Che cosa rende la pasta uno degli ultimi capisaldi italici nel mondo assieme alla moda, alla Ferrari e via luogocomuneggiando? Il fatto che per quanto si sforzino un po’ tutti e un po’ ovunque sul pianeta, nessun alimento è ancora riuscito a mettere in discussione una simile supremazia assoluta. Non è un caso per esempio se da un quarto di secolo si celebri ogni anno il World Pasta Day, che ci permette di scolare – rigorosamente al dente, va da sé – una serie di numeri che parlano da soli: con 3,6 milioni di tonnellate siamo il primo produttore al mondo, un piatto di pasta su quattro consumato nei cinque Continenti è Made in Italy, per un fatturato che si avvicina ai 7 miliardi di euro. Bella scoperta, si dirà. Tuttavia meno scontato è che la dittatura dello spaghetto non soltanto non vede calare mai il sole, ma prospera: negli ultimi 25 anni la quota export è cresciuta del 210% a fronte di una produzione mondiale passata da 9 milioni di tonnellate del 1998 ai quasi 17 milioni del 2022. Sapevamo di essere un popolo di pastasciuttai (1,3 milioni di tonnellate consumate lo scorso anno al ritmo di 23 kg pro capite, quasi 2 al mese inclusi neonati e ultra ottuagenari), ma che sul podio con noi ci fossero due insospettabili come la Tunisia (17 kg) e il Venezuela (12 kg) sorprende un bel po’. Così come spiazzano anche gli addetti ai lavori i numeri dei Paesi importatori più emergenti: in testa l’Arabia Saudita (+51%), seguita da Polonia (+25%) e Canada (+20%). di Valentino Maimone
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Ritorno al nucleare. Si potrebbero sintetizzare così le parole del ministro italiano dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin che ieri ha annunciato che «entro questa legislatura» il governo vuole aver pronto il quadro giuridico per il ritorno al nucleare, sottolineando che questo è «il mandato del governo e del Parlamento» e che lui sta agendo con un gruppo di lavoro che deve occuparsi delle norme perché, se «vuoi comprarti uno small modular reactor, deve esserci un quadro giuridico compatibile». Il riferimento citato dal ministro è ai piccoli reattori modulari (il nucleare di quarta generazione su cui vorrebbe scommettere l’Italia), con la speranza di poter realizzare le condizioni di produzione per la fine di questo decennio. Che il governo di centrodestra alla guida dell’Italia non faccia mistero di puntare sul ritorno al nucleare è un dato che da solo non basta per cambiare però la politica energetica e la scelta di rinuncia fatta dal nostro Paese con il referendum del 1987 dopo l’incidente nella centrale di Chernobyl che si era consumato nell’aprile dell’anno prima. Da quel momento in avanti l’Italia, che era sempre stata all’avanguardia nel settore dell’energia nucleare civile, si è di fatto tagliata fuori da sola relegandosi dall’eccellenza (di allora) al ruolo di ultima arrivata (di oggi). Leggi l'articolo di Massimiliano Lenzi 👇🏻 https://lnkd.in/e_H3xyj4 #nucleare #energianucleare #energia
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Alle 18:00 Linkedin Live dedicata ai fatti più importanti odierni e degli ultimi giorni. Oggi con Filippo Messina. Vi aspettiamo per i vostri commenti in diretta. Stay Tuned!
