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Powered by TCPDF (www.tcpdf.org) Rocco Liberti Folklore di Calabria Proverbi e modi di dire-Filastrocche-IndovinelliBlasoni popolari-Scioglilingua-Strambotti amorosi e stornelli a dispetto 2a edizione in copertina: i giganti delle sagre paesane negli anni ’30 del passato secolo a Tresilico (foto Luigi Morizzi) © Copyright, 2011 Rocco Liberti Via Domenico Carbone Grio 26 89014 Oppido Mamertina (RC) PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA Tutti i diritti d’autore, di traduzione, elaborazione e riproduzione (anche di semplici brani o a mezzo di radiodiffusione) sono riservati per tutti i paesi del mondo. Qualsiasi contraffazione e riproduzione di parti verrà perseguita a termini di legge. Prima edizione: Barbaro editore, Gioia Tauro-Oppido Mamertina 1979. La ricerca che presentiamo è stata effettuata nel territorio di Oppido Mamertina, ma la maggior parte delle composizioni è patrimonio comune di tutta la Calabria e anche di altre regioni dell’Italia. Le varie formulazioni sono dovute unicamente alle differenziazioni dialettali e al diverso costume di vita. La letteratura gnomica relativa a motti, aforismi e sentenze rappresenta uno dei lati più pittoreschi dell’anima popolare. Essa o paremiologìa raccoglie come in un corpus le piccole esperienze, buone o cattive, avute dall’uomo lungo il lento volgere dei secoli tramite uno stretto rapporto coi suoi simili e con la natura circostante. Tali esperienze, riprodotte in frasi cadenzate dallo schietto sapore dialettale e dal profondo e moraleggiante doppiosenso, che sempre nuove schiere di folkloristi hanno catalogato e illustrato, hanno significato per i nostri maggiori, in epoche alquanto lontane dalla nostra e quando una vera educazione era ancora di là da venire, la più alta saggezza e il più efficace insegnamento. Si sono dimostrate sicuramente utili ai fini di un comodo inserimento nella vita sociale. Leggendo qualsiasi raccolta di questi modi di dire non si può fare a meno di notare come l’Antico, bella e ideale figura di vecchio sapiente impersonante tutta l’Umanità, abbia perlustrato fin nei fondi recessi l’animo degli uomini, tanto da studiarne tutte le sfumature e da rilevarne ogni segreto tratto. Il presente compendio, che per comodità nostra e di chi legge abbiamo suddiviso in varie rubrìche, è alieno da qualsiasi pretesa e vuole essere appena un modesto contributo alla sempre maggiore ricerca di quei motti, che, tramandati oralmente sin dai primordi dell’umano vivere, sono stati, e permangono a esserlo tuttora, il decalogo segreto e morale di ogni famiglia. FAVOLISTICA In molti adagi l’uomo rappresenta e fa addirittura agire personaggi animaleschi, ma dietro a questi ultimi si nasconde proprio lui, l’uomo, questo sconosciuto, con pregi e difetti e, proprio come avveniva nell’antichità pagana con le celeberrime e moralistiche favole di Fedro e di 5 Esopo, i vizi e le virtù degli animali adombrano, appunto, quelli più appariscenti degli uomini. 1-‘a crapa si doli e ‘u zzìmbaru si mungi. 2-‘a gaìna faci l’ovu e o’ gaiu nci bruscia ‘u culu. Questi due proverbi, pur avendo personaggi totalmente diversi, hanno però identico intendimento. Con essi si ammoniscono tutti coloro che si lamentano per le fatiche altrui quasi che fossero le proprie. La capra sente dolore, ma è il caprone a lamentarsi. La gallina fa l’uovo, ma è il gallo che risente del relativo bruciore all’ano. 3-Se pecura ti fai, lupu ti mangia. Come non ricordare, a questo proposito, la celeberrima favola del lupo e dell’agnello? Il debole è da sempre preda del prepotente e ogni agnello deve attendersi la soverchierìa di ogni lupo. 4-Amara ‘a pecura chi nd’avi e dari ‘a lana. Meschina la pecorella che dev’essere tosata! È da compiangere colui che deve saldare un debito. La paura di non poterlo fare non gli fa prendere sonno. 5-Mòrinu cchiù ‘gnej ca crapi. Muoiono più agnelli che capre! Così va la vita! Periscono più spesso ragazzi in tenera età che non vecchi stagionati. 6-‘A pecura (anche ‘u porcu) rendi cchiù viva ca morta. La pecora rende più da viva che da morta. Si guadagna di più ad avere un parente vivo che defunto, pure se, venendo a morte, ci potrebbe lasciare una cospicua eredità. L’eredità di un morto si ottiene solo una volta, mentre i favori di un vivo si possono godere ripetutamente. 7-Cu’ non vitti pecuri a chist’ura non vidi cchiù pecuri e nò lana. 6 Chi non avrà visto rientrare le pecore all’ovile fino a ora tarda, non rivedrà più non solo le pecore, ma nemmanco la lana. Quando una cosa indugia ad accadere ci assalgono il pessimismo più nero e la sfiducia più completa. 8-a’ ogni mandra nc’è ‘na pecura rugnusa. Una pecora ammalata di rogna è dato di riscontrarla in seno a ogni gregge. In qualsivoglia ambiente ci sarà sempre una persona che si comporterà in contrasto con le norme del vivere civile e, di conseguenza, riuscirà di fastidio a tutti gli altri. 9-‘a gatta quandu no’ ‘rriva o’ lardu dici ca feti. Questo proverbio ricorda molto da vicino l’antica e sempre valida favola della volpe e dell’uva. La volpe, che non riesce, dopo vani tentativi, a impossessarsi almeno di un grappolo d’uva, rinuncia all’appagamento del suo desiderio affermando che non ne vale la pena, tanto … quel frutto è ancora acerbo! La gatta, che non può farcela ad arraffare un pezzetto di strutto, non volendo apparire vinta, dice anche lei come non sia il caso di prendere quel tale oggetto, tanto … puzza! Quando un uomo non è capace di raggiungere un suo preciso scopo, trova sempre la scusa bell’e pronta per dire come non ci tenga o come non ne valga proprio la pena. 10-‘a gatta prescialòra fici i gattarèj orbi. La gatta frettolosa ha partorito dei gattini ciechi. Non bisogna aver mai fretta. Occorre fare tutto secondo il tempo che si richiede. 11-Quandu ‘a gatta no ‘ nc’è, ‘u surici trisca. 7 È una variante poco comune dell’altro detto: Quandu ‘a gatta no’ nc’è, ‘u surici balla. In assenza del gatto, il topo fa festa o anche si dà all’intrigo. Quando manca il maggiore, il minore si crede in diritto di darsi alla pazza gioia ovvero di commettere degli imbrogli. 12-Chistu non è tempu ‘i dari pani a gatti. Non è proprio il momento di offrire pane ai gatti. In tempo di carestìa le bestie possono benissimo morire di fame. Ogni briciola, è naturale, va riservata alle persone. Si pronunzia tale frase quando non si vuole soddisfare nell’immediatezza una determinata richiesta. 13-Dammi tempu ca ti perciu - nc’issi ‘u surici a’ nuci. Col tempo il sorcio riesce a forare la noce e, quindi, a mangiarne il contenuto. Tutto si può ottenere se si ha la pazienza di saper aspettare. Le nespole maturano col tempo e con la paglia. 14-I muli si sciarrìanu e i barìj vannu po’ menzu. Tra due persone importanti che litigano, chi ci andrà di mezzo sarà sempre un terzo. Se due muli attaccano briga, il peggio lo riporteranno, indiscutibilmente, i barili, che cadranno a terra e si sfasceranno. 15-Campa, cavallu meu, ca l’erba crisci. 16-Campa, sumèri meu, ca maju veni. Campa, cavallo mio, che l’erba si farà presto alta o campa, asino mio, che maggio verrà. Hanno voglia di attendere, che cresca l’erba il cavallo o che arrivi maggio l’asino. Morranno certamente prima di tali eventi, l’uno per fame e l’altro per il mancato soddisfacimento dell’atto sessuale. Quando dobbiamo attendere eventi lontani nel tempo, ci scoraggiamo facilmente pensando alla lunga attesa che dovremo sostenere e che alla finepotrà riuscire anche vana. 8 17-O’ cavàju hjestimatu nci luci ‘u pilu. Al cavallo oltraggiato splende il pelo. La persona che più risulta criticata o invidiata, riluce di più, anzi trae vantaggio proprio dalle critiche malevoli. 18-L’occhiu du’ patrùni ‘ngrassa ‘u cavàju. Lo sguardo del padrone contribuisce a far ingrassare il cavallo. In ogni posto di lavoro la presenza vigile del padrone fa sì che i lavoranti s’impegnino e quindi producano di più. 19-Centu muschi jèttanu ‘nu cavàju. Cento mosche hanno ragione di un cavallo. Cento deboli avranno facilmente la vittoria nello scontro con un potente, ma solo se, nell’occasione, sapranno restare uniti. L’unione fa la forza. 20-Cu’ non si movi s’u mangianu ‘i muschi. Chi ama poltrire è facile preda delle mosche. Chi non esercita una qualsivoglia attività produttiva perverrà presto a completa degradazione. 21-‘U sceccu chi mangia ficàra dassa ‘u vizziu quandu mori. 22-Vizziu e natura fin’a sepurtura. L’asino, che addenta con piacere l’albero del fico, abbandonerà quel vizio soltanto dopo la morte. I vizi, infatti, sono gli ultimi a morire. 23-‘u sceccu ‘i tanti frati mori da’ siti. L’asino, che risulta proprietà di vari padroni, è destinato a morire di sete. Se una casa, un podere o altro sono in comproprietà tra diverse persone, si potrà stare certi che col tempo finiranno tutti alla malora. Difatti, ognuno pretenderà che se ne occupi l’altro e, non vedendo partecipazione in alcuno, se ne disinteresserà del tutto. 9 24-Quandu lu sceccu non voli ‘mu ‘mbivi, ‘mbàtula frischia lu patrùni. Quando l’asino non ha sete, è inutile che il padrone cerchi di costringerlo a bere. Colui che non vuol sentire è come sordo. 25-Attacca ‘u ciucciu a undi voli ‘u patrùni. Non si ottiene alcun profitto ad agire contro le direttive di chi ci comanda e la miglior cosa da fare è accettare quanto dice lui, anche se a volte erra grossolanamente. Diceva l’Antico: attacca l’asino nel preciso posto che t’indicherà il padrone e non te ne preoccupare. Sarà soltanto lui il responsabile degli eventuali errori che potrai commettere. 26-Cu’ nc’i lava i pedi all’asinu perdi l’acqua e la lissìa. Chi lava i piedi all’asino perderà l’acqua e la liscivia. Chi fa dei favori a un amico irriconoscente perderà non solo il denaro, ma anche il tempo. 27-‘u sceccu quandu ‘rragghia o canta p’amuri o canta pe’ rraggia. L’asino, quando raglia o canta per amore o perché adirato. A ogni azione corrisponde una causa, anche nei casi dove l’evidenza sembra venir meno. 28-‘u sceccu ‘i porta e ‘u sceccu s’i mangia. L’asino li porta e lo stesso asino se li mangia. L’ingordo, che regala una leccornia, già prima di consegnarla, ne approfitta per mangiarne una parte. 29-‘u sceccu si mangia ‘a pagghia ca si ricorda ca era erba. L’asino mangia la paglia perché ha nella memoria ch’essa un tempo si trovava allo stato di erba. L’uomo deve sempre ricordarsi delle generosità ricevute e, quindi, agire di conseguenza. 10 30-‘u cani mùzzica o’ sciancàtu. Le sfortune capitano più spesso a chi è già scalognato. Il cane addenta con più piacere lo straccione perché avverte che vi si può afferrare più facilmente. 31-Cani chi ‘bbaia assai mùzzica pocu. Cane che abbia molto morde poco. L’uomo, che è aduso gridare, procurerà sempre poco male. È infatti assai più pericoloso colui che tace. Mentre l’uno dice solo parole e resta “cani ‘i vucca”, l’altro compie i fatti. 32-‘nd’avi e venìri ‘u cani ‘i munti pemmu caccia a chiju di frunti. Deve venire il cane di monte per scacciare quello di fronte! Spesso un forestiero, con la sua concorrenza e il suo saper fare, costringe gli abitanti tradizionali del paese a sloggiare o reca loro un grossissimo danno. 33-Rispetta ‘u cani p’a facci du’ patrùni. Si rispetta il cane per il padrone. Si deve avere riguardo spesso anche con chi si è mostrato scortese con noi, in special modo se ha parenti o amici, dei quali si potrebbe un giorno avere bisogno. 34-Cu’ nci ’una pani a cani strani perdi ‘u pani e ‘u cani. Chi offre da mangiare a cani altrui perde non solo il pane, ma non attira il favore del cane. Chi sfama degli estranei perde il pane, che ha dato loro ed essi stessi si guarderanno bene dal farsi rivedere. 35-Non toccàri i cani chi dòrmunu. Non recare disturbo ai cani addormentati perché ti si rivolgeranno contro. Se non vuoi ricevere un danno, spesso devi lasciare le cose come si trovano. 11 36-Occhi nigri ‘i sumèri, occhi janchi ‘i cavalèri. Le persone nobili si riconoscono dagli occhi. Potranno essere neri quelli asinini, ma risulteranno sicuramente bianchi quelli dei cavalieri. 37-Tutti i pùlici nd’annu ‘a tussi. Tutte le pulci hanno la tosse! Tutti, anche le persone più insignificanti, cercano di emergere e di dire una loro parola. 38-Cu’ si curca ch’i pùlici si leva ch’i pidocchi. Chi la sera prima si è coricato con addosso le pulci l’indomani mattina si troverà cosparso di pidocchi. Chi va con le persone d’infimo rango non migliorerà mai il suo stato, anzi lo peggiorerà. 39-Quandu i porci ‘rrìgghianu ‘u tempu chiovi. Se i porci giocano è chiaro segno che presto pioverà. Se delle persone scherzano pesantemente, si può stare sicuri che il cielo non approverà tale loro comportamento e quanto prima si avvertiranno scrosci di pioggia. 40-‘u porcu magru si ‘nsonna sempri ‘a gghianda. Il porco denutrito sogna continuamente le ghiande. Chi è fissato sopra una determinata cosa la sogna sempre, giorno e notte. 41-Nnaru nnaru nnaru: lu malatu leva lu sanu. Così dice la volpe in una vecchia fiaba popolaresca, burlandosi del lupo, che, sofferente, è costretto a portarla sulle spalle, in quanto quella birbona gli ha fatto capire di stare poco bene. Le persone astute riescono a far agire secondo i propri desideri i meno dotati di cervello. 42-‘u lupu cangia ‘u pilu, ma no ‘u vizziu. 12 Il lupo con l’età perde il pelo, ma non il vizio. Le cattive abitudini nelle persone sono le cose più difficili da abbandonare. 43-‘u pisci randi si mangia ‘u piccirìju. Il pesce grande inghiotte il piccolino. Il prepotente fa sempre sua preda il debole. Da che mondo è mondo è stato sempre così! 44-Jèttanu ‘na ciciarèja a mari pe’ pigghiàri ‘n aggrancu. Il pescatore butta in mare dei pesci piccoli sperando di accaparrarsene di grossi. La gente fa spesso piccoli doni con la segreta speranza di riceverne di considerevoli. 45-‘u pisci feti d’a testa. Il pesce comincia a puzzare dalla testa. Quando una cosa non va lo si capisce fin dall’inizio. O meglio. La colpa in molte situazioni ce l’ha chi comanda o sta a capo di qualche cosa. 46-‘u pruppu si coci cu’ l’acqua sua. Il polipo vien cotto in mezzo al suo stesso brodo. Deve venire da sé che col tempo un tizio venga a maturazione e decida di scendere a patti. 47-Friji i pisci e guarda ‘a gatta. Frigge i pesci e, nel contempo, sta attento alla gatta perché non si avvicini. Si dice di chi fa varie cose nello stesso momento. Di sicuro, non riuscirà a combinare alcunchè di buono. 48-Batti ‘u circu e ‘u timpàgnu. Ha lo stesso significato della precedente. Dare di martello nel medesimo tempo sul cerchio e sul tondo di una 13 botte equivale del pari a non concludere operazioni di buona qualità. 49-‘a ciciarèja scala ‘a sarda. Il pesce minuto fa scemare il prezzo delle sarde. Le piccole cose, se abbondanti, fanno scadere di valore quelle grandi. 50-Perdìu i vacchi e vaci trovandu i corna. Si dice di uno che ha perso tutte le sostanze che possedeva o pur anche l’onore e cerca di rifarsi lottando disperatamente e attaccandosi a ogni minimo appiglio. Ha perso le vacche e ne va cercando le corna. Come dire, ha perso le ricchezze e cerca di riemergere impuntandosi sulle piccole cose. 51-Cu’ gallu e senza gallu Diu fa jornu, cu’ crivu e senza crivu ‘mpastu e cernu. Col gallo e senza del gallo Dio fa giorno. Sia col crivello che senza di esso la massaia riesce a impastare e cernere la farina. Non è l’apparenza che conta, bensì la sostanza. 52-‘a gaìna ‘i vinti ‘rana a vintun’ura samba sona. Per la gallina, il cui costo si aggira appena sui venti grana, a ventun’ore suona la ritirata. La gallina acquistata a poco prezzo si corica presto, cioè vale poco. 53-Quandu la strangia quandu la pipìta, la gajnèja mia sempri malata. Nella vita, o per un motivo o per l’altro, si hanno continuamente delle noie. La mia gallina è sempre ammalata sia che si tratti di mal di gola che di lingua. 54-Palùmba muta non pot’èssiri servùta. 14 Colomba che non parla non potrà mai essere soddisfatta. Il timido, che non fa partecipi gli altri di quello che desidera, non sarà mai esaudito. 55-Caca cchiù ‘nu voi ca centu pàsseri. Le feci di un bue sono molto più abbondanti che quelle di cento passeri. Una moltitudine di persone insignificanti ha meno forza di un solo personaggio autorevole. 56-Tutti i ceja passàru e cacàru, puru chij senza culu. Tutti ci tengono a dire la loro, anche quelli che non ne hanno la capacità. Tutti gli uccelli hanno potuto svuotare l'intestino, persino quelli privi di ano. 57-Chi dispettu mi fici la gatta, stanotti mi pisciàu arrètu a la porta. La gatta scacciata di casa, non potendo vendicarsi della padrona, che ha subito serrato la porta, fa i suoi bisogni appena fuori di quest’ultima. Si pronunzia tale adagio quando taluni, per vendicarsi di un torto subìto, si servono di mezzi meschini e poco efficaci. 58-La vurpi no’ nesci di la tana, senza lu so’ bisognu no’ camìna. o anche: senza di li soi disinni la vurpi no’ nesci di la tana. La volpe esce dal suo nascondiglio solo per motivi di bisogno. Certe persone si espongono soltanto perché spinte dalla necessità. 59-Raccumandàri i pecuri ‘o lupu. Raccomandare le pecore al lupo equivale a consegnarle direttamente al loro carnefice. Fare appello al nemico significa affrettare la propria fine. 15 60-Quattru pili ‘nd’avi ‘u porcu. Si allude a colui che, pur parlando di altre cose, ritorna sempre a ogni piè sospinto sull’argomento che più gli sta a cuore. 61-Megghiu testa ‘i zzafràta ca cuda ‘i leuni. È mille volte meglio essere testa di lucertola che coda di leone. Vale più stare a capo di elementi insignificanti che non fare il lacchè a un potente. 62-Avìri setti spiriti comu ‘e gatti. Si crede comunemente che i gatti abbiano sette spiriti e cioè che rinascano per sette volte. Un tizio, ch’è duro a morire oppure sta sempre sul chi vive e riesce ad appurare fin ogni inezia per tempo, è perciò in tutto simile ai gatti. 63-Nd’avi cchiù vìzzii iju c’a mula ‘i Panzeja (o anche ‘i Chitì). Il vizioso supera in vizi perfino la celebre mula di Panzeja o di Chitì. 64-Mortu ‘u cani, morta ‘a rraggia. Morto il cane, la rabbia che l’ha assalito si è estinta per forza di cose. Eliminato chi è stato causa di dissapori, non c’è più motivo per continuare a litigare. 65-Quandu vidi ‘u porcèju fuj cu’ cutèju. Allorquando avvisterai il porcello sii pronto a lanciarti col coltello per finirlo. Approfitta dell’attimo fuggente. 66-Se no’ canta ‘u merlu nd’a brujèra ancora no’ si vara ‘a primavera. Se il merlo non ha cominciato a cantare nella brughiera (quindi pressappoco a metà marzo), l’arrivo della primavera si farà ancora attendere. 16 67-I muli, se no’ mmùzzicanu, mìnanu puntàti. È nella natura del mulo dare calci, così come in quella di certe persone di comportarsi in modo non proprio corretto. 68-Si ‘mbìscanu ‘u voi e la vacca, unu ‘mu tira n’atra ‘mu ‘nsacca. Si uniscono il bue e la vacca e mentre l’uno tira l’altra mette in saccoccia. È l’uomo che ha il compito di lavorare e di guadagnare. Alla moglie spetta di saper condurre una buona economia, quindi far aumentare quanto l’uomo produce. 69-Lupu no’ mangia lupu. Tra due prepotenti il rispetto e il timore sono reciproci. È naturale. 70-‘u ceju nd’a gàggia o canta pe’ ‘mbìdia o canta pe’ rràggia;. ma anche: ‘u ceju nd’a gàggia o canta p’amuri o canta pe’ rràggia. Se una persona fa finta di essere contenta in una situazione non proprio felice, due riescono i motivi. O lo fa perché invidiosa o perché adirata, ma anche in quanto è innamorata. 71-Posa l’ossu ch’è d’u cani. Deponi l’osso che hai preso perché è di pertinenza del cane. Si rivolge all’indirizzo di chi si appropria di un oggetto non suo. 17 L’auto di una volta: il mite asinello foto Luigi Morizzi 18 L’UMANITÀ 1-Chistu è ‘nu mundu di guai. Il nostro è un mondo pieno di guai. 2-Tutti simu ‘i carni e d’ossa. Tutti siamo fatti di carne e ossa e, come tali, abbiamo un corpo e un’anima e dinanzi a Dio siamo perciò parimenti uguali. L’UOMO E I SUOI PREGI 1-Si’ omu e sì di pagghia. L’uomo, pure se debole e pauroso, resta sempre tale, in special modo nei confronti della donna. 2-A ca non si sperdi l’ovu o’ focu! Un uomo di buona memoria non trascura mai un uovo che ha messo a cuocere sul fuoco. Chi persegue un certo fine, non se ne distrae facilmente. 3-‘U rispettu è misuratu: cu’ ndi porta nd’avi portatu. Il rispetto è reciproco. 4-A jornu pari Alla luce del sole tutto è visibile. 5-Prima penza e dopu fai, non currìri di voluntà Prima di agire fa d’uopo meditare. 6-L’omu è cacciaturi: a undi vidi ‘a caccia s’a pìgghia. L’uomo è nato cacciatore. Dovunque scova la selvaggina, se la prende. È soprattutto la donna che deve guar19 darsi da lui perché è da tempo immemorabile che la insegue per farne sua preda. 7-L’omu da’ parola e ‘u voi di’ corna. Il vero uomo si riconosce per la parola data e il bue dalle corna. L’uomo è tanto più stimato quanto più tiene fede ai suoi impegni. 8-L’omu drittu campa affrìttu. L’uomo onesto vive modestamente. 9-‘u calabrisi pe’ n’a testa ‘i sarda passàu ‘u mari. Il calabrese per una testa di sarda ha varcato il mare. La nostra gente, che ha nel sangue la passione per la pesca, si spinge alla sua ricerca fin nei mari più lontani. 10-O’ galantomu non si torna restu. Il galantuomo compie azioni da galantuomo e risulta sempre al disopra di ogni piccolezza e meschinità. 11-Arba chiara non avi paura di trona. Il giusto non ha alcun timore di venire tacciato di commettere cattive azioni. N’è garanzia la sua dirittura morale. 12-‘u rispettu è misuratu: cu’ ndi porta nd’avi portatu. Il rispetto è scambievole. Solo chi rispetta potrà sperare di essere contraccambiato. 13-‘a troppa carità scianca ‘a vèrtula. Come la soverchia carità fa bucare la bisaccia del monaco di cerca, così il troppo far bene alla fine è destinato a degenerare. 14-Camìna gamba e mangia ganga. Sol chi si dà da fare ha l’opportunità di guadagnare. 20 15-‘mbàrcati cu’ ‘nu bonu navigaturi puru ‘a navi m’è vecchia. L’esperto infonde fiducia pure nel momento del pericolo. 16-‘u bonu navigaturi naviga c’u tempu bellu e c’u tempu bruttu. Occorre sapersi barcamenare in ogni framgente, anche se incombe qualche pericolo. 17-Hjuri di castagna, cu’ da’ so’ sudùra ‘a terra vagna pani, paci e onuri guadagna. Fior di castagna, il lavoratore che bagna col suo sudore la terra guadagna pane, pace e onore. 18-Non su’ li belli chi ti fannu amari, ma su’ li modi e li belli manèri. Spesso non basta la bellezza a incantare, ma c’è bisogno anche di belle maniere. 19-Solitùdini santitàti. La santità si acquista solo nella solitudine. L’eremita insegna. 20-È bellu parràri chiaru. Nella vita è preferibile parlar chiaro. 21-Mali non fari e paura non avìri. Chi non fa male al prossimo non ha di che temere. 22-Levàri comu ‘a zzita a’ chesa. Recare un oggetto delicatamente e con accortezza. 23-Cu’ si guardàu si sarvàu. Il previggente non fallisce mai in alcuna cosa. 21 24-‘a megghiu parola è chija chi non si dici. È assai apprezzabile chi parla poco. 25-Cu’ joca sulu non perdi mai. È del pari stimabile colui che ignora il gioco. Non avrà mai di che perdere. 26-È tuttu casa, chesa e putìgha. Essere tutto casa, chiesa e bottega equivale a persona seria, timorata e senza grilli per il capo, che conduce una vita normale e tranquilla. 27-Cu’ veni arrètu cunta i pedàti. Chi tiene dietro si giova dell’esperienza di colui che lo ha preceduto. Frase detta da chi invita eventualmente a seguire le sue orme. L’UOMO E I SUOI DIFETTI 1-Cu’ caca luntanu non senti fetu. Chi defeca distante da lui non ne sente il fetore. Colui che opera malamente lontano non è spinto a ricordare quanto ha commesso. 2-L’omu gelusu mori cornutu. L’uomo geloso è destinato a morire cornuto. Di solito, è proprio al marito geloso che la moglie poco virtuosa ha piacere di piantare le corna. Più si è pignòli e più c’imbattiamo in circostanze che vorremmo evitare. 3-L’omu valenti mori a manu du’ pezzenti. L’uomo valente finisce sempre per mano del pezzente. Lo spavaldo, il prepotente perde la vita spesso per mano di un debole. 22 4-Òmini ‘i vinu: ogni centu ‘n carrìnu. Gli uomini dediti al vino non servono a nulla. Cento di essi potranno valere, al massimo, un carlino. 5-Ddiu mu ndi lìbbara dill’òmini spani e di’ fìmmini barbùti. Voglia Iddio tenerci lontani dagli uomini privi di barba e dalle donne barbute. Sembra che tutte e due le categorie comprendano persone di pessimo carattere. 6-‘u còmbitu (ma anche ‘u bisognu) faci l’omu latru. Si diviene ladri perché ce n’è data l’opportunità, ma anche per necessità. 7-Tristi vastùni e malu vastùni: amara a chija casa chi non di chiudi. Triste bastone e cattivo bastone: misera quella casa che non ne racchiude uno. In ogni casa la presenza di un uomo è quanto mai necessaria, anche se egli a volte risulta prepotente e cattivo. 8-‘U megghiu nd’avi ‘a rugna. È una brutta comitiva. Figurarsi che il migliore dei partecipanti ha addirittura la rogna. Cioè, non c’è proprio di che scegliere. 9-Volìri ‘na paja. Essere un poco di buono. 10-Non èssiri bbonu né pe’ fùttiri né pe’ fari ‘a guerra. Non essere capace né di coitare né di fare la guardia agli altri. Essere buono a nulla. 11-Cu’ non avi pili vindi lana. Chi non ha peli vende lana. Si comporta così colui che cerca di offrire quello che non ha. 23 12- ‘i na ricchi nci trasi e ‘i ‘n’atra nci nesci. Chi non vuole intendere è come sordo. Le parole gli entrano da un orecchio ed escono dall’altro. 13-‘rrivàri a tavula conzàta. Trovare la tavola apparecchiata, cioè bello e pronto. 14-Spetta ‘u nci cadi du’ celu (o du’ cernàru). Colui che non ha voglia di lavorare aspetta che il cibo gli venga dal cielo, come la classica manna degli ebrei nel deserto o dal lucernario, come Giufà. 15-Cadìri du lettu (o da’ naca). Precipitare dal letto o dalla culla equivale a essere tonto. 16-Jiri scavandu finocchi ‘i timpa Sradicare finocchi in un terreno in pendìo è come cercare il pelo nell’uovo. 17-Minàri all’orbìsca Dare botte da orbi e, quindi, a caso. 18-Rispundìri ‘n tozzu Rispondere a tono. 19-Non si sputa nd’o piattu a undi si mangia Non si deve parlar male di chi ci aiuta. 20-‘A mala cumpagnìa faci l’omu latru La compagnia malamente assortita rende l’uomo ladro. I cattivi compagni inducono l’uomo a rubare. 21-Cu’ ‘a voli cotta e cu’ ‘a voli cruda Chi la vuole cotta e chi la vuole cruda. A questo mondo è impossibile trovare due che vadano completamente d’accordo. 24 22-L’omu da’ mala cuscènza com’è si penza. L’uomo di cattiva coscienza non può mai pensare bene. 23-Si jetta avanti pe’ nommu resta arrètu. La persona scaltra cerca sempre di anticipare il suo interlocutore. 24-Avìri ‘a peji cchiù dura di’ buffi. Avere la pelle più dura delle rane è come essere sfrontato oppure una pellaccia. 25-Tutta ‘a farina si ndi vaci pe’ lavàtu. L’uomo che non la competenza necessaria usa tutta la farina per fare appena il lievito. Oppure, un’operazione che inizialmente appare di poco costo, alla fine si qualifica tutto il contrario. 26-Mastru Nicola dijùna domani. Mastro Nicola, a chi gli chiede un favore, risponde sempre: domani, cioè mai. 27-‘A mmerda cchiù ‘a mìsciti e cchiù puzza. Certi fatti è bene tenerli celati perché più se ne parla e più recano scandalo. 28-O ciàngiu o tegnu ‘a candila. O piango o reggo la candela – diceva un tale che si accompagnava a un funerale. Non si possono svolgere due compiti contemporaneamente. 29-No’ jettàri c’a barrìtta. Spesso chi reputiamo essere da meno, vale più di quanto pensiamo. 30-‘ttaccàtimi ccà ca nc’è bon’erba. Pur di guadagnare, l’uomo è disposto a tutto. 25 31-Cu’ cui non hai chi fari ‘n’àngilu ti pari. Le apparenze ingannano. Sovente, colui con chi non abbiamo un rapporto, appare quale un angelo, ma nel fondo è certamente tutt’altra cosa. 32-Tu chi nd’hai ‘a testa ‘i vitru, vai ammenzu e’ petràri! 33-Cu’ nd’avi a testa ‘ i vitru nommu tira petri. L’imprevidenza può giocarci brutti scherzi. Chi ha una testa di vetro deve fare il possibile per non frequentare strade selciate, indiscutibilmente assai pericolose per la sua conformazione. 34-Cu’ simìna spini nommu vaci ‘a scaza. Chi ha seminato discordia, quindi spine, non potrà mai impunemente andare scalzo. Si pungerà certamente, quindi, ne subirà le conseguenze. 35-Pe’ lignu non mi minàu. Non mi ha bastonato per mancanza dei mezzi necessari. Si dice di chi è lì lì per darcele, ma poi si limita a compiere atti non meno compromettenti. 36-Se ‘a ‘mbìdia era guàira, l’avìvimu tutti. L’invidia regna sovrana fra gli uomini. Se essa fosse ernia, ne soffriremmo certamente tutti. 37-L’omu vanu si canusci all’occhi e ‘a donna malata a li stendìcchi. L’uomo inutile e vanesio si conosce a vista, mentre la donna ammalata per come stira le membra. 38-No’ vitti a giugnu nivicàri e a mmenzu mari ‘u quagghia ‘a nivi. È in riferimento a eventi impossibili a realizzarsi. Mai ha nevicato nel mese di giugno e mai la neve si è solidificata in mezzo al mare. In verità, in talune condizioni climatiche gli stessi sono possibili. 26 39‘A superbia non regna e, se regna, non dura. Il superbo non può restare tale in eterno. 40-‘a còllira da’ sira sarbatìlla p’a matina. Se ti capita di adirarti la sera, evita. Fatti piuttosto una bella dormita e l’indomani tutto sparirà. È un invito a starsene calmi. 41-Cu’ voli assai lepri ‘u cchiappa quali fuji e quali scappa. Come dire che chi vuole troppo nulla stringe. Non riuscirà mai agevole poter trattenere nello stesso momento molte lepri. 42-A hjumàra citulìja non jri a piscàri. Se l’acqua del fiume non scorre chiara, non andarci a pesca. Se la persona con cui si ha a che fare non appare limpida, è bene lasciar perdere. 43-Pe’ camàtri Ddiu no nc’è patri. Dio non potrà mai riuscire un padre per gli oziosi. 44-‘u Signùri ‘u ndi guarda di’ singàti smei. Che il Signore ci liberi della presenza dei guerci e di chi reca cicatrici sul volto. Tale genere di persone è guardato assai di malocchio dal popolino. 45-Voli gutti china e mugghieri ‘mbriaca. L’uomo incontentabile pretende che la moglie sia ubriaca e che la botte resti ancora piena. Vuole, in buona sostanza, l’impossibile. 46-Pe’ cazzùni non c’è riparu. 47-I fissa stannu a’ so’ casa. La stoltezza è una malattia inguaribile. 27 48-‘u menzognàru nd’avi ad avìri bona memoria. Il bugiardo deve possedere una buona memoria, altrimenti rischia di venire scoperto e smascherato. 49-Cu’ tardu arriva mal’alloggia. Il ritardatario dovrà accontentarsi di ciò che troverà. 50-Cu’ dissi apoi non fici casa mai. Chi rimanda al domani, non riuscirà a compiere un bel niente. 51-Cu’ voli ‘u mali ‘ill’autri ‘u soi è vicinu. Chi augura il male al suo prossimo dovrà aspettarselo anche lui a breve scadenza. 52-Du’ malu pagatùri o orgiu o pagghia. Dal debitore, che ha fama di non soddisfare quanto dovuto, si accettino anche le cose di poco conto, come orzo o paglia, se non si vorrà restare completamente a mani vuote. 53-Tristu pignàtu non cadi d’ancìnu. Una pignatta in cattivo stato non cade facilmente dall’uncino a cui è stata appesa. All’uomo malvagio le sfortune capitano assai di rado. 54-‘a mala ruggia rresta a’ mola. La ruggine resta attaccata alla mola. In alcune famiglie le iniquità si perpetuano. 55-Stendi ‘u pedi fin’a undi ‘u lenzòlu veni. Stendi il piede fin dove arriva il lenzuolo. Cioè, non fare il passo più lungo della gamba. 56-Ogni lignu avi ‘u so’ fumu. Ogni persona immancabilmente ha i suoi difetti, piccoli o grossi che siano. È un fatto naturale. 28 57-Cu’ spini simìna spini ricògghi. Chi semina vento raccoglie tempesta. Si otterrà in relazione a quanto si sarà seminato. 58-Jri trovandu ‘u pilu nd’all’ovu. Pescare nel torbido, suscitare continue zizzanie. 59-I paròli su’ comu ‘e ceràsi. Si cerchi sempre di parlare il meno possibile perché le parole sono come le ciliegie. Escono di bocca con tale impeto da non poter essere mai più riprese. 60-Faci l’arti ‘i Michelacciu: mangia, mbivi e vaci a spassu. Il fannullone non compie alcuna azione produttiva. Mangia, beve e va in giro a spassarsela. 61-Vaci videndu quali furnu fuma. L’incontentabile, l’insaziabile, l’abile fiutatore sta sempre sul chi vive ed è sempre pronto a seguire le buone piste lanciandosi a capofitto in ogni impresa. 