Academia.eduAcademia.edu
06 nella stessa collana 9-03-2010 11:22 Pagina 295 Nella stessa collana: 1. G. Martina, Storia della Compagnia di Gesù in Italia (1814-1983) 2. F. De Giorgi, Rosmini e il suo tempo. L’educazione dell’uomo moderno tra riforma della filosofia e rinnovamento della Chiesa (1797-1833) 3. A. Villa, Ebrei in fuga. Chiesa e leggi razziali nel Basso Piemonte (19381945) 4. D. Menozzi, R. Moro (eds.), Cattolicesimo e totalitarismo. Chiese e culture religiose tra le due guerre mondiali (Italia, Spagna, Francia) 5. J. Lecler, Storia della tolleranza nel secolo della Riforma (2 voll., 2 ed.) 6. D. Saresella, Dal Concilio alla contestazione. Riviste cattoliche negli anni del cambiamento (1958-1968) 7. G. Vecchio, Lombardia 1940-1945. Vescovi, preti e società alla prova della guerra 8. M. Marcocchi, Spiritualità e vita religiosa tra Cinquecento e Novecento 9. M. Firpo, Inquisizione romana e Controriforma. Studi sul cardinal Giovanni Morone (1509-1580) e il suo processo di eresia [nuova edizione riveduta e ampliata] 10. R. Anni, Storia della Resistenza bresciana. 1943-1945 11. U. Zuccarello, I Vallombrosani in età postridentina (1575-1669). Tra mito del passato e mancate riforme 12. F. Motta, Bellarmino. Una teologia politica della Controriforma 13. V. Frajese, Nascita dell’Indice. La censura ecclesiastica dal Rinascimento alla Controriforma, 2 ed. riveduta 14. D. Menozzi, Giovanni Paolo II. Una transizione incompiuta? 15. D. Gabusi, L. Rocchi, Le feste della Repubblica: 25 aprile e 2 giugno 16. C. Belci, G. Bodrato, 1978. Moro, la Dc, il terrorismo 17. H. Jedin, Breve storia dei Concili. I ventuno Concili ecumenici nel quadro della storia della Chiesa (10 ed.) 18. F. De Giorgi, Laicità europea. Processi storici, categorie, ambiti 19. P. Broggio, F. Cantù, P.-A. Fabre, A. Romano (eds.), I gesuiti ai tempi di Claudio Acquaviva. Strategie politiche, religiose e culturali tra Cinque e Seicento 20. E. Giunipero, Chiesa cattolica e Cina comunista. Dalla rivoluzione del 1949 al Concilio Vaticano II 21. A. Riccardi, Il “partito romano”. Politica italiana, Chiesa cattolica e Curia romana da Pio XII a Paolo VI [nuova edizione ampliata] 22. M. De Giuseppe, Messico 1900-1930. Stato, Chiesa e popoli indigeni 06 nella stessa collana 9-03-2010 11:22 Pagina 296 23. S. Boesch Gajano, E. Pace (eds.), Donne tra saperi e poteri nella storia delle religioni 24. Ch. Cairns, Domenico Bollani vescovo di Brescia. Devozione alla Chiesa e allo Stato nella Repubblica di Venezia del XVI secolo 25. M. Patti, Chiesa cattolica tedesca e Terzo Reich (1933-1934). Il caso di Schmaus, Lortz, Taeschner, Pieper, von Papen 26. P.D. Giovannoni, La Pira e la civiltà cristiana tra fascismo e democrazia (1922-1944) 27. G. Luzzatto Voghera, G. Vian (eds.), Storia della vita religiosa a Venezia. Ricerche e documenti sull’età contemporanea 28. D. Saresella, David M. Turoldo, Camillo De Piaz e la Corsia dei Servi di Milano (1943-1963) 29. P. Giovannucci, Canonizzazioni e infallibilità pontificia in età moderna 30. H. Jedin, Il Concilio di Trento, vol. I. Concilio e riforma dal concilio di Basilea al quinto concilio Lateranense. Perché così tardi? La storia precedente al concilio di Trento dal 1517 al 1545, 4 ed. 31. M. Marcocchi, Cristianesimo e cultura nell’Italia del Novecento 32. M. Catto, La Compagnia divisa. Il dissenso nell’ordine gesuitico tra ’500 e ’600 33. H. Jedin, Il Concilio di Trento, vol. II. Il primo periodo 1545-1547, 3 ed. 34 H. Jedin, Il Concilio di Trento, vol. III. Il periodo bolognese (1547-48). Il secondo periodo trentino (1551-52), 3 ed. 35 H. Jedin, Il Concilio di Trento, vol. IV Tomo primo. La Francia e il nuovo inizio a Trento fino alla morte dei legati Gonzaga e Seripando, 3 ed. (in preparazione) 36 H. Jedin, Il Concilio di Trento, vol. IV Tomo secondo. Il terzo periodo e la conclusione. Superamento della crisi per opera di Morone, chiusura e conferma, 2 ed. (in preparazione) 37. E. Balducci, Diari (1945-1978) 38. P. Salvetto, Tullio Crispoldi nella crisi religiosa del Cinquecento. Le difficili «pratiche del viver christiano» 39. G. De Luca, R. Guarnieri, «Tra le stelle e il profondo». Carteggio 19381945
Pagina 1 Siamo verso la fine degli anni Trenta del Novecento. Lei, Romana Guarnieri è una giovane e brillante studiosa di famiglia borghese italo-olandese, lui, don Giuseppe De Luca un sacerdote di umile provenienza meridionale, il cui sogno è promuovere la cultura cattolica a livelli sempre più alti e meno provinciali. Per la prima volta pubblichiamo qui una parte del loro ricchissimo epistolario, un carteggio tra un uomo e una donna straordinari, che attraversa molti stereotipi propri delle relazioni spirituali-amorose, ma che finisce con il superarli, quasi sempre nelle forme più sorprendenti. Si tratta di uno scambio tra due vite vero, autentico, immediato e diretto, concitato ed emotivo, nel quale i piani diversi si intrecciano. I temi centrali si dipanano già nelle prime lettere, che parlano del loro incontro, e della impetuosa conversione di Romana, motivi iniziali di una sinfonia narrativa e relazionale che si ripeteranno con intensità e profondità crescenti: l’orgoglio, l’ambizione, l’annullamento dell’io, il desiderio, la mancanza, la ricerca e l’abbandono secondo il ritmo di quella mistica che sarà per Romana la vita stessa prima che l’oggetto dei suoi studi. Questo epistolario è allora un’occasione per riflettere su una pista fino ad ora poco seguita, quella delle relazioni spirituali in età contemporanea: studiare non più solo il contributo femminile nella storia del cattolicesimo Otto-Novecentesco, ma vedere i cambiamenti che la nuova presenza delle donne ha prodotto nelle coscienze e nell’agire dei sacerdoti e degli uomini di fede. GIUSEPPE DE LUCA (1898-1962) – sacerdote, editore e intellettuale – è stato uno dei protagonisti della cultura italiana del ’900. Collaboratore per molti anni della Morcelliana, fondò nel 1941 le Edizioni di Storia e Letteratura. ROMANA GUARNIERI (1913-2004) è stata tra le maggiori studiose italiane di storia della pietà e della mistica medievale. Discepola e biografa di don Giuseppe De Luca, gli fu accanto nelle Edizioni di Storia e Letteratura, dedicandosi in particolare all’“Archivio italiano per la storia della pietà”. VANESSA ROGHI si occupa di storia delle donne e metodologia della ricerca storica. Insegna alla facoltà di Lettere della Sapienza (Roma). € 20,00 39 STORIA «TRA LE STELLE E IL PROFONDO» 11:30 DE LUCA - GUARNIERI 9-03-2010 ISSN 1723-8528 Copertina De Luca GIUSEPPE DE LUCA - ROMANA GUARNIERI «Tra le stelle e il profondo» Carteggio 1938-1945 a cura di Vanessa Roghi
04 Indice nomi 9-03-2010 11:19 Pagina 287 Indice dei nomi 287 INDICE DEI NOMI Abelardo, 282 Accati Luisa, 8n., 56n. Addis Saba Marina, 19n. Agostino d’Ippona (Santo), 27 e n., 30 e n., 31, 51n., 159n., 192n. Alberione Giacomo, 254 e n. Angela da Foligno, 19, 64 Antonazzi Giovanni, 6n., 8, 9n., 21n., 25n., 26n., 27n., 33n., 34n., 35n., 40n., 52n., 54n., 55n., 72n., 73n., 114n., 117n., 118n., 140n., 148n., 150n., 151n., 168n., 169n., 182n., 187n., 190n., 199n., 202n., 221n., 222n., 233n., 234n., 257n. Antoni Carlo, 17n. Apollonio Mario, 181n., 228 Argan Giulio Carlo, 182n. Baldi Sergio, 235n. Baldini Antonio, 6n., 21n., 28n., 45n., 46 e n., 47n., 61 e n., 124 e n., 134 e n., 136, 142, 161n., 176n., 178, 188n., 190n., 221, 222 e n. Banca (soprannome di Romana Guarnieri), 169n., 177n., 192, 203, 214, 220n., 231n., 259n. Barelli Armida, 56n., 284 Bargellini Piero, 18, 20, 26, 45n., 62, 93n., 149n., 171, 180, 241 Bartoli Natinguerra Amerigo, 101 e n., 136, 139, 142, 149 e n., 156n., 171, 178 e n., 179, 181 Bartoloni Stefania, 10n., 31n. Ben Ghiat Ruth, 19n. Biondi Fumasoni Pietro, 234n. Bo Carlo, 16, 45 Boesch Sofia, 10n. Bontempelli Massimo, 179 e n Bossarelli Francesco, 258 e n. Bossuet Jacques Bénigne, 20 Bottai Giuseppe, 6n., 49, 149n., 155n., 158n., 159n., 181n., 182, 185n., 189n., 213 e n., 235 e n., Brandi Cesare, 182 e n., 222 Brennan Francesco, 229n. Bugiani Piero, 20 Buonaiuti Ernesto, 285 Burckhardt Jacob, 44, 74, 88n., 89n., 90 e n., 91 e n., 194n. Calvi Giulia, 12n., 13n. Campana Dino, 16 Cantimori Delio, 17n. Capo Lucia, 17n. Capovilla Loris F., 6n. Cardarelli Vincenzo, 224 e n. Carli Maddalena, 49 Casalena Maria Pia, 17n. Castelli Alberto, 228 e n. Cecchi Emilio, 101n., 161 Cenci Felice, 234n. Cerasi Laura, 17n. Chemello Adriana, 16n. Chesterton Gilbert Keith, 136n., 228 e n., 252 e n. Cicognani Amleto Giovanni, 150n. Coari Adelaide, 56n., 285 Coletti Luigi, 220 e n. Covino Sandra, 14n., 17n., 82n., 104n., 211n. 04 Indice nomi 9-03-2010 11:19 Pagina 288 288 Craveri Raimondo, 235n. Croce Benedetto, 25, 44, 45, 46 e n., 47, 48 e n., 88 e n., 89n., 90 e n., 100, 153151n., 152n., 179 e n., 180n., 181, 235 Croce Elena, 235n. Curli Barbara, 12n. D’Amelia Marina, 14n., 68 D’Amico Silvio, 188n. Da Kempen Tommaso, 86n., 188n. Da Persico Elena, 56n. De Clementi Andreina, 69 De Gasperi Alcide, 285, 286 De Giorgio Michela, 16n., 21n., 64n. De Grazia Victoria, 84n. De Lamennais Felicité, 79n. De Longis Rosanna, 68 De Luca Antonio, 72n. De Luca Catalda (Dina), 55, 72n., 103n., 108, 109, 110, 113, 114, 117, 131, 147 e n., 148 e n., 158 e n., 160, 162, 172, 174, 196, 198, 199, 204, 212, 213n., 214, 227, 230, 237, 242n. De Luca Donato, 72n., 108n., 173n., 174 De Luca Luigi, 103n., 108n., 148n., 174, 241 De Luca Maddalena (Nuccia) 14, 55, 34n., 55, 68, 72n., 102 e n., 103, 104, 105 e n., 106 e n., 107, 108, 109, 110 e n., 112, 113, 116, 127, 130, 132, 136 e n., 137n., 138, 147 e n., 148, 149, 150, 157, 158, 159, 171, 174 e n., 175, 177, 181, 182, 199, 210, 212, 214, 217 e n., 218, 224, 227, 228, 229, 230, 23, 237, 241, 242, 264 De Luca Michele, 72n., 103n., 117, 174, 229, 230 Indice dei nomi De Luca Vincenzo, 72n., 102n., 103n. De Sinety Robert, 32, 248n. Di Simone Maria Rosaria, 17n. Dickens Charles, 136 e n., 137 e n., 186 e n. Dionisotti Carlo, 29n., 48n., 256n. Doglio Maria Luisa, 13n. Don Petronio (pseud. di Giuseppe De Luca), 154n., 176n. Donini Ambrogio, 285 Drago (soprannome di Giuseppe Sandri), 169n., 177n., 184, 191, 192, 197, 212, 213, 214, 217, 231, 259 Eloisa, 282 Eluard Paul, 188 e n., 189 Fattorini Emma, 68 Ferrante Lucia, 11n., 13n. Fortunio, (pseud. di Giuseppe De Luca), 170, 172 Fossati Roberta, 10n., 26n., 68 Francia Ennio, 236n. Frodingz Gustav, 90 e n. Gabetti Giuseppe, 16, 17 e n., 18, 19, 22 e n., 44, 71n., 91n., Gaiotti De Biase Paola, 6n., 10n., 11n., 31n., 35n., 56n., 68 Gambaro Angiolo, 79n. Garzarelli Benedetta, 84n., Gemelli Agostino, 284 Gentile Giovanni, 17, 18 Gentiloni Silveri Umberto, 49n. Gezelle Guido, 7, 62n., 76n., 124 e n., 127, 129, 137 e n., 149, 155n., 162, 166n., 176n., 187n., 208, 217 e n., 224, Gide André, 21 Ginzburg Carlo, 13n. 04 Indice nomi 9-03-2010 11:19 Pagina 289 289 Indice dei nomi Giovanni della Croce (Santo), 282 Girolamo (Santo), 56 Giuliotti Domenico, 25 Grabmann Martin, 216 e n. Gramsci Antonio, 285, 286 Graves Robert, 168 e n Gregory Tullio, 26n. Grignon da Monfort Luigi Maria (Santo), 186 e n., 199, 204, 209, 212, 213, 214, 217, 228 Grimaldi Alfassio U., 19n. Guarnieri Adriano, 209, 210, 217 Guarnieri Leonardo, 15, 37, 71n., 105, 109, 111, 117, 121n., 127 e n., 128, 131, 132, 134, 135 e n., 136, 137, 138, 139, 140, 143, 156, 159, 162, 166, 176n., 182, 194, 209, 211, 212, 244 Guarnieri Romano 14, 15, 17n., 68, 81n., 93n., 104n., 211n. Guasco Emilio, 20n., 25n., 26n., 42n. Guidi Augusto, 135n., 137n., 159, 164, 167n., 172, 179 e n., 181, 190, 193n., 228 e n. Hadewijch (Hadewych) d’Anversa, 9n., 57, 224 e n., 225 Holst Adrian Roland, 194n. Hopkins Gerald Manley, 45n., 208 e n., 217 e n., 235n. Ireneo Speranza (pseud. di Giuseppe De Luca) 20, 28, 69n., Kierkegaard Sören., 16, 31 La Rovere Luca, 84 Labalme Patricia H., 7n. Lautreamont (pseud. di Isidore Lucien Ducasse), 16 Lazzareschi Eugenio, 228 e n. Lazzari Marino, 181n. Liverani dott., 160, 242 Lombardo Agostino, 16n. Lussana Fiamma, 12n., 19n. Luzzatto Sergio, 84n. Maccaferri Gabriella, 121 e n., 159, 166, 167, 187n., 194, 204, 209, 210, 231, 244 Maglione Luigi, 234n. Majnoni Max, 21n., 154n., 220 e n. Malena Adelisa, 10n., 68 Malgeri Francesco, 79n. Mangoni Luisa, 6n., 14n., 18n., 20n., 25n., 26n., 29n., 42n., 45n., 46n., 47n., 48n., 49n., 57n., 62 e n., 69n., 76n., 90n., 149n., 151n., 152n., 153n., 161n., 169n., 179n., 180n., 182n., 188n. Manzoni Alessandro, 46n. Marchetti Selvaggiani Francesco, 59 Marchetto Agostino, 9n., 14n. Maria di Campello, 285 Mazzolari Primo, 285 Mc Nabb Vincent, 217 e n., 228 Mercati Giovanni, 232n. Militello Cettina, 13n. Minelli Fausto, 6n., 22, 45 e n., 76n., 102n., 135n., 136n., 152n., 166n., 179 e n., 181, 184, 188 e n., 235n. Minnucci Gaetano, 15, 17, 59, 71n., 104n., 167n., 171, 173, 176n., 196n., 212, 232, 258n. Monsagrati Giuseppe, 11n. Montesi Festa Hilda, 188 e n. Moro Renato, 90n., 149n., 155n., 182n., 189n., 235n., 236n. Motti Lucia, 12n., 19n., 23n. Muraro Luisa, 5n., 13n., 64n. 04 Indice nomi 9-03-2010 11:19 Pagina 290 290 Negri Ada, 190 e n. Nietzsche Friedrich, 16, 22 Ottaviani Alfredo, 168n. Palazzi Maura, 11n., 13n. Paola (Santa), 56, 247, Papero (soprannome di Giuseppe De Luca), 169n., 191, 192, 219 Papini Giovanni 6n., 14, 15, 16, 18, 20, 22, 25, 26, 33n., 34n., 40, 41, 45, 46, 54, 55, 62, 92 e n., 93n., 105, 116 e n., 118, 148, 153n., 161 e n., 172, 175n., 179 e n., 180, 181, 183, 189 Pascal Blaise, 76 e n. Paschini Pio, 220n. Pasquini Luigi, 190 e n. Pastore Alessandro, 143n. Péguy, Charles, 21, 45n., 210 e n. Picchi Mario, 6n., 25n., 26n., 29n., 48n., 49n., 69n., 93n., 138n., 154n., 182n., 186n., 236n., 246n. Pomata Gianna, 10n., 11n., 13n., 64n. Pompilj Basilio, 222 e n. Porciani Ilaria, 7n., 17n., 42n. Porete Margherita, 7, 63, 64 e n. Poulat Emile, 42n. Praz Mario, 228 e n. Prezzolini Giuseppe, 6n., 14, 20, 26, 30n., 33, 40, 93n., 151n. Prosperi Adriano, 10n., 13n., 14n. Proust Marcel, 45n. Racine Nicole, 12n. Rebora Clemente, 15, Rebora Clemente, 285 Riccardi Andrea, 168n. Ricciotti Giuseppe, 221 e n. Rimbaud Arthur, 16, 21 Indice dei nomi Rivière Jacques, 45n. Rochefort Florence, 7n. Rodano Franco, 280 Roghi Vanessa, 19n., 22n., 42n. Rosa Mario, 26n. Rossini Giuseppe, 20n. Rotundo Battista, 72n., 102n., 170n., 230n. Rotundo Dina, 72n., 103n., 108, 109, 110, 113, 114, 117, 131, 147, 148 e n., 158 e n., 160, 162, 172, 174, 196, 198, 199, 204, 212, 213n., 214, 227, 230, 237, 242n. Rotundo Donatella, 6n., 68, 69n., 103n., 147n., 154n., 158n., 171, 172, 174, 182n., 236n., 246n. Rotundo Giovanna, 68, 242n. Rotundo Hilda, 108n., 148 e n., 221n., 227, 230 Rotundo Michele, 103n., 148n., 242n. Rusconi Roberto, 10n. Ruusbroeck Jan van., 194, 217 e n. Salerno Elisa, 56n. Salvaneschi Nino, 81 e n. Sandri Giuseppe, 27n., 34, 49 e n., 50, 59n., 61, 76n., 159n., 163 e n., 169 e n., 175, 176, 177, 178, 181 e n., 184, 185, 186, 190, 192n., 193, 196, 198, 201, 202, 203, 205, 206, 207, 208, 210, 219, 231, 236, 239, 241, 244, 247n., 248, 249, 253 e n., 256, 279, 280, 281 Sandri Leopoldo, 25n., 49, 138n. Saurer Eidth, 11n., 31e n. Scaraffia Lucetta, 10n., 13n., 14n. Scattigno Anna, 7n., 17n., 42n., 64n., 68 Schiaffini Alfredo, 49 e n., 186 e n. 04 Indice nomi 9-03-2010 11:19 Pagina 291 291 Indice dei nomi Scott Wallach Joan., 11n. Sculte van Kessel Elisa, 5n., 10n., 13n., 17n. Sensi Mario, 15n., 74n., 78n., 217n. Serao Matilde, 188 e n. Simons Carla, 261n. Smith Bonny G., 7n. Soffici Ardengo 14, 16, 18, 44 Soldani Simonetta, 11n. Solfaroli Camillocci Daniela, 10n. Spolverini Domenico, 168n. Staderini Alessandra, 17n. Stendhal (pseud. di Henri-Marie Beyle), 185 e n. Van Beuge Iete, 15, 74 e n., 82, 86, 99, 110, 117, 119, 121, 209, 212, 226, 237, 238, 266, 267 Vannutelli Primo, 15, 16n., 79 e n. Vauchez Andrè, 26n. Vecchio Giorgio, 10n. Verlaine Paul, 16, 76 e n., 88 Verschaeve Cyriel, 187n., 194, 244 Vian Paolo, 138n. Vigezzi Bruno, 63n. Vittoria Albertina, 152n., 221n. Voltaire (pseud. Francois Marie Arouet), 20 Von le Fort Margherita, 284 Wiesel Elie, 33n. Tardini Domenico, 168n. Teresa d’Avila (Santa), 282 Tesoro Marina, 11n. Tincani Luigia, 56n. Toesca Pietro, 19n Torti Licia, 252 e n. Tranfaglia Nicola, 152n., 221n. Trebitsch Michel, 12n. Turoldo Davide Maria, 285 Van Beuge A.M., 15 Zarri Gabriella, 7n., 10n., 13n., 14n. Zemon Davis Natalie, 7n. Zucconi Angela, 17n., 19 e n., 20 e n., 21 e n., 22, 23 e n., 24, 26, 28, 29, 31, 63, 68, 69n., 71 e n., 72n., 74e n., 79 e n., 84, 96, 98, 107 e n., 264n., 68, 69n. 04 Indice nomi 9-03-2010 292 11:19 Pagina 292 Indice dei nomi
03 Postfazione 9-03-2010 11:19 Pagina 269 269 Postfazione Postfazione 03 Postfazione 9-03-2010 270 11:19 Pagina 270 Emma Fattorini 03 Postfazione 9-03-2010 Postfazione 11:19 Pagina 271 271 «Maledicevo questa testa che non la piantava di pensare, e questo cuore che sempre smaniava: e mi ritrovo con una fiducia e una serenità che non so capire da dove provengano…mi sento sicura…mi sento tutta gratitudine, nient’altro che gratitudine, così, per tutto e per tutti; non so dirle bene com’è» (lett.21, 23 febbraio 1939) Siamo verso la fine degli anni Trenta del Novecento. Lei, Romana Guarnieri, è una giovane e brillante studiosa di famiglia borghese italoolandese, lui, don Giuseppe De Luca un sacerdote di umile provenienza meridionale, il cui sogno è promuovere la cultura cattolica a livelli sempre più alti e meno provinciali. Per la prima volta pubblichiamo qui una parte del loro ricchissimo epistolario, un carteggio tra un uomo e una donna straordinari, che attraversa molti stereotipi propri delle relazioni spirituali-amorose, ma che finisce con il superarli, quasi sempre nelle forme più sorprendenti. Dalla lettura di queste missive si esce frastornati. Colpisce l’esposta intimità delle loro lettere e il primo impulso è quello di lasciare che restino chiuse nel cassetto dove Romana Guarnieri le aveva sempre tenute, chiedendo però in molte occasioni e a diverse amiche di pubblicarle, di renderle note. Le considerava il suo lascito più prezioso, il suo tesoro. Dopo avere superato il senso di profanazione per questa intimità violata, ma con la coscienza di aver svolto il compito che lei ci aveva chiesto, la seconda impressione è di sorpresa. Ci si aspetterebbe un carteggio spirituale, magari a parti invertite come nella migliore tradizione, dove è quasi sempre lei a tenere le fila della direzione spirituale; invece il percorso di conversione non è, almeno esplicitamente, il cuore del loro appassionato comunicare. Come non lo è neppure, prevalentemente, lo scambio culturale e intellettuale che sullo sfondo fa da specchio ad una incandescente emotività. Potremmo allora concludere che si tratti di un carteggio amoroso e mistico, di una passione sublimata, ma anche questa definizione non 03 Postfazione 9-03-2010 272 11:19 Pagina 272 Emma Fattorini rende l’impetuosità della relazione. L’unica connotazione che gli si addica davvero è che si tratti di uno scambio tra due vite vero, autentico, immediato e diretto, concitato ed emotivo, nel quale i piani si intrecciano e ciascuno può cogliere un frammento piuttosto che un altro di un affresco comunque quanto mai cangiante. Ma di cosa tratti veramente l’epistolario che pubblichiamo qui, in realtà, lo sapremo solo nel commento postumo che farà Romana Guarnirei; quando, già anziana svelerà la sostanza spirituale quasi sacramentale del loro rapporto, attraverso la rilettura molto meditata che ne è venuta facendo nel corso degli anni. Perché al di là di una lettura di superficie, il loro è un vero confessarsi, un mettere nel crogiolo della conversione, tutta la vitalità della relazione, i suoi bisogni e le sue pulsioni. Due personaggi fuori dal comune, letti e studiati in tutti i risvolti delle loro ricche produzioni intellettuali ma non ancora messi a confronto nella loro relazione: di De Luca, grazie alla pionieristica ricerca di Luisa Mangoni, In partibus infidelium (Einaudi 1989) conosciamo il percorso tormentato, le amicizie intellettuali, le importanti realizzazioni. Della Guarnieri sono note le ricerche sulle forme di aggregazione femminile che non hanno dato luogo ad una fondazione conventuale o monastica vera e propria, come il bizzocaggio, piste approfondite nelle ricerche di Gabriella Zarri e di tante studiose impegnate nell’approfondimento della religiosità femminile; un altro filone nel quale ha espresso grandi intuizioni è quello sulla mistica femminile: sua è “la scoperta” della mistica olandese Margherita Porete, studi ripresi in particolare da Luisa Muraro, all’interno del suo pensiero sulla differenza femminile. Su queste ricerche esistono ormai studi esaustivi di cui dà ampio resoconto Vanessa Roghi nella sua introduzione. Della relazione tra la Guarnieri e De Luca, invece, si è scritto molto poco, e le cose più belle le ha scritte come dicevamo proprio Romana negli anni Ottanta e Novanta sulla rivista “Bailamme”, un periodico, come recitava il sottotitolo, di “spiritualità e politica”, intorno al quale si confrontavano strane teste pensanti, cattolici, ex-comunisti, ebrei, femministe, laici, consacrati. Tutti intorno a lei, nel suo mitico salotto invaso da piante, libri, quadri e da tanti gatti e, purtroppo dal loro invadente odore, a pensare la fine delle illusioni messianiche e di tutto un mondo. Ormai alla soglia degli ottant’anni, la lucidissima e vulcanica studiosa, in una rubrica di quella rivista, intitolata Ricordando, ritorna con la memoria ai momenti salienti della loro relazione. Ne escono degli spaccati storici sulla Roma dell’occupazione tedesca e del dopoguer- 03 Postfazione 9-03-2010 Postfazione 11:19 Pagina 273 273 ra, dei racconti gustosissimi sui più grandi intellettuali, sugli uomini di curia, sui politici dell’epoca; ritratti di una memorialistica di alto livello, scritti con quella vivacità espressiva che è una caratteristica costante della sua comunicazione messa alla prova nei generi letterari più diversi, dalle lettere, ai saggi scientifici, agli articoli per i giornali e le riviste, cui si dedicherà fino agli ultimi giorni della sua vita, quando, con una tenacia e una costanza sorprendenti, seguiva l’uscita dell’ultimo numero della rivista «Bailamme». Le lettere che qui presentiamo riguardano la fase iniziale di quel rapporto, esplosiva e coinvolgente come solo può essere l’innamoramento, entusiasmante e totale come in una conversione improvvisa. La conversione infatti avviene nel pieno delle pulsioni giovanili, e prende le forme della rinuncia radicale, del lasciare tutto, da parte di una giovane neofita, che nulla sa di chiesa e religione, «quando, nella mia totale ignoranza e semplicità, ogni parola biblica aveva un sapore particolare, immediato che mi toccava nel profondo e mi giungeva dalla profondità dei secoli quasi detta a me, unicamente a me e a nessun altro. Beata stagione dell’infanzia spirituale, una stagione che anche lei non torna più, mai più. Anche l’anima ha le sue età, e quella matura non sempre è lieve da portare [...]». Così scrive Romana in un Ricordando su «Bailamme» del 1991, quando racconta come, il primo giugno del 1943, dopo il duro ultimatum dei genitori, lei e don Giuseppe decisero «sull’istante: basta! Uscimmo di casa mia piuttosto stravolti, e avviatici senza la minima idea di dove ci saremmo diretti, dopo avere detta devotamente un’avemaria e un’invocazione al mio angelo custode, in una maniera che ricorda il San Francesco dei Fioretti, giunti alla Porta di San Pancrazio e imboccata la discesa verso San Pietro, bussammo alla porta del primo conventino che incontrammo per la nostra strada e chiedemmo della madre superiora». Uno strappo, una rottura, un non voltarsi più indietro, come il giovane ricco del Vangelo. L’ingorgo emotivo, il marasma esistenziale della giovane Romana, vissuto con un orgoglio consapevole delle sue tante doti intellettuali ed umane, che le fanno sentire così vicina la parabola dei talenti, è dunque lo scenario della sua rapida conversione, del suo innamoramento e affidamento al Signore. Don Giuseppe ne è il tramite e l’ispiratore; con lei è, prima di tutto, un prete. E così lo vuole descrivere Romana: «parlando del De Luca molti finiscono per discorrere dello scrittore finissimo, dell’erudito straordinario, del dotto umanista, del politico segreto, dell’amico senza 03 Postfazione 9-03-2010 274 11:19 Pagina 274 Emma Fattorini l’eguale: tutte cose vive, reali, nobilissime e nobilissime in lui, dotato come pochi: ma guarda caso si dimenticano di parlare del meglio, di quello a cui lui stesso ha tenuto sopra ogni altra cosa al mondo: il suo essere prete» e davvero “un prete, prete”. («Bailamme» 1, aprile 1987). Allo stesso modo potremmo dire di Romana: oltre al suo talento di studiosa, poco si sa della sua fede, di quel suo essere legata interamente alla tradizione vivendo pienamente lo spirito del Concilio Vaticano II, del suo essere “beghina” sfidando i venti delle mode conciliari che volevano la donna emancipata, “alla pari del prete”. Sarebbe bello finalmente dare conto delle sue fedeltà ad una tradizione mistica di grande rigore, restando pienamente moderna, rimanendo, forse proprio in virtù di questo, fedele per intero alla sua identità femminile. Il suo è un percorso esistenziale che la ascrive a pieno titolo tra le grandi figure spirituali femminili novecentesche, capaci di leggere con gli occhi della mistica la materia degli eventi storico-politici, così incombenti nelle coscienze del secolo scorso, e di farlo con occhi di donna. E forse, proprio grazie a questa “identificazione femminile” ha vissuto serenamente l’ultimo periodo della sua vita, in quel momento tanto complicato per la chiesa e per il mondo nel quale le è toccato invecchiare. Una fede gioiosa, non esente da increspature, dovute a quel carattere indomito, a tratti iroso, su cui cercava di lavorare con pazienza e modestia ma con il quale veniva a patti e che finiva con l’accettare. Una fede matura, più che aridamente adulta, perché l’amore per la pietà non era solo colta erudizione, ma pratica vissuta, nei rapporti con le persone, con i suoi animali, con le sue piante. Anche della produzione scientifica di Romana Guarnirei, come dice bene la Roghi nella sua introduzione, si sa pochissimo in confronto a don Giuseppe De Luca, e comunque solo in riferimento a lui. Sua ispiratrice mistica, un po’ eccentrica e trasgressiva, quindi da tenere a distanza, con quella diffidenza che il mondo maschile della chiesa ha sempre provato per le sue compagne di fede: blandite, incoraggiate, idealizzate, raramente riconosciute nella loro alterità, nella loro differenza. Don Giuseppe si sottrae abbastanza a questo schema secolare perché la prende sul serio, si mette a nudo davanti alla sua interiorità spirituale e alla sua fine intelligenza. Del resto oltre alla sua originale testimonianza di fede è poco conosciuta anche la sua produzione scientifica, non meno interessante e decisamente più documentabile. Donna di grande cultura, esperta erudi- 03 Postfazione 9-03-2010 Postfazione 11:19 Pagina 275 275 ta, dottissima e precisa, alle tante studiose che hanno avuto la fortuna di conoscerla testimoniava l’acribia, la solerzia, la pazienza, e non solo l’intuizione suggestiva immediata, il volo pindarico compiaciuto, l’estro creativo di un femminile evanescente. La sua rinuncia ad una brillante carriera universitaria non significherà mai allentamento del rigore e della serietà scientifica. 2. Non si dirà mai abbastanza dell’eccentricità di questo incontro: lei avida di vita, appassionata di letteratura e d’arte, completamente ignorante e disinteressata – come dirà sempre – di chiesa, e di religione, si converte grazie a questo prete romano tutto interno alla formazione tridentina, che coltiva il sogno di un’erudita ricostruzione della tradizione cattolica tramite il confronto con la cultura laica più alta e, insieme, con la pietà popolare dei semplici. Difficile immaginare una polarità più estrema, che si intreccia e si fonde nella passione comune per la ricerca di Dio. I temi centrali si dipanano già nelle prime lettere, che parlano del loro incontro, e della impetuosa conversione di Romana, motivi iniziali di una sinfonia narrativa e relazionale che si ripeteranno con intensità e profondità crescenti: l’orgoglio, l’ambizione, l’annullamento dell’io, il desiderio, la mancanza, la ricerca e l’ abbandono secondo il ritmo di quella mistica che sarà per Romana la vita stessa prima che oggetto dei suoi studi. «Don Giuseppe, è come se qualcuno si stesse pigliando gioco di me: quando fuggivo mi rincorreva, e ora che non fuggo più anzi vorrei avvicinarmi si ritrae» (lett. 9). Durante tutto il primo anno della loro relazione, il bisogno di abbandono e di affidamento a Dio conosce la novità degli slanci e delle frustrazioni mistiche e De Luca ne è investito in pieno anche se Romana capirà ben presto di non potere certo avere dal suo amico prete quella protezione psicologica e affettiva di cui avrebbe tanto bisogno. E già nei primi tempi, pur nella sua ricerca di trovare un porto sicuro, una vera guida spirituale e morale, è già lei a pilotare e governare la sua “soggezione”: è lei che chiede come deve essere diretta e lo fa da subito, già nelle prime lettere, «Per questo Le dico: non tema mai di essere troppo duro con me. È di durezza che ho bisogno» (lett. 8). In questi primi tempi, Romana ha più equilibrio, mantiene la bussola, è più generosa di sé, non cede mai all’autocommiserazione né ai sensi di colpa, non si lamenta, manifesta una continua gratitudine per le piccole e le grandi gioie della vita, ed esprime un continuo inno, 03 Postfazione 9-03-2010 276 11:19 Pagina 276 Emma Fattorini francescano verrebbe da dire, alla natura, all’aria, al sole, alle montagne, a una buona notte di sonno ristoratore. A lei, allegramente in viaggio per l’Europa, don Giuseppe scrive dei suoi affanni: «Povero, caro don Giuseppe, quanto vorrei poterle dare un poco della gioia [...]: saperla stanco, avvilito, a Roma, [...] è l’unica nota malinconica di questo mio viaggio» (lett. 31). Alla giovane donna, forte e solare, De Luca, invece, si consegna lamentoso, «disincanto, stanchezza, stati d’animo sempre palpitanti, inquietudini e malsanie» (lett. 30); ipocondriaco fino alla paranoia, ossessionato dal rischio di ricadere nel mitico “esaurimento nervoso”, durato peraltro non più di un anno, terrorizzato dalla colite, bulimico negli studi e nelle relazioni, morbosamente geloso e continuamente richiedente affetti e conferme. Ciclotimico e fusionale, vive in costante bisogno di contatto; era così con la madre, dalla quale non si era mai staccato, e sarà così con le sorelle, specialmente Nuccia, figura adorata e bistrattata. Nuccia avrà sempre un rapporto ambivalente con Romana, le due donne saranno in qualche modo “costrette” ad un’amicizia loro malgrado, in nome del comune amore per don Giuseppe e della loro comune gelosia. Queste lettere ci restituiscono, nella loro forma ancora grezza e immediata, i tratti speculari dei loro caratteri. Ma non bisogna farsi ingannare dallo schema troppo semplificato che esse offrono: a don Giuseppe sembrerebbe appartenere tutto lo stereotipato corredo del femminile lamentoso e bisognoso di emozioni e passioni, incontenibile e fragile, a Romana l’equilibrio, la disciplina, il senso della misura, del limite, del positivo. C’è del vero in questo, il carattere di De Luca fu sempre umbratile, ipersensibile e soggetto a depressioni cupe ed a improvvise esaltazioni, un carattere, come scrive Romana, faticosissimo per chi gli stava affianco, “tremendo per lui che dovette sopportarsi per tutta la vita”. Ma queste lettere rendono anche giustizia alla sua profonda capacità introspettiva, in grado di costruire una direzione spirituale penetrante e comunicativa, nonostante la sua esasperata autoreferenzialità: «Confessandomi, don Giuseppe mi faceva scendere in profondità sconosciute e paurose, scoprire plaghe interiori mai prima esplorate... ma poi, piano, piano, per vie sempre nuove (come facesse non lo so, ma non ricordo una sola volta ch’egli mi abbia detto la stessa cosa con le stesse parole, mai che m’abbia dato il senso della routine spirituale) mi conduceva verso l’alto, infondendomi pace e gioia e nuovo coraggio e 03 Postfazione 9-03-2010 Postfazione 11:19 Pagina 277 277 una gran voglia di vivere e operare in armonia con tutto e con tutti, e prima di tutto con me stessa» («Bailamme» 1 [1987]). Al di là dunque della modalità relazionale piuttosto prevedibile, per quanto intensa e ricca, che vede invertiti i ruoli di direzione, le loro personalità si intrecciano in forme assai complicate. La loro è una ricerca vera, robusta, innervata dalle ripetute pieghe psicologiche del rapporto ma che ritorna, in cerchi sempre più concentrici, a quel bisogno di intimità e contatto con il Signore che né le passioni culturali, né quelle esistenziali scalfiranno mai. Non c‘è dubbio che la dimensione di fede è quella centrale per entrambi, anche se forse non lo è rispetto alla loro relazione, che per questo sarebbe improprio definire “solo” spirituale. Vediamo perché. Don Giuseppe sente su di sé tutti i mali del mondo e si identifica con i malesseri altrui in una empatia fusionale: «Tu sai che io mi ammalo della malattia degli amici e ti dissi delle doglie atroci che mi sopravvennero quando Dina partoriva. Lavorando vicino a te, che accusavi enterite, anch’io accusai enterite» (lett. 56). Anche per Romana è centrale il sentimento di solitudine e di separazione, che assume però in lei forme meno morbose; il suo terrore – gli scriverà – è quello il sentirsi sola e il sapere che nessuno potrà mai conoscerla nell’intimo. Un bisogno di compenetrazione, di assoluto, di fusione che crea aspettative amorose, slanci affettivi e che si esprime in lancinanti lacerazioni separative: «Addio, in un baleno, ironia, mordacità, addio persino intelligenza e ragione: due volti improvvisamente seri, una stretta di mano febbrile, un groppo alla gola ricacciato rabbiosamente e un lungo salutare dal finestrino, sgomento, per un attimo quasi disperato. Come forte reclama i suoi diritti questa nostra natura umana, e come duro, a momenti, opporvisi [...]» (lett. 34). Il “fare tutt’uno” del sentire mistico, il bisogno di perdere i propri confini, li accomuna entrambi anche se in forme più filamentose e dirompenti per lui, più sobrie e consapevoli per lei. Questa tensione a fondersi e con-fondersi sarà il cuore della loro relazione, origine dei loro turbamenti e anche delle loro incomprensioni. Dell’amore attraversano tutte le fasi, «dall’innamoramento, all’amicizia, al matrimonio» (lett. 32), se lo dichiarano, ne parlano, si turbano, ne fanno occasione di perfezionamento spirituale e ragione per ferirsi, conoscersi, lottare, un distillato di sentimenti ed emozioni che non verranno mai consumati carnalmente. La piena, lucida consapevolezza di entrambi a questa rinuncia è vissuta in modo tempestoso ma 03 Postfazione 9-03-2010 278 11:19 Pagina 278 Emma Fattorini non morboso, non tormentosamente assillante; una rinuncia che cresce in profondità e consapevolezza anche da parte di De Luca, per quanto sempre avvinghiato al suo incalzante Erlebnis. È un amore luminoso che cresce sulle differenze: solarità, della giovane borghese e protestante, e dolorismo colpevolizzante del prete cattolico, una comune ambizione intellettuale vissuta in modi tanto diversi. Lei cerca un direttore spirituale e troppa emotività potrebbe essere turbativa, perché sulle cose spirituali «ho un tale pudore, sono rimasta protestante. Vorrei poter trovare un direttore spirituale di cui conoscessi la voce soltanto» (lett. 38). De Luca, meno fine nelle sue introspezioni, compensa la sua invadente impulsività con una sottile e autentica verifica della propria vocazione sacerdotale e spiega con convinzione che la sua «non è prepotenza, volontà di dominio [...] E non temere mai, Romana: non ti voglio accerchiare, soverchiare, coperchiare: ma io stesso, e lo vedrai, aiuterò la tua liberazione da tutto e tutti, anche da me» (lett. 41). Ed effettivamente, nel corso dei lunghi, successivi decenni, il loro diventerà un inossidabile sodalizio senza fagocitazioni amorose. Prevaricazioni forse ci saranno, ma di quella natura sociale e culturale che considera la subalternità del femminile all’intelligenza maschile appartenere all’ordine naturale delle cose. Si amano in forme diverse: Romana affina una sapienza spirituale capace di raggiungere dei veri stati di pace e di accettazione, una quiete calma e fiduciosa che cercherà sempre di comunicare al suo amico, lui le risponde inquieto e tormentato. Un’alleanza in cui misteriosamente tra i due trapassa un dono che non appartiene al merito ma alla grazia: lei riceve quello che a lui è, in natura, negato. Lei dipinge un piccolo quadretto per lui e lui si affretta a farlo valutare e giudicare da critici e pittori. Un modo goffo e intellettualistico che addolora Romana, perché il gesto di tenerezza che vi era racchiuso, secondo lei, non sarebbe stato capito. Lei pensa che lui voglia solo soppesarne il valore artistico e non coglie il significato della gratuità del gesto e questo per lei è fonte di un grande dispiacere, anche se conferma la stima e l’investimento culturale che De Luca fa su di lei. Ed è comunque una forma di dono, un omaggio alla sua creatività da parte di chi, pensa, potrà meglio di lui essere davvero in grado di riconoscerla. 3. Le lettere procedono con questo andamento fino alla metà di agosto del 1942, quando il loro scambio raggiunge l’apice, il distillato 03 Postfazione 9-03-2010 Postfazione 11:19 Pagina 279 279 delle reciproche interiorità. È questo il punto di svolta della loro intesa spirituale, un momento in cui don Giuseppe raggiunge un grado di consapevolezza molto alto dei suoi problemi emotivi e, insieme, del suo squilibrio interiore. Grazie soprattutto all’influenza di don Giuseppe Sandri, che lui definisce il suo discepolo preferito e che in realtà è una sorta di sua coscienza critica. Il rapporto tra i due è molto importante e rivelatore del passaggio fondamentale dei loro reciproci percorsi interiori. Pur diversissimi, fili interiori e biografici li legheranno fino al giorno in cui Sandri lascerà il sacerdozio il 19 aprile del 1949, per potere essere più fedele, dirà, alla parola del Vangelo, sine glossa. Entrambi iniziano come officiali di curia, in diplomazia e come minutante Sandri e come archivista alla Congregazione per la Chiesa orientale De Luca, tentativi malriusciti di arginare e contenere questi spiriti inquieti con incombenze di ufficio che si rivelano troppo soffocanti per le loro aspirazioni ad una ricerca intellettuale libera e totale. E così si ritroveranno insieme nell’avventura delle Edizioni di Storia e Letteratura e soprattutto nella comune vita sacerdotale, vissuta in forme tanto diverse: per De Luca un continuo dinamismo, fatto di iniziative, di successi e di realizzazioni come di fallimenti e frustrazioni, segna un faticoso impegno contraddittorio ma insopprimibile di stare nel mondo, fosse la curia, la cultura o la politica. Per Sandri la vita ascetica, il dormire per terra e digiunare, l’eremitaggio e l’astinenza da ogni desiderio saranno portati all’estremo fino alla rinuncia al sacerdozio e alla presa di distanza dalla chiesa. Si priva, in questo modo, di un privilegio non necessario alla fede. «Lo si vedeva camminare per Roma in costume di San Benedetto Giuseppe Labre – si legge nella sua “scheda personale” all’Archivio del Vicariato di Roma del giugno del 1949 –: barba lunga e incolta, vestito lacero, una breve bisaccia al braccio [...] Non aveva casa e non si sapeva dove dormisse la notte [...] qualcuno lo credeva matto, i più lo dicevano santo. In un triduo aveva espresso delle idee strane: secondo lui, il clero oggi non vive più secondo il Vangelo». Precursore di carismatici pentecostali, vicino all’esperienza dei “preti operai”, ostile comunque alle regole e alla disciplina , accusato di vivere in totale promiscuità con le sue devote come “i fratelli del Libero Spirito”: da questo e da tante altre leggende nasceva un mito che si alimentava, come sempre, delle scarse e confuse notizie sulla sua vita, oltre che del totale riserbo chiesto da lui e fedelmente rispettato dai suoi seguaci. E del resto, come dissero i suoi superiori, una 03 Postfazione 9-03-2010 280 11:19 Pagina 280 Emma Fattorini volta ridotto allo stato laicale, per la chiesa era come se fosse morto. L’unica costante che ritorna nei ricordi e nelle scarse testimonianze su di lui, con malcelata ammirazione e più spesso con esplicito rimprovero, è il fascino esercitato su donne di diversa provenienza. Ennesima e non ultima ragione per nutrire più che diffidenza, fino a ad un vera e propria condanna di una figura che comunque destava stupore e curiosità. «Parecchie suore e altre donne, – si legge sempre nella sua “scheda personale” – già sue penitenti vanno pazze ancora per la sua direzione, e non sanno staccarsene, almeno con il pensiero, e la stranezza delle idee». Instabilità mentale e promiscuità con il femminile: un binomio classico, sicuro sinonimo di trasgressione. Prima di giungere a questa rottura definitiva con la Chiesa, il confronto-scontro tra De Luca e Sandri era stato serrato, tagliente sui grandi temi dell’ubbidienza e dell’autorità nella chiesa, o sul modo concreto e personale di vivere il sacerdozio, nelle lunghe notti che Sandri trascorreva a casa De Luca. La delusione, il dolore, l’ira, il senso di abbandono sono questi i sentimenti – classici in queste circostanze – che De Luca parteciperà a Romana quando Sandri gli comunicherà di lasciare il sacerdozio. «Sentire cum Ecclesia è già una salvezza dal gorgo del nulla che ci assorbe ogni ora un poco. Il vero grembo di questo nome non l’ha la storia, ma la chiesa», le scriverà nell’agosto del 1949. È stata quella una estate turbolenta per chi nella chiesa aveva scelto di affiancare il movimento operaio e le sue forze, contro cui il 28 giugno il Sant’Offizio aveva espresso il decreto di condanna, la scomunica per i comunisti e i loro fiancheggiatori. De Luca è in stretti rapporti con Franco Rodano e il suo gruppo, collabora con la loro rivista «Voce operaia», ne media i rapporti con la Segreteria di Stato. Rigorosamente “dentro il grembo della Chiesa” terrà un rapporto con Sandri, ne scriverà a Romana, in belle e lunghe lettere scritte negli anni Cinquanta, quando al pellegrino eremita capiterà di dormire di nuovo presso di lui e di servire anche la messa: «Sta di fatto che vicino a lui un sentimento nuovo della vita cristiana sorge nel cuore e ti fa parere pura formalità non tanto quello che fai, la Messa compresa, quanto lo spirito con cui le fai. Si dà veramente una rivelazione interiore, a stargli accanto. Gli ho dunque giurato l’inimicizia più accanita con la più tenera amicizia» (20 agosto 1951). Eppure nelle interminabili discussioni tra i due, nelle lunghe notti insonni, Sandri si era dimostrato capace di cogliere la radice profonda dell’inquietudine spirituale di De Luca: il suo irriducibile e pervicace 03 Postfazione 9-03-2010 Postfazione 11:19 Pagina 281 281 attaccamento, una dipendenza dal lavoro, dal risultato, dai progetti, dagli affetti, insomma il suo incessante bisogno di desiderio. Una lettera bellissima di De Luca del 12 agosto di quell’anno contiene il racconto desolato e ormai sfiancato della sua lotta per uscire da ogni desiderio, dal desiderio del desiderio. Di fronte alla sua continua angoscia di non realizzare, di non produrre risultati, di non essere all’altezza delle sue ambizioni, don Sandri «non rispondeva altro che anche questo amore al lavoro, così forte, non è amore a lui, e poteva cadere. Non bisogna amare Nulla, egli mi diceva; amare Lui [...]» De Luca è di fronte al passaggio spirituale più difficile: la spoliazione da ogni desiderio, che, ecco, lui così passionale e volitivo, sanguigno e orgoglioso, si trova davanti a sé: «Non soltanto il desiderare e non possedere, anzi uscire da ogni desiderio; [...] e sentirsi, un reietto, appunto perché amico di me e non di Lui». E così tutto il suo affaccendarsi, disponibile per tutto e tutti, farsi succhiare e risucchiare, «essere grano alle galline, il ricevere lettere, telefonate, amici, a perdifiato [...] insomma l’essermi buttato allo sbaraglio m’ha infranto e fracassato». Il confronto con lo spirito ascetico di totale distacco dal mondo e dai suoi affanni, la continua spoliazione a cui lo richiama don Sandri, mettono in crisi profondamente don Giuseppe, lo costringono ad una continua verifica fino alla resa finale: «Io non sono chiamato alla “sua” vita; io sono chiamato alla “mia”. Questa sarà, come è, inferiore: ma è la mia. Non posso lasciarla senza perdermi. Potrò, dovrò migliorarla con l’aiuto di Cristo». La risposta di Romana il 14 agosto è forse la più bella e intensa che gli abbia mai scritto; c’è in lei un sollievo profondo e discreto che, “senza pontificare”, la rende felice delle conclusioni a cui lui è finalmente giunto: un suo maggiore distacco dalle passioni. È, il suo, un compiacimento che Romana esprime con una delicatezza femminile straordinaria, pudica, senza rivincite e con un ego finalmente placato e realmente spoglio: «Ma non ne avevo mai il coraggio di insistervi perché so che quella che lei chiama saviezza, rispetto a lei è anche per tanta parte minore forza e ricchezza di fantasia in me, maggiore mediocrità o minore genialità [...] e perciò a me è tanto più facile non uscire fuori via e tenere un relativo equilibrio». Non si tratta di una manifestazione di debolezza femminile, in tutto questo enorme epistolario Romana giganteggia e non darà mai segni di sentirsene “in colpa”, ma c’è una trasparenza sincera nel sentirsi meno fantasiosa, 03 Postfazione 9-03-2010 282 11:19 Pagina 282 Emma Fattorini meno fattiva, passionalmente non così concitata. Quando, nel corso degli anni Romana si rivelerà più equilibrata e matura, una vera e propria direttrice spirituale della loro relazione, anche e proprio allora dichiarerà la sua inferiorità, i suoi limiti, la sua misura. Ci sono passaggi che rimandano al bisogno di sottomissione e all’interrogativo di sempre sulle ragioni di quel bisogno femminile, che sembrerebbe così insopprimibile per poter con-sistere, per esistere. Eppure in questo caso, per moltissime ragioni, non ultime quelle di una superiorità sociale e culturale di provenienza della famiglia di Romana, lo schema tradizionale che ribalta i ruoli femminili e maschili della direzione spirituale non è affatto semplice e lineare. «Più di quarant’anni sono trascorsi da allora e oggi che ho i capelli bianchi comprendo come quel mio giovanile fervore aveva infuso nuovo slancio e nuova gioia di vivere al maturo sacerdote al mio fianco, stanco, deluso, sfiduciato; ero entrata nella sua vita – come ebbe a dirmi una volta – come un gran vento che gli aveva buttato all’aria tutte le carte, poggiate in bell’ordine sulla sua scrivania. Oggi capisco. Allora capivo poco o niente» («Bailamme», aprile del 1987). 4. L’epistolario che presentiamo qui per la prima volta è allora un’occasione per riflettere su una pista fino ad ora poco seguita, quella delle relazioni spirituali in età contemporanea. Studiare cioè non più solo il contributo femminile nella storia del cattolicesimo Otto-Novecentesco, ma vedere i cambiamenti che la nuova presenza delle donne ha prodotto nelle coscienze e nell’agire dei sacerdoti e degli uomini di fede. Certo, nel Medioevo e nell’età moderna le grandi coppie mistiche e monastiche, spirituali e amorose hanno raggiunto vette inarrivabili, da quell’amore assoluto e mai eguagliato tra Abelardo ed Eloisa a quello tutto spirituale tra Francesco e Chiara che sogna di succhiare il latte dal seno turgido di Francesco, a Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, che nel suo cammino interiore non metterà mai in gioco il corpo, come invece farà sempre Teresa. Il corpo, come di consueto veicolo della religiosità medievale e mistica, sarà il canale delle comunicazioni, delle differenze e delle fusionalità tra uomo e donna nel rapporto tra loro e con Dio. Una vera e propria miniera per scandagliare il mutare di queste relazioni si trova nel primo romanticismo tedesco, quando affiorano i germi di un’affascinante spiritualità femminile che, a differenza del tardo romanticismo, non proporrà l’amicizia tra uomo e donna nelle 03 Postfazione 9-03-2010 Postfazione 11:19 Pagina 283 283 vesti sentimentaleggianti di una divisione dei ruoli secondo gli stereotipi conservatori. «Cosa c’è di meno accettabile nella nostra etica, nelle nostre opinioni e nella nostra arte migliore, della femminilità esagerata, che cosa c’è di peggio di una mascolinità esasperata?», scriveva Friedrich Schlegel. L’amicizia tra uomo e donna può sconfinare nel sentimento amoroso delle Affinità elettive di Goethe, così come nelle complicità luciferine delle Liaisons dangereuses di de Laclos, ma in entrambi i casi si è raggiunta una parità tra uomo e donna nella sfera intima e spirituale. Parità nella vita interiore che non corrisponde alla parità pubblica e politica che si raggiungerà non per la via romantica ma per quella illuministica, strada maestra dei diritti, dell’uguaglianza che porterà al suffragismo e alle conquiste novecentesche della cittadinanza. La via romantica è dunque quella dell’interiorità, quella della differenza femminile tutta giocata sull’intimità delle proprie relazioni, luogo privilegiato d’inveramento del femminile. Una relazionalità intima, amorosa o spirituale che molte volte veicola anche scambi di potere mondano. Non c’è dubbio che questa radicale parità sul piano interiore abbia avuto la sua origine fondante nel cristianesimo. Il fatto che «non ci sia più né uomo né donna, né schiavo né libero davanti a Dio», come si legge in san Paolo (Gal 3,28), afferma un’uguaglianza radicale, perché ne è garante una paternità che trascende ogni appartenenza ed è radice della libertà. È interessante vedere fino a che punto questa parità interiore che si declina nell’epoca moderna anche in termini laici sia debitrice della tradizione religiosa, quale sia la fenomenologia di questo incontro, quale sia stato lo specifico del contributo religioso. Dopo la Rivoluzione francese le donne, alleate con le istituzioni ecclesiastiche nel progetto intransigente per arginare gli effetti corrosivi della secolarizzazione, hanno esercitato un’influenza molto forte nel contenere la scristianizzazione degli ambiti maschili, in primo luogo in famiglia con i mariti e i figli. Un’effervescenza femminile che si rivela nelle tante fondatrici di nuove congregazioni, in un’esplosione di spiritualità mariana rivolta alle coscienze femminili, in un rinnovato culto della santità femminile. In parallelo cresce la presenza pubblica delle cattoliche con il sostegno dell’associazionismo femminile, dall’Opera dei congressi fino ai partiti e ai sindacati del secondo dopoguerra. In questo percorso, l’a- 03 Postfazione 9-03-2010 284 11:19 Pagina 284 Emma Fattorini nima intransigente del movimento femminile si trasforma in quella più laica e democratica del cattolicesimo politico, ma senza perdere quel nocciolo intransigente proprio della sua stessa spiritualità. Credo che sia ormai giunto il tempo di un rinnovamento profondo dell’approccio alla storia della religiosità femminile contemporanea, non più soltanto, come è evidente da tempo, per non farne mero oggetto di studio separato, ma nel senso più preciso di studiare le palesi o sotterranee influenze sulle diverse spiritualità maschili novecentesche. Si tratta cioè di mettere a fuoco il tema delle relazioni spirituali, indagare come, in situazioni collettive ma più spesso in relazioni private, alcune di particolare rilievo anche pubblico, altre rimaste rigorosamente intime, le specifiche “virtù” della religiosità femminile influiscano e in che direzione sulla spiritualità maschile. L’anima fattiva e quella spirituale sono state troppo spesso tenute scisse: «Lei non è fatta per la contemplazione, lei cucirà le nostre opere», tuonava padre Gemelli ad Armida Barelli, divenuta “cassiera” dell’Università Cattolica. Eppure sappiamo quanto persino la sua straordinaria efficacia, fattiva e lamentosa insieme, abbia sconfinato anche su territori spirituali, come nella definizione e diffusione del culto del Sacro Cuore. All’opposto, della religiosità femminile, è stata enfatizzata una certa qual spiritualità intimistica e mariana di tipo sentimentale, molto idealizzata, e valorizzata per quanto spesso temuta. Le radici sono ancora in quella Femme eternelle di Margherita Von Le Fort: «Più una donna è donna e più è vicina a Dio» scriveva, suggerendo l’idea romantica di uno speciale rapporto tra donna e Dio, e dunque che dal femminile avviene una intercessione tutta particolare, più intima e sicura per il cammino interiore di avvicinamento a Dio. Una radice romantica e intransigente che fa da sfondo alle pagine scritte da Giovanni Paolo II sulle donne, rivisitate dal papa polacco quali custodi di una fedeltà originaria, una primizia, che non si limita a renderle pari all’uomo, ma diverse, differenti, e se mai “superiori” perché più vicine a Dio, avendone generato il Figlio. I temi che qui evochiamo hanno tutti, come è evidente, un respiro di lunghissima durata e sarebbe importante dissotterrarli a proposito dei tempi più vicini a noi, facendoli emergere dalla piattezza della secolarizzazione. Ne scaturirebbero esempi interessantissimi del debito che tanti uomini di fede hanno contratto dall’avere incontrato alcune donne nel loro cammino interiore. 03 Postfazione 9-03-2010 Postfazione 11:19 Pagina 285 285 La donna, nelle vesti di una rinnovata Beatrice, diventa ad esempio il tramite più efficace di conversione: tutto da ripercorre il rapporto tra Clemente Rebora e Adelaide Coari, la donna che lo condurrà alla conversione. Infine una caratteristica comune della presenza spirituale femminile nella comunità religiosa novecentesca è la sua straordinaria capacità d’intrecciare rapporti con persone e situazioni tra loro tanto diverse. Valga per tutte la vicenda di Suor Maria di Campello, vero centro e snodo di relazioni mondiali. Intima amica di Ernesto Buonaiuti, capofila dei modernisti italiani, sarà sospettata ella stessa di eterodossia, lei che non sceglie un’inquadratura canonica per le donne raccolte intorno al suo eremo, distante, protetto, nascosto ma da cui passa, letteralmente, “il mondo”. I suoi rapporti di amicizia si sviluppano con don Primo Mazzolari, Ambrogio Donini, padre Davide Maria Turoldo e fuori dall’Italia con Gandhi e Schweitzer. Dalla capacità di tessere reti di relazioni, la donna interiore si dispone anche ad essere ispirazione e sostegno verso un solo uomo nel matrimonio ma pure in relazioni sentimentali, patti e sodalizi costruiti nell’ impegno e nella dedizione comune nei confronti di una grande causa, che nel Novecento assume spesso i contorni di una religione civile, di messianismi rivoluzionari. Si respira una profondità e un sentimento particolari in alcuni coppie del primo novecento, veri e propri sodalizi morali e spirituali pensiamo a quello tra Ada e Piero Gobetti, a quello così infelice tra Giulia e Antonio Gramsci, a quello successivo di Francesca e Alcide De Gasperi e di molte altre coppie, note e meno note, impegnate in un comune progetto di militanza nel mondo. È come se l’esaltazione delle differenze di genere e dei ruoli femminili e maschili all’interno della coppia, invece di creare solchi, finissero per esaltare le comuni ragioni ideali, così che i destini individuali e il senso della responsabilità storica trovassero, nella relazione amorosa, un rifugio ma anche un alimento. La donna diveniva una compagna alla pari, ancorché da proteggere. La protezione è forse la restituzione che veniva offerta alla donna da questa coppia paritaria. Il binomio parità e protezione è la cifra di queste relazioni eccellenti: la compensazione della parità con il bisogno maschile di offrire e di quello femminile di richiedere protezione consente di non slittare nel binomio conflittuale tra forza morale (femminile) e potere sociale (maschile). «Ti amo come si ama la donna del cuore, ma soprattutto ti amo come si ama [...] l’amica del mio pensiero. [...]Un giorno ti scrissi che 03 Postfazione 9-03-2010 286 11:19 Pagina 286 Emma Fattorini amo le mie idee sovra ogni cosa e creatura. Ma non esiste più né una sovrapposizione né una subordinazione...», così scrive De Gasperi, nel 1921, alla fidanzata Francesca Romani in una delle sue tante, bellissime lettere. Proprio la nettissima differenza tra il ruolo maschile e quello femminile porta, solo per un apparente paradosso, a fare della propria donna una compagna alla pari: «Francesca ti ringrazio perché mi comprendi. Ti voglio libera compagna, amica di pari iniziativa e indipendenza, e nulla mi ripugna di più che farti da maestro e di frugare nella tua coscienza.» È la stessa aspirazione che si legge nelle prime lettere di Gramsci a Giulia, appena conosciuta nel sanatorio moscovita, durante la sua prima visita in Russia, quando si intenerisce nel vederla andare via portando borse pesanti, sola e sperduta “nel mondo grande e terribile”. Il suo primo sentimento verso di lei è quello protettivo di responsabilizzarsi nei confronti della sua solitudine esistenziale e metafisica che è anche sua. Nel loro caso però la parità nel rapporto resterà una pura aspirazione, un rapporto mai veramente vissuto non solo per le condizioni carcerarie di Gramsci ma anche perchè Giulia, per dolorose vicende psicologiche e politiche, finirà per sottrarsi e nascondersi al rapporto, diventando così una delle prime cause della sua sofferenza e del suo stesso isolamento politico. Ma l’esame dei sodalizi morali e intellettuali delle coppie amorose del Novecento ci porterebbe troppo lontano. Vorrei concludere solo ricordando come la ricchezza delle relazioni spirituali Otto-Novecentesche, per quanto meno intense di quelle delle epoche passate, ci aiuti a ribaltare in parte l’ottica con cui abbiamo studiato il problema fino ad ora: non più vedere soltanto cosa le donne hanno dato alla chiesa e alla religiosità novecentesca, ma quanto il mondo religioso maschile sia cambiato nell’incontro con loro. Non solo quanto di tutto ciò che apprendevano nei confessionali le donne ritrasmettessero all’esterno, ma di come i confessori – fossero sacerdoti “importanti” come don De Luca o semplici parroci di provincia – abbiano finito con il modificare la loro stessa antropologia, prima di fare saltare il loro palinsesto intellettuale, attraverso il rapporto con le “loro” donne.
