Sentir squittire i demoni del gran male

Dolceacqua (IM): Castello Doria e Chiesa Parrocchiale di Sant’Antonio Abate

Dolceacqua e dintorni nel Seicento … morire di terrore nell’attesa di “Sentir squittire i demoni del gran male”…quando invece non sarebbe stato male far del sano sesso e soprattutto lavare e lavarsi…

Ma chi lo poteva immaginare data l’epoca, visto il superstizioso timore dei bagni pubblici e l’imperante sessuofobia? Ma non era colpa di nessuno!…tutta Europa era coinvolta in questo modo di intendere la vita…! O meglio…qualcuno non la pensava così…certi medici per esempio, il gran Baliani e, sembra strano, il ventimigliese Angelico Aprosio…!!!!!

Già proprio lui, … sicuramente il talento letterario più celebre di Ventimiglia…ma non solo talento letterario.

Aprosio era un “raccoglitore del tutto”! ma per nulla caotico! certo bisogna intuire l’ordine che lo guida e conoscerne la decrittazione per giungere ai valori di fondo…

Comunque se lo si legge anche senza grosse pretese ma con la voglia di capire, le sue riflessioni di fondo si recepiscono bene!… La difficoltà deriva dal fatto che come altri nel suo tempo fu tante cose oltre che bibliofilo.

E’ naturale che sapesse tante cose, era intelligente, curioso, bibliotecario di gran nome, inquisitore, esorcista, predicatore, letterato di fama, polemista, antifemminista, antiquario-collezionista, studioso di esoterismo e paranormale. Invero di qualcuno di questi (ed altri) suoi interessi non amava far pubblicità…all’epoca si poteva finir male scrivendo troppo di demoni e di streghe…ma anche di donnine allegre spacciate per puttanone (specie poi se eran potenti!)

Aprosio non mancò di “Sentir squittire i demoni del gran male”…ma gli accadde a Genova, che fu falciata dai Demoni o meglio dalla Peste (tra Demoni, Untori e Ratti si faceva sempre gran confusione).

Forse, tornato sconvolto a Ventimiglia dopo una leggendaria (e naturalmente ignota) cavalcata notturna, dal Convento Agostiniano, ove si barricò coi confratelli, attese anche lui l’arrivo della Morte, pure lui si mise ad orecchiare nel timore di “Sentir squittire i demoni del gran male”.

Ma l’olocausto che cancellò più di 100.000 persone dal Dominio di Genova non imperversò nel Capitanato intemelio…

Ma eran Demoni, davvero…erano Untori….i propagatori del Male? vi si credette ancora fin all’800 a livello popolare…!?! No! eran i “Ratti delle Chiaviche” attratti dalla sporcizia, dalla mancanza di igiene pubblica ed ambientale, i ratti veicolo del parassita della Peste:…sarebbe forse bastato nettare i siti, non avere fogne a cielo aperto, combattere gli impaludamenti….ma che se ne sapeva all’epoca!!!!

Eppure Angelico Aprosio lo aveva intuito e ne aveva anche scritto!!!…tramite l’astrologia (quindi da uomo del passato) aveva, con calcoli astrusi, prevista una qualche calamità…tenendo giustamente conto, anche, di certe oscure congiunzioni astrali. Ma da amante (in segreto, molto in segreto) della scienza nuova (e quindi da uomo moderno) questa sorta di acuto Giano Bifronte aveva pensato che molto dipendesse per tanto sfacelo pure dall’aver abbandonate le tecniche romane di igiene della persona e dell’ambiente.

Anche ambientalista, dunque, Aprosio?..ma sì!…certo che per capirlo bisogna leggerne le opere…anche solo quelle stampate… Un ambientalista a dir il vero poco ascoltato (come in tante altre cose…la superbia intellettuale era certo un suo difetto)…forse per questo nella sua Biblioteca diede tanto luogo d’onore alla rara satira di N. Villani “Nos canimus surdis”….sì doveva sentirsi poco ascoltato….ma a dire il vero questo non è capitato solo a lui…

di Bartolomeo Durante, da Cultura-Barocca

L’università di Providence e la Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia (IM)

Tanti, troppi anni fa, nel 1986, quando ero consulente scientifico della Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia (IM), alcuni docenti dell’università di Providence negli USA, in forza di scoperte colà divulgate da quel grande indimenticabile ispanista che fu Mario Damonte, mi chiesero, oltre ad altre cose, perché grazie alla Biblioteca Aprosiana, dove si fecero (anche in seguito, ma soprattutto da studiosi americani) scoperte eclatanti, la città di frontiera grazie al FONDO ANTICO della “Libraria di Aprosio” non potesse divenire parte integrante di un polo universitario di Genova interagente con la Francia, la Spagna, il Piemonte e oltre, che con altri siti italiani ed europei, naturalmente con molte istituzioni universitarie del loro Paese, tuttora interessate al materiale, spesso unico al mondo.

Purtroppo, tutto rimase lettera morta…

SAREBBE DAVVERO SUPERFLUO METTERSI A DISSERTARE DI “ANGELICO APROSIO NEI SUOI RAPPORTI CON LA CULTURA SPAGNOLA DEL XVII SECOLO” SENZA FAR CAPO A UN GRANDE STUDIOSO QUALE FU MARIO DAMONTE DI CUI SI RECUPERANO QUI DI SEGUITO ALCUNI FONDAMENTALI INTERVENTI CRITICI, ACCORPATI IN UNA SUA SPLENDIDA OPERA USCITA POSTUMA, SULL’ARGOMENTO APPENA CITATO, VALE A DIRE:


1 – PADRE ANGELICO APROSIO E LA SPAGNA

2 – UN MANOSCRITTO GONGORINO SCONOSCIUTO NELLA BIBLIOTECA APROSIANA DI VENTIMIGLIA (IN LINGUA SPAGNOLA).

COME ERA NELLE MIGLIORI TRADIZIONI APROSIANE MARIO DAMONTE SAPEVA ALTRESI’ CIRCONDARSI DI COLLABORATORI DI NOTEVOLE VALORE E TRA QUESTI MERITA D’ESSER MENZIONATA ANNA MARIA MIGNONE CHE PER IL “I QUADERNO DELL’APROSIANA”, VECCHIA SERIE, DEL 1984, EDITO’ ENTRO UN SUO SAGGIO CRITICO UN INEDITO SPAGNOLO DI JUAN PABLO RIZZO

INTITOLATO CONSOLATORIA AL SENOR JUAN MARIA CAVANA EN LA MUERTE DE SU PADRE.

di Bartolomeo Durante in Cultura-Barocca

Vicissitudini moderne della Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia (IM)

L’ex Teatro Civico di Via Garibaldi a Ventimiglia (IM), attuale sede del Fondo Antico della Biblioteca Aprosiana

Giacomo Navone in una sua operetta (Passeggiata per la Liguria Occidentale fatto nell’anno 1827…) [edita nel 1831], più o meno direttamente rifacendosi alle manie anticlericali e centraliste a pro di Genova di Napoleone Bonaparte, che si concretizzarono nella fortunatamente incompiuta e incompleta operazione “Semino” o “Semini”, evidenzia come queste avrebbero ulteriormente impoverito la Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia (IM)…

Ed il Bertolotti nella descrizione di un suo “Viaggio per la Liguria Marittima” (1834)… allude alla decadenza della struttura “La già celebre biblioteca Aprosiana in Ventimiglia è come una memoria di tempi migliori“…

Vale il sunto delle parole dal Navone attribuite al “Conservatore”, un certo “Scipione”, che lo accompagnò a vedere il complesso… “Visitai primieramente la pubblica biblioteca [all’epoca ancora sita col nome originario di Biblioteca Aprosiana nell’ala orientale del quattrocentesco Convento agostiniano in cui era sorta che presto avrebbe avuta una storia diversificata dalla “Libraria”].  Scipione appunto ne custodiva le chiavi. Non vi maravigliate, disse al Navone, se polverosi ne vedete i volumi: passano talvolta sei mesi, che nessuno si cura di entrarvi; da ciò potete giudicare, se il desiderio di leggere, ci predomini.

Scipione fu quasi di sicuro il primo “Conservatore” laico della raccolta libraria dell’Aprosiana, ma, al tempo in cui disse quella frase, nella “Libraria Aprosiana” non era ancora confluita la biblioteca fratesca dei Minori Osservanti, il cui Convento era stato soppresso per erigervi il sabaudo e strategico Forte dell’Annunziata: il patrimonio librario fratesco non era infimo ma le cose più pregiate erano le antifonarie, cioè ben poco a fronte di quanto portato via tempo prima. Nulla poteva porre riparo ai danni patiti dall'”Aprosiana” in dipendenza dell’operazione di Napoleone nota come operazione Semino/Semini, che fu la prioriraria ragione per cui molti libri e quasi tutti i manoscritti vennero portati a Genova dove, anche se non venne realizzata la “Biblioteca Centrale” come nei progetti, senza più ritornare a Ventimiglia alla fine vennero accorpati al materiale della Biblioteca Universitaria ove tuttora si trovano.

Con le moderne trasformazioni (o se vogliamo con le moderne violenze apportate dalle guerre) l’antica “Biblioteca Aprosiana” venne smantellata e libri tanto antichi quanto preziosi, con altro materiale di gran valore, vennero in un primo momento accatastati – dopo il periodo di transizione tra l’Epoca Napoleonica e gli anni immediatamente posteriori alla Restaurazione – in un grigio corridoio presso la Chiesa di San Francesco nella città alta o medievale, sull’altura a levante del Roia: un bibliotecario nominato dal Municipio intemelio, tal Antonio Ferrari, tentò di redigere un inventario delle preziose opere, ma non potè del tutto impedire che, per la precaria sistemazione, vari volumi venissero manomessi o rubati.

Un passo lieve nel recupero di questa grande ricchezza culturale di Ventimiglia si fece molti anni dopo quando furono nominati bibliotecari prima il notaio G.B. Amalberti e quindi (1842) un altro notaio Antonio Laura, cui spetta il merito di aver fatto portare via i volumi da quell’angosciante sistemazione per farli collocare più dignitosamente in un areato locale prossimo alla stessa Chiesa di San Francesco.

Altri importanti contributi alla tutela dell’Aprosiana furono poi dati dal bibliotecario nominato nel 1857, canonico Andrea Rolando, che ne stese un abbozzo importante di catalogo (tuttora custodito nella biblioteca ed ornato del RITRATTO APROSIANO di cui fu verosimilmente autore lo stesso Rolando) ed ancor più dai successivi bibliotecari Callisto Amalberti e Girolamo Rossi che, tuttavia, dovettero dispiegare le loro prime energie per salvare materialmente i libri dopo che la Liguria ponentina era stata colpita dal devastante terremoto del 1887.

I volumi subirono quindi un ulteriore trasferimento e vennero, rinchiusi entro casse, deposti nei locali del Civico Teatro di Ventimiglia (ove attualmente – dopo una sistemazione posteriore con in atto un progetto di moderna ristrutturazione – si trova tuttora il Fondo Antico Aprosiano), in Via Garibaldi di Ventimiglia Alta: poi le casse dei libri furono sistemate in una grande camera della Scuola Tecnica del tempo destinata a divenire la Scuola Media “Cavour”.

Un mecenate inglese, Sir Thomas Hanbury preso da autentico amore per Ventimiglia e per le sue ricchezze culturali, mise però in seguito a disposizione una somma cospicua per realizzare, su progetto di un tal geometra Zanolli, una sede degna dell’Aprosiana: cosa che fu finalizzata con l’edificazione di un locale adeguato attiguo al Ginnasio cittadino, opera della cui memoria detta anche questa lapide già apposta nel 1900 ad inaugurazione della novella sede e poi custodita presso la Scuola media statale “C. Cavour” di Ventimiglia.

Contestualmente lo stesso Hanbury fornì all’Amalberti e al Rossi le risorse economiche necessarie per portare a compimento una moderna “catalogazione”: la nuova sede dell’Aprosiana fu inaugurata il 30 luglio 1901, mentre la catalogazione durò per tre anni ancora (alla fine ne rimase unico autore lo storico Girolamo Rossi il cui prezioso “catalogo” per oltre una settantina d’anni fu il solo punto di riferimento attendibile per “navigare” nel grande mare dei libri della biblioteca).

Al Rossi seguirono poi altri bibliotecari di prestigio, dai professori Nereo Cortellini e Luigi Palmero (che ebbe il gran merito di recuperare molti libri ritenuti persi) sino a
NICOLA ORENGO che, tra il 1931 e il 1933, diede grande impulso alla rinascita dell’Aprosiana “salvandola” da un ulteriore “infelice” trasferimento e recuperò tanti libri antichi ritenuti smarriti, aumentando il patrimonio librario sin a 9169 unità.

