MEMORIE STORICHE 1997

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STATO MAGGIORE DEll'ESERCITO UFFICIO STORICO

Autori vari

STUDI STORICO-MILITARI

1997

ROMA 2000


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SOMMARIO

Flavio RUSSO

Algeria: la presenza del passato Pag.

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M. Gabriella PASQUALlNl Algeria: fattore di destabilizzazione nel Mediterraneo?

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Ciro PAOLETII

L'Italia e la guerra dei trent'anni

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141

Maurizio RUFFO

Franzensfeste - La fortezza di Francesco I. Storia di una fortezza

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221

Oreste BOVIO

Adua

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271

Sergio PELAGALLI

Le cinque giornate di Milano al la rovescia. J1 generale Bava Beccaris e i moti del 1898

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303

L'eredità geopolitica e geostrategica dell'800 e la riforma dell'Esercito in due studi dell'inizio del nostro secolo

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Ferruccio BOITT



FLAVIO

Russo

ALGERIA: LA PRESENZA DEL PASSATO

Ambiguità della tragedia " ... Secondo Zeroual, si tratterebbe di una copertura che nasconde soltanto crimini a scopo di rapina. Stando a tante spiegazioni pseudosapienti, non si tratterebbe che di un epifenomeno che maschera cause profonde, economiche e sociali . Vorrei che mi si spiegasse perché cause generali, come la miseria, l' assenza di democrazia, che affliggono la metà del pianeta, non producono anche altrove una simile crudeltà. Non è dello che le vittime della disoccupazione e della frode elettorale debbano necessariamente diventare torturatori che sventrano le donne~ ... Un terrore inaudito e senza precedenti colpisce, al di là dello Stato empio, il popolo che tradisce. Il traditore è un apostata, molto peggio dell'empio, dell ' infedele o dello straniero ... Il GTA ha il diritto di non risparmiare nessuno ... per la gloria di Dio ... " I_

La breve citazione tratta da un reportage dal!' Algeria del filosofo Andrè Glucksmann pubblicato nel febbraio 1998, sembra potersi sintetizzare in un' unica tragica domanda: perché tanta efferatezza senza precedenti? Non abbiamo certamente la pretesa di poter rispondere, e forse nessuno è in grado di fornire una puntuale spiegazione, ma di sicuro nella stessa area, negli stessi siti la bestiale mattanza non è 'senza precedenti '. Ricercare e di stinguere nella pletora delle innumerevoli rivolte e ribellioni che da millenni insanguinano la regione algerina proprio quei remoti precedenti, ricollocandoli nell'ambito storico e sociale in cui si generarono ed imperversarono, potrebbe allora fornire una chiave d'interpretazione meno scontata e convenzionale. Come pure l'evidenziarne il loro reiterarsi analogico nel corso della storia, palese conferma che in assenza di memoria si è costretti a rivivere la vicenda e non per una beffarda crudeltà del destino ma per una fin troppo coerente conseguenza esistenziale. Tn prima approssimazione le affermazioni del presidente non sembrerebbero del tutto in contrasto con le meno note estrinsecazioni archetipali

1 La cita7.ione è t ratta dal 1q,urwgi:: Lii A.GLUCKSMANN, L'AlKeria, che non vuole morire, puhhlicalu nel supplemento del Corriere d ella Sera, n. 6 , 1998, p. 59.


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Flavio Russo

della criminalità locale più o meno nobilitata da valenze e motivazion i pseudoreligiose. Difficile se mai la loro esatta percezione dimensionale cd attuativa. Pochi anni fa l'Italia veniva funestata da episodi ricorrenti di terrorismo. Da un certo momento in poi gli attentali non ostentarono più la certezza della matrice ideologica ma anche quella della criminalità organizzata di remota tradizione. In pratica la mafia aveva assunto ed adottato, magari per una breve parentesi, le procedure destabilizzanti dell' estremismo politico, confondendo le valutazioni. La distinzione tra le due iniziative, che dal punto di vista terrifico non generavano diversificate percezioni, rivestiva invece una basilare rilevanza. Infatti la determinazione esatta degli ambiti della matrice 'politica', di per sè contingente e velleitaria, non di rado di importazione, costituì la premessa per la sua eliminazione circoscrivendone il bacino di fiancheggiamento. Tutt' altro discorso purtroppo per la seconda, endemica, radicata e mutante nelle strategie e nelle dinamiche, ma costante nella fin alità sempre soltanto meramente economjca. Dalle stragi o dagli omicidi ricorrenti è certamente improbo cogliere la diversa origine, ma non lo è affalto dalla loro successione e dalla scelta delle vittime. Esaurita tale basilare identificazione diviene possibile avvalersi per la loro prevenzione e repressione dell ' ausilio dei precedenti polemologici. Come pure dai precedenti polemologici valutarne, nei contesti ambigui, le precipue motivazioni. In Al geria la storia ci ha trama ndato la fortissima avversione da parte berbera, o comunque indigena, nei confronti di qualsiasi domjnalore del momento, sfociala sempre in aperte ribellioni ed in interminabili guerriglie. Ma ci ha tramandato anche un 'altra insorgenza, ancora più esasperata e violenta, scatenata appare nte mente da istanze confessionali, al di sotto delle quali però trapelano più concretamente gli stimoli dell ' indigenza e della sperequazione economica. In entrambe le manifestazioni le prassi operative in prima approssimazione sembrano equivalersi, come del resto tulle quelle adottate dalla guerriglia, ma ad una meno superficiale analisi sbalza evidente l'agghiacciante heluinità delle seconde, la loro incomprens ibile gratuità. Si è soliti allora parlare di degenerazione della ribellione, di follia omicida dei suoi combattenti e della loro assurda efferatezza: in realtà ciò equivale ad a mmantare il nostro criminale mafioso con le connotazioni ideologiche rivoluzionarie, attribuendo la sua tracotanza e brutalità ad un progelto politico invece che ad una utopia economica supportata da una totale e sistematica violazione dei diritti umani . E' forse proprio quest' ultimo aspetto il discrimine tra il guerrigliero poli-


Algeria: La presenza del passato

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tico e que llo pseudoreligioso. Il primo sospende per necessità contingenti, imposte dalla dinamica degli scontri, il rispetto dei diritti umani, pronto a ristabilirli, in parte o in toto, con il successo della sua lotta. Il secondo invece li ignora semplicemente in quanto non rientrano nella sua cultura fondamentalista: la missione religiosa di cui si definisce portatore lo esenta, indipende ntemente se si professi ebreo, cristiano o musulmano. 11 credo islamico, poi , sembra ulteriormente giustificare tale ignoranza poichè abbraccia nelle sue norme anche quelle meramente comportamentali. Non a caso è stato osservato che: " ... se un ordine internazionale nuovo deve nascere dall'attuale disordine internazionale, esso non può che essere il frutto di un' interdipendenza basala sulla reciproca accettazione e reali zzata attraverso istituzioni intern azionali e trasnazionali comuni". Un ordine internazionale de l genere è di d iffi c ile accettazione per l'Islam che si considera il legittimo rappresentante non solo della fede religiosa e politica di una larga parte del genere umano ma il difensore e propagatore di una verità immutabile, assoluta, socialmente, politicamente e moralmente destinata a trionfare. Non c'è, dunque, possibilità ideologica di pace fra l'Islam fondamentalista e il resto del mondo ma solo situazioni armistiziali fra Dar al Islam (la terra dell'Islam) e Dar al Harb (la terra della spada). E' diffic ile, se non impossbile, per il credente musulmano o per il potere costituito islamico accettare compromessi di sincretismo istituzionale. Ad esempio, la sua concezione dei diritti dell'uomo 2 è molto diversa da quella difesa dalle Nazioni 2 Precisa O. ROTA. La dichiarazione dei diritti umani nell'islam, in Rivista Militare n. 3, 1998: «Di ritti umani direttamente discendenti dalla legge divina (la Shari'ah) e in quanto tal i vincolant i. Dal.a 5 agosto 1990 (14 Muharrarn 14 11 TI), questa normativa è molto vic ina alla Dic hiarazione dc ll'Onu, per quak:he aspeUo dissonante e per a ltri più avanzala, su singoli punti non de l tuno concorde con le legislazioni di a lcu ni Stati musu lmani. A sintetizzare la Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell'islam è Muhammad Zam ir, ambasciatore de l Bangladesh presso il Quirina le, accreditato anche a Sarajevo, e presso gli organismi inte rnazionali dell'Onu con se de a Roma... Cita la Carla dell' islam che i diritti umani sono " parte integrante della re ligio ne musulmana e per pri nc ipio nessuno può sospenderli in tutto o in parte, né violarli, né ignorarli " .... Una ragione di dissenso con la Carta del ' 48 affiora nt:ll'arl. 2": " tranne che per le ragioni previste dalla Shariah", è proibito togliere la vita, mutilare o infliggere pene corporali . Nei paesi de mocratici di reli gione no n musulmana, invece, il rifiuto verso questo genere di pene è largamente condiviso. Sui conflitti armati. osserva l'Ambasciatore, l'a11. 3 porta avanti lo spirito de lle Convenzioni di G inevra: proibi to uccidere non be lligeranti come vecchi, donne, bambini, e mutilarne i corpi, nnnchè tagliare alhe ri , danneggiare raccolti o derrate immagazzinate, distrug· gere edific i c ivili. Avanzata anche la tutela del buon nome c dell'onore, "che da noi prosegue pure dopo la vita: Stato e socie tà devono proteggere a nc he i morti da ogni oltraggio. E' dunque lecito , ad esempio, riesumare i resti pe r un'autopsia, ma non demolire un c imitero per farne un' arca fabbricabile".


Flavio Russo

Unite. Non è una novità. Quando si trattò di firmare la c.:arta dell' ONU, i rappresentanti di c inq ue stati mus ulmani presenti alla C onfere nza d i San 1:ra11c.:isc.:o, nel 1945 , si sentirono in dovere di consul tare le autorità religiose che autorizzarono la firma imposta da ' forza maggiore'" 3. Nel la sto ria dcli' Algeria non sono manc.:ate circostanze in cui le due istanze insurrezionali abbiano effettivamente coope rato fra loro, ma si è trallato sempre di pare ntesi effimere, rapidamente dissoltesi. Per evitare, co munque, ogni confusione è necessario intraprendere una ricostruz ione delle sue fasi storic.:he salienti, in particolare di quell e che videro l' esplodere della guerriglia, dell' una o dell'altra motivazione . Se ne potranno in tal modo ricavare i fattori distintivi precipui prima di elucubrare le possibili misure ostative, risapendosi che q uelle effi caci per l' u na possono rivelarsi addirittura promozionai i per l'altra e che comunque non appaio no suscettihil i di incrementarsi a dismisura. Infatti: " ... davanti ad un problema di tale a mpiezza le a utorità politiche , q ualunque sia no i ri sultati sul terre no, sarebbero costrette a dare ancora maggior spazio a misure coerc.:itive per regolare la vita della società civi le g ià sottoposta a pressioni di ogni sorta. Dal canto loro i dirigenti islamici, incapaci di prevalere sull' Esercito, sono stati costretti a c.:edere ad esso una parte non piccola del potere in cambio del mantenimento de ll' ordine interno a cui essi stessi so no interessati. E d' altronde sarà difficile in un primo tempo ristabilire quest'ordine data la molteplicità de i gruppi e dei cla n che o rmai hanno raggiunto una loro autonomia nella galassia islamica, d isserrù nati come sono in rifugi inespu-

Una disparità affiora sul matrimonio. L'art.1 6 della Dichiarazio ne Onu statuisce il <liri uo a sposarsi senza restrizioni di razza, nazio nalità o religione; l' ari.. 5 della Oichiaraz.ionc <lei Cairo riprende la medesima di~.ione omeuendo la parola reli gione. Al contempo.impegna la società e lo Stato a rimuovere tutti gli oslacoli e facilit.m~ le procedure matrimoniali. "(..)uesto"spiega Zamir," perehè alcuni Paesi, pur ammetlendo ufficialmente i matrimoni fra abitanti locali e stranieri, in realtà frappongono tali e tanti ostacoli da renderli molto difficili". E arriviamo alla questione femminile. praticamente al centro, oggi, di tutti i dihattiti sull' islam. L' art.6 della Carta del Cairo, prima parte, cita: "La donna è eguale all' uomo quanto a dignità umana, ha di ritti da far valere e mansio ni da svolgere, ha la propria identità civile e indipendenza fin anziaria, e il diriuo a conservare il suo cognome e lignaggio" . Nella seconda parte, si legge: " il mari to è responsabile del sostentamento e del benessere della famiglia". "ConlrJriamente a quanti pensano che l' islam mortifichi le donne", sottolinea l'ambasciatore, "da noi esse non soltanto hanno dignità uguale, ma la moglie ha un diritto in pi ù: essere sostenuta dal marito, anche quando il matrimonio è finito o si è interrotto" . A norma della Shari 'ah un uomo può avere fi no a quattro mogli, mentre la tende,u.a dei moderni Stati m usulmani è verso la monogamia... ». Anche se apparentemente marginali le ri pordle differenze sono in realtà notevolissime e fortemente in contrasto con i Diritti dell 'Uomo propriamente detti, in alcuni casi con conseguenze stravolgenti. 3 La cilazionc è tratta dall' articolo di D. V. SEGRE, La p ericolosa ambizione de/ fo nda men1ali.1mo islamico, riportato in Selezione Stampa-Sismi, Ottobre 1995 , p.247.


All{eria: La prestmza del passalo

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g nabili dove, nell' anarchia di una moltitudine di capi piccoli e medi, regna la legge del più forte. Non si deve dimenticare che l'Algeria, decimo Paese nel mondo per estensione territoriale, è rimasta profondamente eterogenea per ciò che riguarda le sue componenti umane... " 4. Emerge quindi la necessità per ricavare un qùadro meno confuso e più aderente alla realtà di procedere ad una analisi storica. E' questa infatti l'unica metodica attendibile che sulla base degli eventuali precedenti ci consentirà di vagliare quanto dell' attuale tragedia infinita sia attribuibile ad un rivolta an tigovernati va, anche di ispiraz ione religiosa, e quanto invece ad una esplosione di criminalità genericamente ammantata di integralismo confessionale.

li contesto geografico Anche ad una osservazione sommaria di una carta a piccola scala ciò che stupisce dell'ampia fascia nordafricana tra l' oceano Atlantico ed il Mar Rosso, circa una decina di milioni di kmq pari al 30% dell'intero contine nte , sono i contini dei suoi stati. Linee rette correnti a volte per migliaia di km fino all 'intersezione od alla convergenza con altre di direzione quasi ortogonale. Più che frontie re di stati sembrano perimetri di lottizzazioni. In questi, infatti, l'assenza di preesistenze e I' appartenza o rig inaria ad un unico proprietario giustificano tanta indifferenza; in quelle, invece, neppure il deserto sembra sufficiente a spiegarne l'arbitrarietà assoluta. Come credere allora che da stati delimitali sulla carta con tale sufficienza s i possa essere originato uno spirito di appartene nza nazionale, peraltro estraneo alla cultura locale sia c ivile che religiosa 5? Contenitori territoriali spacciati per stati, senza avere però alle spalle una propria storia ed una propria vicenda culturale. Che tuttavia di sicuro vi furono ma non secondo le attuali frammentazioni, ma secondo quelle ancestrali imposte dalla presenza del mare a nord e del deserto a sud: ed è in questa inalterabile connotazione che si deve inevitabilmente collocare non solo la ricerca ma anche il senso di appartenenza geografico degli indigeni .

4 La ciLazìone è tratta dall'articolo di M . Bonnefous, L'Algeria è sempre la stessa, in Defense 11atio11ale, gen. 1995, riportato in Selezione SLampa-Sismi-Gennaio 1996, p. 109. 5 Precisa al riguardo V. Fiorani PiacenLinì, li pensiero militare nel mondo musulmano. Roma 1991 , p. 44: "Sin dall 'inizio emergono alcune caratteristiche fondamentali, oggi valide più che mai: lo stato islamico - sin dalla sua fondazione - non è legato a confini Lerrilotiali (extraterritoriali1à e universalità della società islamica); è uno sia/o /eocratù:o e fortemente etico...".


IO

Flavio Russo

Sui nostri atlanti l'Algeria costuisce un ' immensa nazione, la decima appunto per superficie del pianeta, e la prima del continente nero. In realtà il suo territorio umanizzabilc è notevolmente inferiore, nonostante gli sforzi inconcepibili che dalla preistoria 6 alcune etnie nomadi ha nno sostenuto per adattarsi ad amhienti assolutamente inospitali, con conseguenze antropiche miserabili. Da un punto di vista strettamente culturale l' intera fascia comprende regioni di etnia berbera cd araba entramhe di adesione al credo islamico. Sotto questo profilo va riguardata per la frazione maggiore dell ' intera arca mediorientale. Pur non potendosi assolutamente definire omogenea ostenta alquanti aspetti comuni che ne rendono in qualche modo giustificata la sua sostanziale unità. Primi fra tutti quello religioso e la crescente arabizzazione. Più in dettaglio è possibile dis tinguere una ulteriore suddivisione tra la componente maghrebina e que ll a egiziana, con una sua peculiare connotazione. Esistono am:ora, sebbene in via di rapida sedentarizzazione, anticamera dell 'estinzione, le popolazioni tuareg, la cui: " ... provenienza è incerta; pa rlano una lingua berbe ra (il tamasheq), usano un alfabeto (il tifinagh) 7 scolpito in migliaia di incisioni rupestri in tutto il Sahara. Sono menzionate da Erodoto, da Leone Africano, dai viaggiatori arabi lbn Battuta e Tbn Khaldoun. Si sono convertite, dopo l'VTTT secolo, all 'islam, ma rimangono fedeli alle loro tradizioni : individualismo esasperato , spirito guerriero, assoluto senso dell 'ospitalità, ferrea gerarchia tribale ... « ...tuareg e mauri sono soltanto dei senza patria, popoli arretrati venuti dal deserto in minuscole tribù, banditi che vivono di furti, razzia e brigantaggio un corpo estraneo che deve essere eliminato»: così alcuni mesi or sono scriveva : «La voce cie l Nord, organo di hattaglia dei popoli sedentari» cli Bamako... "8.

6 lJna inte ressante sintesi della pre istoria del nonlafrica è forn ita da G. C HJ AUZZI, Africa SPftentrionale, Novara 1982, pp. 37-4 1. 7 Prtx:isa G. CITIAUZZI. Africa... , cil. , p. 87: "Rispetto allt: allre soc ietà nordafricane que lla dei Tuareg si caratteriua pe r la discende nza matri lineare, ossia socialmente computata per via mate rna .. .. La società tuareg,ne lla sua espressione più genuina, è infatti di tipo matriarcale. L' uso di questo tcm1inc non deve però indurre in errore ... Società ' matri arcale' in rc;1Ità indica un tipo di assetto in cui le donne godono di notevole rispelto e autonomia.così da trovarsi... in una situazione di parità sociale ... ag li uomini .... Altro indice della elevata posizione socia le de lla donna ì: il suo alto livello di educazione, tradizionalmente superiore rispetto a quello deg li uomini:sono le donne c he dete ngono l'uso de lla scrittura, media ni.e l'a lfabeto tijìnàg che si tramandano dall'una all'altra e <.: on c ui scri vono la loro lingua ...". K La c itazio ne è tratta dall 'artiw lo di O. ROTA, Sahara una tragedia infinita, pubblin llo sulla Rivista Mi li ta re, n° I, gen. leh. 1996.


A/1:eria: La presenza del passato

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11 che oltre a riconfermare la sopravvivenza dei tuareg ribadisce, in chiave modernissima, se mai ve ne fosse bisogno l'incompatibile antitesi tra etnie nomadi e sedentarie, origine a ncestrale di una inestinguibile belligeranza, specie laddove il territorio si dimostra avaro e non propi zio ad una condo minianza fruitiva. Al riguardo è indubbio che la fascia costiera del Meghreb più occidentale non s i differenzia molto pe r reg ime climatico e per connotazioni geomorfologiche da quella e uropea mediterranea . Ma è di sgraziatamente molto esigua e ristretta: fu comunque questa parte del nordafrica che sin dall' antichità ebbe la definizione di Barberia, o Berberia. L' influenza del limitrofo deserto qua nd 'anche sensibi le non è stravolgente: l'agricoltura soprattutto ne patisce la vicinanza pe r la d iffus ione delle sue sabbie sterili sulle colture con conseguente contrazione dei raccolti. Alle spalle del litorale, specie in Algeria, si e rge una prima cate na montuosa c he ne segue puntualmente le circonvol uzioni. Si tratta del Piccolo Atlante altrime nti detto Teli dai locali: catena praticamente continua salvo strette cesure rappresentate da a ltrettante inc isioni fluviali. Boschi ed alberi ne coprono i rilievi, con caratteristiche ti picamente mediterranee: querce e conifere infatti appaiono ben rappresentate persino a cons iderevole quota. Tra la catena cd il mare si susseguono centinaia di djebel, ovvero contrafforti ad andamento radiale o parallelo alla formazione principale, e che originano a loro volta una dis tinta trama orografica con valli e pia nure. L'altezza delle cime maggiori attinge massimi intorno ai 2. 000 metri sopraltuto in Cabilia e nello Oursenis. li clima in queste particolari regioni è abbastanza rigido e consente una certa coltivazione arboricola eminentemente montana. Nonostante la rilevanza e complessità delle montagne dalle loro pendici non scaturisce una apprezzabile rete idrografica. I corsi d'acqua che da esse discendono infatti, sono scarsi sia di nume ro che cli portata e sempre a regime torrentizio. La loro configurazione abituale è quella di asciutti greti sassosi, nei quali, di tanto in tanto, dopo una precipitazione appena più ahbandonate, schiumano vorticose masse d'acqua capaci di travolgcn~ ogni ostacolo lungo il lello, senza quasi mai riuscire a raggiungere il mare prima di ftnire assorbite dal terreno narso. Anche così quell'apporto è prezioso : l' imbibizione determina un ristagno, sia pur minimo, di umidità nelle vallate presupposto basilare per la messa a coltura dei mig liori terreni altrimenti impossibile. Per i restanti la vegetazione che vi si genera è in maggioranza spontanea, idonea appena a modesto pascolo per animali e soltanto, marginal mente e saltuariame nte, convertibile in cerealicola da parte di nomadi e di seminomadi che frequen-


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Fla vio Rus~o

tano i paraggi. La massa delle acque scomparse d,ùla supertìcie da origine ad una circolazione sotterranea che ostenta alquanti affioramenti, contraddistinti da altrettante oas i. Gli indigeni da millenni hanno appreso dalla Persia l'arte di captarne il deflusso attraverso ingegnosi cunicoli sotterranei, detti 'qanat' 9, e di avv,ùersene per uso domestico e per irrigazione. Superata la prima catena ed i suoi altipiani si incontra la seconda quella dell'Atlante Sahariano con andamento da sudovest a norde st. Segmentata al pari della precedente dai torrenti se ne differenzia però per una superiore asprezza ed aridità, tollerabile soltanto per una rada vegetazione spontanea appena accettabile per pascolo. Con giogaie progressivamente più impervie e torride la catena si esaurisce verso sud nella piana sabbiosa del Sahara, dove al di sotto del 30° grado di latitudine si innalzano due massicci rocciosi, privi però di interesse antropico. In definitiva il territorio dell' Algeria è una ristretta fascia costiera con due retrostanti catene montuose ed una notevole superficie di deserto. La immensa distesa sabbiosa assolutamente priva di valore nel passato, viene stimata attualmente come il potenziale giacimento de l 4% de lle riserve petrolifere m?ndiali, senza conl,ue il metano. Immaginabile il suo valore strategico 10. Torna ndo alla costa va precisato che si sviluppa per c irca 1. 100 km., per lo più montuosa cd uniforme, con promontori scoscesi e piccole insenature sabbiose, inadatte come porti ma utilizzabil i come approdi naturali per modeste imbarcazioni. Le migliori con estenuanti interventi umani furono trasformate in ormeggi accettabili, ma la penalizzante conformazione ha sempre frustralo il decollo di una vera marineria mercantile, agevolando invece, paradossalmente, quella corsara avvantaggiata proprio dalla preclusione della costa alle grosse navi da guerra. Del resto ad una identica penalizzazione congiurano pure gli scarsi fondali anti stanti, per cui lo stesso porto di Algeri va riguardato più come ri sultato di continui

9 Ricorda H .E. WULFF, I qanal del 'Iran. in Paletnologia e an:h eolog ia, Milano I 973, p. 11 5: "Sono stati trovati qa nat in tulle le regioni che caddero enlro la s fera c ulturale dell'antica Persia; nel Pakistan, negli insediamenti c inesi delle oasi del Turkcst:m, ne lle zone meridiona li della Russia, ne ll ' Iraq, in Siria, in Arabia e nello Yemen. Durante i periodi della dominazione romana e amba, il sistema si estese verso occidente, ncll' Africa del nord, in S pagna e in Sicilia. Ne lla regione de l Sahara un certo numero di oasi vengono irrigate con il metodo qanat e qualcuno chiama ancora le canalizzazioni sotte rranee «lavori persiani» ...". .. to Un riscontro di tale immensa potenzialità lo si coglie nel dipe ndere il 95% degli introiti a lgerini dall'esportazione di idrocarhuri. Al riguardo cfr. R. AURONT, T paesi della sponda sud del Mediterraneo e la politica europea, Roma l 994, ed in particolare nella stessa pubblicazione, G. PENNISJ, Le politiche europee di cooperazione e aiuto verso i paesi della sponda sud del Mediterraneo, p. 94.


Algeria: La presenza del passalo

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adeguamenti 11 che come dono della natura, ferma restando la sua pessima esposizione alle tempeste. Da quanto appena sonunariamente esposto emerge evidente l'impossibilità di controllare costantemente un territorio tanto vasto ed inospitale, privo di insediamenti stabili e di strade. La limitazione è praticamente inunutata dall'antichità classica, al pari de11a concezione esistenziale di molte tribù nomadi che ancora vi si aggirano. Circa il nomadi smo, che sembra l'unica forma di frequentazione umana del deserto e delle catene montuose nei contesti più aridi ed inaccessibili , occorrono alc une preci sazioni. E' necessario, innanzitutto distinguere tra nomadi propriamente detti che si spostano appunto nel deserto e seminomadi che invece vivono ai suoi margini. Entrambi sono dediti all 'allevamento di montoni, capre e cammelli, senza trovare ormai impiego nelle scomparse carovane e nei relativi incessanti traffici. La diversità tra i primi ed i secondi non va indi v idu ata nell a dissimile ampiezza di migrazione, quanto invece nel diverso grado di adozione ali' interno delle rispettive economie dell'agricoltura. L' incrementarsi del suo apporto prelude, ovviamente, alla tendenza alla radicalizzazione, peraltro oggi attualmente irreversibile per tutti. Nella tradizione nomade, invece, la coltivazione non rappresentava un apporto apprezzabile nè qualitativamente nè quantitativamente. Sebbene molti notabili possedessero terre potenzial mente fertili erano soliti affidarle ai loro servi per lo sfruttamento, occupandosi esclusivamente delle attività reputate non disdicevoli, forse perché meno coinvolgenti manualmente, quali l'allevamento e soprattutto la guerriglia intertribale e la razzia 12. E' singolare, ed al contempo emblematico del sovvertimento scardinante dei valori atavici, costatare che al presente la gerarchia sociale si propone capovolta poichè tanti ex nomadi, costretti dall'assoluta indigenza, si offrono come braccianti agricoli ed è intuibile la loro intima degradazione. In generale, comunque, il passaggio daJia fase nomade a quella seminomade e quindi sedentaria è avvenuto, ed avviene tuttora, attraverso l'adozione della transumanza, pratica stagionale che riguarda solo gli armenti ed un certo numeri di pastori. Non coinvolgendo l'intera tribù ma · appena una sua limitata frazione, ed esclusivamente maschile, consente lo stabilizzarsi e l'impianto di residenze fi sse.

11 Ricorda P. OAN, Histoire de Barbarie et des ses corsaires, Parigi seconda edizione 1644, voi. ll. p. 407. che ancora ai suoi giorni gli schiavi cristiani lavoravano al trasporto dei grossi macigni necessari per l'ampliamento del porto di Algeri. 12 Non è un caso che la parola 'razzia' derivi dall'arabo 'Ghazwah'.


Flavio Russo

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Da queste necessariamente schematiche puntualizzazioni emerge già una prima indicazione di natura polemologica. 1 nomadi per trailizionalc cultura tendevano a sottomettere, o in alcuni casi semplicemente a controllare, le tribù sedentarie, altrettanto tradizionalmente aliene dalla violenza ed inermi, ed in quanto tali reputate comunque di rango inferiore. Il che non significava automaticamente un perenne ed insormontabile slato di sopraffazione e di ostilità tra le due componenti poichè: " ... di fatto nomadi e sedentari costituiscono due economie complementari, che si integrano reciprocamente grazie alle possibilità che esistano scambi e mercati, resi possibili da un sistema garantito da forme di equilibri basati su alleanze, o quanto meno su tregue. Ai nomadi infatti occorrono i cerea!i, che in gran quantità vengono coltivati solo dai sedentari; per contro ai sedentari occorrono i prodotti dell'allevamento, che su vasta scala è praticato solo dai nomadi e dai seminomadi. Ecco perché le tribù nomadi di una zona, con la loro forza guerriera, arrivano a controll are-ma anche a proteggere-i sedentari della zona stessa contro possibili attacchi di nomadi di altre zone, che a lor'o volta avevano istaurato con altri sedentari lo stesso tipo di alleanza... " 13. A ben riflettere più che una forma di simbiosi mutuai isti ca si tratta della riproposizione su scala sociale della diversificazione canonica dei ruoli sessuali interni a ciascuna unità fami liare. Agli uomini i compiti dell'approvvigionamento di alimenti proteici, tramite la caccia o l'allevamento, e della difesa, alle donne quelli della coltivazione del campo e delle incombenze domestiche mansioni necessariamente sedentarie 14 . Queste poi in quanto elementi produttivi, e riproduttivi, divengono non solo ambite ma a nche contese ed accaparrate, con la forza o col denaro, poichè una loro maggiore presenza è sinonimo di benessere e di prospe-

Da G. C HlJ\UZZI, L'Afrù:a ..., c it., p. 28. Delinea tale s uddivi sione a ncestra le Y.L. GRO"n'ANELU, Etnologica l 'uomo e la civiltà, Mila no 1965, voi. I, p. 573, in questi termini: " I miti di numerosi popoli asialic i e africani, americani e oceanici, attribuiscono a esseri soprannaturali di sesso femminile l'origine dell ' agricoltura ... fil c hc j sembra conformare sul piano della milologia la funzione preponderante svolta di fatto dalla donna nelle economie di li vello arretrato... Me ntre a questi livelli l'uomo cacciatore ha la sua sfera di al.livil.à economica nel regno anima le (e te nde a esclude rne anche ritualmente la donna, come essere inferiore e impuro, di cui gli animali hanno sospeUo), è invece la donna c he provvede normalme nte alla colletta cd è cosl in diretto e diuturno contai.lo con il mondo delle pianle. Gli animali combattono e si difendono, e richiedono perciò come antagonista un combattente della loro taglia, l'uomo; nelle piani.e l'aspetlo agg ressivo e la stessa capacità difensiva scompaiono, mentre ciò che in esse è apparente è il ricorrere periodico della riproduzione stagionale. Questi aspeui sembrano fa talmente predestinati a collegare la donna alla pianta, come di fatto è avvenuto nella storia dell ' umanili1..." . 13

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rità. Il che in un certo senso spi ega la rigida custodia femmini le presso tali socie tà arcaiche 1.5 ; del resto una identica prassi è applicata anche ai beni agricoli ed al bestiame dai quali in definitiva dipende la continuità della tribù. Non è affatto causale pertanto che proprio in queste region i si incontri una tipologia di fortificazioni assolutamente unica e priva di analogie nel resto del mondo: i granai fortificati. Si tratlava di un immancabile accessori o di ogni villaggio: " ... cui era legata la sopravvivenza dell a comunità, in quanto raccoglieva il grano degli abitanti difendendolo dai possibili attacchi di tribù nomadi nemiche; vi venivano immagazzinati cereali dell 'annata-in prevalenza orzo-e ogni grande famiglia possedeva una sua cella con propria chiave, in cui, oltre al grano riponeva le scotte di olio e di frutta disseccata, prelevando di volta in volta la quanti tà necessaria per brevi periodi. La chiave dell' intero granaio era invece affidata a un guardiano di fiducia della comunità. Si possono distinguere due tipi principali di granai fortezza. Alcuni ... sono costitui ti da alte to rri completamente chiuse a pianta circolare o quadrangolare ... Altri sono ad anfiteatro, a pianta c ircolare assai larga ... con un a mpio cortile centrale allo scoperto ... Per le già evide nziate ragioni di complementarietà ed equilibrio fra coltivatori cd al levatori, i granai potevano anche contenere le scorte de i nomadi e dei seminomadi in stato di alleanza coi sedentari della zona... " 16. Nonostante la precisazione sulla convivenza più o meno consensuale tra una tribù sedentaria ed una nomade, resta certo che al <li fuori di tale ristretti ssimo am bito i rapporti con le limitrofe s i e strinsecavano unicamente in una incessante conflittua lità razziatoria e predatoria, senza mai originare un online legale stabile e riconosciuto.

A ll 'alba della storia

La ripartizione geomo1t·o1ogica <lei territorio algerino tanto nettamente distinta ha una sua riproposizione, sin dagli albori della civiltà, nell 'altrettanto nitida suddivisione antropica. Di tale diversificazione mentre la com-

15 Precisa G . ROUTHOUL, Trattato di sociologia. / ,e guerre elementi di polemologia, Milano 196 1, p. 140: "Bisogna però notare t:he il rapimenlo delle donne, specialmente presso i popoli primitivi, non ha come suo unico scopo quello di soddisfare passioni o concupiscenze sessuali , ma mira, assai spesso a procacciare schiave. In tutte le società primitive le femmine sono... un redd ito economico in ragione del lavoro che fanno e dei fig lio li che mettono al 111ondn...". 16 Da G. CHIAUZZI, Africa. .. , cil., p. 79.


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ponente più arcaica, come appena accennato, riuscirà proprio per le particolarissime connotazioni ambientali a perpetuarsi sostanzialmente immutata fino ai nostri giorni, estremo retaggio di un mondo dovunque estinto da diversi millenni 17, l'altra al contrario, assimilando tutte le spinte evolutive del Mediterraneo, non si discostò mai sensibilmente dalle coeve società avanzate. Nella fascia costiera più fertile e remunerativa, naturalmente più aperta ai commerci e climaticamente più favorevole agli insediamenti permanenti, si stabilirono infatti, di volta in volta, i colonizzatori avvicendatisi e con loro gli indigeni integratisi. Paradossalmente perciò la componente etnica più omogenea finì emarginata e relegala nelle contrade più avare e selvagge, accentuando il processo di diversificazione socio-economico-culturale dell'intero paese. La profonda e continuamente crescente divaricazione non poteva logicamente promuovere la stabilità interna, ma soltanto aizzarne la conflittualità, innescata inesorabilmente dalla disparità delle limitale risorse e delle culture. Pur non essendo in se una singolari tà-qualcosa del genere avvenne anche in Italia tra i coloni greci de lla fascia costiera e le tribù italiche dell' Appennino 18 - si trasformò in tale per la sua inusitata immutabilità. E con essa la pratica della razzia e della rappresaglia indiscriminata. Prima di allora, invece, per quanto è dato scandagliare la preistoria gli unici abitatori della regione sembrano essere le sole tribù indigene che, nell'assoluta stasi evolutiva, si spostavano con le greggi senza una preci .sa limitazione territoriale. Forse in quella remotissima vicenda si deve cogliere l'origine della definizione toponomastica dell'intera area nordafricana, isolata dal deserto e dalle montagne. T primi geografi unificarono quell ' arcipelago di tribù in una unica stirpe che chiamarono ' berbera': l' interpretazione dell'etnonimo è alquanto incerta, sebbene appaia accettabile che riecheggi la dizione romana di ' barbari' , peraltro perfettame nte calzante alla loro logica distintiva. Meno convincente sembrerebbe, invece, la lesi della derivazione dal particolarissimo grido modulato 'ber-ber' emesso ritmicamente presso alcune tribù in determinate circostanze. Qualunque ne sia stata l'origine è indubbio che da tale etnonimo l' intera fascia derivò, come accennato, la menzione di Barberia o Berberia, cronologicamente altrettanto antica. Pertanto la nominazionc territoriale non precede, al pari della stragrande maggioranza dei casi, ma segue quella

11 Per ulteriori approfondimenti sull'argomento cfr. J.G.D. CLARK, Europa preistorica gli aspelli della vita materiale, Torino 1969, pp. 143-71. 18 In merito cfr. P.G. GUZZO, Le città scampar.ve della Magna Grecia, Perugia 1982, pp. 125-49.


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etnica, dettaglio che costituisce sotto il profilo storico ed antropologico una s_ignificativa differenza. ln questa inversione, infatti, si ravvisa la netta separazione degli indigeni da tutti i loro più prossimi vicini, come pure la loro omogeneità culturale e razziale, conseguenza ultima del!' appartenenza ad un unico ceppo dalle spiccate caratteristiche genetiche ed esistenziali, sebbene frammentato in molte tribù. Più in dettaglio dalla preminenza dell'etnonimo sul toponimo si deduce anche una non precisa limitazione dell 'areale di pertinenza, singolarità certamente riconducibile ad un trascorso nomade, o ad una pratica pastorale, tipica in generale degli ambienti montuosi o comunque isolati. In tali contesti le etnie si contennano invariabilmente molto refrattarie alla civilizzazione e per contro dotate di una spiccata indole bellicosa ed orgogliosa, fanati camente gelosa della propria autonomia cd indipendenza anarcoide. Acutamente, nelle sua monumentale sintesi mediterranea Ferdinand Braudcl affermava che: " ... il popolo montano è sperduto in uno spazio troppo largo, di difficile circolazione ... per lo più inutile, ostile, e perciò privi dei contatti e degli scambi fuori dei quali non c'è civiltà rinnovata. La montagna è costretta a vivere delle proprie risorse, a produrre ogni cosa, ad ogni costo, a coltivare la vite e l'olivo anche in clima sfavorevole. Società, civiltà, economia, ogni cosa ha un carallere di arcaismo e d' insufficienza. Si può dunque parlare, all' incirca, di diluizione del popolamento montano, e, meglio, di civiltà attenuata, incompleta, conseguenza dell' insufficiente occupazione umana .... La montagna, per solito, è un mondo a parte della civiltà, creazione delle città e dei paesi di pianura. La sua storia sta nel non averne, nel restare regolarmente ai margini delle grandi correnti incivilitrici, sebbene scorrano con lentezza ... Capaci di allargarsi notevolmente in superficie, in senso orizzontale, si rivelano impotenti in quello verticale, dinanzi ad un ostacolo di qualche centinaio di metri. La stessa Roma, nonostante la sua straordinaria durata, avrà avuto poco valore per quei mondi appollaiati che ig norano quasi le città... [Eccetto] alcune infiltrazioni locali, la montagna le è preclusa ... " 19. Dalla mobilità dei nomadi e dalla carenza di una biunivoca corrispondenza etnico-geografica deriva forse la necessità di una più marcata identificazione tribale che può cogliersi dietro alla istituzione della ' cabila'. Tecnicamente: " ... essa è un gruppo territoriale dalle spiccale funzioni politiche: è la tribù che dichiara la guerra, ad esempio. Ma di fatto è difficile per

19 Da F. RRAUDEL, Civiltà e ùnpui del Mediterraneo nell'età di Filippo Tl, Torino 1976, voi. I, p. 18.


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l'osservatore riuscire a districarsi fra tre diverse componenti, che in qualche modo entrano pur sempre in gioco, e che vanno storicamente vagliate caso per caso: fattori territoriali, fattori di di scendenza, fattori di affiliazione ... Quando gli inte ressati parlano della cabila, tendono a razionalizzarne l'unità di base a una comune appartenenza di sangue - a volte di proposilo a volle no - citandone i lontani (veri o presunti) termini di discendenza comune. Si riferiscono ad un lo ntano anlenalo comune, anziché ad un territorio comune, vicino o lontano, e comprensivo di g ruppi di discendenza anche diversi. E ciò mostra ancora una volta che per loro non è sufficiente il vincolo territoriale (per quanto storico) assunto in astratto, tanto che vi aggiungono quello che essi sentono come l' insostituibile vincolo di forza e di lealtà dato solo dal sangue: l'elemento d'ordine biologico, fallo cultura, che consente all'individuo di esistere e di connotarsi nella società tradizionale. Ecco perché assimi lano la tribù (gruppo territoriale) a quello che propriamente è il clan (gru ppo di discendenza), anche quando di f alto le due istituzioni non coincidono ... "20. Precisate queste peculiarità è lecito ritenere che furono quasi ce11amente le medesime in cui si imbatterono i Fenici all'avvio della loro colo nizzazione intorno al XTT sec. a.C. 2 1_ Partendo da Tiro per ampliare i loro traffici verso occidente, navigavano a vista lungo la cosla come prassi per l'epoca. Ma ciò implicava la necessità di un ormeggio sicuro per trascorrervi la notte: mediamente uno ogni trenta quaranta chilometri. Fondarono così g li scali che in seguito s i ch iameranno Leptis Magna, Sabratha, Hadru metum, Rachgoun, Tangeri, per citarne alcuni, oltre ovviamente a Utica, Cartag ine e Auza 22. Sebbene il crollo del sistema mercantile fenicio sia fatto coincidere con la conquista di Tiro da parte di Alessandro Magno nel 332 a. C., la sua agonia iniziò intorno al VI sec., e fu caratterizzata da una crescente autonomia delle colonie. Fra queste in particolare Cartagine, che non a caso comprese: " ... e fece propria, pri ma delle altre fondazioni fenicie d' Occidente, l'esigenza di una più attenta considerazione dei dati territoriali come supporto e garanzia per gli scambi commerc iali . Nata ... [con una precisai distinzione fra i fondatori fenici e l'elemento indigeno, la l:ittà ... raggiungerà l'apice dell a propria identità politica solo quando riuscirà ad ... avviare un'atte nta politica africanista ... " 23_

G. CHIAUZZI. Africa... , cit.. p. 47. approfondimenti cfr. E. ACQUARO, Cartagine: un impero sul Mediterraneo civiltà e conquiste della grande nemù:a di Roma, Roma 1975, pp. 32-40. 22 C fr. E. ACQIJARO, Cartagine... , cit., p. 37. 23 Da E. ACQUARO, Carlllgine..., ciL, p. 41. 20 Da

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Nonostante tale intuizione la realtà fu però quella di una potenza imperialista inserita militarmente in un contesto geografi co sostanz ial mente ostile, per cui: " ... rimase un 'entità straniera per le popolazioni che le erano sens ibilmente estranee, che certo non l'amavano e di cui essa non cercava l' amore. Si sarebbe mante nuta più a lungo se avesse creato nell'Africa del Nord una nazione punica con gli uomini che questa regione le poteva fornire, con la civiltà ch'essa avrebbe potuto offrire o imporre... " 24. Conseguenziale, pertanto, lo stabilirsi di due diversi e distinti gruppi etnic i all'interno di quella società, con rigide discriminazioni socio-economiche. Per cui: " ... tutto fa pensare che ne llo Stato cartaginese gli abitanti si dividessero in due fondamentali categorie: i Libi, privi di diritti politici e vessati da un onere fisc,ùe enorme ovunque si trovassero ed i Penici, cittadi1ù di pieno diritto ovunque si trovassero. Le distinzioni giuridiche, in sostanza, interessavano sempre e soltanto i singoli, senza riguardo all a antichità o alla posizione dei centri e.la essi abitati. Questo lasciava ovviamente impregiudicata la possibilità che, ne llo stato di Cartagine, e nell' ambito dei c ittadini de iure, un' aristocrazia che rappresentava sostanzialmente le famiglie elci grandi imprenditori , dei latifondi sti e degl i armatori , riuscissero a detenere e conservare il potere, tanto nella capitale quanto nelle diverse regioni dell'impero ... Si conferma così in tutta la sua sostanza il carattere profondamente ari stocratico di uno Stato, il quale, ignorando politicamente e giuridicamente g li indigeni , riuscì ad amministrarsi senza eccezionali rivolgimenti per oltre tre secoli... " 25. Inizia così a profilars i nettame nte l'origine della emarginazione degli indigeni nella propria terra ad opera di colonizzatori stranieri saldamente insediatisi. C he tale assetto statuale , poi, si sia mante nuto per oltre tre secoli non significa affatto l'assenza di ricorrenti scontri con i nativi, ma semplicemente il loro esito invariabilmente vittorioso. E ciò è attribuibile senza dubbio alla superioriti:t dell'organizzazione militare elci punici, confermata dal suo alto costo di mentenimento causa dell'esasperato fiscalismo, ma anche, e forse soprattutto alla insanabile frammentazione tribale berbera. Pe r cui: " ... la riscossione dei tributi è il perno dell' amministrazione de llo Stato cartaginese. Diverse sono la natura e la proveni enza delle imposte, che prevedono la tassazione sia in natura sia in denaro: i soggetti imponibi li possono essere sia collettivi che singoli. Straordinario e legato

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Da E. AC.QlJA RO, Cartagine..., cit. , p. 6 1. Da E. ACQUARO, Carta~i11c.... cit., p. 62.


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a momenti di emergenza è il ricorso alla tassazione dei cittadini cartaginesi di pieno diritto. L'imposta in natura, un quarto del prodotto e il doppio in periodo di guerra, grava s ui contribuenti sparsi nella campagna, mentre i contribuenti residenti in città sono tenuti al pagamento in denaro. Tributi articolati ... fanche] alle tribù numide seminomadi che abitano il territorio circostante ... " 26. Intuibile allora che proprio mediante un temuto apparato militare fosse attuabile un'esazione tanto iniqua, ed infatti: " ... la dislocazione di guarnigioni militari ... doveva contribuire in tempo di pace a garantire la regolare corresponsione dei tributi ... "21. Quanto alla nazionalità dei militari va evidenziato che: " ... il grosso dei contingenti è assicurato dai sudditi nati nei territori sotto il do min io di Cartagine, arruolati con leva obbligatoria, l" che] partecipano alle principali campagne africane e d'oltremare ... Alla cavalleria, costituita soprallutto da Numidi, è affidata una parte notevole nella tallica dei condottieri cartaginesi ... Ai vertici di un esercito così composto ed etereogeneo si pongono cittadini cartaginesi ... " 2x. ln sintesi si intravede anche nella di stribuz io ne dei ruoli istituzionali la già rimarcata bipartizione geomorfologica della regione. Non a caso: " ... l'Africa punica si compone di due parti distinte: il territorio di Cartagine per lo più costiero e (ìuello dei Berberi nell ' entroterra alcuni dei quali detti libici e numidi servirono come mercenari negli eserciti cartaginesi che contendevano a Roma il primato nel mondo mediterraneo... "29. T1 riferimento all ' ir.1piego di una cavalleri a nurn.idica, arma di punta negli eserciti punici, introduce un altro elemento che giocò senza dubbio un ruolo soc iale destabil izzante. Non sembra, in realfa, credibile che tanti orgogliosi militari , avvezzi agli scontri per tradizione atavica, si adattassero a fungere da mero supporto in uno stato tanto razzista e classista, rinunciando a qualsiasi prospettiva di ascesa sociale. Meno ancora che una volta rientrati presso le originarie tribù, magari con cospicui bottini e con vaste esperienze di comando, s i riducessero ad una esistenza di pura sopravvivenza. Più comprensibile, invece, che proprio la frequentazione, sia pure di tipo bellico, con il mondo mediterraneo avanzato ed i rapporti prolungati con la stessa società cartaginese abbiano stimolato i mercenari berberi più

Da E. ACQUARO, Cartagine..., cit., p. 63. Da E. ACQAURO, Cartagine... , cit., p. 64 28 Da E. ACQUARO, CartaJ?ine..., cil. , p. 68. 29 Da R. RAINERO, Storia dell"AIJ?eria, Bologna 1959, p. 17 .

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intraprendenti ad introdurre nelle loro etnie signi ficative innovazioni aggregative. Di sicuro allorquando divampò il conflitto tra Roma e Cartagjne il mondo berbero non appariva più djsperso in una miriade di piccolissime entità tribali, ma si proponeva in tre grossi raggruppamenti, riguardati per altrettanti regni, tali almeno nella più ampia accezione che il termine ostentava in quel particolare contesto 30_ In effetti si dovrebbe parlare più che di una istituzione monarchica di una sorta di vasta alleanza tra diverse tribù poste su di un piano se non di parità assoluta almeno di equivalente dignità con identiche leggi comportamentali e facenti capo ad un unico signore. Si trattava del regno dei Mori, dei Masseseli e dei Massili: gli ultimi due rientravano completamente nell'attuaJe Algeria. A differenza del primo, di durata estremamente effimera, tipica peral tro di una alleanza fra potentati locali, i rimanenti conobbero personalità notevolmente più vigorose e intraprendenti sebbene mai completamente avulse dalla arcaica connotazione di capi predoni. Riuscirono tuttavia ad inserire Je loro vicende dinastiche nelle sorti del connitto fra Rom a e Cartagine: forse più concretamente fu la stessa superpotenza che le attirò nella sua orbita per meglio danneggiare la rivale. La fusione fra due regni conseguita dal sovrano dei Masseseli, riscosse, infatti, subito l'approvazione ed il riconoscimento del senato della repubblica, che vedeva positivamente il rafforzarsi di un antagonista di Cartagine. Proprio il fomentare e perpetuare alle frontiere terrestri dell'odiata rivale una condizione di perenne guerrigli a ed insicurezza costituiva agli occhi di Roma il maggior pregio del nuovo regno berbero ed il principale merito del suo sovrano. E quando Cartagine, vessata dalle incessanti provocazioni, intraprese nel 20 I a. C. una aperta campagna contro quel molesto vicino, fornì il tanto auspicato pretesto per lo scatenamento della terza guerra punica, avendo così infranto una delle fondamentali clausole del recente trattato di pace.

Le prime rivolte anticolonialiste

La conclusione del conflitto avvantaggiò ovviamente soltanto Roma,

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Ancora nel 1588 di tale esagerazione ne faceva accenno un redentorista in una sua missiva da Algeri: " ...gran parte del/i Tarmiceri ... [è andata] a combatere contro il re di l ,abes fllel Abbes] lontano di qui due o tre giornate il quale e un si,:nore che mette in campagnn circa undicimila solanti che qui si chiama re ciascuno che tiene feudo assoluto... ". Archivio Segreto Vaticano, Fondo del Gonfalone, mazzo G.f.223.


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poichè una cospicua frazione del regno numida fu inglobato nei possedimenti della repubblica per volere del senato stesso, acquisendo perciò la definizione di Africa Romana. Nella circostanza i berberi ed il re Massinissa seppero fare buon viso, ricavandone un vistoso avanzamento del livello culturale e forse anche materiale. Tra i principali vantaggi , infatti, si colloca l' apertura del loro territorio ai commerci ed agli apporti intellettuali con l' occidente roma no. Cartagine, invece, cadde definitivamente nel 146 a. C. senza però increme ntare nè l' estensione nè la rilevanza del regno berbero. Roma, infatti, immediatamente colmò con la sua presenza e con i suoi interessi il vuoto lascialo dalla annientata nemica, pe rfettamente conscia dei rischi connessi con un eccessivo estendersi di Massinissa. La sua morte, appena due anni dopo, valse a scongiurare definitivamente tale pericolo poichè auspice la stessa repubblica, il potere amministrativo del regno finì diviso tra i suoi tre eredi: perfetta dimostrazione della politica del dividi el impera, cd inequivocabile preludio della dissoluzione. Roma non si fidava dei berberi , e la costatazione che fossero suoi fedeli alleati da lungo tempo in funzione antipunica costituiva un semplice dettag lio contingente, insuffic iente a rimuovere i sospetti. Non era infatti un segreto che nelle mire be rbere si perseguiva l' ingrandimento del territorio, con il corollario di una assoluta autonomia, sovra nità ed indipendenza, precipue del resto per l' etnia. Ma tale visione contrastava antiteticamente con quella imperialista romana e non avrebbe potuto in nessun modo imporsi, al di là di una breve pare ntesi tattica. Non trascorse da allora nemmeno mezzo secolo che del mitico regno be rbero si era dissolta ogni traccia, sostituito da alqua nti potentati locali ma novrati da Roma in funzione dell a sua politica. Nelle ultime fasi di sopravvivenza di quello stato berbero, tuttavia, non diversamente di quanto già verificatosi a danno di Cartagine anche contro il dominio di Roma e ra divampata una vasta resistenza armata. Per molti aspetti pur essendo una riproposizione di una coll audata prassi, può ritenersi la prima documentata manifestazione di quella che diverrà la dinamica arc he tipale della guerriglia anticoloniali sta sul teatro algerino in ogni sua peculiarità. Nel frattempo un nuovo regno numida, di più rigida ispirazione filoimperiale, fu voluto da Augusto nel 25 a. C., l:he vi pose a capo ovviamente un sovrano di educazione, rnltura e mentalità romana, nonchè di assoluta ed accertata fedeltà. La capitale fu stabilita in Cesarea. Per quanto c i possa sembrare un ben modesto espediente, per l'epoca la soluzione escogitata da Roma si dimostrava di notevole lungimiranza: del tutto inedita la pro-


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mozione e.li alcuni territori già sottomessi a regni autonomi, affidati a sovrani d i estrazione indigena e dotati di una discreta autonomia governativa. E' probabile che il dispositivo sia stato una risposta politica alla guerriglia, il cui costo materiale ed umano divc,ùva non g iustificabile a fronte dei modestissimi apporti strategici , s pecie con lo spostarsi della minaccia verso il nord-est. Grazie a ciò, grazie anche maggiormente alla buona conduzione il regno numida sopravvisse per 45 anni e sempre sollo lo stesso sovrano. Alla sua morte però la quiesce nte rivolta contro la sovrani fa appena mascherata di Roma riesplose. Le tribù dei Getuli avviarono una rabbiosa guerriglia che trovò subito un valido capo, tal Tacfar ina. A partire dall'anno 17 della nostra era, con straon.linaro fervore, organizzò bande di d isertori e di ribelli. Convintosi in b reve, per gli esiti disastrosi, dell' impraticabilità degli scontri aperti con l'esercito romano, come pure degli assedi alle località forti ficate: " ... scaltrame nte mutava d isegno; e attenendosi a tu tt' altro metodo, non più si faceva egli assalitore di città, non più offeriva regolari battaglie, ma incendiava le campagne di cui melleva a morte gli abitanti, e portava la desolazione e la morte ora in luogo ora in un a ltro, e final mente per tutto dove i Romani non l' aspettassero. Quindi come questi si mostravano in forza, egli se ne scappava, mettendosi peraltro tantosto a perseguitarli, se si fossero essi ritirati, ma no n lasciandosi mai tanto avvicinare da pote rlo acchiappare ... " J l. Può senza dubbio ascriversi a questa delicatissima fase storica ed a questo personaggio, peraltro marginalmente conosciuto, la individuazione delle canoniche strategie guerrigliere indipe ndentiste in Algeria. Il che obbliga ad una più minuziosa puntualizzazio ne onde evitare una superficiale assi milazione con l' altra tipologia insurrezionale, quella della guerri glia d i matrice econo mica e pseudorelig iosa, altrettanto, sebbene in misura minore, ricorrente. In questo specifico contesto abbi amo nelle file dei rivoltosi ex militari, disertori, e cittadini angariati , categorie tutte che individuano nella sovranità straniera l' origine di ogni male e nel recupero dell'indipendenza il solo rimedio. Ma individuano pure nella pote nza militare dei dominatori un ostacolo insormontabile alla real izzazione del progetto, per cui valutano indispensabile ridimensionarla preliminarmente. Quindi al sui cida confronto diretto sostituiscono uno stillicidio di piccoli conflitti la cui cond izione attuativa è subordinata all 'accertata superiorità momentanea. li che tatticamente significava attaccare con nutrite bande g li avamposti isolati , le pattug lie in perlu strazione, le scarne guarnigioni perife ri-

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Da R. RATNERO. Storia .. ., c it., p. 26.


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che, ecc., rendendo gradatamente o nerosissimo ed aleatorio il controllo del territorio. Contestualmente se ne minavano le risorse assaltando e saccheggiando le masserie ed i villaggi agricoli indifesi, dando fuoco ai raccolti e seminando il terrore fra i contadini, uccidendone anche diversi, in genere di nazionalità romana, o romanizzala, delitti abitualmente condivisi dagli indigeni in quanto perpetrali su presunti o reali sfruttatori. L' interpretazione della dinamica insurrezionale non appare ditlic ilc potendosene ravvisare tre esiti ben distinti ed altrettanto destabilizzanti. Con l' ahbandono delle aziende da parte dei possidenti per i crescenti rischi cd i decrescenti guadagni, si privava il potere centrale dell ' apporto agricolo, praticamente esiziale in una regione scarsamente produttiva. Con il massacro di alcuni coloni, romani o romanizzati, se ne costringevano molti altri ad abbandonare la regione o ad interrompere ogni rapporto con il governo. 11 che generava, oltre alla penuria dei generi alimentari, la disoccupazione di innumerevoli contadini rifuggiatis i nella città, il collasso dell'economia e l'insostenibile aggravio dei già precari bilanci annonari urbani. Tutti poi sentendosi indifesi dalle istituzioni e ridotti all'inallivil~t finivano, non di rado, per maturare una condivisione delle istanze dei ribelli e spesso confluivano direttamente nelle loro file, accrescendone costantemente il numero e la violenza. In definitiva la guerriglia anticolooialista, secondo lo schema archetipale individuato agli inizi della nostra era, annientava con ripetute e mirale operazioni sia la sicurezza esistenziale al di fuori delle città sia quella economica al di fuori dei tributi. Evitando di colpire g li indigeni per non alienarsene l'appoggio, costringeva il potere centrale ad odiose misure repressive, spesso rappresaglie indiscriminate e sanguinarie, premesse di ulteriori adesioni alla rivolta. L' esercito romano, strullurato ed addestrato pe r i combattimenti campali non fu a lungo in grado di aver ragione della interminabile teoria di provocazioni. Impossibile costringere i guerriglieri a scontri aperti, sempre rapidi ssimi a dileguarsi dopo ogni puntata offensiva, impenetrabile e dilagante l'omertà. 11 protrarsi poi dello stato di anarchia, aggravando la miseria, contribuiva ad esaspe rare sempre maggiori strati delle popolazione che spesso sfociarono in ancora più incoercibili ribellioni generalizzate. Grazie alla eleborazione ed adozione di piani operativi antiguerriglia, frutto della lunga esperienza - che a loro volta diverranno nella regione i caposaldi teoretic i della repressione - Roma riuscì alla fine a sopprimere Tacfarina. La rivolta gradatamente rientrò, soffocata forse dalle rappresa-


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glie e daJle deportazioni in massa che l' impero non aborriva ed, almeno per la propaganda ufficiale, tornò la sicurezza e l'ordine dovunque. In realtà si trattava di una semplice quiescenza propedeutica a ribellioni indipendentiste sempre più estese e diffuse con l'immancabile sequela di distruzioni e massacri. Da quegli anni per ogni imperatore la 'questione africana' divenne una sorta di inevitabile tormento, praticamente insolubile. Così fu per Vespasiano, per Domiziano, per Nerva, per Traiano, per Adriano proseguendo via via fino a Settimio Severo, nonostante che l'essere nativo della regione gli consentisse, se non altro, di recepire meglio le sommerse istanze dei rivoltosi e magari di mitigarne le causali per loro più intollerabili. Tra queste la inimmaginabile corruzione e le conseguenti aberranti e straordinarie fortune che la civiltà romana non aveva certamente introdotto ma di sicuro esasperato, a contatto con una cultura ancestralmente aliena dagli sfarzi, soprattutto per condizionamenti ambientali. Anche in epoca punica la ricchezza aveva attinto livelli cospicui ma la sua diffusione, con la volgare ostentazione del lusso, non può assol utamente equi pararsi a que lla vigente sotto l'impero. A renderla ancora più inaccettabile e perversa giocava un ruolo determinante il contrasto tra gli immensi proventi di un'aristocrazia latifondista coloniale-testimoniataci indirellamentc dalle sontuosissime ville che forse non ebbero equivalenti nemmeno in Italia 32 - e la pressoché assoluta indi genza de lle popolazioni autoctone, angariate per giunta da una tassazione iniqua. Che il contesto sociale divenisse progressivamente più pericoloso lo possiamo dedurre proprio dai ruderi delle ricordale ville. Con il trascorrere dei decenni le loro mura si serrano, le loro colombaie si trasformano in torri , le loro finestre in feritoie. Ma anche i servi che vi lavorano all' interno iniziano a vestire in maniera uniforme, a seguire il padrone nelle sue battute di caccia muniti di elmetto e scudi-come ci certificano tanti splen-

32 E' e mblematico c he proprio nelle dimore signorili del nordafrica sia sopravvissuta la concezione della villa romana. Ne ridime nsiona le appare nti identi tà P. Grimal, La civiltà romana, Firenze 196 1, pp. 322-23: "A prima vista si sarebbe te ntali <li vedere un nesso fra le case di Djcmila o quelle di Voluhilis, nell a Mauritania tingitana (Marocco) e la casa c lassica costituita da un atrium e da un peristilio. Vi si ritrova infatti il cortile centrale c ircondato da colonne, come nella casa italica. Ma mentre quest'ultima i: carallc rizzata dalla sua assialità, la c;isa africana consta essenzialmente di un vestihnlo di dimensioni ristre tte, poi di un conile, vero e proprio palio , su cu i davano tutte le stanze d'abitazione e di servizio. Mollo più che a lla casa pompeiana un modello analogo fa pensare alla casa e llenistica, quale la troviamo a Dclo nel ll secolo a.C.. Ma anche se si tratta di una creazione locale che risale a ll'architettura privata punica (di c ui non sappiamo quasi niente), resta altrettanto vero che intravediamo lo sviluppo di questo tipo di costruzione nella casa araba, che l' ha perpet.uato fin o ai giorni nostri ". Per ulteriori approfondimenti cfr. J. REVAULT. Palai.i·, demP.ums l't mnisons de plai:.ance à Tunis et se.ç envirofls (du XVI au XIX siècle), Aix en Provence, 1984, pp. 17-5 1.


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didi mosaici-accessori non consoni certamente alla selvaggina, indispensabili, invece, contro le bande di briganti. Residenze fortificate ed eserciti privati 33, chiari riscontri della ribellione ormai incontrastata in grado di attrarre nelle proprie file i paria di quella società: schiavi, disertori, contadini e braccianti. Tra un acuirsi e l'altro delle rivolte, sempre più frequenti e ravvicinate, gli imperatori Aureliano, Diocleziano e Costantino, tentarono in qualche modo d' occuparsene. Ma le crescenti apprensioni per le frontiere europee e la intima incomprensione delle motivazioni indi gene finivano per marginalizzare la questione, intesa puntualmente alla stregua di curioso endemismo locale irrisolvibile.

Le rivolte a sfondo religioso cristiano

A rendere la regione oltremodo più eversiva ed incontrollabile contribuì, in misura affatto trascurabile, anche il cristianesimo, finendo per accumunare in una indistinta intolleran;,,a le divergenti 111alrici i11sorger11.iali.

Non diversamente dall' Italia e dall'Europa, infalti , in nordafrica la nuova religione, prese a diffondersi progressivamente ed inarrestabilmente. Intorno al terzo secolo può considerarsi ormai profondamente radicata persino nella regione berbera. Molte tribù iniziano allora un processo di conversione al rivoluzionario credo. Qualcosa di anomalo però contru ibui va a ll a co ndivi sio ne del Cristianesimo in vasti strati sociali, qualcosa che di religioso aveva ben poco e di politico, invece, molto. Gli indigeni, infatti, percepivano in quella religione tanto osteggiata, spesso brutalmente perseguitata e , comunque sempre accanitamente discriminata dall'apparato di potere, un 'altra vittima della medesima arroganza imperialista. Ben presto aderire al cristianesimo significò per tanti più che una professione di fede un'opzione ideologica. Del resto le stesse predicazionj evangeliche sulla uguaglianza degli uomini, sulla loro fratellanza urnversale e sull' abominio della corruzione e dello sfruttamento sembravano ulteriormente confortare siffatta interpretazione, e quindi la sensatezza della scelta di campo. Curiosamente il cristianesimo era giunto in nordafrica proprio da Roma, ed abbastanza lardi, ma una volta introdottovi proliferò vivacemente, tanto che i: " ... fedeli africani formarono presto una delle parti principali della chiesa primitiva. La prassi di quella provincia di assegnare vescovi alle più piccole città, e spesso ai più oscuri villaggi, contribuì

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Sull'argomento cfr.

r. RUSSO, La dife.w delegata,

Roma 1995, pp. 27-71.


Algeria: La presenw del passato

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ad accrescere lo splendore e l'importanza delle loro comunità religiose, che nel corso del terzo secolo furono animate dallo zelo di Tertulliano, dirette dalle doti di Cipriano e ornate dalla eloquenza di Lattanzio .... " 34_ Non a caso, pertanto, proprio in nordafrica in conseguenza delle persecuzioni e della libertà di culto concessa da Costantino si verificò un episodio di per sè scarsamente significativo ma talmente gravido di conseguenze sociali che la sua estrema conclusione coinciderà con quella del cristianesimo, circa tre secoli dopo. Senza entrare nello specifico più di quanto non strettamente necessario per la comprensione dei fatti, due vescovi Ceci liano e Donato vennero a conflitto per motivi gerarchici e teologici. Per l'incapacità della chiesa locale, debilitata intellettualmente e moralmente dalle persecuzioni , a risolvere la vicenda, l'incarico ricadde sui funzionari imperiali che si pronunciarono a favore di Ceciliano. La fazione che sosteneva Donato non si ritenne affatto appagata dalla sentenza, tanto più che i suoi adepti si distinguevano per un ostentato ed intransigente fanatismo integralista e puritariu. ln bn:ve bui larono i lo ro avversari , sebbene correligionari orto-

dossi, <li tradimento e di empietà, preci sando di reputarli ormai al di fuori della fede cristiana. Come se non bastasse li accusarono ancora di infettare con la loro stessa presenza l'integrità della ch iesa africana ed asiatica. Pur professando i due gruppi l'identico credo, pur abitando nei medesimi vi llaggi e città, pur osservando uguali precetti, pur praticando simili fun zio,ù la tollerante convinenza si deteriorò rapidamente. Forse per la loro intransigenza, più consona ad una interpretazione politica del messaggio evangelico, i donalisli in N umidia vantavano una discreta superiorità numerica. Circa 400 vescov i Io comprovavano indiscutibilmente, ma proprio per l'esasperazione ideologica anche fra loro insorsero alquante discordie dottrinali. Più in generale, gli: " ... abitanti dei villaggi della Nu midia e della Mauritania erano una razza di gente feroce, imperfettamente ridotta sotto l'autorità delle leggi romane, e imperfettamente convertita alla fede cristiana, ma animala eia un cieco e furioso entusiasmo per la causa dei loro maestri donatisti ... La violenza dei magistrati, che ordinariamente erano sostenuti da una scorta militare, fu talora respinta con pari violenza; e il sangue di alcuni popolani ecclesiastici, sparso in quelle mischie, infiammò i loro rozzi seguaci di un ardente desiderio <li vendicare la morte di quei santi martiri. .. " 35.

.¼ Da R. GIRRON, Storia della det:adenza e rndulll dell 'impero mmmw. Tori no, rist. 1967, voi. I, p. 45 l. 35 Da E. GIBBON, S1oria ... , cit., voi. I, p. 73 1.


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Si inizia così a palesare un elemento inedito sullo scenario già di per sè endem icamente instabile della regione, perfetto complementare della astiosità antiromana: la fanatica intolleranza religiosa, materializzata dal1' adozione di un'eresia in aperto contrasto con quella che nel frattempo era assurta a fede ufficiale dell' impero. In altri termini alla iniziale accetlazione del cristianesimo, in quanto religione bandita, si sostituì la condivisione della sua eresia e per i contenuti spiccatamente sociali e per l'opposizione al credo ortodosso, ormai sinonimo di polere. La forte connotazione egualitaristica con la predicazione di una ridistribuizione deJle ricchezze, della soppressione degli abusi e dell'eliminazione della corruzione e dell'immoralità forniva all'eresia donatista tutti gli elementi ideali per la sua adozione a credo ufficiale degli anticolonialisti. Ma forniva anche un trascendente e fin troppo agognalo supporto teologico alle rivendicazioni di tanli emarginati per una immediata attuazione violenta della precettistica approssimalamente recepita. Nell'ambito della stessa visione religiosa prendono perlanto a manifestarsi due distinte direttrici comportamentali: più legalitaria e dilatoria la prima, più violenta e spiccia la seconda. Entrambe, comunque, perseguono un più equo assetlo sociale, e soprattutto economico, per l' avvento del quale l'affrancamento da Roma costituiva soltanlo la premessa restando il fine ultimo, appunlo, un sostanziale equalitarismo. Le conseguenze non si fecero attendere, congiurando alla loro esplosione gli insulsi provvedi menli escogitati dal potere centrale: " ... cacciati dai loro villaggi, i contadini donatisti si unirono in formidabili bande all'estremità del deserto getulico, abbandonando facilmente le loro fatiche abiluali per una vita d'ozio e di rapine, che veniva consacrata col nome di religione e debolmente condannata dai dottori della loro selta ... Da principio colorirono le loro depredazioni col preleslo della necessità, ma ben presto passarono la misura del vettovagliamento: soddisfacevano senza ritegno la loro libidine ed avidità, bruciavano i villaggi che avevano saccheggiato e regnavano da licenziosi tiranni sulle campagne. Si sospesero i lavori dell'agricoltura e l' amministrazione della giustizia, e poiché i circoncellioni pretendevano di ristabilire l'uguaglianza primitiva degli uomini e riformare gli abusi della società, offrirono un asi lo sicuro agli schiavi e ai debitori, che accorrevano a schiere sotto il loro santo stendardo... Il coraggio dei circoncellioni però non si esercitava sempre contro nemici senza difesa. Essi affronlarono e talvolta sconfissero, le lruppe della provincia ... I donatisti, presi armati, ricevevano, e spesso meritavano, il trallamenlo che avrebbe potuto farsi alle bestie feroci del deserto ... Si moltiplicavano in rapida propurziuue le rappresaglie che


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aggravavano gli orrori della ribellione ed escludevano la speranza di un reciproco perdono ... " 36. E' questa l' inequivocabi le testimonianza dell ' istaurarsi del doppio livello all' interno dell'eresia donatista: da una parte una religione, certamente scismatica, ma sostanzialmente non violenta sebbene con chiare manifestazioni d'i ntolleranza fanatica; dall'altra una sua componente sovversiva ed aggressiva, segreta ed armata, dedita a sistematiche razzie e massacri, storicamente nota come setta dei 'circoncellioni ' . Il nome stesso, il cui etimo ne stigmatizza l'aggirarsi furtivo e rabbioso intorno ai granai dei villaggi agricoli e delle masserie - circum cellae appunto - ne tramanda la natura assolutamente delinquenziale. Eppure nessuna condanna esplicita da parte dei correligionari pacifici si rintraccia nei loro confronti, nè meno che mai alcuna incontrovertibile dissociazione, al di là di una pura ricusazione di principio, ferma restando la giustificazione di fondo persino dei loro più agghiaccianti c rimini. TI perché è abbastanza facile da spiegare: i circonccllioni costituivano il braccio armato dell 'intero movi111e11Lu, 4udlu che 11un solo assicurava una prulezium; ùi Lipu militare, ma soprattullo quello che, aJJ'occorrenza, eliminava ogni opposizione preparando il terreno all a presa di potere legale. Del resto le sanguinarie indi rnidazioni si abbattevano sugli odiati nemici o sui loro fiancheggiatori , o comunque sugli empi che non avevano prontamente adottato l'eresia donati sta ed obbedito ai suoi precetti! Dalle testimonianze raccolte da S. Agostino, e selezionate dal Tillcmont agli inizi del XVIII secolo, siamo in grado di tratteggiare meglio quel singolare fenomeno, di eccezionale durata e di atroce connotazione, che scolvolse le stesse contrade algerine oggi scenario delle stragi dei fanatici dei Gruppi Armati Islamici. Innanzitutto: " Ce qui a rendu le schiesme des JJonatistes ...

Ciò che ha reso lo scisma dei Donatisti più celebre ed al tempo stesso più infame cd odioso, è stata la crudeltà dei Circoncellioni. Erano questi una setta di Donatisti riuniti in distinte comunità. Si diffusero in quasi tutte le loro chiese, tanto che nessuna contrada della provincia poteva ritenersene esente ... " 37.

Questo primo dato descrive compiutamente l'organi zzazione cellulare DA E. GIBBON, Storia ... , cit., pp. 731-32. Da M. LENAlN DE TILLEMONT, Memoires pour servire a l'histoire ecclesiastique d es si.x premiers siecles, Pans l'/lJ4, Voi. VI, p. 88. Traduzione cJcU' autorc. 36

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ed autonoma della setta dei circoncellioni all' interno della più vasta e riconosciuta degli eretici donatisti. Ogni chiesa in pratica ne ospita un nucleo per cui la loro presenza sull'intero territorio è capillare. Prosegue quindi il trattatista precisandone l'estrazione sociale: " Sono descritti come dei contadini, e del resto provengono dalle campagne, in grado di parlare soltanto la Lingua punica, ignorando completamente la latina. Risiedono nelle aree rurali dove esercitano il hrigantaggio. Hanno perciò abbandonato del tutto il lavoro dei campi: per procacciarsi il sostentamento razziano i villaggi e le masserie, senza disporre mai di lissa dimora: da ciò la definizione di Circoncellioni ... " 38_

L'intimo livello culturale e la marginalità sociale di estrazione dei c irconcellioni è individuato acutamente nella permanenza dcli' uso della sola lingua punica e nell 'ignoranza assoluta della latina, a quasi mezzo millennio dall'avvenuta romanizzazione! La precisazione circa !'-abba ndono del ' lavoro dei campi ' , e non già dei ' loro campi ' , induce a ritenerli miseri braccianti agricoli, forse cx schiavi, piuttosto che piccoli contadini o liberi agricoltoti. Quindi individui poverissimi e privi di qmùsiasi dignifa sociale e risorsa economica , che proprio pe r conoscere perfettamente le proprietà in cui hanno lavorato e le risorse dei rispettivi padroni assurgono a loro spietati aguzzini estorlori. Come pure per il traswrso asservimento i più hrutali e feroci seviziatori degli ex datori di lavoro, vuoi che fossero stati grandi possidenti vuoi più modesti massari. Puntuale infine il riferimento alla razzia inizialmente necessmia per il sostentmnento. l correligionari: " ... Donatisti li definiscono Agnostici o Combattenti, perché si proclamano, quando li difendono, soldati di Gesù Cristo che si battono contro il demonio. Ma sono purtroppo dei soldati del demonio, altro che di Gesù Cristo! Questo è il braccio armato dei Donatisti, formato da campagnoli, che so lo per la sua indi scriminata crudeltà è divenuto celebre ... " 39.

Dalla breve citazione ne esce confermala la compiacente accettazione dei crimini dei circoncellioni da parte dei donatisti in assoluto spregio dei precetti evangel ic i. Eppure c iò che appare più aberrante nel loro agire è proprio l' assurdità ciel rife rimento teologico in quanto in totale e netto contrasto con la morale cristiana, alla quale tuttavia affem1ano di ispirarsi. Sarebbe bast<lta già la definizione di 'soldati di Cristo' per scandali zza-

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Da M. LENAIN DE TILLEMONT, M emoire.\'.. .. cit., p. 88. Da M . LENAIN DE TILLEMONT, Memoires... , cit., p. 88.


Algeria: La presenm del passalo

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re, appena pochi decenni prima, dei sinceri credenti , ripugnando ai neofiti qualsiasi forma di violenza: il che rappresentava un indiscutibile sinlomo del fortissimo odio di classe che sugg·e stionava l'intera compagine. Quanto poi alla natura abietta cd efferata dell'agire eccone alcune ulteriori precisazioni che meglio ne tralteggiano l' intima confusione: ''Non contenti di perpetrare sugli altri tutte le sorte di sevizie, non si astengono nemmeno dal compierle su se stessi con pari inumanità e barharie... " 40_

L'accenno all'autolesionismo, che verrà più diffusamente esposto innanzi, fornisce una importantissima indicazione psicologica sull' indottrinamento fanatico e blasfemo a cui erano stati sottoposti i circoncellioni, per rimuovere dalla loro coscienza ogni residuo sentimento di umanità, in modo da poter così esercitare sulla massa dei fedeli meno esagitati una irresistibile suggestione. Per il resto: " ... sono così malvagi e violenti nell 'adempiere ai principi di cui li hanno imbevuti, che la loro violenza e temerarietà non risparmia nessuno: pertanto non s i astengono dal! ' aggredire sia i loro con terranei sia gli stranieri. fofrangendo ogni legge piombano all' improvviso su quanti meno se li aspettano e se i malcapitati non sono pronti a so<..klisfare qualsiasi loro desiderio, subiscono le più crudeli torture. Scorrono come belve ogni campagna ed ogni piccolo villaggio muniti di rudimentali e variegate armi e non gl i ripugna qualsiasi spargimento di sangue. Sono uonùni stimolati da un immenso furore e violenza alle imprese più ahieUe, privi del henchè minimo scrupolo per le inutili sofferen ze che infliggono, e versano l'altrui sangue senza per null a badarvi . Per queste ragioni sono diventati tanto famosi in quasi tutto il mondo, ma come la vergogna della loro rcdc e dcli' Africa... Nel corso delle razzie urlano 'Deo Laudes', frase c he S. Agostino definì il loro grido di guetTa. Di cetto queste parole hanno fatto piangere innumerevoli persone cd hanno prodotto più lutti che non il fragore delle anni di un vero nemico. E tutti tremano sentendole fuoriuscire dalle loro bocche più che udendo il ruggito di un leone ... Non sono mai esistili nè hri ganti nè banditi che abbiano commesso le medesime efferatezze che queste belve ripetono ogni giorno sui cristiani. .. Essi attaccano la notte le case dei sacerdoti e le devastano, asportandovi tullo quello che vi trovano. E quanto ai padroni li massacrano a colpi di

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Da M. LENATN DE TTLLEMONT, Memoires ..., c it., p. 88.


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bastone e li lasciano quasi morti ... Hanno inventato un nuovo genere di supplizio di cui non abbiamo ancora sentito parlare: invece di cavare rapid amente gli occhi alle disgraziate vittime, preferiscono tormentarl e a lungo con la calce, piuttosto che accecarle subito... Come armi usano il fuoco, i bastoni o qualsiasi altro strumento che la loro follia metta tra le mani... Ai tempi di S. Agostino queste bande di giovani criminali si stancarono dei bastoni ed iniziarono a dotarsi di ferri e di fionde. Presero a servirsi di simili anni nel corso di orge dove avevano per compagnia donne nubili con le quali gozzovigliavano, giocavano bevevano e passavano la notte. Portavano non solo il bastone, che era la loro arma tradizionale, ma anche delle fionde, delle asce, delle pietre, delle lance e delle spade; ed in quel periodo razziavano tutte le contrade, eccitandosi del sangue innocente, e perpetrando tulle le sorti di abomi ni, in spregio alle leggi cd all' autorità dei magistrati ... "41.

Nella citazione il trattatista, dopo di aver rimarcato esplicitamente che alle spalle di quei fanatici esistevano i responsabili ideolog ici, precisa che le sevizie cd i massacri da loro perpetrati da un certo momento in poi non si abbatterono più esclusivame nte sui romani o romanizzati , ma su qualsiasi abitante reo soltanto cli non essere un ardente donatista. Ricorda quindi le modalità operative consuete: attacco notturno a villaggi e masserie isolate, torture, stragi, rapimenti, saccheggi cd incendi. Più in dettaglio precisa le armi di cui abitualme nte si servono, in particolare i bastoni e le asce, ma ne rievoca anc he la recente adoz ione di meno primitive quali s pade e la nce. Estremamente emblematico il loro blasfemo grido di guerra che avvalora la tesi di una criminalità pseudoreligiosa contraddicente con le azioni i caposaldi stessi del suo credo. La maggiore crudeltà proprio verso i sacerdoti ed i cristiani ortodossi è una ulteriore connotazione deliquenziale, antitetica alla sbandierata professione di fede. Del resto anche nel comportamento privato i circoncellioni infrangono ogni precetto relig ioso, persino quelli donatisti rig idamente puritani : il gozzovigliare, quindi, con donne nubili non rappresenta soltanto una effrazione alla predicata castità, ma probabilme nte l'estremo oltraggio inflitto alle prigioniere razziate per bottino nel corso dei saccheggi. In prima approssimazione sembrerebbe che siffatta maniera di combattere, proprio per la sua innegabile immoralità ed etteratezza, non si differenzi sig nificativamente dalla precede nte gue rriglia anticolonialista ' laica' , ma non è improbo ravvisarne le peculiarità distintive. Tanto per cominciare no n vengono presi di mira i soli stranieri ma tutti i reside nti nelle campagne, spe-

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Oa M . LENAIN DE TILLEMONT, M emoires.. ., cit., pp. 89-90.


Algeria: La presenza del pa.uato

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cie se di fede cristiana. L'attacco è condotto contro le ma<;serie ed i villaggi soltanto perché più indifesi, e non secondo un piano strateg ico. Il seviziare le vittime è funzione del sadismo e dell'estorsione di denaro, nonchè di vendette private, ma non risponde comunque ad una, sia pur delirante, logica terroristica mirante alla fuga dei coloni. E se verso i sacerdoti ed i fedeli ortodossi la bestialità dei circoncellioni si accanisce con inusitata ferocia è perché quelle categorie denunciano apertamente, e competentemente, la mistificazione e la falsità delle loro imprese, stigamatizzandone l' ispirazione satan ica. Quasi a voler a ncora meglio precisare la non spontaneità di tanta abiezione e la nefasta opera di maestri occulti il trattati sta prosegue, approfonde ndo !'altrimenti inconcepibile ambizione di martirio: " ... una delle loro più curiose follie è rappresentata dall ' infliggersi da soli la morte, convinti perciò di guadagnarsi la corona del martirio. Si uccidono dunque in d iverse maniere, ma quelle più comuni, quasi una sorta di semplice gioco per loro, consistono nel precipitarsi dall'alto di una rupe, o di gettarsi nell'acqua per annegarvi, o di lanciarsi nelle fiamme che hanno peraltro loro stessi accese. Le ultime due modalità in verità sono piL1 rare della prima ... Ostentano una violenza eretica assolutamente inedita e singolare. Ne contagiano chiunque possano, uomini e donne. Se ne vedono i funesti esiti nelle donne che si sfracellano con un disperato coraggio. Vi sono fra quelle anche alcune che essendosi già votate alla castita e non avendo mantenuto l' impegno, ritrovandosi gravide si precipitano anc.h'esse dal· l'alto delle rocce... " 42.

Particolarmente significativo questo approfondimento sulla ricerca del martirio, tanto caro nei neofiti di qualsiasi setta integralista quale certezza di eterna beatitudine e beatificazione! È tanto ben visto dai loro indottrinatori , come edificante propaganda per l' acquisizione di altri fanatici, da giu stificare gl i straordinari tributi funebri e le annuali solenni commemorazioni. Log icamente di fronte al c rescendo di atrocità e di ipocrisia molti sinceri donatisti, ancora in grado di ragionare, non potevano passivamente condiv idere quella continua negazione dell ' essenza della loro fede. Eppure, forse per la paura che ormai pervadeva l' intera società, le recriminazioni e le sconfessioni, se mai pronunciate, non varcavano ambiti estremamente ristretti e riservati, dove appunto: 42 Da M. LENAIN DE TILLEMONT, Me moires... , cit. , p . 89. Quanto al suicidio di donne gravide è molto più verosimile che si trattasse di vittime di stupri, piuttosto che di corrclcgionaric consenzienti o ratte passare per tali.


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" ... gli altri Donatisti, appena più ragionevoli, detestano tanto brutale furore. I loro vescovi si vantano di aver dissuaso nei loro concili la pratica di tali suicidi [ma non degli omicidi , n. d. a. ]. Ma l'esortazione vero o ralsa che sia non impedi sce che ogni giorno si vedano rocce e dirupi tinte dal sangue di questi disgraziati. Nè impedisce che si rendano ai loro cadaveri onori abom inevoli e profani, e che si celebri con grande affluenza di gente ogni anno la ricorrenza della loro morte. Molti Donati sti abborriscono la loro crudeltà ma ritengono che basti ciò per non esserne cotTei, e continuano comunque a frequentarli ... " 43.

Questa in sintesi la posi zione ostentata dai tanti fedeli non estremisti: una tiepida e larvata disapprovazione, smentita dalla comunanza e frequentazione dei criminali le c ui efferatezze non costituivano un segreto per nessuno. Credibile il condizionamento imposto dal terrore: nessuno era ormai più in grado di stroncare l' abominio e nemmeno di impedire le blasfeme onoranze funebri. Anche il semplice ipotizzarlo significava una morte orrenda, ins ieme ai propri familiari. Pe r cui, prosegue il trattati sta, g li adepti alla trista genia: " ... vivono da crimina li, e muoiono da disperati nelle bande dei Circoncellioni, ma vengono onorati come martiri. I Circoncellioni non sempre hanno la forza di suicidarsi e non di rado danno del denaro ad alcuni affinchè li rendano martiri. Obbligano anche qualche passante ad ucciderli o in caso di rifiuto ad essere ucciso da loro stessi .. . "44.

Se mai ve ne fosse bisogno, il Tillemont torna a riproporre, probabilmente per evidenziare l'estrema empietà dei circoncellioni, la dissolutezza delle loro cerimonie e la promiscuità delle bande: " ... per quanto sia la crudel tà la caratteristica primaria dei Circoncellioni, non è l'unica connotazione criminale. S. Ago stino infatti parlando dei loro suicidi, ricorda che a11orquando ne depongono i corpi tra i cedri (senza dubbio per onorarli come martiri) scorrono aJl ' intomo con donne che stanno giorno e notte frammiste in mezzo a loro, contravvenendo ogni precetto divino ed umano ... S. Agostino... [ricorda ancora] che tonne di vergini consacrate a Gesù Cristo, ricolme non del suo spirito, ma dei calori del vino, scorrono giorno e notte in maniera impudica mis c hi ate in me zzo alle bande di Circoncellioni, ubriache come loro ... "45_

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Da M . LENA IN OE TILLEMONT, Memoire.1·... , ciL., p. 89. Da M. LENAJN DE TILLEMONT, Memoires ... , cii. , p. 90 . Da M. LhNAIN DE TILLEMONT, Memoires ... , cit. , p. 89.


Algeria: / ,a presenw d,,f possmo

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Un' altra annolazionc ci appare cslrcmamcnte interessante cd è concernente il supposto inizio della tragedia: " ... circa il tempo in cui questo aberrazione è irùziata è certamente antecende nte alla venuta di Macario, vale a dire antecendente all ' atrno 348 ... [Infatti] le prime violcnl'.c in cui si cimentarono Lali bel ve sono quelle ricordate da S. Optat appena prima del 348 ... "46.

Esauri t i, relati vame nte parlando, gli aspetti distintivi e quelli operativi , nonchè quelli dell' indottrinamento e del rna,tirio dei c irconcellioni, ricordata pure la non esplicita ed inequivoca dissociazione da siffatti criminali de i donati sti , il trattati sta forn isce, in conclusione , una preziosa indicazione motivazionale di ben diversa natura: " ... non vi è stato alcun padrone che non abbia avuto paura dei propri schiavi allorché questi siano ricorsi alla prolczione di quel la setta. La paura del bastone, del fuoco, o della stessa morte ha imposto I' omertà. È slalo comunque necessario la~ciarc liberi i propri schiavi più malvagi, distruggere i documenti della loro schiav itù, restituire i certificati di obbligazione ai debitori ... Mo lte pe rsone stimate che e bbe ro la di sgrazia di cadere nel le loro mani, videro subilo le proprie case abbattute o bruciale. Persone onorate... talme nte seviziate che a fatica riuscirono a scampare la morte. /\ ltre ancorn sono sta te aggiogate alle macine che ha nno fatto loro girare a colpi di scudiscio come se fossero degli asini ..." 47.

Pertanto le residue perplessità c irca il ruolo g iocato dall'odio di cl asse, o dalle stimolazioni economiche, o dalle più sordide pulsioni vendicative nelle spedizio ni dei circoncellioni , sembrano svanire di fronte all'ultima citazio ne. Coerente, in ultima analisi, concludere che indubbiamente il fenomeno ebbe connotazione di fanatismo pseudo-religioso ma altro non fu che una rabbiosa esplosione di brigantaggio sang uinario e blasfemo, con tutte le sue più perverse manifestazioni. E se trovò tolleran za e d accellazione da parte della gerarchia cristiana eretica fu soltanto perché si suppose di poterlo strumentalizzare in funzione di un di segno teocratico di ri assetto politico interno. Quanto invece alla sua finali zzazione anticoloniaJista deve ritenersi meramente propagandistica e convenzionale . L' abominio dei circoncellioni, sebbene con fasi variabili di virulenza, si prolungò per quasi tre secoli , tino cioè all' avvento della religione islamica nella regione. Condivise quindi lo sgretolar si dell ' impero, che per

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Da M. LENAIN DE TILLEMONT, Memoires... , cit.. p. 89. l)a M. LENAIN DE TILLEMONT, Memoires ... , cit., p. 90.


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molti versi aveva in un certo qual modo agevolalo. Con il lento ma irreversibile dissolversi dell'autorità costituita e con il prevalere incontrastato della c1iminalità il territ01io abitabile si contrasse vistosamente, e negli ultimi decenni al di fuori delle c ittà vigevano la più assoluta anarchia cd arbitrarietà. La popolazione più evoluta e più civilizzata finì con il concentrarsi nella sola fascia costiera accentuando la suddivisione originaria del paese. Più a sud infuriava la ribellione berbera, producendosi a sua volta in temibili scorrerie sulle ultime enclavi agricole. Di lì a breve anche da mare si abbatteranno altre incursioni non meno feroci e devastanti. I vandali che nei primi decenni del V secolo erano apparsi minacciosi sull ' orizzonte africano con molteplici razzie navali, vi fecero in-u zione massiccia pochi decenni dopo. L' impero non potendoli contrastare in alcu n modo, nel 435 gli a ssegnò ufficia lme nte il posses s o della Mauritania e di parte della Numidia. In pochi an ni però la sovra nità di Genserico si estese anche al resto del nordafrica, e nel 442 fu giocoforza riconoscerla esplicitamente. In quanto ariani i vandali intrapresero rabbiose persecuzioni contro cristiani ortodossi, non tanto perché tali quanto piuttosto perché minoranza benestante. Prova ne sia che i restanti cristiani eretici non patirono le medesime traversie, e ~on ravvisarono nei barbari dominatori una sig nificativa mutazione, anzi forse ne auspicarono una più equa impostazione sociale. Il nuovo regno rapidamente prosperò e si ingrandì, ma altre ttanto rapidamente si sgretolò all a morte del suo fondatore fram mentato fra gli eredi, in un contesto di riacutizzazione delle ribellioni berbere. Unica eredità, destinata nei secoli futuri a trovare in zona ampia adozione, l' introduzione dell a pratica piratesca quale fonte economica nazionale non marginale: in sostanza pote va rig uardarsi come la variante marittima de lle ran.ie dei nomadi a ncestralrnente connaturali a tutti i nativi . Giustiniano, intorno al 5 33, riuscì alla meno p eggio, per ope ra di Belisario, a recuperare una parvenza di sovranità sul nordafrica tanto da potere, almeno sulle mappe, riproporvi la toponomastica dell'antica provincia romana. La riconquista avve nuta mediante numerosi scontri tra le annate imperiali e il residuo esercito vandalo, trovò i berberi in assoluta neutralità. Il successo bizantino, invece, costi tuì il segnale per la ripresa parossistica della loro guerriglia, soffocala come sempre da spietate repressioni e da indiscriminate rappresaglie. Tale stato di belli geranza e di vacanza di potere concreto si protrasse fino al 647 allorquando le avanguardie arabe guidate da Abd Allah ibn Sad e ntrarono in contatto col territorio berbero. Non ne scaturì una immediata presa di possesso, tanto più che g li anni


Alfieria: La presenza del pas.mto

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successivi non mancarono di dimostrare agli ultimi conquistatori quanto invece fosse ardua e complessa la sottomissione del Magrheb, accenhiandosi di giorno in giorno la resistenza delle indocili tribù. Solo verso la fine del secolo gli arabi pervennero ad una maggiore stabilità di dominio, dopo di aver introdotto la religione islamica che fornirà in breve un inedito ed ottimale supporto ideologico insurrezionale.

Le rivolte a sfondo religioso islamico

Indubbiamente i berberi, co me del resto quasi tutti gli abitanti della regione, si convertirono abbastanza presto all' islam, ma come per il cristianesimo a suo tempo, furono altrettanto rapidamente attratti da una sua particohue eresia, log icame nte invisa agli arabi e quindi perfettamente idonea pe r i ribelli. La pcculiaiità dell'opzione è per molti versi emblematica e sintomatica. L'eresia prescelta, infatti, fu 4uella 'kharigita', caratterizzata da una interpretazione più rigorosa ed intransigente del credo coranico. In particolare secondo tale v isione l'elemento di discrimine tra i credenti si manifestava nel loro ardore mistico e nel loro esasperato puritanesimo, nonchè nell'intima convinzione di un assoluto egual itarismo tra i suoi membri. Più in dettaglio la setta, c he orig inaria mente apparteneva allo shi 'ismo, a sua volta distintosi a partire dal 680 come dottrina eretica, se ne distaccò-il suo nome significa appunto 'separazione' -appena pochi anni dopo. Nella fattispecie: " ... i 'kharigiti': " propriamente detti, cioè quelli che si ribellarono contro l'autorità del califfo 'Alì dopo esserne stati i sostenitori, lo consideravano come un infedele per non aver compiuto quelli che erano i suoi doveri. Per essi, chiunque manchi al proprio dovere o disobbedisca è empio ... " 48_ Come sempre alle spalle della disputa religiosa giocavano contese di potere e di asse llo interno, pe r cui: " ... dura nte q uesto periodo g li Omayyadi s i trovarono a dovere fronteggiare l' imme nso problema della legalizzazione delle conquiste territoriali e della istituzionali zzazione del giovane impero. All ' interno dovettero lottare contro molteplici opposizioni ... di fatto è lotta e guerra civile per il potere supremo, che-ideologicamente-si ammanta di principi re lig iosi e di rivendicazioni leg ittimiste in nome della «vera» religione. Le due fazioni più accan ite sono gli Sciiti ... c i Kharigiti ... l Kharig iti, setta estremista ... ripudiavano .. . ogni legittimismo, e pro-

48

Da T. FAHD, Islam e selle islamiche, in S1oria delle Religioni, Rari 1977, voi. II, p. 933.


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clamavano il califfato accessibile a qualsiasi Musulmano degno, «anche uno schiavo abissino». L'attivi smo e il terrorismo kharigita riempì delle sue gesta cruente gli annali del secolo ... "49. La violenza fanatica dei Kharigiti divenne in breve intollerante persino nei confronti dei me mbri della stessa setta, per cui se uno di loro fosse stato anche soltanto sospettato di peccato: " ... occorreva, dunque, mettere a morte il peccatore, con le sue mogli e i suoi figli. 1àli esecuzioni forzate si c hiamavano isti'rad. Qual siasi musulmano non adottasse la loro dottrina, poteva esserne passibile. Essi esigevano la lapidazione per l'adultera e non per l'adultero. Tagliavano il braccio al ladro, indipe ndentemente dall 'entità e dal valore del ti.Irto. Infine consideravano l'obbedienza al sultano come un dovere, quand'anche avesse ordinato di trasgredire la legge; chiunque gli disobbedisse era passibile della pena di morte ... "50. In definitiva le: " ... varie tende nze del kharig is mo erano in gene re incentrate più sulla politica c he sulla dottrina; dal loro punto di vista quesl' ullima era al servizio della prima ... per quanto 1iguarda la morale coranica e le questioni rituali, i kharigiti, in genere, erano dei rigoristi e elci puritani. Ciò si spiega con il fatto che la maggior parte dei loro capi erano dei le ttori del Corano ... Va subito detto che i vari mov ime nti khari g iti sono stati unanimemente condannali da sunniti e shi ' ili e l' eresiologia dei due campi li ha considerati, fin dall ' inizio, non come semplici dottrine e rro nee, ma piuttosto come delle e resie che poneva no al bando de ll a comunità islamica c hi le aveva promosse e chi le seguiva ... " 51. Di certo, nonostante gli eccessi di quei neofiti fanatici, dall ' avvento della dominazione araba agli ini zi del primo millennio s i può affermare che la: " ... Berberia abbia veramente contribuito in mezzi cd ingegno alla diffusione del verbo del Profe ta da poco appreso . Da una parte i nomadi bellicosi ritrovano nel nuovo dominatore molte delle loro stesse caratteristiche cd associati ad esso partecipano vole ntieri alle spedizioni in Europa che peraltro avevano per gli arabi il vantaggio di rendere sicure le re trovie tino ad allora incerte. I sedentari erano oggetto da parte loro di molte attenzioni arabe e ciò bastava loro per garantirne una certa collaborazione con i nuovi venuti. Da lì a parlare di totale identificazione tra invasori e autoctoni manca molto... come si ebbe occasione di verificare pochi anni dopo ... con l'insurrezione kharigita ... " 52.

4Y

Oa V. FIORANl PtACENTIN I, // pensiero militare nel mondo musulmano. Rom a 199 1,

p. 60. 50 51 52

Da T. FA.HD, Islam.... cit., p. 933. Da T. PATID, Islam... , cil., p. 93 8. Da R, RJ\INERO, Storia .... cit., p. 46.


Algeria: La pre,çenza del passata

:w

Tn realtà il contesto della penetrazione araba fu tutt'altro che agevole. Infatti nel nordafrica: " ... le Ca bilie si popolano a partire dal secolo X, ancor più dall' Xl , dopo la grande avanzata dei nomadi hilaliani. Tra queste montagne di popolamento, antico o recente, la «beduinizzazione» consecutiva alla conquista araba si è estesa come un'immensa inondazione, accerchiando 1e zone alle come il mare accerchia le isole. D'un tratto, in queste zone alte è stata imprigionata una vita spesso arcaica, alcuni elementi della quale (buoi come animali portatori, colture irrigue nelle valli, granai, case da trogloditi in cui si ammassano bestie ed uomini) si sono mantenuti fino ai giorni nostri , o quasi ... "53. Nessuna meraviglia che al profilarsi della ' inondazione' esplodessero le ben note ribellioni incessanti e rabbiose, forti ormai anche di una precisa connotazione religiosa. Tlemencen che rappresentava uno dei caposaldi dell 'eresia divenne, non a caso, il centro della coalizione delle tribù berbere contro il governatorato arabo . Al di là della coloritura confessionale ancora una volta la guerriglia scaturì da una profonda istanza soc iale di tipo proletario, ed in breve coinvolse l'intero Maghreb. Nonostante il successo militare degli eserciti arabi all a fine i kharigiti riuscirono a ritagliarsi alcune vaste aree autonome tra le quali l'Algeria, dove impiantarono alcuni regni. La tolleranza dimostrata dagli arabi in tale circostanza dipese essenzialmente dalla marginalità che nel loro assetto imperiale rivestiva quel territorio per tanti aspetti inospitale, e sempre pronto alla ribellione. La questione comunque per almeno un secolo e mezzo restò sospesa, dopo di che un esercito sciita si incaricò di annientare radicalmente quelle enclavi autono rl)e. Il che ovviamente rinfocolò inuncdiatamcntc la resistenza indigena che avviò una ennesima fase di incessante e spietata guerriglia. Il quadro che emerge, e che si conferma sostanzialmente immutabile anche nei secoli successivi, è quello di tribù certamente bellicose ma incapaci, o non interessate, a costituirsi in una unica entità nazionale o in una più stretta cooperazione autodifensiva, per cui restano sempre faci le preda per ogni conquistatore occasionale, del quale non di rado accettano le più convenienti e le più congeniali innovazioni sia che si tratti di armi, sia che si tratti di rel igione, salvo adeguarle ulteriormente alla propria cultura e tradiz ione. Ma proprio l'affermarsi della sovranità straniera ne catalizza la ribe llione e ne scatena la guerriglia che, pur attuandosi con iniziative autonome e di sarticolate, colpendo un unico nemico si rivela particolarmente efficace e temibile. Eppure lo sche ma estrinsecativo appare sempre identico, ed e lementare, protrailo a tempo indeterminato, dettaglio che ha indot-

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Da F. BRAUDEL, Civiltà .... cit., voi. I, p. 86.


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to i dominatori di turno a sottovalutarne l'efficacia complessiva ed i costi alla lunga insostenibili della repressione. Per la stabilizzazione araba occorsero molti secoli e per determinare una concreta mutazione dei costumi si dovette superare il mille. Infatti : " ... etnicamente parlando, 1' arabizzazi one e l'islamizzazione su grande scala, col globale mutamento del volto e del credo dei popoli nordafricani, si ebbe con le conquiste dei Beni Sulàim e dei Beni Hilàl deU'XI secolo. Queste infatti, nella fusione coi popoli locali, assicurarono agli Arabi e all ' Islam il possesso permanente, capillare e culturale di tale area alla loro civiltà. Area che oggi, da un trentennio, è riemersa a camminare per la sua strada dopo cinque secoli di dominio turco (cui sfuggì solo il Marocco) e oltre un secolo di dominio coloniale europeo ... " 54. In quello stesso periodo si intensificò negli abitati costieri la pratica della pirateria, e quindi della guerra di corsa, a danno dei centri rivieraschi e dei commerci marittimi degli stati cristiani. L'antica introduzione va ndala e la nuova riproposizione araba valsero a determinare la progressiva ascesa della sua perpetrazione da occasionale a sistemalica e spccialislica, propria ùi una vera eonomia nazionale. Alla sua ottimizzazione e diffusione contribuivano sensibilmente, confondendosi, sia la predisposizione genetica per la razzia dei nomadi, sia la precettistica coranica per il 'jihad' . Il termine che attualmente è tradotto senza eccessive sottiglienze come 'guerra santa' in origine definiva lo 'sforzo' che ogni buon musulmano doveva compiere per la diffusione dell'islam e per la sua difesa, nell'accezione pacifica del significato. In breve però l'interpretazione assunse un significato bellico inequivoco sebbene con alquante distinzioni. Nei confronti dei cristiani, in quanto reputati seguaci di una medesima radice teologica sebbene travisata, non sarebbe stata condotta, infatti, alcuna forma di guerra a condizione che a loro volta non avessero combattuto l'islam e ne avessero riconosciuta la predominanza attraverso il pagamento di un tributo. Ovviamente esorbitando la pretesa dalla vigente presunzione di superiorità occidentale, e cristiana in particolare, non riuscì nemmeno a parvenire ai diretti governanti. Pertanto il combattimento con le armi diveniva l'unico jihad per antonomasia, senza nemmeno la necessità di una dichiarazione, o di un formale stato, di guerra propriamente detta, in quanto proprio questa è l'unica condizione normale di rapporto tra le due comunità. Conseguenziale quindi che la pirateria, come la corsa poi, sia stata: " ... uno dei fenomeni più noli, legalo aUa attività musulmana sui mari ... Da un punto di vista giuridico le categorie occidentali definiscono la

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Da G. CHlAUZZl. Africa ... , cit., p. 4 1.


Algeria: la presenza del passato

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pirateria come 'azione violenta privata-anche quando vi si dedicano intere popol azioni-condotta contro navi mercantili di altre popolazioni con le qual i non esiste inimicizia o stato di guerra' ... In un primo tempo Io stesso diritto romano considerò la pirateria un atto di brigantaggio, ma in età med ievale, con l' intensificarsi di tale fenomeno, venne a costituire una violazione contro il diritto delle genti e dei mari, reprimibile non mediante semplici azioni di polizia ma con degli interventi a carattere militare ... Lo scontro ideologico tra il punto di vista occidentale e quello islamico appare evidente rileggendo la definizione sopra citata di pirateria: si parla di azioni violente a danno di popolazioni con le quali non esiste alcun stato formale di inimicizia o di guerra. D'altra parte il Dar al-Islam è per definizione in perenne stato di guerra con tutti coloro che non riconoscono la vera fede. Per i musulmani è quindi lecito aggredire navi di genti con le quali non siano stati stipulati patti di alcun tipo, ed è quindi lecito saccheggiare, rubare, fare prigionieri e ridurre in schiavitù ss. Paradossalmente, mentre l'occidente vide nella pirateria un reato contro la religione e il diritto, l'Islam la integrò, giustificò e legittimò nella sua dott1ina della guerra santa" 56 . l proventi economici della pirateria, e quindi della corsa, contribuirono notevolmente alla prosperità economica di Algeri e dei piccoli centri costieri limitrofi. A tal punto ne contraddi stinsero lo sviluppo che nell'ascesa della c ittà a capitale indiscussa della corsa barbaresca, avvenuta con la sua conquista ad opera del tristemente celebre Karedin Barbarossa, si suole individuarvi la conclusione della lunga parentesi araba. Pertanto:" ... il periodo che gli storici hanno convenuto di chiamare del predominio arabo e che va dal 647 al 1518 riveste per l'Algeria un'importanza c he va ben al di là del semplice «peso» che inevitabilmente quasi nove secoli di presenza debbono

'5 F.' interessante riwrdare circa i tributi conisposti alla reggenza di Algeri, come pure a que lle di Tunisi e di Tripoli in proprorzionc minore, pe r evitarne gli attacchi corsari quanto ribadiva il comandante in capo della Marina da G ueffa de l Regno di Napoli e di Sic ilia, generale Ilartolomei Fortcgueni nella sua relazione, Propos/a di Cam11ag1w marittima, Napoli 4 febbraio 1798, p. 3: " ... Se le Ma rine di Guerra ha.1·1as.1·ero per a.uù:urare il Commercio contro la Rarheria con cor~·eggiare solammte, le Nazioni le più rigua nlevoli in Vl'Ce di pagare enon ni tributi a quelle Reggenze, annerebhero un numero di bastimenti, e metterebbero al coperto i loro legni mercantili, ma una hm[ia esperienza, ed i più giusti calcoli avendo fatto ad esse conoscere, che la Guerra contro una Jòlla di Pirati non ammette buon successo, hanno dovuto sempre risolversi a comprare la l'ace per non disonorarsi ùwtilme/1/e con la Guerra. Questo hanno fallo le prime Poten ze, hem:hè alcune di esse distanti due o tre mila miglia dalla Barharia, e henchèfl,.uem in !empi, in cui la Rarharia appena mandava in mare quLilt:he .w:iahea:o male annato... ". 16 Da G . LJG IOS, Jihad (guerra santa= ) conflitto armato ?, in, Il pensiero milita re musulmano, Roma 199 1, pp. 73 e sgg.


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avere. Anche nel primo periodo araho ... che non vede l'attlusso in Berberia di quelle vasle migrazioni che cambieranno nel corso del secondo la :fisionomia etnica del paese, l'apporto degli arabi e della loro civillà è incomparabilmente più importante di qualsiasi altra invasione precedente o successiva. Gli arabi arrivando nel paese vi apporlano tre elementi fondamentali e permanenti ancor oggi riscontrabili: una lingua (l'arabo), una religione (l'Islam) ed un ordinamento sociale ed amministrativo (coranico) ... " 57_ In realtà, come già accennato, il 'peso' degli appor6 fu sempre ridimensionato dalla riluttanza indigena a lasciarsi passivamente integrare. Certamente lo stabilirsi nell a reg ione in numero considerevole dei colonizzatori arabi mutò non solo la suddivisione etnica ma anche la cultura precipua che valse ancora una volta a scindere la popolazione in diversificate componenti, che finirono per sostituirsi alle precedenti , senza tuttavia eliminarle. Del resto tanto g li arabi, come poi i turchi, si gua rdarono bene dal favorire l'eliminazione di tali discriminazioni razziali , contraddicendo in ciò espli citamente la precettistica coranica 58_ Quanto poi all'introduzione dei basilari tre elementi, non sarebbe del tutto arbitrario scorgervene anche un quarto: l' istigazione alla controguerra di corsa da parte cristiana, quale risposta militare alle iniziative razziatorie arabe. Le tante operazioni anticorsare attuate dalle potenze occidentali nell ' arco di quasi sette secoli, ebbero per il nordafrica e per la fascia costiera algerina esiti sociali durissimi, non applicandosi alcuna differenziazione tra corsari propriamente detti e popolazioni indigene, reputate comunque coinvolte. Sebbene la finalità prefigurata, ovvero l 'annie ntamento del sistema corsaro e delle sue basi, non fu mai conseguita irreversibilmente gli attacchi anfibi , con effimere occupazioni ed orrende rappresaglie, inframezza6 da bombardamenti navali e spedizioni punitive, si succedettero con serrata scansione, infliggendo sempre ri levanti perdite tra i civili 59_ Oa R. RAJNERO, Storia ..., cit., p. 64. Ricorda B. LEWJS , Razza e colore nall'is/am., Milano 1975, p. 38: "A tutta prima arabi e musulmani erano la stessa cosa... Tuttavia, man mano che le conversioni all' Islam procedevano assai rapidameme tra i diversi popoli conquistati , finì con l'esistere una nuova classe-i non arahi convertili all'Tslam-... Secondo le dollrine dell'Islam, ripetutamente ribadite dai pii esponenti della fede, i convertili non arabi erano pari agli arahi e potevano persino prevalere su di essi con la maggiore religiosità. Ma g Li arabi, come lutti gli altri con4uis1a10ri prinm e dopo di loro, furono riluttanti a concedere l'uguaglianza ai conquistati, e tinchè poterono, mantennero la loro posizione privilegiata. l musulmani non arabi erano considerati inferiori e assoggettati a una serie di disparità di trattamento fi scali, socialj, politiche, mi litari e via dicendo.... ,. S9 Non a ca~o Il. PORTEGlJERRT, Pmposta... , cit. p. 6 sosteneva, essendo peraltro una pratica ricca <li dimostrazioni: "I.a seconda ma niera di attaa:are i porti della Barberia è il sislema di bombardamento marittinw; questo non espone alle perdite d'individui come negli ~·barchi, è di facile esecuzione, può ripetersi più volte l'anno, ed è di mediocre spesa, ma l'effetto è spesso ridicolo, e quasi sempre inutile... ". TI che non signifio iva arfatto innocuo per la popolazione civile! 57

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Algeria: La presenza d PI pas.l'ato

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Quanto tale ipoteca esistenziale sia stata condizionante ed alla fine stravolgente, lo dimostra che persino la conquista francese di AJgeri del 1830, altro non fu che la conclusione di quell'esigenza. Sotto il profilo strettamente cronologico la fase più virulenta delle razzie barbaresche si avvia nei primi decenni del XVI secolo, sull'onda emotiva della conquista di Costantinopoli e del dilagare deJle armale sultanili in Europa. Della crescente minaccia se ne ebbe una perfetta valutazione in Spagna contestualmente a ll 'esaurirsi della liberazione della penisola dalla presenza musulmana.

Prodromi del colonialismo moderno Il 6 gennaio del 1492, Ferdinando ed Isabella varcarono trionfalmente le mura di Granada, ultima roccaforte musulmana di Spagna, ormai arrcsasi alle armi cristiane. Sembrò così che la interminabile crociata fosse finalmente giunta alla conclusione dopo ben sette secoli di lotte incessanti . Tn breve, però, fu chiaro che tanto la fascia costiera mediterranea, quanto l' arca montuosa interna, apparivano estremamente esposte a prevedibili razzie. La vittoria, infatti, appena conseguita non aveva ancora potuto trovare sul piano civile un 'adeguata gestione. Sia i mori riparati in nordafrica sia quelli rimasti in Spagna, rifugiatisi tra le montagne, costituivano per la corona una crescente preoccupazione. Dai primi si temevano ritorni ve ndicativi, dai secondi banditis mo e guerrigl ia. Soprattutto quest' ultimo timore, appariva di gran lunga più concreto e potenzialmente più destabilizzante. Non mancavano, peraltro, già numerosi cd emblematici riscontri , di incursioni avviate dall'opposta sponda dai musulmani locali con l'aiuto e la guida di quelli regni.coli . La eccessiva esposi7.ione delle locali tà costiere divenne da allora l' incubo della corona. Non s i trattava di una immotiva angoscia, poichè: " ... la Spagna moresca e l' Africa settentrionale moresca che avevano fruito per tanto tempo di una sola civiltà si erano trovale d'un lraUo e per imposizione esterna divise. Temendo una collusione tra i mori africani e quelli spagnoli, renitenti ad accettare la nuova frontiera, Ferdinando ed Isabella fecero di tutto per proteggerla e a lai fine costruirono torri cli guardia lungo la costa andalusa e insediarono diverse guarnig ioni costiere ... » 60_ 11 problema dell a presenza moresca nella Spagna cristiana era stato di lunga e difficile soluzione, tanto che I' epilogo si conseguì soltanto tra il 1609 cd il 1614.

r,i D a J. H. ELLICYl· r, /,a Spagna imperiali! 1469-1 7 /6, Holog ua 1982, p . .53.


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E si trattò di una antesignana forma di pulizia etnica, e Io: " ... si fece innanzitutto perché il Morisco era restato inassimilabile; lo si fece non per odio di razza (che da questa lotta sembra quasi assente), ma per odio di civiltà e di religione. E l'esplosione dell 'odio, l'espul sione, fu la confessio ne della sua impotenza; la prova che il Morisco, dopo due, tre secoli, a seconda dei casi, era restato il Moro di un tempo: costume, religione, lingua, case sprangate, bagni, aveva conservato tutto. Si era rifiutato alla civilità occidentale: qui sta il punto essenziale del contrasto 61. Non cambiano niente le poche e brillanti eccezioni , sul piano religioso, o il fatto innegabile che i Moriscos delle città adottavano sempre più il costume dei vincitori. Il Moriscos era restato legato col cuore a un mondo imme nso, che si estendeva, in Spagna lo si sapeva, fino alla lontana Persia, con case e costumanze e con credenze identiche 62. Tutte le diatribe antimoresche si riassumono nella dichiarazione del cardinale di Toledo: sono «veri maomettani , come quelli di Algeri». E su questo punto, si può rimproverare al cardinale l'intolleranza, non l' ingiustizia. Lo provano le risoluzioni proposte dai membri del Consiglio. Si trattava non di distruggere una razza odiata; bensì dell 'impossibilità di conservare nel bel mezzo della Spagna un irriducihile nucleo islamico. Allora? O sradicarlo con un sol colpo, eliminando il sostegno stesso di ogni civiltà, la materia umana: era la soluzione che fu adotaHa. Oppure ottenere ad ogni costo l'assimilazione, che il battesimo forzato non era riuscito a portare a compimento. L'uno proponeva dunque di conservare soltanto i fanciulli, materia malleabile, e di favorire la partenza degli adulti verso la Barberia, purchè avvenisse senza chiasso. L'altro ... pensava che bisognava educare i fanciulli alla cristianità, gli uomini dai quindici ai sessanta anni sarebbero andati alle galere, le donne e i vecchi in Barberia ... Tra tutte le soluzioni la Spagna scelse la più radicale: la deportazione, lo sradicamento completo della pianta dal suo terreno ... " 63. La conquista di Granata si riguardò, pertanto, non diversamente dcùl'acquisizione di un ennesimo caposaldo musulmano, posto sulla sponda di un fiume di notevole larghezza fungente da temporanea frontiera tra le due etn ie. Sull'altra, purtroppo però, restava sempre intatta e minacciosa la potenza nemica pronta ad approfittare di qualsiasi ribellione, o debolezza, interna per attaccare. L'unica maniera quindi per stornare radicalmente l'incombente minaccia sarebbe consistita, non tanto nel chiudere la costa con merito cfr. F. RRAUDEL, Civiltà ... , cit., voi. TT, pp. 826-45. Circa un primo wntallo con l'architettura rimastaci di que l mondo moresco cfr. G. GOODWIN , Spagna islamica, Milano 1992, pp. 11-30. oJ Da 1-'. BRAUDEI, Civiltà ... , cil., voi. Il, p. 843. 6 1 In

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opere fortificate quanto, piuttosto nell'eliminare completamente innanzitutto i mori di Spagna e poi quelli nordafricani. 11 che significava in ultima analisi continuare la crociata, e soprattutto estenderla al di là del Mediterraneo. In pratica la prima parte del programma ebbe l'avvio già nel 1493 quando, con intuibili metodi persuasivi, moltissimi musulmani vennero 'convinti ' a lasciare la Spagna. Di lì a poco la permanenza dei restanti fu subordinata alla conversione, spesso eseguita forzatamente in massa con un corollario di abiezioni e crudeltà ripugnanti. L'odiosa imposizione, cd era facilmente prevedihile, innescò violente rivolte e incessanti ostilità. Per quanto prontamente represse parvero confermare la sensatezza della paventata aggressione de i mori nordafricani e la non procrastinabile attuazione della seconda fase del programma . Ma quell a anacronistica crociata entro quali limiti si sarebbe dovuta estrinsecare ed, in particolare, a quali effettivi traguardi ambiva? La visione più radicale prospettava una conquista militare pennanente del nordafrica da Gibilterra alla PaJestina. La più pragmatica, invece, contemplava una semplice riapplicazionc della strategia della riconquista, ovvero il controllo territoriale dell a sola fascia costiera attraverso l'imposizione di numerosi presidios. Nel 1494, auspice la benedizione di Alessandro VI , e l'istituzione di una immancabile tassa destinata a finanziare le operazioni militari, se ne intraprese l' attuazione. l risultati, per la verità, apparvero suhito estremamente modesti, limitandosi alla conquista del porticciolo di Melilla nel 1497. Nel 1499 in seguito ad una ennesima ribellione dei mori in Spagna, ai quali si applicò la conversione coatta, si dec ise di incrementare la campagna nordafricana, ravvisandosi ormai solo nel successo militare la soluzione finale del secolare prohlema. La stessa regina Isabella ne divenne la fanatica fautrice ed alla s ua morte nel 1504 il Cisneros, arcivesco di Toledo, già fervente ispiratore, ne raccolse l'eredità propulsiva istigando incessantemente il sovrano a concretizzare l' estrema volontà della consorte. Un apposito corpo di spedi zione si destinò all'impresa nel 1505 e la rapida conquista di Mers-el-Kebir confermò se non altro la praticabilità del programma. Seguì quindi nel 1509 l'occupazione di Orano, successo che lungi dal placare le richieste del Cisneros, sembrò ulteriormente acutizzarle. Ma la linea strategica del sovrano si era vistosamente allontanata da quella dell'alto pre lato intervenendo nella divaricazione inedite ambizioni imperiali. Ferdinando infatti, coinvolto nelle guerre europee con la Francia, in particolare in Italia, riguardava il teatro nordafricano, nella migliore delle ipotesi, come un settore secondario, assolutamente incapace cioè non solo di generare ricchezza ma persino di remunerare strategi-


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camente le spese delle campagne, per cui forse: " ... soltanto le preoccupazioni dell'Aragonese, troppo tentato dalle ricchezze dell ' Ital ia, impedirono alla Spagna di impadronirsi del retroterra marocchino. Ma l' occasione perduta non si ripresentò mai più ... " 64. Il massimo impegno pertanto concesso fu l'impianto di un a catena di caposaldi fortificati, che ribadendo la potenza spagnola, avrebbero fru strato, almeno secondo la logica ricordata, future azioni ostili contro il territorio metropolitano ad opera di corsari, la cui aggressività cresceva rapidamente. In s intesi: " ... il motivo più ovvio per spiegare come mai gli spagnoli non riuscissero a mettere effettivamente piede ncll' Africa settentrionale va ricercato nei troppi impegni che essi dovevano sostenere altrove. Ferdinando, Carlo V e Filippo II furono tutti e tre assillati da altri problemi utgenti per poter dedicare altro che una episodica attenzione al fronte africano. Ma quella mancata occupazione de ll 'Africa costò molti ssimo, basti pensare al riguardo all'accresciuta potenza dei corsari in tutto il Mediterraneo occidentale. Tuttavia, a ben guardare, la natura dei luoghi e la scarsità numerica delle forze spagnole ebbero il loro peso ne l rendere comunque impossibile un'effettiva occupazione spagnola. E' anche lec ito supporre che le formidabili d ifficoltà natu rali non sarebbero state insuperabili se i castigliani avessero portato e fatto la guerra in Africa sellentrionale in modo di verso. Infatti, furono inclini ad impostare quella guerra come se fosse la semplice contin uazione della campagna militare contro Granada. Ma questo significava che, come già nella reconquista, pensavano di agire con spedizioni di razzia col fine di saccheggiare i luoghi invasi e di stabilire in essi dei presidios, ossia guarnigioni di fro ntiera. Non ci fu allora nessun piano di conquista totale, nè venne approntato alcun progetto di coloni zzazione. La parola conquista a li' orecchio de l castigliano significava sostanzialmente l' impianto di una «presenza» spagnola e cioè l'occupazione di posti fortificati , la soddisfazione di pretese rivendicazioni, l'acqui sto di una signoria su una popolazione sconfitta. Questo modo di fare la gue rra, già provato e collaudato nella Spagna medievale, venne ovviamente adottato anche nell' Africa settentrionale, anche se la natura dei luoghj e altre circostanze dovevano far dubitare fin dall'inizio della sua positiva efficacia. E poichè il paese era ingrato e il bottino de ludente, l'Africa, al contrario dell'Andalusia, fu poco allettante agli occhi dei combattenti, più preoccupati di ottenere ricompense materiali alle proprie fatiche che il premio spirituale promesso dal Cisncros. Quindi, l' entusiasmo per la guerra in Africa si afflosciò ben presto e le conseguenze

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F DRAUDEL, Civiltà ... , cit., voi. II, p. 908.


