STORIA POLICO-MILITARE VOL I

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MARINO VALLETTI- BORONINI TEN. COLONNELLO DI FANTERIA (S. M.) INSCONANTE DI STORIA NELLA R. ACCADEMIA DI FANTERIA E CAVAlli:RIA IL PROGRAMMA DI STORIA POLITICO-MILITARE per gli esami di concorso all'ammissione alla Scuola di Guerra svolto ad uso dei candidati VOLUME I Cenni di Storia antica, medioevale e moderna MODENA SOC I ET À TIPOORAFICA MODENESE Antica Tipografia Soliani 1928- A. VII ' .

Proprietà letteraria n·urvat a

Si r itengono contraffatte le copie non firmate dall'Autore

INDICE

PARTE PRIMA

Storia orientale.

Il sorgere e lo sviluppo delle prime civiltà in Asia Minore e nel bacino del Mediterraneo . pag.

Dalle origini della umanità allo inizio della età civile. - Dallo inizio dell' e tà civile al sora:ere delle prime civiltà.- Le civiltà immediatamente precedenti quelle dell ' Asia Minore: Assiri a - Media- Persi1- Egitto. - li sorgere e lo sviluppo delle prime civiltà in Asia Minore e nel Mediterraneo.

Cenni sulle is tituzioni sociali e militati degli antichi popoli orientali.

Le istituzioni sociali • 20

Caratteristica della storia degli antichi popoli orientali: la lotta. - Necessità ed import11nza della lotta. - La funzione storica degli antichi popoli orientali. - Importanza della regione intermedia fra Asia e Europa. - Influenza degli antichi popoli orientali sul progresso del vivere civile. - Le istituzioni sociali degli antichi popoli orientali.

Le istituzioni militari . .

Guerra e civiltà. - Stretta dipendenza rra istituzioni civili e istituzioni militari. - Le istituzioni militari degli antichi popoli orientali: Egizi; Fenici; Assiro-Babilonesi; Medi; Persiani; Ebrei.

PARTE SECONDA

Storia greca.

la Grecia c l'affermarsi della sua civiltà nel Mediterraneo pag. 40

Importanza storica ed indole speciale dell' anlica cultura greca. - Notizie geografiche. - Etnografia dei popoli greci. - Fasi della storia greca.

- L' età eroica. - l' età storica. - le colonie greche in Italia.

Le istituzioni sociali e militari in Atene e Sparta .

Età eroica. - Caratteristiche ed importanza delle istituzioni sociali di Atene e Sparla.- Le istituzioni sociali a Sparta. - le istituzioni sociali in Atene. - I greci e l'arte della guerra. - Le istituzioni militari in Atene e Sparta.

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Cenni sulle guerre della Grecia contro i Persiani e sulla guerra del Peloponneso pag. 65

Cause delle guerre persiane. - La prima guerra persiana. - La seconda guerra persiana. - La guerra del Peloponneso. - Cenno schematico dei successivi della storia greca.

Alessandro il Grande e le sue imprese militari

Inizio del regno di Alessandro. - le imprese militari di Alessandro.Rovina deU' Impero persiano. - Avvenimenti successivi alla morte di Alessandro fino all'intervento romano.

primi accenni alla manovra nel campo tattico .

Caratteristiche della falange greca. - Conclusione.

PARTE TERZA

Cenni sulla storia di Roma durante i periodi regio e repubblicano pag 86

Influenza degli elementi geoirafici nella primlt !va storia d' Italia. - Derivazione della civiltà romana delle antiche civiltà italiane. - Cenni sulla storia di Roma durante i periodi regio e repubblicano.

le istituzioni sociali e gli ordinamenti militari romani nel periodo regio e repubblicano. - La legione.

Le istituzioni sociali

Derivazione delle istituzioni sociali dallo stato di guerra al quale Roma de ve la propria origine. - Condizione politica morale e sociale di Roma dopo le grandi conquiste. - La costituzione deU' impero.

Le istituzioni militari

Caratteristica deUe istituzioni militari romane e partizione in epoche.Epoca dei re. - Epoca della repubblica. - La legione. - Considerazioni sulla legione manipolare. - Il trionfo della legione: la battaglia di Pidna.

le g uerre puniche.- le battaglie di Canne, del Metauro e di Zama.

fondazione e sviluppo di Cartagine. - la prima guerra punica.Roma e Cartagine dopo la prima guerra. - La seconda guerra puLa terza guerra punica. - Considera:doni militari sulla spedizione di Annibale.

Giulio Cesare e la prepara zione dell'impero . - la conqttista della Gallia.

Giulio Cesare e la preparazione dell' impero .

Roma dopo le guerre paniche. - n trapasso dalla repubblica all'impero.

La conquista della Oallia

Considerazioni sull'arte militare di Giulio Cesare. - Apogeo dell'arte militare romana sotto Cesare.

-IV
Storia romana. 74 81
99 106
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131 135

,

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L'ordinamento politico e militare dell'Impero romano e la deca· denza delle istituzioni militari . . . . . . . . . . pag. 143

Caratteri generali dell'Impero. - L'ordinamento politico dal 31 a. C. al 284 d. C. - Oli avvenimentl dal 31 a. C. al 284 d. C. - L' ordinamento politico dal 284 al 476. - L'ordinamento militare. - L' esercito da Augusto a Costantino. - La riforma di Settimio e di Alessandro Severo. - Da Costantino alla caduta dell'impero. - Deca· denza delle istituzioni militari. - Evoluzione tattica durante l'impero. Augusto e le guerre contro i popoli alpini. - Le ulteriori conquiste romane

Moti vi che spinsero Augusto alla conquista della clispluvlale alpina.Concetto d' azione per la tolta contro i popoli alpini. - Le operazioni militari. - Conseguenze della guerra. - Altre guerre di Augusto contro popolazioni alpine. - Altre conquiste di Augusto. - Le ulte· riori conquiste romane.

QUARTA Storia Medioevale.

154

La caduta dell'impero romano d'occidente e le invasioni barbariche. pag. 159

Cause della caduta dell'impero roman o. - Il Cristianesimo. - l Barbari. - Le invasioni. - Istituzioni militari dei barbari. - L'impero carolingio. - dell'Impero romano. - Origine della lotta fra Papato e Impero. - Estensione dell'impero carolingio. - Caratteri del governo carolingio. - Istituzioni militari dei franchi. - Invasione degli Arabi.

Il feudalismo ed i suoi riflessi sulle istituzioni militari. - La cavalleria. 169

L'individualismo b11rbarico e la funzione storica del feudalismo. - Elementi costitutivi del feudalismo. - Il feudallsmo. - Il feudal!smo in francia. - Influenza del feudalismo s1tlle istitltZioni militari. - La condo tta della guerra. - Ordinamento delle milizie feudali.- La fan· teria feudale. - Il combattimento. - La cavalleria.

Le Crociate

Importanza delle crociate. - Carattere diverso delle varie crociate. - Av· venimenti successivi alle crociate. - Effetti delle crociate. - Le Crociate in occidente contro gli eretici e le loro conseguenze storiche.

La lotta tra il Papato e l' Impero n elle sue conseguenze sulle mani-

• 180 festazioni della vita italiana • 190

Essenza ed importanza del Cristianesimo nel campo morale, giuridico, politico e nella condotta della guerra. - Profilo storico della lotta fra Papato e Impero e conseguenze nei riguardi dell'Italia. - Conseguenze della lotta fra Papato e Impero sulle manifestazioni della vita italiana.

Comuni. - Caratteristiche de ll e milizie comunali

Motivi ai quali è dovuto il sorgere dei Comuni. - Dal Municipio romano

198

al Comune medioevale. - Lotta dej Comuni contro l'Impero. - La Costituzione dei Comuni in Italia. - Effetti dei Comuni sulla Civiltà.

- Caratteristiche delle milizie comunali.

le Compagnie di ventura e i loro condottieri pag 207

Cause che portarono alla cos tituzione delle Compagnie di ven t ura. - Influenza del mercenariato sulla vita dei Comuni. Le milizie mercenarie nel sec. XIV. - Caratteri della guerra. - Le piit antiche compagnie di ventura in Italia. -Le compagnie di ventura in francia.Le compagnie di ventura italiane e la loro influenza sull'arte della guerra.

le repubbliche marinare italiane - le Signorie. - l Principati.

L'Italia non CArolingia. - Le repubbliche marinare, le crociate e il predominio italiano sul Mediterraneo. - La lotta tra le repubbliche ma· rlnare it nlia ne. - Condizioni delle repubbliche all'inizio del 1300.Cause che portarono alla costituzione delle Signorle e dei Principa t i. - Le principali signorie in Italia. - Il sorgere delle grandi monarchie In Europa.

Cenni generali sulla situazione politica dell'Europa alla fine del

Medio Evo - Origine dell'arte militare moderna . . .

Italia. - l principali Stati de ll' Europa occidentale. - l principali Stati dell'Europa orientale. - Caratteri dell'età medioevale. - Le origini dell' arte militare moderna.

PARTE QUINTA

Storia Moderna.

229

l'inizio dell'evo moderno e gli a enimenti che lo acc ompagnacono. La caduta di Costantinopoli. - le scoperte geografiche c le invenzioni scientifiche pag 238

Il passaa-gio dal Medio Evo all'Evo Moderno.- Avvenimenti che segnano il trapasso dal Medio Evo all'Evo N oderno. - Caratteri dell'Evo Moderno. - La caduta di Costantinopoli. - Le scoperte geografiche. - Conseguenze delle grandi scoperte geografiche. - Le invenzioni scientifiche. - Il Rinascimento. - Il risorgere dell'arte della guerra per opera degli italiani. - Il carattere della guerra moderna. le istituzioni politico - militari durante il periodo della Rinascenz.a.Le prime milizie nazionalì in Italia. 249

delle istituzioni politiche. - Influenza del Rinas cimento italiano sulla cultura europea, durante il decadimento politico dell' Halia. - Le Istituzioni militari. - Le prime milizie nazionali in l talla. - Le milizie nazlonnll in Europa. - Le fanterie europee. - Effetti delle armi da fuoco su gli ordinamenti militari.

l'arte della gue rra alla fine del sec XV. - L'opera politica c militare di Niccolò 1'1'\achiavelli 260

L'arte militare alla Fine del sec. XV. L' o)-era politica e militare di Niccolò Machiavelli.

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l' l l •1

Lotte degli Stati europei pel dominio politico dell'Italia.- Carlo VIII.

- Luigi XII. - Francesco I. - L'impero di Carlo V. - La riforma protestante • pag. 269

Le lotte di predominio: loro caratteristiche e loro ripercussioni in Italia.

- Carlo VIli. - Luigi XII - Oiullo Il. - Francesco l e Carlo V.

- Enrico IJ e filippo Il. - L'impero di Carlo V. - La riforma protestante: cause. - Sviluppo storico della Riforma. - La dottrina di Lutero. - Conseguenze della Riforma S\IIIa civiltà. - La controriforma cattolica.

L'assestamento dei grandi Stati europei nei secoli XVI e XVII.Cenni sulla guerra dei trent'anni . . . . . . . . . . . 279

L'assestamento dei grandi Stati europei.- Cenni sulla guerra dei trent'anni.

- Il tratt ato di Westfalia e l' affermaziobe della nazionalità tedesca

Il Piemonte e gli altri Stati italiani durante i secoli XVI e XVII.Le caratteristiche delle loro istituzioni politiche e militari.Il trattato di Westfalia: la pace religiosa e l' assetto europeo . • 290

Cenni sulle vicende degli Stati italiani nei sec. XVI e XVII. - L' Italia sotto la dominazione spagnuola e l'opera del Piemonte. - Caratteristiche delle istituzioni p oi iticbe e militari degli Stati italiaui. - Il trattato di Westfalia: la pace religiosa e l'assetto europeo.

Caratteristiche dell'arte della g uerra nei secoli XVI e XVII. - l capitani del tempo • 300

Caratteristiche dell'arte della l'i uerra nel secolo XVI. - l capitani del secolo XVI. - Caratteristiche dell'arte della guerra nel secolo XVII.l grandi capitani del secolo XVIJ.

La fine del predominio spagnuolo in Italia e l'inizio di quello'austro borbonico. - Cenni sulle guerre di successione durante il se· colo XVIII (di Spagna, di Polonia, d'Austria) e sulle loro conseguenze in Italia . -. . . . . . . .

Ouerra per la successione di Spagna. - Ouerra per la successione di Polonia. - Ouerra per la successione d' Austria. - Conseguenze io Italia delle tre guerre di successione.

Duchi di Savoia e la loro politica durante le guerre di successione (rafforzamento del loro prestigio - acquisto della dignità re· gale - le istituzioni militari piemontesi del sec. XVIII) - Le principali vicende degli Stati italiani durante il sec. XVlll . .

La politica dei successori di Emanuele filiberto. - Rafforzamento del prestigio sabaudo. -l a politica sabauda dal 1684 al 1748. - Le istituzioni mìlitarl piemontesi del sec. XVIII. - Oli Stati itallani alla pace di e le loro vicende fino alla rivoluzione francese.

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' -VII
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AVVERTE NZA

Il titolo che ho apposto a questo libro dice chiaramente che il libro stesso non ha affatto la pr etesa di esser e un nuovo e completo trattato di Storia Militare: l' intenzione che mi ha spinto al l avoro e lo scopo che mi sono r ip r omesso, sono ben più modesti. Conscio delle difficoltà che so1zo costretti a superare coloro che si preparano agii esami d' ammissione alla Scuola di Guerra, io ho cercato di offrire a questi can d idati una guida si cura, pra· tica e schematica per lo studio e lo svolgimento del programma di Storia politico -militare prescritto dai programmi in vigore.

l o non voglio con questo affermare che ai giovani che si preparano agli esami d'ammissione alla Scuola di Guerra, siano fino ad o ggi mancati libri atti ad una buona e completa preparazione: sarebbe una pretesa assur da e superba che non è nelle mie intenzioni; sarebbe wz voler mettere di colpo il mio paziente e modestissimo l avor o alla pari con le opere recenti o non recerdi di autori che sono ver i e propr i Maestri l o non ho affatto di queste pretese.

M a poichè so che i vecchi e poderosi lavori del Corsi, del M oreno, d el Cosentino, del Fabbris, del Fogliani, del Ferrari, del R ovighi, del P aglia1w e pochi altri, più non si trovano in commer cio; e poichè so che sommi trattati di Storia Militare come quelli del Vacca- M aggiolini, del M aravigna e di altri , riguardano solo determinati periodi storici, punti particolari cioè del programma di S to r ia pr escritto per gli esami d'ammissione alla Scuola di Guerra; poichè so pe r esperienza - d ate le richieste che continuamente mi giungono di testi atti alla preparazione a detti esami - quali sono le difficoltà che i candidati devono superar e, mi sono ripromesso di svolgere schema t icamente ciascun punto del programma, in modo da evitare al candidato consultazioni quasi sempre difficoltose, spesso impo-ssibili, e così risparmiare al candidato stesso un tempo sempre pr ezioso e spesso difficile a trovarsi.

J

lo ho cercato in sostanza di mettermi nei panni di un candidato e sviluppare così il programma, come dovessi io sostenere l'esame. Ito cercato quindi di essere essenzialmente pratico, effi· cace, schematico: dicendo e accenando solo quanto a mio modo di vedere, ogni candidato deve essenzialmente conoscere.

Ne è risaltato an lavoro essenzialmente a forma sintetica, così da dare una guida sufficientemente completa e pratica per lo sviluppo di ogni punto del programma.

Naturalmente nella trattazione di una materia così vasta ho dovuto attenermi ad alcuni concetti fondamentali che sono i seguenti:

- eliminare qualsiasi considerazione critica, tenendo presente il principio che i candidati alla Scuola di Ouerra devono avere una chiara conoscenza dei fatti sui quali poi, durante la Scuola stessa, seguendo il sistema applicativo, svilupperanno le loro considerazioni di ca(attere vario;

- limitare la trattazione della parte politica che già deve essere conosciuta dai candidati per gli studi precedentemente fatti per offrire invece a larghi tratti una visione complessiva dello sviluppo dell' arte militare attraverso i secoli;

- richiamare l' attenzione dei candidati alla Scuola di Ouerra sa quanto è detto, relativamente all'esame di Storia, nel programma in vigore e che l'esperienza mi insegna è troppo spesso trascurato dai candidati stessi: « dimostrare, cioè, di possedere la capacità di ragionare intorno alle cause dei fatti storici, alle loro correlazioni ed alle deduzioni che da essi si possono ricavare, nonchè l' attitudine a disporre e sviluppare, con ordine e chiarezza d' insieme le varie parti dell'argomento trattato ».

Questo lo scopo e le intenzioni cfze mi hanno guidato nel mio lavoro. Lavoro dunque essenzialmente pratico e modesto per il quale mi sono naturalmente, largamente valso di an grandissimo numero di pubblicazioni, così come la ricchissima Biblioteca dell'Istituto nel quale ho l' onore di insegnare, mi ha consentito di fare.

Ora, giunto al termine del mio non lieve lavoro, non mi resta che una speranza:

che la modestissima e paziente opera mia effettivamente serva a risparmiare a tanti giovani volenterosi, Lavoro e tempo per il più facile raggiungimento della loro lodevolissima aspirazione.

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L'A.
• \ l

PARTE PRIMA

Storia orientale

Il sorgere e lo sviluppo delle prime civiltà in Asia Minore e nel bacino del Mediterraneo.

Dalle origini della umanità allo inizio della età civile. -

« L' abitudine del lavorare continuamente e in previsione dell' avvenire, abitudine che manca affatto all' uomo primitivo come al ' selvaggio, non poteva essere stabilita altrimenti che con la potente coercizione a cui erano sottomesse le tribù conquistate e ridotte in schiavitù.

Solo per mezzo di una disciplina che abituava alla sottomissione dapprima verso un proprietario, poi verso un governo rappresentato da un individuo, poi verso un governo meno personale, infine verso un corpo di leggi procedente dal governo, solo per questo mezzo si poteva arrivare a stabilire la sottomissione verso quel codice della Legge Morale, che ora sempre più regola i rapporti dell' uomo incivilito con i suoi simili. »

In queste poche parole di Herbert Spencer c' è tutta l'essenza della storia dell'umanità dalle origini ad oggi.

Dallo stato di abbrutimento, di ignoranza e di ferocia, che caratterizza l' origine della umanità (period o troglodita) questa, attraverso lotte ininterrotte e sanguinose che tuttora durano, va lentamente accostandosi all' ideale della perfezione suprema che è rappresentato dal ben e ssere fisico, intellettuale e morale egualmente ripartito e diffuso fra l'intera umanità. Questo grande scopo, che in ultima analisi costituisce quello che si chiama il « progresso ,, non si ottiene però che mediante una solida organizzazione del-

M VALLETTI- BORGNINI, Storia Politico-militare ecc. - Vol. (.

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1' ambiente sociale, ambiente nel quale la libertà e la volontà personali trovano i loro limiti nella libertà e nella volontà collettiva.

Organizzazione dunque, gerarchia, disciplina sono i fattori dell'umano progresso.

Oggi siamo ancora lontani dalla perfezione suprema: passi enç>rmi però sono già stati fatti.

Vediamo, in maniera schematica però, come ha proceduto questo continuo, incessante progressivo lavoro di perfezionamento fisico, intellettuale, morale.

Nell'età selvaggia gli uomini vivono dediti esclusivamente alla caccia e alla pesca . Quest' età è caratterizzata dagli attrezzi usati dall' uomo e si distingue in : epoca della pietra ( paleolitica = pietra rozza; neolitica= pietra levigata): in essa gli uomini si servono di utensili e di armi di pietra, senza conoscere alcun metallo, all'infuori, forse, dell'oro che viene adoperato come ornamento ; epoca del bronzo: in essa l' uomo ha imparato a lavorare i metalli di più facile lavorazione e ne fa leghe diverse, fabbricandosi così armi ed attrezzi da lavo r o ; epoca del ferro: in essa l' uomo abbandona l' uso comune del bronzo ed adotta il ferro.

In questa età selvaggia l'uomo dimora nell e grotte, poi in abitazioni pala fitta te nei laghi e nelle paludi; si veste con le pelli degli animali; si fabbrica i primi rozzi strumenti, stoviglie, armi; vive riunito in famiglie o tribù variamente regolate e governate seguendo il naturale istinto di associazione che gli fa ricercare la vita in comune.

Nell'età barbara le condizioni di vita subiscono un primo radicale mut a mento, che costituisci'! un primo passo compiuto dall' umano progresso.

e pesca fornivano all' uomo primitivo il vitto per la giornata; la c ragione :. della quale l' uomo è fornito, lo spinge però, ad un dato momento, a preoccuparsi di avere sicuramente il vitto anche per l'avvenire. Ecco quindi che per avere questa sicurezza l' uomo si dà all' allevamento del bestiame. Nasce cosi la pasto.rizia che ra ppresenta già un progresso:

- perchè dà all'uomo la sicurezza del vitto del domani;

- si presta ad un maggiore sviluppo delle arti e produce quindi in sostanza un maggiore benessere fisico e morale.

Quest'arte produce però una immediata conseguenza: il nomadi5mo.

-- Per far prosperare il proprio bestiame, l' uomo è costretto a trasportarsi di volta in volta, ove l'ambiente è favorevole al mantenimento e allo sviluppo del bestiame stesso. Ecco una delle prime limitazioni alla libertà individuale; ecco una necessità che imperiosamente induce l' uomo a curare alcune arti, come quella del cavalcare, del trainare i carri, del costruire tende ecc.

Cresce così il benessere fisico, diminuisce la preoccupazione per l'avvenire, l' uomo 5i trova quindi in migliori condizioni per sviluppare le proprie facoltà intellettuali. Ma la vita errabonda non permette lo sviluppo di quelle arti e di quei mestieri che richiedono stabilità e servono a tramandare ai posteri i segni della civiltà: è questa quindi l'epoca comunemente detta della « tradizione orale (Omero).

Con queste prime manifestazioni in tellettuali s'inizia: f. età civile. « Questo stato è detto civile dalla parola latina civis, cittadino, nel cui radicale si contiene l' idea di gente che si riunisce a far società e conviverè insieme. »

La perfezione, alla quale l'uomo istintivamente tende, non può essere raggiunta che attraverso il progresso della società alla quale egl i appartiene; è solamente per la Società che la specie umana può esplicare indefinitamente la propria energia.

Quali sono state le prime forme assunte da questa società?

La prima società è quella domestica: essa si esercita sull' individuo fino a che l'individuo stesso è in grado di governarsi da sè. Quando l' individuo è giunto a questo stadio deve poter liberam ente sviluppare le proprie facoltà fisiche intellettuali morali, nelle quali sta la origine prima di ogni progresso. L' individuo, per questo sviluppo, deve liberamente disporre del miglioramento già avuto dalla collettività ; bisogna quindi che i progressi, ai quali i suoi predecessori sono già pervenuti, non vadano dispersi o distrutti.

È indispensabile quindi che questi progressi possano essere tramandati: la società pastorale, la società basata sul nomadismo, alla quale abbiamo già accennato, non dava - e l'abbiamo già vistoqueste garanzie, indispensabili per lo sviluppo dell'umano progresso.

Ecco quindi imporsi una nuova organizzazione sociale, che, in contrapposto alla instabilità del nomadismo, offra la più completa stabilità: nasce cioè e si afferma !' agricoltura.

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L' agricoltura garantisce la stabilità della dimora, e la coabitazione di molte p ersone su uno spazio di terreno relativamente ristretto; favorisce ugualmente lo sviluppo delle arti proprie delle età primitive (caccia, pesca); favorisce Jo scambio di prodotti non solo, ma anche di idee e di aiuti reciproci: dà quindi un forte impulso allo sviluppo della vita sociale.

Ma altri vantaggi dà l'agricoltura: essa permette e sviluppa due grandi fattori che sono oggi base della produzione e quindi del benessere rnondiale:

- la divisione del lavoro

- l'accumulazione della ricchezza.

Individui forti di volontà e di intelletto 1iescono così a costituirsi una ricchezza propria, che liberandoli dall' incubo di sopperire alle materiali necessità della vita, permette loro di dedicare le proprie energie allo sviluppo della produzione intellettuale.

Questo assieme di individui che per forza economica ed intellettuale prevale su la massa, viene così poco per volta a costituire la classe dirigente.

Ecco perchè nelle antichiss im e civiltà vediamo prevalere la classe dei sacerdoti (India - Cina - Persia - Egitto - MessicoPerù ), classe ricca di mezzi e che esercita sempre il più grande potere spirituale, e intellettuale quindi, sulle masse.

Una società così costituita rappresenta già un passo notevole, un punto avanzato nella storia dell' umano progresso.

Non bisogna però credere che tutti gli uomini, cioè tutti gli attuali popoli, abbiano percorso metodicamente i vari stadi del vivere sociale al quale abbiamo accennato.

Quello che abbiamo detto si riferisce alla storia dell'umanità in generale, ma bisogna pensare che molti popoli rimasero per lungo tempo e qualcuno vi si trova tuttora, nell'età selvaggia.

L'agricoltura segna dunque l' inizio di quella che abbiamo chiamato l' età civile: e segna anche l' i nizio del periodo storico vero e proprio, di quel periodo cioè del quale esistono documenti originali sui quali studiare la storia del paese. Tutto il periodo precedente all'età civile (età selvaggia ed età barbara) rientra. nel regno della le ggenda.

Ma l'età civile non assume un unico aspetto, non si sviluppa secondo un unico tipo; essa assume forme diverse, aspetti differenti, a seconda delle speciali attitudini dei vari popoli e dell' ambiente nel quale essi vivono.

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Dallo inizio dell' età civile al sorgere delle prime civiltà.

È tempo quindi ormai di lasciare il nebuloso periodo delle origini ed entrare decisamente nel periodo storico, vero e proprio; è tempo cioè di iniziare il profilo storico della età civile.

Le origini della civiltà e quindi le origini della vera e propria storia della umanità, vanno ricercate nell'Asia. Quel vasto gruppo montuoso detto l'altipiano di Pamir, centro ai tre grandi bacini interni dell'Asia (Altipiano Centrale; Altipiano Persiano e Bacino interno del Caspio) fu la culla delle famiglie umane delle quali si conosce la storia. La storia di queste primitive famiglie, moltiplicatesi all' infinito, diede origine alta:

- Storia orientale che si riferisce agli Stati che sorsero in tutta l'Asia e nella valle de l Nilo ( In dia, Cina, Persia, Assiria, fenicia, Egitto)

- e alla Storia occidentale che si riferisce ai popoli Europei. Storia orientale e storia occidentale si differenziano profondamente fra di loro non solamente per i diversi paesi ai quali si riferiscono, ma per lo spirito nettamente diverso che le informa.

l popoli orientali sviluppano la propria attività in un ambiente grandemente favorevole per fertilità di suolo e bontà di clima: sono le grandi valli del Oange, del Tigri e dell' Eufrate, del Nilo che raccolgono sulle loro rive la riunione delle prime famiglie: queste si moltiplicano senza fine, ma tutte trovano ottima terra per lavorare e per vivere. « Le famiglie delle nuove generazioni seguitano a rimanere unite alle famiglie precedenti formando un gruppo via via più numeroso che dicesi tribù e che continua a r egge rsi con l'ordinam e nto primitivo sotto ad un patriarca che è giudice, condottiero, proprietario unico. Ma lo spirito di questo ordinamento è affatto mutato, perchè non più temprato · dalla affezione naturale, resa impossibile dalla eccessiva estensione di quella società: quindi la patria potestà, principio apparente del governo, degenera nel più crudo di spos itismo, specialmente quando una tribù gradatamente estendendosi se ne assoggetta con la forza parecchie altre. Così si vennero formando g li imperi della Cina, dell' India, di Babilonia, dell'Assiria e dell' Egi tto; i quali sorsero appunto là dove ampie pianure prodigiosamente fecondate dall ' Hoang-ho, dall'Yan-tse -kiang, dall' l ndo, dall'Eufrate, dal Ti g ri e dal Nilo permettevano primitivamente la graduale e illimitata associazione di numerosiss ime popolazioni sotto il comando di uno solo, prima padrefamigli a, poi patriarca, poi despota • ( fogliani ).

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l popoli occidentali invece svolgono la propria attività in paesi che non permettono le grandi agglomerazioni di masse umane, caratteristiche dei popoli orientali. Raggiunto tutto lo sviluppo compatibile con il terreno su cui dovevano vivere , le famiglie delle n uove generazioni sono costrette a cercare nuov i paesi, nuove di· more, nuovi capi. l paesi alpestri, frastagliati, rotti - in contrapposto alle grandi valli offrentisi ai popoli orientali - favoriscono cqsì lo sviluppo di speciali raggruppamenti di popolazione che hanno una origine comune ma che pur si reggono con leggi e costumi propri entro una regione geografica, a volte piccola, ma ben delimitata da confini naturali. L' eterna ragione della difesa e dell'offesa, obbliga però queste genti a riunirsi; ma questa riunione è sempre un legame che si stringe fra uguali, è una specie di fe derazione nella quale ognuno conserva alcuni propri diritti, conserva la propria fisionomia.

Di fronte quindi al Despotismo che caratterizza la storia dei popoli orientali, si afferma il trionfo del principio di Libertà che caratterizza la storia dei popoli occidentali.

Stabilito così quale fu la culla e qua li furono le caratteristiche delle grandi famiglie delle quali si conosce la storia, vediamo b revemente il modo con il quale le famiglie stesse si sparsero per il mondo.

Dall'altipiano di Pamir, nel centro dell'Asia, tre grandi razze partirono per la conquista del mondo:

- la razza gialla prese la direzione di levante spingendosi nelle pianure siberiache, nei bacini dell' Oang-ho e dell'V an tse·kiang ( ove diede origine all'antichissimo impero cinese), e nelle penisole dell' lodo Cina e dell' lndostan;

- la razza ne r a prese la direzione di ponente e passò i n Af r ica; la razza bianca si mosse per ultima e non tutta però: una parte (ceppo Ario) restando ancora lungo tempo sul posto diede o ri gine agli attuali Afgani e Persiani; un a seconda parte (ceppo semitico) fu quella che s i mosse attratta dalle ubertose pianure del Tigri e dell' Eufrate. Le ultime schiere della razza nera venne r o così a co ntatto con le prime schiere (ceppo semitico) della razza bianca: dando così origine alla varietà camitica alla quale appartengono gli antichi Egizi, i Numidi, i Oetuli e i moderni Kabili e Touareg dell' Africa del nord e del Sahara. Questa famiglia cam i·

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tica diede origine alla civiltà egiziana ed etiopica, e contribuì in parte a costituirt la potenza del regno degli Ebrei, degli imperi di Assiria e di Babilonia, e della civiltà fenicia. lt ceppo Ario mosse più tardi dalla propria sede originaria (l' attuale Persia e Afganistan) e solamente duemila anni prima di Cristo cominciò le proprie migrazioni, le quali si svolsero sembra, secondo il seguente ordine:

1.0 - Un primo ramo discese per le gole di Kaboul sull' lndo, e di là invase il bacino del Oange, sovrapponendosi e frammischiandosi ad alcuni elementi di razza gialla e prendendo il nome di Indiani. Nasce così e si afferma poco per volta la antichissima e meravigliosa civiltà indiana della quale ricordiamo la lingua adoperata: sans·crita; i grandiosi monumenti di architettura e di scultura: i poemi letterari Ramayana e Mahabàrata; i 4 Veda: libri sacri; il codice di Manù < corpo di leggi e di precetti abbracciante tutte le funzioni della vita sociale e quindi anche la militare » (Della Valle) contenenti precetti relativi alla guerra e alla pace, agli ordinamenti militari, all' addestramento delle truppe, alle operazioni di guerra, freschi ancor oggi.

2. 0 - l Persiani o lranici occuparono l'altipiano che da loro ha il nome; loro lingua fu lo Zend in cui Zoroastro scrisse l'Avesta, codice religioso e morale; avevano il culto del fuoco, nessun tempio, nessun idolo, adoravano il Sole, la Terra, la Luna, il Vento ecc.

3. 0 - Il ramo greco-latino invase l'Asia Minore e il bacino orientale del Mediterraneo, ove una parte (gli Elleni) occupò la penisola Greca e un altro ramo (gli Jtalioti) parte per mare e parte per le alpi Dinariche e Giulie invase l' Italia.

4. 0 - Un ramo, che si chiamò poi il ramo celtico, costretto ad espandersi verso nord, passò il Caucaso, poi risalì il Danubio, oltrepassò il Reno e invase l' Europa intera frammischiandosi e assorbendo gli Iberi che vivevano nella Spagna e in francia, e i Liguri che abitavano la francia e l' In ghilterra, la Liguria, e dando origine ai Galli, ai Belgi ecc.

5.0 - Una parte del ramo di cui al numero precedente si fermò nella valle del Danubio e si spinse nell' Europa nord occidentale, costituendo quello che poi si chiamò famiglia Teutonica o Germanica.

6. 0 - Un ultimo ramo infine costretto ad espandersi nelle pianure orientali d'Europa diede origine alla attuale famiglia Slava .

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Le civiltà immediatam ente precedenti quelle dell' Asia Mi· nore: Assi ria - Media - Persia - Egitto. - Accennato così, per quanto in modo estremamente succinto, al p e riodo preistorico, alla fondamentale caratteristica che differenzia la Storia orientale dalla Storia occidentale, alla origine delle popolazioni dell'Asia Minore, diciamo qualche cosa, sempre in maniera s in tetica, di quelle civiltà delle quali la civiltà dell'Asia Minore fu la naturale e diretta conseguenza: Assiria, Media , Persia.

L' ASSIRIA. - Le fertilissime contrade bagnate dai due grandi fiumi, il Tigri e l' Eufrate, limitate ad est dall'altipiano centra le dell' Asia, ad ovest dal deserto arabico, a sud dal golfo Persico, e a nord dalla Siria e dall'Asia Minore, prendono il nome di:

- Assiria, nel medio bacino del Tigri;

- Mesopotamia dove più questo fiume si discosta dall'Eufrate;

- Babilonia (o Caldea) dove i due fiumi piegano verso il mare.

Il corso lento e tranquillo dell' Eufrate, e quello più rapido ed impetuoso del Tigri, per quanto poco regolari nel dispensare le acque, costituiscono la ricchezza dell' intera regione, c vera e splendida oasi fra deserte ed aspre regioni : queste magnifiche condizioni d' ambiente, così propizie allo sviluppo della vita, fecero sì che que sta re gio ne prosperò immediatamente, svil uppando industrie e commerci e diventando così la sede naturale di una grande e potente civiltà.

Ma se questi fattori geografici furono la causa prima dello sviluppo della civiltà, altri fattori, sempre di cara1tere geografico, servirono a dare alla storia d i questa civiltà un carattere speciale.

La mancanza di confini naturali netti, precisi, ben determi nati, l' assenza di ostacoli naturali che ben delimitassero il paese favorendone la difesa; e il trovarsi - d' altra parte - sulla strada percorsa dalle grandi migrazioni, fecero sì che il paese restasse in preda a tribù ribelli, ape rto a numerosi inva sori, dominato da quella nazione che più si affermava con la forza, visitato infine e devastato da orde di predon i e di pastori.

La Mesopotamia fu in origine abitata, come già abbiamo visto, da popoli se mitici, Caldei, Babilones i, Assiri. Col volgere dei secoli Turani, Egiz"ì, Medi, Persia n i, Parti, Arabi e finalmente Turchi, ora vincitori, ora vinti si succedette ro nello stabilirsi nel paese. Questa lotta continua, questo sorgere e decadere d'imperi che incessantemente si sovrappongono l' uno all'altro per finire poi in

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una mortifera stasi che ha ridotto oggi il paese in uno stato semibarbaro, ha avuto però il suo lato buono e utile all' incedere dell' umano progresso.

Le civiltà sorte sulle rive del Tigri e dell' Eufrate hanno ass o lto un compito importantissimo che costituisce la loro essenziale caratteristica: sono state il tramite tra l'Oriente e l'Occidente; hanno portato la civiltà orientale a contatto dei popoli occidentali.

c gli imperi si succedettero, si sovrapposero, si fusero, sparirono l' uno dopo l' altro nella vicenda delle fasi di un movimento di continua trasformazione che distingue quelle civiltà da quella limitrofa del Nilo, che vedremo immobile, chiusa in sè stessa, durare inalterata per migliaia d' anni; mentre quella sviluppatasi lungo la Mesopotamia andò acquistando nella storia il valore di un potente organo di trasmissione del movimento dall'Oriente verso l'Occidente, dalle regioni centrali dell'India verso il Mediterraneo. -. (Cosentino).

fissata così la caratteristica della civiltà sviluppatasi nell'Assiria vediamone - schematicamente sempre - lo sviluppo storico.

l Caldei, scesi dalla natìa pietrosa Armenia stabilitisi lungo i corsi dei fiumi vi fondarono un regno il cui primo re fu Nimrod ( 2200 a. C.) la cui leggenda simboleggia la lotta dell'uomo contro gli animali feroci. Nimrod, ricordato dalla Bibbia, fondò parecchie antichissime città assire. l re dell'antica Caldea furono tutti edificatori di templi spettacolosi e di città colossali. Dei successori di Nemrod basta ricordare Belo, fondatore di Babilonia, e suo figlio Nino fondatore di Ninive ed estensore del dominio assiro su tutto il paese dall' Egitto all' India. Nino venne fatto assassinare dalla moglie, Semiramide, che alla morte del marito prese il potere rendendosi poscia celebre per lussuria, per coraggio e per ambizione.

Dopo Semiramide che segnò il periodo del massimo splendore p e r il primo grande impero babilo n ese, l' impero stesso rapidamente decadde, Babilonia alleatasi con Persi e Medi, assalì Ninive valorosamente difesa da Sardanapalo ( 797-767 ).

La caduta di Ninive e la morte di Sardanapalo segna la fine dL'l primo imp ero d'Assiria, dalle cui rovine sorsero i tre grandi r egni ùi Babilonia, Ninive e dei Medi: presto prevalse su tutti il r egno di Ninive che, impossibilitato però ad espandersi ad est dai Medi , e al nord dai Babilonesi, estese il proprio dominio verso le regioni occidentali, ci o è verso la Siria.

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!t nuovo impero di Nùzive rende tributari i regni di Efraim e di Giuda, conquista Damasco, sottomette la fenicia, giungendo così ai confini dell'Egitto; e poco per volta prepondera anche su Medi e Babilonesi. La morte del re Sennacheribbo segna l' inizio della decadenza di questo secondo impero assiro. Medi e Babilonesi nuovamente si alleano per combattere Ninive che viene presa e di st rutta.

Prevale da questo momento l' impero babilonese per opera specialmente di N:tbuccodonosorre che si rese signore di tutto il paese fra il Tigri e il mare, soggiogando Tiro, la Fenicia, la Siria, il regno di Giuda, Gerusalemme.

Il governo degli effeminati successori di Nabuccodonosorre, fece rapidamente decadere questo terzo grande impero assiro.

l Medi prima e poi i Persi « raccolsero il retaggio di tante grandezze e continuarono l'opera intrapresa del movimento verso il » (Cosentino).

LA MEDIA è costituita dalla parte più settentrionale della regione occidentale dell'altopiano iranico; è percorsa da valli la cui direzione generale è quella nord -sud, valli che immettono tutte sull' altipiano armeno dal quale si comunica direttamente con l'Asia Minore. Queste valli costituiscono le vie che hanno agevolato gli scambi e favorito i contatti fra oriente e occidente.

l Medi, discendenti come i Persi dagli Ariani (popolo Zenda) signoreggiarono dapprima la regione soggiacendo poi, come in parte abbiamo già accennato, alla potenza degli imperi assiri.

La seconda e definitiva caduta di Ninive alla quale i Medi direttamente concorsero, come già abbiamo accennato, segna l'inizio di un g randi oso periodo di splendore per la civiltà Media. È in questo periodo che i Medi estendono il loro dominio nell'Armenia impadronendosi così della strada che porta al Porto Eusino e al Mediterraneo.

Capitale del regno fu Ecbatana: città meravigliosa circondata da sette ordini di mura. Alla splendida corte di Astiage, re dei Medi, tra il fasto e lo splendore della capitale e della corte, visse per parecchio tempo - non si sa bene se come parente, come ospite o come ostaggio - il persiano Ciro che tanta potenza doveva dare al dominio Persiano. La vita alla corte di re Asliage convinse Ciro che la potenza d ei Medi andava declinando. Eletto re, assalito e battuto due volte Astiage, Ciro, s' impadronisce dell' intera Media.

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La Media finisce così come regno autonomo e il primato passa alla Persia (VI secolo a. C.).

LA PERSIA. - I Persiani hanno, come già si è detto, la stessa origine dei Medi; stabilitisi nella regione a sud della Media, essi vissero per lungo tempo segregati dai popoli vicini, rimane.ndo pastori, conservando semplicità di costumi, e coltivando un indole animosa e uno spirito guerriero. • Il rigore del clima li fortificò, la vita segregata li mantenne puri, l'abitud ine di una certa libertà politica tutelò la dignità e l'indipendenza del carattere » ( De Castro).

Furono parzialmente e saltuariamente soggetti ai grandi imperi assiri prima, poscia alleati dei Medi, fino a che per merito e per opera di Ciro, come abbiamo già visto, soggiogarono l'intera Media.

Dopo l'annessione della Media (558) CIRo, ordinato il proprio impero e riorganizzato l' esercito, inizia la serie delle sue grandi imprese: 15 anni di lotta ininterrotta ( 554-539) estesero grandemente il dominio persiano, attuando in gran parte lo scopo che Ciro voleva raggiungere: l'unificazione delle genti asiatiche. Creso re dei Lidi, viene battuto i le colonie greche dell'Asia Minore devono riconoscere il dominio persiano i Baldassare, re di Babilonia, viene facilmente vinto mentre tripudiava nella re gia. Grande vantaggio trassero gli Ebrei da questa vittoria di Ciro: essi furono liberi; ebbero una ad eguata scorta per tornare alla loro patria (Palestina), ricostruirono il tempio, ebbero da Ciro in restituzione i vasi sacri.

Questa generosità di Ciro, non fu uno speciale atto di riguardo usato ai soli Ebrei: mirando alla costituzione di un grande impero federativo, Ciro dopo una vittoria militare si mostrava sempre generoso con il vinto. Egli rispettava costumi, consuetudini, ordinamenti, religioni , ma chiedeva armi e tributi per proseguire la grande impresa. Dopo avere assoggettato l' intero paese dall' ln do al Mediterraneo, e battuto l' Egitto, Ciro perì in una spedizione contro i Messaggeti.

Successore di Ciro c ma non erede della sua grandezza d'animo » fu CA.MBtSE noto oltre che per aver fatto sparire il fratello Smerdi, per le sue spedizioni grandiosamente concepite ma prive di notevoli risultati pratici perchè l' organizzazione e la p reparazione delle imprese non corrispose alla grandiosità degli intenti stessi. Di Cambise infatti si ricordano:

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- la spedizione contro l' Egitto con la espugnazione di Menfi e di Sais;

- la spedizione contro Cartagine che non potè effettuarsi perchè i fenici, alleati di Cambise, rifiutarono il loro concorso contro una loro colonia;

- la spedizione contro l'oasi di Giove Ammone (oasi di Siouah) che non raggiunse l'obbiettivo pcrchè gran parte dell' esercito perì nella traversata del deserto;

- la spedizione contro l' impero etiopico, finita anch' essa in una disastrosa ritirata.

Mentre così Cambise portava la guerra in lontani paesi, in patria scoppiava una grave rivolta condotta in gran parte dai Medi che tentavano di prevalere sui Persi, e capitanata dal falso Smerdi. Scoperto però l'inganno del falso Smerdi questo venne deposto ed ucciso, e in sua vece venne eletto re DARIO lstaspse che domò le discordie interne e le rivolte dei sottomessi, migliorò le istituzioni tutte, ebbe grande rinomanza come legislatore, e riahivò il canale dell'istmo di Suez onde agevolare le comunicazioni dall' lndo al Mediterraneo.

Assestato il paese, Dario iniziò le imprese di conquista. Voltosi prima verso oriente avanzò nell' India levando tributi e soldati per accrescere il proprio esercito: assicuratosi così dei confi ni orientali si volse verso occidente. Passò il Bosforo e avanzò rapidamente sul continente (la Sci zia): ma l' avversario invece di opporsi direttamente a questa avanzata, si ritirò lentamente tutto distruggendo: cosicchè Dario ad un certo momento è costretto a iniziare la ritirata.

Ma quì la storia persiana è in stretta relazione con la storia greca: rimandiamo quindi la continuazione della storia persiana a quando tratteremo delle guerre della Grecia contro i Persiani.

EGITTO. - L'Africa fu abitata da gente che per motivi essenzialmente climatologici non ebbe natura atta ai commerci, a l progresso, alla vita civile. Splendida eccezione a questo stato di cose è la parte del continente africano che costituisce la valle del Nilo.

Oli Egiziani non furono autoctoni: le prime genti che si stabilirono sulle rive del Nilo provenivano dall'Asia. Dalle loro primitive ocupazioni di cacciatori, pescatori, pastori, essi passarono abbastanza rapidamente allo stadio di agricollori, favoriti in questo

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dalle eccezionalmente favorevoli condizioni d'ambiente. La fertilità ' della valle del Nilo, in aperto, lampante ed immediato contr asto con la sterilità dei paesi circostanti (il Deserto libico e il Deserto arabico) tenne fortemente legate queste genti alla loro terra. Chiusi nella loro splendida valle cinta dalle sabbie, i primi abitatori egi1i nutrirono odio tradizionale verso gli stranieri, s i opposero tena cemente a qualsiasi contatto od influenza straniera, timorosi sempre di perdere i frutti che l a natura e il loro lavoro davano abbon· dantemente. Lab oriosi e sagaci essi si dettero alacremente allo studio di tutte le previdenze int ese a tratt enere, inalzare, dispensare le acque (idraulica); a fabbricare solide case e strade ( architettura); a ben delimitare la proprietà (geometria); a stabilir e le relazioni tra l'andamento delle piene e delle secche del fiume in relazione ai fenomeni celesti (a stronom ia).

Così la civiltà egizia si sviluppò rapidamente: causa precipua di questo sviluppo, del modo di vivere e dell' indirizzo mentale d egli Egiziani fu dunque l 'ambiente speciale nel quale essi vissero; e, in ultima analisi, il Nilo: « Il Nilo edificò il paese »

Questo stato di cose segna la caratteristica della civiltà egiziana: rap ido sviluppo e poi la immobilità.

A 5000 anni avanti Cristo ri sale il primo re egizio che la storia ricordi: Me ne « fu il Romolo d' Egitto ». Sotto di lui lo stato egiziano ric evette la prima solida organizzazione; sotto di lui furono cominciati grandi lavori pubblici intesi a regolare il corso del fium e, prosciugare paludi, costruire città e templi.

Dopo Mene, una lunga serie di sovrani - raggruppati in di eci dinastie - regnano dal 5000 al 3000.

La primitiva capitale, Thini, venne poi sostituita con Menfi, ove si ebbe la prima fioritura delle scie nze, delle lettere, delle arti.

Il primato di Menfi durò sette secoli.

Il centro di gravità si sposta poi da Menfi a Tebe; la civiltà continua a progredire.

Verso il 2200 a. C. cominciano le immigrazioni barbariche, comincia cioè un periodo che fu chiamato il medio evo egiziano. Popoli di origine semitica, nomadi provenienti dalla Siria e dall' Arabia settentrionale, invasero il basso e medio Egitto: ma

l'Egitto intellettualmente e moralm.ente vinse i suoi invasori ed oppressori: non altrimenti di quello che più tardi doveva avvenire in occidente.

l re di Tebe riparano in Etiopia, e in Egitto s'inaugura la

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serie dei così detti Re pastori, che si atteggiarono a Faraoni, senza mai però riuscire non solo a dominare, ma neanche ad amalgam,trsi con gli indigCili egizi i quali - come già abbiamo detto -moralmente ed intellettualmente res!arono sempre vera classe dirigente. Fu sotto i Re pastori che avvenne - per opera dei re stessi - la chiamata in Eg-itto degli Ebrei. Di qu i l'odio deglt egiziani veri e propri co ntro gli Ebrei, e la origine delle future persecuzioni. •

In questo periodo Menfi e T ebe rappresentano le due opposte tendenze: Tebe difende l' antico primi livo e puro spirito egizio, Menfi si adatta ai contatti, alle sovrapposizioni, alle istituzioni venute dal di fuori.

Il dominio dei rf pastori durò 500 anni: la rivalità tra Menfi e T ebe scoppiò ben presto in una lotta fra le due città, lotta che segna il principio della fine dei re pastori, lotta che segna l'inizio di una grande e lunga guerra d'indipendenza nazionale fra gli indigeni egizi e i popoli immigrati. Questi, militarmente meglio organizzati, si difendono bene, resistendo nelle piazze forti, trincerandosi fra paludi e corsi d'acqua, lottando in battaglie navali, ripiegando infine lentamente: fino a che la vittoria resta agli egizi. 01' invasori devono ritirarsi.

Ma questo periodo di lotte aveva un po' attenuato l'antica intransigenza che aveva caratterizzato la ptima civiltà egizia. Infatti i Faraoni di questo nuovo periodo conducono guerre in Asia e in Etiopia; le dinastie si susseguono, le lotte sono ininterrotte, i cont atti con il mondo esterio re continui.

All'inizio del VII secolo l' Egitto è invaso dagli Etiopi; si apre così un nuovo periodo di lotte che finisce con il trionfo degli egizi che elevano alla dignità suprema Psametico di Sai de ( 670 a. C.].

Psametico è personaggio notevolissimo nella storia egizia: con lui la civiltà eg izia perde completamente quel carattere di feroce intransigenza verso tutto ciò che fosse stra niero. Fino a questo momento gli egiziani avevano avuto orrore della vita del mare: con Psam etico dopo lunghi contatti con popoli navigatori (i Pelasgi) essi si lanciano invece attraverso il mare alla conquista di nuove terre, entrando così in diretto contatto con i popoli del Mediterraneo.

Dopo Psametico l' Egitto continua a sviluppare la navigazione e il commercio e a stabilire rapporti con altri popoli, venendo special mente a contatto con i Greci.

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Ma l'Egitto doveva intanto lottare contro Assiri prima e poi contro i Persiani. La battaglia di Pelusio (Su ca) aprì le porte delIl' Egitto a Ca mbise. l pers iani dominarono così l' Egitto senza potersi mai a malgama re co m pletamente con il popolo egiziano che, malgrado ogni contatto con l'esterno, era pur sempre intollerante di ogni dominazione. l P ersiani vennero a loro volta soprafatti da Greci e da Macedoni; questi cedettero dinanzi alla potenza romana; la storia dell' Egitto quindi si allaccia alla storia greca e a ll a storia romana : rimandiamo perciò la continuazione del breve cen no storico relativo all' Egitto, a quando tratteremo della storia greca e romana.

Il sorge re e lo sv ilup po de ll e prim e ci vilt à i n Asia Mi nor e e nel Mediterraneo. - La penisola dell'Asia Minore presenta la fo r ma di un altipiano massiccio circondato e solca to da robuste catene di monti: collegato verso est al grande altipiano iranico, cade invece più dolcemente verso ovest su l' Ellesponto.

L' altipiano è limitato approssimatitivamente:

-a sud dalla catena de l Tauro;

-a nord da una catena di minore altezza che si stacca dal Caucaso corre parallelamente al Mar Nero e termina con I'Olimpo di Misia, fra Nicea e Dorilea tra il Tauro e l' Olimpo una linea di alture non troppo elevate traversa diagonalmente la penisola da Nord- ovest a Sud -est i

- ad est dalle regioni dell' Eufrate e dal massiccio montagnoso dell'Armenia i

- Mar Nero e Mar Mediter raneo circondano completamente ad ovest e parte a nord, e parte a sud, la peni5ola dell'Asia Minore.

Le coste costituiscono un a parte a sè, dell' intera penisola, .. sottoposta ad altre leggi c h e non l' interno del paese Esse so no frastagliate, ricche di porti, di seni, di isole.

T erreno ricco e favorevole a llo sviluppo non solo de ll ' agricoltura, ma anche delle ind ustrie, date le ricchezze minerarie del suolo stesso, porti numeros i e sicu ri, bosch i im mensi c he danno ottimo legname per le navi, tutto contribuì a far sì che il paese potesse facilmente dive ntare la sede di popoli co nte mpo ra ne amente agricoltori, marinai, produtto ri e merca nti.

Paese aperto a tutt e le i m mi grazi on i, l'Asia Mino re è sta ta ed è l'ete rn o ca mpo di battagl ia, ove, militarmente od economica-

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-16mente, Asia ed Europa sempre si sono incontrate in una continua e tuttora incessante lotta di predominio.

M entre sulle rive del T igri, dell' Eufrate e del Nilo si formavano potentissimi imperi, antichissime genti provenienti dall'Asia centrale e dalle regioni transcaucasiche, si erano stabil ite sulle fertili terre dell'Asia Minore. Primissimi abitatori furono forse i Camiti; poi sopragiunsero i Semiti. All' inizio dei tempi storici troviamo già alcuni popoli - come Cusciti e Turani stabiliti da tempo nella regione: i primi sul versante del mar Egeo, i T urani sulle coste del Ponto; fra i Turani ricordiamo i popoli della Colchide (ricordati nella Bibbia) famosi perchè dediti alla metallurgia.

Questi ed altri popoli soccombettero alle invasioni degli Ari e dei Semiti. Il dominio degli A ri si estese a tutto il paese dal massiccio dell'Armenia al Tauro e all'arcip elago: la parte più notevol e si raccolse nella parte occid entale dell' altopiano, limitata a nord dal Sangarios e a sud dal Meand ro : fu questa La Frigia.

La frigia, sede di una razza laboriosa, divenne presto un regno potente, i cui re si chiamarono alternativamente Oordio e Mida (leggenda del nodo gordiano ecc. ) .

Il resto degli Ari, procedendo nella marcia verso l'occidente traverso l' Ellespo nto e la Prepontide, invase la Tracia e la Macedonia e discese poi verso il sud nella peni sola ellenica vene nd o così a costituire gli Eoli, Achei e i Dori.

Camitici, Semitici ed Ariani, nel loro viaggio o nella loro sosta in Asia Minore, diedero origine, oltre ai frigi -i primi che salirono in potenza - a numerosi altri popoli: ri cordere mo di questi:

i Tr aci, a nord- ovest della fri gia;

-- i Misi, ancor più ad occidente, dai quali discesero i Dardani, il cui capo stipite, Dardano, auspice Oion e Id eo, fondò la città di Dardania che sembra potersi identificare con la primitiva

Tr oia, città antichissima, più volte distrutta e sempre riedificata come provano le ruine sovrapposte di detta città;

-i Cappadoci, abitatori del paese fra il Tauro e il Ponto , celebri poichè tra essi nacquero le Amazzoni, quando le popolazioni indigene sorsero a contrastare l'avanzata dei Medi i

- i Cilici e i Pamfili, lungo le coste meridionali dell' As1a Minore, naviganti e pirati i fornirono a Serse le navi per la spedì · zione di Grecia i

- i Lici, sulle rive dell' Egeo i a differenza degli altri popoli costieri, non furono pirati i raggiunsero un alto grado di civiltà e riuscirono a non essere assorbiti da Roma i

- i Car"i, abitatori dell'angolo sud -ovest dell'Asia Minore; si spinsero a Rodi, a Creta, nelle Cicladi; furono temutissimi pirati; lottarono con fenici e con Greci e con Minosse re di Creta; ,servirono da mercenari nelle armate egiziane ed israelitiche, riducendo si poco per volta a popolo di schiavi: motivo che sembra abbia dato origine alla parola cariatide;

- ed infine i Pelasg i e i fenici

l Pela sgi, popoli delle isole, pirati, espertissimi navi gatori (si servivano per g uida dèll' orsa maggiore) ebbero il merito di indurre gli Egiziani ad abbandonare l'isolamento della loro civiltà e a lanciarsi a navigare.

Dei fenici parleremo più estesamente tra poco.

Per completare il quadro schematico della primiti va storia dell'Asia Minore, diremo che - come del resto già sappia m ola penisola fu dominata da Egizi e da Assiri. La dominazione egiziana - alla quale già abbiamo accennato - non ebbe conseguenze notevoli. La dominazione assira invece fu più possente, più duratura e più feconda; a n c h e di essa già abbiamo discorso.

Di tutte le civiltà sorte nell'Asia Minore vera e propria e che corrispond o n o allo sviluppo avuto dai popoli sopra ric ordati, nessuna si affermò potentemente così da lasciare forti e sicure tracce. Nella regione immediatamente a sud dell'Asia Minore, propriam ente detta, in quella regione cioè geog r aficamente deno minata la Siria, sorsero in vece e si svilupparono due n otevolissime civiltà delle qual i è indispensabile dire qualche cosa: la fenicia e la Ebraica. furono queste civiltà che maggiormente influirono sulla na scita e su llo sv iluppo della civiltà europea.

La civiltà Fenicia. - La fenicia è il paese situato sulla costa della Siria e limitato a nord (approssimativamente) dal parallelo passante per l'isola di Ar ado; a s ud del fiume Corseo; ad est dalla catena del Libano; ad ovest dal Mediterraneo. Paese di limi· tatissi ma este n s ione ( 190 Km. circa di lunghezza per 20 Km. circa di lar ghezza) esso è costituito dai contrafforti del Libano che cad ono sul Mediterraneo dan do luogo ad una costa frasta gliatissima. La fenicia è percorsa da numerosi ma piccoli corsi d' acqua che ren dono l' intero paese m olto fecondo. La con figurazione montuosa del terreno, la vicinanza del mare, la fav orevole posizione geografica del paese stesso fanno sì che svariatissimi sono i p rodott i

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M. VALLE1'1't·BORG:-<INI, Storia Politico-militare ecc.- V ol. I.

della vegetazione. Sul carattere del paese ha influito moltissimo l a sua vicinanza alla foce del N ilo: le corr enti provenienti dal N il(} stesso hanno depositato sulla parte meridionale del litorale fenicio, il terreno alluvionale trasportato dal N ilo; depositi che hanno modificat o profondamente l a costa fenicia tanto che città anticamente marittime divennero col tempo continentali.

La fenicia venne dagli ebrei denominata terra di Canaan: quando gli israeliti arrivarono nella Palestina i Cananei erano già da tempo prosperi e fiorenti. Tiro fu una delle loro prime città; Sidone fu, fin dai tempi più remoti, la capitale di un regno potente. l fenici appartengono al ceppo semitico, e sembra traggan() la loro origine da una tribù del popolo Cuscita - già da noi ricordato - tribù che attraverso la Siria si spinse fino all' istmo di Suez e oltre. fenicio - figlio di Agenore - fu il fondatore della prima stirpe che fece della tribù cuscita uno stato potente: da lui il popolo si chiamò fenicio.

Stabilitasi nella nuova regione, questa gente si diede subito al commercio e alla vita del mare, gettando cosi le basi di quella potenza che tant.e tracce doveva lasciare e che costituì il vero organo di trasmissione tra le civiltà orientali e quelle occidentali.

La potenza commerciale fenicia era già grande quando i faraoni mossero verso la Siria. l fenici non opposero resistenza armala: riconobbero il predominio egizio. Ma tras se ro nelle loro mani tutto il commercio da e per il grande paese dei Faraoni. Questi riconobbero ufficialmente ai fenici il privilegio di sviluppare il commercio tra l' Egitto e l' estero: così la sottomissione fenicia all'Egitto, dà un nuovo fortissimo impulso allo svilupp() della potenza fenicia.

« Tutte le strade che dai grandi mercati dell'estremo orientet dall' I ndia, dalla Battuana, dalla Caldea, dall'Arabia, dalle re g i oni del Caucaso si dirigevano verso l'occidente, venivano a mettere capo a Sidone e a Tiro; e i Fenici, lungo queste vie di comunicazione, occuparono i punti principali ai guadi dei fiumi, neglr aditi delle montagne, allo sbocco delle valli e vi eressero città che furono centro di prospere e attive colonie ed empori dove accumulavano i prodotti dei circostanti paesi, per dirigerli poi verso i magazzini centrali della regione del Libano , (Cosentino).

Da questi magazzini centrali enormi carovane affluivano alle città della costa, da dove navi potenti muovevano per effettuare gli scambi con tutti i paesi del Mediterraneo orientale, del mar Ross()

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- 19e del mar Nero; del Me diterraneo occiden tale; e poi più in là, con il Marocco, co n il Senegal, con le isole della Gran Bretagna. Semb ra che in questo p eriodo i F enici compissero p iù volte la circ umnav igazione del continen te africano.

La potenza fenicia decadde a causa delle lo tte alle quali Fenici furono costretti:

- lotte esterne !ipecialme nt e contro Greci ed Etruschi;

- lotte interne fra le due principali ctttà Tiro e Sidone

A queste lotte soggi acque prima Sidone; Tiro pros però ancora poi sparve al contatto della potenza macedone: ma la civiltà fe n icia aveva o rm ai animato di sè il Mediterraneo iniziando il ver o e proprio p e r iodo s tori co d i questo grande bacino: o r igine e culla de ll e più forti civiltà mondiali.

La civiltà ebraica sorse e si sviluppò in Palestina, alla estremità m e rid iona le della Siria.

La Palestina detta dalla Bibbia la terra d' lsrael, e chiamata poi dai popoli cristian i la terra sa nta - posta al confine di stati che facevano sentire la loro infuenza fin sull'Oceano In diano e n e l· l'Atlantico - si trovò in posiziorte geografica propizia per la diffusione di religioni d' importanza mondial e come la giudaica, la cr istia na, la ma o m ettana.

Tagliata in due dal corso del sacro Gio rdano, la Palestina presenta svariatissima flora, clima temperato ed uniforme, terreno fertilissimo . Il Giordano si getta nel Mare Morto o Salato ( 425 m . sotto il livello del mare ); bacino d'importanza storica, già sede nella sua parte m eno fonda della storica pentapoli.

c La storia degli Ebrei, considerata dopo e ln riscontro di quella degli Egiziani, degli Assiri e dei Pers i, appare davvero poca cosa; imperciocchè piccolo il te rritorio in che essa si è svolta; breve il suo corso; non ricca di grandi spedizioni o conquiste; non feconda di profonde trasformazioni sociali. Pure essa è sto r ia, da l punto di vista dello sviluppo genera le della civiltà, importanti ss ima; come quell a che ha esercitato :. ulla um anità una profonda influenza morale ed intell e ttuale, per l ' intermedio special mente del cristianesimo e non poco anche dell' isla mismo. » (Cosentino).

La storia del popolo d' Israele presenta tre periodi distinti:

- il primo è quello relativo ai Patri archi , periodo em in e n tement e teggendario;

- il periodo è caratterizzato dalla unificazione delle

-20varie tribù e dal sorgere di una speciale civiltà e cultura e dall' affermarsi di una speciale costituzione; gli israeliti cessa no di essere nomadi e si affermano come stato autonomo fra gli antichi stati dell'Asia Minore e della Siria;

il terzo periodo comprende i tempi della monarchia teocratica, durante i quali la civiltà ebraica sale al suo apogeo, poi per le discordie interne e per il contraccolpo delle lotte delle vicine nazioni, la potenza ebraica c è tratta in decadenza, si dissolve, è abbattuta, poi ristabilita, ma senza poter mai più riacquistare importanza storica; finchè, travoltà nell' im ma ne cozzo fra le due civiltà, orientale ed occidentale, perduta ogni autonom ia, sparisce, come nazione, dalla faccia del mondo e della storia, non senza lasciare però dietro di sè gloriosa ed importante, traccia di una civiltà e di una cultura che rivive nelle successive fasi dell' evoluzione intellettuale dell' umanità, n el campo specialmente della religio ne e dell'arte. , (Cosentino).

Da allora la storia della Palestina diventa storia macedone, greca, romana, araba ecc. come vedremo in seguito.

Cenni sulle istituzioni sociali e militari degli antichi popoli orientali.

Le istituzioni sociali.

Caratteristica della storia deg li antichi popoli orientali: la lotta. - Dal profilo storico - tracciato nel capitolo precedente delle prime civiltà sorte in Asia Minore e nel bacino del Mediter· r aneo, abbiamo visto che la caratteristica della storia deg li antichi popoli orientali, è una continua lotta di predominio: Assiri, Medi, Egizi , Persiani, conducono la lotta stessa, si sovrappongono gli uni agli altri, estendono il loro dominio sui popoli meno forti, sco mpaiono, alcune volte risorgono; e così, con questa lotta continua, s' inizia la storia dell'umanità. Storia che si perpetua nel tempo, fino ai tempi moderni, senza cambiare nella s ua caratteristica, nella sua essenza, ma storia che segna, indiscutibilmente, malgrado le guerre, anzi per merito di esse, un costante passo avanti dell' umano progresso.

c .... modo diretto e precipuo di scambiare e far progredire istituzioni e culture, spontaneo e necessario modo di avvicinare

l

popoli divisi, ma per origine affini, ed associarli in una comune missione, era certamente lo affermarsi e il dilatarsi di quei popoli che avevano acquistato la potenza e possedevano l' indole fatta 1Jer la propaganda; i quali nelle loro conquiste esercitarono una funzione sempre utile, tanto se in guerra con popoli meno colti, quanto se con nazioni più avanti di essi nella civiltà.

Nel primo caso, arrecarono il germe di una più colta convivenza, indussero elementi di migliori formazioni sociali, obbligarono i popoli minacciati a riunirsi, a conoscersi, a difendersi; donde nuovi rapporti, nuovi bisogni e il germe di utili trasformazioni.

Nel secondo caso, o vincitori o vinti, essi conobbero le culture delle nazioni invase, le leggi, le religioni, i costumi; spinsero quei popoli, con l'azione aggressiva, a meglio curare gli elementi intrinseci ed estrinseci di loro civiltà, ad ordinarsi secondo formazioni pitt accomodate alle esigenze dei tempi ......

Necessità ed importanza della lotta. - c Se gli imperi sorti con le conquiste durarono poco (Ciro, Alessandro, Carlo Magno, Napoleone), essi però esercitarono la funzione storica loro imposta dei tempi e dai precedenti stessi storici. Vanno essi in gran parte considerati come organi di trasmissione nel moto evolutivo della civiltà e, se nello esercizio di quella funzione si sono esauriti, hanno però affermata, proclamata, generalizzata l' idea che informava il moto storico personificato nella loro attività espansiva e che traeva la sua potenza dalla ragione stessa storica. Quegli imperi sono spariti; ma non gli effetti dei congregamenti, delle formazioni sociali e politich e, della diffusione delle idee, del contatto delle istituzioni, che · furono il portato della loro azione. finito l' impero Persiano non perdurarono forse gli effetti del contatto fra le diverse civiltà orientali, fra queste e l' egiziana? Non furono intrapresi quegli scambi quei rapporti con l'Asia centrale, con l' Asia Minore e poi con la Grecia donde e novelli centri di attività e trasformazioni sociali e progresso nel moto incessante della civiltà nel bacino del Mediterraneo?

Così vedremo sparire l' impero macedone, ma durare gli effetti della ripercussione della civiltà greca sulla occidentale; sfasciarsi l' impero romano, ma dopo di essere stato centro di vastissima formazione sociale, dopo di aver completato la diffusione della civiltà italo greca per tutto il mondo conosciuto, dopo di aver trasformato in idea cosmopolita quella che prima era stata

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romana soltanto e latina, dopo d i avere nella funzione vastamente unificatri ce rese possibili le istituzioni cristiane.

Cos ì vedremo perire I' impero di Carlo M agno, ma non l'opera da esso ini ziata; annullarsi l' impero napoleonico, ma dopo di avere procla ma to, affermato, propagato per tutta Europa, grande e bene· fica imp r esa, le conquiste politiche sociali intellettuali della grande rivoluzione francese ed iniziata l' epoca attuale.

Considerate negl i effetti locali e del momento, rispetto agli in e vitabili danni che traggono seco nel primo cozzo, certamente le guerre e le conqu iste si appalesano come orrendi fatti e disumani: ma, guardate nelle loro intime ra gio ni e nei lo r o effetti complessi, si chiariscono nella s t oria come modi di progresso ed argomento, dove diretto, dove indiretto, di civiltà: senza di esse molti popoli sa r ebbero ancora barbari, molti non avrebbero avuto campo ed occasione di progredire, di svo lgere la loro attività, d' impiegare e qui ndi perfezionare le facoltà proprie; non avrebbero acquistato che lentamente la coscienza di sè stessi e della loro missione nella società umana , (Cosentino).

Stabilita così la caratteristica non solo della storia degli antichi popoli o r ientali ma quella di tutti i popoli in tu tte le epoche, vediamo quale fu la funzione storica assolta dagli antich i popoli orientali.

La funzion e storica degli a ntichi popoli orientali. - l popoli della Mesopotamia (Assiri, Medi, Persi ; dell ' Asia Minore (Ebrei) e del Mediterraneo (Egizi, Fenici) che dett ero un forte contributo a l sorgere e allo sviluppo della civiltà, posti lungo la via delle grand i e naturali immigrazioni f ra oriente ed occidente, costi· tuiro no l' organo pe r m ezzo del quale i popoli occidentali vennero a contatto con le prime civiltà orientali.

Importanza della regio n e intermedia fra Asia e Europa. L e re g ioni poste fra il M. Caspio, il golfo Pe rsico, il mar Rosso, il mar Nero e il M edite rr a n eo, regioni intermed ie fra Eu ropa e Asia, sono sempre state, sono tuttora, e saranno per lun go tempo ancora, il campo dove, con le guer r e ( l otte fra greci e persiani; lotte dei maomettani; le pretese russe e inglesi e con i commerci (fe n ici, greci, le repubbliche m a r in a r e italiane, le pretese in· glesi e t e d esche) la civiltà è passata da ll' Oriente all' Occidente, e dall'Occidente è ritornata - l'o pera n o n è ancor oggi co mp iuta e dura tutt ora - verso i primitivi paesi ori e nt ali.

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Questi fatti che si riproducono con le stesse caratteristiche nella storia dell'umanità, stanno a dimostrare l' importanza l'influenza di certe regioni geografiche: ancor oggi infatti tutta la regione genericamente ma impropriamente conosciuta con il nome di Asia Minore, attrae l' attenzione del mondo intero per gli infiniti problemi che ad essa sono legati.

Influenza degli antichi popoli orientali sul progresso del vivere civile. - Abbiamo visto qual' è stata la caratteristica degli antichi popoli orientali, abbiamo visto quale è stata la funzione sto· rica dei popoli stessi, vediamo ora quale influenza essi hanno avuto sui progressi del vivere civile.

E quì dovremmo ripetere quanto già abbiamo detto relativa· mente alla differenza caratteristica fra Storia dei popoli orientali e storia dei popoli occidentali (vedi pag. 5 ). Per non ripeterei e ria ssu mendo quanto già abbiamo detto, possiamo affermare che nelle incessanti lotte alle quali il trapasso della civiltà dall'oriente all' occidente dà origine, le antiche caste prevalenti e tiranniche, proprie dei popoli oriental i , cadono poco alla volta di fronte al progredire incessante delle nuove idee che danno ai popoli oppressi la coscienza della propria forza: c il nichilismo orientale, a misura che la civiltà procedeva verso l'Occidente, si trasforma in presenza di un novello a m bi ente per diventare elevato individuali smo sulle sponde del Mediterraneo > : dal despotismo alla libertà.

Le istituzioni sociali degli antichi popoli orientali. - In questo concetto di " Despotismo > c' è tutta la caratteristica delle istituzioni sociali degli antichi popoli orientali.

c Nella Cina, nell' India, nell'Asia Minore, nell' Egitto, le società trovarono le condizioni favorevoli alle g randi aggregazioni, alla soggezione sociale e alla potente costituzione statale: le ricchezze del feracissimo suolo si accumularono in poche mani, le società si divisero in caste e si ebbe da una parte potente e neghittosa oligarchia, dall'altra plebe serva del lavoro, snervata dal materialismo, abbrutita dall' abito alla completa soggezione subita senza risentiment0 » (M o reno).

Predomina quindi I' assolutismo; sorgono le prime grandi monarchie: esse rappresentano però più che il trionfo di un uomo - il re - il trionfo di una casta. È la casta dei sacerdoti, o quella dei guerrieri, che volta a volta prevale e impone un capo - il reche è una propria emanazione.

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Il sentim ento religioso fu abilmente sfruttato dalle classi predominanti per conquistare prima e conservare poi il potere.

Tutte le antiche r eligioni della inte ra razza semitica, hanno per principio l'adorazione delle poten ze naturali: simboli principali il sol e e la lu na; predomina il culto degli astri che dalla Caldea si divulgò in tutto l'A sia Minore, in Egitto, nella Grecia. Oli l sraeliti furono iniziati al culto del sole dagli Egizi.

Persiani e Fenici adorarono un essere speciale simbolico che rappresentava l' unione dei due principi delle forze n aturali : l' attivo (il maschi o) e il passivo (la femmina) . Questo essere (Mitra per i Persiani, Bàal per i Fenici) veniv a materializzato n ell'ermafrodità « essere divino, si mb olo della unità es<5enziale della coppia ».

Il sole prese nomi diversi: Moloch, Belus ecc.

L'antica astrologia caldea, la magia molto diffusa fra i primitivi semiti , tra ggo no la loro ori g ine dal culto del e della luna. Questo culto però venne col tempo lent amente m odi ficand osi, con gli in cantesimi, i presagi, le arti insomma adoperate dalle caste sacerdotali qu ali mezzi per assicurarsi e conservarsi il potere.

La religione ebbe una importanza grandissima presso i popol i prim itivi: es sa diede luogo alle prime manifestazioni dell' organizzazione sociale. l sacerdoti, coloro cioè che si dicevano tram ite fra il popolo e l 'autorità sur; rema, erano naturalmenie ascoltatissim i per tutto ciò che si riferiva alla vita e ag li in!eressi della popolazione: essi acquistarono così poco per volta un ascendente grandissimo che conferì loro quello che oggi si chiama il potere. E d i questo potere essi usarono largamente anzi abusarono facendo dire ai loro numi qu ello che più tornava utile al fine della conservazione del potere stesso.

Stabilita così la ca ratteristica principale delle istituzioni socia li degli antichi popoli o ri en ta li, ed accennato in generale, alla l oro r eligione che così gra nd em ente influì sul sorgere e lo svil uppo delle prime civiltà, accenniamo, schematicamente, quale fu lo sv iluppo raggiunto dalle varie civiltà delle quali abbiamo parlato n el profilo storico tracciato nel capitolo p1·ecedente.

Ma, m en tr e nel capitolo precedente - per attenerci scrup olosamente al programma i m postaci - abbiamo parlato prima della storia assira, media e persiana e poi d i quella dei popoli mediterranei , nel trattare in modo p artico lare delle i stituzioni socia li, seguiremo strettamente l ' ordine crono l ogico, comin ciando da quella che fu la civiltà più antica: l a egiziana• ..

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Eo1Z1. - La straordinaria fertilità del suolo dovuta all'annuale inondazione del Nilo, fece sì che le famiglie stanziatesi lungo la valle del gran fiume, si dessero subito ed esclusivamente ai lavori di agricoltura, raggiungendo quindi un grado elevato di civiltà, dovuto essenzialmente alla stabilità della popolazione su un suolo ricco ed isolato da contatti con altri popoli. Chiusi fra il deserto libico e quello arabico, fra il mare e i misteriosi paesi dell' alto Nilo, tutti dediti alle cure della terra e alle cure speciali che il gran fiume richiedeva, gli egizi diedero sviluppo, come già abbiamo visto, a scienze varie.

Gelosi della loro fertili ssima valle che tutto offriva, gli Egizi furono i fondatori di una civiltà tutta propria che per lungo tempo si tenne estranea ai contatti con il mondo esterno.

Mentre infatti le civiltà che si svilupparono poi in Mesopotamia ed in Asia Minore erano ancora allo stato rudimentale, la civiltà egiziana era già salita a grande e rapido splendore.

Oli Egizi erano divisi in cinque classi: sacerdoti, guerrieri, pastori, agricoltori e artigiani. Le prime due rappresentavano l' elemento dirigente; le altre tre costituivano la plebe.

La classe dei sacerdo ti era la predominante; essa era di carattere ereditario e viveva con le copiosissime contribuzioni alle quali tutte le altre classi erano obbligate.

Seguiva, per importanza, la classe dei guerrieri, ereditaria anch'essa.

Il re (Faraone) i sacerdoti e i guerrieri avevano la proprietà di tutte le terre d' Egitto.

Col tempo sorse in Egitto una classe speciale che acquistò importanza grandissima: fu quella degli scriba • o impiegati addetti all'amministrazione dello Stato. La condizione di scriba apriva la strada a tutte le carriere, a tutti i gradi: mediante apposite prove (esami) lo scriba poteva diventare sacerdote, generale, governa· tore, esattore, ingegnere ecc.

Il governo fu una monarchia assoluta ereditaria, temperataperò da alcune leggi speciali e specialmente dall' influenza del potere sacerdotale che aveva ad esempio nelle proprie mani tutta l' amministrazione della giustizia.

In complesso le condizioni sociali egiziane possono così riassumersi:

- monarchia di diritto divino;

- prevalenza d i una aristocrazia (sacerdoti - guerrieri) saldamente ordinata;

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-26accentramento amministrativo e burocratico che tutto prevedeva e annotava ( scriba);

una massa enorme di popolo rispettosissimo e gelosissimo di tutte le prerogative regie e castali.

Le condizioni sociali egiziane hanno il loro emblema nella piramide: alla base la plebe, su di essa le varie caste (sacerdotale, guerriera, amministrativa) al sommo il faraone.

Abbiamo già detto che gl i egizi fecero progressi notevolissimi nell ' idraulica, nell' archittetura, nella geometria e nella astronomia; aggiungiamo ora che essi coltivarono con amore la medicina e la geografia.

Pochi frammenti ci sono rimasti e perciò poco si sa della loro letteratura: da ricordare però: Il libro dei morti, papiro che si deponeva nel sarcofago del defunto e conteneva l' apologia della sua vita. Il più importante e il più completo è quelio conservato nel Museo di T orino.

L'arte egiziana è tutta a base si m boli ca, forme rigide e inerti; fisionomie prive di colore e di prospettiva.

l fENICI. - Seguendo l' ordine cronologico, dobbiamo ora parlare dei fenici la cui civiltà seguì immediatamente quella egizia, è anzi una sua immediata conseguenza.

Due infatti so no le cause della rapida potenza commerciale raggi11nta dai fenici: il coraggio con il quale i fenici si avventurarono in mare; - l' indole degli egiziani. Il popolo egizio non era nè avve nturoso, n è marinaio: i fenici lo provvedettero di tutti g li elementi indispensabili alla raffinata civiltà cui esso era arrivato.

La scarsità del territorio spingeva i f enici a cercare sulle vie del mare il loro sostentamento. Perciò le arti commerciali e marinaresche furono la loro principale occupazione e dettero indirizzo alle loro abitudini.

Ogni città fenicia era r etta da un capo che poteva dirsene il re; il quale però governava per mezzo di uno speciale consiglio, costituito tra i più ricchi commercianti, al quale consiglio e ra in pratica devoluto il potere. Non mancava però l'elemento sacerdotale che faceva sentire la propria influenza. Tra le varie città fenicie esisteva una specie di federazi one o lega, per la quale le varie città si pre stava no reciproco aiuto.

Tra i fenici dunque non appaiono classi sociali così distinte

j

come in Egitto: lo Stato fenicio non fu quindi unitario ed assoluto come la mon archia egiziana.

In complesso si può dire che la Fenicia fu divisa in molti Stati, tal ora indipendenti, tal o ra confederati e talvolta soggetti alla supremazia d' uno di essi ( Sidone - Tiro): in questo caso prevalse la forma monarchica ereditaria, con l'autorità temperata da una specie di Senato e forse anche da assemblee popolari.

Nella civiltà fenicia vediamo quindi un primo decadimento del principio del c dispotismo • e l' inizio invece di forme più liberali. Poca fu l' influenza l ascia ta dai F enici nelle l ettere nelle arti e nell'a gricoltura; notevolissima invece la loro influenza n ella navi · gazione, nella colonizzazione e nel commercio, nella costruzione di navi ed attrezzi n a vali, n elle fabbriche di ceramiche, nella metallurgia, nell'industria vetraria

Ai Fenici spetta il vanto di aver inventato l'alfabeto che fu poi trasmesso con qualche modificazione alla magg ior parte dei popoli. Essi lo trassero dai geroglifici egiziani, ma, spi nti da quel senso pratico che guidò ogni loro azione, ebbero il merito di distinguere una ventina di suoni, i quali bastava no a pronunciare qu alunque parola e di scegliere i segni corrispondenti a quei suoni per scriverli.

l Fenici furono il vero anello di congiunzione fra Asia Africa Europa.

ASSIRI- BABILONESI. - Nella vallata del Tigri e dell' Eufrate prosperarono due imp eri: quello del piano e quello dei monti.

Il primo fu il regno di Babilonia, aperto da ogni parte alle inva sioni progredito nell'agricoltura nelle industrie e nei commerci tanto da far godere a tutti una buona agiatezza. Questo fatto e la mancanza di sicuri confini resero il popolo poco affezionato alla patria indipendenza ed ossequiente a qualunque straniero.

Profittò di questo sta to di cose, il popolo dei monti, il popolo assiro, montanaro energico e guerriero, il quale poco per volta creò la potenza ài Ninive.

Come abbiamo visto l a storia degli imperi assiri e babilonesi, non è altro infatti che la lotta tra Ninive e Babilonia: le quali ad intervalli prevalsero l' una all'altra fino a che il principio del VII secolo a. C. segna il periodo di massimo splendore di Ninive. Questi vasti imperi però mancavano di coesione. Una razza guerriera manteneva l' ordine con la violenza.

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Tutto il vasto impero era sempre nettamente diviso in due parti:

una costituiva proprietà privata ereditaria de lla fami glia regnante ed era governata da rappresentanti del re ( sat rapi) incaricati di mantenervi l'ordine m ateria le, di riscuotervi le imposte e di requisirvi le milizie ;

- l' altra era il paese di conquista su l quale dominavano le dinastie nazionali o quelle imposte dal conquistatore, con l'obbligo della sottomissione e di larghi tributi al re.

l rappresentanti del re nei paesi di proprietà della corona, e i re tributari erano però sufficientemente indipendenti dal governo centrale e amministravano i pae si secondo le abitudini l ocali: donde frequenti e facili ribellioni.

Il rP. esercitava il governo per mezzo di un ministro scelto da lui personalmente tra i dignitari, tra il popolo o anche tra gli stranieri. Un collegio di c magi :. ( sacerdoti) viveva alla corte presso il re ed era devotamente consultato prima di prendere qualsiasi decisione: questo collegio costituiva una vera casta, una nobiltà religiosa, detentrice praticamente del potere. Trann e la casta sacerdotale non vi era nè altra aristocrazia, nè altre classi ben determinate. Tutti erano uguali davanti al despoti smo regio che poteva a suo capriccio concedere o togliere incarichi, poteri, funzioni: il re era quindi sovrano, pontefice, autocrate; la monarchia era ereditaria e non aveva limiti nè freni, salvo beninteso, la occ ulta pot en za dei c magi :..

l Babilonesi, inferiori agli Assiri nelle arti, li superarono nelle scienze .

L 'astronomia fiorì grandemente; indu strie e commerci ebbero uno sviluppo fortissimo sia verso l' Asia che verso l ' Egitto.

l n pochissimo conto era tenuta la donna: senza limiti l'autorità del marito.

Assiri e Babilonesi furono tutti grandi cost rutt ori di t empi dalla mole gigantesca che richiesero anni ed anni di lavoro e migliaia e migliaia di lavoratori: loro caratteristica, quella dei giardini pensili.

MEDI. - Non ebbero speciale importanza per le loro istituzioni e per lo sviluppo della civiltà. L'impero medio t r asse la propria potenza da un eccessivo dispoti smo militare che si presto andare ad un cerimoniale e ad un lusso tutto orientale, senza più aver cura delle profonde virtù militari del popolo: fu cosi facile preda ai Persiani.

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PERSIANI. - Mentre Ninive, Babilonia, Ecbatana prosperavano e dimenticavano nel lusso nello sfarzo e nei piaceri, la cura delle primitive virtù guerriere, i Persiani erano rimasti pastori, semplici di costume, d' indole animosa e di spirito belligero. Abituati ad una vita piuttosto segregata mantennero la purità della loro razza e coltivarono l'abitudine di alcune loro tradizionali libertà politiche. Rudi, forti animosi essi ebbero presto ragione del decadente dispotismo militare della Media.

Venuto così il primato politico in mani forti ed esperte, fu iniziato con successo per opera di Ciro il grande tentativo di unificazione delle genti asiatiche, tentativo che costituisce la caratteristica complessiva dell' azione e della civiltà persiana.

Tutta la famiglia reale ( Achemenida) costituiva la vera unica e preponderante aristocrazia. Non risultano differenze sociali ufficialmente riconosciute: i Magi avevano un naturale predominio nella religione : i guerrieri nella amministrazione. Il governo era dispotico: il re era ritenuto padrone delle sostanze e della vita dei sudditi.

Le province erano governate dai satrapi, governatori civili che provvedevano alla riscossione dei tributi, alla tranquillità della provincia e alla sua amministrazione. Erano strettamente sorvegliati da un ministro nominato dal re e residente presso di loro e da ispezioni improvvise fatte da persone di fiducia reale. Le forze militari della satrapia erano comandate da un generale indipendente dal satrapo e spesso anzi suo rivale. Così con la del potere fra queste autorità erano rese più difficili le rivolte interne.

Il sistema - per quanto imperfetto - segna già un progresso rispetto al regno del capriccio reale che governava gli imperi assiro- babilonesi.

Fu massima essenziale del governo specialmente di Ciro e di Dario, di non contrariare le tendenze nazionali dei popoli sottomessi (gli Ebrei, come abbiamo visto, ebbero da Ciro facoltà di lasciare Babilonia, tornare al loro paese, ricostruire il tempio ecc.). Dario unifico le monete, aprìi strade favorendo così facili relazioni fra i popoli : il regnò di Dario segnò un mirabile progresso nell' arte di governare i popoli. Solamente l' impero romano arrivò ad emulare in essa il persiano Dario.

Oli Assiri avevano dato il primo impulso alla formazione di una vasta monarchia, la quale doveva comprendere tutta l' Asia anteriore. Ai sovrani di quella nazione guerriera mancò essenzial-

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mente la sagacia politica per coordi nar e l'impero, adunato con due secol i di battaglie continue. La conquista non si mutò in uno Stato efficacemente governato, e l' impero assi r o, costrui to lentamente con lo sforzo di parecchie generazioni, subissò in breve momento.

l Persiani, giunti per ultimi sul suolo ove da innumerevoli anni si dibattevano genti ed idee appartenenti a stirpi turaniche e semitiche, colsero il frutto di una così lunga lotta. Essi avevano mente e bastante civiltà per trarne profitto; avevano l'energia delle popolazioni montanare e l' elevazione del carattere educato ai severi precetti di Zo r oastro, compresero l' unità politica di un impero che andava dall' ln do al Nilo e alle pianure della Tracia e seppero governa rlo con leggi adatte ( Fabris ).

Padrone delle colonie greche d'A sia Minore, Dario considerò la penisola ellenica come una continuazione delle colonie stesse: e quando queste sì ribellarono, il re persiano si vide obbligato non solo a ridurle di nuovo in soggezione ma a stendere il proprio impero su tutto l' Ege o per impedire nuove rivolte e per completamente sfruttare il regime commerciale del Mediterraneo.

« Ne venne l' urto tra i greci e i persiani, tra l'Asia e l' Europa; la lotta allora cominciata durò parecchi secoli e fu ereditata dai Partì e dai Romani; dagli arabi e dai cristiani nel Medio Evo; dai Turchi e dai popoli dell' Europa centrale nell'evo moderno. ( fabris ).

Nel campo letterario il monumento più notevole è libro sacro che comprendeva come la Bibbia ebraica, tutta la vita sociale, civile e religiosa del paese.

Nel campo dell'arte è notevolissima la influenza assira.

La cultura scientifica prosperò grandemente.

Industrie e commerci furono esercita ti più dai popoli soggetti che dai persiani.

Nocque grandemente al consolidamento dell' impero persiano, la mancanza di una capitale adatta e fissa: i re persiani non vollero mai decidersi ad abbandonare la vecchia culla della nazione che non era in grado di assolvere al grave compito di capitale di un impero così vasto. Pasargade, Persepoli, Susa, Babilonia, Ecbatana fiorirono grandemente; ma i re persiani spostandosi a seconda della stagione dall' una all'altra di queste città non risolsero mai c il difficile problema politico di trovare l'opportuna situazione per collocarvi il centro governativo della vasta monarchia pe r siana » .

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Per ultimare questo rapido cenno istituzioni sociali degli antichi popoli dell'Asia Minore, diciamo brevemente qualche cosa del popolo ebreo.

EBREI. - l ' importanza che questo popolo assume nella storia dell'umanità deriva dalla sua religione.

Unico tra i popoli dell'antichità, il popolo ebreo ebbe a fondam e nto costante della sua fede il puro moneteismo, ossia l'adorazione di un solo Dio (Jehova) creatore e signore del cielo e della terra.

Da questa fede derivò agli ebrei il sentimento dell'eguaglian za sociale: tutti erano uguali davanti a j e hova e ai suoi precetti. jehova era il capo s upr emo e il reggitore perpetuo del popolo ebreo.

la costituzione che resse il popolo ebreo fu sempre teocratica, con forme diverse però a seconda dei vari momenti storici ai quali abbiamo accennato nel capitolo precedente.

Da prima fu un governo patriarcale, poi una repubblica federativa fra le dodici tribù, quindi una monarchia.

l'educazione dei figli era diretta a renderli attivi e robusti più che istruiti; gra ndissima l'autorità paterna e quella dei vecchi. All 'occorrenza tutti erano soldati: anche i sacerdoti. Non coltivarono in modo speciale nè la letteratura o altre arti, nè le industrie o i commerci. Perduta poco per volta la nazionalità, fecero del danaro scopo di ogni loro attività decadendo così pùco per volta moralm ente e materialmente fino a scompar ire totalmente dal novero delle nazionalità.

l' unico grande e bello documento che ci resta della loro storia, documento che sfida i secoli, è la Bibbia: di essa basta ricordare che le famose le ggi di Mosè costituiscono ancor oggi il codice morale dell' umanità.

Le istituzioni militari.

Guerra e civiltà.

la guerra è nata con l' uomo.

l ' uomo primitivo obbligato a difendere sè e la propria famiglia dalle insidie e dai pericoli di animali feroci e rapaci studia i primi apprestamenti difensivi per mett ere al sicuro la propria abitazione; obbligato alla caccia per procurare di che mangiare a

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sè e ai suoi, studia e modella le prime armi offensive ricavandole dal legno, daHa pietra, dal bronzo.

Quando dalle età preistoriche si passa ad l-Jna forma di vita più progredita - la pastorizia, l'agricoltura - l'uomo sente la necessità di difendere il frutto del suo lavoro; il gregge, il raccolto. Popolazioni nomadi povere e bellico se, cercano di impadronirs i con la forza del frutto, gregge o raccolto, che popolazioni più stabili e più pacifiche, faticosamente raccolgono: di quì le prime guerre.

Da allora la guerra accompag na e segna anzi la storia dell' umano progresso: la guerra è la storia della civiltà.

t La dinamica dei popoli nomadi che spinse nei primordi della civiltà i popoli abitatori di regioni povere ed inos pitali a cercare contrade più favorite dalla natura, si esplicò con e mi grazioni armate di popoli che mediante la guerra si disputarono con gli in· digeni il possesso del paese favorito sino a che non si giunse ad una definitiva sistemazione territoriale con la sovrapposizione o con l'amal gama del popolo vincitore col popolo vinto.

c La sistemazione dei contatti tra gli antichi popoli orientali (Egizi e Persiani) e gli antichi popoli occidentali (Greci e Ro· mani) avvenne anch'essa dopo lunghe e frequenti guerre com· battute sulla terra e sul m are.

c Il diritto romano venne affermandosi, in tutto il mondo anticamente noto, mediante il valore e la costanza del legionario rom ano e per converso la decadenza di questo valore e questa costanza fu una delle principali cause della barbarie co s l detta medioevale. Pur tuttavia in questa barbarie medioevale fu possibile aprire alla decadente civiltà europea nuove vie e nuovi orizzonti mediante le guerre combattute dai Crociati, vere e proprie spedizioni di carattere religioso.

t Le scoperte geografiche, la conquista e la colonizzazion e di nu ove terre, la lotta per il possesso e per la supremazia commerciale su di esse e la conseguente autonomia e indipendenza dei p opol i indigeni, furono contrassegnate sulla via del progresso civile da altrettante guerre coloniali, marittime e continentali.

« Il trionfo della libertà di culto e di religione fu possibile otte nere soltanto con le grandi guerre iniziatesi con la rif orma luterana e finite con la pace di Westfalia ( 1648) mentre i grandi organismi statali mod ern i presero forma e consistenza con le successive guerre che vanno dal 1689 (lega di Augusta) alla pace di Hu ber tsburg del 1763.

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« La libertà civile e il principio di eguaglianza dei singoli uomini, furono sanciti dalla serie di guer r e succedutesi dallo scoppio d ella rivoluzione francese ( 1789) sino al termine dell'epopea napoleonica ( 1815) mentr e il principio di indipendenza e di nazionalità dei vari popoli fu consacrato dalle ultimt: guerre combattute dal 1815 s ino ai tempi n ostri. » (Della Valle).

Stabilito così l'alto con tenuto morale compreso nella parola guerra, e la stretta intima relazione esistente tra guerra e civiltà, vediamo quale relazione vi sia tra la guerra e lo stato sociale del popolo che la guerra stessa conduce.

Stretta dipendenza fra istituzioni civili e istituzioni militari.

La scienza e l' arte della guerra non sono che una naturale conseguenLa dello stato sociale .

l popoli nomadi che vivono di rapina, sono nece ssariamente portati alla guerra: lo stato sociale di questi popoli comporta una n aturale e continua preparazione alla guerra, e ad una condotta d ella guerra necessariamente offensiva.

l popoli fissi, agricoltori o commercianti, sono per natura m eno portati alla guerra: essi sono dapprima naturalmente portati alla concezione di una guerra difensiva, e pensano e passano alla guerra offensiva, e ne preparano i mezzi, solamente quando la n ecessità di espansione o la ferrea volontà della classe dirigente, impone la guerra.

Sorge così la società guerriera che sfruttando il sentimento bellicoso del popolo, pitl o m e no sentito dal popol o stesso, subordina l'ordinamento politico sociale all'ordinamento militare: una ferrea disciplina viene imposta; trionfa il senso della collettività; esempio: Sparla. l popoli di natura meno bellicosa subordinano l'ordinamento militare all'ordinamento politico -sociale; esempio: i Comuni medio evali nei quali trionfa invece il senso d ell' individualismo. (Odia Valle) .

Nel primo caso (Sparla ) le istituzioni militari hanno sviluppo grandissimo e sono oggetto di cura costante; nel secondo caso (i Comu ni m edioevali) le isttuzio ni militari, considerate come cose secondarie, subiscono un periodo di decadimento.

Nei tempi moderni, la società . corrotta di francia ci dà gli eserciti di Luigi XV, dove le istituzioni militari sono curate solo per quanto si rif erisce alla loro apparenza esteriore e non alla loro sostanza, dando origine· così ad una milizia imbelle in campo aperto,

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M. VALLET rt-BoRGNINJ, Storia Politico-mi/ilare ecc. - Vol. I.

-34appena capace di resistere dietro posti fortificati; mentre la risorgente società della repubblica ci dà i figli della patria, scuotentisi dai vizi dei padri, ed esponenti i petti a difesa della patria.

E venendo a tempi ancora a noi più vicini, vediamo la francia stessa cullarsi dopo l' epopea napoleonica, negli allori di quello splendido periodo e di alcune facili guerre, trascurare gli ordinamenti militari fidando nella cieca formale im itazione delle forme napoleoniche, e cadere cosl nel 1870 di fronte all'esercito prussiano educato ed istruito in un paese che ha sempre avuto il culto delle istituzioni militari.

Le istituzioni militari dunque, ossia la scienza e l' arte che preparano la guerra, sono una naturale conseguenza dello stato sociale del popolo: non solo, m a esse sono altresl in rapporto diretto con le altre scienze e con le altre arti.

Senza attardarci troppo su questo vastissimo argomento diremo semplicemente che le istituzioni militari di un popolo sono in rap· porto diretto:

- con la politica e con i principi più sani della civile convivenza che, reggendo gli uomini, esercita su loro una pressione uniforme, e mentre dall' una parte garantisce i loro diritti, dall' dtra li costringe alla severa osservanza dei loro doveri;

- con le scienze naturali per la scelta e la conservazione degli uomini che debbono far parte dell' e3ercito; e perciò la selezione degli individui, la loro specializzazione, le caserme, il vestiario, il vitto, le marcie, gli attendamenti, tutto è soggetto ai dettami della scienza;

- con la pubblica economia per ciò che riguarda l' amministrazione la quale tocca gli interessi materiali dei militi ;

- con la giurisprudenza e la legislazione per quanto ha tratto alle pene, allo stato giuridico dei militi ecc. ecc.;

- con le varie scienze esatte: fisica, chimica, metallurgia, costruzioni in genere per quanto si riferisce ai mezzi di difesa o di offesa: arte fortificatoria, fabbriche d' armi ecc.;

- con le lettere e le arti belle poichè la poesia e l'eloquenza eccitano le passioni necessarie al buon esito della lotta; la musica serve ad animare le masse; la pittura e la scultura servono a per· petuare la me moria dei sentimenti di amore e di odio per !asciarne esempio ed impulso alle future generazioni.

Da quanto sopra abbiamo esposto, appare dunque evidente che in un a società socialmente forte e saldamente organizzata, dove

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le arti e le scienze abbiano convenie nt e sviluppo ed incremento, debbano saldamente affermarsi anche le istituzioni militari; mentre il decadimento dello stato sociale delle arti e delle scienze segna immancabilmente il decadere delle istituzioni militari.

Premesse queste indispensabili, per quanto brevi, considerazioni di carattere generale sulla guerra e la civiltà ; su lo stato sociale dei popoli e lo sviluppo delle loro istituzioni militari, vediamo, se mp re schematicamente:

Le istituzioni militari de gli antichi popoli orientali: Egizi; Fenici; Assiro 4 Babilonesi ; Medi; Persiani ; Ebrei.

Egizi. - Abitatori d i un territorio fertile e pianeggiante, gli Egizi furono anticamente un popolo pacifico dedito all' agricoltura e al commercio. L'invasione del basso Egitto da parte di una tribù no· made e guerriera proveniente dai monti della Siria e della Palestina (gli Hyksos tra il 2200 e il 1700 a. C.) infuse negli Egiziani un po' di spirito militare. Si ebbero allora istituzioni ed ordinamenti militari stabili, ma con carattere eminentemente difensivo; masse profonde armate di lunghe picche e larghi scudi per resistere all' impeto dei cavalli e dei carri falcati; stormi di arcieri e di from· bolieri circondavano queste masse e servivano specialmente per iniziare il combattimento, tormentare sul fianco e sul tergo i nemici durante la battaglia, inseguire dopo la vittoria, proteggere la ritirata.