Avendo ottenuto dal Ministero della Pubblica Istruzione un contributo per, finalmente, aggiornare anche con libri moderni una biblioteca praticamente rimasta ferma alle acquisizioni del XVIII secolo. Infatti alla maniera aprosiana, per cui la conservazione della sede istituzionale della “Libraria” e la sua difesa contro varie possibili “violenze” sia naturali che purtroppo umane (a fronte della vasta documentazione sul collezionismo antiquario e sulla dispersione di varie raccolte già l’Aprosio aveva esperimentato quanto spostamenti, rifacimenti, morte dei fondatori e nuove scelte compreso l’accorpamento con altre strutture museali potesse esser nocivo alla sovravvivenza), l’irrinunciabile salvaguardia delle alchimie con cui fu realizzata nella costante interazione fra spazio esterno, spazio interno, libri, pinacoteca e materiale antiquario ed ancora il suo arricchimento per via di quel costante aggiornamento che Aprosio aveva segnalato come indispensabile per il fiorire della Biblioteca, Orengo scrisse emblematicamente: “La Biblioteca Aprosiana, se vuole sopravvivere e rimanere un motivo di attrazione per studiosi e turisti, deve ritornare alla sua primitiva sede di fondazione, nei locali dell’antico Convento Agostiniano. Così soltanto il vecchio fondo di Padre Angelico Aprosio potrebbe essere affiancato utilmente da una dipendente biblioteca moderna, con libri contemporanei, pubblicazioni e riviste di letteratura e di storia rispondenti alle esigenze intellettuali della Città, e in modo particolare degli studenti“.

Le postulazioni dell’Orengo furono recepite nel 1981 quando in occasione del tricentenario della morte di Angelico Aprosio si editò un volume ove nella presentazione, celere quanto dotta e documentata, il Sindaco (con il Consigliere incaricato alla Cultura) diedero notizia del trasferimento imminente del Fondo Antico dell’Aprosiana nella sede originaria presso l’ex Convento Agostiniano cosa che venne sottolineata in una nota di pagina 28 del citato volume dall’allora Bibliotecaria della “Libraria di Aprosio”. Un secondo volume, sponsorizzato dal Casinò di Sanremo, raccolse quindi le conferenze poi tenute sulla vita e opere di Aprosio tenute da studiosi di prestigio del Barocco = le due pubblicazioni raggiunsero molti centri di cultura in Italia, Europa e resto del mondo offrendo l’impressione, cosa che spesso viene chiesta a Cultura-Barocca, delle ragioni del mancato trasferimento = e per quanto concerne sedi universitarie prestigiose degli Stati Uniti d’America il fatto che relazionando a Providence su un unicum manoscritto concernente Gongora il celebre ispanista Mario Damonte tra altre notizie, e diffondendo alcune di queste pubblicazioni, diede rendiconto di un plausibile prossimo spostamento del Fondo Antico alla sede primigenia.

Logicamente molte cose sono mutate nel corso degli anni nonostante la progressione delle pubblicazioni intemelie su Aprosio e la cultura barocca che parimenti ottennero riscontro italiano ed europeo (vedi = “Italinemo, Riviste di Italianistica nel Mondo” – on line) ma è indubbio che la mancata notizia dell’avvenuto spostamento ha creato non poca confusione tra i ricercatori, alcuni lamentandosi per ragioni storico-culturali altri, ispirandosi a motivazioni meramente pratiche, per la superiore facilità di frequentazione della Biblioteca Aprosiana nella Sede Antica nella città bassa e moderna data la vicinanza alla staione ferroviaria e ad altri servizi.

All’Orengo, cui spetta anche il merito di aver lasciato una vera e propria cronistoria delle vicissitudini della “Libraria”, succedettero altri importanti e laboriosi bibliotecari come gli storici Filippo Rostan (anni 1933 – 1937) e Nicolò Peitavino che amministrò la biblioteca fino all’inizio del II conflitto mondiale.
Il suo successore Nino Lamboglia (emerito fondatore dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri di Bordighera) succedette al Peitavino salvando con vari espedienti da furti e scorribande, durante la II guerra mondiale, la biblioteca.

Essa fu poi sistemata nella ex sede del Liceo Classico intitolato a G. Rossi e poi, verso i primi anni ’50 del 1900, l’intera raccolta trovò la sede definitiva (coi volumi disposti in eleganti armadi lignei in stile proposti da E. Azaretti, illustre dialettologo) dove ora si trova – almeno per quanto riguarda la sua parte più preziosa cioè il “Fondo Antico” – , cioè nella ristrutturata e adattata sede del Civico Teatro (ove come detto era già stata custodita) in via Garibaldi nel sestiere Piazza della città alta o medievale di Ventimiglia.
Dopo le dimissioni del Lamboglia, impegnato soprattutto nelle sue ricerche archeologiche, si ebbero altri bibliotecari di prestigio come Natale Giraldi (fratello del filosofo e docente universitario Giovanni Giraldi), il prof. Giuseppe Laura ed ancora Francesco Biamonti, anni dopo destinato ad assurgere a propria spiccata gloria letteraria coi suoi romanzi di ambiente ligustico.

Sino al 1982 la Biblioteca Aprosiana fu quindi diretta dalla dott.ssa Serena Leone Vatta che, accogliendo l’invito dell’ex Soprintendenza Bibliografica di Genova, con l’ausilio di vari laureati e laureandi (Giuliana Bucci, Bruno Bergamini, Aldo Calmarini, Franca Guglielmi, Maria Teresa Marenco, Clotilde Masera, Renata Rebaudo, Giulio Rigotti) provvide alla schedatura scientifica manuale delle 7094 opere che individuò nell’inventariazione del fondo storico (i lavori si protrassero dal I-XII-1972 al 25-VII-1975).

Sotto la direzione della dott.ssa Leone Vatta si tennero quindi le celebrazioni aprosiane per il tricentenario della scomparsa del fondatore (1981) caratterizzate da tante inziative di cui si può avere solo una pallida idea dal Catalogo della Mostra (Miscellaneo, curato oltre che dalla bibliotecaria, per la parte iconografica da Erino Viola) e quindi dal volume AA.VV., Il Gran Secolo di Angelico Aprosio – Atti dellle Conversazioni Aprosiane: 29 agosto – 29 ottobre 1981 (curato oltre che dalla bibliotecaria anche dal giornalista Alberto Naso) = l’impressione era quella di grandi trasformazioni, tali da cancellare per sempre il degrado in merito alla “Libraria” nel XIX sec. e con desolazione segnalato da illustri visitatori come Bertolotti, Navone e Spotorno e di eventi oramai prossimi, sia sul lato strutturale che patrimoniale quanto scientifico, in grado di dare alla Biblioteca la meritata seicentesca nomea sì da dar l’ impressione che stesse contestualmente avverandosi il pronostico fausto di quel gran bibliotecario che fu Nicola Orengo
Fu un momento di spessore culturale con pubblicazioni, cicli di conferenze, mostre e manifestazioni importanti (in tale contesto è da menzionare l’aiuto di un moderno “estimatore” dell’Aprosiana il Sig. Erino Viola).

Dopo il pensionamento della dott.ssa Leone Vatta la Biblioteca, con delibera di giunta comunale su indicazione del delegato comunale alla cultura Gaspare Caramello, venne assegnata alla tutela, come consulente scientifico come si legge in documento ufficiale del 2004 – partendo dall’anno 1982 – del prof. Bartolomeo Durante, già attivo partecipe e conferenziere alle “Celebrazioni del 1981”, che si valse della proficua collaborazione dell’illustre ispanista Mario Damonte e della sua assistente dott. A.M. Mignone che stavano studiando l’importantissimo materiale in lingua spagnola dell’Aprosiana, fin a redigerne un sontuoso catalogo…

da Cultura-Barocca

Gocce di nostalgia = Ventimiglia, un liceo scientifico che doveva esser intitolato ad Einstein e che invece prese il nome di Angelico Aprosio

Grosso modo 50 anni fa (cinquanta e più anni fa!…che nostalgia…anche per la giovane età, essendo commissario interno, il Presidente di Commissione Giuseppe Bestagno alla riunione preliminare mi scambiò per un allievo in qualche modo intrufolatosi!), in un tiepido autunno del 1975, il Liceo Scientifico di Ventimiglia (IM), già semplice sezione staccata del grande Vieusseux di Imperia, divenuto autonomo, ottenne la sua attuale nominazione: già v’era il suo primo preside l’italianista Prof. Oreste Allavena, che mi fu insegnante al liceo classico Rossi di Ventimiglia, ed un segretario, il bravo e compianto poeta dialettale Giannino Orengo che assunse la carica amministrativa ufficiale avendo come collaboratore il buon Squizzato, che già v’era e che in un certo modo, anche per la costante disponibilità, era diventato “leggenda”.

La scuola non era nell’attuale prestigiosa sede, ma qui come sopra si vede e si intuisce in una foto di molti anni prima = stava, come si soleva dire, e non senza una casuale ironia, “sopra il Mercato dei Pesci” (al terminale occidentale dell’allora fiorente Mercato dei Fiori) che, in forza della logistica, occupava il piano terra. I locali della scuola, cui si accedeva da un portale non visibile nell’immagine proposta, ospitarono dapprima un’altra sezione staccata, quella dell'”Istituto per Ragionieri”, a sua volta sede staccata del Colombo di Sanremo, ma destinato, per il rapido incremento degli allievi, ad ottenere una sua vera e propria nuova sede al Centro Studi di Ventimiglia: contestualmente, man mano che la “Ragioneria” si staccava da questa sede per la nuova, i locali pervennero allo “scientifico” ancora anonimo: ricordo bene tutti, allievi e colleghi, compreso l’anziano preside Lonardi, uomo sofisticato e colto, dal modo di fare ottocentesco.

Ero giovanissimo quanto fortunato, dati anche i tempi, mai avendo conosciuto il vero e proprio precariato…ed avevo già un buon rapporto con l’ambiente: in quel giorno d’autunno del 1975 si doveva, ad opera del Collegio dei Docenti, decidere il nome da conferire alla nuova scuola di Ventimiglia…io, in verità, non avevo preferenze ma altri sì e, forse non a torto, si cercava un nome in relazione al corso di studi, quindi il nome di un “patrono laico, per così dire scientifico“. Sarebbe stato quasi naturale scegliere quello del grande astronomo Cassini, ma esistevano in zona già altre scuole prestigiose! Si sparse quindi la voce di conferire alla scuola la titolazione “Einstein” ed i più, tra i colleghi, erano concordi su ciò: anche per me andava benissimo intitolare l’Istituto al grande fisico e matematico tedesco!

Ma a quel giorno di decisioni da prendere faceva già da contraltare una piccola quanto curiosa “preistoria”!
Il Preside Allavena (cultore e studioso di storia locale oltre che, al tempo, acclarato e premiato studioso di Pirandello e Leopardi = si vedano le sue opere sul catalogo del Servizio Biblioteconomico Nazionale) giorni prima mi aveva convocato nel suo ufficio e mi aveva detto:”…ho visto che ti sei laureato a Genova con una tesi su Ventimiglia Romana, ma che hai anche dato esami con Franco Croce Bermondi, illustre studioso del Marino e di conseguenza del nostro ventimigliese Aprosio, che partecipò alla polemica Stigliani-Marino….”. Non seppi sul momento dove volesse andare a parare: era vero quanto da lui detto ma io mi ero laureato con una tesi su “Ventimiglia Romana”!. Obbiettai con siffatta considerazione e sul fatto che, seppur languidamente, frequentavo ancora il “Perfezionamento post laurea in Storia Romana“. La mia risposta era però caduta nel vuoto ed il Preside continuò con qualche considerazione su cui doveva aver riflettuto: “….Se hai studiato sui ‘Tre momenti del Barocco Italiano’ del Croce Bermondi, sul Marino e sullo Stigliani avrai per forza letto anche di Aprosio e della sua partecipazione alla disputa…e qualche cosa, se ti conosco, pur avrai approfondito“. Risposì di sì, aggiungendo comunque che Aprosio era descritto in maniera sostanzialmente negativa dal celebre docente universitario: qual stanco e petulante continuatore di una contesa letteraria in fondo ormai morta o quasi, un tardo-marinista-ortodosso senza grosse valenze e/o novità come scritto nel libro menzionato!
Non ti parlo per questo – aveva soggiunto il Preside – qua oramai quasi tutti hanno espresso l’intenzione di nominare, in occasione di uno dei punti del prossimo Collegio, ad Einstein la scuola, cosa rispettabilissima per carità, ci mancherebbe altro! Ma se invece, contro certe abitudini dell’oggi, valorizzassimo un nostro concittadino? E non per queste polemiche che hai menzionato ma per aver eretto qui a Ventimiglia una grande biblioteca! la prima pubblica in Liguria!“. L’affermazione mi colpì, anche se trovai ancora delle obiezioni da fare. “Sì certo….ma il Liceo è scientifico e in definitiva Aprosio era un letterato, coinvolto soprattutto in dispute letterarie“. La mia conoscenza era piuttosto ingessata entro gli studi fatti, in cui i molteplici interessi aprosiani erano in effetti repressi nel solo contesto letterario, anche per una globale trascuratezza del periodo barocco ed in particolare del suo operato.
Ma all’Aprosiana vi son anche parecchi libri scientifici, ed anche se non l’ho mai approfondita come avrei voluto so che, per esempio, Aprosio fu amico di Gian Domenico Cassini [N.d.R. = il cui primo maestro fu G. F. Aprosio di Vallecrosia e Rettore di Vallebona che lo portò a visitare la Biblioteca Aprosiana e le sue opere di astronomia-astrologia] e che lo raccomandò allo scienziato genovese Baliano o Baliani ponendo le basi per un’ascesa incredibile. Credo che con qualche indagine potresti trovare altri collegamenti, interessi aprosiani con scienza, matematica, opere naturalistiche ecc. ecc. e tutto questo sarebbe assai giovevole per l’intitolazione a tal promotore culturale d’una scuola, sia ad indirizzo umanistico che letterario“.
Non avevo potuto trovare altre contraddizioni a questa ultima affermazione del Preside, la cui competenza sul tema mi prese come suol dirsi “in contropiede”, ed alla fine, senza ritrosie od ipocrisia di facciata, ma apertamente lusingato della fiducia ripostami, avevo accettato l’incarico non senza raccogliere con attenzione il suo ultimo avvertimento “….Fammi un favore, una relazione sui molteplici interessi, anche scientifici dell’Aprosio….stendi quanto potrai e saprai fare entro un rendiconto abbastanza vasto, con le dovute note bibliografiche: magari riusciamo a far conferire il suo nome alla scuola!“.
Le motivazioni, connesse all’originalità e in qualche maniera all'”amor cittadino”, mi erano parse, benché genovese trapiantato a Ventimiglia, inoppugnabili e in qualche modo lodevoli!
Le documentazioni non me le procurai all’Aprosiana, che colpevolmente all’epoca conoscevo ben poco, ma a Genova in un contesto di relazioni culturali, maturate sia alla Biblioteca universitaria che nei diversi Istituti Universitari in cui meglio ero conosciuto. Integrai quanto sapevo in forza, e qui non posso far a meno di menzionare quella grande studiosa di biblioteconomia oltre che di storia romana, che fu la mia ex docente Angela Franca Bellezza, poi destinata a primeggiare nel contesto delle celebrazioni per il trecentenario della morte di Aprosio del 1981 [si veda dal volume citato – di cui qui è l’indice degli autori e dei saggi – l’integrale digitalizzazione del suo contributo = Angela Franca Bellezza, Fra classici greci e latini al tempo dell’Aprosio: il contributo della tipografia]: fu grazie a lei che appresi come Aprosio, grafomane certo, ma anche promotore culturale, ebbe contatti con uomini di ogni formazione culturale, sia letterati che collezionisti e, ancora, con esponenti sia della Scienza Aristotelica che della Scienza Nuova al punto di raggogliere gli scritti dei suoi poliedrici corrispondenti nell’epoca napoleonica con l’operazione Prospero Semino/-i portati da Ventimiglia a Genova nel progetto di un’istituenda Biblioteca centrale Ligure e, quindi, con la Restaurazione andati a costituire l’immenso Fondo Aprosio nella Biblioteca Universitaria di Genova. Allora non sapevo che da lì sarebbe sorta la mia “deviazione culturale” dalla Storia di Roma e da Albintimilium – che pure non dimenticai e su cui scrissi variamente- per specializzarmi nel contesto della Cultura del ‘600 giungendo a editare una serie di interventi sugli interessi scientifici aprosiani, senza escludere un’edizione critica delle Lettere del Redi.