62-‘u jmbùsu ammenzu la via non si guardava ‘u jmbu c’avìa; anche Ognunu nd’avi ‘u si guarda ‘u so’ jmbu. Il gobbo, che stava in mezzo alla strada, invece di rimirare la propria protuberanza, osservava quelle degli altri. Si ripropone con questo detto la nota favola delle due bisacce di fedriana memoria. L’uomo tarato non vede le proprie manchevolezze, ma si accorge molto bene di quelle degli altri. 63-‘u cacàtu ngiurìja o’ pisciàtu. Lo sporcato schernisce l’insozzato. Come dire: chi ha molti difetti dileggia coloro che ne hanno quanto lui se non di meno. 29 64-Arìganu e pilèju: unu tintu e l’atru peju. Non c’è proprio di che scegliere tra due persone che appartengono alla stessa risma. Se l’uno è un poco di buono, l’altro non gli è da meno. 65-Quandu Petru vindigna Gianni ‘mpala. Tra due fratelli o tra due soci, se uno imprende a fare qualcosa, l’altro cerca, come si suol dire, di rompergli le uova nel paniere ostacolandolo in tutti i modi. 66-‘nu pezzu ‘i manicu ‘i mola. 67-‘nu bellu nòzzulu gerfùni. Non v’è che dire! Un bel tipo davvero! Il nòcciolo gerfuni è quello contenuto dall’omonimo frutto, che si ottiene dal nespolo, la Mespilus germanica. Tale detto si riferisce sicuramente al fatto che la polpa del frutto, che si raccoglie in ottobre, è dura e aspra e che esso potrà maturare soltanto nella paglia. 68-Voli erba pe’ centu cavàj. 69-‘i ‘nu pilu faci ‘nu travu. L’uomo irragionevole pretende cose impossibili e il suo parossismo arriva alle stelle. Se pretende erba per cento cavalli, quindi esagerando al massimo. Spesso di una minuzia ne fa un caso esasperato. 70-Duru cu’ duru non fràbbica muru. Tra due persone intestardite non si potrà mai giungere ad alcun serio accomodamento. 71-Cca ssutta non chiovi. Sotto il palmo della mano non potrà mai piovere. Colui, al quale è stato fatto uno sgarbo, non dimentica certamente l’offesa, ma se ne ricorda per tempi più propizi. 30 72-‘a lingua non avi ossu, ma rrumpi l’ossu. La lingua può offendere più di qualsiasi arma. È essa stessa l’arma più tagliente che esista. 73-Sciacqua Rosa e mbivi Agnesi. È il motto dello scialacquatore. 74-O’ jornu nghiri nghiri e a’ sira carcarìri. Chi di giorno si dà al bel tempo cerca poi invano di recuperare alla sera. 75-Megghiu di favi ‘na mali simenza ca di chiss’occhi ‘na sguardatùra. È assai meglio una cattiva semente che un brutto sguardo. 76-Di st’erba è fatta ‘a scupa. Una scopa ha esito a seconda del materiale usato. Lo stesso vale indiscutibilmente per l’uomo. Questi riesce a seconda dell’educazione ricevuta o dell’estrazione sociale da cui proviene. 77-‘nd’a vucca du’ dragu ‘u hahòmulu. La fragola nella bocca del drago! Per un mangione una porzione normale di cibo è come una fragola nella bocca di un drago. 78-Cu’ ti sapi ti rapi. Chi ti conosce ti ruba. I ladri sono sempre al corrente di ciò che possediamo e spesso sono proprio quelli che vivono entro la nostra stessa cerchia a rapinarci. 79-Facci tosta rendi ‘n giardinu. Una buona dose di faccia tosta può rendere parecchio, anche un giardino. 31 80-Quandu ‘u diavulu t’accarìzza voli l’anima. Se qualcuno ti blandisce è chiaro segno che prima o poi ti chiederà qualcosa in cambio. 81-Fari du’ parti ‘n cummèddia. 82-Fari du’ facci. Recitare contemporaneamente due parti nella stessa commedia equivale ad agire doppiamente. 83-Avìri ‘a facci comu ‘a cipùja. Come sopra. Avere il viso come la cipolla significa mostrare un volto diverso per ogni situazione. 84-Non si fidi u’ teni ‘n gula. Il chiacchierone non è capace di tenere il benchè minimo segreto. 85-Petrusìnu d’ogni minestra. L’impiccione si trova dappertutto e tiene a intromettersi in ogni occasione. È prezzemolo valido per qualsivoglia minestra. 86-‘a troppa cumpidenza è patrùna da’ mala criànza. Il troppo storpia. Prendersi eccessiva libertà è solo da screanzati. 87-‘a mala testa s’accumpagna c’a mala sorti. Il cattivo agire s’accompagna spesso con un ingrato destino. Quando, dopo tanto mal fare, un uomo riesce a mettere un po’ di senno, è allora che comincia a essere combattuto dalla malasorte, stanca ormai di vederlo operare disastrosamente. 88-‘i ’na nuci non caccia mancu ‘a scorcia. L’avaro non vuole perdere nemmeno le cose più insignificanti. Di una noce mangia perfino l’involucro! 32 89-Cu’ di cutèju feri, di cutèju peri. Chi di coltel ferisce, di coltel perisce. 90-Curtu e malu cuvàtu. Molte volte una persona insignificante nasconde in sé insospettate qualità. 91-O tu chi mi nd’hai e dari, rifùndiri mi voi. Il debitore pretende di poter avere ragione anche nei riguardi del creditore. 92-Stavi bonu unu fin’a chi voli ‘n autru. Spesso un uomo che si fa i fatti propri, non può vivere tranquillamente perché c’è un altro che non vuol lasciarlo in pace. 93-Voli ‘u caccia ’u grancu ch’i mani ‘ill’autri. Sovente l’uomo cerca di far bella figura o di togliersi dagli impicci per mezzo degli altri. 94-Tira ‘a petra e ‘mmuccia ‘a manu. Il malvagio, a volte, è anche vile. È il primo a scagliare la pietra, ma è anche il più lesto a nascondere la mano con la quale l’ha lanciata. 95-Comu non vo’ pe’ ttia non fari ad autri. Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. 96-Passàri ‘a manu a centu brigghia. Passare la mano a cento birilli equivale a essere prepotente oltre misura. 97-A chist’ura ‘u sapi ‘u populu e ‘u tignùsu. Non appena un evento viene a conoscenza di un chiacchierone, non passerà molto tempo che lo si verrà a sapere in giro. 33 98-Cu’ non ‘rrobba o’ guvernu vaci o’ ‘mpernu. Antica e stupida mentalità, residuo di epoche molto lontane. Un tempo, quando il governo non era il rappresentante ideale della nazione, ma s’identificava in un tutt’uno con la persona del re, era lecito per il popolino rubacchiare allo Stato. 99-E d’undi vegnu, vegnu du’ mulìnu. Pronunzia questa frase colui che racconta di averle date di santa ragione a un altro. 100-Pa’ mamma e p’a mammìna si perdìu la criatura. I competenti riescono spesso … incompetenti. La morte di una creatura è a volte da addebitarsi sia all’imperizia della mamma che a quella della levatrice. 101-Non si faci nenti pe’ nenti. In ogni dono è insito sempre un secondo fine. Non si concede niente per niente. 102-A hjùmi vantàtu non jri a piscàri. Colui che viene lodato a volte vale meno degli altri. 103-Fora ‘i mia a undi pìgghia pìgghia. 104-A ‘nu parmu du’ me’ culu comu cadi cadi. L’egoista non si preoccupa minimamente di quanto accade al di fuori della sua persona. 105-Jri (o levàri) comu cìciri o’ crivu. Andare girovagando di qua e di là e non avere la minima requie, proprio come i ceci sbattuti nel crivello. 106-Lungiùtu ‘i sangu e mortu ‘i fami. Si dice di chi ne ha le possibilità e non riesce a sfruttarle in modo adeguato. 34 107-I chiàcchiari avanzi o’ furnu sunnu ‘a rrovìna du’ pani caddu. Il fornaio, che si perde in chiacchiere mentre il pane sta a cuocere nel forno, rischia di perdere il lavoro già fatto. 108-Cu’ voli ‘u mangia cu’ du’ ganghi s’affùca. Il troppo storpia. Chi vuol mangiare smodatamente corre il rischio di morire soffocato. 109-Quandu ‘mmàzzanu a unu spiàti ‘u locu. Spesso, quando un individuo viene ucciso, non è il caso di chiedere il motivo del misfatto, ma il luogo dove è stato consumato. Per fare una così triste fine avrà pure lui commesso qualcosa di grave e, in ultima analisi, l’avrà meritata. 110-Faci comu a chiju: jatta e mungìja. L’insaziabile ha sempre un problema ricorrente. Più ne ha e più si lamenta. 111-No’ nci mèntiri ‘ssa macchia a ‘ss’utri d’ogghiu. A un uomo pieno di difetti affiabbiarne uno in più fa lo stesso. 112-Quandu ‘u vidi nd’o pizzu da’ timpa mìnanci ‘na spinta. Il popolino bandisce dal suo decalogo una delle più belle virtù cristiane: la misericordia. Più che un aiuto, a chi sta per precipitare in un abisso è lecito rifilare un sonoro calcione per farlo andare giù ancora più velocemente. 113-‘u tempu è di’ vacabbundi. Il tempo appartiene solo ai vagabondi. Chi lavora non pensa minimamente di racimolare un paio d’ore di libertà da dedicare all’ozio. 35 114-Chista è di’ ‘n’atra gutti. Si dice a chi dà un’altra versione di un fatto notoriamente accertato. Nel caso, si tratta indiscutibilmente di vino spillato da altra botte 115-Cu’ veni appressu cunta i pedàti. L’ingordo pensa solo a sé. Diceva Luigi XIV di Francia. “Aprés moi le deluge”. 116-Passu lentu cadi cu’ misùra. Chi va piano, va sano e va lontano. Chi fa il passo più lungo della gamba, invece incespica facilmente. 117-Cu’ nci ndavi carità e’ carni d’autri i soi s’i mànginu i cani. La carità è una virtù che non dovrebbe esistere. Se qualcuno ne sente per il prossimo, questo non ne avrà per lui. 118-Fari beni è delittu. Alcune volte compiere il bene è la stessa cosa che commettere un delitto, in quanto si viene ripagati con tutt’altra moneta. 119-Chija manu chi voli tagghiàta voli basàta. Spesso taluno, facendoci del male, ci ha procurato o ci procurerà inconsapevolmente anche del bene. 120-Da’ spina nesci ‘a rosa. Dal male sovente può originarsi il bene. 121-Non t’impacciàri, non t’intricàri, non fari beni ca ricivi mali. Non t’impicciare, non intrometterti nei fatti altrui, anche se a fin di bene, perché ne sarai ripagato con tutt’altra moneta. 36 122-Fa’ beni e spèrditi, fa’ mali e ricòrdati. Ricordati del male che hai fatto e dimentica il bene arrecato al prossimo. Il bene ti sarà ricambiato quando meno te lo aspetterai. 123-Cu’ non suffri ‘u fumu non suffri mancu i corna. Le corna sono peggiori del fumo agli occhi. Sono del pari insopportabili. 124-A nuju ‘mu pozzu, ma a mugghièrima! Del debole ne approfittano tutti. 125-Se non si paga, lungìtimi tuttu. Se assicurarsi una data cosa non ci costa niente, l’accettiamo volentieri, anche se essa non riuscirà di alcun sollievo. 126-Tuttu fumu e nenti arrustu. È tutto apparenza. 127-Santi nt’a Chesa e diavuli ‘n casa; anche Santi fora e diavuli dintra. Si dice di coloro che si comportano in modi totalmente diversi dentro e fuori casa. 128-Non si sapi chi pisci è; o anche Non è né carni né pisci. Si dice di chi non fa trasparire la sua personalità o di colui che non ne ha affatto. 129-Cu’ cchiù nd’avi cchiù ndi voli. L’incontentabile non è mai sazio. 130-Avìri ‘u cori ch’i pili. Si dice di un malvagio. 37 131-Avìri i mani perciàti. Lo scialacquatore ha le mani bucate. 132-Mori cornutu e mori ‘n città. È preferibile avere le corna, ma soggiornare in una città. È questo il lamento dell’uomo che è costretto ad abitare in paese, dove la vita rimane sempre monotona e uggiosa. 133-Avìri ‘na manu longa e n’atra curta. Essere pronti a ricevere, ma non a dare. 134-Tri voti nt’a vita si nesci pacci: nt’a cotrarànza, nt’a gioventù e nt’a vecchiaia. Nella vita si può impazzire in tre stadi: quando si è bambini, in gioventù e quando infine si perviene alla vecchiaia. Quindi, la probabilità che ciò si verifichi permane sempre. 135-Cu’ fici zzappètti faci zappùni. Chi da giovane è riuscito a costruire zappe minute, da grande sarà in grado di realizzarne di maggiore dimensione. Chi nella gioventù è incorso in piccole colpe, da grande non si smentirà, anzi incoccerà in altre molto più vistose. 38 LA DONNA 1-P’a casa e p’a vigna si marìta ‘a signa. Non c’è ragione d’allarmarsi! Anche le donne brutte riescono alla fine a trovare uno straccio di marito. È importante però che esse posseggano qualcosa di solido, come una vigna. 2-Ija è da’ gatta e cu’ no’ sapi cara s’a ‘ccatta. Certe donne sono astute come le gatte e, al pari di queste, hanno la virtù di mostrarsi quali in effetti non sono. Coloro che non hanno la fortuna di conoscerle a fondo, le stimano e le tengono per amiche, anche se poi in definitiva non lo meritano. 3-I fìmmini d’aguànnu su’ comu e’ fica ‘i ‘mbernu: no’ ‘mbàttinu ‘u si marìtanu e s’a pìgghianu cu’ patreternu. Dice questo stornello popolaresco che le donne in quest’anno sono come i fichi nell’inverno. Non riescono ad accaparrarsi un marito e se la pigliano col Padreterno. Le donne propense a sposarsi, non solamente non imprecano contro se stesse, in quanto brutte o a motivo delle loro poco edificanti qualità, ma criminalizzano addirittura chi colpa non ne ha affatto, il Padreterno. 4-Quandu ‘u cunnu è stancu si menti l’àbbitu jancu. La donna di facili costumi, quando alla fine riesce a mettersi l’animo in pace, si veste con l’abito bianco, cioè tenta di rifarsi una impossibile verginità. 5-Né fìmmina né tila a lumi di candìla. Né le qualità della donna né quelle della tela si possono stimare al fioco lume di una candela. Le cose buone risaltano solo alla luce del sole. 39 6-Cùrcati cu’ ‘na gnura, puru m’è vecchia. Vai a letto con una vera signora e non ti preoccupare s’è vecchia perché perlomeno sarà pulita. È bene entrare in contatto con persone di sostanza e qualità piuttosto che con quelle d’infimo ceto. Ci sarà sempre da guadagnare. 7-‘na voti si futti ‘a vecchia. La vecchia, che durante tutta la sua vita ha accumulato parecchia esperienza, potrà essere gabbata una sola volta perché alla seconda ne saprà abbastanza. 8-Facci ’i chiattìja e culu ‘ì maìja. La donna ideale e ben formata deve risultare dotata di un viso piccolo e affilato come un pidocchio e di un deretano abbastanza grosso quanto una madìa. 9-‘a facci chi non è vidùta, centu ducati ‘i cchiù è valùta. Vale molto di più delle altre la donna che passa intere giornate tappata in casa a lavorare. 10-Ddiu ’mu ndi lìbbara di’ fìmmani o’ suli e dill’òmani a ‘la tàgghia. Voglia Iddio farci grazia delle donne sfaccendate, che stanno a godersi il sole e degli uomini maldicenti. Risultano entrambi pericolosi perché lo stare aggruppati assieme induce sia uomini che donne a criticare sempre qualcuno o qualcosa. 11-Manu i‘ barbèri e culu ‘i fìmmana su’ sempri friddi. Mano di barbiere e deretano di donna sono, per loro propria natura, sempre freddi. 12-‘a vecchiaia è ‘na carogna. La vecchiaia è brutta a sopportarsi. 40 13-Cu’ ‘i gatta nasci sùrici pìgghia. Tale madre, tale figlia. Chi nasce da gatta è destinata a pigliare sempre sorci. Se la madre ha fatto in gioventù la malafemmina, si può stare certi che presto anche la figlia ne seguirà il poco edificante esempio. 14-‘a fìmmina c’a scorcia da’ nucìja e l’omu cu’ carru. La donna col guscio delle nocciòle e l’uomo col carro. Se la donna non è previggente e parsimoniosa, è vano che l’uomo si sforzi di portare a casa la roba col carro, perché tutto andrà alla malora. 15-Cani e pputtàni quandu su’ vecchi mòrinu ‘i fami. Cani e malefemmine sono destinati, nella vecchiaia, a morire di fame. Questo perché a quell’età, malridotti come sono dagli acciacchi o dalla vita scandalosa trascorsa, nessuno ardisce più guardarli, ma pure perché non riescono a procacciarsi il necessario per vivere. 16-Comu su’ li donni fannu i cosi e comu sunnu i ligna fannu i brasi. Come sono le donne così compiono le cose e come è la legna così risultano i tizzòni. 17-Casa stritta, fìmmina destra. Casa stretta, donna capace. Solo in un’abitazione angusta si riesce a notare la destrezza di una brava massaia. 18-‘a fìmmina ‘i rrazza a cinquant’anni teni ‘n brazza. La donna di razza buona riesce a procreare anche in età avanzata. 19-‘a pàgghia a la pagghièra, ‘a fìmmina a la lumèra. Come la paglia si conserva in un pagliaio, così la donna ha il suo posto in casa accanto alla lucerna. 41 20-I figghi fìmmini su tovàgghi ‘i facci: cu’ ‘rriva si stuja. Le figlie femmine sono come gli asciugamani. Il primo arrivato vi si vorrebbe asciugare. Le figlie femmine devono essere ben guardate e stare al loro posto perché il primo che capita potrebbe sentirsi autorizzato ad allungare le mani o a dirne male. 21-‘na fìmmina e ‘na sumèra ‘rribbèjanu ‘na fera. Sia una donna che un’asina sono capaci di far tanto baccano da allarmare un’intera fiera di paese. 22-‘a bella quandu è bella di natura cchiù sciampariàta va e cchiù bella pari. La donna bella è tale per natura e non per l’apporto di abbigliamenti e cosmetici. 23-L’ortu nt’a hjumàra, livàri nt’a costèra e fìmmina finestrèra no’ fannu bona spera. Sono un cattivo investimento un orto in una fiumara, olivi in un pendìo e una donna che sta sempre affacciata alla finestra. 24-Porti aperti e fìmmini spenserati. Per le donne, che invece di badare alla casa lasciano tutto aperto e si mettono a chiacchierare con le vicine. 25-‘a fìmmina nd’avi e parràri quandu piscia ‘u gaiu. Col maschilismo dominante dei tempi passati alla donna non toccava mai aprire bocca. Poteva farlo solo allorquando il gallo aveva bisogno di orinare, cioè quasi mai. 42 26-I fìmmini sunnu boni sulu ‘u fannu cazètti. Quando imperava il maschilismo alla gran parte delle donne era riservato il ruolo di stare in casa, cucinare e fare la calza. 27-Quandu ‘a fìmmina ‘u culu balla, se pputtàna non è, regula falla. Una donna che agita il culo, se non è una donna di facili costumi, vorrà dire che la regola fa un’eccezione. 28-‘a fìmmina a quindici anni o ‘a marìti o ‘a scanni. Per una donna pervenuta in età da marito non ci sono che due soluzioni. O la si fa sposare o la si uccide. 29-Tira cchiù ‘nu pilu ‘i fìmmina nd’a schianàta ca ‘nu cavàju nd’a calàta. La forza d’animo di una donna è stimata più forte dell’impegno di un cavallo. 30-Nci màncanu i cugghiùni. Si dice di donna che sa il fatto suo e si comporta come un vero uomo. IL MARITO 1-All’àrbiru cadùtu accetta accetta, all’omu carceratu mora mora, ‘nu bonu maritu ti pingi e ‘nu malu maritu ti tingi. Ad albero caduto accetta, accetta; a uomo carcerato muoia, muoia. Un buon marito ti dipinge e un cattivo marito ti tinge. Tutti siamo pronti a dire la nostra contro chi è caduto in disgrazia e un marito può riuscire a far risaltare o con43 siderare cosa da poco una moglie. Dipende tutto dalle sue virtù o dai suoi difetti. 2-Megghiu maritu nipitèja e no’ garzu ‘mperiali. È sempre preferibile un marito insignificante a un ganzo importante. 3-no’ mazzi e no’ mazzùni e no’ maritu battitùri. È felice colui che non dipende da alcuno. 4-Cu’ si marìta è cuntentu ‘nu jornu, cu’ ‘mmazza ‘u porcu è cuntentu ‘n annu. Chi si sposa è felice solo in quel dato giorno. Chi ammazza il porco invece godrà della sua carne per tutta un’annata. 5-Cu’ si vergogna nommu si marìta. Chi non ha almeno un po’ di spirito non può convolare a nozze. LA MOGLIE 1-Àngiula si chiamava la prima cumpagna, ‘a secunda vastunàti e corna. Recriminazioni di un tale ch’è convolato a nozze per la seconda volta. La prima moglie è stata per lui Angela di nome e di fatto, mentre la seconda, che l’ha reso cornuto, gli ricorda le corna e le bastonate che di volta in volta le ha dato. 2-Se voì vidìri i peni du’ ‘mpernu gràvita ‘i stati e partorùta o’ mbernu. La donna si trova in un grande impiccio a essere in avanzato stato di gravidanza in estate e, quindi, a partorire nell’inverno. 44 3-‘a mugghieri ‘ill’autri è sempri megghiu. La moglie degli altri attira di più. È storia di sempre! L’uomo, stanco della propria consorte, gradirebbe volentieri possedere le mogli altrui. 4-‘a mugghieri è menzu pani. Per l’uomo una moglie previggente e risparmiatrice è l’equivalente di mezzo pane. 5-Manda dinàri, cornùtu meu. Se mi li mandi d’oru, quandu veni arrìvi ‘u figghiolu. Se mi li mandi d’argentu, ti fazzu cornùtu cuntentu. Così dicono le mogli degli “americani”, Sono “americani” i calabresi che espatriano in terre lontane in cerca di lavoro e lasciano a casa le “sconsolate” - si fa per dire spose. Non tutte le spose riescono una Penelope e spesso sono proprio i denari degli “americani” che spingono le mogli a darsi alla pazza gioia. 6- ‘a vera maritàta: senza sòggira e senza cugnàta. Il vero matrimonio riesce tale se gli sposi metteranno su casa lontano da qualsivoglia parente. 7-Corna ‘i soru: corna d’oru: corna ‘i mugghièri: corna veri. Le vere corna sono soltanto quelle che la moglie pianta al marito, in quanto sono le più dirette. 8-Cu’ lìbbara po’ stari non si nd’avi a ‘ncatinàri. Il matrimonio non rappresenta una necessità impellente. Chi è in grado di mantenersi da sola potrà farne anche a meno. 45 IL PADRE 1-‘a mamma o’ foculàru e ‘u patri nd’o mundizzàru. Il posto della madre è accanto al focolare, ma quello del padre, invece, dovunque, anche nei posti più sordidi, in quanto è a lui che spetta procacciare quanto serve a una famiglia per vivere. LA MADRE 1-Cu’ ‘na figghia faci centu jènnari. Una donna, che ha soltanto una figlia, non sa come decidersi a sceglierle il destino nuziale. Con essa vorrebbe ottenere non uno, ma cento generi. 2-‘na mamma faci pe’ centu figghi, ma centu figghi non fannu p’a mamma. La mamma ha il cuore grande e si sacrifica volentieri per cento figli, ma, al contrario, i cento figli, pure se uniti, non riescono o non vogliono contraccambiare quanto una mamma sola ha potuto fare per loro. L’amore di una mamma è grande come il mare. 3-C‘a scusa du’ ngangà mangia puru ‘a mammà. Con la scusa del neonato, alla madre vengono offerti pranzi speciali. Spesso otteniamo favori non perché ne abbiamo il merito, ma per via indiretta e a causa degli altri. 4-Cu’ ti voli beni cchiù da’ mamma o ti tradi o ti ‘nganna. L’amore di una mamma è inimitabile. Chi osa affermare il contrario è solo un mentitore. 46 I FIGLI E I RAGAZZI IN GENERE 1-Prima i figghi e poi i figghiastri Nella nostra società vengono in graduatoria prima i figli e in un secondo momento i figliastri. In ogni situazione a godere debbono essere per primi coloro che stanno più vicini, gli altri dopo. 2-Figghi màsculi cu’ meli e figghi fìmmini cu’ feli. I figli maschi vanno trattati in modo dolce mentre le figlie femmine col fiele e cioè con durezza se si vuole che riescano al meglio. 3-Ddiu ‘mu ndi lìbbara di’ figghi picciùsi e di’ vicini ‘mbidiùsi (o ciangiulùsi). Che Dio ci liberi dai figli piagnucolosi e dai vicini invidiosi 4-Mazzi e panelli fannu i figghi belli. Botte e cibo sono la migliore medicina per ottenere che i figli riescano sani, forti, belli ed educati. 5-Magghiu e magghiòlu: comu ‘a mamma ‘u figghiolu. Rosa e bocciòlo: tale la madre, tale il figliolo. 6-Porci e figghioli: comu ’i mpari ‘i trovi. Porci e bambini crescono secondo quanto s’impartisce loro. La responsabilità della loro riuscita è, quindi, tutta dei genitori o dei guardiani. 7-I vastunàti fannu i figghi abbàti. Solo con le bastonate i figli riescono a trovare la giusta strada e a pervenire a un’alta posizione sociale. 8-I figghi ‘i pputtàna sunnu furtunati. I figli della malafemmina sono favoriti dalla sorte. 47 9-Cu’ pe’ figghi s’ammazza mori sutt’a ‘na mazza. I figli sono spesso irriconoscenti. 10-Figghi pìcciuli, guai pìcciuli; figghi randi, guai randi. Più i figli crescono e più aumentano i pensieri e le preoccupazioni dei genitori. 11-Mèntimi ogghiu e dimmi: figghiu ‘i pputtàna. L’uomo, che trae vantaggio da certe situazioni, non si preoccupa minimamente se viene definito con i più ingiuriosi epiteti. 12-Chiama patri a cu’ ti duna pani. Onora e chiama padre chi ti è largo di aiuti e fregatene di tutti gli altri. Nella lotta per la sopravvivenza l’ideale non conta. 13-Figghi pe’ natura e muli pe’ figura. I figli avuti al di fuori del matrimonio tradiscono nel volto le fattezze del genitore naturale. 14-Cu’ ‘u pani ‘ill’autri s’avi e mangiari figghiu ‘i pputtàna s’avi e chiamàri. Chi deve la sua posizione all’aiuto altrui, deve essere riconoscente e non temere di venire considerato scarsamente. 15-Se voi ‘a verità va’ nd’e cotràri. La verità la dicono solo i ragazzi perché ancora non hanno raggiunto l’età della malizia. 16-Cu’ tempu i scartagnòla si fannu fica. Col tempo anche i fichi neonati perverranno a maturazione. Pian pianino anche i bambini più piccoli diverranno degli uomini. 48 17-Cu’ ‘a sira si curca ch’i cotràri a’ matina si leva cacàtu. I ragazzi sanno fare azioni solo da ragazzi. Chi si mette con essi al fine di condurre una data impresa, dovrà ritirarsi prima del tempo perché quelli non gli potranno essere mai di alcun aiuto, anzi gli riusciranno fatalmente d’impaccio. 18-‘u pìcciulu chi voli ciangìri cu’ lu randi s’avi a mentìri. Il piccolo, che cerca di azzuffarsi col grande, dovrà soccombere per forza di cose. Tra un ricco e un povero in lotta tra di loro, a rimetterci le penne sarà sempre il secondo. 19-I vecchi su’ comu e cotràri. A una certa età si ritorna inevitabilmente bambini. I vecchi, che combinano stramberìe di ogni sorta, vanno trattati alla stessa stregua dei più piccoli e si debbono perdonare loro tutte le marachelle eventualmente commesse. 20- Cotràri mandi e cotràri vidi. I ragazzi possono compiere solo azioni da ragazzi. Se abbiamo necessità d’inviare qualcosa, anche una semplice comunicazione, è certamente più proficuo se provvediamo noi stessi piuttosto che affidare il tutto a dei ragazzi. 21- E chi ssì, figghiu da’ gaìna janca? Chi ti senti di essere? Una persona altolocata? 22-È ‘nu bravu figghiolu: quandu dormi non cerca pani. Elogio ironico. È un ragazzo che si comporta bene. Non cerca pane solo quando dorme! 23-Megghiu rricchi ‘i sangu ca di dinàri. È più proficuo a questo mondo avere una grande figliolanza che denari. 49 24- I figghi su’ i vastùni da’ vecchiaia. Sicuramente, i figli si adopereranno a sostenere i genitori nella vecchiaia. 25-I cotràri nd’hannu l’artètica nd’e mani. I ragazzi hanno le mani atletiche o, meglio, sempre in moto. È proprio dei ragazzi non stare mai fermi. I PARENTI 1-I parenti da’ mugghieri su’ duci comu o’ meli, i parenti du’ maritu su’ ‘mari comu o’ cannìtu. I parenti acquisiti per parte della moglie sono dolci come il miele, mentre quelli del marito riescono aspri come le canne. 2-Parenti: amàra a chija casa chi non avi nenti. Parenti: misera quella casa che non ha niente di suo! È un’amara affermazione e mai detto è stato più vero di questo. Spesso i parenti non sono di alcun aiuto e noi siamo costretti a sostenerci soltanto con le nostre forze. 3-I parenti su’ chij chi unu chiudi d’intra. I veri parenti riescono soltanto quelli strettamente appartenenti alla nostra famiglia. Il resto non conta. 4-I nipùti? Pùtali e se tornanu a jettàri tornali a putàri. I nipoti? Pòtali e, se tornano a ricrescere, pòtali di bel nuovo. Per i nonni e gli zii i nipoti sono più una peste che altro, per cui è bene liberarsene presto. Tali parenti non risulteranno mai riconoscenti per quanto è stato fatto per loro. 50 5-Zzii e cuggìni pìgghiali i primi. Non bisogna paventare di avere approcci sessuali con parenti, anzi bisogna contattarli per primi. 6-‘u sangu, se non t’arrusti, mancu ti mangia. La voce del sangue non potrà mai essere soffocata e ogni parente sarà sempre trattenuto da essa a non infierire sui propri congiunti prossimi o lontani. 7-Se vo’ vidìri l’onestàti: mamma ch’ i figghi e soru ch’i frati. L’onestà può notarsi solo nei rapporti tra madri e figli e tra sorelle e fratelli. 8-Parenti chi non t’ama e cammìsa chi ti puzza: sciàncali e jèttali. Quel parente che non prova amore alcuno verso i propri congiunti e una camicia sporca sono ugualmente da buttare via. 9-Parra c’a sòggira ‘u senti so’ nora. Rivolgersi alla suocera perché nuora intenda vuol significare parlare a uno, ma far sì che chi gli è vicino e al quale noi effettivamente intendiamo rivolgerci, capisca che indirettamente è proprio lui il nostro interlocutore. 10-‘a sòggira cu’ la nora mancu di zzùccaru esti bona. È una pessima idea quella di far coabitare suocera e nuora. La prima riuscirà sempre insopportabile all’altra, anche se fatta di zucchero. 11-Mugghieri nd’abbrazzu, figghi ndi fazzu, ma frati e soru non di vidu e non di fazzu. Le mogli e i figli sono di facile acquisto, non così i fratelli e le sorelle. 51 12-Chi nnicchi e nnacchi e chi parenti simu! E chi mai ti conosce! L’orologio civico di Tresilico 52 COMPARI E COMARI 1-Cumpàri e cummàri pìgghiali pari. Se insorge il desiderio erotico non bisogna rifiutare compari e comari, anzi tali vanno appetiti così come si presentano. 2-Cumpàri fin’a votàta. Compare fino alla prossima svolta. Si dice di chi si dichiara compare per celia. 3-Cumpàri ‘i Ruma e matrimoni ‘i ruga. Se poco importa che il compare venga scelto anche in posti lontani, in tutt’altro modo ci si dovrà regolare nei confronti di un matrimonio. Perciò, riuscirà un ottimo accoppiamento quello tra due persone nate e cresciutesi nello stesso vico e per le quali il tempo di conoscersi e d’intendersi c’è stato a iosa. I VICINI 1-‘a reggìna nd’eppi bisognu da’ vicina. Tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri. Perfino la regina, così potente, in un’occasione ha avuto bisogno della vicina. 2-Di Ddiu e di’ vicini non ti poi ammucciàri. Da tutti ci si potrà nascondere, men che da Dio e dai vicini. Questi ultimi sono sempre in attesa di spiarci. 3-Cu’ voli gabbàri lu so’ vicinu si curca prestu e si leva matìnu. Chi vuol fregare o superare il vicino deve coricarsi presto e alzarsi di buon mattino. 53 4-Ortu e mulinu: non ci ’u diri o’ vicinu. Non dire al vicino che possiedi orto o mulino perché non riuscirai mai a stare in pace a causa delle sue reiterate richieste. 5-Po’ pani e po’ vinu si cangia ‘u vicinu. Si cambia senz’altro il negoziante del quartiere che non mette in vendita vino e pane di buona qualità. 6-Vicinu chi nenti duna e parenti chi non si presta fùjli comu ‘a pesta. Sfuggi come la peste il vicino avaro e il parente, che, nell’occasione, non ti soccorrerà. 7-Quandu ‘u vicinu nd’avi beni carchi hjarbu veni. Se il vicino è ricco, di riflesso ne verremo a godere anche noi. 8-Ognunu s’avi e fari ‘i fatti soi. In questo mondo ogni persona è tenuta a badare ai fatti propri e a non occuparsi di quelli degli altri. 9-Fatti li fatti toi, mala vicina e di li fatti mei non t‘intricàri. Bada ai casi tuoi, o cattiva vicina e non intrometterti nei miei. 10-‘u vicinu ti ‘mpara. Il vicino è un ottimo maestro di vita. La sua bontà o la malvagità riusciranno a influenzare il nostro agire. 11-Diu ‘mu ndi libbara di’ mali vicini. Che Iddio ce ne scampi dai cattivi vicini. Riescono pericolosi in ogni caso. 54 GLI AMICI 1-L’amicu ti po’ vidìri quand’hai e ti saluta cincu voti e sei, ma se pe’ casu disperatu vai lu po’ cantàri lu miserere mei! Bell’amico! Ti guarda e ti riverisce di continuo quando ti sa ricco. Ti porge il saluto anche per cinque o sei volte di seguito, ma, se per caso sei un disperato, hai voglia di lamentarti e chiedere aiuto! Nessuno ti starà a sentire. 2-Patti chiari e amicizia longa. Da contratti chiari scaturisce un’amicizia duratura. 3-Nt’o bisognu si vidi l’amicu. L’amico si rivela tale proprio nelle necessità. 4-Càrciru, malatìa e necessitàti scoràggianu ‘u cori dill’amici. I veri amici soffrono con l’amico che soffre e gioiscono con l’amico che gioisce. 5-Amicu cu’ tutti e fidìli cu’ nuju. L’uomo dev’essere furbo e saper praticare amicizia con tutti, ma, se vuole mantenere la propria libertà d’azione, non deve rimanere fedele ad alcuno. 6-Se vo’ pèrdiri l’amicu marìtalu o fallu zzitu. L’amico che si fidanza o si sposa è bell’e perduto per gli amici, in quanto si allontanerà subito da essi e praticherà un’altra compagnia di certo più piacevole. 7-Pe’ scandagghiàri ‘u cori ‘i ‘n’amicu nd’avi ‘u si mangia centu sarmi ‘i sali. Il cuore di un amico non si riuscirà mai a soppesarlo. È insondabile. 55 8-È bonu avìri amici puru nt’o ‘mpernu. È bene procacciarsi amici in ogni luogo. Occorrendo, si potrà sempre invocare il loro aiuto. 9-Amicu chi vo’ beni a ‘n’atru amicu, non ti fidàri quantu teni ‘n cori, ca veni ‘n giornu chi ti fa’ nimicu e dici chiju chi sapi lu so’ cori. Non è bene confidare a un amico tutto quello che portiamo dentro. Potrebbe, infatti, accadere un giorno che quegli, inimicatosi con noi, sia tentato di svelare a tutti quanto esternato in un momento di debolezza. 10-Ohimè! Tri voti dicu: cu’ cadi ‘n povertà l’amici persi. Gli amici ce li vediamo sempre d’attorno quando siamo ricchi e possono, perciò, spillarci qualcosa, ma, se cadremo in povertà, si può stare certi ch’essi a poco a poco si dilegueranno. 11-Se vo’ vidìri lu nimicu morìri passa e non ci rispundìri. Il peggior affronto che si possa fare a un nemico è quello di non rispondere alle sue parole. 12-Vali cchiù ‘n amicu ‘n chiazza ca centu ducati nt’a sacchetta. Il vero amico vale un tesoro. Vale più un amico in piazza che cento ducati in tasca. 