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militari di tale illanguidimento furono quelle che ci si doveva attendere ... Proprio in Africa il modo di fare la guerra di crociata, così come era stato praticato dalla Ca<;tiglia medievale, si dimostrò inadatto... » 65. Finirono pertanto ' presidiate', ne l 151 O Buda e Tripoli di Libia, nel 1511 Tenes, Dellys, Cherchel, Mostaganern, e quindi l'isolotto dinnanzi ad Algeri, detto ' Penon', ed altre località ancora negli anni immediatamente successivi. Disgraziatamente Ja soluzione si rivelò ben presto non solo strategicamente inadeguata ma addirittura controproducente. La presenza delle fortezze spagnole, e delle loro guarnigioni, incapac i di controllare il territor io, provocava invece i barbareschi, determinandoli quasi a riscattarsi dalla umiliante imposizione fornendogli, in ultima a nalisi, quella concordia d' intenti che non apparteneva, se non sporadicamente, alla loro tradizione. Per i ' presidi ' significò la più assoluta segregazione e per i loro uomini il più inumano dei soggiorni, infatti la: " ... vita dei presidi non poteva non essere rniserahile. Nei pressi deH' ac qua, i viveri imputrid iscono, g li uomini llluuiono di febbre; il soldato alla lunga muore di fame. Per molto tempo il rifornimento avvenne per mare; poi , ma solamente ad Orano, il paese circostante fornì carne e grano, apporto che divenne regolare sulla fine del secolo. Le guarnigioni vivevano dunque generalmente come equipaggi di navi, non senza rischi ... " 66. Se mai l'elemento indigeno, o comunque musulmano avesse avuto bisogno di una materializzazione evidente della presenza militare infedele in terra m usulmana-estrema provocazione per qualsiasi sia pur tiepido credente-quelle fortezze, quei presidi potevano ahbondantemente fornirglielo cd infatti agirono non solo da eleme nto unificante ma anche scatenante per una generalizzata ostilità. Trovato un indiscutibile movente i barbareschi difettavano soltanto di uomini capaci di saper condurre e coordinare la rabbiosa inte nzione di eliminazione. ln breve comparvero, sempre però di origine straniera sebbene di fresca conversione all' islam. Dove l'anarchismo indigeno tante volte aveva fallito, il pragmatismo dei rinnegati e bbe facile gioco, ed ovviamente non si limitò aHa pura espugnazione della fortezza. infatti: " ... la costituzione degli stati barbareschi fu promossa da pirati , quali furono i frate lli Arug e Khair ed-Din Barbarossa, già istallatisi nell'ospitale isoletta di Gerba quando, nel 1516, decisero di opporsi ali ' azione spagnola tendente a stabilire una linea di presidi for tificati lungo la costa nord-africana. Appoggiati da una potente squadra navale, essi assunsero subito il controllo

65 66

J. H . ELLIOIT, La Spagna imperiale..., c ii., pp. 58-59. Ua F HKAUDFL, Civillil ..., c it., voi. Il, p. 914.


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di Algeri e delle regioni contennini , spingendosi in breve fino a Ténès e Tlemcen, della quale Arug si proclamò signore ... "67. La rapida acquisizione non deve stupire eccessivamente tenendo presente sia che gli abitanti erano costante mente divisi: " ... in piccole fazioni isolate a fondo speculativo, e s ia infi ne pe rché chius i nelle città, lontane le une dalle altre. Di fronte a questa situazione d' a mbiente sociale non è difficile spiegarsi come un nucleo piccol o, ma organizzato, di predoni e di corsari riuscisse a conquistare e ad opprimere ... Igli] algerini. L' assoluta mancanza di organizzazione, e quindi di coesione, facilitò, a nzi, si può dire, reclamò l'inte rvento e la conquista turca, e ancora una volta dimostrò come l' antagonismo dapprima e l' anarchia poi ... rendano i popoli africani meno forti di quanto potrebbero essere, e quindi meno difficili ad essere soggiogati ... " 68. Comunque per: " ... della gente di ma re, l' impresa era indubbiame nte ardua, soprattutto era arduo ma nte nere, da soli, il controllo d' un territorio sempre più vasto e sempre più inte rno, minacciato dalla duplice reazione degli eserciti cristiani e degli abitanti musulmani , arabi e mori , i quali ... ben presto avevano cominciato a ribellarsi ai nuovi venuti_. .. "69. Infatti, la reazione degli indigeni al colpo di mano, esauritasi la tradizionale iniziale accettazione e costata ndosi l' insediamento di un ennesimo dominatore, non si era fatta attende re. Che poi questi ultimi fossero musulmani invece c he c ristiani contava rela tivame nte poco: restavano comunque dei dominatori. Così circa un secolo dopo un diplomatico veneziano rieostrnì, in base alla tradizione locale, la vicenda: " .. . Era allora Algeri, di Africani o Mori, predominato da un casLcllo Spagnuolo fabbricato dirimpetto sovr" uno scoglio distante un tiro d' Arcobuso, et astringeva i Mori a render riverenza et a riconoscer la superioriLà. Capitati i predetti quaranta bergantini Ibrigantini] alla spiaggia d' Algeri e dato ivi fondo, si trasferirono alcuni delli corsari sotto la Città a pigliar rinfrescamenti e videro che nelli mercati li Spagnoli erano anziani. Parse loro da strano che li discendenti d' Ismaele, Arahi Aga.reni 70, primi Mahometlani,

67 Da C. MANCA, Il modello di sviluppo economico delle città marittime barbure.w:hl" dopo Lepanlo, Napoli 1982, p. 11 . 68 Da E. GAIANT, La conquista del/'i\lgeria, estrailo dalle Memorie Sloriche Militari, fase. 3° 19 13, p. 13. 69 Da C. MANCA, Il modello ..., ci t., p. I I. 70 Gli arabi in quanto di scendenti , secondo la tradizione biblica da Ismaele, fig lio di Agar, si sarebbero propriamente dovuti c hiamare 'Agareni '. Ma essendo Agar la schiava di Sara pe r una sorta di orgoglio e tnico si definirono invece ·saraceni '.


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fossero soggiogati da Christiani e, ritornati alli bergantini, raccontarono alli compagni quanto videro nella Città. Dispiacque a lutti I' oppression della sua setta e tutti discorsero di prender il Cas;lello, ma con astutia di questa sorte. Andati alquanti Turchi Corsari dentro d' Algeri trovarono una rissa colli Spagnoli. Pervenuta la nuova al Castello, tutti saltarono fuori et li bergantini, conferi tisi al Castello rimasto senza li soldati 7 1, l'acquistarono immediate. Non fermati là i Turchi volsero montar uno scalino e, favorito un Tribuno de' Mori, di quatro che reggevano Algeri tagliarono gli tre a pezzi et alfine sottomi sero anche il quarto, et occupata la fortezza si fecero patroni assolu ti d' Algeri. Spedettero tantosto al Re, Sultan Selim, per dar nuova dell'acquisto e per ricercar Capo che governi. Fu mandato un Ba-;sà per Vicerè et un Cadì per giudice, colli quali concorse moltitudine di Turchi. Si come è stato Algeri parto di Corsari, così da Corsari è noLrito et alJevato ... " 72. Nella s intetica e minuziosa rico struzione si scorgono abbastanza nitidamente due distinte fasi nell'avvenlo ad Algeri degli ultimi, particolari ssimi, conquis tatori. La prima che s i apre con la loro allibita costatazione della vergognosa sottomissione ag li spagno li e si conclude con la presa della rortczza, probabilmente dopo un a azio ne meno romanzesca ed inc m enta. In questo arco non sembra affatto credibile l'assolula passività de lla popolazione, schierata sull a s piaggia in veste di inerte spettatrice. Appare, invece, molto più veros imile un attivo coinvolgimento di tanti algerini c he finalmente potevano contribuire ad a nnie ntare gli odiati infe deli . Presumibili pure i festeggiam enti per il gra ndioso successo e g Ji onori resi ai fautori dell'impresa. Ma proprio da quel momento i rec iproci

11 La scarsità de i soldati era tradi zionalmente abituale in tulli i presidi spagnoli. C irca la vicenda O. DE I !AEDO, Dc la caJ>livitè a Alger; rist. Algeri 19 11 , pp. 2 1O, ne da una versio ne co mpletamente di versa e ce1tamentc più atlcndibile. In effetti nell' anno 15 16 Aroudj narharossa cannoneggiò per venti giorni il forte inutilmente, dopo essers i già impossessato de lla città, avendone tra l'altro ucciso il legittimo so vrano. Nel 1530 suo rrate llo Khair-ed-Din ne ritenti) l' impresa, questa volta con successo. Il cannoneggiamento durò comunque 15 giorni : solo 200 spag noli agli ordini d i Martin dc Vargas presidiavano il forte. Il 2 1 maggio, ape rtasi una breccia, cd essendo per le perdite d iminuito considerevolmente il numero de i difensori, il flarbarossa o rdinò ai suoi, ol tre un migliaio d i uomini più un nume ro imprecisato d i mori, di assaltarlo. De i difensori ne sopravvissero so ltanto 5 3, tutti più o meno reriti , tra c ui il comandante, che venne fatto uccidere a bastonale dal l3arharossa. Tra i prigionieri vi e rano anche tre donne de lle quali due risultava no anco ra viventi allorquando l'Haedo stava schiavo ad Algeri, tra la fine del XVT e l' inizio del XVll secolo. La prima era divenuta la suocera del pascia di Alge ri del 1574, la seconda a sua volta la suocera di El-Hadi Moral e quindi la no nna di Mouley Malec re di !-<'e s e del Marocco. li c he significa c he durante la schiavitù dovettero rinnegare e sposare qualche rais locale . S ulla prassi cfr. F. RUSSO, Guerra di Corsa, Roma 1997, tomo il. 72 G. B. SALVAGO, Afrirn overo Barbaria, relazione al doge di Venezia sulle Reggenze di Algeri e di 7ìmisi del dragomanno Gio. Balla Sa/vago (1625), A cura di/\.. S/\.CEROOTI, Padova 1937, p. 55.


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rapporti dovettero iniziare a dete riorarsi rapidamente, non manifestandosi nei ' liberatori ' alcuna intenz ione di restituire all a c ittà la fortezza. La seconda fase inizia, infatti, con la palese intimidazione costituita da l1' ucc is ione dei governanti a lge rini e si es aurisc e con l'arri vo da Costantinopoli di un pascià reggente, di _un alto magistrato e di un contingente militare: inequivocabili riscontri dell 'avvenuta acquisizione di sovranità ottomana. Ed anche in questo contesto è coerente ritenere che tra i due estrenù, separati certamente da alcuni mesi almeno, i corsari abbiano sostenuto asserragliati nella fortezza, e protetti dalla loro flotta, il furore popolare intenzionato a scacciarli per rig uadagnare l' indipendenza. La rievocazione ufficiale, que lla riproposta dal veneziano, però ha ormai eliminato tali importanti dettagli , assurgendo pertanto a conferma implicita della vigente emarginazio ne dei nativi dalle sorti dell a città e del loro ruolo a ssolutamente suhordinato e discriminato nell'ambito del successivo assetto istituzionale. Alf?eri, capitale della corsa

Algeri subito dopo la conquista de l Barbarossa diviene il ce ntro di convergenza di tanti avventurie ri del mare, di qualsiasi nazionalità e fedeche peraltro prontamente rinnegano 73 per abbracc iare, con quanta convinzione è immaginabile, l' islam-attratti tutti dalla dilagante fama di fac ili fortune e strabilianti carriere. E per l'ennesima volta nel corso dell a sua storia la città ed i paraggi divengono lo scenario di una straordinaria sperequazione etnica, che la pratica parossisti ca dell 'ec onomia schiavista incrementa incessantemente. Per i corsari , la cui posizione sociale, economica ed esistenziale ascendeva, anno dopo anno, il mante nimento dell 'ordine pubblico interno e soprattutto limitrofo alla città divenne la principale preoccupazione. Dal retroterra meridionale l'intollera nza berbera montava continuamente e le puntate offe nsive si moltiplicavano. Nonostante ciò la discriminazione verso l' elemento indigeno, anche sede ntario o cittadino, non mostra attenuazioni o deroghe. Paradossalmente nelle c ittà-stato corsare barbaresche, erano proprio gli autentici barbareschi ad essere emarginati . Non mancavano, per la verità, alcuni indigeni che in qualche maniera avevano saputo ritagliarsi posizioni econonùchc e ruoli soc iali significativi ma rappresentavano la classica eccezione che confermava la regola.

73 Sul dramma dei rinnegati efr. e L. RENNASSAR. / c ristiani di Allah, Milano 1991 , pp. I l- 16 relati vamente al problema in gene rale e l'intero volume per le vicende singole.


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La realtà dirigenziale in breve cristallizzatasi vedeva il ruolo produttivo, le razzie sul mare, saldamente nel1e mani della cla<;se corsara ed altrettanto saldame nte in quelle delle classe turca i compili militare e diplomatico, ovvero la difesa del territorio ed i contatti esteri per la riscossione dei riscatti. Nessuna delle due compone nti vantava origine locale, e spesso nemmeno turca, o musulmana, propriamente detta. I conligenti gian ni zzeri destinati ad Algeri, infatti, per tradizione venivano formati con ragazzi sottratti alle popolazioni cristiane sottomesse, soprattutto nell 'area balcanica 74. Quanto ai corsari rappresentavano a loro volta letteralmente una accozzaglia di avanzi di galera, provenienti da tutto l' universo criminale mediterraneo. Pur essendo l'accesso ai ri spetti vi ranghi ufficialmente aperto per c hiu nque mostrasse l'intenzione e l'attitudine, s ia pur minima, di farne parte-specie se di provenienza occidentale o cristiana-agli indige ni era rigidamente precluso. Pe r di più sug li stessi, c ittadini, contadini o pastori, gravava una pesante imposizione fiscale destinata al mantenimento dcl1' apparato militare, che se ne incaricava dell'esezione. Eccone una testimonianza nella relazione del Sal vago: "Le militic Barbaresche non sono tanto maritime che non s'applichino anco alla terra poichè, armate, hostilmente scorrono quelle campagne ad cssiger tributi da gli Arabi, e se bene gli Arabi. che sono i signori legitimi del paese, non vogliono compatir il giogo, i Harbareschi però rnlla forza li domano e scodano [riscuotono I i suoi conti e decime; altrimenti, ritrovandosi fuori in tempo del raccolto, da.imo fuogo alle biade e fanno ogni violenza ali i reni tenti. " 75 .

Circa il termine ' barbaresco' lo stesso relatore precisa c he non definisce affatto la nazionalità ma semplicemente la reside nza: "Chiamansi i corsari dalla provintia habitata Barbareschi, ma in effetto son una massa cl una masnada di molte razze e generationi. Gli originarii furono Turc hi e questi istituirono una nuova militi a di Uianiceri in Barbaria ordinando che, da Mori, Cingati et Ebrei fuora, fossero anm1esse tutte le Nationi. Così s'osserva e, quanti Turchi fiano per la Turchia malfattori , violatori, homicidi, assassini, truffatori, falliti, vagabondi e raminghi, tutti al fine calano in Barharia come feccia al fo ndo, cl è perciò la Barbari a una sentina cl una cloaca dell'Impero Ollomano. Questi tali turchi s'augimenlano e s'affinano colli rinegali, e li rinegati sono di tre generi: volonta-

74 Sull 'argomenlo cfr. F. RUSSO, / turchi e la dispora albanese, /996. Roma 1998, pp. 5-83. 75 Da G . B. SA LVAGO, l\(ric:a... , cit., p. 67.

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rii, sforzati e !'alti da piccolini, tulli accettati nell' ordine di quei Gianiceri Barbareschi ; e, tanti a rinegare andassero, come a tutti, si dà tosto accetto nella militia ... " 76.

Non era il solo a descrivere la società corsara ed il loro stato in tal modo. Tn una relazione di un religioso facente parte di una missione redentorista 77 ad Algeri, già mezzo secolo prima così venivano descritti : " ... g li necoti i di questa terra in tutto perssi per Lanti asassisnamcnli c non siatene meravigliati signori poichè questi primariamente comandano sono gli Taniceri che sono gente di tutte le più harbare regioni gli più scelerati huomni di gran parte di essi sono fuggiti dalle loro patri per misfatti loro e parte levati dal remo e parte presi in qualche montagna di Corsica e di Sardegna persone vilissime che capitando in questo loco di malcdittione si sono posti alla paga de Janiecri e con questa commeLLono scelerataggini tali che meraviglia è che non s'apra la Lcrra e non gli inghiottischi, quelli di terra sono barbari I barhareschi), questo per sapere che persone siano , g li altri che escono al mare sono corssari più non si può dire in perfettionc d'huom ini tristi e rinegati, pigliate mo' signori tutta questa gente che so no di tutte le lingue e natio ni del mondo e fatene un mcscuglio che troverete che questa terra e ièl la fezza [feccia I di tutte le tristitie del mondo... quasi la bocca di Lucifero ... 20 aprile 1588" 78.

Quanto al governo di una tanta etercogenea accozzaglia, precisava iI Salvago: "Quei che assistono al governo politico son Turchi nativi, e li rinegati attendono al corso et a comandar vasselli. I turchi son condotti in Harharia da lli Bertoni corsari che pigliano port i a lla Morea, per le isole dcli' Arcipelago, a SctLilia nella Caramania, in Cipro et alle scale del Cairo, in tutti li quali luoghi è sempre chi a.~petta et attende per passaggio gli Bcrtoni corsari. Alcuni, dopo d 'haver corseggiato un pezzo con caicchi in Levante, duhitando scoverti d' esser colti, si ricovrano col proprio caicchio o fusta in Barbaria; altri passano coll ' andata dei nuovi Bassà e di Caramussali Costantinopolitani che, per mercantia, portano legname del mar Negro e ferramenta in Barbaria. Li Turchi Asiatici, spacciati in Costantinopoli per rozi e rustici a paragon d'Europei, cimentati questi da gli Ottomani per valorosi e quelli per vili, non sono per ciò alla Porta ammessi, né tra le militic né tra li Ministri, in Barharia, Da G. B. SALVAGO, Africa..., cit., p. 77. Su trintera vicenda cfr. F. RUSSO, Guerra ... , cit., tomo LI. pp. 343-346. 7R Arc hivio Segreto <le i Vaticano, Fondo <lei Gonfa lone, mazzo G , f 22 1. 76

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con tuttociò, avendo maggioranze e permincnze . D a tale differenza si può credere che nasca in Turchi Barbaresc hi un odio intestino colla Porta Ottomana loro ripudiatricc, e però, abbandonando i Turchi le natie capanne e l' aratro, corrono in fretta a nobilitarsi in Barbaria ove possono con More accasarsi cl i suoi figli detti Culogli, cioè figli di soldati, subentrano al Padre ma, per la correlatione della madre Morn, come spurii in un certo modo e degeneri, non sono pregiati quanto i rincgati et i Turchi primitivi. Questa mistione di rinegati e Turchi fa una tertia spetie di Turchi che parlano in Italiano e Cm, Ligliano. Li rinegati non capiscono la non vista grandezza Ottomana e li Turchi non aspettano da quella né honori né cariche, onde non è meraviglia se mancano di obcdicnza effettiva, in bocca sol professata... " 79.

Ecco così precisarsi le condizioni di discriminazione a cui gli indigeni finirono sottoposti dalla nuova classe dominante. Eppure notava ancora il rel atore: " I popoli arabi sono veramcnti tanti che di gran lunga potrebbero mandar in perditione li Turchi suoi tiranni, ma tra loro non sono uniti per la molteplicità di signorotti nelle sue progeni e divise c separate di sito e di parere. Pur talhora si concoradano alcuni di far fronte alle squadre turchesche e si vagliono [avvalgono], per antimu rale [prima difesa! all' archibuseria, di truppe di cameli che, punti e spinti addosso lai I Turchi, rompono la loro ordinanza dando campo all a cavalleria Araba di mal trattarli ... "so.

Ancora una volta emerge alla spalle della permanenza di una dispotica e tirannica minoranza straniera la deleteria ed insormontahile frammentazione sociale berbera, e la sua conflittualità intertribale. Emerge pure un chiaro riferimento ad episodi di scontri campali con le milizie turche condotti dalla cavalleria indigena. Circa poi quelle milizie continua il nostro relatore: "Algeri manda in terra ferma Lovvero nel suo retroterra meridionale] tre squadre: una in Levante, l'altra in Ponente e la terza a mezzogiorno Jvale a dire verso i tre punti cardinali essendo il qua1to il fronte a marci; la prima è la maggiore, di ottocento Gianiceri incirca con altrettanti Mori circonvi cini obbligati a marchiar Lmarciar] con loro a piedi et a cavallo per guardia e retroguardia ... chiamasi questa militia Moresca con nome Moresco Zova Jzuava] ... Algeri n' havcva da quattro mille ... " 81 .

Quale potesse essere lo stato d'animo e la condivis ione di tali campagne

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G. B. SALVAGO, !\frica... , cit., 78. G. H. SALVAGO, Africa. .. , cit., p. 67. G . 8 . SALVAGO, Africa... , cit., p. 67 .


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da parte di tanti indigeni gravati dalle tasse e privati di prospettive economiche, è facile intuire. Nonostante ciò debbono prestare sevizio coatto nelle milizie ausiliare per tenere sotto controllo proprio i loro connazionali! C irca i metodi operativi e le finalità di quc1le spedizioni periodiche: " Quando si fanno simili speditioni da primavera, estate ed autunno, li Vice Re sono obbligati a provveder di padiglioni, somieri, polvere e piombo per Li archihusi et la ragione si è perché vanno a scotcr [riscuotere] il Lrihuto dovuto da gli Arabi alli Vice Re di Algeri ... dal quaJe trihuto poi li vicerè fanno le paghe alli stipendiati ... "82.

Giù l'entità e la frequenza di quelle spedizioni lascia intravedere la forte resistenza indigena alle colonne giannizzere. Per cui in sintesi: " ... verso gli Arabi e verso i Cahili [i Turchi giannizzeri] usarono il sistema d'incuter loro rispelto, mostrando cli non temer) i affatto. Quei popoli, che non riconoscevano, come non riconoscono tuttora, altro elemento cli superioriti:t che la forLa, scossi dall'arditezza e dal rigore dei Turchi, si lasciarono soggiogare e pem1isero che occupassero con piccole e deboli guarnigioni tutto il loro territorio. Vi furono, è vero, delle resistenze, dovute al grande spirito d' indipendenza degli indigeni e alle numerose coalizioni passeggere, che si formarono subito dopo l'inizio della conquista, ma furono fiaccate dall ' azione pertinace dei Turchi, i quali in rapidissime e sanguinose incursioni, riuscirnno a spargere, dove passavano, il ten-ore e il rispetto, distmggendo le messi e preda ndo il bestiame, annientando cioè le fondamentali risorse delle vita indigena... " 8:l _ In reaJfa però l'affermazione dei giannizzeri turchi nei confronti degli indigeni non ri sulta affatto ta nto rapida e ri solutiva. AIJorquando il Salvago scriveva il suo memoriale era trascorso oltre un secolo dalla presa cli possesso dei corsari e dall'invio ciel primo contingente militare turco: le ribellioni sono ancora frequentissime e particolarmente feroci al punto che gli stessi gianni zzeri, nonostante i loro ricordati metodi, ne restano spesso vittime: "Queslo è il più faticoso servitio che prestino i Gianjceri Barbareschi poichè, senza utile di rapina [senza speranza di bottino], convengono viagg iare a piedi per valli e monti con calori eccessivi sin alla regione di Numidia, solloposti a continui aguati et imboscate d ' Arabi Montani. Ben è vero che di luogo in luogo angareggiano gli Arabi soggiogati di carnaggi freschi per il viatico giornale ... " 8~. G. B. SA I ,VAGO, A.fi"ica.... cit., p. 68. Da E. GAIAN I, La conqui.1·u1..., cit., p. 14. M Da G. B. SAI ,VAGO, Africa.... cit., p. 68.

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Si confe rma pertanto che anche in tale arco storico, ad onta dell'applicazione incondizionata della più brutale violenza, i dominatori di turno non sono in grado di soffocare la ribellione indigena, ma sembrano anzi vistosamente incrementare la sua intolleranza. Gli accenni alla distanza de1le perlu strazioni, alle difficoltà dcgl' itinerari cd alle asprezze morfologiche, induce a concludere che il territorio di pertinenza di Algeri si estendesse almeno fino alla seconda catena montuosa, ovvero fin quasi ai limiti settentrionali del deserto. Dovunque gli indigeni sono mantenuti in una condizione di forzata soggezione, dovunque sono ostili, ma soprattutto tra le montagne dove non si astengono dal !' attaccare con agguati ed imboscate i gianni zzeri. La precarietà della dominazione impone perciò l'impianto di appropriati fortini simili, per logica e dis locazione, a qu elli c he secoli dopo adotte rà la Legione Straniera. Così al riguardo il Salvago: "Ad un altro servitio son obligati questi Gianiceri Barbareschi di star a vicenda sci mesi alla guardia dclii presidi, ed il presidio somministra vitto ho nesto et condeeente ... tanto che ... havcndo spese pubbliche, con molta facil tà avanza le paghe e le accumula... " 85.

E' interessante osservare che i governanti di Algeri non facevano alcun mistero della persistente indocilità de i berberi, al punto che il Salvago è in grado di tratteggiarne, alla luce di tali informazioni e della sua esperienza, a nc he una acuta valutazione: " ... il paese d' Algeri è più montuoso, alquanto sterile, più ristretto, e l'Arabo proclive alla ribellione ... Questi Mori son Mori hianchi dell'olivastro partecipanti e le sue donne Cittadine bianchi ssime. Odiano il Turco suo conculcatore ri putandolo villano a paragon di se medesimi che la pretendo no in nohill.à di sangue e in antichità di legge; con tutto ciò, nè in vestito nè in vitto, non appar in loro po litia ragguardevole. Non possono più compatir le gravezze e le tirannie Turchesche, e s' augurano i Chri stiani; nulladin1eno quando si venisse al fauo, credo che l' odio di Reli gione e l'inclinationc al rapinare gli farebhcro rivoltosi a favor di Turchi. .. Prima gli Arabi nelle cittadi sotto tetti albergavano, adesso nelle campagne di.morano sotto trahacche e tende, mobili habitationi, et isdcgnano il Turco si che Iquesti I, soJo spatianùo fra terra, perisce, però, se una picola compagnia volesse passar da terra a terra, bisogna che pigli per guida e difesa un santon Araho che Marabut appellano ... " 86_

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Da G. B. SALVAGO, Africa ... , cit., p. 68. Da G . 1:1. SALVAGO, Africa... , c it., p. 87.


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La precisazione sulla intima preferenza indigena verso un governo cristiano piuttosto che turco, è inunediatamente ridimensionata dal relatore che ribadisce la indisponibilità degli autoctoni, e per fede religiosa e per propensione alla razzia, a fornire un eventuale appoggio in caso di attacco occidentale anticorsaro. Quanto condividessero con i loro dominatori l'odio anticristiano lo conferma del resto il loro comportamento nei confronti dei rari schiavi che osavano tentare la fuga verso il deserto, perché: " ... o im;ontrnno in fiere o capitano in Arabi che li ritornano in Algeri ... che hanno dieci taleri per lesta e tuttociò che trovano adosso deUi schiavi... " 87.

Qua nto, invece, fosse da teme rsi in ogni operazione di controcorsa la solidarietà degli indi geni nei confronti dei dominatori algerini nel la difesa della comune terra, lo si era tragicamente verificato già quasi un secolo pri ma, nel corso dello sfortunato tentativo del 1541 compiuto dall ' imperatore Carlo V di conquista di Algeri. Sin dalle prime operazioni di sbarco, avvenuto il 26 ottobre, fu proprio la cavalleria heduina a prodigarsi nel pungolare le truppe con veloci e rahbiose cariche. Torme di cavai ieri urlanti si accostavano, a spron hattuto ai soldati dell'armata ,incora impacciati dall ' acqua, scaricavano i loro lunghi archibugi , e quindi si dileguavano altrellanto fulmin eamente, ripetendo senza sosta l'intera sequenza. Soltanto la messa in batteria dei pezzi sulla sabbia e l'apertura del fuoco a mitraglia valse ad inteffompere il sanguinoso tormento. Nel giorno seguente durante l'avm1zata verso la ciltà, cessata la protezione dell'artiglieria, la falcidia riprese: lo scatenarsi di una pioggia torrenziale, impedendo l'uso delle anni da fuoco, parve preludio all 'abbandono della tattica. Vana speranza, poichè i beduini avvalendosi delle lance e degli archi, loro armi tradizionali si prodigarono anche più fanaticamente essendo interdetta la reazione dell a fuc ileria spagnola. Non a caso il Salvago ritenne importante, ancora nel 1625, ricordare le precise modalità di comhatti mcnto della cavalleria beduina e la sua entità presunta: "L' armi di questi Mori, che di cavalcar fan professione, non son altro che un brando cl una lanc ia smisuratamente lunga, circa dodici brazza, a mezzo sostenuta l'adoperano mirabilmente hcne e presto. Algeri nel suo territorio farà venticinque mille cavalli et Tunisi sessanta mille; et queste cavallerie Moresche sono pronte e preparate ad ogni apparili on di nerrùci da mare. Si fidano su 4uesti per esperienza per divertfr lo sbarco nemico e nella nulliLà di porti e ricetti opportuni per l' armate nemiche ... " 88.

87 Da G . 13. SALVACìO, Africa ... , c it.,

p. 9 3.

R8 Da G. B. SALVAGO, Africa ... , c1t. p. 87 .


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Quando la situazione peggiorò nel corso della giornata in seguito alle spaventose condizioni mctcrcologiche fu giocoforza ordinare la ritirata. E nella critica manovra di rientro verso i trasporti, la cavalleria beduina ebbe modo di estrinsecare la sua massima virulenza, applicandosi tra l'altro al sistematico massacro di tutti i feriti. Così il 29, ed anche il 30: alla fine migliaia di cadaveri distinguevano il percorso di allontanamento, e molte altre migliaia ancora di prigionieri erano in marcia incatenati verso il mercato di schiavi della città. Gli scampati, guadagnate a fatica le poche navi risparmiate dai marosi, subirono nella rotta di rientro perdite alluc inanti. Bisognò attendere tre secoli per vedere una ennesima riproposizione coronata da successo! Algeri, così superbamente riconfermatasi inviolabile, registrò un vistoso incre mento dell' afflusso dei prigionieri catturati sulle coste occidentali e sulle navi , come pure degli avventurieri di ogni ri sma. La composizione etnica della sua popolazione diveniva perciò sempre più variegata. Infatti una singolare: " .... costellazione di razze, di provenienze e di fedi religiose costituiva ed emhlematizzava Algeri. In quel ribol le nte calderone la vera nota comune sembrerebbe essere l'esasperata ricerca di una rapida fortuna, con qualsiasi mezzo ed a qualsiasi costo. Ed in ciò non si coglie alcuna distinzione di sorta tra musulmani , ehrei, cristiani e rinnegati, e paradossalmente in tanti casi nemmeno fra liberi e schiavi. Turchi provenienti dall'Asia m inore, arabi dal medioriente, muriscos originari della Spagna-insieme agli ebrei definiti andalusi se immigrali da Granada e tagrini invece se dai regni aragonesi e catalani-ed ancora cristiani europei rinnegali di ogni nazione, tra i quali ovviamente in netta maggioranza gli italiani meridionali. Senza contare, e non era una presenza irrilevante, gl i schiavi ed i mercanti, di transito o di residenza... "89 _ Circa l' entità complessiva della sua popolazione, pur essendo le stime coeve alquanto discordanti, appare abbastanza attendibile il calcolo compiuto dal Salvago: " E' opinione che Algeri faccia trecento mille anime; ma per una nota di case, trovate 15 mille, a X per casa sono 150 mille anime. Diamovi l'agumento delle case che n' hanno XV e XX coll' aggiunta delli hahitanti nelle massarie del contorno, al numero di otto mille massarie rollate, e si comprendono sotto questo nome di massaria: g iardini, horti, brolli e vigne. Computata dunque la C illà col contorno arriva certo a 200 mille ancmc; e vogliono c he vi siano 25 mille schiavi... altri nella città essistenti et altri per le masserie dispersi... " 90.

89 90

Da F. R USSO, Guerra... , cit., torno Il, pp. 362-4. Da U. H. SALVAUO, Afrit:a... , cit., p. 85.


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/.'/avio

RLL!'SO

La presenza di circa 8000 masserie nei dintorni di Algeri è forse il dato più interessante, poichè sebbene molte appartenessero alla classe agiata della città, molte altre invece erano, sicuramente, degli indigeni e dei contadini, tutti, altrettanto sicuramente , ostili aJ dominio corsaro. Purtroppo però la presenza nelle stesse di una cospicua massa servile di estrazione c ristiana, ribadendo psicologicamente l'inferiorità militare e morale degli occidenta li, incrementava al contempo sia l'orgoglio degli ignorantissimi proprietari, sia la loro accettazione del regime, fautore indiscusso della situazione. E ne sviluppava, complice lo svilirsi della merce umana per abbondanza di prede, una crudele tracotanza nei confronti dei malcapitati che finirono sempre più spesso: " ... posti in larghe campagne al caldo, al gielo, à pascere con pochissimo cibo d'insipidi risi e frutta ... Altri a guisa d'animali posti à volger moli. Altri accoppiati portargli il giogo in collo, come à huoi li convien tirar l'aratro mezo ignudi, e solcar la terra punti tuttavia da stimoli che versar gli fanno più gocciole di sangue che di sudore ... " 91. Nè lo scorrer dei secoli allenuò tanto aberrante dispotismo, poichè a nc ora nel 1818 fu presentato a Parigi un messaggero dell ' lstitutu Antipirati, caduto per sua sfortuna nelle mani degli algerini, la cui v icenda fu così ricordata: "Questo disgraziato incatenato con un altro schiavo di nazione inglese per lo spazio di 28 anni di sua schiavitù nella montagna cli Philys (parte della gran catena cl ' Atlante dietro Algeri occupata dagli Arabi della tribù di Coubaly), era spessissimo attaccato all'aratro come una bestia eia soma per lavorare la terra. La sua condizione durò in tutto 34 ann i ... " 92_ Più in generale: "rranchissez les partes de la ville... Oltrepassate le porle della città per andare verso la campagna: la vegetazione e le bellezze che potrete scorgere, consistono in una infinità di cristiani di ogni nazione e di ogni età che, più numerosi delle fom1iche, incessantemente vanno e vengono lungo i sentieri. Tutta la consolazione che potrete cogliere sarà di non riuscire a Lraltcncrc le vostre lacrime vedendoli laceri e malandati con il dorso curvo sotto i pesi delle vanghe, delle zappe, delle falci e di altri strumenti agricoli, con i quali spianano le colline, dishoscano le ster9 1 Il documenlo è Lratlo da M. MArRICl. Meu ogiomo <' pirateria nell'età moderna (secoli XVI-XVIII), Napoli 1995, p. 108. 92 TI docume nto è tratto da V. MORELLI, I 'barbareschi contro il Revw di Napoli, Napoli 1920, p. 89.


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paglie, abbattono gli alberi, cunmo le palme nane, sistemano le vigne, coltivano i giardini, lavorano i campi di giorno e di notte; sono scalzi, con i piedi feriti e spaccati; non hanno altro vestito che un lurido cencio che ricopre a mala pena il corpo abbronzato dal sole; la fame li tortura ed un fatica incessante gli dà l'aspetto di scheletri o di cadaveri esumati ... " 93.

Tanta degradazione, per quanto ricordato, si trasfromava in sostanziale solidarietà con la classe dominante. Nella città, invece, sia per i contatti incursivi sia per l'origine di tanti suoi abitanti la percezione del mondo crist iano ris ultava notevolmente diversa, riservandosi l'i nfimo livello sociale agli ebrei. Infatti in: " ... Algeri, come accennnato, si individuavano almeno c inque nuclei razziali ben distinti: gli indigeni , i turchi, i mori, i c1istiani-per la quasi totalità schiavi- e gli ebrei. Quanto agli ultimi, che ascendevano a circa 10. 000, pur non risultando sistematicamente perseguitati, subivano ogni genere cli angheria, privati della minima dignità al punto che persino agli schiavi cristiani si consentiva di oltraggiarli impunemente. Nonostante cii) gli si accordava una indiscu ssa libertà di culto, e la costruzione di alcune sinagoghe ... " 94. E' indispensabile per meglio comprendere la dis istima nei co11fronti dei cristiani valutarne più esattamente l'ammontare, tenendo presente che tale entità si conferma sostanz ialmente invariabile ad Algeri per quasi un secolo. Al riguardo quasi tutte le fonti coeve, le cronache e le memorie esaminate-e sono parecchie-conrnrdano, facendo ascendere il totale degli schiavi tra i 25. 000 cd i 30. 000 a cavallo tra la metà del '500 ed il primo quatto del '600, su di una popolazione urbana di circa 100. 000 unità. Così ad esempio una relazione del 1585: " ... per maggior sodisfatione loro le dico che gli schi avi in questa città arrivano al n° di 25. 000, quali stanno ingrandissima afflitione, poichè gli è negato il vito necessario, angariati in diversi modi , et privi degli aiuli spirituali per l' anime loro, talmente c he trovandosi quesi in disperatione molti facilmente rinnegano affatto ... "95.

Ed ancora, nello stesso anno, da una fonte forse anche più attendibile , il consolato francese ad Algeri, si apprende che: " ... questi puoveri christiani schiavi ... 30. 000 anime in circa che vi saranno... " 96. l)a H. l)E HAEDO, nf' la 1:aptivilè... , cit. p. 184. Traduzione dell 'autore. Da F. RUSSO , Guerra ... , cit., 1mnn n, p. 370. 95 Archivio Segreto Vaticano, Fondo dd Gonl"alone. mazzo G, ff I06. % lb., f. 125, IO agoslo 1585 . 93 9-1


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Anche trascurando le ulteriori puntualizzazioni si può pertanto ritenere s ic ura una percentuale di circa il 30 % fra schi avi e liberi in Algeri. Considerando poi che l'av vicendame nto del] ' intera popolazione servile avveniva, per morlalità, per ve nd ita in altri paesi musulmani, per riscatto ed anche per fuga, in un arco di circa 10 anni , si può valutare sia l' immensa entità del fenomeno sia quanta astiosità generasse, espandendosi per l'intero occidente con il diffondersi dei memoriali e dei racconti raccapriccianti dei fuggitivi e dei riscaltati. Nel frattempo però lo sfruttamento esasperato del lavoro forzalo, della tratta e dei riscalli consentiva l'originarsi di fortune immense, a fronte di una immulata povertà dei nativi resa ancora più iniqua dall ' ottusa imposizione fiscale: " In Algeri ... sono ricconi che non sanno li contj delli denari incassati , anzi immagazcnaLi , perché in sotterranee stanze dette mattamure tengono li tesori. Passa annualmente gran denaro in Barbaria per comprenda di mcrcanlie e per riscatto di sdùavi, nè mai pilt n'esce ma resta lì sepolto ... Però in Algieri ... risiedono mercanti Livornesi, Còrsi, Genovesi, Francesi , Fiamminghi, Inglesi Giudei, Venetiani e <l' alLri stati ... " 97. E per l'ennesima volta si coglie nella società algerina una incolmahile sperequazione imperante fra le sue dive rse componenli etniche e resa immuta bile da un rigido apparato di potere. In conclusione semhra convincente affermare che l' intero sistema economico e governativo imposto ad Algeri, come nelle altre cittadine barbaresche della costa fu sostanzialmente una grandiosa colonizzazione militare, tipica del resto dell'epoca. Ma forse la vera singolarità dell' intera v icenda può cogliersi nella sua connotazione profondamente razzista. A dispetto, infalli, dei molti e s ignificativi mutamenti della sovranità reale nelle città barbaresche corsare, l'ele menlo indigeno, o di provenienza indigena, rimase sempre escluso dai quadri dirigenti e, sebbene musulmano, fu immutabilmente discriminato e disprezzato dalla classe dominante. Lo slraordinario sviluppo econo mico di Algeri suole essere di viso in due fasi , di cui la prim a nel decennio antecedente alla battaglia di Le panto e la seconda a partire dal decennio successivo. Precisa al riguardo Brauclel che dal : " ... 1580 al 1620 si delinea una seconda fortuna di Algeri, clamorosa quanto la prima, e certamente ancora più ampia ... Per questa seconda prosperità .. . non manca no le spiegazioni; essa deri va innanzitutto dalla prosperità generale ciel mare .. . Altra spiegazione: l'evide nte atonia che s i accentua, de i grandi stati ... La pirateria, industria mag97

Da G. B. SALYAGO, Africa.... cit .. p. 80.


Al,?eria: La presenza del pasrnto

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g iore, crea la coerenza della città, la sua unanimità nella difesa come nello sfruttamento del mare o del retroterra o delle masse di schiavi ... La tranquillità diventa la regola anche molto lungi dalla città bianca, anche nelle montagne e sugli altipiani lontani. Ne consegue per la città una crescita rapida, anormale, con cambia menti nelle sue apparenze e realtà sociali . Nel 1516-38 Algeri era una città berbera e andalusa, una città di greci rinnegati e una città turca ... Dal ] 560 al 1587... fu prevalentemente italiana. Dopo il 1580-90, poi verso il 1600 ecco i Nordici, Inglesi e gente dei Paesi Bassi... " 98.

La conquista francese

Con il trascorrere del tempo, il contrarsi dei proventi della corsa e del-

1' aftl usso di schiavi, di rinnegati e di trafficanti la popolazione subì un processo di sensibile omogeneizzazione che, gradatamente, portò al superamento delle discriminazioni razziali. Ma al di fuori delle città tali barriere non mutarono affallo, anzi se mai si intensificarono ulteriormente complice il maggior benessere generalizzato urbano e la maggiore povertà diffusa de lle campagne e delle montagne. Afferma in merito Ilraudel che: " ... Algeri , città di corsari, cresciuta all'americana, è anche una città di lusso e di arte, molto italianizzante all 'inizio del XVII secolo ... senza dubbio una delle città più ricche del Mediterraneo; in ogni caso, una delle meglio disposte a trasformare questa ricchezza in lusso ... "99. Del resto l'impostazione originaria non aveva nei tre secoli di economia corsara subito vistose alterazioni, poichè è: " ... certo [cheJ: nel corso di questo periodo la fi sionomia «nazionale» del Nord Africa va rafforzandosi e man tende ndosi e le sue tre entità storiche (Marocco, Algeria, Tuni sia) appaiono nettamente de lineate sullo sfondo della loro organizzazione s tatuale. La struttura amministrativa dc li ' Algeria fu creata dal Barbarossa e non subì sostanziai i modifiche fino al 1830 ad eccezione naturalmente della suprema carica ... " 100. Più in dettaglio; sul piano amministrativo, nel: " ... 1830 l'Algeria era in potere di un dey, il quale governava in maniera dispotica la provincia di Algeri, lasciando il governo delle altre province in potere di tre bey. Egli premi ava e puniva a suo talento; reclutava e mobilitava le forze armate; Da F BRAUDEL, Civiltà.... cit. voi. 11, pp. 938-39. Da F. BRAUDEL, Civiltà ... , cit., voi. I, p. 45. 100 Da R. RAJNERO, Storia ..., cit., p. 69.

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disponeva di tulio e di tutti senza dover rendere conto a nessuno delle sue azioni ... li bilancio della reggenza aveva entrate fisse (circa un milione di lire) e straordinarie (circa un milione e mezzo); le prime erano costituite dai tributi pagati dagli Ebrei e dalle tasse imposte ai popoli soggetti in proporzione della loro ricchezza; le entrate straordinarie erano il prodotto delle ammende, delle prede e delle ... tasse, pagate in grano, orzo cavalli, muli e altri prodotti necessari a i bisogni del governo ... 11 tesoro della reggenza aveva in riserva immense ricchezze, provenienti dalle rapine fatte da secol i sul commercio mondiale ... La reggenza era divisa in tre province: del Levante (Costa ntina) , dell'Ovest (Orano) e del Sud (Médéa), governate c iascuna da un bey, nominato dal dcy, il quale amministrava direttamente Algeri e dintorni ... La fanteria algerina, ottima sotto tutti gli aspetti, contava circa IO. 000 Turchi e 5. 000 Culugli ; era armata di fucile , di due pistole e di un yatai an, o lungo pugnale ... E' impossibile stabilire la forza della cavalleria, perché allo scoppio della guerra la reggenza ordinava alle tribù sollomesse di fornirgli un certo numero di cavalieri, per cui l' esattezza e la celerità di questa mobilitazione erano sempre soggette alla maggiore o minore armonia che regnava tra il dcy e il bey... spesso però il contingente era inferiore a quello richiesto, a meno che il fanatismo, la speranza di un ricco bottino e alt re circostanze facessero accorrere molti uomini alle armi ... " IOI. Alla vigi lia della conquista francese, tranne che per l'entità degli schiavi cristiani ancora presenti sul territorio, urbano ed extraurhano, ben poco è mutato nella società algerina. Nel frattempo l'Europa ha elaborato l' Illuminismo cd ha vissuto la Rivoluzione francese maturando finalmente una sorta e.li base sociale comune rappresentata nel 1815 al Congresso di Vienna sull 'aholi z ione della schiavitù e sulla necessità di un ' intesa internazionale per la sua soppressione, al meno di quella dei bianchi. Non a caso proprio la Francia, che sistematicamente si era avvalsa dcll' apporto strategico dei corsari a danno degli interessi spagnoli , avverte la necessità di porre termine all'abiezione che inizia peraltro a ritorcerg li si contro. Che sollo tale proclamata intenzione si celasse anche, e per molti studiosi soprattutto, un intento imperialistico semhra innegabile, tanto più che il contemporaneo declino dell'impero ottomano lasciava intravedere un pericoloso vuoto di potere nell'intero nordafrica e gli interessati a colmarlo non difettavano, meno che mai i pretesti per attuarlo.

IO I

Da E. GAIANI ,

f,(t

conquista... , c il.. p. 2 1.


Algerifl : I ,11 presenza del passalo

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Il progresso tecnologico e la impostazione napoleonica delle forze armate, e per contro l'arcaicità delle difese di Algeri e la modestia delle sue milizie, consentivano la previsione di un rapidi ssimo successo e di contenuti ssime perdite. L' odio secolare di tutte 1e nazioni occidentali mediterranee lasciava a sua volla prefigurare una condivisione dell'impresa, sufficiente comunque per ignorare l'opposizione della Gran Bretagna. L' occasione la fornl l'orgoglio dello stesso dey di Algeri. Gli stati cristiani ad ogni buon conto furono ufficialmente avvertiti dcli' iniziativa che la Francia nella primavera del 1830 si accingeva a compiere contro Algeri. Ecco, ad esempio, il testo della dichiarazione d'intenti fatto pe rvenire all ' ambasciatore piemontese: " Pari gi 12 marzo 1830 Signore quando comunicammo alle nazioni amiche lo scopo dei preparativi, che fe rvono nei porti francesi, abbiamo perfettamente spiegato le conseguenze, che potrebbero derivare dalla nostra impresa, facendo però una riserva, che ci sembrò imposta dall' incertezza della fortuna della guerra. Siccome molti Gabinetti hanno desiderato da noi una maggiore precisione nell'indicare lo scopo della nostra spedizio ne contro la reggenza di Algeri, Sua Maestà, per quanto dipende da Essa, si compiace di aderire a questo desiderio e mi autorizza a fornire i seguenti chiarimenti, che El la potrà com Uiùcare al governo del Piemonte. 11 pubblico insulto, che il dey fece al nostro console, fu la causa immediata della rottura, giustificata già troppo dalle numerose infrazioni ai trattati, dalla violazione dei diritti , il cui nostro po ssesso per diversi secoli era stato già consacrato, c dalla lesione di nostri interessi importanti. Lo scopo, che il Re si è proposto, è quello di ottenere una soddisfazione per l' insulto fatto a uno dei suoi rappresentanti, una legittima riparazione ai danni recati alla Francia e il compimento della prome-;sa, che il dcy si è rifo1tato di mantenere. Gli avvenimenti però sopravvenuti hamm dato uno sviluppo maggiore ai progetti di Sua Maestà. TI dey ha distrutto completamente tutti i nostri stabilimenti commerciali esistenti s ulla costa africana; non ostante tre anni di blocco, ha sempre più aumentata la sua insolenza verso di noi, e invece di darci una riparazione, egli ha accampato sempre delle pretese, che, pur non interessandolo, egli medesimo riteneva di far valere contro la Francia; inlinc, alle proposte pacifiche che un ufficiale della nostra marina gli ha presentate, recandosi persino nel suo stesso palazzo, ha risposto con un reciso rifiuto, e nel momento in cui la nave parlamentare stava per uscire dal porto, al segnale dato dal castello dallo stesso dcy, la nave è stata fatta segno al fuoco di tutte le batterie vicine. U Re è stato quindi costretto a riconoscere che non era più possibile alcuna trattativa col dcy, e che anche quando si giungesse a persuaderlo a concludere un qualsiasi trattato, la precedente condotta di esso, unita agli avvenimenti più recenti, non darebbe µiù alcuna garanzia che il nuovo lrallalo potes-


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se essere rispettato meglio di quello che non lo fossero state le nostre convenzioni col governo algerino. Queste considerzioni ci hanno convinti della necessità di dare alla guerra uno sviluppo maggiore di quello che ci eravamo ripromesso, per cui abbiamo dovuto darle uno scopo equivalenmte aJmeno ai sacrifici, che essa ci impone, e il re, comunicando le proprie intenzioni, tendenti ad ottenere la soddisfazione degli speciaJi danni recati alla Francia, ha deciso di volgere tutta intera la spedizione, che si prepara, a profitto della cristianità e ha stabi lilo lo scopo dei suoi sforzi: - la distruzione definitiva della pirateria; - l'abolizione assoluta della schiavitù dei cristiani - l'abolizione del tributo pagato fin qui alla reggenza dalle Potenze cristiane. Se la Provvidenza assisterà le am1i del Re saranno gli effetti dell' impresa, che in questo momento si sta preparando nei porti francesi. Sua Maestà è ben deci sa ad effettuarl a con tutti quei mezzi, che saranno necessari per ottenere il buon esito, e se, durante la guerra, avven isse che lo stesso governo di Algeri dovesse dissolversi, allora il Re il quale in questa grave questione è completamente d isinteressato, non mancherà di intendersi con i Suoi Alleati per stabilire a vantaggio della Cristianità il nuovo assetto da darsi al reg ime distrutto, onde assicurare il tripli ce scopo, che Sua Maestà si è prpoposto di raggiungere" 102.

All'alba ciel 14 giugno le operazio,ù di sbarco iniziarono ne i pressi di Sidi-rerruch ad una decina di chilometri da Algeri. Come loro abitudine g li indigeni non tardarono ad aprire il fuoco sui soldati: un' ora dopo, però per la violenta reazione francese, gli algerini, circa 10. 000 uomini, ruppero il contallo lasciando I5 cannoni e 2 mortai. Un secondo attacco si ebbe all'alba dell'indomani ed ancora una volta i difensori furono respinti. Nei giorni seguenti, mentre si completava l'atterraggio dei materiali, ben 20. 000 mil iziani riunitisi per ricacciare in mare gli invasori, dovettero dopo poco desistere dal proponimento per il fuoco nemico. Il I luglio si avviò l'investimento delle fortificazioni de lla città: il 5 cessata ogni resistenza i soldati francesi si riversarono al suo interno prendendone pieno possesso: durante la notte se ne erano allontanati numerosissimi abitanti. Per Algeri si apriva un' altra colonizzazio ne.

Colonialismo francese La conquista, che in definitiva si era confermata abbastanza facile,

10 2

Il tlocumcnto c itato è uatto da E. G A IAN I, la conquista... , cit., pp. 47-8.


Algeria: / ,a presenza del pa.ual{)

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lasciò presumere che 1' assoggettamento della intera reggenza si sarebbe attuato con pari rapidilà, lanlo che il comandante della spedi zione, il tenete generale conte de Bourmont, ritenne sensato annunciare, il 7 luglio a Parigi, la conclusione della vicenda entro una quindicina di giorni. Ne sarebbero occorsi invece oltre 17 anni , ed ancora altre dec ine per conseguire una appena tollerabile pacificazione! Sin dai primi success i, tuttavia, la eccessiva rozzezza dei metodi impiegali era slata falta oggetto cli critiche e di riprovazioni. Nel 1833, ad esempio, così si esprimeva la 'Commissione d ' inc hiesla per l'Africa' costutita sotto la presidenza del generale conte Bonet: " Abbiamo aggregato al Demanio i beni delle fondazioni pie; abbiamo sequestrato quelli di una classe di abitanti che avevamo promesso di rispettare; abbiamo dato inizio al nostro potere con un 'esazione (un prestito forzoso di 100 mila franchi) ; ci siamo impadroniti delle proprietà private senza alcun compenso ed in più spesso siamo giunti fino a costringere i proprietari espropriati a questo modo a pagare le spese di demolizione delle loro ca'>e ed anche di una moschea. Abbiamo dato in affitto a terzi, edifici del Demanio; abbiamo profanato senza riguardo i templi, le tombe, l' interno delle case privale, sacro asi lo presso i musulmani. Si sa che le necessità della guerra sono alcune volte prepotenti ma si possono trovare nell ' applicazione di misure estreme, forme delicate cd anche di giustizia ... Noi abbiamo massacrato gente protetta da salvacondotti, sgozzato in base ad un semplice sospetto popolazioni intere la cui innocenza fu in seguito provata; abbiamo trascinato in giudizio uomini ritenuti sacri nel paese, uomini venerati perché avevano abbastanza coraggio per sfidare i nostri furori allo scopo di intercedere in favore dei loro disgraziati compatrioti ; si sono trovati giudici per condannarli e uomini civilizzati per ucciderli. Abbiamo sorpassato in barbarie, i barbari che eravamo venuti a civilizzare ... " IO\

Ma al di là delle recriminazioni in pratica nulla mutò nella conduzione delle operazioni militari di repressione. improbo accertare se si lrallò di una reazione alle atrocità perpetrate siste maticamente dalla resistenza indigena, o se invece queste ultime non fossero loro stesse un effetto della violenza delle truppe di occupazione. Per i molleplici similari precedenti storici si è propensi ad accreditare la prima ipotesi, che peraltro non giustifica affallo dei mililari regolari di una nazione evoluta europea. Di certo in breve le operazioni dell'esercito francese assunsero connotazioni di inusitata ferocia ed arbitrarietà. Gli attacchi alle tribù, ancora intorno al

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La citazione è trau;i <la R. RAINERO, Sto ria... , cit., p. lD.


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1840, seguivano abitualmente questa procedura, rievocata daJ colonnello Montagnac perito nel 1845 nel corso di ulteriori scontri: " ... Si giunge a ridosso de lle tende allorchè gli abitanti risvegliati dall'avvicinarsi dei soldati ne escono confusi con i loro annenti. Le fucilate piovono da ogni dove su questi miserabili sorpresi senza difesa. Uomini, donne, bambini insegui ti saranno presto accerchiati e riuniti ... Gli armenti sono presto radunati. li fuoco è appiccato a tutto quanto non possiamo portar via ... Mi chiedete cosa facciamo delle donne che prendiamo. Ne teni amo alcune in ostaggio, le altre sono scambiate contro cavalli, le rimanenti sono vendute all 'incanto come bestie da soma ... 31 marzo 1842" 104.

Ancora nello stesso anno un altro alto ufficiale così rievocava le operaz10rn: " ... Il paese dei Beni Me nasser è splendido ed è uno de i più ricchi che io abbia visto in Africa... Noi abbiamo tu!lu Llatu alle fo11rn11e, tulio dislrullo ... Quante donne e bambini rifugiatisi tra le nevi de ll'Atlante vi sono mo11i di freddo e di fame ... 7 aprile 1842" 10s.

Sempre in quel tragico '42 i soldati francesi annotavano nei loro diari episodi come questo: "Dans la rivière, la charge de La cavalerie... Sulla sponda del fiume la carica de lla cavalleria aveva avuto pieno successo: numerosi cadaveri g iacevano ne lla sabbia, persino di donne, che si avventano sui nostri soldati, frammiste ai Cabili, e si battono come furie, staccando le teste de i morti , agitando sulla canna de i fucili quei sanguinati trofei ... " 106.

Ed ancora nell'aprile del '45, quando : "Dans la mélée, deux blessés avient été... Nella mischia due fe riti erano stati catturati dal nemico. Sopraggiunta la notte, gli avamposti del campo di Baie videro i Cabili accendere un grande fuoco sopra un picco, defilato ai nostri t iri : le fi amme rossastre 104 I ,a c itazione è Jralla da R. RAINERO, Storia ... , p. 9 1. 105 La citazione è tratta da R. RAI NERO. Storia... , p. 92. 106 La c itazione è tratta da P. DE CASTELLANE, Souvenirs de la vie militaire en Afrique, Parigi, sewnda ed; 1854, p. 59. Traduzione de ll'autore.


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della legna di pino illuminavano sagome di ligure sinistre. li tam -tam percosso a ri tmo incalzante sembrava infondergli la vertigine. I soldati scrutavano senza comprendere; ben presto ebbero la spiegazione di quella feroce esultanza. I cadaveri dei loro sfortunati commilitoni furono avvicinati. In mezzo allo strepito, vennero calpestati, profanati, oltraggiosamente mutilati; quindi furono scagliatj nel rogo .... " 107_ U trascorrere degli anni, lungi dal placare gli animi, ne aizzò ancora maggiorme nte i rancori e le rappresaglie, e la campagna di conquista non si astenne più da nessuna atrocità, come lo testimonia lo stem1inio di una intera tribù nel '45. Gli ordini impartiti al colonnello Pèlissicr che comandava l'operazione sono inequivocabili : " ... Si ces gredins se retirent ... « ... Se questi criminali si ritirano nelle caverne ... affumicateli ad oltranza come si usa con le volpi ». Ed il colonnello eseguì. Dalla caverna partirono dei colpi di fucile ben aggiustati che gli uccisero alcu ni uomini, e poichè il nem ico non intendeva accondi scendere ad alcuna trattativa, fece portare delle stoppe e delle fascine, ed iniziò ad affu micarli. Quando, dopo due giorni, il fuoco si estinse, quelli che penetrarono nella caverna trasalirono dinanzi ad uno spettacolo agghiacciante, simile all' «inferno di Dante»: più di 500 cadaveri di uomini, donne, bambini, in piedi, asfissiati, soffocati ... " to8.

L entamente, a prezzo di innumerevoli an aloghe reciproche efferatezze la Francia riuscì a controllare l' Algeria, specie dopo la resa del cele bre caporibelle , ed eroe dell a resiste nza, Abd el-Kader il 23 diceni.bre 1847. Nel fra tt e m po si era avviat a un a for te immi grazio ne di co lo ni dall'Europa. G ià nel 1833 se ne contavano nella regione 8. 000, cd appena sei a nni dopo erano già 25. 000, per ascendere nel 1847 a 109. 000, tra i quali circa 47. 000 francesi, 8. 000 tedeschi, altrettanti italiani e maltesi, e be n 3 1. 000 spagnoli : no n difettavano però, c4 il dato era di pe r sè emble matico molti che rientravano delusi dall'Algeria, ammontanti, nel solo 1845, a quasi 25. 000 unità. A p,ulire dà ! 1857, soffocate le m aggio ri ribe ll ioni della cabilia, la colonizzazio ne potette trovare una sistematica e massiccia attuazione, riproponc odo per l'ennesima volta una iniqua e vessatoria discriminazione e sperequazione delle pote nziali tà a danno degli ind ige ni. Intorno al La c itazione è tratta da P. DE CAST ELLANE, Souvenirs ... , cit., p. 12 1. La citazione è tratta da J. LUCJ\S-DUBRETON . La guerre d'Algérie, in Le joumal de fu Fran ce, 11. 46, In li i111. 1970, p. 1267. 101

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1860 ai 200. 000 europei andarono le zone più fertili e remunerative mentre ai 3. 000. 000 di indigeni le restanti, brulle ed improduttive. Nessuna meraviglia quindi che con il 1870 le ribellioni ripresero a esplodere. In particolare una rivolla cabila divampò con la tradizionale violenza, foriera di allrellanta brutalità nella repressio ne, s u di una vasta area a sud di Algeri. Agli occhi degli insorti i coloni in quanto stranieri , in quanto infedeli e soprattutto in quanto possidenti e relativamente benestanli , rappresentavano i nemici per antonomasia. L' insurrezione si trasformò rapidamente in una anacronistica 'guerra santa ', ed a farsene fautrice fu una setta minoritaria. Circa un milione di algerini , tra cui almeno 200. 000 combattenti vi aderirono: ma la reazione francese fu altretlanto massiccia, rapida e spietata. Secondo alcune fonti i morti tra i soli ribelli ragg iunsero le 60 . 000 unità senza conlare le altre migliaia di giustiziati dopo sommari processi, protraUisi per quasi un anno. Le condizioni dei cabili registrarono un ulteriore peggioramento, mentre l'afflusso degli occidentali un ulteriore inc re me nto: nel 1880 o ltre a 195. 000 coloni francesi se ne conlavano anche 18 1. 000 europei in generale, contro i 3. 3 1O. 000 indigeni. Con l 'avvcnlo de l nuovo secolo si sviluppò un dinamico movimento nazionali sta algerino, forte non ul timo della acquisita c ultura in Franc ia d i alcuni suoi membri . Non a caso il legame tra gli elementi più evoluti e quelli più ig noranti fu proprio la comune istanza relig iosa e l'esigenza di un recupero delle tradizioni etniche. T mo lteplici Lentalivi per conseguire una maggiore lihe1tà ed una più equa distribuzione de lle ri sorse, si infransero uno dopo l'altro. La delusione, la miseria e la corru zio ne imperante provocarono nel novembre del 1954 l' esplode re del1a insurrezione anticoloniale. Vanamente Parigi adottò negli aimi successivi tu tti i mezzi coe rc itivi politici e militari di cui disponeva per stroncare la dilagante ribellione. Si costituì allora un Fronle di Liberazione Nazionale, guidato da Ben Be lla e, dopo otto anni di combattimenti, la Francia si vide costretta ad ammettere l'indipendenza dell'Algeria, il 3 luglio del 1962. Per la nazione algerina, da quel momento iniziò un periodo assolutamente inedito, sebbene al suo interno permanessero tutte immutate ed irrisolte le tante frammentazioni socio-econo miche. Dal punto di vista istituzionale in: " ... base alla prima Costituzione, approvala da un referendum popo lare nel settembre 1963, l' Algeria diventava una Repubblica socialista a partito unico, imitando le strutture istituzionali delle ' democrazie popolari' d'ispirazione sovietica ... " 109.

109 Da A. MACCHI, Le elezioni presidenziali in Algeria, in I.a civiltà cattolica, 6 gcn. 1996 Selezione S ta rnpa-Sismi-feb. 1996 p. 2 13.


A/1:eria: La presenza dd pas:m/u

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Ed ancora una volta la strada scelta da Algeri era una riproposizione di una ideologia s traniera, adattata alla meglio: peraltro è singolare costatare che già il Salvago precisava che: " .. . il governo di Algeri è una Repubblica popolare et una Dcmocratia militare ... " 110.

Tn breve, l'adattamento non trovò più condivi sione generalizzata per cui nel 1976 fu attuata una prima parziale riforma della costituzione elevando l' islam a religione di stato. Non bastò, tant'è che nel 1989 si dovette procedere ad un nuovo adeguamento, nel senso più spiccatamente democratico, separando i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario: il partito unico cessava di esistere.L'islam però rimaneva la religione di stato. Le fom1azioni politiche a quel punto proliferarono, quasi una cinquantina, mentre lo scontento sociale e la miseria crescente, con l' immancabile corruzione , portarono alla nasc ita del Fronte Islamico di Salvezza, nell a cui defini zione già si coglie un chiaro riferime nto al ruolo salvifico in esso assegnato alla religione. Alle elezioni a mministrative del 1990 infatti il FIS ottenne il 55 % dei voti e la maggioranza dei seggi. Fo,te del successo lo stesso partito pretese elezioni politiche per adeguare il parlamento alla diversa realtà popolare: gli furono accordate con il primo turno per il 16 dicembre del 1991 , programmandosi il secondo per il 16 gennaio dell'anno seguente. In un clima di scontri tra i fondamentali sti apparte nenti al FlS e le forze dell 'ordine, e di intimidazione dei ' laici ', il 16 dicembre solo il 50% degli aventi diritto si recò alle urne. li FlS ottenne la maggioranza quasi assoluta, il 4 7, 5%, e la certezza di una sua vittoria al secondo turno 111 . Lo spettro de lla creazione di una teocrazia in cui ogni futura possibilità di elezioni democratiche sarebbe stata soppressa, determinò il governo, su pressione delle forze armate ad annullare le consultazioni. li presidente ve nne deposto ed il FIS dichiarato fuori legge. La sua componente più estremista e violenta, i Gruppi Islamici Armali, passò immediatamente al terrorismo, con un crescendo esponenziale di

Sa G. 13. SALVAGO. Afri ca .... cit.• p. 69. C irca il sisLema elettorale precisa O . RO l'A, Olio, acqua, cotone, Catani a 199.'i, p. 4.'i: " Dalla piani fi cazione familiare alla poli tica. un'analfabeta rimane compleme ntare alla merct: de ll' uomo: «E vota per procura , allraverso il marito, com 'è consentito da una legge algerina c he si rità a certa giurisprudenza coranica. I .e donne della casha, ad esempio, non escono mai; nel 199 1, i mariti votarono al loro posto» . Per il successo del Fis, i suffragi dati in questo modo furono un apporto se nz'altro non ind1rt erente. 1 IO

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attentati e stragi. I mil itari dal canto loro moltiplicarono le repressioni con arresti indiscriminati di fondemantalisti, o supposti tali, tribunali speciali, esecuzioni capitali, ed ovviamente una rigida censura su ogn i mezzo di comunicazione . I molteplici tentativi degli a nni successivi di addivenire ad una sorta di riconciliazione nazionale s i dimostrarono vani. Il FTS non era, infatti, ormai più in grado di controllare la sua ala estremista, che iniziò a scindersi in sottogruppi territoriali. Da allora la s ituazione è precipitata rapidamente.

Conclusioni Esauri ta, sia pure schematicamente, l'analisi storica della insurrezionalità algerina, ne emergono alcuni fattori comuni, che potrebbero riguardarsi come scatenanti. innanzitutto l'instabilità propria dell'ordinamento tribale e la conseguente conflittualità e ndogena. Ad essa va ascritto il paradosso di una popolaz ione certamente fiera e beJlicosa, ma frammentata e scissa in una pletora di gruppi fra loro più o meno ostili, per cui finisce altrettanto certamente umiliata e sconfitta dall e ini ziative mi litari straniere. Troppo incoerente per frustrarle apertamente ed al contempo troppo orgogliosa per adeguarvisi culturalmente. Inabile alla guerra inadatta aJla sottomissione, e sostanzialmente sempre per un'identica ragione di fondo, ovvero per l'adozione al suo interno della forza quale unico fattore di affermazione sociale. Infatti sia la ricchezza economica, sia la rivendicazione dei diritti , sia l'amministrazione de lla giustizia risultano inevitabilmente s ubordinati non a una superiore certezza legis lativa ma aJla concreta capacità individuale o tribale. In altri termini la proprietà, ad esempio, è indiscussa fintanto che chi la detie ne è in grado di difenderla. Il che spiega la tacita liceità della razzia, del bottino e della schiavitù. Così sin dalla notte dei tempi , quando il furto del besti ame presso i pastori nomadi più che un crimine costituiva una dimostrazione di destrezza. Sim ile del resto anche l' istituzione matrimoniale hasata sull'acquisizione pi ù o meno mercantile della donna 11 2, e non già s ulla sua libera condivisione. Dal che la necessità, assurta a prassi maniacale della segregazione femm inile , superficialmente confusa con una esa sperata gelosia. Del resto anche nei 112 Ricorda al riguardo O. RITTI\, Olio ..., cit., p. 57: " La dote, ad esempio, c he nella c ultura araho-i slamica viene offerta dal fidanzato alla futura sposa ... si risolve molto sovente in un:i transazione ad esclusivo beneficio del parlrr. o dei fratelli ... ".


Algeria: La presenza del passatu

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comandamenti biblici la donna è equiparata ad un oggello , privo di aulonoma volontà ma al tempo stesso responsabile delle proprie mancanze. La notoria sacralità dell'ospite sembrerebbe contraddire quanto delineato, ma in tale prassi si scorge una sorla di oslentala infrazio ne della quotidianità che fini sce per confermarla. L' inviolabilità e la munificenza con cui è accolto, infatti, altro non è se non la dimostrazione dell'assoluta ed incontrastata supremazia del capo alla quale debbono sottostare tutti gli altri membri , come pure delle sue potenzialità economiche, e non g ià della condivisione dell'evento. Da s iffatta impostazione ne consegue che la dissidenza vuoi ad un potentato, vuoi ad una istituzione vuoi ad un regime si estrinsechi in una unica maniera: la ribellione violenta. La carenza, o addirittura l'assenza di frequentazione con altre civiltà, per motivi di isolamento geografico, ha prodotto la radicalizzazione di siffatte norme consuetudinali. Per cui quando clementi stranieri, in seguito alle iniziative militari si sono inseriti sul territorio, non si è prodotta alcuna integrazione. Secondo la scala de i valori indigen i i nuovi ven uti rappresentavano comunque dei dorni.natori empi e corrotti . Secondo quella dei conquistatori, invece, gli autoctoni erano semplicemente barbari, una sotto razza incapace di evolversi perché geneti camente tarata. Da qui la discriminazione, da qui l'ostilità e la ribelJione, con l' adozione delle tipologie belliche precipue quali la scorreria e la razzia e per contro le repress ioni indiscriminate, accomunandosi nella correità l'intera etnia. Certamente l' introduzione in nordafrica di più avanzati criteri esistenziali produsse, anche nel contesto bipartito algerino, adesioni ma disgraziatamente proprio quegli individui che se ne fecero interpreti, intellettualmente più dotati , finirono sempre per subire una doppia ostilità ed emarginazione . Per gli uni, infatti, non apparivano credibili in quanlo di origine barbara, per gli altri lo stesso in quanto di comporta me nto empio. Ad essi comunque si deve in ogni periodo l'innesco delle rivendicazioni, che si trasformano in insurrezioni inizialmente indifferenziate, ma rapidamente evolventesi sotto l' influsso religioso in aspirazioni rivoluzionarie o in pratica brigantesca. Vale a dire o verso l'ideale di una società più giusta con un benessere graduale più equo, conseguito mediante azioni destabilizzanti, o verso un delirio purificatore pseudo-re ligioso con il rapido soddisfacimenlo di istinti beluini, attraverso saccheggi e massacri. Tra questi due estremi, solitamente interdipendenti, g ioca la vicenda eversiva algerina nelle sue riproposizioni storiche. Quale potrebbe essere allora il discrimine del sillogismo insurrezionale per una sua rapida iden-


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Lificazione, almeno dei casi estremi dando per scontato che comunque si manifesta ·a ttraverso l'azione violenta di organizzazioni illegali? llllanzilutto il grado di condi visione. L'illegalità organizzata per fini rivoluzionari, vuoi anticolonialis li vuoi egualitaristi, infatti persegue l' allargamento dell'arca di accettazione sociale, divulgando le finalità prefigurate e denunciando le ingiustizie vigenti. Un inequivocabile ri scontro è nella spasmodica esigenza di pubblicizzare con ogni mezzo i propri canoni gu ida, dei quali i promotori ne sono praticamente la testimonianza viven te . Ovviamente gli autoctoni, in quanto poveri ed emarginati, peral tro sempre la maggioranza di qualsiasi società, sono i destinatari per antonomasia delle istanze e quindi risparmiati da qualsiasi viole nza insurrezionale. Giustamente è stato rilevato che attualmente: "Più che l'appoggio materiale conta l'appoggio dell'opinione puhhlica internazionale. In questa ottica, anche un insuccesso può tramutarsi in successo quando, attrnverso i mezzi di comunicazione e le tecniche di propaga nda e contropropaganda, può essere intaccata la credibilità delle forze controcvcrsive, o meglio, dell'intera azione di governo ... Questo appoggio è continuamente ricercato, anzi è diventato l'ohictti vo principale degli atti terroristici. Il comhattcnte eversivo deve far parlare di sè per far sapere di esistere... " 113_ Ovviamente per conseguire condivisioni politi che s ia nazionali c he straniere, ammesso c he il terrori smo s ia condivisibile, è indispensabile che le azioni risultino perfettamente comprensibili nella logica e negli obiettivi e comunque mai indi scriminate. Infatti prosegue il relatore: " ... le forze eversive si devono identificare con le aspirazioni dell a popolazione, tanto più vi è questa corrispondenza tanto meno l'eversore è isolato nel territorio. Questo si può ottenere solo facendo riferimento ad ideali universali , popolari e facilm ente condivisibili che permettono la nascita di legami affettivi ... " 114. Il che in pratica corrisponde a non colpire mai i rappresentanti delle categorie p iù numerose e disperale, come appunto g li emarginati, i dise redati, i modesti lavoratori salariati in genere. Venendo meno questi vincoli la condivisibilità si di ssolve rapidamente e non può essere mantenuta con

113 Da G. TOTA . u, guerra d'J\li:eria /954-62, elahornlo alla esercitazione applicativa del 118° Corso Su periore di SM, Civitavecchi a 1995, p. 3. 114 Da G. TOTA, La guerra ..., cit., p. 4.


Al11eria: ÙI presenza del passato

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il solo te rrore. Ed è questa senza dubbio la più evidenle ed inconfondibile connotazione, peraltro comune in ogni rivolm:ione in ogni tempo ed in ogni parte del mondo. L' illegalità invece di matrice c1iminale a sfondo religioso, non di rado figlia della prima, persegue l'esasperazione delle rivendicazioni sociali, tendendo a trasformarle in una sorta di estrema contesa tra il bene ed il male in assoluto. In tale logica chiunque non aderisce attivamenle alla causa, inevitabilmente dei ' puri ' e dei 'duri ' , indipendentemente dal suo ruolo professionale, dal suo rango sociale, dalla sua posizione econo mica è tacciato per empio, quindi da eliminare in qualsiasi modo, polendo con la sua sola presenza 'contaminare' tutti. A differe nza dell'altra manifestazione insurrezionale, quesla non tende alla realizzazione di un p rogramma conc reto ma all'accettazione acritica <li dogmi trascendenti, di per se risolutori di ogni prohlema. Ed essendone le caratteristiche come pure le strategie per conseguirle assolutamente discrezionali, le bande si moltiplicano per scissione e suddivisione, e non di rado si comballono lra loro per il predominio territoriale. I suoi fa utori, generalmente ignoranti e contrari alla istruzione stimata pericolosa e conutrice, in quanto al di sopra ed al di fuori della empietà vigente, s i reputano esentati dal rispetto di qualsiasi limitazione, anche di coerenza. Ogni abitante diviene perciò una potenziale vittima, se ostile, od un potenziale carnefice se favorevole. La sola divulgazione è il terrore, propagato con massacri ed atrocità. Le loro file si accrescono pe rciò di sanguinari fa na tici attratti esclusivamente dall'aspirazione all' arbitrarietà più incontrastata, quasi un meritato anticipo delle remunerazioni celesti. Nessuna religione ortodossa, o appena praticata, li riconosce: al massimo tenta di giustificarli, alme no sino ad un certo livello di bestialità. Ecco alcuni riscontri di tali connotazioni in articoli di attenti osservatori: "Il GIA ha continuamente aumentato le pressioni su Parigi, fino a diramare, il 18 agosto 1·994, un altro comunicalo incentrato su d ue punti fon-

damentali: ... 2°. Forte sollecitazione ad abbandonare il sistema educativo in vigore, con minacce contro coloro che frequentano le scuole led anche molte uccisio-

ni, specie di studentesse]

11 5 .

Tale intimidazione è mirata non solo a prevenire

11 5 Ricorda O . ROTJ\, Olio .... cit. p. 4 3, l'efferata uccisio ne di: " ... Zulikha, 15 ann i, di Saida, 2 1, della loro madre Khadidja. Tutte e tre violentate. mutilate, assassinate, sfi gurate. Era stata la madre a riconoscere e ricomporre i loro corpi. Qualche giorno dopo Loc<.:t'1 a lei. Nel fosso dove l' avevano hullala, fu la primogenita-unica superstite-ad identifi<.:arla in base ad alcuni lembi di vestit o ... Di tuU.o il villaggio , erano le sole a sedere sui banchi del liceo e dell'università ... Lii padrcJ pensa che i terroristi a bbiano fatto pagare alle due ragazze il loro «feroce desiderio di sapere e conoscen~.a» .


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il diffondersi de ll'" influsso intossicante" dell'Occidente ... ma anche ... a minacciare la stabilità del Paese distrnggendo un importante settore socioculturale ... [ed a l cercare di fare sempre più proseliti nel mondo giovanile superando le 'contaminazioni' cli tipo occidentale della scuola... " 11 6. "In sintesi, la situazione algerina sembrn il frn tto di una guerra tra clan che oppone le diverse fazioni esistenti nell' Esercito e nel Regime. Va rilevalo, in tale contesto, che la compattezza del Movimento Islamico è so lo apparente essendo una coalizione variegata ed innaturale composta da estremisti e moderati, da nazionalisti ed internazionalisti, da memhti di varie etnie religiose ... li risultato è che dei possibili ... scenari... quello più prohahile sembra ... caratterizzato, sia dai negoziati sia dalla violenza ... " 111. "l fondamentalisti hanno in comune il senso della comunità assediata. Elevano 'muri di virtù' atto rno a se per proteggersi dalla contaminazione esterna ... I religiosi moderati sono visti come clementi particolarmente pericolosi perché rappresentano delle 'qu inte colonne' che collaborano col nenùco ... Donde il bisogno dei salvati cli rompere i contatti con il mondo esterno ... esistono molte forme di fondame ntalismo politico. Li accomuna il b isogno di solidarietà dei loro memhri , la reazione all 'emarg inazione sociale o economica, la sfid ucia nel funzionamento di istituzioni pubbliche impersonali, la ricerca di sicurezza psicologica che famiglia, partiti e culli non sono più in grado di fornire ... " 118.

Nonostante la facile identificazione della seconda matrice tipologica alla sp all e degli orm ai quotidiani massacri la situ azione non appare suscettibile di soluzioni dall 'esterno, in quanto g iustamente è stato ribadito che: " ... un limitalo interven to strani ero, soprattutto fra ncese, nei combattimenti con possibili uccisioni fra la popolazione, fornirehhe l' occasione per dichiarare la guerra Santa ('Jihad') ... " 119.

Emble maticamente ancora una volta si confem1ano del:

I 16 l)a J. HODAN.SKY, Solto la pressione dei gruppi estremisti sostenuti dall'Iran. l'Algeria rischia di veder cm/lare il governo, in Defense e f"oreign Affairs, 3 I. 08. 1994, in Selezione Stampa Giugno 1996, Sismi, p. 121. 117 Da G. JOFPE', L'Algeria ed il Maghreb. Il f uturo appare cupo. in l ane\ lntelligence Review Middle fìast, mag. 1995- Selezion e Stampa nov. 1995 - S ismi-, pp. 53. 118 Da D . V. SEGRE, Lo pericolosa ambizione del J<mdarnentalisnw islamico, Selezione stampa ott. I 995-Sismi-p. 24 2. 119 Da J. HUDANS KY, Sotto la pressione..., cit .. p. 116.


Algeria: La presenw del passato

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tutto estranei ... i Berberi algerini della Kabilia, come anche l'élite storica, [i quali] non vedono di buon grado la prospettiva di una vittoria del FIS. Questo, a meno che non pianifichi una rivolta popolare totale, non pu() ignorare le istanze di un 'opposizione così forte, ma se così facesse fomenterebbe la guerra civile, evento questo che è intenzionato ad evitare ... " 120.

Tutto come sempre.

120 Da M. BONNErOUS, L'AIReria è sen){>re la stessa, in lJéf ense nmionale, gen. 1995, Selezione Stampa gcn. 1996-Sismi, p. 106.


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Fla vio Russo

Veduta satellitare del Mediterraneo centro occidentale

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Algeria: L1.1 presenza del µassalo

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Carta s/orica dell'Impero Ottomano alla sua massima espansione

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Fla vio Russo

A/ieri nel XVI ~·ecolo, da "Cosmografia Universale" 1556 ()CC' i 'èCh $

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Atieri, raJJigurata dal G.B. Salvago agli inizi del XVII secolo


Algeria: La prf·senzn del passato

Al~eri, in 11n11 raffig urazione degli inizi del XVII secolo, da Sir Kenelm Dig/Jy

Algeri, in una stampa popolare verso la fin e del XV/li secolo

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Flavio Russo

Kheyr-ed-din. rlettn Barbarossa, in "Cosnw,?rajia Universale" 1556

Barbarossa in una stampa seù.:efllesra


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Algeria: La presenza del passato

Bombardamento di Algeri nel 1784 ad opera della squadra cor!federata ispano-napoletana-toscana

li comandante dell'azione gen. Antonio Barcello


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Flavio Russo

Veduta di Bona intorno alla metù del XIX secolo

La moschea d i B ona


Algeria: La presenza del passato

Médéa, alla metà del XIX secolo

La Rrande moschea di Orano

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Flavio Ru~·so

Panoramica di Rugw alla metà del XIX secolo

Veduta di Cap Pescade, nei pressi di Bona


Al11eria: w presenza d<'I passato

Bugia, e sullo sfondo i

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Il golfo di Algeri

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Flavio Russo

Cap Gouraya. nei pressi di Bu,?ia

Il forte dell' Imperatore nei pressi d'Algeri


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Algeria: La presenza del passaro

Ritrailo dell'emiro !\hd.v-el-Kader

!\hds-el-Kader raffigurato a cavallo


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Flavio

RII.HO

Cullura della "smala" d 'Abd-el-Kader. nel I X43, ad opera delle truppe francesi

Allaccu ullu ·mo.w.hea di Mo?,ador. 1845, ad opera de{le truppe francesi


All{eria: La presenza del passato

Resa di Abd-e/-Kader ai francesi, in una stw1111a del/ 'epucu

Piano francese di colonizza zione dell'Algeria, 1843

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Flavio Russo

Razze e costumi d'Algeri intorno alla metà del XIX secolo

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La "srna/a " di Ténès, 1845


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Algeria: la presenza del pa.uato

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Flnvio Russo

Vnluw della di~a forunm che colleRa la 1nrafer111a al/ 'i,\0 /0110 di'! Penon, jim11a11do il porlo dPlla città

Scorcio della viubili1ù interna della cashah di Algeri, intorno ullu melà del XIX serolo


Al,:eria: La prese11za del ptLuato

Il 1wlazm del Dey d 'A lgeri vis/o Jal .m o cortile

Veduta di Algeri dalla haru:hina del porto verso la m elù del XIX ~eco/o

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Via vin Russo

L'w:quedotto romano che riforniva i\lgeri

Un tradizionale marabutto (sorta di scmtuariu) nei pressi della tenuta del L>ey d'Atieri


Algeria · La presenza del passa/O

Planimetria <-i't Algeri. nel 1846

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~t:·ttmavio Russo

PIanimetria · di Algen. nel /880

PIanimetria · di Algen. nel /895


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All{eria: ll1 presenza del passalo

Veduta di Algeri da mare inforno alfa metà del XIX secolo

Scorcio della Casba di Algeri


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Flm•io Ru~.w

Moschea Ketchaova neffa casbah di AIReri

Pono di Algeri


MARIA GABRIELLA P ASQUALlNI

ALGERIA: FATTORE DI DESTABTLTZZAZIONE NEL MEDITERRANEO?

Algeria: fa ttore di destabilizzazione nel Mediterraneo?

I

Comprendere quel che accade oggi in Algeria non è affatto semplice, nemmeno studiando con cura la storia pregressa, le tradizioni religiose e culturali , la s ituazione economica e la collocazione geopolitica. E' evidente eh€- tale studio c i può fornire delle chiavi di interpretazione e di analisi di quanto avviene e su quanto tali fatti possano influi re sulla situazione attuale dell'Algeria e del Mediterraneo, ma la situazione è talmente complessa che si rischia sempre di sottovalutare alcuni fattori rispetto ad altri o che una variante di difficile previsione al momento in cui lo studio viene presentalo 2, si manifesti successivamente, dando un nuovo possibile orientamento all' interpretazione degli avvenimenti . Nel corso dell'anali si che segue, si tenterà di fornire alcune linee interpretative <.le i fatti attuali d' Algeria, riuscendo forse ad individuare alcuni de i fattori principali che determinano l'attuale te1ribile vicenda umana e statuale di una terra molto ricca di risorse naturali e forse troppo povera, a livello di popolazione, proprio per questa ragione. Un sintetico excursus della storia alge1ina nel trentennio della sua indipendenza, con una foca-

I Vari sono sla li gli studi consu ltati dall ' A. di questo saggio: pri ncipalmente studi redatti da ricercatori frances i e puhhl icati ne l corso de ll' ultimo decennio , quali fra i più recenti Lahouari J\ddi. L"Algérie et la Démocratie (La Déco uve1te, Parigi. 1995). Oi interesse anche Algérie. Le Li vre Noir, (La Oécouvcrlc, Pa ri gi, 1997), de lla Commissio ne In ternaziona le d ei Diritti de ll 'Uo mo. L a lett ura de lle no ti zie e deg li artico li pu bbli cati s ul m e ns il e Le Monde n ip/omatique e sul giornale Il Sole 240 re è stata basilare per l' ana lisi che vie ne effettua ta nel corso dello studio . Di notevole a iuto sono stati anche gli studi promossi e pubblicati dal Centro Militare di Sw<li Strategici (Ce.Miss) sulla sicurezza nel Me<lilerraneo e sul pensie ro militare islamico, e dall ' Istituzione Rand della California, in particolare le ricerc he <li Ian Lesser. Nel corso dello studio però non saranno <la le indicazio ni puntuali de lle fo nti, essendo stata la storia dell' Algeria indipendente ampiame nte lraUa la in volumi e studi vari e essendo le notizie economic he rintracciabi li anche su vari siti di lnle me l. L'a na lisi che segue infatti cerca di interpre tare e valutare le notizie storiche e economiche, per fornire una fra le tante possibili risposte all'intcrrogalivo posto nel tilolo. l si ntetici dati economici forn ili nel corso dello studio sono stati estrapolati da notizie economiche aggiornaie fornite da Handbook of Tnlematimwl Economie Stalistics, 1997. consultabi le su Internet, siti vari.

2 30

marzo 1998.


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Maria Gabriella Pasqualini

lizzazione particola re pe r chi ha detenuto il potere ne l tempo, è indispensabile per un' analisi approfondita degli accadime nti dell'ultimo q ui nquennio e per la comprensione dello scenario politico attuale. E' infatti opinione dell ' A. c he le chiavi principali di lettura del fenomeno algerino siano racchiuse nella lotta politica trentennale per il potere e nel p rog ressivo decadime nto dell 'economia del paese stesso, in quanto si ritiene il fattore economico, ins ie me alla ricerca della dete nzio ne esclusiva e taumaturgica del potere, una della molle principali che hanno portato l' Alge1ia attuale ad una s ituazione caot ica incontrollata e incontrollabile, dove il problema re ligioso è certamente uno dei fattori scate nanti , ma no n ne è il principale e comunque sicuramente non l' unico. La violenza che si riscontra in Algeria ha avuto un a accelerazione spaventosa dopo l' annullamento delle elezioni del dicembre 199 1, quando fu chiaro che il più importan te partito d i oppos iz ione, il FIS (Fronte Islamico di Salvezza), aveva conseguito una maggioranza notevole. Dal momento dell 'annullame nto di quelle consultazioni e le ttorali, anche il PIS, che mai era stato comunq ue un partilo compallo e omogeneo al suo interno, si è frammentato e ha dato origine a numerosi gruppi che hanno ulteriormente complicato la scena politica algerina. L'opposizione islami ca, fi no a quel momento, contenuta politicamente nel FIS, si suddivise, anche conc retandosi in q ua lche scheggia fanaticame nte estre mi sta. T,a decisione dei militari di annullare la consullazione elettorale e di arrestare molti dei leader politic i isla mic i rinfo rzò l' opposizio ne, che si è quindi organizzata in gruppi armati, i quali spesso hanno preso di mi ra le fo rze armate governative, esercito o polizia, e altretta nto spesso hanno punito con la mmie quei civili che ritenevano non fossero allineati con le loro convinzioni politiche e religiose. In questa fase acuta di terrorismo non vi sono ormai più dubbi c he altri gruppi armali, di differenle origine, si sono inse1iti nella violenza quotid iana e no n è semplice riconoscere le loro radici, c he potrebbero essere legate a ambienti che de te ngono attualme nte il potere. Oppure essere, come in parte lo sono sicuramente, fra nge estremiste di partiti nazionalisti. Nel panorama assai confuso, non è fac ile a chi dare la responsabilità dei vari massacri che si susseguo no. Ricordando i punti salienti de lla recente storia di questo stato, s i deve notare che J' Algeria iniziò la rivendicazione di alcuni diritti fo ndame ntali subito dopo la fine della seconda guerra mondiale: parte dei fatti bellici e politici più importanti di quel confli tto si e ra no svolti in tutto il M aghreb e soprattutto un_gran numero di truppe coloniali aveva combattuto fianco a fianco con le truppe metropolitane e aveva dato un contrihuto importan-


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te all'esito vittorioso della guerra. Più che logico dunque che alla ripresa de lla vita normale, nulla poteva tornare come prima: anche in Algeria coloro che avevano studiato in Francia o nelle stesse scuole algerine, apprendendo la lingua e la cultura francese (rivoluzione francese, diritti de ll'uomo compresi), e che avevano comballuto per la libertà de lla Francia in un difficile conflitto, c hiesero che quella égalité, liberté, j'raternité, - che i francesi da duecento an ni sostenevano di praticare -, fosse applicata anche ai territori d'oltremare. Si passò però rapidamente dalla semplice richiesta dell'uguaglianza piena dei nativi del!' Algeria con i cittadini dell a madrepatria, alla lotta per l ' indipendenza politica dalla Francia, sulla scia di un vento indipendentista c he soffiava in tutto il mondo arabo, nell'Africa a sud del Sahara e in Asia. Esistevano in quel momento in Algeria vari movimenti nazionalisti, il più importan te dei quali fu senza dubbi o il Parti du Peuple Algérien (PPA): una parte di esso si scisse e diede vita al Fronte di Liherazione Nazionale (FLN). In quel momento storico la lotta dei leader del Fronte aveva un unico obbieUivo: l'instaurazione di uno stato algerino indipendente, democratico e sociale, sia pur nel quadro dei principi islamici. Nel preparare 1'om1ai imminente indi pendenza, il CNR A ( Conseil National de la Révolution Algérienne) si incontrò a Tripoli (Libia), nel maggio 1962, per pianificare un difficile momento e cioè la transizione de l Fronte di Liberazione Nazionale da movimento di liberazione, con determinate caralleristiche e precisi obbiettivi, a forte partito politico, con la responsabilità della conduzione dello -"Stato ; transizione tradizionalmente complicata e non sempre ottenuta senza perdite di immagine o di consenso popolare: passare dal momento 'eroico' al momento 'normale', doè iniziare a costruire quello per cui si è tanto lollalo è meno esaltante, anche se più soddisfacente del periodo precedente. Fu previsto che il FLN sarebbe divenuto un partilo di massa, che doveva raccogliere il consenso di tutti i cittadini e comprendere in sé tutte le varie correnti di pens iero nazionaliste. Ma nonostante la chiarezza del programma previsto a Tripoli, a mano a mano che la data dell' indipendenza si avvicinava, nell'ambito del f'ronle si manifestavano delle profonde divergenze sia personali, sia di indirizzo politico fra gli esponenti più importanti del movimento. Questi contrasti inlerni, ancor prima del raggiungimento formale dell ' indipendenza, privarono la dirigenza del Fronte di una voce che risuonasse univoca e inducevano a pensare, con ragione, che il periodo posi- rivoluzionario sarebbe stato assai tormentato, come in effetti lo fu . Quel che alcuni autori hanno sottolinealo in vari s ludi è che queste


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divergenze non erano basale su e lementi tribali o di clan e le eventuali alleanze non rappresentavano una sorta di legami di lealtà fra famiglie, così c ome accadeva per il mondo arabo orie nta le ( Arabia Saudita , Kuwait ... ). Le alleanze e quindi , di contro le divergenze, erano basate solamente su legami dati dall 'aver frequentato questo o quel prestigioso istituto di istruzione, sulla comunanza nella lotta politica e su altri elementi, no n tradizionali, ma aggreganti. La lunga - più di centotrenta ann i -, e profonda opera del regime colo niale francese, era stata diretta a distruggere radicalmente il tessuto sociale tradi zionale. Una capillare, ma fortemente centralizzata organizzazione amministrativa e giudiziaria, che provvide a permettere ai coloni francesi di impossessarsi, con apparente legalità, delle te rre de lla colo ni a e a creare nuovi circuiti economici d i scambio, aveva alterato scriamenle la società locale tradizionale: le antiche élite algerine furono declassate e impoverite di ricchezze e di prestigio; la struttura sociale e triba le de l paese ne fu stravolla, se non per sempre, alme no fino ad oggi. Unico elemento di comunanza e coesione rimase l'Is lam 3, ollre a ll a lingua francese; certamente non lo fu quella araba, che non era parlata in tutta l'Algeria, dove I ingue come iI berbero avevano una loro stmttura e ri cchezza culturale cd erano largamente parlate, soprattutto nella regione della Cabila. Mentre si lottava per mezzo della rivoluzione per ottenere l' indipendenza, iniziava anc he il processo di liquidazione di organizzazioni rivali e di singoli grazie al quale il FL N si assicurò il monopolio de l po tere politico per il momento dell' indipendenza algerina che fu proclamata il primo luglio 1962, anche se in seno allo stesso Fronte di Liberazio ne si erano g ià aperte numerose brecce disaggreganti e ideologicamente contrapposte. Come in altri stati del Medio Oriente, anche in Algeria, il regime, su modello occidentale, che si e ra concretato subito dopo le lotte per l'indipendenza si dimostrò fragile e transitorio. Iniziava solo all ora la lunga strada nel tentativo di formare uno stato moderno nell 'ambito del consesso intern azio na le , che tenesse conto anc he de lle mu tate realtà delle società me diorie nta li tradiz ionali ; realtà m odificate dal te mpo, da ll a seconda gue1Ta mondiale, dai regimi coloniali . I capi militari dell 'Armée d e Libération Nationale (ALN), braccio armato del Fronte e il Governo Provvisorio della Repubbli ca Algerina

3 Per un approfondimento su questa questione e sulle conseg uenze di questo fenomeno , relativamente al periodo precedente l' indipendenza si veda Miche! Camau, Le Maghreb, in Les régimes potitiques arabes, l'Ur, Parigi. 1990. p. 369- 450.


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(GPRA) lottarono aspramente per ottenere il potere, ancor prima del fatidico g io rno dell'indipendenza: il Governo Provvisorio cercò anche di neutralizzare il sorgente astro del colonnello Boumedienne, allora Capo di Stato Maggiore dell'Esercito cU Liberazione algerino, potenzialmente pericoloso. Boumedienne, con mossa pragmatica, si alleò con Ben Bella, il quale, insieme a due politici Khider e Bitat, formò un Ufficio Poli tico (Bureau Politique), che era in contrasto proprio con il rivale Governo Provvisorio, che si era installato in Algeri per esercitarvi le funzioni di Esecutivo Provvisorio, legittimato dalla sua discendenza dal Fronte di Liherazione. Ma l'esercito, leale al proprio Capo di Stato Maggiore e da lui comandalo, entrò in Algeri agli inizi del settembre 1962: qui Boumedicnne fu raggiunto da Ben Bella, il quale consolidò così il potere di entrambi, anche con l'eliminazione fisica di alcuni oppositori, specialmente tra coloro che si sarebbero presentati come possibili candidati nelle elezioni politiche che sarebbero state indelle per la formazione del l'Assemblea nazionale. Una prima opposizione all'Ufficio Politico governante fu indebolita, ma non eliminata: alle elezioni, nelle quali erano presenti solo liste uni che elaborate proprio dall'Ufficio Politico, il 18% degli elettori non si presentò alle urne. Questa percentuale fu più del doppio nelle circoscrizioni clcuorali di Algeri, ove si arrivò ad una astensione che sfiorò il 36% degli aventi diritto. La Repubblica Popolare Democratica di Algeria venne proclamata il 25 settembre del 1962, durante la seduta di apertura del!' Assemhlea nazionale . Fu elello Presidente della neonata Assemhlea Parlamentare Abbas, un politico moderato che non faceva parte dell 'onnipotente Ufficio Politico. L'incarico cli formare l' esecutivo fu dato a Ben Bella; esecutivo che rappresentava lo stesso l' Ufficio Politico e che avrebbe incluso come Mini stro della Difesa il colonnello Boumcclienne e altri militari che avevano servito sotto i suoi ordini con le forze straniere in Marocco, de termina ndo così una decisa connotazione politico-militare dell ' esecutivo. Tre uomini formarono inizialmente un triumvirato che governava la giovane repubblica: Ben Be lla, Boumedienne e Khider. In questo modo i tre poteri di base erano riuniti , e cioè l'Esercito, il Partito, e il Governo c ivile. Ben Bella, Presidente della Repubblica e Capo dell'esecutivo, dimostrò subito le sue forti ambizioni e le sue tendenze autoritalie, provocando vasti scontenti in seno allo stesso triumvirato e fra la popolazione algerina. G li accordi cli Evian degli inizi del 1962, che avevano permesso il raggiungimento dell ' indipe ndenza da parte degli alg1;;1i ni , si erano basati su


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un assunto che si sarebbe rivelato errato e cioè che il Fronte di Liberazione sarebbe stato in grado di governare con redini ferme e salde il nuovo stato. Agli occhi de i diplomatici francesi, il Pronte di Liberazione legittimava, con la presenza dei suoi memb1i al tavolo de i negoziati, la nascita dell'Alge ria indipendente, uno stato che non aveva tradizioni antiche, ma che avrebbe dovuto raccogliere a) l' eredità della c ultura francese, peraltro imposta con un regime coloniale, solo apparentemente non autoritario, e b) quella dell ' azione politica del Fronte di Liberazione. Ma il Fronte non era unito e monolitico ; tutt'altro! Era una organizzazione policefala e polimorfa: aveva dato origine al sopra me nz ionato Esercito di Liberazione (ALN), ma non e ra riuscita a dominarlo saldamente e ne veniva invece molto spesso dominata. Vi era stato un devastante scontro interno alla direzione del FLN, nel luglio del 1962, da cui e ra uscito vincitore il gruppo di Ben Bella, primo regista del nuovo sistema politico basato sul triangolo Ese rcito - Partito - Governo. Il potere civile si era scontrato e si era disgregato di fronte alla solidariet~t forte degli uornini che componevano il braccio militare, ve rso il loro capo, un rais carismatico, il colonnello Boumedienne . Fin dalla proclamazione de ll ' indipende nza i vari el ementi costitutivi dell'appa rato burocratico del Fronte si erano scissi in due coalizioni principali, og nuna delle quali reclamava di .rappresentare legittimamente il Pronte. Questo costituì un ulte riore inde bolimento del Fronte stesso, che pur mantene ndo il potere, avrebbe alla lunga pagato la scarsa coesione. Prima e dopo l'indipendenza, furono creati, su ispirazione del Fronte , o rgani s mi come l' Unione Ge ne rale dei Lavo ratori Algerini (UGTA ), l ' Unione Generale dei Comm e rc ianti a lge rini ( UGC A) , l' Uni o ne Generale degli Studenti Al gerini (UGEMA), con la presenza, palese o occulta, di att.i visti delle varie correnti del FLN. Dopo l'indipendenza, il Fronte cercò di imporre la propria egemonia con l' uso della violenza sui milita nti di altre forze e sul popolo algerino. Ve nnero mantenute quasi integralmente le istituzioni , la legislazione e il personale della precedente a mministrazione coloniale. Il FLN diventò una organizzazione verticale, profo ndame nte burocratizzata, gestita da decine di migliaia di funzionari , che legittimò ideolog icame nte cli fronte alla società inte rnazionale ed anc he di fronte a que lla algerina il nuovo stato indipe ndente. La stabilità delle istituzioni c he il Fronte avrebbe dovuto garantire, era assic urata in realtà dalla triade esercito-partito-go verno e non dal Fronte. La sanguinosa guerra Lii libe razione, con le sue complican7,e dovute


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proprio a quei francesi che si rifiutavano di lasciare il tenitorio (la guerra dei francesi contro la madrepatria per una indipende nza di un tenitorio " francese" in Africa), e quanto era successo immediatamente dopo, nei primissimi mesi dell'indipendenza, avevano completamente travolto e stravolto la società algerina e l' economia della nazione. Oltre alla distruzione fi sica del territorio, la partenza dei coloni francesi aveva privato lo stato di gran parte dei quadri dirigenti, degli impiegati statali, degli ingegneri, degli insegnanti, dei medici e di moltissimi operai qualificati: cioè il paese era stato privato di tutta una borghes ia, bassa, media e alta che aveva assicurato precedentemente il normale funzionamento delle istitu zioni e delle professioni, in quei settori dai quali l'ele mento musulmano era stato escluso o era stato scoraggiato dall 'entra rvi, da una politi ca coloniale paternali sta, che dichiarava di voler integrare la popolazione locale, ma che di fatto la lasciava ne llo stato in cui era o cercava di abbassarne il livello. Migli aia erano i senza te tto, i poveri, i feriti, i maiali. Circa il 70% della forza lavoro esistente in loco era disoccupata. La fame provocava molte morti e la distribuzione de lle vettovaglie e delle merci non era ancora iniziata . Tcoloni che avevano dovuto lasciare il paese avevano portato con sé gli archivi naz ionali, che ritenevan o essere di esclusiva p roprietà francese, e tutta la documentazione riguardante il progresso e la pianificazio ne economica. L'organi zzazione statale era stata dunque privata di personale e di conte nuti . Nei p1imi ssimi mesi c he segui rono l' indipe nde nza, vi fu la corsa da parte di un nucleo di ,ùgerini , ben collocati in posizioni cli partilo e dell 'esercito, a reclamare e a impossessarsi di tutte le proprietà lasciate dai coloni francesi, c reando così una nuova classe privilegiata, ma non adatta e istruita per la conduzione economica e impre nditoria le del paese. Ne l marzo 1963 Ben Bella legittimò queste richieste, dichiarando che tutte le proprietà, le industrie e le fabb1iche, precedentemente di proprietà di stranieri, che si erano allontanati dal territorio, e rano res nullius e quindi veniva no legalme nte confiscate dallo stato per essere assegnate a cittadini algerini. Da notare che in questo decreto e nei successivi non fu mai usata la parola nazionalizzazione, probabilmente per evitare le nonnali - in ambito internazionale -, richieste di somme da parte de lla Francia, pe r indennizzare i propri concittadini . TI Fronte cercò di far passare questa politica di un primo ampio coinvolgimento dello stato nell'economia come una via algerina al socialismo. Furono avviati a mbiziosi programmi di trasformazioni sociali ed economiche, la complessità dei quali e i lunghi tempi di attuazione forse pos-


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sono spiegare in gran parte la relativa e apparente calma politica del ventennio success ivo . Imprese del settore pubblico furono gradualmente organi zzate in società statali che partecipavano virtualmente in ogni aspetto della vita economica del paese. Sebbene la loro attività fosse coordinata dalle autorità centrali , si supponeva che ogni società statalizzata avrebbe mantenuto nel settore di operazioni in cui era coinvolta, una propria sfera di autonomia. La partenza dei proprietari e dei dirigenti europei dalle indu strie e dai latifondi agricoli diede invece origine, in quei settori, ad un fenomen o, che più tardi fu indicato come autogestione, che fu , all' origine, spontaneo: infatti i lavoratori, sia algerini s ia strani eri , quei pochi che erano rimasti, s i videro costretti ad assumere il controllo delle imprese pe r impedire che vi fosse un collasso totale. A questo punto Ben Bella decise di volgere a proprio favore un fenomeno spontaneo, per allargare la propria base di consenso popolare e formalizzò il concetto di autogestione nel già citato decreto del marzo 1963. L'autogestione non portò però, con l'andar del tempo, a brillanti risultati : i lavoratori delle industrie e degli stabilimenti agricoli, di proprietà dello stato, così come quelli de11e cooperative agricole elessero a mano a mano gli organismi dirigenti per l'indirizzo e il coordinamento delle attività produttive e per il marketing. Furono quindi costituiti organi di dirigenza misti, con membri eletti dai lavoratori e membri indicati dallo stato. Ma il sistema risullò fallimentare. Il settore che fu più colpito in questo modo di gestire la produzione fu proprio que11o agricolo, che rise ntì anche di una inefficiente burocratizzazione del sistema e di una incompetenza a i più alti Iivelli , per non parlare di furti e di corruzione spicciola, a lutti i livelli. Ben Bella pensava di pote r contare su una schiacciante e duratura maggioranza all'interno dell'Assemblea nazionale, ma invece molto presto si formò un gruppo di opposizione guidalo dal deputato Ait Ahmed. Anche all'esterno del Pa rlamento e del Governo g li oppositori furono molti: aderenti del Parti Communiste Algérien (PCA) e del Parti de la Révolution socialiste (PRS), il cui leader era Boudiaf. Quei comunisti, che erano stati totalmente estromessi dal Fronte di Liberazione e di conseguenza da ogni politica attiva, ris ultarono essere attori di parte del processo politico post-indipendenti stico, ovviamente contro la volontà dei dirigenti al potere. Tanto ciò accadde che le attività di quei gruppi furono messe fuorilegge e lo stesso Boudiaf venne arrestato. Anche le organizzazioni sindacali di sinistra come la Union Générale des Travailleurs Algériens (UGTA) iniziarono a concretare una opposizione dura verso il Governo. A quel punto tutte le organizzazioni sindacali furono messe


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sotto il diretto controllo del Fronte, nel tentativo di arginarne le attività i;itenute sovversive. Anche all'interno del triumvirato al potere ini ziavano a formarsi divergenze sulla conduzione del governo e sul ruolo da dare, o meglio da concedere, a] Fronte di Liberazione. Ben Bella vedeva il Fronte come un partito di avanguardia elitaria, il ruolo del quale era quello di far convergere il consenso popolare su lui stesso in modo da rafforzare la sua personale leadershi p. M a non era questo il punto di vista di Khider che voleva considerare il Fronte solo come un o rgano consultivo dell' Ufficio Politico, un ruolo dunque più passivo rispetto a quanto fermamente voleva Ben Bella. Quest' ultimo non fece altro che destituire Khider sia dall'Ufficio Politico che dalla carica di Segretario Generale del Fronte. Questo avvenne pochj mesi dopo l'indipendenza, nel marzo 1963. Khider si rifugiò in Svizzera portando con sé una parte cospicua dei finanziamenti in dollari che erano affluiti al Fronte. Era iniziata duramente la vera lolla per il potere, quell a lotta nell a quale sono da ricercarsi alcune delle ragioni della situazione attuale. Nell 'agosto 1963, anche Abbas, Presidente del Parlamento rassegnò le sue dimissioni per denunciare lo strapotere del Fronte e l'indebolimento conseguente delle funzioni democratiche dell' A ssemblea nazionale. E fu ovviamente messo agli arresti . Si procedette all 'elaborazione di una nuova Costituzione, non più di ispi razione francese "coloniale", ma considerata tota]mente "algerina". Questo testo fu votato e approvato con un referendum nel settembre 1963. Ben Bella diveniva il capo incontrastato della nazione algerina: cumulava infatti le funzioni di Capo dello Stato, Capo del Governo e Capo delle Forze Armate. Egl i poteva formare il suo Gabinetto senza chiedere approvazioni di carattere legislativo all' Assemblea Nazionale e ne era l'urnco responsabile. Non erano previsti controlli istituzionali sul suo potere e soprattutto sul suo operato. L'oppositore Ait Ahmed lasciò l'Assemblea Nazionale per protestare contro le evidenti tendenze dittatoriali del governo di Ben Bell a: in realtà l'Assemblea dei deputati che erano stati eletti dal popolo non aveva altra funzione che agire da notaio di quanto veniva deciso dal Gabinetto del Presidente dell a Repubblic a, senza alcuna po ssibilità di opporsi a tali decisiorn. Ma iniziò anche la violenta opposizione dei leader della Cabila, i quali rimproveravano al governo di non aver saputo coordinare e portare a compimento la ricostruzione di que lla regione, che aveva subito pesanti conseguenze a causa della guerra di liberazione. Ait Ahmed formò un movimento di resistenza, ovviamente in c la ndestinità, il Front des Forces


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Socialistes (FFS), che aveva il suo centro proprio nella Cabila e il c ui scopo principale era di destituire Be n Bella. Verso il finire dell'estate del l 963, vi furono vari incidenti in quelJa regione attribuiti allo stesso FFS e quindi con questa ragione ufficiale fu possibile a Ben Bella far affluire truppe verso la Cabila. L' anno seguente, i moti in Cabila furono molto più intensi e ad essi si aggi unsero anche disordini ne l Sahara meridionale. Si costituì all' opposizione un Comité National pour la Défense de la Révolution (CNDR), che unì le forze di Ait Ahmed e di Boudiaf. A questo Comité aderirono anche i capi militari del territorio cabi lo, che costitu iva la Settima Regione Militare. Era universalmente creduto che anche Khider fosse della partita e che sovvenzionasse il movimento, con quei fondi che aveva provveduto a distrarre in occasione delJa sua fuga in Svizzera. L'eserc ito, se mpre agli ordini del colonne llo Boumedienne, Ministro della Difesa, che in poco tempo era riuscilo a farne uno stmmento compatto e forte, riuscì a cancellare i tentativi di ribellione. Ait Ahmed e il colonnello Chaabani , uno de i comandanti de lJa Regione militare che aveva guidato gli insorti , furono catturati e condannati alla pena capitale, nel 1965. Anche Boudiaf e Khicler furono condannati a morte, ma non erano presenti . Il colonnello Chaabani venne giustiziato, per aver infranto il codice militare ed essersi ribe llato ai suoi superiori, mentre la pena di Ait Ahmed, il civile, fu commutata nel carcere a vita. In questa situaz ione egl i poco rimase: riu scì infatti a scappare ne l 1966 e a rifug iars i in Europa, dove g ià vivevano Khider e Roudiaf. Boumedienne non aveva avuto alcuno scrupolo ad usare l'esercito per gli avvenimenti dell a Cabila, ri tenendo che queste ribelli on i nuocevano alla stabilit~t del paese. Ma quando Ben BclJa c~n.:ò di trovare alleati proprio fra alcuni maggiorenti della Cabila, allo scopo di allentare le tensioni e mantenere il suo potere intatto, si manifestarono tensioni fra lui e il suo Ministro della Difesa. li ristretto gruppo dirigente iniziava a sfaldarsi: nel1' aprile 1965 Ben Bella ordinò che i capi della locale poi izia riferissero direttamente a lui, invece di usare i normali canali del Ministero degli Intern i. A quel punto il Ministro, Medeg hri , che e ra molto vicino a Boumedienne, diede per protes ta le dimissioni: era quanto voleva Ben Bella che lo sostituì subito con un altro esponente de ll' Ufficio Politico, a lui fedele. Ben Bella cercò anc he di far dare le dimissioni ad un altro potente m embro del suo gabinetto, ritenuto pericolosamente vic ino a Boumedicnne, il Ministro degli Esteri Boutetlik a. Era chiaro che si stava avvicinando il mome nto della rimozione dello stesso Boumedienne, il quale però a nticipò Ben Bella e Jo depose, il 19 giugno del 1965, con un


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colpo di stato rapido e senza spargimento di sang ue. Ben Be11a fu preso prigioniero e segregato. Boumedienne qualificò il colpo di stato militare come " rettifica storica" de11a guerra algerina per l'indipendenza Non vi era più ombra di democ razia all' occidentale nell' Algeria indi pendente, solamente due anni dopo la dichi arazione della sua indipendenza. li nuovo Capo dello stato algerino sospese la Costituzione del 1963, abolì l' Ufficio Politico, che considerava essere stato uno strumento personale ne lle mani di Be n Bella e disciol se la locale milizia. Formò un Consiglio dell a Rivoluzione che av rebbe avuto i pieni poteri fino a quando un a nuova costituzione fos se stata varata. li nuovo Consiglio era soprattutto un organo militare, che s i era posto, come compito dichiarato, di armonizzare le istanze politiche degli ex membri de ll 'Ufficio Politico con que lle delle varie componenti dell 'esercito. Ventisei membri componevano il Consiglio Rivoluzionario: costoro erano leader militari, membri del disciolto Ufficio Politico e ufficiali superiori della Armée Nationale Populaire ( ANP) , i q u ali a veva no sos tenuto il colpo di stato cli Boumedienne ed erano a lui devoti . Fu costituito anche un Consiglio dei Ministri, nomjnato direttamente da Boumediennc: facevano parte di que sto Gabinetto degli esperti in economia, lìnanzn e agricoltura; elci membri del Fronte di Liberazione; così come vari altri rappresentanti di tutte le categorie della società algerina. Vi era anche un leader islamico. Infatti Boumedienne era un forte nazionalista, che era slalo profondamente influenzalo dai valori e dalla c ultura dell' i slam: si esprimeva, uno fra i pochi leader algerini della prima ora, meglio in arabo che in francese. Nel costituire i I nuovo Gabinetlo gove rn ante , non aveva dunque potuto dimenticare q uesti valori tradizionali ai qual.i dimostrava di tenere moltissimo. La situazione economica era allora mo lto difficile e si colloca in questo contesto la funzione che il regime decise di assegnare all ' Islam. La proclamazione dell ' Islam come religione di stato era avvenuta nel 1962, ma di fatto nulla era stato varato per affermare e far prosperare questa decisione, salvo la scelta esplicita di fare della cultura arabo-islamica iJ fattore propulsivo dell'identità personale e della ling ua araba (a scapito de l berbero, altresì molto diffuso, che ha un ricco patrimonio culturale e letterario). Questa scelta però non riuscì a creare un 'alleanza solida e duratura fra la nuova classe politica e le massime autorità religiose del paese. Al contrario pose le basi di uno scontro politico e culturale di vaste proporzioni, dando all a corrente fondamentalista la possibilità di affermarsi prog ressivamente come forza politica o rganizzata e dotata di un efficacissimo strumento: la s ua ideologia. L'adozione dell' insegnarncnlo


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religioso nelle scuole fornì a i fondamentalisti la via preferenziale per costituirsi in forza politica alternativa all ' Islam governati vo c aUe istituz iorù in genere e per diffondersi in tutto il paese . Boumedienne prese il pieno controllo della nazione, apparentemente non per iniziare il governo di un potere militare, ma solo per proteggere gli interessi dell'esercito, che egli riteneva minacciati dall'operato di Ben Bella. La s ua posiz ione di Capo dello Stato a li' inizio non era molto forte, soprattutto perc hé egli no n aveva un reale controllo delle forze civ ili. Cercò, a lmeno agli inizi, di a scoltare le decisioni dell 'organo collegiale che lui stesso aveva contribuito a costituire, nel te ntativo di comporre le tensiorù fra le varie fazioni . Le critiche non gli mancarono fin dal primo momento: infatti alcu ni esponenti radicali del Fronte di Liberazione gli rimproverarono di aver lasc iato indietro la politica dell'autogestione economica e di aver tradito un rigoroso socialismo algeri no, che era stato nei propositi iniziali de lla rivoluzione per l' indipendenza. Vi furono alcuni te ntativi per assassinarlo, ne l 1967 e nel 1968, dopo i quali però i dissidenti furono esiliati o imprigion ati e il pote re di Boumedienne si consolidò. I problemi erano molto forti , soprattutto per quanto riguardava la produ zione agricola, l'econo mia delle campagne; economia importante per un paese c he non era ancora industrializzato a livelli europei. La produzione agricola non bastava per i bisogni di una popolazione crescente. Nel 1971 Boumedienne lanciò un programma di completa rivoluzione de l' settore, cancellando completam ente il passato siste ma di grandi a ziende agricole possedute dallo stato. Volle dissolvere i grandi latifo ndi, di videndo le terre in piccoli appezzamenti, per distribuirle a i contadini che non avevano terre da coltivare. L' unica regola a lla quale gli assegnatari di parcelle di terreno dovevano attenersi era quella di aderire alle cooperative agricole, organizzate dallo stato, in modo di poter ottene re prestiti a tassi agevolati , sementi , fertili zzanti e ogni attrezzo agricolo mode rno che fosse possibile ottenere in Algeria, tramite l'impo1tazione. Questo programma di rivoluzione agricola fu attuato nel quadriennio 1974-78, anno della morte di Boumedienne. Già alla fine del 1974, ogni contadino aveva avuto assegnato un appezzam ento di terreno di dieci ettari. Gli assegnatari furo no circa 60.000 e le cooperative organiz1,ate, circa 6.000. Questo e ffic ie ntism o fu considerato un grande successo iniziale e s ul successo di queste rea lizzazion i, Boumedi e nne lanciò un nuovo programma per costruire mille villaggi 'socialisti ': obiettivo finale e ra quello di da r vita a 1.700 villaggi, che avrebbero dovuto dare abitaz ione e lavoro a c irca 140.000 contadini. Ma a lla -mo rte <li Boumedienm: yu1.;s to prog ramma


Algeria: farrore di de.w,.,/Jilizmzirme nel Medirerrwreo?

