Astuto fruitore di biblioteche il Gandolfo era ben consapevole dell’importanza che, per l’arricchimento o il semplice aggiornamento di una buona “Libraria“, avevano i munifici sostenitori, gli amici colti e lusingati dalla possibilità di far eternare nelle sue “scanzie”, scaffali od armadi, i loro libri o i tomi che parlassero di loro od almeno li ricordassero, come benefici donatori, oltre il tempo concesso dalla vita.
In questo procedimento Aprosio fu maestro e Gandolfo buon scolaro. Entrambi giocarono sull’ansia d’eterno sofferta dai dotti del tempo: la loro Biblioteca stava diventando realmente la “Biblioteca del tutto“, in cui scritti e ricordi, menzioni ed elogi, cosucce e cosacce venivano riscattate dall’impietoso oblio del tempo che passa e cancella. E i saggi, le opere, gli appunti continuarono a pervenire all’Aprosiana: l’affluente di cultura libresca escogitato dall’Aprosio non cessò quindi di funzionare a pieno regime.
Ma il Gandolfo si preoccupò, con efficienza, anche d’altro; aveva gustato spazi intellettuali molto vasti e, pur senza certe insofferenze manifestate dall’Aprosio, anche lui soffriva il provincialismo della sua nuova sistemazione.
Cercò o meglio tentò un nuovo respiro culturale nelle pubblicazioni e finalmente editò a Genova, nel 1682, presso la stamperia del Franchelli i suoi “Fiori poetici dell’eremo agostiniano“.
L’operetta (249 pagine) risultò una scelta antologica di prodotti poetici di agostiniani ma, seppur in modo gregario, si qualificava pure come esercizio elementare di ermeneutica e di indagine critica; alienato da sé il logorroico e a volte vigoroso disordine aprosiano, il Gandolfo dispose organicamente il materiale poetico e lo fece precedere da un’esaustiva documentazione bio-bibliografica sui singoli autori: in particolare la bibliografia sull’Aprosio (pp. 221-49) è sicuramente la silloge secentesca più documentata e ragionata di quanti scrissero e dei motivi per i quali scrissero sul predecessore.
Nella rassegna antologica trova posto anche il Gandolfo stesso che, al pari dell’Aprosio e come poi il terzo bibliotecario Giacomo Antonio De Lorenzi, ebbe il vezzo di comporre versi e, per un certo periodo, l’ambizione del poeta; la vena pare scarsa, prevalenti le tematiche religiose ed encomiastiche, già obsoleta la strutturazione linguistica e la strumentazione retorica: ben presto, abbandonata questa prospettiva di lavoro, il Gandolfo scelse la via, a lui più congeniale, dell’indagine erudita, cui già in fondo si era accostato coi Fiori Poetici. Della sua produzione lirica comunque restano 21 madrigali, 10 sonetti, 4 sonetti acrostici, 1 ode acrostica, 2 anagrammi puri, 1 anagramma con licenza: fra tanto la cosa migliore è forse il sonetto dall’incipit “Di riso no, di pianto vi coprite” cui, fuori delle tematiche religiose e della presunta potenzialità catartica, si riconosce una mesta visione della caducità delle cose.
E’ importante a questo punto esaminare l’atteggiamento del frate verso Ventimiglia (IM), città onusta di antichità ma all’epoca bruttina, provinciale ed isolata, certamente scomoda per il “grande giro culturale” e forse anche calunniata oltre i “demeriti” e la non facile collocazione geo-politica.
Aprosio come detto vi si adattò, con qualche malcelata indolenza e tanti confessati rimpianti per Venezia, soprattutto quando vi riuscì, con successo e soddisfazione, a sistemare quella sua Biblioteca che, viste certe precarie contingenze, avrebbe anche potuto veder disperdere.
Pure Gandolfo provò dapprima l’angoscia dell’isolamento intellettuale ma presto, senza acredine e nostalgie, seppe guardare oltre la frontiera artificiale della “Libraria” e riconoscere quei fermenti culturali che stavano maturando, specialmente ma non solo all’ombra dell’Aprosiana stessa.
E seppe ma soprattutto volle, messo da parte l’eroico ma fazioso autoisolamento del dotto aristocraticamenre pomposo, accettare e coltivare le potenzialità culturali di Ventimiglia: in particolare si sforzò nel tentativo di agganciarle ai moti intellettuali ed eruditi che si stavano manifestando in Italia. Per questo, pur continuando ad alimentare il colloquio con i vari Bacchini, Magliabechi, Cartari e pur intrattenendo cordialissimi contatti con diverse importanti Accademie, il frate si obbligò con crescente impegno a concentrare in un unicum le non organizzate forze di diversi letterati ventimigliesi.