Malgrado però il novello spirito militare destatosi col periodo della dominazione straniera, popolo di agricoltori e di mercanti non ebbe mai istituzioni ed ordinamenti militari fiorenti e cadde perciò prima sotto il dominio degli Assiri (sec. 6. 0 a . C.) poi dei Persiani (sec. 5.0 a. C.) poi dei Macedoni (anno 330 a. C.) e finalmente nell' anno 30 a. C. sotto la dominazione romana.

Fenici. - Popolo essenzialmente dedito al commercio e ai mercati, i Fenici trascurarono sempre la propria organizzazione militare. Tutto dedito allo sviluppo dei commerci, il popolo fenicio sacrificò al proprio interesse materiale, anche la propria indipendenza. Quando i Faraoni prima, gli Assiri poi, vollero estendere la propria dominazione sulla Siria e sulle coste dell'Asia Minore, i Fenici si affrettarono a fare atto di sottomissione, a riconoscere la sovranità egiziana o assira, a pagare i tributi, pur di e 3sere lasciati tranquillamente a lavorare per i loro com m e r ci.

Presso i Fenici dunque le istituzioni militari non hanno avuto alcuno sviluppo; motivo per cui essi furono prima facile preda di bellicosi vicini, ed infine cacciati completamente dal bacino orientale del Mediterraneo. Dalle coste dell'Asia Minore, dai fondachi della Sicilia e della Spagna, cacciati dagi i Assiri, dai Persiani, dagli Egizi, ed infine dai Greci, i Fenici convennero tutti a Cartagine, antica colonia fenicia, ove il vecchio nome nazionale Phoeni risuonò sulle rive del Mediterraneo e dcii' Oceano Atlantico; e l' impero punico rimpiazzò, in occidente, l'impero fenicio.

Questo nuovo impero punico, che pur era l' erede della dominazione Fenicia, offrì invece una fortissima e nobile resistenza al dilagare della potenza di Roma che potè dirsi veramente sicura solamente quando, dopo gravi sforzi, riuscl a distrugg ere Cartagine.

Assiro- Babilonesi. - Questi eserciti erano composti di tutta la popolazione valida dell ' Imper o : N i no e Semiramide condusser o alla conquista dell' India, della Libia e dell ' Etiopia colossali eserciti di 3 milioni di fanti, 500.000 cavalieri, e 100.000 carri armati. Più che eserciti erano vere orde barbariche che passavano devastando, distruggendo, saccheggiando.

La fanteria si componeva di arcieri e di picchieri tutti armati di corta spada e ricoperti di elmi e di corazze di cuoio.

La cavalleria era pure divisa in lancieri e arcieri. Diffusissimo era l' uso del cammello, come bestia da soma, come cavalcatura e come mezzo speciale per scompaginare l'avversario. l carri armati, dei quali si faceva larghissimo uso, non erano che carri muniti di robuste l ame taglienti infisse sulla testa del timone, sui mozzi e sulle sponde della piattaforma: erano in genere montati da arcieri. Pare anche fosse comune l' uso fra i cavalieri di trasportare in groppa ai loro cavalli, fauti armati leggermente.

Medt. - Valorosi cavalieri, essi sono noti per le loro imprese g u er r i ere e per il lusso dei loro costu m i. Fino a ch e il d i spotismo m ilitare prevalse, i Medi furono un popolo militarmente e quindi politicamente notevole; m a quando l'eccesso di questo amore si trasformò e fece d i menticare le necessità militari, per appagarsi della sola forma, i Medi rapidamente decaddero di fronte ad un popolo d i pastori, animoso di indo l e e bellicoso di spirito: il popolo Persi ano.

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Malgrado però questa primitiva loro passione per le armi, nulla di speciale ci è rimasto delle istituzioni militari medie.

Persiani. - Oli ordinamenti militari dei Persiani, quali sono stati tramandati da Senofonte, superarono di gran bnga quelli degli altri popoli asiatici specialmente per quanto riguarda l'educazione militare, l'addestramento, l' organizzazione. Tutti i maschi ve n ivano fin da bambini abituati ad esercizi militari. Il territorio di tutto il vasto impero era diviso per la leva e per l'approvvigionamento in distretti, diversi dalle satrapie, cd ogni distretto chiamava alle armi tutti i validi dai 17 ai 50 anni: un sistema di poste, ordinato da Ciro il Vecchio agevolava la trasmissione degli ordini. In tempo di pace gli uomini venivano in genere lasciati alle loro case salvo brevi richiami per continuare l' addestramento.

L'esercito era composto di fanteria, cavalleria e carri falcati: furono anche impiegati cammelli ed elefanti per portare sul dorso arcieri e frombolieri.

La fanteria si distingueva in grave e leggera: quella con corazze metalliche e armi corte per il combattimento vicino; questa senza corazze con archi e fionde per il combaftimento lontano.

Anche la cavalleria era distinta in grave e leggera: questa faceva il servizio di scoperta e iniziava il combattimento tempestando il nemico di dardi; quella, vera e formidabile massa di ferro irta di lame e di spade, veniva impiegata a momento opportuno contro le fanterie nemiche per romperne la compagine e disorganizzarle. Pare facessero parte della cavalleria alcuni reparti addestrati specialmente a prendere al laccio fanti e cavalieri nemici. La cavalleria era in ma ssima parte formata dai Medi.

l carri erano in assai minor numero che presso gli Assiri, ma più perfetti: torri mobili con arcieri.

L' esercito era organizzato a sistema decimale: corpi di 1000 uomini, divisi in drappelli di 100, suddivisi in partite di 1O: questa massa era poi ripartita per il combattimento in rettangoli di larga fronte e profonda circa 25 m.

Nelle marce la cavalleria precedeva, ed i carri da guerra, quelli da carico, le salmerie e i servizi, erano disposti fra la cavalleria e la fanteria.

Ebrei. - Mosè, gran co ndottiero di popoli, più che gran capitano, non dimenticò però nelle sue leggi, alcuni consigli di ca-

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rattere milita r e . Egli raccomandava infatti di non divu lgare troppo l'uso d el cavallo: egli tem eva infatti c h e l'uso del cavalcare eccitasse eccessivame n te lo spirito guerriero del popolo incitandolo a lotte di razzia e di conquista. Mo sè infatti proi b ì le c militari li ce n ze , : razzia, sacc he gg io ecc.

Nell'imminenza della pugna i sacerdoti dovevano animare i soldati e spronarli alla battaglia promettendo loro il soccorso di J ehova h. Mosè volle fo ssero esclusi dalla guerra tutti coloro che si mostrasse ro pus illanimi e di poco cuore nel momento de l cimento, affinchè non turba sse ro l' altrui serenità; volle altresì dispensare quelli c he avevano fabbricato una casa e n o n fo ssero ancora andati ad abitarla e quelli che avessero piantata una vigna da meno di cinque anni. Con qu este due ultime dispo sizioni il legislatore volle raggiungere qu esto intento: c h e i cittadini prima di sacrificare la propria vita alla patria godessero qualche tempo almeno i propri beni (come è noto infatti, la Bibbia insegna che non si potevano mangiare i frutti di un podere se non al quinto raccolto, poichè quelli dei primi tre anni erano considerati immondi e quelli del quarto an n o, appartenevano al S ignore). Era p erciò dispensato altresì dalla guerra colui che fatti gli spo n sali non aveva ancora condotto la sposa in casa e quello che non ave sse a n cora trascorso un anno con la propria sposa.

La legge ord inava che l'avversario d.oveva essere ucciso: non però le donne e i fanciulli.

Come già abbi 1mo visto parlando delle istituzioni sociali, lo Stato ebraico e r a una repubblica federale composta di 12 tribù; n e lle marce e nelle soste si formava un quadrato con 3 tribù per ogni lato.

L' esercito vero e proprio, prima di Davidde, non era perman e nt e: dichiarata la guerra, i cap i chiamavano g li uomini atti alle ar mi. Questi venivano divisi in tre schiere: di des tr a, di s inistra, de l centro; ogni sc hi era e ra composta di un o o più co rpi di 10.000 uomini ciascuno; ogni corpo era composto di 10 legioni di 1000 ; ogni legione, di 10 compagnie di 100 ; ogni compagnia di due drappelli di 50.

Ognuno doveva munirsi a proprie spese di armi e vettovaglie, se n za avere altra ricompensa c h e il boitino che veniva regolar · mente se quest rato all' avversario.

Davidde stabilì come una specie di esercito fisso; arruo lò 288.000 u omini divisi in 12 squadr e uguali di 24.000 uomi ni l'una;

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-39ogni squadra in tempo di pace prestava servizio un mese all'anno; compiti i 30 giorni di servizio, un' altra squadra dava il cambio alla prima: e éosl di seguito. In questo m o do Davidde riu scì ad avere perman e ntemente 24.000 uomini so tt o le armi, mantenuti dallo Stato e sem pre pronti ad iniziare la g uerra . Ogni squadra aveva un comandante e un vice comandante. Davidde nominò inoltre un capo per ogni tribù per dare il proprio parere s ulle cose di guerra. •

In tempo di guerra le 12 squadre formavano la fanteria divisa in leggera e pesante: la prima bersagliava il nemico da lontano con fionde, giavellotti ed archi; la seconda formava il corpo di battaglia e indossava pesanti sc udi e aveva per armi la clava, la {l spada e la lancia.

Prima del combattimento era prescritto di preparare le armi, ungere g li scudi e prendere cibo; il combattimento era iniziato dalla fanteria leggera che lanciava sull' avversario frecce, giavellotti e pietre ; s ub ito dopo con alte gr ida e cantici guerrieri la fanteria pesante si precipitava s ul nemico. Se il p rim o urto non riusciva era prescritto di far dietro front riordinarsi e tornare all' attacco.

Pochiss imi erano gli ordinamenti e i regolari movimenti delle truppe: scarsa la disciplina; intrepidi, coraggiosi e valorosi i combattenti durante la pugna.

Un certo svilup po l' ebbe anche la fortificazione: ricordiamo il fosso continuo doppio intorno alle località assediate.

Il bottino era diviso in parti uguali tra i combattenti e quelli che erano rimasti di guardia o di scorta al campo o ai convogli. Altre ricomp ense erano: i gridi di vittoria all' indirizzo del capitano vincitore; gli applausi ai più meritevoli; i canti trionfali; i cori danzanti delle fanciulle e i monumenti. (Dalla Bibbia).

PARTE SECONDA

Storia greca

lmporhmza storica ed indole speciale dell' antica cultura greca. - Prima di parlare della Grecia, dello sviluppo della sua civiltà: dei suoi più notevoli avvenimenti politici e militari, diciamo subito dell'importanza della storia greca e quale sia la sua più evidente caratteristica in contrasto con quanto abbiamo detto relativamente alle antiche civiltà orientali delle quali abbiamo precedentemente parlato.

fra le culture antiche, la greca è quella che ha più direttamente e potentemente influito sull'indirizzo della moderna civiltà, poichè ha immediatamente influenzato di sè il mondo latino. Pur nella sua evoluzione storica, la Grecia ha conservato il proprio carattere originale; nel campo intellettuale essa si è elevata ad altezza sublime e le confuse tradizioni scientifiche e filosofiche degli altri paesi, si trasformarono in Grecia in vera scienza e vera filosofia ; in studio diretto della natura e dello spiFito umano.

La tend e nza speciale dello spirito greco, fatto per la vita attiva più che per le sterili contemplazioni religiose, caratteristica delle civiltà degli antichi popoli che abbiamo pre cedente mente studia to; il sentimento della dignità individuale, nullo presso gli antichi popoli dell 'Asia Minore, elevatissimo presso i Greci, costituiscono appunto le caratteristiche e sostanziali differenze che dànno il carattere alla civiltà greca rispetto alle antiche civiltà orientali.

L' indole greca amava svolgersi nella vita attiva e reale: quegli animi vivaci, quelle forti passioni nell'azione, non potevano

La Grecia e l'affermarsi della sua civiltà nel Mediterraneo.
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acquietarsi nel nichilismo, inerte e fatalista, dei popoli orientali. Lo spirito greco era laico: seguì i poeti e gli storici, non i preti; la Grecia ruppe la catena mistica sacerdotale che aveva immobilizzato, come abbiamo visto, lo spirito orientale; ed il libero esame, rispetto alle dottrine orientali, si svolse nella libera Grecia. (Cosentino).

Non dimentichiamo che contribui forse a ciò anche un fattore di carattere geografico al quale abbiamo accennato al Capitolo l e precisamente al paragrafo: « Dallo inizio dell'età civile al sorgere delle prime civiltà ) : la configurazione geografìca della Grecia non è tale infatti da favorire un vasto concentramento governativo; la sua posizione inoltre la rende naturale e facile punto di transito tra il bacino orientale e quello occidentale del Mediterraneo: fatti questi che favorirono i sentimenti di libertà e d' indipendenza, gli scambi e i contatti fra i Greci e gli altri popoli mediterranei. Questa naturale, istintiva indipendenza del carattere e dello spirito greco, che costituisce la caratteristica principale della civiltà greca, conteneva in sè il germe e la possibilità di vasta propagaz:one e d' influenza sulle altre culture ed ebbe le proprie manifestazioni nella religione, nella politica, nella filosofia, nelle lettere, nelle arti: in ciascuno di ·questi campi la Grecia ha lasciato monumenti fecondissimi ed imperituri.

« Per mezzo di Rofl'!à il pensiero ellenico fu diff'uso a tutto il mondo antico, traversò il medio evo senza soccombere vasione e alla dominazione barbarica, si ravvivò col rinascimento, e ancora oggi è fondamento d'ogni elevata cultura. » ( Rinaudo ).

Notizie geografiche. - La Grecia può essere divisa in quattro parti : settentrionale, centrale, maridionale ed insulare.

La Grecia settentrionale è tagliata in due dalla catena del Pindo che lascia ad est la Tessaglia e ad pvest l' Epiro.

La Grecia centrale, detta anche Ellade estendesi a sud fino all' istmo di Corinto, e comprendeva nove contrade: l' Acarnania; l' Etolia; la Locride; la Dori de costituita dalla vallata del fiume Pindo; la Focide (famosa per l'oracolo di Delfo); la Locride orientale; la Beozia (ricca di città famose: Tebe, Cheronea, Coronea, T espi, Leuctra, Delio, Platea); l'Attica (potente per il commercio marittimo; celebre per le città di Atene e Maratona); la Megaride.

La Grecia meridionale detta Peloponneso costituisce una penisola legata al continente per l' istmo di Corinto, comprendeva

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sette contrade: la Corinzia (con la città di Corinto); l' Acaia (celebre per le 12 città confederate); l' Elide; l' Arcadia (regione centrale del Peloponneso); l' Argolide (celebre per le città di Argo, Tirinto, Micene, N"auplia, Ermione); la Laconia (celebre per la città di Sparta); la Messenia (con la città di M esse n e e Pii o).

La Grecia insulare comprende tutte le numerosis si me isole che circondano il paese: ad ovest: Corcira, Leucade, ltaca e Cefallenia; a sud : Citera e Creta ; nel mare Egeo: Egina e Salarina che spettano all'Attica; Eubea; le isole Ci eiadi; le Sporadi; e più a sud Rodi, e più ad est Cipro; e infine risalendo a nord verso le coste dell' Asia Minore: Samo, Chio, Lesbo, Tenedo, Lemno, Samotracia, Taso.

Alla storia greca è strettamente legata la regio11e che si stende ad est della catena del Pindo e a nord della Tessag lia e del mare Egeo, regione di aspetto vario ora montuoso e ora piano, con una costa estesissima ed irregolare, regione che fu tra le prim e ad essere colonizzata dalla Grecia. Questa regione è divisa in due parti quasi uguali dalla catena del Rodope e dal corso inferiore del fiume Nesto: la parte occidentale è la Macedonia, l'orientale la Tracia.

Della Macedonia ri cordiamo · le città di filippi, Amfipoli, Te ssalonica, Pidna. Le più importanti città della Tracia furono quasi tutt e di origine greca quelle sulla costa (Gallipoli, Bisanzio, Sesto) e di origine romana quelle dell'interno ( Filippopoli, Adrianopoli, Traianopoli e Nicopoli ).

Etnografia dei popoli grecL - Scrittori greci ritengono che i primi abitatori della Grecia fossero autoctoni, cioè nati n el paese, e si chiamassero Pelasgi; affermano anzi che Pelasgia fosse il primitivo nome dell' Ellade.

Oggi si ammette invece generalmente che dall' altipiano del Pamir sia discesa una tribù aria in tempi antichissimi, che potrebbe corrispondere ai Pelasgi. Questi, migrando ad occidente, penetrarono nell' Europa. lvi si divisero: gli uni continuarono il cammino e si stanziarono nella penisola centrale dell' Europa meridionale, costituendo i popoli italici; gli altri si arrestarono nella penisola orien tale, formando i popoli ellenici. Entrambi i gruppi pelasgici erano divisi in parecchie tribù con propria denominazione. Probabilmente gli Elleni furono una delle tribù pelasgiche stanziatesi s u

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territorio greco, che avendo acquistato preminenza sulle altre, estese a tutte il suo nome.

Cosi gli Elleni, che compaiono nel periodo storico, non sarebbero altro che i Pelasgi del periodo preistorico i quali alla loro volta sono cii stirpe ariana. l Dori, gli joni, gli Achei e gli Eolii sono quindi schiatte elleniche, che per caratteri speciali conservarono nella nazione la loro particolare denominazione. ( Rinaudo ).

Fasi della storia greca. - Le fasi della s tori a g reca si possono distinguere in due età principali:

- l' età eroica che va dalla prima apparizione degli Elleni nella Tessaglia al ritorno dei Ored dalla guerra di Troia, cioè all' incirca dal 1400 al 1184 a. C.;

- l' età storica propriamente detta e che si può fare iniziare appunto dal ritorno dei Greci dalla guerra di Troia.

L' età eroica. - Le tradizioni popolari e poetiche parlano dell' età eroica come di un periodo di straordinarie avventure dovute ad individui valorosissimi (eroi) che evidentemente devono sintetizzare l' opera compiuta da .quegli emigranti ( Ar"i) provenienti dall'Asia Minore che si stabilirono in Grecia fondandovi città e dando una stabile forma sociale ai primifivi abitatori. Questo periodo eroico, del quale noi abbiamo notizia solamente attraverso la Mitologia, fu anche chiamato età dei re, ma ciò con poca esattezza: perchè la caratteristica di questo periodo non è il trionfo dell' autorità re gia, sibbene il trionfo dell' individualesimo sia presso gli uomini che presso gli Dei dell' Olimpo: le favo le mitolo giche infatti ci dimostrano quale gusto prendessero gli Dei minori a impunemente ribellarsi al tonante Giove.

Sono di questo periodo le leggende di:

- Minosse, saggio re di Creta, che distrusse la pi rateria, introdusse utili leggi, ese rcitò salutare dominio;

- di Elleno, fi glio di Deucalion e, che si mise a capo di genti che da ltli presero il nome di Elleni, mentre il fratello Amfizione, capo dei Locri, istituiva alle Termopoli l'assemblea periodica degli Anfizioni (rappresentanti delle tribù confederate) il cui scopo era di favorire lo sviluppo della nascente civiltà. In quelle riunioni si celebravano giuoc hi, si offrivano sacrifici, si sospendeva qualsiasi atto di ostilità;

- di Edipo, figlio di Lao re di Tebe; di Bellerofonte; di Perseo; di Teseo, figlio di Egeo re di Atene.

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Queste ed altre numerose leggende, ci d à nno l' idea lontanissima della prima età greca.

Mischia tesi le nuovt genti alle popolazioni indigene, ordinate le tribù, fondate le città, stabiliti diversi centri di attività, la nascente civiltà greca irraggia verso le regioni contigue, appalesandosi con ardite spedizioni da prima isolateJ e delle quali abb ia mo già qualche cenno nelle leggende precedentemente ricordate, poi, a mano a mano, eseguite da pochi e piccoli Stati riun iti in mome ntanea federazione, finalmente da molti di quegli Stati, da quas i ci oè tutta la Grecia; sped izioni ed imprese già di carattere nazionale che miravano specialmente a rioccupare le coste di quell'Asia Minore dalla quale era venuto il primo incivilimento ed alla quale si tendeva come al riacquisto dell'antica patria. Di queste imprese c'è già un notevolissimo esempio nell'età eroica, nel racconto cioè di Erco le e delle sue dodici fatiche, in quello di Gias one e la spedizione degli Argonauti, e infine nel racconto della guerra di Troia.

Questi avvenimenti ispirarono tutta l' arte greca, e segnatamente i due poemi attribuiti ad Omero: l' llliade e l' Odi ssea.

Cagione effettiva di tutte que ste lotte: la te ndenza alla dilatazio ne ellenica in Oriente, il bi sog no di fondar colonie, la spera nza di distruggere uno Stato che faceva ostacolo al commercio e alla crescente potenza della Grecia.

L' assedio e la presa di Troia non furono fertili per i greci di immPdiati vantaggi materiali, ma furono di grande utilità per l'ordinamento interno, poich è ne lla comune impresa si fu se ro gli spiriti delle diverse tribù e ll en ich e ed emerse, possente fattore di civiltà e di progresso, la loro un ifi cazione morale. Da quella guerra derivarono radicali tra s for mazioni interne dell a Grecia, che s i manifestarono con due fatti:

- la abolizione del potere regio al quale s uccede, il gove rn o, in generale, aristocratico nei diversi principali centri della Grecia;

- il movimento migratorio verso l' Asia.

L' età s torica. - La data, ipotetica, de ll a guerra d i Troia: 1 184, segna l' inizio dell'età storica; segna il momento a cominciare dal quale si svolge un complesso di avvenimenti, sempre meglio e sempre più accertati, avvenimenti che ne l loro complesso se rvono a ricostruire la sto ri a del popolo greco: di questi avven imenti cercheremo di dare ora un rapidissimo cenno storico.

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Le fasi della civiltà greca nell'età storica si possono riassumere in quattro periodi principali:

- primo periodo, o periodo di formazione, nel quale i primitivi popoli ellenici, si espandono nell'interno della Grecia; iniziano la vera e propria colonizzazione greca fuori della Grecia; iniziano la formazione delle principali istituzioni nazionali delle quali rapidamente si affermano quelle d i Sparta e quelle di Atene;

- secondo periodo, o periodo di affehnazione nèl quale la intera civiltà greca assume carattere nazionale e si a p palesa · con le guerre · difensive, con la preponderanza di Atene, con il sempre maggiore estendersi delle colonie;

- terzo periodo, o periodo di trasformazione caratterizzato dalle lotte per l' egemonia e per la supremazia all' interno, lotte che segnano il decadere della preponderanza ateniese, il sorgere, l'affermarsi, il decadere della preponderanza spar tana, la momen · tanea egemonia di Te be e la fine della indipendenza greca;

- quarto periodo, o periodo di espansione, caratterizzato dalla prevalenza macedone in Grecia, dal dilatarsi della civiltà greca in Oriente, dalla formazione ing ra ndimento e sfasciamento dell' impero Macedone e infine con la decadenza degli ultimi stati greci, l' invasione romana e l' influenza della civiltà greca sulla cultura latina.

Periodo di formàzione. - Abbiamo detto che la prima caratteristica di questo periodo è l'espansione delle prime tribù elleniche nell' interno della Grecia; vere e proprie grandi migrazioni di tribù segnano infatti l' inizio di questo periodo, inizio non ancora completamente spoglio di leggende: il più importante di questi movi · menti fu quello originato dai Tessali, tribù se lvaggia dell' Epiro. Narrasi che i Tessali, valicata la catena del Pindo, invasero la regione orientale che poi da loro prese il· nome di Tessaglia sottomettendo gli indigeni od ohbligandoli ad emigrare. Tra gli emigrati furono i Beoti. Movendo verso sud i Beoti penetrarono nell ' Ellade; i Dori che abitavano l' Ellade, si lanciarono allora alla conquista del Peloponneso . La popolazione indigena, soprafatta, parte restò in servitù, parte emigrò verso l' Attica dove fu inseguita dai Dori invasori che però ven-nero respinti dal valore degli ateniesi.

Poco numerosi i Dori, per assicurare il loro dominio si concentrarono a Sparta, vi si ordinarono con forte costituzione militare ed aristocratica, ordinamento che trovò la sua sanzione nelle ferree

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leggi di Licurgo, stabilite con l' intento di assicurare il dominio al popolo conquistatore, conservare ai discendenti dei Dori la superiorità del vigore fisico e morale, unico mezzo per padroneggiare una popolazione più numerosa, non priva di coraggio e che aspirava sempre a riacquistare l'indipendenza.

Gli Spartani, il cui coraggio fu rianimato dai canti dell'ateniese Tirteo, estesero il proprio do mini o su llna gran parte del Pel oponneso e con altre fortunate guerre contro gli Arcadi e gli Argivi si assicurarono il completo dominio su quella contrada, acqu istandosi grande potenza in Grecia e grande fama anche presso gli Stati dell'Asia Minore.

La grande invasione dorica affermatasi nella Laconia, nella Messenia e nell' Argolide, era invece stata fermata nell'Attica, ove i Dori, impossibilitati a prevalere per l' eroica resistenza ateniese, si erano poco per volta fusi con le popolazioni indigene. Questa fusione fu agevolata dalla libera costituzione ateniese.

Dracone prima, Solone poi riformarono le istituzioni. Leggi severe con Dracone, miti con Solone strinsero i legami della famiglia, migliorarono la sorte dei poveri, distribuirono pesi e funzioni in ragione del censo. Solone istituì l'Areopago, ordinò i tribunali, prescrisse e ordinò l' ospitalità, mitigò la schiavitù.

Così mentre i Dori di Sparta instauravano un tirannico dispotismo verso i soggdti privandoli dei diritti e considerandol i schiavi (iloti), i Dori che si fermarono nell'Attica trovarono ambiente ospitale e favorevole che favorì la loro fusione con gli indigeni.

Il governo ateniese ebbe subito quindi la sua impronta democratica: questa però per affermarsi durevolmente dovette prima superare e vincere un periodo di tirannia rappresentato da Pisistrato al quale però Atene deve I' inizio del proprio splendore .

La seconda caratteristica di questo periodo è l' inizio della colonizzazione greca.

L' espansione delle tribù elleniche nell' interno della Grecia, suscitò tanto scompiglio fra le varie popolazioni che parecchie di queste, sia per non sottostare a nuovi padroni, sia per trovare più conveniente e più stabile sistemazione, lasciarono la Grecia e si sparsero nelle isole e sulle coste dell'Asia Minore. Molti Achei, espulsi dal Peloponneso avevano trovato rifugio in Beozia, da dove unitamente ad alcuni indigeni emigrarono in Asia Minore: fu questa la migra:z.ione eolica (i Beoti era n o Eoli ), che, fatta sosta a Lesbo, e fondatevi alcune città, si stese poi in Asia Minore dalle

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falde del Monte Ida alla foce dell' Ermo, fondandovi le città di Cuma e Smirne.

Le tribù ioniche app r odarono alle Cicladi e si stabilirono sulle coste dell'Asia Minore tra le foci dell' Ermo e del Meandro.

Alcune tribù doriche, continuando il moto migratorio del quale abbia m o già parlato e che diede origine alla potenza di Sparta, dal Peloponneso passarono a Citera, a Creta, a Rodi e approdarono in Asia Minore stabilendovisi a sud delle colonie ionich e.

Così la civiltà greca iniziò la propria affermazione nell ' Egeo e nell'Asia Minore.

Caratteristico il sistema coloniale greco di questo peri od o: ispirato sempre a principi di libertà assoluta.

La metropoli non conservava il dominio politico sulle colonie, anzi cia sc una di que s te , pur mantenendo talora stretti vincoli co n la madre patria, formava uno Stato autonomo con propria fisionomia e sviluppo storico speciale: lotte sa nguinose ebbero anzi a verificarsi tra le colonie e la metropoli.

Le colonie asiatiche si collegarono talora in federazioni, distinte per gruppi etnici, si ebbero così le tre leghe eolica, ionica, dorica.

La terza ed ultima caratteristica di questo periodo è in fine il sorgere e l' affermarsi delle istituzioni nazionali.

l greci, sempre divisi in m olti Stati se mpre in lotta fra loro, si unirono però, nei tempi di maggior progresso, attorno ad alcune città prevalenti, essenzialmente Sparta ed Atene, della cui origine già abbiamo detto. Ma oltre il sorge re di queste caratteri s tiche, per quanto diverse, isti tuzioni statali greche, sorsero in questo primo periodo, o periodo di formazione, del quale stiamò parlando, istit uzioni di vero e proprio cara tter e nazionale.

L'id entità di stirpe e di lingua, la comunanza di religion e, di indole e di costumi se non portò alla for m azione di un grande unico stato, portò invece alla celebrazione di riti d i ver o e proprio carattere nazionale.

l Greci adoravano le m edesime divinità, cantate dai p oe ti e raffigurate nell'arte: s i istituiron o quindi associazioni fra p arecc hi Stati limitrofi per celebrare in co m une alcune solennità: sorsero così le Amfizionie. Di tutte la più celebre fu quella di Delfo nella Focide. La comune fede in certi Oracoli induceva Greci proveni enti da va rie region i, a riunirs i per consultare la divinità su p roblemi di carattere nazionale: celebri furono l'oracolo di Gio ve a

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Oodona, di Apollo in Delfo e di Giove in Olimpia. In occasione di questi responsi si tenevano giuochi e gare grandiose. Sorsero così le Olimpiadi che si tenevano ogni 4 anni in Olimpia nell'Ellade in onore di Giove; i giuochi pitii che avevano luogo ogni tre anni in onore di Apollo, nella pianura di Cirra, e che comprendevano oltre le gare ginnastiche, anche gare poetiche e musicali; i giuochi nemei istimici che ricorrevano ogni due anni: i prum m onore di Giove nella valle Nemea, i secondi in onore di Nettuno sull'istmo di Corinto: in entrambi vi erano gare ginnastiche, poetiche e musicali.

La celebrazione di questi giuochi assumeva l'aspetto di una v era e propria manifestazio ne di carettere nazionale alla quale partecipavano greci di ogni città.

Periodo di affermazione. - Avvenimenti caratteristici di questo secondo periodo, o periodo di affermazione, sono:

- le guerre contro i Persiani, delle qu!lli parleremo in un capitolo a parte così come il programma, seguito nello svolgimento di questo libro, comporta;

- la preponderanza di Atene, che potente per mare , si pone a capo di una repubblica federativa di Stati greci.

Vittoriosamente finite te g uerre contro i Persiani, le colonie greche dell' Egeo e dell'Asia Minore, forti della ottenuta vittoria, ancor pitl si espandono nel bacino del Mediterraneo, ovunque sempre più affermando la civiltà greca. È questo il maggior momento del trionfo della civiltà greca, dovuto, come più appresso diremo, principalmente ad Atene. È in questo periodo che Atene vanta uomini come

- Temis tocle che riedifica le mura di Atene, il Pireo e la flotta ateniese, ma colpito poi dall'ostracismo ripara e muore .. in Persia;

- Aristide il giusto che dopo aver assicurato la preponderanza di Atene, muore povero, onorato;

- Cimone, figlio di Milziade, che distrugge la pirateria, scaccia i persiani dalla Caria e dalla Licia, annienta la loro flotta, ristabilisce la pace fra Atene e Sparla; /

- Pericle ( 449 -4 19) che fra tutti gli uomini celebri di quel tempo emerge per virtù cittadine e private.

Nato da illustri parenti, educato sel.:ondo i precetti di una sublime filosofia, eloquente, energico, d'animo elevato, prudente,

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calmo, dignitoso, accorto moderatore dello spirito pubblico, Pericle esercitò, per sola autorità del suo genio e delle sue virtù, un dominio incontestato in Atene. Egli alleviò agli alleati il peso della preponderanza ateniese; accreditò, con sa via amministrazione, la potenza della sua patria; fondò nuove colonie; mantenne sempre pingue il tesoro; pronta la flotta; ornò Atene di splendidi monumenti; la fece diventare sede eletta delle lettere, delle arti, delle scienze. Alla città sacra a Minerva accorsero i più eletti ingegni, i più illu stri uomini della O recia, che prendevano parte alle gentili feste; ai nobili piaceri, alle pompe religiose, alle rappresentazioni t eatrali, dove si ricordavano i fatti eroici della patria. Al fianco di Pericle si vedevano i poeti tragici Sofocle ed Euripide; l'oratore Lysios; lo storico Erodoto; l' astronomo Melone; il padre della medicina, lppocrate; il poeta co mico Aristofane; il sommo scultore Fidia, ed i pittori Apollodoro, Zensi, Polygnato e Porrhasios; i due im mortali filosofi Anassagora e Socrate; da poco era morto Eschilo; erano prossimi a fiorire Tucidite, Senofonte, Platone, Aristotile. Quell'epoca splendida fu, a giusto titolo, detta il secolo di Pericle ed Atene vi meritò il nome d' istitutrice della Grecia; i posteri aggiunsero, e noi ripetiamo, riverenti, del mondo intero. {Cosentino).

Periodo di trasformazione. - Le vittorie greche sui Persiani avevano permesso il libero fiorire delle colonie greche d'As ia Minor e, e dei vari s ta ti nei quali era divisa la madre patria. Questi vari stati gravitava no naturalmente verso i più importanti centri di attrazione, rappresentati esse nzi almen te da Sparla e Atene, ciascuna delle quali aspirava alla egemonia e alla preminenza su tutta la nazione. La istintiva rivalità fra queste due città, libere ormai da ogni preoccupazione di invasione straniera, si tradusse ben presto in contesa e aperta lotta armata.

La lotta fra Atene e Sparta diede luogo alla guerra del Peloponneso: Atene decade e Sparta afferma la propria preminenza sull'intera Grecia. Ma me ssa fuori causa Atene, l' eterno dissidio fra le città greche provoca una ribellione contro la supremazia di Sparla. E una nuova città, Tebe, sorge emula di Sparta.

Attorno a queste tre città, Atene, Spada, Tebe, si raggruppano, a seconda dei propri particolari interessi, le altre città greche: e la lotta arde fierissima fra le città stesse, alimentata dall' antica nemica della Grecia, la Persia chiamata dai contendenti per più facilmente ottene r e la sconfitta dell'avversario.

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M. VALLETTI- BoRGNJ:-.1, Storia Politico-militare ecc. - Vol. l. 4

Questa lotta fratricida costituisce appunto la caratteristica di questo terzo periodo, o periodo di trasformazione i di essa parleremo in un capitolo a parte così come il programma comporta. La chiamata dei Persiani nelle contese interne fra le varie città greche, ci dimostra intanto il completo decadimento della dignità e dello spirito nazionale greco, ci dimostra cioè come la Grecia, ormai in piena decadenza, fosse matura . per la dominazione straniera .

Periodo di espansione. - Nel precedente periodo di trasformazione, Atene, come vedremo, era stata abbattuta da Sparta; Sparta da Tebe; Tebe dovette piegarsi sotto il peso degli sforzi fatti per il raggiungimento di uno scopo troppo grande per le sue forz e limitate. Così nessuno Stato grec<? riuscì ad essere un vero centro di formazione nazionale, nè potè essere una sicura base per la diffusione della civiltà greca: questa viene invece propagata da un governo esterno ma di origine greca, un governo che, riuniti i residui degli Stati greci, completa la missione della civiltà greca divulgandola ed imponendola fuori della Grecia stessa.

Filippo, giovine principe macedone, educato a Tebe e cresciuto nell 'intimità di Pelopida e di Epaminonda, fattosi proclamare re del suo paese povero e travagliato da lotte riordina lo Stato, ricostituisce l' armata, organizza la falange, s' impossessa di alcune colonie greche limitrofe ove trova: legname per costruire navi, e miniere d'oro; penetra in Tracia i tende a Bisanzio. Chiamato da Tebe, interviene nelle lotte fra le città greche e invade la Tessaglia. Poco dopo malgrado la vigilanza di Atene e l'eloquenza di Demostene, che contro di lui pronunzia le celebri filippiche, occupa parte dell' Attica e si rivolge poi verso il Chersoneso tracio stendendo il proprio dominio fino alle regioni danubiane.

La potenza acquistata da Filippo il Macedone, induce Tebe a collegarsi ad Atene contro di lui. Ma filippo vince a Cheronca, e riesce a farsi nominare generalissimo dei Greci contro i Persi: senonchè a 47 anni, per istigazione dei persiani, filippo viene assassinato {336 ). La Macedonia intanto, forte per disciplina militare, fiera della sua missione, assume l'egemonia della penisola ellenica.

Platone, Aristotile, Prassitele aumentano, in questo periodo, lo splendore della civiltà greca.

Alessandro, figlio di filippo, compirà, come vedremo in apposito capitolo, così come il p rogra mma comporta, la spedizione

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asiatica, ideata e non potuta compiere dal padre, Filippo: compirà cioè la definitiva c com p leta affermazione della civiltà greca.

Per completare questa rapidissima sintesi storica relativa all' afferma rsi della civiltà greca nel Mediterraneo dobbiamo brevemente parlare delle colonie g reche in Italia .

Le colonie greche in Italia. - Nel VII seco lo gli stabilimenti dei Greci in Italia circondavano tutta la regione più meridionale d ella penisola italiana: da Taranto per Sibari, Crotone, Locri, Reggio, andavano, con una catena non interrotta di città, fino a Cuma e alla vicina isola Pitecusa. Esse costituivano la così detta Magna Grecia. Verso oriente la loro espansione era contenuta dai Messapi stirpe irrequieta e battagliera; verso occidente invece dagli Enotri. Tra le colonie greche meritano speciale ricordo:

- Sibari, fondata n e l 720 da una immigrazione di jon'i sul confluente tra il Sibari ( Coscile) e il Crati. La fertilità del suolo, ricco di grani, d'olio e eli vino e le miniere argentifere erano causa principale della ricchezza di Sibari; e fonte notevolissima allo sviluppo del commercio tra Ionio e Tirreno. Navi greche, egizie e fenicie giungevano per canali fino ai magazzini della città, ove numerosissi me colonne di salmerie prendevano le merci e pel valico d i Campo Tenese, le trasportavano sino a Laos sulle rive del Tirreno, da dove venivano avviate ai paesi etruschi, evitando così alle navi il lungo giro attorno alla Sicilia o la pericolosa traversata dello stretto di Messina. Sibari diventò così il centro di un vasto dominio che abbracciava 25 città; fu città celebre per l'eccesso di lusso e di sfarzo dei propri abitanti.

- Crotone ( Cotrone ), antica città italiota, ove, sulla fine dell' VIII secolo vennero a stabilirsi negozianti e marinai greci. La città crebbe presto in potenza diventando l' emula di Sibari. Pilagora, stabilitosi a Crotone volle porre una tregua alle contese fra le colonie greche, promovendo fra loro una lega : ma Sibari che vedeva in tale fatto una d iminuzione della propria potenza, mosse in guerra contro Crotone. L' esercito sibarita, forte di 300.000 uomini, tre volte superiore a l crotonese, fu sconfitto. La cavalleria sibarita montata sopra cavalli di lusso, non abituata alle fatiche e all e vicende della guerra, fuggì impaurita provocando il panico fra la fanteria. Sibari, stretta d' assedio, cadde dopo 70 giorni di res istenza: gli abitanti furono dispersi e la città demolita.

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La rovina di Sibari ebbe conseguenze gravtsstme: le popolazioni italiote minacciarono le greche i l'influenza greca sul Tirreno fu troncata; le colonie della Magna Grecia scemarono d' importanza.

Crotone, impotente ad opporsi a tale stato di cose divenne ben presto preda dei signori di Siracusa.

Infatti, la colonizzazione greca, si era intanto estesa anche sulla Sicilia ove erano sorte le fiorentissime colonie di Siracusa, Agrigento e Gela (Terranova).

Come al solito la lotta non tardò a scoppiare anche tra queste città. Gelone, tiranno di Gela, s' impadronì di Siracusa, vi trasportò il centro del proprio dominio che estese poi da Me ss ina ad Agrigento, e difese la Sicilia contro l' invasione cartaginese.

Come già sappiamo, i Fenici, eliminati poco per volta dal bacino orientale del Mediterraneo, dalla prevalenza greca, malgrado l' enorme aiuto dato dalle navi fenicie ai persiani, si erano rifugiati in una loro colonia affermatasi nel baci no occidentale del Mediterraneo stesso: Cartagine. La nuova colonia fenicia voleva imporre il proprio dominio sulla Sicilia: un' armata cartaginese (dicesi 3000 navi con 300.000 armati) condotta da Amilcare approdò a Palermo e assediò l mera (Termini). Gelone con 50.000 fanti e 5000 cavalli corre in aiuto della città assediata, affro'lta l'esercito cartaginese e lo batte: Cartagine chiede pace e offre un forte contributù d i guerra.

L'autorità di Gelone fu così riconosciuta in tutta l' isola. A lui succes se il fratello Gerone, che richiesto d'aiuto dai Cumani contro le piraterie degli E:.truschi e dei Cartaginesi, sconfisse presso Cuma la flotta cartaginese: Pindaro celebrò questa vittoria che tanta supremazia diede a Siracusa.

La potenza di Siracusa dava ombra ad Atene: ma la spedizione fatta da Atene per impadronirsi di Siracusa finì in un disastro ( 412): lo vedremo parlando della guerra del Peloponneso.

Morto Gerone, Siracusa era passata ad una forma di governo dem ocra tico i i cartaginesi aveva no ripreso l e ostilità: Se linunte e lmera erano cadute nelle loro mani. A lmen1, il condottiero cartaginese, Annibale, aveva fatto immolare 3 .000 prigionieri in memoria del suo predecessore ivi sconfitio 70 anni prima. Siracusa stessa era minacciata.

Si afferma in questo momento, quale tiranno di Siracusa, Dionigi il vecchio, ch e instaurato un dispotico ma utile ordine di cose,

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viene temporaneamente a patti con i Cartaginesi; mette a profitto la tregua per rinforzare il proprio potere, e rinsaldare i vincoli tra le colonie greche e dopo dieci anni di preparazione, riprende la lotta contro i Cartaginesi. È celebre, di questo momento storico, l'assedio di Siracusa e l' incendio della flotta cartaginese, inizio della definitiva cacciata dei cartaginesi dalla Sicilia.

A Dionigi il vecchio successe Dionigi il giovane, suo figlio, e poi una forma di governo democratico: ma, a questo punto la storia si riallaccia agli avvenimenti della storia romana che vedremo in seguito.

Abbiamo così rapidissimamente tracciato le linee della storia greca; vediamo ora, seguendo sempre le indicazioni del programma prefissoci: quali fossero le istituzioni sociali e militari di Atene e Sparla;

- quale svolgimento hanno avuto le guerre con i Persiani e la guerra del Pcloponneso;

-e quali sono state le imprese militari di Alessandro il Grande.

Le istituzioni sociali e militari in Atene e Sparta.

Età eroica. Non esistono documenti precisi per ricostruire tutto quanto si riferisce alla vita pubblica e rrivata del popolo greco nell' età eroica: tutto quanto sappiamo al riguardo è stato a noi tramandato dalle due opere attribuite ad Omero.

Caratt eristich e ed importanza delle istituzion i sociali di Atene e Sparta. - Sparta e Atene rappresentano due differenti punti di vista, due differenti momenti _ideali di quella che fu poi detta la civiltà greca.

Nello stato spartano prevalsero l' aristocrazia c il dominio tirannico di una casta vincitricc; le istituzioni militari ebbero il predominio su quelle sociali, queste anzi furono sempre subordi· n ate a quelle.

In Atene preva!gono invece istituzioni largamente democratiche, l eggi miti e un brillante sviluppo delle arti, delle lettere, della poesia, della scultura.

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In Sparta non si hanno che guerrieri e forti cittadini soggetti al rude dominio dello Stato; in Atene filosofi e cittadini liberi, uniti allo Stato da legami semplici e sottilissimi. Sparla, provvedendo esclusivamente alla educazione del corpo, mirava al potere materiale; Atene, curando precipuamente quello dello spirito, tendeva al dominio intellettuale e morale.

Unite, avrebbero potuto formare un potente Stato, divise si logorarono a vicenda. Ma la civiltà greca fu civiltà ateniese.

Nessuno negherà le virtù militari di Sparla, la sua disciplina, la sua temperanza: ma di queste virtù gli altri Elleni non andarono privi. Assurdo sarebbe voler agitare la questione se Sparta, con la sua vita incolta, od Atene, con la sua ammirabile costituzione, ha più fatto per la gloria degli Elleni e pel bene dell' umanità.

Sopprimete Sparla, la dorica, e il nome degli Elleni nulla perde del suo splendore: sopprimete Atene dalla storia e lo splendore della Grecia si offusca e l' umanità retrocede. La civiltà greca è civiltà ateniese: la quale per lungo volgere di secoli si è propagata, fecondatrice, presso i popoli tutti sì dell'oriente che dell'occidente. (Cosentino).

Le Istituz ioni sociali a Sparta. - Abbiamo già visto l'origine dello stato spartano.

La Laconia, prima che i Dori scendessero dal settentrione della Grecia alla conquista del Peloponneso, era abitata da popolazione di stirpe Achea; con l' invasione dorica tutta la regione, non senza lotte nè senza resistenza, venne in potere del nuovo popolo. Fu anzi a causa delle lotte fra i nuovi dominatori e gli indigeni che tutta la popolazione venne divisa in tre classi : gli Iloti, i Perieci e gli Spartiati, classi aventi diritti dh·ersi di fronte allo Stato:

- gli Iloti erano i discendenti degli antichi abitanti che ,più avevano resistito all' invasione e perciò erano stati ridotti in servitù; non avevano diritti nè civili nè politici, ma appartenevano come prigionieri di guerra alla Stato che li distribuiva agli Spartiati dei quali coltivavano i terreni.:

-i Perieci, erano i discendenti degli antichi Achei che volontariamente avevano accettato la dominazione dorica; liberi della persona non godevano però dei diritti politici, erano dediti all'agricoltura, all' industria e al commercio;

- gli Spartiati erano invece i conqllistatori di stirpe dor ica, costituivano la classe dominante, erano i soli a godere di tutti i diritti civili e politici.

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Licurgo, personaggio leggendario, la cui vita oscura ed incerta viene posta tra il nono e l' ottavo secolo a. C. diede un primo stabile ordinamento statale a Sparta, basandosi, come già abbiamo detto, essenzialmente, sul concetto di assicurare ai Dori la sovranità del paese conquistato. Vediamo quali fossero le principali disposizioni delle leggi di Licurgo.

Sparta ci offre il curioso esempio di due re che sedevano contemporaneamente nello stesso trono: la loro dignità era e reditaria; essi, discendenti dalle due più importanti famiglie della Laconia , esercitavano l'ufficio di sommi giudici, sacerdoti e condottieri. Il loro potere andò però sempre scemando, concentrandosi nelle mani dei più potenti Spartiati (Efori) : Sparta può essere infatti considerata più una repubblica aristocratica che una monarchia.

L'eforato si componeva di cinque membri nominati ogni anno, in origine dai re e in seguito dall' assemblea popolare: divennero i veri reggitori dello Stato: erano essi che trattavano con gli altri Stati i sorvegliavano in pace e in guerra la condotta dei re e dei magistrati, e avevano facoltà di citare in giudizio gli uni e gli altri; convocavano il popolo; proponevano le nuove leggi; ultimato il loro anno di carica tornavano cittadini privati e potevano essere chiamati a rend er conto del loro operato dai nuovi efori.

Eravi poi il Senato, o consiglio degli anziani, comp cs to di 28 cittadini appartenenti alle più nobili famiglie i dovevano avere più di 60 anni ed erano eletti a vita dall' assemblea popolare. l due re erano i presidenti del Senato. l senatori assistevano i re e gli efori con i loro consigli, elaboravano le leggi proposte dagli efori; giudicavano nelle cause criminali di grande importanza. Infine vi era l' assemblea popolare, composta di Spartiati che avessero compiuto i 30 anni. L'assemblea si riuniva ad ogni plenilunio per i ma gis trati ed eventualmente i senatori e per deliberare, senza discussione però, sulle nuove leggi, sulla pace e sulla guerra e sui nuovi trattati. Solamente i re, i senatori e gl i efori avevano diritto di parlare in queste riunioni.

L' ordinamento statale f issato da Licurgo era quindi composto: dai re; dagli efori; dai senatori; dall' assemblea popolare.

Ma la fama di Licur go è specia lmente legata alle disposizioni relative alla educazione e alla di sc iplina degli Spartiati.

Partendo dal concetto di assicurare ai Dori la continua e definitiva supremazia nelle regioni conquistate, Licurgo cerca di legare

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indissolubilmente l' individuo allo Stato al quale quindi spettava l' obbligo di educare i giovani allo scopo di prcpararli alle armi a difesa dello Stato stesso, e rendere cos: difficile ogni mutamento nell' ordine di cose fissato dai primitivi Dori vincitori.

l Oori, molto inferiori di numero rispetto ai Perieci e agli Iloti, avevano bisogno di sopprimere a tale deficenza con la qualità: Sparta aveva bisogno di forti difensori. E perciò, appena nati i bambini erano sottoposti a diligente esame: se deformi o di gracile costituzione venivano esposti sul Taigeto c lasciati morire; quelli ritenuti validi restavano con la famiglia fino a 7 anni, dopo di che venivano affidati a un pubblico istru:tore. Essi venivano così addestrati agli esercizi ginnas tici, e a soffrire senza lamentarsi, fatiche, stenti, fame, sete, freddo e percosse; per soppri mere alla scarsità del cibo dovevano andare cacciando per le campagne e procurarsi di che vivere anche rubando: era solo punito chi si lasciasse cogliere sul fatto perchè aveva dato prova di poca destrezza.

Giunto così a vent'anni lo Spartiata entrava nell'esercito e solo a 30 anni egli poteva godere dei pieni diritti civili e politici, prender moglie, far parte dell'assemblea ed ess\!re eletto alle cariche statali.

Anche le donne erano educate alla streg ua degli stessi princip'i : come noto le donne spartane furono celebri per il loro animo virile e per il grande amor di patria.

Prescrizioni severissime imponevano inoltre la massima semplicità di vita e di costumi.

In sostanza la massima cura era posta nel preparare buoni soldati alla patria: limitata invece l'istruzione intellettuale dei giovani. Essi dovevano imparare a leggere e scrivere, imparare i poemi omerici e quel po' di musica e canto che fo sse sufficiente ad accompagnare le canzoni di guerra e gli inni sacri a gli Dei.

Le istituzio ni sociali in Atene. - Atene, fu, nei tempi eroici, retta a monarchia, forma di governo che si mantenne fin verso la metà del secolo X l a. C. L' ultimo re secondo la leggenda fu Codro che sacrificò la propria vita per salvare la patria minacciata dall' invasione dei Dori. La monarchia fu sostituita d all'arcontato che subi trasformazioni grandissime. Dapprim a fu nominato un arconte scelto a vita fra i discendenti di Codro; poi la carica venne ridotta a 10 anni, !imitandola però c;empre ai discendenti

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di Codro. Più tardi l'arcontato fu aperto a tutti i nobili; la carica diventò annuale e infine invece di un solo arconte, ne vennero nominati nove, scelti ogni anno dai nobili nella loro classe.

Il governo ateniese. divenne così una ristretta aristocrazia: di quì una lotta e continua da parte delle classi inferiori. Nel 62-l Dracone promulgò il primo codice di leggi scritte, leggi famose per la severità alla quale erano improntate: con queste leggi si poneva un termine all'arbitrio dei nobili, ma se ne consolidavano grandemente i privilegi politici: così la lotta tra le varie classi andè sempre più accentuandosi. Spetta a Salone, discendente di Codro, uomo di eccezionale dottrina, valorosissimo, grandemeute amato dal popolo, il merito di aver ricondotto la pace interna con la sua saggia legislazione.

Nominato Arconte nel 594 a. C. trovò l' Attica divisa in tre sezioni:

- i Pediei, o nobili, abitanti in genere nella pianura e nelle cui mani stava il governo;

- - i Parari, o abitanti delle coste, dediti alla navigazione e al com mercio, costituivano la classe intermedia e rappresentavano il partito moderato;

-i Diacri, o abitanti delle regioni povere montuose che erano quelli che maggiormente si agitavano per ottenere riforme politiche e socia li.

Salone provvide prima a liberare le due ultime classi e spectalmente la terza, dagli enormi vincoli ipotecari imposti dai nobili.

La riforma politica di Salone partì dal concetto di sostituire il privilegio esclusivo dei nobili nella direzione della cosa pubblica, con il diritto di tutti a seconda però della ricchezza di ognuno: t anto più grandi sono gli interessi e le prestazioni che legano· l ' individuo allo Stato, tanti maggiori diritti deve avere questo individuo nel pubblico governo. È questo lo spirito della riforma solonica; a seconda del censo, i cittadini furono quindi divisi in quattro classi.

I cittadini di tutte le classi furono chiamati a far parte dell' assemblea popolare; quelli delle tre prime classi furono ammessi alle cariche pubbliche; ma soltanto i cittadini della prima classe erano eleggibili alle supreme cariche dell'arcontato e all'areopago.

L'ordin am ento politico era basato su :

- l'assemblea popolare, o ecclesia, composta da tutti i cittadini; eleggeva gli arconti, i senatori e gli altri magistrati, sindacava l 'azione dei governanti; deliberava sulle leggi proposte dal senato;

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- il senato era composto di 400 membri eletti dall' ecclesia; preparava le leggi e i provvedimenti da sottoporre all ' ecclesia; i senatori erano eletti per un anno e potevano essere chiamati dall' ecclesia a rispondere del loro operato;

- l'areopago era formato dagli arconti usciti di carica senza censura; esercitava il potere giudiziario e la sorveglianza sulle istituzioni e sulle leggi;

- gli arconti che erano in numero di 9 e rappresentavano il potere esecutivo.

Tale è in sostanza l ' ordinamento statale fissato da Solone, ordinamento che assicurò a tutti i cittadini una certa partecipazione al governo, sebbene conservasse ancora un certo carattere oligarchico in quanto limitava alcune cariche pubbliche a determinate classi di cittadini.

Clistene (51 O a. C.) fu il primo riformatore veramente democratico. Abolì le antiche classi di cittadini e ripartì questi in dieci tribù comprendendovi i forestieri e gli schiavi emancipati; aumentò il numero dei senatori, distribuì più equamente diritti ed oneri; convocò più spesso l' assemblea popolare, avvezzando cosi il popolo alla trattazione dei pubblici affari.

Le innovazioni di Clistene avevano abbassato di molto il potere degli arconti: di quì malcontento prima e lotte civile poi, lotte alle quali parteciparono altre città della Orc:rcia come Sparta, Tebe e Corinto.

Così Atene, si avviava lentamente e a costo di lotte continue verso un ordinamento politico autonomo e popolare.

Per raggiungere il pieno trionfo della democrazia non mancava che un passo: l'ammissione alle pubbliche cariche di tutti i cittadini senza distinzione di classe: questa importantissima riforma venne compiuta da Aristotile.

Pericle, accentuò ancora il carattere democratico del governo privando l'Areopago del diritto di censura e dividendo il potere giudiziario fra l'Areopago e una rappresentanza del popolo.

Ma, morto Pericle, nessuno ebbe più l'autorità e la sapienza per guidare lo stato: il trionfo dei principi democratici si risolse in un dominio dei poveri sui ricchi. Di quì lotte accanite tra i fautori della democrazia e quelli dell' oligarchia. Atene visse così in una libertà piena di vizi finchè dovette per sempre soggiacere alla signoria straniera, macedone prima poi romana.

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L'educazione della gioventù in Atene, non mirava solamente, come a Sparta, a preparare dei forti cittadini per la patria, ma si fondava sul giusto equilibrio fra gli esercizi fisici e quelli intellettuali, nell'armonia fra corpo e anima.

Fino al sesto anno l'educazione era fatta in famiglia: poi continuava nelle Scuole. Queste erano sempre private. Le scuole erano in genere per i maschi, le femmine dovevano limitarsi ad imparare in casa a leggere e scrivere.

A 12 anni cominciava l' istruzione della musica che tanta importanza ebbe nell ' educazione greca e che era considerata come m ezzo efficacissimo di cultura dello spirito: alla musica si accompagnava poi il canto e la danza. l fanciulli si esercitavano anche negli esercizi ginnastici sempre però presso palestre tenute da maestri privati. Istituti statali erano invece i ginnasi, splendidi per vastità e ornamenti. Erano destinati ai giovani e agli adul!i; vi erano locali appositi per esercizi ginnastici, porticati, bagni, stad'i e locali in cui si raccoglievano a conve rsare uomini maturi e filosofi.

A 18 anni il giovane era iscritto tra gli efebi: cessava allora la sua educazione intellettuale e solo continuavano gli esercizi ginn astici come preparazione al servizio nella milizia.

l greci e l'arte della guerra. - Abbiamo visto quali fossero le caratteristiche dell'arte della guerra presso gli antichi popoli orientali:

- il popolo, simile a un gregge, è condotto, spinto o trascinato alla guerra dai sacerdo ti o dai capi che nella guerra hanno tutt o da guadagnare o tutto da perdere; l' esercito è costituito da masse in genere fortissime come numero, che si urtano frontalmente in formazioni dense e profonde senza alcun accenno alla manovra nel campo strategico e nel campo tattico.

L'arte della guerra è alla sua prima espressione: la quantità prevale sulla qualità.

Furono i Greci, p opolo ingegnoso e valoroso, che diedero in izio allo sviluppo dell' arte militare.

Presso gli antichi popoli orientali tutti sono solda ti perchè così v iene loro imposto: presso i Gr ec i spunta il sentimento che l' esse re soldato non è solta nt o un dovere e un peso, ma un diritt o. Fiero dell' indipendenza d ella propria città, continuamente in lotta con nemici altrettanto forti e belligeri e con opp re ssori

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-60stranieri, il greco capisce e sente la necessità della lotta di difesa e di offesa, capisce la nect'ssità di una lotta rapida e decisiva e la necessità quindi di saldi ordinamenti militari. Alla forza derivante dal numero si sostituisce la forza derivante dalla coesione morale, e dalla necessità quindi della lotta e della vittoria profondamente radicata in ogni combattente. La guerra si fa più agile, più ingegnosa: sorge la manovra.

L'arte della guerra presso i Greci passa attraverso tre momenti ben distinti, che corrispondono a tre momenti della storia greca:

-- nel primo momento la Grecia, tutta intesa a respingere l' invasione persiana, ci mostra un limitato numero di combattenti bene armati e disciplinati che resistono ai numerosi eserciti asiatici; le operazioni terrestri sono condotte in piena armonia con quelle navali; gli eserciti greci scelgono accuratamente il campo di battaglia onde mettere l'avversario nell' impossibilità di spiegare tutte le sue forze; la qualità cerca di supplire alla quantità;

- nel secondo momento la Grecia, respinta l' invasione persiana, è in preda alle lotte fra le sue varie città: gli eserciti avversari si equivalgono come numero, qualità, armamento, istruzione: si cerca quindi di migliorare le forme tattiche, prevale la sorpresa e lo stratagemma, prevale il genio del comandante;

- nel terzo momento, la Grecia sottoposta ormai alla Macedonia, tocca con Alessandro, l' apogeo dell'arte mi.:tare.

Le istituzioni militari in Atene e a Sparta. - Le istituzioni militari greche si identificano in quelle di Atene e le città minori si modellarono su queste due potenti città. Ma anche tra Atene e Sparla non troviamo differenze sostanziali: l'armamento, l' ordinamento, il modo di combattere, naturale conseguenza delle condizioni del momento, della natura, del popolo greco e del genere di guerre da detto popolo sostenute, cosi come già abbiamo indicato parlando dell'arte della guerra presso i greci, presentano necessariamente caratteristiche identiche, alle quali, ora accenneremo, mettendo in evidenza le poche sostanziali differenze .

Disriplina. - Variò da popolo a popolo secondo l'indole e i costumi speciali; quanto abbiamo già detto delle istituzioni sociali, ci dà subito una chiara idea del differente modo di sentire la disciplina a Sparla e in Atene.

A Sparla, l' educazione Jei cittadini, unicamente intenta a preparare forti soldati per la patria, porta ad una disciplina rigorosis-

si ma basata sul ri gore delle leggi; fin da giovinetto lo spartano impara che la morte per la patria costituisce il supremo bene dell' uomo, fatto adulto egli si avvia quindi alla battaglia come a una festa.

In Atene invece, il popolo più ingegnoso più vario, più sv iluppato, è meno rigidamente legato alla disciplina militare: l' individualismo predominante fa sì che più difficilmente l'individuo rinun ci alla propria libertà e volenterosamente accetti una ri gorosa disciplina: questa è perciò di gran lunga meno severa che non presso gli spartani L'ateniese però sa che morire per la patria è pur sempre un dovere.

In tutta la Grecia poi era coperto d'infamia chi avesse abbandonato il proprio posto durante la pugna.

Istruzione - In tutte le città greche i giovani frequentavano stabilimenti speciali ove si insegnavano le evoluzioni delle due armi, le norme per i com battim enti e tutto ciò che poteva servire sul campo di battaglia.

In Sparla si può dire che tutta la nazione non fosse che un esercito e il paese un campo militare: i cittadini erano continuamente esercitati alle armi.

In Atene, città democratica, ove i cittadini si davano al commercio, alle arti, alle scienze, vi erano determinate epoche destinate alle esercitazioni militari.

Il Comando. - Prevale in tutte le città greche, sempre gelosissime della propria indipendenza, il concetto di non affidare mai permanentemente il comando delle milizie ad un solo capo: e ciò nel timore che questo capo potesse con la forza, rovesciare ed abbattere l e libere istituzioni del paese.

In Sparla il comando dell' esercito è tenuto prima dai due re, poi da uno solo, mentre l' altro restava in città. In seguito la dir ezione della guerra è affidata agli efori, e il comando dell'esercito a speciali capi direttamente dipendenti dagli efori.

In Atene venivano no m i nati ogni anno dieci cittadini ( strateg., i) che erano preposti al comando dell' esercito e della flotta, ma che si alternavano giornalmente nel comando stesso: sotto di loro stavano lO tassiarchi e lO locaghi per la fanteria; 2 ipparchi e 1O fil archi per la cavalleria.

In complesso po ssia mo dire che la costituzione greca de l comando degli eserciti era alquanto diffettosa perchè mancava unità di direzione nella preparazione e nella condotta della guerra.

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Reclutamento. - l Greci f!On ebbero veri eserciti permanenti: questi si costituivano all'atto della guerra; solo nel periodo della decadenza si costituirono milizie mercenarie.

Il forte sentimento patrio fece altamente apprezzare ai Greci il principio che ogni ciitadino valido dovesse essere soldato. Il servizio militare era considerato un d iritto più che un dovere: esso gravava specialmente sulle classi pitl ricche. l cittadini di queste classi più elevate formavano la cavalleria e la fanteria grave; le classi più povere costituivano la fanteria leggera; gli schiavi erano adoperati come servi, operai e rematori. « Il filosofo combatteva nelle file accanto all' agricoltore proprietario, l' oratore accanto all' artigiano: tale fatto produceva nell'esercito greco quell' alto livello intellettuale e morale che, con gli stessi mezzi, si cerca di ottenere negli eserciti odierni » (Barone).

A Sparta tutti i cittadini dai 20 ai 60 anni sono obbligati al servizio militare: occorrendo erano chiamati anche i giovanetti e i vecchi.

In Atene tutti i cittadini dai 16 ai 60 anni dovevano far parte della milizia; però solamente quelli dai 20 ai 40 facevano parte dell' esercito mobile.

In tutti gli Stati era macchiato d' infamia chi non rispondeva all' appello.

Armamento: distinguiamo armi di difesa e di offesa;

- tra le prime, l'elmo, la corazza, le gambiere, lo scuuo;

- tra le seconde, la lancia e la spada.

L'elmo era di cuoio o di metallo; la corazza era rigida, o composta di numerose piccole lamine in modo da permettere i movimenti, diffusissimo l' uso della lorica di cuoio o di lino rinforzata da lastre metalliche; lo scudo era ovale o tondo: il primo copriva tutta la persona, il secondo era molto più piccolo: era di cuoio ricoperto di metallo, o di vimini ricoperti di cuoio;

- la lancia era di legno, lunga 2 metri circa, con punte metalliche alle estremità; la spada greca era generalmente diritta : gli spartani solamente usarono una spada speciale incurvata da una parte.

Vi erano poi armi speciali quali il giavellotto, l'arco e fionde per il lancio di pietre o palle di piombo.

l Greci usarono anche macchine da guerra, distinte, a seconda dei proiettili che lanciavano in:

- catapultae che lanciavano giavellotti di gran peso;

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- ballistae che lanciavano grosse pietre o saettoni.

Le une e le altre ricevevano la forza da corde tese e attorcigliate.

Ordinamento. - Due erano le armi: fanteria e cavalleria; più il personale speciale addetto alle macchine di guerra.

La fanteria era di tre specie:

- opliti: fanteria scelta, pesante, combattente a massa. armata di lunga picca, spada corta, elmo, lorica, gambiere e scudo ovale ( oplon);

- peltasti: fanteria mista adatta a combattere in massa e alla spicciolata, armata di picca corta, spada, elmo, lancia, gambiere e scudo tondo ( pelta) ;

- psiliti: fanteria leggera per combattere alla spicciolata, armata di giavellotto, arco e fionda.

Anche la cavalleria era di tre specie :

- catafratti; cavalleria pesante, armata di giavellotto, spada, elmo, lorica, bracciale, piccolo scudo, cosciali, gambiere e speroni; anche il cavallo coperto di corazze;

- greci; mista, armata di lancia e spada e di poche e leggere armi difensive;

- tarentini; cavalleria leggera poco stimata, armata di archi e giavellotti.

La cavalleria non usava staffe; la sella era costituita da pelli e gualdrappe.

Formazioni di combattimento . - Per la fanteria grave ( opliti) l'unità tattica è il sintagma, quadrato pieno di 16 opliti di lato e quindi della forza complessiva di 256 opliti: ogni sintagma ha un comandante proprio e si divide in reparti minori.

Per la fanteria mista ( peltasti) l'unità tattica è l' ecatontarchia, rettangolo di 128 peltasti disposti in 16 file di 8 peltasti ciascuna, con un capo e con suddivisioni in reparti minori.

La fanteria leggiera ( psiliti) combattendo sempre alla spi'::ciolata non ha unità tattica prestabilita.

Per la cavalleria pesante e mista, l' unità tattica è l'ila, gruppo di 64 uomini disposti o in quadrato di 8 cavalieri od in rettangoli di 16 per 4.

La cavalleria leggera non ha unità tattica prestabilita.

Ordine di combattimento: la falange.

Nei più grossi corpi tattici 16 sintagmi di opliti collocandosi uno accanto all'altro senza intervallo apparente formano la falange elementare, o semplice: rettangolo di 256 file su 16 righe .

Dietro alla falange semplice degli opliti, 16 ecatontarchie di peltasti disposti analogamente ai sintagmi formano un' epissenagia.

La riunione di una falange semplice e di una epissenagia. accresciuta di un numero indeterminato di psiliti ( 2000 e anche pitl) e di un cpitagma di catafratti (composto di 2 tulos o 16 ile) costituisce la falange greca.

Essa risulta migliore di quella asiatica per due motivi:

- date le numerose suddivisioni , è più flessibile, più maneggevole;

- è composta di liberi cittadini pronti a morire pur di ottenere la vittoria.

È sempre però un ordine profondo e pesante, atto piuttosto alla difensiva, come del resto ri chiedevasi dalla Grecia per infrangere le orde orientali e per resistere all' impeto della loro preval ente cavalleria: occorre inoltre per questa formazione un terreno piano, unito.

Tattica. - Schierate le truppe, s'intonava un inno: poi gli psiliti ini ziavano la lotta, sgombrando poi il campo per dar modo agli opliti di d are o ricevere l' urto.

Le prime righe di opliti abbassavano le picche per tenere l ontano gli assalitori. Se questi avvolgevano le ali erano le ultime righe che dovevano fronteggiare l' attacco. l peltasti servivano per pr o lungare la fronte o p er difendere i fianchi e il tergo degli opliti. La cavalleria mole stava i fianchi dell'avversario.

Fortificazione. - Molte ci ttà erano circondate da alte e robuste mura merlate, con fosso, torri, e doppia e anche tripla cerchia di mura; alcune città, come Atene, aveva!lo un' Acropoli: cittadella posta su un 'altura. Sparta non aveva uè mura, nè fosso, nè difesa alcuna creata dall' arte: la sua difesa erano i petti dei suoi giovani.

L ' arte di espugnare e difendere le città ebbe sv iluppo grandissimo.

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Cenni sulle guerre della Grecia contro i Persiani e sulla guerra del Peloponneso.

Cause delle guerre persiane. -- Come già abbiamo visto, Ciro, re dei Persiani, aveva esteso il proprio dominio su tutta l'Asia Minore sottomettendo anche parecchie isole dell' Egeo; Cambise, debellando il regno d' Egitto affermò l' assoluta egemonia della Persia su tutto il bacino orientale del Mediterraneo; Dario era penetrato in Europa dominando stabilmente la Tracia e la Macedonia: così la Grecia si trovò a confinare con la Persia per mare e per terra.

Dato il differente carattere tra la civiltà e le istituzioni persiane e greche, caratteri che abbiamo già messo in evidenza nei capitoli precedenti, è ovvio come un conflitto fra le due razze fosse inevitabile: due differenti e forti civiltà erano venute a contatto: esse dovevano necessariamente lottare per il predominio finale.

La lotta fu causata dalla rivolta delle colonie greche contro la supremazia persiana.

Dario corre allora alla riscossa: con una flotta fenicia rioccupa Cipro; con un numeroso esercito marcia contro le città greche dell'Asia Minore e con devastazioni, incendi e sanguinarie misure di rigore, soffoca la ribellione. Da allora le colonie greche non poterono mai più risollevarsi all'antico splendore.

Ottenuto ciò Dario, per completare ed assicurare la propria vittoria, concepisce l'ardito disegno di punire Atene per l'aiuto fornito alle colonie greche. Ma una tremenda burrasca distrugge la flotta persiana, mentre l' esercito persiano, guidato da Mardonio, rimasto privo dell' aiuto della flotta, è battuto dalla tribù trace dei Brigi.

La prima guerra pers iana. - Dario prepara allora una grande spedizione contro la Grecia: un esercito persiano di 100.000 uomini sbarca a Maratona. Sparta, richiesta d'aiuto da Atene, diffe· risce l' invio di forze armate: Atene si trova isolata, non ha come alleata che la piccola città di Platea.

Un esercito ateniese viene subito riunito: ma non sono che 10.000 uomini più mille plateesi : il comando era tenuto come sappiamo, da dieci strateghi che 3vevano il comando supremo per

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turno. Tra questi era Milziade. Nell'incertezza. sul da farsi che dominava gli stra teghi, Milziade fa prevalere il proprio concetto: attaccare l'esercito persiano. Avuto il comando per il giorno della pugna egli schiera l'esercito su una sola linea, con deboli forze al centro e con le ali invece molto forti.

Battaglia di Maratona 490 a. C. - Il campo di battaglia di Maraton a era costituito da un vastissimo terreno pianeggiante che andava l eggermente salendo dal mare fino ad una catena di mon· ti celi i che l'esercito greco aveva dietro di sè: i persiani erano addossati al mare. Sui fianchi dei d u e eserciti scorrevano due piccoli co r si d'acqua divergenti fra di loro, man mano che si avvicinavano al mare: lungo il loro corso il terreno era paludoso.

l due eserciti avevano quindi una fronte limitata, più stretta per i greci, più ampia per i persiani: il che costituiva in fondo un vantaggio per i greci, poichè i persiani non potevano combattere che sulla linea prescelta dai greci, linea cht- non permetteva il completo spiegamento delle più numerose forze persiane. MiiLiade aveva appositamente rinforzate le ali per impedire che i persiani s'incuneassero fra l' esercito greco e i due corsi d' acqua laterali.

L 'attacco persiano, trovato un punto di minor resistenza nel centro greco, portò una moltitudine confusa di combattenti ad attraversare la linea greca, mentre ai lati le ali dell'esercito greco restarono intatte. Mentre le disordinate colonne persiane, sicure ormai di aver soprafatta la resistenza greca, iniziavano l'ascesa delle alture, le due falangi greche che costituivano le ali e che si erano cor.servate in perfetto ordine, si ravvicinarono tra di loro, tagliando in due la disordinata massa persiana che si era in trodotta nel loro intervallo. Un panico enorme si diffuse rapidamente fra i persiani che videro l' unica via di scampo nelle loro navi ancorate nel porto: ma 6400 di essi non sfuggirono alla morte, mentre gli ateniesi perdevano solamente 192 uomini.

La seconda gue rra persia na. - Dopo la vittoria di Maratona infierisce in Atene la lotta fra Temistocle, fautore della democraLia e Aristide fautore dell' aristocraLia; il primo propugnava la costruzione di una grande flotta, il secondo invece quella di un grande esercito. Prevale T emistocle ed Atene inizia la costruzione di una potente flotta.

Intanto, morto Dario, il figlio suo Serse si preparava formidabilmente a vendicare la grave sconfitta di Maratona. A detta di

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Erodoto fu allestito un esercito di due milioni di combattenti , e una flotta di 1327 navi da guerra e 3000 navi ausiliarie; inoltre per agevolare la spedizione furono costruiti due ponti sull' Ellesponto.

Di fronte a così grandiosi preparativi le città greche tennero un congresso a Corinto: fu stabilito di cessare ogni discordia interna, fissare il cont r ibuto di ciascuno s tato alla guerra e affidarne la suprema direzione a Sparta.

Serse, traversato l' Ellesponto, prosegul la marcia lungo le coste della Tracia e della Macedonia: non trovando resistenza penetrò nella Tessaglia e la sottomise .

1 Greci, decisi ad impedire l'ingresso dei persiani nell' Ellade, avevano appostato un esercito alle Termopili: ma non erano che 7000 uomini. Guidava l' esercito il re spartano Leonida; l' altro re spartano guidava la flotta greca.

Le TermopilL - Serse, arrivato alle Termopili, affrontò quel pugno d' uomini che coraggiosamente respinse ogni attacco. Ma un traditore insegnò ai persiani un ignorato sentiero che, tra le montagne, portava la minaccia persiana alle spalle di Leonida. Questi quando s' accorse di essere aggirato, licenziò i suoi soldati e con 300 spartani e 700 tespiani r isoluti a morire, dif ese ancora il passo. Quattro volte mossero i persiani inutilmente all'attacco e sempre subirono perdite enormi: fino a che soprafatti dal numero i greci furono tutti uc cisi.

L' invasione persiana si rov esciò sull' Ellade: Aten e fu messa a ferro e a fuoco.

La flotta greca rifugiata nel golfo Saronico, sgomenta, risolvette cercare riparo nei porti meridi o nali d e l Pel opo nneso Ma Temistocle, duce delle n avi ateniesi, si oppone a tale progetto, e rie :;ce a provocare battaglia.

Battaglia di Salamina. - La battaglia fu una splendida vittoria d e i greci. Serse, sorpreso, spaventato, tim oroso di una eventuale minaccia greca ai ponti dell' Elles ponto ordina alla mag g ior parte dell'esercito e alla flotta di ritirarsi in Asia. Restano in Grecia 300 .000 uomini guidati da Mardonio ( 480 a. C.) che svernano in T essaglia .

Nella primavera successiva Mardonio ritorna nell' Ellade, invade l'Attica, rioccupa Atene.

Con molt o ritardo gli Spartani armano un esercito, guidato da Pau sa nia: con gli aiuti delle città alleate i greci possono riunire circa Il 0.000 uomini. Con queste forze Pausania attacca Mardonio:

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è questa la battaglia di Platea nella quale i Persiani gra vemente sconfitti.

Nello stesso giorno in cui Pausania liberava il suolo greco dall' invasore persiano, la flotta greca, condotta dal re spartano Le otichide batteva la flotta persiana al promontorio di Micale presso Mileto; dopo la vittoria i greci, sbarcati, assalirono l'esercito persiano schierato lungo la spiaggia e dopo accanito combattimento lo sbaragliavano.

Con le vittorie di Platea e di Micale la Grecia era libera dal pericolo persiano.

Serse non essendo in condizioni di poter vendicare queste gravissime sconfitte, partì da Sarqi verso l'Oriente mentre tutto il mondo ellenico festeggiava la vittoria.

Cimone, figlio di Milziade, battè ancora i persiani per mare e per terra presso le foci dell' Eurimedonte nella Licia. Con queste vittorie, il mar Egeo venne del tutto liberato dalla influenza persiana e si confermò il primato marittimo di Atene.

La guerra del Peloponneso. - Cause. - La diversità di schiatta: jonica Atene e dorica Sparla; la diversità di governo: democratico in Atene, aristocratico a Sparta;

la diversità di carattere, mirando Atene a svolgere la cultura civile e poggiando Sparla esclusivamente sull'educazione militare; il grande spirito d' indipendenza fortemente sentito sia a Sparla che in Atene;

il desiderio di primeggiare su tutta la Grecia egualmente sentito a Sparta e in Atene;

furono tutte cause che condussero alla lotta armata fra queste due potenti città.

Già durante lo svolgimento delle guerre persiane, si erano avuti sintomi non lievi di questa rivalità: ma il comune pericolo aveva fatto momentaneamente tacere ogni diverbio. finite le guerre persian e, conseguita da Atene la supremazia marittima e la egemonia sulle altre c1ttà greche che, confederate da prima con Atene, erano poi diventate sue tributarie, inaugurata da Atene una politica invadente nell' Ellade e nel Peloponneso, Sparla si fa campione della lotta contro la supremazia ateniese.

La guerra scoppia nella primavera del 431 e finisce solamente nel 404: è questa la guerra del Peloponne so finita con la sconfitta e l'umiliazione di Atene

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Le vicende di questa lotta tra le città greche, parteggianti le une per Sparta, le altre per Atene, si possono raggruppare in tre differenti momenti:

- il primo momento va dal 431 al 421 ed è costituito da un ininterrotto periodo di lotta per mare e per terra: termina con la pace di Nicia;

- il secondo va dal 421 al 413: in questo periodo la guerra tace in Grecia ma si svolge asprissima in Sicilia tra le colonie doriche e quelle ioniche, aiutate queste da Atene che vi consuma il proprio erario e il proprio esercito;

- il terzo momento va dal 413 al 404 e rappresenta l'ultima lotta tra Atene e la lega peloponnesiaca: la lotta arde in Grecia per mare e per terra, e poco per volta si circoscrive attorno ad Atene che dopo tre mesi di assedio è costretta a capitolare.

Il primo mometzto ( 431-421 ). - Corinto era diventata acerrima nemica di Atene e aveva iniziato una viva propaganda contro l' odiata rivale.

Sparla accoglie l' invito di Corinto e convoca una riunione delle varie città ostili ad Atene per sentire le lagnanze di ciascuno e provvedere alla comune difesa.

Questa assemblea formula alcune proposte e le invia ad Atene: ben si sapeva però che esse erano inaccettabili per Atene.

Atene su proposta di Pericl e respinge tali umilianti condizioni e decide la guerra: era quello che Sparla voleva.

Differenti erano le forze:

- - Sparta e le città alleate, avevano la supremazia per terra, disponendo di un forte esercito di 60.000 uomini circa;

- Aten e, mentre con le poche città alleate poteva disporre di un esercito di soli 30.000 uomini aveva però la supremazia per mare riuscend o facilmente ad armare una flotta di 300 triremi.

Seguendo i consigli di Pericle, Atene restringe la difesa alla città, abbandonando al nemico il territorio dell'Attica, mentre la flotta doveva molestare il litorale del Peloponneso.

L' ese rcito della lega invade l'Attica senza incontrare resistenza, la devasta e la saccheggia: ma impotente ad assalire Atene si ritira; la flotta ateniese attacca alcune città della costa e le saccheggia ; in sostanza però nessun atto risolutivo si compie nè per terra nè per mare.

Per un momento la lotta è favorevole ad Atene: ma a Delio nella Beozia, gli ateniesi subiscono una grave disfatta. Brasida,

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capitano di Sparta, si unisce a Perdicca re della Macedonia e ostile agli ateniesi, e batte gli ateniesi guidati da Cleone: Cleone e Brasida muoiono però sul campo di battaglia

La loro morte toglie ogni velleità di ulteriore resistenza fra i contendenti, stanchi ormai della guerra lunga e devastatrice, che aveva portato alla completa rovina di ogn i commercio, che aveva esaurite le finanze e mietuto migliaia vittime.

Dopo dieci anni di lotta viene fissata la pace detta di Nicia: in compl e sso ognuno ritornò nelle condizioni esistenti prima della guerra.

Secondo 1nomento. - Morto Cleone, la supremazia in Atene passa ad Alcibiade, il quale fa di tutto per provocare una nuova guerra contro Sparta.

Numerosi fatti d ' arme avvengono ne l Peloponneso, ma in sos tanza Alc ibiade non riesce nell' intento prefissosi.

Egli tenta allora di fare intervenire At e ne nella lotta che intanto si stava svolgendo in Sicilia fra le colonie greche joniche e doriche. Tra queste primeggiava Siracusa.

Eccitata dalle arti e dall'eloquenza di Alcibiade, Atene decide di intervenire in Sicilia per abbattere la potenza di Siracusa: ma l'impresa fallisce. Alcibiade, accus ato di tradimento, è richiamato in patria e invece di obbedire passa al servizio di Sparta.

L' esercito ateniese è battuto dai siracusani guidati da un generale inviato da Sparta: Gilippo.

Atene rinnova lo sforzo e invia una nuova flotta: l'attacco di Siracusa è ripreso ma senza alcun risultato. Anzi i Siracusani attaccano gli ateniesi per mare e per terra ed hanno il sopravvento: l' esercito e la flotta ateniese sono distrutti.

Terzo momento - La lotta di Sicilia ebbe immediate ripercussioni in Grecia: parecchie città tributarie di Atene, istigate da Sparla, si sollevano. Ma Atene non si perde d'animo: arma una nuova flotta, sottomette alcune delle città ribelli, mentre Alcibiade, sospettato di tradimento viene cacciato anche da Sparta, ma riesce a farsi richiamare in Atene.

Posto a capo della flotta aten iese, Alcibiade distrugge quasi interamente il naviglio spartano : ma nuovamente sospettato di tradimento viene per la seconda volta condannato all'esilio Poco dopo ad Egospotamo la flotta ateniese è distrutta dalla flotta peJoponnesiaca.

Atene è in pericolo, tutte le città tributar ie le si volgono contro:

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te forze della rinnovata ed ormai potente lega peloponnesiaca, capitanata da Sparta, si concentrano contro la stessa città di Atene.

Pausania, re di Sparla, assedia Atene dalla parte di terra; Lisandro, condottiero della flotta petoponnesiaca, assedia Atene dalla parte di mare. Dopo tre mesi di assedio, tormentata dalla fame Atene si arrende.

Così, con la completa ruina del predominio ateniese e con il trionfo di Sparta, finiva dopo 27 anni la guerra del Peloponneso.

Cenno schematico dei successivi avvenimenti della storia greca. - Sparla affida il governo di Atene ad una commissione di 30 cittadini tutti favorevoli alla nuova potenza spartana: sono questi i Trenta tiranni.

Otto mesi durò la tirannia dei Trenta, poi la parte sana della popolazione cacciò il governo imposto da Sparla e ripristinò gli antichi ordinamenti.

Ma .Atene e ra ormai cambiata: scemato l'amor patrio, cresciuta l' ingordigia della ricchezza, prevalente l'intrigo: n è valse a richiamare il popolo alle antiche tradizioni, la parola e il contegno di Socrate.

Spedizione e ritirata dei 10.000. Ciro, satrapo della Lidia, fratello del re persiano Artaserse, ribellatosi al fratello stesso, gli muoveva intanto guerra. Armati 100 000 asiatici e 10 000 mercenari greci, Ciro aveva intrapreso la marcia su Babilonia: ma a Cunassa ( 401) Ciro fu gravemente sconfitto e ucciso in combattimento.

l mercenari greci, rimasti senza capo, per l'uccisione a tradimen'to del loro condottiero Clearco, fatta compiere da Artaserse, senza guida e sen za viveri in terra nemica e sconosciuta, lontanissimi dalla patria, coraggiosamente accolsero l' idea di uno dei loro, Senofonte, di nominarsi un capo e aprirsi la strada del ritorno con le armi alla mano. L'ateniese Senofonte fu il capo prescelto.

Si inizia così quella meravigliosa ritirata attraverso paese sco· nosciuto, tribù ostili guerresche e valorose che tentavano la distruzione della colonna, ritirata della quale fu narratore illu stre lo stesso Senofonte. Risalito il Tigri, attraversata l'Armenia, la colonna greca giunge dopo lotte fierissime e crudeli sofferenze sulla costa m eri· dionale del Ponto Eusino; passati poi in Tracia e saputo che Sparta era in lotta contro i satrapi persiani. tornano in Asia e vanno a far parte dell' esercito spartano guidato dal generale 1imbrone.

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Lotta delle città greche co!lfro l' egemo11ia sparfatta. - Sparla, che intanto aveva visto distrutta la propria flotta dai persian•, doveva contemporaneamente fronteggiare la situazione che si era venuta creando in Grecia: ordinando ovunque governi aristocratici, facendo duramente sentire la propria supremazia, Sparta si era inimicate la maggior parte delle città greche. Le quali, stanche della supremazia spartana, si strinsero in lega e adunarono un esercito: ma Sparla con rapida mossa previene l' attacco: affronta e vince presso Corinto ( 394) l' esercito della lega.

La lotta si accende vio lenta ma senza risultati decisivi: solo il gene r ale ateniese lficrate ottiene qual che notevole risultato. Ma per non cadere sotto la forza della lega Sparla è costretta all' alleanza con i Persiani.

Così si perdeva il frutto delle lunghe guerre combattute contro la Persia e si accentuava il decadimento generale della Grecia.

Egemonia tebana - Sistemate le questioni con la Persia m ediante la pace di Antalcida, Sparla concentra i suoi sforzi contro la lega corintia: assalì Mantinea e la distrusse i sottomise Olinto i restaurò in Fliunte un governo aristocratico: s' impadroni di sorpresa della Cadmea cittadella di Tebe, e instaurò in Tebe un governo aristocratico.

Ma una congiura e una rivolta dei Tebani capitanati da Pelopida ed Epaminonda, rovesciò il governo aristocratico e cacciò il p1esidio spa rtan o dalla Cad m ea. Fu in questa occasione che Pelopida costiiuì il battaglione sacro .

L'insurrezione di T ebe fu il segnale della riscossa generale contro la dura ed opprimente egemonia spartana.

Atene, collegatasi con Tebe, ricostituisce l'antica lega: circa 60 città rispondono all' appello.

Sparla è battuta per mare, a Nasso, e per terra, a Tagira. Ma dopo queste vittorie la lega si scioglie: Atene, gelosa della potenza tebana, si ritira dalla lega, e insieme a numerose altre città fa pace con Sparla. Tebe continua la lotta.

Sparta invia allora un forte esercito, guidato dal re Cleombroto, contro T ebe: l'esercito !ebano, guidato da Epaminoncla, attendeva l'attacco al passo di Coronea. Ma Cleombroto gira attorno a ll' Elicona e si accampa nella pianura di Leuttra. l !ebani, sbigottiti, domandano ad Epaminonda di correre a difendere la città: ma Epaminonda non solo rifiuta ma attacca Cleombroto.

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Battaglia di Leattra ( 371 ) - Con nuova tattica il duce tebano concentra un grosso corpo d'esercito sulla sua ala sinistra e lo scaglia contro l'ala destra spartana, mentre centro e ala destra impegnano frontalmente la massa spartana. L'urto fu violentissimo: il battaglione sacro !ebano travolge la destra spartana con impeto irresistibile; re Cleombroto è ucciso, gli sparla ni costretti alla fuga subiscono forti perdite; i T ebani vincono con perdite invece lievissime .

Per la vittoria di Leuttra, Tebe divenne centro di una potente confederazione di città; Epaminonda invade il Peloponneso e porta l a minaccia fin sotto Sparla.

La nuova potenza tebana dà origine ad un fatto che più non si era verificato dopo le guerre persiane: l' alleanza fra Sparla e Atene. E Tebe ricorre all'alleanza persiana. Si inizia così un'oscuro periodo della storia greca: alleanze svariatissime si rannodano e si spezzano con alterna vicenda, sterili piccole ambizioni si contrastano il passo e consumano in lotte fraterne le forze della nazione. Morto Epaminonda nella battaglia di Mantinea dopo una bella vittoria riportata sull'esercito sparlano, si conchiude finalmente la pace; per essa:

- Tebe conservò la propria supremazia nella Beozia, nella focide, nella Locride e nella Tessaglia;

- Atene riconfermò la propria supremazia navale;

- Sparta mantenne il primo posto fra gli stati del Peloponneso.

La fine della indipendenza greca e l'inizio del primato macedone. - L'egemonia tebana ebbe breve durata: un piccolo stato semibarbaro, la Macedonia, approfittando delle continue ed aspre \ discordie che funestavano la Grecia, riuscì ad assoggettarla t! ad imporvi il proprio dominio.

La Macedonia aveva aiutato Sparta durante la guerra del Pe· loponneso. Per combattere poi la nascente egomonia tebana si era unita a Sparta ed Atene contro Tebe. In un trattato di pace imposto dal Tebano Pelopida al regno macedone, questo fu obbligato a cedere come ostaggio il principe ereditario filippo, il quale crebbe cosl e fu educato in Tebe che era in quel momento il centro principale della vita ellenica. fili'ppo, bello e robusto d i corpo, acuto d' ingegno, forte di volontà e ambizioso fu nutrito di cultura greca e alla scuola di Epaminonda apprese l'arte militare. Lo spettacolo delle discordie interne della Grecia fecero suscitare in lui il desiderio di assoggettare un giorno tutta la Grecia

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al suo dominio e propagare a tutto il mondo allora conosciuto la civilta greca.

Diventato re rivolse le più assidue cure all' esercito, che egli riguardava come mezzo sicuro di grandezza. Istituì un esercito permanente ove regnava una disciplina severissima e introdusse la falange macedone che riuscì alla prova di gran lunga superiore al battaglione sacro di Tebe. Ricostituito lo stato nei suoi ordinamenti, tranquillo all' interno e provvisto di un forte esercito, filippo inizia la serie delle sue conquiste . La continua lotta fra le città greche .gli offre facile mezzo per intervenire nelle cose interne della Grecia: ma le sue ambiziose mire di predominio sono svelate e combattute dall' ateniese Demostene che pronuncia contro di lui le famose filippiche.

Atene diventa così la più fiera nemica di filippo: Tebe, Corinto, Mcgara, l'Arcadia, l' Eubea e a ltri stati ellenici s i alle a no con Atene e la guerra scoppia contro filippo. Ma a Cheronea, l' esercito della lega greca è distrutto, lo stesso battaglione sacro di Tebe è fatto a pezzi.

La battaglia di çheronea segna la fine dell'indipendenza greca e l' inizio della egemonia macedone.

filippo, dopo la vittoria si mostra clemente con i vinti pur imponendo la propria supremazia: anzi ad affermarla meglio, convoca a Corinto un congresso degli stati greci in cui propone una lega per liberare dalla dominazione persiana i Greci d' Asia; filippo fissa il contributo preciso di uomini, navi e danaro che ogni città doveva fornire e viene acclamato duce dell' impresa.

La civilissima ma debole e discorde Grecia era così dominata dalla semibarbara ma unita e forte Macedonia.

Ma mentre, tornato in Macedonia, filippo si apparecchiava alla grande impresa, viene ucciso: il suo figliuolo Alessandro porterà a compimento la grandiosa idea paterna.

Inizio del regno di Alessandro. - Salito sul trono di Macedonia a soli 21 anni in seguito alla violenta fine del padre suo, trovato il regno tormentato da lotte fra partiti avversi, Aless andro s' impose presto a tutti per la forza del proprio carattere, e del proprio i ngegno.

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Alessandro il Grande e le sue tmprese militari.

Educato da Aristotile, imparò a governare i popoli e apprese il gusto per tutte le arti belle: profondo ammiratore e conoscitore della civiltà greca in tutte le sue manifestazioni, egli volle mantenere fede alla grande parola paterna di estendere tale civiltà in tutt a l' Asia minore; ardito e geniale in guerra, così come a Cheronea aveva dimo5trato, curò l'esercito che volle e seppe fare strumento della potenza macedone Ma prima di iniziare l'impresa ideata da Filippo, Alessandro dovè sistemare la Grecia e la Macedonia.

Fine di Tebe 335. Tebe, che aveva abbandonata la lega fondata da Filippo a Corinto, fu da Alessandro, presa e dis!rutta: 6000 difensori furono uccisi, 30 mila venduti sch avi.

La morte di Filippo aveva fatto sì che le città greche si riten essero libere da ogni impegno contratto a Corinto con filippo stesso: parecchie anzi, come Tebe, si Lrano apertamente ribellate. Ma la mbera fme di Tebe fu d' esempio a tutti. Per affermare anzi la propria potenza, Alessandro si portò a Corinto e, d1 fronte ai r appresentanti della Grecia rinnovò i j>atli e le promesse del padre: tutte le città greche assentirono, meno Sparla.

Le imprese militari di Alessandro. Sicuro ormai della Grecia e della Macedonia, egli inizia l a sua grande impresa contro l'Asia: traversata la Tracia e l' Ellesponto, raggiunto dai contingenti greci egli volse le sue mire all'occupazione della città della costa. Prima eli intcrnarsi nel paese egli -.olle essere sicuro di poter liberam ente disporre della costa asiatica, da dove la flotta greca gli avrebbe fatto pervenire i necessari rifornimenti.

L'esercito di Alessandro contava 30 000 u0111ini di fanteria, compre si i contingenti greci i mercenari gli ausiliari, e 4500 uomini di cavalleria: ma non bisogna credere che con queste sole Alessandro conquistasse l' Asia. Egli aumentò e rinvigorì queste forze con nuovi elementi tratti dalla Grecia, dalla Macedonia e specialmente dagli stessi paesi invasi.

L'impero persiano era in piena decadenza; rivolte nazionali, rivolte di governatori, congiure di palazzo tenevano in continuo pericolo la corr:pagine dell' impero: Dario governava l' impero persiano quando Alessandro l' aggredì.

Tra i satrapi dell'Asia Min ore prevalse l' idea di opporsi alla invasione maccdone, concentrando tutte l e forze dietro il Granico fiume che scende dal M. ltla e ha fot:e nell' Ellesponto: sul Granico i nfatti si ebbe la prima battaglia.

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Battaglia del Oranico: 334. - Alessandro spiegò il proprio esercito con la falange al centro e la cavalleria alle ali: in questa formazione traversò il Granico avanzando alquanto con l' ala destra. Sulla riva destra del fiume la cavalleria persiana ne attendeva l'attacco di piè fermo, sacrificando così la qualità prima della cavalleria: l'urto. Infatti la cavalleria persiana impotente a sostenere l'attacco, indietreggia, si sbanda e fugge . La fanteria persiana intanto schierata sulle alture attendeva l' urto: attaccata di fronte dalla falange e alle spalle dalla cavalleria di Alessandro, la linea persiana è travolta.

La vittoria del Oranico aprì ad Alessandro la via di Sardi, la principale città dell' Asia Minore. Da Sardi Alessandro ritorna alla costa per tenersi in contatto con la flotta; occupa Efeso, Mileto e Alicarnasso; congeda la flotta che non avrebbe potuto tener testa a quella dei Fenici che operava per i Persiani; sottomette le popolazioni dell' Asia Minore.

Dario preparava intanto la riscossa: con un esercito di mezzo milione di uomini, mosse dal medio Eufrate, valicò lo sprone più orientale dell'Amano e penetrò nella conca di Isso: era questa una ·conca dovuta al biforcarsi di due speroni dell'Amano, situata precisamente nell' angolo formato dall' Asia Minore con la costa siriaca .

Alessandro, scendendo dall'interno dell' Asia Minore verso la costa, aveva coste'ggiato la conca di Isso e stava penetrando nella Siria: egli aveva così compiuto, in senso inverso una marcia parallela a quella di Dario, ma i due eserciti non si erano incontrati. La situazione del re macedone era però pericolosissima: chiuso fra catene di monti, col nemico alle spalle e con la linea di comunicazione interrotta: la flotta greca era ormai lontana. Alessandro audacemente torna indietro e attacca l'esercito persiano.

Battaglia di Isso: 333. - La strettezza della pianura compresa fra il mare e i monti non permetteva al re persiano lo spiegamento di tutte le sue numerosissime forze, creando così una situazione favorevole ai macedoni. La fronte dei due eserciti era rovesciata.

Alessandro schiera il suo esercito con la sinistra al mare e la destra verso i monti: fanteria grave al centro, fanteria leggera e cavalleria alle ali; truppe leggere sui monti per fronteggiare quelle già inviatevi da Dario. Concetto di Alessandro era quello di agire contro la sinistra persiana per schiacciare l'esercito persiano contro il mare.

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Dario spiegò le sue trupp e migliori: 90.000 uomini, e c1oe 30.000 m ercena ri greci al centro e 60.000 opliti asiatici divisi ugualmente sulle due ali.

Alessandro alla testa di un forte reparto misto di peltasti e di cavalleria s i lancia contro la sinistra nemica: gli asiatici sono facilmente travolti: il centro e l' ala destra persiana resistono però bene. Senonchè presi di fianco dall' ininterrotta azione offem:iva di Alessandro, sono costretti a cedere. Dario, gettate le inseg.1e imperiali fugg e; l'esercito persiano si sbanda.

La vittoria di Isso apriva ad Alessandro l' intera Siria. Ma, come già dopo Granico, il re macedone non si lascia tentar e dalla lusinghi era prospettiva di un facile inseguimento. Prima di proseguire verso l' interno dell' impero persiano, Alessandro stimò opportuno di estendere ed assicurare il proprio dominio su tutte le regioni costiere adiacenti al Mediterraneo orientale allo scopo di evitare possibili sollevazion i di quei paesi mentre egli avanzava nel cuore dell' impero nemico.

La Pale stina, la fenicia, la Siria si sottomisero ad Alessandro, ma due città non vollero aprirgli le porte: Tiro e Gasa. Tiro assediata resi ste sette mesi poi è costretta a capitolare. Per prend ere Gasa fu necessario elevarv i tutt' attorno un argine alto 75 metri e largo 370: solamente allora le macchine situate sovr' esso poterono aprire la breccia nelle mura.

Prima di inoltrarsi in Asia, Alessandro volle impadronirsi dell' Egitto: l' impresa si compì abbastanza facilmente. Per spodestare Menfi l' antica capitale egizia e per creare una nuova tradizione più greca che egiziana che agevolasse il gover-no del paese, il potente re macedone fonda una nuova città: Alessandria, che, per la località tanto accortamente scelta divenne ben presto uno dei più importanti centri commerciali del Mediterraneo.

Tutta la condotta d' Ale ss andro r!vela il suo desiderio di rispettare le idee e le abitudini dei popoli s ui quali estendeva il suo dominio. Erigendosi a campione della civiltà greca e pur proponendosi di conq uistare ad essa l'intera Asia, egli saggia mente volle che fossero rispettate le idee e le abitudini dei suoi nemici. Presso Ilio volle onorare la colonna m onu mentale eretta in onore di Achille, offerse sacrifici sulla tomba del troiano Priamo; tenn e conto della superstiziosa tradizione unita al n odo gordi;1no; in Gerusalemm e sembra prestasse omaggio al Dio degli Ebrei; nel supertizioso Egitto volle dar prova del suo rispetto per uno dei

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principali santuari, dedicato a Giove Ammone e situato nell'oasi di Siua: i sacerdoti di questo tempio lo proclamarono figlio di Dio. Non diversamente si comportò il generale Bonaparte nel 1798. Dario intanto, dopo aver inutilmente cercato di venire a patti con Alessandro, si preparò ad una nuova lotta. Raccolte truppe da ogni parte del vasto impero, le concentrò ad Arbela, luogo di fermata delle carovane tra Erzerum e Bagdad: dicono alcuni storici che Dario disponesse di 1.000.000 di uomini.