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ambi zioso fu a bbandonato, anche perc hé era stato fonte di enormi perdite finanziarie. Nel 1976, due anni prima de lla sua morte, Boumedicnne elaborò un docum e nto c hi a mato Statuto Naz ional e, c he fu pre ludio ad una Costituzio ne varata nel novembre de llo stesso a nno. In base a questa nuova carta costituzionale, egli fu eletto Preside nte dell a Repubblica, e non avre bbe potuto essere altrimenti, con un suffragio quasi unanime, c he si avvici nò al 95% dei vota nti. Ma la sua morte, nel dicembre del 1978, diede di nuovo il via ad una lotta difficile per il potere, all' interno del Fronte di Liberazione. Fu scelta allora una fig ura rela ti vame nte poco conosciuta, Chadli Benjedid, che giurò fedeltà alla Costituzione il 9 febbraio del 1979. Be njedid era conside rato un moderato: aveva aiutato Boumedienne a disfarsi di Be n Bella, ma non era legato ad alcun gruppo in particolare o fazione, anche se aveva largo seguito fra i militari , c he erano riusciti a imporre ancora una volta un loro candidato. Be njedid si dedicò subito alla soluzione del difficile problema di risollevare le sorti dell'economia della nazione. Come primo atto, il nuovo governo decise d i abbandonare il progetto dei villaggi socialisti , assegnando però maggiori risorse all' agricoltura, ma per costruire infrastrutture agricole, specialme nte dighe e progelli di canali zzazione clcU' acqua per irrigazio ne. Nel giugno del 1980 egli convocò un congresso straordinario de l Fronte di Libe razione per esaminare i piani di sviluppo del quinquennio 1980- 1984. Dietro i nuovi orientamenti economici, vi era uno spirito esaspe rato di conservare gelosamente una indipende nza politica cd economica; la prima forse più fac ile da salvaguardare che la seconda. Il piano di sviluppo che ri sul tò approvato in quel Congresso, liberali zzò l'econo mi a, ce rcando di rompere il sis te ma, o rma i largamente insoddisfacente, della partecipazione statale a tutte le attività economiche, per dare maggiore spazio di operatività a un sistema di proprietà e di direzione manageriale, a sfondo privatistico, anche se pesantemente control lato dalle strutture .statali . Nell ' ambi to dell 'economfa agricola, così importante per la struttura algerina e pe r la sua popolazio ne, il Piano quinquennale modificò radical mente l' impostazione fi no ad allora data a tutto il sella re. Il governo assegnò approssimativamente 700.000 ettari a privati agricoltori, aume ntando il totale delle terre di proprietà privata fino alla concorrenza di cinque mil ioni di ettari. Nello stesso te mpo libe ralizzò il siste ma di vendita de i prodolli agricoli e stabili la concessione di incentivi per le colture intensive. Ulteriori decisioni in merito furon o prese relativame nte alla dissolu-


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zione di ben 3.400 aziende agricole di proprietà statale (che erano di circa 700 ettari ciascuna), per convertire il tutto in aziende di proprietà privata che di media dovevano essere di ci rca 80 ettari ciascuna. Poiché il diriuo di proprietà era permanente e trasferihile - sempre che l' azienda agricola fosse rimasta indivisa per assicurare una congrua estensione per le coltivazioni - e i nuovi proprietari potevano possedere privatamente le macchine agricole necess,u-ie, la situazione della produzione agricola iniziò a migliorare sens ihilmcnte e tutta la nuova regolamentazione si dimostrò essere un huon incentivo per gli agricoltori individuali. Ancora una volta le comuni agricol e avevano fallito nel loro scopo e una sia pur controllata privatizzazione dava i suoi frutti. Nel 1967 lo stato algerino aveva intanto avviato un integrato processo di nazionalizzazione delle precede nti strutture produttive coloniali , oltre all'agricoltura, fino ad allora autogestite dai lavoratori algerini. Ciò servì a finanziare programmi di industrializzazione a ritmi forzati, che videro come conseguenza log ica l' introduzione ciel lavoro salariato in quasi tutti i settori industriali , con relativa scolarizzazione e processi di urbanizzazione, e la creazione di un terziario dehole, con altri lavoratori salariati in modo insufficiente, che vivevano in agglome rati urbani dagli alti costi. Si orig inò così un proletariato e sottoproletariato urhano che sarehhe stato assai pe1111eabile ad ogni te ntativo di opposizione al potere. Vi fu sicuramente un primo mig lioramento generale delle condizioni di vita, che con la presenza forte, anche se discreta, dell 'esercito assicurò la pace sociale. Si arrivò a definire 1' Algeria un "paese socialista" che però era finan ziato dalla esportazione degli idrocarburi, ed era quindi assoggettato, sia al prezzo del petrolio e de l gas sui mercati internazionali , sia ai rapporti tra la classe dirigente algerina e le multinazionali. li primo scontro aspro tra governo e popolazione, con un risvolto relig ioso, era avvenuto nel 1973, con la nazionali zzazione prevista dalla riforma agraria, che in molle zone andava a colpire terre fino ad a llora proprietà della Z,aouia (società religiose). TI governo non riuscì a trovare nessuno a cui affidarne lo sfruttamento, perché tutti rinunciavano a installarsi su terre considerate non nazionalizzabili in rag ione della loro appartenenza a comunità religiose. Questo fatto fu una prima spia di quanto erano ancora multo influenti queste fondazioni religiose nel tessuto sociale algerino, nonostante una spinta laicizzazione francese durante il periodo coloniale. Sotto il regime di Benjedid, si accentuarono le forti proteste degli studenti deJle uni versità berbere: infatti prosegui va il programma governativo di ara hizzazione di tulle le componenti della società , in particolar


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modo nel se ttore dell 'educazione pubblica. Benj edid riaffermò allora i concetti che ispiravano il governo nella questione, sul lungo termine, ma fu costretto a dare un posto ufficiale agli studi di berbero nelle università e dovelle anche autorizzare programmi in ling ua berbera nei mass-media. Queste concessioni non piacquero assolutamente a coloro che avevano iniziato a rivalutare l'Islam come e le mento aggregante della popolazione e a coloro c he mai avevano creduto in uno stato laico, ritenendo la sharia, la legge coranica, l'unica legge da rispettare in ogni aspetto della vita umana, politico o privato che fosse. Gli islam ic i ini ziarono a aumentare la loro influenza in parte proprio perché il governo non era stato in grado di mante nere le promesse fatte dal punto di vista economico. All a fine degli anni ' 70, parallelamente a quanto avveniva in Iran durante il 1976- 1977, gli attivisti musulmani erano ancora impegnati in brevi scaramucce di non grande peso, chiedendo re lativamente poche conce ssioni c he rispettassero le loro credenze relig iose, ma già rnmpiendo atti provocatori , quali infastidire e san ziona re donne che non ritenevano adeguatamente vestile secondo i dettami islamici ; irrompe re in negozi che ve ndeva no alcolici e merci straniere e distrugger! i; esautorare gli ima m di nomina governali va prcpostj alle singole moschee, per melle rc al loro posto imam di nomin a popolare, che fossero conside rati ortodossi nella fede is lamica. Gli attivisti musulmani alzarono progressivamente le loro richieste: nel 1982 chiese ro l'abrogazione dello Statuto Nazionale e la formazione di un governo islamico. Gli atti di violenza nelle università aument,u-ono e nel corso di alcuni inc identi g li islamici uccisero uno stude nte. Questo diede la possibi lità al governo di intervenire pesantemente pe r seda re i disordini e ave re l'occasione pe r cercare di me ttere a tacere membri dell ' opposizione islami ca. 400 attivisti islamici furo no arrestati: in seguito a questi arresti una moltitudine di I 00.00 pe rsone si riunì per le preghiere del venerdì nell a moschea dell ' Università . Questo stesso tipo di reazione da pa1te della popolazione si e ra avuta a Tehera n durante gli ultimi mesi del 1978, quando il regi me dello Shah cercava di sedare l' avanzata inarrestabil e dei seguaci di Khomeiny. In Algeria, invece, alme no per quel periodo, l'arresto di promine nti me mbri del movimento d i o pposiz ione is lamico, com e Abde latif Sultani e Ahm cd Sahnoun, e bbe come risultato una diminuzione della te nsione per alcuni anni . Le azio ni violente dell' opposizione diminuirono, anc he a fronte di alcune importanti concessioni che il governo fece, conside rando correttamente che g li islamici potevano radunare allorno a sé una gran pa1te della popolazione, specialmente quelle prime vittime della saturazione del mcr-


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cato del lavoro, al l'i nizio degli anni Ottanta, cioè i diplomati delle facoltà letterarie e giuridiche, che unirono le loro voci deluse e amareggiate alle rivendicazioni fondamentali ste di rivalorizzazione della comune eredità araba musulmana. Questa situazione costrinse il regime ad adottare nel 1984 un nuovo Codice di Famiglia che dava agli uomini il diritto di praticare la poligamia, proibiva alle donne di sposarsi con non musulmani e imponeva loro una tutela parentale o mmitale, anche quando avessero raggiunto l'età adulta. Misure ce,tamente involutive rispetto alla Costituzione del 1976, che aveva sancito l'uguaglianza, quantomeno form ale, tra uomini e donne davanti alla legge. Inoltre, nello stesso anno, a Costanti na il governo alge1ino aprì una delle più gra ndi università islamiche del mondo. Furono queste le prime serie vittorie dei fondamentalisti che rilanciarono, da quel momento, la richiesta sempre più pressante dell 'applicazione integrale della Sharia. li movimento islamico quindi costitui va un serio pe ri colo per l'unità e la stabilità del paese, in quel quadro politico e sociale, e fu alternativamente trattato dalle forze governative con clurczza anche se con rispetto, acccclc nclo appunto ad alcune delle richieste che essi facevano, nel tentativo di evitare una radicalizzazione de l problema. Questi accadimenti dimostravano la presenza di una forza potenzialmente alternativa al governo legittimo proprio nel periodo in cui l'Algeria e ntrava in piena crisi economica e sociale. Infatti s ia il Primo (19801984), s ia il Secondo Piano Quinque nnale di Sviluppo ( 1985- 1989), redatti sotto la presidenza di Benjedid, cercarono cli costruire una economia naz ionale divers ifi cata , ri s petto a quella c he aveva indi cato Boumedienne, togliendo in particolare allo stato centrale il monopolio della pianificazione e diminuendo il controllo governativo su gran parte delle realizzazioni economiche, per avviare sempre più l' iniziativa privata . Ma la crisi economica del paese precipitò proprio verso la parte terminale del Primo Piano Quinquennale di sviluppo: il tasso di disoccupazione lievitò terribilmente; s i registrò una forte penuria di merci primarie e soprattutto di olio da cucina, semolino, caffè, tè e altri componenti dell'alimentazione quotidi ana degli a lgerini. Gli organi di stampa registravano lunghe code di donne in attesa di poter comprare cibo, divenuto raro e costosissimo, mentre molta forza lavoro giovanil e p assava le sue ore in strada, con una grande frustrazione per non poter trovare lavoro e con una grande rabbia e voglia di contestazione violenta contro il governo e il mondo occidentale, ritenuto causa scatenante della depressa situaz io ne locale. La situazione, già economicamente molto difficile, si aggravò ulterior-


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mente: nel 1986 si ebbe una caduta vertiginosa dei prezzi del petrolio. Smantellare il sistema economico statale capitalistico sembrò a Benjedid l'unica v ia per salvare l'economia dello stato. Nel 1987 egli annunciò delle riforme che avrehhero permesso il completo ritorno del controllo economico e dei profitti ai privati, iniziando proprio dal settore dell' agri coltura per arri vare alle grandi partecipazioni statali e alle banche. Per sanare il bilancio fortemente compromesso dalla caduta del prezzo del petrolio, unico settore fino ad allora trainan te, il governo algerino fu costretto a intraprendere la strada, adottata da quasi tutti i paesi emergenti, del forte indebitamento presso la comunità internazionale. Nonostante l'introduzione di varie misure pe r risanare il bilancio e l' economia , accaddero vari incidenti indicanti che il disagio sociale aumentava fortemente ad Algeri e nelle altri maggiori città, contemporaneamente ,ùla situazione econom ica che continuava a precipitare. 11 governo algerino fu costretto a varare piani severi per arrivare all'aggiustamento strutturale dei suo i conti, secondo quanto voluto dalla Banca Mondiale e del Fondo M o netario lntemazionaJe. Susseguendosi queste pratiche, il governo algerino fu costretto a firmare un accordo di svalutazione del 40% del dinaro, anche se molto più tardi, nell'aprile del 1994, quando le condizioni di vita degli algerini erano ormai ridotte all? stremo. Gi~1 alla fine degli anni '80 si trattava di trovare i mezzi fina nziari e i canali giusti per gestire la ma rginalizzazione di ampli ssimi settori di una popolazione i cui g iovani rappresentavano p iù del 60% della popolazione locale. Aumentò il numero degli scioperi e delle manifestaz ioni, nacquero nuove forme di organizzazione indipendente dagli apparati di regime, che venivano sempre più rite nuti corrotti e inefficienti . Le divi sioni all'interno del regime tra i seguac i dell'apertura economi ca propu gnata d all a compagine di Be njedid e i fedeli allo statali smo del de funto presidente Boumcdienne fun zi onarono d a c a ssa di riso na n za d e ll o sco nte nto popolare . Nell' autun no del 1988 si formarono spontaneamente moltissimi comitati e associazioni. Una nutrita serie di scioperi e di dimostrazioni d i studenti e lavoratori generarono in Algeri forti di sordini. I dimostranti erano per la gran parte giovani e giovanissimi c he erano di soccupati e terribilmente frustrati dalla situazione economica orma i al collasso: le proprietà del partito unico , il Fronte di Liberazione e molte istituzioni governative vennero distrutte per la violenza delle dimostrazio ni. Quando le dimostrazioni si estesero a tutto il paese, coinvolgendo le città di Annaba, Blida, Orano e altre cittadine minori, il governo dichiarò lo stato di emergenza e iniziò ad usare la forza militare, schierando i carri armati, dichiarando lo stato di assedio ad Algeri e provocando molti ssimi decessi durante la


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repressione. Ai primi di ottobre le forze di sicurezza avevano ristabilito una sembianza di ordine pubblico, che era costata circa 500 morti, secondo stime non ufficiali, e circa 3.500 arresti. Come molli osservatori e studiosi hanno notato 4, il governo algerino, costretto ad applicare in una Algeria indipendente, procedimenti utilizzati in passato dal potere coloniale, non comprese che stava perdendo la sua lcgittimitù rivoluzionari a, già peraltro ampiamente compromessa da ventisei anni di regime in monopolio di potere. La tortura, metodo conosciuto nel periodo rivoluzionario, che venne utilizzata per reprimere i disordini causati dai cittadini della nuova Algeria indipendente, unì pe r la prima volta le opposizioni per combatterla. Le dure misure prese per arginare i disordini del cosiddetto "Ottobre Nero" generarono una forte reazione nella popolazione. Gli islamici presero il controllo di molle parti de lle territorio nazionale. Organizzazioni indipe nde nti di avvocati , stude nti , giornali sti e medici unirono le lo ro voci per chiedere giustizia e democratic i cambiamenti. Benjedid reagì, operando una forte epurazione dei quadri a111111i11istrativi e militari, preparando però un programma di riforme politiche. La successiva radicali zzazione ciel proble ma costrinse il go verno di Benjcdid a concedere aperture democratiche, che misero in risalto le contraddi zioni di circa trent' anni di gestione monopolistica del potere da parte del Fronte di Liberazione e agirono come un detonatore per la degenerazione successiva di tutta la situazione algerina. Nel dicembre 1988 Benjedid fu rieletto Preside nte, s ia pur con uno s trello marg ine e quindi gli fu offe rta una nuova possibilità di attuare seriamente le riforme in senso democratico che aveva annunciato voler perseguire. 11 progetto di una nuova costituzione venne approvato a larga maggioran za con un referendum il 23 febbraio 1989. Venne abolita la parola socialista nella formul azione ufficiale dell a s ituazione costituzionale della nazione. Vennero riconosciuti il diritto di sciopero e la libertà sindac ale; venne data l'autorizzazione a creare assoc iazioni a carattere politico, aprendo così la porta alla possibilità della c reazione di un multipartitismo. Venne garantita la libe rtù di opinione e di riunione, ma fu riti rata la garanzia dei diritti delJe donne, che era stata sanz ionata nella costituzione del 1976. Il Fronte di Liberazione non venne menz ionato in alcuna parte del

4 Cfr. tra gli altri, il volume di F. Burgal, li f o11dam entalismo islamico, Torino, SEI Editrice. I <)'J.'i, p. 250.


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documento. L'esercito fu considerato solamente nella parte che riguardava la difesa nazionale, riflettendo così il desiderio da più parti espresso che i militari si ritirassero daJl a politica atti va, pe r svolgere la funzione principale ad essi demandata, lasciando ai civili il governo della naz ione . L'esercito si ritirò dal Comitato centrale del Partito. Con la nuova costituzione la politica attiva riprese vigore. Una sorta di primavera politica: i giornali erano i più liberi e vivaci del mondo arabo e molli partiti s i formarono, facendo proseliti e cercando uno spazio proprio e una soglia di visi bilità nella complessa atti va scena politica algerina. Nel febbraio del 1989 Abbassi M adani e Ali Belhadj avevano fondato il Fronte Islamico di Salvezza (FIS). Anche se la costituzione aveva pro ibito, con e vide nte lungimiranza, partiti politici di stretta connotazione religiosa, il Fi s iniziò ad avere numerosi aderenti e a ricoprire un ruolo non certo marginale nello scenario politico algerino, ponendosi all ' opposizione del governo. Appena formato, il Fis poté godere di una influenza tale eia condiz ionare la formazione delle liste elci candidati e i programmi dell' altro schieramento candidato alla successione del FLN, il cosiddetto fronte la ico, in cu i si trovavano il Partito de ll ' Avanguardia Socialista (PAGS), sorto già precedentemente nell ' area della sinistra rivoluzionaria, erede del partito comuni sta algerino sciolto nel 1962 e rifondato nel 1966, co n l a nu ova s ig la, c he appoggiava dall ' es terno i l regime di Boumedie nne; il Fronte de lle Forze Socialiste (FSF) d i Ait Ahmed, fondato nel 1963; il Raggruppamento per la Cultura e la Democrazia (RC D), fondato nel 1974, nell' area de ll a siru.stra ri voluzionaria. Il 14 settembre 1989 il presidente Benjeclid prese una decisione senza precedenti nel Maghre h, aprendo a l partito islamico le porte della scena politica. Il primo ministro Hamrush così motivò la decisione: "Siamo di fronte ad un 'esperienza unica nel mondo musulmano, è la prima volta che uno Staio, l 'ALReria, riconosce un movimento integralista come un movimento politico. Abbiamo scelto questa via perché pensiamo che il mit?lior modo di governare il f enomeno sia comprenderlo, gestirlo, discutere con esso. Ahhiamo scelto la via democratica, la via della saggezza. Portando il fronte islamico, o gli islamici, o gli integralisti, o i fondam entalisti, come volete chiamarli voi, a discutere sul piano dem.ocratico, siamo sicuri dei nostri argomenti e dei nostri mezzi ... Hanno essi dei responsabili che li rappresentano? Si, certamente. Considero il partito islamico un partito come gli altri. Ufficialmente essi hanno dei capi, hanno un portavoce con cui ho discusso personalmente per due volte. E' ragionevole... ragiona come voi e me... Certo, non si può f?iudicare un partito dalle sue affermazioni ... Bisogna dunque a:-.pettare il loro con-


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gresso e vedere quali uomini emergeranno dalla base, poi potremo dare una valutazione più fondata ... s . Nelle elezioni tenute nel giugno del 1990, a sorpresa per i governanti, il Fis sconfisse il Fronte di Liberazione nelle elezioni locali e provinciali, anche perché gran parte dei partiti cosiddetti secolari fecero il grave errore di boicottare le elezioni. li Fis vinse in 853 comuni, sui 1553 nei quali erano state tenute le consultazioni elettorali . TI movimento integralista stava colmando un vuoto aperto a) da una profonda crisi di valori che avevano ispirato il nazionalismo rivoluzionario, il socialismo, b) dal fallimento delle politiche di industrializzazione e di un modello laico occidentale di sviluppo. L' integralismo sfrullava con g rande efficienza quello spazio lasciato libero, ri uscendo a coagul are forze politiche e rivendicazioni sociali ; divenendo un movimento di contestazione politica, di protesta sociale, di affermazione reli giosa e di revisione dei parametri della società, pone ndo l' Islam come fatlore indi spensabile e base solida della ricerca di una nuova identità nazionale, ne l suk:o de lle tradizioni m usulma ne della umma dei Credenti. TI Fis algerino, Hamas in Palestina, gli Hezbollah in Libano e i movimenti religiosi omologhi in Egitto hanno una comune matrice origin aria e sono fo rze c he agiscono da vie maestre per processi di radicalizzazione, spesso di mobilitazione di frange della popolazione contro regimi ritenuti o tili e repressivi, e soprattutto troppo vicini alla corruzione occidentale. E' evidente che si avvalgono de lla principale caralleristica de1l'lslam di essere un ' ideologia globale e totalizzante, una regola che detta le leggi della politica, del potere, delJa vita quotidiana e pe rso nale. L' obiettivo è que llo di instaurare uno Stato islamico, anche utilizzando in molti casi il terrorismo individuale, talvolla indiscriminato, perché i seguaci ciel movimento sono sp inti dall 'idea di essere una minoranza messianica, po rtatrice di una mi sione divi na, etica e politica. Quindi è evidente che il ricorso al tctTorismo ha radici profonde, legate anche alla feroce repressione di cui i portatori di questa missione sono stati oggetto da parli di diversi regimi. Al successo del Fis, la risposta del Fronte fu 4uella di adottare una nuova legge ele ttorale che era apertamente favorevole allo stesso Fronte. A questo punto iniziarono le vere ostilità del Fis, che indisse uno sciopero

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Parole pronunciate davanti ai mi crofo ni francesi I' 11 gennaio I990, riportale in Hurgat,

cit., pag. 254.


A/gaia: fattore di dt·stabilizwzione nel Mediterraneo ?

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generale, organizzò dimostrazioni e occupò edifici governativi. Ben_jedid fu costretto a dichiarare la legge marziale il 5 giugno 1991 , ma contemporaneamente cercò di comporre la frattura chiedendo al Ministro degli Esteri, Sid Ahmad Ghozali, di formare un nuovo organo esecutivo di riconciliazione nazionale. Sebbene il Fis sembrasse soddisfatto della scelta di Ghozali e del suo tentativo cli rivedere ancora una volta la legge elettorale, i suoi leader continuarono a fomentare proteste, tanto che l'esercito dovette intervenire nuovamente, arrestando Belhadj , Madani e centinaia di altri esponenti del fis. Lo stato di emergenza fu abolito nel settembre 1991. Gli attivisti del Fis volevano porsi come alternativa al sistema capitalista, ma non volevano certo s uperare i concetti della proprietà privata, volendo limitarsi solo a pianificare i cambiamenti negli indirizzi economici , gestendoli e controllandoli. Ma la creazione di uno Stato islamico impli ca, ne lla teoria politica praticata dal Fis, una concezione statale oppressiva verso tutte le minoranze e le opposizioni sociali, religiose, etniche e culturali . Inoltre la concezione patri arcale dell' Islam, nel fondamentalismo, è diventata anche una vera e propria opposizione ad un ruolo moderno delle donne nella società contemporanea. Il Fis algerino intendeva far leva su un timido processo democratico che si stava instaurando nel paese per prendere il potere, ma certamente con il fine di instaurare una repubblica islami ca che non prevedeva più elezioni perché sarebbe toccato ad All ah e ai suoi rappresentanti decidere ciel futuro. Dopo le elezioni comunali del 1990, il Fis decise nel 1991 di utilizzare a proprio vantaggio un esteso movimento antioccidentale, arrivando persino a proporre l'arruolamento a favore dell ' Iraq. In un vuoto di legalità governativa avanzò così un progetto integralista sprezzante della libertà dell'individuo, in nome delle regole dell' Islam, anche in quei pochi paesi in cui si continuava sempre a considerare l'I slam come una bàndiera di tolleranza, rispetto alle misure occidentali verso paesi arabi o al sostegno dato a Isrnele. Dopo la vittoria alle elezioni comunali l' opposizione democratica non poteva competere con il Fis, né con un nuovo movimento creato nel 1990, in occasione del terzo anniversario del l'inizio dell' Intifada palestinese, il Movimento della Società Isla mica, la cui sigla 1-/a mas, ricordava quella degli islamici elci territori occupati. Nel 1991 Hamas algerino venne legalizzato e contrapposto al Fis, ma la nuova organizzazione islamica non riuscì ad avere lo stesso seguito dell' altra organizzazione. L'esercito anche si divise: lo Stato Maggiore e gli alti uflìciali rimasero


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legati all'osservanza del partito unico pe r eccellenza, cioè al Fronte di Liberazione, considerando il Fis e i suoi a lleati avversari pericolosi per la stabilità del paese e per la loro stessa ~opravvivenza. 1 bassi gradi e la truppa invece istintivamente videro con s impatia i movimenti islamici. Nel mese di marzo l' esercito occupò la sede del Fis ad Algeri e il governo, dichiarandolo fuorilegge, lo sciolse. I due dirigenti princ ipa li , Alì Belhadj e Ahbas Madani furono arrestati per cospiraz ione armata contro la sicurezza dello stato. Gli organi di stampa del Fis furono soppressi con l'accusa di avere pubblic alo appe lli alla disobbedienza civile e alla viole nza, ma il presidente fu costre tto comunque ad ann unciare nuove elezioni leg islati ve unite alle e le zion i presidenziali a nticipa le. Quel che il governo algerino non riteneva potesse accadere, avvenne: nel dicembre 1991 i candidati de l f-'i s e bbero una schiacciante maggioranza in ben 188 distretti elettorali su 430, andando ben oltre i quindici seggi vinti dal Fronte di Liberazione. Alc uni memhri ciel Gabinetto di Benjedid, te me ndo c he il Fi s avrebbe preso completamente il potere, forzarono il Presidente a dissolvere il nuovo pa rlamento e a dare le dimi ssioni, I' 11 genna io t"992. Di nuovo un triumvirato prese il potere: Ghozali , Mini stro degli Esteri ; Khalc d Nezzar, Ministro de lla Difesa e Larbi Belkhe ir, Ministro degli Inte rni . Essi dichia rarono nulle le elczionj appe na fi nite e in sie me a Mohame d Boudiaf formarono un S upe riore Co n sig-lio di Sic urezza, di evide nte caratte rizzazione milita re, che doveva guidare il paese. A qu esto punto tulli i partiti e movimenti politic;ì , Fronte di Liberazione e Pi s per primi , reclamarono il ripristino degli organi e lettorali e nuove e lezioni , ma la polizia e l'esen.:ito stroncarono le dimostrazioni con arresti in massa. Nel febbraio 1992 vi furono violenti disordini in tutto lo stato e il 9 febbraio il nuovo governo clct:ise di dichiarare lo stato di e mergenza, con sospe nsione di tutt e que lle poc he garanzie di tipo costituzionale, a ncora in vigore. T,a lolla politica si faceva molto dura e la repressione, viole nta. Assunse la preside nza dell'Alto Consiglio Boudiaf, il qu a le di c hi arò c he l ' Is la m e ra la re li g i o n e di stato in Alge ri a. Nonosta nte questa dichiarazione il Fis non volle riconoscere come valida la nomina, sostenendo che le uniche consuhazioni valide erano que lle annulla le. Continuarono sciope ri e dimostrazio ni che furono represse con violenza. Poco tempo dopo la sua no mina, Boudi af fu assassinato ne lla città di Annaha, per mano di un militare facenl<.; pai1e della sua guardia del corpo. Sia all ' inte rno dell ' Al geria che all' estero molli pensarono allora che il regime fosse coinvolto in q uesto assassinio, pe rché timoroso dell'apertura di Boudia f verso i movimenti isla mici e de l suo te ntativo di ricostituire un Raggruppa1m::11lu Naziona le democratico .


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11 Fronte di Liberazione era stato privato del potere e della conduzione degli affari pubblici, dopo un ventennio cli potere da partito unico, ma la sua defenestrazione aprì la strada ad un incerto periodo di transizione. Lo scontento nei confronti del partito era ovunque diffuso, soprattutto perché il popolo non aveva avuto akuna voce nella conduzione del governo; i membri del partito, col progredire del tempo, avevano abbandonato gli ideali rivoluzionari e si erano dimostrati per la maggior parte corrotti e incapaci di una corretta gestione delle ri sorse energetiche. La popolazione non aveva alcuna prospettiva di lavoro e il livello cli vita andava progressivamente scadendo in modo pericoloso. Tn più le classi povere e bassomedio borghesi, con gravi problemi di sopravvivenza economica, erano particolarmente violente contro la burocrazia di partito che aveva goduto di molti privilegi, di tipo considerato occidentale: il consumismo praticato da chi ne aveva le poss ibilità economiche veniva messo sul conto degli scadenti vaJori occidentali secolari. Il breve intervallo democratico che l'A lgeria aveva tentato di avere aveva portato in superficie questj scontenti e questa opposizione ad un modo di vita e , come nel primo periodo della rivoluzione e dell' indipendenza algerina, la lingua dcll 'Tslam funzionò da collante e da mezzo p1ivilegiato per esporre la propria protesta sociale, politica e civile. Anche il Fis non fu immune da contrasti inlerru : nell' area islamica si formarono di versi gruppi di attivisti: uno filo iraniano, seguace di un partito ipotetico della jihad; un gruppo di cosiddetti afghani, perché esperti nella guerriglia, di territorio e di citt~t. Tutti questi gruppi però mantenevano una loro indipendenza dal Pi s. Infatti le divergenze più profonde all ' interno de l gruppo dirigente de l Fis si e bbero proprio riguardo alla solidarietà da garantire a queste f rangc considerate radicali. Si era intanto formalo anche il hraccio arn1ato de l Fis, l'Eserc ito islamico di sal vezza (AIS). Gli islamici più radicali formarono il Gruppo Islam ico Armato (GIA). Iniziarono anche gli assassini di cittadini stra nieri. Le Corti speciali costi tuite durante il periodo dell'emergenza avevano lavorato sodo e avevano comminalo 350 condanne a morte di islamici dal tehhraio al dicembre del 1993. Nel 1994 la Conferenza Nazionale del Con senso (CNC) adottò una piattaforma programmatica che assegnava ali ' Alto Consiglio di Stato, unico tutore della sicurezza dello stato, il compilo di designare un nuovo Presidente della repubblica algerina. Vi fu una sola candidatura, sostenuta dall' esercito, quella di Zeroual, Mini stro della Difesa, cx uffic iale dell' esercito francese, in tempi coloniali, il quale venne così eletto Presidente della Giunta militare che avrebbe governato l'Algeria . li nuovo leader


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cercò di aprire un dialogo con il 1-<is, che rimase sempre fuorilegge, ma era organizzato e fin troppo attivo, con il suo braccio armato. Le elezioni del novembre 1995 furono boicottate e si svolsero in un clima di intimj dazione e violenza, ma furono un voto contro il terrorismo e la violenza. Fu però il voto degli algerini e soprattullo delle donne algerine c he s i recarono in massa ai seggi, nonostante i gruppi arma6 avessero minacciato di uccidere tutti coloro che si fossero avvicinati alle urne. La popolazione li sfidò apertamente: l'affluenza fu del 75%. Ottima per l'Algeria. I due elementi stabili dello stato algerino rimasero ancora e sempre l'esercito e il governo, che doveva solo portare a esecuzione gli indirizzi e gli ordini dati dall a gerarchia militare. Organo esecutivo, appunto, ma non della volontà del popolo espressa attraverso i suoi eletti, ma di una giunta militare, unica detentrice del potere. E il potere militare, che in una democrazia parlamentare, sarebbe il braccio minato dell'organo esecutivo, cortocircuitò il potere secolare istituzionale, ponendolo al suo servizio. Se istituzionalmente il Consigl io dei Ministri deteneva l'autorità pubblica in realtà era assolutamente impotente dinanzi alla violazione delle regole da parte dei militari. Infatti persino un giudice dei tribunali veniva dopo un militare e un funzionario di partito, nella scala delle precedenze e dell'autorità effettivamente goduta. Una certa superiorità del governo era dovuta al fatto che lì si decideva la destinazione e 1' impiego delle ri sorse finanziarie del paese, mentre l'esercito fissava gli orientamenti economici generali. La corruzione era promossa dagli stessi detentori del potere che facevano gli interessi delle varie lobbies economiche o ili partito. La pratica del clientelismo e della corruzione nella gestione dell'economia, basata esclusivamente sulla rendita di un unico prodotto, porta inevitabilmente all 'arricchimento di quella che viene comunemente chiam ata nomenklatura e dei gruppi sociali che ruotano attorno al regime a detri mento della quasi totalità della popolazione. 11 governo aveva cd ha inoltre il monopolio assoluto dei mezzi di informazione nazionali e il controllo dell ' informazione proveniente dall'estero. Leggendo la stampa quotidia na, l' algerino può anche credere di vivere in un paese dove la vita sociale ed economica è quasi normale, ad eccezione cli massacri collettivi commessi da quelli che vengono considerati nom1ali delinquenti disperati, sul punto di essere eliminati dalle forze de ll' ordine, mentre è severamente proibito parlare de i metodi arbitrari ed illegali attuati dalle forze del l'ordine, nel rnrso della repressione di questi elementi. Con la morte di Boudiaf e con la successiva elezione di Zeroual, la situazione peggiorò notevolmente in Algeria, arriv,mdo alle esecuzioni di


Algeria: }attore di destabilizzazione nel Mnlitermneo?

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c ivili inermi, attribuite a questo o a quel gruppo, islamico o di governo, a seconda dell 'organo di stampa o di inform azione che comunicava e comunica la notizia. Mentre Zeroual cercava nel 1994 di avviare un dialogo con alcuni degli esponenti più moderati del FIS , la violenza terrorista aumentava e la repressione si intensificava. Il nuovo Primo Ministro Muktad Sifi e il nuovo Ministro degli Interni Sharif si preparavano a negoziare con il FIS; a riprova di questa buona disposizione Ali Belhadj e Madani furono tolti dal carcere duro e vennero loro dati gli arresti domiciliari. Vennero liberati anche altri dirigenti del FIS. All' iniziativa di Zeroual parteciparono solo c inque partiti: il Fronte di Liberazione e il Movimento per la democrazia (MDA) di Ben Bella, che era rientrato nel 1990, sperando faUacemente di poter di nuovo essere in prima linea sulla scena politica; il Partito per il Rinnovamento algerino; i due movimenti islamici moderati Hamas e Ennahdha. Invece il Fronte deUe forze socialiste di Ait Ahmed, il Raggruppamento per la cultura e la democrazia (RCD) e il movimento com uni sta Ehadi confermarono il loro boicottaggio, denunciando il pericolo di cedimenti politici governativ i al FTS. Ma il FIS non è certamente l'ala moderata del fondamentalismo algerino, da contrapporsi ai radicali del Gruppo am1ato islamico (GIA), o ad altri. Al di là della realtà della loro indipendenza organi zzativa e della violenza degli scontri che spesso li oppongono, tutti questi gruppi fanno più o meno direttamente riferimento al FIS e ai suoi principali leader. Hanno lo stesso obbiettivo perseguito dal FIS, denunciato in una "carta democratica" stabilita fra il 1990 e il 1992. Ed è questo fatto che insieme alla violenza e alla tattica della terra bruciata, operata dall'esercito, dà la misura della guerra in atto contro il popolo algerino che si cerca di isolare dal resto del mondo. Ciò può in pa rte spiegare una convergenza, apparentemente paradossale, di interessi fra i due schieramenti le cui posizioni sembrano inconciliabili. Infatti nel gennaio del 1995, sotto gli auspic i della Comunit~1 di Sant'Egidio, in Roma, otto movimenti cli opposizione tra c ui il FIS e il FSF e il FLN hanno redatto una piattaforma comune per la risoluzione dei conflitti che il governo algerino ha però rifiutato integralmente. Il governo di Algeri forse spera ormai di ridurre l'influenza politica del1' islamismo opponendo terrore a terrore. Si moltiplicano quelle atrocia1 suUe quali è difficile esprimersi per gli organi di stampa in Europa, che s i sentono imharazzati a condannare pratiche che però sbarrerebbero il passo ai fondamentalisti islamici, tanto criticati e temuti; anche se questi sistemi i111plicano tmt me sistematiche, esecuzioni sommarie, arresti di giovani in


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massa, raffiche di mitragliatrici sulla folla e uso eventuale di armi chimiche nei villaggi. Il tentativo di ristabilire l'ordine con questi mezzi non può ottenere altro che la radicalizzazione della lotta armata. Se vi è uno stato dove un camhiamento profondo si impone è l'Algeria dove il governo sembra essere allo sbando ed ha una unica ossessione, un unico obbiettivo, quello di rimanere al potere. Ma sperare di eliminare come per incanto l'islamismo algeri no, che è una componente stabile del dibattito politico del paese è una assurda utopia di persone che non si vogliono rendere conto di una realtà onnai esistente 6 . .finora il mese di Ramadan più sangui noso era stato quello del 1993, quando il terrorismo aveva lanciato la sua campagna contro gli intellettuali, i giornalisti, le donne e gli s tranieri. La strategia sembra ormai cambiala se si colpi scono i contadini, gli abitanti dei villaggi più poveri, dove non c'è ne mmeno acqua e luce, i più diseredati. Per fare notizia si punta sul numero e sull ' efferatezza. In una intervista recente l'imam algerino Soheib Be nche ik ha dichiarato che pe r lui gli assass ini sono identificati e identificabili , in 4uanto sono dei criminal i c he agiscono secondo una concezione arcaica del diritto musulmano, un estremismo dogmatico e una pseudo spiritualità disumanizzata . Così l'imam spiega la volontà del Gia di punire con la morte il popolo algerino, colpevo le di appoggiare un governo empio. Aggiunge Bencheik che questi assassini citano un pse udo hadith (o detto del Profeta); pse udo perc hé non può essere vero quel detto secondo cui il Profeta avrehhe significato c he sono lutti uguali: dunque v i è lice nz a di uccide re a nche donne e bambini. E' una inte rpretazione estremfata e non veritiera di alcune delle sure (capitoli del Corano) se gli stupri collettivi vengono giustificali da una vecchia logica canonica, che afferma che le donne sono botti no di g uerra e il diritto musulma no autorizza relazioni sessuali con donne schiave, cioè cose di cui possono servirsi. Que ll'imam e molti altri moderati con lui arrivano a denunciare l'ipocri sia di quegli ulema e teologi che da un lato condannano i massacri ma dall ' altra non accettano nessuna messa in di scussione del Jiqh, il diritto musulmano. M olto interessante, a questo proposito, è sic uramente la Dichiarazione di Cartagine fim1ata a Tunisi il 2 1 settembre 1994 da tredici scrittori arabi riuniti a Convegno sulla c reazione poetica e letteraria alle soglie del XXT secolo; convegno organizzato dall ' UNESCO col so stegno di Pen Tnternational. La situazio-

6 Cfr. l' articolo di I . Kamo net, Algérie da11s /p chaos, in " Le Monde Diplorna tique", settembre 1994.


Algeria: fattore di des tabilizza zione nel Medilerraneo'!

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ne attuale, affe rma la Dichiarazione di Cartagine, non è semplice cri si politica e culturale. E' una crisi dell 'essere umano imprigionalo in un periodo di tenebre. E' dunque urgente uscirne. E per farlo, deve essere vocazione degli scrittori arabi, musulmani e non, di ristahilire i principi che governano la Comunità: de mocraz ia, diritti umani, non violenza e libe rtà de ll ' indi viduo, che ne sono l' incontestabile ma nifestazione. Qualora questi principi non fossero rivendicati ad alta voce da questa categoria di letterati, per l'inte ra comunità umana, significherebbe tradire i grandi principi dell' lslam e metlere a repe ntaglio la stessa civiltà islamica. Una civiltà quincli fondata sul plurali smo, s ull 'integrazione, sullo scambio e la ricerca e che soltanto un ritorno a questi valori potrà rinnovare. li manifesto culturale degli scrittori e degli intellettuali arabi ebbe una sua influe nza sul mondo arabo. Gi à agli inizi del 1994 , in Al geria, soprattutto nella Cabila la popolazione aveva comin c iato a reagire: il Mov imento C ultu rale Be rhero (MC H) lollava per il riconoscimento del berbero come lingua uffic ia le a l pari dell 'araho e per il suo insegnamento nelle scuole e per questo aveva indetto nume rose manifestazio ni e dimostrazioni. M a la Cabil a si era anche mobilitata contro gli integralisti che avevano stabilito le loro hasi sui monti della regione e scendevano ne i villaggi a fare razzie di cibo, cli soldi, di donne e bambini . Gli ahitanti dei villaggi si erano organi zzati in comitati di autodifesa per fare fronte ai commandos armati e spesso non senza successo. Questi fatti riuscirono nel 1994 a far liberare il cantante berbero M atoub, uno dei fondatori del MCB , che era stato sequestrato dagli integralisti, per la sua battaglia a favore de lla cultura berbera e della nazione algerina. Senza l' appogg io dell 'esercito e nell ' indifferenza dei poteri pubblic i, tutti gli abitanti dei villaggi cabili si e rano e sono tuttora mobilitati in permanenza. La popolazione non si può armare: il regime, consapevole della sua scarsa legittimazione, teme fortemente che le a rmi vengano utili zzate contro di lui . ln varie interviste a mezzi di comuni cazione europei i leader ciel sindacato algerino UGTA hanno spesso affermato che coloro che pagano il prezzo più alto della crisi sono gli strati più deboli della popolazione, cioè i lavoratori e i giovani . E' la società che paga la crisi, non la classe politica che ha dichiarato il fallimento del suo operato. Sono proprio i disoccupati a pagare il prezzo pesante de lla ristrutturazione economica fatta con l' avallo degli organi finanziari internazionali. Il regime di Zeroual gode certame nte nel mo mento attuale di un sostegno internazionale che in termini di investimenti petroliferi e finanzia -


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menti supera i cinque miliardi di dollari. Eppure da un punto di vista sociale la situazione è drammalica: aumentano la povertà, il costo della vita e la disoccupazione che colpi sce il 28% della popolazione. T g iovani, i lavoratori , gli intellettuali devono lottare contro due nemki in competizione tra loro, ma uniti dal tenlalivo di reprimere, per governarla con pieni poteri, la socie tà civile. Due nemici uniti anche dai metodi barbari per mezzo dei quali lottano: il lerrore e la tortura. Il 5 giugno 1997 cinque milioni di algerini sono stati chiamati di nuovo alle urne per le prime elezioni politiche per l 'Assemblea Nazionale, dopo quelle annull ate del 1992. Tutta la fase elettorale è stata costellata da azioni terroristiche da parte del Gia contro la popolazione. La vittoria è andata al raggruppamento Nazionale Democratico (RND) partito del presidente Zeroual, con settori provenienti dalla nomenklatura del Fronte di Liberazione e appoggiato dai militari. Il partito islamico Hamas è risultato secondo, poi il FNL e un altro movimento islamico. Il FTS ancora fuori legge e il partito di Ben Bella, il MDA, hanno fatto una propaganda forte per boicottaggio delle elezioni. Il MDA è stato sciolto dal tribunale di Algeri una settimana dopo il voto. Numerosi partiti hanno denunciato irregolarità e brogli nelle operazioni cti voto per favorire il RND. Ma quello che continua a colpire la comunità mondiale è l'inadeguatezza del regime a far fronte alla situazione: non solo non è riuscito a vincere il terrorismo, ma ha di fatto imposto un regime a partito unico. Si può escludere che quella parte del regime contraria alla proliferazione di partiti politici e movimenti religiosi faccia finta di non vedere quali massacri si stanno compiendo sotto i loro occhi, proprio per bloccare definitivamente un vacillante processo di de mocratizzazione? Va anche considerato che il leader del FIS Madani si è dissociato dai metodi del G IA, dichiarando ufficialmente che I' AIS è una forza armata militare disciplinala che riconosce il primato dell' istanza politica. Il GIA invece è composto, secondo la sua opinione, di criminali e di agenti infiltrati dei servi zi segreti militari deviati. Però rimane il fatto che l' obbiettivo comune tra stato e terroristi, islamici e non , è senza dubbio quello di terrori zzare la popolazione per soggiogarla e ottenere o mantenere un potere. In quasi tutte le analisi degli analisti, sociologi e politologi il grande assente è il popolo algerino che sta pagando un altissimo tributo a questa lotta di potere e religiosa, più di 60.000 morti in cinque anni. La società civile algerina non è una realtà generica e astratta. Sono uomini e donne che sono ben lungi dall 'essere assolutamente ine rmi e rassegnati. La prova ne è che vengono organizzale dimostrazioni e manifestazioni contro gli atti lcrroristici di qualsiasi matrice.


AIReria: fa/Iure di ;/estabilizzazio1J<' nel MPdite rra11eo?

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Il 7 dicembre 1997 è entrata in vigore la nuova Costituzione algerina con la qua le Zcroual e con di lui l'esercito acquisisce un maggior potere. Si istituisce una Camera Alta: il Consiglio della Nazione, per due terzi a s uffragio uni ve rsale e per un terzo nominale. I quattro partiti che si trovano all'opposiz ione sono ora il FlS, i socialisti del FSF, il MDA di Ben Bella e il partito dei lavoratori di Lousa Hanoune; questi hanno dato vita ad una alleanza per rovesciare il regime, superando le divergenze ideologiche. Questo atto è stato denuncialo dai partiti sostenitori dell'esercito (gli islamici moderati, g li cx-comunisti, il Movimento sociale per la pace - M sp) e il raggruppamento per la cultura e la democrazia, come un 'operazione di leg ittimazione del dissolto FIS. L'incapacità dei partiti non relig iosi d i ani vare ad una soluzione del problema riOcttc le divisioni tra gli elettori non islamici, numerosi nelle città, come funzionari di partito o della burocrazia, ingegneri, avvocati, class ifi cati come "democratici", anche se alcuni in realtà, per reazione, fanno l'apologia dell ' autoritarismo. Ma poiché non hanno alcun riferime nto religioso, non hanno impallo s ul popolo. che è convinto che i cosiddetti democratici sono legati al regime . Dunque i democratici non potrebbero accontentarsi di denunciare gli islamisti , ma hanno bi sogno di portare avanti un'ideologia articolata intorno a i principi intangibili come il ri spetto dei dirilli umani, la libe1tà di stampa, etc. La violenza continua a mietere villime in Algeria: un musulmano è pronto ad ucc idere in nome di un' utopia tradizionale di nùllcnni che concep isce l' indi v id uo come mezzo terre no al servizio del fine celeste. Anche il regime si ripara dietro la legalità per uccidere, al fine di continuare a de tenere il potere. Questa differenza fondamentale è all 'origi ne della de bolezza dell'opposizione e il regime cerca di sfrullarla per perpetuars i, mentre gli islamisti sono te ntali di perpetuare il sistema monopartitico. Sc rive il sociologo I ,ahouri Addì 7 che pe r risolvere la c ri si bi sogn a a) abolire la dicotomia tra un potere non istituzionale e un potere forma le senza autorità politica ; e b) i militari devono rinunciare ad interferire nella politica 8. Questo supporrebbe una specie di "contratto nazionale" basalo sulle regole del mul-

7 Cfr. l' interessante analisi di questo studioso in L 'Armée alghiPnne ,:onfisq11e le pouvoir, in " Le Monde l)iploma1iquc". Fehhraio 1998. 8 Tra i vari esempi storici dell ' area del Levante e del Medio e Vicino Oriente, interessa ricordare l' interferenza della componente milita re nella pol itica attiva che fu molto fonc negli ultimissimi anni di vita dell' Impero Ottomano, decretandone la fine, e nella prima decade della giovane repubblica turca.


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tipartitismo, della lihertà d'espressione e dell ' alternanza elettorale tra tutti i partiti, FIS compreso. La violazione del contratto potrebbe giustificare l'intervento dell'eserc ito solo se esso avesse di nuovo ottenuto la fiduc ia del popolo. In altri casi, come in Bosni a, in Sud Africa, in Palestina le popolazioni hanno dimostrato che è possibile rispondere e ribattere alla politica di dominio e di violenza degli stati. Sono queste le lotte che possono ispirare il popolo algerino, infondere coraggio e fiducia nei propri mezzi. L' Islam illuminato al potere, pur con notevoli distinguo, potrebbe essere in grado di aprire sbocchi cli civiltà e di liherazione. Non dovrebbe essere certamente un Islam, quale quello che è stato finora praticato in Tran o in Sudan, ove al contrario ha dimostrato essere solamente una politica e una cultura totalitaria, contraria all 'intelligenza degli avvenimenti. Mo lti musulmani non sentono l'Tslarn come politica e cultura totalitaria; esistono riflessioni e differenze tra le varie gerarchie islamiche. Molti sono coloro che si interrogano sulle alternative possibili , senza per questo rinnegare la propria religiosità e la propria ortodossia. Anche in Al geria iniziano ad esserci, pur se in una situazione contingente di grandi difficoltà, segnaJi di reazione iniziali a l terrorismo òi laga nte: stanno nascendo comitati di autodifesa in vi11aggi e zone di campagna. La loro presenza e organi zzazione indipendente dallo stato e dal terrorismo fondamentalista può essere una strada verso l' autorganizzazione della società civile islamica e la lotta contro le harharie, da qualunque parte esse vengano. La detenzione del potere assoluto e la reazione a questa volontà, dunque, è una delle molle principali che ha precipitalo l'Algeria nell 'attuale situazione. Perché questa ricerca assoluta della gestione del potere? Cosa rappresenta l'Algeria nella situazione economica mondiale? Quali sono le caratteristiche de ll'economi a a lgerina? Quale l' inte resse internazionale per la nazione algerina? Vi è sicuramente un 'all eanza s u pi ù piani tra l' apparato economico stata le algerino, soprall ulto l'esercito, e settori della finanza, cie l capitale, de i monopoli e dell a politica internazionale. Prima dell'indipendenza nel 1962, l'economia algerina era stata dominata dall' agricoltura per un millennio ed era conosciuta nella storia come il granaio dell'impero romano. Poi la scoperta di un prodotto strategicamente 1ilevante quale il petrolio mutò la fisionomia produttiva di quello stato. Con l'aumento de i prezzi del petrolio attraverso gli anni ' 60 il governo si imharcò in un processo cli industrializzazione, che aveva radi calmente trasformato l'economia, facendo dcli' Algeria una delle nazioni più ri cche dcll' Africa del Nord. Rimpinguata dagli introiti del petrolio, l'economia algerina crebbe a ritmo sostenuto attraverso tutti gli anni '70.


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T1 declino dei prezzi del petrolio negli anni '80 ridusse drasticamente la crescita economica della nazione che dipendeva esclusivamente dal petrolio. Il reddito annuale per persona scese dai $USA 2,360 del 1988 ai $USA 1,541 del 1992. Sebbene l'agricoltura non sia più il settore trainante dell'economùt, tuttavia ha ancora una parte importante nell'economia del paese. Nel 1993, quando l'esplosione della violenza si è radicalizzata, l'economia algerina era in una fase di transizione da un sistema centralizzato statalizzato verso un sistema di libero mercato. In questa contingenza, le sue risorse naturali cli terra coltivabile e gli idrocarburi avevano il ruolo principale. L'Algeria è per estensione la seconda nazione più grande dell'Africa, dopo il Sudan ed è un terzo deg li Stati Uniti. Più di due milioni di chilometri quadrati sono desertic i e caratlerizzali eia steppe semiaride che si estendono verso la regione meridionale del Sahara; vi è però una larga striscia di terreno fertile coltivabile che è concentrata lungo le coste del Mediterraneo. Le risorse principali cicli' Algeria sono gli idrocarburi . L' Algeria, con il suo 4 % delle riserve naturali mondiali di gas, ne è la quinta produttrice nel mondo; inoltre è da considerare che solamente il 17% delle sue risorse naturali è al momento sfruttato. Altri prodotti algerini in quantità sono ferro zinco, fosfati, uranio e mercurio. Nel 1993 la popolazione, nella quale sono predominanti arabi e berberi dipendeva ancora tradizionalmente dall'agricoltura e la forza lavorativa eccedeva il numero di cinque milioni e mezzo di unità. Una sanguinosa rivoluzione di otto anni portò l'Algeria all ' indipendenza e la partenza dei francesi si concretò però in un puT-lJo d ' arresto per l' economia della nazione. Come sopra si è sinteticamente visto, il primo governo indipe ndente di Ben Bella si dedicò completamente ad un sistema sociali sta di economia centralizzata e autarchica, ove possibile, che mollo costò all' economia generale della nazione. In seguito la preoccupa7,ione di Ben Bella di avere un ruolo politico importante nell ' ambito delle nazioni emergenti non contribuì a migliorare la situa7ione economica. Nell' immediato periodo che seguì l'indipendenza, il governo si concentrò su investimenti in larga scala di progetti di industria pesante, quali fabbriche di acciaio e raffinerie di greggio. I primi anni ' 80 videro appunto cambiamenti di questi orientamenti. Grandi imprese vennero spezzettate in unità più piccole, ma considerate più efficienti e una parte più importante nei bilanci di investimento fu destinala alle cosiddette industrie leggere, quali quelle tessili, quelle per la trasformazione di alimenti, prevalentemente agricoli. Una parte più sostanziosa tu anche dedicata alla costruzioni di appartamenti. TI governo continuò a avere un ruolu pn:pu11-


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dcra ntc ne lla grandi compagnie considerate strategic he, quali ad esempio la Compagnie Nationale pour la Recherche, la Production, le Transport, la Tran~formation et la Commercialisation des Hydrocarbures - meglio conosc iuta come Sonatrach. Questa co mpagni a di stato era stata fondata nel 1963, all'alba dell'indipende nza, ma nel 1980 venne divisa in tredic i tronconi più autonomi e specia li zzati . Il prog ramma di austerità del governo che indirizzava i proventi degli idrocarburi verso lo s viluppo nazionale e l' avversione continua delle au torità per i settori che prevedevano un forte uso di ma novalanza, qual i l' ag ricoltura e la manifattm·a, creò un problema sociale ed economico più ac uto e fu la causa di una mancanza cli vettovaglie alimentari, mai sperime ntato pri ma di que l momento. Non fu fino agli anni ' 70 quando il più pragmatico Bcnjedicl pre se le redini de l governo che l'Alge ria riconobbe l' urgente bi sogno di una riforma econo mica e soc iale. I pi a ni di svi luppo de l g overno fino a que l momento erano stati ispirati ad un rigido cont ro llo centralizzato e a lla proprietà statale de lla maggior parte dei mezzi di produ z ione del paese, agrico li e industriali. L' inefficie nza che ne risultò e le care stie che ne segui rono, spinsero i governi a pianificare un programma economico c he avesse come obbiettivo prioritario un aume nto de lla produtti vità e de ll a c rescita de l prodotto interno lo rdo. Ma furono i disordini largamente diffusi per la carestia cli pane de ll ' ottobre " nero" de l 1988 che costrinsero il governo a varare un prog ramma accelerato di riforme più se rie . Q uella c he è a nche conosc iuta come la "rivolta del c uscus" (il cibo più diffuso ne lla nazione algerina) fu attribuita ad un passo le nto e inaccettabile di r iforme po litic he ed economic he , così come ad una eccez io nale penuria di cibo, causata dalla cad uta del prezzo del pe trolio nel 1986 e quindi eia un minore introito statale per gli idrocarburi esportati . Lo scopo principale delle riforme accele rate fu di trasformare l' economia nazio na le da un sis te ma rigidame nte controllato verso un merca to o rie ntato ; di cre a re un clima più adatto agli investimenti stranie ri e ad a ume ntare il commerc io con l' es tero, nonché a incoraggiare risparmi e investimenti interni. Per raggiungere questi ohhiettivi , il governo diede una a utonomi a di direzione ai due te rzi de lle 450 imprese possedute dallo stato, includendo le banche, mentre istituiva un siste ma di di rezione , con bo nus di profitto per i di r ige nti che ottenevano ris ultati importanti . 11 governo eliminò anche i monopoli controllati da llo sta to per quanto riguardava l' importazione e l' esportazione, permettendo a ditte algerine e straniere aù impegnarsi in 4ucs lc allivilà. lnfiue le a ulu1ilà incoragg iarono il


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proseguime nto de facto della privatizzazione strisciante in atto nel settore agricolo. In realtà nel 1992 l'Algeria si collocava nel segmento medio allo di nazioni con un al to reddito e il governo si era concentrato solo da qualche anno sulle industrie manifatturiere, rovesciando un indirizzo precedente e aumentando in media il prodotto nazionale lordo del 18% nella decade c he va dagli a nni '70 agli a nni '80. Ma questa accelerata industriali zzazione è sempre stata ottenuta a spese del sellare agricolo, nel quale l' indice cli produzione declinò dal 15% cie l prodotto nazio nale lordo del 1965 al 9 %, del 1985. Questo declino costrinse il governo algerino a utilizzare parte di quella divisa straniera, guadagnala a spese delle risorse primarie del paese, per l'import.azione di razioni alimentari di uso comune, per sfamare una popolazione che era cresciuta al ritmo annuale del 3.2 % negli anni '70. Petrolio e gas continuarono ad essere la fonte principale di introiti, ma è da segnalare che il governo usò ben il 98% dei suoi introiti dagli idrocarburi per garantire le sue necessità di valuta estera. Quando il prezzo cli questi beni crollò, il governo algerino si vide costretto ad u na rimodulazio ne di tutta la spesa statale, c he però era ormai incomprimibile. Diversificò comunque la produ zione e, in un primo momento, invece di cercare altri intrniti da settori diversi de llo stato, mise tasse addizionali e tasse doganali, ma il governo no n volle tagliare anche alcune spese pubbliche per la già ristretta assistenza sociale, chiaramente considerando la difficile s ituazione interna esiste nte e te me ndo un ulteriore tragico impatto sulla popolazione. L' impegno del governo a costruire una economia che si sostenesse da sola aveva causato nel primo ventennio dell'indipendenza una spesa pe r inveslimenli pari a più del 50% del reddito nazionale in tutli gli anni '70 e agli inizi deg li a nni '80 tale percentuale aume ntò fino al 65%. Ma quando nel 1986 il prezzo degli idrocarburi crollò, si vide come gli introiti governativi diminuirono fino al 44% del bilancio del 1985, al 32% nc11 '86, al 23% l'anno seguente. Così il governo tu costretto a introdurre comunque nuove forme di tassazione come la tassa sulle società, que lla sulla proprietà e sulle vetture. Nel 1993 ad esempio fu introclotta la tassa sul valore aggiunto che stabilì un 7% di Iva su merci conside rate strategiche, come ad esempio l' elettricit à, il 13% sui prodotti a ta riffa ridotta , come ad esempio i materiali da costru zione, il 2 1% sulle automobili e il 40% sui generi di lusso. U governo continua anche attualmente a far fronte al dilemma di conc iliare una politica di austerità economica con l'impegno di sostenere una


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econom ia ancora di tipo sociali sta, con una spesa pubblica difficilmente comprimibile. Le tasse continuano ad aumentare e aiutano il governo nella politica degli investimenti che comunque è stata ridotta del 26% almeno nel 1993, ri spetto al periodo precedente. Il programma di austerità economica ha ridotto il delìcit fiscale del 50% tra gli anni '87 e 1'89. Nel 1989 i prezzi degli idrocarburi risalirono leggermente e quindi ridussero ulteriormente il deficit del 1988. Storicamente, lo sviluppo dei piani economici algerini rifletterono il progresso fatto verso il raggiungimento di obbiettivi di crescita, di creazione di infrastrutture e un movimento di cambiamento da una economia dominata dal governo verso le forze di mercato. I vari piani quinquennali, però, riflessero quasi sempre le visioni personali di ogni leader sull'economia e sulla sociologia politica. Le proporzioni di ogni investimento ricevuto dai vari settori dell'economia variò di anno in anno e ri sultava essere dipendente dalla differente filosofia alla base di ogni piano di sv iluppo che il governo varava o correggeva in itinere. Una chiara tendenza favorì sia le infrastrutture di base che i progetti sull'educazione, la salute e altri servizi sociali. Il governo non poteva ignorare che quelle aree lo avrebbero esposto a critiche pubbliche e a disordini. L'educazione ricevette la parte del leone nelle spese correnti del 1989 fino al 26.9% del bilancio e nel 1991 fino al 25.8%, quando le spese per la difesa furono limitate al 9% e al1 ' 8.8% per quegli stessi anni. L'industria delle costruzioni fu invece un settore completamente negletto nei primj piani di sviluppo. Solo più tardi attrasse l'attenzione dei governanti a causa del suo impatto esplosivo, relativo alla mancanza di alloggiamenti, problema gravissimo del quale la parte più povera della popolazione si lamentò sempre amaramente e quindi costituì terreno fert ile per gli islamici nelle loro rivendicazioni. Un altro settore è da non dime nticare in questa analisi de i fatti d'Algeria, sempre nel campo economico, ed è quello del debito estero e dei relativi pagamenti. Il debito estero della nazione data dagli anni '70, quando il governo si indebitò pesantemente per finanziare progetti di sviluppo e poter soddisfare le richieste e i bisogni dei consumatori. Quando il debito estero ammontava a $USA !miliardo e 600 milioni, nel 1980, Benjedid decise di limitare l'esposizione finanziaria nazionale e la ridusse progressivamente per quattro anni, fino al 1984. Ma la diftìcoltà dei pagamenti sopravvenuta già dalle rate dovute nel 1984, fece raddoppiare il debito stesso tra il 1985 e il 1988, aumentandolo dal 35 % al1 ' 80%. I pagamenti delle rate di ammortamento aumentarono del 38%, finché raggiunsero la cifra di $USA 6 miliardi e 200 milioni nel 1990. Invece di


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usare la carta della riduzione del debito, incrementando gli introiti con il dimezzare il costo del petrolio per vendere di più, il governo algerino seppe manovrare un riassestamento del debito estero, ottenendo finanziamenti a basso costo e crediti per il commercio. Alla fine del 1990, in effetti il debito estero si era ridotto. Per ridurre ulteriormente il peso di questo impegno fina n1.iario, il governo alge rino si concentrò nell ' ottenere prestiti a medio e lungo termine per ripagare le scadenze del de bito estero, a breve, non appena veni vano a scadenza. Anche per aumentare i propri sforzi di ottenere ulteriori concessioni finanziarie c ome linee di credito bilaterali , il governo scoraggiava gli importatori dall'otte nere prestiti dai fornitori, in quanto prestiti di quel tipo sono a breve scade nza e comportano interessi alti. Le nazio ni c he hanno una linea di credito c on l'Alge ria includono alcune nazioni europee quali il Be lgio, la Spagna, e l' Italia. Per quanto riguarda strettamente l'Italia, g ià nel I 994, in occasione del Congresso mondia le delle nazioni produttrici di gas, la Sonatrach e la Snam Progetti, italiana, hanno firmato un accordo per il quale l'Algeria fornirà all'Italia 1,8 miliardi di metri cubi di gas metano, a parti re dal 1996, per un periodo di ve nti anni , con conseguente apertura di c redito. Anche il Giappone e g li Stati Unili hanno aperto una linea di credito bilaterale con l'Algeria. Circa i due terzi di tutta l'esportazione e de l commercio algerino avvie ne dunque con le nazioni dell'U nione Europea, con gli Stati Uniti e con il Giappone che riceve quanto resta de lle esportazioni algerine. Fino agli anni '90 l'assiste n1.a straniera ali ' Algeria consisteva principalmente in prestiti generosi offerti dalle nazioni ara be a termini abbastanza favorevoli. Ma l'Europa ha recentemente iniziato ad essere un partner privilegiato per l'Algeria. Il quarto Protocollo economico (1992- I 996) della Comunità E uropea ha sottolineato la necessità di un trattamento preferenz ia le per quelle nazioni del Mediterraneo che non sono me mbri della Comunità, include ndo Algeria, Marocco e Tunisia. Que l Protocollo ha aumentato la spesa tota le prevista dal precede nte terzo Protocollo del 28% e ha forni to dei finanziamenti regionali sulla base di progetti intrapresi dal !' Alge ria e da ll'Unione de i partner arabi d e l Maghreb. Il Protocollo ha anche permesso a li ' Al geria di ottenere più ampi prestiti e ottenere una destinazione annuale di 70 milioni di ECU, che vanno comparati con i 54 milioni di ECU previsti dal Protocoll o precedente. Tn particolare pe r l' Algeria la somma è aumentata dai 6 milioni ai 15 milioni <li ECU, ne l quinque nnio di applicazione. La Banca Mondiale continua a appoggiare 1' Algeria ne i suoi programmi di rifom1e. l prestiti della Banca Mondiale ali' Algeria tra il I 990 e i I


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1995 hanno superato la somma di $USA I mili ardo e 400 milioni, che fu erogata nel quinquennio precedente. E' dunque evidente il coinvolgimento economico mondiale nel quadro economico dell'Algeria e quanto succede attualmente è di grave impatto sia sulla regione mediterranea per la sua stabilità e sicurezza, s ia per quanto riguarda gli altri pa1tner economici. Tra questi è evidente che g li Stati Uniti sono fra i più coinvolti, per una lunga serie di ragioni economiche e strategiche. Da quanto sopra rilevato è evide nte che il problema politico algerino è mollo più complesso e non è solo una competi zione fra il governo al potere e i fondamentalisti i sla mic i. Vi sono nazionalisti come quelli appartenenti al Fronte di Libe razione, il noto FLN, che ha detenuto il potere per un trentennio, i quali amano connotarsi anche con i dettami della religione. Vi sono partiti cosiddetti democratici che a) condannano con ug uale amarezza il governo, che ritengono fautore di uno stato repressivo e autoritario e b) condannano g li islamici c he rappresentano, a loro modo di vedere, un grave pericolo per la naz ione. Vi sono partiti isla mic i legittimi che condanna no la viole nza e sono, essi stessi, obbiettivi della v iole nza armata e possibili bersagli per gli assassini fanatici. Il governo tenta di azzerare queste frange annate estremiste, ma pe r qua nti arresti stabilisce e quante condanne a morte esegue, i gruppi armati continuano ad avere la possi bilità di reclutare altri potenziali terroristi e assassini, soprattutto nella massa degli inquieti e frustati giovani, c he soffr<mo per una vita difficile con pochi sbocchi per l'avvenire. La disoccupazione fra i giovani raggiunge la percentuale del 70 %; come si è detto, vi è una spaventosa caren za d i alloggi che oltrepassa i due milioni d i appartamenti necessari per alloggiare i g iovani e le nuove famiglie. Non vi è più la possibilità di convi ncere questi g iovani e in genere la popolazione algerina che con il loro voto prudente e di massa potrebbero cambiare il corso delle cose. Troppe consultazio ni elettorali sono state te nute senza alcun risultato effettivo. In questa condizione il messaggio estremista islamico trova porte aperte, spalancate. A causa di un conflitto cos i complicato, la soluz ione dei proble mi algerini richiede più di una risposta che non si limiti alla pura ricerca della sola sicurezza e stabilità. Lo scontento politico cd ccononùco, se non viene analizzato, trattato ed eliminato, lascia aperta la possibilità che l'Algeria raggiunga un grado di instabilità pe ricolosa per se stessa e per la regione nella quale si trova. Questa stabilità è ovvi ame nte importante per tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, del Nord Africa e degli stati a sud dell ' Europa. E' anche molto importante per g li Stati Uniti e per


Algeria: fauore di de.ç/ahi/izz.azione nel Mediterraneo?

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i loro inleressi strategici, oltre a determinare il futuro progresso della stessa Algeria. Per poter fare in modo che tale stabilità e prosperità riesca a inserirsi di nuovo nella società algerina, la politica degli stati terzi interessati, e in ultima analisi, di tutta la comunità internazionale, dovrebbe tener conto di molti fattori: politici, economici, sociali, di sicurezza interna e di legittimazione, prima interna e poi internazionale delle strutture governative. Per ottenere questi risultati è noto che gli Stati Uniti sostengono una politica di liberalizzazione economica, di pluralismo poli tico, che include il rafforzamento delle istituzioni parlamentari e il rispe tto delle regole civili e della legge in Algeria. Il presidente Zeroual, nelle sue conversazioni con le autorità americane, aveva promesso, nel 1995, di combattere strenuamente per raggiungere tali obbiettivi, che includevano anche una riconc iliazione nazionale, un maggior rispetto per le regole della legge e libertà di espressione e di opinione. Il Presidente Clinton aveva risposto con una lcllcra che prometteva un maggior appoggio da parte degli Stati Uniti non appena i I governo algerino avesse adottato misure adatte a raggiungere gli obbiellivi previsti 9 . Il Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri aveva consegnato un ulteriore simile messaggio da pa rte del Presidente Clinton, durante una sua visita in Algeria nel marzo 1996. Dal punto di vista econom ico, le riforme impleme ntate dal governo algerino negli ultimi anni hanno portato ad una congrua riduzione deJ deficit statale; hanno rallentato la corsa dell'inflazione e hanno cercato di iniziare una sia pur timida liberalizzazione del commercio e dell'industria. Le istiluzioni finanziarie internazionali hanno valutato J)QSitivamente questi sforzi del governo algerino, dando anche un supporto di consulenza non indifferente nell a ristrutturazione del debito pubblico e estero. Vi è stato certamente un notevole progresso, anche se il settore statale rappresenta in Algeria ancora 1'80% dell 'economia, con una miriade di controlli burocratici, mentre molti sono nella pratica gli ostacoli frapposti all' iniziativa privata, interna ed estera. Questo impensie1ist:e particolarmente gli Stati Uniti in quanto vi sono un gran numero di compagnie americane che hanno intrapreso progelli di sviluppo in Algeria soprattutto nel sellare in espansione dell'energ ia: gli investimenti americani ammontano a circa due miliardi di dollari. La speranza è che nel tempo l'econo1nia algerina faccia progressi anche nel sellare delle costruzioni edili per appartamenti e per edifici pubblici. Altrettanto si spera per una ripresa del

9 Cfr. il testo delle dichiarazioni dell ' Amhasciatore ame ricano in Algeria, Ncumann, in una sua audiziont: al St:nalo lJSA il 2 ollohre 1997.


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settore agricolo e una sua modernizzazione e meccani zzazione, in modo da offrire una più vasta produzione differenziata di prodotti agricoli in primo luogo per il consumo della popolazione e poi per diversificare sempre di più 1'esportazione. Nel la competizione globale per il flu sso di investimenti l'Algeria dovrebbe essere aiutata ad accelerare le sue riforme per poter attrarre capitali freschi in grande quantità. E anc he quando l'economi a inizia a tirare, ci vuole ancora molto tempo perché si generino abbondanti posti di lavoro che ri escano ad assorbire i milioni di disoccupati di quella nazione. E questo è un problema la soluzione del quaJe potrebbe portare ad un ritorno della normalità in Algeria. Le frustrazioni della popolazione algerina vanno viste in un contesto politico dal quale non sono assolutamente scisse. Il sistema politico si deve evolvere in modo da permettere agli elettori algerini, al popolo dunque, di poter eleggere liberamente i propri rappresentanti e di poter influire s ul loro operato. Quindi per smorzare la tensione dell' ambiente, occorrerebbe che il Presidente Zeroual riuscisse a dare pratica attuazione alle promesse di attivare le istituzioni rappresentative della base popolare e che un più se ntito rispetto vi fosse per i diritti umani e per la legge vigente. In effetti fu proprio in questo spirito di rinnovamento che nel novembre 1995 furono indette le elezioni presidenziali, che furono caratterizzate da un dibattito politico relativamente libero e da una scelta di candidati che rappresentava un vasto schieramento di opinioni e di idee. Zeroual vinse e le opposizioni accettarono il verdetto delle urne. Ma poi il governo indi sse un referendum costituzionale che si svolse ancora una volta in spregio alle regole democratiche di libertà di espressione della propria opinione. Nel 1996 il governo d i Zeroual ricominciò a osteggiare pesantemente giornalisti non allineati con la stampa governativa e partiti di opposizione, facendo sorgere seri duhhi, ancora una volta, che il governo legittimo voglia veramente introdurre, pur se gradualmente, istituzion i democratiche e che semplicemente cerchi di mantenere un vecchio sistema di gestione de l potere. Nel giugno 1997 il governo ha indetto le prime elezioni legislative dalla cancellazione delle precedenti del 199 1. Gli Stati Uniti furono molto favorevoli a questa apertura governativa e fecero pressioni presso il governo algerino per fare in modo che la con sultazione si svolgesse in un clima di libertà e che il governo garantisse traspare nza ne l voto. Per riuscire a sconfiggere gli estrem isti occorre che gli algerini comprendano che il loro voto è importante per il loro futuro e quello della loro nazione. 11 governo algerino promise in quella occasione di far svol-


Algeria: fattore di deslabiliz,zaziune 11el M editerraneo?

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gere libere e trasparenti elezioni e invitò osservatori stranieri per monitorare l'andamento della consultazione. Ma vi furono in realtà molte irregolarità, anche perché non lulli i seggi elettorali poterono fruire di liberi osservatori, che non permettessero irregolarità nelle votazioni e negli scrutini . I partiti algerini di opposizione al governo hanno sempre sostenuto, con documenti alla mano, che anche quelle elezioni politiche sono state guidale dal partito al governo. Nonostante tutto, però, quelle elezioni devono e ssere considerate, sia pur con molta attenzione e cautela, come un primo limido tentativo di riportare una vita parlamentare nell a società algerina. E' un fatto acclarato che il partilo ,ù potere ha riportato una schiacciante maggioranza, vincendo la maggior parte dei seggi parlamentari. Ma, per la prima volta nella sua storia, l'Algeria ha costituito un parlamento caratterizzato da un multipartitismo, anche con membri che sono fra i più importanti e acuti oppositori del governo. Tra i membri di questo nuovo parlamento vi sono quegli islamici che hanno ripudiato la violenza e s i sono impegnati a rispellare la costituzione in vigore. Alcune sed ute parlamentari sono state trasmesse in televisione, dando così alla popolazione la possibilità di verificare de visu il risultalo della loro espressione di scelta di candidati e di volontà. Questi dibattiti hanno anche permesso alle parli politiche di far g iungere ad un largo slralo della popolazione i propri messaggi politici: un modo per contrastare i messaggi dei radicalismi islamici, spesso circolati ne lle moschee, luogo di culto e di aggregazione sociale. Questa possibilità di accesso dirello alla radio e all a televisione è un momento nuovo per la politica attiva algerina così come è altrettanto nuovo e importante il fatto che i più importanti politici algerini si possano inco ntra r e rego lar me nte o qua s i in am bient i q ua li i corridoi dell ' Assemblea Nazionale e scambiare le loro opinioni , per una discussione, quantome no franca, dei diversi punti di vista politic i e degli obbiettivi da raggiungere. E' anche da notare il fatto che un buon numero di posti nel nuovo Gabinetto algerino sia tenuto da membri di uno dei partiti islamici. Qu esti primi timidi segni di una de mocrazia parlamentare possono suggerire che è questa la via giusta per tornare lentamente ad una normalità, cercando di allentare la tensione e di smussare le diversità. Occorre favorire il compromesso e la comprensione dei diversi punti di vista per far trovare alle diverse fazioni in lotta la via del perseguimento dell'obbiettivo comune. Perché questo avvenga occorre che governo e esponenti politici lavorino insieme a lla costruzione dello stato, in una reciproca


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fiducia, che deve venire coslruita giorno per g io rno, in una società che l'ha dimenticata o forse non l' ha mai praticata dal giorno della sua indipendenza. Quale però deve essere il ruolo dell'esercito, o nnipotente per tanti anni? Quali le relazioni degli Stati Uniti con quella importante componente della vita politica algerina? Le forze annate algerine continuano ad essere quello che sono state pe r anni, e cioè una forza fondamentalmente unica per la sua coesione sul territorio, l' unica che sia stata così compatta e organizzata in uno stato disgregato nelle sue classi sociali. Continuano per ora ad avere un ruolo importante nella vita algerina. Sono importanti per un certo aspetto per la stabi lità della nazio ne, me ntre forse alcune parti di esso, marginali, contribuiscono alla instabilità della situazione interna algerina. Ma anche questa componente deve comprende re che in u na nazione dove il popolo è sovrano, la politica deve avere il suo spazio e se i componenti dell'esercito possono esercitare i loro diritti di cittadini nell'esprimere il loro voto, così devono sottostare ess i stessi alle leggi, pur garantendone il pie no rispetto. TI Presidente Zeroual ha sempre proclamato che intende ristabi lire un governo regolato dalle leggi. E' indubbio che proteggere i civili contro i terroristi è una legittima responsabilità del governo eletto dal popolo, ma anche questo compito deve essere attuato nel pieno 1ispetto della legge e nel fondamentale ri spetto dei diritti umani. E' altresì fuor di ogni dubbio ormai che molto spesso le forze di sicurezza si sono macchiate, anche loro, di notevoli eccessi e questo ha portato ad una condanna unani me da parte degli stessi algerini, o ltre c he della comunità internazionale. li rifiuto del governo algerino di pe rmettere ispezioni nelle sue prigioni autori zza a credere a tutti i rapporti di Amnesty International su quanto accade in quei luoghi , in nome del mante nimento della sicurezza dello stato. Non è l' Islam al potere il vero pericolo per una sicurezza e una stahilità interna algerina e nella regione mediterranea: è evide nte c he l'Islam degli integralisti, dei fondamentalisti, di tutti coloro che radicalizzano il problema de lla religione ne i rig uardi de ll a politica rapprese nta una minaccia per tutti i governi e per lo sviluppo sociale di ogni nazione. Anche l'Iran, portabandiera fin dal 1979, di una rivoluzione islamica integralista e di una intolleranza verso il resto della comunità internazionale, dopo dodici anni di regime integralista e una sanguinosissima guerra contro l' Iraq, inizia ad aprire al resto del mondo, comprendendo che occorre avere relaz ioni con la comunità globale, politiche ed economiche. L' Islam moderato può essere un ottimo fattore di espansione per la società algerina, che rispetta i locali valori tradizionali, uniti al desiderio


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di una v ita democratica, anche se non intesa ne l modo in c ui viene applicala ne l mondo occidentale. Occorre che quel governo e quella popola7.ione trovino la loro via alla democrazia, che non deve essere necessariamente strutturata come quella degli slali che da più lungo tempo ne hanno esperie n za e c he so no g li ered i diretti d e ll ' Illumini s mo , del l a Dichi arazione americana d' indipendenza, della Rivoluzione Francese e di quella Russa. Le espe rienze politiche maturate con diverse tradizion i culturali e religiose non sono comunque e ovunque esportabili . Occorre che il mondo occidentale, in particolare l' Europa, comprenda questi tratti fondamentali dei suoi vicini al di là del Mediterraneo e li rispetti, aiutando, soprattutto dal punto di vista economico e finanziario, quello stato a ricostruire una vita sociale e politica senza terrorismi e senza monopoli assurdi di potere. L' aiuto non deve essere d i caratte re neocoloniale, cioè badando ai profitti della propria economia, ma investendo in Algeria e reinveste ndo gli utili lì stesso, fino al momento in cui quello stato non avvii una economia sana e bila nciata, che consenta la formazione di un numero adeguato di posti di lavoro. La pace sociale può essere musulmana e democratica, nel rispetto dei valori culturali alge1ini. 11 colloquio da avviare è anche con i partiti islamici, senza averne una paura irrazionale o giud icando g li avven imenti con pregiudizi e stereotipi radicati . Il rispetto dei diritti naturali dell' essere umano è profondamente inserito in tutte le sure del Corano. Se però si utilizza un testo religioso per adattarlo ad una politica di sopraffazione, ciò riguarda la parte meno nobile della natura dell ' uomo. Ma questo è successo anche nel mondo occide ntale, pur se qualche secolo fa. Allualme nte un intervento del mondo occidentale in Algeria, che non sia esclus ivamente economico, finanziario, di aiuto tecnologico per i l progresso della nazione, sarebbe un grave errore. U terrorismo deve fini re, ma i mezzi per combatterlo non sono le armi : sono il lavoro, il cibo, le case, l'i struzione, la pace sociale . Non bisogna dimenticare che i giovani sollo i trenta anni costituiscono la fascia più ampia della nazione algerina e quella che ha i maggiori problemi di adattame nto. Ma l'Algeria è un paese dalle molle risorse, che, ben gestite, potrebbero effi caceme nte contrastare il terrorismo e assic urare sta bilità alla naz ione e alla regione mediterranea. Un 'Algeria instabile o c he cerchi di o ttenere una leadership militare rispetto ai suoi confinanti potrebbe essere seriame nte un problema per la sicurezza del Medite rraneo; non un ' Algeria islamica moderala, integrata in una comunità europea alJargala a sud e in una rete commerciale ed economica di progressivo sviluppo .


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Maria Gabriella Pasqualini

Attualmente l'Algeria rappresenta decisamente un focolaio di insicurezza per la situazione generale strategica attuale, così come lo è la Palestina e il conflitto che la oppone ad Israele. Questi conflitti vanno risolti con la diplomazia e i governi civili , evitando pericolosi interve nti armati, ove possibile. Le missio ni di pace siano veramente missioni di pace e non ulteriori fattori di instabilità locale. Se i movimenti islamici riusciranno a ricondurre la pace sociale in Algeria, devono essere accettati da tutto il mondo occidentale, con la consapevolezza che ogni popolo, nel rispetto dei diritti dell' uomo, ha il diritlo e il dovere di scegliersi le forme di governo che desidera. Gli altri stati del consesso internazionale devono aiutare, soprattutto economicamente, in modo produttivo, gli stati con maggiori difficoltà a trovare la loro via di costruzione o di ricostruzione di una nazione. La popolazione algerina sembra aver compreso che deve ri solvere i problemi con la forza della sua volontà. Se il governo al potere è un regime asso luto, d eve essere isolal o. Se il benessere e la sicurezza dcll' Algeria passano attraverso un governo islamico, che rispelta i dirilli umani, si accetti questa possibilità, senza respingere alcuna prospettiva, con una chiara condi zio ne: che cessi il terrori smo e relazioni di c iviltà riprendano tra i vari gruppi politici, per consentire lo sviluppo e il progresso della popolazione.


CIRO P AOLETII

L' ITALIA E LA GUERRA DEI TRENT'ANNI

Tradiz ional mente si pensa alla Guerra dei Trent'anni come ad un conflitto localizzato in Germania e combattuto da tutti gli Europei continentali meno gli Italiani. Niente di più shagl iato: l'insieme delle vicende belliche e politiche svoltesi fra il 16 18 cd il 1648 non solo interessò profondamente l'Italia ma, addirittura, senza l' intervento degli Italiani esse non sare bbero mai cominciate, o almeno non sarebbero mai cominciate così come avvenne. Le guerre non scoppiano mai accidentalme nte, ma sono il risultato dell'attrito di politiche opposte. Nel caso in questione c'era il desiderio della Spagna di risottomcttcrc l' Olanda e di conquistare il territorio ve neziano per cong iungere via terra i propri domini a quelli austriaci, cui si contrapponeva la consapevolezza che di quei pericoli le Provincie Unile e la Serenissima avevano e la loro determinazione ad evitarli od annullarli. C'era la deholezza del ramo austriaco de lla Casa d'Asburgo e la volontà dell'Arciduca Ferdinando di Stiria di rinforzarlo, r iconquistando l'antico potere. Ma i suoi sudditi sapevano che ciò non poteva riuscirgli se non abbattendo le autonomie locali e, in primo luogo, distrugge ndo la giustificazione morale su cui esse riposavano, cioè la confessione riformala, luterana, utraquista o calvinista che fosse. C'erano il desiderio della Francia di spezzare l'anello asburgico che la stringeva dai tempi di San Quintino, il timore del Papa di trovarsi stretto a no rd ed a sud dai domini di una Spagna troppo forte per essere osteggiata e c'era, infine, l'ambizione del Duca di Savoia. Il pretesto della guerra fu certamente religioso; ma accanto alle questioni dottrinali e spesso nella loro o mbra, ve ne erano di politiche e di economiche di grande rilevanza. Riassumendo per grandi linee: il motivo che portò all a crisi fu che i princ ipi tedeschi volevano conservare l'autonomia politica e le proprietà ecclesiastiche di cui si erano impadroniti al tempo della Riforma. TI protestantesimo era in realtà solo una giustificazione morale per la conservazione di quanto avevano ottenuto e, difendendo la fede riformata, difendevano le loro terre e la loro indipendenza dall' Imperatore. Come si sa, l'inizio della contesa risale alla sommossa praghese che culminò nella defenestrazione di due consiglieri imperiali cattolic i (salvatisi grazie a un provvidenziale sulloslanlc mucchio di rifiuti).


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Ciro Pao/e11i

L' atto di ribellione fu seguito dall' offerta della corona di Boemia, a quel tempo elettiva, a vari principi, ma la difficoltà era che nessuno di loro aveva denaro a sufficienza per sostenersi militam1ente sul trono di San Ve nceslao , né i prote sta nti tedeschi , racco ltisi già da tempo nell ' Unione Evangelica, erano abbastanza ricchi per levare un esercito. E qui gli Italiani cominciarono a giocare un ruolo determinante. Carlo Emanuele I di Savoia nel corso della guerra monferrina combattuta contro gli Spagnoli si era avvicinalo all' Unione Evangelica in fu nzione a nti asburgica e aveva ottenuto che essa gli mettesse a disposizione un generale di fama notevole, il conte Von Mansfeld . A lui il Duca aveva versato il denaro necessario alla costituz ione di un esercito di 4.000 uomini da arruolare in Germania; ma quando questo fu pronto le ostilità erano cessate e Carlo Emanue le non ne aveva più bisogno. Era il 16 18, la ri volta d i Praga s i e ra ve rificata proprio all ora cd i Cechi avevano proposto all ' Elellore Palatino Federico V di farsi eleggere re di Boemia. L' Unione Evangelica propose allora a Car lo Emanuele uno scambio: l'eserc ito pagato da lui e comandalo da Mansfeld contro la sua elezione al trono imperiale. Il Duca accettò immediatamente. Dei selle elettori dell ' Impero tre erano cattolici, tre protestanti e il quarto, quello decisivo, era il Re di Boemi a. Se Federico V olleneva il trono in Boemia, l'elezione del Savoia al soglio imperiale era sicura. Ma sfortunatamente l' Arciduca Ferdinando d' Asburgo riuscì a sfrullare le divisioni esistenti in campo riformato tra Calvinisti e Luterani . Si accordò all ' ultimo momento cogli elettori protestanti di Sassonia e del Brandeburgo, e ottenne la sacra romana corona germanica. Contemporaneamente Federico V veniva eletto re di Boemi a. Di nuovo gli Italiani si misero in mezw; perché i primi Stati a riconoscerlo furono Svezia, Danimarca e Venezia. Secondo l'opinio ne corre nte del tempo, la più potente ed importante cli queste era la Sereni ssima; ed il suo appoggio era tanto più rilevante in quanto unica a confinare direttame nte cogli Asburgo e quindi a poter intervenire militarmente e subito. Ma Federico perse te mpo e lasciò che Ferdinando si accordasse con la Lega Cattolica e trovasse aiuti. Le truppe furo no fornite in gran pa rte dalla Germania, ma con forti contingenti itali ani , mentre l'aiuto finanziario maggiore arrivò da Madrid e da Roma. Per soste nere lo sforzo contro gli eretici, la Spagna prestò un milione di fiorini ; il Papa s' impegnò a versarne ali' Imperatore I 0.000 al mese, ottenendogli 100.000 scudi dalle varie congregazioni e permettendo, il 13 gennaio 1620, l' imposizione in tutta l' Ital ia d i una decima che fruttò altri 250.000 scudi all 'anno. Così sostenuto, il potente esercito della Lega Cattolica , forte di oltre 50.000 uomini , tra i quali mo lti ss imi Italiani, marciò c ontro i protes tanti .


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Federico poteva opporgli solo circa 30.000 soldati c he, alle porte di Praga, alla Montagna Bianca, I' 8 novembre 16 19 si comportarono come poterono su un terreno sfavorevoli ssimo e in un'ora furono battuti sanguinosamente. Quattromila protestanti boemi restaro no sul terreno a fro nte di poche centinaia di impe riali. ll panico si impadronì dello sfortunato Federico e lo indusse a fuggi re senza tentar la minima resistenza. Contava sull ' aiuto dei sovrani che l'avevano riconosciuto re e l' avevano aiutato; ma rimase deluso. 11 Duca di Savoia, di sgustato per la mancata e lezione imperiale e preoccupato dalla minacciosa presenza spagnola nel Milanese, non intervenne. L' Olanda combatteva colla Spagna, la Svezia era stata trascinata in una guerra contro la Polon.ia, la diplomaz ia imperiale aveva ne utralizzato la Danimarca; e i Veneziani non avevano la minima intenzio ne di farsi schiacc iare tra Spagna, Austria e Papa per soccorrere un Re che non accennava nemmeno a difendersi da solo. Gli Italiani av rebbero dato un contributo notevolissimo alla guerra dei Trenl' Anni in uomini oltre che in denaro, senza contare i più noti gene rali imperi ali , itali ani come Montecuceoli, Ga lasso, Pi ccolomin i, e senza e ntrare in dettagli come il numero degli Itali ani negli eserciti mandati in Baviera sotto il Duca di Feria, il migliaio di napoletani spedito a combattere add irittura in Brasile tra il J625 e il l 640, o i 16.000 che vinsero a Nordlingen col Cardinal Infan te e che sono sempre stati cons iderati "Spagnoli" . E' vero che questi ultimi erano al servizio ciel Re Cattolico e adoperavano lo Spagnolo come ling ua di servizio, ma erano inquadrati in reggimenti - Tercios, o Terzi - napoletani e milanesi, con bandiere, nomi ed ufficiali propri , che li indicavano chiaramente per italia ni , almeno negli eserciti spagnoli.

li primo effetto della guerra in Italia: il Cammino di Fiandra, il Sacro Macello e la prima guerra della Valtellina: 1620-1626

Anche l ' Italia fu teatro della guerra, teatro minore ma non per questo cli poca importanza e il primo avvenimento militare fu il Sacro Macello dell a Valtell ina del 1620. Poiché la Valtellina era l' arteria vitale per I' inoltro di rifornimenti asburgici dall a Spagna all ' Austria, alla Francia non poteva far piacere che la Spagna se ne fosse impossessata: e questo provocò una guerra tra una coalizione franco-savoiarda e la Spagna stessa nel 162 1, terminata solamente nel 1626 col trattato di Monzon. Ai primi del secolo era stato nominato governatore di Milano , l'abile


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Ciro Paolelli

generale spagnolo don Pedro Enriquez de Azevedo conte dc Fuentes il quale aveva provveduto subito a riorganizzare militarmente il Ducato, specie in considerazione della perenne ostilità asburgica nei confronti dei Veneziani e della presenza dei protes tanti Grigioni, padroni della Valtellina. A lai lìne aveva preso parecchi provvedimenti e costruito varie fortezze; in particolare quella di Como e l'altra che portò il suo nome, il forte di Fuentes. li motivo principale che lo aveva spinto a edificare il forte era stata la questione delle truppe veneziane. La Serenissima non poteva arruolare in Italia perché tutti g li Stati italiani - dietro la pressione spagnola - proibivano formalmente ai propri sudditi di prendere servizio sotto le sue bandiere, e per questa ragione attingeva reclute in Germania e i_n particolare nel Ducato di Lorena. Dati i pessimi rapporti cogli Asburgo e per evitare che le impedissero il transito delle truppe arruolale, Venezia aveva stipulato nel 1602, all'epoca dell'inlertlellu punlifit:iu e del conseguente appoggio diplomatico spagnolo alla Santa Sede, un accordo coi Grigioni per avere libero e perpetuo passo per le uniti:t da lei arruolate attraverso il loro territorio, che includeva la Val teli ina. Quando l'aveva saputo, Fuentes s ' era infuriato coi Grigioni e li aveva minacciati di sanzioni; ma quelli avevano tenuto duro, anche perché l'accordo oltre a rinforzare Venezia, indirellamente danneggiava la Spagna e quindi conveniva pure alla Francia. TI Conte, allora, aveva vietato loro il commercio col Mila nese attraverso il lago di Como e, per interdire completamente il traffico, aveva costruito sul promontorio di Montecchio, nelle vicinanze di Colico, tra l'Adda e il lago, il forte c he doveva bloccare e all'occorrenza difendere la s tretta di Bellano, controllare il Piano di Spagna e in generale tulle le strade da e per la Valtellina e i Grigioni. Ma il sistema fortificato lombardo, non si limitava a questo. Ultimato proprio negli anni ' I O del XVTT secolo e comprendente 16 tra castelli e forti, doveva servire non solo a proteggere il Ducato, ma anche e soprattutto il cosiddetto "Cammino - o Via, o Strada - di Fiandra", cioè il lungo e unico percorso che consenti va di portare via terra truppe dalla Spag na e dall' Italia in Olanda o in Germania. Le principali fonti di reclutamento cli Madrid erano infatti la stessa Spagna e il Regno di Napoli (i cui soldati avevano la precedenza su tutti quelli degli altri Stati, eccettuati i soli Spagnoli, e dal 1663 avrebbero goduto l'onore di tenera la sinistra - la destra la tenevano i "tercios de Espafia" - in tutti gli eserciti de lle corone degli Asburgo spagnoli) e le


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truppe, una volta arruolate ed equipaggiate, dovevano essere instradale s ull'itinerario Napoli - Orbetello - Genova o Finale (o Barcellona Genova/Finale) Sospello - Milano - Lago di Como - Valtellina - sponda superiore del lago di Costanza - Corso superiore del Re no - Renania Alsazia - Strasburgo - Olanda (o, se andavano nella Germania centrale o orientale - Lago di Costanza, dove c'è lo spartiacq ue Reno o Danubio, corso superiore dell'Tnn - Vienna - Boemia e Germania centro-orientale). E' da notare che quella era l' uni ca strada veramente affidabile. infatti, a causa dell'estensione ad arco del tenitorio veneziano dall ' Adriatico alla Svizzera attrave rso le valli bresciane e hergamasche, il Trentino asburgico d' Austria - era materialmente separato dalla Lombardia spagnola, a meno che non si scendesse l' Adige fino a Mantova, e anche così non si era s icuri : la strada era lunga ; il fiume poteva essere bloccato dai Veneziani e Mantova poteva essere in mano al nemico. Inoltre bisog na ricordare che proprio Fucntcs aveva completato la sicurezza del Cammino di Fiandra impadronendosi del Marchesato del finale nel 1602, imbrogliando i De l Carretto che ne erano i titolari , e, non appena il forte di Fuentes era stato ultimato, spedendo le proprie truppe ad occupare di sorpresa il feudo lig ure cli Sospcllo. perché era l'un ico lembo di territorio genovese che si interponeva tra il Finale e la Lombardia spagnola. Il popolo genovese protestò, ma il Senato e l'aristocrazia avevano troppo interesse a tenere buoni i rapporti colla Spagna e accettarono il fatto compiuto. In questo modo l'afflusso di rinforzi e rifornime nti da Barcellona o da Napoli s i sarehhe svolto sempre e solo su territori della corona asburgica di Spagna e il Cammino cli Fiandra non avrebbe corso rischi d'interruzione, almeno in Italia. Per quanto era in suo potere, il Conte de Fuentes aveva fatto tutto il possibile - e non era poco - per favorire e migliorare l'operatività dell'apparato militare spag nolo. Ma ora, col conflitto appena scoppiato, diveni va fondamentale garantire anche il tratto di percorso non controllato, cioè quello in territorio Grig ione, e impedire che altri se ne potessero servire. La questione, come al solito, era assai intricata. Nel 1613 era spirato il primo tra ttato vcncto-grigionc, stipulato ali ' epoca del l' interdetto, nel 1603, e il Senato aveva deciso di farne un secondo. Ovviamente ciò dava fastidio all' Aust1-ia - e si sapeva, specie per la questione degli Uscocchi ma anche alla Franci a, desiderosa di coprire colla propria influenza tutto il territorio elvetico, al quale i Grigioni erano associati. D opo un lungo periodo di contrasti e di sotterranei lavorii diplomatici, l' agente veneziano Patavino era riuscito a far leva sul sentimento relig ioso dei protestanti


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Grigioni - la Fram:ia in quel momento opprimeva gli Ugonotti e l'Austria i Protestanti - facendo pendere nel 1618 dalla parte de lla Serenissima gran parte dei riformati e l'esito del sinodo appositamente convocato a Borgogno per discutere la faccenda. A dire la verità il sinodo, come pare accadesse spesso a quelle riunioni ne i Grigion.i, degenerò in una mezza sommossa, che costrinse alla fuga l'ambasciatore francese e causò morti e feriti. Ne seguirono fughe, esilii e, ovviamente, una congiura per di struggere i Protestanti. Accordatisi col Duca di Feria, governatore di Milano, tramite il cardinale arcivescovo Federico Borromeo, i congiurati ottennero larghe promesse di aiuti e 500 uomini dall'Imperatore. Raccolsero poi 300 fanti italiani nei territori sv izzeri e si prepararono a vibrare il colpo. La notte dal 18 al 19 luglio, si radunarono a Tirano e , vietati il saccheggio dei beni, gli stupri e l' uccisione di donne e bambini, all'alba del 19 bloccarono le strade e diedero il via al massacro. A sera 350 protestanti erano stati complessivamente uccisi in tutta la Valtellina e i passi da cui poteva no giungere truppe Grigioni erano tutti saldamente in mano ai Callolici, inclusa la zona di Bormio.

I Grigioni si armarono e passarono al contrattacco. In bassa valle le cose andarono relativamente be ne, perché poterono riprendere Chiavenna e Sondrio; ma fallirono sia a Puschiavo sia a Bormio, visto che furono respinti da volontm; e da 400 regolari attestati in Val Monastero. Poi i Valtellinesi mandmono messaggeri a tutti i potentati cattolici - Cantoni svizzeri, governo di Milano, Savoia, Venezia e Papa - spiegando che desideravano il libero esercizio della religione Cattolica e domandavano amicizia e protezione. Torino e Venezia risposero di si, a condizione che non fossero ammesse in Valtellina truppe straniere; ma quel che contava era la risposta attesa da Milano, cioè dalla potenza militare della Spagna. E arrivò, nella persona di don Girolamo Pimentel con 500 uomini, che conquistarono Riva e obbligarono i Grigioni a abbandonare Chiavenna, Traona e Sondrio. Poi vennero il decreto del Re Filippo con cui la Valtellina era posta sotto la sua protezione e altre truppe di fanteri a, a presidio di Morbegno, con 150 cavalieri a protezione di Tirano. Intanto in soccorso dei Grigioni erano arrivati i reparti bernesi e zuri ghesi dei colonnell i Mi.iller I e Steiner, i quali si erano impadroniti de l passo Pedonosso e avevano ripreso Bormio, saccheggiandola, devastando le chiese e massacrandone gli abitanti. 1 Prima di partire da Zurigo, Mli ller aveva promesso di ripo1tare dalla spedizione più chieriche di "saerifieoli papisti'", cioè di preti cattolici, di quanti fossero g li anelli della lunga collana d'oro c he indossava.


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Tirano era il successivo obiettivo dei Protestanti svizzeri, deci s i a raderla al suolo dopo averla saccheggiata; ma su Tirano stava marciando Pime nte l con 2.000 uomini e arrivò per primo. Unitosi alle sei compagnie valte llinesi che vi si trovavano, il 17 settembre uscì dalla città per affrontare i 7.500 svizzeri in arrivo. I Bernesi erano molto più avanti degli Zurighesi e, convinti della propria forza, non li vollero aspettare e ingaggiarono battaglia. "Il valore Spagnuolo ed Italiano vinse il furore svizzero: i Bernesi toccarono una orrihil rotta, restando la 1naggior parte uccisi" '· Miiller rifiutò di arrendersi e cadde combattendo 2, mentre i superstiti fuggivano incontro agli Zurighesi, assai numeros i. Pim entel decise d ' a spe ttarli entro le mura e si fortificò in città. Assalito resse bravamente per sette ore finché i nemici no n esaurirono le munizioni e dovettero ritira rsi , lasciando sul campo 700 morti. Il loro ripiegamento ru disastroso. Bande di contadini armati alla meno peggio li assali rono dappertutto, uccidendone moltissimi e ricacciandoli terrorizzati fuori de lla Valtellina. Sostenuta dalle pressioni del Duca di Savoia, preoccupato dell 'accresciuta potenza spagnola e dalla saldatura dei territori a sburgic i, e dal nuovo Papa Gregorio X V, non troppo lìlospag nolo, la Franc ia si mosse a Madrid, facendo presente quanto la situazione valtell inese no n piacesse a Luigi Xlll. Contemporaneamente, però, il Duca di Feria aveva intavolato trattative coi Grigioni e, il 16 febbraio 162 1, era riu scito ad ottenere una favorevolissima convenzione: confederazione perpetua colla Spagna, rinnova bi le ogni dodici anni; libero passaggio ai soldati del Cattolico, armati attraverso la Valtel lina e di sarmati nel resto del terri torio; per otto anni presidi spagnoli nei luoghi strategicame nte rilevanti e , infine, e liminazione di ogni confessione che non fosse la Cattolica Ro mana. Agli Svizzeri non piacque, ai Valtellinesi ne mmeno, perché li passava eia un padrone all'altro, non parlando poi dei Francesi e dei Veneziani ; e Madrid divenne un vespaio diplomatico. Proprio allora Filippo lll morì e il giovane Filippo lY accordò il ritorno allo statu quo ante, purché c i fosse un perdono generale ai Valtellinesi e si tenesse un congresso a Lucerna. Segre tamente stabilì poi un acco rdo coi Francesi per escludere d alla Valtellina e dalla Svizzera qua ls iasi influ sso veneziano. Stavolta non erano soddisfatti i Grigioni e non ci fu troppo da stupirsi quando i popola-

I Carlo 2

B oli.a, "Storia d' Italia", libro dec imono no - 1620 , Parigi , Baudry, 1832, pag. . 279. La s ua collana d' oro fu mandata al duca d i 1:-'c ria.


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ni corsero alle anni per ripre ndersi la Valtellina. Seimila uomini piombarono su Bormio e se ne impadronirono, ma la guarnigione riuscì a chiudersi nella c ittadell a, resistendo disperatamente in attesa dei rinforzi. Feria non perse tempo e risalì dal milanese con un grosso contingente, mentre un corpo di truppe austriache comandate da _Baldirone scendeva dalle montagne per circondare gli attaccanti. L'esercito protestante si sfasciò quas i senza combattere e i suo i componenti furono massacrati. L'occasione era ottima: i Grigioni erano inenni davanti alle truppe a sburgiche. Feria entrò a Chiavenna e Baldirone, con 10.000 uomini , s' impadronì dei vecchi territori austriaci delle "Dieci Diritture", piazzando 700 soldati a Coira e guarnigioni dappertutto. TI 25 gennaio 1622 venne stipulata una nuova convenzione con cui i Grigioni cedevano in perpetuo ogni loro diritto sulla Valtellina cd il contado di Bormio in cambio di 25.000 scudi annui, mentre si ripristinava tra Valtellina e Spagna la convenzione di Milano del 6 febbraio 162 1 e s i sanciva il dominio austriaco sulle Dieci Diritture, su Valle Monastero e sull ' Agnedina inferiore. Parigi, Torino e Venezia si infuri arono; ma fu nulla al confronto di quel che fecero i Grigioni stessi. Esasperati da ll a politica religiosa degli Austriaci, assai più dura di quella degli Spagnoli , il 24 aprile insorsero e ne massacrarono 500. Poi cacciarono tutte le guarnigioni imperiali, meno quella di Coira, forte di 2.000 uomini, che assediaro no e costrinsero alla resa. La noti7.ia della caduta di Coira fece saltare la seconda convenzio ne di Milano e si tornò a quella di Madrid, o meglio gli Svizzeri e i Grigioni questo volevano; ma certo non gli Asburgo. Migliaia di soldati austriaci calarono sui territori appena persi e li devastarono come mai era successo prima, bruciando tutto e ripristinando il dominio imperiale. Davanti a questo riaffermarsi della poten7.a di Casa cl' Austria vicino all'Itali a, Savoia e Venezia intensificarono le pressioni sulla Francia. In novembre Carlo Emanuele I incontrò Luigi XIII ad Avignone e si a rrivò nell'aprile del 1623 alla Lega di Parigi. La Francia avrebbe messo in campo da 15.000 a 18.000 fanti, Venezia da 10.000 a 12.000 e Carlo Emanuele 8.000. Per la cavalleria ognuno dei collegati avrebbe fornito 2.000 uomini ; e si sarebbe ripreso in servizio Mansfeld perché distraesse forze austriache dall'Italia. Al trattato avrebbero potuto accedere gli Svizzeri, gli altri Stati italiani, quelli tedeschi e l' Inghilterra. Non appena fu firmato, Richelieu comunicò alla Spagna l'ultimatum: o tornava alla convenzione di Madrid o ce l' avrebbero fatta tornare per forza.


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All'ultimo mome nto si trovò una scappatoia decidendo di dare in deposito al Papa i forti della Valtellina. Così, in maggio, 1.500 fanti e 500 cavalieri pontifici, alquanto indisciplinati per la verità, al comando del generale di Santa Romana Chiesa duca Orazio Ludovisi, fratello del Papa, attraversarono il Ducato di Mila no e raggiunsero le piazzeforti valtellines1.

In lug li o mo rì Gregorio e in agosto fu eletto papa Urbano VIII Barberini il quale, messosi subito all ' opera, riuscì a concludere cogli ambasciatori di Spagna e Francia un accordo sull a Valtellina, che era praticame nte la convenzione di Madrid con in più la concessione del passaggio alle truppe spagnole. Richelieu smentì subito il proprio a mbasc iatore e indu sse il Re a respingere la ratifica ed a minacciare guerra. Madrid si armò; la Lega pure e, anzi si ampliò. Infatti in ottobre si trovarono segretamente ad Avignone gli ambasciatori non solo di rrancia, Savoia e Venezia, ma anche d'Inghilterra, Olanda, Da nimarca e di alcuni principi protestanti. Del resto l'intcrruzium: dt:I Ca111111ino di Fiandra era talmente importante pe r l'andamento della guerra in Germania che ben poco poteva esserle anteposto. Lo sforzo principale delle imminenti operazioni doveva essere esercitato dai Francesi attraverso la Svizzera, me ntre un secondo e un terzo fronte sarebbero stati aperti in Italia dai Piemontesi e dai Ve neziani, in modo da muovere a tenaglia sulla Lombardi a da Ovest, da Est e da Nord. Sul finire dell'autunno le truppe francesi, condotte dal M archese de Cocuvrcs calarono in Valtellina. Le guarnigioni pontificie opposero una resistenza minima e tutta la Valle cadde in potere del Cristianissimo prima che i rinforzi austriaci e spagnoli potessero arrivarvi. Madrid e Vien na sospettarono una collusione tra Roma e Parigi, "Il papa è f orse cattolico?" fu chiesto a Pasquino , la cele bre statua, voce del popolino dell ' Urbe, che rispose: " Taci, taci, ch'egli è cristianissimo" 11. La Valle ve nne saccheggiata e la religione callolica oppressa quanto e forse più della protestante in precedenza. Persa anche Chiavenna, Feria aveva fatto trincerare a Riva una guarnigione italo-spagnola, comandata dai generali Albcrtazzo e Quiroga, chiedendo all' Imperatore di mandargli il famoso generale Pappenheim per dirigerne la difesa. Riva era fortificata bene e rinforzala da trincee nuove; l'acqua e l'altezza la preservavano da sorprese e la rendevano difficile da avvicinare.

u Rip. in Botta, op. cit., libro cit ., 1624- 1625, pag . 299.


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T franco-svizzeri tentarono prima di impadronirsi delle alture che la sovrastavano; ma Pappenheim riuscì a respingerli dopo scontri viole nti ssimi sulle creste e ad impadronirsi di Traona. Fallita la via di terra restava que lla del lago. Coeuvres si rivolse ai Veneziani e ne ebbe parecchi arsenalotti che gli costruin.mo delle navi di poco pesc agg io per raggiungere Riva. Feria -a ll ora s i appe ll ò a ll a Repubblica di Genova e ne ottenne carpentieri esperti , che in poco tempo gli prepararono una flottiglia sufficiente a bloccare quella nemica coll'aiuto dei cannoni del forte di Fuentes. La comparsa di malattie in e ntrambi i campi falcidiò le opposte schiere ma, mentre Feria rimpiazzava i morti e i malati con facilità, i Francesi, lontanissimi dalle loro basi, diminuivano a vista d'occhio e Riva non fu presa.

La guerra di Genova del 1625 Secondo i piani l'attacco dal Piemonte doveva essere importante ma complementare a quello della Valtellina; solo che, vistisi bloccati sul lago di Como, i Francesi decisero di spostare il princ ipale sforzo sull ' asse Torino-Milano. Ma presto cambiarono idea e decisero di seguire i piani studiati nel settembre dell'anno prima a Susa, secondo i quali bisognava corni nciare col sottomettere Genova. Le ragioni strategiche non mancavano. La Superba era il porto principale per lo sbarco de i rinforzi nemici destinati a Milano e la tesoreria mi gliore di cui la Spagna potesse disporre. Prendere Genova s ignifi cava tagliare alle rad ic i il Ca mmino di Fiandra, far cadere di rovescio Riva e il Ducato di Milano e, in ultima anali si, cambiare drasticamente il corso dei combattimenti in Germania. Ai motivi strategici se ne accompagnavano altri di tipo puramente territoriale, visto che sia la Francia sia i Savoia avanzavano pretese sulla città o sul territorio genovese; entramhi erano d'accorcio su lla spartizione: al Re il Levante, al Duca il Ponente, Genova in condominio provvisorio finché non si fosse dec isa la sorte della Corsica. Poi chi avesse avuto l' isola av rebbe ceduto la sua parte della Superba all'altro. Venezia non e ra d'accordo; ma fu tutto stabilito senza informarla e si continuò a sostenere c he i c irca 14.000 fanti e i 1.500 cavalie ri c he Lesdiguières portava in Piemonte avrehhero puntato su Milano insieme ai 14.000 fanti e 2.500 cavalieri del Duca di Savoia. Richelicu ordinò alla squadra del Mediterraneo di levare le ancore a spedì un ambasciatore in Olanda a chiedere 20 vascelli, da mandare a Nizza entro il gennaio 1625 per impiegarli contro la Spagna in Mediterraneo.


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Ottenuto dal Duca di Mantova il passaggio attraverso il Monferrato, ne l fe bbraio 1625 le truppe francesi e sabaude, comandate dal maresciall o di Crequì e da Lesdiguières le une, dal Duca e dal principe Tommaso di Savoia le altre, calarono sulla riviera ligure senza dichiarazione di guerra. I Francesi avrebbero voluto prendere Savona per assic urarsi un porto dove sbarcare i rifornimenti e i rinforzi provenienti dalla Provenza, ma Carlo Emanuele li convinse a marciare subito su Ge nova. Il Senato aveva guarnito be ne Savona, Ventimiglia, Albenga e Porto Maurizio, ma aveva trascurato la capitale. Qua ndo seppe la direzione presa dai ne mic i, richiamò il maggior nume ro possibile di soldati, li affidò a Giangerolamo Doria e chiese aiuto alla Spagna ed al governatore di Milano, il quale aveva già mandato Pime ntel a Tortona con 4 .000 uomini . Intanto i Piemontesi scendevano su Genova da Rossiglione per Voltri; i Francesi d all a Bocchetta, per Gavi e la Val Polcevera, verso Sampierdarena. Occupata O vada, Carlo Emanuele assalì e prese le postazioni genovesi alla strettoia di Rossiglione e, lasciatosi su l fianco due compagnie nemiche rinchiusesi entro Masone, inseguì i Ge novesi tino alla wsta. La notizia della sconfitta destò il panico nella Superba. Il Senato ordinò l'abbandono di tutte le posizioni e il concentrame nto de lle truppe nella capitale. Savona fu evacuata ; ma Dori a rifiutò di lasciare Gavi, scrive ndo ai Magnifici che la si poteva difendere bene a lungo. Poich é i ne mici non potevano far passare l'arti glie ri a sulla stretta strada del Rossiglione, ma solo per la via di Gavi, era ancor più importante non evacuare la piazza ma resistervi fino all ' ultimo. TI Sen ato riprese coraggio. Rima ndò a Savona il presidio che aveva ric hiamato e, contemporaneamente , ebbe la lieta sorpresa dell'arrivo di 2.000 fanti e 200 cavalieri agli ordini d i Ludovico Guasco, mandato in ajuto alla Repubblica dal Duca di Feria, nonostante la maggior parte delle forze milanesi fosse in quel momento impegnata intorno a Riva per difendere l'estre mo sbocco della Valtellina. Le difese di Genova vennero rapidame nte potenz iate; i Piemontesi però non le s i avvicinarono, prefe re ndo occupare Sassello. Daria recuperò la cittadina ma la situazione rimase comunque in stallo. Poco prima ili Pasqua il cardinale Barberini e mo ns ig nor Pmnphili tentarono senza successo una mediazione fra la Repubblica e il Duca. Carlo Emanuele era sic uro d ' aver la vittoria in pug no e non voleva sentir ragioni ; so lo che, come aveva previsto Daria, la vittoria dipendeva dalle artig lierie e le arLigli1,;rit: 11011 passavano dalla strettoia di Rossiglione. Per


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questo i Piemontesi cambiarono programma e si spostarono verso Gavi per unirsi a Lesdiguièrcs e impadronirsi di Voltaggio, l'ultimo territorio da prendere per accerchiare completamente Gavi e farla cadere. La Repubblica aveva dato il comando della difesa della zona appenninica a Tommaso Caracciolo, ed egli si era arroccato proprio a Voltaggio con 5.000 fanti tra regolari, mili zia e volontari levati per l'occasione. Carlo Emanuele era giunto a Carosio colla fanteria e, mentre attendeva l' artiglieria, aveva mandato in avanscoperta il signo r d i Sant' Anna verso Gavi. La ricognizione fu osteggiata, il Duca fece avanzare il g rosso, Caracciolo pure e ne nacque una battaglia sangu inosa alla fine della quale i Genovesi erano in rotta e la via della Dominante era aperta. La mossa successiva doveva essere la calata in Val Po]vevera e la presa di Genova. Il Senato consultò il Duca di Feria per sapere se fosse o meno il caso di concentrare nella capitale le truppe presenti a Gavi. Feria rispose di si e furono mandali ordini in tal senso al governatore del territorio, che ne uscì di notte con 3.000 uomini per andare a Scrravalle. Ma trovando le strade impraticabili e temendo di venir sorpreso in marcia, preferì rientrare e, inaspettatamente, arrendersi ai Piemontesi. La notizia cadde come un fulmine su Genova, perché ora solo il castel lo di Gavi restava ad opporsi a i franco-piemontesi . Lo comandava Alessandro Giustiniani che , respinte due intimazioni di resa, si difese coraggiosamente finché gli assedianti spianarono la strada all ' attacco alle mura a forza di cannonate e non gli intimarono la resa una terza volta. Ottenne di mandare un messo al Senato e promise d' arrendersi se non l' avesse visto tornare entro tre giorni: gli fu accordato. TI messo partì , ricevè istruzioni, tornò ... e fu arrestato dal duca di Savoia, che lo tratte nne fino a dopo la scadenza del termine stabilito, così G iustiniani, non vede ndolo rientrare entro il terzo g iorno, fedele ai palli, si arrese e consegnò la fortezza. Ora davvero la strada era aperta e solo un miracolo avrebbe potuto salvare la Repubblica; e il miracolo avvenne: Lesdiguièrcs si 1ifiutò d'avanzare se non avesse prima ricevuto viveri e munizioni per alme no tre mesi. Carlo Emanuele fece l' impossibile per convincerlo; niente da fare, i Francesi non si sarebbero mossi. Persa l'occasione, il Duca decise di non restare fermo e si diresse a lla conqu ista dell a Riviera di Ponente , che gli spettava comunque in base agli accordi di Susa, ordin ando al principe Vittorio Amedeo di prendere la Pieve, nella Valle d' Onegli a, con 6.500 fanti e 400 caval ieri. La difendevano 3.000 fa nti e 1.000 uomini della cernide locale c omandati d a Gerolamo Doria.