Entrando nei dettagli si possono qui addirittura elencare alcune di siffatte, poliedriche, iniziative promozionali del nuovo ed ambizioso bibliotecario intemelio.
A riguardo dell’Aprosiana, nei “Fiori Poetici“, a p. 192, Gandolfo stesso si riconobbe, scrivendo in terza persona, le seguenti operazioni: ” …l’ha adornata nelle scanzie e nela tavola di mezzo e l’ha accresciuta di molti libri, in particolare di più di 50… ” (ma questo lo scriveva nel 1682 e vi sarebbe ufficialmente rimasto come bibliotecario ancora per diversi anni, con l’assimilazione quindi di parecchi altri volumi freschi di stampa od anche di notevole rarità).
Il rammentare qui siffatta autocitazione non vuol per nulla alimentare l’idea che i suoi meriti siano stati disconosciuti dai concittadini e in particolare dagli eruditi locali: basti qui ricordare Gio. Paolo Fenoglio che, in relazione al valore del Gandolfo, scrisse (“Elogium epitalamicum in nuptiis…”, Niciae, Romeri, 1687, p. 16) “Insignis illa Bibliotheca Aprosiana nunc a perspicacissimo Gandolfo illustrata, tot voluminibus referta ut saeculorum opus videatur et iure merito litterarum Oceanus ac mirandum Minervae Theatrum possit appellari “.
Per quanto invece concerneva la sua ferrea volontà di non perdere i contatti con gli antichi corrispondenti dell’Aprosio fa particolare fede, fra altri segnali e testimoni culturali, una lettera dell’erudito G. B. Pacichelli (già in contatto epistolare con l’Aprosio: cfr. MS. E. VI. 9 in B. U. G.; 3 lettere a. 1678-79) che scrisse al Gandolfo da Napoli (1/VIII/I687): ” Non si può che magnificar dencomi la penna ed il genio suo i quali sembran di far risorgere su le carte gli spiriti del P. Maestro Angelico Aprosio di lei compatriota (come fu anche registrato dallo stesso Gandolfo nella sua “Dissertatio historica de ducentis celeberrimis augustinianis scriptoribus…”, Romae, typis Buagni, 1704, p. 394) “.
Gandolfo dovette però superare qualche propria titubanza e le altrui diffidenze iniziali per riannodare alcuni vecchi contatti dell’Aprosio: le lettere di G. F. Ruota (Roma, 17/V/1687) e di Carlo Cartari (Roma, 24/IV|I689) pubblicate dal nuovo bibliotecario in una sua opera di varia erudizione (“Dispaccio Istorico, curioso et erudito“, Mondovì, per il Veglia, 1695 p. 110 e 102-105) sono per l’appunto la prova estrema di un lavoro anche asfissiante di persuasione e di valorizzazione, sì che che i dotti lontani non pensassero che, dopo la scomparsa del fondatore, l’Aprosiana avesse iniziato un lento degrado o non avesse invece – cosa di cui molto spesso si convincevano dopo pochi contatti epistolari – un nuovo “custode” all’altezza delle molteplici esigenze culturali dell’istituzione e del suo continuo bisogno di aggiornamento [per un riscontro dei corrispondenti dell’Aprosio divenuti in seguito fruttuosi interlocutori del Gandolfo costituisce tuttora una fondamentale base di ricerca il lavoro di Antonia Ida Fontana, “Epistolario e indice dei corrispondenti del padre Angelico Aprosio” in ” Accademie e Biblioteche d’Italia “, anno XLII (I974), n. 45].
Invece, a proposito delle relazioni erudite e culturali che il Gandolfo prese ad alimentare con crescente passione in una Ventimiglia, di cui aveva già segnalato, ma non con siffatti approfondimenti, un risveglio culturale editando “Il Beneficato beneficante, ombreggiato nella città di Ventimiglia” (Genova, per il Franchelli, 1683, p. 25), bisogna anche menzionare la concomitanza di precise e favorevoli contingenze intellettuali.