Alessandro, nel gennaio del 331 assestate le cose d' Egitto, si avviò per la Siria e per la fenicia, passò l' Eufrate poi volse verso Oriente per raggiungere i guadi del Tigri ed affrontare l' esercito persiano.

Battaglia di Arbela: 331.- Dario aveva schierato il proprio esercito in una zona piana e scoperta ch e rendeva facile la manovra dei carri falcati, sui quali specialmente egli contava per ottenere vittoria.

Alessandro contava 40.000 uomini di fanteria e 7000 di cavalleria: preparò cautamente la battagl ia assumendo tutte le informazioni possibili. Dispose le sue truppe su due linee: la prima per assalire il nemico, !a seconda per salvaguardare le spalle e i fianchi della prima.

Cento carri falcati persiani dovevano con una terribile carica disperdere la falange macedone: ma i cavalli si spaventarono e la carica finì col gettare confusione nell'esercito persiano mentre riuscì innocua ai macedoni. Dario avanza allora con tutta la fanteria, e cerca con la cavalleria di aggirare l' esercito macedone.

Alessandro ordina alla propria cavalleria leggera di fermare la cavalleria persiana; poi messossi alla testa dell ' ala destra del proprio esercito, avanza deciso e compatto dritto al punto ove si trovava Dario. Le fila dei persiani cedono, Alessandro vi si insinua: in questo momento Dario vede la propria cavalleria retrocedere e allora si dà alla fuga. Malgrado la fuga del re, l'ala sinistra dei macedoni, era costretta a cedere: ma il rapido accorrere di Alessandro ristabilisce la situazione. Poco alla volta il panico si sparge fra le fila dei persiani: la ritirata diventa una fuga disordinata.

Rovina dell'impero persiano. - La battaglia di Arbela e la fuga di Dario determinarono la fine dell'impero persiano. Babi· lonia e Susa si arresero. Dario finì prigioniero del satrapo della Battriana. Padrone dell' impero persiano, Alessandro non volle

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fermarsi. Penetrato nell'alta regione dell' Iran egli si sentiva attratto a cercare verso oriente i confini dell' impero.

Conquista dell'Iran e spedizione in India. - Malgrado l'esitanza del suo esercito, egli p ercorse in quattro anni (329-325) le regioni settentrionali dell'alto Ir an, attraverso le pianure dell'Asso e dell' lassa rte, valicò il P aropamiso ( lnducus) penetrò nel Pengiab e scese l' Indo fino alle f oci Il punto più settentrionale toccato da Alessandro fu Samarcanda; il limite orientale della marcia fu l' lfasi: il fiume Garra affluente dell' In do.

Riordinametdo dell'Impero. - Man mano che la conquista procedeva, Alessandro stabiliva presidi e comandanti macedoni. Per togliere il pericolo rappresentato dai mercenari greci rimasti senza impiego, li assoldò nel proprio esercito distribuendoli nelle colonie militari da lui fondate. Contro i satrapi e i suoi generali contrari alla sua politica fu severissimo, anzi feroce, arrivando al punto di uccidere di sua mano uno di essi. Imitò lo splendore e la pompa dei re· orientali, creò una guardia persiana eccitando l'emulazione tra essa e la macedone. Impose ai suoi soldati il matrimonio con le donne del paese. Questa benevolenza verso i vinti spiacque all'esercito. I grossolani ed orgogliosi soldati di Alessandro m a l si prestavano a capire l' intimo scopo del loro duce di legare intimamente Greci e Persiani. I popoli asiatici inoltre che sapevano che la civiltà greca procedeva dalla loro, non potevano rapidamente sottomettersi ai greci ed assimilare subito la loro civiltà. La lotta aveva eccessivamente inorgoglito i vincito r i ed aveva umiliato e resi diffidenti i vinti. L'opera intrapresa da Alessandro per fondere in una sola cività, greci ed orientali era e male avviata; in sostanza non riuscì .

Morte di Alessandro: 323. - Alessandro stesso trascinato dalle sue forti passioni, nelle orgie e nei piacer i che gli procurava la sua stessa potenza, trovò morte immatura a 32 anni di età.

Morì troppo giovane per poter essere giustamente apprezzato; è certo, àd ogni modo che, malgrado l' iniziale fallimento della intima unione fra Greci e Persiani, fu per opera di Alessandro che l' ellenismo si diffuse ne l più lontano oriente e gran parte dell'Asia accomunò la sua vita con quella de i popoli mediterranei. ( Rinaudo ).

Avveniment i success ivi all a mo rte di Alessa ndro fin o all' interv en to romano. - Alessandro morendo lasciava due figli bambini

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-80ed un fratello malato di mente: s'iniziò così un periodo di contese tra i generali di Alessandro che per 22 anni se ne disputarono l 'eredità. Prevalse per un momento Perdicca, fido consigliere del grande condottiero, ma ucciso poi durante una sua spedizione contro Menfi.

l generali di Alessandro, uomini arditi ed energici, trovandosi a capo delle varie provincie dell' impero, vi avevano rieccitata la vita, sicchè andò sciolto il fascio di popoli che i re assiri avevano assoggettato, e che la saggia amministrazione dei re persiani aveva saputo tener assieme per due secoli. La storia dell' Asia anteriore, salvo la differenza dei nomi, continuava n elle sue vicende sempre simile a sè stessa. Inv ece in Grecia le città e i piccoli popoli, pieni di orgoglio per le antiche e le recenti tradizioni, continuarono per tutto il 111 secolo a dibattersi per sottrarsi alla dipendenza dei re macedoni, finchè i Romani conglobarono Grecia e regno macedone nel loro impero. ( fabris ).

Dall' impero d' Ale ssa ndro sorsero tre monarchie:

- dal generale Tolomeo, che si ritenne l 'Egitto , la Giudea, la fenicia e la Cirenaica ebbe origine il regno dt'i Lagidi in Egitto (da Lago, padre del primo Tolomeo);

- dal gen erale Seleuco che si rit enne l a Siria e la Mesopotamia, ebbe origine l'impero sirio dei Seleacidi che si tr ovò subito a lottare con i Tolomei d'Egitto per il poss<>sso dell'Asia Minore e con i Parti: lotte che vennero variamente alimentate dai Romani;

- dopo lun ghe e varie lotte fra i vari contendenti, Antigono jonata riuscì a governare pacificamente il regno di Macedonia stendendo nuovamente la dominazione maced o ne sulla Grecia che alla morte di Alessandro, non aveva piu voluto riconoscere la supremazia macedone.

In complesso alla vigilia dell' intervento romano, i paesi orientali del Mediterraneo, er ano ripartiti fra l'influenza d ei re di Macedonia, di Siria e d' Egitto: altri stati minori, sorti anch'essi dallo sfacelo dell'impero d'Alessandro, si muovevano nell'ambito di detti tre stati principali.

La conquista romana potè compiersi facilmente, approfittando delle gelosie tra quei tre sovrani, e del malcont ento inspirato nei popoli orientali e nelle città greche dalle stirpi rnacedoni, le quali erano ovunque considerate come straniere e usurpatrici. ( fabris ).

I primi accenni alla manovra nel campo tattico.

Carattl!ristiche della falange greca. - Il principio che condusse alla formazione della falange fu, come già abbiamo accennato, quello di costituire una massa compatta che resistesse all' urto tumultuario dei n em ici. La parola resistere implica difesa: ed essenzialmente difensiva infatti era la costituzione della falange, come risulta dalle sue armi, dalla sua ord inanza, dalla sua compattezza.

L'arma dell' oplita, elemento fondamentale della falange, era la lancia (o sa rissa): la lunghezza di quest' arma in una ordinanza profonda e serrata, indica l' idea di tener lontano il nemico, impedire cioè che il nemico possa avvicinarsi ed offendere: è quindi arma essenzialmente difensiva; altrettanto può dirsi dello scudo dell' oplita.

La fal ange è fatta per attendere l' urto nemico; essa non va a cercare il nemico ma ne aspetta l'attacco: quindi è poco mobile.

Essa deve servire a resistere all' urto nemico e quindi deve essere in sostanza, molto solida, compatta cioè pesante.

Questo carattere, eminentemente difensivo, costituisce dunque la più importante caratteristica della falange: è ovvio che questa caratteristica è già di per sè stessa un in conveniente: la falange è scarsa mente atta all' offensiva. Ma altri inconvenie nti sono insi ti nella falange:

essa non poteva agire a perfezione c h e in un terreno piano, unito, scoperto, senza fossi, senza pantani, senza gole, senza rilievi, senza fiumi: ed è difficile trovare un terreno esteso che non offra alcuno di tali ostacoli;

- la falange cos titui va una sola linea di battaglia: difficili erano i passaggi e l' aiuto fra le varie linee; rotta la falange degli opliti non restavano che i peltati, truppe più leggere che difficilm e nte potevano servire di ri se rva a truppe più solide e pesanti, quali erano gli opliti.

Questi in co nv enie nti furono riconosciuti dag li stessi greci: la primitiva falange greca infatti, combatteva compatta contro il nemico cercando di rompèrne gli ordini; avanzando in file serrate, ri d uc e ndo la battaglia ad un scontro frontale fra due linee rigide e profonde, limi tando in ultima analisi lo scontro ad una lotta

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M. VALLETI't-BORGNINI, Storia Politico-militare ecc. - Vol. (. 6

corpo a corpo nella quale ogni combattente doveva sforzarsi non solo di superare l' avversario, ma anche di restare unito ai propd co m pagni: mancava ogni idea di manovra.

Le imzovazioni di lfi crate. - Questo intese e a questo cercò di rimediare, il generale ateniese lficrate, che cercò la soluzione del problema, non in nuovi ordinamenti tattici, ma nella creazione di una fanteria speciale o fanteria leggera, armata in modo da permettere al soldato la più ampia libertà dei movimenti: furon<> questi i peltati che vennero riuniti in una piccola falange di 16 uomini di fronte per 8 di profondità . Ad ogni falange di opliti vennero assegnate 16 di queste unHà destinate esse nzialmente a proteggere i fianchi e il tergo degli opliti.

La primitiva falange greca venne quindi resa meno rigida, meno pesante, più mobile, più maneggev ole : era già un progresso, ma non tale da completamente tutti gli inconve ni e nti della falange, ai quali abbiamo più sopra accennato. La falange così costituita conservava sempre il suo difetto principale:

- la mancanza, cioè di riserve mob ili ad un tempo e potenti, che il comandante potesse impiegare al momento opportuno per parare la rottura di qualche falange e per portare il colpo decisivo sul punto più debole dell' avversario; mancava cioè il mez zo per l' attuazione della manovra.

L'ordin e obbliqao di Epaminonda. - Questo volle ottenere ed ottenne Epaminonda, con l'applicazione di un nuovo schierament<> delle forze, c h e, in contrapposto all'ordine frontale, rigido lineare, secondo il quale le forze erano egualmente distribuite su tutta la fronte, s i chiamò ordine obbliquo.

L'ordine obbliquo, creato da Epaminonda e da lui la prima volta attuato a Leuttra, fu la prima grande applicazione, che la s toria ricordi, del sistema di puntare con la mag gio r parte delle proprie forze , contro il punto più d ebole del nemico, sforzarlo e romperlo, tenendo però sempre a bada sul resto d el fronte le altre forze avversari e .

A Leuttra Epaminonda dispone in prima linea la nella seconda linea la fanteria ordinata con la profondità da 8 a 12 uomini; all'ala sinistra pone la gwssa falange, massa rettangolare con 50 uomini di profondità spalleggiata dal battaglione sacro; al centro e all' ala destra fanteria leggera distesa su largo fronte in ordine sottile per pareggiare la fronte del nemico. Aita cavalleria frammischia fanteria leggera per molestare maggiormente l' avversario e non lasciare attaccare la sua a la destra.

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Oli Spartani si ordinano al solito modo: cavalleria in prima lir.ea, fanteria in seconda, egualmente ripartite su tutto il fronte.

La cavalleria di Epaminonda inizia l'attacco: e costringe la cavalleria spartana a rìpiegare; questo ripiegamento della cavalleria impedisce i movimenti della pesante fanteria spartana. Di ciò pro· fitta Epaminonda per fare tosto avanzare la sua fortissima ala sinistra, tenendo alquanto indietro il centro e la destra. La fa!ange tebana urta e respinge la destra della linea nemica: il battaglione sacro l' avvolge premendola sul fianco e sul tergo: l' ala destra spartana è costretta a ripiegare in disordine. Le falangi spartane, uniformemente scaglionate sulla fronte di battaglia, non hanno modo di stabilire la situazione: tutta la linea deve cedere e ritirarsi.

Oli spartani perdono il loro re Cleombroto e l 0.000 combattenti: il loro paese resta aperto alla invasione dei tebani; i tebani perdono 300 uomini.

Questa nuova tattica tebana ebbe un' altra splendida applicazione nella battaglia di Mantinea sempre ad opera di Epaminonda, che trovò in essa la morte.

Nella lotta che ardeva contro l'egemonia tebana, l'esercito tebano guidato da Epaminonda si scontra n el 363 a Mantinea con le forze riunite di Sparla e di Atene. Epaminonda avanza all' attacco preceduto da un enorme cuneo quadrangolare formato dai migliori opliti: alle ali la cavalleria è incaricata di tenere impegnato il fronte avversario. Il cuneo tebano urta e rompe il centro avversario: la linea nemica è nettamente spezzata in due tronconi che pres1 di fronte e di fianco vengono e costretti alla fuga.

A Leuttra vediamo un vero e proprio attacco d' ala; a Mantinea un attacco centrale: mentre cioè la ma s sa agisce sul punto ove il comandante vuoi portare lo sforzo deci s ivo, il resto della fronte e tenuto da poche forze incaricate solo di impegnare frontalmente l' avversario.

È la prima applicazione della manovra nel campo tattico.

La tattica di Epaminonda applica dunque il principio, così esposto dallo Jomini: « non sono le masse dei presenti ad una battaglia che riportanv la vittoria, ma lo sono invece le masse attive ».

Da parte di Epaminonda la vittoria è dovuta alla costituzione di una massa attiva incaricata di portare lo sforzo principale su un solo punto dello schieramento nemico; da parte degli avversari la disfatta è dovuta alla mancanza di riserve da lanciare al momento opportuno sul punto pericolante.

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Epaminonda, intuito il più grave difetto insito nella formazione falangita, cioè lo schieramento uniforme e la mancanza di una riserva, potente e mobile, in mano al comandante, vi rimedia costituendosi una massa di manovra, e portando con questa l' attacco decisivo su un solo punto, cioè in sostanza, manovrando.

Le innovazioni di Senofonte. - Ma la costit uzione e il modo di combattere della falange greca vennero anche profondamente modificate da Senoronte.

Durante la ritirata dei 10.000 spinto dalla necessità di far fronte a masse molto numerose, e di adattarsi al terreno montuoso che doveva percorrere, Senofonte ruppe la falange spiegandola in linea sottile, costituita da tanti tocos di 100 uomini ciascuno che dovevano camminare in colonna alla medesima altezza. Alcuni tocos erano sempre tenuti in riserva per avere truppa fresca e ordinata da portare nei punti ove se ne sentisse il bi:;ogno. In sostanza, vis ta la impossibilità di mantenere la primitiva formazione in grosse masse, Senofonte adotta un'ordine più elastico, più leggero, conservando sempre in propria mano una mas sa onde poter manovrare.

È anc.he questo un altro acce n no alla manovra nel campo tattico.

La falange macedone. - filippo nel salire al trono si trovò con un esercito costituito da numerosa e forte cavalleria e, relativamente, poca, male armata e male addestrata fanteria. Oli eserciti greci che egli doveva combattere erano invece costituiti da poca cavalleria e una numerosa forte e bene armata fanteria. Filippo risolse quindi di studiare e adottare gli ordinamenti militari greci. Adottò quindi la formazione falangitica greca con alcune modificazioni: aumentò gli psiliti; e fornì gli opliti di un' arma tanto lunga da tenere lontano dal fronte non solo l'assalitore ma anche le sue armi. Questa arma fu la sarissa, lancia pesante lu nga 7 me tri ( 4 m. più lunga della lancia o picca greca). In ogni -fila dei sintagmi i primi cinque uomini tenevano la sarissa orizzontale, a due mani all' altezza del petto; gli altri 11 uomini tenevano la sarisssa inclinata in avanti.

la tattica usata dalla fa lange macedone era sempre l' urto fr ontale A mez zo delle fanterie leggiere e della cavalleria s' induceva il nemico a precipitarsi all'attacco; attacco che non riusciva qu asi mai per effetto delle lunghe sa ri sse macedoni che costituiva no una insuperabile siepe d i punte.

F all ito i l cozzo nemico, la cavall eria macedone piombava sulla sco mposta ordinanza avversaria e la scompigliava.

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Caratteristico dei macedoni fu il modo di caricare. Essi ordinavano la ila in modo che al centro del fronte risultassero i cavalli più validi e i cavalieri più arditi : ne conseguiva che caricando questi si spingevano più avanti degli altri, talchè ogni ila si infiggeva nelle ordinanze nemiche come un cuneo mentre tutto il fronte veniva ad essere im pegnato.

Conclusione. - La falange greca fu in origine ordinanza eminentemente difensiva; il generale ateniese lficrate tentò darle una certa elasticità allegerendo l' armamento del soldato, e dando così a questi maggiore libertà di movimenti; Epaminonda attua per la prima volta la manovra nel campo tattico; Senofonte rompe la falange in manipoli per meglio sfruttare il terreno rotto; Filippo e Alessandro accentuano il carattere difensivo della falange, però nell'impiego della loro cavalleria, vediamo che questa non si accontenta più di un urto frontale, ma cerca di rompere in più punti: prima elementare attuazione anche questa di un' idea di manovra.

Chi ebbe maggiore influenza sull'andamento e sul progredire dell' arte della guerra fu, evidentemente Epaminonda che per primo applicò ed eseguì sul campo di battaglia : la manovra

Ma intanto una nuova potenza militare stava sorgendo : Roma. Sorsero, come vedremo, con Roma nuovi ordinamenti militari che vennero presto ad urtarsi con gli ordinamenti greci dei quali la Macedonia era sempre l' esponente.

A Pidna ( 168 a. C.), come vedremo, avvenne l' urto decisivo fra le due celebri ordinanze: la legione romana e la falange greca: e Pidna fu l'ultimo sforzo e l' ultimo respiro della falange

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PARTE TERZA

Storia romana

Cenni sulla sto ria di Roma durante i periodi regio e repubblicano.

Influenza degli elementi geografici nella primitiva storia d' Italia. - L' Italia, come la Grecia, presenta tre caratteristici elementi geografici: il continente, la penisola, le isole.

L a lunghissima distesa di facili coste, il clima temp e rato, l' abbondan za di naturali prodotti, la grande varietà di condizioni propizie al b enesse re di n umerose p opolazioni, hanno dato alla nostra patria, per t empo, l' occasione di essere centro di grande attività· sociale, di svolgere i germi dello i ncivillim en to e poi, gloriosa mi ssione storica, di propagarlo, in successive epoche di affe rmazione, presso altre genti ancora rozze, nelle altre contrade occi· dentali di Eur opa: esse n do che l' Italia, fra tutte le altre parti del contin e nt e eu rop eo è, dopo la Grecia, la meglio disposta geografi came nt e rispetto all' Oriente i e, più della Grecia stessa, in modo propizio verso l' O ccidente. (Cosentino).

La stru tt ura e la posizione geografica dell' Italia ci dicono dunque s u bito:

- che la penisola italica fu, fin dalla più remota antic hit à, sede favorevol e allo sviluppo della civiltà i

- che la p e nis ola italica costituiva il punto di obbligato passaggio impos to dalla n atura alla fatai e marcia della civiltà dall'oriente verso l'o cci d ente.

Eguali considerazioni abbiamo già fatto per la Grecia. Ma un' a ltra analo gia noi trovia m o n egli ele m enti geografici riguard a nti la Grecia e l' Italia.

c: Basta gettare uno sguardo sulla carta d' rtalia - così scrive il Micali - per convincersi che non v' è forse in tutto il rimanente del globo un paese tagliato da maggior numero di fiumi, laghi e montagne.

Tutte queste difformità locali, concentrando molte disperse popolazioni e fermando la loro sede in determinati e stabili confini, dettero indubitatamente motivo alle prime divisioni d'un popolo in origine derivato da un comune stipite. Simili cause produssero effetti somiglianti anche nella Grecia, ove grandi inegualità di territorio avevano occasionata e mantenuta la divisione del corpo politico in un ragguardevole numero di Stati, indipendenti gli uni dagli altri e quasi sempre rivali. Quindi la fisica costituzione delle nostre provincie e singolarmente le spesse ineguali diramazioni di monti e la tortuosa giacitura delle valli, non servirono che a far nascere e viemmeglio stabilire, come in Grecia, disuguali separazioni di territorio, fonte di rivalità ed inimicizie tra vicini, le quali impedirono a gli abitanti di accettare in comune una costituzione federativa e in sie me riunir si in un sol corpo di nazione ».

Provvista dalla natura, delle favorevolissime condizioni atte allo sviluppo della civiltà, la penisola italica vide infatti sorgere ed affermarsi, molto prima di Roma, civiltà notevolissime . Non bisogna credere che il mondo italiano cominci col romano.

Derivazione della civiltà romana delle antiche civiltà italiane. - Senza addentrarci a ricercare quale sia stato il primitivo popolo sconosciuto dal quale l' Italia trasse i suoi primi abitatori, diremo solamente che anche in Italia pervennero le immigrazioni delle genti dell'Asia Minore, provenienti anch'esse dalle regioni ìraniche. Queste genti, giunte in Italia, amalgamatesi con le popolazioni autoctone, fondarono Stati, lottarono fra di loro, si ordinarono in costituzioni speciali, svilupparono civiltà notevolissime, lottarono infin e contro la supremazia di un elemento che tutti gli altri doveva assorbire: l'el eme nto romano, e solamente più tardi risentirono dell' influenza greca.

La civiltà latina è civiltà autoctona italiana; prima ancora di Roma una rigogliosa vita intellettuale, morale, statale si era sviluppata in Italia; c: la stessa vita romana può dirsi una trasformazione dell ' antica vita italiana, una selezione derivata dalla lotta per l'esistenza, in gra nditasi nella coscienza di una possente individualità, estesasi nella affermazione di una forza unificatrice delle forze italiane e poi propagatrice del pensiero italo-greco » (Cosentino).

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La missione storica di Roma. - Roma, fortissima per istituzioni sociali e militari, già salita in potenza nelle guerre di prevalenza, potè osare di assumersi l' eredità no n solo dell'antica gloria e possanza italiana ma anche di quella greca: dimostrando cosl ancora una volta c come ai più valorosi, ai più arditi, ai più animosi spetti, pel diritto della forza, l'egemonia che non può assumersi, nell' ordine materiale dei fatti e nella ricomposizione degli Stati, in nome soltanto della ma ggiore cultura intellettuale e morale scompagnata da poderosa costituzione civile e militare. L' Egitto, all' epoca di Psametico, rispetto agli Assiri, l'Asia Minore, all' epoca di Dario, rispetto ai Persiani; la Grecia rispetto ai Macedoni e poi agli stessi romani, sono prova di questa legge: e lo comprova la Grecia stessa la quale, quando l' avanzata cultura si accoppiò felicemente ad energia di ordini statali e militari, vedemmo aver potuto da sola resistere ai torrenti di armati che i Persiani le mossero contro.

Però, lo studio della evoluzione storica, del progresso della civiltà in Europa, non può non prendere le mosse dalle fa s i, dalle sorti di quella Roma nella quale si compendiò l' Italia; dalle quali sorti, direttamente od indirettamente emanarono quelle del resto del mondo allora conosciuto; imperciocchè Roma C')n le armi, con le colonie, con gli stabilimenti militari, diffuse -e fu questa la sua vera missione storica - fino alle più lontane regioni il pensiero italo-greco: donde deriva in grandissima parte, la moderna civiltà in Europa :. (Cosentino).

Le p rimitive civiltà italiane. - l principali popoli che, favoriti dalle condizioni geografiche alle quali abbiamo precedentemente accennato, maggiormente si svilupparono, furono:

- i Liguri: addossati alle montagne essi cercarono la loro via di espansione sul mare ed estesero le loro relazioni e i loro empori commerciali fino alle coste iberiche e fino alle foci del Tevere;

- i Siculi, altro popolo marinaro che abitava le coste tirre· niche dall'attuale golfo di Napoli a tutta la Sicilia;

- gli Umbri, che abitavano il centro della penisola, e specialmente la regione montagnosa: rappresentano. il vero nucleo della popolazione primitiva italica;

- i Latini, originati sembra dagli Umbri; abitavano la parte meno alpestre del versante tirreno, cioè il Lazio;

- i Sa11niti dimoravano nella regione montagnosa tra il Gran Sasso e le spiagge dell' Ionio; gente priva di coesione e di accentramento governativo, seppero però, chiusi nelle loro montag n e , resistere a lungo ai Romani;

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- gli Etruschi, di oscura ongme, chiamati Tirreni dai Greci, datisi al mare presero il sopravvento su Liguri e Siculi; estesero il loro dominio dalla Magra al Tevere; nell'interno della penisola, fino alla pianura padana, e lungo le coste riuscirono a padroneggiare anche l'attuale golfo di Napoli, soprafacendo i siculi; ma senza mai poter saldare, attraverso il Lazio tutto il loro dominio sulle coste del Tirreno. Ebbero un periodo di grande floridezza commerciale al quale seguì un periodo di splendore spE>cialmente nelle arti belle e nelle costruzioni. La loro egemonia durò dal secolo XI fino al secolo IV .

La località ove sorse Roma . - Le lotte fra Liguri e Siculi, e quelle sostenute dagli Etruschi per l'estensione del loro dominio nel Lazio, provano che questa regione ebbe sempre una grande importanza politica anche prima della fondazione di Roma.

Sulla sinistra del Tevere, tra la foce del T everone e la località in cui svolta verso il mare e presso il fiume, sorge isolato un colle che da tempi antichissimi éra chiamato il Palati no: fu questa la culla di Roma. Di fronte al Palatino e prossimo pur esso al Tevere e pur esso isolato sorge un altro colle: l'Aventino. Da oriente spinge le sue propagini contro il Palatino e l'Aventino un gruppo di ondulazioni o colli che si chiamarono: Capitolino, Viminate, Quirinale, Esquilino e Celio. Le pendici di questi colli costituivano una bassura che era il naturale luogo di convegno o mercato delle circostanti borgate: fu questo il Foro. Continue erano le rivalità fra gli abitanti dei diversi colli: frequenti tra loro le dispute ed anche le zuffe sanguinose.

Cenni sulla storia di Roma durante i periodi regio e repubblicano. - Fondazione di Roma 7 54 a. C. - Le genti del Palatino dipendevano dai re d'Alba (ad oriente del lago di Albano); queste molestate dalle scorrerie continue delle genti viciniori, e a fine di assicurarsi la libera padronanza d e lla strada che portava al mare, fecero del Palatino una fortezza e vi stabilirono una guardia permanente di giovani risoluti: i quali sotto la direzione di capi arditi ed esperti, con una serie di lotte continue sottomisero completamente i turbolenti vicini.

Sembra debba essere questa l' origine storica di Roma.

La nuova città fu subito in lotta con i Sabini.

La guerra finl con una transazione tra Romolo, capo o re del popolo romano, e Tazio, capo o re dei Sabini. l due re con-

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vennero di tenere in comune la corona ma Roma diventava la sede del reg n o.

Il periodo regio: i sette re di Roma 7 54-5 1O.

Romolo, primo re di Roma, volse le armi contro gli Etruschi riuscì a togliere loro un buon tratto di territorio sulla destra del Tevere.

Numa Pompilio , sabino, uomo pio, pacifico, alieno dalle guerre: si dedicò al riordinamento delle leggi ed istituzioni religiose.

Tullo Ostilio, l egò il suo nome alla ruina di Alba.

Anco Marcio, le cui cure furono volte alla costruzione del porto d'Ostia, all' afforzamento del Gianicolo come baluardo di Roma sulla destra del fiume.

Tarquinio Prisco, della famiglia dei Tarquini: provvide Roma di mura, fece lavori di bonifi ca, costruì il Circo Massimo .

Servio Tullio, che si rese famoso pe r le riforme introdotte nelle istituzioni sociali e militari come meglio vedremo nel capitolo seguente.

Lucio T arquinio il superbo, governò da tiranno, portò la guerra fin tra i Vosgi, compì lavori di bonifica; iniziò la costruzione del Campidoglio. Ma tanto lustro e tanta potenza non compensavano il malcontento popolare diffuso e crescente per i m odi assoluti del re.

Con il progressivo svi luppo di Roma, era sorta una nuova classe nella quale si fusero il vecchio patriziato ed i nuovi ricchi. Le basi economiche della società avevano mutato natura: alla potenza che veniva dai grandi domini territoriali, si unì quella tutta nuova prov eniente dal danaro e dalle ricchezze mobili. Queste forze nuove che erano la base della potenza sta tal e, erano escluse dal governo della cosa pubblica, dal sistema tirannico di Tarquinia il Superbo.

La necessità di riforme era da tempo sentita in Roma

Servio Tullio aveva cercato di rimediarvi con le sue riforme, Tarquinio il superbo aveva invece peggiorato le cose con i suoi metodi dispotici: di qul la rivoluzione che cacciò i Tarquini da Ro m a Questa rivoluzione non è in sostanza che un epi sodio di quella assai più va31a dovuta, come abbiamo visto a cause generali economiche e politich e e che agitava allora tutto il mondo classico.

Servi o Tullio infatti ( 578-534) si può paragonare al riformatore ateniese Solone ( 594 ).

R ivoluzio11e patrizia 5 10. Una rivolta di patrizi, cacciò

Tarquini da Roma: questi si volsero pet aiuto agli Etrusch i,

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quali di buon grado aderirono allo scopo di abbattere Roma e stabilire quindi la diretta comunicazione con i possedimenti della Campania, cui da un pezzo anelavano. l Romani furono sconfitti : Roma assediata.

Guerra con gli Etruschi. - Allora genti di Anzio, Tuscolo e Cuma aiutano Roma e battono in una grande battaglia presso Ari eia, l' esercito etrusco: Porsenna, re etrusco, si ritira. Ouerra con Sabini e Latini. - · Ma Roma sembrava dovesse decadere: il cambiamento di governo e la invasione etrusca indussero Sabini e Latini a ribellarsi a Roma. Ne venne una guerra: ma in una grande battaglia presso il lago o pantano Regillo (nei pressi dell'attuale Frascati) Roma fu vittoriosa; trenta città divennero alleate di Roma.

La vittoria del Lago Regillo segna la definitiva caduta della tendenza monarchica: da questo momento prevale in Roma la tendenza repubblicana.

Partizione della storia romana. - La storia di Roma può infatti nettamente dividersi in tre periodi ben distinti fra di loro, a seconda della forma di Governo:

- il primo periodo va dal sec. VIII al 509 a. C. ed è chiamato periodo regio perchè Roma è governata da un re;

- il secondo periodo va dal 509 al 30 a. C. ed è il periodo repubblicano;

- il terzo periodo va dal 30 a. C. al 476 d. C. ed è il periodo dell' impero.

ll periodo repubblicano. - Abbiamo detto che la repubblica si era ormai consolidata in Roma: ma il governo era tutto a beneficio dei patrizi. Da questo momento si inizia perciò una lotta interna tra i patrizi e la plebe, lotta che dura un secolo e mezzo circa ( 496-343) e che si svolge ora con mezzi legali, ora con violenze personali ed ora con aperte insurrezioni.

Questo periodo di lotte interne impedì lotte di conquiste, costrinse anzi Roma a rlifendersi dai Galli, ma servì a sviluppare ampiamente le istituzioni politiche e ad abituare i Romani alla vita pubblica, preparando così quella solida organizzazione statale che doveva poi in seguito costituire il principale fattore del dilagare della potenza romana.

Una profonda distinzione esisteva tra patriziato e plebe; per. la plebe non vi erano leggi fisse e riconosciute: essa era esclusa da ogni ingerenza nell'azione governativa della cosa pubblica. I

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patrizi riteneveno non esistere tra loro e la plebe altre relazioni che quelle regolate dal proprio beneplacito, ed erano assolutamente contrari ad ogni concessione: di qui le lotte.

Allora, forse anche per placare con una guerra esterna le lotte interne fra patrizi e plebei, parve al governo romano essere giunto il momento di abbattere la potenza estrusca.

Distruzione di Vejo. - Roma assale e distrugge Vejo e alt re città etrusche o alleate degli Etruschi: è questa l'opera di Marco Furi o Camillo.

L' invasione dei Galli 390. - Roma era però min acciata da un grave pericolo: i Galli scesi dalle Alpi centrali e occidentali si erano poco per volta resi padroni dell' Italia settentrionale e centrale e avevano posto l'assedio a Chiusi. Questa città si rivolse a Roma la quale impose a Brenna condottiero dei Galli, di levare il campo: Brenna marciò invece contro Roma. Presso l' Allia, un torrente affluente nel Tevere a 11 miglia da Roma, l'esercito romano è disfatto; Roma arsa e distrutta. Roma è poi salvata da Marco Furio Camillo e per suo merito ricostruita.

Fine della lotta tra patrizi e plebei. - Scomparso il pericolo, e date anzi le difficoltà interne causaie dall' invasione dei Galli, riprese violenta la lotta fra patrizi e plebei.

Nel 367 finalmente fu stabilito che uno dei consoli dovesse essere plebeo.

Questo atto che apriva alla plebe la più alta carica della repubblica, segnò la fine della lunga lotta: anche tutte le altre cariche pubbliche furono aperte alla plebe e la repubblica romana for mò così delle varie classi della cittadinanza, un solo popolo forte e vigoroso.

Da questo momento Roma comincia la lotta per la conquista della penisola italica

Guerre sanniticlze - La prima guerra è portata contro i Sanniti: dal 343 al 312 dura ininterrotta la g u erra co n alterna fortuna. Malgrado le prime vitto rie, l'esercito romano, inoltratos i nella regione montuosa fra Capua e Benevento è costretto a subire l'onta delle Forche Caudine.

Ma Roma riprende più vigorosamente la guerra, ri stabilisce la propria supremazia e avrebbe forse compiuto la disfatta dei nemici se i popoli del nord non l'avessero costretta a nuova difesa.

Roma minacciata dai popoli del nord e del sud. - Etruschi, Umbri, Emici, Equi prendono le armi contro Roma; i Sanniti ,

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-93vinti ma non domati, si alleano con i popoli del nord : Roma è minacciata cosi da nord e da sud. Due eserciti consolari vengono inviati ed entrambi ebbero vittoria.

Allora tutti i popoli vinti s' inchinarono al trionfo definitivo di Roma, ormai signora incontrastata di tutta l' Italia centrale.

La conquista dell'Italia meri dionale: Pirr o. - Roma volge allora la propria attenzione verso le colonie greche dell ' Italia me · ridionale che per il loro fiorente commercio e la loro ricchezza destavano l' invidia e la cupidigia romana.

Trovato un facile pretes to la gue rra scoppi? tra Roma e Taranto: città che cercò un aiuto in Pirro, re dell' Epiro. Pirro vince per due volte, ma le sue perdite sono così gravi che egli rinuncia alla lotta.

Taranto, le migliori colonie greche e tutta l'Italia meridionale riconobbero cosi la supremazia di Roma.

Le guerre paniche. - Questa conquista mise i Romani a contatto con la potenza cartaginese che stava dilagando in Sicilia: hanno origine cosi le guerre puniche d e lle quali tratteremo in capitolo a parte cosi come il programma comporta.

La vittoria riportata su Cartagine assicurò a Roma il predominio nel bacino occidentale del Mediterraneo: Roma era ormai padrona dell' Italia dalla Magra a sud, della Sicilia, della Sardegna, della Corsic.a e della maggior parte della Spagna; ma nell' alta Italia Galli, Liguri e Veneti erano indipendenti e si dimostrarono aggressivi e turbolenti.

Oaerre contro i Galli. - Verso l'anno 200 le tribù galliche muovono infatti contro i possedimenti romani: nove anni durò la lo tta finita con il co m pleto trionfo di Roma.

Conquista della Liguria. - Poi Roma ·si volse contro i Liguri: molti e gravi furono gli sforzi compiuti per sottomettere quella fiera popolazione che così bene seppe valersi delle sue impervie montagne, ma finalmente la pertinacia romana trionfò.

Conquista della Venezia dell' !stria e dell' Illiria. - Succes· sivamente e senza gravi difficoltà, Roma compi la conquista della Venezia e dell' !stria; p enetrò nell'Illiria facendone una provincia romana e venendo così a confinare con il regno di Macedonia.

Re gnava allora in questo Stato filippo IV che a più riprese aveva mostrato la sua avversione ai romani, aiutando anche palesemente Cartagine

Convintosi però dell 'i nutilità della propria ostinazione contro Roma, filippo aveva volto le sue mire su gli s t at i greci, e su l

piccolo re g no di Pergamo in Asia Minore: questi stati si misero sotto la protezione di Roma. Di quì la guerra di Roma contro la Macedonia.

Guerra in Macedonia. - Debellato il re macedone, a Cinocefale, un larvato protettorato romano s' inizia sulle città greche. Senonchè Antioco, re dei Seleucidi sbarca in Grecia con 10.000 uom . per respingere i romani ma è sconfitto e costretto a tornare in Asia Minore. Roma allora prepara un nuovo esercito, lo affida a Lucio Scipione, il quale per la Macedonia, la Tracia e l'Ellespanto, si porta in Asia Minore e presso Magnesia sbaraglia l' esercito di Antioco.

Perseo, figlio di filippo IV di Macedonia preparava la riscossa approfittando del malcontento provocato dalla enorme supremazia di Roma. Strinse alleanza con i popoli vicini, raccolse un esercito di 40.000 uomini, assoldò 30.000 mercenari, dichiarò guerra a Roma e per tre anni tenne in iscacco le legioni romane. Ma affrontato a Pidna dal console Paolo Emilio, figlio del console caduto a Canne, fu gravemente e definitivamente sconf itto la sciando 20.000 uomini morti sul campo e perdendone 10.000 prigio nie1 i. La battaglia di Pidna è notevole perchè segna, come già abbiamo visto, l' ultimo respiro della formazione falangitica e il trionfo dei nuovi ordinamenti militari romani: il trionfo cioè della legione.

Conquista della Grecia. - La vittoria riportata nella Macedonia segnò a nche la conquista dell'intera Grecia.

Sistemate le cose nel bacino orientale del Mediterraneo con la costituzi o ne delle tre provincie romane di Macedonia, Acaia e Asia, Roma si volse a consolidare le sue conquiste nel bacino occidentale .del Mediterran eo s tesso .

Dopo 16 anni di lotta ( 149-133) Roma riusciva a sottomettere tutti i popoli ancora auton o mi della penisola iberica; e dopo undici anni di s p edizio ni continue ( 125-114) conquistava stabilmente le comunicazioni terrestri d ell' Italia con l' flliria e con la Spagna.

Le g uerre di conquista avevano reso Roma padrona dell'intero bacino del Mediterraneo, ma avevano prodotto ad un tempo una grande trasformazione dei costumi; tre fatti si e rano verificati:

- la rozza semplicità dei tempi antichi era de ge nerata in brutale arroganza; l'amore del fasto, la ricerca delle ricchezze, la mollez za dei costumi, caratterizzavano ormai la vita di Roma;

- una nuova nobiltà s i era formata composta di parecchie famiglie plebee inalzate alle più alte magistrature e smisuratamente

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arricchitesi: queste enormi ricchezze diedero ongme ai grandi latifondi che crearono una classe - i padroni - avida di governo; e una classe - i proletari o lavoratori dei vasti possedimenti possedut i dai padroni - misera, immersa nella più sq uallida miseria, op pressa e priva del necessario alla vita;

- l'infinito num ero di prigionieri di guerra condotti in schiavitù a Roma, aveva costituito una nuova classe sociale priva di ogni di ritto: g li schiavi.

Co ntro la mollezza dei costumi e contro le invadenti forme della civiltà greca, si levò fierissima per oltre mezzo secolo, la voce di Marco Porzi o Catone (nato nel 234, morto nel 149);

- contro le ineguaglianze politico sociali naturale conseguenza della formazione dei latifondi, insorsero i O racchi; contro la brutalità delle classi dominanti si levarono gli schiavi: due guerre le cosi dette guerre serviti - dovè sostenere Roma per domare la rivoltà; 35 anni durò la lotta, finita col trionfo di Roma.

La supremazia di Roma, e le conseguenti corruttele dei costumi e iniquità sociali, vennero costituendo in Roma due partiti: l' uno della nobiltà e delle classi dirigenti, l' altro del popolo. L' ultimo secolo della repubblica è infatti caratterizzato d11la lotta asprissima tra l' aristocrazia e la democrazia « finchè questa spossata e in gannata affiderà le sue sorti ad un genio ambizioso, che seppellirà la libertà della repubblica, iniziando il governo personale dell' imp eratore. Tanta era però la vitalità romana, che anche nella decadenza dei costumi e nella rovina delle istituzioni, faceva rapidi progressi la civiltà nelle sue svariate manifestazioni e le legioni continuavano trionfalment e per la strada della vittoria, sottoponendo a l dominio dell' Urbe quasi tutto il mondo allora conosciuto -. ( Rinaudo ).

Ouerra di Giugurta. - La prima guerra nella quale apparvero manifesti i seg ni della corrutela romana fu la guerra giugurtina. Giugurta, spodesta to il proprio cugino dal trono di Numidia (attuale Algeria) provocò a guerra i romani che dalla vicina provincia romana di Africa (attuale Tunisia) proteggevano il re spodestato. Con l'oro Giugurta comprò ambasciatori e generali romani fino a che la guerra fu affida ta da Roma al prode e retto Quinto Metello che sconfisse Giugurta in battaglia campale.

Era luogotenente di Metello, Caio Mario, nato da famiglia di contadini, avverso alla nobiltà, soldato forte, valoroso, infaticabile.

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Nominato console, Mario ebbe la direzione della guerra, che intanto continuava, contro Giugurta, e vinse in due belle battaglie: poi con arti politiche riuscì a far prigioniero Giugurta.

In queste sue manovre politiche egli fu molto agevolato e aiutato da uno de i suoi lu ogotenenti: Lucio Cornelio Silla, liceo· zioso dei costumi, ma vigoroso d'ingegno e di grande attitudine ai pubblici uffici.

Vittorie di Mario contro Cinzbri e Teutoni. - Una grave minaccia incombeva intanto su Roma: i Teutoni dalla Provenza, i Cimbri dalla valle dell' Adige scendevano in Italia: gli eserciti romani erano stati battuti: l'invasione delle provincie romane era ormai prossima. In tale pericolo Roma ricorse a Mario, allora reduce dall' Africa e nominato console per la seconda volta.

Alle Acque Sextie ( 102} Mario batte e fa orribile macello dei Teutoni; si porta poi contro i Cimbri che erano giunti a Vercelli li costringe a battaglia ( 101) e li batte !asciandone più di 100.000 uccisi sul campo.

Mario accolto trionfalmente dai romani viene salutato, dopo Romolo e Camillo, terzo fondatore di Roma : la sua ambizione lo fece però decadere nella estimazione pubbl ica.

La guerra sociale: le vittorie di Silla. - l popoli italici in· tanto, scontenti della diversità di diritti fra loro e i cittadini romani, insorsero contro Roma. Fu guer ra lunga, difficile sanguinosa, durante la quale gravi sconf1tte toccarono le legioni romane. finalmente, con vittorie militari e con alcune concessioni, Roma trionfò: gran parte del merito di questa vittoria fu dovuta a Silla, che ebbe come compenso la direzione della guerra contro Mitridate, uno dei re dell' Asia Minore.

S'inizia così la lotta tra Mario e Silla lotta che divampa feroce in tutta Italia divisa in due fazioni: i democratici o partigiani di Mario e gli a ri s tocratici o partigiani di Silla.

È una feroce guerra civile che chiaramente dimostra la decadenza romana.

Pomp eo . - Tra i pitt noti seguaci di Silla, aveva acquistato not evole ascendente Cneo Pompeo: a lui ricorse Roma, quando alla morte di Silla il console Lepido tentò con alcune legioni di marciare su Roma per impadronirsi del potere. Lepido fu sconfitto, e Pompeo ebbe la direzione della guerra che intanto stava svolgendo nella Spagna la quale ad istigazione di vecchi partigiani di Mario si era sollevata contro Roma.

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Insurrezione di Spartaco. - Mentre Pompeo è impegnato nella Spagna, scoppia in Italia una grave rivolta: quella dei gladiatori, condotti da Spartaco. Un esercito di più che 100.000 riv oltosi minaccia Roma.

Il Senato affida la direzione della lotta a Licinio Crasso uno dei più illustri e ricchi cittadini di Roma e richiama Pompeo dalla Spagna. Spartaco è vinto ed ucciso per m erito di Crasso.

Oaerra piratica. - Le guerre servili, quelle civili e infine la rivolta dei gladiatori evevano costretto i vinti a darsi disperatamente al brigantaggio e alla pira t eria. In pochi anni costoro erano cresciuti talmente di numero e di ardire che devastavano le coste fin sotto Roma. Il Senato incarica allora Pompeo di liberare tutte le coste dai pirati: il ri sultato è raggiu nto in soli tre mesi, e Pompeo ne trae nu o vi allori e nuova autorità, tanto che a lui viene ancora affidata una nuova guerra contro Mitridate. Anche di questa guerra Pomp eo è vittorioso e so tt omette il Ponto i paesi del Caucaso, e, rit ornato in Asia Minore, conquista la Siria e la Palestina.

Congiura di Catilina. - Mentre in questo modo, Pompeo estendeva sempre di più la conquista romana, a Roma, il senatore Catili na, messosi alla testa di tutti i malcontenti e facinorosi, ordiva una congiura contro il Senato: ma veniva scoperto e denunciato da Marco Tullio Cicerone.

Nel processo che ebbe luogo per la condanna dei com plici di Catilina, produsse grande impressione il discorso di un giovane oratore, il quale sostene va non doversi condannare i congiurati alla morte, ma al carcere perpetuo: soltanto l'eloquenza di Cicerone e di Catone potè impedire che tale proposta fosse accettata.

Il primo triumvirato: Cesare, Crasso, Pompeo. - Questo giovan e oratore si chiamava Caio Giulio Cesare.

Fece, questi, le sue prime armi nella Spagna; tornato poi a Roma, riconciliò Pompeo e Crasso tra i quali esisteva aperta ostilità e anzi si accordò con loro istituendo cosi il primo triumvirato e facendo si assegnare il gove rno della Gallia cisalpina e della Provenza.

Si iniziano così le guerre per la conquista della Gallia, gue rre delle quali parleremo in seguito cosi come il nostro programma comporta.

Crasso, intanto inviato a combattere in Asia contro i Parti, vi trovava la morte; Pompeo, solo in Roma, e geloso della potenza che Cesar e si andava acquistando, gli si metteva decisamente contro.

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M. VA LLET'rt·BORG:-IJNI, Storia Politico- militare ecc.- Vol. I. 7

Passaggio del Rubicone. - Il 1.0 gennaio dell'anno 49 Cesare domandava al Senato la proroga dei poteri per ultimare le operazioni contro i Galli : la domanda fu respinta. Cesare intuì in tale rifuto una manovra di Pompl!o per obbligare il vincitore delle Gallie a lasciare il potere, e allora, alla testa delle proprie legioni passa il Rubicone e marcia su Roma.

Si inizia così la lotta tra Cesare e Pompeo, lotta che dette occasione a Cesare di ottenere strepitose vittorie nella Spagna, in Epiro, in Tessaglia, in Macedonia, in Egitto, in Asia Minore, in Palestina, in Siria e in Africa.

Cesare vinse su tutti, il Senato era ormai un suo docile strum ento. Cesare venne così nominato dittatore in perpetuo; poi console per IO anni i ed infine col titolo di imperatore gli si affidò l a suprema carica militare.

Uccisione di Cesare. - Ma i trionfi di Cesare avevano offeso l'ambizione di m olti e urtato grandi interessi : malgrado quindi la benevolenza dimostrata verso parecch i avversari, non fu difficile ordire una congiura contro di il 15 marzo del 4-t Giulio Cesare cadeva ucciso in Senato ai piedi della statua di Pompeo.

Marco Antonio e Ottaviano. - Marco Antonio, amico intimo di Cesare e già console con lui, seppe, dopo l' uccisione di Cesare, destreggiarsi con tale accorgimento da diventare il vero padrone di Roma.

Giungeva intanto in Roma, il vero erede di Cesare : Ottaviano figlio di una sorella del grande condoltiero.

IL secondo triamvirato. - Ottaviano accordatosi con Antonio e con Lepido, governatore della Gallia, stabilisce il secondo triumvirato, e inizia le sue vendette contro gli uccisori di Cesare. Bruto e Cassio, che erano tra questi, fuggono in Macedonia e organizzano forze considerevoli contro Ottaviano e Antonio ·che li avevano inseguiti. A filippi Bruto e Cassio sono sconfitti. Allora Ottaviano ritorna a Roma a consolidare il proprio potere, mentre Antonio, recato si in Asia per cercarvi nuovi allori, s' invaghisce di Cleopatra, r egina d' Egitto i sosta ad Al essandr ia fra mollezze e piaceri i prepara infine la lotta contro Ottaviano, la cui potenza era sempre cresciuta. L a minaccia però di una nuova guerra civile che avrebbe provocata la fine della potenza romana, induce Antonio, Ottaviano e Lepido a nuovi accordi : Ottaviano ebbe l' occidente; Antonio l' oriente; Lepido l' Africa.

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Messo poi da parte Lepido, nominartdolo Pontefice Massimo, la lotta si restrinse tra Ottaviano e Antonio.

Questi, tornato in Oriente, sedotto dai vezzi di Cleopatra dimenticò presso di lei ogni dovere e ogni dignità. Ottaviano otHene così facilmente di muovergli la guerra.

Battaglia di Azio: 31. - Ad Azio, nell'anno 31, la flotta di Antonio fu distrutta da quella di Ottaviano: Antonio s\ uccide Rimasto solo, Ottaviano riunì in sè tutte le più alte cariche: principe del senato, prefetto dei costumi, pontefice massimo, imper:;tore cioè comandante di tutte le forze di terra e di mare.

L'impero. - La riunione di tutti questi poteri formò appunto l'autorità imperiale che venne consacrata col nome di Augusto, conferilo ad Ottaviano fin dall'anno 27: onde egli si denominò: Imperatore Cesare Augusto.

Le istituzioni sociali e gli ordinamenti militari romani nel periodo regio e repubblicano. - La legione.

Le istituzioni sociali.

Derivazione delle isti tuzioni sociali dallo stato di guerra al quale Roma deve la propria origine. - Nel parlare della fondazion e di Romn abbiamo visto che Roma deve la propria formazione e il proprio sviluppo alle necessità provate dai primitivi abitatori del Palatino di affermare, armi alla mano, il proprio dominio su tutte le tribù vicine allo scopo di conservare indipendente lo sbocco del Tevere in mare, ove affluivano tutti i comm erci delle vicine regioni . Possi amo quindi dire che fin dalle origini la condizione abituale di Roma fu lo stato di guerra continuo. Ed è appunto in questa origine di Roma dovuta alla guerra, è in questo stato di pericolo immanente e di guerra senza posa, in cui Roma originò e crebbe, che dobbiamo ricercare i motivi che furono la causa delle caratteristiche istituzioni sociali romane.

Le istituzioni sociali romane, naturale derivazione dello stato d i guerra al quale Roma deve la propria origine, presentano infatti alcune spiccate caratteristiche che possiamo così raggruppare:

l. " la co stituzione di un tipo individuale di cittadino e di soldato eccezionalmente forte, tale cioè da far fronte alle necessità in cui Roma venne a dalle sue origini. Roma park subito

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dal concetto cht l' azione dello Stato non è che la somma delle azioni individuali: tanto più vigorosa sarà l'azione dello stato quanto più forti sono gli elementi che lo costituiscono;

2. 0 l' orga11izza.done della famiglia , diretta a vigorosamente preparare ed agevolare anzi l' azione dello Stato;

3.0 l' organiu:azione dello Stato diretta esclusivamente alla concentrazione degli sforzi e all'aumento progressivo di questi sforzi mediante l'as similazione lenta ma sicura e continua, di nuovi elementi;

4. 0 la concezi one sicura ed esatta del predominio che in ogni cosa deve avere la ragione di Stato, scevra da ogni pregiudizio di nascita o da fi sime di nazionalità, a fine di ingenerare in tutti, negli individui cioè e nel governo, l'abitudine al pericolo per concentrare menti, volontà ed atti nella sostanza ultima di tutti gli atti pubblic i o privati e di lutle le azioni individuali o collettive: la potenza e il predominio di Roma.

In sostanza Roma pretende, fin dalla sua primitiva costituzione sociale, la più completa dedizione del cittadino allo Stato; m a a sua volta, lo Stato assicura al propri o e singolo cittadino il più completo sviluppo dei suoi diritti Tutti quest: diritti costit uivano però un privilegio esclusivo dei soli cittadini romani: è per questo che il cittadino romano non solo com prendeva, ma sen tiva effetti· vamente come suo bene o suo male la sconfitta e il trionfo della p atria e finiva con l' i dentificare il proprio interesse con quello di Roma, l a su a vita con la vita di Roma.

Il Diritto romano. - Più gra nde e potente era Roma, più g r ande e più potente diventava il cittadino romano: in questo intimo legam e tra cittadino e Stato sta l'essenza di quello che fu il Diritto romano che possiamo definire la gi u sta via di mezzo t r a il cieco assolutismo delle antich e monarchie asiatiche e l'eccessivo individualismo della civiltà greca .

Principio questo che fu la caratte ri stica e la base della gran· d ezza di Roma e che Roma non ereditò da alcuna civiltà e che ci conferma qu an to abbi amo d etto all' jnizio del capi t olo precedente: essere cioè la civiltà rom ana un puro prodotto del pensiero e de l genio latino.

Base dell' ordinam ento civile e politico fu l a famiglia: essa doveva dar e il cittad in o eccezionalmente forte; non solo fo r te ma· terialmente m a forte d' intelletto e di v olontà.

Il pafer· familiae aveva nella propria famiglia, autorità famigliare, rel i giosa e militare.

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Quando nuove genti cominciarono a stabilirsi in Roma, o perchè costrettevi dai Romani o chiamati da un maggior benessere di cui speravano godere nella nuova città, sorse una speciale classe di cittadini: i clienti. Costoro non ebbero i diritti propri dei priminitjvi e originari cittadini romani, ma dovettero entrare a far parte di qualche famiglia. Essi dovevano obbedienza cieca al càpo famiglia che aveva anche su essi il diritto di vita o di morte: in compenso dovevano da lui essere tutelati e rappresentati con la sollecitudine di un padre.

Da queste relazioni cosl strette tra padre e figlio, tra patrono e clienti ne conseguiva un'unione solidissima di interessi e di affettj che si traduceva sul campo di battaglia in un forza di coesione incomparabile stante la salda fiducia e l'amore che univa tra loro il capo e i sottoposti.

Oltre a ciò la riunione in un sola persona di tanta autorità ingenerava nel giovane fin dai primi anni un sentimento altissimo di disciplina e di subordinazione che preparava il naturale e spontaneo assoggettamento alla . disciplina statale e militare .

Nè è a credere che la ferrea disciplina e la sottomissione assoluta avessero alcun che di umile e di servite, perchè il figlio che obbedisce al padre non per questo si avvilisce o si reputa suo inferiore. Ne conseguiva perciò che il giovane romano, pur contraendo l' abitudine alla p r ofonda sottomissione ai suoi capi civili e militari non si credeva per questo meno di loro; mentre l' obbedienza coscienziosa ma non servile lo preparava al comando vigoroso e risoluto ma scevro d'arroganza.

Nella fami g lia insomma si curava, oltre che il fisico, il cuore e la mente del giovane: la milizia ne faceva poi rapidamente un soldato meraviglioso.

La riunione di più famiglie associate .tra loro per parentela o per nome comune costituiva le genti; la riunione di più genti costituì va la curia.

Ogni tribù (Ire solamente alla fondazione di Roma) era divisa in dieci curie ed era presieduta da un tribuna.

Le genti più antiche e potenti costituivano il patriziato. Quando poi Roma cominciò ad estendere le sue conquiste e ad incorporare nello Stato nuove popolazioni, sorse una nuova classe sociale i plebei che erano esclusi dalla cittadinanza romana, non avevano diritti politici nè potevano unirsi in matrimonio con i patrizi.

In sostanza dunque: patrizi e genti erano i veri cittadini ro -

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mani; clienti e plebei erano classi inferiori. Solamente ai veri cittadini romani spettava il governo della cosa pubblica.

li governo era costituito da tre organi: il Re, il Senato e i Comizi curiati.

Il re era nominato a vita dai rappresentanti delle curie (o comizi curiati): esercitava I ' autorità militare giudiziaria e religiosa: per l' amministrazio ne della giustizia si valeva dei questori.

Il Senato era un consiglio scelto dal re stesso tra i padri di famiglia più anziani per averne assistenza negli affari di Stato.

l comizi curiati, formati dai citta di ni delle curie, eleggevano il re, deliberavano sulla concessione dell .t cittadinanza romana, e decidevano la guerra o la pace.

Mano a mano che il dominio di Roma si estendeva la popolazi one della città cresceva grandemente, ma tutte queste nuove popolazioni pur vivendo in Roma, non avevano ottenuto la cittadinanza romana: così che tutte le prestazioni personali imposte dallo Stato ai propri cittadini, e tra queste segnatamente quella del servizio militare, erano limitate ad una cerchia ristretta di popolazione in confronto a tutta la popolazione di Roma. A porre rimedio a questo grave inconveniente fu fatta da Servio Tullio una importante riforma.

La riforma di Servio Tullio. Servio Tullio prese l ' ordinamento militare e la ricchezza come punti di partenza delle modificazioni che voleva introdurre. Egli divise tutti i cittadini senza distinzione, in classi a seconda delle l oro rendite, verificate per mezzo di una operazione detta censo. Mise in una categoria speciale quelli che per la loro ricchezza potevano servire nella milizia con un cavallo e con un'a l'matura completa; e in un altra categoria quelli invece che nulla possedevano.

Tutti gli altri divise in cinque classi secondo le loro ricchezze e li tenne oljbligati a provvedersi di armi offensive e difensive tanto migliori quanto più potevano spendere, designando per ogni classe quali dovessero essere queste armi. Ogni classe fu divisa in centurie, in modo che le classi più ricche avessero però un maggior nume ro di centurie; i più poveri formarono invece una sola centuria.

A gli antichi comizi curiati furono sostituiti i comizi centuriati, nei quali .il voto raccoglievasi per centuria: dato il modo come erano state costituite le centurie è chiaro che i più ricchi avevano un maggior numero di voti.

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La direzione della cosa pubblica, restava dunque in sostanza a gli antichi patrizi: però in questa riforma si scorge già il principio dell' innalzamento della plebe romana alla parità di tutti i diritti cittadini, poichè per essa la plebe è chiamata a parteciparne ai doveri .

Questa iniziale prima vittoria morale della plebe segnò il primo atto verso nuove richieste dei plebei: l'eguaglianza cioè di tutti i diritti.

Caratteristich e della lotta fra patrizi e plebei. - Attraverso lotte lunghe, continue e difficili i plebei furono poco per volta ammessi a tutti gli atti della sovranità e a tutte le cariche del governo. Entrambe le parti si segnalarono, durante questa lotta, per senno e virili cittadine: la plebe non trascese mai all' anarchia, anche nei momenti di maggior concitazione, anche quando, trovandosi raccolta e sotto le armi, sentiva tutta la sua potenza; l'aristocrazia non spinse mai la resistenza all' eccesso, rassegnandosi a perdere ad uno ad uno -i suoi privilegi, m an mano che il bene della repubblica lo richiedeva.

Caduta la monarchia per i motivi che abbiamo esposto nel capitolo precedente, estesa la propria dominazione sull' Italia, Roma trattò con umanità e giustizia le popolazioni sottomesse. Unità politica d' Italia. - Ogni città conservò integri i propri diritti comunali: solamente il far la guerra o la pace e lo stipulare trattati, furono att i riservati alla repubblica dominante, per modo che tutte le milizie italiche rimasero a disposizione di Roma. Roma inoltre proibì in tutta Italia qualunque patto federativo tra i comuni: fu così raggiunta per la prima volta n ella storia l' unità politica della penisola sotto la signoria di Roma.

· « Mentre i Greci non estendevano oltre la città dominante il dìritto di cittadinanza, i Romani non disdegnarono di concedere secondo l' opportunità il nome e i diritti di cittadini ai popoli caduti sotto la loro dipendenza, allargando il concetto di patria oltre la cerchia dei sette colli. Col suo senno pratico Roma, preoccupata della s icurezza di sua signoria, procurò di mantenere divisi i popoli italici, affinchè non avessero interesse ad unirsi contro di essa, e di lasciare loro l' amministrazione dei propri affari per soddisfare l' amore del paese natìo. Secondo questi criteri i popoli che le si sottoposero di buon grado furono trattati con mitezza e avvicinati alla cittadinanza romana; quelli che resi s tettero ostinatamente, furono indeboliti con la confisca delle terre e con lo stabilimento di

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colonie romane nelle loro città. Pertanto le comunità italiche possono dividersi in 4 gruppi: prefetture, municipi, colonie, città libere federate.

Le Prefetture. - Le prefetture non godevano del diritto di governarsi da sè, ma erano rette da prefetti romani, nominati annualmente: gli abitanti della prefettura erano soggetti a tutti i pesi dei cittadini romani senza goderne i privilegi. l Munìcìpii. - l Municipi erano comunità legate con Roma da trattati di alleanza che ne determinavano gli oneri e i privilegi. Oli oneri consistevano per lo più nell' obbligo di fornire milizie; i privilegi erano nell'esenzione da ogni altra imposta e nel diritto di amministrarsi da sè. l municipi godevano dei diritti civili dei cittatadini romani, ma non dei diritti politici.

Le colonie. - Le colonie erano ordinariamente costituite da un gruppo di trecento cittadini di provata abilità militare, che si recavano con le loro famiglie ad occupare città conquistate. l capi di coteste famiglie conservavano tutti i loro diritti come cittadini romani, e potevano recarsi a Roma per dare il voto nei comizi. l coloni predominavano nelle città occupate su gli antichi abitatori privi dei diritti politici.

Città libere. - Le città libere federate erano del tutto indipendenti da Roma, costituendo per tal modo corpi politici autonomi, ma erano legate alla città da un trattato di alleanza che fissava i diritti e i doveri reciproci. » ( Rinaudo ). l consoli. - Roma esercitava su tutti il proprio predomio a mezzo del Senato e dei consoli: questi erano due, nominati per un anno, alla fine del quale dovevano rendere conto del loro operato. l due consoli si sorvegliavano l'un l'altro: la durata del loro ufficio inoltre impediva loro maneggi per rendere stabile il potere.

Il Senato. - L' autorità vera di Roma risiedeva nel Senato : la rivoluzione per cui cadde la monarchia ebbe infatti per iscopo di passare il potere alle classi più potenti e organizzare il governo in modo che il potere non potesse essere usurpato da qualche ambizioso.

Il Senato era stabile: questo fatto e la autorità che esso ebbe sempre sui consoli fece sì che i consoli dovevano considerarsi come semplici strumenti del Senato, esecutori della sua volontà, responsabili verso di lui di ogni loro decisione.

La direzione della cosa pubblica in Roma rimase cosi per cinque secoli affidata esclusivamente al Senato.

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Condizione politica morale e sociale di Roma dopo le grandi qmquiste. - Con questa St'tlda organizzazione statale Roma compi le sue grandi conquiste ed estese il suo dominio su tutto il ba · cino del Mediterraneo.

Ma malgrado lo sviluppo della propria potenza, il fiorire della vita intelluttuale e la saggezza politica del Senato romano, il fatto delle nuove condizioni create dalla conquista, il sorgere cioè dell' aristocrazia della ricchezza, doveva nuovamente e dannosamente per Roma romperne l'equilibrio.

L'antica costituzione si trovò discordante con le nuove condizioni sociali. La nuova aristocrazia tendente ad appropriarsi i privilegi che le leggi accordavano all'antica, si frovò costretta a correre dietro al favore del popolo che disponeva della elezione alle più alte cariche della repubblica. Si cominciò cosi a trascurare l' esenzione delle imposte i si lasciò andare in decadenza l'esercito piuttosto che obbligare i cittadini al servizio militare i in una parola non si osò più dÌ disporre delle sostanze e della vita dei cittadini a prò della patria. Ne risultò da una parte una nobiltà avara, dimentica del pubblico interesse per l' interesse personale, intrigante, corrompitrice i dall'altra una plebe povera, svogliata al lavoro, carica di debiti verso i nobili, accessibile alla più sfacciata subornazione. Comincia in sostanza in Roma il dominio della violenza: il Senato lotta strenuamente per conservare la propria autorità, ma ormai il senatore romano ha perduto la sua tempra, e Roma è in potere del più audace i primo sin tomo: le lotte tra Mario e Silla. La trasformazion e fu resa palese da due fatti:

- la concessione della cittadinanza romana a tutti gli italiani i il che fece sl che il nucleo dei primitivi cittadini romani che aveva il governo di Roma, si trovò a dover fronteggiare un poderoso partifo che poteva fare appello alle forze degli italiani e chiamarle alla riscossa i

- la riforma militare di Mario, per la quale i proletari vennero ammessi in gran numero nell'esercito. Il nuovo esercito così costituito, vivente essenzialmente per la guerra e per i guadag ni che dalla guerra derivavano, era quindi strettamente legato alla persona del comandante più che agli interessi della patria: e i com<tndanti seppero valersi di tale potente mezzo a loro disposizione, per le loro ambiziose mire politiche.

L' antica costituzione romana voleva essenzialmente che ogni cittadino fosse al tempo stesso soldato, e che og ni soldato, prima di

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tutto fosse cittadino: il nuovo ordinamento tendeva invece a creare dell'esercito una casta, a creare uno stato militare nella repubblica.

Trattando delle istituzioni militari parleremo più diffusamente di questa riforma militare di Mario.

la costituzione dell'impero. - Maturava cosi rapidamente la grande trasformazione.

l vari partiti sostennero i loro protettori che sedevano in Senato, li comprarono, furono da essi cercati e fornirono eserciti con i quali ciascuno di essi cercava di assicurarsi il predominio su gli altri. Così divamparono vere e proprie guerre civili quali quelle tra Mario e Silla; Cesare e Pompeo; Antonio contro gli uccisori di Cesare; Ottaviano contro Antonio. Il crescente disordine faceva sentire il desiderio di un governo più forte che non fosse quello del Senato diviso dai partiti e composto di uomini a mbi z iosi, avidi e corrotti: sorse allora l' idea che il dominio del più forte sarebbe stato certamente migliore che non la confusione creata dalla lotta tra i vari partiti personali.

L' impero rimase all' uomo che facendo suo il concetto di Cesare tolse al Senato l'antico potere, lo ritemprò coll'ammissione di nuovi membri tolti dall' _ Italia e dalle province, e cominciò la trasformazione del dominio di Roma in una confederazione di popoli mediterranei collegati tra loro in nome della gl o ria e della potenza tradizionale di Roma. Così come il programma comporta parleremo più avanti dell' ordinamento politico e militare dell' impero romano.

Le istituzioni militari.

Caratteristica delle istituzioni militari romane e partizione in epoche.- Quanto abbiamo detto circa lo stato di guerra in mezzo al quale· nacque e prosperò Roma, ci fa subito avvertili che lo spirito delle istituzioni militari dei Romani nasce e si sviluppa essenzialmente offensivo.

« È necessità, perchè Roma, cinta da nemici, è portata alla iniziativa delle offese sotto pena di rovina. Quindi le istituzioni e le arti della milizia romana sono offensive sotto la monarchia elettiva, sotto la repubblica oligarghica, tra le riscosse della plebe, tra mezzo alle guerre civili, in Italia, Spagna, Africa, Grecia; in Asia, nelle G allie, in Germania, nella Britannia, nella Dacia, ossia finchè

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rimane ombra di quel tremendo bisogno di conquista che, sorto da un gruppo di capanne sul Tevere, non si calma finchè non tocca i confini del mondo conosciuto. (Chi ossi).

Le istituzioni militari romane del periodo re gio e repubblicano, le possiamo distinguere in tre epoche: epoca dei Re-: prevale l'ordinam ento falangitico; epoca della repubblica: prevale l'ordinamento manipolare; epoca di Mario e Cesare : prevale l' ordinanza per coorti.

Epoca dei re. - Tutti i cittadini, cioè i soli patrizi, hanno il dovere e il diritto di portare le armi; popolo e esercito sono una cosa sola: la parola quirite, portatore di lancia, significa cittadino.

Nei primi tempi di Roma, ognuna delle tribù primitive (Ram· zensi, Tiziensi, Luceri) somministrava mille fanti comandati da due tri buni; e cento cavalieri detti celeri, comandati essi pure da un tribuna. Complessivamente si avevano tre mila fanti sotto sei tri· buni dei militi e trecento cavalieri sotto i tre tribuni dei celeri. fanti e cavalieri insieme costituivano la legione, della quale aveva il comando supremo il re. Alla legione si aggiungeva poi un certo numero di uomini, armati di fionde o armi da getto, che combattevano fuori dell' ordinanza.

La riforma di Servio Tullio estendendo anche ai plebei il di· ritto della milizia, moltiplicò il numero delle legioni. D' ordinario si costituivano quattro legioni: due uscivano in guerra, due rimane· vano a presidio della città. Le prime due erano costituite con le centurie dei juniori, dai 17 ai · 45 anni; le seconde con le centurie dei seniori, dai 45 ai 60 anni.

Vedi a mo in questo particolare l'attuazione del concetto di un esercito di seconda linea con i più anziani.

Ogni legione era formata dai contingenti di ciascuna tribù mbana, ad ognuna delle quali, come ad una specie di distretto di reclutamento, erano annesse un certo numero di tribù rustiche:

1 ogni legione comprendeva perciò cittadini di tutti i distretti.

Le classi sociali ordinate da Servio Tullio dovevano, entrando nell' esercito, essere così armate:

1. • classe: elmo, scudo di rame, corazza; spada e asta;

2." » : elmo, scudo di legno, gambiere ; spada e asta;

3." » elmo, scudo; spada e asta;

4. a )) scudo i spada e asta i

5." » pilo e armi da getto;

6." ., esente dalla milizia.

)

Ogni legione comprendeva 3.000 soldati di grave armatura; dei quali 2.000 della prima classe, 500 della seconda; 500 della terza: e l 200 soldati di leggera armatura o veliti: 500 della quarta classe e 700 della quinta. In tutto 4.200 soldati di fanteria e 300 cavalieri.

Tatticamente si disponevano in falange, formata su 600 uo m ini di fronte con 6 di profondità. Le quattro prime righe erano formate di soldati della prima classe in completa armatura; la quinta c la sesta dai soldati della seconda e terza classe. Oli uomini delle ultime due classi formavano l' ultima riga o combattevano in ordine sparso. Arma principale dei soldati in ordinanza era l'asta o l ancia, come quella degli opliti greci; arme dei veli ti era il pilo, il quale primitivamente pare che fosse un dardo leggero assai, dacchè ognuno doveva portarne sette.

Dopo l a guerra le legioni venivano sciolte, meno le cPnturie di cavalleria , che si conservavano anche in tempo di pace, per evitare la difficoltà che si sarebbe incontrata a provvederle di cavalli ad ogni chiamata.

Epoca della r epubb lica. - Con il successivo estendersi del dominio di Roma, ed usufruendo dei contingenti delle città latine, il n umero delle legioni venne aumentando. Un esercito consolare si componeva, di solito, di quattro legioni: due romane e due di soci, egualmente composte salvo che per l'aliquota di cavalleria: le legioni sociali ebbero 6 centurie di mentre l e legioni romane continuarono ad averne 3 solamente.

Due erano, ordinariamente, gli eserciti consolari, comanda ti ciascuno da uno dei due consoli ed in sua assenza dal comandante della cavalleria : in ogni legione vi er ano 6 tribuni militari che coma n davano per turno di giornata. Qundo i due eserciti co n solari erano riuniti per un' unica impresa, le operazioni d' insieme er an o dirette per turno di giornata da uno dei due consoli. Sono ovv"i gl i i nconvenienti che presentava un tale metodo di coman d o: sp esso vi si ri mediò con l a nom i na di un dittatore il cui p o tere era limitato al momento del pe r icolo e in ogni modo non poteva superare il periodo di 6 mesi

Altro grave inconveniente, relativo sempre al funzionamento del comando era quello che il console, scaduto l'anno del prop r io co n solato, doveva cessare dal comando dell'esercito a qualunque punto si trovassero le operazioni di guerra.

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Con il succedersi deli e guerre, un gran cambiamento fu introdotto nell ' ordinamento della legione romana, per successivi perfezionamenti introdotti nella tattica specialmente durante le lunghe e difficili guerre sannitiche . La legione continuò a comporsi come prima: ma ne fu perfezionato l'ordinamento e sostanzialmente mutata la forma di combattimento.

Si distinsero tre specie di fanteria di linea:

- i triar'i, armati di picca lunga circa 2 m.; di daga corta e robusta a doppio taglio, e di grande scudo di legno coperto di cuoio e rafforzato di ferro, a forma dì tegola; erano tutti elementi sceltissimi e tenuti in grande considerazione per censo, valore personale e lunghi servizi;

- i principi, armati come i triari, solo che invece della picca avevano il pilo, arma da getto e da pugno lunga m. 2.40, con una punta di ferro: ne facevano parte i migliori militi che rimanevano dopo la scelta dei triari;

- gli astati, armati nello stesso modo dei principi; erano i militi più giovani e meno ricchi della 3." e 4. 3 classe: quelli della 5. • classe si chiamavano veliti ed erano coloro che per valore e perizia dimostrata erano ammessi a servire nella fanteria.

La legione. -- L' unità tattica della fanteria fu il manipolo, comandato da un centurione e composto di 120 militi per gli astati e i principi; e di soli 60 triari.

Dieci manipoli di ciascuna specie composero la legione (da legio, raccolta) comandata per turno da uno dei sei tribuni militari.

l 1200 veliti assegnati alla legione, continuarono a non avere nessun posto fisso nell' ordinanza, dovendo agire come truppa leggiera: furono armati di giavellotti ( 7 ), di daga come il resto della fanteria e di piccolo scudo rotondo.

La cavalleria rimase armata di lanci a, spada, e scudo rotondo e fu suddivisa i_n turme di 30 cavalieri; in ordinanza poi la cavalleria si divideva in due ali di un numero indermìnato di turme.

Nell' ordinanza regolamentare sul campo di battaglia tutti i manipoli erano disposti su 10 righe; tra riga e riga, come tra fila e fila vi era la distanza di m. 1.80. La tur ma era ordinata su quattro righe di 8 file (i due ufficiali pigliavano posto nelle righe); fra i cavalieri vi era l'intervallo di 2 metri.

Ordinamento della legione. - Nella legione i manipoli erano disposti su tre linee:

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- i dieci manipoli di astati in prima linea, uno accanto all' altro con intervall i uguali alla fronte di un manipolo;

- i dicci manipoli di principi in 2.a linea, disposti come gli astati e corrispondenti agli intervalli di questi;

-i dieci manipoli di triari in 3." linea, situati corrispondentemente agli intervalli della 2.• linea.

La distanza fra le linee fu in media di 50 m.

L e turme di cavalleria erano ripartite sulle ali della legione, od anche dietro i triari, su una o due linee, con intervalli uguali od anche maggiori della fronte eli una turma .

l veliti erano sparsi sulla fronte, negli intervalli dei manipoli e delle turme; sul tergo; e dovunque potessero servirsi delle loro armi da gitto e da mano.

Modo di combattere dt'l/a legione. - L' azione veniva impegnata dai veliti che coprivano tutti i movimenti della legione:

- il primo urto dato da gli astati che, lanciati i loro pili a t 5 o 20 passi dal nemico, correvano poi all' attacco;

- se gli astati erano respinti ripiegavano dietro i principi passando fra gli intervalli; e i principi stessi avanzavano sulla prima linea ed impegnavano un secondo attacco m01to più potente;

- i triari rimanevano col ginocchio a terra ad osservare l' attacco: essi non servivano che come ultima riserva: e allora si lanciavano per l'urto decisivo;

- la cavalleria concorreva agli attacchi della fanteria passando per gl' intervalli dei manipoli, o girando le ali, e caricando di gran carriera: respinto il nemico la cavalleria passava all' i nseguimento insieme ai veliti.

Disciplina. - La disciplina dell' esercito era mantenuta da leggi severissime; vigeva la pena di morte e l'uso delle verghe; il duce supremo aveva diritto di vita o di morte. l premi erano quasi tutti onorifici. Cader vivo nelle mani del nemico era considerata grave vergogna, co.sicchè il senato fu sempre restio a riscatt are o cambiare i prigionieri.

Fortificazione. - Le fortificazioni consistevano in mura merlate e turrite, circondate da un fosso e una rocca come ridotta centrale.

Accampamenti. - La località dove l' esercito si accampava anche per una sola notte veniva sempre rafforzata da una cinta regolare. Il campo era r ettango lare e le l egioni si accampavano col fronte rivolto all'esterno del r ettango l o.

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Macchine. - Poco usate dai romani furono le macchine di guerra: nella guerra contro Pirro troviamo l' uso di alcuni carri dai quali sporgevano bracieri ardenti e pungiglioni da potersi abbassare e alzare secondo il bisogno.

furono questi gli ordinamenti con i quali Roma condusse le guerre di conquista dell' Italia. Durante queste guerre Roma combattè con poche forze c in teatri d' operazione ristretti e non ebbe quindi campo a svolgere grandi concetti strategici: unica preoccupazione dei suoi condottieri f11 quella di prevenire o raggiungere l'esercito avversario e batterlo nel più breve tempo possibile fidando sopratutto nella salda volontà di vincere e nel valore del legionario romano. Ma anche in queste lotte con i popoli vicini, Roma mostrò d'essere maestra nella politica della guerra, perchè, cinta da più nemici seppe tenerli divisi per batterli l' uno dopo l' altro non accordando mai pace stabile a chi conservasse ancora una anche limitata forza di nuocere.

Ma quando, con le guerre puniche, Roma volle estendere il proprio dominio su regioni più lontane e più forti, si sentì la necessità di alcune riforme nelle istituzioni militari, riforme che costituiscono un vero e proprio periodo di sviluppo per l' arte militare romana. Periodo di sviluppo per l' arte militare romana. - le principali riforme furono le seguenti:

- la necessità di disporre di forze più num erose fece ammettere nelle file delle legioni, i servi e i liberti i

- la cavalleria, inizialmente poco curata, fu, dopo le prime guerre contro Annibale aumentata e migliorata nell'armamento e nella istruzione. Mancò però ancora l' impiego a massa: continuò ad essere adoperata frazionata in piccoli drappelli frammisti alle linee di fanteria i fu perciò costretta a cercare costante appoggio nella e spesso anche combattere a piedi. la cavalleria, come in Grecia, non faceva uso di staffe i

- furono studiate apposite formazioni di marcia che permettessero un rapido passaggio all' ordine di combattimento. Così l'esercito, si ordinava sopra una o più colonne per coorti (una coorte constava di tre manipoli corrispondenti alle tre linee su cui si disponeva la legione), una coorte dietro l' altra serrando le distanze fra i manipoli i

- speciali disposizioni furono date alla cavalleria e ai veliti per coprire le marcie i

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- fu studiato e saggiamente applicato l' impiego dell' avanguardia, incaricata del combattimento temporeggiante in attesa del grosso;

furono studiati appositi movimenti onde poter rapidamente far fronte non solo sul fronte ma anche sui fianchi e sul tergo;

- la logistica progredì grandemente dato il più vasto sviluppo delle operazioni guerresche;

- la strategia il tremendo pungolo di Annibale e con la grande individualità di Scipione, estese i suoi piani ai continenti e al mare, attuò vasti concetti, mirando sempre a ferire il cuore dell' avversario.

Furono questi i p1 i nei pali progressi dell' arte militare romana che si svilupparono poco per volta nel periodo delle grandi conquiste. Ma una volta compiuta la grande conquista, questa fece sentire le proprie conseguenze su Roma: parlando delle condizioni politiche, morali e sociali di Roma dopo le grandi conquiste, ab· bi amo detto che, ultimate queste, un a grande trasformazione si veniva compiendo nelle condizioni di Roma. E abbiamo anche detto che frutto e sintomo di tale trasformazione fu:

- la concessione della cittadinanza romana a tutti gli italiani;

-e la riforma militare di Mario: di questa abbiamo anche già dato la caratteristica: parliamo ora un po' più diffusamente di questa riforma.

Decadimento delle istituzioni militari. - La corruzione dei costumi, la decadenza morale che poco per volta prese Roma dopo il periodo delle g• an di conquis te, avevano alterato la costituzione della milizia. L'antico legionario scadeva moralmente e fisicamente; la necessità continua di avere soldati fece incorporare nell'esercito reclute tratte dall' intera penisola, e gli stessi proletari, cioè i cittadini dell'ultima classe; il velite era considerato come un legionario e sostituito nei suoi antichi compiti da arcieri e frombolieri stranieri.

Le lontane impre::;e, costringendo le legioni a rimanere sotto l e armi, lontano dalla patria per più anni. avevano fatto nascere l o stimolo a ricerc are i mezz i per esimersi dal servizio militare. Oli ese r citi vennero cosl poco per volta ad essere formati dalla parte meno eletta della cittadinanza, avevano perduto poco alla volta lo spirito cittadino e l' amore delle patrie istituzioni, sentendosi invece sempre più legati alla di quel condottiero sotto il quale sapevano più sicuro e più ricco il botti n o. Mutato

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lo spirito che informava la legione, mutati gli e lementi che la componevano si vide necessaria una trasformazione anche nella costituzione della legione.

La riforma di Mario. - Nell' antica legione il manipolo era la vera unità di combattimento: Mario lo sostituì con la coorte, la quale co nsist eva nella riunione dei tre manipoli di astati, principi e triari. I militi furono tutti egualmente armati e istruiti: tolta quindi ogni d isti nzion e fra le tre specie di fanteria.

Questa trasformazione fu naturale conseguenza della scemata qualità dei soldati. L' ordine manipolare, disgregato pe l minuto frazionamento degli elementi della legione, presentava soltanto consistenza per l'alto valore individuale dei militi; la formazione ma· nipol are aveva tutti i vantaggi di una grande mobilità e di una g r ande efficacia nél combattimento, senza gli inconvenienti della man ca n za di coesione. Ma degenerati singolarmente i gregari, questa mancanza di coesione si fece sentire su larga scala: fu quindi provvida innovazione quella di formare la legione con unità più compatte, le quali supplissero col peso della massa all' inferiorit à degli individui.

fuse insieme le tre linee della legione, abolita ogni differenza tra astati, principi e triari, adottata pe r arme comune il pilo, fu divi sa la legione in 10 coorti, ciascuna d i 6 o anche solo 5 centur ie d i cento uomini per centuria. Ogni coorte era di s posta s u una profondità di 10 righe: in ordine di battaglia le 10 coorti della legion e erano disposte su due linee (Mario non ne formò mai più di du e: Cesare ris tabilì le riserve di terza linea) e qualche volta su tr e a scacchiera: quattro in p rima lin ea, tre in seconda, quattro n ella terza.

furono sopp r esse le insegne distintive per ogni linea e fu data per insegna comune a tutta la legione, l' aqui la d' argento.

tno ltre fu is tituita una guar di a alla t en da del generale, ossia al pretorio, n ella quale g uardi a non si ammettevano che soldati sceltissimi: fu qu esta l'origine delle coorti pretoriane. Con questo ordinam e nto Cesare fece tutt e le sue gue rre.

Considerazioni s ulla legione manipolare. - Ro ma dav a alla mili zia un cittadino c he possia m o dire perfetto: addest rat o ed esperto fi s icame nte, abituato ai disagi, fiero della sua missione, di scip:inato, conscio d ella propria forza individuale e di quella di Ro ma. Il cittad in o doveva essere prima di tutto un solda to; e

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M VALLETTJ-IJ O RGNINI,
-Vol. l. 8
Storia Po/ilico-miliiare tec.

il soldato non doveva mai dimenticare di essere cittadino di Roma.

Nei brevi periodi di pace i soldati romani erano continuamente addestrati nel campo di Marte e con armi più pesanti che non fossero quelle da guerra; la loro marcia regolare era di 24 migli a in 5 ore; durante la marcia, oltre le armi che non erano computate nel peso, portavano viveri per cinque giorni, dei pali per fare il campo, utensili da lavoro e da cucina: il tutto per 60 libbre di peso; appena giunti alla tappa si costruiva il campo consistente in un fossato largo in media 4 metri e profondo tre, e in un parapetto costituito con la terra ricavata dallo scavo rinforzata coi pali.

Questo campo (che, per le armi di allora, dice Napoleone, era inespugnabile) permetteva ai Romani di dare o rifiutare battaglia. appoggiandosi al campo come a una fortezza.

L'allenamento fisico, l' abitudine alla disciplina, I' ardore di difendere la lib ertà propria personificata in quella di Roma, la passione di difendere Roma minacciata da nemici accaniti, aveva esaltato al massimo i cuori e gli intelletti dei Romani, si da farne dei soldati nel senso più ve1 o e completo della parola.

L'ordinamento militare, basato su questi principi corrisponde infatti all' inizio della r epubblica, quando la repubblica stessa si trovò ad aver bisogno che ogni individuo spiegasse sul campo di battaglia il massimo possibile della propria energia.

Abbiamo detto che l' ordinanza militare dell'epoca dei re è ancora un'ordinanza falangitica: ma in seg u ito, sviluppato, come sopra abbiamo detto, il valore di ogni singolo combatte nte; sorta la ne cessità di meglio sfruttare l'indole aggressiva dri Romani; e quella di combattere in terreni montuosi, poco adatti, come sappiamo, all' ordine falangitico; data al legionario una nuova arma: il pilo, originariamente propria dei sol i veliti, l' ordine falangitico venne poco per volta m odificandosi, diminuendo di profondità e spezzettandosi in unità minori. Così sorse la legione manipolare, come naturale conseguenza cioè delle condizioni m orali politiche e militari in cui Roma si trovò. Il passaggio dalla formazione falangitica a quella manipolare, dovuto alle cause sopra esposte, avvenne poco per volta: il merito però della definitiva costituzione d ella legione manipolare e del suo modo di combattere spetta a Camillo. Questa grande innovazione fu una delle principali cause d ella grandezza di Roma. ·

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Caratteristiche della legione manipolare. - Grandissimi furono i vantaggi tattici che si ebbero da questa ordinanza più leg, giera, meno profonda, ma più estesa nel fronte, nP.IIa quale il disordine di un manipolo non si comunicava a gli altri attigui. In complesso possiamo dire che la legione manipolare:

- era organismo articolato e maneggevole e quindi oltremodo atto all'offensiva e atto altresì a manovrare su qualsiasi terreno;

- poteva acquistare virtù difensiva con l' intromissione dei manipoli della 2.• e 3.• linea negli intervalli della 1.

- così l' adozione del pilo, migliorò il problema dell' arma atta a combattere da presso e da lontano;

- essendo disposte su tre linee permise di scaglionare opportunamente l' impiego delle forze opponendo una resistenza graduale e successiva al nemico e organizzando una riserva composta delle mi gliori truppe;

- suscitò massima emulazione fra le diverse fanterie, dovendo i più giovani combattere sotto gli occhi dei veterani; gli astati infatti ascrivevano a gloria di poter vincere senza l' aiuto dei principi, e questi senza l' intervento dei triari i

- riconosceva non solamente i meriti dovuti al censo, ma anche quelli dovuti agli anni di servizio e al valore personale, poichè solamente dopo lunghe prove gli astati potevano venir promossi principi e poi triari.

Parallelo fra la falange a la legione. - Se ricordiamo ora quanto abbiamo detto circa la falange, potremo schematicamente fare il seguente parallelo fra la legio ne e la falange :

- la falange era for t e per la sua solidità e co mpatt ezza, ma non poteva combattere se non che in un terreno piano ed unito, ed in un modo solo; non aveva una riserva; non un passaggio di linee; non poteva assalire od inseguire senza scompaginarsi; se qualche interstizio si fosse verificato nella falange, i legionari potevano infiltrarsi fra gl i interstizi della falange e combattere alla spicciolata sfruttando completamente il loro valore personale e la lo ro corta spada contro soldati estremamente pesanti e poco atti al combattimento individuale: è quello che successe alla battaglia di Pidna;

- la legione aveva per caratteristica la mobilità, ma godeva anche di solidità, sia formando una linea sola, sia ordinandosi in coorti i aveva due li ne e una riserva; aveva il passaggio di linee; combatteva su tutti i terreni; si adattava a qualsiasi marcia; com-

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batteva ugualmente con l' esercito intero o con qualcuna delle sue parti, o anche da uomo a uomo.

Considerazioni sulla riforma di Mario. La riforma militare di Mario ebbe notevolissime conseguenze tattiche. La nuova le· gione, composta di l O coorti fu ben !ungi dall' avere la stessa mobilità e la stessa elasticità della legione manipolare. Volendo conservare intervalli uguali al fronte delle coorti si sarebbero in· trodotti nella linea dei vuoti pericolosi: gli intervalli vennero perciò ridotti a 20 piedi soltanto. ·La manovra di rinnovare successivamente la lotta, così ben calcolata nella legione manipolare, divenne meno agevole; le linee successive accorre11do a sostegno delle prime, furono esposte al pericolo di disordinarsi. La cavalleria fu separata dalle le gioni; la sua forza venne accresciuta, ma reclutata in gran parte fra gli stranieri.

Il trionfo della legione: la battaglia di Pidna. - Nel chiudere questo capitolo che contempla la nascita, l'affermazione e le trasformazioni della legione romana fino alla caduta della repubblica, ritengo necessario accennare alla battaglia di Pidna, importantissima dal lato militare perchè essa segna l' ultimo definitivo cozzo tra le due celebri ordinanze greca e romana: la falange e la legione. In questa battaglia, come abbiamo visto, la falange greca segna il proprio ultimo respiro mentre la legione romana trionfalmente si afferma. Come, perchè, e da chi sia stata combattuta la battaglia di Pidna, abbiamo visto al capitolo precedente: diciamo ora brevemente dello sviluppo avuto dalla battaglia stessa. Iniziata la battaglia, la prima linea romana, cioè gli astati, viene ricacciata in disordine: s'impegnano i principi e la lotta si rinnova più atroce; anche la seconda linea romana sta per cedere. Il con· sole Paolo Emilio confessò in seguito che quel baluardo di metallo e quella selva di sarisse con cui si presentava la falange macedone lo avevano riempito di meraviglia e di timore, e che, per quanto si mostrasse tranquillo ed ilare, non aveva potuto sulle prime impedire a sè stesso di provare qualche dubbio e qualche inquietudine sull'esito del combattimento. Ma il console romano si accorge che l' ineguaglianza del terreno obbligava la falange a lasciare s ulla sua fronte alcuni intervalli. Divide aiiora le sue truppe in piccoli drappelli e ordina ai legionari di infiltrarsi negli interstizi della formazione avversaria. I legionari romani, avanzando quasi alla spicciolata attaccano sui fianchi e alle spalfe i componenti la fa-

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lange: questi sono costretti al combattimento individuale al quale si sentono moralmente poco pronti e pel quale non hanno armi adatte. La falange così poco per volta si scompagina, perde ogni suo valore, si tramuta in una massa disordinata che tenta inutilmente sostenere il combattimento corpo a corpo, e diventa cosi facile preda dell'urto potente e serrato dei triari romani.

La st r age dei macedoni fu immensa i la vittoria dei romani grandiss im a; gli ordinamenti militari romani, e cioè le legioni ma· nipolari, si erano decisamente affer m ate.

Le guerre puniche. Le battaglie di Canne, del Metauro e di Zama.

Fondazione e sviluppo di Ca r tagine. - Verso la metà del sec. IX a C. una colonia di Tiro condotta da Elissar (detta Didone o la fuggitiva) approdava sulle coste dell'Africa che fronteggiano la Sicilia, e vi fondava una città, detta Città nuova onde il greco Carchedon e il latino Carthago. La felicissima posizione della nuova Città favorì il suo mpido incremento. Ques ta colonia fenicia, costretta ad esulare da l bacino orientale del Mediterraneo per l'invadenza greca, e continuando nelle sue tradizioni di navigazioni e di commerci, estese il proprio dominio sulla Sicilia, sulla Sardegna, sulla Corsica, alle isole Baleari e alla Spagna i cosicchè quando Roma conquistò la peniso l a italica la potenza cartaginese s ign o r eggiava tutto il bacino occidentale del Mediterraneo.

Cartagine era ordinata a repubblica aristoc r atica : la classe dominante era form ata essenzialmente da proprietari e ricchi m ercanti. Il popolo non aveva parte alcuna nel governo della repubblica. La classe dirigente tutta intenta ad accumulare ricche zze, non curava e non coltivava il mestiere delle armi: il grosso del· l'esercito e gli equipaggi della flotta erano quindi formati con mercenari assoldati in Africa, n ella Spagna e nelle isole del Mediterraneo occidentale. La classe dirigente della repubblica cartag ine se si limitava a fornire i comandanti di queste forze.

Tale sistema di governo e tale ordinamento militare dovevano necessariamente produrre due gravi conseg u enze:

oppressione dei popoli soggetti sfruttati se mpr e in mille m odi;

indebolimento morale dei Cartaginesi dominati dall' avidità del lu cro e dal disprezzo verso il servizio militare.

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Impiantati alcuni empori sulle coste della Sicilia, i Cartaginesi vollero impadronirsi dell' isola. Era allora prevalente in Sicilia la città di Siracusa sotto la tirannide di Dionisio che durante il suo lungo regno ( 406-367) tenne testa agli invasori. Più tardi però Siracusa, ancora minacciata dai cartaginesi, chiede aiuto a Pirro allora in lotta ·coi Romani nelle Puglie: Pirro, si porta in Sicilia e batte i Cartaginesi. Ma partito Pirro, i cartaginesi tornano a trionfare: Siracusa che si valeva di un esercito di mercenari detti Mamertini, avventurieri in gran parte della Campania, passa un brutto momento, perchè i Mamertini non volendo più saperne della guerra avevano iniziato il ritorno in Patria, e sulla strada del ritorno avevano occupato e saccheggiato Messina. Siracusa è salvata dall' energia e dalla valentia di Oerone che, sconfitti i Cartaginesi, si volge poi contro i Mamertini : questi chiesero aiuto a Roma i un esercito romano sbarcò a Messina i Siracusa per opporsi alle forze romane, fa pace e si allea con i cartaginesi, ma I' esercito romano batte siracusani e cartaginesi.

Ebbe così origine la prima guerra punica: quanto abbiamo esposto si riferisce alla causa occasionate della guerra i ma la causa vera, principale, quella di carattere molto più generale, fu la necessità di definire con le armi una lotta che covava latente da parecchio tempo, quella cioè della supremazia fra Roma e Cartagine . L' urto fra queste due potenze era inevitabile : Roma non poteva pensare di continuare od estendere il proprio dominio se non a patto di abbattere la potenza cartaginese.

Le guerre puniche sono tre:

- nella prima, Roma, fortemente decisa a sopraffare la rivale, e compresa la necessità di essere forte prima di tutto sul mare per abbattere la potenza cartaginese, si dà alacremente, per la prima volta, alla costruzione e allo sviluppo di una grande flotta: la lotta, malgrado i romani riescano a portare la guerra in Africa, si decide sul mare: con la prima guerra punica, Roma afferma la sua nuova potenza navale i

- la seconda guerra punica è quella più interessante dal lato della condotta delle operazioni i n terra i è quella quindi che maggiormente c' interessa i è quella con la quale i Cartaginesi portano la guerra in Italia, ove un loro condottiero, Annibale, si afferma come uno tra i più grandi capitani i

- la terza guerra punica è brevissima e poco notevole e si chiude con la distruzione di Cartagine.

Vediamo le vicende di questre tre guerre.

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La prima guerra punica: 264-241.- Dopo le prime vittorie eontro Cartagine, alle quali abbiamo già accennato, gli eserciti romani avanzarono nell'interno della Sicilia, giunsero sotto Agrigento che, difesa dai cartaginesi, resiste per 7 mesi ed è poi espugnata e saccheggiata. Ma malgrado questa vittoria, Roma si accorge che non avrebbe potuto impadronirsi di tutta la costa occ identale della Sicilia, fortemente tenuta dai Cartaginesi, senza una flotta potente.

l Romani non erano completamente nuovi al mare, ma ancora non si era loro presentata l'occasione di una grande lotta contro una potenza marittima come era Cartagine: bisognava o rinunciare al dominio del mare, il che voleva dire limitare la conquista alla penisola italica, o accingersi all' impresa di creare una potenza romana navale. Roma non esita, e, presa a modello una nave nemica sbattuta dalla te mpesta sul lido siciliano, allestisce in due mesi 160 navi di varia grandezza, prepara gli equipaggi, e con la nuova flotta affronta sul mare la lotta con i cartaginesi. L'inizio di questa lotta è sfortunato per Roma: presso le isole Lipari 17 navi romane sono sorprese e catturate.

La sconfitta aumenta l'ardore di Roma: il console Caio Duili o viene nominato comandante della flotta, nuove costruzioni vengono immediatamente iniziate.

Caio Duilio, visto che i romani non erano abbastanza abili in combattimenti navali, idea un nuovo modo di co mbattere: arma le navi romane di alcune macchine speciali, dette corvi, consistenti in un lungo ponte che, lasciato cadere pesantemente sulla nave nemica, doveva afferarla per mezzo di numerosi ganci dalla forma di becco di corvo. Strette così l' una all' altra le due navi, i soldati romani, gettandos i sul ponte, possono su di esso combattere come in terra ferma.

Con questo mezzo la flotta romana ottiene il suo primo grande successo nella battaglia d i Milazzo.

l romani, ri solsero allora di portare la guerra in Africa: nell' anno 256 infatti, una flotta di 330 navi romane fa vela verso l' Africa: attaccata dalla flotta cartaginese, la flotta romana ottiene un' altra strepitosa vittoria : 94 navi cartaginesi sono distrutte. Due eserciti consolari sbarcano allora in Africa: assediate e prese alcune città si spingono fin sotto Cartagine.

Visti questi successi una parte dell' esercito è richiamato a Roma: restano in Africa solamente 15.000 uomini al comando di

l f - 119 -

Attilio Regolo. Ma i cartaginesi, guidati da un certo Santippo, un soldato di ventura di origine greca, battono l'esercito romano e prendono prigioniero lo stesso Attilio Regolo.

Roma prepara subito la riscossa: ma una terribile tempesta distrugge la flotta romana; una nuova flotta romana ebbe nell'anno seguente la stessa sorte.

Roma rinuncia allora per il momento al dominio del mare e rinnova la guerra contro i presidii cartaginesi che ancora esistevano in Sicilia: Asdrubale, condottiero delle forze cartaginesi in Sicilia è gravemente sconfitto e perde 20.000 soldati; Cartagine chiede la pace (episodio di Attilio Regolo) ma Roma rifiuta. Due flotte romane vengono distrutte dal cartaginese Amilcare Barca, ma la costanza romana trionfa.

