrre. Per Chamberlain l'arte di Wagner è religiosa. È "una rivelazione istantanea e vivente dell 'inconoscibile". Senza la musica dunque o l'arte in genere, il cristismo germanico di Chamberlain rimarrebbe lettera morta. E senza l'aiuto di questa nuova religione è impossibile vincere in noi gli avanzi del caos, per condurre al trionfo le qualità germane che attendono di essere risvegliate. Come tutte le opere paradossali, anche quella del Chamberlain è irta di contraddizioni. Qualche volta s'incontrano nella stessa pagina. Egli .flagella e carezza, indifferentemente, colla stessa mano. E a volta a volta è tirannico e indulgente. Per il criterio del riconoscimento psicologico o delle affini t à elett ive ch 'egli introduce nella sua concezione del germanesimo, cadono gli esclusivismi che condannavano a vegetare fuori dell'orbita luminosa della civiltà i non ariani. Chiunque si mostra e si prova germano coi suoi atti, è germano qualunque sia il suo albero genealogico. Tutti dunque, anche gli africani, purché facciano professione di fede germanica, potranno far parte della grande futura civitas germanica. Ciò consoli tutti coloro che dietro ai teorici del pangermanismo scorgono i pericoli della conquista guerriera e della conseguente schiavitU personale.

Ludwig Woltmann ha ripreso il motivo di Chamberlain, pur non arrecandovi molte variazioni . Egli, del resto, visse troppo brevemente per darci il "sistema" completo qual è nei gusti dei pensatori tedeschi. Mori annegato nel Tirreno al principio del 1907. Woltmann comincia socialista sotto l'influenza di Marx e partecipa al movimento. Anch'egli è revisionista. Tenta, insieme col Bernstein, di

Il mito della rivoluzione (1908-1914) 127

svecchiare Marx. Non ci riesce e abbandona l a politica per passare, grazie all'influenza di Nietzsche, sot to le bandiere dell'imperialismo. Anche per Woltmann l a Rina sce nza italiana è una tappa intellettuale della ra zza germanica sotto messa a certe influ e nze locali di ambiente e di tradizione. I grand i it aliani e la tini dell 'epoca furono tede schi. I loro nomi ti:adi sco no Jc oi:ig ini germane. Cosi Donatello Bardi vie ne da Bartl1; Giotto è il tedesco Jotte; Alighieri è Aigler; Bruno è Bra un ; Ghiberti è Wi lbert; Sa nti è Sandr; Vinci è Winke; Vecellio è Wctze l; Tasso è Tasse; Buonarroti è Bo hnrodt. E gli spagnuoli Vela squcz e Murillo furono Velalrisch e Moerl. La storpiatu ra di questi nomi è cosi evidente nella sua artificiosità che non v'è bisogno di perder tempo a confutare.

Per il Se iJJ ère, "Woltmann fu un germanista nel se nso puramente filosofico de ll a parola, un arianista, un profeta mistico dei destini della razza bi onda di spersa sul globo intero e non veramente un pangermani sta nel senso attuale e politico della parola " . Tanto poco pangerman.ista in q uest' u1tim o s ignificato che prima di finire cosi tra gicamen te la vita dubitava della miss ione civilizzatrice della razza tedesca.

lo dubito - diceva - che la forma dello spirito tedesco e quella della politica prussiana sia Ja piU caratteristica dell'anima german ica e· la piU deg na dell a razza bionda.

Vero pangermanista nel senso politico e pericoloso de lla parola è l'au striaco L. Reimer. Egli, come gran parte dei pangermanisti austriaci, è germanico d'adozione e suddito spiritu ale degli Hohenzollern. Il Reimer è figlio legitrimo del Go bineau , di Chamberlain , di Lapouge, di Woltmann. Per Reimer, a differenza di Gobineau e di Chamberlain, non è il semitismo o la latin ità il nemico del germanesimo, ma è il germano l'unko nemico del germano e l'egemon ia del globo si è disp utata da quinclici secoli fra potenze germaniche non sempre consce del loro esse re e della loro origin e. Per il Reimer, tan to nella prima quanto nella seconda epopea napoleonica, è l'anima germanka che sotto l'e tichetta fr ancese tenta realizzare il suo sogno : l' impero univer sa le. La nazione che piu racchiude in sé di elementi ger manici, la Prussia, è destinata a compirlo , malgrado l a resiste nza attiva e passiva dell'alpino brachicefalo, razza inferiore di schi avi. D'accordo col Woltrnann anche il Reimer riconosce che il movim ento opera io attuale, considerato dal punto di vista an tropolog ico, non è che lo sforzo d'ascensione della couche supe riore o germanica de Ua clas se operaia verso il potere e verso la libertà. È u n'altra facc ia dell'imperiali smo . Questo si combatte fra classe e cl asse; l 'altro fra razza e razza. I rivoluzionari dell'ogg i,

128 Scritti
politici di Benito Mussolini

come i rivoluzionari dell' '89, appartengono al germanismo. SaintJu st, Robespierre, Siéyès non erano certo dei " brachicefali mongoloidi". Non avrebbero fatto la rivoluzione.

Il Reimer stima che la rivoluzione operaia non sarà possibile se il proletariato, in particolar modo il tedesco, non rinuncerà all'internazionalismo universale, pericolosa eredità dell'ideale cattolico che abbraccia anche le razze inferiori corruttrici delle superiori. Come gli operai bianchi si difendono dalla concorrenza dei gialli o dei neri, cosi i germani dolicocefali devono essere garantiti dalla concorrenza dei brachicefali alpini. Al motto marxista "Proletari éli tutti i pae si unitevi!", è necessario sostituire questo: "Proletari germani di tutti i paesi unitevi!" Solo co si sarà possibile la rivoluzione.

Il concetto delle élites che il Pareto ha introdotto nella sua sociologia per spiegare la successione delle diverse classi al potere economico e politico delle società, quel concetto fa la su a comparsa nell'antropologia pangermanista del Reimer. La élite germanica del proletariato arriverà al sommo grado della piramide sociale, purché sappia scindersi dalla massa caotica e sappia respingerla. Che il proletariato ted esco vada liberandosi dell'internazionalismo vecchia manie ra è verità. Non ci pare che gran parte vi abbiano il Reimer e compagni. Ma è un fatto che l 'internazionalismo dei socialisti tedeschi è ben diverso dall'internazionalismo dei socialisti latini, specie francesi. I soci alisti tedeschi, come tutti gli altri cittadini, vogliono una Germania forte , agguerrita, capace di vincere non solo nelle lotte industriali, ma anche in una guerra. Lo sciovinismo è malattia piu diffusa in Germania che in Francia. Questa malattia ha in Germania delle esplosioni sin tomatiche . Esempio recentissimo la discesa del Mayer bavarese nel Trentino per conquistarvi il castello di Pergine. Mayer e la sua banda furono respinti a sassate, ma il ca stello di Pergine, sito in uno dei luoghi pili panoramicamente deliziosi della Valsugana, oggi è tedesco, perché i pangermanisti l'h anno comperato dall'italiano vescovo di Trento; e mediatore del contratto è stato uno dei membri piU influenti della Lega nazionale, che, come tutti sanno, ha Io scopo di serbare intatta l'italianità linguistica e territoriale dei paesi italiani sottomessi all'Austria.

Secondo il Reimer, programma del pangermanismo dev'essere la conquista pacifica o violenta dei paesi meno ger manici , annettendo alla Germania i territori dell ' Italia settentrio nale , della Francia orientale, dell'Austria tedesca e di tutte le piccole nazioni del nord dove l'element o germanico è prevalente. Questo sogno di conquista europea (la Germania è venuta troppo tardi per crearsi un impero colon iale) è il sogno che scalda la gioventu tedesca. I comitati pangermanisti che reclutano tante forze tra la giovent6 accademica han-

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no già pubblicato e abbondantemente diffuso una carta geografica raffigurante l 'Europa verso il 1950. Tutto il centro d'Europa è divenuto tedesco. Le piccole na zioni ch e oggi inquadrano la Germania sono scomparse in ghiottite dall ' impe ro. L ' Italia ha ridotto i suoi confini a Udine . Tr ieste è ted esca . Questa carta geogr afica non è un'anticipa zion e alla W e Us. Ass ai difficilmente Trieste potrà mai diventare politicamente ita li ana. È Ja Germania che tende a Trieste. Se domani l a G e rmania pos sedesse Trieste, l ' Inghilterra vedrebbe irrimediabilm e nte min ata la sua egemonia mediterranea e Malta diventerebbe fo rse un fortilizio tedesco.

Né basta ai pnngerman isti indicare con tali piani le mete ideali della razza bionda ; essi indi cano anche i mezzi onde pre servarla da ibridismi che turbandone Ja purità, ne comprometterebbero i destini. E il Reimcr prende dal Lapou ge il metodo della selezione artificiale, tanto negat iva quanto positiva. La civitas germanica avrebbe divisioni rigidam ente castali come nelle società d'oriente. In alto ci sarebbe il gruppo dei ger mani puri, che dirigerebbero politicamente e spiritua l mente la soc ie tà; in mezzo i semigermani tollerati; in basso, al p iedistallo, i non -germani, spinti alla s terilità e alla morte. Il brachicefalo alpino sarebbe adibito ai lavori piu pesa nti e malsani, vera bestia da soma, senza diritti e senza avvenire . Tale il quadro della società germanica quale ci vien prospettato dal Bellamy del pangermanismo, il dottor Reimer.

8 . Il discorso di Reggio Emilia

[ ... ] Io mi sono qualche volta domandato - cosf per curiosità intellettuale - le ragioni dello scarso successo della propaganda astensionistica in Italia . L'Ita li a è, certo, la na zione in cui il cretinismo parlamentare - quelJa tal malattia cosi acutamente diagnosticata da Marx - ha ra gg iunto le forme piu grav i e mortificanti. Si vede che sia mo un popol o "politico" da tanto tempo che per quante disillusioni si provi no , torniamo sempre ai vecchi peccati. I1 parlamentarismo italiano è già esa urito. Ne volete la prova? Il suffragio quasi universale Jargito da Giovanni G iolitti è un abile tentativo fatto allo scopo di dare ancora un qualsiasi contenuto , un altro periodo di "funzionalità" a.I parlamentarismo . Il parlamentarismo non è necessario assolutamente al socialismo in quanto che si può concepire e si è concep ito un soc ialismo anti-parlamentare o a-parlamen-

* Dal Resoconto stenografico del X III Congresso Nazionale del Partito Socialista fo,. liana, Edizione della Direzione dcJ Partito Socialisrn Italiano, via del Seminario 87, Roma, 1913, pp, 69-78.

130 Scritti politici di Benito Mussolini

tare, ma è necessario invece alla borghesia per giustificare e perpetuare il suo dominio politico . Tutte le nazioni moderne a regime piu o meno democratico-rappresentativo ci offrono lo spettacolo di una borghesia tra vagliata e stimolata dal bisogno cli rinnovare i suoi istituti politici per evitare od allontanare la precoce imminente vecchiaia che li logora. Il Parlamento francese vota la rappresentanza proporzionale perché il suffragio universale ha già esaurito la sua funzione trasformatrice; la Camera italiana vota il suffragio giolittiano per vivificare l'istituto parlamentare, anello di congiunzione fra governo e popolo . La decadenza innegabile del parlamentarismo italiano ci spiega perché tutte le frazioni parlamentari - dalle scarlatte alle nere - abbiano votato compatte per l'allargamento del voto. È il sacco d'ossigeno che prolunga la vita all'agonizzante. Per queste ragioni io ho un concetto assolutamente negativo del valore del suffragio universale , mentre per i riformisti il suffragio universale ha un valore positivo. L ' uso del suffragio universale deve dimostrare al proletariato che neanche quella è l'arma che gli basta per conquistare la sua ema ncipazione integrale. La borghesia, come deve compiere il suo ciclo economico, cosf. deve percorrere intera la sua parabola politica - realizzare cioè tutti i desiderata delle democrazie - lino al giorno in cui scomparendo la possibilità di ulteriori trasformazioni dei suoi istituti politici, un altro problema , il problema fondamentale, quello della "giustizia nel campo economico", dovrà essere ri solto e la soluzione non potrà essere che socialista : il passaggio alle collettività operaie dei mezzi di produzione e di scambio . L'utilità del suffragio universale è, dunque - dal punto di vista socia listico - negativa: da una parte esso affretta l'evol uzione democratica dei regimi politici borghesi, dall 'altra esso dimostra al proletariato la necessità di non rinunciare ad altri metodi piu efficaci di lotta. (Commenti. Una voce : «È grossa'.)

No, è marxista.

La relazione del gruppo parlamentare soc ialista è una cosi scheletrita povera cosa, che non va le la pena di discuterla. Come discutere l 'operato di un gruppo cli 40 deputati che si presenta al congresso con due o tre paginette di prosa sbiadita e niente altro?! E tutto questo è il documento della sua vitalità, del suo interessamento per la causa del proletariato? Se questo documento dovesse dirci qualche cosa su ll 'opera dei deputati socialisti noi do vremmo trarne delle ben tris ti constatazioni. Badate che non voglio fare il piccolo processo agli uomini. Non possiamo, non dobbiamo fare un processo di dettaglio. Però permettete che, nella relazione, io rilevi alcune frasi. Si gioca a scarica barile. Il gruppo non funziona? La colpa è del Partito. I deputati aspettano l'ossig eno dal Partito e viceversa il Partito dà l a colpa al gruppo. Ora questo gioco deve finire. A nulla

Il mito della rivoluzione (1908-1914) !Jl

gioverebbe, dicono i relatori, limit are l'autonomia del gruppo. Io la voglio invece sopprimere . Il gruppo non deve avere che una sola autonomia: l'auton omia tecnica , ma l'autonomia politica non la deve avere, non bisogna concederglie la . (Be11e!) Bi sogna che i deputati escano da questo equivoco. Rappresentano il Partito o la massa elettorale? Rappresentano le sez io ni so cialiste che hanno la nciato e sostenuto la candicbtura o il gregge an on imo e caotico dei votanti? Ebbene, se rapptesentatc, se siete dep utati socia listi in quanto la vostra cnndidatura è stnta lan ciata dalle sezioni, dovete essere sottoposti al cont ro llo del Partito. La vostra autonomia politica deve essere sopprcssn. Vi si potrà lasciare un ' autonomia tecnica, ma l'autonomia politica non p i(1. I deputati devono ubbidire alla Direzione. Si trovcr~ modo di rendere le sezioni pill spedite ed omogenee, pill pronte o me no so rde a tutte le chiamate della Direzione, ma l 'autonomia de l gruppo è altamente pericolosa e lo abbiamo visto [ ... ] Assenteismo, indifferenza, inazione , ecco le parole che riassumono l'operato de.I gruppo socialista . Le mas se sono state oggi disingannate . Perché ne i drco l.i di campagna, dove si crede nel sociali smo senza discuterlo, si aveva e s i h a ancora una cieca fiducia nei deputati socialisti. Sono i santi che fi gurano, appesi sui muri, nei quadri allegorici del Nerbini. Si può essere iconoclasti, ma il popolo ama le idee attraverso g li uomini, e, forse, ha ragione . I deputati socialisti dovevano essere - nel concetto dell'umile gente - i combattenti inflessibili, come lame di Toledo, dalla vita alla morte. Le delu sioni non si contano piu . Il popolo che sposa le sue idee, non capisce la disinvoltura morale dei suoi rappresentanti politici: il disgusto per le inversioni e gli esibizionismi degli uomini finisce per inasprire lo scetticismo per le idee . (Interruzioni).

E volete una prova d ella nostra rappresentanza parlamentare nell'opinione pubbHca?

Dieci anni fa, dopo l 'ostruzio ni s mo, sa rebbe stato possibile ad un Renato Simoni di imbastire la Turtupineid e? Voi siete degni della caric atura che so lla zza la borghesia . (A ppla usi)

L'ord.ine del g io L-r1 0 che vi presento e che non ho ancora finito di illustrare dice:

"Il congre sso, presa vi s ione della povera, scheletrita relazione del gruppo parlamentare, constata e deplora la in azione politica del gruppo stesso, ina zione ch e ha co ntribuito a demoralizzare le masse e, riferendosi agli atti specifici dei deputati Bonomi, Bissolati e Cabrini dopo l 'attentato d el 14 marzo delibera di dichiarare espulsi dal Partito i deputati Cabr in i, Bonomi e Bissolati ". (I nterrttzioni ).

Il 14 marzo un muratore romano spara una revolverata contro Vittorio Savoia . C'era un precedente che indicava la linea di condotta

132 Scritti politici di Benito Mussolini
[ ... ]

per i socialisti. Si era già criticato aspramente lo spettacolo ind escr ivibile offerto dall'Italia sovversiva dopo l 'attentato di Bresci a Monza. C'è un libro, che potete accettare con beneficio d'inventario, del Labriola, la Storia di 10 anni, che vi dice come le classi alte dell'Austria-Ungheria seppero raccogliere con grandissima dignità la notizia della tragica fine di Elisabetta. Si sperava che, dopo dodici anni, non si ripetesse il veramente indescrivibile spettacolo di Camere del lavoro, che espongono la bandiera abbrunata, di Municipi socialisti che mandano telegrammi di condoglianze o di congratulazioni, di tutta un 'Italia democratica e sovversiva che a un dato momento si prosterna dinanzi al trono. Difficile scindere la questione politica dalla questione d'umanità. Arduo separare l'uomo dal re. Ad evitare equivoci perniciosi, uno solo era il dovere dei socialisti dopo l'attentato del 14 marzo: tacere. Considerare cioè il fatto come un infortunio del mestiere del re. (Bravo' Applausi). Perché commuoversi e piangere pel re, "solo" per il re? Perché questa sensibilità isterica , eccessiva, quando si tratta di teste incoronate? Chi è il re? È il cittadino inutile, per definizione. Ci sono dei popoli che hanno mandato a spasso i loro re, quando non hanno voluto premunirsi meglio inviandoli alla ghigliottina e questi popoli sono all'avanguardia del progresso civile. Pei socialisti un attentato è un fatto di cronaca o di storia secondo i casi. I socialisti non possono associarsi al lutto o alla deprecazione o alla festività monarchica. Quando Giolitti dà l'annuncio dello scampato pericolo, tutti scoppia no in un applauso giubilante. Si propone un corteo dimostrativo al Quirinale e alcuni deputati socialisti s'imbrancano senz'altro nel gregge clericonazionalista-monarchico. (Bene!). E si va al Quirinale. Non so se sia vero quel dialogo che le cronache hanno riferito. Non c'ero, ma non è stato neppure smentito. Si dice che quella frase oltremodo banale non sia stata pronunciata. Non importa. So che vi è un telegramma: "Pregovi di presentare a Sua Maestà il mio commosso e reverente saluto". E questo è il Bissolati, il quale, 12 anni fa, gridava: "a morte il re!" (Applausi a sinistra. Rumori sugli altri banchi. Bissolati ed altri : "No. No. Abbasso il re. La destituzione")

Non c'è una grande differenza tra morte e destituzione. La destituzione è comunque la morte civile. (Interruzioni).

E la banalità dei complimenti?

Bissolati elogia il coraggio del re che aveva la carrozza chiusa, Cabrini si sdilinquisce dinanzi la regina e ne riceve una lezione. Tutto questo "patetico" finisce nel buffo. Il senso dell'umanità offesa sbocca fatalmente nella piaggeria melensa, volgare del cortigiano. Ma l'episodio ha un'altra, pili ampia e politica significazione. È una specie di riconciliazione fra monarchismo e riformismo. In Francia taluni sindacalisti s'accostano ai camelots du roi e sono indifferenti

Il mito della rivoluzione (1908-1914) 133

dinanzi alla ripresa del bonapart ismo. T an to i riformisti italiani , quanto i sindacalisti puri o soreli ani fa nno completa astrazione dal problema politico. Non è questo l'unico punto in cui s'incontrano le due concezioni antitetic he del d iven ire soc iale. Ve n'è un altro. Entrambi ritengono inutil e il Partito , e n tra mbi mira no a sopprimerlo. Giorgio Sorel, che copre co l suo dileggio le associa zioni politiche dominate e utilizzate a sco pi elettorali dai professionnels d e la pensée e ritiene che il pas sagg io dal vecchio al nuovo mondo , dalla civiltà borghese alla ci vil tà socialistica avverrà per via economica e non per via id eo log ica, avverrà cioè nella fabbrica e non nel P arlame nto, collo sciopero genetal e e non coi provvedimenti di un 'assemblea di legifera tot i, Giorgio Sorel è molto vicino al Bis solati dal "ra mo secco". Ma i.I Partito no n ha dunque pi\J ness una f unzione da compiere nel seno dell e a ttuali socie tà europee? Questo è il problema che noi ri so lv iamo affermando reci sa mente l ' utilità del Partito (Applausi). I riformi sti non possono as trarre d al problema politico istituzionale . In fo nd o il lo ro socialismo è em inente mente politico , anzi parlamentare . Il l oro sociali smo diviene attraverso allo stillicidio delle 11 provvid enzc 11 legis lativ e. So no i professio nali della "riforma". Il loro sociali smo è il risultato fina l e della progressiva democratizzazione delle istituzio ni politiche della società borghese. È la democrazia che sbocca nel socialismo. Questa relazione d i continuità fr a i principi dell"89 e il socialismo co stituisce il leitmotiv degli Studi socialisti di Jean J aurès. Il Codice Civile francese contiene di spos izioni utilizzabili per la r ivoluzione socialist a. I riformisti quindi hanno tutto l'interesse di democratizzare rapidam ente le istituzioni politiche. Ma gli atti che accrescono il prestigio della monarchia e tendono a conciliare le simpatie popolari , non solo sono ant i- socia li sti , m a sono anti-riform is ti. Sono anti-socialisti in quanto rendono omagg io al privilegio politico, so no anti-riformist i in quanto consolidano un reg im e che può, per la co nt radd izio ne che non consen te, democrati zzarsi fino al perfetto idillio della co llaborazione di classe. Anche noi abbiamo una pregiudiziale politica, ma essa non è sola; è p arte invece integra nte della nostra pili complessa pregiudiziale ant i-borghesc. Se i social isti italiani avessero accentuato il carattere anti-monarchico del Part ito, il Partito Repubblicano , ch e vive di una so la pregiu cliz iaJe polit ica, sa rebbe stato colpito a morte e l'e sodo, cominciato verso il '90, dei rep ubblica ni collettivisti avrebbe gradu alm ente condotto tutt i gli operai rep ubblicani nelle file del sociali smo.

Ora si dice: non bi sog na co lpire gli uomini. Ma, egreg i amici, e le idee? Non siamo i malinconici Don Chi sciot te dell 'idea . Ma l 'idea è "irreperi bile " come la Dulcin ea del Toboso. Bisogna identificarla, l 'idea. C'è, in quanto c'è l'u omo che la cerca, che l'e sprime , che a

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Scritti politici di Benito Mussolini

questa idea uniforma le sue azioni. Un processo alle idee è eminentemente domenicano, ma un processo agli uomini, in un organismo di battaglia, è un processo logico e umano e ve lo dimostrerò (]Jr11vo!) . Noi non abbiamo feticism i personali. Non li abbiamo pe r i morti, e sarebbe ben strano che li avessimo per i vivi [ ... ]

Il Partito Socialista pratica le espulsioni perché è un organismo. C'è la fagocitosi socialista come c'è la fagocitosi fisiologica scoperta da Metchnikoff. Se non corriamo solleci tamente alle difese, gli elem enti impuri disgregheranno il Partito, allo stesso modo che i germi patogeni introdottisi nella circolazione del sangue, quando i fagociti siano - per vecchiaia - impotenti ad eliminarli, finiscono per abbattere l'organismo umano. (Applausi). La misura che con piena coscienza vi propongo non deve sorprendervi. È tempo di dire una parola che stronchi gli equivoci . È tem po di celebrare solennemente con un atto di sincerità quella scissione che è ormai compiuta nelle cose e negli uomini. Il ca so ci ha dato un ottimo precedente e un non meno ottimo in seg namento: il con gresso repubblicano di Ancona. Voi lo avete visto: per aver voluto mantenere l'equivoco , il Partito Repubblicano è oramai divenuto uno straccio. Sarà un bene o un male, non so, ma so che c'è la crisi in basso e in alto. La Ragione, si dice, è in stato preagonico, nel basso c'è la disgregazione, i circoli si sconfessano l'uno con l'altro e tutto questo perché il congresso ha votato una mozione sibillina, elastica, duttile , un vero pasticcio, come l'ha definita Pirolini. Ebbene, guardiamoci dall'imitare i nostri avversari, perché noi vogliamo ritornare nelle nostre terre ad alimentare il Partito , nel quale abbiamo una grandissima fiducia, perché crediamo ancora nella sua for za ideale. Noi riteniamo che l'Italia per 50 anni almeno abbia bisogno di un Partito Socialista forte ed omogeneo, il quale, come ha detto recentemente !'on. Colaianni nel suo ultimo libro: I partiti politici in Italia, ha un compito preciso da assolvere: precipitare , decomporre, cioè, la caotica ed incoerente democrazia italiana , urtandola ed ass altandola da ogni parte. Ecco perché vogliamo un Partito numeroso e compatto. Ecco perché ci presentiamo con una list a di pro scrizione. Voi, deputa ti accusati, aspettate da tempo la nostra esecuzione: per voi significa liberazione . Sciolti da ogni impaccio formale , e da ogni vincolo morale , voi potrete piu speditamente proseguire il vostro cammino. In fondo, non vi troverete la voragine ardente, ma la scala fiorita del potere. Noi abbiamo un preciso dovere: quello di abbandonarvi sin d 'ora al vostro destino.

Bisso lati, Cabrini, Bonomi e gli altri aspettanti possono andare al Quirinale, anche al Vaticano , se vogliono, ma il Partito Socialista dichiari che non è disposto a seguirli né oggi, né domani, né mai.

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9. L'im presa dispera ta * A Prezzolini

Giuseppe Prezzolini ha vo luto annunciare sulla sua Voc e, e con ter· mini assai lusin ghieri, l'uscita di Utopia . Gli sono - anzituttograto delle paro le cortesi: in se nsibile alla lode o alla contumelia degli imbec illi, de i malvagi e di coloro che - né imbecilli , né malvagi - ho Je mie ragioni di detestare, sono invece toccato dall'eia· g io di co1oro che stimo intellettualmente e moralmente, anche se la politica o particolari ideologie ci dividono. Questo piccolo preambolo persona le non è ancora finito. Il Prezzolini ritiene che io abbia creato quest a rivista per sentirmi pili '1 me stesso" , per completarmi. Ha ragio ne, ma solo in parte . Qui posso parlare in prima persona. Altrove rappre sen to l'opinione collettiva di un Partito, che può es· sere ed è, quasi sempre, anche la mia; qui rappresento la mia opinione, Ja mia \Yleltanschauung e non mi curo di sapere s'essa concorderà o no coll'opini one media del Partito. Altrove sono il sol dato che "obbedisce" alla consegna; qui invece sono il soldato che può anche "discutere" la consegna; ma allora o non sono pill un soldato o non si tratta pill di una consegna. Gli è che certe "consegne" non si discutono davanti all'esercito, come attorno a certe verità od eresie non si polemizza in chiesa . Ammesso che la :verità sia femmina, come riteneva Nietzsche, è certo che come femmina ha i suoi pudori. Non è possibile, non è consigli abile di esibirla subito al grande pubblico: bisogna ricercarla nel segreto, nella discrezione, nel silenzio, possederla al buio, e poi offrirla al pubblico préalablement iniziato.

Mi sono, ci siamo chiesti piu volte, nelle soste della fatica quotidiana: È vero che il socialismo è - ideologicamente - esaurito? È vero che il socialismo non può condurre a ness una nuova verità? E. vero ch'esso ha perduto ogni charme sulle generazioni nuove, mentre, dopo il '98, come ricorda appunto il Prezzolini nell'articolo de ll a Di e Tot, tutta l a giovent u fu socialista? È possibile ridare un'anima a questo corpo? Una volontà a questa massa? Un nuovo dogma a questa fede crepuscolare? Io ho risposto "si" a queste domande. Ma non ho ma i nutrito la superba illusione di bastare da solo a tale impre sa che, se non è disperata, è certamente ardua. E allora ho deciso - a mio ri sc hio e pericolo - di offrire ai socialisti italiani - a colo ro che st udiano e pensano - il modo di studiare e di ripensare il socia li smo . C'è stata una generazione di socialisti che si è agguerrita snJla Critica Snciale dei primi tempi, quando

136 Scritti politici di Benito Mussolini
*
II.
D:1 "Utopia", n. 1, 15 gennaio 1914, n.

Turati era un marxista pil.l ... marxista dello stesso Marx, che aveva ragione, anche nella fattispecie, di diffidare dei discepoli troppo pedissequi, e Bissolati prefazionava Dio e lo Stato di Bakunin. Quella generazione volge - per l'età e le idee - al tramonto. La stessa Critica Sociale vive di rendita, su ciò che ha prodotto, non su ciò che produce. Vediamo ora se i giovani siano capaci di qualche cosa. Io offro loro una palestra e non una tutela. Sono liberi, anche d'infischiarsene, naturalmente!

Prezzolini dichiara che "far vivere l a coscienza teorica del socialismo" è un 'impresa disperata. Mi domando: Che cosa è o piuttosto che cosa è stata la coscienza teorica del socialismo? Senza sofisticare troppo, perché allora dovrei domandare che cosa sia la "coscienza teorica", rispondo: la "coscienza teorica" è la (( derivazione" ideologica, dottrinale, riflessa di un fatto o fenomeno. Come tale non precede, segue. La "coscienza sentimentale" può precedere il fatto, cioè il capitalismo e anche il socialismo degli " utopisti"; la coscienza "teorica" segue invece il capitalismo. Marx, che prima di essere stato il profeta del socialismo, è stato il poeta della borghesia, ha scritto il suo Capitale là dove il "fatto" capitalistico aveva raggiunto, fra il '55 e il '70, l a sua maggiore e peculiare espressione: a Londra. Il capitalismo, cioè il sistema economico-politico dominante nelle nazioni moderne, ci presenta la sua realtà. È varia, è multiforme. È una realtà in movimento. A un dato momento i socialisti sono stati vittime di un gravissimo errore . Hanno creduto che il capitalismo avesse compiuto il suo ciclo. Invece il capitalismo è ancora capace di ulteriori svolgimenti. Non è ancora esaurita la serie delle sue trasformazioni. Il capitalismo ci presenta una realtà a facce diverse: economica prima di tutto. È la faccia-base del poliedro. Borghesia da una parte, proletariato dall'altra. Dualismo fondamentale. Antitesi di classe. Ma la classe si fraziona nella pluralità delle categorie e - elemento trascurato sino ad oggi - delle psicologie. La classe borghese è un "blocco ", ma la sua composizione è etero· genea. C'è una borghesia fondiaria, vecchia e conservatrice; una borghesia industriale, giovane e ardimentosa; una borghesia bancaria; una borghesia commerciale; una borghesia intellettuale (avvocati, artisti di tutte le qualità, scrittori, grossi prelati, ecc.). Fra l'una e l 'altra di queste borghesie, pullulano l e sot tospecie. Si va dal piccolo prole tario al latifondis ta; dall'atelier all'officina colossale; dalla modesta b anca a Roth schild. Fra l'una e l'altra specie e sottospecie la differenza non è qualitativa, è piuttosto quantitativa. L'ultimo bottega io del sobborgo e i padroni del Printemps obbediscono alle stesse leggi e tendono allo stesso obiettivo: far denaro.

Sull'eterogeneità degli elementi che compongono il blocco borghese,

Il mito della rivoluzione (1908-1914) 137

il riformismo ha basato tutta la sua dottrina della penetrazione e della collaboraz ione di cla sse: ma la diversità degli elementi non impedisce ch'essi siano be n sa ldati fra di loro e che senta no e pratichino fra di loro la solidari e tà . Un modesto ren tier è psicologicamente piU vicino a un mil.iardar io che a un operaio, anche qualificato. I piccoli reaz io nari so no se mpre i pi U feroc i. Il b locco borghese s i fraziona ancorn nel campo politico, reli g ioso, morale in conservatori e democratici, cred enti ed ate i, accumu latori e dissipatori. Qui il quadro dell a rea l tà s'a ll arga e si complica. D'altronde lo stesso proletariato no n ci presenta una "real tà" unica , cioè una espressione "u nica". Ma è piu facile individuarlo. Il proletario non possiede gli strumenti de ll a produzione e l avora a salario. Dal proletario, salendo, si g iun ge al cooperatore, scendendo, al Lumpenproletariat. Proletar iato agr icolo e ind ustriale, delle miniere e dei trasporti, organizzato e organizzabile, skilled ed unskilled, sono altrettante variazioni del ti.po. Bisog nerà che i sociali st i cerchino di "sorprende re " l'anima pro letar ia. L a psico logia del proletariato è poco nota. Il luogo e il tempo dell 'osse rva zione è li mita to ai comizi, nei quali il proletariato si offre all 'indagato re sotto un aspetto a rtificioso e superficiale.

C'è dunque una r ealtà, varia come tutte le cose dell'universo . Una realtà "capitalistica" attuale, negazion e e deri vaz ione ad un t e mpo di un'altra realtà storica: "il feudalismo". Tu tta l'opera dell'intelligenza umana che si "applica" nella ricerca, nella differenziazione, nell a comprensione e nella conquista , insomma, di questa realtà, determina la " cos cienza teorica". Questa, in quanto è condizionata dalla realtà, muta col cambiare di essa : l a coscienza teorica del sociali smo marxiano è il riflesso del mondo capitalistico inglese. La '' coscienza teorica" della rea ltà capit alistica odiern a si è espressa nel revisionismo riformista e s indacalista . La coscienza teorica, in fondo, non è aJtro che la "dottrin a": si tratta di vedere se la realtà attual e per me tte la previs ione socialistica. Ma su ciò non v'h a dubbio. Il reg ime d ella proprietà privata dei mezzi di produzione e di scamb io n o n può essere eterno. La produzione della ricchezza è oggi l'opera della co Ue ttiv ità, e gli stru ment i che t ale ricchezza aiutano a produrre no n possono che appartenere alla collettività. La risorta "coscienza teorica" de l soc ialis mo trover à facile dimostrare che il collettivismo è già in atto. Ma ]a "coscienza teorica", e la vecchia e la n uova, n on basta a risol vere la crisi socialista. Anzitutto la "coscienza teoric a" non può essere che un p ri vilegio di esigue minoranze, un lusso di studiosi, che so no , in certo qual modo, all'esterno della realtà; ma le grandi masse chiamate a fondare il nuovo regno,

138 Scritti politici di Benito Mussolini

hanno bisogno non tanto di "sapere", quanto di "credere ". Nc.lb mente del proletariato, la "coscienza teorica" del socialismo sn rà sempre amorfa, rudimentale, grossolana: come non c'è bisogno per essere buoni cristiani di aver letta e capita tutta la teologia, cosi si può essere ottimi socialisti pur ignorando i lavori e i capolavori della letteratura socialistica, pur essendo co mplet amen te analfabeti. I sans-culottes che mossero all'assalto dell a Bastiglia probabilmente non avevano nessuna "coscienza teor ica" .

La Rivoluzione sociale non è uno schema mentale o un calcolo, ma, prima di tutto, un atto di fede. Io, caro Prezzolini, credo nella Rivoluzione sociale.

IO. Contro il neutralismo del PSI •

Da molti segni , è lecito arguire che il Partito Socialista Italiano non si è "adagiato" fra i cuscini di una comoda formula quale è quella della neutralità "assoluta". Comoda, perché negativa. Permette di non pensare e di attendere. Ma un Partito che vuol vivere nella storia e fare - per quanto gli è concesso - la storia, non può soggiacere - pena il suicidio - a una norma cui si conferisca valore di dogma indiscutibile o di legge eterna sottratta alle ferree necessità dello spaz io e del tempo. Cosi, nessuna meraviglia , se il campo socialista è diviso in varie tendenze (intesa la parola nel vecchio e tediante significato). C'è una frazione di socialist i che seguono l'herveismo prima maniera: secondo loro, nes suna differenza esiste fra guerra e guerra; le guerre di difesa equi valgono a quelle di conquista e il proletariato deve opporsi, senza esitazione, a tutte salvo la sua: la Rivoluzione Sociale.

Questo herveismo - vecchio stile! - è sta to cosl clamorosamente smentito d al suo stesso primo assertore e dagli avvenimenti, che si stenta molto a capire come abbia ancora qualche credito in Italia. È un fenomeno di cecità volontaria. Vengono poi i socialisti che dichiarano di accettare una sola guerra e subirebbero, in un sol caso , l a violazione della ne utralità da parte nostra: quando si trattasse di respingere un'invasione straniera. Ammettono - dunque - la difesa della patria.

Seguono i socialisti che per ragioni d'indole generale e per altte d'indole nazionale , pur non assumendo iniziative o responsabilità, non si opporrebbero ad una rottura della neutralità in danno del blocco austro-tedesco. Ci sono, da ultimo, non pochi socialisti, de-

* Dall' "Avanti!", n, 288, 18 ottobre 1914, XVIII, col titolo: Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante.

Il mito della rivoluzione (1908-1914) 139

cisamente partigiani di un inter ve nto militare dell'Italia a favore della Triplice Intesa. Se per guesti ultimi non si invocano da nessuna parte quelle misure disciplinari che colpirono - e giustamente! - i socialisti fautori de lla g uerra libica, g li è che nessuno può dire di possed ere la v e tità 11 assoluta" .. .

N eutralità 1'assoluta''?

Ma è s tata, ed è, ve ramente assoluta questa nostra neutralità socialista, o n o n è stata invece relativa e parziale? La neutralità "assoluta" dovev n condu rci ad assumere un atteggiamento di nirvanica impassibilità o di cinica i ndifferenza dinnanzi a tutti i belligeranti: blocco austro-ted es co e Triplice Intesa dovevano equivalersi perfettamente nel nostro gi udizio: non dovevamo parteggiare - nemmeno idealmente - per l'uno o per l'altro dei contendenti, poiché questo pen chant se ntimental e di simpatia o di antipatia avrebbe potuto influire direttamente o indire ttamente 1 a breve o lunga scadenza, sulla nostra condotta pratica .

Ma una neutralità in siffatta guisa "assoluta" non è quella che il Partito Socialista ha sostenuto e patrocinato sin dagli inizi della crisi. La nostra neutralità è stata sin da allora "parziale". Ha distinto. È stata una neutralità spiccatamente austrotedescofoba e, per converso, francofila.

La nostra (<neutralità" voleva essere ed è stata un aiuto non indifferente alla Triplice Intesa, il che si è risolto in un danno per la Duplice Alleanza. Una rapida documentazione può giovare a meglio precisare la portata e il significato di questo nostro atteggiamento.

L'Avanti! del 25 luglio (due giorni dopo la pre sentazione della fa. migerata "Nota" austriaca alla Serbia) scriveva:

"Noi non sappiamo quali sian o i 'patti' seg ret i di quella Triplice che fu cosi precipitosamente rinnovata dai monarchi all'insaputa e contro la volontà de i popo li , sappiamo solo e sentiamo di poterlo dichiarare altamente, che il prole tari ato italiano straccerà i patti della Triplice s'essi .lo cosu·ingessero a versare una sola goccia di sangue per una causa che non è sua". '

Né meno esplicit o era un "a-capo" dell'ordine del giorno votato il 28 luglio dalla Direz io ne del Partito e dal Gruppo parlamentare socialista. Diceva tale ordine del giorno:

Ammoniscono che nessun patto segreto di coronati potrebbe trascinar~ il proletariato italiano ad im pug nare le armi al servizio dell'alleata per sopraffare un popolo libero (la Serbia).

140 Scritti politici di Benito Muss olini

Una cosa sola può dirsi ed è questa: che se il Governo italiano si accordn sse all'Austria nella sopraffazione violenta di un popolo libero, se il Govern o italiano si impegnasse in altre avventure guerresche 1 il Partito socialista mobi1iterebbe immediatamente l e sue forze.

Il 29 luglio, in una nota politica romana veniva lucidamente prospettata la immediata respon sa bilità dell'Austria-Ungheria nello scatenamento della conflagrazione.

Ma ora vi è da considerare gli avvenimenti al lume di un fatto nuovo: l'offerta di mediazione delle Potenze.

Il fatto che l'Austria abbia mostrato di non volerne te·nere nessun conto ha reso sempre pi\J impopolare in Europa, dato che ciò fosse ancora possibile, la sua causa e piU ripugnante il suo atteggiamento, straniandosi ancor piU dal consorzio dei paesi civili. Non è piU lecito dubitare ora che a Belgrado si disse sin dal primo giorno della crisi attuale: L'Austria vuole la guerra ad ogni costo, l'attentato di Serajevo non è che un pretesto senza il quale ne avrebbe cercato e trovato un altro non meno ridicolo.

Pretesto ridicolo, ma anche ignobile. In sostanza il militarismo austriaco ha iniziato la sua fruttuosa speculazione guerrafondaia su due feretri e, ment re lacrimava su di essi, pensava a sfruttarli.

Questo atteggiamento odioso dell 'Austria naturalmente influirà, insieme a tutte le altre considerazioni che abbiamo già esposte, a porre nella coscie nza del popolo italiano, al di sotto di ogni possibilità di discussione, ]'ipotes i della nostra solidarietà diplomatica e militare.

Quando ci s i trova di fronte ad un simile crim ine, se c'è un trattato che in qualche modo ci vincola col criminale, vi è una sola cosa da fare: stracciargli in faccia il patto firmato, il documento della societas sceleris !

Ad ogni modo non saranno mai i proletari che si batteranno per quel patto.

Pubblicata la dichiarazione ufficio sa della neutralità, vi fu chi manifestò la paura di una rappresaglia da parte degli Imperi Centrali.

L'Avanti! che aveva contribuito fortemente ad orientare l'opinione pubblica verso il concetto di neutralità, dichiarava a tal proposito (3 agosto):

"Se l a neutralità dell' It alia è giustificata, come noi crediamo, da formidabili ragioni di diritto e di fatto e se ciò malgrado l'Au str iaubriacata dalle sue eventuali vittorie - intendesse (l ' ipotesi è inverosimile) di perpetrare una 'spedizione punitiva' attraverso il Veneto, allora è probabile che molti di quelli che oggi sono accusati di anti-patriottismo saprebbero compiere il loro dovere".

La violazione della n eutralit à del Belgio e il linguaggio in solent e di Bethmann-Holweg al Reichstag polarizzarono vieppiu le simpati e del socialismo italiano verso i nemici del blocco austro-tedesco.

Il mito della rivoluzione (1908-1914) 141
L'Avanti! cosi commentava:

L'Avanti! cosf commentava il prologo di quella tragedia che doveva dopo due mesi condurre all'annientamento dell'indipendenza del Belgio eroico e martire : "Prescindendo da queste consid e rnzion.i d'indole militare e strategica·, resta il proced e re inaudito e bri ga nte sco d ella Germania, procedere che non sarà mai ab ba sta nza s ti gmatizzato. Si comprende come davanti a questa improvv isa e ingiustificata invasione, il Partito operaio soc iali sta bel ga abbia lanciato il proclama che i nostri lettori troveranno altrove. Co ll 'f1ggress ione al Belgio la Germania ha rivelato le sue tendenze, i suo i ob iett ivi, la sua anima. Solidarizzare direttamente o indire ttamente colla Germania significa - in questo momento - servire la causa del militarismo nella sua espressione piU forsennat a e criminale".

Ma il docum e nto, che fissava il valore della nostra neutralità nei riguardi del blocco austro-tedesco, è l 'ordine del giorno votato, il 5 agosto, dai rappresentanti di mezzo milione di organizzati raccolti nella Confed e razion e Generale del Lavoro, nella Unione Sindacale, nel Partito Socialista. Tale ordine ciel giorno, presentato dalla Confederazione Genera le del Lavoro, nel secondo "a.capo" dice:

... di conseguenza, nel caso che il Governo corra in aiuto dei due Imp eri for. manti parte· della Triplice, non per avversione di razza o per sentimento irre· dentista, ma per la brutale aggressione compiuta dall'Austria-Ungheria spalleg· giata dalla Germania, dichiara di essere disposto a rico rrere a tutti i mezzi per impedire che ciò avvenga.

L'Avanti! commentando, cosf ribadiva il "punto di vista" del proletariato:

"1. L ' Italia deve mantenere sino all'epilogo della guerra il suo atteggiamento di neutralità. 2. L'Italia non deve uscire dalla neutralità per appoggiare il blocco austro-tedesco. Ora i proletari siano vigilanti. Qualora l'Italia inte ndes se rompere la neutralità per aiutare gli Imperi Ce n trali, il dovere dei proletari italiani - lo diciamo forte sin da questo momento - è uno solo: insorgere!"

Le due eventualità

È un fatto indiscutibil e, dunque, e le citazioni lo provano, che tutta la campagna antiguerresca del socialismo italiano è stata influenza. ta da questa nostra posizione iniziale Noi abbiamo condannato la guerra, ma questa condanna del fenomeno, preso nella sua "univer· salità ", non ci ha impedito di distinguere - logicamente, storica· mente, socialisticamente - fra guerra e guerra. La guerra cui sono

142 Scritti politici di Benito Mussolini

stati costretti Belgio e Serbia e in un certo senso anche .b l:r:.111 cin, ha caratteri assai diversi dalla guerra del blocco austro-tedesco. Valutare tutte le guerre alla stessa stregua sarebbe assurdo e - ci s ia concesso di dirlo - cretino. A guerra scoppiata, le simpatie dei socialisti vanno alla parte aggredita. Un altro elemento che contribuisce a determinare l'atteggiamento dei socialisti è l a previsione delle conseguenze - piu o meno favorevoli allo sviluppo delle nostre idee - che la vittoria degli uni o degli altri reca nel suo grembo sanguinoso.

Una neutralità socialista che prescindesse dai possibili risultati della guerra attuale, sarebbe non solo un assurdo, ma un delitto . Ecco perché, sin dai primi di agosto, ci siamo rifiutati - anche a costo d'insorgere! - di collaborare cogli Imperi Centrali; in quanto avevamo ed abbiamo ancora ragione di deprecare la l oro vittoria. Di qui il duplice aspetto della nostra neutralità di sociali sti. Simpatica verso occidente, ostile verso oriente. Benigna verso la Francia, arcigna verso l'Austria-Ungheria. Questa "posizione" sentimentale e politica, ha avuto conseguenze pratiche immediate: il Partito Socialista ha dato la sua tacita approvazione al richiamo delle classi che dovevano garantire la neutralità dell'Italia, dalle possibili rappresaglie di un'Austria-Ungheria vittoriosa.

Le classi richiamate sono state due (un 'altra era stata richiamata prima, in previsione di uno sciopero ferroviario) solo perché il vuoto dei magazzini militari non permetteva di piU, non già perché i ,. socialisti abbiano elevato protesta o tentato un'opposizione qualsiasi.

È certo che nella prima quindicina di agosto - quando i "passi " degli ambasciatori austro-tedeschi si facevano piU frequenti e insistenti - noi avremmo accettato anche la mobilitazione generale dell'esercito, se per misura precauziona le il Governo l 'avesse ritenuta necessaria.

Noi abbiamo fatto allora l a prima importante concessione alla realtà storica nazionale. Abbiamo sentito che sarebbe stato assurdo pretendere che l'Italia sola restasse inerme, mentre tutta l'Europa era una selva di baionette che s 'incrociavano nell'u rto immane e gli stessi piccoli Stati neutrali armavano per non subire l'angoscioso de stino del Belgio ... Abbiamo ammesso che bisognava tenersi pron ti per difendersi da eventuali rappresaglie austro-tedesche_ Questa ammissione può condurci lontano: a vedere, cioè, se convenga di opporci praticamente a quella guerra che ci liberasse " in preventivo e per sempre" da tali possibili rappresaglie future.

Il mito della rivoluzione (1908-1914) 143

Dal manifesto al «referendum«

Senza la vigorosa campa gna anti-guerresca del Partito Socialista, a quest'ora, molto probabilmente, l e corre nti che vogliono la guerra per la guerra, avre bbero potuto, avendo il sopravvento, trascinare il Paese nel piU irreparabile dei disastri. Questo "contrappeso" socialista è stato di un a utili tà provvidenziale. Inoltre il proletariato è rimasto jmmun e dal conta g io di ideologie estranee alla sua coscienza e ai suoi in te ressi cl.i cl asse .

Ciò è di un 'irnpo ttan za capitale. Questo può dispiacere ai destri e ai democratici che pregustavano, in caso di guerra, le gioie del potere in un blocco di concentrazione nazionale; ma i casi recenti di Molin ella, lo stillicidio delle punizioni ai ferrovieri, e le condanne numero se pei moti di g iug no, dimostrano che il proletariato deve tenersi appartato dall"' umanità" nazionale che è - in definitival'umanità borghe se.

È, ad ogni modo, inqualificabile che si sia pensato di "sfruttare" la guerra europea per determinare una situazione "parlamentare" bloccarda! Le collere dei "destri" contro la campagna dei socialisti italiani, tradiscono la segreta acerbissima delusione per il.. . grande Ministero: tramontato prima di sorgere!

Il "manifesto" tanto "esecrato" rappresenta un 1'momento'' della nostra campagna anti-guerresca. Quel "manifesto" doveva essere cosL Non poteva essere che cosL La neutralità "assoluta" non si sostiene che cogli argomenti dell"'assoluto" . Si prescinde dalla realtà varia e multiforme della vita e della storia, e ci si apparta nella torre eburnea dei principi supremi . Il referendum, seguito al manifesto, è il "momento" culminante della nostra opposizione guerresca. Perché non si doveva consultare il «popolo"? Sarebbe dunque vero che il '1 popolo" è sovrano so ltanto nelle sacre "carte'' della democrazia? Il diritto d'ini ziative e di referendum non è tra i "postulati" del repubblicanesimo? Il "popolo" non ha dunque il diritto di manifestare ];i sua opin ione specie quando si tratta del suo destino?

O che le ma sse avrebbero solo il diritto di eleggere i deputati del riformismo mona 1:c hlCo e non quello di dire se vogliono o no la guerra? Dcm oc rn zia sarebbe dunque - a un secolo di distanzasinonimo di "g in cob ini smo"? Che i Governi e i re -i quaH si arrogano la facoltà di dichiarare la guerra - ignorino la volontà dei popoli (e in caso di resistenza la violentino con lo stato d'assedio) si capi sce: la volontà dei popoli se consultata coinciderebbe assai raramente con quella dei re, ma che i socialisti accettino i sistemi d ei Governi borghesi, è assurdo. Ecco perché bisognava "consultare" la massa, anche perché il Governo avesse una chiara indicazione sullo stato d'animo di gran parte dell'opinione pubblica. Ma

144 Scritti politici di Benito
Mussolini

dopo il referendum che è stato l'atto piu solenne della no stra opposizione , problemi nuovi sono sorti e si tua zioni nuove sono venute a determinarsi. Conviene tenerne conto e parl arne.

Il dilemma

La neutralità .. assoluta" ci poneva di fronte a due pericoli estremamente gravi che occorreva sventare. Qui è l'origine delle famose dichiarazioni del Mus solini. La n eutralit à ass oluta minacciava di "imbottigliare " il Partito e di togliergli ogni possibilità e libertà d i movimento nel futuro. Accendere con un a formula - che non imprig iona la storia -dell e ipotech e sull'avvenire incerto , oscuro, imprevedibile, è un rischio estremo per un Partito che voglia combatter e e non semplicemente e comodamente ... sognare.

Il primo pericolo da ovviare er a di natura interna: è certo ormai - per mille segni - fra gli altri la non avvenuta denuncia del Trattato della Triplice - che la monarchia italiana non vuol muovere in guerra contro gli antichi e att uali alle ati. Ora l'oppo sizione dei socialisti anche ad una guerra contro l ' Au stria -Ungheria poteva favorire indirettamente il gioco triplicista della monarchia. Crearle, in un certo senso, un alibi presso l'opinione pubblica. D ar e una giustificazione o un pretesto alla sua immobilità "neutrale " ma austro-tedescofila. Ora, la monarchia è scope rt a. Non si può piu diffamare dai nostri avversari - quasi sempre in malafede - l a nostra opposizione alla guerra prospettandola come un ausilio alla politica triplicista delle classi dominanti italiane. Il pericolo d'ordine int ernazionale era questo e non meno gr ave del primo. Una oppo sizione socialista spinta agli estremi nel caso di guerra contro l'Austria-Ungheria non solo avrebbe svalutato il nostro attegg iamento anteriore, ma avrebbe potuto far nascere nell'opinione pubblica socialista e proletaria dei paesi della Triplice il sospetto di una no stra "complicità " sia pure involont aria con la politica degli Imperi Centrali. Il fatto che la Nordeutsche Allgemeine Zeitung, organo ufficiale della Cancelleria del Kaiser - in comràovente accordo coll'austriacante Popolo

Romano, del "noto " Costanzo Chauvet - si compiacess e dell 'a tteggiamento di neutralit à assoluta dei sociali sti itali ani offre materi a a qualche riflessione. Notevole anche che l 'Arbei ter Zeitung di Vienna si rammarica del nuovo atteggiamento dell'Avanti! e lo attrib uisce ... allo sconvolgimento degli spiriti provocato dalla guerra . Sono facezie... vienne si!

A coloro che intendono la neutralità assoluta nei confronti dell 'Austria-Ungheria come l'impegno per un'a zione pratica che eviti la guerra, il dilemma va posto in questi termi ni : se dopo al re/eren-

a a l l· è l· i à e è Il mito della rivoltlzione (1908-1914) 145

dum, voi volete continuare e accentuare l'opposizione alla guerra, dovete prepararvi a fare la rivoluzione .

Per evitare una guerra, b isog na abbattere - rivoluzionariamentelo Stato. Quando? Non certo alfa vigilia della mobilitazione, ma appena il pericolo si delin ei all'or izzonte.

I n Italia, il mom ento buono sa rebbe l'attuale. Vogliamo correreper evitare una guerra - qu esta enorme avventura? E s ia. Ma credete voi che lo Stato di domani, repubblicano e social-repubblicano (di pili non è permesso attendere), non farà la guerra, se le necessità stor iche - inte rn e ed es te rne - ve lo costringeranno? E chi vi assicura che il Governo uscito dalla Rivoluzione non debba cercare - appunto in una gue rra - il suo battesimo augurale? E se (siamo nel campo delle ipotes i) gli Imperi Centrali trionfanti intendessero riporre s ul sog lio "l'antico regime\ sareste voi dunque i neutralisti "assoluti" ancora contrari a quella guerra che dovrebbe salvare la "vostra", la nostra rivoluzione? Ma dinnanzi a queste ipotes i... future (che però hanno .. molti precedenti nella storia} rifiutarsi di di stinguere fra g ue rra e guerra e pretendere di opporsi a tutte le guerre con identici mezz i, non è dar prova di una "intelligenza" confinante coll'imbecUlità?

Nazioni e internazionale

Chi nega l 'esistenza cli "problemi nazionali" è simile all'aristotelico Simplicio nei clialoghi di Galileo su i "Massimi Sistemi". Poiché il sommo stagirita aveva detto che i nervi si dipartono dal cuore , il suo fede! discepolo Simplicio, molti secoli dopo, non voleva convincersi della realtà contraria, anche sperimentandola. I "Simplicio II del socialismo che negano l'esistenza dei problemi nazionali non sono meno ciechi e dogmatici del Simplicio aristotelico.

I problemi naz ionali es is to no anche per i social isti. Non è in o pportun o ricordare che il comizio del 28 settembre 1864 al "Martins-Hall" di Londra, che cliede origine all'Internazionale, fu un comizio di so lidari.et à colla Polonia straziata da Muraview . Esiste ogg l i n Po lonia un Partito socialista rivoluzionario "naz ionale ", che ha nel suo progrnmma la ricostituzione a nazione indipendente d ella Pol on ia.

Le vicende de l Partito sociali sta austriaco e la clamorosa scissione degli czechi dalla centra le tedesca di Vienna , climostrano non solo l'e siste nza dei probJem i nazio nali , ma anche che tali problemi non risolti turbano lo svolgimento della lotta di classe. Non si scivola su l terreno dell'irredentismo ammettendo l'esistenza di un problema "nazionale " italiano oltre gli att uali confini d ' Itali a. Il caso del Tren-

146 Scritti politici di Benito Mussolini

tino è tale che forza alla meditazione i neutra li sti piu as soluti fra gli assoluti. Se questo popolo "italiano'' fosse insorto contro l'Au str ia, con qual coraggio noi socialisti, che abbiamo avuto fremiti di solidarietà per gli insorti armeni, candiotti, ecc ., avremmo impedito un intervento italiano? Ora il Trentino è "virtualmente", moralmente in sorto. Poiché il problema dell'intervento militare italiano esorbita dalle nostre capacità e responsabilità di Partito di minoranza, con ideali lontani , non possiamo né dobbiamo assumerci l'inizi ativa di una guerra, ma se l a borghesia italiana, cui spetta la soluzione dei problemi nazionali, mov esse contro all'Austria-Ungheria, noi - opponendoci - non faremmo che sacrificare il Trentino e giovare al1' Austria-Ungheria, la quale - ciò va ricordato ai socialisti - è il baluardo vero e maggiore della reazione europea . Preti e gesuit i sono appunto "neutralisti" per amore dell'Austria vaticanesca e tempo ralista!

Se il concetto di "naz ione" è "supera to" , se la difesa "nazionale" è un assurdo per i prolet ari che non avrebbero niente da difendere , noi dobbiamo avere il coraggio di sconfessare i socialisti del Belgio e di Francia che dinnanzi all ' invasione tedesca hanno confu sote mporaneamente , si capisce! - nella nazione la classe e dedurre di conseguenza che un solo socialismo v' è al mondo, genuino , aute ntico, purissimo: il socialismo italiano ... Ma è un atto di superbia, che per molte ra gioni non ci conviene!

Situ azio ne-even t ualità

Noi socialisti italiani po ss iamo anche non accettare il punto di vista dei socialisti france si, belgi, inglesi. Po ss iamo ammettere che i loro giudizi siano il risultato della situazione eccezionale in cui si trovano quei nostri compagni . Ma non possiamo nemmeno chiudere l'orecchio alle voci che ci giungono d 'Oltre Alpe . Sarebbe ingeneroso e anti-socialistico. Finché Hervé ci dirige le sue epistole presuntuose e in solenti, possiamo scrollare le spalle e pensare che il brav' gene ra! vuole farsi perdo nare i suo i trasco rsi di sans patrie, ma quando parlano altri uomini - i giganti - che alla causa del socialismo e della rivolu zio ne sociale hanno dedicato tutta la loro vita, bisogna, almeno, ascoltare. Amilcare Cipriani - nome caro a tutti i socialisti - ha detto che i socialisti italiani dovrebbero "concedere" all'Italia di scendere in guerra contro l'Austria-Ungheria. Eduard Vaillant, il condannato a morte della Comune , ha parlato chiaro sugli obiettivi della Francia nella guerra contro il militarismo imperialis ta della Germania.

H . M. H yndmann, il capo dei marxi sti ingle si, ha auspicato l ' in ter-

Il mito della rivoluzione (1908-1914) 147

vento dell'Italia con questi obiettivi : 1. per tenere alto il diritto proprio e salvaguardare la libertà e l'indipendenza dei piccoli Stati; 2 . per ottenere la fine dell a guerra e l'emancipazione delle nazionalità oppresse in Europa; 3. per contribuire ad affrettare la fine di questa terrib ile confla graz io ne; 4. pet assicurnrc all 'Italia il diritto di reclamare la cession e dj territori ai qua.li essa g iustamente aspira per ragioni storiche e di razza.

Pietro Kropotkin, uomo a cui ne ss uno vorrà negare la devozione infinita alla cnusa rivo.luzionaria, si esprime nell a lettera pubblicata nel Fre edom di Londrn ai pr imi di ottobre, in termini ancora pill espliciti. 'l'uno ciò deve essere med itato.

Vi a aperta!

Marx opinava che II chi compone un programma per l'avvenire, è u n reazio nario". Paradosso! Nel nostro caso, però, verità. Il programma della ne utralità "assol uta", per l'avvenire, è reazionario . Ha avuto un senso, ora non l 'ha pili. Oggi, è una formula pericolosa, che ci immobil.izza. Le formu le s i adattano agli avvenimenti, ma pretendere di adattare gli avvenimenti alle formule è sterile onanismo, è vana, è folle, è ridicola i mpresa. Se domani - per il gioco complesso delle circostanze - si addimostrasse che l 'intervento dell'Italia può affrettare l a fine della carneficina orrenda, chi - fra i socialisti italiani - vorrebbe inscenare uno "sciopero generalen per i mpedire la guerra che risparm iando centinaia di migliaia di vite proletarie in Francia, Germania, Austria, ecc., sarebbe anche una prova suprema di solidarietà internazionale? Il nostro interesse - come uomini e come socialisti - non è dunque che questo stato di "anormalità" sia breve e liquidi, al meno, tutti i vecchi problemi?

E perché l'Italia - sotto l a pressione dei socialisti - non potreb be domani costituirsi mediatrice armata di pace, sulla base della limitazione degli armamenti e del rispetto ai diritti dell e nazionalità tutte?

Sono ipote s i, cvcntunlità, previsioni, sappiamo bene. Ma tutto ciò dimostra che noi non poss iamo ''imbozzolarci" in una f ormula , se non vogUamo condannarci aJl'jmmobilità . La realtà si muove e con ri tmo accelerato. Abbiamo av u to il singolarissimo pri v ilegio di vivere nell'ora piu tra gica dell a stotia del mondo. Vogliamo esserecome u omini e com e socialisti - g li spettatori inerti di questo dramma grand.ioso? O non vogliamo esserne - in qualche modo e in qualche senso - i protagonisti ? Socialisti d'Italia, badate : talvolta è accaduto ch e la "l ettera" uccidesse lo "spirito". Non sal viamo la

148 Scritti
politici di Benito Mussolini

11. Neutralità e socialismo •

Il direttore dell'Avanti!, Benito Mussolini, in seguito alla lettera che il prof. Lo mbardo Radice ha pubblicato nel Giornale d'Italia, mi ha fatto la dichiarazione seguente:

- Sono proprio io il socialista cui accenna il Lombardo Radice. Io non ho motivo alcuno di nasconderlo, né mi dolgo che il prof. Lombardo-Radice abbia reso di pubblica ragione una polemica epistolare svoltasi fra lui e me in questi ultimi giorni. La polemica è nata in questo modo . Due settimane fa, circa, io ricevevo, datata da Catania, una lette ra nella quale il Lombardo Radice mi annunciava le sue dimi ssioni dal Partito.

"Quest'atto - egli mi diceva - è la prova del dissenso fond amentale che mi divide dal Partito nella valutazione della situazione europea e della missione che l'Italia, spronata dal Partito Socialista, dovrebbe compiere.»

La lettera produsse su di me una certa impressione. Non conoscevo e non conosco di persona il Lombardo Radice: lo conosco di fama ed ho grande stima della sua intelligenza e della sua operosità. Il Lombardo Radice era, dunque, favorevole all a guerra . Io gli risposi prospettando la questione nei termini seguenti: l. Può il Partito Socialista assumersi l'iniziativa e quindi la responsabilità immane di una guerra? 2. E dato che lo possa - trascinando il Governolo deve? 3. E se lo deve, quali obiettivi pone alla guerra, e quali garanzie chiede agli organi statali che l a guerra condurranno ?

A questi interrogativi un socialista risponde: "No, DIVERSAMENTE SAREBBE AUTO-DEMOLIRSI".

Il Lombardo Radice cosi mi replicava, in data 23 settembre:

"Grazie della lett era} cosi chiara e cosi importante. Quel che preme è - poiché non si può essere d 1accordo ora - che al momento dell'azione l'Italia non sia dilacerata da dissensi intestini: e tu mi fai sperare che non sarà perché dici che il Partito può subire la guerra".

E dopo alcune considerazioni sulla probabile o prossima liquidazione austro-ungarica, il Lombardo Radice continuava:

"No, secondo me non sarebbe stata un'autodemolizione favorire un

* Intervista concessa al "Giornale d'Italia", il 5 ottobre 1914. (Dall'"Avanti!", n. 277, 7 ottobre 1914, XVIII, e da "Il Giornale d'Italia", n. 275, 6 ottobre 1914, XIV.)

Mussolini nella redazione "ufficiale" sull'"Avanti!" dà un particolare rilievo {maiuscoletto) ad alcune espressioni della sua intervista.

Il mito della rivoluzione (1908-1914) 149
" lettera" del Partito se ciò significa uccidere lo "spirito" del socialismo!

movimento per l'intervento. Ma quel che è stato è stato. Ora dovreste però esaminare la cosa da questo punto di vista: se diverrà vicina e probabile la liquidazione dell'Austria senza il nostro intervento, il Partito Socialista italiano crederà necessario l 1intervento italiano? ".

A questa lettera io ri spo nd evo [ ... ]: "Se l'Italia vorrà agire, essa non troverà ostacoli da parte dei socialisti..." ecc. Io sono andato piu oltre ed ho detto che la guerra (contro l'Austria) non solo non ci avrebbe praticamente contrari, ma piuttosto ''simpatizzanti" .*

Ora, solo chi non conosca i precedenti dell'atteggiamento di neutralità assunto da l Partito Socialista, può stupirsi di ciò. La verità è che la neutrali tà socia lista fu, sin dal principio e per ragioni formidabili, affetta da pa lese '1 parzialità'i : quindi in un certo senso "condizionata". La neutralità verso Oriente era una cosa, verso l iOccidente un'altra. Simpatica verso la Francia, os tile verso l'Austria. La tesi di mas sima aveva una "subordinata ,i. I socialisti dicevano al Governo: Se voi andate contro la Francia, dovrete prima fiaccare un moto rivoluzionario all'interno. Ma l'atteggiamento da tenersi nell'altro caso, quello cioè di guer ra all'Austria, non veniva contemplato .

La valutazione fra le due guerre era dunque diversa e ne conseguiva una diversa condotta pratica. I socialisti, i rappresentanti delle organizzazioni economiche nazionali, mentre si impegnavano allo sciopero generale in una data eventualità (guerra contro la Triplice Intesa) non prendevano tale impegno terribile nell 'altra eventualità: quella appunto che ci preoccupa oggi, di una guerra contro l'Au striaUngheria.

- E perché questa diversità di atteggiamento?

- Per ragioni sentimentali, per ragioni storiche, per ragioni pratiche. Ho detto altrove ciò che penso dello sciopero generale , fatto allo scopo di evitare la guerra. Se lo sciopero non è bilaterale fra i proletariati dell e nazioni in conflitto ( il che è quasi impossibile poiché i "proletariati" d ell e diverse nazioni non si trovano tutti allo stesso livello di coscienza e di spi rito di sacrificio) il proletariato dell'unica nazione che ri spondess e alla mobilitazione con lo sciopero generale avrebbe dinnanzi due eventualità egualmente tragiche: insuccesso e fallimento dello sc iopero.

E allora: feroce repress ion e all'interno, indebolimento della nazione di fronte all'e serc ito della nazione nemica che non ha scioperato; oppure lo sciopero trionfa, il vecchio regime cade e il nuovo ... re-

* Il brano fra parentesi quadre è completamente omesso nella redazione "ufficiale" pubblicata sull'"Avanti!"

150 Scritti politici di Benito Mussolini

gime - il Governo provvisorio - quando si trova col nemico alle frontiere deve: o chiedere pace a condizioni durissime, tali da suscitare probabilmente la contro-rivoluzione, o deve affidarsi a un dittatore militare che riorganizzi l'esercito e faccia la guerra.

Lo sciopero non può evitare dunque, in nessuno dei due casi prevedibili, la guerra: nella migliore delle ipotesi il movimento può condurre ad una dittatura ...

Ecco perché io ho scritto privatamente al Radice e ripeto pubblicamente qui, che in caso di guerra all'Austria-Ungheria il Partito Socialista It aliano non tenterà una opposizione pratica di fatto, PUR SCINDENDO LE SUE DALL'ALTRUI RESPONSABILITÀ.

Il Lombardo Radice accusa il Partito di contraddizione e di disorientamento . ..

L'accusa non resiste a un esame diligente della questione. Ho fatto - altra volta - una distinzione che mi sembra importante. Il socialismo non è solo dottrina, è fatto; non è solo una "posizione mentale» cioè l ogica , ma una "posizione storica " cioè pratica. GUER-

RA E SOCIALISMO - INTESI COME DUE CATEGORIE - SONO, secondo me, ASSOLUTAMENTE ANTITETICI E INCONCILIABILI: L'UNO ESCLUDE L'ALTRO, COME L'ESSERE ESCLUDE IL NON ESSERE E VICEVERSA.

Se nel regno della teoria c'è "la guerra", nel regno della storia e della vita ci sono "le guerre". Tutte le guerre hanno determinati caratteri comuni - ed è ciò che costitui sce "l 'universalità del fenomeno" - ma non vi sono nella storia due guerre che siano uguali completamente l'una all'altra . Ciò è elementare e non varrebbe nemmeno l a pena di preci sarlo. Giudicarle rutte alla stessa stregua sarebbe assurdo: le guerre di Garibaldi non sono da mettere nello stesso fascio delle guerre - ad esempio - coloniali. E - tornando al discorso di prima - una guerra contro l'Austria non è, per l'Italia, l a stessa cosa di una guerra contro la Triplice Intesa.

- Si tratterebbe, nel nostro caso, di completare l'unità italiana

- Io comprendo l'importanza di questo problema. Ho letto l'appassionata e fremente lettera dell 'on. Battisti, deputato socialista di Trento, MA NON SPETTA A NOI SOCIALI S TI DI ASSUMERCI L'INIZIATIVA DELLA SOLUZIONE DI PROBLEMI CHE SONO AL DI FUORI DELLE NOSTRE CAPACITÀ E DELLA NOSTRA RESPONSABILITÀ. È una missione che non compete a un Partito di minoranza che persegue finalità remote . SI TRATTA, OLTRE TUTTO, ANCHE DI UNA QUESTIONE DI PUDORE. Poiché è infinitamente grottesco lo spettacolo di certi sovversivi, antimilitaristi feroci fino ad ieri, che oggi esaltano la guerra e quelle istituzioni che intendevano demolire. Non è serio. Insomma, la nostra linea di condotta ci sembra chiara e diritta. A tutti coloro che vorrebbero vederci in veste di avvocati della guer-

Il mito della rivoluzion e (1908-1914) 151

ra contro l'Austria , rispo ndiamo che la COERENZA ci vieta t ale funzione. Per il Secolo si tratta di "prudenza element are". NOI NON VOGLIAMO RINNEGARE IL NOS1'RO PASSATO, NÉ PREGIUDI CARE IL NOSTRO AVVENIRE . Muta , perché deve mutare, la forma della nostra opposizione "pratica" alla g uerra -a quell a guerra - ; ma "concedere" di piu sign ificherebbe confo nd ersi e perdersi, confondere e perdere il p rol etario. Lo stesso Radice lo ammet te qu ando dichiara che si capisce ed è giu sto che, dati tutti i precedenti, il Partito Socialista no n s i metta in prim a lin ea ...

- Ma allora} se l'attuale campagna antiguerresca non d eve condurre a un risultato pratico} quale sarebbe impedire la guerra} perché viene fatta? Che valore ha la "neutralità assoluta"?

- La "neutralità as soluta" ha il valore di un a dichiarazione di principio: significa l ' opposizione ideale alla gue rra . Quanto alla campagna dell'Avanti! e del P arti to , essa ha i suoi obiettivi ed i suoi scopi:

1. Tende a sot trarre il proletariato all'influenza di ideologie estranee alla sua coscienza e ai suoi interess i di classe;

2. Mira a neutrali zzare le corre nti guerrafondaie che volessero precipitare gli eventi , obbedendo ad impul si particolari. D opo l a dura esperienza libica , questo "con trappeso socia li sta" è, forse, provvidenziale . Fra qualche t empo si tro ve rà che è stato ... patriottico.

3. Indica al Governo respo nsa bile lo stato dell'opinione pubblica af!inché ne tenga conto nelle sue valutazioni e nelle sue deliberazioni.

4. Mantiene viva l 'agitazione, anche per l'eventualità, non ancora defini ti vamente scomparsa, di un intervento italiano a favore del blocco austro-tedesco.

Ques ti sono gli obiettivi della campagna antiguerresca del Partito Socialista italiano .

152 Scritti
politici di Benito Mussolini

III.

ALLA SCUOLA DELLA GUERRA (1914- 1918)

Negli anni della guerra, la produzione mussoliniana è quasi tutta giornalistica; concentrata sulle colonne del Popolo d'Italia non presenta che rare volte un autentico interesse per la cultura o il pensiero politico del suo autore ( diversamente dal periodo precedente). Ogni intervento è teso ad un immediato fine di battaglia. Nella fase interventista Mussolini precisa anzi che si tratta - appunto attraverso la propaganda - di creare le condizioni psicologiche atte a rompere in guerra con l'Austria/ non ha una sua propria "ideologia dell'intervento", che si contenta di ricavare da De Ambris approvandone di massima il "programma di revisionismo teorico rivoluzionario". La sua diventa adesso ( e come potrebbe essere diversamente?) una dichiarazione di aperto pragmatismo, che inciderà sull'intero periodo: e lo fa a commento del primo convegno nazionale dei Fasci d'azione rivoluzionaria, nel gennaio del 1915. 1

Solo dalla seconda metà del 1917, dopo un paio d'anni passati al fronte e in ospedale, il lavoro al giornale torna ad essere intenso, regolare, politicamente rilevante, e preannuncia alcune novità programmatiche che nascono dalla collocazione di Mussolini nello schieramento sociale del paese, nonché dalla lezione della guerra intesa come .sforzo globale, politico-militare e produttivo. Lungo tutto il periodo bellico è evidente una evoluzione politico-ideologica: sulla questione di Trieste, dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia, per esempio si nota una progressiva diversità di approccio, dal primo trafiletto di

t "Libertà di ripudiare Marx, se Marx è invecchiato e finito; libertà di tornare a Mazzini se Mazzini dice alle nostre anime aspettanti 1a parola che si esalta in un senso superiore dell'umanità nostra; libertà cli tornare a Proudhon, a Bakunin, a Fourier, a S. Simon (sic), a Owen, e a Ferrari, e a Pisacane, e a Cattaneo ... , agli antichi e ai recenti; ai vivi e ai morti, purché insomma il 'verbo' sia capace di fecondare l'azione ...

Il De Ambris non poteva - data l'ora e il luogo - che affacciare la possibilità e la necessità di questa demolizione e ricostruzione di dottrine; ma io ctedo che - passata la tormenta della guerra - questo sarà il compito arduo e preliminare della nuova critica socialista." Cfr. BENITO Mussoum, Dopo l'adunata, in "Il Popolo d'Italia", 28 gennaio 19 15.

1. Audacia! - 2. Il monito di Oriani. - 3. "L'armée nouvelle". - 4. Avanti, il Mikado! - 5. Trincerocrazia. - 6. Quale democrazia? - 7. Osare! - 8. Novità.

commento ad una lettera di Prezwlini ( Il problema di Fiume, 29 gennaio 1915) alle ultime polemiche con tro i " rinunciatarf1 sulla questione ;4,almata. È questo tm motivo con tinu. o, da cui grado a grado - dapprima attraverso una posizion e «int ermedia", di intesa italo-jugoslava - avanza l ' idea di u11 co 11domi11io sutl'Adriatico "militarmente un lago itali ano, politicamente italo-serbo" nel novembre 191 6 e già "militarm ente italiano e connnercialmente italo-serbo» nel sett emb re 1917 ( si veda s 11 ciò la Prefa zione di Edoardo Susmel a Benito M11ss oli11i, Sc ritti e discorsi adriatici, voi 1, Milano 1942). Ci si tro va cosi di fronte al "luogo 11 di nascita dell'imperialismo mussoliniano, che si esprime rà in forme compiute nel primo dopoguerra e segnatamente nel 1 20. M·a è quasi impossibile, ora, trarne una qualche organica proiezione genertile_: perciò si omettono i diversi articoli dedicati al probl ema italo-se rbo. La nostra scelta cade pertanto su un complesso di otto articoli, due dei quali segnano l'atto di nascita e quello di "svolta» interna del Popolo d'Itali a, importanti anche per la biografia e le scelte politiche di Muss olini. Il monito d.i Or i:mi e "L'armée nouvelle» danno un'idea dell'impasto social-sciovinis ta o t e11denzialm e11 te tale che dal 1915 sostiene l'intero discorso mussoliniano quando si sviluppa, in forme ancora social-repubblicane, l'idea della (/nazione armata" o della 11 nazione guerriera" . L'articolo Avanti, il Mikado! è la prima risposta , interventista, alla rivoluzione.d'ottobre in Russia. Nel 1918 sta affiorando - attraverso la formula transitoria di un "socialismo nazionale" suggerita in parte dai campo sindacalista rivoluzionario - l'embrionale figura di un nuovo movimento politico postbellico. Si omettono, di questo ciclo, i pezzi di commento e orientam en to sul cosiddetto (/sindacalismo nazionale", pure di un certo rilievo. In Quale democrazia? si discute con Panta/eoni e con Corradini, in apparenza in difesa delta democrazia, di fatto d el ruolo egemonico dell'int e rv entismo mussoliniano: - di poco precedente è la configurazion e di una 1 ' trincerocrazia''. Vi appare la co nsap e volezza delle trasformazioni apportat e dal con flitt o sugli apparati statuali: viene qui avanti la formula "dittatura n ei m ezzi, democrazia nei fini" . I n Osare e in Novità si ritrova l'e sperienza dell'ex capopopolo e agitatore socialista, in atto di rovesciarsi nel suo contrario. È Mussolini stesso, del resto , che mentre gabella le ideolo gie ( Marx diventa presto un "guerraiolo", L enin un imperialista o sub-imperialista) è costretto a indugiare su passaggi psicologici involuti, su prese di posizione interlocutorie, prevalentemente polemiche e dif ensive . Obiettivamente difensivo è anche l'articolo Dov'è l'imperialismo? del 17 febbraio 1918 , che pure si om ette. Il progresso "teorico'1 avviene infatti, quasi insensibilmente, su altro terreno, precipitando nell'ultimo semestre del ' 18 , quando adotta la linea dello "sgretolamento" violento delle

154 Scritti politici di Benito
Mussolini
f j

masse} la possibilità di un amalgama nuovo, che riparta non dalla rct1l1à delle classi sociali ( che sono n egate), ma dai mutamenti molecolari ill parte avviati, in parte da provocare nella società civile, ad tm li vello so vrastrutturale.