02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 65 65 1938 Carteggio 1938-1945 02 Carteggio 9-03-2010 66 11:18 Pagina 66 Carteggio 1938-1945 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 67 Nota alle lettere 67 NOTA ALLE LETTERE Il presente carteggio è solo una selezione fra le tante possibili nel ricco scambio epistolare (1000 lettere circa) che Romana Guarnieri e don Giuseppe De Luca hanno intrattenuto dal 1938, anno in cui si sono conosciuti, al 1962, anno della morte del sacerdote. La selezione che pubblichiamo riguarda un centinaio di lettere fra le 430 scritte da Romana Guarnieri a Giuseppe De Luca, e viceversa, fra il 1938 e il 1945. Tale selezione risponde sostanzialmente a due motivi: il primo di natura privata, per cui molte lettere “di coscienza” non sembravano ancora da pubblicare dato il coinvolgimento frequente di familiari e amici; il secondo di natura interpretativa, per cui quelle selezionate sono sufficienti per introdurre questa storia di direzione spirituale in tutti i suoi aspetti essenziali. L’arco cronologico, come abbiamo visto, abbraccia gli anni che vanno dal 1938, quando i due si conoscono, al 1945, anno in cui Romana Guarnieri decide di lasciare la sua casa e i suoi, per poter vivere a pieno, pur in stato laicale, il suo voto di castità, vicinanza e collaborazione con De Luca. Per gli anni 1944 e 1945 sono state conservate soltanto le lettere di don Giuseppe De Luca, di quelle di Romana Guarnieri non vi è traccia1. La selezione ha privilegiato dunque le lettere che davano conto della storia di questa “singolare amicizia”, rispettando d’altra parte gli aspetti più privati della vita dei due, aspetti sui quali forse si potrà ritornare ma solo in caso di una pubblicazione integrale del carteggio. Nella disposizione delle lettere si è rispettato l’ordine cronologico, cercando, dove possibile, di attribuire date mancanti a partire da timbri o riferimenti interni ai testi. Si è cercato di rispettare quanto possibile la disposizione grafica dei testi (salvo che per le date allineate a destra per maggiore chiarezza di lettura). Le abbreviazioni sono state conservate, e sciolte in nota. Le date per lo più sempre presenti, ricostruite dove mancanti, attraverso rimandi ad altre lettere. 1 «Le poche lettere che conservo di quegli anni di guerra, in cui per forza di cose dovetti rinunziare ai frequenti spostamenti d’un tempo e di conseguenza il nostro carteggiare si ridusse al minimo, ne recano regolare traccia», R. Guarnieri, Una singolare amicizia, cit., p. 67. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 68 Pagina 68 Carteggio 1938-1945 I brani del carteggio riguardanti familiari, della Guarnieri come di De Luca, non strettamente necessari alla comprensione del testo, sono stati omessi dalla pubblicazione e segnalati da tre punti racchiusi in parentesi quadra. Le lettere di terze persone, in questo caso Nuccia De Luca e don Giuseppe Sandri, sono state inserite nel carteggio rispettando l’ordine disposto dalla stessa Romana Guarnieri al momento della sistemazione del suo archivio. Si noterà che con il passare del tempo diminuiscono le note critiche: le lettere infatti, affrontando questioni più legate alla vita spirituale dei due, non necessitano di un apparato di note, e si spiegano da sole. Ringraziamenti Un primo ringraziamento va al lavoro di due studiose, Luisa Mangoni e Gabriella Zarri che, in ambiti diversi, hanno aperto nuove e fondamentali piste di ricerca. Senza i loro studi questo libro non sarebbe stato pensabile. Tante sono le persone che nel corso di questo lavoro mi hanno aiutata e consigliata. Prima fra tutte Emma Fattorini. Le devo molte cose, ma la più importante è quella di avermi incoraggiata a conciliare studio e maternità. Paola Gaiotti De Biase, Anna Scattigno, Roberta Fossati, Marina D’Amelia, Andreina De Clementi, Rosanna De Longis e Adelisa Malena sono state critiche e autorevoli interlocutrici. Senza i loro studi non avrei colto i tanti aspetti del complicato rapporto fra “donne e preti”. Ma, ovviamente tutti gli errori e i fraitendimenti del testo sono miei. Ho conosciuto i familiari di Romana Guarnieri e don Giuseppe De Luca grazie alle lettere: ho letto con trepidazione del loro stato di salute, della nascita dei loro bambini, della loro vita durante la guerra. Oggi sono loro Romano Guarnieri, Donatella e Giovanna Rotundo i custodi della memoria di Romana e don Giuseppe. Li ringrazio per avermi affidato la pubblicazione di queste lettere, per aver riposto in me la loro fiducia. Un rngraziamento speciale vaa Monsignor Agostino Marchetto che ha letto il testo, secondo la volontà di Romana. Grazie infine a Carla Ordonez e sua madre Maria, per l’aiuto quotidiano. A Tiziana e Marina per una questione di subordinate. A Filippo Tantillo per l’infinita pazienza e amore. A Alice e Anita per aver capito che quando mamma studia bisogna aiutarla. Vorrei dedicare infine questo lavoro a mia nonna, Isolina Moretti, che non c’è più, e alla piccola Emma Ajello, da poco arrivata. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 69 69 1938 1938 1 Lunedì sera 14-3-382 Caro don Giuseppe – salto la tappa del “molto reverendo signore! – Sono grata al mio impulso – Lei lo chiamerebbe diversamente, ma la sostanza rimane la stessa – che mi ha fatto telefonare iersera3, e al mio coraggio che non mi ha permesso di tirarmi indietro stamattina. Confido che Lei mi vorrà concedere un poco di quella amicizia che sempre mi è tanto mancata. Mi perdoni se non le dico di più. Cerco di non pensare, per non soffocare quello che sento deve maturarsi dentro. Se avrà la forza di vivere. E intanto rileggo gli articoli di Ireneo Speranza4. Mi aiuteranno; anche se parlano di poeti, rinascimenti, vocabolario burleschi. Sono stata in Chiesa. E ho pianto: la testa vuota, e il cuore troppo pieno. Dopo i primi dieci minuti Lei ha avuto tutta la mia fiducia5. Per 2 Nel 1938 Romana Guarnieri scrive a don Giuseppe De Luca 26 lettere, il sacerdote 1. Nell’archivio sono conservate insieme alle lettere di De Luca anche due minute di lettere scritte ad Angela Zucconi, in ARG. 3 Così, molti anni dopo, Romana Guarnieri racconterà di quella telefonata: «Domenica, 13 marzo 1938, ore 20. – Pronto! Casa De Luca? – Don Giuseppe in persona. Chi parla? – Buonasera reverendo. Lei non mi conosce. Mi chiamo Romana Guarnieri...(Silenzio di attesa) Sono amica di N.N., che mi ha parlato di lei... (Interessatissimo, con una punta d’ansia nella voce) – Ah! Dica, dica. Come sta? È successo qualcosa? . – No, no sta bene [...] È di me che volevo parlarle», R. Guarnieri, Un incontro, cit., p. 55. 4 Ireneo Speranza, pseudonimo di don Giuseppe De Luca sulla rivista «Il Frontespizio», alla quale il sacerdote collabora in modo continuo a partire dal 1930. «Il Frontespizio» rappresenta per De Luca il primo momento di verifica della possibilità di impegnarsi in partibus infidelium, su temi della cultura laica e cattolica. Sulle speranze nutrite in questo senso da De Luca verso «Il Frontespizio» cfr. L. Mangoni, In partibus, pp. 82-96 e Ead., Aspetti della cultura cattolica sotto il fascismo: la rivista «Il Frontespizio», in AA.VV., Modernismo, fascismo, comunismo, cit., pp. 363-417. Per una ricognizione degli articoli a firma I. Speranza cfr. L. Picchi-D. Rotundo, Bibliografia, cit., p. 15. Sulla scoperta da parte di Romana Guarnieri della doppia identità di De Luca / Ireneo Speranza cfr. R. Guarnieri, Un incontro, cit., pp. 61-62. 5 «Ci scrutammo a vicenda, in un silenzio protratto senza imbarazzo visibile. Lui rilassato, sorridente, con grandi occhi scuri, mobili e intensi, fatti più grandi e profondi da spesse lenti da 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 70 70 Carteggio 1938-1945 questo Le dico: non tema mai di essere troppo duro con me. È di durezza che ho bisogno. Ogni mollezza mi potrebbe essere fatale. Né cerco pietà. Ma forza e chiarezza. Lei anzitutto vuole darmi una fiducia, senza la quale sento che vivere – nel vero e stretto senso della parola – non è possibile. Di questo, più di tutto Le sono grata. Sua Romana Guarnieri 2 Martedì [15.3.38] Don Giuseppe – ho paura – chiedendomi di andare in chiesa tutti i giorni, mi pare di essere stata presa alle spalle, a tradimento6. – Non da Lei, della cui assoluta buona fede non dubito un solo istante. Ma da questo inesorabile svolgersi dei fatti, fuori di ogni possibilità di controllo. Ci illudiamo per un istante di aver ripreso il timone in mano, e subito ci si accorge di non essere che fantocci ciechi, sballottati dalle passioni e dagli eventi, senza sapere il perché, né il come, né il dove. Ho paura. Della violenza dei miei impeti. Nonostante tutto amo questa vita, questo mondo. Ed ora più che mai. E non voglio finire monaca. Non voglio. Dio mio, un poco di pace e di serenità. Ed anche un poco di felicità. Sono stanca e sfiduciata. Mi perdoni. Ma se fossi forte e sicura non Le scriverei. Ed anche questa è cattiveria e ingratitudine. Sono come il vinto che ha consegnato le armi; e vorrebbe riprenderle, ma non può più. Ed è tuttora troppo orgoglioso per voler fidare nella clemenza dell’avversario. Mi ha detto di non prendermi troppo sul serio. miope. Io, un po’ in tralice, senza averne l’aria, ma con addosso una gran tensione [...] Ci scoprimmo degli amici in comune», R. Guarnieri, Un incontro, cit., pp. 60-61. 6 De Luca, secondo quanto scritto dalla Guarnieri, le disse:«Ecco. Entri nella prima chiesa che incontra, uscendo di qui [...] E questo favore me lo faccia tutti i giorni. Si ricordi: davanti al tabernacolo, non meno di tre minuti, non più di cinque», R. Guarnieri, Un incontro, cit., p. 64. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 71 71 1938 Ma non vorrà negarmi che le nostre responsabilità sono in funzione delle nostre capacità di comprendere e ragionare. Quindi uno o non crede nelle proprie facoltà intellettive; o si prende sul serio – ma allora in tutto. Non Le telefono, né vengo a trovarla – ché penso sia farle perdere tempo inutilmente. Le forze di cui ho bisogno in ogni caso debbo cercarle in me stessa. Né Lei, ne altri potrebbero darmele. Con tutto ciò continuo ad andare in chiesa. Fosse solo perché l’ho promesso. Ma non è per questo solo. Rispettosamente Romana Guarnieri 3 Mercoledì pomeriggio [16.3.38] Questo fino a ieri. Oggi non sono più sfiduciata. Se non Le telefono non è perché lo sento inutile, ma perché è necessario. Debbo e voglio camminare con le mie gambe. Anche se riuscissi a camminare con quelle altrui questo non avrebbe valore. Non mi creda per questo ingrata, Reverendo; solo orgogliosa. Troppo a lungo ho vissuto sola, fidando in me sola7. Sono stata in chiesa anche stamattina. Ma il risultato è questo – e forse alquanto diverso da quanto poteva sperare Lei. Del resto ci sono andata solo perché lo avevo promesso. Mi perdoni la crudezza. Ma verso Lei sento anzitutto il dovere della sincerità. Angela non solo non ha più scritto a Lei, ma nemmeno a me; e questo non me l’aspettavo8! Non è facile vivere in questo modo. 7 Cresciuta lontana dal fratello Leonardo, rimasto a vivere con il padre il Olanda, la giovinezza di Romana Guarnieri è trascorsa a Roma nella casa del patrigno Gaetano Minnucci, dove la madre si è trasferita nella seconda metà degli anni Venti. Cfr. R. Guarnieri, Un incontro, cit., p. 60. 8 Angela Zucconi (1915-2000), amica e collaboratrice, nonché diretta, di don Giuseppe, conosce Romana Guarnieri fra il 1936 e il 1937 ai corsi di Letteratura Tedesca di Giuseppe Gabetti. Artefice indiretta dell’incontro fra la Guarnieri e il prete romano, rimarrà profondamen- 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 72 72 Carteggio 1938-1945 Oggi le ho scritto tutto della mia visita a Lei, convinta che tanto oramai non avrebbe più scritto. Lascio a Lei se scriverle o no – ma se penso alla sua terribile accidia quasi La pregherei di volerlo fare. È necessario scuoterla, con tutti i mezzi. Ad ogni modo dovrebbe venire a Roma venerdì pomeriggio, e Lei dovrebbe chiederla che la prima meta sia via del Fagutale9. Gliene sarò molto grata. Romana Guarnieri 4 [Roma] via del Fagutale 4 17 marzo 193810 Gentilissima e cara Romana Guarnieri, non risposi alla prima (angelica) perché prevedevo, meglio forse presagivo, la seconda (diabolica). Tra la prima e la seconda, rimarrà un po’ di luogo per qualche momento d’umano riposo. Questo suo oscillare, cara Romana, al di sopra, al di sotto, mi fece ardito a suggerirle quelle visitine che le suggerii, in chiesa. te scettica nei confronti della conversione di Romana e della sua amicizia con De Luca. Figura complessa, quella di A. Zucconi, apre e chiude in qualche modo questo carteggio, restando una presenza costante, anche se raramente dichiarata, nel rapporto De Luca Guarnieri. Il ruolo che il sacerdote assegnerà a Romana, di amica e collaboratrice, sposa in Cristo, e che la Guarnieri abbraccerà negli anni in modo sempre più radicale, fino ad arrivare ad un voto personale di castità, fino al 1938 è in qualche modo assegnato alla Zucconi. L’avvicinamento di De Luca a Romana segnerà dunque una rottura importante con la Zucconi, che maturerà negli anni della guerra fino a compiersi negli anni successivi in modo definitivo. Su A. Zucconi cfr. supra, p. 19. 9 Don Giuseppe De Luca abita con la sua famiglia, composta dalle due sorelle Maddalena (Nuccia) e Catalda (Dina), il padre Vincenzo e la sua seconda moglie Battista Rotundo, nella casa di via Barnaba Tortolini (poi via del Fagutale) 4, rivestendo dal 1923 il ruolo di cappellano delle Suore dei Poveri di piazza San Pietro in Vincoli, a due anni la sua ordinazione a sacerdote il 30 ottobre del 1921. Ministero che svolgerà ininterrottamente fino al 1948. De Luca ha anche quattro fratelli, Donato, Luigi (tipografo e editore), Antonio (detto Antonino), e Michele, emigrato in Brasile. Cfr. R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca, cit., p. 83; G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit. pp. 213-214. La casa di via del Fagutale è descritta in R. Guarnieri, Una singolare, cit., pp. 55-66. 10 La prima, e unica, lettera di De Luca per il 1938. In essa già sono presenti alcuni tratti originali dell’intero carteggio, fra questi il più evidente, il costante rimando da una dimensione spirituale a una lavorativa, e intellettuale che sarà il nodo più importante da sciogliere nella vita del sacerdote, ma cfr. Introduzione. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 73 73 1938 Fa bene a credere alla mia buona fede. Non son uomo da trappole. Ma (sic!) mi pareva di tendergliene. Comunque, se crede, se ne ritenga disciolta e libera; e non venga, né mi telefoni, se lei ci vede una soggezione, o un avvio ad essa. Non mi pareva, non mi pare tuttora, d’averle teso o di tenderle reti di nessuna sorte, e non comprendo le sue saltanti reazioni. Questo sì, e glielo ripeto, questo le dissi, che non ponesse i suoi sentimenti (ancor peggio, un suo sentimento) al di sopra della sua anima11. Ora vedo che lei continua, e si duole e dispera. Ma non aggiungo altro, per non aver l’aria, tanto sgradita a lei ma nemmeno a me gradevole, di far da gruccia. Non abbia paura, cara Romana, di nulla e di nessuno, nemmeno di sé: non abbia paura, la reprima. Soltanto la prego di non parlarmi né scrivermi, in nessuna occasione, mai, di mia letteratura: lei non sa ancora quale orribile croce per me sia stampare12. Quando riverrà, (e mi telefoni e venga senza tanti inalberamenti né dibattiti né tumulti, senza nessuna umiltà e nessun orgoglio), quando verrà le dirò delle sue poesie e prose quello che me n’è parso, alla buona13. Suo d Giuseppe 5 21-3-[38] Don Giuseppe, mi sono liberata di tutto il mio orgoglio e presunzione. Gli ho data la mano e sono pronta a lasciarmi tirare e a seguirlo senza esitare dove vorrà Lui. Ho fede. Questo è tutto. Tutto il resto non conta. Romana 11 De Luca si riferisce ai motivi che hanno spinto la giovane donna ad andarlo a trovare. Cfr. lettera 1, n. 2; lettera 4, n. 7. 12 «C’era, infine, una innata ritrosia a scriver libri in genere, che De Luca, quasi con ostentazione, denuncia in varie occasioni, non senza quella punta di civetteria, maliziosa e ingenua insieme, che spesso fa capolino nelle sue “confessioni”», G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 227. 13 De Luca si riferisce alle prose e poesie scritte da Romana in occasione dei Prelittoriali della cultura dello stesso anno. Mai pubblicate sono conservate nell’ARG. Sui littoriali cfr., supra, p. 19. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 74 74 Carteggio 1938-1945 6 [30.4.1938] Caro don Giuseppe, resto fedele alla consegna di non muovere un dito senza averne prima parlato con Lei o con la mamma14. Non mi rivolgo alla mamma, perché dopotutto prende parte troppo direttamente alle mie cose per poterle vedere alla necessaria distanza, nelle loro giuste proporzioni. Penso che scriverle sia stavolta la cosa più pratica; verso lunedì poi Le telefonerò. Questi i preliminari; ora eccomi al fatto. L’altro giorno, con un breve biglietto – stile lettera d’affari – ho richiesto ad Angela il Burckhardt che le avevo prestato15. Insieme al libro mi ha mandato un cordiale biglietto – stile lettera amichevole – che mi ha fatto il piacere che Lei si può immaginare. Sola la seguente frase mi dà un poco da fare: “Se avremo tre o quattro giorni di vacanza per la venuta di Hitler, telefonami: a meno che don De Luca non ti consigli di procrastinare il nostro incontro, o tu non voglia turbare il tuo lavoro (ma non ti credo così santamente fedele ai principi dell’igiene menale)”16. Non so assolutamente cosa decidere. A telefonare, oltre il naturalissimo impulso, mi portano due ragionamenti. 1° Anzitutto non sono stata io a volere il nostro reciproco silenzio, ma in un primo momento l’ho solo accettato con rassegnazione, non volendo assolutamente una corrispondenza clandestina, come Angela mi aveva anche prospettato. 14 Romana interrompe ogni rapporto con l’amica Angela Zucconi, e da subito chiede a De Luca di guidarla nella soluzione di questo “pasticcio”, come scrive lei stessa. Per quanto riguarda la mamma, Iete van Beuge, il rapporto di Romana Guarnieri con la stessa non sarà mai semplice e il suo non rivolgersi a lei appare molto più ovvio dopo la lettura delle lettere. 15 Romana Guarnieri si laurerà con una tesi sullo storico svizzero Jacob Burckardt nell’autunno del 1939. «Io venivo preparando con molta diligenza e disciplina la mia tesi di laurea; gliene riferivo (a De Luca, nda) e lui mi riforniva di ogni sorta di letture in proposito, una vera manna» R. Guarnieri, Il lumino rosso, cit., 92. Cfr. lettera 14; e M. Sensi, Romana Guarnieri: bibliografia, cit. 16 La Zucconi fa riferimento ai giorni di vacanza eccezionali concessi per la visita di Adolf Hitler a Roma, il 1 maggio del 1938. Angela Zucconi è in questo periodo insegnante di lettere presso l’Istituto Magistrale S. Lodovico a Orvieto, dove abita, evidente l’ironia verso le nuove prese di posizione dell’amica. Cfr. A. Zucconi, Cinquant’anni, pp. 31-46. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 75 75 1938 [...] D’altra parte però ho innata una forte ripugnanza a cambiare continuamente linea di condotta. Una volta infilata una strada la seguo possibilmente fino in fondo, a meno che ragioni evidenti non me la dimostrino errata. Sono contraria, glielo ripeto, alle dimostrazioni di forza, ma insomma oramai di fronte ai miei mi ci sono messa, promettendo di provare loro che sono meno debole di quanto mi credono; ora non so se ne siano sufficientemente persuasi durante le vacanze di Pasqua (ed ignorano il tentennamento che pure ho avuto!). Ma nemmeno vorrei degenerare in un puntiglio; la fermezza mi piace, ma solo se necessaria. A vuoto è stupida. Infine c’è l’elemento sentimentale. Onestamente debbo convenire che A. non mi è ancora affatto indifferente. Ma è poi proprio indispensabile che questo lo sia; e ci si arriverà mai? Su questo punto navigo tra le nebbie, più che mai. Mi pare che così come glieli ho esposti gli argomenti in pro e contro si equivalgano. Spero che Lei sappia trovarne uno tale che faccia tracollare la bilancia decisamente da una parte o dall’altra, – non importa – purché mi tolga da questa incertezza. Lei sa che, nonostante tutto, per ora, quello che Lei dice in linea di massima faccio! Romana Guarnieri 7 Martedì sera [Prima di Pasqua. S. d.]17 Caro don Giuseppe, non sono stata molto loquace oggi; gli è che avevo un arruffio maledetto in testa, e non sempre mi riusciva di seguire le Sue parole. In Lei vedo la persona che sa, ha imparato a vivere – come il buon Goethe. E cerco di carpirgliene il segreto. Ma forse questo segreto non esiste che nella mia immaginazione. Quando Lei mi parlava dei Suoi poveri18, mi son guardata intorno ai suoi libri (Lei non sa ancora quale amore io porti ai libri, i miei soli 17 La Pasqua del 1938 cade domenica 17 aprile, la lettera dunque è scritta intorno al 12 aprile 1938. 18 Cfr. lettera 4, n. 9. 02 Carteggio 9-03-2010 76 11:18 Pagina 76 Carteggio 1938-1945 veri amici, fino a poco fa) – e mi sono ricordata di un’altra volta, che Lei si è scagliato contro la cultura, l’intelligenza (so, l’intelligenza fine a sé stessa, Lei intendeva dire – e mi ha anche assicurato di essere amante dell’intelligenza come mezzo). La stupisce che mi si siano ingarbugliate le idee? Mi è più facile capire il suo amico, che vive in una stanzuccia con cento lire al mese19. Conosco il suo segreto. Forse è questo sciagurato sangue nordico, che, non conosce le sfumature....rien que la nuance? Ma Verlaine era ben latino20. Ho riletto “Lui”. Lente lacrime m’han bruciato gli occhi. Poiché pensavo a quello che mi sono giocata, e che non so se saprò più ricostruire. Eppure – ingenuamente – mi pare di sapere che doveva necessariamente andare così; che è stato quasi giusto. Bisogna forse meritarsele le cose più belle, non solo sognarle, come finora avevo fatto io. Les hommes, n’ayant pu guérir la mort, la misére, l’ignorance, ils se sont aviséè pour se rendre heureux, de n’y point pensér21. Accetto anch’io di fare come la massa – ma solo per una breve tregua, poiché solo la fiducia di aver poi più forza per “penser comme il faut”, il che secondo Pascal sarebbe tutto il nostro dovere, mi impedisce di avvilirmi. Quello che non ho saputo dirle, e per cui soprattutto Le scrivo ora, è che continuo a fare quasi tutti i giorni una visitina in chiesa – come 19 L’amico di De Luca qui sottinteso è molto probabilmente don Giuseppe Sandri, sul quale cfr. supra, p. 49, n. 163. 20 Nient’altro se non la sfumatura. Romana cita la celebre poesia di Paul Verlaine (18441896), Art Poetique, (in Jadis et naguère, 1884). Fra le prime letture consigliate a Romana, cfr. lettera 14. De Luca ha pubblicato su Verlaine una recensione in «Studium», giugno 1933, intitolata Verlaine, la morale, l’arte, dove respinge la tesi di una poesia cristiana di Verlaine, il poeta tuttavia è già al centro degli interessi di Romana che in questo periodo annota molte sue poesie sul Diario. Sui giudizi di De Luca su Verlaine cfr. L. Mangoni, In partibus, p. 185. 21 Del filosofo, matematico e religioso francese Blaise Pascal (1623-1662) Romana cita in questa lettera uno dei più noti fra i Pensieri, il 31. I Pensées, fanno parte dei punti riferimento, spesso polemico, di De Luca nella prima metà degli anni Trenta, quando inizia a mettere a punto, anche se in modo non sistematico, quella distinzione fra «scrittori e poeti, e uomini di chiesa», (Mangoni, In partibus, cit., p. 143), sulla quale ritornerà spesso nel carteggio con Romana, soprattutto in occasione della pubblicazione del libro della Guarnieri sul poeta fiammingo Gezelle (cfr. lettera 38). Pascal, è un outsider, secondo la definizione che De Luca stesso ne dà inserendolo in un progetto di collana presentato nel 1932 all’editore di Morcelliana, Fausto Minelli. Outsider, ma anche nemico, secondo lo stesso progetto, presentando tratti di ambiguità verso «ciò che esterno alla Chiesa ma non per sempre» (Mangoni, In partibus, cit., p. 146). Significativo che usi lo stesso termine anche parlando di sé, cfr. R. Guarnieri, Don Giuseppe, p. 12. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 77 77 1938 si va appunto dall’amico d’un amico; dall’amico di tanti miei amici, dei migliori fra i miei amici, anche se li conosco solo per quello che hanno scritto. E provo un senso di calore, come quando si torna a casa da un lungo viaggio. L’altro giorno mi son fatto timidamente il segno della croce. Poi me ne sono vergognata e poi mi sono vergognata di essermi vergognata. Ma tutto questo non importa22. Ho fiducia nella Sua fiducia; come il malato, che fida nella cura prescrittagli dal buon medico. Questo significa in certo qual modo che accetto che Lei mi faccia da gruccia. Questo pensiero non mi ripugna più come prima. Ho dovuto prima conoscere che sono debole. Ed ora sono grata di sapere che c’è una mano forte che all’occorrenza mi aiuta a restare a galla, se minaccio di andare a fondo. È una certezza questa che dà calma e fiducia. Ohibò, giammai, credevo di poter diventare così mansueta! Un tempo mi sarei gabellata per filistea! Buona Pasqua, don Giuseppe, di tutto cuore! Romana 8 12 maggio 1938 Caro don Giuseppe, non se n’abbia a male se domani non vengo. Non posso farle perder tempo con questa mia stupidaggine. Non può e non deve avere importanza, anche se a volte mi ci spuntano le lacrime. E non c’è che una cosa da fare: smontarmi. Mi ricordo perfettamente di quello che ero due mesi fa. E ho avuto ragione di molte cose in me (col suo aiuto, e più facilmente di quanto potessi credere). E se anche talvolta mi vien fatto di pensare che era meglio allora di adesso – che quello era vivere e questo vegetare – so 22 «Quanto a me, di devozioni io non sapevo nulla di nulla: entravo, mi sedevo raccolta, in silenzio, e mi abbandonavo alla presenza di quel Tu misterioso», R. Guarnieri, Il lumino rosso, cit., p. 92. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 78 78 Carteggio 1938-1945 anche che sono sciocchezze. Che ancora un mese in quella tensione, e finivo tisica – o nevropatica – per non pensare a tutto il resto. So quello che debbo fare: lavorare tranquillamente e con il massimo possibile di regolarità – cercar di non pensare – e non ascoltarmi, come dice Lei – e infine – Lei non lo dice, ma lo pensa, fidare nella Provvidenza. E i mille diavoletti che vogliono infastidirmi li tratterò da “quantités négligeables” sì che perderanno la loro arroganza. Sono convinta con Lei che questo sia il meglio – non si può pretendere che tutto vada sempre e subito in maniera ideale. Comunque non creda mai che io possa mai prendermela in minima parte con altri – se io marcio male è colpa mia – e se io me la prendessi – putacaso – con Lei, sarebbe ancora mia colpa, o per lo meno di uno dei diavoletti. Colpa a mio vedere è agire male sapendo che è male, o se no anche soltanto agire con leggerezza. Sento che Lei di ogni parola che dice si assume la piena responsabilità, moralmente parlando. Se poi avviene che le conseguenze pratiche non corrispondono sempre alle previsioni, di questo a nessuno può essere fatta una colpa. Ed ecco che già un’altra volta mi sono data troppa importanza, con questo tono da predica quaresimale! Ancora una cosa pratica. Debbo tradurre un libro dal fiammingo, e mi chiedono le mie condizioni23. Non ho la minima idea di come regolarmi. Saprebbe consigliarmi Lei? Uno di questi giorni Le telefono e spero con un tono un po’ meno da funerale di ieri! Cordialmente Sua Romana 9 1.6.1938 Caro don Giuseppe, vorrei proprio sapere con certezza se certe cose è meglio tacerle, o invece dirle con tutta franchezza. Certo è che ogni volta che mi tengo 23 Della traduzione non appare traccia nei diari e negli appunti. Cfr. M. Sensi, Romana Guarnieri: bibliografia, cit. 02 Carteggio 1938 9-03-2010 11:18 Pagina 79 79 qualche pensiero per me, oppure Le rispondo evasivamente, poi ci rimango male. Così oggi quando di nuovo mi ha domandato se certe domande me le poteva fare, e ancora una volta ho evitato di spiegarle il perché del mio cambiamento. Forse la mia ritrosia potrà sembrare strana a Lei che è abituato a stare in confessionale; ma deve considerare che l’unica volta in cui io ho avuto il coraggio di dire cose che confessavo sì e no a me stessa, è stata la prima volta che io son venuta da Lei; e che allora ho fatto una fatica immensa. E ci sono riuscita perché non pensavo a me, ero sotto la spinta di ben altra passione, e anche perché mi riusciva di astrarmi completamente da chi mi stava di fronte. Non si stupisca se Le dico che quella volta Lei era più una cosa per me che una persona. Un prete, essere alquanto irreale sino allora per me, che due soli preti avevo conosciuto in vita mia: don Primo Vannutelli e Angiolo Gambaro24, professori tutti e due e perciò stesso lontani più del necessario; sconosciuto per di più, per quanto sapessi di trovarmi di fronte all’amico di cui Angela mi aveva parlato con tanto fervore25, e per quanto l’aspetto e il modo di fare fossero tali da ispirare immediata fiducia26. Ma è stata quella l’unica volta forse che Lei ha potuto veramente essere per me, come Lei dice, “la voce della coscienza”. Ed è questo che temevo dirle, perché ho paura di darle con ciò una delusione. Ma d’altronde se non cerco di farle capire questo, Lei continuerà a meravigliarsi, ed io continuerò a sentire disagio! Io però non so dolermi se invece di quell’entità alquanto astratta e poco umana in fondo, trovo un amico, verso cui a volte si possono avere magari certi pudori, ma che vale molto di più che non una voce 24 Primo Vannutelli (1885-1945), studioso di scienze bibliche, insegnante di greco e latino al Liceo Visconti di Roma. Vicino al modernismo, rimase tuttavia dentro la Chiesa dopo la condanna. Cfr. sub voce, F. Malgeri, in Dizionario Storico del Movimento Cattolico, cit., III/2, pp. 879-889. Angiolo Gambaro (1883-1967) sacerdote, fra i più tenaci sostenitori del modernismo, pubblica nel 1912 il suo primo volume sull’argomento, malgrado le sue posizioni si stemperino nel corso degli anni (pubblica fra gli anni 20 e 30 numerosi saggi sul cattolicesimo liberale, in special modo su F. Lamennais). Romana lo incontra sicuramente in occasione dei corsi che Gambaro tiene alla Sapienza fra il 1929 e il 1934. Cfr. sub voce, F. Cambi, Dizionario Biografico degli Italiani, cit., vol. 52, 1999, pp. 78-80. 25 La Zucconi avrebbe detto, secondo il ricordo della Guarnieri: «Non si tratta mica di un prete qualunque. Ti parlo di un uomo straordinario, aperto, intelligentissimo», in R. Guarnieri, Un incontro, cit., p. 56. 26 Cfr. lettera 1, n. 4. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 80 80 Carteggio 1938-1945 della coscienza! Solo che, per poter veramente parlare di amicizia, e poterla accettare con naturalezza, ho bisogno di un’altra cosa. Io sono di quelli che hanno più piacere di dare che di ricevere, – così si nasce, e non c’è merito alcuno – È una debolezza la mia, lo so, collegata col solito orgoglio eccetera eccetera, ma insomma, homo sum e se Lei non mi dà modo di ricambiarle in qualche maniera tutto quello che Le debbo, ho paura che finirò col non osare più di chiederle nessun favore. E questa sarebbe ingratitudine somma. È stato per questo sentimento che una volta mi offersi così ingenuamente di aiutarla col tedesco; ma se non è il tedesco, mi trovi qualche cosa da fare che andrebbe assolutamente fatta, e Lei non arriva a fare; o comunque una qualsiasi cosa mi farebbe molto contenta. E le confesserò ora quello che ho avuto pudore – ancora una volta! – di dirle stamani – e cioè che spesse volte sono entrata in Chiesa pensando di farle con ciò piacere, e che ho pregato anche qualche volta, a modo mio, anche per Lei. Solo ho poca fiducia che queste mie esitanti preghiere, persino diffidenti qualche volta, possano avere una qualche efficacia. Le accetti perciò solo per quello che possono avere di valore umano. Spero di non aver fatto male a dirle queste cose. Non si sa mai in questi casi. Ma io mi ci sono levata un peso dal cuore. Col che summa summarum si tornerebbe ancora una volta ad un fatto egoistico! Povera me, si vede che proprio non c’è scampo! e non mi resta altro che sperare nella Sua benevolenza e comprensione. 10 2.7.38 Don Giuseppe, è come se qualcuno si stesse pigliando gioco di me: quando fuggivo mi rincorreva, e ora che non fuggo più anzi vorrei avvicinarmi si ritrae. Ma ci vuole parecchia pazienza per non sbuffare a sentirsi la mente così torpida, e il pensiero incapace di funzionare. È come se stessi facendo una digestione molto laboriosa che richiami tutto il sangue dal cervello, lasciandolo lì, povero, vuoto, inutile. Ma invece dello stomaco è il cuore che ha troppo da fare; ma non voglio dargli retta; troppe volte oramai per abbandonarmi all’onda 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 81 81 1938 degli agenti sono poi rimasta con un pugno di foglie secche in mano, e per il momento non vivo che di commozioni. Ma non ci credo più, o almeno con molte riserve. Eppoi ogni digestione, per quanto laboriosa, in quattro o cinque ore è compiuta. Intanto aspetto. E lavoro. Ho tanto arretrato. Eppoi una compagna mi ha chiesto aiuto per una traduzione, e ne sono felice, ché mi sembra di poter così ristabilire, seppure indirettamente un poco l’equilibrio della bilancia troppo tracollata. 11 5.7 [1938] Don Giuseppe, ci sono momenti in cui mi sento quasi andare in bestia con me stessa e mi vien voglia di imprecare. – Un dio che si diverte a pigliarsi giuoco della gente non riesco a concepirlo – e allora non rimane che una cosa: dire “non capisco”. Non capisco cos’è che quando fuggivo e mi schernivo, m’inseguiva dovunque ad ogni istante e non lasciava di tormentarmi, ed ora che mi sono fermata e voltata per affrontare il nemico, si ritira e sfugge. Cos’era quella facilità alla commozione allora e questa aridità e povertà adesso. Intuire, sapere che c’è tanta ricchezza e sentirmi tanto povera, incapace di sollevarmi dalle meschinità continue, le miseriole quotidiane – ritrovarmi povera povera, col cervello che non funziona e il cuore che non sente. Aver gettato tutto quello che avevo e non trovare nulla in compenso. – Altro che lottare, allora, don Giuseppe!27 Mi rammento di quando venne ad Amsterdam Nino Salvaneschi28. Bimbetta di dieci – undici anni, pregai, implorai piangendo, notti e 27 «Senonché appena uscita di chiesa le cose cambiavano radicalmente. Terminato il dialogo, riprendevo il mio solitario almanaccare, con tutti i “ma” e i “però” del caso. Tornava la smania, l’irrequietezza, quel non potermi concentrare che su una cosa sola e su nessun’altra: tutto mi parlava di Colui che di prepotenza si era insediato in me, o meglio, mi pralava di Lui e di me, di me e di Lui. Ma Lui non lo conoscevo», R. Guarnieri, Il lumino rosso, cit., p. 92. 28 Nino Salvaneschi (1886-1968) giornalista e scrittore italiano, fra i fondatori del «Guerin Sportivo», diventò cieco in seguito a una grave malattia nel 1923. Dal 1921 aveva lavorato in Belgio, dove aveva fondato la rivista «L’Epoque nouvelle», con lo scopo di far conoscere l’arte e la cultura italiana nelle Fiandre. Sicuramente conobbe in questa occasione il padre di Romana, Romano Guarnieri, sul quale cfr. supra, p. 5, n. 12. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 82 82 Carteggio 1938-1945 notti, il “Nostro buon Signore”, come chiamano Dio in Olanda, che restituisse la vista a quel povero cieco. Ogni mattina mi alzavo convinta che il miracolo fosse avvenuto, e ogni mattina avevo una nuova delusione. Finché alla fine mi sentii terribilmente ingannata, defraudata. Avevo perduta quella fragile fiducia che nella mia animula infantile era sorta spontanea, senza che nessuno gliel’avesse mai insegnata. – Da allora non ho mai più pregato, nemmeno quando ho avuto la mamma per morire. Ho solo inveito nei momenti di più nera disperazione. Ed ora mi trovo a chiedere solo che mi sia concessa un po’ di quella fiducia che bisogna sentire, che non si può acquisire con nessun ragionamento. Ho gettato veramente tutto – mi pare – e non trovo nulla in compenso. Non mi riesce più di credere al valore dell’intelligenza. E un tempo quando dicevo a=b, b=c, dunque a=c, quel “dunque” mi pareva così sublime! Un tempo la bellezza mi rendeva forte e felice. Domenica ho visto tante cose belle, e son tornata a casa col cuore gonfio di tristezza, fino a scoppiarne. “Te l’avevo detto” mi dirà Lei, e riderà di queste cose – né so perché gliele dico. Ho vergogna di me, e mi sento tanto umiliata. Eppure non so che colpa ne ho. – Altro che lottare! Lotta chi è forte – e io non credevo mai di potermi sentire così stupida e così debole. Non capisco – ecco tutto. Romana. 12 Perugia, 21.7.[19]3829 Caro don Giuseppe, mi par quasi di appartenere a quella categoria di buffoni incoerenti che dice sempre di no e fa poi di sì (o viceversa). Ma stasera ho una forte tendenza ad esser triste, se non peggio, e forse la migliore reazione è ancor questa. Certo se ora fossi a Roma mi farei coraggio e Le telefonerei – ora non posso far altro che affidarmi alla suggestione – a quella sugge29 Romana passa parte delle sue vacanze a Perugia dove il padre dirige l’Università per stranieri. Cfr. S. Covino, cit. 02 Carteggio 1938 9-03-2010 11:18 Pagina 83 83 stione a cui pure ricorro per solito malvolentieri, perché difficilmente aiuta a risolvere qualcosa. Ma qui si tratta solamente di uscire dall’oppressione di quest’aria si Perugia che mi si fa ogni anno più intollerabile. Perché ogni anno me la ritrovo greve di qualche ricordo di più. Sono dieci anni ormai che ritorno qui – dieci anni che piano piano attraverso a tanta varietà di esperienze hanno fatto di me quella che sono – di una ragazzina vivacissima, impulsiva, sicura di sé, una giovane donna assai meno vivace, sempre ancora impulsiva, e soprattutto tanto più consapevole e quindi meno sicura di sé. E quasi ogni giorno si può riconoscere qui a Perugia come un punto di discriminante che chiude un anno di esperienze e ne apre – spesso violentemente – un altro. A meno di quindici anni il primo abbozzo di flirt molto, ma molto innocente – ma pure importante, perché il primo. – Un anno dopo sto sola in una camera, senza controllo, con le chiavi di casa in tasca. L’ebbrezza della libertà. Ubriacature, sigarette e scappate notturne. Gioco pericolosissimo che è durato con varianti fino a due anni fa – e poteva finire molto male. E l’amarezza di avere un padre che piace alle donne, che avevano la disonestà di circuire la ragazzetta per far la corte al padre – credendo che non capissi il gioco, e non comprendendo la mia ripugnanza e il terrore di trovare una sua amante presente o futura in ogni donna che mi avvicinava. Dio, che anno è stato mai quello. A scuola non sapevano più come pigliarmi – era la 4° ginn. – sospensioni, 5 in condotta a nulla valevano – né concludevano di più le gravissime punizioni a casa. Finché non giunse a domarmi quello che presto o tardi tutti doma. Quella idiotissima e pur grande cosa che è stato per me l’amore. E fu ancora una volta a Perugia che s’iniziò il lungo martirio che di tappa in tappa doveva condurmi a quel parossismo di canaglieria che mi fece menar per il naso in 4 modi diversi 4 uomini diversissimi per temperamento, età e condizione sociale. – E questo ancora a Perugia – e fu pure l’inizio di quella reazione che finì in un infelicissimo fidanzamento; e a Perugia infine la reazione alla reazione, e la energica rottura di un vincola che sarebbe stato ne sono certa, l’inizio di infiniti altri guai. L’anno scorso30. 30 95. Sui suoi flirt giovanili Romana Guarnieri torna anche in Ead., Il lumino rosso, cit., pp. 94- 02 Carteggio 9-03-2010 84 11:18 Pagina 84 Carteggio 1938-1945 Ed eccomi ancora qui. I solenni rintocchi del campanone del duomo soverchiano di tanto in tanto le note aride stridule isteriche dell’orchestrina del Guf quà vicino31. Quante notti insonni nel passato, scandite da queste stesse voci. Il caso mi ha ridato la stessa camera di due anni fa. Ma che abisso da allora ad oggi. Da quel fondo cupo di perfidia, di scetticismo bestiale, di disperazione a questa tristezza a cui oso persino reagire. Una volta Lei mi ha detto che alla mia età normalmente dovrei essere disperata. Detesto non solo i disperati di professione ma anche i miei momenti neri. Se penso che un’esperienza che mi poteva fare tanto male finisce per farmi tanto bene, se penso alle molte mani che mi aiutano a stare a galla, mi guidano a prender terra, se penso al sentimento nuovo che pur fra alti e bassi piano piano si sta impossessando di me (e mi perdoni se non gliene parlo – ma non so prenderne distanza, ed è di questo invece che ho bisogno stasera), ho vergogna persino di questa tristezza, che poi non è tutta per me stessa. C’è Angela qui – siamo state insieme tutto il giorno. Le dissi che stavo ancora male – ora so purtroppo che lei sta ancora molto peggio di me. E per di più è tanto più debole. E questo soprattutto m’impressiona e rattrista. Vorrei tanto poterla aiutare. E proprio io meno di tutti lo posso. Il meglio che posso ancora fare è tirarmi indietro, farmi dimenticare. E questo è duro. Ma basta di questo. Le ho scritto proprio per non pensarci. Quando cominciavo avevo una stupida voglia di piangere; adesso invece spero persino di riuscire a dormire. Pensare che ci ho messo quasi due ore per scrivere questo poco. Fortuna che ho scritto lentamente, poiché avrei avuto tempo di scrivere dieci pagine almeno con un poco di foga. E allora poi non avrei avuto coraggio certo di mandargliele. Se non altro per timore di farle perdere tanto tempo con la mia stupidaggine. 31 Gruppi Universitari Fascisti (GUF) nati nel 1921 rappresentano il fulcro intorno al quale si muove l’organizzazione del consenso fra i giovani universitari nel ventennio. Cfr. B. Garzarelli, Un aspetto della politica totalitaria del Pnf. I gruppi universitari fascisti, in «Studi storici» n. 4 (1997), pp. 1112-1161; R. Ben Ghiat, Gruppi Universitari fascisti, in V. De Grazia-S. Luzzatto (eds.) Dizionario del fascismo, Einaudi 2002, pp. 640-642; L. La Rovere, Storia dei GUF. Organizzazione, politica e miti della Gioventù universitaria fascista, Bollati Boringhieri, Torino 2003. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 85 85 1938 Ma finché è ancora un foglio solo mi faccio coraggio – per quanto stavolta poi sia ancora più importante per me l’aver scritto; l’aver pensato cioè per due ore a quello che volevo io e non a quello che sarebbe venuto fuori affidando le idee a loro stessa, che non che Lei legga quello che ho pensato adesso. Tuttavia glielo mando, ché se no un’altra volta non mi prendo sul serio, e il sistema fallisce. Cordialmente Romana. 13 8 .8.1938 Caro don Giuseppe, ho provato a studiare – ma è tempo e fatica sprecata: per capire la frase più stupida debbo rileggerla quattro volte almeno, e poi dieci minuti dopo ho dimenticato lo stesso quello che c’era scritto! Inutile insistere. Non c’è che provare a sgombrare in qualche modo la testa dalla stupida ressa degli inutili pensieri. Perdoni se ne la piglio proprio con Lei, ma involontariamente Lei ne è un po’ causa. Un’altra volta quando vengo, Le giuro che non parlerò d’altro che del tempo, della digestione o se vogliamo essere attuali, della razza (pardon, della “stirpe” volevo dire!) Queste non vogliono essere insolenze, ma solo provarle fino a che punto arrivi l’umana ingratitudine!32 Scherzi a parte. Se dico con tanta insistenza che non sto bene lo faccio un po’ perché spero nelle forze terapeutiche dell’autosuggestione. Ma guai ad andarmi a stuzzicare certe piaghette. Son come i pizzichi della zanzare: un puntolino rosso, ma appena te lo gratti un poco ti ci scappa un bubbolone grosso così. Ed oggi mi sento tutta un rodio. È come Le dicevo: vado avanti grazie ad una secca, quasi rabbiosa volontà di non lasciarmi “klein kriegen” (l’espressione romanesca è un po’ più volgare), ma dietro non c’è nessuna convinzione veramente 32 A partire dal febbraio del 1938, quando il Ministero dell’Interno dispone un censimento per religione dei suoi dipendenti, la questione “razziale” diventa tema all’ordine del giorno dei quotidiani fascisti. In luglio viene diffuso sul «Giornale d’Italia», il documento teorico Il fascismo e i problemi della razza, che apre di fatto la strada all’approvazione delle leggi razziali nell’autunno successiva. Romana vuole riferirsi dunque, con questa battuta, a temi impersonali, d’attualità. 02 Carteggio 9-03-2010 86 11:18 Pagina 86 Carteggio 1938-1945 profonda a sostenermi. Slanci, impulsi finché ne vuole, ma qualcosa di più solido, no. Ogni tanto faccio una fatica dannata a perseverare in questa linea di condotta. Nessuno mi chiede di laurearmi a Ottobre – anzi, alla mamma dispiace – solo il mio orgoglio che non vuol darsi per vinto – o almeno il desiderio di “fare” non solo a parole33. Se ambisco di rendermi economicamente indipendente si tratta ancora di orgoglio – e di desiderio di libertà – poter fare il cosiddetto comodo mio – ossia egoismo – Tutte cose a cui sarebbe meglio forse non pensare. Ma come fare specie se si viene leggendo il Vangelo34 – e – peggio l’Imitazione di Cristo?35 Ho paura in questo momento di ogni forma di pessimismo perché temo di fermarmi alla superficie, senza saper arrivare al fondo dove ogni pessimismo finisce per redimersi. Basta. Speravo di arrivare a districare un poco la matassa – ma invece mi s’imbroglia vieppiù. Non mi piace fare l’acqua cheta per parer profonda, ma nemmeno dire bestialità, sapendo di dirle! Pazienza, tirerò avanti anche così, aspettando che alcune cose, come al solito si risolvano da sé. [...] Lei non crede che le mie canagliate passate siano state molto gravi. Non sono mai entrate in dettagli a proposito36. Ma anzitutto consideri che era tutto fatto a sangue freddo o quasi. Non voglio assolutamente gonfiare nulla e cercherò di essere molto scarna. Ho tirato fuori dalla sua pace rassegnata di cinquantenne che non chiede più nulla alla vita un povero commesso del mio negozio di fotografia – povero senti33 Cfr. lettera 6, n. 13. «Nel frattempo, d’iniziativa mia, avevo cominciato a leggere il Vangelo, capitolo per capitolo, sistematicamente», in R. Guarnieri, Il lumino rosso, cit., p. 95. 35 Fra le prime letture proposte a Romana dal sacerdote. «Dell’Imitazione di Cristo non occorre dire. Il prezioso libretto attribuito generalmente a Tommaso da Kempen, nato a Kempen nella Renania inferiore il 1378, morto Canonico Regolare della Congregazioned Windesheim a Zolle nel 1471, e certissimamente nato e “cresciuto” in circoli a lui vicinissimi, ha avuto la sorte di essere chiamato il Quinto Vangelo», G. De Luca, in T. da Kempen, L’Imitazione di Cristo, versione di don G. De Luca, con prefazione di R. Guarnieri, Morcelliana, Brescia 1965, p. XI. Sull’Imitazione, testo non particolarmente congeniale a da De Luca, (scriverà la Guarnieri in ibidem, «non mi risulta che alla sua intelligenza e alla sua preghiera, nutrite allora di Sant’Agostino e di Newman, l’Imitazione avesse molto da offrire», cit., p. X) i due continueranno a ragionare, fino a decidere insieme una nuova traduzione che uscirà postuma, morto De Luca nel 1962, per volontà della Guarnieri. Sull’Imitazione De Luca aveva già nel 1933 scritto una voce per l’Enciclopedia italiana, vol. XVIII, p. 883. 36 Sulla prima confessione di Romana cfr. Ead, Il lumino rosso, cit., pp. 95-97. 34 02 Carteggio 1938 9-03-2010 11:18 Pagina 87 87 mentalmente romantico e stupido tanto da credere ad ogni mia parola, e da esaltarsi tanto da arrivare a far tornare a casa sua, in Yugoslavia la moglie, tisica grave. Contemporaneamente schermaglie con un collega che vorrebbe portarmi in qualche alberghetto del centro alla moda universitaria – tira e molla – mi trattiene più che un ultimo senso di responsabilità verso me stessa la paura di conseguenze gravi ben sapendo che difficilmente mi fermo a metà io. Intanto tengo sospeso un giovane professore svizzero, sognatore, idealista, religioso, giunto in castità fino a trent’anni, (cosa ben eccezionale per un giovane oggi) che vorrebbe sposarmi a tutti i costi – e con cui ho finito poi per fidanzarmi. E quasi non bastasse vado a Perugia e nelle ore in cui non scrivo agli altri tre attacco un flirt con un ricco commerciante olandese, venuto lì con la moglie. Il gusto di farla in barba a mio padre e alla moglie. Poi lui, bell’uomo sulla quarantina – intelligente, allegro, un po’ scettico e un po’ sentimentale, bravissimo ballerino, gran sportivo e rompicollo – ogni bel gioco dura poco – finisce per farmi girare la testa. Pianto il commesso – disperazioni – seccature – ricatti – e infine minaccia di suicidio- Tutto mi lascia indifferente. Finché il commerciante mi fa capire che in fondo vuole molto bene ai figli... capisco l’antifona e mi consolo facendo girare la testa a un povero professore ungherese, padre di 6 figli, e contemporaneamente a un giovanissimo e focosissimo studentello armeno, il quale nonostante i suoi 18 anni mi dà parecchio filo da torcere – finché stufa arcistufa...mi ravvedo e...mi fidanzo per lettera con lo svizzero. Quando viene mi scopro un’avversione fisica proprio per lui poveretto, e tronco tutto. Il resto è noto. Adesso almeno potrà giudicare con più cognizione di causa, specie quando avrà rivestito questa specie di trama della sensualità e del gusto della perfidia di cui sono stata preda tutto quell’anno. Ma, l’ho già detto, non voglio darmi nessun’aria satanica – son cose passate di moda. Eppoi basta anche così a farmi sempre un po’ di salutare paura a pensarci! Evviva l’ottimismo! Don Giuseppe, non mi creda troppo seria – e non mi prenda troppo sul serio – c’è pericolo che un giorno o l’altro finisca ancora col darle torto. E a pensarci (ora!) me ne duole. Ma di me non c’è da fidarsi gran che, dopo tutto. Peccato! Romana. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 88 88 Carteggio 1938-1945 P.S. Le accludo anche un foglio scritto a Perugia e poi non più spedito per ragioni manifeste. Oggi anziché strapparlo come volevo fare inizialmente glielo mando: in fondo Le inquadra un po’ meglio forse nello spazio e nel tempo quello che di me le ho raccontato stamattina e adesso37. 14 8.938 Caro don Giuseppe, non ho gran fiducia della sua fiducia in me, per cui mi affretto a restituirle Verlaine, perché non abbia da stare inutilmente in pensiero39. Consideri però che in ogni caso anche se non avessi dato la parola, non ho in questo momento nessuna voglia di andarmi a stuzzicare certe rognette in via di risanamento con letture imprudenti. Le accludo “il cappello” perché ci faccia le revisioni, aggiunte e correzioni che crede – e di cui Le sarò molto grata. (La prego di non metterlo in dubbio!)40 Quanto poi al saggio del Croce, esso accanto ad alcune osservazioni acute, ma non tutte nuove, ha diverse inesattezze (che potrò segnalarle, se crede) e, quel che è peggio, è fondamentalmente disonesto41. Cambia le carte in tavola inizialmente riconoscendo che B. nel senso stretto non aspirava ad essere filosofo ( e male fanno quegli esegeti che a tutti i costi vogliono fare) e giudicandolo poi – e facilmente stroncandolo – come filosofo (domani un altro ce lo vorrà stroncare come teologo, un terzo come poeta e drammaturgo – bella forza!). E stronca la Civiltà del Rinascimento come se avesse voluto essere una Storia del R. Nega al B.42 il diritto di ricercare nell’uomo 37 Non è stato conservato il foglio qui citato. Nell’archivio questa lettera senza anno è erroneamente inserita nel 1939. 39 Cfr. lettera 7. 40 Il “cappello”, ovvero l’introduzione alla tesi di laurea, cfr. lettera 6. 41 Il saggio in questione è il profilo su J. Burckhardt, raccolto nel capitolo La storiografia senza problema storico del volume di B. Croce, La storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari 1938 (2ed). Il giudizio di Romana, riflette le critiche che da anni ormai De Luca muove pubblicamente a Croce e all’idealismo. Sul rapporto fra De Luca e Croce cfr. supra, lettera 51, lettera 67. 42 B. sta per Burckhardt. 38 02 Carteggio 1938 9-03-2010 11:18 Pagina 89 89 e nella sua storia quei valori costanti, tipici, per i quali soltanto possiamo invece sentirci fratelli e figli dei cittadini della poltz come degli uomini del rinascimento43. E non si accorge infine (e se non sono male informata, finora non se ne è accorto nessuno ancora) che l’opera intera di B. deve essere valutata come opera di uno studioso di arte e di storia con animo di poeta. Gli assolutisti arriccino pure il naso: né carne, né pesce, essere ibrido, non catalogabile. Questo essere ibrido ci ha dato un’opera come la Civiltà, ci ha dato un Cicerone44, libri che dopo quasi un secolo di vita nulla hanno perduto della loro bellezza e freschezza (pur essendo scritti da uno Svizzero! bando ai preconcetti, perbacco!). Ed è questo che conta...in poesia. E perdoni lo sfogo. Appena poi corretta e copiata la traduzione Le telefono, e Lei ne farà quello che crederà – ossia la spedirà quando Le parrà a Lei. Per me preferisco levarmi il pensiero – per ripensare a qualcosa d’altro. Scusi tutti i disturbi che Le do e con molti ringraziamenti cordialmente la saluto. Romana 43 Scrive Croce «Di filosofia il B. non volle o non potè sapere[...]e al primo balenio della sua vivida immaginazione, rinunziò a impegnare battaglia e si abbracciò con un personaggio così poco degno d’abbraccio come il Pessimismo [...]Così sentendo e ragionando, il B. volle cercare scampo dal mondo, dal brutto mondo già in atto e dal peggiore che s’annunziava; e scelse per luogo di rifugio proprio la storia, che gli avrebbe offerto il “punto archimedico” per contemplare serenamente le cose umane. Senonchè la storia non è pensabile in un punto archimedico, fuori dal mondo, perchè, tutt’al contrario, solamente nel mondo tra i contrasti del mondo, sorge di essa il bisogno e, col bisogno, l’indagine e l’intelligenza», B. Croce, La storia come pensiero, cit., pp. 94-96. 44 La Guarnieri sta citando i più importanti saggi di Burckhardt ovvero il Cicerone (1855), la Civiltà del Rinascimento (1860), e la Storia della civiltà greca (1898-1902, edizione italiana 1955). 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 90 90 Carteggio 1938-1945 15 Sabato 24.9 [1938] Caro don Giuseppe, “l’esattezza è un dovere morale” (Croce pag. 3)45. Eccole dunque l’elenco delle sue inesattezze46. Sono curiosa di vedere quali altre malvagità sarà capace di tirarci fuori! Povero Croce in quali mani! E pensare che forse anche lui si sarà detto: Beh! per Burckhardt ho fatto fin troppo – dopotutto non si tratta che di uno svizzero! Vuole vedere la traduzione di alcune poesie del più notevole dei poeti svedesi – Gustav Frödingz47 per il povero moribondo? Soffici è stato capace di mandare avanti una rivista tutto da solo per un anno intero48; e in più di dieci non dovrebbero esser capaci di tener su bello gagliardo il Fontespizio?! Non sarà mica perché manchi il da dire e da predicare nel senso frontespiziano! E poi è un vero tradimento per i suoi molti amici. Non la so proprio mandare giù questa notizia49. Se vuole ancora maggiori particolari per Burchardt glieli potrò far avere: non ha che da dirmelo! Molto cordialmente Sua Romana 45 Cfr. lettera precedente. Non si ha traccia del foglio allegato con le correzioni alle traduzioni che Croce compie nel saggio citato su Burckhardt. 47 Gustav Froding (1860-1911) poeta svedese. Non sono disponibili ad oggi, se esistono, le traduzioni di cui la Guarnieri scrive. 48 Ardengo Soffici, scrittore e intellettuale, molto amato da Romana, fonda nel 1919 la rivista «Rete Mediterranea», 4 numeri nel 1920, scritta redatta diretta e illustrata dal solo Soffici. 49 Rimproverando a De Luca il tradimento verso gli amici frontespiziani Romana dà conto della crisi che il sacerdote sta maturando verso la rivista fiorentina. È proprio quel «dire e predicare in senso frontespiziano» che sta stretto a De Luca ma Romana, ancora, non se ne rende conto. Cfr. supra, e L. Mangoni, L’interventismo, cit., pp. 280-283; Ead. In partibus, cit., pp. 155170; R. Moro, Introduzione, cit., pp. XLIV-XLV. Cfr. lettera 1 e lettera 4. 46 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 91 91 1938 16 4 ottobre 1938 Caro don Giuseppe, stavolta la tradizionale lettera non può certo mancare! “...un tema per tutta una vita!” Queste parole m’han messo un formicolio addosso che m’ha tolto il sonno peggio che il pensiero di andare a Orvieto; e solo l’idea di un Romana che, fra trent’anni, stanca, coi capelli bianchi, chissà fors’anche grassa quanto adesso è secca, dà alla luce il suo capolavoro su Burckhardt, mi può ridare un po’ di buon umore. Si vede che a 25 anni pare ancora buffo quello che a 40 par logico e naturale. Comunque, anziché seppellirmi nelle biblioteche fra libri e lettere che san di muffa, fino a produrre io mio capolavoro su Burckhardt o la Geistesgeschichte-geschichte50, non credo che rinunzierò tanto facilmente all’idea d’insegnare – in un modo o nell’altro51. Ce l’ho troppo nel sangue. Aprire le menti giovani, scuoterne l’intelligenza, portarli a godere delle cose belle, farli riflettere su tante altre a cui non avevano ancora mai pensato – qui sì che sopporto il pensiero di “tutt’una vita” – anche se non dovessi giungere poi all’Università, Lei ce l’ha coi professori – ma se io penso a quello che potrebbe essere Gabetti52 per molti fra noi, se volesse, o – forse – sapesse, a quello che certamente mio padre è per molti – e a quello che sono stati alcuni professori per me e che io vorrei essere per altri, tutta la Geschichte della Geistesgeichichte non m’importa più per altro che come mezzo per giungere all’insegnamento superiore – e non già per tutta una vita. E qui so che i nostri ideali non coincidono. Pazienza. A Lei la parola “maestro” par triste, a me dolce53. 50 La storia della storia dello spirito, con questo gioco di parole Romana rimanda ai temi cari al dibattito storiografico fra i due secoli, fra idealisti e positivisti, e a Burckhardt in particolare, sul quale cfr. lettera 14. 51 La prima esperienza di insegnamento nell’inverno del 1939, quando la Guarnieri accetta di insegnare storia dell’arte presso le Suore di Nevers, cfr. R. Guarnieri, Il lumino rosso, cit., p. 93; in realtà al momento della scelta definitiva Romana rinuncerà per seguire De Luca sulla strada dello studio “fine a sé stesso”, cfr. R. Guarnieri, Nasce l’Archivio, cit., p. 14. 52 G. Gabetti (1886-1948) docente di Letteratura tedesca dal 1918 al 1949, direttore dell’istituto di Studi Germanici di villa Sciarra, da lui fondata nel 1932 «con l’obbiettivo di promuovere gli studi italiani di germanistica ed estenderli alle letterature scandinave». Cfr. supra, pp. 16-17. 53 Cfr. lettera 54, lettera 55. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 92 92 Carteggio 1938-1945 Ed ecco un’altra delle grosse pulci che m’ha messe nell’orecchio (è una Sua specialità oramai!): per il momento don Giuseppe, eviti di parlarmi di marito – è discorso che m’infastidisce sempre. Semmai mi rammenti i bambini. Per sognare un principe più o meno azzurro ci vorrebbe almeno che questa partenza per Berlino mi pesasse un po’ meno di quel che fa54. E poi quell’altra del poco coraggio per me stessa. Leggevo in S. Tommaso una cosa che mi ha stranamente colpita: Bisogna amare sé stessi più degli altri Per un’altra persona cui io voglia bene sul serio mi sento di far prodigi – ma per me stessa poco me la sento. Vorrebbe dire che non mi amo abbastanza? Potrebbe darsi – se non mi darei forse un po’ più pensiero di certe coserelle. Sono contenta m’abbia detto di tornare presto – però quella sua formella ammonitrice col “Benedici Signore...” mi fa paura! Vedrò di vincere la paura, purché lei però nasconda la formella! Sua Romana 17 9 novembre [1938] Caro don Giuseppe, l’interruzione era dovuta ad una chiamata interurbana. Non Le ho ritelefonato perché so oramai qual piaga sia per Lei il telefono – e sono un ragazza troppo bene educata per non temere ogni tanti di abusare della Sua pazienza! – Torno a ripeterle che sarei ben felice se mi fosse affidata quella traduzione55. Per la conoscenza del tedesco mi sento tranquilla e sicurissima. Non così per il mio italiano che so immaturo alquanto; e penso se non sarebbe meglio che Papini vedesse quell’altra mia traduzione, per farsene un’idea, o che traduca intanto un brano 54 Di questo viaggio a Berlino non si hanno altre notizie. Non ho riscontro specifico della traduzione in questione, anche se la frase successiva su Giovanni Papini fa credere che si tratti del saggio su Burckardt che apparirà sulla rivista «La Rinascita», diretta appunto dall’intellettuale fiorentino. Cfr. R. Guarnieri, Burckhartd in Italia (centenario di un viaggio), in «La Rinascita» II/5 (1939), pp. 96-107. 55 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 93 93 1938 di prova da fargli vedere56. Tanto più che un appunto dispiacerebbe forse ancor più a Lei che a me. (Se crede gli dica poi che sono figlia del prof. Guarnieri D’Amsterdam – credo che siano in buoni rapporti)57. Quanto all’impegno, Lei sa che di solito ce lo metto tutto. Che l’apparenza alle volte inganna dimostra il Suo “queta non movere”. Dopo tutto, se non sbaglio, è stato proprio Lei a mettermi certi fastidietti addosso: intelligenza, cultura ed altri ancora. Le pare strano davvero che ci vadan di mezzo studio e studiosi? Lei in un momento di pessimismo getta il lievito, e poi fa le meraviglie se vede che la pasta gonfia! Perché non gliene ho parlato? Ma se c’è l’influenza muta perché non dovrebbero esserci i fastidi muti? Ma mentre questi una volta o l’altra finiranno per parlare, m’auguro di tutto cuore che la Sua influenza faccia del tutto e una volta per sempre! Molto cordialmente Sua Romana. 18 Domenica mattina [S. d.]58 Caro Don Giuseppe, se fossi credente penserei alla Madonnina, così invece mi limito a credere che le piuttosto pacifiche chiacchiere di iersera, e l’ancor più 56 Giovanni Papini (1881-1956), scrittore e intellettuale fiorentino, dopo aver fondato riviste come «Leonardo» (1903) e «Lacerba» (1913), nei primi anni Venti scrive la Storia di Cristo (1921), documento della propria conversione. La Storia di Cristo colpirà a tal punto il giovane De Luca che dopo averlo letto andrà a Firenze per conoscere Papini. Come molti della sua generazione anche Romana leggerà la Storia di Cristo e ne rimarrà fortemente colpita. Sull’incontro De Luca- Papini, cfr. P. Bargellini, I tempi del «Frontespizio», in M. Picchi, Ricordi e testimonianze, cit., pp. 24-38. 57 Romano Guarnieri aveva conosciuto Papini negli anni del suo soggiorno fiorentino. Cfr. G. Prezzolini, Bei giorni, cit.. 58 Questa lettera, come delle altre senza data, è pubblicata in questa posizione rispettando la collocazione indicata dalla stessa Guarnieri nella sistemazione del suo archivio. 02 Carteggio 9-03-2010 94 11:18 Pagina 94 Carteggio 1938-1945 pacifica passeggiata che dopo mi son fatta lungo il Foro e il Campidoglio, abbian contribuito a rinchiudere entro pareti e stagne nella mia testa, date, nomi e fatterelli che in questi giorni fastidiosissimi mi ci fanno invece indiavolare59. Sì che stanotte, Deogratias son riuscita a dormire. E non fosse altro, di questo solo già le dovrei render grazie. Che Lei non mi potesse dir nulla per le mie attuali seccature di questo ero già convinta prima di venire, né ero venuta pensando di parlargliene, perché non ci dò davvero grande importanza. Dopo però, sotto sotto, mi sono malignamente divertita a vedere con quale controllo del discorso – o forse era inavvertitamente? – Lei sia riuscito a evitare l’unico elemento a cui potevo dare importanza. Non se n’abbia a male se dico questo – significa solo che finché mantengo questa libertà sarei anche in grado di difendermi se questo fosse necessario. E questo Le toglie forse qualche scrupolo. Scaccio tutti gli altri pensieri come uno sciame di mosche fastidiose, perché di questo sì sono convinta, che questa specie di equilibrio che ho raggiunto è ancora molto instabile, e mi basta una minima distrazione per tornare a ruzzolare, chissà fin dove. Una sola cosa ancora debbo dirle, che saranno dieci volte almeno che sto per sputarla e poi, accidenti alla timidezza, la ringhiotto. Ed è che ogni volta che lei si accende una sigaretta, mi pare che mi faccia un tradimento!60 Si rammenti l’esempio che lei mi portò quando io sostenni la tesi che per togliermi da certi guaii non c’era che troncare il più presto possibile, e comprenderà come ogni volta il pensiero mi corra ai casi miei, non certo con troppo ottimismo; ché quella sua teoria evidentemente ha fatto fiasco; purtroppo. Forse è una vigliaccata dirle questo per lettera, ma tanto dopo Le telefono e Lei potrà dirmi con tutta durezza che m’impicci solo dei fatti miei, ché ai suoi ci pensa Lei. Ma stavolta, e non solo stavolta, sono anche un poco miei! Temo anche che forse vorrà difendersi, tirando in ballo i santi e questa povera umanità così debole eccetera, ma consideri che la mia non è un’accusa; soltanto un rammarico, per Lei e per me. L’esempio può molto su me. Sono ambiziosa e c’è sempre un diavoletto che mi dice “se lo può fare Lui, perdinci, devi poterlo pure tu”. 59 Non si sa a cosa si riferisca. Il tema del fumo sarà ricorrente nel carteggio, Romana finirà per tenere il conto dei giorni in cui il prete non fumerà. Questa è la prima volta in cui vi si fa cenno. 60 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 95 95 1938 Un rammarico, e nulla più. Spero solo che l’averglielo detto non Le dia troppo fastidio. Ma dopo tutto la cosa è talmente futile, che, se tutti i mali si riducessero a questo... ma lasciamo stare. Dunque, telefonerò presto, per non sembrare di temere le Sue proteste! Cordialmente Sua Romana 19 Venerdì sera. [S.d.]61 Caro don Giuseppe, da quando Le scrissi l’ultima volta parecchia acqua è passata sotto i ponti. Forse è logico che Le cose vadano come vanno; ma contenta non ne sono. È logico forse che la troppa tensione nervosa sfociasse in un specie di esaltazione religiosa. Ma io questi furori mistici li ho sempre cordialmente detestati, e appena mi sono resa conto di quello che mi succedeva sono caduta nell’eccesso contrario: il disgusto. Lontanissimo anche questo da ogni mia aspirazionel Così di passione in passione mi sono abbandonata infine ad una specie di “russischer Fatalismus”, il rifugio che Nietzsche indica ai deboli62. Ma non mi so rassegnare a questa vita fra nebbie, senza un orizzonte. D’altronde ho paura della mia debolezza, che mi lascia in balìa di passioni che possono finire con lo sfuggire ad ogni controllo. E oltre tutto debbo pensare pure alla salute. Rasento un esaurimento fisico e nervoso in grande stile; prova ne sia questa insopportabile insonnia che mi tormenta sempre peggio. Conclusione: non so come tirarmi fuori dai guai. I vari pericoli sono: 1° esaltazioni di vario genere; 2° pessimismo, o peggio, cinismo; 3° accidia; 4° esaurimento. 61 Cfr. lettera 18, n. 60. Nell’opera del filosofo tedesco Ecce homo, uscito postumo nel 1908, ma scritto nel 1888, si parla del “fatalismo russo”, malattia che “infiacchisce” il corpo e la mente. 62 02 Carteggio 9-03-2010 96 11:18 Pagina 96 Carteggio 1938-1945 ...mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita. Da diversi giorni pensavo ogni tanto di telefonarle; l’apatia e la sfiducia mi hanno sempre trattenuta. Oggi sono in una fase di maggiore limpidezza; per questo sono arrivata a telefonarle; e Le scrivo ora. Non so domenica la mia testa in che stato sarà. Sono tanto stanca; ma non abbastanza per rassegnarmi a questo moto. Lei fa pregare per me, e questo mi dà un senso di umano calore; anche se non so cosa pensare della preghiera. Purtroppo non ho più nemmeno mantenuta la mia promessa. Parte consapevolmente, e parte per trascuratezza. Ora me ne dolgo. La via diritta. – Non è facile trovarla, specie quando si odiano tanto i compromessi. O con noi, o contro di noi. Ed oltre a tutto s’aspira ad un sereno equilibrio; con tutto quello che è stato, ed è tuttora. E tanta debolezza. Ho paura che la mia riserva d’energie stia per finire. Ed allora che ne sarà di me? Mentre le scrivo mi si affaccia continuamente il dubbio che venire da Lei sia solo farle perdere inutilmente il Suo tempo che è tanto più prezioso del mio. Sono sfiduciata. Angela continua a non scrivermi. Ciò significa che anche lei naviga in cattive acque. Allegria, signori! So che a dispetto della mia sfiducia e della preziosità del Suo tempo Lei mi direbbe in ogni caso di venire. Sarò quindi da Lei domenica alle undici e mezzo. Romana Guarnieri 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 97 97 1939 ANNO 193963 20 15.2.39 Caro don Giuseppe, finalmente di nuovo una lettera! E la inizio con una parola che suona rimprovero, ma non è: perché non mi ha detto già prima tante cose dette oggi? Tante volte avrei avuto bisogno di una buona raddrizzata. Non mi riesce facile parlare di queste cose; pure bisognerà bene. È poi giusto starci a ragionare tanto su? È un anno che vengo ragionando meco stessa, ininterrottamente, più di quanto Lei immagini. Non ne ho tratto che incertezza e paura, paura e incertezza. Ad aver dato retta al sentimento invece mi sarei già messa da chissà quanto tempo risolutamente per questa strada, per la quale, volere o non volere, mi sono già impegnata più di quanto non voglia confessare a me stessa. Ancora stamattina, trovatami per caso (ma è poi tutto caso?) ad assistere a una messa per il Papa presso le mie Suore64, sentivo irresistibile il bisogno di dire di sì a tutto quanto; non fosse stato il timore di compiere una cosa fatta male, mi sarei alzata dietro alle ragazze, per la Comunione. Poi invece, rimessami a ragionare ecco fatto, daccapo: paura e incertezza. È poi giusto dar più retta alla ragione che al sentimento? Peccati che mi siano d’ostacolo ce n’è, e gravi, e su essi è impostata tutta la mia vita: orgoglio, ambizione, egoismo. “Perdermi”, don Giuseppe, Le assicuro che è per me parola vuota, senza risonanza; come quell’altra “morte”. Posso pensarci quanto voglio, non la sento, non mi prende, nel profondo di me stessa non vive, è senza significato. Ma un anno fa anche Dio, anche Cristo, erano senza significato – in questo senso, e spero Lei mi comprenda. Sono così lontana, terribilmente, che mi viene il capogiro solo a guardare sù per la parete da rampicare. A furia di guardare mi piglia il torcicollo. Ma voltarle le spalle non so. 63 Nel 1939 De Luca scrive a Romana 40 lettere, mentre ne riceve da lei 33. Qua sono pubblicate 15. 64 Le Suore di Nevers, cfr. lettera 16, n. 50. 02 Carteggio 9-03-2010 98 11:18 Pagina 98 Carteggio 1938-1945 Crede, don Giuseppe, che in queste condizioni si può tentare la scalata? Fossi sola, non crederei; ma non siamo soli, di questo sono sicura, oramai. Mi sembra quasi di parlare di magia nera, ma è un fatto che da quando, pregando, ho chiesto aiuto per vincermi in tante cose, anche difficili, l’ho avuto. Poi mi viene il dubbio di quanto in tutto questo ci entrino delle suggestioni umane, troppo umane . In un primo tempo è stata Angela, poi le si è sostituito Lei; non le sue parole, che sono state così poche, ma il suo esempio che avevo sempre davanti agli occhi; il vederla vivere su un piano affatto diverso dal mio. Ma se Lei fosse stato fachiro, non mi sentirei ora attratta a slungarmi su un letto di bei chiodoni? Dovrei vedere in tutto ciò l’opera della Grazia; invece mi sembra una paura, da cui non riesco più a liberarmi. Potessi almeno pregare. Ma non so pregare un Dio con cui sto discutendo, facendo tira e molla; ed è giusto. Se vedesse la confusione che ho in testa e che mi impedisce di vedere almeno una delle cose che sono essenziali e come ne sono umiliata, spesso arrabbiata, avrebbe un po’ di compassione. Un tempo l’intelligenza mi serviva: certi problemi di matematica li risolvevo prima io del professore. Ma adesso? Sparita! E non è così da ieri; ma tutte le volte che ci ho pensato; e son tante oramai; non è passato quasi giorno. No, don Giuseppe, non è così che si risolvono le cose, temporeggiando. A soluzione di tutte le difficoltà lei mi ha impegnata per la via dell’azione. Solo per questa ha esitato. Ed è giusto. Perché per le altre ho accettato ragionando. Ma qui non si tratta per me di ragionare. La ragione mi può sempre dire che se invece di Angela, di Lei, avessi incontrato dei protestanti o degli Hindù, se fossi vissuta ad Amsterdam o a Calcutta, a quest’ora, tutt’al più, mi sentirei attratta al protestantesimo o all’Hinduismo. Ma con ciò? Vivo a Roma. Ho incontrato Angela e Lei. Se entro in una chiesa, è cattolica. Se ascolto una funzione, è una messa. So come voi altri chiamate tutto ciò. Ma mi sembra, a parlare della Grazia, di balbettare parole monche in una lingua sconosciuta; e ho paura di spropositare. E la mia paura e la mia anima puritana mi domandano se so bene che cosa significa, e se ho coraggio di prendermi questa responsabilità. Se Dio non m’aiutasse, no; ma con l’aiuto di Dio sì. Per quel poco che mi è dato decidere, so solo questo: che voglio tentare. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 99 99 1939 21 Roma, 23 febbraio1939 Caro don Giuseppe, quant’è che non Le scrivevo più? Gli è che quando il cuore è troppo pieno, non si può più stare zitti. A casa mi sentono cantare, e non capiscono cosa sia successo; le amiche mi vedono allegra e contenta e mi chiedono cosa mi è capitato; si credono per lo meno che mi sia innamorata un’altra volta: e non hanno torto, poi. Ma più meravigliata di tutti sono io stessa: quanta paura ho avuto, in certi momenti! Maledicevo questa testa che non la piantava di pensare, e questo cuore che sempre smaniava. E mi ritrovo con una fiducia e una serenità che non so capire da che cosa provengano. Così, da un giorno all’altro. C’è qualche cosa: mi sento sicura. E dei momenti che mi sento tutta gratitudine, nient’altro che gratitudine, così, per tutto e per tutti; non so dirle bene com’è. Certo è molto inverosimile tutto questo; se me lo avessero detto ancora poco fa, lo avrei trovato molto ridicolo. Come avrei trovato estremamente ridicolo quello che mi è capitato ieri. Mi perdoni se Le racconto certe inezie, ma in fondo, salvo momenti d’eccezione, tutta la vita è intessuta d’inezie; e poi, insomma, bisogna che gliela racconti. Ieri, a pranzo, vengono certe bistecche, che, ecco, belle così credo non averne mai vedute. La mamma, piena di meraviglia, osserva “non so cosa le abbia preso alla macellaia, che mi manda delle bistecche così belle!” “Sfido! fa babbo, oggi sono le Ceneri, e non avrà saputo a chi darle. Tanto noi all’Inferno ci andiamo dritti dritti!” Certo mai bistecche m’eran parse così belle. Dopo un poco, nel bel mezzo di un discorso, la mamma m’interrompe: “E tu, la carne non la prendi?” Ohi, ohi, ecco che ci siamo; e con un fil di voce, tirato fuori non so come, dico: “No...” “E perché?” Mi sentii sprofondare, mi vennero in mente tutte le scuse possibili: non ho appetito, ho mangiato troppa pasta, o che so io; tutti mi guardavano incuriositi e preoccupati: certo l’affronto alle bistecche era grave. Poi, con un coraggio da leone sputo fuori la grande cosa “sapete, oggi sono le Ceneri!”, ma ahimè, la voce uscì talmente flebile e lo sbigottimento fu generale65, che mi toccò ripetere una seconda volta e 65 «Chi mi stava vicino si preoccupava davvero, vedendomi andare in chiesa così spesso[...] 02 Carteggio 9-03-2010 100 11:18 Pagina 100 Carteggio 1938-1945 questa volta con voce chiara e sicura le fatali parole; quindi, nel silenzio di tutti (la mamma s’è fatta rossa, non so capire perché), ho ripreso l’allegro discorso rimasto a mezzo, mentre mi scendeva nel cuore una gran pace e mi sentivo leggiera come se avessi compiuto chissà che gran dovere. Né, per quanto ci pensi, e per quanto consideri tutti i lati buffi (indubbiamente, per chi sta di fuori) della cosa, mi riesce di sentirla ridicola. E dire che la prima volta che mi feci il segno della Croce, ci stetti male una settimana! Una coincidenza curiosa: (occhio alle superstizioni però!): esattamente un anno fa, oggi, S.ta Romana, mi misi per quel tale imbroglio; stamattina sono andata dal parroco di Monteverde e gli ho detto che voglio prepararmi per la Pasqua66. E non abbia timori né per la tesi, né per la laurea: adesso finalmente so perché lavoro, e perché voglio lavorare. Oggi Le ho parlato un poco di quello che sento; un po’ timidamente forse e confusamente: mi pare di balbettare in una lingua che ancora non conosco. Un’altra volta Le dirò di quello che penso, ché anche il pensiero torna a lavorare e a sentirsi un po’ più gagliardo. Per ora Le basti sapere che queste notti ho dormito, e come bene! E poi non dovrei esser grata e ripiena di festa e di allegrezza! E un pochino di gratitudine, via, mi permette di dirglielo? va pure a Lei! Sua Romana “Romana è impazzita”, dicevano tra di loro, interrogandosi a vicenda, cercando- i poverini- di saperne qualcosa», R. Guarnieri, Il lumino rosso, cit., p. 89. 66 «Nella mia totale innocenza e sprovvedutezza provai a recarmi dal parroco di Monteverde, un brav’uomo, che però non capì niente di quello che mi succedeva, e nell’atto di liquidarmi con alcune banalissime frasi devote che mi lasciarono gelata, mi consigliò di aggregarmi a un gruppetto di giovani volenterose che nel tardo pomeriggio si ritrovavano in parrocchia per una specie di corso elementare di catechismo, Docile, ci provai una sera ma scappai inorridita ancor prima di cominciare», R. Guarnieri, Il lumino rosso, cit., p. 92. Per “l’imbroglio” cfr. lettera 1. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 101 101 1939 22 Roma, 21 marzo 1939 XVII via del Fagutale 4 Romana carissima, tu eri qui a casa, ed era a casa il dono: e io non sapevo nulla. E così ci son passato per vecchio cucco67. Grazie del dono, che, se non m’inganna l’amicizia per chi l’ha dipinto e il suo carattere di dono, mi sembra una cosa buona: sentiremo che cosa ne diranno critici e pittori68. tuo aff. don Giuseppe. 23 Roma, 22 marzo 1939 Caro don Giuseppe, la sua lettera (col diciassette!!), e la presentazione di stamane a Bartoli mi spingono ad aggiungere due parole al “dono”69. Sono contenta Le sia piaciuto e lo abbia gradito. Ma non perché lo facesse vedere a pittori e a critici glielo ho regalato; tanto meno perché mi presentasse come autrice del quadretto. In questi ultimi tempi avrei voluto scriverle una lunga, lunghissima lettera: quella tale lettera di 14 pagine che non Le ho ancora mai scritta. Tuttavia vi sono cose che le parole, maneggiate da me, uccidono; ho tentato dar loro una vita, modesta, ma vita, con i colori. Il bisogno di dipingere questo quadretto è nato da una gioia esuberante e limpida come quella di un bimbo; sono questi momenti nella vita come la rugiada, un mattino di maggio: presto viene il sole e la brucia. Quel che ne ho saputo fissare spettava di diritto a Lei – anche non fosse stato San Giuseppe. Ma se invece di dipingere Le avessi scrit67 Romana Guarnieri regala a De Luca un quadretto dipinto da lei raffigurante San Giuseppe, cfr. lettera 23. 68 Cfr. lettera 23. 69 Amerigo Bartoli Natinguerra (1890-1971), pittore, carissimo amico di De Luca, nacque a Terni e si trasferì a Roma nel 1906. Qui frequentò l’Accademia di Belle Arti. Amico dello scrittore Emilio Cecchi, ne sposò la figlia Giuditta nel 1943. Su di lui sub voce, A. Guarnaschelli, Dizionario biografico degli italiani, v. 34, 1988, cit., pp. 274-275. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 102 102 Carteggio 1938-1945 to, Le verrebbe ora in mente di far leggere la mia lettera, a critici e letterati? Mi perdoni: tutto ciò suona quasi rimprovero; ma non è. Nessuno può chiedere che un uomo che poi di animo femminile, checché ne dica, troppa esperienza non ha! possa intuire a bella prima certi pudori fin troppo femminili. Ora però spero comprenderà come il pensiero di critici e pittori mi metta a disagio, e non poco. E se glielo scrivo ora invece di dirglielo a voce, se la prenda con la timidezza: quella almeno sa che cosa sia! Quanto al “vecchio cucco”, da quando Nuccia70 e io abbiamo fatto combutta insieme, ci troviamo perfettamente d’accordo nell’intenzione di fargliela ogni volta ci si presenti il destro: ciò rientra nell’ordine naturale delle cose, ed è sempre stato, da quando il Signore ha creato il primo uomo e la prima donna. Con tutta cordialità, Sua Romana 24 Roma, 23 marzo 1939 via del Fagutale 4 Mea culpa, mea culpa, carissima figliuola; ora vedo bene che non ho capito e lei non incrudelisca. Potrò, tuttavia, tener esposto – come nulla fosse – quella tavola? 70 Maddalena De Luca, detta Nuccia, è la figlia più piccola di Vincenzo De Luca e Battista Rotundo, sua seconda moglie. De Luca si occupò della sua educazione, insistendo perché affinasse la conoscenza dell’inglese che la rese poi traduttrice di opere importanti per la casa editrice Morcelliana durante la collaborazione fra don Giuseppe e Fausto Minelli, fra i più attivi animatori della casa editrice bresciana negli anni Trenta. Nuccia affiancò De Luca nella nascita delle Edizioni di Storia e Letteratura per diventarne la continuatrice al momento della sua morte nel 1962. Appare qui per la prima volta: il suo rapporto con Romana conoscerà alti e bassi e darà luogo ad una frequentazione ancora più assidua di casa De Luca. L’amicizia fra le due donne entrerà in crisi dopo la guerra, ma per gli anni che qui consideriamo conserverà un segno positivo pur se a volte fra difficoltà e fraintendimenti. Su Maddalena De Luca ancora manca una biografia, anche se la sua figura di sorella nubile di un prete meriterebbe veramente una trattazione autonoma. Cfr. R. Guarnieri, Don Giuseppe, cit., ad indicem; Ead., Una singolare, cit., ad indicem. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 103 103 1939 La sua lettera che non vuol rimproverare è invece crudelissima e Dio gliela perdoni. Le ho voluto scrivere, prima della sua venuta, per dirle il dolore delle sue percosse (e se scrivo scherzosamente, non però scherzo) e il dolore del mio peccato: soprattutto, come succede, il dolore di non aver capito. E, ora che vedo, vedo che era così facile capire! Suo aff. don Giuseppe 25 Perugia – Giovedì Santo 1939 Carissimo don Giuseppe, non perché ho da chiederle un favore vorrei credesse esser questa la ragione per cui Le scrivo già oggi. Ieri il suo mezzo rimprovero suonava malinconico davvero; o tale mi parse. Non creda davvero, don Giuseppe, che, perché voglio bene a Nuccia, Lei passa al cantuccio71. Avesse saputo che nella mia valigetta, fuori la porta, avevo, con i libri di studio, il Vangelo soltanto e il suo Santo Stanislao72, perché fuori di Roma mi siano compagni i due amici più cari, non avrebbe osato farmi il torto di quel rimprovero. So che le apparenze mi stanno contro; e di questo ringrazio il Signore. Ché, quando è nata l’amicizia con Nuccia, ho temuto non dovesse questa amicizia diventare una scusa per dimenticare una sua raccomandazione molto saggia fattami al principio della nostra amicizia: che non mi facessi vedere più di una o due volte al mese. Fino a poco fa mi ci sono attenuta scrupolosamente. Adesso le cose si sono alquanto complicate: tuttavia occorre intendere secondo lo spirito e non secondo la lettera: e secondo lo spirito, su dieci volte al mese che vengo in via del Fagutale, otto ne verrò a trovare Nuccia o Dina73, o Lello o 71 Cfr. lettera 23. Nel 1926 De Luca scrive sul «Bollettino per gli assistenti ecclesiastici» (a. V, n. 6) una nota biografica su S. Stanislao. Non è chiaro se Romana si riferisca a questa o a un ritratto del Santo. 73 Catalda (Dina) De Luca (1913-1983) sposa nel 1938 Michele Rotundo (1907-1984), avvocato editore, collaboratore del cognato Luigi in numerose imprese editoriali. Ebbe tre figli Donatella, Giovanna e Vincenzo. 72 02 Carteggio 9-03-2010 104 11:18 Pagina 104 Carteggio 1938-1945 Fiocchino74, e due Lei. Con buona pace Sua e di certa Sua malinconia, infondate. E non mi venga poi a sgridare, ché lo faccio per riguardo a me ancor prima che a Lei. Non certo Nuccia; semmai un Altro Le è passato avanti; ma di questo non si vorrà dolere. Anche se certe cose che forse avrei dette a Lei, ora gliele dico a Lui. E neppure se non gliene so parlare: ne sono ancora terribilmente gelosa. Avevo un’amica che prima di sposarsi ci aveva promesso: “Dopo vi racconterò tutto, sapete.” E dopo invece non ci fu verso: non le si cavò di bocca una parola. Gesù però non allontana; unisce, anzi, più strettamente. Mai avrei potuto immaginare il calore che dà a sentirsi dire “prega per me” o dirlo ad altri, e pregare poi non per noi solo, ma per altri, tanti, addirittura per tutti i fedeli, nella Messa, e per i morti. Per tanti anni il mio terrore, la disperazione più terribile è stato il sentirmi sola: sapere che nessuno mai potrà conoscermi nell’intimo, né io potrò mai giungere oltre quella certa barriera che non si passa nemmeno nel cuore delle persone più care. Gesù solo mi poteva togliere questo dolore: “ed ecco io sono con voi, tutti i giorni, sino alla fine del mondo.” E attraverso a Lui eccomi vicinissima a tutti gli uomini; “proximus tuus”, ha finalmente un significato, ricchissimo, inesauribile: è Lui stesso. Papà, iersera, mi ha subito donato il medaglione della nonna: mi raccontava che a Adria la “siora Carollina”, la chiamavano “la santa”, che ha istituito Lei ad Adria un convento delle Canossiane, in cui è poi morta, giovane, una sorella di papà75. A un certo momento mi ha messo, muto, la mano sul capo: era commosso più di quanto volesse far vedere. Anche io non ho saputo dir nulla. Poi, abbiamo cambiato discorso. Or eccomi con la mia domanda. Oggi parlando della Pasqua, e che sarebbe stato a Roma stavolta, ha espresso il desiderio di assistere a una di quelle solenni funzioni che ci sono soltanto a Roma. Subito mi son ricordata di Lei che si stava dannando per la traduzione della cappella papale. 74 Lello, Raffaele De Luca, figlio del fratello Donto, cfr. lettera 4. Fiocchino è il cane. Con «papà» ci si riferisce sempre a Romano Guarnieri, padre di Romana. Con «babbo» invece ci si riferisce al patrigno, Gaetano Minnucci. Per notizie biografiche sui due cfr. supra. Per il riferimento: Guarnieri padre nasce ad Adria da famiglia di piccola nobiltà, cfr. S. Covino, «Guarnieri, Romano», in Dizionario biografico, cit. 75 02 Carteggio 1939 9-03-2010 11:18 Pagina 105 105 Mi può aiutare? Se sì, telefoni, o faccia telefonare sabato mattina, presto, dalla sua graziosa segretaria76 a mio fratello, Leonardo: anche lui avrei piacere assistesse a una solenne funzione: gli ho fatto leggere l’articolo di Papini su «Il Frontespizio», e gli ha fatto impressione: è chiuso e taciturno, ma riflessivo e tutt’altro che indifferente. Prego tanto per lui. – Mi aiuti, don Giuseppe, se può: ci conto, pur sapendo di darle disturbo. Ma non si tratta di una semplice, vana, curiosità: non starei a seccarla per questo. Mi son unita anche alle preghiere dei suoi vecchietti, per Panzini77; ancora poco fa ero così timida, nel pregare; ora mi vengo facendo coraggio, e ogni giorno chiedo qualcosa di più, e mi accorgo di quanto debbo chiedergli, e di quanto ringraziarlo. La preghiera è quasi un regalo, che ogni giorno scopro più bello. Pochi giorni fa ho assistito a una Messa da morto, con assoluzione al tumulo: era morta Madre superiora della mia scuola: non so dirle quanto mi è parsa bella questa unione dei vivi con i morti, dinanzi a Dio: anche la morte diventa cosa dolce, e scopre un significato nuovo. Non la ho mai temuta: mi ha sempre lasciata indifferente; è strano che proprio ora mi dia da pensare: e anche Lei acquista un valore di regalo, come la vita, come la preghiera, come la Messa, come il lavoro, e tutto l’altro. È sera, già tarda; ora corro a impostare poiché mi preme che la mia preghiera Le giunga per tempo. Mi saluti Nuccia e tutti i suoi; particolarmente i miei auguri sinceri per suo padre. Non mi faccia più cattivi pensamenti, e sia sicuro che non Le voglio un briciolo meno del bene che Le volevo prima di volerne un po’ anche a Nuccia. Buona Pasqua! Romana. 76 Modo scherzoso per parlare di Nuccia De Luca che svolge per il fratello mansioni da segretaria. 