Col generoso spontaneo concorso di tutti i cittadini, Roma costruisce una nuova flotta di 200 navi: questa flotta, condotta dal console Caio Lutazio Catulo muove contro i cartaginesi e presso le isole Egadi infligge loro una tremenda sconfitta prendendo 70 navi e colandone a f ondo 50 ( 241 a. C.).

Cartagine rovinata dalla lunga guerra, stremata di forze , chiede la pace che viene accordata alle seguenti condizioni:

- il predominio di Roma viene riconosciuto su tutta la Sicilia e sulle isole vicine;

- restituzione dei prigionieri romani;

- pagamento di 3200 talenti (circa 18 milioni di lire) nel termine di lO anni;

- Oerone di Siracusa riconosciuto indipendente ma considerato alleato di Roma.

Roma e Cartagine dopo la prima guerra. - Ultimata la guerra con Roma Cartagine è costretta a sedare una grave rivolta dei suoi mercenari; la rivolta si estende dall' Africa ai mercenari che Cartagine aveva in Sardegna e nella Corsica e di questo fatto ne profitta Roma: le due isole vengono incorporate a Roma e Cartagine costretta. ad un nuovo tributo di 1200 talenti.

Terminata la rivolta dei mercenari, il senato cartaginese ve· dendo crescere la fama e il favore popolare di Amilcare e temendo che egli ne profittasse per impadronirsi del potere, lo manda nella Spagna con l'incarico di compensare con nuove conquiste la perdita delle isole italiane. Amilcare estese di molto il dominio cartaginese nella penisola iberica e restaurò con le prede

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le esauste finanze della madre patria; morì in battaglia ammirato e rimpianto nell'anno 227.

Roma intanto estendeva il proprio dominio nell'Illiria e nella Gallia cisalpina

Morto Amilcare Barca fu eletto capo dell' esercito, Asdrubale suo genero, che estese ancor più il dominio cartaginese nella Spagna, fondò Cartagena (nuova Cartagine), ma fu obbligato poi a stringere un patto con Roma ( 227 a. C.) per cui I' Ebro doveva essere ritenuto come limite settentrionale dell'impero cartaginese nella Spagna.

Asdrubale venne ucciso nel 221 dal pugnale di un assassino e Annibale, figlio di Asdrubale Barca, venne proclamato capo dell'esercito cartaginese.

La seconda guerra punica . - Cartagine aveva dunque esteso la propria dominazione su tutta la Spagna fino all'Ebro: solo Sagunto, città di origine greca, dirimpetto alle isole Baleari, alleata di Roma, da molti anni, si manteneva indipendente.

Annibale, chiamato in aiuto da una città rivale di Sagunto, assediò Sagunto e la ridusse un mucchio di rovine: è questa la causa della seconda guerra punica. Cartagine affida la direzione della guerra ad Annibale .

Questi considerato che Cartagine non poteva ormai più com· petere con la prevalente flotta romana, si propose di portarsi per via di terra nella Gallia cisalpina e con l'aiuto di quei popoli che sapeva nemici dei romani, avanzare su Roma; contemporaneamente i Macedoni, alleati di Cartagine, dovevano attaccare le forze romane, e due flotte cartaginesi ten ere impegnata la flotta romana e cercare di stabilire sicure comunicazioni per mare tra Africa e Italia; mentre Asdrubale, fratello di Annibale doveva restare nella Spagna e prepararvi un altro esercito .

Nella primavera dell'anno 218 Annibale con 90.000 fanti, 12.000 cavalli e 37 elefanti inizia da Cartagena il grandioso movimento, passati i Pirenei, e aprendosi la strada ora col ferro ora col danaro, giunge nell'agosto ad Avignone.

Roma prepara due eserciti: uno da mandare in Africa e l'altro nella Spagna; ma i preparativi sono lenti, una rivolta di Galli sul Po, costringe ad impegnare parte delle forze destinate ad agire nella Spagna; Annibale ne profitta, continua ad avanzare e nell' ottobre giunge ai piedi delle Alpi. Il console romano Publio Cornelio Scipione era intanto sbarcato a Marsiglia.

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Il passaggio delle Alpi. - In 15 giorni di fieri contrasti dovuti specialmente alle avversità della natura. Annibale valica le Alpi: gli storici sono ancora discordi se il passaggio avvenisse pel Piccolo S. Bernardo o pel Monginevra. Finalmente l'invasione raggiunge la pianura italiana, ma le forze di Annibale sono ridotte a 20.000 fanti, 6.000 cavalli e pochi elefanti. Con questo pugno di uomini, avventurieri per la maggior parte, affranti dai pericoli e dai disagi, Annibale dopo breve riposo, varca il Ticino.

Roma, richiama Cornelio Scipione a Pisa, e richiama altresì dalla Sicilia l'esercito che era pronto a portarsi in Africa.

Battaglia del Ticino. - Scipione da Pisa, per Pontremoli, Borgotaro e Piacenza, si dirige su Pavia e al Ticino è affrontato e vinto da Annibale. Not e vole in questa battaglia l'impiego della cavalleria cartaginese: che rie s ce ad attaccare i Romani sul fianco e sul tergo.

Scipione ferito si ritira per Stradella e Piacenza, sulla destra della Trebbia ove viene rag g iunto dall'esercito romano richiamato dalla Sicilia. Annibale passa sulla destra del Po e pone il campo di fronte ai romani: egli voleva ottenere un nuovo successo per consolidare la propria situazione e rendersi così sicuro dell'ami· cizia dei Galli.

l due consoli romani erano invece discordi: Scipione voleva temporeggiare, Sempronio voleva invece la battaglia decisiva per finire con una vittoria il proprio anno di consolato che stava per scadere.

Bat taglia della Trebbia 218. - Annibale disponeva di 21.<100 fanti, 11.000 cavalli e alcuni elefanti; i romani avevano 36.000 fanti e 4.000 cavalli; i due campi avversari erano divisi dalla Trebbia, gonfia in quei giorni per le recenti pioggie.

Annibale, deciso a provocare a battaglia i romani, e riconosciuto personalmente il terreno, dispone :

- la cavalleria numida passi la Trebbia e finga un movimento su tutto il fronte del campo romano: attaccata fugga disordinatamente e ripassi la Trebbia per attirare i romani sulla

h..,. del fiume su un terreno piano e scoperto ove Annibale si ripromette di dare la battaglia;

- un corpo di t 000 cavalieri e 1000 fanti, tutta truppa sceltissima, agli ordini di Magone, fratello di Annibale, si apposti intanto segretamente e al coperto tra i folti cespugli che numerosi coprivano le rive di un ruscello affluente di sini s tra della Trebbia

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proprio di fronte ad una delle estremità del campo romano che trova vasi, come sappiamo, sulla destra del fiume;

- attirati così i Romani sulla sinistra della Trebbia attaccarli frontalmente con la fanteria, aggirarli sui fianchi con la cavalleria e con le truppe scelte di Magone, e ributtarli nel fiume.

La notte precedente l' azione, il corpo di Magone si apposta: all'alba la cavalleria numida passa la Trebbia e compie vistose evoluzioni sotto gli occhi dei romani.

Si era in pieno inverno (dicembre) e cadeva fittissima la neve. Sempronio incautamente accetta la sfida, e senza far prendere cibo ai suoi, attacca la cavalleria numida, la respinge e passa con le legioni sulla sinistra del fiume. J soldati romani passano a guado con l'acqua fino al il freddo, il digiuno, il gelo dell'acqua smorzarono però il loro ardore e il loro entusiasmo: un numero grandissimo di essi viene colto da malore, gli altri intirizziti e digiuni hanno appena la forza di difendersi. Le truppe cartaginesi che avevano regolarmente consumato il loro pasto caldo, erano pronte all' azione; la maggior parte della cavalleria non aveva concorso all'azione dimostrativa sulla destra del fiume ed era pronta all' attacco.

l romani si trovano così improvvisamente di fronte all'intero esercito avversa r io schierato a battaglia.

Annibale aveva disposto la fanteria al centro, cavalleria ed elefanti alle ali.

Le legion i romane, schieratesi in fretta, sono così prese: alle spalle, dall'improvvisa irruzicrne delle truppe di Magone; ai fianchi dalla più numerosa e più valida cavalleria cartaginese; e di fronte dalla fanteria cartaginese fresca, vigorosa, piena di ardire. l romani furono gravemente sconfitti: essi perdettero 26.000 uomini.

Conseguenza della sconfitta fu l'insurrezione generale della Gallia; o ve Annibale potè stabilire la sua nuova base di operazione e triplicare la forza del suo esercito.

Roma armò subito due eserciti:

- uno comandato da Flaminio, impetuoso, irresoluto, poco abile fu inviato ad Arezzo per dominare la via Cassia;

- I' altro al comando di Servilio fu mandato a Rimini sulla via Flaminia.

Annibale, per dirigersi su Roma scelse la strada dell' Etruria: sembra che unico motivo di questa scelta fosse quello di ave r

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a che fare con l'indeciso flaminio piuttosto che con l' altro console Servilio. Per il passo della Cisa scese in Lunigiana, poscia nella valle dell'Arno ed, evitando Arezzo, si diresse per Siena ve rso Chiusi onde intromettersi fra flaminio e Roma.

La marcia fu penosissima in mezzo a continue palud i: numerosi furono i morti in questa mar cia cosi penosa che durò quattro giorni e tre notti: Annibale stesso vi perdè un occhio in conseguenza di una oftalmia che non ebbe tempo di curare e che era sta ta provocata da un eccesso di umidità.

finalmente giunse in località mi g liore, e per impedire che Servilio, già in cammino per congiungersi a flaminio, arrivasse in tempo prima cioè della battaglia, provocò quest' ultimo inoltrandos i nel paese e devastandolo: flaminio infatti gli mosse contro.

Battaglia del Trasimeno 217. - Annibale che era acca mp ato sulle rive del lago Trasimeno, appostò l' esercito tra i poggi dei monti di Cortona, dominanti la strada che avrebbe dovuto seguire flaminio lun g o il lago.

Infatti appena questi seppe che Annibale aveva tolto il campo, si mosse per inseguirlo e senza alcuna precauzione si internò fra il lago Trasimeno e i monti: quando tutto l'esercito romano fu internato in quella stretta Annibale piombò con i suoi da ogni lato e ne fece macello: 15.000 romani furono uccisi, altrettanti fatti prigionieri.

Vittorioso al Trasimeno Annibale non marciò direttamente su Rom a, ma ripassato l'A ppennino a Colfiorito, si portò nella ricca regione del Piceno, prima di proseguire nell' Italia meridionale dove, appoggiato al mare ed agli Appennini, sperava di pote r f ar sollevare quelle popolazioni da poco assoggettate a Roma. Intanto riordinò le sue forze, addestrò i suoi soldati alla romana e sollecitò soccorsi da Cartagine e dalla Macedonia.

l motivi per i quali Ann ibale non m arciò s u Rom a , sembra possano essere i seguenti :

- egli aveva bisogno di sistemare la sua linea di co muni caz ioni attraverso gli Appennini ;

- il suo esercito sofferto assai nelle lunghe marcie fr a i monti e le paludi, e nelle battaglie e aveva bisogno di riposo e di rinforzi prima di dare un gran colpo;

- l'ese rcito di Servilio era ancora intero e compatto e avrebbe quind i p otuto assalire alle spalle i cartaginesi ment r e questi erano i mp egnati contro Roma che avrebbe certamente opposto una vali-

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dissima resistenza e avrebbe certamente messo in campo nuovi eserciti.

Roma costituì infatti nuove legioni: la direzione della guerra fu affidata al console Quinto fabio Massimo: questi, intuendo che Annibale non poteva mantenersi in Italia che mediante continue vittorie e che l' inazione oltre ad esaurirne le forz.e ne scemava il prestigio, cercò di seguirlo sempre, disturbarlo, ma senza mai lasciarsi trarre a battaglia campale. Annibale, stanco di quella ma· novra passa l'Appennino e muove su Capua: la forte resistenza che vi trovò l'obbligò però a tornare indietro, fabio lo prevenne alla stretta di Bovino e lo circondò: ma Annibale riuscì a sfuggire, recandosi poi a svernare ai piedi del Gargano.

A fabio Massimo - che si ebbe il titolo di temporeggiatore - successero nell'anno 216 i due consoli Terenzio Varrone e Paolo Emilio

Annibale intanto per rifornirsi di viveri e per provocare il nemico aveva occupato Canne sull' Ofanto, città piena di magazzini impiantativi dai romani per le loro legioni.

Terenzio Varrone accorsè, e, malgrado il parere contrario di Paolo Emilio, volle attaccare l' avversario.

Battaglia di Canne 216. - l Romani dispongono di 80.000 fanti e 7.200 cavalli; i cartaginesi di 40.000 fanti e ·10.000 cavalli. Il terreno era piano: ed attraversato dall' Ofanto.

La disposizione dei romani era a scacchiere, ·con intervalli più ristretti del prescritto. Cavalleria alle ali: 2400 cavalli a destra appoggiati all' Ofanto; 4800 a sinistra; veliti su tutta la fronte; fanteria di linea dietro ad essi; fronte a sud.

I cartaginesi si posero su di una sola linea: galli e spagnuoli al centro formando una convessità; africani alle estremità; cavai· leria alle ali; frombolieri baleari su tutto il fronte; fronte a nord.

La battaglia si sviluppa in tre momenti distinti: t. o momento: lotta tra le truppe leggere che poi si ritirano scoprendo le front i. Nel frattempo la cavalleria cartaginese dell'ala sinistra rovescia la romana che 13: fronteggia; i cavalieri romani fanno piede a terra ma è peggio: sono tagliati a pezzi; il console. Paolo Emilio è ferito.

2.0 momento: le legioni romane portano l'attacco sulla convessità della linea nemica, la quale a poco a poco, piega, diventa una linea retta, piega ancora lentamente specialme,nte al centro, per riuscire infine concava. l romani s'impegnano in 'questa con-

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cavità e serrano le loro masse in modo da non poter più fare libero uso delle loro armi. l fanti africani, posti come abbiamo visto alle estremità dello schieramento della fanteria cartaginese, compiono rapide conversioni a destra e a sinistra e attaccano i romani ai fianchi. Intanto la cavalleria cartaginese dell' ala sinistra, dopo i successi ottenuti nel primo momento, si era unita a quella di destra e aveva travolto la rimanente cavalleria av· versaria.

3.0 momento: tutta la cavalleria cartaginese assale da tergo le legioni romane.

l romani sono completamente sconfitti: innumerevoli gli uccisi tra cui Paolo Emilio; accerchiati e presi i 10.000 uomini che Varrone aveva lasciato a guardia del campo; Varrone scampa con pochi dei suoi: i cartaginesi perdono circa 9000 uomini.

Caus e del disastro romano furono:

- la presunzione di Varro ne;

- la cecità nel cadere nella rete te'Sa da Annibale col cedere lentament e a l centro per poter compiere l'accerchiamento;

- l'appiedamento della cavalleria romana;

- il rc stri ngimento della fronte legionaria in modo da lasciare facoltà ai nemici, molto inferiori di nt1mero, ma estesi di fronte, di accerchiarne i lati.

Contribuirono alla vittoria di Annibal e:

- l' ottima distribuzione delle armi e d e i corpi;

- le manovre tattiche ben preparate e bene eseguite sul campo di battaglia; la felice scelta della posizione.

La conseguenza pitl importante di questa grande vittoria cartaginese fu che i popoli dell' estremo mezzogiorno d'Italia, come anche i Campani e i Sanniti, si unirono ad Annibale.

Ma dopo Canne, la fortuna abbandona Annibale. l romani intanto avevano portato la guerra nella Spagna, riuscendo cosi a tenere nove anni Asdrubale lontano dall' Italia. Ma le legioni romane continuavano la guerra anche in Italia: esse battono Annibale a Nola e assediano e prendono Capua che era la principale piazza d'armi di Annibale in Italia; assediano Siracusa che era diventata alleata di Cartagine. Siracusa, sebbene difesa da Archimede con macchine speciali, dopo tre anni di assedio fu presa dal console Marullo ( 212 ).

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Battaglia del Metauro 207. - Però nella Spagna Asdrubale era finalmente riuscito vittorioso dei due Scipioni; e, delusa la sorveglianza del nuovo console romano Cornelio Scipione, si era avviato alla volta d'Italia. Annibale era sull' Ofanto fronteggiato dal console Caio Nerone. Questi, appena seppe del prossimo ar· rivo di Asdrubale, lasciò sull' Ofanto poche forze a fronteggiare Annibale, e con la parte migliore delle proprie truppe si portò a 111arce forzate a Senagallica da dove scendevano le nuove forze Cartaginesi; ivi si unì alle truppe del console Li vi o, e sul Metauro ( 207) si scontrò con Asdru baie che fu vinto ed ucciso. Subito dopo la battaglia il console Nerone tornò nell' Apulia dopo aver percorso 900 Km. in 14 giorni, compiendo una della più belle ope· razioni strategiche che la storia ricordi.

Intanto anche la guerra di Spagna volgeva male per i cartaginesi : il console Pubblio Scipione aveva costretto i cartaginesi al completo abbandono del paese, ed era stato da Roma messo a capo di un forte esercito incaricato di ferire il nemico nel cuore della sua potenza.

La guerra in Africa. - Forte di 30.000 fanti e 2700 cavalli, Scipione, sbarca in Africa ed assedia Utica e Tunisi; unitosi a Massinissa, re della Numid ia orientale, batte due volte i cartaginesi. Cartagine richiama Annibale dall' Italia. Annibale ridotto con poche forze fra le montagne della Calabria, salpa da Cotrone con le poche milizie rimastegli, giunge in Africa, riorganizza l'esercito e muove contro Scipione. Questi abbandon a l'assedio di Utica e Tunisi, e si prepara a fronteggiare Annibale.

Battaglia di Zama 202. - l due emuli ·s'incontrarono a Zama .

Le forze erano pressochè uguali:

- romani e numidi in numero di circa 45.000 uomini divisi in sei legioni ;

- Cartaginesi: 50.000 uomini con 80 elefanti.

Scipione si schierò nell' ordine normale, diminuendo però le distanze fra le linee ed aumentando invece gli intervalli fra i manipoli che dispose in colonna, anzichè a scacchiera. Fra gli intervalli pose i veliti con l'incarico di cacciare gli elefanti per le vie lasciate libere. Scipione dispose inoltre la cavalleria romana all'ala destra, e quella numida, al comando di Massinissa a sinistra.

Annibale collocò in prima linea le truppe mercenarie raccolte da poco; nella seconda i cartaginesi meno anziani; e nella terza i reduci d'Italia che tenne molto indietro a guisa dì riserva; sca-

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glionò gli elefanti sul fronte; pose a sinistra la cavalleria cartaginese e a destra quella numida: i cartaginesi avevano infatti pur essi alleati numidi sotto la condotta di Siface.

Iniziata la battaglia gli elefanti vengono dai veliti incanalati fra gli intervalli dei manipoli e allontanati così dal campo: alcuni elefanti ripiegano però contro la cavalleria di Siface. Massinissa ne profitta per caricare e rompere quell'ala: lo stesso intanto avveniva all' ala opposta. ··

La cavalle ria di Annibale è quindi tutta costretta alla fuga. Allora gli astati romani urtano e sfondano la prima linea dei cartaginesi: il panico prende anche la seconda linea della fanteria di Annibale, per cui lo sbaraglio di ambedue quelle schiere fu completo. Rimaneva però salda la terza linea, i veterani d' Italia . Prima di portare l'attacco contro tale riserva, Scipione racco glie al centro in ordine ristretto gli astati, li rinforza alle ali con i manipoli dei principi e dei triari , e con una schiera così compatta si scaglia contro le deboli ali del nemico, mentre la cavalleria romana assale la terza schiera cartaginese sui fianchi e sul tergo_

L'esercito di Annibale è distrutto : 20.000 cartaginesi restarono sul campo, altrettanti furono presi prigionieri. l romani perdettero 2000 uomini, Annibale con pochi fidi è costretto a fuggire.

Notiamo in questa battaglia:

- la hella disposizione di Scipione, prima in colonna con grandi distanze ed intervalli, poi in lin ea piena a forma falangitica;

- la bella disposizione di Annibale su due linee e una forte riserva di soldati scelti; e la distribuzione delle diverst! specie di soldati:. la viltà di quelli della seconda lin ea fece fallire il piano di Annibal e.

Con la battaglia di Zama finisce la seconda guerra punica.

Cartagine è costretta alla pace a durissime condizioni.

La terza guerra punica. - La pace era una continua insidia per Cartagine: Massi nissa, re della N umidia, poteva sempre attaccare lo stato cartaginese il quale non poteva provvedere alla propria difesa se non dopo averne ottenuta l'autorizzazione da Roma. Stanca di tale stato di cose, poichè gli attacchi di Massinissa erano frequenti, Cartagine chiede a Roma alcune modificazioni ai patti. Roma invia a Cartagine alcuni commissari pe r riferire sul vero stato di cose: e questi commissari, tra i quali era Marco Porzio Catone, tornano a Roma, stupefatti di aver trovato Cartagine ricca ,

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popolosa, fiorente. Catone divenne il più fervido fautore della g u erra per la completa distruzione di Cartagine.

L'aristocrazia cartaginese, pur di salvaguardare i propri interessi voleva la pace ad ogn i costo con Massinissa e con Roma, ma nell' anno 152 la parte popolare. impadronitasi del potere prepara la guerra contro Massinissa: questi vince. Roma allora, per non lasciare al solo re numida la gloria della vittoria, spedisce in Africa un esercito di 80.000 uomini:· Le legioni rom ane sbarcano ad Utica, portq poco distante da Cartagine. I Cartaginesi si preparano alla lotta: tutta la popolazione accorre alle armi: i Romani non riescono ad ottenere alcun successo.

Distrazione di Cartagine. - Roma affida allora la direzione della guerra a Scipione Emiliano ( 147). Cartagine sorgeva su di una penisola, unita al continente da uno stretto istmo. Scipione fa tagliare l' istmo e bloccare il porto. Ma la resistenza di Cartagine fu superiore ad ogni previsione. Solamente nella primavera del 146 i romani ri escono a penetrare nella città : la lotta continua ancora per p arecch i gio rni nelle vie della città, fino a che completamente domata viene saccheggiata e ridotta un cumulo di rovine. Dei 700.000 abitanti solo 50.000 riuscirono a salvarsi. Il territorio della repubblica cartaginese ve nne ridotto a provincia romana.

Considerazioni militari sulla spedizione di Aonibal.e. - c Annibale - dice il Thiers - è il generale perfetto, al quale soltanto Napoleone può stare a pari A 26 anni egli riuscì a condurre a traverso l'Europa una spedizione c he ha del legendario. Egli fu grande come uomo politico, come stratega e come tattico.

Come esempi della sua grande abilità politica, ricordiamo la conciliazione con i Galli transalpini; l' alleanza coj cisalpini; lo sfruttamento del vago malcontento delle popolazioni italiche sottomesse da Roma.

Come esempi della sua grande abilità nella condotta strategica della guerra, ricordiamo:

- la sua marcia dall' Ebbro al Po, in mezzo a mille ostacoli, valicando i Pirenei e le Alpi: 5 · mes i durò la marcia, e sempre un solo concetto guida Annibale: egli non si perde nè ad asse· diare fortezze, nè a lasciare presidi ma conserva selllpre tutte le forze riunite;

- dopo la Trebbia, senza attendere la buona stagione, scende al più presto nell' Italia centrale: giunto nel Fiesolano, am.icchè

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VALLETTl-BORGNINr, Storia
ecc. -Vol. I. 9
M.
Politico-militare

attaccare Flaminio direttamente lo aggira per Siena verso il Trasimeno e lo obbliga a battaglia in terreno sfavorevolissimo ai romani;

- vittorioso al Trasimeno, Annibale vede aperta la via di Roma: ma non è con l' esercito stanco e sprovvisto che egli poteva tentare con probabilità di riuscita, un colpo su Roma. L'assedio di Roma fortificata gli avrebbe costato parecchi mesi e il suo esercito si sarebbe trovato fra la città e l' esercito intatto di Servilio. Eguali considerazioni farà Annibale dopo Canne: ciò che gli costò la taccia di timidezza o di imperfetto giudizio della situazione.

Come esempi della sua grande abilità tattica ricordiamo :

- la battaglia della Trebbia, per l'abile stratagemma con il quale i romani furono condotti alla battaglia;

- le battaglie della Trebbia, del Trasimeno e di Canne per la grande abilità dimostrata nel sapien1e sfruttamento del terreno;

- Le battaglie di Canne e di Zama per la saggia disposizione delle truppe sul terreno.

Ma la figura di Annibale grandeggia, oltre che per il suo genio, anche per le doti del suo carattere:

- egli agisce sfruttando i punti deboli del comandante avversario che ha di fronte: ne sono esempi il suo comportamento con i consoli romani Servilio, flaminio, Varrone;

- egli ha una profonda conoscenza del cuore umano, così come dimostrò nell'aver saputo mantenere compatto, per tanti an ni, attraverso tante traversie e tanti paesi, un esercito come il suo, composto di mercenari di nazioni diverse;

- attraverso sedici anni di guerra condotta lontano dal proprio paese, sempre contro lo stesso nemico, sempre per il raggiungimento di un unico scopo, Annibale ci si offre come altissimo esempio di quella grande dote di carattere che deve essere patrimonio indiscusso di ogni comandante, grande o piccolo che sia: la perseveranza .

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Giulio Cesare e la preparazione dell' impero. La conquista della Gallia.

Giulio Cesare e la prepazione dell'impero .

Roma dopo Je guerre puniche. - Debellata Cartagine, I' unico nemico temibile di Roma, questa passò per una serie di guerre, di trionfi e di conquiste relativamente facili.

Da qu esto momento però si può dire che abbia inizio la decadenza di Roma, perchè, quantunque nella parte esteriore la sua potenza andasse sempre dilatandosi incontrastata sui popoli sottomess i, quantunque allora cominciassero ad introdursi in Roma le arti, le lettere, il lusso, la cultura d'ogni genere, fu però allora che comi nci ò ad alterarsi quel principio che l' aveva condotta a tanta altezza.

Cessato il timore del nemico esterno, cessò pure nei Romani quel sentimento che li spingeva a spiegare una energia proporzionata al pericolo, e a concentrare tutta la loro forza materiale e morale nella guerra: che li costringeva a dominare nell' interno le loro passioni per poter essere forti all' esterno. Fin da allora vediamo comincia re quel pervertimento morale, intellettuale, economico politico che prima genererà le rivoluzioni, poi l' impero e infine la rovina di Roma.

Cause che generarono le rivoluzioni. - Le cause che generarono le rivoluzioni furono le seguenti:

- la corruzione intellettuale e morale. Cessato il pericolo esterno che costringeva i Romani ad attendere dapprima unicame nte alle arti severe della guerra e dello Stato, ven u ti in contatto delle arti e delle lettere g reche in Sicilia prima, e poi nella Gr ecia, i loro intelletti vi s i gettarono avidamente imbevendosi della greca filosofia, e specialmente di quella Epicurea, ben più attraente che non la stoica. Si appassionarono alle arti, al lusso e alle eleganze greche e anche ai viz1, n ej quali poi si gettaro n o specialmente dopo i trionfi d' Asia, e vi si tuffarono tanto più ingordamente quanto più prima se ne erano tenuti lontani. Dalla passione dei piaceri venne necessariamente la passione d ella ri cc h ezza. Tutti quindi sono invasi da una cieca libidine d'oro e per conseguenza dalla

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sfrenata bramosia di potere: tutti tendono ad ottenere un comando nelle provincie, unico modo per arricchire rapidamente;

- lo sconvolgimento economico Padroni assoluti di paesi ricchissimi, i Romani accumularono in Roma ricchezze immense. L' oro giungeva copiosamente dalle provincie; gli schiavi vi erano pure . trascinati in un numero grandissimo ed adibiti a tutti i lavori manuali. Con le ricchezze portate a Roma dalle provincie, i nobili acquistano in Italia sterminati latifondi , che fanno coltivare dagli schiavi. l piccoli proprietari attaccati al lavoro produttivo della propria terra, scompaiono e affluiscono in Roma ad ingrossare la turba dei proletari miseri perchè senza lavoro: n ecessità quindi per lo Stato di mantenere tali masse con distribuzioni gratuite che diventano forzatamente una istituzione politica, alimentano sempre più l'ozio e la venalità del popolo minuto, favoriscono i disegni della classe nobile e potente che si vale del favore popolare, così comprato, per l' attuazione dei propri disegni;

- il pervertimento politico. L'aristocrazia degenerava in oligarchia; Roma .è governata da una fazione di nobili e ricchi, formata da più famiglie illustri, arricchite nei comandi delle legioni e delle provincie, vincolate tra di loro per molteplici parentadi; congiurate per tacito patto a distribuirsi fra loro onori e cariche e a governare le deliberazioni del Senato e dei comizi : il governo, il potere, erano in mano a poche illustre famiglie.

Cessata la necessità e il pericolo, erano pure cessati i riguardi verso le città italiche socie: vivo era quindi il malcontento di queste verso la capitale.

Scomparso dunque in sostanza, sia nel popolo che nei nobili, quel senso · di moderazione e quel prevalente amore pel pubblico bene, per cui le discordie intestine avevano fino ad allora, avuto semp re uno scioglimento pacifico e legale. Le passioni individuali prendono il sopravento e provocano le rivoluzioni.

Le guerre civili. - Tre furono le rivoluzioni, ossia quella serie di sconvolgimenti degenerati in atrocissime guerre civili le quali condussero poi all' impero:

quella dei Gracchi (133-121 a. C.};

quella di Mario e Silla ( 100 · 79 a. C.);

quella di Cesare e Pompeo ( 78 -44 a. C . ).

Il m oto popolare capitanato dai Gracchi viene sanguinosamente represso; gli oligarchi di Roma trionfano ancora una volta, ma la sfortunata guerra giugurtina, protrattasi parecchi anni più per l'oro

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seminato in Roma da Giugurta che non per le armi, svela al popolo la sfrenata corruzione della classe dirigente; e il popolo acclama e porta al potere uno dei suoi : Mario. Ma questi ha gli stessi difetti degli oligarchi: è anch'egli avido di piaceri e di ricc:jlezze, e abusa del potere contro il suo ex-subordinato prima e poi ardente avversario: Silla, partigiano dei potenti nobili romani. Dopo un breve trionfo di Mario, dovuto all' assenza da Roma di Silla che combatteva Asia, Silla e quindi la parte oligarchica, trionfano nuovamente.

Il governo di Roma e dell' impero confidato da Silla al Senato, cade, per la inettitudine del Senato stesso in mano a Pompeo, caro ai nobili perchè nobile e creatura di Silla, caro alla plebe per le sue vittorie e per l' indole pieghevole e fastosa : Pompeo, capo e patrono degli oligarchi è I' arbitro della repubblica.

È il primo evidentissimo passo verso il governo personale, cioè verso l' impero. ·

Ma Pompeo è cupido del potere per il potere, e non per l'ambizione di attuare qualche grande idea: capo naturale degli oligarchi Pompeo però se li aliena e ne eccita la gelosia lasciando trasparire il suo desiderio di comando assoluto.

Cesare. -- Di questa gelosia ne profitta il partito popolare, rinforzato dai nuovi malcontenti, dagli impoveriti, e dagli ambiziosi avidi di cose nuove. Ne è il loro capo naturale, il giovane Cesare imparentato con Mario, già noto per aver tenuto fronte a Silla, grato al popolo per l' ingegno, l'amabilità e le sue splendide prodigalità.

Ma tra gli oligarchi da una parte, guidati da Pompeo e il partito popolare dall' altra, guidato da Cesare, cerca tenere una giusta via di mezzo il partito degli uomini di affari e di danaro, prontoad unirsi con l'una o con l' altra corrente a seconda della piega degli avvenimenti: capo di questa tendenza ,intermedia è Crasso, l' uomo più ricco di Roma.

Si passa così al primo triumvirato: Cesare, Crasso, Pompeo Ma in tutto questo periodo, Cesare è dominato da un' idea: egli vuole costruire solide bas.i alla sua potenza futura. E le basi sono le seguenti:

- ottenere strepitose vittorie militari;

- formarsi un esercito sul quale poter fare sicuro assegnamento per l' attuazione di qualsiasi impresa;

- favorire l' entusiasmo e la passione popolare per poterle poi sfruttare al momento opportuno.

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Tutto ciò Cesare ottiene con la conquista della Gallia.

Morto Crasso in guerra contro i Parti, sconfitto e morto Pompeo, Cesare è come Silla, il padrone del Senato: ma, a diffe renza di Silla, ha dalla sua il fanatismo popolare, e una gra nd e e forte simulazione di ogni sua ambizione.

Cesare modifica profondamente la costituzione repubblicana; concentra in sè tutti i poteri; si fa conferire da l Senato e dal popolo le tre dignità di Dittatore, di Censore e di Prefetto dei costumi; successivamente si fa dare il consolato per dieci anni; poi l'amministrazione dell' erario; e si fa nominare infine comandante dell'esercito e della flotta a vita (cioè imperator ).

Il pugnale dei congiurati troncò la vita di Cesare, ma tale medesimo stato di cose venne a verificars i con il nipote di Cesare, Ottaviano che messi fuori causa i pretendenti al potere come Antonio e gli uccisori di Cesare, venne a riunire in sè, come già Cesare, tutti i poteri civili, politici e militari.

Il passaggio da un tale stato di cose alla proclamazione dell' impero, non era ormai che una semplice questione di forma.

Il trapasso dalla repubblica all' impero. - Riassumendo i fatti e le considerazioni relativi al trapasso dalla repubblica all' impero, diremo:

- - nella repressione sanguinosa dei moti popolari eccitati dai Gracchi, il partito oligarchico fece un violento impiego della forza servendosi per reprimere il moto, della legge e della forza pubblica;

- il partito popolare si accorge così che, per prevalere, è necessaria una forza, non tumultuaria ma regolare eJ ordinata, concentrata nelle mani di un solo: occorreva cioè un e s ercito e un generale: ed ecco la sua adesione a Mario e il trionfo di questi;

- il partito oligarchico fa lo stesso con Si Ila;

- dtt tale stato di cose nasce la guerra civile che nasconde però negli opposti moventi politici, la smania di pochi ambiziosi di arricchire e di prevalere;

· - ridotta così la questione ad un.a contesa di forza e di interessi materiali, era impossibile che non prepond e rasse il partito popolare, forte di numero e sostenuto dalle popolazioni d'Italia e delle varie provincie: mancava però so!amente un capo che queste forze sapesse ordinare e dirigere: questo capo fu Cesare prima, poi il nipote Ottaviano;

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- ottenuto il potere, debellata la fazione opposta, gustati i frutti della vittoria, il capo che così si è imposto a tutti non ha più n è inte resse nè voglia di deporre il potere: nè vi era una forza .che potesse costringervelo: ecco l' impero.

L a conquis t a d e lla Gallia.

Mentre Po m peo già illustre e stimato il migliore capitano di Roma, si prende la Spagna e l'Africa non turbato da alcuna guerra e rimane in Roma a godersi l'acquistato potere; mentre Crasso già ricchissimo ma pure avido di maggiori ricchezze, prende le grasse provincie dell'Asia; Cesare, I' uomo dell 'avvenire, si fa dare per cinque anni le Gallie e l' Illiria.

« . Là, oltre le Alpi, donde i barbari del settentrione ponno ripetere le discese in Italia e rompere le ccmunicazioni con la Spagna, v' è un peri co lo costante cui bisogna porre riparo, v' è gran campo a nuove conquiste e gran messe di gloria da raccogliere: là un abile capitano può farsi un esercito tutto suo. -. (Corsi).

Il paese. - La Gallia transalpina si stendeva tra i Pirenei, il Mediterraneo, le Alpi occidentali a sud; il Reno ad est; l' Oceano Atlantico ad ovest. Di questa grandissima regione Roma ne possedeva solamente la parte meridionale, cioè la vallata del basso Rodano che era chiamata Provincia (poi Provenza).

Al di là della Provenza il paese era abitato:

- a mezzodì da gli aquitani, relativamenle progrediti m civiltà, con paesi fertili e ben coltivati;

- a settentrione i belgi, popolo poco numeroso, per la maggior parte costituito da pastori, largamente dislocati in una regione vasta, fredda, tutta pascoli, foreste e paludi; al centro i celti abitatori di un paese svariato di monti selvaggi e di valli ridenti.

Aqu it an i, celti belgi avevano continuamente guerreggiato tra di loro e contro i barbari provenienti dal Reno e dal Giura: alcune loro turbe erano anche scese in Italia, dove erano state fermate, come sappiamo, da Camillo. Quando Cesare ebbe il governo d e lle Gallie, le popolazioni di oltre confine vivevano divise e discordi: l'ambiente era insomma favo revole alla insidiosa poiitica romana.

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Nell' ordinamento sociale di queste popolazioni prevalevano i sacerdoti (druidi); i nobili e i cavalieri costituivano la classe dirigen te; il popolo numeroso e impotente non aveva alcun diritto. Erano tutti obbligati al servizio militare.

L' esercito. - l soldati erano armati di spade, scuri, archi e frecce; elmi, corazze e piccoli scudi; la fanteria combatteva in formazioni larghe e profonde; molto diffuso l'impiego dei carri portanti guerrieri che lanciavano dardi è poi balzavano a combattere a piedi. L'esercito si schierava di solito su di una sola linea, con i carri al centro e sui fianchi e la cavalleria alle ali.

Erano esperti nell' uso delle fortificazioni: le città avevano in genere mura fortissime; l'esercito che accampava si circondava con fossi e steccati.

Dieci guerre ebbe a sostenere Cesare mentre tenne il governo delle Gallie: egli stesso ce ne ha lasciato la storia nei suoi « Com· mentari

La prima guerra: 58 a. C. - 40.000 Elvezi, dei quali circa 90.000 combattenti, scendono dalle loro montagne in cerca di un paese più propizio e si avviano verso Ginevra. Cesare accorre e chiude con un lungo vallo lungo 18 miglia il passo tra il lago Lemano e i monti Giura; gli Elvezi cercano girare l' ostacolo, ma Cesare, lasciate poche truppe a Ginevra, li insegue, ne raggiunge una parte sulla Saona e la disperde; costringe gli altri a darsi vinti e li disarma: parte ne lascia stabilirsi nelle Gallie, parte li rimanda ai paesi di provenienza.

Seconda guerra. - Una invasione di Germani tiranneggiava i Celti: questi si rivolgono a Cesare per aiuti. Cesare, tentato invano alcuni negoziati muove contro i Germani capitanati da Ariovisto. Ma Ariovisto lo previene e si accampa in una forte posizione a Besanzone, sulle retrovie di Cesare

Cesare tenta invano di provocare una battaglia: poi vista la inutilità dei propri tentativi, decide di portarsi con la maggior parte delle proprie forze a ristabilire la propria linea di comunicazione. Costruisce così su questa linea un nuovo campo che gli assicura i rifornimenti; assalito intanto da Ariovisto lo respinge: ritorna poi nel suo campo primitivo ove viene nuovamente assalito dai Germani. Ariovisto è ancora respinto; Cesare muove allora alla controffesa obbliga i Germani ad acc,ettare battaglia, li vince e li obbliga a ripassare il Reno . l Celti sono così sottomessi a Roma.

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Terza guerra. - Per non subire la stessa sorte dei Celti, i Belgi, abitanti tra la Marna, la Senna e il Reno, si portano forti di 250.000 uomini circa contro le legioni romane.

Cesare con 8 legioni, molta cavalleria e fanti leggeri, circa 40.000 uomini cerca prevenirli : passa l' Aisne e si accampa saldamente sulla sponda destra del fiume sul quale mantiene il grandioso ponte fortificato che gli aveva servito a passare il fiume. l Belgi attaccano con l' intenzione di distruggere il ponte, ma sono battuti e costretti a ritirarsi. Cesare li in s egue e ne fa strage.

Ma la guerra continua contro i Nervi, abitanti del paese di Tournay, che non vogliono sottomersi a Cesare. Accertatisi del sito ove Cesare si proponeva di accampare) i Nervi decidono di attaccare contemporaneamente tutte le legioni romane che sapevano legate alle proprie numerose impedimenta. Ma Cesare, che sospet· tava un . agguato, aveva tolto le impedimenta a 6 legioni che restavano così liberissime nei propri movimenii, e aveva affidato le impedimenta alla scorta di due legioni.

L'attacco dei Nervi, per quanto duro a vincere, si risolve per questi in una sorpresa e in un grave insuccesso. Anche i Belgi sono così sottomessi a Roma.

Una sola legione conquista facilmente i paesi di ponente Normandia e Bretagna.

Quarta guerra - l Bretoni insorgono contro Cesare. Questi, prevedendo il dilagare della rivolta, invia tre eserciti rispettivamente nel Belgio, nella Celtica e nell'Aquitania e si volge poi contro i Bretoni, ma questi, potenti sul mare, offrono una disperata difesa. Cesare fa allestire una flotta poderosa: li affronta sul mare e li vince . I suoi luogotenenti intanto vincevano le resistenze dei Belgi, dei Celti e degli Aquitani che si erano anch' essi sollevati.

Cesare si rivolge allora contro i Belgi che si dimostravano i più difficili a vincere. Entra nel loro paese che distrugge sistematicamente facendo abbattere gli alberi, requisire gli armenti, sottrarre quanto è possibiie sottrarre.

La campagna finisce per le sopravvenute grandi pioggie.

Quinta guerra. - l Galli si alleano con i Germani contro · Cesare: 40.000 Germani della T uringia passano il Reno, e si uniscono ai Belgi. Ces<rre, con rapidità fulminea, riun isce le proprie legioni, piomba inaspettato sui Germani e li fa a pezzi.

l Germani ripassano in fretta il Reno: Cesare, senza alcuna sosta, li insegue, fa costru i re uno stupendo ponte sul Reno, passa

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sulla riva destra di questo fiume e mette a ferro e a fuoco le terre dei Germani; poi ripassa il Reno e disfà il ponte.

Enorme fu, su germani e galli, l' effetto di questa grandiosa scorreria.

Sesta guerra. - Per affermare la conquista delle Gallie, Ce· sare ritiene opportuna una spedizione nell' isola di Britannia.

Raccoglie notizie sull' isola e sugli abitanti, prepara la flotta, fa esplorare le coste, prende due legioni e molta cavalleria e nel cuore dell'autunno scioglie le vele.

Un primo tentativo di approdo è respinto dai britanni : un nuovo tentativo compiuto poche miglia più lontano riesce. Ma una tempesta rovina le navi romane: gran parte della cavalleria non può sbarcare. l britanni ne profittano per attaccare Cesare: questi rinforza il campo, respinge gli assalti dei britanni, li assale e li obbliga !\Ila pace. Dopo di che si rimbarca e torna nelle Oallie.

Settima guerra. - Durante l' inverno Cesare prepara una nu•)va e più grande spedizione in Britannia. Si imbarca a porto lecio (Calais) ove lascia Labieno con tre legioni e 2000 cavalli. Sbarca in Inghilterra, ottiene nuove vittorie, prende numerosi ostaggi, poi ritorna nelle Gallie ove intanto divampava la rivolta contro le sue legioni. Tre dei suoi luogotenti erano stati infatti gravemente battuti. Cesare con rapidità ed energia, bene coadiuvato da uno dei suoi luogotenenti, Labieno, ristabilisce la situazione.

Cesare e Labieno usarono lo stratagemma di rinchiudersi in piccoli campi, in località forti per natura; mostrarsi deboli per ren · dere il nemico fiducioso e trascurato e poi con attacco repentino e violento sopraffarlo.

Ottava guerra. - Cesare, avuta notizia che di rivolta venivano compiuti tra i Nervi (abitanti di Tournay) si porta improvvisamente nel cuore dell ' inverno contro di loro che sorpresi, posano le armi. A primavera poi batte tutto il paese circostante -spargendo terrore e raccogliendo ostaggi. Saputo poi che i Germani si preparavano a passare il Reno, fa costruire un ponte su questo fiume presso Colonia, passa su11a riva destra per provocare una battaglia con i germani, ma questi si ritirano. Cesare non insegue, ripassa il Reno ma lascia il ponte, tagliandone solo 20 piedi dalla parte della Germania; munisce il ponte stess o alle sue du e e s tremità di saldissime torri che lascia fortemente presidiate, e torna a battere e saccheggiare il paese che dava evidenti segni di insofferenza. Un suo luogotenente è gravemente battuto: l' inverno sospende ogni operazione

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Nona guerra: 52 a. C. - Durante una permanenza di Cesare a Roma, in pieno inverno, scoppia la rivolta dei Galli contro Roma: capo del movin1ento è Vercingetorige, giovane signore dell' Alvernia. Suo disegno è di far massa nel cuore della Gallia, infestare la Provenza che costituiva sempre la base per le operazioni romane, assalire isolatamente le legioni romane, impedire a Cesare di riunirle, obbligare i titubanti ad unirsi a lui.

Cesare accorre in Provenza: egli dispone di alcune le gioni, altre sono dislocate 2 nei paesi dei Lingoni (alta Marna, alta Saona e parte della costa d'oro) i 2 sui confini di Treviri i 6 nel paese dei Senoni (piccola Loira, Senna, Marna, Ande). Radunate le truppe che può raccogliere in Provenza, Cesare valica i monti alle sorgenti della Loira, piomba nel paese degli Arverni e lo mette a ferro e a fuoco. Vercingetorige accorre: ma Cesare, lasciato un proprio luogotenente, Bruto, con ordine di compiere grandi scorrerie, si porta rapidamente nel paese dei Lingoni ove si riunisce alle due legioni là esistenti e chiama a sè le due legioni di Treviri.

Il concentramento delle forze è così in parte ottenuto: Cesare discende la Marna e riesce a facilmente collegarsi con le legioni dislocate nel paese dei Senoni.

Cesare dispone ormai di 50.000 fanti delle legioni, 20.000 ar· ceri numidi e cretesi, 6000 cavalieri dei quali circa 2000 germani.

Ve rci n getorige aveva intanto abbandonato l' Alvernia e si era portato all'assedio di Gorgobina ( Moulins) città alleata di Roma.

Riunite le forze Cesare muove alla liberazione di Oorgobina: Vercingetorige lascia l'assedio c si porta contro Cesare: è scon· fitto. Cesare pone l'assedio ad Avarico ( Bourges ).

Allora Vercingetorige decide di affamare l'esercito romano, devastando tutto il paese circostante: in un solo giorno più di venti città vengono spontaneamente incendiate dai Galli. Vercingetorige molesta intanto l ' esercito romano.

Cesare è in situazione criticissima: deciso ad impadronirsi della città per rifornirsi di viveri, dopo aver respinto vari attacchi del presidio della piazza combinati con quelli delle forze di Vercingetorige, egli riesce finalmente con uno sfor zo grandioso ad entrare nella città.

Cesare può così riprendere la guerra manovrata. Vercingetorige non accetta la battagli a che Cesare offre i sfugge, continua la sistematica distruzione del paese, si ritira a Gergovia. Cesare l' as· sedia. Ma il paese intorno era inquieto, l'assedio andava per le

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lunghe, una nuova violenta fase di rivolta si stava preparando: Cesare toglie l'assedio, onde riunire le proprie forze a quelle di Labien o che, incaricato di sedare la rivolta dei Paris'i, stava appunto assediando Lutezia (Parigi). Labieno, con iniziativa degna di lode, vista la situazione del paese, aveva avuto la stessa idea di Cesare: abbandonare l' assetlio per provvedere al concentramento delle forze. Senza sapere l' uno dell' altro, Cesare e Labieno si muovono così incontro e ad Agedineum avviene il loro congiungimento.

Intanto la rivolta divampa in tutte le Gallie.

« Vercingetorige è l'anima della Gallia che scuote il giogo romano; attizza il fuoco dappertutto, eccita i popoli alla devastazione, accresce l' esercito, minaccia la Provenza, manda un corpo di truppe contro gli allobrogi (Savoia e paesi vicini) ed egli si pone col nerbo principale dei sollevati a Bibracte, chiudendo a Cesare la strada della Provenza e dell' Italia. La sua maggior forza consiste nella numerosa cavalle ri a.

« Ma le poche milizie lasciate da Cesare nella Provenza ( 22 coorti) fanno buona difesa, manca lo stretto accor d o fra i Galli e la gelosia di ques ti fa inciampo a Vercingetorige. •

Cesare si avvia verso Vesunzio (Besanzone f per avvicinars i alla Provenza: ma Vercingetorige gli si para improvviso dinanzi con num erosa cavalle ria . Cesare, sorpreso, rinforza s ubit o la propria avanguardia, schiera la fanteria, manda la propria cavalleria a compiere un largo m ovimento aggirante sul fianco sinistro avversa rio. L a cavalleria galla, vistasi aggirata, fugge; Vercingetorige si r itira e s i chi ude in Al esia (presso Semur ).

Cesare pone l'assedio ad A lesia; compie imponenti o p e re di fortificazione costruendo trinceramenti, strade e comminamenti; costituisce una so lida linea alle spalle del proprio esercito per poter fronteggiare eventuali attacchi provenienti dall' esterno; co mp ie numerose scorrerie p er tenere assogge ttato il paese e rif ornire l'esercito di viveri.

Sopraggiunge intanto un esercito rac cogli ticcio di 240.000 insorti: Cesa re, attaccato da questa mas sa e dal presidio della piazza, respinge og ni tentativo. Ma i Galli insisto no tenacemente e riescono ad occupare un altura che dominava tutto il vallo romano: la rottura di questo va llo, cioè la co ngiunzion e d ell'ese rcito atta cca nte con la fort ezza, sembrava imminente. Cesare manda allora il suo miglior luogotenente, Labi e no , ad atta ccare frontalmente l' altura occupata dai galli; poi, messosi alla te sta della propria cavalleria,

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esce in campo aperto e con un largo giro cade sui fianchi e sul tergo dei galli impegnati a difendere I' altura contro gli attacchi frontali di labieno: l'altura è conquistata. l Galli si ritirano: subito ne profittano i romani per inseguir! i: la ritirata dei galli diventa fuga. Alesia, visto inutile ogni sforzo, e ormai affamata, si arrende. Vercingetorige, condotto prigioniero a Roma per onorare il trionfo del vincitore, è fatto poi strangolare ai piedi del Campidoglio ( 46 a. C.).

Decima guerra. - l a rivolta, per quanto priva ormai del suo più valido capo, continua ancora sporadica l'anno seguente.

« Ma Cesare veglia, ha spie dappertutto, accorre pronto, approfitta delle discordie interne, soccorre gli amici, rafferma i titubanti, punisce gli avversi » (Corsi).

Il fatto più importante di questa ultima campagna è l'assedio di Uselloduno che Cesare costringe alla resa per sete. la resistenza dei Galli era ormai completamente fiaccata.

Considerazioni sull'arte militare di Giulio Cesare. - « Cesare nelle Galli e rende imagi ne di un abilissimo e tranquillo schermidore, sempre in guardia e attento a tutto, che indovina le mire dell'avversario, gli vince la mano, lo coglie scoperto, lo padroneggia con le finte, e risparmia le parate puntando ratto e forte. Se cadi'! in fallo egli stesso, presto si rimette e torna all' offesa. Ammirabili le lunghe e rapide marce, la scelta dei campi, le provvidenze per. le vettovaglie, il lasciare e riprendere le impedimenta, le arti svariate e ingegnose pei approfittare del t erreno o vincerne gli ostacoli, e sopra tutto quel pronto rimediare alle malignità della sorte, quella audace e prudente intrepidez za nei maggiori rischi, quella padronanza insomma sugli uomini e sui casi in cui Cesare fu sommo: Veramente la impresa gli fu agevolata dalle discordie dei suoi nemici e dalla grande superiorità degli ordini e delle discipline delle sue milizie, pure fu grande merito suo sapersi valere di quegli aiuti nel miglior modo. le sue battaglie offrono di ottimo uso delle riserve e della cavalleria. » (Corsi).

Il suo genio politico venne continuamente in aiuto alle sue armi nei continui negoziati con le varie tribù dei Galli; il suo indomito ardire lo spinse fino a varcare il Reno e la Manica: questo è il Cesa.·e delle guerre galliche. Ma le sue doti di generale e di uomo politico, rifulsero anche nelle successive guerre civili.

Con vera temerarietà passa il Rubicone con una sola legione

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e marcia su Roma difesa da Pompeo e da numerose truppe fedeli al Senato: ma in questo momento egli fa affidamento sul favore popolare e riesce ad impadronirsi del potere quasi senza colpo ferire.

Poi corre in Spagna ove erano i più numerosi e potenti partigiani di Pompeo. L'ardire col quale, conducendo con sè poche truppe, salpò dai lidi italiani per andare ad affrontare le numerose schiere nemiche, la pertinacia dimostrata di fronte ad un avversario superiore di forze e padrone del mare, la fortuna con cui gli fu dato di attirare Pompeo nella Tessaglia su un teatro di guerra più favorevole e di batterlo a Farsaglia, diedero alla campagna di Grecia, che decise delle sorti della repubblica romana, un aspetto quasi leggendario.

Nelle sue campa g ne delle Oallie, di Spagna, di Grecia e di Africa Cesare toccò la perfezione nella condotta strategica e tattica degli eserciti. In esse egli diede prova di una abilità straordinaria nel concepire e nell' eseg uir e le sue azioni di guerra :

- conseryò qua s i s e mpre l' iniziativa delle operazioni anche quando non disponeva che di poche forze;

- dimostrò una fiducia incrollabile nell'esito finale anche in mezzo alle più gravi traversie: ed uscì dalle più critiche situazioni inslillando nei propri soldati la sua grande fiducia Anche negli ordinamenti tattici Cesare lasciò la propria personale impronta:

- ristabilì la terza linea, abolita1 come sappiamo, da Mario;

- dispose la legione con quattro coorti in prima linea e tre in ciascuna delle altre due;

- costituì altre riserve specia li composte delle due armi che collocava in genere dietro il centro dell' esercito;

- introdusse nuovamente la fanteria leggera formandone intere legioni.

Apogeo dell'arte militare romana sotto Cesare. - In complesso possiamo dire che sotto Giulio Cesare i roma!li raggiungono la p erfezione nella condotta delle g r and i operazioni di guerra.

Napoleone l così tratteggiò l' arte di guerra di O. Cesare:

c l principi di Cesare furono quelli stessi di Alessandro e di Annibale: tenere le proprie forze riunite; non essere vulnerabile in n essun punto; portarsi con rapidità su i punti importanti; fare assegnamento sui m ezzi morali, sulla riputazi one delle proprie

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armi, sull<r paura che queste inspiravano, ed anche sui mezzi politici per assicurarsi la fedeltà degli alleati e l' obbedienza dei popoli conquistati. »

Ricordiamo infine che Cesare unì al genio militare e al genio politico anche il genio letterario : egli fu lo storico delle proprie campagne.

L'ordinamento politico e militare dell'Impero romano e la decadenza delle istituzioni militari (1 ).

Caratteri generali dell ' impero. - Come la repubblica si era costituita e resa libera col dividere tra più persone e rendere temporanei i vari uffici della Monarchia, così l'impero si costituì coll' accentrare e perpetuare gli stessi uffici in una persona. Quindi l'impero fu un ritorno all'antica Monarchia:

ma mentre questa era temperata dalla potente fede religiosa e dalla primitiva severità dei costumi anche nella classe aristocratica, il che costituiva un freno potente all' autorità sovrana e le impediva di trasmodare,

l' Impero non trovando che corruzione sia nei partigiani che negli avversari, non ebbe alcun ritegno e potè facilmente abusare del potere.

L'impero segna quindi il trionfo del più sfrenato dispotismo personale, che, con l' abuso della propria potenza, rovinò e lentamente uccise sè stesso.

Nella costituzione e nella storia del Governo imperiale, si distinguono due epoche:

- la prima da Augusto a Diocleziano (31 a. C.-284 d. C.), nella quale si conservano le forme e le denominazioni repubblicane;

- la seconda da Costantino ( 284 d. C. - 476 d. C.) alla fine dell' impero, nella quale il despotismo assume anche nell' organizzazione le forme delle monarchie assolute.

L'ordinamento politico dal 31 a. C. al 284 d. C. - Timido per natura e ammaestrato dall'esempio di Cesare, Augusto com-

(1 ) Per evitare ripetizioni si è ritenuto più conveniente aggiungere a questo capitolo la decadenza delle istituzioni militari, che, secondo l'ordine del pro· gramma, dovrebbe invece far parte del capitolo seguente.

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prese che per esercitare il potere, doveva accontentarsi della realtà di esso, rinunciando al titolo e alle apparenze e mascherando la servitù per meglio assodarla. Ogni sua arte fu quindi volta a per · suadere il popolo c he nulla era m uta t o e c h e esiste va sempre l'antica repubblica. Assunse perciò un titolo già in uso nella repubblica: quello di imperatore; ma nella realtà raccolse n ella propria persona tutti i poteri dello Stato. Egli infatti fu im peratore cioè capo delle forze armate; fu Console, Censore, Principe del Se nato, Pontefice Massimo, tribuno della plebe.

Dalla riunione di questi vari titoli e poteri nacque la nuova dignità imperiale, repubblicana nella forma, assoluta nella realtà .

Il Senato, che sotto la rep ubblica fu di fatto l'autorità suprema, era ridott o sotto Augusto ad una pura app ar enza e si limitava a dare ai voleri dell' imperatore una sanzione di legalità che non poteva ricusarsi di dare.

Con i più eminenti senatori e e con i più alt i magistrati Augusto formò una specie di Co n siglio di Stato, che poi fu conservato anche dai successor i e le cui d e liberazioni avevano valore come di un decreto del senato s tesso.

Augu s to con servò i Comizi, che restarono però senza alc un a importanza perchè ebbero limitata la loro azione alla nomina dei magistrati inferiori: Tiberio li abolì.

Alla mort e d e ll'imperatore s i segu iva l' antico costume dell' epoca dei re: s i seguiva cioè la designazione fatta dall' antecesso re ; in mancanza di una p reventiva de s ignazione, l' e le zione s pettava al sena to: ma ben presto i pretoriani e poi le legioni si arrogarono questo diritto.

P er ostentare un certo rispetto al Senato, Augusto ripartì l' impero in 25 provi n cie; s i ri servò il diretto gove rn o delle provincie n elle quali v i era g u erra o pericolo d i guer ra - co n che veniva a ser bare so tto il suo diretto co mando tutte le legi o nie la sciò le altre a l g overno del Senato: erano queste le provincie senatorie.

Le provincie se natorie erano gov e rnate da Proconsoli, n o minati dal Senato e scelt i fra i Senatori ; le provincie cesa ree - quelle che, per lo s tat o di g uerra, Augusto, ri ser bò a sè - eranc govern at e da Le ga ti o Pre s idi, scelti e nomina ti dall' imp eratore. Procon so li e Leg ati ricevev ano però is truzioni direttamente dall' imperatore e a lui dovevano se mpre riferire. L ' impe ratore poi mandava presso i Procon so li e i Legati, questori e procuratori con

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l'incarico di sorvegliare i primi, !imitarne i poteri specialmente per quanto si riferiva alle finanze: cosicchè in sostanza il governo era tutto nelle mani dell' imperatore.

L' Italia era divisa in 11 regioni; le città italiane erano sempre distinte in municip"i, colonie e prefetture. La costituzione municipale fu subordinata ai governatori nominati dall' imperatore.

La popolazione in Roma e nelle altre città era ripartita in corporazioni e collegi di cittadini, negozianti, artigiani e operai con nomi, carichi e libertà particolari a ciascuno.

Augusto riparti pure tra sè e il Senato l' amministrazione delle finanze: quella parte che era amministrata da lui direttamente dicevasi Fisco; quella del Senato: Erario: in realtà però tutto dipendeva dall'imperatore e con l'andar del tempo l'Erario fu incorporato al fisco.

c fondato e stabilito l'impero unicamente sulla forza e non sulla legge, concentrato ogni potere nell' Imperatore arbitro delle leggi, delle cariche, della vita e delle proprietà di tutti, era evidente:

- che tutto doveva rmdursi ad abbiezione morale e civile da una parte, a prepotenza militare e violenza dall'altra, sempre ere· scenti in ragione diretta l' una dell' altra;

- che abbandonata a sè, la forza militare doveva, per natu · rate conseguenza, degenerare in indisciplina, in ribellioni, in guerre civili;

- che qualunque imperatore nominato dalle legioni vincitrici non sarebbe stato che l' istrumento e il ludibrio della tracotanza della soldatesca;

- che in proporzione dello svolgersì di tutte queste cause interne di dissoluzione dell' impero dovevano crescere di numero e di vigore gli assalti e le invasioni delle popolazioni barbariche accalcantisi lungo il Reno e il Danubio da una parte e l' Eufrate dall'altra. » ( fogliani ).

Gli avvenimenti dal 31 a. C. al 284 d C. - Ed infatti, subito dopo i due regni di Ottavio Augusto e di Tiberio ( 31 d. C.37 d. C.) che, per quanto governassero dìspoticamente, amministrarono l' impero con saggezza, cominciarono i Pretoriani a farsi arbitri delle nomine degli i m pera tori. l nuovi eletti, dopo essersi assicurato l' appoggio delle coorti pretoriane con elargizioni, donativi e concess ioni d' ogni maniera, erano poi portati ad abusare del potere con ogni sorta di tirannia e di crudeltà.

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M. VALL ETrr-B o RGNINI, Storia Politico-militare ecc. - Vol. l. lO

regni di Caligola, di Claudio e di Nerone ( 37- 68) ne sono la prova.

Intanto le legioni, sparse per tutto l'impero, invidiose del potere che avevano assunto i Pretoriani, nominano anch'esse degli imperatori.

L' impero passa così attraverso un periodo di lotte continue, periodo che comprende però imperatori valenti e sommi come Vespasiano, Tito, Coccejo Nerva, Trajano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio. A Marco Aurelio succede il figlio suo, Commodo: con questo imperatore l'impero comincia a precipitare.

Sorgono contemporaneamente più imperatori che si competono l' impero: si susseguono cosl guerre civili rovinose fra i vari partigiani. Vi fu un momento nel quale la lotta è alimentata da 18 pretendenti. Intanto Persiani, Germani e Goti battono sempre più minacciosi alle porte dell' impero.

Sono di questo periodo: Setti mio Severo; Caracalla; Eliogabalo; Alessandro Severo, e una serie di imperatori, qualcuno dei quali veramente valoroso . Le lotte continue trascinano però poco per volta l'impero alla più completa rovina.

A questo stato di cose cercarono di porre rimedio Diocleziano e Costantino con una nuova costituzione dell' impero iniziata dal primo e compiuta dal secondo.

L'ordinamento politico dal 284 al 476. - Spirito della riforma ideata da Diocleziano fu il seguente :

- attutire le ambizioni più sf renate, soddisfacendole creando cioè più imperatori;

- dare all'impero una base più civile che militare, separa nd o completamente il potere civile dal militare creando una immensa o rganizzazione civile i cui in te ressi fossero di sosteg n o e di guard ia all' imperatore.

Il mezzo sarebbe stato ottimo se, nell' attuazione di esso, si fo sse seguito ciò che Roma antica aveva fatto: cioè lo sfruttame nt o, a vantaggio della Patria, dei se ntimenti più nobili e sub limi del singolo ind iv iduo .

Ma alla fine del sec. III dopo C. la primitiva e rude anima romana che già troppa potenza av eva provato e goduto, n on era ormai più dominata che dall'ambizione, dalla vanità, dall'egois mo, dall' interesse, dalla paura.

Diocleziano n ell'inte ndim e nto di regolar e pacificamente la sucsione dell' impero, is tituisce la tetrarchia

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Ma quanto fosse erroneo il concetto di Diocleziano di ristabilire la pace n ell' impero e impedire le guerre civili, accont entando le ambizioni più ardenti con la creazione di imperatori colleghi e di Cesa ri, apparve subito dopo la sua abdicazione. Scoppiarono immediatamente le guerre civili che, salvo brevi intervalli, non ebbero tregua fino a che non fu stabilita per sempre la divisione a ssoluta in due imperi distinti: l'impero d'oriente, e l' impero d' occidente.

Contemporaneamente l 'impero modificava la sua costituzione.

Smessi i titoli di censore, tribuno e console, che ancora ricordavano l'antica repubblica, Diocleziano volle l'appellativo di Dominus cioè sig nore, padrone: spe rava così di rafforzare l'autorità imperiale. E, sempre seguendo que sto suo concetto, introdusse anche nelle forme esteriori la più aperta imitazione del dispotismo e del fasto asiatico. L' imperatore, divinizzato, venne riconosciuto come l' unica fonte di ogni potere e di ogni diritto, soppressa ogni altra autorità, non rimase che l' autorità imperiale arbitra dei destini e della vita dell' impero e dei suoi cittadini.

Mancò un governo centrale vero e proprio: questo non era costituito che da cortig iani incaricati, ad arbitrio dell' imperatore, delle varie mansioni.

Tutto l' impero venne diviso in prefetture, queste in diocesi, e queste a loro volta in provincie: le prefetture erano quattro; Roma e Costantinopoli avevano una organizzazione propria. Separato il potere militare dal civile, l' organizzazione militare ebbe, come vedremo, una costituzione propria completamente indipendente da quella civile.

La popolazione libera dell' impero era ripartita in parecchie classi:

-i senatori che costituivano una specie di nobiltà ereditaria, godevano di speciali di stinzioni, prerogative e diritti;

- i curiali che erano i proprietari più agiati delle varie città, vincolati con la persona e con i beni alla loro curia ed obbligati ad ademp iere alle varie mansioni relative alla vita e agli interessi della curia stessa;

- il popolo che comprendeva i piccoli proprietari, gli operai, i mercanti e gli artigia ni, tutti ripartiti in Scuole o corporazioni, alle quali, per facilitare l' esazione delle imposte, erano legati indissolubilment e, cosichè i figli erano costretti a continuare nel mestiere del padre se n za po tersi dedicare ad altro lavoro: ogni corporazione aveva istituti, privilegi e capi speciali;

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- infine i coloni; era il popolo delle campagne, libero nella persona, ma vincolato perpetuamente al terreno che coltivava e col quale pagava un canone al pad ron e e un' imposta all' esattore; con quel terreno erano venduti e divisi, nè ;:wtevano mai liberarsene;

- numerosissimi schiavi erano inoltre adibiti nelle miniere, saline pubbliche, e manifatture imperiali che davano alimento ad un numero grandissimo di impiegati e a n davano a tutta rovina dell' industria privata.

Tutta la grave arte del governo dello Stato e r a concentrata nella amministrazione delle finanze che comprendeva due grandi rami: l'esazione delle imposte e il controllo sulle spese: lavori o enorme curato nei più minuti particolari ma raramente assolto con rettitudine vera. Questa organizzazione amministrativa comportava un vero esercito di impiegati e funzio n a ri che costituivano la base dell'autorità imperiale.

Dice il fogliani: « Questa costituzione dell' impero, che al pensiero, al sentimento e alla volontà individua le sostituiva il pensiero e la volontà di uno solo: che im m obilizzava, e per così dire, mummificava tutti i cittadini dentro determinate categorie sociali, come entro fascie eterne; che veniva a formare dell'impero come una azienda, in cui amministrati e amminist r atori non pensavano, n on sentivano, non operavano che come voleva uno solo, e tutto a vantaggio di quel solo, cioè dell' imperatore, si può a buon diri tto chiamare: l' organizzazione della r ovina. -.

L 'ord in amento militare. - Il continuo variare della costituzio ne politica dell'impero, doveva necessariamente far sen t ire i propri i effetti sull'ordinamento militare. Le istituzioni militari, specch io fedele e conseguenza logica delle istituzioni sociali, subi r ono qui ndi la stessa sorte di queste. Come avvenne n el campo politico e sociale, cosi nel campo delle ist it uzioni militari de ll' impero r omano, notiamo due grandi momenti:

- il primo c h e va da Au g u sto a Di ocleziano

- il secondo che va da Costantino alla caduta dell' im pero romano d'occidente.

N e l primo p eriodo le istituzioni militari co ntinu aro n o a risentire dei passati ordi n amenti della repubblica; nel secondo, nel quale l' impero as su n se carattere autocratico e divino, l'esercito r oma no prese un aspetto nu ovo c h e fu la causa non ultima della completa decadenza r omana.

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Come in politica, il trapasso non avvenne di colpo, ma in seguito all'opera lenta e continua del tempo.

L'esercito da Augusto a Costantino . - Augusto creò un vero e proprio esercito permanente: e ciò non per reconditi e ambiziosi disegni di predominio, ma perchè così richiedeva la costituzione dell'impero .

Solidamente stabiliti sul Reno, sul Danubio e sull' Eufrate, Augusto e i suoi primi successori si limitarono a garantire queste frontiere dagli attacchi esterni. l soldati furono scaglionati lungo questi tre fiumi in poderosi campi trincerati che furono l'origine prima di città ancor oggi fiorenti. Nell'interno dell'impero non vi erano guarnigioni. L'ordine pubblico era normalmente affidato a milizie locali; in caso di necessità le legioni più vicine inviavano distaccamenti.

Il Comando. - L'imperatore era il capo supremo dell'esercito. A lui la truppa prestava giuramento. L'imperatore però era qualcosa di più che il semplice comandante in capo: la sua immagine era conservata nel sacrario del campo fra le insegne delle legioni ed era oggetto di un culto speciale pari a quello che si tributava agli Dei.

Composizione e reclutamento. - L'esercito imperiale era costituito dalle legioni e dalle coorti ausiliarie: queste ultime erano composte di provinciali e costituivano le truppe leggere.

Le legioni, costituite fino a Mario, dei soli cittadini romani, vennero dopo Mario formate da individui di qualsiasi condizione sociale; anzi con il passare degli anni, con l'allontanamento dei romani da tutto ciò che riguardava la milizia, furono le classi più basse della società quelle che fornirono il maggior contingente di soldati.

Base del reclutam ento fu il volontariato esteso dapprima ai soci italìci, poi agli abitanti delle varie provincie e infine ai barbari alleati. Oli schiavi affrancati potevano essere arruolati nella flotta e dopo qualche anno di buon servizio erano ammessi nelle legioni.

L' esercito perdeva così poco alla volta quelle caratteristiche che l'avevano reso potente sotto la repubblica; il legionario romano non era più l'espressione più nobile della cittadinanza romana, ma rappresentava il rifiuto di tutta la dell' impero. Ciò nondimeno la potenza delle tradizioni romane era tale che anche le legioni così costituite furono, almeno in un primo momento, non inferiori alle antiche per virtù militari.

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La durata del servizio militare variava dai 20 ai 25 anni. Con un così lungo servizio, che s pesso superava anche i 25 anni il legionario romano c dimenticava ben presto le sue origini, nulla avendo per ricordarle, nè interessi materiali perchè povero, nè affetti durevoli perchè mancavagli il iempo per costituirsi una famiglia. Ormai egli non aveva altra famiglia che la sua legione', altri capi che i suoi comandanti, altre leggi che la volontà di questi . Estraneo alla società civile dalla quale si era definitivamente staccato, concentrava tutte le sue aspirazio ni e speranze nel mestiere militare, e le sue abitudini ricevevano in breve tempo l'impronta di una professione la cui influenza sul carattere è forse fra tutte la più forte. » ( Cassinis ).

L'esercito aveva una vera e propria guardia imperiale: i pretorian i. Capo di essi era l'imperatore.

Oli ufficiali. - Tutti gli ufficiali venivano nominati dall' imperatore: i plebei fornivano gli ufficiali inferiori; i cavalieri gli ufficiali di grado più elevato; gli appartenenti all'ordine senato rio fornivano gli elementi per i sommi gradi della gerarchia militare.

Addestramento e occupazioni delle legioni. - Partendo dal principio che il soldato non doveva abbandonarsi all'ozio anche nei lunghi periodi di pace, le legioni venivano ininterrottamente occupate o in esercizi di addestramento o in lavori.

Oli esercizi di addestramento erano numerosi ssimi : ginnastica, nuoto, equitazione, lancio del giavellotto, tiro con la fionda; manovre tattiche almeno una volta al mese; allenamento alle mar ce tr e volte al mese; e infine esercizi di parata.

Contemporaneamente le legioni venivano adibite alla esecuzione delle grandi opere di utilità pubblica, come fortificazioni , strade, fabbricati militari, templi, ponti, acquedotti, arginature di fiumi , scavo di porti, canali ecc.

Speciale cura, come già sotto la repubblica, fu rivolta alla costruzione di strade. c L'impero si trovò coperto da una immensa rete di strade che rese la sorveglianza più pronta, la difesa più facile e promosse il rapido propagarsi della ci9iltà pagana in tutte le provinci e. Su queste strade erano intervallate , a conveniente dis tanza delle stazioni, dove tutto ciò che occorreva per la celerità e sicurezza era predi spos to con cura. » ( Cassinis ).

La riforma di Setti mio e di Alessandro Severo. - Settimio Severo, per distruggere l'arroga nza e la prepotenza dei pretoriani,

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sciolse questo corpo e lo ricostituì con elementi che avessero prestato lungo e buon servizio nelle legioni; stabill inoltre che la maggior parte dei nuovi elementi fossero tratti da altre provincie fuorchè l' Italia: notevolissimo sintomo questo della decadenza dello spirito militare romano e italiano.

l cittadini italiani si erano definitivamente allontanati dalla milizia: Roma era ormai sicura preda del più forte i l' Italia era in balìa dello straniero.

Con Settimio Severo le legioni romane persero il loro carattere di romanità e di italianità e lo spirito barbaro penetrò in esse. Le legioni, così imbarbarite, impararono prima e poi insegnarono agli stranieri la strada per andare a Roma.

Le legioni stanziate ai confini dell' impero avevano in distribuzione terre demaniali in prossimità delle frontiere: ciò serviva a rendere più sicura la difesa, a fecondare col lavoro il suolo incolto, e a difondere lo spirito e la civiltà romana. Alessandro Severo decretò che per l' avvenire la concessione di tali terre fosse vitalizia e trasmissibile ereditariamente di padre in figlio, purchè questi a sua volta diventasse soldato: la qual cosa portò ad un addensamento di popolazione oriunda romana ai confini dell' impero.

Da Costantino alla caduta dell' impero. - Ma I' esperienza dimostrò che questi enormi campi trincerati scaglionati alle frontiere dell' impero, non erano sufficienti a fermare gli attacchi che, dall' esterno, continuamente, i barbari portavano alle porte dell' impero. l Germani invasero la Gallia e ne divennero padroni.

Era necessario adottare un nuovo sistema di difesa: ai campi trincerati dislocati sulle frontiere fu necessario sostituire una difesa maggiormente scaglionata in profondità. Sorsero così nei punti più importanti del paese occupato, valide fortezze permanentemente presidiate da truppe. Per la prima volta le truppe romane ebbero così l'incarico di tutelare l' ordine pubblico nel paese circostante. Le truppe subirono spostamenti continui i il legionario non fu più legato alla terra che gli era stata concessa i le colonie militari decaddero, e la milizia prese sempre di più la forma e la sostanza di un mestiere.

Costantino soppresse completamente i pretoriani e creò invece le truppe palatine che pur dipendevano sempre e personalmente dall' imperatore.

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Fu stabilito inoltre un nuovo sistema di reclutamento: per un dato patrimonio si doveva dare · allo Stato un soldato; per un patrimonio doppio o triplo se ne doveva dare due o tre e cosi di seguito. Quando il reddito di una proprietà era tale da non consentire di dare nemmeno un soldato, i piccoli proprietari si dovevano associ are tra loro per fornire il numero di soldati equivalente alla ricchezza cumulativa. Era ammessa però l'esenzione di un tale tributo mediante il pagamento di una data somma allo Stato.

Alle popolazioni vinte si imponeva di fornire un determinato numero di soldati; i prigionieri di guerra vennero arruolati come soldati; ed infine, agenti di reclutamento vennero inviati oltre i confini per assoldare truppe fra i barbari.

È notevole il favore che Costantino dimostrò verso i barbari: a cominciare da lui infatti elementi barbari vengono posti a l comando delle legioni. È vero che prima di affidare loro questi impieghi, questi capi venivano naturalizzati cittadini romani, ma questi condottieri d'esercito, continuavano malgrado ciò ad essere stranieri e di sentime nti ostili ai costumi e allo spirito romano.

Decadenza delle istituzioni militari. - Per tutti questi motivi l'esercito romano perse il proprio carattere di nazionalità. c L' immensa maggioranza degli abitanti dell' Impero si disinteressava della difesa del e affidava questo compito ad uomini che erano pagati per questo. Il cittadino si credeva libero da ogni impegno verso la patria, quando aveva versato il danaro necessario nelle casse dell'esattore: quanto a pagare di persona sui campi di battaglia non se ne curava affatto. In questa società molle e raffinata lo spirito militare andò per conseguenza gradualmente sce mando, fino a sparire del tutto . Ciò che più era tenuto in pregio erano le funzioni civili e non si ebbe che del disprezzo per il me stiere delle armi. Il più modesto impiegato era posto nella coscienza pubblica assai al di sopra dell' ufficia le, così che quando un giovane doveva scegliere una professione, quasi sempre preferiva di entrare nella carriera amministrativa. Oli imperatori furono in gran parte responsabili della diffusione di questa pregiudizievole tendenza. Difatti, fin dal finire del IJI secolo, essi non ebbero altra preoccupazione che quella di allontanare l'aristocrazia da i comandi dell'esercito: con ciò speravano d i consolidare il loro potere e di metterlo al riparo delle ri voluzioni. Vana speranza e vana precauzione, poichè le insurrezioni non cessarono di essere così frequenti come lo

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erano state nel passato, mentre si creò un nuovo pericolo che andò col tempo sempre più aggravandosi. » ( Cassinis ).

Evoluzione tattica durante l' impero. - Due momenti, ben distinti tra di loro, segnano la evoluzione tattica sotto l' impero:

- nel primo momento sussiste ancora la legione

- nel secondo prevale la formazione falangitica.

La legione sotto Mario venne divisa in 10 coorti di 6 centurie ciascuna, onde la forza della legione oscillava fra i 5000 e i 6000 fanti e t 20 cavalieri. Sotto l' impero la legione romana conservò il nome ma perdelte l' essenzial e carattere di ordinanza manipolare; la coorte di Mario può considerarsi come il primo avviamento al ritorno alla falange; in sostanza però la tattica di Mario come quella di Cesare furono ancora manipolari benchè con unità elementari più grosse .

La · riforma di Mario è stato forse il primo sintomo di quelle cause che portarono necessariamente l'ordinanza romana a trasformarsi da manipolare in falangitica; tra queste cause quella essenziale fu, indiscutibilmente, l'abbassamento delle qualità morali del legionario. Ma a questo riguardo è pur doveroso ricordare che queste minori virtù del legionario romano, non tanto dipesero da uno scadimento dell'energia romana, quanto dal fatto che il legionario non fu più romano.

Sotto Nerone ( 54-68) abbiamo i primi provvedimenti che già chiaramente dimostrano il lento ritorno alla falange.

Sotto Adriano ( 117- 138) la trasformazione si può dire ormai compiuta: dietro la prima coorte, le altre nove serrano in ordine quasi compatto. Anche l' armamento viene modificato: tornano in grande us o la picca lunga e lo scudo grande; si aumenta il numero dei fanti leggeri armati di armi da gitto.

Al principio del 111 secolo, sotto l'imperatore Alessandro Severo, la legione ha ormai completamente perduto i suoi caratteri; l'ordinanza è falangitica: Il! legioni in ordine profondo vengono addossate le une alle altre e circondate da macchine belliche; la cavalleria si copre di ferro e si arma di archi.

Re stò il n ome di legione, ma nulla più ricordava l'antica sciolta e potente formazione.

Macchine belliche. - l romani, fin dalle loro prime guerre, fecero uso di macchine belliche. Due erano i tipi di macchine generalmente adottate:

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- 154le catapultae per il tiro teso di saettoni; le ballistae per il tiro curvo di proiettili sferici.

Questi due tipi di macchine durarono a lun go: fino ai tempi di Costantino. Poi la catapulta scomparve e non restò che una sola macchina tanto pel tiro teso che per il tiro curvo.

Catapulta e ballista furono una naturale derivazione dell'arco. Più tardi sorse una nuova macchina, l' onager, naturale derivazione della fionda.

Sotto la repubblica e anche nel primo periodo dell' età imperiale, le macchine vennero sempre considerate co me strumenti accessori. Quando invece le legioni cominciarono a perdere le loro caratteristiche e il loro valore primitivo, le macchine belliche, assunsero una importanza sempre maggiore: conseguenza naturale questa, e contemporaneamente sintomo, dello scaduto valore personale del legionario.

Augusto e le guerre contro i popoli alpini. Le ulteriori conquiste romane.

Motivi che spinsero Augusto alla conquista della displuviate alpina. - Esteso a tutti i Soci italiani, al termine della guerra sociale, il diritto di cittadinanza romana, la Gallia cisalpina cessò d'esser provincia e venne incorporata nell' Italia politica. E i confini d' Italia, già segnati dal corso della Magra, dall' Appennino settentrionale e dal Rubicone, vennero con tale incorporazione portati più a norci, in corrispondenza della linea pedemontana.

Senonchè apparve ben presto ad Augusto la necessità di trasferire i confini stessi su d' una forte linea naturale: quella della displuviate; e d'impadronirsi delle Alpi per una duplice esigenza: politica e militare ad un tempo.

Non pochi elementi delle tribù di pianura - infatti - abban donate le proprie terre, avevano da tempo preso stanza nelle vallate alpine, vivendo d' una vita libera, dedita alla pastorizia, al· l'a gr icoltura, alle ricerche minerarie, e inframezzata da qualche redditizia incursion e in pianura a scopo di saccheggio. Questa gente aveva finito co! fondersi in nuove tribù governate dai maggiori abbienti, e - gue rri e ra, avventurosa, avida quant'altra maicostituiva una minaccia perenne per il territorio e le popolazioni ro mane di confine.

Ma una necessità militare esigeva inoltre di effettuare la conquista delle Alpi: quella d ' aver libero transito attraverso la massa montana per tener testa ai barbari che al di là della cerchia alpina s' agitavano a torme, in cerca sempre di più fertili terre e di nuovo bottino. Tanto più che nella mente d'Augusto s'era andato maturando un nuovo criterio di difesa dell' Impero: quello di sostituire alla difesa in posto, richiedente un'occupazion e molto densa - non più consentita dalle assottigliate legioni - una difesa manovrata, che permettesse di porta re celermente sulla fronte minacciata le forze occorrenti, e soppe ris se quindi con la celerità alla scarsezza del numero.

Ed è ovvio che tale criterio trovasse il suo logico fondamento n ell'esistenza d'una rete stradale transalpina, tracciata secondo esigenze strategiche, ed attuabile solo dopo aver debellato i popoli delle vallate.

Ma, decisa l' impresa, occorreva trovare l' uomo capace di portarla a termine: chè, se la conquista della Gallia aveva messo a dura prova il genio politico e militare di Cesare, grandissime difficoltà presentava pure questa spedizione nel cuore delle Alpi, su d' un terreno aspro e povero, contro nemici temibilissimi : tanto più che le legioni erano ben lontane dal rappresentare il perfetto strumento di guerra d'u n tempo.

Occorreva un generale giovane, audace, geniale, capace insomma di dominare le difficili situazioni che una guerra siffatta comporta. E la vecchia aristocrazia romana, per quanto infiacchita e ormai lontana dalle armi seppe esprimere dal suo seno l' uomo del momento. fu questi Dru so, figliastro di Augusto, e da Augusto con felice intuito prescelto perchè caro al popolo, e perchè, nonostante la giovane età, palesava per molti segni la tempra dell' ottimo generale.

Druso adunque, già eletto questore per l' a nno 15, fu nominato " legatus , per l' esercito destinato a svolgere l' azione principale contro i popoli alpini.

Concetto d' azione per la lotta contro i popoli alpini .L' azione - secondo un piano concepito dallo s tesso Augustoavrebbe dovuto svolgersi in due tempi: in un primo tempo P. Silio avrebbe debellato i Trumplini (Mella) i Camuni (Camonica) i Venoneti (Adda) e i Leponzii (Ticino e foce). In un secondo tempo Druso, alla testa dell' esercito principal e , avrebbe dovuto

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muovere da Verona, e risalendo l'Adige e l' Isarco portarsi al Brennero dopo aver sterminato i Revii ed essersi impadronito del paese. Dal Brennero Druso sarebbe sceso in Vindelicia, mentre un altro esercito, mosso nel frattempo dalla Gallia al comando del fratello di Druso, Tiberio, avrebbe dovuto per il Reno e la soggiogata regione dei Leponzii unirsi al corpo principale.

Conquistata la Vindelicia, l' esercito romano avrebbe proseguito la sua azione nel Norico e in Pannonia.

Le operazioni militari. - Nella primavera dell'anno 15 la guerra s' iniziò; e mentre Druso e Tiberio attendevano alla preparazione dei loro eserciti, P. Silio sottometteva i Leponzii e conquistava gran parte della Svizzera. ·

Secondo il piano fissato, Druso e Tiberio muovevano quindi dalle loro

Incerte e in molti pur.ti discordanti sono le notizie pervenuteci sull' azione di Druso in Trentino; certo è che a Trento infranse la resistenza nemica in una battaglia vittoriosa, che gli valse la nomina a pretore, e che suscitò a Roma il maggior entusiasmo.

Risalì quindi la valle dell' lsarco combattendo senza tregua, scese all' lnn, e si congiunse a Tiberio che frattanto, su l Lago di Costanza, aveva debellato i Vindelici. l confini dell' Italia politica venivano così portati sulla displuviale alpina.

l due fratelli proseguirono quindi attraverso la Vindelicia, ne sconfissero definitivamente gli abitatori in una grande battaglia, e conquistarono tutta la Baviera del sud portando il confine settentrionale dell' Impero al Danubio.

La conquista del Norico, effettuata il 12 a. C., coronava la memorabile impresa dei due fratelli: impresa che tanto entusiasmo doveva suscitare a Roma, e che Orazio s' induceva a celebrare con due odi.

Sulla destra del Danubio rimanevano però tuttora indipendenti da Roma la Pannonia e la Mesia. A Tiberio venne affidato il compito di soggiogarle, mentre Druso veniva inviato alla frontiera renana. E s istematicamente Tiberio assoggettò il paese riducendolo a provincia, e fissando saldamente le aquile romane sul Danubio, lungo la cui vallata ben presto sorsero munite fortificazioni di confine quali Vindebona ( Vienna ), Augu s ta Vindelicorum ( Ausburg) e Castra Batava.

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della guerra. - Conseguenza di tale guerra, adunque, fu che i termini dell' Impero vennero poggiati alla grande linea naturale del Danubio, e che tutto il versante interno delle Alpi venne incorporato all' Italia: tutto salvo il tratto corrispondente all'alta vallata dell'Adige, ed il territorio posto fra Varaita e Dora Riparia, che continuò a costituire il regno indipendente di Re Cozio.

Conseguenze

Ma non è a credere però che i popoli alpini s' adattassero remissivi all'ordinamento loro imposto; chè, menlre ancora l'eco della guerra non era spento, i Liguri in sorgeva no impegnando una guerriglia che logorò non poco le forze romane inviate a soffocarla, e che costrinse Augusto a far riattare la via che da Acquae Statiella e raggiungeva Vado e costeggiava quindi il mare, onde aver modo di esegui rvi rapidi spostame nti di truppe. fu anzi lungo questa strada, presso la Turbia, che fu rinvenuta una preziosa iscrizione rapportata da Plin io, in cui sono indicati i nomi della c Oentes alpinae devictae : iscrizione in cui si ria ssu me tutto lo sforzo di questa lunga, aspra e gloriosa guerra contro i popoli alpini.

Altre guerre di Augusto contro popolazioni alpine. - Per sempre meglio assicurare i confini dell'impero s ulle Alpi, Augusto strinse un trattato di alleanza con r e Cozio, capo di un piccolo regno di montanari esistente tra il Cenisio e il Monginevra. Susa eresse ad Augusto un arco di trionfo. Ma n ella valle della Dora Baltea il popolo dei Salassi resisteva ad Augusto: e questi lo domò stabilendovi una colonia di pretoriani (da cui sorse Aosta).

Altre conquiste di Augusto. - Augusto rassodò il potere di Roma nelle Oallie, nella Spagna, portò il confine al Danubio ed iniziò la conquista della Germania affidando l' azione ai propri fi g liast ri Druso e Tiberi o. Druso passò il Reno e con ardite spe, dizioni si spinse fino al Weser e all' Elba. Alla sua morte Tib erio continuò l' impresa assoggettando tutta la regione po sta tra il Reno e l'Elba, il Meno e il mare del Nord. Valicato il Danubio Tiberio allargò ancora la conquista quando una insurrezio ne della Pannonia e dell' Illiria lo costrinse ad abbandonare l' impresa per volgersi contro i ribelli che furono ridotti all' impotenza solamente dopo tre anni di lotta. Fu durante questa lotta che le legioni romane guidate da Quintilio Varo, lasciato da Tiberio a governare la Oer-

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mania, furono sorprese nella selva di Tt:utoburgo da Arminio, capo della lega germanica, e pienamente sterminate {8 d. C.).

La disfatta di Varo fu vendicata negli anni successivi ( 14-1516 d. C.) per opera di Germanico, n ipote di Tiberio.

Le ulteriori conquiste romane. - Le conquiste compiute da Roma sotto l' impero sono le seguenti:

1. 0 ) quelle compiute sotto Augusto e già ricordate in questo capitoJo;

2. o) sotto Claudio ( 4 t ·54) viene conquistato il paese tra il Reno a l' Ems; Claudio stesso passa in Britannia e conquista gran parte del paese. Sempre sotto Claudio, viene conquistata la Mauritania ; e la Palestina, fino allora governata da un proprio viene incorporata nella provincia romana di Siria;

3.0 ) sotto Nerone ( 54-68) il regno del Ponto fino allora protetto da Roma viene ridotto a provincia; eguale sorte subisce il regno di re Cozio che abbiamo visto alleato di Augusto;

4. o) Domiziano {81-96) condusse alcune spedizioni nella Germania; nei paesi di riva sinistra del basso Danubio e in Britannia;

5.0 ) Ulpio Trajano ( 98-117) ridusse tutta la Dacia a provincia romana, stabilendovi numerose colonie che diffusero in quelle barbare regioni, la civiltà romana costituendovi un popolo latino che forma oggi il regno di Rumenia; ridusse poi l'Armenia e l' Arabia a provincia romana; occupò militarmente la Mesopotamia e giunse fino al golfo Persico.

Sono queste le ultime conquiste romane: da questo momento l'attività militare degli imperatori è rivolta a sedare ribellioni che scoppiano ovunque più o meno violente, e a fronteggiare i barbari che sempre più minacciosi si affacciavan o alla porte dell'impero.

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P ARTE QUART A

Storia Medioevale

La caduta dell' impero romano d' occidente e le invasioni barbariche.

Cause della caduta dell' impero romano. - Le invas ioni barbariche non furon o che la cau s a occa s ionate della caduta dell' impero romano . La ca usa ve ra e principale della caduta dell' impero romano fu la d is soluzi o ne interna prodotta dal dispotismo e dalla tirannia del g overno imperiale.

Arbitro più o meno diretto, ma sempre s olo, della distribuzione di tutti quei b eni che costitu iscono il premio alla umana operosità, libero di distribuire i beni stess i a seconda della propria sola volontà, anzi del proprio capriccio, posti in non cale la giustizia e il merito, il dispoti s mo tolse all' individuo la spinta ad operare per il bene comune: per ottenere bastava piegarsi a tutte le vo g lie d el padrone, assecondarne gli interessi, adularne le passioni. Tanto più si era accetti e si otteneva quanto si desiderava, quanta minore era l' energia intellettuale e morale, quanto più si era servilmente sottomessi alla volontà imperiale. Ogni energia ed • iniziativa individuale quindi era completamente soffocata. Nella parte più elevata della società predomina la corruzione dei cos tumi , lo s perpero del danaro pubblico, I' abbrutimento degli intelletti, l'avvilimento dei caratteri. Nella parte inferiore, cioè nella grande maggioranza delfa popolazione, prevale invece la miseria, sempre crescente, il disgusto dello stato presente, il desiderio, sempre più intenso, di mutamenti e di rivoluzioni, uno stato di irritazione continua.

Diocleziano e Costantino avevano creduto di assodare l'autorità imperiale dandogli per base I' appoggio interessato di una complicatissima gerarc hia di favoriti e di impiegati, ma non avevano con ciò che contribuito a deprimere il livello morale dei cittadini. Occorreva all' impero una forza, estranea però alle passioni dalle quali l' impero era agitato, un elemento che costituisse una forza sicura e di rapido impiego, ma che avesse interessi contrastanti con le classi sociali in lotta tra di loro: ed ecco la immissione dei barbari nell' esercito. Ma per mantenere questa forza e per soddisfare alle spese immense che il fasto e la co rruzione della corte richiedevano, occorreva no fondi immensi: ecco quindi, come già abbiamo visto , far consistere tutta l'arte di go. verno in una orgazzazione amministrativa tale che assicurasse il sicuro introito di somme notevoli, e limitasse l'impiego delle somme stesse.

Da tutto ciò derivò:

- esazioni fiscali sempre più intollerabili;

- decadimento dell'industria, del commercio e dell'agricoltura;

- scontentezza e sfiducia in tutte le classi sociali;

- decadimento dello spirito militare e quindi allontanamento del popolo dalla mili zia;

- lenta infiltrazione dei barbari prima nelle legioni, poi nei quadri dell'esercito e infine in tutti gli uffici civili e militari.

Le cose giunsero ad un punto che i barbari c non ebbero che a guardarsi attorno per accorgersi che l' im pero e ra tutto in mano loro. • L'impero si trovò allora solo, esposto alle offese e mancante di mezzi: al primo urto doveva cadere e cadde.

Il Cristianesimo. - A questa lenta trasformazione contribuì senza dubbio il Cristianesimo il quale c pur introducendo nella romana società i più puri principi della morale, e reclutando, per così dire, sotto le sue bandiere, quanto di onesto, di buono e di generoso si trovava nel mondo Romano, contribuì dall'altra parte ad alienare i cittadini dallo Stato e a promuovere perciò la p erdita dello spirito pubblico: e quindi alla di ssoluz ione dell'impero medesimo. • ( Fogliani ).

In un primo momento infatti i cristiani per il solo fatto di essere tali vennero a trovarsi nella condizione di ribelli rispetto allo Stato; lo Stato era il loro nemico più spietato come quello che lì perseguitava in ciò che l'individuo ha di più sacro: l'indi-

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- 161pendenza della propria coscienza. Quindi una gran parte dei cittadini, e senza dubbio la più eletta moral m ente, avversava l' impero e affrettava in cuor loro quella dissoluzione che credevano effettivame nte predestinata da Dio.

In un seco n do tempo q u a n do la religione c r istia n a da persegu itata dive nt ò dominante le cose n on cambiarono perchè il princìpio dispotico de l governo imper iale fu r inforzato dalla dottrina · della passiva ed illimitata obbedienza proclamata dal Cristianesimo, e dai d ogmi della carità universale della povertà e della solitudine che la Chiesa c r istia n a poneva a fondamento della salute spirituale. Agg iu n gas i a c iò il fatto che vescovi e papi, ormai ricchi e pot enti erano materialmente i nteressati a sostenere quel governo dal qua le derivava la loro potenza.

Ecco come e perchè il Cristianesimo influl sulla decadenza e sulla cad uta de ll' impero roma n o.

l Ba rbari . - Abbiamo detto che col nome di Barbari s'intendono, genericamente, tutti quei popoli che vivevano al di là dei confini dell' antico ed unico impero romano.

l barbari appartengono alla famiglia ariana: questa famiglia, proveniente come sappiamo dall'est, giunge in Europa e dopo un periodo di vita comune, si divide e si avvia in direzioni diverse:

- parte scesero in Grecia e in Italia, dove il clima più mite, il suolo più fertile, la posizione geografica più fortunata, la vicinanza dei Fenici e degli Egiziani favorirono il progresso, la diffusione e l' affermazione di quella che fu poi la civiltà greca e romana;

- una parte si stanziò nell'attuale Germania, dove invece per le avverse condizioni di s u o lo e di clima, per il nessun contatto con i popoli civili, s'andò formando, in un periodo di molti secoli, una società affatto diversa che ai romani poteva apparire quasi selvaggia, ma che, tn realtà, non era tale.

La razza germanica viene normalmente divisa in due grandi branche: la teutonica e la gotica, ognuna delle quali comprendeva diversi popoli.

l Teutoni comprendevano:

- i Franchi, sulla destra del Reno, dalle foci di questo fiume, alla confluenza del Meno;

- i Sasso n i, lungo il bacino del Wese r, divisi in Angli al n ord e Turingi a l sud;

M VALLETTt-B ORGNINt, Storia Politico-militare ecc. - Vol. I.

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- gli Alamanni e Svevi tra Reno e Danubio;

- i Burgundi che provenienti dall'est tendevano al seguiti da Longobardi;

- Turcilingi, Rugi ed Eruli presso la costa baltica;

-i Quadi nell' attuale Mora via;

-e i Marcomanni nell'attuale Boemia.

l Goti, dalle natie sedi scand inave, dopo aver disputato if terreno alle razze finniche si erano sparsi n ell' Europa suddividendosi in Goti dell' ovest o Visigoti, o Goti dell' est () Ostrogoti. Ai Goti inoltre appartenevano Gepidi, juti e Vandali.

Le invasioni. - Abbiamo visto come nell' ultimo periodo dell ' impero, i barbari costituivano ormai la principale forza militare dell'impero stesso: favoriti dagli stessi imperatori, i barbari erano ormai penetrati non solo nelle legioni, ma ricoprivano alti gradi nella gerarchia militare e in quella civile. È questo il periodo della così detta invasione pacifica, agevolata, voluta anzi, dagli stessi imperatori per consolidare, con questi ele m enti estrane i, ii propri() potere.

Questo genere di invasione, predispose, agevolò e rese irreparabile nel quinto secolo, la seconda inva sione, quella violenta, apertamente ostile che finì per abbattere l' impero romano d' occidente e costruì, sulle rovine di questo, i nuovi regni barba!"ici.

Questa seconda invasione fu causata da una grande migrazione di popoli che, iniziata dal centro dell'Asia, si propagò fino all' occidente d' Europa.

Verso la fine d el IV secolo gli Unni, invadendo l'Europa orientale, costrinsero i germanici stanziati lungo il Danubio, a cercarsi nu ove terre verso occidente: fu così che i germanici penetrarono nel territorio dell' impero roman o. Essi vi penetraron() quindi più come fuggiaschi che come veri invasori.

Nel 402 i Visigoti, condotti da Alarico, giungono a Milano attraverso le Alpi Giulie: sono battuti e ricacciati da Stilicone. barbaro anch' esso e generale dell' impero.

Nel 404 Vandali, Svevi, Burg11ndi, giungono fino in Toscana e si avviano su Roma: ma a fiesole sono battuti da Stilicone .

Tra il 408 e il 410 tornano i Visigoti con Alarico e giungono fino a Reggio Calabria.

Nel 452 gli Unni, capitanati da Attila, scendono in Italia per le Alpi Giulie; distruggono Aquileia e devastano molte città del

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Veneto. Fu allora che molti abitanti del Veneto cercarono scampo nelle isole della laguna dando così origine a Venezia .

Nel 455 i Vandali, provenienti dall'Africa, sbarcano ad Ostia, risalgono il Tevere, saccheggiano Roma e si ritirano carichi di bottino.