I. Audacia! •

All'indomani della famosa riunione ecumenica di Bologna, nella quale - per dirla con una frase alquanto solenne - fui 11 bruciato", ma non "confutato", io posi a me stesso il quesito che oggi ho risolto creando questo giornale di idee e di battaglia. Io mi sono dimandato: d ebbo parlare o tacere? Conviene che mi ritiri sotto l a tenda come un soldato stanco o deluso , o non è invece necessario che io riprendacon un'altra arma - il mio posto di combattimento? Vivere o morire, sia pure inghirlandato di molti elogi... postumi, alcuni dei quali avevano la delizio sa insincerità delle epigrafi pei defunti? Sicuro come sono che il tempo mi darà ragione e frantumerà il dogma stolto della neutralità assoluta , come ba spezzato molti altri non meno venerabili dogmi di tutte le chiese e di tutti i partiti, superbo di questa certezza ch'è in me, io potevo aspettare con coscienza tranquilla. Certo, il tempo è galantuomo, ma qualche volta è necessario andargli incontro. In un'epoca di liquidazione generale come la presente, non so1o i morti vanno in fretta come pretendeva il poeta, ma i vi vi vanno ancor piU in fretta dei morti. Atte nd e re, può signifi care g iun gere in ritardo e tro varsi dinnan zi all 'ine sorabile fott o co mpiuto , ch e lamenta z io ni jnutili non val gono a cancellare. Se si fo sse trattato e si tratta ss e di una questione di secondaria importanza, non avrei sentito il bisog no, meglio, il "dovere", di creare un giornale : ma, ora, checché si dica dai neutralisti del socialismo conservatore, una questione formidabile sta per essere risolta: i destini del socialismo europeo sono in relazione strettissima coi possibili ri sultati di questa guerra; disinteressarsene significa staccarsi dalla storia e dalla vita, lavorare per la reazione e non per la Rivoluzione Sociale. Ab no! I socialisti rivoluzionari italiani - sian essi guidati dal raziocinio o sospinti da oscure, ma infallibili intuizioni sentimentali - sanno qual è il grido che conviene lanciare al proletariato italiano. La neutralità non può essere un dogma del sociali smo. Esisterebbero dunque solo nel socialismo e per giunta, nel socialismo italiano, delle verità "assolute" che po ssono sfidare impunemente le ingiurie del tempo e le limitazioni dello spazio, come le verità indiscutibili e ete rne della rivelazione divina? Ma la verità assoluta attorno alla quale non si può piu discutere, che non si può piu

* Da "Il Popolo d'Italia", n. 1, 15 novembre 1914, I.

11/la swola della guerra (1914-1918) 155

negare o rinnegare, è la verità morta; peggio, è la verità che uccide. Noi non siamo, noi non vogliamo esser mummie perennemente immobili con la faccia rivolta allo stesso orizzonte, o rinchiuderci tra le siepi anguste de lJa beghin.ità sovvers iva , dove si biascicano meccanicamente le formule corrispondenti alle preci delle religioni professate; ma siamo uomini e uomini vivi che vog liamo dare il nostro contributo, sia pure modesto, alla creaz ione del.la storia. Incoerenza? Apostasia? Diserzione? Mai. pi u. Res ta a vedersi da quale parte stiano gli incoerenti, gli aposta t i, i d ise rtori. Lo dirà la storia domani, ma l a previsione rientra nell 'amb ito delle no stre possibilità divinatorie . Se domani ci sa rà un po' pi(1 di Lbertà in Europa, un ambiente, quindi, politicamente pi{, adatto allo sviluppo del socialismo, alla formazione delle capacità di cla sse del proletariato, disertori ed apostati saranno stati tutti coloro che al momento in cui si trattava di agire, si sono neghittosamente tratti in disparte: se domani - invece - la reazione prussiana trionferà sull'Europa e - dopo alla distruzione del Belgio,col prog ettato annientamento d ella Francia - abbasserà il livello della civiltà umana, disertori ed apostati saranno stati tutti coloro che nulla hanno tentato per impedire la catastrofe.

Da questo ferreo dilemma non si esce, ricorrendo alle sottili elucubrazioni degli avvocati d'ufficio della neutralità assoluta o ripetendo un grido di "abbasso" che prima della guerra poteva avere un contenuto e un significato, ma oggi non la ha piu.

Oggi - io l o grido forte - la propaganda antiguerre sca è l a propaganda della vigliaccheria. Ha fortuna perché vellica ed esaspera l'istinto della con servazione individuale . Ma per ciò stesso è una propaganda anti-rivoluzionaria. La facciano i preti temporalisti e i gesuiti che hanno un interesse materiale e spirituale alla conservazione dell' impero austriaco; la facciano i borghesi, contrabbandieri o meno, che - specie in Italia -dimostrano la loro pietosa in sufficienza politica e morale; la facciano i monarchici che, specie se insigniti del laticlavio, non sanno ras seg narsi a stracc.iare il trattato dell a Triplice che garantiva - oltre alln pace (nel modo che abb iamo visto) - l'esi stenza dei troni; codesta coalizione d.i pacifisti sa bene quello che vuole e noi ci spieghiamo ormai faciJm c ntc i motiv i che inspirano il suo atteggiamento. Ma noi, socia listi , abbiamo rappresentato - salvo nelle epoche basse del riformismo mcrcatorc e g iolittiano - una delle forze "vive" della nuova Italia : vog Uamo ora legare il nostro de stino a queste forze "morte" in nom e cli una "pace" che non ci salva oggi dai disastri della guerra e non ci sal ve rà domani da pericoli infinitamen te ma ggiori e in ogni caso non ci sa lverà dalla vergogna e dallo scherno universale dei popoli che hanno vissuto questa grande tragedia della storia?

Vogliamo trascin are la nostra mi serabile esistenza alla giornata - beati nello statu quo monarchico e borghese - o vogliamo invece spezza-

156 Scritti politici di Benito Mussolini

re questa compagine sorda e torbida di intrighi e di v.iliil? Non potrebbe essere questa la nostra ora? Invece di prepararci a "subirc1 ' gli avvenimenti preordinando un alibi scandaloso, non è mcgl io 11..: n1:m..: di dominarli? Il compito di socialisti rivoluzionari non pot rebbe esse re quello di svegliare le coscienze addormentate delle moltitudini e di ge ttare palate di calce viva nella faccia ai morti - e son tanti in Italia! - ch e si ostinano nell'illusione di vivere? Gridare: noi vogliamo l a guerra! non potrebbe essere - allo stato dei fatti - molto piU rivoluzionario che gridare 1'abbasso"? Questi interrogativi inquietanti, ai quali, per mio conto, h o risposto, spiegano l'origine e gli scopi del giornale. Questo ch'io compio è un atto d'audacia e non mi nascondo l e difficoltà dell'impresa. Sono molte e complesse, ma ho la ferma fiducia di superarle. Non sono solo . Non tutti i miei amici di ieri mi seguiranno; ma molti altri spiriti ribelli si raccoglieranno attorno a me Farò un giornale indipendente, liberissimo, personale, mio. Ne risponderò solo alla mia coscienza e a nessun altro. Non ho intenzioni aggressive contro il Partito Socialista, o contro gli organi del Partito nel quale intendo di restare, ma sono disposto a battermi contro chiunque tentasse di impedirmi la libera critica di un atteggiamento che ritengo per varie ragioni esiziale agli interessi nazionali e internazionali del Proletariato.

D ei malvagi e degli idioti non mi curo. Restino nel loro fango i primi, crepino nella loro nullità intellettuale gli ultimi. Io cammino! E riprendendo ln marcia - dopo la sosta che fu breve - è a voi, giovani d 'Italia; giovani delle offici.n e e deg li aten ej; giovani d'anni e g iovani di sp irito; giovani ch e appnrte nete a.lfo generazion e cui il des tino ha comm esso di 1'fore " la s toria ; è a voi ch e io lancio il mio grido augurale, sicuro ch e avrà nelle vostre file una vasta risonanza di echi e di simpatie.

Il grido è una parola che io non avrei mai pronunciato in tempi normali, e che innalzo invece forte, a voce spiegata, senza infingimenti, con sicura fede, oggi: una parola paurosa e fascinatrice: guerra!

2. Il monito di Oriani •

Nemico immutato, l'Austria. Mare nostro, l'Adriatico.

Qual è dunque il posto e la missione dell'Italia monarchica in questa Europa, nella quale la popolazione aumenta da un secolo con nuova proporzione, e il

* Da "Il Popolo d'Italia", n. 73, 14 marzo 1915, II.

Alla scuola della guerra (1914-1918) 157

militarismo prodotto dalle guerre d i nazionalità mantiene armati nella pace tre o quattro milioni di soldati e può raddopp ia rli al primo scoppio di ostil ità?

Questa la domanda che rivol ge va a se s tesso Alfredo Oriani, conchiudendo - al 29 sette mbre del 1890, n ell a dimenticata solitudine agreste di Ca sola Va lsc ni o - il terzo ed ultim o volume della sua L otta politica in Italia .

Domanda e ri spos t a era no nel pensiero di Aliredo Oriani, la sintesi di tutto il lavoro da lui compiuto. Quale posto? Quale missione? Dopo aver tracciato - a gra ndi lin ee lapidarie - l a stori a d'Italia dal 476 al 1887, e aver memorato i travagli oscuri , le audaci fortune, le dedizioni imbelli e la resurrezione eroica della Patria, Alfredo Oriani chiedeva a sé e agli altri: Ed ora? L'Italia è fatta, è una, è vivente, è popolo. È "Donna di provincie" e non piU - secondo la veemente similitudine dantesca - bordello . Ma basta for se? L'Italia ha un "posto ". Ma ogn i " pos to " pre su ppone una gerarchia cli forze e di valori e ogni gerarchia, una missione. Nel sistema di Mazzini, il "pos to" è il mezzo , la missione, il fine. Come pe r l 'in di viduo, cosi per l e nazioni. Vegetare non è vivere. V egeta re è il pos to, vivere è la missione. Quale po s to, dunque , deve conqui starsi l 'Italia moderna nel mondo contemporaneo? Alfredo Oriani - con occhio sicuro di veggente - assegna il posto e la missione all'Italia.

L'alleanza attuale - scrive O ri.ani - dell 'I talia colla Germania e coll'Austria contro la Francia e la Ru ssia non esprime piU che l'ultimo stadio della sua inferiorità politica, nella cont raddizione della sua posizione diplomatica colle sue tendenze storiche.

La condanna della Triplice non potrebbe essere piu esplicita. La Triplice è il seg no della nostra "inferiorità politica" giunta - prevedeva allora l'Oriani - all'ultimo stadio; inferior it à che promana dalla contraddjzione fra "tendenze storiche" e "posizione diplomatica" . Le tendenze storiche dell'Ita li a so no ant i-trip liciste . Con ciò viene documentata altresf l 'incapacità quasi o rga ni ca deUa Monarchia a comprend e re le tendenze storich e dell ' Itali a.

La Triplice è sta ta rinnovata pil, volte e - recentemente - in anticipo di sette mes i. Lo stadio della n ostra inferiorità politica non è ancora superato. La co ntradd izion e non accenna a risolversi, m algra do l'urto formidabil e d ella conaagraz ione europea . La diplomazia soggioga ancora la storia. Non mai come in questi giorni di negoziati , balzò chiara agli occhi degli itali an i l 'antites i irriducibile fra l e nostre tendenze storiche e la nos tra posizione diplomatica , e, come diceva Alfredo Oriani, "il no stro n emico immutato è l'A ustria; se il mare che può e deve essere nos tro è l'Adriatico, mentre la Germania avrà il

158 Scritti politici di Benito Mussolini

Baltico", quando - dunque - i governanti d'Italia si decidera nno a sana re colla guerra contro gli Imperi Centrali il dissidio fra storia e diplomazia, dissidio che può riuscire fatale all'avvenire della Nazione? Ma sin dal 1887, Oriani si chiedeva dubitoso: " La Monarchia de i Savoia potrà accompagnare la Rivoluzione nazionale dell'unità sino alla conquista di Trento e Trieste?" E noi , dopo trentotto anni ci troviamo piu inquieti e dubitosi di Oriani, dinnanzi allo stesso punto interrogativo. La Monarchia ci darà, finalmente, una politica nazionale o continuerà a fare una politica dinastica? Il passato ci parla . Monarchia e Rivoluzione na zionale, rappresentano nel secolo XIX, due forze ostili.

Nessun altro storico ha, come ha fatto Oriani, denunciato spietatamente la Monarchia. I Savoia nel '48, nel '49, nel '59, nel '60, nel '6 2, nel '66, nel '70 , hanno sfruttato - dopo averle osteggiate in ogni modo - le energie rivoluzionarie .

Quanto sdegno, quanta amaritudine traspare dalle pagine di Oriani, dedicate alla "questione romana", risolta nel 1870 colla famosa bal ossada del gran re piemontese, il quale entrò in Roma, come l'ultimo dei viaggiatori...

Spezzata la Triplice Alleanza , la politica estera dell'Italia deve orientarsi verso la Francia e la Giovane Slavia. Scrive l'Oriani:

L'Italia costre tta dal proprio diritto nazionale alla conquista di Trento e Tries te, e dall e· proprie orig ini rivoluzionari e ad una potitica democratica , dovrà altrnve rso le oscillazioni dcUe correnti parlamentari seguire una politica che secondi i.I liberali smo fran cese e le nazionalità s lave.

Qui l'Oriani riprende il monito mazziniano: seconda re lo sviluppo delle nazionalità slave. Ma seconda re le nazionalità slave, significa affrancarle dai due imperi condannati: l 'austriaco e il turco, che sono le negazioni di quel "principio" di nazionalità per cui l'Italia è risorta. Ha seguito l'Italia il vaticinio di Mazzini e di Oriani? Affatto. Non lo poteva, in conseguenza appunto della già denunciata contraddizione fra le sue tendenze storiche e le sue posizioni diplomatiche. Come poteva secondare le giovani nazionalità della Slavia, essendo alleata coli' Austria-Ungheria che ha oppresso gli slavi e tendeva - prima dell'agosto -a ridurre in vassallaggio tutte le nazioni minori della penisola balcanica? Non era nelle intenzioni d'Italia provocare - colla guerra libi ca - la formazione della Quadruplice balcanica anti-turca? Oggi, l'atteggiamento dell'Italia le va alienando le superstiti simpatie dei popoli balcanici.

Il monito di Alfredo Oriani ha, ancora, un acuto sapore di attualità. L'Italia è giunta a una volta [sic] della sua storia. Deve decidersi. Infrangere il vecchio Trattato della Triplice, privo ormai di contenuto,

!llla scuola della guerra (1914-1918) 159

e muovere alla conquista di Trento e Trieste , marciando su Vienna. Solo con una grande guerra l 'Italia può cattivarsi l e simpatie degli slavi, soprattutto degli slavi che saranno domani compresi nei suoi domini. Come potrebbero i serbi - quest i magnifici soldati di tre guerre consecutive - nutrir qualch e senso di rispetto per un popolo dodici volte maggiore ch e prefe risce '' negoziare " invece di combattere? E come non sarebbero portate alla rivolta que ll e popolazioni slave che si ved essero passate all'Italia , non in virtu delle armi, ma in conseguenza di un "m ercato"? Le ferite al senso di dignità dei popoli , sono quel le che piu difficilmente si rimarginano ... Lo ricordino i govermmti d'Italia!

3. '' L'armée nouvelle "•

Io chiamo fondamentale questo libro di Giovanni J aurès, per un vario ordine di rag ioni. Prima di tutto è il libro della maturità. In secondo luogo, esso rappresenta il primo tentativo di organizzazione della Francia su basi socialiste. Finalmente, v'è in questo libro poderoso, tutto Jaurès. Il Jaurès storico, filosofo, politico, poeta .

Il Partito socialista vegli costantemente sulla indipendenza della Patria e sui suoi mezzi di difesa.

Tra il 1908 e il 1911 , Giovanni Jaurès credette fosse giunto il momento propizio per affrontare il problema capitale del socialismo: riorganizzare la Nazione francese su basi socialiste. Ma da quale parte incominciare? Dall'economia o dalla morale? Con un progetto, ad esempio, di nazionalizzazione delle miniere o della terra o delle grandi industrie o con una grande riforma della scuo1a intesa a preparare - con convenienti sistem i educativi - le future generazioni dei cittadini socialisti? Il campo, come si vede, è immenso. Ma Jaurès comprese che per lavorare tranqui.lJamentc in questo ca mpo , bisognava cominciare col cintarlo, cd è - appunto - colle questioni relative alla difesa nazionale - da tradursi in for mule legislative - che Jaurès affronta il problema. Esso si riassume in questa duplice necessità :

Come portare al pili alto grado per la Francia e per il mondo incerto da cui è circondata, Ja probabilità d ella pace? E se mal grado il suo sforzo e la sua volon· tà, essa fosse attaccata, come portare al pill alto grado le probabilità di salvezza, i mezzi di vittoria?

* Da "Il Popolo d'Italia", n. 210, 31 lug]io 1915, II.

160 Scritti politici di Benito Mussolini

Nonostan te il suo piu che trentennale apostolato di pace, Jaurès non viveva completamente nell 'illusione. Aveva vissuto troppo i lunghi e tr isti anni dell'affare marocchino, per non comprendere come l'anima e la volontà della Germania fossero deliberatamente tese verso la guerra, desiderata come il mezzo necessario per realizzare l'egemonia tedesca sull'Europa e sul mondo. Quando J aurès parla del " mondo incerto" dal quale è circondata la Francia, l'allusione è evidente. Non si tratta dell'Italia che ha fatto sempre una politica pacifica inspirata al famoso "piede di casa"; non si tratta dell ' In ghilterra colla quale erano state gettate le basi di quell'entente cordiale, preludio dell'alleanza formale; non si tratta, eviden temente, della Spagna, nazione ormai tagliata fuori dalle vicende vive della storia europea. Il "mondo incerto" è la Germania. La Francia deve preparare le sue difese da una possibile aggressione tedesca.

Armi e pace

Il Partito socialista deve inspirare la sua politica estera al desiderio di mantenere la pace fra i popoli europei. Ma non la pace per la pace; non la pace ad ogni costo; non la pace sinonimo di schiavitu e di vergogna . La pace con dignità, con giustizia. Il Partito socialista deve condurre la sua campagna per la pace europea, assicurandola anche e gagli ardamente "colla costituzione di un apparecchi o difensivo cosi formidabile che ogni proposito dj aggres sion e s ia smo ntato tra i piU insol enti e i pili rapaci. Non c'è, continua Jaurès, obiettivo pili elevato per il Partito sociali s ta, o piutto sto, è la condjz ion c stessa dell a sua vita". Siamo, come si vede, ben lontani daU'anti-militarismo hcrveistico e spregiatore di ogni preparazione militare , troppo in voga fra i cosidetti socialisti italiani. Jaurès inalza le due colonne fondamentali del suo sistema: pace con la giustizia delle genti o guerra per la vittoria. Il socialismo deve vincolare la "liberazione dei proletari alla pace dell'umanità e alla libertà delle Patrie".

Un Paese che non potesse contare nei giorni di crisi, in cui la sua stessa vita è in gioco, sulla devozione nazionale della classe operaia, non sarebbe che un miserabile detrito.

Ad evitare equivoci Jaurès insiste per parecchie pagine preliminari s u questi concetti. La citazione in epigrafe ha un interesse particolare per noi e noi la dedichiamo a quei socialisti italiani che bizantineggiano sulla partecipazione o meno ai comitati di assistenza civile e ... com-

Alla srnola della guerra (1914-1918) 161

memorano oggi Jaurès. Ma una pili lunga citazione non è inutile per meglio determinare le posiz ioni dalle quali si dipartiva Jaurès col suo progetto di riorgan i:,.,:zare Ja Fra ncia. Pace, dunque, abbiamo visto e per mantenerl a il Jaurès fa assegnamento sulle relaz ioni operaie internazionali, sulla pre ss io ne pe r l ' arbitrato fra gli Stati, sulla lotta contro il militarismo e .lo sciov infamo, ma tutto c.iò non basta. Occorre qualche cosa ancorn . E Jaurès - apr ite be ne le orecchie, o socialisti italiani che Jo commemorate ! - Jo e nuncia in questi termini inequivocabili:

...

In qu es ta g rand e ope ra - ma n tenimento della pace fra i popoli - e· per condurla all a fin e il Partito soc iali sta vegli costantemente sulla indipendenza dell a Patrin c sul s uo i mezz i di d ifesa; ch'esso non si attenga alla formu l a generale deJJ c rniUzi c, ma precisi al Paese il modo d'organizzazione robustissimo ch'esso intende con questa parola; ch'esso ne dimostri l'eccelienza e l'efficienza!; ch'esso provi con la co ndo tta dei suoi militanti e colla loro propaganda fra il popolo operaio , coUa lo ro assidui tà e il loro zelo, alle istituzioni viventi di educazione militare, alle socie tà di g innas t·ica e di tiro; alle manovre in campo aperto e agli esercizi sul terreno var io fa cui efficacia si sos tituir à all a sterile meccanica dell 'insegnamento di caserma; ch'csso dimostri, dunque, coll a sua attività allegra, che se combatte il militarismo e la guerra non è già per egoismo pauroso, per pusi llanimità servile o pigrizia borghese; ma che è anche pronto e risoluto ad assicurare il pieno funzionamento di un sistema militare veramente popolare e difensivo, come ad abbattere i suscitatori di conflitto: allora potrà sfidare le calunnie, poiché porterà in lui, colla forza accumulata della Patria storica, la forza ideale della Patria nuova, l'umanità del lavoro e del diritto.

Un Partito che non avesse il coraggio di domandare alla Nazione i sacrifici necessari alla sua vita e alla sua libertà sarebbe un Partito miserabile e ben presto perduto a causa della sua stessa ind egni ti\.

Queste parole cli Jaurès acq uistano un singolare rilievo quando siano messe in rapporto cogli avvenimenti attuali. Aveva ben dunque ragione Hervè di proclamate che , se Jaurès avesse assistito alla seduta del 14 lu gli o del Consigli o Naziona le del Partito socialista francese ;-avrebbe approvato e caldegg iato l a formu l a ado ttata dalla "guerra ad oltranza!" Q uell a mozion e è i n formata allo spirito di Jaurès. D el Jaurès che nelle pagine d' introduzione dell'Armée Nouvelle scriveva, rivolgendosi agli ufficiali :

Quando essi, gli ufficiali , avranno ben riconosciuto che la forza dell'esercito, e<r me i stituzione di difesa, è n ella sua unione stretta colla Nazione produttrice, col

162 Scritti politici di Benito Mussolini

po po lo lavoratore, colla forza idealista ed entusiasta del proletariato, ess i comprend eranno anche l'eccellenza del sistema di organizzazione militare che il soc iali smo propone e che ha l'obi ettivo di confondere veramente la Nazione coll 'ese rcito.

E piu oltre, specificando gli obiettivi immediati :

Io non mi abbandono - dichiara Jaurès -a una semplice manifestazione dotuinale e il mio unico scopo non è di dissipare dei malintesi dei quali soffr irebbe egualmente la nobile Patria che io amo e il grande Partito che io servo . Intendo fare opera pratica, di un interesse immediato e di un effetto prossimo.

E ancora:

Delle forti milizie democratiche che riducono la caserma a non essere che una scuola o che facciano di tutta l a Nazione un immenso e vigoroso esercito al servizio dell'autonomia nazionale e della pace: ecco nell 'ordine militare la liberazione della Francia .

E ribattendo:

L'organizzazione della difesa nazionale e l'organizzazione della pace sono solidali,

L'idea morale

Perché l'Armée No11v elle , espressione vive nte della Na zione, possa - quando l'ora s ia s uo nata - co nqui s tare i se rti de Ua v ittoria , occorre, oltre alla preparazione logis tica, alla capacità dei quadri, alla coesio ne delle truppe, un 'idea centrale animatrice, un 'idea morale che susciti ed esalti - verso un solo obiettivo - tutte le energie. Se è - come dice Jaurès - necessa rio che "dai capi ai soldati; dai soldati ai capi ci debba essere sotto lo sguardo sicuro della morte che si libra, scambio di vita, comunità d 'ideali, unità di anime", ci vuole un "via· t ico morale". Quale? L'idea nuda e semplice della difesa "territoriale" de lla patria, può essere l'armatura , ma non la co struzione; la gloria mi· li tare - dato il carattere grigio e anonim~ delle guerre modernenon basta piu a incendiare gli animi; l'orgoglio, la tradizione napoleonica è troppo lontana. D'altronde "Napoleone è stato, dice altrove J aurès, il piu chimerico degli uomini; il piu limitato degli ideologi e contro la natura delle cose nessuna delle sue opere ha potuto resistere".

La revanche è ormai una aspirazio ne confinata nella letteratura. Non s i deve credere che Jaurè s abbia mai accettato la mutilazione inflitta all a Francia dal Trat tato di Francoforte; ma , gli sembra , che la revanche non possa - dopo quarant'anni dal fatto compiuto - essere un'

Alftt scuola della guerra (1914-1918) 163

idea sufficientemente animatrice per condurre i soldati alla vittoria. E allora? Qual'è l 'idea "mora le" dell 'Armée Nouv elle ?

Aiutare nel mond o, co l ripudinrc deci snm cnt:c e so lenncm enlc ogni pensiero offensivo e con un a pro pa ganda d'n rbi t:rn to e cli equ iLà, l'avv ento della pace umana. Un popolo che, difendendos i contro J'nggrcssore, di fe ndesse questo ideale ria ss umerebbe jn sé tutta In no biltà di una grn ncl c trad izione nazionale, tutta la grande-aa de ll a spc r:mza um :m:1.

Anti-vedendo ..

Io non intendo i: ia ss um ere il libro di Jean J aurè s. Sono 684 pagine e l a fat ica sarebbe inadeguata allo scopo. La trattazione tecnica del problema dimostra quali vaste conoscenze d'indole militare possedesse J aurès. Non è il libro di un profano , ma il libro di un tecnico c be conosce l a s tori a antica e recente dell'organizzazione milit are in Francia ; che è perfettamente informato sullo stato dell'esercito , sui difetti e sui pregi dell' esercito, sullo stato d'animo degli ufficiali , sui sis temi de llo Stato Ma ggiore . So no decine e centinaia di pagine s trin gate e nutrite, ne lle quali non trovate mai il luogo comune o l'invettiva banale di moda fra gli anti-militaristi italiani. Gli ufficiali sono trattati colla massima deferenza. Già il libro è dedicato al capitano Gerard (forse il capitano che - incognito - la sera dell'a ssas sinio tagliò precipitoso la folla e si gettò sul cadavere ancora caldo del tribuno?) e circa al compito grave che durante le battaglie spetta agli ufficiali, cosi si esprime Jaurès. Ecco:

Se qualche cosa del passato sostiene ancora il soldato, è il ma gnifico esempio di coraggio dato dagli ufficiali ch'egli riconosce ancora in quella specie di notte traversata di lampi e ai quali la grandezza sovrumana del l oro compito di trascinatori promette di compiere co n cosc ienza degli atti che non sembrano poss ibiH, se non all 'ero ismo quas i i ncosciente .

Jaurès co mb atte l'artificiosa distinzione fra esercito pe rm ane nte e riserva; combatte le formule napo.Iconiche ancor in voga nelle scuole militari di Fra nci a e getta ndo un colpo d'occhio profetico su ll a guerra futura, anti vcde la realtà d 'oggi. Demain è intitolato il capitolo. Attraverso le pubblicazioni dello Stato Maggiore tedesco, Jaurès prevede la grande offensiva tedesca e Ja g rande difensiva francese . Sin d 'allora Jaurès avvertiva che bi sog na va preparare i francesi a subire l'inva sione e l'occupazion e di qualche territorio.

Bisogna che Rom a si abitui a comprendere Fabio e gli lasci il tempo di di ventare Scipione.

164 Scritti politici di Benito Mussolini

Ro ma è la Francia; Fabio il Temporeggiatore è Joflrc: non tarderà mo lto ch'Egli diventerà Scipione, per vibrare il colpo decis ivo ai barba d ...

Patria e proletariato

Dopo una lunga discussione d'indole storica, tecnica e politica, su1la q uale è inutile tener discorso, Jaurès apre una non meno lunga parentesi di centocinquanta pagine per precisare la posizione del proletariato d i fronte all'esercito e all 'idea di Patria.

In tempi meno tempestosi, bisognerà tradurre tutto intero questo cap itolo , perché "definitivo" sulla questione.

Leggano attentamente e comprendano gli ineffabili neutralisti italiani che sono soprattutto anti-italiani. È J aurès, il commemorato di oggi, che parla. Il linguaggio di Jaurès è chiaro. A p . 449, egli dice:

Io non ho giammai da parte mia, presi al tipico i paradossi contro la Patria. La Patria si trasforma e si allarga. Sono sempre stato convinto che il proletariato non sottoscriverebbe nell'intimità della sua coscienza, a una dottrina di abdicazione e di 'servitu nazionale. Ribellarsi contro il dispotismo dei re, contro la tirannia dd padronato e del capitale, e subire passivamente il peso della conquista, la dominazione del militarismo straniero, sarebbe una contraddizione cosi puerile, cosi infantile ch'essa sarebbe travolta al primo allarme da tutte le forze sollevate dall'istinto e dalla ragione. Che i proletari, che il conquistatore non libera dal capitale, consentano inoltre a diventare dei tributari, è una mostru osi tà . Un proletariato che abbia rinunzi ato a difendere coll'ind ipendenza naziona]c la libertà nazionale del s uo proprio sv iluppo , non avn\ mai la forz a di abbattere il capitalismo, e quando avrà accettato se nza resi stenza clic il giogo dell'invasore venga ad aggiungersi sulla sua t es ta al giogo del capitale, egli non tenterà nem~ meno piU di alzare la fronte. Quei francesi, se ancora ve ne sono, i quali affermano che è per loro indifferente di vivere sotto al padrone di Francia o a quello di Germania; sotto il Kaiser o sotto il Presidente, enunciano un sofisma che per ]a sua stessa assurdità rende al principio di!Ecile ogni confutazione.

Marx ed Engels

E bbene non sono precisamente i sodai-neutralisti italiani quelli che non fanno distinzioni fra Governo e Governo , ma tutti li accumulano nella stessa condanna? Non sono precisamente i neutralisti italiani, quelli che dichiarano uguali tanto le guerre di conquista come quelle di difesa? Non sono precisamente i neutralisti italiani a raccogliere e a rime ttere nella circolazione sotto un orpello pili o meno . .. scientifico e letterario , il volgare "Francia o Spagna, poco importa, purché si mangi?" Per Jaurès queste erano bestemmie, paradossi idioti.

J\1/a scuola della guerra (1914-1918) 165

No - ribatte - Jaurès - non è vero che il proletariato sia fuori della Patria. Quando il Manif esto comunista di Marx e di E ngels pronunciava nel 1847 la famosa frase cosf spesso ripe tuta e sfruttata .in ogni senso: gli operai non hanno Patria , non era che una " tirata " pass iona le, una replica paradossale e dopo tutto disgraziata alla polemica el ci pntriotti borghesi che denunciavano il comunismo come distruttore della Patria. Marx stesso si affrettava a correggere e a restringere il senso della s ua formula. E aggiunse: "senza dubbio il proletariato deve anzitutto conquista re il potere politico, erigersi in classe nazionale sovrana e costituirsi Jui stesso in Nazione e in questo senso è ancora attaccato a una nazionalità, Ma non lo è pili nel senso borghese". Sono queste sottigliezze oscure e abbastan za vane. Come potrebbe il proletariato costituirsi in Nazione, se la Nazione non esistesse già e se il proletariato non avesse dei rapporti viventi con essa?

Le pagine che Jaurès dedica all'esame dei rapporti fra socialismo, proletariato e Patria sono certamente le piu belle del libro . Sono piene d'impeto e di passione. Come vi traluce l'amore per la Francia! Le affermazioni degli incoscienti sono demolite. I paradossi degli oltranzisti, debellati. La Patria è.

Essa non ha per base delle categorie economiche esclusive, non può essere racchiusa nel quadro stretto di una proprietà di classe. Essa ha ben maggiore profondità organica e ben maggiore altezza ideale. Essa si tiene colle sue radici al fondo stesso della vita umana e, se si può dirlo , alla fisiologia dell'uomo Anche per gli sfruttati, anche per gli schiavi, il gruppo umano ov'essi avevano almeno un posto definito, qualche ora di sonno tranquillo sul gradino piU basso del palazzo, valeva meglio del mondo esterno, pieno di una ostilità assoluta e di una incertezza completa.

Patria e rivoluzione sociale

Ecco un altro sofi sma che Jaurès batte in breccia. È un sofisma che fu in voga negli ultimi mesi della neutralità.

Quando si dice - esclama Jaurès - che la rivoluzione sociale e internazionale sopprime le Patrie, che cosa vuol dire? Si pretende forse che la trasformazione di una società debba compiersi dall'esterno, con una violenza esterna? Sarebbe la negazione di rutto i1 pensiero socialista che afferma che una società nuova non può sorgere se non quando gli elementi siano già stati preparati nella società attuale. Da allora , l'azione rivoluzionaria, internazionale', universale, porterà necessariamente l'impronta di tutte le realtà nazionali. Dovrà combattere in ogni paese delle difficoltà parti colari; avrà in ogni paese, per combattete queste difficoltà, risorse particolari, forze proprie della storia nazionale, del genio na. zionale. È passata l'ora in cui gli utopisti consideravano il comunismo come una

166 Scritti politici di Benito Mussolini
A un certo punto, Jaurès polemizza col Manifesto dei comunisti e colla famosa apostrofe II I proletari non hanno P atria!"

p ianta artificiale che si poteva far fioriré a volontà, sotto un clima scelto dal capo di una setta. Non ci sono pi\J Icarie

Non si sfugge alla legge delle Patrie, grida Jaurès. Non è possibile. Il federalismo piu decentrato, alla Proudhon , non è una distruzione, ma una trasformazione della Patria e d'altronde Proudhon era 11 furiosamen te francese". La su bordinazione di tutte le Patrie a una solaid ea che i pangermanisti socialisti vagheggiano - sarebbe un "cesarismo mostruoso, un imperialismo spaventevole e oppressore di cui il socialismo stesso non può sfiorare lo spirito moderno".

E allora?

L'unità umana - risponde Jaurès - può essere soltanto realizzata dalla libera federazione delle Nazioni autonome, ripudianti ogni impresa di conquista e sottomesse a regole generali cli diritto. Ma allora non è la soppressione, ma il perfezionamento delle Patrie Esse sono elevate nell'umanità senza perdere nu1la della loro indipendenza, della loro originalità, della libertà del loro genio!

Nel momento di crisi...

Volgendo alla fine cli questo capitolo magistrale, Jaurès precisa ancora le sue idee.

Internazionale e Patria, egli dice, sono legate ormai. t nell'Internazionale che l'indipendenza delle Nazioni ha la sua pill grande garanzia: è nelle Nazioni indipendenti che l'Internazionale ha i suoi organi potenti e nobili. Si potrebbe quasi dire: un po' d'internazionalismo allontana; molta internnz ionale ci riconduce alla Patria

Ma J aurès prevedeva che nel giorno del pericolo le fragili ideologie anti-patriottiche sarebbero state portate via, come piuma al vento. Se Jaurès avesse vissuto soltanto quattro giorni ancora, avrebbe avuto l'intima e grande soddisfazione di veder confermate le sue previsioni.

La vana esagerazione dei paradossi anarcoidi non resisterebbe - in un giorno di crisi - un minu to solo alla forza del pensiero operaio completa, che concilia l 'Internazionale e la Nazione.

In Francia, lo si è visto.

Non si può ora dire che cosa diventeranno gli ordinamenti politici e militari dell'Europa, quando la grande tormenta sia passata. Di-

/\/111 sc110/a dello guerra (1914-1918) 167
Il progetto legislativo per "L'armée nouvelle»

sarmo? Limitazione degli armamenti? Dipenderà dalla vittoria della Quadruplice. Ma io credo che se i socialisti - in particolar modo quelli italiani - vorranno II agire" e non "chiacchierare" per trasformare la società, dovranno - jn fatto cli ordinamenti militari - tornare alle idee e al proget t o d i Jaurès. Si co mpo ne di diciotto articoli. Ne facciamo cono scere i principali:

Art. 1. - Tutti i cittadini validi, dall'età di 20 all'età di 45 anni, sono obbligati a co ncorrere alla difesa nazionale. Dai 20 ai 34 anni, appartengono all 'ese rcito di prima linea, dai 34 ai 40 alla riserva, dai 40 ai 45 al.la territo riale.

Come si vede gli obb )jghi del progetto Jaurès sono piu es tesi di quelli attualm ente in vigore in Italia.

Art. 3. - li reclutamento si fa sul luogo.

Art . 4. - L'educaz ione dell'esercito di prima linea comprende tre fa si: l'educazione preparatoria dei fanciulli; la scuola delle reclute; i richiami periodici .

Art. 5 . - Ri guard a l'educazione militare d ai 10 ai 20 anni.

Art. 6. - I giovani e ntrati nel ventunesimo anno di età , saranno chiamati per sei mesi al centro di guarnigione pili vicino, a una scuola di reclute .. . Le date di chiamata saranno scelte in modo da permettere gli esercizi all'aria aperta e le mano vre sul terreno.

Art. 7. - Durante i tredici anni di serviz io di prima linea, i soldati saranno convocati otto volte per esercizi di manovra . Manovre di piccole unità che dure ranno da uno a dieci giorni; manovre di grandi unità che dureranno ventuno giorni.

Ogni soldato ha al suo domicilio le uniformi e ne è pecuniariamente responsabile ... Nei dipartimenti dell'Est (frontiera tedesca) ogni soldato avrà le sue armi a domicilio .

Art. 8. -I quadri sono formati, da una parte , di sottufficiali e uf!i. ciali di carriera, dall 'altra di sottufficiali e ufficiali civili.

Art . 9. -I quadri d egli ufficiali saranno forma ti, per un terzo, di ufficiali profes sionali.

Le associ::izio ni opera ie di qua lunque specie, sindacati, mutue, cooperative sono autorfazate a suss idiare - per la preparazione al grado di ufficial e - le s pese di st udio de i fi gli degli operai che avrannocon un esa me - dimo strato la capacità di di ventare ufficiali.

Seguono altri articoli concernenti i quadri. Gli ultimi articoli propongono che la Francia negoz i coi pa esi rappresentati all'Aja trattati di ar bitrato integra le e regoli , co n loro, la procedura arbitrale .

168 Scritti politici di Benito Mussolini

Conclusione

he cosa diranno, oggi, i commemoratori di Jaurès? Che cosa dfrà,

· .Cl' es empio, il designato oratore per Milano, l'on . Genunzio Bentini, n c ui incoltura - in materia di socialismo -è semplicemente fenomenale? Che cosa dirà l'incaricato della continuità redazionale dell' Avan ti!? Come verrà "diffamato" Jaurès! Diffamato, dico. Infatti: Jaurès amava la Patria e costoro la dispregiano .

Jaurès voleva un esercito per la difesa della Francia e costoro vorrebbero aprire le frontiere d ' Italia agli invasori.

J aurès esaltava gli ufficiali e costoro ne parlano collo scherno piu bestiale .

Jaurès non comprese mai la "neutralità" nella vita e nella storia e costoro hanno eretto sulla formula sterile e negativa della neutralità l'edificio della loro futura nonché ignobile cuccagna elettorale.

Jaurès ebbe un palpito d'amore per tutti gli oppressi; costoro passano chiusi e cinici dinanzi alle sventure del Belgio e della Francia.

Capaci di tutto, anche di speculare sui morti, costoro annegheranno nel pantano della loro abbiezione.

4.

Dopo i successi navali e terrestri riportati d ai tedeschi nel Golfo di Finlandia, parve a certuni che fo sse nei piani della G ermania marciare alla conquista della capitale ru ssa . L'impresa, dal punto di vista militare, non avrebbe incontrato altre diflicoltà all'infuori di quelle naturali dello spazio. Davanti agli eserciti di Hindenburg il disco sovietista segna sempre la "via libera". Ma il Grande Maresciallo invece di andare innanzi, prèferl retrocedere di qualche decina di chilometri per sistemare piu convenientemente le sue truppe nei pressi di Riga. Anche una guerra fatta col gesso - come fu quella, secondo gli storici, fatta da Carlo VIII in Italia nel XV secolo - impone un certo logoramento di uomini , impegna un certo numero di soldati, non fosse che per segnare col "gesso" le tappe della facile conquista . Hindenburg - allo sperpero folle degli uomini che fu la caratteristica della prima fase della guerra tedesca - ha sostituito il metodo della parsimonia. Hindenburg non è andato a Pietrogrado, semplicemente perché a Pietrogrado è tornato Lenin, o altrimenti det· to Uljanov o - col vero nome di battesimo e di razza - Ceorbaum. Colla odierna rivolta dei massimalisti , la Germania ha conquistato

* Da "Il Popolo d'Italia " , n. 313, 11 novembre 1917 , IV .

11 1/a scuola della guerra (1914-1918) 169
!
Avanti, il Mikado!*

senza colpo ferire Pietrogrado. Gli altri tre signori che compongono la tetrarchia bolscevica hanno questi nomi: Apfelbaum, Rosenfeld, Bronstein. Siamo, come ognuno vede, in piena, autentica tedescheria . Che il colpo di stato massimalista - preparato e condotto dall'uomo tornato in Russia attraverso 1a Germania - costituisca Pinizio di uno stabile regime estrem ista, non sappiamo. Il dramma, se dramma riv olu zio nari o può dirsi, ha l'aspetto paradossale. Il Governo provvisorio non ha opposto resistenza. Qu egli atti di energia, quei provvedim e nti di 11 ferro e fuoco" tante volte minacciati nei discorsi di Ker ensky , sono rimasti allo stato di intenzioni platoniche. Come Nicola Due, anche Kere nsky ha lasciato il potere senza che un pugno di seguaci lo ab bia difeso. Forse la scomparsa misteriosa di Kerensky prelude a gualcbe altro colpo di scena? È possibile. Ma non si vede quali siano le forze sulle quali Kerensky potrebbe fare assegnamento per tentare l a riscossa . [Censura].

Dopo l'espe rim ento di Korniloff, non c'è da contare sulle truppe che si trovano in uno stato di disorganizzazione totale. Altre forze civili "capaci" di reagire al Sovièt non esistono. L'unico partito organizzato, quello dei "cadetti", raccoglie - è vero - molti rappresentanti della famosa "intelligenza" russa, ma non ha influenza alcuna sulle masse operaie di Pietrogrado. Nell'attesa delle altre scene della tragicommedia moscovita, noi - modestamente e umilmente - ripetiamo quel che dicemmo venti giorni fa all'inizio dell'offensiva tedesca contro di noi: che cioè è necessario convocare sollecitamente i rappresentanti delle Potenze Alleate per discutere il problema russo .

L'inazione militare russa ha permesso agli austro -tedeschi di tentare il colpo contro l'Italia, ma l'avvento al potere degli estremisti russi può significare la pace separata.

In fondo questa pace separata è ormai un fatto compiuto, dal momento che i soldati russi invece di battersi tengono dei comizi o fraternizzano coi tedeschi, ma quando domani la pace fosse consacrata in maniera uiliciale, sarebb ero aperte agli austro-tedeschi le disponibilità granarie della Russia divenuta una grande colonia continentale della Germania.

Ora, non v'è dubbio che il movimento massimalista a Pietrogrado è inspirato 1 sovvenzionato, armato dalla Germania. Non v'è dubbio che la Germania difend erà con tutti i mezzi il colpo di stato di Lenin. Davanti a questa s ituaz ione 1 quale può, quale "deve" essere la linea di condotta delle Potenze Alleate?

Insomma si tratta di es aminare e stabilire: a) se la Russia è ancora da considerare come alleata; b) se - nel caso affermativoquesta alleanza avrà ancora nel futuro una qualche efficienza militare; e) se - nel caso negativo - non ci siano nel nostro gioco altre carte diplomatiche e militari.

170 Scritti politici di Benito Mussolini

Noi o piniamo che l'ora del Giappone sia venuta. I i: cccn1 i acco rdi nippo-americani potrebbero essere il preludio di un intc rvcn1 0 giapl ncse piu fattivo di quello che si è avuto sino ad oggi. La ra gione oddotta contro l'intervento in Europa di un esercito giappon ese dal apo della missione finanziaria agli Stati Uniti non ci persuade La dis tanza è grande, ma non è meno grande quella che separa gli Stati Uniti dalla Francia. Non solo. Ma la strada Vladivostok-Pietrogrado è sicura, mentre non è altrettanto sicura la traversata di un convoglio di truppe attraverso l'Atlantico. I competenti affermano che la t.ransiberiana - convenientemente organizzata - darebbe il necessario "rendimento" per trasportare in Europa , in uno spazio di tempo relativamente breve, almeno mezzo milione di giapponesi. L'idea di inquadrare i russi con contingenti di ufficiali e soldati giapponesi è da scartare, come insufficiente . Occorre un grande esercito, al quale - nella primavera prossima - potrebbero unirsi quelle scarse unità dell'esercito russo che non sono ancora in balia completa del leninismo. Le eventuali richieste di compensi da parte del Giappone non devono costituire difficoltà insormontabili, data l'immensa utilità di una partecipazione diretta dell'impero giapponese alla guerra europea. Non si può imporre alla Russia sovietica di combattere contro i tedeschi, dal momento che non ne ha la capacità e soprattutto la volontà , ma si può imporre alla Russia di accettare o subire l'intervento giapponese contro i tedeschi.

Questi sono i problemi che stanno dinanzi ai diplomatici della Quadruplice Intesa . Questi sono i problemi ch e u1qui e tano l'opinione pubblica. La quale, col suo intui to infallibile , esprime, in una invocazione, il suo giudizio sulla situazione russa e le sue speranze. Avanti, il Mikado!

5. Trincerocrazia •

La parola è brutta. Non importa. Ce ne sono di piu brutte che hanno già da tempo diritto di cittadinanza nella lingua italiana . Ce ne infi. schiamo dei "puristi" che ringhiano davanti ai "neologismi". Eterno conflitto fra la sensibilità vecchia e quella nuova! La trincerocrazia è l'aristocrazia della trincea. È l'aristocrazia di domani. È l'aristocrazia in funzione . Viene dal profondo. I suoi "quarti di nobiltà" hanno un bel colore di sangue. Nel suo blasone ci può essere dipinto un "cavallo di Frisia", una fossa di trincea, una bomba a mano.

Lanciare una bomba è un esercizio brillantissimo, anche quando vi

* Da "Il Popolo d'Italia " , n. 347, 1.5 dicembre 1917, IV.

1111" scuola della guerra (1914-1918) 171

scoppia fra le mani e vi costringe a pensare che forse è stata fabbricata da un imboscato negligente .

Ci sono tante qualità di bombe . Le Sype, le Besozzi, le B.P.D., le Tehrenit ecc. Sono eleganti. Molto chic.

Ce n'è una che ha una cmuicio1a. Noi nel nostro gergo di trincea la chiamavamo la "s igno dna ". Si portavano 1e bombe nel tascapane, insieme alle scatolette di carne e al pane. Si get tavano o si gettano sul grugno degli austriaci. Bellissimo!

Non si capisce perché ness uno, in Italia , abbia mai preso l'iniziativa di fondare una scuola per addestrare i futuri soldati nel lancio delle bombe . Nelle quarte pagine dei giornali c'è molta pubblicità di imboscamento, a base di scuole per tornitori, motociclisti, chauffeurs ; pubblicità che dovrebbe essere vietata. Ma vedrete che fra poco sorgerà anche una scuola per lanciare delle bombe.

Tutta questa divagazione si spiega. È la nostalgia del mestiere. Inoltre, la bomba, è un argomento. Passiamo.

C'è una nuova aristocrazia in vista . I miopi e gli idioti non la vedono. Eppure, questa aristocrazia mu_ove già i primi passi. Rivendica la sua parte di mondo. Delinea già con sufficiente precisione i suoi tentativi di "presa di possesso" delle posizioni sociali. È un travaglio oscuro, intenso, di elaboraz\one, che ricorda quello della borghesia francese di prima del!' '89.

C'è un volume di Giovanni Jaurès, dedicato al sorgere, sull'orizzonte di avanti '89, della borghesia francese. È una lettura proficua. L'Italia va verso due grandi partiti: quelli che ci sono stati e quelli che non ci sono stati; quelli che hanno combattuto e quelli che non hanno combattuto; quelli che hanno l avorato e i parassiti. I segni annunciatori di questo evento abbondano.

A Milano tutto il movimento di propaganda e di resistenza interna è nelle mani del Comitato di Azione fra i mutilati e gli invalidi di guerra. A Torino si è costituito un vero e proprio partito fra i "reduci dal fronte" con esclusione assoluta degli imboscati . A Bologna si annuncia l a prossima pubblicazione di un giornale che avrà questo titolo: La voce dei reduci. Se c'è qualche anima livida che si proponeva la grave ed infame speculazione sui mutilati ed invalidi, deve sentirsi, oggi, totalmente delu sa. I mutilati e gli invalidi della grande guerra non si mettono ai cantoni per impietosire il cuore e la borsa dei passanti colla esibizione della loro infermità. Non si prestano agli "imbonimenti" di tutti quelli che piangono sugli "orrori" della guerra, senza conoscerli.

Quale immensa forza morale c'è in questo atteggiamento patriottico dei reduci dal fronte.

Pensate al contrario. Fate il caso contrario, il caso "negativo" e ve ne convincerete.

172 Scritti politici di Benito Mussolini

O g i, questi mutilati, questi invalidi, sono le avanguardie del grande ·sercito che ritornerà domani. Sono le migliaia che aspettano i milioni di reduci. Questa enorme massa - cosciente di ciò che ha fattop rod urrà inevitabilmente degli spostamenti di equilibrio.

TI rude e sanguinoso tirocinio delle trincee significherà qualche cosa. Vorrà dire piU coraggio, piU fede, pili tenacia .

J partiti vecchi, gli uomini vecchi che si accingono, come se niente foss e, all'exploitation dell'Italia politica di domani, saranno travolti. La mu sica di domani avrà un altro tempo. Sarà un andantino sostenuto e non sarà escluso un fortissi mo con calore. Ci saranno anche molti diesis in chiave . È questa previsione che ci conduce a guardare con un certo dispregio tutto ciò che si dice e si fa dagli otri vecchi , ripieni di presunzione, di sacre formule e di imbecillità senile.

So no ammirevoli nel loro candore quelli che si tengono ancora disperatamente aggrappati ai vecchi schemi mentali . È gente che perde il treno. Il treno passa e quelli rimangono sul trottoir della stazione, co n la faccia smorfiata fra l'ebetismo e il dispetto. Le parole repubblica , democrazia, radicalismo, liberalismo; la stessa parola "socialJ smo" non hanno piU senso: ne avranno uno domani, ma sarà quello che daranno loro i milioni di "ritornati". E potrà essere tutt'altra cos a.

Po trà essere un socialismo anti-marxista, ad esempio, e nazionale. I milioni di lavoratori che torneranno al solco dei campi , dopo essere stati nei solchi delle trincee, realizzeranno la sintesi dell'antites i: classe e nazione.

Anche qui già i segni rivelatori si scorgono, e non piu tardi di ieri ne parlavamo a proposito dell'amhasceria vera e propria d egli operai genovesi.

Ora, quelli che non combattono, quelli che - per motivi piu o meno giustificati - non sono lassll, hanno l'obbligo - se veramente amano e di un amore disinteressato l'Italia - di non mai astrarre nei loro discorsi, nei loro propositi, nelle loro azioni dagli ''altri " che soffrono e muoiono perché l'Italia viva.

Coloro che in undici battaglie avevano ricacciato l'Austria oltre l'Isonzo; coloro che hanno fermato Austria e Germania, Bulgaria e Turchia sul Piave, guardano, ascoltano, intendo no.

L'Italia d ' oggi è là. L'Italia di domani , anche. Noi raccogliamo la passione dei combattenti e saremo con loro domani per il compimento delle supreme giustizie.

l \/!t1 scuoht della guerra (1914-1918) 173

6. Quale democrazia?

[ ... ] Insomma questi s ig nori '''' co n chi ce l'hanno? Con la democrazia in assoluto, in astratto, sot to la specie dell'eternità o con un tipo speciale di democrazia? Oggetto dei loro sc herni e delle loro contumelie sembra " la democrazia - regime di scrocco per poche minoranze a carico dello Stato - non g ià la democrazia san a nell'onesto regime delle cla ss i produtt ive". Ma allora, a confessione d ello stesso Corradini, ci so no o ci po ssono essere due democrazie o quanto meno due forme di de mocraz ia. Il reg ime di scrocco non è n ecessariamente democratico , può essere benissimo ancien régime, pre '89 o zarista . Lo zarismo era d emocra tico? Affa tto. Eppure era il regime piU spavente,_ vole di scrocco che la storia abbia mai conosciuto . Era la cuccagna per una minoranza di nobili fannulloni, di burocrati imbecilliti e di una Corte dominata da un villano alcoolizzato e abbrutito come Rasputin. Questo regime ch e era la negazione assoluta della democrazia ha saputo fare almeno la guerra? No . Dunque è assurdo accusare il regime democratico, in quanto tale, di incapacità di fronte alla guerra. Altri regimi possono trovarsi nelle stesse condizioni. Una democrazia tipica, invece, come quella inglese, sa fare la guerra. Saprà farla anche la piu grande delle democrazie: quella americana. Corradini dice che l'imperialismo germanico colpf in Europa nazioni che erano in piena vitalità. Vero. Ma poiché il regime politico di queste nazioni era democratico, ne consegue che esso non ha impedito lo sviluppo di questa loro piena vitalità. Dunque: si può essere vivi e vitali anche in regime di democrazia. Caillaux può essere l'esponente della democrazia di scrocco, Clemenceau è l'esponente della democrazia sana, produttiva, e, quando occorre, guerriera.

D'accordo che democrazia e imperialismo non sono termini necessariamente antitetici. O g ni essere che vive è imperialista nel senso che tend e ad affermare ne i riguardi del mondo esterno la sua volontà. Ma è il modo col qua le l'imperialismo viene praticato, ciò che distingue un imperial ismo da.I.l'altro: l'imperialismo tedesco, per esempio, da quello in glese. L'imp e rialismo non è necessariamente anti-democratico e Ja dem ocraz ia non è necessariamente anti-imperialista. La politica di L loyd George è democratica ma imperialista al tempo stesso. La parola impero è qu ella ch e ricorre piu frequentemente nei discorsi del primo ministro inglese. Ma volete forse mettere Lloyd George sullo stesso piano di van Bernhardi o di Bismarck?

Un conto è la de mocrazia; un conto è la condotta democratica o piuttosto parlamentare della guerra. Mi direte che un regime di demo* Da "Il Popolo

174 Scritti politici di Benito Mussolini
d'Italia\ n. 89, 30 marzo 1918, V.

c razia non ammette altra condotta della guerra che non sin de moc rati ca. Vi rispondo che Roma democratica accettava la diunturn in tempo di guerra. Piu volte noi abbiamo fatto il processo no n "U" democrazia, ma alla condotta democratica della guerra. Del resto una tendenza sempre pili marcata a sottrarre la guerra , nel suo svolgimento, ai criteri, ai pregiudizi , allo stato d'animo infido dei politica nti di professione, c'è stata.

Le nazioni anche democratiche hanno a poco a poco accentrato il potere reale in pochi uomini o in un uomo solo. In un certo senso Lloyd George, Clemenceau, Wilson sono tre dittatori democratici. Du nque non c'è antitesi insuperabile fra dittatura e democrazia, come non c'è fra democrazia e imperialismo. Se le cose della guerra non so no andate e non vanno ancora secondo i nostri desideri, tre ipotesi possono essere formulate. O questa tendenza alla dittatura democratica o alla democrazia dittatoriale non è ancora abbastanza pronunciata o non è ancora munita di tutti i poteri o è la guerra che per la sua vastità, per i suoi imprevisti e per il suo stesso carattere enormemente democratico, consacra e documenta l 'insufficienza di tutti gli uomini e di tutti i regimi: dalla democrazia federalista di Wilson alla monarchia castale di Guglielmo II . Bisogna ancora domandarsi se nei paesi d'occidente una condotta della guerra copiata dalla Germania non avrebbe prodotto inconvenienti assai gravi, d 'altra natura. In una guerra come questa i criteri puramente militari devono esse re i predominanti, non i soli.

Ma la condotta della guerra, condotta che noi pe.r no stro conto vorremmo sempre meno democratica, sempre meno parlamentare, se mpre piu dittatoriale , non esclude che i fini d ella guerra possano essere democratici. Ditt atura nei mezzi, democrazia nei fini. E per democrazia noi intendiamo il sano ed onesto regime delle classi produttive, non il parassitismo delle caste nobiliari o militariste. Ci sembra che indicare come fine di guerra ravvento nella nostra e nelle altre nazioni di questo sa no regime delle clas si produttive , possa giovare assai al morale dei combattenti e al conseguimento della vittoria. Scendendo in campo per discutere e svalutare i fini che debbono esse re democratici della nostra guerra, invece di criticare e di opporsi alla condotta democratica della guerra, il Corradini offre ai sabo tatori della guerra stessa e ai socialisti ufficiali che hanno portato e vogliono portare alle estreme conseguenze il regime dello scrocco economico e politico, armi nuove e insidiose. Che cosa v uol dimostrare Corradini? Che la democrazia è incapace di darci la vittoria? Gli faccio osservare:

1. Che nemmeno gli Imperi Centrali sono riusciti sinora a vincere, malgrado la loro brillante ed esclusivamente militare condotta della guerra.

A!/11 scuola della guerra (1914-1918) 175

2. Che se i popoli dell'occidente hanno resistito e resistono, segno è che 200 anni di democrazia come in Inghilterra o 100 come in Francia o 60 come in Italia non li hanno imputriditi .

3. Che le nazioni democratiche dell'occidente non hanno vinto perché l'unica nazione della Quadruplice Intesa, non democratica e antidemocratica, la Russia czarista, non h a saputo fare la guerra. Se l'avesse saputa fare, non scoppiava la rivoluzione. L'impero dei Romanoff è andato a pezzi perché non ha saputo far e la guerra.

Dunque: anch e un'autocrazia come una qualunque vilissima democrazia può non saper fare la guerra . E allora la tesi nazionalista che nega alle democrazie, in quanto tali, le capacità guerriere è solennemente sfatata dall'evidenza che splende eroica fra Somme e Oise in terra di Francia.

O non è piu questione di regime o in questa tragedia immensa tutti i regimi e tutti gli uomini sono insufficienti. Partendo in guerra contro la democrazia, Enrico Corradini non spiana la via a un ritorno di altri regimi condannati, ma apre la strada al regime dei Sovièt.

Ecco perché Enrico Corradini è di ventato collaboratore ordinario del giornale che si ripromette le maggiori fortune ai danni della Patria, dalla diffamazione tenace e in malafede della condotta, ma soprattutto dei fini della nostra guerra. Lo spettacolo è abbastanza grottesco .

Corradirù è in compagrùa di coloro che tra le autocrazie e le democrazie - considerandole tutte alla stessa stregua e tutte quante ree di imperialismo - sono andati a cercare il vangelo della salute universale a Zimmerwald.

7. Osare!•

La nuov a audacissima impresa del marinaio Rizzo e dei suoi compagni, mi richiama alla me nte un ordine di considerazioni che manifestai per la prima volta a Genova in una riunione molto simpatica di operai e pi,, tordi al Comuna le di Bologna: le consideraziorù sulla guerra qualitat iva.

Io credo che sia urgente introdurre sempre piu decisamente l'elemento qualitadvo jn questa enorme guerra quantitativa. Credo che il fattore qualità debba prendere una parte dominante nel gioco bellico che è stato s in ora quantità; quasi esclusivamente quantità. È un fatto che la Germarùa, non solo ci ha imposto la guerra ma ci ha costretti a subire i s uoi m etod i di guerra, la sua mentalità di guerra. Noi non abbiamo introdotto nessuna novità. A una guerra di posi-

* Da "Il Popolo d'Italia", n. 162, 13 giugno 1918, V.

176 Scritti politici di Benito Mussolini
1

z io nc abbiamo risposto con una guerra di posizione; a una guerra di mass e, con una guerra di masse . Non siamo mai stati in anticipo su ll n Germania. Abbiamo adottato l 'impiego su vasta scala dei gas nsll ss ianti, dopo che i tedeschi li avevano lanciati in una decina di ba tta glie. Cosi per i lan ciafiamme. Siamo giunti a selezionare l e truppe d i fanteria, per costituire reparti speciali d'assalto molto tempo dopo ·he la Germania aveva creato le sue Stosstruppen (truppe d'urto). Nell a condotta della guerra da parte della Quadruplice Intesa c'è s rnta una sola novità: i Ìanks inglesi o carri d'assalto. Ma sembra che ci si sia fermati a metà. La Quadruplice Intesa poteva trarre un rendim ento altissimo dall'aviazione, ma anche in questo campo hanno veduto piu lontano i giornalisti e i poeti ch e gli uomini di Governo responsabili .

La nozione della guerra qualitativa o integrale , della guerra che cerca e attua con esasperazione ostinata tutte l e novità grandi o piccole che possono avvicinare il giorno della vittoria, non è apparsa che molto tnrdivamente e vagamente alla intelligenza dei Governi. Molti degli uomini che ci governano hanno una mentalità statica. Sono paurosi d elJe novità. Il "rischio " non li attira. Anche la convinzione che la guerra sarebbe stata breve ha "pesato" sul modo col quale la guerra è stata condotta.

Io vorrei fare questa affermazione di massima: vincerà la guerra quel gruppo di belligeranti che piu presto e piu profondamente tramuterà il carattere della guerra e convertirà in guerra di guerrieri consapevoli e pronti a tutto, ciò che è st ato sino ad ora fati ca e sacrificio di masse rassegnate.

I mezzi materiali e morali per giungere a queste trasformazioni esis tono. Bisogna far vibrare certe corde . Bisogna mettere nel gioco carte d 1ordine materiale e carte d'ordine morale . Bisogna convincersi che un individuo cosciente e coraggioso vi dà il rendimento di cento, e che, viceversa, cento individui ignavi o vigliacchi non vi dànno il rendimen to di uno solo Io sono d'avv iso che in vece di saturare le trincee con elementi negativi fisiologicamente e spiritualmente, sia pill utile e redditizio ai fini della guerra di moltiplicare gli strumenti meccanici, affidati a uomini che facciano la guerra con convinzione e con passione. Il macigno è la massa, l a mina è la volontà . La mina fa saltare il macigno. Ponete una volontà di acciaio, tesa e implacabile contro una massa e voi riuscirete a sgretolare la massa. Le leggi della fi sica sono universali. Voi potete far "leva" anche sugli uomini come fate "leva" sulle cose inerti.

Le masse umane hanno la stessa "inerzia " delle masse inorganiche. Il " datemi un punto d'appoggio e vi solleverò il mondo" è vero anche e soprattutto, forse, nel mondo dello spirito. Si tratta di trovare

111/ti scuola della guerra (1914-1918) 177

un punto d'appoggio. Quelli che Schuré ha chiamato "i grandi iniziati" hanno trovato questo pu nto d'appoggio; Buddha, Cristo, Maometto hanno trovato un punto d'appoggio e hanno sollevato tre mondi.

Torniamo alla guerrn. Una doma nda: è fota1 e che questa guerra sia massa, inerzia, num e ro, quantità e no n possa essere ni ente di diverso? Lo escludo. Spetta n no i la t in i e an g lo-sassoni introdurre la qualità n ella quantità. Se la nostrn gc nfalità non è una fola, qui do vrebbe mostrarsi. Ora, la g L1 e1:rn moderna si presta magnificamente alla valorizza zio ne, alh1 utiliz zaz ione prodigiosa delle qualità umane individuali.

Pensate a un avjatore che riuscisse a ge ttare una bomba sulle centrali elettrich e ch e dànno la for za alle officine Krupp.

Pen sate a Ri zzo e ai suoi compagni. In pochi, hanno vinto una battaglia. Per lanciare un siluro, non c'è bisogno di essere in molti: basta un uomo. E un s iluro manda a picco una corazzata.

Gli ordi g ni di gue rra mod e rni - per la loro potenzialità distruttiva che ha dc1 fanta stico - offro no in se s tessi un premio all'audacia. Gli audaci sa nno ch e se il colpo ries ce, il colpo è buono. Il gioco vale la candela e franca la spesa. Tra il rischio di sacrificare un manipolo d'individui e la possibilità - sia anche in proporzioni modeste - di inferire un colpo terribile al nemico, è il secondo elem ento quello che deve orientare l'azione.

Valorizzare l'individuo . Non frenare gli audaci . Non lasciare nulla d ' inte ntato . Non rifiutarsi a nessun rischio , a nessun pericolo. Non far prevalere i criteri statici deJ!a burocrazia , sugli impulsi dinamici degli individui. Bisogna fissare a priori que sta verità: non c'è nulla d'impossib ile!

Per un signore ch e sta chiuso in un ufficio di Roma può sembrare a priori im possibile forzare una scorta d i torp ediniere e silurare due corazzate au striache; per Rizzo è stato poss ib il e . Possibile perché è stato tentatoJ perché esis t eva la volontà di tentare. L'azione h a ragione degli sc hc m.i conseg nati ne i libri. L 'az ione forza i cancelli sui quali sta sc ritto 11 v ie tato". I pu si.l.lanimi s i fermano , gli audaci attaccano e ro ves ci ano l'os taco lo.

Io vorre i c he g li uo mini c he ci governano non sabotassero le energie individuali! [Ce 11 s11m].

Ora che s i è visto q ua le re ndimento possa dare l'a zione indi viduale, c'è da augurarsi che i gove rnanti cambino si stema e che d'ora innanzi non rifiuteranno il l o ro placet a n ess un tentativo per quanto possa apparire a prima vista e a un fredd o esame para do ssale e pazzesco. Vi si chi ede, sig nori, un po' di follia , un grano di follia , un grosso grano di intelligente e raziocinante fo llia!

Tutto ciò che ho scritto non è forse ben definito . Ma io non ho

178 Scritti politici di Benito Mussolini

l'o b bli go di presentare delle verità schematiche e sistematizzate. Mi I nst: a suscitare certi stati d'animo e porre in piU vivida luce certe ve rit à che affiorano in questo crepuscolo della guerra. sa re !

8. Novità .. . •

gg i, dopo quattro anni, dalla testata di questo giornale scompare il sot totitolo di socialista. Un altro lo sostituisce che mi piace di pill e che i lettori - io credo - apprezzeranno di piU. D'ora innanzi q ues to giornale sarà il giornale dei combattenti e dei produttori. Nessuna di queste due categorie mi ha dato - né poteva darmi! - inHti chi ufficiali di sorta: questo giornale continua ad essere l'organo d i chi scrive queste linee; soltanto esso avrà sempre piU spiccata e dec isa la tendenza ad essere, nell'immediato fu t uro, la voce dei comb<1 t tenti e dei produttori. Quel "socialista" che figurava in testa del gio rnale aveva un senso nel 1914 e voleva dire che nel 1914 si pote va essere socialisti - nel vecchio senso della vecchia parola -e nello stesso tempo favorevoli alla guerra. Ma in seguito la parola

11 soci alista II era diventata anacronistica . Non mi diceva pili niente .

IT:riva, anzi, tutti gli inconvenienti della po ssibile confusione cogli

11 al t ri 11

• C'era inoltre un elemento di comicità e d'ironia che io avve rLi vo perfettamente. Quell'affermare che il ve ro, l'autentico, il genuino socialismo - in ba se ai testi , alla tradizion e, agli apostolira il nostro, soltanto il no stro, in antitesi cogli altri ch e rivendicavano nlt.re ttanta verità e autenticità p e r il loro socialismo , era, alla fine, ro ttesco e burlesco come la concorrenza di due botteghe. Questa che n o n è una bottega, non è mai stata, non sarà mai una bottega, cambia in seg na e lascia all ' altra il monopolio del mercato. In realtà dev'esser e difficile per quei signori collocare la loro merce. La merce è di q ualità scadente . È ancora rigatteria dell'ante-guerra. I fondi di magazzino dell'ante-guerra. Gli stracci sudici dell'ante-guerra. Sulla porta st a nno gli stessi cadaverici imbonitori che avevano la pretesa di fermare la storia con uno sciopero generale o -magari! - con un " vibrato" ordine del giorno - irosi in faccia perché il pubblico fila v ia, senza fermarsi ai richiami dei sacerdoti dell 'ideale!!! Gli affari son o magri e - ahimè - questo socialismo è ridotto all ' affare!

Seg uitelo in tutte le sue manifestazioni collettive e vi troverete d ' in· nn nzi all ' affare, nel senso piU borghesemente borghese della parola. cg ui telo negli individui e ne troverete moltissimi che fanno l'affare sull a gue rra e per la guerra. L'organo del Partito stesso aveva visto

"' Da "Il Popolo d' Italia", n, 211, 1 agosto 1918, V.

ll ll fl swola della guerra (1914-1918) 179

l' affare con Ford, quando pensava di scroccargli la tenue somma di un milione! Voleva demolire la borghesia e l'ha copiata. Le parole: internazionale, lotta di classe, e le a ltre della terminologia socialista, appartengono al mu seo dei vecchi lu ogh i comuni. Nel periodo piu rivoluzionario della storia del mondo il sociali smo non costruisce null a, è di una passività, di una sterilità spaventevole: dove, per un complesso di circostanze favo revo li è giunto al potere, non è riuscito che a determ inare un caos piU confuso e incoerente di quello borghese. Trovatemi n eg li avvenimenti di questi quattro anni un segno solo della voJontà socialis ta: quelli che trovate sono, e innumerevoli!, i segni dclJ 'impotenza socialista. Quell'intern azionale che i socialisti inseguivano attraverso i congressi e i bureaux dominati dai tedeschi, sorge oggi, rnagnilica e vermiglia, dalle trincee. I popoli si confondono come ma sse e come individui. Davanti a questa comunione nel sacrificio per la vita e p er la morte, di milioni e milioni di uomini che rappresentano il fiore delle generazioni di tutto il mondo, davanti a questa interna zionale, che cosa è l'altra che i socialisti volevano e vorrebbero combinare, se non una ridicola parodia?

Questa internazionale che sorge dalla guerra è un capi tolo della disfatta del socialismo che è stato avverso alla guerra. Mancherà d'ora innanzi la materia ai predicatori dell'internazionale socialista. So no rimasti indietro. Sono rimasti alla lettera . La guerra ha anticipato. Ha introdotto l 'eguaglianza negli individui e nei popoli. Il Belgio è sullo stesso piano dell'Inghilterra; la piccola Serbia vale gli Stati Uniti. Nella "società" che la guerra h a fo rm ato non ci sono inferiori o superiori, come c'erano nell'internazionale socialista. Vi sono rapprese ntati allo stesso titolo, cogli stessi diritti, tutti i popoli. Anche quelli che non sono uno Stato. Anche le colonie . Nella recente riunione di Versailles, c'erano i delegati dei domini e delle colonie dell'Impero inglese. L'internazionale dei Partiti sociali sti, cioè di una ventina tutto al piu di organizzazioni di politican ti capeggiatori e manipo]atori cli un piU o meno vasto gregge el ettorale, che cos'era e che cosa può essere di fronte a questa "fusione" - fisica e spiritu alein un "tutto" solid ale per l 'oggi e per il domani dei popoli che costituiscono Ja gra nde maggioranza del genere umano? Davanti a questa creazione giga ntesca - che è già oggi quasi compiut a - l'internaziona le dei soc ialisti, l 'in ternazionale della tessera, del marco e della marchetta, appare co me una deformità odiosa, come uno sgorbio imbecille sulla pagina di un poema nuovo e divino. Combattenti e produttori. Mi propongo di sostenere i diritti e gli interessi degli uni e degli altri. Combattenti e produttori, il che è fonda ment almente di verso dal dire operai e soldati. No n tutti i soldati sono combattenti e non tutti i combattenti sono soldati. I combattenti vanno da Diaz all'ultimo fantaccino. Produttori, cioè quelli

180 Scritti politici di Benito Mussolini

cli c prod ucono , che lavorano, ma non soltanto colle braccia. C'è il lavoro che non dà sudore alla fronte e non produce i famosi ca lli alle niani, ma la cui utilità sociale è certamente superiore a quella che può essere fornita dalla giorna ta di un manovale libico. Difendere i ptoduttori vuol dire combattere i parassiti. I parassiti del sangue, fra i quali tengono il posto in prima fila i socialisti, e i parassiti del l avoro che possono essere borghesi e socialisti. La crisi scoppiata in se no alla Confederazione Generale del Lavoro italiana è un tentativo cli liberazione della massa operaia dallo sfruttamento politico ed economico dei parassiti socialisti. Difendere i produttori significa permettere alla borghesia di compiere la sua funzione storica - ci sono ancora due continenti quasi intatti che attendono di essere travolti nel turbine della civiltà mondiale capitalistica -e significa anche agevolare agli operai il conseguimento del maggior benessere per il maggior numero e lo sviluppo di quelle capacità che possono a un dato momento sprigionare dalla massa lavoratrice le nuove aris tocrazie dirigenti delle nazioni.

Nel sindacalismo operaio, quando sia rimasto immune dall'infezione del socialismo politico, nel sindacalismo che combatte e la vora, c'è un elemento e una ragione profonda di vita.

1l!l11 .rc11ola della guerra (1914-1918) 181

Il quadriennio del dopoguerra è importante per la formulazione e collocazione programmatica del movimento fa scist a per quanto, com'è noto, tali programmi non si cristallizzino mai compiutamente e debbano essere intesi - in misura pitl elevata che per altri gruppi o pa rtiti politici - in stretto rapporto con le mutevoli condizioni politiche e con gli obiettivi del momento: che in questa fase finiscono col riassumersi, per Mussolini, nella cosiddetta conquista dello stato. Di questo problema si cerca di tener conto nella scelta dei testi, dando spazio a qualche scritto non propriamente ideologico o tale solo indirettamente, e dai quali si può tuttavia cogliere l'atteggiamento di Mussolini rispetto alle forze sociali e politiche. Le dichiarazioni programmatiche pronunciate all'aduna t a costitutiva dei fasci del 23 marzo 1919, solo in apparenza hanno un carattere contingente ( rapporti con gli ex combattenti, politica estera, l otta fino al "sabotaggio" contro gli ex neutralisti): in effetti configurano l'elasticità del "movimento", e quella sulla politica estera, come le conclusioni del dibattito sulla classe operaia in rapporto al sistema capitalistico, assumono un valore permanente . A questo primo annunzio si affiancano - del resto - articoli e discorsi nei quali traspare l'idea di Mussolini quanto all'imperialismo e al quadro internazionale in etti si muove il paese; nel discorso di Dalmine, basilare per il rapporto interno-esterno col movimento operaio si dà un certo spazio al ((sindacalismo nazionale», poi "fascista", in seguito completamente riassorbito nel "regime". 1

1 La progressione "imperialistica " di Mu ssolini si commisura anche all'atteggiamento te· nuto verso la classe operaia, All a realtà dei rapporti di forza fra il movimento fascista e l'opposizione socialista. "L'imperialismo," scrive il 1° gennaio 1919, "è la legge eterna ed immutabile della vhll." Cfr. su queste origini il cap. La lezione della guerra in GIORGIO RuMr, L'imperialismo fascista, Milano 1974. Per i rapporti coevi con la classe operaia, AooLFO SCALPELLI, Dalmine 1919. Storia e mito di uno sciopero "rivoluzionario", Roma 1973.

I V.
(1
LA "CONQUISTA" D ELL O STATO
9 19-1 92 2)
1. Le dichiarazioni dc] 23 mar.m. - 2. L'urto fatale. - 3. [ Gli industriali cli Torino]. - 4. [L 'impe riali smo fascista]. - 5. Fascismo e terra . - 6. Il primo discorso alla Camera. -7 Relativismo e fascismo. - 8. Maschere e volto della Germania. - 9. Stato, antistato e fascismo - 10. Il discorso di Napoli.

Un secondo nucleo di scritti e discorsi ( fine 1919 e 1920-1921) riflette un periodo di grande mobilità, di dispute interne, di ascesa e consolidamen to del fascismo: visione e volontà di lotta nella soci età civile (L'urto fatale, 24 settembre 1919), atteggiamento verso il capitalismo illdustriale di Torino ( al tempo dello "sciopero delle lancette" per il pot ere operaio nella fabbrica),· discorso su "l'imperialismo fascista}) in 1m resoconto non riportato dal Popolo d'Italia nel settembre 1920; rapporti con l'Agraria e problema della terra nella Valle padana, nel f ebbraio del '21; primo discorso alla Camera dei deputati e raccordo del PNF con la questione cattolica nel giugno dello stesso anno. Nel momento conclusivo ( autunno del '21) della crisi fra fascismo "urbaflO" e fascismo "rurale", fra Mussolini e Grandi, il primo si colloca nl centro, al vertice di "sette anni di dure battaglie" (dal 1914), e sup era i contrasti insorti con i suoi "camerati". Il programma è, certo, indefinito ("dobbiamo guardare a quegli statuti come si guarda ad 11//a stella, come ci si disseta ad una fonte. Ci sono in essi delle direttive perché il nostro movimento, diventando troppo politico o sociale, non isterilisca i valori eterni della razza"), Con l'abbraccio a Grandi, con la stessa nascita del PNF, il carisma mussoliniano compie un altro passo avanti, dentro e fuori i confini dell'organizzazione. La teoria f)olitica, invece, avanza di stretta misura - nello stesso discorso ali' Augusteo - là dove il capo appena riconfermato recepisce il concetto di rrstato etico" ({'Proletariato e borghesia non esistono nella storia; sono entrambi anelli della stessa formazione") e nei due piccoli saggi, invero non troppo brillanti ma politicamente significativi che escono nella prima metà del 1922 su Gerarchia. Il primo, Maschere e volti della Germania, abbozza un motivo di politica estera embrionalmente "fascista}), il secondo, Stato, antistato e fascismo, tende a chiarire il rapporto dinamico fra fascisti e istituzioni. L'articolo su Relativismo e fascismo, che fa riferimento a Tilgher, è l'un ico di tutto il quadriennio che si richiami alle « grandi filosofie", con uno iato notevole rispetto ai precedenti prebellici.

L'intero ciclo ricco soprattutto d'azione, si chiude col discorso di Napoli, corollario di una mobilitazione di massa, principio di una sedizione centralizzata già in atto, culmine di una manovra politica condotta e da condursi nel retro della scena, avvio di un processo di catltlra dell'opinione pubblica popolare in nome di un iper-nazionalismo a cui "tutto il resto" sarà subordinato. Idee relativamente vecchie, tratte dall'arsenale ideologico prefascista come dalla propaganda di guerra, dall'innesto ormai compiuto dei "fasci rivoluzionari" nel solido terreno d ella società capitalistico-borghese e del suo ordinamento istituzionale.

Da questo momento cambiano i coefficienti: il mito diviene predominante sulla scena politica nazionale, e il problema consisterà nell'adeg11are i mezzi ai fini della dittatura. Nella scelta degli scritti, allocu-

1,, "conquista" dello stata (1919-1922) 183

zioni, interviste ecc. si è seguito il filo conduttore del rapporto eve rsivo con lo stato, ma in tutto il periodo frequentissima è l'apologia ( sempre diplomatizzata e idealizzata) dello squadrismo anti-bolscevico, mentre nel '22 via via si accentua il passaggio dalla "tendenzialità repubblicana• al compromesso istituzionale ( motivi qui non documentati). Si omette anche l'intervista del 29 ottobre su "Il programma di Mussolini» al governo: "Quello che importa in questo momento è dire chiaro I! forte che oggi in Italia c'è uno Stato e lo faremo rispettare: colle leggi se è possibile, e, se occorre, colle mitragliatrici . •

I. Le dichiarazioni del 23 marzo •

[

..

.] Senza troppe formalità o pedanterie vi leggerò tre dichiarazioni che mi sembrano degne di discussione e di voto. Poi, nel pomeriggio, riprenderemo la discussione su lla nostra dichiarazione programmatica. Vi dico subito che non possiamo scendere ai dettagli. Volendo agire prendiamo la realtà nelle sue grandi linee, senza seguirla minutamente nei suoi particolari.

Prima dichiarazione:

"L'adunata del 23 marzo rivolge il suo primo saluto e il suo memore e reverente pensiero ai figli d'Italia che sono caduti per la grandezza della Patria e per la libertà del Mondo, ai mutilati e invalidi, a tutti i combattenti, agli ex-prigionieri che compirono il loro dovere, e si dichiara pronta a sostenere energicamente le rivendicazioni d'ordine materiale e morale che saran propugnate dalle associazioni dei combattenti."