Con l’aiuto di varie persone, che qui sarebbe lungo nominare, realizzai quanto richiestomi, persino con un certo anticipo e la relazione, che il Preside – dandomi un attestato di stima notevole – neppure volle supervisionare, fu letta tra l’apprezzamento generale e, riconosciutane la novità, fa avallata all’unanimità del Collegio, facendo sì che da allora l’anonimo Liceo Scientifico di Ventimiglia prendesse il nome attuale di “Liceo Scientifico Angelico Aprosio”.

Fui orgoglioso di quel piccolo successo, ignorando ancora l’input che mi avrebbe dato sul tema. Inaugurai le celebrazioni aprosiane del 1981, quindi fin a tempi recentissimi – con Delibera di Giunta sotto l’amministrazione Lorenzi essendo delegato alla Cultura l’appassionato e colto Gaspare Caramello, fui nominato “consulente scientifico della Biblioteca Aprosiana”, attività non priva di grandi soddisfazioni ed il cui apice – forse – si raggiunse, come qui si legge in lettera ufficiale di complimentazioni, con l’assegnazione alla stessa del prestigioso premio “Anthia” in forza dell’impegno culturale e delle pubblicazioni snodantesi tra i “Quaderni dell’Aprosiana” Vecchia e Nuova Serie per giungere alla nominazione di “Aprosiana” censita da “Italinemo-Riviste di Italianistica nel Mondo” tra le principali riviste scientifiche sul barocco. Nel contesto di queste operazioni culturali non si possono certo sottacere le scoperte dell’amico ispanista Mario Damonte (che individuò all’Aprosiana una variante delle Obras di Gongora) e di Anna Maria Mignone che scoprì un inedito del poeta iberico Juan Pablo Rizzo… dopo le sontuose celebrazioni del 2007 per il quattrocentenario della nascita di Aprosio cui variamente partecipai – contestualmente al pensionamento – lasciai l’incarico di Consulenza Scientifica…

Eppure, alla luce delle acquisizioni oggi assimilate,  riguardo della nominazione del Liceo Scientifico di Ventimiglia oggi, forse, non farei la stessa cosa: Aprosio ha già parecchie titolature in loco, a prescindere dalla Biblioteca a lui giustamente intitolata: alla luce di altre assimilazioni, per colmare un vuoto, caldeggerei un’altra nominazione, quella del parimenti grande II Bibliotecario dell’Aprosiana, quel discepolo di Aprosio, Domenico Antonio Gandolfo “il Concionator” e grandissimo sillogista di autori agostiniani, purtroppo poco e mal studiato, anche da Girolamo Rossi che pure deteneva documenti rilevanti sul personaggio; Gandolfo, che, pur nell’ammirazione per il Maestro, ne differì in quanto a postazione culturale, di modo che, pur mai trascurando l’operosità aprosiana e le relazioni sia con letterati che scienziati fu decisamente più interessato di Aprosio, a riguardo della Biblioteca Pubblica, quale un polo di attrazione e concentrazione degli autori locali verso cui, come si vedrà in altri interventi e tutto ciò anche in dipendenza di una distinta formazione culturale connessa in particolare ai rapporti del II Bibliotecario con le scuole di Maurini, Trappisti, Mechitaristi.

Qualcun altro provvederà…io fui e son soddisfatto di quanto fatto: una piccola traccia del mio passaggio è rimasta…erano altri tempi e, nonostante la possibilità di rimanere al Liceo di cui qualche nostalgia mi ha accompagnato nella vita, scelsi dall’anno dopo la solida cattedra di Italiano e Storia presso l’allora ben più grande in totale espansione -rispetto ai Licei e contro l’attuale tendenza panitaliana- date anche le congiunture epocali, Istituto per Ragionieri “Enrico Fermi” (in seguito rinunciando – dopo l’imposizione del Provveditorato e grazie all’ausilio del mai dimenticato Preside del Fermi Prof. Vinicio Maccario – con estremo stupore del buon preside del Classico Prof. Cormagi -in tempi di carenza di docenti vincitori qual ero di concorso ministeriale romano abilitati anche in greco- di passare al suo istituto attesa la carenza all’epoca di titolari di italiano, latino e greco) ove nel 2006 si è conclusa la mia sostanzialmente felice e fortunata attività di docente nei trienni superiori..

di Bartolomeo Durante in Cultura-Barocca

Una Biblioteca del tutto

Astuto fruitore di biblioteche il Gandolfo era ben consapevole dell’importanza che, per l’arricchimento o il semplice aggiornamento di una buona “Libraria“, avevano i munifici sostenitori, gli amici colti e lusingati dalla possibilità di far eternare nelle sue “scanzie”, scaffali od armadi, i loro libri o i tomi che parlassero di loro od almeno li ricordassero, come benefici donatori, oltre il tempo concesso dalla vita.
In questo procedimento Aprosio fu maestro e Gandolfo buon scolaro. Entrambi giocarono sull’ansia d’eterno sofferta dai dotti del tempo: la loro Biblioteca stava diventando realmente la “Biblioteca del tutto“, in cui scritti e ricordi, menzioni ed elogi, cosucce e cosacce venivano riscattate dall’impietoso oblio del tempo che passa e cancella. E i saggi, le opere, gli appunti continuarono a pervenire all’Aprosiana: l’affluente di cultura libresca escogitato dall’Aprosio non cessò quindi di funzionare a pieno regime.
Ma il Gandolfo si preoccupò, con efficienza, anche d’altro; aveva gustato spazi intellettuali molto vasti e, pur senza certe insofferenze manifestate dall’Aprosio, anche lui soffriva il provincialismo della sua nuova sistemazione.
Cercò o meglio tentò un nuovo respiro culturale nelle pubblicazioni e finalmente editò a Genova, nel 1682, presso la stamperia del Franchelli i suoi “Fiori poetici dell’eremo agostiniano“.
L’operetta (249 pagine) risultò una scelta antologica di prodotti poetici di agostiniani ma, seppur in modo gregario, si qualificava pure come esercizio elementare di ermeneutica e di indagine critica; alienato da sé il logorroico e a volte vigoroso disordine aprosiano, il Gandolfo dispose organicamente il materiale poetico e lo fece precedere da un’esaustiva documentazione bio-bibliografica sui singoli autori: in particolare la bibliografia sull’Aprosio (pp. 221-49) è sicuramente la silloge secentesca più documentata e ragionata di quanti scrissero e dei motivi per i quali scrissero sul predecessore.
Nella rassegna antologica trova posto anche il Gandolfo stesso che, al pari dell’Aprosio e come poi il terzo bibliotecario Giacomo Antonio De Lorenzi, ebbe il vezzo di comporre versi e, per un certo periodo, l’ambizione del poeta; la vena pare scarsa, prevalenti le tematiche religiose ed encomiastiche, già obsoleta la strutturazione linguistica e la strumentazione retorica: ben presto, abbandonata questa prospettiva di lavoro, il Gandolfo scelse la via, a lui più congeniale, dell’indagine erudita, cui già in fondo si era accostato coi Fiori Poetici. Della sua produzione lirica comunque restano 21 madrigali, 10 sonetti, 4 sonetti acrostici, 1 ode acrostica, 2 anagrammi puri, 1 anagramma con licenza: fra tanto la cosa migliore è forse il sonetto dall’incipit “Di riso no, di pianto vi coprite” cui, fuori delle tematiche religiose e della presunta potenzialità catartica, si riconosce una mesta visione della caducità delle cose.
E’ importante a questo punto esaminare l’atteggiamento del frate verso Ventimiglia (IM), città onusta di antichità ma all’epoca bruttina, provinciale ed isolata, certamente scomoda per il “grande giro culturale” e forse anche calunniata oltre i “demeriti” e la non facile collocazione geo-politica.
Aprosio come detto vi si adattò, con qualche malcelata indolenza e tanti confessati rimpianti per Venezia, soprattutto quando vi riuscì, con successo e soddisfazione, a sistemare quella sua Biblioteca che, viste certe precarie contingenze, avrebbe anche potuto veder disperdere.
Pure Gandolfo provò dapprima l’angoscia dell’isolamento intellettuale ma presto, senza acredine e nostalgie, seppe guardare oltre la frontiera artificiale della “Libraria” e riconoscere quei fermenti culturali che stavano maturando, specialmente ma non solo all’ombra dell’Aprosiana stessa.
E seppe ma soprattutto volle, messo da parte l’eroico ma fazioso autoisolamento del dotto aristocraticamenre pomposo, accettare e coltivare le potenzialità culturali di Ventimiglia: in particolare si sforzò nel tentativo di agganciarle ai moti intellettuali ed eruditi che si stavano manifestando in Italia. Per questo, pur continuando ad alimentare il colloquio con i vari Bacchini, Magliabechi, Cartari e pur intrattenendo cordialissimi contatti con diverse importanti Accademie, il frate si obbligò con crescente impegno a concentrare in un unicum le non organizzate forze di diversi letterati ventimigliesi.
Entrando nei dettagli si possono qui addirittura elencare alcune di siffatte, poliedriche, iniziative promozionali del nuovo ed ambizioso bibliotecario intemelio.
A riguardo dell’Aprosiana, nei “Fiori Poetici“, a p. 192, Gandolfo stesso si riconobbe, scrivendo in terza persona, le seguenti operazioni: ” …l’ha adornata nelle scanzie e nela tavola di mezzo e l’ha accresciuta di molti libri, in particolare di più di 50… ” (ma questo lo scriveva nel 1682 e vi sarebbe ufficialmente rimasto come bibliotecario ancora per diversi anni, con l’assimilazione quindi di parecchi altri volumi freschi di stampa od anche di notevole rarità).
Il rammentare qui siffatta autocitazione non vuol per nulla alimentare l’idea che i suoi meriti siano stati disconosciuti dai concittadini e in particolare dagli eruditi locali: basti qui ricordare Gio. Paolo Fenoglio che, in relazione al valore del Gandolfo, scrisse (“Elogium epitalamicum in nuptiis…”, Niciae, Romeri, 1687, p. 16) “Insignis illa Bibliotheca Aprosiana nunc a perspicacissimo Gandolfo illustrata, tot voluminibus referta ut saeculorum opus videatur et iure merito litterarum Oceanus ac mirandum Minervae Theatrum possit appellari “.