Nel 476, Odoacre, generale barbaro a servizio dell'impero rimane incontrastato padrone d'Italia, e ciò fino all'invasione degli Ostrogoti condotti da Teodorico.

Nell' autunno de l 488 Teodorico, capo di varie genti barbariché nelle quali predominavano gli Ostrogoti, muove, per consiglio dell'imperatore di Costantinopoli, contro Odoacre.

Nell'agosto del 489, Teodorico giunge all' lsonzo: Odoacre è vinto in due battaglie, si ritira a Ravenna. Teodorico occupa Milano e accampa il suo esercito presso Pavia. Roma rifiuta aiuti ad Odoacre; Teodorico cerca anch'egli nuove forze. Entrambi si rivolgono ad altri barbari: Odoacre chiama i Borgognoni, Teodorico i Visigoti. Le forze di Odoacre sono battute per la terza volta e Odoacre stesso si chiude in Ravenna ove viene assediato da Teodorico. Tre anni dura l'assedio poi Ravenna è presa e Odoacre ucciso. Teodorico regna in Italia dal 493 al 526.

Egli t entò la fusione dell'elemento barbarico con l'e lemento romano, coadiuvato dai giureconsulti romani Cassiodoro, Boezio, e Simmaco: ma lo scopo non fu raggiunto.

Dopo la morte di Teodorico i Goti si mantennero in Italia per altri 30 anni circa.

Intanto due generali bizantini, Narsete e Belisario, per ordine di Giustiniano, imperatore d' oriente, mossero dalla Sicilia e riu sc irono dopo lunghi anni di lotta a battere ripetutamente i Goti, a disperderli e a cacciarli fuori d' Italia.

L' Italia fu allora governata da un patrizio, luogotenente dell' imperatore di Costantinopoli.

Fino a questo momenio ( 568) l'Italia, malgrado tre dominazioni straniere subite dopo la caduta dell' impero romano d' occidente, e cioè Odoacre, gli Ostrogoti e poi i Bizantini, aveva conservato la propria unità politica.

Una nuova invasione di barbari - · i Longobardi - ruppe que st' unità e cominciò così per la nostra patria la dolorosa storia del suo frazionamento.

L' invasione longobardi ca ebbe luogo nell'anno 568 e si estese in brev e nell' Italia settentrionale e centrale: nel resto dell' Italia

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continuò invece la dominazione bizantina. Questa continuò a prevalere pe r merito essenzialmente della sua potenza marittima, contro la quale nulla poterono i Longobardi. l Longobardi si considerar ono sempre e furono considerati come un esercito vincitore accampato in un paese di conquista. Essi tentarono la unificazione d' Italia sotto il loro ma trovarono sempre la ostilità maggiore nel Papa , che, inframmettendosi col dominio di Roma fra la parte settentrionale e meridionale d' Italia, ne accentuò la separazione in modo che ciascuna di esse ebbe destini diversi. La settentrionale seguì le vicende delle singole città nelle quali era divisa ed ebbe storia frammentaria, la meridionale fu ben presto riunita in reame ed ebbe storia unitaria ed accentrata.

Un conflitto scoppiato fra Papa Gregorio Il e l' imperatore d' Oriente diede occasione al pontefice di chiamare in suo aiuto in Italia, il re dei Franchi. I Longobardi cercaron0 di opporsi alla venuta del re franco, ma ripetutamente battuti dovettero sotto· mettersi.

Istituzioni militari dei barbari. - Il periodo delle invasioni barbariche costituisce un periodo di guerre, di lotte, di battaglie continue: ma ciò nonostante l'arte della guerra non progredì.

· I barbari, esuberanti di energie, ma privi di una bene organizzata costituzione politica e sociale, preoccupati essenzialmente di sfruttare il paese conquistato, segnarono anzi un regresso di fronte alle solide istituzioni militari romane . Impossibilita ti a condurre operazioni ordinate, guerre lunghe e met o dicamente condotte, che richiedono una solida organizzazione statale della quale i barbari non erano provvisti, essi appresero dai Romani i sistemi di guerra; ma non poterono imitare che l' ultimo degli ordini di combattimento dei romani stessi, cioè l'ordine falangitico , che costituiva, come già sappiamo, un regresso an zichè un progresso dell'arte militare.

Ma oltre alla mancanza di forme proprie e originali, che li portò alla imitazione formale di forme decadenti dell'arte militare, mancava ai barbari un sistema gerarchico e disciplinare che va· lesse a muovere piccoli nuclei e permettesse di coordinare i singoli sforzi ad uno scopo comune: così come Roma magistralmente aveva f atto allo inizio della propria gloriosissima vita.

Oli eserci ti d e i barbari era n o q u asi esclusivamente composti di fanteria che si schierava in masse co m patte con forme pesanti.

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Armi d'offesa erano la lancia lunga e una specie di ascia a uno o due tagli; il giavellotto uncinato, la spada e l'arco. Erano armi difensive l' elmo, lo scudo e la cotta di maglia.

All' inizio del combattimento il fante gettava il giavellotto un-. cinato, che, infiggendosi nello scudo dell'avversario, serviva a far piegare questo per scoprire il nemico e colpirlo poi con la scure.

L' azione era condotta senza alcuna ordinanza prestabilita, ma in modo tumultuoso che degenerava presto in disordine.

L'impero carolingio. - L'aiuto dato dai re Franchi al Papato fu compensato con la consacrazione papale ad Imperatore d' occidente di Carlo Magno, figlio di Pipino capostipite della dinastia Carolingia che e ra successa a quella Merovingia nel regno franco. Ma con ciò l' Italia non fece che cambiare di padrone: la dominazione longobarda per aver inutilmente tentato d' impadronirsi delle terre del papato, provocò l' intervento dei Franchi chiamati appunto dal papa; i Franchi abbatterono e distrussero la dominazione longobarda , riconobbero ed ingrandirono il potere temporale dei papi, ma si installarono da padroni su tutta l' Italia.

Carlo Magno. rimasto, per la morte del fratello, solo sovrano del regno franco si trovò fin dall'inizio del suo regno {771) signore di un vastissimo paese che andava dal bacino del Meno all' Atlantico.

Nel 774, scende in Italia per il Moncenisio e il S. Bernardo e abbatte la potenza longobarda. Dal 778 al 785 combatte contro i Sassoni capitanati da Vitichindo l' eroe nazionale della guerra sasso ne.

Carlo Magno stabilì fortezze e presidi nei paesi conquistati, costrinse i vinti a ricevere il battesimo e a migliaia per volta li fece battezzare; ripartì infine il territorio fra i vescovi con lo scopo di costituire centri di civiltà c ri stiana.

Ma una volta conquistato il paese con la forza, Carlo Magno cercò di fare del paese stesso una nuova e valida barriera contro le genti germaniche e pagane d' oltre confine.

Come Cesare non si contentò della sola conquista militare delle Oallie, ma volle introdurvi la civiltà latina, tanto che gli abitanti ebbero comuni con i Romani le istituzioni, i costumi e perfino la lingua; così Carlo Magno con l' introd!.!zione della civiltà cri· stiana fra i popoli del centro dell' Europa accellerò l' opera d' affrat ellamento della loro civiltà con quella dei popoli meridionali, e

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affidò loro la difesa del mondo cristiano contro le aggressioni dei popoli orientali.

Ricostituzione dell' Impero romano. - Nella notte di Natale dell' 800, papa Leone III consacrava in Roma Carlo Magno, grande e pacifico imperatore romano: venne così ricostituito l'Impero romano d'occidente. Carlo Magno conservò i titoli di re dei franchi e dei Longobardi, ma si aggiunse quello di Imperatore, Augusto e console.

Questo atto, memorabile nella storia, segna un momento di confluenza tra le tre correnti storiche animatrici della storia europea nei tempi medioevali e cioè: ·

- la antica tradizione romana personificata dalla potenza di Roma, cioè ormai, dal Papato;

- la tradizionè imperiale che rammentava l' o'rdine e la coesione contro l'anarchia e lo sminuzzamento del potere, tradizione ormai personificata da quell' elemento barbarico che aveva provocato la rovina dell' impero romano, e che ora si andava plasmando, e si faceva anzi campione della civiltà cristiana: Carlo Magno è la prima grande espressione di questo concetto;

- l'elemento barbarico tenuto ora a freno dalla potenza del nuovo impero.

Origine della lotta fra Papato e Impero. - Ma la forma sotto la quale erasi manifestato questo momento storico nascondeva una grave questione: quali sarebbero state le relazioni tra il Papa che si riteneva l'arbitro delle coscienze umane, e l'Imperatore che si riteneva il capo assoluto di tutti cristiani? erano relazioni di parità o di dipendenza? e in quest' ultimo caso chi dei due questa dipendenza doveva subire?

Ecco così sorgere la profonda causa di attrito fra Papato e Impero: ecco l'origine di quella grande lotta che per tanti secoli caratterizzò la Storia d' Europa.

Estensione dell' impero carolingio. -- L' impero di Carlo Magno comprendeva la maggior parte di quelle regioni che oggi costituiscono la Spagna, la francia, il Belgio, la Germania, la Svizzera, l'Austria, l' Ungheria, l'Italia. L' Italia meridionale con la Sicilia, continuava a dipendere dai Bizantini. Per arrestare gli Slavi nelle loro sedi, Carlo Magno costituì lungo l' Elba alcune Marche,

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fra le quali una che contribuì più tardi a formare il Brandeburgo primo elemento del futuro stato prussiano. Contro gli Avari, discendettti degli Unni, creò sul Danubio la marca dell' est che divenne poi l' Austria. Dei paesi riconquistati agli arabi nella Spagna formò la marca spagnuola, primo nucleo dei futuri regni ibero- cristiani e della Spagna presente.

Caratteri del governo carolingio. - « Carlo Magno colle sue vittorie arrestò tutti i popoli entro i limiti in cui si trovavano; dopo, come Imperatore, li stabilì definitivamente nel territorio da essi occupato, dando loro, con l'autorità suprema che gli era stata riconosciuta, la legittimazione morale del possesso, fino allora non fondato che sulla forza. Legittimati i vincitori nei loro possessi, ai vinti fu resa obbligatoria moralmente la loro soggezione: e così con nuovo ordinamento imperiale e feudale, che abbracciava insieme vincitori e vinti, le due classi rimasero stabilite nel paese che occupavano, ma congiunte non più alla sola forza, sibbene da un vincolo morale: dapprima in uno stato di sovrapposizione, poscia di graduale fusione, sicchè vennero a dare origine ai popoli e alle nazioni odierne l dominatori, stabiliti ed assicurati nei lor o possessi, non più travagliati dall' unica cura di conservarli, fu rono per il loro stesso interesse condotti a pensare di migliorarli e di trarne maggior vantaggio e potenza con lo svolgerne le forze economiche ed intellettuali, con un'amministrazione più regolare, più intelligente e anche più umana; tutelando la vita e l'interesse dei vinti per il vantagio dei vincitori ' medesimi; e così si venne a poco a poco ricostruendo la novella civiltà sulle reliquie dell' antica. » ( Cassinis ).

Istituzioni militari dei Franchi. - Gli antichi Franchi componevano il loro esercito, come i popoli germanici, quasi esclusivamente di fanteria.

La cavalleria formava per lo più la scorta del capo.

Armi offensive degli antichi franchi erano: la spada, il giavellotto e l'ascia detta Francesca; la fionda veniva quasi esclusivamente adoperata negli assedi; più tardi ebbero l'arco, la balestra, il pugnale, la lancia, la mazza.

Per armi difensive non veniva adoperato che Io scudo : solam ente sotto i Carolingi fu adoperato l'elmo e la maglia di ferro.

L' ordinanza era profonda, falangitica, serrata.

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Ciascuna provincia somministrava i viveri alla milizia per tre mesi; abiti e armi per sei; ma passati i tre mesi, toccava al re di somministrare i viveri qualora la guerra si protraesse oltre i tre mesi. Nessuna paga veniva data ai soldati.

Le cariche, civili e militari erano date e godute a vita e tornavano al re dopo la morte del beneficiario o quando costui abbandonava il servizio. Col tempo però rimasero proprietà di quest' ultimo, con obblighi di servire al sovrano, soldati e mezzi di guerra: nacquero così i feudi.

Carlomagno fu il primo sovrano che regolò la composizione e l' organizzazione dell'esercito.

Il servizio militare era regolato in base alla proprietà. Il reclutamento veniva affidato ai messi imperiali che dovevano compilare la lista di coloro che dovevano partire per la guerra e quella di coloro che dovevano invece contribuire alle spese Il clero essendo proprietario di terreni, doveva dare anch' esso la sua aliquota di soldati.

L'ordine di mobilitazione - chiamato eribanno - era emanato dal sovrano e diramato ai marchesi, ai conti, ai visconti, a i vescovi. Nessuna dilazione era accordata alla partenza. Ogni soldato si equipaggiava e armava a proprie spese e doveva presentarsi alla chiamata, armato di lancia, arco con corda di ricambio e 12 frecce, e scudo. Ogni soldato doveva inoltre provvedersi di viveri per un certo numero di giorni; gli abitanti per il cui territorio le truppe passavano erano obbligati a fornire, ricovero, acqua e fuoco.

Carlo Magno fissò il servizio militare obbligatorio per tutte le persone agiate e aventi per conseguenza cavalli: ne venne quindi per naturale conseguenza che nel suo esercito prevalse per numero ed importanza, la cavalleria. l meno ricchi andavano a costituire la fanteria; coloro c h e n on avevano i mezzi per acquistarsi le armi disimpegnavano il servizio dei bagagli e delle provvigioni. Chi n on possedeva proprio nulla era esente da qualunque obbligo militare .

L'esercito era seguito da negozianti di armi e di vesti.

Carlo Magno con appositi cc Capitolari, emanò di sposizioni di carattere amministrativo e disciplinare.

L' imperatore era il capo degli eserciti. l successori di Carlo Magno delegarono spesso un duca. L ' esercito si componeva di parecchi corpi, costituiti con i contingenti di una medesima provincia.

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Invasione degli Arabi. - Per completare il quadro schematico delle invasioni subite dagli Stati dell'ex· impero romano occorre accennare alle invasioni degli Arabi.

Oli Arabi, dopo avere nella seconda metà del VII secolo assoggettato all' islamisrno l' Egitto e tutta l'Africa settentrionale, nel 71 l invasero la Spagna, in pochi anni sottomisero tutta la penisola meno le montagne della Galizia e delle Asturie ove si ritrassero i resti dei vinti. Dalla Spagna gli arabi passarono in Francia, ma battuti nel 742 da Carlo Martello alla battaglia di Poitiers, non ritentarono più la prova.

Dalle coste dell'Africa i Saraceni scorrevano vittoriosi tutto il Mediterraneo, saccheggiando le città delle coste e occupandole anche per un tempo più o meno lungo. Nell' 828 posero piede in Sicilia e in pochi anni l'occuparono tutta, finchè non fu poi loro ritolta da Ruggero I il Normanno nel 1060. Sardegna, Corsica, Puglie e Calabria, Bari, Taranto e altre città della penisola furono occupate per più o meno tempo dai Saraceni che dalle coste s i spinsero nell' interno predando e distruggendo: Roma stessa ne sentì gli effetti.

n feudalismo ed i suoi riflessi sulle istituzioni militari. La cavalleria.

L' individualismo barbarico e la funzione storica del feuda· lismo. - « L'antica civiltà, nata nell'oriente, compì, con la caduta dell' impero d'occidente, la sua parabola evolutiva.

Allo svolgimento progressivo della civiltà è supremamente necessario un perfetto equilibrio tra la libertà individuale e l' ordinamento statale: l' una ne è la forza motrice, concedendo all' individuo il completo sviluppo della sua attività, l' altra ne è la mo· deratrice, dirigendo quest' attività all' utile sociale. Rompendosi l'equilibrio si avrà che, o per eccesso di libertà manca l' armonia nelle singole forze, queste si urtano e si elidono a vicenda, l'economia sociale resta distrutta, la civiltà ritorna nell' infanzia; o per eccesso dell' interesse statale si creano ostacoli allo sviluppo dell' attività individuale, le forze mancano, il progresso si arresta, la civiltà muore di spossatezza e imputridisce in mezzo allo splendore di un vastissimo organismo politico .

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Quest' ultimo squilibrio toccò all' antica civiltà quando, arrivata al suo apogeo con l'impero romano, l 'individuo venne assorbito dallo Stato; la libertà mancò affatto, l' umanità stanca delle sozzure di una società infiacchita ed oppressa, cercò un rifugio nel completo annichilimento della materia, nell'astrazione di una r eligione che, idealizzando il sacrificio, prometteva il premio dei giusti appunto ai deboli e ai perseguitati.

Le invasioni barbariche completarono la distruzione di quanto rimaneva dell'antica civiltà: l' ordimento politico dell' impero romano; sotto l' irrompere di quell' immenso torrente tutto fu invaso, sconvolto, atterrato. Tuttavia quest'opera non fu di sola distruzione. l barbari nelle cui vene scorreva un sangue giovane e pieno di vitalità, ebbero, al sommo grado, in pregio la libertà ed in onore il valore individuale; intolleranti di ogni dipendenza, non potevano governarsi che con debolissimi legami sociali, perciò la loro civiltà non poteva nemmeno accennare ad un principio di perfezionamento per uno squilibrio fra la libertà e l' economia statale opposto a quello pel quale era perita Roma. Ma riportando nel vecchio ed infiacchito mondo romano l' elemento di cui difettava, fecero possibile il rinascimento di una nuova civiltà.

La civiltà moderna ripete la sua prima spinta dall' individualismo barbarico, i di cui prodotti cominciarono a manifestarsi con l'ordinamento feudale.

Il feudalismo fu la naturale conseguenza dell'eccessiva indipendenza personale, per cui rompendosi i vincoli sociali si venne allo spezzettamento politico, come fu già visto succedere nei primordi della civiltà greca; non fu però il completo separatismo greco, fu piuttosto un frazionamento sottomesso ad un principio unificatore. Il feudo o beneficio era concesso dal sovrano ad un vassallo a patto di un tributo annuo e della prestazione del servizio militare. Il vassallo della corona poteva a sua volta nel proprio feudo, concedere altri benefici e creare vas--alli subalterni da lui dipendenti con g li stessi obblighi; e così operandosi di seguito venne a costituirsi una vasta gerarchia di feudatari a volta a volta vassalli e signori, ma tutti direttamente o i n direttamente dipendenti da un unico centro.

Questo accentrament o, per quanto debole, indicava sempre un ordinamento statale che dovea condurre evidentemente col tempo all' unificazione politica ed alla formazione di nuove nazionalità. Ciò infatti si speri mentò dove la conquista dei barbari potette con-

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solidarsi; così avvenne nella francia e nella Spagna, ove le prime invasioni presero stabile dimora; così pure nell' Inghilterra, salvo che quì il sistema fu alquanto. modificato da una seconda invasione, quella dei Normanni, che si sovrappose alla prima degli AngloSasso n i.

In Italia invece le invasioni barbariche si succedettero l'una all'altra senza che nessuna potesse attecchirvi. furono molte le cause di questo fatto e fra le principali possono notarsi: la vanità rimasta agli antichi dominatori del mondo per cui, volendo mostrarsi intolleranti d' estranio dominio quando erano impotenti a scuoterlo, chiamavano barbari per iscaccìare altri barbari i la Chiesa che, ambiziosa di temporaLe signoria, ricorreva anch'essa al braccio di gente straniera affinchè nessuno dei nascenti Stati italiani potesse consolidandosi acquistar forza per dilatarsi.

L' Italia divenne il suolo contrastato da tutti i popoli, Goti, Greci, Longobardi, franchi vi dominarono a vicenda i gli Italiani mai. l franchi diedero alla Chiesa il tanto ambito potere temporale, cagione d'infiniti mali, e Carlo Magno ricostituendo nelle sue mani l'impero d' occidente ( 800) col completo ordinamento feudale, preparò il vassallaggio d'Italia alla corona di Germania. -.. ( Moreno ).

costitutivi del feudalismo. - Il fenomeno del feudalismo, così come noi lo conosciamo attraverso il Medio Evo, non fu una creazione sorta di colpo in questo periodo. Esso trova i suoi embrionali elementi costitutivi nella società romana e nelle istitu zioni dei barbari. Elementi costitutivi del feudalismo furono infatti:

- il beneficio romano che era uno speciale modo di possesso fondiario che coesistette sempre accanto alla piena proprietà fondiaria. Questo speciale possesso aveva per fondamento la concessione che un proprietario faceva ad un individuo del godimento di un fondo: concessione puramente spontanea che non comportava alcun obbligo da parte del concedente, nessun diritto da parte del concess ion ario i concessione quindi revocabile in qualunque momento e fatta specificatamente ad un determinato individuo. Questo modo di possedere " per beneficio , si diffuse assai per tutto l'impero romano, specialmente negli ultimi secoli di questo, quando le agitazioni interne e le invasioni esterne, rendendo mal sicure le proprietà e le vite, costringevano i piccoli proprietari a

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cedere i loro beni ad un cittadino più potente che li potesse tutelare, ricevendoli poi da lui in beneficio;

- il patronato militare Germanico consistente nell'usan za che i giovani guerrieri dove sse ro aggregarsi e pors i sotto la protezione di un guerriero più valente per accompagnarlo in pace e in guerra; essi prestavano giuramento di fedeltà fino alla morte del loro patrono: questi si obbligava a proteggerli e a mantenerli. Nell' invasione dell ' impero romano prevalse l' uso di concedere, a questi seg uaci, il godimento di un fondo;

- il patronato Gallico: simile alla preceden te, ma con questa aggravante: che i beneficiati erano nell' assoluta dip endenza del loro pairono e non avevano più alcuna relazione co n lo Stato : non più obbligo nè d' imp oste, nè di servizio militare: il patrono ri sp ondeva per loro. Cesare, con lo stabilire un a vigorosa amministrazione e col mantenere u g uaglianza di giustizia p e r tutti, grandi e plebei, tolse molta importanza a questa istituzione. Ma col successivo decadere dell' impe ro, essa risorse e s i diffuse.

Il feudalismo. - Dalla fusione di queste tre istituzioni nacque la feudalità che possiamo definire: c: la rip ar tizio ne e la costituzione gerarchica della società in vari ordini di signo rie: grandi, mezzan e, piccole; vincolate le minori alle ma ggiori con patti speciali, sotto condizioni specia li, ri gua rdantj sopratutto il servizJo di guerra. , ( fogliani ).

Alla testa di tutte qu es te signorie era l' imperatore, sovrano e signore che concedeva in feudo ai suoi fedeli le varie provincie d ell ' impero, con l'obbligo per questi dell'omaggio e di certi determinati servizi. Il sovrano aveva piena autorità politica, giudiziaria e militare sul territorio concesso in feudo. Ma ciò che costituisce l'essenza del feudali smo era la sottrazione dei vassalli minori dalla soggezione al Capo supremo dello Staio. Tutti i vassalli non avevano obblighi diretti che verso il loro Signore immediato e solo da questo potevano ricevere ordini.

Ne risultava quindi nella società uno sminuzzamento non solo delle proprietà in tante proprietà vincolate, ma anche della sovranità stessa in tante sovranità minori, essendo che ogni feudatario era sovrano nel proprio feudo.

Dei tre elementi costitutivi del feudalismo, quello che ebbe maggiore influenza fu il patronato gallico: naturale conseguenza della dominazione franca. Diciamo perciò qualche cosa del feudalismo così come era concepito e attuato in francia.

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Il feudalismo in Francia. - Prima ancora che l'amministrazione romana abbandonasse le Oallie, il paese versava in ben misere condizioni. Nessuna sicurezza, nè all' interno, nè alle frontiere: bande di rivoltosi da una parte, d'invasori dall'altra. Nessuna autorità pubblica, nessuna forza pubblica per la difesa privata: le truppe erano state tutte ritirate per l' ultima difesa dell' Italia e dell' imperatore.

Era derivato da questo stato di cose un movimento generale di tutti gli uomini liberi per mettersi sotto la tutela di chi poteva i n qualche modo difenderli. Si era quindi effettuata in grande proporzione la cessione delle piccole proprietà ai grandi proprietari, per r iaverne poi da questi l' usufrutto a titolo di beneficio; e a nd ava sempre più diffondendosi il costume che i piccoli proprietari, gli abitanti delle campagne e anche interi villaggi entrassero a far parte della clientela di qualche cittadino potente.

Editti imperiali dell' ultimo periodo dell'impero vietavano tali cessioni, perchè questi patronati erano tanti incagli alla pubblica autorità : ma la forza delle cose prevaleva sulla forza della legge.

Sostituitisi i franchi alla amministrazione e alle guarnigioni romane, re Clodoveo incamerò come sua proprietà privata personale le sterminate proprietà del cessato fisco imperiale, e, così come le tradizioni germaniche gli imponevano, divise queste terre fra i propri coadiutori: per non perdere però, con questa cessione, ogni diritto sulle terre stesse, egli grandemente si valse della consuetudine del beneficio.

Morto Clodoveo e spartito il regno tra i quattro suoi figli, questi cominciarono a guerreggiarsi tra di loro: e tutte le Oallie andarono in fiamme. Crebbe quindi la mancanza di sicurezza della proprietà e della vita; più forte fu sentito da tutti il bis'ogno di mettersi sotto la protezione dei più potenti: la possessione beneficiaria si sempre di più. Crebbe la potenza di questi grandi patroni, diminuì l'autorità regia; i benefici divennero quinquennali, decennali, vitalizi infine ereditari.

Ma tutto questo ordinamento, quantunque abbracciasse orma i tutta la società, non era riconosciuto da alcuna legge: nell'ordine pubblico sussisteva sempre l' antica monarchia con le sue leggi generali e con l' amministrazione comune.

Carlo Magno sancì legalmente questo ordinamento: così l'ordinamento politico si identificò con questo sistema di signorie e di vassallaggi e la feud a lità fu definitivamente e legalmente costituita.

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Carlo Magno inoltre attribuì i feudi non solamente alle persone ma ad intere corporazioni religiose: così tutto il vasto impero di Carlo Magno venne ordinato feudalmente.

l travagliatissimi tempi che seguirono la morte di Carlo Magno, favorirono ancor più l'affermarsi del feudalismo.

Nel 1307 Corrado il Salico sancisce ancora questo ordinamento e lo regola con la sua « Costituzione dei feudi :. per la quale non solo la proprietà terriera, ma le cariche e gli uffici civili e militari, i diritti regali di battere moneta, cost r uire fortezze, imporre imposte; i diritti di pedaggio, di pascolo, di pesca e di caccia sono concessi e trasmessi col mezzo feud-ale.

c Per tal modo una rete intricatissima di diritti e di di dipendenze e di maggioranze occupava tutto lo Stato, e l' autorità sovrana non penetrava fino al basso popolo che attraverso una gerarchia di vassalli maggiori, minori e minimi, tutti interessati ad ingrandire la propria autorità a scapito della sovrana. » ( Fogliani).

Influenza del feudalismo sulle istituzioni militari.

- c Per effetto delle invasioni barbariche, come la società, così anche l'arte guerresca ricade nell'infanzia. Dalla sovrapposizione dei popoli conquistatori, contati a migliaia di armati, ai popoli soggetti, contati a centinaia di migliaia di teste, nasce la feudalità; da questa lo spicciolamento sociale, un individualismo prepotente, un contars• a baroni, famiglie, castella e badie, invece che a popoli, città e Stati. e un battagliare quasi continuo, sminuzzato, confuso. Quindi eserciti di drappelli diversi che oggi s'uniscono e domani si sciolgono, la prodezza sostituita all' arte, pugne che si risolvono in tenzoni singolari. E una forte aristocrazia d'arme che per dominio, sicurezza e comodità si copre di ferro e va e combatte a cavallo. Non più guerre lunghe e metodiche, non più enti tattici, non più studiato accordo di masse. Il tipo bellico del med io evo è il cavaliere invulnerabile che atterra con la lancia i cavalieri avversi e fa . bastonare dai suoi famigli a cavallo le tristi masnade dei pedoni. Dovremmo dirla non età della cavalleria, ma età dei cavalieri, Ogni castello è una capitale, ogni bicocca una fortezza inespugnabile. • ( Corsi).

la condotta della guerra. - Per lo sminuzzamento politico, in vece di grandi guerre fra nazioni, si hanno lotte fra castello e

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castello; fra città e città; fra provincia e provincia; tra vassalli e sovrani; e sempre con la più completa assenza di ogni regola d'arte militare, di ordinamenti tattici; di disciplina; di istituzioni militari vere e proprie.

Non sono possibili grandi operazioni di guerra perchè mancano gli scopi a queste operazioni, perchè non vi sono le truppe adatte, perchè non è possibile il funzionamento di un comando regol are.

In complesso guerre e battaglie miserabili : tutto si riduce a g·uerre continue ma senza risultati ben definiti.

Ordinamento delle milizie feudali. · _ Allo sminuzzamento dell' ordinamento politico, corrisponde lo sminuzzamento delle forze negli ordinamenti militari.

Ogni vassallo, maggiore o mi!lore che sia, ha, verso il proprio Signore, in corrispettivo del feudo, obbligo di servizio militare. Pubblicato l ' eribanno (ordine di mobilitazione) ciascun feudatario riunisce i propri seguaci, li fornisce di armi e di viveri, e li conduce al luogo di radunata indicato dal feudatario maggiore, duce. e comandante delle forze. Oli uomini così forniti sono a cavallo o a piedi : a cavallo i Signori che hanno al loro seguito. vassalii, scudi eri e valletti; a piedi sono i servi e i contadini. Completano l' esercito bande mercenarie raccogliticce.

Tutti gli uomini atti alle armi dovevano accorrere alla chiamata del proprio Signore. Dapprima non vi fu alcun limite di tempo e di numero; successivamente per le franchigie accordate ai feudatari, alle città, ai conventi, venne determinato il numero dei combattenti o la somma in danaro che ogni feudo doveva fornire . In seguito venne anche limitata la durata del servizio sotto le armi. Quest' obbligo variava, secondo i feudi, tra i 40 e i 60 giorni all' anno, durante i quali i feudatari dovevano pensare al mantenimento delle proprie schiere; oltre il tempo fissato, queste dovevano essere mantenute da chi faceva la guerra. Queste limitazioni però non valevano per i servi della gleba, per i quali la sola volontà del signore fissava il limite del servizio.

La fanteria feudale. - Alle male ordinate e male armate ma valorose fanterie dei barbari, successero « le svergognate fanterie feudali, forme di villani feroci e vili o di pacifici borghigiani costretti a guerra contro loro voglia a seguito dei baroni, degli

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ufficiali regi , degli avvocati dei conventi, senza disciplina, senza ordini, armati in cento modi diversi • (Corsi) e variamente mischiati insieme Queste bande di uomini a piedi che, non possiamo onorare del nome di fanteria, e rano essenzialmente adoperate per custodire i bagagli; copri re i fianchi della cavalleria; per saccheggia re o per guardare le terre. Nessun ostacolo potevano opporre all' urto della cavalleria.

Vi furono però alcune fanterie speciali che si distinsero per i loro ordinamenti e per la loro abilità nell' impiego delle armi: furono queste gli arcieri inglesi e i balestrieri genovesi.

Il combattimento. - Il combattimento avveniva ne l modo seguente:

- le fanterie si molestavano da prima fra di loro con le armi da gitto;

- intanto la cavall e ria si schie r ava in linea; i cavalieri si disponevano in modo da non darsi reciproco inciampo;

- scudieri e altri uomini del seguito seguivano a pochi passi il rispettivo cavaliere, pronti ai suoi cenni;

- sgombrato il campo dalle fanterie, avveniva la vera battaglia cioè l' urto fra le due cavallerie: urto che si riduceva ad una serie di duelli o singolari tenzoni;

- l'incontro avveniva sempre in ordine parallelo e contemporaneamente su tutta la fronte.

Le fanterie non facevano sentire alcuna influenza sul campo di battaglia: erano più d'imbarazzo che di vantaggio. Manca l' azione d' assieme, il coordinamento cioè di tutti gli sforzi verso un obbiettivo comune: trionfa l'individualismo: è l'età dei cavalieri.

La cavalleria. - L'organizzazione feudale aveva creato un numero grandissimo di signori, più o meno potenti, tutti nominal mente dipendenti dal re, ma ciascuno dei quali era a sua volta sovrano nel proprio feudo. Ogni feudo quindi aveva la propria rocca, o castello, la propria piccola corte: il feudatario o signore, doveva preoccuparsi di conservare, anche con la sola forma esteriore, un certo ascendente sui propri dipendenti.

A cavallo, circondato da altri cavalieri, coperto il cavaliere e il cavallo, di armi difen sive dalla tempra finissima, il signore feudale riesce, con que sta esteriorità, a maggiormente tenere in rispetto i propri vassalli.

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Ciò costituisce una necess ità dei tempi: una minoranza: t SI· gnori feudali, deve dominare la massa della popolazione cioè la maggioranza. Questa maggioranza fornirà per la guerra il combattente a piedi, tenuto in nessun conto, disprezzato, e addetto alle funzioni più umili; mentre l' onore della condotta e della decisione del combattimento spetterà al signore che per distinguersi dagli altri combatte a cavallo.

Il cavallo diventa co s ì l' indispensabile au s iliario del combattente vero e proprio, cioè del nobile guerriero e del suo limitato seguito; la cavalleria costituisce la parte essenziale degli eserciti e il titolo di cavaliere sostituisce rapidamente quello di signore. Tutti i cavalieri sono e si s entono appartenenti ad una classe speciale, privilegiata, superiore; si considerano solidali tra di loro: sorge così l'idea di una corporazione o casta speciale: è questa la cavalleria. Questa istituzione nasce, e in origine si afferma, con un concetto ottimo: non basta cioè, per essere cavalieri, appartenere a famiglia ricca e potente, ma occorre anche sapersi guadagnare il titolo di cavaliere, mostrarsene cioè de g ni, per virtù guerriere e morali.

Tre condizioni erano indispensabili per essere creato cavaliere: la nobiltà della nascita;

- a\'er raggiunto la maggiore età di 21 anni;

- ave r dato prove di coraggio e di virtù.

All' età di 7 anni il giovane predestinato a diventar cavaliere veniva nominato paggio; a 14 diventava scudiero: poteva allora seguire il proprio signore e aiutarlo nel combattimento; doveva allora dare grandi prove della sua abilità e del suo coraggio. forte di queste prove egli poteva, giunto all'età di 21 anno, chiedere di essere nominato cavaliere. La nomina era oggetto di una grande cerimonia di carattere misto tra il religioso e il militare.

Il fenomeno della cavalleria dal punto di vista militare.Dal punto di vista militare notiamo che la cavalLeria produsse degli eserciti ingombri di cavalli e di servi, quindi pesanti, aventi necessità di una infinità di accessori e di riserve, quindi inadatti a terreni poveri e montagosi; eserciti ove si conduce, dai combaltenti veri e propri, una vita da gran signori; eserciti a volte numerosissimi ma scarsi di combattenti; ed eserciti infine dove il combattente cerca il combattimento isolato per meglio disti n guersi. In sostanza un vero regresso dell'arte militare.

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M. VAU..lTTI·BORGI\ 11\ 1, Storia Politico-militare ecc. - Vol 1. 12

Sempre da l punto di vista militare dobbiamo infine notare che la cavalleria costituiva una ricompensa ambitissima da tutti e poco costosa per chi la conferiva .

Questo principio sopravvive ancor og-gi nei diversi ordini cava ll ereschi delle varie nazioni.

Il fenomeno della cavalleria dal punto di vista morale.Abbiamo detto che la cavalleria costituiva una specie di corpora· zione, o casta speciale. Liberamente formatesi e liberamente accettate esistevano infatti norme speciali alle quale tutti i cavalieri dovevano uniformare la propria condotta. Queste norme specia li era no tutte ispirate ad un alto contenuto morale:

- l'obbligo della difesa del debole ; l' alto rispetto per la donna; la inviolabilità della parola data; la difesa della religione; il disprezzo per i lauti materiali guadagni, dovevano costituire la norma co stan te di vita del cavaliere: c tutte insomma le doti che formano ciò che oggidl chiamasi il gentiluomo, ripetono la loro origine dall a cavalleria . .. ( Fogliani ).

Il fenomeno della cavalleria dal punto di vista sociale.Se que s ti erano i principi ideali che dovevano guidare la vita e l'azione dei cavalieri, la pratica fu ad essi alquanto inferiore. Se però pur visse e si perpetuò il tipo di piccolo tiranno, signore asso luto e incontrastato dei propri vassalli, bisogna pur riconoscere che c la cavalleria contribuì in certa guisa, nei tempi di torbidi e di anarchia generale, a reprimere la violenza e a mitigare i costumi: imperocchè, malgr ad o il ridicolo a cui tanti cavalieri sonosi esposti, il loro modo generoso di proteggere il debole per dove passavano, costituiva la sola polizia che allora si potesse esercitare n elle campagne e sulle grandi strade. » ( Rovig hi ).

Le più celebri istituzioni cavalleresche. - Se la cavalleria costituiva una specie di casta speciale, chiusa in sè e orgogliosa di sè, dobb iamo anche ricordare che la cavalleria stessa dette origine a degli speciali ordini mi litari e religiosi che si resero poi famosi nella storia. Celebri fra tuiii sono i Cavalieri della Tavola R otonda del re Artu ro d' In gh il ter ra; i Paladini di Carlo Mag no; e i cavalieri normanni, francesi e borgognoni.

Spiccano p oi singolarmente quegli speciali ordini che sorsero in Terrasanta, che si diffusero poi in Europa con lo scopo d i combattere gli infede li e difendere e diffondere il cristianesimo : furono questi g li Spedalieri di S. Oiovawzi diventati poi i cavalieri di Rodi e di Malta; i Templari; i T eatonici; i cavalieri di S. Mau-

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rizio e di S. Lazzaro; e quelli di Alcantara e di Calatrava (in lspagna).

Organizzazione, annamento e addestramento della cavalleria.

- Nei primi tempi la cavalleria non ebbe ordinamento alcuno i in seguito, dopo il Xli secolo, s i formarono gruppi più o meno forti di armati. Questi gruppi furono:

la lancia fornita: un cavaliere con cinque seguaci;

la lancia spezzata : un cavaliere con un solo scudiero o servo i

la bandiera o banda: riunione di almeno cinque lance;

la compagnia: riunione di piccole bande sotto un capo unico.

l cavalieri erano armati di lancia, grossa spada a due mani, daga o pugnale, mazza o martello d'armi. Tanto essi che i cavalli avevano poi armatura di ferro o acciaio . Oli scudieri erano armati come i cavalieri; gli altri uomini del seguito erano armati alla leggera con archi, balestre, stacchi.

In tempo di pace, per prepararsi alla guerra, si tenevano tornei, giostre o i rassi d'arme:

- - i tornei , di origine francese, furono in g ran voga e con· sistevano nel maneggio della lancia e della spada, e nel sostenere gli assalti più violenti senza lasciarsi scavalcare. l cavalieri, rinchiusi in uno steccato, si assaltavano a squadre, a coppie, con le lancie in resta e cercavano di rimanere padroni del campo, gettando a terra l'avversario i

- - la giostra era un torneo limitato a due avversari. i il passo d'armi consisteva in un finto combattimento di parecchi cavalieri per difendere o forzare un passaggio.

Questi esercizi si facevano ad armi cortesi, o ad oltranza: ad armi cortesi quando le armi erano spuntate i

- ad oltranza, quando il combattimento, condotto con armi da guerra, era protratto fino all' ultimo sangue.

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Le Crociate.

Importanza delle crociate. - Il fenomeno delle crociate costituisce un avvenimento d'importanza capitale ri spetto all' evoluzione sociale: dalle crociate infatti traggono origine le trasformazioni radicali avvenute in seguito nelle condizioni civili, morali, politiche e materiali dei popoli.

Le crociate segnano l'ultimo momento del feudalismo, il nascere della vita comunale, la costituzione dei grandi stati europei e finalmente la caduta dell'impero d'oriente.

Le crociate non sono che una novella forma della « lotta fra l'occidente e l'oriente; fra due mondi, due storie, due civiltà, due tradizioni che, sotto l' influsso dei precedenti st·o rici e del detenninante geografico, devono fatalmente di nuovo venire a contatto; il fenomeno delle crociate, non è in sostanza che un movimento irresistibile , una collisione nella quale tutto si fonde, dove una vecchia società si esaurisce, una novella civiltà sorge, una grande affermazione chiude lunghi secoli di transito ed apre l'era di novelle evoluzioni sociali, politiche, intellettuali, morali. Bandita la crociata, parve si dissipassero i rancori, tacessero g li adii, cessassero le ambizioni, si affievolissero le rivalità che agitavano il vecchio mondo . Tutti ripararono sotto il vessillo della croce, tutti si precipitarono in una stessa direzione, chè la lotta fra l'occidente e l'oriente prendeva forma nazionale e quelle tante diverse razze, che si erano prima incontrate sui campi di battaglia europei per combattersi, ora, attratte da un comune sentimento, si univano, s i affratellavano, si confondevano in un solo desiderio, in uno stesso scopo. fenomeno prodigioso e fertile di grandi risultati, col quale si apriva una novella èra, l' èra della unità politica e nazionale, filosofica e religiosa » (C osentino).

Causa morale delle Crociate. - Sotto la dominazione araba, i cristiani di Palestina potevano liberamente praticare la loro religione; la Terra Santa era meta di pellegrinaggi continui e numerosi non disturbati dai padroni del paese. Ma quando al popolo arabo, colto e tollerante si andò poco a poco sostituendo l' invasione turca, le cose cambiarono; cominciarono le persecuzioni contro i cristiani che vennero atrocemente maltrattati negli averi e nelle persone.

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La notizia di tali crudeltà e del ludibrio cui eran fatti segno i luoghi santi, ingrandita dalla distanza e dal fanatismo religioso, destò nelle coscienze e nelle menti del mondo occidentale europeo, volontà ed energie diverse a seconda delle diverse e segrete aspirazioni, tutte però concordanti nella necessità di muovere alla riconquista delle regioni che furono culla del Cristianesimo.

Così nacquero le crociate: ma questo fenomeno storico così grandioso, non può trovare la sola sua causa in una questione religiosa: a questa questione che è la base e la causa occasionale dell'imponente movimento, altre se ne aggiungono di indole varia.

Cause sociali. - L'invasione turca e la intolleranza religiosa che la caratterizzava, minacciava la doppia potenza temporale e spirituale dei papi, i quali perciò furono facilmente indotti a predicare la lotta all'infedele.

Ma l'invasione turca costituiva anche un pericolo grave per i sovrani occidentali, i quali compresero la necessità di opporsi con le armi all'invasione stessa. A ciò anzi, i sovrani furono spinti anche da un'altra considerazione: quella di dare una occupazione ai loro grandi vassalli sempre tumultuanti, e all'occasione anche di disfarsene.

D'altra parte, nobili e feudatari, videro nelle crociate, l' occasione propizia per costituirsi nuovi principati in Oriente. Mentre coloni e servi intravidero la possibilità di emanciparsi ed acquistare un possesso.

Ai cittadini e alle città dediti al commercio, le crociate apparvero mezzo sicuro per assicurare o aprire nuove vie al commercio.

Su tutti infine influì quello spirito d'avventura e desiderio di conquista e quel diffuso fanatismo religioso che erano così fortemente sentiti nella società feudale.

Caratter e diverso de lle varie crociate. - Quanto abbiamo detto relativamente alle cause delle crociate ci dimostra che questo notevolissimo fenomeno storico è dovuto a cause varie e molteplici: fatto questo che risulta anche dalla differenza di caratte re assunto dalle varie crociate.

Mentre infatti la prima crociata, è guidata da un frate ed è compos ta da una turba informe di genti, altre sono condotte dai pit1 potenti monarchi d'Europa, altre sono guidate da semplici signori feudali, ed altre infine vengono condotte sotto gli auspici di città commerciali quali Pisa, Genova e Venezia.

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Le crociate furono complessivamente otto e si svolsero dal 1096 al 1270.

La prima crociata: 10 96-1100. - La prima spedizione fu in grandissima parte costituita dalla bassa moltitudine che senza preparativi, senza o rdini, senza capi, nè guide, attraversarono l' Alemagna, l'Ungheria, la Bulgaria, l' Asia Minore per contrade sconosciute, come nelle loro migrazioni, le razze primitive. Perirono i più di fame, di stenti e di miseria, ma presto furono seguiti da una massa più compatta e più salda, comandata da Goffredo. l musulmani sono battuti nella pianura di Dorilea; Nicea, Edessa, Antiocchia e finalmente Gerusalemme, vengono espugnate dai crociati. Era papa Urbano Il.

Viene così fondato in Gerusalemme un regno ordinato a mo · narchia feudale che dura fino al 1 i87 nel quale an no viene ricon· quistato da Saladino, sultano d'Egitto.

Seconda crociata: 1141-1149. - Il trono di Baldovino 111, terzo successore di Goffredo, è gravemente minacciato dai turchi. San Bernardo, predica in francia una nuova crociata; papa Eugenio III l'appoggia vivamente; Corrado lii imperatore d' Alemagna e poco dopo Luigi VII re di francia sono i condottieri della nuova impresa.

l due eserciti sono battuti uno dopo l' altro in Asia Minore; i loro avanzi si riuniscono nella Palestina, ove tentano invano di prendere Damasco; Corrado e Luigi tornano nei propri stati senza esercito e senza gloria. Nel 1187 Gerusalemme è riconquistata da Saladino.

T erza crociata: 1189-1193. Per la predicazione di Guglielmo, arcivescovo di Tiro e sotto l'egida di papa Clemente III viene condotta una nuova crociata: ne sono condottieri filippo Augusto re di francia, Riccardo cuor di leone re d'Inghilterra, federico Barbarossa, imperatore di Germania che morì nella Cilicia, e suo figlio federico di Svezia.

In questi anni vengono fondati tre ordini religiosi militari: degli Ospitai ieri (che divenne poi l'ordine di Malta);

- dei Templari;

e l'ordine Teutonico, che tanta parte poi ebbe nelle sor ti dell' Alemagna.

La quarta crociata e la sua importanza per l'espansione italiana nel Mediterraneo: 1202-1204. - Innocenzo III bandisce una nuova crociata, ma i sovrani, stanchi di queste guerre continut e

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183lontane, rifiutano di prendervi parte. Alcuni signori francesi però decidono la spedizione. Questa viene capitana da Baldovino conte di fiandra, da Bonifazio marchese di Monferrato e infine a loro si aggiunge il nonagenario doge di Venezia Enrico Dandolo . Ma la spedizione non giunge in Palestina; dopo aver occupato Zara, fa vela verso Costantinopoli chiamata dall' impet atore Alessio contro un usurpatore. Costantinopoli è presa: Baldovino fonda nel 1201 un impero latino, il marchese di Monferrato è proclamato re di Tessalonica, i Veneziani ottengono ricchi possedimenti marittimi.

L'impero di Baldovino resiste a gli assalti dei bulgari e dei pretendenti greci, finchè questi non trovarono appoggio nella gelosia commerciale dei Genovesi contro i Veneziani che avevano occupato quasi tutti i porti e le isole del nuovo impero; detronizzato Baldovino Il, vit!ne proclamato imperatore il greco Michele Paleologo ( 1261 ).

Ma, oltre che per la temporanea riapparizione di un impero latino quello di Baldovino - a Costantinopoli, la quarta crociata è 5pecialmente notevole per noi italiani perchè costituì il fondamento del rinnovato primato italiano nel Mediterraneo.

Dopo Roma, il Mediterraneo orientale era stato per cinque secoli (dal IV a tutto l'VIli) in mano ai greci; intervenuta l' invasione araba, il dominio sul Mediterraneo fu diviso per altri quattro secoli, dal IX a Xli, fra arabi e greci.

Negli ultimi due secoli anzi questo predominio arabo- greco aveva dovuto lottare e spesso sottostare alla concorrenza delle gloriose nostre città marinare: Venezia, Amalfi, Genova, Pisa, che molto avevano saputo profittare dalle crociate. L'influenza enorme che Venezia acquistò nel Mediterrar.eo orientale dopo la quarta crociata fece sì che il Mediterraneo diventasse un vero e proprio lago italiano. Venezia, nella divisione che si fece tra i conquistatori delle terre occupate, si fece cedere i tre ottavi dell'impero Bizan· tino. Così mentre le repubbliche marinare italiane già dominavano gli sbocchi dell'Etiopia e dell' Egitto, e, con le loro stazioni in fenicia e Siria dominavano anche le vie dell'Eufrate e del golfo Persico, Venezia, con le nuove conquiste, dominò completamente lo sbocco di Costantinopoli.

« Così - dice il Balbo incominciò il secondo primato nostro nel Mediterraneo; così incominciò questo ad essere lago italiano. E tale durò poi, come già anticamente, tre secoli o poco più. L'istituzione e il nome dei consoli dato da quegli italiani ai

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capi e giudici dei loro commercianti in ogni città orientale ed esteso poi in tutto il globo, rimane anche oggi monumento di quel nostro primato commerciale ».

Quinta crociata: 1217-1221. - Giovanni di Brienne, re titolare della Palestina intraprende una nuova crociata più però per ambizione che per sentimento religioso. Federico Il imperatore di Germania, ricusa di guidare la nuova spedizione; papa Onorio III delega allora Amedeo H re d'Ungheria, il quale però è presto costretto a tornare in patria per sedare una rivolta di nobili. Giovanni di Brienne prende Damietta che poco dopo però torna in possesso dei turchi. Infine, fallito completamente lo scopo prefissosi, Giovanni torna in Europa, dove la propria figliuola sposa Federico Il che diventa in tal modo re di Gerusalemme.

Sesta crociata: 1228-1229.- Federico Il ottiene dal Sultano per trattative e per danari Gerusalemme e se ne proclama re. Ma siccome egli era scomunicato nessun vescovo osò dargli la reale unzione: egli anzi fu costretto ad accorrere in Europa per difendere la propria corona imperiale che papa Gregorio IX aveva concesso ad Enrico, langravio di Assia.

Nel 1239 Gerusalemme viene ripresa e per sempre dai Turchi.

Settima crociata: 1248-1254.- Un voto fatto da Luigi IX re di Francia durante una malattia, lo induce a bandire una nuova crociata. Partito con i suoi tre fratelli, a capo di una grande spedizione molto bene organizzata, re Luigi, dopo una fermata a Cipro, assale l'Egitto e occupa poi Damietta.

Senonchè il conte d'Artois, fratello del re, volle con poche forze delle quali disponeva attaccare i turchi accampati sotto le mura di Mansurà: illuso da una loro finta ritirata restò tagliato fuori dal grosso dell'esercito. Il re, commise a sua volta l'errore di inviare successivamente dei distaccamenti a sostenere il fratello: queste forze presentatesi così a spizzico, furono battute. Il conte d'Artois morl e Luigi fu fatto prigioniero. Riscattatosi dalla pri· gionia, re Luigi passa in Palestina, dove rimane quattro anni intento a fortificare le città cristiane: tornò in Francia dopo la morte della madre reggente.

Questa crociata è quella, fra tutte, meglio organizzata, e anche meglio condotta: falli per errori essenzialmente militari.

Ottava crociata: 1268-1270 - San Luigi IX re di Francia intraprende una nuova crociata. L'esercito sbarca a Tunisi il cui re aveva promesso di farsi cristiano : ma poco dopo la peste in-

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vade gli accampamenti dei crociati provocando perdite enormi: Lo stesso Luigi è colpito dal male e muore. Così finì l'ottava crociata.

Avvenimenti successivi alle crociate. - Tripoli e S. Giovanni d'Acri, ultime colonie cristiane d'oriente, caddero in potere del sultano d'Egitto nel 1291: finiva così la dominazione cristiana in Siria

Sopravissero invece gli ordini religiosi e militari cui le crociate avevano dato origine. Questi ordini, ultimi difensori della Terra Santa, si rifugiarono da prima a Cipro. Poco dopo i Templari furono aboliti, gli Ospitalieri si stabilirono in Rodi prima e poi a Malta. l Teutoni trasportarono nel 1300 la sede del loro ordine in Alemagna dove fondarono una dominazione che divenne poi potente.

Effetti delle crociate. - Come molteplici furono le ca11se delle crociate, così molteJ>Iici ne furono le conseguenze: queste toccarono tutti i campi dell'attività umana.

Economicamente vi fu un grande spostamento di proprietà che ebbe per conseguenza grandi cambiamenti nelle varie posizioni sociali. Molti signori feudali vennero infatti a mancare o perchè stabilitisi oltre mare o perchè avevano venduto il loro feudo prima di partire per un'impresa dalla quale non sapevano se sarebbero ritornati.

Orande sviluppo della potenza marittima e commerciale delle città italiane che per le crociate grandeggiarono e si arricchirono, ottenendo vantaggiosi privilegi nelle terre sottomesse e popolando di banchi la Siria e le coste del Mar nero.

Politicamente si consolidò la potenza dei .sovrani e diminuì ·quella dei signori feudali. l lunghi periodi di pace in Europa, la progressiva scomparsa di ianti feudi lentamente tornati al primitivo signore, il re, accrebbe la potenza di questi, e segnò la decadenza • del periodo feudale. Città e borgate, pur riconoscendo sempre l'autorità sovrana, acquistano una sovranità locale, garanzia di sicurezza e di libertà intra muros. Nascono così le prime libertà comunali e si afferma l'inizio di quell'altro fenomeno che caratterizzava il Medio Evo: i Comuni.

Questo concetto ebbe però applicazione diversa nei vari paesi d'Europa:

- in Germania, non cessò l'individualismo dei grandi feudi

... l ilo
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rivali, donde ne derivò, per tanti secoli, la mancanza di unità e di nazionalità;

- in francia invece prevalse l'accentramento regio che gettò le basi dell'unità e della nazionalità;

- in Italia, nella lotta fra il Papato e l'Impero si afforzò la vita dei Comuni, delle città libere, delle repubbliche indipendenti.

Socialmente le crociate segnano t• inizio dell'affrancame nto dei servi. Padroni e servi avevano affrontato gli stessi pericoli e gli stessi disagi, avevano combattuto insieme, animati da una medesima fede e in nome di uno stesso principio. E i padroni videro che quei servi che essi avevano tanto disprezzato, erano uomini arditi e coraggiosi animati dai più nobili senti menti di abnegazione, di fedeltà, di onore. l serv i compresero di non essere nè deboli, nè impotenti, nè vili , e videro che molta parte della dei signori trovava il proprio fondamento nella ignoranza delle classi infime. Ne derivò un affievolirsi dei pregiudizi di nascita, un mitigarsi delle divergenze di casta, una maggiore eguaglianza di tutti innanzi alla legge e una migliore armonia dei poteri nel governo degli Stati.

Nel campo scientifico e letterario le conseguenze furono anche notevolissime: incominciò a manifestarsi una viva tendenza allo studio, alla istruzione, alle scoperte; fu onorato l'ingegno e il sapere; la stessa poesia assunse un nu ovo carattere dal quale risultarono i romanzi cavallereschi e i canti dei trovatori. La civiltà araba, allora al suo apogèo, e la civiltà greca che, per quanto in decadimento era pur sempre superiore a quella del mondo occidentale europeo, fecero sentire su questo la loro benefica influenza. Storicamente parlando le crociate rinnovellano la lotta tra l' occidente e l'oriente in quelle s tesse zon e e pe r quelle stesse vie (determinante geografico : l'Asia Minore) per le quali alt ri identici movimenti si erano compiuti: l'invasione asiatica verso l'Europa; le invasioni greche e romane verso l'As ia In sostanza le crociate mentre rinnovellano i contatti fra due civiltà: quella occidentale o cristiana, con quella orientale o musuhnana, contatti che segnano sempre un progresso dell'umanità, ritardarono di tanto le invasioni musulmane che quando i Turchi occuparono Costantinopoli e di là minacciarono l'Europa, gli Stati europei erano di già tanto cresciuti e rafforzati che li poterono res pin gere. Quindi alle crociate è da attribuirs i se l' Etuopa si mantenne immune dalla ba t baria musulmana.

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Influenza' delle crociate sul Papato. - Sembra a prima vista che le crociate debbano aver aumentato il potere temporale e spirituale de i Papi: invece così non fu.

« L'epoca delle crociate fu il principio della decadenza temporale della Chiesa. Roma, divenuta luogo di passaggio per gran parte delle crociate, fu visitata da quasi tutta Europa. A tutti fe' spettacolo dei suoi costumi e della sua politica; nelle controversie religiose si ravvisò sovente l'interesse personale, e queste considerazioni, unite allo sviluppo intellettuale dei popoli, all'estensione, all'accrescimento dei lumi, inspirarono ad uomini audaci dei sentimenti di libertà ed un ordine fino ad allora sconosciuti. Per ciò si vide, dopo le crociate, diminuir sensibilmente l'effetto di quelle terribili scomuniche che facevano tremare i re e curvare la testa ai popoli; e i papi medesimi, conoscendo Io stato degli spiriti, furono men prodighi di anatemi. , (Cosentino).

Le crociate ebbero infine altra notevolissima influenza sull'arte militare.

Le crociate ebbero un'influenza indiretta ma notevole, sullo sviluppo dell'arte militare. Mancò una influenza diretta e immediata per i seguenti motivi:

- in tutto il periodo delle crociate non sorse alcun condottiero di genio, nè si distinse alcun condottiero capace di guidare quelle enormi moltitudin i costituite da genti diverse per origini, lingua, armi e costumi;

- mancò una adeguata organizzazione;

- mancarono quelle indispensabili cognizioni di carattere geografico, topografico, statistico del teatro di guerra e dell'avversa r io che si doveva combattere;

- mancò, salvo forse che nella prima crociata di Luigi IX, quella indispensabile unità di direzione e di comando, tanto necessaria sempre, e tanto più necessaria dati gli elementi così disparati fra di loro che costituivano l'esercito;

mancò una idea precisa delle immense esigenze logistiche che siffatte spedizioni richiedevano.

Le spedizioni per terra riuscirono tutte in complesso disastrose: miglior esito ebbero quelle per ma r e.

In sostanza nulla di notevole, di artistico cioè o di gen iale per quello che si riferisce alla condotta della guerra. L'unica conseguenza notevole in questo campo possiamo trovar la nel trionfo della lotta di masse di fronte a gli spezzettati, frammentari, individu ali co mbattimenti de l p e r iodo feuda le.

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Però, in contrapposto a ciò, abbiamo un lento ma sicuro pro· g redir e delle istituzioni militari: la necessità di organizzare delle grosse masse e fornirle dei me zzi occorrenti, fece progredire lo studio delle istituzioni militari in genere e specialmente l'organica, la logistica, l'amministrazione;

- la necessità di portare la guerra in paesi lontani aprì il campo allo studio delle grandi imprese: fece affrontare cioè la soluzione dei problemi strategici;

- la necessità di prepararsi a grosse battaglie fece sentire la necessi tà di uno speciale addestramento: progredì cioè lo studio della tattica;

- · la difesa e l'attacco di città e fortezze fece progredire gli studi sulla fortificazion e e sulla guerra d'assedio.

In sostanza l'influenza delle crociate nel campo militare possiamo così riassumerla:

nessuna influenza sulla condotta artistica della guerra;

- profonda influenza su gli studi e le istituzioni militari in genere.

L'affermarsi delle fanterie. Ma la vera fondamentale cons eguenza delle crociate nel campo militare, fu il trionfale risorgimento della fanteria.

La difficoltà di trasportare uomini e cavalli con tutto ciò che alla pesante cavalleria feudale occorreva; il fatto che molti cavalieri, perduto il cavallo dovettero continuare la lotta a piedi; la necessità di avere una poderosa fanteria da opporre alle profonde masse saracene; i numero si assedii che resero indispensabile la presenza di una numerosa fanteria; il valore dimostrato da g li uomini a piedi nei gravi combattimenti sostenuti; e infine l' affievolirsi dei pregiudizi di nascita e il mitigarsi delle divergenze di casta, furono tutte cause che contribuirono a ridare alla fanteria tutto il proprio indiscusso e ancor oggi indiscutibile primato.

Quest:t rinascita della fanteria è un preludio di quanto vedremo succedere sotto i Comuni: la definitiva riaffermazione della fanteria. Il motivo scaturisce evidente da quanto finora abbiamo detto:

-· le crociate segnano l'origine della nuova potenza popolare; questa potenza popolare vedremo si affermerà con i Comuni, il cui avvento significa il trionfo che il popolo si prende sui piccoli e grandi feudatari;

- i Comuni segnano l'affermarsi della democrazia e la democrazia armata si afferma anc he nel campo militare: povera di

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mezzi la democrazia non può costituirsi un costoso esercito di cavalieri da contrapporre ai ricchi feudatari : si arma cioè di armi poco costose (picche, alabarde), si riunisce in massa e così for· mata si oppone vittoriosamente alla cavalleria. Ecco così definiti· vamente riaffermato per sempre il primato della fanteria .

Di questo diremo di più e meglio a proposito dei Comuni : basta per ora aver accennato al fatto che il risorgimento della fanteria è dato dalle crociate.

Le Crociate in occidente contro gli eretici e le loro conse· guenze storiche. - Le Crociate condotte per la liberazione dei luoghi santi, fallirono al loro scopo immediato, ma furono causa, come abbiamo visto, di u n grandissimo e generale vantaggio per l'umano progresso.

Altre crociate furono però condotte in occidente per l'estirpazione dell'eresia in francia, per la espulsione dei mori dalla Spagna, e per l'introduzione del cristianesimo nelle regioni del Baltico.

In francia la lotta contro l' eresia fu caratterizzata dalle crociate contro gli albigesi che assunse la forma di una lotta tra la lità del nord, contro l'organizzazione municipale del sud: gli albigesi però, ad onta di tanti massacri, non furono totalmente distrutti: ancor oggi sotto il nome di Valdesi se ne trovano fra le montagne del Piemonte

In Germania, la diffusione del cristianesimo fu affidata all'Ordine Teutonico, corporazione cavalleresca, religiosa, militare, nata, c.s:>me sappiamo, in Terra Santa durante le crociate. Il capo dell'ordine venne elevato al grado di principe dell' impero, e la sua autorità, divenuta secolare passò poi nella potestà degli elettori di Brandeburgo.

Nella Spagna, la lotta iniziatasi con la lenta r icacciata dei mori per la progressiva « riconquista » della Spagna a gli spagnuoli e al cristianesimo, assume poi forme violenti e feroci con la lnq ui-

• sizio ne.

In sostanza le crociate in occidente contro gli eretici produssero tre fatti storici di capitale importanza:

- compirono l'unità governativa della francia; diedero luogo alla fondazione della Prussia;

- produssero la ricostituzione dello stato spagnuolo.

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La lotta tra il Papato e l' Impero nelle sue conseguenze sulle manifestazioni della vita italiana.

La lotta tra il Papato e l' Impero, cioè il contrasto tra potere spirituale e potere temporale, è la caratteristica più importante e più notevole che anima di sè, secol i e secoli di storia e che ancor oggi ha le sue ripercus sio ni nella vita politica italiana. Riteniamo perciò necessario trattare a parte, in uno speciale ma breve capitolo, questo argomento di così alta importanza.

Per avere un quadro schematico delle lotte sostenute fra il Papato e l'Impero e per accennare alle conseguenze che, nei vari tempi, tale lotta ha avuto sullo svolgimento della vita politica italiana, è indispensabile segnare un profilo storico del Cristianesimo dalle sue origini a oggi: ricorderemo così contemporaneamente fatti più notevoli e le principali loro conseguenze.

Essenza ed importanza del Cristianesimo nel campo morale, giuridico, politico e nella condotta della guerra. - mente alla trasformazione politica, sociale, militare che abbiamo visto effettuarsi nel secondo periodo romano per opera della dissoluzione interna prodotta dal dispotismo e dalle invasioni barbariche, si operava una trasformazione intima ma potente, nelle idee, nei costumi e in seguito anche nelle leggi per opera della profonda rivoluzione apportata in tutti i campi dal Cristianesimo.

Qual' è l' intima essenza di questa trasformazione? Sintetizzando possiamo dire che questa intima essenza consiste nella sostituzione del materialismo con lo spiritualismo. Sostituire cioè all' avidità frenetica dei godimenti materiali, l' alta idea della superiorità dell'anima; predominio cioè della parte più nobile dell' uomo: la mente e lo spi rito, sulla parte meno nobile: il corpo e gli istinti sessuali; pensare cioè alla perenne felicità dell' anima anzichè al momentaneo godimento del corpo. Trionfano in sostanza i principi della temperanza, della sobrietà, della castità, della fatica, de l lavoro Di queste virtù morali sono congegnati i dogmi della Chiesa.

Essi non sono nuovi perchè si trovano già enunciati e r acco· mandati da legislatori, filosofi e scrittori dell' a ntichità; ma il Cristianes imo ebbe il vanto di coordinare tutti questi principi in un

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sistema completo e in una religione positiva apeita a tutte le classi, a tutte le menti, in modo che ciò che prima era patrimonio di poche menti ed elette, divenne col Cristianesimo pratica comune, diffusa e generalmente adottata.

In questo fatto è il grande progresso morale determinato dal Cristianesimo.

Da questi dog mi che dovevano essere indiscutibilmente accolti e seguiti da tutti; dall ' uguaglianza di tutti di fronte ad un Dio unico , deriva il principio della uguaglianza di tutti gli uomini fra loro, nasce il germe della libertà civile e della libertà domestica.

Ed ecco in questi fatti il grande progresso giuridico determi· nato dal Cristianesimo.

Dai dogmi dell ' uguaglianza di tutti gli uomini e quindi dalla libertà di tutti; dali obbligo di ricercare sempre il bene di tutti e di ciascuno, deriva la con d anna di ogn i predominio di un popolo su un altro, di una class.e di cittadini sull'altra, deriva cioè in sostanza il diritto dell a libertà politica.

Ed ecco in questo grande principio il grande progresso politico determinato dal Cristianesimo.

Il Cristianesimo costituisce dunque un fattore capitale per il progresso (morale , giuridico e politico) umano.

E noi militari non dobbiamo dimen tic are che il Cristianesimo ha anche una naturale e benefica influenza sulla guerra.

Prima del Cristianesimo le relazioni internazionali erano basate essenzialment e sulla lotta: cioè la conquis ta e l'oppressione. Il Cristianesimo, col principio dell'uguaglianza e della fratellanza di tutti gli uomini, sostituiva al principio della g uerra, il principio della pace. Furono così, idealmente almeno all'inizio, condannate le guerre di conquista e di preponderanza e stabilita per sola giustificazione della guerra, il diritto di dife sa. Condannate quindi le stragi e le rovine inutili, l'impiego di armi sleali, la schiavitù; tutti principi oggi universalmente riconosciuti, che richiesero secoli • per la loro applicazione pratica, ma che trovano la loro primitiva origine nello spirito cristiano.

Stabilita così l' essenza, l' importanza e le conseguenze del Cristianesimo nel campo morale, giuridico, politico e nella con· dotta della guerra, vediamone schematicamente il suo profilo storico con spe ciale riguardo alle sue manifestazioni sulla vita italiana.

Per semplice comodità didattica divideremo il lunghissimo pe· riodo che stiamo trattando in otto periodi.

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Profilo storico della lotta fra Papato e Impero e conseguenze nei riguardi dell' Italia.

l PER IODO: dalle origini del Cristianesimo a Costantino (1·312).

Il fatto caratteristico che si svolge e si compie in questo periodo è la costituzione e l'unificazione di tutta fa società cristiana. Apostoli e discepoli difondendosi in tutto l'impero romano, fondano le varie Chiese. Ciascuna di queste chiese gode all'inizio di una g randi ssima indipendenza; ma quando cominciano le persec uzioni, le varie Chiese sentono la necessià di sostenersi tra di loro. Si inizia così un grande movimento di unificazione: le chiese della campagna si uniscono a quella della città più vicina e s i costituiscono cosi le diocesi rette dal vescovo di questa città. Le varie diocesi si aggregano poi, sempre spontaneamente e per questione di difesa e di s icurezza, attorno alla città capoluogo di provincia, ossia alla Metropoli il cui vescovo viene detto metropo · lita o arcivescovo. l vescovi, presieduti dal Metropolita, si riuniscono poi spesso per sciogliere alcune questioni e determinare il modo uniforme di credere e di ope rare: nascono così i Sinodi. In tutto l'imp ero romano sorgono co s ì quattro grandi circoscrizioni: Roma per la diocesi d' Italia; Alessandria pec quella d'Egitto i Efeso per quelle d'Asia Minore i Antiochia per le si r iache o orientali. Ma persistendo sempre i motivi che spingevano tutti i cristiani a mantenersi compatti e riuniti, era naturale che tutto questo ormai vastissimo mondo cristiano sentisse la necessità di un centro e di un a direzione unica. E centro di tutta la società cristiana era già di per sè indicata Roma: sia perchè capitale dell' impero; sia perchè la tradizione portava che quella Chiesa fosse stata fondata dal principe degli apos toli ; sia perchè natur almente a vescovo di quella città erano no m inate le perso ne piC1 illustri.

Già alla fine di questo periodo vediamo la società cristiana perfettamente costituita, con una regolare gerarchia di chiese e di capi che da tutte le parti del mondo allora conosciuto ubbidiscono a Ro ma.

Roma che stava per perdere la dignità materiale di capitale del più vasto impero territoriale, diventava la capitale spirituale del· l'intero mondo cristiano: ecco la prima influenza del cristianesimo s ulla vita italiana.

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Il PERIODO : da Costantino imperatore al papa Gregorio Il ( 312- 7 26). Il fatto caratteristico che si svolge e si compie in questo periodo, è l' acquisto da parte della chiesa di Roma di proprietà territoriali e di giurisdizione civile.

È questo un periodo notevolissimo perchè è appunto in questo periodo che s' inizia la lotta fra potere· spirituale e potere tempo rate: vediamo come.

All' inizio del quarto secolo il numero dei cristiani era tanto cresciuto che l' imperatore pensò di farne la base del proprio potere. Costantino, abbattuti, con l'aiuto dei cristiani, i suoi competitori, si dichiarò apertamente a favore dei cristiani: diede loro tutti i diritti civili e religiosi, restituì loro tutti i beni, assicurò la più ampia libertà religiosa.

Il Cristianesimo quindi da religione perseguitata diventa la religione dominante e favorita: ma l' imperatore mantiene sempre il titolo dei primi imperatori, quello cioè di Pontefice Massimo e ne esercita le prerogative anche sul Vescovo di Roma, cioè sul naturale capo della Cristianità: ecco l' origine prima della lotta fra Papato e Impero.

Affluiscono intanto alla Chiesa privilegi, ricchezze, onori d'ogni sorta: il Clero è esentato da tasse e da ogni servizio pubblico o privato e sottratto ai giudici còmuni. Le chiese s' impinguano di ricche donazioni e sono favorite dal diritto d'asilo. l Vescovi diventano gli unici depositari del potere civile e i soli interpreti delle leggi romane. La supremazia del Vescovo di Roma cresce sempre più e riceve anzi la sanzione ufficiale con alcuni editti imperiali .

Il p iù forte oppositore a questa supremazia è il Patriarca di Costant inopoli, il quale come vescovo della capitale dell'impero, p retendeva il primato sulla Cristianità, aiutato in ciò naturalmente dall' im peratore d' oriente. Ecco così i germi di quello che sarà lo scisma d' oriente.

In questo secondo periodo dunque la Chiesa acquista proprietà , territoriali e giurisdizione civile e ciò per opera degli imperatori, i qual i quindi appficano alla religione cristiana, le stesse norme che venivano prima applicate alla religione pagana: ed ecco quindi Costantino e gli altri imperatori convocare e intervenire nei Concili e discutere sui dogmi; ecco che gli imperatori pretendono interven ire nella elezione dei papi, dei vescovi e di esercitare un'autorità in quelle cose che sono d i spettanza dell'autorità papale, la quale, e r igendosi a rappresentante di Dio sulla Terra, non vuole ricono-

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Vol. l. 13
M.
ALLErTI· Storia Politico-militare ecc. -

scere alcuna forza superiore alla propria. Di qui la lotta tra i due poteri: lotta che ebbe le sue più d irette manifestazioni in Italia, essendo Roma sede del Papato e centro dell'ex impero romano.

III PERIODO: dal ponttficato di Gregorio Il alla restaurazione dell'impero d'occidente (726 -800 ). I l fatto caratteristico che si svolge in quest' epoca è la Costituzione del potere temporale del papa.

Sono note le vicende s toriche italiane di questo periodo. Dalla conquista dei Longobardi erano rimaste immuni alcune città, o perchè difese dal mare, su cui i Longobardi non avevano potere, o per altre ragioni: queste città permanevano sotto il dominio degli imperatori d' oriente. Quando per motivi vari queste città si ribellano alla sovranità dell' impero d' oriente, i Longobardi rit engono di poter legittimamente occupare essi stessi le città, mentre i Papi te ndono a mantenere le città stesse indipendenti dai Longobardi e dagli im peratori per estendere su di esse la loro autorità. Per avere un aiuto in questa lotta papa Gregorio 111 chiama C arlo Martello capo dei franchi, nominandolo Console o Patrizio di Roma: più tardi Pipino liberate le città dell' Esarcato (Ravenna, Bologna, ferrara, forli e altre) e deUa Pentapoli (Rimini, Pesaro, Ancona e altre) da Astolfo re dei Longobardi , ne fece donazione a S. Pietro, cioè al Papa, escludendo ogni ingNenza dell'imperatore d'oriente (755 ).

Questa donazione fu il fondamento del potere temporale dei Papi: il territorio della donazione era però se mpre subordinato al donatore.

Nell' 800, ricostituitos i con Carlo Magn o l' impero romano d'occidente, il Papa subentrò nel posto e nell'autorità di patrizio sino ad allora esercitato da Carlo e acquistò quindi dominio temporale anche s ulla città e ducato di Roma come già l' aveva s ullo Esarcato: se mpre però con podes tà subo rdinata all'alto dominio degli imperAtori d' occidente.

Nel cuore dell' Italia sorge così un piccolo stato autonomo sede del vastissimo mondo cristiano: ma questo Stato tutto occupato a mantenere il possesso materiale di Roma per esercitare anche con l'autorità di questo nome, un predominio spirit uale sull' Impero non sente e n on sa sf ruttare il senti mento d' italianità.

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IV PE RIODO: dalla Restaurazione dell' Impero al pontificato di Gregorio VII (800 1073 ). Fatto caratteristico di questo periodo è il predominio dell' Impero sul Papato.

L' imperatore, diventato potentissimo perchè padrone della Germania, della Francia, di parte della Spagna e di quasi tutta l' Italia, mal tollerava di essere in una condizione anche solo nominalmente inferiore al Papa. Il Papa, vicario di Dio in terra, virtualmente capo di tutta l'umanità riteneva infatti di riservare a sè l'autorità suprema delegando all' imperatore l'esercizio della sovran ità temporale.

Le due somme potenze, papale e imperiale, mal determinate nei limiti reciproci, incominciarono allora apertamente ad urtarsi. Si inizia cosi la vera lotta fra Papato e Impero.

L'Italia sede reale del Papa, sede nominale deg_li imp eratori fu il teatro e la vittima delle loro lotte. Essa doveva soggiacere alla signoria di quei principi stra nieri che i papi d'allora in poi consacrarono imperatori. Quindi lotta fra italiani, Impero e Chiesa: gli italiani divisi in fazioni potentissime sostenitrici dell' Impero o della Chiesa e quindi sempre in lotta tra loro. E quando nell'intervallo fra Carlo il Grosso e gli Ottoni ( 888-961) l'Italia fu governata da re e principi italiani, allora fu peggio che mai, perchè il trono pontificio fu il ludibrio di contess e o marchese ( Ermengarda, Teodora e Marozia) famose per potenza e dissolutezze.

Questo stato di cose che agitava i dut' supremi poteri si ripercuoteva naturalmente in tutte le cariche imperiali ed ecclesiastiche più o meno elevate, in tutti i centri italiani, dando luo go a q uelle fazioni, guerre, lotte continue, che caratterizzano appunto la vita itali ana di questo periodo.

V PERI ODO: da Oregorio VII a Clemente V (1073-1305). Il fatto caratteristico di questo periodo è la lotta iniziata e soste- 1 nata dal P apato per ottenere la sovranità universale su tutta la ,terra, sia nell' ordine spirituale sia nell' ordine temporale. l L' ape rt a corr uzion e che dominava Roma aveva eccitato un \ profondo ed universale sentimento di indignazione non solo nelle popolazioni intolleranti nel vede re le cose sacre trattate in così abominevole maniera, ma anch e nella parte sa na de l clero. Esponente di questo stato di cose fu Gregorio VII c he severamente svolse l'opera di epurazione, riacquistando il primato nella elezione dei vescovi, svincolandosi dagli interessi temporali e domestici,

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sottraendo P elezione del papa all' ingerenza dell' imperatore e ai tumulti e alle prepotenze delle fazioni romane e italiane. Atto supremo e vittoria grande di questa lotta tenacemente intrapresa da Gregorio VII fu l'umiliazione di Canossa.

Questo atto però fu il seg nale di una violenta lotta di riscossa. Le popolazioni tedesche e la nobiltà d' Italia sposa ron o le parti di Arrigo IV. Ne seguì una guerra sterminatrice: tutta l'Italia andò in fiamme. Risultato fu che la elezione del Papa fu definitivamente assegnata al collegio dei Cardinali, senza a lcuna ingerenza dell' impero . Ma la lotta tra i due poteri non era finita. Giovandosi dello svolgersi dei Comuni in Italia e fuori, i papi continua ron o più o meno apertamente la lotta con tro l'Impero, estendendo la propria autorità sotto colore di propugnare le libertà municipali e l' indipendenza d' Italia. Fu questa l' opera di l nnocenzo 111 e Bonifacio VIli. È infin e in questo periodo (trattato di Neuss del 1201) che furono determinati i limiti e confermata diplomaticamente al Papa la Signoria dello Stato Romano nei limiti che formavano lo Stato pontifi cio di questi ultimi tempi.

VI PERIODO: da Clemente V alla Riforma {1305 -1517 ) . Fatto caratteristico di questo p t riodo è che il Papato si restringe alla Signoria di an principato italiano.

Fallito il tentativo di far sentire la propria supr emazia sugli Stati europei, la politica papale si immiserisce nelle preoccupazioni di una meschina politica umana, studiandosi di assicurarsi un o staterello qualsi asi purchè fosse, aggrappandosi per questo fine alla protezione or dell' uno or dell' altro degli Stati più potenti e quel che è peggio servendosi perversamente dei mezzi che concedeva la loro di g nità per interessi personali. Tipo caratteristico di questa serie di Papi fu Alessandro VI.

Roma e lo Stato romano intanto vanno a soqquadro per opera dei baroni e delle mas nade stipendiate dai papi e dai loro legati : la Chiesa vede in questo periodo tre o quattro papi contemporaneamente, più o meno legittimi.

La cupidigia papale di mantenere uno staterello qualsiasi a costo di qualunque cosa si manifesta così elemento disgregatore dell' unità italiana; è questa forse la più importante conseguenza della lotta fra Papato e Impero sulle manifestazioni della vita " italiana.

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VII PERIODO: dalla predicazione di Lutero alla distruzione del potere temporale del Papa (l 517 - 187O).

In questo periodo Germania, Svizzera, Inghilterra, Paesi Bassi, Scandinavia vengono sottratte all' autorità papale. Si accentua la politica papale del periodo precedente e in generale la decadenza degli Stati cattolici.

VIli PERIODo: tempi modemi. Il Papato liberato dal potere temporale, tende a riacquistare la supremazia spirituale. Nei riguardi dell' Italia il Papato mantiene però la sua severa intransigenza verso il nuovo Stato italiano, con danno reciproco sia della Chiesa che dello Stato.

Conseguenze della lotta fra Papato e Impero sulle manifestazioni della vita italiana. - - Il risultato di questa lunga lotta durata secoli interi e che costituì con le varie sue vicende la storia di tutto i! Medio Evo, fu diverso per l' Italia e per le altre nazioni europee.

Queste per liberarsi dalla servitù e dipendenza papale, si costituirono in nazioni e stati indipendenti. L' Italia risentì invece le conseguenze di avere nel suo seno la forza disgregatrice della Chiesa ambiziosa che mai rifuggì dal chiamare nel nostro paese gli stranieri a sostegno dei suoi interessi. Tale fatto e le discordie cui fadlmente si prestarono gli italiani stessi, furono le cause prime della mancanza di uno spirito nazionale italiano per cui l' unione in nazione libera e indipendente fu ritardata ancora per l'Italia, di parecchi secoli e compiuta solo nel 1870.

Questa è indubbiamente per l' Italia la più notevole conseguenza della lotta fra Papato e Impero: conseguenza di carattere prettamente negativo. Ma altre e non indifferenti ripercussioni la lotta stessa ebbe sulle manifestazioni della vita italiana, ripercussioni fortunatamente di ca t attere positivo, ' fin dall' inizio, la lotta tra Papato e Impero segna l'affermazione e la vittoria del Municipio italico, fedele custode delle tradizioni di Roma, sul sistema feudale che dell' Impero era stata la base. Tale vittoria ebbe come conseguenze :

- il s orgere di una borghesia italiana, il cui potere venne lentamente affermandosi sempre più;

- una più equa ripartizione della proprietà fondiaria il che fu causa di un rifiorire dell' agricoltura;

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- una grande fioritura di arti, industrie e commerci di cui la borghesia è il principale artefice; fioritura che, specialmente nel campo artistico, fu largamente sfruttata dal papato che volle con ciò ammantare di splendore la schiavitù in cui l' Italia era mantenuta per volere e per interesse de l Papato stesso.

I Comuni.

Caratteristiche delle milizie comunali.

Motivi ai quali è dovuto il sorgere dei Comuni. - Nel parlare delle varie conseguenze delle crociate, abbiamo indicato come questo grande fenomeno storico segnò il primo sintomo del risveglio delle classi popolari. La coscienza che il popolo cominciò ad avere delle proprie forze, coscienza risvegliata e messa in valore dalle crociate, l'uguaglianza e la sovranità delle varie classi, la decadenza dell'antico spirito e dell'ordinamento feudale, furono le cause prime che originarono i Comuni. Il popolo non volle più saperne di obbedienza cieca ed assoluta ai conti od ai vescovi e volle governarsi da sè. Creatosi un governo e una milizia propria ogni città costituì un elemento di forza, più o meno grande, ma pur sempre ricercato dalle due forze <:he si contendevano il potere supremo: il Papato e l'Impero. La lotta tra questi due poteri favori lo sviluppo dei Comuni.

Se queste sono le cause immediate che diedero origine al sorgere e all'affermarsi dei Comuni, una ragione storica più lontana c profonda noi la troviamo nella costituzione degli antichi Municipi dell'impero romano. Queste città, già fiere delle libertà civili e municipali delle quali avevano goduto sotto Roma, e che poi poco per volta avevano perduto a causa delle invasioni barbariche, risvegliate dal nuovo spirito suscitato, come abbiamo visto, dalle crociate, vogliono riacquistare gli antichi diritti municipali e poco per volta riprendono la libertà di eleggersi un governo proprio che lentamente viene ad assommare in sè tutti i diritti della sovranità.

Nasce così uno stato libero, romano, indipendente che è il Comune.

Dal Mun ici pio romano al CG muoe medioevale. - Vediamo infatti come storicamente avvenne il trapasso dall'antico Municipio

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romano al Comune, attraverso le varie dominazio ni barbariche: è un lento progresso di trasformazione che in teressa specialmente l'Italia.

Nel periodo del basso impero, come abbiamo visto, la popolazione di tutto il vasto territorio romano era ()rganizzata in categorie; ben nette e prestabilite, categorie aventi speciali capi e speciali prerogative. Cadute le varie città sotto la dominazione lon goba rda, le città stesse conservarono gli avanzi dell'antica civiltà e delle costumanze municipali e la divisione della popolazione in corporazioni d'arti e mestieri: ciò perchè i conquistatori Longobardi non fecero altro che assoggettare le città a trib uti, togliendo loro qualsiasi ingerenza politica. Per il resto, per quanto si riferiva cioè alla amministrazione interna della città, e alla organizzazione sociale della popolazione, i nuovi dominatori nulla modificarono, anzi lasciarono le pii:• ampie libertà poichè di quella ammin istrazion e e di quella speciale organizzazione, essi, i dominatori, largamente godevano i frutti.

Alla dominaz ione dei Longobardi succede quella di Carlo Magno e dei Carolingi: l'ordinamento feudale s'impone ovunque. Le corporazioni d'arti e mestieri insieme ai nuovi beneficati dall' imperatore passano sotto la giurisdizione del conte. Cresce l' im portanza e la potenza dei grossi feudatari, potenza che costituisce una grave minaccia per il potere regio. Il sovrano favorisce allora i vassalli minori per trovare in essi un appoggio contro i g ran di feudatari, anzi per tenere a freno l' aristocrazia secolare rappresentata dai Conti, crea una ar istocrazia ecclesiastica concedendo carte di immunità, di esenzioni, di privilegi specialmente a gli abati dei monasteri e ai vescovi.

Si inizia così la lotta fra il Vescovo e il Conte: il Conte diventa il paladino e l'esponente dell'antica nobiltà; il Vescovo trova la propria maggiore potenza nella borghesia: e ciò sia per il forte sent imento religioso della borghesia stessa, sia perchè gran parte del clero inferiore apparteneva appunto alla borghesia; s ia infine perchè il mettersi alla dipendenza del vescovo esentava dal servizio militare e permetteva quindi alle classi" borghesi il tranquillo esercizio delle loro arti e mestieri, industrie o commerci. Verso la fine del secolo nono, il Vescovo com inciò a prevalere sul Conte: fra mezzo alle infinite lotte nelle quali i signori feudali consumavano la loro potenza e la loro ricchezza, la borghesia acquistava un predominio semp re più grande.

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Alla dominazione Carolingia subentra quella ge rmanica degli Ottoni. Questi continuano nella politica carolingia della lotta contro i conti : il vescovo, appoggiato sempre alla borghesia, diventa il vero ed unico padrone della città; il conte conserva la propria influenza sul contado. Entrambi però per conservare la propria autorità sono costretti a concessioni sempre maggiori alla borghesia e alle classi più umili del contado.

In complesso quindi, borghesia e classi popolari, sono quelli che traggono i maggiori guadagni dana lotta fra Vescovi e Conti. La potenza anzi ra ggiunta dalla borghesia fu tale che presto essa pensò di sottrarsi all'autorità de l Vescovo: ma poichè le fo rz e della borghesia non erano sufficienti a rovesciare l'autorità del Vescovo, la borghesia si allea con i Conti e con il popolo. Da questa alleanza fra nobiltà, borghesia e popolo che si trattano, almeno all' iniz io, alla pari, con parità di diritti e di doveri verso lo scopo comune che è il benessere, l'indipendenza, e la gra nde zza ùella città, nasce il Comune.

Caratteristica la lotta so stenuta dalla borghesia e dai conti del Milanese co ntro l'arcivescovo Ariberto. Questi ri esce in un primo momento, appoggiandosi alle classi popolari, a tener testa a borg hesia e nobiltà. Milano è intanto minacciata da una invasione tedesca: e il pericolo che sov rasta tutti, nobiltà, borghesia e popolo, provoca la fusione di questi tre elementi. L'arcivescovo Ariberto è espulso e il Comune di Milano è costituito.

Lotta dei Comuni contro l' Impero . - L'esempio di Milano fu imitato da alt re città. Queste si amministrano per mezzo di magistrati propri subentrando nei diritti regali di cui prima e rano investiti i vescovi. Così i Comuni si trovano di retta mente d i fro nte all' imperatore, come vassalli diretti, così come prima era no i Vescovi.

L'impe ratore Federico Barbarossa volle arrestare questo mo vimento, pretendendo che i diritti e i previlegi di c ui già godeva il Vescovo e che e rano sta ti usurpati d alle ci tt à, dovessero invece tornare all'impero ( 11 54); ma la battaglia di Legnano ( 29 mag gio 1176) diede ragione ai Comuni e la pace di Costanza ( 11 83) assicurò anche legalmente la libera esistenza dei Comuni.

La Costituzione dei Com uni io Italia . - O li abitanti del Comune, in Italia, costituivano tre classi:

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- la nobilt à, divisa in valvassori maggiori e minori;

- la borghesia, alla quale appartenevano gli uomini personalmente liberi, privi di un feudo, dediti al commercio e alle arti maggiori;

- il popolo che non aveva ancora però acquistato tutti i d iritti politici.

La Costituzione politica era la seguente:

- il potere sovrano era esercitato dall'assemblea generale alla quale partecipava la nobiltà e la borghesia. Questa assemblea si riuniva nella piazza e d ecid eva degli affari più importanti: la guerra, la pace, le alleanze, le nomine dei magis trati ecc. Oli affari pei quali si richiedeva seg retezza e celerità erano trattati dal Consiglio di Credenza, composto dei cittadini più ragguardevoli, e al quale spettava l'amministrazione delle finanze, la vigilanza sui Consoli e la preparazione delle leggi da sottoporre all'assemblea genera le;

- il potere esecutivo era nei primi tempi affidato a Consoli, eletti per suffragio; in seguito fu affidato ad un Podestà scelto fra i cittadini più ragguardevoli; la carica durava un anno; in seguito fu ridotto il termine a tre mes i. Allo scopo di dividere la grande autorità del Podestà, onde impedirgli di in staurare la tirannia, fu dato il comando delle milizie ad un Capitano del popolo. Podestà e capitano del popolo dovevano essere di città diverse da quella ove erano chiamati ad esercitare la carica, ma dello stesso partito.

Ogni Comune inoltre aveva i propri speciali ordinamenti militari, amministrativi, legislativi, economici.

Ma il fenomeno dei Comuni, naturale con seg uenza del feudalismo, non è proprio dell'Italia: esso si estese e fece se ntire la propria influenza su tutta l' Europa, naturalmente con forme e conseguenze diver se a seconda dei vari paesi.

Vediamo, sempre sc hematicamente, le caratteristiche dei Comuni in francia, in Germania, in Inghilterra, nella Spagna. l Comuni in Francia. - In Francia il sorgere del Comune è dovuto all'aperta insurrezione degli artigiani, dei mercanti e dei piccoli proprietari contro il signore feudale. È una rivolta a rmata, vera e propria, del popolo stanco delle angherie dei signori feudali. In questa lotta intervie ne il Re, chiamato general mente da una d elle due parti: e s iccome il Re aveva tutto l'i ntere sse ad abbassa re la potenza dei grossi feudatari, il Re s tesso concede ai cittadini le prime libertà comunali. In sostanza Monarchia e Comuni si alleano contro i nobili.

Ai nobili e al clero si aggiunge cosi una nuova classe: il Terzo rappresentato dalla borghesia. l Comuni aiutati così dal Re, cedono a lui ogni potere politico: la Monarchia quindi si consolida sempre più a detrimento della nobiltà. fu questa la politica tradizionale di tutti i Re francesi specialmente da filippo Augusto a Luigi IX a filippo IV il Bello e sopra tutti di Luigi Xl. Il risultato fu che entrambi le classi rivali nobiltà e borghesia si trovarono egualmente oppresse sotto la monarchia che venne quindi lentamente trasformandosi da feudale in assoluta. Spento e stroncato poi dalla robu sta mano di Richelieu sotto Luigi XIII ogni pretesa di classe ed ogni se ntimento eli libertà, la Monarchia diventò un vero dispotismo personale sotto Luigi XIV e solamente alla fine del 1700 i principi di libertà dovevano liberamente e sanguinosamente trionfare con la grande rivoluzione. l Comuni in Germania. - Che i Comuni debbano la loro primitiva origine a gli antichi Municipi romani, è confermato anche da quanto successe in Germania, ove i Comuni sorsero in quelle località ove più profonda si era fatta sentire la dominazione romana: e cioè specialmente sulle rive del Reno i mentre invece dalla parte di levante ove continue erano le invasioni, motivi di difesa favorirono il conc;olidamento dell' autorità feudale, più acconcia indubbiamente che non il Comune, alle esigenze militari.

Primo spunto alla formazione dei Comuni in Germania fu la costituzione di alcune leghe, di carattere religioso e politico, nell e quali gli associati si giurarono da fratelli : furono queste le ghilde delle quali presto si valsero gli imperatori per combattere la prepotenza dei grossi feudatari. Le ghilde inoltre si opposero poi al consolidamento tirannico degli imperatori. Esse dettero origine cosi ai Comuni e alle città libere. In sostanza l 'opera delle ghilde fu duplice:

- impedì l' instaurazione di un governo assoluto come in francia i

- ma contemporaneamente rese impossibile la costituzione dell'unità nazionale, come in Italia.

l Comuni in Inghilterra e il sorgere del moderno sistema parlamentare. - Le popolazioni dell' Inghi !terra, prima della conquista di Guglielmo il Conquistatore, si reggevano con la massima libertà e con ordinamenti civili e politici propri. Guglielmo il Conquista · t ore vinto ed ucciso nella battaglia di Hastings ( 14 ottobre l 066)

Aroldo, ultimo re anglo-sassone, unificò il paese dandogli un ordinamento feudale.

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Ma appena morto Guglielmo, scoppiarono le discordie tra i suoi due figliuoli. Di queste contese si valsero i baroni per afforzarsi nei loro castelli ed estendere la propria dominazione, e si valsero le città che sorsero a reclamare le antiche libertà cittadine. frutto di queste lunghe lotte, combattute specialmente sotto Enrico H ( 1154- 1189 ), Riccardo Cuor di Leone ( 1189- 1199) e Giovanni Senzaterra ( 1199-1216 ), fu l'alleanza del clero, dei baroni e delle città, che si confederarono, si armarono e con le armi costr!nsero re Giovanni a giurare il 19 giugno 1215 l'atto famoso conosciuto sotto il nome di Magna Charta. Con questo atto, oltre alle concessioni fatte al clero e a i nobili veniva riconosciuto alle città il diritto alle antiche libertà interne. Questo atto gettò le indistruttibili basi della costituzione inglese. I re tentarono varie volte togliere le concesse libertà, ma Baroni e Comuni, collegatisi fra loro, indussero sempre, i Re anche con la forza, a rispettare gli antichi patti. Nel 1296 anzi fu imposto al re l'obbligo di non pote r imporre nuove tasse senza l'unanime constnso dei prelati, conti, baroni, cavalieri e dei Comuni: d'onde I' obbligo di convocare i rappresentanti di tali classi.

Ecco sorgere il Parlamento. Verso la metà del secolo decimoquarto, clero e nobiltà cominciarono a riunirsi e a votare insieme, separatarnentf' però dai rappresentanti dei Comuni. Questi si riunirono per conto proprio, e ne originò così l'attuale divisione del parlamento in due Camere : la Camera dei Lords e la Camera dei Comuni.

Effetti dei Comuni sulla Civiltà. - Il risorgimento della civiltà Europea si deve tutto ai Comuni: vediamo il come e il perchè di questo fatto.

· Abbiamo precedentemente detto che le crociate iniziarono l'emancipazione dei servi della gleba : i Comuni compirono questa emancipazione.

Presentatisi come naturali avversari dei signori feudali, i Comuni servirono di rifugio a servi e coloni che nella libera esplicazione delle proprie attività loro concessa dal Comune, costituirono la ricchezza prima, e la potenza poi, propria e del Comune.

Altri invece, pur continuando a vivere nelle campagne, si misero però sotto la protezione del Comune: per salvaguar-dare i propri intere ssi si riunirono in borgate che si reggeva no con istituzioni proprie.

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In questo modo in città e nelle campagne le masse popolari cominciarono ad uscire dalla cerchia degli interessi privati e famiglia ri pe r abbracciare col cuo r e e con la mente interessi più complessi e più elevati. Le masse popolari compresero che gli intere ssi pubbliçi sono interessi di tutti e di ciascuno, di cui ciascuno ha il diritto e il dovere di occuparsi; e che solo allora si ha possibili tà e diritto di avere vita, proprietà e libertà quando si hanno braccia e cuo ri per difendersi e governarsi da sè.

Nei Comuni dunque, l'operosità personale e individuale fu libera di esplicarsi secondo le varie attitudini individuali, e fu anzi potentemente stimolata a ciò dalla certezza di poter ognuno godere il frutto del proprio lav oro.

Si svilu pparono così dapprima le cose essenziali, cioè l 'agricoltura, l'ind ustria e i commerci: che furono le basi di una salda pro s perità economica; s i svilupparono infine le manifestazioni più propriamente intellettuali ossia le arti belle e le scienze, preparando cosi quel grande fenomeno storico che è il Rina scimento.

Caratteristiche delle milizie comunali. - Alla fine del capitolo che parla dell'influenza esercitata dalle Crociate nell'arte· della guer r a e sulle istituzioni militari; abbiamo accen nato al lento riaffermarsi delle fanterie . Questa riaffermazione si accentua sotto i Comuni.

Le milizie allora esistenti si chiamarono milizie comunali: il nome stesso indica lo sc o po per cui queste milizie furono create: la dife sa cioè del Comune e delle libertà comu nali. l m o tivi che provocarono e favorirono il sorgere e l'affermarsi dei Comuni ci dicono subito il carattere di que ste milizie.

In sostanza il Comune rappresenta l'affermazione della d emocrazia; questa, per difendere le co nquistate libertà, deve armarsi e guer r eggiare.

Non ha i mezzi però per costituirsi un esercito di cava ll e ria da contrapporre all'esercito de i cavalieri feudali, arma perciò e manda a battaglia numerosa fanteria.

Oli scopi di guerra sono semp r e però limitati; le guerre non sono nè lun g he, nè lo ntan e; manca qualsiasi g rande con cezione s trategica. Una sola volta, i Comu ni italiani sono c hiamati ad una grande impresa: quella contro federico Barbarossa. Ma ottenu ta la vitto r ia, passato il pericolo, la guerra riprende il suo carattere di lotta tra vicini. Nè poteva essere a ltrim enti: poichè il cittadino

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chiamato alle armi dal Comune, vo lentieri si prestava a difendere il Com une, a difendere cioè in sostanza i propri interessi, ma appena passato il pericolo immediato voleva tornare ai propri traffici e ai propri commerci, e difficilmente e a malincuore si prestava per guerre lunghe f' lontane.

È questa la caratteristica dell'arte della guerra e precisamente della condotta delle operazioni nel periodo dei Comuni.

Il principio di libertà in base al quale i Comuni erano sorti e si erano affermati, imponeva a tutti eguaglianza di diritti e di doveri: tutti perciò, indistintamente, coloro che erano atti alle armi dovevano far parte d ella milizia: ogni cittadino era un soldato. Questo giusto ed o rm ai universale principio non era però temperato da una logica scelta o classificazione fra i diversi co mbattenti. Ne deriva che giovanetti in età ancor verde, e vecchi di 70 anni ingombravano le schiere: il reclutamento quindi non era razionalmente compiuto.

Invano inoltre, cerc heremo in questa enorme massa di fanti gli ordini per le marcie, concetti tattici ben definiti e bene eseguiti, regolarità nell'azion e, rigore di disciplina, provvedimenti pel mantenimento dell'esercito. L'ese rcito dei vari Comuni è composto di t urbe: ogni quartiere, parrocchia, contrada, corporazione della città corrisponde ad una unità nell'esercito. Unità quindi tra loro svariatissime che marciano a mo' di processione, seguite da una infinità di impedimenti; unità che combattono senza ordine e senza disciplina: il cadere di una insegna portava la fuga e l'eccidio di un esercito (esempio: battaglia di Monteaperti tra Firenze guelfa e la lega ghibellina sostenuta da Siena e protetta dai tedeschi).