Siccome noi non vogliamo fondare un partito dei combattenti, poiché un qualche cosa di simile si sta già formando in varie città d' Italia, non possiamo precisare il programma di queste rivendicazioni. Lo preciseranno gli interessati. Dichiariamo che lo appoggeremo. Noi non vogliamo separare i morti, né frugare loro nelle tasche per vedere quale tessera portassero: lasciamo questa immonda biso gna ai socialisti ufficiali. Noi comprenderemo in un unico pensiero di amore tutti i morti, dal generale all'ultimo fante, dall 'intelligentissimo a coloro che erano incolti ed ignoranti. Ma voi mi permetterete di ricordare con predilezione, se non con privilegio, i nostri morti, coloro che sono stati con noi nel maggio glorioso: i Corridoni , i Reguzzoni; i Vidali, i Deffenu, il nostro Serrani , questa gioventti meravi-

* Interventi pronunciati a Milano, nella sede dell'Alleanza industriale e commerciale in piazza. San Sepolcro, il 23 marzo 1919, da "Il Popolo d'Italia", n. 83, 24 marzo 1919, VI. Il secondo intervento viene dato dal giornale come "riassunto•.

184 Scritti politici di Benito Mussolini

uliosa che è andata al fronte e che là è rimasta. Certo, quando oggi si pn d a di grandezza della patria e di libertà del mondo, ci può essere 1u alcuno che affacci il ghigno e il sorriso ironico, poiché ora è di moda fn re il processo alla guerra: ebbene la guerra si accetta in blocco o si respinge in blocco. Se questo processo deve essere eseguito, saremo noi che lo faremo e non gli altri. E volendo del resto esaminare la situazione nei suoi eleme!)ti di fatto, noi diciamo subito che l'attivo il passivo di una impresa cosi grandiosa non può essere stabilito co n le norme della regolarità contabile: non si può mettere da una parte il quantum di fatto e di non fatto: ma bisogna tener conto delJ'clemento "qualitativo". Da questo punto di vista noi possiamo nffer mare con piena sicurezza che la Patria oggi è piu grande: non solo perché giunge al Brennero - dove giunge Ergisto Bezzi a cui ti volgo il saluto (ovazione) - non solo perché va alla Dalmazia. Ma è piu grande l'Italia anche se le piccole anime tentano un loro piccolo giuoco; è piu grande perché noi ci sentiamo piu grandi in quanto ab biamo l'esperienza di questa guerra , inquantoché noi l'abbiamo voluta, non ci è stata imposta, e potevamo evitarla . Se noi abbiamo scelto questa strada è segno che ci sono nella nostra storia, nel nostro sangue, degli elementi e dei fermenti di grandezza, poiché se ciò non fosse noi oggi saremmo l'ultimo popolo del mondo. La guerra ha dato ciò che noi chiedevamo: ha dato i suoi vantaggi negativi e positivi : nega tivi in quanto ha impedito alle cas_e degli Hohenzollern, degli Absburgo e degli altri di dominare il mondo , e questo è un risultato che sta davanti agli occhi di tutti e bast a a giustificare la guerra . Ha dato anche i suoi risultati positivi poiché in nessun a nazione vittoriosa si vede il trionfo della re azione . In tu tte si marcia verso la piu grande democrazia politica ed economica. La guerra ha dato, malgrado certi dettagli che possono urtare gli elementi piu o meno intelligenti , tutto quello che chiedevamo. E perché parliamo anche degli ex-prigionieri?

È una questione scottante . Evidentemente ci sono stati di quelli che si sono arresi, ma quelli si chiamano disertori: d 'altra parte in quella ma ssa c'è la grande maggi oranza che è caduta prigioniera dopo aver fatto il suo dovere, dopo avei. combattuto: se cosi non fosse potremmo com inciare a bollare Cesare Battisti e molti valorosi e brillanti ufficiali e soldati che hanno avuto l a disgrazia di cadere nelle mani del nemico.

Seconda dichiarazione :

"L'a dunata del 23 marzo dichiara di opporsi all'imperialismo degli altri popoli a danno dell'Italia e all'eventuale imperialismo italiano a danno di altri popoli; acce tta il postulato supremo della Società delle Naz ioni che presuppone l 'integrazione di ognuna di esse , integrazione che per quanto riguarda l'Italia deve realizzarsi sulle Alpi e sull 'Adriatico colla rivendicazione e annessione di Fiume e della Dalmazia".

l ,a "conquista" dello stato (1919-1922) 185

Abbiamo quaranta milioni di abitanti su una superficie di 287 mila chilometri quadrati separati dagli Appennini che riducono ancora di piu la disponibilità del nost ro territorio lavorativo: saremo fra dieci o venti anni sessanta milioni cd abbiamo appena un milione e mezzo di chilometri quadrati di co lo nia , in gran par te sabb iosi, verso i quali certamente non potremo mai dirige re il pi\J della nostra popolazione. Me se ci gua rdi amo a ttorn o vediamo l'In ghilterra che con quarantasette milioni di abitanti ha un impero coloniale di 55 milioni di chilom e tri quadra ti e l a Francia che con una popolazione di trentotto mili oni di abi ta nt i ha un impero coloniale di 15 milioni di chilometri quadrati. E vi potrei dimostrare con le cifre alla mano che tutte le na zio ni del mondo, non esclusi il Portogallo, l 'Olanda e il Bel gio, hann o t utte quante un impero coloniale al quale ten go no e che non so no affatto disposte a mollare in base a tutte le ideologie ch e possono venire da oltre oceano . Lloyd G eo rge parla apertamente di impero inglese . L'imperialismo è il fondamento della vita per ogni pop olo che tende ad espa nd ersi economicamente e spiritualmente.

Quello che di stingue gli imperi alismi sono i mezz i. Ora i mezz i che potremo scegliere e scegli e remo non saranno mai mezzi di penetrazione barbarica, com e qu elli ado ttati dai tedeschi. E diciamo: o tutti idealisti o ne ssu no . Si faccia il proprio inte resse . Non si comprende che si predichi l'idealismo da parte di coloro che stanno bene a coloro che soffrono, poiché ciò sa rebbe molto facile. Noi vogliamo il nostro posto nel mondo poiché ne abbiamo il diritto.

Riaffermo qui in qu es to ordine del giorno il po stulato societario della Società delle Nazioni . È nostro in fin dei conti, ma intendiamoci : se la Societ à delle Na zioni deve essere una solenne " fregata" d a parte delle nazioni ricche contro le nazioni proletarie per fissare ed eternare quelle che pos sono essere le condizioni attuali dell'equilibrio mondiale, guardiamoci bene negli occhi. Io compren do perfettamente che le nazioni arrivate possano sta bilire questi premi d'assicuraz ione della loro opulenza e pos izio ne attuale di dominio . Ma questo non è idealismo; è to rn aco nto e in teresse.

Terza dichiara zio ne:

"L 'a dunata del 2 3 marzo im peg na i fascisti a sabotare con tutti i mezzi le candidature dei neutralisti di tutti i Partiti ".

Voi vedete che io passo da un punto a un altro , ma in tutto ciò c'è logica , c'è un fì ]o. Io non sono un entus iasta delle battaglie· schedaiole, tanto è vero che da tempo ho abolito l e cronache del Camerone e nessuno se ne è doluto: anzi il mio es empio aveva consigliato altri giornali a ridurre questa cronaca scandalosa fino ai limiti dello strettamente necessario . In og ni modo è e vidente che entro quest'anno ci saranno le el ezioni. Non si conosce ancora la data né il sistema che sarà seguito, m a dentro l'anno ci sa ranno queste battaglie

186 Scritti politici di Benito Mussolini

d ·uo rali e cartacee. Ora, si voglia o non si vogli a, in queste ele1. io ni si farà il processo alla guerr~, cioè il fatto guerra essendo stato li fott o dominante della nostra vita nazionale, è chiaro che non si potrà evitare di parlare di guerra.

,·u noi accetteremo la battaglia precisamente sul fatto guerra, poiché , , n solo non siamo pentiti di quello che ab biamo fatto, ma andiamo piu in là: e con quel coraggio che è frutto del nostro individu nJi smo, diciamo che se in Italia si ripetesse una condizione di cose Him.ile a quella del 1915, noi ritorneremmo a invocare la guerra come 11 cl 1915. Ora è molto triste il pensare che ci siano s tati degli interven' is ti che hanno defezionato in questi ultimi tempi. Sono stati pochi · pe r motivi non sempre politici. C'è stato il trapasso originato da rng ioni di indole politica che non voglio discutere, ma c'è stata la defezione originata dalla paura fisica. Per quietare la belva molliamo la Dalmazia, rinunciamo a qualche cosa. Ma il calcolo è pietosnmente fallito. Noi , non solo non ci metteremo su quel terreno polli ico, ma non avremo nemmeno quella paura fisica che è semplicemente g r ttesca. Ogni vita vale un 'altra vita, ogni sangue vale un altro sangue, ogni barricata un'altra barricata. Se ci sarà da lottare impegneremo nnche la lotta delle elezioni. Ci sono stati neutralisti fra i socialisti uffi ci ali e fra i repubblicani. Anche i cosiddetti cattolici del Partito i1uliano cercano di rimettersi in carreggiata per far dimenticare la Iota opera mostruosa che va dal convegno di Udine al grido nefando usc ito dal Vaticano. Tutto ciò non è stato soltanto un delitto contro In Patria ma si è tradotto in un di piu di sangue versato, di mutilati e d i fe riti. Noi andremo a vedere i passaporti di tutta questa gente: l nnto dei neutralisti arrabbiati come di coloro che hanno accettato la guerra come una corvée penosa; andremo nei loro comizi, porteremo dei candidati e troveremo tutti i mezzi per sabotarli.

[ ... ] Noi non abbiamo bisogno di metterci programmaticamente su l L rreno della rivoluzione perché, in senso storico, ci siamo dal 1915. No n è necessario prospettare un programma troppo analitico, ma poss iamo affermare che il bolscevismo non ci spaventerebbe se ci dimoSln sse che esso garantisce la grandezza di un popolo e che il suo r •g ime sia migliore degli altri.

• or mai dimostrato irrefutabilmente che il bolscevismo ha rovinato lo v ita economica della Russia. Laggill, l 'attività economica, dall'agrio ltura all'industria, è totalmente paralizzata. Regna la carestia e l a fnrn c . Non solo, ma il bolscevismo è un fenomeno tipicamente russo. Le no s tre civiltà occidentali, a cominciare da.quella. tedesca, sono refrattatie. Noi dichiariamo guerra al socialismo , non perché socialista, mu pe rché è stato contrario alla nazione. Su quello che è il socialismo, Il suo programma e la sua tattica, ciascuno può discutere, ma il Partito S ·ialista Ufficiale Italiano è stato nettamente reazionario, assoluta-

I 11 "conquista" dello stato (1919-1922) 187

mente conservatore, e se fosse trionfata 1a sua tesi non vi sarebbe oggi per noi possibilità di vita nel mondo. Non è il Partito Socialista quello che può mettersi alla testa di una azione di rinnovamento e di ricostruzione. Siamo noi, che facendo il processo alla vita politica di questi ultimi anni , dobbiamo inchiodare alla sua responsabilità il Partito Socialista Ufficiale.

È fatale che 1e ma gg ioranze sieno stat iche, mentre le minoranze sono dinamiche. Noi vogliamo essere una minoranza attiva, vogliamo scindere il Partito Socialista Ufliciale dal proletariato, ma se la borghesia crede di trovare in noi dei parafulmini, si inganna. Noi dobbiamo andare incontro al lavoro. Già al tempo dell'armistizio io scrissi che bisognava andare incontro al lavoro che ritornava dalle trincee, perché sarebbe odioso e bolscevico negare il riconoscimento dei diritti di chi ha fatto la guerra. Bisogna perciò accettare i postulati delle classi lavoratrici: vogliono le otto ore? Domani i minatori e gli operai che lavorano di notte imporranno le sei ore? Le pensioni per l'invalidità e la vecchiaia? Il controllo sulle industrie? Noi appoggeremo queste richieste, anche perché vogliamo abituare le classi operaie alla capacità direttiva delle aziende, anche per convincere gli operai che non è facile mandare avanti un'industria e un commercio.

Questi sono i nostri pos tulati, no stri per le ragioni che ho detto innanzi e perché nella storia ci sono cicli fatali per cui tutto si rinnova, tutto si trasforma. Se la dottrina sindacalista ritiene che dalle masse si possano trarre gli uomini direttivi necessari e capaci di assumere la direzione del lavoro, noi non potremo metterci di traverso, specie se questo movimento tenga conto di due realtà: la realtà della produzione e quella della nazione.

Per quello che riguarda la democrazia economica noi ci mettiamo sul terreno del sindacalismo nazionale e contro l'ingerenza dello Stato quando questo voglia assassinare il processo di creazione della ricchezza .

Combatteremo il retrogradismo tecnico e spirituale. Ci sono industriali che non si rinnovano dal punto di vista tecnico e dal punto di vista morale . Se essi non troveranno la virru di trasformarsi, saranno travolti, ma noi dobbiamo dire alla classe operaia che altro è demolire, altro è costruire, che la distru zione può essere opera di un'ora, mentre la creazion e è opera d; anni o di secoli .

Democrazia economica , questa è la nostra divisa. E veniamo all a democrazia politica.

Io ho l'impression e cl1e il regime attuale in Italia abbia aperto la successione. C'è una crisi che balza agli occhi di tutti. Abbiamo sentito tutti durante la guerra l 'insuflicienza della gente che ci governa e sappiamo che si è vinto per le sole virtu del popolo italiano, non già per l'int elligenza e la capacità dei dirigenti.

188 Scritti politici di Benito Mussolini

i\ pcrta la successione del regime, noi non dobbiamo essere degli imbelli. Dobbiamo correre. Se il regime sarà superato, saremo noi che I vremo occupare il suo po sto. Perciò creiamo i Fasci: questi organi di c reazione e agitazione capaci di scendere in piazza a gridare: "Siamo 11 oi che abbiamo diritto alla successione perché fummo noi che spinAc mmo il paese alla guerra e lo conducemmo alla vittoria!"

Dal punto di vista politico abbiamo nel nostro programma delle riforme : il Senato deve es sere abolito. Mentre traccio questo atto di decesso devo però aggiung ere che il Senato in questi ultimi tempi si è dimostrato di molto superiore alla Camera . (Una voce: "Ci voleva poco 1" ).

t ve ro, ma quel poco è stato fatto. Noi vogliamo dunque che quell'orga nismo feudale sia abolito; chiediamo il suffragio universale, per uomini e donne; lo scrutinio di lista a base regionale; la rappresentanza proporzionale . Dalle nyove elezioni uscirà un 'ass emblea nazionale <11la quale noi chiediamo che decida sulla forma di governo dello Stato iuiliano. Essa dirà: repubblica o monarchia, e noi che siamo stati sempre tendenzialmente repubblicani, diciamo fin da questo momento: repubblica! Noi non andremo a rimuovere i protocolli e a frugare negli archivi, non faremo il processo retro spe ttivo e storico alla monarchia. L'at tuale rappresentanza politica non ci può bastare; vogliamo una ra ppresentanza diretta dei singoli interessi, poiché io, come cittadino, posso votare secondo le mie idee, come professionista devo poter votare secondo le mie qualità professionali .

Si potrebbe dire contro questo programma che si ritorna verso le corporazioni. Non importa. Si tratta di costituire dei Cons igli di categorie che integrino la rappresentanza sinceramente politica.

Ma non possiamo ferm arci su dettagli. Fra tutti i problemi, quello che oggi interessa di piu è di creare la classe dirigente e di munirla dei !(Oteri necessari.

E inutile porre delle questioni pili o meno urgenti se non si creano i dirigenti capaci di risolve rle .

Es aminando il nostro programma vi si potranno trovare delle analogie co n altri programmi; vi si troveranno postulati comuni ai socialisti ufficiali , ma non per questo essi saranno identici nello spirito perché noi ci mettiamo sul terreno della guerra e della vittoria ed è mettendoci su questo terreno che noi possiamo avere tutte le audacie. Io vorrei che qggi i socialisti facessero l'esperimento del potere, perché è (nc ile promettere il paradiso, difficile realizzarlo. Nessun Governo domani potrebbe smobilitare tutti i soldati in pochi giorni o aumentare la q uantità dei viveri, perché non ce ne sono. Ma noi non possiamo perme ttere questo esperimento perché i socialisti vorrebbero portare in Jra lia una contraffazione del fenomeno ru sso al quale tutte le menti pe nsa nti del socialismo sono contrarie, da Branting e Thomas a Bern-

I a "co nquista" d ello stato (1919-1922) 189

stein, perché il fenomeno bolscevico non abolisce le classi, ma è una dittatura esercitata ferocemente . Noi siamo decisam ente contro tutte le forme di dittatura, da quella della sciabola a quella del tricorno, da quella del denaro a quella del numero; noi conosciamo soltanto la dittatura della volontà e dell 'inte lligenza . Vorrei perciò che l 'assemb lea approvasse un ordine del giorno nel quale accettasse le rivendica zioni del sind acalismo nazionale dal punto di vista economico.

Posta questa bu ssola al nostro viaggio, la nostra attività dovrà darci subito 1a creazione d e i Fa sci di combattimento. Dom ani indirizzeremo la loro azione sim uJtan eamen te in tutti i centri d'Italia . Non siamo de gli statici; siamo dei dinamici e vogliamo prendere il nostro posto che deve essere sempre all'avanguardia.

2. L'urto fatale •

Quello che accade in questi giorni non è una "rivoluzion e,, nazionalista, come si afferma nel foglio dei pussisti, i quali sono fisiologicamente negati alla rivoluzione come il rospo è fisiologicamente e anatomicamente negato al volo: è soltanto un altro episodio di quella magnifica rivoluzione italiana che noi abbiamo iniziato nel 1915 e siamo decisi a continuare sino all'episodio fatale. Ancora una volta le posizioni tradizionali sono rove sciate . Gettando sui fatti odierni, che si polarizzano attorno al nome ormai simbolico di Fiume, la luce fumosa delle vecchie lanterne, non si comprende nulla .

È questa una rivoluzione che non mette di fronte dei partiti o delle classi. I socialisti pussisti gridano: "È una rivoluzione naziona· lista! È una rivoluzione 'borghese' ". Imbecilli! Non hanno ancora capito che il n azionali smo non è necessariamente conservatore, non è necessariamente anti·ptolctario.

D'altrond e si verifica questo fotto che spacca in pieno la greve mora dei rancidi nos tri uomini pus sisti: la borghesia italiana, nei suoi elementi democratici (Messaggero), nei suoi elementi liberali (Corriere), nei suoi elementi socialistoidi (Tempo), è contraria alla 11 rivoluzione", che chiameremo fiumafla.

Dunque: non è rivoluzione borghese quella che travaglia oggi la nazione e non è nemmeno proleta ria. Trascende questa nomenclatura.

È la rivoluzione di una parte della nazione contro un'altra parte.

Dall'una e dall'altra parre della barricata stanno mischiati insieme borghesi e prolétari. Ciò che li acco mun a o li di vide , è qualche cosa che

* Da " Il Popolo d'Italia", n. 262 , 24 settembre 1919, VI.

190 Scritti politici di Benito Mussolini

Sili al disopra degli interessi delle classi o delle id eologie de i vecchi partiti. È la guerra.

L'e pisodio odierno della "nostra" rivoluzione - noi abbiamo l'audacia di tentarla, i pussisti si preparano a sfruttarla e s'illudono bestia lmente - mette di fronte due razze di italiani, due mentalità di italiani , due anime di itali ani, due tipi di italiani: quelli che hanno fotto la guerra e quelli che non l'hanno fatta. Bisogna convincersi che proJetari e borghesi che siano stati in trincea, sono oggi irriducibilmente diversi da borghesi e proletari che siano rimasti a casa.

La guerra ha diviso gli uomini ben piu che gli interess i o gli ideali. La nazione che ha fatto la guerra ha istinti, tendenze, passioni, speranze che sono ignote all'altra nazione che non ha fatto la guerra.

Q ui è il dissidio inesorabile. Qui è la ragione dell'urto immanente che ha episodi piu o meno clamorosi e che è destinato a risolversi soltanto nella disfatta dell'antinazione.

1 proletari non hanno ne ssuna ragione di temere l a nostra rivolui ione. I proletari che hanno fatto la guerra sono con noi. Non sono forse nell'enorme maggioranza proletari e figli di proletari, i centocinquantamila mutilati, i duecentomila volontari , i cinquantamila arcHti, i novecentomila combattenti che sono insorti contro il nefasto Governo di Nitti e ne hanno proclamato la decadenza? Pretendono fo rse di sostenere i pussisti che tutte le forze che sono schierate con noi sono "borghesi"?

Ridicola menzogna. Con noi sono i proletari delle trincee e contro di noi non hanno motivi di lottare gli altri proletari. La nostra rivolu zione non è antiproletaria. Aqbiamo letto giorni fa un manifesto della Camera del Lavoro di Milano nel quale si reclamava la confisca dei sopraprofitti di guerra, la decimazione dei patr imoni, una forte imposta sulle eredità. Benissimo. Ci permettiamo di osservare che quei cari ragazzi giungono colla vettura Negri. Quei postulati noi li abbiamo agi tati all'indomani dell'armistizio; quei postulati figurano in un manifesto che fu ver gato da chi scrive queste linee precisamente durante i moti del caroviveri; quei postulati trionferanno perché i Fasci di Combattimento sono decisi ad agire. Come si fa a dire che s iamo reazionari quando 1 ( anticip iamo II di alcuni mesi la Camera del Lavoro di Milano?

Della nostra rivoluzione non devono tremare soltanto i pussisti (diciamo pussisti, per distinguerli dai galantuomini che sono socialisti), ma anche i conservatori µpo Tempo, anche i democratici tipo N itti , anche i preti ti po Miglioli , tutti coloro che hanno insidiato o insidiano oggi l ' Italia, tutte le carogne che appes tano l'It alia, tutta questa pavida gente che vuole convertire l'Italia di Vittorio Veneto in un pos tribolo archeologico o in una colonia anglosassone. Tra noi e quella parte parassitaria della nazione, fra coloro che si pregiano ancora e

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giustamente del fiero appellativo di "combattenti" e i chierici e i preti delle varie sacristie, la lotta è al coltello. Fiume è il quinto atto del dramma. Non è sempre vero che le mori saisit le vi/. Stavolta è il vivo, è l'Italia viva che prende il cadavere dell'Italia di ieri e Io getta nella fossa profonda. Se la quindicesima battaglia è impegnata, siamo certamente alla vigi lia della nostra quindices ima vittoria.

3. [ Gli industriali di Torino]•

Dico, ripeto e dimo s tro , che gli industriali dell'Amma torinese hanno reso, col loro contegno, un prezioso servizio agli interessi generali della nazione e a quelli spedfici del proletariato piemontese e italiano. La dimostrazione cli ciò non implica un dispendio grandioso di energie cerebrali: il fatto è di un a evidenza cristallina. Ci sono molti stranieri che sono rimasti, nel concetto dell'Italia , al periodo romantico di un secolo fa: un'Italietta di venti milioni d'abitanti, piena di sole e di canzoni e di venerabili sassi, rifugio agli splenitici del nord. Co si ci sono degli italiani che sono rimasti alla Torino di mezzo secolo fa, quando la vecchia città sabauda - nella quale fu fatta l'Italia (si voglia o no, come dice Giustino Fortunato) - accoglieva il calmo stuolo di tutta la burocrazia pensionata, e pareva acconciarsi al ruolo malinconico di una "capitale in esilio".

Oggi tutta la decorazione che una letteratura ci rese famigliare, è cambiata. La città conserva ancora la sua architettura geometrica, le sue strade diritte, ma non pill come un tempo sonnacchiose, mentre la linea nitida del suo panorama, con nello sfondo il bianco delle Alpi, è velata, al mattino, dal fumo che esce dalle ciminiere. Torino è, oggi , uno dei centri industriali piu potenti d'Europa. In un ramo dell'industria meccanica - quella dell 'automobile - Torino ha raggiunto un primato mondiale. Ora gli artefici di questa trasformazione prodigiosa sono gli uomini dell'Amma: uomini d'iniziativa , di coraggio, di audacia, che non si sono fermati a Torino, ma hanno fondato fabbriche a Varsavia, comperato montagne di miniere in Austria, rilevato stabilimenti industriali in Ungheria e Romania. (Personalmente non conosco nessuno di questi signori.) Ora questi industriali "moderni" non hanno resistito alle maestranze per un capriccio o, peggio, per annullare l a conquista delle otto ore o, peggio ancora, per diminuire i salari: hanno resistito per ristabilire il necessario imperio della disciplina durante il lavoro e hanno fatto benissimo. La na zione ha bisogno che Torino lavori. Se Torino non lavora , il danno non si limita alla popo-

192 Scritti politici di Benito Mussolini
* Da "Il Popolo d'Italia", n. 101 , 27 aprile 1920 , VII, col titolo: Torino.

lnz ione che sta fra il Po e le colline di Superga, ma si estende ai quaranta milioni d'italiani . Ecco perché la ferma resistenza degli industriali è stata vantaggiosa agli interessi generali della na zione . ... E della massa operaia. Noi non sappiamo se il proletariato - dato che esista - stia elaborando in sé quella somma di valori tecnici e mora li, che soli lo possono rendere degno di governare l'economia e la poli tica della nazione. È, in ogni caso, certo che questa elaborazione di va lori non si attua colle facili vittorie su un nemico che, fugga ancora prima di combattere . Perché dalla lotta scaturiscano dei valori morali, ess a deve porre di fronte dei combattenti, non dei commedianti: se il proletariato deve vincere, ciò deve avvenire dopo un lungo e aspro sforzo, che costituirà il prezzo della vittoria . Una vittoria conseguita co n facilità non irrobustisce: corrompe. Non conviene al proletariato ri cevere l'eredità cui agogna, da una borghesia vile e infracidita, ma ei a una borghesia che gli contenda il terreno palmo a palmo, con fierezza e con lealtà : il che abiliterà il proletariato a rendersi ragione di molte cose su cui scivolano via i facilonisti che lo imboniscono. Marxisticamente e sindacalmente parlando, la resistenza dell' Amma ha contribuito all a educazione della massa operaia.

4. [L'imperialismo fascista]•

Cittadini di Pola! Combattenti!

Sta dinanzi a voi uno degli uomini politici italiani piu combattuti e piu odiati negli ultimi venti anni di vita politica. Questi hanno inasprito talmente la mia eloquenza , se mai si può parlare di eloquenza, per cui io non so fare delle sviolinate .

Per me un discorso è un'azione, è un combattimento. Punto direttamente nell'obbiettivo. Perciò dovrete credermi se vi dico che sono profondamente commosso.

Noi cittadini della vecchia Italia siamo un po' adusati: abbiamo bisog no di venire fra voi per rituffarci in questi magnifici bagni di idealità. ·

Ho visto delinearsi la grandezza dell'Arena romana, nella quale la civ iltà nostra millenaria incise i suoi segni eterni. Questi segni ci dicono che l'italianità di questa città non può perire. Vorrei condurre qui quegli scettici che vogliono vedere la concretizzazione della nostra vittoria.

Per me il va lore della vittoria è in questi segni: è negl'imponderabili

* Discorso pronunciato a Pola il 20 settembre 1920 da GIORGIO Al.BERTO OuvRGO, Storia ,/ella rivoluzione fascista. 1919-1922, voi. II: Anno 1920, Firenze 1929 , pp. 267-271.

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del futuro; consi ste nel fatto che il popolo ha realizzato dopo 15 anni di schiavitU, con le proprie forze, con le proprie energie, la sua vit~ toria.

Lo sforzo dell'Italia in g uerra è s tato infinitamente superiore a quello delle altre nazioni: alle quali la fortuna aveva dato imperi coloniali da sfruttare, mentre noi abbiamo costruito la vittoria dalla nostra car~ ne viva e da l sang ue vermiglio dei nostri morti.

E questo segno della nostra vittoria è piu visibile a Pola, do ve gli Absburgo avevano fotto il loro covo per la flotta che non osò mai uscire in campo aperto, che bisognò rintracciare.

Da qui gli Absbur go sognavano la conquista dell'Adriatico.

Ora questo impe ro è finito: è crollato come uno scenario sdrucito.

Io so che nel futuro, quando tutti gli italiani avranno conquistato la coscienza della loro vittoria, si sentiranno orgogliosi e ripeteranno come i legionari di Napoleone, venti anni dopo la fine dell'epoca napoleonica: "Io sono stato in trincea; io sono stato a Vittorio Veneto" .

La vittoria ci ha riscattati dinanzi al mondo.

Io penso, o amici di Pola, che l'unità della stirpe italiana si è realizzata. In questo è il valore spirituale della vittoria .

Io penso che l'Adriatico è nostro .

Certo se noi avessimo avuto altri uomini politici, piU visibile sarebbe questo valore, che oggi è nascosto.

Gli ultimi uomini politici assomigliavano a una scala discendente: da Boselli troppo vecchio, siamo scesi a Orlando che piangeva sempre, per discendere infine a Nitti. Questi era l'uomo dalla mentalità di economista. Non dico che l'economia per uno Stato grande sia una cosa trascurabile. Dico che tutta la vita di un popolo non può esser vista entro un prisma che schiaccia ogni spiritualità. Nitti era ossessionato da problemi piu materiali. Non vedeva la parte superbamente ideale della vita nazionale. Ci darà Giolitti la pace adriatica che noi vogliamo? -Non oso affermarlo, non oso dirlo, perché troppa politica rinunciataria si è fatta.

Tante pagine di eroismo per mare, per cielo e sulla terra non le ha scritte nessun popolo d el m ondo come quello italiano in questa guerra! - Vorrei leggervi il testamento de' nostri eroi; quello di Decio Raggi e del nostro Nazario Sauro; vorrei leggervi l'epistolario di quei giovani imberbi, che andavano ad una batta glia come ad una festa di nozze, per mostrarvi come si è battuto il popolo italiano . E si è battuta meravigliosamente la plebe agricola: quella che solo imperfettamente comprendeva i mot ivi id eali della grande lotta. - Ricordo sul Carso il di sco rso di un fante durante una battaglia. - Egli mi diceva: "La guerra la fa la scarpa grossa". -E noi abbiamo vinto per noi e per gli altri. Quale nazione ha saputo fare lo sforzo che abbiamo fatto noi nel giugno? Nessuna .

194 Scritti politici di Benito Mussolini

I nos tri giovani andavano all'assalto scherzando: accendevano le bombe , come s'accendono le sigarette. Basta ricordare lo Stelvio e l'Ortigarn , il Carso e il Grappa.

Ro manamente ha espresso la nostra vittoria il generalissimo Diaz nel bollettino del 3 Novembre.

Il valore della vittoria è, come dissi, negli imponderabili del futuro. No i siamo in crisi. Ma in crisi sono tutti gli Stati d'Europa. Chi non ha subito spostamenti, dissesti, dopo questa guerra? - Forse è peggiore la crisi del dopoguerra in Francia e in Inghilterra, molto peggiore ancora in Germania e negli Stati sorti dall'ex impero austro-ungari co che quella dell'Italia. Non parliamo della crisi russa. Non bisogna essere pessimisti . Noi in questi giorni abbiamo dimostrato come noi stiamo superando felicemente la nostra crisi.

Pareva che dovesse scoppiare la guerra civile; mentre noi abbiamo raggiunto una trasformazione profondamente rivoluzionaria nel rapporto della produzione. Io sono pronto a riconoscere alla classe lavoratrice il diritto di controllo nella fabbrica : quando esso sarà in grado di portare maggior benessere alla Nazione.

Se la classe dirigente è moribonda, è necessario che, secondo la convinzione di Vilfredo Pareto, sorgano delle nuove élites sociali a sos tituirla. Ma oggi nego questa superiorità alla classe lavora trice. La nego specialmente per il fatto che è dominata da una demagogia che ha soltanto mutato colore. Ai preti si sono sostituiti i preti.

Pazienza se questi demagoghi si limitassero a fare una politica economica : ma essi trattano anche di politica estera mettendosi sempre contro gl'interessi italiani e dalla parte dei nostri nemici nazionali!

Cosi voi vedete che il bolscevismo è piu acceso a Trieste e a Pola che a Milano: solo per danneggiare l 'Italia, per creare dei pericoli ai confini.

Io faccio assegnamento nei Fasci di Combattimen to . Essi sono nati in un'ora di passione della vita politica italiana . Quando cioè tutti cercavano di dimenticare Vittorio Veneto: tutti si vergognavano quasi d'aver vinto.

Io mi domando: dove trovo la fiammella ideale, la fede per questa vittoria morale?

Una Nazione che ha avuto 500 mila mort i, che ha una gioventu come quella che ha combattuto, ha energie tali da meravigliare tutto il mondo .

Ma altri sintomi non meno positivi irrobustiscono questa mia fede.

Fra questi il piu grande è l'impresa di Gabriele D'Annunzio!

È l ' unico grande gesto di ri volta contro l'oligarchia plutocratica di Versaglia; contro i tiranni che hanno nome di Lloyd George, Clemenceau e Wilson!

I" "conquista" dello stato (1919-1922) 195

È l'unica volontà in Europa che, diritta e tesa come una lama di una grande spada latina, non si è piegata sotto la violenza di Versaglia!

Noi allora volevamo fare la rivoluzione italianissima!

Qual è la storia dei Fasci? - Essa è brillante. - Abbiamo incendiato l'Avanti! di Milano, lo abbiamo distrutto a Roma . Abbiamo revolverata i nostri avversari nelle lotte elettorali. Abbiamo incendiato la casa croata a Trieste, l'abbiamo incendiata a Pola.

Abbiamo dimostrato che non impunemente si può tentare di distruggere l'Italia; e che bisogna passare attraverso i nostri corpi!

I nostri avversari ci calunniano: ci dicono borghesi. Noi ce ne infischiamo. Sono etichette su bottiglie vuote. Noi diamo ragione a chi ha ragione, torto a chi ha torto.

Noi siamo reazionari, siamo reagenti di una pazzia: abbiamo frenato la massa popolare sull'orlo dell'abisso. Se in Italia si fosse ripetuto l'esperimento ungherese, sarebbe caduto il popolo italiano in un baratro.

La reazione sarebbe stata senz'altro vittoriosa. Pensiamo quasi che era meglio la sciar compiere il destino; per liberare la Nazione da quest'incubo.

Oggi però il partito socialista non fa piu il prepotente: deve ricorrere a sobborghi se vuole stare sicuro a Milano.

Noi non possiamo prestar fede alle minchionerie idealistiche, che per esser troppo universali, sono troppo positive.

Oltre alla cerchia dei nostri monti, o istriani, c'è un popolo aggressivo, che vuole raggiungere l'Adriatico.

Questo mare potrà essere commercialmente un mare italo-serbo : ma militarmente non lo sarà mai!

L'Italia, come il piu compatto nucleo dopo la Russia e la Germania, perché ha 50 milioni, sarà la potenza destinata a dirigere dal Meditetraneo tutta la politica europea. Da Londra, Parigi e Berlino, l'asse si sposterà verso Roma . L'Italia dovrà essere il ponte fra l'Occidente e l'Oriente.

Verso l'espansione nel Mediterraneo e nell'Oriente è spinta l'Italia dal fattore demografico. - È troppo ristretto il nostro territorio per un popolo cos1 esuberante.

Ma per realizzare il sogno mediterraneo bisogna che l'Adriatico, che è un nostro golfo, sia in mani nostre. - Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino ma quella del bastone.

Il popolo italiano ha tre qualità che gli garantiscono il successo: è prolifico, è laborioso , è intelligente.

Nel futuro prossimo ogni italiano ripeterà come il cittadino romano: sono orgoglioso di essere italiano!

196 Scritti politici di Benito Mussolini

No i non temiamo piu le rinuncie. Se il conte Sforza oserà qualche ri1\llllcia, i legionari di Gabriele D'Annunzio occuperanno tutti quei territori a cui il ministro avrà rinunciato!

l confini d'Italia devono essere: Il Brennero , il Nevoso e le Dinariche; s( le Dinariche per la D almazia dimenticata!

ggi l 'opera dei fascisti si riduce a quella di sprangare la porta di as a e rastrellare nell'interno. Chi è dentro le nostre terre di frodo o con frode deve andarsene .

Il nostro imperialismo che vuole raggiungere i giusti confini segnati la Dio e dalla natura, e che vuole espandersi nel Mediterraneo non è quello prussiano violento , né quello inglese ipocrita, invece quello romano .

Noi non possiamo disarmare, finché gli altri non avranno disarmato; noi non possiamo trasformare le nostre spade in aratri, finché la stessa cosa non avranno fatto gli altri stati, e la Ju goslavia vicina! Basta con le poesie. Basta con le minchionerie evangeliche.

Ma a tenere salda l'Italia nelle future sue battaglie, occorre la vos tra fede, o cittadini, occorre il vostro giuramento!

5 . Fascismo e terra •

Le discussioni appassionate che si svolgono nei singoli Fasci attorno alla relazione Polverelli dimostrano che i fa scisti tutti hanno compreso l'enorme importanza economica, storica e morale del problema agrario in Italia.

Le idee dei Fasci si raccolgono unanimemente attorno a questi capisaldi.

1. Non solo per ragioni di giustizia astratta cristiana o socialistoide, ma per ragioni pill concrete - aumentd de lla produzione attraverso una grande democrazia rurale e quindi aumento del nostro autonomismo in materia di politica estera e riconoscimento dei meriti acquistatisi nella guerra nazionale dalle plebi agricole - il fascismo tende a realizzare il programma "l a terra a chi lavo ra e sa fecondarla". Questa la bussola che orienta il fascismo n el pelago della questione agraria.

2. L'economia agraria in It alia è, per ragioni sto riche, geografiche, politiche, grandemente varia e complessa. Non vi può, quindi, essere una soluzione unica e miracolistica del problema agrario, ma tante soluzioni adatte ai diversi ambienti. E per esemplificare: in talune zo ne non si può attentare alla piccola proprietà già costituita e redditizia;

* Da "Il Popolo d'Italia", n. 43, 19 febbraio 1921, VIII.

/ .,, "conquista " dello stato (1919-1922) 197

in t alune altre si p uò creare la piccola proprietà; in talune altre s, impone l'affittanza collettiva o analoghe istituzioni d'indole cooperativista.

3. Data la complessità del problem a, la sua soluzione non può essere che gradual e o pacifica. L'economia in genete , ma quella agraria in ispecie, no n si t rasforma a colpi di violenza se man cano le condizioni per la trasfo rm az ione d ell ' economia stessa . Le invasioni d ei latifondi sono passate senza la sciar traccia e il loro valore è stato puramente simbolico. I contadini h anno voluto riaffermare un diritto e hann o fatto bene; ma, con quistata 1a posizione , non l'hanno potuta manten ere , perché il latifondo non si prende d'assalto come una trincea. Per spezzarlo o bonificai-lo occorrono strade, case, acqua e macchine. Tutto ciò richiede molto t empo e molti mezzi e l'aiuto collettivo della nazione. Preci sa ti questi capi saldi , ci dom andiamo: toccherà al fascismo italian o il compito duro e l'onore altissimo di av via re e condurre a termine l a pacifica ri voluzione agraria italiana? Il Fascio di Ferrara si è lanci a to su qu es ta s trada e i primi risultati so no lusinghieri.

Il Fascio Ferrarese ha sintetizzato in qu es ta formula l e sue idee :

La terra ai lavoratori attraverso contratti di enfiteusi od a residuo prezzo, bandendo ogni criterio di considerare la faccenda come una ghiotta speculazione.

A ques ta dichiarazione , l'" A grari a ferrarese" ha rispo sto con questo documento, che si p otrebbe chiamare, senza peccare d 'esagerazione, "storico":

Spett. Direttorio del F ascio Ferrarese di Combattimento.

Questa Federazione agraria ha esaminato con intenso interesse il programma di pacificazione delle nostre campagne tracciato nel primo numero del settimanale Balilla.

Già prima della pubblicazione , aveva discusso e preso un deliberato di importanza decisiva, quando il Fascio pubblicò un manifesto su questo stesso argomento. Ecco infatti l'ordine' del giorno che l a nostra G iunta ha votato all'unanimità: " La Giunta, riconosciuto aU'unanim.ità il concetto moderno e sano degli ideali svolti e propu gnati dal Fascio Ferrarese di Combattimento, delibera cli invitare le singole co nsociazioni a nominare nel proprio seno dei dekgati, che raccolgano, attraverso il Fascio, l e richieste degli aspiranti a trasformarsi in piccoli affittuari e piccoli proprietari e facciano opera di persuasione e pressione· presso tutti i proprietari terrieri e presso i grossi affittuari onde cedano una parte del terreno ai suddetti richiedenti.

"La Giunta inoltre delibera di nominare tra i suoi membri una commissione avente l'incarico di collaborare col Fascio per raggiungere le finali tà che il Fascio stesso si propone".

Con ciò la Federazione agraria intende di aver risposto con franco e disinteressato atteggiamento al vostro nobile appello e si augura che l'opera dei propri e

198 Scritti politici d( Benito Mussolini

de i vostri ddegati riesca pronta ed efficace nello scopo superiore cli una reale pr1ci.ficazione sinceramente desiderata. Co n distinto ossequio.

J I Balilla, vivace organo del Fascio Ferrarese di Combattimento, cosi co mmenta:

No i accogliamo il deliberato della Giunta agraria come un impegno federale. No i ci teniamo anche in diritto cli credere che, per conseguenza, tutti gli agrari federali riconosceranno l'impegno assunto dalla loro rappresentanza e faranno onore alla fuma del loro pre·sidente .

D'altra parte, dalle parole ai fatti la mora sarà breve. Fra poco si vedrà se la lasse dei proprietari ha compreso che una rivoluzione qualunque sta per venire. No i lavoriamo per una rivoluzione· che deve profondamente riordinare le condizioni del capitale e del lavoro nella nostra provincia, restituendo alla terra le antiche energie produttive e l'antica pace, allietata da una nuova giustizia economica. Se i proprietari accetteranno la nostra rivoluzione, meglio per tutti.

Se, invece, un ostinato, un disperato e cieco egoismo chiudesse gli odierni detenLo ri della terra in una resistenza pa ssiva, e li mantenesse attaccati con le unghie e coi denti a un privilegio ormai sorpassato, oh allora ...

N lora, la storia di questi signori si conterebbe in poche parole. Al di là del fascismo, col suo programma di pacifica e retribuita espropriazione, col suo fermo proposito di dare ad ogni lavoratore tanta terra quanta ne può lavorare, c'è l 'avventiziato insaziabile ed inesorabile, guidato da gente che specula politicamente cd economicamente sui piU bas si istinti per preparare un cataclisma nazionale. La scelta è necessaria. O la rivoluzione dei nemici della Patria o la nostra. Sappiamo bene che anche la rivoluzione fascista è dolorosa e che per strappare c1ualche lembo di terra a pill cli un agrario ci vorrà il forcipe. Ma il Fascio saprà essere anche un ostetrico .

Ci par cli vedere, a questo punto, pill di una bocca spa lancata in un gesto di stupefatta desolazione Dunque - dirà qualcuno - il Fascio non è la "guardia bianca", il fornitore dei crumiri, il calmiere dei salari?

No, signori. Il Fascio è qualche cosa cli assai pill nobile e onesto. Il Fascio è un tribunal e di giustizia e un esercito cli liberazione. Finito il rastrellamento della delinquenza liberticida annidantesi nelle leghe, il Fascio volgerà l'opera sua a destra, nel campo opposto, in cerca cli quei proprietari , che, per conservare sistemi agricoli sorpassati, finiscono per essere dementi di vera e propria perturbazione sociale.

Noi non vogliamo la loro scomparsa, come· vorrebbe un Bombacci qualunque, ma la loro trasformazione.

I pili p ericolosi rivoluzionari sotto questo punto di vista sono noti e ne citiamo subito alcuni: cav. Navarra, cav. Malaguti, conte Gulinelli, Gino Salvagnini, cav. Federico Zamorani , Ravalli, Giordani, Conti Buosi , S. Minerbi 1 A. Pavanelli, Dino Lodi, Gino Lisi, Fratelli Tedeschi, ecc.

Tutte queste egregie persone, che sono tuttavia intelligenti ed oneste, non hanno ancora ben compreso che la loro proprietà deve avere una funzione sociale

I 1 "conquista" dello stato (1919-1922) 199

piU rispondente alla grande massa dei lavoratori; che questa massa deve essere sistemata sul serio e non artificiosamente e precariamente, come si vorrebbe dalla speculatrice demagogia rossa , che fino a ieri ha devastato moralmente e materialmente la nostra provincia.

Se questi signori vogl iono sul serio 1a pace dei campi dovranno accettare questa necessità storica, che oggi si chiama la terra ai lavoratori, secondo il programma fascista.

Dalla lettera degli agrari e dal commento dell'organo fascista, è lecito trarre ottimi auspici .

L'oscuro, irresistibile e profondo travaglio delle plebi agricole può trovare, attraverso il fascismo, il suo sbocco liberatore.

Noi ci opponiamo fieramente alle soluzioni socialistiche, colle quali si vorrebbe burocratizzare la produzione sacra della terra e proletarizzare tutti i contadini.

Se il livellamento economico ha da essere, sia nella ricchezza, non già nella miseria.

Il fascismo, che ha fiaccato nella pianura padana la bestiale tirannia del "leghismo rosso", ha nel suo arsenale armi sufficienti per debellare il misoneismo dei ceti agrari o conservatori.

6 . li primo discorso alla camera •

[ ... ] Passo alla politica interna. Vengo cioè a precisare la posizione del fascismo di fronte ai diversi partiti. (Segni di attenzione). Comincio dal Partito Comunista. Il comunismo, l'onorevole Graziadei me lo insegna, è una dottrina che spunta nelle epoche di miseria e di disperazione. (Commenti)

Quando la somma dei beni è decimata, il primo pensiero che balza alla mente degli umani è quello di mettere tutto in comune, perché ce ne sia un po' per tutti. Ma questa non è che la prima fase del comunismo, la fase del consumo; dopo vi è la fase della produzione, che è enormemente difficile, tanto difficile che quel grande, quel formidabile artista (non già legislatore) che risponde al nome di Vladimiro Uljanov Lenin, quando ha dovuto foggiare il materiale umano, si è accorto che esso è piu refrattario del bronzo e del marmo. (Approvazioni, commenti)

Conosco i comunisti. Li conosco perché parte di loro sono i miei figli ... intendiamoci ... spirituali (ilatità, commenti; presidente: « non è ammessa la ricerca della paternità, onorevole Mussolini!»; si ride) ...

200 Scritti politici di Benito Mussolini
* Dagli Atli del Parlamento italiano. Camera dei deputati. Discuuioni. Tornata del 21 giugno 1921.

,· ri co nosco con una sincerità che può parere cinica 1 che io per primo l, o infe ttato codesta gente , quando ho introdotto nella circola zione del rlocialismo italiano un po' di Bergson mescolato a molto Blanqui.

' 'è un filosofo al banco dei ministri , ed egli certamente m'insegna r hc le filosofie neo-spiritualistiche, con quel loro ondeggiare continuo fro la me tafisica e l a lirica, sono perniciosissime per i piccoli cervelli. (1/ 11rit à )

I ,e fùo sofie neo-spiritualistiche sono come le ostriche: gustosissime al J)A la to ... ma bisogna digerirle! ( Ilarità)

desti miei amici o nemici ... (Voci all'estrema sinistra: "Nemici! Nemici!J))

uesto è pacifico, dunque! ... Codesti miei nemici hanno mangiato n rgs on a venticinque anni e non lo hanno digerito a trenta. Mi s tupisco molto di vedere tra i comunisti un economista della f rza di Antonio Graziadei, col quale io ho lun gamente polemizzato <ju ando egli era ferocemente riformista .. . (Ilarità) e aveva buttato sotto

I i:avolo Marx e le sue dottrine . Finché i comunisti parleranno di dit1aLUra proletaria, di repubbliche piu o meno federative, dei Sovièts, e di simili pili o meno oziose assurdità, fra noi e loro non ci potrà essere hc il combattimento . (Interruzioni all'estrema sinistra, commenti, rumo ri. Pre sidente: "Non in t errompano.I Lascin o parlare.'J))

Lu nostra posizione varia quando ci poniamo di fronte al Partito oc ialista. Anzitutto ci t eniamo bene a distinguere quello che è movimento operaio da quello che è partito politico. (Commenti ali'est rema sh1istra)

No n son o qui per sopravalutare l'importa nza del mov imento sindanle. Quando si pensi che i lavoratoti del braccio sono sedici milioni in Italia, dei quali appena tre milioni sindacati , e sindacati in una onfederazione Generale del Lavoro , in una Unione sindacale italianu, in una Unione italiana del lavoro, in una Confederazione dei sinb eat i economici italiani, in una Federazione bianca e in altre organizza zioni, che non sono in questo quadro, e queste organizzazioni aument ano o diminuiscono secondo i momenti; quando pensate che i veramente evoluti e coscienti, che si propongono di creare un tipo di iviltà, so no un'esigua minoranza, avete subito l'impres sione che noi siumo nel vero quando non sopravalutiamo l 'importanza storica del movimento operaio.

Ri conos ciamo , però, che l a Confederazione Generale del Lavoro non 1,a te nuto di fronte alla guerra il contegno di ostilità tenuto da gran patte del Partito Socialista Ufficiale.

Rico nosciamo anche che , attraverso la Confederazione Generale del Lavo ro, si sono espressi dei valori tecnici di prim'ordine; e ricono~ scia mo ancora che , per il fatto che gli organizzatori sono a contatto

I ., "conquista" dello stato (1919-1922) 201

diuturno e diretto con la complessa realtà economica, sono abbastanza ragionevoli. (Interruzioni all'estrema sinistra, commenti)

Noi, e qui ci sono dei testimoni che possono dichiararlo, non abbiamo mai preso aprioristicamente un atteggiamento di opposizione contro la Confederazione Generale del Lavoro. (Voci all'estrema sinistra: "Voi bruciate le Camere del Lavoro"! Commenti Presidente: "Facciano silenzio! Poi parleranno! Avranno diritto di parlare!")

Aggiungo che il nostro atteggiamento verso la Confederazione Generale del Lavoro potrebbe modificarsi in seguito, se la Confederazione stessa - ed i suoi dirigenti lo meditano da un pezzo - sl distaccasse (commenti) dal Partito politico Socialista, che è una frazione di tutto il socialismo politico, e che è costituito da gente che forma i quadri e che ha bisogno, per agire, delle grosse forze, rappresentate dalle organizzazioni operaie.

Ascoltate, del resto, quello che sto per dire. Quando voi presenterete il disegno di legge delle otto ore di lavoro , noi voteremo a favore.

(Commenti ali'estrema sinistra, interru zioni)

Non ci opporremo e voteremo anzi a favore di tutte le misure e dei provvedimenti che siano destinati a perfezionare la nostra legislazione sodale. Non ci opporremmo nemmeno ad esperimenti di cooperativismo. Però vi dico subito che ci opporremo con tutte le forze a tentativi di socializzazione, di statizzazione, di collettivizzazione! (Commenti) Ne abbiamo abbastanza del socialismo di Stato! (Applausi a/l'estrema destra e su altri banchi, commenti all'estrema sinistra, interruzioni) E non desisteremo nemmeno dalla lotta, che vorrei chiamare dottrinale, contro il complesso delle vostre dottrine, alle quali neghiamo il carattere di verità e soprattutto di fatalità.

Neghiamo che esistano due classi, perché ne esistono molte di piu (commenti); neghiamo che si possa spiegare tutta la storia umana col determinismo economico. (Applausi al/'estrema destra, approvazioni)

Neghiamo il vostro internazionalismo, perché è una merce di lusso (commenti a/l'estrema sinistra), che può essere praticata solo nelle alte classi, mentre il popolo è disperatamente legato alla sua terra nativa. (Applausi all'estrema destra)

Non solo, ma noi affermiamo, e sulla scorta di una letteratura socialista recentissima che voi non dovreste negare (commenti), che comincia adesso la vera storia del capitalismo, perché il capitalismo non è solo un sistema di oppressione, ma è anche una selezione di valori, una coordinazione di gerarchie, un senso piU ampiamente sviluppato della responsabilità individuale. (Approvazioni) Tanto è vero che Lenin, dopo aver istituito i Consigli di fabbrica, li ha aboliti e vi ha messo i dittatori; tanto è vero che, dopo aver nazionalizzato il commercio, egli lo ha ricondotto al regime di libertà; e (lo sapete voi, che siete stati in Russia), dopo avere soppresso, anche fisicamente, i

202 Scritti politici di Benito Mussolini

l>11rllhcs i, oggi li chiama da tutti gli orizzonti, perché senza il capi11 1l hm10, senza i suoi sistemi tecnici di produzione, la Russia non si 1•lr il ,c rcbbe mai piu. (Applausi all'estrema destra, commenti)

I\ permettetemi che vi parli con franchezza, e vi dica quali sono stati 1111 c n ori che avete commesso immediatamente dopo l'armistizio. Hrro ri fondamentali, che sono destinati a pesare sulla storia della v st ra politica: voi avete prima cli tutto ignorato e disprezzato le forze "' q,c rstiti dell'interventismo. (Approvazioni) Il vostro giornale si copri cli ridicolo, tanto che per mesi non ha mai fatto il mio nome, omc se con questo fosse possibile eliminare un uomo dalla vita o dri ll a cronaca . (Commenti) Voi avete incanaglito nella diffamazione della guerra e della vittoria . (Vive approvazioni all'estrema destra) Av te agitato il mito russo, suscitando una aspettazione messianica t no rme . (Approvazioni all'estrema destra) E solo dopo, quando siete undati a vedere la realtà , avete cambiato posizione con una ritirata .i m tcgica piu o meno prudente! (Si ride) Solo dopo due anni vi siete , I orclati cli mettere accanto alla falce, nobilissimo strumento, e al 1110 1: tello, altrettanto nobile, il libro ("bravo!") , che rappresenta l'impo nd erabile, i diritti dello spirito al disopra della materia, diritti che no n si possono sopprimere o negare ("bene! bravo!"), diritti che voi, l1c vi ritenete alfieri di una nuova umanità, dovevate per i primi incid -re nelle vostre bandiere! (Vivi applausi all'estrema destra)

E ve ngo al Partito Popolare . (Commenti)

Hico rdo ai popolari che nella storia del fasci smo non vi sono invas io ni di chiese, e non c'è nemmeno l'assa ssinio di quel frate Angelico ala ssi , finito a revolverate ai piedi cli un altare. Vi confesso che c'è qu alche legnata (commenti) e che c'è un incendio sacrosanto cli un gio rnale, che aveva definito il fascismo una associazione a delinquere. ( 'ommenti, interruzioni al centro1 rumori)

11 fa scismo non predica e non pratica l'anticlericalismo. Il fascismo, ri nche questo si può dire, non è legato alla massoneria , la quale in r altà non merita gli spaventi da cui sembrano pervasi taluni del Par' lto Popolare. Per me la massoneria è un enorme paravento dietro ri i q uale generalmente vi sono piccole cose e piccoli uomini. (Commenti1 si ride) Ma veniamo ai problemi concreti.

ui è stato accennato al problema del divorzio. Io, in fondo in fondo, non sono un divorzista, poiché ritengo che i problemi di ordine , ntimen tale non si possono risolvere con formule giuridiche; ma prer.o i po polari cli riflettere se sia giusto che i ricchi possano divorziare, rrn da ndo in Ungheria, e che i poveri diavoli siano costretti qualche vo lta a portare una catena per tutta la vita . Sio mo d ' accordo con i popolari per quel che riguarda la libertà della v uola; siamo molto vicini ad essi per quel che riguarda il problema !l fi rario, per il quale noi pensiamo che, dove la piccola proprietà esiste,

I ., "ronqu isla" dello sia/o (1919-1922) 203

è inutile sabotarla, che dove è possibile crearla, è giusto crearla, che dove non è giusto ctearla perché sarebbe antiproduttiva, allora si possono adottare forme diverse, non esclusa la cooperazione pili o meno collettivista. Siamo d'accordo per quel che riguarda il decentramento amministrativo, con le dovute cautele: purché non si parli di federalismo e di autonomismo, perché dal federalismo regionale si andrebbe a finire al federalismo provinciale e cos! via di seguito, per una catena infinita, l'Italia ritornerebbe a quella che era un secolo fa. Ma vi è un problema che trascende questi problemi contingenti e sul quale io richiamo l'attenzio ne dei rappresentanti del Partito Popolare, ed è il problema storico dei rapporti che possono intercedere, non solo fra noi fascisti e il Partito Popolare, ma fra l'Italia e il Vaticano.

(Segni di attenzione)

Tutti noi, che dai quindici ai venticinque anni, ci siamo abbeverati di letteratura carducciana, abbiamo odiato "una vecchia vaticana lupa cruenta", di cui parlava Carducci, mi pare, nell'ode A Ferrara; abbiamo sentito parlare di "un pontefice fosco del mistero", al quale faceva contrapposto un poeta "sacerdote dell'augusto vero, vate dell'avvenire"; abbiamo sentito parlare di una "tiberina, vergin di nere chiome", che avrebbe insegnato "la ruina di un'onta senza nome" al pellegrino avventuratosi verso San Pietro.

Ma tutto ciò che, relegato nel campo della letteratura, può essere brillantissimo, oggi a noi fascisti, spiriti eminentemente spregiudicati, sembra alqu an to anacronistico.

Affermo qui che la tradizione latina e imperiale di Roma oggi è rappresentata dal cattolicismo. (Approvazioni)

Se, come diceva Mom.msen, venticinque o trenta anni fa, non si resta a Roma senza una idea universale, io penso e affermo che l'unica idea universale che oggi esista a Roma, è quella che si irradi a dal Vaticano. (A pprovazioni)

Sono molto inquieto quando vedo che si formano delle Chiese nazionali, perché penso che sono milioni e milioni di uomini, che non guardano piu all'Italia e a Roma. Ragione per cui io avanzo questa ipotesi; penso anzi che, se il Vaticano rinunzia definitivamente ai suoi sogni temporalistici -e credo che sia già su questa strada - l ' Italia , profana o laica, dovrebbe fornire al Vaticano gli aiuti materiali, le agevolazioni materiali per scuole , chiese, ospedali o altro, che una potenza profana ha a sua disposizione . Perché lo sviluppo del cattolicismo nel mondo, l'aumento dei quattrocento milioni di uomini, che in tutte le parti della terra guardano a Roma , è di un interesse e di un orgoglio anche per noi che siamo italiani .

Il Partito Popolare deve scegliere : o amico nostro o nostro nemico o neutrale. Dal momento che io ho parlato chiaro, spero che qualche oratore del Partito Popolare parlerà altrettanto chiaro.

204 Scritti
Mussolini
politici di Benito

l)w 111 t:o alla democrazia sociale, essa ci appare molt o eq uiv oc a. ( Si , Ido) P rima di tutto non si capisce perché si chiami so dal e. Un a , km1oc ra zia è già necessariamente sociale; pensiamo, perciò, ch e qu cNIII lemocrazia sociale sia una specie di cavallo di Ulisse, ch e r ec hi nei suo i fianchi un uomo che noi combatteremo continuamente. (C omi/I. ·11ti) Sono all'ultima parte del mio discorso, e voglio toccare un ar1\(im cnto molto difficile, e che, dati i tempi, è destinato a richiamare 'nttc nzione della Camera. Parlo della lotta, della guerra civile in I uili a. Non bisogna prima di tutto esagerare, anche di fronte allo strani ro, la vastità e le proporzioni di qu_esta lotta . I socialisti hanno publ)llca to un volume di trecento pagine; domattina ne esce uno nostro di l 1•cce n to. D'altra parte tutte le nazioni d 'Europa hanno avuto un po' di gL1 erra civile. C'è stata in Ungheria, c'è stata in Germania, c' è oggi

)11 I nghilterra, sotto forma di un colossale conflitto sociale. C'è stata

111"'1 ·he in Francia, quando Jouhaux lanciò le sue famose "ondate", che furo no infrante da un Governo che aveva piu coraggio degli uomini

·hc sono ora a quel posto. È inutile che Giolitti dica che vuole reff lnurn re l'autorità dello Stato. Il compito è enormemente difficile, perché ci sono già tre o quattro Stati in Italia, che si contendono il probabile, possibile esercizio del potere.

I ' al tra parte, per salvare lo Stato, bisogna fare un'operazione chir urAica . Ieri l'onorevole Orano diceva che lo Stato è simile al gigante

13 ri areo, che ha cento braccia. Io credo che bi sogna amputarne nov an1ncinq ue; cioè bisogna ridurre lo St ato all a sua espressio ne puramente giuridica e politica .

Lo Stato ci dia una polizia, che salvi i galantuomini dai furfanti , una 1 .; iu st izia bene organizzata, un esercit o pronto p er tutte le eventualità, t1 11a politica estera intonata alle neGessità nazionali. Tutto il resto, e no n escludo nemmeno la scuola secondaria , deve rientrare nell'attività priv at a dell'individuo. Se voi volete salvare lo Stato, dovete abolire 'fo Sta to collettivista(" bene!") , cosl come c'è stato trasmesso per ne·ssità di cose dalla guerra , e ritornare allo Stato manchesteriano. Lo guerra civile si aggrava anche per questo fatto: che tutti i partiti re nd ono a formar si, a inquadrarsi in eserciti; quindi l'urto , che se no n et a pericoloso quando si trattav a di partiti allo stato di nebulo sa, mo lto pili pericoloso oggi che gli uomini sono nettamente inquadrn ti , comandati e controllati. D'altra pa r te è pacifico, ormai , che sul 1 rreno d ella violenza le masse operaie saranno battute . Lo riconosce va mo lto giustamente Baldesi , ma non ne diceva la ragione p rof n la; ed è questa: che le masse operaie sono naturalmente, oserei dire sa ntamente , pacifondaie, perché rappre sentano sempre le riser ve atn r·iche d elle società umane, mentre il ri schio, il pericolo, il gusto cl !l 'av ventura sono stati sempre il compito , il privilegio delle piccole

I ., "ro 11 quista" dello stato (1919-1922) 205

aristocrazie. (Appro vazioni all'estrema destra) E allora, o socialisti, se voi convenite e ammettete e confessate che su questo terreno noi vi batteremo (rumori all'estrema sinistra), allora dovete concludere che avete sbagliato strada. (Interruzioni all'estrema sinistra)

La violenza non è per noi un sistema, no n è un estetismo, e meno ancora uno sport: è una dura necessità alla quale ci siamo sottoposti. (Commenti) E aggiungo anche che siamo disposti a disarmare, se voi disarmate a vos t ra volt a, soprattutto gli spiri ti.

Nell'Avanti! del 18 giugno, edizione milanese, è detto:

"Noi non predichiamo la vendetta, come fanno i nostri avversari. Pensiamo all'ascesa maestosa dei popoli e delle classi con opera pacifica e feconda pur nelle inevitabili, anzi necessarie, lotte civili Se questo è il vostro punto di vista, o signori1 sta a voi illuminare gli incoscienti e disarmare i criminali. Noi abbiamo già detto la nostra parola, abbiamo già compiuto la nostra opera".

Ora io ribatto che anche voi dovete illuminare gli incoscienti, che ritengono che noi siamo degli scherani del capitalismo , degli agrari e del Governo; dovete disarmare anche i criminali, perché abbiamo nel nostro martirologio 176 morti. Se voi farete questo, allora sarà possibile segnare la parola "fine" al triste capitolo della guerra civile in Italia.

Non dovete pensare che in noi non vibrino sentimenti di umanità profonda. Noi possiamo dire come Terenzio: siamo umani e niente di quanto è umano ci è straniero.

Ma il disarmo non può essere che reciproco. Se sarà reciproco , si avvererà quella condizione di cose che noi ardentemente auspichiamo, perché, andando avanti di questo passo, la nazione corre serio pericolo di precipitare nell 'abisso. (Commenti)

Siamo in un periodo decisivo; lealtà per lealtà, prima di deporre le nostre armi, disarmate i vostri spiriti.

Ho parlato chiaro: attendo che la vostra risposta sia altrettanto alta e chiara.

Ho finito. (Vivissimi e reiterati applausi all'estrema destra, commenti prolungati, molte congratulazioni)

7. Relativismo e fascismo •

A pagina 62 del suo esauriente libretto sui "relativisti contemporanei", Adriano Tilgher cos( e troppo rapidamente accenna al movimento fascista:

* Da "I1 Popolo d'Italia", o. 279 , 22 novembre 1921, VIII.

206 Scritti politici
Mussolini
di Benito

/,0 11 0 i nostri occhi abbiamo Visto in Italia, nell'improvviso venir me no dcll'au1111 i l i\ statale sotto l'assalto proletario, insorgere il moto fascista, proclamante che lu S1.ato non "è n, ma di volta in volta si fa da quelli che credono in e sso e Io vonlio no . Il fa scismo non è che l'assoluto attivismo trapiantato nel te rre no della r;o li l ica .

l. n definizione è esattissill'la. Con questa affermazione, Adriano Tilfi hcr immette il fascismo nel solco delle piu grandi filosofie contemf)O tanee: quelle della relatività. Se il Tilgher avesse seguito da vicino, quo tidianamente, l'opera del fascismo, avesse notato le fasi di sviluppo del movimento e i suoi principi direttivi, dico senza immod stia ch'egli mi avrebbe collocato fra i relativisti, se non teoretici, nlm e no pratici.

rn Germania, il relativistno è una audacissima e demolitrice costru;do ne teoretica (forse la ~ivincita filosofica della Germania, che po' rebbe annunciare quella ll'lilitare? ); in Italia, è solo un fatto. Il fasci smo è stato un movimento super-relativista perché non ha mai cernto di dare una veste definitiva "programmatica• ai suoi complessi e potenti stati d'animo, ma ha proceduto per intuizioni e frammenti, di ui si trovano documenti in questo giornale. Tutto ciò che io ho detto · fatto in questi ultimi tempi, è relativismo per "intuizione n. Se, difatti, per relativismo deve intendersi la fine del scientifismo, il tramonto del mito "scienza", intesa come scopritrice di verità assolute, io posso vantarmi di aver applicato questo criterio nell'esame del renomeno socialista. In un discorso da me pronunciato a Bologna il ) aprile del 1921, io dicevo che "niente al mondo era piu grottesco he chiamare scientifico il socialismo"; e piU tardi , dopo aver negato og ni verità alle dottrine scure, incoerenti del socialismo, negavo ogni carattere di fatalità all'avvento del socialismo stesso. Che i socialisti credessero per i piu svariati motivi nella verità e nella fatalità ciel socialismo, è affare che riguarda loro, ma bisognava opporsi a che la fede in questa verità e fatalità oltrepassasse la cerchia degli adepti a quella chiesa. Bisognava insomma creare un'antiverità e un'antifatalità rispetto al socialismo.

F ra queste due forze, il successo è giudice ed ha giudicato. I sociali s ti che credono in una verità in sé del socialismo, ad una fatalità ineluttabile del socialismo, sono pochi, anche se si vergognano di confe ssarlo. Niente prova che il capitalismo, col tipo di civiltà che da esso prende forma, debba necessariamente sboccare nel socialismo. Questa successione, che si pretenderebbe naturale e logica, di tipi di economia e di tipi di civiltà, è invece puramente arbitraria: la critica elevatistica ha fatto tabula rasa di questa mentalità storicista e democratica, per cui la storia sarebbe "scontata" sempre in anticipo e si saprebbe sempre dove gli uomini e le loro società vanno a finire.

I 11 '' conquista" dello stato (1919-1922) 207

Si credeva , ad esempio, che la guerra dovesse sboccare nella rivoluzione . È probabile il viceversa . I rivolgimenti politici che abbiamo vissuto, possono costitu ire jn realtà l'injz io di una grande restaurazione. Col processo al "cittadino", si fa il processo al secolo XIX. Non è detto che sia immin ente un periodo di maggiori libertà, di maggiore democrazia con relativi suffragettismi. È possibile che i prossimi decenni vedano 1a fine ingloriosa di tutte le cosiddette conquiste democratich e. Dal gove rno dei molti e cli tutti , ideale estremo delle democrazie, è probabile che si torni al governo di pochi o di uno solo . Nell'economia, l 'esperimento del governo dei molti o di tutti è già fallito. In Russia si è tornati ai clittatori cli fabbrica. La politica non può tardare a seguire l'economia. Non vedo chiaro circa la sorte del suffrag io universale e relativi amminicoli proporzionalistici. Fra poco sarà "vecchio gioco". Gli uomini avranno forse vaghezza cli un clittatore.

Se per relativismo deve intendersi il dispregio per le categorie fisse, per gli uo mini che si credono portatori cli una verità obiettiva immortale , per gli statici che si adagiano, invece che tormentarsi a rinnovellarsi incessantemente, per quelli che si vantano di essere sempre uguali a se stessi, niente è pill relativistico della mentalità e dell'attività fascista. Se relativismo e mobilismo universale si equivalgono, noi fascisti, che abbiamo sempre manifestato l a nostra spregiuclicata strafottenza davanti ai nominalismi sui quali s'inchiodano, come pipistrelli alle travi, i bigotti degli altri partiti; noi, che abbiamo avuto il coraggio cli mandare in frantumi tutte l e categorie politiche traclizionali e di dirci a volta a volta aristocratici e democratici, rivoluzionari e reazionari, proletari e antiprolet ari, pacifisti e antipacifisti, noi siamo veramente i relativisti per eccellenza e la no stra azione si richiama dire ttamente ai piu attuali movimenti dello spirito europeo.

La nostra ripugnanza a costringerci ad un programma, pur coll 'inte sa che piu di un programma si tratta cli semplici punti cli vista cli rifer imento e d i orientamento , la nostra posizione di agnosticismo di fronte al regime, l'aver tolto dagli altri partiti ciò che ci piace e ci giova e l 'aver respinto quello che non ci garba e ci nuoce, il deridere che facciamo su tutte le ipoteche socialiste e comunistiche sul misterio so futuro, costituiscono altrettante documentazioni della nostra mentalità relativistica. Ci basta di avere, per muoverci, un punto di riferimento: 1a nazione. Tutto il resto cammina da sé.

Nel relativismo "a lla vita e all 'az ione" viene ricono sciuta - dice Tilgher - una supremazia assoluta sulla intelligenza.

Dall'equivalersi di tutte le opinioni, lo scettico antico deduceva che, dunque , ia sola cosa da fare era di rinunciare a giudicare e ad agire. Dall'equi valersi di tutte l e ideologie, tutte egualmente finzioni, il relativismo moderno deduce che, dun-

208 Scritti politici di Benito Mussolini

q1u.:, ciascuno ha il diritto di crearsi la sua e di imporla con tutta l'e nergia di cu i •np:ice . Il formidabile movimento odierno che dallo storicismo svolge il rclativl~mo e lo scetticismo universale è, dunque, nient'altro che lo sfor:r..o che le forze profo nde della vita, nuove e perciò rivoluzionarie, compresse· dal la ideologia s to, ldsrn dominante, divinizzatrice del passato, e, in nome di esso, nega trice dcll 'avv •r,i rc, fanno per scrollare il ferreo giogo ed aprirsi il varco alla luce.

11 fe nomeno fascista italiano deve apparire a Tilgher come la piu nlrn e la pit'.i interessante manifestazione della :filosofia relativistica; e e, co me il Wahinger afferma, il relativismo si riannoda a Nietzsche ul suo Willen zur Macht, il fascismo italiano è stato ed è la piu formicbbile creazione di una "volontà cli potenza" individuale e na~d o nale.

I o pensavo che, spezzata l a tracotanza non soltanto verbale del bols c vi smo i taliano, il fascismo dovesse diventare l a vigilante coscienza ld la nostra politica estera. Pensavo che il fascismo dovesse preparnrc una generazione di uomini nuovi, sprovincializzata e scampanilizi nt:a, che "sentisse" il problema italiano , come problema di cono sce nza, di espansione, di prestigio italiano nell 'Europa e nel mondo: e a q ues to obiettivo adeguasse lo spirito e i mezzi .

L'Italia è politicamente - nel suo interno - oramai completa ; la sua unità è raggiunta. Ha dei confini al nord e all 'oriente. Ha una massa demografica imponente all 'interno e fuori. Ha una storia grande. Il suo intervento decisivo in guerra le ha concesso di partecipare alla politica mondiale. L'Italia chiamata a trattare problemi lontani, co me quello dell'Alta Slesia, o addirittura remoti, come quelli del Pac ifico, non può essere piu l'Italia del piede di casa, inteso nel senso morale della parol a. Se l'Italia vuol e giocare questa sua parte direttr ice nel mondo; se l'Italia ha l 'orgoglio di ciò e deve averlo, deve nnchc prepararsi: preparare cioè una minoranza di tecnici, di studiosi, che portino amore e co mpetenza nell'esame delle singole questioni e nello stesso tempo suscitare fra ma sse sempre piU vaste d'italiani .l ' interesse per i problemi di politica estera. Solo a questo patto l'Italìa può diventare una grande nazione, e può, presentandosi valorizzata nll 'este ro com e entità fusa e compatta, meglio salvaguardare la sua uni tà politica all'interno. Per questi motivi, che non vale la pen a di 1:>ro li ssa mente sviluppare tanto sono ovvi, io andai a Cannes e mi sono recentemente recato in Germania: si trattava e si tratta di sradi-

'" Da "Gerarchia", n. 3, 25 marzo 1922 , I. L'articolo è pubblicato anche su "Il Popolo d'Ita lia", n. 83, 7 apri le 1922, IX.

I ,i "to nquista" dello stato (1919-1922) 209
8. Maschere e volt o dell a Germania •

care il fascismo dalle sue posizioni e dalle sue acerbe passioni provinciali e comunali per farne l'elemento direttivo della nostra politica estera. Fatica ingrata e aspra, ma necessaria. O il fascismo sarà questo, o, cessata la lott a contro il bolscevismo, per mancanza di nemici, il fascismo non avrà piu scopo e lo attenderà il miserevole destino del Rinnovamento e di altri analoghi movimenti politici, o quasi, del dopoguerra.

II .

Non v'ha dubb io che in questo momento l 'as se della storia europea passa per Berlino. Il dramma di Cannes non è ancora giunto all'epilogo e Berlino, febbricitante, attende Genova. La parte dell ' Italia in que sta formidabile partita , può essere decisiva. Si tratta di fare due contro uno. O fare due coll ' Inghilterra o due colla Francia. Prima di gettare il peso dell'Italia sull'uno o sull'altro piatto della bilancia, bisogna approfondire il problema germanico, vedere quale volto stia sotto le maschere. L'ind agine non è semplice. Se conoscere gli individui è difficile, piu difficile ancora è conoscere i popoli, cioè vasti aggregati di umanità , pesanti, lenti, crepuscolari, che hanno esaltazioni improvvise. Né si può affermare di raggiungere la conoscenza profonda dei popoli attraverso la indagine compiuta fra quelle minoranze che si chiamano partiti. Spesse volte i partiti sono lontani ssimi dalla realtà storica e dall'anima delle masse che presumono di rappresentare. Esempio classico: il crollo della socialdemocrazia tedesca nel 1914. L'indagine non può, quindi , essere che approssimativa e condurre a risultati approssimativi. Bisogna accontentarsene. Del resto, anche la veri tà scien tifica non è mai definita e assoluta; è sempre approssimativa.

Ciò premesso, lo studioso che si reca in Germania è tratto a domandarsi: la Repubblica è una maschera? il pacifismo è u11a maschera? la mi seria è una maschera? In altri termini, la Germania d 'oggi è sinceramente repubblicana , è lealmente pacifica, è seriamente povera, e quindi incapace di fronteggiare le scadenze delle riparazioni? Qual è, sotto le maschere, il vero, unico, immortale volto della Germania?

Le nostre risposte non hanno valore di vangelo. A tre anni di distanza si può, vedendo, leggendo, ascoltando, affermare che la Repubblica germanica è una maschera, che nasconde il volto della Germania fa. talmente e storicamente monarchica.

La Repubblica in Germania, è nata in un modo singolare: non ci fu un assalto di masse repubblicane alla monarchia, di masse diventate repubblicane attraverso le stragi e le miserie della guerra, repubblicane di esasperazione , se non di convinzione , ma ci fu una diserzione d ella dinastia. Fuggito il Kaiser, non si poteva non proclamare la re-

210 Scritti politici di Benito Mussolini

1•111 blica. Scheidemann fu il personaggio storico di quell'ora . Ma fin dog li inizi, la neo-Repubblica tracciò duramente i suoi confini soltanto 11 oini stra, non a destra; fu violenta a sinistra, non a destra; fu severa, ~1 11 0 alla strage collettiva ed individuale, contro gli elementi di sinitJ I m, ma lasciò assolutamente indisturbati tutti i personaggi e le os te del vecchio regime. Tutta la storia della Repubblica tedesca è i·ncchiusa nella lotta contro i tentativi di sinistra. Interessante è notare li c i piu feroci in questa lotta, sono stati i bassi funzionari del nuovo r ·gime, la polizia subordinata della Repubblica, gli agenti di infimo ordine. Già a Weimar, si volle bandita la parola repubblica dalle carte dell a nuova costituzione, e si confermò Reich. Cosi fu conservata tutta l'u rmatura interiore ed esteriore del vecchio regime . La magistratura, In polizia, la scuola (dall'Università alle elementari), la burocrazia in tutte le sue categorie, la diplomazia, l'industria, il commercio, l'agrioltura, tutti gli ufliciali e moltissimi soldati del vecchio esercito non nmano, non sentono, detestano la Repubblica. Aggiungasi una duplice !elusione: gran parte della popolazione tedesca si acconciò alla Repubblica, perché sperava - conformemente ai discorsi degli uomini dell ' Intesa e di Wilson - di avere una buona pace, ispirata ai famil}C tati quattordici punti. Il gioco è stato in pura perdita. Non si sarebbe potuto umanamente imporre al Kaiser una pace piu draconiana di quella sottoscritta a Versailles, in nome del Governo tedesco, dal social-democratico Muller. Pace dura, dunque, malgrado la Repubblia. In altre masse della popolazione tedesca - in quelle prevalentemente industriali - fra i sei milioni , ad esempio, di organizzati dei sindacati rossi, la Repubblica ha delu so enormemente le aspettative [l nche le piu modeste, inquantoché non c'è stata nessuna reale attenuazione del potere e prepotere dei ceti capitalistici.

TI capitalismo in Germania, è - economicamente e politicamentenelle stesse posizioni di prima della guerra, forse migliorate. Ebert è un povero uomo a paragone di Stinnes. I social-democratici e simili prete ndevano, ad esempio , una parziale confisca del capitale . Stinnes l, a vinto, sostituendo alla confisca, un prestito forzoso di un milione di marchi d'oro, e ponendo condizioni categoriche, come il ritorno delle ferrovie e delle poste alla industria privata.

Ho domandato a parecchi uomini di tutti i partiti: ci sono, nel momento attuale , in Germania , centomila uomini pronti a morire per la Repubblica? Unanime risposta negativa. La stessa unanimità nel1,'afJermare, invece, che ci sono, in Germania , mezzo milione di uomini pronti a morire per la monarchia . Mi diceva Teodoro Wolff, uno dei pochi giornalisti veramente democratici di Berlino - egli è stato, fra l'altro, tredici anni a Parigi - che a poco a poco, dopo la Repubblica, verranno i repubblicani "Nous étions douze republicltins à Paris en 1789 " , diceva Desmoulins; e dopo appena tre anni l'ultimo

I u "co nquista" dello stato (1919-1922) 211

rappresentante di una gloriosa e secolare dinastia lasciava la testa sulla ghigliottina. Io comincio col mettere in dubbio che ci siano dodici repubblicani a Berlino; ad ogni modo è certo che non si fa nulla per dare i repubblicani alla Repubblica. Questa appare come una parola priva di contenuto. Il crollo dell'impero ha creato un vuoto nell'anima tedesca. La Repubblica non l'ha riempito. Berlino è una città imperiale. Il suo décor è troppo fastoso per una Repubblica di piccoli borghe si presieduta da un sellaio. Berlino anela segretamente a ritornare lo scintillante palcoscenico di un impeto . C'è una tragedia delle cose, che si adegua alla tragedia degli spiriti . Mal grado la repubblica e, forse, in conseguenza della Repubblica , tutto il mondo germanico volge a destra con moto uniforme e progressivo. Gli estremisti si sfaldano all'infinito; il grosso della social-democrazia è parte integrante della coalizione borghese. Ogni elezione indica i progressi di questo orientamento a destra. La Baviera è già di fatto monarchica. Berlino stessa, la città piU rossa dell'impero, ha dato la maggioranza - nelle elezioni comunali - ai partiti borghesi. Nei piccoli centri delle campagne, la Repubblica non è mai arrivat a. La Repubblica come ideale, come passione, come avvenire, non ha mai scaldato l'animo torbido e inquieto del Michele tedesco. Perché non si celebrano le esequie formali di una istituzione già morta negli spiriti? Per ragioni di politica estera. Per un residuo di calcolato pudore dinanzi agli occhi del mondo.