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Professionisti dell’antifascismo: ormai ne spuntano da ogni dove, indipendentemente dal grado di conoscenza del disgraziato ventennio che spinse l’Italia a vivere un sonno della ragione dalle conseguenze devastanti. Antifascisti che spesso non sanno, se non per sentito dire, come sia stato possibile appoggiare le scelte più abiette della storia. Sapere non conta, l’importante è avere a disposizione un palco - fisico o virtuale cambia poco - dal quale urlare al ritorno prossimo venturo del regime o almeno di una sua forma aggiornata al III millennio. Non c’è giornata senza titoli cubitali in tal senso, appelli social, televisivi o in occasioni pubbliche tipo il “concertone“ del 1’ maggio. Tutti antifascisti, senza sapere quasi un tubo del fascismo. È così stringente e soffocante la presa della censura e degli “utili idioti” al servizio del rinascente regime che qui e altrove il sottoscritto può spesso occuparsi di fascismo da un punto di vista storico e non solo, ricordando la necessità di studiare, approfondire, conoscere prima di lanciarsi in allarmi quantomeno azzardati. Posso scrivere peste e corna di quella follia collettiva e non mi bloccano, non mi censurano, non mi si filano proprio. Certo, si dirà, non cerco il parallelismo a tutti i costi fra l’era del fez e i governanti di oggi e quindi non risulterei “pericoloso”. Secondo qualcuno potrei essere un “allineato” di fatto. Sciocchezze a buon mercato, particolarmente utili se ci si deve vestire da vittime e se il sogno è essere i prossimi Scurati. Tutti questi professionisti dell’antifascismo, infatti, se ne restano lì a urlare alla fine della democrazia, sperando con tutte le forze che qualcuno li tiri giù dal palco regalando loro un po’ di notorietà, uno spicchio di audience e l’acquisto di un po’ di copie di un libro. Un antifascismo da operetta, ormai astratto dallo studio e dal ricordo di quello che fu, degli orrori reali di un Paese che - salvo rare e luminose eccezioni - sopportò (e supportò) l’infamia imperitura delle leggi razziali standosene sostanzialmente zitto. Magari approfittando di chi veniva fatto fuori da impieghi, cattedre e posizioni, potendo prenderne il posto senza provare vergogna alcuna. Urliamo all’antifascismo e non abbiamo neanche la forza di ricordare quali furono le reali dimensioni, caratteristiche e identità della lotta partigiana. Chi vi partecipò e su quali diverse barricate. Chi invece aspettò che gli Alleati facessero il lavoro sporco: la stragrande maggioranza degli italiani, per la cronaca. Si urla da qualche palco digitale o reale alla ricerca dell’applauso più facile, invece di costruire gli anticorpi a difesa della nostra libertà. Serve la consapevolezza di quello che fu e delle scelte, pur ricche di contraddizioni ed errori, che ottant’anni fa ci garantirono un futuro di democrazia e sviluppo economico. di Fulvio Giuliani
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Su la Ragione di oggi, venerdì #3maggio: Pichetto Fratin e il coraggio che serve per il nucleare; Georgia, parla Marika Mikiashvili; Non basta TikTok per i giovani; Lo zaino degli italiani; parla Di Stasio di Seven; Baby Reindeer, la serie del momento. #laprima
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Giù le mani da “’A Livella”. E da Totò, forse il nomignolo più celebre e utilizzato ancora oggi in Italia a oltre 55 anni dalla morte del principe De Curtis, che obiettivamente non è mai sparito e anzi è stato valorizzato dalla critica soprattutto negli anni successivi alla sua scomparsa, diventando un passamano di massime e frasi fra le diverse generazioni. E se la meravigliosa poesia del ‘Principe della risata’ appartiene a tutti – spiegando in versi che siamo tutti uguali di fronte alla morte – la famiglia del leggendario attore napoletano ha però deciso che “Totò” diventerà un marchio registrato. La ragione è semplice: negli anni si è abusato dell’immagine dell’artista e quindi d’ora in poi sarà utilizzabile solo dagli eredi del grande comico napoletano. Per sfruttarlo bisognerà pagare le royalties alla famiglia. Come se fosse un brano dei Beatles. Insomma, un brand coperto dal copyright per porre un freno al ricorso al nomignolo da parte di ristoranti, pizzerie, locali e attività commerciali di ogni tipo in tutta Italia che utilizzano tuttora il nome, i titoli dei film e delle poesie del Principe