Affinchè queste milizie non si scompigliassero sul campo di battaglia, per dare loro un centro di riunione e di resistenza, Ariberto, arcivescovo di Milano, introdusse nel 1039 l' uso del Carroccio, adottato poi da tutti gli altri Comuni. Il Carroccio seguiva l'esercito nella battaglia; ne dirigeva con i segnali il movimento; era come la bandiera dalla cui conservazione dipendeva l' onore e l'esistenza del Comune. Le primitive e disordinate masse clelia milizia comunale, serrarono quindi le ordinanze ne ricevettero in sostanza un a maggiore solidità morale e materiale: il che fu causa delle loro vittorie contro gli eserciti imperiali.

La fanteria dunque fu il nNbo delle milizie comunali. Queste · milizie si addestravano al maneggio delle armi durante i periodi di pace, nei giorni festivi. Il loro armamento era vario: quelli che

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dovevano combattere in ordin anza erano a rm ati di lancia, spada, scudo con cappello e petto d i ferro; gli a ltri erano armat i di arco e di balestra.

Le milizie comunali usava no tre modi di guer reggia re:

- la gualdana: scorre ria improvvisa sul ter rito ri o nemico per d evastarlo, fatta dalla fanteria meno buona;

- la cavalcata: spedizione più regolare fatta da fanti a cavallo, senza Carroccio;

- l' oste generale: grande spedizione alla quale prendevano parte tutt e le forze, con il Carroccio.

le mili z ie comu nali avevano poca cavalleria per lo più fornita dai sig norotti feuda li del contado assoldati o alleati.

Le fanterie eu r opee. - La crescente importanza della fanteria, sviluppatasi con i Comuni, acquistò un a importanza speciale nell' esercito inglese e in quello svizzero.

Oli arcieri inglesi, che si resero poi famosi, e rano in origine costituiti da milizie comunali comandate da nobili che non sdegnavano di combattere a piedi. Questi arcieri costituivano una fan teria leggerissima, molto abile nel tiro dell'ar co, e che combatteva in ordine sparso. L' esercito inglese riconobbe tra i primi la necessità di una buona fanteria, tan to che gli stessi cavalieri non esita· rono, al momento oppo rtu no, a sce nd ere da cavallo per combatte re a piedi in ordin e serrato. Agli arcieri inglesi sono dovute le vittorie di Crecy (1 346) e di Azincourt ( 141 5 ).

Ma la vera affermazione della fanteria doveva essere ope ra de lla Svizzera; la Svizzera, paese povero, di montanari, che cerca di op pors i con i mezzi che aveva a disposizione (fanti armati di picc he) alle prepotenze dei potenti vici ni (Austria, Francia, Milan o ) e ai loro ese rciti di cava lieri. Oli svizzeri affrontano nel fondo delle loro valli, che costituivano l'u nico campo d' azione possibile alla cavall eria feudale, i potenti eserciti avversari princi · palmente co mpo sti di cavalieri. Oli Svizzeri comb att ono in formazi one falangitica a grossi battaglioni, a ma sse serrate. Le vittorie co sì ottenute costituiscono il primo vero gra nd e trionfo della fant eria. In Francia il risorgimento delle fant erie avviene so lo per effetto del contatto con gli stranier i. Durante la g uerra co ntro g li inglesi il disprezzo e l' odio dei cava lieri fran cesi pe.r le lo ro fa nterie faceva contra sto con l' importa nza c he gli inglesi attribuivano invece alla propria fanteria

Il primato fu dunqu e incontestabilmente te nuto da ll e fanterie svizzere .

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Le Compagnie di ventura e i loro condottieri.

Cause che portarono alla costituzione delle Compagnie di ventura. - Nel parlare delle caratteristiche delle milizie comunali, abbiamo messo in evidenza il fatto che le milizie stesse, ottime per la difesa immediata della città o per brevi e non grosse nè lontane spedizioni, erano inadatte a condurre guerre lunghe, continue e lontane.

l Comuni invece si trovarono tutti coinvolti in guerre CO!ltin ue : prima contro l' impero, poi tra di loro.

Messi nella necessità di far fronte a queste guerre, ma non potendo fare pieno e completo affidamento sulle sole milizi e comunali, disponendo d'altra parte di mezzi abbastanza cospicui, che la prosperità economica metteva a disposizione dei Comuni, questi ricorsero a milizie mercenarie.

D'altra parte nella lotta che re e principi dovettero ininterrottamente sostenere contro i grandi feudatari, poco o nessuno affidamento potevano fare i sovrani delle milizie feudali, ligie più al loro signore che al sovrano. l sovrani sentirono quindi la necessità di avere truppe da essi direttamente dipendenti e queste truppe non potevano essere fornite che da soldati mercenari.

Infine, il sentimento stesso di indipendenza che sempre più si andava affermando nelle popolazioni, sottraeva queste alla dipendenza e alla autorità dei sovrani, dei grossi feudatari e dei Comuni stessi. Sovrani, grossi feudatari e Comuni, messi nella necessità di sicuramente disporre di forze armate, sono quindi costretti a chiamare al proprio servizio, bande m ercenarie.

Sono queste le cause essenziali per le quali alle Milizie comunali vennero gradatamente sostituendosi le Milizie mercenarie.

Milizie mercenarie ne erano sempre esistite fin dalla più remota antichità: basta ricordare i 10.000 di Senofonte. Di esse vi era larga consuetudine in Germania e nelle Oallie.

Di mercenari erano composte le prime spedizioni dei Sassoni nella Gran Brettagna. Mercenari erano i Normanni che, venuti nell'Italia meridionale, ottennero in premio nel 1030 la contea d'Aversa che costituì il principio del regno Normanno delle Du e Sicilie. Mercenario era l' esercito con il quale papa Leone IX n el 1053 marciò contro i Normanni delle Puglie condotti da Roberto

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Ouiscardo. Così pure l' esercito con il quale Guglielmo Duca di Normandia nel 1066 conquistò l'Inghilterra, era in parte composto dei suoi vassalli feudali, m a in buona parte di stipendiati.

Anche con l' ordinamento feudale la milizia mercenaria non era scomparsa, anzi, con lo svolgersi del processo feudale, la milizia mercenaria venne, come più sopra abbiamo detto, maggiormente affermandosi. l Comuni infine, come già abbiamo accennato, provocarono una maggiore diffusione nell' impiego delle milizie mercenarie.

Se quindi condizioni speciali del momento favorirono l' impiego di mercenari, altre cause di carattere diverso, provocarono e svilupparono la costituzione di quest e bande mercenarie.

Crociati fermatisi a mezza strada della loro primitiva mèta: la Terra Santa; o crociati di ritorno dalle guerre sostenute in Terra Santa, non volendo più tornare ai loro paesi perchè privi ormai di ogni fortuna, ritennero pitl conveniente fermarsi ove la lotta essendo continua, prometteva loro di crea rsi un nuovo stato. L' Italia, ove fiorivano in gran numero signorotti e liberi Comuni sempre in lotta tra di loro, rappresentò per molti, sotto questo punto di vista, il paese ideale. Questi drappelli o compagnie trovarono quindi convenientissimo metters i al soldo di questo e quel signo re o Comune e fare così la guerra per chi meglio pagava. le lunghe lotte che si svolgevano in Italia tra Guelfi o Ohibellini, avevano t iempito l'Italia stessa di un numero grandissimo di fuorusciti, i quali, ricoveratisi nelle città del loro partito, si mettevano al soldo di queste città, dapprima con la spera nza di rientrare con la forza delle armi nella loro città, poi, quando questa speranza era perduta, per la necessità di vivere. Necessità che li induceva infine ad esercitare la milizia per mestiere, senza più alcuna considerazione di parte guelfa o ghibellina.

E ancora. Imperatori e re di casa Sveva; Angioini de s iderosi di stabilire la propria supremazia in Italia, avevano condotto seco, nelle varie discese nella penisola, bande di mercenari, che, ripartito dall' Italia il proprio re o imperatore, erano rimaste in casa nostra a servizio dei vari signori o dei vari Comuni.

Influenza del mercenariato sulla vita dei Comuni. - Particolare influenza ebbero i Comuni sullo sviluppo del mercenariato: lo accrebbero e lo afforzarono tanto c he il mercenariato s offocò in seguito la libertà del Comune.

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Vediamo come.

Le classi borghesi, s tanche delle guerre continue, e non d'altro preoccupate che degli interessi materiali del momento, vedevano di molto buon occhio la possibilità di affidare ad altri il compito di fare la guerra pur di continuare indisturbati nei propri lucrosi traffici. Anzi per liberare sempre più i cittadini dal servizio militare, i Comuni permisero che i Podestà e i Capitani del Popolo, mentre venivano ad assumere i loro uffici, conducessero seco le loro masnade, le quali aggregatisi altri mercenari, come ad esempio fuorusciti politici, sostenevano poi il peso della guerra, liberandone cosi i cittadini.

Signori e condottieri, intimamente meditando di trasformare i loro uffici civili in potere stabile, intero e duraturo, in principati cioè o signorie, ben volentieri coltivavano questo speci ale reclutamento che offriva loro il doppio vantaggio :

- di disamorare e disabituare i cittadini alle armi;

- e costitui re invece una milizia devota uni camente al signore, non d'altro preoccupata che del proprio stipendi.P e quindi sempre pronta ai cenni e alla volontà del signore, qualunque fosse questa volontà.

L'allontanamento dei cittadini dalla milizia e l'uso, anzi l' abuso, delle milizie mercenarie furono infatti le cause fondamentali della decadenza dei Comuni: alla fine del sec XU la milizia era tutta esercitata, in Italia, da bande mercenarie. Da questo momento comincia infatti a decadere la libertà dei Comuni. In seguito le cose paggiorarono.

Le milizie mercenarie nel sec. XIV. - Le bande di mercenari, assoldate in occasione di una guerra da principi o da Comuni, venivano, appena possibile, messe in libertà . Queste bande cominciarono allora a riunirsi tra di loro, formando delle Compagnie, nominandosi un capo e ricominciando a guerreggiare per conto proprio o per conto di qualche Comune o Signore che sguinza · gliava queste bande indisciplinate e feroci sul territorio di qualche a'vversario, salvo poi a vedersele tornare per conto d' altri sul proprio.

Alla metà del sec. XIV tutte le guerre in Italia, sono condotte da queste bande, per gra n parte composte di stranieri, guidate da capi anch'essi quasi tutti stranieri, composte di poche migliaia di uomini, il più a cavallo, bene armati, che si mettono al soldo ora

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M. V A!..t.ETTI-B ORG NIN I, Storia Politico-militare ecc. -Vol. l.

di un Signore, ora di un Comune e depredano e straziano te città e i campi. Queste bande passano, con la massima indifferenza, senza riguardo alcuno alla parola data, da un capo alt' altro, a seconda del guadagno maggiore o minore che viene promesso; così come i soldati passano quando loro aggrada da una banda all ' altra a seconda che si offriva miglior occasione di far bottino.

Caratteri della guerra. - c Era milizia senza fede e senza onore, tanto pericolosa al nemico, quanto a chi la pagava, incline più alla rapina che alla guerra: un ico movente a combattere: l' avidità di guadagno; onde nessun affetto al proprio partito, nessun odio a quello avversario. Quanto pitl a lungo durava la guerra, maggiore era il lucro; perciò nelle battaglie i mercenari cercavano di risparmiarsi a vicenda, snaturando l' indole della guerra, riducendo questa ·ad una serie di ' lunghe ed indecise opera zioni, a continue marce e contromarce, a blocchi, assedi e capitolazioni, senza di sangue. Si limitavano spesso a scavalcare il nemico, levargli il cavallo e le armi ed a sacc h eggia re; pronti sempre a mutare bandiera quando ciò torna sse loro utile. Quando non si combatteva, facevano la guerra per conto proprio, taglieggiando le popolazioni e commettendo angherie di ogni specie. • (Pagliano).

Le più antiche compagnie di ventura in Italia. - Fra le più antiche compagnie di ventura ricordiamo:

- quella degli Almovari che operò nei primi anni del sec. XlV, composta in origine di Aragonesi che prima avevano combattuto nella Spagna contro i Mori, , poi nell a Sicilia contro gli Angioini. Oli Almovari abbandonarono poi l'Italia i guerreggiarono in Francia, in Grecia e infine s i stabilirono in Atene;

- i venturier i sassoni e tedeschi condotti in Italia da Lodovico il Bavaro allorchè venne a Roma a cingere la corona imperiale, lo abbandonarono sotto il pretesto d i certi crediti non soddisfatti e in numero di 800 formarono la Compagnia del Ceruglio di cui prese poscia il comando Marco Visconti i

- un migli aio di soldati tedeschi e frar.cesi, lasciati in Italia da Giovanni di Boemia, si raccolsero nel Piacentino alla Badia della Colomba, e sotto il nome di Cavalieri della Colomba, vbsero di rapina sopra i paesi circonvicini i

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- una grossa compagnia di 3000 uomini, svizzeri, che si formò nel 1339 sotto il nome di Compagnia di S . Giorgio: si ebbe il comando Lodrisio Visconti e alcuni altri condottieri, e fu sconfitta a Parabiago dai Milanesi e quindi sciolta;

- la Oran Compagnia che combattè sotto gli ordini del tedesco Guarnieri di Urslingen, dichiaratosi c nemico di Dio e della misericordia , i la Compagnia bianca, composta di gente che aveva combattuto in Inghilte rra, o che combatteva con i sistemi inglesi i

- la Compagnia di Fra Moria/e da Albano il quale fu poi fatto prendere a tradimento e decapitare da Cola di Rienzo i

-e infine dal 1361 al 1377, la Compagnia dei Brettoni che rimasta disoccupata in Francia per la pace fattasi nel 1360 tra Inglesi e Francesi, venne in Italia sotto il celebre Giovanni Hawkwoodt volgarmente detto Giovanni Acuto, che guerreggiò lungo tempo al soldo del Comune di firenze e morl in firenze nel 1394.

Le compagnie di ventura in Francia. - In francia oltre alla fanteria feudale e comunale, si formarono bande di venturieri verso la fine del sec. Xli compo ste di gente a piedi conosciute sotto diversi e strani nomi: malandrini, scorticatori, ribatdi, mille diavoli ecc. Erano mercenari di ogni nazionalità, indisciplinati, va gabondi, guidati, durante la guerra, dall' unica preoccupazione di saccheggiare. Postisi dalla parte del Governo come quello che m<'glio pagava, crebbero d i numero tanto che sotto Luig i VII erano circa 20.000. La loro potenza crebbe però eccessivamente i il loro brigantagg io divenne intollerabile, tanto che Filippo Augusto nel 1183 invi ò contro essi un vero esercito. Sconfitti e dispersi, si ricostituirono e ripresero a combattere e rubare, finchè Carlo V li inviò a combattere fuori del regno. Così, poco per volta, queste bande si esaurirono e si sciolsero.

Le Compagnie di ventura italiane e la loro influenza sull.' arte della guerra. - Abbiamo fino ad ora trattato della origine, del carattere e delle conseguenze delle prime compagnie di ventura: ma non bisogna credere che il carattere e le conseguenze di questo fenomeno storico, sia tutto nel quadro, così poco simpatico e bello, che abbiamo cercato di mettere, fin quì, in evidenza.

Per merito delle compagnie di ventura italiane, e dei loro ottimi ed italianissimi condottieri, l'arte della guerra risenti tale

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benefica e grandiosa influenza, da attribuire alle Compagnie di ventura italiane il principio del risorgimento dell'arte militare.

Vediamo quindi lo svo lgimento storico di questo secondo ed importantissimo carattere delle Compagnie di ventura.

Indignato di vedere l' Italia, corsa e straziata da bande straniere, Alberico da Barbiano, giovane di nobilissimi sentimenti, signore di parecchi domini nelle Romagne, formò nel 1377, una compagnia composta tutta di italiani, che in poco tempo istruì, ordinò ed agguerrì in maniera tale che nel 1379 riuscì a battere e distruggere la Compagnia dei Brettoni.

Carattere delle compagnie italiane. - Alberico ebbe così parP.cchi imitatori e allievi : le compag nie assunsero un carattere speciale. Mentre prima le compagnie erano composte di soldati d'ogni nazione, riuniti insieme per combattere e saccheggiare e che si nomina vano loro un proprio capo, salvo poi ad abbandonarlo al momento opportuno, le compagnie italiane vennero costituite da un capo rinomato ed autorevole per valore personale e per vera arte di guerra: questo capo sceglie esso stesso i soldati, li ordina, li istruisce, li assoggetta ad una disciplina. Si forma quindi il sentimento della disciplina e della subo rdinazi one basato sulla reale superiorità del Capo. Questi capi, desiderosi di eccellere, vivendo in luoghi e tempi di coltura intellettuale avanzatissima ed essendo anzi molti di loro coltissimi, gareggiarono l' un con l' altro per meglio ordinare ed agguerrire le loro compagnie. introdussero così nuovi ordinamenti tatt ici, perfezionarono l' arte delle marci e , dell' accampare e del difendersi; affrontarono i primi provvedimenti logistici e cominciarono infine a concepire una guerra più vera e più vasta, sviluppando, relativamente ai mezzi impiegati, notevoli concezioni strategiche. Tutto lo studio e l' applicazione delle istituzioni militari, riceve così, per opera dei condottieri italiani, notevoliss imo impulso, tanto da segnare veramente, dopo la decadenza dell' arte militare antica, il rinascimento dell' arte militare. l grandi capitani di ventura italiani.- Numerosa è la schiera dei grandi capitani di ventura italiani ai quali essenzialmente è dovuta la rinascita dell'arte militare: i capi scuola furono:

- Attendalo Sforza, allievo d'Alberigo, e il suo figliuolo Francesco Sforza ( 1401 -1466) che fu poi signore di Milano;

- Braccio da Montone, perugino ( 1368 - 1424) che furono i maestri nell'arte di condurre la guerra in questo periodo, e dettero origine a due diversi modi di condurre la

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guerra : Braccio, pronto, aùdace, impetuoso; Sforza, prudente, te· nace, perseverante.

Furono inoltre celebri: Niccolò Piccinino ( 1386 · 1441 ) capo dei Bracceschi dopo la morte di Braccio; Francesco Bussone detto il Carmagnola ( t 390- 1432); Bartolo m eo Colleoni da Bergamo ( 1397 · 1475); Giangiacomo Trivulzio (morto nel 1518 ), mi lanese; Bartolomeo d'Alviano (morto nel 1515); Federico da Montefeltro (1483); Fabrizio e Prospero Colonna; Giovanni de' Medici (1526), detto dalle Bande Nere, e molti altri minori.

Tutte le guerre d' Italia, dal finire del sec. XIV alla metà del sec. xv furono fatte da questi condottieri.

L'arte di guerra delle Compagnie italiane. - c l principii cui si informò in questa epoca la condotta della guerra furono quelli soggettivi e personali dei condottieri o degli scrittori militari; pur tuttavia si notò la tendenza a studiare ed imitare i principii dell' arte della guerra greca e romana ed in questa imitazione prevalsero i condottieri e gli scrittori militari italiani, che acquistarono prestigio e rinomanza. Infatti la guerra delle compagnie di ventura italiane fu guerra di astuzie e di schermaglie, atta quindi a far eccellere le qualità naturali dei condottieri italici, grandi e piccoli; ebbe però, di mas s ima, un carattere più vasto nel tempo e nello spazio di quello delle guerre combattute dalle milizie feudali e comunali. -. (Della Valle).

Le repubbliche marinare italiane. Le Signorie. -I Principati.

L' Italia non carolin gia. - L' Italia non direttamente dipendente da Carlo Magno, comprendeva; le isole di Sicilia e Sardegna; l'Italia inferiore; Roma e le terre della donazione; Venezia.

Le isole di Sicilia, Sardegna e Corsica, sottoposte dapprima alla domin'azione dell' impero d' oriente, e ribellatesi poi all' impe r o stesso, si dilaniarono in lotte intestine fino a che le milizie sicilia n e per vincere un ultimo sforzo dell' imperatore d'Oriente, e guidate da Eufemio da Messi na ricorsero agli Arabi della vicina Africa: nell 'a nno 827 avviene così l'invasione araba della Sicilia, invasione che poi si estende alle altre isole e alle coste italiche.

L' Italia inferiore, divisa fra i duchi di Napoli, Gaeta e il principe di Benevento: questi piccoli Stati p r esero a guerreggiarsi

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fra loro fino a che fu da essi stessi invocato l' in tervento arabo.

Nell' 845 gli Arabi sbarcaro no a Napoli, mossero su Roma e la saccheggiarono: fu allora che papa Leone IV per proteggere la città da nuo ve incursioni, cinse Roma di mura: sorse così quella che ancor oggi s i chiama la città leonina. finalmente per accordo inte rvenuto tra i vari principi italiani dell'Italia meridionale e per aiuto degli imp eratori, gli arabi sono cacciati ( 873 ).

Le prime repubbliche marinare. - In questo tormentato periodo di an ni , Napoli, Salerno, Gaeta e Amalfi si costituiscono un governo proprio e autonomo e danno origine alle prime repubbliche ma· rinare italiane.

Amalfi. - Dalla confusione nata in Italia in seguito alle varie invasioni barbariche ebbero dunque origine le prime repubbliche marinare italiane; di esse, quella che per prima affermò una pro· pria supremazia fu Amalfi.

« Questa, dopo avere per qualche anno obbedito ai duchi di Benevento, si rese indipendente verso l' 840. Allora, trovando nella libertà l' energia, e nella fortezza del sito la sicurezza necessaria agli esercizi del commercio , ,tutta vi si diede In breve salì a gran forza e potenza. Per tre secoli Amalfi fu strumento necessa rio al commercio del Mediterraneo; le sue leggi servirono di base alla giurisprudenza commerciale del medio-evo; un suo cittadino, flavio Gioia, propagò l' applicazione della bussola alla nautica . . . . . . . » (Ricotti).

Ruggero li ( 1101- 1154) dei Normanni Altavilla . proseguendo con energia la politica dei suoi predece ssori compì l'unificazione dell' Italia meridionale assoggettando le repubbliche di Napoli, Gaeta, Amalfi .

Altre terre italiane non soggette alla dominazione carolingia, erano:

Roma e le terre della donazione, dove la lotta continua tra Papato e Impero impediva al Papa di affermare in modo assoluto la propria autorità temporale per il pullulare di signorotti e di feudi ecclesiastici sempre pronti a profittare della rivalità tra imperatori e papi per sottrarsi alla dipendenza degli uni e degli altri.

Venezia. - Infine Venezia, che, consolidati i propri ordina· menti interni, ostili a qualsiasi forma di governo ereditario, e valendosi del contrasto fra imperatori, papi e bizantini, lentamente veniva preparandosi a maggiori destini.

« La mancanza di territorio, la pastura della città, la tradizione, spingevano i Veneziani all'industr ia, al traffico, alla navigazione.

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Sul mar e Venezia trovò le fonti della s ua prosperità. Nel sec. IX la tute la dell'Adriatico contro la p irateria saracena fu unicamen te affidata ai Veneziani; per i servig i da loro prestati al cristianesimo ebbero importanti privilegi dagli imperatori d'occidente, e amplissime agevo lezze ai !oro traf fici dagli imperatori d ' oriente. Dov e altri accorreva in devoti pellegrinaggi, Venezia m andava i suoi mercanti a cogliere i frutti delle lontane industrie e provvedeva al lusso dei s ignori occidentali co n le ricchezze del levante. l primi grandi incrementi della repubblica avvennero nel secolo decimo. • ( Rinaudo ).

L'Adriatico era battuto dai pirati; le città dell' !stria e della Dalmazia, sottomesse un tempo all'imperatore di Costantinopoli, e costrette poi a provvedere da sè alla propria difesa, si allearono con Venezia, e una splend ida vittoria fu otte nuta ( 997 ). L' l stria e la Dalmazia prima alleate, riconobbero la supremazia qi Venezia.

Nel secolo Xl i progressi di Venezia subirono una sosta: la città è in preda ad agitazioni interne cagionate dall'ambizio n e e dalla rivalità di alcune famiglie, mentre le città istriane e da lm ate cercano scuotere il gioco della repubblica. Ristabilito l' ordine interno, Venezia unì le proprie forze a quelle dell'imperatore bizantino per impedire l' espansione de i Normanni sulla costa orientale dell'Adriatico.

Si iniziavano intanto le crociate: abbiamo già accennato all' importanza che la quarta crociata ebbe per Venezia; diremo tra poco dell' importanza complessiva delle crociate per tutte le repubbliche marinare italiane.

Sorgevano intanto altre due potenti repubbliche marinare: Genova e Pisa.

Genova. - Genova, sottoposta prima alla signoria bizantina, poi al regno longobardo e infine al regno italico carolingio, otteneva nel 958 da Berengario Il un diploma di liberi ordinamenti municipali. Serrato dagli Apennini, l' industre popolo genovese doveva necèssar ia mente trova re la propria ricchezza nel mare: ebbe inizio così la libertà e la potenza di Genova. Il pericolo Saraceno indusse altre piccole città liguri a strin gers i in lega con Genova che seppe presto trasformare questa alleanza in supremazia. Al principio del sec. Xl il Comune ligure era già pervenuto a tale grandezza da tentare la conquista di terre di là dal golfo: caccia così i Saraceni dalla Corsica e riceve dal papa l' investitura dell' isola. Genova tende allora alla Sardegna: il che fu causa dei primi contatti e delle prime rivalità con Pisa.

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Pisa. - Pisa era celebre per i suoi commerci fin dal tempo di Roma. Seguite le sorti delle varie dominazioni barbariche, ottenne poi, come Genova, franchig ie municipali. La città crebbe allora in potenza, si costruì una flotta il cui aiuto era ricercato dagli imperatori occidentali e che faceva sentire la propria infuenza fin sulle coste della Calabria e della Sicilia. Il pericolo Saraceno indusse Genova e Pisa ad una alleanza per cacciare i Saraceni dalla Sardegna: il risultato fu ottenuto e nel 1050 !' ·isola fu divisa fra le due città.

Le rep ubbliche marinare, le crociate e il predo minio ita liano sul Medi ter raneo. - È questa dunque l'origine delle repubbliche marinare italiane. Esse e precisamente, Venezia, Pisa e Genova avevano già acquistato potenza e splendore prima delle crociate: dalle crociate le repubbliche seppero trarre vantaggi grandissimi. Senza cercare in levante possedimenti territoriali, le nostre repubbliche acquistarono tali possedimenti e privilegi da rendersi arbitre della potenza marittima commerciale e militare del Mediterraneo.

Già prima delle crociate Venezia possedeva in Costantinopoli e in molte terre dell' impero bizantino interi quartieri acquistati con regolari trattati in seguito a servizi resi all' impero contro Saraceni e Normanni.

In seguito alle crociate Venezia sviluppò queste prerogative e ne ottenne delle nuove; Genova e Pisa, anch' esse ottennero parecchi di questi privilegi.

Pisa ebbe franchigie, diritti e possessi a Giaffa e a Tiro.

Genova ne ottenne a Giaffa, Gerusalemme, Tripoli e in altre località.

Venezia ottenne un intero quartiere in ogni città del regno di Gerusalemme, e in numerosissime altre località dell'Asia Minore.

Dal complesso delle crociate, tutte le repubbliche marinare italiane, trassero enormi vantaggi. « Non v'era costiera di leva nte nel Mediterraneo, nell' arcipelago della Grecia, nel mar di Marmara, nel Mar Nero, ove non approdassero navi veneziane, genovesi e pisane, non fiorissero empori co m merciali, non sorgesse un quartiere proprio, e una colonia governata da un magistrato nazionale non rammentasse la patria lontana. La caduta del regno cristiano di Gerusalemme non recò alle nostre repubbliche grave danno. perchè seppero ottenere dai sultani patti favorevoli al loro traffico. »

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Ma cessato l'intento unico che unisce gli sforzi delle tre repubbliche, finito cioè il periodo delle crociate, Venezia, Genova e Pisa cominciarono a guerreggiarsi fra loro.

La lotta tra le repubbiiche marinare italiane. - Nel 1257 per gelosia di traffici scoppia la guerra tra Venezia e Genova: dopo alterne vicende, Lamba Doria, comandante della flotta geno· se presso Curzola ( 1298) la flotta veneziana guidata da Andre·a Dandolo.

Contemporaneamente scoppiàva la guerra tra Genova . e Pisa, provocata dalla rivalità d'interessi in Sardegna. Alla Meloria (1284) i Pisani sono gravemente battuti.

Lotte inteme. - Cessate queste lotte fratricide le tre repubbliche furono agitate dà disordini interni.

Venezia era dominata dalla nobiltà che decisamente si opponeva a qualsiasi tentativo di governo personale. La nobiltà, costi· fuita dalle famiglie più influenti per ricchezza o per discendenza, tendeva a restringere l'autorità del Doge e ad escludere i popolani da ogni partecipazione al potere.

Era sorto così il Consiglio dei Pregadi che poco per volta era diventato il vero potere esecutivo della repubblica, limitando I' autorità del Doge. Per sottrarre poi l' elezione del Doge all' aspopolare, e limitare quindi la potenza del popolo, fu costituito il Maggior Consiglio incaricato appunto della nomina del Doge. Dapprima anche i rappresentanti del popolo potevano far parte del Maggior Consiglio, poi nel 1297 con l'atto conosciuto sotto ·il nome di Serrata del Maggior Consiglio furono determinati appositi requisiti per poter far parte del Consiglio stesso. Con questi requisiti il popolo veniva escluso dall'assemblea: il governo era quindi di fatto in mano ai nobili. Scoppiarono rivolte contro la nobiltà: notevole quella del 1310 di Baiamonte Tiepolo, ma tutte fallirono. Anzi fu decretata la istituzione di un tribunale straordinario, detto Consiglio dei Dieci, divenuto poi permanente e che aveva il compito di sorvegliare la condotta politica di tutti i cittadini.

Venezia era quindi una vera e propria repubblica aristocratica.

A Pisa il capitano del Popolo, conte Ugolino della Gherardesca tentava di instaurar,e un governo popolare; ma nel 1288 una rivolta popolare provocata dall' arcivescovo Ruggieri liberò Pisa dal tiranno che, chiuso in prigione con i suoi due figliuoli, vi fu lasciato morir di fame.

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A Oenova la lo tt a divampò fra le fa miglie della nobiltà e fra questa e il popolo. In complesso però la nobiltà genovese governando co n una certa moderazione, assicurò a ll a repubblica un gove rn o stabile e duraturo.

Cond izion i dell e re pubbliche all ' ini zio del 1300. - Arriviamo così all'i nizio del 1300; in questo momento le condizioni delle repubbliche marinare itali ane erano le seguenti :

- Oenova, fiera delle vittorie riportate, ricca di colonie, con svilupatissimi com merci in oriente, è, in questo momento, la più potente de ll e repubbliche marinare italiane;

- Venezia, consolidati i propri ordinamenti interni espandeva lentamente la propria potenza commerciale e riacquistava il predominio militare;

- Pisa, rovinata dalla disfatta militare e dalle lotte interne, ha perduto gran parte della propria potenza e dei propri commerci. Schiettamente ghibellina è in lotta con firenze, rocca dei guelfi

Per quanto il presente volume arrivi solamente fino a la storia moderna, ritengo conveniente per il lettore dare quì di seguito un breve cenno delle sorti delle repubbliche di Pisa, Genova e Venezia dal 1300 alla loro caduta.

La repubblica di Pisa dal 1300 alla sua caduta (1406 ).Pisa non doveva più sollevarsi dopo la sconfitta inflittalc da Genova alla Mel oria ( 1284 ). Tutta presa nella lotta contro firenze, presto decadde. Perduta la Corsica e la Sardegna, abbandonati i commerci, logorata dalle guerre tra guelfi e ghibellini, Pisa viene venduta nel 1400 da Gherardo, signore della città, al Duca di Milano per 200.000 fior ini. Ma i Pisani cacciano il Visconti che rivende Pisa a firenze. Questo nuovo mercato suscita lo sdegno popolare: Pisa resiste lungamente e gloriosamente ai fiorentini e non capitola se non per fame dopo aver consumato • persino l'erba delle vie -.. Nel 1406 Pisa diventa così città suddita di firenze sua antica e odiata rivale.

La repubblica di Genova dal 1300 alla sua caduta (1797 ). - Genova per tutto il 1300 fu nuovamente dilaniata da lotte intestine tra il popolo e la nobiltà. Preva]se prima il popolo, poi le lotte interne tacquero per la guerra contro Venezia, guerra infelicemente terminata per i genovesi con la resa di Chioggia ( 1380).

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Da allora le discordie interne ripresero violente, Genova invocò l'aiuto straniero dandosi successivamente ai re d i francia o ai principi o signo r i italiani quali il marchese del Monferrato i Visconti o gli Sforza.

c Cosi la ricca e forte Liguria usciva dal Medio Evo dipendente dal ducato di Milano ( 1478); e la grande repubblica marittima all' aprirsi dell' era moderna era priva dei suoi migliori possessi coloniali, onde aveva ne' secoli precedenti attinto l' impulso ai commerci e la prosperità economica. » ( Rinaudo ).

Quando poi nel 1500, Luigi XII re di francia conquistò il Milanese, anche Genova passò sotto il dominio dei re di francia. Ma nel 1528, Andrea Doria, ammiraglio genovese al servizio di francesco l passa agli ordini di Carlo V che in quel momento trionfava per la seconda volta su francesco l. Ad Andrea Doria venne profferta la signoria di Genova, ma l'ammiraglio si contentò di mutarne la costituzione e di essere il primo e più potente cittadino della nuova e libera repubblica di Genova.

Da allora Genova seguì costantemente la politica spagnuola.

Dalla metà del 1500 alla fine del 1600, la repubblica deve fronteggiare:

- una grave rivolta della Corsica;

- feroci lotte interne tra le famiglie più influenti;

- le pretese di Casa Savoia che, già padrona di Nizza e di Oneglia, mirava con avidità sempre maggiore al possesso di Genova; ma i tentativi fatti da Carlo Emanuele l ( 1625) e da Carlo Emanuele Il ( 1672) fallirono completamente.

Infine, Genova indebolita e inetta a difendere la propria indipendenza subisce umilianti condizioni imposte da Luigi XIV e nel 1768 cede la Corsica ai francesi. La repubblica di Genova andava quindi rapidamente decadendo. Priva di energia per attuare le riforme che ormai s' imponevano ad ogni stato, in seguito allo scoppio della rivoluzione francese, Genova, come Venezia, credette di potersi salvare con la neutralità disarmata: divenne così lo zimbello di tutti. Austro, piemontesi e francesi invadono il lerrilorio della repubblica (campagne dal t 794 al 1796) e nel 1797 i francesi, abolito l'antico governo aristocratico di Genova, riordinavano lo stato alla francese con il nome di repubblica ligure.

La repubblica di Venezia dal 1300 alla sua caduta ( 1797 ).

- Il secolo XIV segna il definitivo trionfo di Venezia. Due furono i fatti che condussero a questo predominio:

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- la f otta contro Genova e la vittoria finale dei Veneziani;

- la nuova politica di terraferma, inaugurata da Venezia, politica che spinge la repubblica ad estendere il proprio dominio non solamente sul mare ma anche in terraferma, ad intervenire quindi nelle lotte fra gli stati italiani, riuscendo, con i successi ottenuti, ad esercita re notevolissima ingerenza sulla penisola italiana .

Diamo un brevissimo cenno di quei principalissimi avvenimenti che furono la logica conseguenza dei fatti sopra indicati.

Soprafatta a Chioggia la rivale repubblica genovese, che da questo momento inizia la propria decadenza, Venezia si volge attivamente a sviluppare la politica di terrafermà: approfittando dello stato nel quale si trovava Milano alla morte di Gian Galeazzo Visconti ( 1402) Venezia si fece cedere il Veronese; occupò poi Padova e il friuli portando i confini dello stato fino alle Alpi Giulie. Nel 1426 mossa· poi guerra a Milano acquistò l'alta Lombardia sino all'Adda e la bassa Lombardia sino all' Oglio, divenendo così uno dei più potenti stati territoriali d'Italia. fu questa l' opera maggiore del grande Doge francesco Foscari.

Intanto l' invasione turca minacciava gravemente gli interessi di Venezia in Oriente; numero si possess i furono perduti, ma in compenso fu acquistata Cipro.

Vinta una nuova guerra in Italia contro il Duca di ferrara, Venezia era ormai cosi potente da suscitare timori in Italia. Lo stesso papa Sisto IV riunì una lega contro Venezia: Venezia tenne testa a tutti e riuscì a conservare quasi tutti gli acquisti fatti ( 1484).

L'inizio del 1500 trova Venezia impegnata in una grave lotta. • Papa Giulio Il per riacquistare alcune terre di Romagna prese da Venezia, stringe in lega contro la repubblica i più potenti prinèipi ' d' Europa: Luigi Xli re di francia; Massimiliano d'A ustria; ferdinando il Cattolico re di Napoli; è questa la lega di Cambrai ( 1508 ). Venezia è battuta in ter raferma, ma presto le discordie degli alleati la liberarono dal pericolo.

Pochi anni dopo ( 1513) Venezia, alleata di Luigi Xli re di F ra ncia, è in lotta contro una nuova coalizione formata dal papa, da Massimiliano d'Austria, dal re d'Inghilterra, dal re di Spagna e dalla Svizzera. La morte di Luigi Xli tronca la guerra.

Venezia, sempre potente su l mare, era ormai anche una po· tenza terrestre di primo ordine.

Ricca, forte, potente, Venezia, nella seconda metà del sec. XV I « era la più splendida e meravigliosa città dell'Europa

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Ma in questo momen to un grave pericolo sovrasta Venezia: i Turchi. Aiutata dal papa e da filippo Il Venezia ottiene, con la flotta alleata la grande vittoria di Lepanto (7 ottobre 1571 ). Grandi furono le ripercussioni della vittoria, ma Venezia per conservare i suoi privilegi commerciali in oriente dovette cedere Ci pro ai Turchi e pagare una forte indennità di guerra.

Dal 1614 - al 1626 Venezia, alleandosi con la Francia e con la casa di Savoia, seppe tener testa alle pretese dì casa d' Austria, riuscendo così ad impedire la congiunzione di territorio fra le due case austriache, d' e d' Italia.

Nel Venezia deve riprendere le armi contro i Turchi che assediavano Candia difesa dal Morosini. Venezia non uscì vittoriosa da questa guerra, ma con onore .

Nel 1685 Venezia è alleata dell'impero austriaco per una nuova guerra contro i turchi. La flotta veneziana per OJ:lera di Francesco Morosini e dei suoi successori, ottiene not evoli successi, mentre per terra, le forze imperiali condotte dal principe Eugenio di Savoia, riportavano sul Danubio splendide vittorie.

In seguito Venezia fu lasciata in pace dai Turchi, il che costituì forse un danno per la repubblica « impe rocchè la ·repubblica si divezzò dalle armi e dai vigorosi propositi, cercò la quiete e il buon vivere nella costante neutralità, come se questa bastasse a proteggere i deboli nei gran di turbamenti sociali, e comprò quasi sempre dai turchi con tributi e doni la libertà di commercio nel Mediterraneo. • ( Rinaudo ). In questa inerzia, Venezia passa tutto il 1700.

Trascurate le forze di terra e di mare, dedita ormai esclusivamente ai divertimenti e alle mode esagerate e strane, Venezia non sente neanche il soffio violento ma vivificatore della rivoluzione francese. Incapace a schierarsi dall' una o dall'altra parte delle for ze rivoluzionarie o reazionarie, nelle lotte condotte dalla repubblica francese in Italia, Venezia parteggia ora per la francia e ora per l'Austria, fino a che Napoleone, col trattato di Campoformio ( 1797) abbatte la repubblica e la cede all' Austria.

Cause che portarono alla costituzione delle Signorie e dei Principati. - Il processo di trasformazione per il quale erano sorti i Comuni e al quale abbiamo accennato parlando del sorgere di essi, continuò sotto i Comuni stessi e lentamente portò alla costituzi one delle Signorie o dei Principati, da cu i derivarono poi i regni e le nazioni moderne.

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I Comuni, non più riuniti tra di loro dalla lotta contro il comune nemico, cominciawno a guer reggiarsi fra di loro; non solo, ma in ogni Comune si può dire, divampò la lotta fra le varie classi sociali.

Comincia così la decadenza dei Comuni, decadenza dovuta essenzialmente a due cause: cause di· carattere sociale, cause di carattere politico.

Cause di carattere sociale. - Assicurata 1' esistenza del Comune con le vittorie sull' Impero, la nobiltà tentò riprendere gli antichi privilegi e tentò dominare completamente la parte popolare. Ma, tra la parte popolare, si era ormai formata una classe speciale, la borghesia, diventata potente per le ricchezze accumulate con i commerci e con le industrie, per la parte avuta nelle milizie · nella lotta contro 1' impero, per il concorso dato al governo del Comune nel momento in cui le libertà comunali erano in pericolo. E questa classe non volle naturalmente riconoscere 1' autorità della nobiltà . Di qui lotte feroci, danni gravissimi, torbidi continui che segnarono la completa disfatta della nobiltà e dei rimanenti ordinamenti feudali e il trionfo della borghesia. Ma questa era anch' essa agitata da cri si e da lotte interne: essa era divisa in arti maggiori e arti minori a seconda dell' importanza e del lucro dell' arte stessa. La nobiltà, vinta e irritata, ma pur sempre potente d' armi e di ricchezza s i collega allora con la parte più misera degli artigiani: si allea cioè con la plebe contro la borghesia. Questa alleanza toglie il governo alla borghesia; la plebe acclama signore un qualche n obile potente il quale domina così ad un tempo nobiltà, borghesia e plebe: ecco formata la Signoria.

Cause dì carattere politico. - A queste lotte sociali s' intrecciavano lotte politiche. La lotta tra il Papato e l'impero aveva le sue ripercussioni in ogni città d'Italia, ove la gran massa dei cittadini era divisa nei due grandi partiti dei guelfi e dei ghibellini. La nobiltà, per le origini, i costumi feudali, e i sentimenti, parteg· giava in genere per l' Impero; così la borghesia per opposizione si fece guelfa. Sia guelfi che ghibellini tendevano, si può dire, all'unità d' Italia, ma con criter"i diametralmente opposti tra di loro:

- i guelfi, parteggiando pet il Papa e le libertà comunali, tendevano a sottrarre l' Italia dalla soggezione dell'imperatore, a liberare cioè il paese dallo straniero;

i ghibellini, difensori del sistema feudale, n em ici del Papa e delle libertà comunali, volevano la riunione di tutta Italia sotto

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un governo unico e forte che avrebbe dato vigore alla nazione smembrata allora in tanti piccoli stati.

Ma questi lontani intenti furono perdutj di vista nello sminuzzarsi della lotta tra le varie fazion i non d' altro preoccupate che di soverchiarsi l' un l'altra. Ciascun partito per opprimere l'altro invocò le armi straniere, i ghibellin i chiamarono i tedeschi, i guelfi frances i.

Conseguenza di questo stato di cose fu:

- enorme rovina economica di ogni città; abbattimento morale; avversione agli ordini comunali e alla libertà, ritenuti causa di tutte le discordie; tendenza ad una qualsiasi stabilità e tranquillità di governo anche se data da un tiranno, signore o principe;

- abbandono della miHzia da parte dei cittadini e quindi assoldamento di mercenari; le autorità municipali, podestà e capitani del popolo, vengono scelti tra coloro che dispongono di una banda armata che viene adoperata da questi capi per le loro segrete mire personali, il che porta alla affermazione e stabilizzazione di vere e proprie tirannie: signorie e principati. Il potere così usurpato viene poi legittimato con l' investitura che questi nuovi padroni ricevono di vicari imperiali o pontificì, a seconda che il signore è ghibellino o guelfo.

Le principali signone an Italia. - Ducato di Ferrara, Modena e Reggio. - Nel 1208, ferrara, stanca delle lotte e del continuo disordine elegge proprio principe, il marchese d' Este. Nel 1289 il Comune di Modena si dà in signoria a Obizzo d' Este, signore di ferrara e si forma così lo stato di ferrara Modena e Reggio eretto in ducato nel 1452. Brescia, Verona e Padova. - Ezzelino 111 da Romano prima podestà e poi tiranno atrocissimo, aveva esteso il proprio dominio su Padova, Verona, Vicenza, Treviso, Belluno e Brescia. Vinto ed ucciso Ezzelino nel 1259 al ponte di Cassano dai milanesi guidati da Martino della Torre, le varie città già sottoposte al suo dominio si eleggono signori propri:

- Verona nomina prima podestà e poi signore Massimo della Scala, condottiero e castellano sotto Ezzelino; ha inizio così la potenza degli Scaligeri ;

- Brescia passa sotto la signoria di Uberto Pelavicino, signore di Cremona, antico alleato di Ezzelino;

-a Padova signoreggiano i Carraresi.

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Alla fine del sec. XIV queste varie Signorie vengono spossessate dai Visconti di Milano e dai veneziani.

Milano elegge nel 1240, capitano e difensore del popolo, Pagano della Torre, signore guelfo; a lui Martino della Torre, il vincitore di Ezzelino. Nel 1263 alla morte di Martino, suo fratello, filippo, viene nominato Signore di Milano. Ma nel 1277 Ottone Visconti, arcivescovo di Milano, ma difensore dell' impero, scaccia i Torriani e si fa nominare Signore. Suo nipote, Matteo Visconti, ottenuto nel 1311 il titolo di vicario imperiale da Enrico VII assodò la signoria dei Visconti. Nel 1330, il consiglio generale dellà città nomina i Visconti signori perpetui di Milano.

Con il valore, l' ingegno, la fortuna e i delitti, i Visconti riuscirono ad estendere la loro dominazione su tutta Lombardia e anèhe in altre parti d' Italia; nel 1395 Gian Galeazzo Visconti viene, dall' imperatore, insignito della corona ducale.

Nel 1447, con filippo Maria , morto senza figliuoli, si spegneva la dinastia dei Visconti. Milano, dopo un breve periodo di governo repubblicano, passa sotto la signoria di francesco Sforza, marito di una figlia naturale di filippo Maria Visconti. Dagli Sforza, Milano passa, dopo varie vicende, sotto il dominio di Carlo V prima e poi della Spagna ( 1535 ).

La Casa di Savoia. - Il conte Umberto Biancamano, signore, all'inizio del 1100, di Aosta e di Savoia, fu, come è noto, il capostipite di Casa Savoia. Con l' eredità di Adelaide, contessa di Torino ( 1091 ), Casa Savoia allargò subito i propri possessi verso l' Italia. Il sorgere e il costituirsi a Comune di varie città del Piemonte fermò, per un certo tempo, i progressi di Casa Savoia.

Nel 1285, questa casa si divise nei due rami di Savoia e di Acaia , con due signorie distinte: la Savoia e il Piemonte.

Nel sec. XIV la potenza delle due signorie fa rapidi progressi sia per dedizioni più o meno spontanee dei Comuni, sia per concessioni fatte dagli imperatori, sia pe r acquisti fatti sui marchesati di Saluzzo e del Monferrato.

Alternando guerre ed alleanze, ottennero quest' ingrandimento Amedeo IV ( 1233- 1253) che riunì alla signoria del Piemonte Tori n o e il Canavese; Amedeo V I (1343- 1383) detto il Conte Verde che acquistò Chieri, Cherasco, Cuneo, Ivrea per via di dedizioni; Amedeo VII suo figlio ( 1383-1391) detto il Conte Rosso che ottenne la signoria di Nizza. Infine Amedeo VIli ( 1391-1451) riunì le due case e i due domini (1418) e ottenne Vercelli. r con-

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fini dello stato andavano così dal lago di Ginevra, alla Sesia, al mar Ligure; nel 1416 Amedeo VIli ottenne dall' impèratore Sigismondo il titolo di Duca.

Firellze. - In mezzo alle lotte che imperversavano ovunque, firenze si era mantenuta relativamente tranquilla, dedicandosi alla industria della lana e della seta, al commercio terrestre, e al commercio del danaro: famose furono le banche stabilite dai mercanti fiorentini in tutta Europa.

All'inizio del 1200 però anche firenze comincia ad essere tormentata dalle lotte fra guelfi e ghibellini : guelfa la borghesia ricchissima, ghibellina la nobiltà . Preponderò la parte guelfa e firenze divenne la rocca forte del guelfismo, riuscendo a sottomettere quasi tutta la Toscana meno Siena e Lucca.

Presto però scoppiarono lotte interne tra gli stessi guelfi, cioè tra la borghesia e la plebe. Nel secolo XIV troviamo così Firenze in preda a lotte continue, ora in piena e disordinata libertà, ora dominata da Roberto re di Napoli (nel 1312 e nel 1325) ora tiranneggiata dal Duca di Atene ( 1341-43 ), ora in preda della plebe (i Ciompi : 1378-1381 ).

All' inizio del sec. XV la famiglia de ' Medici accattivatasi con le enormi ricchezze l'appoggio della plebe e della bassa borghesia, cominciò lentamente e modestamente all' inizio, a prevalere: è questa l'opera di Cosim o de' Medici, il vecchio, Padre della patria ( 1434-1464); il figlio suo Piero de' Medici ( 1464-69) affermò più apertamente la nuova signoria ed infine Lorenzo, figliuolo di Piero, con l'ingegno, con l'arte politica e con la magnificenza regale, fondò la potenza della propria casa, meritandosi il titolo di Magnifico ( 1469-1492).

La venuta di Carlo Vflf in Italia ebbe come conseguenza la cacciata dei Medici da firenze; ma gli intrighi dei papi Leone X e Clemente VII entrambi di casa Medici, e le armi di Carlo V, abbatterono per sempre nel 1530 la repubblica fiorentina, ristabilendo la sig nor ia di Alessandro de' Medici, al quale nel 1537 successe Cosimo, primo Granduca di Toscana.

Napoli e Sicilia. - Nella prima metà del sec. Xl, i Normanni, valendosi delle discordie che si verificavano tra i diversi Stati (repubbliche marinare di Napoli, Gaeta, Amalfi; i principati di Capua, Benevento e Salerno) fra i quali era divisa l' Italia meridionale, fra questi e l'impero bizantino, fra gli Stati stessi, l' impero bizantino e i Saraceni, si erano formati una Signo ria che nel

M. VALLETTI· BORGNI:-11, Stort'a Politico-militare ecc. - Vol. l.
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1053 venne legittimata da papa Leone IX che creò il normanno Umfredo, Duca delle Puglie. Più tardi Roberto il Ouiscardo e Ruggero ing randirono la signoria normanna con l' acquisto della Sicilia. Infine Ruggero Il con la sottomissione di Napoli e di Amalfi e dei principi di Salerno e di Capua, costituì il regno di Napoli e Sicilia.

Il nuovo regno raggiunse presto un alto grado di prosperità e di coltura, e nel 1189, estintasi la discendenza diretta dei principi Normanni, passò per eredità di Costanza, figliuola di Ruggero e moglie dell' imperatore Enrico VI, alla casa degli Hohenstaufen. Napoli e la Sicilia diventarono così proprietà diretta degli imperatori Enrico VI, Federico Il e Corrado IV 1 1189-1254 ).

Alla morte di Corrado, Manfredi, figlio illegittimo di Federico Il si proclamò re di Napoli e Sicilia. Papa Clemente IV timoroso della potenza che andava acquistando il nuovo regno dell'Italia meridionale, chiamò contro Manfredi, Carlo d'Angiò.

Nel 1265 Manfredi è vinto ed ucciso nella battaglia di Benevento, da Carlo d' Angiò, il quale, vinto anche il tentativo di riscossa fatto da Corradino, ultimo erede degli Hohenstaufen, si impadronì del regno di Napoli e Sicilia.

Ma con i Vespri Siciliani del 1282, la Sicilia si sottrasse a gli Angioini e fu data a Pietro re d' Aragona.

Napoli sòtto gli Angioini, la Sicilia sotto gli Aragonesi furono così avversarie in una lunga serie di lotte; finchè nel 1442, Alfonso re d'Aragona ritmi nuovamente in un nuovo regno Napoli e la Sicilia. Nel 1458, morto Alfonso, la Sicilia e la Sardegna passarono a Giovanni, primogenito di Alfonso; Napoli passò a Ferdinando, figlio naturale di Alfonso stesso .

Nella controversia fra questi due rami aragonesi, s'intromise poi Ferdinando il Cattolico, re di Spagna che nel 1504 conquistò con le armi i due regni che furono così annessi al regno di Spagna sotto ferdinando prima, e Carlo V poi.

Signorie minori. - Oltre a queste maggiori e più potenti signorie e principati, altre signorie minori s i affermavano intanto in Italia: come i Marchesi di Saluzzo, di Monferrato, i Conti di Biandrate n ell'alto bacino del Po; i marchesi Malaspina nella Lunigiana; i Bentivoglio a Bologna; i Malatesta a Rimini; i signori da Polenta a Ravenna; i ,Baglioni a Perugia.

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Il sorgere delle grandi monarchie io Europa. - In Italia dunque, la lenta trasformazione dei Comuni, faceva sorgere potenti signorie e principati.

Mentre questa trasformazione si veniva operando in Italia, in tutto il resto d'Europa, una trasformazione simile si operava nei Comuni, aggrandendo e rassodando le monarchie già esistenti e costituendo così presso a poco, i grandi Stati europei cosl quali essi giunsero fino a noi.

Vediamo, schematicamente, le principali vicende degli stati più notevoli.

Francia. - Il regno di Carlo Magno si era definitivamante smembrato nei tre regni di francia, Germania, Italia.

luigi V, ultimo re dei Carolingi, lasciò morendo (986) il regno a Ugo Capeto, duca di francia (cioè del paese attorno a Parigi) . Questi, per tenere a bada i signori feudali che mal tolleravano la di lui autorità, favorì lo sviluppo dei Comuni, concedendo loro le più ampie libertà civili e amministrative. Si inizia così quella che sarà in seguito la politica tradizionale dei re di francia : sollevare l . . cioè la borghesia contro i nobili. ammise i t(AM/:t f/

deputati dei Comuni insieme con i nobili e col clerO negli Stati 14 3-!)

Generali, assemblea generale di tutto il regno.

L' unione della Monarchia con i Comuni tenne infatti in rispetto •la nobiltà; le guerre più che secolari ( 1337- 1452) tra francia e In ghilter ra, fusero la monarchia, la nobiltà e i Comuni di fronte al comune pericolo e formarono così veramente una coscienza nazionale francese.

Scomparso il pericolo esterno rappresentato dagli inglesi; abbattute le ultime velleità dei nobili con la rovina del più potente dei vassalli, Carlo il Temerario Duca di Borgogna; ben sorretta dai Comuni, la monarchia francese si presenta all' inizio dell' evo moderno come uno stato unito, compatto e forte.

Spagna e Portogallo. - NeHa penisola iberica i Comuni di· ventarono, poco per volta, la forza più grande dei diversi Stati che vi si formarono, e costituirono il mezzo più potente per combattere gli arabi e tenere a freno la nobiltà.

Nel 1383 il Portogallo si costituisce in Stato indipendente e inizia la serie delle sue imprese marittime.

Nella Spagna, i vari regni di Leon, Castiglia, Aragona, Navarra, si ridussero poi a due soli: quello di Castiglia e quello d'Aragona.

Nel 1479 il matrimonio di ferdinando il Cattolico re d'Aragona,

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con Isabella di Castiglia riunì finalmente tutta la Spagna che nel 1492 con la definitiva cacciata dei mori da Granata, compì la propria unità territori ale.

Inghilterra. - La potenza dei Comuni inglesi fu favorita dalla lotta contro la Francia, nelle quali le milizie comunali - gli arcieri inglesi dei quali abbiamo già parlato - si affermarono potentemente. E dato l'accordo tra Monarchie e Comuni, ciò costituì in sostanza un nuovo elemento di potenza per la monarchia. Le lotte intestine (guerra delle due rose, tra la casa di Yorck e la casa di Lancaster: 1454 - 1485) servirono in sostanza a debellare la potenza della nobiltà, fatto questo che segnò un altro elemento di forza per la monarchia.

L'Inghilterra, accresciuta fin dal 1171 dall'Irlanda, ci si presenta quindi all' inizio dell' evo moderno, sotto Enrico VII della casa di Tudor, come una forte monarchia non assoluta, dati i sistemi parlamentari dei quali già abbiamo discorso, ma forte per la incontrastata supremazia che esercitava sulla nobiltà e sui Comuni.

II matrimonio di una figliuola di Enrico VII con Giacomo IV Stuart, re di Scozia, prelude all' annessione di questo regno all' Inghilterra e quindi alla attuale costituzione del Regno della Gran Brettagna.

Germania. - Le provincie germaniche passarono successivamente dai Carolingi alle case tedesche di Sassonia, di Franconia e poi degli Hohenstaufen e da ultimo alla Casa d'Austria. Ma l'organizzazione statale non fu mai quella di una vera monarchia, bensì un sistema federativo composto di un gran numero di Stati reggentisi parte a monarchia, parte a repubblica. Così la Germania ci si presenta all' inizio dell' evo moderno, e questo sistema federativo, sebbene con forme di governo modificate, vige tutt' ora in Germania.

Altri Stati europei venivano intanto formandosi, quali la Russia, l' Ungheria, la Polonia, la Danimarca, ma Svezia e la Norvegia: di essi, come di altri met:to importanti, diremo nel prossimo capitolo parlando della situazione politica dell'Europa alla fine del Medio Evo.

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Cenni generali sulla situazione politica dell' Europa alla fine del Medio Evo. - Origine dell' arte militare moderna.

Italia. - Abbiamo già accennato alle condizioni generali nelle quali si trovava l'Italia alla fine del sec. XV, in complesso possiamo dire che nel 1492 L' Italia era così divisa:

- ducato di Savoia, marchesato di Saluzzo, marchesato di Monferrato, ducato di Milano, marchesato di Mantova, ducato di Ferrara i

- le repubbliche marittime di Venezia e di Genova, quest' ultima però sotto l'alta signoria del duca di Milano i

- le repubbliche toscane di Firenze sotto la signoria dei Medici, di Lucca e di Siena;

- lo stato pontificio infestato però da molti signorotti che tendevano alla indipendenza i il regno di Napoli sotto la casa illegittima d'Aragona i

- la Sicilia e la Sardegna dipendenti dal regno di Spagna.

/ l principali Stati dell' Europa occidentale. - Nel resto dell' Europa abbiamo visto affermarsi il regno di Francia, quello di Spagna e quello d' Inghilterra e l' impero austro- germanico. Altri Stati min ori ma importantissimi erano:

- i tre regni di Danimarca, Svezia e Norvegia, ciascuno con monarchia elettiva e assemblea costituzionale composta dei tre stati: popolo, clero e nobiltà i

- la Confederazione Svizzera, iniziatasi nel 1307 con la ribellione dei tre cantoni di Url, Schwitz e Unterwald a gli arciduchi d'Austria dai quali dipendevano ( 1314: vittoria degli svizzeri a Morgarten ). A questi cantoni, durante il sec. XIV, se ne aggiunsero successivamente degli altri. Raggiunta una salda organizzazione militare, e affermatasi potentemente la loro fanteria, gl i Svizzeri, battuti ancora una volta gl i austriaci nella gloriosa battaglia di Sempach ( 13 86) costituirono definitivamente la nuova confederazione. Questa si accrebbe nel sec. XV di nuovi cantoni, assicurò ancora la propria indipenden za contro la bramosia di Carlo il Teme rario, duca di Borgogna, che fu gravemente battuto a Orandson e Morat (1476), e contro l'imperatore Massi miliano (1499), finchè fu da questi riconosciuta e confermata nel 1501.

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Se questa dunque era la situazione complessiva dell ' Europa occidentale, vediamo ora quali fossero le condizioni dell' Europa orientale, dove predominavano i Turchi, la Russia, l' Ungheria e la Polonia.

l principali Stati dell ' Europa orientale. - I Turchi. - Fin dal sec. Xl una schiera di guerrieri selgiucidi, provenienti dalla bass ura del Caspio, si era impadronita dell' Asia Minore e aveva imposto la religione maomettana agli abitanti. L' impero che così era sorto cadde sotto l' urto dei Mongoli e si divise in dieci emirati: uno di questi emirati fu quello dei Turchi Osmanli.

Murad l ( 1359-1389) dopo aver curata una salda organizzazione militare (risale a quest' epoca l' istituzione dei giannizzeri) del proprio stato, passò in Europa, conquistò Adrianopoli facen· dosene la propria capitale. Le popolazioni cristiane della penisola balcanica tentarono allora fermare la nuova, pericolosa invasione . Luigi re d' Ungheria, i principi della Serbia e della Bosnia, lo c zar della Bulgaria e il voivoda della Valacchia affrontarono i turchi, ma furono sconfitti ( 1371 ).

Tutto il paese fino all'Adriatico, fu aperto ai Turchi: l' imperatore di Costantinopoli fu ridotto alle condizioni di vassallo. Una crociata di francesi e ungheresi, guidata dall'imperatore Sigismondo, fu battuta sotto le mura di Nicopoli ( 1396); Costantinopoli sembrava così sicura preda dei turchi qundo una invasione di Mongoli, condotta da Tamerlano, prese i turchi alle spalle in Asia Minore. I turchi furono battuti ad Angora ( 1405) e il loro predominio sembrò rapidamente decadere.

Presto però risorse, in merito essenzialmente delle salde istituzioni militari che erano la base dell' ordinamento sociale dei Turchi: solamente 30 anni dopo la battaglia di Angora i turchi dominavano nuovamente l' intera penisola balcanica e avevano reso tributario lo stesso imperatore d'oriente. A Kossovo fu spezzata l'ultima resistenza degli Slavi del mezzogiorno.

Nell'aprile del 1453 Maometto Il assedia Costantinopoli: il 29 maggio i turchi entrarono nella città assediata e la saccheggiarono.

Padroni di Costantinopoli, i turchi spinsero le loro scorrerie in Croazia, nella Slavonia, nella Carinzia, nella Stiria, nella Carniola, si affacciarono alle Alpi Giulie e toccarono il Tagliamento; un esercito turco sbarcava ad Otranto ( 1480 ). Le resistenze più

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forti i turchi le trovarono n ella flotta veneta, nella fortezza di Belgrado e a Rodi, rimasta all'Ordine dei cavalieri di Gerusalemme. Forzati però anche questi baluardi, i turchi furono liberi di correre 11 Mediterraneo e penetrare in Ungheria: ciò avvenne s ul principio del xvr secolo.

La Russia. -H territorio russo era sottoposto alla dipendenza dei Tartari. Numerosi principati però vi prosperavano; tra essi quello di Mosca esercitò maggiore influenza su gli altri e per primo tentò libe rars i dalla dominazione tartara. Quando poi nel 1447, Costantinopoli stava per cedere alle lusinghe del Concilio di Firenze e per riunirsi alla chiesa di Roma onde averne aiuto contro i turchi, il metropolita di Mosca fu proclamato primate della chiesa ortodossa russa, e la Russia ebbe cosi una chiesa propria, nazionale, indipendente.

Nel 1480 i granduchi di Moscovia si liberarono dalla soggezione dei Tartari e cominciò allora a svolgersi lentamente la storia dell' fmpero russo.

Ungheria. - fl regno d' Ungheria era una monarchia ereditaria nella quale era potentissima la nobiltà. Passato dai re della stirpe di Arpad a quella degli Angiò di Napoli, divenne in seguito regno e lettivo. Agguerritosi nelle guerre contro i Turchi fu portato a grande altezza dall' Unniade Mattia Corvino ( 1458-1490).

Polonia. - All'inizio del sec. XIV, Vladislao r, uno dei principi polacchi, riuniti molti principati fra i quali era divisa la Polonia, adunava in Cracovia l'assemblea generale della Polonia. Da questo momento si inizia la grandezza del regno, favorita dalla importanza che avevano le sue città poste sulle grandi vie commerciali tra l' Europa e l'Asia, tra il Baltico e il Mar Nero, e dalla tradizione latina che si faceva strada in Polonia quale mezzo di coltura intellettuale. Tra la fine del 1300 e I' inizio del 1400, i re polacchi si convertirono al cattolicismo e da allora la Polon ia soste nne lotte fierissime contro i turchi.

Nella seconda metà del sec. XV il reg no di Polonia toccava l' apogeo della propria grandezza; i Boemi dettero al re di Polonia la coro na ceca ( 1471); i Magiari, minacciati dai turchi, gli offrirono quella di S. Stefano ( 1490 ). Stabilita sulla Vistola, la Polonia esescitava la sua influenza dall'Adriatico al Dniester e dal Baltico al Mar Nero; sentinella del cattolicismo, dominava insomma tutta l' Europa orie ntale .

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Caratteri de ll ' eià medioevale. - Il Medio Evo presenta caratteri ben marcati in tutti i campi dell ' attività umana: cioè nel campo religioso, nel campo politico, in quello intellettuale e in quello economico. Vediamo perciò, prima di chiudere questi bre vi cenni di storia medioevale, di accennare schematica mente a queste caratteri stiche.

Caratteristiche nel campo religioso. - Il Medio Evo fu tutto animato da un profondo se ntimento religi oso; la società medesima prendeva nome dalla religione e si chiamava Cristianità. Ma il culto verso la Divinità assunse un aspetto di s upersti zione, il che facilmente si spiega se si pensa che i popoli erano ancora rozzi, violenti e costretti a vivere tra pericoli continui. La preminenza politica del Papato, la scie nza ris ervata quasi esclusivamente al clero, e le Crociate sono la logica conseguenza di un complesso d ' idee, secondo il quale la religione doveva coinvolgere ogni atto della vita senza d' altra parte sapersi elevare al di sopra della mat erialità della vita.

Caratteristiche nel campo politico. - Come già abbiamo indicato, la caratteristica politica del periodo medioevale è Io sminuzz amento feudale. La società dell' epoca, stanca delle continue lotte conseguenti a tale sminuzzamento, sperava porvi riparo ridonando vita al fantasma imperiale o ponendo il capo supremo della Chiesa al disopra dell' intera umanità. Ne derivarono invece nuove e lunghe lotte. Fra mezzo a questa ininterrotta serie di lotte, nascono però le prime libertà comunali dalle quali poi, con le Signorie, i Principati e l' affermarsi delle monarchie comincia a sorgere I' idea dello Stato.

In Francia, in Polonia, in Russia e in Inghilterra il movimento di formazione dello Stato, s'inizia in un punto per espandersi poi in tutta la regione.

In Italia questo stesso movimento s i iniziò contemporaneamente e con uguale intensità, in diversi punti, il che condusse alla creazione di parecchi Stati minori, i quali si combatterono tra loro senza potersi reciprocamente soverchiare, anzi furono in tal modo sor presi e assoggettati dall' invasore straniero.

In Germania, il concetto di Stato, s i svolse lentamente al di fuori dell'azione dell' imperatore, per effetto di alcune stirpi principesche o com e risultato della lega avv enuta tra le città commerciali del Reno, o dì quelle delle spiaggie del Mare del Nord, che avevano formato una confederazione (H ansa) per provvedere allo sviluppo del commercio.

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Caratteristiche nel campo intellettuale. - l principali fattori dello svolgimento stori co del periodo medioevale sono, come noto, seguenti:

- il superstite mondo greco -latino ;

- il cristianesimo, nuovo fattore che viene lentamente assumendo una importanza capitale per quanto diviso nelle due forme, romana e bizantina;

- l' elemento germanico che lentamente si fonde con i resti del mondo latino;

- il vigoroso elemento arabo che servì ad allacciare ancora una volta civiltà orientale e civiltà occidentale.

Questi elementi vari ma egualmente potenti, cozzando tra di loro in un mondo completamente disorganizzato come è appunto l' Europa in questo periodo, dovevano necessariamente far attraversare all' Europa stessa un periodo di lotte, di sommovimenti continui, prima che l'equilibrio si potesse stabilire. E questo è appunto il Medio Evo. Ma fra mezzo a questo turbinoso periodo, na::;ce lentamente la nuova civiltà e la nuova cultura. la trasformazione è lenta, procede per gradi, ove più ove meno rapida, ma alla fine di questo oscuro periodo le forme della nuova civiltà e della nuova cultura sono ormai evide nti. Come in politica, nasce il concetto di Stato, grande o piccolo a seconda di speciali condizioni locali, così nel campo intellettuale si affermano i due eledella fusione dai quali dovrà sorgere la nuova vita intellettuale, artistica e scientifica: Roma, cioè la coltura latina ; e la coltura araba cioè la nuova civiltà orientale.

Prima però che questi elementi si affermino, la lette ratura, la p ittura e la scultura non sanno sottrarsi alla ispirazione religiosa che pervade nel Medio Evo anche tutto il campo intellettuale. Il nostro massimo poema, pensato su l limitare tra l'evo medio e il moderno, è inte ramente contenuto nella leggenda cristiana. Nell'arte la rituale rappresentazione dei Santi era ripetuta con una costanza ed una fedeltà che annullava qualunque volo alla fantasia. Solamente l' architettura, nella ricerca di un edificio adatto alla nuova c hi esa, aveva trovato lo stile gotico ed erigeva le famo se cattedrali dell' Europa settentrionale, ove propagavasi la nuova religione cristiana sostit uendo il paganesimo violento dei popoli germanici.

Caratteristiche nel campo sociale. - Si affermano definitivamente e potentemente nel medio ·evo, i diritti della pl ebe per opera specialmente delle crociate che portano, come abbiamo visto, ad un maggior livellamento delle classi sociali.

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Sorge e si afferma con i Comuni il principio di libertà. Primi germi anche questi della civiltà futura.

Caratteristiche nel campo economico. - L' arbitrio e la violenza del periodo feudale, limita i commerci e impedisce lo svilupparsi delle industrie. Il nuovo principio di libertà sorto con i Comuni e con le repubbliche marinare lascia libero campo alla iniziativa privata; commerci ed industrie si sviluppano nel Medi· terraneo per opera degli italiani, nel mare del Nord per opera della Hansa germanica. L' economia mondiale in sostanza se ne avvantaggia: primo sintomo di ciò che dovrà costituire una delle prime e più importanti caratteristiche dell' evo moderno.

Nel Medio Evo, periodo di transito e di lotte continue, si vengono lentamente elaborando i caratteri della civiltà e della cultura moderna. Cosi mentre in politica nasce l'idea di Stato, nel campo sociale si inizia il lento livellamento delle varie cla ss i sociali, nel campo intellettuale si prepara il ritorno alla coltura classica e si stringono nuovi vincoli con la civiltà orientale, nel campo economico si sviluppa la libertà di commercio .

le origini dell' arte militare moderna. - Anche nel campo militare sorgono nel Medio Evo e lentamente si affermano i germi della nuova arte militare, cioè dell' arte militare moderna. Questi germi sono:

la fanteria; l' arma da fuoco; e gli eserciti permanenti.

Tale affermazione però è lentissima, anzi per qualche tempo quasi trascurabile. Per il trionfo di ques1i nuovi elementi occorrerà che la fanteria sostenga una tenace lotta di supremazia contro la cavalleria, migliorando notevolmente sè stessa, sopratutto perdendo il carattere di mercenarismo.

Occorrerà che le armi da fuoco si impongano non solo come artiglierie, ma anche, e in ispecie, come armi portatili.

E occorrerà infine che « la trasformazione del vivere sociale si ripercuota sulla condotta della guerra in modo sempre più vasto e più intenso. Ma non sarà questa, cosa di poco momento; che anzi dovranno passare tre secoli prima che la fanteria possa effettivamente riprendere il suo assoluto primato di arma combattente. , ( Bastico ).

E poichè nel Medio Evo troviamo i germi dell ' arte militare moderna, diciamo qualche cosa relativamente alla affermazione di questi primi sintomi.

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Da quanto abb iamo detto delle istituzioni militari nel periodo medioevale, appare che il carattere degli eserciti in questo periodo è, cronologicamente, caratterizzato da: milizie feu dali; milizie comunali; milizie mercenarie.

Le milizie mercenarie danno ongme alle Compagnie di ventura, con le quali, e per merito essenzialmente di condottieri italiani, l' arte della guerra risorge dal decadimento del periodo feudale, assurge ad un periodo brillante, e nuovamente afferma i principi dei gra ndi capitani antichi, principi che costituiscono oggi l'esse nza di tutte le dottrine di guerra.

Mentre i grandi capitani di ventura italiani facevano così rifiorire l' arte della guerra, un nuovo mezzo si introduceva presso tutti gli eserciti: l'arme da fuoco.

Difficile è attribuire, con precisione, l'invenzione della polvere: pare che gli arabi, ap(Jresala dai cinesi, la imp o rtasse ro in Europa. Certo è che nella seconda metà del sec. XIV si trova già generalizzato presso tutti i popoli europei l' uso dei cannoni e delle bombarde.

L'u so del salnitro raffinato, adoperato in un primo momento solamente per le grosse macchine guerresche, venne poi esteso ad artiglierie vere e proprie impiegate però quasi esclusivamente per gli assedi e la difesa delle piazze forti. Verso la metà del sec. XV numerose artiglierie si trovano infine al seguito degli eserciti, pronte ad agire su l campo di battaglia.

Le battaglie di Orandson e di Morat, con le quali Carlo il Temerario cercò inutilmente come sappiamo ( 1476) di soffocare la nascente indipendenza svizzera, furono combattute dai francesi con una artiglieria fortissima di circa 300 grossi cannoni, oltre a grande quantità di armi da fuoco di calibro più piccolo.

Carlo VIII nella invasione d'Italia ( 1494) condusse seco 100 cannoni su affusti a ruote e tirati da cavalli; primo esempio questo di artiglieria mobile e potente ad un tempo, tanto da far dire al Guicciardini: c che quello che prima in Italia fare in molti g iorni si soleva, da loro (i francesi) in pochissime ore si faceva. »

Più tardi l'uso della polvere fu applicato alle armi portatili: si diffuse così l' uso dei moschetti e degli arc hibugi; diffusione lenta stante la difficoltà del trasporto e del maneggio e la lentezza del caricamento.

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Nella seco nda metà del sec. XV queste armi si trovano però già dapertutto usate: i moschettieri e gli archibugieri costituiscono parte integrante degli eserciti, sebbene la picca resti ancor sempre l' arme principale della fanteriaMentre questi nuovi mezzi venivano così affermandosi, la cavalleria feudale, come già abbiamo visto, perdeva il suo predominio: le crociate e i Comuni portavano lentamente la riaffermazione delle fanterie. Il primo e più notevole esempio di questo fatto not evolissimo nella storia dell' arte militare, ci è dato dalla Svizzera.

Le forze dei Cantoni svizze ri che aspiravano alla propria indipendenza furono, come già sappiamo, fortemente impegnate nel secolo XIV contro gli arciduchi d'Austria, e nel secolo XV contro Carlo il Temerario.

La ferma risoluzione di ottenere la propria libertà fece trovare a queste forze « povere come erano e ignude d' ogni armatura difensiva » l' energia necessaria per affrontare le munitissime cavallerie d'Austria e di Borgogna.

Sfruttando il terreno che mal si prestava all'azione di grosse masse di cavalleria, le fanterie svizzere furono istintivamente con· dotte a serrarsi in ordinanza compatti con lunghe alabarde, le quali formavano una fronte irta di picche contro la quale veniva a romper si l'urto di qualunque cavalleria, mentre nessuna cavalleria resisteva all'urto di questa falange. Furono così ottenute dagli Svizzeri le strepitose vittorie di Morgarten, di Sempach, di Orandson e di Morat, vittorie che furono una rivelazione e insieme una rivoluzione dell' arte militare perchè dimostrarono la possibilità di vincere la cavalleria con una fanteria bene organizzata e sopratutto dal cuore ben saldo.

Allora ogni Stato cercò di avere nel suo esercito della fanteria svizzera: questa infatti, assicu ra ta la libertà della propria patria, divenuta amante della guerra, ricercata e ben rimunerata, diventò mercenaria .

Chi, per cause varie, non aveva fanteria svizzera nel proprio esercito, cercò di ordinare le proprie fanterie secondo la nuova ordinanza introdotta dagli Svizzeri : cioè g ro ssi battaglioni quadrati armati di picca e di spada, difesi sulla fronte e sui fianchi da fanti leggieri armati di moschetti. Sono queste le fanterie tedesche ( lanzichenecchi) e le fanterie spagnuole che rivaleggiarono in s eguito con la fanteria svizzera.

Da tutto questo complesso di fenomeni, ai quali abbiamo accennato, nasce una necessità: gli eserciti permanenti.

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Infatti:

- gli Stati, ingrandendosi ed essendo fondati essenzialmente · sulla forza, sentirono la necessità di avere sempre un esercito pronto i

- le truppe mercenarie davano, per i motivi che già cono· sciamo, troppo poco affidamento di sicurezza e di fedeltà i

- l' int roduzione delle artiglierie esigeva spese possibili a sostenersi solamente dallo Stato che non poteva approntarle al momento della guerra ma doveva prepararle fin dal tempo di pace con spese lungamente scaglionate nel tempo i

- l'affermazione della fanteria sul campo di battaglia, costrin· geva tutti a cercare di avere il maggior numero che si potesse d i 'fanti e ricorrere quindi per averne il più possibile, a tutta la propria popolazione.

Da tutte queste cause ebbero origine i primi eserciti permanenti.

Il primo a costitui:-e un esercito permanente fu Carlo VII re di Francia, che istituì le Compagnie di ordinanza. Erano 15 compagnie ciascuna di cento uomini d'arme o lancia i ogni lancia comprendeva oltre l' uomo d' arme in completa armatura, tre arcieri, un coltelliere ed un paggio: in tutto 9.000 uomini.

Queste forze erano ripartite in gruppi di venti o trenta lancie, permanentemente dislocate nelle varie città, sempre ben esercitate ed istruite e pagate con gli i ntroill di una tassa speciale imposta a tutto il paese.

Esistevano inoltre i franchi arcieri che rimanevano alle loro case esercitandosi nei soli giorni di festa al tiro dell'arco o della balestra.

Riassumendo quanto fin qui abbiamo detto, e riferendoci alle caratte ristiche dell'età medioevale, diremo che, come già abbiamo visto nel campo politico, sociale, intellettuale, economico, anche nel campo militare, il Medio Evo ci presenta i pnmt germi della nuova cultura e della nuova civiltà, che ne l campo militare comincia ad esplicarsi per mezzo del trionfo della fanteria i

- dell' affermarsi delle arm i da fuoco i

- del sorgere degli eserciti permanenti.

Sono queste le origini dell' arte militare moderna.

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PARTE QUINTA

Storia Moderna

L'inizio delJ' evo moderno e gli avvenimenti che lo accompagnarono. - La caduta di Costantinopoli.Le scoperte geografiche e le invenzioni scientifiche.

Il passaggio dal Medio Evo all' Evo Moderno. - La storia moderna si fa comunemente iniziare nel 1492 anno della scoperta dell' America. Ma non è certo una data o un fatto che possono nettamente stabilire il punto e il momento preciso del trapasso dall' evo medio all' evo moderno.

Questo passaggio dall' una all'altra epoca è dato da un complesso di avvenimenti i quali non sono che l'ulti mo atto di un processo già in parte compiuto. Oià nel medio evo gli antichi elementi della tradizione e delle abitudini inveterate che trovavano la loro ragione nel passato, si erano venuti urtando con i nuovi bisogni, le nuove aspirazioni, le nuove esigenze. La vita si veniva evolvendo in una più vasta sfera di azione intellettuale e morale, individuale e pubblica, politica e sociale.

Numerosissime sono quindi le cause che segnano l'inizio dell' evo moderno, numerosi gli avvenimenti che dànno forma concreta a questa lenta ma profonda trasformazione.

Avvenimenti che segnano il trapasso dal Medio Evo all' Evo

Modt!rno. - Senza soffermarsi troppo sulle date precise degli avvenimenti, possiamo dire che il trapasso dall' evo medio all' evo moderno è caratterizzato dai seguenti fatti:

- la costituzione interna degli Stati, per la quale, come già abbiamo visto nei capitoli precedenti, vennero lentamente affe r-

mandosi le unità statali, grandi, come francia, Inghilterra e Spagna; o piccole, come le Signorie e i Principati in Italia; unità che sono l' origine degli stati moderni;

- il risveglio intellettuale, ossia il risorgere del pensiero e della fo::na greco- romana che doveva tracciare alla coltura un nuovo ca mmino: donde il fenomeno del Rinascimento;

- le grandi scoperte geografiche che modificaron o radicalmente le condizioni economiche dell' Europa, spostarono dal Mediterraneo all'Atlantico il centro dei commerci; contribuirono allo sviluppo di tutte le scienze;

- le grandi invenzioni: quali la carta di cenci e la stampa che portarono ad una rapida diffusione della cultura, favorirono la libera discussione preparando il trionfo di ri voluzioni religiose, politiche, civili e sociali; o l' invenzione e l' applicazio n e della polvere pirica che così prcfondamente doveva influire sulle forme dell'arte della guerra;

- la riforma religiosa, da cui veramente provennero la nuova filosofia, la nuova letteratura e tutte le libertà civili e politiche che sono la base del vivere sociale moderno;

- la presa di Granata e l' espulsione dei Mori dalla Spagna, coronamento tli lunghi sforzi compiuti dalla Spagna, e definitivo decadimento della potenza araba;

- la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi che segna il definitivo affermarsi della potenza turca in Europa.

Ognuno di questi fatti può essere preso per punto di partenza di una divisione nella storia: e infatti lo fu.

Così se noi italiani volessimo risalire al momento in cui spirarono le prime auree di vita moderna nella nostra storia, dovremmo cominciare l' evo moderno dal secolo XIV che segna il principio della nostra resurrezione alla grandezza intellettuale e il ravvivamento di uno sviluppo politico progressivo.

In sostanza dunque il pas saggio dall' evo medio al moderno è caratterizzato da num eros i avvenimenti che fanno se nt ire la loro influenza in tutti i campi deH' attività umana e che modificano profondamente i caratteri complessivi della civiltà.

Caratteri dell' Evo Moderno. - Alla fine del capitolo prece dente abbiamo messo in evidenza quali fossero i caratteri del periodo medioevale nei vari campi dell' attività umana : da tali forme e per mezzo degli avvenimenti sopra indicati, la nuova civiltà, cioè

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-240la civiltà moderna, veniva lentamentP. assumendo le segue nti caratteristiche :

- nel campo religioso: il sentimento religioso si affina e si eleva ad altissimi co n cetti: il clero limita la sua influ enza esclusivamente al campo religioso; i precetti, secondo i quali ciascuno d eve onorare la Divinità, sono la sciati a l singolo apprezzamento personale;

- nel campo politico: nel ri ordinamento delle re lazioni politiche, vanno formandosi gross i gruppi per megl io rispondere col numero e co n la molteplicità dei mezzi, alle varie esigenze per le quali si uniscono; le affinità naziona li rendono più facile ed omogeneo il raggruppamento, e agevolano la costituzione di u n governo che, ponen dosi al disopra degli individui e degli interessi individuali, si propone di migliorare materialmente, e possibilmente anche moralmente, la maggioranza del gruppo cosl formato;

- nel campo intellettuale: il pensiero u m ano è volto a coltivare le necessità della vita terrena più che le alte indagini speculati ve sovrumane; e tutto viene espresso con le lingue volgari che si affermano, si diffondono, si perfezionano.

La scienza si svi ncola dalla teologia e cerca nella ragione lo strumento per le sue indagini.

L ' arte trova nel campo profano, nuove fonti d' ispirazione; si svincola dal rito religioso cui restò legata ne l periodo medioevale e assume quindi forme più varie e più adatte a scuotere i sensi;

- nel campo econom; co: si sviluppa l' ini ziativa individuale, cr escono gli scambi, si cercano più facili mezzi per compierli e nu ove vie per moltiplicarli. Il benessere materiale aumenta, ma cresce anche il desiderio di ricchezze. L a ricchezza sostituisce la forza n el le relazioni sociali; la ricchezza però si diffon de e si sminuzza, favorendo se mpre più il livellamento delle varie classi s ociali.

Diciamo ora brevemente qualche cosa dei principali avvenimenti che segna n o il trapasso dall' evo medio all' evo moderno.

La caduta di Costantinopoli. - Abbiamo già accennato nel capitolo precedente a come avvenne la caduta di Costantinopoli in mano ai turchi. Vediamone ora le principali conseguenze:

- la conquista turca di Costa n tinopoli (29 maggio 1453) estese il do mini o tarco a tutta la penisola balcanica. Maometto Il padrone di Costantinopoli a'ssoggettò la Bulgaria, la Serbia, la Bosnia e l' Erzegovina; domò gli albanesi g ui dati dall'eroico Scanderberg;

-241passò il Danubio e sottomise Valachia e Moldavia; s'impadronì di Atene; cacciò i Paleologh i dai domini di Morea; cacciò Genovesi e Veneziani da parecchie isole dell'Egeo e nel 1480 giunse fino ad Otranto;

- questo estendersi e consolidarsi della dominazione turca, così ferocemente ostile al cris tianesimo, indusse una grandissima parte degli intellettuali cristiani a riparare in Italia; ove agevolarono così il ritorno alla coltura classica;

- l' affermarsi della potenza turca nell' Europa orientale crea un ostacolo gravissimo alla espansione della civiltà occidentale, poichè la dominazione turca chiusa in sè stessa, aliena da qualsiasi concessione o progresso e da qualsiasi contatto con l'ambiente straniero, pesante me nte gravò fino ai gio rni nostri ( guer re balcaniche del 1912-13) sullo svilup po ·e sulla civiltà dell'intera p enisola balcanica.

Le scoperte geografiche. - Nel Medio Evo il commercio del Mediterraneo si era fatto in due direzioni principali:

- i porti del Mar Nero erano i depositi naturali del commercio con l'India, pel mar Caspio e per i fiumi: padrona di queste vie era Genova;

- ma il cammino più corto più sicuro e ptu economico tra l' lr:uropa e l'India era per l ' Eufrate e il golfo Persico; o per il mar Rosso e il ma r delle Indi e; donde l'affluire delle merci indiane ai porti della Siria e dell' Egitto, porti che erano in mano a Venezia.

Le crociate favorirono enormemente il commercio veneto; le invasioni dei Tarta ri e dei Turchi sconvolsero invece quello genovese. Di qui l'ina sprirs i delle contese tra Genova e Venezia, e il sorgere dell'idea presso i mercanti genovesi di raggiungere l' India navigando verso ovest. Ma siffatte idee che preconizzavano quindi la dimostrazione della sfericità della terra: erano fort eme nte combattute dal clero che dichiarava l' impresa antireligiosa perchè contraria alle affermazioni dei padri della Chi esa la cui geografia stabiliva la superficie della terra essere piana e circondata dal mare

L'idea però di raggiungere l'India navigando verso ovest non ere nuova: le vie marittime occidentali erano state tentate. I Romani nell'occupare la Gran Brettagna, 83 anni dopo Cristo, avevano scoperto le isole Shetland e le Orcadi, bagnate dall'Atlantico;

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M. V ALLETTI- B oRG:SINI, Storia Politico-mìlìtart tec. - Vol. I.

-242otto secoli dopo i Normanni avevano scoperto faeroer, l'Islanda, la Groenlandia; erano scesi al Labrador e vi avevano fondato alcune colonie. l normanni stessi visitarono verso il t 000 le coste occidentali dell'Africa. l Portoghesi nel t472 oltrepassarono l'equa· tore e riconobbero nel t 486 il capo che Di az disse delle Tempeste e che si chiamò poi invece Capo di Buona Speranza. Già i viaggi dei Polo (seconda metà del 1200) avevano destato una curiosità ed un interessamento enorme per le Indie e per trovare le vie più brevi per giungere ad esse; quando due secoli più tardi, il viaggio di Bartolomeo Diaz aprl gli animi a le migliori speranze. I progressi della nautica (la bussola di flavio Gioia) a:Jtorizzavano intanto le più ardite concezioni di viaggi oltre mare. Il moltiplicarsi dei viaggi e le nuove notizie geografiche avevano ormai fatto nascere nell'inti mo della coscienza umana la convinzione di trovare nuove terre viaggiando sul mare occidentale. Insomma tutto un movimento scientifico si agitava alla fine del 1400 come preludio di qualche gra nde avvenimento.

c A questo movimento scientifico si riattacca l' opera di Colomb o, che con la tempra de l suo straordinario carattere e l'energia della volontà accoppiate alla chiarezza di un gran concetto, trasse da quel movimento un grandissimo risultato. Egli con virile energia, studio, pensiero dell' avvenire, nobile e filantropico desiderio di gloria, ricorse a tutte le opere, si mise in relazione con gran nu mero di dotti, specialmente col Toscanelli, che lo confortò con i suoi calcoli a trovare, viaggiando verso ovest, un' altra via per arrivare alle Indie; sì che il grande navigatore, che ha riempito la terra del suo nome e di cui la posterità non cesserà di proclamare ed acclamare la gloria, si appalesa nella storia come uno dei più grandi benefattori dell' umanità. » (Cosentino) . Nè la sua glor ia resta diminuita se pur Egli morì con l'idea di aver scoperto l'Asia orientale.

Dopo di lui, Cabotto toccò la costa del Labrador (1497); Cabrai fu gettato dalla tempesta sulla costa del Brasile ( 1500); fernando Cortez conquista il Messico; Aie magno e Pizzaro scoprono il Chilì ed il Perù.

Le vera via delle Indie fu trovata da Vasco di Gama che passato il Capo di Buona Speranza giunse a Calcutta ( 1498): in questo suo viaggio, Vasco incontrò alcune navi arabe e con stupore dovette constatare che gli arabi si servivano della bussola, delle carte e di strumenti nautici ed astronomici. La stessa via di

Vasco fu seguita tra il 1510 e il 1542 da Albuquerque e De Castro. Con queste e con altre spedizioni i Portoghesi si costituirono tra l'Africa e l'Oriente un impero coloniale estesissimo e sorgente di grandi ricchezze.

f e. dinando Magellano, passato dal Portogallo al servizio della Spagna, discese per l' Atlantico e spiegando contro le immense difficoltà dell' impresa una perseveranza, una fermezza e una intelligenza $trao rdinaria primo trovò ( 1520) un passaggio attraverso il continente americano (lo stretto che si disse poi di Magellano) verso il Pacifico. Morto lui, Sebastiano del Cana che aveva pre so il comando della spedizione, giunse alle Molucche si diresse pel Capo di Buona Speranza, arrivando in fine a S. Luca presso Siviglia: il primo giro della terra era compiuto.

Due potenze trassero subito enormi vantaggi da queste scoperte:

- la Spagna che non di altro si preoccupò che della ricerca dell'oro e dell'argento, adoperando avidità somma e azioni infami di sterminio verso le popolazioni indigene delle nuove contrade;

- il Portogallo che si limitò a curare il commercio sotto la direzione del governo che ne aveva il monopolio.

Entrambe queste nazioni dunque pur arricchendosi di numerose e prospere non fecero opera colonizzatrice vera e propria, così come oggi si intende, opera cioè d' incivilimento delle nuove contrade, ma fecero semplice opera di sfruttame nto che produsse in seguito gravi conseguenze.

Conseguenze delle grandi scoperte geografiche. - Le grandi scoperte geografiche produssero notevolissime conseguenze nel campo scientifico, politico, morale :

- il mondo fino ad allora conosciuto venne a contatto con un nuovo continente e con quell'antico oriente al quttle non aveva prima potuto pervenire e col quale non aveva fino ad allora potuto attaccare stabili relazioni nemmeno con le più colossali imprese guerresche;

il commercio marittimo ebbe la prevalenza su quello terrestre;

i centri di attività si spostarono dal Mediterraneo alle coste dell'Atlantico; cioè dall' Italia alla Spagna e Portogallo prima e poi all' Inghilterra e all' Olanda, paesi che divennero ricchissimi;

- l' oro fornito dal Messico e dal Perù dette all' industria e al commercio i capitali n ecessari per svilupparsi e prosperare;

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- la circolazione della ricchezza fu agevolata dalla istituzione delle banche e dalle lettere di credito.

« Così - dice il Cosentino - i discendenti degli schiavi dell' antichità e dei servi del medio evo, diventarono con il lavoro, l' ordine, l'economia e l' intelligenza, i padroni del mondo commerciale e industriale, i possessori del danaro e finalmente, resi uguali di coloro che anticamente dominavano la terra, poterono mettersi con libertà di azione - pel nuovo e vasto campo aperto alla multiforme operosità europea. •

1!1 sostanza dunque le grandi scoperte geografiche operarono una vera grande e profonda rivoluzione economica che fece sentire i suoi effetti nel campo sociale, politico, scientifico

Le invenzioni scientifiche. - Il processo moderno devesi in gran parte al risveglio manifestatosi fin dal Medio Evo e specialmente nei secoli XIII e XV. In questo periodo infatti molte scoperte ed invenzioni aprono nuovi campi ed offrono nuovi mezzi all' instancabile attività umana. Sono di questo periodo le scoperte ed invenzioni seguenti:

- le cifre arabiche; le note della musica; la pittura ad olio; l'arte di incidere nel rame; gli orologi a bilanciere; gli specchi di vetro; gli occhiali; ecc. ecc.; ma sopratutto notevÒii: la sostituzione della carta di cenci al papiro e alla pergamena; l'applicazione della bussola alla navigazione; l'applicazione della polvere pirica alle armi da fuoco; e infine la stampa.

L' invenzione dei caratteri mobili da stampa per opera di Giovanni di Gutenberg da Magonza, segna nella storia dell' umano incivilimento il vero punto di divisione fra i tempi di mezzo e i moderni. Per essa si ebbe subito una propagazione più estesa e più intensa del sapere; scemò d' importanza e svanì il privilegio dottrina le del clero; fu enormemente favorita la libera discussione; fu favorita la diffusione delle idee riformatrici preparando così il terreno alle future rivoluzioni religiose, politiche, civili e sociali.

Il passato fu strettamente collegato al presente e all' avvenire. A questo sviluppo contribuì anche enormemente la nuova carta di cenci invece -dell' antico papiro o pergamena.

La bussola re se possibili le grandi scoperte geografiche. Già abbiamo detto dell' importanza della polvere pirica e delle sue conseguenze sull'arte della guerra (vedi capitolo precedente).

..

Riassumendo quindi quanto fino ad ora abbiamo detto, potremo concludere, col Rinaudo, che: c la forza cessò d' essere pri· vilegio della nobiltà feudale, e divenne mezzo e strumen to universale. Il popolo, istruito nei suoi diritti con la stampa, munito della forza cvn le armi da fuoco, scosse l'oppressione di ogni forma, che sopra di lui gravava, conseguendo la libertà politica e l' uguaglianza civile.

Ma, per completare il quadro schematico del trapasso dall'evo medio all'evo moderno, e riserbandoci, cosi come il programma comporta, di parlare in seguito della riforma protestante, ritengo necessario dire poc he parole sul grande fenomeno del Rinasci· mento che, come abbiamo visto, si ri collega al risveglio intellettuale che caratterizza il sorgere dei tempi moderni.

Il Rinascimento. - Il Rinascimento si fa comunemente miZiare al principio del sec. XIV, a quel secolo cioè volgarmente chiamato il Trecento; ma i fattori che successivamente contribuirono a costituire questo grande fatto, vanno ricercati molto più indietro nel tempo. Nel trecento si raccolgono già i frutti di una lenta, inavvertita forse, ma continua e profonda trasformazione che si stava svolgendo dal secolo nono, da quando cioè Carlo Magno e i suoi successori, fermate per sempre le invasioni barbariche, sanzionata la stabilità dei vari popoli sui territori ove questi si trovavano, sanzionato anche ufficialmente il noto ordinamento feudale, mise un po' d' ordine in quel caos che era succeduto alla caduta dell' impero romano d' occidente, permettendo cosi un più tranquillo ed ordinato sviluppo della vita, creando in sostanza un ambiente più favorevole allo sviluppo intellettuale.

Il primo fattore al quale è dovuto l'inizio de l Rinascimento è dunque l' Impero.

Ma intanto, nel travagliato periodo delle invasioni barbariche e anche nel successivo, il clero era rimasto l' unico depositario del sapere. Chiese e monasteri, con le loro ricche biblioteche, erano state, almeno in parte, rispettate dai barbari. Roma, specialmente nelle controversie teologiche che sempre agitarono la Chiesa, e in questo periodo nella lotta contro i greci eresiarchi, trovò lo stimolo a coltivare lo studio dei Santi padri non solo, ma a coltivare almeno in parte lo studio delle lettere profane.

La Chiesa si afferma così come il secondo fattore che contribuisce alla costituzione del Rinascimento.

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Ma la produzione culturale che derivò da questo stato di cose era tutta in sostanza promossa ed ispirata dall' Impero o dalla Chiesa: risentiva perciò eccessivamente dello spirito di parte, ed era obbligata inoltre a servirsi della lingua ufficiale, cioè del latino che era ormai una lingua morta. Occorreva trovare un mezzo più naturale e spontaneo, inteso da tutti, senza dover apprendere l'uso perfetto di un linguaggio non più parlato, prima di potersi esprimere. fu questa l'opera della feudalità.

l barbari non avendo lingue proprie letterarie o scritte, adottarono come lingua ufficiale la lingua latina. Ma se pur il latino continuò ad essere la lingua ufficiale, mancando ormai la sovranità di Roma, venne a mancare la corrente fra i vari popoli e la fonte naturale della latinità, ossia Roma. Ripresero quindi man mano vigore presso i vari popoli, gli antichi dialetti, modificati però Jal1' influenza latina: e poco per volta il matino fu limitato all' insegnamento ecclesiastico e alle scritture uHiciali. Queste nuove lingue, prima solamente parlate o cantate, cominciarono poi ad essere scritte; si perfezionarono ed originarono cosi le nuove lingue letterarie romane o neolatine.

L'aver dato queste prime forme letterarie regolari a i dialetti dei vari popoli merito della feudalità: sorge in questo periodo infatti la lingua provenzale, nata dal dialetto della Provenza; la lingua francese nata dal dialetto dell'Isola di francia, l'antica domi nazione dei Capetingi; la lingua spagnuola nata dal dialetto di Castiglia; e tra il gruppo dei dialetti italici si formò la lingua italiana, nata dal dialetto toscano.

l signori feudali accolsero subito queste nuove forme, le quali quindi, riconosciute ufficialmente, vennero poco per volta perfezionandosi ed affermandosi. Ricordiamo infatti l' opera compiuta a questo riguardo in Italia dai marchesi di Monferrato, dai Malaspina in Lunigiana, dai marchesi d' Este a ferrara; e infine nell' Italia meridionale l' opera dei re normann i e di quelli Svevi.

Possiamo quindi affermare che l'} feudalità è il terzo fattore che contribuisce allo sviluppo del Rinascimento.

Un progresso dunque si era ottenuto: l' affermazione delle li ngue nazionali. Ma, così come il tempo e l'organizzazione sociale imponevano, l' uso delle arti belle era limitato al servizio pers onale dei signori: tutto quindi era limitato e circoscritto ad una cortigiana adulazione che frenava ogni libero impulso, ogni libera ispirazione. Ma quando con l' affermarsi dei Comuni, la borghesia

irrompe e si afferma nel campo politico, sociale e militare, cadono le vecchie t radizioni, i cittadini liberamente discutono di tutti i problemi che li riguardano, sorgono gare e contese fra le varie città per soverchiarsi con la forma delle armi o con lo splendore delle e delle ricchezze. L' intelletto umano non più inceppato da regole, tradizioni, censure ecclesiastiche o politiche, liberamente si butta all'. indagine e allo studio dei monumenti dell'antica sapienza, non per imitarli pedestramente, ma per avvantaggiarsene pur conservando la propria originalità.

Ecco così finalmente, per opera dei Comuni, il vero e proprio Rinascimento.

Quarto, ultimo è più importante fattore della formazione e dello sviluppo del Rinascimento è dunque dato dal fenomeno dei Comuni.