III.

Maschera è la Repubblica; maschera il pacifismo. Bisogna avere il coraggio di dire che la Germania non è repubblicana e non è pacifista. Il suo pacifismo è forzato. Non ha piu un esercito: i centomila uomini che il Trattato di Versaglia le ha concesso, non di spongono, fra l 'altro, di artiglierie, se non in proporzione ridicola.

La flotta di guerra è stata inabissata nei gorghi del mare; milioni di fucili, migliaia di cannoni e di mitragliatrici sono stati metodicamente consegnati e rastrellati. La Germania è pacifica perché "non può" fare la guerra . Ma quello che importa indagare e conoscere, non è già se nascoste nei sotterranei delle officine o nelle grotte delle foreste ci siano ancora delle mitragliatrici; importa indagare e conoscere qual è lo stato d'animo delle nuove generazioni tedesche. C'è una massa del popolo tedesco che è pacifista; non è il pacifismo idealistico che giungerebbe sino all'eroismo o al martirio; no , è un pacifismo di riposo, di convenienza. Gran parte delle famiglie dei morti, dei mutilati, dei fer it i, sono ostili al pensiero di nuove guerre. Ma non v'ha dubbio che la gioven tu è tormentata dai de sideri della rivincita e non soltanto la gioventu degli universitari e degli ufficiali . In fondo

212 Scritti politici di Benito Mussolini

, 11111 .1 110. Secondo l'opinione media tedesca, la Germania non· ha per,l,11 militarmente la guerra . L'armistizio fu segnato in terra nemica. H·m~a il blocco, la Germania aveva ancora energie sufficienti per te11 t rc il fronte. Non c'è stata una disordinata rotta di eserciti tedeschi. No n colle armi, ma colla fame , è stata atterrata l a Germania. Poi è V nL1to il Trattato di Versaglia. La totalità dell'opinione tedesca lo onsid era come un patto d 'infamia e cli vergogna; come un patto di H hiavitll e di miseria. E ineseguibile, per giun ta , anche ammesso e 11 0 11 concesso che la buona volontà ci fosse cli eseguirlo . Una delle piu {l it.e personalità tedesche mi cliceva:

Un a volta le guerre erano bil aterali: da Versaglia in poi si è dimostrato che la wu::rra può essere unilaterale, cioè fatta da un solo belligerante contro un inerme. Quello che si è stipulato a Versaglia, non è un trattato di pace; è un trat1(11 0 di guerra: fatta ancora n ello spazio, con occupazioni territoriali e dislocata 11 ·Ltempo per alcuni decenni.

Du q uesta convinzione del popolo tedesco, al segreto, ma irrefrenabi le desiderio della rivincita e della vendetta, è logico e fatale il passo. L'odio con tro l a Francia si accentua ogni giorno di pill sino a diven111 1:e parossismo. Guai alla Francia, se i tedeschi potessero domani fare L1 na nuova guerra e vincerl a! Gli ultimi franc esi sarebbero gettati nel1 ,' Atlantico! Per fortuna che il problema della riscossa tedesca non è 8 !ta nto france se , ma è anche inglese e italiano. Qui si appalesa tutto ll dramma cli Versaglia e il terribile clilemma che fu imposs ibile risolvere: l argire alla Germania un benigno tr attato di pace, significa l'ivederla in piedi, dopo un breviss imo periodo di tempo; ma coll'inni ggere alla Germania un durissimo tratt ato di pace, si otteneva sf lo s opo cli paralizzarla militarmente per qualche decina di anni, ma si acce ndevano nell'anima tedesca , sempre piu implacabili, i desideri dell a rivincita.

IV.

La Germania non è repubblicana e non può essere pacifica. (Torna n fiorire la letteratura militarista dell'anteguerra!) Sotto la maschera le ll a mi seria, quale volto si cela? Qui si può rispondere che nono stante la fiera cli Lipsia, nonostante il vertiginoso aumento delle esportai io ni tedesche, nonostante la penetrazione in Rus sia, nonostante il lavo ro in pieno nelle officine, la economia tedesca è profondamente malata. Essa deve reggere questo triplice, onerosissimo peso: riparazioni, specie di occupazione, deficit del bilancio statale. Il compromesso fiscale è un palliativo; la inflazione cartacea attinge cifre fant as tihe; il torchio gira continuamente . E piu gira e piu il marco perde

I 1 "ro 11quistan dello stato (1919-1922) 213

del suo valore. Nei confronti del dollaro è 1 a 300. Non mi sembra provato che la Germania abbia voluto volontariamente deprezzare il suo marco. Bisognerebbe pen sare a propositi di bancarotta. Comunque si ha l'impressione di un popolo che lavora, di una borghesia tecnica e produttiva che fa sforzi erculei per evitare l'abisso, ma si ha anche l'impressione che tutto ciò potrebbe essere inutile . Il mito della ricostruzione europea, la frase che piu ricorre sulle labbra tedesche è in questo momento Wiederaufbau Europas. Non è una trovata tedesca, non risponde, cioè, soltanto ad un interesse tedesco. Ci sono già, in Europa, spalancate una piccola e una grande voragine: l'Austria e la Russia. Ci sono, cioè , due paesi nei quali l'economia è gravemente sconvolta e paralizzata. Si tratta ora di sapere se conviene all'Europa e al mondo che una terza voragine si apra nel centro del nostro continente, che non ha un solo arto del suo organismo immune dalla crisi. Si tratta di sapere se un nuovo caos economico deve aggiungersi agli altri esistenti. Non v'ha dubbio che la catastrofe tedesca sarebbe disastrosa per l'avvenire politico ed economico di tutta l'Europa.

La conclusione è una sola: l'Italia deve accettare e sostenere il punto di vista inglese. Poiché repubblica e pacifismo in Germania sono maschere e non volto, ombre e non realtà, è necessario che le potenze occidentali garantiscano se stesse e la Francia dalle possibilità di una impresa offensiva della Germania. Non v'è altro mezzo per assicurare un relativamente lungo periodo di pace all'Europa. Secondo, poiché la catastrofe dell'economia tedesca pregiudicherebbe gli interessi di tutto il continente e frustrerebbe i risultati della vittoria, è necessario pur mantenere integre le clausole territoriali del Trattato di Versaglia, e mitigarne le clausole economiche-finanziarie. In altri termini : patto di garanzia fra le nazioni occidentali; moratoria alla Germania. Dare un respiro alla Germania, vigilarla, costringerla - dopo un determinato periodo di tempo - a pagare . Questo potrebbe essere, alla vigilia di Genova, il punto di vista del fascismo.

9. Stato, antistato e fascismo•

L'occupazione fascista di Ferrara, che ebbe, del resto, obiettivi concreti d'ordine immediato e fu uno spiegamento dimostrativo di forze a scopo di pressione sul Governo, ma, soprattutto, l'occupazione a carattere militare di Bologna, diretta contro il piu alto rappresentante provinciale dello Stato, hanno sollevato parecchie discussioni, non

• Da "'Gerarchia", n. 6, 25 giugno 1922, I. Pubblicato anche su "Il Popolo d'Italia", n. 154, 29 giugno 1922, IX,

214 Scritti politici di Benito Mussolini

1j nlo Jn Italia, ma anche all'estero. Interrogativi di questo genere han"" os tellato articoli di giornali e discorsi parlamentari: il fascismo è 1111 movimento di restaurazione dell'autorità dello Stato o di sovverti,,, ·nto della stessa autorità? È ordine o disordine? Come si concilia 1 . suo proposito reiteratamente proclamato di volere restaurata l'auto, , ~ dello Stato, con la sua azione che prende a bersaglio i rappreNt· ntanti massimi di codesta autorità? Si può essere e non essere? SI può essere conservatori e sovversivi al tempo stesso? Come intend uscire il fascismo dal circolo vizioso di questa sua paradossale coni rn (dizione? Rispondo subito che il fascismo è già uscito da questa ontraddizione, perché la contraddizione che gli viene imputata non e is te : è semplicemen te apparente, non sostanziale, e verrà dimostra' o nelle pagine che seguono. Io intendo precisare il punto di vista

I ·I fascismo di fronte al concetto di Stato, in astratto, e di fronte A que lla incarnazione speciale e individuata dell'idea di Stato che è lo tato italiano .

II.

he cosa è lo Stato? Nei postulati programmatici del fascismo lo !> tt1to vien definito come "l'incarnazione giuridica della nazione". La f rmula è vaga. Lo Stato, soprattutto lo Stato moderno, è anche ques to , ma non è soltanto questo. Senza volere elencare tutte le definizio ni che del concetto di Stato furono date, nei secoli, dai cultori delle scienze politiche - il che sarebbe inutile e prolisso - mi pare he lo Stato possa essere definito come un "sistema di gerarchie". Lo S tato è, alle sue origini, un sistema di gerarchie. Quel giorno in cui un uomo, fra un gruppo di altri uomini, assunse il comando perché e ra il piu forte, il piu astuto, il piu saggio o il piu intelligente , e gli ol t ti per amore o per forza ubbidirono, quel giorno lo Stato nacque e fu un sistema di gerarchie, semplice e rudimentale allora, com'era se mplice e rudimentale la vita degli uomini agli albori della storia. Il capo dové creare necessariamente un sistema di gerarchie, per fare la guerra, per rendere giustizia, per amministrare i beni della comunità, per ottenere il pagamento dei tributi, per regolare i rapporti fra l' uomo e il soprannaturale. Non importa l 'origine da cui lo Stato ripe te o con cui lo Stato legittima il suo privilegio di creatore di un sistema di gerarchie: può essere lddio ed è lo Stato teocratico; può essere un individuo solo, la discendenza di una famiglia, o un gruppo cli individui, ed è lo Stato monarchico od aristocratico (qui mi sovviene del Libro d'Oro della Serenissima); è il popolo, attraverso il mecca nismo del suffragio, e siamo allo Stato demo-costituzionale dell'èra upitalistica: ma in tutti i casi lo Stato si estrinseca in un sistema cli gerarchie, oggi infinitamente piu comples so adeguatamente alla vi-

I ,, '1('0 1111uista" dello stato (1919-1922) 215

ta, che è piu complessa in intenzione ed in estensione. Ma perché le gerarchie non siano categorie morte, è necessario che esse :fluiscano in una sintesi, che convergano tutte ad uno scopo, che abbiano una loro anima, che si assomma nell'anima collettiva, per cui lo Stato deve esprimersi nella parte piU eletta di una data società e dev'essere la guida delle altre classi minori.

La decadenza delle gerarchie significa la decadenza degli Stati. Quando la gerarchia militare, dal sommo all'infimo grado, ha perduto le sue virtu, è la disfatta. Quando la gerarchia dei tributi rapina e divora l'erario senza scrupoli, lo Stato barcolla. Quando la gerarchia dei politici vive giorno per giorno e non ha piu l a forza morale di perseguire scopi lontani, né di piegare le masse al raggiungimento di questi scopi, lo Stato viene a trovarsi di fronte a questo dilemma: o si dissolve dietro l'urto di un altro Stato o attraverso la rivoluzione sostituisce o rinsangua le gerarchie decadenti o insufficienti.

La storia degli Stati , dal tramonto dell'impero romano al crollo della dinastia cape tin gia, al declinare malinconico della Repubblica veneta, è tutta un nascere, crescere, morire di gerarchie.

III.

Il fascismo vuole lo Stato. Esso non crede alla possibilità di una convivenza sociale, che non sia inquadrata nello Stato. Solo gli anarchici - piu ottimisti di Gian Giacomo Rousseau - pensano che le società umane, cosf torbide, cosf opache, cosi egoiste, possano vivere in istato di assoluta libertà . L'avvento di una umanità composta di "libere comunità liberamente associate", secondo la formula anarchica, dev 'essere relega ta nel cielo delle piu futuriste utopie. Siamo dunque antianarchici perché non crediamo a possibilità di convivenza uman a che non si estrinsechi in uno Stato. Né ci seduce, anzi respingiamo la formula socialista dello Stato, che da "comita to d'affari" della classe dirigente, dovrebbe trasformarsi nella semplice "amministrazione delle cose": una specie di enorme "ragioneria" pubblica . Tutto ciò è incerto ed assurdo. L 'amministrazione delle cose è una frase priva di senso, quando voglia significare la negazione dello Stato . In realtà chi amministra governa e chi governa è Stato, con tutti gli annessi e connessi. L'esempio russo è là a dimostrare che "la amministrazione delle cose" provoca la creazione di uno Stato, anzi di un super-Stato, che aggi unge alle vecchie funzioni di tutti gli Statiguerra e pace, polizia, giustizia, esazione dei tributi, scuole, ecc .funzioni di ordine economico. Il fascismo non nega lo Stato; afferma che una società civica nazionale o imperiale non può e ssere pensata che sotto la specie di Stato; non va, dunque, contro l'idea di Stato,

216 Scritti politici di Benita Mussolini

"' " si riserva libertà di atteggiamento di fronte a quel particolare ' i1< ,1 0 che è lo Stato italiano. Ciò è un suo diritto. Ciò è un suo , h1vc re . Si tratta ora di esaminare quali rapporti esistano fra lo Stato 11 oLto, che è lo Stato d'oggi, e Io Stato in potenza e in divenire, che Il foscismo.

IV.

All ' indomani del congresso di Roma , durante il quale il fascismo • ·rcò di individuare la sua specifica personalità e funzione, l a nuova I ircz ione del Partito, nel suo primo proclama, determinò le possibili pos iz ioni del fascismo di fronte allo Stato italiano.

S11 remo - diceva quel proclama - con lo Stato e per lo Stato tutte le volte che sso si addimostrerà geloso custode e difensore e propagatore della tractizione nrtzio nale, del senti.mento nazionale, della volontà nazionale, capace d'imporre a l11 tti i costi la sua autorità.

i sost itu ir emo allo Stato tutte l ei! volte che esso s i manifesterà incapace di fronreggiare e di combattere, senza indulgenze fun es te, le cause e gli elementi di l!sgregazione inte·riore dei principi: della solidarietà nazionale.

'i schiereremo contro lo Stato qualora esso dovesse cadere nelle mani di coloro hc minacciano e attentano all'avvenire del paese.

A questo proclama bi sogna rimandare i critici e gli stupefatti dell'ulLima ora. I termini sono chiari. Il fascismo non si identifica coll ' attuale Stato italiano e le ragioni sa ranno dette piu oltre . Tuttavia, il fascismo si schiera a lato di questo Stato, per evitare il peggio, cioè .lo Stato socialista o l'anti-Stato anarchico.

Quan do Io Stato attuale italiano è alle pre se con l'anti-Stato sovversi vo, il posto del fascismo è definito dalla dottrina e dalla pratica: il fascismo difende questo Stato, ma con ciò non intende affatto legittimarlo pei secoli, né rinunciare alla formazione dello Stato nazionale, qual è vagheggiato dal fascismo. Il fascismo non può, non deve ess ere con siderato come un elemento difensore perpetuo e gratuito dell 'ordine costituito attualmente. Con questa concezione il fascismo non sarebbe piu "milizia volontaria a difesa della nazione", ma "polizia ausiliaria" a servizio del Governo. Per quali motivi il fascism o non può identificarsi collo Stato italiano attuale? Per un triplice ordine di motivi. Nell'ordine economico, l'antitesi fra Stato italiano e fascismo è profonda ed irreparabile. Lo Stato italiano, che taluni illusi ritengono ancora uno Stato liberale, è in realtà uno Stato semi-socialista ed è - in questo suo gramo privilegio - all 'avanguardia di tutti gli altri Stati del mondo. Non so se esista Stato piu "monopolizzatore " di quello italiano, quindi - non si tratta di un bisticcio!non esiste al mondo Stato piu antieconomico dello Stato economico

I ,, '', onljuista'' dello stato (1919 -1922) 217

italiano , Tutte le gestioni statali accusano un deficit pauroso. Ampliando, estendendo le sue funzioni d'ordine economico, lo Stato italiano si è moralmente e politicamente indebolito, perché ha aumentato la superficie della sua vulnerabilità da parte di tutti gli elementi che nell'economia o nella politica compongono l'anti-Stato. Lo Stato pseudo-liberale italiano è monopolista, il fascismo è recisamente antimonopolista. Il primo, non solo non pensa di restituire agli individui quello che è tipico della sfera individuale, ma non è alieno dall'aumentare ancora il numero delle sue attribuzioni d'ordine economico, il che vorrà dire preparare la certa catastrofe dell 'economia nazionale. Nell'ordine politico, lo Stato attuale italiano è in contrasto con lo spirito animatore del fascismo. Lo Stato italiano piu che rivendicare altamente e duramente la sua autorità, la mendica dalle parti opposte. Lo Stato italiano ha delle gerarchie, ma sono insufficienti. Servono senz'anima. La pill delicata di esse , la magistratura, è in rivolta contro lo Stato. Fermenti di malcontento e di sdegno serpeggiano nelle altre gerarchie: da quella dell'esercito a quella delle scuole. La crisi cielle gerarchie è la crisi dello Stato. Rinfrancare o sostituire o falcidiare le gerarchie: ecco il compito a cui non sembra piu idoneo l'idropico ed elefantiaco Stato italiano . Ecco il compito della rivoluzione fascista, la quale potrà effettuarsi tanto sui binari di una lenta saturazione legale, come attraverso l'insurrezione armata, per cui il fascismo saggiamente ha provveduto, attrezzandosi per entrambe le eventualità. Nell'ordine morale, la distanza fra lo Stato attuale italiano e il fascismo è grandissima.

Il fascismo non può accettare la concezione " rollandesca " di uno Stato che è moralmente al disopra della mischia. Come può lo Stato potenziale fascista sposare totalmente la causa dello Stato attuale liberale, se questo respinge i fascisti sulla linea delranti-Stato sovversivo, pur sapendo - anche dall'esperienza - che quando si delinea l'attacco dell 'anti-Stato sovversivo, il fascismo si mette a fianco dello Stato liberale? Come è po ssibile di rimanere neutrali fra chi vi minaccia e chi vi difende, sia pure per evitare il peggio? Com'è possibile di non distinguere fra chi nega lo Stato e chi lo afferma? Non è chiaro che è tattica suicida quella di uno Stato che in luogo di utilizzare le forze di affermazione dello Stato, le tratta alla stregua delle forze di negazione?

Noi non chiediamo - si noti - quei favoreggiamenti che si potrebbero chiamare di ordine giuridico o politico; chiediamo un semplice

riconoscimento d'ordine morale che non metta sullo stesso piano il Partito che esalta la diserzione e quello che, invece, esalta il sacrificio per la Patria.

218 Scritti politici di Benito Mussolini

V.

N1111 v'ha dubbio che fascismo e Stato sono destinati, forse in un temJIl) r Jativamente vicino, a diventare una "identità". In qual modo?

I 11 "" modo legale , forse. Il fascismo può aprire la porta con la chiave il 1•l!n legalità, ma può anche essere costretto a sfondare la porta, col 1olp di spalla dell'insurrezione. Si può prospettare l'ipotesi che, in j)f esso di tempo, lo Stato s'identifichi con tre demagogie: quella plulO rotica, quella popolare, quella socialista; si può avanzare l'eventua· I 11 he lo Stato italiano si allontani ancora di piu dal fascismo, quindi do Lutti i valori nazionali che nel fascismo vengono potenziati ed esaltn i i; allora il fascismo diverrà logicamente e storicamente l'anti-Stato 1111 zionale e dovrà giocare grosso gioco, anche se , per avventura, la 1o li zione delle tre demagogie assumesse atteggiamenti di liberalismo " I nostri confronti . Il duello in tre che si va paradossalmente combat1 •nd o da ormai quattro anni, ritornerebbe il duello quale viene dalla NI ss a parola significato: Stato socialista da una parte, anti-Stato faM ls ta dall'altra. L'esito di questo duello non può essere dubbio, date le ro rze e l'organizzazione di cui dispone il fascismo. Questo, che in <11, cs te linee è schematicamente tracciato, è lo sviluppo dialettico della e1·isi sociale e nazionale italiana cominciata nell'estate del 1914; ma n 11 bisogna giurare che gli avvenimenti correranno sui binari tracInti dal freddo ragionamento. Gli avvenimenti hanno, certo, una loro lnLima logica , ma altri elementi intervengono spesso a turbarla . Può da rsi che lo Stato forte, quale è necessario per la vita e la grandezza t.11 una nazione come la nostra, non sorga da una battaglia campale, ma da una serie di confluenze e di riconoscimenti teorici e pratici, per lii non si può in assoluto escludere che alle gerarchie di domani r rni sca un certo apporto di uomini e di esperienze, la gente del lavoro.

10. Il discorso di Napoli•

[ ... ] Noi fascisti non intendiamo andare al potere per la porta di servizio; noi fascisti non intendiamo rinunciare alla nostra formidabile I rimogenitura ideale per un piatto miserevole di lenticchie ministeri ali! ( Applausi vivissimi e prolungati) Perché noi abbiamo la visione, che si può chiamare storica, del problema, di fronte all'altra vis ione , che si può chiamare politica e parlamentare. Non si tratta di combinare ancora un governo purchessia, piu o meno

Discorso pronunciato a Napoli, il 24 ottobre 1922. Da 111 Il Popolo d'Italia", n. 2'5, 2.5 o ttobre 1922 , IX .

I ., "r,mquista" dello stato (1919·1922) 219

vitale: si tratta di immettere nello Stato liberale - che ha assolti i suoi compiti che sono stati grandiosi e che noi non dimentichiamodi immettere nello Stato liberale tutta la forza delle nuove generazioni italiane che sono uscite dalla guerra e dalla vittoria. Questo è essenziale ai fini dello Stato, non solo, ma ai fini della storia della nazione. Ed allora?

Allora, o signori, il problema, non compreso nei suoi termini storici, si imposta e diventa un problema di forza . Del resto, tutte le volte che nella storia si determinano dei forti contrasti d'interessi e d'idee, è la forza che all 'ultimo decide . Ecco perché noi abbiamo raccolte e potentemente inquadrate e ferreamente disciplinate le nostre legioni: perché se l'urto dovesse decidersi sul terreno della forza, la vittoria tocchi a noi. Noi ne siamo degni (applausi); tocca al popolo italiano che ne ha il diritto, che ne ha il dovere, di liberare la sua vita politica e spirituale da tutte quelle incrostazioni parassitarie del passato, che non può prol ungarsi perennemente nel presente perché ucciderebbe l'avvenire. ( Applausi)

E allora si comprende perfettamente che i governanti di Roma cerchino di creare degli equivoci e dei diversivi; che cerchino di turbare la compagine del fascismo e cerchino di formare una soluzione di continuità tra l'anima del fascismo e l'anima nazionale; che ci pongano di fronte a d.ei problemi. Questi problemi hanno il nome di monarchia , di esercito, di pacificazione .

Credetemi, non è per rendere un omaggio al lealismo assai quadrato del popolo meridionale, se io torno a precisare ancora una volta la posizione storica e politica del fascismo nei confronti della monarchia.

Ho già detto che discutere sulla bontà o sulla malvagità in assoluto ed in astratto, è perfettamente assurdo. Ogni popolo, in ogni epoca della sua storia, in determinate condizioni di tempo, di luogo e di ambiente, ha il suo regime .

Nessun dubbio che il regime unitario della vita italiana si appoggia saldamente alla monarchia di Savoia. ( Applausi prolungati) Nessun dubbio, anche, che la monarchia italiana, per le sue origini, per gli sviluppi della sua storia, non può opporsi a quelle che sono le tendenze della nuova forza nazionale. Non si oppose quando concesse lo Statuto, non si oppose quando il popolo italiano - sia pure in minoranza, una minoranza intelligente e volitiva - chiese e volle la guer~ ra. Avrebbe ragione di opporsi oggi che il fascismo non intende di attaccare il regime nelle sue manifestazioni immanenti, ma piuttosto intende liberarlo da tutte le superstrutture che aduggiano la posizione storica di questo istituto e nello stesso tempo comprimono tutte le tendenze del nostro animo?

Inutilmente i nostri avversari cercano di perpetuare l'equivoco.

220 Scritti politici di Benito Mussolini

Il l' ur lam ento, o signori, e tutto l1armamentario della democrazia, 11 1 111 li:inn o niente a che vedere con l'i stit uto monarchico. Non solo, "' 1 ~i aggiunga che noi non vogliamo togliere al popolo il suo gio, ,,1 10 10 (il Parlamento). Diciamo "giocattolo" perché gran parte del 111>1ol italiano lo stima per tale. Mi sapete voi dire , per esempio, JII"' ·h6 su undici milioni di elettori ce ne sono sei che se ne infi!I hl,111 0 di votare? Potrebbe darsi, però, che se domani si strappasse 111 10 il g iocattolo, se ne mostrassero dispiacenti. Ma noi non lo strapp11 rc rn o . In fondo ciò che ci divide dalla democrazia è la nostra menl11lli,), è il nostro metodo . La democrazia crede che i principi siano

1,111 ,u tabili in quanto siano applicabili in ogni tempo, in ogni luogo, 11 og ni evenienza .

N I non crediamo che la storia si ripeta, noi non crediamo che la mi ria sia un itinerario obbligato, noi non crediamo che dopo la de111oc razia debba venire la superdemocrazia!

, ' · la democrazia è stata utile ed efficace per la nazione nel secolo

I , può darsi che nel secolo XX sia qualche altra forma politica che poi ·nzii di piu la comunione della società nazionale. ("Bene!") Nem-

, ,, cno adunque, lo spauracchio della nostra antidemocrazia può giov1 1rc a determinare quella soluzione di continuità, di cui vi parlavo dln nzi .

) unnto poi alle altre istituzioni in cui si impersona il regim e, in •ul s i esalta la nazione - parlo dell'esercito - l'esercito sappia che noi, manipolo di pochi e di audaci, lo abbiamo difeso quando i miniNll' Ì consigliavano gli ufficiali di andare in borghese per evitare con1111 ti! ( Applausi prolungati)

No i abbiamo creato il nostro mito. Il mito è una fede, è una pas11 lone. Non è necessario che sia una realtà . È una realtà nel fatto che un pungolo, che è una speranza, che è fede, che è coraggio. Il nosiro mito è la nazione, il nostto mito è la grandezza della nazione! ( 11 13 e11issimo!") E a questo mito, a questa grandezza, che noi voglia111 trsdurre in una realtà completa, noi subordiniamo tutto il resto.

J>c r noi la nazione è soprattutto spirito e non è soltanto territorio. i so no Stati che hanno avuto immensi territori e che non lasciarono 1rnccia alcuna nella storia umana . Non è soltanto numero , perché si ·bbcro nella storia degli Stati piccolissimi, microscopici, che hanno lascia to documenti memorabili, imperituri nell 'arte e nella filosofia. tn grandezza della nazione è il complesso di tutte queste virtu, di 1utte queste condizioni . Una nazione è grande quando traduce nella r altà la forza del suo spirito. Roma è grande quando da piccola de111 ocraz ia rurale a poco a poco allaga del ritmo del suo spirito tutta l'Italia, poi si incontra con i guerrieri di Cartagine e deve battersi co ntto di loro. È la prima guerra della storia , una delle prime . Poi, 11 poco a poco, porta le aquile agli estremi confini della terra, ma

I f '', r111 1JfliSl'1 11 dello stato (19 19-1922) 221

ancora e sempre l'Impero Romano è una creazione dello spirito, poiché le armi, prima che dalle braccia, erano puntate dallo spirito dei legionari romani. Ora, dunque, noi vogliamo la grandezza della nazione nel senso materiale e spirituale. Ecco perché noi facciamo del sindacalismo.

Noi non lo facciamo perché crediamo che la massa , in quanto numero, in quanto quantità , possa creare qualche cosa di duraturo nella storia. Questa mitologia della bassa letteratura socialista noi la respingiamo . Ma le masse laboriose esistono nella nazione. Sono gran parte della nazione, sono necessarie alla vita della nazione ed in pace ed in guerra. Respingerle non si può e non si deve. Educarle si può e si deve; proteggere i loro giusti interessi si può e si deve! ( Applausi)

Si dice: " Volete dunque perpetuare questo stato di guerriglia civile che travaglia la nazione? " . No. In fondo, i primi a soffrire di questo stillicidio rissoso, domenicale, con morti e feriti , siamo noi. Io sono stato il primo a tentare di buttare delle passerelle pacificatrici tra noi ed il cosiddetto mondo sovversivo italiano.

Anzi, ultimamente ho firmato un concordato con lieto animo: prima di tutto, perché mi veniva richiesto da Gabriele d'Annunzio; in secondo luogo, perché era un'altra tappa, o ritengo che sia un'altra tappa, verso la pacificazione nazionale.

Ma noi non siamo, d'altra parte, delle piccole femmine isteriche che sogliono ad ogni minuto allarmarsi di quello che succede.

Noi non abbiamo una visione apocalittica, catastrofica della storia. Il problema finanziario dello Stato, di cui molto si parla, è un problema di volontà politica. I milioni e i miliardi li risparmierete se avrete al Governo degli uomini che abbiano il coraggio di dire no ad ogni richie sta. Ma finché non porterete sul terreno politico anche il problema finanziario , il problema non potrà essere risolto. Cosi per la pacificazione. Noi siamo per la pacificazione, noi vorremmo vedere tutti gli italiani adottare il minimo comune denominatore che rende possibile la convivenza civile; ma d'altra parte non possiamo sacrificare i nostri diritti, gli interessi della nazione, l'avvenire della nazione a dei criteri soltanto di pacificazione che noi proponiamo con lealtà, ma che non sono accettati con altrettanta lealtà dalla parte avversa. Pace con coloro che vogliono veramente pace; ma con coloro che insidiano noi, e, soprattutto, insidiano la nazione, non ci può essere pace se non dopo la vittoria!

Ed ora, fascisti e cittadini di Napoli, io vi ringrazio dell'attenzione con la quale avete seguito questo mio discorso. Napoli dà un bello e forte spettacolo di forza, di disciplina, di austerità. È bene che siamo venuti da tutte le parti a conoscervi, a vedervi come siete , a vedere il vostro popolo, il popolo coraggioso che affronta romanamente la

222 Scritti politici di Benito Mussolini

1.. 11 11 pe r la vita, che non crea un argine per il fiume, ed il fiume per 11 11 urgin e, ma vuole rifarsi la vita per conquistare la ricchezza lavo• 111 H I() e sudando 1 e portando sempre nell'animo accorato la potente pqNrnl •ia di questa vostra meravigliosa terra, che è destinata ad un /l'ù nd avvenire , specialmente se il fascismo non tralignerà.

N di cnno i democraùci che il fascismo non ha ragione cli essere qui, I " ,, ·hé non c'è stato il bolscevismo. Qui vi sono altri fenomeni di 1I ! I izia politica che non sono meno pericolosi del bolscevismo, meno l ii} lv i allo sviluppo della coscienza politica della nazione.

I o v do la grandissima Napoli futura, la vera metropoli del MediI l 11•oneo nostro - il Mediterraneo ai mediterranei - e la vedo insie'" on Bari (che aveva sedicimila abitanti nel 1805 e ne ha cento! 1,q uantamila attualmente) e con Palermo costituire un triangolo poI 111 c di forza, cli energia , cli capacità; e vedo il fascismo che raccoglie rdina tutte queste energie, che disinfetta certi ambienù, che tog li e dalla circolazione certi uomini, che ne raccoglie altri sotto i N! I ì ga gliardetti.

gi) bcne, o alfieri cli tutti i Fasci d'Italia, alzate i vostri gagliardetti snlutate Napoli, metropoli del Mezzogiorno, regina del Mediterrn n o!

' , ''u ,r11111ista" dello stato (1919-1922) 223

V.

LA COSTRUZIONE DEL REGIME (1922 -1932)

Il ciclo della dittatura e la costruzione del regime banno inizio, di fatto, con l'assunzione di Mussolini al governo: il fascismo " è già passato e, se sarà necessario, tornerà ancora tranquillamente a passare sul corpo piu o meno decomposto della Dea Libertà » (Forza e consenso, marzo 1923). In questa sezione, la scelta è caduta principalmente sulla progressiva stratificazione di un corpus ideologico che fa da supporto al tentativo di costruire un'architettura fascista dello stato italiano. Mussolini riconoscerà poi: "gli ann i che precedettero la marcia su Roma, furono anni durante i quali le necessità dell'azione non tollerarono indagini o complete elaborazioni dottrinali » (Dottrina del fascismo, 1932). Tuttavi a, trattandosi di circa un decennio, i testi meritevoli di attenzione sono relativamente pochi. Lo schema della sezione ripete l'indirizzo di marcia, per cosi dire, seguito dal capo del gove rno nel periodo considerato: espansione autoritaria del potere fascista all'interno delle strutture statuali, rapporti del potere con le classi sociali e dello stato con la chiesa: all'inizio il monolog o sul Machiavelli, al termine la lezione ricavata da Napoleone, ma tenuta per se stesso (Ludwig, Colloqui con Mussolini), al centro il saggio, forse il piu originale per il suo tipico velleitarismo, sul numero come misura della forza, o potenza.

Fin dall'inizio si nota una tendenza ripetitiva abbastanza pronunciata: nell'insistenza sul motivo nazionalistico precedentemente adottato, che serve ora anche come strumento di politica interna, mezzo e fine a un tempo, ma senza ult eriori autonome elaborazio ni. Cosi il discorso del 3 gennaio si chiude, come il discorso al congresso costitutivo del PNF, sul motivo appena variato della grande " madre Italia » (" Tutti sappiano che ciò che ho in animo non è capriccio di persona, non è libidin e di governo, non è passione ignobile, ma è soltanto amore sconfinato e possente per la patria »). 3 gennaio: è il momento in ct1i

1. Forza e consenso. - 2. Preludio al Machiavelli. - 3. Il discorso del 3 gennaio . - 4. Circolare ai prefetti. - 5. Agli operai di Milano. - 6. All'assemblea degli ind~ striali. - 7. Il numero come forza. - 8. Alla prima assemblea del regime. - 9. La dottrina del fascismo. - 10. Su Napoleone e l'imperialismo .

1 ,1 ,1msci (in una lettera inedita) scrive: "la situazione, quantunque ,,, ., olrsima, non finirà in un moto: l'apparato militare del gove rno è f1•1 /,one nte, la milizia si è ripresa notevolmente: le grandi masse non 1/ 11111ovono perché la crisi è stata impostata dal governo". In altre paw/ 1•, lt, dittatura si riconosce e si fa riconoscere: dal re e dal popolo. Nn/111 costruzione del regime - che non deve apparire pianificata a 111'/o ri e che nei suoi piani subisce ritardi e modifiche - hanno rilievo, ,ft, /)or te di Mussolini: le direttive ai prefetti ( come i richiami ai seMa ri o ex segretari del PNF); il sistema di relazioni con gli indu1/r/,,t; e con i sindacati ( fascisti) dei lavoratori ( si confrontino i testi i/1•/ d ue discorsi «paralleli" del 1928); la già citata teoria - non 111/o demografica - del « numero come forza"; lo sviluppo di un r11/1/)o rto di tipo nuovo fra lo stato italiano e la chiesa di Roma, che \/ consolida nei patti lateranensi : trattato, convenzione finanziaria e nmc ordato. Su questi quattro aspetti organicamente connessi del si11 a111 a dittatoriale e di consenso costruito dal fascismo, si offrono al lr11o re un gruppo di testi del 1927-1929. In essi si riflettono le scelte 1 t/lldizionate del regime e del suo capo.

I l rll pporto All'Assemblea quinquennale del regime costituisce una t,r ttt di bilancio ''politico» di questo lavorio istituzionale e sociale. 0 11 / 1929 al 1932, decennale della «rivoluzione", passano un paio {! 1mmi di cui non si presenta alcun documento. L'intero periodo viene 011 cluso con quella parte della Dottrina del fascismo - la sezione • politica e sociale " - che è attribuibile a Mussolini: in essa il capo d el regime, invocata som mariamente ma non senza significato la sua es perienza politico-culturale prebellica, forse la parte piu lucida del t esto, mostra di aspirare ad una sistemazione di tipo teorico .. La teorlu.azione diviene tuttavia piU precisa solo in quanto e quando assume oll. egg iamenti negativi: antipacifismo, antiugualitarismo, antiuniversaOsmo, da cui sono fatt i discendere, con una logica inversa al reale vrocesso mussoliniano e fascista, l' antidemocraticismo e l' antisocialismo del regime. In questo rivolgimento dialettico, in tale impianto formale è pensabile che non manchi l'influenza di Giovanni Gentile, n cui si deve l'intera premessa teorica della " dottrina ", qui ovviamente stralciata.

11anto d Mussolini, presenta la dottrina dello stato come il culmine t cl pensiero fascista: lo " stato forte " voluto e organizzato dal faci.rm o è a sua volta « volontà di potenza e d'imperio ». Non piU so lta nto il '' mito " proclamato a livello emotivo, combatten tistico come a Napoli nel '22 (I'" Ital ia di Vittorio Veneto " passata attraue rso la " rivoluzione »), ma il ricorso a una teorica - di cui potranno darsi diverse interpretazioni - in cui viene sublimata la "tradiz ioue romana » come " un'idea di forza " piuttosto che un'idea-forza . tJ il punto massimo dello sforzo " teorico ,, mussoliniano, nel tentativo

I , , ,111mzione del regime (1922-1932) 225

di dare una sistemazione dottrinale al movimento fascista: operazione politica, sia in rapporto all'evolversi interno del re gime, sia in rapporto agli esperimenti di espansione-imitazione da parte di altri analoghi movimenti europei, sia infine rispetto al nazionalsocialismo che batte alle porte. Il progetto è totale, là dove si insiste sulla penetrazione d ella " disciplina » nelle piU u estreme propaggini ,, della società civile e dell'economia: il massimo dunque di totalitarismo possibile - e in realtà sovrapposto alle ordinarie strutture dello stato - forse persino consapevole dei suoi limiti, in un esperimento mediterrane o ancora isolato come quello italiano, giusto sulle so glie degli anni Tr enta.

Nella progressione dei testi il privilegiamento dell'assunto imperialistico ( ai punti 11 e 1J della Dottrina politica e sociale) sul momento corporativo va infine sottolineato: e per la sua impronta tipicamente mussoliniana, e per la " fuga in avanti " che la dittatura, nata da una guerra, si appresta a compiere - nel suo mito paramilitare - sul filo tradizionale della metapolitica collettiva del movim ento fascista e prefascista.

1. Forza e consenso *

Certo liberalismo italiano, che si ritiene unico depositario degli auten tici 1 immortali principi, rassomiglia straordinariamente al socialismo mezzo defunto, poiché anche esso, come quest'ultimo, crede di possedere "scientificamente" una verità indiscutibile 1 buona per tutti i tempi, luoghi e situazioni. Qui è l'assurdo. Il liberalismo non è l'ultima parola, non rappresenta la definitiva formula, in tema di arte di governo. Non c'è in quest'arte difficile e delicata, che lavora la piu refrattaria delle materie e in istato di movimento, poiché lavora sui vivi e non sui morti; non c'è nell'arte politica l'unità aristotelica del tempo , del luogo, dell'azione. Gli uomini sono stari piu o meno fortunatamente governati, in mille modi diversi. Il liberalismo è il portato e il metodo del XIX secolo, che non è stupido, come opina Daudet, poiché non ci sono secoli stupidi o secoli intelligenti, ma ci sono intelligenza e stupid ità alternata, in maggiori o minori proporzioni, in ogni secolo. Non è detto che il liberalismo, metodo di governo, buono per il secolo XIX, per un secolo, cioè, dominato da due fenomeni essenziali come lo sviluppo del capitalismo e l'affermarsi del sentimento di nazionalità, debba necessariamente essere adatto al secolo XX, che si annuncia già con caratteri assai diversi da quelli che individuarono il secolo pre-

* Da "Gerarchia'\ marzo 1923, IL

226 Scritti
politici di Benito Mussolini

, , ,l, ·111 •• Il fatto vale piu del libro; l'esperienza piu della dottrina. 1 11 1 , I · piu grandi esperienze del dopoguerra, quelle che sono in 11,111!0 di movimento sotto i nostri occhi, segnano la sconfitta del liI11 11 ,ll smo. In Russia e in Ital.ia si è dimostrato che si può gover" '" al difuori , al disopra e contro tutta la ideologia liberale. Il 1, 11,1uni smo e il fascismo sono al di fuori del liberal.ismo. M11 Inso mma, in che cosa consiste questo liberal.ismo per il quale pltl o meno obliquamente si infiammano oggi tutti i nemici del fa. 11li m ? Liberalismo significa suffragio universale e generi affini? Si1111 lftca tenere aperta in permanenza la Camera, perché offra l 'indeH noc spettacol o che aveva sollevato la nausea generale? Significa 1, n me della libertà lasciare ai pochi la libertà di uccidere la liI1 11ù di tutti? Significa fare largo a coloro che dichiarano la loro i!N lllità allo Stato e lavorano attivamente per demolirlo? È questo I li be ralismo? Ebbene, se questo è il liberalismo, esso è una teo1111 e una pratica di abbiezione e di rovina . La libertà non è un fine; un mezzo. Come mezzo deve essere controllato e dominato. Qui ( ,,dc il discorso della "forza•.

I signori liberali sono pregati di dirmi se mai nella storia vi fu 11o vc rno che si basasse esclusivamente sul consenso dei popoli e ri11un ciasse a qualsiasi impiego della forza. Un governo siffatto no n ' mai stato, non ci sarà mai. Il consenso è mutevole come le for111 112.ioni della sabbia in riva al mare. Non ci può essere sempre. Né inni può essere totale. Nessun governo è mai esistito che abbia reso f ·li ci tutti i suoi governati. Qualunque soluzione vi accad a di dare 11 qualsiasi problema, voi - e foste anche partecipi della saggezza div ina! - creerete in evitabilmente una categoria di malcontenti. Se fi no ra non c'è arrivata la geometria, la politica meno ancora è riusci' " a quadrare il circolo. Posto come assiomatico che qualsiasi provv dimento di governo crea dei malcontenti, come eviterete che ques to malcontento dilaghi e costituisca un pericolo per l a solidità cl cUo Stato? Lo eviterete colla forza. Coll'accantonare il massimo di fo rza . Coll'impiegare questa forza, inesorabilmente, quando si rendn necessario. Togliete a un Governo qualsiasi la forza -e si in1 ·nde forza fisica, forza armata - e lasciategli soltanto i suoi immortali principi, e quel Governo sarà alla mercè del primo gruppo rga nizzato e deciso ad abbatterlo. Ora il fascismo getta al macero q ueste teorie antivitali. Quando un gruppo o un partito è al potere, ·sso ha l'obbligo di fortificarvisi e di difendersi contro tutti. La ver it à palese oramai agli occhi di chiunque non li abbia bendati dal log matismo, è che gli uomini sono forse stanchi di libertà. Ne hanno fotto un 'orgia. La libertà non è oggi piu la vergine casta e severa per la quale combatterono e morirono le generazioni della prima met à del secolo scorso. Per le giovinezze intrepide, inquiete ed aspre

I 1 1 ,1 , rmzio11 e del regime (1922-1932) 227

che si affacciano al crepuscolo mattinale della nuova storia ci sono altre parole che esercitano un fascino molto maggiore, e sono : ordine, gerarchia, disciplina . Questo povero liberalismo italiano, che va gemendo e battagliando per una piu grande libertà, è singolarmente in ritardo. È completamente al di fuori di ogni comprensio ne e possibilità. Si parla di semi che ritroveranno l a primavera. Facezie! Certi semi muoiono sotto la coltre invernale. Il fascismo, che non ha temuto di chiamarsi reazionario quan do molti dei liberali odierni erano proni davanti alla bestia trionfante, non ha oggi ritegno alcuno di dichiararsi illiberale e antiliberale. Il fascismo non cade vittima di certi trucchi dozzinali .

Si sappia dunque, una volta per tutte, che il fascismo non conosce idoli, non ado ra feticci: è già passato e, se sarà necessario, tornerà ancora tranquillamente a passare sul corpo piU o meno decomposto della Dea Libertà.

2. Preludio al Machiavelli •

Accadde che un giorno mi fu annunciato da Imola - dalle legioni nere di Imola - il dono di una spada con inciso il motto di Machiavelli "Cum parole non si mantengono li Stati" Ciò troncò gli indugi e determinò senz'altro la scelta del tema che oggi sottopongo ai vostri suffragi. Potrei chiamarlo Commento dell'anno 1924 al "Principe 1 ' di Machiavelli, al libro che io vorrei chiamare Vademecum per l'uomo di governo. Debbo inoltre, per debito di onestà intellettuale, aggiungere che questo mio lavoro ha una scarsa bibliografia, come si vedrà in seguito. Ho riletto attentamente il Principe e il resto delle opere del grande segretario, ma mi è mancato tempo e volontà per leggere tutto ciò che si è scritto in Italia e nel mondo su Machiavelli. Ho voluto mettere il minor num ero possibile d'interm ediari vecchi e nuovi, italiani e stranieri, tra il Machiavelli e me, per non guastare la presa di contatto diretta fra la sua dottrina e l a mia vita vissuta, fra le sue e le mie osservazioni di uomini e cose, fra la sua e la mia pratica di governo. Quella che mi onoro di leggervi non è quindi una fredda dissertazione scolastica, irta di citazioni altrui, è piuttosto un dramma, se può considerarsi, come io credo, in un certo senso drammatico il tentativo di getta re il ponte dello spirito sull 'abisso delle generazioni e degli eventi. Non dirò nulla di nuovo.

La domanda si pone : a quattro secoli di distanza che cosa c'è ancora di vivo nel Principe? I consigli del Machiavelli potrebbero ave-

* Da "Gerarchia", n. 4, aprile 1924, III.

228 Scritti
politici di Benito Mussolini

11 111 111 q ualsiasi utilità anche per i reggitori degli Stati modern i? Il

\ d111 ·c del sistema politico del Principe è circoscritto all' epoca in , 11 fu scr itto il volume, quindi necessariamente limitato e in parte , 1d11 , o non è invece universale e attuale? Specialmente attuale ?

I 11 mia tesi risponde a queste domande. Io affermo che la dottrina il i Muchiavelli è viva oggi piu di quattro secoli fa, poiché se gli 1lll l) CI ti esteriori della nostra vi ta sono grandemente cangiati, non si , 1110 ve rificate profonde variazioni nello spirito degli individui e dei 1111po li .

•11 In politica è l'arte di governare gli uomini, cioè di orientare, uti1 it.nre, educare l e loro passioni, i loro egoismi, i loro interessi in v 111 cli scopi d'ordine generale che trascendono quasi sempre la V In individuale perché si proiettano nel futuro , se questa è la poliI ('n, non v 'è dubbio che l'elemento fondamentale di essa arte , è 1'11 mo. Di qui bisogna partire. Che cosa sono gli u omini nel siste111n ~ litico di Machiavelli? Che cosa pensa Machiavelli degli uomi1d ? E egli ottimista o pessimista? E dicendo "uomini" dobbiamo In, rpretare l a parola nel senso ristretto degli uomini, cioè degli l1r 1li nni che Machiavelli conosceva e pesava come suoi contemporall l' Ì o nel senso degli uomini al di là del tempo e dello spazio o p ·r dirla in gergo acquisito "sotto la specie della eternità " ? Mi pare 1li pr ima di procedere a un piu analitico esame del sistema di poli il u machiavellica, cosi come ci appare condensato nel Principe, o o tra esattamente stabilire quale concetto avesse Machiavelli de11 11 uo mini in genere e, forse , degli italiani in particolare . Orbene, qu ·I che risulta manifesto, anche da una superficiale l e ttura del l' ri11ci pe, è l'acuto pessimismo del Machiavelli nei confronti della nu Luta umana. Come tutti coloro che hanno avuto occasione di cu ntinuo e vasto commercio coi propri simili, Machiavelli è uno rJ prcgia tore degli uomini e ama presentarceli, come verrò fra poco d oc umentando, nei loro aspetti piU negativi e mortificanti .

,J i uomini, secondo Machiavelli , sono tristi, piU affezionati alle cose hc al loro stesso sangue, pronti a cambiare sentimenti e passioni. i\l capitolo XVII del Prin cipe, Machiavelli cos! si esprime:

Pe rché delli uomini si può dire questo generalmente: che siano ingrati, volubili

11 !mula tori, fuggitori de' pericoli, cupidi di guadagno e mentre fai loro bene,

110 110 tutti tuoi, offe renti il sangue, la roba, la vita, i fi glioli, come di sopra dissi, q unndo el b isogno è discosto, ma quando ti si appressa, e' si rivoltano ... E quel prin ci pe che si è tutto fondato su lle parole loro , trovandosi nudo di altre· preparn zio ni , rovina. Li uomini hanno meno rispetto a offendere uno che si faccia nnrnrc, che uno che si faccia t emere , perché l'Amore è tenuto da un o vincolo di o bb ligo, il q uale per essere li uomini tristi , 'da ogni occasione di propria utilità , otto, ma il timore è ten uto da una paura di pena che non abbandona mai.

I , 1 ,ntmzioue del regime (1922-1932) 229

Per quanto concerne gli egoismi umani, trovo fra le Carte varie, quanto segue:

Gli uomini si dolgono pill di un podere che sia loro tolto, che di uno fratello o padre che fosse loro morto, perché la morte si dimentica qualche volta, la roba mai. La ragione è prontai perché ognuno sa che per la mutazione di uno stato, uno fratello non può risuscitare, ma e' può bene riavere il suo podere.

E al capitolo terzo dei Discorsi :

Come dimostrano tutti coloro che ragionano del vivere civile e come ne è prenia di esempii ogn i storia, è necessario a chi dispone una Repubblica ed ordina leggi in quella, presupporre tutti gli uomini essere cattivi e che li abbiano sempre a usare la malignità dell'animo loro, qualunque volta ne abbino libera occasione ... Gli uomini non operano mai nulla bene se non per necessità, ma dove la libertà abbonda e che vi può essere licenzia si riempie subito ogni cosa di confusione e di disordine.

Le citazioni potrebbero continuare, ma non è necessario . I brani riportati sono sufficienti per dimostrare che il giudizio negativo sugli uomini, non è incidentale, ma fondamentale nello spirito di Machiavelli. È in tutte le sue opere. Rappresenta una meritata e sconsolata convinzione. Di questo punto iniziale ed essenziale bisogna tener conto, per seguire rutti i successivi sviluppi del pensiero di Machiavelli. È anche evidente che il Machiavelli, giudicando come giudicava gli uomini, non si riferiva soltanto a quelli del suo tempo, ai fiorentini, toscani, italiani che vissero a cavallo fra il XV e il XVI secolo, ma agli uomini senza limitazione di spazio e di tempo. Di tempo ne è passato, ma se mi fosse lecito giudicare i miei simili e contemporanei, io non potrei in alcun modo attenuare il giudizio di Machiavelli. Dovrei, forse, aggravarlo. Machiavelli non si illude e non illude il Principe. L'antitesi fra Principe e popolo, fra Stato e individuo è nel concetto di Machiavelli fatale. Quello che fu chiamato utilitarismo , pragmatismo, cinismo machiavellico scaturisce logicamente da questa posizione iniziale. La parola Principe deve intendersi come Stato. Nel concetto di Machiavelli il Principe è lo Stato . Mentre gli individu i tendono, sospinti dai loro egoismi, all'atonismo sociale, lo Stato rappresenta una organizzazione e una limitazione. L'individuo tende a evadere continuamente. Tende a disubbidire alle leggi, a non pagare i tributi, a non fare la guerra. Pochi sono coloro - eroi o santi - che sacrificano il proprio io sull'altare dello Stato. Tutti gli altri sono in istato di rivolta potenziale contro lo Stato. Le rivoluzioni dei secoli XVII e XVIII hanno tentato di risolvere questo dissidio che è alla base di ogni organizzazione sociale statale, facendo sorgere il potere come

230 Scritti politici di Benito Mussoli ,rl

'"" ' emanazione della libera volontà del popolo. C'è un a finzione , 1111n illu sione cli piu. Prima cli tutto il popolo non fu mai definito. H una e ntità meramente astratta, come entità politica . Non si sa dov cominci esattamente, né dove -finisca. L'aggettivo di sovrano 11111 li ca to al popolo è una tragica burla . Il popolo tutto al piu, del<•gn, ma non può certo esercitare sovranità alcuna. I sistemi rappre! •ntativi appartengono piu alla meccanica che alla morale. Anche Il ·i paesi dove questi meccanismi sono in piu alto uso da secoli e H • oli, giungono ore solenni in cui non si domanda piu nulla al popolo, perché si sente che la rispo sta sarebbe fatale; gli si strappn no le corone cartacee della sovranità - buone per i tempi nor111 ,tli - e gli si ordina senz 'altro o di accettare una Rivoluzione o una pace o di marciare verso l'ignoto cli una guerra . Al popolo non r sta che un mono sillabo per affermare e obbedire. Voi vedete che In sovranità elargita graziosamente al popolo gli viene sottratta nei momenti in cui potrebbe sentirne il bisogno. Gli viene lasciata solo q uando è innocua o è reputata tale, cioè nei momenti di ordinaria nrnministrazione. Vi immaginate voi una guerra proclamata per referendum? Il referendum va benissimo quando si tratta di scegliere il luogo piu acconcio per collocare la fontana del villaggio , ma quando gli interessi supremi cli un popolo sono in giuoco, anche i Gover ni ultrademocratici si guardano bene dal rimetterli al giudizio del popolo stesso. V'è dunq ue immanente, anche nei regimi quali ci sono stati confezionati dalla Enciclopedia - che peccava, attraverso Rousseau, di un eccesso incommen surabile cli ottimismo - il dissidio fra forza organizzata dello Stato e il frammentarismo dei singoli e dei gruppi. Regimi esclusivamente con sensuali non sono mai esistiti, non esistono, non esisteranno probabilmente mai. Ben prima del mio oramai famoso articolo Forza e consenso, Machiavelli scriveva nel Principe, pagina 32:

Di qui nacque che tutti i profeti armati vincono e li disarmati ruioarono.

Perché la natura dei popoli è varia ed è facile persuadere loro una cosa, ma è diflìcile fermarli in quella persuasione.

E però conviene essere ordinato in modo, che quando non credono pitl si possa far credere loro per forza. Moise, Ciro, Teseo, Romolo non avrebbero potuto fare osservare lungamente le loro costituzioni, se fussino stati disarmati.

I , ' "1'/ruz.ione del regime (1922-1932) 231

3. Il discorso del 3 gennaio • Signori!

Il discorso che sto per pronunziare dinanzi a voi forse non po t rà essere, a rigor di termini , classificato come un discorso parlamentare. Può darsi che alla fine qualcuno di voi trovi che questo discorso si riallaccia, sia pure attraverso il varco del tempo trascorso, a quello che io pronunciai in questa stessa Aula il 16 novembre.

Un discorso di siffatto genere può condurre, ma può anche non condurre ad un voto politico.

Si sappia ad ogni modo che io non cerco questo voto politico. Non lo desidero: ne ho avuti troppi. ("Bene!")

L'articolo 47 dello Statuto dice:

"La Camera dei deputati ha il diritto di accusare i ministri del re e di tradurli dinanzi all'Alta corte di giustizia".

Domando formalmente se in questa Camera, o fuori di questa Camera, c'è qualcuno che si voglia valere dell'articol o 47. (Vivissimi prolungati applausi. Moltissimi deputati sorgono in piedi. Grida di: "Viva Mussolini!" Applausi anche dalle tribune)

Il mio discorso sarà quindi chiarissimo e tale da de terminare una chiarificazione assoluta.

Voi intendete che dopo aver lungamente camminato insieme con dei compagni di viaggio, ai quali del resto andrebbe sempre l a nostra gratitudine per quello che hanno fatto, è necessaria una sosta per vedere se la stessa strada con gli stessi compagni può essere ancora percorsa nell'avvenire. (Approvazioni; commenti)

Sono io, o signori, che levo in quest'Aula Paccusa contro me stesso. Si è detto che io avrei fondato una Ceka. Dove? Quando? In qual modo? Nessuno potrebbe dirlo!

Veramente c'è stata una Ceka in Russia, che ha giustiziato, senza processo, dalle centocinquanta alle centosessantamila persone , secondo statistiche quasi ufficiali . C'è stata una Ceka in Russia, che ha esercitato il terrore sistematicamente su tutta la classe borghese e sui membri singoli della borghesia. Una Ceka, che diceva di essere la rossa spada della rivoluzione .

Ma la Ceka italiana non è ma i esistita.

Nessuno mi ha negato fino ad oggi queste tre qualità: una discreta intelligenza, molto coraggio e un sovrano disprezzo del vile denaro. (Vivissimi, prolungati applausi)

Se io avessi fondato una Ceka, l'avrei fondata seguendo i criteri che ho sempre posto a presidio di quella violenza che non può essere

232 Scritti politici di Benito Mussolini
* Dagli Atti del Parlamento italiano. Camera d ei deputati. Discussioni. Tornata del 3 gennaio 1925.

, ' l",I " da ll a storia. Ho sempre detto, e qui lo ricordano quelli che 1111 li 11 nn o segui to in questi cinque anni di dura batta glia, che l a 1 I, .! 1 m:rt, per essere risolutiva, deve essere chirurgica, intelligente, " ' ,,ll cl'csca. (Approvazioni)

1li ,, I ges ti di questa sedicente Ceka sono stati sempre inintelligend 11 mposti, stupidi. (((Benissimo!»)

~111 po te te proprio pensare che nel giorno successivo a quello del 11, 1111 0 Natale, giorno nel quale tutti gli spiriti sono portati alle irn11 wnlni pietose e buone, io potessi ordinare un'aggressione alle 10 d1I mattino in via Francesco Crispi, a Roma, dopo il mio discorso , li M nterotondo, che è stato forse il discorso piu pacificatore che l,i fib bia pronunziato in due anni di Governo? (Approvazioni) Rii 111r miaterni di pensarmi cosi cretino . (Viv issim i applausi)

I 11vre i ordito con la stessa intelligenza le aggressioni minori di Mi11 1,I e di Forni? Voi ricordate certamente il discorso del 7 giugno. V e fotse facile ritornare a quella settimana di accese passioni poli\! hc, quando in questa Aula la minoranza e la maggioranza si ~I o ntra vano quotidianamente, tantoché qualcuno disperava di riulf(· lr · :1 stabilire i termini necessari di una convivenza politica e cili fra l e due opposte parti della Camera.

I ls orsi irritanti d a una parte e dall'altra. Finalmente, il 6 giugno, l'ono revole Delcroix squarciò, col suo discorso lirico , pieno di vita 1 f rte di passione, l'atmosfe ra carica, temporalesca. All' indomani , io pronuncio un discorso che rischiara totalmente l'at111o sfera. Dico alle opposizioni: riconosco il vostro diritto ideale ed 11n che il vostro diritto contingente; voi potete sorpassare il fascismo ( 0 1n c esperienza storica; voi potete mettere su l terreno della critica 1nmediata tutti i provvedimenti del Governo fasci sta.

1(1 ordo e ho ancora ai miei occhi la visione di questa parte della Cn mera, dove tutti intenti sentivano che in quel momento avevo d uo profonde parole di vita e avevo stabilito i termini di quella n ces sa ria convivenza senza la quale non è possibile assem blea poli, ica di sorta . (Approva zioni)

f,; co me potevo, dopo un successo, e l ascia temelo dire senza falsi pudori e ridicole modestie, dopo un successo cosl clamoroso, che 1utta la Camera ha ammesso, comprese le opposizioni, per cui la :omera si aperse il mercoledi successivo in un'atmosfera idilliaca, dn salotto quasi (approvazioni), come potevo pensare, senza essere olpito da morbosa follia, non dico solo di far commettere un delitto, ma nemmeno il pili tenu e, il pili ridicolo sfregio a quell'avvert1 nrio che io stimavo perché aveva una certa crtlnerie, un certo corn ggio, che rassomigliavano qualche volta al mio coraggio e alla tnia ostinatezza nel sostenere l e tesi? (Vivi applausi)

he cosa dovevo fare? Dei cervellini di grillo pretendevano da me

I , , ,11r 111 -z ionc del regime (1922 -1932) 233

in quella occasione gesti di cinismo, che io non sentivo di fare perché repugna vano al profondo della mia coscienza. (Appro vazioni ) Oppure dei ges ti di forza? Di qu ale forza? Contro chi? Per quale scopo?

Quando io penso a questi signori , mi ricordo d egli strateghi che durante la guerra, mentre noi mang iavamo in trincea, facevano la s trategia con gli spillini su lla carta geografica. (Approvazioni) Ma quando poi si tratta di casi al concreto, al po sto di comando e di respon sabilità si vedono le cose sot to un altro raggio e sotto un as petto diverso. (A pp rovazioni )

Eppure non mi erano mancate occasioni di dare prova della mia energia. Non sono ancora stato inferiore agli eventi. Ho liquidato in dodici ore una rivolta di Guardie regie, h o liquid ato in pochi giorni una in sidiosa sedizione, in quarantott'ore ho condotto una divisione di fanteria e mezza flotta a Corni (Vivissime approvazion i)

Questi ges ti di energia, e quest'ultimo, che stupiva persino uno dei pill grandi generali di una nazione amica, stanno a dimostrare che non è l'energia che fa difetto al mio spirito.

Pena di morte? Ma qui s i scherza, signori. Prima di tutto, bi sog nerà introdurla nel Codice penale, la pena di morte ; e poi , comunque, la pena di morte non può essere la rappresaglia di un Governo .

Deve essere ap plicata dopo un giudizio regolare, anzi regolari ss imo, quando si tratt a dell a vita di un cittadino! (Viviss ime approvazioni)

Fu alla fine di quel mese, di quel mese che è segnato profondamente nella mia vit a, ch e io dissi : " Vo glio che ci sia la pace per il popolo italiano "; e volevo stabilire la normalità della vita politica.

Ma come si è r isposto a questo mio principio? Prima di tutto , con la secessione dell'Aventino, secessione anticostituzionale , nettamente rivoluzionaria. (Viv e approvazioni) Poi con una campagna giornalistica durata nei me si di giugno, lu glio, agosto, campagna immon da e mi serabile che ci ha disonorato per tre mesi. (Applau si vivissimi e prolungati) Le piu fantastiche, le piu raccapriccianti, l e piu macabre menzogne sono sta te affermate diffusamente su tutti i giornali!

C'era veramente un accesso di necrofilia! (Approvazioni) Si facevano inquisizioni anche di quel che succede sotto terra: si invent ava, si sapeva di mentire , ma si menti va .

E io sono stato tranqnillo , calmo, in mezzo a questa bufera , che sarà ricordata da coloro che verranno dopo di noi con un senso di intima vergogna. (Ap pro vazioni)

E intanto c'è un risultato di questa campagna! Il giorno 11 settembre qualcuno vuol vendicare l'ucciso e spara su uno dei nostri migliori, che mori povero. Av eva sessanta lire in tasca. (Applausi vivissimi e prolungati. Tutti i deputati sorgono in piedi)

234 Scritti
Mussolini
politici di Benito

Tu ttavia io continuo nel mio sforzo di normalizzazion e e di normalità. Reprimo l'illegalismo.

No n è me nzogna . Non è menzog na il fatto che nelle carceri ci sono ancor oggi centinaia di fascisti! (Commenti) Non è menzogna il fatto che si sia riaperto il Parlamen to regolarmente alla data fi ssat a e si siano di scussi non meno regolarmente tutti i bilanci, non è me nzog na il giuramento della Milizia, e non è menzogna la nomin a d i generali per tutti i comandi di Zona.

Finalmente viene dinanzi a noi una questione che ci appassionava: la domand a di autorizzazione a procedere con le conseguenti dimi ss ion i dell 'onorevole Giunta.

La Camera scatta; io comprendo il senso di questa rivolta ; pure , dopo quarantott'ore 1 io piego ancora un a volta , giovandomi del mio prestigio, del mio ascendente , piego que sta Assemblea riotto sa e riluttante e dico : siano acce ttate le dimissioni. Si accettano . Non basta ancora; compio un ultimo gesto norm alizzatore : il progetto della riform a elettorale.

A tutto questo, come si risponde? Si risponde con una accentuazione della campagn a. Si dice: il fascismo è un'orda di barbari accampati nella nazione; è un movimento di banditi e di predoni! Si inscena la questione morale , e noi conosciamo la triste storia delle ques tioni morali in I talia. (Vive approvazioni)

Ma poi , o signori, quali farfall e andiamo a cercare sot to l'arco di T ito? Ebbene , dichiaro qui , al cospetto di questa Assemblea e al cospe tto di tutto il popolo it ali ano, che io assumo, io solo, la respo nsabilità politica, morale 1 s torica di tutto quanto è avvenuto. (Vivissimi e reiterati applausi. Molte voci: ({Tutti G·o n vo i/ Tutti con voi!JJ)

Se le fra si pill o meno s torpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba dell a migliore giove ntu italiana , a me l a colpa! (Applausi) Se il fascismo è stato un'a ssociazion e a delinquere, io sono il capo di questa associazio ne a delinquere! (Vivissim i applausi. Molte voci: "Tutti con vo i.I)))

Se tutte le violenze sono stat e il risultato di un determinato clima s torico, politico e mora le , ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clim a storico , politico e mor ale io l'ho creato con una prop aganda che va dall ' intervento ad oggi. In questi ultimi giorni non solo i fascisti, ma molti cittadini si domandavano: c'è un Governo? (App rovazioni ) Ci sono degli u omi ni o ci so no dei fantocci? Questi uomini h anno una dignità come uomini? E ne hanno una anche come Governo? (Approvazioni)

lo ho voluto deliberatamente che le co se giungessero a quel dctcr-

LA costruzione del regime (1922-1932) 235

minato punto estremo, e, ricco della mia esperienza di vita, in que~ sti sei mesi ho saggiato il Partito; e, come per sentire la tempra di certi metalli bisogna battere con un martelletto, cosl ho sentito la tempra di certi uomini, ho visto che cosa valgono e per quali motivi a un certo momento, quando il vento è infido, scantonano per la tangente. (Vivissimi applausi)

Ho saggiato me stesso, e guardate che io non avrei fatto ricorso a quelle misure se non fossero andati in gioco gli interessi della nazione. Ma un popolo non rispetta un Governo che si lascia vilipendere! (Approvazioni) Il popolo vuole specchiata la sua dignità nella dignità del Governo, e il popolo, prima ancora che lo dicessi io, ha detto: Basta! La misura è colma!

Ed era colma perché? Perché la spedizione dell'Aventino ha sfondo repubblicano! (Vivi applausi; grida di: "Viva il re!"; i ministri e i deputati sorgono in piedi; vivissimi, generali, prolungati applausi, cui si associano le tribune) Questa sedizione dell'Aventino ha avuto delle conseguenze perché oggi in Italia, chi è fascista, rischia ancora la vita! E nei soli due mesi di novembre e dicembre undici fascisti sono caduti uccisi, uno dei quali ha avuto la testa spiaccicata fino ad essere ridotta un'ostia sanguinosa, e un altro, un vecchio di settantatré anni, è stato ucciso e gettato da un muraglione. Poi tre incendi si sono avuti in un mese, incendi misteriosi, incendi nelle Ferrovie e negli stessi magazzini a Roma, a Parma e a Firenze. Poi un risveglio sovversivo su tutta la linea, che vi documento, perché è necessario di doa.unentare, attraverso i giornali, i giornali di ieri e di oggi: un caposquadra della Milizia ferito gravemente da sovversivi a Genzano; un tentativo di assalto alla sede del Fascio a Tarquinia; un fascista ferito da sovversivi a Verona; un milite della Milizia ferito in provincia di Cremona; fascisti feriti da sovversivi a Forli; imboscata comunista a San Giorgio di Pesaro; sovversivi che cantano Bandiera rossa e aggrediscono i fascisti a Monzambano.

Nei soli tre giorni di questo gennaio 1925, e in una sola zona, sono avvenuti incidenti a Mestre, Pionca, Vallombra: cinquanta sovversivi armati di fucili scorrazzano in paese cantando Bandiera rossa e fanno esplodere petardi; a Venezia, il milite Pascai Mario aggredito e ferito; a Cavaso di Treviso, un altro fascista è ferito; a Crespano, la caserma dei carabinieri invasa da una ventina di donne scalmanate; un capomanipolo aggredito e gettato in acqua a Favara di Venezia; fascisti aggrediti da sovversivi a Mestre; a Padova, altri fascisti aggrediti da sovversivi.

Richiamo su ciò la vostra attenzione, perché questo è un sintomo: il diretto 192 preso a sassate da sovversivi con rotture di vetri; a Moduno di Livenza, un capomanipolo assalito e percosso.

236 Scritti politici di Benito Mussolini

Voi vedete da questa situazione che la sedizione dell'Avcnlin o h;1 avuto profonde ripercussioni in tutto il paese. Allora vi ene il momento in cui si dice basta! Qllando due elementi sono in 101.tn t.: so no irriducibili, la soluzione è la forza. (Vive approva zio ni. Vi 11i applausi. Commenti)

Non c'è stata mai altra soluzione nella storia e non ce ne sarà mai. O ra io oso dire che il problema sarà risolto. Il fascismo, Governo e Partito, sono in piena efficienza. Signori!

Vi siete fatte delle illusioni! Voi avete creduto che il fascismo fosse finito perché io lo comprimevo, che fosse morto perché io Io castigavo e poi avevo anche la crudeltà di dirlo. Ma se io mettessi la centesima parte dell'energia che ho messo a comprimerlo, a scatenarlo, voi vedreste allora. (Vivissimi applausi)

Non ci sarà bisogno di questo, perché il Governo è abbastanza forte per stroncare in pieno definitivamente la sedizione dell'Aventino. (Vivissimi, prolungati applausi)

L 'Italia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa . Noi, questa tranquillità, questa calma laboriosa gliela daremo con l'amore, se è possibile, e con la forza, se sarà necessario. (Vive approvazioni)

Voi state certi che nelle quarantott'ore successive a questo mio discorso, la situazione sarà chiarita su tutta l'area. (V ivissimi e prolungati applausi. Commenti)

Tutti sappiamo che ciò che ho in animo non è capticcio di persona, non è libidine di Governo, non è passione ignobil e, ma è soltanto amore sconfinato e possente per la patria. (Vivissi mi, prolungati e reiterati applausi)

Nella mia prima circolare diramata immediatamente dopo la mia assunzione del ministero dell'Interno, e durante i colloqui con ognuno di voi, ho precisato le fondamentali direttive dell'azione dei prefetti nelle provincie. Oggi, che il numero delle provincie è aumentato e la situazione generale politica è assolutamente tranquilla, voglio fissa re piu specialmente le norme alle quali il prefetto deve ispirare qu otidianamente il delicato ed importante esercizio del suo potere. Il prefetto, lo riaffermo solennemente, è la piu alta autorità dello Stato nella provincia. Egli è il rappresentante diretto del potere

"' Ai prefetti. Da "Il Popolo d'Italia», n. 5, 6 gennaio 1924.

La costruzione del regime (1922-1932) 23 7
4. Circolare ai prefetti • [5 gennaio 1927)

esecutivo centrale . Tutti i cittadini, ed in primo luogo quelli che hanno il grande privilegio ed il massimo onore cli militare nel fascismo, devono rispetto ed obbedienza al piu alto rappresentante politico del regime fascista e devono subordinatamente collaborare con lui , per rendergli piu facile il compito.

Là dove necessita, il prefetto deve eccitare e armonizzare l'attività del Partito nelle sue varie manifestazioni. Ma resti ben chiaro per tutti, che l'autorità non può essere condotta a "mezzadria", né sono tollerabili slittamenti di autorità o di responsabilità. L'autorità è una ed unitaria. Se cosi non sia, si ricade in piena disorganizzazione e disintegrazione dello Stato: si distrugge, cioè, uno dei dati basilari della dottrina fascista; si rinnega uno dei maggiori motivi di trionfo dell'azione fascista, che lottò, appunto, per dare consistenza, autorità, prestigio, forza allo Stato, per fare lo Stato uno e intangibile, come è e deve essere lo Stato fascista. Il Partito e l e sue gerarchie, dalle pill alte alle minori , non sono, a rivoluzione compiuta, che uno strumento consapevole della volontà dello Stato, tanto al centro quanto alla periferia.

Il prefetto deve porre la massima diligenza nella difesa del regime contro tutti coloro che tendano ad insidiarlo o ad indebolirlo. Ogni paritetico agnosticismo in materia è deleterio . L'iniziativa alacre ed intelligente della lotta contro i nemici irriducibili del regime, deve essere dei prefetti. Alacre, ho detto, ma anche intelligente, perché talora non conviene di elevare alla dignità cli un magari sperato e sollecitato martirio degli innocui o degli sciocchi. Le nuove leggi di Pubblica Sicurezza, unitamente al complesso degli altri provvedimenti per la difesa dello Stato, permettono ai prefetti di agire con l'inflessibilità necessaria nella eventualità, che appare ogni giorno pili remota, di una ripresa antifascista.

Ma ora che lo Stato è armato cli tutti i suoi mezzi cli prevenzione e di repressione, vi sono dei "residui" che devono sparire. Parlo dello "squadrismo", che nel 1927 è semplicemente anacronistico, sporadico, ma che tuttavia tumultuariamente ricompare nei momenti di pubblica eccitazione. Cosi l'illegalismo deve finire. Non solo quello che esplode nelle piccole meschine prepotenze locali, che danneggiano anch'esse il regime e seminano inutili, nonché pericolosi rancori, ma anche l'altro, che si sferra dopo gravi avvenimenti.

Ora bisogna ben mettersi in mente che qualunque cosa accada o mi accada, l'epoca delle rappresaglie, delle devastazioni, delle violenze, è finita; e soprattutto qualunque cosa accada o mi accada, i prefetti dovranno impedire con ogni mezzo, dico ogni mezzo, anche il semplice delinearsi cli manifestazioni contro sedi di rappresentanze straniere. I rapporti tra i popoli sono troppo delicati e possono avere tali sviluppi, che è assolutamente intollerabile che essi siano alla

238 Scritti politici di Benito Mussolini

mercé di dimostrazioni irresponsabili o di agenti provocatoi:i in c..:c rca del fatto irreparabile. Chiunque dei prefetti non agirà in tal senso, sarà considerato come un servo imbelle o traditore del regim e fascista, e come tale lo punirò.

Né v'è bisogno di aggiungere che il prefetto deve sempre dire la verità al Governo, specialmente quando è ingrata. L'ordine pubblico non deve essere minimamente turbato. L'ordine pubblico tutelato e garantito significa il calmo, proficuo svolgimento di tutta l 'attività della n azione . Date le forze politiche e militari di cui dispone il regime ed il crescente consenso del popolo, nonché l'inquadramento corporativo delle masse, l 'ordine pubblico non è mai stato, durante questi cinque anni, né sarà mai turbato in seguito su vasta scala o in maniera pericolosa. Comunque, il prefetto fascista previene con la sua azione vigilante; previene, dirimendo le cause di ogni specie che possano turbare l'ordine pubblico . Una tempestiva prevenzione rende inutile una costosa e tardiva repressione. Ma, accanto all'ordine pubblico, che è, nella estrinsecazione immediata, un problema di polizia, il prefetto fascista si occupa della tutela dell"' ordine morale", cioè compie un'azione di conciliazione, di equilibrio, di pace, di giust izia, per cui ]"'ordine morale" fra i cittadini diventa il presupposto e la migliore garanz ia dell"' ordine pubblico". Coloro che spesso con rischio della vita applicano le leggi contro gli elementi antisociali - parlo dei reali carabinieri, delle camicie nere, degli agenti di Pubblica Sicurezz a - meritano gran cons iderazione e rispetto.

Un regime totalit ario e autor itario come quello fasci sta, deve porre la massima diligenza e lo scrupolo sino all'estremo per quanto concerne l'amministrazione del pubblico denaro. Piu volte dissi che il denaro del popolo è sacro. Occorre quindi che tutte le gestioni d'ordine amministrativo e finanziario, dai comuni ai sindacati, siano oggetto della piu vigilante attenzione e del piu assiduo controllo . Il prefetto fascista deve tenersi in continuo contatto coi podestà. Tutti coloro che amministrano pubblico denaro devo no essere di specchiatissima probità. Soprattutto nell 'Italia meridionale, il pre fetto del regime fascista deve instaurare l 'epoca dell'assoluta moralità amministrativa, spezzando risolutamente le sopravvivenze camorristiche ed elettoralistiche dei vecchi regimi .

Similmente all'azione di controllo, secondo le leggi istitu zionali del regime, il prefetto fascista deve procedere alle epurazioni che si rendano necessarie nella burocrazia minore, e indicare al Partito e all e organizzazioni responsabili del regime gli elementi nocivi . Il pre fetto fascista deve imporre che siano allontanati e banditi da qunlunque organizzazione o forza del regime tutti gli affaristi , i prorinatori, gli esibizionisti, i venditori di fumo, i pusillanimi, gli infetti di

La costruzione del regime (1922 -1 932) 2}9

lue politicantista, i vanesi, 1 seminatori di pettegolezzi e di discordie , e tutti coloro che vivono senza una chiara e pubblica attività .

L'Italia, a differenza di altri paesi, ha potuto salvaguardare nelle Associazioni dei reduci di guerra, l'incomparabile patrimonio morale della vittoria. Le madri e vedove dei caduti in guerra e fascisti, l'Associazione dei mutilati e invalidi, le medaglie d'oro, il Nastro azzurro , l'Associazione nazio nale dei combattenti, quella dei volontari e altre minori, costituiscono un complesso di forze preziosissime per il regime . Esse apportano al regime il consenso disinteressato e sincero di milioni di italiani. Sono gli italiani che hanno lasciato in guerra centinaia di migliaia di morti gloriosi; sono gli italiani che hanno combattuto e sanguinato per quaranta mesi; sono gli italiani che portano nelle carni i segni del sacrificio e del dovere compiuto . I prefetti del regime fascista devono tenere nel massimo conto queste forze, sorreggendone le iniziative e circondandole di un alone di oprante simpatia.

Il prefetto fascista non è il prefetto dei tempi demoliberali . Allora, il prefetto era soprattutto un agente elettorale; ora che di elezioni non si parla piu, il prefetto cambia figura e stile: il prefetto deve prendere tutte le iniziative che tornino di decoro al regime, o ne aumentino la forza e il prestigio, tanto nell'ordine sociale, come in quello intellettuale. I problemi che assillano in un dato momento le popolazioni (case, caroviveri), de vono essere affrontati dal prefetto . È il prefetto che deve vigilare perché le misure del Governo , d'ordine sociale o afferenti ai lavori pubblici, non subiscano intralci di natura locale. Col nuovo ordinamento amministrativo e corporativo, è al prefetto che deve fare capo tutta la vita della provincia, ed è dal prefetto che la vita della provincia deve ricevere impulso, coordinazione, direttive.