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Vittorio Amedeo impiegò cinque giorni a far passare le artiglierie per le strette stradine di montagna; ma alla fine ci riuscì e assalì e prese la cittadina dal lato del monastero di Sant' Agostino, catturando anche Doria. Impadronitosi poi d'Albenga, Alassio, Porto Maurizio, Ventimiglia, San Remo e Oneglia, il Principe sottomise rapidamente tutta la Riviera di Ponente, colla sola eccezione di Triora; mentre il Duca, deciso a fare di tutto per prendere Genova, concentrava artiglierie, rifornimenti e uomini a Gavi. La situazione della Repubblica peggiorava di giorno in giorno. Il denaro mancava; le truppe erano ridotte a niente, né si potevano colmare i vuoti perché la presenza del nemico impediva alle reclute di arrivare ai reparti. La Toscana mohilitava sul confine, pronta a calare su Sarzana e Sarzanello; la Corsica sembrava minacciata dalla flotta francese; quelle inglese ed olandese parevano prossime a raggiungerla e, per finire, le truppe spagnole di Pimentel si erano ritirate da Tortona ad Alessandria per non rimanere tagliate fuori dai collegamenti con Milano. In questa situazione disastrosa arrivò in porto una galera proveniente daJla Spagna con a bordo un milione di ducati, seguita di lì a poco da altre, con sei milioni ancora. Le rimesse dei feudi extra - liguri dei patrizi genovesi erano arrivate e con loro era tornala la fiducia del mondo . Improvvisamente, ora che c'era denaro per le paghe, le reclute riuscirono a passare le linee piemontesi e a presentarsi ai reparti, portando le forze genovesi a 15.000 regolari e alcune migliaia di cernide; le squadre delle galere di Spagna e del Papa si unirono e vennero in aiuto all a Repubblica; il Granduca di Toscana abbandonò le idee che poteva aver avute s u Sarzana e Sarzanello e ma ndò la propria squadra sottile ad aggiungersi alle altre due. La flotta francese fu neutralizzata; e le cose cominciarono a migliorare rapidamente anche per terra. 1 Franco - Piemontesi vennero hersagliati dalla guerriglia contadina e privati dei convogli di viveri, la c ui scarsezza fece apparire le prime malattie. Poi ini ziarono le di serzioni e si seppe che, finalmente, terminati i combattimenti intorno a Riva, il Duca di Feria aveva radunato le sue truppe e stava avvicinandosi con 20.000 fanti e 2.000 cavalieri . Carlo Emanuele gliene poteva opporre 8.000 e 2.800. Inoltre i suoi rapporti con Lesdiguières erano ora pessimi a causa della precedente e perniciosa inallività dei Francesi, quindi non c'era alternativa: bisognava ritirarsi e in fretta. Naturalmente i Genovesi li tallonarono e ripresero Yoltaggio,intcramente arso, Gavi, dove trovano 19 cannoni sabaudi, e


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Novi, me ntre i Franco-Piemontesi entravano nel Monferrato e da là muovevano alla conquista di Acqui, puntando poi su Spigno e Cairo. Feria intanto non solo era giunto a Pavia, ma aveva anche aumentato le proprie forze a 22.000 fanti e 5.000 cavalieri - tra i quali molti Italiani - e puntava su Acqui, che prese rapidamente, obbligando i nemici a ripiegare su Asti. Lasciando agli Spagnoli il teatro operativo monferrino e appenninico, la Repubblica si volse al recupero della Riviera di Ponente. A metà luglio il Marchese di Santa Croce imbarcò su lle galere della squadra alleata 8.000 uomini e li sbarcò ad Albenga, che fu liberata rapidamente. Cadute Porlo Maurizio, Oneglia, San Remo e Zuccarello, le truppe genovesi s i inoltrarono verso nord e ovest, recuperando Ve ntimiglia e prendendo la Contea del M aro, la Valle d1 Prel à, Ormca, Garessio e Bag nasco, giungendo a minacciare Ceva. Gli Al1eati avrebbero vinto faci lmente se agli Spagnoli non fosse venuto in mente di assed iare Ve rru a. Le loro intenzioni erano semplic i. Volevano solo devastare il Pie monte , sen1:a sottrarre nulla al dominio

sabaudo,ma avevano bi sogno di una base d'appogg io. Poiché Vc rru a separava l'Astigiano dal Vercellese, la sua presa avrebbe facilitato mo lto le loro operazioni di saccheggio impedendo invece alle forze saba ude di passare dall'uno a ll 'a ltro. Rendendosi conto del pericolo e del fallo che quella era l'ullima fortezza a frapporsi tra il nemico e Torino, Carlo Emanuele dec ise di res istere a tutti i costi e anelò a piazzar si sotto Vcrrua, ponendo il grosso nella vic ina Crescentino. Lesdigui ères lo seguì con 5.000 uomini , perché Richelie u aveva ordinato di non lasciar pre ndere assolutamente la fortezza agl i Spagnoli. Verrua non era dotala di fortificazioni tali da consentire una gran difesa. Consistevano infatti in un castello - che era più una casa rinforzata che un castello - con una sola torre e privo di baluardi, fossati o bastioni e dalla cittadina racchiusa entro un muro di c inta. Ma i 22.900 fanti e 5.000 cavalieri tra spagnoli, tedeschi, modenesi, napoletani , genovesi e parmensi 3 ai quali si potevano opporre subito solo 8.000 uomini - 5.000 francesi e 3.000 piemontesi - saliti nei mesi successiv i a 12.000 fanti e 1.300 cavalieri non fecero un granché, perché tanto Carlo Emanuele era deciso a difendersi, tanto il Duca di Feria sembrava propenso a non impegnarsi. Infatti si dové arrivare al1' 8 settembre per vedere azioni pesanti e poi dal 28 settembre a] 22 ottobre la guerra si trasferì solloterra, tra mine e contromine.

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I comandanti delle truppe italiane e rano Serbelloni, Spinola e Piccolo mini.


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Intanto Carlo Eman uele aveva approntato un corpo di soccorso, comandato dal principe Tommaso di Savoia e s tava per mandarlo a Verrua. Feria lo seppe e, ricevendo notizie di possibili rinforzi france si, deci se di concentrare sotto la città tutte le truppe che aveva in Piemonte e predispose la ritirata, facendo preparare un ponte a Ponte Stura. Me ntre Carlo Emanuele I e il Principe Tommaso avanzavano verso Crescentino, incominciò il ripiegame nto de ll'artiglieria spagnola coperta da aliquote di fanteria. li 4 novembre i rinforzi piemontesi arrivarono a Crescentino e , il 5, riusc irono ad entrare a Verrua. Ormai la passivifa degli assediati era palese e la fine dell 'assedio prossima. Il 15 e il 16 vennero ritirati tutti i cannoni spagnoli e a l campo sahaudo s i seppe che già dall'8 il Duca di Feria si era ammalato e se n'era andato, lasciando il comando a don Gonsal vo di Cordova. La noti zia decise i Franco Pie montesi a lanc iare un attacco generale il 17 novembre 1625. Jl combattimento durò lino a notte quando, approfittando delle tenebre, gli Spagnoli si sganc iarono e ripiegarono in fretta da tulle le posiz io ni . Di 28.000 che era no al principio dell'assedio, solo 5.270 ri entrarono alle guarni gioni di partenza. Per contro ai Francesi e ai Piemontesi, che avevano gettalo nella lotta un complesso cli o ltre 13.000 uomini , ne restavano 4 .350, con un a perdita di un soldato ogni due e mezzo del ne mico. Verrua era ridotta a un cumulo di macerie - aveva ricevuto I 0.000 colpi d 'artig lieria in tre mesi - ma il Pie monte aveva vi nto. Per la seconda volta in dieci anni la Spagna non riusciva a battere Carlo Emanuele I e ora, e questo era più grave, l' insuccesso van ifi cava sul piano propagandistico e militare il buon risultalo avuto ne lla difesa cli Ri va, rimette ndo in discussione l'esito della guerra e rendendone urgente la conclus ione negoziata finché era poss ihile farlo. Un ' ulteriore attesa avrebbe portalo vantaggi ai Francesi ma non certo agli Spagnoli ; per questo i diplomatici dei Re Cattolico e Cristianissimo, da tempo in trattative a Monzon, in Spagna, g iunsero ad accordarsi sulla pace, firmandola il 6 marzo 1626. La Va ltellina tornava allo stato ante riore al 1617, quindi ai Grigioni, ma col divieto di professarvi altra fede che la Cattolica Romana e coJla facoltà di passaggio alle truppe francesi. I fo1ti della Valle sarehhero stati riconsegnati alle truppe pontificie, le quali vi sarebbero rimaste fino a che non fossero stati demoliti tutti quelli costruiti dopo il 1620. Dopo la partenza dei reparti papali , i Grigioni non avrebbero potuto mettere proprie guarnigioni e la Valle sarebbe rimasta neutralizzata. Per guanto riguardava Genova e Torino, Spagna e Francia avrebbero


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fatto de l loro meglio per convincerle (cioè le avrebbero obbligale) ad accettare una tregua di quattro mesi e la nomina di due arbitri che ponessero fine alla questione. Come al solito, la pace non piacq ue a nessuno, tranne forse alla Spagna, che vedeva allontanata la minaccia protestante dalla Valtellina e garantito completamente il Cammino di Fiandra, visto che le truppe francesi non avrebbero potuto far altro che passare dalla Valle, senza soggiornarvi. A Parigi si diceva disonorevole per la Francia aver trattato tanto male gli affari degli alleati italiani. A Torino si era della stessa opinione. Venezia infine non era per nulla soddisfatta del mutamento degli affari valtellinici, visto che in ultima analisi andavano completamente a vantaggio della Spagna e quindi a suo danno. Gli affari d ' Italia del resto non andavano nel modo migliore, specialmente per quanto riguardava Torino e Genova. Le conferenze arh itral i avevano slabilito quali fossero le restituzioni che entrambi i contendenti avrebbero dovuto fare; ma tanto il Senato tanto il Duca non ne volevano sentir parlare. Incidenti di confine turbavano continuamente una pace precaria e alla fine indussero di nuovo il P iemonte ad armarsi. Nulla sembrava poter impedire la guerra; ma improvvisamente alla fine di dicembre de l 1627 morì il duca Vincenzo Gonzaga, signore di Mantova e del Monferrato, e lasciò tutti i suoi Stati al lontano cugino Carlo Gonzaga di Nevers. Suhito Carlo Emanuele ritirò fuori tutte le pretese avanzate una decina d'anni prima s ul Monferrato. Stavolta però i suoi interessi collidevano con quelli francesi, poiché al Lou vre si vedeva con molto favore l'insediamento di un nohile francese - tali erano ormai i Gonzaga-Nevers da due generazioni - s ul trono mantovano. La Francia avrebbe avuto in mano le chiavi d'Italia: Casale, capoluogo del Monferrato, per garantire la discesa delle truppe dalle Alpi ; Mantova e il suo sistema di vie d' acqua per interdire quella delle forze imperiali dal Trentino. Ovviamente, se la successione dei Nevers andava a vantaggio della Francia non era gradita dalla Spagna. Così, dopo an ni di lotte, i Savoia e gli Spagnoli si riavvicinarono e firmarono un trattato in hase al quale Torino avrebbe 1;cevuto Trino, Alba e San Damiano, mentre al Cattolico sarehhero andate le rimanenti terre del Monferrato. Genova respirò, perché l'alleanza del Piemonte colla Spagna faceva svanire il pericolo della ripresa della guerra sull'Appennino; ma Parigi lanciò fulmini e monsignore il Cardinale di Richelieu decise che la faccenda era Lanlo grave da doversene occupare di persona. Per la prima volta nella sua


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carriera, sarebbe uscito dai confini nazionali per assistere di persona allo svolgimento delle operazioni.

li secondo effetto della guerra in Italia: La successione di Mantova: 1628- 1630 La morte del duca Vincenzo infatti aveva lasc iato aperta la strada anche alle pretese, tutt'altro che infondate, de l duca di Guastalla Ferrante Gonzaga. Ma l'eredità doveva anelare ai Nevers, sia perché appartenenti a un ramo più vicino a quello ora estintosi , sia perché Vincenzo aveva fatto sposare la sua ultima discendente Maria, al figlio di Carlo di Gonzaga Nevers. Tutte queste belle ragioni legali avrebbero retto poco in una contesa tra privati, di conseguenza non valsero nulla in una lite internazionale ; e cominciarono gli armamenti. Teoricamente, essendo Mantova un feudo dell ' Impero, sarebbe toccato all' Imperatore decidere la successione; e infatti Fe rdinando d 'Asburgo aveva decretato la sua competenza sull 'argome nto, ordinando al nuovo Duca di consegnargli il Ducato e avvi sandolo che, in caso d ' inadempienza, avrebbe proced uto con tro d i lu i citando lo davanti alla Dieta dell'Impero. Se avesse res ist ito s i sarebbe passati a lle acc use formali, seguite dal bando imperiale e, infine, al ricorso alle armi. Poiché Carlo era appoggiato da Parigi e Venezia, non ascoltò le minacciose istanze provenienti da Vienna e rimase saldamente sul trono mantovano. Spagna e Austri a si consultarono: il problema stava assumendo una connotazione politica, oltre che strategica, poiché la presenza di una testa di ponte francese a Mantova avrehhe co nsenti to agli Stati itali a ni , Venezi a, Savoia e Papa specialme nte, di sfuggire al controllo asburgico giovandosi dell'aiuto militare cli Parigi. Quindi , sia per mantenere sicure le retrovie italiane del teatro di guerra germanico, sia per conservare l'assoluta preponderanza politica, occorreva avere Mantova o, non potendo, al meno CasaJe. Carlo Gonzaga, conscio del pericolo, aveva raccolto 8. 000 fanti e 1.400 cavalieri 4, mettendone c irca 4.000 dei primi e 1.000 dei secondi nella capitale e altri 4.000 e 400 del Monferrato. 4 I piedi li s ta del le truppe ma ntovane di q uel pe ri od o - quasi g li unic i conservatisi nell'Archivio di Stato di Mantova. riportano una forza che, al 7 ma rzo 1629, ammontava a 4.802 uo mini: 3.847 fanti , divisi in IO Te rzi, e 955 cavalieri , riparLiLi in 13 compagnie di <.:avallcria e 6 di archibugieri a cavallo.


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Carlo Emanuele s'era accordato colla Spagna ma le loro forze riunite non sembravano sufficienti per la duplice impresa di Casale e di Mantova. Nel Ducato di Milano erano stanziati 12.000 fanti e 2.000 cavalieri , dai quali andavano tolli quelli necessari a controllare il Cremonese e la frontiera svizzera. Carlo Emanuele stava un pò meglio, ma di poco, cd entrò subito in guerra. In marzo gli Spagnoli andarono ad assediare Casale con circa 7.500 fanti 5 e 1.200 cavalieri, concentrandoli prima a Frassineto. Mentre il governatore di Milano si occupava di Casale, il Duc a di Savoia uscì da Torino con 4.000 fanti e 1.200 cavalieri, prese Alba, Trino e Moncalvo fortificandole per tenersele. Invece consegnò agli Spagnoli Pontestura perché non venisse loro voglia di togliergli le altre conquiste fatte e da farsi. Per non lasciarsi sfuggire il resto del Monferrato, il Governatore di Milano decise di tramutare l'assedio di Casale in un semplice blocco e volgere le proprie truppe alla conquista dei paesi circostanti. Intanto i Francesi stavano arrivando in aiuto dei Monferrini con un esercito di 12.000 fanti e l .500 cavalieri comandati dal Marchese d'Uxelles e destinati a unirsi nel Delfinato alle truppe del Maresciallo de Créqui per poi scendere in Piemonte. Carlo Emanuele chiese ed ottenne 5.000 uomini dagli Spagnoli e , grazie alle truppe del Principe Tommaso presenti in Savoia, che indussero Créqui a non lasciare il Delfinato, si trovò a dover as pettare il solo contingente di d ' Uxelles nella zona del colle cieli ' Agne llo , preparando tre ridotte per chiude re il passaggio e munendo il forte di Castel San Pietro. D'Uxelles arrivò ai primi d 'agosto. Prese le tre ridotte e scese in Val Varaita dritto in bocca al Duca che l' attendeva a Sampeyre, col grosso in pianura e forti aliquote al comando del principe Vittorio Amedeo sull e falde dei monti. Il 7 agosto 1628 i rrancesi attaccarono contemporaneamente le colline e l'ala destra nemica, tenuta dalla fanteria napoletana, che li respinse coll'aiuto della cavalleria piemontese e, dopo una finta ri tirata, Ii batté e mise in fuga verso le montagne. Lasciarono sul terreno 3.000 tra morti , feriti e prigionieri e tulle le salmerie. Questo grande successo confermò a Carlo Emanuele la fama di abile condottiero di cui già godeva da tempo e gli donò grandi celebrazioni e feli citazioni da tutta Italia e da parte del nipote, il re Filippo di Spagna. L' insuccesso non fece abbandonare la pat1ita a Luigi Xlii e, soprattut-

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Tra i quali 2.000 napoletani.


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to, a Richclieu. Impegnati nell ' assedio della roccaforte ugonotta di La Rochelle, aspellarono d'averla presa, poi equipaggiarono un nuovo esercito e si mossero. Stavolta la Spagna era bloccata, non solo dall'assedio di Casale, ma anche dal progressivo aumento delle forze veneziane sul confine lombardo e dalla temuta ed ora effe ttuala entrata in campagna del Duca d i Mantova, gettatosi sul Cremonese. Carlo Emanuele quindi poteva contare solo sulle proprie forze, assai inferioti a quelle francesi in arrivo e non si faceva troppe illusioni. Ad ogni modo preparò un trinceramento a Susa ed andò ad aspettarvi il nemico. Nel marzo del 1629 Luigi XJTT e Riche lie u si presentarono di pe rsona davanti a Sus a alla lesta di 35.000 fanti e 3.000 cava lieri chiedendo il passo verso la Pianura Padana. li 6 Carlo Emanuele, che disponeva di soli 9.000 uo mini, si oppose e venne sconfitto. Si ven ne alle trattative, in cui Madama Reale, moglie del principe Vittorio Amedeo e sorell a di Luig i Xlii , riuscì a temperare molto le richieste che alla fine si limitarono praticamente al perpetuo diritto di passagio per le truppe ed alla garanz ia dei collegamenti colla Prancia dietro consegna della c ittadella di Susa e del castello di San Francesco come garanzia dell'accordo. Questo bastò a Richelieu per raggiungere lo scopo di sbloccare Casale e, quindi, conservare il trono al Duca di Mantova. La presenza della Francia in Italia era necessaria qua nto mai pri ma. Gli Asburgo infatti si erano divi si i compiti e stavano radunando le forze per colpire i Gonzaga - Nevers. L' Imperatore , appresa la notizia dell ' incursionc mantovana e dello scontro di Susa, aveva d istolto forti contingenti di tru ppe dal fronte tedesco e, avviatili per il Cammino di Fiandra, li stava mandando in Italia agli ordini di uno dei suoi migliori generali , il veneto Rambaldo di Coll alto 6, coad iuvato dagli altrettanto noti Aldringer e Galasso, coll ' ordine di prendere Mantova. Dal canto suo il Re di Spagna aveva sostituito il proprio comandante in Lombardia, no min andovi il famosis s imo ma rc hese ligure Ambrogio Spinola, il vinc itore di Breda, e mettendolo alla testa dell 'eserc ito destinato ad operare nel Monferrato: 16.000 fanti e 4.000 cavali eri tra Spagnoli , Tedeschi, Napoletani e Lombardi . Tali movimenti spaventarono Italiani e Francesi. TI Papa all armato dall'incombente 1itorno armalo degli Imperatori in Italia cercò d'ottenere da Ferdina ndo d ' Ashurgo la revoca degli ordini contro Mantova. Ma d a Madrid Filippo IV, e più di lui il conte duca d ' Ol ivares, tempestavano per il mantenimento degli impegni presi.

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Che, per ironia della smt e, era nato proprio a Mantova.


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Ferdinando era in dubbio e, nel dubbio, l'interesse dinastico prevalse e gli fece confermare gli ordini impartiti: Mantova doveva essere presa. Trentamila imperiali si misero in marcia verso sud, portando rovina, distruzione e la peste che avrebbe devastato l' Italia settentrionale l'anno seguente. Davanti alla loro avanzata il Papa s' indignò e assunse una posizione ostile all'impero e agli Asburgo spedendo al confine padano il proprio fratello Carlo Barberini alla testa di circa 20.000 fanti e 2.000 cavalieri , coll'ordine di impedire a qualsiasi c.:osto l'eventuale ingresso dei Tedesch i nello stato Ecclesiastico. Ma più di questa mossa, minima nel contesto militare e in definitiva volta solo al mantenimento della sicurezza dei propri Stati , l'improvviso inasprimento dei rapporti fra Roma e gli Asburgo segnò profondamente il conflitto. "La crisi di Man tova, insignificante in sé, costituì l ·evento determinante della Guerra dei Trent 'Anni, perché provocò la separazione definitiva della Chiesa Cattolica, allontanò il pontefice della dinastia asburRica e rese moralmenfr~ possibile, per riequilibrare la situazione, l'alleanzafra Potenze protestanti e cattoliche " lll. A Roma non si diceva più "l nostri" parlando degli Imperiale degli Spagnoli come era accaduto ed era stato scritto al tempo della battaglia della Montagna Bi anca, quando ci si sentiva accomunati ad essi dalla difesa della fede cattolica; ma, come ora faceva il Papa, si stava sul chi vivc e si parlava a bassa voce a causa delle spie spagnole in Vaticano. La calata degli imperiali e l'arrivo di Spinola indussero la Francia a intervenire con grandi forze. Alla testa di 20.000 fanti e 2.000 cavalieri, di nuovo Richelieu prese la via ddl' Italia, ma stavolta come generalissimo dell'esercito reale, oltre che come ministro plenipotenziario in grado di trattare la pace e la guerra a suo piacere. Ma i Francesi erano ancora lontani, dovevano attraversare il Piemonte, evitare o battere Spinola a Casale ed era difficile il loro arrivo a Mantova prima di Collalto. Per questo Venezia, più direttamente interessata e allarmata dall'arrivo d egli Imperiali, mandò denaro e 1.000 uomini a Mantova per aiutarla a resistere, seguiti poco dopo da altri 1.000 fanti con IO cannoni e I00 carri di munizioni e viveri. l Venez iani marciarono a tutta ve loc ità per battere sul tempo i Tedeschi. Senza di loro Mantova e la partita erano perdute, con loro c'era ancora qualche possibilità. Riuscirono ad arrivarci e a chiudervisi subito prima dei Tedeschi, la cui avanzata era stata tanto rapida da impedire al Duca di radunarvi le proprie truppe sparse nei presidi e in campagna.

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C. V. Wcdgwood, " La Guerra dei Trem' Anni", Cles, Mondadori, 199.'i, pag. 250.


L'/Jalia e la guerra dei Trenl'anni

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Mantova poteva resistere invece d'essere presa subito; e ora l'unica speranza risiedeva nell' arrivo dei Francesi e la parola passava al Duca di Savoia. Carlo Emanuele era in quel momento il classico vaso di coccio tra i vasi di ferro della Francia e degli Asburgo. L' alleanza colla Spagna l'obbligava ad opporsi a Richelieu; ma la convenzione di Susa dell'anno precedente gli imponeva di lasciargli libero passaggio. Che fare? Qualunque scelta avrebbe comportato inimicizie potenti e danni enormi , tanto più grandi in qua nto l'Italia stava diventando il centro della guerra. Infatti in quel breve intervallo di tempo compreso fra la metà del 1629 e la fine del 1630, incuneato fra la fine del Periodo Danese e il princ ipio del Periodo Svedese della Guerra dei Tre nt' Anni 7, lentamente l 'attenzio ne dei belligeranti si stava spostando da l teatro tedesco all ' Italia Settentrionale e, ins ie me ad essa si spo stavano le loro truppe . Centotrentam ila tra Piemo ntesi, Veneziani, Lombardi, Napoletani, Tedesc hi , Spagnoli , Pontifi ci e Francesi si s tavano concentrando nella

Pianura Padana o ai suoi margini , pronti a saltarsi addosso al primo segnale. Da Carlo Emanuele dipendeva la piega che gli avvenime nti avrebbero preso e Carlo Emanuele decise di camminare sul filo del rasoio con una lievissima preferenza alla Spagna. Per questo fortificò Avigliana e vi concentrò il grosso delle sue truppe - 12.000 fantj e 2.500 cavalieri - spedì il principe di Piemonte Vittorio Amedeo a parlare a Richelie u, giunto in Savoia, e aspettò gli eventi. Da que l momento il g ioco divenne sottili ss imo e difficilis sim o. Richelieu no n poteva restare a Susa senza perdere la faccia, perché aveva proc lamato di esser arrivato in Italia per aiutare il Duca di Mantova, ma non poteva nemmeno avanzare se i Piemontesi non gli davano esplicitamente libero passo e non si di chi aravano am ic i. Dom a ndò a Carlo Emanuele di assumersi l' incarico di vettovagliare Casale, obbligo previsto per i Savoia dalla convenzione di Susa ma poco rispettato, mentre lui si sarebbe diretto in Lomba rdia. Carlo Ema nuele non di sse di no, ma ne mmeno apertamente di si e si limitò a preparare i convogli di viveri. Riche lieu mosse l'avanguardia, ma Carlo Emanuele tenne fermi i carriag-

7 E' questo il motivo per cui alcuni storici, sulla scia di R. Quazza che per primo lo ipotizzì.1, sostengono l' esistenza di un quinto periodo - Periodo Italiano - della guerra dei Trent'Anni, d a collocare al terzo posto, appunto tra il Danese, che è il secondo, e lo Svedese, iniziato nell' agosto del I 1110 collo sharcn di Gustavo Allolro in Gennania.


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gi. O si muoveva tutto l'esercito - spiegò - o i carriaggi non sarebbero partili per Casale; l 'avanguardia non contava. I Francesi speravano d'avere almeno passo libero per Avigliana; ma i Piemontesi non si mossero e li obbligarono a marciare per le pessime strade di Condove e Casalette. M entre i suoi uomini sguazzavano nel fango, il Cardinale fece sapere al Duca che, essendosi mosso con tutto l'esercito, si aspettava sia di veder mandare i famosi vettovagliamenti a Casale sia di vederlo liberare il passaggio di Avigliana s ia infine di sentirlo dichiararsi apertamente per la Francia. "Carlo Emanuele ri:-.pvse che purtrvppv nel paese regnava una tale scarsezw di viveri da impedirg li di mandarli a chicchessia e, quanto al resto, "non esser lui della condizione degli Ugonotti di Francia, sicché dovesse spianar le sue fortezze per lastricar la strada ai soldati regj" IV ma che comunque avrebbe dato prova di buona volontà diminuendo la guarnigione di Avigliana. Infatti ne fece uscire 6.500 fanti e li mandò a i ponti ed ai guadi della Dora, in modo da bloccare qualunque tentativo francese d 'avvicinamento.

Richelie u allora decise di lasciar perdere i bei modi diplomatici e stabilì di passare il fiume e attaccare il Duca, in quel momento a Rivoli con una cons istente aliquota di forze. Era quanto Carlo Emanuele voleva: essere attaccalo lo svincolava formalmente dalla convenzione di Susa senza potergl i addossare la colpa d 'averla infranta e ora poteva dichiararsi per la Spagna e domandarle aiuto. Lo fece, pubblicando al medesimo tempo un manifesto, in cui accusava Richelieu d'essere venuto in Italia sotto vesti falsamente amichevoli e d'averlo aggredito solo per non essere riuscito a staccarlo dal l'alleanza coll ' Imperatore. Inaspettatamente il Cardinale riuscì a volgere la situazione a proprio vantagg io s pedendo C réqui a p re ndere Pinerolo d i sorpresa. T1 Conte d i Scalcnghc resse il più possibile nel castello, distrusse parecchi cannoni avversari ma, troppo inferiore in uomini e munizioni, il 31 marzo 1630, dome nica di Pasqua, si dovette arrendere. Ora il passaggio delle Alpi era in mano francese e i collegamenti non rischiavano più d 'essere interrotti. Collalto e Spinola tennero un consiglio di gue rra con Carlo Emanuele, ma non consentirono alla sua richiesta d' aiuto per portare la guerra in Francia. Dopo la cad uta di Pinerolo alla Spagna appariva urgentissima la

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C.Botta, op. cii. Libro vigesimo, 1630, pag. 4 14 .


I .'Ira/io e la guerra dei Trt'11t 'mmi

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presa di Casale e ali' Austria quella di Mantova e non potevano di stogliere truppe dai due assedi; i Piemontesi se la sbrigassero da soli. Ci provarono, con pessimi ris ultati a causa della disparità di forze. Combatterono a Bricherasio e ad Avigli ana, persero Saluzzo e tutta la Savoia, dove Luigi Xlii istituì una zecca ed un tribunale, come segni della sua potestà, e conservarono la sola Montméli a n assedi ata, rischiando anche un' invasione francese dal Gran San Bemando. Ritiratosi a Savigliano, Carlo Emanuele si ostinò a contrastare il passo ai Francesi e, così facendo, favorì gli Imperial i nella Lombardia orientale. Mantova era circondata e il suo Duca non sembrava troppo propenso a difenderla. I Veneziani, sempre più preoccupati, concentrarono un fotte contingente a Valeggio, rinfo17.ato da un corpo di 3.000 francesi, affidandolo al Provveditore Genenùe in Terrafenna Zaccaria Sagredo col piano di occupare Villabuona, Marengo, San Brizio e Goito per aprire la strada ai rifornimenti da inviare alla città a<;sediata. Yillabuona fu presa e protetta con trinceramenti di fortuna, mentre Sagredo ordinava a Luigi d' Este di spingere punte di cavalleria in avanscoperta. Poco fuori dell' abitato le pattuglie urtarono nell e truppe di Galasso e vennero respinte. 1 Tedeschi avanzarono e le fanterie alleate si sciolsero davanti a loro, abbandonando Villabuona e ripiegando impau ri te su Valeggio. Incerti sul da farsi i comandanti veneziani si consultarono; ma prima d 'aver raggiunto una decisione, seppero che il panico si era diffuso fra le truppe e i soldati avevano cominciato a fuggire. Sagredo ordinò allora di ripiegare s u Peschiera per riorganizzarsi. Me ntre i reparti cominciavano a muoversi, arrivò Galasso; il panico riapparve e determinò la rotta dell'armata. La retroguardia veneta tentò di resistere e prevalentemente ad essa si dovettero i circa 400 tra morti e feriti persi dai Tedeschi ; ma 3.000 venez ia ni e francesi rimasero sul terreno e non si parlò più di soccorrere Mantova. Liberatosi da qualsiasi pericolo alJe spalle, Collalto organizzò un attacco notturno di sorpresa. La notte dal 17 al 18 luglio 1630 mise in acqua ,ù borgo di San Giorgio sci barconi, caricando un'ottantina di soldati su ognuno e mandandoli verso la po1ta del castello, per impadronirsene e riparare il ponte su cui far passare la cavalJeria. Mentre veniva lanciato un attacco diversivo contro Porta Pradella per attirarvi i pochi difensori , l'operazione dal lato del castello andò a meraviglia. La cavalleria entrò, il Duca riuscì a malapena a chiudersi nella fortezza di Porto, da cui uscì salvo, per capitolazione, e diretto nello Stato Pontificio, e la città fu presa e saccheggiata orribilmente. Di quello c he


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era stato uno dei più ricchi scrigni d' arte d'Italia restarono solamente gl i affreschi e le case; tutto il resto fu depredato o bruciato. Stupri di massa, torture efferate e omicidi furono seguiti da casi di antropofagia, all a quale si abbandonarono i Tedeschi arrostendo alcuni cittadini, uccisi per divertimento dopo averli derubati e spogliati di tutto. Da Vienna l'T mperatore inorridito ordinò la cessazione delle violenze. Fu obbedito; ma l'armata si rifece taglieggiando l' infelice città e levandole tutto quel che poteva essere rimasto. Assicuratisi il terminale fluviale di Mantova, gli Asburgo non riuscirono però a prendere Casale difesa tenacemente dai Monferrini comandanti dal Marchese di Rivara e dai Francesi del Conte di Toyras. ln quel medesimo periodo morì Carlo Emanuele I, lasciando al figlio Vittorio Amedeo I uno Stato in sfacelo, distrutto dalla guerra, stretto dall a carestia e atllitto dalla peste. In quelle condizioni il Piemonte non poteva continuare la guerra, né, del resto, i Francesi e gli Spagnoli erano interessati a proseguirla, visto che entrambi avevano avuto quanto volevano. Si passò ai negoziati. Alla Francia premeva mantenere le posizioni acquisite; la Spagna non era in grado di contestargliele militarmente e il Piemonte venne tacitato con uno scambio. Col trattato di Ratisbona Richelieu ottenne la permanenza di Carlo di Gonzaga - Nevers sul trono mantovano, assicurandosi così il possesso indiretto di Casale, e, mediante clausole segrete e il successivo trattato di Cherasco, s' impadronì direttamente di Pinerolo e della Valle di Perosa, dando al Duca Vittorio Amedeo Alba, Trino e le 72 terre del Monferrato appartenute fin'allora ai Gonzaga. 1n questo modo la Francia aveva ristabilito la sua presenza in Italia, osteggiandovi quella asburgica. Formalmente era ribadita la dipendenza feudale di Mantova dall'Tmpero, ma in realtà il Ducato, amico e praticamente vassallo di Parigi, avrebbe chiuso agli Austriaci la possibilità di scendere via fiume nella Pianura Padana e avrebbe aJleggerito la pressione politica e militare degli Asburgo su Venezia. Pinerolo e la Valle di Perosa avrebbero consentito il transito immediato e sicuro alle truppe francesi ogni volta che fosse stato necessario contrastare la Spagna in lt,ùia e, soprattutto, la guerra in Germania sarebbe stata influenzata molto meglio ora che da Pinerolo il Cammino di Fiandra era minacciato da vic ino e poteva essere tagliato facilmente. In definitiva Richelieu era riuscito a spezzare la parte itali ana delJ' anello asburgico che circondava la Francia dai tempi di Carlo V. L'influenza francese era ristabilita nella Penisola e vi sarebbe cresciuta progressivamente fino al pomeriggio del 7 settembre 1706.


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Il terzo effetto della guerra in Italia: La seconda f?uerra della Valtellina: 1635-/639

Nel novembre 1631 finalmente la disputa fra Genova e Piemonte venne risolta a Madrid . Ma nel 1635 l'intervento francese nell' ultimo periodo della guerra dei Trent' anni riaprì la questione del1a Valtellina e vi si ricominciò a combattere, perché per la Francia era essenziale impedire l'afflusso di rinforzi spagnoli in Germania. Richelieu aveva preparato bene il terreno, avviando contatti con i Principi italiani, tutti - meno il duca di Modena - ben felici di avere un appoggio contro la preponderanza spagnola; e si preparava a vibrare il colpo. L' 11 luglio 1635 le abili mosse diplomatiche del Cardinale portarono alla firma del trattato di Rivoli, col quale i Duchi di Parma, Mantova e Savoia si alleava no alla Francia al fine dichiarato di far guerra alla Spagna e prenderle la Lombardi a, lasciando agli altri Principi italiani la facoltà d' accedere al trattato stesso. Ve nivano messi in campo 28.500 uomini, destinati ad essere incrementati di un quarto in caso di arrivo in Italia di rinforzi imperiali dalla Germania. Parigi avrebbe fornito 12.000 fanti e 1.500 cavalieri destinati a operare in Valtellina, Mantova 3.000 fanti e 300 cavalieri, Parma 4.000 dei primi e 500 dei secondi, Torino infine 6.000 e 1.200; il comando in capo sarebbe stato del Duca Vittorio Amedeo, coadiuvato da un generale francese. Ovviamente Richelieu - tramite l'ambasciatore straordinario Giulio Mazzarino - largheggiò in promesse territoriali , specialmente con Vittorio Amedeo, al quale promise la corona di re di Lombardia, a condizione di trattenere per la Francia il Lago Maggiore e di prendere in Piemonte parecchie terre - Cavour, Revello e ]e valli di Lucerna, San Martino e Angrogna - confinanti col territorio francese. Al Duca di Mantova sarebbe andato il Cremonese in cambio de lla cessione del Monferrato alla Franc ia e della provincia d' Alessandria ai Savoia; al Duca di Parma infine venne promesso ampio compenso nel Milanese, a condizione che lutto rimanesse segreto. Venezia e Firenze propendevano per il ma ntenimento della pace, ma l'atteggiamento antispagnolo di Urbano Vill fece fallire la tentata mediazione. Pur se minacciosa, la situazione era ancora di pace e non si vedeva in Italia un motivo per farla precipitare verso la guerra . Di fatti il casus belli si verificò in Germania e in due tempi. Prima gli Austriaci si impadronirono di Philippsburg, l'importante fortezza renana in quel momento in


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mani francesi, poi gli Spagnoli - o meglio: le truppe italiane e spagnole che il Cardinale Infante aveva portalo con sé dall'llalia - presero di sorpresa l'Elettorato di Treviri e, davanti ali' acuirsi della preponderanza asburgica in Germania, la Franc ia scese in campo. La prima mossa di Luigi XTTT, o meglio di Richelieu, consisté nell'invio in Valtellina d' un esercito di 8.000 fanti e 4.000 cavalieri, comandato dal Duca di Rohan e preceduto da 1.400 Grigioni, che alla fine di marzo del 1635 occupò la Valle e interruppe il Cammino di Fiandra. JI cardinaJe Albomoz, governatore dello Stato di Milano da quando il Duca di Feria ne era partito alla testa del g ià ricordato conti ngente di 14.000 italiani diretto in Baviera, ordinò al Sergente Generale Molinas di porsi sul confine comasco con una piccola aliquota di forze e destinò i 6.000 uomini del grosso a fottificarsi nella zona di Fuentes sotto gli ordini del conte Giovanni Serbelloni. TI colpo era stato grave per gli Asburgo, che corsero rapidamente ai ripari facendo scendere dal Trentino gli oltre 13.000 imperiali del conte di Fernamont. Dopo aver costretto i Franco - Grigioni a ri tirarsi dalle scale cli Fracle a Bormio e poi ancora a Tirano, il 13 giugno Femamont entrò a Bormio e la saccheggiò, pur trattandosi di una città asburgica. Ma Rohan lo contrattaccò e batté nei pressi di Livigno , puntando poi su Mazzo, dove Fernamont si era fermato. Là i Tedeschi avevano sfondato le porte delle cantine e le stavano svuotando, quando i Francesi arrivarono loro addosso il 3 luglio: 3.000 vennero ucc isi, 600 catturati e gli altri fuggirono in rotta fino in Tirolo, lasciando al nemico la Valtellina e il Cammino di Fiandra nuovamente interrotto. Intanto al principio dell'estate erano arrivati in Piemonte J 2.000 fanti e 2.000 cavalieri francesi agli ordini del Maresciallo di Créqui, che si erano unili ai 13.000 fanti e 3.000 8 cavalieri messi complessivamente in campo da Parma e Torino. Aggiungendo ad essi l'esercito veneziano che s' era andato ammassando sul c onfine lombardo, cli nuovo la situazione cie l Milanese era sembrata disperata. La buona stella della Casa d'Austria volle la salvezza della Lombardia spagnola: mentre Odoardo Farnese tempestava inutilmente per convincerlo a compiere scorrerie in tutto il Ducato e minacciare la medesima Milano, Créqui si mosse lentamente per assediare Valenza, dimodoché gl i Spagnoli ebbero tutto l'ag io di infilarvi ben 4.000 uomini.

R Erano 8.000 fanti c 2.000 <.:avalicri sabaudi e 5.000 fanti , 1.000 cavalieri e 4 pezzi d' artiglicria par111c11si.


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Deciso a muoversi, Odoardo Farnese assalì il nemico a Pontecurone il 3 settembre 1635 e lo sbaragliò, uccidendone il comandante don Gaspare de Azevedo e puntando poi anche lui su Valenza. Stretta dai Francesi, dai Parmensi e, con tutta calma, da circa 5.000 Piemontesi comandati dal Marchese Villa, la citfa perse subilo il fortino si tuato sull 'altra riva del Po, perché durante una piena i Sabaudi tagliarono gli ormeggi di un mulino galleggiante, spendendolo a far crollare il ponte congiungente la piazza al forte, che poi assalirono e presero. Ma il più completo disaccordo regnava fra Vittorio Amedeo, Créqui e Odoardo, ragion per cui l'assedio non progrediva, nonostante gli ottimistici messaggi inviati a Parigi dal Maresciallo, secondo il quale la città sarebbe caduta nel giro di due settimane. Nel frattempo la macchina militare spagnola aveva cominciato a girare a pieno ritmo e le truppe di rinforzo stavano arrivando in Lombardia da Napoli e dalla Spagna stessa. 11 governatore cardinale Albornoz venne sostituito dal conte di Leganes e i rinforzi furono divisi fra Valenza e Fuentes, me ntre l'imperatore ripianava le perdite di Fernamont coll'obiettivo di attaccare congiuntamente agli Spagnoli i Francesi in Valtellina in novembre. Ma Rohan li anticipò e li batté separatamente, Fernarnont a Fraele e Serbellorn a Morbegno, riuscendo a raggiu ngere l'interruzione invernale delle operazioni ancora padrone della Valle. Non andò altrettanto bene in Piemonte. Gli Spagnoli decisero di compiere una mossa diversiva erigendo un forte in Lomellina, di fronte al resto delle truppe sabaude non impegnate nell' assedio di Valenza, calcolando di attirare là cospicui rinforzi francesi e parmensi. Identificato il posto migliore nell a zona tra Frascarolo e il Po, in ventiquattr' ore lo fortificarono e lo munirono d'artiglierie. Subito, come previsto, Francesi e Parmensi , questi ultimi assai indeboliti dalle diserzioni, si precipitarono sul posto, temendo che un attacco v ittorioso laggiù potesse aprire agli Spagnoli la via di Valenza. Tenuto consiglio di guerra, Vittorio Amedeo insisté per dare battaglia a dispetto dei dubbi degli altri comandanti e avanzò avendo Créqui in avanguardia e Odoardo in retroguardia. Gli Asburgici disturbarono l'avanzata con piccoli contrattacchi di fan teria e fuoco di moschetteria dai vigneti, ritirandosi lentamente sotto l'attacco del Duca di Savoia, infliggendogli forti perdite e uccidendogli il cavallo che montava. Cacciati dalle vigne i nemici, Vittorio Amedeo ordinò d'assalire la fortificazione; ma non fu coadiuvato da Créqui che, convinto d 'aver davanti bastioni più forti e truppe più numerose di quanto non fossero, cu111i11ciù a ùar seg no di volersi ritirare. Per non farsi tagliar


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fuori anche gli Italiani dovettero ripiegare, nonostante stessero vincendo, e la battaglia terminò con un nulla di fatto e molti sospetti sulla condotta del Maresciallo francese. Nel frattempo, approfittando della riduzione delle truppe assedianti per l' impegno intorno a Frascarolo, era e ntrata a Valenza una colonna di rinforzo di 500 uomini e parecchie munizioni, passando fra il settore francese e quello parmense. Pochi giorni dopo gli Spagnoli assalirono il fortino esterno, dal giorno prima presidiato dai Francesi per ordine di Vittorio Amedeo, e lo presero rapidamente, destando nuovi , rec iproci e maggiori sospetti di intelligenza col nemico. Aggiungendo a questi fatti lo scarso progresso dell'assedio, l'inefficacia del tiro d'artiglieria sulle fortifo.:azioni cittadine e le vicine piogge autunnali, i collegati levarono l'assedio dopo cinquanta giorni di trincea aperta e si ritirarono. La ripresa della campagna nella primavera del 1636 vide Piemontesi e Francesi di nuovo in apparente huon accordo e pronti a operare, privi però dell'appoggio di Odoardo Farnese perché il suo esercito si era sbandato completamente durante la ritirata da Valenza. L'ohiettivo stavolta era il Duca di Modena, contro il quale venne inviato il Marchese Villa con un forte contingente piemontese. Leganes gli andò incontro sulla Scrivia per interdirgli il passo, ma la sua preponderanza numerica fu sopraffatta dalla maggiore abilità tattica di Villa, che poté entrare nel Parmig iano - alleato - attraversarlo e raggiungere Castelnuovo di Reggio, primo centro modenese ad essere preso e, come al solito, saccheggiato. Il Duca di Modena aveva intanto approntato un esercito di 4.000 fanti e 1.000 cavalieri, affidandone il comando a suo zio Luigi d'Este e incrementandolo con 4.000 spagnoli mandati gli da Leganes subito dopo la sconfitta dello Scrivia. Villa si rimise in movimento e si spostò, cosicché i due eserciti si scontrarono sulla strada che da Parma va al fiume Enza; e nuovamente la capacità tattica del Marchese piemontese ebbe ragione del maggior numero degli avversari. Persa la partita nel Modenese, Leganes effettuò un'incursione nel Piacentino costringendo Villa a ripiegare per difendere l'alleata Piacenza. Trovatasi la strada libera, avanzarono i Modenesi ed entrarono nel Parmig ia no, saccheggiando e bruciando, mentre altre truppe spagnole si affacciarono nel Piacentino. Intervenne allora il grosso franco - sabaudo e compì un ' ulteriore azione diversiva per alleggerire la pressione sugli Stati famesiani entrando nel Ducato di Milano da Vercelli.


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Sbaragliate le unità spagnole a Fontaneto, cominciò a taglieggiare e saccheggiare il Novarese, senza lasciar capire se puntasse ad assediare Novara o il forte di Sandoval. Casualmente durante un'incursione i Frances i si accorsero che la sponda sinistra del Ticino era dese1ia e non presidiata. Vittorio Amedeo e Créqui ne approfittarono subito e passarono il fiume, fortificando si a Tornavento proprio nel medesimo periodo in cui Rohan respingeva gli Imperiali per la seconda volla e minacciava Lecco. Milano era nel panico, non ingiustificato vista la gran vogli a di saccheggiarla manifestata da Créqui. Vittorio Amedeo non si fidava, sosteneva che mancava una via sicura per le lince di rifornimento e non gli pareva improbabile essere tagli ato fuori dagli Spag noli , ragion per cui era meglio, anziché di Milano, impadronirsi del bacino del Lago Maggiore, isolando il Ducato daJla Svizzera e mettendolo nell ' imposs ibilità di difendersi davanti' ad un nuovo e più consistente attacco da fare nella primavera successiva. La spuntò e Créqui dovette piegarsi a marciare su Sesto, Angera e Arona. In~anto Leganes era accorso dalla zona della Scrivia e, sentito che i nemic i marciavano verso nord, si era mosso in direzione di Tornavento con 7.000 fanti e 1.500 cavalieri fra Spagnoli, Napoletani e Tedeschi per agganc iarli e assalirli alle spalle. Gli alleati lo seppero e invertirono la marcia dei loro 5.000 fanti e 500 cavalieri, scontrandosi cogli Asburgici proprio a Tornavento il 22 giugno 1636. I Frances i si trovavano già sul posto. Si erano trincerati avendo aJJe spalle il paese ed il Ticino cd avevano riparato il ponte che lo varcava per consentire a i Piemontesi di raggiungerli . Alle 8 del mattino gli Spagnoli attaccarono e insisterono per quindici ore sotto un sole implacabile. L'arrivo di Vittorio Amedeo consentì di protrarre la resistenza e indusse Leganes a ordinare la ritirata su Abbiategrasso dopo il tramonto, lasciando s ul terreno 2.000 uomini e tu tte le artiglierie e le salmerie, contro 4.010 caduti degli avversari. L' esito della battaglia fu però strategicamente nullo, perché gli ,ùleati avevano perso tempo consentendo alle città del bacino del Lago Magg iore di fortificarsi e non erano riu sciti ad annientare la massa di manovra nemica, sempre minacciosa alle loro spalle. Per cui, dopo essersi avvicinati al Lago, aver constatato l' impossibili tà di porlo sotto il loro controllo, spinti in direzione del Vercellese dai movimenti di Leganes, che avrebbero potuto impedire la ritirata in Piemo nte, preferirono rientrare all e basi di partenza; mentre anche il contingente del Marchese Vill a abbandonava il Piacentino.


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Questo significava lasciare isolato Odoardo Farnese; e infatti Leganes si voltò contro di lui e spedì le proprie truppe ad assediare Piacenza. Davanti a questa mossa il Duca di Panna si adattò a trattare e, ottenuto il ritorno allo statu quo ante, a condizione di staccarsi dall'alleanza francese e di licenziare le truppe francesi al suo servizio, promettendo di mantenerne in servizio in avvenire solo di ital iane, tedesche o spagnole, concluse la pace e riebbe i territori occupati dal nemico. Neutralizzata Parma e resisi sicuri sul fianco sini stro, gli Spagnoli aprirono la campagna del 1637 entrando in Piemonte e nel Monferrato; Gli alleati li ostacolarono il più possibile e la guerra si spezzettò in piccoli scontri e, fazioni tino a quando, nella seconda quindicina di settembre, i Piemontesi non colsero l'occasione di uno scontro campale a Monbaldone, dove il Marchese Villa distrusse le truppe nemiche di don Martino d'Aragona. A quel punto le operazioni subirono una battuta d' arresto perché si ammalarono sia Villa che Vittorio Amedeo, ma il primo guarì, mentre il secondo morì il 7 ottobre 1637 per una febbre terzana perniciosa e precipitò il Ducato nel caos, lasciando il trono al figlio magg iore, il c inquen ne Francesco Giacinto, e la reggenza alla mogl ie che, ricordiamolo, era sorella di Luigi Xill. Agli occhi di Richclieu la questione della Valtellina si era chiusa con un sostanziale scacco, ragion per cui era necessario mantenere le posizioni acquisite in Italia e, se possibile, allargarle. Di queste la più importante sotto il profilo strategico era Pinerolo. Se per la Franc ia il proseguimento della seconda guerra della Valtellina era stato importante, il controllo de l Ducato di Savoia, padrone dei valichi alpini era fonda mentale per l'invio di truppe in Itali a, ragion per cui la reggenza doveva restare a Madama Reale con tutto l'appoggio francese. Contro di essa si erano infatti levati i due fratelli minori del defunto Duca, il principe di Cari gnano, Tommaso, e il cardinal Maurizio il quale, con molte ragioni rifacentesi alla tradizione di Casa Savoia, protestava che la reggenza toccava a lui , citando precedenti risalenti al Medioevo e fornendo al fratello e alla Spagna un minimo fondamento giuridico sul quale appoggiare l'aiuto che gli avrebbero potuto dare, o meglio la lotta che avrebbero potuto intraprendere contro la Duchessa. A complicare le cose anche Francesco Giacinto morì e rimase in vita l' unico figlio di Vittorio Amedeo, Carlo Emanuele, di 4 anni. Solo lui si frapponeva tra gli zii e il trono e, data l'età non era improbabile che seguisse il fratellino in Cielo, lasciando ai Principi la corona in terra. Questi ultimi erano sostenuti dall a Spag na e, a parte il fatto c he Tommaso nel 1632 aveva lasciato la Luogotenenza Generale delle Armi di Savoia per traferirsi in Fiandra come Capitano Generale dell'esercito


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spagnolo, la scelta appariva scontata proprio per l'appartenenza di Madama Reale all a Casa di Francia. Ma le cose non erano tanto sempl ici come sembravano perché in realtà Lcganes sperava di strappare la Savoia all'alleanza francese proprio convi ncendo C ristina di Francia; e solo se avesse fallito avrebbe tentato altre vie. Era incoraggiato in questo dal mutevolissimo atteggiamento diplomatico della Reggente, la quale a sua volta si rendeva conto pertettamente tanto delle mire spagnole quanto del pericolo della reazione francese e cercava di te nersi almeno nella neutralità. Tale scelta sarebbe a nche andata bene alla Spagna; ma proprio per questo non lo sarebbe andata alla Francia; e dal Louvre si premeva per il mantenimento a tuUi gli effe tti dei legami franco-sabaudi. ln questo intricatissimo balletto d ' interessi piombò il fulmine dell' ultimatum con cui Riche lieu intimava alla Duchessa di altenersi all' alleanza stipulata dal suo defunto marito e di unire le proprie truppe a quelle francesi per la continuazione della guerra in Lombardia. Cristina temporeggiò e cercò una scappatoia, allegando la disastrosa situazione del Pie monte e la scarsezza di riserve a limentari e facendo appello ai migliori sentimenti del fratello. Luigi Xlll avrebbe anche condisceso, Richelieu no e fece sapere a Torino che la guerra sarebbe proseguita comunque: decidesse la Duchessa se farla da a mica o da nemica della Francia. intanto Créqui aveva deciso d'approfittare della situazione e tentato d ' introdurre una guarnig ione francese a Vercelli; ma Vill a, guarito, l'aveva prevenuto. Allora l'ambasciatore francese Lemery aveva cercato di porre il Ducato sotto il diretto dominio del Cristianissimo mediante l' arresto dell a Duchessa e dei s uoi fig li a Torino; ma Vill a e il Marc hese di Pianezza l'avevano saputo in te mpo e, allam1ata la guarnigione, avevano impedito ai Francesi l'ingresso in città. Spaventata da queste mosse e messa colle spalle al muro dall' ultimatum del Cardinale, C ri stina convocò tutti i suoi consiglieri e insieme decisero di tener fede alla vecchia alleanza: quanto meno av rebhero evitato la devastazione del Piemonte ad opera dei Francesi e, forse, con una campagna vittoriosa, sarebhero riusciti a sfuggire a quella degli Spagnoli. Ma Leganes era sul chi vive e, prima di quanto non ci si aspettasse, entrò in Piemonte colle sue truppe e ordinò di assalire Breme; Créqui a ndò a soccorrerla ma restò ucciso da una cannonata e la fortezza si arre se. Vittoriosi, gli Spagnoli puntarono su Vercelli , difesa dal Marchese di Dogliani , genero di Villa, che contrastò il nemico con numerose sortite senza ricevere grande aiuti dai Francesi. Gli assediati aumentarono gl i sforzi e i mezzi; mine e cannoneggiamenti si susseguirono senza posa, riducendo le mura a macerie finch6,


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venuti a mancare i viveri, Dogliani ottenne la resa con gli onori militari e la facoltà di traslare da Vercelli la salma di Vittorio Amedeo I. intanto la posizione dei Francesi era peggiorata anche in Valtellina, dove il malcontento popolare era cresciuto tanto da obbligare Rohan ad evacuarla a partire dal 5 maggio 1637. Naturalmente questo lasciava campo libero ai protestanti Grigioni, cosa di cui i cattolici Valtellinesi si resero conto in ritardo. Si accordarono per chiedere la mediazione spagnola e spedirono i rispettivi rappresentanti a Madrid. Fil ippo demandò la questione ad un apposito consesso, il quale diede parere favorevole al ritorno della Valle ai Grigioni alle condizioni stab ilite in passato a Monzon, purché dessero ogni garanzia di salvaguardarvi la fede cattolica. I Grigioni accettarono e, dopo mesi di trattative, la questione fu risolta col trattato di Milano del 3 settembre 1639, che pose fine alla guerra e rese loro la Valle; l'avrebbero conservata fino al 1815, quando avrebbe chiesto ed ottenuto d'entrare a far parte del Regno Lombardo-Veneto.

Il quarto ejfeLLo della guerra in Italia: la guerra dei Principisti e dei Madamisti: 1637-1640 Ch iusa la questione tra i Grigioni e la Spagna, restava aperta quella fra la Spagna e la Francia, col Piemonte a rimorchio. La situazione interna di quest' ultim o peggiorava a vista d'occhio. La popolazione rumoreggiava e si mostrava sempre più ostile alla Duchessa, sobillata dalla propaganda del partito principista, il quale le muoveva l' accusa d'aver chiesto l'intervento francese solo per ma nten ersi sul trono ducale a scapito del figlio. Il 3 giugno 1638 Madama Reale confermò e perfezionò l'alleanza francese e questo acuì il malcontento contro di lei, accentuò l'attenzione spagnola nei confronti dei Principi e indusse Madrid a concedere loro l'appoggio militare, fino allora fatto balenare ma non dato, per scalzare la cognata dal trono. Richelieu reagl inviando truppe in Italia, scrivendo all'ambasciatore a Roma di tentare di riconciliare il Cardi nale di Savoia colla Francia e mettendo in movimento per lo stesso scopo anche Mazzarino e il cardinal Bagni, a condizione però di non coinvolgere il Papa o i Barberini, i quali in quel momento erano tornati a pendere per la Spagna. Da Parigi piovvero promesse grandiose su Maurizio di Savoia; ma non se ne diede per inteso e partì segretamente per il Piemonte alla fine d 'ottobre del 1638. Lo precedeva una congiura per mettere nelle sue mani Carmagnola e


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Torino. E le truppe spagnole erano già in moto col grosso verso Asti e 2.000 cavalleggeri su Carmagnola. Il Cardinale era ormai a Chieri e a Torino lo si credeva ancora a Roma, quando il 17 novembre la congiura fu svelata alle autorità ducali e cominciò la repressione. Maurizio fuggì a Milano. GU Spagnoli decisero di non potersi fidare delle sue capacità come militare e chiamarono Tommaso dalle Fiandre per metterlo alla testa delle truppe. Questi giunse a principio del 1639, si consultò col fratello e con Leganes e, d 'accordo, dopo alc uni segnali di pace alla cognata,le fecero giungere un monitorio con cui l'Imperatore, nella sua qualità di signore dell' Alta Itali a, le ordinava, come sua fe udataria, di sciogliersi dall 'alleanza francese. La mossa era politicamente pessima, specie per l' avvenire delJa Casata poiché consentiva a Vienna d'esercitare su Torino un'autorità che era meglio cancellare. Ad ogni modo i Principi non si preoccupavano ciel futuro e il 17 marzo 1639 raggiunsero un accordo con Lcganes, ottenendone l'appoggio militare per installarsi sul trono ducale come reggenti in nome del nipote. La Spagna avrebbe presidiato le piazzeforti prese mediante assedio; i Principi quelle che si sarehhero date loro spontaneamente. Al momento della pace si sarebbe deciso se le p iazze in mano alla Spagna dovessero restarle o meno. Il passo seguente dei Principi consisté nel chiedere alla cognata il permesso di raggiungerla a Torino per esserle associati nella Reggenza. Cristina di Francia reagì con un bando di chiamata alle anni rivolto a tutto il popolo e chiese aiuto al fratello e a Richelieu. Intanto g li Spagnoli avevano passato il confine e si erano diretti a Cenc io, un piccolo castello nel retroterra di Savona, dal quale però si dominavano le Langhc e si controllava il Camm ino di Fiandra nel tratto dal Finale al Ducato di Milano. Prendendolo, Lcganes contava anche di attirare nella zona le truppe francesi e sabaude, facendo sguarnire le linee dife nsive settentrionali e se mplifi cando le operazioni delle truppe al comando dei Principi. La manovra funzionò a perfezione. Gli Spagnoli esordirono conquistando Saliceto e puntarono su Cencio per assediarlo. I Francesi accorsero e sguarn irono il fronte nord; il Principe Tommaso uscì da Vercelli con 2.000 moschettieri a cavallo, passò la Dora Baltea e prese Chivasso senza il minimo spargimento di sangue, accolto con grandi acclamazioni dai cittadini. Saputa la notizi a i Francesi piantarono in asso Cencio, che si dovette arrendere agli Spagnoli, e corsero verso nord per arrestare il m;mico sul Po.


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Di fronte al giubilo dei Torinesi per l'imminente arrivo dei Principi la D uchessa si spaventò e fece riparare il piccolo Carlo Emanuele a Chambéry. Pe r fortuna Tommaso ignorava la buona dispos izio ne dei Torinesi e, non credendosi abbastanza forte per assediare la città, si rivolse contro il Canavese, dove sapeva di avere molti seguac i disposti ad anuolarsi sollo di lui. Pu una passeggiata: Ivrea si arrese, anzi gli si consegnò con tutta la cittadella. L 'esempio venne seguito immediatamente dall'intera Val d'Aosta coi forti di Bard e Monjouvet e da Biella. Le truppe principiste, ingrossate, si unirono alle spagnole e si avvicinarono a Vcrrua. A Torino si sperava che resistesse quanto nella precedente guerra; ma i governatori della città e della cilladella si diedero aJ Principe Tommaso il11111ediatamente e gli spalancarono la via della capitale. Non vi andò subito; preferì prendere Moncalvo, Villanova d' Asti guidando personalmente l'assalto decisivo e infine Asti stessa, che si consegnò spontaneamente spave ntala dal saccheggio subito da Villanova. T1 passo seguente fu Trino. L' assedio fu ostacolato da sortite continue. Villa arrivò da Torino fino a Santhii1 alla testa di una colonna di soccorso, la cui avanguardia fu però inte rcettata e distrutta nella foresta di Luced io dalla cavalleria principista. Nonostante la disperata resistenza dei comandanti Marolles e Montisello, alla fine an che Trino venne presa d'assalto e saccheggiata, colla sola eccezione delle c h iese. Raggiunta dalla notizia, Madama Reale il 17 apri le scrisse a Luigi X l 11 invocandone l' aiuto. Aveva perso sei provincie e sette pi azzeforti e la capitale stessa era gravemente minacciatJ. Richelieu non aspettava di meglio. Cambiò ambasciatore, sostitue ndo a Torino L e mery con Chavigny, e fece sapere alla Duc hessa che la condizione hasilare per l'intervento consisteva nell' immissione di guarni gio ni francesi nell a maggior parte delle piazze rimaste libere. Chavigny, fedele aJJe istruzioni ricevute, presentò la richiesta come l'unico modo per ri solvere la questione, facendo interve nire il Papa e gli altri Principi italiani in modo da provocare una pressione d iplomatica tale da costringere la Spagna a restituire tullo a Madama Reale. Conscia della falsità della proposta e dei suoi veri scopi, ma non in grado di reggere colle sole proprie forze l'urto dei Principisti e della Spagna, il I g iugno 1639 Cristina accettò l' introduzione delle tmppe del Cristianissimo fratello a Savigliano, Cherasco e Carmagnola: le rima neva a malapena Torino. In cambio Luigi Xnt s' impeg nava a far guerra alla Spagna ed ai Principi finché non avessero restituito tutte le piazze piemo ntesi. A pace fatta avrebbe reso alla sorella quelle occupate precauzionalmente dai suoi soldati. L' esito del trattato fu disastro so perché fornì esca al fuoco della propaganda principi sta: la Duc hessa svendeva la Stato ai Francesi! Fossano , O


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Mondovì , Busca, Dronero, Dcmonte, Cuneo, Saluzzo, Ceva e Rcvcllo s i bullarono dalla pa,te dei Principi e aprirono le porte agli Spagnoli. Poi , pe r migliorare le loro comuni caz ioni tra Vercelli e Ivrea, i Principisti assediarono Santhià. Da Torino partirono per soccorrerl a 8.000 fanti e 4.000 cavalieri tra Madami sti e Francesi. La Dora ingrossata impedì loro d ' arrivare in tempo e la piazza si arrese. Ma Villa e La Valelle , comandante francese, non tornarono indietro e s i mossero al recupero di Chivasso. Leganes non si sentì abbastanza forte da soccorre rla e la citfa capitolò. Dopo C hivasso i Marchesi Villa e di Pianezza cominciarono a recuperare te rre no alla Du chessa, riprende ndo Bene, Racconigi , Saluzzo e Mondovì. Ricevuti 4.000 fra ncesi in rinforzo,deciscro di assediare Cuneo e catturare il Cardinale di Savoia che vi risiedeva. Tanto faci lmente la città s'era data ai Principi quanto strenuamente ora si difendeva; e mentre i Madamisti vi si affaticavano sotto, i Principisti mossero finalmente da Asti su Torino. Francesi e regolari ducali abbandonarono l'assedio e si precipitarono a guarnirla. Ma nella notte del 27 agosto 1639 Tommaso di Savoia vi arrivò di sorpresa alla testa dell 'avanguardia di 1.000 fanti e 2.500 cavalieri , seguito da un altro contingente di 4.500 fanti e 400 cavalieri, sopravvalutalo dagli avversari a 12.000 uom ini, mentre Leganes restava in campagna con altri 15.000 fra Napoletani, Spagnoli, Milanesi e Tedeschi. Presi facilmente il Monte dei Cappuccini e l'adiacente ponte sul Po, il Principe di Carignano penetrò nei sobborghi, riuscì a entrare in città nonostante gli errori commessi dai comandanti spagnoli e napoletani delle quattro colonne d'attacco egrazie agli accordi presi cogli utticiali svizzeri e piemontesi preposti alla guardia. Ciò fatto, ammise a militare sotto le proprie insegne circa 3.000 volontari cittadini e stabilì le batterie per assedi are i Madamisti rim;hiu sisi nella cittadella. I Francesi presenti in Pie monte rimasero disorientati. Ne approfittò il cardinale Maurizio per impossessarsi di Nizza e ottenere una tregua di due mesi per negoziare. Del resto neanche la situazione dei Principi era delle migliori per un motivo assai semplice. La cilladella di Torino non s i e ra arresa subito e andava assediata. Ai sensi degli accordi presi con Leganes, una volta presa sarebbe toccata alla Spagna; ma come si poteva conservare un trono con una guarnigione estera nella cittadella dell a cap itale? Tommaso fece del suo megli o per ottenere una deroga; il Governatore di Milano non volle cedere. La situazione rimase indecisa. Ri chelieu mosse le acque convincendo la Duchessa a recarsi a Grenoble per con fe-


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rire con Luigi XIlI lasciando la cittadella di Torino in mano a un comandante francese e restando cosl col controllo della sola fortezza savoiarda di Montmé lian, dove si trovava il piccolo Carlo Emanuele. Era il primo passo verso l 'assorbimento del Piemonte da parte francese. Il seguente consisté nell 'offerta avanzata da re Luigi di assumersi la protezione del nipote facendolo venire in Francia e mettendo due compagnie francesi a Montmélian. Una volta tanto Madama Reale resisté. Si rendeva conto benissimo che una tale cessione avrebbe significato la fine del Piemonte, la sua spartizione fra Madrid e Parigi e la deposizione di suo figlio. Ordinò al Marchese di San Germano, governatore della fortezza, di non farvi entrare altro che truppe ducali e andò a incontrare il fratello a Gre noble. Tutte la manovre di Richelieu stavolta non valsero a raggiungere il fine desiderato. T cortigiani piemontesi resisterono a qualunque lu singa e minaccia, la Duchessa non cedé e poté tornare a Chambéry con un minimo d'indipendenza. AIJa Francia non restava che riprendere la guerra e tenere ,ùmeno que l che aveva. Cominciò il nuovo comandante francese d 'Harcomt coll'impadronirsi di Chieri pensando di servi rsene come base di partenza per rifornire e poi liberare Casale; ma Leganes pose le proprie truppe a Sanlena, Poirino, Moncalieri e Cambiagno, circondandolo e impedendogli il vettovagliamento con continue scorrerie. Ridotti alla fame, i Francesi levarono il campo la notte del 20 novembre decisi ad aprirsi la strada di Santcna. I Principisli - più forti per 4 a I - se ne accorsero e decisero d'intercettarli e schiacciarli. Tommaso di Savoia in persona mosse contro il nemico e g!j piombò addosso quando aveva appena terminalo l'attraversamento del Po morto al Ponte della Rotta. Ma d 'Harcourt tenne duro e, nonostante un insuccesso iniziale, riuscì a passare; raggiunse Carignano e salvò l'esercito. L'inverno interruppe le operazioni dovunque tranne che sotto la cittadella di Torino. Fazioni e tentativi si susseguirono lungo l'arco della stagione fino a primavera, accompagnando col loro strepito le pigre trattative intraprese dalle due parli. Presto apparve chi ara una cosa: finché la cittadella fosse rimasta almeno nominalmente in suo possesso, mai Cristina di Francia avrebbe accettato qualu nque negoziato serio. Per questo i Principi di Savoia decisero di accentuare lo sforzo a pa,tire dalla primavera. D'altra p,ute Leganes ritenne più vantaggioso per la Spagna acquisire Casale. Separò le s ue truppe - 15.000 fanti e 4.000 cavalieri - da quelle principiste e 1'8 aprile 1640 cominciò le operazioni per conquistare una buona volta la città.


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Davanti al doppio pericolo Richelieu ordinò di muoversi. D' Harcourt alla testa di 7 .000 fanti e 3.000 cavalieri tra Francesi, Piemontesi e Monferrini marciò col Marchese Villa al soccorso di Casale e il 29 aprile attaccò. Tre assalti furono respinti, il quarto ebbe successo. Nonostante la di sperata resistenza guidata dal Marchese di Caracena e dal napoletano don Carlo della Galla, l'esercito spagnolo fu battuto perdendo 1.800 prigionieri , 18 cannoni , 24 bandiere e 3.000 morti 9 e si dové ritirare a Pontestura. Ade sso sarebbe toccato a Torino. D'Harcourt era indeciso: aveva I0.000 uomini contro i circa 6.500 regolari e 3.000 cittadini di cui di sponeva in quel momento Tommaso di Savoia IO e gli sembrava poco opportuno andare ad assalirli con forze pari sapendo che erano prolelli da mura e che l'esercito spagnolo, per quanto indebolito, poteva sempre sorprenderlo alle spalle. Nel consiglio di g uerra tenuto a tale proposito prevalse il parere del comandante della cavalleria, il signor visconte di Turenna, che di li a poco sarebbe divenuto uno dei maggiori capitani del XVII secolo e di tutta la storia di Francia. Si doveva assediare Torino perché la sua occupazione sarebbe stata decisiva per le sorti della guerra nonostante i grandi rischi da correre: la Duchessa avrebbe riavuto la sua capitale, si sarebbero vinti i Principi e avuto un risultato morale immenso.

C assedio di Torino: uno, trino e infine quadruplo D' Harcourt marciò verso Torino e il 10 maggio le sue truppe la circondarono, sbarrarono ogni accesso terrestre e fluviale e diedero inizio ad

9 Nel lihro vigesimosecondo del la sua Storia d 'Italia, Botta afferma che i prigionieri sarebbero stati 2.CK)() e i soldati morti solo un migliaio "ma che dei vivandieri, saccomanni ed altra gente imbelle che sempre seguitano gli eserciti, molti più". Nel dubbio si riportano le cifre di 3.000 caduti e 1.800 prigionieri desunte dalle carte dell'Ufficio Storico dello SM I:<:, Fondo L 3 Lavori svolti, Stati Preunitari a proposito dell'assed io di l'orino del 1640. 10 Anche qui le cifre divergono da fonte a fonte. Botta parla genericamente di 5.000 fanti e 1.500 cavalieri. Le carte SME, più dettagliate ma non di molto, invece affermano che nel l'inverno il presidio fosse arnrnont.ato complessivamente a 4.500 fanti e 400 cavalieri appart.e nent.i ai Terzi spag noli di Lombardia e del Marchese di Tavora, a queUo napoletano del Conte Bolognino e comprendendo neUa cifra 500 Grigioni e 400 Vallesani . Questo però contrasta colla notizia data da Botta dcll"invio a Casale di 800 cavalieri (il doppio di quanto sarebbe stato disponibile in città) sotto don Maurizio di Savoia (omonimo del Cardinale e suo fratello naturale). ln aprile, dopo la disfatta di Ca~ale, Leganes mandò in rinforzo a Tomma~o il Marchese Serra e Vercellino Visconti con 700 e 400 soldati it.aliani dei rispettivi Ter/.i e '.l60 horgognoni, il che avrehhe fallo s..tlire l..t guc1111igio11e Ll..t 4.900 il 6.360 uu111i11j .


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uno dei più singolari assedi della storia, la cui fama però sarebbe stata oscurata dal più famoso e omoni mo assedio del 1706. li principe Tommaso aveva provvisto la città il più possibile di v iveri ne aveva immagazzinati per tre mesi - e di munizioni. Queste però erano poche e, per disgrazia, i ne mic i arrivarono prima dell'atteso e necessario convoglio di polvere e palle condotlo dal principe Luigi d' Este. La notte dell' 11 maggio i Francesi assalirono Borgo Po e il ponte adiacente, tenuto da I 00 uomini del Terzo napoletano del Marchese Serra, che si ritirarono sul Monte dei Cappuccini . Non fu una bella idea perché Turenna piazzò una batteria di tre pezzi su un'altura dominante e com inciò a bombardare il più elevato dei due forti ni situati sulla collina, quello di San Francesco, finché gli Spagnoli del presidio non si arresero per capitolazione. Subito Io occupò e ne riuti lizzò i pezzi per bombardare l' altro fortino, quello dei Cappuccini, tenuto da 250 napoletani del Terzo Serra e I00 Grigion i. Poi andò ali ' assalto ma fu respinto. Disgraziatamente e inaspettatamente i Grigioni si scoraggiarono e abbandonarono le mura. 1 Francesi attaccarono di nuovo. T Napoletani, insufficienti, si restrinsero ne lla c hiesa e rifiutarono di arrendersi. Ne seguì u na mischia spaventosa e i Francesi penetrarono nella chiesa, massacrando soldati, frati e donne (possibilmente dopo averle violentate) in un macello senza pari , dal quale uscirono vivi solo 5 ufficiali e 40 soldati napoletani. Presa la collina, gli assediati vi posero i loro cannoni e cominciarono a battere la c ittà. Tl Princ ipe di C ari g na no a llora m a ndò a chiedere a Leganes di avvicinarsi. Ne e bbe in risposta che aveva bisogno di d ieci o forse venti giorni per radu nare e riorganizzare le truppe, ancora scosse dalla sconfitta di Casale. D 'altra parte fretta non ce n'era perché d' Harcourt, temendo l'improvviso arrivo degli Spagnoli , per il mo me nto si era limitato a bloccare e bombardare la ciltà, senza aprire trincee e intraprendere un assedio vero e proprio; così Tommaso poté a sua volta continuare l' assedio della cittadella pur essendo assediato lui stesso. A metà maggio d'Harcourt fece chiudere il canale di Valdocco, bloccando i mulini ad acqua e aggravando la situazione alimentare della città. Il 2Q terminò i lavori di controvallazione e cominciò quelli di circonvallazione per proteggersi da lle te mute offensive spagnole . Il 22 piazzò una nuova batteria sul Monte dei Cappuccini e aprì il fuoco sul palazzo ducale, residenza del Principe To mmaso. Nel frattempo i famosi dieci g iorni necessari a Legancs per riorganizzarsi erano passati e si stavano concentrando intorno a C rescentino 12.000


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fanti, 3.000 cavalieri e 700 dragoni della corona di Spagna, ai quali si univano numerosi volontari del circondario e militi del Nizzardo mandati dal Cardinale di Savoia 11 . li 26 erano a Chieri, il 27 la notizia giungeva a Torino. La c ittadinanza si abbando nò alla gioia, il principe Tommaso organizzò una sortita di cavalleria per la notte seguente. Sorprese il campo nemico devastandolo fino all' alba e respinse a cannonate dalle mura il contrattacco della cavalleria avversaria, già bloccato dai Napoletani de l Terzo Serra. Due notti dopo i Torinesi riuscirono ad abbattere gli sbarramenti del canal e di Valdocco, ponendo fine alla penuria di pa ne in cui versavano. La mattina seguente, 29 maggio, le truppe di Leganes ingaggiarono le prime scaramucce col ne mico. Il giorno dopo continuarono e poterono me tte re in batteria quattro pezzi coi quali colpire la zona dei Cappuccini e le locali postazioni nemiche d' artiglieria. Adesso Leganes avrebbe potuto attaccare per aprirsi la strada de lla città; invece preferì tentare il passaggio de fiu me il I giugno. La mattina del 2 Turenna intervenne co ll a cavalle ria, rimase ferito però respinse i 500 italiani e tedeschi de l sergente Maggiore Lomell ini prima d'abbandonare il campo per andare a curarsi a Pinerolo. Lcgancs temporeggiò. Tommaso g li scri sse di muoversi con tutte le forze contro un solo punto e sfondare. Si fi ssò allora un secondo attacco per la notte dal 7 all'8 giugno. Carlo della Gatta avanzò per traversare il Po con alcuni ca nnoni, tre Terzi - fra i quali il napoletano Tuttavilla - e parecchie compagnie e squadroni cli supporto. Formata una testa d i ponte sulla ri va nemica fece cominciare la costruzione d' un ponte di barche; d' Harcourt gli scatenò addosso tutto que l che poté, distrusse il ponte ma fu respinto. Tre volte tornò all 'attacco costringe ndo gli Spagnoli a re imbarcarsi e tre volte quelli tornarono a sbarcare , finché al mattino dell ' 8 si stabi li mno definitivamente sulla riva del fiume aprendo il passaggio al grosso, che andò a porsi sulla destra del Sangone dove confluisce nel Po. A questo punto un generale esperto avrebbe proseguito l'offen siva e liberato la c ittà. Leganes non lo era e optò per il blocco dei Francesi, cioé assediò gli assedianti, che assediavano Tommaso di Savoia il quale assediava la cilladella! TI tutto naturalmente sotto la minaccia dell ' arrivo d ' un O

11 La differenza in questo caso è molto più alta delle precedenti ; perché le carte AUSSME parlano di 4.000 fanti e 13otla di 12.000, pur concordando su 3.000 cavalieri e 700 dragoni. Probabilmente in questo caso ha ragione 13oua, perché, sottraendo dai 20.000 uomi ni che Lcgancs aveva a Casale i 1.460 ma ndati al Principe Tommaso, i 1.800 fatt i prigionieri dai Francesi e i 1.000 da loro uccisi a Casale, si arriva a l 9 .160, ci fra corrispondente con huona approssimazione ag li effettivi di l ,eganes all ' inizio della campagna.


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nuovo esercito francese che bloccasse o cacciasse il suo. Salvo errore, questo assedio uno e trino con possibilità d'elevazione di grado è unico negli annali militari del mondo intero. Assedianti, assediati e quelli che avevano entrambi i caratteri si diedero da fare per danneggiare il ne mico e riuscire a sopravvivere fin o alla vittoria. Sortite, scontri, partite di foraggiamento, incursioni, intercettazioni di colonne, convogli e messaggeri si sussegu irono in un vortice tanto più intenso quanto più s i riducevano le ri spettive riserve di viveri e munizioni. Su tutti predominavano le truppe esterne che agli ordini dell'instancabile della Gatta tagliavano i collegamenti francesi dovunque venissero tesi. Poiché Richelicu non era Leganes, appena saputo cosa stava accadendo aveva dato ordine d' approntare un nuovo esercito al comando de l signor de Clcrmont - Tonerre e lo aveva spedito a unirsi alle forze di Turenna per poi marciare allo sblocco di d' Harcourt. 1'8 luglio Toncrrc arrivò a Pinerolo dove Turenna l' attendeva e il 9 Leganes, preoccupato, finalmente decise di eseguire un attacco generale per la mattina dell' I I, avvertendone sia della Gatta s ia Tommaso di Savoia: in sostanza si doveva fissare tutto iI fronte nemico con piccole azioni di mostrativc, eseguendo poi simultaneamente contro il Valentino un atlacco comandato da della Gatta e una sortita guidala dal Princ ipe di Carignano per sfondarvi lo schieramento nemico e farvi passare subilo i convogli di viveri e munizioni destinati a Torino. li I O i Frances i e rano a Giaveno, cioè alle spalle dell e truppe che de lla Gatta doveva condurre ali ' attacco l' indomani. Leganes s i preoccupò ancor <li più. della Gatta per niente perché aveva saputo dai suoi informatori che il nemico non aveva intenzione di muoversi oltre. Comunque, ricevuti ordini da Legancs di ritardare l' attacco fino a mezzogiorno per essere s icuro di non farsi sorprendere da Turcnna, attese e, dopo le 12 <lell ' 11 attaccò e sfondò come e dove era previsto e si buttò verso l'interno. Lasciò aliquote di fanteria a guardia del varco, ma quelle si diedero a saccheggiare nei pressi e vennero colte di sorpresa dalle truppe di d' Harcourt che le fecero a pezzi, richiu sero il varco e catturarono un carico di polvere da sparo per la città. Nonostante gli Spagnoli avessero dimenticato d' avvisare Tommaso di Savoia dell a variazione d 'orario, egli riuscì a coordinare la propria azione colla loro assalendo il forte francese dei Pioppi simultaneamente a Leganes ma dal lato opposto dello schieramento nemico. Raggiunto da della Gatta, poco dopo lo fu anche dalla notizia della chiusura del varco per c ui quello era passalo. Dové allora distogliere forze da inviare a riaprirlo e


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così facendo diminuì la pressione. Leganes se ne accorse, si scoraggiò perché pensò di non poter riuscire visto che aveva perso già oltre 500 uomini , abbandonò l'impresa e ripiegò su Moncalieri. Ovviamente Tommaso non poteva continuare senza l'appoggio esterno degli Spagno)j e fu costretto, furioso, a rientrare in città. La battaglia era persa e il risultato dell'assedio e della guerra diveniva assai incerto. Torino s i trovò la guarnigione accresciuta dalle truppe di della Gatta, quindi diminuita sia la quantità di viveri disponibil i per ognuno sia l'autonoinia de lla città. D'Harcourt invece era stato rifornito di tutto da Turenna, che ora stringeva Leganes, che bloccava d' H arcourt, che assediava il Principe che assediava la cittadella. Dopo qualche sortita senza esito, nella notte dal 13 al 14 settembre 1640 il Principe di Carignano, d'accordo cogli Spagnoli, eseguì l'ultima sortita. Era stata organi zzata a perfezione. Leganes era staio rinforzato da circa 6.000 uomini 12 e i movimenti da fare erano chiari a tutti. La guarn igione uscì dalla cillà e raggiunse tutti gli ob iettivi fi ssati. Leganes uscì dal campo e marciò tanto piano e con tante giravolte da arrivare sul posto con ore di ritardo. intanto i Francesi si erano riorganizzati e avevano riconquistato le posizioni perse, superando la resistenza all'ultimo sangue dei fanti napoletani, piemontesi, tcdesclù e spagnoli e sotto gli occhi di Leganes stesso che, giunto in cima alle colline in pieno giorno, anziché di notte come stabilito, non aveva ritenuto opportuno scendere in aiuto ai Principisti perché i Francesi stavano vincendo. Stavolta era finita davvero. Privo di viveri e munizioni, colla città affamata e le truppe non pagate, Tommaso chiese di capitolare e il 20 settembre 1640 palluì la consegna di Torino per il 22, ottenendo la facollà d' usc irne libero d 'andare dove volesse e con chiunque avesse voluto seguirlo, il permesso alle truppe della corona di Spagna di raggiungere il campo di Leganes, l'indulto generale per chi fosse rimasto e il mantenimento dei privilegi della città. Il 19 novembre Cri stina di Francia rientrò a Torino e si passò ai negoziati per stabilire cosa spettasse ai Principi e quando la Spagna dovesse restituire le fortezze che occupava. Nel frattempo il Portogallo era insorto contro la Spagna e Richelieu aveva concentrato laggiù la sua attenzione, come del resto la corte madrilena, tralasciando gli affari italiani. Del resto in Italia c i si doveva limitare

12 Cioè 2.000 soldati milanesi, 800 dal Finale, 1.000 fanti e 400 cavalieri piemontesi provenienti dall ' Astigiano. 700 dal Canavese e 1.000 miliziani di Mondovì.


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a stabilire le condizioni finali di pace e poco più. Ecco: fu il "poco più" ciò su cui mancò l'accordo. I Principi non si fidavano della cognata più di quanto lei si fidasse di loro, cioè per niente, e domandavano maggiori garanzie. In sostanza volevano mantenere il possesso del maggior numero possibile di fortezze e province occupate fino a quel momento per continuare a presidiarle coi propri uomini, e denaro dalla Francia e dalla Spagna per sostenersi. Poi intavolarono trattative parallele e separate col Louvre e l' Escuriale; ma dai e dai, a forza di tenere i piedi in tre staffe, fecero perdere la pazienza alla Reggente e nessuno si stupì troppo quando verso la fine della primavera del 1641 un contingente franco - ducale al comando del Marchese Villa assalì Moncalvo espellendone il presidio principista. Il trionfo durò poco perché il ritorno offensivo principista la riprese e indusse Vill a a spostarsi a Ivrea per impadronirsene. Saputolo, accorsero le truppe del nuovo governatore di Milano, Conte de Sirvela, ributtarono i Madamisti e s i di ssero a C hivasso. Intervenne d ' Harcourt, che prima bloccò g li Spagnoli e poi prese di sorpresa Ceva e Mondovì andando subito dopo insieme a Villa e 11.000 uomini ad assediare Cuneo, perno delle comunicazioni fra il Nizzardo, in mano al Cardina le di Savoia, e la parte del Piemonte posseduta dal Principe di Carignano. Era alla fine di luglio quando intorno a San Dalmazzo si verificarono i pri mi scontri fra l'avanguardia madamista e aliquote di fanteria e cavalleria della guarnigione principista. Dato l' insuccesso patito e l'inefficacia del le tagliate cd abbattute preparate sulle strade, i 1.400 principisti della guarnig ione - Piemontesi e Spagnoli - si chiusero in città, confidando nella fama d ' imprenclibili l~t di cui Cuneo godeva, nelle buone riserve di viveri e muni zio ni che aveva e nel sicuro aiuto spagnolo che si attendeva. D' Harcourt aprì tre trincee contro altrettanti bastioni insistendo prevalentemente contro quello di Caraglio. Tommaso di Savoia d a l ca nto s uo avreb be vo luto piombare s ui Francesi impegnati nell 'assedio come loro avevano fatto con lui a Torino; ma le sue forze erano esigue e Sirvela non gli clava aiuti. Decise allora d'alleggerire la pressione su Cuneo assalendo altre cittadine e terre controllate dall a Reggenza e si volse a Carmagnola. Fallì perché era troppo ben guardata. Cercò di prendere Chivasso: altro scacco. Villa aveva previsto le sue mosse cd aveva rinforzato in tempo ambedue le guarnigioni. li colpo success ivo fu te ntato contro Cherasco , da dove si sarebbe potuto soccorrere Cuneo; ma di nuovo Villa mise il presidio in grado di respingere qualsiasi assalto.


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Finalme nte d' Harcourt strinse ancora di più l'assedio e riuscì a ottenere l'evacuazione di Cuneo per il 15 settembre 1641. Richelieu la restituì a Madama Reale dopo un mese e solo dietro fonnale promessa di smantellare la fortezza di Revello, custode della Valle del Po. I Principi erano davvero in cattive acque e sembravano poche le speranze di miglioramento, specie vi sto l'atteggiamento del Conte dc Sirvela che trattava il Piemonte occupato come una provinci a spagnola, esigendo i tributi, impedendone il versame nto agli agenti principisti ed emanando ogni atto in nome del Re Cattoli co anziché dei Principi di Savoia. Questi ultimi ridolli alla disperazione si piegarono alla trattativa definitiva e il 14 lugli o 1642 firmarono a Torino la pace a condizioni tutto sommato assai favorcvoli;c per questo non poco si doveva al nuovo primo ministro di Francia, il cardinale Giulio MaZ7.arino, succeduto al suo maestro Richelieu appena morto. Fu Mazzarino a dimostrare a Luigi Xlll quanto vantaggiosi fossero per la Francia i termini della pace e a fargli ela appoggiare con tutto il peso della diplomazia francese nei confronti de lla Spagna. Del resto era amico dei Prim:ipi di Savoia e prendeva siste maticamente le loro parti nei confronti della Reggenza, rendendosi conto dell'utilità di averli alleati. Poco dopo Luigi morì lasciando il trono al fi glioletto Luigi XIV e la reggenza alla moglie Anna d'A ustria, cioé in sostanza a Mazzarino, il quale avrebbe portato avanti sapientemente la politica del Gran Cardinale e ne avrebbe ultimato il lavoro coll a pace di Westfalia innalzando la Francia al rango di prima potenza del mondo occidentale.

Intermezzo italiano: "De bello inter ecclesiasticos et Ducem Parmae" ,v ovvero: La prima Guerra di Castro 1641-1644. Quando la pace di Torino tu siglata, già da un anno e mezzo era in corso una nuova guerra in Italia, nata per due feudi laziali : Castro e Ronciglione. Abbiamo visto come Odoardo Famese, duca di Parma e Piacenza e feudatario del Papa si fosse inserito nell a seconda guerra per la Valtellina, a quanto si diceva sperando d 'impadronirsi del Ducato di Milano coll'appoggio francese. Tale progetto aveva visto, oltre all 'opposizione spagnola, una certa

1v A.S. Rom a, Effemeridi Cartari-Fcbci, busw 72, pag. I Or.


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contrarietà da parte dei parenti del papa, Urbano Vlll Barberini ; e ciò aveva indotto il Duca a ritenerli suoi nemici. Nonostante questi alti e bassi, i rapporti fra Parma e Roma continuavano a essere formalmente buoni. Roma aveva consolidato il proprio confi ne sul Po coll 'acquisizione di Ferrara al Lempo di Clemente Vffi e, all'estinzione della di nastia della Rovere, nel 163 1, si era poi impadronita di Urbino. La costruzione dell ' impo nente Forte Urhano a Ferrara, l'acquisto d'U rbino e la creazione di un co mpatto insieme territoriale dal Po al Regno di Napoli, erano stale viste con preoccupazione da tutti gli Stati vicini : Toscana, Spagna, Venezia, Parma stessa, benché non confinante, e Modena, il cui Duca aveva risposto all a minacciosa presenza papale costruendo una cittadella a protezione della propria capitale. 11 Duca di Parma aveva però un ottimo motivo per rimanere in buoni rapporti con Roma: non aveva denaro; ed il Papa gli aveva concesso di lanciare sul mercato finanziario capitolino due prestiti, garantiti colle rendile di due feudi di Casa Farnese nel Patrimonio di San Pietro: Castro e Ronciglione. I primi screzi si verificarono quando alla fine del 1639 Odoardo andò a Roma in visita al Papa e i Barbcrini si offrirono di comperare Castro e Ronciglione, ai quali miravano da tempo. Rendendosi conto che non era il caso di fidarsi di loro, sulla via del ritorno, nel gennaio 1640, Odoardo si fermò a Castro ed ordinò di metterlo, in stato di difesa, insieme a Ronciglione. La cosa non sfuggì al Papa, ma non esisteva un pretesto per impedirlo e lullo rimase apparentemente tranquill o fi nché i creditori roma ni del Duca non chiesero d i essere soddisfalli. 11 dehito farnesiano ammontava ormai ad un milione e mezzo di scudi romani quando il Po ntefice, dopo molte incertezze ed altrettante pressioni da parte della Curia, si decise ad intimare al Duca il pagamento di quanto doveva ed il disarmo dell'imponente - almeno per le dimens ioni dei due feudi - presidio di Castro e Ronciglione. Odoardo rispose ordinando di rinforzare le guarnigioni ; e Urbano controbatté vietandogli di contrarre ulteriori prestiti ed eliminando sia la libera esportazione del grano da Castro nello Stato Pontificio, sia la concessione per cui il traffico commerciale da Roma alla Toscana passava per Ronciglione. Finanziariamente fu un colpo terri bile al quale il Papa ne aggiunse un altro, emanando il 20 agosto un monitorio con cui intimava di demolire le fortificazioni e congedare i soldati entro il 24 settembre. li Duca non rispose e intensificò i preparativi bellici. Urbano convocò


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una Congregazione particolare per decidere il da farsi. Ma contro il suo parere, che era quello di impadronirsi dei feudi acquistando l'ipoteca gravante su di loro, la Congregazione decise per la guerra mettendo a disposizione di Taddeo Barberini 12.000 13 fanti , 3.000 cavalieri, un parco di 5 pezzi d ' artiglieria e un convoglio di 40 carri, che furono concentrati a Viterbo agli ordini del Marchese Mattei. T Feudi erano decisamente deboli poiché, distribuiti tra Castro e Montalto, c'erano circa 260 soldati 14, un pò di milizia e s i sapeva che il Dum stava incrementando l'artiglieria presidiaria ed ammassando provviste e foraggi per cui , scaduti i termini, la preponderante armala di Nostro Signore avanzò contro la baronia di Montalto e la prese facilmente. Per una settimana le terre e le piccole fortezze farncsianc si arresero man mano che le truppe pontificie vi si presentavano, mentre le guarnigioni ripiegavano per concentrarsi a Castro, dove pare fossero 400 fanti regolari e 1.000 militi locali. L' 8 ottobre vi fu un duello d ' artiglieria a Cava, posizione da cui si dominava Castro. Fu lo scontro di maggior rilievo della campagna: i Pontifici ne uscirono indenni e costrinsero i Ducali a ritirarsi lasciando nove morti s u I terreno. Dal I O a tutto il 13 l'Esercito Santissimo continuò a sottomettere i villaggi intorno al capoluogo del Feudo e il 14 ottobre 1641, poste le artiglierie proprio a Cava, intimata la resa minacciando in caso contrario la distruzione della città, prese anche Castro, la cui capitolazione, valida pure per le poche truppe ducali non presenti , lasciò in mano a Mattei circa 680 prigionieri. La Santa Sede incorporò i due feudi alla Rcvcranda Camera Apostolica e, successivamente, sequestrò tutti i beni farnesiani nello Stato Pontificio. E se Roma si fosse fermata qui avrebbe vinto la partita; ma poiché il cardinale Francesco Barberini aveva un grande eserc ito e moriva della

13 In un primo tempo era stata ordinata la mobilitazione di 20.000 fanti delle milizie locali. Comunque s ia, la ra~segna passata il 15 settembre 1641 dal Tenente Generale marchese Luig i Mauei e dal Generale ddla cavalleria Cornelio Mal vasia, diede un insieme di 6.!X)O fanti e 800 cavalieri. 14 Le notizie relative all'armamento pontificio e famesiano, inclusa questa, riportate dal Da Mosto sono talvolta in apparente contraddizione con quanto emerge <la alcuni docurnent.i del tempo. ln particolare, per quanto riguarda la guarnigione dei feudi fam csiani, non è chi aro se ammontasse a 260 unità per la sola città di Castro o per tutto il Feudo. Dato però che le guarnigioni erano parecchie, è pmhahile che 260 fos sero i soldati stanziati nel capoluogo e un altro mezzo migliaio fosse spezzettato tra i presidi minori.


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voglia di adoperarlo, convinse s ia il Papa sia la Congregazione a muovere contro Parma stessa sicuro che nessuno Stato italiano sarebbe intevenuto. Non frt così. Allarmati dalle precedenti acquisizioni territoriali sul Po, quando seppero che le truppe pontificie si stavano concentrando verso Nord, g li Stati italiani reag irono. Dapprima versarono aiuti finanziari al Duca po i, spaventati dalla ric hiesta di passaggio presentata al Duca di Modena 15 da Taddeo Barberini, al cu i comando stavano circa 7.000 fanti , 500 guastatori, 1.500 cavali eri e 18 cannoni, strinsero una lega difensiva. 11 31 agosto 1642 Venezia, Modena e Toscana firmarono l' allea nza all a quale, com'era espressamente stabilito, poteva accedere anche il Duca di Parma. I contraenti si impegnavano a costituire un esercito di almeno 12.000 fanti e 1.800 cavalieri, me tà fom iti da Venezia, un terzo da Firenze ed un sesto da Modena. Per Roma cominciavano i guai . Il Duca di Parma vendé tutto quello che poté, inclusi i g ioielli della consorte, ed armò un esercito di 400 fanti e 4.000 cavalieri muovendolo il 10 settembre 1642 contro il territorio della Chiesa, incurante di essere inferiore di forze al nemico per I a 3. Il 13 era davanti a Ilo logna e spiegava al Cardinal Legato ed al Senato che faceva la guerra ai B arberini, non al Papa o alla Chiesa. Non g li si diede molta retta. Le porte vennero murate; e l'a,tiglieria cominciò a sparare. L' arrivo di 600 corazze guidate dal Marchese M attci e l'invio di un convoglio di 20 carri di munizioni da Forte Urbano fecero temere al Duca di poter essere preso tra due fuochi e lo indussero a lasc ia re Bologna, girandole attorno pe r andare il g iorno dopo a Imola, che te mendo il s accheggio g li a prì le porte. L o stesso capitò a Castel San Pietro, Faenza e Forlì. Dopo un g iorno di sos ta il pi cco lo esercito parm e nse va li cò l'Appennino, passò per Arezzo, territorio alleato perc hé del Granduca di Toscana, e aJJa fine di settembre era nuovamente negli Stati Pontifici, sul Trasimeno. Occ upate Castiglion del Lago e Città de lla Pieve marciò verso Castro. A Roma regnava il panico. L'eserc ito era tutto a nord e la Capitale, dove il Papa aveva ordinato di completare di corsa le mura, era pressocché indifesa, tanto c he bis ognò mobilitare in fretta e furi a la milizia c ittadina e requisire 400 cavalli delle carrozze private per montare un minimo di cavalleria. L' unico baluardo c he si opponeva all'avanzata su Roma era Orvieto. Odoa rdo arrivò il 3 ottobre sotto quell ' imponente c ittà, arroccata s u un

15 Non essendo confi nati Pann a e lo Stato Pontificio, dalle Legazioni la via più breve per Panna era 4uella attraverso il Ducato di Modena.


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impervio massiccio tufaceo e procedé secondo il solito schema intimandole la resa. Ma stavolta il trucco non funzionò. Orvieto rispose ironicamente che " Sua Altezza è troppo gran soldato per non conoscere che Piazza sia questa d 'Orvieto, et è troppo informata, per non sapere, che !{enti, e munitioni vi siano dentro per servitio della Città e della Campagna. Si che basta risponderli che faremo il debito nostro sino alla morte, se tanto bisognerà" v. Era un bel guaio per il Duca. L' inverno si avvicinava, mancavano le vettovaglie e c'era sempre il rischio che un sosta prolungala imleboJisse la compagine del piccolo esercito parmen se. Per di più il cardinal Antonio Barherini conferì il comando delle truppe papali, 12.000 fanti, 3.000 cavalli e 22 cannoni concentrati a Viterbo, al commendatore di Malta Achille d'Etampcs - Valcnçay, il quale avanzò e costrinse i Farnesiani a ripiegare rapidamente. Odoardo s i diresse ad Acquapendente e la saccheggiò per impedire che il nemico potesse approvigionarsi; ma ciò non risolse la situa/.ione e dovette ripre ndere la via di Parma, inseguito da 2.000 fanti e 600 cavalieri comandati dal generale Cesare degli Oddi. Passato in Toscana, raggiunse il 3 1 ottobre il territorio modenese con l'ombra dell'esercito che aveva avuto in luglio: all'arrivo a Modena, il 9 novembre, aveva appena 1. 156 uomini , con scheletriche compagnie di 8 o I O teste. Era il momento giusto per i negoziati; e infatti in ottobre Odoardo sembrò aderire ad un accomodamento diplomatico per cui avrebbe depositato Castro e Ronciglione in mano al Duca di Modena fino alla soddisfazione dei creditori. Ma tutto crollò quando s' impuntò nell'esigere che il Papa gli rimborsasse le spese di guerra sostenute fin 'allora. Urbano VIII intanto, pur avendo smobilitato le mil izie, manteneva sempre un ragguardevole esercito di non meno di 10.000 uomini, di cui circa 3.000 a cavallo, a presidio della costa tra Roma e la Toscana e dei feudi occupati . Non aveva torto, perché in febbraio il Duca di Parma decise di provare a riprenderli arrivandoci per mare. TI tentativo falfi a causa di una tempesta. Né si poté tentare di nuovo , perché Firenze non lo pem1isc.

L'allargamento del conflitto e la campavia del 1643 in Emilia Ma l' atteggiamento del Granduca cambi ò presto, dato che le trattative

v A.S. Roma, Cartai i, u p. lOÌ l., pag. 12 , verso.


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si erano arenate in aprile e l'e sercito ecclesiastico schierava, tra Roma e le Legazioni , quasi 24.000 uomini 16. Dunque ci s i armò e si richiamarono dai fronti tedeschi i migliori uomini d' arme s udditi di questo o quel belligerante; così , mentre a Firenze rientrava il Principe Mattias de' Medi c i, il 17 ap rile Modena a ccogli eva t rionfalme nte il Sergente Ge ne r a le di ba ttag lia d e ll 'ese rc ito impe rial e c onte R a im o nd o Montccuccioli, tornato pe r difendere il suo Duca come Mastro di campo dell'esercito estense 17. E la guerra riprese alla fine di maggio del 1643. Il 10 gi ugno si seppe a Roma che Venezia, Modena e la Toscana si erano mosse contro il Papa per impedire l' eventuale espugnazione di Parma e Piacenza, concentrando al confine delle Legazioni un eserc ito di oltre 8.000 fanti e 2.000 cavalie ri 18, dietro i quali stavano altri 13.000 fanti e 1.650 cavalieri veneziani 19 . Quello che a Roma non si sapeva era l' inte nzione alleata di agire conte mporaneamente lungo due d ive rse e distanti direttri ci d'attacco: la prima, spettante a Veneti, Toscani, Parmensi e Modenesi, da nord verso il Ferrarese e le Legazioni in gene re per fissarvi i Pontifici; la seconda, dei soli Toscani , contro l'Umbria, la Tuscia e il Patrimonio cli San Pietro, cioé l'attuale Lazio Settentrionale, per tagliare le comunicazioni e l'afflusso dei rinforzi dalla Capital e al fro nte padano. Se il pia no fosse riuscito, le truppe romane sul Po sarebbero rimaste prive di rifornimenti e rimpiazzi e avrebbero perso la guerra. Per fortuna del Papa, il Duca di Parma non accettò di far parte della Lega né di coordinare le proprie forze a quelle alleate e costrinse i ToscoVeneto-Modenesi ad agire separatamente sul basso corso del Po, me ntre lui entrava in azione da solo . TI 22 maggio si mosse verso il confine con poco meno di 3.000 uomini e 2 cannoni 20, gittò un ponte di barche sulla Secchia il 25 alla Concordia e raggiunse po i il Fcrrrarese, mentre lo stes-

17.47:"l fanli , 4.552 cavalieri, 32 bombardieri e 1.749 miliziotti. Nt:l l'eserci to cslcnsc il colonnello commendator Panzctti comandava i dragoni , il colonnello Siu oni la cavalleria. 18 in particolare i Veneziani avevano messo a disposizione dell'allearu.a il cavalier Angelo Correr alla testa di 2.938 fanti e 3 14 cavalieri , ai qualj si erano aggiunti sul Panaro 2.000 fanti e 200 cavalieri toscani e 3 .200 fanti e 1.422 cavalieri modenesi. 19 Ai primi di maggio le forze veneziane assommavano a 15.695 fanti (italiani, greci, o ltremarini, corsi, olandesi, o ltrcmontaru e francesi) 1.964 cav<1licri tra co razze, cappelleui e cavallegger i, e 12 pezzi d' arliglieria. Di questi: 11 .624 fa nli e 1.530 cavalieri erano nel Ve neto Dominio di Tcrrnfcrma, 2.662 fanti e 327 cavalieri a Modena e 1.409 fami e 107 c.: <1valicri a M<tnlova. 70 Per la precisione: 900 fanti, 700 dragoni e 1.200 cavalieri . 16 17


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so giorno il Provveditore Generale veneziano Pesaro stabiliva una lesta di ponte oltre il Canal Bianco. Presa Bondeno il 26 e disfatto un corpo di circa 1.000 cavai ieri pontific i il giorno dopo, il 28 Oc.loarc.lo occupò anche la Stellala, aprendo ai Collegati le vie di Ferrara e Bologna e chiude ndo ai Pontifici quelle di Modena e Parma. Veneti e Modenesi ne approfittarono per avanzare e unirsi ai loro distaccamenti del Polesine, circa 7.000 uomini tra fanteria e cavalleria 21, mentre il Granduca, visto il buon andamento delle operazioni, preferiva richiamare i suoi uomini per reimpiegarli contro l'Umbria. Contemporaneamente Pesaro aveva ricevuto dal Senato l'ordine d' attaccare. Saldamente attestatosi sulla riva destra del Po, coadiuvato dala flotta e dall 'az ione del Provveditore ai Confini Niccolò Dolfin nelle valli di Comacchio, avanzò fino al 3 giugno occupando Trecenta e spostando il grosso a Fig,u-olo. Ma sulla sua destra i Collegati si trovavano davanti il cardinal Antonio Barberini, con l 2.000 fanti e 3 - 4.000 cavalieri raccolti a Cento, non lontanissimo da Bologna, fra il 20 maggio ed il 5 giub'Tlo. Non ritennero opportuno passare il Pamu-o senza ponti ed in faccia ad un nemico tanto forte e si limitarono a mandare in avanscoperta piccoli reparti di cavalleria che si impegnarono in scaramucce. li Duca di Modena sollecitò l' invio e.li maggiori forze veneziane; cd il Senato ordinò a Pesaro di mandargl i 6.000 fanti , 1.000 cavalieri, artiglieria, salmerie e guastatori, mentre nella zona di Figarolo rimanevano appena 3.800 fanti e 500 cavalieri veneti. Fortunatamente per loro, i Veneziani poterono adoperare la flotta per impegnare il nemico effettuando puntate e incursioni a Rimini e su tutta la costa fino ad Ancona. Il 6 giugno il conte Montecuccoli eseguì una fortunata ricognizione ve rso il campo ecclesiastico con 500 cavalieri. 11 giorno dopo il Provveditore Correr mandò 3.000 uomini del Cavalier della Valetta contro Cento assalendovi i Pontifici . La cavalleria papale uscì in massa dal campo, sostenuta da 1.500 moschettieri. Lo scontro fu violento, ma grazie all'intervento di 200 loro moschettieri, i Veneziani poterono ritirarsi senza troppe perdite. In totale ci furono circa 200 morti e parecchi prigionieri e si disse a Roma che i Collegati fossero stati respinti e che un ponte fosse crollato sotto la loro cavalleria in ritirata (giusta punizione divina) aumentandone

21 3.000 fanti, 400 dragoni e 500 cavalieri modenesi, 2.600 fanti e 300 cavalieri veneziani , un migliaio di fanti e c irca 300 cavalieri parmensi .


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lo scompiglio e le perdite 22. Ma sei giorni dopo i Collegati riprovarono. Nella notte fra il 13 e il 14 passarono il fiume e occuparono Secco, a circa sei chilometri da Cento, prevenendo il Marchese Mattei che stava marcia1ldo contro di loro con 2.500 fanti e 2.000 cavalieri. La reazione pontificia fu dura. 1 Collegati ve nnero sconfitti e volti in ritirata aprendo la via di Modena al Marchese, il quale saccheggiò alcune terre estensi. La sua offensiva però s' interruppe. Pu costretto a rientrare, ed anzi a accorrere verso l'Umbria, quando seppe che , contemporaneame nte, erano entrati in campagna i Toscani i quali avevano assediata e presa C ittà della Pieve. Restava però in campo il c ardinal Antonio Barbcrini, che già prima aveva occupato Castelfranco con I 0.000 fanti e 2.000 cavalieri. Ora aveva rallentato le operazio ni , ma non era inten zionato a starsene tranquillo troppo a lungo; tant'è vero che tra il 29 giug no ccl il I O luglio l'attività militare non si era mai arrestata. Il Barone Mattei aveva rinforzato le difese di Ferrara , ma l'attenzione dei Pontifici si era spostata sull a costa. In fatti il 5 giugno il Capitano Venez iano in Golfo Giustinian si era impossessato della torre di Primaro cd aveva interrotto le comunicazioni via fiume con Ferrara. ln questo modo, oltre la citti:t, non poteva più essere rifornito nea nche il forte Urbano, chiave della difesa pontificia. Così il 24 i papali si fecero sotto, riconquistarono la torre e la bruciarono. Giusti nian levò le ancore e compì un ' inc ursione a Cesenatico, dove all' alba del 26 fece sbarcare 180 cappelletti so stenuti dai pezzi delle galere. Il presidio ecclesiastico di 700 uomini fu sbaragliato ed ebbe I00 morti, contro sol i 2 veneti. La cittadina venne saccheggiata risparmjando urucamente le chiese, in cui si era rifugiata la po polazone in preda al panico, e , soprattutto, vennero incendiate tutte le torri verso terra e tutte le barche di rifornime nti pronte per essere mandate a Ferrara. Poi Giustinian volse le prore a nord e il 2 luglio, con un' azione anfibia, riprese Prirnaro. I Ro mani stavano preparando la controffensiva ne l Ferrarese e per loro era fondame ntale l' a fflu sso de i rifornimenti via fiume, quindi mandarono verso Primaro ben 3.000 fanti e 300 cavalieri per riprenderla. Allestito un campo trincerato a due chil ometri e mezzo

22 Ovviamente i dati divergono anche in questo caso. Secondo Da Mosto, Correr scrisse che i Poniifici avevano avuto 30 morti e IO prigion ieri mentre i Veneziani avevano perso solo I ufficiale e 30 o 40 soldati fer iti. Ma dalla cronaca Ca,tari risultano invece almeno 200 morti di ambe le parli e un imprecisato numero di feriti e prigionieri. Dala l'entità - 3.000 cavalieri per paite e un 101ale di 1.700 fanl i - ehi durala dello sconlro, sembra mollo più verosimile che ahhia ragione Cartari , anche perché scriveva sulla base delle informazioni dei Pontifici che, essendo rimasli

padroni de l te rre no, avevano avuto tutto i l te mpo e la comodità di contare i morti.


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dall'obiettivo, il 4 fecero perlustrare la zona alle pattuglie di cavalleria e il 5 atlaccarono. Le artiglierie navali venete aprirono immediatamente il fuoco contro di loro e, sostenuti da esse, i fanti veneziani li respinsero fac ilme nte fino al campo, che non presero solo perché inferiori di forze. Nel fra ltempo il 4 il Provveditore Dolfin aveva altaccalo di sorpresa Codigoro con due cannoni e un migliaio tra fanti, cavalieri e guastatori, distruggendo la guarnigione di 1.400 pontifici e il paese. Ma presto si sparse la voce di movimenti romani verso il Finale; e già il 27 Correr ritenne opportuno spedirvi un primo contingente di 1.000 fanti, seguito da lui stesso con un 'altra colonna il 6 luglio e spostando truppe in soccorso dei duchi di Modena e Parma. Agli occhi del nemico si trattava di una ritirata, q uindi di debolezza, dunque era il caso di avanzare ed attaccare sia Vignola e Modena, sia il medesimo campo veneziano. Ma poiché le cose non stavano come i papali pensavano, i risultati furono fallimentari in entrambi i casi. Pur avendo perso sul campo, i Pontifici raggiunsero ugualmente i loro scopi, perché Correr, g iudicandos i in cattiva posizione, fece spostare indietro i s uoi e si sla bilì nel F inale il I O luglio. I Veneziani furono costretti ad ahhandonare Cesena ed il resto della Romagna che occupavano, dopo averla devastala e saccheggiata, mentre i Ponlifici facevano una scorreria in Toscana. Seguirono cinq ue giorni di accesi combattimenti fra le opposte cavallerie in Emilia con un risultato abbastanza bilanciato. Poi i Pontifici approfittarono dell a partenza della squadra veneta da Primaro e dell 'arrivo di altre loro truppe e il 16 poterono impadronirsi della contesissirna torre; anche perché la squadra navale del Provveditore Straordinario d' Armata Antonio Cappello, pur arrivala prontamente, disponeva di soli 300 fanli da sbarco, in sufficienti a mantenere la posizione, che fu distrutta prima d 'essere abbandonala. Lo stesso giorno i Pontifici saccheggiarono il territorio di Bompo1to; e la notte seguente i Veneziani li ricambiarono devastando quello di Crevalcore. Si trattava però solo di piccole azioni, perché il generale papale Valcnçay stava per muovere con più di 4.000 fanti e 2 cannoni contro Nonantola, chiave del Ducato di Modena, difesa da 600 fanti veneziani al comando del venturiere francese Saint-Martin.

L'assedio e la battaglia di Nonantola Sostenuti a dista nza da un di staccamento co mandato dal Ba rone Mattei, il 20 luglio i Pontifici altaccarono e presero Ravarino. Poi si pre-


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sentarono sotto Nonantola intimandole la resa. Subito si mossero il Duca di Modena e Raimondo Montecuccoli per impedirne la caduta. Fidando nella sorpresa, Montecuccoli attaccò appoggialo da alcuni picco1i pezzi d'artiglieria e seguilo a distanza d,ù duca Francesco col grosso e l'artiglieria pesante. Avanzò rapidamente contro Valençay, intento a bombardare la piazza, e lo costrinse a ritirarsi nel campo di Castelfranco. Subilo ne uscì il grosso dei Pontifici, 7.000 uomini guidati dal Marchese Mattei e dall'eminentissimo Antonio Barberini, che tentarono di accerchi are la retroguardia nemica al Navicello. La proporzione era adesso di 5 a 1 a sfavore dei Modenesi; ma i dragoni battcrono ·la cavalleria ecclesiastica, mentre la fanteria pontificia finiva sotto il tiro dei cannoni estensi. Barherini fu respinto e, anzi, volto in rotta il contingente ecclesiastico, mentre i soldati scappavano disseminando la campagna di armi ed equipaggiamenti, sopravvisse a stento a una pericolosa caduta dentro un fosso con tutto il cavallo. Nonantola fu sbloccata al prezzo di soli 25 caduti modenesi; i Pontifici invece lasciarono sul terreno ben 800 morti, 200 prigionie1i ed ebbero numerosi feriti, compreso il commissario generale della cavalleria Cesare degli Oddi : un vero disastro . Riunitisi il 23 a Spilamberto, i Collegati decisero che l'occasione era troppo buona per lasciarl a sfuggire e marciarono verso Bologna, come scrisse Montecuccoli, per "far vedere a· preti che non si convien loro il fa r guerra" VT. Il 25 le avanguardie entrarono a Piumazzo, la fortificarono e spinsero punte di cavall eria veneta a riconoscere Bazzano il 27. I Veneziani vi si presentarono sollo il 3 1 con due cannoni e, non appena li misero in batteria, i 300 rniliziotti scelti di Bologna che costituivano il presidio si ,uTesero 23. Ma a Bologna le autorità avevano chiamato un reggimento romagnolo di fanteria e mobilitalo 7.000 cittadini per difendersi; e l'impresa non si presentava più tanto facile.

Le operazioni per Pontelagoscuro

In più i Veneti erano in difficoltà perché nella notte fra il 30 e il 3 l

v1 Raimondo Montccuccoli, "Le ttera a l Ser.mo Principe Mauias de' Medici dal campo <li Modena·', del 22 luglio 1643, rip. in I. Senesi, " Rai mondo Montecuccoli", Torino, Paravia, 1938, p. 63. 23 Ehhero huoni patti di resa; ma poic hé il luogotenente che li comandava cercò d 'impadronirsi di alcune valigie di polvere da sparo, furono fatti usci.r e colle micce spente, le armi a ruota prive di pie tra focaia, le spade legate ne i foderi , l'insegna arrotolata e senza munizioni.


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Valençay aveva passato il Po a Pontclagoscuro con 6.000 fanti e 16 compagnie di cavalleria e si era impadronito del locale forte veneziano. Pesaro aveva m,mdato subito rinforzi; ma i Pontifici erano troppi forti e, dopo due ore di combatti mento alla Chiavcga, i Veneti avevano dovuto nptegare. Questo costrinse Correr a interrompere l'avanzata su Bologna; mentre accorrevano anche i Veneziani presenti ne l Finale, a Mantova e a Legnano 24. Lasciato solo, il Duca di Modena non poteva la~ci a re l'assalto a Bologna e prefe1ì tornare indietro ed arroccarsi nei suoi Stati, ormai non più sostenuto da due contingenti veneti, uno di 500 fanti, a sua diretta disposizione, e l' altro di 1.200, situato nel Finale. Non solo: Pesaro chiese aiuto anche a lui, ma non poté averne, perché gli Estensi erano stati battuti dai Pontifici perdendo 200 morti. Il Duca di Modena infatti aveva abbandonato Piumazzo dopo che la ritirata veneziana l'aveva lasciato scoperto sulla sini stra e si era trovato pressato dal Marchese Mattei che, con 4.000 fanti e 500 cavalieri si era avvicinato a Modena stessa. Pesaro allora chiese soccorso anche a1 Duca di Parma; ma il Barone Mattei si volse contro i rinforzi famesiani in arrivo a Pontelagoscuro e li sconfisse, catturando una cinquanti na di uomini ed uccidendone altrettanti. Come se non hastasse, le popolazioni suddite del Papa nelle zone ancora occupate cominciarono a ribellarsi ai Veneziani, le cui truppe diedero segno <li demoralizzazione e indisciplina crescenti . Pesaro, perseguitato dalla sfortuna, perse molti materiali in un incendio sviluppatosi nel campo e desti nò gran parte delle sue forze al mantenimento dell 'ordine pubblico, restando con una massa di manovra di neanche 2.000 uomini. Finalmente, raggiunto da Correr, ritenne di essere abbastanza forte e, scartata l' idea del Duca di Parma di entrare nel Ferrarese, decise di attaccare il nemico per costringerlo a ripassare il Po, batterlo e ri stabilire una testa di ponte sulla riva destra. All'alba dell '8 agosto, 7.000 fanti, 9 cannoni e circa 900 cavalie ri veneziani avanzarono su tre colonne. Passarono il canale della Ch iavega e il 9, controllati a distanza da un migliaio di cavalieri nemici, raggiunsero la zona di Poazzo e vi si accamparono. Pontelagoscuro distava un paio <li chilo metri ed era stato fortificato bene, ragion per cui Pesaro decise di attendere l'arrivo dell' artiglieria pesante - 4 pezzi da 50 libbre e altrettanti da 20- e limitarsi ad una ricognizione in forze, effettuata il 10 agosto. I risultati furono poco incoraggianti: era difficile immaginare un pron-

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Da Mantova partirono 300 fanti e due compagnie di carabine, altri 200 fanti <la Legnano.


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Lo recupero di Pontelagoscuro, perché nei giorni precedenti vi erano arrivati 2.000 fanti e 600 cavalieri, fervevano i lavori di fortificazione e le truppe romane intanto aumentavano. Il Marchese Mattei era venuto a rinforzare la testa di ponte; e Pesaro non ehbe il coraggio di attaccare, limitandosi a far eseguire un costante servizio d 'avanscoperta e pattuglia~ento alla cavalleria. La sua inattività infuriò il Senato, che lo sostituì col Procuratore Marco Giustinian a partire dal 2 1 agosto. Il 29 Giuslinian lasciò la sola Cernidc a guardia del campo e attaccò articolando su due colonne le 200 compagnie di fanteria e cavalleria e i 19 cannoni a disposizione. Sollo una pioggia battente, i Veneziani impiegarono due giorni a impadronirsi di tutte le postazioni e le opere esterne al forte di Pontelagoscuro, in un incessante scambio di colpi di moschetto e di cannone col nemico. La notte dal 30 al 31 vide l'apertura delle trincee e l' impianto delle batterie, per allaccare le quali i Pontifici traghellarono 300 moschettieri. I Veneti reagirono bene, catturarono 80 prigionieri e proseguirono i lavori d'assedio. 11 3 1 agosto il fuoco s'intensificò da entrambe le parli e il 1° settembre si tramutò in un vero e proprio duello d 'artiglieria, con almeno 500 colpi - ma pochi danni - sparati dagli ecclesiastici. Giustinian ribatté colpo su colpo e fece compiere ai suoi una fruttuosa incursione s ulla riva opposta del fiume, ma le cose non andavano bene. I lavori non procedevano per il tempo callivo e la diserzione dei guastatori ; e i viveri scarseggiavano per le difficoltà dell ' approv igionamento via fiume, disturbato e spesso impedito dalle continue sparatorie e scorrerie di barche armate delle due parti. Inoltre l'artiglieria nemica era più forte del previsto, tanto da dover chiedere a Verona altri 6 cannoni grossi pe r rispondere efficacemente sia a quelli del forte sia alle batterie piazzate sulla riva destra. Se i Veneti piangevano i Romani non rideva no e anzi, danneggiali dal continuo bombardamento, deci sero di risolvere la situazione con un 'azione di sorpresa. Nella notte fra il 2 e il 3 settembre fecero traversare il Po a 1.600 fanti e 360 cavalieri 25 e la mattina li lanciarono contro le posizioni avversarie. Presero i primi trinceramenti, ma invece d ' inseguire il nemico si dispersero a bottinare. Contrattaccati furono battuti e respinti ed ebbero parecchi morti ed un'ottantina di prigionieri. Un centinaio di Veneziani restarono sul terreno.

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Secondo alcune fonti sarebbero stati 2.CX)O fanti c 500 carabinieri.