Il risveglio si propaga dall' Italia al mondo intero:

- nel campo artistico notiamo in questo periodo, il sorgere dei più grandiosi monumenti architettonici in Italia e in Germania e il rifiorire della pittura per opera di Cimabue e Giotto;

- nel campo scientifico notiamo il sorgere di un gran numero di Università, per lo studio specialmente del Diritto Romano;

- nel campo letterario infine notiamo in Italia la definitiva fondazione della letteratura e della nazionalità italiana preparata dai tre Guidi (Guido Guinicelli, Guido da Arezzo e Guido Cavalcanti) e da Brunetto Latini ed attuata infine da Dante Alighieri.

Non è mio compito addentrarmi ora fra tutte le varie manifestazioni cui dette luogo il Rinascimento, ma fedele sempre al programma impostomi, ho voluto solamente accennare alle cause e alle correlazioni dei vari fenomeni storici dei quali finora abbiamo parlato. Come deduzione conclusiva potremo infine accennare a questa:

- che, come già Roma aveva dimostrato, la sola vera e completa libertà della materia, dello spirito e del pensiero umano, costiiuisce l' indispensabile movente ad ogni progresso umano;

- ma questa libertà non va intesa nel senso astratto della parola, sibbene riferita al bene e alla libertà non dei singoli, ma della collettività.

Se questo fosse stato inteso prima in Italia, il nostro paese non si sarebbe spezzettato in tanti Stati e avrebbe saputo resistere allo straniero, ottenendo così qualche secolo prima la propria unità territoriale. E se, dopo ottenuta questa unità materiale, il

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paese stesso non si fosse abbandonato alla lotta fra le fazioni, la nostra unità spiri.tuale si sarebbe compiuta ben prima dell' ottobre 1922.

Ritengo infine, per chiudere la trattazione di questo importantissimo argomento, che ha nome rinascimento, accennare alle sue conseguenze sull' arte della guerra e al posto predominante tenuto in questo momento e in questo campo dall'Italia.

Il risorgere dell' arte della guerra per opera degli italiani.Abbiamo già detto dell ' importanza avuta dai grandi capitani di ventura italiani sul rifiorire dell' arte militare: per opera loro, l'arte della guerra torna alla scioltezza e alla manovra del periodo più bello dell' arte antica.

Ma oltre che con i condottieri, l' Italia si afferma nel campo militare con i grandi architetti militari (Michelangelo Buonarroti; Leonardo da Vinci; il Sangallo ecc.) e specialmente con gli scrittori militari.

Infatti « parallelo al rinascimento delle lettere e delle arti 1 corrisponde il rinascimento, per il momento teorico, dell' arte della guerra, merito questo unico ed incontrastato degli scrittori italiani. Tutti sovrasta in g randezza Niccolò Machiavelli. È questo un primato universalmente riconosciuto. - « Mentre nel 500 presso gli altri paesi, - scrive il Bardin - la letteratura militare è coltivata da tre o quattro imitatori o traduttori, in Italia la produzione intellettuale bellica è tale che invade tutta l' Europa, e le stamperie d' ogni paese si contendono le opere degli militari italiani. •(Bobbio).

L'arte della guerra dunque, per merito essenzialmente di Italiani, entra in un nuovo periodo: le mutate condizioni sociali e politiche, le danno però un aspetto nuovo, aspetto che con le parole del Bobbio, così potremo riassumere:

Il carattere de ll a guerra moderna. - « Il consolidamento delle monarchie porta con sè l'inizio di milizie che, per quanto sempre mercenarie, hanno carattere di stabilità. L'inizio di una politica con scopi generali e ben definiti ci porta ad una mole maggiore degli eserciti, ad obbiettivi da raggiungere più vasti con conseguenti maggiori spazi da percorrere, da conquistare, da difendere e con guerre di durata corrispondente allo scopo. Alla guerra feudale e comunale si sostituisce quindi la guerra di tipo moderno. »

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Alla fine del capitolo precedente abbiamo messo in evidenza i fattori tattici (armi da fuoco - fanteria) che dànno origine alla nuova guerra; le parole del Bobbio, sopra riportate, ci servono ora a mettere in evidenza motivi politico -strategici della nuova guerra: la g uerra moderna .

Le istituzioni politico -militari durante il periodo della Rinascenza. - Le prime milizie nazionali in Italia .

Carattere delle istituzioni politiche. - Da quanto abbiamo precedente mente esposto risulta evidente che il periodo medioevale è caratterizzato dal predominio dei poteri locali, feudi e Comuni, e da una incerta nozione di Stato. L' ep oca moderna invece si inizia con l'affermazione del concetto di Stato, piccolo ( signorie e principati) o grande (le grandi monarchi e) che sia .

Il trionfo di questa idea di Stato, segna l' inizio della costituzione definitiva delle attuali nazioni europee, nazioni che vengono costituendosi attraverso lotte e guerre continue. Queste lotte non sono però subito condotte per l'affermazione del princi pio di nazionalità, principio che sorgerà molto più tardi quando il lento progredire del pensiero umano avrà prodotto profonde rivoluzioni reli giose, filosofiche, politiche e sociali.

Quando l' idea di Stato comincia ad affermarsi, essa produ·ce subito queste conseguenze:

- la massa dei governati rinuncia ad imporre la propria volontà sull' indiri zzo politico dei vari governi, accontentandosi di essere lasciata libera di applicarsi allo studio, alle arti, alla scienza, al commercio, alle industrie. Le masse così migliorano le proprie condizioni materi ali, si istruiscono, cominciano poco per volta a capire quale sia l' importanza che esse hanno nell 'orga nizzazione statale lentamente preparando quelle rivoluzioni religiose, politi che e sociali alle quali già abbiamo accennato; •

- la vita politica degli Stati s i concentra nella potenza dei governa nti.

La lotta per il predominio quindi non si esercita più tra classi e classi di una stessa ·città, n è tra città e città, ma tra gruppi molto più potenti; le contese prendono proporzioni più vaste; si stringono trattati di alleanza tra i vari Stati contro quello Stato che cerca predominare: nasce così l' arte politica. Questa cerca nello

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-250studio del passato le ragioni storiche che possono influire sulle ambizioni e sui disegni dei vari Stati , il che dà origine alla scienza politica. La necessità di mantenersi sempre in istato di difesa, di cercare di vincere il nemico con mezzi che siano sempre a propria disposizione, la necessità di operare su vasti teatri di guerra, dà infine origine, come già abbiamo visto, alla nuova arte militare che approfitta di tutti i nuovi mezzi per applicare alla condotta della guerra i grandi pr incipi dell' arte militare antica.

L'azione che prima, quasi inconsciamente, guidava le lotte tra città e città, viene ora ricercata e formulata dalle menti degli uomini di Stato che diventano la base deU' azione politica dello Stato. Concetto generale, base comune di tutta questa nuova e varia scienza politica, è quello di impedire, con leghe sapientemente coltivate, che uno Sta to ecceda soverchiamente di forze, sì. da mettere a pericolo la libertà degli a lt ri Stati.

Si forma così la politic" dell'equilibrio dei vari Stati. c Sarebbe stata - dice il fogliani - la vera politica, cioè quella dell' eguaglianza e per conseguenza della pace. Ma questo equilibrio non essendo basato sulla eguaglianza dei diritti e sulla libertà, ma unicamente sulla eguaglianza delle forze; essendo unicamente info rmato dall' interesse, e il più spesso, stante il dominio assoluto dei principi, dall' interesse di un solo; anzi, neppur sempre dall' interesse vero e ragionato di questo solo, ma anche dalle sue pàssioni; ne conseguiva che questo equilibrio poteva esser rotto ad ogni momento, sia per uno spostamento di forze per causa di acquisti o di perdite per eredità; sia per le passioni individuali di un capo di questi Stati. Quindi siccome era permanente la mutabilità di questi Stati, e per conseguenza ad ogni momento l'equilibrio poteva essere rotto ed era rotto effettivamente, e a ristabilirlo unico mezzo era la guerra, ne conseguiva che l' Europa era tutta in uno stato di guerra, o aperta, o latente, ma continua. "

In Italia, il sorgere delle Signorie dei Principati e l'applicazione del principio di equilibrio tra gli Stali, aveva infatti prodotto un certo equilibrio politico, che bene o male si era venuto formando nel sec. XV per opera specialmente di francesco Sforza, duca di Milano e di Lorenzo de Medici.

Senonchè, per i motivi sopra esposti i principi italiani, smanio si di soverchiarsi a vicenda, avidi di accrescere la potenza propria e quella della loro casa (così come fecero i papi nepotisti Alessandro vr, Giulio Il, Leone X e Clemente VII ) non esitarono ad

)
i

-251invocare l'aiuto de gli stranieri per raggiungere lo scopo prefissosi. Ecco così:

- l'invasione di Carlo VI li ( 1494) ; l' occupazione del regno di Napoli per parte dei Franc esi ( 1495); la battaglia di fornovo ( 1495).

- l' intervento di ferdinando il cattolico, re di Spagna che, venuto in Italia per difendere il re di Napoli (1496) finì con l'occuparne il Regno ( 1504);

- l' occupazione francese della Lombardia;

- le guer re della lega di Cambrai ( 1509) alle quali, oltre i principi italiani prendono parte l' Imp ero, la Spagna, la Francia e l' Inghilterra;

- le guerre tra Francesco l e Carlo V che finirono col ridurre tutta l'Italia, meno la Repubblica di Venezia, alle dipendenze dirette o indirette della Spagna.

Conseguenza di tutto ciò fu che:

- la lotta di equilibrio svoltasi all'inizio tra i vari Stati italiani, si estese a tutta Europa;

- i principi italiani, sempre in aperta rivalità tra di loro e singolarmente troppo deboli per imporsi e attuare una politica propria, non poterono far altro che seguire e subire le sorti dei più potenti Stati europei;

- l' Italia diventò l' oggetto e il campo di queste lotte.

Da tutto questo complesso di cose, trassero profitto le grandi monarchie europee le quali dallo stato di guerra continua, latente o aperta, dalla necessità quindi di tenere permanentemente interi eserciti sotto le armi, approfittarono per non ri spettare più i freni loro imposti dalle vecchie istituzioni parlamentari, quali le Cortes, gli Stati Generali ecc. e spegnere così completamente ogni benchè minimo avanzo di libertà politica.

« Per tal modo ogni Stato Europeo, quanto alle sue condizioni interne, era retto a governo assoluto e personale tranne la Svizzera e l' Inghilterra; e quanto alle condizioni estt>rne, unica regolatrice dei rapporti internazionali era la forza. » ( Fogliani ).

Lo Stato, sorto inizialmente come organizzazione unificatrice degli ordini sociali (nobiltà, clero, borghesia, popolo) esercitava infine su tutti un potere assoluto. Validissimo strumento per ottenere la unificazione all'interno, e dominare all'esterno, fu, per le grandi monarchie così costituite, l' istituzione delle milizie permanenti.

Questa istituzione delle milizie permanenti, dava in mano ad uno solo, il re, tutta la forza armata cf ello Stato; la insufficiente autorità di organi parlamentari nel governo dello Stato, lasciava arbitro il sovrano di adoperare questa forza a suo piacimento. Ne derivò da ciò che il resto dei cittadini, lasciando al re e all' esercito la cura e l' attuazione dei disegni politici, potè attendere con maggiore sicurezza e calma alle opere della pace, alle industrie, ai commerci, ai viaggi, agli studi.

Ma tale fatto, se da principio produsse un più spedito svolgimento di attività politica nelle relazioni internazionali, e promosse lo sviluppo di attività intellettuali nell'interno di ogni Stato, riuscì immensamente nocivo al progressivo sviluppo delle istituzioni: sì che occorse poi un non breve sviluppo di lotte interne e di guerre e di rivoluzioni perchè quei due potenti fattori di civiltà, governo e popolo, si ravvicinassero e lavorassero insieme per il benessere di tutto lo Stato.

Il carattere delle istituzioni politiche nel periodo della Rinascenza è dunque dato dal consolidamento e dallo sviluppo delle signorie, dei principati e delle grandi monarchie, accompagnato da quei fenomeni ai quali abbiamo ora accennato.

Influenza del Rinascimento italiano sulla cultura europea, durante il decadimento politico dell' Italia. -- Ho già detto nel capitolo precedente che l' indole del presente lavoro non mi permette accennare, neanche per sommi capi, poichè troppo lungo sarebbe il discorrerne, allo sviluppo della cultura intellettuale in Italia e in Europa nel periodo della Rinascenza.

Ma poichè dato il programma impostomi, ho parlato del carattere delle istituzioni politiche e delle conseguenze che da queste istituzioni derivarono, e poichè, politicamente parlando, la fine del sec. XV segna, con l'intervento straniero in Italia, il più completo decadimento della libertà politica italiana, ritengo necessario mettere in ev idenza questo fatto:

- che mentre l' Italia diventa politicamente serva dello straniero, intellettualmente parlando l' Italia si afferma, in questo periodo, maestra di civiltà al mondo.

La coltura intellettuale italiana del periodo della Rinascenza, ebbe una profonda influenza su gli stranieri conquistatori della nostra penisola, i quali, ritornando poi nei loro paesi d' origine,

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sentirono la necessità di coltivare anch'essi quella coltura intellettuale che essi stessi avevano trovato così fiorente in Italia.

c Così la guerra sì mostrò di nuovo, co me nei tempi di Ale ssa ndr o, potente mezzo di espansione della coltura intellettuale e quindi <!i progresso. ::. ( fabbris ).

In francia, francesco l tenne al suo servizio Benvenuto Cel!ini e Leonardo da Vinci, che tennero alto il nome d el ge nio italiano. La coltura italiana influì sulla architettura e s ulla letteratura francese, tanto che ad esempio la re ggia di fontainebleau fu ricostruita e adornata secondo il gusto italiano; mentre più tardi con le due regine dei Med ici salite sul trono di francia (fine del XVI e metà del XVII secolo) la lingua italiana divenne quella usata da tutte le persone di buon gusto alla corte di francia. Questo stato di cose durò fino alla grande reazione di Luigi XIV che ridonò importanza alla letteratura e all' arte francese, ma non potè annullare quello sfondo di coltura classica e italiana che la coltura francese continuò ad avere.

Il pensiero italiano influì in Inghilterra, specialmente sotto i Tudor : basta ricordare come Shakespeare ritraesse la più gran parte delle proprie ispirazioni dalle storie e dai costumi italiani.

La pittura italiana influì sulla scuola pittorica olandese, del Van Dick, il quale a sua volta influenzò la pittura inglese.

Nella Spagna l'influenza italiana si rivelò con la imitazione petrarchesca, e, n ella pittura, con le opere del Murillo.

L'amore allo studio, cosl vivo in Italia, si comunicò ai tedeschi: mutò in seguito carattere, abbandonò il classicismo e sboccò nella Riforma; ma la prima spinta intellettuale venne pur sempre dall' rt alia.

In sostanza dunque al decadimento politico in Italia, fa riscontro un contemporaneo risveglio intellettuale che dall' Italia si estende all' intera Europa.

Le istituzioni militari . - Abbiamo già accennato alla trasformazione che subisce l' arte della guerra alla fine del Medio Evo, e ai nuovi caratteri che l'arte stessa assume nel campo politico, nel campo strategico e nel campo tattico .

Da quanto abbiamo detto risulta che:

- l'attuazione dei grandi concetti politici che dettero più vasto campo d'azione alle operazioni militari;

- il ritorno alle fòrme di guerra manovrata per opera dei condottieri italiani;

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l' influenza del ri.nascimento sugli studi militari; il progressivo affermarsi delle fanterie; l' apparizione delle armi da fuoco fece sì che l'arte militare, dopo il periodo di decadimento rappresentato dal Medio Evo, entra in una fase di graduale elaborazione dalla quale poi sorgerà quella che è l' arte militare moderna.

La prima conseguenza di questa trasformazione fu il so rgere degli eserciti permanenti , alla cui prima costituzione già abbiamo accennato.

Nei nuovi eserciti permanenti però le milizie feudali e comunali non sparirono del tutto: nell' esercito con il quale Carlo VIII scese in Italia la fanteria grave era composta di mercenari stranieri (svizzeri e tedeschi); la fanteria leggera era fornita dalle milizie comunali e la cavalleria (le compagnie d'ordinanza create da Carlo VII) rappresentava l' elemento feudale .

Il sistema feudale, predominava poi in tutti gli eserciti per il reclutamento degli ufficiali: la nobiltà trovava nell e cariche militari, a lei quasi esclusivamente riservate, un compens o ai perduti privilegi.

Il reclutamento della truppa avveniva in quasi tutti gli eserciti fra i più bassi strati della società, allettati dalle prede, dalla licenza e dalla impunità: i mercenari stranieri furono in genere ritenuti più sicuri e preferibili ai nazionali.

Ma il ritorno alla coltura classica, portato dal Rinascimento, indusse a seguire il modello degli antichi anche nelle istituzioni militari. Ovunque furono così fatti tentativi per costituire milizie .nazionali: tentativi che, diciamo subito, non sortirono esito felice poichè per costituire solide milizie cittadine occorre che il popolo sia libero ed animato da forti sentimenti.

Le prime milizie nazionali in Italia. - In Italia, spenta la li· bertà dei Comuni, riapparvero le milizie mercenarie, ma poichè queste erano troppo costose, si pensò di richiamare in vigore le primitive milizie cittadine o comunali; l' obbligo al servizio militare fu esteso alla popolazione di tutto lo Stato: sorsero così le prime milizie nazionali.

Verso il 1440, Venezia iniziò il censimento di tutti gli uomini atti alle armi, scelse coloro che potevano prestar servizio militare come combattenti, e coloro che per speciali condizioni, potevano essere adibiti al servizio dei carri che erano al seguito degli eser-

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citi. l combattenti vennero stipendiati, esercitati al maneggio delle armi e riuniti una volta all' anno nel capoluogo. Si costituirono delle unità chiamate Cerne. In caso di necessità, tutti dovevano accorrere alle armi. In seguito fu costituito un esercito di 15.000 uomini, J-ronti a marciare al primo cenno; e un esercito che potremmo chiamare di seconda linea, composto di 40.000 uomini tenuti come riserva.

Nel 1479 Ercole d' Este, fece anch'egli eseguire un censimento, scegliendo 500 dei giovani più idonei ai quali assegnò armi e stipendio fisso, a fine di averli sempre pronti per la guerra. Più tardi (fine del 1500 ), Alfonso II d'Este, riordinò la milizia riuscendo a mettere in campo 10.000 fanti e 1000 cavalli più una riserva in paese di circa 15.000 uomini.

A firenze, il governo repubblicano che subentrò ai Medici all'epoca della calata in Italia di Carlo VIII, reclutò tra i giovani più idonei al servizio mititare 10.000 fanti, divisi in co,zjaloni e ordinanze: i primi costituiti con gli uomini delle città, le seconde con gli uomini del contado.

Nel 1506 inoltre il Maggior Consiglio stabilì che ogni anno al principio di Novembre i Rettori di ogni Comune presentassero ai Commissari la lista degli uomini validi dai 15 ai 50 anni. I più idonei venivano reclutati, armati e costituiti in compagnie di 300 uomini: ogni compagnia aveva un personale permanente alle armi (un conestabile, un tamburino, un cancelliere e 30 capi squadra) regolarmente stipendiato e incaricato di riunire nei giorni di festa tutta la compagnia, il grosso della quale, normalmente a casa, veniva così istruita e addestrata alla guerra. Nel Febbraio e nel Settembre, le compagnie si riunivano per riviste, esercizi, esercitazioni varie. Nel 1512 fu istituita la milizia a cavallo: 500 cavalleggeri divisi in dieci bandiere.

Tornati i Medici Alessandro mantenne l'obbligo al servizio mi· litare; Cosimo stabili la ferma di sette anni e l'obbligo alla chiamata per tutti i ciUadini, in caso di difesa, per la durata di trenta g iorni .

Ma il primo vero e proprio esempio di milizie nazionali lo dobbiamo al Piemonte: ne parleremo in seguito a proposito del Piemonte e degli altri Stati italiani durante il secolo XVI.

Le milizie nazionali in Europa. - fra tutte le nazioni europee, quella che costituì milizie nazionali che sotto ogni aspetto si possono dire una perfetta imitazione di quelle degli antichi, fu

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la Svizzera perch è le sue condizio ni sociali furono assai affini a quelle dei liberi popoli g reco e ro man o. Però dopo aver nobilmente difeso la propria indipendenza gli Svizzeri diven nero mercenari. La fama alla quale e rano saliti per le ripetute vittorie li fa ceva ricerca re; la loro povertà li spingeva ad a rru o la rs i con lo stran iero. Ma essi seppero con il loro valore e con la loro f ede ltà n obilitare il mercenariato.

Anche in Germania si ebbe ro milizie n az ionali o cittadine per opera di Massimiliano l. Erano fanti r eclutati uno ogni 400 abitanti, armati di lunga picca, da g a, co r s a letto e barbuta di ferro. Ma poichè ve nne in seg uito co n sentito alle popolazioni di sottrarsi a questo obbligo militare pagando una data som ma, le milizie risultarono in gran parte composte di mercenari paesani: furono questi i la nzi chenecchi.

In francia, il t entativo di Carlo VII, tentativo del q ual e già abbiamo parlato, non fece buona prova. france sco l per e ma nciparsi dalle milizie straniere, istituì quattro legioni provinciali, che dettero però cattivi risultati e vennero poco per volta nuovament e sostituite d a mercenari. Solamente sotto Enrico IV furono costituite d efinitiva m ente delle milizie nazionali.

Nella Spagna si ebbero milizie loc ali esclusivamente per la difesa delle città; mentre l'esercito destinato a condurre la guerra fuori del pase composto di mercenari e di milizie feudali.

L' Inghilterra ebbe milizie comu n a li che, occorrendo, dovevano rispondere alla chiamata de l re: frequentis si mo era l' ingaggi o volontario.

Milizie nazi onali sorsero anche n ei Paesi Bassi, e con esse Guglielmo d' Orange e Maurizio d i Nassau sconfissero numerosi ed ag gue rriti eserciti della Spagna, sottraendo la patria al giogo stra niero.

Ebbero pure milizie stabili e nazionali la Turc hia con i gianni zze ri; la Ru ssia con gli strelizzi e la Svezia.

Le fanterie europee. - Abbiamo già detto de ll ' importanza che le fanterie svizzere riuscirono ad ottenere con le loro vittori e contro la cavalleria, e abbiamo anche detto che, da quel momento, tutti gli eserciti europei cercarono d i avere fante r ie svizzere, o cerca ro no di modellare la propria fanteria su quella svizzera.

Diciamo dunque breve m ente del m odo con il quale quest e fante rie erano armate e o rd inate e del modo con il quale combattevano .

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Oli svizzeri, poveri, e in paese montuoso, non potevano ordinare le loro milizie come gli eserciti dei loro potenti avversari : l' Austria e i Duchi di Borgogna. Bisognava combattere a piedi, e per resistere all' urto nemico, necessitava costituirsi in forte ordinanza, compatta, profonda, falangitica, con lunghe picche, così come avevano fatto i greci. La profondità della formazione e la robustezza e la lunghezza dell' arma, denotano il carattere difensivo della nuova formazione.

Per la difesa del paese tutti i validi erano obbligati alle armi; per le imprese lunghe e lontane venivano invece scelti i più idonei. l capi dei villaggi o dei distretti erano anche i capi militari, o deputavano qualcuno in vece lo ro, oppure i soldati stessi si eleggevano il proprio capo. l cittadini più poveri erano armati dal Comune.

Da principio l' armamento era costituito da semplici spuntoni, mazze ferrate, SCI..\ri con punta e manico lungo da usarsi a due mani e che fu .detta alabarda, e balestre. In seguito per soverchiare di lun· ghezza le !ance dei cavalieri e non essere soverchiati dalle picche dei fanti tedeschi, furono adottate !ance lunghe 4 metri. furono inoltre adottate grosse spade a due mani e spade corte (daga o stocco ). Poche e misere erano le armi difen:,ive: scudo di legno piccolo; petto di ferro o di cuoio; camiciotto di rr.aglia di ferro.

La formazione adottata fu chiamata battaglione ( 6-8.000 uomini) e risultò composta da uomini armati di picche in prima linea, alquanto intervallati tra loro; in modo da permettere agli uomini armati di alabarda e di spadoni, che erano in seconda linea, di p_9rtarsi avanti, uscire dalla formazione e combattere, si. curi però di essere sostenuti dalle picche, dietro le quali potevano ripiegare in caso di necessità.

Quando invece l' ordinanza doveva resistere alle cariche eli cavalleria, la massa si serrava tutta a contatto di gomito.

l balestrieri erano messi sempre ai fianchi per tormentare ininterrottamente il nemico: in questi balestrieri furono sostituiti con archibugieri o con piecole colubrine: si ebbero così i battaglioni con ali o maniche.

Per mantenere la compattezza era indispensabile la disciplina: e gli svizzeri ebbero infatti ·severa disciplina. Notevoli infatti le prescrizioni che imponev ano il silenzio più assoluto durante il combattimento e la pena di morte a chi abbandonava il proprio posto.

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-Vol. J. 17
M. VALLETTI ·BORGK ! Nl, Storia Politico-militare ecc.

c: Secondo il Machiavelli, un corpo d'esercito svizzero si componeva di tre battaglioni che nelle marce costituivano avanguardia, corpo di battaglia, retroguardia, e nelle pugne, centro ed ali. (n ciò nulla di nuovo rispetto alle usanze del medio evo. Potè essere nuovo il muovere a scala contro questo o quel fianco del nemico; prima il battaglione di destra, per esempio, poi quello del centro, stando riserbo quello di sinistra; od anche sporgendo innanzi il centro od ambo le ali. In campo aperto prendevano anche forma di croce coi gittatori negli angoli. Di questi poi facevano drappelli per le guardie delle artiglierie e le fazioni leggere. » (Corsi).

Cessate le lotte per l'indipendenza d el paese, gli Svizzeri divennero mercenari.

l tedeschi ebbero, dopo gli svizzeri delle buone fanterie, che divennero poi mercenarie anch'esse. Paese straziato da guerre continue esterne ed interne, la Germania era piena di milizie e uomini d' arme che facevano della guerra un mestiere. Massimiliano l, come abbiamo visto, fu il primo a mettere un po' d' ordine in quel caos, riuscendo a stabilire milizie permanenti che furono i lanzichenecchi. Questi erano armati di lunga picca, spada o daga, corsaletto e morione o barbuta in ferro. Erano quindi meglio armati degli Svizzeri, ai quali, in sostanza, rassomigliavano molto per il modo di ordinarsi e di combattere. Ma gli Svizzeri, costumati, fedeli alla parola, disciplinatissimi, erano mercenari fedelissimi e ottimi; i tedeschi invece costituirono le milizie più infide, discordi, riottose e sfrenate di quei tempi.

Oli Spagnuoli si affermarono più tardi, con fanteria povera nell' armamento, ma saldissima, tenace, aggressiva. Armate all'inizio con aste corte e fragili, spade e scudi piccoli, ebbero poi sotto Consalvo di Cardava, partigiane, archibugi, spade, pugnale, corsaletto cappello di ferro e scudo.

Le fanterie svizzere, tedesche, spagnuole furono quelle che maggiormente si affermarono nel secolo XV.

Il primo carattere dunque delle islituzioni militari nel sec. XV è la definitiva riaffermazione delle fanterie e la conseguente formazione delle prime milizie nazionali.

Ma, come già sappiamo, un altro elemento veniva lentamente affermandosi: l'arma da fuoco. Diciamo quindi brevemente delle principali conseguenze che l' apparizione delle nuove armi ebbero sulle istituzioni militari in genere.

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Effetti delle armi da fuoco su gli ordinamenti militari.fino a tutto il sec. XVI mancò ogni logica relazione tra le formazioni tattiche e le nuove armi. Mentre l'apparizione delle armi da fuoco avrebbe dovuto spingere ad una radicale trasformazione delle f"rmazioni, la forza delle abitudini, le vittorie degli svizzeri ottenute con formazioni profonde, l'amore della imitazione degli antichi così come comportava lo spirito del Rinascimento, impedirono anche ai più grandi pensatori di scorgere questa necessità. Le formazioni rimasero quindi del tipo falangitico. Si ebbero due specie di fanteria:

- la fanteria leggera, la meno pregiata, provvista d' armi da fuoco pel combattimento da lontano e i picchieri per l' azione vicina. La picca fu sempre l' arma principale delle battaglie perchè era essa che decideva il combattimento.

L'antico armamento della fanteria fu quindi tenuto in pregio ancora per lungo tempo anche dopo I' introduzione delie armi da fuoco. La tattica della fanteria non fu perciò gran che diversa dal passato: i moschettieri iniziavano il combattimento col fuoco, i picchieri lo decidevano dando o sostenendo l' urto.

La cavalleria invece, con la comparsa d elle armi da fuoco, sentì la necessità di modificare la propria azi o ne: ma non volendo <.edere subito alla potenza delle nuove armi, ricorse ai ripieghi. dapprima un appoggio nei moschettieri coi quali si frammischiò nel combattimento; poscia si coprì di pesanti armature a prova di fuoco; infine ridusse l' armatura alla sola corazza, e sostituì alla lancia, la spada e il moschetto, riducendosi a combattere appiedata snaturando così la propria azione che è essenzialmente basata sulla mobilità e sull'urto.

Riassumendo quanto abbiamo sin quì esposto, diremo:

- carattere delle istituzioni politiche durante il periodo della Rinascenza fu l' assoggettamento delle varie class i sociali, nobiltà, clero, borghesia e popolo, al potere assolutista regio. Questo potere regio, assoluto, divenne il padrone della forza armata dello Stato. con la qua le furono perseguiti i vari disegni politici a seconda delle passioni, degli interessi e delle vedute personali del capo dello Stato, indipendentemente dall' intervento della volontà nazionale, la quale è tutta occupata a migliorare intellettualm ente sè stessa, lentamente così preparando le future rivoluzioni politiche, sociali, religiose;

-259-

-260carattere delle istituzioni militari è la definitiva riaffermazione della fanteria, accompagnata dall' uso sempre più diffuso delle armi da fuoco che fanno sentire la loro infuenza, all'inizio, più sulla cavalleria che sulla fanteria. S i costituiscono in questo periodo i primi eserciti nazionali.

L' arte della guerra alla fine del sec. XV. L'opera politica e militare di Niccolò Machiavelli.

Per completare il quadro della trasformazione subìta dall' arte della guerra dal feudalismo all'evo moderno, per meglio intendere quanto diremo circa l' arte della guerra nei primi secoli dell' evo moderno, c per bene inquadrare l' ambiente nel quale si svolse l' opera di Niccolò Machiavelli, ritengo necessario dare un breve cenno delle principali caratteristiche dell'arte della guerra alla fine del secolo XV.

L'arte militare alla fine del sec. XV. - Composizione degli eserciti: abbiamo visto che, malgrado i primi tentativi di milizie nazionali, non esistevano norme fisse per il reclutamento eserciti, nei quali entravano in varia misura l' elemento feudale, il mercenario e le milizie nazionali.

L' armamento si modifica con l' introduziòne delle armi da fuoco, ma la loro influenza è assai limitata per le ragioni già esposte.

La tattica: per i motivi già indicati, sostanzialmente non cambia malgrado l'apparire delle armi da fuoco; le quali come abbiamo visto influiscono più sulla cavalleria che sulla fanteria. Per la prima volta compaiono sul campo di battaglia le tre armi: fanteria, cavalleria, artiglieria: ma manca l' arte della loro armonica combinazione .

Poliorcetica . Le prime artiglierie vengono impiegate con vantaggio nella espugnazione delle fortezze. Si dovettero perciò introdurre modificazioni nell'arte di fortificare: il che fu merito degli architetti militari ilaliani. c Da principio fu mutamento di dimension i piuttosto che di forme, a motivo delle artiglierie; abbassate e rinterrate le mura, allargate ed abbassate pure le torri, fatti più larghi e profondi i fossi. l cavalieri delle porte ed i maschi delle rocche mutaronsi in batterie coperte. Nasce il sistema bastionale e l'artiglieria vi si adatta con grande diversità di calibri. ,. (Corsi)

Anche per merito degli italiani st maugura, con il sistema dei lavori di approccio, un nuovo metodo per l'espugnazione delle piazze forti.

Rifornimenti: prevale il concetto che unico mezzo per far vivere gii eserciti è il saccheggio. Oli eserciti sono seguiti da un numero enorme di salmerie e di carri che inceppano i movimenti.

Istruzione e disciplina: salvo che nella Svizzera, e più tardi in Francia, non erano affatto curate.

In sostanza, i caratteri distintivi dell' arte militare alla fine del secolo XV, al principio cioè dell'evo moderno, sono i seguenti:

« Rinascimento. Schiudonsi i germi gettati dal sec. XIV; ferve una nuova giovinezza. Le masse dei fanti svizzeri e tedeschi e le ingegnosità dei condottieri italiani riaprono la via all' arte guerresca. Riapparìsce nelle battaglie il popolo, e con esso la prima tattica, quella dei greci, difensiva prima di tutto, che oppone alla furia dei cavalli e alla prodezza dei singoli eroi le masse dì gente irte di punte, e vince. Prime combinazioni delle armi da gitto con le armi da mano: queste in mezzo, quelle da lato. Le armi da fuoco entrano in campo. Alle balestre succedono gli archibugi. Oli eserciti si muniscono di cannoni. Sorgono milizie stabili in Francia. Fanterie, artiglierie, milizie stabili divengono armi potenti nelle mani dei monarchi e confer_iscono ad inalzare lo Stato sopra feudi e Comuni. , (Corsi).

L'opera politica e miJitare di Niccolò Macbiavelli. - Niccolò Machiavelli nacque a Firenze nel 1469 e morì nel 1527. Per più di quattordici anni fu segretario della repubblica fiorentina ed ebbe numerosi incarichi presso i principi italiani, le repubbliche italiane e presso il re di Francia e l' imperatore di Germania.

Scrisse opere di carattere letterario, di carattere storico, di carattere politico e infine di carattere militare.

Fr::t le opere di carattere letterario, ricordiamo la c Mandragola » la commedia più notevole del 500.

fra le opere di carattere storico ricordiamo la c La Vita di Castrucèio Castracani e le « lstorie fiorentine in otto libri, dalle origini di firenze alla morte di Lorenzo de' Medici.

fra le opere di carattere politico ricordiamo c Il Principe , e c Discorsi sulla prima dec a di Tito Livio ».

Infine fra le opere di carattere militare: « L'arte della guerra

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Dell'opera di Machiavelli scrittore, così sc risse Ugo foscolo:

« Niuno scs isse mai in Italia nè con più forza, nè con più evidenza, nè con più brevità del Machiavelli. Il significato d'ogni suo vocabolo pare partecipi della profondità della sua mente, e le sue fra s i hanno la connessione rapida, splendida, stringente della sua logica . . . . . . L' unico difetto della lingua e dello stile del Machiavelli deriva dalla barbarie in cui trovò il suo dialetto materno. Ben ei si studiò di dargli tutta la dignità che Sallustio, Cesare e Tacito avevano dato al latino, ma si stu diò ad un tempo e con molta saviezza, di non disnaturare la lingua italiana e il dial etto fiorentino. •

Caduta la Repubblica fiorentina, privato del suo impiego, angustiato da st rettezze finanziarie, costretto a vivere una vita modesta e ritirata a San Casciano, Niccolò Machiavelli si dedicò interamente agli studi: nacquero così quelle opere che Io re sero grande, cioè: « Il Principe » , « l Discorsi sulla prima deca di Tito Li vio » e « L'arte della guerra ». In queste opere è espresso tutto il pensiero politico e militare del Machiavelli, pensiero che sinteti· camente possiamo cosi riassumere: da una lun ga meditazione sulle condizioni dell' Italia all' inizio del 1500, e dal lungo studio delle istituzioni politiche e militari dell'antichità; il Machiavelli si formò la convinzione che la rovina d' Italia era dovuta alle sue divisioni, alle sue lotte interne e al predominio de g li stranieri. Egli meditò quindi la costituzione di un forte Stato italiano, sotto lo scettro di un principe italiano, il quale per ra ggiungere lo scopo (l'unità e la indipendenza d' Italia) avrebbe dovuto impiegare ogni mezzo che fosse atto a rimuovere gli inevitabili ostacoli. Il Machiavelli, non si preoccupa di esaminare se per far ciò si dovesse tenere conto di una moralità sociale e politica : egli guarda diritto allo scopo: la costituzione di uno Stato italiano. Ma si preoccupa però altamente dello strumento, cioè del mezzo da adoprare per raggiungere tale scopo. La guerra era fatta in quel periodo, come sappiamo, da truppe mercenarie. Il soldato era totalmente disgiunto dal cittadino: nessun vincolo univa il so ldato al cittadino: non. patria, non affett i, non aspirazioni comuni. Con tali eserciti l' Italia era rima sta indifesa e preda degli stranieri. Ques to vide chiaramente il Machiavelli. Dal confronto di tale stato di cose con i forti ordinamenti politico-militari di Grecia e di Roma e dal lento riaffermarsi della fanteria, che era, in ultima analisi, il trionfo del popolo in

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-263armi, sorse in lui l'idea fondamentale di avere una milizia nazionale sicura, fidata; animata da amor patrio, profondamente ed intimamente convinta della bontà della causa per la qua le era chiamata a combattere.

In sostanza dunque l' esercito - cioè lo strumento con il quale il Principe avrebbe dovuto attuare la concezione di uno Stato italiano - doveva essere costituito da milizie nazionali. Caratteristica di queste milizie doveva essere data dall' intima fusione tra cittadini e soldati. È questo Io spirito delle istituzioni militari del Machiavelli.

Accennato così alle caratteristiche essenziali del pensiero politico e militare del Machiavelli, diciamo brevemente delle sue opere.

Il Principe; consta di 26 capitoli; fu scritto intorno al 1513 nei costretti ozi di San Casciano e pubblicato dopo la morte de l Machiavelli. Occasione e impulso a scriverlo fu il disegno di Leone X di formare nell' Emilia uno Stato per Giuliano de' Medici, disegno che richiamava alla mente i fortunati tentativi di Papa Alessandro VI e di Cesare Borgia nelle Romagne.

Il Machiavelli aveva attentamente osservato come erano sorti e cresciuti gli Stati e si era formato la convinzione che solo ad una volontà direttrice ed unica è dato fondare, ordinare lo Stato; il popolo potrà, in seguito, conservare, svolgere, far prosperare lo Stato stesso, ma mai iniziare la sua solida costituzione. c La patria, dice il Machiavelii, non sarà mai . felice e grande se non prima unita: e ciò non può essere che l' opera di un solo, di un princif)e riformatore. »

Questo principe gli riappariva sempre sotto le forme del Valentino, come una volontà forte e intelligente che entrata audacemente nelle vie che la natura delle cose e la situazione del momento, rendevano necessarie, non esitava di fronte a qualsiasi mezzo pur di conseguire lo scopo: la salvezza dello Stato. Chi fo sse capace di raggiungere questo scopo, dice il Machiavelli, se anche è un uomo malvagio, sarà certo come tale biasimato, ma meriterà pure, come principe, gloria immortale.

Il Valentino infatti, pur percorrendo una sanguinosa via di tradimenti, abbattè i più tristi tiranni di Romagna e fondò un governo che in sostanza, ricondusse l'ordine, la quiete, una pronta. amministrazione della giustizia in mezzo a quelle fiere popolazioni che si sentirono sollevate e incominciarono a prosperare.

In sostanza il concetto della unità organica dello Stato deve sovrastare a tutto: e questo concetto del Machiavelli è infatti quello

-264che prevale in seguito e che si va poi lentamente formando nella realtà della storia con la costituzione degli Stati Moderni.

Da ciò l' importanza del pensiero politico di Machiavelli.

Ma per noi italiani, ancor più importante è lo scopo ultimo al quale Machiavelli tendeva: costituire l' unità della patria italian a e liberarla dallo straniero. Ma egli conosceva perfettamente le condizioni dell' Italia e capiva quindi che un così nobilissimo scopo non era possibile conseguire, senza ricorrere ai mezzi immorali dei quali allora la politica si valeva.

Bisogna, egli concludeva, osare, e dinanzi alla alla santità del fine, non lasciarsi vincere da scrupoli. Solo costituendo una nazione unita, forte, indipendente, si potrà in Italia avere libertà, virtù, moralità vera.

Sono quest i in sostanza i suggerimenti che nel libro c Il Principe • il Machiavelli dà a quel principe italiano riformatore che avesse voluto costituire l' unità e l' indipend enza d' Italia.

Dal complesso di questi consigli, s i dedusse quello che fu detto il machiavellismo, che, considerato astrattamente, disgiunto dalle condizioni sociali e politiche, suonò lungamente come sinonimo di slealtà e perfidia: ma il ricordo dei tempi tristissimi nei quali allora l' Italia si trovava attenuò in seguito in gra n parte gli odi e le accuse.

E oggi noi ammiriamo commossi in Machiavelli la prima, grande e pura espressione del nobilissimo se ntimento d' italianità.

Discorsi sulla prima decadi Tito Livio. furon o scritti anch'essi intorno al 1513; il Machiavelli dice d i averli composti per una maggiore intelligenza dell' opera liviana, ma in sostanza più che una semplice illustrazione e un arido commento, essi formano un ampio trattato nel quale sono esposti i principi di una nuova Scienza dello Stato.

L'opera è divisa in tre parti : nella prima si ragiona de l modo di costituire e ordinare uno Stato; nella seco nda delle conquiste e delle guerre necessarie ad ampliarlo; nella terza delle cause che lo fanno fiorire o decadere.

In sostanza, mentre nel c Principe • il Machiavelli espone quella che deve essere l'azione di colui che voglia costituire uno Stato unito, libero e indipendente, nei c Discorsi • il Machiavelli dimostra che in seguito, all' azione del Principe deve subentrare l' azione del popolo.

Il popolo, secondo il Machiavelli, deve essere chiamato al

governo, reggere il paese con ordinamenti liberi e preoccuparsi di mantenere sempre lo Stato forte e prospero.

Con occhio acuto, il Machiavelli segue passo passo il racconto del grande storico romano; giud ica se ciò che i Romani han fatto è stato conforme ai dettami della buona arte di governo. E tutto ciò con molta pacatezza e severità; mentre la vastissima erudizione storica dei tempi antichi e moderni brillantemente conforta ciò che l' autore viene esponendo.

E in tutte queste pagine viene sempre esaltato l'amore della libertà, la devozione alla patria, il sacrificio di ogni interesse privato di fronte al pubblico bene. Quì, come nella esortazione del c Principe » , il patriottismo del Machiavetli si manifesta con entusiasmo ed eloquenza sublime.

In sostanza nel « Principe • e nei « Discorsi » Machiavelli getta le basi di una vera e propria Scienza di Stato.

Ma l'opera del Machìavelli, non si arresta a questo. Continuando a svolge re il suo pensiero, egli pensa, com e già abbiamo accennato, allo indispensabile strumento sul quale è sempre basata la potenza di uno Stato: all' esercito. E a questo pensiero è dovuta la terza opera c L'arte della guerra , ch e con chiude e completa la grande trilogia machiavellesca. In que s t ' ultima opera il Machiavelli si rivela vero grande e forte scrittore militare.

Nell' Arte della guerra il sostiene in sostanza questo concetto: che un popolo per essere libero deve essere forte. Ora questa potenza non si acquista se l'esercito, sul quale la potenza dello Stato è essenzialmente basata, non è formato dalle energie più vive e più sane della nazione. L' esercito deve scaturire dal popolo, essere l' espressione vera e armata della volontà popolare; e deve, per poter aspirare alla vittoria, essere animato dalle più profonde virtù pubbliche e private.

Notiamo, in questo principio, un ritorno all'antico: il Rinascimento che aveva rimesso in onore e in valore l'antico mondo latino, fece chiaramente vedere al Machiavelli come l' inizio della potenza di Roma fosse essenzialmente dovuto al giusto equilibrio tra cittadino e so ldato . Come già fece Roma, Machiavelli voleva educare gli italiani alle armi, abituarli ad e s sere se mpre pronti a dare la vita e tutto alla patria comune . L' esercito doveva quindi essete composto di mili zie nazionali.

L' c Arte della g uerr a , dunque, completando quanto è stato esposto nel c Principe » e nei c Discorsi , insegna come si debba

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preparare e armare un popolo, per difendere la libertà e l' incolumità dello Stato.

Nella trattazione di siffatto argomento, il Machiavelli non si limita a considel'azioni di carattere generale, ma affronta in pieno il problema militare cominciando a parlare della leva dei cittadini (libro 1.0 ); dell' armamento dei soldati (libro 2. o); delle ordinanze da adottare sul campo di battaglia (libro 3. o); della manovra degli eserciti (libri 4. 0 e 5. 0 ) i degli alloggiamenti (libro 6. 0 ) i e infine della fortificazione (libro 7. 0 ).

Vediamo brevemente quali sono le idee di questo grande italiano per ciascuno di tali argomenti.

li primo libro comincia con una profonda osservazione che cioè non bisognava limitarsi alla imitazione esteriore degli antichi, ma ricercarne invece l' intima essenza, la sostanza. Così facendo, lo studio degli antichi mette subito in evidenza tutto il danno che deriva dalle milizie mercenarie e tutta la potenza invece che deriva all' esercito e quindi allo Stato da una milizia nazionale, disciplinata, animata da amor di patria, e dalle più forti virtù civili e militari.

Ciò premesso passa a discorrere della scelta degli uomm1. Tutti gli uomini v:tlidi dai 17 ai 40 anni dovrebbero essere esercitati alle armi in certi giorni determinati, per essere sempre pronti a difendere la patria. Ma, dice il Machiavelli, non basta che questi uomini siano robusti fisicamente e addestrati alle armi, ma devono sopratutto essere virtuosi, forti di carattere, mor.lesti, pronti ad ogni sacrificio pel bene pubblico.

Nel secondo libro è detto del modo con il quale debbono essere armati ed esercitati gli uomini. Sono mirabilmente messi in evidenza i difetti della falange greca e tutti i vantaggi d ella legione romana, e viene magnificamente messa in valore tutta l'importanza e la preponderanza anzi che la fanteria deve avere nella costituzione degli eserciti. Il Machiavelli espone così quella che era la sua ordinanza, cioè il forte di 6000 uo mini, diviso in 10 battaglie composte ciascuna di 450 uomini. Dei rimanenti 1500, 1000 dovevano essere armati di picche e 500 armati alla leggera co n armi da fuoco o balestre. Una volta o due all'anno tutto il battaglione doveva essere riunito per esercitarsi come in tempo di guerra.

Grande importanza viene data alla mobilità e manovrabilità dell' esercito, giacchè a quell' epoca gli ese rciti erano ordinati in

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267maniera, che quando, durante la battaglia, il nemico riusciva ad assalire di fianco, tutto era perduto, o ritenuto perduto, per la grande difficoltà di cambiare formazione. Il battaglione di Machiavelli è infatti un vero miglioramento di quello degli Svizzeri per la su a maggiore articolazione, la sua mobilità e mutabilità.

Nel libro terzo vengono prese particolarmente in esame le formazioni da adottare sul campo di battaglia.

Il Machiavelli condanna il semplice schieramento lineare. Egli, ragionando su un esercito di due battaglioni ( 12.000 fanti e 600 cavalli), pone in prima linea 10 battaglie; 6 in seconda; e 4 in terza. Ogni battaglia ha le picche nelle prime linee e gli scudi nelle altre: ai fianchi dell'esercito sono distese le picche chiamate straordinarie (l 000 per . ogni battaglione) perchè da ogni lato si possa far fronte alla cavalleria avversaria. Pone la cavalleria alle ali; l'artiglieria innanzi. Durante il combattimento le battaglie della prima linea, trovano, all' uso romano, appoggio in quelle di seconda e terza linea; ma, all'uso greco, non sono gli uomini delle prime linee che devono ripie gare su quelle retrostanti, sibbene sono gli uomini di queste che devono successivamente prendere il posto che si rende vuoto nelle file antistanti. li libro si chiude avvertendo che si deve prima assalire il nemico con furia e con rumore, poi combattere in silenzio.

• Il libro quarto parla della dei luoghi; del modo onde evitare le molestie del sole e del vento; del modo di circondare e inseguire il nemico; descrive stratagemmi, agguati e come si debba sfruttare la vitto.ria e rendere la sconfitta meno dannosa. Conchiude parlando del modo di animare e ·incoraggiare il soldato; dell' efficacia della religione sulla disciplina e sul valore dell'esercito.

Nel libro quinto tratta delle disposizioni da prendersi nell' attraversare un paese nemico; propone di disporre in tal caso l'esercito, in formazione quadrata onde poter far fronte all'attacco proveniente da qualsiasi direzione. Dimostra la necessità di avere esatte carte topografiche e discorre dell' uso degli esploratori e delle guide.

Il libro sesto si occupa degli alloggiamenti; propone un apposito tipo di accampamento; parla delle guardie e delle scolte al campo, del servizio di sic u rezza, dei rifornimenti, e degli assedi.

Il libro settimo tratta del modo di fortificare una città: sostiene il principio di avere spazio libero per la m a novra, cioè per la dife sa attiva; e suggerisce miglioramenti da introdursi nella costru-

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zione di feritoie, saracinesche, ponti levatoi, ruote per tra sportare artiglierie ecc.

L' opera termina parlando delle doti di un buon capitano affermando ancora la necessità di milizie nazionali. Invoca e benedice quel principe che per primo le introdurrà nello Stato ed esorta i giovani a rinnovare la virtù e la gloria delle antiche milizie. ·

Come si vede l' c Arte della Guerra » è un vero, proprio e completo trattato di arte militare. In esso notiamo di ve ram ente caratteristico e geniale, il tentativo, fino ad allora mai compiuto, di creare una vera e propria dottrina tattica. Nella trattazione però di questo argomento, il Machiavelli dimostra di avere poca fiducia nello sviluppo delle armi da fuoco; egli ragiona dando quindi a questo fattore - che in seguito s i rivelerà decisivo per la con· dotta delle operazioni - una limitatissima importanza. Ma il progresso delle armi da fuoco fu in seguito cosi rapido e decisivo che le teorie del Machiavelli al riguardo non rimasero altro come prova del suo acume e del suo mirabile ingegno pratico.

Ria ssu mendo diremo che l' opera grande di Niccolò Machiavelli fu dunque quella di « indaga re e di vedere con la sua si ngola re facoltà di analisi le vere ragioni dei fatti storici e sociali, le cause per le quali Roma fu grande; e sarà suo titolo di gloria imperitura l' aver ciò fatto, per due alti scopi patriottici, qut-lli cioè di riform are lo spirito militare in Italia, in quei secoli nei quali la patria nost ra volgeva a profonda decadenza politica e di preparare le milizie nazionali, capaci di cacciare lo stranie ro. Egli a noi quindi ci appare, non solo, come dice il Canonge " il primo dei precursori dell' arte militare moderna, poichè all' alba di un ' era novella ha precorso i tempi sollevando con stupefacente sagacità il velo dell'avvenire , bensì come uno dei più grandi italiani che mai siano esistiti. , (Bobbio).

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Lotte degli Stati europei pel dominio politico dell' Italia.

- Carlo VIII. - Luigi XII. - Francesco I.L'impero di Carlo V. - La riforma protestante.

Le lotte di predominio: loro caratteristiche e loro ripercussioni in Italia. - Nei capitoli precedenti ahbiamo accennato alla prima costituzione delle grandi monarchie lentamente affermatesi sul potere feudale e sulla libertà dei Comuni.

Abbiamo visto anche che la formazione delle grandi monarchie dà alle guerre che ne derivarono, un carattere speciale: crescono i mezzi adoperati, gli scopi si fanno più grandiosi, la lotta si sviluppa . nel tempo e nello spazio. Cause di queste guerre sembrano essere unicamente il capriccio e l'ambizione dei principi: gli eserciti che conducono la . guerra sembrano estranei al paese per il quale combattono.

Se queste sono infatti le caratteristiche delle lotte iniziatesi fra le grandi monarchie, non bisogna dimenticare che le lotte stesse derivarono effettivamente dal nuovo stato sociale dei popoli, il cui orizzonte materiale ed intellettuale era stato grandemente allargato dalle scoperte geografiche e dal Rinascimento.

Teatro principale delle lotte di predominio fra le grandi nazioni costituitesi in Europa, fu l' ltali·a: il cui possesso era necessario a quello Stato che mirasse ad affermare la propria egemonia in Europa, perchè l' Italia, al principio dell' età moderna primeggiava su tutte le nazioni per cultura e civiltà. Il possesso dell' Italia quindi era ricercato ed ambito perchè esso dava al proprietario il primato morale sugli altri popoli e assicurava quindi il primato politico.

E l' Italia, risorta a_ nuova vita con i Comuni, male usando della libertà della quale godeva, limitando anzi il principio di libertà ad un Comune o ad una Provincia, fece sì che l' interesse dei singoli piccoli Stati prevalesse su quello della nazione la quale cos ì restò divisa, tollerò ed invocò anzi spesso l' intervento straniero. ...

Questo stato di cose peggiorò con l'affermarsi delle signorie: poichè con esse sparirono le armi cittadine e la patria rimase affidata a milizie mercenarie prive di ogni sentimento di amor di patria.

Spenta tra principi e pop0li italiani la virtù guerriera, l' Italia riponeva ogni sua fiducia negli intrighi, nei sotterfugi e nei tradimenti.

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È di questo periodo la lotta iniziata da papa Giulio Il al grido di c fuori i barbari • g rido accolto da principi e difeso da Machiavelli: però mai come allora l' Italia fu !ungi dalla sua indipendenza, mancando in tutti gli italiani unanimità di sforzi, fran chezza e lealtà. Lo stesso Giulio Il quando ancora non era papa, aveva chiamato ad aiutato l' intervento straniero in Italia: Lod ovico il Moro, che aveva chiamato Carlo VIII, non fu poi che il suo tradi-· tore. La vita italiana di questo periodo è infatti caratterizzata da un fare e disfare di alleanze, un chiamare e combattere gli stranieri sotto il pretesto della libertà e dell' indipenza, ma con la segreta mira di favorire gli interessi di vari Stati e spesso anche delle persone. Era lo gico quindi che in un simile ambiente i potenti eserciti stranieri riuscissero a facilmente impadroni rsi del nostro paese.

Così al sorgere dell' età moderna l' Italia, che possedeva la privativa della cultura civile in Europa, precipita all' ultima ruina, trascinata dal suo frazionamento politico, dal difetto di armi nazionali e dalla corruzione dei costumi. Perdette quasi completamente la sua indipendenza e fu soggetta allo straniero. (C. L.).

Carlo VIli. - Lo sventurato periodo delle dominazioni straniere si inizia in Italia con la discesa di Carlo VIli ( 1494) chiamato da Lodovico il Moro che voleva usurpare il Ducato di Milano al nipote Gian Galeazzo Sforza. Erede della Casa d'Angiò, Carlo vantava pretese anche sul reame di Napoli. Italia settentrionale e Italia meridionale furono facile preda del re francese che le conquistò, si disse, c col gesso dei furieri •.

Gli italiani, che non avevano saputo opporsi con la forza al poderoso esercito francese, riuscirono però a sollevare mezza Europa contro Carlo: primo ad entrare nella lega fu Lodovico il Moro che, ottenuto il ducato di Milano per la morte del nipote, se ntiva di non aver più bisogno dei francesi.

A fornovo ( 1495) Carlo VIli si aprì il passo con le armi e tornò in francia.

Con seg uen za di questa discesa fu una grave lotta civile scoppiata in fir enze fra tre partiti:

- i P allesch i, fautori dei Medici;

- gli Arrabbiati • dell' aristocrazia;

- i Piagnoni , del Savonarola.

L' austero frate domenicano fu incarcerato e impiccato e il s uo cadavere fu dato al rogo.

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Luigi Xli. - Nel 1498, morto Carlo VIli, gli succedeva il cugino Luigi d' Orleai"\S il quale discendendo da Valentina Visconti accampava pretese oltre che sul regno di Napoli, anche sul Ducato di Milano.

Nel 1499 Luigi scende in Italia: Venezia è sua alleata. Ferdinando II re di Napoli chiede aiuti al re di Spagna suo parente.

Gian Giacomo Trivulzio, profugo milanese e generale di Luigi XII conquista il Ducato di Milano.

Gonsalvo di Cardova, mandato a Napoli dal re di Spagna per combattere i frencesi, si allea invece con essi per spartirsi il regno di Napoli. La spartizione però provocò una guerra tra france s i e spagnuoli, guerra combattuta in Italia. •

A lentinara e a Cerignola ( 1503) i francesi sono battuti : il regno. di Napoli rimase alla Spagna.

È di questo periodo la famo sa Disfida di Barletta.

Intanto vicende ben più drammatiche si preparavano per l' Italia co n l' avvento di Papa Giulio Il.

Giulio 11. - Questo Papa turbolento, voleva riunire in sua mano tutti i possedimenti della Chiesa e consolidare l'autorità pontificia sc o:.sa dal malgoverno dei Borgia. Volse prima le sue mire sulle terre della Chiesa cadute in mano ai Veneziani e contro Venezia costituì la lega di Cambrai ( 1508 ). Venezia vinta ad Ag nadello potè poi fare la pace separata con cia scuno degli alleati. Rimase ultimo in lotta contro Venezia, l' imperatore Massi· miliano contro il quale le città venete strenuamente si difesero re s pingendo un esercito di 100.000 tedeschi.

Contro la Francia, Giulio Il costituì la lega Santa ( 1511) sollevando la nazione italica al grido di c fuori i barbari , , In questa gnerra si distinse il giovane nipote del re di Francia Gastone di Foix che morl eroicamente alla battaglia di Ravenna, r francesi furono cacciati dall' Italia ma al loro posto erano rimasti Spagnuoli, Svizzeri, Tedeschi chiamati da Giulio II: Milano fu restituita agli Sforza e Firenze ai Medici.

Francesco l e Ca r lo V. - La politica di Giulio Il aveva portato a guerre sm inuzzate e confuse: alla sua morte due nazioni primeggiavano in Europa: francia e Spagna; il regno di Francia già vecchio d'anni, quello di Spagna sorto da poco per unione dei vari stati della penisola. Potenti entrambi e naturalmente gelosi

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l'uno d ell'alt ro, questi due stati vennero presto ad urtarsi. Per più di cinquanta anni la storia d' Europa s'impe rnia sulle vicend e di francia e Spagna in lotta fra di loro per il predominio d'Italia. fran cesco l successo sul trono di francia al cugino Luigi XII, giovane, spensierato, audace, ambizioso, spirito cavalleresco ed avventuroso c può dirsi ancora uomo del medio evo Appena salito al trono egli tentò la riconquista della Lombardia, affermando cosi la continuazione della politica di Carlo VIli e Lui gi XU per il predominio in Italia, r iprendendo la lotta contro la Spagna e iniziando cosi la lunga serie delle guerre contro il suo grande • rivale: Carlo V.

Morto ferdinando Il saliva al trono di Spagna il nipote Carlo il quale tre anni più tardi ereditava i domini di Casa d'Austria dall'imperatore Massimiliano di cui era pure nipote. Carlo (I di Spagna, V come imperatore) venne cosi a trovarsi a capo di un impero potentissimo.

Abile politico e grande capitano egli voleva ricostituire l' im· pero sotto una monarchia universale fondata sulla comunanza di religione, e affermare la sua supremazia sulla Chiesa: ma questa idea s' infranse per due motivi: la bella ed eroica resistenza di francesco l e la riforma religiosa che staccò da Roma la nuova Chiesa protestante.

Appena salito al trono francesco I per ricuperare la Lombardia mandò in Italia un esercito comandato dal maresciallo jacopo Trivulzio che riportò una prima vittoria a Saluzzo contro i collegati guidati da Prospero Colonna. Sceso poi personalmente in Italia, francesco l riportò la grande vittoria di Melegnano che gli fruttò la conquista del Milanese. Cominciò allora la lotta tra i due potenti rivali: tre furono le guerre, disastrose per la francia.

- Nella prima francesco l fu fatto prigioniero a Pavia ( 1526) e costretto a firmare il trattato di Madrid con il quale rinuncia va ai suoi diritli sull' rtalia e sul ducato di Borgogna. L 'Italia ne riportò lo strazio dell' intero milanese.

Due anni dopo, disdicendo quel trattato perchè firmato non di sua pieua volontà, francesco I riprese la lotta: ma anche questa volta la fortuna gli fu avversa e il suo esercito dovette capitol are in Aversa ( 1527).

L' Italia ne riportò come conseguenza il sacco di Roma, e la prigionia di Clemente VII alleato di Francesco. La guerra ebbe ripercussioni a Napoli e in L ombardia e finì con la pace di

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Cambrai ( 1529) ribadita l' atfno dopo nel Congresso di Bologna ove Carlo V venne riconosciuto imperatore e re di Lombardia. Altre conseguenze per l' Italia furono l'assedio di firenze e il ritorno dei Medici e lo smembramento del Piemonte durante la minorità di Carlo 111 di Savoia.

Nel 1535 scoppia una nuova guerra tra francia e Spagna. La lotta si svolge questa volta principalmente in francia. francesco l è alleato dei Turchi e Carlo V di Enrico VIli re d'Inghilterra. francesco l è costretto alla pace di Crespy con la quale definitivamente abbandona ogni pretesa sull' Italia, mentre Carlo V rinuncia alle sue pretese sulla Borgogna.

Nel 1547 francesco l muore e gli succede suo figlio Enrico Il. Carlo V, dopo una nuova guerra con Enrico Il, stanco, sfiduciato di non poter realizzare il suo sogno della monarchia imperiale ed universale, abdica a favore del figlio filippo Il e si ritira in un monastero

Enrico Il e Filippo Il. - Enrico Il e filippo Il eredi degli odi e delle ambizioni paterne combatterono l'ultima guerra di predominio chiusa nel 1557 nelle fiandre con la famosa battaglia di San Quintino in cui la vittoria arrise alle armi spagnuole guidate da Emanuele filiberto di Savoia.

La pace di Chateau suggellò la lunga contesa tra francia e Spagna: la francia dovette riconoscere l'egemonia della Spagna, in balìa della quale cadde tutta l' Italia. fu salvo il Piemonte che riunito e governato da Emanuele filiberto divenne per fortuna d' Italia il focolare della grande idea d' indipendenza nazionale, compiutasi però solamente circa quattro secoli dopo.

L'i mpero di Carlo V. - Dal lato materno Carlo V ereditò i r egni di Spagna, di Sicilia, di Napoli e di Sardegna, i domini d'Africa e d'America; dal lato paterno ereditò i Paesi Bassi, e quando morì l' imperatore Massimiliano ottenne pure gli Stati ere . ditari di Casa d' Austria. Da molto tempo l' Europa non avtva visto un impero così vasto, impero che crebbe ancora quando gli elettori di Germania nominarono Carlo loro re e imperatore coronandolo in Aquisgrana ( 1520 ).

Carlo V avrebbe realizzato il suo sogno di diventare il capo di una monarchia universale comprendente tutto il regno cristiano, ma due forze gli si opposero tenacemente: la resi s tenza della francia

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M. VALLETTI ·BO RGI\INI, Storia Politico-militare -Vol. l. 18

-274personificata da francesco l e il rapido progresso delle idee di libertà e di uguaglianza politica, naturale conseguenza di quel vasto movimento intellettuale del quale abbiamo discorso n ei capitoli precedenti e che sboccò, per la parte religiosa, nella riforma di Martin Lutero.

La riforma protestante: cause. - Al princ1p1o dell'età moderna, cioè sul finire del sec. XV e nel cominciare del XVI l' Europa si trovava sotto il giogo di due sovranità eg ualmente dispotiche: l'impero nell'ordine temporale, il papato nell'ordine spirituale. La libertà poteva quindi dirsi spenta.

Ma come già abbiamo visto, in Italia e fuori tutte le menti si erano date allo studio delle letterature classiche, che divulgate dalla stampa e da copiosissime traduzioni, si erano diffuse in tutta Europa e specialmente in Germania ove Erasmo da Rotterd&m rivaleggiava per multiforme erudizione con i più dotti italiani. Le me-nti quindi sempre più s' illuminavano, ma tanto meno perciò erano disposte a prestare obbedienza ad una podestà come il Papato che con la dissolutezza scandalosa e con l' educazione letteraria e artistica quasi pagana delle gerarchie più elevate, e con la scostumate7.Za accompagnata invece all' ignoranza nel basso clero, aveva eccitato la pitl profonda indignazione anche n ei più devoti credenti.

Lo spirito umanistico di investigazione, desideroso di rendersi conto di tutto in ogni campo aperto al pensiero umano, sfavorevole perciò al principio dogmatico di autorità prevalente nella Chie sa romana, si era ormai impadronito di tutte le menti e diffuso in tutti i campi.

In Germania, questo bisog no di libertà e di indipendenza dello spirito, trovava uno speciale favorevole ambiente. Il Papato, istituzione prettamente latiua, non era confacente all' indole delle popolazioni germaniche, riluttanti per loro natura a sopportare qualsiasi autorità assoluta sia in materia religiosa che in materia civile.

È questo infatti il motivo profondo pel quale fu ritardata fino alla fine dell ' ottocento, la costituzione dell'unità tedes-ca; è questo il motivo per cui i popoli ted esc hi si sottrassero, apptma poterono, all'autorità del Pontefice sostituendo in fatto di religione alla guida di un capo supremo la guida della coscienza dei singoli individui. Un secolo prima Wicleff, Hu ss e Girolamo da Praga avevano già dimostrato l' in soffe r e n za dei popoli non latini per qualsiasi potere limitante la volontà individuale.

Sono queste in sostanza le cause di carattere generale che prepararono la grande riforma protestante. Quando poi le nuove dottrine furono formulate, il numero dei loro ·seguaci fu accresciuto da quanti videro nelle innovazioni religiose uno strumento atto ad accrescere la propria potenza, · e atto a scuotere una qualsiasi dipendenza da Roma

Svilu pp o storico della Riforma. - Germania. - La scandalosa vendita delle indulgenze promossa da Leone X (1517) indusse un frate agostiniano, Martin Lutero, a pubblicare le sue famose 95 tesi, con le quali si scagliava contro quel mercato delle coscienze affermando che nessuna efficacia avevano le indulgenze Sfnza il pentimento dell' animo. Chiamato a discolparsi egli dimostrò falsa l'affermazione della Chiesa di Roma che l'autorità del Papa venisse da Cristo. Scomunicato, dichiarato eretico, condannato al rogo, Lutero bruciò la bolla di scomunica e con nuovi e continui scritti si rivolse al popolo tedesco mostrando quale vergogna fosse stata per la Germania l' essere rimasta tanto tempo sotto l'autorità della Chiesa di Roma. Oli stati tedeschi fecero ·allora della tesi di Lutero una causa nazionale.

Carlo V con la Dieta di Worms decretò allora il bando dall' imper.o' per lutero e i suoi seguaci. Ma intanto, mentre Carlo era impegnato nella lotta contro Francesco I, i seguaci di Lutero aumentavano sempre più. Nel 1529 Carlo V con la Dieta di Spira fu costretto a riconoscere la riforma nei paesi ove già questa si era affermata, vietandone però la ulteriore estensione. Contro questo decreto protestarono (di quì il nome di protestanti) i principi tedeschi i quali l' anno successivo presentarono alla Dieta di Augusta una dichiarazione della loro dottrina, conosciuta col nome di confessione di Augusta . Questo atto provocò la guerra tra i principi rimasti fedeli alla dottrina di Roma e i principi protestanti: questi furono difesi da Gustavo Wasa re di Svezia e da Federico il Savio re di Danimarca. Sotto gli auspici del Duca di Sassonia fu così costituita la Lega di Smalkalda ( 1531 ). Nel 1532 i cattolici furono costretti a sottoscrivere la pace di Norimberga con la quale i protestanti acquistarono il di ritto di professare liberamente il loro culto: da allora la nuova dottrina progredì rapidamente in tutta la Germania.

Nel 1545 allo scopo di impedire la diffusione delle dottrine protestanti e per pacificare gli animi fu iniziato il Concilio di

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Trento che non ebbe però influenza alcuna e non potè evitare una nuova più terribile guerra. Paolo III papa e Carlo V si allearono e le loro forze ruppero i protestanti nel t 547 a Mi11berg sull' Elba, facendo prigioniero l' elettore di Sassonia capo della Le ga Smalkaldica che si sciolse. Re federico di Danimarca fu condannato a prigionia perpetua. Lu tero era morto l' anno prima (1546 ). La lotta, con qualche interruzione, durò però fino al t 555: in quell' anno Carlo V con la pace di Augusta si dconciliava coi riformati riconoscendo pubblicamente il luteranesimo.

Svizzera. - Ulrico Zuinglio,· curato di Einsiedeln, fu il campione della riforma nella Svizzera. Mentre però Lutero aveva avuto di mira il puro interesse religioso Zuinglio mirò a scopo morale: rigenerazione della vita e dei costumi dei popoli. La dottrina di Zuinglio trionfò in quasi tutta la Svizzera, meno in quattro Cantoni che difesero la loro fede cattolica ucddendo Zuinglio alla battaglia di Kappel ( 1531 ).

Francia. - Giovanni Calvino si fece banditore di una nuova seve ri ssima dottrina, caratterizzata specialmente dalla predisposizione e dalla intolleranza religiosa. Questa dottrina si diffuse nei Cantoni francesi della Svizzera, e nel mezzogiorno della francia, dove i seguaci di Calvino si chiamarono Ugonotti che furono trattati in modo vario dai re seco ndo che questi ebbero o no bisog no del loro aiuto contro gli imperatori di Germania. Anche i Paesi Bassi accolsero la riforma di Calvino spingendo anzi l'Olanda ad affrancarsi dal dominio s pagnuolo. Il calvinismo si diffuse anche rapidamente nella Scozia tanto da essere riconosciuto come religione dello Stato. Dalla Scozia i nuovi calvinisti passarono nell' America del Nord col nome di Puritani.

Inghilterra. - Scoppiata la riforma di Lutero, Enrico VIII si proclamò difensore del cattolicesimo è scrisse un libro contro Lutero, meritandosi dal papa il titolo di c difensore della fede » Senonchè scontentato da papa Clemente VII nel capriccio di ripudiare la moglie Caterina d'Aragona per sposare Anna Balena, Enrico fece abolire dal Parlamento l'autorità del Papa e si proclamò egli stesso capo della Chiesa anglicana. Enrico VIII quindi non può chiamarsi un vero riformatore ma un sovrano dispotico che manomise a suo piacimento il sentimento religioso e politico dei suoi sudditi. Egli p e rs eguitò cattolici e luterani; confiscò i beni della Chiesa; distrusse le imagini ma lasciò sussistere tutti i dogmi e i culti della Chiesa cattolica.

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Sono queste le dottrine che riuscirono ad affermarsi in quella grande rivoluzione religiosa conosciuta sotto il nom e di Riforma. Altre e numeros e sette sorsero in Europa, come ad esempio quella degli Anabattisti, movimento questo che fu un' aberrazione di riforma perchè proclamante la comunanza di beni, di ricchezze e di donne. Ma della riforma luterana, calvinista e anglicana la più notevole e la pitl importante fu se nza dubbio quella luterana.

la dottrina di Lutero. - La dottrina di Lutero s i differenzia dalla cattolica in due punH essenziali:

l. o) rigetta la tradizione come fonte di fede, solo accettando le sacre scritture;

2. 0 ) ammette il libero esame, cioè riconosce in ogni fedele il diritto di interpretare liberamente la Bibbia. Altre differenze sono: il ripudio d ell'istit uzione divina della gerarchia ecclesiastica, della credenza nel Purgatorio; l'abolizione della Messa, del culto delfa Vergine e dei Santi, del sacerdozio e del monachesimo.

Conseguenze della Riforma sulla civiltà. - Il trionfo della teoria del libero esame trasportato dal campo reli gioso nel campo sc iei1tifico, significò libertà di discussione, cosicch è la mente umana, liberatasi da ogni convenzionalismo, non ebbe più limiti nelle sue ricerche e nelle sue investigazioni e l' uomo acquistò la coscienza della sua forza e del s u o valore morale e intellettuale. Uscito dalla immobi lità in cui l'aveva tenuto la Chiesa Romana potè manifestare tutta la sua operosità nel campo della scienza, della filosofia, dei commerci e delle industrie.

La storia degli Stati europei dopo la riforma, dimostra che dove questa penetrò, i popoli fecero passi giganteschi sulla via del progresso; mentre dove non penetrò o dove fu soffocata, i popoli decaddero fino a tanto che non si operò anche in essi una salutare reazione contro il dispotismo della Chiesa.

La supremazia morale ed intellettuale, tenuta prima della Riforma dai popoli di razza latina, passò poscia ai popoli di razza tedesca ed anglo- sasso ne.

Ma la Riforma ebbe un'altra notevolissima conseguenza. Presso le nazioni protestanti, la Chiesa, bandita ogni idea politica, non vide più nello Stato un suo nemico, ma si unì ad esso per poter governare e dirigere i popoli. Abolita ogni immunità, ogni giurisdi -

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zione speciale del clero, questo rientrò nel seno dello Stato , sottomesso alle leggi e ai doveri di Qgni altro cittadino.

Nell' Italia cattolica invece, dodici secoli di tradizioni e le rigide esigenze della Chiesa e del Diritto canonico, non hanno ancor oggi portato alla conciliazione fra la Chiesa e lo Stato.

La controriforma cattolica. - Tutto preso dalle contese politiche, intento a favorire il nepotismo, immerso nei piaceri mondani, il Papato non si accorse che molto tardi dell' imponenza del vasto movimento protes tante. Obbli g ato dalla forza stessa degli eventi a difendersi, il Papato mise allora in atto mezzi mate riali e morali.

I mezzi materiali furono forniti da due potenze cattoliche: la Spagna di filippo Il e l' Austria di ferd in :mdo Il.

l mezzi morali escogitati da Roma furono:

- gli ordini religiosi: furono istituiti ordini speciali tamente incaricati di combattere l'ere s ia. Sorse così l'ordine dei Teatini per aiutar e e istruire il basso clero; quello dei Lazaristi per diffondere la dottrina cristiana; quello delle Orsoline per l' istruzione delle donne .

Ma l'ordine veramente battagliero fu quello dei Gesuiti fondato da Ignazio da Loiola nel 1540. Ess i dipendevano direttamente dal Papa; non avevano regole fisse che li costringessero alla penitenza e alle pratiche ascetiche: dotati invece di ogni sorta di dispense, poterono entrare in tutte le relazioni umane. Essi si valsero specialmente della istruzione della gioventù; del grande e potente mezzo della confessione con il quale poterono impadronirsi dei segreti delle famiglie e degli Stati; e infine delle missioni con le quali diffusero il cattolicismo fra popoli barbari e selvaggi. In seguito, i vari Stati impressionati della potenza acqui s tata da questo ordine, cacciarono i Gesuiti da ogni parte;

- L'Inquisizione che venne ferocemente adoperata per estirpare l'eresia mediante le galere e i roghi. L'opera dell'inquisizione infuriò specialmente sotto Paolo IV;

- infine il Concilio di Trento ( 1542-1563) che non riuscì a calmare i dissidi fra cattolici e protestanti, ma riuscì a ristabilire la moralità della Chiesa, e a fissare i do g mi in modo che potessero essere accolti senza scrupoli. La Chiesa uscì dal Concilio di Trento consolidata nella sua autorità spirituale: ma non fu così per la sua autorità politica, giacchè gli Stati cattolici vollero premunirsi contro la soverchia potestà dei pontefici con le restrizioni del regio exequatur.

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L' assestamento dei grandi Stati europei nei secoli XVI e XVO. - Cenni sulla guerra dei trent'anni.

L' assestamento dei grandi Stati europei. - Oli avvenimenti svoltisi fino al sec. XVII stanno a dimostrare che il processo di formazione dei grandi Stati, al quale già abbiamo accennato parlando del sorgere delle grandi monarchie, venne sempre più accentuandosi assicurando il definitivo assestamento degli Stati europei.

Il predominio dei poteri locali esercitato dai signori feudali e dalla borghesia dei comuni, andò mano a mano estinguendosi per passare ad un grande potere centrale rappresentato dal re, sotto la cui bandiera si raccolsero in un unico fascio i diversi ordini sociali. Questo processo di formazione, come già sapp iamo, assunse forme diverse a seco nda dei vari paesi ove si svolse, così per esempio :

- in Inghilterra l'accordo tra la borghesia e la baronia limitò il potere assoluto del Sovrano, ma sottomise entrambe al sovrano stesso, creando una forte unità statale;

- in francia la borghesia pur di abbattere il feudalis mo si sottomise al sovrano che riusd così a dominare gli uni e gli altri;

- nella Spagna il concorde · tributo offerto dal popolo e dalla nobiltà al monarca per combattere il nemico comune etnico e religioso, cioè l'arabo, creò l'unità nazionale.

Si costituiscono così e si consolidano i grandi Stati fu questo in sostanza un ritorno all'antico concetto romano di un forte organismo sta tal e, basato sull' uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e che la violenza e l'ignoranza dei barbari erano riusciti ad abbattere.

Se non che, in questa prima affermazione delle unità statali, due nazioni sono completamente assenti: la Germania e l' Italia.

La Germania trovò un forte ostacolo alla propria unità statale e nazionale nella tenace resistenza degli innumerevoli principi tedeschi, contrari come già sappiamo per naturale tendenza, ad ogni predominio politico, intellettuale o spirituale: l' impero rimase sempli cemente come simbolo dell'unità della stirpe germa nica.

L' Italia, sia per la sua speciale configurazione geografica, sia p er le sue ricche tradizioni regionali riboccanti di vita e di me-

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morie gloriose, sia per la influenza disgregatrice del papato, soggiacque, debole e divisa, al predoPilinio stranie ro.

La costituzione e l' affermazione dei grandi Stati non è pe rò solamente dovuta al prevalere materiale del potere sovrano su g li altri stati sociali in lotta tra di loro, ma risponde anche ad una necessità intimamente e naturalmente sentita dai popoli di origine comune da stringersi in unica unità sta tale. Si costituiscono così i grandi Stati secondo i vincoli naturali delle origini, della tradizione e della lingua.

Ma l'accentramento di ogni potere nelle mani dei re, favorisce l' ambizione di questi e li trascina a guerre di conquista su popoli diversi per interessi per inclinazioni e per abitudini. Questi però istintivamente reagiscono e si hanno così i primi accenni a quelle lotte per il trionfo delle nazionalità che caratterizzeranno poi i secoli successivi. Primi si ntomi di queste lotte sono:

- la resistenza degli Stati dell' Europa occidentale che riescono a spezzare gli arditi piani di filippo Il che avrebbt> voluto raggrupparli tutti in un ampio impero basato sul principio dell' unità religiosa;

- le lotte sos tenute dalle fiandre per sfuggire alla corona di Spagna;

- la lotta della Boemia e dell'Ungheria contro gli Absburgo durante la guerra dei trent' anni.

Altro motivo di lotta è il de siderio di predominio che ognuno dei nuovi Stati cerca esercitare sugli altri: questi si coalizzano tra di loro e tentano impedire l'affermazione della potenza di uno di essi. Si inaugura così la lotta per l' equilibrio europeo che costi· tuisce appunto la caratteristica de i tempi moderni.

L' Euro pa però in questo periodo è agitata dalle question i religiose che provocano guerre disastrose e coprono spesso l' ambizione e il desiderio di conquista delle nuove monarchie. E mentre così tanti motivi tengono continuamente agitata l' Europa intera, l'Europa stessa è minacciata da un grave pericolo: l' invasione turca.

favorite da questo complesso di cause grandiose che richiedevano mezzi poderosi, le grand i monarchie vanno sempre più affermando la loro potenza. Esse devono però vincere resistenze interne, dovute agli ultimi residui della feudalità, alle ultime resistenze dei Comuni e della borghesia; e resistenze esterne dovute a l primo apparire del sentimento di nazionalità, alla lotta per la

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conservazione dell' equilibrio europeo, alle lotte di religione, alla difesa contro il turco.

Le più forti resistenze interne furono dovute vincere:

- in Francia, dalle lotte che la monarchia dovette sostenere contro Carlo il Temerario, lotte felicemente portate a compimento da Luigi Xl, lotte che finiscono con lo sfasciamento dell' aristocrazia feudale, la riunione dei grandi feudi alla corona, l' affermazione del potere assoluto della monarchia: Luigi Xl può veramente considerarsi come il re che definitivamente consolidò la monarchia francese i

- in Inghilterra, con la guerra civile detta delle Due Rose, terminata per opera di Enrico VII, il quale sui ruderi del potere aristocratico fonda la dinastia di Tudor.

Vediamo brevemente l' affermazione degli altri Stati europei.

La Spagna consolida anch' essa la propria mon archia, ma l' abuso del di'Spotismo e l'uso inumano dell' In quisizione preparano la decadenza nazionale i così come avveniva nel Portogallo.

In Germania, il potere è tenuto, ma in apparenza, dalla Casa d'Austria: la nobiltà è potente; l'imperatore Massimiliano è incapace; la monarchia non è solida ma schiava dei vari principi.

La Russia, liberatosi dai Tartari afferma la propria unità politica e territoriale e anche religiosa, liberandosi, in questo campo, dalla supremazia di Roma : esponente di questo grandioso movimento fu lvan il Grande .

La Polonia, con le sue vittorie sull'Ordine teutonico conqu ista la propria indip e ndenza e si ingrandisce territorialmente: ma il potere dispotico dei signori e la nessuna autorità dei re, getta no i sem i della decadenza.

Oli Stati scandinavi lottano fra la necessità dell' unione e lo spirito di secessione: anche qui come in Polonia il manca{o accentramento dei poteri e la mancata depressione dell' autorità aristocratica, danno origine come in Polonia a guer r e continue.

Mentre così gli Stati europei venivano costituendosi ed affermandosi, i.I regime monarchico che prevaleva ormai in tutti gli Stati europei, tutto preso dalle necessità derivant i dalle guerre continue, lentamente maturava i ge rmi della propria decadenza.

La grandiosità e la continuità delle lotte reclamavano l' accentramento del potere nelle mani di un solo: la nazione stanca di queste lotte continue, domandava solamente di coltivare in pace i

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-282propri commerci e le proprie industrie che le nuove scoperte e il nuovo ordine di cos; grandemente favorivano.

Di questo stato di cose, comune in linea, di massima a tutti gli Stati europei, ne profitta il Re per governare in modo personale, assoluto, dispotico. Il popolo è escluso dalle pubbliche faccende; le assemblee rappresentative perdono poco per volta, nella maggior parte degli Stati ogni valore reale, non vengono quasi mai convocate e servono solo a conservare la tradizione delle rappresentanze politiche. Ma intanto lo sviluppo intellettuale dei popoli faceva continui progressi; il popolo poco per volta comprendeva la propria forza e cominciava a desiderare l' esercizio dei propri diritti. fu grave errore del regime monarchico non aver compreso questo stato di cose, e non aver quindi cercato di contemperare i propri interessi con quelli del popolo: il regime diventò sempre più assolutista e dispotico preparando così incosciamente la violenta reazione della fine del sec. XVIII.

Cenni sulla guerra dei trent'anni. - Cause. - La pace di Augusta promulgata da Carlo V per porre fine alle lotte di religione aveva infatti dato alla Germania mezzo secolo di tranquillità politica e religiosa. Ma mentre i protestanti ne profittarono per dedicarsi a interminabili dispute teologiche, la Santa Sede, per opera specialmente dei Gesuiti, silenziosamente lavorava a ristabilire l' unità del mondo cattolico. Questa lotta pacifica ma continua, scosse infine i protestanti che presto si accorsero del pericolo dal quale erano minacciati: sorse così fra i protestanti l' Unione Evangelica alla quale i loro avversari risposero costituendo la Lega cattolica. Enrico IV di francia tentò profittare di questo stato di cose per sostituire l' influenza francese a quella degli Absburgo nella Germania occidentale: un esercito francese doveva a questo scopo passare il Reno per sostenere gli interessi dei princtpt protestanti; se non che l' assassinio di Enrico troncò ogni cosa e differì la lotta.

Salito al trono imperiale ferdinando Il, educato dai Gesuiti, la lotta si appalesò subito inevitabile. Il nuovo imperatore, come filippo Il, non poteva concepire la coesistenza di due religioni nel medesimo territorio politico: egli era infatti ben deciso ad estirpare l'eresia dai suoi Stati. L'affronto recato ai luogotenenti imperiali con la Defenestrazione di Praga (16 18) da parte di alcuni capi boemi dell' Unione evangelica, fu il segnale della guerra, guerra che

-283durò dal 1618 al 1648, che fu detta perciò dei trent'anni e che viene generalmente divisa in quattro periodi : periodo boemo -palatino: 1618-1624; periodo danese: 1625 - 1629; periodo svedese: 1630-1635; periodo francese : 1635- 1648

Periodo boemo- palatino. l principi protestanti dichiarano Fer_dinando decaduto dal trono ed eleggono al suo posto federico V re di Boemia; marciano su Vienna e l' assediano. L' imperatore prende allora 1 1 offensiva e nella battaglia della Montagna bianca presso Praga ( 1620) batte l'esercito dei principi protestanti. La Boemia è sottomessa: la vittoria di ferdinando, cioè dei cattolici è completa.

Periodo danese. -- principi protestanti chiedono aiuto al re di Danimarca Cristiano IV che interviene cosi nella lotta.

L' imperatore disponeva del solo esercito della Lega cattolica sotto il comando del generale conte di Tilly; ma per avere un esercito proprio che non lo facesse dipendere dalla Lega, costitui un nuovo esercito, composto di mercenari e che venne affidato ad Alberto di Waldstein. Questo esercito improvvisato battè a Dessau i danesi ( 1626) mentre l'esercito del Tilly li batteva a Liltter. Queste sconfitte indusswo re Cristiano alla pace_

Incoraggiato da questi successi, l' imperatore tolse le libertà religiose già ai protestanti con la pace di Augusta; si preparò a soccorrere la Spagna contro la ribellione delle Provincie Unite; inviò \.)n esercito in Italia per impadronirsi di Mantova e volgersi poi contro Venezia; iniziò trattative col Papa per cingere in Roma la corona imperiale. Ma ad arrestare il corso di questi progetti grandiosi intervenne il re di Svezia: Gustavo Adolfo.

Periodo svedese-- è il periodo più interessante e, militarmente parlando, il più importante della guerra dei 30 anni.

La naturale simpatia religiosa verso i principi protestanti, il desiperio di assicurare la dominazione svedese sul Baltico, gravemente compromessa dalle vittorie cattoliche di ferdinando Il, la segreta condiscendenza della Francia che per merito dell'astuto Richelieu, giustamente vedeva nel re di Svezia il campione della lotta contro l'Austria, furono i motivi che indussero Gustavo Adolfo ad intervenire nella lotta_

Nel luglio del 1630, Gustavo Adolfo con 12.500 fanti e 2000 cavalli sbarca nell'isola di Usedom, passa nel continente s' impa-

dronisce di tutta la Pomerania inferiore, occupa Stettino che domina ambedue le rive dal basso Oder.

Con questi atti veniva così costituita una ottima base di operazione in diretta comunicazione con la madre patria. Per allargare questa base d' operazione fino all'Elba e per rassodarla, Gustavo Adolfo invade il Macklemburg mentre i suoi luogotenenti s' impadroniscono della Pom erania orientale. ferdinando Il contava che al sopraggiunge re d ell' inverno, gli svedesi avrebbero sospeso o rallentato le operazioni: offrì anzi un' armistizio. Il re svedese invece, ben consapevole che solta nto con un' energica offensiva avrebbe potuto conseguire la vittoria ed acquistare l' adesione dei titubanti amici, respinse ogni proposta e continuò risoluto nella azione, mentre gli imperiali che difettavano di pane, di munizioni e di vesti erano costretti a ritirarsi con gravissime perdite nel Brandeburgo. Intanto anche politicamente l' azione di Gustavo Adolfo otteneva not evoli successi. Il cardinale di Richelieu, già vittorioso nella fiera lotta intrapresa contro i nemici interni della monarchia ( ugonotti e n obiltà) era li ber o ormai di svolgere il suo vasto programma di politica estera (abbattimento della casa d' Austria): la francia diventa infatti una vera e propria alleata della Svezia.

Nella primavera del 1631 le operazioni riprendono vigorosamente. Il Tilly avanza contro l'esercito svedese, ma Gustavo Adolfo, fortemente trincerato a Schewdt sull' Oder per coprire Stettino e la Pomerania , attende inutilmente l' attacco. La posizione degli svedesi era talmente forte che il generale imperiale non osa attaccare. Gu stavo Adolfo però non si sente ancora pronto a prendere l' iniziativa delle operazioni e vuole prima ben consolidare la propria sit uazione: non si cura dell'esercito imperiale e si porta contro francoforte. La presa di questa città costituisce la prima g rande vittoria degli svedesi. Il giorno seguente l' occ upa zio ne, Gustavo Adolfo stacca un corpo mi s to di fanteria e cavalleria per spa zzare dai nemici tutta la regio ne compresa l ' Oder e la Wortha

Tilly intanto portatosi improvvisa mente contro Magdeburgo la prende e la saccheggia: più di 30.000 persone perirono di ferro e di fuoco. La presa e il saccheggio di questa città protestante da parte delle truppe imperiali suscitò un coro di sdegno del mondo pro tes tante contro il r e svedese al quale venne attribuita questa grave sconfitta.

Si fece e si fa colpa a Gustavo Adolfo di non aver socco rso la città: l' unica fra le grandi città germaniche che avesse preso

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-285decisamente le armi contro gli imperiali. Ma per difendere Magdeburgo, Gustavo Adolfo avrebbe dovuto affrontare in campo aperto il Tilly; ora egli non si sentiva ancora pronto a ciò e non voleva esporre il proprio esercito ad uno scacco anche parziale che avrebbe gravemen te compromesso la situazione

Incerta inoltre era ancora la condotta degli elettori di Brandeburgo e di Sassonia: motivo per cui Gustavo Adolfo volle conservare intatto e pronto il proprio esercito. Egli si fortificò infatti nel quadrilatero brandeburghese formato dalla riva del Baltico, dall' Elba, dall' Oder, dalla linea dell' Havel e della Sprea, e raccolse il proprio esercito nel campo di Werben.

Il Tilly mosse contro di lui: per cinque giorni attaccò inutiiIJlente il campo svedese, finchè sfiduciato e dopo aver s ubito perdite gravissime tu costretto a ritirars i vigorosamente inseguito dalla cavalleria svedese.

Questi successi indussero la Sassonia ad unirsi a Gustavo Adolfo: questi allora visto il momento favorevole decide la battaglia in campo aperto contro l' ormai stanco e sfiduciato esercito imperiale. Passata la Mulde e direttosi s u Lipsia, l'esercito svedese incontra il 17 settembre 1631 l' esercito del Tilly: avviene così la battaglia di Breitenfeld, magnifico esempio di battaglia manovrata.

Tilly avrebbe voluto evitare la battaglia per attendere l'arrivo dei rinforzi, ma l' impazienza di un s uo luogotenente che contrariamente agli ordini ricevuti mosse con 2000 cavalieri ad attaccare gli Svedesi, provocò la battaglia.

Il terreno della battaglia era ondulato e praticabile a tutte le armi: una piccola altura attraversava e dominava la strada LipsiaDii ben.

Tilly dispose le sue truppe ai piedi dell'altura fronte a nordnord est, su due linee:

- la prima linea comprendeva: al centro 7 r eggimenti di fanteria su 4 quadrati pieni; all'ala destra 5 re gg imenti di cavalleria; all'ala sinistra 9 reggimenti di cavalleria; l'ala destra aveva inoltre spinti sul fronte una avanguardia speciale di 5 reggimenti di cavalleria;

- la seconda linea comprendeva: al centro 7 reggimenti di fanteria; all'ala destra 3 reggimenti di cavalleria; all'ala sinistra 2 reggimenti di cavalleria;

più indietro una riserva di 3 r eggimenti di fanteria e 3 reggimenti di cavalleria;

l' artiglieria non contava che 26 cannoni costituenti due grosse batterie: una di 13 pezzi pesanti appostati sull'altura tra il centro e l'ala destra i l'altra di 13 pezzi leggeri posti dinanzi alla fanteria di prima linea.

Fronte di schieramento: 4 Km. circa.

Gustavo Adolfo spiegò il suo esercito su due linee fronte all' avversario, restringendo però gli intervalli:

- ogni linea era costituita da fanteria al centro e cavalleria alle ali i ciascuna linea aveva una propria riserva.

Fra g li squadroni di cavalleria erano frammischiati plotoni di moschettieri. L' artiglieria contava 58 pezzi di cui 38 pesanti e 20 le ggeri: questi ultimi erano disposti dinanzi la prima linea in ragione di 5 per brigata; i pesanti divisi in più batterie a destra e a sinistra del centro e alcuni in riserva L'esercito sassone, posto alla sinistra dello svedese al di là della strada di Di.iben, aveva un uguale dispositivo: i suoi 42 cannoni si trovavano parte dinanzi la prima linea e parte negli intervalli.

Erano complessivamente 37.000 svedesi e sasso ni di cui circa 13.000 cavalieri contro 32.000 imperiali di cui circa 11.000 cavalli.

Dopo circa due ore di fuoco d' artiglieria Gustavo Adolfo ritrae alquanto la sinistra dell' esercito svedese alquanto danneggiata dai tiri nemi ci. La cavalleria degli imperiali ne profitta per caricare, ma invano: respinti e rotti dal fuoco, gli squadroni im· periali so no inseguit i dalla cavalleria svedese. Allora le fanterie di Tilly, obbliquando a destra attaccano in massa i sasso n i: li sbaragliano e attaccano il fianco sinistro dello schieramento svedese. A questo urto Gustavo oppone l' intera seconda linea rafforzata da gran parte delle artiglierie rapidament e spostatesi: e mentre così la situazione viene ristabilita, Gustavo ordina alla propria ala destra di avanzare verso l'altura Questo improvviso ed ardito attacco riesce perfettamente: la fanteria svedese s' impadronisce delle artiglierie di Tilly che vengono subito volte contro gli imperiali. Sotto un fuoco tremendo e incrociato l' esercito di Till y si sfascia. La cavall eria svedese insegue i fuggiaschi. L'effetto della vittoria svede se fu enorme: la strada di Vienna ara aperta. Ma Gustavo Adolfo non si la scia attirare da questo obbiettivo territoriale. Egli sapeva che l' anima della Lega cattolica non era a Vienna ma nella Germania sud occidentale e seg natam ente in Baviera. Il giorno dopo la battaglia, Gustavo lascia ai Sassoni il compito d'invadere la Boemia ed egli si porta invece all'in segu im ento di Till y.

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Si volge su Hall e ed Erfurth, passa i monti di Turingia, scende sul Meno, occupa Bamberg, Wurzburg, passa il Reno ad Oppenheim e prende Magonza. Così facendo il re svedese lascia va la sua ottima base del Baltico, ma ne prendeva un'altra sul Medio Reno appoggiandosi alla Francia alleata e traendo dalla sua i principi protestanti della Germania occidentale.

Nella primavera dell'anno successivo ( 1632) Tilly riunito un nuovo esercito rioccupa Bamberg, poi per coprire la Baviera passa sulla destra del Danubio fermandosi dietro il Lech un po' a monte della piccola città di Rein in posizione trincerata, coperta dal Lech, la rgo, rapido e in .quei giorni in piena. Saputo ciò, Gustavo Adolfo decide di affrontare nuovamente il Tilly per batterlo prima dell' arrivo, già annunciato, di nuove forze imperiali.

Aggirare la posizione d egli imperiali era difficile perchè tutti i ponti erano stati distrutti dalla foce del Lech fino ad Augsburg e tutto il fiume era guardato dalla cavalleria bavarese Gustavo Adolfo nonostante il parere contrario di tutti i suoi generali, decide di passare il fiume in presenza del nemico.

Avviene così il passaggio del Leeh : ww degli esempi più belli di passaggio di an fiume di viva forza.

Gustavo fa costruire numerose postazioni per artiglierie in un ansa del fiume ove la riva sinistra dominava la destra: la concavità dell' ansa era dalla parte degli Collega le postazioni con un vasto trinceramento che guernisce di moschettieri; manda la cavalleria ad un guado più a monte e sotto la protezione dei tiri convergenti delle artiglie ri e gitta un ponte di cavalletti. Le fanterie cosi riescono a passare e iniziano la costruzione di una solida testa di ponte.

Il Tilly accortosi in ritardo delle vere intenzioni di Gustavo si getta impetuo same nt e sull'avanguardia svedese: ma preso ·di front e dall' imponente fuoco delle artiglierie e sul fianco sinistro dalla cavalleria che aveva felicem ente compiuto l'aggiramento ideato da re Gustavo, l' esercito imp eria le è battuto: lo stesso Tilly vi trova la mòrte. La cavalleria svedese insegue per intere giornate.

L' elettore di Bavi era riunisce l'esercito imperiale a Ratisbona, così come Tilly gli aveva consigliato in punto di morte.

Re Gustavo risal e il Danubio, corre fino al lago di Costanza, scende fino ad l ngolstadt e a Land shut, minaccia Monaco nella speranza di farvi accorrere per difenderla, l' esercito imperiale che invece non si muove da Ratisb o na ove intanto si ve nivano anzi concentrando circa 60.000 imperiali.

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La situazione dell' imperatore era grave : i Sasso n i erano padroni della Boemia; i turchi minacciavano l' Un ghe ria; la ribellione covava nell'impero. M inaccia t o da ogni parte l' imperatore s 'affida al Wallenstein che egli aveva precedente mente congedato.

Ri un ite le forze imperiali, questi s i porta a Nurnberg: Gustavo al qua le prem eva con serv are questa città no do delle sue comunicazioni con la Sassonia vi accorre e vi concentra le sue forze. P er due mesi circa i due eserciti ste tt ero a fro n te (metà lugliometà settembre 1632} senza osare di attaccarsi. Il 24 agosto, Gustavo, avendo ormai forze quasi pari all' avversario attacca il fianco s ini stro de l campo n e m ico, ma è respinto; Wallestein allora si volge contro i Sassoni, o ccupa Lip sia, pone il campo a Weissenfels (a pon ente d i Li psia) per impedire il collegamento di Gus tavo con i Sassoni che erano raccolti a Torgau e spedisce un corpo a soccorrere Colo ni a minacciata dagli olandesi. Venuto a Ra pere ciò Ouslavo tent a profittarne e si propone di attaccare il Wa llestein: questi richiama subito la colonna de stinata a Colonia e s i prepara alla battaglia.

Il 16 nov em bre 1632 avviene la battaglia di Latzen, una delle battaglie pi ù co ntrastate che ri co rdi la storia .

Oli imperiali sono schierati dal floss-Oraben a Lu tzen:

- artiglieria sul fronte e s u un' altura all'ala destra;

- l' ala destra costituita da un grosso battaglione quadrato di fanteria ( 4.000 fanti) e alc uni sq uadr oni ;

- il centro costituito da altri 4 grossi battaglioni cos tituenti una gr ossa losanga col vertice volto al n emico;

- l'ala si ni stra costituita da due linee di cavalleria.

Gustavo Adolfo sc hiera i s uoi in due linee con riserve, fanteria al centro, cavalleria mista e moschettie ri alle ali; artig li eria concentrata al centro e alle ali.

All e 11 s'i nizia l'attacco svedese: due grossi battaglioni imperiali del centro sono travolti; Wallestein accorre e rista bilisce la situazione. Re Gustavo , vista la pro pri a fanteria retrocedere si m ette alla tes ta di alcuni squadroni e si landa alla carica: in questo attacc o g loriosissi mo trova la morte.