Il prefetto deve andare incontro ai bisogni e alle necessità del popolo anche quando non trovano modo di manifestarsi attraverso un Ente o un ordine del giorno . Egli de ve scovare i bisogni inespressi e le troppe miserie ignorate , onde sia possibile bonificare moralmente e politicamente in profondo, e mostrare al popolo che lo Stato fascista non è nno Stato egoista, freddo, insensibile. Senza demagogie e servilismi, fare del bene alla gente che lo merita . Quest'opera di assistenza e simpatia deve particolarmente esplicarsi verso le nuove generazioni che vanno inquadrandosi , nei balilla e nelle avanguardie . Bisogna considerare questi adolescenti come la grande, splendente promessa dell'Italia fascista di domani .

Conclusione : queste sono le direttive. So che sie te dei fedeli rappre senta nti dello Stato fascista. Le applicherete dunque con intelligenza, con assiduità, con fede.

240 Scritti politici di Benito Mussolini

5. Agli operai di Milano • Opera i milanesi!

Credo che sia la prima volta nella storia del mondo , e certam c111c la prima in quella d'Italia, che una massa cosi imponente di lavoratori si muove per incontrare un capo del Governo, il capo del Gove rno fascista, il capo di quel regime invincibile ("benissimo.'") contro il quale invano si muove la turpe calunnia o la inacidita filosofia o la tecnica dei criminali. (Accl amazioni )

Ciò che rende eloquente e suggestiva la vostra manifestazione è il cara ttere cristallino, documentabile della sua assoluta spontaneità. (" Si, è vero'").

Dopo quasi sei anni di regime io affermo, con piena coscienza, che nessun regime del mondo è andato incontro alle masse operaie con la fraternità piena e profonda del regime fascista. (Applausi)

Abbiamo cercato di dare case decorose al popolo e quando si abusava della libertà ho promulgato l a legge sugli affitti. (Acclamazioni)

Abbiamo, per i primi, stabilito per legge la giornata delle otto ore di lavoro , mentre Stati piu ricchi e che hanno la vaga nomea di democratici ne discutono ancora . (Ripetute ovazioni)

Abbiamo messo sullo stesso piano il capitale e il lavoro, e abbiamo cre ato la Magistratura del lavoro, che riconosce il diritto quando i I dovere è stato compiuto . ("Bene!")

Né insisto su tutto quello che è stata la nostra attività per controllare, per contenere, per diminuire, là dov e era possibile, i prezzi al minuto. (" È vero!")

Se qualche piccolo sacrificio ve lo abbiamo richie sto, voi lo avete accolto con quella perfetta disciplina di cui dà prova il popolo italiano da cinque anni a questa parte . Ma, accogliendo queste rinunce, vi siete messi nella condizione migliore per ottenere dei miglioramenti quando le condizioni lo permetteranno. ("B ene !")

Operai!

Chi è testimonio immediato della mia fatica sa che non ho che una passione: quella di assicurarvi del lavoro , di aumentare il vostro bene ssere e di elevarvi moralmente e spiritualmente. (Acclamazioni ripetute ed entusiastiche)

Pieno di profondo significato è questo vostro viaggio; siete i lavoratori della piu industriosa e della piu potente città d'Italia, che vengono in pellegrinaggio devoto alla capitale. Ciò serve per conoscerci meglio, ciò serve per conoscere quale è stata l'ine guagliabile storia del popolo italiano. Sono sicuro che, dopo aver pellegrinato per le

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.. Discorso pronunciato a Roma, al Colosseo, il 29 aprile 1928. Da "Il Popolo d'ltalh1\ n. 103, 1° maggio 1928 , XV.

strade di Roma, voi, ritornando a Milano, sentirete con maggiore orgoglio il privilegio di essere italiani. ("Si!" Ovazioni)

Quando riprenderete la vostra quotidiana e feconda fatica , dite ai vostri compagni di banco, di officina e di casa che contro il fascismo non c'è nulla da fare (entusiastiche acclamazioni), perché esso rappresenta un progresso nella storia della civiltà umana, tanto è vero che tutti i vecchi partiti , tutte le vecchie ideologie, nessuna esclusa, sono contro di noi. Noi, la rivoluzione; essi , la controrivoluzione . (Applausi fragorosissimi)

Operai milanesi!

Vi rinnovo l'attestazione della mia simpatia, che è rude, ma sincera.

6. All'assemblea degli industriali • Camerati! Signori!

Questa vostra adunata segna una data memorabile nella storia della giovane ma già forte industria italiana . Come il vostro presidente ha detto nella sua esauriente e fervida relazione, è questa la prima adunata di tutti gli indu striali italiani. Adunata, non congresso, nel senso tradizionale e forse un poco arcaico della parola, e quindi non avrà lo svolgimento dei congressi, con discussioni piU o meno oziose e ordini del giorno piu o meno indovinati.

Adunata , secondo lo stile fascista, e cioè pochi discorsi, ma buoni, poche deliberazioni, ma precise, e sopra tutto lo spirito di solidale e consapevole disciplina nell'unità degli sforzi e degli obiettivi, per cui io reputo il valore di questa adunata molto importante dal punto di vista politico e morale . Ecco raccolti in Roma , nel sesto anno del regime, migliaia e migliaia di industriali, che vengono da tutte le regioni, che rappresentano tutta la gamma delle possibilità, che hanno dato piena adesione al regime: il mondo deve prenderne atto, poiché nel mondo non si è ancora veduto lo spettacolo di un'assemblea come questa. A darvi particolare rilievo, non è soltanto il numero e lo spirito, ma la presenza del segretario del Partito e quella degli organizzatori dei sindacati operai fascisti: il primo a ricordare che, senza il Partito e la profonda rivoluzione operata dalle camicie nere , non sarebbe stata possibile e nemmeno pensabile questa grandiosa assemblea; gli altri, a provare che la collaborazione è un fatto ormai entrato nel costume e che si appalesa dalla presenza o dall'assenza in determinate manifestazioni.

* Intervento pronunciato il 22 giugno 1928 al primo congresso della Confederazione ge· nerale fascista dell'industria italiana, Da "Il Popolo d'Italia " , n. 138, 141, 149; 10, 14, 23 giugno 1928, XV.

242 Scritti politici di Benito Mussolini

Voi vi adunate a Roma, mentre può dirsi giun ta al termine, e in un periodo di tempo che appare miracolosamente breve, l'ardua e fa. ticosa opera compiuta dal regime per organizzare la società nazional e. Anche nelle altre nazioni esistono forze organizzate nel terreno politico e in quello economico: ma quest e forze, salvo i sempre avvenuti e possibili e talora miserevoli compromessi sotterranei, sono fuori dello Stato e spesso contro lo Stato. Per la prima volta nella storia del mondo, non una piccola, ma una grande società nazionale dj ben quarantadue milioni è organizzata nello Stato e dallo Stato. E, fenomeno pill singolare ancora, è che nessuno vuole rimanere estraneo a questa organizzazione.

L'italiano del 1928 vuole essere una unità di questo gigantesco inquadramento, poiché sente che egli sarebbe un ilota qualora ne fosse un escluso . Quale capovolgimento di posizioni mentali e politiche! Cosf, la posizione vostra , o industriali italiani, è definita sotto il suo triplice aspetto politico, professionale, morale , quale risulta dalla legislazione fascista, dalla legge del 3 aprile 1926 in poi. La vos tra posizione professionale è fissata dalla Carta del lavoro, quando vi attribuisce senza equivoci la gestione e l a responsabilità dell'a· zienda. Ma è sulla vostra posizione "morale" che mi piace di soffermarmi.

Voi siete oggi balzati all'avanguardia di una gran de trasformaz ione, che viene effettuandosi nel tipo di economia capitalistica e che prelude, forse non solo in Italia, al nuovo tipo cli economia corporativa. Ho l'orgoglio di avere previ sto questo fata le andare nell'immediato dopoguerra. Il capitalista, cosi come ci fu dipinto dalle letterature presocialistiche, non esiste pill. Si è verificata una separazione tra capitale e gestione, tra industriale e capitalista. Il capitale, col sistema delle società anonime per azioni, si è dilatato, talora sino alla polverizzazione. I possessori del capitale di un'azienda, attraverso il possesso delle azioni, sono spesso innumerevoli . Mentre il capitale diventava anonimo ed il capitalista del pari , balzava al primo piano dell'economia il gestore dell 'impresa, il capitano d 'industria, il creatore della ricchezza. Lo stesso impiego della terminologia militare sta a provare che gli industriali possono essere definiti "i quadri", sul terreno produttivo, del grande esercito dei lavoratori. Da ciò discendono conseguenze che vedremo tra poco. La produzione della ricchezza passa quindi dal piano dei fini individu ali a quello dei fini nazionali. Da questa nostra nuova posizione politicomorale scaturiscono dei nuovi doveri, delle vere necessità. La co llabcrazione, piu. ancora che dalle leggi o dagli istituti o dalla volonl:Ì, è imposta dalle cose, cioè dalla fase attuale dell'economia. Questa co llaborazione deve essere interpretata ed attuata nel suo pill vasto signi ~ ficato: gli operai , come le truppe, sono gli elementi indispensabili pe r

Lt1 costruzione del regime (1922-1932) 243

la battaglia, e la vittoria è anche il risultato dei rapporti che si stabiliscono tra ufficiali e soldati. La collaborazione deve essere aperta, leale, senza riserve o ripieghi. Ancora e sempre il fatto e l'esempio valgono piu delle verbali propagande. Cosi, nel sistema fascista, gli operai non sono piU degli "sfruttati", secondo le viete terminologie, ma dei collaboratori dei produttori, il cui livello di vita deve essere elevato materialmente e moraJmente, in relazione ai momenti ed alle possibilità.

Io affermo che, in tempo di crisi, è nell'interesse degli operai di accettare una decurtazione di salari; ma, a crisi superata, è nell'interesse degli industriali di riaumentare i salari , riequilibrando la situazione. Non è possibile, in Italia, per troppo ovvie ra gion i, la politica fordista degli alti salar!, ma non è nemmeno consigliabile la politica dei bassi salari:, la quale, deprimendo i consumi di vaste masse, fini sce per danneggiare l'indu stria stessa.

Per debito di lealtà e di verità, aggiungo che gli industriali italiani, nella loro enorme maggioranza condividono queste idee, e lo dimostra l'ingente mole di contratti collettivi firmati , nei quali sono s tate consacrate le clausol e della Carta del lavoro.

Né passerò sotto silenzio l'atteggiamento d'aperta adesione che gli industriali hanno dato alle realizzazioni della legislazione sociale, anche le pill audaci, come l'assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi, o gli atti di munificenza a favore dell'arte, della scienza o della pietà umana. Questo dimostra che l'orizzonte degli industriali fascisti non si limita a quello dell'officina , sibbene abbraccia alt ri aspetti e altre manifes tazioni della vita.

Camerati! Signori!

Sulla crisi e sul suo andamento vi ha parlato il vostro pre sidente. Crisi vi sono state e vi saranno sempre . È perfettamente comprensibile che, prima della guerra, le crisi economiche raramente avessero carattere di universalità; è perfettamente comprensibile che la guerra mondiale abbia determinato una crisi mondiale. Ma io credo che siano già in atto gli elementi risolutivi della crisi. Lo voglio brevemente accennare. Prima di tutto, la pace politica tra le nazioni. Dopo la guerra vi sono stati dei conili tt i fra Stati, conflitti che, come quello ru sso-polacco o greco-turco , possono dirsi periferici . È da prevedere però che la pace non sarà turbata fra le grandi nazioni d'occidente, che sono quelle che dànno l'indirizzo alla civiltà del mondo . Dopo la pace politica, la pace sociale. Assistiamo all'ecliss i della lotta di classe. Dopo l'ultimo sciopero dei minatori inglesi, le classi europee sono entrate in un periodo di stasi. D'altra parte, ben pill irreparabile che l'eclissi della lotta di classe , è l'eclissi del socia lismo come dottrina e come pratica . Per uno di quei paradossi che sono abbastanza frequenti nella storia, la rivoluzione russa si è

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risolta nell'impreveduta e imprevedibile apoteosi del capit:a li s1110, che è diventato capitalismo di Stato. Lo Stato socialista è, infaui , 1111 0 Stato capitalista all'ennesima potenza. Tutto il resto, dai sa hir1 , d1c so no pagati non secondo i bisogni , ma secondo la capacità, nll:i B1,rsa, dove si commerciano titoli e monete, tutto il resto è, din:vo , come nel vecchio mondo, illuminato dal vecchio sole del passato. Altro fondamentale elem ento risolutore della crisi è il ritorno alla parità aurea delle monete europee. A tale proposito non posso che definire grottesca la voce che il Governo italiano penserebbe a "rivedere" in peggio la quota di stabilizzazione, in vista di quello che si prepara in Francia, e chiamo senz'altro criminosi i tentativi di svendita di lire a tale scopo.

Questi tentativi saranno nuovamente, duramente colpiti. Sulla quota della stabilizzazione legale si è già determinato un equilibrio che sarebbe catastrofica follia turbare . Il Governo non sarebbe degno di governare un'ora sola di pill se commettesse tale follia. Sia, dunque , chiaro per tutti , per quelli che eventualmente soffrissero di nostalgie segrete, per i gonzi e per i mistificatori. E sia pacifico soprattutto per voi, industriali, che avete collaborato a determinare il nuovo equilibrio, condizione necessaria per la vostra attività.

Tra gli elementi risolutivi della crisi va rico r dato il capitolo debiti, riparazioni, trasferimenti, clie forse si avvia alla fine; la possibile ripresa dei grandi mercati ru sso, indiano, cinese; l'aumentato rendimento degli operai; la fatale e benefica strage delle imprese deficienti; e ultimo, ma importantissimo per qucl che concerne l'Italia , un 'annata agricola che si annuncia particolarm ent e felice.

Per accelerare il processo risolutivo di questa cri si concorrerà, come è logico, l'a zione del Governo. Questa azione vi è perfettamente nota, non soltanto attraverso la pratica di ogni giorno e l'opera attivissima del ministero delle Corporazioni, ma anche attraverso gli i stituti creati, che vanno, ad esempio, dall'Istituto nazionale della esportazione all ' I stituto di credito, al Consiglio nazionale delle ricerche. Tale azione continuerà sempre pill intensa ed organica, diretta, in primo luogo, a migliorare i servizi pubblici.

C'è un punto oscuro: l e strade. Ma saranno prese d'assalto, secondo un piano già da me approvato sino nei particolari, dall'ottobre prossimo in poi.

Salvo imprevedibili necessità , è mia intenzione di non aggravare Ja pressione fiscale , e mi conside rerei straordinariamente fortunato ~e mi fosse conce sso di alleggerirla. Del resto, sarà sempre opportuno proclamare che il Governo fascista è quello che ha abolito il ma ggior numero di tasse ed imposte. L,elenco esatto è qui , a vos trn disposizione. Il totale dell 'alleggerimento tributario ascend e a 126 0

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milioni. Naturalmente, Enti pubblici o privati che chiedono nuove spese, devono sapere che chiedono nuove tasse. L'opera del Governo si perfezionerà nella difesa del bilancio, che si chiude e si chiuderà con un avanzo e nel disintere_s~er le imprese cronicamente malate: lo glio nefasto, che non deve pÌU oltre contaminare il grano ... Camerati! Signori!

Schematicamente fissate, le vostre direttive di azione non possono essere che queste: collaborazione solidale, vorrei dire fascisiicamente schietta e cordiale, coi tecnici e con gli operai, concentrazione delle energie all 'interno , fronte unico in faccia al mondo, valorizzazione dell'artigianato , alleanza stretta con l'agricoltura , che è la base della economia italiana. Come i sindacati dei lavoratori, cosi anche i vostri sindacati devono sentire l'orgoglio di collaborare a questa radicale trasformazione della vita nazionale, per cui il popolo italiano sta compiendo, in perfetta disciplina e con sempre piu fiera consapevolezza, una di quelle grandi esperienze storiche che costituirono in ogni tempo l'alto privilegio riserv ato alle nazioni direttrici della civiltà umana.

7. Il numero come forza •

Non conosco personalmente l'autore del libro Diminuzio ne delle nascite: morte dei popoli, né lo conoscevo di fama, prima che mi capitasse sott'occhio un fascicolo dei Siiddeutsche Monatshefte (Quaderni mensili della Germania meridionale) contenente - prefazionato da Osv aldo Spengler - sotto forma di opuscolo, quello che, ampliato e riveduto , io presenterò fra poco come volume al pub· blico italiano e in particolar modo al pubblico fascista. Chi sia Osvaldo Spengler è noto agli studiosi che hanno seguito le ultime espressioni del pensiero politico e filosofico tedesco. La sua opera Untergang des Abendlandes (Decadenza dell'Occidente) è stata a suo t empo oggetto di vivo in teressamento e di non meno vive polemiche. Il dott. Riccardo Korherr è un bavarese di Regensburg di modeste origini, che ha fatto i suoi corsi uni versitari in legge e sociologia a Monaco ed Erlangen. Giovane, egli è nato nel 1903, potrebbe già aspirare ad una cattedra universitaria, ma egli vi ha rinunziato per essere, com'egli stesso mi scrive, "pi\l libero nella lotta che intende

'* Da •Gerarchia~, n. 9, settembre 1928, VIII. Pubblicato come prefazione all'opera: R1ccARDO KoRHERR, Regresso delle nascite: morte dei popoli, reca la data del 1° settembre. Roma 1928.

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Benito Mussolini

condurre in difesa della civiltà occidentale , m inacci:ll'a da un co mplesso di idee mendaci che vanno dalla fratellanza un ivc rsnle, :1 !1 :1 felicità dei piu, dall'edonismo pacifondaio al controllo delle n:i sc it ·". Il suo libro è un episodio di tale battaglia. Per coloro che li:11111<> meditato su i fenomeni demografici nei tempi passati e p 1·csl'11ti, il libro stesso non apporta lumi speciali. Ci sono qua e là del le in,· sattezze, almeno per quanto concerne l'Italia, come dimostrerò frn poco . Ma il libro è destinato al grande pubblico , facile vittima dei pregiudizi edonistici orpe llati spesso di falsa scienza e, dato questo scopo, il libro , per la sua esposizione dramrnatica, per i suoi richiami storici, per i suoi riferimenti al mondo contemporaneo , per la sua ampia documentazione statistica, è di una potente efficacia. La dimostrazione che il regresso delle nascite attenta in un primo tempo alla potenza dei popoli e in successivi tempi li conduce all a morte, è inoppugnabile. Anche le varie fasi di questo processo di malattia e di morte, sono esattamente prospettate e hanno un nome che le riassume tutte: urbanesimo o metropolismo, come dice l'autore.

Aumento patologico

A un dato momento la città cresce morbosamente, patologicamente, non, cioè, per virtu propria , ma per un apporto altrui. PiU la città aumenta e si gonfia a metropoli, e piu diventa infeconda.

La progressiva sterilità dei cittadini è in rela zione diretta co ll 'aumento rap idamente mostruoso de lla città. Berlino che in un seco lo è passata, da centomila , a oltre quattro milioni di abitanti, è, oggi, la città piu sterile del mondo. Essa ha il primato del piu bas so quoziente di natalità non piu compensato dalla diminuzione delle morti. La metropoli cresce , attirando verso di sé la popolazione della campagna, la quale, però, appena inurbata, diventa - al pari della preesistente popolazione - infeconda. Si fa il deserto nei campi; ma quando il deserto estende le sue plaghe abbandonate e bruciate, la metropoli è presa alla gola: né i suoi commerci, né le sue industrie, né i suoi oceani di pietre e di cemento arma to, possono ristabilire l'equilibrio oramai irreparabilmente spezzato: è la catastrofe.

La città muore, la nazione - senza piu le l infe vitali della giovinezza delle nuove generazioni - non può piU resistere - composta com'è oramai di gente vile e invecchiata -a un popolo pill g iovane che urga alle frontiere abbandonate. Ciò è accaduto. Ciò pu,', ancora accadere. Ciò accadrà e non soltanto fra città o nazi o ni , ma in un ordine di grandezze infini tamente maggiore: l a int ern rnzza

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bianca, la razza dell'Occidente, può venire sommersa dalle altre razze cli colore che si moltiplicano con un ritmo ignoto alla nostra. Negri e gialli sono dunque alle porte?

L e razze prolifiche

Si, sono alle porte e non soltanto per la loro fecondità ma anche per la coscienza che essi h anno preso della loro razza e del suo avvenire nel mondo. Mentre, ad esempio, i bianchi degli Stati Uniti, hanno un miserevole quoziente di natalità - che sarebbe ancora pill miserevole, se non vi fossero l e iniezioni di razze ancora prolifiche come gli irlandesi, gli ebrei, gli italiani - i negri degli Stati

Uniti sono ultra fecondi e ammontano già al totale imponente cli quattordici milioni, cioè un sesto della popolazione della Repubblica stellata. C'è un grande quartiere cli New York, Harlem, popolato esclusivamente cli negri. Una grave rivolta cli negri scoppiat a nel lu glio scorso in detto quartiere, fu a stento domata, dopo una notte di conflitti sanguinosi, dalla polizia, che si trovò di fronte masse compatte cli negri.

Che cosa può significare nella storia futura dell'Occidente, una Cina di quattrocento milioni di uomini, accentrati in uno St ato unitario?

E venendo piu vicino a noi che cosa può significare per il resto d'Europa la Russia, il cui quoziente di natalità è altis simo, tanto che - malgrado guerre, epidemia , bolscevismo, carestia, esecuzioni in massa - l a popolazione della Russia si aggira oggi sui centoquaranta milioni di abitanti? Le campane d'allarme squillano. Coloro che vedono un po' piu in là della quotidiana contingenza (a mio avviso non ha diritto di governare una nazione chi non sia capace di guardare almeno a cinquanta anni di distanza) sono preoccupati.

Situazioni europee

Nella nazione piu industriale e mercantile cli Europa, la Gran Bretagna, si invoca da studiosi e da politici un "ritorno alla terra". Ma come portare alcuni, soltant o alcuni dei molti milioni di londinesi ammucchiati nella metropoli, di nuovo verso le campagne? Si può fare il cammino a ritroso?

Il ministero dell'Agricoltura risponde con una nota cli pessimismo. Negli ultimi venti mesi la terra arata è diminuita cli altri ottantamila ettari, il che significa una diminuzione cli oltre duecentomila quintali, nel già esiguo raccolto di grano valutato a un milione e duecentomila quintali.

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Dunque Londra cresce, ma si fa il deserto nelle campagne ing lesi. f; noto che nel 1927 l 'Inghilterra ha superato Francia e C c r111 :mi:1 come minimo cli natalità. Anche nelle belle feconde pianure di 11ra ncia il deserto guadagna - ironico e tragico bisticcio di parole!guadagna terreno perché l ' urbanesimo sterile ha - per nutrirsi!spopolato e devastato i villaggi ed i casolari . Ecco un vero gr idu cli angoscia, lanciato recentemente da Giuseppe Barthelemy, membro dell' I stituto cli Francia.

Noi sappiamo che vi sono oggi in Francia - egli scrive - due volte pili stranieri di prima della guetra: un milione nel 1911, due milioni e mezzo nel 1926 ; ciò rappresenta il sei per cento della popolazione totale. Su cento abitanti dell a Francia, ve ne sono sei che non sono francesi. t una proporzione impressionante. Dal 1918 al 1926 sono stati introdotti in Francia 853 mila lavoratori dell'industria e 600 mila contadini, ciò che rappresenta un totale di un milione e mezzo cli individui. Secondo le nostre vecchie statistiche del 1922, gli stranieri avevano già in mano 333.800 ettari di terra, di cui 90.500 erano loro proprietà, mentre occupavano il resto con mezzadri e contadini. Nel 1926 l'Italia ha fornito il diciotto per cento dell'importazione della mano d'opera. Non vi sono dunque abbastanza francesi per coltivare la terra in Francia. È un fatto. Noi abbiamo troppa terra per le nostre braccia. L'Italia ha troppe braccia per la sua terra. Che cosa val meglio? È la scelta tra la gioventU, la vitalità, la fecondità da una parte e dall'altra l'età matura, l'età troppo matura, che ann unzia la senilità. "L'emigrazione, " diceva Mussolini nel 1924, "deve essere considerata non come un fenomeno doloroso di miseria e di d ebolezza, ma come un problema morale e polilico di forza•.

Identiche preoccupazioni affiorano negli elementi responsabili delJa politica belga cli front e al declino progressivo delle nascite . Anche la Svizzera accusa lo stesso morbo, cogli stessi fatali effetti.

Il Vaterland del 21 agosto u. s., giornale conservatore cli Lucerna, getta un grido cli allarme per l a diminuzione della natalità in Svizzera.

La verità che balza limpida agli occhi di chi non si contenta di vivere alla giornata - dice· il giornale - è questa: " La Svizzera è in preda ad un lento moto di disgregazione e di decadimento".

Da una tabella statistica risulta che le nascite che nel 1901 erano 29 per ogni mille abitanti sono discese nel 1926 a 18,2, mentre la Francia in questo anno ne aveva ancora 18 ,8 e l'Italia 27 ,2.

Non c'è che dire: siamo ormai al disotto della Francia, prosegue il Vaterland; né è motivo di alcun sollievo il vedere che qualche altra nazione è scesa piU in ba sso della nostra media perché le cifre prese a sé sono di una terribile gravità. Esse dicono che siamo ormai al limite estremo, oltre il quale è scrilln lo condanna a morte cli una nazione; n é il moto accenna a rallentare.

Come si vede, l'ansietà è dovunque diffusa.

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Basta questo, a fare giustizia di rutte le assurde pseudo scientifiche o filosofiche vociferazioni dei neomaltusiani. Nessuno , oggi, prende piu sul serio la famigerata sedicente legge di Malthus. Ci si domanda come si possa ancora seriamente discutere attorno a questa specie di "patacca" scientifica.

È stato dimostrato che prendendo a punto di partenza la popolazione esistente sulla faccia della terra all'epoca di Malthus e applicando la legge di Malthus a ritroso nei secoli, si giungerebbe a questa mirabolante nonché grottesca conclusione: che ai tempi dell'Impero romano la terra non aveva abitanti!

Falsa è la resi che la qualità possa sostituire la quantità, tesi che io ho ribattuto energicamente non appena fu avanzata quasi a giustificazione della purtroppo progressiva flessione della natalità italiana; falsa ed imbecille è la tesi che la minore popolazione significhi maggiore benessere: il livello di vita degli odierni quarantadue milioni di italiani è di gran lunga superiore al livello di vita dei ventisette milioni del 1871 o dei diciotto del 1816.

Vero è, invece , che i benestanti sono i meno prolifici (fenomeno di egoismo morale, dunque!). Vero è, invece, che le famiglie piu deserte di bambini sono quelle che non soffrono penuria di ambienti. Di queste e di altre consimili "falsità" pseudo scientifiche fa efficacemente tabula rasa l 'autore del volume in questione. Il quale autore cade, però, come dicevo, in alcune inesattezze per ciò che concerne l'Italia.

Se il dott. Korherr farà un viaggio in Italia si convincerà:

a) che non è vero che le campagne del Piemonte, Lombardia, Toscana, Romagna, Sicilia siano in particolare decadenza demografica;

b) che non è vero che i negri si spingano sino in Sicilia.

È vero invece - nettamente - il contrario. È vero cioè che i siciliani si sono piantati in masse numerose e compatte nell'Africa romana , mentre in Sicilia di gente di colore non ci sono che mezza dozzina di deportati senussiti e di ori g ine semita.

Situazione dell'Italia

Ma qual'è, a prescindere da questi particolari, la situazione dell'Italia della quale Spengler si occupa, elogiando le prime fasi della mia politica demografica, riassumentesi nella formula netta, chiara, vitale: massimo di natalità, minimo di mortalità?

Sino al maggio del 1927, sino al mio discorso che per mera coincidenza cronologica fu chiamato dell 'Ascensione, gli italiani furono

250 Scritti politici di Benito Mussolini
Tesi false

vittime del luogo comune della "loro straripante natalità". Toccò a me di spezzare, al pari di altri, anche questo luogo comune. La verità è diversa ed è triste; anche in Italia diminuiscono le nascite; anche l ' I tali a soffre del male comune alle altre nazioni europee.

Coloro che hanno una specie di abito mentale ottimista osservnno tuttavia che il decorso della malattia in Italia sembra benigno. Anche questo è un luogo comune e basterà per eliminarlo, esaminare le cifre nel loro totale e nella loro composizione.

Cominciamo dai totali. Il massimo coefficiente di natalità si ebbe nel quadriennio 1881-1885 con trentotto nati per ogni mille abitanti. Poi cominciò la discesa lenta, ma continua.

Le fasi di questa discesa ognuno può vederle nella apposita tavola del Bollettino dell'Istituto centrale di statistica. Nel 1915, all'atto della guerra, il quoziente di natalità è già al 30,5 per mille. In trent'anni circa, abbiamo perduto otto punti. Nello stesso periodo il quoziente di mortalità scende dal 27 al 20 per mille: non arriva, cioè, nemmeno a compensare la diminuita natalità. Gli anni di guerra ed il 1919 seguito immediatamente, non possono dirci gran che. Nel 1920 il quoziente di natalità si spinge a 31,8 per mille, con una mortalità del 18,8 per mille: il quoziente di eccedenza dei nati sui morti è del 13,1 per mille. Il piu alto che si sia registrato dal 1870 in poi.

Ma dopo questa punta comincia il movimento regressivo, che giun ge al quoziente di 26,9 per mille nel 1927. Mentre per perdere otto punti ci sono voluti prima della guerra trent'anni, sono bastati sette del dopoguerra a farne perdere quattro.

Città e campagne

Il moto di diminuzione non è soltanto progressivo ma si accelera ogni anno di piu . Nei primi sei mesi del 1928 le nascite sono diminuite in cifra assoluta di oltre 11 mila nei confronti del 1927; è con questo fatto aggra vante , che si è verificata una specie di crollo in quelle provincie dell'Italia meridionale che sembravano ed erano il vivaio demografico della nazione . Il solito ostinato ottimista potrà osservare che la proporzionale diminuzione della mortalità compensa la diminuita natalità e che in ogni caso un coefficiente del 26,9 per mille è confortante . Tanto è vero che la popolazione italiana è aumentata al netto di 414 mila abitanti nel 1926 , di 457 mila nel 1927, di 239 mila nei primi sei mesi del 1928. L'ostinato ottimista è pregato di seguirmi nell'esame piu intimo delle cifre, e gli farò vedere quale spaventosa agonia demografica si nasconde sotto il cocrficiente globale del 26,9 per mille. Questo coefficiente lo si deve

La costruzione del regime (1922~1932) 251

esclusivamente alla prole dei rurali. Tutta l' I talia cittadina o urbana è in deficit. Non solo non c'è piu equilibrio, ma i morti superano i nati. Siamo alla fase tragica del fenomeno. Le culle sono vuote ed i cimiteri si allargano. Tutte le città dell'Italia centrale e settentrional e accusano lo stesso deficit . Ma una città particolarmente cara al fascismo italiano sembra detenere il lamentevole primato: Bologna.

Basterà enumerare queste cifre che non hanno bisogno di commenti: Dal 1873 al 1927, in un periodo cioè di cinquantacinque anni, si sono avuti in Bologna 2658 nati vivi in piU dei morti, con una media annua di 48 o poco pill! (Resto del Carlino del 31 luglio 1928).

Bologna ha quasi raddoppiato nello stesso periodo di tempo la sua popolazione, rarefacendo la popolazione rurale della provincia, che, per fortuna, è ancora feconda . Nulla di piu umiliante che leggere i bollettini quotidiani dello Stato civile di Bologna, che accusano quasi invariabilmente il doppio dei morti sui vivi!

Anche nell'altra grande limitrofa città emiliana, Ferrara, si passa da 1.312 nati in piu nel 1923 a soli 731 nel 1927: una diminuzione del cinquanta per cento in quattro anni! Né migliori sono le condizioni di tutte le altre città padane: da Parma a Mantova, da Cremona a Modena.

A Firenze i vivi compensano a mala pena i morti; quindi aumento naturale della popol azione : zero . In una situazione analoga o poco diversa si trova no gli altri centri urbani dell a Toscana. A Genova, ne i primi quattro mesi del 1928 , i nati sono stati 3.075, ma i morti 3.338; quindi la popolazione è diminuita di ben 263 unità!

A Torino l a popolazione diminuisce regolarmente da cinque anni a questa parte! E Milano? Nel supplemenro alla rivista Città di Milano del giugno 1928 e riferente i dati complessivi del 1927, leggo queste parole sinistre:

La natalità milanese è una delle piU basse dei grandi centri urbani, superiore solo a Berlino e a Stoccolma.

Il fiero e nobile senso di civismo degli ambrosiani si è dunque rassegnato a questo mortificante primato di decadenza e di morte? Vogliono dunque essi che in un avvenire piU o meno lontano, piazza del Duomo, come già nel buio medioevo il Campidoglio, diventi luogo di pascolo per gli armenti? No. Questo i milanesi non voglio no. Questo i milanesi non possono volere. Qualche chiarore rompe il grigio della loro situazione demografica. Si delinea una ripresa. I nati-vivi i n piu che furono la miseria di 295 nel primo semestre del 1926, salirono a 728 nel primo semestre del 1927; sono aumentati ancora a 1.148 nel primo semestre del 1928. La tendenza al miglio -

252 Scritt i politici di Benito Mussolini

ramento c'è: segnaliamola agli italiani - come sintomo co nfortant e - cosi come la radio inglese di Ru gby ha il 22 agosto u . s. :111111111ciato a tut to il mondo un leggerissim o miglioramento della s itu<1 · zione demografica inglese nei primi mesi del 1928. Le legg i e lo spirito

Non voglio trarre conclusioni affr ettate dalla lieve ripresa milan ese. La mia politica demografica non può avere d ato ancora i suoi frutti .

Ma qui si pone il problema . Le l eggi demografiche - che in ogni tempo legi sla tori di ogni paese adottarono per ar re stare il regresso delle nascite - hanno avuto o po ssono avere una efficacia qual sias i ?

Su questo interrogativo si è discusso animatamente e si continu erà a discu tere ancora. La mia convinzione è che se anche l e leggi si fossero dimostrate utili , tentare bisogna , cosi come si ten tano tutte le medicine anche e soprattutto quando il ca so è disperato. Ma io credo che le leggi demografiche - e l e nega tive e le positive - possono annullare o comunque ritardare il fenomeno, se l'orga nismo sociale al quale si applicano è ancora capace di re azione. In questo caso piti ch e le l eggi formali vale il costume morale e soprattutto la coscienza religiosa dell'individuo. Se un uomo non sente l a gioia e l'orgoglio di essere "continuato " come individuo , come fa mi glia e co me popolo; se un uomo non sente per contto la tristezza e fa onta di morire come individuo, come famiglia e come popolo, ni ente possono le le gg i anche, e vorre i dire sop ratt utto , se draconiane . Ilisogna che le leggi siano u n pungolo al costum e . Ecco che il mio discorso va dirittamente ai fascisti e alle famiglie fasc iste. Questa è la piet ra piti pura del paragone alla quale sarà saggiata la co scie nza delle generazioni fasc iste. Si tratta di vedere se l'anima dell'Italia fa. scis ta è o non è irreparabilmente impes tata di edonismo , borghesisrno, filisteismo. Il coefficiente di natalità non è soltanto l'indice dell a progrediente potenza della p atri a, non è soltanto, come dice Spengler , " l 'unica arma del popolo italiano", ma è anche quello che disti nguerà dagli altri popoli , europei, il popolo fascista, in quan to indicherà la sua vitalità e l a sua volontà di tramandare q uesta vitalità nei seco li . Se noi non rimonteremo la corrente, tutto quanto ha fa tto e fa rà l a rivoluzione fascista , sarà perfettamente in utile perché, ad un certo momento, campi, scuole, caserme, navi , officine non avranno pill uomini. Uno scrittore francese che s i è occupato di que st i problemi h a detto:

Pe r parl are di problemi nazionali occorre in primo luogo che In na zinrn.; c:::hu 11.

f...a costruzione del regime (1922- 1932) 253

Ora una nazione esiste non solo come storia o come territorio, ma come masse umane che si riproducono di generazione in generazione. Caso contrario è la serviru o la fine. Fascisti itali ani: Hegel, il filosofo dello Stato ha detto: Non è uomo chi non è padre!

In una Italia tutta bonificata, coltivata, irri gata, disciplinata, cioè fascista, c'è posto e pane ancora per dieci milioni di uomini. Sessanta milioni d'italiani faranno sentire il peso della loro massa e della loro forza nella storia del mondo.

1° settembre VI.

8. Alla prima assemblea del regime • Eccellenze! Camerati! Signori!

Que sta prima assemblea quinquennale del regime è un fatto nuovo nella storia d'Italia e del mondo. Quinquennale, perché si terrà ad intervalli cli un lustro , dimodoché la prossima avrà luogo nel 1934, anno XII; assemblea del regime, perché raccoglie tutte le forze vive ed operanti della società nazionale, tutti gli uomini che stanno con re sponsabili tà e funzioni definite al vertice delle gerarchie e convergono nella loro azione a un solo fine .

Il fatto che tale assemblea sia regolarmente convocata alla vigilia cli un'elezione a carattere plebiscitario, non deve trarre in inganno. Questa non è un'assemblea elettorale. È piuttosto il gran rapporto dello Stato maggiore della nazio ne. (Bene! Applausi)

Il mio discorso sarà sintetico all'estremo e non avrà nulla di assolutamente o relativamente nuovo per voi protagonisti della storia che si fa. Pili che l'episodio imminente, esso considera il passato e guarda il futuro . Ma questo sarà piu ampiamente prospettato nel discorso della Corona, il 20 aprile. Il carattere totalitario della li sta e del regime dispensa, completamente, da quei motivi politici, spesso cli cattivo genere, che in tempi di ludi cartacei deliziavano e avvilivano la vecchia Italia ante 1922.

La nuova legge elettorale, che è la logica e legittima conseguenza d ella profonda trasformazione costituzionale dello Stato e della creazione dei nuovi istituti corporativi, ha funzionato egregiamente . La nuova Camera sorge attraverso una duplice selez ione e una consacrazione cli popolo, e questo popolo è distinto dal punto cli vista della sua capacità. Tutte le forze hanno avuto modo cli farsi rappresentare, anche quelle che un tempo, in regime di contrastanti partiti, venivano regolarmente ignorate. Scomparso tutto il tristo corteo

* Discorso pronunciato a Roma, il 10 marzo 1929, durante la prima assemblea quin, quennale del regim e. Da "Il Popolo d'Italia", n, 69, 12 marzo 1929, XVI.

254
Scritti politici di Benito Mussolini

di inganni, di pastette, di violenze, che accompagnavano fata lmente le cosiddette battaglie elettorali di una volta, la stessa elezione viene elevata di colpo . Si vota per un'idea, per un regime, non per gli uomini. (Bene!)

Ciò stabilito, mi sia permesso aggiungere, per quell'obbligo di schietta sincerità che mi assiste sempre, che l 'esperimento corporat ivo non poteva essere totale in questa elezione.

Essendo interesse del regime di ricondurre alla Carnera almeno duecento deputati uscenti, 1a ripartizione corporativa ne ha sofferto, e ciò spiega come talune organizzazioni abbiano avuto un numero di posti superiore alla loro consistenza e altre, invece, minore . Ma questo inconveniente verrà ulteriormente ridotto e forse eliminato del tutto nel 1934. Tuttavia i deputati nuovi sono duecento circa . È perfettamente umano che taluno dei seicento esclusi proclami ai quattro orizzonti che la lista non è perfetta, che non tutti i componenti di essa sono perfetti, anzi, nessuno, me compreso. (Ilarità. Si grida: "N o! No! Viva il Duce!") Coloro che covavano la speranza della medaglietta fatidica e non hanno poi visto apparire tale aureo dischetto, sono in uno stato d'animo di delusione. Passerà. Il mondo non è tutto a Montecitorio.

Voglio però dichiarare, a giusta tutela poli tica e morale dei candidati e a mortificazione dei pochi vociferatori delusi, che il Gran Consiglio ha tenuto co nto delle designazioni partite dalle organizzazioni, ha fatto poche aggiunte e ancora minori esclusioni, e che tutti i candidati sono stati sottoposti ad un severo collaudo. Prima di tutto, dal punto di vista della loro fede fascista .

Può interessare la ripartizione della nuova Camera dal punto di vi · sta dell'anzianità fascista: su quattrocento candidati, ve ne sono cinquantacinque che sono del 1919; i tesserati del 1920, sono cinquantaquattro; quelli del 1921, sessantacinque; quelli del 1922, sessanta; quelli de l 1923, cinquanta; quelli del 1924, trentasei; quelli del 1925, trenta.

Su altre osservazioni minori è inutile soffermarsi: basterà dire a coloro che non si ritengono sufficientemente rappresen tati, o come categoria o come territorio , che tutto ciò è anacronismo, dal momento che si tratta di un collegio unico nazionale e di una elezione a tipo plebiscitario. ("Bene!") Leviamoci ora da queste vacue, solitarie recriminazioni, dove stagna il pettegolezzo dei lettori della vita altrui e, in rapida sintesi, facciamo il quadro dell,azione del regime nel settennio trascorso.

Ecco: io ho dinanzi al mio spirito la nostra Italia nella sua configurazione geografica, nella sua storia, nella sua gente: mare, mont:1gnc, .fiumi, città, campagne, popolo. Seguitemi, e cominciamo d:11 mare.

Il mare era negletto: il regime vi ha risospinto gli italiani. La Ma -

La costruzione del regime (1922·1932) 255

rina mercantile decadeva: il regime l'ha risollevata . Durante questi anni sono scesi in mare colossi potenti. I porti erano impoveriti: il regime li ha attrezzati e vi ha creato le zone franche. Il lavoro vi era discontinuo, per via degli scioperi; oggi la disciplina delle maestranze è perfetta. Al mare, fonte di salute e di vita, il regime manda ogni anno centinaia di migliaia di figli del popolo. La passione degli italiani per il mare rifiori sce. Vi riconoscono un elemento della potenza nazionale.

Dal mare eternamente mobile passiamo alle montagne che salvaguardano la nostra piU grande pianura e costituiscono l a spina dorsale della penisola. Una politica della montagna è in atto. I culmini glabri si ricoprono di alberi che la Milizia forestale pianta e protegge: due parchi, uno nel cuore delle Alpi e un altro nel cuore degli Appennini, salvano e conservano la superstite fauna. La politica del regime è diretta a mantenere la popolazione della montagna, ai fini pacifici e a quelli militari.

Tra il mare e le montagne, si stendono valli e piani . La terra nostra è bellissima, ma angusta: trenta milioni di ettari per quarantadue milioni di uomini. Un imperativo assoluto si pone: bisogna dare la massima fecondità a ogni zolla di terra. Il fascismo rivendica in pieno il suo preminente carattere contadino. Di qui la politica rurale del regime nei suoi diversi aspetti: il credito agrario, la bonifica integrale, l'elevazione morale e politica delle genti dei campi e dei villaggi. Solo col fascismo i contadini sono entrati in pieno diritto nella storia della Patria. Volgete gli occhi sull'Agro romano e avrete la testimonianza della profonda trasformazione agraria in via di esecuzione .

In tutte le città d'Italia, il regime ha lasciato tracce della sua attività. Talune di esse furono elevate alla dignità di capiluoghi di provincia. Tutte ebbero provvidenze di carattere edilizio) igienico, scolastico, amministrativo. Roma ebbe, come di ragione, un ordinamento suo particolare.

Una nazione esiste in quanto è un popolo. Un popolo ascende in quanto sia numeroso, laborioso e ordinato. La potenza è la risultante di questo fondamentale trinomio. Bisogna cominciare dall'inizio di ogni vita. A ciò provvede una creazione tipica del regime: l'Opera nazionale per la maternità e l'infanzia. Nel 1928, settantanove milioni sono stati impiegati a tale scopo.

Le generazioni che si affacciano devono trovare delle scuole. Migliaia di edifici scolastici sono stati costruiti: aiuti imponenti furono concessi a molte Università. Il regime ha realizzato una riforma scolastica che ha dato un nuovo stile all'insegnamento, ripristinando la necessaria disciplina e quella dignità che gli studi avevano perduto col prevalere sulle tradizionali correnti umanistiche di altre ten -

256 Scritti politici di Benito Mussolini

denze a :6ni immediati. L'istruzione pubblica ha compiu 10 un formidabile balzo innanzi: le scuole elementari sono crcsciul'C di numero e trovano il loro complemento nd corso triennale di avviamc..:11111 al lavoro. Le scuole medie si sono arricchite del liceo scicnli(,co ,. dell'istituto magistrale. Il Consiglio nazionale delle ricerche e l'Ac cademia d'Italia costituiscono il coronamento dell'edificio della cultura italiana.

Tutto il sistema scolastico italiano è oggi pervaso dallo spirito della guerra vittoriosa, e da quello della rivoluzione fascista. Accanto alle scuole, e quasi ad integrazione delle scuole, la gioventu è raccolta nei balilla e negli avanguardisti, speranza ed orgoglio della patria. Il popolo che lavora è inquadrato nelle istituzioni del regime: attraverso il sindacalismo e il corporativismo tutta la nazione è organizzata. Il sistema che si basa su l riconoscimento giuridico dei sindacati professionali; sul contratto collettivo, sul divieto di sciopero e di serrata, sulla Carta del Lavoro, documento fondamentale di cui si valuterà l a portata sempre maggiore, sulla Magistratura del lavoro, si è già appalesato vitale. Il lavoro e il capitale hanno cessato di considerare i loro antagonismi come un'insuperabile fatalità della storia : i contrasti inevitabili trovano il loro sbocco pacifico attraver so a una sempre piU consapevole coll aborazione di classe. Sono stati stipulati centinaia di patti nazionali concernenti milioni di operai. La legislazione sociale del regime fascista è la piu avanzata del mondo: va dalla legge sulle otto ore all'assicurazione obbligatoria contro la t ubercolosi.

Le classi dei datori di lavoro sono anch'esse aUa avanguardia; sopra tutto in Italia, gli industriali si sono libernti dalla mentalità classista e mentre la disciplina delle masse operaie è assoluta, il senso di civismo e di solidarietà umana nelle classi industriali italiane costituisce un loro titolo d'onore .

La formidabile esperienza italiana, che si riassume nella "Organizzazione giuridica di tutte le forze concorrenti alla produzione", è oggetto di studio e viene già indicata a modello in parecchi paesi del mondo, che soffrono delle dispersioni e dei conflitti della lotta di classe . Niente socialismo di Stato, e niente qualsiasi altro socialismo, come qualche orecchiuto ed orecchiante osservatore può ritenere (ilarità), perché il regime rispetta e fa rispettare la proprietà privata; riconosce e fa riconoscere J1iniziativa privata, e si rifiuta agli esperimenti socializzatori che volgono altrove alla catastrofe; ma niente nemmeno liberalismo indifferente dinanzi alle coalizioni degli interessi il cui urto, quando non sia contenuto, può meltcrc a repentaglio il benessere e la vita stessa della nazione . (Vivi, ripe tuti applausi).

Nei paesi moderni, a folta popolazione, il sistema delle comunica

La costruzione del regime (1922-1932) 257

zioni è essen ziale, non solo per i traffici , ma per lo spirito : le comunicazioni, in Italia, hanno , in questi ultimi anni, realizzato progressi grandiosi: nuovi tronchi ferroviari, elettrificazione di linee, aumento delle linee telegrafiche , perfezionamento modernis simo di quelle telefoniche , autostrade, rete stradale ordinaria in via di riparazione e di sistemazione.

Lo stesso balzo innanzi è stato compiuto in tema di lavori pubblici. Vi ricordo i formidabili consuntivi di opere pubbliche rese note e inaugurate ad ogni 28 ottobre. Durante cinquanta anni l'Italia meridionale e le Isole non avevano avuto che dei lavori pubblici " elettorali", promessi prima delle elezioni e non mantenuti dopo. In questi ultimi anni le cose sono radicolmente cambiat e . Si lavora a rendere piu ampi e sicuri i porti di Napoli, di Palermo, di Catania, di Bari , di Brindisi; sono stati fatti importanti lavori stradali nelle Calabrie, bacini giganteschi nella Sardegna, opere di varia natura in Sicilia. Nei prossimi anni lo sforzo del regime sarà ancora piU sistematicamente rivolto all'Italia meridionale e alle Isole.

Il disagio morale di un tempo è finito. Per il regime, nord e sud non esistono: esiste l'Italia e il popolo italiano. (Prolungati applausi)

Occorreva, accanto alla sistemazione delle cose, provvedere alla sistemazione degli spiriti, e a un 'ulteriore utilizzazio ne delle forze che avevano creato il regime. Cosi, lo squadrismo diventa Milizia. E ogni squadrismo scompare . La Milizia assume, col tempo, aspetti sempre piu definiti e compiti sempre piu vari e importanti. Non basta che una potente autorità agisca al centro: la periferia deve rispondere con lo stesso tono. Ecco l a circolare ai prefetti, che staqilisce le attribuzioni delle supreme autorità nelle province . Ad evitare un ingrossamento del Partito con l'ondata dei sopraggiunti: catenaccio alle iscrizioni, sa lvo che per i gio va ni. Il Partito Nazionale Fascista ass ume cosi la sua sempre piU precisa caratteristica cU organo dello Stato, subordinato alle gerarchie, aderente ed obbediente alle necessità dello Stato.

Gli uomini hanno bisogno della sicurezza e della giustizia. La nuova legge, o meglio, il nuovo codice di Pubblica Sicurezza, sostituendo ed integrando la vecchia legge, dà allo Stato uno strumento validissimo per proteggere i buoni cittadini dalla violenza o dalla perversione dei malvagi. Taluni fenomeni di delinquenza sono oramai scomparsi. L'amministrazione della giustizia ha realizzato inno vazioni profonde, che vanno dall'unificazione delle Cassazioni all'imminente riforma dei Codici. La dimostrazione che la giustizia è il fondamento del regime sta nel fatto che, nell'ordinamento gerarchico dello Stato - legge fondamentale del regime - il primo ed unico posto spetta al pre sidente della Cassaz.ione Unica del Regno.

258 Scritti
politici di Benito Mussolini

Accanto alla magistratura ordinaria è posto il Tribunale s pe ci ale per la difesa dello Stato, per reprimere una particolare aLtivit,) c rimin:1l c contro il regime. Malgrado le favole spacciate a gcLlu co ntinu o dall'antifascismo internaz.ionale, tale Tribunale è stato ~cvcro, m,1 giusto; lo dicono queste veridiche cifre: di cinque mi laqu.:m111 1·asci imputati, ben oltre quattromila sono stati assolti. Degli alt ri, ben duecentosettantacinque sono stati condannati a pene inferiori a dicci anni; uno solo alla pena capitale; duecentotrenta saranno liberati e ntro l'anno, Confrontato coi terrori antichi e contemporanei, quello fascista si scolora. (Bene! Applausi) Il regime è disposto, del resto, col finire delle leggi per la difesa dello Stato, a non prorogarle; è pronto anche ad anticiparne la cessazione, purché l'antifascismo supe rstite si rassegni all'irrevocabile fatto compiuto, e rinunci a tentativi assurdi, a denigrazioni ridicole e a una letteratura catastrofica in cui il grottesco si accoppia alla malafede. (Lunghi applausi) Non basta che il popolo sia ordinato e tranquillo all'interno, è necessario che le Forze Armate gli garantiscano la sua pace e la sua sicurezza. Anche in questo campo il regime ha tracciato solchi profondi: con una legge, ha creato la Commissione suprema di difesa; con un'altra, ha stabilito l'organizzazione della nazione in guerra; con la legge del '25, ha dato il nuovo ordinamento all'Esercito; con quelle del '26 e del '27, gli ha dato uno statuto, mentre nel '28 venivano adottate le norme per l'azione e l'impiego delle grandi unità. Il morale e la discipl,ina delle truppe italiane sono alti come in nessun altro paese del mondo. (Ovazioni. Si grida: "Viva l'Esercito'")

I soldati, compiuta la premili tare, vanno alle caserme can tando Giovinezza. La guerra aveva lasciato un complicato e delicato problema di quadri. Sono stati onorati co l ducato e col maresciallato i grandi capitani della vittoria. Sono stati sistemati gli ufficiali in P.A.S. e quelli esonerati durante la guerra; quelli di complemento sono stati raccolti nell'Unione nazionale ufficiali in congedo. È una grande riserva di uomini che va tenuta aggiornata. I quadri dell'Esercito sono stati migliorati. Le vecchie, gloriose Scuole di Modena e di Torino hanno ripreso la loro nobile missione educativa e formativa.

Accanto a quello per l'E sercito, il regime ha compiuto uno sforzo notevole per la Marina. Bisogna considerare che la Marina è, in tempo di pace, l'elemento che stabilisce la gerarchia tra gli Stati.

("Bene!' Applausi) L'aviazione è stata creata dalle rovine in cui l'ave vano lasciata. Funzionano linee aeree civili per un percorso di oltre cinquemila chilometri.

Mi risparmio altri dettagli. Basterà, per concludere su questo putll'o, ricordare che il fascismo ha esaltato la vittoria e l ' ha resa opct::tntc

La costruzione del regime (1922-1932) 259

nello spirito delle Forze Armate e del popolo italiano. Per questo, il regime è andato incontro ai reduci di guerra, raccolti nell 'Associazione nazionale combattenti e in quella dei mutilati e invalidi, e alle famiglie dei caduti , con le quali fraterniz zano le famiglie dei caduti fascisti. La legge sulle pensioni dei mutilati e invalidi è un titolo di gloria del Governo fascista .

La preparazione militare di una nazione è una nece ssità costante; il suo sviluppo è legato alla solidità della finanza. Anche qui il regime ha potentemente operato; le minute, sudice valute cartacee da una, da due, da cinque, da dieci lire sono scomparse, sostituite dai pill nobili metalli; si è difeso il risparmio; si è unificata l'emissione della circolazione; si è, con uno sforzo coraggioso, stabilizzata la lira, realizzato il pareggio e l'avanzo del bilancio dello Stato. Siamo però ancora nel periodo della convalescenza, come lo è, del resto, l'economia di tutte le nazioni europee, anche di quelle molto piu ricche della nostra. (Applausi)

Forze Armate efficienti e sana finanza sono il presupposto della politica estera di uno Stato. Il mio discorso del 6 giugno 1928 al Senato è riassuntivo in questa materia. Ril eggetelo. Le grandi direttive non sono, né possono , salvo imprevedibili avvenimenti , cambiare. A coloro che vogliono inutilmente sgomentare il mondo , col rappresentare un imperialismo italiano, ricorderemo ancora una volta che l'Italia contiene le spese per i suoi armamenti nei limiti delle piu elementari neces sità di sicurezza e di difesa; ricorderemo che l'Italia vuol vivere in pace con tutti i popoli, e in particolar modo con quelli che le stanno vicino; che l'Italia ha stipulato patti d'amicizia e trattati di commercio con molti Stati e che di frequente tali atti hanno disperso nebbie, sventato intrighi, ristabilito l'equilibrio negli spiriti; ricorderemo che l'Italia, essendo all'interno impegnata nella sua opera di ricostruzione economica e politica, essendo, anzi, tutta presa dallo sforzo di creazione di nuovi istituti , di un nuovo tipo di civiltà, che armonizzi le tradizioni con la modernità, il progresso con la fede, la macchina con lo spirito e segni la sintesi del pensiero e delle conquiste di due secoli, l'Italia non vuole turbare la pace, ma è pronta alla difesa dei suoi interessi in qual siasi parte del mondo. (Tutta l'assemblea} in piedi, tributa al Duce una i mponente ovazione)

Tutta l'attività del regime si svolge attraverso gli organi della burocrazia. La massa dei funzionari ufficiali e, in genere, dei dipendenti dello Stato, merit a un elogio. Ha lavorato con coscienza, con disciplina, con onestà . Le condizioni di questi uomini che, con frase un po' sciupata, ma tuttavia piena di gravità, si chiamano servitori dello Stato, non sono brillanti.

In questa semplice constatazione voi potete scorgere un proposito di migliorarle. Ciò avverrà per naturale sviluppo di cose, per insin-

260 Scritti politici di Benito Mussolini

dacabile decisione del Governo, al momento opportw10, senza bisogno di esterne sollecitazioni o richie ste. Come sembrano Jo 111:111i i tempi in cui pochi dissennati dipendenti dello Stato italiano fn cc vano del sindacalismo scioperante e scioperaiolo !

Proiezioni della potenza della patria sono i possessi e le Colonie. Il Dodecaneso è fuori questione, ormai, e Rodi ritorna ad essere la perla latina dell'Oriente. Pacificata e consolidata la Somalia, dall'Oltre Giuba alla Migiurtinia risorta Massaua, progredite le Colonie mc· diterranee, unite sotto Io stesso comando, Tripoli e Bengasi sono ormai presenti allo spirito degli italiani come le città della madrepa· tria, centinaia di pionieri vi si dirigono, la steppa vi si colora di verde e si punteggia di case mentre sulle dune, spettacolo non piU visto da secoli, si allineano siepi di alberi. Im.@_\Q...cialle s._bbie afriW~,- molto"piu benigne d.eicbarbari,..risorgono quasi intatti .i monumenti- immortali della conqµista e deL genio . di Roma , (Applausi) Non solo degli italiani viventi in Italia il regime si è preoccupato, ma anche dei dieci milioni di italiani sparsi per il mondo, ai quali fa giungere la voce della patria attraverso una rete telegrafica italiana e ai quali ha dato un senso d'orgoglio come non fu mai dall'unità della patria.

Il quadro di tutto ciò che il regime ha fatto per Io Stato e per i1 popolo è ben lungi dall'essere completo. Vi sono altre attlvitiì che vanno ricordate: l'organizzazione sportiva e l'educa:don e fi sicn 1 con stadi e palestre non indegne per amplitudin e di quc.llc dell'antica Roma; il Dopolavoro; il complesso delle rnanifes tn zio n.i artisLich c, non piu abbandonate ai singoli o a gruppi, ma sta bilite pct· legge; la ridonata dignità ai nostri massimi teatri; il ripristino e la scope rta delle antiche vestigia che testimoniano di quella merav igliosa storia che è, prima e dopo Cristo, la storia di Roma . (Applausi) Fin qui io vi ho parlato del popolo nelle sue molteplici ed eterne espressioni; ma il popolo italiano ha una fede, è credente, è cattolico. L'Italia ha il privilegio unico di ospitare il centro di una religione da oramai due millenni. Non è per una mera coincidenza o per un capriccio degli uomini che tale religione è sorta e si è irradiata e si irradia da Roma .~pero ro.mano è il presupposto storico del cristianesimo prima ,.,,.,e cattolicesimo poi. La ling,Ja .della Chiesa è ancora ogila:1ingia cti C~re e di Virgilio.

Dopo Llunghi,- tristLsecoli. del!,, di_vlB~cl§I servaggio straniero, Roma doveva essere la capitale ctell'Italia.ri§.QEta, poiché nessun'altra città po.teva e puo~ sseie la capitale d'Itali~, ma l'e"vento necessario -e la fatale conclusione della prima fase defRÌsorgimeii to determinarono un grave dissidio che dal '70 in poi tormentò la coscienza degli italiani. Tale dissidio, vera spina nel fianco della nazione, è sana to con gli accordi dell'll febbraio.

La costruzione del regime (1922-1932) 26 1

Accordi equi e preclSI, che creano tra l'Italia e la Santa Sede una situazione, non di confusione o d'ipocrisia, ma di differenziazione e di lealtà. Io penso, e non sembri assurdo, che solo in regime di concordato si realizza la logica, normale, benefica separazione tra Chiesa e Stato, l a distinzione, cioè , tra i compiti, le attribuzioni dell'una e dell'altro . Ognuno coi suoi diritti, coi suoi doveri , con la sua potestà, coi suoi confini. Solo con questa premessa si può, in taluni campi, praticare una collaborazione da sovranità a sovranità. Parlare di vincitori o di vinti è puerile: si parli di assoluta equità dell'accordo che sana reciprocamente de jure un'ormai definitiva, ma sempre pericolosa e comunque penosa situazione di fatto . L'accordo è sempre meglio del dissidio; il buon vicinato è sempre da preferirsi alla guerra .

La pace tra il Quirinale e il Vaticano è un evento di portata suprema, non solo in Italia, ma nel mondo. Per gli italiani basterà ricordare che il giorno 11 febbraio del 1929 è stato dal Sommo Pontefice finalmente e solennemente ricono sciuto il Regno d ' Italia sotto la monarchia di Casa Savoia, con Roma capitale dello Stato italiano . (L'assemblea, in piedi, applaude lun game nte) Da parte nostra, abbiamo lealmente riconosciuto la sovranità dell a Santa Sede, non solo perché esisteva nel fatto, non solo per la quasi irrile vante esiguità del territorio richiesto, esiguità che non toglie nulla alla sua grandezza d'altra natura, ma per la convinzione che il Sommo Capo di una religione universale non può essere suddito di alcuno Stato, pena il declino della cattolicità, che significa universalità.

Abbiamo riconosciuto alla Chiesa cattolica un posto preminente nella vita religiosa del popolo italiano, il che è perfettamente naturale in un popolo cattolico quale è il nostro e in un regime quale è quello fascista. Anche qui il regime è consequenziario. Questo non significa, è quasi superfluo il dirlo, che gli altri culti sin qui tollerati debbano essere d'ora innanzi perseguitati, soppressi o anche semplicemente vessati. Stato cattolico non significa che si debba fare ai cittadini obbligo o pressione alcuna di seguire una determinata fede, anche se sia quella della maggioranza . Ma con la delimitazione delle giurisdizioni, dei compiti, delle responsabilità, da Stato a Stato e da Stato a Chiesa, il cammino appare piU sgombro, l'orizzonte piU sereno. È un punto fermo messo a quindici secoli di storia. ( Applausi) Anche qui si concreta , nel diritto, una linea di condotta che fu seguita nei fatti dal 1923 in poi. Lo Stato fascista non è tenuto, come si pretenderebbe dalle vaghe superstiti cellule demomassoniche, a conservare tutte le misure di una legislazione che fu il prodotto di un determinato periodo storico di aspra tensione tra Chiesa e Stato senza ricordare che tali leggi, col passare del tempo e attraverso !'in-

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dulgenza agnostica e alla fine abulica del liberalismo, diventarono delle semplici finzioni. Avvenimenti come quelli dell'll febbraio sono di tale portata che bisogna, per giudicarli, mettersi sul piano della storia. L'anima intuitiva delle moltitudini è, in questi casi, ben pili della intelligenza raziocinante, vicina alla verità! L'anima del popolo ha sentito che la soluzione dell'annosa e delicata questione romana è un titolo d'orgoglio e una documentazione della forza e della solidità del regime fascista. (Vivissimi applausi)

Eccellenze! Camerati! Signori!

Ora non crediate che voglia commettere un peccato di immodestia dicendo che tutta quest'opera, di cui vi ho dato uno stringente e parzialissimo riassunto, è stata attivata dal mio spirito. L'opera di legislazione, di avviamento, di controllo e di creazione di nuovi istituti non è stata che una parte della mia fatica. Ve ne è un'altra non tanto nota, ma la cui entità vi è data da queste cifre che vi possono forse interessare: ho concesso oltre sessantamila udienze; mi sono interessato di 1.887.112 pratiche di cittadini, giunte direttamente alla mia Segreteria particolare. Tutte le volte che i singoli cittadini, anche dei piU remoti villaggi, si sono rivolti a me, hanno ottenuto risposta. Non basta fortemente governare, bisogna che il popolo, anche quello lontano, minuto, dimenticato, abbia la prova che il Governo è composto di uomini che comprendono, soccorrono e non s i sentono avulsi dal resto del genere umano. Per reggere a questo sforzo, ho messo il mio motore a regime, ho razionalizzato il mio quotidiano lavoro, ho ridotto al minimo ogni dispersione di tempo e di energia e ho adottato questa massima, che raccomando a tutti gli italiani: il lavoro della giornata deve essere metodicamente, ma regolarmente sbrigato nella giornata. Niente lavoro arretrato. Il lavoro ordinario deve svolgersi con un automatismo quasi meccanico. I miei collaboratori, che ricordo con simpatia e che dinanzi a voi voglio ringraziare, mi hanno imitato. La fatica mi è sembrata leggera, anche perché varia. Vi ho resistito perché la volontà era spinta dalla fede. Ho assunto, come di dovere, tutte le piccole e le grandi responsabilità.

Come avete potuto constatare, ora che mi avvio alla fine, il mio discorso è sta to, come vi dissi, schematico. Non ho detto nulla. Ho molto dimenticato, ma potevo io, forse, illustrare le duemila leggi, neile quali, durante sei anni, si è realizzata la dottrina, la volontà e la fede dello Stato fascista? Il discorso sarebbe durato alcune settimane. L'opera fu perfetta? No. Come tutte le opere umane, anche la mia, anche la nostra presenta lacune e imperfezioni, ma il proposito di tener fede alla concezione fascista dello Stato fu onnipresente in ogni atto, in ogni legge.

Incontestabile merito del fascismo è di aver dato agli italiani il

LA costruzione del regime (1922-1932) 263

senso dello Stato . Tutto quello che abbiamo fatto e che vi ho riassunto, scompare di fronte a ciò che abbiamo fatto creando lo Stato. Per il fascismo, lo Stato non è il " guardiano notturno " , che si occupa soltanto della sicurezza personale dei cittadini; non è nemmeno un'organizzazione a fine puramente materiale, come quello di garantire un certo benessere e una relativa pacifica convivenza sociale, nel qual caso, a realizzarlo, basterebbe un consiglio d'amministrazione; non è nemmeno una creazione di politica pura, senza aderenze con la realtà mutevole e complessa della vita dei singoli e di quella dei popoli. Lo Stato, cosi come il fascismo lo concepisce e l'attua, è un fatto spirituale e morale, poiché concreta l'organizzazione politica, giuridica, economica della nazione; e tale organizzazione è, nel suo sorgere e nel suo sviluppo, una manifestazione dello spirito. Lo Stato è garante della sicurezza interna ed esterna, ma è anche il custode e il trasmettitore dello spirito del popolo cosi come fu dai secoli elaborato nella lingua, nel costume, nella fede .

Lo Stato non è solamente presente, ma è anche passato e, soprat· tutto, futuro . È lo Stato che, trascendendo il limite breve delle vite individuali, rappresenta la coscienza immanente della nazione. È lo Stato che, in Italia, si riassume e si esalta nella dinastia di Savoia, e nella sacra, augusta persona del re.

Le forme in cui gli Stati si esprimono, mutano, ma la necessità ri · mane. È lo Stato che educa i cittadini alla virtu civile; li rende consapevoli della loro missione; li sollecita all'unità; armonizza i loro interessi nella giustizia; tramanda le conquiste del pensiero nelle scienze, nelle arti, nel diritto, nell'umana solidarietà; porta gli uo· mini dalla vita elementare delle tribu alla piu alta espressione di potenza umana che è l'impero; affida ai secoli i nomi di coloro che morirono per la sua integrità o per ubbidire alle sue leggi; addita come esempio, e raccomanda alle generazioni che verranno, i capi· tani che lo accrebbero di territorio, o i genl che lo illuminarono di gloria . ( Applausi vivissimi)

Quando declina il senso dello Stato e prevalgono le tendenze dissociatrici e centrifughe degli individui o dei gruppi, le società nazionali volgono al tramonto. Potete voi dubitare del futuro, dopo questo rendiconto del passato (" No! No! ") e dati questi postulati dottrinali ai quali terremo fede? Né voi, né il popolo italiano , al quale recherete le impressioni di questa grande adunata.

Quando ci ritroveremo a Roma fra cinque anni, il rendiconto futuro dell'azione del regime sarà ancora piu ricco di eventi di quello odierno. È con questa certezza che voi ed il popolo voterete " sf ". Il breve monosillabo mostrerà al mondo che l'Italia è fascista e che il fascismo è !'Itali a.

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9. La dottrina del fascismo •

1. - Quando, nell'ormai lontano marzo del 1919, dalle colonne del Popolo d'Italia io convocai a Milano i superstiti interventisti -intervenuti, che mi avevano seguito sin dalla costituzione dei Fasci d'azione rivoluzionaria, avvenuta nel gennaio del 1915, non c'era nessuno specifico piano dottrinale nel mio spirito. Di una sola dottrina io recavo l'esperienza vissuta: quella del socialismo dal 190304 sino all'inverno del 1914: circa un decennio. Esperienza di gregario e di capo, ma non esperienza dottrinale . La mia dottrina anche in quel periodo, era stata la dottrina dell'azione. Una dottrina univoca, universalmente accettata, del socialismo non esisteva piU sin dal 1905, quando cominciò in Germania il movimento revisionista facente capo al Bernstein e per contro si formò, nell'altalena delle tendenze, un movimento di sinistra rivoluzionario, che in Italia non usci mai dal campo delle frasi, mentre, nel socialismo russo, fu il preludio del bolscevismo . Riformismo, rivoluzionarismo, centrismo, di questa terminologia anche gli echi sono spenti, mentre nel grande fiume del fascismo troverete i filoni che si dipartirono dal Sorel, dal Péguy, dal Lagardelle del Mouvement Socialiste e della coorte dei sindacalisti italiani, che tra il 1904 e il 1914 portarono una nota di novità nell'ambiente socialistico italiano, già svirilizz:ito e cloroformizzato dalla fornicazione giolittiana, con le Pagine lib ere di Olivetti, La Lupa di Orano, il Divenire sociale di Enrico Leone.

Nel 1919, finita la guerra, il socialismo eta già mort o come dottrina: esisteva solo come rancore, aveva ancora una so la possibilità, specialmente in Italia, la rappresaglia contro coloro che avevano voluto la guerra e che dovevano " espiarla ". Il Popolo d'Italia recava nel sottotitolo " quotidiano dei combattenti e dei produttori ". La parola " produttori " era già l'espressione di un indirizzo mentale. Il fascismo non fu tenuto a balia da una dottrina elaborata in precedenza, a tavolino: nacque da un bisogno di azione e fu azione; non fu partito, ma, nei primi due anni, antipartito e movimento. Il nome che io diedi all'organizzazione, ne fissava i caratteri. Eppure chi rilegga, nei fogli oramai gualciti dell'epoca, il resoconto dell'adunata costitutiva dei Fasci italiani di combattimento, non troverà una dottrina , ma una serie di spunti, di anticipazioni, di accenni, che, liberati dall'inevitabile ganga delle contingenze, do vevano poi, dopo alcuni anni, svilupparsi in una serie di posizio ni dottrinali, che facevano del fascismo una dottrina politica a sé stante, in confronto di

* Parte II della Dottrina del fascismo, scritta per l'Enciclopedia italiana voi. XIV (~iugno 1932 ). NeU'originale sotto il titolo dì D olJri na politica e sociale.

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tutte le altre e passate e contemporanee. " Se la borghesia, dicevo allora, crede di trovare in noi dei parafulmini si .inganna. Noi dobbiamo andare incontro al lavoro ... Vogliamo abituare le cla ssi operaie alla capacità direttiva, anche per convincerle che non è facile mandare avanti una industria o un commercio .. . Combatteremo il retroguardismo tecnico e sp irituale ... Aperta la successione del regime noi non dobbiamo essere degli imbelli. Dobbi amo correre; se il regime sarà superato sa remo noi che dovremo occupare il suo posto . Il diritto di successione ci viene perché spingemmo il paese alla guerra e lo conducemmo alla vittoria. L'attuale rappresentanza politica non ci può bastare, vogliamo una rappresentanza diretta dei sin goli in teressi ... Si porrebbe dire contro questo pro gra mma che si ritorna alle corporazioni. Non importa! ... Vorrei perciò che l'assemblea accettasse le rivendicazioni del sin dacali smo nazio nale dal punto di vista economico ... " . Non è singolare che sin dall a prima gio rnata di Piazza San Sepolcro risuoni la parola "corporazione", che doveva, nel corso della rivolu zione, significare una delle creazioni legislative e sociali alla ba se del regime?

2. - Gli anni che precedettero la marcia su Roma, furono anni durante i quali le necessità dell'azione non tollerarono ind agini o complete elaborazioni dottrinali. Si battaglia va nelle città e nei villaggi. Si discuteva, ma, quel ch'è pill sacro e importante, si moriva. Si sapeva morire. La dottrina, bell'e formata, con divisione di capitoli e paragrafi e contorno di elucubrazioni, potev a mancare; ma c'era a sostituirla qualche cosa di piu decisivo: la fed e. Purtuttavia, a chi rimemori sulla scorta dei libri, degli articoli, dei voti dei congressi, dei discorsi maggiori e minori, chi sappia indagare e scegliere, troverà che i fondamenti della dottrina furono gettati mentre infuriava la battaglia. È precisamente in quegli anni, che anche il pensiero fascista si arma, si raffina, procede verso una sua organizzazione. I problem i dell'individuo e dello Srato; i problemi dell'autorità e della libertà; i problemi politici e sociali e quelli piu specificatamente nazionali; la lotta contro le dottrine liberali, democratiche, socialistiche, massoniche, popolaresche fu condotta contemporaneamente alle " spedizioni punitive " . Ma poiché mancò il " sistema " si negò dagli avversari in malafede al fascismo ogni capacità di dottrina, mentre la dottrina veniva sorgendo, sia pure tumultuosamente , dapprima sotto l'aspetto di una negazione violenta e dogmatica come accade di tutte le idee che esordiscono, poi sotto l'aspetto positivo di una costruzione , che trovava , successivamente negli anni 1926, 1927 e 1928 , la sua realizzazione nelle leggi e negli istituti del regime.

Il fascismo è oggi nettamente individuato non solo come regime,

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ma come dottrina. Que sta parol a va interpretata nel se nso che ogg i il fascismo, esercitando la sua critica su se stesso e sug li altri, ha n 11 suo proprio inconfondibile punto di vista , di riferimento - e cp1i11di di direzione - dinnanzi a tutti i problemi che angustiano, nell e rns.· o nelle intelligenze, i popoli del mondo.

3. - Anzitutto il fasci smo, per quanto riguarda, in generale, l 'avvenire e lo sviluppo dell'umanità , e a par te ogni considerazione di politica attuale, non crede alla possib ilità né all ' utilità della pace perpetua. Respinge quindi il pacifismo che na sconde una rinuncia alla l otta e una viltà di fronte al sacrificio . Solo la guerra porta al ma ssimo di tensione tutte le energie umane e imprime un sigillo di nobiltà ai popoli che hanno la virtu di affrontarla. Tutte le altre prove sono dei sos tituti , che non pongono mai l'uomo di fronte a se stesso, nell'alternativa della vita e della morte. Una dottrina, quindi, che parta dal postulato pregiudiziale della pace , è es tranea al fascismo ; cosi come estranee allo spirito del fa scismo, anche se accettate per quel tanto di utilità ch e possano avere in determin ate situazioni politich e, so no tutte le co stru zioni internazionalistiche e societarie, le quali, come la storia dimostra, si possono disperdere al vento qunn ~ do elementi sentimentali, ideali e pratici muovono a tempesta il cuo ~ re dei popoli. Questo spirito antipacifista, il fascismo lo traspoi:ta a nch e nella vita degli individui. L 'orgoglioso motto squadrista " mc ne frego", scritto sulle bende di un a fe rita, è un au o d i (il oso (i :1 non solt anto s toica , è il sunto di una dottrina no n so ltanto po li1 ica: è l'ed ucazione al combattime nto, l 'acce ttaz ione de i ri schi che esso comporta; è un nuovo s til e di vita italiano. Cos i il fa sc ista acceua, ama la vita, ignora e ritiene vile il sui cidi o; comprende l a vita come dove re', elevazione, conqui sta: la vita che deve esse re alta e pie na : vissuta per sé, ma soprattutto per gli altri vicini e lontani , presenti e futuri.

4 . - La politica " demografica " del regime è l a conseguenza di ques te premesse . Anche il fascista ama infatti il suo pro ssimo, ma ques to " prossimo " non è per lui un concetto vago e inafferrabile; l 'a· more pe r il prossimo non impedisce le necessarie e ducatrici severità, e ancora meno le differenzia zioni e le distanze . Il fascismo respin ge gli abbracciamenti universa li e, pur vivendo nell a comunità dei popol i civili, li guarda vigilante e diffidente negli occhi, li segue ne i loro sta ti d'animo e nella tra sformazione dei lo ro interessi, né s i l ascia in ga nnare da apparenze mutevoli e fa llaci.

5. - Un a siffatta co ncez ione della vita port a il fascismo a cssc n· la negazione recisa di quella dottrina che costitui la base del soci a

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lismo cosiddetto scientifico o marxiano: la dottrina del materialismo storico, secondo il quale la storia delle civiltà umane si spiegherebbe soltanto con la lotta d'interessi fra i diversi gruppi sociali e col cambiamento dei mezzi e strumenti di produzione. Che le vicende dell'economia (scoperte di materie prime, nuovi metodi di lavoro, invenzioni scientifiche) abbiano una loro importanza, nessuno nega, ma che esse bastino a spiegare la storia umana escludendone tutti gli altri fattori, è assurdo: il fasci smo crede ancora e sempre nella santità e nell'eroi smo, cioè in atti nei quali nessun motivo economico, lontano o vicino, agisce. Negato il materialismo storico, per cui gli uomini non sarebbero che comparse della storia, che appaiono e scompaiono alla superficie dei flutti, mentre nel profondo si agitano e lavorano le vere forze direttrici, è negata anche la lotta di classe, immutabile e irreparabile, che di questa concezione economicistica della storia è la naturale figliazione, e soprattutto è negato che la lotta di classe sia l'agente preponderante delle trasformazioni sociali. Colpito il socialismo in questi due capisaldi della sua dottrina, di esso non resta allora che l'aspirazione sentimentale, antica come l'umanità, a una convivenza sociale nella quale siano alleviate le sofferenze e i dolori della piu umile gente. Ma qui il fascismo respinge il concetto di " felicità " economica, che si realizzerebbe socialisticamente e quasi automaticamente a un dato momento dell'evoluzione dell'economia, con l'assicurare a tutti il massimo di benessere. Il fascismo nega il concetto materialistico di "felicità,, come possibile e lo abbandona agli economisti della prima metà del '700; nega cioè l'equazione benessere= felicità, che convertirebbe gli uomini in animali di una cosa sola pensosi: quella di essere pasciuti e ingrassati, ridotti, quindi, alla pura e semplice vita vegetativa.

6. - Dopo il socialismo, il fascismo batte in breccia tutto il complesso delle ideologie democratiche e le re spinge, sia nelle loro premesse teoriche, sia nelle loro applicazioni o strumentazioni pratiche. Il fascismo nega che il numero, per il semplice fatto di essere numero, possa dirigere le società umane; nega che questo numero possa governare attraverso una consultazione periodica; afferma la disuguaglianza irrimediabile e feconda e benefica degli uomini che non si possono livellare attraverso un fatto meccanico ed estrinseco com'è il suffragio universale. Regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali, di tanto in tanto, si dà al popolo l'illusione di essere sovrano, mentre la vera effettiva sovranità sta in altre forze talora irresponsabili e segrete. La democrazia è un regime senza re, ma con moltissimi re talora piU esclusivi, tirannici e rovinosi che un solo re che sia tiranno. Questo spiega perché il fascismo, pur avendo prima del 1922, per ragioni di contingenza, assunto un at-

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teggiamento di tendenzialità repubblicana, vi rinunciò prima della marcia su Roma, convinto che la questione delle forme poli1ichc di uno Stato non è, oggi, preminente e che studiando nel campionario delle monarchie passate e presenti, delle repubbliche passare e presenti, risulta che monarchia e repubblica non sono da giudicare sol.lo la specie dell'eternità, ma rappresentano forme nelle quali si estrinseca l'evoluzione politica, la storia, la tradizione, la psicologia di un determinato paese. Ora il fascismo supera l'antitesi monarchia-repubblica sulla quale si attardò il democraticismo, caricando la prima di tutte le insufficienze, e apologizzando l 'ultima come regime di perfezione. Ora s'è visto che ci sono repubbliche intimamente reazionarie o assolutistiche, e monarchie che accolgono le piu ardite esperienze politiche e sociali.