Per quanto invece concerneva la sua ferrea volontà di non perdere i contatti con gli antichi corrispondenti dell’Aprosio fa particolare fede, fra altri segnali e testimoni culturali, una lettera dell’erudito G. B. Pacichelli (già in contatto epistolare con l’Aprosio: cfr. MS. E. VI. 9 in B. U. G.; 3 lettere a. 1678-79) che scrisse al Gandolfo da Napoli (1/VIII/I687): ” Non si può che magnificar dencomi la penna ed il genio suo i quali sembran di far risorgere su le carte gli spiriti del P. Maestro Angelico Aprosio di lei compatriota (come fu anche registrato dallo stesso Gandolfo nella sua “Dissertatio historica de ducentis celeberrimis augustinianis scriptoribus…”, Romae, typis Buagni, 1704, p. 394) “.
Gandolfo dovette però superare qualche propria titubanza e le altrui diffidenze iniziali per riannodare alcuni vecchi contatti dell’Aprosio: le lettere di G. F. Ruota (Roma, 17/V/1687) e di Carlo Cartari (Roma, 24/IV|I689) pubblicate dal nuovo bibliotecario in una sua opera di varia erudizione (“Dispaccio Istorico, curioso et erudito“, Mondovì, per il Veglia, 1695 p. 110 e 102-105) sono per l’appunto la prova estrema di un lavoro anche asfissiante di persuasione e di valorizzazione, sì che che i dotti lontani non pensassero che, dopo la scomparsa del fondatore, l’Aprosiana avesse iniziato un lento degrado o non avesse invece – cosa di cui molto spesso si convincevano dopo pochi contatti epistolari – un nuovo “custode” all’altezza delle molteplici esigenze culturali dell’istituzione e del suo continuo bisogno di aggiornamento [per un riscontro dei corrispondenti dell’Aprosio divenuti in seguito fruttuosi interlocutori del Gandolfo costituisce tuttora una fondamentale base di ricerca il lavoro di Antonia Ida Fontana, “Epistolario e indice dei corrispondenti del padre Angelico Aprosio” in ” Accademie e Biblioteche d’Italia “, anno XLII (I974), n. 45].
Invece, a proposito delle relazioni erudite e culturali che il Gandolfo prese ad alimentare con crescente passione in una Ventimiglia, di cui aveva già segnalato, ma non con siffatti approfondimenti, un risveglio culturale editando “Il Beneficato beneficante, ombreggiato nella città di Ventimiglia” (Genova, per il Franchelli, 1683, p. 25), bisogna anche menzionare la concomitanza di precise e favorevoli contingenze intellettuali.
A prescindere del potenziamento dell’Aprosiana (ormai patrocinato direttamente dallo stesso Ordine agostiniano), la più importante di tali promozioni culturali fu realizzata col contributo della ” Signora Devota Maria Orengo ” che nel 1686 lasciò una cospicua somma per l’allestimento di un centro di studio e l’istituzione di cattedre ” di Grammatica e belle lettere “. L’iniziativa, la sua realizzazione e, naturalmente, la donatrice furono celebrate da un intimo del Gandolfo, il poeta nizzardo ma residente a Mentone Giovanni Francesco Martini, nell’ode “Studia literarum excitata“, Nizza, per il Romero, I686: la notazione non è priva di valore culturale, il fatto che un erudito non ventimigliese sia intervenuto a celebrare la benefattrice è un’altra prova dei vivaci contatti di letterati di altre città e ambienti culturali, non solo del genovesato, con la temperie intellettuale esorcizzata in Ventimiglia dal fiorire di iniziative di contorno a quelle, importantissime, alimentate presso la Biblioteca istituita dall’Aprosio.
Un contributo fondamentale alla conoscenza della cultura ligure occidentale coeva (e contestualmente alle sue interazioni con i fermenti culturali del basso Piemonte, delle Alpi Marittime e soprattutto del territorio compreso tra Nizza e Monaco-Mentone), il Gandolfo lo ha lasciato manoscritto, annotando e correggendo in diversi punti una copia dell’Oldoini ora conservata all’Aprosiana con questa segnatura: “OLDOINUS AUGUSTINUS, Atenaeum ligusticum, Perusiae, Ex typographia episcopali”, I680, 8° (cm. 20,5), pp. [2], 20, 623, [4], inv. 2130, coll. I, 4, 20, 4, 20 “.
La silloge sugli scrittori liguri riporta sul frontespizio lautografo: “Ad usum fratris Dominici Antonii Gandulphi Augustiniani Vintimiliensis qui emit Romae 1698… Iuliis sex : molte valutazioni del testo a stampa sono modificate spesso con la citazione ” error… (correzione) … sic Dominicus Gandulphus ” (vedi la chiosa di p. 85).
In tutto si tratta di 27 osservazioni di diverso spazio e valore nel testo, 30 correzioni nell”Index Patriae” (p. 571-623): in fine dell’opera si individuano quattro pagine manoscritte, ognuna resecata su due colonne: p. A, B. C, D, E, F. G.
La p. A intitolata “Scriptores Ligures Augustiniani” registra 34 correzioni cui seguono 8 in p. B con indicazione della pagina del testo dell’Oldoini in cui sono trattati i personaggi che riguardano siffatte correzioni e dove peraltro il Gandolfo con segno critico od opportuno lemma ha già provveduto a segnalare la svista bio-bibliografica.
Ancora nella p. B si legge poi l’intestazione ” Deficiunt in hoc Athenaeo sequentes ” cui seguono notazioni biobibliografiche, del tutto simili a quelle usate dallo stesso Oldoini, di 23 scrittori liguri individuati dal Gandolfo ma ignoti all’autore della silloge (si tratta naturalmente di un notevole campo di indagine, anche molto settoriale, al cui studio si devono qui necessariamente rimandare gli specialisti, volta per volta, interessati).

Il Gandolfo ebbe forse da sempre l’abitudine di registrare quei letterati liguri, agostiniani e non, di cui avesse conoscenza e che non fossero trattati o fossero trattati erroneamente nelle sillogi di Soprani, Giustiniani e Oldoini. Anche in dipendenza di questa consuetudine maturò la volontà di redigere repertori organici (per tematiche, sezioni, ordini ecc.) e, con molta probabilità, il disegno di un catalogo esaustivo sugli scrittori liguri.
Oltre a svariate comunicazioni, nei “Fiori Poetici” ( pp. 46-61 e pp. 221-249) ne “Il Dispaccio Istorico, curioso et erudito…”, Mondovì, Veglia, 1695, (pp. 122-133) pubblicò molto materiale inedito dell’Aprosio, sull’Aprosio e su vari letterati liguri che fiorirono poco prima di lui o sulla sua scia crebbero in fama e dignità letteraria.
Nell’opera seriore, ancora di carattere erudito ma organizzata con una specificità ed una scientificità ignota ai precedenti suoi lavori, la “Dissertatio historica de ducentis celeberrimis augustinianis sciptoribus…”, Romae, typis Buagni, 1704 a p. 396 compare quindi la precisazione di voler trattare due letterati liguri dimenticati o mal curati nei cataloghi dellepoca: Ludovico Spinola e il matematico ventimigliese Ambrogio Galleani.
Seguono poi (“Oldoini corretto”, p. 397-98) due saggi estratti da un manoscritto del Gandolfo già annunciato di imminente pubblicazione (“Ibidem”, p. 395): “Li splendori liguri svelati dalla penna del P. Fra Domenico Antonio Gandolfo… “(il sottotitolo, impressionantemente lungo, riporta i 12 capitoli in cui lopera avrebbe dovuto essere divisa, per trattare gli aspetti storico-culturali più significativi della Liguria).
Il Rossi (“Storia della città di Ventimiglia” ,cit., p. 228) considera l’opera rimasta inedita e poi persa; il Perini (“Bibliographia Augustiniana – cum notis biographicis – scriptores itali”, Firenze, 1931, II, pp. 94-95) la giudica conservata manoscritta allAprosiana: l’inedito non si trova ora in questa biblioteca e nemmeno presso l’Universitaria di Genova dove potrebbe essere affluito dopo l’operazione tardosettecentesca del Semini che trasportò a Genova, in previsione di un’istituenda biblioteca nazionale, molto materiale dell’Aprosiana (S. LEONE VATTA, “L’intellettuale Angelico e la sua biblioteca” in “L’Aprosiana di Ventimiglia, una biblioteca pubblica del Seicento“, a cura di S. Leone-Vatta, Ventimiglia, Civica Biblioteca Aprosiana, 1681, p. 22).
Nel parmense “Giornale de’ letterati” del 1686 (pp. 149-50) si avvisarono i lettori della pubblicazione di un’altra opera di argomento ligure del Gandolfo: “II valore splendido e generoso palesato nell’insigne Capitano e Eroe del nostro secolo Gio. Francesco Serra + 4 ” lettere curiose e erudite”. Tale opera, giudicata persa dal Rossi, si conserva nella genovese raccolta Durazzo in qualità di manoscritto (A.III.I2) non autografo ma fittamente corretto dall’autore (c. V + 94, mm. 217 X 146): cfr. D. PUNCUH, “I manoscritti della raccolta Durazzo“, Genova, Sagep, 1979, pp. 100- 101, n. 31.
Il titolo, per esteso, è (c. 2 recto): “Al valore splendido e generoso pubblicato nell’insigne capitano del nostro secolo Gio. Francesco Serra, marchese dell Almandreletto e di Strevi, signore dello stato di Cassano, Civita, Francavilla, Orria, gentilhuomo della camera del Re Cattolico, del suo consiglio segretario, mastro di campo generale e governatore dell armi dello stato di Milano e Catalogna, di fra Domenico Antonio Gandolfo di Ventimiglia, agostiniano, graduato in teologia, predicatore generale e priore pour la seconda volta del suo monastero e questo con la scorta della vita ms. del suddetto marchese che si conserva nella Biblioteca Aprosiana e d’altri celebri storici del nostro secolo, all’illustrissimi et eccellentissimi signori Marchesi Giuseppe e Francesco, dignissimi figli dello stesso” (acquistato però e quindi portato via dall’Aprosiana da Giacomo Filippo Durazzo nel 1801 per una lira genovese: Archivio Durazzo, conto n. 95 del 30/XII/I801).
L’incipit detta: “Nell’emporio de Liguri, dico nella città di Genova… “: parte dell’opera fu però pubblicata dal Gandolfo nella lettera VI del “Dispaccio” dal titolo: “Il valore splendido e generoso palesato dall’insigne Eroe e Capitano del nostro secolo Gio. Francesco Serra Marchese dell’Almandraletto e di Strevi ecc., Maestro di Campo generale e Governatore dell’Armi dello Stato di Milano e Catalogna all’Illustrissimo Signore e Patron mio Colendissimo il Sig. Conte D. Filippo Serra dignissimo nipote dello stesso“.
L’incipit è: “Essendomi riportato a riverire l’Illustrissima Signora Giovanna Spinola… “; ma a p. 42 (linea 12) leggesi in capoverso: “Nell’Emporio de Liguri, dico nella città di Genova… ” e di seguito sino a linea 3 di p. 48; poi alle linee 4-5, si trova scritto: “E tralasciando il resto, che mi riservo a miglior congiontura esponere assieme… ” (Genova 15/IX/1694).
Le quattro lettere annunciate dal Bacchini corrispondono poi ad altrettante tematiche pubblicate, sotto forma di epistole progressivamente numerate, nel Dispaccio (“notizie su Ventimiglia“, = lettera II; “commento su un sonetto enigmatico” = lettera XV; “scritti sul Magliabechi” = lettera VIII (in qualche modo continuata nella XXII); “ alcuni splendori dell’ordine agostiniano ” = lettera XXIV).
Da questi ed altri testimoni è facile ricostruire come il Gandolfo abbia raccolto, per tutta la sua vita intellettuale, materiale polivalente sulla civiltà e cultura ligure, soprattutto ponentina.

da Cultura-Barocca

Ventimiglia (IM): dalla Cappella di San Simeone alla Chiesa – e Convento – di Sant’Agostino

Il CONVENTO DI S. AGOSTINO DI VENTIMIGLIA (IM)
sorse fuori cinta muraria medievale, non lungi dal piccolo insediamento della BASTITA
su un’area che fu sede della cappella campestre di S. Simeone.