77 Alfredo Panzini (1863-1939), giornalista e scrittore, collaboratore de «La Nuova Antologia» e «Il Corriere della Sera» nel 1929 fu nominato Accademico d’Italia. Amico di De Luca muore nel 1939. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 106 106 Carteggio 1938-1945 26 Roma, 6 luglio 1939 Carissima Romana78, grazie del saluto da Perugia, soprattutto dell’indirizzo. Il tono della cartolina mi fa credere che stai bene e allegra. La casa nostra è sempre sotto l’identica minaccia, e non è certo un’allegria; ma si è già trovato un appartamento a via della Polveriera che potrà in caso riceverci79. L’architetto ha già telefonato una volta a Peppino80 e ritelefonerà ancora. Ripiglio a scriverti questa mattina, perché ieri nel pomeriggio, ore 4, fui interrotta e non potei fare più nulla sino a tardi e fra l’altro m’inquietai con Peppino. Stamane, a pace fatta e a mente fresca, torno a te. Molto da dire non ho. Soltanto, ormai è certo lo sgombero, comunicato ieri dalle Suore a Peppino; rimanendone incerte le condizioni e il giorno preciso. Una bella croce. Il caldo si è fatto intenso e tra la tristezza e il da fare si vive come animali storditi. Vieni presto e divertiti. tua aff. na Nuccia. Carissima Romana, abbiti un saluto affettuoso e un augurio e un’esortazione a svagarti seriamente, anche dal tuo affezionato don Giuseppe 78 Questa è la prima lettera scritta da Nuccia De Luca che pubblichiamo, in tutto ve ne sono otto. 79 Nel luglio del 1939 i De Luca si trasferiscono nella nuova casa di via della Polveriera 37, dove abiteranno fino al dicembre del 1940. 80 Peppino è il nomignolo familiare di don Giuseppe, anche Romana presto inizierà a chiamarlo così. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 107 107 1939 27 Berlino81-21.7. [1]939 Carissimo don Giuseppe, la cronaca minuta del viaggio la apprenderà da Nuccia. A Lei ancora un saluto a parte. Per ora, tutto è in ordine. Salvo certe malinconie, inevitabili. L’amicizia con Angela è salva [...]82. Per il resto l’armonia interna è migliore che non a Roma. L’aria nuova ha portato via un po’ di polvere fastidiosa, e della pulizia che via via si compie non so che rallegrarmi. Per ora mi ricordo ancora spessissimo di via del Fagutale, e se a Gotemburgo troverò un salutino, ne sarò contenta. Ho troppo poco tempo per scrivere di più; a Gotemburgo avrò modo di mostrarmi meno pigra. Sans souci mi attende oggi. Cordialmente sua Romana. 28 Roma, 24 luglio 1939 Carissima Romana, l’altro ieri e ieri sono stata piena di risentimento contro di te: era anche questa una maniera di pensarti, ma maniera molto propria di casa De Luca, dove l’affetto si muta rapidissimamente in dispetto e una carezza è vicina a un muso lungo, lungo di dimensione ma non di tempo. Dunque per Santa Maddalena, 22 luglio, non mi hai fatto gli auguri! E pure, pensavo, se legge il Messale, non può sfuggirle. Proprio vero che lontan dagli occhi lontan dal cuore. Ma poi, mi avrà avuto mai nel cuore? Chissà! 81 Nell’estate del 1939 Romana parte per la Svezia con una borsa di studio dell’Istituto di studi germanici, dove frequenterà al suo ritorno un corso di perfezionamento, cfr. R. Guarnieri, Lascia che vengano, in Una singolare, cit., p. 69, n. 3. 82 Romana Guarnieri in viaggio verso la Svezia si ferma a Monaco di Baviera dove, dopo un anno dal biglietto «stile lettera d’affari», incontra Angela Zucconi, anche lei lì grazie a una borsa dell’Istituto di studi germanici per approfondire la ricerca su Lodovico I di Baviera che diventerà poi, nel 1944, il suo libro Lodovico innamorato. Cfr. A. Zucconi, Cinquant’anni, cit. p. 35. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 108 108 Carteggio 1938-1945 E così concludevo sul tuo nessuno affetto e, anche peggio, che non esistono affetti... Viene stamane la tua lettera: diretta a Peppino! Era proprio vero! Invece, che bel letterone! Te ne ringrazio e penso con riconoscenza che passavi le ore del tuo viaggio a Berlino, scrivendo a me. A me, che a dirti il vero mi sembro la più indegna di amicizia mentre pure ne sono tanto assetata. Capisco ora il tuo viaggio. Eri stanca di Roma e tutto quello che fai e vedi ti riposa di Roma. Noi invece ci siamo sepolti. Appena ieri ha dato un po’ giù il caldo. Un caldo che ci stordiva e opprimeva: sembravamo semivivi, come in una aria non nostra. Sudore, respirazione faticosa, pulci, finestre chiuse contro l’aria di fuori rovente, acqua bevuta a secchi, smemoratezza e languori. Abbiamo fatto, così, lo sgombero e casa nuova è bella unicamente perché casa vecchia era diventata un tormento e una persecuzione. Forse, al tuo ritorno, ci troverai ancora qui, Via della Polveriera, 37. Tutti gli amici di casa o son partiti o partono: Antonietta83 è andata via venerdì sera 21. Papà ha avuto dal medico curante il permesso di interrompere le applicazioni e se ne andrà via con Lello a fine di settimana (ti scrivo che è lunedì). Peppino, che questi giorni ha rotto anche un termometro a furia di metterselo ogni mezz’ora, dovrebbe partire anche lui i primi di agosto, ma non vuol lasciare Roma perché teme che nella sua assenza chi sa che cosa faranno alla casa vecchia: le monache la vogliono far rinforzare, e allora toccherebbe portar via tutto. Nostra cognata Hylda84 sabato sera è andata a Napoli dove attenderà il parto. Io, come puoi credere mi annoio abbondantemente a casa; ma se esco un po’ a svagarmi, come facemmo ieri sera, che andammo con Dina alla Casina delle Rose sino all’1 di notte, torno anche più annoiata e musona. Io sono molto buffa: e chi e che cosa mi divertirà mai? Ho quasi finito le bozze e al tuo ritorno mi troverai con sulla coscienza due libri. Ti abbraccio e buon divertimento tua Nuccia 83 84 Moglie del fratello Donato, cfr. lettera 4. Hilda Rotundo, moglie del fratello Luigi. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 109 109 1939 Carissima Romana, grazie delle tue notizie, che ho letto con piacere; e grazie delle tue rassicurazioni “sino a ora”. Io sono certo che potrai rassicurarmi sino a sempre. Le nostre notizie te le ha date Nuccia, e io non so, proprio non so che cosa scriverti che ne valga, non dico la pena di metterlo in carta, ma l’idea sola di mettercelo. Scrivi spesso, se puoi; e manda una tua cartolina a Dina (Dina Rotundo: via Labicana, 44). Ti stringo la mano tuo dG 29 Roma, 7 agosto 1939 Cara Romana, mi giunge la tua cartolina da Bergen e ci sento un po’ di malinconia: quasi il desiderio di nostre notizie. Hai ragione; ma anche io veramente non saprei che cosa raccontarti di nuovo e che tu non sappia. Ti posso dire che non andiamo e non andremo in vacanze e nemmeno al mare, se seguita così. Ti posso dire che casa nuova non ci compensa veramente casa vecchia, e tuttavia ci da l’impressione d’essere in vacanza, perché senza dubbio vi si sta più freschi, più raccolti, soprattutto più stretti... Ti posso dire che non vedo più la bicicletta che dorme appoggiata ai libri di Peppino nella vecchia casa. Come vedi se tu sei malinconica io non sono allegra e nemmeno so mentirti per fare allegria a te che viaggi. Mi pare quasi che tu dovresti farne a me, che t’invidio e invidio tutti gli amici di casa che vanno chi qua e chi là; arrivo anzi alla cattiveria di vederli ritornare col viso disincantato di tutti quelli che tornano. Scusami l’uggia, ma fa un caldo, un caldo! Papà è partito l’altro ieri ma Lello è rimasto. Ieri venne a trovar Peppino il tuo papà che mi lasciò incaricata di salutarti tanto appena ti scrivessi. Stava molto bene e di buona cera; ed è stato con tutti noi di una grandissima cordialità. Peppino gli fece vedere il tuo quadretto ed egli lo guardò lungamente con visibile tenerezza. Anche Leonardo prima di partire passò per casa, ci lasciò le galline e si trattenne più di un’ora e mezza con Peppino. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 110 110 Carteggio 1938-1945 Domani manderemo varie copie del tuo articolo alla tua mamma e a te85. Peppino ne ha dato una copia a tuo papà. Vera86 venne a trovarci con Ferruccio prima di partire per Piacenza, e si trattennero con me e Peppino quasi due ore. Ma ancora non ci hanno scritto. Peppino è molto dispiaciuto con te che non hai scritto a Dina neppure un saluto, se non per affetto a lei, almeno per acquiescenza a lui che te lo aveva consigliato. Dino, con la sua solita rudezza, lesse che salutavi a nome Antonietta e non lei e si confortò nella persuasione che ormai casa nostra veniva prima Antonietta e poi Dina... Scrivile, ma senza accennare a nulla di tutto codesto: fai contenta anche me, e potrò scusarti quando Peppino ti dà della dispettosa. Sono stanca di scrivere e ti abbraccio Nuccia 30 Roma, Via della Polveriera 37 7 agosto 1939 XVII (San Gaetano, santo della Provvidenza!) Mia cara Romana, proprio non sono nello stato buono per scrivere una buona lettera: arretrato, come sempre e peggio; arretrato con Dio, con lo studio, con tutti, con tutto; e fuori della gioia. Dico, quella gioia che soverchia tutta l’anima e la sciacqua, rinfresca, lava, trasporta e trastulla, come un bel seno di mare, mosso. Mi regolo, con la gioia, come un solitario esploratore con l’acqua, in un interminabile deserto. Ciononpertanto, lavoro; e, come vedi, ti scrivo. Ne ho quanto basta per non morire; ed è assai, quando è gioia. Ho piacere che cammini. Dalle tue, che leggo sempre, anche tra le righe, non veggo novità che mi addolorino. Dove e quando hai scoperto la presenza del tuo Angelo Custode, che veggo ricordato nella tua cartolina di stamani? Ci voleva la Svezia, da tanti secoli senza santi né santuari, a fartelo sentire accanto al tuo volto, sopra la tua spalla, appena un po’ più indietro? 85 Probabilmente ci si riferisce all’articolo scritto da Romana per «L’Avvenire», Itinerario breve verso il nord, uscito il 1 agosto del 1939. 86 Vera Alessandroni, amica di Nuccia De Luca. 02 Carteggio 1939 9-03-2010 11:18 Pagina 111 111 Ieri è venuto tuo padre. Quanto mi ha fatto piacere! Non ti nascondo che la sua sconfinata fiducia in me (per te, Leonardo, sé) mi spaventa. Fra l’altro, penso se a te non possa, domani, scocciare questa mia aperta presenza accanto a te, presenza non d’uomo, certo, ma nemmeno d’angelo. E me ne sento tutto sommosso e trepido. Almeno, non ho fatto nulla per vessarti: e speriamo bene, che tu un giorno non ti annoi. Il tuo papà mi ha parlato a lungo. Temeva, quasi, che io ti potessi consigliare, idealmente bene; ma dal lato materiale, male. Io già ho detto che a me pareva tu non nutrissi nessuna idea di restare a suo carico: e che, se problema c’era, era in che modo e verso quali mète lavorare; non già se lavorare o no; e che tu eri determinatissima a vivere del tuo, e magari ad aiutare lui ... Ho esagerato? ma mi sembra che tu così la pensi, ed è giusto che tu la pensi così. Daltronde, dotata come sei, non stenterai di certo a trovar da vivere: stenterai (siamo daccapo) a scegliere la strada più consentanea e felice a te. Di strade, ne hai più d’una: ecco il tuo problema, infilarne una. E a infilarla, fai presto; ma seguirla, stare alle conseguenze. Novità grande: tuo padre accennava anche a sé, su molte cose; e io non le dirò certo a te. Quanto mi ha commosso! e come parla, come sente di te e Leonardo! Non saprei che cosa dirti di più. Cioè, saprei; ma mi sembra che, dicendole, acconsentirei più al mio piacere che non all’amicizia per te e a Cristo. Mi sfogherei, insomma; non facendo altro che grattar le mie rogne, che sono poi le solite, e tu bene le conosci: disincanto, stanchezza, stati d’animo non strozzati bene e sempre palpitanti, irrequietudini e malsanie. E che cosa giova? Potrei parlarti di studio: ma non è già abbastanza studiare, che bisogna anche parlarne? Arrivederci presto, Romana: svagati e (se si può dire) vagati; e non pensare mai a Colui che da quest’anno ami, come a un’ospite invisibile e inviso: è il più presente, il più caro, il più profondo, il più totale degli amici: e prendendoci tutti, il più disinteressato: ci prende, non per sé, ma per noi. tuo aff. don Giuseppe 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 112 112 Carteggio 1938-1945 31 Gotemburgo, 10 agosto [1]939 Povero, caro don Giuseppe, quanto vorrei poterle dare un poco della gioia che mi accompagna senza mai lasciarmi, in questo mio viaggio. Saperla stanco, avvilito, a Roma, fra pensieri e dispiaceri, caldo e lavoro, troppi gli uni e troppo l’altro, è l’unica nota malinconica in questo mio viaggio. Non ricevendo più notizie cominciavo a preoccuparmi seriamente. Grande è stata quindi la mia gioia al ricevere stamattina Le vostre due. Avrei preferito che spirassero però meno tristezza l’una, la Sua; meno uggia l’altra, di Nuccia. Soprattutto speravo apprendere di una vostra vacanza, magari breve, ma vacanza. Posso dire ora quanto è, a volte, veramente indispensabile. E Lei ne ha bisogno molto più che non ne avessi io. Si faccia coraggio, don Giuseppe: 5-6 giorni bastano, e il mondo non casca per questo. Dopo Le sarà tanto più facile rimettersi a pari con tutti i suoi arretrati. Non so quali particolari difficoltà vi possano essere ora, ma all’incirca me lo immagino: credo anzitutto e sopratutto si tratti di farsi coraggio e prendere una piccola decisione. Ma basta, se no mi dà dell’impicciona. Le altre notizie nella sua lettera mi fanno il piacere che è facile immaginare: grandissimo. La visita di Papà non mi fa meraviglia; né più mi sembra strano o inverosimile quanto Le ha detto. Lei ha replicato benissimo. Quanto alle commozioni, ci creda, ma con riserva: conosco me; tanto basta per conoscere anche il valore di certe commozioni. Perdoni, se Le sembro dura. Questa vacanza fatta di allegria, di vanità, leggerezza e superficialità, che mi ha rinfrescata e ristorata come una pioggia di Settembre, sta già per finire. Fra poco mi troverò daccapo in mezzo alla “Serietà della vita”! Sono felice di queste mie vacanze, e sono felice che presto siano finite. Tornerò a Roma, a lavorare, a prendere tutto sul serio, fin troppo. Qui non sono certo un modello di serietà, né credo che la fama italiana qui si avvantaggerà molto del mio soggiorno a Gotemburgo. Poco male. Quante diversità dal mio viaggio in Olanda, nel Gennaio scorso: ero nervosa, irrequieta, tutto mi disturbava e turbava; di salute stavo meglio che non ora. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 113 113 1939 Domenica 13. L’altro giorno mi sono arenata e anche oggi ho paura che non ce la faccio a disincagliarmi per bene: ho la testa ancora alquanto confusa a cagion di iersera (v. lettera a Dina!). Sono dopotutto abbastanza pentita e sconcertata; stamattina ho capito di aver infilato una via sbagliata. Esiste la possibilità di prendere veramente vacanza? Intendo: vacanza dal nostro io? Temo siano vacanze pericolose. Oggi ho deciso di virare di bordo. Preghi qualche volta per me. Non ho ancora mai sentito Colui che da quest’anno amo, come un ospite “inviso”; ma invisibile sì. Spesso mi è sembrato perderlo di vista; sentirne la voce come una debole eco lontana. Sono contenta che le vacanze siano finite. Mi sono messa, senza avvedermene per una via che potrebbe menar lontano. Ora mi sembra ancora facile ritrovare la vecchia. Quindi niente preoccupazioni. Ho solo un poco di esperienza di più. Dica a Nuccia che sono troppo stanca per scriverle oggi; che ha torto se crede vedermi tornare disillusa e disincantata. Sono tranquilla, contenta e fiduciosa. Sarò qui fino a venerdì (compreso); avrò ancora un vostro saluto? Lei sa quanto mi fa sempre piacere. Quando tornerò avrò ancora un mucchio di cose da raccontare; per oggi, basti così Cari saluti a tutti Sua Romana 32 Roma, via della Polveriera 37 16 agosto 1939 XVII Mia carissima Romana, se ti dico che la tua mi ha risollevato di colpo, tu sei padrona di non credervi, ma non di negarmelo. Non so perché, ma insomma la tua mi è piaciuta moltissimo, riconducendomi (forse per questo m’è piaciuto) ai giorni che tu mi scoprivi e io ti scoprivo, e si avanzava di sorpresa in sorpresa; fin quando, mi parve almeno, dallo stato d’innamoramento la nostra amicizia passò a quello di matrimonio, sempre più stretto ma sempre più uggioso, sempre più scarso di piacere perché, come accade, sotto al piacere si scopre sempre un dovere. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 114 114 Carteggio 1938-1945 Vero è che dovrei e vorrei essere più contento, tra le assi e travature potenti dell’armatura che non tra i pennoncelli e gli spruzzi e le brezze della nave: ma v’è in me qualcosa di fanciullesco e giovanile, che stenta a morire; e non so mai colpirlo forte, perché a volte mi pare il vecchio uomo voglioso goloso avido dell’attimo di gioia come si sia; a volte, invece, mi pare la radice del poeta, dell’uomo di cuore, persino del santo. Che brutto giudicare! e peggior vivere!87 Comunque, grazie. Grazie della lettera a Dina; grazie di quello che scrivi a me; grazie di quanto ti diverti, ti svaghi, godi. Fammi sapere sempre, anche con una cartolina, le tue notizie e il tuo indirizzo: sapere almeno dove stai, mi sembra un non spezzare il filo che ci unisce. Le sorelle andranno qualche giorno al mare; io, in settembre, mi muoverò. Così almeno penso. Non mi dilungo, perché voglio far impostar subito; eppoi, anche questo è chiaro, scrivere mi è già un fastidio, pel tanto che scrivo; e scrivere di cose sante, m’è un rimprovero; di cose non sante, e forse nemmeno buone, m’è un rimorso; e star così fra due stati d’animo, m’è una tremenda noia e tristezza. A presto una tua, e m’aiuterai ancor più a traversare questo forno d’estate: come una brezza, su un arrostito a fuoco lento. Aff. DG 33 In treno verso Berlino 21.8.[1]939 Carissimo don Giuseppe, nella presente ora di malinconia mi è caro rifugiarmi da Lei, come il bambino che corre dalla mamma quando ha voglia di piangere. Domani, forse, tutto sarà dimenticato. Oggi, il distacco dalla Svezia mi costa un po’ di dolore. Vi sono stata felice, quasi ininterrottamente. E Stoccolma non ha certo facilitato il distacco: una delle città più belle che conosco; e nel suo quadro ho passato ieri una giornata tutta gioia, tutta lampi, e sprizzi e scintillii, più spumeggiante e più inebriante di uno spumante. Oggi pago la sbornia. Tutta la giornata di ieri è passata in compagnia del parroco di Gotemburgo: non gliene ho parlato mai, per non suscitare gelosie professionali! Ha avuto 87 Cfr. G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 47. 02 Carteggio 1939 9-03-2010 11:18 Pagina 115 115 una parte non indifferente in questo mio tempo; mi è stato prezioso amico: olandese dal buon senso equilibrato e senza molte possibilità di turbamenti (pareva, almeno), mordacissimo come tutti gli olandesi intelligenti, si distingue fra essi per intelligenza superiore e spirito caustico in proporzione. Abbiamo battagliato sempre ai ferri corti: battaglia pericolosissima per me; anche stavolta una ferita si è aggiunta alle molte cicatrici. Oggi sanguina un poco; ma so che rimarginerà presto, se voglio. Ma come siamo deboli; come facile graffiarsi! Dovrei continuare a canzonarmi e prendermi in giro come ieri, come ho fatto ancora tutta stanotte, tutta stamene; ma più forte, più sotto, come una rogna, c’è il turbamento reciproco del distacco, ier sera al treno. Addio, in un baleno, ironia, mordacità, addio persino intelligenza e ragione: due volti improvvisamente seri, una stretta di mano febbrile, un groppo in gola ricacciato rabbiosamente, e un lungo salutare dal finestrino, sgomento, per un attimo quasi disperato. Come forte reclama i suoi diritti questa nostra natura umana, e come duro, a momenti, opporvisi. Pure, attraverso alla foschia di stati d’animo male soffocabili, non perdo di vista la luminescenza che mi indica la via intrapresa, e porto la mia malinconia, la mia debolezza, l’irragionevole rimpianto, perché so che fan parte del mio fardello. A Roma la vita riprenderà con ritmo diverso; l’animo, i turbamenti rimarranno sempre quelli. Ma non conta: so dove portarli, oramai. Parole, parole; stati d’animo nebulosi, imprecisi. Il pensiero sfugge, e solo rimane un greve languore. Pazienza. Da “patere”: e pazienza dunque. Le ore passano e la tristezza diviene più opprimente. Ogni minuto di ieri mi pulsa nel sangue con lento martellare; ogni attimo di gioia di ieri oggi torna fatto dolore. Né serve sfuggire il pensiero; è qualcosa di diverso, non è pensiero: è istinto; che d’un tratto si sente martoriato e protesta. Pazienza. Pazienza. Mi è consolazione e sollievo parlare. Ma può perdonare questa debolezza di oggi? Faccia conto che le sto di fronte al tavolo, con l’aria un po’ stanca e la parola stenta; ma non per questo sfiduciata. Ci sono gli istinti, ma c’è anche latente un coraggio non meno forte che mi sostiene, e che domani avrà bell’e vinto. Non si preoccupi di me; quando questa le giunge, sarò lieta come prima; lieta del ritorno, lieta di salutare voi altri, lieta di lavorare; e saprà anche che il suo ricordo, la sua amicizia, mi sono presenti nelle valli e sulle vette. A me, la nostra amicizia non è parsa uggiosa, non nell’innamoramento e non nel matrimonio. I doveri che accompagnano i piaceri, non 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 116 116 Carteggio 1938-1945 sono uggiosi; la fanno più bella, forse un tantinino più difficile, ma appunto perciò più salda. Se ci pensa bene, s’avvedrà che è così. Sua aff. Romana Mi voglia scusare ancora presso Nuccia. Non le darò certo la soddisfazione di vedermi malinconica! 34 Domenica 22.10.[1]939 Firenze. Hotel Minerva Carissimo don Giuseppe, oggi, giornata di emozioni intense. Siamo tornati stamattina al miracoloso convento di S. Marco. Peccato non esser soli, e non avere a propria disposizione tutto il tempo che si desidera. Ma anche così, che gran cosa che è. Di fronte alla purezza di certi affreschi vien voglia di appoggiare la fronte contro la parete e piangere in silenzio, non visti. Firenze oggi è triste: piove e fa freddo e io sono stonata. Ogni emozione fa entrare in vibrazione altre corde che sarebbe meglio tacessero. Altre volte avevo mente e cuore più sgombri. Ciò non ha guastato però affatto la gioia avuto incontrando al ristorante il Papini. Mi ha subito parlato di Lei; io ero così emozionata e sbigottita, e avevo tanto da fare per nascondere emozione e sbigottimento, che non ricordo più nemmeno un decimo di tutto il bene che mi ha detto di Lei. Che Lei è il miglior amico che Lui abbia a Roma, questo sì mi ricordo che lo ha detto, perché io avrei voluto rispondere che per me era la stessa cosa, tolta però la limitazione di Roma; ma poi mi sono ricordata che non sono un grand’uomo né eccellenza per giunta, e quindi mi sono stata zitta88. Chi sa perché mi scombussola sempre tanto veder Papini, anche solo da lontano; forse gli voglio bene più di quanto non sappia io stessa? 88 L’Accademia d’Italia, costituita nel 1926 su imitazione dell’Académie Française, rappresenta il tentativo più riuscito di coinvolgere gli intellettuali di chiara fama nella vita del regime. L’ammissione all’Accademia comporta il titolo di Eccellenza. Papini divenne membro dell’Accademia nel 1937. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 117 117 1939 Mi ha chiesto un solido articolo su Vandel, per Rinascita89, ho promesso di darlo entro quattro mesi. Ecco che già mi trovo contenta di non essermi impegolata con la scuola. Ho anche cominciato l’articolo per La Festa90; ma per il momento viene un’indecenza: tutto moine e vezzi. Vedrò poi di dargli verbo. Babbo ancora non ha avuto modo di vedere Lattanzi: vuole parlargli e fargli un poco di politica. Noi non so, ma lui in ogni modo è a Roma martedì e ha detto che penserà subito a rintracciarli. Leonardo ritorna a Bolzano domani sera; sta tuttora molto avvilito; abbiamo scoperto che c’entra, come era da aspettarsi il solito povero cuore; inquieto e malcontento anche in Lui. La mamma e io è probabile si resti qui altri pochi giorni a fare un poco di compagnia alla povera Eloisa sempre malconcia. Giovedì alle 6 io ho una lezione di svedese a cui in ogni modo non mancherò: è dunque fissato il termine ante quem del mio ritorno. Se non avesse troppo da fare, ricevere nel frattempo un saluto suo mi farebbe il piacere che sa. Intanto saluti tanti e carissimi a Lei, Nuccia, Dina e Michele Sua Romana 35 Roma, via della Polveriera 37 23 ottobre 1939 XVII Mia cara Romana, il tuo saluto da Firenze, inaspettato, mi è stato tanto più caro. E quel che tu mi dici nella tua, mi è stato anche più caro. Io non so se sono il migliore o il peggiore; so solamente che il mio affetto per te è molto grande, molto vivo, ed è talmente presente, e talmente di continuo, nel mio animo, che senza nessuna enfasi ed esagerazione debbo considerarlo in verità una parte del mio vivere quotidiano: quotidiano, ed eterno. Perché, tu lo sai al pari di me, nei nostri giorni, che si aprono e 89 Cfr. lettera 17, n. 57. «La Festa», come «L’Avvenire» e entrambe riviste dell’Opera Cardinal Ferrari di Bologna che dal 1929 al 1930 aveva pubblicato anche «Il Frontespizio». Sulla collaborazione di De Luca alle tre testate cfr. G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., pp. 230-235. 90 02 Carteggio 9-03-2010 118 11:18 Pagina 118 Carteggio 1938-1945 chiudono uno dopo l’altro, si apre un giorno che non si chiude: il dies che è una cosa sola con Deus. Con le tue superficiali ribellioni e la tua profonda docilità, non a me certo ma a Colui che da me ti ha parlato, potrai qualche volta irritare, e sino al pianto, il sottoscritto; ma non credo che tu possa ormai farti odiare da me, quand’anche (e non mi par vera né possibile ipotesi) tu un giorno dovessi arrivare a odiarmi. Questo, mi piace dirtelo in tutte lettere. A quanto mi crederai utile, io sono qui, sempre, tutto. Sono e sarò, dum sufficit dies et Deus. Questo, per la mia parte. E non pretenderai che io v’insista, perché sono temi assai delicati. Siamo tutti bicchieri con molta posa: a versarli, senza necessità, o scuoterli, si corre il rischio di far alzare la posa. Meglio, certi sentimenti, muoverli meno che sia possibile: invigilare che ci siano, curare che si accrescano, ma tenerli fermi: fermi, si decantano91. Per una volta (è la prima volta) te ne ho scritto: ma vorrei che non dovesse venir presto la seconda volta, per tue incredulità gratuite. Da mia parte, dunque, così stanno le cose. E non stanno male. Da parte tua, tu me l’hai detto anche tu, e stanno benissimo. Ringraziamone Iddio. Domani, ricorre l’anniversario della morte di mamma, che lasciò il mondo per avermici voluto mettere; e morì di me, quaranta giorni dopo la mia nascita. Ne ringrazierò anche mamma, dunque. Mi è stata vicinissima sempre, più e meglio che se fosse restata con me. Tuttavia, tu ora permettimi un po’ di sermone. La tua strada, tu ormai l’hai veduta. Sul termine della tua prima giovinezza, hai sentito a che cosa sei chiamata: e ti sei trovata intorno cuori animosi, sebbene (come succede a chi veramente arde) discreti e quasi timidi; e già ti si aprono altre facilità, ti vengono incontro altri inviti. Papini, il buon Papini, buono come pochi e grande d’una segreta tenerezza umana che gli ha fatto trovare Iddio, Papini ti invita a lavorare: ma non è che il primo. Altri inviti avrai. Ora bisogna che tu lavori. Ogni giorno, col tanto di preghiera, devi consegnare nelle mani di Cristo un tanto di lavoro. Lavoro duro, quello che è condanna del primo peccato, che è servitù: ma è pure, con Cristo, redenzione e liberazione, nostra e altrui. Non mancare, a questo lavoro, se non vuoi tradire la tua anima e la tua eternità, cioè Cristo; se non vuoi tradire il tuo tempo quaggiù e quanti ti vollero, ti vogliono, ti vorranno tutto il loro bene; tra i quali, ultimo 91 Su questo passaggio come caratteristico dell’apostolato di De Luca, cfr. G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 116. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 119 119 1940 non è davvero (seppure non sarà, come vorrebbe essere, il primo) il tuo, tuo com’è di Cristo: don Giuseppe 1940 36 venerdì 12.1.[19]40 Caro, carissimo don Giuseppe, l’altro giorno che la mamma stette a letto e io, per un giorno, finalmente le ho fatto un poco di compagnia, a sera, nel salutarmi, Lei si è creduta in dovere di ringraziarmi. Io ho fatta la faccia dura e ho tagliato la corda, ma non so dire che cosa ho sentito a questo umile ringraziamento: e non avevo fatto che il mio dovere. Povera mamma so darle così poco, che per una minima cosa mi viene a ringraziare. E oggi poi mi ci si mette anche Lei. Pare proprio che a furia di umiliazioni il Signore mi voglia ridurre a pezzettini il cuore. Perché insomma Lei dice che certe parole possono non lasciare segno, ma non è così. Forse l’equilibrio fittizio in cui mi sono mantenuta in questi mesi a furia di una continua cautissima vigilanza con tutta la Vernünftigkeit92 di cui ero capace era troppo instabile. Imprudenza la sua o prepotenza o altro, non so. Oramai la cosa è andata così, e sia. Oggi, quando facevo la faccia tragica, lottavo con me per non dirle una filza di insolenze di cui l’idea centrale era che Lei non aveva il diritto di usarmi questa violenza. Stasera sono io che Le chiedo perdono di averlo anche solo pensato. E se non Lei, chi allora ne avrebbe il diritto? Caro don Giuseppe, non creda che io voglia minimamente sottrarre la mia anima a Lei, all’amico e al sacerdote. Sono e sarò ancora qui da Lei con l’antica fiducia e con tanto ma tanto più affetto. Perché ne vuole dubitare anche un istante solo? Se non ho parlato era la Vernünftigkeit che me lo consigliava; ma se avessi sentito veramente il bisogno di parlare da chi sarei corsa, se non da Lei? Le ho taciu92 Senno, giudizio, prudenza. Il termine tedesco è spesso usato da Romana. 02 Carteggio 9-03-2010 120 11:18 Pagina 120 Carteggio 1938-1945 to l’episodio di quel giovine, è vero: ma perché in sostanza non mi ha toccato in fondo, e perché a certe cose, a palarne, si finisce per dare un’importanza che non hanno93. Lei entra per tanta parte, e da sempre, cioè dal primo giorno in cui ci siamo conosciuti, nella mia vita nascosta, quella che non si vede, e di cui per solito non parlo, e non c’è nessuno a saperla, fuorché il Signore. Fino a poco fa glielo ho taciuto gelosamente, perché veramente così credevo di dover fare. Don Giuseppe, quella che noi vogliamo è o non è un’amicizia, serena e forte? E se è, allora è anche vero che dobbiamo essere in due a portarla questa che in parte è anche una soma; e dunque, mi lasci portare anche la mia parte, è non mi faccia dubitare che in ciò ci sia dell’orgoglio. È vero, ora ho alle volte un riguardo per lei che prima non avevo, e che forse al sacerdote potrà anche dispiacere. Gli è che ora le voglio più bene di prima – e a questo non c’è nulla da cambiare. Ma che cosa importa, se sa che voglio portare da me finché ce la faccio, e che in questo trovo più forza che non se dessi da portare sempre tutto a Lei? Su questa apparente maggiore freddezza esteriore, in realtà è riposto un calore interno assai più forte che non quello che si sente quando ogni moto dell’anima è comunicato e trasmesso immediatamente e, perché no, talvolta anche sconsideratamente94. Quante cose che io so che Lei mi tace. Forse che per questo le voglio meno bene? Il rapporto è diverso, dirà Lei, sia per l’età, quanto per la condizione. Ma allora non mi parli più di amicizia – se ciò le è possibile – perché, anche se non se ne è reso conto, nell’amicizia è indispensabile che ci si ritrovi almeno per certi riguardi su un piano di uguaglianza, dove diritti e doveri si distribuiscono equamente. Forse Lei non pensava a questo. Io sì. Ed è vano credere di poter tornare indietro o cambiare indirizzo. Sono cose che si accettano a parole, e l’uno di fronte all’altro cerca di salvare le apparenze e di illudere; ma ciascuno per sé sa troppo bene quale ignobile commedia stia recitando. Lo sto sperimentando ora, ed è un brutto sperimentare. Non sono stata capace di scriverle dalla Sicilia. Le dirò di peggio: è stato proprio il fatto che Lei me lo abbia chiesto che mi ha resa più incapace che mai di scriverle. E così saprà quante volte debbo lottare 93 R. si riferisce a una infatuazione avuta a Goteburg durante la sua visita dell’anno precedente. Non è chiaro chi sia questo giovane anche se molto probabilmente si riferisce al sacerdote olandese di cui parla nella lettera del 21/8/1939. 94 Sull’amicizia nel rapporto fra De Luca e Romana cfr. Introduzione. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 121 121 1940 contro la cattiveria, che non mi fa risparmiare nulla e nessuno. Le accludo la lettera; ora sì può leggerla, perché non può interessarla più per altro che per la cronaca. Nello stato d’animo, brutto veramente brutto, in cui mi trovavo è già molto che mi sia riuscito non spedirla; di scrivere una parola buona non ero capace, e solo a prendere la penna in mano mi sentivo irrigidire e la cattiveria e il sarcasmo prendermi tutta. Troppe volte viene fuori ancora la vecchia Romana, che Lei, forse, non ha mai conosciuta, e a cui non ha mai voluto credere. Una volta – saranno forse tre anni – sono restata impassibile di fronte alla mamma che in singhiozzi, a mani giunte, mi supplicava umiliandosi così come forse nessuna mamma si è ancora umiliata, di lasciare un’amicizia che da troppo tempo la faceva soffrire. Ho turbato la pace a un poveretto che davvero non ci pensava più. Stanca, dopo un poco lo ho piantato in asso, e quando quello, divenuto veramente mezzo pazzo, mi ha minacciato di farla finita, gli ho risposto freddissimamente – per iscritto – che facesse pure, ma che mi usasse la cortesia di distruggere prima le lettere che aveva di me. Ho fatto impazzire quel povero svizzero con cui mi ero fidanzata, e quando il poveretto era giunto a non capire più quello che facesse e dicesse, per troncare corto gli ho detto chiaro e tondo in faccia, che mi ripugnava, dopo di ché non gli ho più parlato per una settimana, e non ne ho più voluto sapere. Da bambina torturavo le bambole e i gatti; da grande ho torturato gli uomini, i miei, le amiche. Ma crede davvero dunque che siano tutte queste, invenzioni della mia fantasia? Ne domandi a Gabriella95, allora. E crede davvero che tutto questo sparisca tutto a un tratto? Ho ragione a temere di me stessa, spesso; se una volta il gusto di far soffrire mi riprende la mano, non è facile che io trovi subito la forza di reagire, e spesso basta un nonnulla a riaccendermi l’antico piacere, anche una sigaretta offerta con insistenza e rifiutata per ripicca. Perché torno a insistere su questo punto? Spero che non accadrà mai, ma se accadesse un giorno che dovessi incrudelire anche su di Lei, forse Le sarà più facile sopportare, sapendo come stanno le cose con me. Forse, si ricorderà allora di quello che le scrivo ora e il suo soffrire si muterà in pietà per me. Perché se adesso mi dovesse riaccadere sarebbe ancor tanto più terribile di una volta; prima almeno mi rivolgevo soltanto contro gli uomini; ma ora? È sciocco forse, avere questa paura, ma non so liberarmene. 95 Gabriella sposerà Leonardo Guarnieri fratello di Romana. 02 Carteggio 9-03-2010 122 11:18 Pagina 122 Carteggio 1938-1945 E ora ancora voglio dirle di me, adesso. Non vivo contenta, e se il lavoro non mi fa da coperchio, per lo meno mi fa da anello di salvataggio a cui sto attaccata disperatamente. Penso che finché non tradisco quello, almeno qualche cosa è salvo. Perché sto vivendo un compromesso, e per quanto chiuda disperatamente gli occhi per non vederlo, non mi so levare da dosso questa certezza. Finché Lei aveva presa in mano come l’aveva presa in mano la faccenda, tutto andava bene, e vivevo tranquilla. Dal momento che mi è stato chiesto di fare un sacrificio e non sono stata capace di farlo, non è andata più bene96. E la prima a soffrirne è stata la vita spirituale: come si fa a presentarsi fiduciosi e sereni a un amico, a cui si sa di aver fatto un torto a cui non si trova la forza di riparare? Perché il peggio è questo: quelle poche volte che ho osato – così, di sfuggita – di guardarmi un poco addentro e mi sono domandata se adesso almeno, se mi si tornasse a chiedere di rompere la corrispondenza, me la sentirei, so che ancora esiterei a lungo, e forse mi ci rifiuterei un’altra volta. Eccole la ragione per cui evito con tanta cura di mettermi di fronte alle cose. Pura vigliaccheria. E per che cosa poi? Amore sentimentale, ha detto Lei. Parole grosse, troppo grosse. No, soltanto tutte le debolezze, tutte le vaghe aspirazioni, le malinconie indefinite, i bassi e spesso malsani sentimentalismi e chi sa quant’altra roba ancora più o meno indefinita e indefinibile, viene convogliata lì, assieme a molta, moltissima vanità, un naturale gusto di scherzare con più o meno civetteria, il particolare sapore che dà una cosa che non è come deve essere, e quanto d’altro di spregevole si va accumulando in un’anima umana. Credo che amore sia un’altra cosa. Ma se mi dice di finirla tutta una parte del mio essere si ribella e nasce un subbuglio da non finire più, come si è visto nell’ottobre. Che cosa aspetto non so. Forse d’essere arrugginita tanto da non sentire più il peso del compromesso e illudermi alla fine di essermi comportata bene? A questo ero avviata. Ma ora, bontà sua, eccomi daccapo in alto mare. E ora che mi ci ha messa, mi trovi anche, al più presto, uno straccio d’ora per aiutarmi a rientrare presto in porto! Sua Romana 96 Il sacrificio, come scriverà poco dopo, consiste nell’interrompere la corrispondenza con il giovane parroco di Goteburg. Cfr. lettera 33. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 123 123 1940 37 Roma, via della Polveriera 37 6 febbraio 1940 XVIII Cara Romana, sento, non tanto l’opportunità, ma la necessità interiore di scusarmi con te, non di quello che ti ho detto, ma di quello che io ero e sono sotto le mie parole: giuste le parole, ingiusto io. Parte del mio turbamento, iersera, nasceva dall’orribile schifo che mi facevo, mentre rimproveravo te, tanto più buona, forte e lieta di me, in sostanza: lieta, e degna di essere lieta. Sappi, stasera mi sono recato a fare una confessione generale, e son tornato piangendo. Tu perdonami la mia miseria, ma credi alla tristezza con cui la porto; credi all’amicizia che sento, ormai come il mio stesso respiro e sangue, per la tua anima e per tutto il tuo essere. Darei e do una parte della mia felicità, perché tu possa conoscere meglio Gesù, e non sperimentarlo come Legge, ma come Grazia; non come dovere, ma come Amore; non come coazione, ma come Liberazione97. Perché tu possa essere lieta, fierissima, terribile e dolce, come un’amica di Dio. E smetto, perché ubriaco del pensiero e del sentimento di queste cose, scrivendo faccio parole, ed è altro schifo. Non so che cosa dirti o farti, terminando: tuo aff. d Gius 38 26.2.[19]40 don Giuseppe carissimo, se io ieri sono stata ingiusta, e non dico cattiva perché cattiva certo essere non volevo, Lei oggi se ne è vendicato, e questo è umano, anche se poco cristiano. Da quando ci conosciamo sono stata spesso pronta ad 97 «Quando l’uomo prova in sé presente Iddio, non in mero concetto o in puro sentimento, ma nell’amore, noi diciamo che allora egli è pio: non presente per un attimo [...] bensì presente in forza di un abito interiore, continuo e continuato quantunque non ininterrottamente in atto», G. De Luca, Archivio italiano per la storia della pietà, in Introduzione alla storia della pietà, cit., pp. 7-8. 02 Carteggio 9-03-2010 124 11:18 Pagina 124 Carteggio 1938-1945 accusarmi, fin troppo spesso; difesa mi sono raramente, forse mai, almeno a parole. Né è detto che sempre sia più facile o comodo tacere. Oggi però, una volta tanto, voglio difendermi. Cerco di non dare peso alle sue parole, ma l’accusa che Baldini le vuole bene sul serio, mentre noi...mi cuoce98. Lo avesse detto una volta, per scherzo, non vi darei peso. Ma sempre, o scherzando, o sul serio, torna a dubitare o scherzare. Sarà bella quella dedica, ma Lei dimentica che l’unica persona, da cui avrei voluto due parole davanti al Gezelle, è Lei99. Glielo ho chiesto così, di straforo, senza osare di insistere, e così succede che una dedica fa un effettone e una timida domanda è subito dimenticata. È pur vero che scripta manent. Adesso, chissà se se ne dimenticherà più? Ma sappia dunque che se a Lei costa fatica starmi accanto come sta, non meno me ne costa a me. Ché se Lei mi sta accanto come sta, come sacerdote prima che come amico, di me si può chiedere chi te lo fa fare? E se lei è uomo in tutto il senso della parola, io credo di portare avanti non meno dolorosamente, spesso, la mia femminilità. E sto sola, non meno di Lei; con questa differenza anzi, che, mentre Lei ha una sorella con cui scherzare e da spupazzare, io non ho proprio nessuno, né in famiglia, né fra le amicizie con cui scappi mai o una parola o un gesto di tenerezza (di fatti la prima volta che c’è stato ci sono rimasta subito bruciata.) E le assicuro pure che a veder scherzare voialtri mi turba immancabilmente, anche se non lo faccio vedere. Don Giuseppe, io non so parlare come Lei che se ci si mette trova parole a torrenti, e per giunta bellissime. Io so meglio tacere, e tirarmi indietro, ma se sapessi potrei raccontare tanto da farla, alla fine, restare malissimo, e crederebbe allora, finalmente, che le devo volere bene per davvero anche io a Lei e non lei solo a me, per vincermi tante volte, 98 Antonio Baldini (1889-1962) narratore e saggista, redattore responsabile della «Nuova Antologia» dal 1931 era fin dal 1929 in amicizia e corrispondenza con De Luca. Cfr. A. BaldiniG. De Luca, Carteggio 1929-1961, a cura di E. Giordano, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1992. Baldini inviterà De Luca a collaborare alla «Nuova Antologia» fin dal 1931 cfr. lettera 28 aprile 1931, in ibidem, p. 46. 99 «Poco dopo la mia laurea in lingua e letteratura tedesca don Giuseppe m’aveva chiesto di scrivergli [...] un articolo sul prete e poeta fiammingo Guido Gezelle, del quale gli avevo a suo tempo parlato: poeta vero e prete autentico, in barba alla nota battuta del Carducci, secondo cui preti e poeti non andrebbero d’accordo. Da tale articolo nacque poi il mio volume Guido Gezelle. Vita del poeta e saggio delle sue poesie, pubblicato nel 1941 dalla Morcelliana di Brescia, nella collana “I compagni di’Ulisse”», R. Guarnieri, De Luca, il Bremond italiano, cit., p. 39. Guido Gezelle (1830-1899) prete e poeta fiammingo, nella sua poesia indagò il legame fra Dio e la natura, di cui fu appassionato cantore. 02 Carteggio 1940 9-03-2010 11:18 Pagina 125 125 tacere tante altre, o fare la faccia indifferente. Ancora stamattina ho fatto fatica a venire, ché il suo essersene andato a letto senza aspettare la mia telefonata – ed era stato Lei a chiedermela, fra le nove e le dieci: alle nove in punto ho telefonato! – mi era sembrato per lo meno ingeneroso. Lei dice che vincersi e tacere poi è ispirazione del demonio; mi permetto dubitarne, perché fra l’altro di queste cose non debbo rendere conto nemmeno a Lei. Ma non era per rimproverarla certo che ho cominciato a scrivere. Volevo dirle tanto altro, ma non so, e forse è meglio così. Io non ho potuto dirle né darle mai nulla, perché nulla avevo da poterle dire o dare. L’unica cosa che mi restasse era trovare tanta umiltà da accettare, sempre, tutto. Credevo, così, dare lo stesso, in qualche modo. Quando ho avuto un dolore o turbamento sono corsa da Lei, mai da nessun altro. Crede fosse proprio tutto egoismo? Mi sarei allora lamentata o seccata a sapere Lei debole qualche volta, perché è evidente che questo non fa comodo. Vorrei essere invece più forte, più intelligente, più brava in tutto per poter anche io essere qualche cosa per Lei, e non sempre Lei solo per me. E quando poi mi capita di essere debole, dopo, mi piglierei a pugni, proprio per questo. Eppure, anche con Lei, farei presto a fare la commedia, e fare come a casa, che vado dal medico senza dire niente a nessuno. Troppe volte però mi succede ancora di parlare spinta da uno stato d’animo, più o meno sciocco. Né mi accusi di non parlare abbastanza: non vi è stata una cosa seria, o che per lo meno a me sembrasse tale, in questi due anni, che io le abbia taciuta. Salvo che per le cose spirituali. E lì, abbia pazienza. Ne ho un tale pudore, che un poco, ho paura, sono rimasta protestante, su questo punto. Vorrei poter trovare un direttore spirituale di cui conoscessi la voce soltanto, dietro la grata del confessionale. E Lei, in questo, vuole per forza vedersi defraudato, o, come dice Lei, fregato. Ma guardi, non ci sia orgoglio. Per il resto non so se e come potevo fare meglio di come ho fatto; cioè, se sarei stata mai capace di fare di più. Ero orgogliosa, ribelle e ricalcitrante a tutto e a tutti: a casa non hanno saputo mai che pesci pigliare con me. È venuto Lei, si è presa la mia intelligenza e me la ha portata a Cristo, a Cristo sì, ma Lui ha creduto bene di lasciarla nelle sue mani, e difatti ci sta bene; mi ha preso il cuore e lo ha portato a Cristo, ma, ancora, Cristo glielo ha lascito, un po’, nelle sue mani. Quello poi, e non è poco, che logicamente sarebbe venuto dietro, siamo giusti, anche io ho sempre voluto e saputo tenerlo a posto, e questo prima anco- 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 126 126 Carteggio 1938-1945 ra, molto prima che per amore di Cristo, per rispetto e affetto di Lei. E quante volte mi è successo che oltre al turbamento mio ho dovuto portare quello suo, avvertito assai più volte che Lei non immagini: e, se non dovesse credermi, potrei raccontarglieli, a uno a uno. E le lettere: non spedite, perché poi? – Non mi piace parlare di queste cose, ma una volta tanto mi faccio coraggio, e questa gliela spedisco. Dio non voglia che dopo essermi fatta coraggio tante volte a tacere, questa sia una debolezza. Ma mi pare che qualche volta, per credere, Lei abbia bisogno non – grazie a Dio, – di toccare, come S. Tommaso, ma per lo meno di udire100. Sua Romana 39 In treno, verso Arezzo 5 marzo [1]940 Caro don Giuseppe, non so come è che da quando sono partita il mio pensiero è in colloquio instancato con Lei, e che quanto vedo mi pare di vederlo con Lei. D’altra parte non è la prima volta certo che mi accade, ma glielo ho sempre taciuto, come tante altre cose. L’anno scorso l’Olanda, quest’estate la Svezia e la Norvegia le ho girate, vedute, godute sempre in compagnia sua; se il mio angelo custode avesse un nome, un volto di vivente certo che nessun altro avrebbe nome e volto che da Lei. Pure, tutto questo non può essere mai trapelato dalle poche cartoline, le pochissimi lettere, volutamente indifferenti. Un solo pensiero di rammarico ho avuto oggi a lasciare Roma; cioè no, siamo giusti: due. Uno Lei sa qual era, l’altro era il rimpianto, forse un po’ sciocco, di non essere a Roma domenica, 10 marzo101. 100 «Roma 1.3.1940 Caro don Giuseppe, sarebbe più semplice telefonarle, ma se mi accoglie come l’altra sera il coraggio di parlare mi passa subito. Credo che la mia risoluzione ultima non sia giusta. Preferirei dunque rinunziare a una guida spirituale, piuttosto che a certi elementi di cosiddetta amicizia, assai poco spirituali? Se non rimettiamo la nostra amicizia nelle mani di Gesù, questa varrà a poco o nulla, e non saremo certo noi a saperla salvare. E affidare ma con riserve equivale a non dare. Perciò, se amicizia deve essere, che sia il più vicino possibile a Dio, per quanto sta in noi». 101 Il 10, o il 12 marzo come emerge dalle lettere seguenti, è il giorno scelto per ricordare 02 Carteggio 1940 9-03-2010 11:18 Pagina 127 127 Ora, mi pare che fosse stabilito già da secoli che io dovessi scivolare ora per queste campagne velate di silenzio e di malinconia fluttuante sulle tinte ancora esitanti di questa nascente primavera. Eppure a tutto potevo pensare fuorché a questo, giungendo a casa stanca e per due ore di faticata lezione. Mi sento veramente sollevata e appoggiata sulle braccia di qualcuno più grande e più forte di me, che mi tiene e palleggia come un padre il suo bambino. E nulla mi par strano. L’Arno corre grigio con incupimenti radi verdi o terrigni e qua e là s’increspa bianco intorno a un sasso affiorante: penso al giro che vorrei fare con Nuccia. Quando? Ogni volta che percorro questa strada – e sono tante ormai – torno a sognarne, tanto che non c’è paesaggio, credo, che mi è caro più di questo. Ma Lei non lo conosce, né lo ama. Piegato sui libri e cartelle si sforza di convincersi che tutto il creato, o almeno il senso di esso, sia lì fra le due strette finestre della sua stanza. E tanto ho fatto che quasi è riuscito a convincersene: il giorno che se ne sarà convinto del tutto si farà murare dentro, come le sepolte vive, e sarà un gran delitto. Io sono con Gezelle; e mi pare tanta la giustizia e l’armonia di quello che vedo che, forse, nemmeno il pensiero della morte sa spaventarmi e più che mai sento l’evidente certezza dell’anima, immortale. Siamo a Firenze; nel crepuscolo, tutto pare grigio e silenzioso; grigia la campagna tutta d’ulivi, grige ora le case, e come senza vita. Fra altre 7 ore sono a Bolzano, da Leonardo febbricitante, e, chi sa, forse in grave pericolo102. Sembra strano, certo, ma non è. Solo, non so liberarmi da questo rammarico per domani: mi sembra che solo riprendendo il lavoro insieme ci saremmo liberati da quel senso dolorante che a me è rimasto, e, forse, anche a Lei. Ora, è come una ferita a cui non si osi ancora levare la fasciatura. Più tardi. Bologna è vicina. Siamo state a cena: di fronte a me un grasso prelato, roseo, sorridente e beato nella triplice pancia e corrispondente pappagorgia sembrava voler dimostrare all’evidenza che certi preti sanno rendersi dolce la vita. Preferisco le sue pantofole rappezl’incontro fra Romana e don Giuseppe. In realtà, stando al carteggio, la data esatta è il 13 marzo. «Tu parli del 10 come anniversario: io ho segnato il 12: quid est veritas?» De Luca, 8 marzo 1940, in ARG non pubblicata. 102 Leonardo Guarnieri, fratello di Romana, mentre di stanza con il suo reggimento a Bolzano viene ricoverato per una broncopolmonite. 02 Carteggio 9-03-2010 128 11:18 Pagina 128 Carteggio 1938-1945 zate e la coperta da cavallo103. Sono stanchissima. Chi sa stanotte a che ora andrò a letto. Ora mi provo a dormire un poco. Bolzano 6. mattina presto. Stanotte all’una abbiamo trovato Leonardo patito e sfinito per quattro giorni di febbre altissima. A sentire Lui se la sarebbe cavata per vero miracolo. Ma ai malati non resta che una consolazione: rendere interessante il proprio male; e Lei ne sa qual che cosa. E dovere delle sorelle di tutto il mondo è restare obbiettive e calme. Sta di fatto che è di una magrezza impressionante, e non può muoversi quasi per la debolezza. Pare che ieri sia stata la crisi del male: a sera la febbre era calata un poco. Adesso sentiremo il dottore. A Bolzano sono molto pii. In considerazione della Quaresima e del dovere di penitenza mi hanno dato un letto di crine che alle mie stanche membra è sembrato più duro di un tavolato. Così è stato facile alzarsi presto. Ho avuto anche il piacere di constatare, la squisita gentilezza del mio raffreddore: in queste circostanze non ha creduto generoso abbandonarmi, e a me non resta che accoglierlo con lagrime commosse e abbondanti. Ora andiamo da Leonardo; non mancherò di darvi notizie; sul suo comodino ha un’immaginetta di Gesù, messavi certo dalla padrona di casa. Saluti carissimi a tutti e a Lei in particolare Romana P.S. Ecco una lettera che in circostanze normali sarebbe in passata in archivio: tanto perché si faccia un’idea. 103 Fra gli aspetti più sconcertanti di De Luca vi è per Romana, nella memoria del primo incontro «una bizzarra coperta di lana rasata, vermiglia a righe bianche e nere, che – in tutto e per tutto simile a quella che il fantino suol gettare sul suo cavallo fumante e brividoso a corsa terminata – gli avvolgeva braccia e spalle, dandogli un’aria indifesa», in R. Guarnieri, Un incontro, cit., pp. 58-59. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 129 129 1940 40 Roma, 7 marzo 1940 San Tommaso ore 16,30 Ricevo, cara Romana, la tua carissima e rispondo subito: papà attende per impostarla. A quel che mi confidi, posso, con onesta esattezza, rispondere con una pari confidenza: io sono partito, ho viaggiato, sono a Bolzano con te. Iersera, ho persino telefonato (e poi subito staccato l’apparecchio) a casa tua, per sapere se avevate telefonato nulla. Talune volte sono un po’ allarmato di questa tua presenza in me; poi mi dico: “à la guerre comme à la guerre; e se amicizia ha da essere, sia”. Fai bene a stare con Gezelle: se non è superbia il solo confrontarsi, ma tu l’hai voluto, egli era insieme più prete e più, assai più poeta di me. Io, ti ripeto, sono il servo dell’orto, giù alla stalla. E se qualche volta, laggiù, mi arriva una luce, un canto della casa dello Sposo, mi viene una indicibile tenerezza; se poi qualche anima, di quelle che Egli ama, vuol bene anche a me, non ti nascondo che ne provo una fierezza a cui non saprei rinunciar: non come un seduttore, ma come uno che gode il sorriso della Sposa del Suo Signore104. Ama la natura e l’arte, figlia e nipote di Dio, come Dante diceva: io sto in un lavoro senza tregua, senza ordine e (sappilo, Romana) in fondo senza gioia. Ma non saprei fare altro al mondo. Lassù, nell’anniversario, troverai lo stesso Signore: io in ogni modo ti starò tanto più vicino, quanto più sei lontana. Che cosa fa la vicinanza in queste cose? forse turba e oscura, forse addolora. 104 «Qui habet sponsam, sponsus est: amicum autem sponsi, qui stat et audit eum, gaudio gaudet propter vocem sponsi» Giovanni 3,29. De Luca userà spesso questa metafora giovannea, soprattutto in relazione al suo rapporto con la poesia cfr. G. De Luca, Archivio italiano per la storia della pietà, cit., p. 37. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 130 130 Carteggio 1938-1945 41 Roma, 7 marzo 1940 XVIII Cara Romana, e tre, dirai. Difatti, è la terza lettera che ti scrivo stasera105. Una, troncata alle 18.30 per il morente; l’altra, fatta impostare prima di cena; la terza, te la scrivo ora, dopo cena (Nuccia è a teatro), e la imposterò domattina, prima della messa. Tu perdonami anche questa esplosione. Ma io me la voglio permettere, appunto per dirti questo: che tu non devi dare importanza a codesti miei furori. Li devi portare e sopportare, nell’amico sacerdote, con quella intelligenza che è insieme intransigenza e indulgenza, chiarezza di mente, e chiarezza di cuore. – Anzitutto, son fatti organici, di temperamento. Io son fatto così. Forza? debolezza? non so che cosa sia; ma è così: qualcosa di più forte dei miei deboli nervi, delle mie deboli ciglia, mi acceca e mi scuote, mi oscura e mi fa tremare. Ma non mi butta a terra: resta, vegliante e padrona, l’anima, rivolta su su, nell’ultimo abbaino, ma padrona di casa e in casa. – In secondo luogo, è la mia condizione di vita. Tu sai la diga che infrena questo torrentaccio montano, e non lo lascia passare. E sai, tu, che questa diga tiene. Non è una fictio iuris, per me: tiene veramente. E capisci allora che può accadere, in questo mio povero e duro essere. – Infine, non ignori le mie pessime abitudini di vita. Dalla mattina alla sera, tra libri o gente di libri, qualche altra cosa in me si lamenta, o si ribella. Eppoi, la scontentezza di non arrivare. La perpetua servitù al denaro, e insieme il supremo spregio del denaro, che letteralmente io butto. Le volontà, dell’uomo e insieme dell’uomo di Dio, sempre contrastanti e dolorose; più dolorose che mai, quando per caso s’accordano, e mi portano ad altitudini o abissi, dolcissimi ma intollerabilissimi. Mille parole che sempre intronano l’anima, mille desideri, mille fastidi; obbiezioni, abbiettezze, con esaltazioni e veri eroismi; tutto ciò, e molto altro, mi compone una vita interiore che mi tortura come una ubbriachezza potente, mi fa delirare come una spasimosa brama car105 Anche Romana fra il 6 e il 7 scrive tre lettere nelle quali dà ragguagli sullo stato di salute del fratello e sui difficili rapporti con la madre «La mamma poi sta smaniando, è nervosissima, anche quel poco che andrebbe bene le pare vada malissimo e non ci si combatte; è roba che se non c’è babbo, Lei non è più capace di muovere un dito. A me poi le sue smanie fan l’effetto contrario, ed è peggio, sicché non le sono nemmeno di grande aiuto», Bolzano, 7/3/1940. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 131 131 1940 nale, mi dà le vertigini del pensiero astratto e del fuoco compresso; la luce e l’ombra di Dio, le patisco come i miei nervi il tempo. Chi mi vuole un po’ di bene, deve perdonarmi. Quanto peso a me stesso! È naturale che appena appena intravedo in un’anima un sentimento di pietà, mi vien voglia di appoggiarmi un poco. Quando tu mi dicevi di voler fare per me qualcosa, – dopo, ti dissi quel che da te mi attendo – per ora, basta che tu mi sopporti così. Non è invadenza, prepotenza, volontà di dominio: è che voglio distendermi, riposarmi, quietarmi. Sopportarmi, è un po’ guarirmi. D’altra parte, e ti serva di norma: sinora almeno, non ho dato la mia anima in signoria del mio temperamento. Ancella di Dio, come la Madonna, una regina del mondo, la mia anima non l’ho sottomessa a nessuno, nemmeno a me. Stai dunque tranquilla: in me non avrai né tentatori né coltivatori di platoniche ubbie. Non turberò il tuo cuore per me (potessi devastarlo, ma per Lui!); né la tua carne né la tua intelligenza avranno da me, sinché io sia sano di mente, se non un aiuto a raggiungere quello che sarà il loro naturale amore. Questo volevo dirti stasera; l’ho detto, e ora, con papà e mamma recito il rosario. L’ho fatto entrare, anche il rosario, nella lettera: l’ho recitato, e son venuto a chiudere la lettera. E non temere mai, Romana: non ti voglio accerchiare, soverchiare, coperchiare: ma io stesso, e lo vedrai, aiuterò la tua liberazione da tutto e tutti, anche da me. Tuo aff. dGius. 42 Roma, 8.3.1940 Carissima Romana, ieri arrivò una tua lettera a Peppino e per dirti la verità pensai un po’ male di te: come scrive a Peppino e non ci mette neppure un bigliettino per me? Scusami, ho avuto torto, perché questa mattina è arrivata una tua seconda lettera con una pagina anche per me. Sono contenta che Leonardo stia già un po’ meno male e spero che la tua prossima ci dica che la febbre è scesa a 37, febbre non pericolosa dal momento che spesso l’ha anche Peppino. Io, Dina, mamma e papà preghiamo tanto e tutti di casa fanno i più cari auguri a Leonardo e tante cose alla mamma e a te. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 132 132 Carteggio 1938-1945 Ti ringrazio del tuo pensiero per i miei esami, e mi dispiace dirti che non è servito. Il giorno sei alle otto precise, ero lì, e non ti dico con che batticuore, e mi sento dire che non posso fare gli esami perché mi manca il certificato di residenza. A dirti il vero mi è dispiaciuto, me lo sarei tolto volentieri, ma purtroppo dovrò aspettare fino al sedici, riavere di nuovo il batticuore e poi forse essere bocciata. Tu però da buona amica fai un piccolo sacrificio e ricordatene di nuovo il 16 mattina. Ieri l’altro mi telefonò Vera, la quale vorrebbe vedermi e spero che quando ci incontreremo in qualche punto di Roma tu sia già tornata e ci si possa andare insieme. Mi ha detto Peppino che con il treno sei passata per dove noi dovremmo passare in bicicletta, mi fa piacere sapere che ancora ci pensi e che anche quando sei lontana, pensi che io sia capace di poterti essere compagna. Sono commossa e onorata. Sai a proposito che ha nevicato? Avessi veduto come era bello e pur divertendomi un mondo a guardare la neve venir giu, ho pensato ai tuoi poveri alberi fioriti. Peppino ha detto: guarda un po’, tutte e due le volte che Romana parte, a Roma nevica. Adesso il tempo è bello. Oggi, mentre aspettavo il mio scolaro, sono andata a fare una passeggiata con Peppino, dalle tre alle quattro, sembravamo...a non te lo so dire, insomma tu cosa penseresti vedendo una ragazza e un prete giovane andare a spasso al Colle Oppio? Ebbene quello sembravamo noi. Ho scritto una quantità di scemenze e, se ci fosse Peppino, mi farei mettere in buon italiano questa lettera, perché tu sei dottoressa chissà con quale severità e scrupolosità la leggerai. Pensa che sono nata in Basilicata e non in Toscana e chiudi tutti e due gli occhi. Di nuovo tanti cari auguri a Leonardo. Tu non strapazzarti e pensa anche alla tua salute. Tanti saluti alla mamma e a te da tutti di casa tua Nuccia Cara Romana, mi sono permesso, tornando a casa, di leggere questa lettera: la mia Nuccia è la solita: non crede che le si possa voler bene, se ne stupisce e quasi insinua il contrario. Come farò a farle capire, almeno io, che dopo l’anima, per me viene lei? Rendimi testimonianza tu, quando tu torni; e scrivici sempre. Tante cose a L.106 tuo aff. d Gius. 106 Così nel testo: L. sta per Leonardo. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 133 133 1940 43 Roma, Sabato mattina ore 6,41 (9 marzo) Ho terminato da un quarto d’ora la messa, e prima di rientrare a casa (dove non voglio allarmare, con siffatta frequenza di lettere; a proposito, dimmi se costì facesse stupore), prima di tornare a casa, voglio scriverti due paroline che ti giungano domani, nel caso che tu domani festeggi il primo anniversario del tuo primo incontro con Lui, nel suo maggiore e miglior Mistero. “Te quando sorge e quando cade il die”: proprio così, cara Romana. Ti scrivo la mattina, ti scrivo la sera. Non appena la donna incomincia a salire nel cuore miserabile dell’uomo, ogni donna diventa un po’ Madonna, e le si vuol bene come se fosse tutte le donne e avesse le più dolci e grandi qualità della donna: madre, figliuola, sposa, sorella, vergine come una stella, calda come nessun fuoco riscalda, lontanissima e intimissima, dolorosa e amorosa, gentile e crudele, ecc. ecc. Speriamo, Romana, che questo mio grande scrivere non ti faccia a sua volta impressione di “oppressione”: smetto subito. Sarebbe, al solito mio, andar per suonare e restar suonato. E far la figura di chi domanda, quando parto e giungo con anima di donare. Dimmelo, hai capito, vigliacchissima e negra bionda: ché io smetto nell’istante questa mattutina e vespertina rottura della tua alpestre pace, del tuo dolore fraterno. Piuttosto – e scusa il divagare e l’alto e basso del tono, come d’un pazzo che canta solitario nell’orto – piuttosto, domani dirò dunque la messa per te, e metterò questi aggettivi a tuo carico: ardente e splendente, tenera e casta, fortissima e lieta. Speriamo che Lui ne faccia per te altrettanti sostantivi. Certo, io glielo domando con tutto il cuore, stavo per dire con tutti i cuori innumerevoli che mi sembra d’avere quando voglio bene. Perdonami ancora d’averti tanto discorso di me; ma la mia anima mi fa, dentro, un tale rumore, che io non sempre riesco a scordarmelo, e l’orecchio non vi si assuefà mai. Dev’essere, forse, non tanto rumore quanto dolore; ma lasciamo star questi discorsi; se no, per scusarmi di avertene fatti in passato, te ne rifaccio al presente. E non te ne voglio fare. Ti mando – in grazioso prestito, ma prestito – questa immaginetta che era del libro quotidiano di pietà della B. Cabrini107. Mettila sotto il 107 Francesca Saverio Cabrini, (1850-1917) beata per volontà di Pio XI. Su di lei De Luca 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 134 Pagina 134 Carteggio 1938-1945 materasso (se sotto il cuscino si tradirebbe) di Leonardo: chissà che non lo guarisca, di salute e di cuore. Non mi dare del superstizioso, e tu sei capacissima, nobile e sublime e di tutta misura come tu sei; perché io non sono superstizioso e quand’anche lo fossi, non dovrei renderne conto alla vostra ragionante pensante signoria nordica: io sono religioso, come amo il letto quando sono stanco e la pastasciutta quando ho fame, e come (révérence parler) amerei qualche altra cosina se non fossi prete. Sono religioso come bevo e respiro, come ascolto e guardo, come amo e odio: e mi metto, diciamo così, dietro (voglio dire, dietro le spalle) i vostri sdegnosi e grandi pensieri, o elevata signorina! Scusami le sciocchezze, ma è vero: del resto, quando Alessandro Manzoni perdeva qualcosa, diceva anche lui i suoi paternostri a Sant’Antonio: vero è che quando perdeva le cose migliori che avesse (la cordialità, l’ispirazione, la moglie) non se ne avvedeva, e non diceva il paternostro, e così non le ritrovò più108. Io sono...ah ah, un’altra volta io! Due schiaffi, e mettiamolo in tacere. (In un orecchio, volevo dire che sono daccapo stanchissimo, tristissimo ecc. ecc. ecc.). Fa un freddo, che è un peccato che tu, innamorata fredda, non sii a Roma; io mi sento male. Il sole invece, e questo è il guaio, scotta; ed è bene che tu, innamorata cruda, sii co.... e mai non ti debba cuocere. Addio, Romana. Scrivendoti m’è parso (bel complimento, ma tu intendi il continuo mio profondo ammiccare ad altro) m’è parso continuare il dolce dormiveglia dell’altra mattina, quando anche i sogni son veri, e, forse, son veri solamente loro. tuo don Gius. interviene la prima volta sulla «Nuova Antologia», a. 72, fasc. 1578, 16 dicembre 1937, pp. 456451. I suo scritti sulla Cabrini vengono raccolti in Madre Cabrini la santa degli emigrati, a cura di L. Scaraffia, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2000. 108 Le pagine di De Luca su Manzoni sono numerosissime, vale però la pena riportare un passo di una lettera a Baldini che ne definisce la tipologia «A me Manzoni mi annoia, mi immiserisce, mi avvilisce. Eppoi l’ho letto; che volete di più?. [...] Il poeta che era in lui, apparisce come un sorcio in una sala di funerale: tutta fiori, drappi e il cataletto in mezzo, e intorno la gente in stile: quel sorcetto esce fuori perchè? E non fa ridere? Fa un giretto e scompare, salvo a ricomparire di lì a poco. Eppoi, caro Baldini, è inutile che mi gratti questa rogna: basta. Tu pagano e carducciano lo ami, io cristiano e prete non lo posso sopportare», in A. Baldini-G. De Luca, Carteggio, cit., pp. 150-151. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 135 135 1940 44 Roma, 9 marzo 1940 ore 16,20 Carissima Romana, a quest’ora avrai ricevuto le mie, e non ti dorrai del mio silenzio, quanto, forse, del mio scrivere. Stamani, ricevendo le tue del 7 e dell’8 c.m., ho visto di che cosa si tratta, non senza esserne profondamente addolorato, e perché no? impensierito109. Averti scritto, pertanto, le solite rimormorazioni d’un Sant’Ilarione che s’esprime come l’Aretino, per lo meno è stato incongruo110. Vero è che è sempre meglio essere Sant’Ilarione e parer l’Aretino, che non fare l’Aretino ed essere Sant’Ilarione; ma insomma era tempo, questo, di codeste lugubri schiumature d’anima? Perdonami. Sappi che io penso molto anche alla tua mamma e come comprendo la vibrazione acuta sino allo smarrimento dè suoi nervi! penso al tuo mal di gola che non ti fa dormire, e che, vicino all’incendio febbrile di Leonardo, mi dà una folle paura. Penso, e con vero sollievo, all’arch. Minnucci111, che se è costì saprà regolare pel meglio le cose. Hai salutato per me Leonardo? Avverto i vecchi, domattina, prima della messa – della tua messa – di pregare per una mia intenzione: e con te metterò Leonardo. La nostra vita a Roma è la medesima. Il Milton è buono, e lo dirò a Guidi112. Mi sono giunti 22 voll. – arcistupendi – dall’America; l’opera di Hawthorne, intera113. Ho veduto la Airoldi, amica dei liberali lombardi e di Croce, ma innocentissima e cara signora, che mi ha promesso un Brentano114. Ho 109 Nelle lettere si descrivono le condizioni di salute di Leonardo in apparenza piuttosto gravi anche se non gravissime cfr.lettere 7 marzo 1938 e 8 marzo 1938 in ARG non pubblicate. 110 Cfr. lettera precedente. 111 Cfr. lettera 3, n. 6. 112 Augusto Guidi, nato a Roma nel 1914, figlio di Ersilia e Alessandro Guidi, compagno di Romana nel corso di laurea in lingue diventerà professore universitario di lingua e letteratura inglese e collaboratore grazie a De Luca di numerosi quotidiani. Il Milton di cui si parla nella lettera uscirà nel 1940 per la casa editrice Morcelliana. Cfr. G. De Luca-F. Minelli, Carteggio, II, 1935-1939, cit., pp. 440-444. 113 Nathaniel Hawthorne (1804-1864), scrittore statunitense. 114 Giovanna Federici Airoldi, traduttrice e esperta di letteratura tedesca. Non risultano sue opere sul poeta tedesco Klemens Maria Brentano (1778-1842). Cfr. G. De Luca-F. Minelli, Carteggio, II, 1935-1939, cit., p. 168. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 136 136 Carteggio 1938-1945 visto Baldini, poi Bartoli; ho corretto altro Dickens115; ho patito e goduto, l’una e l’altra cosa oscuramente, di fantasia non di fatto; ho molto pregato, molto prego, pregherò moltissimo per i tuoi, per Leonardo, e – specie domani – per te: tuo aff. don Giuseppe P.S. Fa che ti respingano le lettere se tu lasci Bolzano: sinché sei costì, ti scrivo per lo meno una volta al giorno: questa è la VI, esclusa quella di Nuccia. 45 Bolzano 11.3.[19]40 dall’albergo – ore 17 Carissimo don Giuseppe, avevo cominciato a scriverle stamani dall’ospedale, ma poi ho smesso subito per buttarmi invece sul letto, perché proprio incomincio a non reggere più. L’aborto di lettera Le diceva come Leonardo non avesse ormai più febbre (36,5°) e la mamma che diceva che è un vero miracolo (io pensavo all’immagine sotto il materasso e, più alle vostre preghiere)116. La mamma mi pare creda la mia stanchezza pigrizia o commedia (mi vede in ottimo aspetto e di grande appetito) e ciò porta ad attriti spiacevoli. Pazienza. Faccio del mio meglio in tutti i sensi, credo; ma siamo stanche tutt’e due e i nervi sono i primi a risentirsene. Avevo il solito mal di pancia che non manca mai di tormentarmi quando vado in viaggio, e lei non se ne è data per (?) per nulla e ha voluto che uscissi lo stesso subito dopo pranzo, per comprarmi un paio di scarpe: io mi sentivo i brividi per la stanchezza e si figuri che voglia ne avevo. Adesso per fortuna mi sento meglio, ho solo la temperatura un po’ alta, ma non mi ci prendo nessuna folle paura (non fa parte del mio repertorio; come tante altre cose) perché so che non è altro che stanchezza. La mamma indispettita mi ha detto che è meglio che domani me ne 115 Si fa riferimento al volume che sta traducendo Maddalena De Luca ovvero la biografia dello scrittore inglese Charles Dickens scritta da G. K. Chesterton, che non vedrà mai la luce. Cfr. G. De Luca-F. Minelli, Carteggio, II-III, cit., ad indicem 116 Cfr. lettera 43. 02 Carteggio 1940 9-03-2010 11:18 Pagina 137 137 vada a Roma, tanto per la compagnia che le faccio non vale la pena. È ingiusta e mi dispiace che le cose prendano questa piega, d’altra parte vi sono momenti che non ce la faccio a stare in piedi. Leggo e rileggo spesso le sue lettere, che mi fan tanta compagnia. Vorrei avere più tempo e meno stanchezza per scrivere tante cose, ma anche oggi non se ne parla. Vado all’ospedale, è ancora il meglio, chissà quante ne avrà dette sul conto mio a Leonardo. Son certa che domattina, a vedermi andare a messa (l’ultima è alle 8) s’indispettisce peggio, e non so proprio che cosa fare. D’altronde queste son tutte sciocchezze e l’unica cosa seria e importante è che Leonardo stia senza febbre. Speriamo ora che non gli torni e che questa brutta storia sia finita. Sono contenta che il Milton sia buono, l’ho seguito passo passo e anche a me pareva così. Quando si sarà tolto il Dickens Le sarà forse più facile pensare a Gezelle e forse è meglio così117. Mi dispiace sentirla sempre così triste e dolorante. A me invece anche queste contrarietà non riescono a andare in profondo. L’anima mia corre lenta e placida, né stanchezza né preoccupazione riescono a turbare l’andare tranquillo, e nemmeno i torrenti diluviali che le giungono da Roma per lettera: perché ciò sia possibile ci deve essere una certa profondità nelle acque, se no vedrebbe che straripamenti. Persino la parola mi giunge più facile senza timore di tradire o essere tradita. Con tutto ciò devo salutarla ora, ed è gran peccato, ma debbo proprio. Se non avessi altri doveri credo che riceverebbe lettere di dieci pagine: ho proprio idea che lettere in archivio oramai non ne andranno più. Un’altra volta gliene dirò il perché. Addio Romana 117 Romana ha seguito il lavoro dell’amico Augusto Guidi. Per i riferimenti sul suo lavoro e sul Dickens, curato da Maddalena De Luca, cfr. lettera 44, e note. Per il Gezelle, lettera 38 e note. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 138 138 Carteggio 1938-1945 46 Roma, 11 marzo 1940 ore 14.10: sagrestia Cara Romana, di ritorno dalla Vaticana118 – che abbiamo ripreso a frequentare, dopo giorni, con Nuccia – abbiam trovato la tua. Che bellezza! Leonardo è sceso dunque, e non è più così arso dal velenoso fuoco; e tu, tu sei più serena; e, dalla tua lettera, m’è parso intravedere, non lieto ancora ma non più contratto, il volto della vostra mamma. Io continuo a pregare fitto, e far pregare: già le mie vecchine e i miei vecchini incominciano a domandare: “Padre, ha notizie nuove di quel giovanotto?”; e io dico, “Sì, ma senza novità. Forza, dunque: bisogna mettere Gesù e la Madonnina in un vero impiccio”. Tu sai, Romana, che il Signore – che era un uomo di spirito – quando raccontò la parabola della preghiera, con l’amico il quale dormiva, e aveva i figliuoli con sé a dormire, e non voleva scendere a fornire quel po’ di pane che un amico gli veniva a chiedere a sera alta; tu sai che discese, poi: dicesse, “propter improbitatem eius”. Tradotto in buono italiano, perché gli aveva rotto i co...me si chiamano. Vuol essere, dunque, pregato così: e noi, fedeli, glieli romperemo119. Non dubitare, glieli stiamo rompendo. E non si smetterà, sintanto che non discenda e plachi l’ardente petto di Leonardo. Poche volte, mi sono buttato così a capo fitto a pregare. Lui sta con la sua Sposa, la Chiesa; coi figli prediletti; ma bisogna che senta anche me, per Dio. 118 La Biblioteca Vaticana è uno dei luoghi di studio più frequentati da De Luca, di cui fu vero e proprio inquilino particolare per tutta la vita. Numerose le testimonianze in proposito: una sugli anni venti, «Aveva avuto il permesso di frequentare la Biblioteca Vaticana anche fuori l’orario; lo si vedeva uscire subito, finito l’insegnamento, tra le undici e mezzogiorno, e rientrare verso le due o più tardi», L. Sandri, Ripetitore nel seminario romano minore, in M. Picchi, Ricordi e testimonianze, cit., p. 312, un’altra sugli anni Cinquanta, di E. Follieri: «I frequentatori della Biblioteca sapevano pressappoco tutti chi fosse quel prete un po singolare: un fenomeno di erudizione, un editore famoso, monsignor Giuseppe De Luca», in P. Vian, Don Giuseppe De Luca. A cento anni, cit., pp. 58-62. 119 Luca 11,5-8; De Luca si riferisce alla parabola dell’amico importuno. Scrive De Luca sulla preghiera «Quando preghiamo ci pare di parlare noi a Dio, ed è invece Iddio che parla a noi, nelle nostre stesse parole. Dio non ha nessun bisogno della nostra preghiera, per sapere ciò che ci occorre e per donarcelo: egli sa e dà, nella sua infinita sapienza e misericordia. Ma vuole che noi lo preghiamo, perché siamo noi ad avere bisogno della nostra preghiera», in G. De Luca, Commenti al Vangelo festivo, ora in G. De Luca, Meditazioni e preghiere, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1967, p. 30. 02 Carteggio 1940 9-03-2010 11:18 Pagina 139 139 Salutami Leonardo e ossequiami la mamma (e tu non dire a loro tutte codeste cose, che restano tra noi che siamo di casa). Anzi, neppure scrivendo a casa mia, non manifestare quanto spesso ti scrivo. Ho una 50ina di lettere da rispondere, e non rispondo: lettere grosse, urgenti, gravi, impellenti; e non scrivo. A te, scrivo due lettere per giorno. Capirai, potrebbero far disdicevoli pensieri; e certe volte anch’io mi domando: – Ah don Giusé (come mi chiama Bartoli), ma sei tu prete che scrivi, o è quello’ometto che credi di tener a guinzaglio e museruola; quell’ometto che guarda attraverso la sottana e sotto la sottana si copre appena tema d’essere scoperto a guardare, e pigliarcele; quell’ometto che fece quella ingloriosa fine, l’estate ultima, pugnalato in una stazione del Nord Europeo (“omne malum, ab aquilone”)? – Così dice l’anima, la quale non è poca mascalzona in me, e si diverte a sfottere in me “l’ometto”, e lo piglia sempre per le orecchie e lo svergogna, e lo deride, e lo esagera e gonfia per meglio scuoterlo e svuotarlo. Così dice. E io me ne buscherò, quantunque ora comprendo la gran frequenza, nella letteratura medievale, dei “contrasti tra anima e corpo2. Perché, non credere, il corpo, e cioè “l’ometto” avrebbe tante cose da replicare. Fra l’altro: – o Signora Anima, e che ca...volo vuoi più? Per farti contenta, per tenerti padrona, mi son ridotto, praticamente, a non esistere; non faccio che l’umilissimo cameriere, il più vile dei camerieri; giusto mangio, respiro, caco, orino, tutto per tenere vostra Signoria in alto; ci prendo le busse e non piango; quando la Signoria v. vuol far l’eroina, pago di mio; quando la v.s. fa la grande, è perché io mi ranicchio sino a scomparire ecc. ecc. ecc. Eppure, per me v.s. vede quanto è caro il cielo, sente l’aroma della sera, ascolta le voci del mattino; per me gode, per me soffre, per me ama. – Questo e altro potrebbe dire il mio corpo. Ma termina qui; perché l’Anima, la mia bella Anima, vera donna, e cioè sempre sublime quando può per dispetto, capisce che ora il corpo, pieno d’oscena polenta, deve andare un po’ a dormire, se no nel pomeriggio non si lascia – non per cattiveria, ma perché è sua natura – governare e cavalcare. Così me ne vado a casa, entro nel letto, per dieci minuti dormo; e poi, daccapo col vergine culo sulla sedia, nella cameretta sghemba, sul tavolo che è la mia croce e il mio campo di battaglie memorabili. Tu lo conosci, e sai come si combatte, uno di qua dal tavolo, l’altro di là. Addio a domattina, e curati120. d. Gius. 120 «Le prime impressioni non raramente erano sconcertanti a causa del suo linguaggio: un 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 140 140 Carteggio 1938-1945 [...] Ho scritto un fascio di corbellerie: ma sappi che domani 12 la messa è per te, e per Leonardo. La messa, e la giornata. A furia di pensare a LEO NARDO, che tu mi dipingi magrissimo e ansante, digli che la prossima volta lo voglio vedere grasso: NEO LARDO! 47 Bolzano 12.3.[19]40 dall’albergo – ore 15.45 Don Giuseppe caro, anche stamani, mentre le scrivevo, qualcosa mi andava vagando fra il cuore e la penna, che, anche stamani, non sapeva trovare l’ultima porticina, stretta e tutta irta di filo spinato, per uscire. Tuttavia, oggi non è giornata come tutte le altre, anche se a saperlo siamo io e Lei soli (ma l’anno scorso, fuori di me, non c’era nessuno a saperlo – in terra!) e oggi voglio proprio, sì voglio dirglielo: Le voglio bene per davvero, don Giuseppe, più che Lei non creda, ed è bene tanto grande, quanto limpido e chiaro e splendente. No, davvero, che questo a voce non saprei mai dirglielo, né mai glielo dirò più – credo – con questa voce, nemmeno per iscritto. Ma oggi oso dirglielo, perché prima di dirlo a Lei, l’ho mormorato a Cristo e ho sentito che è un bene talmente lieto e leggero (leggero nel senso di lieve, senza cosa alcuna estranea che lo turbi e appesantisca; bene di anima ad anima) talmente lieto e leggero che dà gioia e felicità sentirselo in cuore. Ed è certamente in Lui e con Lui solamente che è possibile voler bene così. Se ripenso l’atroce soffrire di due anni fa, e il soffrire, meno atroce certo ma sempre soffrire, di mezz’anno fa! Oggi invece, prima ancora che a Lei posso lasciare senza tremare né esitare la mia mano nella Mano di Lui che mi guidi e conduca dove Lui vuole. Di Gesù che ho sempre visto dietro a Lei e accanto a Lei e in Lei, per così dire; e non abbia timori, don Giuseppe, ché se così non fosse, davvero non sarebbe possibile starle accanto così, sempre più tranquilla, sempre più serena. linguaggio, diciamo così fiorito, in realtà crudo, verista, alla san Pier Damiani, con qualche salace espressione boccaccesca», G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., pp. 66-67. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 1940 Pagina 141 141 Ne è, forse, oggi, nemmeno la prima volta che glielo dico, questo: è di questi giorni – domani forse, o dopo domani? impossibile ricordarlo con precisione assoluta, ma cosa importa? – un altro anniversario, il secondo oramai. E in questi giorni appunto, l’anno scorso io le venivo scrivendo le stesse cose – ma con infinitamente più timore e pudore – con luci e luminiscenze e tinte gioiose e forme serene, e Le portai il mio crittogamma per San Giuseppe (stavolta verrò a mani vuote, purtroppo)121. Ma Lei ottuso e insensibile uomo di cultura, a furia di parlare di Michelangelo e Raffaello, e di Botticelli e altrettanti sublimità, s’è ridotto a non saper più vedere le cose più umili. Ha guardato se era “fatto bene”, ahimè, e se vi si scoprivano “capacità pittoriche”, e quando finalmente suoi amici, sensibili infinitamente più di lei, ma sensibili al suo cuore, Le han detto, per farle piacere, noti, e unicamente per quello, che a loro pareva cosa buona, allora ha avuto il coraggio di dirmi che “incominciava, ora, a piacere anche a Lei”! Poteva darmi pugnalata più crudele?122 Ma basta ora in questo tono: siamo ancora in terra, purtroppo, e anche questa giornata diversa e più bella delle altre volge a finire: domani mi rivestirò ancora di tutta la mia Vermünftigkeit123 e mi vedrà ancora tutta ghiacci e ghiaccioli, pungenti, freddi, taglienti. Chissà, forse, da domani mi vedrà sempre così, ormai ; finché un giorno, forse, ci rincontreremo “altrove” e allora, se Lei ancora – come domenica, altro anniversario! – mi chiederà se può prendermi una mano, Le stenderò franca e senza più esitare, anche l’altra! Ma questo oggi ancora dovevo dirle: grazie, don Giuseppe, per quanto ha patito, sopportato, durato, per me. Non era per me, soltanto, lo so, e non io, ma Lui saprà ricompensarla Romana 121 Cfr. lettera 22. Cfr. lettere 23, 24. 123 Cfr. lettera 36. 122 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 142 142 Carteggio 1938-1945 48 Bolzano, 13.3.[19]40 – ore 15.15 dall’albergo Caro e ragionevolissimo don Giuseppe, eccomi ancora a scriverle, nonostanti i suoi consigli (moralissimi, alla nordica, guarda guarda!) di fare il contrario; si capisce che lo diceva unicamente per ottenere da me che facessi il contrario del contrario: incomincia a conoscermi, perbacco (lina). Ma veniamo alla cronaca minuta, che per me ha una sua importanza molto reale (perciò mi ha fatto ben piacere di apprendere un certo giorno che Lei si credeva in dovere di essere scarsissimo, come la mattina fosse stato a dir porcherie con Baldini, poi cose mezze pazze e mezze serie con Bartoli, infine, saputo e fatto da fecondator d’ingegni e levator (da “levatrice”) di libri a una povera innocua signora124. Piacere non meno grande vederla, direi, nella sua vita quotidiana (che a Lei par triste, ma non sta a me protestare: i conti per certe ingiustizie li farà “altrove”), che intravedere certi squarci d’anima, che fan l’effetto a volte d’un quadro del Tintoretto – con buona pace sua che il Tintoretto non può vedere! Mi viene un dubbio cattivo: che sia malata di elefantiasi, la sua anima? Ma dunque: alla cronaca. Stamattina ho ricevuto 4 lettere. Le 3 sue le ho lette una prima volta e rapidamente a colazione: alla prima, il pane non m’andava né su né giù per il gran ridere125 (un trentino di fronte guardava molto interessato e mi faceva una stizza che non si sa); la seconda – quella con triplo francobollo – beh insomma, ci ho tossito due o tre volte126 – nel bere il caffelatte s’intende, e per distrazione – e alla terza, alla chiusa con doppia sottolineatura, mi si è fermato il boccone in gola per lo spavento e la stizza che potesse essere sul serio quel proponimento, e lì per lì una gran voglia di sbottare in proteste violentissime127. Ma subito è intervenuta la mia ragionevolezza a calmarmi, dicendo: “frena sciocca non lo sai con che razza di chiacchierone hai da fare; se anche pensava sul serio quello smetto di scrivere, domani ti dirà che s’era dimenticato di soggiungere “per oggi!” e ho riposto le lettere e son corsa all’ospedale. 124 Cfr. lettera 43. Cfr. lettera non pubblicata DL 11/3/1940, in ARG. 126 Cfr. lettera 47. 127 Ibidem. 125 02 Carteggio 1940 9-03-2010 11:18 Pagina 143 143 Vi ho trovato Leonardo bene, al solito ma con qualche pericolo di un ascesso sotto il braccio, che dovrebbe sfogargli un po’ di tutta quella porcheria che dai bronchi e polmoni gli sarà passata al sangue: anche la temperatura era salita un poco a causa di ciò. Oggi finalmente la suorina ha riconosciuta tutta la gravità del male passato e tutta la preoccupazione sua e del medico (ma noi ce ne eravamo accorte già da un pezzo). Piovigginava, e il tempo era forse anche qui “senza buona luce né lietezza”128, ma a me, che avevo le sue tre lettere nella borsetta, intraviste più che lette, pareva tempo bellissimo e lietissimo e indicato più che mai a fare una passeggiata; difatti, siamo noi a fare il tempo quello che è, lieto o triste, e lui è sempre pronto ai nostri umori e a pigliarsi colpe e calunnie, povero pazientissimo tempo! Avevo adocchiato da più giorni già una lontana via Crucis che s’inerpicava tagliata nel fianco di una roccia sulla valle dell’Isarco, e che conduceva su a una chiesetta quadrangolare tutta nicchie e cappelle, bianca, con una gran cupola rossa, e in una bellissima posizione. Lassù dunque mi sono arrampicata, framezzo a pioggia e fango: solitaria129. Fra gli spacchi, nella roccia , dove non giunge il sole, c’erano ancora lunghi filamenti di neve, gelata e sporca; ma la pioggia – a momenti era più nebbia che pioggia – rimaneva attaccata ai rami neri in tante gocce pendule, più belle di perle, come lagrime sul volto di un vecchio, nero e forte; riconoscevo i diversi alberi e cespugli – amici vecchi dell’infanzia innamorata di foglie e di fiori, di moscerini, di scarabei e di uccelli: li conoscevo tutti! – riconoscevo alberi e cespugli alle loro gemme gonfie, vicine a scoppiare: fra qualche giorno quello stesso sentiero sarà chiaro di biancospini e di ginestre: ora, si intravvedono soltanto le puntine bianche e gialle, a mazzetti, in cima a ogni bocciolo. In lontananza, s’alzava, or qua or là, un nembo di nuvole e dietro subito, strapiombava nerissimo e cupo un pezzo di monte, subito nascosto di nuovo; in basso, sempre più in basso, la città, girata attorno al campanile gotico (bruttissimo) del duomo. (Pare, questo campanile, più brutto ancora di quanto è, perché ha accanto la pacata eleganza, silenziosa e senza pre128 Ibidem. Con questa lettera Romana inizia a raccontare a De Luca le sue passeggiate in montagna. Il tema ricorrerà negli anni a venire in maniera sempre più costante. È un modo per invogliare il prete a non murarsi vivo (cfr. lettera 39) ma è altresì, da parte della giovane, un esercizio di stile in un vero e proprio genere letterario sempre più diffuso in anni in cui l’alpinismo diventa lo sport preferito dalle classi colte. Cfr. A. Pastore, Alpinismo e storia d’Italia, Il Mulino, Bologna 2003. 