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Nessuno dei due contendenti riusciva a prevalere. I Pontifici stavano per abbandonare il forte, si diceva; erano invece i Veneti in procinto di piantare l'assedio, si ribatteva. Nella ridda delle voci e nella crescente scarsità di viveri, il consiglio di guerra veneziano scartò l'assalto generale ed optò per la ritirata. I Romani non si mossero - al nemico che fugge ponti d'oro - e rimasero tranquillamente a guardare. Quanto anche l'ultimo soldato nemico fu scomparso entrarono nel Polesine, saccheggiarono Fratta e Polesella e giunsero fino a Rovigo.

/,a campagna dei Toscani in Umbria: Città della Pieve

Intanto tra la fine di maggio ed i primi di giugno del 1643 le truppe toscane si erano concentrate alle Chiane. Al comando de] principe Mattias de' Medici , ma in realtà sotto gli ordini dell'abilissimo marchese Alessandro dal Borro, erano poco più di 7.000 uomini, con un parco d'artiglieria di 18 pezzi 26 e 144 carri, ai quali si doveva aggiungere un contingente veneto in arrivo di 1.600 uomini. Contro di loro la Santa Sede poteva schierare 6.000 fanti, 12 cannoni e poco più di 1.500 cavalieri, dragoni inclusi, sotto il comando nominale di Taddeo Barberini ed effettivo del duca Federico Savelli e del tenente generale della cavalleria Cornelio Malsavia. Varcato il passo di Butteronna sotto una forte pioggia, i Toscani si presentarono davanti a Città della Pieve ed intimarono la resa, che ebbero il 19 giugno dopo pochi colpi di cannone, perché la guarnigione non sapeva che il Duca Savelli stava marciando in suo aiuto con 5.000 uomini, c irca 1.800 cavalieri e 4 cannoni. Poi dal Borro andò in ricog ni zione sotto Orvieto con 2.000 fanti e 800 cavalie ri e c i arrivò prima del nemico - sia delle truppe in ritirata da Città de lla Pieve sia della colonna di Savelli - che giunse il 20. Ne seguì una breve scaramuccia fra una compagni a di cavalleria toscana e i papali; poi i granducali il 22 puntarono su Monteleone per chiedervi contribuzioni in viveri e foraggi. Avutone un rifiuto, vi mandarono 500 soldati, che al secondo tentativo ottennero la resa. Infine puntarono su Castiglion del Lago per bombardarla, mentre Savelli tentava di coprirla. 26 I .a tabella "Artiglierie nelle appiè fortezze" risalente all ' autunno del 1642 e trovala dal Conte Niccolò Capponi (A.S. Firenze - Mediceo Principato E 5399, c. 571 R.), riporta "all'armata"' 4 quai1i di cannone, 8 sagri e 6 f"alconetti , su 169 pezzi <li 8 diversi tipi in dotazione alle rortezze e truppe granducali.


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Non ci 1iuscì. I Toscani aprirono la trincea e prepararono rapidamente le batterie cominciando subito il fuoco. Quando gli approcci giunsero a tiro di moschetto dalle mura e dal Borro cominciò a predisporre l'assalto generale, i 2.400 uomini ed i 12 cannoni del presidio si arresero. Lo stesso giorno, troppo tardi, comparve l'avanguardia dei 6.000 fanti e 1.000 cavalieri di Savell i che, non essendo molto allenati , non avevano potuto marciare più in fre tta. La caduta di Castiglion del Lago indusse Matteo Barberini a muoversi da Bologna verso l'Umbria, mentre i Pontifici si accampavano in vista del nemico. Il principe Mattias cercò in tutti i modi di indurli alla battaglia, . . . senza nusctrv1. Savelli non voleva rischiare lo scontro in campo aperto perché era conscio dell'impreparazione e della scarsa affibilità dei suoi uomini, parecchi dei quali già stavano disertando. Mattias spinse le sue provocazioni fino ad assalire e prendere Passignano; ma non ottenne nulla e decise di al lontanarsi verso Perugia. Allora Savclli riprese Passignano e limitò la presenza granducale sul Trasimeno alle barche am1atc che vi stazionavano. Il 23 Cornelio Malsavia, sostituto dell'ammalato Savelli, avanzò verso Città della Pieve per riprenderla, portandosi dietro 1.000 moschettieri, 200 dragoni, 150 cavalieri, 4 petardi 27, e 2 pctardicri. Ad un clùlomctro e mezzo dal!' obiettivo mandò a vanli I 00 cavalieri ed altrettanti dragoni per tagliare la strada ad eventuali rinforzi nem ici , poi ordinò alla fanteria di attaccare la città da tre parti; ma la sorpresa fallì, lui perse un c inquantina di soldati e dové rientrare a l campo di partenza. Tentò di riprendere Monteleone, ma neanche quello gli riuscì. A loro volta i Toscani si erano fatti sotto per occupare Pacciano, avevano preso e saccheggiato Fabro, Citema e Castro ma poi erano stati respinti. Il 12 agosto Savelli era tornato al campo ma, mentre Malvasia il 31 compiva una puntata, prendendo Montecchio ed aprendosi la via della Toscana al costo di mezza dozzina di dragoni, i Granducali ampliavano la zona occupata nei pressi di Perugia, impadronendosi di Passignano dopo un duro bombardamento, di Magione e Monte Cologno, la cui guarnigione di ·500 uomini si arrese rapidamente, ma non riuscendo ancora a prendere Citerna. Vi si erano presentati 3.000 fanti e 300 cavalieri del Granduca, i quali avevano bombardato la cittadina per sette giorni , inducendola alla capitolazione se non avesse ricevuto rinforzi entro le 13 de l 12 agosto. Ma alle 9 dell' 11 e ra arrivalo da Tiferno il marchese Tobia

27 l petardi erano degli ordigni di metallo, concavi, pieni d 'esplosivo, che venivano fatti aderire alle mura e alle pone e poi fatri esplodere per aprire una breccia .


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Pallavicini, alla testa di 1.200 fanti e 300 cavalieri 28 cogliendo di sorpresa i Toscani e serrandoli fra due fuochi. I Granducali persero due cannoni, tuUi i carriaggi, ebbero 300 morti , parecchi prigionieri e ~i dovettero ritirare. Tentarono poi di prendere Trevi, ma fallirono, mentre il nemico li assaliva e saccheggiava San Casciano. Riuscirono poi a impadronirsi del castello di Carnaiolo il 22 (poi rihattezzata Fabro Scalo) per devastarne le fortificazioni e rompere il mu ro di scarico delle acque dell e Chian e dell'Arno, che impediva l' eventuale eccessivo ingrossamento del Tevere ai danni della Campagna Romana e dell ' Urbe stessa. Quindi presero San Giustino, vicino a Perugia, senza opposizione da parte del numericamente inferiore conti ngente pontificio di 1.000 fanti e 260 cavalieri della milizia di Pallavicini. Contemporaneame nte mandarono le loro galere sul litorale romano, obbligando il Papa a spedire sulla costa un certo numero di fanti e cavalieri. Ma, perso un brigantino e un bastimento carico di materiale militare, Urbano dové chiedere aiuto navale all ' Ordine di Malla, dal quale nella prima decade di settembre ebbe sei galere ben amiate. Questo provocò l' ira dei Collegati e li i,u.lussc a scqueslrare all'Ordine tutte le commende presenti nei loro territori, trattenendone g li introiti. Davanti a questi sfavorevoli ri sultati Savelli uscì da Perugia diretto a Bagnoregio e, per rendere del tutto sicura la strada da Roma a Perugia, ordinò a Malvasia di riprendere Monteleone, cosa che permise ai Pontifici di catturare 192 prigionieri. Adesso sarebbe toccato a Città della Pieve; e vi si diressero da Corciano 2.000 fanti, 4 cannoni e 500 cavalieri romani agli ordini del napoletano Vincenzo della MatTa e di Cornelio Malvasia, il quale aveva ordine di arrivare intanto a Mongiovino ed attendervi Taddeo Barberini col grosso. Ma i Granducali furono più veloci e il 4 settembre lo assalirono. Battuti, i Pontifici fuggirono abbandonando i pezzi, mentre Malvasia lasciava il campo con 200 cavalieri e della Marra si chiudeva con 200 uomini nel caste11o di Mongiovi no, dove fu costretto ad atTendersi poche ore dopo. Aveva perso 200 prigionie~ e parecchi morti, almeno due cannoni 29 e tutte le salmerie, contro appena una ventina di morti dei Toscani , c he poi riconqui starono Monteleooe, Panicate, Piegaro e Pacciano, tentarono nuovamente di impadronirsi di Citerna e infine avanzarono su Perugia, dove apparirono il 12 ottobre.

Secondo Da Mosto Pallavicini disponeva <li 1.34 1 tra fanti e cavalieri. La relazio ne Cartari parla <li due cannoni e tutte le salmerie. Considerando che senza salmerie e traini , Lulli presi <lai Toscani, i canno ni non potevano essere portati via, se ne dovrebbe dedurre c he de lla Marra a Mongiovino avesse solo due dei quattro pezzi con c ui era partito da Corciano. 28

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La diplomazia all'opera li colpo era grave per la Santa Sede. La politica pontificia aveva seguito molto da vicino l'andamento delle operazioni. Quando le cose erano sembrate volgere al meglio, il 20 giugno 1644 era stato affisso in Roma il breve di scomunica di Odoardo Farnese; ma già in luglio, di fronte all' ingresso dei Toscani in Umbria e alla non favorevolissima situazione in Emilia, il Papa aveva ordinato al cardinal Bichi di lasciare la nunzi atura di Parigi e rientrare in Italia per prendere contatti col nemico. Il 26 agosto Bichi era arrivato a Firenze ed aveva incominc iato i colloqui c ol Granduca, l'avversario più vicino e quindi più pericoloso ; ma in ottobre non si vedeva ancora nessuna concreta possibilità di un accordo. La situazione bellica era di sostanziale pareggio fra Pontifici e Lega, quindi non permetteva di concludere la guerra e risultava estremamente costosa, specie per Roma. Per questo il Papa non voleva abbandonare l'idea della trattativa; ma non poteva neanche cessare le ostilità. Si pensò allora di premere militarmente sul Granduca, per renderlo più malleabile e far pendere la bilancia e.lei negoziati dalla parte di Roma. Ai primi e.l'ottobre VaJençay era uscilo da Bologna con 3.000 fanti e 1.000 cavalieri diretto al passo della Porretta per calare s u Pis toia, e costringere il Granduca a richiamare le truppe c.lall ' U rnbria per coprire Firenze; Ma i Pontifici vennero avv istati in tempo per consentire al senatore Capponi, comandante della Piazza, di mobilitare la milizia, armare i cittadini, raccogliere viveri e chiedere aiuto a Firenze. li Granduca mi se insieme 4.000 fanti , 700 cavalieri e 400 bande di ordinan7.e, richiamò il princ ipe Mattias - ma non le truppe - dall'Umbria e intanto spedì subito a Pistoia un treno e.l'artiglieria di 12 pezzi, 4 dei quali furono però catturati dai Papali. Valençay arrivò sotto la città e l'assalì durante la notte. Riuscì a fa saltare una porta, ma dopo due ore di combattimento si rese conto che la resistenza era troppo dura per essere sopraffatta prima del!' arrivo dei rinforzi nemici e preferì ritirarsi alla Porretta dopo aver fatto devastare le campagne dalla sua cavalleria. Ma anche quella non era una posizione sicura, perché troppo vicina a Modena; e le truppe estensi gli stavano già venendo addosso. Lasciò allora 300 uomini nel c as tello di Sambuco, espugnato dal nemico pochi giorni dopo, e si ritirò ulteriormente, inseguito dalle truppe toscane e modenesi riunite sotto gli ordini di R,ùmonc.lo Montecuccoli.


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Le battaglie di Perugia e Pitigliano e le operazioni tardoautunnali La manovra su Pistoia aveva reso ancor più evidente quel che già si sapeva, cioé che per realizzare il piano strategico della Lega - il taglio delle comunicazioni tra Roma e le Legazioni - occorreva la distruzione almeno dell'esercito ecclesiastico in Umbria. Per riuscirci dal Borro aveva bisogno di una battaglia campale, in cui era probabile che il poco addestramento e la scarsa disciplina dei Pontifici ne avrebbero determinato il collasso. Ma non riusciva ad attirarli fuori dai loro campi trincerati e, non avendo altre soluzioni, dec ise d' attaccare il loro principale accampamento, spostato da Corciano sotto Perugia. Dopo un successo iniziale il 12, la mattina del 13 i suoi furono contrattaccati e messi in ritirata. Il 14 Matteo Barberini mandò avanti una colonna di 1.500 fanti e 200 cavalieri verso San Giustino, e il giorno seguente proseguì fino a Colle, catturandovi altri 304 ne mici. La sera del 17 giunse il ma rchese Mattci; e "Seguì alti 18, una piccola .fattione ne i contorni di S. Ma rtino in Campo " vu. Po i, anche a causa della presenza di colonne papali in Toscana, si ebbe un' ulteriore ritira ta del contingente principale di dal Borro dalle vicinanze di Perugia verso il confine, perdendo, grazie all'azione dei contadini in armi "50 carriaggi di viveri che venivano per servitio del suo Campo et ogni giorno siJà da ' Villani qualche altro bottino, giungono prigioni catturati da essi, & in buon numero vengono i.fuggiti " Vili. Poi i Romani penetrarono nell' Aretino e presero Monterchi: "difeso coraggiosamente quattro giorni con soli 200 Soldati, e !(li habitatori " IX . Intanto anche un altro contingente di 4 .000 fanti , 6 cannoni e 800 cavalieri pontifici era entrato in Toscana cd aveva assalito Pitigliano. La città si difese coraggiosamente, attendendo fiduciosa la colonna di soccorso di 2.000 fanti e 700 cavalieri comandata dal sergente generale di battaglia Strozzi, che arrivò il 22 ottobre. Dopo vari movimenti, al sedicesimo giorno d' assedio i due eserciti vennero allo scontro campale dec isivo, ri solto dalla carica della cavalleria granducale. Caddero 400 pontifici e 680 vennero catturati , insieme a tutta la loro artiglieria 30 , bandiere, salmerie , muniz ioni e 500 animali da traino e da sella.

Vii "Relazione da Perugia" del 20 otlo brc 1643, In Perugia, per Angelo Bartoli e ristampala in Roma, per il Grignani. Con licenza dc' Superiori. 1643, pag. 3. V III Idem, ivi. LX "Relazione di Perugia" del 17 ottobre 1643, In Perugia, Per Angelo l:!a11oli e ristam pata in Roma. per il Grignani. Con licenza <le'Supcriori . 1643, pag.3. :10 Comprcndcnlc 6 cannoni, 3 petardi ed una pelriera da hom be.


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Subito dopo, il 25 ottobre, i Toscani avanzarono verso Todi. Disturbati dalla cavalleria di Malvasia e sorvegliati a distanza dal grosso pontificio posto a San Fortunato, si fermarono a Tavemelle il 27, mentre il nemico si accampava a Montecorno. Nel frattempo il Duca di Modena aveva fatto proseguire l'azione incominciala contro Valençay sull'Appennino intorno a Porretta. Eliminati i Pontifici dalle montagne, i Collegati erano scesi a valle per riprendere le posizioni perdute. Già prima Raimondo Montecuceoli si era avvicinato a Pontelagoscuro con 600 cavalieri; ma era stato respinto dalle preponderanti forze nemiche fino a Bondeno, perdendo 200 uomini. Ora gli Estensi, ricevuti i rinforzi, il 21 ottobre s i presentarono con 3.000 fanti, alcuni cannoni e 1.000 cavalieri sotto il castello di Bazzana. I 60 dragoni e 150 miliziotti pontifici che Io presidiavano ressero per ben cinque ore, poi, ferito il capitano comandante, morti tutti i dragoni e rimasti solo un'ottantina di miliziolli in grado di combattere, alzarono bandiera bianca. Mentre in novembre la guerra proseguiva stancamente neJl ' Ilalia Centrale con piccole e non risolutive azioni, peraltro tutte fallite, nella Pianura Padana tutto rimaneva fermo, salvo per una scorreria modenense a Crevalcore. Negli stessi giorni i Veneziani eseguirono qualche ricognizione s ul l'opposta sponda del Po, riportandone bottino e prigionieri; ma il 9 dicembre si stabilirono definitivamente nei quartieri d ' inverno 3 1. La cattiva stagione passò in relativa tranquillità, con piccoli scontri e nulla più fino ai prim i d'aprile. Nel frattempo, fin da dicembre, il cardinal Bichi era giunto a Venezia e aveva portato avanti i negoziati di pace. Dopo molle ostinate discussioni, il 31 marzo si arrivò alla firma del trattato. Il Papa perdonò il duca Odoardo Famese e gli restituì Castro dopo averne distrutte le fortificazioni. I belligeranti s'impegnarono a ristabilire lo statu quo ante, smantellando le opere difensive e restituendo i territori occupati, le artiglierie prese e, nel caso dei Collegati, le rendite e le commende sequestrate all'Ordine di Malta.

La guerra diretta tra Francia e Spagna. Primo atto: la spedizione francese contro lo Stato dei Presidi nel 1646

Richelieu era morto, ma la sua scomparsa non aveva cambiato quasi

3 1 Disseminandoli a Trecenta, Poazzo, Fiesso, Fassinella, Crespino, Casalnovo, Polesella, Caslelguglielmo, Bagnolo , Caselle, Selara e Figarolo.


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nulla, poiché Mazzarino seguì la stessa politica del suo gran predecessore e, quanto all'Italia, esordì mandando nel 1646 la flotta francese ad assalire lo Stato dei Presidi, per guadagnare una posizione di forza nelle trattative intavolate frattanto a Mtinster cogli Asburgo, oltre che un ottimo punto strategico di controllo sulle rotte mediterranee da nord a sud. Era la prima volta che i Francesi combattevano direttamente e da soli contro la Spagna, senza valersi del pretesto di soccorrere un alleato italiano. Il 9 maggio le navi francesi furono avvistate verso le terre del Granduca di Toscana; passarono per il Tirreno e minacciarono lo Stato dei Presidi. Vi sbarcarono un corpo di spedizione di 8.000 fanti e 2.000 cavalieri al comando del principe Tommaso di Savoia, che lo stesso giorno prese Talamone., callurandovi 80 prigionieri , e si vol se poi a Santo Stefano, arresosi alla quarantesima bordata dell ' artiglieria navale francese, il I O maggio. Dopodiché cominciò l'assedio d'Orbetello, non faci le, vista la decisa resistenza della guarnigione comandata dal napoletano Carlo della Gatta. Preoccupato dalla guerra, il Papa mosse le truppe verso il confine toscano; e tutta la prima decade di giugno passò in movimenti militari francesi e pontifici: d ' assedio i primi, di mobilitazione i secondi. Intanto gl i Spagnoli correvano ai ripari. Il 15 luglio nelle acque d'Orbetello arrivò la loro flotta, accompagnata dalle galere di Napoli, Sicilia e Sardegna e ingaggiò coi Francesi una battaglia navale, finita all a pari, in c ui una cannonata uccise l'ammiraglio francese duca de Fronsac. Poiché il mare grosso aveva coslrello le galere delle due parti a ritirars i, gli Spagnoli decisero d'avanzare per terra da Port'Ercole e San Filippo, per alleggerire e liberare Orbetello profittando dell 'arrivo di 2.000 cavalieri da Napoli; mentre per le vere e proprie operazioni di sblocco attendevano allrellanti fanti napoletani ancora in marc ia. Nel frattempo le flotte si accinsero a una nuova battaglia navale; ma una tempesta le costri nse a restare agli ancoraggi a lungo. Alla fine del mese si verificarono movimenti de lle due parti sotto Orbetello e dei soli Spagnoli su Talamone per prendervi la fortificazione di San Luigi appena allestita dai Francesi; ma senza risultali degni di nota. La situazione sembrava ormai abbastanza stabile, così ai primi d'agosto la flotta francese rientrò in Provenza, per raddobbi e rifornimenti. In settembre i Francesi decisero d'estendere la zona occupata e il 7 assalirono e presero la città di Populonia con 4.000 uomini, mentre la guarnigione si rifugiava nella cittadelJa per continuare a resistere. Un mese dopo, il 6 ottobre, l'avanguardia della loro flotta ritornò davanti


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a Orbetello sotto il comando del Maresciallo de la MeilJeraye e del Signor du Plessis Praslin. Portava 6.000 fanti e 100 cavalieri con 800 cannoni e li impiegò per prendere l'isola d 'Elba. Subito dopo attaccò la muniti ssima base di Porto Longone, difesa da 1.000 fanti ma, a causa d'una tempesta, le navi furono costrette a cessare la cooperazione colle truppe sbarcate e ad allontanarsi verso Livorno e Portoferraio. Dopo il primo assalto - respinto - e quattro giorni d'assedio, i Francesi cominciarono a dubitare di poter prendere facilmente Porto Longone, anche se l'arrivo del grosso della squadra faceva salire i loro effettivi nel teatro d'operazioni a I 1.000 fanti e 500 cavalieri con ingegneri e artieri e 80 cannoni da assedio. Anche gli Spagnoli si rinforzavano il più possibile, ma la preponderanza francese si fece sentire presto. L' 11 ottobre la cittadella di Populonia si arrese e i 200 spagnoli del pres idio furono fatti prigionieri. Poi il 2 novemhre venne fatta brillare una mina a Porto Longone, aprendo una breccia cd obbligando i difensori a ritirarsi nella cittadella. Si prevedeva prossima la resa e i Francesi preparavano l'assalto generale, quando Porto Longone capitolò. Ne fecero uscire 550 uomini con due cannoni, ed entrarono nella fortezza, affrettandosi a ripararla e munirla. Orbetello invece resisté a lungo. Ma onnai l'assedio dei Presidi non era più prioritario. Lo si vide in agosto quando si seppe che "In porto Longone è giunta l'armata francese al numero di 38 vascelli, e 20 galere ... doppo haver imbarcato in Piombino cinque mila fanti, ha fatto vela verso Catalogna, per condurli in servitio del Principe di Condé, non già verso Napoli come si scrisse" rx e le operazioni in Toscana passarono in secondo piano, scivolando ancor più nel dimenticatoio quando ci si rese conto delle grandi possibilità aperte dalla rivolta scoppiata a Napoli nel luglio precedente.

La guerra diretta tra Francia e Spagna. Secondo atto: De Neapolitano tumultu - La rivolta di Masaniello del 1647-1648

Contrariamente a quanto si pensa comunemente, quella che è impropriamente conosciuta come "Rivolta di Masaniello" fu una vera e propria guerra che imperversò per una decina di mesi non solo nella città, ma in

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A .S. Roma, Effemeridi Cartari-Febei, busta 74. pag. 158 recto.


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tutto il Regno di Napoli con imponenti masse di armati, assedi, scontri campali e azioni navali e anfibie. Ali' origine dell'insurrezione vi fu l'inasprimento fiscale che il viceré di Napoli , in quel momento il Duca d ' Arcos, praticava per conto della Spagna, impegnata nella Guerra dei Trent' anni. L'abitudine e l'incapacità di calcolare la ricchezza costituita da beni mobili, monetari o no, facevano entrare denaro solo dalle tasse sui beni immobili , cioé dai terreni e dalle costruzioni appartenenti perlopiù alla nobiltà, e dai dazi, che colpivano i commercianti grandi e piccoli. La Spagna aveva incominciato la consuetudine di esigere un ''donativo" da parte del Regno fin dal 1504, quando le erano stati "regalati" 31 I .000 ducati. Negli anni seguenti la prassi aveva drenato risorse finanziarie senza tregua. Basti pensare che fra il 1532 ed il 1553 erano stati complessivamente mandati in Spagna 6 .500.000 ducati; e negli anni successivi si era continualo, fino all ' infausto 1560, quando i donativi erano diventati biennali fiss,mdone l'importo a 1.200.000 ducati l'uno. Ma già dall' anno prima erano cominciate le difficoltà d 'esazione, sia per le carestie che per l'esaurimento delle comunità; cosicché nel 1607 il bila ncio era ormai in deficit per 8.000.000 cli ducati; né c'era speranza di risanarlo. Quarant'anni e varie guene dopo, il Duca d' Arcos si trovò preso fra le imperiose richieste di denaro, necessario a Madrid per la fase finale della Guerra dei Trent' Anni , e l'obiettiva impossibilità di trovarne. In gennaio era stata escogitata una nuova gabella sulla frutta e, nonost,mte il malcontento suscitato, sembrava essere stata accettata abbastanza tranquillamente, almeno tino a una mattina del luglio 1647. " Domenica mattina a hore 10 32 nel mercato di questa Fedeliss. Città li fruttivendoli non volevano pagare la Gah. a delli frutti sotto pretesto che S.E. havesse ordinato, che non si pagasse, e per questa causa non volevano pigliare frutti dulia Gabella ... per il che l 'eletto del Popolo Andrea Nocerio di persona si conferì in essa per quietare il tutto. ( ex Causis perché nel mercato vi stavano più 2000 Sig.li) e tutti della Plebe del popolo gridavano ad alta voce che si

32 A que l tempo le ore de lla giornata erano espresse in Ore d'Italia, un sistema caduto ufficialmente in disuso col periodo napoleonico, quando e ntrarono in vigore le cosiddette Ore di Pranc ia, che ancora adoperiamo. Le Ore di Francia erano e sono hasale sul moto della terra; 4udle d ' llalia invece sulla durala delle ore di luce. Pe r fare un esempio pratico basterà dire c he, nel periodo di luglio in cu i cominciò la rivolta (primo quarto del mese, dal I O all'8), il mezzodì, le nostre 12, secondo le Ore di Francia era a lle 12, come per noi adesso ; ma in Ore d ' Italia. pur essendo a que lle che per noi sono le 12, e ra a lle 16 ,19, perché il sole sorgeva alle 8,38 d ' Ital ia, le 4 ,19 nostre e di Francia, ed il giorno durava in tutto 15 ore e 22 minuti. Di co~seguenza, stando all ' anonimo estensore, la rivolta sarehhe scoppiata prestissimo: tra le 5,40 e le 6 del mattino secondo il nostro modo di misurare il tempo.


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levasse d.a Gabella il d.o Eletto renitente in questo, li detti frutti gettandoli prima per terra, li tiravano alla faccia del eletto, il quale non fece poco a salvarsi dentro una cantina dalla quale fu trasportato alla Marina del Carmine et con segretezza posto dentro una barca, e così scampò la vita... A questo rumore si sollevorno altre persone del Popolo e gente, e g ridorno viva il nostro Rè, e mora il malgoverno, et uniti posero fuoco alla Casa della Cab. a che stà in mezzo alla Piazza del Me rcato abbrugiandola in modo che non vi è più segno che vi sia stata e da poi seguitando cosi fecero ancho per tulle le altre Gabelle, nelle quali ahhrugiorno li Carte e Libri dove si notavano l'entrate di esse... piglio mo la farina, la posero sopra le bestie con i sacchi e con l'anne del re per la Città g ridavano viva il Rè e mora il malgoverno" X. Questo fu il principio. La plebe, il popolo basso, assalì le carceri, gli uffici governativi, i palazzi nobiliari e quelJo del Viceré che "si pose a fuggire getta ndo al Popolo hrandate di monete d'oro et argento... ma poco giovava, che il Popolo per questo non si fermava, e se ne fuggì in S.Spirito di Palazzo, né fece poco à salvarsi tirandoli sassate con parole ingiuriose e vituperij infiniti" XI. Tdisordini continuarono, varia ndo d' intensità ma allargandosi progressivamente ed estendendosi a gran parte della c ittà. Gl i Spagnoli non erano in grado di opporsi sia perché in pochi, sia perché gli insorti ammontavano, secondo le stime di alcune cronache e testimonianze dell'epoca, a ben 115.000. Masaniello venne eleuo Capopopolo e rapidamente ucciso poco dopo il rientro in rada delle 11 galere della squadra navale napoletana. Pressato dai rivoltosi, il Vi ceré tentò allora di riprendere in mano la situazione approfittando dell'apparente calma tornata in città dopo l' elezione del nuovo capopopolo Giuseppe Palombo. Per di più, ai primi d'ottobre era giunta in rada la squadra nav,ùe di Don Giovanni d:Austria, figlio naturale riconosciuto del Re di Spagna, dotato di plenipotenze per pacificare Napoli, sia levando le gabelle sia concedendo il perdono generale. Cominciarono le trattative; ma si arenarono subito davanti alla ripulsa della richiesta del popolo di non deporre le armi, altro che nelle proprie case, per poters i difendere dai nobili e dai banditi al loro servizio. · Per forzare la mano alla popolazione venne scelta la linea dura; e il 5

x Archivio di Stato di Roma, Effemeridi Cartari - Febei , busta 74 , pagg. 138 rec to e verso e 139 recto. XI Idem, ivi.


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ottobre uscirono dai tre castelli "Molti Capitani Alemanni, Spagnoli e Cittadini et all'improvviso levorno le armi ad alcuni corpi di guardia del popolo vicino al Campo del Castello, dove si squadramno alcune Compagnie di Cavalleria col Cannone " xn. Presi di sorpresa Pizzofalcone e Santa Lucia, il popolo corse alle armi perché dalla flotta erano sbarcate le truppe spagnole " ... che prima cominciamno per il Largo d e l castello tagliar a pezzi quanta ge nte trovavano e nel med.(esim)o tempo il Castello Sant'Elmo, il Castel Nuovo e Castel dell'Ovo cominciorno a cannonare la Ciltà, e li Vascelli allargatisi verso il Pon. (en)te principiamo anch'essi a cannonare quei luoghi contigui al Carmine, gran quantità di Nohili in quel punto entrarono per forza nella Città a Cavallo, e gridando per la Città dicendo ammazza questa canaglia, e s'impadronivano della Porta di S.Maria di Constantinopoli ... Dopo lunga Scaramuccia s 'Jmpadronarno de/li granari, e di Porta Reale, dando un assalto da quattro parti a quella che tenevano, il posto di Pizzofalcone poiché dalla parte di S.ta Lucia andarono molti saldali armati dalle strade di Palazzo alcun 'altra Compagnia, e da S.ta Maria dell 'Angeli I 'altre, in modo ch e dopo aver combattuto assai valorosam. ( ent)e li Spag. (no )li acquistorno quel Posto con mortalità di più di 200 Spag.(n.o)li" Xlii mentre un trombettiere regio annunciava che sarebbe stato trattato da traditore chiunque non si fosse messo al seguito dello stendardo reale "... e con tale ordine Li Spagnoli si avanzano nella strada della Corsia, come anco verso la Chiesa di S.Maria della nuova, dove gli furono sparate molte moschettate dal popolo, et avanzati gli Spag.(no)li al/i 6 sino alla porta dello Spirito Santo, seguì una gr.an zuffa, occupando gli Spagnoli essa porta, con le fosse del grano, le quali però a/li 7 doppo gran combattimento furono ricuperate dal popolo, procurando li Spagnoli con ogni potere di ridurre all'obedienza esso Popolo" X TV. Don Giovanni sbarcò e andò ad ahitare nel palazzo reale, convinto che la situazione fosse sotto controllo. Ciò che importava era il possesso delle porte e dei magazzini dei viveri. Chi li aveva teneva in pugno la cittadinanza. Nel frattempo intorno a Capua si andavano concentrando i fedeli alla Spagna, prevalentemente aristocratici coi loro militi, pronti ad entrare in città.

x 11 Idem, pag. 143 recto e verso. Xlii Bartolomeo Capra, Lettera da Aversa dcll' 8 ottobre 1647, trascritta in Archivio di Slalo di Roma, Effemeridi Cartari - Febei, busta 74, pag. 204. xiv Idem, pag. 202 recto.


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Ma il popolo reagì. Si concentrò a Piazza del Mercalo, Santa Lucia del Monte, ali' Avinaro e a Santa Chiara, che era stata perduta e recuperata_, e cominciò un ferocissimo combattimento casa per casa: "... le donne dalle fenestre gettavano pignatte 33 e mortari, e pietre e pezzi d'astrichi sopra delle genti, che esse cognossevano che andavano contro il Popolo. Li Castelli continuam.te tiravano, et abbattevano le case della Conciaria, l'Avinaro, e Sellaria" xv. I partitanti spagnoli, valutali a 25.000, erano chiusi in casa, mentre i popolani combattenti, calcolati in 100.000, erano tutti in strada. Don Giovanni d'Austria, appreso l'accaduto, "fece calare da 500 fiamminghi quali parte armati di Moschetti e parte con picche, e si portarono alla Concieria, dove in diverse parti iettorno Cannoni difuocn artijì,ciato, e 1vanate in modo che bruxiorno una quantità de Case... Dal posto di S.ta Lucia del Monte il Popolo con quattro Cannoni cannonavano li Castelli, Dalla torre di S.ta Maria del Carmine con più cannoni comballe contro li Vas selli, tre dei quali ne ha mandato a Jundo assieme a una Galera di S.ta Chiara, anco abbatte il castello, et è andato sotto il Castello di S.Elmo per farvi di nuovo le mine cominciate nel p.(assa)to tumulto, mà da quei defensori sono molti Napoletani stati uccisi" xv i. Domen ica sera le fosse del grano vennero riprese dal popolo, che pe rò perse la Porta dello Spirito Santo che, pur guarnita <la 1.000 uomini, fu presa di sorpresa da soli 300 spagnoli. A questo punto diventa impossibi le seguire nei particol ari quanto avvenne senza dilungarsi troppo. In sintesi: gli Spagnoli riuscirono a mantenere sollo controllo il triangolo compreso fra i tre castelli dell'Ovo, Nuovo e Sant'Elmo, in cui si trovavano il Palazzo Reale, l'Arsenale e il porto delle galere. Gli insorti stabilirono il loro quartiere generale in piazza del Mercalo, organizzarono un allracco fuori del tiro dei cannoni regi al Carmine e la zona intorno a via Toledo divenne la linea del fuoco. Entrambi i contendenti avevano però gravi problemi strategici e politici da affrontare. ln primo luogo la sussistenza. La Spagna poteva far affl uire rinforzi, ma non era in grado di nutrirli. In breve il prezzo delle derrate salì enorme-

33 Intende dire che svuotavano pignatte d' acqua bollente addosso agli Spagnoli avanzanti, come poco oltre, parlando di mo1tari, si tratta di mortai da c uc ina in pietra, mentre i pezzi d'astrichi sono i pezzi.di pavime nto dei tetti delle case, a llora piatti, fatti d' un impasto di calce, pozzolana e pietrisco. XV Archivio di Stato di Roma, Effemeridi Cartari - Febei, busta 74, De Neapolitano tumulllt, pag. 202 verso. xvi Cartari, cit, pag . 206, verso.


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mente a causa della loro scarsezza e rese impossibile mantenere truppe oltre un certo numero. Lo stesso assillo avevano i popolani e cercarono d' impadronirsi delle porte cittadine per avere contatti coll 'esterno. I Regi tentarono d'impedirlo ma non riuscirono, di conseguenza la rivolta si estese progressivamente al retroterra napoletano. Non potendo attingere alle risorse alimentari locali, gli Spagnoli adoperarono la fl otta per rastrellare viveri sul litorale e si valsero dei nobili, rimasti quasi tutti fedeli, domandando loro di combattere i rivoltosi unendo le loro milizie feudali alle truppe regolari. Ne risultò per la rivoluzione la necessità di allargarsi o perire. Da un lato occorreva ampliare il raggio di requisizione delle vettovaglie , dall 'altro andava aumentata la zona controllata mili tam1ente per attutire gli sforzi offensivi avversari ed impedire la cong iunzione delle truppe dell'entroterra campano con quelle presenti in città. TI Popolo - così venivano indicati i rivoltosi nei doc umenti del tempo si avvalse dell'aiuto di uffa:iali dell'esercito regolare, nobili in disgrazia o in ritiro, e si organizzò militarmente in modo veramente pericoloso per la corona. T,e operazioni si svilupparono in tre diverse direzioni seguendo pressappoco lo stesso schema. In città si strinsero i forti sempre più da vicino, bombardandoli non tanto per prenderli, quanto per impedire alle guarnigioni di effettuare sortite. Contemporaneamente si costruirono trinceramenti e piazzole per interdire i movime nti dei regolari e garantire al Popolo le comunicazioni coll 'esterno. Al di fuori delle mura, dopo aver respinto parecchie pericolose puntate offensive di milizie baronali o di grosse bande di delinquenti - fino a più di 600 banditi - al servizio di questo o quel nobile, cominciarono a muoversi delle vere e proprie colonne mobili miste di fanteria e cavalleria, dotate anc he di cannoni, generalmente di piccolo e medio calibro, la c ui forza era nell'ordine delle migliaia di uomini. Di solito, a quanto si deduce dalle cronache del tempo, ogni colonna contava non meno di 2.000 e non più di 4.000 uomini. ln qualche caso eccezionale potevano scendere sui 500 o eccedere i 4.000, ma accadeva sempre e solo per adeguare l'impatto offensivo alle dimensioni dell'obiettivo. Queste colonne vennero irraggiate da Napoli nel resto della Campania al doppio scopo di arrivare per primi ai depositi alimentari e respingere progressivamente il nemico. Nell'arco dei circa 9 mesi della ri volta, le truppe popolari, inquadrate abbastanza regolarmente da ufficiali appositamente pagati col denaro battuto dalla " Regia Repubblica Napol etana" dotate di una propri a bandiera "uno Stendardo co l ' lmaxine della


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Cùv Paoleui

Madonna del Carmine et un'Insegna nera, e rossa" xvn e, a quanto si capisce, di propri distintivi, eslesero il loro controllo sulla fascia litoranea compresa fra Terracina e Sorrento, impedendo quasi sempre alle navi spagnole l'attracco per il rifornimento dei viveri o delJ'acqua dolce. All'interno i Popolari ballerono ripetutamente i regolari e i regi ed arrivarono fino a Benevento ed Aversa. E' impossib ile fare un conto esatto delle loro forze, ma, sulla base delle cronache e delJe letlere pervenute fino a noi, si può sostenere molto ragionevolmente che nel periodo invernale abbiano raggiunto e forse superato, tra "regolari" e volontari , dentro e fuori la città di Napoli, le 200.000 unità. Specie se si considerano le dimensioni degli eserciti del1'epoca, difficilmente superiori ai 50.000 uomini anche in piena guerra, è una cifra enorme che può indurre a contestazioni. È però abbaslanza facile dimostrarne la fondatezza . Basta pensare che all'indomani dei combattimenli dei primi di ottobre, solo da Cava arrivarono 5.000 popolani di rinforzo; e altri 14.000 dalle città dei dintorni "e portarono anco alcuni pezzi di artiglieria" xvm.

Considerando poi un elemento che sfugge spesso e cioé che la rivolta non rimase circoscritta né a Napoli né alla Campania, ma si estese in tutto il Regno, si può arrivare senza difficoltà ad accettare la cifra di 200.000 comhattenti. E che di uomini ce ne fossero a iosa è indirettamente confennato da due folti. Già in ollobre da Napoli furono mandati messaggi in Puglia, Calabria ed altre regioni chiedendo soccorsi in uomini, viveri e munizioni; ma quando i Calabresi offrirono "buon numero di Soldati" XTX furono momentaneamenle rifiulati perché a Napoli non ne servivano altri. Questo sarebbe stato comprensibile alla luce delle difficoltà di vettovagliamento incontrate all'epoca dalla città se la forza degli insorti non fosse slala soggetta a variazioni, se cioé i combattimenti fossero stati poco cruenti ; ma quando apprendiamo che proprio in ottobre, nell'arco di tempo compreso fra la sera del secondo Sabato d'ottobre e la mattina del Lunedì successivo "si sono ritrovati.fin hora li morti dell'una e dell'altra pmte da circa 7000 q(ua)li si sono sepolti" xx e scorrendo le cronache e le lettere relative ai mesi seguenti scopriamo che perdite tali sono la nonna di ogni combattimento cittadino, viene da riflettere che dovevano essere veramente tanti per rifiulare ulleriori rinfon:i col pretesto che non servivano.

Cartari, c it, pag. 208, recto. Idem, pag. 207, recto. XIX Cartari, cit, ivi. xx JL,iùem, pag . 208, recto. XV II

XVIII


L'Italia e la guerra dei Tre11t'a1111i

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Cosa accadde nel resto dell'Italia Meridionale è oggi quasi del tutto dimenticato. Nessuno ricorda più che in Abruzzo solo L' Aquila e Pescara rimasero in polere della corona di Spagna, che in Puglia la rivoluzione divampò ferocemente cacciando le forze regolari delle maggiori città, che la Calabria divenne terra insorta in cui poche zone si mantenevano fedeli alla Spagna per l'energia del feudalario da cui dipendevano, che la Basilicata fu completamente sottratta al potere reg io. Jn tutti questi territori s i formavano e si aggiravano colonne mobili simili a quelle napoletane, anche se di forza inferiore e a volle capeggiate da banditi, che combattevano i regolari e 1e milizie baronali, inviando a Napoli via terra derrate e rinforzi in armi e uomini. Facciamo un esempio: nelJ'uJtima decade di novembre neJla zona di Salerno 2.500 fra regolari e baronali furono affrontati e battuti da 8.000 popolari con una perdita complessiva di 500 morti fra le due parti; nello stesso momento a Napoli erano in azione circa 4.500 soldati regi, impegnali in combattimenti casa per casa tra Porta di Chiaia, Via Toledo e le carceri di San Giacomo - il che implicava la presenza di altrettante forze regolari ferme a presidio dei fortini e dei ca<;telli e fissava in città un numero di comhattenti avversari almeno pari e probabilmente doppio - mentre dalla Puglia stavano arrivando 4 .000 tra fanti e cavalieri popolari. Contemporaneamente circa 8.000 rivoluzionari assalivano Aversa, difesa da 1.600 uomini. In cinque ore spararono 100 cannonate e presero la città, perdendo 700 uomini contro soli 300 difensori e catturando 300 soldali italiani 34 e 600 banditi assoldati dai nobili. Mentre venivano portati a Napoli i primi e le teste dei secondi, 6.000 fanti e 1.000 cavalieri Popolari proseguirono da Aversa a Capua per assediarla. Sono pochi dati, ma forniscono una chiara idea della situazione militare. Poi c' era l'aspetto politico. Quel che accadeva a Napoli stava facendo il giro d'Europa, venendo inteso subito con molto interesse a Parigi: il moto poteva essere sfruttato vantaggiosamente neJle trattative in corso in Westfalia per metter fine aJla Guerra dei Trent'Anni; o magari se ne pote va cavare di più. Così si seppe al principio dell'autunno che i capi popolo

"hanno ricevuto più lettere de Francesi che si esibiscono in loro favore e non hanno voluto sentire nulla " xx i. Tanta indifferenza nei confronti

34 A questo proposito è interessante nota re <.:he <la alcuni n:soconli ritrovati a Roma, risulta <.:he i Popolari fa<.:evano prigionieri e trattavano bene solo i soldati italiani, ìindipendentemente da lla regione d'origine, m a non avevano nessuna pietà per quelli Spagno li né, come si vede qui, per i banditi, che venivano messi a morte molto più crudelmente degli s pagnoli catturati. Per contro gli insorti presi dai regi erano uccisi come traditori o condannati al remo sulle galere delle squadre navali s pagnola, sarda, sic iliana e napoletana, tulle presenti, in parte o al comp leto, nelle a<.:4ue di Napoli. xx1 Canari, o p. cit, ivi.


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Ciro Paoleu i

della Francia sarebbe durala poco. Come abbiamo detto in quel momento il problema principale consisteva per i contendenti nel controllo dell'afflusso dei v iveri. Entrambi dipendevano dalla produz ione agricola dell' entroterra ed entrambi tentavano di impedire al rispettivo nemico l'approvigionamento: gli Spagnoli perché avevano capito che era l'unico sistema per sottomettere una c ittà così grande; i Napoletani perché sapevano che la flotta e le truppe del Re non avendo da mangiare sarebbero state costrette a partire o ad arrendersi. Era quindi fondamentale sia il possesso delle porte cittadine, sia il controllo delle coste. I Popolari avevano le prime; le seconde passavano di mano in mano. Ma col trascorrere del tempo le forze spagnole sembrarono aumentare, perché la marina stava compiendo uno sforzo senza pari e incrementava il trasporto di vettovaglie e muni zioni per consentire all 'esercito di au mentare gli effettivi in zona d'operazioni e vincere. Venne allora pubblicato il "Manifesto del fedelissimo Popolo di Napoli" XXII, nel quale si chiariva che il motivo principale dell'insurrezione era il crescente e intollerahile carico fiscale s ulle classi più povere. Alle

rimostranze popolari si era risposto colle armi; e la città era stata assalita da più di 3.000 cannoni e 40 legni 35, per questo motivo Napoli si rivolgeva a tutti i titolari di sovranità in Europa, nessuno escluso, per farsi aiutare. Era quello che la Francia aspettava. Impegnata all'ultimo sangue nella fase finale della guerra dei Trent'Anni, la Corte di Parigi, lo abbiamo visto, s i era g ià fatta avanti , venendo dignitosamente respinta. Ma ora il popolo napoletano cominciava ad accorgersi che il valore ed il numero non bastavano a contrastare l'enorme potenza militare del Re di Spagna ed occorreva un a iuto potente , da qualsiasi parte venisse. li manifesto aveva parlato chiaro a chi sapeva ascoltare ed era stato capito da chi aveva il maggior interesse ad intromettersi. Fu così che " Die Sabbati 2 ° Mensis Novembris. Dicto mane audiebantur che il Sig. Ca rd. Mazzarini, assieme con l'Ambasciatore di Francia, havevano sottoscritto tre capitoli aggiustati con il Popolo di Napoli. ...di questo tenore: ... Che la Corona di Francia pigliarà in protettione il Popolo di Napoli; nè mai pretenderà altro, che la sola protettione di esso Popolo, Che lo difenderà da Spagnoli, et à guerra fini ta gli darà certa quantità di gente, e munitioni.

XX II " Mani fes to del fedeli ssimo Popolo di Napoli", in C artari, op. cit., pagg. 2 15 recto 2 18 re<.:Lo, copia a mano di originale a s tampa. 35 Anche calcolando una media di 50 cannoni per vascello e di 5 per gale ra, per raggiunge re una cifra così alta fu evidentemente computato p ure l"insieme delle bocche da fuoco dei tTc C<Jstelli c iWulini.


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Che per tal protettione, il Popolo di Napoli darà con titolo di donati vo alla Corona di Francia ogn 'anno quella somma di denaro, che nel tempo della ratificaz. e de' detti Capitoli dichiararà la d.a Corona" xx111. Ma il fine principale dei regi era adesso quello d' impedire il contatto fra Napoli e l'ambasciatore franc ese a Roma. Non ci riuscirono; e d Enrico di Lorena, duca di Guisa, partì da Fiumicino su un convoglio di 11 feluche con 20 ufficiali reduci da Piombino. Il 15, nonostante un tentativo d ' intercettazione da parte di cinque galere nelle acque tra Gaeta e Ponza, arrivò a Napoli e ricevé dal Popolo il bastone del comando, giurando fedeltà alla Regia Repubblica. L'arrivo entusiasmò i ribelli. Le compagnie furono rinforzate, gli abitanti di Chiaia e Posillipo aderirono definitivamente alla rivoluzione, i paesi circostanti mandarono grandi quantità di viveri e furono create una fonde ri a di cannoni e una polveriera a Piazza del Mercato. Finalmente, nella prima quindicina di dicembre, si seppe che la flotta francese attendeva solo il vento propizio per far vela all a volta di Napoli. Pu una brutta notizia per gli Spagnoli. Erano costretti a rimanere sulla difens iva per mancanza di viveri (nei loro quartieri se ne trovavano ma a prezzi molto alli), di foraggi e di forze; e i baroni ogni giorno vedevano assottigliars i le file delle loro milizie perché non potevano pagarle né nutrirle. D'altra parte Guisa incoraggiava le diserzioni promette ndo, e dando regolarmente, uno zecchino a chi si fosse presentato. Pochi giorni dopo si seppe dell' ..uTivo a Livorno di tutta la squadra francese: 36 vascelli e 16 brulotti . li 10 dicembre gli Spagnoli scavarono altre trincee ed il Re contrasse a Genova un prestito di 200.000 scudi a favore di Don Giovanni cl' Au stria per le spese di guerra. Tutto rimase tranquillo per un 'altra setti mana; poi arrivaro no i Francesi e, dopo alcuni movimenti preliminari, la vigilia di Natale a largo di Napoli affrontarono la flotta spagnola, che si ritrasse colla perdita di 6 vascelli. Le reazioni in città furono favorevoli; ma l' arrivo della flotta sancì il definitivo predominio francese nella condotta della rivolta. Nei giorni seguenti si ridusse ancora l'attività navale, ma non quella terrestre, specialmente per la continua necessità di viveri da entrambe le parti. Le scaramucce continuavano in tutta la Campania per assicurarsi il controllo del territorio e delle fonti di vettovagliamento, mentre le navi francesi , rinfor-

xxm Canari op. cit.. pag. 222, recto.


Ciro !'110/e11i

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zate da cinque vascelli portoghesi, provvedevano a disturbare gli approvigionamenti via mare, intercettando un convoglio in arrivo dalla Calabria. Gli Spagnoli stavano attraversando un periodo difficile sia in mare sia a terra restarono fermi fino a gennaio, quando la partenza della squadra francese per andare a svernare a Tolone consentì loro di prendere il mare con una relativa tranquillità per appoggiare le operazioni terrestri. Diciamo relativa poiché a scorrere le cronache e le corrispondenze del periodo la situazione appare invece mutevolissima e caotica, con improvvise variazion i di forza dell ' una o dell 'altra parte dall 'oggi al domani ; e risulta chiaramente l'impossibilità cli riuscire a pianificare alcunc hé a lunga scadenza per entrambi i contendenti, sempre assillati dalla necessità di rifornirsi di viveri e muni zioni. Tanta incertezza indusse lo Stato Pontificio a preoccuparsi per la propria integrità e, d'ordine del Papa, vennero inviate nei territori di confine "alcune compaf!,nie di fanteria, che si trovavano in Roma, per tener f!,Uardate quelle frontiere da ogni invasione" XX IV. Ai primi di febbraio il governo di Madrid, sempre a corto di uomini ordinò ai propri rappresentanti a Firenze e.li assoldare i 1.000 svizzeri che il Granduca aveva congedato, per reimpiegarli ali' Aquila; e Don Gi ovanni d' Austri a pubblicò un paio di bandi per tentare di pacificare i rivoltosi, ma senza esito. 11 16 febbraio si seppe che la flotta francese arrivata a Tolone era stata posta in di sarmo, mentre a Madrid il re Filippo aveva ordinato la partenza per Napoli di una squadra di 24 vascelli, con 2.600 uomini e lettere di cambio per 600.000 scudi. In attesa del ritorno dei Francesi a Napoli e dell'arrivo degli Spagnoli , le operazioni militari e le insurrezioni locali continuarono in tutto il Regno ed entrò in funzione la famosa fonderia di cannoni di l'iazza del Mercato, colla gettata di alcuni pezzi " di 16 palmi i'urio ' . xxv. Don Giovanni d '-Austri a proseguì nella sua politica conciliatoria , anche e soprattutto perché non disponeva di forze suìficienti ad attaccare con successo, ed insisté nei tentativi di corruzione, arrivando vic ino all 'obiettivo quando riuscl a Jomentare una mezza sollevazione contro Enrico di Lorena il 28 febbraio. Del resto la posizione dei popolari non appariva più tanto solida. Il Duca di Guisa era preoccupato, si sapeva debole, aveva preso parecchje precauzioni per paura di un complotto contro la sua vita e aveva spedito a

XXIV

Cartari op. cit, busta 75, pag.34, recto.

xxv Idem, ivi.


L'flalia e la guerra dei Tre111 'a11ni

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Roma il capitano della sua guardia perché sollecitasse, tramite gli ambasciatori di Francia presso la Santa Sede, la partenza della flotta da Tolone. Dal canto loro gli Spagnoli stavano muovendo tutte le forze disponibili e tentavano ogni via per vincere. A Milano si stavano radunando rinforzi destinati a Napoli, altrettanto si faceva in Spagna. Il 28 marzo si seppe che era stata scoperta una congiura per uccidere Enrico di Lorena il giorno dell'Annunciazione. I colpevoli vennero arrestati e condannati a morte, ma fu uno degli ultimi atti del governo della Regia Repubblica Napoletana. Per il momento comunque l'attività militare procedeva imperterrita. Altri rinforzi spagnoli giunsero nei giorni seguenti mentre nel Regno proseguivano i combattimenti. Poi improvvisamente il 6 aprile si sparse la notizia che la rivolta era finita: la Spagna aveva giocato bene la carta della corruzione e della cong iura. Don Juan de Onate e altri ministri reg i "aggiustata l'intelligenza col Generale Gennàro Annese di consegnarli alcuni posti ... il lun.nli matina su Le 19 horefecero dare l'assalto à tutti li posti, e mentre iL Duca di Ghisa accorreva alla difesa di quelli, d.0 An.nese introdusse li Spagnoli nel posto di S. Sehastiano vicino al Giesù, e d 'indi portatosi al posto del Carmine, anco quello subito si rese, et à questo accorrendo il popolo nobile, cominciò a gridare, Viva Spagna, del che ~paventati li popolari, gettorno le armi in terra, e presidiati da Spagnoli detti posti, il d. 0 Se.mo Don Giovanni d'Austria si porto col Conte d ' Ognate, et Eminen.mo Filomarini alla Chiesa del Carmine, dove fù cantato il Te Deum, e... fo poi saccheggiato il Palazzo del Duca di Ghisa, il quale essendo fuggito da Napoli per ritirarsi à Benevanto, fu vicino a Capua dal generale della Cavalleria Pode rici sovrappreso, e fallo prigioniero con molte sue Camerate, conducendolo in quella Città " xxvr, dove fu lascialo libero, sulla parola, di girare per l'abitato. Il primo atto del ripristinato Governo regio fu il proclama con cui Don Giovanni d' Austria, ben conscio della de bolezza della Spagna, perdonava tutti e concedeva tutto, o poco meno, arrivando addirittura a riconoscere i gradi e i brevetti concessi della Regia Repubblica ai propri uffic iali , come se fosse stata un'emanazione legale del governo regio asburgico. La situazione rientrò lentamente nella normalità anche nelle altre zone del Regno e la pace scese sull ' Italia Meridionale. C i sarebbe rimasta fino alla rivolta di Messina trent'anni dopo.

xx v 1 Cartari , op. cit. , busta 75, pag. '/6, recto.


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Cùv Paolelli

Quella di Napoli fu l'ultima operazione italiana legata alla Guerra dei Trent'Anni, perché alla fine dell'inverno 1648 Spagna e Olanda firmarono il primo dei trattati deJla Pace di Westfalia.

La pace Come si sa, le prime proposizioni di pace erano state avanzate per ordine del Papa da parte del nunzio Ginetti a Colonia nel 1636. I colloqui incominciati anni dopo a Mi.inster furono seguiti anche dai ministri di Savoia, Toscana e Mantova, ma i] ruolo più importante fu rivestito dall'ambasciatore veneziano Contarini e dal nunzio pontificio Chigi , ai quali era stata affidata la mediazione fra Cattolici e Protestanti. E' vero che la loro attività fu poi surclassata dai contatti diretti e personali presi fra gli ambasciatori più importanti, specialmente dopo l'arrivo di quello imperiale, ma la mediazione di tutta la prima patte del congresso fu nelle loro mani. I Trattati di Westfalia apparentemente confermarono la statu quo ante in It_alia, ma la concessione alla Francia cli Pinerolo, chiave del passaggio delle Alpi, e la conferma di Mantova al duca di Nevers costituivano due fondamentali teste di ponte mediante le quali l'influenza francese ricompariva in Italia. Avrebbe continuato ad aumentarvi fino alla guerra della Grande Alleanza e sarebbe scomparsa solo colla battaglia di Torino del 1706. Nel complesso è evidente che il ruolo del!' Italia, meglio: degli Italiani, nella Guerra dei Trent'Anni fu importantissimo e per certi aspdti fondamentale. L'inizio del conflitto fu influenzato, per non dire determinato, dal desiderio di Venezia e dei Savoia d'indebolire la minacciosa potenza degli Asburgo. Il proseguimento dopo la Montagna Bianca fu possibile solo grazie agli uomini ed agli aiuti finanziari dati dall ' ltalia alla Spagna ed all'Imperatore. Senza l'Italia la guerra non sarebbe scoppiata, o almeno non neJla maniera che conosciamo, e non avrebbe potuto continuare. Coll'apporto italiano durò trent' anni.


L'Italia e la guerra dei Treni 'anni

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Il Cardinale Mau arino

Incisione raffigurante il Cardinale de Richelieu che tiene incatenati il leon~ spagnolo e l'aquila imperiale e in mano il globo terracqueo incoronato e fregialo dai gigli dei Borboni di Francia


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Ciro Paolelli

Il Cardinale Maurizio di Savoia nel 1628

L'assedio di Vercelli del 1638; nell'ovale, rilralto del marchese di Legan.es


l 'Italia e la KUerm dei Trent 'anni

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(ìomez Suarez De Figuema, Duca di rèria, Governatore e Capitano generale dello Stato di Milano dal /6/8 al /626, in appara/o mili/are, sullo sfondo del Caslello Sforzesco. Incisione di Cesare Bassano su dise,?no d i Camillo Procaccini


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Ciro Pan/etti

J\mhrogìo Spùwlu, Governatori' I' Capitano gemmi/e dello Srato di Milano, in una incisioni' relehrativa delle sue imprese

militari nei Paesi Rassi ~pugno/i

1:,·,uico Duca di Guisu


L'Italia e la guerra ,lei Trent'anni

2 19

Carlo r:mamwle I nuca di Savoia

Papa Urbano VIII


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Cùv Pao/etti

Casale nel Monferrato assediata dalle truppe del Marchese Ambrogio Spinola, nel 163 0. Incisione


MAURIZIO R UFFO

FRANZENSFESTE - LA FORTEZZA DI FRANCESCO I STORTA DT UNA FORTEZZA


Maurizio R,.,ffò

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l Stemma arafdico in pietra, raffiguranle l'aquila bicipite imperiate austriaca con wttostan.te tar1:a commemorativa, pos1a in opera sopra la porta d'in1:resso del forte. Negli anni Venti de( XX secolo, l'aquila imperiate venne rimossa e depositata presso l'Istituto Storico e di Cultura dell'Arma del Genio in Roma, ove si trova conservala tuttora; la tar1:a, invece, è rimasw sul posto ed è ancora 01:gi visibile. (Ricostruzione grafica del KCn. B. ris. Gian Piero Sciocchetti - 'frento)


Fmnzensfeste - La Furteua di Francesco I

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1. La storia della fortezza Nel 1801, mentre in Europa gli eserciti napoleonici avevano ragione di ogni avversario, l' Arciduca Giovanni d'Austria 1, tredicesimo figlio di Leopoldo II e fratello dell ' Imperatore, venne nominalo, a soli 19 anni, direttore del genio e delle fortificazioni. Appena assunta la carica il giovane Asburgo ebbe modo di visitare, tra il l801 cd il 1804, il Tirolo, la Carinzia, la Slovenia e l' Italia settentrionale per rendersi conto di persona della situazione geostrategica dei confini meridionali dell'impero. Tn seguito a queste visite, già negli anni tra 1802 cd il 1804, l'arciduca mise mano allo studio ed alla progettazione di importanti opere fortificatorie poste a difesa dei territori del!' impero a Sud delle Alpi, effettuando i rilevamenti topografici dei luoghi da proteggere già individuati nel corso di quei viaggi. Tuttavia la mancanza di tempo, la perdita del Tirolo 2 nel 1805, la sconfitta del 1809 cd il rapido depauperame nto delle lìnanze pubbliche, provate dalle continue guerre contro l'espansionismo napoleonico, non consentivano di procedere alla costruzione di grandi opere. Ci si doveva, quindi , limitare alla realizzazione di piccoli accampamenti fortificati o di forti in terra il cui compito, come avevano dimostrato in maniera eccellente le guarnigioni dei due piccoli sbarramenti sili in Carinzia presso Malborghetto ed il Predii 3, era di dare un tempo d'arresto ali' invasore logorandone, il più possibile, le forze.

I Giovanni d ' Asburgo: nato a Piren~.e nel 1782. Nonostante la sua giovane età dimoslrt'1 di essere uno dei più valenti ufficiali del genio. Profornlo conoscilOre di tulle le problematiche rela1ive la coslruzionc delle fortificazioni, ideò la costrnzionc del Politecnico di Graz, culla dei più vale nti ingegneri de ll'impero asburgico. Nel 1849, al termine della sua carriera militare , si ritirò a Scena, nei pressi di Merano, ove visse, contornato dall'affe tto de i suoi fedeliss imi Tirolesi. fino al 1859 quando ne sopravvenne la mo11e. 2 A ll' iniz io del X IX secolo con il toponimo Timlo s i intendeva l'attuale Trentino-Alto Adige e la provincia austriaca di lnnshruc h ; era ahresì usalo anche il nominativo di Trentino per indicare la provincia <li Trento. Dopo i moli rivoluzionari de l 1848, a l lermi ne dei quali con una petizione popolare di 5.000 lìrme fu c hiesto, invano, all' Imperatore di staccare il Trentino dal Tirolo per aggregarlo al Lombardo-Veneto, fu vietato di utilizzare la denominazione di Tre ntino nei documenti ufficiali per sostituirla con: Tirolo meridionale o Tirolo italiano. Qui, con il termine Tirolo, c i s i riferirà sempre all 'orig inario sig nificato topono mastico ashurgico. 3 L'epica res istenza dei due presidi contro l'anpata francese nel 1809 fu celehrata dagli Austriaci intito lando i due forti che, successivamente, costruirono a Malhorghell.o ed al passo del Pred il, rispeuivamenle a l cap. ing. Friedrich H c nsel, il pri mo, cd al cap. ing. Johann H crmann von Hcrmannsdorf, il secondo. I due uffic iali erano i progettisti e direttori de i lavori de i due piccoli sbarramenti, in costruzione, di cui dovettero anche assume rne il comando per cont rastare I' avanrnta delle forze na poleonic he dall'Ita lia verso Vienna.


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Maurizio Ruffo

Pur seguendo questa filosofia difensiva si era, però, ritenuto utile costruire nei pressi di Bressanone, accanto alle fortificazioni minori, una grande fortezza che costituisse, ad un tempo, un deposito ed un arsenale per tutto il Tirolo. Benché, nel contempo, il congresso di Vienna avesse sancito il nuovo assetto dell' Europa, si ritenne tuttavia opportuno proseguire negl i studi e nella progettazione di nuove opere fortificate, convinti della necessità della realizzazione di un' opportuna cintura difensiva in grado di assicurare la sicurezza dei territori austriaci . Così, nel 1816, l'Imperatore Francesco I ordinò di riparare le mura di Scharnitz, Rattenbcrg e Trento, ma non prese nemmeno in considerazione la proposta, formulata nel 1820 dall'Arciduca Giovanni, di potenziare la zona di Bressanone con la costruzione di una fortezza di Ia categoria e quella di Trento con una di 2a. Nel frattempo, in seguito ali' esperienza maturata durante le guerre napoleoniche gli stati germanici rite nn ero di costituirs i in una lega Tedesca (der Deutsehe Bund), presieduta da ll ' Austria, che altro non era

se non una convenzione di natura militare, con lo scopo, tra gli altri, di costruire una fitta rete di fortificazioni nei punti geografici più importanti dal punto di vista prettamente strategico. Nacquero, così, le grandi fortifi cazioni di Magonza, Lussemburgo, Landau, Rastatt ed Ulma; la Prussia contribuì con la fortezza di Saarlouis. L' Arciduca Massimiliano d'Asburgo Este, in contrasto con le indicazioni del l' Arc iduca Giovanni , procedette alla fortificazione della città di Linz, ncll ' Alla Austria. Il contributo austtiaco al sistema di sicurezza comune, anche se non facevano parte diretta dell a De utsche Bund vera e propria, fu la realizzazione di quattro fortezze (il così dello Quadrilate ro) rispellivamente a Verona, Peschiera, Mantova e Legnago, con lo scopo di contrastare i movimenti frances i, prima, e quelli itali ani , dopo. Inoltre gli ammaestramenti di natura tattico-strategica, scaturiti dall 'e fficienza della resistenza opposta ai Francesi dai combattenti tirolesi di Peter Mayr nella stretta di Mezzaselva 4, che avevano suggerito la necessità di di sporre di una valida organizzazione difensiva più a valle, e le preoccupazioni che le popolaz ioni italiane, divise e frazionate dal Congresso di Vienna in una mi riade di staterelli, insorgessero contro la

4 La stretta di Mezzasclva è un punto di notevole rilevanza tattico-strategica che si trova c,;in:a a mezza strada tra la c,;on<.:a di l3ressanone e 4uc lla <li Vipiteno.


Franzemfeste - ut Fortezza di Francesco I

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Pote nza egemone ne l Nord-Italia, avevano suggerito come ineluttabile la costruzione di un potente sistema difensivo che fosse in grado di impedi re ulteriori offese ai centri nevralgici de ll ' Impero. 11 passo del Brennero doveva, quindi , essere protetto da un 'opera di la categoria a Nord di Aicha 5, che fosse in grado di sbarrare le provenienze dalla valle de l I' Isarco e , nello stesso tempo, impedire l'accesso all a Carinzia attraverso la val Pusteria; inoltre era necessario procedere alla realizzazione di un'opera di 2a categoria nei pressi di Trento, con il compito di arrestare le provenienze dalla valle dell' Adige, dalla Valsugana e dal lago di Garda attraverso le San:he. Su questi presupposti nasceva l'opera che si rivelò la più costosa dell'intero sistema difensivo austro-ungarico e, per ironia della sorte, la più inutile in qua nto non fu mai il perno di alcuna operazione militare. Il 22 luglio 1833, dopo che erano stati portati a termine ampi lavori preliminari, il tenente generale Conte Latour, in rappresentanza dell' Arciduca Giovanni , diede l' autorizza zione di procedere all a costru z ione di una fortezza nella zona di Aica, presso Ponte Alto 6, là uo ve la strada per la val Pusteria si biforca da quella del Brennero. TI progetto venne redatto dal maggiore generale Franz von Scholl il 31 marzo 1833 , mentre la direzione superiore dei lavori, iniziati subito e protrattesi fino al 1838, fu affidala al colonnello Karl von Martony-Koszech. Questi era un oriundo ungherese che, per i meriti acquisiti nella conduzione di questa poderosa fortezza, ritenuta dai contemporanei un capolavoro di ingegneria militare, venne elevato al rango nobiliare di barone. Ai lavori , che durarono tre anni , parteciparono circa 6.000 operai, la maggior parte dei quali erano italiani, che vennero alloggiati in alcuni baraccamenti costruiti apposta per l' occasione e dotati di servizi comuni. Per la cos truzione non si lesinò sui materia li cd infatti furono utili zzati c irca: 20 milioni di mattoni, 18.912 metri cubi di calce, 94.752 nù. di sabbia, 255.793 m .c. di granito e 82.97 1 m. lineari di legnarne 7_ L' imponenza del cantiere esigeva un' organi zzazione perfetta il cui pro-

5 i\icha: toponimo in lingua tedesca della località chiamala Aica in italiano; d'ora in avanti si userà quest'ultima denominazione. 6 Con il nome di Ponte Alto o Ponte di Ladritsch, si indicava il ponte in legno costru ito sulla gola <lcll'Isarco nel circond;.u-io dell'ahilalo di Aica. 7 Nei documenti utticiali dell 'epoca si parla di 20.000.000 Stuck Mauerziegel (mattoni ); 600.000 Kubikfoss Kalk ( 18.922 m.c. di calce); 3.000.000 Kubikfuss Sand (94 .752 m.c. di sabbia); 37.000 Kubikklafler (255.793 mc. di granito); 43.750 Klafter flrcnnholz (82 .97 1 m. di legna da ardere).


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blema più grosso era rappresentato dal trasporto dei materiali dalle fonti al luogo di utilizzo 8. Risultando, ed eccezione che per le fondamenta, inidoneo il materiale locale, si trovò dell'ottimo granito nei presi dell'abitato di Spinga, un piccolo paese situato nei pressi del cantiere verso la val Pusteria. Per il materiale calcareo si fece ricorso alle cave della vall e di Marebbe mentre i mattoni furono cotti sul posto utilizzando la legna dei boschi locali e l'argilla delle cave esistenti sul posto. L' intero costo assommò a due milioni e mezzo di fiori ni, una somma enorme, che si ingigantisce se viene paragonata alla fortezza di Virna, la Wilhel:;feste (fortezza di Guglielmo), molto simile ed il cui costo era stato di circa un milione e mezzo di fiorini . La fortezza è costituita da due corpi di fabbrica separati: il fork principale, sul fondo della valle dell 'Isarco, e quello superiore detto anche "cittadella", sito a 80 metri , ci rca, di dislivello su un dosso naturale dell a montagna, verso occidente ed in posizione dominante 9. Le due parti sono collegate da una s<.:ala sotterranea di 452 gradini, scavata nella roccia.

L'intero complesso era costituito da una serie di casermette affiancate e sovrapposte, a prova di bomba, in grado di ospitare 1.200 uomini , me ntre in tempo di pace l'opera era presidiata da soli 70 uomini di guarnigione, e di piazzole per 130 pezzi <l'artiglieria. Tra il forte principale e la c ittade lla si sviluppava la strada del Brennero e, successivamente, ne l 187 1 la ferrovia, mentre la strada per la Pusteria costeggiava i bastioni meridionali del forte principale. Con la consacrazione della fortezza da parte del Principe-Vescovo d i Bressanone, l'intera opera venne inaugurata il 18 agosto del 1838 all a presenza dell'Imperatore Ferdinando I, dell' Imperatrice Maria Antonia, figlia di Vittorio Emanuele I Re di Piemonte e Sardegna, dell ' Arciduca Giovanni, di numerosi veterani delle guerre napoleoniche e delle compagnie di bersaglieri tirolesi 10, nonché numerosi abitanti dei dintorni. Al momento dell ' inaugurazione venne scoperta, sul portale principale, l'iscrizione. FRANCISCUS I INCHOAVIT ANNI IX33. FERDINANDUS I PERFECIT ANNO IR38, sormontata da un'aquil a bicipite, posta a sintetizzare le vicende che ne caratterizzarono la costruzione.

8 Pe r il trasporto del materiale necessario furono effettuati una media di 587 viaggi giornalieri di traini di coppie di cavalli o buoi da Bressanone, Novacella, Aica e Sciaves. 9 Per meglio simboleggiare la fum.ione <lei <lue manu fatti si usava <lire c he: in basso fa buona guardia il leone, mentre in alto sorveglia /"aquila imperiale. 10 Il termine Sch(itzcn significa letteralmente " be rsaglie re" e non "tiratore" come alc uni autori sono soli ti tradurre.


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I lavori, tuttavia, proseguirono anche negli anni successivi con l' aggiunta e la consacrazione, il 22 ottobre 1845, di una cappella neogotica, anch' essa a prova di bomba, che precedette di poco l'insediamento di una guarnigione fissa di 70 fanti di un reggimento di fanteria ungherese. Con la costruzione della ferrovia della val Pusteria nel 187 1, ch e avrebbe costituto il più rapido collegamento tra il centro del Tirolo e la Carinzia, si dove tte procedere alla demolizione di un tratto della fortificazione de ll' opera principale onde consentirne l'attraversamento da parte delle nuova v ia ferrata. Da quel momento l'importanza dell' opera iniziò a diminuire venendo declassata al rango di deposito militare, nonosta nte che nel 1877 fosse stata armata con cannoni moderni. li I O novembre 1918 le truppe italiane ne e ntrarono in possesso senza trovare resis tenza; la fortezza, ormai antiquata , era utilizzata già da tempo solo come magazzino e ad un analogo impiego oltre che di polveriera fu destinata ti no ai giorni nostri 11. La Fortezza di Francesco I era stata un esemplare modello dell'arte fortificatoria neotedesca, tanto da essere definita unica in Austria e forse in Europa; tuttavia su di essa sorsero subito i dubbi sia dei tecnic i sia degli storic i: a che cosa serviva? Infatti così come era stata realizzata e soprattutto il luogo prescelto, non le avrebbero permesso di sbarrare la strada tra Bressanone e la val Pusteria, occorrendo, allo scopo, la realizzazione di un'opera accessoria sull 'altura di Naz-Sciaves, che però non venne mai realizzata. Inoltre la scelta di un ' altra loca lità più a S ud, come la stretta di Salorno , tra Trento e Bol z ano, o quell a di Chiu s a , tra Bol zano e Bressanone, avrebbe avuto più senso logico. Comunque la fortezza non venne mai provata in operazioni, ma, solo nel 1862, presa di mira dalla propria artiglieria che, per saggiarne la consistenza, la bersagliò con 13 granate che s i frantumarono completamente in una miriade di schegge all' impatto con le mura di granito. L' opera tuttavia rappresentava un ostacolo di cui era necessario tenerne conto ed il generale Cosenz, primo capo di stato maggiore italiano, nel s uo studio sulla condotta di possibili o perazioni contro l ' AustriaUngheria, redatto nel 1885, ne riteneva necessaria la conquista per poter procedere all 'occupazione dell' intero Tirolo.

11 Nel 1945, verso il fi ni re della seco nda guerra mondia le, nel forte di Forten.a vennero, momentaneamente, depositate una parte de lle riserve auree italiane e croate prelevate dalle SS tedesche in ritirata.


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Allo scopo aveva attivato tutta una serie di ricognizioni da parte di ufficiali, particolarmente preparati, tendente alla definizione, più esatta possibile, delle difese, dell' armamento e di tutte le notizie utili per un suo positivo investimento. Queste ricognizioni, perpetrate anche negli anni successivi e fino alla vigilia della prima guerra mondiale, si tradussero in una monografia che ne illustrava i tratti salienti.

2. La fortezza Come abbiamo accennato la fortezza è costituita da due parti be n distinte: quella superiore, più piccola, chiamata s ulle mappe austriache Ohjekt N° Ili 112 - Hohenwerk, s i spinge da un rilievo della montagna fino alla strada che corre sulla destra dell a vall e; quella inferiore, più grande e detta Talwerk, articolala in costruzioni erette nella parie pianeggiante che si estende dal centro della valle fino al margine del profondo solco in cui scorre il fiume Isarco. A queste due parti si aggiunge un Blockhaus esterno sito alla hase del pilastro di sostegno del ponte stradale che, sul margine orientale della fortezza, supera !'Isarco in direzione della val Pusteria. La parte alta, Hohenwerk o Cittadella secondo la dizione italiana, è collegata con il forte basso, come abbiamo detto, da una scala di 452 gradini, senza pianerottoli, e sita in una caverna coperta a volta, scavala nella roccia. L' intera opera era armata, ini zialmente, da 90 bocche da fuoco che, grazie all' ampio campo di tiro e la posizione dominante che permettevano un tiro teso, erano in gran parte cannoni 12; situazione abbastanza unica in un terreno montano dove la maggioranza dei forti era armata da obici, più versatili in montagna. 1 vari fabbricati erano predisposti anche per la difesa vicina presentando numerose postazioni per fuc ili , disposte su livelli divers i. La parte alta, indicata sulle piante con la lettera m aiuscola A, si eleva rispetto al forte principale di circa 80 metri ed aveva il compilo di impedire l'aggiramento dell 'opera in fondovalle sul suo lato occ identale ed impedire la risalita della valle lungo la strada del Brennero.

12 Le 90 bocche da fu oco erano così suddivise: 28 cannoni da difesa da 6 libbre, 4 cannoni da rnrnpagna da 6 lihhre, 44 cannoni da difesa da 12 libbre e 3 canno ni da 18 libbre. 4 obici da 7 libbre e 7 monai da 30 libbre.


Frar,zmsféste · La Fortn ,z,a di Frar,cesco I

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La pa rte bassa era orientata esclusivamente verso Sud e, sfruttando i rilievi del terreno, si sviluppa su tre livelli i più alti dei quali al centro. Questo è il vero nucleo dell' intera fortezza, concepito per battere l'intero fro nte meridionale con, s ulla cima del rilievo occupato da questa parte della costruzione, il fabbricato D, considerato la corona dell ' intero complesso cd efficace sull'intera fronte da Est ad Ovest. Per dare un livell a mento alle diffe re nze di quota del te rreno su cui sorge il forte principale, il fronte meridionale dei vari fabbricati è, pe r lunghi tratti, sostenuto da barbacani inclinati con il paramento costituito da pietre squadrate; tra questi e le pareti del forte corre, tutt'intorno, una risega di circa un metro di ampiezza. Inoltre, accan to alle varie postazioni , esistono tutte le palazzine di serv izio ad ini7.iare dagli alloggiamenti per il personale e dai depos it i di murnz1orn. S ul limite orientale, infine, c'è la profonda fo rra dcll'Isarco superata da un ponte stradale con, avvolta al suo pilone di sostegno, una bassa fortificazione: il Blockhaus.

3. Lafermvia All'epoca della progettazione e della reali zzazione della Fortezza di Francesco I non si parlava ancora della possibilità di costruire un'asse ferroviario lungo la vall e dell' Isarco ed una ferrovia che, attraverso la val Pustcria, unisse il Tirolo, cioè lnnsbruck, a Klagenfurt, in Carinzia, e per essa a Vienna. Solo negli anni sessanta iniziarono g li studi per la realizzazione di tali linee che, in particolare per qua nto riguardava quella lungo la val Pusteria, assumevano anche uno spiccato carattere militare e furono il frutto della collaborazione tra la Direzione Generale della Ferrovie Austriache ed il Ministero della Gue1rn asburgico. Tl tratto ferroviario lungo la val Pusteria trovava, infatti, la sua motivazione strategica con il raffreddame nto dei rapporti tra l'lmpero asburg ico e la Germania sfociati nell a guerra del 1866 e conclusasi con la sconfitta austriaca a Sadowa. L'Austria si vedeva pertanto costretta a disporre di un collegame nto tra il Tirolo a Vienna che non fosse costretto a passare attraverso il territorio tedesco, ma che garantisse sempre la più ampia libe rtà di transito. Per quanto riguardava l'asse Brennero-Bressanone il progetto prevedeva che il tracciato seguisse la sede stradale passando tra la cittadella ed il


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complesso principale senza toccare nessuno dei fabbricati , mentre più complesso si presentava il problema riguardante il tronco per la val Pusteria. Per questa seconda linea si trattava di farla, provenendo da Est, scendere a Bressanone per poi risalire verso il Brennero oppure di tenerla in quota passando per 1' abitato di Aica e, superata la profonda forra dell'Jsarco nei pressi di Ponte Alto, attraversare il corpo principale della fortezza per congiungersi all 'asse Brennero-Bressanone. Venne scelta questa seconda soluzione che presentava il doppio vantaggio di accorciare il tracciato e, facendolo passare attraverso il forte, di controllarlo agevolmente. La fortezza venne quindi "forata" nella sua parte meridionale e, pe; superare la profonda forra dell ' Isarco, venne realizzato un ponte, con campate metalliche poggianti su sei piloni di granito, lungo 165,17 m. ed alto 80 che rappresentò, nel 1872 anno d 'inaugurazione della ferro via, un'opera d'aJta ingegneria risultando uno dei più grandi d' Europa.

4. Documenti

Il seguente documento è la traduzione del progetto, scritto in grafia manuale, redatto nel 1833 dal maggior generale Scholl, con servato nell'Archivio di Stato di Vienna e tradotto a cura della 4a Direzione Genio Militare di Bolzano. I disegni allegati sono del 1833-1 834 e quindi non corrispondono esattamente alla descrizione seguente.


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PIAZZAFORTE DI FORTEZZA

Interno C) II. Fortezza n. I Questa descrizione si riferisce al piano di profilo, numero d'ufficio 42, ed al piano d'insieme, numero d' ufficio 45, cioè ai fogli lV e 11 della Direzione Generale del genio n. 377 dell'anno 1841. Archivio n. 70. Copie del fascicolo n. Il, sezione lettera A. Descrizione dei fogli allegali I e II contenenti il progetto non approvato delle fortificazioni presso Ponte Alto volute a1 massimo livello. (Il sottoscritto maggiore generale si trova al momento presente impedito da altri affari a commentare come si deve il citato progetto di massima per mezzo di un memoriale esauriente; chiede perciò che non siano decise modifiche definitive per il progetto, prima di aver benignamente dato al sottoscritto la possibilità di inserirle con deferenza in questa descrizione). Foglio Il, destinato ad essere posato sul foglio I. Lo scopo principale della fortificazione superiore A mira: in primo luogo a togliere al nemico la possibilità di approntare una strada percorribile con artiglieria sul versante destro della valle, per aggirare la fortificazione inferiore; in secondo luogo a tenere sotto efficace fuoco di fucileria il terreno B; in terzo luogo a distogliere il nemico dall'occupazione delle alture su quel lato; occupazione che, anche astraendo dalla citala via di aggiramento, sarebbe molto dannosa alla fortificazione inferiore sotto ogni punto di vista. La batteria in casamatta a, con tre feritoie per cannoni, fa fuoco contro il pendio b e spara con fucileria sulla parte superiore del terreno B; al riguardo l'orifizio delle feritoie ha la debita inclinazione. Scopo identico ai cannoni della batteria a ha il can none che può essere postato lungo il tratto attiguo della muraglia di recinzione c-d. Dalla muraglia di recinzione c-d-e-f, in cui il tratto c-d-e viene tenuto più basso del tratto e-f per non impedire la visuale alla batteria scoperta g, si spara con fucileria sul terreno B e le feritoie nel muro sono costruite in conforrnità. Poiché dietro questa muraglia e nella batteria g, non coperta da volta


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ed adatta anche ad obici, possono essere postati anche mortai che sparano pietre, palle e granate, si deve ammettere che per il nenùco sarebbe assai difficile postare hatterie sul pendio B, roccioso, cosparso di hlocchi precipitati ed esposto al fuoco molto efficace dei cannoni della fortificazione inferiore; pendio al quale egli può gi ungere solo avanzando sul terreno battuto dal massiccio fuoco della difesa, coperto di ben poca terra sopra le rocce o le pielre. La muragli a di recinzione h-i, situata sull 'altro lato della batteria in casamatta, con un cannone fa fuoco contro la parete rocciosa k, parete che impedisce al nemico di postare artiglieria più in alto. La hatteria in casamatta 1-m, dotata di due feritoie per cannoni , costituisce il fianco destro del fronte corrispondente. La cortina attigua a questo fianco è formata da una muraglia di recinzione, le cui feritoie per fucileria danno sia sul muro antistante più basso, sia sul corrispondente pendio ciel monte. La batteria n-o, dotata di due feritoie per cannon i, costituisce il ti ar)co sinistro del fronte. La hatteria in casamatta p-q fa fuoco contro la posizione delle chiuse di Varna e batte d' infilata il pendio antistante quella posizione e sul quale il ncnùco, se non fosse impedito, costruendo una possibile strada, come già detto, potrebbe far avanzare artiglie1ia contro la fortificazione in parola. A causa ciel terreno corrispondente, la parte destra cli questa batteria è più elevata dell a parte si nistra, cosicché il complesso risulta sistemato a gradini e, nella costruzione, la parte superiore di ogni gradino inferiore può essere dotata di un muro, per aumentare la potenza di fuoco. Tanto in considerazione del fuoco, quanto in considerazione degli alloggi, è pure conveniente erigere la parte superiore destra di questa batteria a due piani. La detta batteria è collegata alla batteria N .O. del fianco da una m uraglfa di recinzione, in modo da dare spazio ad un cannone rivolto contro il piede del ripido pe ndio superiore r, e da consentire fuoco di fucileri a tanto dalla cortina corrispondente, quanto dal fianco N-0 . (al di sopra di quella batteria). li versante montagnoso, su cui si trova la f011ificazione superiore A, è conformalo generalmente in modo tale, che le piene frananti dall'alto , con poche eccezioni, precipitano lungo le gole Se T ed oltre tali gole. Soltanto da un pendio minore, non molto alto e vicino alla gola, possono rotolare pietre conto la posizione del detto fortilizio superiore; ma assai raramente, come s i deduce dal rivestimento dei sassi caduti, rivelante che essi giacciono là da gran tempo.


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Un vero e proprio ghiaione si trova solo presso U; e scende fino a V e deve avanzare assai lentamente; infatti sulla s uperficie del ghiaione i sassi sono piccoli ed il loro rivestimento denota parimenti un 'epoca antica di assestamento. Se per la posizione in parola esistesse in generale pe1icolo di caduta di sassi, le gole situale fra i dossi della posizione si sarebbero per forza già colmate, mentre nelle gole non si notano pietre cadute di recente. Nella sistemazione della parte superiore destra dell'edificio, ove sta la batteria in casamatta P-Q, per tenersi più lontani dal ghiaione O, si pensò di cingere la sporgenza W soltanto con una muraglia di recinzione, che pcrmeUeva ivi l'apertura di due feritoie per cannoni verso la chiusa di Varna, e lasci visuale libera alla parte superiore della casamatta P-Q , situala dietro quei cannoni ; e si pensò di rialzare il trallo del muro X-Y (dotato in basso di feritoie per fucileri a, muro che sul davanti confina con il punto da far saltare), affinché dia una copertura laterale alla detta postazione scoperta di cannoni . Infine il complesso dell'edificio P-Q in casamatta fu annato anche per il caso che si dovesse 1ivelare opportuno far saltare la sporgenza W, invece di occuparla. Innalzando convenientemente la parte 1-P rivolta verso il pendio superiore del monte, si ottiene nel contempo un miglior defilamento dello zoccolo ri spetto al detto pendio e si può ovviare da ogni ragionevole pericolo di frane e sassi, fatte precipitare dal nemico; si ottiene ancora di più se i massi staccati e mobili del pendio roccioso vengono falli saltare e cadere e poi ado perati come pietre da costruzione. lnfine togli endo sassi a monte per edificare la fortezza, si allarga notevolmente lo spazio interposto, che può essere considerato come il fossato di quella zona. Nella cortina M-N , chiusa in gran parte da una muragli a, rafforzata considerevolmente nella parte bassa e dotata di feritoie, si trova una uscita protetta verso il suddetto spazio che fa eia fossato. Nell 'edificio Z, attiguo al fianco s ini stro, può essere tenuta la provvista di pol vere da sparo. L'edificio A'-B' serve al l'acquartieramento della guarnigione e per . altre necessità della vita. Dal muro C' -D' si può dar fuoco con la fucileria sul pendio antistante e sulla strada che conduce a Ponte Alto. Dalla muragli a C' -D ', dotata di feritoie per cannoni , si può sparare efficacemente contro la chiusa di Varna e lo spazio fra quella e la valle. Dai muri D ' -E' cd E-F', il quale ultimo s i alza a scalini verso F, si può aprire fuoco di fuc ileri a contro i pendii antistanti. Nel muro D ' -E' si trova un'uscita. protetta, da cui scend e un sentiero a serpentine, ancora da


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appronlare, percorribile anche da bestie da soma. In tempo di pace e in generale in assenza del nemico, su quel sentiero si effellua il collegamento con la fortificazione inferiore. Nell'edificio G' si trova un macchinario per mezzo del quale, lungo una scala coperta con volta, che porta ad H' , fornila di inlagli entro i qual i possono scorrere le ruote di un basso carrello per trasporti , si possono tirare su canne di cannoni ed altri materiali pesanti. In un locale a volta presso I' si lrova una seconda macchina elevatrice, a monte di una scala analoga che porta al blocco K'. Eccetto una costruzione a volta che sporge al di sopra del terreno presso LH', per dare aria e luce al collegamenlo, le suddette scale a volta, all'esterno della fortificazione A sono coperte di terra corrispondente al livello del suolo. Presso L è collocata in un locale a volta la terza macchina elevatrice, in corrispondenza del pozzo verticale che si trova in quel punto, pozzo profondo c irca 19 pertiche. Di fianco a tale pozzo è sistemala una scala a chiocciola. Sia il pozzo sia la scala a chiocciola sono protetti d a una copertura con forti strutture murarie a prova di bomba . Anche Le pareli laterali sono formate da muri spessi, resistenti alle cannonate nemiche. Si fa notare che, in caso di bombardamento, le macerie del muro più esterno del blocco K', rivolto al nemico, darebbero ulteriore protezione ai muri suddetti del pozzo. Fra i muri esterni succitati e quelli del pozzo e della scala. a chiocciola resta uno spazio sufficiente a consentire la postazione di cannoni. Le feritoie della muraglia d i questo lato rivolto verso il Ponte Allo sono eseguite in modo da poter sparare attraverso di esse anche verso il basso, con fucileria. Dal fondo di detto pozzo e della scala a chiocciola, una galleria sotterranea porta alla batteria della controscarpa presso M ' . Anche se un pozzo scavato in profondità per l'intero dislive llo (a riguardo del1o spazio adoperato per il montacarichi e per la scala a chiocciola), insieme aJla galleria sotterranea ed agli altri impianti accessori, dovesse costare meno del1' altro collegamento alternativo descritto prima, una scala a chiocciola così lunga risulta molto scomoda; inoltre l'esecuzione di un collegamento di questo tipo può essere iniziata contemporaneamente solo in pochi punti e quindi richiederebbe un lunghi ssimo spazio di lempo. I1 contrafforte (la fortificazione avanzata) C si adegua, per quanto possibile in base alle condizioni richieste, alla forma dell a calotta rocciosa là esistente. Le scarpate alte 30 piedi di questo blocco sono ottenute , con pochissime eccezioni, facendo saltare la roccia e rivestendola poi solo


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con una camicia in muratura, per proteggerla in tal modo da crescita di vegetazione. A maggior sicurezza di questo blocco molto importante, la sua controscarpa è dotata di un androne. Gl i edifici con casematte per cannoni si trovano solo al di sopra della detta scarpata. Lungo la linea N' -O' si trovano quattro casematte per cannoni da un piano solo, per ostacolare il meno possibile il fuoco del retrostante forte principale D verso questa parte. La linea N' -O' è rivolta verso il terreno che appare molto più favorevole per il nemico che non quello antistante la linea O ' -P'. Nel punto Q' si trova una casamatta per un cannone. Sarebbe molto auspicabile, tanto per avere una visuale più libera quanto per una utilizzazione prolungata, inserire una batteria scoperta nel tratto N' -O' -P' -, una misura che richiede però coperture laterali cd altri provvedimenti e non è facilmente con sentita dalla modesta estensione del blocco in parola. La linea R' -S' ha in casematte cinque feritoie per cannoni che spazzano molto bene la strada proveniente dalla chiusa di Varna e la zona circostante. Dalla linea S '-T ' si spara con fucileria s ulla strada antistante e sul pendio attiguo. L'edificio in casamatta U', che sotto molti aspetti serve pure da traversa, è adibito all' alloggiamento della guarnigione ed a magazzino di viveri ed attrezzi. I muri della gola o parte posteriore di questo blocco, al quale si giunge attraverso la scala V' , sono dotati delle necessarie feritoie. Nella detta scala sono inseriti intagli per le ruote di un carrello da trasporto. Nell'androne o galleria della controscarpa si giunge ·passando sotto il fossato presso P' -W' e risalendo la scala che si trova presso Y'. Le scarpate del forte principale D sono formate da roccia poi rivestita da uno strato sottile di muratura; esse sono costituite o da rocce fatte saltare oppure da pareti lisce già esistenti e impossibili da scalare o riducibili facilmente in tale stato; della prima categoria risulta il tratto Z' -A' -B ' e della seconda categoria il tratto B ' -C' -Z' . Le scarpate rivestite da una camicia in muratura sono alte 30 piedi. Appena al di sopra di esse sono collocate le postazioni dei cannoni. le scarpate ottenute facendo saltare le rocce, alte 30 piedi, costituiscono, sia qui nel contrafforte C già visto, un quarto dell'altezza totale dell 'intera scarpata. Fra l'orlo superiore di dette scarpate e l'inizio dei muri retrostanti (ove essi e sistono), resta di rego la u11 u sµa1,iu u cornice larga sci piedi.


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La parte D" -E" ha in casematle tre fe,-itoie per cannoni; essi fanno fuoco contro le batterie che il nemico potrebbe postare sul pendio antistante quella linea. La linea F" -G" ha pure in casematte tre feritoie per cannoni che sparano contro la strada antistante ed il pendio H". Le feritoie per fucileria della linea E" -F" danno sul pendio antistante. Dalla batteria scoperta l" si può sparare anche con grande angolo di elevazione. La batteria in casamatta con tre feritoie per cannoni K " -L " ha buona visuale sulla strada proveniente da Bressanone e sul terreno di fianco ad essa. Tanto il fianco M " -N" in casamatta, quanto il fianco corrispondente in casamatta O " -P" è dotato di due feritoie per cannoni. La cortina intem1edia O" -N" è chiusa al di sopra della scarpata da una muraglia poco alla e trasversale, dalle cui feritoie si spara con fucileria sul tratto antistante della strada per Aica. L'edificio O "-Q " serve da deposito per i diversi attre7.7.i e da traversa principale della detta cortina. Tanto per disporre del fuoco del fi anco M " -N" contro B " , quanto per ottenere una gradevole e più usuale impostazione, sarebbe desiderabile reali7.7.are i fronti K"-M "-N" -0 "-P"-B" nella forma proposta. Però l'esecuzione esige notevoli sbancamenti delle rocce ed a l presente non sappiamo ancora se si possono far brillare tante mine in detto posto e quale percentuale delle pietre, risultanti dagli scoppi, è usabile per la costruzione dei muri. Perciò per il momento il suddetto fronte è da considerare un progetto non definitivp. Sul lato in questione bisogna prima approntare una strada provvisoria che conduca al dosso principale, necessari a per realizzare la costruzione; e questi lavori non possono ancora essere iniziati tanto presto. Se le mine proposte risultassero troppo difficili, allora bisognerebbe rinunciare al fianco M" -N " e condurre la recinzione dal punto K" al punto B". Inizialmente il sottoscritto aveva scelto la linea indicata per ultima, alternando su quella postazioni di cannoni in casematte con batterie scoperte intermedie, dimodochè le postazioni in casematte apparivano come traverse delle batterie scoperte. La parte P " -R" della recinzione in casematte, tolta la porzione occupata dall 'attigua casamatta affiancata, è dotata di due feritoie per cannoni che hanno buona visuale verso la strada proveniente da Bressanone e il terreno circostante. La batte1ia arrotondata B" -S" -T" in casamatta, ha tre feritoie per can-


Franz<'l'Mfa'ste - La Fur/eu,a di Francl'sco I

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noni, due dei quali sono rivolti verso il dosso U" e verso la strada per Aica. Questa batteria è collegata alla batteria in casamatta R " -P" da un muro libero, perché si supponeva che al nemico potesse venire l'idea di collocare delle mine sotto la batteria arrotondata B " -S" -T' , in zona piuttosto nascosta alla vista dei rimanenti forti. A causa di tale presupposto, la suddetta batteria rotonda fu collocata ve rso I ' Isarco più indietro di quanto avrebbe consentito il terreno. Il citato muro intermedio è dotato d i una ferito ia per canno ne. Dalla batteria arrotondata, la muraglia fatta a scalini conduce alla sporgenza V " , Poiché nell' ambito della sporgenza le rocce sembrano propense a staccarsi, essa è stata recintata in este ns ione modesta con un muro ìsolato, fornito di feritoie eseguite in modo da poter sparare con fu cileria anche con forte inclinazione verso il basso. Appena nella gola o parte posteriore de lla sporgenza si trova l'edificio W", a prova di bomba e tenuto basso per i moti vi che vedremo,; edificio adibito in parte ad ospitare il picchetto, in parte a deposito ùi polvere da sparo e di altri mezzi di difesa, e che copre dalla parte cli Aica le comunicazioni che si trovano verso l'interno del forte. La batteria in casamatta Y " -Z" -A"' si conforma al piede de l colle là esiste nte, è dotata di c inque ferito ie per canno ni e spara contro la strada vecchia b3. Due o tre feritoie sono costruite in modo da poter sparare attraverso di esse anche con fucileria sul Ponte Alto. Da questa hatteri a in casamatta si dipa rte una muraglia eseguita a forma d 'orecchia, che porta a c3 e da là con due interruzioni a cl3. Fra questo punto e l'eclitic io W " sta il parapetto di una batteria scoperta; d ifesa da una pmie dalla sporgenza e3 (sulla quale si potre bbe eseguire ancora · una traversa) e dall ' altra parte sul fianco dal muro f3. Questa postazione· di cannone controbatte con fuoco assai efficace 1e batterie che il nemico -potrebbe collocare presso la strada cli Aica e sul dosso U". Al di sono di.questa batteria ne l punto g3 sta un muro dotato di ferito ia e difosù ·ar-.tìanchi ùalle ,sporgenze laterali, muro dal quale con fucileria si spara assai èfficacemcmc conrro il Ponte Alto. Dalla. hatteria in casamatta Y" -Z"-A3 fino al dirupo roccioso C" si trova un muro isolato, dot.ùo di picc.ole feritoie, e ne i quale si possono aprire a nche fori per cannom, rentoie. rivolte verso la strada vecchi a b3h3-i3. dal punto k3, facendo S,tltat'e il pendio esistente già assai ripido, si prolunga la parete rocciosa fo10 al pu nto Z' . Al margine superiore della parete così ottenuta, sul tratto I L3-Z' , si trova un muro isolato a protezione de l t:ollcgamcnto retrostante.


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Mau rizio Ruffo

La scarpata Z' -M3, alta 30 piedi , creata con mine e rivestita di una camicia in muratura, al margine superiore possiede un altro muro isolato, che copre il proseguimento delle comunicazioni retrostanti. La scarpata alta 30 piedi, nel tratto m3-D" cade verso il punto D " con 1O piedi. La suddetta parte della scarpata cadrebbe con 18 piedi , se i rimanenti 8 piedi non fossero stati sacrificati per i pilastri della casamatta del tratto G" -A" -D". Se si avesse voluto evitare il dislivello (differente) del tratto m3-D", per mantene re nella roccia stassa la scarpata alta 30 piedi ( con qua e là qualche piede in meno), si sarehbe dovuto o far retrocedere l'edificio F" -E"-0 ", oppure togliere con mine molta più roccia a i piedi del tratto Z' -m3, verso m3 . Ma spostando indietro l'edificio citato, la spazio compreso fra il contrafforte avanzato C ed il fortilizio principale sarebbe rimasto molto scoperto sul lato della chiusa di Varna e il fuoco dei cannoni dell'edificio G"-F" sarebbe risultato troppo alto aJ fine di spazzare il tratto corrispondente della strada di Bressanone. L' intero muro isolato L3-Z'-M 3 è munito di feritoie per la fucileria. Per saltare con mine la sporgenza n3 fino alla curva di livello o3 comporta un lavoro molto grosso, che però viene ripagato abbondantemente, perché fornirà sul posto molte buone pietre da costruzione. Il lavoro pare necessario anche per creare spazio utile fra il forte avanzato Ce la fortificazione principale. Del resto è ovvio che tali sbancamcnti si eseguiranno solo nella misura corrispondente al fabbisogno di pietra da costruzione. Favoriti dal dislivello della scarpata nel tratto D" -m3, lungo una rampa ubicata fra la scarpata stessa ed il muro isolato che si trova là, si giunge nel fossato del tratto D" -A", fossato che va a perdersi presso K", fatto che in certe circostanze può essere di utilità Nel punto p3 si trova una scala, munita di intagli per le ruote di un carrello da trasporto, per mezzo della quale, passando sotto il fossato, s i giunge nella galleria della controscarpa M '; da quella galleria parte nel punto M ' il tunnel di cui abbiamo già parlato, che conduce al pozzo cd alla scala a chiocciola. T1 tratto della gaJleria di controscarpa M' -q3, che non serve più per il collegamento con la fortificazione superiore A, viene ristretto ed è largo solo tanto da permettere ai fucilieri di sparare. Mantenendo diritta questa controscarpa fino al punto q3 (e per far ciò si dovrebbe piegare un poco la strada in quel punto), si potrebbe sparare meglio sul fossato del tratto A" -K" . Per mezzo della rampa r3 si giunge nel fossato e, per mezzo della scala Y', come gi à detto prima, si arriva da questa parte nena galleria di controscarpa del forte avanzato C.


Franzen~fe.~te - u.1 Fortezza di Francesco I

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Fra questo e la fo1tificazione principale si trova sul lato in parola un muro, dotato di feritoie per la fucileria, che può tenere sotto il suo fuoco il fossato del tratto d" -a" e del tratto r'-s' ed assicurare l'entrata s3. L'edificio in casamatta t3-u3 ha due piani cd in ogni piano verso il lato di Pra di Sotto è munito di sette feritoie per cannoni e, come quasi tutti i locali in casamatta de] presente progetto, è costruito in modo da poter essere armato. (Nel progetto della fortificazione in parola si presuppone che le feritoie per i cannoni siano da munire effettivamente di cannoni solo nel caso che le circostanze sopravvenute lo richiedessero. Fino a quel momento le feritoie rimaste disarmate dei locali in casematte servono da finestre, da prese d' aria o da fori per la fucileria. senza tener conto di tali presupposti, nel calcolare la dota7fone di cannoni della fortificazione si supererebbero di molto le necessità reali). Davanti a questo edificio, che permette un fuoco molto potente contro il lato di Pra di Sotto, e è coperto, sul lato pericoloso verso B, dal forte avanzalo C, si trova un fossato profondo 3 pertiche. tale dislivello sembra s ufficie nte a contenere le macerie dei muri s uperiori, eventualmente smantellati da un bombardamento del nemi co, senza tuttavia perdere la caratteristica cli un ostacolo. L'edificio v3, coperto a volte ed a prova di bomba, attraverso il quale un' uscita protetta porta a w3, e che verso !'Isarco è dotato di feritoie per la fucileria, serve da guardiola per il picchetto, da magazzino per oggetti facilmente disponibili Per aumentare la sicurezza dello spazio chiuso compreso fra il forte avanzato e la fortificazione principale, il detto edificio può essere modificato in modo da permettere il fuoco anche contro quello spazio; in tal caso sarebbe sufficiente, eccettuata la parte y3 da munire di feritoie, preparasse quelle prestazioni applicando a parte e finestre robuste inferriate. A tale misura si potrebbe aggiungere anche la costruzione di un muro libero da z3 ad a4, per creare così un secondo sbarramento. Se si dovesse fare il muro, si dovrebbe dargli una copertura smussando il punto z3. TI muro b4-c4, che sale a forma di scalini verso il forte avanzato, è munito di feritoie. L'edificio d4, con volte a prova di bomba, può servire ad oggetti del1' approvvigionamento. L'edificio e43-f4-g4 è dotato su ogni piano di cinque feritoie per cannoni, rivolte verso il lato di Pra di Sotto, e nella costruzione è analogo al1 'edificio vicino t3-u3. TI muro di recinzione fra i due edifici è dotato di feritoie.


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Maurizio Rufji?

L'edificio h4-i4 può essere dotato in ogni piano di una feritoia pe r cannone, è destinato a contenere oggetti del' approviggionamento. Tale edificio è unito, con un muro di recinzione, da un lato all'edificio g4-f4-e4 e dall'altro lato alla parete rocciosa nel punto k4. L'edificio 14, costruito a prova di bomba, è la santa barbara, il magazzino delle polveri. Il passaggio alla fortificazione principale è predisposto per mazzo di una scala, munita di intagli per la ruote di carrelli da trasporto . Inizia nel punto m4 e da là è coperta con volta di riparo fino alla vicina parete rocciosa, che viene attraversata con una galleria aperta con mine, giungendo al piano infe1iore dell'edificio n4, ove si trova un argano per trascinare i carrelli . Per assicurare l'ingresso di questa scala, nel punto o4 è ubicata la guardiola di difesa. Lungo questa scala, ne l punto p4 è inseri ta una biforcazione in un punto di riposo; dal quale, per mezzo di un' altra galleria scavala nella sporgenza rocciosa q4, si giunge alla comunicazione aperta iniziante nel punLo 13. AHim:hé il pianerottolo non impedisca il passaggio dei carrelli da trasportro, la volta dell a scala superiore è costruita in modo da fom1are una linea diritta continua con la volta della scala inferiore. O ltre alle condizioni a cui deve assolvere riguardo alla comunicazione (a proposito delle quali diremo ancora qualche cosa in seguito), l'edificio n4 in casamatla, la cui visuale non è impedita dagli edifici inferiori , alberga su un pi ano una postazione per sei cannoni rivolti verso il lato di Pra di Sotto. La batteria in casamalla r4-s4 ha su di un piano due cannoni che, sparando al di sopra del fo1te avanzato C, battono il terreno favorevole al nemico; con tiro incominciando dalla linea t4-u4, e con tiro indiretto a curva anche punti più vicini. La batlelia in casamatta v4-w4 ha s u un piano tre cannoni che, sparando anch'essi al di sopra del forte avanzato, battono lo stesso terreno; con tiro diretto incominc iando dalla linea y4-z4, e con tiro curvilineo anche punti più ravvicinati . Da due feritoie di questa batteri a, senza che il forte C intralci, si può sparare anche contro altra parte di terreno favorevole al ncrnico (terreno battuto del resto anche dal forte superiore A). Meglio an cora spara a questo ri guardo un cannone che può essere postato presso il muro libero w4 -a5. Le due batterie in casamatta batterebbero il terreno ancora più da vici no, sparando al di sopra del forte C e senza aume ntare il numero dei cannoni, se venissero sopraelevate di un piano. Le feritoie per cannoni sistemate sul muro libero b5-c5, la cui visuale


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non è impedita dagli edifici sottostanti, in certe possibili circostanze permettono un fuoco importante. La balleria in casamatta c5-d5 ha su un piano tre cannoni che sparano con visuale libera, al di sopra degli edifici sottostanti, contro la chiusa di Varna e la sua strada. Nella batteria scoperta e5, a seconda che i cannoni debbano sparare diritto o con grande inclinazione al di sopra del parapetto, c'è posto da quattro a sei cannoni; essa possiede profondità s ufficiente per poter formare uno sbarramento anche per un caso estremo. La batteria ha un ' ottima visuale verso la chiusa di Varna e verso il terreno ad essa retrostante. A tal riguardo si fa notare che l'orizzonte di questa batteria (come pure l'orizzonte delle casematte affiancate e del muro attiguo ad esso) risulta 12 piedi più alto del massimo livello sulla strada al cli sopra della chiusa di Varna e 21 piedi più alto della soglia del portone della chiusa stessa. La batteria in casematte f5-g5-h5, con tre feritoie per cannoni, spara con due contro il terreno della chiusa di Varna e con un cannone contro il lato di J\ica, al di sopra dell'edificio w" tenuto apposta basso, ad un pia no solo; sul stesso lato danno anche fori aperti nel muro isolato h5-i5. li muro i5-k5 serve da traversale ed è motivato dal fatto che lo zoccolo sul quale si trova l'edificio 15 s i trova 12 piedi più alto dell'orizzonte del1'edific io m5 , al quale si accede dalla parte superiore attraverso una postierla. Nel muro libero i5-n5 sono inserite luc i per cannoni che danno sulla chiusa di Varna. La batteria in casamatta o5-p5 ha quattro feritoie per cannoni puntati verso il lato di Aica. Nel muro libero q5-r5 sono inseriti fori per la fucileria. Nel muro libero r5-k5 sono aperte luc i per cannoni puntati contro il lato di Pra di Sotto. Gli edifici s5 sono magazzini per la polvere da sparo ed attrezzi vari. Dall'edificio n4, in collegamento con la scala già descritta e con il suo argano, una comunicazione sotterranea porta al punto t5 r da quello, all'aperto ma protetta sul alto destro da un muro, fino al punto u5, protetto verso l'esterno. Dal punto u5 si giunge da una parte, lungo l'edificio w" cd il muro v5, al punto w5; e dall'altra parte alla batteria in casamatta y"-z"a3. Nel progetlo in parola, considerando che è impossibile aprire brecce nelle scarpate e pareti rocciose formanti la cinta inferiore della fortificazione principale e del forte C, g li edifici situati sulla calotta u5-p5 furono ideati più per alloggiare le bocche da fuoco che per costituire una fortificazione a se stante. Se si volesse procedere diversamente, allora, per ulle11en: più spazio


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per gli approvvigionamenti, bisognerebbe erigere una batteria in casamatta al posto della batteria scoperta e5. Se si criticasse il fatto che il fuoco diretto dalla sommità della fortificazione D c ontro il terreno situato dietro la c hiusa di Varna è Insufficiente, allora si potre bbe adoltare l'alternativa indicata con tratteggio in rosso sul foglio T; secondo tale alternativa la batteria in casematte a-p5 del foglio Il potrebbe essere eseguita a due piani; e tanto più ragionevolmente poichè l' edificio 15 risulta 12 piedi più alto dell ' edific io m5 ; in quest'ultimo caso i muri c itati dovrebbero essere tenuti sei piedi più larghi di quanto indi cato nell'alternativa. Ne] g iudicare il progetto di fortificazione descritto nel presente testo, si voglia benignamente tener presente il fallo che il forte C, anche se i muri esterni delle casematte dovessero esse re smantellati (dal nemico), fintantoché il forte superiore A ed il complesso principale D tengono, non cesserebbe affatto di costituire ancora a lungo un grosso ostacolo pe r il nemico, dato il terreno roccioso antistante. Acqua per riempire le cisterne della forti ficazione ce n' è a sufficienza; dal punto t e dai pressi del punto y5 essa viene incanalata nel forte superiore A e da quello nei forti inferi ori. Fintantoché il Ponte Alto è costruito in legno come quello attuale, per te nere il nemico lontano dal ponte sembra misura sufficiente costruire nel punto z5 un bunker, con i muri e volte a prova di bomha; tanto più poichè il fuoco del bunker agisce insieme ai colpi sparati dai già descritti cannoni della fortificazione D, il cui tiro può venire abbassato fin contro il ponte. Quando il legname sarà marc ito ed il ponte sarà rifatto, com'è auspicabile, in muratura, allora si potranno aume ntare le misure necessarie per tenere il nemico lontano dal ponte. Allora bisognerebbe collegare il punto g3, da proteggere perfettamente con le difese superiori, con un edificio presso a6, per mezzo di una comunicazione scavata nella roccia. Se non si realizzano altre opere, oltre a quelle e lencate nel presente progetto, il detto bunker risulta isolato. Per dargli la necessaria capienza se nza ampliarne la pianta e senza aumentarne l'altezza, che sarebbe svantaggiosa, al di sopra della strada vicina, lo spazio m ancante viene ottenuto scavando un piano inferiore in basso, nella roccia h6, per mezzo di mine. Se il presente progetto provvisorio otterrà l'altra e la più alta approvazione, sarebbe opportuno sia dal punto di vista militare, sia dal punto di vista tecnico, s ia per altri aspetti, iniziare i lavori contemporaneame nte nel forte avanzato C, sulla sommità a5-p5 deJJa fortificazione principale De sul forte superiore A.


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li sottoscritto ritiene molto probabile che l'intera quantità delle pietre, sia grezze sia squadrate, necessarie per il suddetto complesso di fortifi cazione, sarà ricavata sul posto stesso o ne lle vicinanze immediate. Perciò dei materiali occorrenti saranno da prelevare da distanze maggiori soltanto la sabbia, la calce ed i mattoni per le volte e per piccoli completamenti. (Appena scritta questa mia opinione, ho incontrato soci di un'impresa che ultimamente ha costruito fortificazioni in Piemonte, strade e ponti in Italia. Essi hanno assicurato al sottoscritto, in concordanza con le sue convinzioni, che le pietre disponibili sul posto, presso il Ponte Alto, possono essere usate beniss imo anche per costruire le volte massicce, e con costi molto minori di quelli occorrenti per i mattoni, richiamandosi a molti lavori già eseguiti dall'impresa stessa). Come g ià detto, per reali zzare le costruz ion i bisogna costruire una strada provvisoria, che dal lato rivolto verso la chiusa di Varna porti alla sommità della fortificazione D; inoltre un'altra strada per il forte superiore A, che a serpentine salga lino al punto c6; da là si dovrebbe allestire una rampa per montacarichi tino al punto d6. Il fog lio IV contiene disegni c he possono essere considerati normativi per il progetto in parola, presupponendo che ogni modifica venga applicata caso per caso, dopo aver valutato la sua opportunità. La figura 1 rappresenta la pianta (la proiezione orizzontale) di una postazione per cannoni ad un piano, con volta a prova di bomba. Le porte a, chiuse con muri sottili, vengono aperte, se non g ià prima, qua ndo si tratta di erigere nel punto b una copertura o riparo contro eventuali palle nemiche entranti dalla feritoia c. Se queste porte fossero siste mate in corrispondenza del letto d, quel letto potrebbe essere messo lungo il muro b-e scalzandolo; ma si scartò tale ubicazione per non indebolire il pilastro b del muro stesso. Se i due letti a due piazze vengono collocati come nella figura 1, nel punto f può stare su un tavolo. Se i letti g-d-g vengono collocati come le tti h, allora nel punto f può essere tenuto p ronto il cannone destinato a questa casamatta. Se vengono tolti inoltre i latti i, il detto cannone si trova pronto ad entrare in azione in ogni istante. Lo spessore del muro b, presupponendo che sia fatto con pietre di cave, viene calcolato in 4'-6'. I Prussiani presso Cohle nza in generale non erigono mai muri di classe analoga, fatti con pietra di cava, di spessore minore a 5 piedi. Il sottoscritto presso Mainz, si è pentito di aver dato ai muri deJla stessa classe, in più edifici, uno spessore di soli 4 piedi. Lo spessore del muro


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Maurizio Rujfo

k non è stato stabi1ito, perché esso dipende dalla probabilità o meno che venga danneggiato dall'artiglieria nemica. La figura 2 rappresenta la pianta n. l di profilo. Nonostante i molti esperimenti fatti a Coblenza, nei quali il fumo della polvere da sparo usciva bene dalle casematte, quantunque quegli sfiatatoi fossero costruiti meno favorevolmente di quelli progettati per questa fortificazione; il sottoscritto non si è fidato a proporre per le ca<;ematte dei cannoni una lunghezza considerevolmente maggiore e rispettiva lunghezza maggiore a quelle indicala nelle figure I e 2, sebbene un tale ampliamento sarebbe sempre opportuno, per disporre di spazio per glj alloggiamenti. La figura 3 rappresenta la sezione (lo spaccato) di un edificio a due piani, per cannoni in casamatta, di misura analoga; al riguardo la figura I corrisponde alla pianta del piano superiore. La figura 4 rappresenta la pianta e la figura 5 la sezione di una casamatta per cannoni, di proporL.ioni più modeste. Data la minore lunghezza di tale casamatta, un riparo non lascerebbe spazio sufficiente per un cannone. Perciò nel punto 1 si è inserito un cuneo (un moncone) di muro senza connessione con gli altri muri , affinché si possa eliminare quel cuneo nel caso che si aprisse una breccia nella parete frontale della casamatta affiancata. distruggendo la comunicazione fra le due casematte. La figura 6 rappresenta la sezione di un edificio a due piani per cannoni in casamatta, le cui mis ure corrispondono a quelle della figura 4; in questo caso la fi gu ra 4 costituisce la pianta del piano superiore (con omissione <lei cllneo l ). Le fi gi.Ire 7 ed 8 raopresentano la pianta e la sezione di una casamatta·pcr cannoni di proporzic>11i ancora minori; le figure 9 e lO la pianta e la sezione cli una casamatta per cannoni della minima lùnghezta consentita per Lit Jorliticazìone 111 progetto. Le ligure 11 e. 12 rappresentano pianta .e sezione di un edificio corrispondente a quello u ' del forte avanzato C. In tutte le figure contenute nel foglio IV finora descritte, non shno elaborati i dettagli per Gnestre, porle, feritoie, prese d 'aria, sfoghi pedJ. fumo, pavime11ti ecc. La figura 13 rappresenta Ja sezione di una batteria allo scopetto, protetta da muri latcrali,.pcr il caso che dietro la batteria si trovi un altro muro o un edificio. La figura 14 suppone il caso che a tergo della batteria si trovi una scarpata di terra. In ambedue i casi il muro m serve da protezione contro granate cadute o rotolate giù. Nell'accluso progetto provvisorio di fortificazione si è tenuto conto di possibili o necessarie modific he.


Franzen.~feste - La /irJrtezw di i'lw1cesco I

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La figura 1, insieme alla relativa sezione, s i riferisce alle hatterie a; p q; t3-u3; e4-f4-g4; v4-w4; n4 . La figura 4, insieme alla relativa sezione, si riferisce alle ballerie y" z" -a" ; f5-g5-h5; n5-o5-p5-q5. La fi gura 7, insie me alla relativa sezione, si riferisce alle batterie e-m; n'-o' -p'; k"-1n"-n"; o"-p"-n"; r" -s" . La lìgura 9, insieme alla relativa sezione, si rife1;sce alle batterie r' -s'; f " -e" -f" -g"; h" -s" -t"; c5-d5. La figura 11 , insieme alla relativa sezione, si riferisce all'edificio u'. La tìgura 13 si riferisce alle ballerie g; c5. La figura 14 si riferisce alla hatteria c2. Gli orizzonti dei diversi blocchi, previsti nel progetto provvisorio della fortificazione, si potranno rilevare con esattezza solo a lavori compiuti. Gli edifici al di sopra delle rocce sono stati progettati in generale in modo da offrire all' a,tiglieria nemica me no muri essenziali possibile. Le scarpate alle 30 piedi, ollenule facendo sallare la roccia e rivestite in muratura solo con una camicia, sono state scelte in modo da risparmiare opere massicce in muratura corrispondenti. Appena dopo aver fissato sul _posto l' ubi cazio ne effettiva, e per quaJche edificio appena durante la costruzione, s i potranno rilevare i dati con precisione, poichè al momento non conosciamo nè gli errori fatti, che renderanno necessarie modifiche del progetto, nè le caratteristiche di cui si dovrà pur te ne r conto nell'esecuzione, per seguire i principi cli una buo11a economia. Quando il sottoscritto avrà appreso dal sig. ing. tenente colonnello von Marlonj, dopoché costui avrà delimitato effettivamente e tracciato sul terreno le costruzioni dcscrille, se il progello è valido o se occorrono modifiche, in attesa della suprema approvazione di Vostra Altezza Imperiale, il sottoscritto farà elaborare a Verona i dettagli più essenzial i e di segni paitrcolareggiati che chiariranno l' impostazio ne cle ll' cditìcio in casamalla t3-u3 (foglio II), non rilevabile dal foglio le dalla descrizione 1ll per via del rile-. vante dislivello del terreno in quel punto. SCHOLL m. p. g. m. Bressanone, 3 1 marzo 1833 Dal maggiore generale i. Scho11 ricevuta (la descrizione) nello stesso giorno. Carlo MARLONY tenente colonnello del genio


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M aurizio Rujjo

5. Allegati

INTESTAZIONI DEI DISEGNI ALLEGATI ORDINATI CRONOLOGICAMENTE (gran parte dei testi è illeggibile senza ingrandimento)

l. Progetto non vincolante dell ' opera di sbarramento di valJe (Talsperre) al Ponte Alto su li 'Isarco, presso Bressanone nel Tirolo, comandata ad altissimo livello. Bressanone 31 marzo 1833. Chiusa di Varna o di Bressanone - Strada da Bressanone - Maso Stoekner - Strada della Val Pusteri a, per Tnnsbruck - Pra di Sotto - Ponte Alto - Fiume Isarco. Scala in Klafter (pertiche o tese) 13 di fortificazione. 2. Foglio II Sezione del forte avanzato C. Bressanone, 27.06.1833 3. Pog1fo III Sezione del forte avanzalo C. Bressanone, 27.06.1833 4. Foglio TV Pianta del forte superiore A 27.06.1833 27 .06. 1833 5. Foglio V Sezione del forte superiore A 6. Foglio VI Sezione del forte superiore A 27.06.1833 7. Foglio VTT Pianta dei forti D cd E 27.06.1833 8. Foglio VIII Sezione del forte D 27 .06. 1833 9. Foglio IX Sezione del forte D 27.06.1833 IO. Foglio X Sezione per la velina VII/I del forte D 27-06.1833 11.Foglio VII/II Velina o completamento per la pianta del foglio VII Verona, 4 08 1833 12. Foglio VII/III Compl etame nto a] foglio VII 4.08. 1833 13. Foglio VII/I Sezione della pianta del foglio VII del forte D 4.08. 1833 14. Foglio XI Sezione del completamento al foglio IV/I del forte A 4.08.1833 4.08. 1833 15 . Foglio XII Sezione per il foglio VWlll 16. Progetto Della fortificazione presso Aica Strada da Bressanone ad Innsbruck - Chiusa di Varna - Maso Stockncr - Pra di Sollo - Fiume Isarco - Chiesa di Aica - Ponte Allo - Maso Klammer - Baraccamenti per i lavoratori - Strada dalla Val Pusteria. Rio Posteri a, 13.08.1833 17. Foglio xm Pianta della comunicazione coperta fra la fortificazione D ed il forte superiore A. Verona, 14.08. 1833

13 l Klafter viennese = 1,8965 m.; il simholo O = 6 piedi , corrispondente al la distanza intercorrente tra le punte della mani ùi un uomo medio avente le hraccia ·tese· ori zzontalmente.