Per leggere ancora più compiutamente la realizzazione di questo complesso religioso vale la pena di leggere quanto con competenza scritto da M. Viale del Lucchese in questo suo lavoro che, per quanto datato del 1958, conserva una sua notevole valenza per chiarezza e compiutezza:
“Un’umile cappella, intitolata a S. Simeone, erigentesi nella regione detta Bastia, dove poi s’innalzerà la Chiesa della Consolazione, fu beneficata nel 1349 da Babilano del fu Ugone Curlo, di nobile casato ventimigliese (doc. in Archivio di Stato di Genova, Notaio Benedetto Visconti, 1349 = N.D.R.: la casta dei Curlo non fu aliena da cessioni e donativi ad ordini monastici, anche per motivazioni geopolitiche come nel caso di Airole), e come si può leggere nel legato che il nobile Babilano Curlo, fece al fratello fra’ Nicolò, dell’Ordine degli Eremitani di S. Agostino, il testatore espresse il desiderio che si edificasse un Convento di questo Ordine, in Ventimiglia (doc. in Archivio di Stato di Genova, Notaio Benedetto Visconti, 1349). Il progetto venne attuato un secolo e mezzo dopo, quando nel 1487, il Vicario generale dell’Ordine G. B. Poggio di Genova, ottenne dall’allora Vescovo di Ventimiglia, Alessandro di Campo Fregoso, in concessione la suddetta Chiesa di S. Simeone. Nell’opera La Biblioteca Aprosiana che il padre Angelico Aprosio pubblicò a Bologna nel 1673, sotto lo pseudonimo di Cornelio Aspasio Antivigilmi, sono riportati due interessantissimi documenti, riguardanti appunto la fondazione del convento, documenti, che, per servirsi delle stesse parole dell’Aprosio, pare non tempo perduto almeno nelle parti fondamentali riassumere [grazie alle moderne tecnologie sono qui proposti integralmente dal testo antiquario aprosiano e le voci evidenziate in rosso sono attive e multimediali].
Nel primo, che però è cronologicamente posteriore al secondo, il Papa Innocenzo VIII al Vicario generale [ N.D.R. = carica nel ‘600 ricoperta anche da A. Aprosio ed in un periodo di estrema tensione quello della soppressione dei piccoli conventi senza risorse economiche ] dei F.F. dell’Ordine degli Eremitani di S.Agostino, il quale aveva ottenuto in donazione, da Alessandro di Campo Fregoso, Vescovo di Ventimiglia e dai Canonici della cattedrale [N.D.R. = da pag. 42, metà del testo di Aprosio: con collegamenti anche a fondo pagine digitalizzate], Ecclesiam campestrem extra muros Vintimilienses, ad mensam Episcopalem Vintimiliensem pertinentem [N.D.R. = riga IX dall’alto di pagina 248]…concede licentiam di costruire sulla detta Chiesa di S. Simeone e vicina ad essa un monastero, cioè una casa abitabile da detti frati dell’ordine Agostiniano, con la Chiesa, il campanile, le campane, il capitolo, il dormitorio, il refettorio, i giardini et aliis officinis necessariis [N.D.R. = periodo evidenziato dal profilo multimediale con linea rossa attiva: riga VI di pagina 48: tra le “altre strutture” genericamente nominate da Aprosio meritano paricolari considerazioni i destini del “Giardino Monastico entro il Chiostro” e del “Cimitero dei Frati]; concede altresì ai detti frati di stabilirvisi e di reggerla con un priore o con un altro superiore, secondo la loro Regola. Questa licentia reca la data del 22 Novembre 1487, anno quarto del Pontificato di Innocenzo VIII ed è firmato dal dal Cancelliere Girolamo Balbano.
Il secondo documento pubblicato dall’Aprosio è l’atto con il quale il Vescovo Alessandro di Campo Fregoso, comunica ‘…universis et singulis Christi fidelibus utriusque sexus, per Civitatem et Diocesim Vintimiliensem constitutis, omnibus aliis‘ [N.D.R. = XI riga dal basso di pagina 249: approfondisci qui alcuni elementi basilari della Diocesi di Ventimiglia] di aver posto pregatone dal padre G. B. Poggio e da altri frati dello stesso Ordine, alla presenza del Notaio, del Cancelliere, di alcuni Canonici e dei sottoscritti Testimoni, la prima pietra [N.D.R. = marchiata con un “salutifero” segno cruciforme (pag. 48, XV riga dall’alto)] della Chiesa e del Monastero che si sarebbe edificata ‘…sub vocabulo B. Mariae de Consolatione…‘. In tale atto viene rivolta esortazione affinchè siano devolute alla costruzione e manutenzione di detta ChiesaPias elemosinas, e si aggiunge che a coloro i quali avessero compiuto tali opere di bene ed avessero visitato la Chiesa in determinati periodi dell’anno, sarebbero stati concessi toties quoties coeperint quaranta giorni di indulgenza.
Il documento, redatto nel luogo stesso dove si cominciava a costruire la Chiesa, reca la data di sabato I settembre 1487, anno terzo del pontificato di Innocenzo VIII e porta in calce i nomi dei testimoni, G. B. Di Campo Fregoso, Francesco di Campo Fregoso, Capitano di Ventimiglia, il Nobile Lazzaro Cipolla di albenga…, nonchè quelli del pubblico Notaio e del Cancelliere Vescovile. Ben presto in quella zona acquitrinosa, ricoperta da fitti intrichi di canneti ed erbe lacustri, spesso inondata dalle non arginate acque del Roja, sorse così una tranquilla oasi di preghiera e di studio “.
La struttura conventuale divenne famosa nel ‘600 quando Aprosio, erudito e bibliofilo del ‘600, vi sistemò la sua ricchissima Biblioteca [tuttora, seppur in altra sede, a Ventimiglia alta, Biblioteca di grande prestigio, ricca di libri anche rarissimi se non unici] nell’ALA EST del “chiostro”, dando poi nella sua Biblioteca Aprosiana edita (pp.50-58) questa preziosa descrizione (donde si son tolte le lunghe digressioni bibliografiche ma che dal collegamento si recupera con tutti i riferimenti informatici recuperati) dell’edificio:”…E per dire qualche cosa intorno ad essa Chiesa e Monastero sono situati in maniera che la prospettiva loro risguarda il mezzogiorno. La lunghezza della muraglia arriva a CCXXV palmi, LXVI de’ quali sono della Chiesa situata dalla parte Occidentale: sicome dall’opposta da non molti anni in qua si vede edificata la Libraria, che unita a quella tramezzata dal Chiostro, per dritta linea, porge bellissima prospettiva a gli occhi de’ veditori o passino per terra o per mare: la spiaggia del quale non sarà più lontana, per istrada diritta, di quanto potrà arrivare di volata un tiro di moschetto. inanzi ad esso Convento e Chiesa è una bellissima piazza, che può esser di larghezza l palmi, avendo a canto la strada Romana che è XXXIII che la fa apparire con questa giunta assai maggiore”.
[oltre la strada romana esistevano altre possessioni agricole del monastero affittate a coloni locali].
Sempre a meridione della via erano altri edifici, di cui non è facile ricostruire l’esatta funzione, anche se vi doveva stare una torre o casa torre a guardia del complesso demico e di cui tuttora si vedono le tracce superstite inglobate in un sistema di abitazioni
Nella carta vinzoniana si vede pure disegnato l’importante tratto stradale, tuttora esistente, di via sottoconvento che permetteva ai religiosi di accedere sin all’agro nervino passando parallelamente all’antica via delle asse: strade tradizionali della Liguria medievale ed agricola che concedevano di accedere alla prebenda episcopale di Nervia dove il Capitolo della Cattedrale aveva importanti possessi ed in cui anche gli Agostiniani godevano di particolari previlegi: naturalmente la via di sottoconvente come la via delle Asse servivano soprattutto ai lavoratori agricoli che dalla città si recavano per i lavori dei campi nella vasta area nervina].
La Chiesa [continua Aprosio nella sua DESCRIZIONE LETTERARIA] è di lunghezza P.CXLIV di cima in fondo de’ quali XXVIII sono del Coro e XXXVI del Presbiterio. La larghezza di tutto’l corpo è P.LXIX li quali s’hanno a compartire con le ali e’l sito, che si occupa da pilastri, sarà p.3 e due terzi, di maniera che datine XXIX e mezzo al corpo sarà il rimanente delle ali: la longhezza delle quali è di P.CI. Sono in esse cinque Cappelle per ciascuna, una delle quali si vede in capo, e le altre sono situate incontro gli archi de’ pilastri, essendo nell’altar maggiore il ciborio del Santissimo Sacramento. Essendo li quadri, eccettuati tre che son moderni, sopra tavole m’indurrei a farne menzione su fussero di [autori illustri: ma trattandosi del contrario, dopo una dissertazione sui grandi pittori del tempo antico e moderno, il frate erudito tralascia d’indicare il contenuto e gli autori delle “tavole”, riprendendo presto le riflessioni architettoniche sul monastero:]…Nell’uscirsi dal Coro s’entra nel Campanile guernito di quattro campane si come dall’altra parte ci è la sagrestia.
Dal campanile [continua Aprosio nella sua DESCRIZIONE LETTERARIA DEL CONVENTO AGOSTINIANO DI VENTIMIGLIA] si passa nel CHIOSTRO di forma quadrata sopra XXIIX pilastri lungo per ciascuna parte P.LXVI che in tutto sono palmi CCLXIV [Si poteva accedere dalla Chiesa anche al LATO OCCIDENTALE (praticamente distrutto dai bombardamenti della II guerra mondiale e faticosamente restaurato subito dopo).
Le COLONNE e/o PILASTRI
del Chiostro racchiudevano il Giardino dei frati (qui in una ricostruzione grafica) ( verosimilmente secondo un’usanza monastica consueta un Giardino dei Semplici = di cui, da altra struttura conventuale, si riporta qui una stampa antiquaria con didascalie multimediali) entro cui stava una fontana (di un pozzo come ha scritto Sergio Pallanca si son recentemente individuate le tracce = spazio poi fatto occupare assai discutibilmente -da un parroco comunque per vari aspetti eccezionale come G.B. Zunini- da un edificio ad uso assemblee e riunioni ma attualmente eliminata nel corso della ristrutturazione, per quanto possibile, del chiostro originario e del giardino monastico) per le abluzioni funebri dei monaci defunti che, tramite una porta del LATO NORD del CHIOSTRO venivano inumati in un
cimitero dei frati.

Il degrado del Convento della Consolazione (o di S.Agostino) si data da metà XVIII sec. quando il convento, già fortificato e sede di violentissimi scontri tra truppe austro-sarde, in esso asserragliate, e forze franco-spagnole, assedianti, di stanza in Ventimiglia, durante gli ultimi atti della Guerra di Successione al Trono Imperiale di metà ‘700, divenne teatro di ulteriori e gravi fatti bellici
Nel 1748 il convento di S. Agostino, semidistrutto precedentemente dalle truppe imperiali-piemontesi, fu ristrutturato dalle medesime come fortilizio: furono praticate feritoie, costruite palizzate, si scavò un fosso con ponte levatoio sull’entrata principale mentre si chiusero la porta della Chiesa e del Chiostro con mura a secco e di calcina.

Con la soppressione di alcuni Ordini Religiosi il nuovo padrone d’Europa, appunto Napoleone cercò di centralizzare la cultura espropriando le biblioteche degli Ordini Religiosi ed incaricando specializzati funzionari a provvedere al trasferimento del materiale biblioteconomico: nel caso della BIBLIOTECA APROSIANA l’incarico spettò a tal al tempo dProspero Semino/Semini sì che per la biblioteca intemelia in merito al suo trasferimento alla Biblioteca Centrale di Genova si parla da sempre di OPERAZIONE SEMINO/SEMINI appunto il docente di Etica incaricato di asportare materiale dall’Aprosiana nell’auspicata ma mai compiuta realizzazione -per il crollo del Regime Napoleonico da cui come detto era partita tale progettazione centralista- di una “Biblioteca Centrale Ligure”.
Di rimpetto a ben altre esigenze, di guerra ma non solo, anche quando fu in essere l’operazione non procedette in maniera organica sì che a fronte del materiale librario per il momento lasciato a Ventimiglia Prospero Semini/Semino fu in grado di trasferire a Genova le seguenti opere manoscritte.
Stante la naturale incuranza dell’epoca e la crisi del Convento altre opere vennero poi lecitamente acquistate da facoltosi privati nelle cui raccolte son tuttora custodite.
Tuttavia dall’analisi dei testimoni aprosiani si evince comunque nel caos di questo trasferimento alla Biblioteca Centrale di Genova dovettero essere asportate furtivamente per il mercato antiquario oltre che opere a stampa anche lettere di corrispondenti che avrebbero dovuto ritrovarsi essendo state segnalate da Aprosio come ascritte alla sua Biblioteca.
In questo clima pervaso da rivoluzionario anticlericalismo per un quasi morboso interesse verso i Segreti della Santa Inquisizione [anche se occorre distinguere la Santa Inquisizione in generale (con la considerazione che nei procedimenti stessi per magia e stregheria si doveano fissare i parametri di giudizio intercorrendo l’opera sia della legge dello Stato che della Chiesa) dalla potentissima e pressoché autonoma Inquisizione Spagnola contro cui soprattutto si rivolse con intransigenza l’operato napoleonico] in particolare sul mercato antiquario illegale presero a furoreggiare per le ambizioni dei bibliofili le ricerche ed i furti di testi proibiti, censurati e rimasti manoscritti: e tra questi sono da ascrivere assolutamente questi quattro capitoli della Grillaia di Aprosio dai forti contenuti lubrichi ed antifemministi ma fortunatamente giunti alla Biblioteca di Genova ove si custodiscono e che qui son proposti digitalizzati.
Giova precisare che non a titolo di compensazione ma per non inimicarsi ulteriormente la popolazione, fortemente religiosa e cattolica, Napoleone determinò contestualmente l’ingresso della biblioteca del parimenti soppresso Convento dell’Annunziata su cui sarebbe poi sorto l’omonimo forte = lo scopo relai di questi interscambi non era tanto una lotta senza quartiere alla Chiesa ma la volontà di sottrarle la secolare gestione della cultura sia laica che ecclesiastica lasciandole in dotazione soltanto opere di matrice spirituale come appunto i volumi (in gran parte Antifonari) dell’ex Convento dell’Annunziata