129 02 Carteggio 9-03-2010 144 11:18 Pagina 144 Carteggio 1938-1945 tese del campaniletto romanico dell’antica e cadente chiesa dei domenicani). Scandivano il mio andare, dimentico di tutto, persino delle sue lettere, le cappellette della via Crucis, con, dentro, statue dipinte, d’un gusto popolano fantastico e fantasioso da intenerire, con tutti quei bruttissimi ceffi, uno più orribile dell’altro, tutti presi a tormentare e offendere il povero Gesù così pallido e sofferente e martoriato, con occhi grandi e umidi pur sotto la polvere, come questa gente può averli veduti qui in montagna: di gazzelle e caprioli: occhi per certo non sono. Soltanto arrivata da capo – e oltre, poiché il sentiero continuava per una svolta del monte – mi sono ricordata del vero scopo del mio vagare: un grosso pietrone a strapiombo, rivestito di vellutello e impregnato d’acqua – ma era pur sempre il posto più asciutto che trovassi – mi ha fatto da poltrona: ai piedi un fosso profondo e subito di contro la fiancata del monte nera e verde e rossastra con le nebbie che scendevano, si raggruppavano e poi variamente si dipanavano con tranquilla mutevolezza. A quelle guardavo ogni tanto, lassù, nel leggere, e quando richinavo il capo scoprivo sempre nuove gocce sul suo letterone, che non so proprio se fossero tutte di pioggia. Grazie, don Giuseppe, per quanto mi scrive, per quanto sente, per quanto fa per me. Mi domandava, si ricorda, che cosa potesse donarmi, per il mio anniversario. Ma può darmi, Lei, cosa più grande delle sue preghiere, e, soprattutto, di una Messa? E dunque devo proprio scriverglielo, io che donna di lettere – ancora – non sono, quello che già le ho detto (non se ne ricorda già più dunque? Si direbbe che Lei sia tutto occhi e le orecchie Le abbia solo per bellezza), e glielo ho detto or sono due domeniche. Io, don Giuseppe, con le paroline “sempre” e “mai” ci vado molto ma molto cauta: nessuno, per esempio, ha avuto ancora il piacere di sentirmi giurare amore eterno, e quando mi è stato chiesto ho sorriso, cattiva, e taciuto. Una volta, sì l’ho detto, e ieri appunto ha fatto un anno. Ed è davanti a Lui, don Giuseppe, che torno oggi a dirle per iscritto quello che l’altra domenica mi par proprio Le dicessi già a voce: don Giuseppe verrò sempre da lei, dal prete, prima, dall’amico poi. E quanto all’“ometto”, sì quello, se si dovesse mettere contro il prete, corre dei brutti rischi, temo, con me e per quello quindi non mi piglio nessun impegno. Ed ecco dunque siamo tornati nel tono serio – fin troppo, a mio gusto – né è valso che me ne andassi vagando fra monti e nuvole: qui mi voleva lei, e qui mi ha portata. La mia anima non è grande e robusta e capace di camminare lesta e forte come la sua: è piccina e me la tengo 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 145 145 1940 sempre stretta: quando mi scappa poi le corro dietro, gridando, atterrita come una mamma a cui sia scappato di mano e in mezzo alla strada il bambino. Tuttavia, una cosa mi ha colpito: l’unità di motivi, sebbene con voce diversa, su cui le nostre anime si sono posate ieri: da sant’Agostino – che Lei, uomo eruditissimo ha saputo tirar fuori, e son parole bellissime, ma le mie volevan dire le stesse cose – fin nella chiusa che in entrambi ricade sulla necessaria ragionevolezza. Quando le dice lei queste cose, con la sua anima che quando parla sembra udire il frastuono che fa una gran quercia, alta e vastissima, percossa dal vento (e la mia invece non fa che uno scricchiolio appena percettibile come quando si piega uno stelo di grano), e con la sua penna di gran filibustiere, si rimane intontiti e rintronati; ma quando le dico io – gli altri non so – ma io ci rimango regolarmente male: perciò, don Giuseppe, la prego, non me le faccia dire mai più. Romana. Sono le 5 e un quarto, devo scappare di corsa! 49 Roma, 14 marzo 1940 ore 16 Cara Romana, mi è arrivata a mezzogiorno la tua, della passeggiata sotto la pioggia accanto ai tabernacoli della Via Crucis. Perdonami (ancora una volta) della lettera di ieri, che corressi con un’altra. Ma, se tu sai che ti scriverei da mane a sera, sappi che proprio non debbo scriverti più, invece; perché mi saturo troppo, inselvaggisco ed esaspero l’ometto, e metto in angustie il prete: angustie, di fronte a casa dove sono stupiti di tanto carteggiare; angustie, di fronte a me stesso, che mi ritrovo troppo turbato, e spossato130. Tu capisci. Mi pare che puoi aver le prove, come io le ho da tua parte, del mio affetto. Aiutami a domarmi, e a tacere. Ma ora, giacché ti scrivo, voglio scriverti appieno. Come quando dico: questa è l’ultima sigaretta, la fumo con maggiore, e più compunta, e 130 Cfr. lettera 43. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 146 Pagina 146 Carteggio 1938-1945 dolorosa gioia131; così ora (ma questa volta, carissima figliuola, è proprio doveroso che io mantengo) così questa volta ti scrivo con più cocente piacere. Grazie delle tue, molto belle e molto affettuose. Soprattutto grazie del tuo affetto, che io ho uguale per te. Oramai credo che sia tempo di poter procedere più limpidi, dopo le precipitazioni atmosferiche dei giorni prima di Bolzano e di questo carteggio incrociato e a corpo a corpo. Si lavorerà, soprattutto; senza troppi discorsi, senza troppi divagazioni. E, quando occorrerà ma sarai tu a cominciare a meno che non mi autorizzi volta per volta, si parlerà della tua anima e della tua vita religiosa; e io, se tu permetterai, ti dirò qualcosa della mia. Bisogna venire a capo del mar dei sargassi, con la navigazione sempre impedita: la tua nave, uscita dalle luci terrene e i fumi del porto, superato ormai il limitare dell’oceano, è nell’alto: tra le stelle e il profondo. Coraggio, Romana. Io mi attendo – lo dissi, lo scrivo – da te molta luce di nuova intelligenza, e ancor più e ancor meglio, la particolare luce, la dolce e forte luce nella quale l’anima cammina: e cioè Gesù. Veder Gesù nella tua carne, nella tua parola, nella tua anima, sarà una delle più insostenibili gioie per me, quando, per il mio peccato o per prova che Iddio m’inviasse, io non Lo discernessi né riconoscessi più. Non ti turberò con le mie irruzioni ed esplosioni di vulcano che si squarcia nei fianchi, e si sparge in mugolii ferini, in luci più tristi del buco, in getti inutili o devastatori; o se mi accadrà, tu mi patirai e compatirai, come donna un uomo infermo e insano; ma tu pure, Romana, sii forte dalla tua parte, e non mi aggravare l’atroce rovello della mia natura, della mia miseria, della mia mansione. E se lo farai, io ti perdono in anticipo e non te ne vorrò male; ma tu non insistere, sii generosa, vìnciti, ritròvami. Questa lettera ha preso l’andante d’un addio. Né mi dispiace. Dopo tante voci, questa pace è così profonda, e la sento così bella. Non in commotione Dominus. Ti aspetto presto a Roma, e salvo necessità, non ti scrivo più (non lo dico a te, lo dico a Cristo: e manterrò: e tu me ne vorrai più bene, perché vi senti il sacrifizio, e quale). Dì al Signore che dia requie, ordine, forza al mio lavoro. Sono veramente con l’acqua all’uscio e alla gola, e non trovo tempo, agio, agilità a tutto. Sempre povero, sempre indietro, sempre in fretta, sempre stanco e indolorito, sempre che fo tutto e 131 Cfr. lettera 19. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 147 147 1940 non fo nulla, dì tu al Signore che mi dia la sua ferma, la sua gentile, la sua divina forza, Mi tiri più vicino a sé, al suo respiro, al suo palpito, al suo amore e dolore. Glielo dirai? Addio, dunque, a Roma. Domani vedrò il tuo babbo. Ma tu dammi sempre tue notizie come te ne darò io, se ne capitassero di opportune, senza dire delle necessarie. Ti saluto di cuore e (permetti?) ti benedico. tuo don Giuseppe 50 Roma, 24 aprile 1940 XVIII Via della Polveriera, 37 Mia cara Romana, dal pomeriggio della vostra partenza132, sono comparse stamani le prime nuvole sul cielo di Roma: nuvole color di lapis, nuvole alte, nuvole tutta una sola nuvola che il sole in un punto squarcia appena ma come il foro d’una palla di fucile in una coltre. Perché, queste nuvole? Lo sa Iddio, e non voglio ragionarne. Le spero presto disperse: ma sì, questa settimana deve essere per voi tutta di riposo, di distensione, di placamento, di convalescenza e rafforzamento. Hai capito? e ti ripeto, sii coraggiosissima specialmente quando e dove non vedi. Scusami la predica, ma nelle tue postille ho letto qualche turbamento. Io ho molto sofferto, perché mi sembrava di veder Nuccia turbata contro di me. Il suo silenzio mi ha agghiacciato, sulle prime; la sua cara, carissima lettera ricevuta stamani mi ha rimesso in circolazione il sangue. Il Signore non potrà non contentarmi in quelle poche ma grandissime cose che io gli ho sempre, pertinacemente, domandate. Una di queste è la serenità, la forza, la gioia – non dico la felicità, perché questa è altrove – della mia Nuccia. Difficilmente tu puoi renderti conto di quanto ho amato e amo Dina e ora, mentre Dina è amata e ama, soprattutto Nuccia133. Iersera, Dina, sul suo lettuccio in camera 132 Romana e Nuccia De Luca, insieme alla famiglia Minnucci sono andate a trascorrere la Pasqua a Terracina. 133 «Non darei Dina con la sua Donatella né Nuccia con la sua chiusa tristezza, nemmeno per aver scritto, o poter scrivere, non so, la Divina Commedia o la Storia del Muratori», De Luca a M. Moretti, 21 dicembre 1940, ora in «Nuova Antologia» aprile 1964, pp. 479-480. 02 Carteggio 9-03-2010 148 11:18 Pagina 148 Carteggio 1938-1945 della sorella, piangeva sconfortatamente, pallida e pesante e col viso sotto un braccio alzato di traverso sul cuscino. Soffersi una pena fortissima. Michele non verrà a compiere il secondo mese a Roma, ed ella, nel mese della sua maternità, non si rassegna a essere senza Michele134. Non so come, ma mi pareva un dolore elementare, grave, solenne; non piangeva, lagrimava. E sono andato a letto, sbigottito di me, del pensiero, dell’inutilità mia e di tutto; fuorché di Cristo. Cristo, che io ho amato e servito questi giorni con una fermezza di attenzione, che ne piango di gioia. Pensa, come potesse scuotermi, scardinarmi soltanto il pensiero che Nuccia soffrisse, e soffrisse di me. Questo pensiero, mentre Hylda ammalava senza il marito Dina mi volava là da mane a sera e tornava stanchissima, Gigi tornava malato (ed è un pleuritico, di natura e per una pleurite gravissima) ecc. ecc. ecc.135 Quel grande mio turbine nasceva da codesto. E tu mi perdonerai, se non ti ho scritto una lettera tutta per te; e immagino che forse avrai pensato male di me, per questo. Ah Romana, non pensare male di me. Domanda a Nuccia che cosa è la mia fedeltà, la mia umiltà, la mia devozione, la mia instancabilità nel voler bene. Il Signore ha voluto che tu entrassi nella cerchia strettissima di quei pochi che mi sono molto vicini136; io ne lo ringrazio, perché ti stimo e ti voglio bene; spero e faccio del tutto perché possa ringraziarmelo anche tu. Sono certo che quel che tanto domando al Signore per te, me lo darà: sono certissimo, me lo darà. Macerato e umiliato potrò essere io, ma non mai l’affetto che porto alle creature, né quello che esse possono portarmi. E non so come sia, ma quando il mio affetto, la mia amicizia soffre, si sente più libera e più forte: libera quasi come pazza. Scusami la predica. Può essere che io abbia capito male (al solito, e Nuccia ne sa qualcosa) le tue appendici alle lettere comuni; ma torno a dire, mi è parso di sentirci come un lamento. Spero d’essermi sbagliato. Scrivimi che mi sono sbagliato ...? 134 Michele Rotundo, marito di Dina, cfr. lettera 6. Hilda Rotundo (1907-1984) moglie di Luigi De Luca, fratello di don Giuseppe e editore romano che creò l’Istituto Grafico Tiberino e promosse numerose riviste da «Lo spettatore italiano» a «Tempo presente». Fu tipografo per le Edizioni di Storia e Letteratura. È lo stesso Gigi di cui si parla poco dopo. 136 «Furono molti o pochi gli amici di don Giuseppe De Luca? Se si sta alle sue affermazioni, esse, come in altri casi, sono contraddittorie. A Papini scrisse delle “pochissime amicizie” che contano, a Moretti “sei dei pochi che mi vogliono bene», cit. in G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 56. 135 02 Carteggio 1940 9-03-2010 11:18 Pagina 149 149 Ora eccomi alle notizie, che passerai a Nuccia e che immagino piaceranno anche a te. Anche oggi sono andato a passeggio. Ho lavorato al mattino: Vangelo137, e il primo articolo a «Primato»138. Così alle 3,30 sono andato con papà alle 4 fontane. E sono tornato alle 5,30. È venuto Bargellini139, che è ghiotto di me; ora c’è don Amerigo140, che legge qui davanti il giornale. Sono le 18,45, e io ti scrivo. Ho interessato la duchessa Badoglio, al trasferimento di Michele: se ne occupa Iolanda, che la conosce e stamani le ha scritto. Il lavoro letterario procede. Il grosso bacino sotteraneo d’acque caldissime e freddissime, che si è accumulato per due decenni nella mia intelligenza, sta trovando le sue foci. Foci mie, con caratteri della mia anima. E questo non per orgoglio, ma perché io tengo per certo che se non si è, non si fa. Non sono scontento della prima puntata delle mie “Distrazioni” su Primato, a firma Paolo Storno. Robettina, ma che ha un senso – cioè un significato e una mira141. Penso moltissimo a molte cose che ora non ti scrivo, e che forse ti scriverò, presto, sul tuo lavoro, sulla tua intelligenza. Sapessi quante volte penso a Gezelle, e quante volte vorrei poter leggere con te alcuni testi. Ma, piano piano; si arriverà a tutto, senza rovinar nulla. Dimmi anche 137 De Luca si riferisce ai commenti al Vangelo, dal 1935 appuntamento fisso sull’«Osservatore romano» nella rubrica La parola eterna, ora raccolti in G. De Luca, Commenti al Vangelo festivo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1947. 138 L’articolo uscirà il 1 maggio del 1940 con il titolo Borghesi in Francia, a firma Paolo Storno, (pseudonimo), ora in G. Bottai-Don G. De Luca, Carteggio 1940-1957, cit., p. 173. «Primato», rivista fondata e diretta da G. Bottai e G. Vecchietti nel 1940, ospita nei suoi pochi anni di vita (chiuderà infatti nel 1943) alcuni articoli di De Luca sotto due pseudonimi, Paolo Storno e Disma Cfr. L. Mangoni, In partibus, cit., pp. 294-34. Sul rapporto fra De Luca e Bottai, oltre a Ibidem, cfr. G. Bottai-Don G. De Luca, Carteggio 1940-1957, cit., pp. V-CLXVII. Su «Primato» cfr. V. Zagarrio, «Primato». Arte, cultura, cinema del fasismo attraverso una rivista esemplare, Edizioni Storia e Letteratura, Roma 2007. 139 Piero Bargellini (1897-1980) intellettuale fiorentino, amico e collaboratore di De Luca dai tempi de «Il Frontespizio» che diresse dal 1931 al 1938. Diresse con De Luca per la Morcelliana la collezione «Polemisti». Sempre con De Luca scrisse un corso di religione per le scuole. Cfr. P. Bargellini-G. De Luca, Carteggio (1929-1932), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1998. 140 Amerigo Bartoli, cfr. lettera 22/3/1939, nota. 141 L’articolo è in realtà una chiosa alla nota lettera polemica dello scrittore francese L. F. Veuillot (1813-1883) al presidente Thiers. Occasione per riprendere una polemica anti borghese ormai sempre più frequente cfr. L. Mangoni, In partibus, cit., pp. 256-268 «Il cristiano è antiborghese, essenzialmente. Non bisogna guardare al fatto che oggi i pastori cattolici non sappiano sempre parlare né ai grandi né agli umili, e sembrino legati a far ministero soltanto e in prevalenza con la borghesia». L’articolo viene inizialmente rifiutato dalla rivista, è Bottai a imporlo cfr. R. Moro, Introduzione, cit., p. LIX. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 150 150 Carteggio 1938-1945 tu, come mi ha detto Nuccia, che io non mi debbo tanto umiliare e dannare: e posso sentire qualche fierezza d’una sorella come Nuccia, d’una amica come Romana, e della mia anima e del mio affetto, con loro. Se sono turbato, è perché sono vivo e (credo poterlo dire) sono forte: non di me, ma d’un amore a Cristo che mi crocifigge e resuscita, che mi mette nelle tempeste per farmi più ineffabilmente dolce di pace, mi strazia per saziarmi, mi respinge per stringermi più e più, e ogni giorno che passa maggiormente mi asseta e disseta, mi doma e mi libera, mi si nega e poi, sì, mi si dà. Sii forte, e ogni ombra contro Cristo sappi che vien dal Nemico: contro Cristo, e contro il suo umile servo presso di te: il tuo aff. don Giuseppe. 51 Napoli; via R. Morghen 155 14 maggio 1940 XVIII ore 20,5 Romana carissima, iersera, non tutte le felicità del giorno faustissimo ti potei dire, perché dopo la tua telefonata un’altra ne giunse: un telegramma dall’America, di quel vescovo mio amico e benefattore, salito nei giorni addietro ad altissima sede nella gerarchia americana142. Mi ci voleva anche quello, per una così dolce e ricca giornata. Stamani, ho celebrato sopra un altare dominato da due grandi fasci di grandi rose rosse, così belle e così buone accanto al cuore vivo di Cristo, tra le mie povere mani. E con l’aria sbadata, lagrimavo. La gola, dolentissima iersera e di prima mattina, s’è addolcita con l’alzarsi del giorno: alle nove ho lasciato casa. Mai viaggio di treno mi ha così riposato. Dormicchiavo, e tra le palpebre socchiuse riscoprivo la 142 Amleto Giovanni Cicognani (1883-1973), faentino, sacerdote dal 1905, lavorò come assessore alla Congregazione della Chiesa Orientale e fu cappellano degli universitari alla Sapienza fino al 1933, quando venne promosso arcivescovo titolare di Laodicea di Frigia e delegato apostolico a Washington, dove rimase fino alla fine della guerra. Conobbe De Luca quando questi fece richiesta d’essere assunto come archivista presso la Congregazione nel 1926, e poi quando decise di andarsene. Cfr. G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., ad indicem; R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca, cit., p. 156. 02 Carteggio 1940 9-03-2010 11:18 Pagina 151 151 terra così nuova per me e mi risorgeva, dentro, l’antico innamorato della terra italiana, il Peppino che tra una sera di sabato e una mattina di lunedì faceva una domenica di Venezia, di Napoli, di Padova, di Firenze; e andava alla stazione, a prendere il primo treno che partisse. Quanto ho camminato! quanti cieli, quante terre ho spiato lunghissimamente: quante ore lente e quanti giorni infiniti ho consumato con la dolcezza con cui si fa una carezza, si assapora un vino, si ricorda un amico lontano e ingiusto; quanta forza assorbivo allora! Da anni, sono una terra che l’interno fuoco fa sempre sussultare, senza squarciarla: soffro orrendamente, e non so smettere. Stamani, in treno, percepivo il tremito fisico, eco del continuo tremito dell’intelligenza, eco tanto dolorosa, che a volte tra una vista d’innumerevoli verdi e d’ombre fuggenti e un attimo d’incoscienza quel tremito insanabile mi torceva il coraggio e torturava la speranza. E allora, “Gesù Signore, siimi Signore, siimi Gesù”. Quante volte l’ho detto, e con che impennatura tra spasimosa e deliziosa. Eppoi, come succede, propositi su propositi; compendiati nella parola “decongestionarmi”. Fare una cosa alla volta, non centomila: ma farla. Mi ripigliava, per mia buona sorte, il paese che fendevamo con quel caro, vecchio tran-tran d’un buon direttissimo; e vedevo una per una le cose e brano a brano il cielo, in una luce che via via avvicinandoci a Napoli schiariva e splendeva sempre più, in una campagna che s’approfondiva d’ombre, s’infoltiva, si muoveva dall’eterna linea morosa di Roma. Un bel viaggetto. E Dio voglia, Romana, sia il primo. Viaggi di ritrovamento. Come uno che si tocca nel buio, e si trova, così mi trovavo io sin qui: ora incomincia un debole lume, quasi mi vedo (cambio penna: ho cenato, sono le 10,40: e voglio scrivere ancora)143. Nel pomeriggio sono stato da don B.144 Non c’era, e mi aveva telefonato che andassi: dieci minuti d’attesa in una vecchia camera con scaffali colmi di miscellanee, mi son parsi dieci cattivi sogni. Ma don B., che era uscito a comprare un giornale, è subito rientrato, m’ha accolto 143 Cfr. G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., pp. 53-54, che inserisce questo passaggio all’interno di una riflessione sul rapporto fra De Luca e il viaggio. 144 Benedetto Croce (1866-1952) chiamato di volta in volta don B. o don Ben. Sul suo rapporto con De Luca cfr. supra e L. Mangoni, In partibus, pp. 207-211. In una lettera del 30/1/1939 a Giuseppe Prezzolini aveva scritto «Debbo scendere a Napoli, ma non so se andrò a trovare il Croce: mi pare che esca dalla misura ormai, e non vorrei con lui né tacergli il mio vero sentimento,né assumere atteggiamento critico: né essere vile, né superbo, cosa difficile», in G. De Luca- G. Prezzolini, Carteggio 1925-1962, cit., p. 182. 02 Carteggio 9-03-2010 152 11:18 Pagina 152 Carteggio 1938-1945 cordial (ahimè, ci si mette la penna!) mente, e ascoltato il mio disappunto, “Io non son uomo di bronci” m’ha detto, e m’ha mostrato in una cartellina la mia alla quale voleva presto rispondere145. Molto caro, e di una vera grande amicizia. Ha accolto il mio piano di tre volumi (per la serie Scritt. d’It.) dove siano contenuti mistici italiani del 4, 5, 600: e gli facessi un piano146. Mi ha parlato di suoi lavori; del suo metodo; mi ha interrogato dei miei, mi ha confortato. A talune mie difficoltà ha risposto: “Lavorate; ve le risolverà il lavoro”. Ed è arrivato Omodeo147 e poi Fausto Nicolini148. A Omodeo io avevo diretto, per stampa, gravi espressioni: don Ben. me ne ha rimproverato: si è fatta amicizia. Nicolini, che per me è il maggiore erudito italiano vivente, ha subito fraternizzato con me; siamo usciti a braccetto, mi ha fatto conoscere la moglie, mi ha portato in un caffè, poi s’è fatto accompagnare a casa dove, dal terzo piano, mi ha calato in un cestino (non ha voluto far salire tanto alto) l’ultimo suo volume della grande edizione critica di Gb. Vico, uscito giorni fa, con una bellissima dedica149; e domani sera deb145 Cfr. lettera 25 aprile 1940, G. De Luca a Benedetto Croce, in corso di pubblicazione a cura di E. Giammattei, Edizioni di Storia e Letteratura. 146 La collana «Scrittori d’Italia» della casa editrice Laterza era nata nel 1909 grazie al lavoro congiunto di Croce e G. Gentile. Pensata sul modello dell’Editore Teubner di Lipsia e la «Bibliotheca oxoniensis» di Oxford, avrebbe compreso «testi completi»; i testi sarebbero stati «accuratissimi», «senza ingombro di note e di commenti» ma con un’appendice critica e affidati ciascuno a uno specialista», B. Croce, Gli Scrittori d’Italia, in Id., Pagine sparse, p. 129. Cff. N.Tranfaglia-A. Vittoria, Storia degli Editori Italiani, Laterza, Roma-Bari 2008. Come ha messo in evidenza L. Mangoni, il confronto con lo “stile” Laterza è per De Luca costante nel corso degli anni Trenta: il suo rapporto con la Morcelliana sarà in qualche modo teso a fare della casa editrice bresciana una Laterza del pensiero religioso: ricca di testi «ma con un’appendice critica e affidati ciascuno a uno specialista». Cfr. L. Mangoni, In parrtibus, pp. 96-110. Scrive De Luca a Minelli: «Se lei volesse uscire dalla diretta opera di apostolato a tipo artistico e di pensiero ed entrare nell’erudizione di gran classe [...] la marca della Morcelliana entrerebbe fra le marche di grandissimo pregio, anche negli studi: come Laterza, Oxford, Champion» De Luca a Minelli, 29/3/1934, in G. De Luca-F. Minelli, Carteggio, cit., p. 463. Si capisce dunque perché De Luca sia tanto lieto della richiesta di Croce. I volumi non saranno poi pubblicati. 147 Adolfo Omodeo (1889-1946), storico italiano di stampo idealista, antifascista, grande amico di Benedetto Croce, diventerà nel 1943 rettore dell’Università di Napoli. Sul suo La mistica giovannea, (Laterza, 1930) De Luca scrive una pungente recensione su «Il Frontespizio» a. II, nr. 6, giugno 1930, p. 4, dal titolo L’omino del cannocchiale. 148 Fausto Nicolini storico napoletano, studioso del pensiero di Vico è fra gli autori di Laterza uno fra i più recensiti da De Luca. L’ultima recensione, sul libro L’Europa durante la guerra di secessione di Spagna (Napoli, 1927-1834), è apparsa qualche mese prima su «L’osservatore romano» (18/1/1940), ora ristampata in G. De Luca, Intorno al Manzoni, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1974, pp. 137-138. 149 G.B.Vico, Scritti vari e pagine disperse, a cura di F. Nicolini, vol. VII delle Opere, Laterza, Bari 1939. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 153 1940 153 bo stare a cena da lui. Che bella serata! prete, prete al 100/100, tra grandi nemici – i maggiori nemici – ero onorato e amato e sollecitato di notizie, di domande, di favori: proprio m’è parso che Gesù mi godesse nel cuore150. Ma prima di salire da d. Ben., io m’ero inginocchiato, a Santa Chiara, innanzi al SS. e alla Madonnina, con un cuore tutto negli occhi aperti e fermi e violentemente supplichevoli. Dinne anche tu, Romana, una parola di grazie e grazie al Signore, che mi conceda di riposare intanto, poi lavorare, lavorare, lavorare. Certo, mentre riposo sento l’infermità nervosa, la debolezza come oscillante e vibrante della mia anima e del mio corpo; e qualcosa ora di rigido ora di lento, come d’un congegno usato e usato male. Ma son giovane. Quando ho detto a d. Ben. che incominciavo a disperare, perché di 40 anni ormai, e passati, egli mi ha risposto: “beato voi, è una bellezza”. Mi ha fatto coraggio. Debbo soltanto sveltire, ordinare, preparare come un ordigno l’anima al lavoro. Il rumore mondano, è come di questo tram nella notte che mi passa accanto alla camera. Non ci farò caso, forse. E certo, sono giorni gravi. Ma vincerò l’ansia esteriore. Così potessi vincere l’ansia malinconica psicofisica! Mi fa un rumore, un rumore! un rumore che spesso mi opprime. Domani, piacendo a Dio, sarò a Castellamare e Pompei, dove pregherò molto se debbo giudicare dal desiderio che ho di andarvi. Eppoi, ho tante cose da dire alla Madonnina. Ho da ringraziarla degli ultimi giorni romani, che sono stati per me d’una nuova pienezza e, attraverso una dura trepidazione e attimi di scoramento, d’una nuova gioia che la Madonnina, io spero, mi vorrà serbare eterna, ed eternamente pura e grande. Dille, anche tu, questa parola alla Madonnina: e sii forte, sii lieta, sii generosa, sii pura, sii laboriosa, vivi l’eternità mirabile nel tempo miserabile, vivi la segreta luce nella tangibile caligine, vivi Dio in te stessa, e non dimenticarti di volere un po’ di bene, soltanto un poco, al tuo affezionato servo e amico don Giuseppe. Buona notte: sono le 10.45: vado a dormire. 150 Il confronto con la cultura laica sarà, per De Luca, motivo di ricerca per tutta la vita, scriverà «Leggo Voltaire. Sta bene [...] Non però per semplice sensualità letteraria, seppure non senza questa. Io tendo all’enfasi, e il periodo è rigido. Posso continuare, caro Papini, a leggere classici e Bossuet per curarmi? Miro a farmi leggere, e a non permettere, mai, che nessuno dei miei amici non credenti possa credere che io credo perché non ho letto», in L. Mangoni, In partibus, cit., p. 54. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 154 154 Carteggio 1938-1945 52 [Napoli], 15 maggio [1940] 8.30 Notizie della resa dell’Olanda151. Sì, forse non c’è nulla da fare: una nuova età incomincia. Una nuova vita, una nuova civiltà. E noi ci si balocca sui libri152. Ho detto messa, benino. Quelle nuvole si sono diradate. Ma la gola, che allo specchio è buona, è dolorosa. Parto fra poco per Castellammare. Gli occhi, li curi? – Il termometro è 36,5 (e io, vile!). Addio. Un saluto affettuoso. 53 Roma 14 agosto 1940 XVIII ore 8 Cara Romana, scrivo dopo la Messa, dalla Sagrestia. Ieri scrissi tanto – un panegirico di San Gius. Calasanzio153 per un amico, un art. su Cicognani154 e uno di varietà per l’Avvenire – che proprio non mi andava più scrivere dell’altro155. E anche oggi, sarà giornata dura, e d’un controcorren- 151 L’invasione tedesca dell’Olanda iniziò fra il 9 e il 10 maggio 1940 e si concluse nel giro di due giorni. La resa fu firmata il 15 maggio. 152 La posizione di De Luca nei confronti della guerra e del regime è ancora nel 1940 «tendenzialmente totalitaria», interventista, favorevole di fatto all’ingresso dell’Italia a fianco della Germania. Malgrado il frequente mutare di umori «lui è come il cielo di Roma», scrive M. Majnoni in un suo diario, e aggiunge «Si imbarca con mamma in una discussione sugli scopi morali della guerra. Per lui i fracesi, gli inglesi e i tedeschi son tutti d’un pelo e d’una tana. E ammira Hitler», cit. in S. Nerozzi, Documenti di un’amicizia, in G. De Luca- M.Majnoni, Carteggio, cit., p. LXV. 153 Sul santo De Luca aveva già scritto una nota non firmata per l’Enciclopedia italiana. Cfr. sub voce, Enciclopedia italiana, Roma 1933, vol. XVII, p. 377. Per attribuzione cfr. M. Picchi-D. Rotundo, Bibliografia, cit., p. 64. Non si hanno invece irscontri di altre pubblicazioni nel 1940, né sull’amico citato. 154 Probabilmente B. Cicognani, cfr. nota successiva. 155 Forse si riferisce all’articolo su «L’avvenire» che esce il 12 settembre nella rubrica Umori del tempo, che De Luca firma con uno dei suoi più noti pseudonimi, Don Petronio. L’articolo è una recensione a B. Cicognani, L’età favolosa, 1940. De Luca scrive su «L’Avvenire d’Italia» dal 1929. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 155 155 1940 te orribile: ma risalirò la poca e nessuna voglia e scriverò un art. a Primato e un terzo per l’Avv.156 Scusami dunque se avendo promesso di scriverti ieri, ti scrivo stamani. Tanto più che non ci sono notizie, né mie né nostre né della città; notizie che contino. Questo sì, l’aria rinfrescata: e iermattina piovve di gusto, e con reale refrigerio. Eppoi, vorrei che almeno questi giorni tu riposassi dal tanto frequentarmi: non vorrei diventar per te l’olio di fegato di merluzzo, che si piglia spesso ma insomma! Dammi tue notizie, se e quando e come vuoi. Le nostre, per ora, sono le stesse. Anche noi siamo gli stessi. Parlai di te a Primato e presto porterò lì la Poesia: ma mi pare che Primato affondi157. Scusa la penna spuntata e la lettera sonnolenta, e salutami i tuoi Aff. don Giuseppe. 54 Cortina, 14. VIII. 40 ore 22. Ave Maria... Carissimo don Giuseppe, finalmente un saluto anche a Lei, ma breve breve perché sono molto stanca e domattina, se voglio tornare a dipingere, bisognerà bene andare a Messa alle 8. Stamattina mi sono svegliata alle otto in punto per salutare il sole al modo che le ho promesso; poi, mi sono riaddormentata di peso. Quando poi stavo per andarmene coi colori ecc. mi capita in camera fra capo e collo uno di quelli di villa Sciarra e m’attacca un bottone interminabile su argomenti che pure sa158. Dipingendo però mi sono consolata 156 Il 15 agosto esce su «Primato» la rubrica Distrazioni a firma Paolo Storno, ma molto probabilmente De Luca si riferisce all’articolo che uscirà il 1 settembre firmato Disma dal titolo Testimoni contro l’Inghilterra, ora G. Bottai-G. De Luca, Carteggio, cit., pp. 190-194. Per l’articolo su «L’Avvenire» non si hanno altri riferimenti. 157 R. Guarnieri, Un poeta fiammingo (Guido Gezelle), in «Primato», 1 novembre 1940, p. 8. Sulle divergenze fra De Luca e la redazione della rivista cfr. R. Moro, Introduzione, cit., pp. LVIII-LXXIV. 158 «Piuttosto preghi per me! Quei giovani di Villa Sciarra son tutti imbevuti di d Benedetto 02 Carteggio 9-03-2010 156 11:18 Pagina 156 Carteggio 1938-1945 di tanto cattivo inizio. Lo sa che Cortina è pieno di preti in villeggiatura? e come camminano! il loro bravo sacco in spalla. Bisognerebbe proprio che Lei venisse a salutare d. Amerigo (per parlare di lui solo!)159. Un po’ mi dispiace di non incontrare don Amerigo: ci avrei scambiato volentieri quattro chiacchiere, magari per parlare male del comune amico di Roma. Gli scriva che sono qua e se può mi venga a salutare; ma, forse, è troppo occupato. Sapesse con che paura sto con questi benedetti inglesi160. Me lo promette, che se vengono su Roma mi telegrafa le notizie? Altrimenti sto in angustia chi sa quanto tempo, prima che arrivi la posta. Oggi, come prima giornata, ho fatto una bella passeggiata di tre ore. Dopo, sono andata al Rosario e Benedizione. Non occorre dirle per che e per chi ho detto tutto il Rosario e su che e chi ho invocato la Benedizione! Domani doveva venire Leonardo, ma stasera ha telefonato che per il mal tempo ci sono state tante frane che non sanno dove mettere le mani; il Genio è tutto mobilitato e non sa nemmeno se potrà venire per domenica. Dire che noi proprio per lui siam venuti qui a Cortina! Gente per fortuna non ce n’è moltissima, e il posto certo è molto bello. Così sono abbastanza consolata e il sacrificio non è tanto grave – e pensa però che le camere costano 120 lire! È pazzia questa. Oggi sono passata alla posta con la speranza di trovare già sue notizie; ma era speranza vana. Spero che non mi si farà attendere troppo, perché due chiacchiere sue sono la migliore compagnia che possa desiderare quassù. Mi vien voglia di proporre a babbo che le 120 lire le dia a me: io mi trovo una pensione da 30-40 lire e col rimanente le faccio la solita telefonatina delle 21 e 30! Che ne dice? Adesso mi leggo la Ave maris stella e poi a cuccia. “Buona” notte caro don Giuseppe, buona veramente! e non si dimentichi della Sua Romana e di d Giovanni; non fanno che aggredirmi tutto il giorno con il loro storicismo, idealismo ecc ecc, e a me mi ci vuole tutto il mio buon senso per difendermi, se non addirittura passare al contrattacco! Stamattina ne ho detto una parolina pure alla Madonnina» RG, lettera 15 agosto 1940, non pubblicata in ARG. 159 Amerigo Bartoli. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 157 157 1940 55 Roma, 15 agosto 1940 dalla Sagrestia ore 7,45 Assunta del 1940 Cara Romana, iermattina ti scrissi una lettera marmotta o ghiro che tu voglia dire, e oggi non ti scriverei se non temessi che la mia di ieri ti possa esser sembrata non un mantenere ma un beffare la promessa. Eppoi oggi è la Madonna, e voglio inviarti un salutino. Tacerò poi. Le notizie, buone. Io ieri ho riavuto la febbricola: ho chiamato Liverani161: ho un po’dienterite (ma chi me l’ha attaccata? mai sofferto io, di codeste nobili e sublimi malsanie!) e un po’ di laringite (anzi: rino-laringite) granulosa: ci son tutte e due, visibilissime a occhio nudo, accusate poi (per chi fosse cieco) da raschi mucilaginosi o da incomportabili puzze. Mi sto curando con energia. Sin qui, le notizie. Ah, mi vengo avvezzando a un po’ di ginnastica, e incomincio a lavarmi un po’ più diffusamente e duramente. Nuccia va a Ostia, col solito piacere del mare e di quell’altro mare che tanto attrae le giovani: speriamo bene. Scrivile una cartolina. Ieri ho scritto i due articoli che ti dissi; oggi, con le 100 di lavoro, inizio le Piccole Suore162. A conti fatti, mi sono accorto d’aver centomila lire di lavoro sulle spalle (oltre le 100 al giorno) e non ne faccio nulla. Voglio finir tutto subito, così 1) arricchisco 2) lavoro alle opere immortali 3) muoio 4) tu scrivi di me un commosso articolo 5) e io, se poco poco col viso esco di Purgatorio, mi faccio un risatone omerico del tuo articolo e della mia letteratura. Sì, Romana, tutto è nulla senza Cristo; e con Lui ogni cosa è tutto. Amalo, questo solo importa. E amalo come e dove puoi, sempre ridente e dolce a tutti e a tutto. Vuoi un po’ di bene al tuo aff. don Giuseppe De Luca 160 Ancora Roma non è stata bombardata. L’Italia è entrata in guerra il 10 giugno 1940. Lierani è il medico di famiglia. 162 Progettato nel 1933 la Storia delle Piccole Suore uscirà soltanto nel 1950 in un opuscolo di 40 pagine: G. De Luca, Una vocazione umile e ardua. Piccola Suora dei Poveri, Roma 1950. 161 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 158 158 Carteggio 1938-1945 56 Roma, 19 agosto 1940 XVIII ore 9,30 Cara Romana, stamani, farò conto che tu mi hai telefonato per lavorare; e spenderò la mattina con te. Me ne vorrai male? ma pensa che iermattina è partita Nuccia, e la solitudine mi dà fastidio in casa come un tubo d’acqua rotto che allaga tutto e non lascia né posa né requie. E sì che allo scopo di esser solo, sono restato a Roma: come chi dicesse che per andare in un luogo veramente solitario, non mi sono mosso. E solo sono. Iersera, con mamma, nella saletta della radio buia, ho detto un rosario tra lente lacrime, invisibili e non sempre dolci. E il giorno, m’ero letto tutto un Panzini163 che non conoscevo, tutta la Basvilliana di Monti164; e la sera, andai a letto col Porta165, del quale molto lessi che non conoscevo, e rilessi qualcosa. Dina era stata con noi (il marito andò al mare), e potei lungamente fissare Donatella166 e seguirla: che cosa immensamente turbatrice, che cosa chiara e misteriosa. Anche questo “studio” di Donatella, con il volo preso da Nuccia, contribuì a stancarmi l’anima che già mal si regge, come tu indovini; e poi, il ritorno d’un po’ di febbre, verso le 14! È una maledizione, codesta, che proprio mi sega i nervi. Tutto il giorno, in tutti i giorni, sentirmi male e star bene. Vero è che poi, tra le reti inspezzabili dell’ansia, ogni tanto piglio attimi di tanta gioia, d’una intelligenza così unita alla sua gioia, e d’una tenerezza così colma e contenta (sia pure d’un ridente ma eroico “meglio così”), che benedico Iddio anche dello struggimento; e vivo, e voglio vivere, e vinco il richiamo così dolce della morte: o mort, tu délivres. Venne poi iersera Vecchietti, col quale siamo entrati in buonissima amicizia167. Gli dovevo e volevo comunicare certe idee che da lui ispirate a B., e da B. a M.168, potrebbero portare tanta cultura italiana e tutto il 163 Alfredo Panzini (Senigallia, 31 dicembre 1863 – Roma, 10 aprile 1939), scrittore e critico letterario italiano. Non si sa a quale opera faccia riferimento. 164 Vincenzo Monti (1754-1828) scrittore e poeta, scrisse la Basvilliana nel 1793, in onore di Basville, segretario della legazione rivoluzionaria francese a Napoli, viene assassinato e prima di morire si converte. 165 Carlo Porta (1775-1821), scrittore e poeta milanese. Non si sa a quale opera si riferisca. 166 Donatella Rotundo, figlia di Dina e Michele, cfr. lettera 4. 167 Giorgio Vecchietti (1907-1977), giornalista, amico intimo di G. Bottai e dal 1940 al 1943 direttore con lui di «Primato». Cfr. in G. De Luca-G. Bottai, Carteggio, cit., pp. LXXVII ss. 168 B. sta per Bottai, M. per Mussolini. 02 Carteggio 1940 9-03-2010 11:18 Pagina 159 159 clero italiano, a un riscatto dall’estero e dalla Curia Romana (che è anch’essa estero): cose grosse, ma che mi piace avere avviate, quand’anche per via cadessero, né se ne facesse nulla. Mio dovere è tessere, Iddio farà i vestiti; e tessere, restando nudo e cencioso169. Non mi distendo, ora, a specificarti codesti discorsi; se ne parlerà, al ritorno. Ma voglio dirti che a Vecchietti parlai di Nuccia, e parlai di te. Lesse la poesia da te tradotta: gli piacque assai, e la vuol subito, e gliela darò: soprattutto vuol conoscerti, e tu ci andrai e lavorerai con lui. Il van Gogh, per esempio, lo darai a lui170. Basta con l’Avv. e Festa171: l’anno nuovo, lavorerai a «Primato», e vi porterai Guidi e gli amici e le amiche che tu vorrai. Quindi, ripòsati bene: avrai molto da lavorare. Ma del tuo futuro lavoro, ti parlerò altra volta. Vorrei, vita comite, scriverti una lettera la mattina di Sant’Agostino, il 28 agosto: una lettera di lavoro172. Ora, meglio parlar d’altro. Innanzi tutto, brava che stai con la mamma e il babbo. Fa di tutto per riaver in pugno il cuore di Gabriella, brava figliuola ma restia alla pace. Quanto a Leonardo, il mio silenzio non è di scarso affetto. Tu sai, e se non lo sai te lo dico io, che Leonardo è fra i giovani che più ho amato; e più amo, tuttora. Ma mi parve, un momento, che potesse sospettare da me intenzioni, magari nobili ma subdole, di convertire ecc. ecc.; inoltre, mi parve, e vorrei sbagliare (tu sai quanto son sospettoso e sofferente d’ombre; mi adombro subito), mi parve che sull’ultimo qualcosa fosse in lui, forse ricevuto da altri, che gli facesse dubitar di me, uomo che in amicizia mi do tutto ma leale. E così, ho aspettato a rispondergli, per non dargli l’idea di volerlo inseguire, acchiappare, trattenere. Che desiderassi rispondergli, spero tu me lo creda senza che io debba scendere a protestazioni e asseverazioni. Digli questo, e dillo alla mamma; e se vuoi, leggigli questo capoverso. L’essere entrato così vicino alla vostra famiglia, non mi toglierà mai né delicatezza né scrupolo: e sarei un pazzo e un ubriaco, se per l’affetto che porto a te, e tu sai che non è piccolo, e porto ai tuoi, mi permettessi d’esservi, anche fuggevolmente, d’ingombro e d’infa169 In questo senso De Luca instaurerà ben presto un rapporto diretto con Bottai, sul quale cfr. R. Moro, Introduzione, in G. De Luca-G. Bottai, Carteggio, cit. 170 Non si hanno riscontri di un intervento di Romana Guarnieri sul pittore olandese. 171 Cfr. lettera 34. 172 «E ogni anno, il 28 di agosto, giorno della festa di Agostino, ci scambiavamo, chissà perché, gli auguri», G. Sandri, in G. De Luca, Sant’Agostino. Scritti d’occasione e traduzioni, cit., pp. 708. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 160 160 Carteggio 1938-1945 stidimento. Grazie del vostro affetto, ma lasciatemi restar trepido amico, e peccar di pusillanimità piuttosto che d’alterezza e tracotanza. Non sono un agnello, ma nemmeno un porco ferito. Salutami la mamma, e che non si preoccupi se non mi ha salutata. Si riposi e si diverta. E quel che mi hai detto del babbo, quanto spende lassù, me lo fa ammirare ancor più, come uomo e uomo di cuore; e mi ti fa ripetere (scusa la predica, Romana): guai a te, se un minimo dispiacere debba venirgli da te. Sai, Liverani mi ha guarito dall’enterite: con certi carboni (spenti, spentissimi) che ho ingoiato un cucchiaino per sera; e la mattina, a digiuno, con una fialetta di enterofagos. Sto meglio, sto bene. Tu sai che io mi ammalo della malattia degli amici, e ti disse delle doglie atroci che mi sopravvennero (senza che ci avessi menomamente riflettuto) quando Dina partoriva. Lavorando vicino a te, che accusavi enterite, accusai anch’io enterite; ne son guarito; perché tu l’estate non fai la cura che ho fatto io? Leggerissima ed efficacissima. Dei giovani di villa S. non ho nulla a dirti173. Ti credo così intelligente, da metterti con un moto, ancora oscuro ma nascente, piuttosto che con codesti scervellatini che ronzano, scusami l’immagine, su m. che ha molto concimato le intelligenze ma ora non concima più nulla. Si tratta d’essere i primi d’una vita avvenire, o gli ultimi d’una vita avvenuta. Senza dire, che per me (e spero per te) si tratta di verità, senz’altri epiteti; e non credo che codesti farfallini conoscano che la verità si può amare come non si ama nulla e nessuno, e la si può godere come nessun amore si può godere mai quaggiù; e redime l’anima, e la corona; e la fa pazza e savia con un estremo di gioia, indicibile. Ti potranno annoiare, come le mosche; ma non credo ti potranno turbare. Un po’ della mia serenità, che dei maestri loro sono amicissimo e tuttavia indenne, tu l’hai: e ne hai più di un po’, e per questo ho voluto bene alla tua intelligenza. Lavoriamo, qualcosa verrà: ma lavoriamo nell’ansia, nello stento, nella stanchezza: non è poi, dimmi la verità, non è poi tutto dolore, codesto lavorare. Hai scovato don Amerigo? dovrebbe esserti facile. Dei molti preti che vedi a Cortina, tu dici quel che vuoi, io ho letteralmente schifo: non li sopporto. E sai che non sono un fanatico, e lascio vivere. Il clero, quello di Roma, dalla classe popolana è passato alla borghesia, con gli aumenti di stipendio del 1925; che vengano o non vengano a Cortina, 173 Cfr. lettera 17, n. 51. 02 Carteggio 1940 9-03-2010 11:18 Pagina 161 161 a me non importa; importa che siano dei piccoli o grossi borghesi, e questo mi ferisce. Io il prete lo voglio o principe o povero: posibilmente, tutti e due insieme. La borghesia ha meriti immensi, e io non faccio l’intellettuale; ma un prete, no, io non lo so vedere borghese né “in borghese”. Infatti, la pagheranno. Cioè, la pagheremo. La stiamo pagando. Il clero italiano, e non escludo quello che Dante chiamava “il gran prete”, non capisce nulla dei giorni che corrono, non fa né patisce in essi nulla: ce ne riparleremo dopo. Io ho molta paura, di questo dopo174. Sono stato in polemica con Baldini175, rinfacciandogli “i verdi volgari e le crude arie” dei colli modenesi, da lui preferiti alle magie segrete e solenni delle ore romane, l’estate; stamani, da vero letterato, mi atterra scrivendomi: “apprendo con piacere che ti trovi così bene a Roma, nel solleone. Ma non sei originale: Cecchi lo ha sempre detto. Sei anche tu un pesce rosso. Io sono un pesce verdi e mi compiaccio di questi verdi monti ecc. ecc.” (A proposito, nell’anno ventuno preparerai qualcosa per la N. Antol.)176. – Papini mi scrive che sta diventando cieco: prega molto, con me, per gli occhi così belli e così vivi di quest’uomo, che sarà stato superbo e vano, ma pure ha tanto amato gli uomini e ha amato ed ama il nostro Signore e Amore177. Me lo prometti? – Altre notizie letterarie non ho. Lavoro assai, a sdebitarmi con giornali e riviste: è il tempo buono. E leggo, e penso. E m’esalto; e qualche volta rotolo nelle cupezze più feroci. Col Signore, e con l’anima mia, sto sempre alle solite. Vado un pezzo per mano; e poi, una strattonata, e tocca venire a riprendermi, dove son caduto e strillo. Ma sono fedele. E via via le molte some che io porto, paziente e ardente, procedono; mi riposo dell’una con l’altra, e cioè facendo programmi e cambi, ma è per alleviare il peso sulla carne pesta e intormentita; e va avanti la vita con Cristo (tutta è per Lui e con Lui, ma una parte è sola con Lui e per Lui; e tu, se hai qualche volta amato, capirai a volo); va avanti la vita con i miei; va avanti la vita di studio; va avanti la vita di collaborazioni multiple; va avanti la vita con gli amici; va avanti la vita del povero animale, dalla cuccia al sedile, 174 Sulla polemica antiborghese di De Luca cfr. L. Mangoni, In partibus, cit., pp. 256-268. Ma cfr. supra 175 Su Baldini, cfr. Introduzione. 176 Su «La Nuova Antologia», cfr. lettera 38, n. 95. 177 Giovanni Papini perderà progressivamente la vista, fino a diventare quasi completamente cieco. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 162 162 Carteggio 1938-1945 dal sedile alla tavola, dalla tavola alla chaise-percée ecc. ecc. Oh oh, dirai da quella brava cattolicona che sei diventata, e il prete? il prete non va? non ne dice nulla? Nulla, Romana. E mi dispiace pel tuo neofitico ardor cattolico. Il prete, poveretto, è un po’ tutto e dappertutto; e ti dico io che non è un mestiere che si fa in certe ore. È certe volte una cosa ridicola, come d’uno che da sé si volesse lanciare in alto, e invece ruzzola. Il volo e l’ala vien da un Altro: quando c’è lui, c’è tutto; e senza di Lui, nulla. Quando, e può succedere spesso, quando si alza dal fondo dell’anima il più crudele lamento contro di Lui, e vorrei guardarlo quasi con rimprovero, finisce sempre che chi solo può lamentarsi è Lui di me; non io di Lui; io posso solamente (e quanto spesso in questa solitudine succede! non c’è rimasto che un fabbro, e lo sento battere sull’incudine) io posso solamente ringraziare, ringraziare, ringraziare! P.S. Per telefonare, ti dirò: ma ho sempre con me Dina, a quell’ore, o son da lei. Ma ti dirò. – Nel tuo Gezelle, hai dimenticato un prete, il creatore del purismo italiano, p. Cesari di VERONA! Ah ignorante! 57 Cortina, 21 VIII ’40 mezzogiorno Caro don Giuseppe, “Finalmente una lettera!” ho pensato iersera al vedere iersera la sua. La scorsi in fretta e in furia, perché volevo venisse con me alla Benedizione: giacque difatti proprio sotto la mia fronte china, e questo essere insieme mi fu di viva dolcezza. Adesso, chi sa come, dove e quando riceverò di nuovo sue notizie: temo che questa mi dovrà fare compagnia, sola, per un bel po’, ché ce ne andiamo quasi alla ventura, senza programma ben stabilito. Il più malinconico è babbo al quale questa partenza anticipata significa più o meno la fine della sua vacanza, per lo meno del suo riposo. – Ma che fare? Alla mamma ormai ha preso la smania: Leonardo è a Bolzano, e sebbene le sue condizioni non siano affatto tragiche e nemmeno preoccupanti e certamente prima di una diecina di giorni non lo operano, tut- 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 163 163 1940 tavia bisogna correre tutti a Bolzano. La sostanza è un’altra: qui o la mamma o il babbo si annoiano e si sacrificano a vicenda: mamma non può più oramai fare gite, soltanto passeggiatine molto tranquille. Babbo è giovane; per quei pochi giorni di riposo vorrebbe cambiare del tutto vita, fare moto energicamente e non già gingillarsi per i caffè e i negozietti del paese – me lo ha confessato con un sospiro l’altro giorno. È stato a fare una gita di tutto il giorno con la Maccaferri e si è divertito assai; io, quel giorno ho fatto una passeggiatina facile con la mamma. Ieri, mi è riuscito spedirlo un’altra volta a una passeggiata breve (dalle una alle 6 1/2), ma per mamma pare che la misura sia già colma. Si lamenta che ieri pomeriggio è stata sempre in albergo (in realtà ha riposato fino alle 4 – io dormivo ancora, ma lei, smaniosa, è andata dalla manicure; alle 5 ritornando io mi avviavo a mia volta per una passeggiatina solitaria, sicché in sostanza è stata sola in albergo un’ora e mezza!) e che non vuol fare la vecchia signora (ma santo cielo, dopotutto ha 50 anni, bisognerà che si rassegni!) Insomma, sono in pensiero. Babbo si sacrifica, si sacrifica, si sacrifica; ma intanto la mamma invecchia (quest’anno è andata molto giù) e non ha il buon senso di cercare di rendersi quanto più può leggera. Come andrà a finire tutto ciò? Scusi la lamentosa tiritera, ma avevo proprio bisogno di sfogarmi. Fortuna poi che questo anno io non sono in condizioni di muovermi. Ma già, pare che la mia compagnia dia molto poco anche se poi, quando esprimo il desiderio di starmene per conto mio per un po’, tutti si offendono. Ma ora a noi due. È un bel mantenere le promesse, il suo. Ma non saprei davvero lamentarmene. Solo un’angustia questo suo quasi dolersi della solitudine. So anch’io cosa vorrei (e vorrebbe) in luogo di quella, ma: “meglio così”, e coraggio. Che sia partito anche don Sandri?178 O le fa paura, quella compagnia! Strano, io quando me ne vado sola – e ci vado quanto più spesso posso – non mi sento mai sola, anzi è proprio allora che mi sento vicina la compagnia più cara, quella in terra, e quella di lassù. Mi son sempre creduta una Marta, e poi mi scopro tanto di Maria. Quanto ai giovani villasciarani, lei mi ha frainteso: non temevo turbamenti – in sostanza quella crisi lì l’avevo già superata in 3° liceo – ma desideravo poter rispondere sempre in maniera convincente ed era solo 178 Cfr. Introduzione, p. 49. 02 Carteggio 9-03-2010 164 11:18 Pagina 164 Carteggio 1938-1945 per quello che desideravo una sua preghierina. Non condivido il suo giudizio. Uno di essi è il miglior amico di Guidi, ragazzo di valore, sempre cercante, sempre pericolante, ma di vera finezza. Non a tutti tocca la fortuna di avvicinare un De Luca proprio nel momento critico, e non tutti hanno la strada così facile e spianata da altri, come me. Don Amerigo non l’ho più pescato; la verità è che non ho mosso un dito per pescarlo. Penso che a lui dopo tutto non gliene doveva importare nulla, e a qualcheduno poteva anche dispiacere. A me per esempio un caso analogo avrebbe dispiaciuto (si è sempre irragionevoli, in certi punti). Ieri, nella mia solitaria passeggiata, lessi il capitolo De l’amitié179, con una dolcezza profondissima; e, per mia parte, ne venivo completando le manchevolezze, e vedevo e sentivo tutto in un’altra luce, la nostra luce, che è poi la luce di Cristo. Sì, non pensi che per averle sempre parlato di cose futili e frivole, abbia per questo l’anima meno piena e meno viva. Ma l’anima, che cosa piena di pudore. Non ci siete che voialtri preti, a saperne parlare con tanta disinvoltura. Grazie anche per Primato. Contavo riprendere il lavoro fra giorni; ora, tutto è di nuovo incerto, anche il riposo. Mah, quel che Dio vuole. Certo, se me lo concede voglio lavorare e lavorare di buona lena, con Lui e per Lui. Dove riceverò la lettera di Sant’Agostino? Capirà se ne ho desiderio: prevedo un certo programma! Una specie di coronamento a tutti i suoi programmi, un saggio finale di programmatica. Stop. È l’una e si va a pranzo. Imbuco subito, ché ieri non è partito nulla e ho compassione della sua solitudine. Ma pensi che a dividerla, con preghiere, pensieri, sogni persino, c’è sempre la sua aff. Romana 179 Non vi sono elementi per identificare il volume in questione 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 165 165 1940 58 Bolzano, 30 agosto 1940. ore 12.15. Carissimo don Giuseppe, fa un certo strano effetto ritrovarmi – mezz’anno dopo – per le stesse ragioni, nella stessa città, stesso albergo, stessa camera, e con la stessa carta davanti su cui scrissi una certa lettera segnata da lagrimoni che venivano giù come fossero stati torrentelli alpini180. È cosa che dà materia a riflettere. Ho riveduto anche la Via Crucis181, che sceglievo di preferenza per rileggermi, passeggiando e divagandomi un poco, certe sue lettere. Allora, si scorgeva nitida e invitante dal ponte sulla Talvera; oggi, le cappelline bisogna sapere che ci sono lì, soffocate nel verde già tinto d’autunno – e allora spiavo, giorno per giorno, il nascere della primavera. Quante cose, in un solo trapassare di stagione. Anche l’acqua della Talvera oggi scorre facile e briosa, che allora era stenta e rada, sempre legata dai ghiacci; e un poco mi pare di riconoscermici, come in simbolo. Da un capo del ponte sedeva sempre – e con quel freddo – un vecchio povero; gli davo sempre qualche cosa, e un giorno lui mi porse un foglietto rosso, sa, di quelli della fortuna. L’ho conservato, tanto mi pareva giusto e appropriato; anzi l’ho qui e voglio mandarglielo. Peccato non aver giocato quei numeri, scommetto che mi sarebbero usciti. È l’ora di pranzo, oramai, e debbo andare. Ma al ritorno le spiegherò anche come mai mi trovo ancora qui. ore 14.15. Eccomi di ritorno. E sono seduta anche sul letto, come un’altra volta; ma allora era di mattina, e avevo ricevuto un espresso orribilmente ingiusto che mi aveva fatto ringoiare infinite lagrime bruciantissime. Il foglietto rosso mi fu dato appunto dopo che ebbi scritta quella lettera, senza tuttavia imbucarla; né allora, né mai. Quando giunse dunque Margherita trafelata a chiamarmi giù, mi prese un malumore nerissimo; anzitutto per il rimpatrio rinviato e in secondo luogo perché così mi andavan a monte anche quelle uniche ultime 24 ore di solitudine totale che mi eran concesse in queste vacanze e che mi venivo assaporando ghiottamente come un bimbo un dolce prelibato. Mi venne malumore che alla mamma non fosse venuto in 180 181 Cfr. lettera 38. Cfr. lettera 48. 02 Carteggio 9-03-2010 166 11:18 Pagina 166 Carteggio 1938-1945 mente di lasciarmi lassù questi altri tre o quattro giorni: avevo rinunziato a andare a Milano o a Venezia o a Bologna da sola, per non strapazzarmi, ed ecco che, perché fa comodo a loro, mi trascinano da un treno all’altro a fare una fuga in campagna, e di strapazzo nessuno parla più. – Il malumore non seppi nasconderlo; ne riebbi risentimenti e parole dure. Insomma la andò male; e peggio andò la notte, passata in una stessa camera. La mamma è solita dormire con la luce accesa, io non so dormirci. Onde di risentimento e di astio si alzavano da un letto e dall’altro e si percepiva la loro lotta silenziosa nell’aria. Non ci siamo addormentati che sul far dell’alba! A farla breve; siamo venuti a un accomodamento: era venuto nel frattempo il contrordine: partire sabato; così stamattina sono andata da Leonardo, ho ottenuto che lo rilascino domani e andiamo due o tre giorni in campagna da Gabriella (a reggere lumi, io). Ma tutto ieri pomeriggio, tutto oggi e tutto domani sono perduti così, in questo modo balordo. Ma di questo nessuno si cura, quando curarsene non fa comodo. Ah, don Giuseppe, sono ancora lontana dall’essere una perfetta cristiana; mi manca ancora troppo pazienza e rassegnazione. Senza contare che desideravo, non so dirle quanto, riprendere lunedì – e proprio lunedì a tre settimane di distanza – la correzione di Gezelle182 – Ho davanti a me il quadretto iniziato ieri: una bianca casetta solitaria e silenziosa sulla cima di un verde cocuzzolo e molta aria intorno; niente vezzi, niente lezii; molto silenzio e molta pace; senso di solitudine tranquilla: era iermattina, ma ha durato poco, ahimè. La mamma mi rimprovera che la mia compagnia non è divertente; mi rimprovera il tramontare della mia amicizia con Gabriella; divento superdonna, mi dice e insopportabile; se non son letterati o filosofi, io non ci tratto, dice; ma non è vero: a Cortina avevo fatto amicizia con il portiere dell’albergo e qui con il fattorino della funivia. Ma di questo pure mi rimprovera; dice che sono stravagante e, daccapo, insopportabile. E tutto questo soltanto perché chiedo di essere lasciata un 182 Morcelliana riceve il manoscritto su Gezelle il 13 agosto 1940. Dopo pochi giorni, il 26 agosto, Minelli scrive a De Luca «Carissimo De Luca, mi sono letto in questi giorni il Gezelle con vero diletto. Proprio benissimo! Interessante il soggetto, trattato con umanità e finezza, intelligentissimi i paralleli. Bisognerà tradurre in italiano almeno tutte le poesie riportate in fiammingo [...]. Porta i miei rallegramenti sinceri alla Sig.na Romana Guarnieri e permetti che mi rallegri con te che l’hai diretta», in G. De Luca-F. Minelli, Carteggio, cit., III, p. 44. Nel suo libro di memorie Una singolare amicizia, Guarnieri racconterà che le pagine più belle del Gezelle erano state a lei dettate interamente dallo stesso De Luca, cfr. R. Guarnieri, De Luca, il Bremond italiano, cit., pp. 39-43. 02 Carteggio 9-03-2010 1940 11:18 Pagina 167 167 poco in pace e ai miei gusti; perché non ho più storie di flirts o di altre cose poco edificanti con cui tener sù la conversazione con Gabriella, ché soltanto di ciò era nutrita la nostra amicizia: avevamo quest’unico interesse in comune; a me è caduto; di che cosa vivrà ora? Lei ha fatto tanto, don Giuseppe, e anche io faccio tanto; la mia vita in famiglia un tempo non andava per un verso, ora non va per un altro. Ma la conclusione è sempre quella: stenta, faticosa, senza vere luci, con continui contrasti, risentimenti, logorii. Cosa ne sarà? Non è un esperimento faticoso e destinato a fallire? Non è della mia solitudine in casa che mi lamento, ma di essere ancora sempre la pietra dello scandalo. Me ne accorgo dai rimproveri, al menomo contrasto: son cose meditate, covate, che cuociono da lungo tempo, senza che io me ne avvedessi. Anche la mia amicizia con Augusto183 è giudicata malevolmente: “un ragazzo che non vale un soldo”, dice la mamma; “un disgraziato” dice il babbo. Disprezzano, senza conoscere, letterati e letteratura; eppure son loro che mi ci hanno spinta, quando papà si contentava di fare di me un’insegnante di tedesco nelle scuole medie. So benissimo che la proposta dell’impiego all’E.42 mira sopratutto a togliermi a me stessa, alla mia vita, di studio e raccoglimento solitario, per immettermi in quella che per babbo, uomo d’azione, è la vera vita184. – Sapesse come mi sento stanca e scoraggiata sul tema: famiglia. Forse è questa notte insonne; ma questo stridere continuo delle note è snervante. E qui non c’è nessun don Giuseppe a darmi coraggio per tirare avanti un altro mese, e poi un altro e un altro ancora, fintanto che, oh Deo gratias, la sarà finite. Quando sarò a Roma? mercoledì se Dio vuole. E giovedì lei mi consolerà un poco, nevvero? ché mi manca tanto una sua parola di coraggio e conforto. 183 Augusto Guidi, cfr. lettera 45, n. 109. L’E42, l’Esposizione universale organizzata nel 1942 per celebrare il ventennale della marcia su Roma (28 ottobre 1922) fu poi rinviata a causa della guerra. Il progetto monumentale vide la partecipazione di Gaetano Minnucci. Sull’impiego di Romana non vi sono altre notizie. 184 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 168 168 Carteggio 1938-1945 1941 59 Roma, 8 luglio 1941: martedì. ore 9.10 Cara Romana, ben arrivata! Incomincio la mia mattina, con una visita del p. Santo che, inavvertito, giunge propizio e come per una mia chiamata interiore. L’anima macchiata è come una camera da letto non aerata né pulita: un’insopportabile sozzura, afa, puzza. Non mi distendo a discorrere. Ma forse, più in là, mi distenderò molto. Questo pomeriggio debbo andare da Ottaviani185: e non voglio dunque esagerare stamani. Piuttosto, eccoti quattro versi che mi ritrattano: This man is quiekened so with grief, He wanders god-like or like thief, Inside and out, below, obove, Without relief seeking lost love. (Róbert Graves)186 Buon divertimento, buon riposo, buoni pensieri, buoni cibi: buon tutto! Tuo d. g. d. l. 185 Alfredo Ottaviani (1890-1979), sacerdote dal 1916, dal 1935 al 1953 fu assessore al Sant’Uffizio di cui poi divenne segretario e pro-prefetto. Creato cardinale nel 1953, cfr. A. Riccardi, Dizionario storico movimento cattolico, II, cit., pp. 435-439. De Luca lo conobbe nel seminario romano «che giorni, che anni! [...] Rettore Domenico Spolverini; prefetto, Domenco Tardini, confessori il Can. Borgia e p. Francesco; a refettorio, poeta romanesco en titre, Alfredo Ottaviani», A don Domenco Dottarelli, «Mater Dei», p. 88. Sui rapporti di De Luca con Ottaviani cfr. G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., pp. 107-114, e ad indicem. 186 De Luca cita l’ultimo verso della poesia di Robert Graves (1895-1985), Lost love. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 169 169 1941 60 Roma, 10 luglio 1941 Piazza S. Maria in Trastevere 24 Gent. ma Signorina, ieri ho ricevuto il libretto e collaborerò fedelmente secondo le Sue istruzioni187. Se si presenterà qualche caso dubbio, prima di decidere chiederò a Lei. Va bene così? Mi creda sempre, come fraterno amico e compagno sulla stessa Via. suo devoto Giuseppe Sandri 61 Roma, 14 VII XIX ore 7.35 Carissima, ecco intanto un saluto mattutino. Oggi, minaccia di essere una bella giornata. Forse il cominciamento vero del vero Peppino: chissà chissà...188 Te ne terrò informata, perché spero pro187 «Tranne il non lauto emolumento del beneficio di S. Maria Maggiore [...] De Luca visse economicamente in maniera precaria, per tutta la vita. Sempre bisognoso di denaro, che, però aveva in “supremo spregio”, buttandolo letteralmente e perciò sempre all’asciutto», G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., pp. 113-114. Per cercare di risolvere, o quantomeno migliorare, questa situazione R. Guarnieri e G. Sandri convinsero De Luca a segnare ogni spesa e guadagno in «un libretto di risparmio al portatore, da noi battezzato “Storno”. [...] In mia assenza nella gestione di Storno subentrava il Drago [Sandri, ndc]» In questa «operazione di alta finanza» Romana era la “Banca”, De Luca il “Papero”. Cfr. Il Drago, la Banca e il Papero, in R. Guranieri, Una singolare amicizia, cit., pp. 99-165. 188 «Tutta la mia vita, più volte nell’anno, più volte nel mese, ho sciorinato sui miei quaderni elenchi ragionati e infiammati di propositi. Strano, ma mi sono sempre proposto di cominciare; ora comincio, questo è il principio, ecco l’inizio; dopo mezza giornata, o, bene che fosse andato, dopo mezza settimana io continuavo come prima; nessun inizio si era verificato», in G. De Luca, Vita prima, ora in G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 413. Cfr. commento Ibidem, pp. 190-196. Sicuramente il 1941 è un anno centrale nella vita di De Luca, anche per il duro confronto provocato dal rapporto con Giuseppe Sandri. Nel 1941 si pongono del resto le basi delle Edizioni di Storia e Letteratura, e la decisione di De Luca di «camminare da solo». Cfr. L. Mangoni, In partibus, cit., pp. 3-52. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 170 170 Carteggio 1938-1945 prio oggi poterti scrivere meglio e più a lungo e più sensato che non nei giorni passati, quando ho scritto così come si fa in pezzi sanguinolenti un bel corpo, e ci si scherza. Mi perdonerai? Non si parla di Padova ancora, perché mamma si sta facendo i vestiti189. Telefonerò stasera ai Minnucci: la prima volta dopo la tua partenza. Mille gravi e buone e dolci cure Fortunio190 Roma, 17 VII 41 XIX ore 9.15 Cara Romana, iersera feci appena in tempo a scriverti due parole, ma spero siano bastate a dissipare nel tuo cuore quella nuvologia che l’occupava, circa la mia tristezza. Quando il cuore si abbandona, necessariamente fa il giovane Werther, anche quando non è giovane ed è, invece che polare e nordico, equatoriale e meridionale. Non che ci faccia di proposito, ma è così. La passione, quando è sola padrona, è romantica. E anche io, stamani, rido un po’ di quelle smanie. E ti ringrazio della tua serenità. Ma anche in quei primi giorni, non devi credere che Fortunio andasse proprio alla deriva. Soffrivo, questo sì, come uno sbandamento: ha battuto il capo più volte: ma non è uscito della sua via, non ha arretrato; è, anzi, molto più avanti; e come avrai visto, ha fatto un vero e proprio balzo, di volo. Non t’impensierire, pertanto. D’altra parte, mi pare di averti sempre ripetuto che la vita spirituale, così religiosa che intellettuale, soltanto nei manuali e per gli sciocchi è una cosa di tutta pace, rettilinea, calma ecc.; in verità, nella verità cioè dell’intelligenza, della volontà e della carne, è un zig-zag tormentoso: quel che è necessario non è vedere se si sta sempre più in alto, ma se la linea spezzata e segmentata in complesso s’innalza. Ora questo è vero del disgraziato Fortunio: vero, anche in questi giorni che egli è solo. Perché dunque non vuoi essere lieta, e prenderti in pace il tuo riposo, e rinfacciarmi che ti rendo vana la villeggiatura? Ti dirò anzi, se questo ti conforta, che è un’esperienza che mi ci voleva e fa bene. 189 190 Mamma sta ovviamente per Battista Rotundo, seconda moglie del padre. Pseudonimo che De Luca usa nella corrispondenza con Romana. 02 Carteggio 1941 9-03-2010 11:18 Pagina 171 171 Ma basta, con questo discorso. Ti credo ormai certa della mi solidità e serenità; s’intende, tra i crucci e le spine, ma non perciò men solida e serena; anzi... Quis nos separabit a caritate Christi? Ieri ho passato una giornata noiosa. Donatella non troppo bene; e Bartoli che fa le bizze. Inoltre, Bargellini il quale, non so, mi fa tanta pena. Eppoi, preso da Brennan. E tutti, tutti voglion portarmi con loro. E io, invece, non riposo che da solo. La mia fatica maggiore e peggiore è star ad ascoltare e star a parlare: una volta, per un po’ di giorni, vorrei pure ascoltar me, e parlare a me. Non ti pare? Andando a Padova, comincerò: e ti telegraferò quando parto. Nuccia viene stasera, e le passerò il brano di lettera che la riguarda. Minnucci mi ha telegrafato l’altro iersera, martedì; volevo andare a trovarlo; mi ha risposto che per qualche giorno ancora è preso dal lavoro soverchio di non so che progetto, e mi darà lui stesso il via libera. Stamani gli farò una seconda minuta per la lettera di omaggio alla Principessa, del tuo libro; e gliela farò avere, e te la farà avere. I due sposini, da me recapitati a Mattioli, sono stati trattati dal mio amico con grande servizievolezza; e spero sian contenti di me. Forse, lei resterà sempre un po’ agra: ma che farci? [Scusa questi pelini, nella penna]. Lavoro molto, e forse a giorni riprendo a frequentare la Biblioteca. Le idee, al solito, mi nascono a fiumi; debbo aver pace, e tanta disciplina, da lavorare. Ma è che spesso i nervi insorgono: da tre a quattro giorni, forse per il caldo grande, mi torturano. Ma stanotte ho dormito un sonno unito e leggere, che mi sono svegliato, come tu vedi, alacre, forte, diritto. Sia lode a Cristo, e a chi da lui ottiene così bei miracoli. Quanto alla tua compagna, non ti agitare delle sue agitazioni. Non è facile salvare chi affonda, né pescare pesci grossi. Ci vuol molta calma, e molta forza; molta sofferenza, che è insieme dolore e sopportazione. A meno che non si tratti, per essa, di fatti fisiologici, nel caso patologici: nel qual caso, non veggo altro da fare, che indirizzarla a medici e medicine, e non gravare con proposizioni e proposte spirituali stati d’animo già oppressi da turbamenti fisici. Soprattutto avrei pena che questo annientasse il tuo riposo. E tienimi di tutto al corrente, minuziosamente. Però, nelle lettere seguenti, sii ancora più cauta: non vorrei cadessero in lettura presso chi può dolersene, e cioè Nuccia. 02 Carteggio 9-03-2010 172 11:18 Pagina 172 Carteggio 1938-1945 Ieri, fra gli altri, venne anche il padre di Guidi, a restituirmi parte dei libri che Augusto aveva preso da me. È un monumento di malinconia, feroce nella sua quiete, questo povero babbo; e io, che soffrivo di mio, sentivo affondarmi. E poi, l’amico Augusto sciupa i libri, molto ma molto: il Thompson, che era una ediz. quasi di lusso, è diventato un libro scolastico d’uno scolare studioso ma non troppo netto. Ti sia confidato in intimità, un po’ mi è seccato. Stamani, Sant’Alessio: un santo al quale da giovane ho dedicato un saggio filologico. Non so come sia, me ne viene come un ardore a prendere quella strada, che è la mia e ho sempre lasciata: il camminatore di Cristo; il filologo, e cioè (nel senso vero) l’amico del Logos. Oh, filologia divina! Papini, nella sua, mi scriveva: “Ho ricevuto ieri il libro della Guarnieri, e ho cominciato a farmi leggere la tua prefazione dove ho scoperto che tu metti alla pari l’acqua chiara e l’acqua sudicia e inoltre che Don Abbondio e il Cardinale Federico non sono figure di preti abbastanza riuscite. Spero di fare altre scoperte in seguito. Bada che scherzo e che mi propongo di leggere attentamente la prefazione e il resto. Vedo che la Signorina Guarnieri deve fare per la Morcelliana un libro su Vondel e comincio a capire come mai si faccia tanto aspettare l’articolo promesso alla Rinascita”. Lo tranquillerò, nelle dovute regole e forme. Intanto tu ristabilisciti. Giunge Dina in questo momento, e le da la tua cartolina per Donatella: graditissima. La pupa è pallida, ma sta meglio: mette i denti. E chiudo, per questa volta. Con tutto quel che puoi aspettarti di più caro e di più forte, di più umano e di più divino, tuo aff. Fortunio ore 11. Sono in biblioteca. Ho già scritto varie lettere, fra le quali una molto lunga a Papini. Ricòrdati che il 22 cm. è Santa Maddalena. Vorrei aggiungere qualche altra cosa; ma mi butto agli esercizi, se no non mi sento a posto e smanio. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 173 173 1941 62 Roma, 21 luglio 1941, ore 7.50 Cara R., stamani ho fatto tardi in Cappellania191, e dovrò essere brevissimo: vuol dire che farò miracoli per dare un supplemento di lettera, in giornata. Parte Donatuccio per Genzano, con Enzo; e debbo salutarli192. Tutto bene, intanto. E veramente ne sono stupito e meravigliatissimo, io stesso. Ma tu continua a sostenermi, come io da mia parte ti sostengo. Iersera, Minnucci mi ha telefonato con la tua misura, e cioè a lungo; mi ha parlato d’una tua telefonata, e a me veniva l’acquolina in bocca. Ma “oportet Eum implere omnes iustitiam”: pazienza. Giovanna193 mi parlò di sé, lungamente. Che dirti altro, in questa furia che ho? Ecco, la parola di Sant’Agostino: Ama, et fac quod vis. Se senti notizie di allarmi notturni, stavolta, sappi che Roma è restata immune da ogni colpo: con allarme, dalle 10.45 alle 1.45, ma solo con l’allarme. Io ho dormito, con tutta Roma e con Romana fermezza. Tuo aff. P. 63 Roma, 22-7-1941 Carissima Romana, il telegramma di oggi mi fa sperare che mi vuoi ancora bene e che sono ancora degna (che parolona!) del nome di amica. Io aspettavo una tua lettera o almeno il tuo indirizzo a S. Margherita, ma tu non hai scritto ed io non ho potuto mandarti la lettera promessa. Ieri sera parlai col babbo per telefono, mi diede gli auguri e poi mi disse che tu tornerai domenica. Tu forse non ci crederai ma sono contenta di riveder191 Cappellano dell’Ospizio delle Piccole Suore dei poveri, cfr. lettera 4, n. 8. Donato De Luca, fratello di don Giuseppe, Ibidem. 193 Giovanna di Capua, amica di Romana Guarnieri. 192 02 Carteggio 9-03-2010 174 11:18 Pagina 174 Carteggio 1938-1945 ti e di constatare vedendoti il buon esito della cura. Sono a Roma dal 18. Ho passato delle giornate deliziose, benché ogni tanto sentissi la nostalgia di Peppino e di dargli un bacino. Sono stati tutti molto gentili con me e volevano portarmi a Milano con loro, ma ho tenuto duro e ora sono di nuovo qui a sopportare questo noioso di Peppino, il quale non fa altro che lamentarsi di star male e di avere il tifo. Almeno quando tu eri qui si sfogava anche un poco con te, invece adesso tocca tutto a me. Ho deciso di divorziare, se non cambia umore e abitudini. Mamma ti ringrazia tanto della cartolina. Ringrazia tu Giovanna degli auguri che ho graditi moltissimo. Ho piacere che hai avuto così una compagnia, però, non ti offendere, non vorrai che le amicizie nuove ti facessero abbandonare le vecchie. Io sono un tipo geloso e Peppino ne sa qualche cosa, e credo che sarei gelosa anche delle amiche. Oggi abbiamo festeggiato il mio onomastico tutti noi di casa: Luigi e famiglia, Michele, Dina e Donatella e Donato sono stati a pranzo qui. Fino alle 8 di questa sera sono stata sempre occupata con le nipoti e solo stasera ho un po’ di requie e ne approfitto per scriverti; domani andrò a Ostia e non avrò tempo. Ora smetto. Scusami le stupidaggini, ma io sono una povera illetterata, non proprio analfabeta ma poco ci manca. Saluti a Giovanna (mi raccomando non dirgli che sono gelosa di lei) e a te un abbraccio affettuoso tua Nuccia194 Son due giorni, cara Romana, che non so se sia il caldo, o l’astenia nervosa, o ...il tifo, non sto troppo bene. Dico a tutti che ho un mal di testa atroce, ma poi atroce non è e nemmeno forte; che ho la febbre, e invece ho 36.6 la sera; che ecc. ecc. ecc. Però, quel che è certo, soffro; e nessuno, né vicino né lontano, vuol compatirmi: direi capirmi, se parenti e amici non si offrissero. tuo aff. don Gius. 194 De Luca scrive: «Cara Romana, non ti meravigliare se Nuccia non scrive: è sempre torturata, e mai non si risolve. Semmai, scrivile tu, a lei sola. E allora non resiste. Si capisce, se puoi», 12 agosto 1941, non pubblicata in ARG. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 175 175 1941 64 Roma, 14 VIII 41 XIX: ore 17 Cara Romana, ho finito di confessare adesso il mio povero gregge, in compenso immenso: mi è parso, anzi, innumerevole195. Prima di dar la benedizione – dopo, esco con Nuccia – ti scrivo un saluto. Domani è la più bella e misteriosa festa della Madonna: ricòrdatene. E a me ha fatto una bella grazia. Oggi ho veduto Sandri; gli ho mostrato l’autorizzazione per Storno, io chiedevo mille e cinque, me ne ha concesse mille. Sin qui, nulla. A un certo punto, ha voluto che mettessi in tavola le mie cose economiche; e mi ha stretto, col 1° sett., a contentarmi di 3000 mensili, né un soldo più né uno meno. Il resto, non doveva più essere mio, sintanto che non fossi più sereno e libero da creditori. E anche questo, come vedi, è ito! La mia vita di scioperato (= giovane) è finita. Ci manca il legame ferreo delle mattine lavorate; e poi, son finito! Cioè, incomincio! Sono allegro. Sento questa ripresa lenta, ma sempre più forte, che mi porta via da’ miei errori e dalle mie malsanie. E sono allegro. Mai festa della Madonnina è stata così lieta. Ogni cosa che punge, meglio così. Sarò un santo, non cioè di onori, ma di vita e cioè di amore di Cristo, amore fortissimo e dissimulato nella letteratura? Mai come stasera le mie speranze sono state più ferme. Aiutami, pregando. Io aiuto la tua vita, pregando. Salutami i tuoi: d. Gius. Non ti lamentare della scarsità di lettere: non scrivo a nessuno così frequentemente, e certe volte me ne viene fin lo scrupolo! 195 Cfr. lettera a G. Papini 7 marzo 1929, in Carteggio, cit. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 176 176 Carteggio 1938-1945 65 Di coscienza196 Ortisei, giovedì vigilia dell’Assunta 1941. Ore 16 Caro d. Giuseppe, ho ricevuto ora la sua del 12 dalla Cappelania197, breve; ma anch’io sarò breve: ho un monte di lettere da scrivere e nessunissima voglia. L’umore non è più quello dei giorni passati. Era meglio se mamma e babbo fossero andati in un altro albergo più di lusso, magari a Cortina. Qui, niente va bene: il pubblico è ordinario; il servizio deficiente; il mangiare, poco variato; il thè, impossibile; l’acqua, non è calda; la camera, piccola. Insomma, è un lamento continuo, specie da parte della mamma, e incomincia già al mattino presto, per finire a sera tardi; ci vuole una pazienza! Pensare che io stavo contenta di ogni cosa, tranquilla, soddisfatta. Un’altra volta davvero che non m’impaccio più a trovare una camera a nessuno. – Poi, mi trovo legata al loro passo lentissimo, proprio ora che cominciavo a camminare più sul serio, e anche questo non è divertente; né sono più sola con i miei pensieri, le mie commozioni; le mie gioie; perfino in chiesa mi riesce difficile entrare, per non annoiarli. Pazienza; tutto questo sarebbe nulla, se non stessero scontenti. L’altro ieri, babbo m’ha chiesto di leggere l’articolo su Baldini198 e le due tue lettere di domenica; non potevo negarglielo, e ho dovuto spiegargli per filo e per segno chi era Sandri e chi Storno, e che cosa c’entrassero l’uno con l’altro, e, ambedue, con me199. Ho detto la veri196 «Per carità, dirada lo scrivere e che sia alto alto, salvo quando, mettendo nella lettera “di coscienza” ti sfogherai come vuoi: ho N. che sta in ascolto e in vedetta» lettera 19 luglio 1941, non pubblicata in ARG. 197 Lettera 12 agosto 1941 non.pubblicata in ARG. 198 Recensione a A. Baldini, Italia di Bonincontro, Firenze 1940, in «L’avvenire», 10 agosto1941, nella rubrica Umori del tempo a firma Don Petronio. 199 «Roma, 10 agosto 1941 XIX Iersera alle 9.15 mi telefonò Frate (Leonardo, nda) che di lì sarebbe venuto a trovarmi con tuo padre. Ero stanchissimo, avevo già detto il rosario, mi accingevo a coricarmi: alle 9.45 vennero, e se ne andarono alle 11. Ma fui contentone lo stesso. Tuo padre m’invitò addirittura a cena, e ci diamo del tu. Potei, nonostante la presenza di Frate (?), dirgli molte cose; meglio, avviar molti discorsi. Tra l’altro, gli dissi di quale fortuna sia stata per lui, pur nella disgrazia, aver lasciato i figliuoli in mano a un uomo dell’intelligenza e del cuore di Minnucci. Gli dissi che non bisognava aver fretta per una tua sistemazione di ufficio o scuola, e bisognava pensare soprattutto alla tua salute. Frate (?) si porta in villa Gezelle. Offrii loro un bicchiere di Madera, non avevo altro: e a quell’ora, dove trovavo? (e così povero, come quella sera!)», non pubblicata in ARG. 02 Carteggio 1941 9-03-2010 11:18 Pagina 177 177 tà, cioè che Sandri collaborava con me per aiutarla a cavarsi fuori dai debiti, visto che da solo non era capace. Babbo ha riso un po’ e ha detto che se non avesse alcuni vizi curiosi e molte comiche abitudini sarebbe una gran brava, simpatica persona. E ha soggiunto: “Vorrei aiutarlo un po’ io. Chè lui, con tutti quelli che gli stanno intorno, non fanno che farsi complimenti e soffietti l’un l’altro, ma non è questo il modo migliore di aiutarsi (E non so dargli del tutto torto.) Quanto mi scrive di Sasso, un poco mi spaventa. Specie di quelli che vorrebbero farsi dare soldi da lei che non ne ha, non solo ma ha il contrario di soldi: debiti, e quindi non può e non deve darne a nessuno, poiché non è lei a darli, ma i suoi creditori, Vittoria compresa200. Guardi che Storno non dovrà servire a questo, se no, Storno io non lo conosco più. Consigli ne dia, chè è in grado di darne; aiuti suo zio con il libro, chè può farlo; ma per l’amor di Dio non faccia quello che non è in grado di fare ed è in dovere di non fare. Prodigalità non è generosità, e non è generosità dare quello che non si ha, o dare quello che non è nostro. E tutto quello che dà, finchè avrà una sola lira di debito, lo darà coi soldi degli altri. – Ma che vale predicare, se tanto non vorrà capire, e, certo, non mi darà retta? Ma, la prego, prima di partire, se viene Sandri, gli faccia leggere queste parole, e senta se mi dà ragione. Se poi mi dà torto, mi rimetto a lui per ogni cosa, e cercherò di entrare nel nuovo ordine di idee201. Oggi è una giornata quasi estiva: bel cielo pulito, con gran sole, e aria tepida. Siamo stati, stamani, un’oretta sull’Alpe di Siusi, ma senza allontanarci molto dalla funivia per riguardo alla mamma; io mi sentivo un formicolio nelle gambe e una voglia immensa di andarmene per i fatti miei. Ma come si fa? Anche adesso non vogliono muoversi, per andare invece, più tardi, al caffè: una noia atroce, tra tutti quegli impossibili gagà che fanno gli spiritosi. E questo, in una giornata come forse non ne capiterà più in tutta la stagione. Peccato, proprio peccato. Prima era Giovanna a darmi guai, ma anche ora non va bene202. Possibile che per stare bene debba proprio stare da sola, e nessuna compagnia mi vada a genio? – A Sasso quanto si tratterrà? E la posta, da qui, quanto ci impiegherà? – A Nuccia, scriverò, ma francamente anche lei fa passare l’entusiasmo a farsi tanto tirare la calzetta. Gio200 Vittoria è la domestica di casa De Luca. R. Guarnieri, Il Drago, la banca, cit., pp. 120-121. 202 Il soggiorno in montagna con l’amica era stato pieno di discussioni e incomprensioni come si evince dalle lettere in ARG, del luglio-agosto 1941 non pubblicate. 201 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 178 178 Carteggio 1938-1945 vanna di Capua mi ha scritto una lettera straziatissima, implorandomi di risponderle subito invece sono già quattro giorni e ancora non so decidermi e ho una gran voglia di mandarla a quel paese; in questi tempi mi sento sbollire la vocazione di fare la medichessa dei nevrastenici e mi sento un gran desiderio di stare con gente normale, ma, con cui si possa discorrere di cose semplici senza tante complicazioni, tante “torture”, tanti “rovelli”. Sarà forse effetto della salute che ritorna? Intanto però ho mal di schiena: effetto del malumore che cova dentro? L’articolo su Baldini mi è piaciuto soprattutto per come è scritto: quello che dice m’ha più del soffietto a un amico che un articolo critico un po’ serio. – Posso chiederle un favore? Primato qua su non arriva: me lo manda lei? Mi faccia sapere quando debbo indirizzare a Sasso: lì scriverò poco, anzi pochissimo, e anche da lei mi aspetto poco (a proposito, Bartoli verrà?) ma dopo, riprende il tempo perduto, a meno che io non sia già in Olanda: la posta impiega da 10 giorni a un mese, ahi noi203. Coraggio: vivat Jesus sempre col sole e con le nuvole. Sua Romana 66 Roma, 19 ag., ore 12.45 Cara Romana, volevo scrivere prima e vorrei scrivere più a lungo; ti contenterai di quel che posso, sicura come sei di quel che vorrei. Iersera, mi si spaccava la testa dalla stanchezza: tra lettere scritte e persone ricevute, ero un cencio. Difatti, stamani non ho detto messa, per dormire un po’ di più; e ho avuto ed ho un bel male di capo. Sarà anche il tempo: stamani cielo coperto tutto, e un’aria chiusa da forno arroventato. Comunque, ho fatto un articolo; e sono stato Da Felice il quale ha fatto un busto a Nuccia e a me, in omaggio (gli avevo detto che non ho né avrò per molto nemmeno un soldo: ed è così, letteralmente. Le mille lire che mi ha portato Sandri, stan lì in un libro, in attesa della mia partenza, che, a sua volta, aspetta che Bartoli sia libero)204. E oggi 203 La famiglia Guarnieri ha programmato una visita ai nonni in Olanda. La gita tuttavia è ancora in forse vista la guerra. 204 Amerigo Bartoli avrebbe dovuto accompagnare De Lucca a Sasso di Castalda. La gita poi non si farà. Cfr. lettera, ARG. 02 Carteggio 1941 9-03-2010 11:18 Pagina 179 179 ho dormito bene, tanto che sono intontito; ho cominciato un altro articolo, e poi aspetto Bartoli che viene a dipingere sulla terrazza delle piccole suore un angolo di Roma. Ti ho spedito Bontemp. e Primato ultimo205. Ho piacere che quell’arietta di tempesta sia sfumata. Coraggio, e avanti. Non ti mancherà il Signore, in quel che ti ha promesso, se devi giudicare da quello che già ti dà. Il tuo libro pian piano si farà strada; e l’episodio dei giovani della foresta è tanto singolare che mi sembra sia stato un tuo segno, un tuo fatto visionario206. Ti giuro che non me lo so spiegare. Scrissi a Minelli, se ti voleva rialzare un po’ il compenso207; ma non mi ha risposto: è vero che deve anche pagarmi ancora una parte del lavoro presentatogli da Nuccia. Non appena risponderà, ti dirò. Nuccia si duole che tu non le risponda: vuol ricopiarti la tua cartolina e mandartela. Venne poi Guidi, ma così ambiguo, incerto, così tela di ragno, sensibile a un alito e resistente a nulla, inconsistentissimo. Voleva, capii, voleva dei libri. Ma tu capisci che i miei libri sono un po’ il mio segreto, e non vorrei dargli l’impressione che siano una fondazione culturale; eppoi, li tien male. Forse, la diffidenza con cui l’ho ricevuto è nata dall’aver saputo da te che i tuoi hanno avuto ragione di sospettare la sua amicizia, da come ti scriveva: e questo, mi ha messo di pessimo umore208. E io, io non ne sapevo nulla, io che sono l’avallatore della tua retta e buona vita? Sono un po’ in pena, perché si è riaccesa la polemica Croce-Papini, in termini (da parte del primo) gravissimi: e io gli ho mandato la mia antologia, né so come la piglierà. Gli ho scritto, ma andrà bene?209 205 Di M. Bontempelli, scrittore, De Luca si occupa spesso durante il 1941, recensendo alcuni suoi lavori, fra i quali l’ultimo saggio Verga, l’Aretino, Scarlatti, Verdi (Milano 1941), al quale forse ci si riferisce. 206 Durante una passeggiata Romana sente di sfuggita dei giovani parlare del suo libro. Cfr. RG, 16 agosto 1941, non pubblicata, in ARG. 207 «Potresti, se veramente puoi, allargare un po’ il compenso alla Guarnieri, per aiutarla a rimettersi in salute e riprendere il lavoro» in G. De Luca-F. Minelli, Carteggio, III, cit., p. 140. 208 Non vi sono altri cenni rispetto a questo sospetto. Sull’amicizia con Augusto Guidi cfr. lettera 58. 209 Si riferisce alle Prose di cattolici italiani d’ogni secolo, raccolte da G. Papini e G. De Luca, SEI, Torino 1941, «frutto estremo di vent’anni di amicizia, reca il nome di entrambi, ma è in realtà per quattro quinti di De Luca», R. Guarnieri, Don Giuseppe, cit., p. 93. Sulla polemica Croce Papini cfr. infra e L. Mangoni, In partibus, cit., pp. 253-256. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 180 180 Carteggio 1938-1945 Ho scritto una lettera fortissima a Vallecchi che non mi permette le antologie de’ suoi autori: e anche qui, aspetto. Papini, vilissimo, naturalmente è pronto a dar la sua a Vallecchi210. Termino, perché voglio farla subito partire, e suona l’ora della levata: la preghiera sia un ternario dello Stabat Mater e uno del Dies irae; ogni sera, uno e uno. Va bene? Vedrai che va benissimo. Salutami la mamma e il babbo, se questo non è partito. Sarà un problema affrontarlo, ora che mi sa misero. Mi raccomando, fammi delle versioni a retrovers211. Tuo aff. dG. 67 [27 VIII 41] Cara Romana, questa è una lettera di allegati, ma carissimi. Il primo allegato è la lettera che tanto aspettavo: tremenda per Papini, severa con me ma tanto affettuosa che trasecolavo di gioia, e un po’ leggevo un po’ pregavo. Sai che cosa vuol dire per me? che “farò da solo”. Mai più avallerò Bargellini, Papini e nessuno: lavorerò di mio. BC., dicendomi “uomo dotto, scrittore fine”, mi toglie le ultime esitazioni. Non ti pare una bella cosa? ringraziane per me il Signore. Temevo tanto. Eppoi, ho capito che la mia speranza di riconciliare quei due, non è fondata e non ha avvenire: è troppo forte la rivolta di C. per L., mentre quest’ultimo farebbe di tutto per una pace. Né C. si limita a lettere private, ma nell’ultimo numero della sua rivista ha scritto parole ugualmente crudeli e strazianti contro P212. Ipsi videant; son due amici che se non potrò unire tra loro, li unirò per lo meno pregando assai; e fa tu pure lo stesso. (Le sottolineature son di C.)213. Domani è Sant’Agostino, e tu sai quanto caro mi è questo giorno214. 210 L’editore Vallecchi chiede l’esclusiva per i suoi autori: fra questi Papini che De Luca invece vorrebbe inserire in un progetto di Antolgia che sta mettendo a punto per Morcelliana, cfr. L. Mangoni, In partibus, cit., pp. 253-254. 211 Fronte, retro, in modo da far apparire le lettere meno voluminose. 212 «La critica», rivista fondata da Benedetto Croce nel 1903, chiuderà nel 1944. De Luca la guarderà sempre come modello. 213 Croce. 214 Cfr. lettera 56, n. 164. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 181 181 1941 L’altr’anno, cominciò il primo tentativo di restauratio aerarii215, fallite ma non del tutto; quest’anno comincia il secondo nelle mani di Sandri, il quale, domani sera e sintanto che io resterò senza donne di casa e di servizio verrà addirittura (pensa!) a casa con me. Notti attiche, egli dice; e speriamo che mi faccia dormire, e non gli venga in mente di farmi stendere, come lui, sulla nuda terra; e farmi discorrere di Dio, e, chissà, farmi flagellare216. Un po’ di paurella la ho, ma sono così lieto che il Signore mi conceda il meglio di quei che io ho mai desiderato: quello che ho e che sai senza che io ti dica, l’affetto di Sandri, l’affetto (dice così lui stesso) di Croce, la collaborazione di Papini...Ah vigliacco che io non sono altro! Forse, mi concederà persino d’uscir di stenti economici. E allora, che croce rimarrà? ci penserà lui, quanto a croci: ne fabbrica di così pesanti e dolci, che è un segreto tutto suo. Poi (allegato 2°) mi ha scritto Minelli; e vedremo come andrà. Domani, giovedì, alle 16, partono mamma e Nuccia. Bartoli stasera alle 18, contrariatissimo, segue Lazzari217 a Cortina, dove raggiungono Bottai per il concorso dei collezionisti. Ora, con Bartoli vuol venire con me anche Lazzari a Sasso: e a me non spiace, così ci stiamo meno, io sto con loro, e fatta la visitina al cimiterino di mamma, me ne torno. Iersera è venuto Guidi, ma, poveretto, è come un pesce morto, un’ombra, un sogno del mattino; tra angelico e testardo, tra molle e tagliente come pezzi minuti di vetro. Non si sa come e che dire e fare. Gli han rifiutato, a Primato, la sua recensione dello Shak. di Apollonio218. Primato è in mano d’inetti. Nel prossimo numero ci vedrai un art. mio, chiestomi con 24 ore di tempo (portate poi, a colpi di telefono, sino a 48), motivato così: “Abbiamo una pagina vuota”. Vero è che 215 Cfr. lettera 60, n. 180. 216 Per De Luca il confronto con il sacerdozio di Sandri, anche fra motti di spirito come quel- lo della lettera qui riportata, «costituì il confronto più drammatico di tutta la sua vita», R. Guarnieri, Don Giuseppe, cit., p. 34. 217 Marino Lazzari (1883-1975) scrittore e amico di De Luca; impiegato con ruoli di funzionario presso il Ministero per l’educazione nazionale conosceva De Luca grazie ad amicizie comuni come quella con A. Bartoli ma anche grazie alle collaborazioni del sacerdote con la rivista del Ministero «Scuola e cultura». Fu probabilmente Lazzari a presentare De Luca a Giuseppe Bottai, di cui divenne amico e collaboratore a partire dal 1938. Cfr. G. Bottai-G. De Luca, Carteggio, cit., ad indicem. 218 Mario Apollonio (1901-1971) critico letterario, scrittore, drammaturgo. Pubblica nel 1941 con Morcelliana un profilo di Shakespeare e uno di Ibsen. 02 Carteggio 9-03-2010 182 11:18 Pagina 182 Carteggio 1938-1945 io non ho voluto mai scrivere, dacché mi rifiutarono Bo219; e questa volta, l’ho fatto (e ho tenuto a dirlo) perché Bottai partendo, dopo le parole dell’amicizia, mi aveva telefonato testualmente: “Ricòrdati che Pr. È una rivista mia”. Sapessi il male che ne disse Brandi!220 Il busto di Nuccia e quello mio sono già in cera: e non mi dispiacciono221. Te ne manderò le fotografie che avrò tra non molto. Ieri m’è arrivata una cartolina tua e della Terruggia222: bada, però, Romana, di sgombrare la testa del babbo due cose: 1) che sia io a metterti accanto a monache vestite o travestite che siano: ti ci ho trovata, se non sbaglio! 2) che questi tuoi contatti possano farti inclinare a monacazioni o simili cose: digli che cosa io ti predico, e cioè non la rinunzia ma la conquista, attraverso una forma di vita piena e ardente e splendente (questi ultimi due aggettivi sono di san Bernardo: “ardere è molto, ma non tutto; splendere soltanto, è poco; ardere e splendere, è tutto). Ieri ebbi una telefonata, indovina da chi!, dalla “Signora Guarnieri”223; ma così cordiale, così effusa, così cara, che mi commosse (vero è che a me ci vuol poco a commuovermi – e tanto a muovermi!). Gli sposini stan caldi e lieti, si vede bene. Dopo una giornata di soffocazioni, ieri, oggi il cielo è tutto un’avventura di nuvoloni gonfi e, vedrai, fessi e vuoti. Non è aria che piova. [Allegato 1] Mio caro De Luca224, ho ricevuto da Torino l’antologia, e peccherei di sincerità e d’affetto verso di Lei se non le dicessi che quel volume mi ha rattristato. 219 La recensione sarebbe uscita su «L’avvenire», nella rubrica Umori del tempo, il 12 giugno 1941 con titolo Libri recenti di Carlo Bo. Cfr. M. Picchi-D. Rotundo, Bibliografia, cit., p. 196. Su Carlo Bo e De Luca cfr. C. Bo-G. De Luca, Carteggio, cit., introduzione. 220 Nell’inverno del 1941 G. Bottai parte per il fronte albanese. La redazione della rivista cambia sostanzialmente di segno. Sul disaccordo di De Luca cfr. R. Moro, Introduzione, in G. Bottai-G. De Luca, Carteggio, cit., pp. XCIII-CVI. Cesare Brandi (1906-1988), storico dell’arte e critico, amico di De Luca, fonda insieme a Gulio Carlo Argan nel 1938 l’Istituto Centrale per il restauro. 221 Cfr. lettera 66. 222 Maria Terruggia, amica di famiglia, Cartolina 25 agosto 1941. 223 Gabriella, moglie da poco del fratello di Romana Leonardo. 224 La lettera, in gran parte inedita, viene pubblicata qui integralmente per la prima volta in quanto allegato di una lettera alla Guarnieri. Alcuni brani sono stati riportati da L. Mangoni, In partibus, cit., pp. 255-256, e da G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., pp. 239-240. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 183 183 1941 Lasciamo stare l’idea che mi pare poco felice, di una antologia della prosa degli scrittori cattolici (per intanto, in essa sono pagine di miscredenti, di massoni, e perfino di eretici!); ma come ha fatto a unirsi a un uomo senza coscienza, senza pudore, ignorante e sfacciato, come il Papini? Come non ha sentito, Lei che crede sinceramente, che colui non crede a niente, e tutto ciò che ha fatto, lo ha fatto per far chiasso, attirare verso di sé l’attenzione, darla a bere ai gonzi, e arrivare? Quella prefazione, in cui riconosco erudizioni che non sono del Papini, e spropositi e falsità che sono ben suoi, – vedere al principio le allusioni contro gli estetici circa la prosa, dopo che io ho dato per la prima volta una teoria filosofica della letteratura, e pertanto della prosa d’arte –, quella prefazione ha cose gravissime, come la pagina contro il Manzoni. Con quella pagina c’è da far passare la voglia a un galantuomo di esser cattolici! Ma spezzo il discorso perché, rattristato io, non voglio affliggere Lei. C’è già troppa afflizione nel mondo odierno. Cerchi, per carità, di far da solo da ora in poi, di non avvalorare le non buone cose altrui e di non addossarsene la responsabilità. E, lasciando il punto della religione, la quale mi pare contaminata con l’avvicendamento e l’affratellamento a un Papini, basterebbe la sola cultura a farle sentire la sconvenienza di questa unione. Ella è un uomo dotto, scrittore fine; colui è rimasto un maestrucolo elementare, che non sa niente di preciso, e uno scrittore di grossolani effetti. Mi scusi e mi abbia con saluti suo B. C. (allegato n. 2) “non credere che mi sia seccato per il supplemento alla Guarnieri. Tu puoi credere come vorrei accontentarti, ma mi par presto con un’opera che fin ora ha avuto modo, dato il momento che è uscita e le poche recensioni, di far poca strada”225 [...] (1ª giunta) Vengo a scrivere qui in margine, perché stamani, con l’uzzolo della chiacchiera, riempirei tutti i fogli che prendessi sotto la penna. Invece, debbo uscire a fare i biglietti. I soldi che se ne vanno. 225 Cfr. lettera 66. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 184 184 Carteggio 1938-1945 Bah, almeno spero che non se andranno più, da domani in poi (Ma verranno?) (2ª giunta) Sandri è un vero drago, cattivissimo. Speriamo bene. Salutami babbo e mamma, e prega come sai pregare per tuo aff. dG. 68 Soprabolzano, sabato 6 sett. Ore 12.35 Caro d Giuseppe, che cosa ne sarebbe di me, se Sant’Antonio pietoso ieri non mi avesse fatto giungere la famosa lettera dagli allegati: né ieri, né oggi ho ricevuto neppure un rigo, e sono rimasta all’annunzio che mercoledì sera avrebbe visto il babbo226. Ora spero tutto dalla posta delle 4. Può figurarsi la mia consolazione per le parole di B.C., e, più, per le conclusioni che lei ne ha tratte. Non che sia in ammirazione estatica di quella lettera: tutt’altro. Delle accuse mosse a P. ritengo giusto e fondato soltanto quello che dice della sua cultura. Il resto mi sembra ingiusto, disumano; e presuntuoso volerla sapere più lunga di lei, circa la fede, vera o finta, di P. Del resto la lettera così grave di accusa, non va esente né da ingiustizia e intemperanza, né da vanità e banalità, e me ne spiace per C. Ma basta di ciò; non avesse che il merito di spronarla a lavorare di sodo e a lavorare da solo, e non già in articolame (una volta regolato e costante l’erario, l’articolame non graverà più tanto) ma in opere d’impegno, opere di largo respiro in cui impegnare tutto: dottrina, intelligenza, cuore – e Dio sa quanto gliene ha dato e che spreco lei ne ha fatto finora – non avesse altro merito, dico, sarebbe già sommo merito, merito veramente Benedetto. Dell’allegato n. 2, penso che Minelli ha ragione e confido che se potrà, appena potrà, ci contenterà tutti. 226 «Cara Romana, mi giunge una tua, addolorata del mio silenzio, ma così serena: rammento, che cosa sarebbe stato in altri anni! Certo una tempesta. Ora tu non immagini quanto mi faccia piacere questa tua forza, pur nella debolezza; questa tua indistruttibile gioia, pur nella sofferenza e nella tristezza. Coraggio, Romana: il cuore mi dice che hai preso la grande strada, e che Gesù ti ripaga dell’affetto così coraggioso che hai mostrato a un suo servo», 5 settembre 1941, non pubblicata, in ARG. 02 Carteggio 1941 9-03-2010 11:18 Pagina 185 185 [...] Ho comprato Primato nuovo, ma non ancora fatto in tempo a vedere la nota su Stendhal227, perché ieri, dopo essere stata a Messa (con Comunione, dopo la quale lessi il Canticum trium Puerorum: Benedicete omnia opera Domini, Domino, così bello, così vivo quassù) siamo dunque scesi a Bolzano per spese varie (una 3/4 dei negozi erano stati tempestivamente chiusi per la calata dei barbari). In pomeriggio è passato da Bolzano papà, fino alle 9 di sera. Forse per l’impressione della bomba su casa sua, ma è molto contrario e preoccupato per il nostro viaggio in Ol.; quasi mi scongiurava di non farlo, come fosse una pazzia. A me pare che esageri. Mi rimetto al Signore e alla Madonnina: se non dovremo farlo, non ci faranno avere il permesso; altrimenti, in Nomine Domini, andremo. Penso ai nonni, alla consolazione, alla forza morale che trarranno dal vedere che la guerra non ci divide con barriere insormontabili. E temo una loro delusione: alla loro età la fiducia, la speranza può alimentare ancora per anni il loro povero fuocherello; una doccia gelata potrebbe invece spegnerlo anche rapidamente. Ore 16.10. Sono stata a pranzo, ho dormito pesantemente, e ora sono svegliata da una telefonata che non arriva e da un telegramma che ci annuncia l’ottenuto permesso. Così sia, dunque. Quando potremo lasciare l’Italia? Martedì? Purtroppo non so ancora se lei parte (ma può ancora giungere posta); vorrei spedirle il mio diario con tutta la corrispondenza ricevuta sinora – compresa la Sua –, che non posso portare in Olanda, né vorrei affidare a quel ficcanaso di babbo. ore 16.40. La posta è giunta, ma non portava nulla per me. Ma perché? Proprio ora che parto mi toglie anche il saluto? È giunta anche la telefonata di babbo: viene domani qui e noi partiremo martedì mattina alle 5; nel pomeriggio saremo a Norimberga e se tutto va bene mercoledì sera saremo in Olanda. Venerdì farò la Comunione a Nimega, se ne rammenti nella sua Messa: che Cristo e lo Spirito Santo le dicano quel giorno tutto quello che vorrei dirle e non posso. – Ma perché non mi ha detto più nulla di sé? Sapessi se è in casa per pranzo, domani potrei telefonarle un ultimo salutino. È proprio esasperante questo suo sciocco eccesso di prudenza, in extremis. Che sia Sandri? Gliene vorrei malissimo, proprio malissimo. Questo suo silenzio balordo mi toglie ogni voglia, ogni coraggio, ogni conforto a partire. È quasi aria 227 Stendhal contro l’Inghilterra, in «Primato» 1 settembre 1941, p. 2, firmato Disma, ora in G. Bottai-G. De Luca, Carteggio, cit., pp. 210-213. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 186 186 Carteggio 1938-1945 di tempesta, sa? Ma cercherò di farmi forza, di essere coraggiosa nonostante tutto. Sono le 5, la posta parte e devo chiudere. Ma è duro: io non ho mica un Sandri con me, a farmi coraggio. Stasera, domani al più tardi, scriverò ancora. Dopo, c’è babbo e sono daccapo sorvegliatissima. Mi abbia pazienza, ma sono fortemente contrariata: vuol dire che mi applicherò più che mai a quegli esercizi che lei mi ha lasciato e forse tutto passerà Sua aff. Romana 69 APPUNTI228 anno 15 ott. 1941-1942. 1 Biblioteca 8.30-12.30. Faccende, visite 15-18 studio a casa 18-21. Sbrigare: Cicognani – Dickens – Grignion de Monfort229 – Testo, vol. IV. Ant. Iniziare Gasparri. = Proseguire Collez. Morcelliana. Iniziare Collezione Herder. Iniziare Collezione con Schiaffini230. 228 Numerosi sono gli appunti che De Luca affida a Romana Guarnieri, come promemoria, spesso come impegno scritto, per rispettare le ore di studio fuori da ogni articolame o chiacchiera, cfr. lettere prec. 229 Su Cicognani cfr. lettera n. 51.; su Dickens cfr. lettera 44. Su Luigi M. Grignion da Monfort De Luca pubblicherà uno studio biografico nel 1943: G. De Luca, S. Luigi M. Grignion da Monfort. Studio biografico, Roma. Per Ant. si intendono le Prose cfr. lettere 66, 67. Il volume su Il cardinal Gasparri (Pontificia Università Lateranense) uscirà solo nel 1960. 230 Alfredo Schiaffini (1895-1971), critico e linguista. Professore di glottologia e poi di lingua italiana, accademico d’Italia, fondò con De Luca la collana Storia e Letteratura. Studi e testi. Fra il 1941 e il 1942 affiancò De Luca nella nascita delle Edizioni di Storia e Letteratura, cfr. A. Schiaffini, Alle origini di Storia e Letteratura, in M. Picchi (ed.), Ricordi e testimonianze, cit., pp. 315-320. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 187 187 1942 = Iniziare schede grandi della mia Storia231; e finire Petrarca, collazioni. P. Collaborazioni, le solite; ma cercando farvi entrare articoli da raccogliere in volume. 1. Restringere nuove conoscenze, nuovi impegni, nuovi libri. ormai, basta. 2. Passeggio quotidiano; e ogni settimana mezza giornata; ogni mese, un giorno. 3. Estrema purezza, orazione, povertà, curità del prossimo; e coraggio a soffrire il necessario e soffrire volontariamente. 4. Ordinare 1) archivio, tutto a posto 2) manoscritti 3) opuscoli 4) schedario generale 8. Incominciare lo schedario descrittivo delle pubblicazioni di qualche valore. 1. Ripigliare diario spirituale. e diario idee. e diario lavori 1942 70 ministero Roma 9 marzo ’42 Carissimo don Giuseppe, le sarei proprio gratissima se intanto, se le capitasse un ritaglino di tempo, mi volesse dare intanto una letta e corretta a questa prima parte dell’introduzione al “Crocefisso” di Verschaeve232 guadagnerei così un po’ di tempo prezioso, perché la 231 «Progetti di libri da scrivere, nell’arco di circa trent’anni, De Luca ne formulò parecchi e sui temi più diversi. Nel 1942 afferma perfino di lavorare a un suo “libro in corso”, senza dir quale», G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 228. 232 Verschaeve Cyriel (1874-1949), sacerdote fiammingo, scrittore e drammaturgo. Allievo di Gezelle, nel 1940 esce il suo volume Jezus in olandese. La Guarnieri tradusse un capitolo dell’opera per la Morcelliana: Crocifisso (Brescia, 1942). 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 188 188 Carteggio 1938-1945 parte riveduta intanto la spedirei subito a Minelli. Perdoni la mia – solita del resto ben nota ormai, – indiscrezione. Cordialmente Romana 71 Roma, 24.VII. 42 XX, ore 9.30 Cara Romana, mi metto al lavoro, dopo aver tradotto per te due numeri dell’ultimo capitolo dell’Imitazione233. Quando potrò, e come potrò, spero tradurre anch’io; tu rivedi, copia, e metti nell’ordine dei capitoli queste pagine che ti verrò inviando. Non farò molto, perché ho troppo da fare: ne sono anzi oppresso, e quasi disperato. Ho proprio l’impressione di esserne ingoiato, come da un fango alto. Stanotte ho dormito, ma ancora stamani non sto bene. Lo stomaco? la gola? i nervi? Dirà Perrotti234 che verrà alle 11. E te ne scriverò. Non credere peraltro che io non abbia lavorato. Da ieri alla mezza, ho scritto sei lettere, letto in bozze tutto il confidenziale di D’Amico235, letto una 50ina di pagine d’un compagno d’Ulisse in manoscritto (la “Matilde Serao” della Montesi-Festa)236, e percorso quasi tutto lo Choix de poèmes di Paul Eluard, uno dei santoni dei poeti giovani237. Avrei pia233 La traduzione dell’Imitazione è un progetto che De Luca ha da anni ma che intraprende con Romana solo nel 1942: «mi misi solennemente all’opera sbato 27 giugno 1942, ore 20, in nome di Gesù e Maria. [...] La versione sulle prime procedette sollecita: via via che io portavo il lavoro fatto, don Giuseppe lo correggeva ad unguem, qualche volta continuando a tradurre lui direttamente l’uno o l’altro capitolo, talaltra dettandomene larghi brani sicchè alla fine dell’estate buona parte del primo libro era tradotta e revisionata», R. Guarnieri, pref. a T. da Kempen, L’Imitazione, cit., pp. XII-XIII. Cfr. lettera 13. 234 Medico di famiglia. 235 I confidenziali sono una collana proposta da De Luca a Morcelliana nel 1935 ma stampata per diverse difficoltà solo a partire dal 1940, cfr. G. De Luca-F. Minelli, Carteggio, II, cit, ad indicem. Silvio D’Amico (1887-1955) critico teatrale, fondatore dell’Accademia di Arte drammatica di Roma. Molto legato a Baldini che lo presentò a De Luca. Il suo confidenziale Bocca della verità uscirà nel 1943. 236 I compagni di Ulisse sono un’altra delle collane di Morcelliana ideate da De Luca e Minelli, cfr. L. Mangoni, In partibus, G. De Luca-F. Minelli, Carteggio, II, cit., ad indicem; cit. Hilda Montesi Festa, autrice di alcuni volumi, dal tono agiografico non realizzerà mai il volume sulla Serao. Ma cfr. ibidem, ad indicem. 237 Di Paul Eluard, (1895-1952) poeta surrealista francese una Choix de poèmes (19141941), appare per l’editore Gallimard nel 1942, edizione alla quale si riferisce don Giuseppe. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 189 189 1942 cere che anche tu lo leggessi. Certamente è poeta, e in taluni momenti è poeta grande. Ha emistichii indimenticabili. Proseguendo a leggere te ne trascriverò qualcuno. Ma è disfatto, letteralmente; e il senso spesso (sebbene sempre con grazia) non è che l’antenna del sesso: è tutta la vita diviene questo sentire sempre nuovo e così disperato, sempre bello ma così ozioso. Nel periodo delle ore che io sto passando, di fatto mi ha turbato. Sono uomini che mi paiono droghe, bevande velenose, che mentre acuiscono il senso (i cinque o cinquemila sensi che abbiamo), intorpidiscono il resto. Restano al di qua dell’amor vero, nel senso. I giovani (ricordo Bo che si carezzava un Eluard con voluttà) han ragione di stimarlo; non farei però tanto chiasso: imitano Soffici e Papini che tornavano dal confine con Rimbaud238. Siamo destinati, per la poesia, a importare. Tu sai che Ungaretti nacque poeta sul nostro fronte, nell’altra guerra; ma giunse alla guerra da Parigi, ove era vissuto anni, gli anni della gestazione239. Libro IV, capitolo 18 Voce del Diletto 1. Tu devi guardarti dallo scrutar troppo, per mera curiosità e oziosamente, questo Sacramento profondissimo, se non vuoi restar sommerso dal gorgo del dubbio. Chi vuole scrutare la maestà, è oppresso dalla gloria (Prov. 25,27). Iddio può fare più di quanto può intendere l’uomo. Al più, permettiti una via, umile ricerca della verità, la quale peraltro sempre sia pronta a essere ammaestrata, attenta a camminare tra le opinioni sane dei padri. 2. Beata quella semplicità, che abbandona le vie difficili dei problemi, e prosegue per il sentiero piano e saldo dei comandamenti di Dio. Molti, per voler scrutare cose più alte, hanno perduto ogni devozione. A te si domanda la fede e una vita sincera, non altezza d’intelletto nè profondità nei misteri divini. 238 De Luca fa riferimento alle contaminazioni con la cultura europea e nello specifico francese rese possibili dalla Grande guerra. 239 Per la polemica antifrancese, maturata negli anni e riversata principalmente sulle pagine di «Primato» cfr. R. Moro, in G. Bottai-G. De Luca, Carteggio, cit. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 190 190 Carteggio 1938-1945 Se non intendi e non capisci quel che è al di sotto di te, come comprenderai quel che è al di sopra di te. Assoggettati a Dio, e umilia il tuo sentire alla fede; e ti sarà dato il lume della scienza tanto quanto a te sarà utile e necessario. 72 Roma, 29 VII 42 XX, ottava Cara Romana, incomincio a scriverti alle 6.45. Da due o tre giorni, un dolorino alla nuca mi fa sospettare che io sia sotto minaccia d’un esaurimento; piglio pertanto le necessarie misure. Iersera mi sono coricato alle 21.30; stamani mi sono levato un quarto d’ora fa. E salvo due risvegli molto brevi, quanto occorreva per ammazzare ogni volta quattro o cinque zanzarine sul muro, ho dormito sodo tutte le nove ore, d’un sonno d’uomo giusto. Avrei dovuto alzarmi riposato; no, ho la testa cerchiata. Ma non dubitare, saprò averne ragione. Tribolai talmente nel 1925-6, che ora, al più lontano odorino di nevrastenia, levo le tende e scappo240. Così, iermattina me ne uscii bellamente. Sandri mi aveva largamente regalato, e io mi feci una bella scelta di libri. Pensa, solo 9 cinquecenteschi; più dodici recenti, ma rari. Nel pm. ricevetti Guidi, a cui strinsi l’assedio ancora d’un cerchio più stretto: gli era necessario e urgente (io gli ho detto) entrare nella pratica e spesare un tema di studio. Sfuggiva, retrocedeva, esitava. Gli ho detto che voglio essere risposto a Ortisei. Poi venne il prof. Pasquini, a me rifilato da Ada Negri e Antonio Baldini241; ne avevo un certo fastidio, non ti nascondo, e invece, è un’anima la quale, non appena io ho parlato del nostro Signore e Amore, ha preso un fuoco così immediato, che mi singhiozzava di là dal tavolo. Un tipo come tuo padre, per intenderci; ma forse più fermo e forte, perché romagnolo; ma anche più rumoroso com’è il costume di Romagna. Come vedi, ieri caccia grossa. Intellettualmente, cara Romana, sta succedendo un fatto grosso: questi giorni sento affondarmi sempre più addentro nelle correnti e onde filo240 Fra il 1925 e il 1926 De Luca ha un forte esaurimento nervoso, nel quale, tutta la vita temerà di ricadere. 241 Luigi Pasquini (1897-1977), scrittore e grafico, dal 1939 collaboratore della Nuova Antologia, amico di Baldini e della scrittrice Ada Negri. Cfr. A. Baldini-G. De Luca, Carteggio, cit., ad indicem; G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 127. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 191 191 1942 sofiche del nostro 500, e vedo cose non vedute da altri, e passo ore di esplorazione silenziosa e maravigliosa. Oh chi mi darà di dire quello che io vedo? Dovrò sempre stare a scrivere articolesse e articoli volgari? Romana, Romana, come tu non mi ottieni dal Signore che amiamo la gioia della gloria di servirlo nell’intelligenza? Tu lo sai quanto io me ne frego dell’intelligenza e di tutto, fuor che dell’Amore; ma voglio servirlo lì, sì lì, nell’intelligenza. Perché non mi aiuti, e come mi abbandoni? Scusami le sciocchezzine delle lettere passate. Tu sai che io sono come i bambini, a cui piace bestemmiare per sentirsi “come papà”, e dico scemenze per arieggiarmi il cuore dall’ipocrisia. L’ometto è maraviglioso di fedeltà, di obbedienza. Ha fatto il suo nido nel come, e se vedessi come ci si crogiola dentro, ebbro di dolcezza e pazzo d’insostenibile e insaziabile e sempre nuova gioia. Basta: te ne scriverò dG. 73 Roma, 29 VII 42 ore 15.45 Sono nella biblioteca, col Drago, io povero spennato papero. E il drago vorrebbe ancora spennarmi di più. Mi accoglie: “porti soldi”? Oggi ho levato d’attorno un altro mezzo chilo di corrispondenza, e ti ho tradotto un capitolo242; ma pochi altri te ne tradurrò perché vien l’ora del lavoro grosso, se non mi incoglie la cacarella, della quale ho una folle paura. Pare, dai numeri di tuoni, vicina la pioggia. Dio me la mandi buona. È fatta, così, la ultima mia cronaca, come vedi. E tu? Fai bene a scrivere di rado: mi duole, ma mi tiene tranquillo. Addio. Ufficialmente, ancora non ti ho risposto. Come va? Tuo aff. dG. Un saluto da Drago, sempre accurato, ma sempre innocuo. 242 Dell’Imitazione di Cristo, cfr. lettera 14, lettera 71. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 192 192 Carteggio 1938-1945 = Fioretto ad ago il povero tuo papero, di sugo più non ne ha, eppur lo succhia il Drago Fiore in crescenza Il Drago si riempie la sua panza ed io sono tenuto in astinenza Ci credi? scialo! 74 [3 agosto 1942] Cara Banca, oggi non sto bene daccapo ma non sto male. Scrivo in piedi accanto al Drago. Poi andrò a casa e verrà tuo babbo. Prega che lui pieghi il Drago a tradurre, per riposarsi un po’ dal pellegrinare senza sorte, le Confessioni: sarei così lieto243. Ma il Drago è inflessibile, se non lo piega Lui. Rendiamogli così, al Drago, il bene che ci fa. Addio. Sono le 16 del 3 agosto. Addio. Papero ossequi del Drago, commosso. 243 Le Confessioni di Sant’Agostino non saranno mai tradotte interamente da G. Sandri, che, tuttavia, curerà, con De Luca, la traduzione del Discorso sui due ciechi, e al quale sarà affidata la prefazione degli scritti su Agostino di Ippona di don Giuseppe, cfr. G. De Luca, Sant’Agostino. Scritti d’occasione e traduzioni, a cura di G. Sandri, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1986. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 193 193 1942 75 Ortisei, 4 agosto 1942 ore 11. Pensione Ronca. Carissimo d. Giuseppe, dopo essere rimasta due o tre giorni senza notizie affatto, eccomi piovere, tra ieri e oggi, notizie tutte cattive. Come va, caro d. Giuseppe? un po’ meglio? Il suo malessere non mi stupisce: un poco lo prevedevo, e perché preannunziato già da tempo, dalle tante stanchezze minori e a ripetizione; e perché mi pare conseguenza troppo logica di tanta, troppa, e, sopratutto, troppo continuata fatica. Oh se sapesse quanto e come desidero sentire che finalmente si prende un po’ di vero, sano, santo riposo anche lei. Le giuro, che a saperla sempre così stanco, e sempre al lavoro lo stesso, mentre dovrebbe, sì proprio dovrebbe, per amore di sé, degli altri, e sopratutto del suo lavoro, riposare, mi piglia tanta tristezza; e non sono più capace di godermi serenamente questo mio riposo tanto meno giustificato di quello che lei non si decide a prendersi. Ogni tanto mi vien quasi voglia di scriverne a Sandri, perché lui ci si metta e la costringa; poiché è chiaro che solo una dolce violenza riuscirà ad avere ragione della sua riluttanza e di tutte le ansie che le danno i suoi nervi. Perché non ve ne venite tutti e due al lago di Braies? Io vi verrei a trovare, sacco in spalla. Credo che con tre-quattro giorni di marcia, aiutandovi con qualche corriera, si dovrebbe arrivare comodamente, senza troppo affaticarsi, e facendo un bellissimo giro. Al ritorno, poi, prenderei il treno. Ieri abbiamo fatto ben 10 ore di marcia: troppe per una sola giornata. Con tutto ciò mi sento freschissima. Non così Augusto poveraccio, che iersera aveva l’aria assai sbattuta244. Le ultime ore non aveva più forza nemmeno di parlare, con gli occhi infossati e le guance smunte. Speriamo che lo strapazzo non gli abbia fatto male: stamattina non si è ancora fatto vedere e me lo immagino a letto con le ossa rotte. Ah questi giovanotti! Si direbbe che siamo per ritornare all’età e civiltà delle amazzoni: gli uomini li lasceremo a casa a custodire i bambini. È noioso però quando in compagnia c’è qualcuno che non va (un impiastro, tanto per intenderci). Oltre tutto aveva un gran terrore di pigliare l’acqua. A me invece, in montagna, piacciono anche i temporali (sotto il mio pa244 Augusto Guidi. 02 Carteggio 9-03-2010 194 11:18 Pagina 194 Carteggio 1938-1945 gliaio, beninteso) e se non ci fosse stato Aug. a smaniare tanto, me la sarei goduta molto di più, nonostante gli sgrulloni e i tuoni. – Ora è passato già mezzogiorno e faccio un momento una corsa alla casa quassù all’orlo del bosco, a salutare Fina245 e vedere se si è alzata. A più tardi dunque. ore 16.50 L’altra notizia poco buona è che il bambino di Leonardo non sta troppo bene, per cui Gabriella ha deciso di venire a Ortisei alla fine della settimana. A Gabriella farà certo molto bene, e son contenta per lei; ma insomma, per me se ne va anche l’ultima ritaglio di libertà. Pazienza. Babbo che cosa è venuto a fare da lei? A portarle Civiltà246? E del p. Tetraert che ne è di nuovo? Di me non può avergli parlato altri che il p. de Schepper che ho conosciuto l’anno scorso a Soprabolzano ed è l’unico cappuccino ch’io conosca. Gli feci mandare in maggio Crocifisso e m’ha risposto quassù, tutto lodi247. Dalle Fiandre mi scrive l’editrice di Verschaeve promettendomi ogni sorta di appoggi da parte del Ruusbroeck-comite248, per la mia introduzione; ma io intanto non ho trovato ancora né voglia né tempo di scrivere a p. Axters e agli altri tre eventuali prefattori249. Ho tradotto finora soltanto 2 capp. dell’Imitatio e 3 sonetti della Roland Holst250. La prossima lettera le mando ogni cosa. Ma lei non pensi di lavorarci attorno, e neppure alla Imitazione: voglio che riposi, riposi, riposi. E ogni minuto che avrebbe dedicato a me e al suo lavoro, o semplicemente per scrivermi più a lungo, lo dedichi invece a riposare: soltanto così mi farà contenta. Le trascrivo lo stornello (su motivo del sor Capanna) che hanno scritto qui su me (composizione collettiva): 245 «A Ortisei ogni casa, ogni albero, ogni pietra, ogni volto mi era divenuto familiare e simpatico. Tutti mi volevano bene e mi viziavano. Chi mi ridarà la mia bella cameretta con la vista stupenda, e i bei vasi di fiori, freschi sempre, che mi portava “Fina”, la cameriera, dal giardino della sorella e che già di primo mattino il sole inondava di lieta luce e di calore», RG 29 agosto 1941, non pubblicata, in ARG. 246 «Civiltà»: rivista bimestrale della Esposizione universale di Roma pubblicata fra il 1940 e il 1942, De Luca e Romana vi avevano pubblicato la traduzione di alcune lettere di J. Burckhardt, con il titolo Amor di Roma, in «Civiltà» a. II, n. 4, 21, gennaio 1941, pp. 76-85. 247 Non vi sono altri riscontri sui due uomini di chiesa di cui parla la Guarnieri. Per Crocifisso cfr. lettera, n. 70. 248 Cfr. lettera 70. 249 S.G. Axters, studioso olandese della mistica e della spiritualità tardomedievale. 250 Adriaan Roland Holst (1888-1976), poeta olandese. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 195 195 1942 L’armonica te sona con passione e ciò der sentimento pe’ le piante; cor fischio modulà sa na canzone, le bestie l’accarezza tutte quante. Lascia spesso la pensione p’annà fare n’escursione. E trafelata ritorna co’ na fame assai arretrata. Come vede, non manca l’allegria e il buon umore qui. Si vede che il Signore così mi vuole (io invece pensavo d’andare sù a fare l’eremita!) Povera me. Rileggo ora la sua con il lamento sui consigli e i rinfacci di tutti, i “doveri” e i “dovresti”. Non penserà mica che con il mio desiderio di vederla riposarsi, io m’unisca al coro generale? Stia tranquillo, io, comunque, le voglio bene così come è e come vuol essere. Spero di ricevere domattina migliori nuove sulla sua stanchezza, e conto riscriverle prestissimo. Intanto questa, con tutto l’affetto e così come mi vuole. Sua Romana 76 Roma, 7 VIII 42 XX Cara Romana, sono le 8 am., cioè tardissimo e debbo andare a casa dove mi aspettano; ma c’è stato 1° ven. in cappell. e dunque ho tardato per questo. Ieri ho ricevuto la tua tua, grazie, ma io mi riposerò; e son molto contento che deponi gli stivali della riformatrice, emendatrice, Beatrice ecc. che potevi aver preso per me. Sono storie. Io lavoro; io concludo; io sono alla maniera mia buono, come soltanto potrei essere. Lasciatemi stare. Chi vuole, mi amerà così. Grazie, dunque, delle assicurazioni. Tuo padre è venuto per un secondo articolo, che gli ho messo in carne e figura e ingraziosito251. È fresco, stamani: ma serenissimo. Iersera pioveva. Pare una mattina lavata di settembre, con certe infanzie e tenerezze di luce, e un cielo non opaco di caldo ma 251 Probabilmente ci si riferisce a un altro articolo di De Luca per «Civiltà», cfr. lettera 75. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 196 196 Carteggio 1938-1945 quasi marino, ma d’un mare pulito. Oh come, lontano e vicino a cui son sempre fuori e sempre dentro, dannato e beato, vero Veronese. 77 Roma, 9 agosto 1942 XX, ore 16.40 Carissima, come vedi, non manca giorno che io, come posso, non compia la promessa d’un saluto. Non insistere, perché sia più lungo: non ce la faccio. Ma, tu dici, traduce l’Imit. e invece potrebbe scrivere. No, non è così. Scrivere come vorrei, nel sentimento profano e in quello sacro, non mi è consentito dal fatto che “secretum meum, mihi”, e a scriverlo si guasta. L’altro giorno, mentre io tornavo a parlare a Sandri di certe mie vittorie, egli rispose: “Ricomincia la mostra triennale”252. Mi ghiacciò; ma aveva ragione. Certe cose, non solo non si scrivono, ma non si dicono. E più si tacciono, più sono grandi. I piccoli dolori, parlano: dice il proverbio; ed è vero anche dei piccoli amori. Seconda ragione: sono stanco stanco stanco di scrivere. A me non è più facile scrivere di getto, abbondantemente; scrivere mi fa sempre fatica. E allora? Allora preferisco tradurre, come uno che orecchiando un grosso cantore, canticchia; e sa che è sentito da chi ama. La mia salute, va meglio. Tra le angosce, sta il fatto che tra i preti di don Orione uno è letto con la malattia appunto che io tanto temo: ed è quel caro pretino che io confessavo. Eppoi c’è il solito giocarello (37.2) tutti i pomeriggi253. Allora, che cosa ho fatto? Sto a dormire da Dina; messa la dice un altro; e così io dormo sinchè ce n’entra (come sai). Poi vado a lavorare la mattina un poco (stamani 3 Vangeli254) e non lascio quel lavoro per nulla, neppure per scriverti (come sarei sempre tentato, e come farei pure, se non temessi addolorarti). Nel pm. ridormo sinchè ce n’entra; eppoi gironzolo con Dina o solo, ma quando il caldo è un po’ caduto. Spero riprendermi così facendo, e sto quasi meglio. Come vedi, obbedisco. Sappi che l’ex toto corde sta facendo 252 L’esposizione “pubblica”, cioè, di tutti i problemi e i tormenti di De Luca. La temperatura che De Luca si misura costantemente. «Mi raccomando il termometromi ha detto Minnucci, “non ve lo scordate. Anzi, bisognerebbe poter studiare un sistema di applicazione costante ecc.ecc.ecc.”. “Ah, Romana mi ha tradito, ha detto anche a voi ecc. ecc. ecc.” E si è stati a scherzare insieme». GDL 23 aprile 1940, non pubblicata in ARG. 254 Sono i commenti per l’«Osservatore romano» cfr. lettera 50. 253 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 197 197 1942 progressi anche in me, per grazia di Lui; e sono, pure così acciaccato e lontano dal come, sono così lieto così sereno così forte. Si sa, traverso crisi d’angoscia fisica e psicofisica; ma non ho nessuna voglia di rinunziare al mio avvenire con Cristo: come potessimo, come? anche oscuratissimo, il cuore ripete: “come tu vuoi, Signore e Amore; come tu vuoi”. È diventato il suo oscillare, questo suo “come”. Anche a Roma fa freschetto la notte. Grazie, di come scrivi, che è come voglio io. Aff.mo P 78 10 agosto [42] ore 17 Cara Romana, posso annunziarti, nella missiva d’oggi, queste cose 1) che è breve, perché ho scritto 4 vangeli; 2) che per il 15 sarà finita tutta la collaborazione d’agosto e sett. all’Osservatore romano, e così sarò libero al mio lavoro grignionico255; 3) che sto finalmente meglio; 4) che col Drago oggi ho cominciato un deposito per il “porco comodo mio”; e così sarò senza soldi , ma avrò da riposare e godere non appena voglio; 5) che il riposo prosegue intenso e benefico; 6) che voglio un immenso bene al Signore, e ho un grande coraggio quantunque le forze siano tuttora un po’ giù; 7) che con il Drago si è combinato il mio nuovo Motto “Sbloccare”; e cioè lavorato il necessario ogni giorno, il resto riposare, pregare, svagarmi, cioè tutto fuorchè lavorare; 8) che ho ricevuto il tuo lavoro e lo vedrò e rivedrò con comodo 9) che, come sai, come è e sempre sarà tuo aff. P. “miele e pane” Drago. 255 Cfr. lettera 69. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 198 198 Carteggio 1938-1945 79 Roma, 11 agosto 1942 XX, ore 9.30 Cara Romana, ieri ricevetti la tua (tutta felice ed esclamante di gioia, tutta riposo) che io ero con Sandri. Non potendo portarmela dietro (andavo a casa di Dina) anche per le due stupende immagini che vi erano dentro, la consegnai a Sandri che me la renderà oggi quando viene alle 16.30. Ti scrivo, stamani, facendo eccezione alla regola (eccezione breve, tuttavia) perché non posso fare a meno di comunicarti che in questo preciso istante mi sono levato da terra, dov’ero inginocchiato a ringraziare Cristo. Ho terminato, infatti, tutti i Vangeli sono al 24 nov. p.v.; e dopo, non farò più io i Vangeli: un periodo della mia vita, un ciclo della mia attività giornalistica si conchiude in questo momento. E come potevo non effondermene subito? Dirti che sia lieto di questa cessazione, non potrei; ma nemmeno potrei dirti che ne sono triste256. Ho una grande fretta di avviarmi verso il mio vero lavoro. La debolezza nervosa, una vera e propria ricaduta, che ho temuta in questi giorni – ora, sto molto meglio, molto molto; non però del tutto bene e come prima – mi ha stimolato ancor di più verso una vita meno dispersa e dispersiva. All’O.R. darò, per le solite seicento lire, non più otto articoli ma cinque o sei: tu capisci, è un guadagno reale. Dirai che i Vangeli si facevano in un attimo; ma sappi che dei 5-6 articoli che debbo fornire, non più di tre sono elzeviri; gli altri saranno di prima e seconda pagina, cioè di varietà ecclesiastica. D’altra parte, non è ancora tempo che io lasci una tribuna così autorevole per un prete com’è l’O. R.; non già che io abbia bisogno come scrittore di quel giornale, ma mi giova come prete e quale garanzia di strettissima ortodossia. Con le idee che porto nel cuore, e con il terrore che ho di destare per via di esse scandali e preoccupazioni, lo stare appoggiato alle colonne dell’O.R. mi fa tranquillo. Quando verrà, e verrà verrà, il tempo di combattere per Lui solo con Lui (e con chi tua sai), allora faremo a meno dell’O.R. Questo volevo dirti stamani. È una mattinata quasi autunnale, un pò lenta ma nitida e fresca. Dalla finestra a cancelli, mi viene una luce così amica. E ogni tanto appoggio la testa alla cancellata: ah quanti 256 Cessa con il 1942 la rubrica La parola eterna, cfr. lettera 50. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 199 199 1942 cancelli, verso di Lui (e chi tu sai), quanti cancelli! verrà mai l’ora dell’effrazione e del volo? La maggiore severità impressa alla mia vita, non per legalismi e moralismi ma per amore di Cristo, fa scaturire tanta gioia in tutto il mio essere, tanta forza. Sto facendo il bilancio di tutti gl’impegni che mi sovrastano ancora: non vedo l’ora di liberarmene. Sbloccare, risolutamente. Quando io avrò lavorato tre ore, quattro ore al giorno, basta: mi riposerò, se sarò stanco; se non sarò stanco, leggerò, mi coltiverò. Tutti singolari che, se l’italiano lo consentisse, ti apparirebbero duali. E non già plurali...ci siamo intesi? Scusami la malizia, innocentissima. Ma come si fa a essere lieti e non maliziosi? Quando l’uccello è lieto, non fa che beccare o cantare: e io non so cantare. Appena scrivere, e non so scrivere ancora come io vorrei. La tua, dove mi dici che ti riposi, che già stai meglio, mi ha molto confortato e rallegrato. Ma non ti scordare di me al Signore: ancora non son fuori di irrequietezza, ansia, angoscia, dolori alla persona. Oh se potessi, di qui a qualche giorno, scriverti un altro coccodè: e che l’uovo del Grignion è scodellato! Ma potrò, se tu mi vorrai bene presso di Lui. Nuccia non torna prima del 22-25 cm.; e Dina, poveretta, mi tratta meravigliosamente. Saranno caratteri tremendi, ma sta di fatto che una casa la sanno tenere. Qui mi stremavano (scrivo dal mio studio) le pulci: da Dina, ancora non ho sofferto un morso. E mi tiene come un fratellino di Dedè, ma senza gli schiaffi che dà a Dedè. E che sonni e sogni veronesi, come lunghi e lieti e nuovi! aff. P 80 Roma 12 agosto 1942 XX: ore 9.30257 Cara Romana, stamani dovrei lavorare; ma scrivo. Forse, se ce la farò, una lettera lunga. Sarà il mio regalo di ferragosto. E sarà su me. Un altra che vorrei potertene scrivere più tardi, egualmente lunga, sarà su 257 Questa lettera, fra le più drammatiche dell’intero carteggio, è pubblicata in gran parte anche da G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 44; non si crede dunque di ledere la privatezza della missiva pubblicandola integralmente. 02 Carteggio 9-03-2010 200 11:18 Pagina 200 Carteggio 1938-1945 te. Se do la precedenza a me, non è per altro che le mie disgraziate condizioni attuali mi tengono con l’attenzione inchiodato sull’ometto. Ieri, nel pomeriggio, tornai a sentirmi le solite noie. Dal giovedì ultimo di luglio, quando sentii il primo capogiro, è stato tutto un seguito di stati malinconici ansiosi. Credevo esserne fuori: ci sono, invece, ancora dentro. Naturalmente, mentre soffro, penso alle più amare cose; e così soffro di più. Quali siano queste amare cose, tu lo sai: esaurimento totale e perpetuo, catastrofe del mio lavoro e forse della famiglia e (sotto sotto) della mia fortuna e gloria. In realtà, posso assicurarti che sinora, salvo momenti angosciosi e acuti, io non mi ritrovo che una stanchezza nervosa a tipo di depressione. Questa stanchezza è favorita a) dal caldo b) dal lavoro eccessivo dell’anno c) dalla necessità di lavorare ogni giorno d) dal fatto, non indifferente, che io sull’ultimo, se proprio non avevo ripreso, quasi ero ricaduto nell’antico vizio; e ora ho voluto e voglio farla finita per sempre. Nel lavoro di quest’anno, bisogna mettere l’elemento di perpetua rinunzia e cautela che ha imposto lo stato d’animo che sai; rinunzia che io aggravavo, con eccitazioni fantastiche, discorsi, ecc. ecc. È stato un errore. Ora lo vedo chiaramente. Quando si è decisi a rinunziare a qualcosa, non si può star sempre a parlarne, a pensarci, a discorrerne. Ora comprendo la tua rigidezza e saviezza, in proposito. E bisogna che vi giunga pure io, e vi giungerò; perché a nulla tanto tengo quanto a questa amicizia, e così facendo la intorbido sempre e amaramente, perché poi non si sa più come tenersi in pace. Ho risolto, dunque, d’essere anch’io savio, e non per ripicco nè per moralismo, ma per una maggiore tenerezza e per rendere possibile, senza pericoli di sorta, un’abbandono maggiore, anzi estremo. Che te ne sembra? Scrivimene, perché questi giorni la mia posta la ricevo io. Scrivemene a lungo, ma senza stancarti, vedo bene che quelle fantasie, espressioni, all’allusioni creano un segno, che poi non lascia la mente e la carne senza grave dolore, e persino amarezza. O dunque si è, o non si è: scio cui credidi, e questa rinunzia non è una musicazione, ma un dono a Lui, e dunque a noi. perché non debbo poter parlare e scrivere, serenamente? Sarà una serenità di pianto; ma come è sereno il cielo quando è piovuto! Sei, in questo, d’accordo? L’altro elemento di stanchezza può essere nato dalla vicinanza di Sandri. È un santo ma (come diceva don Abbondio) che tormento. Ieri, che io tanto ero abbattuto dalla mia cefalea, seppe essere così aspro e ispido, che lo lasciai con gli occhi gonfi di pianto. Gli dicevo del lavo- 02 Carteggio 1942 9-03-2010 11:18 Pagina 201 201 ro che non avrei più fatto, dei sognati ministeri di cultura a cui non avrei più atteso, qualora mi fossi esaurito; ed egli non rispondeva altro che anche questo amore al lavoro, così forte, non è amore a Lui, e poteva cadere. Non bisogna amare Nulla, egli mi diceva; amare Lui. Non fai ciò che tu hai sognato, farai ciò che ha sognato Lui. Tutte cose giuste: ma quando io gli dicevo tutta la furiosa desolazione mia, tutta la disperazione a non dover compiere ciò che con tanta fatica e tanto sacrificio io ho preparato, egli era quasi odioso di freddezza e durezza. Io gli dicevo che non si fa nessuna cosa, se non si ama questa cosa; ci vuole impeto, passione, furore, e allora si fa. E aggiungevo che tutta questa fremente umanità me l’aveva pur data lui. Non poteva ora stroncarmela. Ma Sandri non consentiva; e io cominciavo a soffrire ed essere perplesso. Quando si parlò della mia generosità per la famiglia, che pure mi era ed è sempre sembrata una buona cosa, egli fu ancora più duro: riuscì a dirmi che aveva più disciplina chi metteva i soldi da parte per andarsene in Svizzera, che non io che tutto versavo sul capo dei miei. Questo colmò la misura, e tacqui. Stavo per rispondergli che allora era meglio che ricevesse le confidenze di qualcun altro, che non le mie; e che non era lecito, per essersi dato a Cristo così come egli si è dato, non era lecito, tutti gli altri valori e affetti umani, livellarli così e metterli allo stesso rango. Hanno anch’essi una gerarchia, mi pare. Fra l’altro, egli avrebbe quasi desiderato che io, per ripagare i miei d’avermi fatto prete, avessi sborsato a loro l’equivalente, e fuori mi chiamo, e i conti son pari. Or tutto codesto è volgare. Esistono affetti che Cristo non condanna; e questi affetti sono affetti, non sono miserabile contabilità. Altrimenti, amar Cristo vorrebbe dire durezza cieca a tutto e a tutti, salvo a tornare su tutto e su tutti ma astraendo da loro e per un mero riflesso che in fondo non tocca nulla e nessuno. Come tu vedi, ieri mi si pose, accanto a Sandri, un grave problema. E io ero stanco, ed egli avrebbe dovuto capire che non era il momento di tritarmi o sconvolgermi. Quando lo lasciai, entrai in chiesa e dissi a lui: “io non ce la faccio più a lottare, nella notte, con l’angelo. Fisicamente decado, cado. Non sto bene. Mi affido a te. Ma non voglio discutere, cercare. Fai tu, fai tu”. Avrei voluto scrivertene subito; ma sarebbe stata la terza lettera in un giorno. Dissi a lui che te ne parlasse lui; ed io tornai a casa livido e pesto, come dopo una lotta con uno più forte. Ora, cara Romana, anche questo elemento di Sandri andrà piano piano deciso e dosato. Io non sono chiamato alla “sua” vita; io sono chiamato alla “mia”. Questa sarà, come è, inferiore: ma è la mia. Non posso 02 Carteggio 9-03-2010 202 11:18 Pagina 202 Carteggio 1938-1945 lasciarla, senza perdermi. Potrò, dovrò migliorarla; la migliorerò di certo, con l’aiuto di Cristo; ma dovrò viverla così come io sono stato fatto (e fatto da Lui) e così come Egli, e non altri, mi ha tratto su su sino ai quarantaquattro anni. Come andrà risolto questo grave problema, io ancora non lo so. Ma insomma io quest’anno ho dovuto portare nel cuore anche questo veleno potentissimo. Non soltanto desiderare e non possedere, anzi uscire da ogni desiderio; ma vivere alla fatica come un negro, e sentirsi, proprio per questo, un reietto, appunto perché amico di me e non di Lui. Non ti dico lo sforzo economico, non ti dico lo sforzo che tu sai su me stesso per la cattiva abitudine: insomma, è un bel carico. Se oggi i nervi cigolano e piegano, che cosa possono fare fuorchè questo? io sono un pover uomo, forte di natura ma coi nervi debolissimi258. Cuore, polmoni, stomaco, cervello, muscoli, tutto è forte in me: i nervi, sono una ragnatela, invece: lucente e misera. Si cominciano a lacerare. Qua e là cedono. Potrà il nero ragno riattarli più? rifar la tela? (così povera, così bella! quando lassù tu vegga una tela di ragno, in un cespuglio o nella soffitta dove anche tu per amor del vero, ti sei ritirata e rattratta, salutala per amore dei miei poveri nervi). Altri focolai di stanchezza, miasmi per dolcezza e intimità, ma forse più brutali sono stati molti. Il vivere sempre sugli umori di casa, sempre tra i volti della casa così mutevoli e irragionevoli; l’essere aperto, come un guanciale di spilli, a tutte le punture quotidiane; il ricevere lettere, telefonate, amici, a perdifiato, a perdimento, senza sosta, senza requie, senza ordine; il dir di sì a tutto ciò che mi si è sempre domandato da ogni parte in ogni momento; il ricevere autori e libri, ciascuno come se io fossi nato unicamente per lui; l’interessarmi a tutte le curiosità intellettuali; insomma l’essermi gettato allo sbaraglio, come grano alle galline, tutto questo m’ha infranto e fracassato. Mi giustificavo, pensando di farlo per Lui. E dunque era un bene. Ma quel che si fa per Lui, bisogna non soltanto che sia un bene, ma che sia fatto bene. E io non facevo bene, questo bene. Ieri, tra l’altro, Sandri mi magnificò la disciplina. Io stavo per replicargli: “anche tu dunque, con il principio dell’amore, finisci alla disciplina! e perché odii allora (perché egli let258 De Luca fa riferimento alla grave crisi nervosa che lo colpì fra il 1925 e il 1926, su cui cfr. G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., pp. 48-49 che ivi scrive: «La forte fibra gli fece superare la grave crisi. Ma gli rimase uno stato d’angoscia pressoché abituale, una interiore instabilità che lo portava a dubitare di tutto e di tutti e che egli considerava come la propria e insanabile malattia». 02 Carteggio 1942 9-03-2010 11:18 Pagina 203 203 teralmente la odia) la Chiesa, dicendo che è disciplina!”. Ma non gli risposi. Sebbene egli disprezzi l’affetto, io gli voglio molto bene; e non mi consento di pungerlo e irritarlo, come egli troppo liberalmente si permette. Credo ancora agli affetti terrestri e non perciò temo d’offendere l’Amore. Nella luce di Lui tutto vive per me, non già tutto muore. E forse io giudico male Sandri, che ieri era turbato anche lui, giudicandolo così feroce: forse mi sbaglio, e risento dello scontro che divenne quello che doveva essere un incontro. Certo, a me è necessaria una disciplina. E sarà da questo punto che farò rinascere la mia vita. Sono abbattuto, a momento prostrato. Sono un mucchio palpitante di cenci, a terra. Ma non mi credo finito, nè vicino alla fine. Proprio perché credo in Lui, non mi credo finito. Riprenderò. Farò quello che debbo fare. Compirò l’opera iniziata. Egli non soltanto non mi abbandonerà sulla strada su cui sono caduto, ma, samaritano vero, mi piglierà sopra la sua cavalcatura. Questa cavalcatura forse sarà Sandri stesso. E non mi spegnerà nel cuore gli affetti: e cioè “l’affetto”, e poi gli affetti familiari, e poi gli affetti intellettuali, e tutti gli altri affetti che mi consolano e desolano il cuore, a vicenda, così belli nel Suo Amore. Non ti pare? Intanto sarò fedele alla nuova ripresa contro l’antico vizio. A costo che io debba schiattare, schiatterà l’infame debolezza di due decennii. Le toglierò ogni pretesto; anzi glielo tolgo. Spegnerò il dolce fantasticare, il malizioso alludere, l’amoroso indugiare in assenza e in presenza entro stati d’animo cari. Sarò durissimo (con e per l’Amor suo) ma vincerò (per la sua Grazia). È questo è certo. Allevierò, insieme, la sega del desiderio, del pensiero, dell’affetto che sempre lì mi portano, dove tu sai: e cioè alla Banca, che è veramente la tesoriera unica di tutto quello che ho e sono. Smusserò questa sega, e alla Banca non spiacerà: anzi le piacerà assai, perché si rinasce in una libertà e serenità tanto più liete e soprattutto feconde. Risolverò come potrò meglio il dissidio con Sandri: ma fermo sul fatto che la sua vita è per lui, per me sarà la mia. Non ti pare? Io non posso accettare, proprio in base al principio di Sandri, e cioè “non c’è che Lui”, non posso accettare che ci sia qualche altro, neppure Sandri. Egli potrà aiutarmi come un amico, non pretendere di togliermi l’anima. Come ripeto, questo problema si risolverà nel tempo. Più grave sarà la risoluzione della mia vita quotidiana. Quel che è certo è questo: io non posso più ammazzarmi così. Assolutamente non posso. E non debbo. Pigliando occasione dalla stanchezza che mi ha sorpreso, riformerò tutto. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 204 204 Carteggio 1938-1945 ...Sono le 11. Aspetto Dina e Michele, con cui starò anche nel pomeriggio. Chiudo, dunque, la presente, che proseguirò domani. Io non mi dimentico un attimo di te, presso di Lui, e presso l’ometto; ti chiedo l’eguale. Faccio male? Non mi credere atterrito, sebbene a terra: so che Egli non mi ha mai abbattuto, se non per farmi camminare meglio; e tu ringrazialo con me dell’atterramento salutare, hai capito? E forza, nella Sua luce, nel Suo vento. Tuo P. 81 Ortisei 14-VIII-’42. ore 12.20. Sono in paese, dove ho letto la Sua, lunga e grave: una prima volta sulla panchina, in piazza, una seconda sulla panca, in chiesa, vicino vicino a Lui. Le risponderò oggi, a lungo, e meglio che saprò (ma che cosa saprò poi dirle, che lei già non sappia); intanto però voglio dire che sono lieta lietissima, seppure con gli occhi gonfi e rossi: coraggio; forza, serenamente: tutti i gravi problemi si risolvono per via. Intanto riposi. Storno è lì, per aiutarla, dove occorra. Anche il Grignion lo farà dopo, in settembre. A più tardi Romana † 82 Ortisei, 14-VIII-42. Carissimo don Giuseppe, manca un quarto alle cinque: subito dopo pranzo avrei voluto mettermi qui al tavolino; ho dovuto invece far un po’ di compagnia a Gabriella e darle una mano con l’allattamento. Dopo, ero stanca e mi son riposata una mezz’oretta. Ora, mi propongo di scriverle finché ce (?) sino alle 5?, perché questa possa partire stasera ancora; semmai, seguiterò in una seconda lettera che spedirò domani: per rispondere sul serio e a fondo a tutti i gravi quesiti proposti ci vorrebbero non due lettere, ma due volumoni in folio. (E io poverina, come farei, che son qui per riposare?). Come già le ho detto nella mia cartolina, ho voluto rileggere la sua in chiesa, davanti al Signore e accanto alla Madonnina. E non le dico che lacrimoni. Anche perché sentivo una grande angu- 02 Carteggio 1942 9-03-2010 11:18 Pagina 205 205 stia: ho le mie opinioni io, ma che cosa ne so io se sono giuste? è tanto facile mettersi a pontificare. Ma erano anche lacrime di gran consolazione, perché non ha l’idea di quanto io sia felice di certe sue conclusioni. Di quella per es. sulla necessità di maggiore cautela nell’abbandono – per non dire morosità – fantastico e di parole. Ma non avevo mai coraggio di insistervi (e anche ora ne ho timore e pudore), perché so che quella che lei chiama mia saviezza, appetto a lei è anche e per tanta parte minore forza e ricchezza di fantasia in me, maggiore mediocrità (o minore genialità: la parola certo l’infastidisce, e la sento già che dice “Oh cara!”, ma insomma, è così), e perciò a me è tanto più facile non uscire fuori via e tenere un relativo equilibrio. Rimane però il fatto, che se qualche cosa vogliamo raggiungere, veramente, con tutta la nostra persuasione, non rimane che fare tutto quello che si vede necessario – anche se si tratti semplicemente di volgare “disciplina”. Certo, appetto allo slancio e al calore dell’amore, ben meschina fredda e filistea cosa pare la disciplina. Sarebbe tanto bello non ardere che dell’amore, e di quello soltanto (l’amore = miele). Ma ne siamo poi sempre capaci? Io lo chiedo sempre sempre (e lo chiedo al duale, per sua tranquillità!) Ma quante volte non sono più fredda della neve caduta stanotte sul Sella e più dura di quelle roccie? E che cosa potrà sostenerci allora e facilitarci la via se non appunto la povera disprezzata calunniata disciplina? Don Giuseppe, non vorrei essere filistea; né posso applicare il mio piccolo metro alle sue misure; quel che va bene per me, assai spesso potrebbe nuocere a lei, ed è per questo che ho tanta paura a parlarle di queste cose. Ma riusciamo poi a vivere e concludere, vivendo di perenni sublimità? E non è vero che non appena cada il calore (e quante volte non scende vicino a 0?) cadiamo anche noi, se non abbiamo a sostenerci con la forza modesta e benedetta che è l’abitudine, le buone abitudini, nate da una certa disciplina faticosa solo agli inizi? Non me la disprezzi, in nessuna cosa. Non sono d’accordo con Sandri circa gli affetti, e anzi, lo sono in tutto e per tutto con lei; ma lo sono moltissimo sulla disciplina: il paradosso della Svizzera è duro, ma in fondo è giusto. Il suo affetto per la famiglia è bellissimo, generoso e da conservare intatto: ma deve essere più illuminato, più oculato, perché con tanta impetuosità e smania può fare degli infelici anziché dei felici: come quelle mamme che per troppo affetto danno tutti i vizi ai figli e mandano a rotoli il loro carattere, la loro educazione e la felicità della casa: quell’affetto è debolezza: spesso vorremmo dare una carezza o un cioccolatino – e sarebbe per noi gran dolcezza – 02 Carteggio 9-03-2010 206 11:18 Pagina 206 Carteggio 1938-1945 e invece per il bene del bambino è necessario tenere il broncio, e mantenere ferma la punizione, che pure ci piaga il cuore: questa disciplina, questa forza e fermezza di piagarsi il cuore ma di tenere duro, lei non l’ha mai avuta né voluta apprezzare. A me pare male e a me pare che ne soffrano spesso e lei e gli altri. Soltanto ultimamente l’ha avuta, e non era nemmeno tutto bene perché a muoverla c’era un certo risentimento (non occorre certo dire contro chi). E giacché siamo in tema andiamo a fondo: per non dire mai di no, lì per lì, era arrivato ad avere 60.000 lire di debiti. Era un bene questo, o non era un male ben peggiore che di negare un impermeabile (mettiamo) alle sorelle o di dirle di andare con l’ombrello come eran sempre andate, oppure di comprarlo di un prezzo normale e tutto in regola (e questo anche in omaggio di un’altra disciplina, ma questo ci porta ancor più lontano): e se le succedeva qualche cosa, una malattia o peggio (faccia pure le corna, e perdoni: io non sono superstiziosa, lei lo sa): bel regalo che le aveva fatto. Sono ragionamenti da borghesi, o da preti questi; ma anche la borghesia e la chiesa ha la sua saggezza, che presa in sé è meschina forse, ma nella quale si nasconde un grande appoggio alle nostre debolezze. – Ma basta ora su questo tema: non ho certo bisogno di convincerla, no? Impari anche lei un po’ della dura fermezza di Sandri: io non gliene voglio male a Sandri, se ogni tanto la ghiaccia: segno che le vuole bene come una saggia e forte mamma col pupo debole e capriccioso (perdoni, ma a volte è così, con lei) chi scende in paese a imbucare, mi sta facendo fretta: chiudo questa, e seguito su un altro foglietto che imposterò domani. Vivat Jesus! Si ricorda il nostro vecchio saluto? Vogliamo tornare a quello, lasciando il come? Non è forse tanto più bello, aperto, giocondo e consolante? Vivat Jesus (e chi lo ama) Sua Romana† Faccio spedire raccomandata espresso, perché le giunga sollecitamente. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 207 207 1942 83 Ortisei, 14-VIII-1942 N° 2 – Sono le 18.25. Ho mangiato un pezzo di pane e cioccolato, e bevuto un bicchiere di latte. Così rinforzata riprendo a scrivere, mentre davanti a me vedo di nuovo il Sella. Poco fa m’han di nuovo cambiata la camera e riportata in più spirabil aure: una bella camera a due letti e due finestre e acqua corrente; sopratutto con aria a sufficienza. Sa che per poter dormire, nell’altra dovevo tenere spalancata la finestra, troppo piccola, e la porta accanto al letto, con la finestra aperta sul corridoio? Con il suo tetto basso e inclinato, pareva un poco di dormire in una cassa da morto e mi sentivo soffocare. Così, dalla porta aperta, la sera tutti gli altri (due uomini tra altro e il padrone) che andavano a letto dopo di me (io son sempre la prima) potevano godersi lo spettacolo di me a letto: pazienza, non potevo mica soffocare nel mio bugigattolo, no? Come vede, ho anche io le mie fisime e i miei vizi: avessi sentito che aria maravigliosa mi correva così sulla faccia (altri, difatti, la chiamavano corrente!) Ma torniamo a noi, ossia a Sandri e alla sua durezza. Anche un’altra ne potrebbe essere la spiegazione. È un santo, dice lei; e sta bene. I santi, si sa, sono di una tremenda durezza verso se stessi, e di una grande dolcezza verso gli altri. Come mai allora è tanto duro con lei? Forse che non è un santo? O forse piuttosto non penserà di poterla trattare come tratterebbe se stesso, come una specie di alter ego? E non sarebbe questa, bellissima cosa? Sempre mi riferisco alla sua ruvida ispidezza senza mai mollezze né accondiscendenza (mai, dico: ma è proprio così?) e non alla sua teoria, che non posso condividere. Amare Lui, sta bene. Ma Lui, non è un’arida formola, tanto meno un’astrazione: così sento io. Amo Lui, in tutto e tutto in Lui. Così ci ha insegnato, quando diceva che lo avevamo consolato in carcere, sul letto, ammalato, nei cenci, affamato. Così lo amo nel lavoro e amo il lavoro (furiosamente) in Lui. Ma se poi volesse togliermi il lavoro: così sia, anzi meglio così, e ha ragione Sandri. Ma non per questo ci toglierà nessun affetto, ma anzi ce lo potenzierà, sia pure attraverso il dolore della rinunzia. Perché è chiaro che non possiamo amare nulla e nessuno con una parte di noi soltanto, e l’altra astrarla da ogni attaccamento. Ha un bel dire “pane e miele” Sandri: il nostro cuore è troppo assolutista e non è fatto per amare a frazioni. E poi, per ora, finchè viviamo, abbiamo bisogno di 02 Carteggio 9-03-2010 208 11:18 Pagina 208 Carteggio 1938-1945 riconoscerlo e amarlo nelle cose sensibili, mi pare: per trascenderle sì, ma senza poterne però astrarre. Mio Dio, don Giuseppe, quanto mi fa parlare difficile, e dire che a me non piace niente niente: belle cose mi combina. E poi, chi mi dice che quello che sento e penso sia giusto? Lo facciano i miei lacrimoni davanti a Lui stamattina. Ma io ho tanta paura a parlare di queste cose: specialmente poi, a mettermi contro a uno come Sandri. Ma penso che certa sua rigidezza gli derivi dalla gran lotta che deve sostenere giorno per giorno contro sé e il suo cuore: per aiutarsi, forse ha voluto “abituarlo” a una certa freddezza e durezza, senza la quale non potrebbe andare avanti: più in là negli anni, forse potrà anche allentare i nodi; oggi non ancora: fa come Gezelle, che a una certa età e per vent’anni non ha più voluto poetare: chissà quante meravigliose poesie abbiam perso, di quegli anni, ma forse non avremmo avuto le pure meraviglie dei suoi sessant’anni: certe rinunce, con Cristo, non sono mai in perdita, neppure qui in terra: pensi anche a Hopkins259 e al suo eroismo, e non abbia troppa paura della salute per il suo lavoro (e gloria e fortuna questo diciamocelo in un orecchio, per non scandalizzare nessuno). Sì dunque gli affetti tutti gli affetti: ma che non siano disordinati (uguali passioni): se non sapessimo più reggerli, meglio varrebbe tagliarli: è meglio entriate in paradiso senza un occhio o senza una mano che nella Geenna... Così mi pare che pensi Sandri, e poveretto non gli voglia male se nel tagliare la mano qualche volta arriva sì quasi al gomito: non son mica operazioni facili da farsi, specie se ce le facciamo da noi stessi. No, non gli sfugga don Giuseppe, né lo respinga: ho un po’ l’impressione che siate come lo zoppo e il cieco (e Sandri me la perdoni!) Del resto, e anche questa, giacchè ci siamo, bisogna che la dica: in Sandri mi dispiace un poco certa sua eccessiva sublimità, quel suo odio alla Chiesa e la sua “disciplina”, nel suo poco curare la Messa e altro. Anche senza entrare in teoria – che sarebbe arduo per me: ma mi dica lei: c’è qualcosa in terra di più dolce e confortante e meraviglioso della Messa? – e anche se volessimo ammettere che fossero tutte gratuite formalità – ma io non so pensarlo, tuttavia ammettiamolo pure per un istante – preferisco pur sempre il povero frate che umilmente compie sin l’ultima formalità, anche lì dove non capisce nulla o gli pare di capire e sentire tutto alla rovescia. 259 Gerald Manley Hopkins (1844-1889), poeta e sacerdote inglese, si convertì al cattolicesimo diventando gesuita. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 209 209 1942 Ora, carissimo don Giuseppe, la lascio per andare ancora un istante da Gabriella. Son già le 7? passati: oggi sì, son stata letteralmente tutto il giorno con lei: prima, nell’attesa della posta (arriva tra le 10 e le 10.30), poi nelle sue lettere, infine in queste due lunghissime e nell’attesa prima di potermi mettere a tavolino. Né credo che prima che mi prenda il sonno la lascerò un solo istante. Addio dunque, ossia, a domani. Ma si ricordi che babbo e mamma arrivan qui il 20: occorrerà diradare, purtroppo. Vivat Jesus – Romana E ancora: la sua salute. Lei sa bene quanto io abbia pregato e preghi ancora per la sua salute e il suo lavoro. Se continua a tenerlo così macerato penso che non sia senza un motivo: penso che il Signore voglia affrettare i tempi e servirsene come di un fuoco purificatore: quos diligit Dominus, castigat, non dice pressappoco così san Paolo? – Addio = a Dio. le aggiungo il mio vivo saluto, mentre Romana è a far compagnia ad Adriano ed io in gran fretta scendo ad imbucare. Viene Leonardo da Lei? mi aveva promesso di farlo. Auguri di non troppa calura e molti ringraziamenti per le Sue preghiere che non mancano mai. Gabriella 84 Roma 17 ag., [VIII ’42] ore 10 (suona la sirena) Sono uscito a imbucare la lettera d’otto fogli, e qui in bibl. dove sono venuto a prendere libri pel Grignion, mi ricordo d’altre due cose che aggiungo per postilla. 1. che hai ragionissima a dire che mandandomi questo travaglio Cristo ha i suoi fini amorosi: lo vedo ogni momento, e son felice che tu lo veda. Nisi granum. Il mio riposo è l’inverno: quando sto bene, estate pazza; quando sto male, inverno dei semi che maturano. Ti voglio bene per aver veduto subito questa legge del mio vivere. Quindi son giù, e su su. 2. Le lettere come ogni altra cosa non debbono più nascondere nulla di inconfessabile; vero è che anche a parlare di Lui, nasce un altro e mag- 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 210 210 Carteggio 1938-1945 gior pudore, sai perché Sandri era irritato il giorno del conflitto? Me l’ha confessato ieri: per aver apposto la parola “miele e pane” su una mia lettera a te. “Certe cose, queste cose, non si scrivono nè dicono che una volta”. Diceva bene Peguy: “et le reste est littérature”260, la maledizione mia per cui di tutto faccio lettera e letteratura. Ma è un Grande esempio. Vivevo a pieni registri e tacere: oh sogno! Ma lo faremo realtà, non è vero? P. 85 Ortisei 18. VIII. ’42. ore 12.20 Carissimo don Giuseppe, ho finito ora di scrivere a Nuccia col rischio di non fare più a tempo a scrivere pure a lei: pensavo che dopotutto sarebbe stato più contento così. Nuccia mi ha scritto in tedesco, e – senza grammatica e con un vocabolarietto da niente – bisogna dire che se l’è cavata piuttosto benino. Ma di suo stamani non ho ricevuto proprio nulla e questo è sempre una gran malinconia. Mi fa specie per la sua intelligenza il ragionamento della numerazione: è chiaro che le lettere con data e ora, una volta ricevute, si ordinano da sé; ma quando oggi io ricevo magari quella che lei ha scritto ieri e domani quella che ha scritto quattro giorni fa (e qui succede continuamente cosi, né glielo ho taciuto) mi dica lei, come faccio io a sapere se e quante lettere vi sono ancora in viaggio, oppure se qualcuna va smarrita? E quando lei fa allusione a cose scritte precedentemente, sa quanto mi scervellerei di meno io, sapendo che ancora mi manca un anello di congiunzione? Insomma, è grave che le debba spiegare per disteso cose tanto evidenti: mi fa temere sul serio del suo esaurimento! Domani sera arrivano i miei: avrò così ancora meno tempo a mia disposizione: a tutto scapito della corrispondenza. Mi avrà pazienza? Anche ora sono sù da Gabriella e Adriano, e fra un discorso e un altro, è un affare difficilissimo e barbaro scrivere questo saluto cercando che non sia troppo insulso e sconnesso. Ma son già tre giorni che non scrivo più un po’ diffusamente. Ieri Gabriella volle che venissi sù con lei 260 Luca. Charles Peguy (1873-1914), scrittore, poeta e saggista francese fra i più amati da De 02 Carteggio 1942 9-03-2010 11:18 Pagina 211 211 all’Alpe; vi restai poi sin oltre il tramonto, godendomi solitaria tutto lo spettacolo superbo. In questi giorni deve essere a Roma papà; chissà se lo ha visto? Gli pende sul capo la minaccia che gli deportino la moglie, può figurarsi l’angustia in cui si trova261. Fa di tutto per ottenere di farla venire in Italia: i suoi amici non potrebbero ottenere nulla in questo caso? Sarebbe proprio una gran carità perché mi fa tanta pena tutta questa storia orribile. Da casa gli ha telegrafato il console di sollecitare le pratiche perché il pericolo si fa proprio imminente. Per la famiglia non potrà fare nulla, ma se potesse salvare almeno lei, povera donna. Che cose tremende che succedono e come pian piano ci arrivano vicine a tutti. Papà ha saputo della proposta di Bruxelles e a lui dispiace moltissimo il mio rifiuto262. Io lo capisco bene quale è il movente più forte: mi avrebbe a poche ore di distanza e con la solitudine in cui fra poco si troverà in ogni modo questo gli sarebbe di gran conforto pover uomo: ha 63 anni oramai, la salute scarsa, i nervi come si possono avere nelle condizioni di vita in cui si trova e che lei non può minimamente figurarsi. Le assicuro che io stessa sono molto turbata da questo pensiero, e non so proprio più che cosa si debba fare. Ci pensi e ci preghi un poco anche lei. E poi me ne scriva, e intanto ne telefoni e parli con Leonardo, o con papà stesso (non so dove sia, ma lo sa Leonardo.) Ma lo faccia davvero, ché poi lei è l’unico che qui potrà decidere bene e convincere tutti della necessità di fare in un modo piuttosto che in un altro. So bene che non è facile quanto le chiedo, ma la prego di agire pensare, parlare, decidere con la massima serenità. Sarà possibile? Povero caro don Giuseppe, che cose difficili le chiedo tutti i momenti. Mi perdoni e mi voglia ugualmente un po’ di bene! Vivat Jesus Sua aff. Romana 261 La seconda moglie di Romano Guarnieri, la scrittrice e traduttrice ebrea Carla Simons, viene deportata in Germania nell’estate del 1942, cfr. S. Covino, Romano Guarnieri, cit., p. 435. 262 A Romana viene proposto un lettorato presso l’Università di Bruxelles che rifiuta. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 212 212 Carteggio 1938-1945 86 25 VIII 42, ore 16 Cara Romana, se non ti ho scritto questi giorni, ho scritto molto Grignion: altri tre capitoli, e fuori mi chiamo. Sono, tuttavia, molto duri; ma comincio a vederli; e dal vederli allo scriverli, non ci vorrà tanto. La tua ultima, sul mio indiscreto procedere circa i tuoi malanni, lì per lì mi parve dura: ma io sono ai rimproveri come i cani alle bastonate, i quali, diceva il Berni, “scosse che l’hanno, son più bei che mai”. Mi dispiace delle tue disavventure gastriche, ma spero farai in tempo a ripigliare non uno ma tre chili; eppoi, il riposo mentale non te lo può distruggere lo stomaco. Almeno così penso, anche (e soprattutto) per tranquillizzarmi. Dammi tue notizie, magari scrivendo a Nuccia che aspetta una tua (tu non glielo dirai per contrappasso e taglione delle mie indiscrezioni). Fai tanti auguri al babbo. Sai che oltre il proposito grande, è quasi una settimana che non fumo più di 10 sig.te al giorno? Sto diventando nuovo. Anche la salute, da due o tre giorni va meglio. Sono arrivati i miei, cioè Gigi e Nuccia, l’altro giorno; mangiamo però da Dina. Il Drago, qui presente, ha ricevuto la tua e mi ha portato 500, nè vuol darmi di più. Così le do per le messe, e resto povero come prima. Solo le iniezioni (32 lire ogni scatola di tre fiale) mi hanno prosciugato. Scrivigli che può allargarsi un po’ più, perché la sua discrezione, a cui ti sei ridotto, è inclementissima. Del babbo tuo, di Leonardo non riesco (sempre nel pm., perché la mattina sono nel romitorio) ad avere, per quanto telefono, la traccia. Ma non dubitare del mio intervento; piuttosto, dovresti tu scrivere al papà che se ne aprisse con me. Come c’entro io, di mia iniziativa? chi dico che me ne ha parlato? Certamente, è fuori questione che tu vada a Bruxelles. Non so che cosa ne pensi tua mamma e Minnucci; ma io sono e sarò, sempre, risolutissimamente, contrario a che tuo padre, sia pure in un suo cattivo momento, spezzi anche la tua vita. Si sa che queste cose non si fanno apposta; e neppure egli le fa apposta; ma quando si sono create certe condizioni alla propria vita, per salvarsene (eppoi, in che modo se ne salverebbe con te da presso?) non bisogna tirare altri nel gorgo. Altro è che tu un giorno ti rechi lì a studiare, quando e per quanto vorrai; e altro che tu ci vada ora, che hai salute, hai casa, hai 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 213 213 1942 creata una pace domestica assai bella, hai danaro, hai iniziato e prosegui degli studi. Il Drago, a cui espongo via via il caso, è d’accordissimo con me. Al babbo si penserà meglio che si può e vedremo come si potrà portare, se non rimedio, conforto e sostegno; ma tutto in me si rivolta all’idea che la tua vita debba subire, non dico un arresto, ma un rinculo pauroso e verso il buio e il precipizio. Io ti sto molto vicina, anche in questo; ma vorrei che, nelle angosce dell’amor filiale, ti lasciassi guidare, come altre volte hai fatto, dal tuo vecchio don Giuseppe, che non è morto, no, ma sta rilevando di sotto alla stanchezza un volto, più magro ma più forte, con occhi più piccoli ma candidissimi, e non vuol vivere nè far vivere che Gesù. Hai capito? E forza, a riposare; faccio anch’io lo stesso, animosamente. Nulla ti turbi; tutto ciò che annoia, passa; tutto ciò che amiamo e ci ama, resta e s’accresce di attimo in attimo. Ti scriverò presto tuo d G. 87 Roma, 4 Sett. 42 XX Cara Romana, un saluto, anche oggi; anche oggi breve. Come una telefonata. Ieri l’Ecc. Bottai venne a passare l’ora in cui compiva 47 e iniziava 48 anni, al nostro tavolo. E fu carissimo. È entrato talmente nella mia vita, che oggi mi ha mandato un sapone per barba quotidiano...263 E ha voluto e vuole, e mi ha indicato come si fa, che io ordini il mio lavoro e il mio riposo. – La sera, il Drago fu con noi, a dormire in camera di mamma. – Stamani, ho ripreso Grignion, penultimo capitolo. E ho ricevuto Perrotti; il quale non ha nascosto che io son giù più del solito; ed esige che, libera la mattina da tutto e da tutti per lo studio, il pomeriggio per ora non tocchi nemmeno la penna e riposi. Iniezioni quotidiane. Queste, le novità. Il Drago, ierisera, un po’ scherzando un po’ sul serio, mi disse che il suo operato ha ricevuto amplissima approvazione dalla 263 Sull’invito a pranzo a casa della sorella Dina e il dono del “tubetto di crema per la barba”, cfr. G. Bottai-G. De Luca, Carteggio, cit., pp. 94-95. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 214 214 Carteggio 1938-1945 Banca, e se ne estasiava. Io, al solito: non bene come una volta, non male, come 20 giorni fa. Ma fedele, fedele, fedele. Vivat Jesus.d.G. P.S. Ossequi cari alla mamma. Nuccia è in una crisi come l’ultima (ricordi?)264: stamani, 1° ven., neppure ha voluto comunicarsi. Soffre e mi fa soffrire. Tu prega. 88 [Roma 8 settembre 1942] Cara Romana, compenso di non averti scritto i due giorni scorsi, sebbene innocente. Sono le 19; la lettera mia di mezzogiorno l’avrai avuta. Sono stato poi a mangiare da Dina; alle 15 mi stendevo sul mio vedovo letto (vedovo non più scaltro, ma ormai come le vedove di cui parla San Paolo); alle 15.45 mi levavo, imperlato di sudore come l’erba di rugiada; alle 16, due salesiani giovani che fanno una tesi di storia della spiritualità italiana e vogliono sentire “don De Luca”; alle 16.20 il Drago. Il quale, per liberarmi, ha detto che aveva urgenza; ha liquidato i due, e sono restato col Drago. “Pomeriggi vuoti, vuoti, vuoti. Assolutamente”. E ha staccato il telefono. Anche lui questi giorni sta male; un viso terreo e mali di capo veementi e insonnia. Allora ho presso il maglio alla mia volta, e gli ho schiacciato le sue ispidezze: domattina verrà a celebrare dalle monache mie alle 8 e prima dormirà dalla mamma; dopo la messa si metterà sul letto mio, io scrivo Grignion, lui dorme; a mezzogiorno, io con Nuccia vado da Dina e lui – non il pane e l’acqua – ma mezzo chilo di pomodori e un chilo d’uva e pane; quindi dormirà, mentre io (gliel’ho confessato, alla fine) vado dal clinico celebre e ottuagenario. La sera, verrà a dormire qua da capo. Come vedi, ci aiutiamo. Ci avessi visto, per via delle Sette Sale (l’ho accompagnato a S. Eusebio) lui con gli occhi semichiusi dal dolore alle tempie, io con la persona traballante dal pugno che mi serra la nuca; c’avessi visto, che coppia di pazzi nel sole (un sole concentrato, che picchia solo e continuo: senza una leggerezza di aria nè divario). Gli dicevo: 264 Cfr. lettera 50. 02 Carteggio 1942 9-03-2010 11:18 Pagina 215 215 - ma si può ridurre la vita tutta a una corsa agli ostacoli? Eppoi, l’amore non è come l’arte per l’arte, una formula estetizzante e vacua? Io voglio fare quel che debbo, e non fare me solo (?). Ecc. Ecc. Ecc. - distinguo, rispondeva lui. La vita, chi la vuol fare una corsa agli ostacoli? Ognuno, per viverla deve circondarla di limiti... - Come il contadino fa al podere, dicevo. - Già, riprendeva lui. Quanto all’amore per l’amore... - Smettiamo, dicevo: siamo tutti e due spossatissimi. Facciamo le lucertole nel sole: e basta. E abbiamo smesso, lui era arrivato; io ho comprato un po’ d’uva, da uno al quale è uscito detto (guarda caso io non avevo accennato nulla di religioso nè dato nulla di soldi): – mi dite un pater nostro, padre? Noi stiamo in piazza dalle due del mattino; ma non siamo uomini di piazza! – Ciò, a p. Vittorio. Poi ho caricato l’uva su un taxi. L’autista, al vedermi, ha detto: – ma lei padre una volta mi regalò un pacchetto di sigarette! – io non ricordavo: a casa, gli ho regalato il più bel grappolo e glie l’ho fatto lavare alla fontanina di cucina. Giubilava. E ora, col dolore alla nuca (senza, però, dolore agli occhi, oggi!), ti scrivo e converso con te. Ma non debbo far nulla il pomeriggio, non debbo applicarmi: e dunque smetto. Sei contenta che ti ho riscritto? Stupida, che hai preso a male l’averti io dato del prete, in una delle mie265; e non capivi che volevo dirti come sai gettare, tenere e ritirare, anche tu, la divina rete dell’amore. Stupida, stupida, stupida! O sono io che mi sono rincretinito tuo P. 265 «Ma tu, vigliacca, che prete saresti stato, se non nascevi donna!», GDL lettera del 3 settembre 1942 non pubblicata in ARG. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 216 216 Carteggio 1938-1945 89 Romana Guarnieri München Kaulbachstrasse 49. Monaco – 13-10-42. Carissimo don Giuseppe, in gran fretta questo salutino. Sto benissimo; tempo bello ma freddo. Mons. Grabmann è il mio sorridente angelo custode che mi apre tutte le porte266. Mercoledì 21 andremo a Vienna fino a sabato o domenica. Dopo, di nuovo qui fino al 29 o 30. 90 Monaco, 20.10.’42 Carissimo don Giuseppe, questo salutino dalla biblioteca: breve perché domattina parto con tutta probabilità e ho ancora diverse cose da spulciare qui. Il buon prof. Grabmann è stato il mio salvatore qui dentro, se no non avrei combinato un bel nulla: fortuna che dovunque io vada, trovo sempre qualche monsignore che ha pietà di me...! Questo però è vicino alla settantina, sordastro, asmatico: la gentilezza e cordialità in persona. Mi ha messo anche a disposizione la sua biblioteca, e qualche sera che Alda è occupata vado ancora un’oretta da lui. L’altra sera mi ha accolta con vino prezioso e dolcetti, e invece di studiare abbiamo conversato a lungo. Per il resto non ho conosciuto nessuno e non sto con nessuno fuorché con Alda, ma con lei fin troppo: non sono abituata a stare sempre in conversazione e alla fine mi stanca e mi dà sui nervi. Forse dopotutto è preferibile viaggiare soli, o io, a furia di stare sola, non sto più con i miei simili. Ieri ho visto la possibilità di passeggiarmene sola soletta due buone ore per il Giardino inglese, un parco maraviglioso che proprio in questi giorni d’autunno è nella sua veste più bella. Piovigginava 266 Martin Grabmann (1875-1949), studioso tedesco di spiritualità e scolastica medievale, insegna dal 1939 nella facoltà di Telogia di Monaco. 02 Carteggio 1942 9-03-2010 11:18 Pagina 217 217 e faceva freddo: non c’era nessuno in giro, e io, felice di quella solitudine, ossia nella compagnia che più mi piace: Lui, Lei, Gezelle, Hopkins, Ruusbroeck267; eravate tutti con me, i miei migliori più cari amici, con cui posso tacere, o parlare delle cose che voglio io. Abbiamo avuto giornate stupende. Ora piove, e ciò ci assicura notti tranquille col sonno tutto d’un pezzo, nonostante la luna quasi piena. Domani forse andremo a Vienna fino a domenica. Comunque, il 29 sera mi metto in treno alla volta di casa. L’unico guaio qui è che manco assolutamente di notizie di voi tutti; questo incomincia a pesarmi. Vorrei tanto sapere della mamma e di Adriano come stanno; di lei come va il suo lavoro e il resto; di papà come è finita268. Il Grignion è partito? E il macNabb269? Io sono fedele in ogni cosa. Sono contenta di questo viaggetto, ma più sarò contenta di tornare. Tanti cari saluti a Nuccia e al Drago. A lei tutto quello che sa e vuole dalla sua Romana 267 Su Hopkins cfr. lettera; su Gezelle cfr lettera; Jan Van Ruysbroek (1993-1381), presbitero, religioso e scrittore olandese. Fondò nel 1343 un convento di regola agostiniana e visse in eremitaggio fino alla morte, le sue opere, scritte in fiammingo antico ebbero profonda influenza nell’Europa del XIV secolo. Romana Guarnieri tradusse le sue Nozze spirituali e nel 1963 pubblicò in «Rivista di storia della chiesa in Italia», Per la fortuna di Ruusbroec in Italia. Le sorprese di un codice vaticano, VI, pp. 333-364, scritto nel 1952, cfr. M. Sensi, Romana Guarnieri, cit., p. 237. 268 Cfr. lettera 85. 269 Vincent Mc Nabb (1868-1943), domenicano irlandese, noto predicatore popolare e autore di volumi di apologetica e ascetica, tradotto da Nuccia De Luca. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 218 218 Carteggio 1938-1945 91 CARTOLINA POSTALE Rev. D. Giuseppe De Luca via delle Sette Sale 19 Roma Italien Romana Guarnieri Wien Alserstrasse 43 Vienna 22.10.42 ore 22.15 Carissimo don Giuseppe, un salutino anche da Vienna, sebbene questo certissimamente giungerà dopo di me: ma tanto perché nessuno possa insinuare che io non mi ricordo degli amici lontani: se anche io volessi assicurare che mi sono sempre presenti, nessuno mi crederebbe. Questi giorni Viennesi sono un enorme sollievo, per tante cose che le racconterò: tra altro perché vi si vedono facce cristiane, vestite da cristiani. Ma di tutto questo a voce, e tra meno di una settimana ormai. Come sono volate queste prime due settimane; e che gran privilegio, poter viaggiare così, ancora oggi. Di quanti mai privilegi è colma la mia vita: è possibile che duri così ancora per un pezzo? – Tanti cari saluti a lei e a Nuccia Romana 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 219 219 1942 92 CARTOLINA [estate 42] Sig. na Romana Guarnieri Via Giacinto Carini 28 Roma sp. Giuseppe Sandri Eremo Camaldoli Frascati “Cella continuata dulcescit” dice il dotto Papero che non v’è stato più di due minuti. Ossequi. Sandri A lui piace il cellerario o dispensiere: ha fatto due pranzi, uno sotto gli alberi, l’altro in refettorio. Papero 93 † San Giovanni della Croce 24 novembre 1942. Prima di mettermi al lavoro chiedere tutte le mattine che cosa c’è da fare e farlo subito. Qui autem dixerit, fatua: reus erit gehennae ignis. Charitas autem omnia operit. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 220 220 Carteggio 1938-1945 ANNO 1943 94 Roma, 2 agosto 1943 Cara Romana, come quando giungevo in camera tua dicevo: vado via presto; così e parimenti non appena incomincio a scriverti, mi vien fatto di dirti: Sarò breve. Iude irae, le ire tue; e hai torto. Torto marcio. La mia stanchezza nervosa è tale, che è tutta una irrequietudine e una vibrazione, e sono stanco d’una cosa appena incomincio a farla. Riconosci una buona volta questa specie di infermità nervosa, e non ti addolorerai di ciò che invece è, tacitamente, una confessione di volere stare e scrivere a lungo, e non potere o sentire di non potere. Tanto per uno strascico della famosa polemica. Pel resto, fui arcicontento che la notte della vostra partenza trascorresse senza ululi che nella notte e nella campagna e in un luogo sinistrato sarebbero stati per voi orrendamente tetri. Credo e spero, così come ho pregato, che il viaggio che vi ha condotto costassù sia stato felice e senza troppi intralci né ingombri. La nostra vita, è sempre quella medesima. Ieri, 1° agosto, soffersi peggiore ambascia, in seguito a minacce nuove degl’inglesi di sterminio, indiscriminatamente270. Ma lavorai e feci un secondo articolo. La sera venne Majnoni271, il prof. Coletti di storia dell’arte272, Paschini273, 270 Il 25 luglio del 1943 in seguito al cosiddetto ordine del giorno Grandi il Gran consiglio del fascismo mette in minoranza Mussolini, sostituito dal generale Badoglio. A Roma si spera nella fine della guerra e nell’arrivo degli alleati sbarcati in Sicilia il 10 di luglio. 271 Massimiliano Majnoni (1894-1957), cattolico-liberale, entrò alla Banca Commerciale Italiana nel 1921 e resse tra il 1935 e il 1947 la Rappresentanza di Roma, aiutò De Luca in più di un frangente di crisi economica; sul suo rapporto con De Luca cfr. G. De Luca-M. Majnoni, Carteggio, cit. 272 Luigi Coletti (1886-1961) critico d’arte, tramite De Luca inizia a collaborare con la casa editrice Morcelliana. 273 Pio Paschini, sacerdote dal 1900, dal 1913 al 1950 insegna nel seminario romano, del quale diventa rettore nel 1932. Grande conoscitore di Riforma e controriforma italiana collaborò con De Luca pubblicando per le Edizioni di Storia e Letteratura alcuni volumi. Fu direttore dell’Enciclopedia cattolica e fra i fondatori della «Rivista di storia della chiesa in Italia». 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 221 221 1943 Baldini e Signora e poi Fillinho’ il mio cugino chirurgo e brasiliano274. Allarme, iermattina alle 11; ma vuoto. Ti scrivo dopo la 1° messa, accanto alla cappella. Riposato che mi sarò, comincio a studiare le due sacrosante ore. Salutami i tuoi ed abbimi, fedelissimo nel Signore, tuo don GDL 95 3 ag. 43, martedì, ore 7.40 Cara Romana, iermattina cominciai. Due ore molto colme, felicissime. Lessi tutto un prezioso trattatello d’un autore molto accorto, Piero da Lucca275: e in esso trovai qualcosa anche per te. Cfr. l’allegato foglio. Dunque, per studiare, studiai. Ma tutto il giorno, non conclusi nulla di utile all’amministrazione: alle 11.30 venne Franco, l’amico di Carlo, e restò anche lui preso nella pania delle mie parole, e mi volle suo confessore e consigliere ecc.ecc.ecc. Nel pm., non erano le tre, e venne Vittorio Macchioro, che era Benedetto Gioia, consule Mussolini; e ora è un mischio ribollente dell’uno e dell’altro: lingua fradicia, è venuto in uggia a Ricciotti in quella torre delle mediocrità che è l’enciclop. Rizzolica Cattolica, e da lui è stato licenziato276. Puoi credere come lo concia e taglia Macchioro; lingua proibita. Venne poi alle 4 p. Filograssi277, che è il gesuita sulla fede del quale il Card. Pompili mi fece 274 Filinho fratello di Hilda Rotundo. Pietro Da Lucca (Pietro Bernardini) umanista, canonico di San Frediano nel Monastero di San Giovanni in Monte a Bologna, predicatore. 276 Giuseppe Ricciotti (1890-1964), seminarista e storico del cristianesimo. Fu abate del canonici lateranensi del salvatore, dei quali fu procuratore dal 1935 al 1946, e redattore dal 1929 al 1936 delle “materie ecclesiastiche” per l’Enciclopedia italiana. Ricordiamo che Ricciotti tradusse per Morcelliana nel 1934 le prediche antinaziste del cardinale di Monaco Faulhaber (Giudaismo, cristianesimo, germanesimo), cfr. N. Tranfaglia-A. Vittoria, Storia degli Editori, cit., p. 401 277 Giuseppe Filograssi (1875-1962), gesuita. Professore di Sacra Scritture nel Collegio Leoniano di Anagni, dal 1910 al 1913, passò poi all’insegnamento presso l’Università Gregoriana. Ad Anagni conobbe De Luca, ospitato nel contiguo seminario di Ferentino, tenuto anch’esso dai padri gesuiti. Fu per sua intercessione che De Luca fu ordinato prete il 30 ottobre del 1921. Cfr. G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., pp. 80-88. 