Intercettazioni telefoniche, nessuna tutela per la salute di migliaia di carabinieri

NSC Calabria “Abbiamo chiesto il rispetto delle norme in materia di valutazione dei rischi per i lavoratori impegnati nelle attività di intercettazione, fino ad oggi ignorate”.

Le intercettazioni di conversazioni rappresentano ancora oggi un argomento di accesa discussione, l’attività di polizia giudiziaria che più di qualsiasi altra tecnica di indagine è in grado di captare e carpire comunicazioni e conversazioni attraverso strumentazioni elettroniche e tecnologiche specializzate.

Come si sono evolute queste tipiche attività di indagine?

Con il progresso tecnologico nel campo delle telecomunicazioni, gli operatori impiegati nei servizi di intercettazione sono passati velocemente dall’utilizzo di apparecchiature analogiche a tecnologie digitali sempre più avanzate, ricorrendo in modo totalitario all’informatizzazione delle postazioni di lavoro. 

Gli operatori di polizia giudiziaria hanno visto mutare in modo assoluto e irreversibile le modalità lavorative. 

Il compito di ascoltare senza soluzione di continuità le conversazioni di indagati e annotarne i contenuti è passato dall’utilizzo di registratori analogici su nastri magnetici a terminali informatici che consentono di monitorare simultaneamente diversi target attraverso software sviluppati per lo scopo.

Tutto ciò ha determinato un’estrema informatizzazione delle postazioni di lavori degli operatori incaricati di svolgere questa delicata attività, dove PC multischermo sono lo strumento necessario per svolgere queste specifiche attività d’indagine, un’evoluzione tecnologica che necessariamente ha imposto al personale di acquisire conoscenze sempre più avanzate dei sistemi informatici, in ragione di una totale simbiosi uomo-macchina.

Per quanto stabilito dalla normativa vigente, il D.Lgs. 81/08 Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro, gli operatori impegnati in attività di intercettazione possono certamente collocarsi tra lavoratori soggetti all’utilizzo sistematico e abituale del videoterminale, parte necessaria e costante dell’attività lavorativa, un uso che in alcuni Reparti investigativi (Nuclei Investigativi di RONINV, Sezioni Operative di NORM, Sezioni Anticrimine del R.O.S., ecc.) è svolto dagli operatori oltre le 45/50 ore settimanali, quando la soglia che prevede la catalogazione di operatore videoterminalista è di quattro ore consecutive al giorno per tutta la settimana (24 ore settimanali su sei giorni lavorativi).

La norma di riferimento considera il lavoro al “videoterminale” un’attività che comporta possibili rischi per i lavoratori, per la quale è obbligatorio effettuare la valutazione dei rischi e l’attuazione di interventi volti a proteggere la salute e sicurezza dei lavoratori.

“Abbiamo rilevato che i carabinieri nei servizi di intercettazione – si legge in nota di NSC Calabria – non percepiscono tra l’altro alcuna indennità di rischio per tale impiego, sebbene la tipologia del lavoro svolto li espone a rischi determinati dall’uso del videoterminale e da apparati che per l’uso prolungato possono essere dannosi per l’apparato uditivo. Ciò dimostra che ad oggi non vi è stata alcuna reale valutazione dei rischi da parte dei dirigenti che avrebbero l’obbligo di far osservare le misure di sicurezza previste dalla norma”.

“Come previsto in generale per tutti i rischi connessi al lavoro – riferisce Luca Spagnolo segretario regionale NSC Calabria – il Datore di Lavoro è tenuto ad effettuare una valutazione attraverso la redazione del D.V.R. (Documentazione valutazione dei rischi) sui rischi presenti all’inizio dell’attività lavorativa, e ogni volta che si verificano dei cambiamenti nell’attività che possano comportare una modifica dei rischi. Questo obbligo del datore di lavoro è uno degli obblighi non delegabili. A tal proposito è legittimo pensare se in fase di redazione del D.V.R. chi preposto, magari anche un consulente esterno, sia stato messo nelle condizioni di conoscere le reali esposizioni al rischio dei carabinieri; come altresì viste le numerose ore di esposizione dell’attività, sorge il dubbio se il medico competente, nelle sue visite annuali ai reparti a lui affidati per la prevenzione, nella sua relazione annuale non abbia riscontrato tale criticità. Per ultimo sarebbe auspicabile conoscere le azioni intraprese in tal senso dai Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza in carica e nominati dal datore di lavoro, nonché dai dirigenti di settore che di fatto dispongono questo tipo di servizio. Il riconoscimento dei rischi per la salute dei colleghi impiegati in tutti i reparti investigativi dell’, che quotidianamente svolgono le delicate attività investigative per il contrasto alla criminalità organizzata e comune, è una battaglia che NSC Calabria condurrà fino a quando non verrà riconosciuto ai carabinieri uno standard di sicurezza e prevenzione massimi e il riconoscimento delle indennità di rischio che le norme prevedono”.

“Questa Segreteria del N.S.C. – conclude Christian Bellè Segretario Generale NSC Calabria – ha cercato in più occasioni di ottenere un confronto con il vertice della Legione Carabinieri Calabria, il Generale Pietro Salsano, amministrativamente datore di lavoro di tutti i carabinieri in servizio nella nostra regione, con lo scopo di poter affrontare con serenità e trasparenza della criticità citata. Nostro malgrado ci è stata negata ogni possibilità di dialogo. Premesso che l’azione sindacale non può essere anestetizzata dall’assenza di dialogo per scelta di una parte, si è proceduti ad utilizzare quegli strumenti che la legge consente, chiedendo l’intervento del Comando Generale per valutare quanto segnalato e attivare ogni misura prevista in materia di valutazione dei rischi, nonché l’attuazione di interventi mirati a salvaguardare la salute dei carabinieri impiegati nel delicato compito di P.G. delle attività di intercettazione”.

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