L’invidia non è il problema. La cattiveria lo è.

L’invidia non è il problema. La cattiveria lo è.

Dicono che l’invidia sia un male, ma da tempo non ci credo più. Credo invece che si rifletta poco e si tagli con l’ascia una situazione che avrebbe bisogno del bisturi. Penso che molti di noi siano incautamente in cerca di verità semplici e definitive, perché gli animi inquieti hanno bisogno di boe a cui aggrapparsi per non sentirsi morire di ansia.

Verità bianche o nere. Sentimenti buoni e cattivi. Quando poi tocchi gli impulsi è tutto una girandola di frasi fatte, di scatolette precotte di emozioni che devi provare per essere un uomo vero o una donna giusta. In queste righe vorrei dunque provare ad essere realista, trattare per una volta l’invidia dal verso del pelo.

Il focus sulle cose, le situazioni o sulle persone

Se l’invidia si focalizza sulle persone, la situazione è ottima per la genesi della cattiveria attraverso il desiderio di danneggiare il prossimo. L’invidia ha in questo caso un nome, un cognome ed una faccia. Scomparsa la faccia o ridotto il nome in cenere, scompare anche il termine di paragone. Non desideravi nulla. Eri solo terrorizzato di fare i conti con una versione reale del tuo miglior te.

  • Potevi essere di più, qualcuno te lo dimostrava.
  • Potevi dare un nuovo significato alla tua identità ed esistenza ma hai vacillato di fronte alle difficoltà che provare ad essere migliori se stessi comporta.

Parte allora il sistema difensivo di “disintegrazione della minaccia”, a qualunque costo. L’Homer Simpson che c’è in te si trasforma in un Clint Eastwood assetato di vendetta che vuole solo che il termine di paragone esploda in una miriade di frammenti microscopici.

Se l’invidia prende lo spunto dalle persone, ciò che sottende è un sentimento di carente autostima, di non valere abbastanza. La cattiveria è allora un sottoprodotto altamente probabile.

Se poi l’invidia si mescola con il risentimento, che deriva dalla sensazione vera o presunta di essere stato trattato ingiustamente da qualcuno, allora la maligna aspirazione a vedere torcersi nel dolore il soggetto che invidiamo è certa. Allora la cattiveria è garantita.

Quando l’invidia è invece rivolta a cose, competenze, capacità e situazioni allora non necessariamente c’è qualcuno da boicottare e potrebbe rivelarsi un sentimento buono.

  • Se l’obiettivo è chiaro, ed è vero e sentito, metabolizzato, allora l’invidia è un trampolino, e trovare qualcuno che incarni fisicamente la prova della possibilità di raggiungerlo è una salvezza.
  • Se l’obiettivo è nebbioso e ti racconti storie o, peggio, te le fai raccontare, l’invidia è una trappola mortale. Fatta di frustrazione e delusioni.

In tutti e due i casi patisci, perché altri sì e tu no. Ma nel primo caso il termine di paragone svanisce di fronte al focus su ciò che c’è da fare. Nel secondo caso invece il focus sul da farsi non nasce mai, disgregato dalla attenzione su ciò che la persona di riferimento possiede, è ed esprime e pressato dal diktat delle forze sociali.

Pressioni sociali che ci impongono un modello che spesso non è ecologico e coerente con la nostra struttura interna.

Controllo, destino e invidia

Detto questo, se vogliamo parlare di invidia e cose concrete dobbiamo partire da qui: credi nell’ineluttabilità del destino?

Credi che le cose possano cambiare o no? E da cosa dipende? Da chi dipende?

Mi spiace che questi ragionamenti possano sembrare noiosi o da anziani, ma credo sia impossibile fare a meno di toccarli. Ne avevo scritto in “Nessuno mi capisce” e in “Non è mai questione di culo”, ma anche in quasi ogni libro che ho pubblicato in questi anni.

Bisogna mettersi davanti a uno specchio e guardare la propria storia. Poi chiedersi quale sarà il prossimo capitolo e chi lo scriverà?

Perché alla fine tutte le decisioni che prenderemo o non prenderemo dipenderanno da questo, più che dal moralismo e dalla filosofia pop che possiamo spargere in giro.

Come con il ricorsivo ragionamento sul futuro e sulla pianificazione. Tutti dicono che sia così difficile e velleitario fare previsioni da rendere inutile gli sforzi. Non è vero che sia inutile, è vero che è difficile.

È vero che le cose possono non andare come si era pianificato.

È vero che a volte si trovano dove non si stava cercando e a volte il caso ti dà una mano. Ma non è il caso che governa il mondo. E, anche se lo fosse, basta fare attenzione all’intimo, insopprimibile richiamo che spinge a ipotizzare futuri e a concretizzarli, fin da bambini.

Se riesci a cogliere questo istinto, allora la domanda successiva è: “Cosa ci fai con l’invidia?”

Ecco se non credete in toto al destino allora l’invidia serve. Serve se è emulativa e benigna.

Quella che serve a migliorare la propria situazione e che non prevede la distruzione dell’invidiato è davvero un sentimento appropriato.