13-Dandu cu’ dandu s’acquista l’amicu, non è veru amicu cu’ pìgghia e non duna. 14-‘na manu lava l’àutra e tutti i dui làvanu ‘a facci. L’amicizia dev’essere reciproca. Il vero amico non può essere “cu’ ‘na manu longa e ‘n’atra curta”, cioè non può pretendere e non dare. Infatti, “non è veru amicu cu’ pìgghia e non duna”. Si potrà anche dire “c‘u te e dammi s’acquista l’amicu”. 56 15-Amicu meu curtèsi, comu su’ l’entrati si fannu li spesi. Si deve spendere in relazione a quanto si guadagna e non di più. 16-All’amicu si parra chiaru. In amicizia tutto deve risultare lineare e sincero. 17-‘a ‘micizia rinnovata è comu ‘na minestra riscaddàta. Un’amicizia riannodata dopo una lite piuttosto seria non potrà mai più ritornare tale. Sarà sempre qualcosa che si regge in piedi per forza. LA CASA La casa è tutto per l’uomo. È il “sancta sanctorum” dei suoi affetti, delle sue pene e delle sue gioie. 1-Casi terràni casi pputtàni. Le case sistemate a pianterreno sono da scartarsi perché tutti vi si possono introdurre e tutti, di conseguenza, hanno l’opportunità di venire a conoscenza di ciò che facciamo o diciamo. 2-Quandu chiovi e mina ventu e malu tempu fa cu’ è nd’a casa ‘ill’àutri ’u faci prestu ‘mu si ndi va. Non è bene che il cattivo tempo ci sorprenda quando ci troviamo in casa altrui. Non saremmo a nostro agio, staremmo in pensiero per quelli che abbiamo lasciato a casa e, a lungo andare, potremmo riuscire d’incomodo ai nostri ospiti. 3-A porta larga trasi ‘i hjancu. 57 Attraverso un ingresso spazioso è bene penetrare giràti di fianco. Occorre stare in guardia e diffidare di chi ci accoglie a braccia aperte e fa le più grandi cerimonie perché spesso è proprio in un tale comportamento che si cela l’insidia. 4-Si sapi a undi si nesci e non si sapi a undi si mori. Si conosce il luogo, in cui si è nati, perché ci troviamo di fronte a evento già accaduto, ma non sapremo mai il luogo nel quale morremo perché quest’ultimo è un fatto che accadrà quando e dove Dio vorrà. Il destino è imperscrutabile. 5-O’ lettu fa’ du’ cosi:: se non dormi, ti riposi e ti pensi li to’ cosi. A letto, se proprio non si riesce a prendere sonno, si possono fare almeno due cose utili: si riposa e si può meditare sui nostri casi. 6-A undi nc’è ‘u lettu nc’è ‘u dilettu. Il letto è anche sinonimo di piacere. 7-Casa fatta e rrobba spatta. Sono beni immobili di gran valore le case già costruite e gli appezzamenti di terreno coltivati a dovere. 8-‘u cumprimentu trasi da’ porta e ‘u diavulu nesci da’ finestra. Nessuno resiste ai regali. Mentre questi entrano trionfalmente dalla porta principale, il rancore, l’animosità, il dispetto si dileguano silenziosamente dalla finestra. 9-Terra quantu ndi po’ avìri e casa quantu ‘mu stai. 10-Terra quantu ndi vidi, vigna quantu ‘u mbivi 58 e casa quantu ‘mu stai. L’Antico raccomanda: terra quanta ne puoi arraffare, vigna soltanto per il comodo di bere un buon bicchiere di vino e casa abbastanza per abitarci. 11-Cu’ intra ti menti fora ti caccia. Se ti metti un tizio dentro casa per carità e compassione, un bel giorno tale galantuomo si sdebiterà cacciandoti fuori. 12-Ogni casa (anche ognunu) avi ‘a so’ cruci. 13-Non c’è chesa senza artàru e né casa senza cruci. Ogni famiglia deve portare la sua croce in questo mondo e, per quanto possa sembrare che nulla le manchi, ha tuttavia sempre qualche pena nascosta da sopportare. Il gioco dei birilli (‘u jocu d’i brigghia) 59 Una bottega di sarto negli anni ’50 del ‘900 : mastro Beniamino Rossi 60 MESTIERI E PROFESSIONI Il mestiere è una nobile occupazione, ma, come dice il popolino, è una fatica cui ognuno si sobbarca solo per necessità di vita. Difatti, “s’era bona ‘a fatica, ‘a facìvanu i cani”. Il lavoro è un peso, non un divertimento. 1-Non c’è casa di li gnuri undi non piscia ‘u muraturi Il muratore, nel mentre lavora, gode a orinare in ogni casa di signore che sta costruendo. Il muratore, che con le sue mani erige le case per i signori e non per sé, può prendersi nei loro confronti una minima e magra soddisfazione. 2-‘u mastru pignataru menti ‘a mànica a undi voli. Come il fabbricante di pignatte mette il manico dove vuole, così la persona scaltra e che ci sa fare para qualsiasi colpo. Sa, insomma, “conzàri quattr’ova nd’a ‘nu piattu”. Riesce in definitiva a convincere chicchessìa con appena quattro parole. 3-Pàgati mastru c’o furnu è fattu. Se il mastro che ha allestito un forno, non farà presto a chiedere il prezzo della sua fatica, correrà il rischio di perdere il compenso perché, se il forno non risulterà solido, presto rovinerà e il committente non vorrà più saperne di pagare. 4-Quandu i mulinàri si sciarrìanu, ‘ttaccàti i sacchi. 5-Quandu i barijàri si sciarrìanu i barìj vannu p‘o menzu. Attenzione a tenere fermi i sacchi quando bisticciano tra loro i mugnai, altrimenti la farina andrà tutta in malora. Lo stesso avviene con i barillari e i barili. 61 6-‘anci l’arti a cu’ la sapi fari e viscotti duri a cu’ nd’avi moli. L’arte è propria dell’artigiano e mai nessun profano potrà scimmiottarne il lavoro. 7-Ognunu dill’arti sua vaci scarzu. La casa dell’artigiano è spesso priva di quelle comodità ch’egli fabbrica per gli altri. 8-‘u scarpàru vaci a’ scaza. Il ciabattino, che ripara le scarpe altrui, non trova mai il tempo per aggiustare le proprie e, quindi, va scalzo. 9-‘ammi arti e non mi dari parti. È meglio far imparare un’arte ai figli che lasciar loro un’eredità. La prima apporta senz’altro più vantaggio. 10-Fa’ l’arti chi farai: se no’ rricchi camperài. È bene che una persona faccia l’arte che avrà imparato. Se non diventerà ricco, perlomeno otterrà l’indispensabile per vivere. 11-L’orìfici canusci l’oru. L’orefice è il solo intenditore dell’oro. Le cose buone le conosce soltanto il competente. 12-‘i ‘na porta non faci mancu ‘nu mandàli. Il cattivo artigiano, da una porta non riesce a ricavare nemmeno una maniglia. Il sarto mediocre, da molta stoffa non è capace di ottenere un solo vestito. 13-Jri arrètu comu ‘o cordàru. Andare indietro come il cordaio significa regredire progressivamente. 62 14-L’arti ‘i tata è menza ‘mparata. Chi ha un padre artigiano è come se già conoscesse l’arte. Difatti, tenendo con sé in bottega sin dai primi anni il figlio, il padre sarà facilitato nel suo insegnamento. 15-Figghiola chi ti nd’hai e maritàri, pigghiatìllu lu fabbricaturi: ti faci la casettèja a menzu mari e ‘na finestrella pe’ fari l’amuri. Il muratore è un ottimo partito per chi deve sposarsi. Alla futura sposa allestirà una casetta in mezzo al mare, con una finestrella atta a farvi l’amore. Tale detto è in chiave ironica e potrebbe riferirsi alle difficoltà in cui si dibatteva un tempo tale artigiano. 16-‘e tempi di Natali fannu festa li scarpàri: si ‘mpìgnanu la sola e si ‘ccàttinu la cichitignòla. A tempo di Natale i calzolai fanno festa e danno in pegno la suola per potersi comprare la “cichitignòla” (“cichitiàri” è lo scricchiolìo che fanno le scarpe nuove). È ancora un detto che irride alla grama vita degli artigiani. 17-Cu’ i sbirri mangia e mbivi, ma cu’ ij non dormìri. Non ha importanza se si mangia o si beva assieme ai carabinieri. Quel che si deve evitare è di dormire con essi. Con i carabinieri bisogna avere rapporti stretti il meno possibile. 18-Cu’ vaci a’ fera e non leva tarì va’ cu’ ‘na pena e torna cu’ tri. Chi si reca a una fiera di paese senza possedere il becco di un quattrino va con una pena in cuore e se ne ritorna con più d’una, in quanto non ha avuto la possibilità di acquistare alcuno dei meravigliosi oggetti esposti nei vari stands. 63 19-Fari l’arti di’ pacci. Fare l’arte dei pazzi significa combinare delle azioni sconclusionate. 20-‘u parràri è arti leggia. Un’arte facile è il parlare. Infatti, tutti siamo buoni a criticare gli altri. 21-Manganèju non fa cazetta. Il rocchetto del fuso, da solo, non è sufficiente a fare le calze. Naturalmente, c’è bisogno anche del filo. 22-O medicu chi sani li malati, sana puru la giurgìlla mia, e sanammìlla ora ca esti stati, veni lu ‘mbernu e la vogghiu cu’ mia. O medico che riesci a guarire gli ammalati, risana pure la Giorgilla mia e restituiscile la salute ora ch’è estate. È in arrivo l’inverno e in quel tempo desidero che stia con me. 23-Bon nci crisci.Bona venuta.Colloquio tra un’acquirente e la fornaia. La prima, entrando, formula l’augurio che il lievito possa aver fatto la sua parte producendo un buon pane. La seconda accoglie con garbo l’altra augurandole il benvenuto. 24-Pe’ vacabbundi nc’è ‘nu Diu. Anche per chi non lavora e passa il tempo oziando c’è un Dio che provvede. 25-Fattu cu’ i cincu sensi. Si dice di un lavoro eseguito a puntino. 64 L’EDUCAZIONE Forte della sua plurisecolare esperienza, l’Antico ha lasciato delle massime educative di tale valore, che ancora oggi si rivelano più che mai di attualità. 1-Penza e po’ fai, no’ currìri di volontà. Prima pensa e poi agisci. 2-Cu’ cchiù sapi, cchiù vali. Quanto più l’uomo sa, tanto più vale. Chi vuole il bene dei figli, li alleva con regole molto rigide. Chi, invece, si disinteressa del loro avvenire, li tratta assai blandamente e domani ne soffriranno. 3-‘a pianta si torci quandu è tènnera. L’uomo si educa sin da ragazzo. È solo in questo particolare periodo ch’egli forma le sue basi e che tutti i suoi incipienti difetti possono venire stroncati o perlomeno corretti. 4-Cu’ ti voli beni ti fa’ ciàngiri, cu’ ti voli mali ti fa’ rrìdiri. Chi ti vuole bene, ti fa piangere perché ti dice le cose come stanno. Chi è tuo nemico, ti fa ridere a motivo che t’inganna. 5-Cani e villàni pe’ chiùdiri porti non hannu mani. 6-Cani e figghi ‘i pputtana dàssanu ‘a porta aperta. Il villano è in tutto simile al cane e al figlio della malafemmina. Non ha la buona abitudine, entrato in casa 65 d’altri, di tirarsi dietro la porta. Nelle campagne, ove è adusato vivere all’aria aperta, non vi sono porte. 7-Ognunu ‘mpara a spisi soi. 8-Sbagghiandu si ‘mpara. A volte è commettendo uno sbaglio o uscendo danneggiato da un’esperienza che ognuno potrà riuscire ad apprendere. 9-‘a pratica rrumpi ‘a grammatica. L’esperienza è più utile delle regole. 10-Noè era ‘i novicentanni e ancora nd’avìa ‘mu ‘mpara. S’impara a tutte le età. Noè aveva raggiunto a malapena le novecento primavere che ancora doveva pervenire a imparare! 11-Nuju nesci ‘mparatu. Nessuno ha dalla sua la prerogativa di nascere già sapiente. Tutti dobbiamo imparare. 12-‘a verità veni sempri a galla. Hai voglia di nascondere le tue marachelle, la verità o prima verrà a essere conosciuta. GIURISPRUDENZA SPICCIOLA Gli antichi regolarizzavano le loro questioni d’interesse non già appellandosi a leggi scritte o codificate, ma rifacendosi a vecchie usanze tramandate a voce da padre in figlio. 1-‘a leggi è uguali pe’ tutti. 66 Di fronte alla legge siamo tutti uguali, ricchi e poveri, nobili e plebei o, almeno, così dovrebbe essere nella generalità dei casi. L’esperienza, purtroppo, c’insegna che non è proprio così. 2-Lu càrciri di Parmi è cruci cruci, malanova m’avi cu’ lu fici. Il carcere di Palmi è tutto pieno di croci, maledetto sia il suo costruttore. Il carcere di Palmi è un tetro luogo in cui molti sono stati i carcerati che vi hanno trovato la morte. 3-‘a leggi non ammetti ‘gnoranza. Non è ammissibile che gli articoli della legge vengano ignorati e tutti siamo tenuti a conoscerli. 4-Ch’i santi comu t’adùri, c’a curti comu t’aiuti. Dai santi si otterrà quello che si desidera in base a quanto li si avrà adorati, dal tribunale per quanto ci saremo dati da fare perorando in nostro favore in mezzo ai tanti cavilli procedurali. 5-Cu’ vaci o’ jazzu perdi ‘u palazzu. Chi si allontana da un dato posto e vi ritorna dopo alquanto tempo non gode più del diritto di reclamare la restituzione da colui che nel frattempo l’avrà giustamente occupato. Pure, chi va a occupare un posto infimo perde quello importante. Il “jazzu” è il giaciglio dei pastori in montagna. 6-Cu’ rrumpi paga e cu’ guasta conza. Chi rompe è tenuto a rifondere i danni che ha causato e chi guasta ad aggiustare. 7-Necessità non àbita leggi. 67 Quando è lo stato di necessità a imporlo, la legge può venire giustamente messa da parte. 8-Ogni abbocatu a so’ causa perdi. L’avvocato, che è buon difensore per gli altri, non riesce a vincere la propria causa. 9-Parmi attacca e Catanzaru sciogghi. Le città di Palmi, sede di tribunale e di Catanzaro, con la corte d’appello, sono i punti focali attraverso i quali si svolge ogni iter giudiziario per la gente della Piana di Gioia Tauro. Il reo, che viene condannato dall’ufficio di Palmi, spera, agendo in appello presso quello di Catanzaro, di venirne prosciolto. 10-Nenti vidisti, nenti dicisti e cchiù prestu ti ndi jsti. L’omertà è stata sempre una delle grandi piaghe della nostra regione. Dicendo di non aver visto alcunchè alle domande dei giudici, si otterrà il non disprezzabile risultato di non immischiarci in alcun modo in faccende che non ci riguardano e di liberarci presto da lunghi e noiosi interrogatori. 11-Pati (anche paga) ‘u giustu po’ peccaturi. In questo nostro mondo molto spesso un giusto si trova a espiare al posto di un peccatore. Gli errori giudiziari proprio non si contano! 12-Amàru chiju chi si menti cu’ chiju chi nd’avi ‘nu sulu cancèju. È da commiserare chi attacca lite con un povero o con uno che possiede poche sostanze. Ci lascerà certamente le penne perché, in caso di vittoria, difficilmente potrà essere risarcito. 68 13-Vinci ‘a causa e perdi ‘a liti. Si dice che vince la causa, ma perde la lite, di colui che, pur di conseguire il suo puntiglio, esaurisce in spese giudiziarie più di quello che si attende di ottenere. La sua, perciò, non potrà risultare che una … vittoria di Pirro. 14-‘u tortu è sempri du’ mortu. Il morto ha sempre torto! È ovvio! Non potrà mai svolgere alcuna autodifesa. 15-Carta canta ‘n cannòlu. “Verba volant, scripta manent” dicevano i Latini. Fa fede solo quanto rimane impresso sulla carta. Le parole volano via come fumo. È per questo che i contratti vanno stesi su carta. 16-‘a gghianda a undi cadi e ‘a liva di cu’ è. La ghianda diventa proprietà del padrone del suolo sul quale viene a cadere. Le ulive invece appartengono al proprietario del fondo dentro cui hanno sede le relative piante. 17-Fràbbica e liti: provàti e vidìti. L’edificazione di una casa oppure anche una lite portano l’uomo alla rovina. Per crederlo basterà solo fare una prova. 18-Cu’ perdi nd’avi sempri tortu. Chi perde ha sempre torto. Non può, infatti, accampare alcuna giustificazione. 19-Cu’ dinàri e amicizia si teni ‘n culu ‘a giustizia. La giustizia può essere elusa con denari e amicizia. 20-Ogni testa forma codici. Ogni uomo spiega gli articoli del codice – ma anche ragiona - secondo i propri interessi. 69 21-‘a leggi è comu ‘a pej di’ cugghiùni: cchiù ‘a tiri e cchiù veni. La legge non è mai rigida. È pensiero degli avvocati trovare gli escamotages per eluderla. È proprio come la pelle dei coglioni, che più la stiri e più si allarga. 22-Certi voti vai ‘u cerchi grazia e trovi giustizia. Certe volte chiedi grazie, ma mal te ne incoglie. Foto Luigi Morizzi Il poeta Geppo Tedeschi (in alto col cappello) e amici in posa davanti a una carbonaia 70 CREDENZE SUPERSTIZIOSE Gli antichi, che erano particolarmente superstiziosi, prestavano soverchia fede a tutte le bubbolate che si narravano loro. Un numero fatidico, un gatto nero, un battere prolungato di palpebre avevano spesso il potere di farli restare attoniti come se si trovassero alla presenza di chissà quali forze occulte e misteriose. 1-Ffu ffu, tutt ‘a palla du’ mundu, n’a vàgghiu cchiù. Ffu ffu, tutto il globo terracqueo, non è più valido altro che eventualmente seguirà. È questa la formula di scongiuro con la quale si chiudevano tutti i giuramenti fatti dai ragazzi. 2-Cu’ ‘mmazza cani e gatti malanova (o anche “‘a malasorti”) ‘mu nci ‘mbatti. Chiunque uccida cani o gatti verrà a incorrere senz’altro nelle ire della cattiva sorte. 3-Canìgghia, canìgghia: cu’ i manda s’i pìgghia. Crusca, crusca: le maledizioni ricadono sulla stessa persona che le scaglia. 4-Trìdici: focu e’ fìlici. Il numero 13 è stato sempre ritenuto una cifra apportatrice di grande scalogna. 5-S’avi e penzàri o’ mali ‘u veni ‘u beni. Occorre stare con l’animo preparato a ricevere cattive notizie perché possano sopraggiungerne di buone. 6-‘u destru ti sbalèstra, ‘u mancu t’avànta. Un battere prolungato di palpebre è per il popolino un gioco degli occhi. Se battono quelle di destra è cattivo se71 gno, il contrario se a muoversi sono quelle di sinistra. Altra curiosità del genere è il sentirsi prudere un orecchio. Quando ciò avviene significa che in tale frangente il nostro nome viene profferito da qualcuno. 7-Cosi dati e cosi pigghiàti vannu o’ ‘mpernu ‘ncatinàti. I regali, una volta fatti, non potranno mai più essere richiesti indietro perché i doni dati e poi ripresi vanno a finire all’inferno incatenati. 8-‘u gabbu arriva o’ labbru. 9-‘u gabbu arriva e ‘a hjestìma no; variante: ‘u picciu coli e ‘a hjestìma no. Attenzione a non manifestare eccessiva meraviglia e dileggio per le disgrazie altrui perché potremmo, a nostra volta, incorrere nelle medesime tribolazioni. Le bestemmie lasciano il tempo che trovano, lo scherno no. E se il piangersi addosso a volte produce buoni effetti, la bestemmia che si lancia a danno di altri no. 10-I ciangiùti su’ resciùti. Coloro che vengono commiserati nella vita spesso riescono assai meglio degli altri. 11-No’ gabbu e no’ meravigghia. Di fronte a certi brutti fatti non bisogna meravigliarsi e deridere eccessivamente. 12-Avìri ‘a zzafratèja. Chi è fortunato è segno manifesto che possiede una lucertolina. 13 – Statt’attentu ca t’a tiri ‘a cazètta! Attento a come agisci e tira dritto per la tua strada senza commettere soprusi o peccati, se no sicuramente andrai all’inferno e allora tirerai in su invano la calza per coprirti. 72 DIO E I SANTI Anche Dio e i santi sono personaggi molto quotati nel settore del folklore, ma il popolino, portandoli come termini di paragone per le sue vicende quotidiane, non sempre li tratta riverentemente, anzi! 1-Quandu ‘u Signuri voli, ‘a casa ‘a sapi Dio conosce i bisogni di tutti e, se lo vuole, non occorre che gli si additi la casa, dove necessita il suo intervento. 2-Faci cchiù miraculi ‘na staja china ‘i cortagghia ca ‘na chesa china ‘i santi Produce più miracoli una stalla piena di stabbio che una chiesa ricca di statue di santi. A volte un bene è compiuto da chi meno ce lo aspettiamo. 3-Ddiu non paga ‘u sàbbatu. Iddio non si dimentica dei malvagi che commettono turpi azioni, ma li punisce a tempo e luogo opportuni. 4-Dici Diu: ajùtati ca t’aiutu puru jeu. Il primo aiuto ce lo dobbiamo porgere noi stessi, con le nostre iniziative e il nostro saper fare. La Divina Provvidenza potrà intervenire, ma soltanto in un secondo tempo. 5-A Diu e non peju: nc’issi chiju chi jiu ‘u si ‘mpendi. Contentiamoci che sia andata così. Poteva toccarci assai di peggio! Così ha detto quel tale che andava a impiccarsi. 6-Diu aiuta o’ jutàtu c’o poveru è ‘mparatu. Grave affermazione blasfema. È come dire che Iddio stia dalla parte dei ricchi. 73 7-‘u Signuri nc’i manda i viscotti duri a cu’ non avi moli. Anche qui ci troviamo di fronte a un’altra grave affermazione. Il Signore non distribuirebbe equamente e concederebbe, errando, le ricchezze a chi non sa cosa farsene. Però è anche vero che, come si dice appresso, 8-‘u Signuri nci manda ‘a nivi a chija muntagna c’a poti suffrìri. Iddio manda, è vero, pene e affanni, ma spesso li indirizza verso quegli animi forti, che, soli, sanno sopportare stoicamente ogni grave ambascia. 9-Fandi quantu ndi voi ca cca t’aspettu. Non v’è alcuno scampo per il peccatore impenitente. Il Signore, che lo attende, gli saprà dare il castigo che si sarà meritato. 10-Diu dassa fari, ma non suprafàri. Iddio, a volte, tollera che venga compiuto il male, ma a esso sa porre sempre un limite. 11-Anima a Diu e rrobba a cu’ tocca. Dare a Cesare quel ch’è di Cesare e a Dio quel ch’è di Dio. L’anima appartiene al Signore, la proprietà a chi spetta per legittima eredità. 12-‘u Signuri affriggi e no’ ‘bbanduna. Se il Signore, a volte, ci manda delle pene, non per questo ci abbandonerà, ma, assieme a esse, ci fornirà, nella sua immensa bontà, anche i mezzi per poterle più facilmente sopportare. 13-‘u Signuri chiudi ‘na porta e japri ‘na finestra. Il Signore non dimentica alcuno dei suoi figli e, proprio quanto tutto può sembrare perduto, elargisce un piccolo insperato aiuto. 74 14-No’ grazzii e no’ meriti ‘i Diu. Si profferisce questa frase allorquando si fa un piacere e non si viene apprezzati e ringraziati per come si merita. 15-‘u Signuri dopu ‘a piaga manda ‘u ‘nguentu. Il Signore, assieme alla disgrazia, fornisce anche il sollievo per poterla agevolmente superare: 16-Cristu dissi: fa’ comu t’è fattu ca non è peccatu. È lo stesso Cristo ad ammonirci a rispondere alle offese con le offese. 17-‘n Paradisu non si vaci ‘n carrozza. Il Paradiso è la mèta, cui tutti tendiamo, poveri e ricchi, ma la strada per arrivarci ci viene facilitata solo dalle buone azioni. 18-È inùtili chi fai ricci e cannòla: ‘u santu ch’è di màrmuru non suda. È inutile fare voti perché il santo, ch’è fatto di marmo, non è in grado di concedere alcuna grazia. 19-Cu’ voli o’ santu vaci e ‘u trova. È chi ha bisogno che deve andare in cerca di colui che gli potrà essere di aiuto, e non viceversa. È il profeta Maometto che deve recarsi alla montagna e non questa da lui. 20-Dopu chi ‘rrobbàru a Santa Chiara nci fìciru i porti ‘i ferru. Dopo che il fatto sarà avvenuto ci si preperarà a prendere provvedimenti ormai inutili, quei provvedimenti che sarebbe stato necessario prendere molto tempo prima. 21-Non promèttiri guti e’ santi 75 e mancu cujurèj e’cotràri. Santi e ragazzi, cui si è promesso qualcosa o per voto o per regalo, non ci lasceranno in pace finchè non avremo soddisfatto quanto incautamente fatto sperare. Con le promesse occorre andare molto cauti perché, una volta contratte, si rivelaranno peggio dei debiti. 22-‘nt’a calàta ogni santu aiuta. Nelle discese si cammina agevolmente. È nelle salite che occorre produrre il massimo sforzo. 23-Prima ‘u spara ‘u lampu dici Santa Barbara. Alcuni tremano dalla paura già prima che si avverta il pericolo. Deriva dall’abitudine di pronunziare il nome di Santa Barbara allo scoppio di un fulmine. 24-Ogni santu avi i so’ devoti. 25-Ognu santu avi ‘a so’ festa. Ognuno ha una propria cerchia di amici fidati. 26-‘na vota l’unu, Santu Brunu. Per San Bruno, uno per volta. 27-A quali santu jsti ‘mu ti voti, a chiju chi mai a lu mundu fici beni? A quale santo ti sei mai rivolto, forse a quello che non ha mai concesso alcuna grazia? A quale amico mai ti sei indirizzato? Probabilmente a quello che non ti darà mai alcun aiuto? 28-‘a gatta ‘i San Basili quandu ciangi e quandu ‘rridi. I bambini sono come la gatta di San Basilio. Un momento piangono e un altro momento ridono spensieratamente. È la loro età a pretenderlo. 76 29-Passàta ‘a festa gabbàtu lu santu. Trascorsa la festa, il santo è bell’e dimenticato. Passata la ricorrenza, non è il caso di pensarci più. 30-Ndi facìmu comu e santi ‘i Riggiu. 31-Ndi facìmu tunnìna. Farsi come i santi di Reggio o come i tonni nella mattanza significa altercare con qualcuno e ridursi, entrambi i contendenti, a malpartito. Sembra che durante le scorrerie turchesche dei secoli trascorsi le statue di santi conservate nelle chiese reggine siano state spesso rese malconce. 32-si faci ‘a cruci c’a manu manca. Farsi il segno della croce con la mano sinistra significa, per l’ameno popolino, meravigliarsi di una qualche cosa. 33-Chiovi, chiovi, chiovi, ‘a Madonna cogghi hjuri, li cogghi pe’ Gesù e domani non chiovi cchiù. È da parecchio tempo che piove e intanto la Madonna raccoglie fiori, li raccoglie per Gesù, per cui si può starne certi che domani non pioverà più. 34-‘i vénnari non si càmbara. Di venerdì, giorno consacrato al Signore, il buon cristiano rifiuta la carne. 35-Non cumpundìri ‘u cazzu cu’ Patannostru. Non confondere il sacro col profano. 36-Cu’ voli beni a Diu voli beni puru e’ Santi. Se una persona è votata ad amare Dio, allo stesso modo si comporterà con i Santi. Chi è abituato ad agire correttamente e piamente nei riguardi di un parente stretto, ugualmente procederà verso quello acquisito. Il segreto sta tutto nella sua formazione personale. 77 37-Nci voli ‘a pacenza di li santi. In certe situazioni occorre armarsi di santa pazienza. 38-No’ ssi movi fògghia chi Diu non vògghia. A questo mondo tutto è volontà di Dio. 39-‘u Signuri d’’u lavuratu benidìci ‘u terzu. Ogni lavoratore di sicuro non s’impegna al cento per cento, per cui è già tanto se il Signore gli riconosce di aver operato rettamente solo per un terzo di quanto gli sarebbe toccato. Un altarino in occasione dell’ottava del Corpus Domini 78 IL DIAVOLO 1-Si parra du’ diavulu e spùntanu ‘i corna Si discorre del diavolo e, tàffete, ne spuntano le corna. Spesso capita che il tizio, di cui stiamo parlando, si viene a trovare subito nei pressi, quasi che abbia avuto il dono di subdorare ch’era lui l’argomento della discussione. 2-‘u diavulu non avi pècuri e vindi lana. È riferita a coloro che non si fermano al primo tentativo e cercano sempre di ritornare alla carica. PRETI E MONACI I preti e i monaci sono forse i personaggi più singolari a essere presi di mira dall’ironìa popolaresca, che li rappresenta spesso in atteggiamenti non certo consoni alla loro dignità. In molte situazioni equivoche grassi monsignori e monaci scostumati ne fanno le spese. 1-Cazzu!- Dissi ‘u ‘bbati quandu vitti a so’ nipùti prena. Colorita e stupefatta esclamazione di un monsignore allorchè si è accorto che la nipote, che viveva in casa sua e sulla quale aveva sempre vigilato incessantemente, era rimasta, in barba a tutta la sua guardinga attenzione, inopinatamente incinta. 2-Du’ cìciri pìgghia ‘u brodu e du’ previti ‘a soru. Il brodo dei ceci e la sorella del prete sono entrambi piatti prelibati. Il primo è saporito e la seconda non è da meno, in quanto riesce sempre un partito molto ambìto. I preti, dati i ricchissimi censi di cui un tempo godevano e 79 non avendo alcuna responsabilità di famiglia propria, potevano dare alle proprie sorelle una cospicua dote. 3-E chi su, figghiu ‘i prèviti? Così dice colui al quale, offrendosi da bere, si riempie il bicchiere a metà. 4-Dicìva ‘u ‘bbati Conia ca cu’ settoru non si cugghiunìja. Il celebre abate galatrese e poeta in vernacolo Giovanni Conia era solito dire che col settebello, al gioco delle carte, non era mai lecito scherzare. Le cose importanti vanno trattate molto seriamente. 5-Se i prèviti non pàrranu i monaci si marìtanu. 6-Se Bonsignuri non parra i prèviti si marìtanu. Se il vescovo non apre bocca i preti giungeranno perfino a sposarsi. Ma anche se i preti non parlano, sono i monaci a convolare a nozze. Se un tizio, che ha ricevuto un torto, non se ne risentirà nei dovuti modi, continuerà ancora a restare offeso. 7-‘u Papa cumanda i festi. In ogni settore della vita umana è il dirigente responsabile che impartisce gli ordini. Nella famiglia colui che deve saper condurre il mènage familiare è il padre. 8-Àbitu non fa monacu e chirica non fa prèviti, Si è preti anche se non se ne vede la tonsura e monaci anche se si è privi del saio. Sovente le apparenze ingannano. 9-‘u monacu zzumbarùni jetta pìdita a mucciùni. Il monaco tonante e scaltro emette suoni sconci di nascosto. 10-‘u monacu chi jia fujèndu 80 dicìva ca sapi i cazzi soi. Il monaco in fuga, a chi gli chiedeva perché corresse tanto in fretta, rispondeva che sapeva i casi suoi. Non bisogna mai meravigliarsi di chi agisce stranamente perché spesso vi è una giustificazione a tutto, anche nei casi più impensati. 11-Patri, mi cumpessu, vaju a’ casa e fazzu ‘u stessu. Si dice così del peccatore impenitente, che, subito dopo essersi confessato, ricade nei falli di sempre. 12-Quandu nasci ‘u prèviti pasci, quandu ti marìti ‘u prèviti ‘mbiti, quandu mori ‘u prèviti godi. Nelle occasioni cruciali della vita al centro sta sempre la figura del prete. Questi, in definitiva, sia nelle situazioni liete che in quelle tristi è l’unico a beneficiarne. Lo si trova, infatti, presente nei riti del battesimo, del matrimonio e anche nel servizio funebre. 13-Matrimoni e viscuvàti di lu celu su’ calàti. Sia al matrimonio che al vescovado si perviene per volontà divina. 14-Fìmmini ‘i chesa, diavuli ‘n casa. Le donne che frequentano sempre la chiesa, le bizzoche per intenderci, hanno un comportamento fittizio. In chiesa appaiono tutte pie, ma poi a casa ne tengono uno del tutto opposto. O meglio: le donne di chiesa sono pie soltanto all’apparenza. 81 Il carro funebre con i cavalli nei funerali di una volta 82 RAPPORTI SOCIALI I rapporti dell’uomo coi suoi simili sono parafrasati in ogni singolo evento da massime argute, i cui sottintesi celano spesso grandi verità. 1-Cu’ ‘intra ti menti fora ti caccia. Colui che avrai beneficato accogliendolo in casa, ti ricompenserà cacciandoti da essa. 2-Guardàri ‘u culu nd’o specchiu. Mirarsi il deretano allo specchio equivale a pretendere cose impossibili 3-‘u cornu du’ voi nd’o culu ‘ill’autri è filu d’ariganu. Il corno del bue nell’ano altrui è come un filo di origano. Una cosa grave che tocca gli altri viene sempre da noi minimizzata, tanto non siamo noi a subirla. 4-I zzannijàti vannu ‘n Paradisu. Il regno dei Cieli è di coloro che sono presi in giro, in definitiva appartiene ai buoni. 5-A undi cundi l’ogghiu, ‘a macchia non si ndi vaci Un’onta non potrà mai essere cancellata. 6-Sup’o lignu ‘llampàtu non pìgghia focu. Su un albero, in cui si è abbattuto un fulmine, il fuoco non fa presa. L’esperienza fa sì che un medesimo errore non si ripeta. 7-Mentìri ‘n cacaticchiu. 8-Mentìri ‘n pròmprici. Coprire un posto che non si merita, ma anche mettersi in evidenza con baldanza. 83 9-Va’ e caddìja ‘a seggia ‘i to’ mamma. Vai a riscaldare la sedia di tua madre. Consiglio che si dà agli impiccioni. 10-A’ squagghiàta da’ nivi. Tardi, quando ormai non serve più. 11-Se ti vesti di sgarlàta sempri puzzi di pisciàta. Puoi indossare anche vesti preziose, resterai sempre un poveraccio. 12-Cu’ sparti nd’avi ‘a megghiu parti. Chi fa le divisioni ottiene la parte migliore, anche, naturalmente, se trattasi di botte. 13-A undi sputa unu jcca l’àutru. Così dovrebbero comportarsi tra loro le persone che si debbono voler bene. 14-Sunnu cazzi e cucchiara. Sono legati a filo doppio. 15-Anima sì, anima cridi. Fatti come siamo di anima e di corpo, dovremmo tutti essere tenuti a comprendere i guai degli altri. 16-Serviziu fattu: paga, aspetta. Dopo aver ottenuto ciò che si è perseguito, corrisponderemo col nostro comodo. 17-I corna su’ comu ‘e denti, quandu spùntanu stroppìanu, dopo iùtanu a mangiari. Le corna sono come i denti. Quando spuntano fanno male. Dopo sono di aiuto a mangiare. Alle corna ci si fa l’abitudine. Anzi, col tempo, possono addirittura facilitare una carriera. 84 18-Non senti all’Àngili cantàri e senti ‘e scecchi ‘rragghiàri! Non credi a ciò che ti prospettano le persone importanti o capaci e poi credi a quello che ti dicono le persone insignificanti! Come è mai possibile ciò? 19-‘ncignàmu cu’ tricchi tracchi e spicciàmu c’a chitarra. A chi offriamo un dito, pretende poi anche la mano. 20-‘O forestèri fuji e feri. Rifuggi dal forestiero e, se del caso, feriscilo. 21-I cordi longhi si fannu serpi. Come le amicizie non possono durare a lungo senza raffreddarsi, così anche i periodi di fidanzamento dovranno essere contenuti nei limiti normali, se non si vuole che vadano a male. 22-Cu’ si pungi nesci fora. Chi non riesce a resistere alle pressioni degli altri è bell’e spacciato. 23-Tuttu ‘u mundu è paisi. Il mondo, anche se vario, è in fondo in fondo sempre il medesimo dappertutto. 24-I dìjta da’ manu non su’ tutti uguali. L’uguaglianza è una chimera. Ogni uomo ha nel mondo il posto che gli compete e una propria marcata personalità. Ricchi e poveri, patrizi e plebei, dotti e ignoranti popolano da sempre il nostro pianeta. 