7. - La ragione , la scienza - diceva Renan, che ebbe delle illuminazioni prefasdste, in una delle sue Meditazioni filosofiche - sono dei prodotti dell'umani tà, ma volere la ragione direttamente per il popolo e attraverso il popolo è una chimera. Non è necessario per l'esistenza della ragione che tutto il mondo la conosca. In ogni caso se tale iniziazione dovesse farsi non si farebbe attrnverso la bassa democrazia, che sembra dover condurre all'estinzione di ogni cultura diilìcile, e di ogni pi\J. alta disciplina. Il principio che la società esiste solo pe r il benessere e la libertà degli individui che la compongono non scmbrn esse re co nforme ai piani della natura, piani nei quali la specie è presa in con sid e razione e l'individuo sembra sacrifica to. :È da fortemente temete ch e l'ultima p:im la della democrazia cosi intesa (mi affretto a dfre che si pu ò int:c ncl crc :inclu.: div c r~:•mente) non sia uno s tato sociale nel quale una mass n dc:gc nl.'.rnta 11011 :1vrc bbc altra preoccupazione che godere i piaceri ignobili dclfu o mo volc,arc .

Fin qui Renan . Il fascismo respinge nella democrazia l'a ssurda menzog na convenzionale dell'egualitarismo politico e l 'abito dell 'irresponsab ilità collettiva e il mito della felicità e del progresso indefinito. Ma , se la democrazia può essere diversamente intesa, cioè se democrnzia significa non respingere il popolo ai margini dello Stato, il fascis mo poté da chi scrive essere definito una 44 democrazia organizzata, centralizzata, autoritaria".

8. - Di fronte alle dottrine liberali, il fascismo è in atteggiamento di assoluta opposizione, e nel campo della politica e in quello delJ'econmnia. Non bisogna esagerare, a scopi semplicemente di polemica attuale, l 'importanza del liberalismo nel secolo scorso, e fare di quella che fu una delle numerose dottrine sbocciate in quel secolo, una religione dell'umanità per tutti i tempi presenti e futuri. Il liberalismo non fiori che per un quindicennio. Nacque nel 1830 come reazione alla Santa Alleanza che voleva respin gere l'Europa al pre-'89, ed ebbe il suo anno di splendore nel 1848 quando anche Pio IX fu

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liberale. Subito dopo cominciò la de cadenza. Se il '48 fu un anno di luce e di poesia, il '49 fu un anno di tenebre e di tragedia. La repubblica di Roma fu uccisa da un'altra repubblica, quella di Francia. Nello stesso anno, Marx l anciava il vangelo della religione del socialismo, col famoso Manifesto dei comunisti. Nel 1851 Napoleone III fa il suo illiberale colpo di Stato e regna sulla Francia fino al 1870, quando fu rove sciato da un moto di popolo, ma in seguito a una disfatta militare fra le piu grandi che conti la storia. Il vittorioso è Bismarck, il quale non seppe mai do ve stess e di casa la religione della libertà e di quali profeti si servisse. È sintomatico che un popolo di alta civilt à, come il popolo tedesco, abbia ignorato in pieno, per tutto il sec . XIX, la religione della libertà . Non c'è che una pare ntesi. Rappresentata da quello che è stato chiamato il "ridicolo parlamento di Francoforte", che durò una stagione. La Germania ha raggiunto la sua unità nazionale al di fuori del liberalismo, contro il liberalismo, dottrina che sembra estranea all'anima tedesca, anima essenzialmente monarchica, mentre il liberalismo è l'anticamera storica e logica dell 'anarchia. Le tappe dell 'unità tedesca sono le tre guerre del '64, '66, '70, guidate da "liberali" come Moltke e Bismarck. Quanto all 'unità italiana, il liberalismo vi ha avuto una parte assolutamente inferiore all'apporto dato da Mazzini e da Garibaldi che liberali non furono . Senza l 'intervento dell'illiberale Napo leone, non avremmo avuto la Lombardia, e senza l'aiuto dell'illiberale Bismarck a Sadowa e a Sedan, molto probabilme nte non avremmo avuto, nel '66, la Venezia; e nel 1870 non saremmo entrati a Roma. J?al 1870 al 1915 , corre il periodo nel quale gli stessi sacerdoti del nuovo credo accusano il crepuscolo della loro religione: battuta in breccia dal decadentismo nella l etteratura, dall'attivismo nell a pratica. Attivismo: cioè nazionalismo, futurismo, fascismo. Il secolo "libera le" dopo avere accum ulato un'infinità di nodi gordiani, cerca di scioglierli con l'ecatombe della guerra mondiale. Mai nessuna religione impose cosf immane sacrificio. Gli dei del liberalismo avevano sete di sangue? Ora il liberalismo sta per chiudere le porte dei suoi templi deserti perché i popoli sentono che il suo agnosticismo nell'economia, il suo indifferentismo nella politica e nella morale condurrebbe, come ha condotto, a sicura rovina gli Stati. Si spiega con ciò che tutte le esperienze politiche del mondo contemporaneo sono antiliberali ed è supremamente ridicolo volerle perciò classificare fuori della storia; come se la storia fosse una bandita di caccia riservata al liberalismo e ai suoi professori, come se il liberalismo fosse la parola definiti va e non piu superabile della civiltà.

9. - Le negazioni fasciste del socialismo, della democrazia, del liberalismo, non devono tuttavia far credere che il fascismo voglia

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respingere il mondo a quello che esso era prima di quel 1789 , clic viene indicato come l'anno di apertura del secolo demolib c rak. Non si torna indietro. La dottrina fascista non ha eletto a suo profc 1:1 Dc Maistre. L'assolutismo monarchico h1, e cosi pure ogni ecclcsiola1rin. Cosi "furono" i privilegi feudali e la divisione in caste impcnL'.11":lbili e non comunicabili fra di loro. Il concetto di autorità fa sc is1:i non ha niente a che vedere con lo stato di polizia. Un partito che governa totalitariamente una nazione, è un fatto nuovo nella stor ia. Non sono possibili riferimenti e confronti. Il fascismo dalle macerie delle dottrine liberali, socialistiche, democratiche, trae quegli elementi che hanno ancora un valore di vita. Mantiene quelli che si potrebbero dire i fatti acquisiti della storia, respinge tutto il resto, cioè il concetto di una dottrina buona per tutti i tempi e per tutli i popoli. Ammesso che il secolo XIX sia stato il secolo del sociali smo, del liberalismo, della democrazia, non è detto che anche il secolo XX debba essere il secolo del socialismo, del liberalismo, della democrazia . Le dottrine politiche passano, i popoli restano. Si può pensare che questo sia il secolo dell'autorità, un secolo di "destra", un secolo fascista; se il XIX fu il secolo dell'individuo (liberalismo significa individualismo), si può pensare che questo sia il secolo "collettivo" e quindi il secolo dello Stato. Che una nuova dottrina possa uti li zzare gli elementi ancora vitali di altre dottrine è perfettam ente logico . Nessuna dottrina nacqu e tutta nuo va, lu cente, mni visrn . Nessuna dottrina può vantare una 11 original ità" ass olu rn. Ess a è lega ta , non fosse che storicamente, alJe altre do ttrine c he furono, nllc :-i ltrc dottrine che saranno. Cosi il social ismo sci e ntifico di Mm-x è lega lo al socialismo utop istico dei Fourier , degli Owen, dei Sai nt-S im o n; cosi il liberali smo dell ' '800 si riattacca a tutto il movime nto ill uministico del '700 . Cosi le dottrine democratiche sono legate all'Enciclopedia. Ogni dottrina tende a indirizzare l'attività degli uomini verso un determinato obiettivo ; ma l'attività degli uomini reagisce sulla dottrina , la trasforma, l 'ada tta alle nuove necessità o la supera . La dottrina , quindi, dev'essere essa stessa non un'esercitazione di parole, ma un atto di vita . In ciò le venature pragmatistiche del fascismo, la sua volontà di potenza, il suo volere essere, 1a sua posizione di fronte al fatto 11 violenza" e al suo valore.

10 . - Caposaldo della dottrin a fascista è l a concezione dello Stato, della sua essenza, dei suoi compiti, delle sue finalità. Per il foscismo lo Stato è un assoluto, davanti al quale individui e gruppi so no il relativo. Individui e gruppi sono "pensabili" in quanto nello S1ato. Lo Stato liberale non dirige il gioco e lo sviluppo mat crinl c e spirituale delle collettività , ma si limita a registrare i risultai i ; lu Sta to fascista ha una sua consapevolezza, una sua volontà, per quc ~

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sto si chiama uno Stato "etico". Nel 1929 alla prima assemblea quinquennale del regime io dicevo: "Per il fascismo lo Stato non è il guardiano notturno che si occupa soltanto della sicurezza personale dei cittadini; non è nemmeno una organizzazione a fìni puramente materiali, come quella di garantire un certo benessere e una relativa pacifica convivenza sociale , nel qual caso a realizzarlo basterebbe un corisiglio di amministrazione; non è nemmeno una creazione di politica pura, senza aderenze con l a realtà materiale e complessa della vita dei singoli e cli quella dei popoli. Lo Stato cosi come il fascismo lo concepisce e attua è un fatto spirituale e morale, poiché concreta l'organizzazione politica, giuridica, economica della nazione, e tale organizzazione è, nel suo sorgere e nel suo sviluppo, una manifestazione dello spirito. Lo Stato è garante della sicurezza interna ed esterna, ma è anche il custode e il trasmettitore dello spirito del popolo cosi come fu nei secoli elaborato nella lingua, nel costume, nella fede. Lo Stato non è soltanto presente, ma è anche passato e soprattutto futuro . È lo Stato che trascendendo il limite breve delle vite individuali rappresenta la coscienza immanente della nazione. Le forme in cui gli Stati si esprimono, mutano, ma l a ne· cessità rimane. È lo Stato che educa i cittadini alla virtu civile, li rende consapevoli della loro missione, li sollecita all'unità; armoniz. za i loro interessi nella giustizia, tramanda le conquiste del pensiero nelle scienze, nelle arti, nel diritto, nell'umana solidarietà; porta gli uomini dalla vita elementare della tribu alla piu alta espressione umana di potenza che è l'impero; affida ai secoli i nomi cli coloro che morirono per la sua integrità o per obbedire alle sue leggi; addita come esempio e raccomanda alle generazioni che verranno i ca· pitani che lo accrebbero cli territorio e i geni che lo illuminarono di gloria. Quando declina il senso dello Stato e prevalgono le tendenze dissociatrici e centrifughe degli individui o dei gruppi, le società nazionali volgono al tramonto".

11. - Dal 1929 a oggi, l'evoluzione economica politica universale ha ancora rafforzato queste posizioni dottrinali. Chi gigan teggia è lo Stato. Chi può risolvere l e drammatiche contraddizioni del capitalismo è lo Stato. Quella che si chiama crisi, non si può risolvere se non dallo Stato, entro lo Stato. Dove sono le ombre dei Jules Simon, che agli albori del liberalismo proclamavano che "lo Stato deve lavorare a rendersi inutile e a preparare l e sue dimissioni"?

Dei Mac Culloch, che nella seconda metà del secolo scorso affermavano che lo Stato deve astenersi dal troppo governare? E che cosa direbbe mai dinnanzi ai continui, sollecitati, inevitabili interventi dello Stato nelle vicende economiche, l'inglese Bentham, secondo il quale l'industria avrebbe dovuto chiedere allo Stato soltanto cli es-

272 Scritti politici di Benito Mussolini

sere lasciata in pace, o il tedesco Humboldt, secondo il quale lo S1,110 "ozioso" doveva essere considerato il migliore? Vero è che la scn111da ondata degli economisti liberali fu meno estremista delln pri,11:1 ,. già lo stesso Smith apriva, sia pure cautamente, la porta agli in1 n venti dello Stato nell'economia. Se chi dice liberalismo dice individuo, chi dice fascismo dice Stato. Ma lo Stato fascista è unico cd è· una creazione originale. Non è reazionario, ma rivoluzionario , iu quanto anticipa le soluzioni di determinati problemi universali guaii sono posti altrove nel campo politico dal frazionamento dei partiti, dal prepotere del parlamentarismo, dall'irresponsabilità delle assemblee; nel campo economico dalle funzioni sind acali sempre pili numerose e potenti sia nel settore operaio come in quello industriale, dai loro conflitti e dalle loro intese; nel campo morale dalla necessità dell'ordine, della disciplina, dell'obbedienza a quelli che sono i dettami morali della patria. Il fascismo vuole lo Stato forte, organico e al tempo stesso poggiato su una larga base popolare. Lo Stato fascista ha rivendicato a sé anche il campo dell'economia e , attraverso le istituzioni corporative, sociali, educative da lui create, il senso dello Stato arriva sino alle estreme propaggini, e nello Stato circolano, inquadrate nelle rispettive organizzazioni, tutte le forze politiche, economiche , spirituali della nazione. Uno Stato che poggia su milioni d 'individui che lo riconoscono, lo se nto no , sono pronti a servirlo, non è lo Stato tirannico del signore med iev ale . Non ha niente di comune con gli Stati assolutistici di prima o dopo I' '89. L'individuo nello Stato fa scista non è annu ll ato , m:1 pi11ttos10 molt iplicato , cosi come in un re gg im ento un so lckit:o 11 0 11 è diminuito, ma moltiplicat o per il num ero dei suo i ca merali. Lo tal'o fascista organizza la na zione, ma lascia poi agli individui margini sufficienti; esso ha limitato le libertà inutili o nocive e ha conservato quelle essenziali. Chi giudica su questo terreno non può essere l'individ uo, ma soltanto lo Stato.

12. - Lo Stato fascista non rimane indifferente di fronte al fatto reli gioso in genere e a quella particolare religione positiva che è il cattolicismo . Lo Stato non ha una teologia, ma ha una morale. Nello Stato fascista la religione viene considerata come una delle manifestazioni piu profonde dello spirito; non viene, quindi soltanto rispettata, ma difesa e protetta. Lo Stato fascista non crea un suo "Dio" cosi come volle fare a un certo momento , nei de1iri estremi della Convenzione, Robespierre; né cerca vanamente di cancellarlo dagli animi come fa il bolscevismo; il fascismo rispetta il Dio ck gli asceti, dei santi, degli eroi e anche il Dio cosi com'è vi sto e pi'<" gato dal cuore ingenuo e primitivo del popolo.

La costruzione del regime (1922-1932) 27J

13. - Lo Stato fascista è una volontà di potenza e d'imperio. La tradizione romana è qui un'idea di forza. Nell a dottrina del fascismo l'impero non è soltanto una espressione territoriale o militare o mercantile, ma spirituale e morale . Si può pensare a un impero, cioè a una nazione che direttamente o indirettamente guida altre nazioni senza bisogno di conquistare un solo chilometro quadrato di territorio. Per il fascismo la tendenza all 'impero, cioè all'espansione delle nazioni, è una m an ifestaz ione di v it alità; il suo contrario, o il piede di casa, è un segno di decadenza: popoli che sorgono o risorgono sono imp eria list i, popoli che muoiono sono rinunciatari. 11 fascismo è la dotu·ina piU adeguata a rappresentare le tendenze, gli stati d 'animo di un popo lo come l'italiano che risorge dopo molti secoli di abband ono o di se rvitu straniera. Ma l'impero chiede disciplina, coordinazione degli sforzi, dovere e sacr ificio; questo spiega molti aspetti dell'azione pratica del regime e l 'i ndirizzo di molte forze dello Stato e la severità necessaria contro coloro che vorrebbero opporsi a questo moto spontaneo e fatale dell'Italia nel secolo XX e opporsi agitando le ideologie superate del secolo XIX, ripudiate dovu nque si siano osati g randi esperimenti di trasformazioni politiche e sociali: non mai come in questo momento i popoli hanno avuto sete di autorità, di direttive, di ordine . Se ogni secolo ha una sua dottrin a, da mille indizi appare che quella del secolo attuale è il fa. scismo. Che sia una dottrina di vita, lo mostra il fatto che ha suscitato una fede: che la fed e abbia conquistato le anime, lo dimostra il fatto che il fascismo ha avuto i suoi caduti e i suoi martiri. Il fascismo ha oramai nel mondo l'univer salità di tutt e le dottrine che, realizzandosi, rappresentano un momento nella storia dello spirito umano.

10. Su Napoleone e l'imperialismo •

- Ha voglia -ch iesi - di passare da questo pericoloso campo a Napoleone come il piU prossimo argomento?

"Avanti!"

- Nonostante la precedente conver sazione, non mi è chiaro se Lei miri veramente a lui come a un esempio o lo consideri piuttosto come un ammonimento.

Egli si appoggiò tutto all'indietro, fec e il suo viso piu scuro e disse con voce trattenuta:

"Come ammonimento . Io non ho mai preso Napoleone come model-

* Da EMIL LuowIG, Colloqui con Mussolini, Milano 1950, pp. 58·64 [Il corsivo indica uno dei passi soppressi da Mussolini sulle bozze della prima edizione. Le interviste furono rilasciate nella prima metà del 1932. N.d.C.].

274 Scritti politici di Benito Mussolini

10 1 poiché non sono affatto da paragonare a lui. L.-i s1 1a :11 1ivi1 ~ in tutt'altra dalla mia. Egli ha concluso una rivoluzione , io ni; ho n, minciata una. La sua vita mi ha indicati gli errori ai quali dinì cil111e111(· si sfugge, cioè (contandoli sulle dita) : nepotismo, lotta col pap:1 1 nrnn canza del senso della Finanza e dell 'Eco nomia. Egli vide qua s i sol" mente che dopo le sue vittorie l a rendita scendeva. Ciò era tu/lo. J·,' poi'\ egli fec e una pausa, si avanzò nella luce della lampada , mi la11 ciò un segno ironico con gli occhi e continuò: "e poi ho imparnto qualche cosa di grande da lui. Egli mi ha preventivamente distrutto tutte l e illusioni che mi sarei potuto fare sopra la fedeltà degli 110mini. Su questo punto io sono a prova di bomba".

Mi guardai bene dall'oltrepassare con le mie domande quel punto, che solamente egli stesso poteva toccare; ritornai alla storia, e chiesi come se non lo sapessi:

- Quale è stata la causa della sua rovina? I professori sostengono che sia stata l 'Inghilterra .

"Stupidaggine" dis se egli. "Ei si rovinò, come Lei lo dimostra, per Pintimo contrasto del suo carattere, contrasto per il quale ognuno alla fine si rovina. Prendere la corona! Fondare una dinastia! Come primo console , sf 1 all ora fu grande! Con l ' impero però cominciò fa decadenza. Beethoven ebbe ragione di ritrattate la dedico a lui dcll:1 sua Eroica. La corona Io costrinse a sempre nuove guerre. Vcd:t Cromwell in confronto: un grande pensiero, potenza de ll o S tat o, e tuttavia nessuna guerra!"

Io lo avevo cos{ attirato a uno dei pili import.-inti argom enti:

- Esiste allora imp eriali smo senza im pero?

"Esistono un a mezza dozzin a di impe ri ali s mi " ri spose eg li con voce viva. "Un jmpcro non è perc iò veram e nte necessario, es so è persino pericoloso . Quanto pili esso si este nd e, tanto pill perde la sua forzn organica. Ma la tendenza all ' im perialismo è una delle forze elemen, tari della natura umana, appunto come la volontà della potenza. Ora abbiamo l'imperialismo del dollaro, un'altra volta un imperialismo religioso, un'altra ancora un imperialismo artistico. Ad ogni modo sono sintomi della forza vitale dell'uomo. Finché uno vive è imperialista. Cessa di esserlo con la morte."

In questo momento Mussolini appariva indiavolatamente napo]eon i ~ co, e allora assomiglia singolarmente all ' incisione del Lefèvre del 1815. La tensione dei suoi lin eam enti cessò , mutò il tono, quando concluse:

"Naturalmente ogni impero ha il suo zenit. Poiché esso è sempre una creazione di uomini di eccezione, le cause del tramonto esis10110 già in lui. Come tutte le eccezioni, ha qualche cosa di effimero in :-,{,, E ciò può durare uno o due secoli o dieci anni. Volontà di pn1 L· 11 z;1 " .

- Sostenerlo soltanto con le guerre? - chiesi io.

La costru1.io11e del regime (1922 -1932) 275

"Non soltanto con esse" rispose, e sedette in avanti, alla sua maniera, appoggiando le braccia, come se parlasse da una cattedra. 1 ' I troni hanno bisogno di guerre, per sostenersi. Le dittature assolutamente non sempre. Ve ne sono alcune, le quali possono farne a meno. La potenza di una nazione è il risultato di una quantità di elementi, non soltanto di quello militare. Però, devo aggiungere, la posizione d'una nazione fino ad oggi, nel concetto comune, è stata fissata dalla sua forza nella guerra. Fino ad oggi la forza militare è ritenuta come la sintesi di tutte le forze nazionali ."

- Fino a ieri - dissi io. -E domani?

"Domani!" ripeté egli scetticamente. "Un criterio sicuro essa non è piU, questo è vero. Perciò per domani è necessario un arbitrato fra gli Stati. La unione almeno di un continente. Dopo la unione degli Stati, si deve spingersi verso la unione dei continenti, ma ciò è in Europa straordinariamente difficile, perché in Europa ogni popolo ha un volto speciale , lingua, costumi, tipi. Una certa percentuale, diciamo x, rimane in ogni popolo completamente originale e si oppone per prima alla unione. In America è indubbiamente piu facile unire quarantotto Stati, con la stessa lingua, e senza una storia secolare,"

- Ma non c'è in ogni popolo - chiesi io nuovamente - un'altra certa percentuale y, che è puramente europea?

"Questa percentuale c'è all'infuori della potenza di ogni nazione. Napoleone ha voluto una Europa. Questo era il suo grande orgoglio, di unirla. Oggi è forse maggiormente possibile, ma soltanto intendendo europeo in un determinato senso, come fu l'a spirazione di Carlomagno e di Carlo V, dall'Atlantico sino agli Urali."

- Allora non soltanto fino alla Vistola?

"Forse anche solo fino alla Vistola . "

-E lei non si è immaginato questa Europa sotto la guida fascista?

"Che vuol dire guida?" interrogò vivacemente a sua volta. "Il nostro Fascismo è come è. Vi sono però in lui alcuni elementi che anche altri potrebbero accettare."

- Quando si ascolta Lei - dissi - si trova che Lei è sempre piu misurato che non la maggior parte dei fascisti. Lei si stupirebbe se sapesse tutto quello che uno straniero a Roma deve ascoltare. Probabilmente è avvenuto con Napoleone, al suo apogeo, la stessa cosa.

E si può Lei inoltre spiegare perché Napoleone non ha mai potuto impadronir si completamente della sua capitale, perché è sempre rimasto le fiancé de Paris?

Mussolini sorrise. Poi disse in francese: "Ses manières n'étaient pas très parisiennes. Forse egli aveva tuttavia in sé qualcosa di brutale .

Inoltre erano contro di lui i giacobini, perché egli aveva soffocata la rivolu zione, i legittimisti , perché egli era un usurpatore, il clero ,

276 Scritti politici di
Benito Mussolini

a cagione della sua lotta contro il papa. Gli unici che lo :1111:1v:111u erano quelli del popolino. Questo, sotto di lui, aveva da 11111111 •.inrl', ed è inoltre pill aperto alla gloria. Perché l a gloria non si p111) c:ipirl· logicamente; essa appartiene al sentimento."

- Lei parla di Napoleone quasi con simpatia - dissi io. - 11 S110 rispetto per lui allora non è diminuito durante il Suo governo , duVl' Lei poteva un po' controllarlo?

"È aumentato ."

- Come giovane generale - dissi - egli una volta ha detto che un trono vuoto lo attirava a sedervisi sopra. Che pensa Lei cli ciò?

Mussolini fece il suo volto ironico, spalancando gli occhi alla sua maniera, ma insieme sorridendo: "Nel frattempo" disse "i troni hanno notevolmente diminuita la l oro forza fascinatrice".

- Veramente - risposi - nessuno vuol pill essere re. Quando io ultimamente dissi a Fuad dell'Egitto che i re dovrebbero essere amati e i dittatori temuti, egli esclamò: 'Q uanto volentieri vorrei essere dittatore! C'è nella storia un usurpatore, che tuttavia sia stato amato?'

Mussolini, nel cui volto, quando non Io vuole nascondere, si preannuncia il tono di ogni risposta, divenne nuovamente serio, all entò la sua forza di volontà (e con ciò egli apparve piu giovane), e di sse dopo una pausa, e tuttavia ancora indugiando: ''Forse Cesare. L'uccisione di Cesare fu una disgrazia pe r l'umanità". Poi aggiunse sottovoce: "Io amo Ce sa re. Egli so lo riuniva in sé la volontà del guerriero con l'in gegno del sagg io . .In fondo cm un filo sofo, che conte mpla va tutto sub sp ecie aet e ruit atis. Sf, eg li amava la gloria, ma il suo orgoglio non lo cliv idcva da.lJa umani tà".

- Allora dunque un dittatore può essere amato?

"Lo può" disse ora Mussolini "con sicurezza. Quando l a massa nello stesso tempo lo teme. La massa ama gli uomini forti. La massa è donna."

La costruzione del regime (1922-1932) 277

IL MITO DELL'IMPERO (19:.2-1940)

La conquista dell'Etiopia si pone al centro, non solo cronologicamente, degli anni Trenta, del regime maturo: è forse il momento di maggior successo della linea politica di Mussolini, dei momenti di piu largo "consenso" da parte di masse sempre coartate dal sistema repressivo e soprattutto inquadrate in un ordine paramilitare vastissimo, suggestionate da una propaganda tanto massiccia quanto capillare . AWimpresa d'Etiopia, fa riscontro l1istituzionalizzazione di nuovi rapporti fra economia e politica, ed è precisamente a questo punto che lo stato compie un deciso passo avanti. Segue un impegno sempre piu gravoso e sbilanciato - rispetto alle forze e alla dislocazione del paese - nella sfera internazionale. Dal 1935-36 ha quindi inizio gradualmente, quasi insensibilmente la fase discendente del regime. Il blocco sociale eretto attorno al fascismo comincia a incrinarsi e ad oscillare prima ancora dell'ingresso nel secondo conflitto mondiale. La dittatura è ((sopportata'>, ma il problema della pace è sentito acutamente: l'ultimo contraddittorio trionfo di Mussolini coincide infatti con la conferenza di Monaco, propagandata e vista come un "salvataggio della pace".

Il pensiero politico del capo tende ora a decadere, dà segni di progressivo esaurimento, offre sempre minore interesse. I problemi interni, risolta ormai la questione della subalternità delle masse, sono soprattutto di organizzazione e ristrutturazione economico-produttiva e in questo ambito l 'apporto personale di Mussolini non può essere che scarso, mentre nella politica estera lo spazio per l'iniziativa italiana diventa sempre piu ristretto . Si devono mettere nel conto anche un fattore di autosuggestione del dittatore, in parte indotta dal servilismo del sistema e la crescente degradazione della macchina e degli uomini del partito, che da tempo ha perso ogni slancio vitale. Eppure tutto

VI.
1. Discorso per Io stato corporativo. - 2. Piano d'azione per l'impresa etiopica. - 3. Il discorso della mobilitazione. - 4. Rivolta ideale in Europa. - 5. "L'Etiopia è italiana". - 6. L'Asse Roma-Berlino. - 7. Europa e fascismo. - 8. Al consiglio nazionale del PNF. - 9. "No i marceremo con l a Germania ... ". - 10. Alla "Decima Legio". - 11. Memoriale panoramico al Re.

si traduce in una specie di gigantografia. Nonostante l 'impcr,wlc 1·01'('0grafia di massa, c'è un 1Italia che continua o ricomincia a r agiu1111rc au tonomamente ,· la gioventU - una élite - scop re nuovi valori , fil "tr' ligione della libertà' o anche Marx e Pisacane. Le opposizioni 1111ti/11 sciste possono anche essere in crisi, ma al fondo e al vertice dello sfor:w politico reiterato nel e dal sistema si avverte una elisione dello si rumento propaga ndistico, della capacità di presa e mobilitazione politirn effettuale del capo e dei fasci Sono questi gli anni, del resto, in rni il pensiero antifascista - stroncato o cacciato nelle galere, spinto ali'esilio o posto al bando - pur nella clandestinità riacquista una sua forza tendenzialmente egemonica. 1

Nella fase ascendente come in quella disc end ente della parabola, nel secondo decennio del regime sta al centro il mito dell'impero: su questo terreno la politica conduce alla guerra . D el 1933-34 sono testimonianza il Di sco rso per lo stato corporativo , nonché le Direttive e piano d'azione per risolvere l a questione italo-abissina. D el 1935-36 i discorsi per la mobilitazione e poi per la proclamazione dell'Impero in Africa orientale. Predomina, di fronte alle masse, l'appello alla coscienza nazionale, tradizionale e demagogico ("Italia proletaria in piedi.'').

Già nel '34 era affiorata una "logica conclusione 11 : che "il t emp o lavora contro di noi', e nel discorso di guerra d ell'o ttobre 1935 era apparso l' altro motivo della "ruota d el destino'; parlando poi d el progr1m1111a economico italiano, dopo le sanzioni, Mussolini ritiene « inel11t111bilf' 11 che la nazione sia chiamata ad un piU vasto, ulteriore ci111c11/o bcllicn. Fra il '36 e il '39, Mussoli ni si in veste infin e della parte di idt"oloro dell'alleanza fra i due regimi fascista e 11azio11alsocialisla. Ma dopo l' Anschluss e sop rattutto dopo il convegno di Salisburgo ( 111età agosto 1939) e infine nel pe riodo della 11011 belligeranza, scritti e disco rsi non soccorrono piU: perplessità e incertezze1 con flitti di opposti sentimenti prendono il sopravvento, come risulta dal Diario di Galeazzo Ciano. In pubblico rompe il silenzio, venti giorni dopo il conflitto per Danzica, col discorso alla "Decima Legio 11 in Palazzo Venezia. Il "Noi marceremo con la Germania" pronunciato a Torino (" sabauda e fascistissima") nella primavera del '39 e inquadrato in una visione imperiale dell'" accrescimento della nostra potenza in tutti i campi» sta per riprendere il sopravvento; ma è anche l'avventura che si innesta sulla logica piu antica e solida del cesarismo d emagogico, e finirà col metterla a repentaglio. II Memoriale panoramico al Re, redatto poco pri11111 dell 'o ffensiva hit leriana ad occidente, è l'ultim o documento incluso in questa sezione.

1 Si vedano a questo proposito i confronti dialettici stab iliti fra l'una e l':1l1m l iuc, 1 (' k osservazioni di FRANCO LIVORSI, Il pensiero politico italiano, 189)-194), Tor iun l '}/(, .

Il mito dell'impero (1932-1940) 279

1. Discorso per lo stato corporativo •

L'applauso col quale ieri sera avete accolto l a lettura della mia dichiarazione mi ha fatto domandare stamane se valeva la pena di fare un discorso per illustrare un documento che è andato direttamente alle vostre intelligenze, ha interpretato le vostre convinzioni ed ha toccato la vostra sensibilità rivoluzionaria.

Tuttavia può in te ressare di sapere attraverso quale ordine di meditazione, di pensiero, io sia giunto alla formulazione della dichiarazione di ieri sera.

Ma prima di tutto voglio fare un elogio di questa assemblea e compiacermi delle discussioni che si sono svolte .

Solo dei deficienti possono stupirsi che si siano determinate delle divergenze e che siano apparse delle sfumature . Tutto questo è inevitabile: vorrei dire nece ssa rio.

Armonia è armonia, la cacofonia è un'altra cosa.

D'altra parte, discutendosi di un problema cosf delicato come l'attuale, è perfettamente logico ed inevitabile che ognuno porti non soltanto la sua preparazione dottrinale, non soltanto il suo stato d 'animo, ma anche il suo temperamento personale.

Il piu astratto dei filosofi, il piu trascendente dei metafisici, non può del tutto ignorare né prescindere da quello che è il suo temperamento personale.

Ricorderete che il 16 ottobre dell'anno X, innanzi alle migliaia di gerarchi venuti a Roma per il decennale, a piazza Venezia, io domandai: "Questa crisi che ci attanaglia da quattro anni - adesso siamo entrati nel quinto da un mese - è una crisi 'nel' sistema o ' del' sistema?"

Domanda grave, domanda alla quale non si poteva rispondere immediatamente.

Per rispondere è necessario riflettere, riflettere lungamente e documentarsi.

Oggi rispondo: la crisi è penetrata cosf profondamente nel sistema che è diventata una crisi del sistema. (Vivi applausi)

Non è piU un trauma, è una malattia costituzionale .

Oggi possiamo affermare che il modo di produzione capitalistica è superato e con esso la teoria del liberalismo economico che l ' ha illustrato ed apologizzato.

Io voglio tracciarvi a grandi linee quella che è stata la storia del capitalismo nel secolo scorso , che potrebbe essere definito il secolo del capitalismo. Ma prima di tutto, che cosa è il capitalismo? Non bi-

* Intervento pronunciato il 14 novembre 1933, al Consiglio nazionale delle corporazioni. Da "Il Popolo d'Italia", n. 271, 15 novembre 1933, XX.

280 Scritti politici di Benito Mussolini

sogna fare una confusione tra capitalismo e borghesia. La borgh es ia è un'altra cosa. La borghesia è come un modo di e ssere, che 1,uò c s:; ~-rc grande e piccolo, eroico e filisteo .

Il capitalismo viceversa è un modo di produzione specifico, è un 11111do di produzione industriale.

Giunto alla sua pil.l perfetta espressione, il capitalismo è un mo do di produzione di massa per un consumo di massa, :finanziato in ma:,;sa attraverso l 'emissione del capitale anonimo nazionale e internazion;tlc.

Il capitalismo è quindi industriale, e non ha avuto nel campo agricolo manifestazioni di grande portata .

Io distinguerei nella storia del capitalismo tre periodi: il periodo dinamico, il periodo statico , il periodo della decadenza.

Il periodo dinamico è quello che va dal 1830 al 1870. Coincide con la introduz ione del tel aio meccanico e con l 'apparire della locomotiva. Sorge la fabbrica. La fabbrica è la tipica manifestazione del capitalismo indu striale , è l'epoca dei grandi margini, e quindi la legge della libera concorrenza e la lotta di tutti contro tutti può giocare in pi eno. Ci sono dei caduti e dei morti che poi la Croce Rossa raccoglierà. Anche in questo periodo ci sono delle crisi, ma sono crisi cicliche , non lunghe, non universali.

Il capitalismo ha ancora tale vitalità e tale forza di r ecupero ch e le può superare brillantemente. È l'epoca nella quale Luigi Fil ippo grida: "Arricchitevi!". L 'urbanesimo si sviluppa. Berlino, che fo ccv a cc nLOmila abitanti all'inizio del secolo, raggiun ge il milion e ; P ari gi, da cinquecentosess antamiJa all'epoca della riv o lu z io ne fran ces e , va anch 'e ssa verso il milione . Co sf dica si di Londra e deJJ c cit ril d 'olt re AdanJ ico. La sel ez io ne in q ues to prim o pe ri o do di vi tn del capitnli s rno è vera~ mente operan te. Ci sono anche delle gu erre . Queste guerre non possono es sere parag onat e alla guerra mondiale che noi abbiamo vissuta. Sono guerre brevi. Quella italiana del 1848-1849 dura quattro mesi il p rimo anno, quattro giorni il secondo; quella del 1859 dura poche sett imane. Altrettanto dicasi di quella del 1866. Né piu lunghe sono le guerre prussiane. Quella del 1864 contro i Ducati di Danimarca dura pochi giorni, quella del 1866 contro l'Austria, che è la conseguenza della prima , dura pochi giorni e si conclude a Sadowa. Anche quella del 1870, che ha le tragiche giornate di Sedan, non dura piu di due s tagioni.

Queste guerre, oserei dire , eccitano in un certo senso l'economia delle nazioni, tanto è vero che appena otto anni dopo, nel 1878, la Francia è già nuovamente in piedi e può organizzare l'Esposizion e uni ~ versale , avvenimento che fece riflettere Bi smarck .

Quello che accadde in America, non lo chiameremo eroico. Ouc s l:t è parola che dobbiamo riservare alle vicende di ordine csclu siva111 c111,·

Il mito dell'impero (1932-1940) 28 1

militare; ma è certo che l a conquista del Far West è dura e fascinosa ed ha avuto i suoi ri schi ed i suoi caduti, come una grande conquista. Questo periodo dinamico del capitalismo dovrebbe essere compreso fra l'apparire della macchina a vapore e il taglio dell'istmo di Suez. Sono quarant'anni. Durante questi quarant'anni lo Stato osserva, è assente e i teorici del lib eralis mo dicono : voi, Stato, avete un solo dovere, di far si che l a vostra esistenza non sia nemmeno avvertita nel settore dell'economia. Meglio governerete, quanto meno vi occupere te dei problemi di ordine eco nomico .

L'economia quindi in tutte l e sue manifestazioni è delimitata solo dal Codice Penale e dal Codice di Commercio.

Ma dopo il 1870 questo periodo cambia. Non piu la lott a per la vita, la libera concorrenza, la selezione del pili forte. Si avvertono i primi sintomi della stanchezza e della deviazione del mondo capitalistico. S'inizia l'èra dei cartelli , dei sindacati, qei consorzi, del trus t . Certamente io non mi indugerò perché voi possiate avvertire la differenza che pas sa fra questi quattro istituti.

Le differenze non sono rilevanti, o quasi.

Sono le differenze che passano fra le imposte e le tasse.Gli economisti non le hanno ancora definite . Ma il contribuente che va allo sportello trova che è completamente inutile discutere, perché o tassa o imposta egli deve pagare . Non è vero, come ha detto un economis ta italiano dell 'economia liberale, che l 'economia "trustizzata", carrellata, sindacata, sia il risultato della guerra. No, perché il primo cartello carbonifero in Germania, sorto a Dorttnund , è del 1879.

Nel 1905, dieci anni prima che la guerra mondiale scoppiasse, in Germania si contavano sessantadue cartelli metallurgici.

C'era un cartello della potassa nel 1904, un cartello dello zucchero nel 1903, dieci cartelli c'erano nell'indu stri a vetraria. Nel complesso, in quell'epoca, dai cinquecento ai settecento cartelli si dividevano in Germania il governo dell'industria e del commercio .

In Francia nel 1877 si costituisce l'Ufficio industriale di Longwy, che si occupava della metallurgia, nel 1888 quello del petrolio, nel 1881 tutte le Compagnie di assicurazione si erano già coalizzate. Il cartello del ferro , in Austria, è del 1873 ; accanto ai cartelli nazionali si sviluppano quelli internazionali. Il sindacato delle fabbriche di bottiglie è del 1907. Quello delle fabbriche di vetri e specchi, che raccoglie francesi, inglesi, austriaci e italiani, è del 1909 .

I fabbricanti di rotaie ferroviarie si erano internazionalmente incartellati nel 1904. Il sindacato dello zinco nasce nel 1899. Vi risparmio una le ttura noiosa di tutti i sindacati chimici, tessili, di navigazione, altri che si sono formati in questo periodo storico.

Il cartello del nitrato tra inglesi e cileni è del 1901. Qui ho tutto

282 Scritti politici di Benito Mussolini

l'elenco dei trusts nazionali ed internazionali, che vi risparmio. Si pub dire che non c'è settore ddla vita economica dei paesi di Europa e di America dove queste forze che caratterizzano il capitalismo non si siano formate.

Ma quale è la conseguenza? La fine della libera concorrenza. Essendosi ristretti i margini, l'impre sa capitalistica trova che piutt os to cbe lottare è meglio accordarsi, allearsi, fondersi per dividersi i mercati, e ripartirsi i profitti.

La stessa legge della domanda e dell'offerta non è piu un dogma perché attraverso i cartelli ed i trusts si può agire sulla domanda e sull'offerta; finalmente questa economia capitalistica coalizza ta, "trustizzata ", si rivolge allo Stato. Che cosa gli chiede? La protezione doganale .

Il liberismo, che non è che un aspetto piu vasto della dottrina del liberalismo economico, il liberismo viene colpito a morte. Difatti la nazione che per prima ha elevato delle barriere quasi insormontabili, è stata l'America. Oggi l ' Inghilterra stessa, da alcuni anni a questa parte, ha rinnegato tutto quello che ormai sembrava tradizionale nella sua vita politica, economica e morale: e si è data ad un protezionismo sempre piu forte.

Viene la guerra . Dopo la guerra e in conseguenza della guerra, J' impresa capitalistica si inflaziona. L'ordine di grandezza dell'impresa pa ssa dal milione al miliardo. Le cosiddette costruzioni verticali, a vede rle da lontano, danno l'idea del mostruoso e del babe lico.

Le stesse dimen sioni dell'jmpresa superano fo possibili1~ dell'uomo. Prima era lo spirito che aveva dominato fo mrnc fr1 , oro è la mat eri a cbe piega e soggioga lo sp irito .

Quello che era fisiologia diventa patologia, tut to diventa abnorme .

Due personaggi - poiché in tutte le vicende umane balzano all'orizzonte gli uomini rappresentativi - due personaggi possono essere identificati come i rappresentanti di questa situazione: Kreuger, il fiammiferaio svedese, e Insull, l'affarista americano.

Con quella verità brutale che è nel nostro costume di fascisti, aggiungiamo che anche in Italia ci sono state manifestazioni del genere: però, nel complesso, non sono arrivate a quelle cime. (Applausi)

Giunto a questa fase il supercapitalismo trae la sua ispirazione e la sua giustilicazione da questa utopia: l'utopia dei consumi illimitati. L'ideale del supercapitalismo sarebbe la standardizzazione del genere umano dalla culla alla bara. (Applausi)

Il supercapitalismo vorrebbe cbe tutti gli uomini nascessero della stessa lunghezza, in modo che si potessero fare delle culle standardiz zate; vorrebbe che i bambini d esiderassero gli stessi giocattoli, che gli uomini andassero vestiti della stessa divisa, che leggessero tutti lo stcs

Il mito dell'impero (1932-1940) 283

so libro, che fossero tutti degli stessi gusti al cinematografo, che tutti infine desiderassero una cosiddetta macchina utilitaria. (Applausi)

Questo non è un capriccio, ma è nella logica delle cose, perché solo in questo modo il supercapitalismo può fare i suoi piani .

Quando è che l'impresa capitalistica cessa di essere un fatto economico? Quando le sue dimensioni la conducono ad essere un fatto sociale. È questo il momento preciso nel quale l'impresa capitalistica, quando si trova in difficoltà, si getta di piombo nelle braccia dello Stato. (Applausi)

È questo il momento in cui nasce e si rende sempre pili necessario l'intervento dello Stato.

E coloro che lo ignoravano lo ricercano affannosamente.

Siamo a questo punto: che se in tutte le nazioni d'Europa lo Stato si addormentasse per ventiquattro ore, basterebbe tale parentesi per determinare un disastro.

Ormai non c'è campo economico dove lo Stato non debba intervenire. Se noi volessimo cedere per pura ipotesi a questo capitalismo dell'ultima ora, noi arriveremmo de plano al capitalismo di Stato, che non è altro che il socialismo di Stato rovesciato! (Vivi applausi) Arriveremmo in un modo o nell'altro alla funzionarizzazione della economia nazionale! (Applausi)

Questa è la crisi del sistema capitalistico presa nel suo significato universale.

Ma per noi vi è una crisi specifica che ci riguarda particolarmente nella nostra qualità di italiani e di europei. C'è una crisi europea, tipicamente europea.

L'Europa non è piu il continente che dirige la civiltà umana . Questa è la constatazione drammatica che gli uomini che hanno il dovere di pensare debbono fare a se stessi e agli altri. C'è stato un tempo in cui l'Europa dominava politicamente, spiritualmente, economicamente il mondo.

Lo dominava politicamente attraverso le sue istituzioni politiche. Spiritualmente attraverso tutto ciò che l'Europa ha prodotto col suo spirito attraverso i secoli. Economicamente perché era l'unico continente fortemente industrializzato . Ma oltre Atlantico si è sviluppata la grande impresa industriale e capitalistica. Nell'Estremo Oriente è il Giappone che, dopo aver preso contatto coll'Europa attraverso la guerra del 1905, avanza a grandi tappe verso l'Occidente. Qui il problema è politico.

Parliamo di politica; perché anche questa assemblea è squisitamente politica. L'Europa può ancora tentare di riprendere il timone della civiltà universale, se trova un minimum di unità politica. (Vivissimi applausi)

Occorre seguire quelle che sono state le nostre costanti direttive.

284 Scritti politici di Benito Mussolini

Questa intesa politica dell'Europa non può avvenire se pritna 111111 i. i sono riparate dell e gran di ingiustizie. (Applausi vivissimi)

Siamo g iunti ad un punto estremamente grave di questa si 111 :1z i11111.:; l a Società delle Nazioni ha perduto tutto quello che le poteva dan· 1111 significato politico ed una portata storica.

Intanto quello stesso che l' aveva inventata (si ride) non c'è cnlra1t1. (Ilarità vivissima)

Sono assenti la Ru ssia, gli Stati Uniti, il Giappone e la Germania. Questa Società delle nazioni è partita da uno di quei principi che, enunciati, sono belli ssimi: ma considerati poi, anatomizzati, sez ionali, si rivelano assurdi .

Quali altri atti diplomatici esistono che possano rimettere in contatto gli Stati?

Locarno? Locarno è un'altra cosa. Locarno non ha niente a che vedere con il disarm o; di li non si può passare.

Si è fatto in que sti ultimi tempi un grande silenzio intorno al Patto a quattro. Nessuno ne parla , ma tutti ci pensano. (Applausi vivissimi e fragorosi)

È appunto per questo che noi non intendiamo di ri prendere inizi ative o di precipitare i tempi di una situazione che dovrà logicamente e fa talmente maturare.

Domandiamoci ora : l'Italia è una nazione capitalistica ?

Vi sie te mai posta questa domanda? Se per capitali smo si inl c nd c quell 'in sieme di usi, di costumi, di prog ressi tecnici ormai co muni a tutte le nazioni, si può dire che anche l ' Italia è cap itali sta.

Ma se noi andiamo pili addentro all e cose ed e s am iniamo la s i1ua~ zione da un punto di vis ta sta ti s tico, cioè della massa dc Uc diverse ca~ tego rie economiche delle popolazioni, noi abb iamo all ora i dati del problema che ci perm et tono di dire che l'Italia non è una nazione capitalistica nel senso ormai corrente di questa parola.

Gli agricoltori conducenti terreno proprio alla data del 21 aprile 1931 sono 2.943.000, gli affittu ari sono 858 .000.

I mezzadri e i coloni sono 1.631.000 , gli altri agricoltori salariati, braccia nti , giornalieri di campagna, sono 2.475.000. Totale della popolazione che è legata direttamente e immediatamente all 'agricoltura 7.900.000.

G li indu striali sono 523 .000, i commercianti 841.000, gli artigia ni dipe ndenti e padroni 724 .000 , gli operai salariati 4.230 .000 , il per sonale di se rvizio e di fatica 849.000, le Forze Armate dello Stato 54 1.000 , ivi comprese, naturalmente , anche le forze di Polizi a, gli appartenenti alle professioni e arti libere 553 .000 , gli impiega ti p11l, blici e privati 905.000 . Totale di questo gruppo con l 'altro 17 .000.00 11 .

I possidenti e b enes tanti non sono molti in Italia, sono 20 .1.000, t:li studenti sono 1.945 .000, le donne attendenti a casa 11.244 .0 0IJ .

Il mito dell'impero ( 1932-1940) 2B'i

C'è poi una cifra che si riferisce ad altre condizioni non professionali: 1.295.000, cifra che può essere interpretata in varie maniere . Voi vedete subito da questo quadro come l'economia della nazione italiana sia varia, sia complessa, e non possa essere definita attraverso un solo tipo, anche perché gli industriali che figurano con la cifra imponente di 523.000 sono quasi tutti industriali che hanno aziende di piccola e media grandezza. La piccola azienda va da un minimo di cinquanta operai ad un massimo di cinquecento. Dai cinquecento ai cinquemila o seimila vi è la media industria; al di sopra si va alla grande industria; e qualche volta si sbocca nel supercapitalismo . Questo specchietto vi dimostra anche come avesse torto Carlo Marx, il qua ]e, seguendo i suoi schemi apocalittici, pretendeva che la società umana si potesse dividere in due classi nettamente distinte fra loro ed eternamente irriconciliabili. (Approvazioni)

L'Italia a mio avviso deve rimanere una nazione ad economia mista, con una forte agricoltura, ch e è la base cli tutto, tanto è vero che quel piccolo risveglio delle industrie che si è verificato in questi ultimi tempi è dovuto, come è opinione unanime di coloro che se ne intendono, ai raccolti discreti dell'agricoltura in questi ultimi anni; una picco ]a e media industria sana, una banca che non faccia delle speculazioni, un commercio che adempia al suo insostituibile còmpito, che è quello di portare rapidamente e razionalmente le merci ai consumatori.

Nella dichiarazione che io ho presentata ieri sera, era definita l a corporazione cosi come noi la intendiamo e la vogliamo creare, e sono definiti anche gli obiettivi. Vi è detto che la corporazione è fatta in vista dello sviluppo della ricchezza, della potenza politica e del benessere del popolo italiano. Questi tre elementi sono condizionati fra di loro. La forza politica crea la ricchezza, e la ricchezza ingagliardisce a sua volta l'azione politica.

Vorrei richiamare la vostra attenzione su quanto è detto come obiettivo: il benessere del popolo italiano. È necessario che a un certo momento questi istituti che noi abbiamo creati siano sentiti e avvertiti direttamente dalle masse come strumenti attraverso i quali queste masse

migliorano il

loro livello di vita .

Bisogna che ad un certo momento l'operaio, il lavoratore della terra possa dire a se stesso e dire ai suoi: se io oggi sto effettivamente meglio, lo si deve agli istituti che la rivoluzione fascista ha creati. In tutte le società nazionali c'è la miseria inevitabile.

C'è una aliquota di gente che vive ai margini della società; di essa si occupano speciali istituzioni. Viceversa quello che deve angustiare il nostro spirito è la miseria degli uomini sani e validi che cercano affannosamente e invano il lavoro. (Vivissimi e prolungati applausi)

Ma noi dobbiamo volere che gli operai italiani, i quali ci interessano

286 Scritti politici di Benito Mussolini

nella loro qualità di italiani, di operai e di fascisti, sentano ch e noi 11011 c reiamo degli istituti soltanto per dare forma ai no s tri schemi dn1 t ri nari, ma creiamo degli istituti che devono dare a un certo 1111)1111.·1110 dei risultati positivi, concreti, pratici e tangibili. (Applausi)

Non mi soffermo sui còmpiti conciliativi che la corporazion e Ii1 ,;\ svolgere, e non vedo nessun inconveniente alla pratica dei còmpi li 1.:011s ultivi. Già adesso accade che tutte le volte che il Governo dev e pr endere dei provvedimenti di una certa importanza, chiama gli interessali. Se domani ciò diventa obbligatorio per determinate questioni, io non ci vedo alcun che di male, perché tutto ciò che accosta il cittadino nllo tato, tutto ciò che fa entrare il cittadino dentro l'ingranaggio dello Stato, è utile ai fini sociali e nazionali del fascismo.

Il nostro Stato non è uno Stato assoluto, e meno ancora assolutista 1 lontano dagli uomini ed armato soltanto di leggi inflessibili come le leggi devono essere.

11 nostro Stato è uno Stato organico, umano, che vuole aderire alla realtà della vita.

La stessa burocrazia non è oggi, e meno ancora domani vuol essere un diaframma fra quella che è l'opera dello Stato e quelli che sono gli interessi e i bisogni effettivi e concreti del popolo italiano.

Io sono certissimo che la burocrazia italiana, che è ammire vo le , hl burocrazia italiana, cosf come ha fatto fin qui, domani lavorerà con le corporazioni tutte le volte che sarà nece ssario pe r la pit'.i fcco ndn so ~ lu zione dei problemi.

Ma il punto che piu ha nppa ssio nnto qu es tn nssc mb.l ca è qu e llo clic intende dare al Consiglio nazional e d ell e co rporn ,, io ni d ei poLCl'i leg is lativi.

Taluno, precorrendo i tempi , ha g ià pnrlnto d ell a fin e dcll 'auun lc Camera dei deputati. Spieghi amoci.

L'attuale Camera dei deputati, essendo ormai terminata la legislatura, de ve essere sciolta.

Secondo, non essendovi il tempo sufficiente in questi mesi per creare i nuovi istituti corporativi, la nuova Camera sarà scelta con lo stesso metodo del 1929.

Ma la Camera a un certo punto dovrà decidere il suo proprio des tino. Ci sono dei fascisti in giro che vorranno piangere dinanzi n questa ipotesi? (Molte voci: "No! " )

Comunque sappiano che noi non asciugheremo le loro lacrime. t perfettamente concepibile che un Consiglio nazionale delle corpo . razioni so s tituisca in toto la attuale Camera dei deputati. La Ca111l'rn dei deputati non mi è mai piaciuta . In fondo questa Cam e ra de i dt" p11 tati è oramai anacronis tica anche nel suo stesso titolo: è un is1i tuto d1 t· noi abbiamo trovato e che è estraneo alla nostra mentalità, alb 110H1t'r1 pa ssione di fascisti.

Il mito dell' impero (1 932-1940) 287

La Camera presuppone un mondo che noi abbiamo demolito; presuppone pluralità dei partiti, e spesso e volentieri l'attacco alla diligenza. Dal giorno in cui noi abbiamo annullato questa pluralità, la Camera dei deputati ha perduto il motivo essenziale per cui sorse.

Nella loro quasi totalità i deputati fascisti sono stati all'altezza della loro fede e bisogna pensare che il loro sangue fosse sanissimo perché non si è intristito in quegli ambienti dove tutto respira il passato. Tutto ciò avverrà prossimamente perché non abbiamo precipitazioni. Importante è di stabilire il principio perché dal principio si traggono le conseguenze fatali .

Quando nel giorno 13 gennaio 1923 si creò il Gran Consiglio, i superficiali avrebbero potuto pensare: si è creato un istituto. No: quel giorno fu sepolto il liberalismo politico.

Quando con la Milizia, presidio armato del Partito e della rivoluzione, quando con la costituzione del Gran Consiglio, organo supremo della rivoluzione, si diè di colpo a tutto quello che era la teoria e la pratica del liberalismo, si imboccò definitivamente la strada della rivoluzione.

Oggi noi seppelliamo il liberalismo economico.

La corporazione gioca sul terreno economico come il Gran Consiglio e la Milizia giocarono sul terreno politico! (Applausi)

Il corporativismo è l'economia disciplinata, e quindi anche controllata, perché non si può pensare a una disciplina che non abbia un controllo.

Il corporativismo supera il socialismo e supera il liberalismo, crea una nuova sintesi.

È sintomatico un fatto, un fatto sul quale forse non si è sufficientemente riflettuto: che il decadere del capitalismo coincide col decadere del socialismo!

Tutti i partiti socialisti d'Europa sono in frantumi!

Non parlo dell'Italia e della Germania, ma anche di altri paesi. Evidentemente i due fenomeni, non dirò che fossero condizionati, da un punto di vista strettamente logico; c'era però, fra essi, una simultaneità di ordine storico.

Ecco perché l'economia corporativa sorge nel momento storico de. terminato, quando cioè i due fenomeni concomitanti, capitalismo e so. cialismo, hanno già dato tutto quello che potevano dare .

Dall'uno e dall'altro ereditiamo quello che essi avevano di vitale. Noi abbiamo respinto la teoria dell'uomo economico, la teoria liberale, e ci siamo inalberati tutte le volte che abbiamo sentito dire che il lavoro è una merce.

L'uomo economico non esiste, esiste l'uomo integrale, che è politico,

288 Scritti politici di Benito Mussolini

che è economico, che è religioso, che è santo, che è guerriero. (Applausi vivissimi)

Oggi noi facciamo nuovamente un passo decisivo sulla vin ddla rivolu zione .

Giustamente ha detto il camerata Tassinari che una rivoluzion e pc.;r esser grande, per dare una impronta profonda nella vita di un popolo nella storia, deve essere sociale.

Se ficcate il viso nel profondo, voi vedete che la rivoluzione francese fu eminentemente sociale , perché demoli rutto quello che era rimasto del medioevo dai pedaggi alle corvées; sociale, perché provocò il vasto rivolgimento di tutto quello che era la distribuzione terriera della Francia, e creò quei milioni di proprietari che sono stati e sono ancora una delle forze solide e sane di quel paese.

Altrimenti rutti crederanno di aver fatto una rivoluzione. La rivolu zione è una cosa seria, non è una congiura di palazzo e non è nemmeno un mutamento di ministeri o l'ascesa di un partito che soppianti un altro partito.

È da ridere quando si legge che nel 1876 l'arrivo della sinistra al potere fu definito una rivoluzione. (Si ride)

Facciamoci da ultimo questa domanda: il corporativismo può essere applicato in altri paesi? Bisogna farsi questa domanda, perché se l a fanno in rutti gli altri paesi, dovunque si studia e ci si arTat ica a comprendere.

Non vi è dubbio che, data la crisi genera le ciel capirnlismo, delle soluzioni corporative si imporrann o dovunque , m:1 per for c il co rporn ~ tivismo pieno, completo, integrale , rivolu zjonario, occo rrono I re co n dizio ni.

Un partito unico, per cui accanto alla di sciplina economica entri in azione anche la disciplina politica, e ci sia al di sopra dei contrastanLi interessi un vincolo che tutti unisce, in fede comune.

Non ba sta. Occorre, dopo il partito unico, lo Stato totalitario, cioè lo Stato che assorba in sé, per trasformarla e potenziarla, tutta l'energia, rutti gli interessi, tutta la speranza di un popolo.

Non basta ancora. Terza ed ultima e phi importante condizione: oc~ corre vivere un periodo di altissima tensione ideale. (Vivi applausi)

Noi viviamo in questo periodo di alta tensione ideale.

Ecco perché noi, grado a grado, daremo forz a e consistenza a tul h' le nostre realizzazioni, tradurremo nel fatto tutta la nostra dot I ri11a .

Come negare che questo nostro, fasci sta, sia un periodo cli :1 !1:1 lt·n sione ideale? Ne ss uno può negarlo. Questo è il tempo nel q11:olc I, · armi furono corona te da vittoria. Si rinnovano gli istituti, s i rcdi nw b terra, si fondano le città.

Il mito dell'impero (1932-1940) 289

2 . Piano d'azione per l'impresa etiopica

1) Il problema dei rapporti italo-abissini si è spostato in questi ultimi tempi su un piano diverso: da problema diplomatico è divenuto un problema di forza; un problema storico che bisogna risolvere con l'unico mezzo col quale tali problemi furono sempre risolti: con l'impiego delle armi.

2) Lo sviluppo della sit uazione abissina ci presenta questi dati di fatto inoppugnabili: la tendenza del Negus a centralizzare l'autorità imperiale, e limin ando con la violenza, l 'intrigo, la corruzione, i ras periferici, il potere dei guaii sta diventando sempre piu virtuale . Prima che l'Etiopia possa dirsi uno Stato nel senso europeo della parola, passerà molto tempo; ma si deve ricordare che la storia, nei tempi moderni, cammina in fretta, specialmente quando è aiutata da missioni di europei, il che ci permette di ragionevolmente prevedere che tale sviluppo di accentramento e di unificazione può continuare ad essere coronato da successo se non sarà interrotto da avvenimenti esterni.

3) Tale sviluppo "politico" è un coefficiente che aumenta la capacità e l'efficienza bellica dell'Impero etiopico.

4) Contemporaneamente, tutte le informazioni concordano nel segnalare anche un accentramento di poteri militari ed un indiri zzo tendente a trasformare sul tipo europeo - come organizzazione e soprattutto come armamento - le forze militari di cui l'Etiopia può disporre. Anche qui ci vorrà molto tempo prima che tale trasformazione sia compiuta, ma anche qui la marcia può essere veloce e può essere accelerata dagli istruttori europei, se non sarà turbata da eventi esterni. Come armamento portatile (mitragliatrici, fucili automatici, fucili ordinari) l'Abissinia è fornita delle armi piu moderne e in quantità che cominciano ad essere considerevoli.

5) Tenendo conto di quanto precede, bisogna trarre la prima logica conclusione: il tempo lavora contro di noi. Piu tarderemo a liquid are il problema e piu sarà difficile il compito e maggiori i sacrifici. Seconda non meno logica conclusione: bisogna risolvere il problema al piU presto possibile, non appena cioè i nostri apprestamenti militari ci diano la sicurezza della vittoria.

6) Decisi a questa guerra, l'obbiettivo non può essere che la distruzione delle forze armate abissine e la conquista totale dell'Etiopia. L'Impero non si fa altrimenti.

7) La Francia democratica e massonica ha liquidato con una guerra

* Da ALESSANDRO LESSONA, Memorie, Roma 1963, pp. 165,171. Appunti del capo del governo in data 30 dicembre 1934: titolo originale: DiretJive e piano d'azione per riso l· vere la t.JUeJtione itala-abiuina.

290 Seri/ti politici di Benito Mussolini
*

in piena regola Abd el Krim. Ha approfittato del momento in cui la Germ ania era ancora inerme o quasi.

8 ) Condizione essenziale, ma non pregiudiziale, della nostra azion e è quella di avere alle spalle un 'Europa tranquilla, almeno per il bi e nni o 1935-36 e 1936-37, che dovrebbe essere il periodo ri solutiv o. Un esame della situazione , quale si presenta agli inizi del 1935, perme tte di prevedere che nei prossimi anni sarà evitata la guerra in E uropa , come è stata evitata nel lu glio e nell'ottobre del 1934. Elementi cli s tabillizazione sono: gli accordi dell'Italia con la Francia .

Ta li accordi allontanano il pericolo cli un nuovo attentato della Germania all'Austria. D' altra parte la conseguenza inevitabile degli accordi dell ' Italia eon la Francia è il miglioramento delle relazioni italo-jugoslave. La crisi politica jugoslava durerà a lungo. Questo indebolirà per molto tempo Belgrado, che dovrà dedicarsi ai problemi politici di ordine interno. Altrettanto dicasi della Germania, il cui apparato militare è lungi da quell'efficienza che può con sentire il prendere iniziative di gue rra: senza contare la ragione di ordine interno che consiglia alla Ger mania di fare per qu alche tempo ancora una politica di pace. La Polonia, che pareva dove ss e di ven tare una pedina del giuoco tedesco, s ta facendo un molto pronunciato movimento cli conversione verso la Francia. Ciò funziona da rallentatore al dinamismo del terzo Re ich. La conclusione che si può ricavare da questo e sa me so mmari o è c he ci sarà in Europa un ulteri ore periodo di pace.

9) Perché l a vittoria delle nostre armi s ia rnp id a e definitiva occo rre impiegare su larga scala .i mezzi meccan ici d i c ui di s1o nimn u c che gli abi ss ini no n hanno an co rn o non hann o i n rni surn ril cv: 1111 c, 11rn che potrebbero avere fr a qualche 1111110.

Cons id e ro i preparativ i ff1ili tar i abi ss in i. co me un perico lo pote nz iale g raviss imo anche pe r la s icurezza dell e nost re colo nie 1 spec ie se fossimo i mpegnati in Europa.

10) Per una guer ra rapida e definitiva , ma che sa rà sempre dura, si d ev ono predisporre grandi mezzi. Accanto ai 60 .000 indigeni si devono mandare almeno altrettanti metropolitani. Bisogna concentrare alm eno 250 appa recchi in Eritrea e 50 in Somalia . Carri armati, 150 in Eritrea e 50 in Somalia. Superiorità assoluta di artiglieria . Dovizia di munizioni. I 60 .000 sold ati della metropoli, meglio ancora se 100.000, devono esser pronti in Eri t rea per l'ottobre del 1935. Nel frattempo dovranno essere chiamati all e armi per abbastanza lunghi pe riodi d 'istruzione tutti gli indigeni, i quali saranno poi mobilitati nel settembre-ottobre 19 35 . Piu sarà rapida la nostra azione e tanto minore sarà il pericolo di complicazio ni diplomatiche. Nes suno ci solleverà difficoltà, in Europa, se la condotta delle operazio ni militari determinerà rapidament e il fatto compiuto. Bast erà dichiarare all'Inghilterra e alla Fran cia che i loro interessi saranno

Il mito dell'impero (1932-1940) 291

riconosciuti. Dal punto di vista diplomatico sono le uniche nazioni che hanno preso accordi con noi circa l'Etiopia.

Imbaraz zi da parte della Società delle Nazioni non ne verranno o saranno tali da non impedirci di condurre a fondo l'impresa.

11) È necessaria un'azione politica anche nell'interno dell'Abissinia allo scopo di dividere ed indebolire l 'Impero suscitando con tutti i mezzi le opposizioni di quei Capi che sembrano insofferenti. Piu saranno imponenti i nostri preparativi militari e pill agevole sarà quest'azione fra i capi minori e periferici.

L'importanza dei nostri mezzi sarà anche efficace ai fini del lealismo degli eritrei. I nostri preparaùvi devono suscitare negli eritrei la convinzione che nessuno ci potrà resistere e suscitare negli abissini d'ol· tre confine il dubbio e l'apprensione. Anche il governo morale delle truppe eritree dovrà essere per unità e giustizia, tale da fortificare e garantire il loro leali smo.

12) Poich é la nostra preparazione sarà ulùmata o quasi solo nell 'a utunno del 1935, la politica deve impedire tutti gli incidenti che potrebbero anticipare il conflitto.

13) Tutte le dotazioni saranno mano a mano reintegrate in modo che l'esercito non abbia diminuita la sua efficienza globale.

14) Nessuna preoccupazione dal punto di vista "interno ". Nelle masse fasciste è ormai diffusa la convinzione della ineluttabilità dell'urto e anche la convinzione che piu si tarda e piu ardua diviene l'operazione. Nelle masse giovanili "il tono" è ancor piU elevato. I re· sidui del vecchio mondo temono "l'avventura", poiché credono che la guerra sarebb e condotta coi loro sistemi; ma s'ingannano, e inoltre non contano poliùcamente e socialmente nulla. È dal 1885 che questo problem a esiste . L'Etiopia è l ' ultimo lembo d'Africa che non ha padrorù europei.

Il nodo gordiano dei rapporti italo-abissini va aggrovigliandosi sempre piu. Bisogna tagliarlo prima che sia troppo tardi!

3. Il discorso della mobilitazione •

Camicie nere della rivoluzione! Uomini e donne di tutta Italia! Italiani sparsi nel mondo, oltre i monti e oltre i mari! Ascoltate!

Un'ora solenne sta per scoccare nella storia della patria. Venti mi~ !ioni di uomini occupano in questo momento le piazze di tutta Italia. Mai si vide nella storia del genere umano, spettacolo piu gigante-

* Discorso pronunciato a Roma, dal palazzo Venezia, il 2 ottobre 1935. Da "Il Popolo d'Italia", n, 236, 3 ottobre 1935, XXII.

292 Scri tti politici di Benito Mussolini

sco. Venti milioni di uomini: un cuore solo, una volont:?1 sola 1 1111:, decisione sola .

La loro manifestazione deve dimostrare e dimostra al mondo cl 1e Italia e fascismo costituiscono una identità perfetta, assolutB, in 1d 1:erabile.

Possono credere il contrario soltanto i cervelli avvolti nella piU cr.1ss:1 ignoranza su uomini e cose d 'I talia, di questa Italia 1935, anno Xli I dell'era fascista.

Da molti mesi la ruota del destino, sotto l'impulso della nostra ca lma determinazione, si muove verso la meta: in queste ore il suo ritmo è pili veloce e inarrestabile ormai!

Non è soltanto un esercito che tende verso i suoi obiettivi, ma è un popolo intero di quarantaquattro milioni di anime, contro il quale si tenta di consumare la piu nera delle ingiustizie: quella di toglierci un po' di posto al sole.

Quando nel 1915 l'Italia si gettò allo sbaraglio e confuse le sue sorti co n quelle degli Alleati, quante esaltazioni del nostro coraggio e quante promesse! Ma, dopo la vittoria comune, alla quale l'Italia aveva dato il contributo supremo di seicentosettantamila morti, quattrocentomila mutilati, e un milione di feriti, attorno al tavolo della esosa pace non toccarono all'Italia che scarse briciole del ricco bottino co lonia le altrui.

Abb iamo pazientato tredici anni, durante i quali si è an co ra piu st retto il cerchio degli egoismi che soffocano la nostra vit.nlit:ì. Co n l'Etiopia abbiamo paz ientato quaranta ann i! 01·a bnsrn!

Alla Lega de1le nazioni, jnv ece di riconosce re j nos tr.i dir itti , s i p:11 ·la di sanzioni.

Sino a prova contraria, mi rifiuto di ctedere che l'autentico e generoso popolo di Francia possa aderire a sanzioni contro l'Italia. I seimila morti di Bligny, caduti in un eroico assalto, che strappò un riconoscimento di ammirazione allo stesso comandante nemico, trasalirebbero sotto la terra che li ricopre.

Io mi rifiuto del pari di credere che l'autentico popolo di Gran Bretagna, che non ebbe mai dissidi con l'Italia, sia disposto al rischio di ge ttare l 'Europa sulla via della catastrofe per difendere un paese africano, universalmente bollato come un paese senza ombra di civilt?1. Alle sanzioni economiche opporremo la nostra disciplina, la nostra sobrietà, il nostro spirito di sacrificio.

Alle sanzioni militari risponderemo con misure militari.

A d atti di guerra risponderemo con atti di guerra.

Nessuno pensi di piegarci senza avere prima duramente combnt I 111n .

Un popolo geloso del suo onore non può usare linguagg io né avc-n·

atteggiamento diverso!

Ma sia detto ancora una volta, nella maniera pili categor ic i - t; i11

Il mito dell'impero (1932-1940) 29 3

ne prendo in questo momento impegno sacro davanti a voi - che noi faremo tutto il possibile perché questo conflitto di carattere coloniale non assuma il carattere e la portata di un conflitto europeo. Ciò può essere nei voti di coloro che intravvedono in una nuova guerra la vendetta di templi crollati, non nei nostri.

Mai come in questa epoca storica il popolo italiano ha rivelato le qualità del suo spirito e la potenza del suo carattere. Ed è contro questo popolo, al quale l'umanità deve talune delle sue piu grandi conquiste, ed è contro questo popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di navigatori, di trasmigratoti, è contro questo popolo che si osa parlare di sanzioni.

Italia proletaria e fascista, Italia di Vittorio Veneto e della rivoluzione! In piedi! Fa' che il grido della tua decisione riempia il cielo e sia di conforto ai soldati che attendono in Africa, di sprone agli amici, e di monito ai nemici in ogni parte del mondo: grido di giustizia, grido di vittoria!

4. Rivolta ideale in Europa •

Le sinistre decisioni di Ginevra tengono l 'Europa in -una inquietudine grave. Le cosiddette "sanzioni,, - contro una potenza che è colonna basilare della sicurezza continentale, in difesa di uno pseudo Stato barbarico e negriero, per una lontana e circoscritta operazione cli carattere strettamente coloniale - recano un nuovo perturbamento nel travaglio della lunga crisi derivata dalla conflagrazione mondiale. Stati grandi e piccoli, la cui economia è paralizzata dalle muraglie doganali, dal depauperamento aureo e dall'onere di una disoccupazione che colpisce milioni di uomini e che non ha riscontro nella storia, sono oggi colpiti da nuove limitazioni, imposte da una egemonia dittatoriale, in nome cli interessi particolari e perciò st esso antisocietari e antieuropei, limitazioni cli nuovissimo conto, di cui nessuno può prevedere le ripercussioni ultime, ma che già gravano come una oscura minaccia sulla vita europea e mondiale.

Rileviamo subito che l'epicentro di questa inquietudine è ormai nettamente spostato al di fuori della vertenza coloniale italo-etiopica. Malgrado le ipocrisie ginevrine e la frode giuridica di sentenze coatte, l'Europa avverte che la questione in corso sul lontano acrocoro tigrino non tocca minimamente interessi di carattere generale . La vertenza poteva essere risolta per via societaria, con un mandato di cui piU nessuno contesta l'urgenza , e che spettava di giusto diritto all'Italia, per

294 Scritti politici di
Mussolini
Benito
* Da "Il Popolo d'Italia", n. 25 1, 18 ottobre 1935, XXII.

impegni giuridici sottoscritti da Inghilterra e Francia, confermati dal Governo di Londra nel 1925 (cioè dopo il Covenant e dopo l'in gresso dell'Etiopia a Ginevra), e infine ratificati nel loro pieno vigor e dal Comitato dei cinque, organo societario, con firme della stessa In g hil ~ terra e della Francia . Resa impossibile una soluzione pacifica, pe r d eliberati da cui l'Italia fu esclusa (e che, confermando nell'Etiopia g li interessi anglo-francesi , misconosceva quelli italiani), si è iniziata un:1 operazione di self-protection, che di per sé non turba né la tranquillità mondiale, né quella europea.

Inoltre si è reso ormai evidente che le operazioni italiane sul lontano altipiano etiopico recano la liberazione fra popolazioni oppresse, angariate e sistematicamente razziate, cosicché, se il sinedrio societario, sotto un'imposizione dittatoriale, parteggia per gli oppressori contro l'Italia, la coscienza europea in larghi settori comincia a prendere posizione per la causa degli oppressi, liberati dall'Italia.

L'inquietudine deriva , per contro, dalle oscure minacce di un conflitto europeo. La distensione invocata con l'abrogazione delle misure nel Mediterraneo, non ha trovato favore di ambiente. Quelle misure non sono state richieste dall'Europa e sono esse che turbano l'Europ a L'incubo di un'estensione del conflitto agita soprattutto la F ran cia Oltre ottocento personalità delle lettere, dell'arte , della politi ca, il 11 0r e dell'intelligenza francese, ha lanciato un appello di so lidari c t;Ì co ll'Italia contro le forze oscure che vorrebb ero spin ge re J'E w·opa ve rs o una nuova catastrofe. La Francia, cavalJ er esca e ge ne ros n, p i-o n I a :.111cora a battersi per la difesa e pe r b sicurezza dcll 'E uto p:-1 , g rida l:i propria indignata esac razio ne di fro nte a Ua min acci a di un co nflitto, dietro cui si ved e l a man ov ra lei bolsce vi smo. Stéphan e Lau zann c scrive nel Ma t in: " N o ! Qu alunqu e cos a avven ga, la Francia non si batterà".

De Kerillis, che conduce nell'Ecbo de Paris una coraggiosa, diuturna campagna in difesa della sicurezza europea, dichiara che la Francia, non avendo voluto battersi a Fashoda, quando erano in gioco i suoi interessi , non si batterà per il Negus dei negrieri.

Ginevra si è posta dunque nettamente contro la sicurezza europea, contro la collaborazione europea, contro il sentimento europeo.

La rivolta ideale dell'Europa contro le oscure forze della catastrofe - nelle quali figura logicamente e apertamente in priipo piano il bolscevismo, cosa di cui va preso atto per l'oggi e per il domani - trovano eco nell'anima del grande popolo italiano.

Dove va l'Europa? È l'interrogativo formidabile che travaglia la coscienza morale di un continente, ancora tormentato dal collas so dell'ultima conflagrazione

Alle voci generose e risolute che giungono d'oltre fronti e re, Pl1:1li:1

li mito dell'impero (19}2-1940) 295

ha già risposto con l'impegno sacro del suo capo: "Noi faremo tutto il possibile perché questo conflitto di carattere coloniale non assuma il carattere e la portata di un conflitto europeo".

Le responsabilità sono nettamente definite.

Camicie nere della rivoluzione! Uomini e donne di tutta Italia! Italiani e amici dell'Italia al di là dei monti e al di là dei mari! Ascoltate! Il maresciallo Badoglio mi telegrafa:

"Oggi, 5 maggio, alle ore 16, alla testa delle truppe vittoriose, sono entrato in Addis Abeba".

Durante i trenta secoli della sua storia, l'Italia ha vissuto molte ore memorabili, ma questa di oggi è certamente una delle piu solenni.

Annuncio al popolo italiano e al mondo che la guerra è finita.

Annuncio al popolo italiano e al mondo che la pace è ristabilita. Non è senza emozione e senza :fierezza che, dopo sette mesi di aspre ostilità, pronuncio questa grande parola. Ma è strettamente necessario che io aggiunga che si tratta della nostra pace, della pace romana, che si esprime in questa semplice, irrevocabile, definitiva proposizione: l'Etiopia è italiana! Italiana di fatto, perché occupata dalle nostre armate vittoriose; italiana di diritto, perché col gladio di Roma è la civiltà che trionfa sulla barbarie, la giustizia che trionfa sull'arbitrio crudele, la redenzione dei miseri che trionfa sulla schiavitu millenaria.

Con le popolazioni dell'Etiopia, la pace è già un fatto compiuto. Le molteplici razze dell'ex impero del leone di Giuda banno dimostrato, per chiarissimi segni, di voler vivere e lavorare tranquillamente all'ombra del tricolore d'Italia.

I capi ed i "ras" battuti e fuggiaschi non contano piU e nessuna forza al mondo potrà mai piu farli contare.

Nell'adunata del 2 ottobre, io promisi solennemente che avrei fatto tutto il possibile onde evitare che un con:8.itto africano si dilatasse in una guerra europea. Ho mantenuto tale impegno, e pili che mai sono convinto che turbare la pace dell'Europa significa far crollare l'Europa . Ma debbo immediatamente aggiungere che noi siamo pronti a difendere la nostra folgorante vittoria con la stessa intrepida ed inesorabile decisione con la quale l'abbiamo conquistata.

Noi sentiamo cosi d'interpretare la volontà dei combattenti d'Africa,

296 Scritti politici di Benito Mussolini
* Discorso pronunciato a Roma, dal palazzo Venezia, il 5 maggio 1936, Da "Il Popolo d'Italia", n. 127, 6 maggio 1936, XXIII.

di quelli che sono morti, che sono gloriosamente caduti nei co111lrn 1 timenti e la cui memoria rimarrà custodita per generazioni e /',l ' IH.' razioni nel cuore di tutto il popolo italiano, e delle altre cc11 1i11ni11 di migliaia di soldati, di camicie nere, che in sette mesi di ca n11 1np, 1m hanno compiuto prodigi tali da costringere il mondo alla inco11d izio nata ammirazione.

Ad essi va la profonda e devota riconoscenza della patria, e tale riconoscenza va anche ai centomila operai che durante questi mesi hanno l avora to con un accanimento sovrumano.

Questa d'oggi è una incancellabile data per la rivoluzione delle camicie nere, e il popolo italiano, che ha resistito, che non ha piegato dinanzi all'assedio ed alla ostilità societaria, merita, quale protagonis ta, di vivere questa grande giornata.

Camicie nere della rivoluzione! Uomini e donne di tutta Italia! Una tappa del nostro cammino è raggiunta. Continuiamo a marciare nella pace, per i compiti che ci aspettano domani e che fronteggeremo co n il nostro coraggio, con la nostra fede , con la nostra volontà.

Viva l'Italia!

6. L'asse Roma-Berlino•

Camicie nere di Milano!

Col discorso che io sto per pronunciare dinan zi a voi e pe r il q 11alc vi chiedo, e voi mi darete , alcune decine di minul i de lla vos tra :11tenzione, io intendo di fi ssare la posiz ione fa sci s ta pc t quanlo rigwirda le sue relazioni con altri popoli d'Europa in questo mom ento cosi torbido ed inquietante.