per insegne, piatti, menu, panini e non solo. Quel nome tira ancora e mica soltanto a Napoli. Sarà obiettivamente un esercizio complicato resettare Totò (e ciò che rappresenta) dal punto di vista commerciale. La famiglia dell’artista è passata ai fatti a partire dallo scorso anno, quando ha cominciato a far pervenire – attraverso uno studio legale – una serie di diffide a esercizi commerciali di Torino, Latina e Porto d’Ascoli. Quali erano i nomi contestati? Casa Totò, Totò e Peppino, ’A Livella (uno dei due capolavori composti in versi dal Principe, assieme a “Malafemmena”). Il richiamo al rispetto del marchio Totò sarebbe esteso anche all’utilizzo di segmenti di poesie, pensieri filosofici dell’artista, citazioni di film. E poi di immagini, quadri, raffigurazioni. [...] Clicca sul seguente link per leggere l’articolo completo “Totò diventa un marchio registrato” di Marco Carta: https://lnkd.in/d8en4MWY #Totò #DeCurtis #Comicità #Film #Televisione
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Gli italiani amano leggere con le orecchie. Questa frase, che potrebbe sembrare un ossimoro, non lo è affatto: stiamo scrivendo della passione che sempre più persone nel nostro Paese hanno per gli audiolibri. È quanto emerge dall’ultima ricerca di NielsenIQ per Audible, società Amazon impegnata da tempo nella produzione e distribuzione di audio entertainment di qualità. E i numeri non mentono: nel 2024 sono ben 11,1 milioni le persone che ascoltano gli audiolibri e che si lasciano coinvolgere dalle storie narrate in cuffia. Soltanto nell’ultimo anno hanno ascoltato un audiolibro 400mila persone in più, con un incremento del +4% dal 2023 (+22% dal 2020 a oggi). C’è chi pensa che il boom di questi strumenti sia causato dalla pigrizia delle persone che non hanno voglia di leggere e chi ancora crede si tratti soltanto una moda scoppiata durante la pandemia. Non è così. Cambiano i tempi e gli audiolibri sono fra i principali esempi di come si possano unire cultura e tecnologia. Più che di pigrizia sarebbe meglio parlare di comodità, un fattore da non sottovalutare: per leggere un libro bisogna necessariamente portarsi dietro il testo (spesso pesante e scomodo da leggere fuori casa); con gli audiolibri le persone hanno a disposizione un’intera biblioteca che si può ascoltare ovunque. Un modo di ‘leggere’ considerato più moderno, in particolare dalle ultime generazioni, quelle perennemente connesse e abituate ad avere tutto a portata di mano o, meglio, a portata di click. di Filippo Messina #Audiolibri #Italia #Libri #Cultura #Tecnologia
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Le bandiere della Palestina non saranno ammesse all’Eurovision Song Contest che quest’anno si terrà nella Malmo Arena (in Svezia); tra meno di una settimana si svolgeranno le semifinali e l’11 maggio la finalissima. Secondo quanto riferito dal quotidiano svedese Goteborgs Posten, l'Unione europea di radiodiffusione (Ebu) - che organizza l'evento - ha specificato che qualsiasi oggetto che “possa disturbare/interrompere il successo dell'evento” non sarà permesso. Saranno ammesse solo le bandiere dei Paesi che partecipano all'evento, tra queste quindi anche anche quella d'Israele. Durante la settimana dell’Eurovision sono previste proteste a Malmo contro la guerra. di Mario Catania #Eurovision #EurovisionSongContest #ESC #Musica
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La domanda l’abbiamo già posta, ma restando disgraziatamente inevasa la riformuliamo: nelle università che si incendiano di indignazione per la tragedia umanitaria (indiscutibile, angosciante e penosa) della Striscia di Gaza, è proprio impossibile trovare uno spazio anche piccolo-piccolo per ricordare lo stupro di massa a cui è sottoposta la gioventù in Iran? Fra tutte le indignazioni, pur comprensibili e sempre sintomo di una sensibilità da preservare, è mai possibile che quanto avvenga quotidianamente nella teocrazia in mano agli Ayatollah non susciti alcun tipo di reazione anche lontanamente paragonabile alla rabbia per la tragedia fra Israele e palestinesi? La morte orrenda e raccapricciante della sedicenne - se di cen ne - Nika non merita nulla? Sono domande retoriche, ce ne rendiamo conto, perché nessuno si sognerebbe di occupare un’università per reclamare il rispetto dei diritti degli omosessuali o delle donne nella Repubblica islamica dell’Iran. Non viene fatto, per motivi