25-Ti vannu i scarpi stritti. Si rivolge a colui il quale noi siamo riusciti a mettere in soggezione. 85 26-Parola ditta è corpu minàtu. 27-Ogni promessa è debitu. Chi avrà fatto una promessa è tenuto più che mai a mantenerla, in quanto con essa ha contratto un debito. 28-Omu avvisàtu è menzu sarvàtu. L’uomo messo in guardia è salvo già per metà. Dopo l’avviso starà sempre sul chi vive e non potrà mai, quindi, venire colto alla sprovvista. 29-‘mbasciaturi non porta pena. L’ambasciatore, pur essendo latore di notizie sgradite, è sacro e va rispettato, in quanto non ha alcuna colpa per quello che deve riferire. 30-I morti ch’i morti e i vivi ch’i ricotti. Le persone decedute, una volta che sono pervenute nell’aldilà, sono bell’e dimenticate e chi resta conoscerà bene il modo di scordarsele. 31-‘u primu chi si leva cumànda. In tempi di anarchia e di apatia, il primo a svegliarsi è subito pronto a prendere il comando. 32-Cu’ servi du’ patruni ‘n pagghiàru mori. Chi serve due padroni, è destinato a finire miseramente. Non avendo potuto servirli adeguatamente entrambi, non potrà aspettarsi alcuna riconoscenza da parte di nessuno dei due. 33-Cu’ cumanda non suda. Chi comanda non suda. Saranno invece i suoi sottoposti, che s’incaricheranno di sudare per lui. 86 34-Cu’ arma sconza. Chi impianta una qualsiasi azienda rompe le uova nel paniere a coloro che già da tempo operano in quel determinato settore. 35-Munti cu’ munti non s’arrivanu, ma frunti cu’ frunti sì. Se i monti non potranno mai raggiungersi e unirsi, gli uomini avranno sempre l’occasione di ritrovarsi faccia a faccia. Per quanto grande possa riuscire, il mondo si rivela sempre più piccolo. 36-Ogni aru cu’ so’ paru. Ogni uomo deve ricercare la compagnia di quelli che, per varie cause, gli somigliano. 37-Megghiu sulu ca mali accumpagnatu. Piuttosto che godere di una cattiva compagnia, è preferibile rimanersene soli. 38-Cu’ tanta cumpagnia e cu’ dormi sula. Amara riflessione della zitella. 39-Cchiù pocu simu e tantu megghiu stamu. In meno si è, meglio ci si ritrova. 40-Pràtica ch’i megghiu ‘i tia e pàganci i spisi. È preferibile ricercare la compagnia di gente che ci è superiore per vari motivi, anche se ciò dovrà costarci parecchio. 41-Ognunu sapi i cazzi soi. Ogni uomo conosce a menadito i propri casi e le proprie necessità. 42-Amaru a cu’ mori. Chi fa la fine peggiore è sempre colui che muore. I restanti, gli eredi, che sembra da un momento all’altro deb87 bano schiattare dall’afflizione, trascorso appena il rituale periodo di lutto stretto, faranno presto a consolarsi. 43-Cornutu e vastuniàtu. Oltre il danno anche le beffe. 44-O’ tempu du’ dilluviu tutti i strunza nàtanu. A tempo di diluvio tutte le minuzie vengono a galla e in tempi di disordine e di disorganizzazione tutti, anche gli esseri più insignificanti, cercano di emergere e di conquistare le prime posizioni in società. 45-‘na nuci nd’a ‘nu saccu no’ scrusci. Una sola noce in un sacco non produce rumore. Così è anche per ogni manifestazione. Infatti, occorre essere im parecchi per far pesare la bilancia dalla nostra parte. 46-Sup’o mortu si canta ‘u misereri. Si discute su di un fatto solamente dopo che lo si sarà conosciuto nella sua interezza e non prima. 47-Ogni nasu a so’ facci meri. Il naso di ogni persona è proporzionato al resto del viso. Nel mondo tutto è relativo. 48-Cchiù nd’ammazzu e cchiù nd’i vidu Le persone insignificanti e che cercano di alzare la cresta sono come le pulci. Più se ne ammazzano e più ne spuntano fuori. 49-Pari ca ndi canuscìmu a’ fera vecchia. Si dice a colui che guardiamo dall’alto in basso o a chi vogliamo far credere di non riconoscere. 50-Acqua passata non màcina mulinu. 88 Le cose passate non contano più. 51-Petra disprezzata è cantunèra ‘i muru. Sovente, le cose o gli uomini, che noi sottovalutiamo, alla resa dei conti si rivelano migliori degli altri. 52-Scupa nova faci scrùsciu. È sempre la prima impressione quella che conta. Dal modo di presentarci dipenderà il nostro successo nella vita. Chi occupa un nuovo posto porta sempre innovazioni per farsi notare. 53-‘mpàrati ‘ngrata se vo’ èssiri amata. La bontà è una virtù da scartare. Se si vuole essere rispettati e amati occorre imparare a comportarsi da ingrati. 54-Cu’ no’ rrìzzica no’ rrùzzica. Il rischio è in ogni azione. 55-Supa o’ bruschiàtu non pìgghia focu. Gli errori non sono mai ripetibili. Chi avrà avuto una brutta esperienza, non sarà tentato di rifarla. 56-Se no’ lungi non mangi. 57-Se n’a lungi ‘a barca non vara. Si ottengono favori solo elargendo doni. 58-Nuju dici: - Làvati ‘ a facci ca si’ megghiu ‘i mia. La semplicità e un’esatta misura di se stessi a questo mondo non esistono. Nessuno vuol riconoscere la propria pochezza di fronte agli altri. 59-Cu’ non si gratta ‘a testa ch’i so’ mani non ci passa mai la mangiasùmi. 89 A chi non si gratta la testa con le proprie mani il prurito non passerà mai. Ognuno deve badare ai propri casi personalmente se vuole che riescano bene. 60-Se d’è vera nivi cogghi sula. La vera neve cade da sola. Le cose buone maturano da sole. 61-A occhi visti nci vonnu provi? Di fronte all’evidenza le prove sono inutili. 62-nd’avi ad èssiri di patta la pignata ‘mu veni la minestra sapurita. Perché la minestra risulti saporita occorre che la pentola sia di creta. Ottiene buone affermazioni solo chi possiede le doti necessarie. 63-Ciàngiri ‘n omu mortu sunnu lacrimi persi. Piangere un morto è fatica sprecata, come pure disperarsi per una cosa che ci è stata rubata. 64-Cu’ currìja tanti lepri non pìgghia a nuju. Chi insegue tante mète non riesce a conseguirne alcuna. Il cacciatore, che si mette sulle piste di tante lepri, non ne piglierà neanche una. 65-Ognunu tira l’acqua o’ so’ mulinu. 66-Ognunu pensa pe’ santu soi. Ognuno fa i propri interessi. 67-Vidi moju e zzappa fundu. Chi trova il terreno favorevole ne approfitta per condurre fino in fondo le sue imprese. 68-Cu’ mali fa mali ricìvi. Chi commette cattive azioni, se ne dovrà attendere del pari anche lui. 90 69-Quandu a mai Riggiu vindìu ranu! A Reggio non si è mai prodotto grano. Si dice ciò quando ci accadono cose impensate o quando vediamo che altri fanno azioni, di cui non li abbiamo mai creduto capaci. 70-Fatti ‘i sira testimoni i stij. Di notte soltanto le stelle sono testimoni di quanto facciamo nel bene o nel male. 71-Se non chiovi zaghalìja. Chiunque è messo a dirigere una qualche azienda o entra in un posto qualsiasi, se proprio non ne uscirà ricco, qualcosa riuscirà a sgraffignarla. Se proprio non piove, alcune gocce cadranno. 72-Tenìri pe’ cannàta ‘i pisciàri. Tenere una persona come un vaso da notte, cioè in nessun conto. 73-Ogni dottu perdi ‘a so’ virtù. Tutti possiamo sbagliare, anche le persone ritenute più esperte. 74-Sapi cchiù ‘u pacciu ‘n casa sua c’o saviu ‘n casa d’atri. Ognuno conosce i fatti propri. Nessuno può sapere più dei padroni di casa quanto in questa vi si trovi. 75-Mangia Janni ca du’ toi mangi. Mangia Giovanni chè stai mangiando del tuo. Si dice quando un tizio, che crede di aver fatto bottino delle cose altrui, sta invece dilapidando le proprie. 76-‘u fattu è fattu e ‘a casa è china ‘i sennu. Dopo che il fatto sarà avvenuto, tutti sapranno suggerire questo o quel provvedimento. 91 77-Tuttu ‘u porcu faci pe’ ttia. L’egoista pretende di trattenere tutto per sé. 78-Nesci ardìca e trasi sambùcu. Si buttano le ortiche per prendere il sambùco. Si abbandona cioè un amico, che è un poco di buono, per allacciare amicizia con un altro che si rivelerà ancora peggiore di lui. 79-Comu vèninu i patannostri, i calàmu. Le cose si affrontano così come si presentano. 80-Mussu chiusu non caca musca. Chi non mette avanti le proprie ragioni, non potrà mai essere agevolato. 81-Tantu vaci ‘a cortàra all’acqua chi si rrumpi. Tanto s’insiste in una determinata azione fino a che tutto viene scoperto. Oppure, tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. 82-Spiàndu spiàndu si ‘rriva a Roma. È chiedendo continuamente notizie a questo e a quello che si potranno raggiungere anche le mète più lontane e difficili. 83-A undi non si’ ‘mbitàtu non jri ca si’ cacciàtu. Il comune galateo prescrive di non andare in posti dove non si è stati invitati perché si potrebbe fare una ben magra figura. 84-Chiju chi vidi menzu cridi, chiju chi senti non cridìri nenti. Di quello che vedi pensa di aver visto solo la metà, di quanto ti dicono non credere nulla. 92 85-O tu chi non hai chi fari, rifùndiri mi voi. Si dice a un tizio che dovrebbe operare in un certo senso, ma approfitta di chi già è impegnato a farlo. 86-Calabrisi e muli non pìscianu suli. I Calabresi in certe azioni amano avere compagnia e, quando debbono orinare, agiscono come i muli. 87-‘ncarta frusciu e veni primèra; Voci del gioco della scopa. Come dire che, girala come la vuoi, siamo sempre allo stesso stato o sempre al punto di partenza. 88- Sunnu n’igghiu e n’agghiu. Non c’è alcuna differenza tra due persone o due cose che si mettono a confronto. 89-Èssiri facci ‘i muru. Avere la faccia tosta. 90-A vucca chiusa non càcanu muschi. La persona che sa tacere non ha timore d’imbattersi in guai. 91-Cu’ nd’avi pietà di’ carni ‘ill’àutri, ‘a soi s’a mangianu i cani. Non si deve aver pietà del prossimo se non si vuole fare una brutta fine. 92-Cu’ lìttara manda lìttara vidi. Se si vuole ottenere qualcosa di sostanziale, bisogna agire in prima persona. Alla lettera si risponde con la lettera, cioè conseguendo scarsi risultati. 93-Dundi vaju e dundi vegnu, sempri ccà mi mantègnu. Donde vado e donde vengo, resto sempre nello stesso posto o con la stessa idea. 93 94-Fari du’ parti ‘n cummèddia. Agire doppiamente. 95-‘i ‘na ricchi nci trasi e ‘i ‘n’atra nci nesci. È di chi proprio non vuol sentire; anche ‘i sta ricchi non senti. 96-I paròli non jnchinu panza. Per stare bene nella vita occorrono fatti e non soltanto parole. 97-Jettàri ‘u cincu. Rubare. Il numero cinque si riferisce ad allungare la mano per prendere. 98-Iettàri ‘na cantunèra ‘i muru. Spararla grossa. 99-Caminàri ch’i pedi ‘i chiùmbu. Procedere con circospezione. 100-Jocàri ‘i cuda. Giocare di coda. Uguale che defilarsi o agire con sotterfugio. 101-Èssiri ‘na vota di’ pedi e ‘na vota da’ testa. Non agire sempre rettamente. Tergiversare. 102-Niru cu’ niru no’ tingi. Due persone poco rette s’intendono a vicenda. 103-No’ fari ‘u passu cchiù longu da’ gamba. Non esagerare nelle tue intraprese. Agisci con buona misura. 104-Trovàri ‘a furma pe’ so’ scarpi. Incappare in uno che ti metterà a posto. 94 105-Ancora ti puzza ‘a vucca ‘i latti. Si dice all’indirizzo di chi si erge sugli altri specie se si tratta di persona minore di età. 106-‘u grassu nci ‘rrivàu o’ cori. È quello che a un certo punto capita al mangione o all’accaparratore. 107-Cu’ vaci cu’ zzoppu zoppìja. Chi va con lo zoppo, alla fine lo imiterà. Il tutto è esteso, naturalmente, ai comportamenti dell’uomo. 108-Cu’ dormi no’ pìgghia pisci. Chi trascura d’intervenire, non può produrre alcunchè di buono. 109-Vèstiti pistùni ca pari barùni. Per fare la tua figura dovrai vestirti in modo degno da farti notare e quindi apprezzare. 110-Sunnu i tri da’ chiazza: Petru, Paulu e Barbazza. Sono i soliti tre vagabondi che agiscono sempre tutti assieme. 111-Sunnu i tri da’ chiazza: trivulu, malanova e scuntentizza. Vale come sopra. 112-Ciccu, Cola e ‘u so’ garzuni. Vale come sopra. 113-Cric e croc e mànicu d’ancìnu. Vale come sopra. 114-Cola, fra Cola e‘ u so’ priuri. Praticamente, la medesima persona. 95 115-Si dici ‘u peccatu, ma no’ ‘u peccaturi. Quando si raccontano degli avvenimenti, è bene fermarsi ai fatti e non rivelare i protagonisti degli stessi. 116-Fìmmini ch’i fìmmini e màsculi ch’i màsculi. Nei tempi in cui vigeva la rigida regola ch’era buona norma che le donne stessero separate dai maschi, quando avveniva che a essa si facesse eccezione, c’era sempre qualcuno che, anche celiando, ricordava di evitare una mescolanza di sessi. Quindi: le donne con le donne e gli uomini con gli uomini. STUPIDITÀ UMANA 1-Unu nc’era: ‘u scacciàu ‘a hjocca oppure n’atru nc’era comu a tia: ‘u scacciàu ‘a hjocca! Uno c’era simile a te: l’ha schiacciato la chioccia. Cioè, vali poco. 2-Chi gapparìa chi fici Gianni Leu, ch’era ‘i cinquantanni e caminàu. Oh, che prodezza che ha compiuto mai Gianni Leo, che a cinquantanni è riuscito a muovere i primi passi! 3-Sciarrijàri po’ fìcatu du’ guardiànu. Litigare per il fegato del guardiano, cioè per nulla. 4-Si tagghia i cugghiùni pe’ dispettu da’ mugghieri. Si dice che si recide i testicoli per far dispetto alla moglie di colui, che, pur di recare danno a qualcuno, non teme di danneggiarsi implicitamente a sua volta. 5-‘U cazzùni pecchì è cazzùni? Pecchì nci pari ca sapi. Lo stupido è tale perché presume di non esserlo. 96 6-Chiavi ‘n cinta e Martinu dintra. Come dire: chiudere a chiave la porta di casa e lasciarci serrato dentro il ladro. 7-Fari ‘u scemu pe’ non jri a’ guerra. 8-Fari ‘u stùpitu nd’o lenzolu. Fare la parte del finto tonto, ma avere in serbo fini reconditi. 9-I matti fannu i fatti. Gli spavaldi gridano ai quattro venti le loro presunte imprese, ma sono solo i timidi che spesso compiono, silenziosamente e senza che nessuno ne sia partecipe, le più incredibili azioni. 10-Cu’ nd’avi ‘a comodità e non s’a pìgghia non c’è cumpessuri mu l’assorbi. Chi ne ha le comodità e non se ne serve non potrà mai essere scusato. Nessun confessore si sentirebbe in dovere di assolverlo. 11-Cu’ dassa ‘a vecchia p’a nova cchiù brutta ‘a trova. 12-Cu’ dassa ‘a strata vecchia p’a nova sapi chiju chi dassa, ma no’ chiju chi trova. L’uomo semplice e avveduto si contenta di quel poco che possiede. Chi gli assicura che, con un cambiamento, rimarrebbe nelle medesime condizioni, in cui si trova o non piuttosto verrebbe a trovarsi in più cattive acque? 13-Se Cola nd’avìa cacàtu non morìa buttàtu. Il senno di poi non conta un bel niente. Verità lapalissiana: se Cola avesse defecato, non sarebbe morto per non averlo fatto. 14-Cu’ dijùna pe’ non avìri pani e cu’ dijùna pe’ divozzioni. 97 In questo mondo c’è chi digiuna per non aver di che mangiare, ma vi è pure chi, stoltamente, lo fa soltanto per voto. 15-‘a testa chi non penza è di cucùzza. Lo scervellato ha la testa vuota come la zucca. 16-L’occhiu stessu vali ‘a pisci. 17-L’occhiu stessu voli ‘a parti. Basta un colpo d’occhio a farsi un’idea precisa di una certa cosa. Non sono sufficienti le belle maniere, come afferma l’altro detto, ma occorre anche la bellezza, perché l’occhio pretende la sua parte. 18-Mina ‘o porcu e ‘cchiappa o’ porcàru. Lo sventato, il disattento, il maldestro prende di mira una persona, ma sbaglia e ne acchiappa, invece, un’altra. 19-A‘ squagghiata d’a nivi. Quando la neve si scioglierà. 20-Comu sciuculìja. Quando il terreno bagnato si prosciugherà. 21-Jornu ‘i mai du’ misi ‘i poi. Giorno di mai del mese di poi. 22-Quandu chiovi e non faci falàcchi. Quando piove e non produce fango. Cioè mai. 23-Chi ‘mbischi? Trippi e lattàri? Lo stolto unisce indifferentemente cose tra di loro opposte. 24-Pìgghia i mundìzzi da’ to’ casa e tràsili intra. Si dice ciò a chi si autodenigra. 25-O zzumpu o lupu o pedi ‘i castagnàru. O un lupo o un ciocco. 98 26-Zzittu zzittu a menz’a chiazza. Si dice di colui che, mentre confida ad altri dei fatti che vuole tenere nascosti, si fa stupidamente sentire. 27-È unu chi non canusci patrùni. È un irriconoscente. 28-Conzàtu pe’ festi e pe’ lavuranti. È conciato proprio male. Rimane tale sia nei giorni festivi che in quelli feriali. 29-Vidisti ‘a vigilia e ora vai spettandu ‘a festa! Non ti è bastato quanto ti è capitato. Vorresti ancora il resto? 30-‘u voi nci ‘ci cornutu o’ sceccu. Chi è veramente cornuto, rivolge questo epiteto a chi realmente le corna non ce l’ha. 31-‘u porcu è a’ muntagna e l’acqua gugghi. Ancora il porco deve partire per la sua destinazione e il frettoloso ha già messo l’acqua per cuocerlo. 32-Cu’ parra sulu è pacciu. Chi per strada colloquia con se stesso si qualifica un pazzo. 33-I pacci non sunnu tutti o’ manicòmiu. I pazzi non si trovano tutti ricoverati in manicomio. Spesso è dato avvistarne anche nel mondo dei cosiddetti savi. 34-Pignatéju ‘i primu gùgghiu. È proprio di chi assume iniziative assai frettolosamente. Col suo comportamento ottiene scarsi risultati. 99 35-Si cangiàu l’occhi p’a cuda. Si dice di chi, pur di ottenere una cosa appariscente, ma insignificante, dà via una cosa di valore, anche se meno vistosa. 36-Vegnu d’u mortu e m’ici ch’è vivu. Torno dalla casa del defunto e un tizio, senza essere al corrente del fatto, sostiene imperterrito il contrario. Così afferma colui al quale si oppongono eventi mai occorsi o particolari situazioni del tutto inesistenti. 37-È cchiù vecchiu d’u Bambinu ‘i Mulòhj. Frase con cui si risponde a chi racconta un evento che ha fatto ormai il suo tempo proponendolo per attuale. Si dice anche a chi pretende di essere ancora giovane. Il tutto deriva da un Bambino Gesù che si trova o si trovava nella chiesa di Molochio o perché antico o a motivo di fattezze che lo invecchiavano. 38-Tenìri i telaj. Tenere i telai a qualcuno sta a significare occuparsi degli affari degli altri. RASSEGNAZIONE 1-Ognunu si ciangi a Pauléju soi. Ognuno pensa ai casi suoi e si affligge solo per essi. 2-Cchiù scuru da’ menzanotti non poti venìri. Più buio della mezzanotte non esiste. Non potrà mai capitarci il peggio del peggio. 3-Ognunu si gratta ‘a testa ch’i so’ mani. Ognuno provvede a sé con i mezzi propri. 100 4-nd’avìmu cchiù jorna ca satìzzi. Per completare certi lavori oppure per prendere certi provvedimenti non è il caso di affrettarsi perché davanti a noi vi sono più giorni che salsicce. 5-Videndu e facendu! Agiamo in conformità a come si presentano le cose. 6-Cu’ bellu voli parìri peni e guai nd’avi e suffrìri. Chi vuole apparire bello, deve necessariamente sopportare pene e guai. Come dire, in paradiso non si va in carrozza. 7-Fidi ti sarba e no’ lignu di barca. In certi perigliosi frangenti si è salvi più per fede che per altri mezzi. 8-‘A megghiu morti è ‘a subitània. La morte più desiderabile è quella che ci coglie all’improvviso. 9-‘A vecchiaja è ‘na carogna. La vecchiaia è brutta a trascorrere. 10-Zzitejuzza sedi sedi ca la sorta megghiu veni. Non bisogna mai avere fretta nelle scelte. 11-Ciàngiri ‘n’omu mortu su’ lacrimi persi. È vano rimpiangere il passato. 12-Cornùtu cu’ ‘nu cornu, cornùtu cu’ centu. Si è cornuti sia per una volta che per cento. Una volta che si è tacciati per una cattiva azione, ma redditizia, tanto vale non preoccuparsene in altre occasioni. 101 13-A mmenzu all’atri, pòviru patri. Tra tante disgrazie, una più una meno fa lo stesso. 14-Cchiù niru (anche scuru) da’ menzanotti non poti venìri. Quando un uomo è inguaiato fino all’osso del collo, non teme di cacciarsi in altri guai. Tanto - dice - più inguaiato di così! 15-Cu’ di speranza campa disperatu mori. Chi vive nutrendosi solo di chimeriche speranze, è destinato a finire nella più nera disperazione. 16-Fari comu l’antichi chi si pigghiàru ‘u culu a manàti. Non si può spingere un muro più in là di quanto è umanamente possibile. Quando si è alle corde, occorre darsi una buona dose di rassegnazione. 17-‘mbàsciati hjuncu c’a hjumàra passa. Il rassegnato accetta supinamente ogni cosa. Quando l’acqua del fiume gli è ormai sopra, il giunco, adattatosi alla situazione, si lascia travolgere con facilità, ma è sicuro che, una volta passata la tempesta, tutto tornerà come prima. 18-O ti mangi ‘sta minestra o ti jetti da’ finestra. A cose finite o si accetta il fatto compiuto o si può fare soltanto un gesto disperato. 19-A’ vecchiaia cazètti russi. Chi non si è saputo divertire in gioventù, è inutile che cerchi di rifarsi quando sarà vecchio. A parte il fatto che le forze fisiche non glielo consentirebbero, cadrebbe sicuramente nel ridicolo. 102 20-Pacenzia nci voli a li burraschi. Nei momenti difficili occorre avere molta pazienza perché col tempo tutto si aggiusterà per il meglio. 21-Cu’ nd’avi i guai s’i ciangi. Chi ha dei guai, e chi non ne ha in questo mondo, si rassegni a piangerseli da solo. Gli altri se ne impipano di chi soffre. 22-Quandu jeu ‘mbecchiài tuttu ‘u mundu ‘mputtanìu. Al vecchio il mondo offre un nuovo volto e appare sempre più diverso da come l’aveva visto da giovane. L’esperienza acquisita in tanti anni gli fa comprendere come abbia fatto male a non approfittare delle tante situazioni favorevoli occorsegli. Oppure, l’uomo s’accorge solo quando invecchia che il mondo ha camminato parecchio e che nuove situazioni favorevoli sono maturate solo ora che non ha più i denti a posto. 23-P’o mari non c’è taverna. Non v’è alcun riparo per difendersi dal mare. Chi vi cade dentro non ha la minima speranza di salvarsi. 24-Quandu ‘u piru è matùru cadi sulu. Quando sarà venuta l’ora, ogni evento maturerà e non prima. 25-Cu’ chistu cappèju chi nd’aiu vi salutu. A questo mondo si agisce secondo capacità e secondo possanza. 26-Cu’ bella voli parìri peni e guai nd’avi e patìri. Chi vuol sembrare bella a ogni costo, deve pur sopportare pene e guai. 103 27-Si dìssiru li missi a Palermìti, non si ndi dinnu cchiù missi cantati; o anche: Pe’ ttia cantàu lu cuccu. È ormai perduta ogni speranza. 28-Pacenzia, corpu meu, mangiasti: paga! Chi avrà commesso un certo fallo dovrà sottostare a tutte le conseguenze. 29-Cu’ prima non penza dopu suspira. Chi non è previggente, dopo se ne pentirà amaramente e inutilmente. 30-Cu’ voli anda, cu’ no cumanda. Chi vuole una cosa, deve procurarsela da sé. 31-Cchiù intra jamu e cchiù pisci pigghiamu. Man mano che ci si addentra in una faccenda ci si accorge che le cose non sono proprio come noi le abbiamo immaginato. 32-Amaru a cu’ stavi a’ speranza ‘ill’àutri. È da compiangere colui che confida nel soccorso degli altri. 33-A secundu lu ventu menti la vila. Conviene comportarsi secondo l’andazzo delle cose e drizzare la vela verso la parte dove spira il vento. 34-Pili e guai non mancanu mai. A questo mondo peli e guai sono sempre presenti. 35-Ogni principiu è forti. Ogni inizio è difficile. 104 36-Ogni ficatèju ‘i musca è sustanza. Sono utili anche le piccole cose come il fegatello della mosca. 37-Si futti ‘a banda e cu’ ‘a sona. Quanto tutto è perduto, vada a fottersi sia la banda che il maestro. 38-‘a raggiùni è di’ fissa. Fare contento e gabbato. Non basta dar ragione a parole, bisogna farlo sostanzialmente. 39-Atru è parràri ‘i morti, atru è morìri. C’è una bella differenza tra il parlare della morte e la morte. Quanto tutto sembra perduto, c’è sempre qualcosa a cui appigliarsi. 40-A undi tocchi tocchi ‘u mari è salatu. A un certo momento non sai più a quale santo votarti o quale rimedio prendere. 41-Si menti ‘a cuda nd’e cosci. Rassegnarsi o venire a buoni consigli. 42-Cu’ si cuntenta godi. Chi si accontenta del poco, rimane comunque soddisfatto. 43-È bonu quandu ‘na cosa si cunta. È sempre bene quando un fatto si racconta. Vuol dire che chi è stato in pericolo di vita è riuscito alla fine a sopravvivere. 44-‘u ferru s’avi e battìri fin’a ch’è caddu. Non bisogna arrendersi subito, ma insistere senza sosta in una intrapresa. 105 45-Quandu veni ‘u tempu ‘u godi o crepi o mori. A questo mondo non c’è felicità. Quando credi di esserci pervenuto dopo tante traversìe, è proprio allora ch’è arrivata la tua fine. 46-Perdìu a Ciccu cu’ tuttu ‘u panàru. Ha perso Cecco con tutto il paniere, cioè ha ormai perso tutto. 47-Finìru li frischi e li frischiàti e puru li bongiorni e li saluti. Ormai non c’è più niente da fare! Sono bell’e terminati sia i fischi che le fischiate. Quindi, tutto è passato e non ne hai saputo approfittare, adesso arrànciati. Non più feste e cerimoniosi approcci dato che non si è più in grado di contraccambiare. 48-No ‘nc’è cchiù nenti pe’ gatti. Sulla stessa falsariga della precedente. Ma anche nel senso che ci si è approfittato di tutto e non si è lasciata agli altri neanche una briciola. 49-Strata longa no’ rrumpi carru. Spesso la strada più agevole si offre quella più lunga. A volta la più corta riesce impraticabile e, tirando le somme, val meglio perdere più tempo che uscire con danno. Lo stesso si verifica nella vita, dove le scorciatoie non portano ad alcunchè di buono. 50-Quandu unu nd’avi e morìri, ‘u ‘mpìttanu puru i lenzola. Non c’è niente da fare! Alla morte, purtroppo, non si può sfuggire. Quando arriverà l’ora, perfino le lenzuola riusciranno a schiacciare sotto il loro peso una persona. 106 TIMORI E APPRENSIONI 1-O’ peju non c’è fini. Il peggio deve sempre arrivare. 2-Èssiri cchiù pe’ jà ca pe’ cca. Trovarsi in punto di morte. 3-‘A mala nominata ‘a porta ‘u ventu (o a malanova). La brutta nomèa si divulga presto, così anche le cattive notizie. 4-Quandu si mangia non si parra ca si cuntratta c’a morti. A tavola non fa d’uopo parlare, altrimenti si corre il rischio di soffocare per qualche boccone andato di traverso. 5-Cca occhi sì e lacrimi dundi! Espressione di meraviglia quando ci viene imputato qualcosa che non ci concerne. 6-Sunnu i setti e Ninu non veni, cosa giusta pe’ Ninu non è! Quando in una famiglia un componente tarda a rincasare, si corre subito a pensare che gli possa essere accaduta qualche disgrazia. 7-Anni non passàri, jorna e misi non cuntàri. Quando si sta in attesa, i giorni e i mesi volano, sono gli anni che non si decidono a passare. 8-Fin’a chi nd’avìmu mani e pedi, non sapìmu chiju chi ndi veni. 107 Finchè esistiamo tutto potrà capitarci, anche le cose più impensate. 9-Avìri ‘a cuda ‘i pagghia. Il colpevole sente che prima o poi sarà scoperto. È naturale. Si sente in difetto. 10-‘a cuda è dura a scorciàri. Il più difficile a superarsi è proprio verso la fine di ogni azione. 11-Èssiri ch’i pedi a’ fossa. Essere con i piedi nella fossa equivale a stare proprio male e sul punto di morire. 12-Nci vonnu trenta Bagnaroti pemm‘u ciànginu. Ci vogliono trenta prefiche di Bagnara per piangere un tale che forse in vita ha ben meritato, ma nel caso potrebbe trattarsi anche di una indicazione di tipo ironico. 13-Pe’ lignu non mi minàu. Era così adirato che, se avesse avuto tra le mani un pezzo di legno, me le avrebbe suonate. Si dice di uno esageratamente, ma non giustamente, incollerito. 14-I morti superàru ‘e vivi. È accaduto proprio quello che non ci si aspettava. 15-Quandu si dici ‘na cosa, se non è tutta, è menza. Quando si racconta di un evento impensabile e a prima vista impossibile a verificarsi, soprattutto per la posizione sociale dei protagonisti, se non è tutto realtà, almeno per metà lo sarà. 108 FORTUNA E SFORTUNA 1-Èssiri ‘n terra cu’ tutti i roti. Stare proprio male. Avere tutte le ruote a terra. 2-‘mbuschi cchiù tu ca n’orbu. Si dice così di gente che ci sa fare e arraffa da tutte le parti. 3-No’ jeu affrìttu no’ tu cunzulàtu. L’infelice non vuole che gli altri godano. 4-Stari comu l’ovu o’ focu. Stare comodo. 5-Aria e tuppè: sordi non ci nn’è. Boria e tuppè (crocchia=capelli annodati sul capo), ma soldi proprio non ce ne stanno. È tutto fumo e niente arrosto. 6-Morti e patrùni non spiàri quandu veni. Non ti chiedere mai quando arrivano la morte o il padrone. Essi giungono quando meno te l’aspetti. 7-Di’ dòmiti cacciàu i serbaggi. Dalle cose tenere si possono ricavare anche cose selvatiche. Cioè, anche persone mansuete possono avere in serbo grossi difetti, come la cattiveria. 8-Guarda chi mi portàu la me’ sorta ‘nfama: la serba ‘mu cumanda la patrùna. Alti e bassi della vita. A un certo momento le situazioni si possono benissimo capovolgere. La serva diventa padrona e viceversa. 109 9-Non nescìu di latu da’ hjocca Non è nato fortunato. 10-I mappìni diventaru hhjèri e i hhjèri diventaru mappìni. Anche qui alti e bassi della vita. Mappìni e hhjèri sono entrambi sinonimo di strofinaccio da cucina, ma il secondo termine è forse pronunziato in ambienti più alti. 11-‘U mundu votàu suttasupa. Idem. Il mondo è andato sottosopra. 12-Quandu ‘a furtuna ti voli, a casa ‘a sapi. La fortuna sa dove trovarti. 13-Non cadi petra ‘ill’artu chi no’ ‘cchiappa a mia. Così dice chi si considera totalmente sfortunato. Le prende tutte. 14-Quandu jia ‘mu fazzu barrìtti l’omani nescìru senza testa. Idem. Non c’è che dire! Quando ho iniziato a confezionare berretti, gli uomini sono nati senza testa 15-Crisci sambùcu e ‘ccuppa ‘a sipàla. Quando i guai sono tanti, qualcuno alla fine vi provvede. Spunta il sambùco e copre tutta la siepe. 16-Quandu nescìa jeu nescìa o’ scuru, micciu no’ nd’avìa nd’a lumèra. Lo sfortunato è tale dalla nascita. È nato al buio perché al lume mancava lo stoppino. 17-Amaru a cu’ nd’avi bisognu! Chi ha bisogno è da compiangere. 110 18-A quandu a quandu mi misi ‘mu ‘ttraju mi catti duru lu cilìju. 19-A quandu a quandu mi misi ‘mu straju, mi catti la cunocchia e lu cilìju. A quando a quando mi son messo in un’impresa, il subbio (uno dei cilindri del telaio) mi è venuto proprio duro. Oppure: mi son caduti sia la conocchia che il subbio. La fortuna ci abbandona spesso nel momento culminante e proprio quando maggiore dovrebbe essere il suo apporto. 20-O Signuri, fu grandi lu to’ mantu, ma, quandu fu pe’ mia, no’ ‘rrivàu. O Signore, la Tua misericordia è stata grande per tutti, ma non per me. Non mi è mai pervenuta. 21-L’erba chi non voi, ti crisci all’ortu e l’omu chi vo’ mortu, è sempri vivu. Ti va tutto storto. L’erba, che rifiuti, cresce nel tuo orto e colui che vorresti morto rimane sempre vivo. 22-Quandu unu nd’avi ad avìri beni, o mori o peri. Nella vita terrena non potrà esservi alcuna felicità. Quando, dopo tante pene, saremo riusciti a farci una discreta posizione, arriverà inesorabilmente la morte a scompigliare il castello di fumo che avremo eretto. 23-Cu’ nesci tundu non poti morìri quatratu. Ognuno ha segnato sin dalla nascita il proprio destino. Chi è nato fortunato rimarrà sempre tale. Lo sfortunato non potrà mai riuscire a cambiare la sua triste sorte. Il rotondo non potrà mai essere squadrato. 24-Dopo du’ duci veni ‘u maru. In tutte le cose di questo mondo alla base del dolce vi sta l’amaro. Per quanto fortunato, l’uomo ha sempre dei 111 momenti in cui soffre per qualche pena. Assieme alle rose ci sono anche le spine. 25-Nci voli furtuna puru o’ cacàri. Chi è fortunato, lo è in tutto, anche nel semplice atto della defecazione. È favorito dalla sorte tanto nelle cose grandi quanto in quelle infinitesimali. 26-Cu’ nd’avi furtuna ‘u gaju nci faci l’ovu. Al fortunato accadono le cose più impensate e strabilianti. Perfino il gallo ha il magico potere di fargli le uova. 27-Jettu la pagghia a mari e mi va’ ‘n fundu, all’atri nci viju lu chiumbu ‘nzumàri. Una pagliuzza buttata in mare da chi è scalognato va presto a fondo, mentre un pezzo di piombo lanciato da chi non lo è torna sempre a galla. Allo sventurato ogni cosa va sempre di traverso, mentre al fortunato riesce tutto liscio. 28-La malasorti mia parzi di tandu quandu me’ mamma mi misi a ‘stu mundu. Lo scalognato stima se stesso essere tale dal momento in cui la madre l’ha messo al mondo. 29-Quandu nescìa jeu la sbenturata, me’ mamma mi guardava e mi ciangìa, mi levàru a’ Cresia pe’ vattijàri e la cummari mi morìu pe’ via, a la mammina nci pigghiàu ‘na cosa, lu prèviti morìu di guttusia, cadi ‘na petra di lu campanàru a menz’a tutti ‘cchiappàu sulu a mia. 112 Quando sono nata, o me sventurata, ho avuto molti segni per capire ch’ero nata tale. Tutto allora è apparso eloquente. Appena venuta al mondo, mia madre mi contemplava e piangeva. Mentre mi portavano al fonte battesimale la madrina è deceduta per via, la levatrice si ha avuto un colpo e il prete è morto per un collasso. Ma tante disgrazie non sono bastate. Tutt’a un tratto si è staccata una pietra dal campanile e, venendo giù, tra gli astanti ha colpito solo me. 30- ‘mbiàta chija porta chi nesci na figghia morta. Le figlie femmine sono terribili pesi da sopportarsi dai genitori ed è benedetta quella porta per la quale passano i loro resti mortali. 31-Unu nesci jù jornu chi si marita. Il destino di una persona viene a decidersi il giorno del matrimonio. Da quella scelta dipenderà il futuro di una persona. 