A prescindere del potenziamento dell’Aprosiana (ormai patrocinato direttamente dallo stesso Ordine agostiniano), la più importante di tali promozioni culturali fu realizzata col contributo della ” Signora Devota Maria Orengo ” che nel 1686 lasciò una cospicua somma per l’allestimento di un centro di studio e l’istituzione di cattedre ” di Grammatica e belle lettere “. L’iniziativa, la sua realizzazione e, naturalmente, la donatrice furono celebrate da un intimo del Gandolfo, il poeta nizzardo ma residente a Mentone Giovanni Francesco Martini, nell’ode “Studia literarum excitata“, Nizza, per il Romero, I686: la notazione non è priva di valore culturale, il fatto che un erudito non ventimigliese sia intervenuto a celebrare la benefattrice è un’altra prova dei vivaci contatti di letterati di altre città e ambienti culturali, non solo del genovesato, con la temperie intellettuale esorcizzata in Ventimiglia dal fiorire di iniziative di contorno a quelle, importantissime, alimentate presso la Biblioteca istituita dall’Aprosio.
Un contributo fondamentale alla conoscenza della cultura ligure occidentale coeva (e contestualmente alle sue interazioni con i fermenti culturali del basso Piemonte, delle Alpi Marittime e soprattutto del territorio compreso tra Nizza e Monaco-Mentone), il Gandolfo lo ha lasciato manoscritto, annotando e correggendo in diversi punti una copia dell’Oldoini ora conservata all’Aprosiana con questa segnatura: “OLDOINUS AUGUSTINUS, Atenaeum ligusticum, Perusiae, Ex typographia episcopali”, I680, 8° (cm. 20,5), pp. [2], 20, 623, [4], inv. 2130, coll. I, 4, 20, 4, 20 “.
La silloge sugli scrittori liguri riporta sul frontespizio lautografo: “Ad usum fratris Dominici Antonii Gandulphi Augustiniani Vintimiliensis qui emit Romae 1698… Iuliis sex : molte valutazioni del testo a stampa sono modificate spesso con la citazione ” error… (correzione) … sic Dominicus Gandulphus ” (vedi la chiosa di p. 85).
In tutto si tratta di 27 osservazioni di diverso spazio e valore nel testo, 30 correzioni nell”Index Patriae” (p. 571-623): in fine dell’opera si individuano quattro pagine manoscritte, ognuna resecata su due colonne: p. A, B. C, D, E, F. G.
La p. A intitolata “Scriptores Ligures Augustiniani” registra 34 correzioni cui seguono 8 in p. B con indicazione della pagina del testo dell’Oldoini in cui sono trattati i personaggi che riguardano siffatte correzioni e dove peraltro il Gandolfo con segno critico od opportuno lemma ha già provveduto a segnalare la svista bio-bibliografica.
Ancora nella p. B si legge poi l’intestazione ” Deficiunt in hoc Athenaeo sequentes ” cui seguono notazioni biobibliografiche, del tutto simili a quelle usate dallo stesso Oldoini, di 23 scrittori liguri individuati dal Gandolfo ma ignoti all’autore della silloge (si tratta naturalmente di un notevole campo di indagine, anche molto settoriale, al cui studio si devono qui necessariamente rimandare gli specialisti, volta per volta, interessati).
…
Il Gandolfo ebbe forse da sempre l’abitudine di registrare quei letterati liguri, agostiniani e non, di cui avesse conoscenza e che non fossero trattati o fossero trattati erroneamente nelle sillogi di Soprani, Giustiniani e Oldoini. Anche in dipendenza di questa consuetudine maturò la volontà di redigere repertori organici (per tematiche, sezioni, ordini ecc.) e, con molta probabilità, il disegno di un catalogo esaustivo sugli scrittori liguri.
Oltre a svariate comunicazioni, nei “Fiori Poetici” ( pp. 46-61 e pp. 221-249) ne “Il Dispaccio Istorico, curioso et erudito…”, Mondovì, Veglia, 1695, (pp. 122-133) pubblicò molto materiale inedito dell’Aprosio, sull’Aprosio e su vari letterati liguri che fiorirono poco prima di lui o sulla sua scia crebbero in fama e dignità letteraria.
Nell’opera seriore, ancora di carattere erudito ma organizzata con una specificità ed una scientificità ignota ai precedenti suoi lavori, la “Dissertatio historica de ducentis celeberrimis augustinianis sciptoribus…”, Romae, typis Buagni, 1704 a p. 396 compare quindi la precisazione di voler trattare due letterati liguri dimenticati o mal curati nei cataloghi dellepoca: Ludovico Spinola e il matematico ventimigliese Ambrogio Galleani.
Seguono poi (“Oldoini corretto”, p. 397-98) due saggi estratti da un manoscritto del Gandolfo già annunciato di imminente pubblicazione (“Ibidem”, p. 395): “Li splendori liguri svelati dalla penna del P. Fra Domenico Antonio Gandolfo… “(il sottotitolo, impressionantemente lungo, riporta i 12 capitoli in cui lopera avrebbe dovuto essere divisa, per trattare gli aspetti storico-culturali più significativi della Liguria).