Fra11ze11.~fe ste - La Fortezza di Francesco I

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18. Foglio XIV Sezione per il foglio Xlli. Verona, 14.08.1833 19. Fogl io XV Pi anta e sez ion e del bunker s ull a sponda des tra dell'lsarco, presso il Ponte Alto di Ladritsch. Verona, 14.08. 1833 20. Piano contenente la numerazione degli edifici in costruzione della fortificazione presso il Ponte Alto. Rio Pusteria, 14.02.1834 21. Piano n. I Blocco della valle presso il Ponte Alto. lmperial-regia d irezione della costruzione di fortezza Rio P usteria, in cui sono rappresentate le cisterne da riempire con le sorgenti d' acq ua trovate al di sopra del forte superiore A e inoltre le condotte in tubature di ghisa ed il serbatoio dell' acqua presso la batteria allo scoperto, sul piano inferiore della fortificazione principale D. Spiegazione: a) prese d 'acqua b) cisterna per 1000 uomini e) cisterna per 370 uomini d) c isterna per 370 uomini e) serbatoio per il piano inferiore del forte D f) collegamento coperto fra i forti A e D. Nota: le linee tratteggiate in hlu indicano le tubature. Rio Pusteria, 12 aprile 1834 Non è stato eseguito così. 1838.


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Maurh io Rujfo

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Planimetria g,merale della Franzensfeste su cui S()IZO riportati i vari edifici e la dislocu.z.ùme delle risorse idriche ubicate all'interno della.fortezza. (Rio di Pusteria/Miilbach 12 aprile 1834)

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Planimelria generale della Franzensfeste C()II indicale le opere costituenti i se/l()ri A, C, D. E. su cui era organiz.wla lafortezza. (Bressanone/Brixen 31 marzo JKU)


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Planimetria generale della franzensfeste riportanti' la numerazione progressiva data alle singole opere costituenti la fortezza. ( Rio di Pusteria/Miilhach 14 febbraio I 834)

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Planimetria generale della Franzensfeste s u cui sono riporwte le principali località della zona e la dislocazione del villaggio di baracche appositamente rostruite per o~pitarvi gli operai addetti ai lavori. (Rio di Pusreria/MU/bach 13 agosto 1833)


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Maurizin R11ffo

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Foglio Il. Sezioni dell'opera a vanzata C, galleria di controscarpa

Foglio lii. Sezione dell'opera avanzata C, attraversamento del.fossato asciutto per accedere alla galleria di cnntmscmp a

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Foglio IV. Pianta dell'opera "A"

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Foglio V. Sezioni 0-E-F-G-H e K-L. pos1azio11i ed appos1ame111i


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Maurizio Ruffo

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Foglio V/1//11 Progetto alternativo per lo sbarramento di valle presso i ponti sull'/sarco (4 agos10 1833)


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Foglio Xli!. Pianta delle scale di collegamento tra l'opera "[)'' e la sovrastante opera "A "

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Foglio XIV. Sezioni A -8 , D-C e E-t ; sulle rampe delle srnle, come dalla pianta riportate nella tavola Xlii


258

Mauri:io Rujjo

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Foglio XV. Pianta e sezione del Blockhaus da costruire sulla sponda Est del.fiume Isarco

La Franzensfeste vista da Sud (diseRnO del gen. B. ris. Gian Piero Sciocchetti - Trrnto)


FraTJzemfeste - La Fortezza di Fra11ce.sco I

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Planimetria dellaforJezza in cui appare evidente il compito di sbarrare L'asse BolzanoBrennero. Si noti, Ira i due settori, la biforcazione con la strada per la Val Pusteria. All'epoca della compilazione di questa planimetria non erano state ancora progettate la linea p ,rroviaria del Brennero e quella della Pusteria, realizzate ri~pettivamente nel 1867 e nel I 871. Sul disegno si vede perfettamente il tracciato della scala in caverna che unisce i due corpi della fortezza

FolograJia della Frcmzen.\feste eseguita sul finire del secolo XJX


260

Maurizio Rujjo

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Progetto per la rea.liv.azione del villaggio di baracche per gli operai impegnati nella costntzione della Franzemj'este, nelle vicinanze di Maso Klammer e di Maso Hatzel. nei pressi della chiesa del villaggio di Aica

Fo1ografia dell'opera principale, ripresa dalla Cilladella. (Archivio fotografico della B. alp. Tridentina - aulori Rigoni e (ìianlirw, Bressanone)


J-i'anzensfeste - /,a Fnnezzn di Fr,111n·scu I

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l'artù:olari interni dell'opera principale. (Archivio fotografico della B. alp. Tridentina autori Rigoni e Giardino, Bressanone )

Ln linea ferroviaria all'inizio dell'attraversamento dell'opera principale. (Archivio foto{!,rajìco della B. alp. Tridentina - autori Rigoni e Giardino. Bressanone)


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Maurizio Rujfo

La cittadella vista dall'interno dell'opera principale. (Archivio.fotor.:ra_fico della B. a/p. Tridentina - autori Rir.:011i e Giardino, Bressanone)

li rosone della chiese/la neogotica della Franzensfeste, ere/la nel /845 nel piazzale dell 'opcm principale (disegno tle/ xe11. B. ris. Gian Pieru Sciucchelli - Trentu )


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Scala di collegamento tra l'opera principale e la cittadella. (Archivio.fotografico della B. a/p. Tridentina - autori Rigoni e Giardino, l3 ressanon.e )


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Maurizio Ruifo

Rampe di scale a collegamento dei vari livelli della Ciuadella. (A rchiviofotogrc{fico della B. alp. Tridentina - autori Rigoni e Giardino, Hressanone)

Piccola caponiera a protezione del lato meridionale della Cittadella. (Archivio .fotografico della B. atp. Tridentina - autori Rigoni e Giardino, Bressanone)


Franzen~feste - La Fortezza di Frtmct·sco I

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Bastione a Nord Oves/ della Cittadella. (Archivio fotogmjirn della B. alp. Tridentina - autori Rigoni e Giardino, Bressanone)

Ingresso della Cittadella, vis/o da Ovest. (Archivio fotograjicu della B. alp. "J'ridefllina - autori Rigoni e Giardino, Bressanone)


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Ma11ri~io Ruffo

Interno della caponiera Nord della Cittadella. (Archiviofotoirafico della B. alp. Tridentina - autori Rigoni e Giardino, Rressanmze)

Scala a chiocciola realizzata con gradini monolitici in granito, esistente all'intemo della Cittadella (diseino del ien. H. ris. Gian Piero Sciocchetti - Trento)


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Fontana hamu:a scolpita in un unico blocco di granito, delle dimensioni di 2 IO x I IO x 95 cm, ubicata nel cortile interno della Cilladella (disegno del gen. B. ris. Gian Piero Sciocchetti - Trento)

Acquerello riproducente la Franzensfeste vista da Nord, facente parte della documentazione proiettuale

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Maurizio Rujjo

La cappella esistente all'interno dell'opera. principale della Franzensfeste. Progettata dal cap. ing. G. von Rado, cos1itui.1·,·e uno dei primi esempi di arte neogotica au.1·t riw:a, fu consacrata alla presenza delle principali autorità della Contea principesca del Tirolo e Vorarlb erg il 22 ottobre 1845. Tn quel periodo comandava la fortezza il maggiore Hcinrich von Hess. (Archiviofoto,?ra_fìco della 13. alp. Tridentina - autori Rigoni e Giardino, Bressanone)

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Fotografia, vista da Nord, del Blocklwus coslruito s ulla sponda F.st del.fiume Isarco, in corrispondenza del Ponte Alto. ( I\ r<:hi vio ji,tograjico della n. alp. Tridentina - aurori Riioni e Giardino, Bressanone)


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Frun zens.feste - La Fortez~a di Fra11resr.n I

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Il viadolto della linea ferroviaria della Val Pusteria, i11 prossimità dell' a/Ira versamento della Franzen~feste. (Archivio fotografko della B. alp. 'J'ridenlina - autori Rigoni e Giardino, Bressanone)



0RESTE B OVI0

ADUA*

Per lunghi anni la storiografia ufficiale ha ostinatamente presentato la battaglia di Adua come "un avvenimento tragico nel quale la fatalità fu realmente al disopra delle possibilità degli uomini", negando con incredibile pertinacia che l'esito disastroso della battaglia potesse essere attribuito "ad incapacità o imprevidenza pe rsonali" I_ L'opera di disinformazione è stata talmente estesa e profonda che ancora recentemente, nonostante siano da anni apparsi lavori fortemente revisionisti come quelli di Roberto Battaglia e di Angelo Del Boca, un docente universitario di buona fama ha potuto scrivere che ad Adua " 15.000 soldati bianchi dotati di fucili a ripetizione e di un discreto parco di artiglieria, per la prima volta nella storia delle guerre coloniali, vennero battuti da un'armata abissina soverchian te , ma armata di lance e di s pade" 2_

Il centenario della battaglia di Adua ha risvegli ato l'interesse dell 'opinione pubblica per quelle lontane vicende ed offre l' ol:casione per un'interpretazione finalmente equilibrata e libera da condizionamenti di quell' evento b ellico, epi sodio ce ntrale del colon iali s mo itali a no di fine Ottol:ento. La battaglia di Adua costituisce, inoltre, una esemplare confenna di quanto corrisponda alla rea1tà l' asserto più famoso di Causewitz, essere la guerra la prosecuzione di una azione politica, perché proprio nell' incoerente e dilettantesca politica coloniale italiana degli ultimi decenni dell' Ottocento si trova la causa pri ma e vera dell'insuccesso militare. Canalisi della battaglia non può pertanto prescindere da un breve accenno alla genesi ed ai primi sviluppi del colonialismo italiano.

Il colonialismo italiano I primi interessi coloniali italiani furono originati dalle grandi speranze, rivelatesi poi puramente illusorie, suscitate dall' apertura del cana1c di • Relazione te nuta al Convegno " L' Ital ia nella cris i dei s istem i colonial i fra Otto e Novecento", svoltasi a Vicoforte il 7 giugno 1997. I Anacleto Bronzuoli, Adua, Jstiluto Poli gralìco dello Stato, Roma 1935, Premessa. 2 Carlo M. Santoro, La politica estera di una media potenza. L 'Jtalia dall 'Unità ad oggi, Il Mulino, Rologna 1991 , pag. 130.


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Oreste Bovio

Suez che avrebbe dovuto consentire ali' Italia di ritornare a svolgere la funzione di intermediazione commerciale fra l'Oriente e l'Europa centrooccidentale. E proprio la prospettiva di istituire una linea commerciale fra l'Italia e l'India fece nascere per la marina mercantile italiana l'utilità di disporre sulle coste del Mar Rosso di un punto di appoggio per le navi, per agevolare il rifornimento di carbone, l' immagazzinamento delle merci d ' importazione e d ' esportazione, la manutenzione dei bastimenti. Maturò così l'acquisto della baia di Assab, effettuato il 15 novembre 1869 da Luig i Sapeto per conto dell'armatore genovese Rubattino, paravento del prudentissimo governo Menabrea. L'acquisto della baia di Assab non si dimostrò però redditizio e per lunghi anni fu quasi dimenticato. A partire dagli anni Ottanta si verificò una vertiginosa accelerazione della spartizione del]' Africa tra le grandi potenze cd anche l'Italia, desiderosa di mantenere lo status di grande potenza, avvertì la necessità di partecipare all'espansione coloniale europea. Era ciò che intendeva PasquaJe Stanislao Mancini quando giusti ficava alla Camera l'occupazione di Massaua affermando che l'Italia cercava nel Mar Rosso le "chiavi del M editerraneo". E' necessario, inoltre, ricordare che la dottrina coloniale scaturita dalla conferenza internazionale di Berlino del 1884- 1885 stabiliva che solo l'occupazione diretta dei territori africani ne garantiva il legittimo possesso da parte de lle potenze europee e che lo scacco subito ad opera della Francia a Tunisi nel 1881 e l'impossibilità di intraprendere la penetrazione in Tripolitania ed in Cirenaica a causa delle resistenze dell'Impero Ottomano e dell'ostilità delle grandi potenze, indirizzavano il nostro paese verso il Mar Rosso, l' unico campo d'azione ove godesse di una certa libertà di movimento, anche in virtù dell'appogg io inglese, e ove potesse vantare qualche d iritto legittimo grazie al possesso di Assab. Non va inoltre dimenticato che il ricordo delle glorie passate e le speranze di una grandezza futura avevano costituito la forza motrice del Ri sorgimento, e "accontentarsi della pos izio ne di Stato ne utrale ( ... ) avrebbe significato buttarsi dietro le spalle proprio l'idea che aveva consentito di raccogliere in unità le sparse membra della patria" 3. Era dunque impossibile per l'Italia estraniarsi dalla grande politica internazionale e rinunciare a qualsiasi aspiraz ione per l'avvenire, tuttavia J'ltalia non seppe esprime re una politica colonial e coerente e l 'occupaz ione di

3 Federico Chahod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al /896, La terza, Ra ri 1971 , pagg. 288-289.


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Massaua e la successiva espansione non rappresentarono l'attuazione di un armonico disegno politico ma l'incerto tentativo di accrescere a poco prezzo il suo peso internazionale ed anche la speranza di trovare in Africa la soluzione del problema dell'emigrazione che, specie nel Mezzogiorno, cominciava ad assumere dimensioni inquietanti. li colonialismo italiano di quell ' epoca non fu quindi determinato da uri preciso calcolo di natura strategica od economica, tanto che alcuni studiosi in questo secondo dopoguerra hanno individuato le origini del fenomeno nel des iderio della classe dirigente di frenare l'avanzata delle masse popolari con la creazione di un diversivo che riuscisse a distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dai problemi sociali, mentre altri hanno individuato nelle conquiste coloniali uno s fogo alternativo offerto dal governo alla passione irredentista, che l'alleanza con la Germania e con l'Austria-Ungheria più non consentiva. Il Battag lia poi , affermò che "l' impresa d'Africa (era) soprattutto un fenomeno non tanto di capitalismo quanto di militarismo, elci quale (era) centro ed anima l' interesse dinastico" , affermazione sorprendente in quanto le gerarchie militari del periodo - s i pe nsi a Ricolti - Magnani, a Bertolé-Viale, a Pelloux - erano contrarie ai progetti "africanisti", convinte c he le spedizioni africane costituissero soltanto uno spreco inutile di uomini e di risorse, dal momento che un eventuale conflitto si sarebbe svolto e deciso nei teatri di guerra europei. Anche uno studioso di scuola marxista, il Del Negro, ha, infatti, riconosciuto che " in politica estera l' esercito fu sostanzialmente un fedele esecutore; talvolta, ad esempio nel1' ambito coloniale, un tiepido esecutore, in ogni caso molto meno bellicoso di civili come Crispi". Alcuni storici stranieri, infine, hanno motivato l'intervento itali.mo in Africa con il desiderio della classe politica italiana di collocare l'Italia tra le grandi P otenze, anzi, come ha scritto il Ceva, con la "smani a di non essere da meno di altre potenze e uropee" 4 _ Quali siano state le motivazioni profonde della clccisone rimane il fatto che una volta messi i piedi a Massaua il governo non seppe elaborare una coerente linea politica, generale e locale, detem1inando una situazione di incertezza e di precarietà che non poteva, all a lunga, non generare dolorose illusioni. La politica itali ana, come ha scritto un eminente storico, oscillò sem-

4 Roherto Rallaglia, La prima guerra d'Africa, Einaudi , Torino 1958, pag. 667; Piero Del Negro, F.sercito, Stato Società, Cappelli, Bologna 197 1, pag. 60; Lucio Ccva, Le Forze A rmate, UTET, Torino I <JR I, pagg. 108- 109.


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Ores/e Bovio

pre tra: il "programma economicamente vas tissimo, militarmente e politicamente ridotto ma concre to e sicuro del generale Baldissera" che voleva occupare progressivamente tutta l' Etiopia per offrire le maggiori possibilità alla c olonizzazione italiana , il programma suggerito dall' Antone lli "che pareva assai più grande ma che presto si dimostrò poco attuale e grav ido di pericoli: un protettorato su tutta l' Etiopia" s ed il programma infi ne del disimpegno, esemplarmente espresso dal Presidente Di Rudini che affermò alla Camera nel 1891 essere sua intenzione di: "stare in pace con Menelik ed in pace con i capi , senza seguire né politica scioana né politica tigrina, rinunciare ad ogn i te ntazione di andare oltre al trian golo Massaua-Cheren-Asmara verso il contrastato confine del Mareb; procedere ad una gradual e trasformazione della colonia da militare in c ivile e commerciale" 6. Sotto il profilo militare le consegue nze di una linea politic a ta nto incoerente e pendolare furono molte e tutte negative. Dal 1885 al 1892 si succedettero al governo della c olo nia otto comandanti (Saletta, Genè, ancora Saletta, Asinari di San ·M arzano, Baldi sser a, Ore ro, Gandolfi, Baraticri), difficile, per non dire impossibile, che questi ufficiali potessero acq uisire una sicura conoscenza dei luoghi e delle popolazioni, esprimere pareri motivati , adottare dec is ioni appropriate. A questi responsabili locali mancò spesso l'appoggio costante e coerente del governo, sempre in crisi e sempre rinnovato ( Vll e Vlll ministero Depretis, I e Il ministero Crispi , I mini stero Di Rudin i, I ministero Giolitti, III e IV ministero Crispi) con cambio dei ministri della Guerra (Ricotti, Be rtolé-Viale, Pelloux, Mocenni) e degli Affari Esteri (Mancini, Di Robilant, Cri spi, Blanc). Anche gli stanziamenti di bilanc io, sempre insufficienti a soddi sfare tutte le esigenze, ebbero una parte importante nella pre parazione del disastro fin ale. L' e ntità de l corpo di spedizione oscillò sempre, con improvvisi ampliamenti ed altrettanto subitanee pe rdite di forza c he pregiudicaro no l'effi cie nza dei reparti, specie di quell i costituiti con ele menti indigeni e che costrinsero l'esercito ad affrontare le emergenze con quadri e gregari del tutto nuovi all 'ambiente operativo nel quale dovettero operare. L' estrema parsimonia, per no n dire grettezza, con la quale si credette di poter gestire la colonia e bbe una precisa conseguenza anche nel settore cartografi co, supporto indi spensabil e di quals iasi operazione tattica.

5

Gioacchino Volpe, Italia modema. .1815-1915, Sansoni, Firenze, 1945-1952, Voi. I, pag.

297 . 6

lhidem, pag . 35 1.


Adua

275

L'Istituto Geografico Militare infatti, che aveva iniziato nel 1888 l' impianto di una regolare rete geodetica in Eritrea e che nel 1890 aveva pubbi icato una eccellente carta del territorio compreso nel triangolo Massaua-Asmara-Cheren alla scala 1:50.000, dovette interrompere nel 1891 per motivi economici l'attività e le zone più meridionali della colonia e soprattutto il Tigrè, obiettivo più irruncdiato della nostra azione militare, rimasero senza cartografia con le note conseguenze.

I precedenti immediati

Restringendo le nostre considerazioni agli immediati precedenti della battaglia di Adua possiamo limitarci a ricordare che, dopo la brillante vittoria di Arimondi 7 sui dervisci ad Agordat (22 dicembre 1893) e la meno incisiva presa di Kassala effettuata da Baratieri 8 il 17 luglio 1894, la situazione militare della colonia era molto rrùgliorata, dovendo ora le truppe italiane fronteggiare soltanto una eventuale minaccia da sud , minaccia per la verità in gran parte provocata proprio dall'atteggiamento italiano, sempre indirizzato alla penetrazione nel Tigrè. Questo i mportante territorio dell'impero abiss ino era governato da ras Mangascià, figlio naturale del defunto negus Giovanni, da lungo tempo corteggiato ed adulato dal governo di Massaua che coltivava sempre la speranza di farne un valido antagonista di Menelik. Il ras tigrino si era invece riappacificato con il negus ed aveva spinto alla rivolta Batha Agos, un notabile della provincia dell' Acchelè Guzai ,

7 Giuseppe Arimondi, nato a Savigliano nel 1846. Uscito dalla Scuola Militare sottotenente dei bersaglieri prese parte alla guerra del 1866 cd alla presa di Roma. Entrato nel corpo di Stato Maggiore nel 1874, andò in Eritrea nel 1887 con la spedizione San Marzano, rimanendovi fi no al 1890. Promosso colonnello nel 1892, ritornò in Eritrea con l' incarico di vice governatore e di comandante delle truppe. Il 20 dicembre I R93 sconfisse i dervisci ad Agordat e fu promosso maggior generale, ma rimase in colonia con lo stesso incarico. 8 Oreste Baratieri, nato a Condi no presso Trento nel I 84 1, si arruolò nelle formazioni di Garibaldi e partecipò al la spedi zione dei MilJc. Il 16 giugno 1860, già capitano di cavalleria, fu decorato con la medaglia d'argento al valor militare alJa presa di Capua. Nel 1862 entrò nell'esercito italiano come capitano di fanteria. Direttore della Rivista Militare dal 1876 al 1885, fu promosso colonnello, comandò il 3" reggimento bersaglieri partecipò alla spedi~.ione San Marzano e nel 1891 fu nominato comandante delle truppe della colonia e nel 1892 governatore. Dal 1876 Baratieri era anche deputato, mili tando nella Sinistra e mantenendo stretti legami con l' ambiente politico. Nel periodo in cui fu direttore della Rivista Militare pubblicò svariate opere di sloria mi litare, di tattica, di geografia, palesando buone doti di cultura e di intelligenza. Nel dicembre 1893 fu promosso maggior generale.


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Oreste Bovio

che, messosi alla testa di una ban<la di circa 2.000 uomini, rendeva insicure le comunicazioni. La rivolta, peraltro, fu rapidamente stroncata. li 18 dicembre 1894 iI maggiore Tosclli 9 con tre compagnie sorprese Batha Agos che stava attaccando il fortino di Halai. Stretto tra il forte e le truppe di Toselli, Batha Agos non ebbe scampo, la sua banda fu completamente sbaragliata e lui stesso cadde nel combattimento. Baratieri, intanto, ormai convinto dell'ostilità <li Mangascià, avanzò su Adua, che raggiunse il 28 dicembre ma dalla quale ripartì quattro giorni dopo a causa delle difficoltà di approvvigionamento. Mangascià lo tallonò e si g iunse agli scontri di Coatit e di Senafè ( 13 e 15 gennaio 1895) che costrinsero il ras tigrino a battere in ritirata ed a rifugiarsi s ui monti del Tembien. Ai due episodi bellici avevano preso parte: per gli Italiani tre battaglioni coloni ali , il II Hiklalgo, il IV Toselli, il lll Galliano IO; una batteria da montagna; due bande irregolari, per un totale di 3.900 uomini mentre le forze tigrine ammontavano a 12.000 armati di fucile ed a 7 .000 annali di lancia. Quanto alle perdite, que lle italiane furono di 5 nazionali (3 ufficiali e 2 soldati) e 90 ascari uccisi, di 2 ufficiali e 297 ascari feriti, quelle tigrine calcolabili in 1500 morti e 3.000 feriti. Due combattimenti quindi di non grande entità, ma tuttavia non privi di rilevanza perché ingenerarono nei comandanti italiani la pericolosa tendenza a sottovalutare la capacità operativa degli Abissini ed a sopravvalutare, invece, l'efficacia dell'artiglieria e la solidità dei battaglioni coloniali. Sul finire di febbraio 1895 Baraticri decise di occupare l' Agamè, vasta zona a sud del Bclcsa, cd il 2 marzo le truppe si misero in movi me nto occupando Acligrat il 3 ed iniziando subito la costruzione di un forte, dato che Baratieri intendeva fare di Adrigat il perno cli manovra della campagna. T1 28 dello stesso mese fu raggiunta la località di Makallè ed il I O apri9 Pi etro Tose Ili, nato a Peverag no nel 185 6. e ntrò ali ' Accademia Milita re nel 1876. Sollolenente di artiglieria nel 1878, dopo a ver frequentato la Scuola di Guerra e ntrò ne l corpo di Staio Maggiore e, o rmai capitano, fu assegnato al comando de lla divisione te rrito riale di Milano. Ne l 1889 a ndò in Eritrea, dove ere<'> il villaggio Nuova Peveragno nelle vic inanze di Asmara, dove riunì le fami glie dei suoi ascari iniziando gli esperimenti pe r una colonizzazione agricola. Nel seuemhre 1890 fu richiamato in Patria cd assegnato all'ufticio coloniale del ministero degli Affari Est.eri. L'anno successivo pubblicò un opuscolo, l'm J\jì·i<:a italiana, nel quale riassumeva le sue idee e le sue esperienze in merito alla valorizzazione agricola della colonia. Promosso maggiore nel 1894 fu nuovame nte mandato in Eritrea, dove ehbe il comando del IV banaglionc indigeni. 10 I battag lioni e ritre i erano numerati progressivamente, con numero romano, e denominati o con il nome de l loro primo comandante (III Galliano, IV Toselli) o con nomi di fantasia (Haga, signore, Ambesà, leoni).


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le Adua, ma la penetrazione italiana si arrestò perché il Presidente Crispi, non potendo reperire le necessarie ri sorse finanziarie, dispose lo sgombero delle località raggiunle e stabilì di considerare Adigrat, che comunque era in territorio abissino, come estremo limite meridionale dell'occupazione. Baratieri chiese allora di essere sostituito (23 apri le) ma il governo non ritenne opportuno accogliere la sua richiesta e così il vecchio garibaldino continuò a rimanere in comando ed ad insistere con il Presidente Crispi e con il ministro degli Affari Esteri Blanc per ottenere i desiderati rinforzi finché, di fronte ad una sua esplicita dichiarazione di essere pronto alle dimissioni qualora non fosse stato disposto l' invio di consistenti rinforzi (7 luglio), il governo lo richiamò a Roma per consultazioni. Barati e ri arrivò a Roma il 27, accolto come un eroe dalla popolazione e dal governo, colmato di elogi e di riconoscimenti, ma ottenne molto poco: il trattenimento in Eritrea di due battaglioni nazionali che avrebbero dovuto rimpatriare per economia, il consenso ad arruolare un nuovo battaglione cli ascari e all 'acquisto di qualche centinaio di quadrupedi per rinforzare le insufficienti salmerie. E ru tutto. Menelik, intanto, aveva consolidato la sua posizione ed ottenuto 1' appoggio dei ras di tutte le provincie, convincendoli della necessità di intraprendere una spedizione per rintuzzare l'espansioni smo italiano. La Francia e persino la Russia, che aveva improvvisamente scoperto una qualche affinità tra la chiesa ortodossa e quella copta, furono larghe di a iuti ed in poco tempo l 'esercito abissino poté disporre di oltre 100.000 fucili moderni anche se di modelli diversi (Remington, e Gras per la maggior parte, ma anche Vetterli-Vitale, Martini-Henry, Mauser, Winchester, Berdan), di alcune mitragliatrici Nordenfeld e di 46 cannoni Hotchkiss a tiro rapido 11, armi tutte dotate di abbondante munizionamento. Franda e Russia, creando fastidi all ' Italia, miravano ad indebolire la Triplice Alleanza che, dal canto suo, non fu in quel frangente di nessun ai uto al nostro Paese. Le capacità operative dell'esercito abissino erano aumentate quindi molto rapidamente, ma il governo della colonia, malamente illuminato da un servizio informativo ancora e mbrionale, non s i rese conto quanto grande e quanto pericoloso fosse quel sallo di qualità. 11 fatto non deve stupire. La presenza italiana in Eritrea e ra troppo recente pe rché fosse già stata organizzata una rete capillare di informatori fidati, i fondi destinati allo scopo, inoltre, erano sempre stati incredibil-

11 Gli abissini disponevano di cannoni Holchkiss da 37 mm. con affusto a deformazione e con gillala <li circa 1.800 m.


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mente scarsi. Anche in questo fondamentale settore l'improvvisazione e l'imprevidenza furono grandi e determinarono di conseguenza valutazioni incongrue e fallaci. Arimond i, tuttavia, avvertì il pericolo e Baratieri nel settembre rienlrò a Massaua, continuando però a sottovalutare le forze abissine, ancora in novembre stimate in appena 30.000 uomini.

Gli avvenimenti della vigilia Incerto sulle real i intenzioni di Menelik, Baratieri decise di impedire un'eventuale penelrazione abissina nel territorio della colonia occupando con il grosso delle forze Adrigat e spingendo in avanti alcuni battaglioni coloniali. Ai primi di dicembre il maggiore Toselli con il TV battaglione indigeni si trovava ad Amba Alagi e nelle intenzioni di Baratieri avrebbe dovuto ripiegare su Makallè, qualora gli Abissini si fossero avvic inati in forze. Ma Ari mondi , che era in forte disaccordo con Baratieri 12, non trasmise con la necessaria celerità l'ordine di ripiegamento e Tuselli all'alba del 7 dicembre iniziò un disperato combattimento contro 30.000 Abissini. Dopo sci ore di lotta accanita il battaglione non esisteva più: Toselli , quasi tutti gli ufficiali , 20 soldati nazionali 1500 ascari erano caduti nella furibonda mischia. Arimondi si ritirò allora ad Adigrat, lasciando a Makallè il maggiore Galli ano con il lll battaglione e quattro cannoni 13 a presidio del forte eretto sull 'altura di Endà Jcsùs. La sconfitta impressionò il governo che finalmente trovò le risorse necessarie per inviare in Eritrea quei rinforzi tanto richiesti da Baratieri e mai prima concessi. Mentre Galliano con spietata energia provvedeva a rafforzare il forte di Endà Jesùs - un semplice muro a secco di cinta, alto due metri e mezzo, che si svolgeva per circa settecento metri racchiudendo nel suo interno qualche edificio fatiscente - Baratieri era sempre indeciso sull 'atteggiamento da assumere anche per il contegno ondivago del governo, che un giorno raccomandava alla prudenza ed il giorno dopo

12 Arimon<li ricevette la lette ra di Baratieri a lle 19.00 <lei 5 dicembre ma la ritrasmise a Toselli soltanto alle ore 07.00 del giorno successivo. 13 G iuseppe Galliano, nato a Vicoforte, nei pressi <li Mondovì, ne l 1846, partecipò alla guerra de l 1866 come sottote ne nte di fanteria. Capitano nel 1883 fu inviato in Eritrea con la spediz io ne San Marzano. S uhito rimpa triato fu nuovam ente inv iato in colonia nel 1890. Ricevuto il c omando <lei III battaglio ne eritreo ebbe una parte notevole nt:l combattime nto di Agnrdat e fu decorato con la medaglia d 'oro al valor militare. Si distinse ancora nei combattimenti di Coatiti e di Senari:, meritando una medaglia d'argento.


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invitava il disgraziato governatore della colonia all'azione. Il Presidente Crispi proibì addirittura che s i intavolassero trattative con Menel ik che pure mostrava di gradire una qualche presa di contatto. Soltanto il 31 dicembre Crispi revocò l'assurdo divieto, ma quando l'inviato italiano Feller 14 raggiunse il campo abissino l'assedio al forte di Makallè era ormai un fatto compiuto. Le forze di Menelik si erano congiunte con quelle di ras Maconnen il 7 gennaio 1896 e già il giorno successivo era cominciato l'attacco, reiterato il giorno 9 ed il 10, respinto però dal fuoco molto intenso dei difensori. Anche l'artiglieria abissina, pur costituendo una poco piacevole sorpresa per Galliano, non era riuscita a demolire le difese del forle. Più preoccupante per i difensori, invece, la perdita delle sorgenti d'acqua non inglobate nel perimetro difensivo. Tuttavia la sproporzione tra le forze in campo non lasciava dubbio alcuno sull'esito finale: Galliano disponeva di 20 ufficiali, 176 soldati italiani , 1.150 soldati indigeni, 4 cannoni, Menelik poteva contare su almeno J00.000 combattenti e 40 cannoni. Nella notte tra il 10 e 1'11 ras Maconnen con 7-8.000 uomini tentò l'attacco risolutivo ma il pur vigoroso e ben condotto attacco abissino s i infranse ancora sotto il fuoco dei difensori. Le ingenti perdite, almeno 500 morti, convinsero Menelik a ricevere Felter ed a concordare il ripiegamento della guarnigione con arm i e bagagli su Adigrat, in cambio dell'immediato in izio di trattative di pace. Baratieri, consapevole che nel forte le riserve d' acqua erano terminate e che quelle di munizioni erano mollo diminuite, non disponendo di forze sufficienti per sbloccare la situazione, acconsentì senza nemmeno attendere il parere del governo e così nel pomeriggio del 21 il battaglione di Galliano abbandonò il forte e rientrò ad Adigrat. Nell'assedio erano morti 6 nazionali e 23 indigeni. Nel frattempo arrivavano a Massaua i tanto richiesti rinforzi, subito avviati sull'altipiano - i primi due battaglioni arrivarono ad Adigrat il 9 gennaio - e Baraticri, che fin dal dicembre aveva assunto il comando diretto delle truppe, si sentì più sicuro. Menelik intanto si dirigeva verso Adua, e Baratieri, abbandonate le forti posizioni di Edagà Ham us ed il forte cli Adigrat, presidiato dal maggiore Prcstinari con circa 2.000 uomini tra nazio na li ed indi ge ni , s1 accampò sulle alture di Samià per sbarrargli la strada per Massaua. 14 Pietro Fcltcr, bresciano, già ufficiale di commissariato dell ' esercito, si dedicò al commercio in Africa e si stabill a Harrar, dove strinse amichevoli rapporti con ras Maconnen. Ha lasciato un volume di memorie sulle vicende che ponarono ad Adua.


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Per tutta la prima parte de] mese di febbraio entrambi i contendenti tennero un contegno molto cauto e prudente. L'esercito abissino stazionava nella piana di Gundaptà, quello ita]iano lo fronteggiava dalle alture di Saurià. Menelik, dopo una dimostrazione compiuta il 13 febbraio con 50.000 uomini davanti alle posi zioni italiane, il 2 1 cominciò a ripiegare nella conca di Adua. Il movimento delJe truppe abissine fu molto disordinato ma Baratieri non colse l'occasione quanto mai propizia per attaccare e rimase fermo sulle posizioni di Saurià. Le trattative di pace, nel frattempo, continuavano, da parte italiana portate ava nti unicamente per guadagnare tempo in quanto Crispi aveva posto una condizione pregiudiziale: una vittoria militare prima di qualsiasi trattativa. Per la verità il negoziato non era facile, molto probabilmente l'opinione pubblica in Itali a non avrebbe approvato "una pace che non fosse sembrala una rivi ncita di Amba Alagi e di Macallè. Tuttavia a Roma si perse jl senso della realtà quando, in febbraio, davanti alla proposta abissina di ritornare allo statu quo ante e di stipulare un nuovo trattato di amicizia, si pretese non soltanto la rifonna del documento di UccialJi ma altresì il definitivo possesso della linea Adua-Adigrat" 15. Naturalme nte Menclik rifiutò sdegnato e Baratieri il 12 febbraio gli scrisse che le trattative dovevano essere considerate "finite e ognuno di noi resta libero delle sue azioni" . Il rifiuto di trattare con un nemico c inque volte più numeroso, ben armato e giunto ormai alle porte dell'Eritrea, è stato giudicato da Angelo Del Boca "incredibile e sconcertante" e, per una volta, non è possibile non concordare con l'agiografo di Menelik. Nella notte tra il 12 cd il 13 febbraio ras Scbat ed il degiac Agos Tafari disertarono il campo italiano e raggiunsero le forze di Menelik con circa 600 uomini, l'indomani tutto il territorio del] ' Agamè, aHe spaJle dello schieramento italiano, era in rivolta. l minuscoli presidi italiani di Schctà e Alequà furono massacrati, la linea telegrafica con Adigrat interrotta, le comunicazioni con Addì Caiéh rese precarie. Baratieri fu costretto a distaccare il reggimento del colonnello Stevani per normalizzare la s ituazione nelle retrovie ma soltanto il 25 i ribelli furono agganc iati a Mai Maret e duramente battuti. Vi s ta la rollura del contatto o perata da Menelik con il suo ripiegamento verso Adua, il 23 febbraio Baratie ri decise di an-etrare a sua volta di una quindic ina di chilometri per poi pro-

15

Mario Monta nari, Adua 1896, in "Storia Militare", u 32, maggio 1996. 0


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seguire verso Addi Caièh, ove s i era già porlala l' intendenza. Di fronte al parere contrario dei comandanti di brigata, interpreti del diffuso malumore della truppa per i continui arretramenti, Baratieri arrestò il movimento e consentì, invece, per il giorno successivo, l' attuazione di una dimostrazione offensiva con 14 battaglioni, spinta qualche chilometro ad ovest delle pos izioni di Saurià e che non ebbe alcun ri sultato. Negli ultimi giorni di fehhraio i due opposti schieramenti pertanto erano in situazione di attesa. Gli Italiani occupavano le alture di Tzalà-Adi Dichè-Saurià antisLanli la conca cli Enlisciò ed avevano raggiunto una forza di 20.000 uomini armati di Verterli-Vitali e con 56 pezzi di artiglieria 16_ Baratieri aveva articolato il corpo di spedizione su quattro brigate, l' organico delle quali la sera del 29 febbraio era il seguente: - Brigata indigeni, al comando del generale Matteo Albertone, su r, VI, VII e VITI battaglioni indigeni, 2 batterie indigeni, 2 batterie nazionali, bande dell' Acchelè Guzai per un totale di 4.772 uomini e 14 pezzi cJ' arliglil;ria ; - la brigata di fanteria, al comando del generale Giuseppe Arimondi, su Ia compagnia del V battaglioni indigeni, 2° reggimento fanteria, 1° reggimento bersaglieri, due batterie da montagna per un totale di 2.793 uominj e 12 pezzi d'artiglieria; - 2a brigata di fanteria, al comando del generale Vittorio Dahormida, su un battaglione indigeni, 3° e 6° regg imenti fanteria, una brigata cli artiglieria da montagna per un totale di 4.269 uomini con 18 pezzi d 'artiglieria; - brigata di riserva, al comando del generale G iuseppe Ellena, su III battaglione indigeni , 4° e 5° regg imenti fanteria, due batterie di artiglieria, una compagn ia genio per un totale di 4.341 uomini con 12 pezzi d'artiglieria. Un consistente corpo di spedizione, dunque, sistemato su posizioni tatticamente huone ma in difficoltà nel settore logistico. Le strade tra Saurià e Massaua, infatti, strette, ripide, disagevoli non conse ntivano il traino, tutti i trasporti dovevano essere effettuati a soma e, per motivi vari, in colonia erano disponibi li soltanto 1.700 cammelli s ui 9.000 ritenuti necessari. Si tenga presente che un viaggio completo, Massaua-SauriàMassaua, richiedeva ventiq uattro giorni . La ribellione dcll' Agamè aveva

16 L'artiglieria italiana era costituita in gran parie da pezzi di bronzo da 75 mm., rigati ed a retrocarica, ad affusto rigido, con gittata 3.000 m. Erano presenti ad i\dua anche 12 pezzi da 42 mm con affusto a deformazione, in acciaio, con giUala di 2.500 m.


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poi aggravato la crisi dei rifornimenti perché alcune carovane erano state catturate dalle bande ribelli. Nel complesso una situazione non precisamente brillante, ma ancora sicuramente padroneggiabile da parte di un comandante equilibralo e capace, attorniato da un nucleo di validi collaboratori. Purtroppo l'atmosfera del Comando del corpo di spedizione non era permeata dalla fiducia nel comandante e dalla concordia delle opinioni. Il capitano Bellavita nel suo interessante volume di ricordi, Adua, ha scritto: "L'ambiente dei nostri accampamenti diventava intanto sempre più di sciplinarmente irresponsabile p er le critiche c le recriminazioni contro il Comando, le quali si facevano palesemente e sempre più vivaci, senza ritegno alcuno. In questo ambiente malsano il Baratieri andava perdendo rapidamente quello scarso prestigio che ancora gli rimaneva, facendolo apparire sempre più irresoluto, inerte, nullo". Baratieri non era quello che suole definirsi un "troupier", ma piuttosto il prototipo del generale politico. Volontario garibaldino a vent'anni, era entrato ne ll 'esercito italiano nel 1862 con il grado di capitano, combattente valoroso nella guerra del 1866 aveva però presto abbandonato la dura, ma sicuramente qualificante sotto il profilo professionale, vita del reggimento per dirigere la Rivista Militare. Autore di svariate e pregevoli pubblicazioni e.li c arattere militare , Baratieri era anche deputato da più legislature ed aveva mantenuto sempre stretti contatti con gli ambienti della sinistra garibaldina. Come scrive il generale Montanari, Baratieri era "intelligente, buon scrittore, mediocre oratore, coraggioso, generoso, aveva bene merenze garibaldine, buoni precedenti di carriera e godeva di ottima considerazione in ambi to politico, quale deputato" 17 ma è necessario aggiungere, come scrisse il Malladra, che "intaccavano il suo carattere ambi zione ed orgoglio spinti al di là del limite oltre il quale queste qualità cessano di essere buone e perciò utili, per divenire difetti e perciò nocive; e debolezza, una grande debolezza" 18. Mancavano a l coma nda nte in capo Baratieri Ja sicurezza, che deriva dall'esperienza, cd il prestigio, che discende da un passato militare ortodosso. Era un generale ma non era un comandante. I quattro maggiori generali in sottordine erano accomunati dalla disistima nei confronti del Baralieri, nel quale riconoscevano un superiore

Mario Montanari, op. cit. Giuseppe Malladra. Ul hlllllll{lia di J\dua. in " Nuova Antolog ia" n° 16 novembre - I 0 dicembre 1935, pag. 55. 11

18


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(Baraticri era stato da poco promo sso te ne nte generale) ma non un comandante. Arimondi, l'unico in colonia già da alcuni anni come vice-governatore e comandante delle Regie Truppe dell ' Eritrea, era anche il solo ad avere un' adeguata esperienza. Il generale pi emo ntese ri scuote va anche una grande considerazione tra le truppe di colore per la bella vittoria riportata anni prima ad Agordat sui dervi sci, avrebbe quindi dovuto essere la spalla di Baratieri, invece i rapporti tra i due erano a dir poco infelici. Arimondi non pe rdonava l'egocentrismo di BaraUeri che, assumendo di persona il comando delle truppe, in pratica lo aveva esonerato e non approvava la condotta operativa incerta e timorosa attuata dal Baratieri negli ul timi mes i, tanto che aveva richi esto più volte cli essere rimpatriato. Il ministro della Guerra, Mocenni, nonostante il parere favorevole di Baratieri c he addirittura nel novembre 1895 gli aveva comunicato "che gravi ragioni consigliavano di accettare subito la domanda", non aveva ritenuto opportuno depauperare il corpo di spedizione di un comandante sperime ntato e Arimondi era rimasto in colonia. Albcrtonc e D abormida, provenienti dal Corpo di Stato Magg iore , erano indubbia mente uffic iali molto preparati sotto il profilo tec nico, anche se privi di specifiche esperienze nel campo colonia le. Entrambi avevano fatto parte di quel ristretto nucleo cli ufficiali scelto dal generale Cosenz nel 1882 per costituire l'uffic io del capo di Stato Maggiore dell'esercito, entrambi erano stati insegnanti alla Scuola di Guerra - Albe tt one di logistica, Dahormida di storia militare - cd entrambi erano stati designati a firmare, a Berlino ed a Vienna, la segreta convenzione militare che completava il trattato istitutivo della Triplice J\lleanza. Abituati ad operare a stretto contatto con le più alte ge rarchie militari e di governo, consapevoli di possedere una solida prepmazione, di caratte re 1igido e fermo, questi due generai i non facevano mistero della poca consideràzione nella quale tenevano il comandante capo, con le ripercuss io ni ne ll ' ambito del ristretto ambiente colonia le che si possono facilmente compre ndere. Anche l ' ultimo arri vato, il generale Elle na , non era soddi sfatto. Proveniente dall'artiglieria, di cui aveva un 'approfondita conoscenza tecnica, era giunto in Africa per dirigere la sperimentazione cli un nuovo morta io cd aveva mal accettato il comando di una brigata di fanteria che gli aveva imposto il Baratieri. In campo abissino la situazione non era molto migliore, date le difficoltà d i vettovagli are una moltitudine cli oltre 150.000 persone tra guerrieri, donne, schiavi in un territorio desolato dalle razzie. L'eccezionale


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prolungarsi della campagna e la grande di stanza tra le sedi stanziali e la zona di operazioni alimentavano l' insoddisfazione dei ras e l' inquieludine dei guerrieri, tanto da indurre Mcnelik ad indire il 26 febbraio un consigl io di g uerra. Il dilemma di fondo era lo stesso che preoccup ava Baratieri: attaccare o ritirarsi? L'attacco era sconsigliato dal fatto che le posizioni italiane di Saurià e rano molto forti, la rilirala avrebbe avuto le stesse devastanti conseguenze <)i quella effettuata dal negus Giovanni di fronle alla spedizione di San Marzano nel 1888 , fu scelta perciò una Lerza soluzione: restare in zona ed attendere che fossero gli Italiani ad attaccare, attesa che poteva però essere mantenuta per pochi giorni, se gli Itali ani fossero rimasti fermi a Saurià l' esercito ahissino av rebbe preso la direzione del I' Hamasien e po1tato la guerra oltre il Mareb, in lerritorio eritreo. Una situazione critica di stallo per entrambi i contendenti, Menelik però era in grado di prendere decisioni anche gravi con relativa scioltezza, sia pure condizionato in qualche mi sura dal parere dei ras più influenti, Baratieri era, invece, impasloiato dall'evidente ostilità dei suoi genera li e dall e di,-etlive vincolanti ma contraddittorie che gli perveni vano da Roma. Quando già il governo aveva deciso di sostjtuirlo nel comando con il generale Baldissera, Crispi gli inviò un telegramma molto duro: "Codesta è una tisi rnililare, non una guerra; piccole scaramucce, nelle quali c i troviamo infe1iori di numero dinanzi al nemico; sciupio di eroismi senza successo. Non ho consigl i da dare perché non sono sul luogo, ma constato che la campagna è senza un preconcetto e vorre i fosse stabilito. Siamo pronti a qualunque sacrificio per salvare l'onore dell 'Esercito cd il prestigio della Monarchia" . A prescindere dalla totale incongruenza dell ' ultima frase - l'onore dell' esercito ed il prestigio della monarchia non erano in discussione e gli episodi di Amba Alagi e di Makallè avevano dimoslrato che gli ufficiali italiani sapevano tenere in pugno gli indigeni e, se necessario, morire con di gnità - la sfuri ata del Presidente del Consiglio centrava il problema: Baratieri non sapeva quale decisone prendere. Tuttavia "per un uomo della di sposizione d 'animo di Baralieri, le pressanti, ma vaghe esortazioni del presidente costituivano solo un motivo di ansia", come ha notalo con ragione John Gooch 19, e non servirono a far prendere una decisione defi nitiva all ' incerto generale, sempre oscillante tra la ritirata su Addi Caièh, dove aveva spostato da Mai Maret la hase logistica, ed una puntata offensiva in direzione di Adua.

19 John

129.

Gooch, t:sercito, Stato e Società in Italia /870-1915, Pram:o Angeli, Milano 1994, pag.


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La battaglia

Il 27 febbraio Baratieri, resosi conto che i viveri accantonati erano sufficienti per tre giorni e che l 'ultima carovana inviata da Massaua, attesa per il 2 marzo, avrebbe portalo viveri per soli cinque g iorni, decise di ripiegare su Addì Caièh. Il giorno successivo, dopo aver fatto compilare gli ordini necessari per il movime nto, Baraticri ebbe la debolezza di riunire nel pomeriggio i comandanti di brigata e di far loro esporre dal suo capo di Stato Maggiore le disposizioni preparate chiedendo loro, infine, se avessero qualche osservazione da manifestare. Fu un grave errore. Come scrisse nel 1928 il Maresciallo Caviglia, ali' epoca dei fatti capitano addetto al Comando ciel corpo di spedi z ione, "cominciò il generale Albertone, come meno anziano, e poi Arirnondi a contraddire l' ordine di ritirata, con ragioni morali e politiche, che trovarono facile adito nell'animo di Baratieri, e la corrente offensiva riprese il sopravvento. Tb1igaclicri, adunque, entrati per ricevere un ordine di ritirata, già pronto, ne uscirono con uno di attacco, senza che nulla fosse venuto a modificare la situazione (il corsivo è nostro)" 20_ Ed è proprio quest' ultima affermazione de l competente e sincero Maresciallo che testimonia senza alcun dubbi o l'insicurezza di Baratieri. E l' Ordine del g iorno 29 fehhraio 1896, n ° 87, che dette inizio alla battaglia, ribadisce ancora l'indecisione del comandante in capo: "stasera il Corpo d ' operazione muove dalla pos izione di Saurià in direzione di Adua, fonnato nelle colonne sottoindicate: - colonna di destra (gen. Dabormida): 2a brigata fanteria - battaglione milizia mobile - comando 2a brigata di batterie colle batterie Sa, 6a e ?a; - colonna del centro (gen. Ari mondi): Ia brigata di fanteria - 1a compagnia del V battaglione indigeni - batterie 8a e lla; - colonna di sinistra (gcn. Alberlone) : 4 battaglioni indigeni - comando della 1° brigala e batterie la, 2a, 3 a e 4a; - riserva (gen. Ellena): Ja brigata fanteria - I battaglione indigeni batterie a tiro rapido e compagnia genio. Le colonne Dabormida, Arimondi e Albertone, alle ore 21, muoveranno dai rispettivi accampamenti: la riserva muoverà un'ora dopo la coda della colonna centrale. La colonna di destra segue la strada colle Tzalà - colle Guldam, colle Rebbi Arienni ; la colonna centrale e la ri serva, la strada Adì DicheèGundaptà - colle Rebbi Arienni ; la colonna di sinistra la strada Suarià -

20 E,11 iu, Caviglia, La hallaglia di Adua, in "F.chi e commenti" del 5 marzo J 928.


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Addi Chcras - colle Chidane Meret; il Quartier generale marcia in testa alla riserva. Primo obiellivo la posizione formata dai colle Chidane Mcret e Rebbi Arienni, tra M. Semaità e M. Esciasciò, la cui occupazione verrà fatta dalla colonna Albertone a sini stra e dalla colonna Dabormicla a destra e dalla colonna Arimondi al centro. Questa però, ove siano sufficienti le colonne Alberlone e Daborrnida, prenderà posizione di aspetto dietro le due brigate predette". Seguivano alcune avvertenze relative al munizionamento, al vettovagliamento, alle comunicazioni. Ai comandanti di brigata fu distribuito, inoltre, uno schizzo topografico con l'itinerario da percorrere ed una sommaria orografia della zona. Gli italiani - ricordiamolo ancora - non disponevano di carte topografiche e la zona delle operazioni era dal punto di vista dell'orientamento particolarmente difficile: un succedersi di catene montuose, di conche coperte di cespugli e di radi alberi e dal fondo acquitrinoso, di burroni c di crepacci, di gole e di passi angusti. Pochissimi i punti di riferimento: qualche tratturo, qualche villaggio, qualche imponente sicomoro, qualche chiesetta isolata. Tutti gli aulori sono concordi nel giudicare deludente ed incompleto quest'ordine di operazione, le cui mende principali possono essere così riepilogale: a) innanzitutto l'incertezza degli obiettivi perché la definizione dell'allineamento Chidane Meret-Rebbi Aricnni come "primo obiettivo" non poteva non suggerire l' esistenza almeno di un secondo obiettivo; b) la mancanza di un itinerario di ritirata, nell'eventualifa - sempre da considerare - di un insuccesso; e) l' imprecisione dello schizzo topografico: il colle Guldam in realtà s i trova sull'itinerario della colo nna centrale e non su quello della colonna d i destra; l'altura di Adi Cheiras è a sud della strada che deve percorrere la colonna centrale, non sul cammino della colonna di sinistra; il colle indicalo con il nome di Chidane Meret si trova otto chilometri più avanti; manca no nello schizzo alture impone nti come i monti Diriàn, Bellàh, Monoxeitò, Zabàn, Darò, Gossossò, proprio quc11c alture che causeranno 1' isolamento della brigata Daborrnida; d) la riduzione da 110 a 90 dei colpi in dotazione a ciascun pezzo d' artiglieria, riduzione che diminuiva di oltre il 25% la possibilità di fuoco dell ' artiglieria in una situazione cli drammatica inferiorità numerica. ln conclusione, Baratieri si ri prometteva di avanzare fino alla prima quinta montana, quella di monte Rajo, per offrire battaglia a Mcnclik su


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posizioni naturalmente forti, in modo da avere la possibilifa di logorare fortemente l'attaccante e di passare successivamente al contrattacco in condizioni di superiorità. Qualora il negu s avesse rifiutato il combattimento, il corpo di spedizione sarebbe rientrato a Saurià, pago di aver intimidito l'avversario. Baraticri, in delìnitiva, si era ancora ri servata la possibilità di combattere o di rimandare la decisione finale , ma non ebbe l'avvedutezza di chiarire le sue intenzioni ai brigadieri, forse temendone le obiezioni. La marcia verso il "primo obiettivo" iniziò verso le 21, il movimento delle colonne non fu privo di errori, sempre a causa del!' imprecisione dello schizzo distribuito, comunque verso le 4 del mattino Albertone aveva raggiunto il colle che lo schizzo indicava col nome di Chidane Meret, Arimondi alle 6 si fermava a circa un chilometro dall'imhoccatura del colle Rebbi Arienni, attenendosi agli ordini ricevuti. La brigata Dabormi da non incontrò ostacoli, seguendo le indicazioni delle g uide verso le 5 si attestò sul Rebbi Aricnni "trovato sgombro dal nemi co", come riferì diligentemente per iscritto Daborrnida a Baratieri. La brigata Ellena, preceduta dal Comando del corpo di spedizione, verso le 7 arrivò anch'essa sul rovescio del Rebbi Arienni, a due chilometri dalla brigata Ari mondi . Così fra le 4 e le 7 del mattino, il " primo obiettivo" indicalo nell'ordine di operazioni era raggiunto. Quando, alle prime luci del g iorno, Baratieri giunse nei pressi del Rebbi Arienni aveva, almeno in apparenza e per il momento, buone ragioni per ritenersi soddisfatto: anche se la marcia non era stata molto ordinata e non erano mancati inconvenienti e malintesi, il suo piano pareva aver trovato completa attuazione. Del ne mico nessuna traccia: forse, dopo averlo apertamente sfidato, sarebbe stato ora possibile disimpegnarsi e sgomberare. O forse era ancora realizzabile un attacco contro le retrog uardie di un esercito che gli informatori avevano descritto quasi in stato di dissoluzione e già sulla via della ritirata, riportando così un clamoroso successo a buon mercato. Baratieri ignorava che a quell'ora il destino della battaglia, e con esso quello di molti dei suoi soldati, era già segnato. Quella che è convenuto chiamare battaglia di Adua - afferma a rag ione lo Zoli - non è in realtà una battaglia condotta con un solo criterio, sotto un unico comando, in vista di un obiettivo ben definito: si tratta piuttosto di tre azioni slegate e separate nel tempo, nello spazio, nel comando e negli intenti Proprio in considerazione di questa particolare caratteristica saranno


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esaminate successivamente le azioni delle brigate che, in effetti , combatterono in ore e località diverse, sen7,a alcun legame tattico fra di loro. Esaminiamo per prima l' azione della brigata indigeni. Come è stato già detto, Albertone era giunto sull'obiettivo indicato dall'ordine di operazione alle 4 del mattino, ma, avvertito dalle guide che il vero colle Chidane Meret si trovava più avanti, aveva proseguito, facendosi precedere di un paio di chilometri dal battaglione Turitto. 1n questa disubbidienza del generale Albertone sta la causa tattica della sconfitta di Adua, e dico disubbidienza perché Albertone era troppo intelligente per non comprendere che, se anche il nome riportato sullo schizzo era errato, la posizione raggiunta era quella giusta. Albertone del iberatamente andò avanti , spinto dalla sua volontà offensiva, dal disprezzo per la condotta incerta di Baratieri, dalla totale sottovalutazione della consistenza materiale e morale dell'avversario 21 . Giunto verso le 5,30 con il grosso della brigata sul colle Addi Beccio, Albcrtone si inerpicò sul munte Munuxeitò per riconoscere il terreno circostante e finalmente comprese di essersi spinto troppo avanti scorgendo, due chilometri avanti, il battaglione Turitto che stava per scontrarsi contro una massa di qualche migli a ia di Abi ssini. Albertonc ordinò allora al maggiore Turitto di ripiegare e schierò in tulla fretta la brigata - V11 battaglione Valle a sinistra; al centro l'artiglieria; a destra il VI battaglione Cussu; dietro l'artiglieria, in riserva di bri gata, l'VTTT battaglione Gamerra; le bande irregolari sui fianchi - senza il tempo di riconoscere il terreno e di sfruttarne al meglio le accidentalità. L'ordine di ripiegare sul grosso giunse però troppo tardi al battaglione Turitto, agganciato dall 'avversario fin dalle 6, I O. Il movimento retrogrado, condotto sotto la forte pressione di almeno 5.000 Abissini, fu pertanto difficile e provocò numerose perdite. Il generale avvertì il comando della situazione in cui era venuto a trovarsi con due successive comunicazioni scritte (ore 6,50 e 7,30), c ui ne fece seguire un'altra (ore 8,25) con la quale richiedeva esplic itamente rinforzi. Soltanto le prime due comunicazioni giunsero a Baralieri e inoltre solo alle 9, quando la situazione della brigata era definitivamente compromessa e non vi era più la possibilità di soccorrerla. Alle 7 , 15, infatti, i resti dcll' avanguardia, caduti quasi tulli gli ufficiali,

2 1 li generale Albcrtonc sostenne sempre, invece, di aver proseguito il movimento sia perché il colle si prestava alla schieramento di una sola compagnia e non di una brigata sia perché le guide indigene gli avevano detto che il colle Chidanc Mcrct era pili avanti.


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erano rifluiti dal Chidane Meret frammisti alla prima ondata abissina, arrestata però e decimata dal fuoco efficace e continuo dell'artiglieria che ribu ttava indietro le schiere successive, mentre la fante ria indigena teneva duro sulle posizioni appena occupate. Sotto il tiro a shrapnel dei 14 pezzi della brigata gli Abissini si fermarono e cominciarono a ritirarsi. Verso le 8,30 la situazione degli attaccanti era di venuta particolarmente d ifficile, un testimo ne italiano così la descrisse: " apparivano nel campo nemico manifesti indizi di prossima dissoluzione. Grossi repart i abbandonavano il campo della lotta fuggendo ; altri , pur continuando a sparare, più no n accennavano ad avanzare. L'artiglieria nemica spostata sul monte Lazat cessava il fuoco ...". Per un mo mento sembrò che la vittoria potesse arridere alle armi italiane, ma fu illusione di poco. Erano circa le 9 quando Me nelik, che impressionato dalle perdite, semhra abbi a avuto per un istante l'intenzione di ritirarsi , fece intervenire i 25.000 uom ini della guardia imperiale, mentre si profilava per la brigata un altro gravissimo pericolo. Invece di proseguire negli attacchi frontali, gli Scioa1ù occupavano le pendici del monte Scndedò, si defilavano in una forra e sbucavano improvvisamente a ridosso del VTT battaglione e delle batterie, costrette a sparare a mitraglia per difendersi di rettamente. Contemporaneamente altri guerrieri si arrampicavano sugli strapiombi del monte Monoxcitò, prendendo d ' infilata le posizioni occupate da gran parte de lla brigata. In questa seconda fase del combattimento Albertone si trovò di fronte e sui fianchi una massa di quasi 50.000 uomini e non e bbe scampo anche se, fino alle IO c irca, riuscì a tenere le posizioni soprattutto grazie all' efficace fuoco dei suoi 14 pezzi. Nel frattempo, il grosso dell ' esercito imperiale sfilava al copétto di queste masse, per andare ad investire le colonne centrali, ormai definitivamente separate dalla brigata Alhertonc. L'irruenza degli Abissini, specie della cavalleria galla, fu tale che verso le l 4 ,00 alcuni reparti giunsero sulle retrovie italiane, a Saurià, massacrando i pochi addetti alle salmerie e saccheggiando i magazzini. Verso le 10,30, esaurite ormai le munizioni d ' artiglieria ccl impiegato il battaglione di riserva, Albertone dette l'ordine di ritirata nel tentativo di sfuggire ali ' accerchiamento. Drammatico il quadro delle ultime fasi del combattimento della brigata indigeni: le batterie indigene, esaurite le munizioni, cercavano di caricare i pezzi sui muli , quelle nazionali, resistendo intrepidamente in esecuzione dell ' ordine cli Albertone: " Ufficia li e soldati si facciano uccidere accanto ai loro pezz i", sparavano le ultime cariche sotto il nemico, giunto ormai a 100 metri ; k compagnie stremate dai conti nui attacchi , dopo aver tentato


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invano con un ultimo contrassalto di respingere la stretta inesorabile del nemico, si dellero alla fuga mentre il nemico con urla assordanti, si lanciava infine avanti, sommergendo letteralmente qualsiasi resistenza organizzata. Alle ore 10,45 la tragedia era compiuta: 48 ufficiali su 81 erano caduti ; quasi tulli gli altri feriti; alcuni, tra i quali lo stesso Albertone caduto sotto il muletto colpito a morte - falli prigionieri. I supe rs titi rifluivano terrorizzati lungo la strada percorsa al mattino o verso no rd , in direzione del colle Rebbi Arienni , dietro il quale incontrarono reparti della brigata Ellena ancora in marcia. Verso le 11 ciel 1° marzo, quindi , oltre un quarto del corpo di spedizione italiano era a nnientato. La cavalleria galla poteva proseguire senza ulteriori preoccupazioni il movime nto aggirante a largo raggio iniziato qualche ora prima, mentre g ro sse colonne appiedate si dirigevano sempre più celermente, talora frammischiale agli ascari in fuga, verso il monte R~jo, dove avrebbe avuto luogo il secondo atto dell a tragedia. Esaminiamo pertanto l'azio ne delle brigate Arimondi ed Ellena. La brigata Dabormida, come si è gi à detto, aveva occupato il colle rebbi Arien ni alle 5, 15, me ntre la brigata Arimondi, uni formandosi agli ordi ni ricevuti, si ammassava sul rovescio del colle stesso per le 6. Verso la stessa ora giunse Baratieri , c he si soffermò nei pressi di un vi llaggio abbandonato, sulle falde del monte Esciasciò. Da questa località egli udì accendersi - "eia davanti sull a sini stra" - il fuoco della fucileria. Dovette allora comprendere che la brigata indigeni, fino a poco prima introvabile ai suoi messaggeri, era incappata nel nemico in una posi zione molto più avanzata di quella prevista. Conseguentemente dovette apportare al piano originario le modi fiche che la si tuazio ne improvvisamente delineatasi imponeva. Baratie ri avre bbe potuto attenersi a due opposte soluzio ni: una, difensiva, intesa a ricostruire lo schema previsto dall ' ordine di operazione, colmando con la riserva il vuoto lasciato da Albe rtone alla sinistra cli Agrimondi; l'altra, offensiva, tende nte a spostare in avanti il centro di gravità di tutto lo schieramento, portando le altre brigate a fianco di quella indigena. Egli adottò invece u na soluz ione di compromesso: decise cioè di ricostitui re la linea non più sui lati del Rajo , ma subito davanti ad esso. La brigala Arimondi ricevette infatti l'ordì ne di superare il Rebbi Arie nni e spiegarsi sulle pendici del Rajo, occupando anche l'antistante monte Zeban Darò; la brigata Dabormida doveva sp ingers i a sud per sostenere la resistenza cli Albcrtonc e , contem poraneamente , presidiare il monte Belah pe r sbarrare le provenienze da sud-ovest sotto la protezione di un battaglione di Arimondi (il IV battaglione del 2° reggimento, comandato da l maggiore De Amicis) e della compagnia indi-


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geni dis locati sullo sperone Erar per dare sic urezza all 'estrema destra dello schieramento; la brigata Ellena, infine, doveva sostituire la brigata Arimondi sul colle Rebbi Arienni . Gli ordini conseguenti furono emanati fra le 7,00 e le 8,30. La soluzione adottata non funzionò a c ausa di una nuova serie di imprevisti: il rapidissimo crollo di A lbertone, l 'eccessiva lentezza del movimento di Ari mondi e di Ellena e la scomparsa di Dabormida. Impartite le disposizioni di cui sopra Baratieri, ansioso di seguire più da vici no l'evoluzione degli eventi , spostò il suo posto di comando dall'Esciasciò allo spigolo sud-ovest del Raj o, dove fu raggiunto poco dopo dal generale Arimondi. Commise con c iò un altro errore, sia perché si rese irreperibile per circa tre quarti d'ora, sia perché dalla nuova posizione perdeva di vista il movimento della brigata Dabormida, che aveva il compito essenziale di garantire la continuità del fronte. Poco dopo le 9 il suo persistente ottimismo fu scosso non tanto dalla ricezione dei dispacci di Albertonc (che, come si è visto, risalivano a due ore prima e parlavano solo dell ' inizio di un combattimento), quanto dalla visione dirette "di una lunga schie ra di ascari che volgevano il tergo al combattimento". rano i resti dei battaglion i indigeni che cominciavano a rifluire verso il Rajo ed il Rebbi Arienni. Dalla visione di questo primo cedimento derivò una nuova serie di ordini impartiti fra le 9 e le IO: ad J\lbertone di ri piegare verso il colle Erarù (ma l' ordine non fu mai ricevuto dal destinatario); a Daborrnida di affrettare la marcia per agevolare il ripiega mento degli indigeni; ad Ellena di rinforzare la sinistra di Arimondi inviando il battagli one Galliano sulle pendici orie ntali del Rajo. Poco dopo le I 0,30 il nemico, cessata og ni resistenza della bri gata indigeni, investì la brigata Arimondi che aveva appena assunto il nuovo schi eramento: a destra, verso lo 7,ehàa n Oarò, il 1° reggimento bersaglieri; verso il Rajo, più in basso, il 2° reggimento fa nteria; al centro l'artiglieria. Grosse schie re sc ioa ne attaccarono frontalmente mentre a ltre, secondo la consueta tattica etiopica, avvolgevano le ali aggirando il Rajo da sinistra e, contemporaneamente, infiltrandosi nell a valle fra il Be lah e lo Zeban Darò. Baralieri divenne ora più che comandante, partecipe diretto del combattimento. Impressionato dal lo spettacolo che si svolgeva sotto i suoi occhi, da quella marca nera che non seguiva direttrici, ma si limitava a salire e sommergere come la pie na di un fiume , egli continuò ad essere preoccupato della sinistra e chiese ri nforzi a Ellcna, che però non poté mandargli quas i nulla perché i suoi reparti, senza avere avuto il tempo di sch ierarsi, erano stati attaccati dalla cavalleria galla e dagli se inani .


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Il battaglione Galliano cedelle inspiegabilmente appena schierato, forse perché travolto dall'onda degli ascari fuggiaschi incalzati dal nemico. Galliano raccol se allora intorno a sé una quarantina di superstiti e pronunciò l'ultima frase nota, epica ne lla sua semplicità: "Vediamo di finir bene !". L'eroe di Makallè sparì e non se ne trovò nemmeno il cadavere. Sul fronte, mentre le file ormai diradate dell a fanteri a italiana (reggimenti Brusati e Stevani) facevano fuoco abbarbicale ai gradoni del Rajo e l'artiglieria sparava con prudenza per non colpire gli ascari in ritirata, gli Abissini avanzavano nella valle, mettevano piede sul Belah, che avrebbe dovuto essere tenuto dalla brigala Dabormida, ormai lontana cd avviata anch'essa alla distruzione, e sullo Zeban Darò, da dove fulminavano le posizioni itali ane, impedivano qualsiasi movimento, premevano sempre più fortemente eia ogni lato, schiacciando materialmente lo schieramento itali ano. Scrive il Del Boca: "ln meno di un'ora, sollo questa marea che sale e tutto penetra, rompe, scavalca, la linea difensiva va a pezzi, la battaglia si frantuma in cento sep arati comhattimenti nei qua li alcuni reparti

cli alpini e di bersaglieri si battono anche splendidam ente ma invano" 22. Baratieri, ormai conscio della tragica evoluzione della lolla, chiese ad El lena di far avanzare un reggimento per coprire la ritirata; ma a quell ' ora di 24 compagnie ne rimanevano disponibili solo 5. Come si è g ià accennato, infatti, mentre i due reggimenti (4°, Romero e 5°, Nava) della brigata muovevano per occupare il Rebbi Arienni, erano stati attaccati da entrambi i fianchi. Rendendosi conto che non c ' era più nulla da fare, Baratieri impartì l'ordine di ritirata, cercando <li far coprire il ripiegamento dall'artiglieria. Ma nea nche questo era più possibile perché il contatto con gli Abissini era troppo stretto; nella mischia caddero Arimondi e quasi tutti gli uffi ciali. Gl i uomini , esausti, pressoché digiuni dalla sera precedente, arsi da lla sete, consci della terribile sorte che li attendeva se fatti prigionieri, non erano più in grado <li opporre una resistenza organizzala. Essi cercarono di dirigersi per il piano di Gundaptà su Saurià, Ma poco dopo si resero conto che la strada era già stata tagliata dalla cavalle ria galla. La colonna dei fuggiaschi, circa 2.000 uomini, dopo aver costeggiato l' Amba Bairòt sulla quale i resti del 4° reggimento si sacrificarono per tenere aperta la via di scampo, imboccò la valle del Jehà. Tn quella valle - dove avrebbe

22 Il corpo degli alpini ha ricevuto il ballesirno <lt:1 fuoco ad Adua, dove era presente il haltaglione di formazione comandalo dal maggiore Menarini.


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dovu to trovarsi il battaglione Ameglio 23 - s i completò la tragedia delle due brigate e i Galla massacrarono senza pietà i soldati che si precipitavano verso l'acqua. Verso le 15, mentre ad Abba Garima i feriti della brigata Alberlone ricevevano le prime cure per ordine dell'imperatrice Taitù e la brigata Dabormida conduceva ancora ordinatamente il suo combattimento ne ll a valle di Mmiam Sciauitò, l ' ultimo tentativo di Baratieri di aggrapparsi ad un appiglio tattico, la piccola altura di Abi Addì al centro della valle Jehà, falliva e la ritirata riprendeva sollo l'incalzare del nemico. Qua ndo i s uperstiti raggiunsero la stretta di Af Zebib erano rimasti in 800! Raggiunta la valle Bitalc la cavalleria galla rinunciò all ' inseguime nto e la colo nna divisa in due tronconi a causa di un ennesimo errore, ragg iunse all' alba del 3 marzo Addi Caièh con il primo troncone e Adi Ugri con il secondo. Occupiamoc i ora dell'ultima brigata, quella comandata da Dabormjda. Ci rea alle 6 del 1° marzo, Daborrnida si incontrò con Baratieri, con lui udì il rumore della fucileria a da lui ricevette gli ordini che, nelle inten1'.iuni ùi Baratieri, avrebbero dovuto ristabilire la s ituazione, realizzando il saliente protettivo del monte Belah e "tendendo contemporaneamente la mano ad Albertone", duramente impegnalo. In base a quest'ordine la brigata Dabonnida discese dal Rebbi Arienni, ma anziché presidiare il Belah proseguì pe r la valle di Mariam Scioaitù. Invece di dirigere a sud, andò a nord. Non esiste alcuna spiegazione plausibile e logica, né è possibile che es sa ve nga mai fornita , p erc hé l'unico c he avre bbe potuto d a rl a, Dabormida appunto, cadde nella valle ove si era spinta la brigata. Non vi sono altri testimoni in quanto egli non riferì a nessuno gli ordini ricevuti, né este.mò successivamente i suoi propositi. Riferisce infatti il B ellavita, s uo a iutant e di c ampo: " .. .il gen. Dabormida si accodò al battag lione di avanguardia sempre consultando le sue carte e dimenticando così ne lla fretta c he, secondo le prescriz io ni regolamentari , avrebbe dovuto comun icare almeno al Comandante del reggimento di tesla quale fosse la sua missione. Così fu che né l'aiutante di campo, né i due comandanti di reggimento abbiano potuto sapere durante tutta la lunga, disastrosa discesa, quali fossero gli ordini ricevuti dal nostro comandante di brigata all'atto di lasciare il Rebbi Arienni ...".

23 TI battag lione Ameglio era sUllo inviato il 23 febbraio a Atli Quata, per controllare la via d'accesso all'Eritrea. Il 29 febbraio Haratieri decise di richiamarlo e di farlo schierare a Jehì1 ma, per un banale errore, nel telegramma Jehà divenne H ichò e così Ameglio non arrivò in

lempo.


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DelJa perseveranza del Dabormida nell'errore sono state tentate tulle le spiegazioni possibili: da quella di una involontaria deformazione della prospettiva, che gli avrebbe fatto immaginare un'inesistente soluzione di conti nuità nelJa barriera montana che lo separava dalla brigata indigeni , spiegazione patrocinata dal Pollera, minuzioso conoscitore del te rreno della battaglia, a quella di una sua disobbedienza volontaria "per prende re la mano al Comandante in Capo". C'è ancora chi, con singolare intuito forse vici no alla verità, tenta la spiegazione in chiave di sintesi, lenendo presente il particolare atteggiamento psicologico di Dabormida. TI Battaglia ha ritenuto, infatti, di individuare l'origine dell'errore da un lato nel temperamento egocentrico del generale, dall'altro nelJe erronee indicazioni del noto schizzo e nella difficoltà di orientamento propria dei terreni montani. In realtà tutte le spiegazioni, per ingegnose che siano, prestano il fianco a valide obiezioni e lasciano ampio margine al dubbio. Non si può quindi fare altro che registrare ancora una volta le l1isti conseguenze del grave errore di itinerario compiuto dalla brigata che, lasciato il colle Rebbi Arienni e percorsi appena 200 metri nella direzione giusta, verso sinistra, imboccò un sentiero in discesa che obliquava invece a destra. Verso le 9 la brigata raggiunse il fondovalle , acquitrinoso, c ircondato da alture imponenti, tutte ignote. T re parti, dopo la lunga discesa, uscirono dalla pista e si ricomposero. In lontananza si vedevano le tende de ll' accampame nto di ras Maconncn, deserte. Il generale Dabormida di staccò allora il battaglione della miliz ia mobile indigena sulla sini stra e in avanti, inviò a destra una compagnia autonoma e, convinto così di aver provveduto alla sicurezza della brigata, inviò a Baratieri il noto messaggio (ore 9, 15): "Estesi accampamenti nemici si scorgono a nord di Adua ; una forte colonna dirige verso la brig ata indigeni; tendo la mano a questa pur tenendo un forte nucleo <li truppe ammassato presso la strada c he <lai colle Rebbi Aricnni tende ad Adua, sorvegl iando le alture di destra". li biglietto fu l' unico della brigata ricevuto regolarmente da Baratieri , che ne fu tranquillizzato: evide ntemente il suo piano per rimediare all 'errore di Albertone s i concretizzava ne l pieno rispetto delle sue direttive. "Nessuno infatti - dice il Bellavita - poteva persuadere se stesso che alle 9, 15, me ntre le due brigate bianc he venivano attaccate dal nemico, mentre la brigata indigeni stava da due ore dibattendosi disperatamente fra l'i ncalzare cli grosse masse nemiche, Dahormida potesse scrivere quelle frasi re la tiva me nte tranquillanti e accennare a lla s u a bri gata intera ammassata in attesa degli eventi .. e, notisi bene, a distanza di almeno due


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ore di marcia dalle brigate più vicine!". Il famoso "braccio"che egli tendeva inoltre, avrebbe dovuto essere più lungo più di 5 Km e scavalcare tutto il massiccio del Diriam, che lo separava da AJbertone. Verso le 10,30, come era già avvenuto per altre brigate, ecco accendersi improvvisame nte la loti.a: il battaglione Dc Vito, giunto sulla dorsale del Diri am, fu violentemente attaccato da forze nemiche che vi si erano celate fino a quel momento e distrutto in pochi minuti . Gli altri reparti erano ancora ammassati nel fondovalle quando, circa le 11 , le creste dei monti si coronarono istantaneamente di armati ahissini, che si gettavano giù per i pendii. 11 combattimento si estese a tulli i reparti , schierati da sinistra a destra nel segue nte ordine: 111 battaglione del 3° reggimento fanteria; 18 pezzi della brigata di artiglieria; I battaglione del 6° reggimento fanteria, gli altri due battaglioni di questo reggimento si trovavano rispettivame nte uno sul monte Erar (Dabormida ignorava che l'altura era già presidiata dal battaglione De Amicis), l'altro a rinforzare l'estrema destra, ove sino ad allora si trovava solo la compagn ia autonoma Pavesi. La lotta non ebbe però quel fu lmineo andamento che caratterizzò gli altri fatti d'arme della giornata. Si protrasse infatti per circa 6 ore, talvolta limitata ad un fitto fuoco di fucileria spesso poco efficace (i fanti sparavano dal basso verso l'alto) me ntre eflìcacissimo appariva invece il tiro dell 'artiglieria. Anche a Mariam Sciauitò, comunque, la morsa si andava chiudendo inesorabilmente malgrado alcune esitazioni da parte abissina che fecero sperare Dabormida, ad un certo punto, in una soluz ione vittoriosa dello scontro. Distrutte anche le brigate Arimondi ed Ellena, Menelik ordinò a tutti i reparti non impegnati nell' inseguimento di convergere sulle alture che sovrastano la valle di Mariam Sci auitò. Verso le 15,00, a movimento co ncluso, una massa di 50.000 guerrieri chiuse la brigata Dabormida in un cerchio di ferro e fuoco. Taluni autori hanno parlato di manovre e contromanovre, ma si tratla di fantasie a posteriori. "Tutte le fantastiche narrazioni pubblicate, dice una fonte anonima riportata dal Battaglia, da reduci visionari o compiacenti, non sono che puerili invenzioni che possono essere credute solo da chi non ha preso parte ad una hattaglia intensa, dove le truppe avversarie sono quasi a contatto. Chi vi è stato sa che quando la truppa è seriamente impegnata non è più possihile manovrare. Si possono lanciare rinforzi pe r trascinare avanti la prima linea con truppe fresche, si può retrocedere più o meno ordinatamente, si può morire l'uno sull 'altro come fecero i nostri bravi soldati, ma null'altro". Tn effetti è proprio questo che avvenne: s i tentò di a lleggerire la pressione ne mica con a lcuni contrallacchi, peraltro


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anch'essi severamente giudicati perché servirono solo ad aumentare le perdite e non a ristabilire la situazione, né tanto meno a risolverla. Fallito l'ultimo contrattacco, guidato personalmente dal generale e dal colonnello Airaghi "che si lancia avanti sventolando il casco piumato", alle 16,30 venne impartito l'ordine di ritirata. I resti della brigata mossero verso il colle sotto il monte Erar, tenuto dai battaglioni De Amici s e Ranieri, che non poterono tuttavia impedire che lungo la ripidissima salita i reparti, già dissanguati nel combattimento, venissero ulleriormenle decimati dal tiro degli Abissini, che sovrastavano da ogni lato. Verso le 18,00, sempre incalzali da vicino, gli ultimi nuclei dalle brigata raggiunsero il colle, costeggiarono le falde del monte Adi Jacob e forzarono, con risoluto e disperato attacco alla baionetta, il colle di Dongollo Armaz. ln questo primo tratto di ritirata furono uccisi il generale Dabormida, il colonnello Airaghi e decine di altri ufficiali . A notte fatta, favorita da un furioso temporale, la ritirata poté infine continuare con minori perdite, c la colonna poté raggiungere Adi Chiltè. Accesi i fuochi per ingannare il nemico, che inseguiva ormai con scarsa convinzione, dopo appena qualche ora di riposo i fuggiaschi proseguirono il cammino, separandosi inavvertitamente in due tronconi. TI primo, guidato dagli ascari superstiti della compagnia Pavesi, raggiunse indisturbato il 3 sera il forte di Adi Ugri ; il secondo, al comando del colonnello Ragni, si diresse alle alture di Saurià e di 1ì ad Addi Caièh, dove arrivò la notte del 3 ed il mattino del 4, dopo essere stato più volte attaccato dalle bande ribelli di ras Sebat e del degiac Agos Tafari ed aver subito altre dolorose perdite.

Il pesante bilancio

Per quanto non esistano dati sicuramente altendibili sia sul numero dei partecipanti alla battaglia sia sulle perdite, è ragionevole affermare c he ad Adua morirono 280 ufficiali, 4.300 sottufficiali e soldati , 1.000 ascari e che furono feriti almeno 500 ufficiali , soltufficiali e soldati e circa 1.000 ascari . L'abnorme numero di morti rispetto a quello dei feriti testimonia l'asprezza della lotta e la ferocia primitiva dell'avversario. Le più contenute perdite nei reparti indige ni rispetto a quelle avutesi nei reparti nazionali rivelano che, almeno ad Adua, la resistenza al fuoco dei battaglioni eritrei non fu così tenace come la tradi zione ha invece tramandato. Il valore e l'attaccamento al dovere degli ufficiali è dimostrato non solo dalla percentuale di caduti, circa il 50%, ma anche dal numero dei


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comandanti caduti: 2 comandanti di brigata, 2 comandanti di reggimento, 19 comandanti di battaglione, 68 comandanti di compagnia. l .900 nazionali e 800 ascari furono poi presi prigionieri. Le perdite abissine furono certamente gravissime, pur nell' impossibi lità di giungere ad un calcolo esatto è ragionevole indicarle in almeno 7 .000 morti e 10.000 feriti. Per quanto riguarda le responsabilità del disastro, il bilancio è ancora più doloroso. E' indubbio che le maggiori responsabilità appartengono all' autorità politica, in particolare al Presidente Crispi irresponsabilme nte irrigiditosi s ulla validità del trattato di Uccialli e sull 'occupazione definitiva del Tigrè fino all'allineamento Adua-Adigrat. Tuttavia le responsabilità dell'apparato militare non furono poche. Prima di tulto è da censurare l'azione del ministro della Guerra, il toscano Mocenni : superficiale, intempestiva, disinformala. 11 ministro sbagliò in primo luogo non impartendo a Baratie ri direttive precise e vi ncolanti su scopi, obiettivi, modalità di esecuzione della campagna, sbagliò ancora quando non pretese dal governo l'invio tempestivo di adeguati rinforzi ed avallò la velleitaria poi itica espansionista del Presidente Crispi e del ministro degli Affari Esteri Blanc, sbagliò, infine, non acceltando le domande di rimpatrio inoltrate da Arimondi e non sostituendo in tempo l'ormai incerto e sfiduciato Baratieri con l'energico e volitivo generale Baldissera. Alcuni autori rimproverano ancora al ministro Mocenni di aver continuato ad inviare in Africa unità non organiche e perciò prive di coesione. In effetti fin dall'inizio, per evitare possibili interferenze nelle operazioni di mobilitazione qualora fosse insorta una guerra in Europa, erano sempre stati inviali in Africa reggimenti costituiti con compagnie tratte da tutti i reggimenti. Questa prassi, ideata da Ricotti-Magna ni, non sembra tuttavia aver influito sulla sconfitta, l'entità dei caduti sul campo testimonia, come è già stato detto, che i reparti si comportarono con coraggio e con determinazione. Nessu na responsabilità può, invece, essere attribuita al capo di Stato Maggiore dell'esercito, all'epoca organo esclusivamente consultivo del ministro. JI generale Primerano, infatti , pur non direttamente i nteressalo alla questione, aveva inviato al ministro quattro lettere per richiamare l'attenzione sulla crescente gravità della situazione e per formulare sensate proposte di immediato invio di rinforzi adeguati, lettere rimaste senza risposta da parte dell'altezzoso ministro. Le principali responsabilità immed iate della confitta debbono però essere attribuite al comandate locale.


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Il primo errore fu commesso da Baratieri quando, impressionato dal biasimo dei suoi brigadieri, senza un motivo plausibile passò dalla saggia decisione di ripiegare su Addì Caièh a quella insensata di avanzare per provocare il nemico a hattag li a, in una situazione di grande infe rio ri tà numerica e sotto l'assillo di una preoccupante penuria di viveri alla quale avrebbe dovuto rimediare accorciando la linea di rifornimento. Il secondo errore è costituito dall 'ordin e di operazione, vago e supe rfic iale nella parte concettuale, approssimativo e carente nella parte esecutiva, addirittura incongruo in quella log istica, corredato per giunta con uno schizzo topografico imprec iso e lacunoso e, infine, no n illustrato adeguatame nte a coloro che avrebbero dovuto me tte rlo in atto. Ultimo e forse più grande errore, una condotta di battaglia assolutamente insufficiente, totalmente priva di incisività e sempre a rimorch io degli avven ime nti. E' certo c he la deliberata insubord inazione di Alhertone ed il macroscopico etTore topografico di Dabormida furono due cause aggravanti, ma anche queste due disgra ziate evenienze non sarebbero avvenute se Baratieri avesse tenuto i s uoi brigadieri "a redini corte", se avesse avuto l'energia necessaria per imporre, come era suo preciso dovere, una stretta aderenza agli ordini impartiti e l' accortezza di predisporre un valido collegamento tra il suo Comando e quello delle brigate. Ancora una volta il maresciaJlo Caviglia fotografò la situazione quando scrisse: "Si può affermare che se al posto di Baratieri vi fosse stato Baldissera, tutti sarebbero andati al loro posto". E già subito dopo gli avvenimenti il Tribunale Militare di Massaua, p ur assolve ndo Baratie ri , pronunciò una sentenza durissima: " il Tribunale esclude ogni responsabilità pe nale nel generale Baratieri, ma non si può astenere dal deplorare che la somma delle cose in una lotta così di suguale, in circostanze così difficili , fosse affidata ad un generale che si dimostrò tanto al di sotto delle esigenze della situazione ..".

L'epilogo Il 2 marzo il generale Lamberti, vice-governatore della coloni a, inviò da Massaua al gçncrak Moccnni notizie sulla battaglia con un telegramma che così sinteti zzava la sconfitta: "Attacco scionao impetuoso, avvolgente destra e sini stra, ohbligò truppe ritirata c he p resto prese aspetto di rovescio. T utte batterie da montagna cadute in mano al nemico". 11 d ispaccio suscitò nel governo sgomento e stupore e su l mome nto la noti-


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zia fu mantenuta segreta ma, nella tarda notte, fu necessario diramare un comunicalo ufikiale e rendere pubblica la sciagura. In alcune ci ttà le prime ventiquattro o re furono di aperta sommossa. Nei giorni successivi le ulteriori notizie provenienti da Massaua provocarono lo scoppio dell'indignazione generale ed il 5 marzo, alla riapertura della Camera, il Presidente del Consiglio, senza nemmeno affrontare il dibattilo parlamentare, annunciò le dimissioni ciel governo. Un grande e prolungato applauso accolse la dichiarazione di Crispi, che terminò così la sua vita politica. Intanto era giun to a Massaua (4 marzo) il nuovo governatore, generale Baldi ssera, segui to dai reparti della divisione comandata dal generale Heusch. Menelik, impressionato dalle perdite e consapevole che nella colonia erano ancora presenti quindicimila uomini, dopo essers i spostato il 5 marzo ad Enlisciò, sull a strada dell ' Harnasén, rinunciò ad invadere la colonia ed il 20 iniziò la marcia verso lo Scioa, lasciando nel Tigrè i capi locali con circa dodicimila armati. Baldi ssera, dopo aver ripreso alJa mano quanto rimaneva del corpo di spedizione di Baratieri ed averlo amalgamato con la divisione Heusch, per prima cosa affrontò i dervisci , ritornati minacciosi nei pressi di Cassala. Tra il 28 marzo cd il 1° aprile il colonne11o Stevani si portò da Agordat a Sabderat con tre battagli oni, mentre i dervisci stringevano l'assedio a Cassala. La notte del 2 aprile Stevani riuscì a raggiungere la città, ma i dervisci, accortisi del movimento, attaccarono l'ultimo battaglione che era staccalo dagli altri. Stevani ritornato prontamente indietro con tutte le truppe disponibili, sconfi sse i dervisci che si ritirarono a Tucruf, dove avevano allestito un campo trincerato. Il 3 aprile Stevani uscì nuovamente da Cassa la, dirigendosi s u Tucruf. Lo scontro tra le forze cli Stevani, che avanzavano allo scoperto, e i dervisci al riparo di robusti trincerame nti fu molto oneroso, ma alla fine il fuoco della batteria italiana ebbe la meglio ed i dervisci si ritirarono delìnitivamente. Baldi sscra allora decise di muovere co ntro i Tigrini verso Adigrat, dove il presidio del maggiore Prcstinari era circondato dalle bande tigrine dei ras Scbal, Alula e Mangascià che tuttavia, forse memori delle perdite subite dalle truppe di ras Maconnen nel vano assalto al forte cli Endà Jesùs, non avevano mai attaccato. T1 4 maggio Baldissera giunse ad Adigrat, che i Tigrini avevano precipitosamente abbandonato all'approssimarsi delle truppe, liberando così il presidio che aveva per 65 g io rni resistito alle pressioni anche psicologiche di ras Sebat che aveva persino minacciato di uccidere 15 uffic iali e


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Oreste Rovio

100 soldati italiani , finiti nelle sue mani ad Adua, se il forte non si fosse arreso. Baldissera, in seguito alle disposizioni del governo che desiderava soltanto chiudere la partita nel più breve tempo possibile, il 18 maggio rientrò nei confini della colonia, dopo aver ottenuto la restituzione dei prigionieri in mano ai Tigrini . Il 18 giugno cessò anche lo stato di guerra per la colonia e gli ultimi battaglioni si imbarcarono per l'Italia. Qualche tempo dopo fu firmata la pace, l'Italia rinunciò al trattato di Uccialli, Menelik riconobbe la linea di confine Mareb-Belesa-Muna. Si chiuse così un decennio di operazioni scoordinate, di eroismi, di cedimenti, di compromessi. Ma pe r l' esercito la partita non si chiuse tanto presto e facilmente. Considerando gli avvenimenti con serenità, come è possibile oggi, Adua non avrebbe dovuto rappresentare nulla più di una dolorosa sconfitta, grave ma non irreparabile, dovuta soprattutto alla troppo grande inferiorità numerica: 1 a 10 ad Addi Beccio, I a 20 al Rajo, I a 30 a Mariam Sciauitò. Il corpo di spedizione - ricordiamolo ancora - si era battuto bene: due generali , Arimondi e Dabormi da , erano caduti su l campo, un terzo, Albertone, era stato ferito; il nemico, pur vittorioso, non aveva osato avanzare impressionato dalle perdite subite; l' Italia disponeva delle risorse materiali per ribaltare la situazione. L'eterogeneità e l'incoerenza, per non dire la pochezza, della classe politica trasformarono una sconfitta militare, grave ma non irreparabile, in una sciagura nazionale. T1 Parlamento trovò nella sconfitta l'occasione per abbattere l'odia to Crispi ma non comprese che, non concedendo all 'esercito la possibilità di riprendere la lotta e di concluderla onorevolmente, provocava una disastrosa perdita di prestigio dell'Italia in campo internazionale. Forse il commento conclusivo più equil ibrato sulla vicenda è quello c he ha recentemente scritto uno storico inglese, John Gooch, e che riportiamo integralmente, condividendolo: "Nel 1896 J'Italia si trovò ad affrontare lo stato indigeno africano meglio armato, comandato da un capo politico molto abile. La sconfitta di Adua si verificò pe rc hé le pressioni politiche esercitate da Crispi spinsero Baratieri a cercare battaglia quando la prudenza avre bbe suggerito il contrario. Una volta iniziato , lo scontro fu condotto con scarsa co mpeten za, il che finì per accrescere la superiorità de l nemico. Anche altri eserciti europei furono sconfitti da forze indigene e altri generali fecero sbagli simili. Ve nt' anni prima ed a mezzo mondo di dista nza, George Armstrong Cus ter, l' Albertone deg li Stati U niti , fu sconfitto in 111a11iera mullu simile al


Adua

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Little Big Horn. Anche le forze britanniche o francesi avrebbero potuto perdere una battaglia cli questo tipo, anche se probabilmente non sarebbero mai state sottoposte ad un'eguale pressione per impegnarvisi, ma la Gran Bretagna e la Francia avrebbero certo vendicato una simile sconfitta. L' imperialismo italiano era troppo debole per reagire allo stesso modo" 24.

24

John Gooch, op. cit. , pag. 135.



SERGIO PELAGALLI

LE CINQUE GIORNATE DI MILANO ALLA ROVESCIA: lL G ENERALE BAVA BECCARIS E I MOTI DEL I 898

L'invitto eroe di Manforte Da un secolo il generale Bava Beccari s, criminalizzato e ridicolizzato ("l' invillo eroe di Monforte", " il bombardatore de l convento dei cappuccini"), è s inonim o di repress ione milita re brutale e ottusa dei moti di Milano nel maggio 1898, le '\:inque giornate alla rovescia" di Giosuè Carducc i. Un paio d 'anni fa, il museo del ri sorg ime nto di Milano ha acquisito le carte del generale e , con loro, le sue memorie. Queste riguardano, fra l'altro, sia il periodo dello stato d'assedio sia i precedenti anni milanesi (dal 1874 al 1881) in cui egli aveva ricostituito il collegio militare nel convento di San Luca in Corso San Celso (ora caserma Teulié in corso Italia 58, di nuovo sede de lla ricostituita scuola militare). TI nobile Fiorenzo Bava Beccaris, piemontese d i Fossano, in provi ncia di C uneo, nasce il 17 marzo 183 1. Entralo alJ ' accademia mililare di Torino a quattordici anni , è nominato cadetto a dic iotto e sottotenente di fanleria a venti. Al termine del corso di sludi, nel 1851 , divenla luogolenentc nello stato maggiore dell ' ar ma d 'artiglieria. Riceve una menzione onorevole, poi commutata in medaglia di bronzo al valor militare, " per essers i di stinto in occas ione dello scoppi o della polveriera del Bo rgo Dora a Torino avvenuto il 6 aprile 1852". Assegnato dal 1853 al reggimento da p iazza e divenuto due anni dopo luogotenente di 2• classe, è trasfe rito ne l 1856 al reggimento da campagna a Venari a Reale, v ic ino a Torino. Partecipa alla campag na di Crimea e riceve la qualifica di luogote nente di Ia classe. Prende parte nel 1859 al seconda guerra d' indipe ndenza du rante la quale si merita la promozione a capitano e una medaglia d 'argento al valor militare ("per essers i distinto nel fatto d 'armi sull e colline di Rcclonc presso Pozzolengo"). Capitano di 1• classe e poi maggiore nel 1862, comanda un gruppo del 5° da campag na (Ye naria Rea le ) e po i del 6° a Vigevano. Con questo reggimento prende parte alla terza guerra d ' indipe nde nza otte ne ndo la c roce d i cavalie re dell 'ordine militare d i Savoia "per la molta intelligenza , coraggio e sangue freddo con cui diresse la propria batteria nel fatto d'armi di Monte C roce il 24 giugno 1866". Passato nello stato maggiore d 'artiglieria nel 187 1, l' anno seguente è promosso luogotenente colonnello. Nell'agosto de l 1874 ricostituisce il col-


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legio militare di Milano e n' assume il comando e ffellivo due anni prn tardi , all'atto della promoz ione a colonnello. Nel 1881 comanda il 59° reggimento di fanteria e poi la seco nda brigata di cavalleria. Maggior generale nel 1882 e tenente generale nel 1887, svolge l'incarico di direttore generale d 'artiglieria e genio. Comandante della di visione militare territori ale di Roma, del settimo corpo d' armata d ' Ancona, approda di nuovo a Milano nel 1895 quale comandante del terzo corpo d' armata. TI 7 maggio 1898, in occasione dei moti di Milano, è no minato dal governo regio commi ssario straordinario con pieni poteri per il ristabilime nto del1'ordine pubblico nella città solloposta a stato d 'assedio. Riceve da re Umberto l'onorificenza di g rand' ufficiale dell'ordine militare cli Savoia "per gli importanti servizi res i a ll o stato nei fatti di Milano l' otto-dieci maggio 1898". Se natore del regno, lascia il comando del terzo corpo d 'armata e il servizio attivo per raggiunti limiti d 'età il 16 marzo 1899. Muore a Roma nel 1924 .

I prodromi

11 3 marzo 1896 si diffonde la notizia della sconfitta d' Adua: in tutto il paese, l'impressione è vivissima. A Milano, c ittadina nza e partiti aderiscono a manifestazioni antiafricaniste e antigovernative. Lo stesso sindaco, il moderato Giuseppe Vigoni, invoca la fine dclJa g uerra d'Afri ca. La forza p ubblica interviene contro assembramenti in piazza de lla Scala, sotto la Galleria e in pi azza del Duomo: un giovane tipografo rimane sul terreno. Solo le dimi ssioni cli Francesco Crispi, il 5 cli marzo, bl occano una possibile insurrezione non contro la monarchia o le classi sociali privilegiate ma contro la politica autoritaria e imperialistica dell'uomo politico di Ribera. Proprio per questo suo fine non ri voluzionario, la protesta è vista con simpatia non solo dai partiti "sovvers ivi " ma altrcsì da quei moderati e conservatori che hanno abbandonato il governo per la sua politica accentratrice, autoritaria ed espans ioni stica che costituiva l'or posto di quanto da loro desiderato. Gl'industriali de l nord, da parte loro, sono per l'abba ndono dell' impresa afri cana, il ridimensionamento della nostra adesione alla triplice alleanza (con Germania e Austria-Ungheria), il miglioramento dei rarporti con la Francia, il ritorno alla legalità statu taria e al controlJo parlamentare. Re Umberto affida la presidenza del consiglio al marchese sic iliano Antonio Starrabha di Rudinì, "il principe normanno". La sua presenza all a testa del governo garantisce un mutamento radicale nella politica afri cana e un conseguen te periodo di pace, csscn-


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ziale per lo sviluppo della prosperità economica. Autorevoli personalità lombarde assumono incarichi politici di primo piano. Attorno al nuovo mini stero si forma subito a Milano una larga corrente di s impatia, alimentala da moderati, conservatori, cosliluzionali di sini stra e radicali. Pertino i cattolici conservatori e "trans igenti" riconoscono che nelle condizioni del momento non si può sperare di meglio. Non tutti però sono soddisfatti. I "crispini", poco numeros i ma che dispongono d'un quotidiano di larga tiratura (la Sera), cominciano subito una campagna di stampa contro il nuovo governo. I cattoli ci "intrans igenti" che fanno capo a don Davide Albertario e ali' Osservatore Cattolico, nella loro volontà di restituire al papa il potere temporale, considerano Rudinì per nulla diverso da Crispi. Repubblicani e sociali sti si ripromettono di continuare la lotta contro il governo anche se ne è cambiato il capo. T moderati milanesi della "consorteria" (Associazione costituzionale e Perseveranza) sperano che il ritorno di Rudirù sulla scena pol itica porti a un governo conservatore che prepari la conciliazione con la Chiesa e si mostri forte e risoluto nella tutela dell'ord ine pubblico. De lusi, deplorano l'atteggiamento tollerante nei confronti dei radicali (che sotto la guida di Felice Cavall otti si vanno configurando come partito "costituzionale") e - peggio - di socialisti e repubblicani. Bisogna ricostituire un partito liberal-conservatore, che tolga ai partiti estremi le armi del malcontento sociale e della difesa delle libertà e cerchi la coll aborazione dei cattolici per trasportare sul piano nazionale il modello di Milano, amnùnistrata da una giunta clerico-modcrata. Tra i moderati milanes i, il desiderio d ' autonomia è ben vivo. Non tanto fra i membri de lla "consorteria", che hanno raggi unto posizioni di potere in seno al ministero Rudinì, quanto tra i "liberali scientifici" del Circolo popolare e dell ' Idea Uberale, che vogliono lo "Stato di Mil ano", decentrato e federato. Lo sviluppo della c ittà modifica abitudini, modi di vi ta, idee della stessa cl asse dirigente moderata, concorrendo a contrapporre nel suo interno la nuova borghesia industriale ai grossi possidenti agrari (spesso d'estrazione nobiliare) e agl' industriali di più antica formazione (cotonieri, setaioli). La prima è ambiziosa, intraprendente, d inamica, conscia di dover instaurare nuovi rapporti con le classi subalterne, progressista nella volontà d' operare, ma tendenzialme nte conservatrice nel desi derio cli mantenere e consolidare la s ua posizione economica. Essa si riconosce nel Corriere della Sera e negli uomini politi ci della nuova Destra lombarda, come G iuseppc Colombo, fondatore dell 'Edison, e Giulio Prinetti, contitolare dell ' industria meccanica Prinetti, Stucchi & C.. A loro è affidato il compito di trasportare sul piano politico nazionale,


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alla conduzione dello stato, quei criteri di sana gestione dell'az ienda tipici dell'industriale lombardo, specie se fattosi da sé. È loro intendimento sottrarre il capitale industriale alla tutela dello stato che ne blocca lo sviluppo con l'eccessivo fiscali s mo: in altre parole, liberismo, lotta alle tasse, autonomia dallo stato. Questa loro posizione li rende bene accetti non solo a radicali e repubblicani (partiti in ullima analisi borghesi), ma anche ai socialisti che dallo sviluppo d 'una nuova borghesia si allendono la nascita d'una vera classe operaia. in contrapposiz ione alla nuova borghesia industriale, le aspirazioni della "consorteria" sono conservatrici , quando non reazionarie, e trovano nel protezionismo la possibilità di sopravvivenza. A capo dell 'ammini strazione comunal e fin dall ' uni tà d'Italia, in occasione delle elezioni am ministrative del 1895 i moderati milanesi hanno dovuto accordarsi con le forze cattoliche per non essere sopraffalli dall'alleanza di radicali , repubblicani e socialisti. L'accordo, o più precisamente il "conlrallo" clerico-moderato, ha avuto come protagonista Gaetano Negri , g ià s indaco della metropoli ambros iana, descritto dallo storico Alfredo Canavcro come "filosofo positivista, scettico se non adclirillura ateo, ma convinto dell'utilità di servirsi delle forze cattoliche c he avrebbe ro prestalo il loro aiuto al ma ntenim e nto de ll 'egemonia moderata a Pal azzo Marino in cambio di alcune concessioni in campo scolastico". T moderali della "consorteria" milanese, fossili zzali nella resistenza a oltranza, giudicano le esigenze delle nuove classi subalterne una questione di ordine pubblico o, al più, cli beneficenza; attribuiscono le ragioni del movimento operaio e contadino a forzature di minoranze irresponsabili e all 'az ione dei partiti "sovversivi". S,u-à proprio questa parte retriva della destra a dirigere la vita poi itica del capoluogo lombardo negli ultimi anni del secolo, a prendere in mano la situa7,ione nei giorni cruciali del ' 98, a gu idare un 'azione che porterà alla sua scomparsa come forza politica decisiva, a lasciare infine via libera al nuovo ceto borghese industriale e alle nascenti organizzazioni di massa. Le stesse preoccupazioni dei moderati sono nutrite dai cattolici "transigenti " raccolti attorno al giornale Lega Lombarda, del marchese Carlo Ottavio Cornaggia Medici Castiglioni: Rudirù potrebbe e dovrebbe chiudere la "questione romana" consentendo così ai cattoli ci, liberi dal non expedit ("non conviene") del Papa, cli andare alle urne per salvare le istituzioni dai "sovversivi". Al co ntrario , l"' intransigenle" don Davide Albertario e il suo Osservatore Cattolico considerano il rum expedit addiriUura un non licet ("non s i può"). Lasciata in seconda linea la polemica co ntro lo stato liberale, si dedicano all'az io ne soc iale. L' impaz iente Filippo Meda vuole affrettare l'accesso dei cattolic i alle urne politiche,


Le cinque 1tiornate di Milano alla m vt'sria

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superando il divieto del Papa, utilizzando le istituzioni esistenti a favore d ' un partito cattol ico. T tempi non sono però maturi. Albertario e Meda possono contare sull'appoggio del cardin ale Andrea Ferrari. Emiliano della provincia di Parma, è s ucceduto nel 1894 come arcivescovo di Milano a monsignor Luigi Nazari dei conti di Calabiana, piemontese, senatore del regno, insignito del collare dell ' Annunziata (e, come tale, "cugino" de l re) ma non della porpora c,udinalizia (perché "andava a Corte"). Il cardinal Ferrari mira a un supera mento dei contrasti all ' interno del mondo cattolico mj)anesc, ma al tempo stesso vede di buon occhio lo sviluppo dell' impegno sociale. Ligio alla politica vaticana tendente al riacquisto del potere temporale, ha "tradito" le attese dei moderati e dei tran sigenti all 'epoca del suo ingresso nella diocesi. I nobili, che non dimenticano le sue umili origini, gli han fatto il vuoto intorno, indisposti dalla sua aria d'umiltà che nasconde la superbia di porporato. Alla loro tavola egli ha la mania di farsi vedere sobrio, obbligando indirettamente i padroni cli casa ad adeguarsi. Visto da un prete, " non ha intelligenza. È un villano rifallo, un parvenu con il ticchio della signori lità. Figlio di contadin i, ha fatto di tutto per nascondere la sua origine. Odia chi ha cultura, chi scrive, chi stampa, chi ha carattere, chi ha ingegno". Un rapporto del la magistratura lo definisce "prelato d i non gran levatura, ma cli animo forte e tenace, d'un'attività ed energia straordinarie, scrupoloso e minuto nel l'esigere l'osservanza delle regole e pratiche religiose". Le famiglie milanesi tradizionalmente legate alla curia disapprovano il suo sostegno a don Albertario. Perfino l'ottantenne conte Genova Thaon di Revel, generale a riposo già ministro della guerra , moderato ma fervente cattolico, che ha sostenuto la concessione del]' exequatur (decreto reale di ratifica dell a nomina ecclesiastica), biasima l'atteggia mento assun to dal porporato. Questi ritarda ostentatamente per ben due anni la vis ita di dovere a l sovrano, che trascorre buona parte del tempo nella villa reale di Monza. Altrettanto ostentatamente, diserta l'i naugurazione del monumento a Vittorio Emanuele TT in piazza del Duomo e vieta l'esposizione dell a bandiera nazionale su l Duomo in occasione delle celebrazioni della presa di Porta Pia (20 settembre). Episodi che raffreddano le simpatie dei moderati. L'attività politico-sociale dei cattolic i incontra l'ostilità degli ambienti governativi, delle classi dirigenti tradizionali e dei moderati milanesi; non è vista di buon occhio nemmeno dai partiti cxtracostituzionali, per motivi sia cli concorrenza (socialisti) sia ideologici (radicali e repubblicani). Sul fronte opposto, il movimento socialista lombardo è scisso in due correnti: a chi intende appoggiare fin dal primo scrutinio candidati che sostengano a lmeno u110 dxi punti de l programma minimo soc iali sta


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(Leonida Bissolati, Filippo Turati, Anna Kuliscioff) si contrappongono i "puri" (Emilio Caldara, Dino Rondani , Carlo Dell' Avalle) che propugnano candidati propri in tutti i collegi, salvo appoggiare al ballottaggio un uomo di partito affine. In questi ultimi emerge la preoccupazione di diventare strumento dei democratici, portatori sì d'idee avanzate, ma pur sempre borghesi. Il gruppo turatiano della Critica Sociale è convinto, al contrario, d'inserirsi nel gioco politico accettando rapporti di stretta collaborazione con partiti che abbiano finalità ,ùmeno in parte comuni. T radicali di Cavallotti, il " bardo della democrazia", si sforzano d'ottenere lo scioglimento della camera, da cui si aspettano un rilancio del proprio partito, e pertanto concedono a Rudinì l'aiuto che gli è necessario in parlamento. Il Secolo, primo g iornale di Milano, non perde occasione per chiedere nuove elezioni. I repubblicani, stretti attorno al giornale Italia del Popolo, s i sono staccati dai radicali e hanno fondato un partito positivista, federalista, anticlericale e democratico. Loltano "contro l'agnosticismo costituzionale dei socia li sti e contro il possibili smo collaborazionistico dei radicali". Numerosi uomini di s inistra aderiscono all a massoneria, che in Lombardia segue i principi federalisti cli Carlo Cattaneo, ripudi ando l' unitari smo accentratore mazziniano.

Le due città

Cuore di Milano è la piazza del Duomo, concentricamente alla quale si sviluppano successive cinte circolari. La prima è la cerchia elci Navigli, all'epoca ancora a cielo aperto; la seconda è la linea delle porte e dei bastioni (le cosiddette "mura spagnole"), corrispondente oggi alla circonvallazione interna; la terza è l'attuale circonvallazione esterna. La Milano di quegli anni è la seconda città del regno per numero d'abitanti, ma la prima per sviluppo economico e industriale, per vivacità culturale, religiosa e politica. L' apertura della galleria del Gallardo, nel 1882, le ha conferito una posizione privilegiata, specie dopo che la guerra commerciale con la Francia ha incrementato i rapporti con Svizzera e Germania. Alla base dello sviluppo industriale stanno produzione, trasporto a distanza e applicazione pratica dell'energia elettrica. Proprio a Milano nel 1883 comincia a funzionare le prima centrale tcrmoelellrica e uropea, a opera di Giuseppe Colombo. Si progettano nel frattempo le centrali idroelettriche di Paderno d'Acida e cli Vizzola sul Ticino che entreranno in funzione alla fine del secolo. La sfavorevole congiuntura economica del periodo 1887-96 non rallenta l'industria-


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lizzazione, che beneficia anzi dell 'aumenlo della protezione doganale, di mano d'opera a miglior mercato a causa della crisi agricola, del sostegno creditizio del capitale finanziario. "Formazione di un' industria meccanica produltrice di macchinari; intensa ripresa della filatura del cotone; primi passi delle lavorazioni chimiche; affermazione della tessitura nei settori della seta e del cotone; trasformazione della siderurgia; nascita e sviluppo dell' industria elellrica" sono, secondo la sintesi di Armando Sapori, le lappe lombarde negli ultimi anni cle ll ' Ollocento. Milano è seconda soltanto a Torino come punlo d'approdo di correnti immigratorie, provenienti inizialmente dalla provincia, poi dal centro-nord (ancora pochi i meridionali). Si formano così le fila del nuovo prolctarialo operaio, elemento essenziale della trasformazione della società milanese da agricolo-artigianale a industriale. A una classe alta che vive ali 'interno delle mura spagnole, si contrappongono il nuovo ceto operaio e la media e piccola borghesia, spesso d'origine migraloria, che si sistema in genere nel territorio degli cx Corpi Santi, il suburbio mil anese, fino al l 873 comune autonomo. Nel 1896 la c ittà interna ha 260mila abitanti, quell'esterna 200mi la; I0- 12mila sono annualmente gl'immigrati , di cui il 65% si stabilisce nel circondario esterno. La vecchia classe dirigente cittadina, la "consorteria" moderata degli aristocratici latifondisti e dell'alta borghesia, di fronte a questa mutata realtà sociale si chiude in posizioni d' incomprensione delle richieste economiche e sociali, favorendo così la causa dei partili di massa e l'affermazio ne progressiva dei nuovi ceti sociali. TI "peso" di questi ultimi aumenta con l'estensione del suffragio, e di ciò beneficiano radicali, repubblicani, socialisli e (limitatamente alle consultazioni amministrative) callolici. Per i moderati comincia il declino. La sociefa milanese è ormai spaccata in due: a una cillà aristocratica e conservatrice se ne contrappone un'altra, popolare e progressista. Cresce il divario sociale e politico: i due collegi elellorali del suburbio diventano feudi dei partiti estremi, all'interno delle mura spagnole l'influenza moderata si fa ancora sentire, anche se in progressivo calo. Principale motivo di prolesta dei sempre più numerosi abitanti del suburbio è la ventilata unificazione tributaria dei due circondari. Nell' onnai lontano 1873 la contrastala fusione del comune di Milano con quello dei Corpi Santi ha impedito l'unificazione amministrativa e daziaria: conti nuano perciò a esistere il dazio murato, al mo mento dell 'ingresso delle merci nella città interna, e quello sulla vendita al minuto nella città esterna. Nel 1885 Gaetano Negri, il "sindaco di ferro", impone l' unificazione amministrativa, primo passo s ulla via di quella tributaria, auspicata dagli abitanti del centro. Costoro infatti ritengono ingiustificati privilegi ed esenzioni daziarie, che fra l'altro danno luogo a un fiorente contrabbando di merci tra i due circon-


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dari. Ma proprio grazie a questo regime particolarmente favorevole, che configura gli ex Corpi Santi come "porto franco", nel circondario esterno sono sorti gl 'insediamenti industriaii che hanno contribuito ,ùla prosperità cittadina. Nel 1894 i nodi vengono al pettine: lo stato decreta nuovi aggravi a carico dei comuni. l denari necessari per lavori pubblici improrogahili in una città in continua espansione richiedono perc iò una riforma dei tributi locali con allargamento della c inta daziaria. La questione si trascina per quattro anni, con la giunta comunale favorevole all'ampliamento: come per altri problemi, saranno i moti de lla primavera del 1898 ad affrettarne la soluzione nel senso desiderato dalla maggioranza moderata. In città predomina l'industria. Secondo un rapporto di Bava all' indomani dei moti, la paga giornaliera ("mercede", secondo la terminologia dell'epoca) è in media di tre lire per gli uomini e di una lira e venti per le donne I valori da moltiplicare per 6300, secondo l' !stai, per avere quelli alluali]; la disoccupazione non è sensibile. Paolo Valera descrive la situazione allo stabilimento Pirelli di via Ponte Seveso [ora via Fabio Filzi, tra le vie Adda e Galvanil, che occupa 2500 operai (di cui poco più della meti:1 donne) e 200 impiegati. L' operaia ha un fi sso di sette centesimi l'ora, aumentabile d'un centesimo ogni se i mesi fino al raggi ungimento della g io rnata d ' una lira. l successivi au menti annuali si fermano a ll a giornata d ' una lira e quaranta centesimi. Le caposquadra (una cinquanti- · na) raggiungono la lira e ottanta, le cinque caposala tre lire. Migliori le condizioni degli uomini: da quindici a diciotto centesimi l' ora, aumenti semestrali fino a raggiungere la g iornata di du e lire e c inqu anta. L' apprendista impiegato lavora un anno gratis o per un compenso di cento lire; g li stipendi variano da trenta a duecento lire il mese. L' orario giornaliero di lavoro di dieci ore va d' inverno dalle sette e mezzo di matti na alle sei e mezzo di sera (è anticipalo di mezz' ora d'estate), con un'ora d'intervallo per il pranzo. Lo stahilime nto non ha locali per i pasti : si mang ia seduti in terra, addossati al muro o in piedi, "col cartoccio in mano e la micca rpagnottaJ sotto l'ascella". L' orario è lungo e la paga bassa, ma la li sta d'attesa è consistente. Gli aspiranti sono interrogati: chi ha in tasca un giornale sovvers ivo o al collo una cravatta scarlatta o in mano un cappello "sbarazzino" è congedato con una scusa; chi non ha un viso "aperto come un libro stampato" viene messo alla porta senza speranza . Su ch i supera il colloquio, s' indaga: se è cli buona condotta e non si occupa di politica, viene inviato a visita med ica. L' ultima parola spetta a una commissione. Sono esclusi gli uomini oltre i quarant'anni e le donne dopo i trenta. In pratica si scelgono donne fra i quindici e i vent'anni e uomini dai quindici ai ve nti cinque. La massa è pagata a quindicina.