32-Quandu nascìru st’ossa sbenturati, lu suli cu’ la luna fìciru liti e l’aria si coprìu di nivolati. Quando sono nate queste ossa sventurate, il sole e la luna son venuti a lite e l’aere si è coperto di nuvoloni. Non c’è che dire, proprio un brutto giorno! 33-‘u peju è sempri arrètu. Dobbiamo sempre attenderci il peggio. 34-Cu’ vindi mori. Chi si priva dei propri beni finirà alla malora. 35-Cu’ sbenturata nasci sbenturata mori. La sventura ci accompagna sin dalla nascita. 113 36-Cu’ perdi ‘u ccappottu e rìcupera ‘u mantu perdi poco e non perdi tantu. Chi, dopo aver perso un bene, ne rinviene anche una parte, gli fa d’uopo accontentarsi. 37-Ogni tantìju è puntìju. Ogni aiuto è sollievo. 38-Jiri cu’ culu a’ cciappa. Impoverire. Anticamente chi falliva era condannato a una specie di gogna, che consisteva nel rimanere seduto su di un sasso col deretano nudo. 39-Cu’ tanta tila e cu’ mancu ‘a cammìsa, cu’ tanta cumpagnìa e cu’ dormi sulu. A questo mondo bisogna aver tanta fortuna. Chi ha tanta tela da farne molte e chi non ne ha nemmeno per confezionare una camicia. Chi ha tanta compagnia e chi è costretto a dormire solo. 40-Avìri ‘a mangiatùra vascia. Stare troppo bene e, quindi, gozzovigliare. RICCHEZZA E POVERTÀ 1-A undi nc’è ‘u bonu stari nc’è ‘u bonu campàri. Dove c’è abbondanza si vive bene. 2-Unu e nenti su’ parenti. Uno è pressochè niente. 114 3-Unu è pocu e dui su’ assai. Se uno è poco, due sono molti. 4-‘mmuccia cumpàri ca tuttu pari. Chi cerca di nascondere, spesso non fa che mettere in mostra. 5-Spogghia ‘na cruci ‘u vesti ‘n’artaru. Chi ha poca disponibilità, con poco vorrebbe fare molte cose. 6-Ogni acqua caccia ‘a siti. Ogni acqua è refrigerio. Ogni aiuto è sollievo. 7-Cu’ no nd’avi ‘nu tallu no’ mbali ‘nu callu. Chi non possiede un pollone, evidentemente almeno una pianta, non vale un callo, una piccola moneta di altri tempi. 8-Quandu vidi ‘u bonu pigghiatìllu ca ‘u malu non poti mancàri. Quando ti perviene un dono, afferralo subito perché il male non starà molto a farsi sentire. 9-Se ‘u villanu fussi fattu tuttu d’oru, e’ rricchi nci restava sempri ‘u chiumbu. Se il contadino fosse fatto tutto d’oro, ai ricchi resterebbe solo il piombo. 10-Panza china fa cantari. Quando sei ben satollo, ti vien voglia di cantare e non nella situazione opposta. 11-Quandu ‘u rriccu non paccìja, ‘u poveru non granìja. Se il ricco non escogita qualcosa, il povero non raggranella un bel niente. 115 12-I sordi chiàmanu i sordi. Chi è ricco è destinato sempre a impinguare i suoi averi. 13-Avìri ‘na bona minna. Avere una buona mammella da succhiare equivale a godere di una buona fonte di guadagno. 14-Cu’ nd’avi, faci navi, cu’ non avi, perdi chiju chi ‘nd’avi. Chi possiede, è in grado di costruire anche navi. Chi non possiede, invece, è in predicato di perdere pure quel poco che ha. Variante: Cu’ nd’avi faci, cu’ no’ nd’avi si vindi chiju chi nd’avi. Chi possiede è in grado di fare, chi no vende tutto quello che ha. 15-‘u beni non cala du’ cernàru La ricchezza non ci perviene dall’abbaino, ma è frutto della nostra intraprendenza. 16-Amaru è ‘u nudu, ma cchiù amaru è ‘u sulu. È sicuramente infelice colui che non ha almeno uno straccio per coprirsi, ma lo è di più chi resta solo. La solitudine si configura proprio un bel guaio. 17-Acqua di rocca e nnìcchiu di zzoppa. Sono entrambe molto pregiati l’acqua che esce dalla roccia e il sesso di una donna zoppa. 18-‘A fìmmina di fora né tila né lenzola. La donna che perviene da fuori non porta in matrimonio né tela né lenzuola. 19-Quandu l’àrburi su’ vestùti simu tutti arricogghiùti, 116 quandu l’àrburi su’ spogghiati non simu cchiù soru e frati. In tempo di abbondanza tutti ci ritroviamo, ma nel caso contrario ognuno prende le distanze e scompare anche la parentela tra sorelle e fratelli. 20-Se non è tutta è murca. Se non è tutta la verità, lo è sicuramente in parte. 21-Chiovi, chiovi, chiovi, ‘a Madonna cogghi hjuri, li cogghi pe’ Gesù e domani non chiovi cchiù. Piove a dirotto e la Madonna si mette a cogliere fiori per Gesù. È quindi sicuro che domani spioverà. 22-Se ‘u poveru nci ‘una o’ rriccu ‘u diavulu si sciala. Il diavolo gode nell’osservare il povero che aiuta il ricco. In effetti, la cosa si qualifica un vero assurdo. 23-Famigghia minùta: no’ sazia e no’ vestùta. In meno si è e minore si offrirà l’aiuto della Divina Provvidenza. 24-Lettu e focu: non ti mòviri di jocu. Non è per nulla conveniente abbandonare posti dove possiamo avere a buon mercato letto e fuoco. 25-Saccu vacanti no’ staci a’ dritta. Come un sacco vuoto non può reggersi, così l’uomo ha bisogno di aiuto per progredire nella vita. 26-Cu’ passa ‘n cavaju non vidi tanti cosi. 27-L’orbu chi passa ‘n cavaju non vidi. Il ricco non avrà mai la possibilità di conoscere i bisogni del povero. 117 28-Cu’ ‘nu scornu si campa ‘nu jornu. È con una buona dose di faccia tosta che, a volte, ci si può procurare quanto occorre. 29-Cchiù poco simu e cchiù megghiu stamu. A questo mondo per stare bene bisogna essere sicuramente in pochi. 30-Cu’ cchiù spendi menu spendi. Le cose buone costano di più. 31-Scala ca vindi. Per vendere presto e bene, occorre offrire le cose a un prezzo equo. È anche un invito a un fanfarone di raccontarle meno grosse. 32-Tri sunnu i potenti: ‘u Rre, ‘u Papa e ‘u pezzenti. Tre sono le persone potenti: il re, il papa e il pezzente. Quest’ultimo si trova nella rosa in quanto non ha nulla da perdere. 33-Non avi a undi càdiri e morìri. Il poveraccio possiede solo quanto ha addosso. 34-A undi pari ca ‘u lardu spandi, mancu lu càvulu cundi. Certe famiglie, che apparentemente appaiono vivere nel benessere, a volte non hanno di che condire un solo cavolo. 35-Quandu ‘u suli nesci, nesci pe’ tutti. La Divina Provvidenza c’è per tutti. Al sole si possono riscaldare tutti. 36-Suli, suli, nesci, nesci pe’ li pòviri piccirìj chi non hannu chi campàri, nesci suli pe’ caddiàri. 118 O sole, spunta per quei poveri bambini che non hanno di che vivere e riscaldali. Il povero, che non ha fidanza in alcun aiuto, si accontenta almeno di un raggio di sole. 37-Cu’ sparti nd’avi ‘a megghiu parti. Chi suddivide agli altri un bene comune, riserva per sé la parte migliore. Al contrario, chi s’intromette tra due litiganti riceve la sua parte di danni. 38-Cchiù randi è ‘a navi e cchiù pisu porta. Più carichi si hanno e maggiori risultano le responsabilità. 39-I rricchi su’ fatti e i pòvari puru. Il ricco rimane tale e … pure il povero! 40-I sordi fannu venìri ‘a vista all’orbi. Oh, potemza del denaro! Al suo contatto anche i ciechi vedono! 41-I dinari su’ a’ vucca ‘i tutti e nt’e mani ‘i nuju. Tutti spariamo mari e monti parlando di ricchezze, ma pochi, invero, sono quelli che le possiedono. 42-‘u primu dinaru è benidittu ‘i Ddiu. Iddio benedice il primo denaro guadagnato onestamente perché è di certo il più sudato. 43-Senza dinari non si ndi cantanu missi e mancu morti si portanu a’ fossa. Il denaro può tutto e senza di esso nulla è fattibile. Persino i preti si rifutano di celebrare Messa o di accompagnare i morti al cimitero se non vengono soddisfatti col vile metallo. 119 44-I dinari du’ suràru s’i mangia ‘u sciampagnùni. I denari dell’avaro sono destinati a finire nelle mani di uno scialacquatore. Le sostanze, che quello avrà accumulato soldo dietro soldo, dall’erede saranno spese alla malora e in breve tempo. 45-Dinari ‘i stola, hjùhhja ca vola. Il denaro rubato alla Chiesa o ai preti se ne va presto in malora. Su di esso incombe sempre un triste fato. 46-Anima e dinàri non si ponnu giudicari. Sia l’anima che la ricchezza sono imperscrutabili. 47-Diu ‘mu ndi lìbbara du’ poveru arriccutu e du’ rriccu ‘mpoverutu. Il povero, che si è arricchito e il ricco ch’è finito in povertà, si qualificano entrambi pericolosi. Il primo, che non aveva mai visto bene alcuno, trovandosi di colpo innalzato a grandi altezze, diverrà avaro, mentre il secondo, che ricorda con nostalgìa i tempi della passata prosperità, non sarà tanto indulgente con chi ancora è alle sue dipendenze, oppure con chi gli deve qualcosa. 48-Se ‘u rriccu si spaci o’ poveru n’o faci. Il ricco giammai potrà arricchire il povero. Pure se si dovesse disfare di tutte le sue sostanze, non potrebbe lo stesso fargli mutare stato. 49-Cu’ nd’avi dinari campa filìci, cu’ no’ campa c’amici. Chi è ricco vive felice e chi non lo è vive alle spalle degli amici. 120 50-Dundi lampa e dundi trona. Al fortunato le provvidenze piovono sempre da tutte le direzioni. 51-A cu’ tanta tila e a cu’ mancu ‘nu lenzolu. Chi tanto e chi niente! Questa è l’ingiustizia del mondo che ci siamo creati. 52-‘a cira squagghia e ‘a prucessioni non camìna. Se la processione resta ferma, la cera perviene a liquefarsi. Il tempo passa, i denari volano via, ma le varie iniziative non vengono mai portate a termine. 53-Occhiu non vidi e cori non doli. Il cuore si commuove soltanto di fronte alle miserie che può agevomente constatare. 54-I guai d’a pignàta ‘i sapi ‘a cucchiàra ch’i mìscita. È il maggiore responsabile quello che conosce a fondo l’andamento buono o cattivo di un’azienda, di una famiglia ecc. 55-‘ammi furtuna e jèttami a mari. Il fortunato è sempre tale. Riuscirà a salvarsi anche se dovesse cadere in mare. 56-Com’è ‘a barca si menti ‘a vila. Nella vita quotidiana occorre agire secondo come si presentano le situazioni. 57-O trovatura o ‘ncornatura. Se di un ricco non si conosce la provenienza delle sue dovizie, si dice ch’egli è tale o perché ha trovato un tesoro o perché la moglie, che l’ha cornificato, ha ricevuto tutti quei doni dall’amante. 121 58-Cu’ nd’avi ‘mmuccia e cu’ non avi mmostra. Il ricco nasconde i suoi beni per timore che glieli rubino. Il povero, invece, per celare la sua inopia, abbaglia gli altri mostrando quel che in realtà non possiede. 59-Non è tutt’oru chiju chi luci. Spesso, sotto una splendida apparenza, si cela tutto il contrario. 60-‘u bonu pagaturi è patruni d’a burza ‘ill’àutri. Il buon pagatore ottiene la fiducia di tutti. Può sempre chiedere chè nessuno gli rifiuterà il suo appoggio. 61-Cu’ nd’avi mugghièri bella, sempri canta; cu’ nd’avi dinari poco, sempri cunta. Chi ha una bella moglie, canta sempre perché contento di rimirarla a ogni momento. Chi ha poco denaro, lo conta a ogni piè sospinto nel timore che glielo possano involare. 62-Se vo’ ‘mpovarìri manda l’òmani all’anta e tu non jri. Se vuoi finire in povertà, lascia che i tuoi sottoposti se la sbrighino da soli nelle tue proprietà e tu stattene pure in città a goderti la vita. Coloro si troveranno certamente a fare i propri interessi, giammai i tuoi. 63-Stari comu o’ vermu nd’o casu Vivere il meglio possibile e ricevere regali da tutte le direzioni. Il verme dentro il cacio ne ha di che saziarsi! 64-Si sapi com’è ‘u mundu: cu’ vaci pe’ supa e cu’ vaci pe’ fundu. A questo mondo le fortune e le sfortune si rincorrono frequentemente in un carosello continuo: il povero si arricchisce e il ricco diventa povero. 65-Quandu lu poveru sì ‘rripezza 122 pari ca di novu si vestissi. Per il povero un vestito rattoppato si qualifica un abito di lusso. 66-Occhi chini e mani vacanti. Il nullatenente possiede solo gli occhi per vedere quello che hanno gli altri. 67-Cu’ disprezza voli ‘u ccatta. Chi disprezza vuol comprare. 68-‘mbuschi cchiù tu ca n’orbu. Si dice così di gente che ci sa fare e ricava cose buone da ogni parte. 69-No’ jeu affrittu e no’ tu cunzulatu. L’infelice non vuole che gli altri godano. 70-Cu’ nd’avi faci, cu’ no’ nd’avi ‘u si vindi chiju chi nd’avi. Chi possiede è in grado di fare, chi no vende tutto quello che fa. 71-Vaci nd’o pezzàru ‘u si ‘rripezza. Si dice così di colui che cerca aiuto e riparo da chi magari ne ha più bisogno di lui. Cerca una pezza proprio a chi di pezze fa collezione. 72-‘a rrobba mal’acquistata non si godi. Le fortune acquistate con gli imbrogli o con la prepotenza non saranno mai un godimento per il responsabile. 73-Dammi prima e dammi ossu. Dammelo prima anche se si tratta di un osso. Non si sa se dopo arriverà altra cosa sostanziosa. Quindi, lo stesso che chi si contenta gode. 74-Tuttu ‘u mundu è frìttuli. 123 Così affermava il prete che si era ben satollato con la carne di maiale infischiandosene di chi non l’aveva proprio vista. AVARIZIA E RISPARMIO L’avaro è una figura che non poteva di certo sfuggire all’arguzia popolare. Egli, con le sue caratteristiche e inconfondibili manìe, è un personaggio veramente interessante. 1-L’avaru no’ mangia pe’ nommu caca oppure 2-L’avaru non piscia nd’a pezza nommu perdi ‘a schiuma. L’avaro non perde mai niente, neanche le cose completamente inutili. Lo spilorcio spesso non soddisfa i suoi bisogni per evitare di essere costretto a mollare qualcosa. 3-L’avaru faci ‘u speragnu da’ cìnnari e ‘a cassàra da’ farina. L’avaro risparmia la cenere e non si cura della farina. Come dire: il tirchio è tale nelle piccole cose, ma è dissipatore in quelle più grandi e non poco redditizie. 4-Du’ liccàrdu scippi carcòsa, ma dill’avaru nenti. Dal goloso si può sempre ottenere qualcosa, dal taccagno mai. 5-‘u culu nci rrobba ‘a cammìsa. L’avaraccio ha sempre timore di essere derubato. Ha persino paura che il proprio deretano gli possa fregare la camicia. 6-Cu’ no’ ccatta e no’ vindi 124 no’ schiana e no’ scindi. Chi non conosce il rischio di commerciare le proprie sostanze, rimane sempre nel medesimo stato. Non aumenta il suo avere né lo diminuisce. 7- ‘u cacciàu cu’ ‘na manu davanti e n’atra darrètu. Si dice che è stato liquidato con una mano davanti e l’altra dietro di chi, invece di essere ricompensato e dotato per come meriterebbe, viene licenziato senza guiderdone alcuno. 8-‘na cosa ch’è mangiata è cacàta. Non si devono avere preoccupazioni a regalare cose che si mangiano, tanto domani non ci saranno più, in quanto bell’e defecate. Tali ci riusciranno più utili se ne faremo dei doni. Serviranno perlomeno ad accattivarci le simpatie degli amici. 9-A rrovina no’ nci voli speragnu. Quando si perviene a rovina, è vano cercare di risparmiare, tanto più danneggiati di così! 10-Cu’ speragna nd’avi, cu’ ‘mmuccia trova. Chi risparmia prima, si troverà dopo un bel gruzzolo. Chi nasconde prima rinvenirà dopo. 11-‘a tina si speragna quandu è china, ca quandu ‘u fundu pari non c’è cchiù chi riparari. Si risparmia quando si sta bene perché quando si è rovinati non c’è più di che risparmiare. 12-Du’ caru accatta e du’ mercatu penza. Compra da chi vende a caro prezzo e rifletti bene prima di acquistare a prezzi modesti. Le cose di valore hanno necessariamente sempre un costo più alto. 13-Cu’ non paga ‘u mastru 125 paga ‘u mastru e u’ mastricchiu. Chi, allo scopo di risparmiare, non chiama una persona competente per fargli dirigere i lavori, ma si affida a un mastrucolo, sarà costretto a spendere molto di più. Difatti, dovrà pagare prima il mastrucolo e poi anche il mastro. Quest’ultimo dovrà riparare gli errori che ha commesso l’altro. 14-Cu’ paga oj è francu domani. Chi paga oggi non sarà debitore domani. 15-Cu’ manìja non penìja e no’ mori disijàndu. Chi copre posti importanti, non soffre e non muore col desiderio, perché riesce sempre a sgraffignare qualcosa. 16-Cu’ presta ‘rresta: tu ti ndi vai e a mia mi dassi nd’e guai. 17-Se a ttia ti preggiu jeu m’alleggiu, tu ti ndi vai e a mia m’assi nd’e guai. Chi presta rimane. È quello a cui si è prestato qualcosa che tende a filarsela. 18-Prima hai è cumbogghiari i ceramidi toi e poi chij ‘ill’autri. Prima devi badare a costruirti un tuo tetto e poi quelli degli altri. 19-Prima caritas e dopu caritatis. È necessario prima che diamo aiuto a noi stessi e poi al prossimo. 20-Cu’ perdi e rridi è pacciu. Perdere non piace a nessuno. Se qualcuno trova da riderne è da stimarsi pazzo. 21-‘u sazziu non cridi o’ dijùnu. 126 Chi ha la pancia piena difficilmente si metterà nei panni di uno che ha fame. 22-Cucina grassa, testamentu magru. Chi spende molto per la pancia lascerà insoddisfatti gli eredi. 23-‘a pùrbiri caccia ‘a paja. Chi ha soldi non ha di che preoccuparsi perché andrà sempre avanti e riuscirà bene in ogni cosa. 24-Tali pagàziu tali pittàziu. Gli acquisti riusciranno in relazione a quanto si sarà speso. 25-Sirìnu non jnchi cisterna. La brina è poca cosa perché se ne possa riempire un pozzo. Il risparmio si fa con le cose grandi non con le piccole. 26-Cu’ speragna pe’ domani speragna pe’ cani. Il popolino non ha molta fiducia nel domani e bandisce dal patrimonio delle sue virtù il risparmio. 27-‘ccatta all’ingrossu e mangianu i figghi toi, ‘ccatta a minutu e mangianu i figghi ‘ill’àutri. C’è da risparmiare parecchio denaro se si compra all’ingrosso. 28-Cu’ paga avanti mangia pisci fetenti. Chi paga avanti mangia pesci di cattiva qualità. Chi paga prima ottiene sempre servizi mediocri. 29-Stipàmu ‘a pezza pe’ quandu cumpàri ‘u pertùsu. Occorre che ognuno tenga in serbo delle risorse per i tempi penuriosi. La formica, perenne simbolo vivente del 127 risparmio, accumula in estate il suo cibo in vista del sopraggiungere dell’inverno. 30-Megghiu oj l’ovu ca ‘a gajna domani. Bisogna senz’altro accettare e prendere quanto ci viene offerto oggi. Il miraggio di un dono migliore domani deve farci riflettere su quanto scioccamente vorremmo lasciare. 31-Cu’ cusi e scusi (oppure cu’ fràbbica e sfràbbrica) non perdi mai tempu. Se un lavoro non va, converrà assai meglio rifarlo daccapo. Si risparmierà alquanto più tempo che ricercando vani rimedi. 32-Rrobba cercata è menza pagata. Chi chiede una data cosa a un altro, che la possiede, l’ha quasi pagata per metà per il solo fatto che gliel’ha richiesta onestamente. 33-Nc’i màncanu vintunu sordi pe ‘na lira. All’avaro mancano sempre ventuno soldi per formare una lira ossia non ha mai soldi da dare o prestare. 34-Vucca vindi e culu rendi. Con la bocca spesso parliamo a sproposito. 35-Diu mu ndi lìbbara di’ poveri ‘rriccùti e di rricchi ‘mpoveruti. Sia i poveri arricchiti che i ricchi impoveriti sono parimenti da temersi. 36-Gesù, Gesù, ‘a provasti ‘sta vota e n’a provi cchiù. S’indirizza a colui al quale si è offerta una prelibatezza che mai più gli sarà dato di assaggiare, ma anche in senso lato a chi si mostra una rarità. Tale frase è rivolta anche a 128 chi si è data una primizia da assaggiare e non si è dimostrato altrettanto generoso. Probabilmente, dalla stessa deriva la frase “Diri Jesu”, che viene pronunziata quando si assaggia una certa cosa per la prima volta nella stagione. Se l’operazione invece non è stata esperita si dice “Ancora non dissi Jesu”. FURBIZIA 1-Trasìri nt’o culu ‘i mastru Rroccu. Sapere entrare in ogni affare e anche nelle cose più recondite. 2-Fari cuntentu e gabbàtu. Fare i propri comodi, ma trovare il modo di accontentare gli altri almeno nell’apparenza. 3-Parìri a chiju chi no’ nci curpa. Sembrare a torto innocente. 4-Fari ‘a barba ‘i stuppa. Essere capace di farla in barba. 5-Chiju chi si dassa è perdutu. Non bisogna mai lasciarsi sfuggire le occasioni. Non si ripeteranno una seconda volta. 129 Ancora negli anni ’50 c’era il carro con i buoi e qualcuno ne approfittava per farsi scattare una foto I giganti nella Piazza di Oppido anteriormente al 1908 130 IMPRECAZIONI ED EPITETI VARI 1-‘Mu ti gridava morbu! Che potessi avere un male che ti facesse gridare! 2-‘Mu ti pigghiàva ‘nu mali ‘i lampu! Che ti potessi allampare! 3-Cu’ mangia e no’ ’mbita nommu campa ‘u si marìta. Chi, mentre sta mangiando qualcosa, non ne offre, non è degno di convolare a nozze. 4-Cu’ non avi cuntegnu nommu nd’avi jorna. Chi non ha contegno non è degno di vivere. 5-Chimmu ti stuppàvanu tutti i novi buca (Piminoro). Che ti tappassero tutte le nove buca: occhi, orecchi, naso, bocca ecc. 6-Mal’acqua ‘mu ti coci. Che tu possa cuocerti in cattiva acqua. 7-Capustòticu ‘mu ti pigghia (o anche dogghia còlica) Che ti possa assalire una colica dolorosa. 8-Po’ jettàri ‘u sangu. Questa frase è profferita da colui che, vedendo qualcuno in stato di bisogno, ma che gli è nemico, non va a soccorrerlo, anzi gli augura che possa peggiorare. 9-Fari ‘nu lisciabussu. Fare una lavata di capo. Liscio e busso sono due voci molto note al popolare gioco del tressette. 131 10-Va’ cùrcati o’ friscu ca ‘u suli ti caddìja. Frase scherzosa rivolta a colui che intende celiare. Coricati all’ombra chè il sole ti riscalda e ti fa dire quel che non dovresti. 11-No’ manca nenti po’ gioviddì. Quando si portano paragoni impossibili o si vuole apparire simili a persone altolocate. 12-Varca di nivi e suli ‘mu t’accumpagna. Che ti possa trovare su una barca di neve e avere soltanto per compagno il sole. Fare, quindi, una brutta fine. 13-‘u ti fannu la casa pedatèj pedatèj. Che la tua casa diventi disabitata e frequentata soltanto dai topi. 14-Muccu ‘mu ti fai e lu garu ‘mu t’ambùcca. Che tu possa diventare moccio e che il gallo l’inghiotta. 15-Se sì bonu, comu lu suli, se sì malu, comu la luna. Se sei buono, che tu possa risplendere come il sole. Se invece sei cattivo, che possa venir fatto a quarti a quarti come la luna. 16-‘mu ti cantanu l’officiu. Che ti possano cantare l’ufficio dei morti. Cioè, che tu possa morire. 17-‘mu nd’hai la sorta la meduja colla di francubulli ‘mu gira tutti li paisi. Che la tua materia grigia possa diventare colla di francobolli e girare così per il mondo. 132 18-‘mu ti squagghia lu sangu. Che il tuo sangue si possa liquefare. 19-‘u sangu chiama sangu. La vendetta è legittima e un delitto si può pagare solo con un altro delitto. 20-Jesu, Jesu, Jesu, cu’ provàu prima ‘i mia ‘mu nci cula ‘u nasu. Gesù, Gesù, Gesù, chi l’ha assaggiato prima di me che gli possa cadere il naso. Imprecazione scherzosa rivolta a chi ha assaporato una primizia prima di noi. È sicuramente in relazione alla frase “Diri Jesu”. IGIENE E MEDICINA Non sempre il popolino ha creduto alle magiche virtù dei medici. Anzi! Molto spesso, per curarsi, ha preferito seguire i consigli dei vecchi, i quali, senza farsi pregare, sciorinavano ricette secolari e prescrivevano medicine confezionate a base di erbe e di misteriosi intrugli di vario genere. In molti casi, però, tali prescrizioni risultano parecchio efficaci ancora oggi. 1-‘U lettu ‘lléttica. Stando a letto, l’ammalato tende ad aggravarsi. Perciò, non appena si è in grado, occorre alzarsi più lestamente possibile. 2-‘A cura fa ventura. Le cure fanno guarire. 3-Cu’ nd’avi ‘a saluti è rriccu e n’o sapi. 133 La più grande ricchezza che l’uomo possa sognare in questo mondo è, indiscutibilmente, la salute. Solo essa è tutto e né ori né gemme potranno mai eguagliarne il valore. L’uomo ammalato non sa e non ha che farsene di altre ricchezze più o meno fatue. 4-‘u medicu è Diu. Il vero medico è soltanto Dio. Tutti gli altri non sono che dei volgari ciarlatani, che tirano avanti svolgendo il loro bravo mestiere. 5-Va’ nd’o patùtu e non jiri nd’o medicu. Si hanno maggiori probabilità di guarire se ci si rivolgerà a chi avrà sofferto della stessa malattia che non al medico. Se non altro, quegli avrà dalla sua una grande esperienza. 6-Dopu ‘a quarantina ‘nu morbu a’ matina. Il popolo crede che l’uomo rimanga sano solo fino agli anni quaranta e che il suo fisico incominci a declinare solo dopo tale data. 7-Tri su’ i nimici di li vecchi: catarru, cadùta e cacarèja. I più anziani devono stare molto attenti a tre grossi malanni: il catarro, le cadute e la diarrea. Alla loro età questi mali potranno riuscire letali. 8-‘u vinu pe’ vecchi è comu ‘u latti pe’ cotràri. Non si abbia alcuna paura a mescere vino a chi si trova in età avanzata. Per costoro tale liquido equivale al latte che si dà ai bambini. Un goccio di quel liquore avrà, senza alcun dubbio, il potere di rianimarli. 9-‘u bonu mangiari ti sana, 134 ‘u troppu fatigari ti cunsuma. È il cibo buono che fa guarire ed è il troppo lavoro quello che ci fa ammalare. 10-A undi non trasi ‘u suli trasi ‘u medicu e ‘u cumpessuri. Il sole è fonte di vita. Dove non penetra hanno invece libero accesso le malattie. La casa, che non si trova esposta a mezzogiorno, è spesso visitata dal medico e dal confessore, estremi rimedi di ogni ammalato. 11-‘a ruta ogni mali astuta. La ruta, pianta appartenente alla famiglia delle rutacee, dal caratteristico odore molto penetrante e sgradevole, è stimata dal popolino capace di guarire da tutte le malattie. Si narra di alcune persone che avevano l’abitudine di masticarla quotidianamente, nella falsa illusione di restare immuni da ogni malanno. 12-L’acqua currenti non fa’ mali a’ genti. Non si abbia timore alcuno a usare l’acqua corrente. Tutt’al più si potrà rimanere puliti! 13-L’acqua di matina è ‘na vera medicina. Il bere un bicchiere d’acqua di primo mattino, a digiuno, è la miglior cosa del mondo. 14-‘a frevi cuntinua ammazza l’omu. La febbre leggera, ma continua, si rivela particolarmente dannosa alla salute. Tale sua peculiarità porterà, col tempo, l’uomo alla tomba. 15-L’aria da’ fessùra ti porta a’ sepurtùra. Attenzione a chiudere bene porte e finestre - avverte l’Antico - perché le correnti d’aria riescono veramente micidiali. 135 16-Anca o’ lettu e vrazzu o’ pettu. In seguito alla rottura di un arto ecco quanto prescrive il popolino: se l’arto rotto è una gamba, perché guarisca al più presto, occorre tenerlo fermo a letto; se invece si tratta di un braccio, la miglior cosa da fare è tenerlo legato al petto. 17-Diu ‘mu ndi lìbbara di’ vasci caduti. Le cadute da piccole altezze riescono spesso assai rovinose, in special modo quando si tratta di persone anziane. 18-Ogni pena e ogni dogghia pani e vinu la cumbogghia. Basta avere pane e vino perché ogni dolore passi in second’ordine. 19-Megghiu pettu e’ paj e no’ ventu e’ spaj. È assai meglio avere il vento davanti che non di dietro. Nell’ultimo caso si andrà incontro a seri malanni. 20-Medicu poveru e speziali rriccu. Un tempo, quando il medico sentiva veramente la sua missione e in molti centri abitati l’indigenza era sovrana, tale professionista era spesso pagato con una manciata di fave. Al contrario, lo speziale si arricchiva perché vendeva solo a contanti i suoi specifici. 21-‘u medicu pietusu faci ‘a piaga verminusa. Il medico pietoso, per intenderci quello che non possiede una certa dose di prontezza e all’occorrenza non agisce radicalmente, permette che il male progredisca fino a incancrenirsi. 22-Trumba di culu è sanità di corpu. L’emettere suoni sconci è l’indice più chiaro che il corpo si trova in perfetta efficienza e salute. 136 23-‘u magulà cu’ non l’eppi l’averà (ma anche tigna, rugna e magulà …). Siamo tutti predisposti ad ammalarci di orecchioni, ma anche di tigna e di rogna. 24-Catarru: vinu cu’ carru. Per guarirsi di tal fastidioso disturbo è necessario bere vino in grande quantità 25-‘u catarru è ‘na malatìa ‘mmucciàta. Il catarro non curato convenientemente può preludere spesso a grossi malanni. 26-Cummari Rosa, nd’avìti ‘nu saccu? - No, non d’haju.- Vi dassu i rùsuli e mi ndi vaju.I geloni scompariranno d’incanto dopo che avremo rifilato a una donna di nome Rosa tale filastrocca. Non si contano davvero tutte quelle volte che, bambini, abbiamo ripetuto il curioso ritornello nella vana speranza di toglierci presto quel fastidioso prurito. 27-Fin’a chi nc’è hjatu nc’è speranza. Fino a che il respiro non ci abbandonerà del tutto, saremo sempre indotti a sperare nel futuro. L’ultima a lasciarci è proprio la speranza. 28-‘u tempu passa e ‘a morti si ‘mbicìna. L’orologio del tempo batte inesorabile le ore e la morte, anch’essa implacabile, s’avvicina a passi da gigante. 29-A tutti i cosi nc’è rimediu menu c’a’ morti. 30-Morti nommu nc’è e guai c’a pala. A tutto sarà possibile porre rimedio fuorchè alla morte. Tutto è sopportabile, qualsiasi disgrazia, ma non la morte. 137 31-‘a morti non guarda ‘n facci a nuju. Suprema livellatrice è la morte, paziente signora delle tenebre. Dinanzi a essa siamo tutti uguali, poveri e ricchi, belli e brutti, umili e superbi. La morte tira pel suo cammino senza degnarsi di guardare in faccia a nessuno. 32-‘a morti ch’è disiàta non veni mai. Quando ci si augura la morte perché i mali sono tanti e così dolorosi o perché si vorrebbe presto raggiungere la vita eterna, sembra ch’essa non debba mai arrivare. 33-Sulu ‘a morti è certa. Tutti potranno mancare all’appuntamento, ma non la morte. 34-‘a morti a cu’ conza e a cu’ sconza. La suprema livellatrice reca necessariamente uno scompiglio nelle famiglie. Portandosi via un padre, lascia nella miseria più nera chi resta, ma in qualche altro caso, togliendo di mezzo un vecchio riccone, verrà a fare la felicità degli eredi. 35-Da’ morza veni ‘a forza. L’uomo è forte se mangia. Non si sa altrimenti donde possa attingere la sua forza. 36-Cu’ no’ pati no’ sapi. 37-Cu’ no’ prova no’ cridi. Chi non ha sofferto, non può conoscere i bisogni degli altri. 38-Supa a’ guàjra ‘u carbunchiu. L’uomo sfortunato resta sempre tale. Se si ammalasse di ernia, la malattia si complicherebbe poiché su di essa verrebbe a spuntare in seguito una piaga. A un perseguitato dalla sventura le disgrazie non vengono mai sole. 138 39-Pensa a’ saluti. La preoccupazione maggiore deve riguardare la salute. Le restanti potranno essere superate facilmente. 40-Cu’ si guardàu si sarvàu. Il previggente arriverà sempre in porto. 41-Simu vecchi e tutti i morbi ndi ponnu: ‘u suli ndi bruscia e ‘u friddu ndi jetta. Da vecchi ogni malattia, anche la più banale, può riuscire a batterci. Riescono a farci male persino il caldo e il freddo. 42-Panicottu: sanitàti ‘i corpu. Il panecotto rappresenta per il corpo la guarigione da ogni male. Una volta nelle famiglie una tale pietanza era all’ordine del giorno. 43-Se vo’ campàri sanizzu, dopu chi mangi ripòsati ‘nu mmorzu. Se ci si vuol mantenere in buona salute, dopo il pranzo conviene fare un riposino. 44-‘a lingua2 bbatti a undi ‘u denti doli. La lingua si adagia sul dente malato. Ogni persona si fissa su una cosa, cui tende naturalmente. 45-Quandu ‘a petra suda, ‘mmuccia ‘a criatura. Quando il sasso emana sudore è segno manifesto che fa caldo eccessivo ed è, quindi, il caso che la mamma rinunci a far andare fuori il suo piccolo. 46-Sunza di gaìna ‘mu ti crisci la petturìna. 139 Il grasso di gallina è un ottimo elemento di crescita. La pettorina è quel tratto di stoffa, col quale la donna un tempo fasciava il petto sotto l’allacciatura del busto. 47-Ogni ura ‘nu cucchiarinu. Meticolosi come le dosi medicinali. Quindi, ogni ora un cucchiaio. 48-O’ friddu rispundi prestu, o’ caddu rispundi tardu. Sii svelto quando fa freddo e lento quando fa caldo. Il significato è molto chiaro. 49-Mirò, mirò, mirò: stasira sì e domani no. Formula per far guarire dall’adenite. 50-Doluri ‘i moli, doluri ‘i cori. Il dolore dei denti è davvero insopportabile. 51-Mentri ‘u medicu studìja ‘u malatu mori. Nel mentre il medico pensa a come salvare il malato, questi nel frattempo sta tirando le cuoia. 52-Megghiu n’asinu vivu ca ‘nu dotturi mortu. Se un tale non ce la fa a studiare e corre seri rischi è meglio che abbandoni, se non altro resterà vivo. 140 CULINARIA Ancora oggi le nostre massaie ritengono utile affidarsi, per il loro mènage quotidiano, ai precetti degli antichi, che in fatto di cucina dovevano saperla abbastanza lunga. 1-‘u bonu vinu fin’a fezza,‘a rrobba bona fin’a pezza. Quando il vino è buono, lo è tale anche nei rimasugli e lo stesso dicasi per la buona stoffa. 2-Ogghiu di ‘n annu, vinu di cent’anni. Perché riescano buoni, occorre che l’olio non sia più vecchio di un ann, mentre il vino il più annoso possibile. Il vino più invecchia e più uno squisito liquore diventa. 3-Casu cu’ l’occhi, pani senz’occhi. Se ottimo riesce il formaggio con i buchi, sarà tutto l’opposto per il pane. 4-Pani e Sagramentu si ndi trova a ogni cumbentu. Pane e ostie sacre se ne trovano immancabilmente in ogni convento. I bravi monaci non fanno mancare nel loro domicilio quanto occorre per il bene dell’anima e per la salute del corpo. 5-Pani vietatu genera appetitu. Se il cibo è abbondante, la fame viene contenuta facilmente, ma, se scarseggia, l’appetito insorge in modo formidabile. 6-Pisci cotta e carni cruda. Perché siano gustati a dovere, ma anche perché non facciano male, i pesci debbono risultare ben cotti, mentre la carne, al contrario, quasi cruda. 141 7-Cozzi e basàti non jnchinu panza. Le cozze e i baci non riempiono la pancia. Possono riuscire, al massimo, dei piccoli acconti. 