275 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 222 Pagina 222 Carteggio 1938-1945 prete: il garante del mio mio sacerdozio278. Si parlò del Sant’Ignazio che egli sta preparandomi nella serie Mondadori, e de’ miei rapporti con i Compagni di Gesù, quali sarebbero, per autopromozione, i Gesuiti279. Poi dovetti fare la benediz. alle Suore, che sempre più mi irritano e sembrano false: 6 pater ave gl., litanie dei Santi ecc.ecc. Era il perdono di Assisi: e tu sai che ogni frateria crea le sue macchine di funzioni stralunghe. Come se si potesse ridurre a meccanica la espressione dell’amore, e dire “tu farai oggi cinque carezze al tuo bambino” ecc.ecc.ecc. Se Dio vorrà, spezzeremo una lancia, un giorno, contro queste macchine di frati, volgari procacciatori e imbonitori troppo disinvolti280. Poi venne, non veniva da oltre un mese, la Novarese a confessarsi un poco e ciarlare molto; poi Brandi, con l’anima scapigliata, l’occhio spento insieme e lucido, invasato da quelle propinazioni di veleni e di ambasce che uno serve all’altro questi giorni, per una psicosi di terrore secondo la quale “territus terreo”. A proposito di Brandi e delle dicerie sul suo conto, sai l’ultima di Baldini? “E più il fodero che il brando”. Povero Baldini, è brizzolato di capelli, oscuro di viso, sbigottito d’animo. Addio e salutami molto i tuoi281 dG. [foglio allegato] ...Chi tale experimentato maestro avere non potesse, almanco qualche devoto libro habii, dove tutte le occurente cose intendere e leggere possi; come sono molte opere dal devotissimo e cristianissimo dottore Giovanni Gerson Cancilliere Parisiense composte; non parlo di quello breve trattato chiamato de imitatione Christi allui intitulato, el quale, benchè utile sia, niente di meno non è sua opera, ma di qualcuno altro 278 Il cardinal Basilio Pompilj (1958-1931) vicario di Roma, «aspettava persino a darmi la tonsura; aveva già aspettato quattro anni, e nella Pentecoste del 1921, i miei compagni di classe erano tutti a posto, preti, e io non ero nulla, nemmeno chierico» in G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., pp. 80-88. Cfr. G. De Luca, Conversando con il cardinale, in Nel giubileo sacerdotale di s. e. rev.ma il sig. cardinale Basilio Pompilj vicario di S. S. Pio XI, Pontificio Seminario Romano Maggiore 1930. 279 Il sacerdote e la spiritualita ignaziana, Pontificia Universita Gregoriana, 1946. 280 Sul tono aspro e i giudizi pungenti del prete De Luca verso altri religiosi e religiose ha scritto pagine molto belle G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., pp. 62-67. 281 Con la deposizione di Mussolini e il nuovo governo Badoglio il clima che si respira fra gli intellettuali un tempo vicini al regime come Baldini è appunto quello descritto da De Luca, “territus terreo”, per cui chi fosse più spaventato tratteggiava agli altri foschi presagi. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 223 223 1943 devoto, e credo fusse canonico regolare, el quale per humilità el suo nome volse tacere. Piero da Lucca, can. regol. lateranense († 1521) Regole della Vita Spirituale et Secreta Theologia. Bologna 1526 fo. 9, col. 1-2. 96 Ortisei 2 agosto 1943 ore 12. San Gaetano Oh finalmente! La pazienza mia stava già boccheggiando, sul punto di cedere le armi allo sdegno, sempre pronto a sollevare il capo, quand’ecco giungere stamane, con la colazione, ben due sue: brevi, ma due in una sola volta. Con la notizia per giunta che ha preso davvero, proprio come, studiare. Ma cos’è quel nascosto lamento per l’amministrazione? E tutto quell’elenco di persone ricevute? Che cosa avevamo convenuto che andava sacrificato all’amministrazione? Lo studio o le persone? Non mi aveva garantito che si sarebbe recisamente liberato di queste per salvar quello? Almeno le persone vane e pettegole; non dico gli amici, sebbene anche loro possano diradare di molto le visite. Non sarà facile; ho l’impressione che il ricevere e il chiacchierare (brillantemente) sia per non piccola parte un’abitudine trasformata in vizio. Continuo a riposare. Ancora non mi sento voglia – non dirò fantastica, che sarebbe inesatto, ma certo fisica – di fare grandi escursioni; sì e no, mi tentano le passeggiatine: segno di persistente stanchezza. Guarirò tuttavia, e guarirò presto se non succede nulla di nuovo, ad atterrirmi. La notte ho ancora regolarmente incubi bellici; in più, quei famosi odiatissimi sogni che lei sa; che, anzi, ha cominciato a sperimentar di persona. Novità nessuna, salvo una lettera di Alfonso e una di Italo. Con tono e con parole diversissime, in sostanza dicono la stessa cosa. Grazie per Pietro da Lucca. Con Serafino da Fermo282 è già la secon282 Discepolo di Battista da Crema, domenicano condannato da Paolo III nel 1536 come sostenitore dei poveri di Lione, e messo all’Indice 1564. 02 Carteggio 9-03-2010 224 11:18 Pagina 224 Carteggio 1938-1945 da testimonianza ai primi del ’500, a favore di Tommaso da Kempis283. Tra le mie letture – leggo moltissimo: Cardarelli “Il cielo sulle città”284: una prosa stupenda ariosa, ventilata, d’una civilissima semplicità; “Diario d’un parroco di campagna”285, che mi sembra, al confronto, ben povera e stentata cosa; e Dostojewski “Umiliati e offesi”, romanzo dei più cari e affettuosi; il “Pio XI” di Salvatorelli286, dove mi piace quella sua pulizia espositiva, ma più la grandezza nascosta del tema – tra le mie letture, la più bella è Hadewych287: e v’ho trovato alcuni passi che paion scritti apposta per noi: glieli accludo, tradotti. Me li conservi: forse mi serviranno in seguito. – Mi saluti caramente i suoi. A lei tutto dalla sua R Ore 15.30. Andiamo in passeggiata, e non ho più tempo per tradurre Hadewych, né per scrivere a Nuccia. Sarà per domani. Sua R Ecco alcune delle molte cose in cui, secondo Hadewych, la nostra ragione malata e ferita anch’essa, può errare, mentre pure noi siamo convinti di fare bene. ... “Per dirla in breve: la ragione può errare nel timore, nella speranza, nella carità, nell’osservare delle regole, nelle lagrime, nel desiderare la devozione, nello sforzarsi di provare dolcezza, nel temere l’ira divina, nell’assumersi ogni sorta d’impegni, nel prendere, nel dare – in ogni sorta di cose che si credono buone. 283 Sul lavoro di Romana e don Giuseppe sull’Imitazione di Cristo cfr. lettera 14; lettera 71. Il cielo sulle città esce nel 1939 per l’editore Bompiani, racchiude alcune prose d’arte del poeta Vincenzo Cardarelli (1887-1959). 285 Il Diario di un parroco di campgana di Nicola Lisi (Vallecchi, 1942), da non confondersi con il più noto romanzo omonimo dello scrittore francese Georges Bernanos (Journal d’un curé de campagne, 1936). 286 L. Salvatorelli, Pio XI e la sua eredità pontificale, Einaudi, Torino 1939. 287 «Quanto a me, per la via traversa di un saggio sul sacerdote e massimo poeta fiammingo dell’Ottocento Guido Gezelle e di alcune versioni di testi della dugentesca poetessa e mistica brabantina Hdewijch, avevo finito per sposare in tutto e per tutto i sogni del mio straordinario amicomaestro», R. Guarnieri, Nasce l’Archivio, cit., pp. 14-15. Di Hadewych d’Anversa, mistica fiamminga vissuta intorno alla metà del Duecento, Romana Guarnieri, traduce in ordine: Cinque visioni e Cinque poesie e Cinque lettere, tutti pubblicati dalla Morcelliana nel 1947. 284 02 Carteggio 1943 9-03-2010 11:18 Pagina 225 225 .... Nella carità si erra, quando si rendano sconsideratamente, dei servigi agli altri senza necessità, o ci si tormenti senza necessità. Non di rado facciamo per affetto ciò che poi chiamiamo carità. Osservando delle regole (le sigarette!) ci si lega con ogni sorta di cose da cui potremmo essere liberi. Anche questo è un errore della ragione. Uno spirito fatto di buona volontà opera meglio nel nostro intimo di quanto possano ottenere tutte le regole di questo mondo. ... ...Assumersi ogni sorta d’impegni, tanto nel fare quanto nel tralasciare, toglie molta libertà nell’amore. ... .... Nel dare si erra enormemente, quando ci si vuole donare interamente anzi tempo, come pure dandoci a molte estranee cosa a cui non siamo chiamati, e che non ci riguardano. Al compianto, all’angoscia, a piaceri, al litigare e poi far pace (questo per me!), alla gioia, al dolore: dedicare a tutte queste cose il nostro tempo prezioso è un errore della ragione. Dare ascolto ai comandi più diversi fa errare del tutto la ragione: anzi in questo sono raccolti tutti gli altri errori. Dare ascolto al timore quando càpita...; voler servire all’Amore e nel frattempo dare ascolto al timore, alla speranza, ai moti dell’affetto e a tutte le cose che non appartengono all’Amore perfetto – in tutto questo erra la ragione. Quando io dico che la ragione erra in tutte queste cose che anzi (?) gli uomini, ciò è perché queste sono cose elevate, difficili e perché è propria della ragione considerare ognuna di esse secondo il suo valore.” Hadewych, Lettera IV Ho tradotto questi passi, non perché siano dei più belli o caratteristici; soltanto perché mi sembra che per certi aspetti si attaglino straordinariamente a noi due; a situazioni e fatti nostri, a nostri pensieri. E ora vado a letto. Buona notte. Un altro giorno le tradurrò qualche altro passo, ben altrimenti grosso, e vedrà che cosa immensa è Hadewych. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 226 226 Carteggio 1938-1945 97 Ortisei 4 VIII 43 Pensione Ronca don Giuseppe carissimo, sono le 9 e mezzo: alle nove in punto ho detto una preghierina alla Madonnina, perché anche stamattina custodisca il suo lavoro. Da lunedì, la mattina, vivo in una segreta esaltazione, al pensiero che il suo studio sia ora davvero, definitivamente iniziato, e mi domando per qual misterioso motivo ognuna di queste riprese grosse debba coincidere con una mia penitenza. Tre anni fa, Storno, l’anno scorso..., e quest’anno l’inizio più grosso di tutti, quello per cui gli altri non sono stati che avvii, preparativi. E più mi esalta il pensiero che ciò si faccia proprio in questi tempi orribili, quando tutto va a sfascio, e ognuno è tentato di abbandonare ogni cosa288. Ma che mortificazione per me invece che lei a questo modo abbia risposto a tutte la mia cattiverie di sabato. Forse, ci voleva anche questo, perché ogni momento io mi ripeto le domande del suo nuovo catechismo e a ognuna ripeto: sì, sì, sì; e alla prima, “sì, terribilmente, sempre più (e non capisco come questa dilatazione sia ancora possibile!) Sì, con tutte le debolezze e i difetti: anzi di più, proprio per loro.” Basta. La cronaca mia è presto fatta, e l’essenziale l’ho già comunicato nelle mie 2 cartoline. Lo stato delle cose qui è tale che noi confidiamo – se non vi saranno novità grosse, d’altro genere, altrove – confidiamo di poter riposare qui ancora a lungo e in pace perfetta. Specialmente la mamma se la gode da non dire. Io pure, se non fosse, ahimè, il pensiero di chi sta a Roma esposto a pene e a pericoli. Fin quando ero giù e respiravo anch’io quell’aria appestata nulla mi pareva più impossibile né assurdo; ma ora il pensiero che a ogni momento in questo momento forse Roma possa essere bombardata mi torce le viscere come la più atroce follia. Ma mi faccio coraggio, e confido, confido, come diceva lei, che non un capello ci sarà torto. Mentre scrivo, sto al sole sul balconcino della mia stanza, domino dall’alto il paese e tutta la valle. Respiro l’aria sottile e riposo. Riposo 288 Romana si riferisce agli sforzi di De Luca di migliorare la sua situazione finanziaria (Storno) e di avviare finalmente l’opera della sua vita, ovvero l’Archivio italiano per la storia della pietà. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 227 227 1943 tutto il giorno, letteralmente ancora non ho fatto altro, salvo mangiare come un porcellino. La notte, a finestre spalancate (ah, l’orribile coprifuoco!) dormo dieci ore filate. Stanotte ho avuto ancora qualche incubo bellico, ma sento già le guaine dei miei nervi rinsaldarsi: datemi 3 settimane quassù e tornerò ad averli avvolti in una armatura di ferro da sostenere per un altr’anno almeno le fatiche e i colpi più tremendi. C’è proprio in questo momento un ragazzo della pensione che scende in paese: gli affido questa che parte ancora oggi, e quindi chiudo. Mi saluti tanto i suoi e dica a Nuccia che le scriverò quanto prima. A lei tutte le vecchie care cose Romana 98 Sette Sale 19 6 VIII 43 ore 19.30. Cara Romana, oggi è arrivata la tua seconda cartolina e la lettera. Io non riesco, se non voglio dare solennità alla cosa, ad affrancare raccomandato-espresso: fammi sapere se ti pervengono lo stesso e con quale ritardo. La presente è la quarta lettera che io ti scrivo: o la quinta? insomma ti ho scritto tutte le mattine dopo la messa, tranne la prima mattina dopo la tua partenza: fa tu i conti, io mi ci perdo. E francamente, il caldo, i pensieri, la ridda tremenda di dicerie e, ahimé, di notizie (oggi, di Napoli schiacciata, di Santa Chiara – la bellissima delle chiese napoletane – distrutta)289, in più le paure che nessuno può disperdere e i nemici incutono sino al terrore, tutto mi arde e incenerisce. Nel pm. d’oggi ci han telefonato da Potenza che Hylda e sua sorella coi quattro pupi e i tre uomini che li accompagnavano sono arrivati. Un pensiero tolto. Stanotte o domani aspettiamo Michele e Dina, reduci da Cortona: spero bene e prego la loro missione290 debba restar vana, ma intanto sia fruttuosa di sapere un posto dove involarsi in caso di luttuose catastrofi. 289 Il monastero di Santa Chiara viene distrutta in una serie di bombardamenti tra il 4 e il 5 agosto del 1943. 290 Cercare riparo in vista di un eventuale sfollamento. 02 Carteggio 9-03-2010 228 11:18 Pagina 228 Carteggio 1938-1945 Mettici lo studio (a cui sono fedele: domani rimetterò la mancanza dell’altro ieri); mettici il da fare, mettici il lavoro per guadagnare... Sono svanito, cara Romana. Tanto per dirti debbo leggere questi mss. 1) Praz, Donne291 2) A. Castelli, Chaucer292 3) Lazzareschi, D. Lazzaretti293 4) M. Apollonio, Ibsen294 5) Blanc, tutto un incartamento per una grossa polemica con l’Oss. Rom.: oltre 600 pp. 6) Ciampini, N.Tommaseo (oltre 400 pp.)295 7) la b. Martinengo, Diario (oltre 250 pp.)296 8) Chesterton, un romanzo tradotto297 9) Guidi, Pat.298 Debbo correggere le bozze del Grignion (ultime), quello piccolo e quello grande 300 pp.299; le bozze dei miei Scritti su richiesta (290 pp.)300; le bozze, ancora una volta, del Mc Nabb301. Debbo finire lo Stevenson di Nuccia; per ? agosto debbo dare l’Apologia di Newman; per fin d’anno le Confessioni di S. Agostino302. Debbo, di urgenza, dare 6 art. (luglio) all’Oss. Rom. e 6 (agosto): dico 12! A questo aggiungi la corrispondenza e le telefonate e le visite, che tutti fuorché te possono rimproverarmi: sono la gran rete, dove spesso è frittura ma qualche volta è... tu capisci che cosa è. Una volta ci ho trovato, tu lo sai chi. E in questi giorni la gente disanimata, percossa, in cerca d’una parola, è tanta: soprattutto tra chi ieri gongolava. Ti dico che la testa poco resiste, questa valanga, a tenersi al “libellus in agello” e cioè alle due ore di studio sereno fuor del tempo. Ci sto, 291 Il saggio di Mario Praz, John Donne pubblicato per la prima volta nel 1925 e nel 1943 in corso di ristampa per la Morcelliana. 292 Alberto Castelli, Chaucer, (Morcelliana, 1943). 293 Eugenio Lazzareschi, David Lazzaretti (Morcelliana, 1945). 294 Cfr. lettera 67. 295 Le lettere di N. Tommaseo curate da R. Ciampini usciranno nel 1953 per la Morcelliana. 296 Non si hanno riscontri del Diario in questione. 297 Robert Browning romanzo di Chesterton (1903) tradotto nel 1943 da Morcelliana. 298 Patmore, il libro sul poeta inglese a cura di A. Guidi uscirà nel 1946. 299 Quello «piccolo e quello grande» si riferiscono a due versioni della vita del Grignon che De Luca pubblica nel 1943. Ma cfr. 1941. 300 Gli Scritti su richiesta, usciranno per Morcelliana nel 1944. 301 Cfr. lettera 90. 302 Sia le poesie di Stevenson che le prediche di Newman escono per Morcelliana alla fine della guerra nella nuova collana «I Fuochi». Su Le confessioni cfr. lettera 74. 02 Carteggio 1943 9-03-2010 11:18 Pagina 229 229 tuttavia, ma con un rimorso, uno sgomento, una impressione d’imminente caduta della valanga sempre più grossa. Poni oggi: son riuscito a portar Brennan303, sofferente da gennaio e ridotto un cencio lavato, da Bastianelli: e forse l’ho guarito. È uscito felicissimo, e il senatore ringraziava me. Ma mi è costato 6 ore di sole e di fuor di casa: tornato, anelavo. Mi brucia la camicia addosso; le palme dei piedi e delle mani scottano; trasudo e puzzo e soffio. Cara Romana, questi sono i miei difetti, più altri che conosci. Grazie che me li perdoni così ampiamente; sono la mia corona di spine, certe volte il mio guanciale di stanchezza. Mi ci adagio, perché mi duole la persona e l’anima; e spinoso o soffice che sia il difetto, mi ci adagio. Ho anche questo da fare, di non adagiarmici? Nessuno capisce che l’anima non mi lascia riposare; e dove finisce l’anima, comincia la psiche (psicosi, psicastenia, psicopatia...). Un’ora senza ba. giorno 6, ore 7.30. Iersera dovetti smettere. Alle 10.45 sono giunti Michele e Nuccia. Il ricovero offerto dal vescovo di Cortona, non solo dista dalla città assai, è smobiliato, è in un complesso edilizio ingrato, ma non è sufficiente. Così cade questa speranza, mentre non cade il terrore di atroci bombardamenti su Roma. Certe ore impazzisco dall’ansia. Che cosa dicevo, ieri sera? “Senza ba” che voleva dire? Senza barba? sarebbe verissimo. Mi cresce subito. Tutto me la fa crescere, e soprattutto mi cresce da sé senza mio merito. Che volevo dire? bah. Ma quanto iersera ero pateticone, tanto stamani sono dispettoso, amaro, con la lingua impastata. Direi qualsiasi ingiuria a tutti, vostra signorineria non esclusa, anzi inclusa inclusissima. Ogni sorta d’ingiuria, anche fisica, anzi soprattutto fisica. Per es. una bella lunga crocchiante bastonatura, “scientifica”, come dice Churchill. Però, cara Romana, che tempi ci siamo incontrati a vivere! se un primo ministro inglese vanta simili codardie e crimini sì grossi, dove siamo? tra chi? con chi?304 Basta anche questi discorsi, e facciamo fine. Il catechismo che mi hai detto, mi ha molto commosso e consolato. Tra astenie molli e astenie aspre, tra lavori diversi e noie di molte, tra ogni sorta di difetti, sta saldo l’amore di Cristo, e di tutta la mia vita la consacrazione assolu303 Monsignor Francesco Brennan. De Luca si riferisce alle dichiarazioni del primo ministro inglese Winston Churchill sulla “bastonatura esemplare” da infliggere all’Italia per aver trascinato l’Europa in guerra. 304 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 230 230 Carteggio 1938-1945 ta a Lui, sta saldo il proposito di amarlo servendolo, e l’Amen è la parola più frequente sulle mie labbra. Ripòsati e sta bene. Arrivederci, Romana. 99 Roma 8-8-1943. Carissima Romana, le tue cartoline e le tue buone notizie ci hanno fatto tanto piacere, e ringraziamo Dio che tutto sia andato bene. Ti auguriamo sinceramente che tutta la tua villegiatura sia così e che tu possa tornare a Roma sana e salva e nel periodo stabilito. Noi tutti bene. Ora abbiamo un pensiero di meno perché Hylda con i pupi sta giù a Sasso. Dina passa qui le giornate e va a casa la sera. Giovedì andai a Cortona con Michele, la villetta del vescovo (alcune camere di un monastero) sono molto fuori mano e ci vuole la macchina per andarci; il villino che ci avevano promesso pare non sia più libero e poi è a pochi metri dalla stazione di Terontola, che dicono alquanto importante. Quindi per ora siamo allo stesso punto di prima. Peppino ha ripreso a lavorare e fa due articoli al giorno; ma è sempre molto stanco e preoccupato. Tu ricordati sempre di noi e scrivici spesso che ci fai felici. Battistina305 mi ha scritto di ringraziarti delle fotografie: è stato molto soddisfatta. Tanti cari saluti da tutti a tutti i tuoi. Tu cerca di non lavorare e riposati veramente. Tanti saluti ai tuoi. A te un bacio Nuccia 305 Battista Rotundo, cfr. lettera 4. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 231 231 1943 100 Ortisei 9 agosto 1943 ore 19.15 Pensione Ronca. Carissimo, ricevo ora il pomposo espresso del 6: stamani mi consegnarono le due del 4 e del 5 (brevissime). Ossia, con affrancatura semplice impiegano da 4 a 5 giorni; con l’espresso da 2 a 3. D’altra parte comprendo che raccomandarle diventa un pensiero grosso in più, per cui mi contenterò dell’affrancatura semplice e pazienterò. Salvo, beninteso, il caso deprecato di una nuova visita nemica. D’altra parte è bene che mi scriva il più delle volte brevissimo (salvo un’eccezione settimanale) per non togliere energia e tempo all’orribile immane opprimentissima mole di lavoro. Voglio essere anche io tra i sacrificati. A patto naturalmente che lei si senta di sacrificarmi. Io per contro scriverò più di rado ma più distesamente. Per prima cosa, bisognerà ch’io mi difenda d’un’ingiustissima accusa, quale sarebbe l’idea ch’io la rimproveri delle molte visite e gliene faccia una colpa reale. Via, non prenda per rimprovero certe mie insinuazioni sul “vizio del chiacchierare” della mia precedente. So bene io quale immenso beneficio sia casa De Luca sempre aperta a tutti, a disposizione di tutti. Soltanto, timidamente, vorrei dire che s’erano fatti dei conti, s’era visto che il sacrificio dello studio era grave, che inizialmente, per stabilire un certo equilibrio nell’amministrazione era necessario sacrificare appunto alcune delle meno urgenti di tali visite, almeno sin tanto che lo studio cominciasse a fruttare anche lui quel poco che può. Del resto, ne parli con Sandri: la catastrofica Banca non sarebbe affatto contraria a veder Storno spogliato per colmare i vuoti che facilmente nascono nella casa del Drago in un momento di crisi, di “passaggio delle consegne”, come questo306. ore 19. Sono stata chiamata da Fina; la cameriera che mi feci amica due anni fa, e che l’anno passato ospitò Gabriella e il pupo. Abita a un tiro di fucile da qui e la vado spesso a trovare. Ora ha una bella bimbetta anche lei. M’invitava a una passeggiata, che purtroppo ho dovuto ricusare, perché ahimè ho le e...oidi. Che fastidio! Babbo dice che è la mano di Dio, così son forzata a star tranquilla. E amen dunque. 306 Il passaggio delle consegne è quello del regime. Cfr. lettera 94. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 232 Pagina 232 Carteggio 1938-1945 È arrivato ora il trenino. Pare impossibile che è già una settimana intera da che arrivammo, con quel medesimo trenino da paese delle fiabe. Tutto pare preso d’incantesimo qui: fuori del mondo, fuori delle ansie fantastiche e dalle reali atrocità, fuori insomma dal tempo, dalla “storia”. Finché la dura. – La mia sola vera sofferenza è il pensiero, la consapevolezza della vostra sofferenza. Pel resto, non voglio pensarvi, perché voglio riposare per affrontare sana e forte le difficoltà dell’inverno che viene. Che delusione Cortona. Tuttavia non rinunziate del tutto all’idea. Pensate che la mia amica Pucci Gaija (che lei ha conosciuto) vive con altri 4 famigliari tra cui un bambino di 5 anni in una camera e cucina nella casa di una famiglia cantoniera delle AASS.- Lei dorme appunto nella cucina, insieme al fratellino e alla domestica. Può figurarsi che vita, eppure preferiscono questo alla sequela dei bombardamenti in pieno centro della città.- Il notaio Minnucci scrive che è stato costretto ad affittare la casa di Monsanvito per evitarne il sequestro per gli sfollati; di modo che ora non abbiamo più neppure noi quel rifugio estremo. Pazienza. Ma voi, non vi fate sfuggire del tutto Cortona. Tenetelo impegnato, almeno un poco, per il caso di bisogno estremo. Leggevo iersera il suo articolo su Mercati (tanto per tornare e chiudere col tema più caro, che mi sta fitto in mente e nel cuore, ma soprattutto, ora, nella preghiera)307. Che commozione. Già l’articolo è uno dei belli, di quelli da leggere e rileggere. Ma nessuno poteva scoprirvi quel che vi scoprivo io e sognarci su come ci ho sognato io. Sopratutto, pregare come ci ho pregato io.- No, nel nuovo Mercati non verrà certo fuori; verrà, se Dio ci assiste, qualcosa, qualcuno di tutt’altro, diversissimo; ma certo non meno caro; nemmeno prezioso, e forse, chissà, assai più vivo, più fecondo. Ma basta: lodare non è il mio forte, ho pudore nel farne non meno che nel riceverne. Io, ahimè, so solo pungolare e far tempesta... Grazie a Dio ho trovato chi mi patisce paziente, mi compatisce e alla fine mi smonta(?). Ed è questa la mia maggiore felicità. Amen amen amen. sua Romana 307 Le opere minori del card. Giovanni Mercati, in «L’osservatore romano», 6 agosto 1943, a proposto della raccolta degli scritti minori del cardinal Mercati pubblicati nella collana «Studi e Testi» della Biblioteca Vaticana tra il 1937 e il 1941. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 233 233 1943 101 Roma 11 ag. 43, ore 7.30 Cara Romana, iermattina non feci in tempo a porgerti il mio saluto, perché subito dopo la s. messa dovetti discorrere con la Buona M. Provinciale: si trovano nella necessità di trasferire il ricovero di Napoli a Roma, perché lì a Napoli è semidistrutto, nè vi si può in nessuna maniera resistere. D’altra parte non vorrei che la quotidianità desse così nell’occhio. Ti supplico a diradare le tue che mi fan succedere scene di domestiche gelosie: dici bene, semmai allegale, ma spaziale maggiormente. “Mi sono avvezzata alla telefonata, mi avvezzerò anche alla lettera quotidiana” mi diceva ieri l’altro a sera, con un muso lunghissimo, Nuccia che è bravissima donna ma donna308. Allunga, dunque, e spazia le tue. Le quali, è inutile dire quanto mi confortano. Riprendo a vista d’occhio, come anima e animo. Lavoro al lavoro sacro che sai e al lavoro profano che è quel dei danari che ci vogliono. Mi restano a scrivere soltanto 5 art. all’Osserv. Ieri sera, telefonando a Montini per preparare presso di Lui una udienza alle mie suore, egli mi felicitò: si vede che sono stato già creato “prelato domestico”309. Ahimè, la giovinezza se n’è andata dunque. Mi piace, questa conferita onorificenza, soltanto perché implica che, contro me, nulla nessuno ha mai avuto da dire. Laus Deo. Io, per esempio, avrei da dire qualcosa contro di me...Non ti mostrare a conoscenza della nomina, sintanto che non te ne do avviso ufficialmente. Ho piacere ti sia piaciuto il mio “Mercati”; ma non potrò più, io, ambire sui miei 77 anni a un articolo così. Anche perché mi vengo preparando ogni giorno di più a una morte vicina e violenta, mentre pure la carne, il cuore, la mente tumultuano di vita e speranza di vita e trionfali certezze. Lavoro, questo sì. Ti saluto. Continuerò a scriverti a casa, apertamente, ed espresso raccomandata. Ho piacere che riposi ma non che abbi scoperto quella indisposizione che mi dici. Tuo dG. 308 Sulla gelosia come caratteristica di di Nuccia cfr. quanto lei stessa dice di sé in lettera 63. «Nell’agosto 1943 don Giuseppe De Luca venne creato prelato domestico di Sua Santità. Fu contento di questo titolo d’onore, in quanto esso significava che, in fatto di ortodossia, di costumi e di disciplina, nessuno poteva avere nulla a ridire contro di lui», G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 104. Cfr. lettera 11 agosto 1943. 309 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 234 234 Carteggio 1938-1945 102 Roma, 12 (Santa Chiara), [VIII 43] ore 7.30310 Cara Romana, ieri scrissi un saluto al tuo babbo, rammemorandogli (se lo conosceva) un proverbio spagnolo contro la mula che fa hin e la figlia che parla latin, dalle quali tutte e due, libera nos Domine. Immagino che tu non te la abbia a prendere, se tutti i passi più ingiuriosi che io troverò contro le donne letterate, tutti li raccoglierò e dirigerò contro di te. Le mie notizie sono le solite. Iermattina tra un allarme e l’altro (tre in due ore, son parecchi; ma furono solo rumore, qui a Roma, salvo tonfi che ci spiegherà il bollettino, piuttosto prossimi e molto sospetti) Cenci311 mi telefonò che il Card. Maglione312 aveva comunicato al Card. Fumasoni313 che il Sommo Pontefice Pio PP. XII felic. regnante mi aveva nominato ecc.ecc.ecc. Sai quanto mi ci vuole tra tasse e vestiti del grado? oltre 10.000 lire. Ma la tassa, spero me la condonino; i vestiti, non me li faccio di certo. Mi vestirà d’un bel rosso naturale la morte vicina e violenta che ieri ti dissi e che sempre penso questi giorni; sarò striato di righe rosse sanguigne, più belle di quelle degli svizzeri vaticani. Insomma, quando vogliono onorare, opprimono. Gli onori sono fratelli delle ricchezze, e queste dei piaceri e questi della crudeltà: nobile prosapia del peccato. Sono sublime, stamani; ma è che sono urtato, in giorni così procellosi trovarmi col ciondolo, e dover ringraziare autorità, affrontare rallegramenti di amici ecc.ecc. Il mio lavoro procede secondo il nobile proposito. Di nuovo che valga la pena, nulla. Iermattina non potei più scriverti, così come mi riprometto fare per espresso raccomandata; tu capisci la mia giornata. 310 La lettera è riportata anche da G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 104. Felice Cenci (1901-1980), professore e Rettore del Collegio Propaganda Fide, amico di De Luca. 312 Luigi Maglione (1887-1944), diplomatico della Santa Sede poi Cardinale di Curia fino a diventare, nel 1939, Segretario di Stato. 313 Pietro Fumasoni Biondi (1872-1960), cardinale dal 1933, prefetto della Congregazione di Propaganda Fide. Nell’autunno del 1911, all’arrivo a Roma De Luca trovò ad accoglierlo il cardinal Fumasoni «fratello devoto, a quanti lo conoscemmo è stato un amico raro», A Don Domenico Dottarelli, in Mater Dei, cit., p. 88. 311 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 235 235 1943 Amen è anche la mia parola più frequentemente pronunziata, e grazie del tono delle tue. Il tono delle mie è quello che è, lamentoso. Ma sapessi e vedessi che ambascia è vivere in questo inferno di caldo cattivo e di notizie peggiori. Trovi sempre qualcuno che ha da dirti una cosa brutta. Che paese balordo, Roma! Addio e di rado ma scrivimi come sai che mi fa bene. DG. 103 Roma 13 ag. 43, ore 7.45 Cara Romana, eccoti il mio bollettino, più in ristretto stamani, perché dopo la messa ho dovuto celebrare il funeraletto d’una ricoverata. Ieri, due morti, uno dei quali improvviso, e due moribondi. È ripresa la tortura degli allarmi: alle 13 e poi la sera alle 22 avemmo due allarmi di una ora ciascuno. Speriamo che tutto presto passi, ma non sembra. Non passa nemmeno la vociferazione frenetica. Iersera mi telefonò Craveri, genero di Croce, se era vero o no che io assumevo Primato, in seguito a un accordo tra me e Bottai, che avrebbe passato tutto l’altro ieri con me314. Smentii risolutamente: intanto, egli aveva l’aria, sentendo, che io mentissi. Poco innanzi, Baldi315 mi aveva detto: “Sul tuo conto se ne sentono di belle: sei il prete dei rossi”316. Ora tu 314 Raimondo Craveri, marito di Elena Croce, figlia di Benedetto. Nel febbraio del 1943 G. Bottai era stato rimosso dall’incarico di ministro dell’Educazione nazionale. In seguito alla rimozione si era chiuso nella sua casa romana con la famiglia intrattenendo uno scambio di lettere con De Luca. Le lettere del sacerdote sono state distrutte da Bottai, per motivi di sicurezza dopo che il 27 agosto del 1943 quando l’ex ministro viene arrestato. L’ultima lettera di Bottai a De Luca risale all’8 agosto 1943. Da 21 settembre entra in clandestinità per paura di essere rastrellato dalle truppe tedesche. Notevole che Bottai, fra i principali responsabili dell’applicazione ferrea delle leggi razziali nelle scuole trovi rifugio nell’inverno del 1943 in un convento nel ghetto di Roma. Il carteggio con De Luca riprenderà nel 1946. Cfr. R. Moro, Introduzione, in G. Bottai-G. De Luca, Carteggio, cit., pp. 120-125. 315 Sergio Baldi (1909-) anglista. È stato ordinario di lingua e letteratura inglese all’Università di Firenze. Tra le sue opere una biografia di Hopkins uscita per Morcelliana nel 1941 voluta da De Luca, cfr. G. De Luca-F. Minelli, Carteggio, III, cit., ad indicem. 316 Probabilmente la battuta si riferisce alle amicizie di De Luca non sempre del tutto gradite al regime. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 236 Pagina 236 Carteggio 1938-1945 sai se anche codesto ha l’ombra, appena l’ombra del vero. Quel che mi sconturba, è questo furore di menzogna. Dove andremo? Il primo idiota mette in circolazione una voce. Sin qui, poco male. Ma gente che idiota non è crea di sana pianta menzogne inammissibili, ma comode. E senza una esitazione le spaccia, diffonde e porta all’isterismo urlante. Poveri noi. Siamo caduti (e veniamo cadendo, se Dio non ci soccorre) in un inferno di pazzi criminali. Da decenni ciò accade, e non pare che voglia finire317. Avrai veduto nell’O. R. come ogni giorno sfornino del mio318. Ma sono stanco, cara Romana. L’intestino poco mi aiuta; l’ansia mi logora. Lavoro, nel caldo e nell’affanno. Vorrei potermi riposare anch’io un poco. Ma resto dell’opinione di Cenci e non di quella di Giovanelli319: salvo stanchezza reale, un prete quest’anno non si deve far vedere né stare in luoghi di agio e ozio. Francia stasera viene a Cortina d’Ampezzo320. Nel pm. d’oggi torna da me Sandri, che ha risolutamente abbandonato la biblioteca, e vede rosso nei giorni a venire. Novità che contino, nessuna. La casa di Napoli delle Piccole Suore, si trasferisce a Roma: dove’era il Coll. americano, a via dell’Umiltà. Se potete, raddoppiate il tempo della vostra permanenza lassù dove ora siete: vi riposate e non sentite le lingue di fuoco del solleone e della psicosi. Addio, e non ti scordare di ricordarmi a Cristo con fortissimo impegno. Così sia. Tuo aff. dG. 317 È difficile trovare una uniformità di giudizio di De Luca su argomenti esterni allo studio e alla fede. Sicuramente la politica è uno di quei temi in cui le oscillazioni sono più frequenti e dettate dall’amarezza del momento. Il giudizio sul fascismo, al quale senza dubbio si riferisce in queste righe, viene comunque deteriorandosi a partire dal 1942-1943 ovvero dal prevalere in esso di quella corrente irrazionale e “romantica” sulla quale cfr. R. Moro, Introduzione, cit. 318 La collaborazione con l’Osservatore romano prosegue costante senza interruzioni negli anni di guerra. Cfr. M. Picchi-D. Rotundo, Bibliografia, cit., ad indicem. 319 Su Cenci cfr. lettera 102; Amerigo Giovanelli (-1987) Sostituto della Congregazione Orientale, già compagno di stanza di De Luca al seminario romano; grande amante della montagna e di Cortina d’Ampezzo in particolare, cfr. R. Guarnieri, Quasi una spy story, in «Bailamme» n. 28. 320 Ennio Francia sacerdote romano ordinato nel 1928. Si è occupato di apostolato nel mondo degli artisti, ed ha tradotto alcune opere per Morcelliana. Cfr. E. Francia, Seminaristi e preti di Roma, Roma 1994. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 237 237 1943 104 14 ag. 43 Cara Romana, tanto tuonò che piovve. Dopo allarmi ripetuti, ieri rimbombarono Roma. Tutti salvi, con tutte le cose nostre. Dina da stasera dorme anche con noi: la contrada fuori porta San Giovanni è letteralmente devastata. Gli eroi che combattono contro i camposanti e le case dei poveri ne hanno fatta un’altra delle loro, e altre ne faranno. Io ho la fiducia incrollabile che ti dissi. Prega per me e per i miei, e scusami se non mi dilungo. Avrai veduto che con le firme più vili (d. l.; ***) l’Oss. Rom. pubblica articoli miei, come i cari nostri liberatori gettano bombe: a casaccio321. Non venite, perché non potrebbe essere l’aria più afosa d’ogni sorta di pericoli. Tuo aff. don Giuseppe. 105 Ortisei 18 VIII 43 Pens. Ronca ore 10. Carissimo don Giuseppe, due giorni senza sue nuove mi sembrano un secolo. Dopo la sua breve breve del 14 che giunse l’altro ieri a rassicurarmi sulla vostra sorte, più nulla. Il giorno prima m’aveva guarita dai miei dubbi e timori sul suo lavoro la sua della mattina dell’11. Ma possibile che tra l’una e l’altra non mi abbia più scritto? Sarà andata persa. Pazienza. A Nuccia dissi che le avrei risposto immediatamente, il pomeriggio di ier l’altro. Invece capitò che – babbo assente, in gita al Sella – la mamma si sentisse poco bene, sì che io dovetti correre dal medico e poi starle vicino. Nulla di grave, una cosa abbastanza noiosa perché bisognerebbe farla vedere dal mio specialista, ossia scendere a Bolzano. E proprio ieri son passati sopra la nostra testa in formazione compatta una quarantina di bombardieri nemici che – si dice – a 321 Non è chiaro chi siano. 02 Carteggio 9-03-2010 238 11:18 Pagina 238 Carteggio 1938-1945 Bolzano avrebbero buttato i soliti volantini con minaccia di peggio. La mamma ha le trombe d’Eustachio otturate da muco: in conseguenza è sorda e soffre di capogiri. Questo già è spiacevole di per sé, ma peggiore è la minaccia di otite. Mah, vedremo. Speriamo bene. Non so dirle quanto mi abbia consolata la sua dell’11. Non mi diceva mai nulla del suo studio, sì che alla fine feci tutti quei brutti pensieri che le scrissi. Forse lei ancora non ha ben compreso quale importanza abbia nel mio cuore il “compito ingrato” (! sono parole sue, non mie) che mi sono assunta. Grazie a Dio eran tutti brutti sospetti infondati. Qui incominciamo un poco a preoccuparci che non ci taglino la ritirata. I bombardamenti su Bolzano, Verona, Bologna si fanno sempre più probabili e vicini. Con tutto ciò non pensiamo ancora di partire da un giorno all’altro. Ci si mette anche il tempo, straordinariamente bello quassù, ad invitarci e consigliarci a prolungare dell’altro la nostra villeggiatura alpestre. Tanto più che da Monsano ci scrivono che è strapieno di avieri, tanto che vorrebbero requisirci la villa, a Monsavito su cui tanto conto facevamo, è affittato. – Accetteranno e rispetteranno Roma “città aperta”?322 In tal caso la cosa migliore sarebbe forse anche per noi tornarcene buoni buoni a casa. Con enorme piacere mio, questo va da sé. Già troppo mi pesa la lontananza, di questi tempi. Di me ho poco da dire. Sono sempre nelle stesse condizioni, e quindi impedita di fare qualsiasi delle sognate vagheggiate agognate progettate predisposte e pregustate escursioni in roccia. C’è però che sabato e domenica mi pare d’aver finalmente fatto amicizia con la Madonnina: ho capito una cosa grossa. Non so se saprò esprimermi senza parere eretica. È nostro modello in quanto mamma di Gesù, perché anche in ciascuno di noi in certo modo Egli deve incarnarsi e continuare a vivere misticamente. Non può essere questo il significato del “Corpo mistico”? Basta, perché se no mi commuovo. Sta arrancando sù per la valle il trenino. Chissà non mi rechi un suo espresso per l’ora di pranzo? Qui la distribuzione regolare è unica, verso le 9 del mattino. Dal giorno dell’incursione n° 2 non ci è più riuscito vedere un giornale di Roma, così siamo totalmente all’oscuro sulle conseguenze e le condizioni di vita in città. Sono gravi? Ahimé, eran già gravosissime prima, figuriamoci ora. Coraggio. Spero che la mia assenza non abbia a durare più tanto. Nell’attesa non man322 Roma fu dichiarata unilateralmente città aperta il 14 marzo del 1943, tuttavia fu bombardata dagli alleati altre 51 volte fino alla sua liberazione il 4 giugno del 1944. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 239 239 1943 chi di darmi il più spesso che può quelle notizie che mi sono non meno benefiche dell’aria fresca che qui respiro con tanto gusto. (Ma è bastato il passaggio dei bombardieri ieri, perché stanotte dormissi poco e male, con incubi d’ogni specie. Ah i nervi delle donne!) Ho pregato, prego, continuerò a pregare per i suoi tutti, ma in modo particolarmente intenso per lei e – si sa – per il suo studio. – Saluti cari a tutti – compresi Sandri e, se lo vede, il dottor Perrotti. A lei le vecchie care cose in numero sterminato, dalla sua Romana 106 Ortisei 21 VIII 43, ore 16.10 Pensione Ronca Carissimo don Giuseppe, dopo tre giorni interi senza ricevere nuove da nessuna parte, tre giorni – un’eternità – tutta ricolma di sbuffi e sospiri – tra ieri e oggi mi son giunte le sue. Una, del 12 ancora (pensi: 8 giorni per la sua avarizia vergognosa!), tutta livida, tanto che non l’ho nemmeno voluta rileggere. Non son cose da dirsi per scherzo; e chi le pensa sul serio ha il pudore di tacerle: il giorno dopo la sua macabra farsa poteva essere realtà. – Non so ancora troppo rallegrarmi per l’onorificenza ottenuta. Forse avrei preferito che avesse fermato in tempo la pratica. Non per troppa sublimità, ma la preferivo semplice cappellano dei poveri. Ma chi riuscirà mai a vederci chiaro fino in fondo in lei? E l’ambizione (sia pure intellettuale) e la vanità tanto da lei negata e respinta, fino a che punto la giocano? Mah, inutile recriminare. Pensi ora a dare lustro e decoro a quelli stracci rossi323. Tra questa del 12 giuntami ieri e quella del 16 di stamane un’altra ce n’è in viaggio da Propaganda, che se, almeno non s’è smarrita, spero mi giungerà domani; così avrà impiegato una settimana soltanto: pensare che bastava un francobollo espresso a dimezzar il viaggio nel tempo. La terza avuta oggi a pranzo, raccomandata-espresso, è difatti del 18 e poverina è tutta un lamento contro le mie feroci, ingiuste, inutili vessazioni. Ne ho già fatto ammenda e torno ancora una volta a 323 Cfr. lettera 101. 02 Carteggio 9-03-2010 240 11:18 Pagina 240 Carteggio 1938-1945 deplorare le mie calunniose insinuazioni. È il troppo affetto al povero calunniato che spesso mi fa fremere d’impazienza e intolleranza. Ma gioca fors’anche, chissà, un po’ di delusione nel non leggere mai una parola di conforto, di gioia per l’inizio, di speranza, di confidenza, di... che so io? Certo, me ne ero ripromessa grandi virtù direi quasi terapeutiche. Su cui del resto conto ancora. Perdoni dunque l’ingiurioso e calunnioso mio affanno, e evviva per le 20 opere lette e gli appunti infiniti, il ricco materiale raccolto: il carro cigola, traballa, ma il povero cavallone da tiro (gran brava bestia), dagli assurdi finimenti nuovi d’un rosso bruttissimo, ha puntato i piedi e sotto il solleone avanza tirando calci ogni tanto e scrollate a una fastidiosa ragazzinetta che gli sta dietro a pungolarlo e aizzarlo, spesso a insulti, quasi mai con quelle dolci carezzine e blandizie che vorrebbe lui. E intanto lei frusta, brontola stizzita, ma in sostanza non muove un dito per aiutarlo e dare una strappata alle rigide ruote che da tanto non girano più. È proprio così, e tra l’altro si vede che già ho dimenticato il carico grave di sofferenza che porta in questi giorni ognuno che è rimasto al suo posto a Roma. Se qui tutti i giorni la colonnetta di mercurio sorpassa i 30-31 gradi, che cosa non sarà nel basso? E qui non sono allarmi, non voci; nessuno è nervoso, preoccupato, atterrito. Qui si mangia, qui si beve, qui si passeggia, si ozia, si riposa, si dorme, si respira. Ma anche per me la gran pacchia ahimè è già finita. Tre giorni ancora: mercoledì si parte. Giovedì sera saremo in campagna, al caldo, al secco, tra le zanzare. Ma anche vivaddio più vicini alla Capitale, a casa, agli amici, a ... Sono guarita finalmente dal mio inglorioso inconveniente. Troppo tardi tuttavia per approfittarne: non ho più possibilità di allenarmi a qualche gita in gamba. In compenso ho riposato assai. Un poco anche lavorato e studiato, ma non molto. Forse farò di più in campagna. Da cui, appena arrivata le farò avere un altro mio scritto. Questo penso che sarà l’ultimo da quassù. E lei pensi a non farmi troppo sospirare le sue bustine azzurre: con la modica spesa di L. 1,25 in più contribuirà a farmi ingrassare assai più rapidamente.- Amen, caro don Giuseppe, non creda mai alle mie arrabbiature: non sono che l’altra faccia del grande affetto che le porta la Sua Romana 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 241 241 1943 107 Roma, 22 agosto 1943, ore 7.30 Come stai, cara Romana? questa mattina finalmente ho ripreso a dir messa, sentendomi un poco meglio. Il caldo non fa che rinforzare: iersera propriamente si stentava a respirare, soltanto si sudava si sudava si sudava. Non fate sciocchezze a muovervi di lassù: restateci sin tanto che potete, se non volete stentare la restante estate. Ti ho detto in una mia precedente dello scherzo di Vittoria324; dovrei spellarla come una ranocchia, e arrostirla a fuoco lento, e neppur la pulirei d’ogni umor cattivo. Non appena le circostanze ritornino più normali, me ne disfaccio alla fine: non se ne può più. Conchiusa la gran fatica degli articoli, ho intrapreso quella della lettura dei manoscritti. Una bella noia, ancor questa. Ma tocca mettercisi, tocca uscirne(?), una buona volta. Sere fa passò Bargellini per Roma: pareva un gallo senza cresta, senza voce e senza quello per cui un gallo è un gallo e non è una gallina. Ce n’è voluto, perché uomini come lui sentissero il valore della modestia. Altri, non ho veduto nessuno. Carlo, sempre tribolato, ha voluto il tuo indirizzo. Grazie che scrivi così abbondante a Nuccia: pensa, stanotte, per dar luogo a Luigi che dormiva a casa come sabato scorso, Nuccia (di nascosto da tutti, non però da me) ha dormito per terra, alla Sandri. Ha fatto bene, ma io temo il sottile orgoglio di questi eroismi, tanto più orgoglio quanto più imbattibile; e vorrei aver sempre a che fare con gente meno mortificata ma un po’ più morta a sé. Chi sempre si mortifica, sempre si ricorda, sempre sé mette per mezzo, sempre sé e soltanto sé coltiva, pota, ecc. ecc. Avvertimi in tempo sul quando lasciate Ortisei. Tuo aff. dG. LO STUDIO PER TUA NORMA ORA È IN FORMA. 324 Cfr. lettera 65. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 242 242 Carteggio 1938-1945 108 Roma, 25- 8-1943 Carissima Romana, è tanto che dovevo risponderti, ma non ho avuto molto tempo. Questa mia la troverai quando sei giunta in campagna. Qui tutti bene e tutto procede come sempre. Anche gli allarmi sono meno frequenti e speriamo che presto non ve ne siano più. Il caldo è sempre forte e la notte si dorme malissimo. Ora io dormo nello studio di Peppino e forse sarà perché non è camera mia, certo che vi dormo molto male. Qualche notte che non riesco a dormire o perché fa caldo o per l’allarme, allora penso a te che hai tanto fresco e tranquillità. Ora che siamo in tanti non faccio quasi più niente, eppure la sera sono sempre molto stanca e non vedo l’ora di chiudere gli occhi e non sentire più né bambini né grandi. Nelle sere in cui vi si aggiunge la malinconia, viene da desiderare di dormire sempre. La settimana scorsa abbiamo avuto Vittoria a letto per tre giorni con febbre alta e diarrea. Tu pensa il pensiero di Peppino. Non entravo che io in camera. Il terzo o quarto giorno il termometro segnava 42 e Vittoria era fresca e aveva buona cera. In breve abbiamo capito che la febbre alta dei giorni scorsi era voluta da Vittoria con una scossa del termometro all’ingiù. Pensa quando io mi fermavo in camera per tutto il tempo, la febbre era 36 e mezzo quando invece la lasciavo per tornare quando era ora di levarglielo, era 40 e più. Insomma a Peppino è costato una quantità di preoccupazioni, Roma mobilitata per trovare medicine, e 300 lire al dottor Liverani. Scusa se ti ho raccontato queste stupidaggini, ma tu conosci casa De Luca e capirai l’importanza della cosa. Mentre scrivo sto cullando Giovanna e mi pare che stia svegliandosi325. Ti scriverò presto. Cerca di fare una scappata a Roma. Saluti ai tuoi. A te un abbraccio tua Nuccia 325 Giovanna Rotundo, seconda figlia di Dina De Luca e Michele Rotundo. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 243 243 1943 109 Monsano 29 VIII 43 don Giuseppe carissimo, eccomi già qui, con vivissimo rammarico d’aver lasciato quel paradiso tra i monti; rammarico temperato soltanto dal conforto di essere alcune centinaia di chilometri meno lontana da via delle Sette Sale. Mi sono volati quei 25 giorni in un ozio delizioso. Mi sono lamentata di quel disturbo, eppure forse è stato una provvidenza; chissà quante gite avrei fatto altrimenti a tutto scapito del riposo. Così invece sono ingrassata di due chili: altri due spero riacquistarne qui, così da tornare a Roma abbastanza in forze da affrontare tutto quello che Dio ci vorrà mandare per l’inverno. Contiamo stare qui due settimane; meno non si può, senza addolorare e offendere i vecchi. Si sta bene del resto. Da mangiare c’è e ieri ha pure rinfrescato con un temporalone coi fiocchi: tuoni, fulmini, un vento da sradicar le piante, ma acqua violenta e poca. La siccità è tremenda, paurosa. Tutte le piante più piccole morte o agonizzanti; le grandi sofferenti tutte. Non le dico la campagna. Le fratte si raggrinzano e seccano senza maturare; l’uva non si gonfia; il granturco andato a male; il grano, che pareva bello; gran paglia; i fagioli non sono venuti affatto; il foraggio è talmente scarso che si prevede di dover ammazzare gran numero di bestie. Molti pozzi sono secchi e i contadini devono andare con le botti a quel che resta del fiume per provvedere alle necessità più urgenti. Non è un quadro allegro, e peggio è che si ripete in molte regioni. Se quest’inverno il Signore non ha pietà e non ci manda neve abbondante sui monti, la faccenda può farsi disastrosa. Ma forse è necessario tutto questo perché la gente finalmente si persuada della Sua ira. Pochi son quelli che considerano a tutt’oggi la guerra come un castigo e un monito di Lui; meno ancora quelli che sentano che vi abbiano colpa tutti, tutti. Qui ne risentiamo subito assai più che a Ortisei: per via dell’areoporto. Vi siamo ben più vicini noi (2 km) che non Vera a quello di suo marito (10 km!); e il pericolo d’incursioni è anche molto cresciuto. Ieri, primo giorno qui, abbiamo già avuto due volte l’allarme. La seconda, un ricognitore svolazzava qua sopra la villa, mandando tutti i contadini e la serenità di corsa per i campi, come galline spaventate. Noi abbiamo continuato tranquillamente a pranzare. Con tutto ciò si sta un po’ sui carboni ardenti, pen- 02 Carteggio 9-03-2010 244 11:18 Pagina 244 Carteggio 1938-1945 sando a uno sbarco eventuale verso Foggia. In tal caso qui siamo nelle quasi immediate retrovie, e c’è pericolo di restare bloccati dallo stato di emergenza. Speriamo bene. Io non vedo l’ora di tornare a Roma; e non certo per paura di stare qui. Lascio a lei immaginare il motivo vero di tanta fretta. A Roma verrà forse anche Gabriella col pupo. [...] Gabriella dopo il 20 di questo mese non potrà più muoversi senza correre pericolo di sgravarsi in treno, e intanto non sa se tornare a Roma ed entrare finalmente nella sua casetta o se restare lì in campagna. È pieno pieno di truppe tedesche tra lì e l’Appennino, sì che pare certo ormai che la prima vera linea di resistenza la faranno da quelle parti. Non è prospettiva allegra trovarsi in mezzo alla zuppa con un neonato e un piccino d’un anno e mezzo, e il marito Dio sa dove. A Leonardo difatti il 1° settembre scade la convalescenza e lui s’aspetta un richiamo immediato. Sono abbastanza avviliti, poveri sposini. Ancora non hanno avuto un mese di pace, da poter stare un po’ per conto loro, in una casina propria, senza parenti d’intorno, e senza minacce di richiami, ecc. Son contenta io, che marito e pupi non ne ho. Quando riceverò sue notizie, qui? Le ultime avute a Ortisei m’hanno molto confortata. Dopo la notizia dei febbroni di Vittoria e dei suoi guai intestinali sono stata molti giorni senza posta: ogni giorno più impensierita. Trovai la sua di ritorno dalla gita, bellissima nonostante la pioggia a catinelle. Come lei ben sa l’acqua non è mai tanta e tale da farmi desistere da qualche proposito: il guaio è che non ammetto neppure che ne desistano gli altri! Più d’ogni altra cosa m’ha consolata quel che mi dice di sé e del lavoro. Mi fa promesse e garanzia maravigliosa che lo studio si sia iniziato proprio in momenti così foschi: le fondamenta son certo ben salde e se reggono oggi, reggeranno sempre. Qui, lavorerò anch’io; su, poco ho concluso, né d’altronde stavo lì per altro che per riposare: sarebbe stato uno sciupare il tempo e i quattrini, darli ad altro che a un riposo integrale, intensissimo[...] Meglio non parlarne: si vedrà dai fatti, se il Signore darà ascolto alle mie preghiere. Preghiere vecchie e nuove, sì anche molto nuove; ma non gliene voglio parlare per ora. – Mi saluti don Sandri. Pensai di scrivergli direttamente un saluto; mi vinse invece la pigrizia, e non so quale scontrosità. Conosce un certo Filippo M. Parenti del Collegio “Le Querce” di Firenze? Mi ha scritto invitandomi a pubblicare tradotto tutto il Gesù di Verschaere, ché “Crocifisso” gli è troppo piaciuto per non desidera- 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 245 245 1943 re il resto326. In fondo, anch’io desidererei pubblicarlo. – Ne riparleremo. Quando? Preghiamo Dio che sia presto. Sua Romana Mi saluti tanto tanto i suoi tutti, specialmente Nuccina. P.S. ore 22. Babbo dovrebbe domani portare con sé questa a Roma per consegnargliela eventualmente a mano. Tutto sta a vedere se si passa da Terni. Noi stiamo discretamente in pensiero. Anche l’annunziato discorso del Papa ci fa sperare poco di buono327. Mio Dio, non vedo, non desidero che una cosa: tornare a Roma, qualsiasi cosa possa accadere. – Se questa le giungesse spedita da Jesi significherebbe che babbo non è potuto partire e allora forse tra non molti giorni torniamo a Roma tutti uniti. Quanto lo preferirei. Non mi piace affatto questa separazione, seppure brevissima. È possibile ormai che scoppi qualcosa di grosso da un giorno all’altro. Che Dio ci protegga tutti e ci conceda di riabbracciarci al più presto, tutti incolumi e uniti e vicini di fatto come lo siamo di anima e di cuore. Amen. Uniamoci nella volontà del Signore. R 110 Roma 30 VIII 43 Cara Romana dal 23 mattina dopo la messa a stamani stessa ora è durata la interruzione epistolare, e non ti ho scritto mai, né una sillaba. Il tempo presunto ed esatto del tuo viaggio. Ripiglio stamani: ma ricòrdati, tu che hai il vezzo del lamento, che, salvo tre o quattro giorni, sempre ogni giorno un saluto è partito: così che se non arrivava l’uno, arrivava l’altro; e spesso erano espressi-raccomandate. Di te non si sa più nulla. Dove sei? che cosa fai? che cosa ti proponi? Non mi domandar notizie di Roma. Se le vuoi di casa, son buone. Se 326 Cfr. lettera 70. Dopo il violento bombardamento che il 19 luglio 1943 rade al suolo il quartiere romano di San Lorenzo, il papa, Pio XII, è l’unica autorità di fatto presente nella capitale. A lui si guarda aspettando un intervento che metta fine alla guerra e alle atrocità dei rastrellamenti già in atto. 327 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 246 246 Carteggio 1938-1945 altre notizie vuoi, non ci si capisce nulla. Dura la psicosi di farsi altoparlante, chiunque parla, di grandi novità, naturalmente amarissime, orripilanti. Soprattutto in quelle e da quelle famiglie dove si lavora, non proprio per vivere, ma per arricchire (seppure si lavora). Chi ha da stentare, poco agio ha alle chiacchiere. Il mio lavoro, il lavoro che “solum è mio” (alla Machiavelli), procede spedito e felice: manderò in tipografia ai primi di settembre il testo del Giustiniani al Flaminio328, già messo in ordine coll’autografo, la stampa del 1535 e la stampa del 1753. Ci passo delle ore sopra, più di due certamente, ogni dì: abbiamo inteso, signorina dello scontento, amica delle tempeste, patrona degli spostati, consolatrice dei problematici, ecc. ecc.? abbiamo inteso? Per mantener la parola, non occorre di necessità sangue nordico, e una volontà di acciaio: basta un po’ di fuoco. Amen. Salutami i tuoi d. G. ANNO 1944329 111 Jesus! 6 genn. 1944 Cara Romana, permettimi che di queste ultime ore vissute ti resti una parola scritta; per un dono, povero ma non povero di significato penserò io stesso, volendotelo consegnare a mano330. 328 Il volume non risulta dalla Bibliografia di Giuseppe De Luca, cfr. M. Picchi-D. Rotundo, Bibliografia, cit., ad indicem. 329 Del 1944 si conservano soltanto le lettere di De Luca. Cfr. nota della curatrice. Il 1944 è segnato dalla guerra che culmina nell’eccidio delle Fosse Ardeatine il 23 marzo. De Luca vivrà questi mesi angosciato e nel terrore, tuttavia darà vita anche al suo «Archivio Italiano per la Storia della Pietà». 330 Dalle lettere rimane oscuro il riferimento a «queste ultime ore vissute». Di fatto, come emerge dalle altre che pubblichiamo i primi mesi del 1944 segnano un drammatico momento di incomprensione fra Romana e don Giuseppe. Echi di questa crisi anche nelle lettere del 1945. Ma cfr. Introduzione. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 247 247 1944 Grazie che ti sei pienamente convinta, e con tanto fuoco. Bisognava che il mio sacerdozio soffrisse così, per riardere così. Iersera ho atteso con S.331 la telefonata, discorrendo tre quarti di Cristo; e questa notte – mai passata così, una notte – mi svegliavo alla forza del pensiero di Lui, tante volte, e sempre più felice. E non ti dico stamani: oh pentecoste della mia ultima giovinezza e del mio sacerdozio! sono felice al di là di quanto credevo che si potesse. Non miserie – con tutta la mia miseria – di nessuna sorte mi hanno mai animato; ma il sentimento che faceva dire a Girolamo fuggiasco sul lido e dal lido di Roma per l’ira della curia: Velit nolit mundus, Paula mea est332. Era Santa Paola. Ti auguro, Romana, una grandezza d’animo e d’anima, ma così grande che solo Cristo possa misurarla tutta. Non dubitare del tuo lavoro: adotta il sistema da me adottato, che io penso unicamente a Lui, Lui penserà a me, ai miei, alle mie cose. E sii felice, quanta è la felicità di Dio: nella tua carne, nella tua intelligenza, nella tua anima, nei tuoi, tra i quali spero un posticino per me, don Giuseppe. 112 [1° marzo 44] ore 6. Questa non è una lettera: è il tentativo ultimo e definitivo, dunque disperato, di salvarmi se c’è più salvezza per me333. In questo momen331 S. sta per don Giuseppe Sandri. Epist. XLV, ad Asellam. La citazione è errata. San Girolamo scrive infatti «Saluta Paulam et Eustochium, velit nolit mundus, in Christo meas». De Luca inserirà questa lettera nella raccolta Prosatori minori del Trecento, Tomo I Scrittori di religione, Milano-Napoli, Riccardo Ricciardi, 1954. 333 Il cambio di tono è brusco, e apparentemente improvviso. In realtà la crisi è preannunciata da una lettera non pubblicata del 27 gennaio 1944 «Spero che tu ti sia accorta stamani di quanto sono stanco e sofferente, letteralmente oppresso. Ti dico questo non per farmi compatire, né per rimproverarti di nulla: non ho nulla da rimproverare a te, che ti sei portata e ti porti tanto bene e con tanta generosità col Signore e con me, cedendo alla voce Sua anche se è sul labbro mio. Le colpe sono mie; e il Signore questi giorni me le fa, nella sua misericordia, espiare, con un oscuramento interiore che è tanto più duro quanto più è innumerabile e irrespingibile l’afflusso di cose e di persone. Questa notte ho avvertito turbamenti interiori, di psiche e di anima, che mi erano ignoti, e mi han fatto paura. Aiutami presso il Signore come sai fare. Non ti dico “come una volta”, perché mi parrebbe cedere al dèmone della nostalgia che è uno dei demoni che 332 02 Carteggio 9-03-2010 248 11:18 Pagina 248 Carteggio 1938-1945 to esce Sandri, nella pioggia; casa dorme. Io non ho dormito un attimo, stanotte; e dalle 3 alle 4 ho litigato con Sandri. Sandri voleva che lasciassi andare, tacessi, non mi muovessi, mi dimostrassi nel fatto ormai staccato. È più perfetto secondo Dio: quel che ho fatto sin qui, come se l’avessi fatto a un’anima qualsiasi; e richiesto, fare quel che mi si richiede, come a tutti. Non prendere iniziative. Staccarsi. Risolversi. Alle mie proteste che l’amicizia umana ha un valore, è un valore anche innanzi a Dio, rispondeva ridendo: «Tu vuoi morali i tedeschi, nessuna meraviglia che tu voglia morali le donne. Le donne, e gli uomini, sono natura: obbediscono al richiamo». Tutta questa superteoria ha finito per gettarmi nella disperazione d’ogni cosa umana; ma anche Iddio, non più umano, non più Cristo, quel tremendo ma caro Maestro che tanto ho amato, anche Iddio così mi sgomenta. Forse lo vedrò anch’io, e così i miei morti mi assistano, ma ora non lo vedo né lo vedrò tanto presto. Che nottata, orrenda nottata. Mi ci sono perduto, ho perduto tutto. E stamani son tutto un brivido cieco. Ti avevo pregata, Romana, ti avevo pregata di assistermi con maggiore tenerezza, questi giorni di stanchezza. Mi hai visto darmi darmi darmi a tutti; ti avevo detto che, dentro, qualcosa cedeva. Debolezza di nervi, certo; ma mai non han comandato né condotto nulla in me, i nervi. Li ho sopportati, tra lagni perpetui, non però mai ascoltati. Mi daresti l’ultima ingiuria se definissi nervi questa mia angoscia, o parlassi di angoscia alla freudiana334. Codeste spazzature servono per altri e altre, se servono mai; servano in salotto e in convegni a due, non servono per la mia povera, disgraziata ma vivissima e fortissima anima. È qualcosa d’altro. È il mio destino d’uomo, il mio lavoro disperatissimo e pazzo di erudito, la mia innegabile vocazione di scrittore, non artista ma forse meglio che artista e cioè totale, è la rivolta del mio essere di sangue; sono io, purtroppo solo io ma tutto io, che brucio dall’interno, ed è ormai qualche mese. Per l’immensa, unica e completa, dedizione del mio segreto che a te avevo fatto, e che tu mi parevi così degna di portare, tanto fosti insieme – come io voglio che sia – gentile e forte, aperta e pudica, anima e carne, umana e divina – per questa confidenza, avrei sperato, ero anzi mi assediano: ti dico come tu sai fare, quando vuoi. La fedeltà alla mia Vita è intera, è dura: ti prego soltanto, se erro, se son colpevole, di non insistervi», in ARG. 334 Il rifiuto da parte di De Luca di ogni strumento derivante dalla psicanalisi è frequente sia nelle lettere e che negli scritti. Il suo primo intervento pubblico risale al 1934, nella recensione a Psycopathologie et Direction, del gesuita francese R. De Sinety S.J, sul quale ritornerà nel 1937 in occasione della traduzione italiana da parte di Morcelliana. Ma cfr. Introduzione. 02 Carteggio 1944 9-03-2010 11:18 Pagina 249 249 certo non mi saresti mancata in quest’ora (forse l’ora di un Gethsemani, con vicino, nel giorno stesso, un calvario, anche senza resurrezione!). Avevo fatto – posso riconoscermelo? – avevo fatto e dato tutto, per potermelo ripromettere. E faccio e farò, non dubitare, come ho fatto. Iersera ho provveduto pel latte; forse domani avrò il miele. Le più minute cose, è vero, ma che per me hanno un altro valore dal materiale. Che cosa dovevo fare e non ho fatto? Me lo dirai tu, io non lo so. Ho accettato e pratico come un comando creatore, lento ma creatore, direttive gravissime di vita. Ho messo la mia anima al guinzaglio, io che nessuno ha mai legato a nulla. Non ho avuto ritegno ad apparire il canino scodinzolante, sempre presente. Che cosa non ho fatto che mi pareva da fare, e che cosa ho fatto di male, d’indelicato, d’insincero? Ho mancato, ma a Dio non a te e per amor tuo: ecco l’orribile colpa che espio. Ti ho rispettata come nessuno rispetta nessuna, ti ho idolatrata come il mio sogno più alto e più casto, come la mia opera più amata e sulla quale ogni attimo tornavo, come su una creazione eterna. Né ti ho sopraffatto: posso vantarmi, a buon diritto e a stretto rigore, che nulla ho spezzato in te né oppresso, ti ho aiutata a essere ciò che tu sei non ciò che io comunque volessi. Non ho suggerito un gesto di preghiera, non ho imposto uno studio. Ho parlato io, ma a te e di te. Che cosa mi potrai rimproverare? Dio, sì; il mio sacerdozio, sì; la mia orgogliosa vita di solitario che se ne strafrega, sì; tu no, non puoi rimproverarmi335. Ebbene, proprio questi giorni io debbo assistere a un tuo misterioso turbamento, che è reale e che rinunzio, alla fine, a sindacare e inquisire336. Sono stanco di farmi il mio e il tuo rovello: non voglio sapere, non mi preme sapere. Ma tu da un pezzo sei stanca. Avrai le tue ragioni, e che ci posso fare io? Lo so, io voglio far morale la natura, che è invece la natura, dice Sandri. Tu sei natura. Non pare che senti quel qualche altra cosa, che, anche a prescindere dalla Soprannatura, chi vuol essere degnatamente uomo sa mettere nella natura, a ogni costo. Io invece sento più questa grandezza che ogni grandezza di natura: ho amato, giovanissimo e sino a poco fa, Cristo per questo. Ora sembra che anche Lui mi tradisce; cioè, meglio (chi sono io da essere tradito? sono un miserabile) mi abbandona. E se ha consentito che io mi concedessi per poi oggi lasciarmi a questo inferno di dovermene mordere a sangue le 335 Per un’analisi di questo “autoritratto” cfr. Introduzione. Un flirt con un vicino di casa già fidanzato, questo almeno stando alle memorie di Romana Guarnieri da me raccolte e conservate. 336 02 Carteggio 9-03-2010 250 11:18 Pagina 250 Carteggio 1938-1945 dita, per il pentimento e lo sgomento; se ha consentito questo, anch’egli mi abbandona. Eppure mi parevi e – tremenda rabbia, mi pari ancora – mi parevi non così natura. Tra quei tuoi amici, che uno va lindo e pinto per un verso, l’altra va linda e pinta per l’altro verso, e il figlio si lascia intridere ma non impastare non voglio dir come che cosa; fra tanti che ti ho visto intorno, mi parevi diversa e non superba337. Unica, e unicamente pronta a Qualcuno, a Qualcosa, che aveva sedotto anche me, terrestre e più che tutta la terra celeste ma non mitico, puro come un pensiero, caldo come una guancia. Chiamato, ti avevo chiamata. Invece, io non so che cosa succede. Tutto in te, tutti intorno a te mi accennano a qualcosa di nuovo. Parole tue, sorrisi e indiscrezioni degli altri mi fanno non più sospettoso ma certo di qualcosa, non di nuovo, ma di vecchio, talmente vecchio che sembrava irritornabile. Torno a dire, non voglio sapere chi sia e che cosa sia: sono indignato di dovermi trovare a codeste ricerche tra me e me, pensa tra me e te, pensa poi tra me e terze persone che pure parlerebbero se io, non dico le interrogassi, ma non le ritenessi nettamente. Ora non sono più tanto forte da patire. Cioè patirò tutto, ma senza nessuna viltà. Non farò certo scene, io che ne ho il terrore; ma neppure farò cadere, secondo l’ignobile consiglio di S., ogni cosa a terra come se niente fosse. Ti chiedo solo: perché? perché proprio in questa mia terribile ora? perché hai scelto questo tempo? Venisti domenica con un’ora di ritardo: tuo padre insinuava innocentemente e per celia, tu meno innocentemente protestavi. Era il tram. E io feci finta di nulla. Perché non poteva essere il tram? Certo, era: tu non mi avresti nascosto se era qualcos’altro. Passò lunedì, poi martedì. Il pm. del martedì – che io senza mai una trasgressione e contro ogni mia abitudine tu sai a chi ho dedicato – né un salto, anche breve. Anche questo il tram? Sia il tram. Non è possibile per me un salto, anche breve. Io sono la noia, il peso, la palla al piede. Qui si arriva, non più volando; si arriva scontraffatti e insomma a disagio. Certo, distratti. Come legati, ma il cuore è altrove. O morto (ma non è morto) o altrove. Io sono l’orrido ceffo di prete, fastidioso, inconcludente, pieno di parole ormai consunte e spente, senza più fuoco. Altri accelerano il sangue, ad altri è negli occhi una luce che attrae. Io, qualunque cosa faccia, io sono il risaputo a memoria, sino alla nausea. 337 Ritorna l’antica polemica verso i giovani borghesi cfr. lettera 56. 02 Carteggio 1944 9-03-2010 11:18 Pagina 251 251 E sta bene. L’avvenire dirà se il presente, a te almeno, tace. Dirà se io sono finito. Io, al contrario, sento di cominciare appena. Sento ora di aprirmi. Padrona, tu, d’esserne ristucca e sazia e, insomma, attediata. Padrona. La via che facevo (così dolcemente, come un fanciullo) la mia mano nella tua mano, la farò; non sarà più quella, ma una via sarà, e se non rinunzierai del tutto a te stessa, un giorno ti dorrà d’avermi lasciato. Ti dorrà invano, perché rientro nella mia solitudine, ricreandomi un nuovo segreto, poiché l’antico è così a terra [...]. Cristo, se è ed è quello che ho creduto, Cristo stesso si incaricherà di domandarti un giorno che cosa hai fatto d’un suo prete, che non era l’ultimo nel volerlo amare. Non sono finito, sebbene licenziato praticamente da tutti coloro che sin qui reggevano il mio essere. E basta. Casa si sveglia. Io sono più livido del mattino, più senza luce, più morto. Solo vive negli occhi un desiderio non so se di pianto o di sonno, ma sono asciutti e spalancati; solo mi (?) un tremito che vorrei fosse urlo, divincolamento, e non è che un’occulta sega, un laccio di seta, qualcosa che mi stronca. Ora basta. La presente non è una lettera. Ma chiede, implora, domanda una risposta. Può essere per telefono un sì, ma vuole altra risposta: come questa, scritta. Vuole sapere che debbo pensare che tu fai di me. L’uomo, è passato e trapassato; il prete non sa né fa più nulla (e se lo merita); il letterato, lo studioso, tu capisci che ce ne son tanti. Lo studio è bello, ma insomma è ben poca cosa: e fare il balio sia pure dello studio superiore, fare ed essere solo questo, è poco poco poco. Che cosa son dunque per te, questo voglio sapere. E voglio l’antica sincerità, se posso più averla: obbediente io stesso sino alla cecità, vorrei sentirti egualmente libera, sincera, pulita. Già pulita: io non sarò molto lavato, ma sono molto pulito. Così sei stata tu, sin tanto che mi hai degnato: ora, sei diversa? Pulizia per me è altra cosa, come pure morale, da quel che in genere si chiama con codesto nome: è immacolatezza, è fierezza, è ardore. Non mi fare attendere questa risposta; sto troppo male per consentirmi il lusso di attese mondane, e quasi schermaglie d’amor terreno. L’Amor mio, tu lo sai o almeno lo sapevi, è altro: è la vita. Posso contare sopra una risposta sollecita, subito per telefono, e presto per iscritto? Ora un poscritto. Vorrei regalare a Licia338 questo libretto, e ci vorrei scrivere sopra questi due distici miei. Essa che certo sa de’ tuoi turba338 Licia Torti, amica e compagna di studi di Romana Guarnieri parteciperà alla nascita dell’«Archivio italiano per la storia della pietà». 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 252 252 Carteggio 1938-1945 menti nuovi (l’ho vista un giorno in faccende, per questo): è bene che sappia, almeno misteriosamente, dei passati. Immortalem habeas, precor, o mea Loucia, amorem: Cum moritur, ingens luctus amicitiae est. Eu ego qui quondam, fateor, dilectus amabam, Et diem atque Deum et perdidi amicitiam. ----------------------Il giorno, e cioè i giorni e la luce dei giorni e Iddio ho perduto e l’amicizia. 113 anniversario anticipato339. 3 marzo 44 ore 8.15 Cara Romana, quelle distanze “stellari”, da firmamento, che io lamentavo ieri nel pm., non potevano essere colmate e ravvicinate più impremeditatamente e prodigiosamente di così. Egli c’è, ed è ben Lui. Esserci anche noi, ed essere Lui, oltreché e meglio che in Lui. È il mio augurio, la mia preghiera, la mia messa di stamani. Essere Lui, più che ci sarà consentito. Qualcosa, certo, cade: ma leggi questa Perséphone di Gide340: mito già cristiano, nelle ultime due pagine. Nulla è più grande del grano che per sfamare muore. Iersera, leggevo quel funambolo di Chesterton; ecco, tuttavia, una sua frase profondissima. «Lasciamo pur dire ai matematici che quattro è il doppio di due; ma due non è il doppio, ma duemila volte uno»341. In due ci si moltiplica. Scusami questo breve saluto. Ma volevo chiederti scusa di aver tanto dubi339 L’anniversario dell’incontro nel marzo del 1938, ricordato ogni anno. Persephone di A. Gide viene pubblicato dall’editore Gallimard nel 1934. Nel 1942 la sua opera teatrale viene raccolta nel volume citato da De Luca. 341 Su «L’osservatore romano» del 9 marzo 1944 De Luca scrive un articolo su Chesterton dal titolo Gli innocenti e i rei. 340 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 253 253 1944 tato di te: tante volte ormai, e vanamente, che basta basta basta. Crederò, se sarò cieco; ma anche accecato dal Nemico, vedrò. Tuo aff. P. Dopo la Messa. L’ho celebrata reprimendo il pianto, da un capo all’altro; e ho detta, per isbaglio, quella del venerdì di quaresima, non quella del S. Cuore che non potevo dire. Ricòrdati l’offertorio di oggi. E Isaia 58,1-9 ti sia il mio augurio: “Erumpet quasi mane lumen tuum ... clamabis, et dicet: Ecce adsum342”. Ti confermo che 1) non pecco 2) non dubito più 3) lavoro 4) sarò poverissimo. 114 Roma 5 V 44 via Giacinto Carini 28343. Caro don Sandri, già altra volta ebbi in mente di scriverle: non lo feci, un po’ per ritegno; sopratutto per non cedere anche io agli urti d’una tempestosa aria di quasi dramma che da troppi mesi ormai tenta turbarci, e a giorni effettivamente giunge a squassare anche me. – Se oggi dunque cedo è perché mi par di vedere anche lei preso nell’inverosimile vortice. Almeno, a quel che mi dice Peppino: si sa – io almeno lo so per troppe prove – che le sue affermazioni son da accogliersi con cautissima riserva344. Non dunque per polemizzare con lei, oggi le scrivo; ma solo perché so con quanta trepidazione lei assiste Peppino in questo suo difficile momento, e penso alla grande difficoltà di farsi un’esatta ragione e dunque di dare un conforto e più un consiglio in un caso come questo. Neppure vorrei che questo mio scriverle suonasse quasi ine342 «Grida a squarciagola, non aver riguardo; come una tromba alza la voce; dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati. [...] Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rmarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà Eccomi», Isaia 58,1-9. 343 Questa lettera di Romana Guarnieri scritta a Giuseppe Sandri è l’unica conservata per il 1944. Manca evidentemente la fine, la scelta di pubblicarla tuttavia è dettata dalla necessità di dare voce a Romana in un momento tanto grave del rapporto con don Giuseppe. 344 Cfr. lettera 112. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 254 254 Carteggio 1938-1945 spresso implicito rimprovero. Il torto è mio e della mia ritrosia: avrei forse già da molto tempo dovuto porgerle qualche maggiore elemento per un giudizio che necessariamente investe anche me. Ritrosia a darmi in parole, affermazioni, contestazioni, promesse. Che valgono mai, di fronte ai fatti? Sopratutto, che valgano quando – come in questi ultimi mesi – sono volute, richieste, implorate, e poi non credute, mentre a ogni ombra (troppo spesso vana) di sospetto si presta quella fede intera che invece andava data a quelle? Ma lei almeno non si lasci prendere nel giro del diabolico gioco tutto teso a distrarci da quella ferma fiduciosa lieta serenità – pur tra mille difficoltà ansie dolori – che tanto urgerebbe invece conquisatarci ad attuare la vita che sogniamo. Vita che anche a lei io non credo sembri indegna. 115 25.V.’44 Stamani ho predicato il ritiro ai giovani preti di don Orione; quindi mi sono recato, in macchina, verso Grottaperfetta, ov’è la casa della Pia Società San Paolo: quivi ho avuto un lungo abboccamento con don Giacomo Alberione, il fondatore della nuova Congregazione di quel nome, e una specie di Don Orione e di Don Bosco: certamente un sant’uomo; forse un vero Santo345. Discorrendo mi son trovato, al solito mio, impegnato in qualcosa di più che semplici suggerimenti, come avevo dato dapprima: per voler dire a tutti come si dovrebbe fare, son chiamato a fare con loro. Son dunque in un’altra morsa. Cristo, al solito suo, c’è anche in questo nuovo torchio: ma non ci sono io, che sono pressato, da nuovo dio, e intanto mi stremenzisco e finisco. Ho avuto un pomeriggio durissimo di nervi. Il periodo folle attraversato; il lavoro compiuto ciò non ostante; il non trovarmi nulla di mio, fatto; e un sollevamento furioso (fisico) di tutti i nervi in tutta la persona, mi han costretto a letto più ore. Ora mi levo; sono le 18. Sto meglio, son migliore. Ma mi sento come in un acquario, viaggiatore silenzioso e 345 Giacomo Alberione (1884-1971), fondò nel 1914 ad Alba la Società San Paolo con l’intento di diffondere la fede cattolica attraverso i mezzi di comunicazione disponibili nel proprio tempo, (fonda nel 1931 il settimanale Famiglia cristiana). Alberione è stato proclamato beato da papa Giovanni Paolo II nel 2003. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 255 255 1944 con gli occhi sbarrati come i pesci; non però nella mia aria. Stupore, fissità, voglia di dormire, un furore celato, un pianto che se mi uscisse mi libererebbe. Mi metto tuttavia a lavorare. Anche l’angoscia di quel che possa forse accadere all’alba minacciatissima di domani, mi grava dentro. Rendo le Visioni346. Tornato a leggerle, son tornato a rallegrarmi con te. Ma nell’orto del mio cuore, inselvatichito, nasce tanta amarezza, che anche accanto alla gioia di questa lettura, veramente superba e lietissima, è nata una tristezza: che si avvicina il tempo che tu non avrai bisogno di me; e tu partirai pel tuo viaggio come parte una figliuola che è andata sposa, e nella sua casa di padre non tornerà più o tornerà con un animo gentile e tenero ma con l’amore su un altro e sopra i suoi bimbi, e ha la sua casa che non è più la tua. Ah che non riesco – per quanto faccio – a non essere triste di qualcosa. Vero è che sono giù giù giù, e forse sul primo gradino della vecchiaia. Basta. Forza con l’Ave Maria, e se domani pm. Roma è ancor Roma io sarò lassù verso le 3 - 3.30. dG. 116 10 giugno 1944 (santa Diana, trovo in un calendario: non so chi sia [Diana d’Andalo, no]: ma auguro a te d’essere una santa Diana, cacciatrice infallibile, sempre tra la natura; lucente anche nelle notti, casta e santa. Ecco la prima notte dormita tutta e senza risvegli e senza sogni. Iersera ero spezzato di fatica fisica, ma ero lieto. Te lo avrà detto Menno. Grazie, di cuore. Sono finalmente fuori di terrore, fuori di sospetti e di ansie. Mi sembra di essere liberato anch’io a mia volta, come Roma347. Puoi fare, dire, andare, venire, tacere come a te pare, quando tu hai compresa la verità delle verità, che per quanto l’istinto può essere forte, più forte è l’Amore ed è più sagace dello stesso istinto, e lo scova e lo snida, anzi ne fa un suo servo, sempre malfido e da sorvegliare e battere ma utile. Hai compreso che la tentazione avvicina di più al 346 347 Cfr. lettera 96. Roma era stata liberata dagli Alleati il 4 giugno 1944. 02 Carteggio 9-03-2010 256 11:18 Pagina 256 Carteggio 1938-1945 Signore, se subito e lietamente vinta. Hai compreso che di fronte alle esigenze dell’Amore non si discute, e si vince perdendosi: “nisi quis perdiderit animam suam”348... ... “nisi granum frumenti...”349 Quel che ho compreso io, in due parole è questo: che il lavoro ormai non può essere più rinviato, e per me lavorare è amare Cristo. “Filologia, filologia” mi diceva Sandri. Inoltre, e anche prima di questo, ho compreso che il sogno sognato a occhi aperti, e che nel ciclone di amara tenebra pareva svanito e spento, anzi (agli occhi miei pesanti e stralunati) era spento, in realtà è avverato. È una cosa che vive come te e come me, come Cristo. Sapessi che gioia. Insopportabile350. Domani sono a colazione dalla Frassati, (abita a San Pietro) alle 13. Passerò da casa tua un istante: se poi potrai accompagnarmi te ne sarò grato. Ti porterò qualcosa che ti farà comodo e che già sai: ricetta Galeazzi, una bibita e altro che troverò. Dirò oggi a Sandri della vittoria che abbiamo riportato contro il nemico... immaginario. (Ma povero me, che terribile “ossessione”, vera ossessione, è stata la mia). Prepàrati al lavoro, che sarà grande e verrà presto. Ci sto impegnando Cristo, da iersera. E forza e allegria, figliuola mia: la vocazione non poteva essere più bella, la risposta nostra non potrebbe essere più umile (chè tutto fa Lui) ma più eroica (chè tutto diamo a Lui). E ricòrdati che ritroverai le più pazze ed ebbre avventure di meravigliosa bambina, quando avrai detto a te stessa, ancora una volta ma con tanta più limpidità dopo la tempesta: “sì, in aeternum et ultra”. Tuo aff. dG. + Voglio che tenga tu questo che è il mio più caro ricordo: la fotografia di S. Maria Lucia e di p. Wilmart351 Bisognerà un giorno andare a trovare Iedin352, che vorrei tuo amico: prepàrami domani una lettera tua, di saluto, che io gli farò recapitare. 348 «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me la salevrà», Luca 9,24. 349 «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto» Giovanni 12,24. 350 Il riferimento è senza dubbio al progetto per l’Archivio che sta prendendo corpo, cfr. Sulla filologia cfr. introduzione e C. Dionisotti, Il filologo e l’erudito, cit. 351 La foto non è stata conservata. 352 Hubert Jedin (1900-1980), storico della Chiesa, grande amico di De Luca, che lo pubblica nelle Edzioni di Storia e Letteratura. De Luca scrive su di lui un articolo sull’«Osservatore romano», dal titolo L’opera storica dello Jedin l’11 marzo del 1944. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 257 257 1944 117 [I° VII 44] Ricòrdati che oggi è il 1° giorno di lavoro per la rivista353. Chissà se anche ci avrai pensato! Per ciò ti avevo creato l’occasione delle monache: per ricòrdartelo. Ma tu dovevi...far scuola354. Pazienza. Il conto si farà tutto una volta. Era oggi l’inizio del lavoro; se non hai lavorato, dovrò pagare? A parte gli scherzi (un po’ anche serii) ricorda che l’impegno già corre, ed è grave. Aff. dGius. Non scrivere, non promettere, non far voti: ciascuno la sua natura. Io, sotto tutti i comandi; tu liberissima. 118 [su carta intestata] Roma 6 agosto 1944 Gentilissima Signorina Romana Guarnieri, con la presente prendiamo atto e impegno che Ella si dedicherà alla redazione dell’Archivio Italiano per la storia della Pietà, che deve incominciare a uscire nell’anno venturo 1945, in tre fascicoli dalle 200 alle 300 pp. l’uno, secondo i criteri già concordati355. Sarà pronto, appena possibile, un locale di redazione, dove Ella dovrà trovarsi in ore fisse del giorno; a sua scelta, ma fisse. A parte il compenso per articoli suoi nell’Archivio, il lavoro della redazione le verrà compensato con Lire 3000 (tremila) mensili, che le saranno versate da settembre in poi. 353 La rivista in questione è l’«Archivio italiano per la storia della pietà» la cui nascita è ricostruita da Romana Guarnieri in Una singolare amicizia, cit., pp. 13-18. 354 Cfr. lettera 16. 355 «Ma l’Archivio non uscì nel 1945, e neppure nel 1946-47, come previsto, per difficoltà economiche, che, anche in seguito, continueranno a condizionare la regolarità della pubblicazione», G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 274. L’Archivio uscirà nel 1951. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 258 258 Carteggio 1938-1945 Ella, rispondendo, voglia essere cortese di dirci se intende consacrarsi a questo lavoro, impegnandocisi seriamente. Ci abbia devotissimi P. Francesco Bossarelli, proprietario e amminist.356 don Giuseppe De Luca, direttore ANNO 1945357 119 Caro Architetto358, stamani, distogliendo non più di una mezz’ora al lavoro, ho discorso con Romana dell’incidente di iersera359. Ti dissi iersera, ti ripeto stamani che il ripetersi di questi incidenti sta stancando non solo te, ma me; e debbo anche dirti, con dolore, che stanca anche R. la quale, se riconosce i suoi torti, vuole che siano riconosciute anche le sue ragioni. Urge pertanto che ci vediamo360. 356 Padre Francesco Bossarelli, delegato delle Edizioni Liturgiche e Missionarie gestite dai Padri della Missione, «dal 1941 si era addossato il peso economico delle ardite iniziative editoriali di De Luca», Guarnieri, Una singolare amicizia, cit., p. 101. 357 Il 2 giugno del 1945 Romana lascia la casa della madre e del patrigno per andare a vivere da sola. Dapprima viene ospitata per pochi mesi dalle Suore di Maria Bambina al largo degli Alicorni, per trasferirsi poi presso le Suore di San Pasquale in Trastevere dove passa due anni, «sinchè, dopo due anni non proprio felici, finalmente fui accolta decorosamente nel pensionato studentesco di nome Betania, da poco aperto dalle Religiose del Sacro Cuore nella loro casa di Villa Lante». Sull’“uscita di casa” cfr. Una singolare amicizia, cit., p. 268. 358 Gatano Minnucci, patrigno di Romana. Cfr. Introduzione. 359 Cfr. Introduzione. 360 Lettera non inserita nelle trascrizioni né trascritta se non da me in data 6 maggio 2004, (Maggio 1945) matita aggiunto dopo non firmata, ma di DGL a Gaetano Minnucci. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 259 259 1945 120 [14 marzo1945] Cara B.361 mi sia permesso, in questo anniversario di cui mi parla il mio amico, pensare a te come ad una nuova e ormai definitiva sorella in questa strada della quale siamo tutti indegni e tutti orgogliosi362. Vorrei disdire fin d’ora la scadenza dei dieci anni per salutare in te la millesima vittoria del Più Forte che vince ogni altro forte, la gelosia del geloso che dice: o con me o contro di me, e l’impero del Più Caro che sta sopra la madre e i fratelli e tutti. Saluti e auguri. Drago. 121 24. III. 45 a phantasmatum incursibus depuratus, sui compos reddatur. 23. III. 45: ore 12.30 – 12.45. Cara Romana, perdonami tu, e Cristo Signore mi perdoni, il rimpianto d’un mattino di marzo. Ho traversato, ne sono sulla cima se non al versante che discende, la mia vita, chiuso tutto nel mio sacrifizio d’amore all’eterno e all’invisibile e al di là; qualche momento, l’uomo si accascia: una fogliolina tenera, un intrico d’ombre e di luci sulla viva terra o sulla corteccia d’un albero, un pigolio, un passaggio di vento, lo fanno trasalire; e tante fantasie, sempre rintuzzate e umiliate, così belle tuttavia, risorgono e straziate lo straziano. Così se ne vanno i giorni, Romana; l’eternità non viene; e come un cavallo a una sosta del terribile viaggio (sempre viaggiamo, sempre viaggiare!) mi guardo intorno, qualche volta, e mi viene il pianto. Sono uomo, pover uomo, anch’io; homancio perdonami tu, Lui mi perdoni, la brevissima sosta, lo sguardo d’un momento, il lacrimare. Ripiglierò, ripiglierò, ho già ripreso, il viaggio; 361 362 B. sta per Banca. Cfr. lettera n. 60 note. Cfr. Introduzione, Scelte. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 260 260 Carteggio 1938-1945 non mi è consentito, a me, abbandonarmi. Lo stimolo, lo sprone di Cristo mi punge proprio là dove si solleva in origine il rimpianto; restringo i paraocchi sul povero volto; ricammino, al piccolo trotto, per la salita stretta e aspra. Perdonatemi. Ripiglio, ho ripigliato la via gloriosa e dolorosa. Anche a me mi avevan travagliato, giovane, i fantasmi e i richiami del mondo breve e bello; mi pareva d’averli, per Lui, vinti; di tanto in tanto mi si riaffaccia, con una potenza di presa che non avrei creduto così viva ancora, e mi sgomenta. Povero me. Aiutami tu, Lui m’aiuti: non vi contentate di perdonarmi, aiutatemi. Tu soprattutto che con la tua sola presenza – più di ogni meraviglia chiara o segreta di natura – contribuisci al risorgimento del giovanile tumulto, che mi pareva sedato, nel vecchio cuore, nel cristiano cuore, nel sacerdotale cuore, nel cuore “chiamato” e che ha risposto; tu innanzi tutti e sopra tutti, tu che io stesso ho avvicinata e data a Cristo, tu compatisci e perdona e soccorri. Tutto vòlto alla luce interiore, sono come un cieco tutto all’intorno; ma un cieco sempre volontario: mi si riaprono le ciglia un attimo, e sono abbagliato da questa luce, e l’Altra non la trovo, non la vedo più. E piango su questa luce che non è mia, e su ciò che essa fa splendere, e che non è mio; piango sull’altra luce, che non ancora tanto a Sé mi volge, che io non riapra gli occhi, a istanti, su questa; e temo di perdere anche Essa. Un mattino, appena un mattino di marzo, Romana. Ho troncato il mio servizio, dieci minuti, dieci minuti soli, per me e per il mio lamento: ho fatto male? perdonami tu, e Lui mi perdoni. Ma com’è cara la luce sul tavolo, e come vive, intorno alla casa, tutto! io son qui dentro, e sento intorno la vita. Il mio corpo è al servizio, e la mia anima, e il mio cuore, e tutto. Quando regnerò, quando regneremo? Di’ tu a Cristo, prima ancora del mio ritorno nel pomeriggio, una parola per me, che mi perdoni e mi riprenda. Amarlo, sì, e perdersi: ma, come tu vedi, io ancora non mi sono perduto. Arrivederci presto 122 [14-15 aprile 1945] Ah Romana Romana – per cominciare come tu cominciasti – Peppino è già sulla via ardua che tu iersera gli mormorasti all’orecchio. La san- 02 Carteggio 1945 9-03-2010 11:18 Pagina 261 261 tità... non è più un proposito, è in atto. Ma se tu sapessi quanto il cuore gli duole! stanotte, addormentatomi alle 11, alle 11.45 ero già desto; e il rimanente della notte se n’è andato in un dormiveglia, ove il cuore, morso, pregava pregava pregava. Il cuore di Peppino non ti odia, ma sente che, a batterti così vicino e tutto intorno, crea angustia al tuo cuore, che non vuol riconoscere – ora come allora – d’essere anch’esso morso, ma anche tentato legato forse mordicchiato da altro e altri. Quando, figliettina mia, quando lo prenderai nelle mani, lo metterai – aperto – innanzi ai tuoi occhi, questo tuo cuore, e farai coincidere la realtà col sogno, il fatto con la parola, in pieno? non mi farai credere che è difficile, mi faresti disperare. Non mi chiederai altro tempo, come cinque anni fa. Da allora, ne hai fatto di cammino. E non sei arrivata, ancora; ancora ti dibatti nelle stesse malsanie, torturata devi torturare, devi creare irritazione tra gente che ti avvicina mettendoli l’uno contro l’altro, devi veder soffrire chi ti ama, devi condurre un gioco multiplo, devi negando e affermando nascondere te stessa, devi per non riconoscere ciò che tu senti vero aggredire e persino ingiuriare. Ah Romana Romana, io accetto il consiglio: vada per la santità. Ma tu che fai? La prima parola che ti rivolgo dopo il tuo consiglio accettato è questa: dove ti vedo, Romana? ancora in quei giochetti subdoli traditori sudici? vuoi altri castighi di Cristo? non senti che assai più di Peppino ti segue, con Lui non puoi dar spiegazioni, Lui non puoi accusarlo e soffre che, dicendoti sua, cadi nel giorno in braccio ad altri (si oculus tuus...) e non solo lo tradisci ma disconosci il suo amore? È questa lettera, non una lettera, un grido. L’ultimo. Sento che di salute affondo. Alla vigilia della mia nascita, mi sento morire. Questa notte il cuore palpitava furioso. Stamani, nell’alzarmi, sono caduto. Ora non mi reggo dritto, e son tutto un tremito freddo. Tutto codesto nasce da un solo fatto, che dirò esplicitamente, di là da ogni polemica: dalla tua natura, indomabile nelle accensioni e nella loro negazione, nemica d’una azione interiore che alla fine le sveli e svergogni, innanzi a Cristo e al povero sottoscritto che, immeritatamente, ne porta la vergogna e il dolore. Tu, Romana, tu devi alla fine comprendere, se vuoi nascere e non vuoi che Peppino muoia, tu devi comprendere che la sola salvezza che ti rimane e mi rimane – posto che si voglia restare insieme – è che tu riconosca questa tua natura volta per volta, la porti alla confessione aperta e sfacciata, senza nessun timore di nessuna sorte e di nessuna conseguenza tra noi. Dici che non c’è nulla, e poi parli di “valanghe” che la mia sofferenza umile determina: non potevi 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 262 262 Carteggio 1938-1945 essere più esatta. Non lascio ingiuriare col nome di pazzia i miei timori (come diceva Lawrence): i miei timori vedono giusto. Qualora tu riuscissi, con una vittoria capitale – e basta un atto di volontà, subito – a comprendere che non si risolvono meglio codeste miserie (miserie gravissime, che ti sterminano praticamente l’unità interiore e l’amore vero a Cristo e l’unità con me), se non sacrificandole nella confessione immediata totale (esagerata magari) all’amor vero che non è di solo sentimento; tu saresti salva. Finirebbe la dualità che a te ti dilania e a me mi strazia: tra sentimento e dedizione. Il sentimento, che vaga, non sarebbe per te una vita, ma un errore e una colpa; come per me il mio peccato. Saresti una, e saremmo uno. Così qualcosa sempre ti divide e ci separa. Cristo ti ispiri. È la tua seconda conversione che ti chiedo. L’ho meritata, io credo. Dammi retta, ascoltami. Non mi credere pazzo, non mi dire morboso. Tu sai, tu, che io vedo giusto. Credimi, se credi a Cristo: la tua salvezza, la nostra salvezza è una sola. Altrimenti, cade tutto. Ti dico: tutto. E lo permetterai? e lo permetterà Cristo? se tu dirai di no, se tu persisterai nella negativa, tu lo vuoi, e ne sei e sarai la sola responsabile. Io ho fatto e patito tutto: fisicamente, cedo e cado. Vuoi che ne muoia? Cristo, se tu anche questo vuoi, Cristo ti contenterà: non mai ho sentito abitare la morte in me come queste ore ultime. Stimolo cioè sprone della morte (mia) è il peccato (tuo). Romana, Romana, vinci l’ultimo residuo, espelli l’ultimo lievito del peccato: cioè dell’affezione al peccato. Il peccato è in noi sempre, mai dev’esserci l’affezione: scoperto subito, è reso innocuo; coperto, guasta l’anima e l’amore. 123 13.V.45 (pomeriggio) Cara Romana, tante volte ho parlato, tutte le volte invano. Volevo spezzare quel diaframma di menzogna che ti impediva di confessare la tua turpezza, non per conoscerla, ché la conosco intera (di prima, di dopo, di ora). Confessarla, sarebbe stata vincerla; perciò ti ho provocato a parlare. Invano. Ora, basta. Non spero più, e nemmeno dispero. Ti abbandono 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 263 263 1945 al giudizio di Cristo, che sino a stamani hai disonorato. Lo conoscerai, Cristo, non dubitare. Quanto ti ho riferito, non è stato mai vero, ma semplice strumento di controllo. Nessuno mi ha mai detto nulla sul tuo conto, né sul conto de’ tuoi, né de’ tuoi amici: non ho mai chiesto né tollerato mi si dicesse nulla in proposito. Il che non significa che io non sappia. Solamente, quel che so non l’ho mai detto, soprattutto a te; e quel che ho detto, era mero strumento di ricerca, di indagine in corpore vili. Le tue azioni, reazioni mi divertivano. Dove credevi giocare, sei stata giocata in pieno; e con gli espedienti che si adoperano coi bambini. Questo, per dimostrarti che donna ti tengo, quanto piccina, volgare, taccagna, meschina e monotona, fondamentalmente pari a chi di fatto ti ha sempre avuta con sé e per sé; senza che tu riesca a scioglierti. Il tuo ingegno, che potrebbe essere discreto, qualora non fosse comandato dalla libidine, e da essa distratto(?), non credo possa produrre di serio nulla che tenga e che valga. Il tuo cuore, letteralmente non esiste. Ti ho veduto mentire anche il cuore, ma non mai l’ho sentito. La tua animazione, che ti fa essere sin generosa, è sempre di origine uterina; e fosse utero, ma è assai meno. L’utero è fecondo, i tuoi moti sono sterili. Di me, non ti parlo. E se vuoi essere – ma dubito che ci riuscirai – corretta, vorrei che neppure tu parlassi più. Dico solo che ho fatto quanto potevo per “salvarti”; ma non si può, neppure Dio può salvare chi non vuole. Hai scelto perderti. Io non ho nulla da rimproverarmi. Il tempo vola, finirà presto; tremo che la tua condanna non ti cada addosso, a te e a chi ti strega, ai molti da cui ti fai, diciamo così, stregare, anche prima che il tuo tempo finisca. Di me, non ti parlo né tu parlarne. Rendimi tutto ciò che t’è venuto da me, e cambia studio, ti prego, appena da domani. Non ti tollero sulla mia via. 124 26 maggio ’45 Cara Romana, torno a ripeterti che il passato è passato, e io di certo non ci torno più, e nel passato è compreso quello che può essere definita la mia crisi di 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 264 264 Carteggio 1938-1945 fiducia: torno a garantirti che io non metterò più in dubbio la tua parola, né porrò ulteriormente problemi di genere. Quando a te occorresse riproporli, troverai il don Giuseppe antico e un nuovo Peppino, nuovo veramente. Non cioè indifferente, non disinteressato, ma insomma risoluto e cioè risolto, sciolto, libero, ridente. Mi spiace aver gravato su te e sui tuoi363; 125 Roma 22 XII 45 Sette Sale, 19 Cara Romana, buon Natale. Oggi è venuta, dunque, Angela364. Forse, e alla fine, anche lei è sulla via stretta, la via dell’Amore. Se Cristo mi avesse contentato di questo: uno degli Argomenti miei (o Suoi) più gravi, è stato: non può, chi è stato strumento, ad altra [e cioè tu], di misericordia, restar nelle tenebre esteriori. Forse è tornata. Prega, dunque, per lei. Aiuta il ritorno. – Ha detto a Nuccia che voleva tu passassi il Natale con lei. Lascio te, arbitra; ma se ti consento maggior dimistichezza di prima, ancora non mi allento a lasciartela tutta. Règolati tu, ma ricòrdati. Tu dicesti bene: un marito non permetterebbe. Le Piccole Suore giorni addietro ti volevano non so per che cosa, e hanno telefonato a tua madre che ha risposto schermendosi un po’ duramente: “se ne occupa”, pare abbia detto, “don Giuseppe”365. Oggi soltanto l’Assistente ne ha parlato a Nuccia366. La quale ieri mi ha chiesto (ieri sera stesso): “ma che cosa aveva R. contro di te? quasi ti voleva male”. Ho risposto: “e tu, mi tratti bene tu?”. E si è chiuso il discorso. Non mi vogliate male, anche se non vi riesce (e capisco) di volermi bene. Buon Natale. Sono senza un soldo. Domani sarò in biblioteca. Buon Natale. Aff. dG. 363 26 maggio 1945 (scritto sulla busta con indicaz. Urgentissima, indirizzata a gentile prof.ssa Romana Guarnieri, senza mittente, la lettera non è stata trascritta. 364 Angela Zucconi, cfr. Introduzione. 365 Cfr. lettera 117. 366 Sulle difficoltà fra Romana e la famiglia cfr. Introduzione e lettera 117. 02 Carteggio 9-03-2010 11:18 Pagina 265 265 Fuori serie Fuori serie Vicosoprano, Sant’Agostino 1951, ore 16.30 Carissimo, la sua raccomandata-espresso m’è arrivata davvero, come Lei sperava, per sant’Agostino; io invece l’ho sospirata per tutta la giornata di ieri, facendomi sin ridere dietro dalla impiegata alle poste. Vede come smaniosa e incontrollata sono tuttora! Ho letto e riletto il Suo scritto, veramente da domenica mattina; ma siccome ormai avevo ritrovato la via buona, mi ha fatto più ridacchiare che non lacrimare: il colpo grosso me l’ha dato l’altra lettera, quella di martedì mattina, per cui sin da giovedì sono di nuovo in carreggiata. E poi, che rispondere a una lettera come questa? Almeno, che rispondere così, su due piedi? Vi sono punti ai quali sottoscrivo senz’altro; altri che esigerebbero, data la mia immensa stupidità, di essere sviscerati minuziosamente. Così, sono poc’altro che un cartello indicatore su una strada difficile. Anche in roccia esistono talvolta di questi segni rossi, che confortano perché ci dicono che si segue la via buona; ma lasciano intatte le difficoltà da vincere, e nulla dicono sul modo di vincerle, sicchè anche accanto a uno d’essi c’è caso di rompersi l’osso del collo. Quando mi parla di “croce”, per quanto mi ripugnino le parole grosse, il suo discorso l’intendo e son pronta a seguire l’invito. Ma quando mi parla d’intelligenza, d’istinto, di sensi interni, ahimè non mi ci raccapezzo più, e questo probabilmente soltanto per una elementare mancanza di cultura in fatto di psicologia. Non avendo a portata di mano un buon manuale, mi vado domandando che cosa possano essere mai questi benedetti sensi interni che a me non funzionano. A quel che capisco io, sono una donna terribilmente donna – e cioè fornita d’un istinto al quadrato o al cubo, a dir poco, il quale mi gioca degli scherzi a ogni piè sospinto; – donna alla quale Dio ha voluto dare, nella Sua misericordia, un’intelligenza in certo qual modo virile, distaccata, un po’ fredda e dura, raziocinante e parecchio orgogliosa. Inoltre (?) mi conosco una selva confusa e difficilmente praticabile di sentimenti, con cui è faticosissimo fare i conti, e che – almeno così a me pare, ma forse, data la mia incommensurabile stupidità, sbaglio – che, dunque, mi giocano ancor più spesso scherzi ancor più tremendi di quelli che mi gioca l’istinto. Infine, mi conosco – oh se la conosco! 02 Carteggio 9-03-2010 266 11:18 Pagina 266 Carteggio 1938-1945 – quella inconfondibile voce interiore che è la coscienza; ma i “sensi interni”? – Lasciamo stare; appena potrò prenderò in mano un buon trattato di psicologia, rifletterò debitamente, e poi ne riparleremo. Tutto quello che so, per ora è che mi trovo sempre nel fitto dei rovi e degli spini delle mie attrazioni e ripugnanze, e che faccio uno sforzo grande a tirarne fuori appena la punta del naso e gli occhi, a dare un’occhiata in giro e cercar di scoprire, come dice Lei, non dico molto, ma appena un indizio, una traccia di sentiero. Stasera, alle 7, arriva mio padre, e io sono tutta un tumulto di ribellione. Incominciavo appena ora a godermi un poco la mia libertà, a [(attenzione! ho sbagliato foglio: guardi i numeretti in alto!)] non sentire troppo il peso, non dico della solitudine – che amo, quando il cuore mi sta in pace – ma della mancanza Sua, e dunque a riposare, che ecco già mi tocca stare un’altra volta a servizio, e questo mentre avrei ogni diritto, e quasi un dovere, di riposare a modo mio, e non a modo degli altri. Più m’irrita il pensiero che dovrò riprendere la commedia dell’amor filiale. Per quanto io mi scruti, non trovo un briciolo di affetto “sentito” per mio padre: di affetto filiale, di quell’affetto che non si riesce a rinnegare, simile a quello che sento, a volte struggente e sin doloroso, per la mamma. Mio padre mi è veramente indifferente, non lo stimo e mi annoia. So che il giorno che lo perderò, se una lacrima mi cadrà, sarà, pensando a quello che avrebbe potuto e dovuto essere per me, e non è stato. Mai. – Tra un’ora e mezzo è qui, e io lo attendo con questi sentimenti. Che fare? Mi rimetto al Signore: faccia Lui di questa mia sofferenza, perché è sofferenza, il bene di mio padre. Forse, su quell’altro piano, è migliore questa sofferenza che quell’affetto – che sarebbe dolce e confortante – che non provo. E l’altro spineto che è Betania. Se mi scruto, provo un reale affetto per tutte quelle ragazze – di cui molte in grave sofferenza – per m. Rossi, per la rev.da madre. Ma penso con orrore a quello che questo concreto affetto mi porta di stanchezza, di dissipazione, di distrazione interiore e dal lavoro, e , se è lecito, da Lei. Possibile che sia necessario anche questo, che sia giusto? che faccia parte del sentiero, in quanto traccia da seguire? o non piuttosto saranno gli uncini da evitare? Ma come, poi, così inerme, indifesa come sono? Son dieci giorni che non scrivo a m. Rossi, so che se ne duole, eppure non oso, temendo quello che potrei dire, o il tono che mi verrebbe fatto di prendere, tacendo (e Lei ne sa qualche cosa): il pensiero che le mie lettere vengano aperte talvolta (anzi, credo, regolarmente) dalla reverenda mi dà le più imper- 02 Carteggio 9-03-2010 Fuori serie 11:18 Pagina 267 267 tinenti tentazioni. Ma non mi è lecito giocare così la povera, innocentissima, onestissima m. Rossi. Infine, angoscia ben più seria, il pensiero che dovrei, scrivendo, avvicinarmi alla mamma. E invece non so. Più sono tenera dentro, più divento ruvida esteriormente. E anche questa è una bella storia! Sono le 17.45. Bisogna che vada a impostare. Mi domando, ahimè, se avrò più agio ormai di discorrere ancora, così tranquillamente, con Lei: agio esteriore e, soprattutto, interiore. Pazienza. Saprò sostenere tutto coraggiosamente, sino al ritorno a Roma e oltre, se necessario (attenta Romana a non fare la bravaccia: è un atteggiamento che ti piace, ma ohibò che capitomboli! Meglio confessarsi umilmente deboli, molto molto deboli!). Addio Romana 02 Carteggio 9-03-2010 268 11:18 Pagina 268 Carteggio 1938-1945
05 Sommario 9-03-2010 11:21 Pagina 293 293 Sommario SOMMARIO Introduzione di Vanessa Roghi Una storia di direzione spirituale del Novecento . . . . . . . . . . 5 1. La critica e le fonti, 9 - 2. Una donna, un prete, 14 - 3. La conversione, 30 - 4. Il lavoro, 41 - 5. Scelte, 51 - 6. Conclusioni, 62 Carteggio 1938-1945 Nota alle lettere Ringraziamenti 1938 . . . . . . . 1939 . . . . . . . 1940 . . . . . . . 1941 . . . . . . . 1942 . . . . . . . 1943 . . . . . . . 1944 . . . . . . . 1945 . . . . . . . Fuori serie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Postfazione di Emma Fattorini Indice dei nomi 67 68 69 97 119 168 187 220 246 258 265 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 271 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 287 05 Sommario 9-03-2010 294 11:21 Pagina 294 Sommario
01 Introduzione 9-03-2010 11:17 Pagina 5 5 Introduzione INTRODUZIONE UNA STORIA DI DIREZIONE SPIRITUALE DEL NOVECENTO «La direzione spirituale è una pratica, pratica presente nella nostra cultura come in altre pur lontane dalla nostra, storicamente documentata, consapevole e accompagnata da riflessione; pratica di una relazione intima extrafamiliare, non paritetica né reciproca, caratterizzata da una disparità la cui ragione non è il potere né il privilegio né l’ordine sociale, ma un libero e insieme vincolante riconoscimento di autorità, suscettibile perciò di sviluppi liberi, nel senso, per esempio, dell’amicizia e della reciprocità o di un rovesciamento delle parti. Pratica, infine, che vede in presenza donne e uomini, in una relazione che, almeno in parte, si sottrae agli stereotipi sessuali dominanti»1. «D’altra parte, mi pare di averti sempre ripetuto che la vita spirituale, così religiosa che intellettuale, soltanto nei manuali e per gli sciocchi è una cosa di tutta pace, rettilinea, calma ecc.; in verità, nella verità cioè dell’intelligenza, della volontà e della carne, è un zig-zag tormentoso: quel che è necessario non è vedere se si sta sempre più in alto, ma se la linea spezzata e segmentata in complesso s’innalza». Giuseppe De Luca a Romana Guarnieri, 17 luglio 1941 «Ma sappia dunque che se a Lei costa fatica starmi accanto come sta, non meno me ne costa a me. Ché se Lei mi sta accanto come sta, come sacerdote prima che come amico, di me si può chiedere: chi te lo fa fare?» Romana Guarnieri a Giuseppe De Luca, 26 febbraio 1940 1 Romana Guarnieri, “Nec domina nec ancilla, sed socia”. Tre casi di direzione spirituale tra Cinque e Seicento, in Donne e Uomini nella cultura spirituale XIV-XVII secolo, a cura di Elisa Sculte van Kessel, Netherlands Government Publishing Office, The Hague 1986, pp. 111-132. Su questo passaggio cfr. L. Muraro, Alfonso non lo sa. Appunti per una storia della direzione spirituale, in «Bailamme. Rivista di spiritualità e politica» Numero Quattordici. Dicembre 1993 (numero dedicato agli Ottanta anni di Romana Guarnieri), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma p. 19. 01 Introduzione 6 9-03-2010 11:17 Pagina 6 Vanessa Roghi «Talune volte sono un po’ allarmato di questa tua presenza in me; poi mi dico: à la guerre comme à la guerre; e se amicizia ha da essere, sia» don Giuseppe De Luca a Romana Guarnieri, 7 marzo 1940 La ricerca che segue, introducendo una parziale edizione di un carteggio inedito, intende riportare alla luce la storia di un rapporto di amicizia e di direzione spirituale: quello che ha legato Romana Guarnieri a don Giuseppe De Luca, negli anni che, dal 1938, conducono, attraverso il secondo conflitto mondiale, alla fine della guerra e, con essa, del regime fascista2. Il carteggio costituisce un ulteriore tassello nella già ricca messe di documenti disponibili su don Giuseppe De Luca, al quale sono stati dedicati importanti studi monografici, e le cui lettere sono state largamente pubblicate, mettendo in luce numerosi aspetti della ricca personalità del sacerdote3. Questo carteggio con Romana Guarnieri tuttavia, apre una prospettiva di ricerca quasi del tutto inedita, quella del 2 Il carteggio De Luca-Guarnieri è conservato interamente dall’Archivio Romana Guarnieri costituitosi in seguito alla morte della studiosa presso l’Istituto Veritatis Splendor di Bologna per volontà degli eredi della Guarnieri, cfr. A. Guarnieri, Per zia Romana, in «Archivio italiano per la storia della pietà», Edizioni di storia e letteratura, Roma 2007, pp. 454-455. Il carteggio è costituito da circa un migliaio di lettere che abbracciano gli anni che vanno dal 1938 al 1962, anno della morte del sacerdote. Il numero delle lettere colpisce per la sua mole se si pensa che i due abitavano nella stessa città, Roma, e che quindi lo scambio epistolare più frequente si ha soltanto nei mesi estivi, quando Romana parte per le vacanze estive con la famiglia. Il materiale è tutto inedito, se si fa eccezione per qualche brano utilizzato per le biografie di Giuseppe De Luca dalla stessa R. Guarnieri, (Una singolare amicizia. Ricordando don Giuseppe De Luca, Marietti, Genova 1998 e R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca fra cronaca e storia, Il Mulino, Bologna 1974) e da mons. G. Antonazzi, Don Giuseppe De Luca, uomo cristiano e prete (1898-1962), prefazione di Loris F. Capovilla, Morcelliana, Brescia 1992. Il presente volume riporta in appendice una selezione di 125 lettere, per gli anni 1938-1945. 3 Su don Giuseppe De Luca cfr. R. Guarnieri, Una singolare amicizia: ricordando don Giuseppe De Luca, cit.; G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit.; L. Mangoni, In partibus infidelium. Don Giuseppe De Luca: il mondo cattolico e la cultura italiana del Novecento, Einaudi, Torino 1989; R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca fra cronaca e storia, cit. Da qualche anno è uscita finalmente una esaustiva bibliografia degli scritti del sacerdote: M. Picchi-D. Rotundo, Bibliografia di don Giuseppe De Luca, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2005. Fra i carteggi pubblicati tutti dalle Edizioni di Storia e Letteratura, casa editrice fondata dal “prete romano”, ricordiamo: G. De Luca-G. Prezzolini, Carteggio 1925-1962, a cura di G. Prezzolini, Roma 1975; G. De Luca-G. Papini, Carteggio I: 1922-1929, a cura di M. Picchi, Roma 1985; G. Bottaidon G. De Luca, Carteggio 1940-1957, a cura di R. De Felice e R. Moro, Roma 1989; A. BaldiniG. De Luca, Carteggio 1929-1961, a cura di E. Giordano, prefazione di C. Di Biase, Roma 1992; G. De Luca-G.B. Montini, Carteggio 1930-1962, a cura di P. Vian, Roma 1992; G. De Luca-F. Minelli, Carteggio (1930-1946), III voll., a cura di M. Roncalli, Roma 1999-2000-2001. 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 7 7 rapporto del sacerdote con l’universo femminile che lo circonda, di cui la giovane Romana finisce per diventare in qualche modo emblema e sintesi. Se la figura del sacerdote è più nota, su Romana Guarnieri si sente la necessità di dare alcune informazioni preliminari. Amica e collaboratrice per una vita intera del prete romano, la Guarnieri entra a pieno titolo in quella ricca, e in gran parte trascurata, storia delle intellettuali italiane del Novecento, per numerose ragioni non solo meramente biografiche4. Romana Guarnieri è stata infatti storica e, in qualità di responsabile dell’Archivio italiano per la storia della pietà, animatrice di numerose ricerche che hanno portato alla luce aspetti del tutto trascurati del ruolo delle donne nella storia della chiesa5. Eppure, malgrado questo ruolo rilevante quantomeno nei risultati, se non nella visibilità, Romana, come molte intellettuali italiane del secolo scorso viene ricordata, innanzitutto, per la sua collaborazione con un uomo, don Giuseppe De Luca6. È vero che la Guarnieri deve in gran parte la sua carriera di studiosa all’insegnamento del sacerdote che l’ha presa per mano nei suoi venti anni, e l’ha guidata nella scrittura erudita, dal primo lavoro sul prete-poeta fiammingo Guido Gezelle fino all’attribuzione del testo Lo specchio delle anime semplici alla mistica Margherita Porete7. 4 Sul posto delle intellettuali nella storia della cultura per un taglio metodologico cfr. F. Rochefort, À la découverte des intellectuelles, in «Clio. Historie, Femmes et Sociétés» 13 (2001), pp. 6-7. 5 Su Romana Guarnieri e i suoi studi cfr. gli “autobiografici”, Donne e chiesa tra mistica e istituzioni (secoli XIII-XV), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2004; Ead., Una singolare amicizia, cit. Per una ricostruzione complessiva: G. Zarri, Studi di storia religiosa femminile per Romana Guarnieri, in «Archivio italiano per la storia della pietà», Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2005, pp. 85-104; E. Fattorini (ed.), Dire Dio, Genova, Marietti, Milano 2005. 6 Nessuna monografia ha affrontato fino ad oggi il lavoro e la biografia di Romana Guarnieri, ma nei suoi scritti autobiografici la presenza di De Luca è così predominante che parlerei costantemente di una ricerca sulla relazione più che di un vero e proprio lavoro autobiografico. Sul lavoro delle storiche e la sua difficile accettazione da parte dell’universo maschile cfr. I. Porciani- A. Scattigno, Donne, ricerca e scrittura di storia in Italia tra Otto e Novecento. Un quadro d’insieme, in «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento» XXIII (1997), pp. 265-299. Cfr. il classico di B.G. Smith, The Gender of History. Men, Women and Historical Practice, Cambridge 1998, e N. Zemon Davis, Gender and genre:women as historical writers, 1400-1820, in P.H. Labalme (ed.), Beyond their sex. Learned Women of the European, New York University Press 1984, pp. 153-182. 7 Cfr. R. Guarnieri, Il movimento del Libero spirito, in «Archivio italiano per la storia della pietà», vol. IV, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1963, pp. 351-708. Per l’importanza della scoperta cfr. G. Zarri, Studi di storia religiosa femminile, in «Archivio italiano per la storia della pietà» n. XVIII, cit., p. 86. 01 Introduzione 8 9-03-2010 11:17 Pagina 8 Vanessa Roghi Ma bisogna anche osservare che, se De Luca scriveva, Romana ha per lui, grazie alla notevole competenza filologica e linguistica, scavato in archivi, percorrendo l’Italia delle biblioteche e dei conventi con la sua moto, negli anni quaranta, e poi fino a quando ha potuto farlo con la sua “rossa”, l’automobile, fornendo al sacerdote spunti di riflessione nonché un taglio critico senza dubbio contaminato dai caratteri originali del suo essere una giovane donna colta e borghese8. Più che diretta dunque, «compagna ed amica», per citare il titolo di un saggio della Guarnieri stessa sulla direzione spirituale in età moderna, e non solo specchio riflettente uno dei grandi protagonisti della storia della cultura italiana del ’900. Compagna e amica al punto da modellare la sua vita su quella del prete, da lui ricavando elementi che si trasformeranno in veri e propri caratteri originali: il celibato ad esempio, il mancato ingresso nel mondo dell’insegnamento universitario, gli anni passati a fare ricerca ad alios, un carattere da molti definito “virile”. Tutti elementi che rimandano a quello che è stato definito un “accettabile compromesso epistemologico” per accogliere anche le donne nella torre d’avorio (con soffitto di cristallo) “degli” intellettuali e che per De Luca sono, evidentemente, la conditio sine qua non per accettarla accanto a sé tutta la vita9. Finendo per rovesciare addirittura il ruolo di direttore e diretta, lasciando a Romana, in più di un’occasione, il compito di guidare il prete De Luca, «tra le stelle e il profondo» come le scriverà lui stesso in una lettera del 194010. Eppure Romana è assente dalle ricostruzioni storico-biografiche fino ad oggi pubblicate, sulla vita di don Giuseppe De Luca, con l’esclusione ovviamente delle sue stesse memorie raccolte nel volume Una singolare amicizia11. Persino la biografia di don Giovanni Antonazzi, Don Giuseppe De Luca. Uomo, cristiano e prete, che fa ampio uso di stralci delle lettere che qui pubblichiamo, non spende mai neanche una parola per spiegare perché fra le missive più belle, e sincere, 8 Una prima parte degli scritti di Romana Guarnieri sono raccolti adesso in Donne e Chiesa tra mistica e istituzioni, cit. 9 L. Accati, La legge della madre e la religione delle figlie. Considerazioni scientifiche e politiche, in Donne sante sante donne, Rosenberg & Sellier, Torino 1996, pp. 48-49. 10 Lettera 49, 14 marzo 1940. 11 R. Guarnieri, Una singolare amicizia, cit. 01 Introduzione 9-03-2010 11:17 Introduzione Pagina 9 9 dell’intero epistolario deluchiano ce ne siano molte rivolte a una giovane donna ai più sconosciuta12. Pubblicarle dunque, anche se solo in parte, ci permette di restituire alla Guarnieri il giusto posto nella vita, nelle scelte, negli studi di don Giuseppe De Luca, affrancandola, speriamo, dal ruolo di semplice assistente, dal quale, come studiosa, già il contatto con una nuova generazione di storiche l’ha alla fine, e finalmente, “liberata”, collocandola all’interno di una «relazione eccellente» in cui i ruoli, ancorché non esattamente simmetrici, si possono confondere e, continuamente, rinegoziare13. 1. La critica e le fonti «Di epistolari femminili ogni letteratura è povera, in ogni età; epistolari i quali non siano mero documento, o storico o psicologico, e siano invece anche e soprattutto, una cosa bella, come può essere bella una poesia, una pianta, e perché no, una donna, quando è bella»14. 12 Il “debito” con Romana è stato in parte risarcito dalla pubblicazione del volume n. XVIII dell’«Archivio italiano per la storia della pietà» interamente dedicato alla sua figura di donna e studiosa. In esso Giovanni Antonazzi, in un ricordo intitolato significativamente L’ultima beghina, scrive «Lascio ad altri – ed è stato già fatto in altra sede – il compito di illustrare i meriti scientifici, per i quali Romana Guarnieri può essere considerata una delle migliori studiose contemporanee [...] la sua storia tuttavia appare come fu realmente, una vicenda non puramente intellettuale, ma profondamente spirituale» quella dell’“ultima beghina” del 900, G. Antonazzi, L’ultima beghina, in «Archivio italiano per la storia della pietà» n. XVIII, cit., p. 12. 13 «Ah, la corrispondenza epistolare con don De Luca, il grande tesoro della Romana, il suo dramma, che io stesso ho vissuto un po’ per riflesso. Vi esperimentò dunque, il contrasto fra il suo essere storica, per natura e per grazia, forsennatamente, con lucidità di esigenze – e quindi terribilmente contraria ai puntini per le omissioni, che, in fondo, tacendo, occultano la realtà, l’ammorbidiscono –, e quella sua discrezione dubbiosa, quella riserva pudica (il secretum regis conservare bonum est). E fu vano, fino all’ultimo, il mio incoraggiamento a fare, lei, il taglio tra l’intimo, o anche solo il privato, o privatissimo, da escludere dalla pubblicazione, e quello da portare a conoscenza degli altri, anche per il bene della causa De Luca, per la bellezza dello scrivere, di quel “prete romano”, che affascinò, e credo lo farebbe ancora se meglio conosciuto, molti di noi», A. Marchetto, Il De amicitia di Romana, «Archivio italiano per la storia della pietà» n. XVIII, cit., p. 25. Non è stato facile scegliere quali lettere pubblicare, il carteggio avrebbe infatti meritato una edizione integrale, secondo quanto auspicato in più di un’occasione dalla stessa Romana Guarnieri. Iniziamo dunque da una antologia di lettere, e da un periodo limitato. 14 G. De Luca, prefazione a Hadewijch, Poesie visioni lettere, scelte e tradotte da R. Guarnieri, (Marietti, Genova 2000), p. 97. 01 Introduzione 10 9-03-2010 11:17 Pagina 10 Vanessa Roghi La storia del rapporto fra De Luca, Romana Guarnieri chiama in causa ovviamente diversi livelli interpretativi. Fra questi il più evidente è quello della relazione fra direttore spirituale e diretta. La storiografia sulla direzione spirituale gode, ormai, di tre decenni di studi a cui attingere, per collocare criticamente nuove ricerche15; tuttavia, come è stato sottolineato, è la storia moderna a fare la parte del leone in questo ambito16. Sui rapporti di direzione spirituale, e, più in generale, sul rapporto fra donna e prete la bibliografia per l’età contemporanea è assai scarsa, per questo fra i primi problemi da affrontare c’è proprio il fare i conti con questa lacuna17. Il perché di questa assenza 15 Il primo pionieristico studio di G. Zarri risale a trenta anni fa: cfr. G. Zarri, Il carteggio tra don leone Bartolini e un gruppo di gentildonne bolognesi negli anni del concilio di Trento (1545-1563), Roma 1976, poi in «Archivio Italiano per la storia della pietà» VII (1986), pp. 337885. Sugli studi seguenti cfr. A. Malena-D. Solfaroli Camillocci, La direzione spirituale delle donne in età moderna: percorsi della ricerca contemporanea, in «Annali dell’Istituto Storico Germanico in Trento» XXIV (1998), pp. 439-460. Cfr. anche la parabola descritta da A. Prosperi per la definizione di questo tipo di pratica in età moderna: «“correre a furia” dietro ogni “persona spirituale”; (...) mettersi sotto la sua protezione e chiederle consigli su ogni occorrenza quotidiana», A. Prosperi, Dalle «divine madri» ai «padri spirituali», in E. Sculte van Kessel (ed.), Donne e Uomini nella cultura spirituale, cit., p. 82. Sulla storia della direzione spirituale cfr. Direction spirituelle, in Dictionnaire de spiritualité, Beauchesne, cit., pp. 1002-1214; sulla posizione della chiesa ivi, pp. 1175-1179. Manca tuttavia, per i secoli XIX-XX, una trattazione generale della storia delle direzioni spirituali, fuori dalla Francia. 16 A. Malena-D. Solfaroli Camillocci, La direzione spirituale delle donne in età moderna: percorsi della ricerca contemporanea, cit. Un ultimo momento di confronto si è avuto nel panel organizzato dalla stessa Malena Racconti di conversione e relazioni di genere nella prima età moderna tra autobiografia, biografia e romanzo, nell’ambito del IV Congresso della Società Italiana delle Storiche tenutosi a Roma fra il 15 e il 17 febbraio 2007 le cui relazioni insieme ad altri saggi originali sono ora raccolte in un numero monografico della rivista «Genesis» dal titolo Conversioni, VI, 2 (2007), Viella, Roma 2008. 17 Sul rapporto fra donne e chiesa e donne e fede la bibliografia è ormai vastissima rimando dunque a S. Bartoloni, Per le strade del mondo: laiche e religiose fra Otto e Novecento, Il Mulino, Bologna 2007; G. Pomata-G. Zarri, I monasteri femminili come centri di cultura fra Rinascimento e Barocco, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2005; Donne sante, sante donne: esperienza religiosa e storia di genere, Rosenberg & Sellier, Torino 1996; L. Scaraffia-G. Zarri, Donne e fede: santità e vita religiosa in Italia, Laterza, Roma Bari 1994. Non la stessa cosa si può dire per gli studi sul rapporto fra donne e preti, sul quale cfr. D. Vecchio (ed.), Mazzolari, la Chiesa del Novecento e l’universo femminile, Morcelliana, Brescia 2006. A proporre come chiave di lettura di alcuni rapporti novecenteschi fra donne e uomini di chiesa quella di relazione eccellente è stato invece il seminario permanente organizzato nel 2004 da Emma Fattorini, Roberto Rusconi e Sofia Boesch dal titolo appunto «Relazioni eccellenti. Donne e uomini nella spiritualità novecentesca». Sicuramente gli studi più consistenti in questo ambito restano quelli promossi dalla Società italiana delle storiche fra i quali ricordo R. Fossati, Elites femminili e nuovi modelli religiosi nell’Italia tra Otto e Novecento, Quattro venti, Urbino c1997, stampa 1996. E lo studio pioniriestico di P. Gaiotti De Biase, Le origini del movimento cattolico femminile, Morcelliana, Brescia 1963 (ora ripubblicato con una introduzione di E. Fattorini, 2002). 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 11 11 va senza dubbio ricercato nella trasformazione del rapporto fra donne e confessore a partire dal XIX secolo: la storiografia ha ritenuto più significativo per la storia delle donne, e non solo, dare conto dell’uscita dalle mura domestiche piuttosto che andare a ripercorrere rapporti che normalmente le respingevano verso ruoli tradizionali di devote o beghine, o in alcuni casi casi amanti18. D’altro canto la trasformazione in senso pubblico del rapporto fra donna e chiesa ha pesato molto nell’indirizzare nuove ricerche19. Si è così, in qualche modo, penalizzato quell’aspetto privato della fede che si traduce nel rapporto con il direttore spirituale, considerandolo di per sé conservatore, se non residuale entro le trasformazioni della contemporaneità, per le quali, così, le tradizionali categorie interpretative messe a punto per parlare di direzione spirituale, sembrano improvvisamente insufficienti20. Prendiamo la più feconda, quella di patronage, già rivista dalla stessa Romana nel saggio citato in apertura: di fronte alle profonde modificazioni delle funzioni del prete nella società italiana post unitaria, e all’affermarsi di un modello femminile, ancorché raro, profondamente originale, diventa improvvisamente insufficiente, così come debole e semplificante risulta quello di amicizia proposto, come dicevamo, dalla stessa Romana21. Paola Gaiotti De Biase, nei suoi lavori sulla spiritualità femminile nel Novecento, ci ha indicato tuttavia una strada possibile da seguire: se infatti questa spiritualità non può essere studiata senza approfondire le modificazioni del ruolo della donna nella secolarizzazione della società italiana dei primi decenni del XX secolo, allora anche la storia della direzione spirituale va ripensata in questo senso, perché nelle 18 Cfr. gli studi sulla scuola e sul lavoro delle donne fra 800 e 900 S. Soldani, Fare gli Italiani: scuola e cultura nell’Italia contemporanea (con Gabriele Turi), Il Mulino, Bologna 1993; Ead., L’educazione delle donne: scuole e modelli di vita femminile nell’Italia dell’Ottocento, Angeli, Milano 1991; Joan W. Scott, Women’s history as women’s education: from a Symposium in honor of Jill and John Conway, Smith College, April 17, 1985. Un rapporto tipicamente romantico cfr. G. Monsagrati, “Amicizia, devozione, tenerezza”. Il carteggio Ambrosoli- de Roissi, in De Amicizia, a cura di G. Angelini e M. Tesoro, Franco Angeli, 2007 pp. 427-440. 19 P. Gaiotti De Biase, Le origini del movimento cattolico femminile, cit. 20 Sul rapporto fra donne e preti nel XIX secolo cfr. E. Saurer, Donne e preti. Colloqui in confessionale agli inizi dell’ottocento, in G. Pomata-M. Palazzi-L. Ferrante, Ragnatele di rapporti. Patronage e reti di relazioni nella storia delle donne, Torino 1988, pp. 253-281. Numerose tuttavia le monografie uscite proprio nella collana diretta da Romana Guarnieri. 21 Cfr. G. Pomata, M. Palazzi e L. Ferrante in Ragnatele di rapporti., cit.; per l’amicizia come chiave di lettura per certe direzioni spirituali cfr. R. Guarnieri, Nec domina, nec ancilla, cit. 01 Introduzione 9-03-2010 12 11:17 Pagina 12 Vanessa Roghi contraddizioni della modernità è maturata la parte più rilevante della nuova spiritualità femminile della quale Romana Guarnieri diventa modello emblematico. In quelle contraddizioni, insomma, dove è possibile «intuire una religiosità orientata al mondo, attiva nella storia, volta a creare le condizioni nella società civile di un esercizio attivo di responsabilità piuttosto che una assunzione di tematiche politiche»22. Lì anche la direzione spirituale si è trasformata favorendo inaspettati gesti liberatori, modificando la strada segnata di biografie la cui appartenenza sociale aveva già scritto i possibili esiti che, per quanto originali, per il lavoro innanzitutto, non erano soddisfacenti per una donna alla ricerca di un «esercizio attivo di responsabilità» soprattutto verso sé stessa. Altro quadro di riferimento entro cui collocare questa vicenda è, d’altra parte, quello della storia della cultura e degli intellettuali fra fascismo e repubblica: anche qui sottolineando l’assenza per l’Italia di una messa a punto significativa sulla storia “delle intellettuali” e sui loro percorsi di vita e lavorativi23. L’“esercizio attivo di responsabilità” viene negli anni del regime fascista esaltato costantemente e anche se in forme retoriche e non rivolte alle donne, e sortisce su molte giovani borghesi effetti simili. Gli studi le traduzioni, il rapporto con gli editori che contano, con i quotidiani nazionali, le riviste, l’insoddisfazione verso le aspettative familiari formano una nuova generazione di studiose pronte, dopo la guerra, a diventare protagoniste della vita culturale della repubblica24. In mancanza dunque di un apparato analitico unico a cui fare riferimento, e data la complessità dei problemi, il taglio narrativo, era il rischio più grande in cui incorrere: riportare i soggetti al centro della 22 P. Gaiotti De Biase, Vissuto religioso e secolarizzazione, cit., pp. 18-19. Le difficoltà in questo senso nascono essenzialmente dalla definizione del ruolo dell’intellettuale nella società italiana in chiave politica più che di storia sociale. Recuperando l’intellettuale come lavoratore al centro di relazioni storiche complesse si può iniziare a mettere a punto un percorso di studio sulle donne come “lavoratrici autonome”, per riprendere l’espressione che Barbara Curli usa per parlare delle donne imprenditrici, cfr. B. Curli, Il Novecento. Lavoro e cittadinanza, in G. Calvi (ed.), Innesti. Donne e genere nella storia sociale, Viella, Roma 2004, p. 285. Sulle intellettuali la storiografia francese ha negli anni prodotto una bibliografia più consistente cfr. per ultimo Intellectuelles: du genre en histoire des intellectuelles, sous la direction de N. Racine et M. Trebitsch, Complexe, Bruxelles 2004. 24 F. Lussana-L. Motti, La memoria della politica Esperienze e autorappresentazione nel racconto di uomini e donne, Ediesse, Roma 2007. 23 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 13 13 storia confondendo un approccio di “storia delle donne” con la storia di “una donna”25. Il lavoro sulla relazione uomo/donna e donna/donna, e il posizionamento storico costante dei soggetti al centro di questo studio, sono stati l’espediente trovato per cercare di sfuggire dunque alla “trappola della narrazione”26. Trappola verso la quale ero spinta anche dalla tipologia di fonti a mia disposizione, ovvero le lettere27. Più di 1000 lettere, scritte e ricevute nel corso di 25 anni; lettere di avvicinamento, poi di rottura, infine di consolidamento di un rapporto che definire di amicizia sarebbe per l’appunto riduttivo. Lettere scritte per convincere e per convincersi della possibilità di instaurare un rapporto fra uomo e donna, mediato dalla fede ma fuori dagli schemi tradizionali del direttore e della diretta, lettere come esercizio di libertà e di affermazione di sé entro un complesso gioco di specchi nel quale alla fine si stenta a riconoscere direttore e diretto28. Lettere infine, raccolte e archiviate da Romana Guarnieri, entro un progetto di memoria di sé, inedito per il livello di consapevolezza29, 25 Sulla differenza fra il soggetto assoluto e il soggetto “in relazione” come nodo centrale e originale della women/gender history cfr. G. Calvi, Chiavi di lettura, in Ead., Innesti, cit., pp. VIIVIII. 26 Sulla relazione cfr. supra n. 19, e G. Pomata-M. Palazzi-L. Ferrante, Ragnatele di rapporti, cit. Sulla narrazione come scorciatoia storiografica cfr. per ultimo C. Ginzburg, Rapporti di forza. Storia, retorica, prova, Feltrinelli, Milano 1999. 27 Sul genere epistolare come fonte per la storia della donne cfr. G. Zarri, Introduzione, a Per lettera. La scrittura epistolare femminile tra archivio e tipografia secoli XV-XVII, Viella, Roma 1999, pp. OX-XXIX; M.L. Doglio, Lettera e donna, Roma 1993. Cfr. anche C. Militello, Il volto femminile della storia, Piemme 1995. 28 Sulla direzione spirituale cfr. L. Muraro, Alfonso non lo sa. Appunti per una storia della direzione spirituale, in «Bailamme. Rivista di spiritualità e politica» Numero Quattordici. Dicembre 1993 (numero dedicato agli Ottanta anni di R. G.). Cfr. anche Romana Guarnieri, “Nec domina nec ancilla, sed socia”. Tre casi di direzione spirituale tra Cinque e Seicento, in Donne e Uomini nella cultura spirituale XIV-XVII secolo a cura di Elisa Sculte van Kessel, Netherlands Government Publishing Office, The Hague 1986, pp. 111-132 e anche la parabola descritta da A. Prosperi per la definizione di questo tipo di pratica in età moderna: «“correre a furia” dietro ogni “persona spirituale”; (...) mettersi sotto la sua protezione e chiederle consigli su ogni occorrenza quotidiana», A. Prosperi, Dalle «divine madri» ai «padri spirituali», in E. Sculte van Kessel (ed.), Donne e Uomini nella cultura spirituale, cit., p. 82. Anche G. Zarri, Dalla profezia alla disciplina (1450-1650), in L. Scaraffia-G. Zarri, Donne e fede, Laterza, 1994. Sulla storia della direzione spirituale cfr. Direction spirituelle, in Dictionnaire de spiritualité, Beauchesne, cit., pp. 1002-1214; sulla posizione della chiesa ivi, pp. 1175-1179. Manca tuttavia, per i secoli XIX-XX, una trattazione generale della storia delle direzioni spirituali, fuori dalla Francia. 29 Tratto del tutto originale anche per molte donne che, pur avendo una chiara coscienza storica del loro operato si sono prodigate per salvare archivi maschili ma molto raramente i loro. Sul 01 Introduzione 9-03-2010 11:17 Pagina 14 14 Vanessa Roghi destinate a rimanere nascoste se la stessa Romana non avesse fatto di tutto per farle conoscere e non avesse in più di una sede e con più di una persona espresso la decisa volontà di pubblicarle30. Bisogna infatti tenere presente che la sopravvivenza di questo ricco epistolario è stata resa possibile dalla scelta di due donne. La prima Maddalena De Luca che alla morte del fratello ha consegnato a Romana tutte le lettere da lei scritte a partire dal 1938, la seconda la stessa Romana che ha disobbedito alla volontà del sacerdote che avrebbe voluto non conservare questo epistolario. Le lettere quindi, nella nostra storia hanno assunto questa altra caratteristica, quella di essere scritte per poi essere distrutte, e non dunque per essere lette da altri, e magari pubblicate, come nel caso dei numerosi epistolari intercorsi fra De Luca, per esempio, ed i suoi tanti corrispondenti uomini31. 2. Una donna, un prete Romana Guarnieri nasce in Olanda, all’Aja, il 15 novembre del 1914. La sua famiglia unisce in sé due anime profondamente distanti: quella della madre, olandese, cresciuta in un ambiente vicino al movimento teosofico, e quella del padre, italiano, cattolico, e legato al mondo delle riviste e dell’“interventismo della cultura” maturato negli anni precedenti la prima guerra mondiale intorno, soprattutto, a intellettuali “fiorentini” quali Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Giuseppe Prezzolini32. carteggio De Luca Guarnieri, cfr. A. Marchetto, Il De Amicizia di Romana, estratto da Archivio Italiano per la storia della pietà, volume XVIII, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2005. 30 Sulla sopravvivenza degli archivi epistolari femminili cfr. Marina D’Amelia, Lo scambio epistolare tra Cinque e Seicento: scene di vita quotidiana e aspirazioni segrete, in G. Zarri (ed.), Per lettera, cit., p. 79. Cfr. anche. A. Prosperi, Lettere spirituali, in L. Scaraffia-G. Zarri, Donne e fede, cit., pp. 227-251. 31 Su questo cfr. l’introduzione a Don Giuseppe De Luca et l’abbe Henri Bremond (19291933): de l’histoire litteraire du sentiment religieux en France a L’archivio italiano per la storia della pieta d’apres des documents inedits, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1965. 32 Sul movimento teosofico fra Otto e Novecento cfr. L. Scaraffia, Romana Guarnieri, l’esoterismo ottocentesco e il primo femminismo, in «Archivio italiano per la storia della pietà» XVIII, cit., pp. 317-329. Sul padre e il suo ambiente culturale G. Prezzolini, Bei giorni d’Olanda, Torino 1925; S. Covino, «Guarnieri, Romano», in Dizionario biografico degli italiani, vol. LX, 2003, pp. 432-435. Per una ricostruzione generale cfr. L. Mangoni, L’interventismo della cultura: intellettuali e riviste del fascismo, Laterza, Roma-Bari 1974. 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 15 15 Il padre infatti è Romano Guarnieri studioso di linguistica, grande amico di Clemente Rebora e Giovanni Papini. Nel 1907 Romano Guarnieri, si trasferisce in Olanda e, dopo vari impieghi, inizia a insegnare italiano nel conservatorio di musica diretta dal compositore e musicista fiammingo A.M. van Beuge di cui sposerà la figlia Iete, madre di Romana33. Allo scoppio della prima guerra mondiale Romano Guarnieri viene richiamato come ufficiale al fronte. La distanza di questi anni spezzerà un legame familiare già messo in difficoltà, secondo le memorie di Romana, dal carattere esuberante del padre. Di questo padre Romana ricorderà le brevi licenze. E nelle licenze le liti, la distanza fra i genitori, il sentimento di estraneità verso un uomo percepito come un “intruso”. Alle liti seguirà presto la separazione, quindi il divorzio e la scelta da parte dei genitori di dividere Romana dal fratello, Leonardo, che rimarrà a vivere con i nonni materni in Olanda. La madre Iete, infatti, poco dopo si sposerà in seconde nozze con un architetto italiano, importante esponente del movimento razionalista romano, Gaetano Minnucci, conosciuto nei Paesi Bassi durante un ciclo di conferenze sull’architettura italiana. In seguito al matrimonio i due decideranno di trasferirsi a Roma. Romana li seguirà. Gaetano Minnucci diventerà per lei “il babbo”, spesso citato nelle lettere, Romano Guarnieri invece sarà sempre “papà”. Giunta a Roma, Romana si iscrive al Liceo Ennio Quirino Visconti. È il 1928. Dai suoi taccuini il disagio, già insofferenza, verso una situazione fuori dalla norma: «Che cosa sono io mai: una giovine donna, informe, indefinita come un aborto. Senza una terra da chiamare patria [...]; cresciuta sin dai primi anni senza una famiglia formata; ospite di mia madre, e ospite non di rado ingombrante [...]. Non guidata da una mano sicura [...]. Senza neppure una lingua o un mio dialetto»34. Al liceo Visconti incontra un insegnante che ricorderà più avanti negli anni come il primo prete incontrato nella sua vita, don Primo Vannutelli, che, attraverso le lezioni di greco e latino, lascia alla giovane donna l’immagine di una religiosità profondamente legata al 33 Per una ricostruzione di questi anni cfr. anche M. Sensi, Bio-bibliografia di Romana Guarnieri, in «Archivio italiano per la storia della pietà» XVIII, cit., pp. 32-81. 34 R. Guarnieri, Taccuino n. 2, ora in ARG. 01 Introduzione 16 9-03-2010 11:17 Pagina 16 Vanessa Roghi coevo dibattito culturale, una religiosità vissuta in pubblico, nei giorni che vedono l’instaurarsi dello Stato totalitario, ma anche la rinascita della cultura cattolica italiana, negli anni che portano e seguono il Concordato, vero e proprio momento di chiarezza e rinascita per il clero dopo la bufera antimodernista ed il fallimento del progetto popolare di don Luigi Sturzo35. Romana Guarnieri inizia a frequentare la libreria Modernissima a piazza San Silvestro, lì legge tutto quello che le passa fra le mani: «Rimbaud, Viani e Campana, Verlaine e Lautreamont, Nietzsche e Kierkegaard» e poi Carlo Bo, Giovanni Papini, e Ardengo Soffici36. Curiosa, ma soprattutto restia a rispondere alle aspettative dei suoi che la vorrebbero insegnante di lettere, si iscrive alla facoltà di matematica. Ma dopo poco lascia e approda a Lettere e Filosofia. È il 1934, anno nel quale il padre diventa titolare a Utrecht della prima cattedra di Italiano nei Paesi Bassi e pubblica il volume Scorci di vita ed arte nel Duecento italiano. Il suo metodo di insegnamento per gli italiani all’estero è già famoso e, dal 1927, tiene tutte le estati un corso all’Università per stranieri di Perugia, elementi questi da tenere in considerazione per capire il rapporto di Romana con il lavoro intellettuale e le figure maschili che tanto peseranno nel futuro rapporto con lo studioso Giuseppe De Luca. Romana inizia a frequentare le lezioni di lingua e cultura tedesca tenute dal professor Giuseppe Gabetti, anch’egli, come il padre di Romana nella sua università, vera e propria istituzione della Sapienza. «Alla Sapienza pochi studenti di germanistica riuscirono a sottrarsi al fascino fumigante di Gabetti, alle eccezionali qualità che egli “riversava nelle lezioni, difficili da seguire (e ancor più da portare agli esami) non per mancanza di chiarezza, ma proprio per la rete di riferimenti, illuminazioni, accostamenti, digressioni di cui erano dense. Lezioni difficili, dunque, ma straordinariamente feconde e suggestive, che davano il senso profondo di che cosa è la letteratura, di che cos’è la cultura»37. 35 Sul liceo Visconti durante il fascismo cfr. Antifascismo e resistenza nei Licei e all’Università di Roma, Anpi, Roma 1995. Su P. Vannutelli cfr. la stessa R. Guarnieri in Una singolare amicizia, cit. Cfr. L. Mangoni, In partibus Infidelium. 36 R. Guarnieri, Una singolare amicizia, cit. Sulle letture femminili fra 800 e 900 cfr. A. Chemello, «Libri di lettura» per le donne. L’etica del lavoro nella letteratura di fine Ottocento, Edizioni dell’Orso, Alessandria 1995; M. De Giorgio, Le Italiane dall’unità a oggi, Laterza, Roma-Bari 1992. 37 A. Lombardo, Le scuole di letterature e filologie straniere, in Le grandi scuole della 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 17 17 La scelta di seguire i corsi di Giuseppe Gabetti anche, specializzandosi all’Istituto di Studi Germanici di Villa Sciarra, sorto da poco, è comune a tante altre ragazze e ragazzi della generazione della “lunga marcia attraverso il fascismo”, con un’importante differenziazione di genere: alle donne infatti, in seguito alla riforma dell’insegnamento superiore voluta da Giovanni Gentile nel 1923, è preclusa la strada dell’insegnamento della storia e della filosofia nei licei. Per molte dunque lo studio della letteratura e delle lingue non è solo una scelta ma l’unica strada possibile per intraprendere una carriera intellettuale che sia coronata dall’insegnamento liceale38. Romana sembra destinata a questa strada per nascita, gode delle amicizie del padre, che frequenta, durante le vacanze estive, nei lunghi soggiorni a Perugia; e frequenta i migliori circoli della cultura romana, grazie al salotto della madre e di Minnucci39. Legge le riviste in Facoltà di lettere e filosofia, Roma 1994, pp. 330 e s. cit., in L. Gabetti, «Gabetti, Giuseppe», in Dizionario biografico degli italiani, vol. 51, 1998, pp. 16-18. La figura di G. Gabetti (1886-1948) è fondamentale nelle vite di Angela Zucconi e Romana Guarnieri. Docente di Letteratura tedesca dal 1918 al 1949, direttore dell’istituto di Studi Germanici di villa Sciarra, da lui fondata nel 1932 «con l’obbiettivo di promuovere gli studi italiani di germanistica ed estenderli alle letterature scandinave», e della rivista «Studi Germanici», fondata nel 1935 dove Zucconi pubblica il primo estratto su Ludovico I. Al suo corso di specializzazione le due giovani studiose hanno la possibilità di frequentare i corsi di Delio Cantimori e Carlo Antoni. Sulla storia della Facoltà di Lettere della Sapienza cfr. L. Capo-M.R. Di Simone, Storia della Facoltà di Lettere e Filosofia de La Sapienza, Viella Editore, Roma 2000, in particolare i saggi di A. Staderini, La facoltà nei primi decenni del Novecento (1900-1920), pp. 451-508 e L. Cerasi, «Il centro massimo degli studi in Italia». Appunti sulla Facoltà di Lettere e Filosofia durante il Fascismo, pp. 509-566. 38 Cfr. I. Porciani-A. Scattigno, Donne, ricerca e scrittura di storia in Italia tra Otto e Novecento. Un quadro d’insieme, in «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento» XXIII (1997), pp. 265-299. Ma cfr. M. Palazzi-I Porciani, Storiche di ieri e di oggi. Dalle autrici dell’Ottocento alle riviste di storia delle donne, Viella 2004, in particolare il saggio ivi contenuto di M.P. Casalena, Problemi di continuità nella produzione storica delle italiane. Due casi di studio: i testi scolastici e l’agiografia, pp. 67-94. Ma cfr. M.P. Casalena, Scritti storici di donne italiane. Bibliografia 1800-1945, Firenze 2003. 39 Sull’Università per stranieri negli anni Trenta cfr. S. Covino, Il metodo Guarnieri e gli esordi dell’insegnamento dell’italiano L2; A. Lupattelli, L’Università italiana per stranieri di Perugia. 1925-1943, Perugia 1947, pp. 8-12, 32, 141-147; AA.VV., Romano Guarnieri, Perugia [1956] (opuscolo commemorativo pubblicato dall’Università per Stranieri di Perugia); M.E. Houtzager, Romano Nobile Guarnieri, in Jaarboek van de Maatschappij der Nederlandse Letterkunde te Leiden [Annuario della Società per la Letteratura Neerlandese a Leida], 1956-1957, pp. 106-113 I. Dentz, Spelenderwijs Italiaans: een handleiding voor zelfstudie van de Italiaanse taal gebaseerd op de methode van Romano Guarnieri [L’italiano senza fatica: un manuale per l’autoinsegnamento della lingua italiana basato sul metodo di Romano Guarnieri (prefazione di R. G.)], Amsterdam 1980; T. van Kessel, Tussen italianità en fascisme. De Haagse afdeling van “Dante Alighieri” en de Italiaanse cultuurpolitiek in Nederland, 1914-1938 [Tra italianità e fascismo. Il comitato all’Aja della “Dante Alighieri” e la politica culturale italiana nei Paesi 01 Introduzione 18 9-03-2010 11:17 Pagina 18 Vanessa Roghi voga, la incuriosisce «Il Frontespizio»40, fondata nel 1929 da Giovanni Papini e Piero Bargellini, specchio delle speranza del mondo intellettuale cattolico verso il regime che ha nello stesso anno siglato il Concordato. Cresce la sua passione per le figure intellettuali più in voga, come lo stesso Papini che, malgrado sia ben lungi ormai dal rappresentare alcunchè di nuovo o, quantomeno, di rivoluzionario, riscuote ancora vasto consenso fra quei giovani letterati lontani dall’attualismo di Giovanni Gentile, e propensi ad un atteggiamento “spirituale”, ancorchè non strettamente religioso, verso il proprio tempo. Romana ammira Ardengo Soffici, e su di lui scrive: «Quando leggo i libri di Soffici mi ci appassiono più di quanto non faccio per solito di altri», confessa in una prosa dedicata alla scrittura breve. Instaura un dialogo immaginario con Gabetti, nelle pagine del suo diario scrive: «Chissà perché poi ripenso sempre a tutte le sue parole professor G... E molte le so quasi a memoria. Tal volta penso che sono un pochino innamorata di lei, e ciò mi pare tremendamente ridicolo. Ma pure perché sennò verrei a tutte le sue lezioni senza mancarne una? Sono belle certo, ma tante cose sono belle. E ha notato come sto sempre attenta e pendo dalle sue labbra [...] Non ha mai notato, forse, che mano diaccia le do, quando entro da lei anche d’agosto; e la voce soffocata, i lapsus linguae; il pallore, i subitanei rossori [...] Eppure vede il giorno che dovesse mostrare di essersene accorto, quel giorno sarei guarita. Così son fatta io»41. Romana scrive poesie, disegna, fotografa, parla perfettamente almeno quattro lingue. Ecco come si descrive in una delle prose destinate ad un concorso scolastico nel 1937: «“La vita vale in quanto che si fa qualche cosa” ha detto una volta GabettiCome ogni sua parola, anche questa mi è rimasta impressa; ci penso spesso. Fare qualche cosa. Ho fatto all’amore, ho sofferto e più fatto soffrire. Ho fatto Bassi, 1914-1938], Doctoraal scriptie, Begeleider: dr. J. Talsma, Universiteit van Amsterdam, 12 maggio 1999. 40 «Il Frontespizio», sorto nel 1929 «come supplemento al catalogo della Libreria Editrice Fiorentina [...] Era stato inizialmente un tentativo, senza particolari ambizioni, di avvicinare quei lettori che per le edizioni cattoliche provavano un’istintiva diffidenza», L. Mangoni, L’interventismo, cit., p. 245. 41 R. Guarnieri, Prelittoriali della Prosa, Annotazioni 1937-1938, in ARG. 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 19 19 delle amicizie; e mi ritrovo sola, sempre più, nulla mi è rimasto. Non sono state che passatempo. Ho studiato; dato forse qualche speranza a parenti e professori; ma finora non ho cavato un ragno da un buco. Ho lavoricchiato un poco dando lezioni, scrivendo qualche articolo; ed è il meglio che abbia fatto. Ho desiderato impetuosamente molte cose. Ho spesso fatto soffrire, soffrire senza considerazione i miei per ottenerle. Una volta avute mi hanno sapute tutte d’amaro. Oggi desidero su tutte le cose, la libertà, l’indipendenza; poter viaggiare, studiare, lavorare; ma sola per conto mio. Domani, sola, all’estero, chissà come desidererò la famiglia, la radio, le comode poltrone, i miei libri. E tornata non mi ci potrò più vedere e andrò vagando in giro tutto il giorno. Se questo è quello che so fare io, quanto vale la mia vita, professor G. Eppure non la getterei»42. Al corso di Gabetti incontra Angela Zucconi, un’amica destinata ad essere, involontariamente, causa del più importante incontro nella vita di Romana Guarnieri, quello con don Giuseppe De Luca43. Angela Zucconi è già iscritta alla facoltà di Lettere dal 1933. Su di lei una delle composizioni scritte da Romana Guarnieri, per una competizione di Facoltà legata ai pre-littoriali della cultura, da poco aperti anche alle donne44. La composizione si intitola Angela, sogno di una amicizia ideale (titolo che, di poco modificato, riprenderà molti anni dopo nel suo studio sulla beata Angela da Foligno)45. «Da un anno ti guardo di nascosto, ti pedino senza parere, chiedo velatamente tue notizie ai pochi che so ti conoscono. Quante volte, prima di andare alla lezione di Toesca46 mi sono domandata: La vedrò oggi? [...] Hai il volto quasi 42 R. Guarnieri, Annotazioni 1937-1938, in ARG. Su Angela Zucconi cfr. Ead., Cinquant’anni nell’utopia il resto nell’aldilà, L’Ancora del Mediterraneo, 2000; e V. Roghi, Una vita nell’utopia. Prime note di ricerca su Angela Zucconi, in «Dimensioni e problemi della ricerca storica» 2 (2003), Roma, pp. 235-265; Ead., Angela Zucconi fra impegno sociale e politico, in F. Lussana-L. Motti (eds.), La memoria della politica. Esperienze e autorappresentazione nel racconto di uomini e donne, cit., pp. 303-317. 44 ARG. I prelittoriali sono organizzati dalle università per selezionare i candidati che poi parteciperanno ai Littoriali della cultura che vengono istituiti a partire dal 1932. Vera e propria competizione per temi e generi. Le donne potranno partecipare ai Littoriali veri e propri soltanto a partire dal 1939 (fino al 1941). Cfr. Sui Littoriali della Cultura cfr. A. Grimaldi-M. Addis Saba, Cultura a passo romano. Storia e strategie dei Littoriali della cultura e dell’arte, Feltrinelli, Milano 1983; R. Ben Ghiat, La cultura fascista, cit., pp. 248-263. Sulle donne ai Littoriali cfr. L. Pastino, I Littoriali Femminili della Cultura, in «Il Bò» 15 aprile 1941. 45 R. Guarnieri, Donne e chiesa tra mistica e istituzioni, cit., pp. 229-238. 46 G.P. Toesca (1877-1962), storico dell’arte e medievista, insegnò all’Università di Roma dal 1926. 43 01 Introduzione 9-03-2010 20 11:17 Pagina 20 Vanessa Roghi d’un ragazzo, forse per i capelli neri e lisci; tagliati ostentatamente corti; e vorresti darti un’aria energica, forse un po’ ironica. Ma pure non so quale grande stanchezza ti piega la testa di lato; e hai l’andatura goffa, impacciata, grave, di chi non sa passare con leggerezza sulle cose, ma con tutto deve prendere contatto, di tutto deve conoscere l’ultimo fondo. [...] Si può essere amici anche parlando poco, mi hai detto tu una volta. L’amicizia è fatta di simpatia e di comprensione. Hai molti amici, dici, e non potresti farne a meno. Io ne ho pochi invece, e anche di quei pochi, forse, potrei fare a meno»47. Angela Zucconi ha alle spalle un percorso del tutto diverso, figlia della piccola borghesia dello Stato, fin dal liceo, il più borghese Mamiani, persegue con ostinazione la strada di giovane letterata48. Ha conosciuto don Giuseppe De Luca nel 1932 grazie alla pubblicazione di un libro di poesie, che le aprirà le porte, fin dai suoi sedici anni, di redazioni e giornali. De Luca, nei primi anni Trenta è già abbastanza noto come giornalista e come polemista, collabora con «L’Avvenire d’Italia» e «Il Carroccio», appartenenti all’Opera Cardinal Ferrari, e scrive sotto numerosi pseudonimi su «Il Frontespizio», a volte è Fuligatto a volte, come vedremo, Ireneo Speranza. De Luca è amico di Giovanni Papini, e Giuseppe Prezzolini, Piero Bargellini e Arrigo Bugiani, per parlare soltanto dei laici, con i quali si scrive con regolarità da anni; il suo studio, vicino al Colosseo, è un punto di passaggio obbligato, anche se discreto, per tutto un universo culturale in fermento in quell’Italia post-concordataria a cui abbiamo fatto cenno. Non si può far a meno di ricordare una delle dichiarazioni più rappresentative di De Luca che tanto colpisce la Zucconi: «Leggo Voltaire. Sta bene [...] Non però per semplice sensualità letteraria, seppure non senza questa. Io tendo all’enfasi, e il periodo è rigido. Posso continuare, caro Papini, a leggere classici e Bossuet per curarmi? Miro a farmi leggere, e a non permettere, mai, che nessuno dei miei amici non credenti possa credere che io credo perché non ho letto»49. 47 Appunti, in ARG. Zucconi, Cinquant’anni, cit., pp. 31 e ss. 49 Cit. in L. Mangoni, In parti bus, cit., p. 54. Sulla generazione di preti a cui appartiene De Luca cfr. M. Guasco, Storia del clero in Italia dall’Ottocento a oggi, Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 154-155. Sugli anni del seminario cfr. G. De Luca, Il cardinale Bonaventura Cerretti, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1971. M. Guasco, L’organizzazione delle scuole e dei seminari, in Modernismo, fascismo, comunismo. Aspetti e figure della cultura e della politica dei cattolici del ’900, a cura di G. Rossini, Il Mulino, Bologna 1972, pp. 192-204; M. Guasco, 48 A. 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 21 21 De Luca, alla ricerca di giovani che lo assistano nel «terribile compito di dirottare la cultura (come la dicono, io direi l’intelligenza) italiana e farle prendere un mare nuovo»50, rimane profondamente colpito da questa giovane51. Con lei inizia il suo apprendistato di confessore e direttore, non solo di coscienza ma anche di studio. La invita a lavorare, scrivere, studiare pur continuando a richiamarla costantemente all’ordine di una condotta coerentemente cristiana, al punto che è la Zucconi stessa a scrivergli: «Le invio anche alcune mie liriche [...] perché vorrei che lei tenesse presente non solo la mia vita ma anche un pochino la mia “letteratura” mentre per me ancora rimangono oscuri i rapporti tra l’una e l’altra»52. De Luca diventa guida spirituale, ma senza dare «consigli da prete»53: «Don Giuseppe De Luca cominciò con l’orientare le mie letture che allora (a parte il Così parlò Zarathustra) non erano andate più in là dei romanzi che ci scambiavamo negli anni del liceo tra compagne di scuola: Babbit, Il pozzo della solitudine, Il caso Mauritius, Piccolo mondo antico, La montagna incantata. Don Giuseppe mi fece leggere i classici russi, Péguy, Rimbaud, Gide, Huxley e una volta che si accorse di certe letture piccanti e scadenti che avevo fatto su suggerimento di una cugina “scafata” preoccupata della mia ignoranza in materia di sesso, passò al “crudo” e mi fece leggere L’amante di Lady Chatterley»54. Seminari e clero nel Novecento, Milano 1990; G. Battelli, Clero secolare e società italiana, in M. Rosa (ed.), Clero e società nell’Italia contemporanea, cit., pp. 43-123; Id., La tipologia del prete romano fra tradizione e “romanitas” nell’Ottocento- Novecento, in «Ricerche per la storia religiosa di Roma» vol. VII, Roma 1988, pp. 213-150. 50 De Luca a Baldini in A. Baldini-G. De Luca, Carteggio, cit., p.174; cfr. anche G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., pp. 47-49. 51 A. Zucconi, Cinquant’anni, cit. p. 25. 52 ADL, Corr., carte Angela.Zucconi. lettera 20 agosto 1933. 53 L’espressione è ricorrente nei carteggi cfr. G. De Luca-M. Majnoni, Carteggio 1936-1957, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2007, p. XXXII. 54 Testi insolitamente trasgressivi se comparati con la biblioteca ideale delle giovani signorine cattoliche regalata nel 1927, dal pontefice Pio XI, alla nipote, contessina Ratti, per le sue nozze: malgrado su 37 autori 25 siano francesi la scelta cade molto lontano dai testi prescelti da De Luca, «Dupanloup, Gratry, Tissier, Lendriot, e “Féminisme et Christianisme” di Sertillanges che ricorda che i tempi sono percorsi da inquietudini anche per le forti e pie spose cattoliche», M. de Giorgio, Le Italiane dall’unità a oggi, cit., p. 429. 01 Introduzione 9-03-2010 22 11:17 Pagina 22 Vanessa Roghi Caduta la distinzione fra i libri di pietà e i libri di “coltura”, caduta, anche, ogni distinzione di genere, De Luca mette a punto con la Zucconi un modello di direzione spirituale al femminile che resterà poi lo stesso anche con Romana Guarnieri: i libri di cui parla con Angela, i temi che con lei affronta sono gli stessi di cui parla nei suoi epistolari con Fausto Minelli, fondatore della casa editrice Morcelliana, ma anche con Giovanni Papini, e gli altri suoi corrispondenti55. Il lavoro culturale diventa parte essenziale del percorso di direzione di giovani, uomini e donne. Angela dunque conosce la Guarnieri, e diventa per lei quello che è stato fino a poco prima il professor Gabetti: un punto di riferimento intellettuale, e non solo. Si invaghisce di lei, del suo modo di essere, della sua fede: gli appunti si riempiono di «Dice Angela», «secondo Angela»56. Romana è tormentata da quello che, prendendo in prestito da Nietzsche, definisce il suo Auge zu viel, il suo occhio in più, ma anche di troppo. Un occhio che cerca di vedere dove «non dovrebbe»57. Diventa sempre più critica verso il suo ambiente, la sua famiglia, le sue amicizie: «Piccole borghesi, miserabili; appena un poco più intelligenti forse della maestra di pianoforte. [...] I miei si lamentano mi dicono indocile ribelle. Ma non pensano che sono stati loro, con la loro originaria ribellione al loro compito di genitori che fatalmente mi ha portato ad essere quella che oggi io sono. [...] Tutto mi seduce ma nulla mi prende»58 e ancora «Io ho un occhio di troppo, che guarda in un mondo senza dimensioni di sorta, ed è tuttavia per me il vero “questo mondo”, mentre il “questo mondo” degli altri per me non è neppure un mondo, certo non è il mio mondo»59. 55 Per un confronto puntuale cfr. V. Roghi, Una vita nell’utopia, cit., p. 260. Prelittoriali 1937-38, cit., senza pagina. 57 «Ich habe ein Auge zu veil. – dice Nietsche. È il nostro male, l’occhio di troppo. È necessario strapparcelo se vogliamo ritrovare l’armonia, l’equilibrio. Ma quello rinascerebbe. Come la coda alla lucertola». Cfr. Taccuini, Il filo d’Arianna, in ARG, cit. Il riferimento all’occhio in più ritornerà sempre nella scrittura di Romana, e anche di Angela. Secondo il diario di Romana il riferimento nasce da una affermazione del prof. Giuseppe Gabetti, cfr. Diari, in ARG. 58 Taccuini, Il filo di Arianna, in ARG. 59 Ibidem. 56 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 23 23 Trova in Angela un porto sicuro, perché Angela non è preda di facili seduzioni, ha chiara la fede, le amicizie, la strada da percorrere, il lavoro da fare per vivere ed essere indipendente. Angela trova infatti un lavoro a Orvieto, come insegnante, nell’istituto magistrale femminile, ma è solo la prima tappa verso quella che spera sarà la sua carriera, quella universitaria60. Romana la va a trovare: «Scappo da Roma, per Orvieto. Peccato sia solo per due giorni. Gloriosamente in terza. Da una parte uno scompartimento pieno di donnette cicalanti dell’esercito della salute, col loro buffo cappellino in testa [...] Dall’altra parte un gruppo di coloniali. [...] Il mio scribacchiare suscita grandi curiosità. Mi chiedono se sto scrivendo un romanzo»61. È il marzo del 1938, nel ricordo di Romana resta di quei giorni un gesto. Angela con la testa coperta di cenere. Per Romana, che non ha mai conosciuto la «dolcezza di qualcuno che mi insegnasse il segno della croce, guidando la mia mano come da bambini ho visto fare», anche la crudezza della pratica di devozione appare una «strada possibile»62. In quei giorni la figura del sacerdote De Luca, amico e guida spirituale di Angela esce fuori spesso nei discorsi delle due amiche, e in modo nuovo: a lui, infatti, Zucconi attribuisce il ruolo di vero e proprio maestro, da lui si dice guidata in ogni scelta, a lui debitrice per ogni passo in avanti compiuto fino a quel momento63. De Luca secondo i ricordi di Romana, ma anche secondo quello che ha più volte scritto nelle sue memorie, non vede di buon occhio l’amicizia fra le due ragazze, considerata ambigua. Angela si dice incerta, racconta a Romana dei dubbi del sacerdote: «Lo odiai sull’istante», scrive, a distanza di anni, Romana, «Potevo diversamente? Un estraneo, uno sconosciuto, per giunta prete, decidere del mio destino, senza che io neppure potessi interferire, difendere il mio punto di vista. Era davvero troppo. Senza replicare, decisi che, se le cose stavano così, ad affrontarlo sarei stata io e subito: non certo per consiglio, ché di consigli 60 Su Orvieto e le sue scuole durante il fascismo cfr. L. Motti, Accademiste a Orvieto: donne ed educazione fisica nell’Italia fascista 1932-1943, a cura di Lucia Motti, Marilena Rossi Caponeri, Ponte S. Giovanni, Perugia 1996. 61 R. Guarnieri, Diario 1938, in ARG. 62 R. Guarnieri, Intervista con l’a., luglio 2002. 63 A. Zucconi, Cinqunt’anni nell’utopia, cit., R. Guarnieri, Un incontro, cit., pp. 55-56. 01 Introduzione 9-03-2010 24 11:17 Pagina 24 Vanessa Roghi non sentivo bisogno, ma unicamente per difendere quello che consideravo un mio inalienabile diritto. Fu così che, procuratami il suo indirizzo e informatami su come ci si rivolge a un prete (“padre”, “monsignore”? No, meglio “reverendo”), lo chiamai quella sera fatale»64. Il 14 marzo del 1938, dopo una “fatidica” telefonata raccontata in più di un’occasione, Romana Guarnieri si presenta in casa De Luca: «Mi ritrovai in una quieta saletta, tappezzata di libri, stipati su tavole di grezzo abete [...]. Ne profittai per esplorare con occhio avido i palchetti di libri intorno a me. Letteratura, quasi tutta letteratura, e di ottima qualità: moderna, anzi, contemporanea la più parte, italiana e francese, ma anche inglese, spagnola, tedesca, russa, e parecchia in lingua orientale»65. Romana viene fatta entrare in uno studio dove De Luca la riceve avvolto in una coperta «vermiglia a righe bianche e nere»66: il pregiudizio verso il prete scompare, sull’istante, lasciando spazio, nel ricordo della Guarnieri, a una umana simpatia che farà sì che la sera stessa la giovane scriva: «Caro don Giuseppe, – salto la tappa del “molto reverendo signore! – Sono grata al mio impulso – Lei lo chiamerebbe diversamente, ma la sostanza rimane la stessa – che mi ha fatto telefonare iersera, e al mio coraggio che non mi ha permesso di tirarmi indietro stamattina. Confido che Lei mi vorrà concedere un poco di quella amicizia che sempre mi è tanto mancata»67. De Luca nel 1938 ha quarant’anni e «sotto la fonte ampia, nel volto ben fatto ha [...] grandi occhi scuri, mobili e intensi, fatti più grandi e più profondi da spesse lenti da miope». È abituato a frequentare donne di diversa estrazione sociale e cultura: abbiamo parlato dell’amicizia con Angela Zucconi, ma bisogna anche aggiungere della sua vita con due sorelle e l’anziana moglie del padre68. La madre, infatti, è morta 64 R. Guarnieri, Un incontro, cit., pp. 56-57. Ibi, p. 58. 66 Ibi, p. 59. 67 Lettera 1, 14 marzo 1938. 68 Il prete infatti, non risente assolutamente della riforma delle parrocchie intrapresa dopo la promulgazione del Codice di diritto canonico nel 1917: una delle modifiche più importanti ha a che vedere con il distacco dei parroci, soprattutto meridionali dalle proprie famiglie, cfr. G. 65 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 25 25 mettendolo al mondo, nel 1898, in un piccolo paese della Lucania, Sasso di Castalda69. La sua educazione sentimentale tutta al femminile è simile a quelli di tanti altri giovani che incontra in seminario, dove è mandato a studiare, per volontà sua e di uno zio vescovo nel 190770. Nel 1911, a 13 anni De Luca giunge a Roma. Sono quelli gli anni dell’attuazione della riforma dei seminari, voluta da Pio X in seguito alla crisi modernista71. I giovani preti con velleità intellettuali sono guardati a vista: «un mondo ovattato [...] dove gli studi erano curato, controllatissimi, il diario dei corsi avvertiva “prima nix scholae vacant” come negli orari scolastici di cento anni prima. Può darsi che una biblioteca ci fosse, ma né in quell’anno né in quello dopo vi misi mai piede»72. Malgrado ciò De Luca riesce a ritagliarsi un suo spazio di studio, diventa anzi una calamita per gli altri studenti «Tutti erano curiosi di sentirlo parlare, raccontare; si sapeva che era in corrispondenza con Papini e Giuliotti; Croce gli aveva già scritto una cartolina postale e la mostrava e commentava critico ma deferente. Aveva avuto il permesso di frequentare la Biblioteca Vaticana anche fuori orario»73. Nelle ore di studio solitario si avvicina alla grande letteratura dei laici, legge tutto, come lui stesso ammette nella citazione già riportata. Ma non perde di vista il suo obbiettivo principale: diventare prete. E lo diviene, nel 192174. D’Andrea, La parrocchia lucana tra Unità e fascismo, in AA.VV., La parrocchia in Italia in età contemporanea, Edizioni Dehoniane, Bologna 1982. 69 Cfr. R. Guarnieri, Don Giuseppe, cit., pp. 43-47. 70 Cfr. G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., pp. 77-80. 71 Cfr. l’Ordinamento dei seminari da S. Pio X a Pio XII, Città del Vaticano 1958, che contiene il Programma generale di studi e le Norme per l’ordinamento educativo e disciplinare introdotte da Pio X in occasione della riforma dei seminari (1907-1908). 72 L. Sandri, Ripetitore nel seminario romano minore, in M. Picchi (ed.), Don Giuseppe De Luca. Ricordi e testimonianze, Morcelliana, Brescia 1963, pp. 310-311. 73 Ibi, p. 312. 74 Sul Seminario romano oltre a Ibidem, cfr. G. De Luca, Il cardinal Bonaventura Cerretti, cit. Sulla polemica antimodernista cfr. R. Guarnieri, De Luca, il Bremond italiano? Un mito sfatato, cit. Ma cfr. L. Mangoni, In partibus, cit., pp. 3-52. Sul coevo modello di prete scrive M. Guasco: «I preti formati negli anni di Leone XIII, provocati dall’apertura ai nuovi problemi del mondo, convinti di dovere diventare i protagonisti di grandi trasformazioni sociali, avrebbero conservato per tutta la vita una forte curiosità intellettuale, una certa libertà di spirito, una costante attenzione verso le novità e i cambiamenti. Quelli formati dopo il 1907, nel clima di restaurazione introdotto nei seminari, avranno tutte le caratteristiche contrarie: paura delle novità, pochi 01 Introduzione 26 9-03-2010 11:17 Pagina 26 Vanessa Roghi La sua curiosità intellettuale, tuttavia, lo ha già messo spesso di fronte a difficoltà e incomprensioni, anche gravi, da parte dei suoi superiori. De Luca reagisce rifiutando ogni incarico curiale per dedicarsi allo studio, nelle ore rubate al suo ruolo di semplice prete75. Dal 1927 è cappellano delle Piccole Suore dei Poveri a piazza San Pietro in Vincoli, nel cuore dell’antico quartiere romano dei Monti, a due passi dal Colosseo. Lì De Luca apprende, sul campo, la difficile vita del prete dei poveri, ma sperimenta anche l’ebbrezza della libertà negli studi e nelle relazioni intellettuali, che intesse, nei suoi venti anni, senza alcuno spirito di inferiorità o timore reverenziale come dimostra il suo ricco epistolario con il gruppo di scrittori cattolici legati a Giovanni Papini e Piero Bargellini76. Lì, ancora una volta, De Luca mette a punto la sua idea di direzione spirituale, e lo fa avventurandosi ai «confini del regno», in quella terra degli infedeli, dove, a suo dire, la pietà c’è e, compito del sacerdote, è coltivarla, o, quantomeno, non lasciarla appassire del tutto77. Così, senza alcun intento esplicito, intesse carteggi e amicizie con le personalità più diverse e lontane, per fede e posizione. Scrive a un ateo convinto come Giuseppe Prezzolini, come parla di Dio alla sua prima diretta Angela Zucconi, e in entrambi i casi non predica, ma «discorre». In questo senso De Luca non segue soltanto la sua indole, ha un modello ben preciso. stimoli intellettuali, spesso una vera e propria diffidenza verso lo studio, una spiritualità piuttosto individuale, una forte tendenza all’ossequio, all’autorità» – Un prete, «abituato al sacrificio e alla rinuncia, in grado di sopportare le difficoltà materiali, ma anche carente sul piano culturale» in M. Guasco, Storia del clero in Italia dall’Ottocento a oggi, Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 154155. Sulle misure restrittive prese da Papa Sarto cfr. ivi, pp. 152-153. Sul modernismo in generale cfr. M. Rosa (ed.), Clero e società nell’Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 1992; G. De Rosa-T. Gregory-A. Vauchez (eds.), Storia dell’Italia religiosa, L’età contemporanea, Laterza, 1995. Sulle conseguenze del modernismo nella direzione della spiritualità femminile cfr. R. Fossati, Elites femminili e nuovi modelli religiosi nell’Italia fra Otto e Novecento, Quattroventi, Urbino 1997. Sul seminario e sulle scelte giovanili di Giuseppe De Luca cfr. L. Mangoni, In partibus, cit., pp. 3-52. R. Guarnieri, Don Giuseppe, cit., pp. 55-83; G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., pp. 77-128. 75 Ibi, pp. 86-88. 76 P. Bargellini, I tempi del «Frontespizio», in M. Picchi, Don Giuseppe De Luca, cit., pp. 24-38. 77 G. De Luca, Introduzione alla Storia della Pietà, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1962. 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 27 27 Nel 1923, primo fra gli scritti della sua vasta bibliografia, il giovane prete ha tradotto il De catechizandis rudibus di Agostino d’Ippona: opuscolo scritto per affrontare il «problema dell’espressione, e dell’espressione di una verità che ci supera e che ci vince qual è quella di Dio e del cristianesimo»78. Agostino stesso, infatti, sentì «chiaramente e dolorosamente [...] l’insufficienza sua alla verità che per suo mezzo voleva aprirsi la strada fra gli uomini e negli uomini». Come Agostino, il prete De Luca, è convinto che «niente è più bello, niente è più dolce che scrutare il divino tesoro senza che nessuno strepiti; [...] invece predicare, argomentare, rimproverare, edificare, occuparsi di ciascuno, è un grande onere, un gran peso, una gran fatica». Al punto che «quando devo istruire i fedeli o coloro che vogliono essere fedeli ad entrare nella chiesa, non so come sia, parlando mi avvilisco e mi ho in uggia io stesso». Parole che sembrano uscite dalla penna di De Luca, come vedremo nelle sue lettere, e che in realtà lo sono, ma solo perché le ha tradotte, e traducendole se ne è impossessato, trasformando quello che inizialmente sembra essere un atteggiamento, in una scelta, la più importante, della sua vita, essere prete ma «senza darlo a vedere». Scrive De Luca, sempre nello stesso periodo della “scoperta” di Sant’Agostino: «Fedele alla vita spirituale, costante nelle amicizie, innamorato sempre dei miei studi, amatore della famiglia, [...] benevolo e motteggiatore, lavoratore che nulla teme, ma che sembra nel riposo un disoccupato, ecco il mio ideale e la figura di prete che voglio essere nei miei giorni»79. Su questa idea di sacerdozio innesta quella di direttore di anime, attraverso la parola e la scrittura, esattamente come il Sant’Agostino che, ci racconta, «si piega, si adatta, si moltiplica in tutti i versi, per fare intendere e amare quello che lui intende e ama»80. Senza alcuna distinzione fra uomo e donna. Quantomeno in apparenza. 78 G. De Luca, Sant’Agostino. Scritti d’occasione e traduzioni, a cura di G. Sandri, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1986, p. 205. Il De Catechizandis, è tradotto con il titolo La prima istruzione cristiana, per la Libreria editrice fiorentina, 1923 (collana «I libri della fede»). 79 G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 95. 80 G. De Luca, Sant’Agostino, cit., p. 16. 01 Introduzione 9-03-2010 28 11:17 Pagina 28 Vanessa Roghi Fedele, ancora nel 1938, a questo modo di essere prete senza essere predicatore, De Luca accoglie la giovane Romana Guarnieri, nel suo studio, e le parla di «letteratura» svelandole la sua doppia identità. Il suo alter-ego: ireneo Speranza, firma che adopera su «Il Frontespizio» fra le letture preferite di Romana, che scrive: «Mai immaginavo che una telefonata a dispetto, decisa lì per lì, sotto l’urto di una agitazione incontenibile, avrebbe rivoluzionato la mia vita, da capo a fondo, e per sempre»81. Ecco nella lettera che apre il carteggio l’immediato sintomo di quella “rivoluzione”: «Caro don Giuseppe – salto la tappa del “molto reverendo signore! – Sono grata al mio impulso – Lei lo chiamerebbe diversamente, ma la sostanza rimane la stessa – che mi ha fatto telefonare iersera, e al mio coraggio che non mi ha permesso di tirarmi indietro stamattina. [...] Cerco di non pensare, per non soffocare quello che sento deve maturarsi dentro. Se avrà la forza di vivere. E intanto rileggo gli articoli di Ireneo Speranza. Mi aiuteranno; anche se parlano di poeti, rinascimenti, vocabolario burleschi. Sono stata in Chiesa. E ho pianto: la testa vuota, e il cuore troppo pieno. Dopo i primi dieci minuti Lei ha avuto tutta la mia fiducia. Per questo Le dico: non tema mai di essere troppo duro con me. È di durezza che ho bisogno. Ogni mollezza mi potrebbe essere fatale. Né cerco pietà. Ma forza e chiarezza»82. Il cambiamento di Romana è repentino, anche se non è subito una conversione, ovviamente, ma un disorientamento: comunque la giovane accoglie la richiesta del sacerdote di non vedere più l’amica Angela, che, nel giudizio del prete, sarebbe fonte di troppi turbamenti. Romana dà ascolto a De Luca, ma soprattutto, bisogna sottolinearlo, è Ireneo Speranza83, che la colpisce e ci lascia supporre che, inizialmente, la lusinga di avere a che fare con un singolare, e “noto” uomo di cultura, sia per la giovane un elemento sufficientemente importante da farle dimenticare i motivi che l’hanno spinta a visitarlo84. 81 R. Guarnieri, Una singolare amicizia, cit., pp. 56-57. Lettera 1, 14 marzo 1938. 83 Ibidem. 84 Non è infatti credibile, come sostiene la Guarnieri in Una singolare amicizia, cit., che l’identità del De Luca intelletuale le sia ignota, visto che dal 1934, oltre ai numerosi pseudonimi, firma una serie di articoli con il proprio nome. Cfr. A. Baldini-G. De Luca, Carteggio, cit., p. 20 82 01 Introduzione 9-03-2010 11:17 Pagina 29 Introduzione 29 Tuttavia, all’apparenza, Romana decide di mettersi nelle mani dell’uomo di chiesa e non del letterato, e sottolinea subito di non cercare una spalla su cui piangere: «È di durezza che ho bisogno», scrive, aprendo così la strada a un rapporto di vera e propria direzione singolarmente simmetrica. De Luca le parla di «vocabolari e burleschi» per condurla a Dio, Romana gli domanda di Dio mentre è il suo lavoro di letterato che ha in mente. È del giorno dopo questa lettera: «Don Giuseppe – ho paura – chiedendomi di andare in chiesa tutti i giorni, mi pare di essere stata presa alle spalle, a tradimento. – Non da Lei, della cui assoluta buona fede non dubito un solo istante. Ma da questo inesorabile svolgersi dei fatti, fuori di ogni possibilità di controllo»85. Nel suo diario di quei giorni le stesse parole, rivolte a sé stessa, e una riflessione su Angela, che chiama Silvestra, e che, per inciso, non compare mai nelle lettere: «Quel prete mi fa paura. Con tutta la sua aria innocente e scanzonata. Mi pare, tuttavia, che mi tenda tranelli. Vivo già così oscuramente, senza avere notizia esatta di me, per quanto io mi ci affanni. E lui mi par quasi che mi sospinga entro quel gran buoi che è in me, come entro un tunnel pauroso e opprimente. Forse ha capito che non è il coraggio che mi manca, e spera di vedermi presto uscire dall’altra parte. [...]Tornare indietro non mi è possibile, né fuggire, fuggirà forse Silvestra, se già non è fuggita, ahimé»86. Ed ecco, a distanza di tre giorni la risposta di don Giuseppe: «Gentilissima e cara Romana Guarnieri, non risposi alla prima (angelica) perché prevedevo, meglio forse presagivo, la seconda (diabolica). Tra la prima e la seconda, rimarrà un po’ di luogo per qualche momento d’umano riposo. Questo suo oscillare, cara Romana, al di sopra, al di sotto, mi fece ardito a suggerirle quelle visitine che le suggerii, in chiesa. Fa bene a credere alla mia buona fede. Non son uomo da trappole. Ne mi pareva di tendergliene. Comunque, se crede, se ne ritenga disciolta e libera; e non venga, né mi telefoni, se lei ci vede una soggezione, o un avvio ad essa [...] Soltanto la prego e L. Mangoni, In partibus, cit., pp. 264-265. Sulla notorietà di De Luca il saggio di C. Dionisotti, Il prete e l’erudito, in M. Picchi, Don Giuseppe De Luca, cit., pp. 143-167. 