La restaurazione viennese del 1815 con la soppressione della Repubblica di Genova posero fine a questi progetti pur non determinando una rinascita della grande biblioteca.
Dopo l’assegnazione del Dominio Ligure di Terrafermo al Piemonte sabaudo del suo Dominio) con le leggi Siccardi, il Convento venne soppresso (fu “Caserma dei Carabinieri” e “Carcere degli espulsi dalla Francia”): la BIBLIOTECA continuò la travagliata STORIA MODERNA iniziata appunto sotto il Bonaparte mentre l’antica Chiesa conventuale della Consolazione (comunque già soggetta a ristrutturazione ed ampliamenti) divenne invece PARROCCHIALE della Ventimiglia moderna che tuttavia subì dei danni rilevanti la notte del 21 giugno 1941 per un BOMBARDAMENTO che la coinvolse assieme all’ex Convento ed a varie case di civile abitazione: i restauri furono molto lunghi, dati i danni, e si conclusero, suddivisi in periodi, a partire dal 1945, nel 1958 per l’impegno di Parroci, Comune, Sovraintendenza alle Belle Arti.
Il Convento (nonostante altre trasformazioni) alla fine venne diviso tra Stato e Chiesa: ne resta bello il Chiostro, per quanto in parte danneggiato dai bombardamenti della II guerra mondiale, mentre è scomparso il giardino centrale su cui ora sorge una costruzione già usata per riunioni e come palestra.
Sul retro del Convento, fino all’attuale area della stazione, si estendevano i prati delli frati
e nelle prossimità del convento, alle sue spalle, stava il “cimitero delli monaci” in cui fu sepolto lo stesso Aprosio e su cui son poi stati eretti edifici, strutture ed altre costruzioni.

da Cultura-Barocca

Viaggio da Genova a Nizza scritto da un ligure nel 1865

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A chiosa di di queste affermazioni sulla Riviera Ligure, per il territorio da Genova a Nizza, merita di esser analizzata un’opera (apparentemente d’autore anonimo) ovvero il Viaggio da Genova a Nizza, ossia Descrizione con notizie storiche, di statistica ed estetica e d’arti e di lettere / scritta da un ligure nel 1865 Firenze : tip. Calasanziana, 1871, 2 v. ; 16 cm ., reperibile in AV0007 NAPAV Biblioteca Provinciale Giulio e Scipione Capone – Avellino – AV – FI0098 CFICF Biblioteca nazionale centrale – Firenze – FI – GE0038 LIG01 Biblioteca Universitaria – Genova – GE – IM0001 LIG44 Biblioteca Clarence Bicknell dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri – Bordighera – IM – IM0019 LIG02 Biblioteca Civica Leonardo Lagorio – Imperia – IM (di questa opera ne è stata fatta una Ristampa anastatica Forni, stampa 1972: Descrizione fisica 2 v. ; 17 cm – · Ripr. dell’ed.: Firenze : Tipografia Calasanziana, 1871 – · Ed. di 400 esempl. numerati).

L’anonimo ligure (di cui l’esemplare qui digitalizzato proviene da Biblioteca Privata) è il Padre Luigi Ricca minore osservante di Civezza (nella carta tutte le voci evidenziate di borghi, città ed altro sono attive: basta cliccarvi sopra)
– il Ricca (1836-1881) fu botanico e naturalista, membro della Società Ligure di Storia Patria. Gli si debbono, fra gli altri lavori, il qui digitalizzato Viaggio da Genova a Nizza e un Catalogo delle piante vascolari spontanee della zona olearia nelle due valli di Diano Marina e di Cervo. Importante poi il suo lavoro Compendio delle più importanti vitali manifestazioni delle piante coll’aggiunta delle Geografiche e Geologiche loro relazioni. Saggio di studi botanici Tip. Lit. di Gio. Ghilini, Oneglia, 1866. In-8°, pp. 248, (4) –
annota :
Io vi ho descritto questa riviera occidentale come un piccolo mondo in miniatura favorito dalla natura, con i suoi monti tagliati in forma di terrazzo, sistemati da muri a secco, ove il fico, il pesco, il mandorlo abbelliscono questi pensili orti, e la vite vi stende le sue allegre ghirlande e l’ulivo si inchina sotto il peso delle pingui sue frutta
= la sua opera, che assai risente degli scritti del Navone e poi del Bertolotti, si eleva qui in una descrizione del paesaggio (nemmeno poi rimasto estraneo all’Intemelion del novecentesco Peitavino) in cui l’ autore, pur con qualche errore per la parte antica, sviluppa un’attenta disanima della Riviera Ligure proponendosi anche di colmare alcuni limiti di altre opere come scrive nella presentazione al lettore

Qui di seguito l’indicazione di alcune parti relative all’attuale provincia di Imperia:

– [ Luigi Ricca e il Santuario di N. S. di Lampedusa = vedi qui dal Dottor Antonio di Giovanni Ruffini il viaggio del medico patriota e di Lucy Davenne al Santuario di N. S. di Lampedusa]

Lettera IX ” S. Lorenzo – Cipressa – Santo Stefano – Riva – Arma – Pompeiana – Bussana – Poggio – Ceriana e Costabalene “

[ Capo DonCapo Don: dal romano al paleocristiano (ritrovamenti archeologici: Complessi basilicali – Necropoli paleocristiane)

Capo Don [Costa Balena – Costa Beleni]: i rinvenimenti in forza dei lavori della moderna strada litoranea = “Relazione Storica/Archeologica del Canonico V. Lotti]

– [ Del CENOBIO BENEDETTINO DI VILLAREGIA il Ricca ha varie nozioni pur non sapendo spiegarsi il toponimo = egli cita qui la rilevanza del recupero agronomico dei Benedettini con il sistema colturale della GRANGIA caratterizzato da una variegata tecnica di terrazzamenti ed irrigamenti (con tecniche poi riprese da coloni laici) resi possibili da condotti interrati quanto da PONTI CANALI (ACQUEDOTTI) COME QUESTO i cui reperti si riscontrano tuttora a Pompeiana vale a dire una delle terre su cui i monaci esercitarono notevole influenza ]
– [ Il cenobio benedettino di VILLAREGIA di cui si parla anche nelle pagine precedenti: vedi poi nel IX secolo le devastazioni dei Saraceni prima della loro sconfitta. Il Ricca continua ad usare l’espressione Saraceni per gli invasori della flotta turchesca in tutto il Ponente Ligure nel cui contesto si affermò il valore di Taggia vittoriosa sugli invasori tanto che il successo venne celebrato con un poemetto di “Nofaste Sorsi”. Per un quadro generale sulla ripetute invascioni turchesche o barbaresche, ma ancora denominate saracene dal popolo e non solo, vedi qui = * – FRANCESCO I, CARLO V, SOLIMANO IL MAGNIFICO = L’ASSEDIO DI NIZZA SABAUDA = 1 – LA “SERENISSIMA REPUBBLICA DI GENOVA” e in dettaglio vedi qui un percorso multimediale tra le FORZE ARMATE che contrapponeva agli invasori tra XVI e XVIII secolo (analizza qui l’importanza della milizia nazionale non retribuita, dei ” militi villani, scelti ed ordinari “, che spesso si rese più efficiente delle truppe mercenarie o stipendiate = vedi il caso esemplificativo di Vallebona) – 2 – LA FLOTTA IMPERIALE TURCA D’OCCIDENTE, I BARBARESCHI, IL SISTEMA DIFENSIVO DELLE TORRI – 3 – “INVASIONI BARBARESCHE IN LIGURIA” (XVI SEC. invasioni da San Remo e Taggia sul litorale e non sino a San Lorenzo = cartografia interattiva) – 4 – ANDREA DORIA “PADRE DELLA PATRIA” E L’AMMIRAGLIO TURCHESCO “BARBAROSSA” = LE “VIE DELLA GUERRA E DELLA DIPLOMAZIA IN MERITO AGLI ASSALTI TURCHESCHI AL PONENTE DI LIGURIA” – 5 – ANDREA DORIA = LE AMBIGUITA’ DI UN “PADRE DELLA PATRIA” A FAVORE DEL POTENZIAMENTO DEL PROPRIO CASATO E LE OSCURITA’ DI UN DELITTO DI STATO COINVOLGENTE I GRIMALDI DI MONACO E I DORIA DI DOLCEACQUA

Lettera X ” Capo Verde ed il Santuario di Nostra Signora della Guardia – Sanremo – Il Santuario di Nostra Signore della Costa – Il Leprosaio – Un antico cenobio de’ Benedettini “

– [ Qui riprende il Ricca un luogo letterario -in effetti cita il Giustiniani- che fu di Angelico Aprosio in merito ai moscati di Taggia e di Ventimiglia = leggi qui le considerazioni di moderni specialisti sulla crisi ma anche sul lento recupro attuale di questi vini divenuti come suol dirsi “di nicchia”]

– [ Manoscritto Borea = “Cronache di Sanremo e della Liguria Occidentale” (integralmente digitalizzato e reso multimediale da Cultura-Barocca) ]

Lettera XI ” La Città di Sanremo – Ospedaletti – La Madonna della Ruota – La pesca del Corallo – La Baia – Acque termali – Bordighera – Un antico cenobio de’ Benedettini – S. Ampeglio “

– [ Il terrore storico della lebbra ed il Lebbrosario (Leprosaio) di Sanremo (trattato dalla pagina qui sotto in poi) ma anche i provvedimenti di profilassi, igiene e “cura” in tutto l’arco ligure contro le grandi pandemie, specie peste e poi di colera = la differenza tra la Peste del 1579/’80 e quella del 1656/’57 ]

– [In questa e nelle pagine seguenti = la Madonna della Ruota e la pesca del corallo ma anche la sorgente solforosa del Montenero ]

– [ Lasciando Bordighera il Ricca viene ragguagliato come si legge a fondo di questa pagina del rientro a Roma dalla “cattività francese” voluta da Napoleone da un contadino che gli mostra una lapide che ne rammenta sosta e passaggio = sull’evento però dati molto estesi riguardano la sosta e il passaggio del Sommo Pontefice in San Remo/Sanremo come si evince dal manoscritto Borea ]

– [Dalla letteratura del ‘600 al Dottor Antonio di G. Ruffini una tradizione latteraria e non solo che ha conferito a Bordighera la nomea di “città più inglese d’Italia” = vedi la Strada della Cornice ed il “Grand Tour” e quindi da una Carta settecentesca di queste contrade procedi sin a Nizza e Monaco nel XIX secolo]

Lettera XII ” Seborca – Perinaldo – S. Biagio – Sasso – Vallebona – Vallecrosia – Pigna – Rocchetta – Apricale – Isolabona – Acque termali di Pigna – Dolceacqua – Camporosso – San Rocco “

[ In quella sorta di diario di eventi, personali e non, dello storico locale Girolamo Rossi, intitolato Memoriale Intimo ed edito su iniziativa, nel 1983, della Cumpagnia d’i Ventemigliusi, in collaborazione con l’Istituto Internazionale di Studi Liguri a titolo meramente cronachistico l’autore annota:
“1852 – Oggi viene deliberata al sign. Becchi di San Remo l’impresa di costruire il ponte sul torrente Nervia” = sembra davvero che le postulazioni e le interpellanze del deputato sabaudo avvocato Fruttuoso Biancheri di Camporosso vadano in porto in merito all’assetto stradale tra Nervia e Ventimiglia. il Ricca, non menziona il ponte sul Nervia (frazione intemelia che prescindendo dagli scavi archeologici auspicati dal Ricca gradualmente si evolverà in centro importante, specie come nodo viario, ma fa comunque molte citazioni utili tra cui la rattificazione del tratto vallecrosino della romana Iulia Augusta o del suo ormai misero tracciato con la strada fatta dal Goveno Francese e in atto di finalizzazione sotto i Savoia (al fine anche di evitare una deviazione, per accedere mancando di ponte il Nervia alla foce, al sito di Camporosso, tramite la “strada di e per Camporosso” e quindi al tragitto di val Nervia oppure proseguendo per la via della Tramontina conducente all’altura delle Maule Maure -San Cristoforo/San Giacomo- donde era fattibile un pur tormentato accesso alla città sempre che non si intendesse aggirare la città procedendo alla volta di Bevera, Latte e quindi dell’areale francese ) come qui e altrove si legge scritto dal Ricca, citando pure l’autore altre imprese pubbliche in corso di finalizzazione (quale il nuovo ponte sul Roia) o in essere e progettate e comuque di prossima realizzazione a Ventimiglia compresi, alla maniera che scrive e qui si può leggere, i lavori per la “strada rotabile, che fra non molto si collegherà colla corriera di Breglio per il Piemonte e fra breve si darà opera ad altro nuovo ponte in ghisa per la strada ferrata “]

Lettera XIII ” Avanzi dell’antica città Nervina – Nuovo stabilimento balneario – Chiesuola sacra a S. Secondo – Il nuovo Ponte “

– [Il Ricca cita l’antichità di Ventimiglia ma i grandi rinvenimenti archeologici non sono ancora evidenti dipendendo dalle ricerche di Girolamo Rossi posteriori al suo viaggio (tuttavia pare strana questa non conoscenza dell’attività del Rossi -Ventimiglia, 4 novembre 1831/Ventimiglia, 6 marzo 1914- archeologo, storico, numismatico, farmacista e insegnante di italiano tra altre cose, al tempo del viaggio del Ricca, già autore della Storia della città di Ventimiglia : dalle sue origini ai nostri tempi, Torino, Tip. economica, 1857 ed ancora della Storia della città di Ventimiglia : dalle sue origini sino ai nostri tempi scritta da Girolamo Rossi provveditore agli studii nel collegio di detta città Torino, Tipografia Cerutti, Derossi e Dusso, 1859 pur se l’opera definitiva del Rossi sulla “Storia intemelia compresa la romanità con relative scoperte” dati del 1886 per l’eidtore Ghilini di Imperia ): per questo misconoscenza(?) l’autore di Civezza preferisce non addentrarsi troppo in una materia che definisce “spinosa” dando quasi l’impressione di non volersi non mettersi in urto sia con i sostenitori del centro demico romano principale a Ventimiglia alta o sia con i teorici del principale complesso romano a Nervia (anche se il Rossi stava già conducendo a Nervia peraltro visitata dal Ricca con registrazione di dati poi comunicati dal Rossi entro questa lettera al Mommsen in cui attribuisce all’Aprosio l’individuazione del sito originario della città romana di Ventimiglia) = egli visita comunque, come qui sotto si legge, la cattedrale ove si trova un importante reperto romano come la lapide a Giunone Regina e del pari la chiesa di San Michele = qui poi, senza che il Ricca si soffermi sul tema, vale la pena con questa occasione di rammentare la peculiarità della Diocesi di Ventimiglia nota altresì come Diocesi di Frontiera o Diocesi Usbergo alla maniera che scrisse il Valsecchi e quindi la sua singolarità a fronte delle altre Diocesi di Liguria]