L'alto livello della vostra educazione politica mi permette di esporre n voi quei problemi che altrove sono dibattuti n ei cosiddetti parlamenti e alla fine dei banchetti cosiddetti democratici. Sarò estremamente sintetico, ma aggiungo che ognuna delle mie parole è meditata. Se si vuole chiarificare l 'atmosfera europea, bisogna in primo luogo fare tabula rasa di tutte le illusioni , di tutti i luoghi comuni, di tutte l e menzogne convenzionali che costituiscono ancora i relitti del grande naufragio delle ideologie wilsoniane .

Una di queste illusioni è a terra: è l'illu sione del disarmo. Nessuno vuole disarmare per primo, e disarmare tutti insieme è impossibile cd assurdo.

Eppure, quando si riunl a Ginevra la conferenza del disarmo, In r ·gfa funzionò in pieno. Questa regia consiste nel gonfiare le vescich e s in o

" Discorso pronunciato il 1° novembre 1936 a Milano. Da "Il Popolo d'It nl i:1-, n , \1H, 2 novembre 1936, XXIII.

Il mito dell'impero (1932-1940) 7')7

a farne diventare delle montagne. Su queste montagne si concentra per alcuni giorni tutto il fuoco dei proiettori della pubblicità mondiale; poi, ad un certo momento, da queste montagne esce un minuscolo topo, che va a finire nei labirinti di una procedura che, in fatto di trovate fertili, non ha precedenti nella storia.

Per noi fascisti, abituati ad esaminare con occhio freddo la realtà della vita e della storia, altra illusione, che noi respingiamo, è quella che passa sotto il nom e cli "sicurezza collettiva".

La sicurezza collettiva non è mai esistita, non esiste, non esisterà mai. Un popolo virile realizza nei suoi confini la sua sicurezza collettiva e rifiuta di affidare il suo destino alle mani incerte dei terzi.

Altro luogo comune che bisogna respingere è la pace indivisibile. La pace indivisibile non potrebbe avere che questo significato: la guerra indivisibile, ma i popoli si rifiutano, e giustamente, di battersi per interessi che non li riguardano.

La stessa Società delle nazioni si basa sopra un assurdo che consiste nel criterio dell 'assoluta parità giuridica fra tutti gli Stati, mentre gli Stati si differenziano almeno dal punto di vista della loro storica responsabilità.

Per la Società delle nazioni il dilemma si pone in termini chiarissimi: o rinnovarsi, o perire. Poiché è estremamente difficile che essa possa rinnovarsi, per nostro conto può anche tranquillamente perire. Comunque, noi non abbiamo dimenticato e non dimenticheremo che la Società delle nazioni ha organizzato, con metodi di una diligenza diabolica, l'iniquo assedio contro il popolo italiano, ha tentato di affamare questo popolo nella sua concreta vivente realtà degli uomini, delle donne, dei fanciulli, ha cercato di spezzare il nostro sforzo militare, l'opera di civiltà che si compiva a circa quattromila chilometri di distanza dalla madrepatria.

Non c'è riuscita: non c'è riuscita non già perché non lo volesse, ma perché ha trovato di fronte (la folla urla: "Il Duce!") l'unità compatta del popolo italiano, capace di tutti i sacrifici e anche di battersi contro cinquantadue Stati coalizzati.

Del resto per fare una politica di pace non è necessario di passare per gli ambulacri della Società delle nazioni.

Qui, o camerati, io faccio quello che nella navigazione si chiama il punto. Dopo diciassette anni di polemiche, di attriti, di malintesi, di problemi rimasti in sospeso, nel gennaio 1935 si realizzavano degli accordi con la Francia. Questi accordi potevano e dovevano aprire una nuova epoca di relazioni veramente amichevoli tra i due paesi. Ma vennero le sanzioni. Naturalmente l'amicizia subl un primo congelamento. Eravamo alle soglie dell'inverno , Passò l'inverno e giunse la primavera e con la primavera le nostre trionfali vittorie. Le sanzioni continuavano ad essere applicate con un rigore veramente me-

298 Scritti politici di Benito Mussolini

ticoloso. Da almeno due mesi eravamo ad Addis Abeba e an cn rn d11 tavano le sanzioni. Caso classico della lettera che uccide lo spirih,, del formalismo che strangola la vivente, concreta realtà deJla vita .

La Francia ancora oggi tiene il dito puntato sugli ingialliti rc11i,:t ri di Ginevra e dice: l'impero del morto ex-leone di Giuda è :mcorn vivo. Ma al di là dei mastri ginevrini che cosa dice la realt à della m, stra vittoria? Che l'impero del negus è stramorto.

È di tutta evidenza che sino a quando il Governo francese terrà, ne i nostri confronti, un atteggiamento di attesa riservata, noi non potremo fare che altrettanto.

Uno dei paesi confinanti con l'Italia e con il quale le nostre relazioni furono, sono e saranno sempre estremamente amichevoli, è la Svizzera. Paese piccolo, ma di una importanza grandissima e per la composizione sua etnica e per la posizione geografica che occupa nel quadrivio d'Europa.

Con gli accordi dell'll luglio un'epoca nuova si è aperta nella storia dell'Austria moderna. Gli accordi dell'll luglio, ne prendano nota tutti i commentatori frettolosi e male informati, erano da me conosc iuti ed approvati sin dal 5 giugno, ed è mia convinzione che tali accordi hanno irrobustito la compagine statale di questo Stato e ne hanno anche maggiormente garantita l'indipendenza.

Sinché non sarà resa giustizia all'Ungheria non vi potrà esse re s is temazione definitiva degli interessi nel bacino danubian o. L ' Ungh e ria è veramente la grande mutilata: quattro milioni di ma g iari viv o no o ltre i suoi confini attuali. Per volere seguire i dettami di una giu st.i:t.i i1 troppo astratta , si è Ca duti in un'a l a::, in g iu s tiz ia fot s · m:1gg io1:c .

I sentimenti del popolo italian o verso il popolo mag iaro so no improntati ad uno schietto riconoscimento, che del resto è reciproco, delle sue qualità militari, del suo coraggio, del suo spirito di sacrificio. Ci sarà forse pro ssimamente una occasione solenne nella quale ques ti sentimenti del popolo italiano troveranno pubblica e clamorosa manifestazione.

Quarto paese confinante con l'Italia: l a Jugoslavia. In questi ultimi tempi l'atmosfera tra i due paesi è grandemente migliorata . Voi ricorderete che due anni or sono, in questa stessa piazza, io feci un chiaro accenno alla po ss ibilità di stabilire rapporti di cordiale amicizia fra i due paesi . Riprendo oggi ques to motivo e dichiaro che oggi ormai esis tono le condizioni necessarie e sufficienti di ordine mo~ raie, politico ed economico per mettere su nuove basi di una co11creta amicizia i rapporti fra questi due paesi. Oltre a questi che so1111 i quattro paesi confinanti con l'Italia, un grande paese ha in q11 e:e t ì ultimi tempi raccolto vaste simpatie nelle masse del popolo itnl ia"" ' parlo della Germania.

Gli incontri di Berlino hanno avuto come risultato un:1 .in1 c:s n frn i

Il mito dell'impero (1932-1940) 2~)

due paesi su determinati problemi, alcuni dei quali particolarmente scottanti in questi giorni. Ma queste intese, che sono state consacrate in appositi verbali debitamente fumati, questa verticale BerlinoRoma, non è un diaframma, è piuttosto un asse attorno al quale possono collaborare tutti gli Stati europei animati da volontà di collaborazione e di pace.

La Germania, quantunque circuita e sollecitata, non ha aderito alle sanzioni. Con l 'accordo dell ' ll luglio è scomparso un elemento di dissensione fra Berlino e Roma e vi ricordo che, ancora prima dell'incontro di Berlino, la Germania aveva particolarmente ricono sci uto l'impero di Roma.

Nessuna meraviglia se noi oggi innalziamo la bandiera dell'antibolscevismo. Ma questa è la nostra vecchia bandiera! Ma noi siamo nati sotto questo segno, ma noi abbiamo combattuto contro questo nemico, lo abbiamo vinto, attraverso i nostri sacrifici ed il nostro sangue. Poiché quello che si chiama bolscevismo o comunismo non è oggi, ascoltatemi bene, non è oggi che un supercapitalismo di Stato portato alla sua piu feroce espressione: non è quindi una negazione del sistema, ma una prosecuzione ed una sublimazione di questo sistema.

E sarebbe ora di finirla con il mettere in antitesi il fascismo e la democrazia. Veramente si può dire che questa nostra grande Italia è anche la grande sconosciuta. Se molti di questi ministri, deputati e generi affini che parlano per "sentito dire• si decidessero una buona volta a varcare la frontiera d 'Italia, si convincerebbero che se c'è un paese dove la vera democrazia è stata realizzata , questo paese è l'Italia fascista.

Poiché noi, o reazionari di tutti i paesi, veri ed autentici reazionari di tutti i paesi, noi non siamo gli imbalsamatori di un passato, siamo gli anticipatori di un avvenire.

Noi non portiamo alle estreme conseguenze la civiltà capitali sta soprattutto nel suo aspetto meccanico e quasi antiumano; noi creiamo una nuova sintesi e, attraverso il fascismo, apriamo il varco alla urna. na vera civiltà del lavoro .

Mi sono occupato sin qui del continente. Bisogna che gli italiani a poco a poco si facciano una mentalità insul are, perché è l'unico mo· do per porre al giusto piano i problemi della difesa navale della nazione.

L'Italia è un'isola che si immerge nel Mediterraneo. Questo mare (io qui mi rivolgo anche agli inglesi, che forse in questo momento sono alla radio), questo mare per la Gran Bretagna è una strada, una delle tante strade, piuttosto una scorciatoia con la quale l'impero britannico raggiunge piu rapidamente i suoi territori periferici. Sia detto tra parentesi che quando un italiano, il Negrelli, progettò il taglio

300 Scritti politici di Benito Mussolini

dell'istmo di Suez, soprattutto in Inghilterra fu con s id c rnt o 1111 111<"11 tecatto. Se per gli altri il Mediterraneo è una strada, per noi h:tliani (' Ja vita. Noi abbiamo detto mille volte, e ripeto dinanzi a qu cs t:1 111:1 gnifica moltitudine, che noi non intendiamo di minacciare qu cs t:1 s rrn d a. Non ci proponiamo di interromperla, ma esigiamo d'altra p:1r1r che anche i nostri diritti ed interessi vitali siano rispettati.

Non ci sono alternative: bisogna che i cervelli ragionanti dell'impe ro br itannico realizzino che il fatto è compiuto ed irrevocabile . Piu pres to sarà e tanto meglio sarà.

Non è pensabile un urto bilaterale e meno ancora è pensabile un urto che da bilaterale diventerebbe immediatamente europeo. Non c'è quindi che una soluzione: l'intesa schietta, rapida, completa sulla base del riconoscimento dei reciproci interessi.

Ma se cosi non fosse, se veramente, cosa che io escludo sin da oggi, si meditasse, veramente , di soffocare la vita del popolo italiano in quel mare che fu il mare di Roma, ebbene si sappia che il popolo italiano balzerebbe come un solo uomo in piedi (la folla urla: "Si! Si!"), pronto al combattimento con una decisione che avrebbe rari precede nti nella storia.

Camerati milanesi!

Veniamo a noi. Le direttrici di marcia per l ' anno XV so no le seg uenti : pace con tutti, con i vicini e con i lontani, pace :1rmnt:1. Quindi il nostro programma di armamenti del cielo , del mate e d e ll:1 1c rr:1 s arà regolarmente sviluppato .

Acceleramento di tutte le en e rg ie produttr ic i de.ll a nr1z io nc, n1.: l c:1 111po agricolo e nel campo jndu s trfol e.

Avviamento del s is tema corpora tivo alla s ua de finitiva reali zz az io ne. Ma vi è una con se gna che io affido a v o i, o milanesi di qu es ta ardentissima e fasci s tissima Milano, che ha rivelato in questi giorni 1a s ua grande anima, che affido a voi, o milanesi, di questa Milano generosa , operosa, infaticabile. Que s ta consegna io sono sicuro che div enta per voi, nell 'ora stessa in cui la pronuncio, un imperioso dovere: dovete mettervi, come vi metterete, all'avanguardia per la v,1lorizzazione dell'impero, onde farne , nel piu breve termine di tempo possibile, un elemento di benessere, di pot enza, di gloria per la patrio.

7. Europa e fascismo •

L'affermazione fatta da Mussolini a Berlino il 28 settembre dcl l' ,11in<> XV che l'Europa di domani sarà fascista non tanto per vir1 lr di p111

* Da "'Il Popolo d'Italia", n. 278 , 6 ottobre 1937, XXIV.

11 mito dell'impero (1932-1940) JOI

paganda quanto per lo sviluppo logico degli eventi, ha suscitato vivi commenti e non meno vivaci polemiche.

Questo non ci sorprende. Ci avrebbe sorpreso il contrario. È chiaro che tutti coloro i quali rappresentano in questo momento la conservazione e la reazione - capitalismo, democrazia parlamentare, socialismo, comunismo, liberalismo e un certo ondeggiante cattolicismo col quale un giorno o l'altro faremo i conti secondo il nostro stile - siano contro di noi che rappresentiamo il secolo XX, mentre essi rappresentano il XIX. Quando noi diciamo che l'Europa di domani sarà fascista, ci appoggiamo su dati di fatto e precisamente sui nuovi Stati, non soltanto europei, che si sono aggiunti a quelli che hanno iniziato il movimento di riscossa. Non vi è dubbio, ad esempio, che il Giappone sta liberandosi dai paludamenti parlamentaristici che adottò poche decine di anni or sono e che oggi ne arresterebbero lo slancio vitale. Slancio che noi pienamente comprendiamo e giustifichiamo. Gli strilli delle donnaccole e i sermoni degli arcivescovi ci fanno ridere o schifo a seconda dei casi. È pacifico, matematicamente pacifico, che in caso di necessità l'Inghilterra non esiterebbe un minuto a bombardare delle posizioni nemiche, come ha fatto, sta facendo nel Waziristan e farà tutte le volte che lo riterrà giovevole alla salute dell'impero.

Il Giappone non è 1 ' formalmente" fascista, ma il suo atteggiamento antibolscevico, l'indirizzo della sua politica, lo stile del suo popolo lo portano nel numero degli Stati fascisti. Altro Stato che nell'America meridionale sta liberandosi energicamente dai residuati dell'89 e scende in campo armata mano contro il bolscevismo, è il Brasile. Molti Stati in Europa marciano sulla strada del fascismo, anche quando affermano il contrario. Si va insomma verso quella organizzazione politica delle società nazionali che Mussolini molti anni or sono defini "democrazia organizzata, accentrata, autoritaria su basi nazionali". Ogni nazione avrà il "suo" fascismo; cioè un fascismo adattato alla situazione peculiare di quel determinato popolo: non c'è e non ci sarà mai un fascismo da esportare in forme standardizzate, ma c'è un complesso di dottrine, di metodi, di esperienze, di realizzazioni, soprattutto di realizzazioni, che a poco a poco investono e penetrano in tutti gli Stati della comunità europea e che rappresentano il fatto "nuovo" nella storia della civiltà umana. Coloro che coltivano delle speranze non si sa se piu folli o piu idiote circa l'avvenire degli Stati totalitari, dimenticano che entrambi sono stati collaudati da prove severe: per l'Italia dalla vittoriosa impresa africana e dall'assedio societario di cinquantadue Stati; per la Germania dalla quasi completa liquidazione del trattato di Versaglia, che ha avuto il suo punto culminante nella rioccupazione della zona renana. Due regimi che hanno superato queste prove hanno dimostrato la loro forza, la loro vitalità, che si basa sull'adesio-

302 Scritti politici di Benito Mussolini

ne unanime del popolo, in forme e misure ignote a quegl i S tati clic si sono autodefiniti "grandi democrazie" .

Cosi, come il costume, la dottrina, l'atmosfera del secolo sco rso fu democratico-li be rale (e noi siamo cosi obie ttivi da non considerare 1111to ciò "stupido", come vorrebbero i nazionalisti francesi), il cosLunw, la dottrina, l'atmosfera di questo secolo sarà fascista nel senso lato d e lla parola. I due popoli portatori di questo nuovo tipo di civiltà no n so no gli ultimi venuti nel campo del pensiero e della creazione spir ituale. La stolta accusa che il fascismo sia adatto a popoli di rango inferiore a paragone di quelli beatificati dalle attuali superstiti democrazie, cade davanti a popoli come l'italiano e il germanico, il cui contributo allo sviluppo civile del genere umano è stato ed è formidabile.

Né maggiore consistenza ha l'accusa che gli Stati fascisti per la dinamica dei loro nazionalismi sono portati alla guerra. Ciò che è accaduto in questi ultimi anni dimostra esattamente il contrario : la Germania ha compiuto due manifestazioni pacifiche di eccezionale importanza e sono precisamente l'accordo con la Polonia e l'accordo navale con l'Inghilterra. La concezione eroica della vita tipica del fascismo non è inevitabilmente legata al fatto guerra: ta1e concezione può trovare ampia possibilità di realizzazione anche nelle opere di pace Nello stadio di Berlino, davanti a milioni di uomjni, qucs1n fu bi parola gridata dai capi e raccolta dalle moltitudini, no n s !tant o iiu ]o-germaniche, come una speranza e un:1 ce rt ezz:1.

8 . Al consiglio nazionale del PNF •

11 discorso che sto per pronunciare davanti a voi è stato meditato da me da molti mesi. Questo discorso è destinato a rimanere inedito per il momento. Però vi autorizzo a trasmetterlo per diffusione orale Vi prego di stare ben attenti, perché è un discorso importante. Non co nta se sarà letto fra una settimana, due anni, venti anni. Il verbale autentico della riunione del 16 ottobre 1922, durante la quale decisi la marcia su Roma, voi lo leggerete vene rdf prossimo, dopo sedici anni. E lo troverete interessante.

llicorderete un altro discorso di questo genere, che rimane inedi10 , quello di Eboli. Allora io dissi: "Noi vinceremo il negus, noi mcli<' remo in ginocchio l'Etiopia". Fu riferito in diverse versioni, ma mg

25

1a

1938,

Il mito de/l'impero (1932-1940) JOJ
* Intervento del ottobre alla riunione d el Consiglio nazionale del PNP . P11h blicato per prima volta in B ENITO MUSSOLINI, Opera omnia, voi. XXIX , PI) , 18') J• r,

giunse lo scopo che si proponeva: quello di aumentare la temperatura del popolo italiano e la sua certezza nell 'esito dell a guerra, ormai inevitabile e necessaria.

Alla fine dell'anno XVI ho indi vidua to un nemico, un nemico del nostro regime. Questo nemico ha nome 11 borghesia".

Quando, alcuni anni fa, mi occupavo di questa faccenda e tentavo, invano, di raddrizzare Je gambe ai cani, io dicevo: fate una distinzione netti ssima fra capitalismo e borghesia. Perché la borghesia può essere una catego ria economica, ma è soprattutto una categoria morale, è uno stato d'animo , è un temperame nto . È una mentalità nettissimamente refrattaria alla mentalità fascista . Si potrebbe dire, grosso modo, che la borghesia è quella che sta fra gli operai da una parte, e i contadini dall'altra, cioè fra alcuni milioni di persone. Questo non ci soddisfa.

La borghesia è una categoria a carattere politico-morale. Come l a identificheremo? Attraverso delle esemplificazioni . Esempio: un giorno di luglio il principe Colonna vola e cade . Il fascista di temperamento dice: "Però questo princ ipe romano, di una grande, grandissima famiglia, ha del fegato . Il suo gesto è ammirevole. Poteva nd pomeriggio rimanere in via Veneto e scambia rsi delle parole inutili con altri individui e, viceversa, volava". Commento del borghese : "Ma chi glielo ha fatto fare".

Si fanno dei voli transoceanici che portano la nostra ala in continenti lontani. Il popolo fascista è fiero di ciò. Vede in que ste ges ta qualche cosa che inorgoglisce il popolo italiano. Vede un aumento di prestigio morale della nazione. Il borghese si mette al tavolo e dice: "Tre motori, tre apparecchi, nove motori. Consumo di benzina per ogni motore cinquecento litri. Dunque questo ci viene a costare dai quindici ai venti milioni". Questo è un tipico r agionamento del borghese. Un altro dato di fatto per id entificare il borghese, la mentalità borghese: la esterofil ia. "Parigi! Ma chi non è stato a Parigi non conosce il mondo, non è un uomo!" E ci mettono anche l a erre moscia. "Londra! Domina la quarta parte dei continenti" .

Secondo costoro l'Italia è un piccolo, povero paese , che deve andare a scuola dalla democrazia francese e dalla aristocrazia britannica, perché deve sempre copiare qualcuno e qualche cosa.

Altro tratto caratteristico della borghe sia: il suo pessimismo, ben lontano dal nostro pessimismo virile, che è il pessimismo che vede l'o stacolo e non lo svaluta ed è deciso ad affrontarlo. Il pessimismo del borghese è quello che si fascia l a testa prima di essersela rotta. Prima che succeda niente dice: "Ma che cosa va a succedere? Siamo perduti, è un salto nell'ignoto".

Ma poi ancora il borghese è un minuzzatore di quelli che si chiamano i grandi uomini. La gioia del borghese è quella di vedere che Na-

304 Scritti politici di Benito Mussolini

poleone, ad un certo momento della Maria Walewska, è in una specie di vestaglia, non ben definita, e si rade. Allora il borgh ese dice: "V clete , è uguale a me''. Infatti è uguale a lui. Napoleone non n11dav:i a letto con gli speroni e con gli stivali . Ma c'è una cosa che il hor · ghes e non potrà mai fare . Non potrà mai vincere una batta glia co me quella di Austerlitz. Evidentemente c'è qualcosa in Napoleone che è co mune a tutti gli uomini, ma c'è anche qualcosa di profondam e nte diverso.

Il borghese è nemico dello sport. Nemicissimo dello sport, di tutto quello che può turbare il suo stato perenne di quiete. E naturalmen1:c pacifista, pietoso, pietista, pronto a commuoversi, sempre umaiùtario, infecondo . Infecondo, perché il borghese ci fa un calcolo sopra . Se un sabato sera si mette a discutere con la moglie se fare un bambino o no, il calcolo gli dice che non gli conviene, che è meglio non farlo . Mentre, invece, la fecondità è un dato dell'istinto. La troppa ragione raziocinante è ostile a quelle che sono le forme primordiali, incoercibili e profonde della umanità.

Q uesti sono i tratti caratteristici somatici del borghese.

Vediamo un po' cosa è successo nel sedicesimo anno del regime. È successo un fatto di grandissima importanza. Abbiamo dato dei poderosi cazzotti nello stomaco a questa borghesia italiana. L'abbi:imo irritata, l'abbiamo scoperta, l'abbiamo identificata. Qualch e volta s i nasconde anche nelle nostre file. Dobbiamo liberarci cli css:1 1 bi sog n:1 ca cciarla, anche se dovessimo essere costretti a strapparci. di dns so l:i carne viva.

Il primo cazzotto è stato il passo roma no di parato. li popo lo nd csso lo adora. Ma la borghesia lo ha detes tato. Ha detto: "Ma d,c cos a è questo passo romano di parata?" Non sapeva che è s tato inv entato da Eugenio di Savoia e adottato poi da tutti gli eserciti. Si è detto che esso non era democratico e perciò era stato abolito , mentre noi Io abbiamo ristabilito. Si è detto anche che esso è uguale al "passo dell'oca". Prima di tutto ciò non è vero. Secondo, anche se fosse vero , c'è un dato di fatto curioso : che il popolo italiano è forse il solo popolo della terra che abbia l'oca nella sua storia. Infatti tutti gli storici di Roma lo attestano . C'era un accantonamento cli romani sul Campidoglio. Ora l 'oca faceva migliore guardia dei cani. Del resto l'oca era dedicata a Giunone , e quindi era un animale a1t:imente rispettabile, ed è perfettamente normale che l'oca abbia risv egliato i romani, che forse erano stanchi e dormivano, e quindi i] console abbia sconfitto i Galli (francesi di oggi) ed abbia impedito clw salissero fino sulla vetta del Campidoglio.

Tutti coloro che hanno visto il nostro passo di parata, ed il p:1ssn di parata germanico hanno constatato Che c'è una differe nza cssc..: ri ziale. Tutti gli eserciti Io hanno adottato, ivi compreso J'jn g lc~c, ivi

li mito de/l'impero (1932-1940) 305

compreso l'albanese, il bulgaro; persino i soldati della Repubblica Argentina e i cade t ti degli Stati Uniti. Evidentemente bisogna dare, ad un certo momento, l'impressione della forza.

Decisivo e grave è questo che vi dico: perché non si faceva prima il passo di parata? Perché si riteneva che noi fossimo incapaci di farlo.

Infatti si diceva: "È un passo da giganti e non può essere un passo di un popolo dove tutti sono piccoli, storpi". C'era quasi un riconoscimento della nostra inferiorità fisica per rinunciare a manifestazioni di questa nostra forza . Il popolo l'ha sentito. La borghesia si è inalberata. Ma, dopo le mie parole del 1° febbraio, in cui gettavo fasci di l uce contro i borghesi definendoli sedentari, mezze cartucce ed altro, la borghe sia si è acquetata.

Quel passo esprime la volontà. Chiunque è capace di andare al passo. Se voi prend ete un gregge di tremila pecore con i campanelli, tutti i campanelli suonano nello stesso tempo e il gregge va al passo. Possiamo noi accontentarci di questo? No. L'introduzione del passo romano ha avuto una ripercussione enorme in tutto il mondo, come espressione di forza morale. Noi lo manterremo appunto perché risponde a queste caratteristiche.

Altro piccolo cazzotto: l'abolizione del "lei". (Approvazioni) È incredibile che da tre secoli tutti gli italiani , nessuno escluso, non abbiano protestato contro questa forma servile, che ci è venuta dalla Spagna del tempo. Fino al cinquecento gli italiani non hanno conosciuto che il "tu" e il "voi". Poi solo il "tu", ignorando il "lei". Infatti quando il contadino ha parlato con me, non mi ha detto: "Senta Eccellenza", ma mi ha detto : "Senti, Duce, noi non abbiamo l 'acqua".

In Romagna ancora oggi la moglie dà del "voi" al marito, i nipoti al nonno , e qualche volta il figlio dà del "voi" al padre. Tutta l 'Italia meridionale ignora il "lei", sia nelle classi colte, sia in quelle popolari. Invece lo spagnolismo ci aveva infettati creando problemi complicatissimi di sintassi, perché è chiaro che il "lei" si riferisce ad una donna. Ciò era stato notato da uomini di grande valore, che si chiamano Vittorio Alfieri, Giuseppe Giusti, Giacomo Leopardi, Silvio Pellico.

La borghesia italiana ha detto: "Che cos'è questa storia? Allora vuol dire che invece di Galilei diremo Galivoi". Cretinismo spappolato; barzelletta che vorrebbe essere spiritosa, ed è invece semplicemente cretina .

Altro cazzotto nello stomaco è stata la questione razziale. Io ho parlato di razza ariana nel 1921, e poi sempre di razza. Una o due volte sole di stirpe, evidentemente alludendo alla razza. E quindi ho respinto le parole schiatta, genere umano, ecc., e altre parole che sono troppo evanescenti. Ed ho parlato di uomini vivi di carne ed os sa . Per il

306 Scritti politici di Benito Mussolini

Papa le anime non hanno colore, ma per noi i volti hann o 1111 (o .lare. Pur avendo io sempre parlato di razza, la borghcsi.1 s i l; 1is ve gliata all'improvviso e ha detto: "Razza?" Allora fo mi so110 do mandato: '1 Per avventura non sarei come quell'autore piU citato r lw letto?"

Il problema razziale è per me una conquista importantissima , t..: d 1 \ i mportantissimo l'averlo introdotto nella storia d'Italia. I romani : 111 tichi erano razzisti fino all'inverosimile. La grande lotta della Rcpub blica Romana fu appunto questa: sapere se la razza romana potev a ,iggregarsi ad altre razze.

Questo principio razzista introdotto per la prima volta nella storia del popolo italiano è di una importanza incalcolabile, perché, anche qui, eravamo dinanzi ad un complesso di inferiorità. Anche qui ci eravamo convinti che noi non siamo un popolo, ma un miscug1io di razze, per cui c'era motivo di dire, negli Stati Uniti: "Ci sono due razze in Italia: quella della valle del Po e quella meridionale".

Queste discriminazioni si facevano nei certificati, negli attestati, ccc . Bisogna mettersi in mente che noi non siamo camiti, che non siamo semiti, che non siamo mongoli. E, allora, se non siamo nessuna di queste razze, siamo evidentemente ariani e siamo venuti dalle Alpi , dal nord. Quindi siamo ariani di tipo mediterraneo, puri. Le inv:1s ioni barbariche dopo l'impero erano di poca gente: i lon gob ardi 11011 erano pill di ottomila e furono assorbiti; dopo cinquant'anni p :1d:1 vano latino.

Senza risalire alle origini, ai liguri ed ai cinqu e o scimiln nnni prima di Cristo, ci limitiamo a dire che, da alm eno mill ec.i.ngu cccnto rinni, le nostre genti si sono raggruppate fra di loro, rag ione per cui la loro razza è pura, soprattutto nelle campagne. Naturalm ente, qua nd o un popolo prende coscienza della propria razza, la prende in confronto di tutte le razze, non di una sola. Noi ne avevamo preso conoscenza solamente nei confronti dei camiti, cioè degli africani. La mancanza di dignità razziale ha avuto conseguenze molto gravi nell'Amara. :È staw una delle cause della rivolta degli amara. Gli amara non avevano nessuna volontà di ribellarsi al dominio italiano, nessun interesse a farlo. Lo prova il fatto che durante l'impresa etiopica cinquemila am:1r:1 1 armatissimi, accolsero il camerata Starace, quando egli scese dall'aeroplano, con manifestazioni di obbedienza e di entusiasmo. Ma quando hanno visto gli italiani che andavano piU stracciati di loro, che viveva no nei tucul, che rapivano le loro donne, ecc., hanno detto: "Q1w ~rn non è una razza che porta la civiltà". E siccome gli amara sono la r:1 ;,. za pill aristocratica dell'Etiopia, si sono rib ellati. Queste cose probabilmente i cattolici non le sanno, ma noi le s: 1p piamo. Ecco perché le leggi razziali dell'impero saranno ri go l'O S:111 11.: nh · osservate e tutti quelli che peccano contro di esse sarann o i.;~ pul s i, pn

Il mito dell'impero (1932 -1940) ) 07

niti, imprigionati. Perché l'impero si conservi bisogna che gli indigeni abbiano nettissimo, predominante il concetto della nostra superiorità . Bisogna reagire contro il pietismo del povero ebreo. "Che colpa ne ha? Che cosa ha fatto di male? Sono qui da tre secoli, da cinque secoli, da dieci secoli ... " Con questi sistemi non si affronta mai un problema di cara ttere generale. Il problema di carattere generale lo si pone in queste linee: che l'ebreo è il popolo piu razziale dell'universo. E meraviglioso come si mantengono puri attraverso i secoli, poiché la religione coincide con la razza, la razza con la religione. Non si è mai potuto assimilare. Perché, come si legge nel suo giorna le italiano lsrael, è una razza di profeti e di sacerdoti. (Si ride)

Ora, fra noi e loro, ci sono delle differenze incolmabili. Se voi leggete un libro di ebreo, troverete che vi è scritto: "È impossibile che fra noi e gli ariani ci sia mai un punto di congiunzione e di comprensione, perché noi siamo gli uomini della sabbia, voi siete gli uomini della roccia; noi gli uomini della tenda, voi della città; voi gli uomini dello Stato, noi non abbiamo nella nostra lingua una parola che significhi Stato. Siamo rimasti la tribu". Non v'è dubbio che l'ebraismo mondiale è stato contro il fascismo, non v'è dubbio che durante le sanzioni tutte le manovre furono tracciate dagli ebrei, non v'è dubbio che nel 1924 i manifesti antifascisti erano costellati di nomi ebrei, non v'è dubbio che erano non quarantatremila ma settantamila! E a tutti coloro i quali hanno il cuore dolce, troppo dolce e si commuovono, occorre domandare: "Signori, quale sarebbe stata la sorte dei settantamila cristiani in una tribu di quarantaquattro milioni di ebrei?" (Acclamazioni grandissime e prolungate)

Nonostante questo, noi abbiamo fatto delle discriminazioni, ma sulle quali forse si è equivocato. La discriminazione non è mai nei nostri confronti: è nel confronto con gli altri ebrei. Non vuol dire che i discriminati possono diventare uomini politici, diplomatici, ufficiali, capi di organizzazioni, ecc. No. Possono avere cento operai, magari essere iscritti al Partito Nazionale Fascista; ma questo nei confronti degli altri ebrei, che non hanno queste agevolazioni. Questo è un dato di fatto che sarà chiarito dalle leggi, che sono di imminente attuazione. Un altro fatto che ha urtato molta gente è stato l'uniforme per gli impiegati civili . Si è detto: "Ma dunque tutti devono essere militari in Italia?" Precisamente. Tutto in Italia deve essere militare, tutto in Italia deve essere militarizzato. (Applausi altissimi e prolungatissimi)

Il pittoresco ci ha fregati per tre secoli. (Acclamazioni) Dopo il 1513, dalla caduta della Repubblica Fiorentina, gli italiani non hanno piu portato le armi, eccetto il Piemonte , che si è destreggiato fra grandi Stati, e si è portato molto bene.

Allora era molto comodo per gli stranieri, e sarebbe comodo anche oggidi, avere una Italia pittoresca, disordinata, cantatrice, suonatrice,

J08 Scritti politici di Benito Mussolini

che rispondesse a quello che un giornale inglese diceva come esempio di una spudoratezza senza pari : « Ma perché gli italiani che sanno 11111 neggiare cosi bene la penna ed il pennello, vogliono fare altrettalllo co11 i cannoni?» Questo è affare nostro invece. E speriamo di spararli ben e.; e anche le mitragliatrici. (Applausi vibrantissimi e prolungatissimi) Ora, questo spirito borghese, una volta identificato, deve essere jsolato e distrutto. Notate che in una nazione non si può pretendere che siano tutti allo stesso livello per quanto riguarda il coraggio, la deci ,. sione, l'eroismo. Sarebbe troppo pretendere. Noi pretendiamo soltanto che i quarantaquattromila che fanno da martiri non abbiano mai tanta forza da fermare il carro. (Applausi) In questo caso noi li butteremo sui fianchi della strada. E se venissero ore veramente supreme, non avremo questa volta esitazione ad eliminarli uno per volta. (Acclamazioni) Non è piu il tempo in cui si può indugiare alle tendenze facili, disgregatrici .

Siamo usciti da una grave crisi: quella di Monaco. Ma, notate bene, camerati, che ci sono, per Monaco, due cose sulle quali si mette l'accento. I borghesi mettono l'accento sulla parola "pace"; viceversa i fascisti degni di questo nome mettono l'accento su un altro fatto: è la prima volta dal 1861 ad oggi che l'Italia ha avuto una parte preponderante e decisiva. (Acclamazioni altissime e grida di "Duce.' Duce.' 11 )

Quello che è accaduto a Monaco è colossale. Uso questa paroln perch é è venuta da noi. Pensate al Colosseo! (Si ride . Acclamazioni nltissimt·)

È accaduto questo: la fine del bolscevismo in Europa, In fin e de l comunismo in Europa, la fine di ogni influenza politica .in Furop:i d e lla Russia. Praga era il quarti ere gencraJe cicli.a de mocrazi :1 1 del ho ls c<..:v ismo; a Praga c,erano gli archivi della Terza Inte rnazi o nal e. B,11 te ndo Praga, noi abbiamo già praticamente battuto Barcellona.

Poi il borghese dice: '1 Questi tedeschi sono ottanta milioni11 • No, borghese caro. Sono cento milioni, perché ce ne sono ancora da quindici a venti milioni nelle frontiere politiche di dodici Stati . Ma noi non ce li sentiamo sullo stomaco e per ragioni molto semplici . Prima di tutto hanno dodici frontiere; in secondo luogo hanno tutto l'interesse di fare una politica di amicizia con noi, perché siamo il punto determinato; in terzo luogo, e su questo richiamo la vostra attenzione, il pangermanesimo attuale non ha niente a che vedere con quello di anteguerra. Il pangermanesimo attuale è rigorosamente razziale. In un momento della conferenza di Monaco in cui si venne un po' ai ferri corti con gli inglesi, Hitler, abbandonando la calma, che aveva sino allora mantenuta, disse: "Signori , io non voglio che i tedeschi, e non vorrei un solo ceco neanche a peso d'oro '1 • Ora l'Asse sta sullo stomaco a questi borghesi, che hanno sem pre l'occhio sulla Francia e pensano che l'Inghilterra è l'ideale di ogni Stato ed anche di ogni individuo educato ... (Si ride) Ma soprattutto

Il mito dell'impero (1932-1940) 309

perché l 'Asse significa la fine di tutte quelle ideologie, di tutte quelle tendenze nelle quali ancora, per una parte residua, la borghesia crede. (Acclamazioni)

Con un'Asse di centoventicinque milioni di uomini, che crescono di un milione all'anno, non c'è nulla da fare. È inutile che la Francia spenda sedici miliardi per l'aviazione. Ne ha già spesi duecento per arrivare a Praga. Non basta avere dei mezzi; bisogna avere il coraggio. E questo lo possono avere soltanto i popoli poveri. Bisogna avere il coraggio di affrontare i rischi della guerra, il sacrificio. Cose alle quali non possono resistere coloro che mangiano cinque volte al giorno, fumano i sigari raffinati, e hanno fatto una specie di religione professata di certi giochi.

Appunto a questo disfattismo, che talvolta affiora, voi direte che noi fascisti ci rifiutiamo di credere, nella maniera pili rigorosa, che noi italiani di questo tempo non abbiamo il coraggio che ebbero i piemontesi nel 1848 in tre milioni o poco piu , quando affrontarono l'impero austroungarico, e i milanesi, quando, nel 1848, pochi e male armati, seppero scacciare l'esercito tedesco, che aveva quindicimil a uomini di guarnigione. Abbiamo vinto una guerra mondiale e i germanici l'hanno riconosciuto. Poi abbiamo fatto un'altra guerra, l'etiopica, che è stata un capolavoro. (Acclamazioni altissime all'indirizzo del Duce) Poi siamo andati in Spagna, dove i nostri soldati si sono coperti autenticamente di gloria e se ne sarebbero coperti di piu, se lo avessero desiderato gli interessati. I quali, è perfettamente umano, desideravano e desiderano vincere, ma, evidentemente, non soltanto, o quasi, unicamente attraverso lo sforzo italiano. Questa è la situazione dell'Italia fascista alla fine dell'anno sedicesimo. Una situazione di incomparabile prestigio mondiale .

I giapponesi sono già a dodici chilometri da Han-Kow. Qualche volta sentite il borghese che dice: "Questi giapponesi .. . Ma l'Inghilterra ... " Canton prima, Han-Kow oggi: tracollo del prestigio britannico! (Acclamazioni) Come la Cecoslovacchia è stato il tracollo del prestigio francese . I france si dicevano: "Noi dobbiamo mantenere i nostri impegni, che sono sacri . Noi vi terremo fede". Ma poi, ad un certo momento , quando si trattò di snudare il brando, il brando venne mantenuto nella guaina. E questo vi spiega che se uno si fa sentire parlare francese a Praga, lo accoppano. (Acclamazioni vibrantissime)

Presto avremo la galleria dei pensionati: il primo pensionato è il negus, il secondo Benès. Fra poco avremo anche Chiang-Kai-Shek. Andranno tutti insieme a consolarsi sulle rive del lago Lemano, a piangere l'uno in seno all 'altro e diranno : "Ma questo fascismo è veramente duro e deciso. Contro il fascismo non c'è niente da fare". Effettivamente è cosf: non c 'è niente da fare . (Acclamazioni vibrantissime e grida: "Duce! Duce!")

310 Scritti politici di Benito Mussolini

Parliamo adesso di certi rimasugli che vi sono all'interno e che sono insignificanti. Però qualche volta pretendono di rapprcsc111arc il popolo. (Si ride) Se anche non avessi informatori di nessuna spec ie, se anche non ci fossero i prefetti, i segretari federali, i carabinieri, io sentirei lo stesso quello che bolle in pentola. Io sentirci quel lo che c'è nell'aria. Questo è l'effetto di quarant'anni di attività politica e della mia natura un po' felina. (Si ride e si acclama) Ora questi rimasugli dicono: "Perché Mussolini non allarga le file per il popolo?" Ma il popolo è tutto per il fascismo. E il milione di bimbi che mandiamo aI mare ed in campagna non sono il popolo? E i due milioni di fascisti?

Questi ridicoli residui pretenderebbero di rappresentare il popolo i taliano, questi burattini di un teatro demolito vorrebbero che n oi li prendessimo sul serio. (Si ride) Non lo abbiamo fatto e non lo faremo.

Ora, o camerati, dovete diffondere quello che vi ho detto oggi. Ilo visto che qualcuno di voi ha preso degli appunti; questo è scolastico , un po', ma previdente, perché nessuno può avere una memoria di ferro, come il sottoscritto. (Acclamazioni prolungatissime)

Dovete curare sopra ttutto i g iovani, dedicare le vostre energie ai g in ~ vani, non però in un senso che potrebbe essere negativo. Il problema dei giovani è sta to da me risolto un giorno con questa formula :ih lm stanza semplice. Io dissi: " Non esiste un problema dei giov ,111 i ". Il mio interloc utore mi domandò: "Perché?" Al che io ri sp si: '1 011 :11 ( · l'interesse di ogni giovane? Quello di vivere. Perché se non arriva :1 trenta, quaranta, cinquanta anni, gli è succe sso un gonio: è morl\1 '' . (Si ride)

Ma l'interesse d i tutti noi non è que l.l o di vi vere il pili :1 lungo possibile, ma di vivere nell a pienezza dei mezzi fisici e spirituali. Pc..:rciò approvo, malgrado le critiche dei soliti borghesi, gli esercizi fisici eseguiti dai gerarchi. Perché il gerarca del nostro tempo è un soldato. Tutti quelli che si occupano di cose militari sanno quanto giochi il prestigio fisico presso le truppe Il reparto vuol vedere il suo comandante. Lo vuole robusto, gagliardo, resistente alle fatiche.

Bisogna inoltre tenere sempre i contatti col popolo, che è grande, che merita veramente di essere amato, di essere difeso; e reagire contro i soliti disfattisti, che si fanno sentire anche adesso per la cinqu:111tatreesima settimana, che è invece una cosa necessarissima, un ges to che ha avuto le ripercussioni piu profonde in mezzo alle masse opc raie, le quali devono convincersi che se non le aduliamo perch é 11011 siamo i cortigiani di nessuno, siamo tuttavia profondamente pen sosi delle loro sorti.

Soprattutto richiamo l a vostra attenzione sulla mia risposta al 1,·le gramma Starace della Mostra di Torino. Ognuno sia be n co nvi11111,

Il mito dell'impero (1932-1940) 31 l

fino al midollo spinale, che la lotta per l'autarchia la condurremo con una energia spietata. (Acclamazioni lunghissime) Sino all'estremo limite. Hanno tentato cli strangolarci una volta, ma non si riproveranno piu, perché noi abbiamo fatto sacro tesoro di questa terribile esperienza. Tutti coloro che si opporranno alla nostra attività autarchica, ai nostri piani autarchici , che fanno del disfattismo, che gridano solta nto, ma stanno fermi e credono di farla a noi, saranno individuati, scoperti, puniti e indicati al popolo come disertori e traditori. (Altissimi applausi)

Io voglio finire questo mio discorso dicendovi che sono molto contento di voi, di voi tutti collettivamente e singolarmente presi. Voi siete il fermento vitale delle provincie: quelli che tengono il collegamento fra il popolo e lo Stato. Quindi la vostra opera è insostituibile. È meritoria ai fini del regime e della nazione. Nessuno fra voi crede, e sono sicuro che nessuno lo crede, che abbiamo finito. (Voci altissime: "No! No!") Gli editori lo sentono cosi bene, che non fanno piu gli atlanti a pagine legate, ma a pagine staccate (acclamazioni lunghissime), in modo da non aver bisogno di rifare tutto il volume ... (Si ride, acclamazioni)

La conclusione è questa, o camerati: noi siamo un popolo che ascende. Gli altri declinano .

Io ero matematicamente sicuro che i francesi e gli inglesi non si sarebbero mossi contro di noi. Da dove deriva questa mia sicurezza?

Dalla tabella delle categorie delle popolazioni inglesi e francesi divise per età. Risultava da quelle tabelle di origine francese che in Francia ci sono dodici milioni di uomini che hanno piu di cinquantacinque anni finiti. Ci potranno essere delle eccezioni, ma la grande massa, giunta al traguardo dei cinquantacinque anni, è una massa stanca, disillusa, che ha avuto le inevitabili malattie che accompagnano la vita dei mortali, che desidera soltanto bere dell'acquavite, fumare dell'ottimo tabacco, stare tranquilla.

Il dinamismo è finito. Non può piu esistere; è finito, perché il dinamismo è dei giovani. Sono i giovani che rischiano, gli altri, se hanno arrischiato, chiudono il capitolo; se non hanno arrischiato, non desiderano piu farlo. Ecco perché noi siamo sicuri del nostro futuro, ecco perché tendiamo tutte le nostre energie del popolo italiano verso l'obiettivo della potenza. Perché l'Europa del domani sarà un complesso di tre o quattro masse demografiche, attorno alle quali saranno dei piccoli satelliti. Noi saremo una di quelle grandi masse. (Acclamazioni che si prolungano per alcuni minuti sempre rinnovantesi)

312 Scritti politici di Benito Mussolini

9. "Noi marceremo con la Gennania ... "•

Popolo di Torino sabauda e fascistissima, operosa e fedele! Camerati!

Ricordate le ultime parole del discorso che ebbi l'onore di pronunziare dinanzi a voi sette anni or sono? (Dalla folla si leva un formidabile grido: «Si!"} Camminare e costruire e, se è necessario, combat~ tere e vincere. (Il popolo grida: "Si!")

G uardando indietro a questi sette anni trascorsi ora che io ho di nuovo la fortuna e la gioia di tornare tra voi, vi domando: il popolo i.tallano è rimasto fedele a ques ta consegna? (Il popolo grida: "Si!")

Il popolo italiano è pronto a restarvi fedele? (La moltitudine rispond e il suo appassionato consenso)

Infatti, il popolo italiano ha camminato e ha costruito, ha combattuto e ha vinto. Combattuto e vinto in Africa, contro un nemico che gli es pertissimi europei di cose militari (la folla grida la sua indignazione con fischi e urla) garantivano assolutamente imbattibile. Avete inteso?

G arantivano! Eterno successo di certe garanzie. Combattuto e vinto contro la coalizione sanzionista inscenata da q uella Società delle Nazioni (la folla fischia ed urla) che gia ce ormai sepolta senza rimpianti in quel grande mausoleo di marmi che le è s tato eretto sulle rive del Lemano.

Combattuto e vinto in Spagna, a lato delle eroich e fant e ri e di l'rnnco, contro una coalizione democratico-bolscevica, ch e è uscita dalla lo tta letteralmente schiantata .

Sintesi di que sti sette anni: la co nqui s ta d ell 'im pe ro; l'unione del Regno di Albania al Reg no d'Italia ; un accrescimento della no stra potenza in tutti i campi. (La folla grida il suo entusiasmo al Duce)

Mentre vi parlo, milioni di uomini, forse centinaia di milioni di uomini, in ogni punto del globo, attraverso alti e bassi di ottimismo e di pessimismo, si domandano: "Andiamo verso la pace o verso la guerra?" Grave interrogativo per tutti, ma in particolare per coloro che, a un dato momento, devono assumersi la responsabilità della decisione.

Ora io rispondo a questo interrogativo, dichiarando che, attraverso un esame obiettivo, freddo della situazione, non ci sono attualmente in Europa questioni di ampiezza e di acut=a tale da giustificare una guerra, che da europea diventerebbe, per logico sviluppo di eventi, universale . Ci sono dei nodi nella politica europea, ma, per sciogliere questi nodi, non è forse necessario di ricorrere alla spada. Tuttavia,

Il mito dell'impero (1932-1940) 313
* Discorso
14 maggio 1939 a Torino
Popolo d'Italia", n . 135 , 15 maggio
pronunciato il
. Da "Il
1939, XXVI .

bisogna che questi nodi siano una buona volta risolti, perché talora si preferisce a una troppo lunga incertezza una dura realtà. (Acclamazioni vivissime e prolungate)

Questo non è soltanto il pensiero dell'Italia, ma è anche il pensiero della Germania, e quindi dell'Asse (dalla moltitudine si levano vibranti acclamazioni), di quell'asse che, dopo essere stato per molti anni un'azione parallela dei due regimi e delle due rivoluzioni, diventerà, attraverso il patto di Milano e attraverso l'alleanza militare che sarà firmata entro questo mese a Berlino (applausi prolungati), una comunione inscindibile dei due Stati e dei due popoli. (La moltitudine inneggia al Duce e a Hitler)

Coloro che, ad ogni mattina , sp iavano , forse con canocchiali rovesciati, una possibile incrinatura o frattura, saranno ora confusi e umiliati. E nessuno coltivi delle ridicol e, superflue illusioni e nessuno si abbandoni a una superficiale casistica, perché l a dottrina del fascismo è chiara e la mia volontà inflessibile. Come prima e meglio di prima. (La folla esprime con un solo, appassionato grido il suo entusiasmo)

Noi marceremo con la Germania, per dare all'Europa quella pace con giustizia, che è nel de siderio profondo di tutti i popoli. I polemisti delle grandi democrazie sono invitati a dare un giudizio possibilmente equo di questo nostro punto di vista. Noi non de sideriamo la pace semplicemente perché la nostra situazione interna è, com'è noto, catastrofica . (Dalla folla si ride) Sono ormai diciassette anni che i nostri avversari attendono invano la famosa catastrofe e attenderanno invano per molto tempo.

E non è nemmeno per una paura fisica della guerra, sentimento che ci è ignoto. Ecco perché le elucubrazioni di alcuni strateghi da tavolino dell'oltre vicina frontiera (la folla fischia ripetutamente), nelle quali elucubrazioni si parla di facili passeggiate nella Valle del Po, ci fanno sorridere. (La folla urla la sua indignazione)

I tempi di Francesco I e di Carlo VIII sono passati. Una guerra del "gesso" non è piu pensabile. Anche quando die tro le Alpi non c'era, come oggi, un popolo formidabilmente compatto di quarantacinque milioni di anime, gli invasori stranieri da Talamone a Fornovo non ebbero mai lunga fortuna in Italia e nella vostra gloriosa storia militare, o piemontesi, vi sono molti episodi, memorabili, che dimostrano come qualmen te non sia igienico proporsi di passeggiare da prepotenti per le contrade d'Italia. (Acclamazioni altissime e prolungatissime)

Ma è il caso di domandarsi: al sincero de siderio di pace degli Stati totalitar!, corrisponde un altrettanto sincero desiderio di pace da parte delle grandi democrazie? (La folla grida: "No 1 No!") Avete già risposto: io mi limiterò a dire che allo stato degli atti è lecito dubitarne.

314 Scritti politici di Benito Mussolini

In questi ultimi tempi l a carta geografica di tre continenti è sinra modificata ; ma giova osservare che, né il Giappone , né la Gcnrn111i:1, né l'Italia, hanno sottratto un solo metro quadrato di territorio O u11 solo abitante alla sovranità delle grandi democrazie. E allora, com e si spiega questo furore? (Il popolo grida: "Fifa 1") Vogliono proprio farci credere che si tratti di scrupoli di natura morale? Forse che nn i non conosciamo per filo e per segno con quali metodi sono stati co ~ st ruiti i loro imperi (la moltitudine risponde: • L i conosciamo! " ) e con quali metodi sono ancora mantenuti? (Applausi altissimi)

Non è dunque questione di territori. È un'altra questione . A Versaglia fu costruito un sistema . Era il sistema delle pis tole puntate contro la Germania e l'Italia. (La folla esprime la sua indignazione con urla e fischi) Ora questo sistema è irreparabilmente crollato. (La moltitudine acclama lungam ente al Duce) E allora si cerca di sostituirlo con le garanzie piu o meno domandate, piu o meno unilaterali. Che le democrazie non siano sinceramente devote all a causa della pace, lo dimostra un fatto incontestabile: che esse hanno già cominciato quella che si potrebbe chiamare la guerra bianca, cioè la guerra sul terreno dell 'economia. Essi si illudono di indebolirci. Si illudono! (Dalla folla si levano acclamazioni e grida di: • Autarchia! " )

Non è soltanto con l'oro che si vincono l e guerre . Oltre all,oro è piu importante la volontà e ancora piu importante il coragg io. (A cc/11mazioni vivissime, prolungate) Un blocco formidabile di centocinquanta milioni di uomini in rapido accrescim e nto, che va dal B:1 l 1i co :11l'Oceano Indiano, non si las cerà sopraffate . Ogni attacco sariì inu1ik , ogni attacco sarà resp into co n Ja ma ss ima dcd s ionc . (Tutt o il popolo acclama lun gamente al Du ce co n irr e /r euabile entusiasmo )

Dopo il sistema delle pistole , crollerà anche il sistema dell e garanzie. (La f olla grida: "Si! Si!" ). Ques to io do vevo dirvi, o camerati, poiché non è stile del fascismo propinare speranze eccessive o illusioni fallaci. Un popolo forte come l'italiano, ama la verità e la realtà. E vi sarà chiaro anche il motivo per cui noi ci armiamo sempre pill potentem en te (la moltitudine risponde con un altissimo grido: "Si!") onde essere in grado di tutelare l a nostra pace e di respingere in ogni momento qualunque aggre ss ione ci venisse minacciata.

Camerati!

Io potrei dispensarmi dal parlare di questioni di carattere inte rno. Queste questioni si po ssono ridurre ad una frase sola: popolo e reg in1 c costituiscono in Italia un blocco assolutamente inscindibile. (Un Rrido unanime di consenso accoglie queste parole del Duce)

Dal punto di vista sociale, noi terremo rigorosamente fed e ai po s i 11lati della nostra vigilia . Con l'educazione delle nuove gencra:,; ioni , ricreeremo il tipo fisico e morale dell'italiano nuovo. Con la va lori e.z :1 -

Il mito dell'impero (1932-1940) 315

zione delle nostre terre d'oltremare, intendiamo di migliorare le condizioni di vita del popolo lavoratore.

Tutto ciò richiede una severa disciplina, una coordinazione degli sforzi e una tensione delle nostre volontà senza precedenti. Ma non è questo che può intimorire gli italiani del tempo fascista e, meno degli altri, voi. (La moltitudine acclama a lungo)

Novanta anni or sono, il piccolo Piemonte osò sfidare un impero secolare . Parve un atto di temeraria follia; fu, invece, un grande atto di fede e quest'atto di fede era nel solco della storia. E da allora furono chiamati Piemonte tutti i popoli che si rendevano iniziatori di un movimento wtltario . D eve essere per voi, o torinesi, motivo di intimo e profondo e legittimo orgoglio ricordare quel tempo e confrontare l'Italia del 1848 con l'Italia del XVII anno dell'~ra fascista. (Acclamazioni vivissime)

Quale arco di potenza è stato getta to in questi novanta anni! E chi potrebbe dubitare del nostro futuro? (La folla grida: 'Nessuno")

Camerati!

Qualunque cosa accada, io vi dichiaro, con assoluta certezza, che tutte le nostre mete saranno raggiunte .

1O. Alla "Decima Legio " •

Ho voluto che la ripresa dei miei contatti con le gerarchie del Partito cominciasse da voi, o camerati di Bologna: primo, perché avete dato il piu alto contributo di sangue alla causa della rivoluzione fascista; secondo, perché siete degni di chiamarvi "Decima Legio", cioè la legione fedelissima, sulla quale Cesare poteva in ogni momento contare; terzo, per l'importanza che nella vita politica, economica e morale della nazione h a Bologna e la terra che dal Po all ' Adriatico la circonda. Dopo questo rapporto altri n e seguiranno per le gerarchie delle altre regioni ; e il Partito proced erà cosi alla sua integrale mobilitazione , dal centro all'estrema periferia .

Ci incontriamo in un momento tempestoso , che rimette in gioco non solo la carta dell'Europa , ma , forse, quella dei continenti. Niente di piu naturale che questi eventi grandiosi e le loro ripercussiorù in Italia , abbiano provocato una emozione anche fra noi. Ma di questo speciale, comprensibile stato d'animo ha approfittato la minima, ma ciò nondimeno miserabile zavorra umana , ch e si era ridotta

* Di scoro pronunciato il 23 settembre 1939, a Roma, in P alazzo Venezia, Da "Il Popolo d'Italia " , n, 267, 24 settembre 1939, XXVI.

316 Scritti politici di Benito Mussolini

a vivere negli angiporti, nei ripostigli e negli angoli oscuri. Si deve a questa zavorra la diffusione delle "voci" che hanno ci1"co b10, 111olt c delle quali, le piu ridicole, mi riguardavano personalmente.

Il fenomeno era destinato ad esaurirsi, altrimenti, con mirt so 11111111 mortificazione, avrei dovuto dubitare di una cosa nella quale I. o se 111pre fermamente creduto, e cioè che il popolo italiano è uno dei piu intelligenti della terra .

Senza drammatizzare le cose, perché non vale assolutamente la pena, la conclusione che se ne deve trarre si riassume in queste parole: ripu ~ lire gli angolini dove, talora mimetizzandosi, si sono rifugiati rottami massonici, ebraici, esterofili dell'antifascismo. Non permetteremo mai, né a loro, né ad altri, di portare nocumento alla salu te fisica e morale del popolo italiano.

Il popolo italiano sa che non bisogna turbare il pilota, specie quando è impegnato in una burra scosa navigazione, né chiedergli ad ogni istante notizie sulla rotta.

Se e quando io apparirò al balcone e convocherò al ascoltarmi l'intero popolo italiano, non sarà per prospettargli un esame della situazione , ma per annunziargli, come già il 2 ottobre del 1935 o il 9 maggio del 1936, decisioni, dico decisioni, di portata storica.

Per ora non è il caso. La nostra politica è stata fissata nella dichiarazio ne del 1° settembre e non v'è motivo di cambiarla. Essa ri s ponde ai nostri interessi nazionali, ai nostri accordi e patti po li tici ed al dcs i~ derio di tutti i popoli, compreso il germanico, che è quello d i alm eno localizzare il conflitto .

Del resto, liquidata la Polonia , ]' Europa n on è an c r:1 cffeu ivam cnl'c in guerra. Le ma sse degli esercit i no n si so no :in ce ra urtate. Si può evitare l'urto col rendersi co nto che è vana illu si ne qucUa di volei: mantenere in piedi o, pegg io ancora , ricostituire p sizioni che la stor ia e il dinamismo dei popoli hanno condannato.

È certo col saggio proposito di non allargare il conflitto che i Governi di Londra e di Parigi non hanno sin qui reagito di fronte al "fatto compiuto" russo; ma ne consegue che hanno compromesso ]a loro giustificazione morale tendente a revocare il fatto compiuto germanico.

In una situazione come l'attuale, piena di molte incognite, una parola d ' ordine è sorta spontaneamente fra le masse dell ' autentico popolo italiano: prepararsi militarmente per parare ad ogni eventua lità; appoggiare ogni tentativo di pace e lavorare vigilanti, in silenzio. Questo è lo stile del fascismo; questo deve essere ed è lo sti le .!cl popolo itali ano.

Il mito dell'impero (1932-1940) J l 7

11. Memoriale panoramico al Re •

In una situazione quale l'attuale, che potrebbe chiamarsi di estrema fluidità , è difficile, se non impossibile, fare delle previsioni sullo sviluppo degli eventi e sulle fasi avvenire della guerra. Bisogna dare larga parte all'imprevisto (vedi guerra russo-finlandese) e tenere conto di quanto può accadere nella politica di paesi lontani come gli Stati Uniti o il Giappone.

Pace negoziata di compromesso. - Allo stato degli atti, tale possibilità è da escluders i . È vero che forti correnti pacifiste si agitano pubblicamente in In ghil terra e sotterraneamente in Francia, ma gli obiettivi di guerra degli Alleati sono tali oggi che un compromesso è impossibile. Esso non potrebbe che partire dall'accettazione del "fatto compiuto" delJe conquiste tedesche e russe a nord-est, l!!._~uesto non si concilia con la proclamata volontà di ricostituire la Polonia , la Cecoslovacchia e persino l'Austria. Una pace di compromesso può essere piu agevolmente accettata dalla Germania , non dalle grandi democrazie, le quali tuttavia non sarebbero aliene dall'accettare il "fatto compiuto1' del bottino polacco fatto dalla Russia, se la Ru ssia "mollasse" la Germania.

Il signor Welles ha, dopo il suo pellegrinaggio, concluso che per una pace negoziata i tempi non sono ancora maturi.

Operazion i militari terrestri. - È prevedibile che i franco-inglesi assumano l'iniziativa delle operazioni, cioè di un attacco al Westwall sul fronte occidentale? Allo stato degli atti, è da escludere. Le forze terrestri inglesi in Francia sono molto esigue; la situazione demografica della Francia non è tale da consentire le perdite gravissime che un attacco al Westwall imporrebbe. Quanto al morale dei soldati francesi, è difensivo, non offensivo. I franco-ingl esi sono alla ricerca di un fronte terre stre, meno incomodo di quello occidentale, e a tale scopo è stato preparato l'esercito di Weygand . Ma questo famoso fronte non si delinea ancora dal punto di vista geografico. Balcanico? Caucasico?

Libico?

I franco-inglesi continueranno quindi:

a) a non assumere iniziative di operazioni su terra;

b) a operare piu controflensivamente che offensivamente sul mare e nell'aria;

* Pubblicato per la prima volta in "Epoca", 27 marzo 1955, a. VI , n. 234 Memoriale in data 31 mano 1940.

318 Scritti politici di Benito Mussolini

c ) e soprottutto a rendere piu erm etico il blocco attorno all a G cnnania.

Opera zioni germaniche. - Da parecchi me si si parla di una nfl"c11siva germanica contro la Maginot o contro Belgio e Olanda per arrivare alla Manica. A rigore di logica anche questa offensiva sembra doversi escludere per i seguenti motivi:

a) perché la Germania ha già raggiunto i suoi obiettivi di gu erra e può quindi attendere l'attacco avversario;

b) perché è troppo rischioso giocare il tutto su una carta, poiché se l'offensiva fallisse del tutto o si concludesse con un insuccesso e ci fossero perdite rilevanti , una crisi interna nella Germania sarebbe inevitabile, dato che anche il morale del popolo tedesco è complessivamente mediocre e in taluni grandi centri come Berlino e Monaco meno che mediocre. È quindi probabile che fra la guerra di attacco e quella di res istenza, la Germania sceglierà l'ultima e cioè:

1. Metterà tutto in opera per resistere al blocco.

2. As sumerà l'iniziativa di operazioni marittime e aeree sempre pili va s te di controblocco. L'offensiva terrestre avrà luogo nell'eventualità di una certezza matematica di schiacciante vittoria o com e carta della disperazione se il blocco a un certo momento non co nsenti sse altra vi:1 di uscita.

Posizione dell 'Italia. - Se si avv ererà la pi(, imi. ro babilc d e lle eventualità , cioè una pace neg oziata ne i pro ss imi mes i, J'lrnli :1 polrà , malgrado la sua nonbclligeranza , av e re voce in ca pito lo e no n esse re esclusa dalle negoziazioni; ma se 1a g uena co ntimw , c i:cdc re c he l'llalia possa rimanersene es t ra nea s in o alla fin e, è oss urd o e impo ss ibil e. L'Ital.ia non è accantonata in un angolo di E uro pa co me la Spag na , non è semiasiatica come la Russia, non è lo ntana dai teatri di operazione come il Giappone o gli Stati Uniti ; l'Italia è in mezzo ai belli geranti, tanto in terra, quanto in mare . Anche se l'Italia cambias se atteggiamento e passasse armi e bagagli ai franco-inglesi , essa non eviterebbe la guerra immediata con la Germania, guerra che l'Italia dovrebbe sostenere da sola. È solo l'alleanza con la Germania, cioè con uno Stato che non ha ancora bi sogno del no s tro concorso militare e si contenta dei no s tri aiuti economici e della nostra solidarietà morale, che ci permette il no stro attuale stato di non belligeranza . Esclu sa l'ipotesi del voltafa ccia, che , del resto, gli stessi franco-inglesi non contemplano e in qu es to dimostrano di apprezzarci , rimane l'altra ipotesi, cioè la guerra par;d ]eia a quella della Germania per raggiungere i nostri obiettivi, che si compendiano in questa affermazione : libertà sui mari , fìn es 1ra s ul l'oceano. L'Italia non sarà veramente una nazione indipcnclcnh: s ino a quando avrà a sbarre della sua prigione mediterran ea 1a C und c: 1,

Il mito dell'impero (1932-1940) 3l9

Bisetta, Malta, e a muro della stessa prigione Gibilterra e Suez. Risolto il problema delle frontiere terrestri, l'Italia, se vuole essere una potenza veramente mondiale, deve risolvere il problema delle sue frontiere marittime. La stessa sicurezza dell'impero è legata alla soluzione di questo problema.

L'Italia non può rimanere neutrale per tutta la durata della guerra, senza dimissionare dal suo ruolo, senza squalificarsi, senza ridursi al livello di una Svizzera moltiplicata per dieci.

Il problema non è quindi di sapere se l'Italia entrerà o non entrerà in guerra, perché l'Italia non potrà fare a meno di entrare in guerra. Si tratta soltanto di sapere quando e come; si tratta di ritardare il piu a lungo possibile, compatibilmente con l'onore e la dignità, la nostra entrata in guerra:

a) per prepararci in modo tale che il nostro intervento determini la decisione;

b) perché l'Italia non può fare una guerra lunga, non può cioè spendere centinaia di miliardi, come sono costretti a fare i paesi attualmente belligeranti.

Ma circa il quando, cioè la data, nel convegno del Brennero si è nettamente stabilito che ciò riguarda l'Italia e soltanto l'It alia.

Piano di guerra. - Premesso che l a guerra è inevitabile e che noti possiamo marciare con i franco-inglesi, cioè non possiamo marciare contro la Germania, si tratta di fissare sin da questo momento le linee della nostra strategia, in modo da orientarvi gli studi di dettaglio. Fronte terrestre. Difensivo sulle Alpi occidentali. Nessuna iniziativa. Sorveglianza. Iniziativa solo nel caso, a mio avviso improbabile, di un completo collasso francese sotto l'attacco tedesco. Una occupazione della Corsica può essere contemplata, ma forse il gioco non vale la candela: bisognerà però neutralizzare le basi aeree di questa isola. Ad Oriente: verso la Jugoslavia, in un primo tempo, osservazione diffidente. Offensiva nel caso di un collasso interno di quello Stato, dovuto alla secessione, già in atto, dei croati. Fronte albanese: l'atteggiamento verso nord (Jugoslavia) e sud (Grecia) è in relazione con quanto accadrà sul fronte orientale. Libia: difensiva tanto verso la Tunisia, quanto verso l'Egitto. L'idea di una offensiva contro l'Egitto è da scartare, dopo la costituzione dell'esercito di Weygand. Egeo: difensiva. Etiopia: offensiva per garantire l'Eritrea e operazioni su Cedaref e Kassala; offensiva su Gibuti; difensiva e al caso controffensiva sul fronte del Kenia.

Aria. Adeguare la sua attività a quelle del'Esercito e della Marina; attività offensiva o difensiva a seconda dei fronti e a seconda delle iniziative nemiche.

Mare. Offensiva su tutta la linea nel Mediterraneo e fuori.

320 Scritti politici di Benito Mussolini

È su queste direttive che gli Stati Maggiori devono basare i loro si udi e il loro lavoro di preparazione senza perdere un'ora cli tempo , poi ~ ché, malgrado la nostra volontà di ritardare, per le ragioni gii\ delle, il piu a lungo possibile la nostra attuale non belligeranza, la volonl i\ dei franco-inglesi o una complicazione impreveduta potrebbe menerei, anche in un avvenire immediato, di fronte alla necessità di impugn:1rc le armi.

Il mito dell'impero (1932-1940) 321

VII.

LA PROVA DELLA GUERRA (1940-1945)

Con la decisione di entrare in guerra sopravviene per Mussolini) sotto ogni punto di vista, "l1ora della verità". Non solo per quanto riguarda la preparazione del paese a uno scontro decisivo (il dittatore era statd ministro della guerra dal 1925 al 1929 e lo fu ancora per tutto il decennio 1933-43 cumulando su di sé la massima responsabilità della condotta bellica), ma la sua personale capacità di uomo d'azione e la concretezza delle sue vedute politiche. Fino al colpo di stato del 25 luglio si può distinguere nell'atteggiamento di Mussolini una sorta di nebuloso sforzo offensivo, di reazione agli insuccessi e alle difficoltà sui vari fronti della lotta , cui subentra, specialmente a partire dalla battaglia di El Alamein (1942) un vano sforzo difensivo che ben presto si conclude nel disastro. Sono un riflesso della prima fase le lunghe lettere al Fiihrer del 19 ottobre 1940 (di cui si riporta il testo) e del 6 novembre 1941 . Nella prima prevale un fantasioso disegno di sfondamento delle posizioni "continentali" della Gran Bretagna, che include persino la Svizzera; nella seconda il pensiero di un altro sfondamento a tenaglia ad oriente, condotto da tedeschi e da italiani, fac endo centro sulla Turchia, per al/egge· rire e risolvere la difficile situazione italiana nel Medit e rraneo. Da questi grandi disegni - in qualche modo mutuati con notevole perdita d'au tonomia dallo stile hitleriano - si recede a rapporti ben piu prosaici nella Relazione per lo Stato maggiore generale del 24 luglio 1941 che pure enuncia il proposito di attrezzare 80 divisioni e subito viene reso pubblico sulle colonne del Popolo d'Italia. Quindi, in una serie di interventi al Direttorio del PNF ( si danno qui la relazione e le conclusioni della sessione del maggio 1942) si manifesta il tentativo di rivitalizzare e utilizzare la macchina del partito a confronto con la situazione di squilibrio fra il regime e le masse . Vi si parla di "guerra di relig ione", ma il discorso è nel complesso

1. "Popolo italiano! Corri aUc armi ... " . - 2. Lettera a Hitler del 19 ottobre 1940. - 3. Relazione per Io stato maggiore. - 4. Al direttorio nazionale del P NF. - 5. L'ultimo discor so da Palazzo Venezia. - 6. Pensieri Pontini e Sardi. - 7. Il dramma della diarchia. - 8. Il "Testamento politico".

sfocato e tortuoso, molto al di sotto del reale livello dei problemi. Nell'ora della sconfitta che avanza, il tono si fa grigio, moralistico. L'insufficienza dell'analisi - dietro una copertura pro11tmcial1m1c111 c propagandistica - lascia intravvedere il giudizio negativo su un popolo che ormai non segue piU il fascismo, prima riservato alle confidenze con Ciano.

Lungo tre anni di guerra, alla prova decisiva, viene insomma avanti - nelle pseudoteorizz.azioni "strategiche" come nelle preoccupazioni d'ordine interno - la fragilità di una struttura personale piu atta alla polemica sociale o alla lotta politica fra partiti e movimenti contrapposti e un tempo abbastanza abile nelle fumisterie ideologiche, ma scarsamente atta alla guida dello stato e della nazionetanto piu ù, tempi di guerra. Nell'ultimo discorso da Palazzo Venezia, poco prima dello sbarco alleato in Sicilia, l'occhio è rivolto al passato ("il male d'Africa") e non vuol vedere la sconfitta. /,ltrove c'è, all'inizio del '43 , la "risoluzione di tener duro sino in fondo", forse piu propagandata che creduta. Il crollo, quasi lo svuotamento e sdoppiamento di Mussolini si svela per intero dopo il 25 luglio nei Pensie ri pontini e sardi, riflessioni di un dittatore che ha fallito, da cui stralciamo, ovviamente, i motivi piU scialbi1 pedestri o cronachistici. Il periodo dal colpo di stato alla fucilazione, con queste p1111t e di confessione e con certi ritorni polemici al tempo della Repubblica sociale, è interessante quasi soltanto sotto il profilo psicologico. Del resto l'intero ciclo della gtterra non riveste gran de riliev o J) cr it Mussolini politico, o lo riveste negativamente in qt1(11J/ O gel/(/ luce su una crescente sottomissione a Hitler e al nazismo. Nel clima dcli(/ Repubblica sociale appena qualche pagina di Storia di un annoin specie il primo dei paragrafi dedicati al "dramma della diarchia" - sembra degno di un po' di attenzione. La composita reviviscenza pseudorivoluzionaria - intrisa in realtà di tutte le contraddizioni e le caratteristiche del collaborazionismo - non si deve tutta a Mussolini. È tuttavia Mussolini, col suo passato di "socialista,, e "repubblicano" che offre ancora una copertura a quel tanto di apparato amministrativo, politico, militare del fascismo che sopravvive sotto la tutela e persino nel fastidio del Terzo R eich . La stessa carta della "socializzazione» e il richiamo alle «origini" riflettono, neWestrema agonia del regime, il motivo - particolarmente insistente in tutta l1Europa occupata dai nazisti - di un antibolscevismo duro a morire. Del 20 aprile 1945 - per completare un quadro che ormai non ha piu nulla, e da tempo, di politico, ma presenta larghi tratti di' vanc~giamento - si dà la parte finale di una intervista-monologo rilllscù1ta a un foglio locale della RSI poco prima della fuga da Milano. Resa nota nel 1948 sotto il titolo di Testamento politico e raccolta

La prova della guerra (1940-1945) 323

nell'Opera omnia, suona in realtà come un'ultima autodifesa. In un precedente « soliloquio" ( col suo solito bovarismo politico) Mussolini aveva detto: "Quando io non sarò piU, sono sicuro che gli storici e gli psicologi si chiederanno come un uomo abbia potuto trascinarsi dietro per vent'anni un popolo come l'italiano. Se non avessi fatto altro basterebbe questo capolavoro per non essere seppellito nell'oblio" (20 marzo). Su questa stessa linea si svolge il bilancio intimo del 20 aprile, di cui si dà soltanto uno stralcio.

1.

Combattenti di terra, di mare e dell'aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d'Italia, dell'impero e del Regno d'Albania! Ascoltate!

Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. (Acclamazioni vivissime) L'ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata (acclamazioni, grida altissime di: "Guerra! Guerra!') agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l'esistenza medesima del popolo italiano.

Alcuni lustri della storia pill recente si possono riassumere in queste frasi: promesse, minacce , ricatti e, alla fine, quale coronamento dell'edificio , l'ignobile assedio societario di cinquantadue Stati.

La nostra coscienza è assolutamente tranquilla. (Applausi) Con voi il mondo intero è testimone che l'Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l 'Europa; ma tutto fu vano.

Bastava rivedere i trattati per adeguarli alle mutevoli esigenze della vita delle nazioni e non considerarli intangibili per l'eternità; bastava non iniziare la stolta politica delle garanzie, che si è palesata soprattutto micidiale per coloro che le hanno accettate; bastava non respingere la proposta che il Fiihrer fece il 6 ottobre dell'anno scorso, dopo finita la campagna di Polonia.

Oramai tutto ciò appartiene al passato . Se noi oggi siamo decisi ad affrontare i rischi ed i sacrifici di una guerra, gli è che l'onore, gli interessi, l'avvenire ferreamente Io impongono , poiché un grande popolo è veramente tale se considera sacri i suoi impegni e se non evade dalle prove supreme che determinano il corso della storia.

324 Scritti politici di Benito Mussolini
"Popolo italiano! Corri alle armi... " • * Discorso del 10 giugno 1940. Da •11 Popolo d'Italia", n. 163 , 11 giugno 1940, XXVII.

Noi impugnamo le armi per risolvere, dopo il problema ri so l1 n delle nostre frontiere continentali, il problema delle nosttc fron1 ic.; rc marittime; noi vogliamo spezzare le catene di ordine territo ri:dc e militare che ci soffocano nel nostro mare, poiché un popo.lo di quarantacinque milioni di anime non è veramente libero se non ha libero l'accesso all'Oceano.

Questa lotta gigantesca non è che una fase dello sviluppo logico della nostra rivoluzione ; è la lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e di tutto l'oro della terra; è la lotta dei popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto; è la lotta tra due secoli e due idee.

Ora che i dadi sono gettati e la nostra volontà ha bruciato alle nostre spalle i vascelli, io dichiaro solennemente che l'Italia non intende trascinare altri popoli nel conflitto con essa confinanti per mare o per terra. Svizzera, Jugoslavia, Grecia, Turchia, Egitto prendano atto di queste mie parole e dipende da loro, soltanto da loro , se ess e saranno o no rigorosamente confermate. Italiani!

In una memorabile adunata, quella di Berlino, io dissi che, secondo le leggi della morale fascista, quando si ha un amico si marcia con lui sino in fondo. ("Duce! Duce! Duce!") Questo abbiamo fatto e faremo con la Germania, col suo popolo, con le sue meravig li ose Forze Armate.

In questa vigilia di un evento di una portata secolare, rivolgiamo il no stro pensiero alla Maestà del re imperatore (la moltitudine prorompe in grandi acclamazioni all'indirizzo di Casa Savoia), che, come sempre, ha interpretato l'anima della patria. E salutiamo alla voce il Fiihrer, il capo della grande Germania alleata (il popolo acclama lungamente all'indirizzo di Hitler).

L'Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. (La moltitudine grida con una sola voce: "Si!'1 ) La parola d'ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all'Oceano Indiano: vincere! (Il popolo prorompe in altissime acclamazioni) E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all ' Italia, all'Europa, al mondo.

Popolo italiano!

Corri alle armi, e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo v: 1~ !ore! .

La prova della guerr• (1940-1945) 325

2. Lettera a Hitler del 19 ottobre 1940 ·

Fiihrer, [19 ottobre 1940] *

dopo il nostro incontro del 4 ottobre al Brennero, ho molto riflettuto su taluni dei problemi che furono oggetto del nostro esame, e sono venuto alle conclusioni che mi faccio un dovere cli comunicarvi. Comincio dalla Francia .

I nostri informator i e a pill forte ragione, io penso, i vostri, sono unanimi nell'affermare che i francesi odiano l'Asse piU di prima, che Vichy e De Gaulle si sono divise le parti e che i francesi non si ritengono battuti, perché, essi dicono, non hanno voluto combattere . Vichy è in contatto con Londra via Lisbona . Essi, nella loro grandissima maggioranza, sperano negli Stati Uniti, che assicureranno la vittoria della Gran Bretagna. Con questa Stimmung non si può pensare a una loro collaborazione. Né bisogna cercarla. Se ciò accadesse, i francesi, dopo avere negato la loro disfatta, crederebbero e farebbero credere che la vittoria sulla Gran Bretagna sarebbe dovuta a loro e soltanto a loro e sarebbero capaci di presentarci il conto. Scartata, quindi, l'idea di una adesione francese a un blocco continentale antinglese, credo tuttavia venuto il momento per stabilire la fisionomia metropolitana e coloniale della Francia di domani, ridotta, come voi giustamente volete, a proporzioni che le impediscano di ricominciare a sognare espansioni ed egemonie.