8-‘a gaìna vecchia faci bonu brodu. La gallina vecchia dà sempre un buon brodo. Chi ha vissuto assai agisce, per l’esperienza acquisita, meglio di chi ha vissuto poco. 9-Pani ‘i vilanza non jnchi panza. Il pane di commercio non sfama, contrariamente a quello confezionato in casa. Il motivo è da ricercarsi nel fatto che il primo è molto più soffice dell’altro e, quindi, più facile a essere consumato. 10-Sarda ‘i maju e ‘ngija d’agustu. Perché riescano saporite, le sarde debbono essere pescate e mangiate in maggio, le anguille nel mese di agosto. 11-Falla comu la voi, sempri cucuzza! In qualsivoglia modo la si voglia cucinare, la zucca ha sempre il medesimo sapore e l’identico valore nutritivo, che equivale a zero. Quando un uomo è stato formato in un certo modo, non c’è alcun verso di poterne modificare i caratteri. 12-Mangia carni di prima e sia cornacchia. La carne di prima qualità riesce sempre la migliore, anche se a volte risulta più dura d’ogni altra. Le cose migliori sono quelle che costano di più. 13-Mangia a gustu toi e vèstiti a gustu ‘ill’àutri. “De gustibus non est disputandum” diceva un vecchio adagio latino. Se ognuno può e deve mangiare come gli aggrada, ha l’obbligo invece di uniformarsi al gusto degli altri per quanto riguarda la foggia del vestire. 142 14-‘mbitàri a pasta e carni. Si dice allorchè un tale, cui è stata fatta una proposta, accoglie questa con la massima gioia, quasi l’attendesse da tempo. Per il villano, nei tempi andati, la pasta con la carne rappresentava il non plus ultra dei piatti preferiti ed egli la riservava per le grandi solennità, ma soprattutto perché non poteva permetterselo molto spesso. 15-Cu’ nd’avi vucca voli ‘u mangia. La bocca è stata creata da Dio con la specifica funzione del cibarsi. Chi ne ha le possibilità, vuole sempre arraffare qualcosa. 16-Cadìri comu o’ casu nd’e maccarruni. Capitare al momento opportuno oppure finire nel migliore dei modi. 17-Quandu ‘a tavula è misa cu’ no’ mangia perdi ‘a spisa. Quando la tavola è stata apparecchiata, l’invitato che non mangia o fa esagerate cerimonie perviene alla fine a perdere il pranzo, che, in definitiva, era stato preparato esclusivamente per lui. 18-‘mbàrriti cazzùju cu’ menz’ovu. Con mezzo uovo o con poco cibo si rimane egualmente affamati. 19-Comu l’ovu o’ focu. L’uovo ha bisogno di pochissima cottura e, quindi, di molta attenzione. 20-Cu’ prova torna. Quando si è gustata una cosa buona, la si desidererà ancora. 143 21-Panza china fa cantari. Quando si ha la pancia piena, siamo stimolati al canto. Il villano, che non ha avuto mai alti ideali, crede di raggiungere l’acme della felicità solo dopo essersi rimpinzato per bene. 22-‘u mangiari è di raggiuni: cu’ no’ mangia ‘mpalìsi, mangia a mucciùni. Il mangiare è un’esigenza insopprimibile. Nella vita tutti agiamo un po’ disonestamente e chi non lo fa in modo evidente, si può starne certi che lo fa di nascosto. 23-Carni grassa a focu lentu si matura cu’ so’ tempu. Tutte le cose giungono a maturazione per tempo, come la carne grassa, che ha bisogno di un fuoco lento perché pervenga a cottura. 24-Po’ spilu da’ carni nci basa ‘u culu a’ troja. Per il desiderio di mangiare carne, una persona arriva a baciare il deretano a una scrofa. Per l’avidità di ottenere una certa cosa, una persona si piega a tutte le bassezze. 25-Sentu odori di carni umana, a cu’ vidu m’u ‘mbuccu sanu. Così si esprime l’orco delle vecchie fiabe popolari quando sente l’odore di persone nascoste in casa. 26-Cu’ mangia e no’ ‘mbita nommu campa ‘u si marìta. Chi sta mangiando qualcosa e non ne offre agli astanti, merita di non pervenire mai al matrimonio. 27-nt’a Chesa mangi?-‘ammi ‘nu mmorzu. Così dice colui che rimprovera agli altri ciò che amerebbe fare lui stesso. 144 28-Latti e meli: tira ca veni. Perché il latte e il miele fuoriescano fa è necessario succhiare. 29-Mangia ‘a ‘ngija! Si rivolge a colui che vediamo intromettersi in affari, dai quali potrebbe ricavare parecchio utile. 30-Diri pani pani, vinu vinu. Il motto della persona retta è quello di dire pane al pane e vino al vino, cioè la verità. 31-L’acqua ‘a sarta ‘a crapa. Quando si mangia è utile bere un buon bicchiere di vino. L’acqua la rifiutano persino le capre. 32-Setti sunnu i megghiu vuccùni: recìna, pèrzica e melùni, carni ‘i cerbeja e minni ‘i virgineja, quagghia perniciara e culu ‘i lavandara. I bocconi più appetitosi si qualificano sette: l’uva, le pesche e i meloni, carne di capretta e mammelle di giovinetta vergine, quindi quaglia del tipo pernice e deretano di lavandaia. 33-Mangiàri du’ bonu e du’ megghiu. Mangiare a sazietà e le cose migliori. 34-‘a pròvula nc’è a cu’ piaci e a cu’ no’ dispiaci. Quando si presenta l’occasione, siamo tutti disponibili a commettere azioni poco pulite e che ci portano un illecito guadagno. 145 IL CONTADINO E LA CAMPAGNA 1-‘u villanu (spesso anche vellànu da vejànu) nd’avi l’occhi nt’e dinòcchi. Il villano ha scarpe grosse, ma è di cervello fine. 2-Non è villanu cu’ villanu nasci, ma villanu è cu’ fa la villanìa. Il vero villano non è il contadino, come comunemente si dice, ma colui che compie azioni villanesche. 3-Quandu l’àrburu è hjurùtu ‘u villanu è surdu e mutu, quandu è siccu e non c’è nenti ti faci milli cumprimenti. Il villano, oltre riuscire furbo, è anche un avaraccio di prim’ordine. Quando l’albero promette frutti a iosa, non vede e non sente, ma quando è ormai spoglio rivolge a tutti un sacco di complimenti. 4-‘u villanu no’ canusci ‘a chiàppara. Il villano non conosce i capperi ovverossìa le cose di un certo valore. 5-Àrburu chi non fa frutti, tàgghialu di’ pedi. L’albero che non produce è bene tagliarlo dalle radici. Fa d’uopo ignorare gli irriconoscenti. 6-Cu’ chianta scippa e cu’ simìna ricògghi. Chi pianta o semina oggi, raccoglierà i frutti domani. 7-Com’è ‘a viti nci voli ‘u palu. C’è bisogno di mettere il sostegno secondo la posizione o la grandezza della vite. È bene procedere secondo i casi. 8-‘nt’all’ortu nci voli ‘n omu mortu. 146 Per curare efficacemente un orto, occorre che ci sia diguardia un uomo morto. Per un orto il contadino dovrà sacrificarsi giorno e notte ininterrottamente. 9-‘a cura è ventura. La cura compie i miracoli. 10-Cu’ nd’avi rrobba o’ suli sempri perdi. Chi possiede terreni coltivati è sempre in perdita perché sono soggetti a tutte le intemperie. 11-Se vo’ ‘mpovarìri, ‘ccatta costèri e hjumarini. Se l’uomo vuole andare presto in povertà non ha che da comprare appezzamenti di terreno siti in coste molto ripide o ai margini di fiumare. I primi sono soggetti a cedimenti franosi e i secondi incorrono nelle ire capricciose delle acque. 12-Cu’ tempu e c’a pagghia si matùranu i surba. Le sorbe si maturano col tempo e con la paglia. Ogni cosa va fatta a tempo debito. 13-Acqua: amaru a cu’ ‘ncappa. Per i contadini l’acqua rappresenta sempre un vero incubo, sia che cada a torrenti dal cielo sia che venga portata dalle fiumare. 14-C’a vigna nesci ‘a tigna. 15-Vigna tigna. 16-Cu’ bona s’a zzappa, bona s‘a vindigna. Il vigneto esige cure particolari e continue spese e il proprietario ha, per causa sua, continue preoccupazioni. Però, se esso viene ben curato, riuscirà di grande resa. 17-‘u contadinu scarpi grossi e ceravèju finu. 147 Il contadino indossa scarpe grosse, oerò in compenso è fine di cervello. 18–‘a rrobba cu’ ‘a faci n’a sfaci. Il contadino, che ha faticato una vita a rendere rigoglioso e produttivo un suo fondo, giammai perverrà a farlo andare in malora. Sa solo lui quanto gli è venuto a costare in spese e lavoro. La stessa massima vale per chi ha costruito una casa o altro. CALENDARISTICI L’incessante alternarsi delle stagioni, dei mesi, dei giorni lungo il ciclico arco del tempo e il rapido variare delle condizioni climatiche hanno sempre, sin dalla più remota antichità, interessato lo spirito geniale dei nostri maggiori, tanto che la loro esperienza ha recato sino a noi un ricco patrimonio di regole e di avvertimenti, da cui il popolino di animo semplice non ha mai derogato e che col passare lento dei secoli si sono coloriti di piacevoli venature allegoriche e poetiche. Le stagioni e i mesi L’autunno, stagione tradizionalmente piovosa, fa pronunziare al popolino, all’arrivo delle prime piogge, il detto seguente: 1-Chiovi, chiovi, chiovi, ca la gatta si ndi mori e lu sùrici si marìta cu’ la còppula di sita. Quando, dopo tanti mesi di calura estiva, arriva la prima pioggia, i bambini si affacciano festanti sulla soglia 148 delle loro case e battono giulivi le mani plaudendo a quel tanto atteso ritorno, contenti vieppiù che una vittima tradizionale possa sfuggire ancora una volta al suo eterno e implacabile persecutore. Il topo, infatti, specie quello detto “delle chiaviche”, gode dell’arrivo della pioggia perché è questa il suo elemento naturale ed è a causa di essa che il suo nemico non potrà raggiungerlo, in quanto ha una formidabile paura di annegare. Perciò, potrà andare tranquillamente a nozze, acconciarsi per bene e mettersi in capo un bel berretto di seta. L’inverno, caratterizzato da tutte le antiche saghe popolari come un vecchio freddoloso imbacuccato in ampi mantelli, è chiamato amichevolmente dal nostro popolino nonnu ‘mbernu. 2-Finu a Natali né friddu né fami, dopu Natali lu friddu e la fami. Questa necessità è giustificata esclusivamente dal fatto che, se si vuole un’estate calda, occorre che l’inverno sia rigido, proprio come è nel costume di quella stagione. 3-Prima Natali ‘nu passu di cani, dopu Natali ‘nu passu di voi. Con l’arrivo del Natale ci avviamo decisamente alla fine dell’inverno. 4-Se ‘u ‘mbernu no’ ‘mbernizza ‘a stati no’ statizza. Così afferma il popolino, che vede in un inverno tiepido e dolce la causa prima di un’estate piovosa e senza giornate limpide e calde. 5-Chiju cu’ focu campàu, chiju cu’ pani morìu. Di due ipotetici poveracci, quello che ebbe fuoco è sopravvissuto, mentre l’altro, che aveva solo pane, è morto. In vista di un rigido inverno occorre provvedersi più di legna che di cibo. 149 6-Vinni ‘u tempu di’ mali vestùti. È arrivato il freddo inverno, che un tempo terrorizzava chi non poteva coprirsi convenientemente. La primavera è la stagione più bella, la stagione della giovinezza, la stagione dei fiori, la stagione in cui tutto si sveglia e ritorna a nuova vita. Di essa, però, non abbiamo trovato nulla che ci potesse interessare dal lato folklorico. L’estate è la stagione per eccellenza e il popolino la chiama abitualmente col termine di stagioni. Per essa valgono le stesse considerazioni che abbiamo proposto per l’inverno e a inverno rigido si contrapporrà estate calda. 7-Se vo’ vidìri la bella stagiuni: ‘i Natali o’ suli e ‘i Pasca o’ focùni. Si avrà lo stesso una bella estate anche se il clima ci costringerà a trascorrere il Natale col sole e Pasqua accanto al fuoco. 8-Di ‘stati e di ‘mbernu no’ dassàri ‘u to’ mantellu. In estate occorre andare parimenti cauti che in inverno perché anche durante tale periodo non sono improbabili le cattive giornate. 9-Quandu vidìti nespula ciangìti ca chiju è l’urtimu fruttu di la ‘stati. Ci si accorgerà che l’estate sarà proprio agli sgoccioli allorquando saranno mature le nespole. Il riferimento è alle “mespilae latinae” o “germaniche”, un frutto che matura nel mese di settembre. 10-Quandu canta ‘a cicala addunàtivi a la ficàra. Quando la cicala frinisce è segno che i fichi sono pervenuti a maturazione. 150 Gennaio 11-Jenàru siccu, massàru rriccu. Gennaio risulterà il mese d’oro del massaro se si produrrà soltanto in giornate rigide e secche ed eviterà, quindi, di piovere. 12-Jenàru puta paru. A gennaio la pota deve essere assai estesa. 13-‘a Befanìa tutti i festi si porta via. L’Epifania chiude il ciclo delle feste annuali. Febbraio È il mese più corto dell’anno, ma anche il peggiore dal punto di vista climatico. 14-Frevaru è curtu e amaru e scorcia ‘a vecchia o’ focularu. È talmente penetrante e insistente il freddo di questo mese che lo si accusa di ridurre i vecchi a mal partito costringendoli a stare sempre accanto al fuoco. 15-Frevaru caccia ‘a vecchia a lu mignànu. A volte febbraio dimentica i suoi trascorsi e regala qualche raggio di sole ai poveri vecchi, che così possono uscire sul pianerottolo esterno a riscaldarsi. 16-Frevi ‘mu nd’avi cu’ frevi mi misi, sugnu ‘u capu ‘i tutti li misi, fazzu l’erba criscìri, li donni ‘mbelliscìri, i gatti vannu a paru a la barba di frevaru. Febbraio, accusato sempre dal popolino di essere una peste, talvolta non ne può più e si proclama addirittura da per sé come il migliore dei dodici mesi. I suoi meriti sono 151 quelli di far crescere l’erba, rendere più belle le donne e innamorare i gatti. Variante: Frevaru frevalora, sugnu lu hjuri di tutti li misi. L’àrbiru hjurìsciu, i fimmini ‘mbellìsciu, i vecchi ’i mentu o’ mignànu a la facci di jenaru. Febbraio, febbralora, sono il fiore di tutti i mesi. Faccio fiorire l’albero e agghindo le donne, metto i vecchi sul mignano a godere il tepore del sole e tutto alla faccia di gennaio. 17-Frevaru frevalora, caccia l’urzu ‘a testa fora: o voliti o no’ voliti, ’n’atri coranta jorna ‘i ‘mbernu nd’aviti. Verso il termine della seconda decade del mese l’orso, che trascorre l’inverno in semiletargo, a un certo momento si affaccia dalla tana e avvisa che mancano ancora 40 giorni esatti perché finisca quella brutta stagione. 18-Frevaru puta paru. A febbraio è tempo di pota. Praticamente è un doppione di gennaio. 19-Da’ Candilora ‘u ‘mbernu è fora. Con l’arrivo della festività della Candelora (2 febbraio) siamo già fuori dall’inverno. 20-Carnilavari morìu di notti, si mangiàu quattru ricotti: du’ frischi e du’ salàti, Carnilavari cu’ l’anchi cacàti. Re Carnevale, dopo aver impazzato, alla fine morirà dileggiato e beffeggiato dal popolino. In merito c’è anche la variante che segue: 152 Carnilavàri morìu di notti e dassàu tri ricotti: una salata, una cundùta e una pell’anima ‘i so’ canàta; nci dassàu puru ‘nu spingulùni ‘mu si ‘ppunta lu vancàli a la facci di Carnilavari. Carnevale è morto di notte e ha lasciato tre ricotte, una salata, altra condìta e altra ancora per l’anima di sua cognata. Ha lasciato pure uno spillone perché si appunti il grembiule alla faccia di Carnevale. 21-Veni ‘na vota l’annu ‘sta jornata, no’ cridu ca di mia parràti mali. A tutti nci gugghìu la pignàta: me’ mamma si ‘mpignàu la cammisèja ‘u nci gugghi puru a ija ‘a pignatèja. Così Carnevale giustifica la pazza gioia che investe tutti in occasione della sua festa, che cade una volta l’anno. Non è il caso di parlarne male perché tutti hanno potuto mettere sul fuoco a bollire una pignatta. Perfino sua madre, che a tal motivo ha dato in pegno la sua camicina. 22-‘i gioviddì ‘ill’ardaloru cu’ non avi carni si ‘mpigna ‘u figghiolu. In occasione del giovedì grasso le mamme impauriscono i propri bambini dicendo loro, per farli stare un po’ quieti, che, in mancanza di soldi per procurarsi la carne, indispensabile a Carnevale, saranno costretti a darli in pegno ai macellai. 23-Coraìsima, coju stortu, ti mangiasti i cavuli all’ortu e dicisti ca non è beru. Ora vaju e ti corèru: ti corèru a Varapòdi, Coraìsima ch’i tripòdi; 153 ti corèru a Messignadi, Coraìsima ch’i caddàri. Quaresima dal collo storto, hai mangiato i cavoli all’orto e hai negato d’averlo fatto. Ora mi recherò a querelarti: ti querelerò a Varapodio, o Quaresima coi tripodi; ti querelerò a Messignadi, o Quaresima con le caldaie. Il popolino considera la Quaresima ladra e menzognera e si scaglia contro disprezzandola a più non posso. D’altronde, è sempre rappresentata come una vecchiaccia brutta e ossuta. Marzo Mese al centro di due stagioni, Marzo conferisce ai suoi giorni un clima instabile e contrapposto, per cui i suoi mutamenti così repentini e il continuo variare del tempo ne fanno un mese pazzerello. 24-Megghiu to’ mamma ‘mu ti ciangi ca lu suli di marzu ‘mu ti tingi. Il popolino consiglia a ognuno di guardarsi dal sole di tale mese, in quanto potrebbe riuscire assai dannoso. 25-Se veni marzu e ti trova malatu è megghiu ‘mu ti fai lu tambùtu. È alquanto azzardoso farsi trovare a letto ammalati in questo periodo. 26-‘u friddu ‘i marzu trasi nt’o cornu du’ voi. Il freddo di marzo ha la forza di penetrare dappertutto. 27-Se marzu no’ marzìja ‘u massàru no’ palìja. È necessario che in questo mese il clima sia alquanto instabile, altrimenti il massaro non potrà portare i suoi armenti a pascolare. 28-A marzu ogni stroffa è jazzu. 154 29-A marzu ogni stroffa è jazzu, ma se marzu si pungi ndi scoppa l’ugni! A marzo ci si può fare un giaciglio in qualsiasi posto, ma è anche vero che tale mese, se si dovesse mettere d’impegno, ci potrebbe recare molto male. Sarebbe capace persino di levarci le unghie. 30-È penzeru ‘i marzu ‘u faci ‘a nivi. È impegno di marzo far cadere la neve. 31-‘u ventu ‘i marzu è maritu ‘ill’àrburi. Il vento di marzo è lo sposo degli alberi. Certamente a causa del vento, che fa volare i semi da un posto all’altro. 32-Marzu centu voti chiovi e ‘na vota sciuca. Anche se in marzo ha piovuto molto, basta una bella giornata a far dimenticare tutto. 33-Tantu ‘mu dura la mala vicina quantu dura la nivi marzìna. A marzo la neve, anche se caduta in gran copia, è destinata a durare poco. Difatti, basta che il sole faccia capolino perché essa si sciolga immantinente. 34-Chi ti catti? ‘a nivi ‘i marzu? Si dice a colui che sente freddo fuori stagione. 35-Arriva marzu pe’ li ‘ncatamàti, a cu’ nci la leva e porta la saluti, se veni marzu e ti ‘rriva malatu, di novu ti fa fari lu tambùtu. Quandu arriva marzo, a chi porta e a chi toglie la salute. Se per sfortuna tu ti trovi in stato di malattia, allora ti fa preparare di bel nuovo la cassa da morto. 155 Aprile In questo mese sbocciano i fiori e anche gli animi, dopo il lungo e tedioso letargo invernale si riaprono al contatto della luce e del tepore della nuova delicata stagione. 36-Aprili no’ cacciàri e no’ mentìri. Punto d’incontro tra due stagioni, Aprile è pericoloso per il mutamento di vestiario. 37-Marzu chiovi chiovi, aprili mai ‘mu fini, a maju una bona ‘u si fannu i postèrini. Perché vengano a maturazione i “posterini”, cioè i prodotti fuori stagione, è necessario che piova di continuo sia a marzo che ad aprile e che anche maggio conceda una bella pioggia. 38-Quantu vali n’acqua di marzu e d’aprili no’ vali ‘nu vascellu cu’ tutti li vili. Il valore di un’acqua di marzo e di aprile è di molto superiore a un vascello ricco di vele. 39-D’aprili setti voti mangi e mbivi e mai sazziu ti vidi. Il sopraggiungere della primavera reca con sé un irresistibile appetito. 40-Aprili favi chini, ma, se no’ veni maju, no’ ndi cucìni. In aprile le fave sono già piene, ma è a maggio ch’esse possono essere raccolte e consumate. 41-O’ primu d’aprili a undi ti màndanu no’ jri. Questo detto è collegato al pesce d’aprile, famoso scherzo combinato, nel primo del mese, ai danni degli ingenui creduloni, che con una scusa si fanno andare da un posto all’altro. 156 42-Pasca marzàtica o guerra o famatica. La Pasqua, eccetto le rare volte, in cui può cadere di marzo, è una festività del mese di aprile e, quando ciò non si verifica, è segno che gravi calamità si apprestano a coinvolgere noi poveri mortali. 43-Vròccula, zzòccula e predicatùri dopo Pasca non bàlinu cchiùni. Appena trascorso il periodo pasquale, tre cose sono ormai fuori di moda: i broccoli, gli zoccoli e i padri predicatori, che, passato il periodo quaresimale, hanno ormai esaurito la loro produzione o la loro missione. 44-‘i Pasca e ‘i Natali spampìnanu li vellani. A Pasca di li hjuri spampìnanu li ‘gnuri. Questo breve e chiaro detto ricorda che Natale e Pasqua sono le feste del popolo e che durante questo periodo solo i popolani sfoggiano. Per i signori, invece, è riservata con più comodo la Domenica in Albis altresì chiamata “dei Fiori”. 45-Aprili no’ cacciàri e no’ mentìri, a maju comu sugnu staju, a giugnu comu staju sugnu, a giugnettu ogni spogghia jettu. Gioco di parole col quale ancora una volta si mette in guardia l’uomo a non mutare di vestiario durante i mesi che sono notoriamente variabili per il clima. 46-Aprili jetta ‘u mandìli: caddu lu jornu e friddu a li matini. Con aprile potrai abbandonare la tovaglia da capo perché farà caldo di giorno e freddo al mattino. Maggio 47-A maju jetta ‘u saju, però prima vidi comu vaju. 157 Essendo ormai lontano il rigore dell’inverno, è giusto che ci si liberi un pochino dei panni pesanti, ma bisognerà stare comunque sul chi vive, non si sa mai… 48-Aprili faci i hjuri e maju si cogghi l’onuri. A dispetto di quanto afferma il presente ritornello, maggio è effettivamente il mese delle rose e d’ogni fiore in boccio. In realtà, è in questo mese che i tepori e le erbe odorose fanno sentire prepotentemente la presenza della primavera. 49-Maju ch’i majuri e giugnu ch’i calùri. A maggio il clima dovrà necessariamente risultare mite. Il calore si addice invece al mese di giugno. 50-‘u tempu si votàu, non è com’era, ca di sciroccu si votàu a mujùra. “mujùra” è anche sinonimo di tempo caldo-umido, per cui si può tranquillamente dire: di male in peggio. Giugno È il tradizionale mese della mietitura e l’acqua che cade dal cielo durante i suoi trenta giorni è particolarmente infesta. 51-L’acqua ‘i giugnu caccia ‘u pani du’ furnu. L’acqua di giugno fa marcire il grano. 52-A giugnu mùtati tundu. Soltanto a giugno converrà dismettere gli abiti usati nell’inverno. 53-No’ vitti mai nd’a giugnu nivi cusì, a menzu a lu mari ‘u quagghia la nivi. 158 Si pronunzia tale detto nell’assistere al verificarsi di cose strane. Luglio Il popolino vede questo mese come una continuazione del precedente e lo chiama “giugnettu”, vale a dire piccolo giugno. Tale vocabolo deriva evidentemente dal francese “juillet=luglio”. 54-Veni giugnettu e veni la pujàra quandu lu cuccu perdi la parola. Viene luglio e splende la costellazione delle pleiadi ed è proprio allora che il cucù smette di cantare. Agosto È il mese più caldo dell’anno, ma contiene in sé in germe il terribile inverno. 55-Agustu è rigustu e capu ‘i ‘mbernu. Con agosto inizia l’inverno. 56-Quandu chiovi d’agustu rrovina meli e mustu. La pioggia d’agosto manda alla malora il miele e l’uva. 57-Senza sustu: comu o’ mètiri nd’a d’agustu. Si dice quando si fanno cose fuori tempo e fuori luogo, come potrebbe accadere se si pensasse di mietere durante il mese di agosto. Settembre È il mese caratterizzato dalla vendemmia. 58-Quandu ‘ncigna la mura di spina 159 addunàtivi a’ la recìna. Quando è matura la mora del rovo, sverrà a maturazione anche l’uva. Ottobre-novembre Con questi due mesi ci avviciniamo di nuovo all’inverno e, per conseguenza, al freddo, per cui il ciclo si riapre. 59-‘i tutti i Santi castagni erranti. Per la festività di tutti i Santi le castagne cadono mature dappertutto. 60-Pe’ Morti ‘a nivi è arrètu e’ porti. Col giorno dei morti ci avviciniamo al periodo della caduta della neve. 61-A San Martinu ogni mustu è vinu. Di San Martino il mosto è già diventato vino. 62-‘i San Martinu trasi l’acqua e nesci ‘u vinu. L’astuto villano, per aumentare la sua riserva di vino, immette nelle botti anche delle dosi di acqua. Si può anche voler dire che l’acqua caduta nel mese fa aumentare la portata di mosto. 63-‘i Santa Catarini o acqua o ventu o nivi. Per il trenta novembre il popolino prevede sempre una brutta giornata. Dicembre È il mese del Natale e delle dolci zampogne. 64- ‘i Santa Bibiana 160 chiovi ‘nu misi e ‘na settimana. Dal 2 dicembre in poi ci attenderanno un mese e una settimana di piogge. 65-‘i Santu Nicola ogni mandra faci ‘a prova. Per S. Nicola (6 dicembre) ogni mandria fa le prove. I giorni della settimana I soli giorni della settimana a essere presi in considerazione dal folklore risultano il martedì, il venerdì e il sabato, qualche volta anche la domenica. 66-Di vènnari e di marti non si spusa e non si parti. È sconsigliabile sposarsi o effettuare un viaggio nei giorni di martedì e venerdì, in quanto considerati infausti. 67-Cu’ rridi ‘i vènnari, ciangi ‘i sabbatu. Poiché il venerdì ci ricorda la morte del Signore, è d’uopo che in tale giorno non si svolgano feste, altrimenti ci si dovrà pentire a breve scadenza. 68-Maliditta chija trizza chi di vènnari si ‘ntrizza, beniditta chija pasta chi di vènnari si ‘mpasta. È da condannarsi chi al venerdì lavora al solo scopo di farsi bello, ma non chi svolge il suo solito mestiere. 69-‘i sabbatu ndi tàgghianu l’àbbitu, ‘i dominica ndi tàgghianu ‘a chìrica. Soltanto alla sera del sabato il villano, dopo una settimana di lavoro, riesce a trovare un po’ di tempo per recarsi dal sarto a farsi prendere le misure per un vestito. Per lo stesso motivo egli ha tempo di recarsi dal barbiere solo nella mattinata di domenica, ma questo si verificava un tempo. Oggi anche i barbieri fanno festa la domenica. 161 70-‘a matinata faci ‘a jornata. In genere, il lavoro fatto di buon mattino vale per tutta una giornata. Previsioni astronomiche Dal colore e dalle varie forme che assumevano le nubi i nostri antichi progenitori credevano, in buona fede, di poter prevedere che tempo avrebbe fatto l’indomani. 1-‘u bontempu si vidi da’ matina Già dal mattino è possibile prevedere che tempo farà per tutto il periodo della restante giornata. 2-Celu pecurinu: acqua e ventu lu matinu. 3-Celu pecurinu: portanu pisci domani matinu. Quando la sera prima le nubi tendono ad assumere la forma di tante pecorelle, l’indomani ci porterà sicuramente acqua e vento oppure grande abbondanza di pesci sul mercato. 4-Quandu ‘u tempu è da’ muntagna pìgghiati ‘u pani e vatìndi ‘n campagna. Il cattivo tempo, quando si segnala dalla parte della montagna, è destinato a durare poco. Perciò, si potrà andare tranquillamente nel posto prefissoci chè non ne riceveremo danno alcuno. 5-Quandu ‘u tempu è da’ marina pìgghiati ‘u pani e vatìndi ‘n cantina. 6-Quandu ‘u tempu è di Gioj fuj cchiù chi poi. Al contrario di quanto affermato prima, il tempo cattivo durerà parecchio se ci dovesse pervenire dalla parte del mare. Per gli abitanti della Piana il paese di Gioia rappresenta il più vicino sbocco al mare. 162 7-Quandu ‘u celu è a lana, chiovi pe’ ‘na settimana. Quando il cielo assume la forma di masse di lana è un chiaro segno che pioverà per un’intera settimana. 8-Caddu ‘i muntagna e friddu ‘i marina. Raggiungono il loro più alto grado il caldo in montagna e il freddo in marina, contrariamente a quanto potrebbe apparire a un’analisi affrettata. 9-Bontempu e martempu non dura gran tempu. Le cose buone o cattive sono limitate nel tempo. 10-Bontempu e martempu non hannu ‘nu tempu. Il tempo, buono o cattivo che sia, non è prevedibile. 11-Quandu chiovi e faci frisàli chiovi fin’a domani. Quando piove e produce fanghiglia continuerà a piovere fino all’indomani. L’AMORE Supremo bene donato da Dio agli uomini, l’amore ha ispirato all’animo popolare svariati stornelli e canzonette e dolci aggraziate frasi. 1-Amari a cu’ non t’ama, è tempu perzu. È vano amare chi non intende corrispondere. 2-Quandu amuri voli, trova locu. Quando impera Amore, il luogo per amarsi è presto trovato. 163 3-Cu’ pati p’amuri, non senti doluri. Chi soffre per amore non può sentire alcun dolore. 4-Ama cori gentili e perdi l’anni e cu’ villani non fari disinni. Ama un cuor gentile e sacrifica i tuoi anni, ma non fare mai alcun disegno con i villani. Il villano, oltre che trattare rozzamente, non mantiene mai la parola data. 5-Ama a cu’ ti ama e rispundi a cu’ ti chiama. Ama chi ti vuol bene e rispondi rapido a chi ti chiama. Non sfuggire ai richiami d’amore. 6-L’amuri cu’ l’amuri si paga. Amor con amor si paga. 7-L’amuri ‘i luntanu è comu l’acqua nt’o panàru. L’amore che intercorre da lontano è come l’acqua nel paniere. È una situazione insostenibile e, a lungo andare, insopportabile. 8-Luntanu ‘ill’occhi, luntanu da’ menti. Lontano dagli occhi, lontan dal cuore. 9-Figghiola, non amari foresteri ca su’ comu li ceja di passaggiu, aoj li vidi e domani li peri, ognunu tira pe’ lu so’ viaggiu. Figliuola, non amare forestieri chè sono come gli uccelli di passa, oggi li vedi e domani li perderai, ognuno tira pel suo fatale andare. 10-‘u primu amuri non si sperdi mai. Il primo amore non si scorda mai. È davvero indimenticabile quel primo attimo che ha schiuso all’amore il nostro cuore. 164 11-Faci cchiù n’amuri ca centumila sdegni. Può più un amore che centomila sdegni. Vale più una buona parola che centomila minacce. 12-A cu’ non ti voli non lu volìri, spùtalu ‘n facci e dàssalu jri. Non amare chi non ricambia il tuo amore, ma sputagli in faccia e lascialo perdere. 13-Quantu vali ‘na brunetta sapurita non vali ‘na jancuzza cu’ rrobbi e dinari. Pe’ ‘na brunetta nci zzippu la vita, pe’ ‘na jancuzza no’ passu lu mari. Quanto vale una brunetta appetitosa non vale una biondina che possiede proprietà e denaro. Per una brunetta mi gioco la vita, per una biondina non rischio nemmeno di attraversare il mare. 14-‘a pagghia vicinu o’ focu se non bruscia si pirija. La donna a contatto con l’uomo, se non arriva a bruciare d’amore, ne rimane tuttavia scottata. 15-Se parràti ‘i pilu tenìtimi presenti. Così ha detto il vecchio ridotto al lumicino, ma ancora tenacemente aggrappato ai piaceri della carne, a un gruppo di amici che parlottavano sottovoce alla sua presenza. 16-‘u rre non fa corna. Non rappresenta un disonore se il re ci fa le corna, ma tutto il contrario dato che si tratta sempre di corna reali. 17-L’amuri non è brodu ‘i fasòlu. L’amore è una cosa altamente impegnativa, altro che un brodo di fagioli! 165 FILASTROCCHE Di tiritere, poesiole comiche e ritornelli vari, che il più delle volte non hanno un senso logico e che gli anglosassoni amano definire “nursery rhymes”, cioè “filastrocche da bambini”, abbonda il folklore di ogni paese. Tramandate di generazione in generazione, un tempo tali curiose composizioni facevano la gioia proprio dei bambini, che si deliziavano un mondo ad ascoltarle e a ripeterle ogni qualvolta se ne fosse presentata l’occasione. Le filastrocche, per la massima parte, risultano elaborazioni di schietto sapore canzonatorio e la loro formulazione è quasi sempre frutto di un gioco di parole o di frasi ritmate. Simili componimenti, spesso punto comprensibili, che vengono sovente trascurati dalla ricerca folklorica quasi certamente a motivo dello scarso apporto che forniscono nello scandaglio dell’anima popolare, hanno anch’essi una certa validità e, se non altro, testimoniano dell’estro ridanciano dei figli del volgo, che, pur frammezzo alle traversìe della vita, amano sempre ridere e scherzare. Iniziamo a trattare di questo ennesimo filone della cosiddetta letteratura gnomica col presentare le “composizioni onomastiche”, vale a dire quelle che mettono in berlina il nome di qualcuno. Dedichiamo la prima a un don Mariano e ad una donna Concetta, amanti felici. 1-Marianu cu’ menza cazetta faci l’amuri cu’ donna Cuncetta, donna Cuncetta a menzu a lu chianu faci l’amuri cu’ Marianu. Mariano con mezza calzetta fa all’amore con donna Concetta. Donna Concetta in mezzo al piano (= piazza) fa all’amore con Mariano. 166 Appresso segue Felice, maestro di non so che: 2-Mastru Filìci pici pici, ‘ssu mustazzu cu’ vu’ fici? E vu’ fici don Filìci, mastru Filìci pici pici. Mastro Felice lemme lemme, codesto mostacchio chi ve l’ha fatto? E ve l’ha fatto don Felice, mastro Felice lemme lemme. A tutti coloro che avevano nome Giuseppe venivano indirizzate queste scherzose tiritere. 3-Peppi caca serpi, ti mangiasti cincu serpi, t’i mentisti nd’o pertùsu, Pepparèju ‘u garijùsu. Peppe, defeca serpi, hai mangiato cinque serpi, le hai messe nel pertugio, Pepparello il cisposo. 4-Peppineju è ‘nu bruttu cotràru, nd’avi a li pedi ‘na brutta natura, sabbatu mori, dominica schiatta, Peppineju mustazzu di gatta. Peppinello è un brutto ragazzo, ha ai suoi piedi una brutta natura, sabato muore, domenica schiatta, Peppinello mostacchio di gatta. Chi si chiamava Giovanni si doveva sorbire dagli amici il regalo di quest’altro curioso motto. 