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La protesta dello stomaco

Franco Della Peruta concorda con Napoleone Colajanni nel valutare i fatti del ' 98 in ambito nazionale come "protesta dello stomaco": il comportamento collettivo di quanti vi prendono parte è riconducibile a esplos ioni di violenza rabbiosa, ma spontanea e disorganizzata. A Milano , invece, al fondo della protesta popolare non c'è tanto la questione del caropane quanto una pulsione politica: la coscienza diffusa in strati abbastanza larghi delle classi lavoratrici che sia giunto il momento di difendere con una partecipazione diretta i diritti civili e le possibilità d'organizzazione s indacale sin allora conquistate. L' e lemento che caratterizza struttura economica e stratificazione sociale di Milano rispetto al resto della penisola è l'esistenza d'un proletariato di fabbrica. L'affermazione di Milano quale maggiore centro industriale italiano è stimolata dalla larga di spon ibilità di forza lavoro a basso costo, dalla protezione doganale, dalla propensione al maggior inves timento di capitali nel settore secondario, dall'allargamento del mercato interno. Nel corso di questo processo si rafforzano le strutture produttive ad alta intensità di capitale ri spetto a quelle ad alta intens ità di lavoro: Milano assume così un ruol o strategico centrale nei settori metalmeccanico e chimico. A questa dinamica espansiva delle attività produttive e industriali si accompagna una politici zzaz ione di fasce sempre più larghe delle classi lavoratrici, processo guidato in un primo momento dai repubblicani e poi dai radicali di Cavallotti. Parallelamente, cresce la coscienza sindacale: società e leghe di "resistenza", organizzate sulla base dell'arte e del mestiere, tendono a miglioramenti salariali e normativi e alla difesa degli associati sul posto di lavoro. Nell'ultimo decennio del secolo nasce e si svi luppa il pa1tito socialista, che proprio a Milano ha il suo principale punto di forza grazie anche al gruppo d'intellettuali legato a Filippo Turati e alla sua Critica Sociale. Il malcontento cresce in larghi strati de lla popolazione italiana. Non solo i ceti più miseri risentono del costante aumento del prezzo del pane: anche la borghesia è danneggiata dai severi accertamenti della ricchezza mobile. A Roma, una manifestazione di 20mila commercianti, vera "sollevaz ione della horghesia", si conclude nell 'ottobre 1897 con un morto e parecchi ferili e fa Lemere analoghi scontri in altre città. Della situazione approfittano i partiti estremi, mentre i moderati accusano il governo e chiedono restrizioni delle libertà statutarie. Anche uomini d'ordine sono indotti dalla situazione ad auspicare un mutamento di rotta politica: s i mette in relazione la permanenza italiana in Africa con la mano pesante


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Serf? in Pelago/li

del fi sco per ricavare il denaro necessario al mantenimento della colonia Eritrea. 11 governo ripropone la strada del fi scalis mo a danno di quell a delle rig ide economie sulle spese pubbliche. La competitività dei prodotti lombardi si riduce a causa dell' aumento degli oneri fiscali: il nuovo ceto industriale s' incontra così, sul terreno della lotta a ll ' eccessivo fi scalismo, con radicali , repubblicani e soc ialisti. A Milano questi ultimi, sotto l'influenza di Turati, vedono con favore il sorgere d i nuove atti vità imprenditoriali capaci di creare una borghesia nuova. Il malcontento popolare è drammatico: il costante aumento del prezzo del pane in Italia rischia di far morire di fame migliaia di persone. Anche Milano, mediamente più ricca de lle altre città de l regno, risente del disagio provocato dalla lievitazione dei prezzi de i generi di prima necessità. Nel 1897 il pane passa dai 30 centesimi la libbra (800 g rammi) degl'iniz i d' aprile ai 34 della fine d i maggio , ai 36 di luglio, per finire ai 38 del gennaio 1898. IDopo un secolo, il pane comune costa a Milano 5050 lire il kg]. Un rapporto di pubblica sicu rezza rileva che "in questi rioni , e minentemente popolari ed abitati pe r nove decimi da operai , il rincaro ha [toccatoJ troppo sul vivo i miseri bilanci domestici .... Qualora ... un nuovo rincaro anche minimo, s i avesse a lamentare, al malco ntento latente, spec ie se stuzzicato dalle passioni di parte, p otrebbero prepararsi anche a Milano dei moti , di cui non s i potrebbe prevedere la portata". Fin da i primi aumenti dell' anno precede nte, il partito socialista promuove un' agitazione pe r ottenere l'abolizione o quanto meno la riduzione del dazio d ' importazione sui grani , in c ui ravvisa la rag ione principale del caro prezzo del pane. In questa campag na i socia listi hanno l' appogg io d i gruppi borghesi liberisti e anche d ' industriali di fede politica moderata. Si a rgome nta che alti prezzi de i generi d i co ns um o di prima necessi tà costringono a tenere elevati i salari degli operai, ostacolando così lo stesso sviluppo industriale. Abolizione del dazio sul grano e lotta all 'eccessiva pressio ne fiscale sono dunque i due punti sui quali sociali sti e borghesia industri ale possono incontrarsi per oppo rs i alla tradizionale classe dirigente italiana, legata all a terra e alla produzione agricola , specie d i cereali . Dal canto suo, il governo resiste alle richieste di abolizione del dazio sui grani un po' per compiacere i ceti agrari ma soprattutto perché la protezione agricola è un provento tra i più cospicui del bilancio statale. La situazione intanto comincia a farsi esplos iva, mentre i prezzi continuano l'ascesa. Secondo dati stati stici uffic iali, le ore di lavoro necessarie per acquistare un quintale di frumento salgono da 73 nel 1894 a I 05 nel 1898; la disponibilità media per abitante scende in un anno da 101 a 99 kg. In gennaio del 1898 scoppiano gravi tumulti in Sicilia, in Basilicata,


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nelle Marche. Di fronte ai moderati della Perseveranza, che csorlano il governo alla fermezza nei confronli dei dimostranti, i più consapevoli invilano a migliorare subito le condi7.ioni delle popolazioni. I socialisti milanesi chiedono l'abolizione dei dazi sui generi di prima necessità, ma dissuadono i simpatizzanti dallo scendere in piazza per evitare conflitti con la forza pubblica. A Milano, insomma, regna la calma. Preoccupalo delle continue agitazioni, Ruclinì decide di ridurre provvisoriamente il dazio sul frumento, fino alla fine d'aprile, da selle lire e mezzo a cinque lire il quintale. Questa misura, anche se fa ribassare il prezzo del pane nel capoluogo lombardo di due centesimi la libbra, è generalmente giudicata tardiva e insufficienle; si dichiarano soddisfatte solo la Perseveranza, che invoca ragioni di bilancio, e la minisleriale Sera. A metà febbraio scoppiano altre sollevazioni popolari in Sicilia. T1 6 di marzo, Felice Cavallotti è ucciso in duello: i suoi funerali si trasformano in una manifestazione unilaria dell'estrema sinistra e Milano s i ferma. Pochi giorni più tardi si rinnova la dimostrazione cli forza in occasione del cinquantesimo a nniversario delle c inque giornate di Milano: dopo il corteo ufficiale della mattinata, nel pomeriggio del 20 marzo sfilano le associazioni popolari. La sera del 2 1 altri incidenti in piazza del Duomo allorché la banda munic ipale suona la marcia reale. l moderati mila nesi, fin allora fede li al governo, cominciano a pensa re che Rudinì sia incapace di resistere alle pressioni dei "sovversivi" e troppo condizionato dalla sinislra di Zanardelli. Questi ha sostenuto in ma1ùera decisiva l'approvazione della legge che isliluisce l' assicurazione obbligatoria contro gl' inforluni sul lavoro, osteggiata da molti ambienti conservalori, convinti che lo stato non debba inlervenire nella regolamentazione del lavoro. Invece i gruppi più dinamici della borghesia industriale lombarda, che si riconoscono nel Corriere della Sera, g iudicano positivamente la legge: solo andando incontro ai bisogni dei ceti popolari è possibile arginare la pcnelrazione dell'ideologia socialista fra le masse. Errore sarebbe proseguire nella politica di "resislenza", tanto più ora che i cattolici intransigenti s' impegnano sul piano sociale, con idee non dissimili da quelle socialiste. Nel frattempo, la situazione dell'ordine pubblico peggiora in Sicilia, Emilia, Romagna, Marche, Puglia, Campania. Scrive l'Avanti, organo del partito socialista: "I lumulti di Bari e Faenza non sono la rivoluzione. Una rivoluzione si avrebbe abolendo il dazio sui cereali". Di fronte ai nuovi incidenti, il governo si limita a prorogare la riduzione temporanea del dazio sul grano. Ancora una volta, troppo tardi ! Ci si mette ora anche la guerra ispano-americana per Cuba, che blocca i trasporti oceanici e 4ui11-


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di le importazioni di frumento dagli Stati Uniti. In Italia "passeggia la rivoluzione", scrive l'Osservatore Cattolico.

La situazione militare

Fin dagl'inizi d'aprile, Bava chiede ai comandanti dei presidi più importanti del corpo d'armata notizie circa la forza impiegabile in servizio di pubblica sicurezza. Nel capoluogo lombardo, questa ammonta sol tanto a 2000 uomini di fanteria, 600 di cavalleria e 300 d 'artiglieria a cavallo. Le reclute non hanno an cora completato l'addestramento; i richiamati della classe 1873, da poco congedati, affluiscono ai reggime nti e sono vestiti e inquadrati tra il sei e l'otto di maggio. La guarnigione di Milano è agli ordini del te nente generale conte Luchino del Majno, comandante della divisione militare, "afflitto in quei giorni da forti dolori reumatici, ma sorretto da forza di volontà e fiero sentimento ciel dovere". Questi deve far fuoco con la legna che ha: le condizioni generali del paese escludono infatti rinforzi a priori , come risulta dalle com unicazioni telegrafiche ministeriali del 30 aprile. 2373. Accentuatisi disordini in varie parti Regno spostamenti truppa riescono assai difficili. Le Autorità militari debbono quindi fare assegnamento sulle forze che hanno disponibili, non già sperare su rinforzi di truppa. Questa ultima pertanto va adoperala energicamente a spegne r disordini appena nascono, e l'Autorità politica dà ordini dal canto suo ai propri dipendenti in questo senso. È quindi indispensabile che si prendano suhito concerti fra tutte le Autorità civili e Autorità militari conformi agli intendimenti del Governo e alle gravissime necessità de l momento, che impongono a tulli i più gravi doveri, per difendere in nom e del Re l'interesse della patria. Pel Ministro fi rmato Afan de Rivera 2374. A proseguo telegramma Nwn. 2373 faccio noto V.S. che là dove i disordini hanno invaso una zona molto estesa, bisogna evitare un soverchio frazionamento di truppe, ma, tenendo queste riunite in località centrale accorrere in un determinato punto con forza preponderante, venire subito a capo della rivolta e cercare con lo esempio di influire moralmente sulle altre località, perché ritornino in calma. Pel Ministro firmato !\fan dc Rivera


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Stupisce anzitutto che ordini tanto importanti siano firmati dal sottosegretario di stato e non dal ministro, ma essi sono ch iari almeno in un punto: hisogna mantenere l'ordine pubblico con le sole forze disponihili agendo "energicamente". Ciò significa che i soldati , all'occorrenza, devono attenersi al "regolamento per l'impiego delle truppe in servizio di pubblica sicurezza". Fatte le intimazioni di legge da parte del funzionario civile responsabile dell'ordine pubblico e suonati tre squilli di tromba, la fanteria disperderà la folla con la sola sciahola-haionetta, ricorrendo al fuoco come mezzo estremo; la cavalleria farà "uso della sciabola di piatto o della lancia con la lama nel fodero prima di ricorrere all'impiego della sciabola per taglio o punta, ovvero della lancia colla lama senza fodero". Ordini tassativi in questo sen so sono impartiti da Bava ai comandanti di presidio. [Nota di curiosità: tutti r:ti ordini esistenti nel carteggio Bava sono firmati "per copia conforme '' da t:nrico Caviglia, capitano di stato maggiore, futuro maresciallo d'ltalia].

Milano, da domenica / 0 maggio a giovedì 5 maggio O

In occasione del I maggio, festa dei lavoratori , viene proibito a Milano un corteo socialista per le vie cittadine con comizio finale aU 'Arena. Per fronteggiare eventuali disordini, sono tenuti a disposizione dell'autorità di pubblica sicurezza 800 uomini di fanteria e quattro squadroni di cavalleria. La truppa rimane consegnata in caserma; un plotone di cavalleria difende la polveriera di Novate Milanese (9 km a nord-ovest) e assicura i collegame nti con il capoluogo. Diversamente che in altre parti d' Italia, a Milano la giornata trascorre senza incidenti. Prefetto di Milano è il harone Antonio Winspcarc, napoletano, "scialba figura", tanto che i cittadini lo motteggiano (" Fare e disfare è tutto Winspeare"). Lunedì 2 maggio egli riceve da Rudinì questa comunicazione, successivamente "rimhalzata" al comandante ciel corpo d' armata: Quando, per gravi. persistenti disordini, che s 'estendoM a un'intera città, o a più luoghi stessa provincia, siansi verificate colluttazioni con forza pubblica e intervento truppa non sia riuscito a ristabilire immediatamente ordine, Autorità politica potrà, per maggiore prontezza o unità d'azione, affidarne il ristabilimento all'Autorità militare, annunziando il provvedimento con pubblico manifesto. Questo provvedimento, che i Sigg. Pnfetti possono prendere sotto la loro responsabilità, non deve alterare o modificare loro poteri e


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loro doveri, mentre compito Autorità militare deve rimanere circoscritto a,?li atti necessari per l'impiego dellaforz.a pubblica. Secondo Bava, il presidente del consiglio (che è anche ministro dell' interno) non ha fiducia nei mezzi ordinari, diffida dei prefetti e , in sostanza, dice loro: "Lasciate fare all'autori tà militare e non ve ne impicciate più!". Mercoledì 4 maggio le agitazioni scoppiate in tutta la penisola in occasione del l O maggio inducono il governo, dopo le disposizioni d ' ordine generale impartite in precedenza, ad affidare all ' autorità militare la direzione della pubblica sicurezza a Piacenza, Bologna e Ancona. Il generale Luigi Pclloux, prossimo presidente del consiglio dei ministri, è nominato regio com mi ssario straordinario a Ba ri. Si temono disordini anche a Milano: Bava ordina speciali mi sure di sic urezza nelle caserme cd esercitazioni in piazza d' armi lnel perimetro dell'attuale fiera campionaria] o nelle immediate vicinanze della città. Il governo richiama alle armi la classe 1873, da poco in congedo, e sospende fino al 30 g iu gno il dazio di confine sul g rano, rnisura che non farà però sentire subito i suoi effetti sul prezzo del pane. Sull'argomento, Bava ha espresso in precedenz a i suoi timori al prefetto e ad alcuni assessori, consigliando di aholire il dazio comunale sulle farine per togliere ogni pretesto a chi accusa il governo di affamare il popolo. Mentre il primo 1isponde che "a Milano i cilladini son troppo grassi per fare una rivoluzione", i secondi non ritengono il pericolo tanto grave da g iustificare un tale provvedimento. Il prefeuo chiede di mante nere in vigore le misure di vigilanza adottate in occasione del I O maggio, visto il perdurare di disordini in province limi trofe: sono tenuti disponibili neUc ore nollurne due hattaglioni di 400 uomini complessivamente. li generale del Majno ordina che, nella deprecabile ipotesi di dover arrivare al fuoco, si spari a comando riga per riga (mai " a volontà"), allo scopo di mantenere la truppa sotto controllo. Ufficiali superiori e colonnelli comanderanno le unità di fanteria per impedirne un impiego disordinato e frammentato. Le truppe sono divise in due aliquote, una a disposizione del questore, l'altra di riserva nella caserma San Francesco [in piazza Sant 'Amhrogio]. D' accordo con il prefetto, l'eventuale coordinamento dell 'azione spetterà al maggior generale conte Enrico Radicati Talicc di Passerano, comandante della brigata Ferrara (47° e 48° fanteria). Al minimo cenno di disordini, questi stabilirà il suo posto di comando al Palazzo Reale; in caso di manifestazioni massicce in piazza del Duomo che


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non si possano sciogliere con le truppe a disposizione, egli terrà libera via Dante per consentire l'afflusso delle riserve, Un ufficiale si sistemerà in questura in piazza San Fedele, alle spalle di Palazzo Marino, sede del municipio, per tenere aggiornato sulla situazione il comandante di presidio. La polizia intensifica la vigilanza. Giovedì 5 maggio, in uno scontro fra dimostranti e forze dell 'ordine perde la vita a Pavia il giovane Muz io Mussi, figlio del deputato radicale Giuseppe, vicepresidente della camera e futuro sindaco di Milano. La sera sono distribuiti nel capoluogo lombardo volantini definiti dal Corriere della Sera "una ritìittura, innocua però, di articoli tolti da giornali socialisti".! manifestini, attribuiti a Filippo Turati (che però smentisce), chiedono ai lavoratori di stringersi "compatti attorno alla bandiera socialista, sulla quale è scrillo: ri vendicazione de i diritti popolari, restaurazione della libertà e della giustizia, abolizione di lutti i privilegi, guerra al militarismo, suffragio universale!" Si può discutere sull'opportunità di quest'appello; è indubitabile però che il suo contenuto non è criminoso: ogni suo punto è stato più volte impunemente e in vario modo discusso. Ma proprio questo "innocuo" fogliello sarà la causa scatenante de i disordini . Poco prima di mezzanotte giunge notizia dal prefetto che l'indomani, venerdì , gli operai dimostreranno per solidarietà contro il rincaro del pane avvenuto in altre regioni davanti allo stabilimento Pirelli in via Ponte Seveso [ora via Fabio Filzi, tra le vie Adda e Galvani]. La ricostruzione dei tumulti si basa sulle relazioni dell 'autorità militare, sui resoconti stenografici dei process i, sulle memorie di Bava, sui docu menti conservati all'archivio di stato di Milano e a quello centrale di Roma, sugli scritti di Alfredo Canavero, Napoleone Colajanni, Umberto Levra, padre Fedele Merelli, Carlo Snider, Eugenio Torelli Violl ier e sulla vivace, anche se spesso forzata, narrazione di Paolo Valera.

Milano, venerdì 6 maggio

L' intero presidio militare è consegnato in caserma ; un plotone di cavalleria è inviato nuovamente all a polveriera di Novate Milanese. Bava, su richiesta del prefetto a sua volta sollecitato da Rudinì, richi ama telegraficame nte a Milano dalle sedi estive il 5° reggimento alpini. Dalle ci nque del mattino sono a disposiz io ne dell ' autorità di pubblica sic urezza quattro battaglioni e quattro squadroni , d is locati nelle caserme San Francesco di piazza Sant' Ambrog io, Medici <li via La Marmara, San


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Vittore , Montebello di via Vincenzo Monti. Due battaglioni del 47° fanteria raggiungeranno Palazzo Reale all 'una del pomeriggio. 11 clima è teso : la motte del g iovane Mussi accende vieppiù gli ani mi. La matti nala passa tranquilla. Tra mezzogiorno e l' una si raccolgono nei pressi dello stabilimento Pi rell i g li operai delle fabbriche vic ine, c he formano crocchi , discutono vivacemente ma senza violenza, elevano grida di protesta. G li operai della Pirelli rimangono nelle offic ine. I disordini temuti scoppiano poco dopo. Intorno a mezzogiorno e tre quarti, nella vicina via Gal ilei [ora via Fara] (o in via Cappellini, secondo l'accusa al 40° processo) due agenti di pubblica sicurezza sorprendono un allivista che di stribuisce il manifestino "sovversivo", colpito da ordine d i sequestro, e cercano invano di tradurlo con la forza all'uflicio di polizia di via Napo Torriani , 24 !non più esistente; al suo posto e' è ora un albergo!. Fatte segno a sassate, le guardie lasciano libero l'attivista (che il tribunale militare condannerà a 85 giorni di detenzione), ma arrestano tre operai e li conducono in caserma sotto u na fitta sassaiola. Gli agenti estraggono le rivoltelle, ma un ispcllore di polizia giunto di corsa ordina loro di riporre le armi . Dei tre, ne viene trattenuto sollanto uno. Angelo Amadio "el pompierin", lavoratore della Pirelli , reo confesso al processo di avere in mano de lle pietre (con cui non voleva fare " niente"), ma acc usalo dalla guardia che l' ha arrestato di averle lanciale. Il socialista Dell ' Avalle cerca di ricondurre a ll a calma. I dimostranti, pret esa invano la l iberaz ione a nc he dell'Amadio, si recano allo stabilimento Pirclli con l' intenzione di far uscire gli operai che nel frallcmpo sono tornati al lavoro. Non molli rispondono all'appello. Rinforzati dai lavoratori di fabbriche vic ine, i dimostranti (lo stesso Valera li definisce "barabba" e "degeneri Balilla") infrangono a sassate parecchie finestre. Gli avvenimenti stanno assumendo una colorazione politica precisa: tra i tum ultu anti (valutali a ottocento persone) sono presenti donne, disoccupati ed esponenti anarchic i. La tensione è alla anche all' interno delle fabbriche, molli operai sono da te mpo ostili alla protesta pacilìca dei soc ialisti. L' ingegner Pirclli raccomanda la calma e cerca, invano, d 'ottenere da questore e prefetto la scarcerazione del giovane s uo operaio. Soltanto l' arrivo alle quattro e mezzo di due compagnie del 57° fanteria, agli ordini del magg iore Luchino Monluori, riporta un po' di tranquillità: la sola minaccia delle baionette fa cessare la sassaiola e sgomberare il davanti dello stahil imento. Poco dopo giungono i deputati socialisti Turati e Rondani che si adoperano per placare gli animi ; dopo aver conferito con Pirell i, vanno dal procuratore del re, sempre allo scopo d'intercedere a favore dell ' operaio. Alle cinque e mezzo,


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un drappello di quindici uomini comandalo dal furiere [maresciallo] Dessì raggiunge la caserma di via Napo Torriani, che s i teme minacciata dai dimostranti. Al la sirena delle sei, quando g li operai cominciano a uscire, un messo del municipio a nnunzia l'abolizione del dazio comunale e la riduzione del prezzo del pane a 34 centesimi la libbra. Tornano nel frattempo i due deputati che informano la folla della prossima scarceraz ione del giovane fermalo. (Arrestato di nuovo sci giorni dopo, Amadio sarà condannato successivamenle a cinque anni di reclusione e tre di sorveglianza). Turati, sollevato sulle spalle di due operai (Pirelli ha negato l'uso d ' un balcone dello stabilimento), esorta all a pazienza, assicurando che il giorno della riscossa non è lontano, anche se non è ancora giunto. È interrotto da una voce: "E quand' l 'è ch'el vegnarà donca el dì?". Traduzione per i non padani: "Ma quando verrà quel giorno?". Alle sei e mezzo, uscili g li operai senza incidenti di rilievo, l'ispettore di pubblica sicurezza autorizza i reparti a rientrare per il rancio al Trotter di piazza Andrea Doria [l'ippodromo del trotto, che sorgeva nell'area dell'attuale stazione centralej. Turali e Rondani si' trasci nano dietro il grosso dei dimostranti per via Galilei [ora via Faral in direzione di Porta Nuova cercando di farli disperdere alla spicciolata. Alle loro spalle viene intonato l'inno dei lavoratori; Rondani torna indietro trafelato e fa cessare il canto. Tutto sembra finito. A questo punto un gruppo di dimostranti s'imbatte in alcune guardie di pubblica sicurezza: nasce un battihecco, fi schi da una parte, minacce e provocazioni dall'altra. Le guardie ripiegano precipitosamente nella caserma di via Napo Torriani, inseguite da una folla di trecento persone che lancia sassi e poi assale l' edificio. Arrampicatisi tino al primo piano e divelto lo stemma sul portone, i ri voltosi lenlano di appiccare il fuoco. Il delegato di pubblica sicurezza fa uscire all'aperto le guardie e il drappello Dessì che, accolti a sassate, dopo i regolamentari tre squilli di tromba ricevono l' ordine di sparare in aria. Una guardia in borghese, Domenico Viola "el calubres", "coraggioso, ma odiato nel quartiere pel suo carattere violento e provocante", cade mortalmente ferito " per un colpo e sploso dai dimostranti", secondo i militari , accidentalmente "dalla rivoltella di un collega", secondo Paolo Valera. (Alfredo Canavero rileva "che g li agenti di pubblica sicurezza erano armati cli rivoltelle, me ntre non risulta che dai climostranli fossero partiti colpi d'arma da fuoco"). La truppa, compreso il drappell o del sergente Pupillo appena giunto in rinforzo dal Trotter, distante due-trecento metri , fa fuoco uccidendo un operaio (che, secondo Valcra, passava di lì casualmente rientrando a casa e sarebbe stato colpito proprio dalla guardia Viola). La rulla


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retrocede, ma per poco. La s ituazione si fa grave: il delegato ordina di rientrare in caserma. Il movimento avviene "tumultuariamente", tanto che alcuni soldati rimangono all' esterno in balia dei rivoltosi . Richiamati dagli spari, arrivano di corsa gli a ltri reparti di Montuori che disperdono i dimostranti e l'inseguono per cinquecento metri fino alla stazione centrale [attuale piazza della Repuhblica]. Parte dei dimostranti ritorna poco dopo sul luogo degl'incidenti per trasportare i feriti (due di loro moriranno successivamente) al vicino ospedale Fatebenefratelli e all a guardia medica di via Tadino. Altri caricano il morto su un tram e lo conducono prima in piazza del Duomo e poi al cimitero monumentale di Porta Volla, dove sono mandati mezzo squadrone di cavalleria e due compag nie di fanteria. Cessato ogni disordine, Montuori rientra al Trotter lasciando un plotone a protezione della caserma. Canavero riprende dall'anonima "Storia di un delitto" la testimonianza di tal Quinto Ercole, il quale afferma d 'essere stato tra i militari del 47° fanteria che presidiavano la caserma di via Napo Torriani. Dall 'aspetto della ferita egli trae la convinzione che la guardia Viola sia stata uccisa da un colpo sparato da fucile in dotazione all'esercito. In quelle ore, però, il 47° si trova a Palazzo Reale e non alla caserma di polizia. La contraddizione toglie valore alla testimonianza, tanto più se la si collega a una lettera, riportata da Valera, indirizzata a Turati da un sedicente dottor Quinto Ercole (stranamente omonimo de l precedente!), già ufficiale medico di compleme nto dei Cavalleggeri di Lodi. Imprigionato durante i moti per qualche parola imprudente, sarebbe fuggito in Svizzera e poi in Au stralia. Asseri sce d'aver saputo da un collega che gli ufficiali del reggimento intendevano "fare la festa" a Turati se l'incontravano per strada. Ebbene, nessun Quinto Ercole, nessun ufficiale, è giudicato dal tribunale militare o risulta tra i condannati in contumacia. Ancora: Antonio Labriola svela che l 'anonima "Storia di un delitto", prima c itata, è opera di Caldara, Ercole e Cabrini. l primi due "fuggirono dalJ'llalia pei fatti di maggio", il te rzo risiedeva eia anni in Svi zzera. In realtà, i latitanti sono Em ilio Caldara e Angelo Cabrini (condannati in contumacia a tre anni cli dete nzione e mille lire di multa). Chi è allora il fantomatico Ercole, che pur dev'essere personaggio di rilievo? Non sono ri uscito ad appurarlo: il suo nome non figura infatti né ai processi istruiti dal tribunale militare né tra i propagandisti delle "bande svizzere", né (cosa assai sintomatica) nel casellario politico del ministero de ll' interno. Alle sci ciel pomeri ggio arriva alla stazi one centrale il battagli one Morhef!.no del 5° alpini, primo dei reparti richiamati dalle sedi eslive. In Piazza del Duomo, intanto, si formano capannelli sempre più nume-


Le cinque giornale di Milano alla rovescia

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rosi. Alle otto un violento temporale disperde temporaneamente la foll a, ma è questione di poco. La galleria Vittorio Emanuele è percorsa da gente che canta l' inno dei lavoratori e quello repubblicano; dai locali della Brasera meneghina, ritrovo della crème, si gettano secchi d'acqua sui dimostranti: la tensione è al colmo! Intervengono dal Palazzo Reale due battaglioni del 47° che, senza far uso delle armi, sgombrano la galleria e ne presidiano gl'i mbocchi . È ormai mezzanotte quando gl'incidenti hanno termine. Le informazioni che Bava riceve dal comando del presidio non lasciano sperare che il pericolo sia scongiurato. Ci vorrebbero voci autorevoli che tentino di rabbonire gli animi. Ma sindaco e giunta, che dovrebbero interporre subito la loro opera di pacificazione, rimangono passivi. Il cardinale arcivescovo, in procinto di recarsi in visita pastorale, programmata da mesi, ad Asso in Yalassina dinanzi all ' incalzare dei fatti è disorientato e incerto.

Milano (e Monza), sabato 7 maiiio

Alle olto del mattino il questore Vittorio Minozzi ("un uomo magrettino che ha l' aria di essere gobbo"), riferisce al prefetto che gli operai sono entrati negli stabilimenti all'ora solita: alla Pire lli e all'Elvetica non si lavora. A ogni buon conto, le truppe rimangono consegnate in caserma. La ca]ma è solo apparente: dopo soli dieci minuti " l'agitazione tra i numerosi operai di Ponte Seveso per la forzata astensione dal lavoro si accentua. Sono probabili disordini nella mattinata": un battaglione del 58° fanteria e uno squadrone dei Cavalleggeri di Lodi sono a disposizione dell'autorità di pubblica sicurezza a l Trutter. Gli operai della Pirclli e dell ' Elvetica fanno il giro degli stabilimenti della zona invitando allo sciopero. Secondo Torelli Yiollier, direttore del Corriere della Sera, sono invece gl ' industriali a cacciare gli operai sulla strada nel timore che ahhia no idee di distruzione: errore che avrà effetti assai gravi. lncaricati della vigilanza sono gl'ispettori Alliney e Annovazzi con numerosi agenti e tre squadroni di cavalleria: hanno )"'istruzione di procedere colla massima energia per sciogliere gli assembramenti". In un appunto del 9 maggio (n. 994) il prefetto scrive che "sarà forse necessario appurare come mai e per quali rag ioni essi non abbiano potuto o creduto usarne fin dall ' inizio per sc iogliere i nuclei iniziali o se questi, sciolti in un punto, si siano venuti successivamente ricomponendo cd ingrossando".Verso le nove e mezzo, gruppi con bandiere rosse muovono da Ponte Seveso verso i quar-


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tieri industriali di Porta Venezia, Porta Garibaldi e Porta Tenaglia per far desistere dal lavoro e dirigers i per varie vie a piazza del Duomo. Per Canavero s i tratta di spontanea dimostrazione di massa, pacifi ca ne lle intenzioni , contro l'operato della forza pubblica il giorno precede nte. Verso le dieci un corteo di parecchie migliaia di persone s' incammina verso il centro. Umberto Lcvra afferma che la chiusura degli stabilimenti è impos ta dall' autorità militare su sollecitazione della consorteria moderata per spingere i lavoratori nelle strade e averne pretesto per una repressione draconiana. Falso! A quell 'ora Bava non è am:ora investito del compito di ristabilire l'ordine. S.o ltanto alle diec i e mezzo, infatti, il prcfelto Antonio Winspeare, nell 'assoluto e lelterale rispetto delle di sposiz ion i ministeriali del 2 maggio, preavvisa il comandante cie l terzo corpo d' armata che gli "passerà la palla", aggiungendo anche una previsione icllatoria ("Non vorre i che s'avesse a ricorrere anche ai c annoni"). A mezzogiorno la conferma: "Oggi si pubblicherà manifesto, con il quale s' affida Autorità Militare ristabilimento ordine. Prego intanto assumere da ora direzione". Bava commenta: "Così l'autorità politica, senza alcuna intesa precedente, scaricava sulle mie povere spalle il grave fardello di tante responsabilità". Colajanni annota che "in quel giorno malaugurato sarebbe bastato che ... la forza avesse brillato per la sua assenza e Milano dopo poche ore avrebbe ripreso la fisionomia ordinaria di città colta, tranquilla e industriosa". Avviatosi poco prima delle undici verso la prefettura per essere messo al corrente della situaz ione, Bava incontra per strada il generale de l Majno, cui affida l'impiego delle truppe. Questi stabili sce il suo comando in questura [piazza San Fedele]. Rientrato al comando del corpo d'armata [Palav.o Cusani, via Brera], Bava telegrafa ai prcsfdi cli Lodi e Como di te ner pronti, ognuno, un baltaglione e due squadroni . Jn un proclama ai milanesi parla di disordini con caratteristiche di "vera sommossa" e consiglia ai "cittadini di starsene ne lle loro case affinché le truppe abbiano a trovars i di fronte ai soli dimostranti e possano così agire con la maggiore vigoria". All'una del po meriggio il questore dà cre dito all'esistenza "di un movimento rivoluzionario". Alle cinque conclude un rapporto valutando le forze impiegate "impari gravità della situazione". Il generale del Majno, in questura, è informato che i moti ini ziati hanno "carattere prettamente rivoluzionario, e di aperta rivolta". Senza attenuazioni , tutto c iò viene comunicato a Rudinì. Un battaglione del 57° fanteria è alla questu ra, due battaglioni del 47 ° sostano a Palazzo Reale, due compagnie del 58° alla prefettura in v ia Monforte. Cinque squadroni in largo Cairoli sono ag li ordini de l colon-


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nello nobile Francesco Vicino Pallavicino, comandante della terza brigata di cavalleria: sono impiegati alla stazione centrale [alluale piazza della Repubblica I, dove i dimostranti tentano d 'impedire la partenza del diretto delle undici per Torino, che ritengono trasporti i richiamali della classe 1873. Portato a termine con successo questo compito, giunge notizia che la colonna dei dimostranti, circa duemila persone, tra le quali numerose operaie dell a Pirelli e sigaraie di via Moscova, è giunta verso le undici a Porta Venez ia. Seco ndo Levra, agenti provocatori della questura (in gergo, "accenditori") aizzano la folla a lanciare sassi e a far resistenza. Colajanni aggiunge che "testimoni oculari narrano di modi straordinariamente provocatori adoperati da uffic iali e solt' ufficiali, da guardie di pubblica s icurezza e da carabinieri e che contribuiscono ad invelenire gli animi" . Turati , dal carcere, descri verà la manifestazione come "spontaneo, inevitabile sfogo del sentime nto popolare: sorvegliarla, regolarl a, disciplinarla era tutto ciò che la polizia doveva fare. Invece fu arrestata violentemente, brutalmente: di qui la prima barricata". Questa viene eretta in corso Venezia, all 'altezza dei giardini pubblici di via Palestro, con sette carrozze tranviaiie, un carro a botte e mobili sottratti dalle case vici ne. Nell ' interno delle vetture si trovano donne e fanciulli, "arte malvagia impiegala ovunque". Sul rovescio di questa barricata ne è costruita un 'altra, me no robusta, con tavole tolte da una casa in costruzione. È "saccheggiato" Palazzo Saporiti : la questura chiede l'interve nto della truppa. (Per la verità, il cosiddetto "saccheggio" risulta poi ridimensionato: "danneggiame nti alla casa de l Marchese Rocca Saporiti Alessandro in corso Venezia 60, per lire 3000 circa, di cui 2000 fra tegole gettate dal tetto e mobilio asportato dal vestibolo e dalla portineria per costruire le barricate, e lire I 000 fra lingeria involata al guardaporta e gioielli involati alla governante". Secondo la questura, i danni complessivi subiti da privati in c ittà asso mmano a 12mila lire). Tre squadron i dall a stazione centrale tornano a largo Cairoli , altri due, percorrendo la strada di c irconvallazione [l'alluale circonvallazione interna ], prendono s ul rovescio la barri cata, mentre frontalmente agiscono carabinieri e guardie di pubblica sicurezza e, in secondo momento , un b attag lione de l 47 ° fanteria accorso d a Palazzo Reale. Alle dodici meno venti, dopo le prescritte intimazioni e gli squilli di tromha, la truppa apre il fuoco mentre la gente, atterrita, scappa. ln breve corso Venezia diventa deserto. Solo s ui tetti rimangono dimo stranti che continuano a tenere impegnata la truppa con lancio di tegole. Turati , presente sul posto, a chi gli fa notare che è da stupidi farsi ammazzare così, risponde: "l cadaveri servono sempre a qualche cosa; sono le pietre miliari delle conqui ste del popolo" (testimonianza al processo).


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Rimosso il materiale, rimangono sul posto due plotoni di cavalleria e una compagnia di fanteria, che fino alle quattro del pomeriggio sventano c.:on energia tentativi d'erigere altre barricate e dar fuoco agli uffici del dazio di Porta Venezia. Le unità in attesa al Tmtter fin dal mattino e due batterie a cavallo sono fatte affluire in piazza del Duomo. l tram, elettrici e a cavalli , ostacolano l'azione della cavalleria (e possono essere usati per erigere barricate): la loro circolazione è interrotta poco prima di mezzogiorno. Uffici pubblici e gran parte dei negozi chiudono precipitosamente; cessa la distribuzione della posta. Per tutto il pomeriggio carrozze scaricano alla stazione centrale persone che fuggono alla volta delle residenze di campagna. 11 cardinal Ferrari lascia l'arcivescovado e raggiunge la stazione de lle ferrovie nord [attuale piazzall~ Cadorna] passando per piazza del Duomo. Non vede spiegamento di truppe perché in azione in corso Venezia; Lutto gli sembra tra11quillo. Il treno muove poc.:o prima dell 'una. Titubante, ha chiesto più volle notizie sui disordini ; alla fine, " mal consigliato", come ammette Carlo Maria Martini, attuale arcivescovo di Milano, parte per la visita pastorale ad Asso. Incorrerà in accuse d ' insensibilità, paura, viltà, diserzione dal pericolo. La "fuga" ad Asso diverrà, e rimarrà per molto tempo, la pagina nera nella sua vita. Le direttive di Bava sull ' impiego delle trupp~ in ordine pubblico s i possono così sintetizzare: concentrare tulla la forza disponibile in posizione centrale (largo Cairoli, piazze della Scala, del Duomo e San Fedele), impiegando offensivamente la fanteria lungo le direttrici che da essa si dipartono e la cavalleria nel perimetro esterno; trascurare banche e uffici pubblic i; difendere caserme, prefettura, palazzo del comando di via Brera, "gazometro" di Porta Lodovica, case di detenzione. Le forze al momento disponibili sono costituite da tre reggimenti di fanteria (47°, 57° e 58°), non tutti con le reclute inquadrate, 2° bersaglieri , 5° alpin i (in 1ientro dalle sedi estive), dieci squadroni (sci dei Lancieri di Firenze e quattro dei Cavalleggeri di Lodi), reggimento d'artiglieria a cavallo. Tra l'una e le cinque del pomeriggio arrivano in ferrovia i battaglioni Tirano e Vestone del 5 ° alpini , un battaglione del 48 ° e uno squ adro ne de i Cavalleggeri di Umberto I da Como, un battaglione del 91 ° e uno del 92° da Novara; ultimo, nella notte, il battaglione alpini Edolo, subito dirottato su Monza. L'azione militare sarà scandita in quattro tempi: sabato 7 maggio, mantenimento del possesso della piazza del Duomo; domeni ca 8, occupazione della linea delle porte e dei bastioni [le cosiddette mura spag nole, corrispondenti all'attuale circonvallazione internal ; lunedì 9 ,


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occupazione dei sobborghi e delle Iinee ferroviarie; martedì l O, protezione degli stabilimenti industriali e de l ritorno al lavoro degli operai. L'azione in corso Venezia è da poco cominciata quando, verso le due del pomeriggio, giunge notizia che "una grossa turba di rivoltosi" da via Torino tenta d 'irrompere in piazza del Duomo. Bava accorre a cavallo insieme con il capo di stato maggiore (colonnello Ottavio Ragni) e l'ufficiale d'ordinanza (tenente Augusto Avogadro di Collobiano). Egli racconta che, percorrendo via Brera, via San Giuseppe loggi via ¼!rdi] e piazza della Scala, molti cittadini gli gridano dai negozi semichiusi: "Ci salvi!". La piazza del Duomo è sgombra; solo pochi curiosi sul sagrato; le finestre dei palazzi circostanti chiuse o semichiuse. Bava ordina d'impedire alla massa tumultuante di venire avanti anche facendo uso delle armi . Andando verso via Torino in compagnia del maggior generale conte Cesare Ponza di San Martino, comandante della brigata Abruzzi (57° e 58° fanteria), "dai balconi sovrastanti il negozio giapponese di certo Rituali e dal riparo delle finestre vengono sparati ripetuti colpi di rivoltella, evidentemente contro di [loro]". Il suo compagno "volta in su lo sguardo e apostrofa quei ribaldi poco coraggiosi con queste parole: "Puntate meglio, perché così non colpite!"". L' avanzata dei tumultuanti è arrestata dal battaglione del maggiore Montuori (57° fanteria), già protagonista il giorno precedente. [;unità, fatta segno a getto di sassi e tegole dai tetti, nonché "a spari di pistola e di fucile", risponde con il fuoco per non essere sopraffatta e s'addentra in via Torino fermandosi davanti a una harricata all ' altezza di via delle Asole [oggi, più precisamente, piazza Santa Maria Bellrade] e sbarrando le vie laterali . TI proseguimento della " marcia offensiva contro i rivoltosi sempre tumultuanti ed aggressivi", diretto personalmente dal generale Radicati , è affidato al battaglione del maggiore Giardina (57° fanteria) e a due compagnie del 58°, mentre due squadron i dei Lancieri di Firenze caricano ripetutamente in via Torino e a Porta Genova. Partendo dalla caserma di Sant' Eustorgio, una compagnia di bersagl ieri, risalendo il corso di Porta Ticinese, cerca di prendere alle spalle o di fianco i rivoltosi. La colonna spedita da piazza del Duomo avanza rap idamente fino al Carrobbio, ma lì deve fcrm,usi. Duecento metri più avanti, in corso di Porta Ticinese, c'è una grossa barricata, alta un metro e venti, formata da tavole, vetri ne divelte dai negozi, carri, mobili; sul davanti è stata scavata una buca larga e profonda. Molte delle case adiacenti sono "occupate dai rivoltosi annidatisi sui tetti ed alle finestre, da cui traggono [cioè, lanc iano] sassi, tegole e colpi di arma da fuoco". Convinto che ogni ritardo accrescerebbe balùanza e audacia dei rivoltosi, del Majno, presente sul


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posto, ordina a Radicati di attaccare con le unità sottomano. Le porle delle case sono sbarrate; alle finestre, curiosi incoscienti assistono al conflitto imminente. La barricata è superata in mezzo a una pioggia di proie ttili d'ogni specie, mentre sono occupati i tetti delle case più alte: ma in tutta la profondità del corso di Porla Ticinese si vedono altri ostacoli. Una compagnia del 57°, guidata da un sergente volontario mil anese pratico di quelle strade secondarie, aggira le resistenze per via San Vito e via della Chiusa, attacca e prende due barricate "fortemente difese" allo sbocco di via Crocefisso e alla Chiusa. Si raggiunge così piazza Sant'Eustorgio, al termine di corso di Porta Ticinese, e si disperde "una gran turba di facinorosi" che sta assaltando la caserma de i bersaglieri, difesa dal tenente colonnello F ederico CaJligaris con soli 75 uomini. L'azione si conclude a Porta Ticinese. Sulla via del ritorno in piazza del Duomo , nuova resiste nza all e Colonne di San Lorenzo: inlc rcellano il passo successive e robuste barricate, con fili di .ferro tes i sul davanti. Un "vivo fuoco" parte eia esse e dalle case laterali del Naviglio. Un battaglione del 58 ° (lenente colonnello Pietro Citati) proveniente da piazza del Duomo prende alle spalle e mette in fu ga i rivoltosi, parecchi de i quali rimangono sul terreno. Vinte le resistenze alle sette e mezzo di sera, due compagnie rimangono lì come presidio permanente. Sono da rilevare, da parte dei tumultuanti, l'abile scelta della strozzatura del corso di Porta Ticinese compresa fra colonnato di San Lorenzo, archi del ponte e Naviglio (all 'epoca ancora a ciclo aperto), la costruzione di barricate forti sempre precedute da altre deboli ma sufficienti a imporre un tempo d 'arresto, la protezione dei fianchi con barricate ereue ne lle adiacenti vie Giangiacomo Mora e Pioppette, il servizio informativo e le ricognizioni svolti con bic iclelle. Tutti questi aspetti "sono una riprova assoluta di un piano prestabilito e ben studiato, e danno prova altrcsì che lì vi si trovavano uomini tatticamente esperti a dirigere e coordinare la resistenza" . Diverso il parere di Levra: ammassi informi di materiale eterogeneo, alti in genere non più d' un metro, che no n sbarrano nenuneno del tutto la strada, senza difensori armali, che la fanteria assalta alla baionetta e gli ufficiali di cavalleria "espugnano" a colpi di scudiscio aggirandoli sui lati , acldirillura fotografati prima d' essere "conquistati". Insomma, "barricate rettoriche" come le definisce Torelli Viollier, abbandonate all'apparire della truppa e nuovamente rifatte dopo che questa le ha demolite. A che potevano servire, se "non c'erano armi da fuoco pe r difenderle?". La Nuova Antolog ia del 16 giugno: "Furono erette o abbozzate decine di barricate più o meno serie; ma, fatto strano, non trovarono quasi mai difensori".


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Intorno alle tre del pomeriggio, in corso Garibaldi e nelle adiacenti vie Moscova e Palermo sono costruite o in via di costruzione diverse barricate; il magazzino foraggi di via Palermo corre il pericolo d'essere incendi ato dai rivoltosi. li colonnello Bosco di RuHìno del 2° bersaglieri vi accorre con quattro sue compagnie, uno squadrone dei Lancieri di Firenze e una batteria d' artiglieria: l'ordine è d' agire con celerità ed energia, impiegando eventualmente anche il cannone, prima a polvere e poi, se necessario, a mitraglia. Sono prese d ' assalto a lla baionetta otto barricate, alc une forti , mettendo in fuga i difensori senza bisogno di ricorrere all ' artiglieria. Alle undici di sera la resistenza è vinta. Un presidio è lasciato al quadrivio della Foppa [oggi largo La Foppa]. Bava asserisce che proprio in piazza del Duomo, rassicurato dal comportamento della truppa, ha pensato alla convenienza di proclamare lo stato d 'assedio, unico mezzo per procedere con quell'energia che la gravità delle circostanze richiede. Prima però di telegrafare al rrùnistero, ne parla con il sindaco Vigoni, dal quale si accomiata dicendo: "Per conto mio vado a telegrafare al Ministero della Guerra che necessita lo stato d'assedio; ti prego d' informare anche tu telegraficamente il Ministero dell ' Interno sullo stato delle cose". Vigoni, alle quattro e dieci, telegrafa a Roma: "Situazione gravissima. Sono in pericolo le proprietà e la vita dei cittadini. Invoco solleciti efficaci provvedimenti". Di questo testo, riprodotto sul Corriere della Sera del 26-27 aprile 1899, Canavcro non ha trovato traccia all' archivio centrale dello stato. li sindaco indirizza alla cittadinanza un manifesto che invita alla calma. In esso, secondo Colajanni, ma nca il calore sincero che occorre in quei momenti; è scialbo e rispecchia lo stato d'animo di chi l'ha redatto, cosciente dell' inesistenza di armonia d ' intenti con gli ammi nistrati e che proclama la sua città tra voila da " un' onda di barbarie". Rientralo in ufficio ve rso le quattro, Bava trova il dispaccio ministeriale, ormai superato dagli eventi, che lo incarica della direzione generale della polizia nel territorio di giurisdizione del corpo d ' armata. Legge poi un articolo " infame, atrocemente provocante" dell ' Italia del Popolo dal titolo "N'erano assetati !", che il "serafico" procuratore del re non ha ritenuto di sequestrare. L'articolo così conclude: "In tutta la g iornata i tutori dell'ordine non avevano bevuto: aveva no sete, sete cli sangue, s ' intende. Ed hanno sparato. Ora sono contenti". Alle quattro e tre quarti Bava fa il grande passo: Stamane furono saccheggiate improvvisamente case Porta Venezia. Sommossa ingrossa. D 'accordo col sindaco ritengo necessario proclamare stato d 'assedio città e provincia.


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La truppa ha distrulto barricate Via Torino, Corso Venezia: concentrata Piazza Duomo con pochi distaccamenti spa_rsi. Vi sono già numerosi

morti eferitifra i rivoltosi. Tutti gli operai sono in isciopero. Il governo sancisce all'unanimità il concetto della necessaria conispondenza tra "disordini" e stato d' assedio. Questo, ignoto alle leggi italiane, non è circondato da garanzie: i poteri affidati all 'autorità militare sono del tutto discrezionali. Tuttavia la cassazione, con decisione squisitamente politica, ne ha ammesso quattro anni prima la liceità per l' obbligo d'ogni governo di difendere la salute della patria. 11 gabinetto RudinìZanardelli vi ricorre pertanto senza particolari giustificazioni formali , richiamandosi a una prassi di governo già sperimentata. Verso le sei, arriva da Roma il seguente telegramma urgente, spedito alle quattro e mezzo: Con R. Decreto in data odierna, è stato proclamato lo stato d 'assedio provincia di Milano. La S. V. è stata nominata R. Commissario straordinario con pieni poteri. Voglia subito provvedere a puhhlicare manifesti e dare tutti quegli ordini, che crederà necessari a ristabilire la puhhlica quiete. Rudinì- San Marzano È stata una decisione autonoma del governo o sono intervenuti , in qualche misura, i moderati milanesi? Se lo chiede Alfredo Canavero. Secondo il Secolo, un sottosegretario del governo Rudinì parla di tre telegrammi: ai primi due, di Bava e del prefetto Winspeare, si sarebbe risposto negativamente; al terzo, di Vi goni , "pieno di paura", si sare bbe acconsentito. Il medesimo sottosegretario, peraltro, smentisce successivame nte che lo stato d'assedio sia stato richiesto dal sindaco. Inoltre proprio un membro della consorteria milanese, il conte Greppi, dichiarerà alla camera che il governo ha proclamato lo stato d' assedio in conseguen za del telegramma di Yigoni. Se si accetta per buona la versione di Bava, la questione potrebbe considerarsi chiarita. L' idea di proporre lo stato d' assedio gli viene in piazza del Duomo intorno alle tre e mezzo del pomeriggio; ne parla a Vigoni prima delle quattro. Il sindaco, sollecitato, telegrafa alle quattro e dieci invocando "solleciti efficaci provvedimenti" ma non , esplicitamente, lo stato d'assedio. Bava, per parte sua, telegrafa al ministero all e quattro e tre quarti, precisando che il sindaco è d 'accordo. Occorre almeno un ' ora per la trasmissione da Milano alla capitale e altrettan to in senso inverso (senza tener conto del tempo necessario per


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concepire e scrivere l'ordine). La proclamazione dello stato d'assedio, partita da Roma alle quattro e mezzo, arriva a Bava alle sei: troppo presto per costituire risposta sia alla richiesta di Yigoni sia alla sua. li Corriere della Sera scriverà, il 26-27 apri le 1899: "L'un. Rudinì comunicava una deliherazione già statuita a cui evidentemente l'amministrazione comunale della città nostra era stata estranea". Aggiungerà, come notizia appresa da fonte certa, che già alle 16,25 la prefettura era stata informata della proclamazione dello stato d'assedio. Ritengo perciò ragionevole concludere che questa delicata e sofferta decisione sia dovuta autonomamente al governo. Non è da dimenticare, poi, che la proclamazione dello stato d'assedio è decisione collegiale del governo, di cui esponente di punta è Giuseppe Zanardelli, della sinistra costituzionale, tutt'altro che disposto a favorire la consorteria mila nese. Rudinì infatti scrive l'undici maggio: "Il povero Zanardelli è accasciato. Ha dovuto sottoscrivere tre decreti che promulgano lo stato d' assedio a Milano, Firenze e Napoli! !t". T1 ministro guardasigilli, secondo la vivace testimonianza di Leone Fortis, di notte vaga inquie to e nervoso nelle sale del ministero in camicia da notte e pince-nez, lungo, scarno, pallido, con il lume in una mano e un giornale nell'altra, s ussultando a ogni commento men che favorevole nei suoi riguardi. Certo, Rudinì è impressionato dalle comunicazioni del prefetto che descrive Ia città in preda ali' insurrczione. Canavero sostiene che egli non ha saputo valutare l'esatta portata dei dispacci e, di conseguenza, ha deciso di reprimere la "rivoluzione" con energia spropositala. Ritorniamo a Bava, ora regio commissario straordinario con pieni poteri: a Milano e in provincia sono affissi manifesti ("straname nte microscopici") che danno notizia dell'avvenuta proclamazione dello stato d'assedio; ordinano di versare le armi; vietano assembramenti; impongono il coprifuoco alle undici di sera; obbligano a chiudere le persiane in caso di conflitti per le strade; sospendono la trasmissione di telegrammi privati che parlino dei disordini; deferiscono ai tribunali militari i rivoltosi e chi contravv iene al bando. Nonostante i disordini, i rkhiamati dell a classe 1873 si presentano regolarmente al distretto militare, in via Mascheroni, e sono inquadrati nei reggimenti di destinazione. La situazione la sera di sabato 7 maggio è inquietante: gli scioperi si estendono anche alla città interna e coinvolgono 60mila operai (altre fonti parlano di 37mila o 50mila) in manifestazioni cli protesta sin allora le più grandiose in Italia; i macchinisti lasciano il lavoro abbandonando le locomotive sui binari per ostacolare i soccorsi. Le truppe in parte bivaccano su piazze e strade, in parte rientrano in caserma per un po' di riposo. Il


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ministro della guerra telegrafa: il governo ha motivo di ritenere che l' indomani, domenica, "possano succedere gravi disordini". Alle sette di sera giungono in piazza del Duomo i due hattaglioni del 91 ° e 92° fanteria e parle di quello del 48° (l 'altra parte prolegge la caserma dei carabinieri di via della Moscova). Sono a Porta Ticinese due squadroni dei Cavallef?f?eri di Umberto I, impiegati nelle vicinanze. Più lardi arrivano tre batterie del 6° artiglieri a. Bava confessa nelle sue memorie che, per quanto attento lettore di giornali e autore di studi economici "per diletto dello spirito", s'è trovato all'oscuro di quanto l'autorità politica deve sapere sull'ambiente civile mil anese. Le sue relazioni con la cittadinanza si limitano ai doveri di rappresentanza e a rapporti di parenlela e amicizia. Gli sono sconosciuti quasi tutti i parlamentari del capoluogo. Si trova quindi coslretto a ricorrere al questore Minozzi: in una lunga conferenza notturna si convince della "necessità" di sopprimere il Secolo, l' Italia del Popolo e altri giornali e di arrestare i loro redallori e i "capi più pericolosi del movimento insurrezionale". Fra costoro, godono di particolare ascendente i deputali Filippo Turati e Luigi De Andreis e il repuhhlicano Carlo Romussi, direttore del Secolo, il quolidiano più diffuso a Milano. Bava vede una relazione fra le parole di Turati che davanli allo stabilimento Pirelli esorta alla pazienza perché non è ancora giunto il momento con quelle dell 'anarchico Amilcare Cipriani. Questi ha dichiaralo a Parigi che le associazioni sovversive scateneranno un largo movimento popolare alla fine del mese di maggio. De Andreis è ritenulo erroneamente da Bava l'autore del violento articolo (in reallà opera del direttore Gustavo Chiesi) in cui l'Italia del Popolo ha definito "assetati di sangue" i tutori dell'ordine pubblico; al momento dell'arresto gli si trova in tasca una pianta di Milano con l'indicazione della rele fognaria, sca mbiata per lo schema dell'insurrezione. 11 timore d 'attentati fa perdere lucidi6: sui marciapiedi e su molte case gli addetti comunali tracciano le lettere F e B per indicare lavori di fognatura e bocche di presa dell'acqua potabile; qualche giornale le interpreta come iniziali di "fuoco" e "hombe" da usare contro le case segnate. Per il suo linguaggio "violento e pericoloso" il Secolo sarà sequestrato il giorno 8 dal prot:uratore generale del re. Commenta Bava: "C'erano volute le fut:ilate di Via Napo Torr"iani , per srnotere dal suo sereno ottimismo il Pubblico Ministero, che t:hiudeva così paternamente gli occhi sulla stampa sovversiva". "Persona <legna di fede" riferisce poi al regio commissario t:he il repubblicano Romussi durante il saccheggio di Palazzo Saporiti "fregandosi le mani , diceva a un deputato monarchico: "Oh! questa volta la farem finida con la lua p... monarchia"". Sulla base di quesle "fondale ragioni", le persone sono posle "nell'impossibilità di nuocere".


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Bava si rende conto che la "polizia politica" a Milano non è fatta a dovere né dal prefetto né dal questore Vittorio Minozzi. Circa il primo, su richiesta di Rudinì 1isponde: "Debbo riconoscere che trovasi esautorato in posizione difficile verso cittadinanza, quindi crederei opportuno dargli altra destinazione" . Il 13 maggio Winspe,u-e, inviso ai moderati, è collocato "a disposizione" e poi destinato a Venezia (Revel commenta: " Finalmente se ne va"). 1115 Rudinì raccomanda a Bava, che ha assunto anche la reggenza della prefettura, di usargli "i massimi riguardi segnatamente per l' allogio !sic! I". Saputo della ricompensa proposta alla fine dei tumulti a favore de l questore, Winspeare protesta vivacemente con Rudinì attribuendo la colpa degl'incidenti del giorno 7 "a quei funzionari di P.S. che quando cominciarono gli agglomeramenti di operai dello stabilimento Pirelli, avendo a loro disposizione alcuni squadroni di cavalleria, non li sciolsero subito, come ne avevano istruzione, lasciando che la turba ingrossasse oltre misura". Di Minozzi Bava afferma d'essersi formato "un giudizio punto favorevole della sua attitudine alla c,u-ica che copriva": giudizio evidentemente maturato nel tempo giacché, come detto, dopo la fine dei tumulti l'aveva proposto per una ncompensa. Ada Negri descrive così la drammatica giornata.

Ho quell'ore nell'anima inchiodate: la via deserta sotto un ciel di piombo; ad un tratto da lunge un sordo rombo di folla, e un f?randinar di fucilate. Porte e finestre in un balen serrate lugubramente - poi silenzio. li mmho giù s'a vvicina, sotto il ciel di piombo; colpi, fischi di palle, urli, sassate. La sera scoppiano disordini a Monza, forse in accordo con quelli di Milano, per impedire la partenza dei richi amati. Il presidio militare si compone d' un battaglione, in quel momento senza reclute: dedotto il servizio di guardia, sono disponibili solo cinquanta fuci li . Minacciosi assembramenti si formano davanti alla casenna San Paolo lpiù tardi, e fino al 1995, sede del distretto militare I, dove si trovano i richiamati. Esce il picchetto armato rinforzato c he, insieme con i carabi nieri, occupa la piazza San Mi chele [oggi, piazza Trento e Trieste !: fatto bersaglio d' una fitta sassaiola, ricorre alle armi uccidendo tre cittadini e ferendone una ventina. Temendo il saccheggio della vic ina Villa Reale , frequente residenza del sovrano, Bava affida la ùircziur1e dell a pubblica sicurezza al colonnel-


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lo Federico Cocito, comandante de l 5° a lpini , con il suo battag lione Edolo, uno squadrone dei Lancie ri di Firenze e una balleria d 'artiglieria. L'ordine pubblico è ristabilito.

Milano, domenica 8 maf?f?ÌO La notte Ira sabato e domenic a passa tranquilla. Di mattina, su richiesta del pres ide nte del consiglio, Bava spedisce un rapporto somma rio sugli avvenimenti, concludendo: La sommossa cessò sul fare della notte. Non conosco ancora esattamente il numero dei morti e feriti da parte dei ribelli, che si dice ammontare a sessanta. Nella truppa si lamentano un ufficiale dei bersaglieri f?ravemente ferito e dieci soldati feriti. Nella comunicazione al ministe ro dell' interno e al primo a iutante di campo generale del re (generale Ponzio Vaglia) si dimostra ottimista e fiducio so: Ieri sera cessò sommossa dopo repressione ore 22. Notte calma. Non conosco ancora esattamente numero morti e f eriti, ma ritengo non tanto numerosi, quanto si d ice. Spero con oggi poter ripristinare ordine. Contegno ufficiali, truppa, agenti, lodevolissimo. Nelle prime ore del mattino viene stabilila la competenza del tri bunale militare nei giudizi contro i tumultuanti; Bava si consulla al riguardo con il prefetto, il reggente la procura generale, Panighetti, e il sostituto av vocato fiscale militare. È da rilevare che l'entrala in funzione del tribunale di guerra non è in realtà prevista dal codice penale militare come direlta conseguenza dello staio d'assedio. Con i quattro battaglioni oltenuli in rinforzo (due di fanteria del 53° e due di alpini del 4° e del 6°) e l'avvenuto inquadramento delle reclute e dei richiamati, la forza aumenta considerevolmente. Bava è convinto di riuscire a fronteggiare il pericolo. Il governo, da parte sua, è preoccupato a ragione: un ritardo nel pronto ristabili mento dell'ordine a Milano potrebbe avere conseguenze in altri centri della peni sola. TI ministro della guerra concentra, rispettivamente, a Lodi e Abbiategrasso la colo nna Marras (sei battaglioni , tre squadroni, due batterie, una sezione del genio) e la colonna Riva Palazzi (otto battaglioni , due squadroni , due batterie,


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una compagnia del genio). Le truppe sono agli ordini del generale Leone Pelloux, comandante del quarto corpo d'armata di Piacenza, fratello del futuro presidente del consiglio; suo compilo è " muovere su Milano per domare la rivolta e se del caso disimpegnare quel presidio". All ' azione militare segue quella politica. Rudinì ordina "la più severa censura" e la repressione della stampa "sobillatrice". Prima a essere soppressa è l' Italia del Popolo, su cui è apparso l' articolo "N'erano assetati!". Segue verso le undici di sera il Secolo, che allribuisce ai poliziotti la responsabilità dei sangui nosi incidenti del giorno 6: "Se non avessero arrestalo i distributori degli innocenti manifesti, nulla sarebbe successo .... Tn uno stato dove imperasse la legge, i questurini e i loro capi sarebbero sottoposti a processo e puniti come responsabili degli assassinii compiuti ieri a Ponte Seveso". Sono tratti in arresto i direllori e altre persone che si trovano nei locali , oltre a i deputati soc ialisti e repubblicani. Vengono sciolti i comitati centrali dei partiti socialista e repubblicano e la loro organizzazione giornalistica, la camera del lavoro e altre associazioni popolari, come il circolo operaio e il fascio repubblicano, perché ''l'odierno moto ri voluzionario di Milano non avente base alcuna, ragione o pretesto di indole economica, è il risultato evidente delle sobillazioni continue e dell 'azione di propaganda di questi Circoli". Stessa sorte s ubisce la lega dei ferrovieri , nonostante la minaccia d'uno sciopero del quale si sa istigatore il deputalo Quirino Nofri. (Tra i documenti sequestrali in seguito, si troverà una circolare in data 8 maggio, a firma d ' Icilio Perugini, presidente della società di mutuo soccorso tra macchini sti e fuochisti, che proclama lo sciopero elci ferrovieri nel caso venga arrestato il presidente o sciolta la lega). Secondo Canavero, negare le cause economiche significa g iustificare la repressione violenta e far ricadere sui partiti extracostituzional i tutta la responsabilità degli avvenimenti. Per il momento, non è soppresso l'Osservatore Cattolico di don Albertario (lo sarà il giorno 10) e non sono perquisiti circoli e associazioni "clericali". Durante il periodo dello stato d ' assedio, a Mil ano saranno sciolti in totale 128 sodalizi (46% cattolici, 40% socialisti, 14% repubblicani) e sospesi quindici giornali (un cattolico, otto socialisti, sei repubblicani). Nelle prime ore del mattino, del M,~jno riceve, come detto, due battaglioni del 53 ° fanteria e i battaglioni alpini Bassano e Ivrea, rispettivamente del 6 ° e del 4" reggimento. Quest'ultimo rimane alla stazione centrale per mantenervi l'ordine in caso di sciopero dei ferrovieri. Con questi rinforzi, in linea con quanto previsto dal secondo te mpo dell 'azione militare, l'occupazione è estesa alla linea delle porte e dei bastioni, che è poi la cinta delle mura spagnole [corrispondenle, 01;1;i, alla circonvallazione


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interna]. T1 perimetro bastionato è suddiviso in quattro settori, affidati al generale San Martino e ai colonnelli Volpini, Parvopassu e Guarneri, con i compiti d'impedire irruzioni ne lla città interna e garantire l'ordine nei sobborghi: a tal fine sono assegnati reparti di cavalleria e d'artiglieri a. 11 generale Radicali rimane in piazza del Duomo con la riserva. Le truppe sono stanche, ma è necessario garantire anche la soppressione di giornali e sodalizi repubblicani e socialisti. Si spera che la repressione del giorno precedente e la presenza dell' artiglieria sui bastioni faccia desistere i ri voltosi da altri tentativi, almeno nella città interna. Nulla da fare! A Porla Ticinese e a Porla Garibaldi, riuscite inefficaci le cariche della cavalleria e l 'azione di fuoco della fanteria, si ricorre al cannone. "Più che altro per incutere un salutare timore; tant'è vero che, in seguito all ' unico colpo a mitraglia, sparato appositamente alto, s i ebbero a deplora re solo tre morti , riuscendo per contrario a sciogliere completamente i rivoltosi, che con estrema noncuranza della vita continuavano a rimanere esposti al fuoco della fucileria": così Bava ne lla sua re lazione. A Porta Ticinese sono arrestali alcuni studenti non conosc iuti nel quartiere. La Perseveranza scrive che l 'artiglieri a è i mpiegata "per disperdere trecento studenti cieli ' Università di Pavia che non si [sono] allontanati dopo le intimazioni di rito" . Si dice che siano tutti armati di rivoltelle e che altri nuclei stiano arrivando in bicicletta da Torino. Giungono notizie di danneggiamenti alle linee te legrafiche e ferroviarie: a Porta Sempione solo il fuoco dei fucili fa cessare l'ope ra di distruzione. Alla stazione ferroviaria della Bovi sa i tumultuanti hanno tolto i binari per quasi due chilometri: lo testimonia padre Donato da Malvaglio, del convento de i cappuccini di Porta Manforte. Ben tre compagnie di bersaglieri sono necessarie per proteggere il gazometro di Porta Lodovica: parecchi rivoltos i rimangono sul terreno. T,e perqui sizioni dei sodalizi disciolti, per quanto appoggiate da agenti di pubblica sicurezza, carabinieri e forti contingenti di truppa, danno luogo spesso a conflitti. In corso Garibaldi, l' ingresso a due c ircoli socialisti vicini è impedito da una fo lla minacciosa, nonostante la presenza di mezzo squadrone di cavalleria. Alle sette e tre quarti di sera giungono un battagli one del 92° fante ri a e poi uno del 91 °, accolti da sassi, tegole e colpi di rivoltella. Si spara contro finestre e tetti per un quarto d'ora: nel corso del conflitto muore il soldato Graziantonio Tomasetti , del 92°, colpito da un comignolo caduto (o, secondo voci raccolte fra i soldati da Paolo Valera, " freddalo sul luogo per disubbidknza"). "Se lo si fosse ammazzato" - prosegue l'esponente socialista, testimone veramente poco equanime - " Bava Io avrebbe fatto appendere a una delle porte cittadine come un ' insegna degli assassini


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rivoluzionari". Il generale San Martino, che durante tutta la giornata ha impiegato reparti nel sobborgo di Porta Tenaglia e verso sera in via Anfiteatro, accorre da Porla Garibaldi , rovescia sul cammino alcune piccole barricate e arriva quando l'ordine è ri stabilito. Anche quella notte le truppe bivaccano in strada, nonostante la stanchezza. Si distribuisce pane e villo, mentre gli squadroni rientrano a turno in caserma per foraggiare i cavalli e farli riposare. Si chiede alle colonne di rinforzo (che si trovano a Rogoredo e Abbiategrasso) di accelerare la marcia verso Milano, almeno dei reparti a cavallo. Esse cominciano ad arrivare in serata. Numerosi feriti gravi sono curati all ' istituto per gl' infortuni sul lavoro di via Paolo Sarpi: il direttore è costretto a chiedere 1' intervento della truppa per garantire l'ordine. Angelo Carozzi, giovane medico, è in servizio all'ambulatorio di via Tadino. Per c inque giorni egli e i suoi colleghi vivono nell'angusto posto di medicazione, dormendo saltuariamente "sul letto del medi co di guardia, ridotto quasi a un canile". Sono giornale di lavoro assai intenso; il vitto è mandato da vicini sconosciuti. Ne l corso della giornata, Rudinì s i tiene in continuo contatto con Milano: Mando a V.S. , agli ufficiali, ai fun zionari, alle truppe e agli agenti la mia sincera e viva approvazione per il conteww energico e coraggioso tenuto oggi. Nell'adempimento d'un doloroso dovere deve essere a tutti di conforto e di sprone il sentimento d'affetto alla palria e di devozione al Re. Confido pienamente che sua energia e valore truppe risolveranno rapidamente ultime resistenze, sicché in iiornata Milano rientri completamente nell'ohhedienza. Mi compiaccio del suo senno e della sua energia. Confido che a Milano, a Monza e dovunque verrà prontamente e interamente ristabilito l'impero della legge. Ella ha reso un gran servizio al Re e alla Palria. Voglia suhito man~f"estare agli u:ffìciali, alle truppe, ai fun zionari e agenti di PS. il vivissimo compiacimento del Governo p er il vigore e la sollecitudine posta nell'adempimento penoso loro dovere.

Sul far della sera, Bava è in grado d'informare il presidente del consiglio: Domata la ribellione accentrata Porta Ticinese col mezzo del canno-


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ne, ritengo cessata ogni resistenza. Governo può essere tranquillo, ·che la ribellione è ormai repressa: ordinato che domattina si riaprano tutti stabilimenti industriali. Oltre che del governo, Bava ottiene la piena approvazione del sovrano, sempre tenuto a giorno degli avvenimenti, "per l'abile, decisa direzione data alle truppe e a queste pe l contegno e la disciplina dimostrate nelJe attua 1i dolorose circostanze". Generale del Majno a generale Radicati: "Il signor comandante il Corpo d'armata comunica quanto segue: "Dai rapporti desumo che alcuni comandanti di reparto fanno ancora squilli . Dia ordine che procedano senz'altro all'esecuzione del fuoco."". La citazione è di Franco Nasi: si deve sparare sulla folla senza preavviso! Un quindicina di giorni più tardi, del Majno sarà aspramente criticato da Thaon di Revel (che di lui non ha la minima stima) per aver ordinato in una c ircolare di far fuoco soltanto nel caso di militari feriti. Il cattolicissimo ottuagenario vorrebbe invece sempre spari ad altezza d ' uomo: colpi in aria servono solo a far imb,ùdanzire i rivoltosi e a colpire donne e bambini affacciati alle finestre.

Lunedì 9 maggio L' incendio divampato a Milano si propaga anche in altri centri della Lombardia. Bava è informato che a Cassano d'Adda s i tenterà di far scioperare gli operai: parecchi emissari gira no in quella zona industriale per indurre a far causa comune con i ribelli di Milano. Poco dopo la mezzanotte, il generale ordina al comandante della divis ione militare di Brescia di mandare subito a Cassano d ' Adda una colonna mobile con un battaglione di bersaglieri , uno squadrone di cavalleria e una sezione d'artiglieria, al comando del colonnello Tullo Masi. Partita da Brescia alle sei del mattino, la colonna giunge a destinazione alle dieci, riportando la quiete. Bcll 'esempio d 'addestramento, percorre successivamente la Brianza tino a Lecco "per ogni dove facendo sentire l' autorità del governo". A Milano niente impedirebbe il ritorno al lavoro, come da comunicazione di Bava a Rudinì ("ordinato che domatti.na [lunedì 91 si riaprano tutti stabilimenti industriali"): si toglierebbe dalle strade una gran quantità di persone. Viceversa, nella notte sul 9, Bava cambia improvvisamente parere. L'appunto a matita d ' un ispettore di pubblica sicurezza precisa: "D'ordine del sig. Generale comunicato a 1/2 telefono dal sig. Galante per far sospendere nella giornata del 9 il lavoro negli stabilimenti indu-


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striali". Perché questo ripensamenlo? Napoleone Colajanni afferma che "così non piacque allo zelo repressivo delle autorilà poliziesche e militari che il lavoro proibirono". Turali parla addirittura di "intenzione precisa ed esplicita di provocare un massacro". Bava, che ha rivolto la sera prima anche un caldo appello ai lavoratori (suggerito da del Majno), incolpa i proprietari: "Sebbene io avessi persuaso gl'industriali, ch'erano venuti a parlarmene personalmente e per mezzo loro consigliato anche agli altri, di riap1ire i loro stabilimenti agli operai, il mattino del giorno 9 non s'era ancora ripreso dappertutto il lavoro, come io speravo". Semplice misura di prudenza, dettata dalla considerazione. di non poter garantire la sicurezza di opifici e lavoratori con truppe stanche? Improbabile che questa preoccupazione sorga improvvisamente nel cuore della notte, visto che le colonne di rinforw stanno amuendo. Canavero ipotizza che il contrordine s ia dovuto all'intercettazione d'un telegramma spedito dall a Svizzera a Leonida n issolati in c ui s'annuncia una "colonna italiani Lucerna pronta partire e sostenere italiani Milano, combattendo per socialismo e libertà". (I l lesto del telegramma, comunicato da Bava a Rudinì a mezzanotte dell'otto maggio, arriva a destinazione alle due e mezzo di mattina del 9). Rimane grave la preoccupazione di Rudinì per il fermento che serpeggia nella penisola: r telegrammi della giornata di ieri e della notte scorsa, sebbene non diano notizie gravi, pure dimostrano un 'estesa e profonda agitazione in varie provincie del Regno, compreso il Veneto, ch 'era rimasto quasi indifferente. L'annunzio della rivolta vigorosamenle e severamente repressa a Milano dovrà esercitare indubbiamente una favorevole influenza.

Dalla quiete di Milano, da Lei così virilmente ristabilita, dipende forse la quiete di tutto il ReKno. Mantenga questa quiete con mano ferrea e faccia sentire autorità legge e Governo. Nella nolle e nelle prime ore del maUino arrivano le colonne Marras e Riva Palazzi: la prima va in piazza del Duomo come riserva, la seconda ali' Arena con responsabilità del settore compreso fra Porta Magenta e Porta Tenaglia. Compito delle truppe per la giornata <li oggi è di occupare gradualmente i sobborghi. Nelle prime ore del mattino i comandanti di settore descrivono una situazione migliorata, ma confermano rnoviment.i d 'afflusso dall 'esterno particolarmente fra Porta Ticinese e Porta Vittoria. Nuovi tentativi di di struzione alla stazione di Porta Sempione sono repressi dagli alpini; la sola comparsa della truppa fa sciogliere gli assembramenti ; la cavalleria con fre4ucnli e rapide pumate impedisce danncg-


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giamenti alle linee ferroviarie. Il cappuccino padre Isaia da Gerenzano, del convento di Porta Monforte, testimonia: "Avevo da poco celebrata la santa messa, quando dall ' interno del convento mi parve di sentire un rumore confuso di una moltitudine agitata levarsi dalla strada di circonvallazione. Siccome la sera antecedente, nel compiere il santo rito della benedizione eucaristica al popolo, che gremiva la chiesa, avevo raccomandato caldamente la calma, il rispetto all'autorità e la fuga dagl i assembramenti, volli sincerarmi se quel tumulto provenisse dai pacifici abitatori di questo quartiere; e per prima cosa corsi al finestrone del corridoio, che prospetta Piazza Monforte. Tutto quel grido proveniva da una folla di operai e di donne che volevano penetrare in città per recarsi, dicevano, ai loro lavori. I soldati però li respingevano; e, debbo dirlo, con modi non sempre garbati, ma qualche volta un po' provocanti: intanto trattenuta dal cordone militare la folla aumentava. Impossibilitata ad entrare in citt.1 dal piazzale, tentò, piegando a destra, cli penetrare per Via Pindemonte e in gran parte vi riuscì.... Erano circa le ore 7". Un 'ora dopo, il medesimo padre Isaia esce dal convento insieme con un confrate llo per vedere come stanno le cose. Ecco il suo racconto: "Giunti a Porta Vittoria vi trovammo una moltitudine di persone che volevano assolutamente entrare in citt,>.i; ma i bersaglieri e gli alpini iv i accantonati non ne volcvan sapere; finalmente, dopo essersi bisticciati un po', fu lasciato libero l'ingresso. Volevamo entrare in città anche noi; ma quei militari ci fecero garbatamente osservare che entrando non ci sarebhe stato permesso di risortirne; al che, avendo noi risposto che saremmo usciti da un'altra porta, ci lasciarono passare. Piegammo subito a destra e percorremmo tutto il bastione di Porta Vittoria tra i cannoni e gli artiglieri sino a Porta Monforte, dalla quale uscili senza nessuna difficoltà, rientrammo in convento poco dopo le 9". Sembra ormai tutto tranquillo. All ' una del pomeriggio uno squadrone dei Lancieri di Milano (capitano Erno Capodi lista) arresta nelle cascine fuori di Porta Vittoria e Porta Monforte un centinaio di rivoltosi e li conduce alla vicina prefettura. Altro arresto di 42 per sone alla cascina Acquabella, in fondo a corso Indipendenza. L'episodio saliente, fra il trag ico e iI grottesco, è l'assalto al convento dei cappuccini di viale di Porta Monforte [ora viale Pia ve], all'angolo con corso Concordia: fatto che esporrà Bava al ridicolo come "invitto eroe di Monforte" e "bombardatore del convento dei cappuccini". Verso le undici del mattino il deputato di Gorgonzola Andrea Sola gli riferisce che in via Monforte e presso la sua abitazione (Palazzo Busca Serbelloni in corso Venezia, angolo via San Damiano, ora sede del Circo lo della


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Stampa) è in corso " un vivo combattimento fra la truppa e una turba numerosa di ribelli provenienti dalle campagne". Bava, preoccupato, avverte e.lei Majno con questo dispaccio telefonico: " Partecipo che venne impegnata battaglia a Porta Venezia". Il comandante e.lei presidio spedisce immediatamente il generale Marras (con due battaglioni, due squadroni c una batteria) nel luogo indicalo e contemporaneamente chiede notizie al comandante di settore: questi risponde di non avere unità impegnale. ln quel momento giunge in questura lo stesso Bava; s i viene a sapere che anziché a Porta Venezia l'azione si sta svolgendo a Porta Monforte, dove si riesce a dirottare la colonna Marras. Scrive del Majno nella sua relazione: " I rivo ltos i avevano occupato le case fra Porta Venezia e Porta Manforte prospicienti a breve distanza il bastione intermedio e , e.li là, traevano colpi d' arma da fuoco sulla truppa, malgrado questa rispondesse mirando alle finestre. Pare che più frequenti partissero i colpi e.lai convento di frati all'angolo del Viale Manforte e Corso Concordia, e non essendo possibile penetrarvi per l'altezza del muro di cinta [interrotto perà da un canceLlol , il colonnello Volpini vi fece aprire un a breccia mediante pochi colpi sparati da una sezione e.lei 6° artiglie ria, per la quale la truppa poté penetrare ed eseguire l'arresto di una sessantina di persone, parte frati, parte borghesi appartenenti alle più basse classi sociali ". Fin qui la relazione ufficiale. Ecco invece il racconto di monsignor Carlo Pellegri ni. Secondo il solito, a mezzogiorno, alle porte del convento i religiosi stanno distribuendo la minestra ai poveri [la trudizione è mantenuta anche oggigiorno]. Per non far entrare malintenzionati, il cancello è chiuso. Si odono colpi di fucile. Tsoldati in servizio a viale Monfortc, ritenendo che i colpi provengano dal convento, fanno fuoco sul gruppo dei mendicanti uccidendone due e ferendone diversi. I frati subilo accorsi, volendo proteggere quella povera gente, la fan no entrare in convento e sbarrano poi la porta. L' alto fa crede re che si organizzi una resistenza armata. Nel convento, si pen sa, devono essere nascosti dei fucili. Nello scompiglio, a nessuno viene in mente d' aprire il cancello del cortile. Detto e fatto, per preveni re le macchinazioni rivoluzionarie dei frali sj punla il cannone contro il muro di cinta. Aperta una hreccia, vi passano i soldatj per invadere il convc nlo alla ricerca delle armi. Non trovando nulla, scendono in chiesa dove i cappuccini si sono radunati in preghiera; ammanettano tulli, religiosi e mendicanti, e tra la meraviglia e i sarcasmi della gente li conducono, "lugubre processione", in prefeltura. Padre Isaia e.la Gerenzano esclude che ci fossero persone nell 'ortaglia del convento. Al rumore degli spari, prima e.lei co lpi di. cannone , il padre guardi ano ha ordina to di ritirarsi nell e


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proprie stanze. "Dalla mia cella, avente due finestre, io polei vedere attentamente verso via Kramcr e verso corso Concordia tutta la nostra ortaglia, e posso garantire che non vi s i scorgeva anima viva: intorno al muro di cinta nessuno, nell'orlo nessuno, in convento nessuno; ne faccio formale e solenne giuramento" . La colonna Marras arriva sul posto a calma ritornata . La situazione rimane tesa: i soldati sparano su chi passa vicino al convento. Secondo Torelli YioJlier, direttore del Corriere della Sera, nella città ormai tranquilla sono uccise così una quarantina di persone. Ecco adesso il racconto di uno dei religiosi coinvolti, padre Donato da Malvaglio. È mezzogiorno e mezzo. Sulla piazzetta del convento s'è radunata la solita folla di poveri per riceyere un po' di pane e minestra. Un caporale maggiore, salito su un carretto davanti al muro di cinta e vista quella gente, pensa si tratti di rivoltosi: si sono diffuse infatti voci incontrollate che nel convento si nascondano ri voluzionari, ci siano armi ed esista una galleria e.li collegamento con piazza del Duomo utilizzata dagli studenti provenienti da Pavia. All' una il cannone apre una breccia: le schegge feriscono due persone; segue un gran fuggi fuggi. I mendica nti sc,ippano nel convento inseguiti dai militari. Uno di essi, feri to da una baionettata, è lasciato a morire sulla piazzella. Padre Isaia da Gerenzano, "bel frate robusto dall 'occhio inte lli gente, dall,i barba nera fluente maestosa sul petto", sta soccorrendo in portineri a un povero vecchio ferito ; entra un ufficiale che lo agguanta per la lonaca, gli tira la barba per accertarsi che non sia finta e gli pianta la canna del revolver nel ventre urlandogli "Frataccio cane!". ll religioso, spaventato, cerca d' allo nta nare l'arma da sé ma viene trascinato nel cortile, gettalo allraverso la breccia e condotto in prefettura: vi arriva con varie ferite di baionetta, tanto che nel primo pomeriggio è ricoverato all'ospedale, rimanendo per g iorn i fra la vita e la morte. Nel frallempo i militari perquisiscono ogni angolo del convento alla ricerca di rivoltosi, armi e documenti. Un soldato scopre un povere llo nascosto in chiesa: gli spara e lo lascia morente in mezzo al coro, dove sono raccolti una quindicina di frati , anch 'essi condotti in pre fetlura. Altri quindici frati , sparsi per il convento o chiusi nelle proprie stanze, sono snidati a colpi d'arma da fuoco e abbattendo porle: fra questi c'è anche il nostro croni sta, padre Donato da Malvaglio, all ora g iovane sacerdote. Prima di partire alla volta della prefettura, tulli assistono all'assalto all a casa dei Rovcda c he s'affaccia sull a piazzetta del convento. È triste sentire i bambini piangere e gridare, ma ancor più vedere sull a piazza due morti . TI corteo si muove. Viene dato l' ordine di correre: fra Alessandro


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da Lodi, settantenne, non ce la fa e viene portato a braccia; giunto a destinazione, sta tanto male da dover essere ricoverato ali ' ospedale. Il prefetto accoglie i frati con meraviglia, ma nulla può nei confronti dei militari. Segue il rito della perquisizione personale: i frati sono ammanettati "selvaggiamente" tanto che alcuni perdono sangue. Improvvisamente, il contrordine: tolte le manette, essi. sono raccolti in una stanzetta "confortevole per un poco di paglia", me ntre i mendicanti e un calzolaio finito per caso ne ll 'ortaglia del convento sono condotti al Castello ( il penitenziario cellulare di piazza Filangieri, attuale carcere di San Vittore, è infatti stracol mo). Persone pietose offrono aj frati un po' di c ibo; le nuove guardie si dimostrano più umane. La notte trascorre quasi insonne. Nel frattempo varie personalità si sono messe in moto per dimostrare l' innocenza de i cappuccini. Il generale Bava riconosce l'errore, ma come rimediare? Rimandare i frati a casa significherebbe confessare apertamente lo sbag lio e fornire ai rivoltosi altre ragioni per scatenare disordini , quando l'assalto al convento ha contribuito a placare gli animi. Si arriva a un compromesso: all'una del pomeriggio di martedì IO maggio sette carrozze ben ch iuse portano i cappuccini dai barnabiti, in via San Barnaba: non possono comunicare con l'esterno, ma la compagnia degli altri religio si rende meno dura la "prigione". La sera di martedì essi ricevono la visita del card inale arcivescovo, rientrato per poche ore a Milano dalla sua visita pastorale. Intanto si parla di processi e d' interrogatori: i militari hanno già deposto che i frati erano armati. Sono interrogali solo i superiori e i frati più anziani. Nulla si trova che convalidi accuse e voci diffuse in precedenza. T cappucci ni sono Iibe rati dopo dieci giorni, giovedì 19 maggio , quando il tribunale militare dichiara "non essere luogo a procedere in confronto di tutli i Reverendi Padri Cappucc ini del Convento di Viale Manforte". Alle due del pomeriggio, sotto una piogg ia ballc ntc, essi rientrano al loro convento a due a due e per vie di verse. Alle sei sono in chiesa "per cantare a pieni polmoni il solenne Te Deum di ringraziamento". Solo la chiazza di sangue ancora visibile nel coro e la mancanza di notizie sui d ue confralclli all 'ospedale rattristano quel momento di gioia. li ministro provinciale cappuccino, padre Paolino da Ve rdello, chiede udie nza a Bava per ringraziarlo di persona. Per due giorni l' ingresso al convento, sorvegliato da sentinelle, sarà consentito solo a c hi è munito di speciale permesso. Alla brutta vicenda sono scampali tre frati am malati, tre fuori del convento e fra Colombo da Grana, occupato come carpentiere nel costruendo conve nto di piazza Velasquez. Questi diviene in quei g iorni infermiere per i malati e c ustode del convento. Curiosi , malintenzionati e milita ri vanno e vengono. I milita ri , in particolare, cercano armi e la


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famosa galleria. La divina provvidenza ha voluto che, proprio qualche g iorno prima, padre Rinaldo da Paul lo, mi ss ionario, tras fe risse a Bergamo alcune armi portate dalle foreste brasiliane per essere riparate o cambiate. Le ntamente riprende la vita no rmale. Quando i cappuccini escono in città, la gente li ferma e vuol sapere come sono andati i fatti. Il 22 maggio attorno a padre Teodos io da Samarate si raccoglie una piccola foll a: sono proibiti gli assembramenti, ragione per c ui un militare zelante lo arresta e lo conduce di nuovo in prefettura, trattenendolo per tutto il giorno. Bava , accorso a cavallo appena sentito il rombo del cannone, si rende conto che s'è trattato d'un " malinteso", d'un "equivoco", ma al punto in cui stanno le cose non può fare nulla. È comunque e pi sodio "isolato e di secondaria importanza" ai fini del ritorno della vita cittadina a condiz ioni normali . In tal senso egli telegrafa al ministero:

Stamane città era petfellamenle tranquilla, quando allarme cagionato da spari provenienti da convento presso barriera Monforte dove eransi r!fitgiali rivoltosi in gran parte studenti, vicinanza Prefettura cagionò panico; fece accorrere forze più del bisogno: vi accorsi anch 'io, ma mi persuasi poca importanza cosa. Ora tutto è rientrato in calrna. È viva in me la fede potere dominare situazione. Canavero c ita, estratta dal contesto, una frase de ll ' articolo apparso sulla Perseveranza il IO maggio: "Asseveravasi ieri sera con sicurezza che i frati del convento fu ori P. Monforte eransi uniti ai rivoltosi nello sparare". Si tratta di opinione d'altri , non del g iornale , che infatti aggiunge: "La voce ci parve assolutamente enonne, indegna di fede". Gli Annali Francescani riportano un articolo della Lega Lombarda de l 12 di maggio riguardante l'es ito dell'inchiesta ordinata dall 'autorità militare.

Ieri mattina alle ore sette vi fu un sopraluof!,O al convento dei Cappuccini per vedere di ricostituire la scena. Il sopraluogo venne eseguito dal colonnello cav. Volpini, dal capitano suo aiutante maggiore, dal cav. Vigevano ispettore d i P. S. e dall'ing. Cesare Nava, che il prefetto desiderò assistesse per dare lutti gli schiarimenti che dal lato tecnico potesserv occorrere. Ci viene riferito che il sopraluof!,O avrehbe riferito intanto, che né dalle finestre, né dalla cinta del giardino non si sarebbe !>parato; pare invece che qualche colpo partisse da una casa vicina al


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convento e che qualche rivoltoso si fosse framm isto ai poverelli sul piazzale della chiesa, e mentre quelli si r{{u?,iarono in convento, forzandone le porte, questi sparassero dal cancello; davanti alla chiesa juf!,f!,e ndo poi per una porticina chiusa del cancello in legno, che si trova sul piazzale stesso, e che mette ad un vicoletto posto fra il convento e la casa Bonomi. Difatti si trovà infranto quel cancello; e da testimoni f u affermato che si videro partire dei colpi dal vicoletto stesso, chiuso verso il Viale Monforle da un semplice steccato. Dopo il danno, la beffa! La breccia nel convento dev'essere riparata dagli stessi cappuccini . Bava considera l'episodio "un fatto isolato e di secondaria importanza": può essere obiettivamente vero per quanto riguarda la storia militare dei moti. Non lo è certo per la storia politica: l'inutile brutalità usata con i reli giosi e l' ass urdità de ll ' accusa di complicità provocano la rea7.io ne anc he de ll ' o pinione cattolica transigente e conservatri ce. Fino a quel momento essa non ha nascosto le sue simpatie per un' azione di governo energica, che circoscriva socialismo, forze sovvers ive della sinistra laica c movimento cattolico democratico soc iale. Tanto più decisa è la reaz ione dei transigenti, perché fatti del genere compromettono il successo della politica di conciliazione. Per molto tempo l'epi sodio dei cappuccini di viale Monforte sarà usato come esempio del settarismo con cui lo stato giacobino ha affrontato i moti milanesi. In realtà, per 1' intervento di personaggi ragguardevoli del clero e del laicato milanese, i religiosi brutalmente arrestati hanno ottenuto presto un trattamento di riguardo. Un pi ccolo infortunio per C anavero in un comme nto in nota che riprende un'osservazione di Paolo Valera: " Nella mente del gene rale la breccia nel muro del convento dovette mutarsi in qualcosa di gloriosamente simile alla breccia cli Porta Pia, se pensò di intitolare "Monforte" il suo villino di Fossano". La spiegazione, del tullo priva di risvolti freudiani, è invece assai banale: la villa si trovava nell a località di "Monfortc" d ' Alba, vicino a Fossano, in provincia di Cuneo. Nel pomeriggio viene firmato il decreto di riapertura degli stabilime nti . Ultimo tentativo di rivolta , uno sc iopero de i ferrovieri stroncato sul nascere dalla loro militarizzazione, con minacc ia di deferimento ai tribunali militari. (L' idea della militarizza7.ione suscita l' interesse delle autorità austro-ungariche, che vorrebbero introdurre un provvedimento analogo ne i loro paesi). Il lavoro ripre nde sotto la so rveglianza di carabinieri e guardie ùi pubblica sicurezza.


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Telegramma rassicurante a Rudinì:

Città, sobborghi perfettamente tranquilli. Si riprende la vita normale: oggi si provvede riattamento binari tranvai, che domani rientreranno circolazione. Così finiscono i tumulti , cominciati il venerdì per imprudenza e testardaggine dell'autorità politica, continuati il sabato per la fretta d' intervenire e di mettere in contatto truppe e cilladini eccitati, proseguiti ancora la domenica wn l'arresto di giornalisti e deputali , conclusi il lunedì wn l'espugnazione del convento di Monforte per "schiacciare la testa all ' idra insurrezionale" (Colajanni).

Luino, Novara e Milano, martedì 10 maigio A Luino, carahinicri e guardie di finanza fanno fuoco sulla folla che tenta d'assaltare una caserma: quattro morti e dicci feriti. L'ordine è ripristinato da una compagnia d' alpini inviala da Mil ano. Novara, rimasta tranquiJJa, si trova al di fuori della giurisdizione del terzo corpo d' armata di Bava; per ordine de] ministero, lunedì 9 sono inviati a Milano un battaglione del 91 ° fanteria e uno del 92°. All'una del pomeriggio di martedì 10, durante la pausa meridiana degli operai delle fonderie, carabinieri e guardie di pubblica sicurezza arrestano in Borgo San Martino il dirctlore e l'amm inistratore del Lavoratore. La notizia viene commentata in città: all'ora d ' uscita dalle fabbriche, la concitazione aumenta. Alle nove di sera nel centro della città, in piazza Castello, una grossa manifestazione chiede il rilascio degli arrestati. Le prime sassate cominciano in corso San Martino: secondo Valera, "non si è mai saputo da chi s ia no state lanciate". Lampioni vanno in frantumi. La forza pubblica minaccia di arrestare un ragano; la folla prorompe nel solito " Molla! Molla!" . 1 dimostranti sono sospinti dalle punle di baionetta della lruppa comandata dal capitano Palazzeschi per corso Torino, per via del Palazzo Civico, fino all'angolo di via Ore. Si sbocca in corso Milano, vera trappola perché ha pochi sbocchi laterali : la folla è costretta a sostare in largo Cavalli. Sono le undici di sera quando si odono gli squilli di tromba e una scarica di fucileri a: cinque feriti , uno dei quali morirà due giorni dopo. Secondo un testimone, citalo da Valera, "la slrage sarebbe riuscila più spaventevole se la maggioranza dei soldati non avesse sparato con le bocche <lei fucili in alto. 11 documento è là di fronte. La facciata ùdla casa


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col cornicione è tutta solcata da colpi cli balistite e uno dei cinque è rimasto ferito alla gamba mentre era sul balcone". Il prefetto Felice Segre vieta assembramenti e riunioni pubbliche e minaccia arresti e deferimenti all'autorità giudiziaria. Sono soppressi la Voce (clericale) e il Lavoratore ; rimangono in circolazione gli "organi dei ben pensanti" (Corriere di Novara , che dà vita a una sottoscrizione per le fami glie dei richiamati, e Gazzetta di No vara). Ritorna la calma. Bava suddivide le province di Milano e Como in quattro zone militari , incentrate su Como, Monza, Milano e Lodi, adeguatame nte fornite di unità di fanteria e di cavalleria, che giornalmente s' irradieranno in colonne mobili per far sentire dappertutto la loro presenza. Nel capoluogo, in particolare, la precedente ripartizione è così vari ata: - primo sellare (generale Riva Palazzi): da Porla Magenta a Porta Volta (sede del comando ali' Arena); - secondo settore (generale Radicali) : da Porta Ga ribaldi a Porla Vittoria con sede del comando alla Villa Reale di via Palestro [oggi denominata Villa Comunale]; - terzo settore (generale Ponza di San Martino): d a Porta Romana a Porla Genova (sede del comando a Sanl ' Eustorg io); - riserva centrale (generale Marras): albergo Metropol, in via Rastrelli. Sono disponibili trentuno battaglioni, otto squadroni e tre quarti, dieci batterie. Sono pres idiati in permanenza: polveriera di Novate Milanese; ex panificio di via Moscova; carceri; stazioni ferroviarie; prefettura; questura; Palazzo Reale; Villa Reale; pal azzo comando di via Brera; caserma di San Simplic ia no; tribunale militare di piazza Sant' Angelo; Co lonne di San Lorenzo. Le migliorate condizioni della pubblica sicurezza non bastano arassic urare Rudinì: "Mia impressione è che non bisogna fidars i dell a tranquil1ità apparente e che Questura dovrebbe organizzare mig lior servi z io d ' informazioni. Il Governo ha piena fiducia in lei" . Dalla Svizzera perviene l'inaspettata notizia che molti operai italiani colà residenti intenderebbero uni rsi ai rivoltosi di Milano. In città, intanto, gli stabilimenti industriali riaprono. Le truppe garantiscono la regola re ripresa del lavoro, la cavalleria opera per "rassicurare gli ani mi dei buoni delle campagne circostanti alla città e nello stesso tempo far capire a i malvagi che la sorveglianza fèl continua e vig il ante e pronta la repressione". Non si segnalano incidenti. Solo in uno stabilimento gli operai non osano entrare per la presenza d ' una donna che, sull ' ingresso, ripete: "Voglio un po' vede re


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chi va oggi a lavorare!" e s'allontana solo alJ'arrivo dei soldati . Il fatto " merita di essere rilevato poiché dimostra c he forza d'intimidazione abbiano i partiti sovversivi sugli operai". Privati e proprietari di locande, ri storanti e alberghi sono invitati a concedere l' uso temporaneo delle cucine e di quanto occorra per la preparazione del vitto in quanto "da tre giorni la truppa del presidio in continuo servizio di pubblica sicurezza, s i trova talvolta nella impossibilità di provvedere alla confezione del rancio giornaliero". Sono rilasciati, "a ric hiesta", buoni per ottenere a suo tempo il rimborso di quanto somministrato. Valcra ironizza: Bava si dimostra "capace di far soffrire a un intero esercito gli spasimi del digiuno in una città piena di osterie, di restaurants e di alberghi, piena di forni , piena di macellai, piena di pollivendoli, piena di cantine, piena di magazzini forn iti di tanta roha da poter saziare un milione di persone per tre mesi di seguito". I cittadini aderiscono volentieri: "si vedono dappertutto hreaks carichi di viveri da distribuire alla truppa accampata per le piazze" . li merito d 'aver suscitato "quasi del fanatismo per soccorrere i soldati" è anche del generale Thaon di Revel, presidente del circolo militare, che promuove una sottoscrizione a favore "di quei bravi giovani sostenuti unicamente dal sentimento del dovere" . In breve sono raccolte sessantamila lire, che sono spese per "vettovagliare le truppe", soccorrere le famiglie dei due caduti delle forze dell'ordine e "delle vittime borghesi innocenti", aiutare i feriti ricoverati all'ospedale militare, elargire ricompense. Revel spende 9000 lire in viveri e sigari. Valera commenta con la solita equanimità: " i soldati non hanno mai fumato, bevuto e mangialo tanto come in quei g10rni". L'ordine pubblico è definitivamente ristabilito. In piazza del Duomo, onnai sgombra di militari, gli spazzini in serata ripuli scono il selciato e lo disinfettano con cloruro di calcio. li generale del Majno rileva con soddisfazione che, nonostante i disagi e le fatiche incontrati "nell'adempimento di un dovere quant'altro mai increscioso", ufficiali e soldati han no "dato prova del più alto sentime nto di disc iplina e di virtù militari e cittadine. Ciò spicca nel modo più evidente nei richiamati. Non uno mancò al dovere suo, né esitò minimamente a farlo". Secondo la testimonianza d'un ufficiale, però, "bisognava ripetere due o tre volte il comando di cessare il fuoco. E più di una volta non ci si ubbidiva" (Valera). Tentare un bilancio delle vittime è compito arduo. Le cifre ufficiali parlano di 80 morti e 450 feriti: le testimonianze dei contemporane i le giudicano inferiori al vero. Per Colapietra ("Dizionario biografico degli


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i tal ian i"), " fu certo e le vati ssimo, dcli ' ardi ne di parecchie centinaia"; To re lli Yiollic r è sostanzialmente <l' accordo. Paolo Yalera, scrupoloso almeno in quest ' occasione , alla fine de l suo libro sulle " te rribili g iornate", elenca 127 morti (ivi compresi ba mbini , donne e vecchi), nove dei quali sconosciuti. La spiegazione dei 47 in più rispetto alla li sta ufficiale è che alcuni sono deceduti più tardi , altri non hanno voluto essere compresi fra i " rivoltosi" e parecchi sono andati al c imitero come morti di tutti i giorni. Conclude Yalera: "La cifra de i giornali è più alta de lla mi a. Chi ne dà 200, chi 300, chi 400 e chi perfino 500 . Le c inq ue g iorn ate de l ' 4 8, durante le quali si è combattuto, non ne hanno dati c he 350" . È ce rto, viceversa, che le v ittime fra la forza pubblica sono due: una guardia e un soldato. Secondo Canavero, " tutto c iò dimostra l ' impreparazione degli " insorti " e lo scoppio improvviso e imprevisto, assolutame nte sponta neo, de i moti. Le uniche armi possedute da i dimostran ti mila nesi erano pezzi di legno e sassi". Yalera dimostra che i 5 1 fe riti tra le forze dell 'ordine (di cui quattro uffic iali e tre guardie) compre ndono a nche ricoverati all'ospeda le mili tare per distorsioni o lesio ni traumatiche di nessun conto. I danni provocati a privati assommano, come detto in precedenza, a 12mila Jire: be n poco, rispe tto agli " ingenti da nni lquant(firnhili Sl'Condo l,evra in una decina di milioni] causati al commercio , all ' industria e al turi smo milanese in seguilo alla proclamazione de llo stato d ' assedio e alla repressione militare". Secondo una lettera ri servata di de l Majno a Bava (n. 791 del 2 giugno), sono stati sparali diecimila colpi di fuc ile , mille d i pi stola, nove di cannone (due a salve, c inque a shrapnel, due a mitraglia). 1 più "attivi": 2° bersaglie ri (2000), 91 ° fanteria ( 1700), 47° fa nteria (1500). 1n mattinata il cardinale a rcivescovo, in visita pastorale ad Asso, riceve la noti zia dell ' assalto al convento di Monforte e de ll 'arresto de i cappuccini. invia un te legramma al regio corrunissario ("Le presento rispettosi ossequii, facendo voto, eh 'illuminata opera sua, come risparmiò più gravi disastri , così possa ricondurre sospirata calma.") e una lettera circolare a clero e fedeli di Milano " poco felice pe r il contenuto generico, la forma piuttosto sbrigativa, il tono poco caloroso, quasi freddo". In un a mbie nte g ià prevenuto nei suoi confro nti, la lettera è accolta e denunciata come prova d ' insensibilità. Costernato per " le dolorose ed inattese notizie" di Milano, egli ricorda che "l'obbedienza, la laboriosità, il rispetto ai diritti ed alle Autorità devono essere la norma indeclinabil e" di condotta. Clero e popolo devono " agevolare il compilo a quella Autorità, a cui fu provv idamente affidato il ristabilime nto dell'ordine in giorni così tri sti e di fficili". L'autorità s' ispira


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"ad alti e giusti sentimenti ... intesi allo scopo di ridare al più presto possibile alla città nostra la sua ordinaria vita, civi le, religiosa e commerciale" . Le informazioni ricevute sui moti lo convincono a rientrare in sede. Nel pomeriggio invia a Milano monsignor Sala, arciprete del duomo, con l' incarico di recapitare personalmente al regio commissario una lettera che chiede un provvedimento di clemenza nei confronti dei cappuccini arrestati, riaffermando sentimenti e voti già espressi nel telegramma del mattino e nella lettera al clero. Egli intende compiere così un atto distensivo, chiedendo anche d'incontrarsi con Bava al suo rientro a Milano. Sosta al seminario di San Pietro Martire a Seveso (20 km a nord della città), dove ha conferma delle manovre in corso per ritirargli l' exequatur e deH'atteggiamento che Bava intende assumere, anche pubblicamente, nei suoi confronti. 11 suo breve ritorno in cilfa assume perciò il significato di rifiuto d' interferenze nella sua condotta di vescovo. Lo accoglie una città tranquilla, pacificamente animata, senza tracce dei moti appena sedati . Quella sera stessa visita i feriti all 'ospedale militare in piazza Sant' Ambrogio e all'ospedale maggiore di via Francesco Sforza [ora sede dell'università statale] e i cappuccini ospiti dei barnabiti . Secondo quanto afferma don Davide Albertario in una lettera del 16 maggio al cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, segretario di stato vaticano, l'arcivescovo sa che non sarà ricevuto dal regio commissario straordinario. Le memorie di Bava contermerehbero: "Verso le ventidue mi fu annunziato, che nell'anticamera v'era un sacerdote, inviato da parte del Cardinale, il quale, appena di ritorno a Milano, mi faceva pregare <l'essere ricevuto quella sera stessa .... Non mi parve conveniente incomodare a ora così avanzata un principe dell a Chiesa; gli feci dunque rispondere, ch'ero disposto a riceverlo il domani" . L'indomani , Andrea Ferrari 1itorna in Valassina per continuare la visita pastorale. Anche questa nuova partenza sarà giudicata negativamente come atto <l'insensibilifa o sfida al potere politico.

Milano, mercoledì 11 e giovedì 12 maggio Mercoledì 11 maggio è vietata nell ' intera provincia "la circolazione delle biciclette, tricicli, e tandems e simili mezzi di locomoz ione" che potrebbero servire ai rivoltosi per portare ordini. Le biciclette sequestrate sono restituite senza manubrio (Valera). Bava ringrazia le forze dell 'ordine che " in questi tristissimi giorn i, non badando né a fatiche né a disagi, [hanno] reso un grande servizio al Re, alla Patria, alla Civiltà". In mattinata, "mostrandosi docile interprete del


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pensiero dei circoli moderati più influenti, e certo col benestare del governo", diffonde la seguente risposta, ironica e sferzante, al Lelegramma e alla lettera c he il cardinale gli ha inviato il giorno prima:

Eminenza, ho ricevuto il telegramma che la S. V. mi ha sp edito da Asso e successivamente la leltera recatami da Monsiinor Sala. lo deploro vivamente, che una malaugurata combinazione non abbia permesso all't:. V. di trovarsi in città durante i dolorosi J?iorni testé trascorsi. Sarebhe stato di somma utilità che il Clero milanese, ricevendo un diretto impulso da Chi siede sulla cattedra di S. Ambrogio e di S. Carlo, a vesse pronunziato, senza ritardo, una parola di pace e offerto il suo ministero, per ahhreviare una cruenta lotta fratricida. Gradisca V. t:. gli atti della mia osservanza. Domenico Farini, già presidente del senato, ritiene che ]'"aspra" lettera ("troppo per pensiero e per dettalo superiore a chi la firmò") sia stata ispirata, se non scritta, dal generale Thaon <li Revel, " uomo religiosissimo, tanto da rasentare il clericale". Quest'ipotesi è però da scartare: in un biglietto senza data diretto a Bava, Revel infatti scrive: "Stupenda la sua lettera al Cardinale. Non c' è parola da togliere né da aggiungere. Se non fosse un falso ascetico, senza criterio, capirebbe la lezione data con lanto xarho e cortesia da 1;entiluomo". Un ufficiale, secondo la testimonianza <li Yalera, attribuisce la lettera a Gaetano Negri ("A lui, Bava, non sarebbe mai venuto in mente di umiliare così bene il cardinale"). Chi scrive ha rintracciato tra le carte di Bava custodite al museo del risorgimento di Milano la primitiva versione di pugno del generale, rozza, ingiuriosa e poco incisiva. Eccone il testo.

A S.E. il Cardinale Ferrari lo pensavo che in questi tristissimi giorni una parola di pace sarehhe stata pronunziata da V.E. che siede sulla cattedra di S. Ambrogio e di S. Carlo. Pensavo che V.E. avrebbe ricordato la suhlime ed eroica condotta di Monsignor Affi-e nel IN4N in Parigi. Ho saputo invece che Ella è assente per una visita pastorale. Me ne duole; mi conforta perà la spontanea o_lferta per l 'opera di paci/ica z ione fattami stamane d al Reverendo P re lato M onsignor Mantegazza e suoi coadiutori. [Denis Auguste Affi-e, arcivescovo di Parigi, fu ucciso mentre tentava di far cessare gli scontri.fra insorti ed esercito l.


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Bava afferma d 'aver fatto leggere la letlera " a uno dei capi laici" dei cattolici, " illustre personaggio", il quale ne ha approvalo il contenuto e chiesto copia, da pubblicare nella Perseveranza e nella Lega lombarda: con buona probabilità, si tratta del marchese Cornaggia, che potrebbe aver "suggerito" opportune varia nti alla stesura iniziale. Conclusione: sul l'autore si possono fare supposizioni, ma certamente non è Bava. La lettera, diffusa da tutta la stampa nazionale, è il primo conc reto risultato dell 'azione concorde di Roma e Milano contro il movimento cattolico e il non ig naro cardinale Ferrari. Per Canavero, è generale convinzione che l' iniziativa parta no n tanto dal governo o dal regio commi ssario, quanto dai moderati o dai cattolici transigenti, proprio quelli c he devono di più al cardinale. Senza di lui , infatti, non avrebbero avuto il sostegno dei cattolici intransigenti nella riconquista della maggioranza a Palazzo Marino nel I 895. Anche il presidente del consiglio prende pos iz.ionc: "Se contegno Arcivescovo Ferrari fosse stato o fosse censurabile, Governo può ritirare e;;.equutur'. Bava prende tempo per saggiare g li umori deg li uomini influe nti che lo circondano e l'effetto dell a lettera sul clero " buono". Propone poi di lasciare le cose come stanno: se ne farebbe un martire, senza ol1enere il suo allontanamento da Milano. In realtà, moderati e cattolici transigenti non vogliono spingersi troppo avanti: inclini a "esaltare l'autorità episcopale proprio al fine di mortificare le organizzazio ni dei laici clericali, papali e astensionisti", non se la sentono di approvare un atto grave come il ritiro del1' exequatur, anche se colpirebbe un vescovo sgradito. Farmacisti e medici de bbono segnalare le generalità dei feriti d 'arma da fuoco c u rati negli ultimi giorni : quelli leggeri evita no di farsi medicare per sottrarsi a identificazione e arresto. T militari di truppa in libera uscita devono andare "a frolle e non isolati". È successo infatti che alcuni siano stati "fermati da male inte nzionati, i quali, ricorrendo talvolta anche ad offerte di vino e sigari, te nne ro loro discorsi sovversivi incitandoli in caso di nuovi disordini a non far fuoco sui rivoltosi ma a rivolgere le anni contro i propri superiori". In questi casi, i soldati dovranno "non solo respingere sdegnosame nte tali tentativi di subornazione, ma adoperarsi in ogni modo per conoscere gli autori e trarli possibilmente in arresto" (circolare riservata di del Majno n. 889, 3 l'?] g iugno 1898).

Provincia di Como e territorio svizzero, 11-18 maggio Alcuni dei promotori de i tumulti d i Mila no, sfuggi ti alle ricerche e


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riparali in Svizzera, sobillano i numerosi operai italiani là residenti, esortandoli a unirs i ai rivoltosi di Milano. Bava ne ha notizia la sera dell'otto, grazie all' intercettazione d' un telegramma diretto a Bissolati, e martedì l O da Rudinì. Telegramma in transito dice: A Berna operai italiani molto esaltali: tutta Svizzera partono italiani ben provvisti denaro partecipare rivoluzione. Credesi movi mento concertato; per eccitare partenza comunicavano notizia rivoluzione Torino. Manzotti conferma: le hande "non nacquero per impul so completamente spontaneo", ma vi concorse una consapevole azio ne di alcuni agitatori socialisti come Vergnanini e Rondani, che poi fecero "da pompiere cercando di arrestare il movimento quando s i vide che sarebbe anelalo incontro a un sicuro insuccesso". In base a direttive av ute da Roma, Bava proclama lo stato d' assedio nella provinc ia di Como e concentra alla frontiera un piccolo corpo d'osservazione (quattro battagl ioni, quattro squadroni, una batteria, oltre alla colonna mobile Masi della divisione militare di Brescia), al corn,indo del generale Po nza di San Martino. 1n verità, anche a Bava sembra poco probabile che qualche centinaio di persone di sorgani7.7ate e senz'armi porti un nuovo grave sconvolgimento; tuttavia bisogna stare in guardia, spec ie dopo i continui dispacci inviati da Rudirù.

Una potenza amica cifa sapere, che aggressione preparata dai socialisti nel territorio elvetico è cosa seria: opinione mia personale è che queste notizie sono molto esagerate, ma dovere vuole che si prendano tulle le necessarie precauzioni. Come già avvertii l'. come è confermato da notizie ufficiali e da quelle date anche dalla Stefani, l'axitazione fra gli operai nella Svizzera si fa più persistente e dà luogo a movimenti verso la frontiera. Gli ambasciatori nostri a Parig i e Londra, come il nostro Ministro a B e rna, segnalano partenza anarchici italiani dalla Svizzera e dall 'Inghilterra, i quali intendono entrare nel Regno alla spicciolata, per sentieri poco sorvegliati. La contemporaneità di queste notizie le rende attendibili. ln quei giorni numerosi teleg ra mmi sono scambiati tra il nostro ministro a Ilerna, il console a Ilellin:1.una e B ava; questi riceve poi continue e


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precise informazioni da ufficiali inviati in missione in Svizzera. Questo nuovo tentativo di rivolta è ben presto arrestato dall 'energico comportamento del nostro governo e dalle disposizioni date da quello federale. La condotta seguita dalle due nazioni s i può desumere dai telegramm i seguenti di Rudinì.

Di concerto con il Ministro degli Affari Esteri Le darò istruzioni opportune, p el caso possa nascere conflitto alla f rontiera e sul territorio Svizzero. Ella agisca intanto secondo L'interesse della difesa, non essendo il caso d'usare riguardo verso Governo, che pe rmette organizzazione armata contro di noi. R. Mini stro Berna te lef? rafa quanto seg ue: Presidente della Confederazione ... mi rinnovò assicurazione, che la massima vigilanza sarà esercitata, come lo è già, sopra italiani recantisi in numerose comitive al confine con intenzioni ostili. In tutti i casi Governo Federale non permetterà, che simili comitive, benché non annate, abbiano a passare la frontiera congiuntamente.

il ministro Riva telegrafa: "Alcuni capipopolo da Losanna diri gons i Canton Ticino, in cui grande è attualmente numero a narchici pericolosi e sociali~ti , perché ingrossati da quelli fuggenti da Milano. Come da tempo scri ssi, elementi sov versivi Lomba rdia fecero del Canton Ticino loro base operazione, favorita anche da funzionari Ticino". Il presidente del consiglio , di conseg ue nza: " Vano esse ndo a ttende re dal Governo dell a Repubblica Tic ino azione sinceramente energica e considerato l' attuale momento critico e pericoloso, che vengano loro fomite armi , per rientrare in Itali a, telegrafai ieri Ministro Riva, chiedere Governo Federale allontanamento immediato elementi minacciosi dal Canton Ticino". Le autorità elvetiche non intendono prendere provvedimenti contro le colonne socialiste in movimento verso la frontiera italiana fin ché non commettano reati. Si sfiora l'incidente diplomatico, ventilando uno sconfinamento dei soldati italia ni Il "pericolo" è presto scongiurato: Bava asserisce che dei quasi duemila uomini partiti da Losanna per penetrare in Italia attraverso il Sempione e il Gottardo, solo centollanta arrivano a Chiasso il g iorno 18, scortati da una compagnia di soldati federali . A lquanto di ve rsa la vers ione di Canavero. Tutto si risolve in indirizzi di solidarietà ai "rivoltosi" italiani e nella partenza per la frontiera di duecento persone, bloccate a Chiasso dalle guardie <li confine svizzere. Alcuni , gra:1,ie anche a Rondani a ad


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altri capi socialisti che pagano loro il biglietto di ritorno, rientrano al posto di lavoro ; altri passano la frontiera e sono arrestati; altri ancora, accusati di provocare disordini, sono consegnati dalle autorità di confine ticinesi a quelle italiane, suscitando le proteste delJ' opinione pubblica svizzera che vede violata la tradizionale ospitalità elvetica. Più particolareggiata la descrizione di Levra. Duecento operai italiani abbandonano il lavoro e, grazie a collette improvvisate, partono in treno per il Sempione. Prima del confine intervengono però le autorità cantonali , dirottano il treno su un binario morto, arrestano gran parte dei componenti la banda rimasti senza cibo e senz'acqua, li ammassano in un campo di concentramento improvvisato, li trasferiscono poi sotto scorta con treno speciale a Chiasso e li consegnano a una compagnia di bersaglieri. Poche decine di loro, sfu ggiti all'arresto al Sempione, si disperdono sui monti; mentre quasi tutti ritornano indietro, alcuni, privi di denaro, tentano di passare il confine a piccoli gruppi. Tre sole guardie di finanza sono però sufficienti acl arrestarne una cinquantina senza incontrare resistenza. Uno di loro confesserà al procuratore del re di Domodossola che intendevano "entrare nel Regno, uccidere i Signori, brucciare [sic!] e saccheggiare le città, correre in soccorso dei rivoltosi di Milano" . Gli arrestati sono deferiti al tribunale militare di Milano che li giudicherà come affiliati a banda armata.

l moderati all'attacco Fino al term ine dei disordini l'offensiva è condotta solo contro radicali, repubblicani, socialisti e anarchic i. Solo il giorno 10 (martedì), quando Milano ha ripreso il suo abituale aspetto e gli stabilimenti indu striali hanno riaperto, comincia l'offensiva moderata e dei transigenti cattolici che fanno capo alla Lega Lombarda contro gl' intransigenti e la loro ala soc iale . Con l'approvaz ione di Rudinì è soppresso l 'Osservatore Cattolico, che don Albertario non fa più uscire dal giorno 7 per evitare incidenti (la sede è nell ' istituto degli artigianelli, che ospita 200 orfani). Avvertito, il prete giornalista lascia Milano quel giorno stesso dopo un lettera a Bava che per debolezza d'argomenti e inopportunità di alcu ne affermazioni non giova né alla sua causa né a quella de i cattolici. Si trattiene nel vi llaggio natale di Filighera, in provincia di Pavia, forse confidando di evitare l'arresto, di cui incolperà Thaon di Revel e il vescovo di Cremona, Bonomelli. Subito dopo la soppressione del quotidiano intransigente, scoppia la polemica sul cardinal Ferrari: la sua asse nza da Milano è g iudicata da


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moderati e callolici transigenti un abbandono di responsabilità. Scrive Achille Ratti, futuro papa Pio XI e allora direttore de lla Biblioteca ambrosiana di Milano: "Si può difficilmente immaginare quanto sia scossa qui la sua posizione; né so ancora, se potrà reggersi". Panighetti, reggente la procura di Milano , riferi sce al mini stro di grazia e giustizia (Zanardclli) il 23 maggio che la posizione del cardinale "è rimasta nell ' opinione generale profondamente scossa e vulnerata". Gli ambienti moderati e cattol ici transigenti condizionano ora l' operato del regio commissario, che (come scrive Paolo Carcano a Zanardelli il 19 maggio) "è effettivamente c ircondato dalla Consorteria milanese e, peggio, dal Marchese Cornaggia (il capoccia dei neo guelfi)". La severa re pressione ordinata da Rudinì è interpretata nel senso d' eliminare non solo i "sovversivi rossi" e i radicali (avversari dei moderati in consiglio comu nale), ma anche i cattolici intransigenti. li 24 maggio, sciolto il comitato diocesano, Bava invita le autorità di pubblica sicurezza a sorvegliare il clero e specialmente i parroci: lo stesso g io rno don Albertario è arrestato e condotto a Milano. Esulta Revel: "Sunt bona mixta malis; l'arresto cli Davide, condo tto ammanettalo al cellulare, è fra i primi". Conv into che i moderati siano decis i ad andare fino in fondo nell'attacco all'intransigentismo cattolico, Rudinì ordina due giorni dopo lo scioglimento dei comitati diocesani: a Milano sono soppressi quello regionale e cinquantotto di quelli in cui è maggiore l' influenza del clero albertariano. Non sono soppresse, viceversa, le società di mutuo soccorso, gran parte dei circoli popolari e l'associazione di elettori cattolici, a riprova del carattere " tattico" dell 'offensiva. Retromarc ia il g iorno seguente , a dimostrazione della confu sio ne che regna nel governo: le soppressioni sono limitate ai casi d 'evidente minaccia all 'ordine pubblico. Revoca definitiva di tutti i provvedimenti il 3 giugno, all 'indomani della form azio ne del nuovo ministero Rudinì. A Milano l'attacco continua: l'otto g iugno la questura consegna il fascicolo relativo al congresso cattolico dell 'anno precedente, per il caso che nelle parole dei partecipanti siano ravvisabili reati in vista dei processi del tribunale militare. T1 I O giugno Bava chiede la revoca del placet a diversi parroci che "con la loro condotta intransigente, ma che sfugge azione legge penale, persistono in una malcelata agitazio ne". Risposta negativa di Rudinì : è un potere che lo statuto riserva al re; si provveda con g li strumenti della legge ordinaria. li governo non intende più impegnarsi a fondo nell ' offe ns iva anticattolica che del resto va spegnendosi anche nella metropoli lombarda. 11 16 giugno Bava restituisce a i comitati e circoli cattolici la loro bandiera, purché non sia bianco-gialla Ii colori papalij e non rechi scritte o emble mi contrari alle istituzioni.