Lettera XIV ” Ventimiglia “

[Ben informato su varie cose di Ventimiglia tra cui i lavori per il complesso viario e il facimento del ponte nuovo sul Roia il Ricca dimostra a differenza del Navone di non aver visitata la Biblioteca Aprosiana rifacendosi ad un giudizio oltremodo pessimistico del Tiraboschi (pagina 109, nota 1) ed oltre a ciò risulta abbastanza disinformato su Angelico Aprosio -anche per i dati biografici- citando solo due fra le tante opere da lui scritte, e nemmeno le più importanti, ed attribuendogli, certo per una svista, il “Trattato sulle macchie solari” opera invece di Galileo tuttora custodita alla Biblioteca Aprosiana-Fondo Antico]

Lettera XV ” Escursione nella valle del Roia – Bevera – Airole – La Rocca della Piena “

[Mulini e Bedali ma anche Segherie e fluitazione di tronchi di legno trasportati dal Roia]

Lettera XVI ” Festa della società degli Operai – Latte – Pesca delle acciughe – Il Ponte di s. Luigi – Limite del Regno d’Italia “
– [Luigi Ricca parla qui del nuovo limite d’Italia rispetto alla Francia e pur garbatamente dimostra dolore per la cessione di Nizza alla Francia di Napoleone III in forza degli accordi di Plombiers (vedi documenti d’epoca) per l’intervento dell’Imperatore dei Francesi a dianco di Vittorio Emanuele II nella Seconda Guerra di Indipendenza contro l’Austria = l’autore continua comunque il suo viaggio, osservando con malinconia località che appartenevano alla Liguria delle Otto Province (descritta dal Bertolotti) entro lo Stato Sabaudo dopo i deliberati del Congresso di Vienna. Alcune notazioni sottolineano siffatto rammarico tra cui l’insistenza sulla storica italianità di Nizza e sulla difficoltà dei Francesi nel trasformare nella loro lingua tanta onomastica nizzarda di assoluta antichissima ascendenza italiana]

da Cultura-Barocca

Le tragiche vicende di Striglioni, religioso ed artista

Uno scorcio di Badalucco (IM), Valle Argentina

Tra le celebrità di Badalucco (IM), all’epoca borgo del Dominio della Serenissima Repubblica di Genova, oggi ingiustamente misconosciute, ricordiamo Giovanni Mattia Striglioni, nato il 25 febbraio 1628 da Giovanni Bartolomeo e da Bianchinetta Jiugales.

Dopo una fanciullezza qualsiasi, nè bella nè brutta, prese i voti religiosi, divenendo prete quasi soltanto per un voto fatto dalla madre, quando egli venne alla luce con qualche tribolamento di troppo.

Finiti gli studi religiosi si diede, fra la sorpresa di tutti, a quelli della pittura e dell’incisione in Genova, avendo quale maestro Giulio Benso di Pieve di Teco.

Scoperta questa sua vocazione autentica, lo Striglioni si lasciò coinvolgere presto nel mondo degli artisti, spesso ai limiti della provocazione e dei sospetti inquisitoriali, specie in merito ad opere tacciabili di oscenità e/o sensualità, oggetto di una formidabile disputa culturale e giuridica anche nella Genova apparentemente quieta del suo tempo!
Prese così a frequentare le botteghe ed i cenacoli d’arte, divenne amico del Fiasella e di Domenico Piola, pittori di vaglia, apprese le tecniche rare dell’incisione da artigiani eccellenti come Cesare Bassano, Luciano Borzone, Giuseppe Testana.

Presto riuscì ad ottenere ottimi successi e gran reputazione in un ambiente difficile e per un lavoro tanto complesso quanto poco retribuito come quello dell’incisore, cui si dedicò per pubblicazioni di gran pregio: amico dell’Aprosio e del Piola realizzò, per esempio, su disegno di quest’ultimo la bella incisione per il frontespizio della tragedia Belisa, al cui testo Aprosio fece allegare, in accordo con l’autore Antonio Muscettola, un suo elogio critico intitolato Le Bellezze della Belisa.

Parecchio dopo sarebbe ritornato proprio per Aprosio all’arte dell’incisione realizzando su disegno del Fiasella l’eterea antiporta del volume La Biblioteca Aprosiana, la più significativa opera di Angelico Aprosio, che , forse per gratificarlo dell’impegno profuso ne parlò con espliciti elogi in un brano del suo repertorio bibliografico, riportandovi anche un saggio poetico non disprezzabile dell’incisore di Badalucco.

Pur volendo apparire un sostenitore dell’arte destinata a non turbare le coscienze, Aprosio era comunque un assertore dell’arte nuova che s’andava affermando; e pur dissertando con moderazione su vari aspetti del dilettare o giovare dell’arte proprio in questa antiporta (contro la feroce opposizione dei numerosi e potenti ecclesiastici conservatori estremi dell’arte antica ed intransigenti partigiani dell’assoluta intangibilità degli edifici ecclesiali) per certi versi il frate bibliofilo riassunse alcuni concetti della sua opinione sulle iridescenti interazioni fra prodotti artistici e luoghi di loro conservazione: quasi un segnale della sua volontà di creare una sorta di Camera delle Meraviglie, in cui il contenuto (cioè Libri, Quadri, Raccolte antiquarie ecc.) operasse in inscindibile sinergia con il contenente (cioè l’Edificio Murario della Biblioteca), producendo messaggi crittati ma decifrabili ad una ricerca stretta di iniziati o “Fautori”.

E non pare un caso la realizzazione, senza finalizzazione a stampa, di un’enigmatica icona o chiave di decrittazione della Biblioteca Aprosiana da noi scoperta e qui proposta, verosimilmente lasciata a livello di manoscritto grafico e testuale proprio in forza delle problematiche esistenziali che resero impossibile finalizzare per lo Striglioni un progetto proprio a lui proposto.

Lo Striglioni infatti, che fu anche poeta e che a giudizio di molti aveva ben più talento di altri incisori in auge, dovette abbandonare presto Genova, riducendo di parecchio la sua attività artistica, mai però abbandonata, quasi fosse un’esigenza profonda del suo spirito.

Comunemente si dice che il ritorno dello Striglioni nel Ponente ligure sia dipeso da sopraggiunte difficoltà economiche e dalle pressioni dei parenti che lo volevano vicino: si sa che vinse per concorso la parrocchia di Riva Ligure ove si trasferì vivendo meglio col soccorso dei redditi o prebende della chiesetta. Poi nel 1666 ottenne un’altra parrocchia, quella della natia Badalucco, dove si recò a visionare la bella chiesa che si stava ampliando ed abbellendo: egli stesso dispiegò il suo talento in qualche intervento pittorico all’interno dell’edificio sacro. Così narra una certa prudente riscostruzione storica: ma la fuga da Genova, un pò troppo repentina, fa pensare che le cose siano andate diversamente nella forma e nella sostanza.

Certo lo Striglioni tornò a casa; ma cosa v’era nel profondo delle cose? Non lo si potrà mai affermare con certezza ma è probabile che, alla base di tutto, vi fosse l’insofferenza della sua vita, una serie di incomprensioni inusuali per un religioso controriformista, soprattutto un tenore di vita stridente, nella voce corrente, coi dettami della “condotta normale”.

Aveva 52 anni il raffinato artista quando fu accusato di Sodomia, reato terribile, per Chiesa e Stato, nel crepuscolo della Controriforma, quando si cercava di reprimere i costumi, per celare la crisi di un’epoca caratterizzata da splendori, ma anche da bassezze e colpevoli emarginazioni sotto il velame degli “Atti di Fede”. Momento storico dei “Libri Proibiti”, del terrore di Malie e perversioni diaboliche esorcizzate spesso attraverso una caccia intransigente non solo alle “streghe”, ma al variegato ed incolpevole mondo dei “Diversi”.

Striglioni era pure un religioso e, secondo le norme intercorrenti tra Stato e Chiesa, doveva esser giudicato dal foro ecclesiastico, al limite dal foro misto, non dalla sola legge dello Stato genovese. E, per quanto debba rimanere solo un’ipotesi, nella totale mancanza di riguardo per il prete-artista potrebbero risiedere anche delle aggravanti, quali il suo comportamento notoriamente irrequieto non solo in ambito della sfera sessuale ma pure delle opinioni espresse e delle scelte artistiche. Non escluso il fatto d’aver partecipato a favore di Aprosio ad una querelle sull’erezione della Biblioteca Aprosiana, che doveva aver lasciato degli strascichi e fatte sopravvivere antipatie ed odi. Attesa la stessa cautela usata da Aprosio nel congedare la fine degli scontri con gli oppositori delle sue iniziative progettuali ed artistiche.

Lo Striglioni venne interrogato, torturato senza riguardo, tenuto prigioniero in carceri oscure e maleodoranti: il suo stesso nome non si pronunciava più con sicurezza, quasi fosse un segreto da non svelare il fatto d’averlo conosciuto e d’esserne stato amico.

Finché tutto finì, o così parve, nel 1682: l’accusa cadde quasi di colpo, anche se il prete artista, sfinito ed innocente per Stato e Chiesa, non venne mai giustificato dall’opinione popolare, solo poco prima accesa contro di lui per via di una certa propaganda giudiziale alimentata soprattutto da “fama e dicerie”, i “Media” primordiali che anticipavano, di molto ma con una certa elementare efficacia, i gazzettini scandalistici.

Era grigia, quasi cupa la sera del primo settembre del 1685, quando Gio. Mattia Striglioni se ne stava solo in Badalucco, forse a meditare sul suo destino di solitudine: chissà se aveva presagito la propria morte, quell’archibugiata di “nessuno” che l’avrebbe fulminato nel silenzio del paese, dove forse molti erano al corrente, ma in cui nessuno mai parlò né denunciò l’omicida o l’assassino (allora i due termini non indicavano lo stesso tipo di criminale), che a parere di qualcuno sarebbe stato personaggio noto a tutti.

Ma questa era la legge del tempo: la legge feroce della violenza contadina o popolana o della violenza locale.

E sul sangue versato, come avvenne da sempre e sarebbe avvenuto, anche in questo caso alla fine cadde il silenzio.