5-Gianni di li vigni, jiu ‘u si caca e no’ nci vinni, 167 nci scappàu la cacarèja e si cacàu la cammisèja. Gianni delle vigne è andato per defecare, ma non è riuscito a farlo, gli è venuta d’improvviso la diarrea e così ha sporcato la camiciola. A tutti gli Angelo era dedicata la simpatica strofetta che segue. 6-Angilu, bell’Angilu, pigghia lu sceccu e pùngilu, pùngilu du’ culu ca ti camìna sulu. Angelo, bell’Angelo, afferra l’asino e dai di pungolo, spronalo dalla parte di dietro e vedrai che camminerà da solo. Quest’altro motteggio spettava a Lorenzo. 7-Lorenzu, poco ti penzu, pocu ti stimu, se parri ti minu. Lorenzo, poco ti penso, poco ti stimo, se parlerai, te le suonerò. Nicola è il protagonista della filastrocca seguente, una composizione che risultava collegata a un piccolo gioco che si faceva dai bambini. 8-Serra, serra, mastru Nicola, cu’ ‘nu denti e cu’ ‘na mola, cu’ ‘nu cocciu ‘i liva ‘i giarra si rruppìu la me’ chitarra. Sega, sega, mastro Nicola con un dente e un molare, con un’oliva conservata in orcio 168 si è rotta la mia chitarra. Il gioco relativo a tale filastrocca si svolge nel modo seguente. Per prima cosa si prende un pezzo di spago e si legano le due estremità. Indi, si mettono le mani in modo da tenerlo ben tirato e si opera con le dita in guisa tale da ottenere un incrocio di fili, di cui tre capi vengono tenuti dai denti e dalle mani di colui che esegue l’operazione, mentre il restante quarto è fatto prendere a un’altra persona. Facendo andare avanti e indietro i vari fili, sia in senso orizzontale che verticale, si ottiene una specie di sega in azione. È compiendo questo movimento che i bambini ripetevano felici la filastrocca di mastro Nicola. A mastro Nicola fa seguito Concetta. 9-Cunci Cuncetta, ‘nu pani e ‘na ffetta, ‘na botta ‘ì cugnàta e ‘na sarda salata. Concia, Concetta, un pane e una fetta, un colpo di scure e una sarda salata. È ora la volta di Rosa, donna di casa. 10-Rosa pitòsa, fimmina di casa, se veni to’ maritu ti pizzica e ti basa e ti jetta du’ barcùni, Rosineja cucurùni. Rosa pitòsa, donna di casa, se rientrerà tuo marito ti darà pizzichi e baci e ti butterà dal balcone, Rosinella dalla testa rapata. Vediamo ora cosa riservava a Francesco la tradizione popolare. 169 11-Cicciu pasticciu, candiloru e micciu, ‘u micciu nci catti e s‘u mangiaru i gatti. Ciccio Pasticcio, candeloro e ciondolo, il ciondolo (sta forse per membro) gli è caduto e l’hanno mangiato i gatti. A Francesco veniva appioppata anche quest’altra baia. 12-Cu’ morìu?- Cicciu ‘u puju.Cu’ campàu?- Cicciu ‘u babàu. -Chi è morto?-Ciccio il pulcino. -Chi è vissuto?-Ciccio la maschera. E questa era per Bartolo. 13-Dormi, dormi, Bartulu meu, c’ora veni barbajanni, porta trìguli e malanni. Jamunìndi arrètu all’ortu ca nc’è ‘nu pedi ‘i càvulu stortu, jamunìndi pe’ cchiù jusu ca nc’è ‘na petra cu’ ‘nu pertùsu, jamunìndi pe’ cchiù jà ca facimu lu zzuccuzzà. Dormi, dormi, Bartolo mio, che ora verrà barbagianni, portatore di sventure e di malanni. Andiamocene dietro l’orto, dove si trova un cavolo storto, andiamone più giù, dove vi si trova una pietra con un pertugio, andiamocene più in là che faremo lo zzuccuzzà. Margherita è la protagonista della tiritera seguente. 170 14-Margherita facìa lu pani, tutti li muschi nci jvanu jani e nci jvanu a pocu a pocu, Margherita jettava focu. Margherita faceva il pane, tutte le mosche vi si posavano e lo facevavano a poco a poco, Margherita accendeva il forno (ma anche: non ne poteva più). Assai offensiva, che non le precedenti, la filastrocca consacrata a Paolo. 15-Menzijornu staci sonandu, mastru Pauli staci morendu, preparàtinci lu tambùtu, mastru Pauli è ‘nu cornùtu. Sta rintoccando mezzogiorno: mastro Paolo sta morendo. Allestitegli la bara: mastro Paolo è un cornuto. Ancora per Paolo. 16-Paulu Pìulu, occhi di bumba, jiu a la ‘Merica ‘u ‘ccatta ‘na trumba e la trumba non ci sonava, Paulu Pìulu si ‘rraggiàva. Paolo Pìolo, occhi di bomba, è andato in America a comprare una tromba e la tromba non suonava, Paolo Pìolo si adirava. La scanzonata anima popolaresca non dimenticava che v’era anche una Maria Vincenza e a questa offriva un curioso frizzo. 171 17-‘onna Mara Vicenza, cu’ tri pulici nd’a la panza; unu nci cala, unu nci nchiana e unu nci faci la riverenza. Donna Maria Vincenza, con tre pulci sulla pancia: uno vi scende, un altro vi sale e il terzo le fa un inchino. A Filomena è dedicata l’ultima facezia onomastica della serie. 18-Filomena, culu lisciu, si ndi jiu o’ Crucifissu e passàu di la hjumàra e si vagnàu ‘nu pizzu di la saja. Filomena, dal culo liscio, se n’è andata al Crocefisso e ha attraversato la fiumara, dove si è bagnato l’orlo della veste. Andare al Crocefisso significa recarsi a Terranova Sappominulio, paese dove ogni anno, dal 2 al 3 maggio, si celebra una rinomata festività consacrata a un miracoloso Crocefisso di legno e un tempo, quando i mezzi di comunicazione moderni erano di là da venire, ci si recava a piedi, guadando di conseguenza qualche fiumara. Nelle composizioni onomastiche un posto a parte meriterebbe quella dedicata a un grosso personaggio storico, a quel Federico Barbarossa, ch’è, noto al popolino unicamente per la sua ferocia. 19-Federicu Barbarossa, si mangiàu ‘na gatta grossa, si cundìu tutti li mussa, Federicu Barbarussa. Federico Barbarossa 172 ha mangiato una gatta grossa, si è sporcato tutto il muso, Federico Barbarossa. Esaurita la sequela delle composizioni onomastiche, continuiamo la trattazione sulle filastrocche popolari presentando un’ulteriore sfilza, che abbiamo raggruppato sotto la voce “Favolistica”. Sotto questa seconda etichetta abbiamo inteso riunire tutti quei componimenti che hanno a protagonisti gli animali. Il popolino calabrese, umile e poetico a un tempo, non dimentica i minuscoli esseri che gli vivono accanto e, nelle sue anonime creazioni, li fa partecipi del suo mondo, delle sue gioie e dei suoi affanni. I bambini di un tempo tenevano sul palmo della mano una coccinella e, nel mentre l’invitavano ad aprire le ali e a volarsene via, le dedicavano questa scherzosa cantilena. 20-Papuzzej chi jti a lu mari, salutàtimi a me’ cummari, salutàtimi la cchiù bella, chija chi nd’avi la zaharella, salutàtimi la cchiù brutta, chija chi nd’avi l’anca rrutta (oppure: lu culu di stuppa). Coccinelle che andate per mare, salutatemi mia comare, salutatemi la più bella, quella che tiene il nastrino, salutatemi la più brutta, quella che ha la gamba rotta, (oppure il culo di stoppa). La filastrocca seguente i bambini la rivolgevano a qualche sfortunata chiocciola capitata loro tra le mani, con la segreta speranza ch’essa si decidesse una buona volta a mettere fuori dal guscio quei suoi graziosi cornetti. 173 21-Vovalàci caccia corna, ca to’ mamma jiu pe’ straci e ti porta lu cocò oj si e domani no. Chiocciola, metti fuori le corna chè tua madre è andata per cocci e ti porta l’ovetto oggi sì e domani no. Nella calura delle sere estive i bambini inseguivano le lucciole rivolgendo loro questa breve strofetta. 22-Papanìa cala cala ca ti spetta la bagnàra, la bagnàra è china d’ogghiu, cala cala ca ti ‘mbogghiu. Lucciola scendi scendi che ti attende la tinozza, la tinozza è piena di olio, scendi scendi che t’inzuppo. E questa è la famosa storia del gallo di Cicirinella. 23-Cicirundella nd’avìa ‘nu gallu, tutti li notti andava a cavallu. Jeu nci misi la varda e la sella: chistu è lu gallu di Cicirundella. Cicirinella aveva un gallo sul quale tutte le notti andava a cavallo. Io gli ho messo il basto e la sella e questo è il gallo di Cicirinella. Quando un monello staccava con un sasso o altro la coda a una lucertola, se non voleva incappare nelle ire della malasorte, doveva recitare questa cantafèra. 24-No’ hjestimàri a mia ca su’ figghiu di Maria, no’ hjestimàri a me’ mamma 174 ch’esti figghia di Sant’Anna. Non imprecare a me perché son figlio di Maria, non imprecare a mia madre perché a sua volta è figlia di Sant’Anna. Solleticandolo sotto le ascelle e profferendo in pari tempo l’appropriata filastrocca, Nicola, il maiale, porge goffamente una zampa all’interlocutore, quasi che comprenda e intenda davvero lasciargli in eredità quella sua appendice. 25-Cola, quandu mori e quandu ‘ngrassi, qual’anca mi dassi? Nicola, quando morrai e ingrasserai, quale zampa mi lascerai. La tiritera che segue prescrive quanto debbano dormire l’uomo e alcuni animali. 26-‘na ura dormi ‘u gaju, dui ‘u cavaju, tri ‘u pezzenti, quattru l’amanti, cincu ‘u studenti, sei ‘a bona genti, setti ‘u biforcu, ott’uri dormi ‘u porcu. Un’ora dorme il gallo, due il cavallo, tre il nullatenente, quattro l’amante, cinque lo studente, sei la buona gente, sette il bifolco, otto ore dorme il porco. 175 Ecco ancora una mutrita serie di cantafère dedicate agli animali. 27-Pecura janca balla cu’ ‘n’anca, pecura nira balla stasìra. Pecora bianca balla con un’anca, pecora nera balla stasera. 28-Pùlici e cìmici, ‘gnura maistra: cosi chi non si ponnu supportàri. A la casa ‘i me’ papà nuju pùlici nci sta. Pulci e cimici, signora maestra, cose che non si possono tollerare. A casa di mio papà non vi si trova alcuna pulce. 29-Pùlici, lèvati ch’è jornu. -Se mi levu vogghiu pani.-Tòrnati a curcàri.-Pulce, alzati ch’è giorno.-Se mi alzo, voglio del pane.-Allora, coricati di bel nuovo. 30-Arri arri cavallucciu, ndi ndi jamu a currijàri e ‘ccattàmu ‘nu bellu ciucciu, arri arri cavallucciu. Arri, arri, cavalluccio, ce ne andiamo a vagabondare e compriamo un bell’asino, arri, arri, cavalluccio. 31-Jèttalu jèttalu a mari ‘mu s’u pigghia ‘u piscicani, jèttalu, jèttalu ‘n fundu ‘mu s’u pigghia ‘u pisci palumbu. Gettalo, gettalo a mare perché se lo pigli il pescecane, 176 buttalo, buttalo nel fondo perché lo afferri il pesce palombo. 32-Palumbeja zzoppa zzoppa, quantu pinni teni ‘n coppa? - Jeu ndi tegni vintiquattru, una, dui, tri e quattru. O palombella zoppa, zoppa, quante penne porti addosso? - Io ne tengo ventiquattro, una, due, tre e quattro. Le ultime quattro filastrocche venivano pronunciate nel mentre si cercava di far trastullare i bambini. Esaurita la seconda suddivisione, completiamo la nostra fatica presentando un ulteriore gruppo di composizioni dedicate alle cose più varie e pronunziate nei frangenti più disparati. Quando in una cerchia di ragazzi qualcuno emanava un fetore sconcio, qualcun altro, al fine di scovarne l’autore, ripeteva la filastrocca che segue toccando a uno a uno tutti gli astanti, che nel frattempo si erano sistemati in circolo. L’autore del “fattaccio” risultava proprio colui su cui veniva a cadere l’ultima sillaba della strofetta, che ad arte si faceva cadere su chi si aveva interesse a incriminare. 33-Fetu fetillu, ndi ndi jamu ndi mastru Chillu e facimu la musicò, cciù chi fetu chi veni di ccò. Puzza, puzzerella, ce ne andremo da mastro Chillo e faremo la musicò, oh, che puzza che viene da qui. 177 I bambini rivolgevano scherzosamente quest’altra tiritera a chi tra loro si era fatto radere i capelli a zero e offriva alla vista una lucida pelata. 34-Tignuseju, non jri pe’ ligna ca ti ‘mbatti Cicciu Castagna. Se ti vidi ti rrumpi la tigna, tignuseju, non jri pe’ ligna. Pelatino, non andare per legna perché t’imbatterai in Ciccio Castagna. Se questi ti vedrà ti romperà la zucca, Pelatino perciò non andare per legna. Nelle sagre paesane i tamburi sono stati sempre d’obbligo e se uno “cantava” “Spara ca t’abbampa”, l’altro sembrava fargli eco portando una specie di accompagnamento con “Mbràmbita, mbràmbita”. Canto: 35-Spara ca t’abbampa, ‘nniricàtu tia, ‘mbivitìlla tutta e vidi chi ti fa. Spara che ti brucia, sventurato te, bevitela tutta e vedi che ti fa; accompagnamento: Mbràmbita mbràmbita all’anima ‘ i màmmita. Voce che imita il suono del tamburo indirizzata all’anima di tua madre. Ecco ancora un intreccio di parole a doppiosenso. 36-Arzìra me’ mamma mi mandàu pe’ ogghiu e pe’ la via mi catti lu stuppagghiu: ora m‘u scippu e ora m’u tagghiu e nci lu mentu pe’ stuppagghiu. Iersera mia madre mi ha spedito in cerca di olio e per la via mi è caduto il tappo. Ora me lo strappo e ora me lo recido 178 e lo metto come tappo. 37-‘a putrunerìa ovverossìa la settimana del poltrone. Luni lunijài, marti e mèrcuri no’ filai, giovi perdìa lu fusu, vènniri ‘u trovai, sabbatu ca era festa, dominica mi fici ‘a testa. Passanu i jorna e i dì e sempri faci accussì. Il lunedì ho lunediato, martedì e mercoledì non ho filato, giovedì ho perso il fuso, venerdì l’ho ritrovato, sabato ch’è stato festa, domenica ho fatto il taglio dei capelli. Passano i giorni e i dì e sempre si comporta così. Anche frammezzo alle fatiche guerresche i soldati si danno pochi pensieri. 38-I sordati chi vannu a la guerra mangianu, mbìvinu e fannu accussì: sci, mpu, mpa a la facci di to’ papà. I soldati che vanno in guerra mangiano, bevono e sparano così: sci, mpu, mpa, alla faccia di tuo papà. Sulla medesima scia si possono collocare altri curiosi ritornelli. 39-Paletta, paletta, ‘gnura cummàri, nd’aju ‘na figghia di maritàri. 179 Voli jocàri a lu vintiquattru: una, dui, tri e quattru. Paletta, paletta, signora comare, ho una figlia da maritare. Vuol giocare al ventiquattro: una, due, tre e quattro. 40-‘mmuccia ‘mmucciatèja, nesci tu Catarineja pe’ la strata du’ mulinu, pe’ chiantàri petrusinu, petrusinu marianu, nesci tu, capitànu, capitànu ‘i Cincufrundi, nesci tu, capij biondi. ‘mmuccia, ‘mmucciatèja, dogghia colica nd’a padèja, cu’ ‘mmucciàu e cu’ no’ ‘mmucciàu nt’a la ricchi la pigghiàu. Nascondino, nasconderella, esci tu Caterinella per la strada del mulino a piantare prezzemolo, prezzemolo mariano, esci tu capitano, capitano di Cinquefrondi, esci tu, capelli biondi. Nascondino nasconderella, dolor colico nella padella, chi si è nascosto e chi non l’ha fatto del pari nell’orecchio l’ha preso, cioè è stato fregato. Queste due ultime filastrocche si pronunziavano quando si giocava a nasconderella da parte di chi doveva andare in giro a scovare coloro che si erano nascosti, dando così il tempo per farlo. 180 Anche per la conta ci si serviva, a volte di personaggi e di eventi sacri. 41-Palumbeja janca janca, tu, chi porti nd’a ‘ssa lampa? - Portu ogghiu benidittu - pe’ vattijàri a Gesù Cristu. Gesù Cristu è vattijàtu, ‘n tuttu lu mundu è nominatu, è nominatu pe’ cosa vera, o Maria, grazia prena. ‘nchianu supra e vidu chiusu, calu sutta e vidu apertu, vidu all’Angilu nt’a lu lettu chi sonava lu violinu e li santi piccirìj chi jocavanu a li nucìj, stocca, stocca ‘ssa catìna ca lu ‘mpernu ndi rrovina, ndi rrovina pe’ nostri peccati, quandu morìmu morìmu dannati. - Colombella, colombella bianca, tu, che porti in codesta lucerna? - Reco olio benedetto per battezzare Gesù Cristo. Gesù Cristo è battezzato, in tutto il mondo è ricordato ed è ricordato per un fatto reale. O Maria, piena di grazia. Salgo di sopra e vedo chiuso, scendo sotto e vedo aperto, scorgo l’Angelo sul letto che suonava il violino, rompi, rompi codesta catena chè l’inferno ci rovina, ci rovina per i nostri peccati, quando morremo morremo dannati. 181 V’era un’apposita tiritera per quando la conta avveniva tra due sole persone. 42-Tavula vecchia e tavula nova, ccà si ‘mmuccia e ccà si trova. Tavola vecchia e tavola nuova qui si nasconde e qui si ritrova. Si pronunziava nascondendo in una mano un pezzo di carta o qualcosa equipollente. Indovinava e, quindi, aveva diritto a iniziare il gioco, colui il quale indicava la mano che conteneva l’oggetto nascosto. Allorquando i bambini si rendevano insopportabili con esigere insistentemente che si narrasse loro una favola, colui che ne veniva richiesto faceva finta di cominciare la narrazione, ma subito dopo rifilava loro questo ritornello. 43-‘na vota nc’era ‘nu vecchiu chi cusìva ‘nu saccu vecchiu; ogni tantu minàva ‘nu puntu: aspettàti ca ora vu’ cuntu. Cuntu, cuntozzu finu a chi pozzu, quandu non pozzu cchiù, tu cunti tu. C’era una volta un vecchio che cuciva un sacco vecchio. Ogni tanto tirava un punto: attendete che ora ve lo racconterò. Conto, contarello fin che potrò, quando non potrò più te lo racconterai tu. Sulla medesima falsariga della precedente si ritrova quest’altra filastrocca. 44-‘na vota nc’era cu’ nc’era, nc’era ‘na gatta e ‘na ciminèra. ‘a ciminèra catti e rrumpìu tutti i piatti. 182 Una volta c’era chi c’era, c’erano una gatta e un camino. Il camino è precipitato e ha rotto tutti i piatti. Il volgo calabrese usava rivolgere al pastorello questo ritornello. 45-Massarèju chi vindi ricotti, va’ a la chesa e ti ‘nginocchi e ti cacci lu coppulinu, massarèju lu malandrinu. O pastorello che vendi ricotte, vai in chiesa e t’inginocchi e ti levi il berrettino, o pastorello malandrino. Ecco due brutti motteggi riservati alla vecchiaia. 46-‘a vecchia ‘mpàmpara, ‘u lignu fràcitu, nci veni l’àcitu, non torna cchiù. La vecchia decrepita, il legno fradicio, le viene l’acidità, non ritornerà più o non ringiovanirà. Tale veniva cantalenata sull’aria “La donna è mobile” del Rigoletto. 47-‘a vecchia quandu è vecchia va perdendu la virtù: ‘a panza nci arripicchia (o anche l’anchi nci fannu cìchiti) e lu culu nci faci ppù ppù. La vecchia quando è vecchia va perdendo la virtù, la pancia le si aggrinzisce (oppure, le gambe le scricchiolano) e il culo emette suoni sconci. 183 Allorquando un piede perveniva a intorpidirsi, per farlo ritornare alla normalità era d’uopo assolutamente recitare la seguente cantafèra. 48-Rispìgghiati pedi ca l’angilu veni e veni cantandu cu Patri, cu Figghiu e cu Spiritu Santu. Svegliati piede che l’angelo verrà e verrà cantando con Padre, Figlio e Spirito Santo. Una filastrocca per le zitelle. 49-Struzzu, struzzu, barbaruzzu, una lava e una strica, una prega a Santu Vitu ‘mu nci manda ‘nu bonu maritu, ‘nu bonu maritu a Munti castellu e chi guarda chillu acellu, chillu acellu fa cucù, mina ventu e vola tu. Tocco, tocco, mento, una lava e un’altra strofìna, una prega a San Vito perché le mandi un buon marito, un buon marito a Montecastello e che guardi quell’uccello, quell’uccello fa cucù, tira vento e vola tu. Ecco una filastrocca consacrata a una sconosciuta donna Paparona. 184 50-Donna Paparonna, chi lampi e chi trona e nui simu cincu frati, ndi volimu maritari nulla e nulletta calu vasciu ‘n giardinu pe’ pigghiàri a brisculinu, brisculinu non nc’è, veni tu arrètu a me. Cuncia e Cuncetta arrètu di Betta. Donna Paparona (prolifica?), che lampi e che tuoni e noi siamo cinque fratelli: ci vogliamo sposare, nulla e nulletta, scendo in giardino a pigliare briscolino, briscolino non c’è, vieni tu dietro a me. Concia e Concetta dietro a Betta. Probabilmente, si pronunziava unitamente a qualche gioco. Ecco ora una serie di filastrocche di carattere prettamente religioso-ecclesiastico, nelle quali il sacro si unisce al profano in una mescolanza di toni non necessariamente satirici. 51-Chiovi, Signuri meu, ca non l’accatti, la pigghi di lu mari e ndi la jetti. Chiovi, Signuri meu, chiovi pe’ n’annu, pemmu mi mangiu tri pani a lu jornu: unu a la sira e n’atru a la matina e n’atru quandu sona menzijornu. Sutta a lu pedi chi nesci la luna 185 mina lu ventu e l’abbanduna, zagharà zagharà cicciu candìla e cancioffulà. E sparamu la candilora, caciu cavallu frittu cu’ l’ova. Manda la pioggia, o mio Signore, dato che tu non la compri, la pigli dal mare e ce la butti. Manda la pioggia, o mio Signore, mandala per un anno, perché possa mangiare tre pani al giorno: uno alla sera e un altro al mattino e un altro ancora quando suona il mezzogiorno. Sotto al piede dal quale esce la luna tira vento e l’abbandona, zagharà zagharà Ciccio candela e cancioffolà. E spariamo la candelora, cacio cavallo cotto con le uova. Il contadino, da che mondo è mondo, ha implorato sempre da Dio l’arrivo della pioggia. La preghiera del povero. 52-Avi Maria, pani volìa, pani non haju, mi curcu e mi staju. Ave Maria, pane vorrei, pane non ho, andrò a letto e vi starò. Ecco una filastrocca-ninnananna. 53-Bambinuzzu piccirillu, lu me’ cori lu voli iju, iju ciangi ca lu voli, Bambinuzzu ‘rrobbacori, ‘rròbbati lu cori meu, Bambinuzzu figghiolu di Ddeu. 186 Bambinello piccolino, è il mio cuore che lo vuole, piange che lo desidera. Bambinello rubacuori, ruba il mio cuore, Bambinello figliuolo di Dio. Altra simile: Bambinuzzu, Bambineju, Bambinuzzu, Bambineju, chi ssì dduci e chi ssì beju; chija notti chi nescisti, chiju friddu chi patisti. La Madonna ti ‘mpasciàva, San Giuseppi ti ‘nnacàva e Sant’Anna ti dicìa: dormi, figghiu, gioia mia. Ninna nanna, ninna la vò, dormi figghiu, me caru Gesò. Bambinuzzo, Bambinello, quanto sei dolce e quanto sei bello. Quella notte, in cui sei nato, quanto freddo hai patito! La Madonna ti fasciava, San Giuseppe ti cullava e Sant’Anna ti diceva: dormi figlio, gioia mia, ninna nanna, ninna la vò, dormi figlio, mio caro Gesù. (Gesò sta per la rima). Sulla medesima falsariga della precedente è la seguente canzoncina, che veniva recitata del pari in occasione del Natale. 54-Mariuzzèja, Mariuzzèja, ti la fazzu la suppicèja, 187 ti la fazzu di pani e vinu, nci la damu a Gesù Bambinu. Gesù Bambinu no’ voli suppa ca nci bruscia la vuccuzza, la vuccuzza è china ‘i meli, nci la damu a San Micheli. Ti la fazzu cu’ pani e latti pe’ salutari tutti li Santi, li Santi piccirilli chi jocàvanu a li nucìj, li nucìj non calàvanu, la Madonna li cogghìa, San Giuseppe li tenìa, li tenìa cari cari pe’ la notti di Natali pemmu ‘ddubba li cotràri. Mariettina, Mariettina, ti faccio la zuppettina, te la faccio con pane e vino, gliela offriamo a Gesù Bambino. Gesù Bambino non vuole zuppa chè gli scotta la boccuccia, la boccuccia è piena di miele, gliela offriamo a San Michele. Te la faccio con pane e latte per salutare tutti i Santi, i Santi piccolini che giocavano alle nocciòle, le nocciòle non rotolavano, la Madonna le raccoglieva, San Giuseppe le conservava, le conservava strettamente per la notte di Natale al fine di fare contenti i suoi bambini. 188 Quando capitava di smarrire qualche oggetto, si ricorreva subito a Santa Lucia, la sola in grado di farcelo rinvenire presto. 55-Santa Lucia, ‘mmostràtimi chi perdìa e perdìa ‘na cosa d’oru, ‘ mmostratimmìlla pe’ quandu moru. O Santa Lucia, fatemi ritrovare quel che ho perso e ho perso un oggetto d’oro, fatemelo rivedere per quando morrò. Quando qualcuno raccattava un oggetto che aveva rinvenuto, subito lo si rimproverava, ma il motivo era duplice. A volte, la disapprovazione nasceva dalla nausea che ci pervadeva nell’osservare coloro che compivano l’azione, ma spesso la causa era da ricercarsi nell’invidia che ci coglieva per non essere stati noi a ritrovare il tale oggetto. 56-Cu’ si pigghia i cosi ‘n terra so’ mamma è sutta terra e so’ patri nd’o casciùni chi si mangia i maccarrùni. Chi piglia le cose cadute a terra sua madre è sotterra e suo padre è dentro il baule che mangia i maccheroni. Ecco ancora in gioco le parole a doppiosenso, il sale di quasi tutte le composizioni dialettali del genere. 57-La mugghièri dill’èrrimu cocu tutta la notti si ‘nsonna ca ‘mpila e ‘mpila brasciòla a lu focu la mugghièri dill’èrrimu cocu. 189 La moglie del cuoco errante tutta la notte sogna che infila e infila braciole al fuoco la moglie del cuoco errante. I componimenti che seguono sono recitati dai genitori ai propri bambini al fine di farli stare quieti. La festosità è tutta nelle filastrocche ideate allo scopo, ma anche nel molleggio delle anche, su cui venivano sistemati i pargoletti, i quali, è inutile dirlo, si divertivano un mondo. 58-Balla, balla, pupu di pezza, scialacòri di to’ mammà, quandu ti vidi tuttu si spezza, scialacòri di to’ papà. Balla, balla, o pupo di stoffa, scialone di tua madre, quando ti vede tutto si rompe, scialone di tuo papà. 59-Manni mannuzzi (mani manuzzi?) e cuti cutuzzi jamu a la fera e ‘ccattàmu cucuzzi. È comprensibile soltanto l’ultima parte e cioè “andiamo alla fiera e compriamo zucche”. 60-Naru, naru, naru, cu’ voli ‘u vidi ballàri lu nanu pemmu veni stasira cu’ scuru e mu’ veni chianu chianu pemmu vidi ballàri lu nanu. Naro, naro, naro, chi vuol vedere danzare il nano che venga stasera col buio e che venga piano piano per vedere danzare il nano. 190 61-Se ti pigghiu ti fazzu cunigghiu, ti levu a la staja e ti fazzu cavaju. Se riesco ad acchiapparti, ti farò diventare coniglio, ti porterò nella stalla e ti trasformerò in cavallo. 62-Manu, manu morta, ‘mbùccati ‘sta ricotta. Mano, mano morta, metti in bocca questa ricotta. Quest’ultima cantafèra veniva detta accompagnando alle parole il gesto della mano. Ecco ora una tiritera per la quale i bambini andavano matti e che si recitava mostrando loro le dita della mano a uno a uno. 63-pollice Chistu dici: vogghiu pani; indice chistu dici: non avìmu; medio chistu dici: jmu e ‘rrobbàmu; anulare chistu dici: non sacciu la via; mignolo chistu dici: pirìju, pirìju, dàtimi pani ca su piccirìju. Il pollice dice: voglio pane, l’indice risponde: non ne abbiamo, il medio consiglia: andiamo a rubare, l’anulare oppone: non conosco la via e allora il mignolo conclude: datemi pane chè son piccolino. E questo è l’amaro canto della zitella: 191 64-Mannaja aguannu, mannaja aguannu, volìa ‘mu mi maritu e no’ mi vonnu, dassàtimi stari, dassàtimi stari ca nd’haiu ‘na figghia di maritàri. La tila e la tiletta la tessìa quand’era schetta, ora chi su’ maritàta vogghiu èssiri campàta. Mannaggia quest’anno, mannaggia quest’anno, vorrei sposarmi, ma nessuno mi vuole, lasciatemi stare, lasciatemi stare chè ho una figlia da sposare. La tela e la teletta la tessevo quand’ero nubile, ora che mi ritrovo sposata pretendo d’essere mantenuta. 65-Genti c’avìti ‘ssi finestri vasci, tornativvìlli a frabbicàri ca l’atru jornu vitti fari ‘ngestri ‘i ‘na finestra mònacu ‘nchianàri. E mali di sangu a iddru! a iddru mali di sangu! e mali di sangu chi nchianàva destru, nchianàva cu’ li zzocculi a li mani. O gente che avete le finestre basse, cercate di rifarle in tutt’altro modo perché l’altro giorno ho visto certe smorfie e un monaco salire per una finestra. E botta di sangue a lui! A lui botta di sangue! E botta di sangue come saliva accorto, vi saliva tenendo gli zoccoli nelle mani. Com’è abbastanza chiaro, s’irride ai monaci, sempre in fama di godersi le donne e, quindi, audaci nel frequentare le case altrui. 192 E qui s’irride allo sciancato. 66-Quandu lu zzoppu si pigghia di lena, comu la leva chij’anca baggiàna. Quando lo zoppo si entusiasma, oh, come la muove quella sua anca sciocca; 67-E chi ssì? Lupu o lapa, cannozza ‘i pippa o cacajòcciulu ‘i crapa? E cosa sei? Lupo o ape, cannuccia di pipa o sterco di capra? 68-O zzappa, chi ti chiami zzappa cuba, tu ti cridìvi ca tu futti a mia, jeu ti smarrùggiu e ti ‘nziccu nd’o saccu e ti portu ‘n coju pe’ tutta a vita mia. O zappa, che hai nome zappa scema, tu pensavi di fregare me, io ti tolgo dal manico e ti metto nel sacco e ti porto appesa al collo per tutta la vita mia. 69-Mamma, Ciccu mi tocca.-Toccami, Ciccu, c’a mamma vo’. O mamma, Cecco mi tocca-. -Toccami, Cecco, che alla mamma sta bene. 70-Chi bàllinu pulìti ‘sti figghioli, sulu Sant’Antoninu li poti ajutari. Oh, come sanno ballare bene questi ragazzi, solo Sant’Antonino li può aiutare. 71-Cumpari, domani vi ‘mbitu, portàti la carni ca mentu lu spitu. 193 Compare, domani v’inviterò, portate la carne che io ci metto lo spiedo. 72-Santu, santu, santu, ‘mu ti lèvanu ‘o Campusantu, cu’ la lingua e cu’ li pedi ‘u ti sònanu ‘u misereri, ‘u misereri è ‘na menzogna, ‘mu ti cula puru la togna (denti) Santo, santo, santo, che ti possano portare al cimitero con la lingua e con i piedi. Che ti suonino il miserere, ma questo è una bugìa, che ti possano cadere i denti. 73-‘U monacu sutt’all’umbra e ‘a monaca puru jà, facendu cozzicatùmbula si potìvanu stroppià’. Il monaco e la monaca sotto l’ombra facevano salti e si potevano far male. Si sottindende a un rapporto sconcio fra due monaci di sesso diverso. 74-Mamma, ch’è bellu lu maritari, pe’ ‘na sira, pe’ dui e pe’ tri; quandu manca l’ogghiu e lu sali, mamma, ch’è bruttu lu maritari. Variante a Piminoro: Tantu è bellu lu maritari fin’a chi dura lu pani e lu sali. Il matrimonio sta bene per il primo, il secondo e il terzo giorno, quando è tutto illusione, ma non appena la 194 realtà prende il sopravvento e manca perfino l’olio e il sale o, allora, quant’è brutto il matrimonio. 75-Domani si marìta Cicca l’orba, cu’ lu pinnèju nci fazzu la barba. Domani andrà sposa Cicca la guercia, con un pennello le farò la barba. È un’irrisione a una donna brutta e barbuta, ma anche con altri difetti fisici. 76-Arzìra mi maritai, pasta e cìciri mangiài, pe’ dispettu ‘i me mugghièri sutta ‘o lettu mi curcai. Ieri sera mi sono sposato e ho mangiato pasta e ceci, ma per fare un dispetto a mia moglie mi sono coricato sotto il letto. Altro gioco con le mani. 77-Manu manu morta ‘u surici chi ti porta e ti porta pani e casu mina, mina nd’a ssu nasu. Mano, mano morta, il topo che ti porta? E ti porta pane e formaggio, tira, tira nel tuo naso. 78-Figghiu di pputtàna, to’ mamma è nd’a tana e to’ patri nt’o casciùni, chi si mangia i maccarrùni, grattàti cu’ sapuni. Figlio di puttana, tua mamma è nella tana 195 e tuo padre nel cassone che mangia i maccheroni, grattati col sapone. Quando ci coglieva il mal di pancia, non c’era alcun bisogno di correre dal medico perché il rimedio era bell’e pronto. Bastava recitare il seguente duetto: 79-Mi doli ‘a panza. -Va’ nd’onna Costanza. -‘Onna Costanza no’ nc’è. -Va’ nd’o rre. -‘u rre è malatu. -Va’ nd’o sordatu. -‘u sordatu è a la guerra. -Strìcati ‘a panza ‘n terra. -‘n terra mi llordu. -Vatìndi nd’all’ogghiu. -Nd’all’ogghiu mi cundu. -Vatìndi ‘i ‘stu mundu. -Mi duole la pancia.-Vai da donna Costanza.-Donna Costanza non c’è.-Vai dal re.-Il re è malato.-Recati dal soldato.-Il soldato è in guerra.-Strofina la pancia per terra.-A terra mi sporco.-Bùttati nell’olio.-Nell’olio mi ungo.-Vattene da questo mondo.Sulla stessa falsariga si trova: 80-Domani è dominica: nci tagghiàmu ‘a testa a’ chirica, 196 ‘a chirica non c’è, nci tagghiàmu ‘a testa o‘ rre, ‘u rre è malatu, nci tagghiàmu ’a testa o’ sordatu, ‘u sordatu è a’ la guerra e cadìmu ch’i mani ‘n terra. Domani sarà domenica: troncheremo la testa alla chierica; la chierica non c’è, troncheremo la testa al re; il re è ammalato, faremo lo stesso col soldato; il soldato è in guerra e cadremo con le mani per terra. Quando il sole faceva capolino nelle brutte giornate invernali, lo si implorava così a riapparire in tutto il suo splendore. 81-Suli, suli, nesci, nesci, ca to’ mamma jiu a la scola e ti porta pani e ova. Sole, sole, esci, esci, chè tua madre è andata a scuola a recarti pane e uova. Per terminare questo non breve compendio sulle filastrocche calabresi, presentiamo un gruppo di composizioni punto riferibili ad atti o persone. 82-Bonasira, dissi me’ patri, quandu trasu e quandu nesciu; se mangiàti, nommu ndi vogghiu, ma, se tantu mi pregàti, ‘mu mi pìgghiu du’ brocciàti. Buonasera, ha detto di pronunziare mio padre, sia quando entro che quando esco. 197 Se state mangiando, non dovrò accettare l’invito, però, se mi solleciterete, allora mi contenterò di accettare due forchettate. 83-Mannaja lu fusu e la stuppa e puru li vecchi chi vonnu filà, ‘assàti ‘u mi filu ‘sta picca di stuppa e poi mi ndi vaju a curcà. Mannaggia il fuso e la stoppa e pure i vecchi che desiderano filare, lasciatemi filare questo poco di stoppa chè poi andrò a coricarmi. 84-Cerni, cerni la farina cu’ lu crivu di Messina e facìmu la votatura cu’ lu crivu di la ‘gnura. Vaglia, vaglia la farina con lo staccio di Messina e facciamo la votatura (voltatura?) con lo staccio della signora. 85-O cummari c’a pettinissa, vostru maritu chi arti fa? - Me’ maritu faci lu fissa, pozzu levàri la pettinissa. O comare col pettinino, vostro marito che mestiere fa? Mio marito fa il fesso e io posso fregiarmi del pettinino. È una irrisione alle donne che si agghindano. 86-Sutt’’o lettu da’ zzi’ Cicca nc’è ‘nu piattu ‘i mmerda sicca: cu’ parra ‘u primu s’a ‘llicca. Sotto il letto della zia Cecca c’è un piatto di merda secca: 198 chi parla per primo la lecca. Quest’ultima composizione è forse una filastrocca gioco: il primo della cerchia, che incautamente perviene a parlare, è condannato a leccare metaforicamente la merda secca. Segue una serie di domande facete, come il Chiapparo ha definito un tal genere di composizioni. 