solo apparentemente misteriosi, perché questo vero e proprio sonno della ragione ha sia radici antiche, che strettamente legate all’attualità. Nei confronti dell’Iran, la nostra pubblica opinione non è mai riuscita a creare dei robusti anticorpi per quanto accade quotidianamente: la sistematica violazione di ogni diritto dell’individuo e in modo particolare delle donne o di coloro che per insindacabile giudizio di chi detiene il potere sono “diversi” e soprattutto giudicati irrimediabilmente pericolosi per la moralità pubblica. Gay appesi alle gru nelle pubbliche piazze, rapper condannati a morte perché osano cantare la propria voglia di libertà, ragazzine uccise perché non coprono bene i capelli o ammazzate dopo essere state violentate da quell’incubo a cielo aperto che è la “polizia morale”. Un vero e proprio obbrobrio che va avanti da decenni e che se ne sta lì, senza solleticare più di tanto le corde dell’indignazione popolare italiana e non solo. Pesano, senza ombra di dubbio, i rapporti ondivaghi e non di rado ipocriti che abbiamo tenuto con quel Paese, sino ai massimi livelli, ma ciò non toglie che gli stessi pronti ad alzare la voce e accusare Israele delle peggiori nefandezze tacciano miseramente nei confronti di Teheran. Ed eccoci arrivati alla stretta attualità: il Paese degli Ayatollah è il più formidabile e giurato dei nemici dello Stato ebraico e, se non altro per banale logica, non può essere il nemico di chi chiede il boicottaggio di qualsiasi rapporto con le università israeliane o gli atenei vorrebbe occuparli per sollecitare le più dure prese di posizione da parte dei governi occidentali contro quello di Tel Aviv. Per farla molto breve e semplice, il nemico del mio nemico è mio amico: vecchia e (in questo caso) sconfortante regola. di Fulvio Giuliani #Esteri
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La saggezza - forse esercitata in ritardo - che supera la volontà ostinata del fuoriclasse di non perdere mai, andando anche oltre il dolore. Il ritiro di Jannik Sinner al Master 1000 di Madrid - notizia comunicata pochi minuti fa dal numero uno italiano - non è una sorpresa a tutto tondo: l’anca gli faceva male da settimane, era visibile la menomazione sul campo, sebbene il numero due al mondo sia riuscito a vincere due partite sulla sofferenza fisica. Ha deciso di preservarsi e dunque curare l’anca dolorante che, va ricordato, l’aveva condizionato anche negli anni passati. Non voleva mollare, Jannik. Si avverte anche nel suo post su X in cui ha informato i tifosi del ritiro dai quarti di finale del torneo madrileno a causa dell’impedimento fisico, “dell’anca che diventa sempre più dolorosa” che ha consigliato di ritirarsi, una decisione maturata assieme a medici e staff tecnico. Come scritto anche ieri, è la decisione più saggia. Forse arrivata in ritardo ma il fenomeno italiano va assolutamente compreso: 28 successi su 30 partite in stagione, l’occasione di accumulare punti in classifica e avvicinarsi alla prima posizione mondiale in classifica. Soprattutto, la ferocia agonistica che lo domina - e che lui sa dominare forse come nessuno adesso nel circuito - e che gli impone di non cedere davanti a nessuno, ora che è arrivato al vertice. Jannik dunque si riposa, si cura. E dalle sue riflessioni affidate ai social dopo il ritiro a Madrid sorge il legittimo dubbio anche sulla sua presenza attesissima al Foro Italico per gli Internazionali d’Italia (partono il 6 maggio). E' atteso da una serie di test medici, Roma è il primo passaggio di quattro tornei (Roland Garros, Wimbledon, Olimpiadi di Parigi) che rappresentano il focus di una stagione già straordinaria con il trionfo all’Australian Open e al Master 1000 di Miami. Ci sarà da sfidare Alcaraz, fronteggiare il ritorno di Djokovic, tenere lontano aspiranti al trono. Meglio essere pronti e sani per due mesi al top. Magari anche sacrificando Roma. di Nicola Sellitti #JannikSinner #sport #tennis
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Le proteste dei movimenti studenteschi e il caso di Nika Shakarami, sedicenne violentata e uccisa dalla polizia morale dell’Iran. Il commento di Davide Giacalone. Da Tg3 Linea Notte del 1° maggio 2024. Davide Giacalone #nikashakarami #Iran #Tg3 #LineaNotte
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Senior Business Consultant at TIG
6 mesiOrgoglio assoluto. Poi meglio non sapere come la cucinano all’estero