85 Lettera 2, 15 marzo 1938. 86 R. Guarnieri, Diario, marzo 1938 in ARG. 01 Introduzione 9-03-2010 11:17 30 Pagina 30 Vanessa Roghi di non parlarmi né scrivermi, in nessuna occasione, mai, di mia letteratura: lei non sa ancora quale orribile croce per me sia stampare. Quando riverrà, (e mi telefoni e venga senza tanti inalberamenti né dibattiti né tumulti, senza nessuna umiltà e nessun orgoglio), quando verrà le dirò delle sue poesie e prose quello che me n’è parso, alla buona. Suo d. Giuseppe»87. Con quanta sapienza il sacerdote tende quella rete che dice di non aver preparato, e intanto usa l’arma più forte, di fronte alla giovane indecisa, quella dell’intellettuale tormentato, invitandola a non parlare del suo cruccio più grande: la scrittura. «I miei lettori sono pregati di credere che io preferisco, pei libri, leggerli piuttosto che scriverli – Eppure pochi hanno scritto quanto e come ha scritto lui»88. Ancora una volta è De Luca che, chiosando Sant’Agostino, in realtà ci parla di sé. E Romana di fronte a questa porta spalancata sulla vita intima di De Luca non resiste oltre, dichiarandosi sconfitta: «Don Giuseppe, mi sono liberata di tutto il mio orgoglio e presunzione. Gli ho data la mano e sono pronta a lasciarmi tirare e a seguirlo senza esitare dove vorrà Lui. Ho fede. Questo è tutto. Tutto il resto non conta. Romana»89. 3. La conversione «Non fossi prete, non fossi cristiano, sarei più libero e apparirei disinteressato: ora io sono prete e cristiano, e non ho mai creduto che ci fosse più ridicolo mestiere, più indelicata inumana e anticristiana faccenda che fare il convertitore. Sono cose che Iddio, a noi suoi ministri, non ci ha demandato: noi siamo funzionarii, signorine del telefono, “voce del padrone”, non altro. Quelle faccende, io ho visto bene, vivendo e leggendo, se l’è sbrigate sempre Lui»90. 87 Lettera 4, 17 marzo 1938. G. De Luca, Sant’Agostino, cit., p. 204. 89 Lettera 5, 21 marzo 1938. 90 Lettera del 20 marzo 1934 di De Luca a G. Prezzolini, in Carteggio, cit., p. 132. 88 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 31 31 Scrive Edith Saurer nel suo saggio su Donne e preti alla fine del XIX secolo: «Erano quindi questioni di sesso, matrimonio e famiglia quelle che animavano il dibattito sulla confessione [...] Il prete avrebbe saputo sfruttare questa debolezza femminile per imporre i suoi interessi di potere»91. Negli anni Trenta le questioni in campo sono altre: il prete, la confessione non rappresentano più una la minaccia alla “vita famigliare borghese” di cui parla Saurer, citando peraltro Jules Michelet. La “famiglia borghese” in questione, infatti, ha conosciuto già il divorzio, l’indefinitezza dei ruoli, la messa in discussione dei destini pubblici e privati delle sue componenti più deboli, le donne. Tutti elementi, questi, che riguardano da vicino Romana Guarnieri. La spiritualità anche, dunque, si trasforma, suscitando in molte donne il desiderio di una «religiosità culturalmente ricca» e non più esclusivamente sentimentale sia nelle convinzioni che nelle devozioni92. Come la religiosità di Angela Zucconi, nutrita di letture e studio, di dubbi e incrollabili certezze, di Kiekegaard e Sant’Agostino, alimentata da De Luca, vera e propria sponda congeniale, in questo senso. Una religiosità che non può non colpire chi, come Romana Guarnieri, volge al mondo uno sguardo insoddisfatto ma non per questo meno avido di speranze e grandiosità. Una religiosità infine, sponda insperata per chi voglia orientarsi verso il mondo, senza assumervi un ruolo pubblico/politico come il fascismo sta imponendo alla sua gioventù negli “anni del consenso”. Romana dunque trova nella conversione una pace, un diritto di cittadinanza, fino ad allora offertole solo dall’appartenenza sociale. Elemento, questo, troppo superficiale, vacuo, per soddisfarla a pieno. Questo De Luca lo capisce subito, attirando la giovane, «senza lacci né laccioli», ma semplicemente con un invito, verso di sé, e, quindi, verso Dio. Don Giuseppe De Luca si avvicina alla Guarnieri forte di una convinzione, maturata negli anni nei quali ha riflettuto sul suo ruolo di direttore di anime: 91 E. Saurer, Donne e preti, cit., p. 254. P. Gaiotti De Biase, Vissuto religioso, cit., pp. 23 e ss.; E. Fattorini, Il culto mariano fra Ottocento e Novecento, Franco Angeli, Milano 1989; Ead., La religiosità femminile nel pontificato di Leone XIII, in S. Bartoloni, Per le strade del mondo, cit., pp. 53-76. 92 01 Introduzione 9-03-2010 11:17 Pagina 32 32 Vanessa Roghi «È necessario che il cattolico che vuole far del bene a fondo rimanga modesto e non s’immagini d’avere distaccato la luna. Guardiamoci dal fare ironie sdegnose con quelli che non credono e forse soffrono della loro incredulità e dei loro dubbi. Perchè non supporli sinceri?». Non è il prete romano a scrivere così, bensì il medico e gesuita francese Robert De Sinety la cui opera Psicopatholgie et direction spirituelle rappresenta una delle rare occasioni in cui De Luca si sofferma a discorrere, sebbene in uno scritto d’occasione, della pratica di direttore spirituale. La convinzione di De Sinety viene ripresa da De Luca e chiosata ben due volte, una nel 1934 su «L’Osservatore Romano», l’altra nel 1937 su «L’Avvenire». De Luca si dice completamente d’accordo con il gesuita francese: al sacerdote compete, non tanto, l’eliminazione dell’incredulità, ma la ricerca, all’interno della stessa, di quegli elementi di pietas che anche un empio, «proprio in quanto in odio con Dio, porta con sé»93. Questa concezione, alla base della successiva messa a punto della “nozione” stessa di “pietà”, si affina per l’appunto nella pratica della direzione spirituale. De Luca, dunque, vede la pietà principalmente come una relazione, scriverà, infatti, molti anni dopo «La pietà è anzitutto un rapporto con Dio [...] Il rapporto con Dio nasce e si compie non soltanto nel sentimento religioso ma nell’intelligenza, nell’opera, in quel piegarsi e darsi per intero che noi diciamo amore»94. La conversione stessa quindi, per De Luca, è innanzitutto, l’instaurazione di questo rapporto. Lui si limita a “presentare” Cristo a Romana, per il resto «quelle faccende, io ho visto bene, vivendo e leggendo, se l’è sbrigate sempre Lui». Nevrastenie, psicologie, storie personali essendo soltanto un «puro purissimo accidente»95. Per prima cosa invita Romana a una “visitina a un amico”: «Ecco. Entri nella prima chiesa che incontra, uscendo di qui; si fermi davanti al tabernacolo e dica: “Ti porto i saluti di quel tale amico che tu sai. Lui non è potuto venire, sai com’è fatta la sua giornata. In cambio ha mandato me, per farti un poco di compagnia?»96. 93 Cfr. G. De Luca, Archivio italiano per la storia della pietà, in Id., Introduzione, cit., pp. 5-10. 94 Ibi, pp. 19-20. Ibi, p. 34. 96 R. Guarnieri, Un incontro, in Una singolare, cit., p. 64. 95 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 33 33 Nel libro Una singolare amicizia Romana Guarnieri racconta la propria conversione nel capitolo Il lumino rosso: «Come si fa a narrare l’innamoramento fatale, quello che di colpo e per sempre decide – irrevocabilmente decide – di tutta la tua vita ulteriore? Perché nel caso mio di innamoramento a prima vista si è trattato, del classico coup de foudre: intravedi appena appena, forse addirittura malamente un volto, una figura ed ecco quel volto, quella figura, quell’essere misterioso, si e no percepito, ti prende, diventa tutto per te»97. Secondo la ricostruzione della Guarnieri la conversione è un autentico colpo di fulmine, definitivo, senza ripensamenti. Come scrive De Luca a Prezzolini, nella citazione riportata in testa al paragrafo, lui, in quanto prete e “convertitore”, non ne è responsabile. In questo caso scrittura autobiografica e fonti coincidono, al punto da pensare che la memoria si sia ramificata sul corpus di lettere conservate senza ulteriori elaborazioni, accettando una versione originale e definitiva della narrazione che ben coincide con la citazione da Elie Wiesel, scelta dalla stessa Guarnieri per parlare di questo momento: «L’ultimo sguardo che getti su ciò che fu l’inizio è senza uguali. Gli attribuisci un coefficiente assoluto. Poi lo distogli con forza, quasi con rincrescimento. E te lo porti via come l’aria di un canto che non verrà più cantato. Te lo porti via come un segreto»98. In realtà dalle lettere pur emergendo più o meno lo stesso andamento, i chiaro scuri sono molto più accentuati e il ruolo di De Luca in quanto direttore è ben più importante di quanto lui stesso possa protestare99: «Quello che non ho saputo dirle, e per cui soprattutto Le scrivo ora, è che continuo a fare quasi tutti i giorni una visitina in chiesa – come si va appunto dall’amico d’un amico. E provo un senso di calore, come quando si torna a casa da un lungo viaggio. L’altro giorno mi son fatta timidamente il segno della croce. Poi me ne sono vergognata e poi mi sono vergognata di essermi ver- 97 R. Guarnieri, Il lumino rosso, in Una singolare, cit., p. 89. E. Wiesel, Al sorgere delle stelle, in R. Guarnieri, Una singolare amicizia, cit., p. 55. 99 «Io non voglio convertire nessuno», scriverà a Papini nel 1942, cit. in G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 118. 98 01 Introduzione 9-03-2010 11:17 Pagina 34 34 Vanessa Roghi gognata. Ma tutto questo non importa. Ho fiducia nella Sua fiducia; come il malato, che fida nella cura prescrittagli dal buon medico»100. Romana non racconterà mai da storica questo passaggio della sua vita, accettandone il coefficiente assoluto come unica chiave di lettura, di ricordo. Le lettere invece storicizzano e rendono più graduale questo che in apparenza sembrerebbe un salto nel vuoto, senza rete alcuna. Di dubbi infatti Romana ne ha tanti. A partire dalla pratica religiosa, per esempio, che non le appartiene, ma alla quale si affida, con fiducia, a volte con vergogna, cercando di superare il suo innato senso del ridicolo verso atti di pietà sconosciuti alla sua vita familiare, ma anche a un puritanesimo che ha conosciuto durante l’infanzia in Olanda101, e che le causano fin dall’inizio contrasti con i suoi, come evidenzia ad esempio questo passaggio di una lettera scritta per la Pasqua 1939: «Ieri, a pranzo, vengono certe bistecche, che, ecco, belle così credo non averne mai vedute. La mamma, piena di meraviglia, osserva “non so cosa le abbia preso alla macellaia, che mi manda delle bistecche così belle!” “Sfido! fa babbo, oggi sono le Ceneri, e non avrà saputo a chi darle. Tanto noi all’Inferno ci andiamo dritti dritti!” Certo mai bistecche m’eran parse così belle. Dopo un poco, nel bel mezzo di un discorso, la mamma m’interrompe: “E tu, la carne non la prendi?” Ohi, ohi, ecco che ci siamo; e con un fil di voce, tirato fuori non so come, dico: “no... E perché?” Mi sentii sprofondare, mi vennero in mente tutte le scuse possibili: non ho appetito, ho mangiato troppa pasta, o che so io; tutti mi guardavano incuriositi e preoccupati: certo l’affronto alle bistecche era grave. Poi, con un coraggio da leone sputo fuori la grande cosa “sapete, oggi sono le Ceneri!”, ma ahimè, la voce uscì talmente flebile e lo sbigottimento fu generale, che mi toccò ripetere una seconda volta e questa volta con voce chiara e sicura le fatali parole; quindi, nel silenzio di 100 Pasqua 1938, senza data precisa, Archivio Romana Guarnieri. 101 Che De Luca diffidi profondamente di ogni “devozionismo” ostenato, lo si evince dai car- teggi, a Papini per esempio scrive che «tutte le misure ascetiche e devozionali del seminario rischiarono di farmi ipocrita e, non potendo mi fecero malato», in G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 84; così nelle lettere «pensa, stanotte, per dar luogo a Luigi che dormiva a casa come sabato scorso, Nuccia (di nascosto da tutti, non però da me) ha dormito per terra, alla Sandri. Ha fatto bene, ma io temo il sottile orgoglio di questi eroismi, tanto più orgoglio quanto più imbattibile; e vorrei aver sempre a che fare con gente meno mortificata ma un po’ più morta a sé. Chi sempre si mortifica, sempre si ricorda, sempre sé mette per mezzo, sempre sé e soltanto sé coltiva, pota, ecc», lettera 107, 22 agosto 1943. 01 Introduzione 9-03-2010 11:17 Pagina 35 Introduzione 35 tutti (la mamma s’è fatta rossa, non so capire perché), ho ripreso l’allegro discorso rimasto a mezzo, mentre mi scendeva nel cuore una gran pace e mi sentivo leggiera come se avessi compiuto chissà che gran dovere. Né, per quanto ci pensi, e per quanto consideri tutti i lati buffi (indubbiamente, per chi sta di fuori) della cosa, mi riesce di sentirla ridicola. E dire che la prima volta che mi feci il segno della Croce, ci stetti male una settimana!». La famiglia reagisce con sgomento, si preoccupa «Romana è impazzita, dicevano tra di loro, interrogandosi a vicenda, cercando, i poverini, di saperne qualcosa e scoprendo d’un tratto tutto il loro irriducibile laicismo, sino allora vissuto, più che teorizzato o addirittura proclamato. Pareva la mia – e di fatto, anche se io non me ne rendevo conto, una minaccia, un’accusa, un’aggressione alle loro scelte di vita. “Come sarà successo?” si chiedevano. E soprattutto: “Come andrà a finire?”»102. Romana subirà, a suo stesso dire, la diffidenza verso chiunque, soprattutto donna, nel corso della storia, abbia inteso seguire una ricerca di perfezione attraverso «forme di pietà individuali e spontanee» che non abbiano avuto come esito il monachesimo103. Eppure De Luca non è certo prete «come tutti gli altri», neanche nel suggerire esercizi spirituali di alcun tipo104, esercizi, ancora negli anni Trenta, e malgrado le profonde trasformazioni che hanno interessato la vita delle donne, improntati a un devozionismo «che moltiplica e calendarizza pratiche e tenerezze, affetti, sospiri amorosi»105. De Luca rifiuta certamente questa parte della sua educazione seminariale di direttore di coscienze, soprattutto in relazione alle donne. Rifiuta una «pastorale fortemente difensiva di fronte ai processi culturali aperti per le donne, che ne inquadra la spiritualità entro binari rigorosamente codificati “quasi una cintura protettiva”»106. Per il prete romano, l’incontro con Dio, effetto della Grazia, è sufficiente in sé. Basta, per mantenerlo in vita, in un dialogo costante, la 102 R. Guarnieri, Il lumino rosso, in Una singolare amicizia, cit., p. 89. Cfr. R. Guarnieri, Pinzochere, in Dizionario degli Istituti di perfezione, vol. VI, 1980, pp. 1722-1750 ora in Ead., Donne e Chiesa tra mistica e istituzioni, cit., pp. 13-46, e ivi, Avvertenza, pp. 9-10. 104 «Allora prevaleva negli Esercizi, il metodo ignaziano. Pare che don Giuseppe non ne fosse entusiasta, per cui non li praticava abitualmente né li consigliava ad altri. Li faceva però di tanto in tanto», G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 190. 105 P. Gaiotti De Biase, Protagonismo religioso ed emancipazione delle donne, cit., p. 39. 106 Ibidem. 103 01 Introduzione 9-03-2010 11:17 Pagina 36 36 Vanessa Roghi preghiera, unica pratica proposta alla giovane, che ha all’inizio molte resistenze in questo senso così come nei confronti della confessione «Forse la mia ritrosia potrà sembrare strana a Lei che è abituato a stare in confessionale; ma deve considerare che l’unica volta in cui io ho avuto il coraggio di dire cose che confessavo sì e no a me stessa, è stata la prima volta che io son venuta da Lei; e che allora ho fatto una fatica immensa». La preghiera, abbiamo visto, viene inizialmente presentata sotto forma di “saluto” a un amico. Romana inizia ad andare in Chiesa dietro suggerimento di don Giuseppe, «così, come si va in visita a un amico». Le sue «visitine» continuano, a insaputa del prete. Scrive Romana: «E le confesserò ora quello che ho avuto pudore – ancora una volta! – di dirle stamani – e cioè che spesse volte sono entrata in Chiesa pensando di farle con ciò piacere, e che ho pregato anche qualche volta, a modo mio, anche per Lei. Solo ho poca fiducia che queste mie esitanti preghiere, persino diffidenti qualche volta, possano avere una qualche efficacia. Le accetti perciò solo per quello che possono avere di valore umano»107. È un senso di comunione quello che la Guarnieri inizialmente sperimenta: «Lei fa pregare per me, e questo mi dà un senso di umano calore; anche se non so cosa pensare della preghiera»108. Nel giugno del 1938 De Luca scrive su «L’osservatore romano»: «Di rado si pensa a questa “comunione” immensa» – nella preghiera – «di cuori e di anime, che di tutti i cuori e di tutte le anime fa un cuore solo e un anima sola». E Romana, solo qualche mese dopo gli scrive: «Gesù però non allontana; unisce, anzi, più strettamente. Mai avrei potuto immaginare il calore che dà a sentirsi dire “prega per me” o dirlo ad altri, e pregare poi non per noi solo, ma per altri, tanti, addirittura per tutti i fedeli, nella Messa, e per i morti. Per tanti anni il mio terrore, la disperazione più terribile è stato il sentirmi sola»109. Nell’aprile del 1939, caduto ogni dubbio, in una lettera di Romana a De Luca: «La preghiera è quasi un regalo, che ogni giorno scopro più bello»110. 107 Lettera 9, 1 giugno 1938. Lettera 19, senza data ma 1938. 109 Lettera 25, giovedì santo 1939. 110 Ibidem. 108 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 37 37 Il dialogo sulla preghiera, fra la ragazza e il sacerdote, non si interromperà mai, proseguendo anche, secondo la Guarnieri, sulle pagine stesse dei quotidiani, nei Commenti al Vangelo, rubrica che De Luca tiene sulle pagine dell’«Osservatore romano» e che sente rivolta direttamente a lei111, come in questo caso: «Noi dobbiamo vivere la nostra vita naturale, come una vita dataci da Dio. Dobbiamo mangiare e bere, dobbiamo lavorare e riposare, dobbiamo sentire, pensare, volere»112. E per lettera: «Ogni giorno, col tanto di preghiera, devi consegnare nelle mani di Cristo un tanto di lavoro. Lavoro duro, quello che è condanna del primo peccato, che è servitù: ma è pure, con Cristo, redenzione e liberazione, nostra e altrui. Non mancare, a questo lavoro, se non vuoi tradire la tua anima e la tua eternità, cioè Cristo»113. L’11 marzo del 1940, durante una grave malattia che tiene a letto, fra la vita e la morte il fratello di Romana, Leonardo Guarnieri, ecco una di quelle fulminanti definizioni di don Giuseppe sulla necessità della preghiera: «Io continuo a pregare fitto, e far pregare: già le mie vecchine e i miei vecchini incominciano a domandare: “Padre, ha notizie nuove di quel giovanotto?”; e io dico, “Sì, ma senza novità. Forza, dunque: bisogna mettere Gesù e la Madonnina in un vero impiccio”. Tu sai, Romana, che il Signore – che era un uomo di spirito – quando raccontò la parabola della preghiera, con l’amico il quale dormiva, e aveva i figliuoli con sé a dormire, e non voleva scendere a fornire quel po’ di pane che un amico gli veniva a chiedere a sera alta; tu sai che discese, poi: dicesse, “propter improbitatem eius”. Tradotto in buono italiano, perché gli aveva rotto i co...me si chiamano. Vuol essere, dunque, pregato così: e noi, fedeli, glieli romperemo. Non dubitare, glieli stiamo rompendo. E non si smetterà, sintanto che non discenda e plachi l’ardente petto di Leonardo. Poche volte, mi sono buttato così a capo fitto a pregare. Lui sta con la sua Sposa, la Chiesa; coi figli prediletti; ma bisogna che senta anche me, per Dio»114. 111 «E sì che – presuntuosa come sono – avevo l’impressione che quei commenti, che dico?, addirittura la stessa pericope del Vangelo del giorno fosse scritta per me, proprio per me, per nessun altro che me», R. Guarnieri, Il lumino rosso, cit., p. 92. 112 G. De Luca, Sia fatta la tua volontà, in «L’Osservatore romano» 16 luglio 1938, ora in G. De Luca, Meditazioni e preghiere, cit., pp. 55. 113 Lettera 35, 23 ottobre 1939. 114 Lettera 46, 11 marzo 1940. 01 Introduzione 9-03-2010 11:17 Pagina 38 38 Vanessa Roghi Col tempo De Luca passerà a indicarle un breviario “personalizzato”: «Termino, perché voglio farla subito partire, e suona l’ora della levata: la preghiera sia un ternario dello Stabat Mater e uno del Dies irae; ogni sera, uno e uno. Va bene? Vedrai che va benissimo»115. Al quale Romana risponde: «Grazie, don Giuseppe, per quanto mi scrive, per quanto sente, per quanto fa per me. Mi domandava, si ricorda, che cosa potesse donarmi, per il mio anniversario. Ma può darmi, Lei, cosa più grande delle sue preghiere?»116. Fino ad arrivare a chiudere le lettere con un semplice, ma imperioso: «Tu prega»117. Quando, nel 1944, Romana Guarnieri e don Giuseppe vivranno la più importante crisi del loro rapporto, crisi dettata da incomprensioni, come vedremo, ma anche dalla tensione di una scelta definitiva da parte di Romana, ovvero quella di andarsene di casa, De Luca le scriverà, il 1 marzo: «Ti ho rispettata come nessuno rispetta nessuna [...] Né ti ho sopraffatto: posso vantarmi, a buon diritto e a stretto rigore, che nulla ho spezzato in te né oppresso, ti ho aiutata a essere ciò che tu sei non ciò che io comunque volessi. Non ho suggerito un gesto di preghiera, non ho imposto uno studio. Ho parlato io, ma a te e di te. Che cosa mi potrai rimproverare?»118. Riportando i termini di questo dialogo mai interrotto all’inizio del loro rapporto quando, scrive De Luca «tu mi scoprivi e io ti scoprivo, e si avanzava di sorpresa in sorpresa; fin quando, mi parve almeno, dallo stato d’innamoramento la nostra amicizia passò a quello di matrimonio, sempre più stretto ma sempre più uggioso, sempre più scarso di piacere perché, come accade, sotto al piacere si scopre sempre un dovere»119. 115 Lettera 66, 19 agosto 1941. Lettera 48, 13 marzo 1940. 117 Lettera 87, 4 settembre 1942. 118 Lettera 112, 1 marzo 1944. 119 Lettera 32, 16 agosto 1939. 116 01 Introduzione 9-03-2010 11:17 Pagina 39 Introduzione 39 La direzione, e, quindi, la conversione, si muovono dunque intorno alla continua necessità di dare un nome a qualcosa che Romana, dal canto suo, non riesce a definire se non attraverso il laicissimo termine di amicizia: «Don Giuseppe, quella che noi vogliamo è o non è un’amicizia, serena e forte? [...] Il rapporto è diverso, dirà Lei, sia per l’età, quanto per la condizione. Ma allora non mi parli più di amicizia – se ciò le è possibile – perché, anche se non se ne è reso conto, nell’amicizia è indispensabile che ci si ritrovi almeno per certi riguardi su un piano di uguaglianza, dove diritti e doveri si distribuiscono equamente. Forse Lei non pensava a questo. Io sì»120. Ma De Luca ha una ben diversa idea di relazione: «Se ho da essere vicino a te, debbo essere da sacerdote: e voglio la sincerità totale e obbedienza; se no, nulla. Restare da uomo, non son tipo: la mia umanità, da sola, mi umilia (forse perché io, a differenza degli altri, mi so e sento un pover uomo). Restare da letterato, tanto meno: puah! Tu dicevi: “da amico”: no, Romana, questo è il più turpe titolo quando non v’è a giustificarlo o un rapporto di vita spirituale o un rapporto di vita terrrestre, ma rapporto chiaro, esatto, confessabile. Ho detto: sincerità totale. Non dico la confessione, ma l’esatta stessissima cosa»121. E Romana risponde: «È che io, anche con la migliore buona volontà del mondo, non posso cambiarmi da un giorno all’altro – da nera diventare bianca – è anche che Lei non è in grado di sopportarmi così come sono, perché anche Lei non è che un pover uomo alla fine, sempre sull’orlo di un esaurimento, sempre con i nervi allo scoperto. Sì, se il prete potesse essere un manichino parlante rivestito di una lunga tonaca nera, il suo ultimatum resisterebbe.[...] E cerco di pensare al suo mal di gola, e alla sua angoscia per l’amico malato, e all’influenza che gira, e alla mia stanchezza. Ma il terribile è che lei ha sempre mal di gola, e io sono sempre stanca, che lei deve lavorare e io pure e che così, non si lavora né si guariscono gli esaurimenti»122. 120 Lettera 36, 12 gennaio 1940. Lettera del 17 marzo 1940 non riportata in Appendice. 122 RG a G. De Luca, Bolzano 18 marzo 1940 e cfr. RG a G. De Luca, Bolzano 20 marzo 1940, non riportate in Appendice. 121 01 Introduzione 9-03-2010 11:17 Pagina 40 40 Vanessa Roghi Eppure per De Luca, come è già stato fatto notare, l’amicizia è un valore assoluto, come per «Anteo la terra: ritoccarla è rivivere», e gli amici terreno costante di confronto e crescita non solo intellettuale ma anche cristiana, come ammetterà anche con gli atei più convinti: «Questo sei stato, e sei, caro Prezzolini; e ti parrà un bel paradosso, se io ti dico e ti assicuro che debbo a te non poco del mio animo (e della mia anima a tuo dispetto) sacerdotale»123. Ma ci vuole del tempo perché il prete accetti “la donna” allo stesso consesso degli amici uomini, e Romana, da questo punto di vista viene progressivamente a sostituire lo stesso Giuseppe Papini, fra i più cari amici di De Luca, al quale nel 1931 il sacerdote aveva scritto di essere «l’unico, anzi è senza forse l’“unico” al quale non nasconde nulla, ma apre tutto se stesso “senza difficoltà e nemmeno esitazione”: solo lo prega di tenere le lettere riservatissime, in quanto in esse vi è «l’anima» di don Giuseppe124. Se, scriverà De Luca, solo a Giovanni Papini aveva rivelato «cosa era stata la sua giovinezza», allora e fuori dubbio che solo a Romana Guarnieri il prete romano spalancherà le porte della sua anima di uomo, ormai, adulto125. Il confronto, la pratica di direzione, ormai reciproca, modificherà progressivamente, se non il tono, certamente gli intenti più profondi delle lettere, mettendosi in discussione, scoprendo il gioco della direzione spirituale, esplicitandone gli aspetti più complessi: «D’altra parte, mi pare di averti sempre ripetuto che la vita spirituale, così religiosa che intellettuale, soltanto nei manuali e per gli sciocchi è una cosa di tutta pace, rettilinea, calma ecc.; in verità, nella verità cioè dell’intelligenza, della volontà e della carne, è un zig-zag tormentoso: quel che è necessario non è vedere se si sta sempre più in alto, ma se la linea spezzata e segmentata in complesso s’innalza»126. De Luca riprende i temi già affrontati da Romana e in una lettera dell’8 marzo del 1940 si lancia in questa sorta di autoritratto: 123 Lettera di De Luca a Prezzolini, 8 ottobre 1937, in G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 57. 124 G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 59. Lettera di De Luca a Papini in Ibidem. 126 Lettera 61, 17 luglio 1941. 125 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 41 41 «Tu perdonami anche questa esplosione. Ma io me la voglio permettere, appunto per dirti questo: che tu non devi dare importanza a codesti miei furori. Li devi portare e sopportare, nell’amico sacerdote, con quella intelligenza che è insieme intransigenza e indulgenza, chiarezza di mente, e chiarezza di cuore. [...] Chi mi vuole un po’ di bene, deve perdonarmi. Quanto peso a me stesso! È naturale che appena appena intravedo in un’anima un sentimento di pietà, mi vien voglia di appoggiarmi un poco. [...] Non è invadenza, prepotenza, volontà di dominio: è che voglio distendermi, riposarmi, quietarmi. Sopportarmi, è un po’ guarirmi»127. Sopportarmi è un po’ guarirmi. Romana è diventata la “spalla su cui piangere”, alla quale il sacerdote chiede costante ascolto: «Sempre povero, sempre indietro, sempre in fretta, sempre stanco e indolorito, sempre che fo tutto e non fo nulla»128. In cambio vi è l’andare avanti insieme, lavorando con coraggio. Per questo Romana deve rompere vecchie abitudini, deludere aspettative, fino ad andarsene via da casa ma questo più tardi, alla fine della guerra. 4. Il lavoro «Tuttavia, tu ora permettimi un po’ di sermone. La tua strada, tu ormai l’hai veduta. Sul termine della tua prima giovinezza, hai sentito a che cosa sei chiamata: e ti sei trovata intorno cuori animosi [...] Papini ti invita a lavorare: ma non è che il primo. Altri inviti avrai. Ora bisogna che tu lavori. Ogni giorno, col tanto di preghiera, devi consegnare nelle mani di Cristo un tanto di lavoro. Lavoro duro, quello che è condanna del primo peccato, che è servitù: ma è pure, con Cristo, redenzione e liberazione, nostra e altrui»129. Fra i temi più rilevanti, non solo del carteggio fra don Giuseppe De Luca e Romana Guarnieri, ma della vita stessa dei due come vero e proprio specchio dei tempi penso sia la questione del lavoro. Il pro127 Lettera 42, 8 marzo 1940. Lettera 49, 14 marzo 1940. Il 15 marzo scrive «E se mi vuoi bene, tu che mi sospetti di archivistica, strappa le mie lettere e bruciale, tutte e subito». 129 Lettera 35, 23 ottobre 1939. Sull’incontro fra R. Guarnieri e G. Papini cfr. lettera 34, 22 ottobre 1939. 128 01 Introduzione 42 9-03-2010 11:17 Pagina 42 Vanessa Roghi blema, anzi il rovello, del lavoro infatti interessa a pieno la storia di questa direzione spirituale da più punti di vista: il lavoro è il luogo d’incontro terreno e espressione della fede comune, si lavora per un fine non immediatamente terreno: «Se Dio vorrà si faranno di bellissime cose, Lei da una parte, io dall’altra, unite su una linea che nessuno vedrà e mai saprà, qui in terra, ma una linea ferma e bella come questo orizzonte di mare, burrascoso sulla spiaggia ma fermo nelle lontananze, che vado a dipingere ora a dispetto della pioggia. Coraggio dunque e buon lavoro»130. Il lavoro è l’unione mistica di anime; il lavoro è il luogo dell’emancipazione, per Romana dalla classe sociale, per don Giuseppe dalla povertà e i doveri di prete: «Ieri ho scritto i due articoli che ti dissi; oggi, con le 100 di lavoro, inizio le Piccole Suore. A conti fatti, mi sono accorto d’aver centomila lire di lavoro sulle spalle (oltre le 100 al giorno) e non ne faccio nulla. Voglio finir tutto subito, così 1) arricchisco 2) lavoro alle opere immortali 3) muoio 4) tu scrivi di me un commosso articolo 5) e io, se poco poco col viso esco di Purgatorio, mi faccio un risatone omerico del tuo articolo e della mia letteratura»131. Il lavoro è questione che interessa proprio a partire dagli anni successivi alla prima guerra mondiale, la vita degli intellettuali132. Il lavoro dunque non è più solo quello manuale, e lo studio, tradizionale terreno privilegiato dei chierici, diventa, con non poca sofferenza mezzo di sostentamento per guadagnarsi il pane133. La scelta dell’ingresso 130 RG a G. De Luca 25 aprile 1940. Sulla retorica del lavoro intellettuale in età fascista cfr. V. Roghi, Il dibattito sul diritto d’autore e la proprietà intellettuale nell’Italia fascista, in «Studi storici» vol. 48, Nº. 1 (2007), pp. 203-240. Sulle donne e la «glorificazione vittoriosa del lavoro» cfr. Porciani-Scattigno, cit., p. 285. 131 Lettera 55, 15 agosto 1940. Cfr. R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca, cit. p. 83, n.2. 132 Cfr. V. Roghi, Il dibattito sul diritto d’autore e la proprietà intellettuale nell’Italia fascista, cit. 133 Sulla trasformazione del lavoro intellettuale a partire dagli anni Venti cfr. L. Mangoni, L’interventismo della cultura, cit. Per la storia della concezione del lavoro e della sua pratica in ambito ecclesiastico cfr. E. Poulat, Diario di un prete di dopodomani, Roma 1971, Introduzione. Anche A.M. Henry, Prêtres d’hier et d’aujourd’hui, Paris 1954. «Non si trattava di una scelta connessa con qualche esigenza missionaria o evangelica come sarebbe stato un giorno, ad esempio, la scelta dei preti operai. Si trattava, molto più semplicemente, di guadagnare il necessario per vivere» E. Guasco, Storia del clero in Italia dall’Ottocento a oggi, Laterza, Roma- Bari 1997, p. XI. 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 43 43 nello stato clericale non è per De Luca dunque la soluzione dei problemi economici, né vuole che lo sia134, e il sostegno che infatti si trova a dover dare alla sua numerosa famiglia lo fa vivere in grandi difficoltà almeno fino alla fine della guerra, e alla nascita delle Edizioni di Storia e Letteratura. Il lavoro guarisce dalle passioni terrene. De Luca lo ripete costantemente a Romana. E Romana da subito accoglie questo punto di vista, come emerge in una lettera del 12 maggio 1938: «Mi ricordo perfettamente di quello che ero due mesi fa. E ho avuto ragione di molte cose in me (col suo aiuto, e più facilmente di quanto potessi credere). E se anche talvolta mi vien fatto di pensare che era meglio allora di adesso – che quello era vivere e questo vegetare – so anche che sono sciocchezze. Che ancora un mese in quella tensione, e finivo tisica – o nevropatica – per non pensare a tutto il resto. So quello che debbo fare: lavorare tranquillamente e con il massimo possibile di regolarità – cercar di non pensare – e non ascoltarmi, come dice Lei – e infine – Lei non lo dice, ma lo pensa, fidare nella Provvidenza»135. Il lavoro, infine, mette uomo e donna sullo stesso piano. Romana lo sa, per questo insiste molto perché il prete le affidi qualcosa da fare «se Lei non mi dà modo di ricambiarle in qualche maniera tutto quello che Le debbo, ho paura che finirò col non osare più di chiederle nessun favore. E questa sarebbe ingratitudine somma. È stato per questo sentimento che una volta mi offersi così ingenuamente di aiutarla col tedesco; ma se non è il tedesco, mi trovi qualche cosa da fare che andrebbe assolutamente fatta, e Lei non arriva a fare; o comunque una qualsiasi cosa mi farebbe molto contenta»136. E De Luca non si fa pregare. Uno dei primi compiti assegnati a Romana consiste nel farle correggere gli “errori di traduzione” contenuti 134 In questo senso numerose le sue note sul clero meridionale in «gran parte sacrificato alle ambizioni familiari», cfr. R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca, cit., pp. 43-82. 135 «Ancora una cosa pratica. Debbo tradurre un libro dal fiammingo, e mi chiedono le mie condizioni. Non ho la minima idea di come regolarmi». 12 maggio 1938. «sabato 21 maggio [1938] Lo studio procede bene, e da questo ritmo regolare con cui ancora poco fa mi pareva di essermi imprigionata come il bruco nella crisalide, si viene ora quasi inavvertitamente sprigionando un senso di serenità che da tempo ormai non conoscevo più. Spero che non sembrerò voler derubare nessuno chiedendo L. 12 a pagina (formato 8° abbastanza grande.)!» 136 Lettera 9, 1 giugno 1938. 01 Introduzione 9-03-2010 11:17 Pagina 44 44 Vanessa Roghi nel saggio di Benedetto Croce sullo storico svizzero Jacob Burckhardt contenuto nella raccolta La storia come pensiero e come azione137: «“l’esattezza è un dovere morale” (Croce pag. 3). Eccole dunque l’elenco delle sue inesattezze. Sono curiosa di vedere quali altre malvagità sarà capace di tirarci fuori! Povero Croce in quali mani! E pensare che forse anche lui si sarà detto: Beh! per Burckhardt ho fatto fin troppo – dopotutto non si tratta che di uno svizzero»138. De Luca tuttavia ha una sua idea particolare del lavoro culturale che inizialmente lascia non poco perplessa Romana: «Lei ce l’ha coi professori – ma se io penso a quello che potrebbe essere Gabetti per molti fra noi, se volesse, o – forse – sapesse, a quello che certamente mio padre è per molti – e a quello che sono stati alcuni professori per me e che io vorrei essere per altri, tutta la Geistesgeschichte della Geistesgeichichte non m’importa più per altro che come mezzo per giungere all’insegnamento superiore – e non già per tutta una vita. E qui so che i nostri ideali non coincidono. Pazienza. A Lei la parola “maestro” par triste, a me dolce»139. Romana questo si aspetta dal prete, che si metta finalmente nei panni del “maestro”, accettando un ruolo che da più parti gli viene ormai pubblicamente riconosciuto: «Soffici è stato capace di mandare avanti una rivista tutto da solo per un anno intero; e in più di dieci non dovrebbero esser capaci di tener su bello gagliardo il Fontespizio?! Non sarà mica perché manchi il da dire e da predicare nel senso frontespiziano! E poi è un vero tradimento per i suoi molti amici. Non la so proprio mandare giù questa notizia»140. In realtà Giuseppe De Luca sta maturando, proprio in questi anni, un lento e deciso distacco dalle posizioni frontespiziane, l’impegno presso la casa editrice Morcelliana di Brescia, sta lì a dimostrarlo. È finita per lui la fase della polemica quotidiana, la confusione fra prete e scrittore. Le due posizioni devono essere separate, pur rimandando ad una unità. Fare cultura da un lato, essere uomo di chiesa e di fede 137 Lettera 15, 24 settembre 1938. Ibidem. 139 Lettera 16, 4 ottobre 1938. 140 Lettera 15, 24 settembre 1938. 138 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 45 45 dall’altro, solo così la battaglia per un rinnovamento del cattolicesimo italiano può essere vinta141. Quindi libri e non solo articoli. Libri suoi e di altri: per questo De Luca punta sui giovani, sul loro lavoro, scrive a Fausto Minelli, che della Morcelliana è il direttore editoriale: «Dopo la iniqua espulsione dal Frontespizio dei giovani che fanno capo a Bo, e sono intelligentissimi, io praticamente mi sono messo a loro disposizione. Penso cioè alla generazione ventura. Non mi pare che possiamo sottrarci a questo compito di amici loro. Tu sei disposto ad aiutarmi? [...] credimi, Fausto. Mai come ora, pingue ma agilissimo ragno crociato, mai come ora teso fili lucenti e vibranti intorno alle anime; creo cerchi, immersioni turbamenti. Se tu mi aiuti, aiuti (oso dire) l’anima tua e Cristo»142. E fra i giovani Romana è la preferita. Fra i tanti episodi che testimoniano il ruolo sempre più centrale di Romana nell’indirizzare umori e giudizi del prete su questioni lavorative ve n’è uno particolarmente significativo in questi anni. L’oggetto: le reazioni suscitate dalla stampa da un’antologia, le Prose degli scrittori cattolici che De Luca pubblica insieme all’amico, anche se ora sempre più distante, Giovanni Papini143. L’attacco giunge da parte di Benedetto Croce: è proprio l’intellettuale abruzzese, infatti, a scrivere al prete romano una lunga e indignata lettera che lo induce a nuove riflessioni su di sé e sul proprio lavoro144. De Luca, che ha inviato le Prose a Croce, attende con trepidazione la risposta del filosofo, come emerge da una lettera a Romana del 19 agosto 1941: 141 «Al Frontespizio, fui appena di compagnia seduto come accanto al cocchiere, nell’alta “serpa”. Alla Morcelliana, ho provato le armi: e vi ho creato tre collezioni Per Verbum ad Verbum, Confidenziali e soprattutto i Compagni di Ulisse, oltre 60 voll. Tra i quali per la prima volta in Italia si è parlato di Rivière, Hopkins, Poust, Péguy ecc. in libro. Da ultimo, i Fuochi, lucciole fosforescenti e campestri», in G. De Luca-A. Baldini, Carteggio, cit., pp. 174-175. 142 G. De Luca-F. Minelli, Carteggio 1935-1939, cit., pp. 441-442. 143 Mi riferisco all’Introduzione a Prose di cattolici italiani di ogni secolo, SEI, Torino 1941. Cfr. Lettera 66, 19 agosto 1941. Sulla vicenda, e i rapporti con G. Papini cfr. L. Mangoni, In partibus, cit., pp. 253-256. 144 «Il primo allegato è la lettera che tanto aspettavo: tremenda per Papini, severa con me ma tanto affettuosa che trasecolavo di gioia, e un po’ leggevo un po’ pregavo. Sai che cosa vuol dire per me? che “farò da solo”. Mai più avallerò Bargellini, Papini e nessuno: lavorerò di mio. BC., dicendomi “uomo dotto, scrittore fine”, mi toglie le ultime esitazioni. Non ti pare una bella cosa? ringraziane per me il Signore. Temevo tanto» G. De Luca a RG 5 settembre 1941. 01 Introduzione 9-03-2010 46 11:17 Pagina 46 Vanessa Roghi «Sono un po’ in pena, perché si è riaccesa la polemica Croce-Papini, in termini (da parte del primo) gravissimi: e io gli ho mandato la mia antologia, né so come la piglierà. Gli ho scritto, ma andrà bene?»145 Il rapporto di De Luca con Croce risale ai tardi anni Venti, quando, nel 1927, il prete scrive al filosofo, proponendogli un progetto per una «storia letteraria della pietà italiana» sulla quale Croce si dice interessato, incoraggiandolo ad andare avanti146. De Luca ha con Croce un rapporto assai complicato, che è stato definito «quasi di odio-amore»147, spesso lo ha attaccato pubblicamente sulla stampa, e i suoi giudizi su di lui sono a volte taglienti148 soprattutto nelle lettere ad amici come Antonio Baldini, o Giovanni Papini. Ma questa volta il prete è chiamato a scegliere fra l’antico amico toscano, le prime lettere a Papini risalgono infatti al 1922, e l’intellettuale che non ha mai smesso di rappresentare un punto di riferimento per tutti gli studiosi che, durante il fascismo, si sono voluti spingere ai «confini del regno», parafrasando lo stesso De Luca. Nella lettera Croce attacca pesantemente Papini149, coautore dell’antologia, mentre elogia De Luca «Ella è un uomo dotto, scrittore fine; colui è rimasto un maestrucolo elementare, che non sa niente di preciso, e uno scrittore di grossolani effetti»150. De Luca si compiace della stima tributatagli dal filosofo, e appare insicuro, esposto alla necessità di un riconoscimento151. Tuttavia continua a mostrarsi spavaldo con gli amici. Scrive all’amico Antonio Baldini il 7 settembre 1941 «Don Ben. Me ne ha scritto parole di fuoco; in questo senso, che al mio socio (don Benedetto ndc) illustre dà mazzate che Dio ne uardi il più rognoso dei cani, e a me dà dell’uomo dotto e dello scrittore fine (testuali gartifiche), e dunque mi ho da guardare da somiglianti contaminazioni. Il vecchio malizio145 Lettera 66, 19 agosto 1941. Cfr. L. Mangoni, In partibus, cit., p. 123, n. 187. 147 E. Giordano, Introduzione in A. Baldini-G. De Luca, Carteggio 1929-1961, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1992, p. 26. 148 Cfr. Il Croce e la Croce, in «Il Frontespizio» giugno 1931 cit. in Mangoni, In partibus Infidelium, cit., p. 125, n. 1995. 149 Critiche e riserve ribadite nella «Critica» del dicembre 1941, soprattutto per quanto concerne Alessandro Manzoni assai poco amato dai due curatori delle Prose. 150 G. De Luca a RG, 5 settembre 1941. Ne parla Mangoni, In partibus, cit., p. 291. 151 Sul suo rovello, quello di essere riconosciuto come intellettuale e cattolico e non intellettuale cattolico ha scritto pagine bellissime Luisa Mangoni, In partibus Infidelium, cit. 146 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 47 47 so ha capito che forse io avrei fatto approcci per una, diciamo, conciliazione; e così, sul bel principio, ha spento la luce, e buona notte a noi. Gli ho risposto, mi ha ririsposto: mi vuol bene, io gliene voglio pazzamente: ma di conciliazione, di qualsiasi sorte, guai a parlare. Proibito persino alludervi»152. E invece non è così, perché proprio a una riconciliazione anela il sacerdote. Ma, ancora una volta, è Romana a ricordargli i motivi della sua distanza dal filosofo dell’idealismo. Romana esprime in modo chiaro e deciso, come nel suo stile, il dissenso rispetto alle parole di Croce, il cui contenuto la consola solo per l’effetto che queste hanno avuto sul sacerdote. Su Papini poi, «ritengo giusto e fondato soltanto quello che dice della sua cultura. Il resto mi sembra ingiusto, disumano; e presuntuoso volerla sapere più lunga di lei, circa la fede, vera o finta, di Papini. Del resto la lettera così grave di accusa, non va esente né da ingiustizia e intemperanza, né da vanità e banalità, e me ne spiace per Croce. Ma basta di ciò; non avesse che il merito di spronarla a lavorare di sodo e a lavorare da solo, e non già in articolame (una volta regolato e costante l’erario, l’articolame non graverà più tanto) ma in opere d’impegno, opere di largo respiro in cui impegnare tutto: dottrina, intelligenza, cuore – e Dio sa quanto gliene ha dato e che spreco lei ne ha fatto finora – non avesse altro merito, dico, sarebbe già sommo merito, merito veramente Benedetto»153. Sicuramente Romana coglie nel segno ricordando a De Luca come il suo perdersi nell’attività di giornalista-polemista, lo allontani da altri compiti di più largo respiro ai quali il prete ambisce e che si stanno chiarendo sempre di più in questi anni di guerra154. Romana legge e rilegge l’introduzione, che tanto preoccupa De Luca, per le reazioni vivacissime di critici e intellettuali, e lo riporta, come spesso succede, con i piedi per terra: «Ritengo sempre più infondati i suoi timori: lei pensa e teme soltanto di una piccola cricca di gente “prevenuta” e mal disposta; io penso alle due o tremila persone almeno a cui – a dir poco – si indirizza questa prima tiratura, persone fuori d’ogni polemica letteraria, e per cui il volume costituirà una santa santis152 A. Baldini-G. De Luca, Carteggio, cit., pp. 140-141. Lettera 68, 6 settembre 1941. 154 Cfr. L. Mangoni, In partibus, cit., pp. 233 e ss.; R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca tra cronaca e storia, cit. 153 01 Introduzione 48 9-03-2010 11:17 Pagina 48 Vanessa Roghi sima rivelazione. E, vedrà, lo sarà pure per i più intelligenti e onesti fra gli “specialisti”; gli altri lasci che “cuociano nel loro brodo” dicono gli olandesi, pacifici e filosofi. Di me, lettrice, inutile dire: in mancanza di sue lettere, mi son letta e riletta la prefazione almeno tre volte: saprei dire fin le virgole, quali son sue, quali no. E che tutto il centro, il nocciolo, il cuore, la sostanza, il sugo, il cervello, insomma il 19/20 di tutta la prefazione son suoi, anche di questo non dubito. Quel che non è suo (vediamo se l’imbrocco) sono le due prime pagine polemiche, l’ultimo pezzetto, il “suolo plutonico”, l’immagine del pendio a mezza costa, con consultazioni al catasto ecc.; è così?»155. De Luca le risponde con uno slancio che evidenzia come la giovane abbia colto nel segno: «Accidenti, come hai imbroccato nell’introduzione brani che non sono miei! Mi fa piacere, mi fa coraggio. Sapessi quanto ho sofferto sin qui del sospetto che io, intellettualmente, non esistessi come persona. Perciò mi son messo sempre con altri. Ma dopo quella lettera di B. C., che mi laureava “uomo dotto, scrittore fine”, ho risoluto oramai di far da solo, e intanto fare. Vedrai meraviglie di questa mia nuova vita, di questa vera vita nuova per me: lenta a germinare, lenta a muoversi, ma che già esce fuor di terra. Sento un coraggio, una forza, né so da dove mi viene, e per merito di Chi; cioè, lo so, e ne godo con una insostenibile gioia»156. Non a caso la stessa Guarnieri, nel 1962, curando la pubblicazione postuma dei due più importanti scritti teorici di De Luca, ovvero le introduzioni all’«Archivio italiano per la storia della pietà» e agli Scrittori di religione del Trecento, inserirà la lettera del prete a Benedetto Croce: ultimo riconoscimento di un rapporto fondamentale nella vita dell’intellettuale De Luca, che Romana sceglie fra tutti, in nome di quella “vita nuova” che Croce stesso ha contribuito a far germinare157 ma dalla quale De Luca, anche grazie alla Guarnieri, ben presto si distacca per intraprendere la sua originalissima strada158. 155 R. Guarnieri a G. De Luca, 3 settembre 1941, lettera non pubblicata in ARG. Sull’attribuzione ritorna in R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca tra cronaca e storia, cit., p. 44; ma cfr. L. Mangoni, In partibus, cit., p. 254. 156 Lettera di G. De Luca a R. Guarnieri, 5 settembre 1941, non pubblicata. 157 La lettera di De Luca a Croce è contenuta in R. Guarnieri, Avvertenza, a G. De Luca, Introduzione alla Storia della Pietà, cit., pp. VII-VIII. 158 Cfr. C. Dionisotti, Il filologo e l’erudito, in M. Picchi, Ricordi e testimonianze, cit., pp. 143-167. 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 49 49 Ma la convinzione di non «esistere come persona, come intellettuale» emerge frequentemente nelle lettere del prete. E proprio nel carteggio con Romana le intense crisi di cui è vittima De Luca in questo senso emergono con forza inattesa, se si confrontano con la sicurezza che trapela dalle lettere che contemporaneamente scrive a suoi corrispondenti, uno per tutti il ministro Giuseppe Bottai, con il quale ha iniziato a collaborare intorno al 1940. Lettere, quelle con Bottai, nelle quali, invece, il ruolo di «tessitore», l’espressione è del prete, rimane immutata e senza oscillazioni. Scriverà a Romana, riguardo al suo rapporto con Bottai, e, tramite Bottai, con il regime: «Mio dovere è tessere, Iddio farà i vestiti; e tessere, restando nudo e cencioso»159. Eppure malgrado le continue crisi, di cui le lettere con la Guarnieri sono la più chiara testimonianza, alla fine del 1941 Giuseppe De Luca fonda, con Alfredo Schiaffini, le Edizioni di Storia e Letteratura, all’inizio solo una collana di “Saggi e Testi”160, ma certo il coronamento di un’impresa pensata da anni che porta finalmente l’intellettuale De Luca fuori dall’obbligo delle «scritture su richiesta». Ma non per questo il tormento del sacerdote verso sé stesso e il suo lavoro sembra conoscere una sosta. A metterlo in crisi, ora, c’è anche la guerra, per prima cosa, la guerra, arrivata a scuotere ogni quotidiana certezza, sulla quale il “prete romano”, ha potuto costruire fino a quel momento la sua vita di studioso. Roma è colpita in modo marginale fino al 1943. Non conosce bombardamenti. I suoi abitanti, De Luca in primo luogo, si sentono protetti dalla presenza del Vaticano161. Solo la crisi alimentare si fa sentire, e le notizie dal fronte che rendono il prete sempre più inquieto. L’estate del 1942 è in questo senso un momento difficilissimo. La crisi nasce dalla stanchezza, ma anche dalla percezione del suo ruolo di sacerdote e intellettuale in continua ridefinizione; in questo senso un forte stimolo è dato dalla vicinanza dell’amico e sacerdote don Giuseppe Sandri162, fratello di Leopoldo Sandri, suo antico compagno di semi159 Lettera 56, 19 agosto 1940. A. Schiaffini, Alle origini di storia e letteratura, in M. Picchi, Don Giuseppe De Luca, cit., pp. 315-320. Cfr. R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca, cit., pp. 167-192; L. Mangoni, In partibus, cit., pp. 284-324. 161 Cfr. U. Gentiloni Silveri-M. Carli, Bombardare Roma. Gli alleati e la «Città aperta» (1940-1944), Il Mulino, Bologna 2007. 162 Giuseppe Sandri (1906-1985) ordianto sacerdote nel 1928, fu dapprima officiale di cura in diplomazia, poi minutante alla Congregazione dei Seminari e delle Università. Fra gli amici 160 01 Introduzione 50 9-03-2010 11:17 Pagina 50 Vanessa Roghi nario. Scrive su don Giuseppe Sandri, De Luca, «È un santo ma (come diceva don Abbondio) che tormento». Sandri, infatti, convinto che per raggiungere la santità sia indispensabile rinunciare a ogni passione, lo attacca proprio sul suo nervo più scoperto, quello del lavoro163. E De Luca risponde rivendicando il suo essere chiamato da Cristo proprio a questa via: «Questa sarà, come è, inferiore: ma è la mia. Non posso lasciarla, senza perdermi. Potrò, dovrò migliorarla; la migliorerò di certo, con l’aiuto di Cristo; ma dovrò viverla così come io sono stato fatto (e fatto da Lui) e così come Egli, e non altri, mi ha tratto su su sino ai quarantaquattro anni»164. Una via erta di ostacoli, dura esposta «a tutte le punture quotidiane», al ricatto dell’attualità, della scrittura su richiesta, una via che, pur se percorsa per un fine ultraterreno, richiede di esser fatta bene in terra, altrimenti diventa sicuro strumento di tormento e distrazione165, una via, infine, che non preclude, secondo De Luca l’essere legati ad affetti terreni, come la famiglia e gli amici, perché anch’essi testimonianza di un Amore più grande, senza superbia166. Su questi temi, fondamentali per la vita del sacerdote, interviene subito Romana: «Ma torniamo a noi, ossia a Sandri e alla sua durezza. [...] Amare Lui, sta bene. Ma Lui, non è un’arida formola, tanto meno un’astrazione: così sento io. Amo Lui, in tutto e tutto in Lui. Così ci ha insegnato, quando diceva che lo avevamo consolato in carcere, sul letto, ammalato, nei cenci, affamato. Così lo amo nel lavoro e amo il lavoro (furiosamente) in Lui. [...] E poi, per ora, finchè viviamo, abbiamo bisogno di riconoscerlo e amarlo nelle cose sensibili, mi pare: per trascenderle sì, ma senza poterne però astrarre»167. più cari e vicini a De Luca in questi anni, lavorò ad alcune traduzioni per Morcelliana e poi per le Edizioni di Storia e Letteratura. Nel 1949 su sua richiesta fu ridotto allo stato laicale. 163 Anche la famiglia è elemento di discussione fra i due: «Quando si parlò della mia generosità per la famiglia, che pure mi era ed è sempre sembrata una buona cosa, egli fu ancora più duro: riuscì a dirmi che aveva più disciplina chi metteva i soldi da parte per andarsene in Svizzera, che non io che tutto versavo sul capo dei miei» G. De Luca a RG, Roma 12 agosto 1942. 164 Lettera 80, Roma 12 agosto 1942. 165 Ibidem. 166 Ibidem. La lettera è pubblicata anche in Il drago, la banca, il papero, in R. Guarnieri, Una singolare amicizia, cit., pp. 131 e ss. 167 Lettera 82, 14 agosto 1942. Sulle pratiche della fede del resto anche Romana esprime qualche giorno dopo dei dubbi «Riflettendo in questi giorni, mi pare che la mia vita di preghiera sia assai scarsa e che questa sia forse una delle ragioni per cui tanto spesso sono tanto distrat- 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 51 51 Su questi temi la comunanza di intenti e di sentimenti sembra assoluta. La guerra sola arriva a turbare le vite di Romana e De Luca come emerge dalla corrispondenza dell’agosto del 1943: «E francamente, il caldo, i pensieri, la ridda tremenda di dicerie e, ahimé, di notizie (oggi, di Napoli schiacciata, di Santa Chiara – la bellissima delle chiese napoletane – distrutta), in più le paure che nessuno può disperdere e i nemici incutono sino al terrore, tutto mi arde e incenerisce. [...] E in questi giorni la gente disanimata, percossa, in cerca d’una parola, è tanta: soprattutto tra chi ieri gongolava»168. Eppure malgrado la strada da percorrere sia ormai chiara per quanto riguarda il lavoro da fare insieme, c’è ancora una cosa da chiarire nel rapporto fra Romana e don Giuseppe. E sono le ragioni che porteranno Romana, nel 1945, a fare voto di castità. 5. Scelte «Se sono turbato, è perché sono vivo e (credo poterlo dire) sono forte: non di me, ma d’un amore a Cristo che mi crocifigge e resuscita, che mi mette nelle tempeste per farmi più ineffabilmente dolce di pace, mi strazia per saziarmi, mi respinge per stringermi più e più, e ogni giorno che passa maggiormente mi asseta e disseta, mi doma e mi libera, mi si nega e poi, sì, mi si dà» Don Giuseppe De Luca a Romana Guarnieri, 24 aprile 1940169. Non si può fare a meno di affrontare, in quanto tema rilevante di queste lettere, il tema della sessualità avendo di fronte un carteggio ricco di allusioni, motti di spirito, ma anche gravi tormenti dettati appunto dalla difficoltà, ora da parte di De Luca, ora da parte della Guarnieri, ta. La preghiera orale non mi dice nulla. A Messa, data la distanza, non vado che la domenica. Che fare? Ho pensato allora di riprendere quelle letture che due anni fa non tralasciavo un solo giorno: o il Vangelo o san Paolo o qualche altro Santo. Dopotutto leggere sant’Agostino mi dà assai più gioia che non Moby Dick, che pure è un gran bel libro. Ma, con il poco tempo che ho per la lettura (tanto se ne va a scrivere a monsignore illustrissimo), faccio poi bene? Diventerò, così, un dottore in Sacra Scrittura o patrologia, ma non una “letterata” (!). Insomma, decida lei, mi rimetto tutta ai suoi lumi.» RG a G. De Luca, Ortisei 16 agosto 1942. 168 G. De Luca a RG, 7 agosto 1943, non riportata in Appendice. 169 Lettera 50, 24 aprile 1940. 01 Introduzione 9-03-2010 52 11:17 Pagina 52 Vanessa Roghi di dare ai propri naturali turbamenti un indirizzo completamente accettabile all’interno di un rapporto di direzione spirituale. È stato Giovanni Antonazzi, autore della più completa biografia sul “prete” De Luca, a mettere in luce le ombre del suo sentire rispetto al tema della sessualità, del “peccato”. Scrive De Luca: «Ignorai il peccato, anche peccando, posso dire sino a quando chi si impadronì di me non mi fece comprendere, istintivamente, che cosa fosse offendere l’amore. Prima, il peccato era per me come una contravvenzione. [...] Se non che anche il peccato, nel seminario e dopo, restò qualcosa di episodico, non mi penetrò né squarciò, non mi disse nulla di me. Me ne confessai sempre addolorato, ma contrito nel senso etimologico della parola, no, non sono stato mai»170. Scoprendolo da fanciullo, in seminario, «nella sua gravità, tanto più deplorevole perché ammantata dalla fitta serie di pratiche devozionali proprie dei seminari. Ne soffrì intensamente [...] Nell’amarezza del ricordo, egli vedeva “il lacrimare silenzioso del confessore, un vecchio santo”; “e quel pianto di lagrime silenziose che sgorgavano al primo mio dire la mia colpa, mi è rimasto nel cuore come l’ignoranza del volto della mamma, la volontà d’esser prete, e il rombo della conchiglia»171. Il «rombo della conchiglia», un rumore virtuale, qualcosa di assente, anzi soltanto immaginato: nessuna metafora meglio potrebbe rappresentare quel tormento di De Luca per un peccato temuto in sé e sospettato, sempre, negli altri: «Nella pratica – scrive Romana – ebbe inizio, con vicende alterne un lungo calvario per entrambi. Lui non conosceva ancora a fondo la natura aggressiva, ispida, scontrosa della sua nuova amica penitente. Né io, da parte mia, conoscevo ancora il carattere fantastico, ansioso, emotivo e malfidato, diffidente forse oltre il dovuto, del sacerdote lucano, incline per antica tradizione paesana e probabilmente anche per la sua personale esperienza, come dire, professionale, a sospettare il male anche lì dove non si trovava»172. 170 G. De Luca, Vita prima, in G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 412. G. De Luca, Vita prima, in G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 411. 172 R. Guarnieri, Una singolare amicizia, cit., p. 75. 171 01 Introduzione 9-03-2010 11:17 Introduzione Pagina 53 53 Fin dall’inizio il carteggio fra De Luca e Romana è segnato dalla “colpa” originaria della giovane, quell’infatuazione per una amica, inaccettabile per il prete. De Luca legge fra le righe, nelle lettere di Romana, alla ricerca di eventuali turbamenti, come scrive in una lettera del 7 agosto 1939: «Dalle tue, che leggo sempre, anche tra le righe, non veggo novità che mi addolorino»173. Eppure Romana Guarnieri non si nasconde, anzi fin dall’inizio cerca un modo per comunicare tutto quello che sente al sacerdote, anche se non ha chiaro il modo: «Caro don Giuseppe, vorrei proprio sapere con certezza se certe cose è meglio tacerle, o invece dirle con tutta franchezza. Certo è che ogni volta che mi tengo qualche pensiero per me, oppure Le rispondo evasivamente, poi ci rimango male. Così oggi quando di nuovo mi ha domandato se certe domande me le poteva fare, e ancora una volta ho evitato di spiegarle il perché del mio cambiamento. Forse la mia ritrosia potrà sembrare strana a Lei che è abituato a stare in confessionale; ma deve considerare che l’unica volta in cui io ho avuto il coraggio di dire cose che confessavo sì e no a me stessa, è stata la prima volta che io son venuta da Lei; e che allora ho fatto una fatica immensa»174. Romana fraintende dunque e, confusa e “impreparata” a un rapporto di questo tipo, usa le lettere come un confessionale, e in più di un occasione si dilunga a raccontare di sue colpe, vere o immaginarie: «E fu ancora una volta a Perugia che s’iniziò il lungo martirio che di tappa in tappa doveva condurmi a quel parossismo di canaglieria che mi fece menar per il naso in 4 modi diversi 4 uomini diversissimi per temperamento, età e condizione sociale. – E questo ancora a Perugia – e fu pure l’inizio di quella reazione che finì in un infelicissimo fidanzamento; e a Perugia infine la reazione alla reazione, e la energica rottura di un vincola che sarebbe stato ne sono certa, l’inizio di infiniti altri guai. L’anno scorso»175. E ancora: «Adesso almeno potrà giudicare con più cognizione di causa, specie quando avrà rivestito questa specie di trama della sensualità e del gusto della perfidia 173 Lettera 30, 7 agosto 1939. Lettera 9, 1 giugno 1938. 175 Lettera 12, 21 luglio 1938. 174 01 Introduzione 9-03-2010 54 11:17 Pagina 54 Vanessa Roghi di cui sono stata preda tutto quell’anno. Ma, l’ho già detto, non voglio darmi nessun’aria satanica – son cose passate di moda. Eppoi basta anche così a farmi sempre un po’ di salutare paura a pensarci! Evviva l’ottimismo! Don Giuseppe, non mi creda troppo seria – e non mi prenda troppo sul serio»176. Questa sorta di incontinenza verbale dei primi anni viene ben presto canalizzata da De Luca in due direzioni distinte: la confessione, per voce, la direzione per lettera. Le lettere allora mutano di segno, la scrittura si distende, i temi si allargano e si parla di tutto, del lavoro, e della famiglia, e di un rapporto che, come abbiamo visto, va progressivamente trasformandosi. Se Romana infatti smette ben presto di “confessarsi” per lettera, De Luca sente il bisogno di indicare una strada per proseguire il carteggio e scrive nel marzo del 1940: «Si lavorerà, soprattutto; senza troppi discorsi, senza troppi divagazioni. E, quando occorrerà ma sarai tu a cominciare a meno che non mi autorizzi volta per volta, si parlerà della tua anima e della tua vita religiosa; e io, se tu permetterai, ti dirò qualcosa della mia. Bisogna venire a capo del mar dei sargassi, con la navigazione sempre impedita: la tua nave, uscita dalle luci terrene e i fumi del porto, superato ormai il limitare dell’oceano, è nell’alto: tra le stelle e il profondo»177. «Ti dirò qualcosa della mia»: in realtà, le lettere di don Giuseppe a Romana diventeranno vere e proprie “confessioni”, analoghe, ancora una volta, a quelle rivolte all’amico Papini dieci anni prima. Aveva scritto infatti nel 1931 all’intellettuale fiorentino: «E sono un uomo; che assai presto, inoltre, sentì e seppe certi problemi, e dovè insomma risolverli, non nel senso di eliminarli che è impossibile sino a che si è vivi, ma nel senso di stabilire una volta per sempre come comportarsi, e starci. In dieci anni di sacerdozio (quasi dieci anni dal 21 ottobre 1921), fra mille disperate ricerche e ricerche, e situazioni e brame, ho superato le ore più turbinose e le più terribili prove, cavandomela, per la misericordia di Dio, con l’anima e la carne e le sottane illese»178. 176 Lettera 13, 8 agosto 1938. Lettera 49, 14 marzo 1940. 178 Lettera di De Luca a Papini, in G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 151. Scrive Antonazzi che sul tema del celibato «don Giuseppe non ebbe mai dubbi o tentennamenti [...] Coltivò amicizie profonde in campo femminile, avvicinando, in alcuni casi come consigliere o confesso177 01 Introduzione 9-03-2010 11:17 Pagina 55 Introduzione 55 Scrive nel 1940 a Romana Guarnieri: «Tu sai la diga che infrena questo torrentaccio montano, e non lo lascia passare. E sai, tu, che questa diga tiene. Non è una fictio iuris, per me: tiene veramente. E capisci allora che può accadere, in questo mio povero e duro essere. [...] Le volontà, dell’uomo e insieme dell’uomo di Dio, sempre contrastanti e dolorose; più dolorose che mai, quando per caso s’accordano, e mi portano ad altitudini o abissi, dolcissimi ma intollerabilissimi179. Mille parole che sempre intronano l’anima, mille desideri, mille fastidi; obbiezioni, abbiettezze, con esaltazioni e veri eroismi; tutto ciò, e molto altro, mi compone una vita interiore che mi tortura come una ubbriachezza potente, mi fa delirare come una spasimosa brama carnale, mi dà le vertigini del pensiero astratto e del fuoco compresso; la luce e l’ombra di Dio, le patisco come i miei nervi il tempo»180. Nella famiglia, oltre che in sé, De Luca trova questa “diga”: «La famiglia è per me un grande ausilio morale: creda, in certe ore di fiacchezza, non so se resisterei alla prima ventata di tentazione. E ho anch’io le mie, di tentazioni: lei m’intende. La famiglia è per me dunque un annesso, quasi, della chiesa»181. In questo senso fondamentale il rapporto con la sorella Maddalena il cui affetto sarà per De Luca motivo di conforto tutta la vita: «Il Signore non potrà non contentarmi in quelle poche ma grandissime cose che io gli ho sempre, pertinacemente, domandate. Una di queste è la serenità, la forza, la gioia – non dico la felicità, perché questa è altrove – della mia Nuccia. Difficilmente tu puoi renderti conto di quanto ho amato e amo Dina e ora, mentre Dina è amata e ama, soprattutto Nuccia»182. Nel gennaio del 1944 Giuseppe De Luca scrive a Romana: re, anche le “donne più belle e celebrate”. Ne seguirono, talvolta, dei turbamenti, fenomeno naturale, specie in un temperamento violentemente emotivo, per fortuna governato da una volontà non meno impetuosa di vivere conforme alle scelte liberamente compiute», G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 100. 179 È ancora una volta mons. Antonazzi a scrivere: «sperimentò in sé il paolino stimulus carnis, al punto da riferirvisi con un “propositum magnum”», Ibidem. 180 Lettera 41, 7 marzo 1940. 181 Lettera di De Luca a Papini, 2 gennaio 1932, in G. Antonazzi, Don Giuseppe, cit., p. 43. 182 Lettera 50, 24 aprile 1940. 01 Introduzione 9-03-2010 56 11:17 Pagina 56 Vanessa Roghi «Grazie che ti sei pienamente convinta, e con tanto fuoco. [...] Non miserie – con tutta la mia miseria – di nessuna sorte mi hanno mai animato; ma il sentimento che faceva dire a Girolamo fuggiasco sul lido e dal lido di Roma per l’ira della curia: Velit nolit mundus, Paula mea est. Era Santa Paola. Ti auguro, Romana, una grandezza d’animo e d’anima, ma così grande che solo Cristo possa misurarla tutta. Non dubitare del tuo lavoro: adotta il sistema da me adottato, che io penso unicamente a Lui, Lui penserà a me, ai miei, alle mie cose»183. Nessun dubbio più sulla fede di Romana, né sulla sua vita. Romana non solo ha intrapreso in modo definitivo la strada di studiosa e collaboratrice dei progetti del prete, ma sembra aver rinunciato anche a ogni idea di avere una vita al di fuori della fede e di questi progetti. La giovane non sembra avere dubbi o tentennamenti, né dalle lettere né dai diari. Decisa a percorrere la sua strada di donna sola, come poche altre, intorno a lei iniziano a fare. Del resto la richiesta del sacerdote è chiara: consacrarsi interamente anima e corpo al lavoro che è «lavoro per Cristo». Ribadito il valore della castità e della verginità e quella «nostalgia di un impegno formale per essa, di una consacrazione sponsale»184 trova ben presto compimento nella consacrazione di Romana come moderna «beghina»185. «Sappi portare con infinita delicatezza (e pazienza) quelle verità che io, potendo, ti svelo quasi per trovare una spalla che con me le porti»186. 183 Lettera 111, 6 gennaio 1944. P. Gaiotti De Biase, Protagonismo religioso ed emancipazione delle donne, cit., p. 44. 185 «Questo legame fra celibato e opzione religiosa, solenne, di castità, finirà col suggerire ad alcune di tentare nuove forme istituzionali che lo consacrino in comunità di vita laicale con altre compagne, nei nuovi istituti che si qualificheranno secolari (da Adelaide Coari a Elena da Persico, da Elisa Salerno a Armida Barelli, a Luigia Tincani) a lungo peraltro rifiutati dalla Chiesa, se non avevano voti pubblici, vita comune, abiti religiosi. Per moltissime altre resterà soltanto una coerenza affidata a se stesse», P. Gaiotti De Biase, Protagonismo religioso ed emancipazione delle donne, cit., p. 44. Sulla castità richiesta alla donna cfr. L. Accati, La legge della madre e la religione delle figlie. Considerazioni scientifiche e politiche, in Donne sante sante donne, cit., pp. 43 e ss. «La mia famiglia si lamentava di De Luca che accusava, con la scusa della conversione, di mettermi ogni sorta di grilli e di esaltazioni per la testa, ditogliendomi di fatto da quella che allora appariva ancora la sorte normale di una fanciulla di buona famiglia: il matrimonio. E questo non era vero essendomi sempre mancata qualsiasi attrazione in proposito. Insomma una storia che dai tempi dei tempi sembra ripetersi con regolarità monotona a ogni vocazione di fanciulla, che non abbia per risultato la monacazione della medesima in un rassicurante e possibilmente riccamente dotato monastero», R. Guarnieri, Il Drago, la Banca e il Papero, in Una singolare, cit., p. 105. 186 Lettera 28 maggio 1944, non pubblicata, in ARG. 184 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 57 57 Il rapporto di direzione si è in qualche modo rovesciato ed è De Luca adesso ad avere, almeno dal suo punto di vista, più bisogno di Romana, al punto da temere un suo distacco, anche come intellettuale: così almeno lamenta nel maggio del 1944 riferendosi all’ultima traduzione di Romana, quella delle Visioni della mistica brabantina Hadewijch, pubblicate solo nel 1947 da Morcelliana: «Rendo le Visioni. Tornato a leggerle, son tornato a rallegrarmi con te. Ma nell’orto del mio cuore, inselvatichito, nasce tanta amarezza, che anche accanto alla gioia di questa lettura, veramente superba e lietissima, è nata una tristezza: che si avvicina il tempo che tu non avrai bisogno di me»187. «Chi me lo fa fare» si chiederà Romana più di una volta nel corso dei primi anni di questa singolare amicizia. Domanda retorica se mai metterà seriamente in discussione il suo rapporto (e soprattutto le modalità del suo rapporto) con De Luca. Malgrado questo un’ultima infatuazione per un amico nell’estate del 1944, farà maturare la prima (e ultima) grande crisi nel rapporto fra i due destinata a protrarsi per più di un anno, anno che vedrà la nascita dell’Archivio italiano per la storia della pietà da un lato, e la rottura di Romana con la sua famiglia dall’altro188. Ne abbiamo testimonianza dalle sole lettere di De Luca visto che di quelle di Romana non si è trovata traccia189. «Cara Romana, stamani non ho potuto dire la messa delle sette, perché ho avuto una povera notte. Ogni sorta di demoni scendevano su me, a strapparmi dal cuore la pace, la serenità, la purezza; a seminarvi l’ira, il disprezzo, l’odio [...]. Qualcosa in te non è più quello che Cristo ti aveva dato: che cosa sia, non lo so. Io non credo, assolutamente non credo, alle turpi perfidie di chi Cristo mi aiuterà presto, non a punire, ma a guarire; ma un processo in te si sta compiendo da mesi, e in questi giorni precipita. Il tuo male è, sì, fisico; ma nel tuo volto, quanto disfacimento! nel tuo occhio, quanta violenza raccolta 187 Si fa riferimento alla fine della traduzione delle Visioni. G. De Luca a RG, 25 maggio 1944. 188 R. Guarnieri, Nasce l’«Archivio italiano per la storia della pietà», in Una singolare amicizia, cit., pp. 13-18. Sulla nascita dell’Archivio cfr. L. Mangoni, In partibus, cit., pp. 284-324. 189 Gli anni 1944 e il 1945 mancano della corrispondenza di Romana: sono conservate soltanto le lettere di De Luca. Eppure sono due anni molto importanti nella vita della giovane donna: lo ricaviamo dai suoi racconti autobiografici, anche quelli pubblicati, e dalle pagine di un diario, inedito, che composto da sole sei pagine, affronta la drammatica decisione di quella che lei chiamerà sempre la sua “uscita di casa”. Cfr. R. Guarnieri, Una singolare amicizia, cit. 01 Introduzione 9-03-2010 58 11:17 Pagina 58 Vanessa Roghi come a sfida! quanto fastidio nella tua persona, per me e per tutti! quanta stanchezza e amarezza! E perché? perché deve essere tornato il tempo, per te, del baschetto universitario, dei capelli a certa maniera, dell’andamento tra zingaresco e provocante, e delle vipere nel cuore?»190. Il prete accusa la ragazza di essere proprio questo: una ragazza. Il “baschetto universitario”, i capelli “alla certa maniera” non vanno bene. E qua esce allo scoperto, con la limpidezza resa possibile solo dalla bufera, il desiderio di trovare più che una sorella in Cristo. Un alter ego donna, qualcuno con cui non solo “spassionarsi” e lagnarsi, ma condividere una vita fatta di rinunce e lavoro “matto e disperatissimo”, al punto da rovinarsi la salute (e quante lettere sono resoconti medici di patologie reali o ipocondrie)191. Malgrado questo appello disperato, che va avanti per mesi, procedono, apparentemente indisturbati, i rapporti di lavoro se è del 6 agosto del 1944 la lettera di incarico in cui De Luca affida, per un compenso di 3000 lire al mese, la redazione dell’«Archivio Italiano per la storia della Pietà» a Romana192. Infatti è di pochi giorni successiva una nuova lettera di De Luca nella quale sembra evidente una avvenuta pacificazione e un chiarimento. Il 10 agosto 1944 don Giuseppe scrive: «Cara Romana, anche a me dispiace oramai scrivere e parlare; ne sono guarito anch’io. Lavorare, e vivere. Ma voglio ripeterti due cose: che don Giuseppe farà di tutto per rispondere alla sua vocazione di prete, il miglior prete che potrà essere. Farà di tutto perché, studioso e scrittore, riscatti il tempo, passato ozioso, della sua giovinezza. Ti sarà vicino così. Ed è certo della tua fedeltà a Cristo e alla tua vera vita, come il Signore la vorrà»193. E così è, l’inverno fra il 1944 e il 1945 è uno dei più difficili nella vita di Romana e di don Giuseppe: il percorso tracciato dalla storia del loro rapporto sembra essere giunto a un punto di non ritorno; il lavoro ma soprattutto la direzione del sacerdote l’hanno spinta troppo lontana dalla sua famiglia, e i dissidi con la madre ed il patrigno si fanno sempre più frequenti fino a sfociare in una vera e propria rottura. De 190 191 Lettera 16 luglio 1944, non pubblicata in ARG. Cfr. R. Guarnieri, Il Drago, la Banca, il Papero, in Una singolare amicizia, cit., pp. 98- 165. 192 Lettera 118, 6 agosto 1944. G. De Luca a RG, 10 agosto 1944 non pubblicata, in ARG. Stesso tono lieto e pieno di speranza nella lettera G. De Luca a RG, 5 settembre 1944, in ARG. 193 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 59 59 Luca cerca inizialmente di ricucire gli strappi con la famiglia ponendosi come mediatore (questa ancora nel maggio del 1945). Scrive a Minnucci, patrigno di Romana, «Caro Architetto, stamani, distogliendo non più di una mezz’ora al lavoro, ho discorso con Romana dell’incidente di iersera. Ti dissi iersera, ti ripeto stamani che il ripetersi di questi incidenti sta stancando non solo te, ma me; e debbo anche dirti, con dolore, che stanca anche R. la quale, se riconosce i suoi torti, vuole che siano riconosciute anche le sue ragioni. Urge pertanto che ci vediamo»194. Romana racconta distesamente questo importante passaggio della sua vita nel volume Una singolare amicizia. «Plagiata e strumentalizzata da don De Luca, per le sue ambizioni personali» andavano accusando furibondi e scandalizzati i miei, incapaci di capire che la loro figlia era sì plagiata, ma non da un povero prete, per intelligente e ambizioso che fosse, ma da quel Despota, Signore dell’Universo, al quale nessuno può sfuggire se preso di mira»195. Il patrigno Gaetano Minnucci, d’accordo con la madre di Romana, si era infatti persuaso che la scelta di Romana di rinunciare alla carriera dell’insegnamento dipendesse dai «grilli e dalle esaltazioni» messe in testa alla giovane dal prete. Per questo aveva scritto una lettera al cardinal Francesco Marchetti Selvaggiani, Vicario di Roma, per lamentare la nefasta influenza del sacerdote sulla figlia196. Lettera che pervenuta nelle mani dello stesso De Luca, viene letta da Romana stessa facendole maturare il grande passo, andare a vivere da sola in un pensionato. Eppure don Giuseppe Sandri, le scrive nel marzo una lettera di auguri per l’anniversario del suo incontro con De Luca, che è anche l’anniversario dell’inizio della sua conversione, salutandola come «nuova e definitiva sorella»197. 194 Lettera non inserita nelle trascrizioni né trascritta se non da me VR, in data 6 maggio 2004, (Maggio ? 1945) matita aggiunto dopo con ?. non firmata, ma di DGL a Gaetano Minnucci ora in Appendice. 195 R. Guarnieri, Il Drago, la Banca e il Papero, in Una singolare amicizia, cit., p. 105. Cfr. anche ibi, pp. 267-268. 196 Ibidem. 197 G. Sandri a RG, 14 marzo 1945 «Cara B. mi sia permesso, in questo anniversario di cui mi parla il mio amico, pensare a te come ad una nuova e ormai definitiva sorella in questa strada della quale siamo tutti indegni e tutti orgogliosi». 01 Introduzione 9-03-2010 60 11:17 Pagina 60 Vanessa Roghi Ma la crisi con De Luca non è finita, il sacerdote si richiama allora a tutti quegli argomenti che mai fino ad oggi a usato in modo così forte: l’ubbidienza, la confessione, la totale fiducia, e abbandono alla sua autorità di direttore di anime, al punto da arrivare a parlare di una seconda conversione. «Qualora tu riuscissi, con una vittoria capitale – e basta un atto di volontà, subito – a comprendere che non si risolvono meglio codeste miserie (miserie gravissime, che ti sterminano praticamente l’unità interiore e l’amore vero a Cristo e l’unità con me), se non sacrificandole nella confessione immediata totale (esagerata magari) all’amor vero che non è di solo sentimento; tu saresti salva. Finirebbe la dualità che a te ti dilania e a me mi strazia: tra sentimento e dedizione. Il sentimento, che vaga, non sarebbe per te una vita, ma un errore e una colpa; come per me il mio peccato. Saresti una, e saremmo uno. Così qualcosa sempre ti divide e ci separa. Cristo ti ispiri. È la tua seconda conversione che ti chiedo. L’ho meritata, io credo»198. L’ultimo accenno alla crisi in una lettera senza data, ma da Romana classificata fra quelle dell’autunno del 1945, lettera rimasta a lungo appallottolata, fuori dal carteggio, non trascritta, lettera in cui per l’ultima volta De Luca garantisce che mai più metterà in dubbio la parola di Romana: «Cara Romana, torno a ripeterti che il passato è passato, e io di certo non ci torno più, e nel passato è compreso quello che può essere definita la mia crisi di fiducia: torno a garantirti che io non metterò più in dubbio la tua parola, né porrò ulteriormente problemi di genere. Quando a te occorresse riproporli, troverai il don Giuseppe antico e un nuovo Peppino, nuovo veramente. Non cioè indifferente, non disinteressato, ma insomma risoluto e cioè risolto, sciolto, libero, ridente. Mi spiace aver gravato su te e sui tuoi»199. È come se un cerchio si chiudesse, il cerchio dell’incontro e della conversione, delle marce indietro e delle diffidenze, il cerchio della direzione spirituale reciproca costante che ha unito Romana Guarnieri a don Giuseppe De Luca da otto anni. E si chiude con una vittoria di Romana: riportare De Luca ad essere direttore spirituale ma entro un 198 G. De Luca RG, 14-15 aprile 1945. G. De Luca RG (la lettera è del tutto stropicciata come se appallottolata e poi spianata, non trascritta è senza data ma messa insieme alla precedente), autunno 1945 sd. 199 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 61 61 rapporto comunque paritario di lavoro intellettuale. Scriverà molti anni dopo su quegli anni e sulle scelte fatte: «Di tanto in tanto le difficili condizioni di vita in cui mi ero cacciata mi sembravano davvero insopportabili. Questo specie fra i trent’anni e i quaranta, quando, caduti i primi fervori si riman facilmente prigionieri di una subdola bonaccia. Età difficile quant’altre mai per una donna che abbia fatto la rischiosa scelta di liberamente consacrarsi allo stato verginale, senza nessun sostegno di gruppo – ovvero comunità, né vincolo ufficiale, – ovvero voto –, mentre le partite bene o male sono ancora tutte aperte e la propria scelta vuol essere riconfermata giorno dopo giorno, in una battaglia ricca di trabocchetti e mai intermessa»200. Riconoscendo l’irreversibilità di questa scelta De Luca scriverà all’amico Antonio Baldini201, rievocando la nascita delle Edizioni e dell’Archivio: «Verso il ’40 ho attaccato questo lavoro. Solo. Poi si mise con me Sandri; ebbi poi Romana (che al dito porta l’anello di suora, chi glielo sapesse vedere)»203. Caduto il fascismo, terminata la seconda guerra mondiale, le vite dei due si affacciano sulla Repubblica in costruzione. 200 R. Guarnieri, Candidior interius. Don De Luca tra confessione e direzione spirituale, in Ead., Una singolare amicizia, cit., p. 249. 201 A. Baldini-G. De Luca, Carteggio, cit., p. 175. 01 Introduzione 9-03-2010 62 11:17 Pagina 62 Vanessa Roghi 6. Conclusioni «Suppongo! Sta forse qui l’essenza del mio mutato modo di ripensare i ventiquattro anni di intenso sodalizio vissuti al fianco di De Luca. Quando rievoco, oggi, la mia vicenda, posso dire “so”, “sono sicura che”, ma quando ribalto l’ottica e mi metto a riflettere su quella che è stata “l’avventura” di Don Giuseppe nei miei riguardi, le mie certezze cadono di colpo e vado avanti a furia di “suppongo”, “sembra che”, ondeggiando fra dubbi e supposizioni che mi avviluppano ed intrigano vieppiù, come succede a chi si inoltra per percorsi misteriosi, incerti, nei quali per sola bussola ha la propria intelligenza e sensibilità»202 Il 3 agosto del 1949 De Luca scrive a Bargellini: «gli anni tra il 1940 e il 1950 sono stati per me gli anni (non ridere) dei miei ... vent’anni»203: Luisa Mangoni nel suo In partibus infidelium fa risalire i motivi di questa giovinezza all’attività incessante del sacerdote come animatore culturale204. Credo che, dopo aver letto anche solo parte di queste lettere, non si possa prescindere dal vedere in Romana Guarnieri una delle cause più importanti di questa rinnovata giovinezza di De Luca. La giovane incontrata per caso, sulla strada della direzione di un’altra donna, diventa vera e propria compagna di una vita: «l’irruzione mia nella esistenza di don Giuseppe costituì un’avventura piuttosto insolita non solo per me, ma anche per lui e fu determinante per la successiva vita di entrambi»205. Su di lei, su questo importante rapporto De Luca non lascia, l’abbiamo visto, neanche una riga di riflessione; eppure l’amicizia di De Luca con la Guarnieri è, sicuramente, importante, e determinante, nella vita del prete, quanto quella con Giovanni Papini. Sarà lei stessa molti anni dopo a cercarne di spiegarne il senso «Non si tratta comunque di un rapporto paritetico, qual è quello che si instaura nell’amicizia, anche se poi nella pratica un’affettuosa, umanissima esperienza di mutua edificazione può portare – e ha di fatto assai spesso portato – a qualcosa che finisce per avere tutti i connotati dell’amicizia spirituale, dove a volte non si distingue più chi è 202 R. Guarnieri, Candidior interius, cit., p. 253. Cfr. L. Mangoni, In partibus, cit., p. 295. 204 Sulle Edizioni di Storia e Letteratura, nate grazie al nucleo essenziale di una redazione «garantito da Romana Guarnieri, di cui De Luca aveva guidato e introdotto il Gezelle». L. Mangoni, In partibus, cit., p. 295. 205 R. Guarnieri, Candidior interius, cit., p. 255. 203 01 Introduzione 9-03-2010 Introduzione 11:17 Pagina 63 63 il direttore, chi il diretto» facendo chiarezza sulla sua vita oltre che sui suoi studi206. Rileggendo allora gli studi di Romana, studi maturati in anni successivi, senza l’apporto di don Giuseppe De Luca, senza l’influenza dell’amica Angela Zucconi, ma alla luce di questi fondamentali rapporti risulta più chiaro l’intento di una vita di studiosa: donne e fede, mistica e pietà, devozione e teologia, ma soprattutto donne in relazione al loro oggetto di studio, alle loro amicizie, alla loro biografia. E traspare la formazione di una storica destinata ad essere un eterna principiante che si trova, grazie alla formazione linguistica e filologica, al cuore della rinascita degli studi storico religiosi in Italia207. Inconsapevolmente, e quasi suo malgrado, dato che la sua è una vera e propria scoperta da parte delle storiche più giovani che individuano in lei una antecedente ma non una “maestra”, proprio per il complesso rapporto con la propria autobiografia e la difficoltà di rileggerla finalmente, come vorrebbe la nuova storiografia, in una chiave di genere. Il passo è breve in questo senso per arrivare a chiedere ai testi di Romana Guarnieri, come le storiche scrivono e scrivendo rappresentano sé stesse nella biografia di altre donne. Quale ruolo gioca la scrittura nella costruzione della loro identità di studiose. Romana intraprende ogni ricerca con una domanda che nasce dal suo percorso individuale: studia così la storia del rapporto delle donne con la fede, e quindi con l’amore (prendiamo Hadewich, o Porete). La direzione spirituale, come abbiamo visto nel saggio Nec domina nec ancilla sed socia che ci parla di lei prima di chiunque altro. L’amicizia, nei saggi sulle Beghine, dove spicca quel titolo: Angela o dell’amicizia, citato in precedenza. Infine: Romana scrive la maggior parte delle sue lettere dalla montagna. Le Dolomiti sempre: Ortisei, Soprabolzano, Renon, Engadina. Le fotografie scattate durante quelle gite estive ci aiutano ad immaginarla come era allora, come allora la conobbe don Giuseppe De Luca: giovane, sportiva, arrampicata su rocce che si stagliano contro cime all’apparenza irraggiungibili. Il suo volto, la sua figura illumina il carteggio di un inatteso carattere lieve, la sua scelta di scelta fatta una volta per sempre senza pensarci, con il cuore, e poi confermata dalla ragione negli anni a venire. 206 R. Guarnieri, “Nec domina nec ancilla, sed socia”. Tre casi di direzione spirituale tra Cinque e Seicento, in Donne e Uomini nella cultura spirituale XIV-XVII secolo, cit., p. 111. 207 Per un quadro generale B. Vigezzi (ed.), Federico Chabod e la nuova storiografia italiana 1919-1950, Milano 1984. 01 Introduzione 64 9-03-2010 11:17 Pagina 64 Vanessa Roghi Alla fine di questo percorso dunque proporrei tre parole chiave da usare nella lettura di questo carteggio, carteggio di amicizia e direzione spirituale. Tre parole da collocare nel XX secolo, perché altrimenti potrebbero essere travisate. Autonomia. Autonomia di Romana dalle aspettative della famiglia, dalle aspettative sociali, di De Luca da un modello di prete che gli sta stretto e al quale tutta la vita si oppone nella pratica208. Lavoro: «Non sto bene, Romana; non sto bene. Non resisto più. Va a finire che dopo tutti, casco e mi affloscio io: e allora, come si rimedia? Allora tua madre, tuo padre, i miei, tutta la venerabile curia Romana, i vari prìncipi e barbetti e marmaglie diverse, allora si fregheranno le mani, e diranno: “Vedete, lo dicevamo noi”. E tu piangerai sulla pietra del sepolcro, e io risusciterò ridendo e ripiglieremo a ... correggere bozze»209. Amore: «Sai bene che non possiamo amare davvero», scrive Romana Guarnieri in un articolo su Liberal del maggio del 1995, «con un impegno responsabile, senza una adeguata, onesta conoscenza, nei limiti s’intende del possibile, dell’oggetto del nostro amore; ma sai che la conoscenza raramente ci piove dal cielo come per una folgorazione improvvisa, che la conoscenza – anche per quel poco di cui siamo capaci – vuole attenzione, paziente ricerca, appassionato impegno di tutta la persona, di tutta una vita»210. Amore dunque, per riprendere Margherita Porete, ma anche Angela da Foligno come chiave e strumento della conoscenza, conoscenza vissuta che diventa esperienza religiosa, e si concretizza per Romana Guarnieri e Giuseppe De Luca, nella fede che genera scelte “scandalose” per un secolo, nel quale, la predominanza della politica ha finito per cancellare o ricacciare nell’ombra percorsi di vite così originali211. 208 Il tema del nubilato femminile nella contemporaneità, come scelta e non come obbligo è stato affrontato da M. De Giorgio, e da G. Pomata in Donne sole, cit. 209 G. De Luca a RG, 23 VII 1947. 210 R. Guarnieri, Lascia i precetti, Jenny, e ascolta il tuo cuore, in Con occhi di beghina. Sguardi sull’oggi, Marietti, Genova 2003, p. 9. 211 Cfr. A. Scattigno, L’esperienza religiosa. Discussioni e ricerche, in Donne sante sante donne, cit., p. 20. Su M. Porete la più importante ricerca di Romana dopo la morte di De Luca cfr. R. Guarnieri, Il movimento del Libero Spirito. Testi e documenti, (Archivio italiano per la storia della pietà, vol. IV) Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1965. Cfr. Anche L. Muraro, Lingua materna scienza divina. Scritti sulla filosofia mistica di Margherita Porete, D’Auria, Napoli 1995. In italiano M. Porete, Lo specchio delle anime semplici, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994.