da Cultura-Barocca

Chiesa e Convento di Sant’Agostino a Ventimiglia (IM) nei documenti dell’Aprosio

Ponendo la prima pietra, il Vescovo di Ventimiglia Alessandro di Campo Fregoso  fece erigere nel 1487 una chiesa sotto il titolo di N.S. della Consolazione ed un CONVENTO DI MONACI DELL’ORDINE DI S. AGOSTINO OD EREMITANI AGOSTINIANI gloriosa emanazione della CONGREGAZIONE LIGURE DELL’ORDINE DEGLI EREMITANI DI S. AGOSTINO da poco creata dal BEATO GENOVESE G. B. POGGI.
Per leggere ancora più compiutamente la realizzazione di questo complesso religioso vale la pena di leggere quanto con competenza scritto da M. Viale del Lucchese in questo suo lavoro che, per quanto datato del 1958, conserva una sua notevole valenza per chiarezza e compiutezza:
“Un’umile cappella, intitolata a S. Simeone, erigentesi nella regione detta Bastia, dove poi s’innalzerà la Chiesa della Consolazione, fu beneficata nel 1349 da Babilano del fu Ugone Curlo, di nobile casato ventimigliese (doc. in Archivio di Stato di Genova, Notaio Benedetto Visconti, 1349 = N.D.R.: la casta dei Curlo non fu aliena da cessioni e donativi ad ordini monastici, anche per motivazioni geopolitiche come nel caso di Airole), e come si può leggere nel legato che il nobile Babilano Curlo, fece al fratello fra’ Nicolò, dell’Ordine degli Eremitani di S. Agostino, il testatore espresse il desiderio che si edificasse un Convento di questo Ordine, in Ventimiglia (doc. in Archivio di Stato di Genova, Notaio Benedetto Visconti, 1349). Il progetto venne attuato un secolo e mezzo dopo, quando nel 1487, il Vicario generale dell’Ordine G. B. Poggio di Genova, ottenne dall’allora Vescovo di Ventimiglia, Alessandro di Campo Fregoso, in concessione la suddetta Chiesa di S. Simeone. Nell’opera La Biblioteca Aprosiana che il padre Angelico Aprosio pubblicò a Bologna nel 1673, sotto lo pseudonimo di Cornelio Aspasio Antivigilmi, sono riportati due interessantissimi documenti, riguardanti appunto la fondazione del convento, documenti, che, per servirsi delle stesse parole dell’Aprosio, pare non tempo perduto almeno nelle parti fondamentali riassumere [grazie alle moderne tecnologie sono qui proposti integralmente dal testo antiquario aprosiano e le voci evidenziate in rosso sono attive e multimediali].
Nel primo, che però è cronologicamente posteriore al secondo, il Papa Innocenzo VIII al Vicario generale [ N.D.R. = carica nel ‘600 ricoperta anche da A. Aprosio ed in un periodo di estrema tensione quello della soppressione dei piccoli conventi senza risorse economiche ] dei F.F. dell’Ordine degli Eremitani di S.Agostino, il quale aveva ottenuto in donazione, da Alessandro di Campo Fregoso, Vescovo di Ventimiglia e dai Canonici della cattedrale [N.D.R. = da pag. 42, metà del testo di Aprosio: con collegamenti anche a fondo pagine digitalizzate], Ecclesiam campestrem extra muros Vintimilienses, ad mensam Episcopalem Vintimiliensem pertinentem [N.D.R. = riga IX dall’alto di pagina 248]…concede licentiam di costruire sulla detta Chiesa di S. Simeone e vicina ad essa un monastero, cioè una casa abitabile da detti frati dell’ordine Agostiniano, con la Chiesa, il campanile, le campane, il capitolo, il dormitorio, il refettorio, i giardini et aliis officinis necessariis [N.D.R. = periodo evidenziato dal profilo multimediale con linea rossa attiva: riga VI di pagina 48: tra le “altre strutture” genericamente nominate da Aprosio meritano paricolari considerazioni i destini del “Giardino Monastico entro il Chiostro” e del “Cimitero dei Frati]; concede altresì ai detti frati di stabilirvisi e di reggerla con un priore o con un altro superiore, secondo la loro Regola. Questa licentia reca la data del 22 Novembre 1487, anno quarto del Pontificato di Innocenzo VIII ed è firmato dal dal Cancelliere Girolamo Balbano.
Il secondo documento pubblicato dall’Aprosio è l’atto con il quale il Vescovo Alessandro di Campo Fregoso, comunica ‘…universis et singulis Christi fidelibus utriusque sexus, per Civitatem et Diocesim Vintimiliensem constitutis, omnibus aliis‘ [N.D.R. = XI riga dal basso di pagina 249: approfondisci qui alcuni elementi basilari della Diocesi di Ventimiglia] di aver posto pregatone dal padre G. B. Poggio e da altri frati dello stesso Ordine, alla presenza del Notaio, del Cancelliere, di alcuni Canonici e dei sottoscritti Testimoni, la prima pietra [N.D.R. = marchiata con un “salutifero” segno cruciforme (pag. 48, XV riga dall’alto)] della Chiesa e del Monastero che si sarebbe edificata ‘…sub vocabulo B. Mariae de Consolatione…‘. In tale atto viene rivolta esortazione affinchè siano devolute alla costruzione e manutenzione di detta ChiesaPias elemosinas, e si aggiunge che a coloro i quali avessero compiuto tali opere di bene ed avessero visitato la Chiesa in determinati periodi dell’anno, sarebbero stati concessi toties quoties coeperint quaranta giorni di indulgenza.
Il documento, redatto nel luogo stesso dove si cominciava a costruire la Chiesa, reca la data di sabato I settembre 1487, anno terzo del pontificato di Innocenzo VIII e porta in calce i nomi dei testimoni, G. B. Di Campo Fregoso, Francesco di Campo Fregoso, Capitano di Ventimiglia, il Nobile Lazzaro Cipolla di albenga…, nonchè quelli del pubblico Notaio e del Cancelliere Vescovile. Ben presto in quella zona acquitrinosa, ricoperta da fitti intrichi di canneti ed erbe lacustri, spesso inondata dalle non arginate acque del Roja, sorse così una tranquilla oasi di preghiera e di studio “.
La struttura conventuale divenne famosa nel ‘600 quando Aprosio, erudito e bibliofilo del ‘600, vi sistemò la sua ricchissima Biblioteca [tuttora, seppur in altra sede, a Ventimiglia alta, Biblioteca di grande prestigio, ricca di libri anche rarissimi se non unici] nell’ALA EST del “chiostro”, dando poi nella sua Biblioteca Aprosiana edita (pp.50-58) questa preziosa descrizione (donde si son tolte le lunghe digressioni bibliografiche ma che dal collegamento si recupera con tutti i riferimenti informatici recuperati) dell’edificio:”…E per dire qualche cosa intorno ad essa Chiesa e Monastero sono situati in maniera che la prospettiva loro risguarda il mezzogiorno. La lunghezza della muraglia arriva a CCXXV palmi, LXVI de’ quali sono della Chiesa situata dalla parte Occidentale: sicome dall’opposta da non molti anni in qua si vede edificata la Libraria, che unita a quella tramezzata dal Chiostro, per dritta linea, porge bellissima prospettiva a gli occhi de’ veditori o passino per terra o per mare: la spiaggia del quale non sarà più lontana, per istrada diritta, di quanto potrà arrivare di volata un tiro di moschetto. inanzi ad esso Convento e Chiesa è una bellissima piazza, che può esser di larghezza l palmi, avendo a canto la strada Romana che è XXXIII che la fa apparire con questa giunta assai maggiore”.
[oltre la strada romana esistevano altre possessioni agricole del monastero affittate a coloni locali].
Sempre a meridione della via erano altri edifici, di cui non è facile ricostruire l’esatta funzione, anche se vi doveva stare una torre o casa torre a guardia del complesso demico e di cui tuttora si vedono le tracce superstite inglobate in un sistema di abitazioni
Nella carta vinzoniana si vede pure disegnato l’importante tratto stradale, tuttora esistente, di via sottoconvento che permetteva ai religiosi di accedere sin all’agro nervino passando parallelamente all’antica via delle asse: strade tradizionali della Liguria medievale ed agricola che concedevano di accedere alla prebenda episcopale di Nervia dove il Capitolo della Cattedrale aveva importanti possessi ed in cui anche gli Agostiniani godevano di particolari previlegi: naturalmente la via di sottoconvente come la via delle Asse servivano soprattutto ai lavoratori agricoli che dalla città si recavano per i lavori dei campi nella vasta area nervina].
La Chiesa [continua Aprosio nella sua DESCRIZIONE LETTERARIA] è di lunghezza P.CXLIV di cima in fondo de’ quali XXVIII sono del Coro e XXXVI del Presbiterio. La larghezza di tutto’l corpo è P.LXIX li quali s’hanno a compartire con le ali e’l sito, che si occupa da pilastri, sarà p.3 e due terzi, di maniera che datine XXIX e mezzo al corpo sarà il rimanente delle ali: la longhezza delle quali è di P.CI. Sono in esse cinque Cappelle per ciascuna, una delle quali si vede in capo, e le altre sono situate incontro gli archi de’ pilastri, essendo nell’altar maggiore il ciborio del Santissimo Sacramento. Essendo li quadri, eccettuati tre che son moderni, sopra tavole m’indurrei a farne menzione su fussero di [autori illustri: ma trattandosi del contrario, dopo una dissertazione sui grandi pittori del tempo antico e moderno, il frate erudito tralascia d’indicare il contenuto e gli autori delle “tavole”, riprendendo presto le riflessioni architettoniche sul monastero:]…Nell’uscirsi dal Coro s’entra nel Campanile guernito di quattro campane si come dall’altra parte ci è la sagrestia.
Dal campanile [continua Aprosio nella sua DESCRIZIONE LETTERARIA DEL CONVENTO AGOSTINIANO DI VENTIMIGLIA] si passa nel CHIOSTRO di forma quadrata sopra XXIIX pilastri lungo per ciascuna parte P.LXVI che in tutto sono palmi CCLXIV [Si poteva accedere dalla Chiesa anche al LATO OCCIDENTALE (praticamente distrutto dai bombardamenti della II guerra mondiale e faticosamente restaurato subito dopo).
Le COLONNE e/o PILASTRI del Chiostro racchiudevano il Giardino dei frati (qui in una ricostruzione grafica) ( verosimilmente secondo un’usanza monastica consueta un Giardino dei Semplici = di cui, da altra struttura conventuale, si riporta qui una stampa antiquaria con didascalie multimediali) entro cui stava una fontana (di un pozzo come ha scritto Sergio Pallanca si son recentemente individuate le tracce = spazio poi fatto occupare assai discutibilmente -da un parroco comunque per vari aspetti eccezionale come G.B. Zunini- da un edificio ad uso assemblee e riunioni ma attualmente eliminata nel corso della ristrutturazione, per quanto possibile, del chiostro originario e del giardino monastico) per le abluzioni funebri dei monaci defunti che, tramite una porta del LATO NORD del CHIOSTRO venivano inumati in un cimitero dei frati.
Non è casuale che nella vasta area di negozi e case prospicienti la stazione ferroviaria (che nella seconda metà del XIX secolo andò a ricoprire gran parte dell’area conventuale detta “i prati dei frati” al cui lato sud, prospiciente il convento, stava il cimitero monastico) talora si siano trovati resti umana frammisti a lembi di stoffa da saio.
In qualche modo gli edifici retrostanti la vasta area a nord del Convento sono infatti anche essi disposti sull’area dei “prati dei frati”, delle loro possessioni agricole e del loro più o meno piccolo cimitero]
Nel mezzo [del lato settentrionale del convento] sta un portone per salire in dormitorio, posto anco in mezzo di due altre porte, una delle quali serve per entrare nella stanza de’ Tini e l’altra è per il Capitolo, rispondente ad un’altra da cui s’esce per entrare in una possessione, dalla quale son soliti raccogliere olio, vino, frumento con qualche frutti, cose tutte necessarie all’umano sostentamento.
L’altezza del Chiostro sarà P.XVII o poco meno. Il Capitolo è P.XXIII in quadro, la cui altezza sarà XIX. In questo si radunano i Religiosi prima di andare a mensa e si leggono le Costituzioni accioché non s’ignori da ci che sia quello a che ciascuno è obbligato. Sono in questo non meno le porte del Refettorio che quelle della Cucina e della stanza del Panettiere che hanno in mezzo un’apertura per la quale escono le pietanze e quelle poche vivande che da un Monastero a Religiosi che d’ogni ben tenue nodrimento vivon contenti,si posson somministrare. Sono di tal qualità che mangiano per vivere, non vivono per mangiare.
Hanno Refettorio che può avere P.XLV di lunghezza ed è alto come il Capitolo.
Ci sono tre mense, una in capo sopra della quale si vede una tavola in cui è dipinta la Cena del Signore cavata da altra copia di Luca Cambiaso…La principale serve per li Sacerdoti in mezzo de’ quali siede il Priore; una per il Chierico e per li Conversi e la terza per gli ospiti che non sono della Congregazione. Sono in tutto sei Sacerdoti, un Chierico e due Conversi e compiono il numero assegnato dalla Sacra Congregazione deputata da Papa Innocenzo X. Io farei torto al convento ed alla città se tacessi come in esso nel 1638 ci fu celebrato il Capitolo Generale della Congregazione ove concorsero li Padri principali di essa e nello spazio di 15 giorni, che durò, furono tenute tre Cattedre di Conclusioni Teologiche, nelle quali si segnalarono molto li Maestri e loro Discepoli; si sentirono eloquentissimi Panegirici delle lodi de’ Santi e de Beati della religione, funzioni tutte allestite da Monsignor Lorenzo Gavotti allora Vescovo della città, ora Arcivescovo di Negroponte, che favorendo non solo con la presenza ma con l’argomentare a tutte le Dispute onorò que’ Congressi più di quello averebbero fatto altri famosi letterati, A canto a detta mensa sono due porte, una delle quali serve per dare l’ingresso alla dispensa ed alla cantina, servendo l’altra per commodità segreta d’ascendere in Dormentoro, al quale si va col mezzodi due scale, la prima di XIII e la seconda di IX scaloni, avendo la prima in faccia una mediocre finestra incontro la porta e l’altra a fianco dalla parte di Tramontana un finestrone, che con altro corrispondente da quella di Mezzogiorno si viene ad incrocchiare il Dormitorio, essendone altri a capo ed a piedi. La longhezza di esso è di Palmi CLIX e la larghezza di XII si come l’altezza XVII. Sono in esso XIV celle, IIX a Tramontana e VI a Mezzogiorno.
Dall’altra parte di Tramontana ce ne sono tre che servono per Forestaria, più bella della quale non se ne trova in Congregazione.
Ma di questa e del Fondatore non si mancherà di favellare in appresso ed a luogo più opportuno, sì come d’un altro Dormitorio di pari lunghezza ma che averà le Celle solamente dalla parte orientale...”

[Il frate resterà invece sempre un pò oscuro sulla questione per le controversie sorte con un antagonista, un frate da lui soprannominato “Tragopogono” o “barba di capro”, contrario a suddividere parte di questo lato orientale del CHIOSTRO tra dormitorio e biblioteca aprosiana: vedi B. Durante, Il ritratto aprosiano di Carlo Ridolfi conservato nella biblioteca intemelia (note in calce all’evoluzione della “Libraria” ed alle sue valenze iconografiche in Miscellanea di Studi, pp.23 sgg. in “Quaderno dell’Aprosiana”, N.S., n.2, 1994].
Il degrado del Convento della Consolazione (o di S.Agostino) si data da metà XVIII sec. quando il convento, già fortificato e sede di violentissimi scontri tra truppe austro-sarde, in esso asserragliate, e forze franco-spagnole, assedianti, di stanza in Ventimiglia, durante gli ultimi atti della Guerra di Successione al Trono Imperiale di metà ‘700, divenne teatro di ulteriori e gravi fatti bellici.

da Cultura-Barocca