Bernardo di Weimar prende la direzione della battaglia: tutta la linea svedese torn a ad avanzare, s' impad ronisce d ell'artiglieria imperiale. Ma co ntro il fianco s inis tro degli svedes i giunge il corpo di 8 re ggimenti di cavalleria imperiale prove n iente da H alle. Wallestein ne profitta per ripr endere l'attacco con le fant e rie: ma

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questo attacco fallisce contro la solida seconda linea svedese, c h e passa anzi subito al contrattacco rimanendo padrona del campo di battaglia. Wallestein si ritira a Lipsia.

All.a battaglia presero 18.000 svedesi contro 40.000 imperiali.

La morte di Gustavo Adolfo troncò la fortuna delle armi svedesi. La Svezia in iziò trattative segrete con l'ambizioso Wallestein offrendogli la corona di Boemia: ma l'imperatore ferdinando fece trucidare il suo infido ge n erale e affidò il comando degli eserciti al proprio figlio che riportò sull'avversario a Nordlingen una com pleta -..itto ri a ( 6 settembre 1634 ).

Periodo francese. - La francia allora interviene direttamente nella lotta con eserciti propri. La guerra si combatte in fiandra, in Italia, in Germania e nella Spagna.

Le principali operazioni di guerra furono le seguenti:

- quella del maresciallo di Rohan in Valtellina (1635) avente lo scopo di impedire che Spagna e Austria si dessero la mano attraverso la Valtellina;

- quella del principe di Condè nelle fiandre ove si svolse la grande battaglia di Rocroy (maggio 16--13) nella quale cadde per sempre la superi o• ità militare spagnuola;

- quella dello stesso Condè e del Turenne nel Brisgan e in franconia che diede luogo alle battaglie di friburgo ( 1644) e di Nordlingen ( 1645);

- e infine la campagna del Turenne in Baviera ultimata con la grande battaglia di Zusmarshausen ( 1648) che portò la minaccia francese su Monaco e Vienna.

Tali fatti e l' abile politica del Mazarino tendente a togliere all' imperatore l' appoggio di Massimiliano di Baviera, costrinsero l'imperatore a firmare il Trattato di Wcstfalia ( 1648).

Il trattato di Westfalia e l'affermazione della nazi onalità tedesca. - l tr attati di Westfalia convertirono il sacro romano imp.ero in una co nfed erazione, composta di 370 Stati partecipa nti alla dieta federale. Questa dopo il 1664 divenne permanente: i principi vi mandarono rappresentanti e l' imperatore un commissario. Alla Dieta partecipavano pure, a cagione di qualche pro· vincia compresa entro i confini dell'impero, il re di Svezia e il re di Danimarca. Questo ordinamento recise i nervi dell' impero, togliendovi ogni autorità diretta e ogni mezzo di governo; tolse la

M. VA!.LETTI-BorlGNil"l, Storia Politico-militare crr.- Vol. l. 19

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Germania dalla dipendenza diretta di Vienna; consacrò l' indipen · denza degli Stati tedeschi protestanti dalla cattolica Vienna; mise in evidenza la forza della casa di Hohenzollern e iniziò l<l rivalità tra questa casa e quella di Austria.

Il Piemonte e gli altri Stati italiani durante i secoli XVI e XVII. - Le caratteristiche delle loro istituzioni politiche e militari. - Il trattato di W estfalia: la pace religiosa e l' assetto europeo.

Cenni sulle vicende degli Stati italiani nei sec. XVI e XVII.

Alla fine del quattrocento i principali Stati italiani erano: il ducato di Savoia; il ducato di Milano; la repubblica di Venezia; la repubblica di firenze; lo Stato del Papa; il regno di Napoli.

Conosciamo già (vedi: « La costituzione e il sorgere delle signorie e dei principati in Italia ., ) le vicende di questi Stati fin verso l' inizio del 1500: accenniamo alle principali vicende di questi Stati durante i secoli XVI e XVII.

Piemonte. - La Casa di Savoia dopo un secolo di continuo svil uppo rappresentato dai q1:1attro Amedei, andò poco per volta decadendo per poca p erizia dei suoi principi: Ludovico, Amedeo IX e filiberto. Carlo l restaurò l' autorità della Casa ma morì giova· nissimo. Sotto i suoi successori Carlo Il e Carlo III gli Stati di Savoia furono devastati dagli eserciti di francia e di Spagna: Carlo 111 ànzi venne privato della maggior parte dei propri domini. Suo figlio, Emanuele filiberto, nel 1545 entrò al servizio di Carlo V e nel 1559 con la pace di Chateau Cambresis ricuperava tutti gli antichi domini e li ricostituiva in uno Stato unito potente e libero : egli fu giustamente chiamato il secondo fondatore della dinastia di Savoia. Morì nel 1580.

Il suo degno figliuolo, Carlo Emanuele I, memore della sorte toccata ai predecessori di Emanuele filiberto, disdegnò sempre la neutralità e si mantenne sempre in armi or contro francia or contro Spagna. Alleandosi alla Spagna ottenne il marchesato di Saluzzo posseduto dai francesi; volte le sue mire sul Monferrato, rimase solo in lotta contro la Spagna. fu allora che si rivolse per aiuto ai principi italiani in nome dell' indipendenza nazionale: ma l' appello fu vano. Sollecitò poi gli Stati italiani contro l' Austria

·'

-291che aveva occupato la Valkllina i tentò l' uccupazione di Genova ( i 628) e d i Ginevra. Morì nel 1630.

Vittorio Amedeo l per acquistare alcune terre del Monferrato fu costretto a cedere alla francia Pinerolo e Perosa . Nel 1637 Vittorio Amedeo morì lasciando due figliuoli in tenera età sotto la reggenza della vedova Madama Reale. Due fratelli del morto duca, Maurizio e Tommaso, sorsero a contrastare l'eredità alla reggente: ebbe così origine una dolorosa guerra civile.

Diventato maggiorenne, Carlo Emanuele Il regnò fino al 1675: di lui basta ricordare la feroce lotta che condusse contro i Valdesi e un nuovo tentativo per impadronirsi di Genova. Oli successe Vittorio Amedeo Il che entrato nella lega di Augusta ( 1686) contro Luigi XIV fu battuto a Staffarda dal generale Catinat (1690) i nuovamente sconfitto a Marsaglia ( 1693) entrò in trattative col re di francia e col trattato di Ryswich del 1697 ottenne la restituzione di Pinerolo. In questa situazione finiva per il Piemonte il sec. XVII: parte della storia di Vittorio Amedeo Il si riferisce al secolo XVIII e la vedremo, così come il nostro programma comporta, parlando dei Duchi di Savoia e daiTa loro politica durante le guerre di successione.

Ducato di Milano. Abbiamo già visto (vedi: « Il sorgere delle Signorie e dei Principati in Italia • ) che nel 1535 Milano era passata sotto il dominio della Spagna: dal 1535 al 1701 il Milanese fu retto da governatori in nome del re Spagna. Per il trattato di Rastadt, che, con quello di Utrecht, pose . fine alla guerra di successio ne di Milano passa sotto il dominio della casa imperiale d' Austria.

Repubblica di Venezia. - Nel capitolo relativo al sorgere dei Principati e delle Signorie i n Italia abbiamo tracciato un completo profilo storico della repubblica dal suo inizio alla sua caduta: rimandiamo perciò a quel capitolo per gli avvenimenti rel ativi ai secoli XVI c XVII.

Repubblica di Firenze. - Nel capitolo sopra indicato abbiamo visto gli avvenimenti di firenze fino al 1537 anno nel quale Co· simo de' Medici viene eletto primo Granduca di Toscana. A Cosimo, principe acco rt o ma dispotico, successe il figliuolo francesco il cui governo assoluto e venale restò legato al nome dell' avventuriera Bianca Capello. A lui successe il fratello ferdinando, accorto, munifico, intelligente, gran mecenate: si affrancò dalla dominazione spag n uola aiutando Enrico IV di Navarra nell' acquisto

della corona di Francia. Suo figlio Cosimo Il ne seguì le orme ma morì giovani s simo (t 621) lasciando regge n li la madre e la consorte. Fu qu es to un p e riodo triste per Fire nze: nè le cose cambiarono sotto Ferdinando 11, figura mo r ale tutt' altro che bella ma sotto il quale grand e mente fiorirono le arti, il commercio e l'agricoltura. Cosimo 111 che gli successe nel 1670 rappresenta il periodo storico più d e plorevole per la Toscana Alla fine del sec. XVII, la Toscana dopo un periodo di splendore, tra in piena d e cadenza dell e arti , d elle scienze, dell' agricoltura, dell' industria e dei commerci.

Sfato Pontificio. - L'azione dti papi nel sec. XVI tende a tutelare gli alti intere ss i d e l mondo cristiano più che a salvaguardare il proprio potere temporale. È questa l'opera di Pio IV e Pio V.

Gregorio Xlii tenta ma invano di migliorare le condizioni interne dello stato pontificio rovinato dalle guerre continue: l'opera è invece compiuta da Sisto V morto nel 1590.

Nel secolo che s eguì la morte di Sisto V, si susseguirono quindici papi s otto i quali si afferma potente mente il fenomeno detto del nepoti s mo . Alla fine del 1600 il papato per opera di Innocenza Xl è in grave dissidio col superbo r e di Francia Luigi XIV, controversie composte poi da papa l nnocenzo Xli (1691-1700 ).

Napoli, Sicilia e Sardegna appartennero ininterrottamente dopo Carlo V alla corona spagnuola fino al 1713-14, anni nei quali i trattati di Utrecht e di Rastadt, con i quali si chiuse la guerra di successione di Spagna, dettero un nuovo assetto all' Italia. Con detti trattati l' isola di Sicilia passò a l Duca di Savoia col titolo regio; Napoli e la Sardegna passarono all' imperatore d' Austria. Oli altri Stati italiani risentivano tutti più o meno del predominio spagnuolo:

- Genova, come già abbiamo visto nel capitolo relativo alle Signorie e Principati, era passata per colpa del voltafaccia di Andrea Doria sotto l'alta sovranità spagnuola, pur conservando le proprie a lmeno apparenti libertà repubblicane;

- Parma e Piacenze erano dominati dai Farnesi intimamente legati a Filippo Il: basta ricordare Alessandro Farnese, uno dei più grandi capitani del suo tempo, sempre agli ordini del potente re di Spagna;

- Ferrara Modena e Reggio ebbero un periodo di splendore per opera di Casa d ' Este; Ferrara però fu perduta nel 1597 perchè

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occupata dal Papa. Dalla fine del 1600 i duchi d' Este, raccolti in neutralità passive, pcrdettero qualsiasi influenza nella politica itali ana.

L' ital ia sotto la dominazione spagnuola e l'opera del Piemonte. - Per il trattato di Chateau Cambresis la Spagna possedeva in Italia: il regno di Sardegna; il regno di Sicilia; il regno di Napoli da cui dipendeva lo Stato dei Presidi sulla costa toscana; il di Milano.

Il governo spagnuolo si distinse per i suoi tristi caratteri: assolutismo eccessivo, giustizia venale, impos te sempre crescenti, mancanza di sicurezza pubblica: in sostanza decadimento e miseria generale. Contro questa mala signoria scoppiarono nel sec. XVII parecchie sollevazioni :

nel 1600 quella di Tommaso Campanella

nel 1647 quella di Palermo capitanata da Giuseppe Alessio nello stesso anno quella di Napoli capitanata da Masaniello

nel 1674 quella di Messina che si diede al re di francia: ma tutti questi moti fallirono.

Ma, come abbiamo visto, la dominazione spagnuola, oltre che su queste regioni faceva sentire la sua influenza su tutto il resto d' Italia: influenza complessivamente nefasta perchè l'eccessivo asso lutismo e l' ingordigia dei governatori spagnuoli non d' altro preoccupati che di estorcere danaro, gettarono l' Italia nella più squallida miseria. Eppure, mai come in questo periodo, l'Italia godè lunghi ar:tni <li pace c tanto che in essa impigrirono gli animi » . Preva lse l'egoi smo e l'isolamento. Pregiudizi, pettegolezzi, ignoranza, stupide questioni di cerimoniale, mancanza del senso del valorè e dell' onore sono le caratteristiche della vita italiana di questo periodo. Anche lo splendore letterario ed artistico che aveva abbellito il principio del XVI secolo andò ecclissato. Mancò l' i<>piraz: io ne e si supplì con l' esagerazione: fu curata la forma a danno della sostanza e ci si compiacque nell' artificioso. Venne così il barocco nell 'architett ura e il seicentismo nelle lettere. Due Stati restarono estranei all'influenza s pagnuola :·

- Venezia che cost retta a lottare da una parte con i turchi, dall'altra contro la Spagna per non cadere appunto sotto la sua in fluenza;

-e il Piemo nt e, il cui duca, unico fra i principi italiani, strenuam ente combatte per la ri putazione e la libe rtà d' Italia.

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Mentre infatti tutti i princ1p1 e i governi d'Italia impigrivano negli agi e nel lusso e temevano di vedere crollare un ordinamento la cui rovina poteva cadere sulle loro spalle e mal tolleravano la condotta irrequieta e mutevole dei Savoia, Carlo Emanuele l aveva compreso che per vivere di una vita propria e per evitare quello che era successo ai suoi avi, doveva continuamente stare all' erta ed abilmente destreggiarsi tra francia e Spagna. Egli aveva perfettamente capito che l' inerzia avrebbe assorbito il Piemonte nei domini di francia o di Spagna, e che nè dell' una nè dell' altl'a nazione il Piemonte doveva fidarsi, bensì sola m ente ed esclusivamente della propria forza. In ciò sta la cagione e la scusa di tutta la sua condotta politic a Il suo governo fu travagliato, ma da lui il Piemonte trasse considerazione grandi s sima in tutta Europa: i suoi sudditi lo compresero e lo aiutarono con forte animo senza riguardo a sacrifici. È per questa condotta e per questa politica c h e il Piemonte potè diventare il campione dell'unità italiana.

Caratteristiche delle istituzioni politiche e militari degli Stati italiani. - Domini spagnuoli. - Napoli, la Sicilia e la Sardegna erano governate da un vicerè; Milano da un governatore. Questi rappresentanti del r e avevano poteri estesissimi; rimanevano in carica pochi anni, la loro amministrazione non era controllata, sicchè cercavano d i arricchire .rapidamente a spese del paese. Lo stesso governo di Madrid considerava questi possedimenti quali miniere da sfruttare per sostenere le guerre. Le istituzioni locali furono generalmente conservate: ma le famiglie e l' autorità feudali crebbero di numero e d' importanza. Anche nel ducato di Milano ove il feudalismo allignava stentatamente dopo gli assalti subiti dai Comuni e dalle Signorie, esso risorse. Il governo per far danaro vendeva cariche, privilegi, territori interi: for micolava così un numero enorme di tirannelli che il Governo non sapeva, non voleva e non poteva ten e re a freno.

In tutti gli altri Stati italiani, meno che nel Piemonte, prevalse, come nei domini spagnuoli, l'assolutismo più completo di principi <:> di governi: mancò insomma, l'intima unione tra governati e governanti.

È questa la caratteristica delle istitu zio ni politiche degli Stati ilaliani nel periodo che stia mo studiando.

Nel ca m po delle istituzioni militari invece vi fu un certo progresso: prima di accennare, come conclusione, a questo progresso,

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diciamo qualche cosa del modo con il quale venivano costituite le milizie nei vari Stati italiani.

Oli spagnuoli ebbero la velleità di formare un esercito in Lombardia: ma il sospetto fece abbandonare i tentativi. A Napoli cominciarono col creare il battaglione delle milizie. Ogni terra doveva dare cinque uomini JJer ogni cento famiglie. Si formarono compagnie di 100 uomini con un capitano nominato dal vicerè, con alfiere, sergente e caposquadra nominati dal capitano. Il servizio era di otto anni. l capitani dovevano adunare i loro uomini ed esercitarli dall' aprile al settembre. Si creò anche una cavalleria napoletana che 1580 ascendeva a 1800 uomini presi sopra un dato numero di famiglie.

Ma nei domini spagnuoli il nerbo delle forze era riposto sugli spagnuoli e sui mercenari forestieri.

In Toscana continuò il sistema inaugurato da Cosimo (vedi capitolo c Le istituzioni politico - militari durante il periodo della Rinascenza. - Le prime milizie nazionali in Italia • ). francesco, suo successore creò tre compagnie di archibugieri a cavallo per la guardia delle spiaggie.

A Venezia (vedi capitolo sopra indicato) continuava l' uso delle Cerne, divise in due categorie: la prima pronta a marciare al primo cenno, l'altra di riserva. La forza principale di Venezia riposava sulla marina e anche su eserciti mercenari.

Genova sotto il regime di Andrea Doria formò 17 centurie di milizie.

Nel ducato di Parma e Piacenza prima Ottavio farnese poi suo nipote Ratiuccio (il primo morto nel 1584, il secondo nel 1622) organizzarono milizie nazionali. Erano esclusi quelli di cattiva condotta, i mendici e i capi di famiglia numerosa. Vi erano iscritti tutti i valid i dai 20 ai 40 anni.

A Ferrara e Modena, casa d' Este seguendo quanto era stato fatto da Alfonso (vedi capitolo sopraindicato) riuscì ad ottenere un bellissimo esercito ritenuto nel 1566 (aiuto fornito dai principi italiani' all'imperatore nella guerra d' Ungheria) il migliore dopo l'esercito piemontese. Casa d' Este fu pure famosa pl!r la potente e numerosa artiglier ia del suo esercito.

Anche i Papi istituirono le milizie prima in Roma poi nelle provincie. Altrettanto fecero Siena e Lucca, altrettanto i Gonzaga a Manto11a e nel Monferrato, i Della Rovere in Urbino.

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Piemonte. Il trattato di Cateau Cambresis ricostituiva lo Stato Sabaduo nei suoi antichi domini, ma con delle clausole: presidi francesi e spagnuoli rimasero in Piemonte e nella stessa Torino e dovevano sgombrare solo quando il Duca avesse soddisfatto ad alcune clausole in:poste dal trattato di pace.

Per l' attuazione del suo programma: riordinamento intetno dello Stato e affermazione del Piemonte nelìa politica italiana e quindi europea, Emanuele filiberto intuì che suo primo scopo doveva essere quello di costituire una forza armata composta dei suoi stessi sudditi, poco costosa, facilmente mobilitabile e sopratutto interessata anch' essa alla difesa dello Stato.

In questo periodo gli eserciti erano ge1.e ralmente costituiti da mercenari e da contingenti feudali. Il Duca di Savoia però comprese- che nessuno di questi due sistemi poteva dargli garanzia alcuna di fedeltà assoluta. Cominciò quindi con lo fltabilire che soltanto i sudditi dello Stato potevano far parte delle forze armate dello Stato, e impose quindi a tutti i sudditi l'obbligo del servizio militare in guerra : questo obbligo però non ebbe carattere personal e ma fu stabilito col sistema del contingentamento: un dato numero di armati, cioè, ogni tante famiglie.

Poi per togliere importanza ai contingenti feudali, egli non richiese più ai signori feudali alcun concorso per l' esercito: aprl invece arruolamenti volontari per conto dello Stato, specie per la cavalleria e sempre limitatamente ai sudditi dello Stato. In questo modo tolse ai signori feudali i migliori solda ti, scemando quindi grandemente l'importanza dei con ting enti militari di ogni feudo.

In sostanza per il reclutamento fu applicata in parte la coscrizione e in parte il vclontariato. Alla coscrizione erano obbligati in guerra tutti i sudditi non appartenenti ai grandi feudi, dai 18 ai 50 anni; al volontariato potevano concorrere tutti i sudditi anche se appartenenti ai feudi e con questi venivano costituiti i reparti detti d' ordinanza . In caso di necessità si poteva ricorrere ad una terza forma di reclutam ento: quella dei contingenti feudali.

Emanuele filiberto venne così ad avere:

- truppe in servizio permanente: guardia del Duca, reparti addetti ai presidi permanenti;

- truppe in congedo ma organizzate anche in pace;

- truppe di costituzione eventuale: mercenari.

Le truppe in servizio permanente erano costituite da compagnie di 100 o 200 uomini formate con volontari nazionali e destinati permanentemente al presidio delle fortezze dello Stato.

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Le truppe in congedo erano costituite da:

- compagnie di fanteria di 600 uomini, e compagnie a cavallo di 75 uomini che si costituivano in caso di guerra con vo· lontari nazionali;

- milizie paesane costituite dai validi dai 18 ai 50 anni ob· bligati alla coscrizione. Questa milizia paesana aveva ordinamento territoriale. Ogni provincia costituiva un colonnellato ( 8 in tutto lo Stato); ogni colonnellato era formato da sei compagnie di fan· teria, ognuna di 400 uomini, divisa in 4 centurie; le centurie si dividevano in squ adre.

Le squadre si esercitavano ogni domenica, le centurie ogni 15 giorni, le compagnie ogni mese, i colonnellati a le quattro Tempora, tutta la milizia a Pentecoste e S. Mat1eo.

l validi costretti alla coscrizione formavano anche 6 compagnie di cavalleria: una di esse a turno prestava servizio anche in tempo di pace.

Infine, in caso eccezionale, potevano venire chiamate le mi· tizie dei signori feudali: per non ricorrere a questo mezzo, per diminuire cioè sempre più la potenza dei signori feudali e distoglierli dalle armi, Emanuele Filiberto non si servì di questo mezzo, sw.tituendo all'obbligo di eventuale servizio una tassa periodica.

L' artiglieria era tutta composta di personale civile alla cui preventiva organizzazione sovraintend evano alcuni ufficiali subalterni, dei commissari e un comandante generale.

Emanuele Filiberto non ebbe a sostenere grandi guerre, ma la salda organizzazione delle sue forze militari fu valido strumento alla sua politica·.

Ma l' opera maggiore di Emanuele Filiberto consiste nel perfetto accordo che egli seppe creare tra sudditi e principi.

Le lunghe e disastrose guerre del periodo precedente, la prepotenza straniera, avevano i ngenerato il concetto che i piemontesi fossero gente fiacca e non adatta alla milizia. Emanuele Filiberto li rigenerò, infondendo o risvegliando negli animi loro quelle virtù civili" e milìtari che poi li resero ammirabili come cittadini e come soldati. L' organizzazione militare di Emanuele Filiberto costituì la base della salda costituzione che dopo di lui ebbe sempre l' esercito piemontese trasformatosi più tardi in esercito italiano: la storia di quest' ultimo, in conseguenza, prende inizio da questo periodo.

Sotto i successori di Emanuele Filiberto le istituzioni militari piemontesi continuarono a progredire. ·

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Le principali trasformazioni subite dalle istituzio ni militari piemontesi nel secolo XVII furono le seguenti:

- si consolida la costituzione delle milizie paesane, quella delle milizie volontarie nazionali e sparisce ogni parvenza di truppe feudali , secondo i principi instaurati da Emanuele filiberto; le lunghe guerre inducono alla formazione di reggimenti stranieri;

- dal 1659 i volontari sono arruolati per un servizio continuativo e permanente, con una ferma che varia da 12 a 18 anni secondo le armi; 10 reggimenti di truppe nazionali diventano permanenti (Guardie, Savoia, Monferrato, Saluzzo, Aosta, Regina, Lomb ardia, Alessandria, Sardegna): è questa l' origine della fanteria italiana;

- Carlo Emanuele l procedette ad una più razionale organizzazione della milizia paesana. Poichè non era possibile armare e inquad rare tutti gli uomini forniti della coscrizione gli uomini mi· gliori cos tit uirono truppe mobili, i rimasti servi r ono per i servizi territoriali e come complementi;

- Carlo Emanuele l militarizzò l'artiglieria nel 1603 istituendo una compagnia bombardieri che venne equiparata alla milizia paesana; nel 1659 Carlo Emanuele Il stabilì che la compagnia di bombardieri entrasse a far parte del corpi permanenti: sarà questo il nocciolo della futura artiglieria italiana.

L' ulteriore trasformazione dell' esercito piemontese è opera di Vittorio Amedeo Il: di quest' opera parleremo, così come il programma compo rt a, trattando delle i stituzioni militari piemontesi nel secolo XVI II .

Riassumendo quindi le caratteristiche delle istituzioni militari dei vari Stati italiani nel periodo che stiamo studiando diremo che: - ad eccezione del Piemonte, in cui Principi e popolo sono vincolati da un medesimo sentimen to, eravi poco legame f ra governati e governanti per cui le milizie nazionali non si svilupparono con quella forza ch e era necessaria a conservare l ' indipendenza. Ad ogni modo però, per quanto lentamente, le milizie nazionali si affermano sempre più:

togliendo alla milizia il t ri ste carattere del m ercenariato e allargttndo sempre di più, essenzialmente per opera del Piemonte, la base per la creazione degli eserciti permanenti.

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Il trattato di Vestfalia: la pace religiosa e l'assetto europeo.

La guerra dei 30 anni era finita con pace di Vestfalia: la sola Spagna continuò per suo conto per altri undici anni la guerra con la francia che terminò con la pace dei Pirenei del 1659. Con il trattato di Vestfalia (1648) fu confermata la pace religiosa d' Augusta: le tre confessioni cattolica, luterana, calvinista ottennero uguaglianza di diritto, ossia fu pienamente confermata la libertà di coscienza e di culto.

Abbiamo già visto, alla fine della guerra dei trent' anni, le conseguenze che il trattato di Vestfalia ebbe sulla Germania: tutti i principi e gli stati · tedeschi vennero confermati nel pieno esercizio della sovranità sul rispettivo territorio, compresa la facoltà di stringere alleanze tra loro e con potenze straniere; tutti i princ1p1 e stati tedeschi ebbero diritto e parità di voto nella Dieta. L'autorità imperiale fu annullata.

fuori della Germania:

- la francia acquistò quella parte di Alsazia che apparteneva alla casa d'Austria; la Svezia acquistò la Pomerania occidentale, Rugen, Stettino, Brema e Verden; l'elettore di Brandeburgo ottenne parte della Pomerania orientale, Magdeburgo e altre città; la Sassonia ebbe la Lusazia; la Baviera l'alto Palatinato con la dignità di Elettore; all' Elettore Palati no il Palati nato renano; venne infine riconosciuta l' indipendenza. d e l)a Svizzera e dei Paesi Bassi.

Papa lnnocenzo X nel 1651 protestò centro la libertà religiosa concessa ai protestanti e dichiarò nullo il trattato di Vestfalia, il quale, malgrado ciò divenne la base del nuovo Diritto pubblico europeo. Dopo. questa pace gli Stati non si classificarono più a seconda della loro religione: la religione cessa di essere il principio dominante della loro politica e delle loro alleanze. L e guerre, le paci, le alleanze si fanno, da questo momento, per ben altre cause.

L'assetto dato all' Europa dal trattato di Vestfalia, divenne la base di tutte le convenzioni diplomatiche dalla metà del sec. XVIII alla · rivoluzione francese: il trattato stesso pose fine alla supremazia della casa d'Austria e preparò quella della casa di Borbone.

Per semplice comodità didattica, ritengo necessaria a questo punto, la seguente schematicat sintesi:

- dal 1492 al 1559 ferve la lotta tra francia e Spagna prima, tra francia e Casa d'Austria poi (Carlo VIII-Luigi XII-francesco 1-

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Enrico Il contro ferdinando il Cattolico-Carlo V-filippo n) per il predominio in Europa e in Italia: la lotta finisce cou il trattato di Chateau Cambresis ( 1559) che segna il predominio spagnuolo in Italia e quello di Casa d'Austria in Europa.

Contro questo predominio austriaco in Europa, il cui maggior esponente è ferdinando Il che condusse la guerra de i treni' anni, lotta la francia con Enrico IV prima poi con il Richelieu (regno di Luigi Xlii) che prende parte attiva alla guerra dei 30 anni.

La lotta finisce con la pace di Vestfalia ( 1648) e quella dei Pirenei ( 1659) che confermano il predomio spagnuolo in Italia, pongono fin e alla supremazia di Casa d'Austria in Europa e preparano il completo trionro dei Borboni in francia c he verrà poi portato a compimento da Mazarino da Luigi XIV e da Lu igi XV con le tre guerre di successione iniziate nel l 700. fu alla fine della prima delle guerre di successione (guerra di successio:1e di Spagna 1700 - 1720) finita con le paci di Utrech e di Rastadt, che ebbe termine in Italia la dominazione spagnuola ed ebbe invece inizio la dominazione austriaca sul nostro paese.

Caretteristiche dell' arte della guerra nei secoli XV I e xvn. - l capitani del tempo.

Caratteristiche dell'arte della guerra nel secolo XVI. - In questo secolo primeggiano gli spagnuoli; il secolo XVI è perciò anche d etto epoca spagnuola.

Le caratteristiche generali dell'arte della · guerra in questo secolo sono le seguenti:

« Le monarchie si estendono e si assodano, vengono a contatto tra di loro, si collegano, si combattono per un bisogno d' equilibrio che sarà legge dei tempi futuri; ...... le ragioni polibertà e indipendenza sono sovcrchiate da nuove ragioni di Stato; ...... la milizia è divenuta cosa monarchesca; ..... .

Intanto l'umanità s'è svegliata dal lungo letargo medioevale; ... . la trasforma zione sociale va compiendosi, la civiltà nuova prosegue a diffondersi e a livellare. Spinti da quell'onda, papismo e cesarismo s ' abbellano a gara dei progressi delle arti e delle lettere, me ntre si danno la mano per infrenare il risveglio della ragione .

. . . . . . Si sente il bi sogno di eserciti stabi li; .... sorgono milizie nazionali e monar c hesche, pure le guerre si fanno con soldatesc he

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raccogliticcie e mercenarie . Ma per la cresciuta mole degli Stati e degli eserciti le guerre s'allungano, l'arte del condurle si appiglia agli antichi esempi e riveggonsi pensate combinazioni strategiche, logistiche, tattiche ed economiche ....... Le arti del campeggiare, del muovere e del combattere si accomunano più presto, e così s' affretta il progresso militare. L' uso crescente del fuoco, cui non risponde ancora un bene ordinato magistero di movimenti tattici, favorisce singolarmente la difesa. La fanteria primeggia ormai. L'artiglieria è definitivamente ammessa negli eserciti come terzo elemento da battaglia. . . . . . mantengonsi le profonde e dense forme falangitiche; ·...... si comincia a far conto sull'azione con· corde delle tre armi; . . . . . . inventansi nuovi modi di fortificazione; ...... troppo spesso si perde tempo e forze negli assedi; e vuolsi buona arte il guerreggiare campeggiando senza dar battaglia; ... . . . quindi guerre lente, lunghe e sminuzzate aspettando che il nemico si logori per fame e diserzioni; ...... frequenti sommosse militari per la tardanza delle paghe.

E per necessaria conseguenza ordinamenti disciplinali ed amministrativi a grado a grado migliori, singolarmente tra gli spagnuoli che ebbero a sostenere guerre più lontane e più lunghe degli aUri. Entra in campo, nuovo elemento di guerra, la scienza, e si fa strada collo studio delle matematiche e delle antichità greche e romane. , (Corsi).

Configurazione degli eserciti. · Le guerre lunghe continue, sviluppantisi in vastissi mi teatri di operazione, rendono necessaria la costituzione di eserciti permanenti, nazionali di nome, mercenari di fatto; il che· chiaramente ci fa vedere come questo periodo (sec. XVI) costituisca un vero periodo di transito tra il M. E. e i tempi moderni.

Armamento. - Le armi da fuoco si perfezionano, specialmente quelle portatili, aumenta l' importanza delle fanteri e che diventano ormai il nerbo degli eserciti.

Le armi da fuoco portatili nel principio del secolo erano archibùgi a miccia di varia misura, a serpentina prima, poi a ruota. Verso il 1500 fu sperimentata la rigatura dritta, verso il 1600 la rigatura girante. Ma il progresso maggiore per te armi da fuoco portatili si ottenne con l' accorciamento e l' alleggerimento dell' archibugio: nacquero il moschetto, la carabina, la pistola.

Anche le artiglierie progredirono: in un primo momento però malgrado le numerose e potenti artiglierie di Carlo VIli, il loro

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peso e il loro tiro lento, cagionarono una certa sfiducia nell' impiego dell' artiglieria sul campo di battaglia. Prevalse l' opinione che le artiglierie dovessero servire per la difesa delle piazze forti. Più tardi però ( guerra di Fiandra) si addivenne alla netta distinzione fra le artiglierie da fortezza e le artiglierie campali da portarsi al seguito degli eserciti. Carlo V, Enrico 11, Filippo Il e i principi d' Orange portarono molta cura all'artiglieria: in Italia si rese famoso per la sua potente artiglieria Alfonso d' Este. Si ebbero svariatissime forme di cannoni s' incominciò a fare distinzione tra il tiro dritto e il tiro curvo; tra il proiettile pieno e il proiettile esplosivo.

Il secolo XVI segna per la cavalleria un momento notevole perchè in questo periodo, per effetto della importanza acquistata dalle armi da fuoco e dalla fanteria, la cavalleria lascia la lancia per la pistola e la carabina. Sorgono i dragoni che marciavano a cavallo e combattevano a piedi.

Tattica. - Le formazioni dense e profonde della fanteria mal si adattano allo sviluppo del fuoco, e presentano ottimi bersagli all' artiglieria . Sorge quindi la necessità di nuove formazioni tattiche nelle quali però picchieri e moschettieri non sono ancora separati, ma combattono ancora uniti nella stessa ordinanza. Ma questi primi tentativi di nuove formazioni tattiche generano incertezza e confusione nei movimenti tattici. Comincia cosi a prevalere il concetto della difensiva qua le migliore e più forte forma di guerra.

La cavalleria, lasciate le pesanti armature, prende le armi . da fuoco; s i dispone in linee successive le quali avanzavano al trotto contro i picchieri avversari sui quali scaricavano le loro armi ripiegando poi negli intervalli della linea retrostante. Così, successivamente le varie linee tentano col fuoco di scompaginare i piechieri avversari che poi caricavano con la spada in pugno. Questo modo di combattere della cavalleria fu detto caracollo.

L' artiglieria, posta dapprima tutta a l centro o su un'ala, viene poi spartita tra il centro. e le ali, o disposta in siti appositamente adatt i, o sparsa su tutto il fronte. D ifficilmente cambiava posto durante il combattimento, nè poteva salvarsi dopo una rotta per assoluta mancanza di mobilità. Contribuiva a tener immobili le migliori fanterie che avevano appunto il compito di difenderla.

La fine del sec. XV I segna però un momento notevolissimo per lo sviluppo della tattica: per opera di Maurizio di Nassau, come vedremo, vengono abbandonate le pesanti formazioni falan-

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gitiche dell'epoca, per adottare in tattica una nuova ordinanza detta olandese o neo romana per la manifesta imitazione della legione manipolare . Rifornimenti. L' accresciuta mole degli eserciti, la vastità del teatro d' operazione, la lunghezza delle guerre, fanno sentire la necessità di una bu ona organizzazione logistica. Questa viene tenta ta presso tutti g li eserciti, ma i risultati sono in sostanza scarsi. Notevole però l' opera del Sully che provvide gli arsenal i francesi di una quantità, grandiosa per quei tempi, di armi, carri e munizioni.

Poliorcetica. - · Continua il progresso iniziato nel secolo precedente: questo progresso è opera essenzialmente di italiani. Ricordiamo: Francesco di Giorgio Martini; Niccolò Tartaglia; Michele Sammicheli; i due Pacciotti da Urbino; Leonardo da Vinci; Buonarroti; il Sangallo; Francesco De Marchi. In sos tanza il sistema bastionato fu migliorato, allo scopo di facilitare la difesa attiva, facendo i bastioni pitr ampi e sporgenti, ravvicinandoli, coprendo le cortine con rivellini staccati e procurando sulla strada coperta e nel fosso spazi abbastanza grandi per le sortite e la raccolta dei difensori.

I struzione e disciplina. - Dato l'elemento prevalente nella costituzione degli eserciti, c ioè mercenari, istruzione e disciplina furono ancora scadentissime.

l capitaoi del secolo XVI. - l caratteri generali dell'arte della gue rra, che abbiamo sop ra sc hematicamente esposto, dimostrano chiaramente come il sec. XVI non sia di eccessivo sple ndore per l' arte della guerra. In questo secolo - che seg na un ve ro periodo di transito tra l'arte militare del M. E. e l' arte militare modernaoperarono però condottieri di grande valore, dei quali diremo ora brevemente.

Enrico IV di Francia, notevole per l'opportuno impiego e il saggio accordo delle tre armi sul campo di battaglia.

'Oiovanni de ' Medici. Militò per Papa Leo ne X contro Francesco Maria della Rovere duca di Urbino; poi per la lega (papa, impero e Spagna) in Lombardia sotto Pro spero Colonna. Morto papa Leone egli fece prendere il lutto ai suoi uomini: di qui il nome di Gi ova nni dalle Band e Nere. Nel 1522 passò al servizio della Francia. Ebbe più tardi da papa Clemente VII, il governo di Fano. Gravemente ferito ad una coscia mentre combatteva contro

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i lanzichenecchi morì per la ferita nella verde età di 27 anni. fu un prodigio di robustezza e di destrezza per tutti gli esercizi del corpo. Parco, semplice di modi, generoso, straordinariamente attivo, pronto nel risolvere, audace nell' eseguire, era amatissimo dai suoi uomini benchè egli non risparmiasse loro pericoli e fatichi!. fu l' ultimo dei grandi capitani di ventura: era fatto per l ' impiego della milizia leggera e per la guerra rapida e spedita.

Alessandro Farnese nipote di filippo Il, duca di Parma l! Piacenza « educato alla corte di Spagna, appassionatissimo per la guerra, ricco delle più belle qualità d'ingegno e d'animo che possano desiderarsi in un capitano, con la sua avvedutezza, la s ua prudenza, il suo grande amore dell'ordine, la buona disciplina che seppe mantenere nelle milizie, la grande abilità che mostrò nel campeggiare e nel manovrare, riuscendo ad intenti difficilissimi senza arrischiar battaglia e sopra tutto colla sua umanità verso le genti del paese ove lo portava la guerra, aveva bene avviata la riconquista dei Paesi Bassi quando nel 1590 dovette interromperla per soccorrere la lega cattolica di francia. • (Corsi).

Emanuele Filiberto di Savoia . Prese parte alla guerra contro la Lega smalcaldica; nella Spagna fortificò e difese Barcellona contro le navi francesi; nel 1552 comandava la cavalleria grave dell'esercito imperiale sotto don ferrante Gonzaga, espugnava Brà e faceva aggirare quei piemontesi che avevano partecipato alla difesa. Nel 1553 fu nominato capo supremo dell'esercito imperiale delle fiandre, comando che tenne con mano ferm a, facendosi temere più che amare. Di fronte all' esercito francese ben più numeroso, fu costretto a campeggiare schivando la battaglia ma molestando continuamente l'avversario. Nel 1557 egli prende l' offensiva: fatta un finta verso la Lorenrt, il duca di Savoia si volge alla Piccardia e fa mostra di voler assediare Guisa: assale invece all' improvviso S. Quintino città forte sulla destra della Somme. L'ammiraglio di Coligny e il Montmorency accorrono a difenderla: ma la colonna di Montmorency in gran parte si sperde nei pantani. Il duca allora con rapida mossa passa la Somme a Rouvroy e compare improvviso sul fianco destro dell'esercito francese che tenta parare la sorpresa con la propria cava lleria. Ma E. f. impegna frontalmente la cavalleria avversaria con gli archibugieri a cavallo, mentre grossi squadroni di cavalleria pesante caricano sui lati. La cavalleria francese è sbaragliata. La fanteria di E. f. era giunta intanto sulla via di ritirata del nemico il quale tenta aprirsi

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la strada. Grossi battaglioni francesi si concentrano così sullo spianato di Gris-Movaone. E. f. concentra e alterna il fuoco dei suoi cannoni e la carica dei suoi squadro ni. I battaglioni francesi vengono scompaginati: gli insistenti attacchi della fanteria spagnuola compiono l'opera della cavall e ria e dell' artiglieria: la vittoria è compiuta. È questa la battaglia di S. Quintino ove il fiore della nobiltà di francia restò morto o prigioniero ( 10 agosto 1557 ). Il 27 agosto successivo E. f. muove all'attacco di S. Quintino: alla testa del proprio esercito: primo a muovere all'assalto con la picca in pugno il Duca di Savoia si copre di una nuova splendida vittoria.

Ardito e prudente, freddo di mente, autorevole e severo ma pur sempre affabile e cortese, serio e taciturno per natura Em. Fil. fu soprat utto ammirabile per la s ua tenace perseveranza che lo fece sopranominare Testa di ferro.

Gaston e di Foix. Nella guerra provocata da Papa Giulio Il per cacciare i francesi dall'Italia con le armi di Venezia e di Spagna, tenne il comando dell e milizie francesi il giovane Gastone di foix di 23 anni nipote di Luigi XII: egli ebbe alleato Alfonso d'Este duca di ferrara Sceso in Italia, si cacciò tra i due eserciti nemici spagnuolo e veneziano: respinse il primo da Bologna verso mez.zodì, si volse poi contro il secondo battendolo e togliendogli Brescia . Rivotto si nuovamente contro l' altro, pose l'assedio a Ravenna. L'Il aprile 1512, 18.000 fanti e 10.000 cavalieri francesi attaccano 30.000 spagnuoli fortemente trincerati. Aiutato dalla potente e mobile artiglieria del duca di ferrara, Gastone rie sce· a soverchiare la prima linea. Ma un potente con· trattacco spagnuolo obbliga i francesi a ripiegare: Gastone allora messosi alla testa della propria cavalleria riesce a. ristabilire la si· tuazione, a costo però della vita. È questa la battaglia di Ravenna che corona la breve ma splendida carriera di capitano di questo giovanissi mo ardito e geniale condottiero francese che ci offre un primo magnifico esempio di guerra sciolta, decisa, agile, manovriera.

· Mauri zio di Nassaa. La riforma religiosa aveva trovato terreno propizio nei Paesi Bassi, ove il Duca d'Alba, mandato da filippo II a riaffermare il dominio cattolico, aggravò le cose in modo che gli olandesi apertamente si ribellarono e si strinsero in lega sotto il comando di GuglieÌmo d' Orange conte di Nassau detto il Taciturno che venne nominato Statholder. Aiutati dai protestanti francesi e inglesi, approfittando delle molte fortezze che chiudevano i

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M VALLE!n- 130RGN INJ,
Politico-militare ecc.- V o l. l. 20
Storia

-306passi di quei loro paesi, intersecati per ogni dove da fiumi, canah e argini, gli olandesi opposero resistenza spicciolata ma gagliarda, schivando le battaglie. Fu questa l'opera di Guglielmo, al quale, ucciso nel 1584 successe il figlio Maurizio: che continuò e completò l' opera del padre.

Il fatto d'arme più notevole della lotta sostenuta da Maurizio contro gli spagnuoli, fu la battaglia di Nieuport ( 2 luglio 1600): in essa profittando dell'alta marea che impedì il tempestivo impiego della cavalleria spagnuola; profittando del fuoco delle proprie navi che presero di fianco la linea avversaria e saggiame nte adoperando agili e potenti riserve, Maurizio riporta la sua più bella vittoria.

Ma l' opera di Maurizio, oltre che condottiero è di capitale importanza per le modificazioni da lui introdotte nella tattica: modificazioni delle quali abbia mo già ac<:ennato le caratteris tiche.

La cattiva prova fatta dai massicci battaglioni svizzeri di fronte alle armi da fuoco, doveva necessariamente portare ad adoperare nuove formazioni sul campo di battaglia. Maurizio di Nassau deve ritenersi il primo che abbia tentato la soluzione di questo problema . Il terreno r otto delle Fiandre, la qualità delle truppe nazionali , lo sminuzzamento della guerra rivoluzionaria richiedevano forme tattiche spezzate, maneggevoli e nello stesso tempo adatte all' efficace impiego delle nuove armi. Maurizio, prendendo esempio dai classici dei quali era profondo studioso, adottò per l'esercito olandese un ordine di battaglia molto simile a quello della legione manipolare del Romani.

Egli ruppe i grossi battaglioni e separò i picchieri dai moschet · tieri, formando degli uni e degli altri piccoli battaglioni di due o trecento uomini su dieci righe di profondità, disposti ad intervalli e a scacchiera su tre linee: questa disposizione a scacchiera permetteva il passaggio delle linee senza produrre alcun disordine in un' epoca nella quale le truppe sapevano poco manovrare sul campo di battaglia. Ogni piccolo battaglione di picchieri doveva essere fiancheggiato da moschettieri.

La cavalleria, disposta fra gli intervalli e riunita in massima parte sulle ali era libera nei suoi movimenti, non imbarazzava la fanteria ed era protetta dai moschettieri.

L'artiglieria venne ordinata con grandissima cura e con personale sceltissimo; furono costruiti mezzi speciali di trasporto adatti al terreno rotto da corsi d'acqua; fu introdotto l'uso di far montare

a cavallo i conducenti. Durante la battaglia l' artiglieria pesante rafforzava le parti più deboli dell'ordinanza e quei tratti costretti alla pura difensiva; l' artiglieria leggera guarniva la fronte accompagnando la fanteria.

Con questa ordinanza s i dette alle truppe una mobilità sconosciuta alle profonde masse ed una manegevolezza che si adattava ad ogni sorta di terren o. La disposizione su più linee permetteva una ragionevole successione di sfo rzi nel combattimento: gli intervalli fra i battaglioni dovevano appunto servire a permettere l' affluenza dei rincalzi. La terza linea era una vera e propria riserva. Il fuoco e l' urto ·erano ben contemperati fra loro. l moschettieri potevano fare libero uso del fuoco e nell' azione vicina ripiegare poi dietro i picchieri, che so li potevano prestarsi a dare o soste nere l' urto.

Maurizio di Nassa u introdusse una re go lare disciplina nelle sue truppe, formò campi e vi esercitò accuratamente i soldati; ideò opere esterne e strade coperte per la difesa della città; diè prova di molta abilità nell' espugnazione delle città e nell'impiego della fortificazione campale. Il suo campo divenne una scuola alla quale accorrevano quanti, fra i protestanti, avevano passione per l' arte della guerra: gli imperiali e gli spagnuoli invece non seppero svincolarsi dalle antiche formazioni. Serbarono per lungo tempo ancora i massicci battaglioni composti di picchieri e cinti intorno da più righe di moschettieri più numerosi agli angoli che lungo i lati.

Caratteristiche dell'arte della guerra nel secolo XVII. - In questo secolo primeggiano gli svedesi (Gustavo Adolfo) nella prima metà; mentre nella seconda metà cominciano ad affermarsi i francesi.

L'arte militare fa grandi progressi per merito di Gustavo Adolfo; la guerra s'informa a gran di concetti strategici. Oli eserciti si alleggeriscono; le armi da fuoco continuano il loro perfezionamento; la tattica continua a progredire basandosi su i principi di Maurizio di Nassau; le tre armi si aiutano scambievolmente sul campo di battaglia; l' offensiva riprende il sopra vento. Morto Gustavo Adolfo, la cui opera segna un periodo di vera grandezza per l'arte militare, questa subisce un periodo di stasi. Il fuoco si sviluppa sempre più e di conseguenza gli ordini tattici vanno mano a mano assotigliandosi. La strategia e la tattica grandeggiano per opera specialmente del Turenne e del Montecuccoli, ma la

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-308guerra perde, in linea di massima, l' arditezza e la spigliatezza che le aveva dato il re svedese. « Piccoli eserciti, mosse studiate, po· sizioni scelte e guarnite con cura. Marce e contromarce, uno schermire riguardoso, scarsi e piccoli fatti d'armi, nessun atto ri · solutivo. Epoca di perfezionamento piuttosto che di creazione. » (Corsi).

L' esercito di Oastavo Adolfo. - « Insigne ordinatore di eserciti, questo sovrano si studiò di compensare l' infer iorità numerica delle sue forze rispetto all' avversario, mediante buoni ordi11amenti, buona amministrazione, buone armi e sopratutto rigorosa disciplina ed elevato sentimento morale. Ben comprese che fondamento primo di un'arte vigorosa è l'uomo; e nelle qualità morali del combattente, che egli seppe foggiarsi, bisogna rintracciare le cause delle sue vittorie che solo a questo patto erano possibili. » ( Cassinis ).

Il reclutamento dell' esercito svedese si sforzava, per quanto era possibile, di essere nazionale: ma la scarsa popolazione del regno di Gustavo Adolfo non permetteva a questo re di avere un contingente di truppe proporzionato ai vasti disegni della sua politica: egli ricorse perciò spesso ai mercenari; ma questi non si abbandonarono mai a quelle scelleratezze per le quali rimasero invece tristamente famose le truppe imperiali. Disciplina fortissima; ordine e re go larità sulle requisizioni; umanità e benevolenza per i vinti fecero si che l'esercito svedese fosse bene accolto e forse anche desiderato, là dove la brutalità delle truppe imperiali specialmente quelle del Wallestein, avevano lasciato tristissimi ricordi. Gustavo Adolfo volle aumentare al massimo la mobilità delle sue fanterie, accrescendone in · pari tempo la potenza di fuoco. Alleggerì quindi il più possibile l'armamento del soldato; abolì ogni armatura difensiva meno l' elmo, introdusse il moschetto a ruota; soppresse la forcella; munì ogni moschettiere di una dotazione di cartucce c he venivano .riposte in una apposita giberna di cuoio. Con questi provvedimenti i moschettieri svedesi riuscirono ad avere una celerità di fuoco 4 volte superiore a quella degli imperiali. Diminuì anche la lunghezza della picca.

Riunì per primo in m•)dO permanente due reggimenti sotto gli ordini di un solo capo, costituendo così la brigata; distinse ogni brigaJa con uno speciale colore: fatto sugge rito da ragioni tattiche, disciplinari e morali.

O. A. ebbe due specie di cavalleria: i corazzieri (spada lunga, 2 pistole, elmo e petto di ferro) e i dragoni o cavalleria legge ra

-309(elmo, spada, pistola e moschetto). Egli restituì alla cavalleria le sue qualità essenziali: la mobilità e l' urto.

L' artiglieria fu grandemente alleggerita: due cavalli bastavano a trainare un pezzo . Que ste artiglierie leggere vennero permanentemente aggregate ai reggimenti di fanteria. fu introdotto l' uso dei cartocci.

Di fronte ai densi battaglioni e ai pesa nti squadron i imperiali, O. A. compre se la necessità di sis temi nuovi. Ridusse gli effettivi delle unità di fanteri a e cavalleria e assottigliò l'ordinanza in modo da assicurare il maggiore svil uppo del fuoco. Come Maurizio di Nassau, tenne separati i picchieri dai moschettieri, disponendo i rispettivi drappelli alternati a scacchiera in modo da potersi scambievolmente sostenere con brevi e facili sposta menti: si armonizzava così fuoco ed urto. Ma mentre i picchieri costituivano sempre ordinanze serrate, i moschettieri erano divisi per g ruppi di 4 file con intervallo tra gruppo e gruppo, affinchè quelli che avevano sparato potessero ripiegare e caricare l'arma dietro l' ultima riga.

Per il combattimento, O. A. disponeva le sue truppe su due linee, distanti tra loro 300 passi almeno e provviste ciascuna di una riserva. In ogni linea la fanteria era al centro, gl i squadroni di cavalleria alternati coi rispettivi drappelli di moschettieri alle ali. Negli intervalli delle brigate prendevano posto le artiglierie leg· gere; l'artiglieria pesante veniva . raccolta alle ali o al centro.

« In conclusione il sistema svedese consi steva in un ordine essenzialmente mobile, leggiero ed elastico che richiama alla memoria la legi<?ne coortale di Cesare e che si prestava alle più svariate combinazioni tattiche. l

La battaglia di Gustavo Adolfo. Contro le abitudini del tempo secondo le quali i pesanti battagl io ni combattevano esclusi· vamente con l'ordine parallelo che li portava a scegliersi posizioni vantaggiose, tenervis i sulla difensiva, scuotere il nemico col fuoco e poi cadergli addosso frontalmente, Gustavo Adolfo si distingue per i successivi sforzi offensivi delle sue linee e per un certo prin· ciplo di manovra tattica resa possibile dalla maggiore leggerezza e mobilità dei suoi reparti.

La strategia di Gustavo Adolfo. - Scostandosi dalle tendenze della sua età, O. A. fece guerra eminentemente offensiva preceduta da una metod ica preparazione politica per assicurarsi neutralità ed alleanze e da una solida preparazione militare atta a costituirsi una sicura solida e larga base di operazione che gli desse sicurezza e

- 310indipendenza nei movimenti. Tali prudenti disposizioni erano però sempre accompagnate dal necessario ardimento necessario per cercare la battaglia ri so luti va contro l' esercito avversario. La strategia ebbe così un momento di vero risorgimento per le vaste azioni condotte dal Baltico al Danubio, attraverso difficoltà grandissime e portando la minaccia fin verso il cuore (la capitale) dell'avversario.

Dopo Gustavo Adolfo la strategia, la tattica, la logistica, la fortificazione non fecero grandi passi, nonostante i geniali esempi dati dal Condé, dal Montecuccoli e dal Turenne nell'arte di maneggiare le truppe e approfittare del terreno. Quei grandi capi tani figurano come sornmi artisti che seppero fare cose meravigliose con quegli strumenti così poco perfetti che ebbero tra te mani, non come capiscuola e riformatori quali il Nassau e Gustavo Adolfo. »

Grandi passi invece fece l' ingegne ria militare per merito essenzialmente del Vauban .

Il periodo successivo a Gustavo Adolfo è caratterizzato dal primo affermarsi del predominio francese: il secolo risente già dell'opera di Luigi XIV.

Nel campo militare però l' azione di questo potentissi mo re non è eccessivamente notevole: data però l' importanza che l' esercito francese viene mano a mano acquistando, vediamo le principali caratteristiche dell' esercito stesso nella seconda metà del secolo XVIL

Il reclutamento non era basato su principi fissi e ben determinati: la necessità delle lunghe guerre indusse a profittare di qualunque mezzo per aver soldati. Oli eserciti crebbero sempre più di numero. La fanteria è divisa in picchi eri e mo sc hettieri: sorgono in francia nel 1672 i granatieri destinati a lanciare granate a mano. E nel 1692 la francia sull'ese mpi o dell'Ungheria istituisce gli ussari destinati ai servizi di avanguardia, di scorta e all' inseguimento. Devesi a Luigi XIV l' istituzione delle prime truppe rermanenti d' artiglieria, e l' istituzione dei minatori. Il sistema dei magazzini (opera del Louvois) venne alquanto migliorat o: s i stabilirono in anticipo raccolte di viveri in dati luoghi pei quali si presumeva che gli eserciti dovessero passare. Ma se con ciò il servizio delle sussiste nze veniva assicurato, l'andamento della guer ra venne subordinato all' ubicazione dei magazzini: il che fu grave impaccio al libero svolgimento della guerra.

Oli spostamenti degli eserciti erano lenti. Grande svil uppo ebbe la fortificazione campale per la difesa dei campi.

Il modo di schierarsi e di combattere è ancora quello usato dagli avversari di Gustavo Adolfo per quanto sotto il lunghissimo regno di Luigi XIV troviamo, come vedremo, metodi diversi a seconda degli uomini che dirigono l'azione: ma furono eccezioni.

In linea di massima possiamo dire che malgrado l'opera di questi grandi capitani, la simmetria degli ordini di battaglia prende il sopravvento su qualsiasi altra considerazione e le truppe vengono disposte in battaglia non secondo quando suggeriva il terreno ma secondo dispositivi prestabiliti.

Grave danno i]uesto, che unito alla triste influenza esercitata come abbiamo visto dai magazzini, doveva necessariame nt e produrre un decadimento dell'arte militare. A ciò si aggiunse l'enorme influenza acquistata da l Louvoi s che al talento e alla virtù credette poter sostituire macchine d' ogni genere, un numero ster m inato di battaglioni, e la potenza d e l danaro.

c Co se - dice il Rovighi - che dipendono da un ministro: ma non dipende da lui l'ispirare coraggio, zelo e disciplina vera. ., Così poco per volta, dopo il magnifico esempio di Gustavo Adolfo, e malgrado il genio e l' abilità del Condé, del Turenna e del MontecuccoJi, gli eserciti aumentavano di numero e di mezzi ma perdevano in solidità. Si esauriva il valore mo rale del combattente e al valore dell'individuo conveniva sostituire la solidarietà dei grossi corpi ; conveniva adottare la tat,tica delle masse e delle colonne per supplire al valore e all' energia personale.

A capovo lgere questo stato di cose e a ridare alla guerra tutta la bellezza, l' arditezza, la spigliatezza e lo spirito offensivo che avevano animati i grand i capitani, tenderà l' opera di fed erico Il prima e di Napoleone poi.

l gra ndi capitani del secolo XVII. - Di Maurizio di Nassau e di Gustavo Adotfo abbiamo già parlato. Ricordiamo due italiani. Ambrogio Spinola. Comin ciò la carriera delle armi a 32 anni. Avendo suo fratello federico che militava nelle fiandre sotto filippo Il fatto accettare dalla Spagna un suo progetto di sbarco in Inghilterra, Ambrogio Spinola ricevette l' incarico di for m are e co ndurre in fiandra un co rp o di 8.000 uomini. Lo Spinola r accoglie questi uomini a Vercelli e con una bellissima c ordinatissima marcia att r averso l' Europa li co ndu ce sotto Ostenda. Quivi gi unto viene incaricato di espugnare quella fortezza che intanto Maurizio di Nassau cercava di soccorrere. L' impresa venne felicemente por-

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fata a compimento. Nel 1606 mentre assediava Reinberg, i suoi soldati gli si ribellano e Maurizio l'attacca di sorpresa: ma l' abilità, l'energia e l' arditezza dello Spinola riuscirono a sedare la rivolta, a respingere Maurizio e ad impadronirsi della città.

Raimondo Montecuccoli ( 1608- 1681) modenese. Fece le sue prime armi nelle fiandre sotto le bandiere degli imperiali, cominciando la carriera da semplice gregario. Si distinse nella guerra dei 30 anni sempre agli ordini dell' imperatore. fu prigioniero delle truppe svedesi. Liberato, tornò a Modena ove ebbe il comando delle milizie ducali contro l'esercito pontificio che assediava Nonantola e lo sconfisse . Tornato ai s ervizi dell'impero nel 1648 ebbe il comando dell'esercito imperiale: vinto dal Tu renne a Zusmarshausen con manovra che destò l'am mi razione del suo grande competitore, trasse in salvo l'esercito ad Augusta. Nel 1657 sempre a capo di un esercito imperiale, soccorse i polacchi prima e poi i danesi contro gli svedesi.

Nel 1663 e nel 64 condusse guerra contro i turchi, riportando il 1.0 agosto 1664 la memorabile vittoria di S Gottardo sulla Raab.

Dieci anni dopo egli era di nuovo alla testa degli imperiali contro Turenne e il Condé. Ritiratosi dal servizio, consacrò gli ultimi anni allo studio delle scienze politiche, economiche e filosofiche.

Caratteristiche della sua condotta di guerra furono: la preparazione accurata, lo studio profondo dei mezzi del nemico, la prudenza accompagnata alla prontezza dell' azione al momento opportuno e la costanza e la perseveranza nelle decisioni prese. Più che vero e proprio grande stratega egli fu un tattico, ma come tattico lo fu in grado eminente. È celebre il suo libro « Aforismi applicati alla guerra possibile contro i l Turco in Ungheria » libro che è una preziosa raccolta di precetti politici, strategici, tattici, economici e morali.

Tra i capitani francesi ricordiamo:

- il Duca di Rolzan, notevole per la guerra da lui condotta nell' alta valle dell' Adda per la questione della Valtellina ( 1620) (che gli antichi duchi di Milano avevano ceduto ai Grigioni e che il governatore spagnuolo di Milano voleva rioccupare vincendo le resistenze di Francia, Venezia e Savoia collegati contro la Spagna), guerra che fa di questo condottiero un vero specialista di guerra in montagna.

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c Facendo assegnamento sopra tutto sul fuoco della fanteria rinunziando a servirsi della e dell' artiglieria che lo avrebbero costretto a campeggiare nel fondo delle valli e vincolato a certe date posizioni, Rohan fece abilissima gue rra di d rapp elli concordanti, lunghe e rapid e marce per aspri sentieri, apparizioni improvvise, avvolgimenli, combinando colla stretegia offensiva la tatiica difensiva, per modo da costringere il nemico ad assali rlo in forti posizioni con suo svantaggio, e venirgli sui fianchi o alle spalle sempre che potesse. , (Corsi);

- Luigi di Borbone, principe di Condé: la cui grande reputazione di capitano cominciò con la celebre giorna ta di Rocroy ( 1643: periodo fr ancese della guerra dei 30 anni). Successivamente consolidò la s ua fama con le battaglie di Freiburg ( 1644 ), di Nordlingen ( 1645) e di Lens ( 1648) durante le ultime campagne della guerra dei 30 anni e durante la lotta tra Francia e Spagna e finita con la pace dei Pirenei. Il Condé prese poi parte alle guerre civili in Francia (guerra della Fronda) ora a favore ora contro i frondeurs. Inimicatosi col Mazarino passò al servizio di Spagna e con gli spagnuoli combattè all a battaglia delle Dune (1658) contro il Turenne dal quale fu battuto: la pace dei Piren e i pose fine alla lotta tra questi due grandi capitani. Morto il Ture nne ebbe il comando dell' armata di questo capitano e malgrado l'inferiorità del numero e l'abbattimento morale dell'esercito seppe tener testa al Montecuccoli.

Insofferente per natura a lunghe e complicate combinazioni s trategiche, ardente audace e valoroso, sapeva entusiasmare i soldati. Le sue dècisioni più che frutto di profonde riflessioni, erano la conseguenza di un colpo d' occhio sicuro e di una rapida intuizione della situazione. Sue caratteristiche furono l'attacco frontale impetuoso, travolgente senza curarsi di fortificare in modo speciale alcun punto della linea, e l' azione preva lente assegnata alla cavalleria che venne così acquistando una notevole prevalenza.

- Enrico de Latour d' Auvergue, visconte di Turenne, nipote di Mau ri zio di Nassau. Combattè con lui nelle guerre d' indipendenza d' Olanda contro gli spagnuoli. Passato al servizio della francia si segnalò nelle campagne di fiandra, di Piemonte e con il Condé in Germania. N ella guerra della fronda tenne quasi sempre per il partito della corte. Vinse gli spag nuoli alla battaglia delle Dune. Condusse un esercito nelle campagne del Palatinato e d' Alsazia e contro il Montecuccoli presso Strasburgo: in questa

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campagna (guerra d' Olanda: 1672-78 , condotta da Luigi XIV per abbattere la potenza olandese repubblicana e calvinista) morl d'un colpo di cannone.

Calmo, osservatore, previdente, seppe ottenere con uno sforzo tenace di volontà che non escludeva ta[volta l'audacia, i più grandi risultati. In tempi nei quali le operazioni militari erano guidate dai ministri del Re ed incatenate alle piazze e ai magazzini, seppe condurre guerra manovrata; prolungò, contrariamente ai sistemi dell'epoca, le operazioni anche durante l' inverno; diede alle sue truppe mobilità e rapidità di mosse pressochè sconosciute a quei tempi. Variò i propri ordini di battaglia col variare delle circostanze e del terreno; costituì sempre una riserva delle tre armi; ebbe una speciale grandissima cura per tutto ciò che si riferiva al morale del proprio esercito.

Tra i capitani tedeschi, ricordiamo:

- Tilly: nato nelle Fiandre fece le sue prime armi sotto Alessandro Farnese. Passato poi al servizio dell' Austria combattè contro i turchi . Nel 1610 l'Elettore di Baviera lo chiamò al suo servizio. Fu lui che organizzò l' esercito b ava rese, divenuto poi allo scoppio della guerra dei trenta anni, l' esercito della santa lega cattolica. Con questo esercito il Tilly riuscì vittorioso sia nel pe· riodo boemo - palatino che nel periodo danese. Aveva acquistato fama d' invincibile quando apparve Gustavo Adolfo. Giusto e buono con i soldati, austero di costumi, disinteressato, fedele, profondamente religioso era espertissimo in materia di guerra dove esplicò sempre un'attività una energia e una brav u ra tali che gli valsero la fama di grande capitano;

- Waldstein, nato da nobile m a povera famiglia boema, a lternativamente educato da gesuiti e da luterani, cominciò ad acquistarsi fama di valente condottiero fin dall'età di 26 anni nella guerra contro i turchi. Costituitosi un esercito di mercenari si pose a l servizio dell ' imperatore austriaco: ma, mal grado le vittorie, fu costretto ad abbandonare il comando per le d evastazioni e le cr udeltà senza nome compiute dalle sue soldatesche. Ma le vittorie di Gustavo Adolfo indussero l' imperatore a richiam a re il Wa ldstein. Ma dopo Lutze n , le imprese di questo condottiero non furono più notevoli: mosso dall' ambizione di conquistare una corona egli entrò, come abbiamo visto, in trattative con gli Svedesi, finchè l' imperatore F erdina n do per togliersi d i mezzo questo pericoloso condottiero lo fece assassinare.

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Il W. fu l' ultimo e il più celebre dei capitani di ventura: spavento dei popoli, idolo dei soldati. Egli possedeva spirito tenace e temerario, ambizione e fierezza senza limiti. Come organizzatore di eserciti, in relaztone all' indole dei tempi, fu veramente grande. Numerosissimi accorrevano i soldati ad arruolarsi nel suo esercito perchè sapevano che ad essi il W. abbandonava i paesi conquistati.

Le fine del predominio spagnuolo in Italia e l' inizio di quello austro borbonico. - Cenni sulle guerre di successione durante il secolo XVUI (di Spagna, di Polonia d' Austria) e sulle loro conseguenze in Italia.

Guerra per la successione di Spagna. - Cause. - Carlo II della casa d' Absurgo regnante nella Spagna verso il 1700 non aveva discendenti. Ambivano alla successione:

- Luigi XIV cognato di Carlo; Leopoldo imperatore, anch'egli cognato di Carlo e appartenente alla medesima casa; l' elettore di Baviera genero dell' imperatore; Vittorio Amedeo Il di Savoia discendente da una figlia di filippo Il (che aveva sposato Carlo Emanuele l).

Carlo 11, che conosceva perfettamente tali pretese, chiamò a succedergli il figlio dell'elettore di Baviera; ma morto questo principe prima di Carlo, questi lasciò la corona a filippo di Borbone, duca d'Angiò nipote di Luigi XIV. filippo alla testa di un esercito prese subito possesso del trono col nome di filippo V. Questo fatto segnava l'incontrastato predominio dei Borboni in Europa: l' imperatore, l' In ghilte rr a, L' Olanda, la Prussia, il Portogallo, il duca di Baviera mossero guerra al nuovo re. l principi italiani stettero quasi tutti neutrali ; il duca di Mantova e Vittorio Amedeo Il di S!lvoia si unir ono alla francia e alla Spagna.

Avvenimenti in Italia. - La guerra fu combattuta nella Spagna, sul Reno, nei Paesi Bassi, in Italia. L'Austria iniziò la lotta inviando un esercito in Italia guidato dal principe· Eugenio di Savoia- Carignano, esercito che vinse quello francese a Carpi, Chiari, Luzzara ( 1701-1702 ). Il principe E u genio venne però presto richia mato a Vienna minacciata dall' insurrezione degli Ungheresi. Domata questa insurrezione e debellate le forze franco- bavaresi nella battaglia di

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Ho chsHidt (agosto 1704 } e liberata così la Germania dall'invasione straniera, Eugenio si accinse a tornare in Italia.

In Italia, V. A. Il, visto che la guerra volgeva favorevole agli imperiali e che Luigi XIV non manten eva le sue promesse, aveva abbandonato la fr ancia e si era unito all'Austria. Rimasto a sos tene re da solo la lotta contro la francia vide ben presto tutto il te rritorio dello Stato invaso dai francesi: e nel 1706 fu costretto a rinchiudersi in Torino che venne assediata dai francesi. Tornava intanto in Italia il principe Eugenio che sotto Torino sco nfiggeva i francesi ( 7 settembre t 706} che furono così costretti a sgombrare tutta l' Italia superiore.

Avvenimenti fuori d' !lalia. - Anche fuori d'Italia gli avvenimenti si svolgevano favorevoli agli imperiali: Eugenio e Marlborough, generalissimo inglese, vincono le ba ttaglie di Oudenard e Malplaquet ( 1708 · 9 }. L' Inghilterra occupa Gibilterra.

Intanto nel 1711 moriva l' imperatore Giu seppe successo nel 1705 a Leopoldo, e saliva al trono imperiale l'arciduca Carlo, quello stesso che pretendeva al trono di Spagna. Il pericolo di vedere la corona imperiale e quella spagnuola riunite nella stessa persona indusse alla pace generale. .

La pace. - trattato di Utrecht filippo V fu riconosciuto re di Spagna purchè rinunciasse ad ogni diritto sulla corona di francia; Vittorio Amedeo Il ebbe la Sicilia col titolo regio; l' Inghilterra ottenne Minorca e Gibilterra dalla Spagna, Terranova e l ' Acadia dalla Francia.

Carlo VI imperatore volle continuare la lotta ma nel 1714 depose le armi e si ebbe cosi la pace di Rastadt.

La fine· del predominio :spagnuolo in Italia, l'inizio di quelio austro borbonico ; e· le conseguenze; della lotta in Italia. - Con la pace di _ Ra stad t l'Austria ottenne dalla Spagna il Belgio, il Milanese, il ducato di Mantova, il Napolitano, la Sardegna. Vittorio Amedeo Il ottenne il basso Monferrato con Alessandria. In tal modo la guerra di successione di Spagna ebbe per l' Italia due notevolissime consegnenze:

- la casa di Savoia era territorialm en te ingrandita e acquistava il titolo regio;

- finiva la dominazione spagnuola e si iniziava quella austriaca.

Guerra per la successione di Polonia. - Durante la guerra dei 30 anni la Svezia era riuscita a stabilire il suo dominio sulle

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due riv e de l Baltico: questa s upremazia svedese indusse Pietro l, czar dell'impero russo (costituitosi poco a ll a volta s ull'anti co principato di Moscov ia con l' uniope di tutti gli statere lli ru ss i) , federico Augu s t o Il re di Polonia (questo Stato era in piena decadenza) e il re di D animarca, ad unirsi in lega per abbattere la supremazia svedese.

Carlo Xli, re di ( 1700) sconfigge prima i danesi e li obbliga alla pace; attacca i russi e li batte a Norva; penetra in Polonia, costri n ge il re a ri nunciare alla corona fac en d o e leggere in s ua vece Stanislao Leczin ski ( 1706); si rivolge poi nuovamente contro i russi. Questi però si r itirano e sfuggono la battaglia, finch è a Pultawa ( 1709) battono il re svedese che è costretto a salvarsi con la fu ga in Turchia . La Svezia perde così tutti i s u oi domini es te rni; Augusto riprende la corona di Polonia che tiene fino alla morte ( 1733 ).

Cause. Alla s ua mort e una parte del paese elesse re Au· gusto 111 figlio del defunto sovrano; un' alt ra parte invece elesse re Sta n islao Leczinski: di qui originò la gue rr a per la successione di Polonia.

Stanislao Leczinski ebbe l'appoggio di suo genero Lui gi XIV, della Spagna e di Carlo Emanuele lll di Savoia; Augusto Ili e b be l 'appoggio della Russia, deW Aus t r ia e della Prussia.

A vvenimenti - l maggiori d'arme s i ebbero in Italia, dove gli alleati f ranco-piemontesi co m andati da Ca rlo Emanuele di Sa vo ia, occ up arono il Milanese e vinsero sugli austriaci le due gra ndi battaglie di Parma e di Guastalla ( 1734 ).

La pace fu · conchiusa a Vi en na ( 1735): Augusto [[[ fu ricono sci uto re di Polonia; la francia eb be assicurata la Lorena p e rch è ceduta dall'impero a Stanislao Leczi n ski a co ndizi one che dopo la s ua mort e diventerebbe possedime nto francese; il re g no delle Due Sicilie è tolt o all ' Austria e dato a Carlo 111 di Borbone, figlio d i filippo V; francesco, duca di Lorena , ebbe in compenso il gr andu cato di T oscana, allora vacante per l'esti n zio ne di Casa Medici; Carlo Emanuel e III eb be Novara e Tortona .

Guerra per la s uccess ione d'Austria. - Cause. - Co me noto, Carlo VI imperatore d' Austria, pri vo di e red i maschi, aveva cercato con la Prammatica Sanzione di far rico n osce re e red e la propria figlia Maria Teresa. Senonchè m or to Carlo, s i presentaron o parecchi pretendenti :

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- Augusto 111 di Polonia, marito di una nipote di Carlo VI; l'elettore di Baviera anch'egli imparentato col defunto imperatore; filippo V di Spagna e il re di Prussia federico Il. francia, Spagna, Polonia, Baviera, Prussia, Napoli e Sicilia mossero così guerra a Maria Teresa sostenuta dai suoi popoli non tedeschi, da Carlo Emanuele III di Savoia, dall' Inghilterra e dall' Olanda.

Avvenimenti fuori d' Italia. - federi co Il di Prussia nel dicembre 17 40 invade la Slesia e batte gli austriaci a Mo l witz presso Breslavia e a Cza!>lau ( 1741 · 2). Un esercito franco-bavarese invade la Boemia: Carlo di Baviera è proclamato imperatore. Maria Teresa offre la pace a federico, il quale vi s tosi assicurato il pos · sesso della Slesia e desideroso di non agevolare la supremazia francese con il completo schiacciamento dell' Austria, accetta l' offerta e depone le armi. L' Austria allora, liberatasi dal nemico più potente, riprende il sopravvento. federico allora che non aveva creduto che la sua neutralità avrebbe prodotto così pronti e straordinari effetti, non tardò a convincersi che lasciando progredire Maria Teresa questa gli avrebbe ritolta la Slesia. Per conservare quindi questa sua recente conquista, federico ruppe per la seconda volta le ostilità e con le splendide vittorie di Hohenfriedberg in Lusazia, Shor in Boemia, Kesselsdorf in Sassonia, costrinse nuovamente l'Austria a confermargli stabilmente la ces sione della Slesia nella pace di Dresda ( 1745 ).

Nei Paesi Bassi la guerra fu favorevole ai francesi, i quali per merito del maresciallo Maurizio di Sassonia vincono la splendida battaglia di fontenoy.

A vvenimenti in Italia. - Oli austriaci, aiutati dalla flotta in · glese tentano invadere il Napoletano ma a Velletri ( 1744) sono battuti da Carlo 111 r e di Napoli.

Cuneo viene cinta d'assedio da un esercito franco - spagnuolo. l sardi battuti alla battaglia di Nostra Signora dall'Olmo, ricacciano poi francesi oltre Alpi e li inseguono fin nelle vicinanze di Tolone.

Il Piemonte, così liberato da Carlo Emanuele 111 viene però nuovamente invaso dai francesi nel1745 che vincono a Bassignana sul Tanaro espugnando Tortona Asti Casale: ma Austro-Piemontesi ricacciano nuovamente i francesi e occupano Genova (episodio di Balilla). Nel 1747 i francesi guidati dal cavaliere di Bellisle scendono ancora in Italia sboccando pel colle di Monginevra. I sardi, guidati dal conte di Bricherasio riescono a sbarrare i passi

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dei monti tra le valli della Dora e del Chisone e benchè molto inferiori di numero vincono la battaglia dell' Assietta ( 1747 ).

La pace di Aquisgrana (1748) pose fine alla guerra. Maria Teresa fu riconosciuta erede degli Stati austriaci; suo marito, fran cesco di Lorena fu riconosciuto imperatore: con lui si stabill la dinastia dei Lorena in Austria.

Conseguenze in Italia: filippo di Borbone figlio di filippo v di Spagna ebbe il ducato di Parma e Piacenza; il re di Sardegna accrebbe i suoi domini coll'acquisto di Vigevano, Voghera e dell' alto Novarese.

Conseguenze in Italia delle tre guerre di successione. - La pace cii Aquisgrana che chiuse il pericdo delle guerre di successione, lasciò l' Italia completamente cambiata.

Il dominio spagnuolo era sostituito dall' Austria nei paesi lombardi che vennero arrotondati dal Ducato di Mantova. L' Italia meridionale era governata da un ramo indipendente dei Borboni di Spagna. Un altro ramo borbonico aveva sostituito a Parma e Piacenza l'estinta famiglia dei farnesi; mentre in Toscana, estintasi la famiglià dei Medici s' instauravano i Lorena. l Duchi di Savoia raccoglievano il frutto della loro tenace azione intesa all' ingrandimento dello Stato: ottenevano infatti il titolo regio e il possesso del Monferrato, Novara ·e Sicilia. Nessun cambiamento nei domini pontifici e in quelli d i Venezia che, semp re chiusa ne lla sua neutr alità, privata dai Turchi delle sue colonie, decadeva rapidamente. NessuJ) cambiamento negli altri Stati italia ni.

Le guerre di successione migliorarono in complesso le condizioni d' Italia:

- per esse infatti parecchie provincie avevano acquistato l' autonomia che da gran tempo avevano perduta;

- dinastie ormai vecchie e inette erano state sostituite da altre più energiche e migliori,

- molti Stati si erano ingranditi con l' annessione di Stati minori.

« La Lombardia non poteva non compiacersi di essere passata dall' esoso giogo di Spagna al governo, straniero è vero, ma più illuminato, di Casa d' Austria -..

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I Duc h i di Savoia e la loro polit ica durante le guerre di successione (rafforzamento del loro prestigio- acquisto della dignità regale - le istituzioni militari piemontesi del sec. XVIII). - Le principali vicende degli Stati italiani durante il sec. XVIII.

La politica dei successori di Emanuele Filiberto. - Abbiamo g ià detto della politica e dell'opera di Emanuele Filiberto, opera intesa a fare del Piemonte uno stato ordinato, forte e che disponesse di forze proprie atte a salvare l' unità e l' indipendenza del Piemonte dai suoi pericolosi vicini: abbiamo detto anche che E. F. non ebbe a sostenere grandi guerre ma che la salda organizzazione delle sue forze militari fu valido strumento alla sua politica.

Sotto i successori di E. F. ricominciarono le guerre che si svolsero quasi ininterrottamente per due secoli: il XVII e il XVIII.

Quelle del sec. XVII combattute sotto i regni di Carlo Emanuele l (1580-1630), Vittorio Amedeo l (1630-37), Maria Cristina e Carlo Emanuele Il ( 1637-1675) ebberp per effetto di indirizzare lo sviluppo dello Stato sabaudo dalla parte del versante italiano con conseguente abbandono della politica d' espansione oltre Alpe. Le lotte del secolo seguente (Vittorio Amedeo Il: 1684 ·1730; Carlo Ema n uele 111: 1730 1773) ebbero specialmente lo scopo di allargare se m pre più lo Stato sabaudo sui domini italiani di Lombardia e Liguria: l'ultima guerra di questo secolo ( 1792-96) iniziatasi sotto il regno di Vittorio Amedeo III fu di difesa contro l' invasione delle armate repubblicane francesi.

In questo lungo periodo, comprendenti due secoli circa, e in cui lo stato di guerra fu continuo in Piemonte, ogni sforzo dello Stato piemontese è rivolto ad aumentare le forze armate nazionali che devono essere lo strumento della politica di difesa e di espansione dello Stato sabaudo. Nelle provincie sabaude del versante ita liano venne così lentamente a crearsi un forte spirito nazionale da l quale doveva poi sorgere l' unità e l' indipendenza d' Italia.

Rafforzam ento del prestigio sa baudo. - Fu questa naturalm e nt e l' opera di secoli, opera iniziatasi come abbiamo visto con Ema n ue le Fi liberto.

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Da allora - come abbiamo già accennato nei capitoli precedenti - l' opera dei principi di Casa Savoia è tutta tesa al rafforzamento del prestigio dello Stato piemontese onde prepararlo alle future- lotte che i Savoia presentivano inevitabili per la realizzazione çJella loro politica di espansione verso l' Italia, dato che era assurdo pensare ad una espansione verso il territorio della forte nazione francese. Quest' opera sembrò arrestarsi un momento a causa della guerra civile.

La reggenza di Maria Cristina ( 1637) aveva segnato per il Piemonte un periodo di guerre civili: fu quello il momento culmi· nante del periodo di guerre in cui il Piemonte fu trascinato più per la sua posizione tra la Francia e i domini spagnuoli, che pel dissidio interno che si sarebbe facilmente dissipato. Il Piemonte era diventato uno dei campi di battaglia sui quali si combatteva l' ultima lotta tra le due potenze, Francia e Spagna, che ormai da un secolo e mezzo si disputavano l' egemonia sull' Europa. Il Piemonte, per quanto più o meno mutilato, conservò la propria indipendenza.

Carlo Emanuele Il ( 1631-1675) non potè che provvedere ad intf!rne migliorie ed a preparare un nucleo dì forze per tenersi pronto a cogliere l' occasione opportuna per ristabilire sull' Alpi, dal Moncenisio al mare, i confini tra i suoi stati e la Francia, come li aveva fissati l'avo Carlo Emanuele l. Egli nelle sue condizioni, cercò di seguire la condotta politica che oggi potremo chiamare di raccoglimento. Egli dedicò perciò le sue cure a rafforzare lo Stato, frenare abusi, e specialmente ebbe cura dell' esercito, provvedendo alle esigenze future, con la creazione dei reggimenti stabili così come già abbiamo visto.

Il frutto di quest' intenso lavorio di prépazione civile e militare dello Stato ad eventuali guerre, lavorio svoltosi da Emanuele Filiberto a Carlo Emanuele Il (periodo di rafforzamento del prestigio sabaudo) fu raccolto con avvedutezza e valore da Vittorio Amedeo Il e Carlo Emanuele III durante le guerre di Successione, svoltesi in Europa dal 1701 al 1'748_ E fu veramente fortuna che le intrica te vicende .e i poderosi eserciti che Francia Spagna ed Austria fecero agi re in Italia ai danni del piccolo Piemonte, trovassero uno Stato fiero della sua indipendenza e potentemente organizzato sia civilmente che militarmente: che se così non fosse stato il Piemonte sarebbe stato travolto, abbattuto e annientato dai colossi coi quali invece osò competete.

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M. VALLETTI BORGNINI, Storia Politico-militare ecc. - Vol. l.

La politica avveduta e la sapiente e ardita condotta militare di Casa Savoia durante le guerre di successione fu invece tale che alla fine di que ste lunghe contese, il Piemonte era sali to in g rande considerazione presso tutti i governi europei data l' importanza degli sforzi di cui si era mostrato capace.

Vediamo brevemente lo sviluppo seguito dalla politica sabauda durante le guerre di Successione.

La politica sabauda dal 1684 al 1748. - A Carlo Emanuele Il succedette il figlio Vittorio Amedeo Il reputato un o dei principi più attivi e più sagaci d' Europa.

Quando Vittorio Amedeo Il imprese a governare, regnava in francia Luigi XIV, ai danni del quale i sovrani eu ropei stavano preparando la guerra che fu poi decisa con la Lega d' Augusta. La francia, per portare la guerra in Lombardia, doveva essere s icura del Piemonte: ma V. A. Il comprese perfettamente c he allearsi alla francia significava rendersi schiavi del potente Luigi XIV e perciò arditamente aderì alla lega d 'A ugusta (guerra del 1690-96).

Battuto a Staffarda e a Marsaglia uscì in tempo dalla lega trattando segretamente con Luigi XIV dal quale ottenne la restituzione di tutti i paesi occupati dai francesi durante la guerra, comp resa la città di Pinerolo

Ma i francesi tenevano ancora la conca di Oulx e Bardonecchia, nè il Piemonte poteva dirsi sicuro finchè duravano quelle condizioni; anzi stava nei segre ti desideri del duca di possedere anche Briançon, la località in cui gli eserciti francesi affluivano dalla Provenza e dal cuore del regno per raccogliersi prima d'invadere il Piemonte. Il Piemonte era dunque anco ra soggetto alla francia e specialmente ai soprusi e alle pretese arrogant i di Luigi XIV. Ma la prepotenza di questo potente sovrano offri al duca occasione favo revole allo sviluppo della politica saba uda.

Scoppiata la guerra di successione di Spagna, V. A. Il si trovò al bivio: o legarsi alla francia mettendo il Piemonte in balìa di Luigi XIV, o aiutare l'esercito imperiale ad assodare un nuovo dominio straniero nel Ducato di Milano, regione questa che da gran tempo nei consigli della Corona dello Stato piemontese era considerato come futuro possedimento sabaudo. Costretto a trovars i isolato contro la francia e di fronte ad una sit uazione che avrebbe potuto costringerlo ad esulare dai suoi Stati, come il suo antenato Carlo Ili al principio del sec. XVI, V. A. Il si allea alla francia:

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ma non vi fu guerra intrapresa più a malincuore di questa. Questo stato di cose era ben conosciuto da Luigi XIV e in lui crescevano i sospetti verso il Duca di Savoia il cui esercito era considerato come un pegno dell'alleanza e guardato a vista dall'esercito francese finchè venne il momento di agire.

Il 29 settembre 1703 il duca di Vandòme, comandante delle truppe alleate francesi e piemontesi in Italia, per ordine del suo re, fece circuire, disarmare ed imprigionare i reggjmenti piemontesi che erano al campo: re Luigi sperava che il duca di Savoia privo di soldatesche e scarso di mezzi per rannodarne altre, dovesse ormai piegarsi al suo arbitrio : sarebbe stata la completa rovina del Piemonte.

Invece il Duca, con bella arditezza, benchè accerchiato dagli eserciti francesi e lontano dai soccorsi che potevano venire dall' Austria, dichiarò guerra alla francia e alla Spagna, davanti all'opinione pubblica per la violenza subìta e si unì agli imperiali. Egli aspir4va al possesso del Monferrato (che doveva in breve rimanere senza sovrano per l'estinzione dei Gonzaga- Nevers ), d'Alessandria, di Valenza, della Lomellina e della Valsesia che doveansi togliere alla Spagna, oltre che della conca d' Oulx che dovevasi prendere alla francia.

Con mirabile energia e con grande attività contendendo passo a· passo la via agli eserciti francesi che tentavano una rapida e decisiva mossa sulla capitale, il Duca si chiuse in Torino ove la sua attitudine offensiva e l' immediato intervento ·del principe Eugenio, fecero ·subire ai francesi una definitiva sconfitta ( 1706 ).

La politica di V. A. Il aveva cosi, in definitiva, otten uto i seguenti risultati :

- tolse il Ducato dalla dipendenza dei francesi ;

- con la guerra del 1690 ·96 ottenne in restituzione Pinerolo e riuscì a far smantellare la fortezza di Casale;

- con la parte presa alla guerra di successione di Spagna ottenne la conca d'Oulx, portò definitivamente il confine sulla linea d i displuvio alpiua, estese lo Stato oltre la Sesia, ed ebbe la Sicilia col titolo regio (neJ 1718 le potenze europee imponevano a V. A. Il di cedere la Sicilia alla Casa d'Austria, avendone in cambio la Sardegna).

La guerra di successione di Polonia. - Carlo Ema nu ele 111 succeduto al padre V. A. Il che aveva abdicato nel 1730, austero, coscienzioso, cortese, valoroso ed intelligente condottiero, diresse

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personalme nte il governo dei suoi Stati, continuando la p<•litica italiana del padre suo. La guerra di successione di Polonia sembrò offrirgli occasione per affermare la dominazione sabauda sulla Lombardia. La francia, con la spe ranza di rimettere più facilmente Stanislao Leczinski su l trono di Polonia, decise di assalire in Italia i possedimd imenti dell'Austria la quale sosteneva l'elezione d' Augusto di Sassonia. Ma questa diversione non era possibile senza il concorso di Carlo Emanuele 111 re di Sardegna posto a guardia delle Alpi e delle strade che conducevano in Lombardia. Ne profittò il re di Sardegna che strinse patto d'alleanza con la francia dietro promessa di avere il ducato di Milano col titolo di re di Lombardia . Il re di Sardegna approfittava dunque di tutte le occasioni per estendere il dominio sabaudo verso la valle del Po. L'esercito franco sardo, vittorioso a Parma e a Guastalla sotto la guida e per opera del re di Sardegna, s' impadronì del Ducato di Milano: ma con la pace di Vienna 1739, con la quale finì la guerra di successione di Spagna, C. E. 111 dovette accontentarsi del Novarese, del Tortonese , nonchè della supremazia sovra certi feudi delle Langhe sui quali fin allora l' Im pero vantava i diritti di sovranità.

l ri sultati non erano eccessivi, specialmente se si tiene conto delle primitive speranze di C. E. 111, ma era pur sempre un passo di più verso la realizzazion e di quella politica italiana che caratterizzava ormai l' opera del Piemonte.

Allo scoppio della guerra di successione d' Austria e sempre con l' inte nt o di ottenere Milano, C. E. III si alleò dapprima con la francia ai danni di Maria Teresa. Ma durante lo svolgi mento della lotta, la francia per assicurarsi il concorso della Spagna volle as seco ndare lo stabilimento di un figlio del re di Spagna nel ducato di Parma e Piacenza.

L'espansione del dominio borbonico in Italia non poteva con· venire a C. E. 111 il quale pertanto, abbandonata l' alleanza francese, intavolò trattative con Maria Teresa fino a concludere con questa un vero trattato di alleanza. Il re di Sardegna, rinunciava con que sto trattato al Milanese, teneva in armi 45.000 uomini per difendere gli interessi di Maria Teresa in Italia, ma ne avrebbe ricevuto però in cambio Vigevano, la riva occidentale del La go Maggiore e la destra del Ticino, Piacenza col Piacentino fino al mare.

Ma anche le vicende di questa lotta dovevano costituire una forte disillusione per il re di Sardegna: a cose finite l'Au stria eluse

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gra n parte delle promesse fatte nei g iorni del pericolo, e con la pace di Aquisgrana ( 1748) C. E. III dovette acconte ntarsi di Vigevano, Voghera e l'alto Novarese, attuando così un nuovo atto realizzatore della politica italiana sabauda.

Le istituzioni militari piemontesi del sec. XVIII. - Nel secolo XVIII continua la lenta trasformazione dell'esercito piemontese, trasformazione che abbiamo già seguito fino al regno di Vittorio Amedeo Il. A cominciare da questo re e per tutto il s ecolo XVlll le successive trasformazioni subite dalle istituzioni militari piemontes i fur ono le seguenti :

a) le lunghe e sanguinose guerre del regno di Vittorio Amedeo Il avevano fatto scarseggiare gli uomini e specialmente i volo nt ari: per tenere quindi sempre a numero i reggimenti permanenti, V. A. incorporò senz' altro lo scaglione più scelto della milizia paesana, al quale d iede gli stessi obblighi di serviz.io dei volontari nazionali. S' inizia così la coscrizione regolare per tenere a numero l' esercito anche in tempo di pace; un secondo scaglione della milizia paesana fu costituito in reggimenti che ebbero una sede fissa al centro della loro zona di reclutamento ed i cui uomini ven ivano alle armi solo per istruzione o per la guerra; questo secondo scaglione doveva inoltre fornire i complementi necessari per portare i reggime nti permanenti dal piede di pace al piede di guerra; col rimanente degli uomini sottoposti all'obbligo di servizio fu costituita una milizia speciale detta ord inaria.

Questa organizzazione venne compiuta all' inizio del 1700: da questo momento si procedette in Pie monte a delle vere e propr ie ope razio ni di leva e si in iziò la mobilitazione dell' esercito così come ogg i viene comu nem ent e intesa : si ebbe cioè un esercito d i prim a linea co sti tuita dai reggimenti permanenti; un esercito di 2.a linea costituito dal 2. 0 scaglione della milizia paesana, organizzato fin d al tempo di pace ma i cui uomini venivano chiamati solo per istruzione o in caso dj mobilitazione : esercito destinato a p o rt are l' esercito di prima ·linea dal piede di pace al piede di guerra e a costituire nuove unità; infine si aveva un esercito di terza linea compos to co n tutti i ri manenti disponibili;

b) nel 1713, in seguito al riordinamento che abbiamo ora esposto, 12 reggimenti costituiti con il secondo scaglione della mil izia, eb bero ordina mento s tabi le e vennero chiama ti reggimenti provinciali ( C hab lais, Tarantasia, Nizza, Aosta, Torino, Vercelli,

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Mondovì, Asti, Pinerolo, Casale, Novara, Tortona); la milizia ordinaria venne organizzata in compagnie;

c) sempre sotto Vittorio Amedeo Il si ebbe la evoluzione e la definitiva organizzazione della cavalleria. Tutti gli elementi che formavano la cavalleria feudale ed ai quali furono aggiunti quelli della cavalleria paesana, formarono reggimenti d' ordinanza nazionali e permanenti. Si costituirono così 9 reggimenti di cavalleria (dragoni del Re, dragoni del Piemonte, dragoni della Regina, dra· goni del Chablais, dragoni di Sardegna, cavalleggeri del Re, Piemonte Reale, Savoia);

d) alla di bombardieri formata da Carlo Emanuele Il altre se ne erano in seguito aggiunte che nel 1696 costituirono un battaglione d'artiglieria; nel 1743 questo battaglione di· venne reggimento e nel 1775 fu istituito il Corpo reale d'artiglieria;

e) solamente nel 1752 la fanteria piemontese ebbe un fucile di modello unico: a pietra focaia, con baionetta triangolare, calibro 18 e che sparava un paio di colpi al minuto; i soldati scelti di fanteria e cavalleria furono anche armati di carabina. I dragoni vennero armati di fucile di fanteria: gli altri reggimenti di cavalleria ebbero una carabina corta e tutti inoltre sciabola e pistola. L'artiglieria distinse il suo materiale leggero da q11ello pesante: sotto Vittorio Amedeo 111 fu posta speciale cura per avere pezzi leggerissimi di accompagnamento alla fanteria: fu infatti assegnata una sezione di due cannoni ad ogni battaglione di fanteria; si fecero in questo periodo numerose esperienze di cannoni a retrocarica e rigati ;

/) le formazioni tattiche si adattarono naturalmen te al maggiore sviluppo preso dal fuoco: si abbandonarono i grossi quadrati e le formazioni divennero lineari per poter usufruire di tutte le armi da fuoco. L' abbandono delle formazioni pesanti e massicce non rese più necessario avere forti compagnie di fanteria: queste infatti si ridussero ad un centinaio di uomini, ma furono costantemente riunite in battaglioni. Questo reparto diventò l'unità tattica: eseguiva i tiri in linea e i movimenti in colonna; in linea i tiratori erano disposti in parecchie righe, in modo che le righe stesse si potessero con rapidità susseguire nell'esecuzione del fuoco e poi ricaricare l'arma;

g) Carlo Emanuele Ili introdusse le brigate di fanteria; Vittorio Amedeo III istituì il Dipartimento, corrispondente al Corpo d'Armata, formato da tutte le armi; tutto l' esercito piemontese fu

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-327diviso in tre dipartimenti, ciascuno dei quali aveva una forza media complessiva di circa 20.000 uomini.

Oli Stati italiani alla pace di Aquisgrana e le loro vice nd e fino a lla rivoluz ione francese. - Nell' accennare agli avvenimenti delle tre guerre di successione abbiamo visto quali ripercussioni le guerre stesse abbiano avuto in Italia, sia per le guerre che vi si combatterono, sia per i mutamenti territoriali che in Italia si verificarono alla fine di ogni guerra.

Accenniamo ora alla situazione dei vari Stati italiani alla pace di Aquisgrana ( 1748) e ai principali avvenimenti che si svolsero in Italia dal 1748 allo scoppio della rivoluzione francese: periodo di pace, ma, come vedremo in seguito, periodo di lenta trasformazione interna.

Abbiamo seguito le vicende del Regno di Sardegna durante le guerre di successione: alla fine di esse il regno comprendeva Nizza, Savoia, la Sardegna, il Piemonte coi territori staccati dalla Lombardia per i trattati che chiu sero le guerre di successione. Carlo Emanuele 111 continuò l' opera di riorganizzazione dello Stato facendone una vera grande potenza. Notevoli riforme furono da lui introdotte specialmente nell' esercito e nell' amministrazione pubblica, rivolgendo le sue cure principalmente alla Sardegna: fu in ciò validamente assistito dal conte Bogino. Vittorio Amedeo III ( 1773- 1796) si occupò molto dell'esercito ma non continuò le sagge riforme iniziate dal padre.

Il Ducato di Milano, passato sotto la dominazione di Casa d'Austria dopo la guerra di succes sione di Spagna si stava risailevando dalla miseria in cui era caduto durante la dominazione spagnuola.

Parma e Piacenza sotto un ramo dei Borboni della casa spaguola, Modena ancora sotto gli Estensi, non subirono vicenda 2lcuna fino a che non furono, come gli altri Stati italia n i travolti dalle conseguenze della rivo! uzione francese.

La repubblica di Venezia comprendente il Veneto con l' lstria e la Lombardia fino all'Adda meno Cremona, la Dalmazia con le isole, l'Albania litoranea e le isole jonie, era in pieno decadimento, senza alleati, senza forze proprie : questa sua condizione la renderà facile preda dell' egemonia francese.

La repubblica di Genova, anch' essa priva di forze e in completo decadimento dovette su bi re la perdita della Corsica. Questa

-328isola infatti più di una volta si era ribellata a Genova, la quale alla fine, impotente a domare i ribelli (capitanati da Pasquale Paoli) chiese aiuto alla Francia cedendogli infine il dominio completo dell' isola ( 1768).

Il Granducato di Toscana attribuito a Francesco di Lorena co l trattato di Vienna del 1738, ebbe un periodo di un certo sp lendore sotto Leopoldo, secondogenito di Francesco. Le cose si modificarono in peggio dal 1790 con l'assunzione di Ferdinando II I.

Lo Stato Pontificio costituito dal lazio, Umbria, Marche, Romagna con Benevento e Pontecorvo entro il regno di Napoli e Avignone in Francia è tutto dedito a cercare di conservare una parvenza di autorità su gli Stati italiani ed europei, autorità che va sempre più scemando, come appare dal fatto che il Papato stesso (papa Clemente XIV) è obbligato a sciogliere ( 1713) quella mili zia che era stata appunto creata per sostenere il Papato: i Ges uiti.

Il regno di Napoli e Sicilia venne governato da Carlo III di Borbone fino al 1759, anno in cui questi venne chiamato al trono di Spagna: con s uo figlio Ferdinando IV comincia il decadimento dello Stato.

fiNE L>EL PRIMO VOLUME.

AVVERTENZA

Le 14 tavole costituenti l' atlante - compilate e disegnate dal tenente PANCRAZI signor TORQUATO - rappresentano le zone degli avvenimenti più importanti e caratteristici descritti nel testo.

Dette favole risultano compilate in forma schemafica e t endono, più che altro, ad inquadrare il territorio interessato da tlll fatto storico, con quello circostante, in modo da dare un' idea del quadro generale della situazione.

Tenuto presente tale scopo - che agli effetti della comprensione del fatto politico oltre clze a quello militare, mi sembra il più indicato - /w dovuto consigliare una scala di proporzione alquanto piccola, ciò _!ze ha necessariamente costretto ad abbandonare alcuni particolari geografici per rimanere nell'ambito di una rappresentazione puramente speditiva.

Sarà bene perciò che il lettore completi le tavole co1z i particolari che riftene utili allo scopo di ottenere una più efficace dimostrazione, sia pure in sintesi , dell'avvenimento che lo interessa. Nelle tavole il lettore troverà però una traccia sicura sulla quale poter sviluppare il suo lavoro.

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