Cominciamo dalla popolazione . Il censimento del 1936 dava presenti in Francia quarantuno milioni novecentocinquantamila abitanti, dei quali due milioni settecentomila stranieri e due milioni trecentomila naturalizzati da recente o remota data . Sono cinque milioni di non francesi. Degli ottocentocinquantamila italiani che formavano la massa piU imponente degli stranieri, io ne faccio rimpatriare cinquecento al giorno e spero di arrivare ad un totale di almeno mezzo milione in un anno. Io calcolo che le vostre e le mie acquisizioni territorial i, toglieranno alla Francia altri quattro milioni di abitanti. Il trattato di pace dovrebbe quindi ridurre e ridurrà la Francia a una popolazione di trentaquattro-trentacinque milioni di abitanti, con tendenza a diminuire ulteriormente, perché ritengo assai improbabile una ripresa demografica del popolo francese. Quanto alle acquisizioni di carattere metropolitano e coloniale, avanzate dall'Italia, esse sono, come vi ho detto, assai modeste: si limitano al Nizzardo, alla Corsica e alla Tunisia. Non conto la Somalia, perché è un classico deserto. Sono cioè le richieste che avrebbero potuto essere discusse anche prima della guerra, se l'incoscienza di Daladier non

326 Scritti politici di Benito Mussolini
* Al cancelliere Adolf Hitler. Da " Epoca", n. 191, 30 maggio 1954, V.

aves se risposto coi suoi « jamais', e che mi fur ono presentate.: , qual e base di discussione, per il mantenimento della non b elli gc rnn ,, a da parte dell ' I talia. Liquidate inoltre le questioni di caratte re rin ,111,, iario-economico in dipendenza della guerra, l'Italia non avanza t; non avanzerà ulteriori richieste nei confronti della Francia.

Si tratta, ora, di vedere se si può considerare maturo il te mp o pe r questa chiarificazione dei rapporti Asse-Francia. E su questo punt o essenziale sarò molto lieto di conoscere la vostra opinione. Po sizioni ingle si nel continente.

Credo che nell'ipotesi di un prolungamento della guerra, voi sia te d'accordo con me nel ritenere indispensabile di scardinare le s uperst iti posizioni inglesi nel continente europeo. Questo scardina.tnento è un 'altra condizione della vittoria. Esse sono le seguenti: Portoga llo , Jugosl avia , Grecia, Turchia, Egitto, Svizzera . Quanto al Portogallo, il suo atteggiamento è neutralizzato dalla Spagna. Nessuna illusione dobbiamo farci per quanto riguarda la vera Stim mung jugoslava verso l'Asse . Essa è irriducibilmente ostile . Vi accludo un rapporto della mia Polizia, che dimo stra la mentalità e l 'a ttività criminale jugoslava nei confronti dell ' Italia. È un cattivo vicino cd ha una cattiva coscienza. La Jugoslavia non può vivere cosi com'~ . Serbi e croati sono oggi piU lontani che mai. L 'espe rim en to Mn ct.: k completamen te fallito. Per il momento io no n intendo mo difi care l'atteggiamento de ll 'Italia nei confronti della Ju go s lav ia, att:crn~i;111wn to di attenta vigilanza .

Per l a Greci a io sono deci so a rompere g li indu g i e prcs 1i ssi 111 0 . I. a Grecia è uno dei capisaldi dell a strateg ia nrn rit.t ima in g le se 11d Mediterraneo. Re ing lese, classe poli tica jng lcse, PO[ o lo imm;ll111 0 1 in :1 educato all'odio contro l 'Ita )j a. La G recia ha pr ceduto all a 11 , ob ilitazione delle s ue for ze; ha, sin dal magg io , mess o a disposizione dd la Gran Bretagna basi aeree e nav ali, come ris ulta dai documenti che von Ribbentrop ebbe la cortesia di mandarmi dopo la scop er ta di Vitry l a Charité; in questi ultimi giorni ufficiali in gles i hanno praticamente preso po sse sso di tutti i campi della Grecia. Insomma ln Grecia è nel Mediterraneo quello che era la Norvegia nel Mare del Nord e non deve sfuggire a un identico destino. Credo che la Turchia, altra pedina del gioco inglese , non si muove rà, specie se numcnteret e , come certamente farete, le v ostre truppe di occupazione in Rom ani a . Quanto all'Egitto, la ripresa delle operazioni è subotdi nala ad un rude lavoro di preparazione logistica, simile a quello che ave te dovuto compiere voi in previ sione dello sbarco . in Gran Hrc 1a gna. Ad ogni modo io spero di poter co ndurre l'azio ne simulta11 c:,m1; 11te e sul fronte greco e su quello egiziano. Conclu sa questa seco nda rn sr offen siva , che deve conquistare il capo saldo di Marsa M :11 n,h (d11,·cento trenta ch ilome tri da Alessandria), r es terà da affron1arc la l,a1

La prova d ella guerra ( 1940-1 94 5) 327

taglia decisiva del Delta . È per questa fase che deve essere esaminato il concorso dei vostri mezzi corazzati. Il generale Torna, che è andato in Cirenaica, vi riferirà.

Sono sicuro che non vi sorprenderete di vedere anche la Svizzera compresa fra le superstiti posizioni continentali della Gran Bretagna. Col suo incomprensibile atteggiamento ostile, la Svizzera pone da sé il problema della sua esistenza .

Desidero dire ora una parola per quanto riguarda la Spagna. L'assunzione della direzione degli Affari Esteri da parte di Suiier, ci dà la garanzia che le correnti ostili all'Asse sono eliminate o almeno contenute. Non ritengo, invece, migliorata la situazione interna economica. Esprimo ancora la convinzione che sia piU conveniente per noi la non belligeranza spagnola che l'intervento. Dobbiamo tenere l'intervento come una riserva: è una carta che dobbiamo giocare al momento piu opportuno, secondo determinate circostanze, come quella di un prolungamento della guerra a tutto il 1941 o ad un intervento aperto degli Stati Uniti. Intanto l a Spagna avrà il tempo necessario per prepararsi.

Contrariamente alle mie abitudini, vi ho scritto una lun ga lettera, ma non potevo non prospettarvi il mio pensiero sulle molte questioni che furono oggetto del nostro incontro al Brennero.

Vi prego, Fiihrer, di credere ai sensi della mia cameratesca amicizia, che le prove comuni e gli eventi rendono sempre piu profonda, e accogliete i miei piu cordiali saluti.

3 . Relazione per lo stato maggiore •

1. - Nel momento attuale - estate del 1941 - l'Italia ha due fronti in atto e due fronti potenziali. Il primo fronte in atto è quello cirenaico. È un fronte statico, nel quale non possiamo prendere l'iniziativa: a) perché Tobruk resiste; b) perché le nostre forze sono insufficienti; e) perché le forze nemiche sono in via di progressivo accrescimento . Solo una situazione politica nuova e precisamente una forte retti.fica nell'atteggiamento della Turchia o altri imprevedibili eventi possono permetterci di prendere l'iniziativa. Le forze che io considero indispensabili per la difesa e l'eventuale offensiva sono due divisioni corazzate italiane, due divisioni motorizzate italiane, sei divisioni normali, due divisioni tedesche . Totale dodici . Per essere tranquilli - relativamente - occorre una massa di apparecchi

* Redatta in data 24 lu glio 1941. Pubblicata da "Il Popolo d'Italia-, n. 206, 25 luglio 1941, XXVIII; e da: Hitler e Mussolini. Lettere e documettti, pp. 114-115.

328 Scritti politici di Benito Mussolini

italo-tedeschi non inferiore a cinquecento. Non ritengo l'attua le co~ mandante delle Forze Aeree [Mario Aimone-Cat] all'altezza dei suoi compiti.

2. - Altro fronte in atto è quello orientale-russo. Dato quanto altri Stati minori del nostro hanno fatto, bisogna preparare un secondo Corpo d'Armata (motorizzato piu o meno a seconda delle possibilità) oltre ai battaglioni Galbiati. Non possiamo essere meno presenti della Slovacchia e bisogna sdebitarci verso l'alleato. Fronti potenziali. - L'ambiguo, ostile atteggiamento della Francia già notato a Berlino impone cli prendere le misure necessarie per fronteggiare ogni eventualità. Il fronte francese ha tre settori: aipino, corso, tunisino. Considero necessarie per il fronte alpino una divisione corazzata, una motorizzata, quattro di alpini, quattro di fanteria normale. Per la Corsica tre divisioni normali. Per la Tunisia tre divisioni normali e una motorizzata .

3 . - La fluidità della situazione croata impone la massima vigilanza. Per essere pronti a tutte le esigenze nel settore che va, grosso modo, dalla Sava a Cattaro, occorrono non meno di dieci divisioni, delle quali almeno due corazzate e due motorizzate.

4 . - Un ultimo fronte potenziale può essere quello delle nostre isole metropolitane. Occorrono quattro divisioni per la Sic ilia e tre per la Sardegna. Tenuto conto delle divisioni che presidiano l ' Albania e la Grecia, risulta che non vi è nella valle del Po ncswna massa di manovra disponibile. Reputo necessaria la costituzio ne di tale massa cli almeno venti divisioni. Nella primavera ciel '42 l 'Eserc ito deve avere non meno di ottanta divisioni.

I.

Tre avvenimenti hanno dimostrato, in questi ultimi telllpi, quale sia lo stato d 'animo del popolo italiano al termine del secondo anno di guerra. Il primo è il risultato del Prestito, che, senza uno spec ial e sforzo cli propaganda, ha superato cli quattro miliardi il tota le rag-

* Interventi alle riunioni del 18 e del 26 maggio 1942. Da "Il Popolo J'llnlin", n. I \9, 19 maggio 1942, XXIX e "L'Europeo", n. 3, 20 gennaio 1957, XIII.

La prova della guerra /1940-1945) 329
4 . Al direttorio nazionale del PNF*

giunto nel Prestito precedente. Il risparmiatore italiano ha riaffermato nella maniera piu tangibile la sua fiducia nella moneta, nella finanza dello Stato, nel risultato vittorioso della guerra. Ancor piU significativa, sotto l'aspetto morale, è stata l'offerta della lana, offerta che, per la sua universalità e spontaneità, oltreché per i suoi pratici risultati, dev 'e ssere considerata una specie di plebiscito solenne e una prova di orgoglioso amore per le nostre Forze Armate. La data del 15 magg io , conclusiva della raccolta della lana, deve essere messa sullo stesso piano della data del 18 dicembre 1935, "giornata della fede". Come gli anelli donati in pieno assedio societario servirono, poi, l'estate successiva, a pagare quindici milioni di quintali di grano straniero importato, data la scarsità del nostro raccolto, cosi la lana offerta oggi servirà a riparare dai rigori invernali i nostri soldati di tutte le armi, che avranno da ciò nuovo incentivo per battere il nemico e conquistare la vittoria. Infine, durante il mio viaggio in Sardegna, ho potuto constatare, dopo sette anni di assenza, che notevoli progressi sono stati realizzati in tutti i campi, ma che molto resta ancora da fare e dovrà, durante e dopo la guerra, essere fatto. Dal punto di vista politico, tanto nelle città, come nei villaggi, nelle manifestazioni individuali e collettive, si è palesata ancora una volta l'alta tempra morale di una fiera razza di combattenti quale è quella di Sardegna, la fede assoluta nella vittoria, la totale adesione alle istituzioni del fa scismo. Ho trovata una popolazione che si è raccolta intorno a me, senza cordoni, con un servizio d'ordine abbastanza confuso e quindi piacevole, e nessuno mi ha detto che la razione è insufficiente, oppure ha pronunciato la frase: dateci del pane. Nessuno mi ha detto: quando ci sarà la pace? Nessuno ha parlato, insomma, di pane e pace. Adesso mi rendo conto del perché Garibaldi, volendo scegliere una sede, un luogo per il suo soggiorno, abbia scelto un'isola della Sardegna . È una razza rimasta a uno stato di superba primitività. Sarebbe augurabile che rimanesse cosi, pur andando avanti con i progressi tecnici, con gli acquedotti e magari tutti gli aggeggi che formano il confortismo della vita moderna . Gente povera, però entusiasta e devota al regime . Del resto, vi dico una cosa e su questo fatto bisogna meditare. Io sono arrivato alla seguente meditazione: bisogna far gravitare tutte le forze del regime verso l'Italia peninsulare e insulare. Dal punto di vista politico, queste popolazioni non hanno esperienza. Sono popolazioni vergini, che fanno la loro esperienza politica di massa solo in regime fascista. Altrove, per esempio, le popolazioni haMo fatto l'esperienza massonica: li invece è tutto perfettamente nuovo. Li la politica si è limitata ad esperienza di fatti personali, di deputati o di ministri.

Ora, in una massa di venti milioni di italiani che non hanno vissu-

330 Scritti politici di Benito Mussolini

to nessuna esperienza politica, ci sono delle possibilità. È appunto sulle forze vergini e fresche che noi dobbiamo lavorare, perché esse non sono state ancora rosicchiate dal tarlo della critica. C'è ancora del fanatismo e del misticismo. Quindi bisogna gravitare verso quelle popolazioni, anche perché esse meritano veramente di essere portate ad un piu alto livello cli vita politica ed economica, su un piano superiore. Esse lo desiderano e sentono che il fascismo le porta verso questo piano di carattere superiore, non tanto sotto l'aspetto economico, ma sotto l'aspetto politico della dignità del cittadino . Esse hanno già la sensazione cli essere sul piano della clignità del cittadino. Quincli il Partito deve tener conto cli queste esperienze e cli questi dati, per quella che' deve essere la sua azione futura.

A questo punto, il segretario del Partito legge una sua relazione in base ad elementi emersi dai rapporti dei federali. Poi Mussolini riprende:

Per noi fascisti, i veri giovani che sono degni di portare le nostre bandiere, sono quelli che si sono battuti a Bir e! Gobi, sono quelli che formeranno la divisione corazzata giovani fascisti. Quelli sono veramente i giovani sui quali contiamo, dobbiamo contare e conteremo. Però non bisogna trascurare questi sintomi di disagio spirituale che vi ho segnalato. Ma soprattutto è qui che richiamo la vostra attenzione: non dare anticipati segni di senilità, pretendendo dai g iovani quello che essi non possono dare e che noi qt1nndo crnv:rn1 0 giovani non abbiamo dato. Ci sono fascisti giunti a una ccrl'a cl'~ che non vogliono essere disturbati con un inno, da un :1 fanfara, da qua lsiasi raduno. Questo è segno di autentica senilità. Facendosi vcdc1·c brontoloni è il miglior sistema di stancare i giova ni . Ora io dichiaro, nella maniera piU assoluta, che domani, dovendo scegliermi dei compagni di lotta, me li sceglierei fra i giovani, magari con tutti gli errori e le esuberanze che avevamo anche noi. Non si può pretendere che i giovani abbiano il temperamento degli uomini a sessanta anni. Ora io noto, in molti elementi anziani del fascismo, delle intemperanze, delle aciclità, dell'insopportazione, pe~ cui delle grida fatte durante un'adunata o una fanfara che squilla fuori ora suscitano subito delle reazioni. Sbagliatissimo. È soltanto attraverso i giovani che potremo perpetuare il nostro credo. Quelli di sessanta anni hanno già esaurito la loro funzione e bisognerebbe toglierli dalle file del Partito, dicendo loro: "Voi avete bene operato. Ora scendete dal palcoscenico in platea ed osservate i protagonisti". Ora stiamo attenti che questo è il miglior modo di fare la famo sa spaccatura fra le due generazioni. Né si pensi che il nostro movimento possa avere un futuro se ha contro di sé la massa dei ginv,rni. Quindi è chiaro che noi dobbiamo fare tutto il possibile, na111rnl111 c 11te con metodo, disciplina e con la necessaria severità, perché qucsl i

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giovani rappresentino la nostra continuità ideale e fisica. Quindi non inalberarsi se domani scrivono delle cose che non sono troppo idonee. Ma soprattutto dobbiamo indirizzare questi giovani a studiare quello che noi abbiamo fatto durante venti anni, in modo che non abbiano l'impressione di rifare il mondo, ma solamente di perfezionare quello che è stato fatto. Sarebbe veramente curioso che un movimento che è nato con l'inno Giovinezza dovesse convertirsi nell'inno opposto, ossia della vecchiezza.

Il Partito va alleggerito. Bisogna procedere a sceverare il grano dal loglio. Non c'è dubbio che il Partito in questi ultimi anni, 1940 e 1941, si è appesantito, specialmente quando ha aperto le sue porte a centinaia di migliaia di ex-combattenti, omaggio che noi abbiamo voluto rendere ai combattenti della guerra europea, che però ha richiamato nel Partito masse di uomini già anziani, che avevano attraversato questo lun go periodo di tempo senza mai essersi posti la domanda del loro presidente, perché tutti veramente, i combattenti, avevano avuto venti anni di tempo per farlo. E si è visto, da una percentuale che mi è stata data l'altro giorno da un federale, che il quaranta per cento di questi camerati sono dei "tesserati". Dei "tesserati". Non basta.

Poi c'è un'aliquota di individui che sono insofferenti della nostra disciplina e soprattutto desiderosi di riposo, e trovano che il regime fa troppe guerre, troppe leggi, troppe restrizioni, troppa disciplina. Hanno l'aria di dire che si stava meglio quando c'era un po' di pittoresco nella vita; quando si potevano fare lunghi di scorsi, degli interminabili discorsi; dei bellissimi processi alle Assisi con discorsi di avvocati che duravano anche nove giorni; belle cronache di suicidi, che fanno piangere i portinai e le sartine. Gente che non ha i nostri polmoni, i nostri garretti, che non ha la nostra psicologia. Non vogliamo mai riposarci oltre il tempo necessario per ristorare le nostre forze e accingerci a nuovi compiti. Chi non ba questa psicologia deve essere allontanato delicatamente dalle nostre file. Non ci perdiamo nulla; ci guadagnarne anzi. L'attività del Partito deve essere diretta ad eliminare tutti gli elementi che non hanno voluto la temperatura.

Qui si pone il problema dei giovani. Questo problema dei giova ni è un problema che ha degli aspetti curiosi. Prima di tutto si tratterebbe di sapere quando si è giovani e quanto tempo si rimane giovani. Questo è il punto. Se la gioventu fosse uno stato permanente, se si rimanesse sempre a vent'anni, salvo una morte dolce improvvisa, si porrebbe veramente il problema dei giovani. Ma ogni giovane invecchia ogni giorno di un giorno . Come in trincea, a proposito degli imboscati. La vedetta diceva: tu capoposto, sei imboscato; il capoposto al plotonista: tu sei imboscato, perché sei lontano. Effettivamente gli

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imboscati erano quelli che stavano perlomeno al di là del Tagliamento, mentre sull'Isonzo poteva arrivare qualche colpo di can none pit'1 o meno sperso

Parlando di giovani, biso gna tener conto del lato anagrafico. Qucs 10 però non basta. Ci sono dei giovani che a ve nti , venticinque, trenta anni hanno già delle stigmate di decadenza, sono grigi, melanconic i, nostalgici, indifferenti. Qualche volta posano per indigeste l ett ure. In fondo, avendo io letto e leggendo attentamente tutto quanto s i scrive sul problema dei giovani (sotto la gestione Serena si disse che si doveva discutere, ma anche su questo ci sarebbe da fare delle rise rve) , devo riconoscere che non c'è gran che, e soprattutto non c'è nulla che si possa aggiungere alle nostre tavole fondamentali. Noi abbiamo stabiliti i nostri principi in maniera precisa: Carta del lavoro, Carta della scuola. (Vivi applausi) Abbiamo dato una risposta a tutti i problemi che la coscienza dei popoli in questo momento si è posta dinanzi. (Applausi) Ci sarà da perfezionare, da aggiornare, se volete: è quello che facciamo continuamente del resto, attraverso le leggi. Ma le basi sono s tate poste, e l'esperienza nostra e d':iltri le ha collaudate. Ora n ess uno piu di me è disposto a parlar di giovani. Però bisogna che siano i nostri giovani. Da questo punto di vista la GioventU Italiana del Littorio ha un'importanza fondarn cn ~ tale per quello che riguarda la preparazione delle nuove generazioni. Devono essere preparate dal punto di vista fisico, monile, int c lkt t 11a le ; devono essere migliori di noi.

Tuttavia io penso sempre che la base del regime è il Pari i10 , pcrcl1l: la forza profonda, intrin seca del Partito è data dag li squ:i dri st i. Questi ottanta , novant amila squadrist i sono veramente il nerbo sul quale si può contare. Si può contare, perché hanno combattuto, perché hanno sofferto, perché h anno lottato, perché hanno vinto. Quindi sono impegnati personalmente, moralmente a mantenere il frutto di quello che fu il loro sanguinoso combattimento. Che questi squadristi siano sempre di una tempra decisa, coraggiosa, che abbiano sempre come motto il "me ne frego" dei nostri gagliardetti , lo dimostrn il fatto che quando ho chiesto che gli squadr isti formassero d ei ba itaglioni inquadrati, la risposta è stata immediata, pronta. E il governatore della Dalmazia, Bastianini, mi diceva alcuni giorni fo che l'apparire del battaglione degli squadristi lombardi oltre Spalato aveva prodotto degli effetti deci sivi sulla residuale canagli a bo lscevica. Questi bolscevici si sono trovati di front e agli squadristi coi loro simboli, il loro grido di battaglia; hanno capito che non ,1vcv, 11H) pili di fronte il soldat o semplice, anim ato da un senso di d ovcn: pili o meno generico, ma degli uomini di fede che credeva no.

È ormai evidente che in questa guerra che divide il 111<.)l\dc,, è cv i dente che il carattere di questa guerra è quello proprio di u na guc.:r-

La prova della gr,errà (1940-1945) 333

ra di religione. Ci sarà anche il bottino, dovremo avere la nostra parte, perché un popolo deve combattere per la gloria, ma non soltanto per quella; perché un popolo ha anche bisogno del pane, di progredire, di far lavorare la sua gente. Ma il carattere preminente di questa guerra è una guerra di principi. Le guerre di religione risalgono a due, tre, quattro secoli or sono e non si era vista mai una guerra di religione della vastità dell'attuale . Ora, in questa guerra, vinceranno gli eserciti che saranno animati dalla fede piu profonda. Specialmente se sarà accompagnata da armi e da comandi intelligenti. Oramai in Italia si è diffusa la convinzione che anche noi disponiamo di armamenti notevoli, aggiornati, moderni, in quantità copiosa. E bisogna dire a tutti, nella nostra opera di propaganda, che se ciò accade nel 1942, è perché doveva accadere soltanto nel 1942. Perché abbiamo detto le ragioni per le quali solo nel 1942 saremmo stati pronti: e cioè che l'Italia è in guerra dal 1935. E la Spagna ha costituito per noi una emorragia di materiali. Vi abbiamo lasciato materiali per dodici miliardi di lire, a cui abbiamo dato il piu melanconico e cameratesco dei saluti. (Commenti) Non solo. La guerra oggi dimostra che il soldato italiano non ha nulla da imparare , da invidiare ai migliori soldati oggi combattenti in ogni centro della terra .

Rommel, un generale che stimo, perché quando c'è la battaglia è in testa col suo carro armato e in piedi, ha detto al giornalista Heymann, che lo ha ripetuto: "I soldati italiani, quando sono ben comandati, non hanno nulla da invidiare alle migliori divisioni tedesche". Noi ci mettiamo , anzi, di pili Fintelligenza, cioè aggiungiamo qualche cosa che è nel nostro temperamento. E in quella grande prova di tutti gli eserciti che è il fronte russo , l'unico settore dove non siamo tornati indietro, è il settore tenuto dalle nostre truppe! Cosa, 1 del resto, c.he i tedeschi, con molta cavalleria, hanno riconosciuto .

Questo spiega come noi faremo uno sforzo unitario e parteciperemo con forze impon e nti , che si stanno preparando , alla prossima offensiva. Saranno parecchi Corpi d'Armata , con parecchi battaglioni di camicie nere; e qu esto sforzo avrà una grande importanza dal punto di vista del prestigio militare, del quale i popoli devono essere particolarmente gelosi, ed anche per quelli che saranno i rapporti delle forze tra i componenti dell'Asse, e per le rivendicazioni che potremo porre ai tavoli della pace.

II.

[ ...]

C'è un terzo fronte: quello economico. Io devo giudicare con estrema severità e profondo disgusto l'insieme di questo fronte eco-

334 Scritti twlitici di Benito Mussolini

nomico. Si legge in prima pagina che il capitano di corvetta Grossi sta quaranta giorni chiuso in uno scafo d'acciaio; in altra pa gin :1 fa chiusura di quaranta spacci, eccetera. Il mondo economico italian o bisogna domarlo, bisogna schiacciarlo , bisogna frantumarlo , perch é il mondo delle categorie economiche italiane vuole fare questo se 1 · . vizio al regime. Io non ho piu alcun dubbio circa l'indisciplina , il sabotaggio e la resistenza passiva su tutta la linea. Il regime si esaurisce, si estenua; consuma letteralmente decine di camerati nell e rcderazioni, nei ministeri, e siamo sempre daccapo. Si dice agli industriali, fate i prodotti-tipo. Ricci vive il dramma di questi prodot1itipo, che non vengono mai fuori o vengono fuori in quantità insufficiente e in modo miserabile, per cui il commerciante possa dire: è autarchico, è una porcheria. Senza contare le frodi che vengono fuori nei tribunali: nascondono il rame, trafficano il rame, nascondono gli acciai, fanno cose che non sono prescritte. Poi, se passiamo agli industriali e a tutte le altre categorie, è sempre la stessa cosa. Se noi avessimo avuto i sei milioni di quintali che non sono stati consegnati agli ammassi, è chiaro che al 15 marzo non saremmo stati costretti a ridurre la razione del pane. Qualunque prezzo si stabilisca, si ottiene il risultato univoco di far scomparire in un primo tempo la merce . Qualunque prezzo. E badate che i prezzi non sono cervellotici. Non è che io o Ricci o Bu:ffarini o chiunqu e ahr o stabilisca al mattino questi prezzi. Sono prezzi che vengono sh1bili1 i con quelli che se ne intendono, con quelli che dicono ch e si può far e. Niente! Si trova sempre che il prezzo è insuffid e nt e , c he i cost i di produzione non sono coperti. Che cosa è accaduto. Questo. Che abbiamo creato dell e categorie, e devo dire che l a nostra costruzione è magnifica, è logica ed è architettonicamente sana . Ma chi c'è dentro questa cornice? Chi vi abbfamo messo dentro? Questo è il punto. Chi sono quelli che stanno sotto queste Federazioni fasciste del cuoio, dei liquori, delle pere cotte? Chi c'è dentro? In modo che la nostra lotta è continua, costante per imporre quella disciplina che gli interessati non sanno imporsi. Qui è la pietra di paragone del regime. Quindi il regime è impegnato con tutte le sue forze a vincere questa battaglia sul fronte jnterno e la vinceremo. È di tutta evidenza che si vuol diminuire il regime su questo terreno. Chi ha vissuto la guerra scorsa sa che il popolo italiano seppe soffrire con molta disciplina. Allora una donna prendeva settantacinque centesimi al giorno, se era la mog li e di un richiamato, pili venticinque per il :figlio. La razione del pane c·ra quella di oggi; la carne c'era quando Dio la mandava, e si davano dieci chili di legna al mese. Non c'era ancora il riscaldnm c nto co l carbone. Eppure il popolo stava tranquillo, perché il fr o nt e e ra vicino, si sentiva il cannone e le stazioni erano affo1latc di dec ine cli

La prova della guerra (1940-1945) 335

migliaia di feriti, perché ognuna di quelle famose spallate che molti di noi hanno vissuto, richiedeva ventimila morti , quarantamila feriti e trentamila dispersi. Allora il piu cinico dei cittadini aveva il pudore di dire: ma insomma io non devo lagnarmi quando il fiore della gioventu italiana ritorna dai campi di battaglia in queste condizioni. Naturalmente, siccome la corda fu tirata, a un certo punto la pentola scoppiò e nel 1920 ci fu quel famoso assalto della Pentecoste, cbe ristabilf in una settimana gli equilibri che erano stati per troppo tempo violentati; e i nostri patriotticissimi commercianti, quando si rifornivano di merce, temendo un bis, fecero dei cartelli dicendo: "Si vende col ribasso del cinquanta per cento" . Se noi non fossimo delle persone ragionevoli, probabilmente rivedremmo questo stesso spettacolo, perché le nobili popolazioni che stanno a T0r Marancia, alla Garbatella, alla Valle dell'Inferno, godrebbero questo spettacolo una volta tanto e questi cretini non si accorgono che ciò potrebbe accadere. E quando ciò accade, la Polizia è impotente, probabilmente anche la Polizia fascista.

Io mi domando che cosa fanno tutti quelli che sono alla testa di queste organizzazioni, che cosa dicono , e mi domando che cosa fanno tutti coloro che sono del Partito. Io ho un elenco che se tutti quelli che vi sono iscritti, invece di rappresentare una mera tessera, rappresentassero una fede non dico fiammeggiante, ma sentita, in Italia le cose potrebbero andare non dirò in maniera perfetta (ciò non è possibile e nemmeno desiderato), ma certamente meglio. Ci sono quattro milioni di organizzati nei Fasci di Combattimento, otto milioni nella Gioventu Italiana del Littorio, eccetera. Il regime controlla qualcosa come venticinque milioni di individui, tolti i vecchi, i bambini, tolti quelli che sono, dal punto di vista sociale e nazionale, degli zeri. Questa è la relazione. Ebbene, che cosa fanno tutti costoro? Io mi domando che cosa fanno. Essere venticinque milioni o cinque milioni o cinquecentomila, alla fine, tranquillamente, è la stessa cosa. Insomma, c'è un momento in cui le forze indifferenziate, non direttamente controllate, rendono difficile la vita a tutto quello che è l'organismo del regime.

Si pone quindi il problema se la posizione mediana che abbiamo presa in sede d'interessi economici può essere ancora a lungo conservata. È un problema che io dibatto nella coscienza, perché è un problema che si rivolge a interessi non solo materiali, ma morali notevolissimi. Il problema si pone in questi termini: è in gioco il prestigio del regime nel settore della disciplina economica, cioè nel mondo economico italiano, il quale tende con tutti i mezzi a sfuggire alle regole, alle leggi del regime, a frodare le leggi del regime, a diffondere la mentalità puramente speculativa, per cui ogni prezzo è insufficiente. Mettendoci da un punto di vista strettamente statale, si do-

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manda se a un certo punto (siccome que s ta gente vuole ubriac,1rsi, cioè deliberatamente rovinarsi) a questa gente si potrebbe dire: s ignori, fate il vostro gioco; all'ultimo lo Stato fa un affare e i suoi trecento milioni di debiti li paga non pagando . Poi scompaiono gli interes si a tanti altri milioni, eccetera. Naturalmente, tutto qucs10 sarebbe accompagnato da un corteo di rovine imponenti, e quegli stessi che oggi vogliono sempre pili carta moneta nelle tasch e, domani sarebbero amaramente pen titi e direbbero: valeva la pena di avere meno carta e pill valore.

La conclusione è questa: che bisogna puntare i piedi con brutalità assoluta, perché ormai tutte le forze nemiche, consapevolmente nemiche , inconsciamente nemiche, consistono in poveri illusi , che bisogna curare prima col ragionamento e poi col bastone . Su cento di costoro, quelli che meritano di militare nelle nostre file non sono piu di otto o dieci. E forse è una cifra ancora generosa. Naturalmente noi soffriamo di tre secoli di storia, di tre secoli di imbellico sità, e non è facile rimontare tre secoli , dal 1530, da quando quel traditore di Malatesta Baglioni si mise d'accordo con Carlo V e i suoi erano la quinta colonna di quell'epoca. Ecco tutto quello che significa l 'imbellicosità di un popolo. Tutti i luoghi comuni sono sott i in questi tre secoli . E il Piemonte non poteva che barcamenarsi e di quando in quando riaffiorano questi tre secoli di arcadia, di cicisbei. D'altra parte, chi vuol vedere che cosa fosse la società all'inizio del secolo diciottesimo, ha un documento bellissimo, Il gio rno, dell 'abate Giuseppe Parini, che scrive la vita del giov in signo re che discende da magnanimi lombi. È il quadro della socie tà d'allora. Nella dichiarazione noi non diciamo nulla di questo, perché vogl iamo andare ai fatti. Ma è indubitato che il Partito impiega tutte le energie per piegare alla sua disciplina le forze passive, ribelli e ostili dell'economia italiana. Voi, Vidussoni, sottoscrivete. Vogliamo vedere quale delle due forze sarà la prevalente. Vedrete che la forza prevalente sarà la nostra . Questo è sicuro, anche se si dovranno prendere delle misure draconiane, calpestare alcuni sacri canoni. Io vorrei sapere quanti , su centomila componenti , dico una cifra per arrotondare, della vita economica italiana, sono coloro che antepongono gli interessi collettivi ai loro personali. (Si grida: "Nessuno!")

Io non dico nessuno, ma domando quanti sono. Centocinquanta, duecento. Non so. Non credo però, da quello che si vede in giro, che siano moltissimi. Credo che l'enorme maggioranza antepone i suoi interessi privati person ali. Ora, finché noi non avremo capovolto questo rapporto, finché noi non faremo applicare le dichiarazioni scrit te , le quali devono funzionare attraverso gli individui, che sono carne, ossa e sangue , come sono i quindicimila soldati quelli che danno la forza alla divi sione , che fanno di essa un insieme di valorosi

La prova della guerra (1940-1945) 337

o di gente mediocre; finché queste categorie non applicheranno quello che sta scritto nei nostri paragrafi dottrinari, dove l'interesse collettivo è prevalente, fìno a quando non avremo realizzata questa situazione, non avremo creato nulla che trasformi il costume e rossatura degli italiani. Inoltre quelli che vengono a discutere nei Comitati corporativi devono sentirsi impegnati verso la nazione. Noi possiamo trovarci qui a discutere per settimane sopra un problema e sviscerarlo, come dicono i competenti. Tutti quanti escono contenti; poi, in ventiquattr 'ore, cambiamento totale della scena. Allora si ricomincia, si ridiscute. Questi rappresentanti che cosa rappresentano? Se stessi o la legge? Anche queste organizzazioni sindacali bisogna metterle di nuovo all'esame. Che cosa si fa per dare coscienza nazionale a questa massa? Ci contentiamo di queste iscrizioni puramente anagrafiche? Non sappiamo nulla: tutta gente rimorchiata, come se fosse stata ribattezzata nella parrocchia di San Giuseppe. E ai fini della coscienza politica?

Io non credo che noi potremo far cambiare la testa alla gente che l a porta in quel determinato modo da cinquanta o sessanta anni. Quell e ormai sono teste che bisognerebbe far rotol are. Bisogna fare uno sforzo veramente sui giovani. Qui bisogna mettersi a capofitto, a te· sta bassa, per vedere se le nuove generazioni ci danno quel conte· nuto che manca alle nostre forme giuridiche, legislative. Perché sulle vecchie generazioni non v'è da fare alcun assegnamento. Questo mondo economico italiano è stato liberale fino al 1925 e, in fondo, Io è ancora. Ha visto nel fascismo un difensore dei beni pri· vari e come tale lo ha accettato, mugugnando dal punto di vista politico. Ricordo i discorsi dei senatori della cricca Albertini. Poi, dopo la crisi del 1929, questa gente ha capito che c'era qualcosa da fare, che la mela era ormai matura, che aveva già il baco dentro, e allor.1 ha detto: questo sistema di regolamentazione di conflitti collettivi del l avoro può essere accettato. Ma ricordo che in piena Camera ho sentito sostenere che non si poteva portare anche nel campo agricolo questa legislazione, il che dimostra come si volesse evitare che il fenomeno diventasse genera le . Poi hanno visto che pra ticamente le cose sono rimaste al punto di prima. I grandi complessi industriali sono rimasti al punto di prima. Noi li conosciamo tutti. Ci fanno sa· pere quello che credono di farci sapere in intere pagine di giornali, mescolando il sacro e il profano, ragione per cui ho proibito che in queste relazioni, in cui si parla di dividendi e di denaro, si comin· ciasse col saluto ai combattenti e ai morti, quando, d'altra parte, si ripartiscono i loro profitti, li nascondono per frodare lo Stato e ricorrono a tutti i sotterfugi per eludere l e leggi. Bisognerebbe fare una storia per descrivere i trucchi a cui si ricorre . Oggi noi abbiamo tas· sato le rendite degli immobili: allora essi fanno l 'ipoteca per toglier-

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la poi alla fine della guerra. Naturalmente noi metteremo delle tasse per accendere, come si dice in linguaggio notarile, un'ipoteca su gli immobili, in modo che nessun o pili ricorrerà a questo trucco. Questo è il mondo economico italiano visto nella sua brutale rc al1 /1. Possiamo noi soggiacere a questo mondo? No. È questo mondo che dovrà soggiacere a noi. Essi poi , di tanto in tanto, fanno dei gcst i premurosi, come quello di venire a fare degli stanziamenti formidabili, oppure vogliono pensare alle case operaie. Avendo fatto una indigestione di denaro, ci vogliono mettere un pizzico di acqua sanrn, con il che credono di essersi fatto un alibi per la loro coscienza.

Allora siamo intesi, camerati del Direttor io. Dai multimilionari agli energumeni che al mattino si recano ai mercati generali con carri, carrettini, tricicli e si buttano sulle verdure e non si sa dove le portano (probabilmente alla trattoria A, nell'ambiente B, eccetera), da questi energumeni fino ai luminari, noi li metteremo tutti al passo. Abbiamo i mezzi.

Tutti gli organi del regime adesso hanno queste direttive: piegare agli interessi dello Stato e alla disciplina della nazione le forze economiche tutte, dalle bancarie alle agricole, alle industriali, alle commerciali, eccetera. Il nostro Molfino, l 'altro giorno, ha impallidito quando ho detto che strapperò la qualifica di fascista che ha la sua Confederazione. Faremo la Confederazione dei fascisti che eserc il ano il commercio, non quella fascista dei commercianti, centocinqu:1111.1mila dei quali fanno il commercio nelle patrie galere. Dico centocinquantamila, perché sono quelli scoper ti, perché se invece di vcn1imila agenti di Polizia, ne avessi quarantamila o cinquantamila, ncdo che adesso non ci sarebbe piU nessun commerciante in ltnlia.

Sento vibrare nelle vostre voci l'antica, incorruttibile fede (la moltitudine prorompe in un formidabile grido: "Si!") e insieme una ce rtezza suprema: la fede nel fascismo ( "Si!"), la certezza che i sanguinosi sacrifìci di questi tempi duri saranno compensati dalla vittoria (altissime, prolungate acclamazioni), se è vero, come è vero, che lddio è giusto e l'Italia immortale. (Il popolo acclama entusiasticamente al Duce)

Sette anni or sono noi eravamo qui riuniti in questa piazza per celebrare la conclusione trionfale di una campagna durante la quale avevamo sfidato il mondo e aperto nuove vie all a civiltà. (Applausi pro -

La prova della guerra (1940-1945) 339
5. L'ultimo discorso da Palazzo Venezia • • Discorso del 5 maggio 1943. Da "Il Popolo d'Italia" , n. 126, 6 11rnm1 io l~MJ, XXX.

lungati) La grande impresa non è finita: è semplicemente interrotta. Io so, io sento che milioni e milioni di italiani soffrono di un inde· finibile male, che si chiama il male d'Africa. ( "Si!"). Per guarirne non c'è che un mezzo: tornare. E torneremo. (La moltitudine prorompe in nuove, irrefrenabili acclamazioni e grida con una sola voce: "Si!")

Gli imperativi categorici del momento sono questi: onore a chi combatte, disprezzo per chi si imbosca, e piombo per i traditori di qualunque rango e razza. (Altissimi applausi)

Questa non è soltanto la mia volontà. Sono sicuro che è la vostra e quella di tutto il popolo italiano.

Tutto quel che è accaduto doveva accadere, poiché se non fosse dovuto accadere non sarebbe accaduto.

2

Per quel che concerne la gratitudine, le bestie sono superiori agli uomini perché hanno l'istinto e non la ragione .

3

Sembra che i dittatori non abbiano nessuna alternativa: essi non possono declinare, devono cadere, eppure la loro caduta non provoca alcun piacere. Anche quando non sono pi\l temuti, continuano ad essere odiati o amati. 4

Ciò che noi chiamiamo "vita" non è che un punto quasi impercettibile fra due eternità: il passato ed il futuro. Pensiero consolante!

* Scritti dopo il 25 luglio (dal 2 agosto in poi) furono tradotti in italiano da una versione fotta fare dai tedeschi: l'originale è andato smarrito. In BENITO MussoLINl, Opera omnia, vol. XXXIV, pp. 277-290.

340 Scritti politici di Benito Mussolini
6. Pensieri Pontini e Sardi •
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Secondo Delcroix la mia vita dovrebbe essere divisa in cicli se ttennali contraddistinti da avvenimenti decisivi: 1908-1909 , espu lsione dall'Austria; 1914-1915, intervento; 1922, marcia su Roma; 1929 , riconciliazione fra Stato e Chiesa; 1936, fondazione dell'impero; 1943, caduta; 1950, già morto, Finalmente!

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[ ... ] Venti anni di lavoro sono stati distrutti in poche ore. Mi rifiuto di credere che non vi siano piU fascisti in Italia. Forse ve ne sono piU di prima. Ma come è amaro dover constatare che ciò è stato provocato da fascisti e realizzato da gente che portava il distintivo del Partito. Il fascismo era una iniziativa che ha interessato il mondo cd indicato nuove strade. È impossibile che tutto sia crollato. Quando ripenso oggi ai compiti, alle realizzazioni, al lavoro ed alle speranze di questi venti anni mi chiedo: Ho forse sogna to? Era tutta un'illusione? Era tutto superficiale? Non vi era nulla di profondo?

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Una profonda malinconia mi prende alla fine di questo primo giorno di esilio alla Maddalena, Sento che mio figlio Bruno è ora veramente morto.

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Il ricordo di me e del mio destino sarà cancellato fra pochi anni e si estinguerà subito dopo.

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Dal 25 luglio mattina non ho letto piu nessun giornale . È degno di nota che non senta questa mancanza, dato che ero un infaticabile lettore di dozzine di quotidiani al giorno.

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Scherzi del destino: dal sommo del potere alla completa impotenza, dalla folla acclamante alla completa solitudine.

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Fin dall'ottobre 1942 -ho avuto un presentimento continuamente ,·n· scente della crisi che mi avrebbe travolto. La mia malattia vi ha 11101 to contribuito.

La prova della guerra (1940-1945) 341

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Negli ultimi tempi la richiesta di mie fotografie era molto diminuita e la mia avversione a firmarle era aumentata in misura eguale se non superiore. (Le firmavo ogni domenica pomeriggio.) Sentivo che queste fotografie sarebbero state stracciate o nascoste un giorno. In questi giorni ciò deve esser accaduto in modo "totalitario" nelle vetrine e nelle abitazioni. I meno coraggiosi le hanno stracciate, i pill coraggiosi le hanno nascoste in qualche armadio per poter dichiarare in caso di sorpresa di averle dimenticate. Sic transit gloria effegiei.

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Noi tutti seguimmo con grande attenzione a villa Torlonia la proiezione del film Sant'Elena, piccola isola . Cosi fini un uomo molto grande . Perché un uomo molto piu piccolo non dovrebbe avere un destino eguale o simile?

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Dopo quattordici giorni non so ancora cosa "sono" o meglio cosa sono diventato.

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Talete ringraziava gli Dei di averlo fatto nascere creatura umana e non bestia, uomo e non donna, greco e non barbaro.

[ ... ] La dittatura è un 'istituzione tipicamente romana (repubblicana).

Ciò che nel mondo moderno si d es igna come dittatura è la dittatura indiretta e collettiva e sembra che non possa durare piU di venti anni.

Tuttavia stiamo vedendo un'eccezione: la dittatura del bolscevismo sul proletariato.

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Stanotte le sentinelle hanno fatto fuoco per dei rumori "sospetti" . Stamane, 12 agosto, allarme aereo e colpi della contraerea alle otto. Ho visto soltanto due caccia isolati che volavano dietro l'isola. Il tutto è durato tre o quattro minuti.

342 Scritti politici di Benito Mussolini
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L'ambasciatore giapponese, che ricevetti ancora il 25 luglio, alle tredici, deve esser stato sorpreso piu di tutti gli altri dagli avvenimenti.

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Le zanzare sono gli altoparlanti della notte: qui ve ne sono troppe!

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Anc~e gli _l!Omini che__E_ompo!'gono il mio presidio (carabinieri e funzionari) devono avere molte domande nelle loro menti: Che razza di uomo è questo?

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Nel giugno 1940, dopo lo scoppio della guerra, si costrul il primo rifugio aereo di villa Torlonia in alcune grotte; la cantina si trova nelle vicinanze del teatro. Si ritenev a che fosse assolutamente sicuro. Ma, dopo un sopraluogo, le competenti autorità dichiararono che era una trappola. Le cantine dell'edificio della villa dovevano essere rafforzate. Ma nell ' ottobre 1942 , dopo gli attacchi aerei su Torino , Milano e Genova , si disse che si doveva costruire un ricovero antiaereo a "tutta prova", cidè un rifugio che avrebbe potuto sopportare anche le bombe piu pesanti. Fu incaricato della costruzione il maggior Parisella, il preventivo fu di lire duecentoquarantamila, la durata dei lavori tre mesi dall'inizio , nel dicembre 1942. Come sempre, a Roma, accadde che il posto scelto nelle vicinanze della villa era vuoto e si dovette scavare ad una profondità doppia di quella prevista.

I lavori divennero piu estesi e la loro durata si prolungò. È da rilevare che la mia ripulsione verso il rifugio antiaereo crebbe col procedere dei lavori , a mano a mano che essi si avvicinavano alla fine (fine luglio), e ciò non a causa del costo, che era raddoppiato, ma a causa di un oscuro presentimento che sentivo in me. Avevo l'esatta sensazione che questo rifugio antiaereo sarebbe stato completamente inutile quando fosse stato finito, che non ce ne saremmo mai serviti. Infatti! Si deve ascoltare la voce del subcosciente. 26

Per la prima volta dal 1940 il bollettino delle Forze Armate italiane parla dell'attività del nemico sul fronte di terra senza menzionare minimamente la nostra attività. Ciò può essere interpretato come un

La prova della guerra (1940-1945) 343

preavviso alla comunicazione che è suonata la nostra ultima ora in Sicilia.

Un partito sciolto, cioè proibito, diventa interessante per molti italiani . Provano piacere ad essere fascisti se in tal modo sono "sovversivi". Atteggiamento psicologico strano ma disprezzabile.

Nel Partito si trovava anche il fiore dei combattenti di tutte le guerre . Si sono mutati in autentici nemià dello Stato.

Stamane, 14 agosto, è venuto in viaggio di ispezione l'ispettore di Pubblica Sicurezza Polito, oggi capo della Polizia militare col grado di generale di brigata. Gli ho fatto chiedere di venirmi a trovare . E infatti venuto assieme all'ammiraglio Brivonesi, che ha preso parte al colloquio. [ ... ]

Il colloquio è durato circa un'ora e mezzo. Anche volendo tener conto del "colore" che i funzionari di Pubblica Sicurezza usano dare ai loro rapporti, sono giunto a due conclusioni: 1) il mio sistema è disfatto; 2) la mia caduta e definitiva.

Sarei veramente un ingenuo se mi meravigliassi delle manifestazioni della massa. A prescindere dagli avversari che hanno atteso per venti anni nell'ombra, a prescindere dai colpiti, dai delusi, ecc., la massa è stata pronta in tutte le epoche ad abbattere gli idoli di ieri, anche a costo di pentirsene domani.

Ma nel mio caso non sarà cosi. Il sangue, la infallibile voce del sangue, mi dice che la mia stella è tramontata per sempre.

Calma giornata di agosto: il mare è immobile, non il minimo venticello. Tutto sembra immobile sotto il sole , anche il mio destino.

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Quando un uomo crolla col suo sistema, la caduta è definitiva, soprattutto se quest'uomo ha passato i sessant'anni.

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Dio mi è testimone per i tentativi disperati ed angosciosi - dico disperati ed angosciosi - che feci nel fatale agosto 1939 per salvare la pace. Gli sforzi fallirono. Di ciò sono colpevoli in parti presso a poco eguali inglesi e tedeschi: gli inglesi per aver garantita la Polonia , i tedeschi per aver preparata una potente macchina militare e non essere stati in grado di resistere alla tentazione di metterla in movimento .

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Gli avvenimenti militari e lo sfacelo del regime stanno nel rapporto di causa ed effetto. È chiaro che oggi non mi troverei su questa isola, se il 1O luglio gli anglosassoni avessero subita una Dieppe in grande stile nella baia di Gela.

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Come sempre, anche nel mio destino si vorrà "ce tea te 1a donna". Ora le donne non hanno mai esercitato la sia pur minima influenza sulla mia politica. Forse è stato uno svantaggio. Talvolta, grazie alla loro fine sensibilità, le donne sono piu lungimiranti degli uomini.

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Crispi e quel complesso fenomeno chiamato il "crispismo" caddero in seguito alla disfatta di Adua e Felice Cavallotti divenne estremamente popolare. Anche allora il popolo cambiò improvvisamente opinione e seguirono quattro anni drammatici, che trovarono la loro conclusione alla fine del secolo nel parco di Monza.

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Si giunge all'apice degli onori, al punto culminante della giustizia capitale.

Delle tre anime di Platone, le masse posseggono le prime due: la vegetativa e la sensitiva; manca loro la piu alta, l'intellettiva. Non

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mi riesce difficile credere che milioni di italiani che mi hanno glorificato fino ad ieri, mi dete stino oggi e maledicano il giorno in cui sono nato ed il paese dove ho visto l a luce e tutta la mia razza, forse anche i morti, certamente i vivi!

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Una volta un papa, il rappresentante di Dio sulla terra, mi chiamò "l'uomo della Provvidenza". Quello era il tempo felice!

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Se gli uom1m r1manessero sempre sugli altari , finirebbero per credersi dei superuomini o degli esseri divini. La caduta nella polvere li riconduce all'umanità, a quella umanità che si porrebbe definire "elementare".

Di tutti i cosiddetti Stati "totalitari", sorti dopo il 1918, quello turco sembra essere il pi\J forte. In quel paese vi è un solo partito , quello del popolo, il cui capo è presidente della Repubblica .

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È possibile che alcuni commentatori stranieri abbiano sottolineato l'incosta nza del popolo italiano nei confronti delle convinzioni politiche. 52

16 agosto. Ancora una mattinata in grande agitazione. Il mio sangue ribolle.

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Penso oggi a tre uomini che pur provenendo dal nazionalismo hanno dato al fascismo la grande luce della dottrina, il fervore della fede e la realizzazione delle leggi: Alfredo Rocco, Enrico Corradini , Forges Davanzati. 54

[ ... ] Fin dal 23 ottobre 1942 la fortuna mi aveva voltato decisamente le spalle. Le feste del ventennale furono disturbate da bombardamenti e dall'offensiva nemica in Libia. Perciò rinviai un discorso che

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avrei dovuto tenere all'Adriano e per il quale si erano compiuti grandi preparativi. Al discorso del 2 dicembre davanti alla Camera seguirono gli infelici avvenimenti in Libia . Il 5 maggio, in occasione dell'ultima adunata davanti a palazzo Venezia, dichiarai che saremmo tornati in Africa e proprio allora perdemmo in Tunisia l'ultimo lembo di quel continente. Il 10 luglio passai in rivista la divisione M e proprio quel giorno il nemico sbarcò in Sicilia. Il primo bombardamento di Roma ebbe luogo proprio mentre mi trovavo a Feltre a colloquio con il Fiihrer. Tralascio di enumerare altri colpi meno tipici dopo il cambiamento di fortuna . Eppure credevo che il ritirarsi sarebbe stato un segno di pusillanimità. Ho sperato sino alla fine di afferrare l'ultimo capello che, come si dice, la fortuna porta sulla testa, ma non mi è riuscito. L'ho sperato il 10, 11, 12, 13 luglio e poi ho visto che ogni tentativo era vano.

Ai miei due incontri veneti con Hitler sono seguiti avvenimenti disgraziati.

Una voce mi dice: se tu fossi morto, non avresti lasciato lo stesso palazzo Venezia, villa Torlonia, la Rocca delle Caminate, parenti ed amici, e tutto quel che ti era caro? La voce non considera che io ho abbandonato tutto ciò da vivo. Eppure è come se fossi morto. Eterna filosofia dell'ego.

I morti del fascismo -e sono tanti! - saranno rispettati?

(Dalla marcia su Roma al discorso del 3 gennaio)

Quando si è dinanzi a fenomeni storici di vasta portata, come una guerra o una rivoluzione, la ricerca delle cause prime e straordinariamente difficile. Soprattutto è difficile fissare, nel tempo, l'origine degli avvenimenti . Si corre il rischio, risalendo nei secoli, di arrivare

"' Da Storia di un anno (Il tempo del bastone e della carota), Milano 1944, ora in BENITO MUSSOLINI, Opera omnia, voi. XXXIV, pp. 406-411.

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7. Il dramma della diarchia •

alla preistoria, poiché causa ed effetto si condizionano e si rincorrono a vicenda. Per evitare questo è necessario stabilire un punto di partenza, un atto di nascita. La prima manifestazione del fascismo risale agli anni 1914-1915, all'epoca della prima guerra mondiale, quando i "Fasci di azione rivoluzionaria" imposero l'intervento. Rinascono il 23 marzo 1919 come "Fasci di Combattimento". Tre anni dopo, 1a marcia su Roma. Dal 28 ottobre del 1922 bisogna partire, quando si voglia esaminare il ventennio del regime sino al luglio del 194 3 e rintracciare le cause prime del colpo di Stato. Che cosa fu la marcia su Roma? Una semplice crisi di Governo, un normale cambiamento di ministeri? No. Fu qualche cosa di piu. Fu una insurrezione? Sf. Durata, con varie alternative, circa due anni. Sboccò questa insurrezione in una rivoluzione? No. Premesso che una rivoluzione si ha quando si cambia con la forza non il solo sistema di governo, ma la forma istituzionale dello Stato, bisogna riconoscere che da questo punto di vista il fascismo non fece nell'ottobre del 1922 una rivoluzione. C'era una monarchia prima, e una monarchia rimase dopo. Mussolini una volta disse che quando nel pomeriggio del 31 ottobre le camicie nere marciarono per le vie di Roma, fra il giubilo acclamante del popolo, vi fu un piccolo errore nel determinare l'itinerario: invece di passare davanti al palazzo del Quirinale, sarebbe stato meglio penetrarvi dentro. Non lo si pensò, perché in quel momento tale proposito sarebbe apparso a chiunque inattuale e assurdo .

Come attaccare la monarchia, che invece di sbarrare le porte le aveva spalancate? Il re aveva effettivamente revocato lo stato d'assedio proclamato all'ultima ora da Facta; non aveva ascoltato le suggestioni del maresciallo Badoglio o quelle che gli erano state attribuite e che provocarono una molto violenta nota del Popolo d'Italia; aveva dato a Mussolini l'incarico di comporre un ministero , il quale , fatta esclusione delle sinistre incapsulate nella pregiudiziale antifascista, nasceva sotto i segni della rivendicata vittoria e della concordia nazionale.

Un improvviso obiettivo di carattere repubblicano dato alla marcia avrebbe complicato le cose. C'era stato il discorso di Udine del settembre 1922 che aveva accantonato la tendenzialità repubblicana, ma già dagli inizi del movimento la posizione del fascismo di fronte alla forma delle istituzioni politiche dello Stato era stata fissata nella dichiarazione programmatica del primo Comitato centrale dei Fasci Italiani di Combattimento, nell'anno 1919, con sede in via Paolo da Cannobio 37. Tale programma, al comma D, proponeva la "convocazione di una assemblea nazionale per l a durata di tre anni, il ctù primo compito sia quello di stabilire la forma di costituzione dello

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Sta to" . Non c'era dunque alcuna formulazione o pregiudiziale repubblicana. Un anno dopo, nell'adunata nazionale tenutasi nel ridotto del teatro Lirico di Milano nei giorni 24 e 25 maggio del 1920 , alcuni principi orientatoti dell'azione fascista venivano formulati. Essi sono condensati nell'opu scolo Orientamenti tecnici e postulati /)ratici del fascismo (sede centrale in via Monte di Pietà), dove, dopo avere dichiarato ch e i Fasci di Combattimento "non si opponevano al sociali smo in sé e per sé - dottrina e movimento discutibili - ma s i opponevano alle sue degenerazioni teoriche e pratiche, che si riassu mono nella parola bolscevismo", passando al problema del regime poli tico , in questi precisi termini si esprimeva :

Per i Fasci di Combattimento la questione del regime è subordinata agli interessi mo rali e materiali, presenti e futuri della nazione, intesa nella sua realtà e nel suo divenire storico; per questo essi non banno pregiudiziali pro o contro le at tuali istituzioni. Ciò non au torizza alcu no a considerare i Fasci monarchici, né cUnastici. Se per tu telare gli interessi della nazione e garantirn e l 'avvenire si appalesa necessario un cambiamento di regime, i fascisti si appronteranno a questa eve ntualità, ma ciò non in base agli immortali principi, bensi in base a valuta· zioni concrete di fatto. Non tutti i regimi sono adatti per tutti i popoli. Non tutte le tes te sono ada t te per il berre tto frigio. A un dato popolo si confà un dato regime . Un regime può svuotarsi di tutto il suo contenuto antiquato e democratizzarsi come in Inghilterra. Ci possono essere, invece, e ci sono, delle repubbliche ferocemente aristocratiche, come la Russia dei cosiddetti sovieti. Oggi i fa. scisti non si ritengono affatto legati alle sorti delle attuali istituzioni politiche monarchiche.

Come si vede anche nella dichiarazione del 1920 l'attegg iam en to del fascis mo potrebbe chiamarsi «pragmatistico" . Né questo atteggiamento sostanzialm en te mutò durante gli anni 1921-1922. Nel moffiento della insurrezione, la repubblica, come dottrina o come istituto, non era prese nte all'animo del popolo. Dopo la morte di Giuseppe Mazzini e dei suoi compagni di apostolato (l'ultimo, Aurelio Safli, mori nel 1890), il Parti to Repubblicano visse sulle "sante memorie\ soffocato d alla realtà monarchica e premuto dalle nuove dottrine soc ialistiche

Tre uomini si stagliano dal grigiore collettivo di questo crepuscolo: Dario Papa, Giovanni Bovio e Arcangelo Ghisleri , quest'ultimo di una intran sigentissima adamantina fede, per cui non volle mai essere deputato per non dover giurare. Ma gli altri esponenti del Partito si erano mimetizzati, attraverso l'elemento corruttore per eccellenza, che è il Parlamento, con le forme monarchiche, sino, durante l a guerra, ad assumere responsabilità ministeriali.

Questo tipo di repubblicanesimo demomas sonico era rappresentato dall'ebreo Salvatore Barzilai. Si può affermare che monarchia da una

La pro va della guerra ( 1940-1945) 349

parte e massoneria dall'altra avevano praticamente svirilizzato l'idea e il Partito. D'altra parte, con la guerra del 1915-'18, con la liberazione di Trento e Trieste, il compito storico del Partito poteva considerarsi esaurito. Il sogno di un secolo di sacrifici, di martiri, di battaglie era stato realizzato. Il merito di avere per tanti decenni tenuta accesa questa fiaccola spetta incontestabilmente al Partito Repubblicano. Nel dopoguerra, fatta esclusione della "parata" rossa alla riapertura della prima Camera eletta nel novembre del 1919, nessuno parlò piu di repubblica, nemmeno fra le sinistre.

Dal giorno in cui il re fece a Turati l'" onore" di chiamarlo a conferire al Quirinale e Turati vi andò, sia pure in cappello a cencio e giacca, parlare di repubblica in Italia - dove la monarchia aveva associato il suo nome alla vittoria - sembrava un anacronismo.

Dei quadrumviri uno era intransigentemente monarchico e savoiardo, il De Vecchi; non meno, in fondo, monarchico era il De Bono; solo Italo Balbo aveva avuto trascorsi repubblicani nella sua gioventu, mentre Michele Bianchi, il cervello "politico" della squadra, venuto al fascismo dalla esperienza sindacalistica, considerava anch'egli inattuale il problema istituzionale italiano.

Date queste condizioni storiche e politiche contingenti, la marcia su Roma non poteva instaurare la repubblica, alla quale il popolo era completamente impreparato, mentre il tentativo di realizzare tale istituto, fuori tempo, avrebbe probabilmente complicato, se non pregiudicato, le sorti del movimento insurrezionale.

La monarchia rimase ma il fascismo senti quasi immediatamente il bisogno di crearsi istituti suoi propri, come il Gran Consiglio e la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.

Nella riunione tenutasi al Grande albergo di Roma nel gennaio del 1923, non soltanto nacquero il Gran Consiglio e la Milizia, ma ebbero inizio un sistema politico che può chiamarsi "diarchia", il governo in due, il "doppio comando". Mussolini, che talvolta è un terribile umorista senza saperlo, disse che il sistema era quello della stanza matrimoniale con letti separati, pessima situazione secondo quanto affermava nella sua Fisiologia del matrimonio Onorato Balzac. A poco a poco la diarchia prese un carattere sempre più definito, anche se non sempre fissato in leggi speciali. Al culmine c'erano il re e il Duce, e quando le truppe schierate salutavano alla voce lo facevano per l'uno e per l'altro. Vi fu un momento in cui, dopo la conquista dell'impero, il generale Baistrocchi, cedendo alla sua vulcanica esuberanza, faceva ripetere tre volte il saluto, sino a quando Mussolini Io invitò a non introdurre le "litanie" nei reggimenti. Accanto all'Esercito, che obbediva prevalentemente al re, c'era la Milizia, che obbediva prevalentemente al Duce, Il re aveva una guardia del corpo, composta di carabinieri con una speciale statura, e un giorno Gino

350 Scritti politici di Benito Mussolini

Calza-Bini creò, coi "moschettieri", la guardia personale del Duce. Il Consiglio dei ministri discendeva dallo Statuto, ma il Gran Consiglio lo precedeva in importanza perché proveniva dalla rivoluzione. L'inno Giovinezza, marziale e impetuoso, si appaiava nelle cerimonie alla marcia reale di Gabetti, chiassosa e prolissa, che poteva esse re suonata, come il "moto perpetuo", a consumazione degli esecu tori e degli ascoltatori. Per evitare la noia di una eccessivamente lunga ascoltazione, venivano suonate dell'uno e dell'altro inno soltanto le prime battute.

Anche il saluto militare non sfuggi al sistema della diarchia: il vecchio saluto fu conservato con copricapo; il saluto romano o fasc ista senza berretto , come se nel frattempo le teste fossero cambiate!

Delle tre Forze Armate la piu lealista era l'Esercito. Seguiva la Marina, specie nello Stato Maggiore. Solo l'Aviazione ostentava i segni del Littorio, sotto i quali era nata o almeno rinata.

Nell'Esercito vi era un'arma che aveva sopra tutte carattere esclusivamente dinastico: l'arma dei carabinieri. Era questa l'arma del re. Anche qui il fascismo cercò di organizzare una polizia che desse garanzie dal punto di vista politico e vi aggiunse un'organizzazione segreta: l'Ovra.

Ma la dinastia aveva anch'essa una sua polizia e un servizio di informazioni dall'interno, che nelle provincie veniva assolto da vecchi funzion ari, civili o militari, collocati in pensione. Che la monarchia avesse, oltre a quella del Governo, una sua diplomazia, è certo: non solo attraverso i diplomatici che si recavano sempre a conferire al Quirinale quando tornavano a Roma, ma anche attraverso le parentele delle famiglie principesche o reali o attraverso quella che una volta era la assai numerosa e potente "internazionale" dei re, oggi ridotta a un circolo di poche larve spettrali.

Nessun dubbio che il corpo di Stato Maggiore dell'Esercito fosse soprattutto "regio "; esso formava una specie di casta molto circoscritta se non completamente chiusa, sulla quale la dinastia faceva assegnamento in modo assoluto. Se l a Camera appariva un'emanazione del Partito e rappresentante specifica del regime, il Senato sottolineava invece il suo lealismo dinastico, e per il fatto della nomina regia e per la sua stessa composizione. Il numero dei generali, degli ammiragli, dei nominati per censo era sempre imponente. Il Senato costituiva quindi, piU che una forza materiale, una riserva politicomorale in favore della dinastia.

Tutta l'aristocrazia italiana, prima la bianca, poi, dopo la Concilia·· zione, anche la nera , costituiva un'altra forza monarchica. Definita la questione romana, la curia e il clero entrarono nell'orbita regia, cosicché nelle cerimonie religiose era di prescrizione la preghiera per il re.

I.« prova della guerra (1940-1945) 351

La grossa borghesia, industriali, agrari, banchieri, pur non esponendosi in prima linea, marciava anch'essa sotto le insegne regie, La massoneria considerava il re come uno dei "fratelli onorari". Il giudaismo del pari. Precettore del principe era stato l'ebreo professor Polacco.

Perché il sistema della "diarchia" a base di "parallele" funzionasse, occorreva che le parallele non cessassero di essere tali.

Per tutto il 1923, l'anno dei 11 pieni poteri", non ci furono grand i novità, meno il grosso incidente di CorfU, che fu, in sede ginevrina, composto con piena soddisfazione del Governo italiano .

Anno di crisi seria fu, invece, il 1924. Il regime dovette fronteggiare le conseguenze di un delitto che, prescindendo da ogni altra considerazione, era, per il modo e per il tempo, politicamente sbagliato.

La pressione dell'Aventino sul re e sui circoli vicini nell'estate del 1924, fu assai forte. Si ebbero passi "formali" al Quirinale da parte delle opposizioni. Il re diede qualche assicurazione gener ica sul terreno propriamente pena le, ma esitò a seguire gli aventiniani sul terreno delle responsabilità politiche.

Anche il famoso memoriale di Cesare Rossi verso la fine di dicembre, pubblicato per iniziativa del Governo in anticipo sugli avversari, non fece una impressione eccessiva su l re. Oramai gli avversari: del fascismo si erano imbottigliati in una questione morale senza vie di uscita e anche, esiliandosi, avevano liberato il terreno sul quale al momento prescelto si sa rebbe sferrato il contrattacco del regime. Il che accadde col discorso del 3 gennaio 1925 e con le misure prese .nelle quarantotto ore successive. Mentre il re aveva resistito con abbastanza decisione alle manovre aventiniane nella seconda metà del 1924, anche quando piU o meno direttamente era stato chiamato in gioco, non apparve invece molto soddisfatto dall'azione del 3 gennaio, attraverso la quale, con la soppressione di tutti i partiti, si gettavano le basi dello Stato totalitario. Fu quello il primo "scontro" della diarchia. Il re senti che da quel giorno la monarchia cessava di essere costituzionale nel senso parlamentare della parola. Non vi era piu alcuna possibilità di scelta. Il gioco dei partiti e la loro alternanza al potere finivano. La funzione della monarchia si illanguidiva. Le ricorrenti crisi ministeriali, in si eme con le grandi calamità nazionali e gli auguri di capo d'anno, poi aboliti, erano le sole occasioni nelle quali il re faceva qualche cosa che lo ricordasse agli italiani, non solo come collezionista di vecchie monete, diligente sino al fanatismo. Dur ante una crisi ministeriale la sfilata dei papabili al Quirinale era un avvenimento, al centro del quale stava il re. Dal 1925, tutto ciò finiva. Da quell'anno in poi, il cam-

352 Scritti
Mussolini
politici di Benito

bio dei dirigenti avrebbe rivestito il carattere di un movimento di ordine interno nell'ambito del Partito.

Il 1925 fu l'anno delle leggi eccez ionali. Il 1926 fu quello delle leggi costruttive sul piano sociale. Ma verso il novembre la Camera, che si chiamava oramai fascista, espulse dal suo seno, colpevoli di decadenza, i fuggiaschi dell'Aventino. Anche questo inasprimento in se nso totalitario della politica del regime non passò inosservato negli ambienti di Corte. Da quel momento si cominciò a pa rlare di una monarchia prigioniera del Partito, e si compassionò il re, oramai relegato al secondo piano, di fronte al Duce. [ ... ]

8. Il "Testamento politico"•

[ ... ] Ho una documentazione che la sto ria dovrà compulsare per decidere. Voglio solo dire che, a fine maggio e ai primi di giugno del 1940, se critiche venivano fatte, erano per gridare allo scanda lo di una neutralità definita ridicola, impolitica, sorprendente. La Germania aveva vinto. Noi non solo non avremmo avuto alcun compen so, ma saremmo stati certamen te, in un periodo di tempo pili o meno lontano, invasi e schiacciati. "E cosa fa Mussolini? Quello si è rammollito . Un'occasione d'oro cosi, non si sarebbe mai pi\J prese ntata 11 • Cosi dicevano tutti e specialmente coloro che adesso gridano che si doveva rimanere neutrali e che solo la mia megalomania e la mia libidine di potere e la mia debolezza nei confron ti di Hitler aveva portato alla guerra.

- La verità è una: non ebbi pressioni da Hitler. Hitler aveva già vinta l a partita continentale . Non aveva bisogno di noi. Ma non si poteva rimanere neutrali se volevamo mantenere quella posizione di parità con la Germania che fino allora avevamo avuto. I patti con Hitler erano chiarissimi. Ho avu to ed ho per lui la massima stima. Bisogna distinguere fra Hitler ed alcuni suoi uomini piu in vista.

- Ho parlato sempre col Fiihrer della sistemazione dell'Europa e dell'Africa. Non abbiamo mai avuto divergenze di idee. Già all'epoca delle trattative per lo sgombero dell'Alto Adige, controprova indiscutibile delle sue oneste e solidali intenzioni, il Fiihrer dimostrò buon volere e comprensione. La sistemazione dell'Europa avrebbe dovuto attuarsi in questo modo. L'Europa divisa in due grandi zone di influenza: nord e nord-est influenza germanica; sud, sud-est e sud-ovest influenza italiana. Cento e piu anni di lavoro per la siste-

* Da un'intervis ta rilascia ta al d ire ttore del "Popo lo di Al essandria" il 20 aprile 1945, pubb licata per la prima volta nell 'opuscolo T estament o polit ico di Mu nolini, Ro ma 1948 .

La prova della guerra (1940-1945) 353

mazione di questo piano gigantesco. Comunque, cento anni di pace e di benessere. Non dovevo forse vedere con speranza e con amore una soluzione di questo genere e di questa portata?

- In cento anni di educazione fascista e di benessere materiale, il popolo italiano avrebbe avuto l a possibilità di ottenere una forza di numero e di spirito tale da controbilanciare efficacemente quella oggi preponderante della Germania. Una forza di trecento milioni di europei, di veri europei, perché mi rifiuto di definire europei gli agglomerati balcanici e quelli di certe zone della Russia anche nelle stesse vicinanze della Vistola; una forza materiale e spirituale da manovrare verso l'eventuale nemico di Asia o di America.

- Solo la vittoria dell'Asse ci avrebbe dato diritto di pretendere la nostra parte dei beni del mondo, di quei beni che sono in mano a pochi ingordi e che sono la causa di tutti i mali, di tutte le sofferenze e di tutte le guerre. La vittoria delle potenze cosiddette alleate non darà al mondo che una pace effimera e illusoria.

- Per questo voi, miei fedeli , dovete sopravvivere e mantenere nel cuore la fede. Il mondo, me scomparso, avrà bisogno ancora dell ' idea che è stata e sarà la piu audace, la piu originale e la piu mediterranea ed europea delle idee.

- Non ho bluffato quando affermai che l'idea fascista sarà l'idea del secolo XX. Non ha assolutamente importanza una eclissi anche di un lustro, anche di un decennio. Sono gli avvenimenti in parte, in parte gli uomini con le loro debolezze, che oggi provocano questa eclissi. Indietro non si può tornare. La storia mi darà ra gione. Mussolini parlò della sua presa di posizione nel 1933-1934 fino ai colloqui di Stresa. Affermò che la sua azione non era stata interamente compresa e tanto meno seguita, né dall'Inghilterra né dalla Francia. E soggiunse:

- Siamo stati i soli ad opporci ai primi conati espansionistici della Germania. Mandai le divisioni al Brennero; ma nessun Gabinetto europeo mi appoggiò. Impedire alla Germania di rompere l'equilibrio continentale, ma nello stesso tempo provvedere alla revisione dei trattati; arrivare ad un aggiustamento generale delle frontiere, fatto in modo da soddisfare la Germania nei punti giusti delle sue rivendicazioni, e cominciare col restituirle le colonie: ecco quello che avreb,. be impedito la guerra. Una caldaia non scoppia se si fa funzionare a tempo una valvola. Ma se invece la si chiude ermeticamente, esplode. Mussolini voleva la pace e questo gli fu impedito.

Dopo qualche istante di silenzio, ardii chiedergli:

- Avete detto che l'eventuale vittoria dei nostri nemici non potrà dare una pace duratura. Essi nella loro propaganda affermano ...

- Indubbiamente abilissima propaganda, la l oro. Sono riusciti a convincere tutti. Io stesso, a volte ... Ma il colmo è che i nostri ne-

354 ScritJi
politici di Benito Mussolini

111ici hanno ottenuto che i proletar1, i poveri, i bisognosi di tutto, ,: j schierassero anima e corpo dalla parte dei plutocrati, degli afia1natori, del grande capitalismo.

- La vittoria degli Alleati riporterà indietro la linea del fronte delle riv e ndicazioni sociali. La Russia? Il capitalismo di stato russo - cred superfluo insistere sulla parola bolscevismo - è la forma piu ~pinta e meno socialista di un ibrido capitalismo, che si può solame nte sostenere in Russia, appoggiato all'ignoranza, al fatalismo e nll e " sotnie" di cosacchi, che hanno lasciato lo "knut" per il mitra. uesto capitalismo russo dovrà cozzare fatalmente con il capitalismo ,mglosassone. Sarà allora che il popolo italiano avrà la possibilità di ri so llevarsi e di imporsi. L'uomo che dovrà giocare la grande carta ...

- Sarete voi, Duce ...

- Sarà un giovane. Io non sarò piU. Lasciate passare questi anni di. bufera. Un giovane sorgerà. Un puro. Un capo che dovrà immanabilmente agitare le idee del fascismo. Collaborazione e non lo tta di classe; Carta del lavoro e socialismo; l a proprietà sacra fino a che 11011 diventi un insulto alla miseria; cura e protezione dei lavoratori, specialmente dei vecchi e degli invalidi; cura e protezione della madre e de ll'infanzia; assistenza fraterna ai bisognosi; moralità in tutti i camp i; lotta contro l'ignoranza e contro il servilismo verso i potenti; poten ziamento, se si sarà ancora in tempo, dell'autarchia, unica nostra spe ranza fino al giorno utopistico della suddivisione fra tutti i popoli de!Je materie prime che Iddio ha dato al mondo; esaltazione dello spirito di orgoglio di essere italiano; educazione in profondità e non, purtroppo, in superficie, come è avvenuto per colpa degli avvenimenti e non per deficienza ideologica.

- Verrà il giovane puro, che troverà i nostri postulati del 1919 e i p un ti di Verona del 1943 freschi e audaci e degni di essere seguiti. Il popolo allora avrà aperto gli occhi e lui stesso decreterà il trionfo di quelle idee . Idee che troppi interessati non hanno volu to che comprendesse ed apprezzasse e che ha creduto fossero state fatte contro di lui, contro i suoi interessi morali e materiali. Abbiamo avuto diciotto secoli di invasioni e di miserie, e di denatalità e di servaggio, e di lotte intestine e di ignoranza . Ma, pill di tutto, di miseria e di denutrizione . Venti anni cli fascismo e settanta cli indipendenza non sono _ bastati per dare all 'anima di ogni italiano que!Ja forza occorrente per superare la crisi e per comprendere il vero . Le eccezioni 1 magnifiche e num erosissime non contano.

- Questa crisi, cominciata nel 1939 , non è stata superata dal popolo italiano . Risorgerà, ma l a convalescenza sarà lunga e triste e guai alle ricadute. Io sono come il grande clinico che non ha saputo fare la cura esatta e che non ha piu la fiducia dei familiari dell'importante degente. Molti medici si affollano per la successione. Molti

/ ,,, {lfOVa della guerra (1940-1945) 355

di questi sono già conosciuti per inetti; altri non hanno che improntitudine o gola cli guadagno. Il nuovo dottore deve ancora apparire. E quando sorgerà , dovrà riprendere le ricette mie. Dovrà solo saperle applicare meglio.

- Un accusatore dell'ammiraglio Persano , al quale fu chiesto che colpa, secondo lui, aveva l'ammiraglio, ri spose: "Quella di aver perduto".

- Cosi io. Ho qui delle tali prove di aver cercato con tutte le mie forze di impedire la guerra che mi permettono cli essere perfetta· mente tranquillo e sereno sul giudizio dei posteri e sulle conclusioni della storia. Non so se Churchill è, come me, tranquillo e sereno. Ricordatevi bene: abbiamo spaventato il mondo dei grandi affarist i e dei grandi speculatori. Essi non hanno voluto che ci fosse data la possibilità di vivere. ( Mussolini sorrise lievemente quando parlò del· la sua serenità e tranquillità. Sorrise di nuovo quando fece cenno a Churchill . Il sorriso si mutò in una smorfia di disprezzo allorché parlò degli affaristi e degli speculatori.)

- Se le vicende di questa guerra fossero state favorevoli all'Asse, io avrei proposto al Fiihrer, a vittoria ottenuta, la socializzazione mondiale, e cioè: frontiere esclusivamente a carattere storico; abolizione di ogni dogana; libero commercio fra paese e paese, rego1ato da una convenzione mondiale; moneta unica e, conseguentemente, l'oro di tutto il mondo di proprietà comune e co sl tutte le materie prime, suddivise secondo i bisogni dei diver si paesi; abolizione reale e radicale di ogni armamento. Colonie: quelle evolute erette a Stati indipendenti; le altre, suddivise fra quei paesi piu adatti per densità di popolazione, o per altre ragioni, a colonizzare ed a civilizzare. Libertà di pensiero , cli parola e cli stampa? Si, purché regolata e moderata da limiti giusti, chiaramente stabiliti. Senza cli che, si avrebbe anarchia e licenza. E ricordatevi, soprattutto la morale deve avere i suoi diritti. Ogni religione liberissima di propagandarsi: siamo stati i primi, i soli , a ridare lustro e decoro e libertà e autorità alla Chiesa cattolica.

- Assistiamo a questo straordinario spettacolo: la stessa Chiesa a1leata ai suoi pili acerrimi nemici. La Chiesa cattolica non vuole, a Roma, un'altra forza. La Chiesa preferisce degli avversari deboli a degli amici forti. Avere da combattere un avversario, che in fondo non la possa spaventare e che le permetta di avere a disposizione degli argomenti coi quali ravvivare la fede, è indubbiamente un vantaggio.

Strinse le mani assieme e prosegui:

- Diplomazia abile, raffinata. Ma, a volte, è un gran danno fare i superfurhi. Con la caduta del fascismo, l a Chiesa cattolica si ritroverebbe di fronte a nemici d 'ogni genere: vecchi e nuovi nemici.

356 Scritti politici di Benito Mussolini

E avrebbe cooperato ad abbattere un suo vero, sincero dife nso re.

- Nel sud , nelle zone cosiddette liberate , l'anticler icali smo ha ripreso in pieno il suo turpe lavoro. L'Asino è, in confronto a pubblicazioni di questi ultimi tempi, un bollettino parrocchiale.

- Anche in questo campo, gli stessi uomini che oggi non vogliono vedere, saranno unanimi a deprecare la loro pazzia o la loro malafede. Se la vittoria avesse arriso a noi, questo programma avrei offerto al mondo e, ancora una volta, sarebbe stata Roma a d a re la luce all ' umanità. [ ... ]

La prova d ella guerra (1940-1945) 357 ) J i ,j
Stampato nel mese di maggio 1979 da "La T ipo, rafica Var ese "
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