87-Voi ‘u veni cu’ mmia? -A undi? -A undi càcano i palumbi! Vuoi venire con me? Dove? Dove defecano i colombi! 88-Voi ‘u t’icu ‘na cosa? dice uno all’altro; -Chi? risponde l’altro accostando l’orecchio; -Chicchirichì! per tutta risposta si ha dal primo un sonorissimo “chicchirichì” all’orecchio, che lo rende intronato. 89-Nc’i ‘u dicu a to’ mamma pe’ ‘na palòra! -Chi? -Cìchiti, cìchiti e pumadora! La riferirò a tua madre una certa parola che hai pronunziato! - Chi? - Cìchiti, cìchiti e pomodori. 90-Chi voi? Pici o sali? -Pici. -Pe’ cent’anni simu amici. -Sali. -Pe’ cent’anni simu cummàri. - Che vuoi, pece o sale? - Pece. - Per cent’anni saremo amici. 199 - Sale. - Per cent’anni saremo comari. 91-Dici petra liscia: ‘u diavulu ti piscia. Dici: pietra liscia. Il diavolo ti orinerà addosso. Frase lapalissiana. 92-‘gnura monaca, vu’ cadìstivu? -‘gnura no ca stroppicài. - Signora monaca, siete caduta? - Signor no, ho soltanto inciampato. 93-Comu? -Comu Diu fici l’omu. -Come? -Come Dio ha fatto l’uomo. 94-Comu? -Vicinu Milanu. -Come (Como)? -Vicino Milano. 95-‘a Catuna è vicinu Riggiu. Si pronunzia quando una persona si rivolge all’altra dicendo “ca tuni”, cioè: io sono così, perché tu no? 96-Pecchì? -Pecchì dui non fannu tri. -Perché? -Perché due non fanno tre. 97-Chi si dici? -Ch’e sardi si mangiàru ‘e lici. -Che si dice? -Che le sarde hanno divorato le alici. 200 98-Cu’ morìu? -Cu’ non potti campàri cchiù. -Chi è morto? -Chi non è potuto vivere più. 99-Arzira jia a Drosi, na figghiola m'issi: - Trasi, ca ti dugnu belli cosi: nucipèrzica e ceràsi. Ieri sera mi sono recato a Drosi e una giovinetta mi ha invitato a entrare. – Ti regalerò – ha detto - nocipesche e ciliegie. 100-Pumu russu ferrandina, urdi pili jiu a la fera. - Chi ‘cattasti.- ‘na lumèra. - Quantu ‘a pagasti? - Tri carrini. - Mina ‘nu pugnu e ‘na culàta e no’ ccumparìri cchiù pe’ ccà, lìbbara ‘a morti cu’ l’anchi storti. Mela rossa ferrandina, quel tale che trama è andato alla fiera. - Cosa hai comprato?- Una lucerna.- Quanto l’hai pagata?- Tre carlini.- Tira un pugno e una botta di culo e non venire più da queste parti, lascia libera la morte con le gambe storte. 101-Ciànginu l’occhi mei comu du’ viti quandu di malu tempu su’ putàti. I miei occhi piangono come due viti potate in un tempo inadatto. 102-Comu siti? 201 Cu’ du’ pedi comu o’ gaiu. - Come state?- Con due piedi come il gallo. 103-E ora chi facimu? - Facimu comu all’antichi, chi si pigghiàru ‘u culu a manàti. -Arrivati a questo punto che cosa possiamo fare? -Faremo come gli antichi, che hanno dato manate al culo. Quindi, niente da fare! 104-Chi mangiàmu? - Cazzi, cucuzzi e ova. E adesso cosa possiamo mangiare? - Cazzi, zucche e uova! 105-Cu’ ccu si’? - Cuccu rresti e cuccu mori! -Con chi sei? -Sei cucco e resterai cucco. Come si nota, si giuoca con le parole. 106-Quandu? - Quandi chiovi e no’ faci falacchi! - Quando? - Quando pioverà e non produrrà fango! 107-E poi? - Figghia ‘a vacca e faci ‘u voi! -E dopo? -Partorirà la vacca e farà un bue. 108-Puntu e basta e ciciri c’a pasta. Punto e basta e ceci con la pasta. 202 Giornata di festa con gli archi e sulla destra la “panzarella” di Piminoro 203 INDOVINELLI Assai in voga nell’antichità come semplice divertimento, ma rivestente a volte anche un carattere ordalico, per cui, intuendo ciò che si proponeva enigmaticamente, si otteneva un alto premio (es. Edipo, Calaf ecc.), l’indovinello rappresentava un tempo uno degli sfoghi più consueti dell’animo popolare. Ideato in versi, come le filastrocche, risulta una ben strana composizione, la cui soluzione, assai semplice e naturale, appare celata in un giro di frasi oscure e apparentemente di significato diverso, che molto spesso risultano concepite in un linguaggio alquanto osceno, ma, invero, assai aderente al modo di vivere e di pensare della gente comune. 1-Nd’aju ‘na cosa chi si chiama ndola, stavi sempri nd’e cazi ‘i tila, quandu vidi fìmmini si ndola, quandu vidi buca ja si ‘mpila. Possiedo una cosa che ha nome ndola (il membro maschile), si trova sempre nei calzoni di tela, appena avvista femmine si ndola, appena avvista buchi vi s’infila. (navetta del telaio) 2-È tundu e non è mundu, è d’acqua e non è erba, è russu e non è focu. È tondo e non è la Terra, è fatto d’acqua, ma non è erba, è di color rosso, ma non è il fuoco. (cocomero) 3-Mangiu, mbivu e mi lavu ‘a facci. Mangio, bevo e mi lavo il viso. (cocomero) 204 4-È tundu e non è mundu, è acqua e non è funtana, è russu e non è focu. È tondo e non è il mondo, è acqua e non è sorgente, è rosso e non è fuoco. 5-Nc’è ‘na cosa chi mùzzica e non avi denti. Esiste una cosa che morde pur non avendo denti. (cocomero) (spezia) 6-Mamma, mamma, sugnu prena.- Figghia, figghia, cu’ ti ‘mprenàu!- Mi ‘mprenàu lu zzi’ ‘Ndria sutta o’ ponti da’ ferrovia. Mi ‘ncugnàu ‘na cosa liscia e mi stuppàu lu piscia piscia. - Mamma, mamma, mi trovo incinta.- Figlia, figlia, chi è stato a comprometterti?- È stato lo zio Andrea e il fatto si è verificato sotto il ponte della ferrovia. Mi ha messo una cosa liscia e mi ha turato l’organo da dove orino. (margherita della botte) 7-Calu nd’a me’ ‘gnura, staju ‘nu quartu d’ura: nd’aju ‘na cosa liscia e nc’i ‘a mentu a undi piscia. Scendo dalla mia signora e vi sto un quarto d’ora. Ho una cosa liscia e gliela metto laddove piscia. (margherita della botte) 205 8-Gira, giranna, vota, votanna, fa’ chija cosa poi si riposa. Gira girando, volta voltando, svolge quel compito e poi si riposa. (chiave) 9-A’ muntagna nasci, a’ muntagna crisci, veni a casa e scrusci. In montagna nasce e in montagna cresce, viene a casa e fa rumore. (telaio) 10-Intra o’ stanzìnu nc’è don Peppinu vestùtu ‘i iancu c’a manu o’ hjancu. Dentro la stanzetta si trova don Peppino, vestito di bianco e con la mano a fianco. (vaso da notte) 11-Supra a ‘nu munti nc’è ‘nu giuvani ardenti c‘a manu ‘n fiancu e ch’i labbra votàti comu e mussa ‘i to’ frati . Sopra a una montagna si trova un giovane ardente, che ha una mano a un fianco e le labbra rivoltate come quelle di tuo fratello. (vaso da notte) 12-Sacciu ‘na cosa chi ‘a mentu tisa e ‘a cacciu morta. Conosco una cosa che, quando la metto, è tesa, quando la tolgo è morta. (pasta) 13-ammenz’a tri anchi nc’è lu gguagguaragguà: 206 iju mi ‘rrisi e jeu nci la misi, tosta la misi e moja ‘a cacciài e di la punti gralimandu nescìu. Sopra il tripode c’è l’acqua che bolle: lui mi ha sorriso e io gliela ho messo, tosta l’ho messa e molle l’ho tolta e dalla punta è uscita lacrimando. 14-‘nchianu sup’a ‘na gnura, staju ‘nu quartu d’ura; quandu ija nci arridìa, jeu subitu nci lu mentìa. Salgo su di una signora, vi sto un quarto d’ora; quando lei rideva, io subito gliela ho messo. (pasta) (pasta) 15-Pilu cuntra pilu, jza l’anca ca tu’ ‘mpilu. Pelo contro pelo, alza la gamba che te lo infilo. (calze di lana) 16-Pilùsu d’intra e pilùsu ‘i fora, ‘llonga l’anca ca t’a mentu ora. Peloso all’interno e all’esterno, allunga le gambe che ora te l’infilo. (calza di lana) 17-Nd’aju ‘nu monacu carceratu, è nd’o puntu di morìri, pe’ favuri, facitìlu nesciri. Ho un monaco carcerato, è sul punto di morire, per favore, fatelo uscire. (scorreggia) 18-‘ndovìna ‘ndovinagghia: cu’ faci l’ovu nd’a pagghia? 207 Indovina, indovinello, chi è che fa l’uovo nella paglia? 19-Sacciu ‘na cosa chi si chiama Rosa, rosa non è, ‘ndovina chi è. So di una cosa che si chiama Rosa, ma Rosa non è, indovina cos’è? (gallina) (papavero) 20-Se ‘ndovini comu si chiama me’ mugghieri Rosa ti rigalu ‘na pezzotta ‘i casu. Se indovinerai che nome ha mia moglie Rosa ti darò in regalo una forma di formaggio. Quest’ultimo, più che un indovinello, è un modo di dire ed è rivolto a coloro che indovinano cose abbastanza ovvie. 21-Signor Do’ Maggistorio, alzatevi dal vostro riposatorio mettetevi i mandrànguli, guardàtivi di’ mali ‘ncuntri, avvisàti la vostra patrona e dòmina ca sarta e gràncina si sciarrìjau cu’ coci crudu, scaccia petrùja ca jacca d’arrìsi, se non currìti cu’ l’abbondanza perdìti tutta ‘a sustanza. Signor don Magistorio, scendete dal vostro letto, calzate le pantofole, attento ai mobili, avvisate vostra moglie che il gatto ha litigato col fuoco, l’asino sta crepando dalle risa, se non accorrete con l’acqua perderete tutti i beni. 208 Questo è un misto d’indovinello e filastrocca, dove le contaminazioni dall’italiano risultano parecchie. 22-Su’ donna di palazzu, cascu e no’ m’ammazzu. Sono donna di palazzo, cado e non mi faccio niente. 23-Sup’a ‘nu munti nc’è Iapicu ‘n frunti c’a spata a manu e lu cappellu ‘n frunti. Su un monte c’è Giacomo di fronte con la spada in mano e il cappello in testa. (oliva) (ghianda) 24-‘u papa l’avi grossu, e’ fimmini nci piaci: è ‘na cosa chi trasi e nesci. Il papa ce l’ha grosso, alle donne piace: è una cosa che entra ed esce. (anello) 25-Vaju a Messina e portu ‘na cosa fina: all’òmini nc’ia ‘mmostru, e’ fimmini nc’ia ‘nfilu. Mi reco a Messina e porto una cosa fine: agli uomini la mostro, alle donne gliela infilo. (anello) 26-‘nd’aju ‘na cosa chi nd’ mani vaci e nd’a coscia no. Posseggo una cosa che va bene per le mani, ma non per la coscia. (fucile) 27-Setti cavalli janchi e unu sulu russu chi mina càuci a tutti. Sette (anche 32) cavalli bianchi 209 e uno soltanto rosso che tira calci a tutti. (lingua e denti) 28-Pendìnguli e pendànguli: sutt’all’anchi ‘i to’ mammà nc’è ‘nu pendìngulu e ‘nu pendàngulu. Pendìnguli e pendànguli: in mezzo alle gambe di tua madre si trovano un pendìngolo e un pendàngolo. 29-Peppi, Peppi, chi facisti tu? Darrètu mu’ mentisti? Pe’ l’amuri ‘i tutti i santi, cacciammìllu d’arrètu e mentimmìllu davanti. O Peppe, Peppe, cosa mai hai fatto? L’hai messo dietro? Per l’amore di tutti i santi, toglimelo da dietro e mettimelo davanti. (uva) (braciere) È opinione comune che il braciere messo dietro le spalle di qualcuno produca dei malanni. 30-Sutt’o ponti di Bellacqua nc’è ‘na donna chi si sciacqua brillantina, figghiu di rre cu’ l’indovina. Sotto il ponte di Bellacqua si trova una donna che si agghinda, sarà figlio di re chi l’indovinerà. 31-Sutt’o ponti ‘i Bellacqua nc’è ‘na bella Crementina teni l’occhi comu ‘a gatta mancu ‘u rre ca l’indovina. Sotto il ponte di Bellacqua c’è una bella Clementina, 210 (anguilla) ha gli occhi come la gatta, neanche il re riuscirà a sapere chi sia. 32-nc’è ‘na cosa ammenz’a casa, cu’ ‘rriva pe’ prima ‘a basa. C’è una cosa al centro della casa, chi arriva per primo la bacia. (anguilla) (brocca) Quando nelle case l’acqua corrente era più che un sogno, a soddisfare la sete provvedevano le brocche e, naturalmente, il villano o l’operaio vi accostavano la bocca non appena rientravano dal lavoro usato. 33-Supa a ‘na panca triccentu cinquanta e ‘nu monacu russu chi balla cu’ n’anca. Sopra una panca trecento cinquanta e un monaco rosso che balla con una gamba. (ciliegia) 34-Nesciu du’ scuru e battu nt’o to’ culu. Esco dal buio e m’imbatto nel tuo sedere. 35-Se vo’ sapìri lu chi e lu comu, menti i mani nt’e brachi ‘ill’omu e se vo’ vidìri ca ti lu dicu menti i mani nd’o vijcu. Se vuoi sapere il perché e il come, metti le mani nei calzoni dell’uomo e se vuoi vedere che te lo dico metti le mani nell’ombelico. (vino) (orologio) Il riferimento è all’orologio da tasca, portato solo dall’uomo, il quale per vedere l’ora, doveva alzarlo all’altezza dell’ombelico. 211 36-O chi gustu e chi piacìri quandu si toccanu pili cu’ pili. O che gusto e che diletto quando si strusciano peli con peli. (ciglia) 37-nc’è ‘na mamma chi faci i figghi nd’a cascia. C’è una madre che partorisce dentro una cassa. (melagrana) 38-Centu nidi e centu ova, centu para di lenzola. Cu’ mi ‘nzerta chista prova nc’i rigàlu ‘nu paru d’ova. Cento nidi e cento uova, cento paia di lenzuola. A colui che indovinerà questa prova regalerò un paio d’uova. (melograno) 39-‘nc’esti ‘na mandra ‘i pecuri curci, chi quandu bràmanu, bràmanu tutti. C’è un branco di pecore senza coda, che quando belano, lo fanno all’unisono. Variante: sacciu ‘na mandra di pecuri russi, chi quandu pìscianu pìscianu tutti. 40-Sacciu ‘na cosa longa e tisa chi si ‘nzippa nd’a cammìsa. Conosco una cosa lunga e tesa che si appende sulla camicia. 41-nc’esti ‘na tafareja china ‘i ceràsi c’a sira nci sunnu e a’ matina scumpàrinu. C’è un cesto colmo di ciliegie che di sera si trovano e di mattina si dileguano. 212 (tegole) (cravatta) (stelle) 42-‘a pèndula ‘i me’ patri Genoìsi pendìva comu coccia di ceràsi: a ‘na figghiola schetta nci la misi, nci vòrziru tant’anni ‘mu nci trasi. Tantu forti poi chi nci la misi, catti ‘nu casteju e deci casi. Il pendolo di mio padre Genovese pendeva come tante ciliegie. A una giovane nubile gliel’ha messo e sono occorsi tanti anni perché vi entrasse. Tanto forte poi che gliel’ha messo che sono caduti un castello e dieci case. (orecchini) 43-Li palli di’ lu papa Germanesi nci ‘mpèndinu comu du’ nnocchi di ceràsi. A ‘na fimmina a quindici a nni nci la misi, si misi ‘u grida prima ‘mu nci trasi. Le palle del papa Germanese pendono come due grappoli di ciliegie. A una quindicenne gliel’ha messo e lei si è messa a gridare prima ch’entrasse. (orecchini) 44-Supa a’ ‘nu munti di piripipì nc’è ‘n cavallucciu di so’ maistà. Cu’ mi ‘ndivina nci dugnu ’n tarì. Su di un monte di pipiripì sta un cavalluccio di sua maestà. A chi l’indovina regalerò un tarì. (torre dell’orologio) 45-Me’ patri e m’ mamma su’ morti e jeu nescìa. Vaju a la guerra e no’ fazzu ‘u sordatu. Ahimìa, comu vinni l’omu si batti e jeu su’ battùtu. Mentre io nascevo i miei genitori morivano. 213 Vado in guerra e non faccio il soldato. Ahimè! L’uomo, appena arrivato, si batte e anch’io son battuto. (tamburo) 46-Pirulì trasi ‘n bosco, pirulì trasi tostu, pirulì, tu lu sai, pirulì, tiritìndi assai. Pirulì entra nel bosco, pirulì entra tosto, pirulì, tu lo sai, pirulì tirane assai. (pettine) 47-No’ ssù brutta e no’ ssù bella, sugnu ‘nu pocu brunettella, vaju ‘n camera di principi e di rre: ndovinàtimi chi jè. Non son brutta e non son bella, sono un tantino brunettella, vado in camera di principi e di re: -Indovinatemi cos’è. (mosca) 48-Guarda chi monacu vestùtu ‘i niru! Oh, chi pacenza nci ‘mpendi jà. Guardàti chi meravigghia: la mmerda pigghia, pruppetti fa. Guarda che monaco vestito di nero! Oh, che pazienza gli pende là. Guardate che meraviglia: la cacca piglia, polpette ne fa. 49-nd’aju ‘na cosa longa e liscia cu’ ‘nu fioccu di sutta, gira p’a stanza e poi si ndi vaci nd’a ‘n angulu. Possiedo una cosa lunga e liscia, che con un fiocco di sotto 214 (scarafaggio) gira per la stanza e poi finisce in un angolo. 50-Artu palazzu: se cadu m’ammazzu, me’ mamma mi vidi e si menti m’arrìdi. Un alto palazzo, se cado mi ammazzo, mia madre (il riccio) mi vede e si mette a ridere. (scopa) (castagna) 51-Sugnu ‘nt’a ‘nu grandi palazzu: cadu ‘n terra e no’ m’ammazzu e me’ mamma chi mi vidi lapri ‘a vucca e sempri arridi. Sono dentro un grande palazzo, cado a terra e non mi ammazzo e mia madre che mi vede apre la bocca e sempre ride. E’ una variante della precedente. 52-ndovina ndovinaturi, galantòmini e signuri, prima era figghia, ora su’ mamma, nd’aju ‘nu figghiu maritu ‘i me’ mamma. Indovinate, o risolutori, galantuomini e signori, prima ero figlia, ora son madre, ho un figlio marito di mia madre. 215 Alcuni dicono trattarsi del carcerato, ma in verità si tratta di un indovinello dal significato piuttosto sibillino e incerto. 53-Sutta a’ ‘nu pedi nguanguaranguà nc’è ‘na donna curcàta jà, è vestuta cu’ l’abbitinu, cu’ mi la ‘nzerta ‘nci’ugnu ‘n carrinu. Sotto un piede di nguangaranguà si trova una donna lì coricata, è vestita con l’abito nuovo, a chi l’indovina darò un carlino. 54-Sacciu ‘na cosa chi parla ‘n favella, ma tu no’ senti la parla chi fa. Se vo’ vidìri quantu sì bella, ija non veni se tu non vai jà. Conosco una cosa che parla con favella, ma tu non ascolti il discorso che fa. Se vorrai vedere quanto sei bella, lei non verrà se tu non andrai là. 55-Calu vasciu all’ortu e vidu ‘n omu mortu, nci calu i cazùni e nci vidu ‘u battagghiuni. Scendo nell’orto e incontro un uomo morto, gli abbasso i pantaloni e vedo il grosso battaglio. 56-Ndìndiri ndindirindòla, no’ mi toccàri ca sugnu figghiola, quandu su’ randi mi nèscinu i pili, l’haju janchi e si fannu niri. Ndindiri ndindirindòla, non mi toccare chè son figliuola, 216 (melanzana) (specchio) (granturco) quando sarò grande mi compariranno i peli, ora sono bianchi, ma poi diventeranno neri. (spiga) 57-Don Peppinu e don Peppanu, chi faciti nt’a ‘ssu chianu? No’ mangiati e no ‘mbivìti e cchiù longu vi faciti. Don Peppino e don Peppano, cosa fate in su la piazza? Non mangiate e non bevete e sempre più alto diventate. (asparago) 58-Sup’a ‘na finestreja nc’è ‘na vecchiareja, cu’ ‘nu sulu denti chiama tutta ‘a genti. Sopra a una finestrella c’è una vecchierella, che con un sol dente chiama tutta la gente. (campana) 59-Sup’a ‘nu munticeju nc’è ‘nu vecchiareju e cu’ passa nci caccia ‘u cappeju. Su un monticello c’è un vecchierello e chi passa gli cava il cappello. 60-Rùmbulu cutùmbulu sutt’o ponti caminava e cchiù denti non avìa e cchiù forti muzzicava. Ciottolo capriola sotto il ponte camminava e più denti non aveva e più forte mordeva. (fungo) (pepe) 217 61-Virdi nasci, virdi crisci e virdi mori. Nasce verde, cresce verde e muore verde. (cetriolo) 62-Sup’a ‘na chianta centucinquanta: ‘a cuda virdi e ‘a testa hjanca. Sopra una pianta sono in centocinquanta: hanno la coda verde e la testa bianca. (cipolla) 63-Nc’esti ‘n arburu piangenti cu’ triccentu cavaleri, ognunu la so’ spata a’ Madonna Ddolorata. C’è un albero piangente con trecento cavalieri, ognuno offre la sua spada alla Madonna Addolorata. (ficodindia) 64-Pòvira mamma sbenturata, faci i figghi ammenz’e spini, ‘na cuperta ricamata, pòvira mamma sbenturata. Povera madre sventurata, partorisce in mezzo alle spine, una coperta ricamata, povera madre sventurata. (ficodindia) 65-‘i luntanu ti lu vitti, ammenz’all’anchi t’u calài, ‘i quantu bellu ti lu vitti, jeu di tia mi ‘nnamurai. Da lontano te l’ho visto, frammezzo alle gambe te l’ho calato, di quanto bello l’ho visto, io di te mi sono innamorato. 66-Pendigghiu pendìa, dormigghiu dormìa. 218 (latte di capra) Cadi pendigghiu e rispigghia a dormigghiu. Si leva dormigghiu e si mangia a pendigghiu. Pendiglio pendeva, dormiglio dormiva. Cade pendiglio e sveglia a dormiglio, si alza dormiglio e mangia pendiglio. (pera) 67-Ndòndulu ndòndulu, mamma, chi ti ‘mpendi nd’a ‘ssa gamba? E mi ‘mpendi ‘a massima ‘terna: lu ‘nzippu a lu scuru e no’ vogghiu ‘a lanterna. Ndòndolo ndòndolo mamma, (ndòndulu è la pietra che fa da contrappeso al telaio), che cosa ti pende da codesta gamba? E mi pende la massima eterna: lo metto al buio e faccio a meno della lanterna. 68-Partinu cincu e ‘u pigghianu due. Partono in cinque e l’afferrano due. 69-Du’ lucenti, du’ pungenti, quattru zzòcculi e ‘na scupa. Due occhi, due corna, quattro zoccoli e una coda. 70-Nc’è ‘na cosa piccolina chi ‘a sira si jnchi ‘a casa e nesci ‘i fora. C’è una piccola cosa che a sera riempie la casa e ne avanza per fuori. (tasca) (naso) (vacca) (lampadina elettrica) 219 71-Maritu meu, jsti e venisti e chiju a menz’all’anchi nc’iu dassasti. Marito mio, sei andato e ritornato e quello in mezzo alle gambe gliel’hai lasciato. (asino venduto) 72-Vivu: teni i gudeja intr’o corpu; mortu: teni ‘u corpu intra ‘e gudeja. Da vivo ha le budella dentro il corpo, da morto il corpo dentro le budella. (porco) 73-Non haju vucca e sacciu parràri, non haju pedi e sacciu caminàri. Non ho bocca e so parlare, non ho piedi e so camminare. (lettera) 74-nc’è ‘nu ‘nimali c’a matina camìna cu’ quattru pedi, a menzijornu cu’ dui e a’ sira cu tri. È l’uomo, che da bambino si muove simultaneamente con mani e piedi, poi una volta grandicello con due e alla fine della vita con tre. Infatti, spesso deve fare uso del bastone. BLASONI POPOLARI Nella letteratura gnomica il blasone popolare rappresenta uno dei cardini fondamentali. Come per le grandi famiglie lo stemma nobiliare è il simbolo del casato e raffigura in genere una particolare virtù di schiatta, così il blasone popolare conferisce a interi paesi, in chiave di satira scanzonata, qualità e difetti della maggior parte degli abitanti. 220 Ecco vari blasoni affibbiati a Oppido e frazioni. Alcuni magnificano delle virtù, altri ne deridono i difetti. 1-A Oppitu nci sunnu l’omani gagliardi, a Trisilicu li fimmini cajordi, a Varapodi, focu mu li ardi, nci càccianu di supa tutti ‘i rrobbi. A Oppido vivono gli uomini gagliardi, a Tresilico le donne sporche, a Varapodio, che il fuoco se li prenda, ti tolgono tutta la roba che hai addosso. 2-A Oppitu tri campani: omani e fimmini tutti pputtani. Oppido ha tre campane: sia uomini che donne sarebbero di cattiva condotta morale. Tale blasone è però attribuito a tutti i paesi. 3-Oppidise donna ‘n granne. Le donne oppidesi sono alquanto altere, sia perché consce di appartenere a nobili casati, sia perché fiere della grande tradizione vantata dal paese. 4-Oppitisi scorciampìsi, di la pej faciti cammìsi. Forse un tempo gli oppidesi del ceto contadino usavano portare vestiti di pelle. 5-Oppitisi: scòrciali e mpìsali. Gli oppidesi: scorticali e appendili. 6-Megghiu non avìri p’amicu n’Oppitisanu: ti mangia lu cori, ti mbivi lu vinu, ti tira la petra e ti ‘mmuccia la manu. Per gli abitanti di Santa Cristina d’Aspromonte è bene non coltivare amicizie con un oppidese. Questi ti mangia il cuore, ti beve il vino, tira il sasso e nasconde la mano che l’ha lanciato. Variante: 221 Megghiu avìri ‘nu lupu pe’ amicu e no’ ‘n amicu oppitisanu, ca si mangia la carni, si ‘mbivi lu vinu, ti mina la petra e si ‘mmuccia la manu. È meglio avere un lupo per amico che non un oppidese. Questi si mangia la carne, beve il vino, tira il sasso e nasconde la mano. 7-Allu misi di maju no’ si vìndinu sumèri e a Oppitu e Trisilicu no’ pigghiàri mugghièri. Nel mese di maggio non si vendono asini. Come è noto, è il tempo del loro amore. Contemporaneamente, non pigliare moglie né a Oppido né a Tresilico. 8-A Trìsilicu tri cannistri: omani e fimmini tutti maistri. 9-Trisilicòti mancanti mancanti: omani e fimmini tutti briganti. In Tresilico, una volta comune a sé e oggi semplice rione di Oppido, gli abitanti sono considerati di volta in volta maestri di cucito ovvero briganti. 10-A Trisìlicu ‘mmazzàru ‘na gatta, a Oppitu ‘a scorciàru e a Varapodi s’a mangiaru. Se i tresilicesi ammazzano i gatti, gli oppidesi si preoccupano di ripulirli, mentre i varapodiesi sono lieti di mangiarseli. 11-Abbuffàti ‘i Castejàci, leva morti senza cruci e mancu li straci, 222 abbuffàti ‘i Castejàci. Gli abitanti di Castellace, popolosa frazione di Oppido, hanno forma tozza e goffa. Tra le tante tradizioni, hanno quella di portare i morti al cimitero senza alcun particolare segno di croce. 12-Su’ rugnùsi li Prunari. Sono rognosi gli abitanti di Piminoro, altra piccolissima frazione di Oppido sita sulle prima balze dell’Aspromonte a circa 500 m. s. m. Dopo aver visto come gli Oppidesi vengono considerati dai loro corregionali, ci sia permesso di passare in rassegna i vari epiteti coniati dagli stessi oppidesi per schernire gli abitanti di altri paesi. E cominciamo con Agnana, piccolo centro del versante ionico. 13-E chi veni d’a ‘Gnana? 14-Mancu ‘u veni (o venivi) d’a ‘Gnana! Agnana è considerata da tutti gli abitanti della nostra Piana come la Cretinopoli, paese irreale e misterioso al pari di Bengodi o del Paese dei Balocchi e i suoi abitanti sono stimati tonti. Gli epiteti riportati sono rivolti a chi commette qualche errore o a chi sembra di cadere dalle nuvole. 15-Pajèchi=Pretiòti. Sono questi i nativi di Platì, piccolo centro costruito nel mezzo di una fiumara e a poco distanza dal mare ionico, che molti rapporti di commercio hanno spinto in passato a venire nella Piana. Anch’essi sono creduti stolidi, in special modo perché parlano un curioso dialetto, che, con molta probabilità, è di derivazione greca. Sono qualificati anche come quelli di jà ‘rretu o di retumarina. 16-Burdellàri ‘i Messina. 223 Messina è stato sempre per gli oppidesi luogo di perdizione e di lussuria. 17-Mancu li cani: pàrinu i carditani. Gli abitanti di Cardeto, presso Reggio, godono di una brutta nomèa. Se due fratelli litigano o se le danno di santa ragione, si suole dire che assomigliano, in tale loro poco onorevole azione, ai cardetani. 18-T’i cuntu a’ pizzitana. Il conto alla pizzitana (ab. di Pizzo) è il conto di colui che non ha tanta sete di pagare e rimanda sempre alle calende greche il creditore. 19-I bagnaròti si cangiàru a San Petru ch’i patati. Davvero terribili le bagnarote (di Bagnara Cal.), infaticabili lavoratrici, ma anche astute di tre cotte. Un tempo hanno dato via una statua di S. Pietro in cambio di patate. 20-Tra ‘na parma e ‘na rosa nci sta ‘na gioia. Tra Palmi (antica Palma) e Rosarno c’è Gioia. SCIOGLILINGUA 1-Tri trizzi ‘ntrizzàti nd’a tri ‘ntrizzàti trizzi. Tre trecce intrecciate in tre intrecciate trecce. 2-‘nd’a ‘na pignatèja nova pocu pipi càpinu. Un pentolino nuovo contiene pochi peperoni. 3-Sutt’a ‘nu palazzu nc’è ‘nu cani pazzu, te’ pazzu cani ‘stu pezzu di pani. Sotto un palazzo c’è un cane pazzo, tieni, pazzo cane, questo pezzo di pane. 224 4-Jendu e venèndu, cuttùni cogghièndu, jia e venìa, cuttùni cogghìa. Andando e venendo, cotone raccogliendo, andava e veniva, cotone raccoglieva. 5-Setti mazzi ‘i canni cuzzi, setti cuzzi ‘i mazzi canni. Sette fasci di canne mozze, sette mozzi di fasci di canne. 6-Tri sacchi stritti nt’a tri stritti sacchi. Tre sacchi stretti dentro tre stretti sacchi. Impaperandosi nel pronunziare i vari scioglilingua, al posto delle innocenti parole vien facile di dire delle parole sconce assai intuibili. STRAMBOTTI AMOROSI E STORNELLI A DISPETTO 1-Angilu di lu celu, arricchia e senti. Cu’ t’ama di bon cori esti ccà ‘vanti. Bella la vucca tua, janchi ‘ssi denti, puru lu to’ parràri fai galanti. Quandu camìni cu’ ‘ssi passi lenti li petri di la via ti fai pe’ amanti. O angelo del cielo, origlia e senti. Chi ti ama di buon cuore 225 è qui davanti a te. Bella la bocca tua, bianchi codesti denti, pure il parlar tuo rendi vezzoso. Quando cammini coi tuoi passi lenti i sassi della via ti fai amanti. L’innamorato, nella foga del suo canto amoroso, rivolge alla sua bella frasi addirittura enfatiche. Per lui l’amante è un angelo del cielo e tutto in lei è fuori del comune. È così leggiadra nel camminare da farsi amanti persino le pietre della strada. 2-‘nd’aju ‘na chitarreja di li boni, e di li boni la testa e li nnuci. Quandu la mentu nd’a li setti torni pizzica li cordi duci duci. Lu sonaturi era di li boni, appassionatu canta la so’ vuci. Possiedo un’ottima chitarra, tutto in essa è perfetto. Quando l’accordo con le sette note pizzica le corde dolce dolce. Il suonatore era di quelli buoni e appassionato canta la sua voce. L’innamorato stavolta non è solo. Una buona chitarra gli fa da fida compagna. 3-Arzìra cu’ lu luci di la luna vitti ‘na ficareja melangiana e lu me’ cori ndi volìva una. Affaccia Peppineja e m’issi: -‘nchiana. A lu ‘nchianari ca ‘nchianài sicuru, a lu calàri si schiancàu la megghiu rrama. No’ ciàngiu no’ li fica e no’ li pruna, 226 ciangiu ca si schiancàu la megghiu rrama. Iersera al lume della luna ho visto un fico (quello che fa i frutti color melanzana) il mio cuore ne desiderava uno. Si è allora affacciata Peppinella e mi ha detto: -Sali. A salire son salito spedito, ma nella discesa si è rotto il miglior ramo. Non piango né i fichi né la prugna. Piango perché si è rotto il miglior ramo. e Il seguente è uno stornello a dispetto. Si noti come l’innamorato, deluso o ingelosito, cerchi di far apparire “più brutta della malanova” la sua ragazza. 4-Bruttu lu surbu e puru la surbàra, tu si’ cchiù brutta di la malanova, mi rissimigghi ‘na serpi a la sipàla quandu mi mmostri lu denti di fora. Chiùditi nt’a ‘nu culu di caddàra e pe’ cent’anni non nescìri fora. Brutte le sorbe e brutto pure il sorbo, tu sei più brutta della malanova, somigli a una serpe nella siepe quando metti il dente fuori. Chiùditi in un fondo recesso e per cent’anni non venirne fuori. 5-Vatìndi, vacabbundu, va’ e travagghia ca mi rrovinasti ‘na gioia di figghia. Ieu ti la dezzi chi parìa ‘na quagghia e tu mi la ‘rrustisti a la gravigghia. Vattene, vagabondo, va’ e lavora chè mi hai rovinato una perla di figlia. Io te l’ho data che sembrava una quaglia e tu l’hai arrostita alla graticola. 227 In quest’altro stornello a dispetto una madre impreca contro un genero vagabondo che ha ridotto in condizioni pietose la sua adorata figliuola. 6-E nd’a ‘sta strata pèndinu du’ canni, ‘na nova bandera e quattro ‘ntinni; nc’è ‘na figghiola di quattordici anni, calàta di lu celu ‘n terra vinni. So’ mamma la criscìu cu’ tanti affanni, vinni a lu maritari e non la tinni. Tenitivvìlla vui pe’ du’ mil’anni, vi dicu: - Bonasira e … jamunindi. In questa strada appese son due canne, una bandiera nuova e quattro antenne. C’è una ragazza di quattordici anni, che sembra dal ciel quaggiù discesa. Sua madre l’ha cresciuta con tante pene, quando è stata a ora di maritare non l’ha frenata. Tenetevela voi per duemila anni, vi dico: - Buonasera e … vado via. Una madre, che non può più trattenere la figlia di quattordici anni, un bel tocco di ragazza che vuol marito a forza, la lascia alfine agire come pretende la sua bizzarra testolina, ma non sarà poi facile trovare marito perché ognuno la rifuggirà. 7-E guarda chi ti fa’ lu ‘nnamuratu: ‘nu lignicèju stortu di sambùcu. Nd’avi li cazi cusùti cu’ spacu e la cammisèja cu’ filu tingiùtu. E guarda che ti fa l’innamorato, un piccolo legno storto di sambuco. Ha i pantaloni legati con lo spago e la camiciola col filo tinto. Scherzosa presentazione di un povero e ridicolo innamorato. 228 8-Chista è la strada di lu malu diri ca mancu ‘nu giuvaneju poti passàri, ca tutta la genti si menti a diri: chistu è lu zzitu di la tali e tali. Questa è la strada della maldicenza che neppure un giovanotto può passare. Tutta la gente si mette a dire: - Questi è il fidanzato della tale e tale. Le strade dei paesi sono un vero guaio. D’ogni parte spuntano occhi e orecchi. Basta un segno, uno sguardo o solamente che un tizio vi passi più d’una volta perché le comari lo definiscano fidanzato di Tizia o di Caia. 9-Chi m’amasti a fari? Chi m’ha’ focu, sendu chi mi volivi abbandunari. Tu ti cridivi ca l’amuri è giocu? L’amuri è focu e non si po’ stutari. Che mi hai amato a fare? Che tu sia preda del fuoco dato che pensavi di abbandonarmi. Tu credevi che l’amore fosse un gioco? L’amore è un fuoco che giammai potrà spegnersi. 229 (Foto Luigi Morizzi) Il lavatoio presso la Fontana grande di Tresilico Antica edicola sulla via che portava alla fiumara Rosso 230 (cartolina viaggiata 1930 – ed. Brunetti) Leo Sagoleo (Africo 1850 - Oppido 17-1-1937) conosciuto come ‘u zzi’ Leu. È rimasto sinonimo di trasandatezza. Questa la frase che a Oppido s’indirizza ancora oggi a una persona malvestita o ricoperta con poveri e laceri panni: “Mi pari ‘’u zzì Leu”, quindi jiri comu o’ zzi Leu. 231 INDICE - Introduzione - Favolistica - L’Umanità - L’uomo e i suoi pregi - L’uomo e i suoi difetti - La donna - Il marito - La moglie - Il padre - La madre - I figli e i ragazzi in genere - I parenti - Compari e comari - I vicini - Gli amici - La casa - Mestieri e professioni - L’educazione - Giurisprudenza spicciola - Credenze superstiziose - Dio e i Santi - Il diavolo - Preti e monaci - Rapporti sociali - Stupidità umana - Rassegnazione - Timori e apprensioni - Fortuna e sfortuna - Ricchezza e povertà - Avarizia e risparmio - Furbizia - Imprecazioni ed epiteti vari - Igiene e medicina - Culinaria - Il contadino e la campagna pag.5 5 19 19 22 39 43 44 46 46 47 50 53 53 55 57 61 65 66 71 73 79 79 83 96 100 107 109 114 124 129 131 133 141 146 - Calendaristici - Le stagioni e i mesi - I giorni della settimana - Previsioni astronomiche - L’amore - Filastrocche - Indovinelli - Blasoni popolari - Scioglilingua - Strambotti amorosi-stornelli a dispetto 148 148 161 162 163 166 204 220 224 225 Finito di stampare nel mese di giugno 2010.