/ ,e r.inque ginniate di M ilano fllla

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Una lettera di papa Leone XIII al cardinal Fcrrari respinge l'accu sa rivolla ai cattolici d'essere elementi "sovversivi" , attribuisce la responsabilità delle sommosse al "reo seme da lungo tempo sparso impunemente nella peni sola" e lamenta la persecuzione cui è sottoposto l'arcivescovo. Molti ve<lono un velato rimprovero al presule nelle seguenti parole del pontefice: " In sì critici momenti , Noi avremmo desiderato che ella , Signor Cardinale, si fosse potuto trovare nella sua diletta Milano, conciliatore di pace cd apportatore di conforto". Questa lellera e allri successivi documenti ecclesiastici si pongono su una posizione difensiva, seguendo tutti il medes imo schema: indignazione per l'accusa-calunnia lanciata ai cattolici; rispetto dell 'autorità e riprovazione delle ribellioni di piazza; mantenimento dell'organizzazio.ne sul terreno legale. Si giunge così molto vicino all'abbandono del non expedit, imboccando la strada che porterà nel 1904 al l'accesso alle urne in casi particolari e addirittura alla presentazione di candidati cattolici. Continua intanto la repressione dell'estrema sinistra, considerala pur sempre il maggior pericolo per le istituzioni . La semplice affiliazione a questi partiti può essere motivo d'ancsto. Sono ricercati, ai fini dei processi che si stanno istruendo, coloro che hanno contrihuito in conferenze o comizi a "mantenere vivo negli animi il sentimento della rivolta" e le persone curate negli ultimi giorni per ferite d 'arma da fuoco. Bava lamenta scarsa collaborazione da parte della magistratura, la cui fiacchezza è rilevata anche dai moderati: il reggente della procura, Panjghelli, sarà trasferito a Venezia, "ultima vittima degli articoli delatori in cui si è specializzata la Perseveranza ed il cui tras loco rappresenta uno degli ultimi successi dei moderati milanesi". Si procede con severità anche nei confronti dei corrispondenti dei giornali esteri che inviano nei loro paesi notizie allarmanti. Viene espulso un giornalista del Daily Mail, secondo il quale l'instaurazione della repubblica in Italia è solo questione di tempo. È respinta la richiesta di pubblicare di nuovo il Secolo, quotidiano il più letto a Milano, pur con il vincolo d' una ce nsura preventiva (dall'inizio dei moti la Perseveranza, ridotto il prezzo di vendita, avrebbe raggiunto le 40mila copie). li 14 magg io Bava sciog lie il cons ig lio diretti vo dell a Società Umanitaria perché l'amministrazione è caduta nelle mani di pe rsone notoriamente affili ate ai partiti e stremi c he potrebbero destinare a fini illeciti il lascito di Prospero Moisè Lori a. Un nuovo statuto societario attribuisce la nomina dei dirigenti in prevalenza non più all 'assemblea de i soci, bensì ai consigli comunale e provinciale, dorrùnati dai moderati. Tn conc,;lus1one, approfittando dello stato d'assedio, i moderati milanesi


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cercano di realizzare tutti quei progetti che hanno incontrato ostacoli insormontabili sotto il vigore della legge ordinaria, come per esempio la nuova cinta daziaria. Repressi i moti e ristabilito l'ordine pubblico, soppressi giornali e c ircoli, imprigionati i presunti capi, nasce la tesi del "complotto" per rovesciare le istituzioni e dar vita alla repubblica federale. I colpevoli sono individuati nei repubblicani e , al loro rimorchio, dei socialisti e degli anarchici. Viene messo sott'accusa il governo, reo di aver lasciato via libera alla propaganda sovversiva. Si afferma ancora che a Mil ano, la città piì:1 prospera del regno, non v'era motivo valido di carattere economico. Portavoce di quest' interpretazione è, tra i pochi giornali rimasti in v ita, la Perseveranza, organo della consorteria mila nese, che propugna un restringimento delle libertà previste dallo statuto albertino. Lo stato d 'assedio ha costituito di fatto lo "Stato di Milano" eliminando l' ingerenza del potere centrale: è quindi necessario che esso duri il più a lungo possibile. Viene elogiato il comportamento dell 'esercito, cui va tutto il merito della repressione: implicitamente, è criticata la debolezza del governo Rudinì. L'altro periodico liberal-moderato milanese, Idea Liberale, si trova su posizioni analoghe, ma lontane dal protezionismo gradito all'aristocraz ia agraria: mutamento d' indirizzo politico in senso conservatore e liberismo economico. Diverso l' atteggiamento del Corriere della Sera, in cui convivono due "lince", una liberale, l'altra più conservatrice. La prima, rifiutando l' ipotesi del complotto sovversivo e del disegno prestabilito, giudica prevalenti negl' incidenti la componente a na rchica e l' aspetto teppistico. La seconda invoca provvedimenti contro i partiti estremi , elogia l'autorità militare e auspica l' avvento d'un governo energico e chiaramente conservatore. Le voci sinceramente liberali , poche e isolate, si esprimono oltre tutto con prude nza per non essere tacciate di sovversivismo dagli organi di stampa "ministeriali" come la mdiniana Sera, che accentua i toni antisocialisti e anticlericali . Essa loda le "sagge" disposiz ioni del presidente de l consiglio e dà poca rilevanza all'operato dell 'esercito, semplice esecutore di ordini. Sull'opposto versante politico, soppresso l'intransigente Osservatore Cattolico di don Alhertario, le opinioni dei cattolici sono affidate alla Lega Lombarda, organo transigente attestato su posiz ioni vicine ai giornali moderati. Esso nega ogni responsabilità dei correligionari, intransigenti o transigenti, nel provocare i tumulti e individua "nell ' irreligiosità e


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nelle eccessive libertà concesse" l'origine delle minacce all'ordine pubblico. È favorevole a comporre il dissidio fra stato e chiesa o, quanto meno, ad attenuarlo con la revoca del non expedit e la partecipazione dei cattolici alla vita pubblica, condizione essenziale per riportarvi i principi religiosi e morali. L'accordo fra cattolici transigenti e liberali moderati si baserebbe su: fine del parlamentarismo, limitazione delle libertà costituzionali, lotta al social ismo, educazione religiosa del popolo. ln sintesi, religione intesa come strumento di conservazione sociale. Questa linea politica procurerà alla Lega Lombarda la taccia di reazionaria, in aperta polemica con l'Osservatore Cattolico che, al suo riapparire, accentuerà i toni democratici. Gli aderenti alla sinistra costituzionale non sono numerosi a Milano perché gli avversari dei moderati preferiscono confl uire nel più forte e meglio organ izzato partito radicale. Essi possono tuttavia contare sulla Lombardia, quotidiano seguito anche da quella borghesia che vuole rimanere a metà strada fra il Secolo e gli organi della reazione. La Lombardia rinfaccia ai moderati il trasformismo che li ha avvicinati ai clericali intransigenti come il cardinal Ferrari e don Albertario. L' Italia si salverà non restringendo le liber1à statutarie, bensì applicando severamente la legge ordinaria e attuando riforme economico-finanziarie. 11 panorama dell 'opinione pubblica ambrosiana all 'indomani dei moti si completa con il Sole, autorevole quotidiano spesso erroneamente considerato esclusivamente economico, commerciale e finanziario. Esso infatti dedica spazio ai problemi generali della vita italiana e milanese, alla questione sociale, ai rapporti fra capitale e lavoro. Rappresenta tendenzialme nte le idee d'una moderna borghesia che rivendica maggior peso politico in grazia dell'esteso potere economico conquistato e si considera la sola classe capace di risolvere i problemi soc iali dopo il fallimento delle élite dirigenti tradizionali. I moti, secondo il Sole, sono stati una ventata di follia di pochi esasperati da una situazione deteriorata dalla cattiva am ministrazione dello stato: occorre ora riprendere serenamente il lavoro, ma anche individuare le cause precise d' un tale sconvolgimento. Per evitare poi di prolungare nel tempo i danni economici e finanziari (fortunatamente limitati) subiti da Milano, bisogna abolire subito lo stato d 'assedio. ln conclusione, a un contegno antiallarmistico tenuto da alcuni giornali si contrappongono soluzioni drasticamente repressive da parte dei moderati. Il 3 giugno, per la prima volta dopo i moti , si riunisce il consiglio co munale: il sindaco Vigoni riafferma l' interpretazione moderata degli avve11imcnli cd elogia l'esercito, "la più salda e la più santa delle istitu-


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zioni", e il generale Bava Beccaris, "la cui opera intelli gente cd energica ha salvato la città nostra da grave jattura". Il malcontento generale, particolarmente sentito dalle classi popolari, è da risolvere solo con misure d'ordine pubblico e con provvedimenti di beneficenza. Gli elogi ai rnjlitari sono ripresi da Gaetano Negri , capo della consorteria, il quale propone un ordine del giorno che esprime la viva gratitudine dell a cittadinanza per il contegno dell'eserc ito e del suo comandante. La mozione è approvata da 54 consiglieri su 57. Analogo plauso all 'esercito è approvato a grande maggioranza dalla camera il 18 giugno, su iniziativa di Sidney Sonnino cui si associa anche Giolitti. Mettendo in "non cale l'antica massima severa di non concedere onori ai vincitori nelle contese civili" (Benedetto Croce nella sua Storia d 'Italia dal 1871 al 1915), anche re Umberto fa la sua parte, inviando il famoso (e famigerato) telegranuna. Roma, addì 6 giugno 1898 - ore 21.20 Ho preso in esame la proposta delle ricompense presentatemi dal ministro della guerra a favore delle truppe, da Lei dipendenti, e col darvi la mia approvazione fui lieto e orgoglioso di onorare Le virtù di disciplina, abnegazione e valore di cui esse <~/Tersero mirabile esempio. A Lei poi persona lm ente volli conferire di motu proprio la Croce di Grand'Vfficiale dell 'Ordine militare di Savoia per rimeritare il grande servizio chl! Ella rese alle istituzioni e alla civiltà e perché Le attesti col mio affetto la riconoscenza mia e della Patria. Torna no a onore di Bava, a questo rig uardo, le parole delle sue Memorie: "Questa concessio ne è stata biasimata da parecchi, anche da uomini d ' idee temperate, perché - secondo ess i - la particolare natura dei fatti non giustificava appieno l'onorificenza che ne venne ai decorati. E, per dire il vero, io non posso negare un certo valore alla loro considerazione, che cioè, essendo la repressione d' una sommossa un atto di rivolta contro i proprii concittadini, non dehhono, quelli che ne ebbero il penoso incarico, credere d 'aver compiuto un 'azione superiore al loro dovere, né essere stimati degni di particolare ricompensa". Limitandosi ai militari, sono concesse queste onorificenze: ordine militare di Savoia (grado di commendatore) a del Majno; medaglia d' argento al valor militare a cinque ufficiali (fra i quali Radicati, Bosco di Ruffino , Montuori) e a quattro militari di truppa (uno di loro è Graziantonio Tomasetti, del 92° fanteria, morto al quadrivio della Foppa); medaglia di bronzo a tre uffic iali superiori; ordine dei santi Maurizio e


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Lazzaro e ordine al merito della Corona d'Italia: complessivamente a ventisei ufficiali . Colajanni riporta una "polemica sollevata da Massucro convinti ssimo monarchico - colla notizia pubblicata sulla punizione grave - la messa in disponibi lità - inflitta al colonnello Crolli per aver rifiutato qualsiasi onorificenza agli ufficiali del proprio reggi mento". In cffctli, nessuna ricompensa è andata ai Cavalleggeri di Lodi, ma Levra porta alla luce la verità, riferendosi alla corrispondenza dei protagonisti e ai rapporti di Bava s ull'episodio. 11 colonnello Carlo Crotti di Costigliolc accusa d'osti lità nei suoi confronti il suo superiore colonnello Francesco Vicino Pallavicino, comandante della terza brigata di cavalleria, arrivando a rifiutare di stringergli la mano in un ' occasione pubblica. Come punizione, viene posto in disponibilità il 10 luglio 1898. Lo stesso presidente del consiglio Pelloux, dopo alcuni mesi e per le pressioni di alcuni deputati conservatori piemontesi, farà riesaminare il caso e reintegrare l'ufficiale nelle precedenti mansioni e nel servizio attivo. li conferimento a Bava dell'alta onorilìcenza e la successiva nomina a senatore del regno, riconoscimento fra i più ambiti, coinvolgono la corona nelle responsabilità della repressione e raffreddano le speranze in essa. È il caso de lla Lombardia, organo della sin istra costituzionale ma sinceramente monarchico, che il 12 giugno titola: "Onoreficenze [sic] a militari per la repressione dei disordini di Milano. Le gravi condanne d'ieri al tribunale di guerra". Affiancare le due notizie è già di per sé una presa di posizione critica.

Il tribunale militare Durante un conflitto, lo stato d'assedio si dichiara e i tribunali di guerra si costituiscono sulla base del codice penale militare. Per analogia, mancando una specifica legge, queste norme si appli cano anche in tempo di pace con decreto reale. Quattro anni prima la corte di cassazione ha ritenuto costituzionali sia la proclamazione dello stato d' assedio in tempo di pace di fronte a dichiarate esigenze di ordine pubblico interno sia i bandi con fol7.a di legge emessi dall'autorità militare. Costituzionali sono quindi i bandi che istituiscono i tribunali di guerra e vi deferiscono anche persone estranee alla "milizia" per reati previsti dalla legge penale comune (favoreggiamento, istigazione a delinquere, eccitamento all a guerra civile, organizzazione di bande armate, minacce di di sastri). Un bando del regio commissario in data 14 maggio estende la competenza dei tribunali cli guerra a una serie di altri reati comuni volti, fra l'altro, a mutare vio-


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lentcmente la forma di governo, ad attentare alla sicurezza dello stato, a incitare all'odio fra le classi sociali , a cornmellere delitti contro persone o proprietà, a istigare i militari a disobbedire alle leggi, a esporre l'esercito all 'odio o al disprezzo della cittadinanza. 11 settimanale/ Tribunali del 15 maggio rileva che "questo nuovo bando offre ... una lontana idea de lla strada per la quale si incamminano i processi". Nel giudicare i reati comuni imputati a persone estranee alla milizia viene applicato il codice penale comune. La corte di cassazione ha ritenuto il tribunale militare funzionante da tribunale di guerra competente a giudicare su fatti avvenuti anteriormente alla dichiarazione dello stato d'assedio purché "si leghino ai fatti successivi con un rapporto immediato di causa ad effetto". I difensori sono scelti dagl ' imputati "fra gli ufficiali presenti" aventi grado non superiore a capitano, escludendo la possibilità di avvocati civili sul1' cscmpio dei tribunali militari che hanno g iudicato i moti dell a Lunigiana e dei fasci siciliani ( 1894). L'arresto in flagranza di reato dei deputati non fa decadere dall' immunità parlamentare: il proseguimento dell ' istruttoria richiede l'autorizzazione a procedere da parte della camera. Le sentenze del tribunale di guerra sono inappellabili , salvo il ricorso in cassazione per "eccesso di potere" o "incompetenza" , ma non per "violazione di legge" . "La nostra romita piazzetta di Sant' Angelo vicino a Porta Nuova è insolitamente frequentata . Picchetti di soldati con bajonetta inastata custodiscono il fabbricato del Tribunale Militare che perde così il tranquillo suo aspetto degli altri momenti per assumere quello più severo e bellicoso di queste tristi giornate". TI tribunale di guerra, istituito con bando del regio commissario straordinario l'otto maggio, a causa di difficoltà organizzative inizia le udie nze soltanto il giorno 23. Composto da ufficiali superiori dell'esercito (giudici " in spada e speroni", li defini sce Levra), è articolato in due sezioni funzionanti simultaneamente, rispettivamente nella sede del tribunale militare ordinario in piazza Sant' Angelo e al Castello sforzesco. La prima è presieduta dal colonnello Parvopassu, la seconda dal tenente colonnello Pietro Citati o dal pari grado Luigi Olliveri. È raddoppiato il numero degli avvocati fiscali, rappresentanti del pubblico ministero. Il presidente e i cinque g iudi c i sono tutti in alta uniforme con decorazioni. L'avvocato fiscale indossa una divi sa con distintivi di grado a foglie dorate di quercia sulle maniche e sul colletto e feluca con pennacchio alla bersagliera. Il segretario ha i galloni ricamati d'argento. La competenza territoriale comprende le province di Mila no, Como e Brescia in cui è in vigore lo stato d' assedio. Il codice penale militare prescrive d'attenersi il più possibile alla pro-


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cedura del tribunale militare ordinario. Per alleviare il lavoro, i processi degli arrestali fuori della città sono istruiti dalle autorità giudiziarie del luogo e poi mandali a Milano per le conclusioni dell'avvocato fiscale e l'udienza. Raccolte le prove del reato per mezzo di semplici verbali, all'udienza pubblica si ricevono le deposizioni giurate dei testimoni e dei periti. 11 dibattimento procede come nei tribunali ordinari, ma il presidente ha il potere discrezionale, sul suo onore e coscienza, di avvalersi di tutti i mezzi atti ad appurare la verità. L'udienza ha inizio con la lettura, fatta ad alta voce dal segretario, dell'imputazione, dei certificati di rito e della lista dei testi. Interrogati accusato e lesti, sentiti il pubblico ministero e la difesa, chiuso il diballimento, il tribunale si ritira in carnera di consiglio per deliberare. Risolte le questioni a maggioranza di voti, il segretario stende la sentenza. 11 tribunale rientra in sala d'udienza; il presidente legge in nome del re l'intera sentenza nel motivalo e nel dispositivo mentre i soldati presentano le armi e gli ufficiali salutano militarmente. La sentenza ha esecuzione immediata, a meno che il regio commissario straordinario decida di sospenderla per sottoporla alla grazia sovrana. T1 tribunale militare non potrebbe giudi care imputati contumaci, ma di questo "cavillo" non tiene conto. I criteri di colpevolezza sono assai elastici: in mancanza di prove si fondano sulla "convinzione morale dei giudici militari". Questi in genere ritengono sufficiente presunzione di- colpevolezza la denuncia accompagnata da una fedina penale "non linda" e da informazioni non buone. Gl'imputati in stato d'arresto sono così numerosi che non v'è più posto nelle carceri. Il 19 maggio si lascia perciò a piede libero chi ha semplicemente contravvenuto ai bandi relativi alla chiusura degli esercizi pubblici, ai ritardi nel rincasare, all'uso delle biciclette: il verbale è inviato all'avvocato fiscale militare. Scrive l'avvocato Cesare Agrali nel settimanale I Tribunali (15 maggio): "Con lodevole intento si vuole rilasciare gradatamente in libert~t coloro che non risultassero colpevoli che di morbosa ... curiosità o di lievi infrazioni, a cui [furono! già pena più che adeg uata le ansie e il sogg iorno ne ll ' umido carcere alla Rocchetta del Castello" . Novecento persone sono rilasciate e più di trecento prosciolte in istrulloria. 11 dibattimento in aula è assai rapido: lettura dei capi d 'accusa, interrogatorio dei testimoni, sentenza dopo breve permanenza della corte in camera di consiglio. Gli uffic iali difensori "fanno veramente miracoli, dimostrando energia e snodatura e non sembrano troppo disposti a fare il morto". Domina quello che Alfredo Canavero chiama "piglio militaresco" . Difetta il rispctlo delle forme giuridiche: l'avvocato fiscale Toso, in mancanza di testimoni d'accusa, riti ene validi i verbali degli


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agenli. Alcuni testi a difesa sono incriminati per relicenza o ft.ùsa testimonianza. Si ha spesso l'impressione che gl'imputati s iano giudicali non tanlo per ciò che hanno fatto (e che solo in rari casi può essere provato), ma per le idee che professano. Si procede con severità: secondo un giornale specializzato, le richieste di condanna dell'avvocato fi scale sono accolte nella misura dell' ottantaquattro per cento; in 129 processi , sono inflitti quattordici secoli e mezzo di reclusione o detenzione e 30mila lire di multa; su 803 accusati , 668 (un lerLo dei quali minorenne) sono condannati a pene varianti da pochi giorni ai 16 anni inflitti al socialista Rondani. L' inleresse del puhhlico milanese è vivissimo: il Bollettino Serale de l settimanale I Tribunali pubblica giornalme nte il resoconlo slenografico delle udienze; Corriere della Se ra e Lombardia si distinguono per riassunti accurali e parlicolareggiati. Rudinì ha ordinato a Bava il 15 maggio: " Yegga ... di proibire ... la pubblicità de i resoconti pe rché il tribunale non di venti cattedra di anarchia". Un ispettore di pubblica sicurezza censura perciò zelantemente tutto quel che polrebbe suscitare c attiva impressione . Napoleone Colajanni , nel suo libro L'Italia nel 1898, deplora "la condotta insana del generale Bava Beccari s, che sottrasse ele me nti preziosi per la sloria colla censura esercitata sulla stampa e coi tagli fatti eseguire negli stessi resoconti stenografici dei processi". Il 23 maggio cominciano le udienze in un 'aula terrena del Castello. Si enlra dal portone centrale in meno a ufficiali che accolgono corteseme nte; nel primo corlile si svolgono eserciz i militari , dando impressione <l 'essere al campo. L'aula è molto ampia e lumjnosa: la parte riservata al pubblico, in cui c'è una ventina di persone, è separata dal reslo da una sbarra , aperta al centro. Nella parle ri servata alla corte, il pavimento è coperlo da un tappeto rosso; lungo la parete di sinistra due file di panche per gl' imputati; di fronte a loro, i tavoli per la stampa (con tappeto verde), per il segretario, per l'avvocato fiscale; in fondo, il tavolo a ferro di cavallo pe r il tribunale. La parete di fondo è coperta da una specie di arazzo rosso sul quale sono intrecciate alcune bandiere; al centro, il ritratto del sovrano. ln alto, l'iscrizione "La legge è uguale per tutti" . Sull'alto della porta d ' ingresso un crocifisso di legno nero; lì vic ino, il tavolino per il difensore . Un furiere maggiore (con terminologia aggiornata, "aiuta nte") funge da usciere. Prima dell'udienza, s i trattie ne per qualche minuto nell'aula, in elegante ve stito borghese nero, Giuseppe Bacci, sostituto avvocato generale a Roma, che ha sostenuto l'accusa contro il generale Oreste Baratieri davanti al tribunale <li gue rra dell ' As mara dopo la sconfitta <l' Adua. Gl' imputati, senza manette, prendono posto sulle panche, sorvegliati da


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quattro carabinieri. Alle otto precise e ntra il tribunale. Presiede il te nente colonnello Luigi Olliveri ; il pubblico ministero è rappresen tato dal sostituto avvocato fiscale militare Torre. 11 primo processo riguarda i fatti di venerdì 6 maggio in piazza del Duomo; i dodici imputati devono ri spondere di resistenza, rifiuto d'obbedienza all'autorità e o ltraggio di agenti della forza pubblica. Le condanne variano da 15 giorni ai quasi otto anni a carico d ' un g iovane litografo di 23 anni, pregiudicalo ("faccia scarna e gialla, parla in lingua italiana, ha la g iacca del carcere") che ha gridato a i soldati: " Ques ta sera l' avete vinta voi, non c osì domani! Vigliacconi , vigliacconi! Abbassate quell 'arma e tornate a casa vostra!". Il terzo processo riguarda le barricate a Porta Venezia e l' assalto al Palazzo Saporiti . TI pubblico è numeroso. Presiede il lenente colonnello Pietro Citali ; pubblico ministero è l' avvocato fi scale Cesare Mattci. Efficace l ' arringa del barone di L oreto , capitano nei Lancieri di Firenze, difensore dei nove ragazzi (dai 14 ai 20 anni) imputati di devastazione, saccheggio e resistenza all ' autorità: " Basta guardare il fi s ico e l' aspetto del Molteni e degli altri imputati per convincersi che non poterono essere devastatori e saccheggiatori. E poi, il corpo del reato dov' è? L' atto d' acc usa parl a di g ioielli e biancheria trafugata per il valo re di olio e più mila lire, mentre gli imputati al momento del loro arresto non possedevano un oggetto d ' oro, un capo di biancheria, né altro". li tribunale non si fa commuovere: le pe ne vanno dai due anni e sei mesi d i reclusione al quattordicenne Moltcni agli otto e quallro mesi al ventenne Sormani. 11 3 1° processo riguarda le barricate di corso Garibaldi e di via della Moscova: condanne relativamente miti. Il 40° s i riferi sce ai disordini di via Napo Torriani, pre messa di tutti gli avve nime nti : 13 imputati , d i cui tre donne (due in stato interessante), devono rispondere d'istigazione a delinquere, resistenza all 'autorità e violenza con a rmi. Presiede il te nente colonne llo Pie tro Citati, pubblico rniniste ro l' avvocato fiscale Ricci. Guglielmo Savio d istribuiva i manifest i colpiti da sequestro perché era disoccupato. " Un signore con baffi biondi, che ho incontrato al Ponte Seveso il giorno 6 alle ore 12, mi consegnò i manifesti perché io li distribuissi. lo, senza leggerli , vedendo il timbro della t ipografia, credevo fo ssero permessi; non ho a vuto nemmeno il te mpo di distribuirne uno che venne la guardia Viola e mi ha arrestato" : riceve 85 g iorni di detenzione. Angelo Amadio de tto "el pompierin" è l'operaio della Pirelli il cui mancato rilascio ha dato il via agl'incidcnti mortali: "ha venti anni, baffi nasce nti, occhi piccoli, vivac i; porta al collo un foulard''. Ammette che aveva in mano dei sassi al momento dell' arresto, ma no n voleva farne "niente". È condannato a cinque anni di reclusione.


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Negano ogni addebito le tre donne: Maria Vergani (vent'anni, "piuttosto belloccia, ma molto pallida") è assolta; Amelia D ' Antoni (ventun 'anni , "veste una camicietta elegante, chiara, che molto si conviene al s uo bel viso, un po' pallido, ma di fini lineamenti; figura slanciata, persona abbastanza sviluppata") riceve cinque mesi di detenzione; Emma Ripamonti maritata Fumagalli (trent'anni, "veste eia operaia; è piuttosto magra e in stato interessante. Piange continuamente"): se la cava con 75 giorni di detenzione. T1 16 giugno ha inizio il "processo dei giornalisti" che vede imputati, fra gli altri , i socialisti Costantino Lazzari , Pao lo Valera e Ann a Kuliscioff; il repubblicano Gustavo C hiesi, direttore cieli' Ita lia del Popolo; il radicale Carlo Romussi, direttore ciel Secolo; il cattolico intransigente don Davide Albcrtario, direttore dell 'Osservatore Cattolico. Insieme con loro sono processati anche alcuni anarchici, accusati d'aver preso parte materiale ai tumulti. Già prima delle otto di mattina, nonostante la pioggia a dirotto, v'è gran folla al portone verso piazza Castello, che si apre solo alle otto e mezzo. Entra chi è munito cli biglietto, sotto la sorveglianza di carabinieri e soldati. Il cortile a causa della pioggia è quasi deserto. A lato della porta d ' ingresso del tribunale alcuni bersaglieri appoggiati al muro usan o il "ga mellino" . Presiede il colonnello Parvopassu, pubblico mini stero l'avvocato fiscale Giuseppe Bacci. L'accusa intende dimostrare l'esistenza d'un complotto rivoluzionario, ordito in occasione dei funerali di Felice Cavallotti e delle celcbrazionj per il cinquantenario delle c inque giornate. Milano è stata scelta come centro dell'insurrezione perché la sua posizione geografica può impedire faci lmente l'afflusso e.li truppe e ricevere sollecitamente aiuti da operai e fuorusciti italiani residenti in Svizzera. L'avvocato fiscale accetta l'interpretazione moderata sulle cause dei moti: nega l' esistenza del disagio economico e attribuisce la sconfitta dell'insurrezione a ll 'energia dell 'autorità militare e al coraggio della truppa. Le accuse ai giornalisti si basano in buona parte su incerti "reati d'opinjonc". Gustavo Chiesi è incriminato per l'articolo "N'era no assetati !" e, in generale, per aver tentato di "scalzare il principio e.li autorità [suscitando] nelle masse sentimenti di odio verso il governo e le istituzioni". Carlo Rornussi (che sembra pensare "a un 'effemeride illustrata pcl Secolo") ha predicato "contro l'esercito e tutto ciò che è principio di autorità, non tisparmiando neppure la sacra memoria del re Vittorio Emanuele". Paolo Valera è dirigente del partito socialista, già più volte arrestato in passato: facile quindi dedurre quale sia stato il suo comportamento nel corso dei tumulti. (Sul suo conto, il giornalista radicale Mario Oorsa racconta: "Quando ... tutti i maggiuri


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giornalisti di parte popolare ... furono arrestati, Paolino Valera era umiliato cli essere stato lasciato a piede libero. 1---1 Ma egli tanto fece e tanto ... protestò che la poli zia, per usargli cortesia, trasse in arresto anche lui e lo mandò davanti al tribunale militare". Durante il processo prende "furiosamente" appunti con un mozzicone di matita). Ad Anna Kuliscioff (che, vestita di nero con cappello a piume, gira gli occhi qua e là incuriosita dall ' ambiente insolito) si può imputare solo d' essere "fervente socialista e propagandista efficace". Davide Albcrtario (con i capelli sempre sudati e disordinati e la faccia liscia spesso imbronciata) ha diffuso idee democratiche e soc iali ste, gareggiando con g li es tremis ti " nel c ombattere la monarchia e nel suscitare l'odio di classe". Non ma ncano riferimenti alla moralità personale (Lazzari che vive sui contributi pagati dagl"'illusi gregari ", don Albertario coinvolto in scandali riguardanti il buon costume). 11 settimanale/ Tribunali del 26 giug no elog ia le "sciabole togate", gli ufficiali difensori: "Altro che rimellersi alla d emenza del Tribunale ! Per tutte le udienze hanno mostrato, oltre una conoscenza completa e persino meticolosa della causa, una snodatura e prontezza veramente notevoli, e non hanno mai subordinato alla loro condizio ne la libertà e la vivacità clcll ' altacco. Nelle arringhe poi ... hanno dato de i punti a parecchi uomini realme nte togati . E uno spettacolo che suscitava quasi un senso di commozione era il vedere con quanta cordialità s i mantenevano in contatto coi loro difesi, e con quanta fiducia questi a loro si rivolge vano. Bravi giovani !". Le accuse sono sufficienti a far decide re pesanti pene detentive, nonostante l'interve nto a difesa di autorevoli personaggi. La sentenza esc lude il complotto sovvers ivo, ma getta tutta la responsabilità degli avvenimenti sugli esponenti dei partiti extracostituz ionali . Le condanne: sei ann i di reclusione a Chiesi, qualtro e due mesi a Romussi, tre ad Albertario; due anni di detenzione alla Kuliscioff, un anno e sci mesi a Valcra, un anno a Lazzari. In don Alberlario , in particolare, si colpisce l' ala soc iale dell ' intrans igentis mo cattolico. Secondo Valcra, in carcere il sacerdote prosegue indomito la sua battaglia; Lazzari Io descrive, viceversa, "lame ntoso e spaventato" . Sia come sia, la reclusione spezza la su a pur forte fibra: scarcerato l'anno seguente, ripre nde l' attiv ità giornalistica a ritmo ridotto fino alla morte, tre anni più lardi. È interessante conosce re la differenza di regime carcerario fra " rech1sione" e "de te nzione". La prima impone l'obbligo de l silenzio e del lavoro comune stabilito dal direttore, prevede la segregazio ne cellulare (continua nel primo sesto della pena, so lo notturna nel rimane nte), concede, previa autorizzazione, un colloquio ogni sei mesi nel primo periodo (og ni tre nel successivo) e una lettera (sottoposta a visto) ogni tre mesi . TI co 11-


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dannato alla detenzione no n è obbligato né al silenzio né alla segregazione cellulare, può scegliere il lavoro, avere colloqui e scrivere una lettera ogni mese. Il vitto ordinario viene corrisposto dall'amministrazione, quello supplementare, a pagamento, dal "bettoliere" del carcere per un massimo di quaranta centesimi giornalieri . Il vitto ordinario giornaliero consiste in 600 grammi di pane e 250 di minestra con pasta o riso (200 grammi e.li carne la domenica). Il vino è fornito tre volte l'anno (Natale, Pasqua, festa dello Statuto la prima domen ica di gi ugno). Per lo stato la spesa giornaliera mec.lia per detenuto ammonta a 42 centesimi e mezzo; complessivame nte, per i condannati a seguito dei moti di Milano, I 70 mil ioni di lire. Il tribunale di guerra, presieduto e.lai col.onnello Parvopassu, condanna in contumac ia trenta persone per vari reati (eccitamento all'odio di classe, istigazione a delinquere, partecipazione indiretta a devastazione, saccheggio e guerra civile): le pene variano da un minimo d ' un anno di dete nzione a un massimo di sedici di reclusione a Dino Rondani . Quando si dice l' abitudine! Stato d' assedio e tribunale di g uerra semhrano ormai la cosa più normale del mo ndo. Nell' indiffere nza generale, sembra di assistere ai "soliti processini davanti alla pretura urhana'·. A scuotere l'a mhiente arriva però, tra il 27 lug lio e il 1° agosto, il "processo dei deputati" contro Oddino Morgari, Filippo Turati e Luig i De Andreis, presieduto d al tenente colonnello Luigi O lliveri ; sono invece scarcerati Costa, B issolati e Bertcsi perché la camera ha negato l'autorizzazione a procedere. A Turati si rimprovera d ' essere "l'anima e la mente del partito socialista in Milano", di aver composto l' " inno dei lavoratori, divenuto il grido di g uerra e.lei partito", ma soprattutto d'aver stilato, o almeno ispirato, il manifesto distribuito il 6 maggio al Po nte Seveso e d 'aver parl ato davanti allo stahil imento Pirelli "raccomandando a ppare nte mente la calma" ma con la promessa che si sarebbe unito a loro "in un giorno più propizio". Il deputato risponde alle accuse: "Se in quest'ora storico politica, l' aver professato idee socialiste è un delitto, io sono convinto e confesso del mio reato". "Strappando certe riforme con a7.ioni legali, credevo di essere nella legalità e ne l mio diritto; se però questo è un delitto, punitemi!". Egli sentirà in modo penoso e quasi morboso, com'è nella sua indo le nevrotica, il tormento della prigionia. A De Andre is s i fa colpa d ' essersi trovato in mezzo ai tumulti e di non aver voluto collaborare al ristabilimento della calma (non si g iunge però al ridicolo cli presentare in processo la famosa pianta di Milano trovata nelle sue tasche al mome nto dell ' arresto). Giuseppe Patella, tenente dei carabinieri, testimonia che in corso Venezia l' imputalo, al suo invito di raccomandare la calma alla


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folla, ha risposto: "Ormai è tardi , c'è del sangue". Nei co nfronti di Morgari es iste solo l'accusa d'essere per Torino "quasi quello che il Turati lèJ in Milano", cioè ahile organizzatore e propagandista. "Il Turati, colla sua eloquenza incisiva, snodata, a scatti, in polemica persistente, accanita sul socialismo col Presidente, che a sua volta si destreggia con disinvoltura e prontezza; il De Andreis con la sua instancahil ità di argento vivo ad ogni momento in piedi come una saetta; il Morgari invece freddo e combattente con un metodo così compassato che pare addirittura geometrico". Anche stavolta voci autorevoli si alzano in difesa degl'imputati. Nell a sua requisitoria l'avvocato fiscale Torre insiste sulla tesi del complotto, esclusa nel processo dei g iornal isti solo perché non si conoscevano ancora tutti gli clementi per giudicare con sicurezza. Infatti "vi era indubbiamente un complotto per commettere reati contro la sicurezza dello Stato, reati che dovevano commettersi in epoca a noi sconosciuta, ma certo non molto lontana e che non poterono essere commessi per la precipitazione di alcuni". Il processo termina il I agosto con l'assoluzione di Morgari e la condanna di Turati e De Andreis a dodici anni cli reclusione. Ancora una volta la sentenza esclude il complotto rivoluzionario. "Gli imputati ringraziano, per mezzo del Turali, i loro valorosi difensori". l ricorsi in cassazione dei giornalisti e dei deputati condannati dal tribunale militare sono respinti il 22 e il 25 di agosto. Commenta il periodico / Tribunali: "Sul motivo sostanziale del ricorso, quello dell'incompetenza, la Corte si è affrettata prima di tutto a dichiarare che il giudizio sul nesso di causa cd effetto tra i falli anteriori e posteriori allo stato d'assedio, per desumerne la competenza retroattiva dei Tribunali di guerra, è un apprezzamento di fatto del giudice di merito che la Corte di Cassazione a priori non può toccare". Monstrum giuridico: nel giudizio sulla competenza, la cassazione ha invece veste naturale per quest'apprezzamento. Ecco "a che punto si atTiva, quando que i maledetti criteri di opportunità politica s' insinuano nelle pieghe delle sentenze dei magistrati". Ma questo è nulla: sono inaccellabili la "testardaggine" di non estendere la competenza della corte alla "violazione di legge" e ancor più l'idea di non censurare l'applicazione di pena non prevista dalla legge. TI direttore del settimanale, avvocato Enrico Valdata ("L'usciere"), traccia un bilanc io giudiziario dello stato d'assedio. All'attivo, celerità dei giudizi e una certa gentilhommerie nella forma; al passivo, un complesso di fatti giuridicamente inconcepibili: tribunali di guerra che giudicano sulla base del codice pe nale comune, magistratura ordinaria dichiarata impotente a esercitare le sue funzioni. "Dar eia applicare a giudici militari la legge penale comune, la quale ha tutta una tradizione di precedenti legislativi e di O


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interpretazioni di magistrati, per necessità sconosciuti a coloro che la devono applicare, è un qualche cosa che è in guerra veramente guerregg iata colla legge!". Un provvedimento di clemenza scarcererà tutti i detenuti nel 1899.

IL dibattito sulle responsabilità A poco a poco la vita di Milano torna alla normalità. Gli aderenti ai par-

titi estremi si mostrano assai prudenti nelle parole e ne l comportamento. La popolazione allende la fine dello stato d'ac;sedio: lo desiderano anche ,dcuni "uomini d'ordine", con l'ovvia eccezione della consorteria. La stessa aspirazione ha il generale Luigi Pelloux, dal 29 giugno a capo d'un mini stero di sinistra, salutato favorevolmente dai quotidiani liberali progressisti e come deprecabile incognita da quelli moderati e conservatori, con l'eccezione dell'Idea Liherale.ln previsione della cessazione dello stato d'assedio, la giunta comunale allarga la cinta daziaria agli ex Corpi Santi imprmt:nuu una tassazione che colpisce in egual misura ricchi e poveri e un 'imposta sul valore locativo a carico dei proprietari d ' immobili. Sfuggono alla nuova imposta diretta professionisti, proprietari terrieri della provincia, redditieri, industriali con stabilimenti al di fuori del nuovo lim ite. È definitivamente abolito il dazio su farine, pasta e pane; analoga decisione ora per altri generi di consumo popolari come burro, formaggi, petrolio, combustibil i. Rimangono sottoposti a gravame altri generi alime ntari d ' uso comune come vino, uve e mosti; non si tengono in conto le esigenze della moderna classe industriale che ha costruito gli stabilimenti nel suburbio grazie al favorevole sistema preesistente. Pelloux è allarmato dalle voci d' un possibile ripetersi dei tumulti d i maggio fomentato addirittura dagl ' induslriali. La portata delle proteste è però ridimensionata: ai grandi industriali hen poco danno è venuto dall'allargamento. li governo sceglie il nuovo prefetto nella persona del conte Carlo Municchi, fiorentino, legato ai moderatj toscani e bene accetto a q uelli lombardi. Egli infatti è già stato a Milano dal 1885 al 1887 in quali tà di regio procuratore generale e in ta le veste ha contribuito a sciogliere diversi circoli operai. Secondo Canavero, la nomina è un gesto d 'ossequio del potere centrale nei confronti dei moderati lombardi, apparentemente fortissim i dopo le vittorie di maggio. Alle dieci di sera del 4 settembre, Municchi arriva a Milano per prendere possesso del suo ufficio ma Bava, "con tipica mentali tà militaresca" ma a mio avviso ampiamente g iustificata, gli elo impedi sce in quanto non è ancora ufficialmente cessato lo


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stato d'assedio. Pelloux, informato dell' inconveniente, abroga i provvedimenti eccezionali nelle ultime due città in c ui sono ancora in vigore, Milano e Firenze: il 6 di settembre, dopo 122 giorni, il capoluogo lombardo rientra sotto la legge ordinaria; "il feroce monarchico Bava" della canzone popolare cessa dalle funzioni cli regio commissario straordinario; il nuovo p refetto riprende le redini della pubblica s icurezza; il questore Minozzi invita gl'ispettori a "raddoppiare la vigilanza". Dal Nuovo Popolo Cattolico, abbandonata ormai la prudenza dei mesi trascorsi, parte il segnaJe della battaglia sulle responsabilità dello stato d'assedio: le opposizioni, accomunate nella repressione, contribuiranno così a mettere in crisi e sconfiggere il moderatismo lombardo. Il l O settembre, dopo un ' interruzione di quattro mesi, il Secolo riprende le pubblicazioni vendendo 400mila copie ( I 20m ila nella sola Milano), cifra enorme per i tempi. TI giornale fornisce un' interpretazione democratico-radicale dei fatti di maggio: i moti, gravi ma non in misura eccezionale, sono stati esagerati ad arte dai moderati per ottenere, con lo stato <l' assedio, i pieni poteri nella lotta contro i partiti sovversivi, nemici delle istituzioni . Anima della repressione: Gaetano Negri. Il 7 d i settembre ricompare l'Osservatore Cattolico, di retto ora da hlippo Meda. Impegnatosi a nch'esso nella battaglia antimoderata, coinvolge nelle responsabilità il generale Thaon di Revel e monsignor Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona, che nei mesi appena trascorsi hanno messo in condizioni di non nuocere i cattolici intransigenti e la loro guida, don Davide A lbert,u-io. La Lombardia, organo della sinistra costituzionale, rivaleggia con gli altri in v iolenti attacchi al municipio, alla magi stratura, al generale Bava Beccaris, alla questura milanese. A muovere ancor più le acque, ceco alla fine d 'ottobre uno scoop del Secolo, che pubblica la re lazione ufficiale del regio commissario sulla sommossa. Rimane ignoto il responsabile della "fuga" del documento. Qualcuno dubita della sua autenticità, ma il 6 novembre lo s i trova, tale e quale, sull' Esercito, organo del mini stero della guerra. L'opinione pubblica si divide: sini stra e cattolici intransigenti affermano che i fatti di maggio sono stati molto esagerati per consentire dichiarazione e mantenimento dello stato d'assedio; moderati, conservatori e cattolici transigenti ribadiscono la gravità della rivolta e la necessità dei provvedimenti eccezionali. Come in altre parti d ' Italia, s'è mosso per primo il sottoproletariato urbano, che sbrigativamente i moderati definiscono "teppa" , "feccia dell a popolazione", accozzaglia di "barabba". Gli stessi socialisti osservano che "le sommosse, i combattimenti di strada, le insurrezion i chiamano alla superlìcie i bisognisti, gli affamati , la plebe d1e vive come vive, i


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poveri diavoli che crescono fra un furto e l'altro". Soprattutto nella prima fase dei tumulti questo sottoproletariato, cu i si mescolano numerosi anarchici, tiene viva la tensione popolare e la spinge a l punto di rottura, in aperta polemica con i consigli alla calma dei socialisti. Numerose e inequivocabili le testimonianze a l riguardo, dal questore a Turati, da Bava al direttore del Corriere della Sera a Colajanni. Pasquale Villari, conservatore, nota che molti irrunigrati non riescono a inserirsi nel tessuto operaio con un lavoro e un salario sicuri e vanno perciò ad alimentare quel sottoproletariato urbano che vive d 'espedienti e in condizioni di marginalità sociale. In mezzo ad esso, le simpatie vanno agi i anarchici più che a i socialisti, identificali con quelle "ari stocrazie" operaie che già si collocano s u un gradino più alto perché hanno un posto in fabbrica e un lavoro non precario. L'ideologia di queste masse analfabete è rozza, improvvisata, in un certo senso istintiva, ma combattiva, sfuggente agli schemi gradualistici dei socialisti. E sse capiscono soltanto "che i padroni sono i loro oppressori, che lullo ciò che i padroni possiedono è tolto agli operai, e c he il giorno della spartizione è prossimo", come an nota preoccupato il liberale Torelli Viollier. I giornali danno risalto all'episodio dell'industriale Grondona che, affrontato eia un operaio sconosciuto, si sente dire: " L'è

vegnuda l'ora che nun lavorem pu, ve toccarà a vialter adess a sgobbaa": i " barabba" mettono in forse i diritti di proprietà e ritengono finalmente g iunto "el di de sparti". Da un s imile potenziale insurrezionale già la mattina di venerdì 6 partono inviti sporadici, sul momento inascoltati, agli operai che entrano in fabbrica a lasciare il lavoro c a manifestare per il pane e contro il governo. Il Corriere della Sera, passato da una cronaca inizialmente equili brata a lla visione apocalittica d ' una c ittà in preda alla canaglia scatenata, vede un tempestivo intervento di Torelli che insiste suJla manca nza di direzione e cl' organizzazione della presunta sommossa (9- 1O maggio):

I cor~flitti avvenuti. i.eri non indicano, da parte dei tumultuanti., nessun disegno prestabilito. Le barricate furono improvvisate senza un concello tattico, e furono abbandonate senza essere difese. Salvo pochi revolvers, non si videro armi da fuoco in possesso degli assalitori. Né si videro materie esplosive. Le collutlazioni avvennero alla spicciolata, senza concentrarnenlo dexl'insorti.. Non si nominano capi che dirigano la sommossa. Non si vedono proclami che diano una direttiva al movimento. Non si ode un grido che abbia un signj/icato politico qualunque, e che accenni ad una meta. Nella rivolta sono entrate frazioni dei vari partiti sovversivi, ma vi prevalgono, ci pare, il contingente anarchico, e quell'elemento


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teppistico, che se non è esclusivamente milanese, ha però a Milano caratteri propri, come il nome suo speciale indica. Questi elementi furono, in passato, alla coda dei tumulti politici, oggi sono passati in prima linea. Nei giorni dei disordini anche le ragazze imparano ad andare pac ificamente davanti ai combattenti, a non mostrare paura né dei fucili né della cavalleri a, a sedere sui binari ferrovi ari per non lasciar partire i treni . "L'alleggiamento e il linguaggio di queste donne furono tali da impensierire, da addolorare come si ntomo tristissimo della loro degenerazione morale e socia le" (Nuova Antolog ia, 16 giugno). Il loro comportamento richiama alla mente episodi della rivoluzione francese e della Comune parigina del 1871. Corriere della Sera , 8 maggio: " Le donne erano ancor più scalmanate [dei maschi]; e s'avvici navano alle schiere dei soldati, insultandoli con ogni improperio, e gridando: "Noi lavoriamo lutto il giorno per mantenere voi nell'ozio, poltroni !"". Le deplorazioni per questo spellacolo continuano anche nei giorni segue nti. La Sera, a proposito delle "furie oscene di donzelle appena trilustri contro le soldatesche per le vie di Milano", l'undic i maggio si chiede: "Quali spose, quali madri educatric i potranno diventare quelle ragazze? Oh! se in cambio di predicare utopie e spargere veleno, gli amici delle cl ass i operaie pensassero seriamente alla loro educazione!". Fiorenzo Bava Beccari s rimane a l comando del terzo corpo d 'armata ancora rer poco più di sei mesi, fino al marzo 1899. 1n occasione d' una breve licenza in Valtellina e nel "Tirolo tedesco" è sottoposto a continua vigilanza da parte della polizia che teme un complotto anarchico per uccidere monarchi , uom ini cli stato e alti fun zionari dello stato (proprio in quei giorni è stata assassinata in Svizzera l'imperatrice d' Austri a, Elisabetta, la Sissi celebrata in molti film). "ln alcuni alberghi l' angelo custode, che mi stava sempre alle calcag na, pretende va perfino un a camera alligua all a mia". Bava si accomiata dalle truppe "coll'animo perfettamente tranquillo" e lascia definitivamente Milano "dopo una sontuosa colazione al Savini , da lui offerta agli ufficiali superiori ciel presidio". Ad ossequiarlo al treno scrive ironicamente il Secolo - "nessuna rappresentanza dei cappuccinj di Porta Monforte e nessuna neppure del Comitato di soccorso per le fami glie nelle quali si soffre e si piange per chi è morto o per chi è in carcere" . Sempre a detta del quotidiano, "l' ex dittatore di Mi lano" è moralmente abbattuto e fisicamente deperito. L'anno successivo l'anarchico G aetano Bresci "vendicherà" i morti di Milano troncando vita e regno di Umberto J, per ironia della storia (nota-


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no Montanelli e Cervi) proprio del Savoia che più ha amato e frequentato la metropoli lombarda.

Colpo di stato della borghesia?

Umberto Levra sostiene che la repressione novantottesca è finalizzata non soltanto all'eliminazione delle organizzazioni s indacali e partitiche popolari, ma anche alla trasformazione dcgl'istituti stessi di democrazia borghese in strumenti di dominio di casta, con l'intervento via via del potere esecutivo, del giudiziario, del legislativo. Negli avvenimenti d' un secolo fa egli trova un riscontro puntuale delle considerazioni marxiane sulla borghesia: questa, di fronte a1 pericolo di mutamento nei rapporti di classe e d'attentato alla gerarchia sociale, abbandona ogni parvenza cli legalità formale e ricorre alla violenza aperta. Nel '98 la repressione si configurerebbe come il momento di coagulo d'una serie di tendenze che insieme darebbero corpo a quello c he Torelli Viollier definisce "colpo di stato a beneficio della borghesia contro il popolo". Sono semplicistiche e riduttive - è sempre Levra che parla - le spiegazioni d'un generale che perde la testa, d' un presidente del consiglio smodato nella repressione per impotenza, disorientamento politico e paura, d'una classe dirigente conservatrice che reagisce rabbiosamente alla consapevolezza d'aver perso la partita di fronte all'avanzala dei movimenti popolari. Al cospetto della temuta rivoluzione sociale, la borghesia si ricompone in un blocco di potere che va dall 'estrema destra agraria a Giolitti e Zanardelli e stimola l'inlransigentismo cattolico ad ab bandonare la pregiudiziale astensionistica per arginare la "marea c he monta" e minaccia la struttura classista dello stato liberale. I fatti del '98 costituiscono pertanto un tentativo organico di reazione da estendere a lutto il paese con provvedimenti de ll'esecutivo avallati in sede giudiziaria e codi ficati poi da interventi legislativi. Il progetto riceverà un colpo mortale solo quando esploderà insanabile, nei due gabinetti presieduti da Pelloux, il conflitto d'interessi e cli prospettive di sviluppo tra la borghesia impre nditoriale del nord e i celi agrari del centro-sud. C'è da essere scettici su questa teoria del "colpo di stato della borghesia". Dopo Adua il cliscredilo caduto sull 'esercito e limina la possibilità d' un colpo di mano militare; re Umberto, d 'altra parte, non è uomo da colpi di forza e il suo ministero Pelloux è accolto con freddezza dall 'opinione pubblica moderata. È vero che la grande paura del ' 98 lo induce ad appoggiare, a un anno di distanza, modifiche del s istema politico che, nel rispetto della legalità, rinforzino i suoi poteri a scapito di quelli del parla-


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mento. Ma i provvedimenti eccezionali sull 'ordine pubblico, resi esecutivi in via provvisoria con decreto reale a causa del l'ostruzionismo parlamentare, sono proclamati giuridicamente inesistenti dalla cassazione. È bastato il ricorso d'un semplice cittadino per arrestare il "colpo di stato della borghesia" ipotizzato da Levra!

Lefotografìe della storia

Giovanna Ginex e Carlo Cerchioli hanno studiato le fotografie scattate in occasione delle "terribili giornate del maggio '98". Esse aggiungono informazioni alla cronaca dei fatti avvenuti in città e, come tali, sono da considerare fonte documentaria di prima mano della storia. A Milano il materiale fotografico si può trovare nei negozi più disparati, dagli orologiai agli ottici, ai farmacisti, ai librai, ai cartolai, fino a merciai e drog hieri. Un esempio è il bazar in via San Paolo 7 dove, accanto a bust i per signora, coltelli e stoffe, si vendono lastre, album e otturatori. A questi esercizi generici si affiancano una ventina cli commercianti d'un certo livello, anche se non è netta la distinzione tra produttori e rivenditori. Riviste aggiornano sulle novità tecniche, traducendo anche articoli stranieri. Nel marzo 1896 viene fondata l'Associa zione di Mutuo Soccorso fra Lavoranti in Fotografia, a dimostrazione dell'entità numerica raggiunta dagli addetti al settore. (1 quarantenne avvocato torinese Giuseppe Serralunga Langhi lavora come giornalista all a Lega Lombarda. Ben introdotto, gli è permesso di circolare con la macchina fotografica ("con il kodak", si diceva) nei giorni dei tumulti e addirittura cli scattare fotografie nel cortile della prefettura . Anche se non è un professionista, dimostra padronanza del mezzo tecni co: ritrae personaggi in maniera moderna rinunciando alla "posa", ha il gusto giorn alistico di unire il luogo all'avvenimento, scatta immagini tenendo la macchina alzata sopra la testa, cerca di trovarsi al centro dei falli, in mezzo ai dimostranti: è un antesignano del reporter cl' oggi. li "Supplemento illustrato alla Lega Lombarda", pubblicato nei giorni successivi ai moti, contiene hen quarantasette sue fotografie, che costituiscono una documentazione organ ica degli avvenimenti. Alle immagini dei momenti "caldi" si alternano quelle di personaggi e luoghi scattate successivamente. Ci rimangono cinque lastre originali ("Barricata in Corso Ticinese", "Dopo la cannonata a Porta Tic inese", "I preparativi della sassaiola in Corso Venezia", "Il primo tram rovesciato in Corso Venezia", panoramica della piazza del Duomo occupata militarmente).


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Luca Comerio, il "fotografo delle barricate", è genericillnente infatuato per gl'ideali socialisti all'epoca dei moti, tanto da far dire a Valera: "Sente della nostra febbre". ("Sentiva. Adesso è il fotografo di tutte le autorità. Si fa più denaro con loro", rettificherà quakhe anno dopo). Le fotografie di Comerio nascono da un insieme di fortunate circostanze. Prime fra tutte, la bottiglieria gestita da suo padre si trova in via Volta, ali' angolo con i bastioni, probabile punto d 'incontro degli operai della zona nord fin dal mattino di sabato 7 maggio. Comerio sarà andato con loro verso il centro della cillà, fotografando lungo il tragitto le sigaraie di via Moscova, la cavalleria in via Principe Umherto, i primi assembramenti a Porta Venezia, l'assalto ai tram, gli scontri. Nel pomeriggio, alla Foppa, prima riprende i dimostranti "in posa" davanti alle barricate, poi all'arrivo della truppa sale al primo piano nella casa di via Moscova che fa angolo con corso Garibaldi. Nascosto dietro le "gelosie", scatta le due immagini con i bersaglieri, le più conosciute e riprodotte dei moti del '98, che documentano con incisività la tensione di quei giorni nelle vie di Milano. Achille Beltramc, il noto illustratore de lla Domenica del Corriere, ne ricaverà più avanti due oli , limitandosi ad aggiungere il colore alle scene fissate dal fotografo. Probabilmente solo la domenica Comerio rifotografa i tram davanti a Palazzo Saporiti. Sulla barricata di Porta Volta i combattenti hanno mani in tasca, braccia incrociate, pipa in bocca. "H anno l'aria di posare per il fotografo. Non c'è alcuno che abbi a l'alleggiamento del ribelle che non cede la propria vita che con la vita di qualche altro". Due dei fotografati sono riconosciuti e condannati. "L'altro che vedete quasi al centro della barricata con lo sparato della cam icia che pare un bersaglio, non è sopravv issuto alla mia fotografia che il tempo di dire: gesummaria! Non avevo finito di voltarm i che il poveretto era disteso nel proprio sangue con la fronte spaccata". "Ho fotografato il cadavere alla Foppa, caduto anc he lui con la fronte fatta in due sotto i miei occhi. Pareva che non sapesse cosa fare della sua es istenza. Con una mano in saccoccia e con l'altra tesa verso i soldati, disse: "Ti rate , se avete coraggio!"". Alla barricata di via Palermo , sotto le finestre dell 'e ditore dell ' Illustrazione Italiana, all 'altezza delle scuole elemenlilli, i personaggi sono in posa davanti allo sbarramento costituito di materiale tolto alle aule scolastiche. Ignoto è invece il fotografo della barricata di via Laura Solera Mantegazza, all'imbocco di via Legnano, mentre Serralunga ritrae quella di via Anfiteatro. Questi due sbarramenti senza difesa, insieme con quel lo a lato della chiesa di San Simpliciano citato da Valera, si prefi ggono d' impedire l'accesso dai lati a corso Garibaldi. Tre fotografie mostrano i resti delle barricate gettati nel Naviglio.


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Resoconti, informazioni, notizie intorno ai fatti di corso Garibaldi, di corso Venezia, di piazza del Duomo sono ampi e particolareggiati: per le zone periferiche, solo la presenza casuale di Comerio alla Foppa consente di conservare delle immagini. Ai fotografi dei moli si aggiunge Jcilio Calzolari, illustre pioniere: esce dalla sua casa di piazza Manforte 3 e fotografa la breccia nel convento dei cappuccini. Lo stahilime nto Guigoni e Bossi di corso Vi ttorio Emanuele è uno degli studi fotografici più importanti della città. Ironia vuole che lunedì 9 maggio diciannove suoi dipendenti, a spasso per la paralisi delle attività dovuta allo stato d'assedio, siano arrestati all 'osteria dell' Acquabella, ma c he p ro pri o la Guigoni e Boss i ve nga in car icata di ritrarre per l'Illustrazione Italiana il generale B ava, "carico di medaglie e altero". Lo studio Ganzini di via Dante è tra i più attrezzati. Non sappiamo quale dei suoi apprend isti abbia scattato le migliori fotografie rimaste dei moti. Si parla d'un apprendista perché le due titolari, in quanto donne, non avrebbero avuto certo libertà di movimento davanti ai soldati . Il fotografo mostra un solido bagagl io tecnico oltre a una naturale sensibilità nell 'individuare le inquadrature. Serralunga scatta fotografie che oggi chi ameremm o "di cronaca", il nostro anonimo, viceversa, prepara un reportage ragionalo in cui ogni singola immagine sembra studi ata e prevista. "Così pure lo stile è preciso, rispelloso delle regole prospettiche, attento all ' equilibrio de i piani, "accademico". U soggetto principale è sempre al centro della lastra, non rimane schiacciato sullo sfondo - come a volte accade nelle istantanee di Comerio - ma ha con questo un serrato rapporto dialellic.:o. Abbiamo fotografie "animate", dense di particolari, di informazioni ". Il lavoro del nostro apprendista si svolge dopo il termine dei tumulti, in "un clima disteso in cui i soldati sono ormai fonte di curiosità soltanto per i ragazzinj''. Egli percorre l'intera ci nta daziaria toccando le varie Porte e fi ssando momenti quotidiani della vita dei militari. Ecco a llora la pattuglia sui bastioni, il carro con le marmitte del rancio su un po nte del Naviglio, la cavalleria a fianco del casello daziario di Porta Romana, il cannone in piazza C inque Giornate, il pagamento del soldo di fronte all' albergo Loreto. "Guardandole oggi, le fotografie Ganzini avrebbero meritato una larga diffusione come l'ebbero le più banali "vedute" di Comerio. Queste, trasformate in cartoline per Lichtenberger, erano in sintoni a con il gusto corrente del tempo, ancora legato all a retorica di immagini accadem iche e descrittive". Martedì 10, cessati i disordini, piazza del Duomo d iventa meta di cmiosi e le truppe motivo d'attrazione per Luca Comerio, tranqu illo per-


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ché ha "in tasca il passe-partout di Bava Beccaris" e per il fotografo dello studio Ganzini. " Il primo, ancora inesperto, non riesce a sfuggire alla logica riduttiva della veduta e al facile richiamo delle architetture. Le sue immagini sono ingombre <li facciate monumentali, di porticati e scorci adatti a una guida illustrata della città. TI secondo invece non è uno spettatore indifferente, si avvicina al soggetto per ripre nderne primi piani e nella grande panoramica d restitui sce l ' atmosfera della smobilitazione". Meno cariche <li tensione ma altrettanto significative le panoranùche del!' avvocato Serralunga, mentre almeno un altro dilettante (Alessandro Perelli?) aggiunge una bella serie di primi piani della truppa al bivacco. Quinto Cenni, noto pittore <li uniformi, così scrive il 12 maggio a Bava: " Non mai come ora [ho] deplorato di non aver pili ai [miei] ordini un' Illustrazione Militare per poter rendere a Y.S. rn .ma un pubblico ben meritato omaggio per tanta e così illustre sua benemerenza".

Bava Beccaris al i iudizio della storia La penna impietosa (e faziosa) di Paolo Yalera descrive il regio commi ssario "grasso~ grosso, malfatto", tanto che in abiti civili semhra " un sensale che mangia a crepapelle''. " I suoi baffoni grigi con il mento tutto coperto <lei ciuffetto dello stesso colore <lei haffi , rammentano la figura <li Napoleone 111". Soldato che "ha l'occhio nella schiena e non conosce che la disciplina". "Borioso, furioso, altezzoso, non [hai ascoltato che il sentimento omicidiario". La sua conoscenza <li Milano si riduce "alla miseria topografica": vi è giunto "come uno straniero che ha tutto da imparare", ma gli avvenimenti non l' hanno consentito. Colapietra stigmatizza "l'uso indiscriminato delle armi e perfino dell ' artiglieria" e "altre gravissime violazioni della legalità, ... dall' invasione elci locali del Secolo con l'arresto <li tutti i presenti all ' incarceramento dei deputati Turati e De Andreis". Secondo un ufficiale già alle sue dipendenze, "come testa militare era una povera cosa. Non ha mai avuto né genialità né iniziative. Andava sulle pedate di chi lo aveva preceduto" . Ma "il cipiglio ciel comandante rigoroso scompariva" fuori del servizio; "indulgente, buono, affabile, paterno", invitava gli ufficiali a casa sua o da Cova [in piazza della Scala, all 'angolo tra Via Verdi e Via Man zoni] per pranzi sontuosi che "dovevano costargli un occhio, un po' perché c'erano molte vivande c vini squisiti , un po' perché gli ufficiali mangiano a due palmenti". Montanclli e Cervi (in Milano - Ventesinw secolo ) definiscono Bava "tipico generale piemontese rca/.ionario, limitato, a suo modo onesto, fedele al le consegne" c he si


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convin se, sulla scorta di elementi forniti gli da altri, d'essere alle prese con un movimento insurrezionale. Non molto abile è poi la sua autodifesa, riportata nelle "Memorie", che non brilla per incisività, precisione e cartesiana chiarezza (Valera dice che "scrive da cane"). Altri contemporanei la pensano diversamente: Levra ricorda che alcuni organi di stampa, smarrendo completamente il senso del ridicolo, propongono di studiare nelle scuole le o rdin anze del generale, modelli "di concisione tacitiana, chiarezza, bonomia e fini ssima ironia manzoniana" . "Ognuno può comprendere quanto sia malagevole dover assumere funzioni del tutto diverse da quelle professionali e dover servirsi, nell 'adempimento di così grave ufficio, d 'organi smi e di personale affatto sconosciuti , in momenti tanto burrascosi": così Bava nelle sue memorie. Egli difende il suo operato riferendos i alle connotazioni "rivoluzionarie" dei moti cittadini, a precedenti storici di tumulti popolari, all'energia nella repressione chiestagli dal governo. Bava ricorda l'"Osate! Osate!" di Dario Papa dalle finestre dell'Italia del Popolo durante le dimostrazio ni per Ad ua, i tentativi repubblican i d' impadronirsi del muni cipio, la propaga nda continua de l Secolo, dell ' Italia del Popolo, dell' Osservatore Cattolico, "i n ibrido connubio uniti" contro monarchia, esercito e spese militari, "rovina economica del paese". Non dimentica le dimostrazioni milanes i in cu i i capi socialisti e repubblicani proclamavano "che l'ora della insurrezione era v icina". Teme le masse operaie, aderenti al partito socialista, "esercito ben organizzato" cui manca "solo l'occasione, il motto d ' o rdine per insorgere". "Mentre i socialisti da un lato predicano alle masse operaie ... un illusorio avvenire di prosperità, d'altra parte i sacerdoti, specialmente i viceparroci giovani delle campagne, predicano ai contadini la guerra contro le istituzioni, nell'evidente intento di far sorgere disordini e nella speranza di ristabilire, coll a disgregazione e la rovina della patria, il potere temporale". Mentre il clero d'un tempo era patriottico, quello giovane "dal pergamo e con una fitta rete di comitati diocesani e parrocchiali, compie opera dissolvente nelle campag ne, inocula il disprezzo al re, all ' eserc ito, alle autorità, e riesce allo stesso fine, potente alleato dei socialisti e dei repubblicani" . La maggioranza della popolazione ha assistito con lrepi<lanza allo svolgersi dei moti, senza prendervi parte ma a nche senza dar segno di reazio ne. " La manca nza di organizzazione e di direzione onesta è la disgrazia del partito <l' ordine". I buoni a mbrosianj si sono tappati in casa e hanno lasciato che l'autorità militare se la sbrigasse da sé con la rivolta popo lare. Hanno fatto benissimo, ma no n è certo nobile e generosa la


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condotta di certuni che, passata la burrasca, aprono cautamente l'uscio e , assicuratisi che tutto è tranquillo, cercano di cancellare il ricordo dello sgomento provato mettendosi a gridare: "Oh! bela: cosa l'è stada? Roba da nient!". Contribuiscono così a spargere la falsa credenza che a Milano non è scoppiata una vera sommossa, non si sono fatte barricate; c' è stata una semplice dimostrazione di piazza, insomma una "carnevalata" . Eppure essi sanno che fin dal 1896 Turati , nella sua Critica Sociale, ha individuato in Milano l' arena della rivoluzione futura dove "basta che 40mila persone d'ogni età, d ' ogni sesso, si riversino anche senza intesa nelle vie, s'addensino al centro unite da un solo grido, da un solo entusias mo, per instaurare nel comune un governo provvisorio repubblicano". La mattina di sabato 7 maggio, la situazione cittadina è proprio questa: "il popolo, ben organizzato, in rivolta per le vie; uomini e donne infelloniti da odio implacabile contro la borghesia e contro le autorità, colpevoli di perniciosa tolleranza, fatti audaci dal numero e dallo sgomento che [infondono I e a tutto disposti, alle rapine, alle devastazioni e ai saccheggi già incominciati". Non è perciò il caso di titubare sperando che la massa tumultuante rinsavisca: Bava si propone, come compito immediato, di soffocare la rivolta sul nascere, risparmiando " maggiori calamità inevitabili". Egli rammenta che nei momenti di rivolta popolare esitazione e debolezza sono sempre stati i principali fattori delle vittorie rivoluzionarie. Nel febbraio 1848 a Pari g i la sommossa popolare contro re Lui gi Filippo non è sedata dalla guarnigione cittadina, forte sì di 50mila fucili , ma fiacca, incerta e mal guidata: in tre giorni la dinastia orleanese è travolta cd è instaurata la repubblica. Così la rivolta scoppiata nel 1849 a Genova, dove i mazziniani hanno fatto grande propaganda repubblicana: non repressa all' inizio, richiede poi l'opera energ ica di Alfonso La Marrnora, regio commissario straordinario con pieni poteri. Ma Bava ricorda soprattutto che per debolezza e imperizia dell'autorità militare gl'insorti sono rimasti padroni di Palermo dal 16 al 21 settembre 1866, g iungendo a episodi d' efferata crudeltà. Se nel maggio del 1898 egli si fosse dimostrato titubante e debole, Turati e i suoi amici sarebbero riusciti a instaurare in comune l'agognato governo provvisorio repubblicano e l' esercito nazionale sarebbe dovuto uscire ignominiosamente, come odiata milizia straniera, dalla capitale morale del regno. Ma in tal caso il governo centrale sarebbe poi stato costretto a riconquistare la città, con grande sacrificio d'uomini e di mezzi: non è ipotizzabile infatti né che l'Italia seguisse l'esempio milanese né che improvvisamente si lacerassero i patti d'unità nazionale proclamali con i plebisciti. "Non ho perciò nessun rimorso d'aver preso le misure energiche che le gravissime circo-


L,· r:inqu,· giornale di Milano alla rovescia

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stanze mi consigliarono, mentre compiango le vittime innocenti , cadute inconscie dei loro atti, o perché imprudentemente si lasciarono cogliere nel raggio d ' azione delle truppe, o perché spinte alla rivolta da tristi mestatori, sui quali deve ricadere una ben grave responsabilità". Per convincersi che i moti di Mil ano hanno av uto carattere spiccatamente rivoluzionario, è istrulliva la lettura de i giornali itali ani ed esteri. Per esempio la Gazzetta di Losanna pubblica una relazione sui fatti del giorno 7, dovuta a uno svizzero di passaggio a Milano. Verso le due si produce un immenso risucchio: una numerosa colonna di dimostranti, sbucata in Via forino, s'incontra con una colonn.a di fanteria e di cavalleria. I dimostranti aprono con la forza alcuni portoni, penetrano nelle case, salgono sui tetti e ?,ettano dabbasso sulla truppa imposte e tegole. Quelli rimasti in strada s'impadroniscono delle casse vuote dei negozi e con sbarre di ferro sollevano il selcialo scagliandolo contro le casse. Un capitano di fanteria raccomanda vicino a me ai suoi uomini: "Calma, ragazzi, calma! Abbiate pazienza!" E, in <i[elli, la truppa rimane tranquilla sollo i proiellili, in attesa di ordini. Ma la situazione si aggrava. U! tegole gettate dai tetti colpiscono non solo i soldati, ma anche i civili. Un ra?,azw di dodici anni ne riceve una sulla testa e cade sanguinante sul marciapiede. I soldati lo soccorrono. Una signora elegante sviene appOf!,f!,iàta al muro: un rivolo di sangue le scende dal petto sul vestito. Due soldati la prendono sottobraccio e la conducono via. Arriva un carro carico di grosse pietre. Una cinquantina di giovani le gettano sulla strada e rovesciano il carro. C'è una confusione waventosa. Allora la truppa si slancia. La cavalleria carica al piccolo trotto, con le lance in resta. Le donne, numerose davanti alla colonna, lanciano urla come invasale. Partono colpi di pistola. La fanteria si sparpaglia. Gli sciocchi come me si gettano nelle vie laterali. Ma sento ancora le grida e la fucileria. È una situazione decisamente seria. Mi dirigo altrove, a caso, per passare in un altro quartiere. Alle quattro, un convoglio tranviario a vapore arriva in Via Vittoria. Unafolla d'un migliaio di operai e d 'un altro migliaio di monelli - non ne ho mai visti insieme tanti e così scalmanati - si slanciano a bordo e lo fermano. Rovesciano il convo?,Lio che comincia a bruciare. Il 47° reggimento di.fanteria a rriva e tiem! a bada i dimostranti fino a che i pompieri riescono a spegnere L'incendio. La truppa è bersagliata da pietre e tegole; un soldato cade ferito. La testa della colonna si disrwne lungo tutta la strada e fa fuoco. Cadono molti uomini. Si sentono urla feroci, orribili, un baccaft(J d'inferno.


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Seri/in Pelagalli

Alle quallro, in corso Garibaldi, v1c zno a via Pale rmo e a Sa n Simpliciano, i dimostranti costruiscono una barricata. La truppa arriva soltanto alle cinque. La barricata è solida e i dimostranti la difendono con coraggio. La truppa attacca. Ci sono numerosi feriti e diversi morti. Certo, ben diverso è il giudiz io dell' Italia Nuova, giornale fondato a Lugano da fuorusc iti italiani. Nell 'articolo del 26 maggio intitolato: " li complotto dei moderati" incolpa questi ultimi di non aver voluto reprimere subito la rivolta.

t: noto che la mattina del giorno 7 di maggio il generale BavaBec caris aveva in tasca il suo bravo decreto di staio d 'assedio !Menzogna!, nota di Bava], La cui proclamazione sarebbe bastata, per e vitare, che nuovi disordini, dopo i fa tti di Via Napo Torriani, si ver~ficassem. In vece si tardò a emanarlo, perché nuovi disordini realmente ci volevano. Così si lasciò formare a Porta Nuova una colonna di dimostranti, che va man mano ingrossando, sin che arriva a contare migliaia di persone, giungendo a Porta Venezia, e allora solo cominciano le cariche di cava lleria, ormai diventate inefficaci. Si lasciano per tutta la giornata costruire qua e Là barricate e la truppa non Le assalta, che quando sono completamente finite, per avere il gusto di buttarle giù a fucilate e a cannonate. Si lascia, in una parola, prendere alla rivolta una certa estensione, la s'incoraggia quasi, per avere il pretesto di reprimerla poi con ferocia inaudita. "Dunque la rivolta ci fu, ma si lasciò che prendesse piede, per avere il gusto di reprimerla! L'accusa è una stupida malvagità, tuttavia prova, che il negare l' importanza dei moti, come poi s'è voluto fare, è stato un mezzo astutamente studiato, per fuorviare il giudizio del pubblico e coprire di calunnie l'Autorità militare". "Quanto ho esposto rnj sembra, che provi, in modo convi ncente, c he non s ' è trattato d'una "ciulada" , per usare il linguaggio dei giudici maligni e partig iani, e neppure di una "solenne gonfiatura"". Sentiamo Colajanni. I di sordini repressi facilmente e rapidamente nel mezzogiorno e ne l centro della peni sola non possono esercitare valida influenza sull 'indirizzo politico; l'esercitano invece, e vigorosa, quelli di Milano, esagerati e falsati. Nel caso di Milano s'è trattato - a esser generosi - di "eccesso di difesa". Nessuno può negare a un governo il dirittodovere di ristabi li re l'ordine che, se rettamente inteso, è condizione vera


Le cinque f.?inmate di Milano alla rovescia

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di progresso e libertà. S'intende perciò la repressione immediata, di cui però bisogna discutere la misura. La repressione che, in nome d'una pretesa legittima difesa, continua una volta venuto meno il pericolo diviene reazione permanente proponendosi altri scopi che non il semplice ristabilimento dell ' ordine. Monsignor Carlo Pellegrini loda l'energia della repressione. "Perù se l'esercito avesse av uto maggiore rispetto alla vita di innocenti e di curiosi, la sua azione non sarebbe stata più saggia? Lo spavento fece vedere un male più grave di quello che di fatto c'era, si perdette un po' tutti la testa". Dice Pasquale Villari (Nuova Antologia del 16 dicembre 1899): "I tumultuanti ___ non s'erano apparecchiati, non avevano anni, non sapevano precisamente quel che volevano, non avevano capi che li guidassero. Era giunta l'ora in cui dovevano essi fare da signori , ma come, dove, in che modo incominciare, non sapevano. La borghesia credette un momento che il finimondo fosse vicino; l'autorifa credette di non essere in forza per resistere. La rivoluzione, che non c'era, finì coll'essere un fatto reale, perché tutti credevano che dovesse esserci. L' esitazione del governo nei primi momenti fece crescere il tumulto, la reazione, cominciata troppo tardi, scoppiò con una violenza che cagionò la morte di molti innocenti". Secondo Franco Nasi, paura e vendetta hanno indotto i circoli moderati lombardi a dilatare le proporzioni degl'incidenti. Paura degli anarchici, dei sovversivi, della "canaglia scatenata": in quegli anni non v'è assassinio politico che non veda implicato un italiano. La vendetta persegue un sottile calcolo politico: spingere al colpo di stato il re, sempre così incerto e dubbioso, davanti allo spettacolo della "capitale morale" in rivolta. Qui, essi dicono, non si può fare discorso di mi seria, qui non è la "rivolta dello stomaco", qui il socialismo, organizzato e cosciente, punta al sovvertimento dello stato. Vengano dunque le baionette del re a punire i suoi nemici, che sono i nostri, e a ripristinare il nostro dominio sull a città. Basta con le conciliazioni! Bava, da parte sua, premuto dalle catastrofiche notizie che gli giungono dalla questura, invitato da Roma a " far sentire la mano di ferro" (Rudinì, 11 maggio), preso dalla paura della rivoluzione, usa metodi di guerra nei confronti d'un'agitazione che, secondo Torelli Viollier, "in altri paesi sarebbe stata repressa dai soli policemen". La Nuova Antologia del 16 giugno scrive: I mezzi di difesa esclusivi dei tumultuanti per tutta la durata dei disordini, furono i sassi e le tegole e altri proiettili improvvisati. Di fucili, a quanto sembru, ussenzu us.wlula e sol!anto qua e là qualche rivoltella; in


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Sngio Pelagalli

mano dei riottosi - fra i quali certamente si erano mescolati, come di solito nelle grandi città, la feccia della popolazione e gli elementi anarchici più pericolosi - non vi fu mai alcuno di quei terrihili esplodenti moderni, che oggidì, pur troppo, non riesce molto d(ffecile di procurarsi. Franco Della Peruta si richiama agli avve nimenti economici e politici succedutisi nel periodo che precede il ' 98 per confutare la tesi dell'esplosione anarcoide di folle misere e affamate (disoccupati, vagabondi, sottoproletari, teppisti) e mclle in evide nza la connotazione politica della protesta. Il 96% delle vittime e dei sottoposti a procedimento giudi ziario è formato da lavoratori manuali occupati, con una significativa preminenza delle categorie più sindacali zzate (metalmeccanici, edili, operai della Pirelli). La forte ten sione politica degli avvenimenti mila nesi non implica però una direzione cosciente del corso degli eventi da parte dei partiti estremi (anarchici , soc ialisti, repubblicani, cattolici intransigenti) . A l riguardo, Turati così risponde il 4 maggio a Gaetano Salvemini che lo esorta a porsi con i sociali sti alla testa del movimento e a imprimergli u11u shocco insurrezionale: " lo non credo a questi moti, e vorrei sbagliare. Ma non ci credo. E non mi sento di assumermi responsabilità gravissime per uno scopo che non vedo chiaro e che, nelle migliori ipotesi, sarebbe una delusione". 11 gruppo dirigente socialista milanese si adopera anzi per impedire che le cose precipitino. Quando poi nei mesi s uccessivi la svolta reazionaria si profilerà in tutta la sua gravità, la riflessione sugli eventi farà accantonare definitivamente le velleità massimalistiche , avviando all ' inizio del nuovo secolo il confronto collaborativo con Giolitti. La storia, è noto, non si fa con i "se" e i " ma". È certo però che nel maggio del '98 Milano avrebbe avuto bisogno di uomini prude nti che sapessero, "con dolcezza, togliere e non aggiungere combustibile all a catasta che aspcllava lo zolfino".

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Le cinque giornate di Milano alla rovescia

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Milano. 7 maggio IN98, ore 17 e 30 circa. La cavalleria appiedata distruf(!;e una barricata in via Statuto (Archiviofotograjico del Com.une di Milano)

I ,1,1 breccia del convento di Porta Monjòrte (Archivio fotograjirn del Com.une di Milano )


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Sergio l'ela1talli

...[ .

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L 'artiglieria dflvanli al Pa/azm Reale (Archivio.fòtograjirn del Comune di Milano)

r·; Abbeveratoio per cavalli in piazza del I>uomo (Arr:hivio.fotORff!fÌCo del Comune di Milt1no)


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ci1u1ue giornate di Milano alla rovescia

La cavalleria in piazza del Duomo (Archivio.fotografico del Comune di Milano)

Fanli e alpini si riforniscono d'acqua in piazza del Duomo (Archivio fotografico del Comune di Milano )

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FERRUCCIO BOTTI

L'EREDITÀ GEOPOLITICA E GEOSTRATEGICA DELL'800 E LA RIFORMA DELL'ESERCITO IN DUE STUDI DELL'INIZIO DEL NOSTRO SECOLO

I. Premessa

Siamo alla fine del XX secolo, cd è tempo ormai di tracciare un bilancio delle trasformazioni dello strumento militare e del suo impiego dopo i traumi di due guerre mondiali, della guerra fredda e del periodo poslguerra fredda. Per delineare correttamente i mutamenti avvenuti nel corso del nostro secolo e individuare la loro reale portata, è però necessario conoscere nelle grandi li nce q1rnlc crerlitn mili1:ctre ha lasciato 1'800 e in quali termini si presentava il problema militare in Italia e E uropa un secolo fa; solo in questo modo si potrà disporre di una sicura base di pa rtenza sulla quale innestare l'esperienza del nostro secolo, traendone ragionati spunti di riflessione. Non per nulla benedetto Croce ha sostenuto che pa.ssato e presente non possono essere separati da comparti stagni, perché chi opera sul presente è obbligato a volgersi anc he al passato, a fare ·cioè - inconsciamente o meno - un' operazione storica. A maggior ragione è costretto a fare un' operazione storica chi studia delle rifom1e per il complesso organismo militare, la cui situazione in ogni momento non è che la risultante di una serie di riforme migliorative compiute in precedenza con finalità diverse e per eliminare determinali inconvenienti. Riforme che dunque bisogna conoscere, perchè le ragioni che hanno creato una certa situazione sono sempre complesse e spesso lontane, né ciò che è antico (o nuovo) è di per sé buono o cattivo. Ciò premesso, neJla vasta letteratura militare dell ' inizio del secolo XX, della quale abb iamo g ià dato qualche sommario cenno in precede nti annate degli Studi storico-militari 1, abbiamo di recente individuato due saggi, l' uno riferito aJla guemt terrestre e l'altro all a guerra navale, i quali danno un ' idea sufficientemente chiara, ancorché non esaustiva, deJl'eredità del XTX secolo e dei molli complessi problemi sul tappeto.

I Cfr. F 801TI, Note sul pensiero militare italiano da fine secolo XIX all'inizio della r1rima guerra mondiale, '"Studi Storico-Militari"' I 985, l 986 e l 9 87. ROMA, SME - l!F STORICO.


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Ferruccio Botti

All'inizio del secolo XX I' ltLùia attraversa un periodo di grave cns1, nel quale, oltre a un cronico disse sto del bilancio dello Stato, alla diffus ione delle agitazioni sociali e dell ' antimilitaris mo, ai postumi morali della sconfitta di Adua, deve affrontare anche l'arduo problema dell' ammodernamento delle Forze Armate. Di questo contesto non favorevole risentono inevitabilmente gli scritti ora esaminati, che proprio per questo non mancano di interesse e di attualità.

2. La necessità di superare l 'eredità del/'800 con profonde rijl>rme dell 'esercito secondo il generale Fortunato Marazzi ( 1904)

Tl primo di questi saggi, Metamo,fosi guerresche (1904) è dovuto a un ufficiale innovatore, ·al momento deputato e maggior generale coma ndante di Brigata di fanteria: Fortunato Marazzi 2. Esso è stato pubblicato sulla Nuova Antologia e non sulla Rivista Militare Italiana, forse perché (è solo un ' ipotesi) sostiene idee poco ortodosse, che mag ari non si ritie ne al momento opportuno ospitare in un periodico che esprime il pensiero militare ufficiale. Fin dalle prime righe, il generale Marazzi critica il conservatorismo delle istituzioni militari, le quali "mirano ad erigere a dogma i princìpi o, per meglio dire, le tradizioni che scaturiscono da guerre remote e fortunate". Ne consegue che "lo spirito militare in tal modo assopito, circonda di idolatria il suo patrimonio e vieta lo si discuta. Così fu sempre ...". Dopo Gustavo Adolfo di Svezia (sec. XVII) e Federico li di Prussia (sec. XVITT), irrompe s ulla scena Napoleone che sconvolge tutto; e al momento i grandi eserciti hanno per matrice la guerra del 1870, e poiché non è ancora sorto chi abbia av uto 1a fortuna e i meriti di un Mollkc, così il tutto risente l'innucnza di 34 anni di pace. L' ondata di scienza, di poliLica, di filosofia che dilagò da quella data in poi, non si è an cora ripercossa nelle stratificazioni militari. Gli eserciti sentono la nostalgia del passato: i germanici hanno vinto, dunque quanto fanno è perfetto e si deve imitare. Eppure quante ragioni dovrebbero contribuire a modificare quest' idea.

Per ben comprendere queste parole del Marazzi, va ricordato che nel I 870-1871 l'esercito prussiano agli ordini del generale Moltke (basato su una dottrina offensiva di stampo clauscwitziano e su un modello organico

2 GEN. F. M ARAZ'LI, Meramorfm i gue rresche, " Nuova Antologia" Voi. C XTV, Fase. 79 1 I dicembre 1904, pp. 493-508.


L'eredità /?l'OfJo/iJir.a e geos1ra1egica del/'800

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che prevedeva una ferma breve ma estesa a tutti, con molte riserve ben addestrale da mobi litare all'emergenza) aveva sconfitto in pochi mesi con rapidi colpi decisivi l'esercito francese, la cui dottrina faceva affidamento soprattutto sul fuoco e il cui modello organico applicava l'opposto principio del "pochi ma buoni", prevedendo cioè una ferma del tempo di pace lunga, ma con molle esenzioni e un ridotto numero di riserve (peraltro ne l caso specifico caoticamente mobilitate anche a causa del cattivo impiego delle pur ottime ferrovie francesi). Con la guerra del l 870-1871 era ovunque tornato in auge il concetto di guerra di movimento napoleo,ùca che grazie anche a un sapiente impiego delle ferrovie, a un perfetto meccanismo di mobilitazione e a eccellenti Stati Maggiori , i prussiani avevano mostrato di saper applicare conducendo quella g uerra breve e deci siva che era ritenuta la più economica e fruttuosa prima di tutto dai politici. Rispetto alla ormai lontana guerra franco-pru ssiana - osserva però il Marazzi - i tennini del problema Lattico e strategico sono assai mutati . Le ferrovie e lo sviluppo del sistema stradale e fe rroviario consentono sposta menti più rapidi , favoriti anche dalle automobili e dal c icli smo ; la manovra tattica ha mutato la sua natura, "perché le coltivazioni sconvolsero il terreno, lo solcarono d' infiniti canali , lo denudarono di boschi , lo incepparono con siepi e reticolati, con file di gels i e di viti". Le informazioni e le comunicazioni, infine, sono state facilitate dall'introduzione del telegrafo e de ll'aerostatica [non si conosce ancora l' aeroplano; sono comparsi i primi dirigibili - N.d.A.]. Da questo nuovo contesto il Marazzi deduce che la forza degli eserciti dipenderà , oltre che dal numero dei combattenti, dalla loro capacità di muovere e di conoscere le mosse del nemico. A questo si aggiunge l'aumento della gittata, dell a precisione e della potenza delle artiglierie, mentre il nuovo fucile a ripetizione ordinaria "sta al fucile ad ago del 1870 come questo agli antichi archibugi". La potenza delle armi ha fatto sorgere un nuovo sistema di fortifi cazione, "che dalle cupole in calcestrnzzo, dalle corazze composite, va agli scudi trasportabili sovra carri cd eretti me ntre si combatte [quindi, qualcosa che ri corda il carro arma to N.d.A.]" . Inoltre, per quanto riguarda le formazioni sul campo di battaglia "è ormai impossibile tenere sotto il fuoco le truppe compatte , e le bauagl ie future si mm1ifesteranno sovra zone e stesissime, ove l'ingegno e il sapere avranno la prevalenza sull a forza bestiale" !fino al 1870 e anche dopo, la fante1ia di linea comballeva normalme nte su due o tre righe, a contatto di gomito, in piedi o in ginocchio, con fuoco a comando, privilegiando la comandabilità rispetto alla vulnerabilità - N.d.A.]. Non sfuggono al Marazzi nemmeno i rillessi del progresso industria-


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le e della produzione in serie, che rendono possibile fabbricare in poco tempo tutto l'occorrente per vestire e equ ipaggiare masse di uomini: "dunque una trasformazione dei magazzini di guerra si impone; non è più necessario aver pronti giganteschi depositi di oggetti militari; urge invece organizzare il lavoro, le macchine, gl i ammassi di materia prima, per un ' intensa produzione al momento opportuno". Il settore che ha subìto le maggiori trasformazioni e richiede ormai le più attente cure è però quello del personale; e qui il Marazzi tocca magistralmente una tematica che è lipica dell'intero secolo XX e non solo del suo tempo. Il soldato è diventato molto più esigente e richiede un'alimentazione varia e ahhondante e maggiori cure se ferito; più in generale "la civiltà non si spegne con la dichiarazione di guerra, ma lega colla stampa e colla corrispondenza epistolare la nazione al suo esercito" ; le notizie si diffondono rapidamente, e l'opinione pubblica è diventata molto sensibile. La massima differenza tra il passato e il presente, però, risiede nei fattori morali: il soldato non è più un automa. Fu già un tempo in c ui gli scarsi effettivi, pennettevano una relativa scelta fra i soldati, e poiché si comhatteva con masse compatte, così gli elementi deboli si trovavano come asserragliati tra i forti e ne seguivano l'impulso. L' istruzione delle masse era infima, anzi nulla, epperò chi comandava aveva facile ascendente sui propri soldati. Più questi erano zotici e ignoranti e meglio pareva; li guidava I' incoscienza e il terrore I ...]. Oggi il popolo e ntra nelle file dell 'esercito con educazione, con idee differenti da lle antiche e bisogna formare la sua coscienza bellica; bisogna esaltarne le qualità morali, affinché per convinzione sua propria si comporti a dovere nelle varie fasi del combattimento I... I. Alle rorm azioni c hiuse subentrarono g li ordini sottili, all' urto serrato la serie di tanti piccoli episodi , c he collettivamente c ompongono la lotta a sangue, divulgata su chilometri e chilometri quadrati di territorio. In questo ambiente nuovo ad ognuno, anche il semplice soldato ha il suo problema da risolvere, problema complesso, per avanzarsi, per ripararsi, per far fuoco e ciò indipe ndentemente dall 'azione di c hi comanda. Chi lo reggerà nel difficil e, ma libero compito, se non la forza moral e? Chi tra le convenienze egoistiche e le necessità sociali gli indicherà la scelta?

Nasce da queste esigenze la necessità di impartire una nuova educazione al soldato, con il correlato problema della ferma (che viene ritenuta sempre più vessatoria e deve essere breve se si vuole che l'esercito sia amato) : di modo che "non basta più che il popolo vada all'esercito quando vi è periodicamente chiamato: bi sogna che l'esercito penetri nel popolo automaticamente". In verità, per la semplice istruzione tecnico-militare


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del soldato hastano poche settimane, e la storia fornisce numerosi esempi di guerre nazionali (l'ultima quella dei boeri) nelle quali truppe improvvisate con ufficiali nuovi al le armi hanno tenuto validamente testa a soldati di professione; ciononostante, sarehbe ugualmente necessari a una ferma lunga, non tanto per istruire il soldato ma per far nascere in lui l'anima militare, per rieducarlo. Ciò richiede molto tempo perché al presente (e forse ancor di più nell'avvenire, se certi sistemi non si camhiano) si è costretti a dar vita ad una novella sc uola morale non appena il ventenne giunge al reggimento, onde.: rifarne il criterio. Trattasi infatti di abbattere pregiudizi inveterati, di accendere nuovi ideali. La più gran parte dei popolani di tutte 1e nazioni civili passano i primi lustri di vita senza avere veduto né un'arma, né un soldato: pregiudizi, fole, vani timori ne alterano il sentimento, e cresciuta ig11ara di certi doveri, di certe realtà, guarda con occhio bieco la caserma. C 'è quindi tulla una educazione novella da impartire; bisogna apprendcrc ai coscritti come l'uomo non sia un angelo, ma abbia tuttora instinti di rapina, come la necessità del difenders i s' impongano, come la patria sia tuttora sacra e possa esigere che si muoia per lei. Tale tirocinio è lungo e astruso 1... 1. Più le costumanze di un popolo sono lontane dalle abitudini guerresche, più è lunga la via per trasformare il cittadino in soldato...

Come si esce da questa contraddizione, che richiederebbe terme lunghe proprio nei popoli privi di spirito militare, dove esse sono più avversate? La soluzione indicata dal Marazzi non è certo nuova, perché è stata sostenuta durante il Risorgimento dal Pisacane, dal Cattaneo e in genere dai teorici de11a "nazione armata" sul modello svizzero 3: non aspettare che il ciU,adino compia vent'anni per impartirgli un'educazione militare, ma creare in lui lo spirito militare fin da quando è adolescente nella scuola, armonizzando l'educazione civile con que11a militare. Occorrerebbe a tal fine prolungare il periodo scolastico per tutti, in modo da inserire nei programmi anche materie di carattere morale, sociale, militare: così facendo "un'infinità di istru-

J Per «Nazione Annata" si intende un ordinamento dell' eserci to nel quale all'ohhligo mil itare esteso a tutti i eiuadini , restringendo al minimo le esenzioni, corrisponde una ferma estremame nte breve e solo istruttiva, con introduzione dell 'istruzione militare nelle scuole e frequenti richiami. In tempo di pace, pertanto, si mani.iene alle armi solo un ri strettissimo numero di Quadri in servi zio pcnn anente e di specia listi, non esisto no for~.e permanenti di pronto impiego e si dà massi mo sviluppo alla mobilitazione civile e militare, da attuare - in tempi molto ristretti e su base regionale - solo all 'emergenza. Richiede "un alto concetto sociale di ide ntità fra dovere civile e dovere mi litare, quali aspeui di un unico dovere nazionale; e qu indi un concetto di naturale e necessaria coincidenza fra l'educazione civile e la militare per la formaT.ionc del cilladinu m111ple1.o" (P:nciclopedia Mili/are, Mil ano 1933, Voi. 5n p. 473).


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Ferrurcio Bolli

zioni individuali , di leggi, di regolamenti; la ginnastica, il maneggio delle armi, il tiro a segno, potrebbero far paite del sapere individuale del giovane". I bilanci militari dovrehbero stanziare cospicue somme per questo tipo d'insegname nto: sarebbero ben spese, perché sarebbe l'unko modo per re ndere possibile una sensibile riduzione della ferma di leva. Accanto al problema dell ' istruzione e educazione del soldato vi è quello, ancor più arduo, della fom1azio nc dei Quadri. Secondo il Marazzi in futuro si avranno compagnie con limitati e ffettivi e ferme breviss ime; questa situazione impone la disponibilità di almeno 4 ufficiali subalterni per compagnia e numerosi sottufficiali istruttori , che non possono essere

dallo stesso persona{e di leva. Esiste anzit ultu il proble ma dei sottufficiali , comune a tutti gli eserciti

traili

europei: la rarità delle guerre, il cambiamento dei costumi militari, la trasformazione della disciplina, il ridestarsi, l'elevarsi della piccola borghesia, misero in contrasto il sergenle collo sr.rivnnu, il graduato di hassa forza colla società industriale. L'Europa intera offre in questi tempi lo spettacolo di giovani indotli senza vocazione ad arruolarsi per divenire sottufficiali. Entrano negli eserciti con limitata istru zione ed ivi non apprendono che a fare il soldato; ne escono negli anni maturi, con poche lire d'indennizzo, e senza nessun ti tolo speciale, devono nelle gare per la vita affrontare la concorrenza delle sopravvenute generazioni, ricche di energie e di diplomi . Che fare? L' antico sergente si dà vinto, e non di rado sbalzato nel grande mare dei proletari è facile preda del pescecane sovversivo. Per rimediare a q uesto inconve nie nte il Marazzi suggeri sce di fa re della condi zione di sottuffici ale non una carriera, ma una "posizione di tra nsito" (o verso il grado di ufficiale inferiore, o vcr o un diploma e una professione civile). A tal fine occorrerebbe creare dei convilli militari affiancati alle normali scuole medie superiori civili e freq uentati gratuitamente da giovani dai 17 ai 18 a nni. Questi ultimi vi conseguirebbero un dipl oma civile, ed al tempo stesso ricompenserebbero lo Stato apprendendo nel collegio stesso le discipline militari necessarie per prestare servizio dai 20 ai 23 a nni come sottufficiali istruttori. Ai marescialli o furieri che sentono la vocazione delle armi, dovrebbe inoltre essere concessa la possibil ità di proseguire la carriera fino al grado di tenente o capitano, nei posti sedentari e con funzioni di ordine. Criteri analoghi dovrebbero essere seguiti per la formazione degli ufficiali , creando collegi militari affiancati ai licci e al le scuole tecniche, nei quali i g iovani - ammessi con rette conte nute e senza essere obbligati a


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seguire poi la carriera militare - apprenderehbero le materie occorrenti per diventare in guerra sottotenenti di complemento comandanti cli plotone, per il resto frequentando le normali scuole pubbliche per l'esercizio di una professione civile. In tal modo in guerra si potrebbe disporre dell' elevato numero di subalterni necessario senza gravare sul bilancio di pace, c le accademie e scuole militari potrebbero limitarsi a formare solo il limitato numero di ufficiali destinati agli alti gradi. La selezione degli ufficiali provenienti dalle scuole dev'essere basala sul sapere, perché un esercito combatte più in pace che in guerra, e i suoi componenti devono emergere rispello a coloro che si dedicano alle professioni civili: se c iò non si oLLie ne, gli eserc iti più non vihrano nelle armon ie degli interessi soc iali: sono vinti. Vinti dai socialisti che li attaccano coll 'apostrofe plchea, vinti dal mistico che grida pace a ogn i costo, vinti dall 'assenza di g uerre frequenti , la quale genera la convinzione che la tempesta di Marte non haLLc rà più i campi di un lihero paese. Riassunto : è nella sc11ol:i, cioè a dire nella scienza, che devono rifiorire e vivere le varie istituzioni militari .

In definit iva il Marazzi intende accantonare il costoso modello di esercito permane nte come al momento viene inteso, cioè con ferme lung he, numeroso anche in pace, "come una forza pronta all ' azione, come un depos ito immenso di materiali inerti , da di strihuirsi a ll a vigilia della lotta". L'esercito deve di ventm·e una scuola e la caserma " un collegio, ove g li alunni brevemente soggiornano", con ferme brevi e frequenti richiami sul modello svizzero; però i Quadri hanno bisogno "di grandi campi di ese rcitazione per conservare l'abito del comando, abito che non si acquista andando tutte le mattine in piazza d ' anne, come un cavalluccio al mercato de lle erbe, ma con razionali manovre annuali". Anche le caserme - che al momento sono , in massima parte, vecchi conve nti de vono essere costruite ex novo e con criteri razionali , perché sono strumento indispensabile per una buona istruzione della truppa, obi ettivo che non si ottie ne "quando la ginnastica si apprende in un sito, e il Liro al bersagli o si effeUua in un altro, lontano 10 Km dal primo; quando la pioggia di un'ora sospende le manovre d'una giornata; quando le compagnie sono sparse per la città, i magazzini e laboratori lontani dalla lrnppa ...". Al mome nto talune casem1e "sembrano prigioni", altre " lazzarelli da colera"; i11 questi luoghi " l'esistenza non può che essere triste, ivi punge più che mai l' essere lontani dalla fam iglia". Bisogna perciò abbandonare l'idea di fare grandi e a ntieconomiche riparazioni alle vecchie sedi dei c orpi e vende re molti immobili c he magari ha11 11u un rilevqnte valore


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commerciale ma sono ormai inadatti per ospitare truppe: sarà così possibile accantonare dei fondi , con i quali risolvere "in pochi anni" il problema degli immobili. Le nuove infrastrutture dovrebbero elevarsi alla periferia delle grandi città, aver fabbricali ad un solo piano, locali vasti per ogni sorta di depositi e magazzini, per infermerie, cucine ecc. ecc.. Ampie tettoie, palestre coperte, tiro al bersaglio (ridotto), ampio cortile circondato da alberi ... Costruzione snella e non tale da sfidare i secoli o il cannone: ecco le grandi lince d'una caserma moderna; cioè di un fabbricato per la scuola di chi dovrà un giorno difendere la palria. Tali dimore devono essere belle; la stessa arlc decorativa 11011 può esservi estranea, perché essa pure educa il popolo, parla all 'anima, attira e lascia lieti ricordi.

Merita un breve cenno anche il problema delle pensioni militari , sulle quali il Marazzi osserva che, in linea generale, il concetto sodalistico di pensione di Stato se applicato alla difesa elci più deboli e più poveri è sacro; ma se applicato alle classi colte è nocivo, perché "k allontana dal risparmio, dalla previdenza, le addormenta ne] quietismo spezzandone l' ini7.iativa". Bisogna quindi reagire contro questa tendenza, lasciando fin che è possibile la responsabilità del loro futuro agli stessi cittadini. Ciò premesso, sempre secondo il Marazzi, la legge al momento in vigore in Italia sulle pensioni militari nonostante le numerose sperequazioni e ingiustizie è più larga della francese, della germanica, dell'austriaca e della russa; bastano infatti 45 anni di età e 25 di servizio per avere diritto a un assegno vitalizio di 11 25 lire annue. In Francia non vi sono limiti d 'età, ma occorrono almeno 30 anni di servizio (f. 1520). Tn Austria e in Germania, la pensione - salvo i casi di inahil ità - è concessa solo dopo il 60° anno. In Russia dopo 25 an ni di servizio si ha diritto alla mezza pensione e dopo 35 anni alla pensione intera, ma l'importo oscilla da un minimo - mollo basso di 604 lire a un massimo - per qmùsia,;i grado - cli 3.763 lire. Il Marazzi chiude il suo studio affermando che è un errore preoccuparsi solo del numero, senza considerare la quantità e qualità degli armamenti e gli altri fattori che fanno la forza di un esercito, da lui così riassunti : "1 °) Comando supremo eccellente e predominio nel sapere di tutti gli altri Capi; 2°) istruttori di truppa con fisico robusto e di moralità squisita; 3°) zona di confine naturalmente forte o resa tale dall 'arte [cioè dalla fortificaz ione N.d.A.J; 4°) materiale da guerra, da trasporto, da comunicazione perfetto; 5°) ordinamento dell'indu stria nazionale per l'evenienza della guerra; 6°) soldati istruiti a base di convincimento, onde abbiano la virtù dell'ape: correre scientemente alla morie per la salvezza dell 'arnia".


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Superfluo sottolineare che questi requisiti non hanno tempo; la loro mancanza anche parziale spiega ampiamente le vicende del XX secolo che hanno visto coinvolte le nostre Forze Armate. Ma ciò che è più da rimarcare è la crisi del modello della guerra "breve e decisiva" del 18701871 da lui così ben delineata, crisi che all 'iniz io del secolo non troverà mai - in nessun esercito - appropriati rimedi e quindi sfocerà fatalmente nella guerra di logoramento e di trincea del 1914- l 918. Guerra che non è che il risultalo della mancata eliminazione delle contraddizioni messe in luce dal Marazzi. Alla possibilità di costitui re, armare e alimentare grandi masse di combattenti, infatti , si contrappone l'esigenza - resa ancor più acuta dal progresso della tecnica - di avere Quadri di qualità e ben istruiti e un soldato motivato, disposto a sacrificare la vita per la causa per cui combatte, capace di agire d'iniziativa e in piccoli g ruppi anche senza ordini. Requisiti tanto più difficili da raggiungere, quanto più il reclutame nto è esteso a tutti, quanto più si diffonde il benessere e quanto meno s i di spone de l tempo necessario per educare o rieducare militarmente il personale di truppa. Al tempo stesso la ferma lunga, i cui costi sociali ed economici sono stati condannati da molti scrittori non solo ali ' epoca, ma già dalla fine del secolo XVIII (Gaetano Filangeri), all 'atto pratico anche attraverso le osservazioni del Marazzi diventa una necessità, mentre quella breve diventa un lusso che si possono permettere solo quei popoli che non hanno bisogno di un'educazione militare ab imo, perché posseggono già in misura elevata coesione sociale, spirito nazionale, virtù civiche e militari, naturale disciplina e senso della gerarchia. La guerra di tri ncea, con la rigida disciplina che essa ha richiesto per portare al fuoco masse di combattenti non sempre motivati e addestrati come voleva il Marazzi, è stata anche dimostrazione dell' impossihilità di raggiungere i traguardi da lui indicati, a maggior ragione di fronte a una potenza di fuoco che annullava i vantaggi forniti dai nuovi mezzi di trasporto. Anche nella seconda guerra mondiale, del resto, " la virtù dell' ape", la motivazione del combattente è diventata sempre più rara da ambedue le parti e negli ultimi anni sono ricomparse forme cli guerra di logoramento: dimostrazione evidente che l'efficienza della leadership e la motivazione delle truppe non dipendono tanto da nuovi, ingegnos i metodi scolastici, ma dallo spirito civico e guerriero che ciascun popolo naturalmente possiede in misura diversa nelle fasi difficili della sua storia. In sostanza il Marazzi individua hene gli inconvenienti e i problemi ma indica discutibili rimedi, che comunque - per tutto il secolo XX - non saranno mai adottati. Indubbiamente molto cli più si sarebbe potuto e


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dovuto fare anche dopo il 191 8 - come da lui suggerito - per migliorare l'inquadramento e le infrastrutture, per preparare l'industria nazionale alla guerra (cosa che in Italia non è stata fatta in nessuna delle due guerre mondiali), per dotare l'esercito di buoni materiali ecc.; ma v'è molto da duhitare che le nuove metodiche da lui indicate per diffondere lo spirito militare ancor prima del servizio di leva e formare buoni Quadri, sarebbero state sufficie nti e cli facile applicazione. Per altro verso, anche se la prospettiva nell a quale muovono le sue riflessioni è quella europea - ormai superata - de lla guerra classica tra grandi nazioni europee sviluppate, la tematica di fondo da lui indicata percorre tutto il secolo XX e rimane tullora sul tappeto: basti pensare a i problemi della ferma breve e delle infrastrutture e poligoni , alla necessità di disporre di un buon numero di validi e esperti sottufficiali istruttori e ufficiali inferiori, alla necessità di fo rmare comunque un soldato hen addestrato e motivato, sia esso di leva o di carriera. Vale sempre, più che mai, la sua affermazione che quan to meno i valori militari sono diffusi e apprezzati nella nazione, quanto più sono necessarie ferme lunghe (il che equivale a dire, oggi, che sono necessari i soldati volontari).

3. La politica internazionale e il ruolo della Marina nelle riflessioni di Camilla Manfroni ( 190 / )

L' altro saggio che ora vogliamo esaminare brevemente è dovuto al professor Camill a Manfroni, uno dei maggiori storic i navali del nostro secolo, e ha il titolo La Marina riel secolo XIX 4_ Esso traccia un sintetico quadro ciel ruolo delle forze navali nelle guerre di tullo il secolo XIX, ma non è questo il suo aspello di maggior interesse. li Ma nfron i inserisce, infatti, l'impiego delle Marine in un vasto quadro geopolitico e geostrateg ico, dal quale è possibile dedurre una somma di indicazioni e linee di tendenza s ulla politica militare e coloniale delle grandi potenze e sulle forti tensioni che caratterizzano il panorama internazio nale deH' inizio del secolo XX, con particolare riguardo al Mediterra neo. Il suo studio, quindi, fornisce un' efficace sintesi del contesto esterno e interno nel quale va considerato il ruolo delle Forze Armate italiane, più che nel passato chiamate a fare i conti con una prospclliva interforze e mediterranea. Il dato più interessa nte c he emerge d alle rievocazioni storiche de l

4 C . MANf7RONT, La Marina nel secolo XTX, " l{ivista Marillima" 190 1, Voi. I Fase . I, pp. 47-80.


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Manfroni è il frequente intervento delle grandi potenze europee - Francia e Jnghilterra in particolar modo - per spegnere di comune accorcio i numerosi focolai cli crisi in varie parti cie l mondo, con missioni che spesso prevedono anche sbarchi di truppe e che, in sostanza, hanno parecchie affinità con le attuali "missioni di pace", "missioni out of area" ccc .. In tal modo dal 1815 al 1848, dopo le cruente lotte del periodo napoleonico, "la Francia, vinta nel primo periodo, si rialza rapidamente, ripara con molta abilità ai suoi mali , approlìtla della lunga pace e uropea per estendere la sua influen za, uni sce le sue nav i a que ll e della ri vale (Inghilterra) per proteggere i deboli , gli oppressi, contro i violenti e i forti ; ma al tempo stesso ambedue le potenze c he tengono il campo, preparano accuratamente e abilmente gl i ele menti della rispettiva dominazione ...". Franc ia, Inghillerra e Russia, in p,utico lare, appoggiano con proprie forze la guerra d ' indipendenza greca contro i turc hi , e le loro forze navali riunite aruùentano la flotta turca nella battaglia di Navarino ( 1827). Da allora in poi Francia e Inghilterra, fino a quel momento ri vali , pur non rinunciando a competere tra cli loro sono occupate a spartirs i le spoglie dell' Impero turco in disfacimento e a conte nere l'influ enza russa nel Medite rra neo. Ha così ini zio tutta una serie d i interventi armati che tendono, più che all'uso cffellivo della forza, a ollenere con la sola minaccia del suo im piego determinati ri sultati politici di stabilizzazione, come avviene anche oggi. Jn partkolare (qui il Manfroni si occupa solo della Marina, ma spesso le operazioni hanno carattere interforze e prevedono sbarchi e occupazioni), la Marina fa sentire il suo peso sulla politica europea, non con la violenza, ma più spesso con la minaccia sola, colla dimostrazione della forza; essa esercita un 'azione coercitiva, e, acquistala ormai una maggiore mohilità grazie alla graduale sostituzione del motore li bero alla vela, fa sventolare in ogni parte la bandiera della palria, ora per sostenere un debole, ora per raffrenare un prepotente, ora per ridurre all ' impotenza un ribelle [ .. .]. E anche in Occidente più volte g li interventi annali delle squadre da g uerra riuscirono ad impedire gravi complicazioni, a far rispettare le deliberazioni dei congressi europei, a proteggere i deboli contro i forti, a far rispettare sacri diritti [... 1. Di 4uestj interventi navali anche no i in Italia avemmo un piccolo esperimento, nell ' occupazione di Ancona [durante i moti liberali del I 83 1 nelle Romagne allora soggette allo S tato dell a C hiesa - N.d.AI fatta da una piccola squadra francese per ordine di Luigi Filippo, il quale voleva in questo modo bilanciare l' occupazione austriaca delle Legazioni lcioè della Romagna - N.d.A] e far comprendere al po ntefice Gregorio XVI la necessità di raddolcire la sua condotta verso i liberali. La diplomazia francese sconfessò l' opera del comandante Gallois e lo ri chiamò


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( 1832): ma il presidio, da lui sbarcato, rimase ad Ancona! Spesse volte bastò la minaccia delle forza per ottenere l' intento, tal altra un rapido colpo di mano sulle navi degli avversari, o qualche cannonata contro i forti mostrarono che alla minaccia poteva tener dietro l'esecuzione.

È, insomma, la "politica delle cannoniere", che intende mettere fine a situazioni pregiudizievoli per gli interessi delle grandi potenze e per la stabilità di determinate aree strategiche: va solo notato che, allora, le nazioni chiamate ad intervenire lasciavano ai comandanti locali - se non altro per la difficoltà dei collegamenti - la più ampia iniziativa, e che questi ponevano molta cura nel dimostrare subito la propria determinazione nell'impiegare se necessario la forza. Anche per questo - ma non solo per questo - la minaccia di un bombardamento navale e/o dello sbarco di sia pur ridotti contingenti di un esercito europeo risultava generalmente molto efficace, comunque assai più efficace di quello che potrebbe essere oggi. Un'altra esigenza che nella prima metà del secolo XIX si è manifestata di frequente, è stata quell a di proteggere i cittadini europei contro le prepotenze dei nuovi Stati dell ' America latina, che in continua rivoluzione o in guerra quasi incessante tra di loro, violavano non di rado le Leggi internazionali. Spesso la sola presenza di qualche nave da guerra delle grandi potenze è stata sufficiente per indurre i Capi degli Stati ,m1ericani a più miti consigli, e a accettare le condizioni imposte dagli Europei; altre volte è stato necessario l'uso della forza, comunque sempre limitato, selettivo e ridotto al minimo. Secondo il Manfroni, nelle guerre d' indipendenza d'Itali a, dal 1848 al 1866 la Marina ha svolto un ruolo tutto sommato secondario, tanto che s'ingenerò in molti animi il dubbio che le squadre navali rendessero meno di quel che costassero, e si manifestò tra g li uomini politici una certa avversione per la Marina militare, di tanto maggiore, quanto più dispendiosi riuscivano gli armamenti navali per la trasformazione completa che essi subivano, in conseguenza dell'applicazione del motore a vapore, del perfezionamento e della complicazione delle armi d'offesa e di difesa r... ]. Ond'è che I ... I presso i nostri uomini politici , e poi a poco a poco anche nel popolo italiano, si venne diffondendo l'opinione che la marina da guerra fosse un lusso costoso e inutile...

La nascita nel 1861 del nuovo Regno d' Italia - prosegue il Manfroni è un evento di grande portata che viene gmu-dato con sospetto dalle grandi potenze. Il nuovo Stato riunisce per la prima volta dopo molti secoli le popolazioni marinaresche delle antiche e gloriose repubbliche marinare e "può ctticacemenle contendere il do111i11io d' una grande parte del bacino,


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e spostare la bilancia d'equilibrio". Malauguratamente la sconfitta nella battaglia navale di Lissa ( 1866) è un grave colpo allo sviluppo marittimo - sia militare che commerciale - dell ' Italia, lasc ia i porli migliori dcli' Adriatico in mano austriaca e "spegne nella grande maggioranza degli Italiani quel sentimento marinaresco che si era venuto ridestando". L'apertu ra nel 1869 del Canale di Suez aumenta l'importanza del Mediterraneo, che diventa o meglio ridiventa il grande ponte tra Oriente e Occidente e induce le grandi potenze ad assicurarsi con ogni mezzo basi e scali in questo mare, rendendo anwr più difficile la posizione dell'Italia. Oltre che l'Algeria (la cui conquista ha iniz io nel 1830), la Francia nel 1881 si assicura il possesso anche della Tunisia, a pochi passi da casa nostra; a sua volta l'Inghilterra occupa nelle stesso anno Cipro e nel 1882 l'Eg itto. Ma i due eventi di portata decisiva, per i loro riflessi sulla storia del XX secolo, sono la nascita della potenza navale e commerciale americana dopo la guerra di secess ione ( 186 L-1865) e il continuo sviluppo della Marina militare e mercantile tedesca dopo la guerra del 1870-1871. La guerra ispano-americana del 1898 è vinta dagli Stati Uniti, che si assicurano il controllo di Cuba e delle Filippine e stabili scono il loro predominio sul continente ame1icano a di scapito delle vecchie potenze coloniali europee; essa desta perciò vive preoccupazioni in Europa. Di queste preoccupazioni è sintomatica espressioni il commento del Manfroni: fieri de ll 'ottenuta vittoria, gli Stati Uniti accrescono prodigiosamente i loro annamenti, non nascondono la loro tendenza a prendere una parte più attiva nella politica mondiale, a ga1:eggiarc colle altra nazioni ncll' imperialismo coloniale, a Liberare il loro mare (sono parole di un libro uscito in questi giorni) dai possedimenti di altri Stati europei. Essi tendono ormai apertamente alla egemonia del continente americano, e discutono le probabilità che potrebbe avere una nuova guerra di riscossa contro ogni inframmettenza europea sul Mar delle Antille. La vecchia Europa, e specialmente i tre Stati marittimi che al principio del secolo si disputavano l' impero dei mari I l' Inghilterra, la Francia e la Spagna - N.d.A.] hanno dinanzi a sé un avversario risoluto ed energico, che potrà in un avvenire non molto lontano creare gravissimi imbarazzi, specialmente se gli Stati europei saranno discordi, o almeno in stato di continua e mal dissimulata gelosia.

A questo quadro così poco tranquillizzante, il Manfroni aggiunge la villoria g iapponese nel contl itto con la Cina del I 894-1895, che dà al Giappone una posizione preponderante nei mari dell 'Estremo Oriente, cosa che impensieri sce assai le grandi potenze. Senza contare che nel 1901, quando egli scrive il suo a1ticolo, non è ancora scoppiata la g ue rra


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Ferruccio Botti

russo-giapponese del 1904- 1905, che segna il definitivo ingresso del Giappone nel ristretto novero delle grandi potenze militari e navali, erigendo anche a Oriente un argine contro le aspirazioni europee e la stessa espansione americana.

4. Conclusione Se globalmente considerati, i due articoli prima presi in esame danno un ' idea abbastanza precisa delle molteplic i sfide che ha dovuto affrontare la politica di sicurezza italiana ali ' inizio del nostro secolo e, nel suo ambito, delle carenze e dei problemi dello strumento militare terrestre. L'economia e la politica estera hanno ormai assunto una dimensione mondiale. La situazione del Mediterraneo è tale da richiedere indubbiamente anche una forte Marina militare, esigenza che contrasta s ia con lo scarso sviluppo di una coscienza marittima dovuto ai poco positivi riflessi delle guerre <l'indipendenza, sia con le possibilità economiche. Le riforme e l'introduzione dei nuovi materiali per l'Esercito ai quali accenna il Marazzi, infatti, richiedono cospicue risorse finanziarie delle quali si è ben lontani dal poter disporre. Se s' impone una efficace difesa della posizione dell ' Italia nel Mediterraneo e dei nostri estesi confini mariUimi, non è men vero che la difesa dei confini terrestri, con due eserciti vicini (quello francese e quello austriaco) assai più numerosi e forti di quello italiano, richiederebbe quel sollecito pote nziamento almeno qualitativo che lo stesso Marazzi vorrebbe raggiunger<.: e che non viene mai raggiunto, né per l'Esercito né per la Marina. Si può facilmente individua re delle analogie, delle affinità tra taluni termini del problema militare di oggi e quello di un secolo fa. ln ogni caso le differenze appaiono meno profonde di quanto potrebbe apparire, perché a ben guardare la fisionomia geopolitica - e quindi anche geoslrategica - di uno Stato e del suo territorio, così come I' i ndolc ciel suo popolo, tendono a rimanere nelle grandi linee costanti - o almeno a mutare in tempi molto lungi - anche di fronte ai più rivoluzionari sviluppi dello scenario internazionale e ai progress i della tecnica. Questa prolungala isteresi si estende anche all'economia e al bilancio dello Stato, visto che a fine secolo XIX come a fine secolo XX, il dissesto delle finanze pubbliche è stato e rimane il principale ostacolo per il rafforzamento del dispositivo militare e per incisive riforme.


Finito d i stampare nel mese di MaRRio 2000

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