Il Rossi (“Storia della città di Ventimiglia” ,cit., p. 228) considera l’opera rimasta inedita e poi persa; il Perini (“Bibliographia Augustiniana – cum notis biographicis – scriptores itali”, Firenze, 1931, II, pp. 94-95) la giudica conservata manoscritta allAprosiana: l’inedito non si trova ora in questa biblioteca e nemmeno presso l’Universitaria di Genova dove potrebbe essere affluito dopo l’operazione tardosettecentesca del Semini che trasportò a Genova, in previsione di un’istituenda biblioteca nazionale, molto materiale dell’Aprosiana (S. LEONE VATTA, “L’intellettuale Angelico e la sua biblioteca” in “L’Aprosiana di Ventimiglia, una biblioteca pubblica del Seicento“, a cura di S. Leone-Vatta, Ventimiglia, Civica Biblioteca Aprosiana, 1681, p. 22).
Nel parmense “Giornale de’ letterati” del 1686 (pp. 149-50) si avvisarono i lettori della pubblicazione di un’altra opera di argomento ligure del Gandolfo: “II valore splendido e generoso palesato nell’insigne Capitano e Eroe del nostro secolo Gio. Francesco Serra + 4 ” lettere curiose e erudite”. Tale opera, giudicata persa dal Rossi, si conserva nella genovese raccolta Durazzo in qualità di manoscritto (A.III.I2) non autografo ma fittamente corretto dall’autore (c. V + 94, mm. 217 X 146): cfr. D. PUNCUH, “I manoscritti della raccolta Durazzo“, Genova, Sagep, 1979, pp. 100- 101, n. 31.
Il titolo, per esteso, è (c. 2 recto): “Al valore splendido e generoso pubblicato nell’insigne capitano del nostro secolo Gio. Francesco Serra, marchese dell Almandreletto e di Strevi, signore dello stato di Cassano, Civita, Francavilla, Orria, gentilhuomo della camera del Re Cattolico, del suo consiglio segretario, mastro di campo generale e governatore dell armi dello stato di Milano e Catalogna, di fra Domenico Antonio Gandolfo di Ventimiglia, agostiniano, graduato in teologia, predicatore generale e priore pour la seconda volta del suo monastero e questo con la scorta della vita ms. del suddetto marchese che si conserva nella Biblioteca Aprosiana e d’altri celebri storici del nostro secolo, all’illustrissimi et eccellentissimi signori Marchesi Giuseppe e Francesco, dignissimi figli dello stesso” (acquistato però e quindi portato via dall’Aprosiana da Giacomo Filippo Durazzo nel 1801 per una lira genovese: Archivio Durazzo, conto n. 95 del 30/XII/I801).
L’incipit detta: “Nell’emporio de Liguri, dico nella città di Genova… “: parte dell’opera fu però pubblicata dal Gandolfo nella lettera VI del “Dispaccio” dal titolo: “Il valore splendido e generoso palesato dall’insigne Eroe e Capitano del nostro secolo Gio. Francesco Serra Marchese dell’Almandraletto e di Strevi ecc., Maestro di Campo generale e Governatore dell’Armi dello Stato di Milano e Catalogna all’Illustrissimo Signore e Patron mio Colendissimo il Sig. Conte D. Filippo Serra dignissimo nipote dello stesso“.
L’incipit è: “Essendomi riportato a riverire l’Illustrissima Signora Giovanna Spinola… “; ma a p. 42 (linea 12) leggesi in capoverso: “Nell’Emporio de Liguri, dico nella città di Genova… ” e di seguito sino a linea 3 di p. 48; poi alle linee 4-5, si trova scritto: “E tralasciando il resto, che mi riservo a miglior congiontura esponere assieme… ” (Genova 15/IX/1694).
Le quattro lettere annunciate dal Bacchini corrispondono poi ad altrettante tematiche pubblicate, sotto forma di epistole progressivamente numerate, nel Dispaccio (“notizie su Ventimiglia“, = lettera II; “commento su un sonetto enigmatico” = lettera XV; “scritti sul Magliabechi” = lettera VIII (in qualche modo continuata nella XXII); “ alcuni splendori dell’ordine agostiniano ” = lettera XXIV).
Da questi ed altri testimoni è facile ricostruire come il Gandolfo abbia raccolto, per tutta la sua vita intellettuale, materiale polivalente sulla civiltà e cultura ligure, soprattutto ponentina.
da Cultura-Barocca