A mio figlio augurerei di essere intelligentemente invidioso.

Delle cose giuste e nel modo giusto.

Invidia le realizzazioni. Non le persone, perché questo porta a dolori ancora più grandi di quelli che prova l’invidioso emulativo.

Se sei capace di sviluppare questo tipo di invidia penso che le cose ti andranno ragionevolmente bene. Rimane solo da capire cosa e chi invidiare.

Invidiare i soldi è di per sé privo di un significato antropologico ed evolutivo. Non si progredisce sbavando per le cose in sé ma piuttosto per come sono state ottenute. Molto meglio quindi invidiare la capacità di fare i miliardi o la competenza di mandare un razzo su Marte o di curare il cancro.

E dunque, ricordando che non è mai questione di culo, invidiare la costanza, la disciplina, la capacità di individuare e nutrire il proprio talento.

Meglio invidiosi (buoni) che in balia del caso

Se mio figlio si fiderà di me gli dirò “Rifletti. Ragiona. Scarta e scegli bene. E sii invidioso a volte”. Ti prego.

“Sii benignamente invidioso di come fa chi fa una vita come davvero la vorresti tu”.

“Arrabbiati perché non sei ancora a quel punto e datti da fare”.

L’invidia sarà anche un peccato capitale ma aiuta a farti muovere, per costruire dei trampoli o dei meccanismi per alzarti. Se non si prendono in mano le redini del proprio sentire, si lascia campo libero ai dirottatori del destino. Gente né buona né cattiva. Ma gente a cui non interessa davvero come dormi la notte e come te ne andrai via da qui.

È un pessimo affare lasciare che la pubblicità e i direttori marketing e comunicazione ti indichino chi o cosa invidiare o emulare. L’invidia serve se decidi tu cosa vale la pena invidiare. L’invidia serve se decidi di lasciarla sempre più in basso di te, in modo che siano le gocce del tuo sudore a lavarla via e non le sue colature a inquinarti.

Non sei sbagliato se invidi, tutto sommato sono convinto ci sia molto di buono. Sbagli se la lasci guidare. Lei la strada verso la tua versione migliore non la conosce. Sbagli se lasci che sia il mondo a decidere cosa devi invidiare.

È quasi sempre una pessima cosa lasciare maestri, genitori, professori, social, direttori artistici, imprenditori, registi, politici, preti, santoni convincerti su chi dovresti essere. Non ne sanno nulla del tuo futuro. Conoscono solo il loro passato.

Con serenità, ringrazia e saluta. Ma vai avanti, decidi e cresci.

Per loro sei un pezzettino dei big data, una rotella nel meccanismo e non ci saranno quando dovrai ingoiare i tuoi sei milligrammi al giorno di XANAX a rilascio prolungato.

L’invidia non è il problema. La cattiveria lo è.

E la cattiveria è lo strumento che usiamo quando cerchiamo di trovare scorciatoie alla responsabilità di dare un significato originale alla nostra identità, lasciandoci colmi di rancore e mai soddisfatti.

L’invidia benigna ed emulativa funziona meglio. Il più delle volte ti aiuta a essere meglio di prima. E anche quando non andasse bene, ti lascia con il buon sapore in bocca, il sapore di averci provato.

Luca Racconci

R&D Director Cobo Spa | Making a difference in product development and process innovation with passion and leadership

1 anno

Grazie Sebastiano Zanolli ci trovo molto di ciò che ho sempre pensato! Per questo non sono mai stato fan di nessuna persona fisica, ma piuttosto curioso delle competenze necessarie per essere così, cosa che inevitabilmente ti porta a leggere, studiare, pensare, immaginare scenari possibili. E non ho mai seguito la moda, per non darla vinta agli uomini del marketing che mi avevano già incasellato in un cliente target con il fatturato atteso stampato sulla fronte... Quando provo invidia è per le cose, perché amo circondarmi del meglio e ciò inevitabilmente cozza con il budget a disposizione!

Maurizio Goetz

Corporate Visioneer -founder delle metodologie di Imagination Design Coaching

1 anno

Il ragionamento conclusivo è assolutamente logico e coerente, ma è il punto di partenza che dovrebbe essere differente. L'invidia, come la paura, sono emozioni che non si possono reprimere, ma giustamente come evidenzi, si possono incanalare ed indirizzare. Alla fine è questo il senso del discorso. E' sempre questione di consapevolezza.

Vittoria Esposito

Docente di discipline giuridiche ed economiche Formatrice Cittadinanza digitale e Media Education PNSD e PON

1 anno

Grazie per le tue riflessioni Invidia ha sempre un connotato negativo … c’è invece L’ammirazione verso l’altro che mi spinge ad emularlo ,a raggiungere nuovi traguardi e mettermi in discussione Se ammiro non invidio Se invidio non ammiro

Speziari Alessandro

Surveyor presso AS COATING CONSULTING

1 anno

È mix di sentimenti contrastanti

Riccardo Alfieri

APPINVENTOR per ANDROID VB6 SQL PHP DEVELOPER

1 anno

L'invidia, secondo me, è l'ammissione ufficiale del fallimento della propria esistenza

Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi