Imprese piemontesi: la seconda giovinezza parla sociale

L’attitudine alla concretezza delle imprese piemontesi oggi le porta all’impegno civile e all’alleanza: il tempo di cieca ricerca del profitto e dell’individualismo sfrenato è finito.

La ricetta è piuttosto semplice, gli ingredienti pochi; il risultato, per quanto incerto, interessante.

L’ho scritto e lo confermo: le imprese piemontesi, quelle che il luogo comune associa al grigiore del produttivismo e allo stolido efficientismo, hanno invece nel loro DNA la più pura austeritas descritta da San Tommaso. Sono imprese dove si respira il rifiuto delle cose superflue e del caotico chiacchiericcio, non per spirito penitenziale o per rigorismo calvinista, ma per coerenza. Nel loro carattere scorre un desiderio di sana concretezza, la voglia di arrivare al punto senza perdersi in futilità, evitando di correre dietro all’effimero, all’inutile, o peggio, al falso chimerico.

Crisi globale, austeritas piemontese

Al tempo della Grande Crisi austeritas significa per le imprese lucida e sana consapevolezza. Di ciò che è accaduto, sta accadendo e con tutta probabilità accadrà.

Qui in Piemonte alcune cose sembrano essere piuttosto chiare. Innanzitutto che la crisi è strutturale, e che non è a termine. L’austeritas non consente facili autoinganni. Si avverte che un intero sistema, economico, sociale, politico, già in evidente malessere da almeno una dozzina di anni, e probabilmente molto di più, sta collassando. E che all’orizzonte non si annunciano rimedi miracolosi, né a basso costo né a pronto uso.

La consapevolezza però qui non pare generare soltanto comprensibile timore. L’austeritas, di nuovo, non consente scomposte disperazioni né cedimenti all’ineluttabilità del fato. La sensazione, forte e piuttosto netta, è che molti, finalmente, stanno destandosi da un secolare sonno della ragione, e iniziano a maturare una verità negli ultimi mesi ripetuta più volte: non ci si salva viaggiando da soli. Per carità, l’individualismo imprenditoriale, il “ciascuno per sé e Dio per tutti”, è atteggiamento ancora diffuso, ufficialmente condannato, stolidamente praticato nella quotidiana vita d’impresa. Però qualcosa sta cambiando.

Progetti e imprese piemontesi all’insegna di una nuova cultura del lavoro

Parecchie imprese piemontesi, ma il discorso vale per tutta Italia e in particolare per il territorio lombardo, stanno percependo di essere ormai diventate delle autentiche protagoniste sociali. Che il tempo delle imprese ciecamente dedite a far profitti sta inesorabilmente volgendo al termine. Una nuova cultura d’impresa sta mettendo radici, ed è un portato sano della Grande Crisi.

Parole come sostenibilità, impegno civile, responsabilità sociale, alleanza con il territorio si stanno incarnando in autentiche scelte e concreti comportamenti. Che, tra l’altro, nel corso della pandemia sono a volte stati decisivi per colmare voragini della politica, inadempienze e dilettantismi di chi avrebbe dovuto prevedere e intervenire, e non lo ha fatto.

Non è un caso se è di poche settimane fa la nascita in Canavese del Progetto Canavese 2030, “un think tank – così viene descritto – di ispirazione civica e indipendente, animato da cittadini e organizzazioni che vogliono un territorio aperto, dove si possano sperimentare politiche innovative, in cui le soluzioni ai problemi siano formulate e attuate in modo collaborativo e trasparente e nel quale gli attori pubblici e privati si sentano responsabili delle proprie azioni verso la comunità”. Con l’intento dichiarato di “far collaborare organizzazioni, associazioni, imprese, pubbliche amministrazioni e comunità innovative”.

Certo, in Canavese aleggia lo spirito di Adriano Olivetti e iniziative del genere appaiono più naturali che altrove. Eppure anche qui, nonostante la pervicace e colpevole miopia di molti decisori, la crisi sta accelerando processi di cambiamento in atto da anni.

Non è un caso se da pochi mesi è nata Impresa21, un’associazione dal cuore ibrido, metà piemontese e metà abruzzese, che riunisce imprese e imprenditori di tutta Italia, mossa dal chiaro intento – raccontano i suoi fondatori – di costruire e diffondere una nuova cultura d’impresa capace di affrontare e rispondere alle sfide epocali che stiamo vivendo.

La crisi, un terreno inesplorato da affrontare passo passo

La ricetta, dicevo. Innanzitutto generose dosi di austeritas nostrana, che favorisce il coraggio di affacciarsi sull’abisso e di scrutarne il fondo. E poi ancora austeritas, del tipo che genera la consapevolezza che una crisi di sistema può essere affrontata soltanto facendo sistema.

Tuttavia oggi nell’aria c’è qualcosa di più. Qualcosa che ricorda i versi di Antonio Machado: “Viandante, sono le tue orme il sentiero e niente più; viandante, non esiste il sentiero, il sentiero si fa camminando. Camminando si fa il cammino e girando indietro lo sguardo si vede il sentiero che mai più si tornerà a calpestare. Viandante non esiste il cammino ma solamente scie nel mare”.

Già, in giro per la regione si sente come un senso di iberica saggezza: la sensazione che ci si sta un po’ tutti inoltrando in una vasta, acquorea terra incognita. Qualcosa che devono aver provato i Magellano, i Pizarro, i Cortés. Che l’imprevedibilità è e sarà la compagna di strada per i prossimi anni, e che a nessuno è dato sapere con certezza che cosa e chi si incontrerà nel viaggio verso il nostro profondo cuore di tenebra.

Il sentiero che tutti noi dovremo percorrere lo si troverà, faticosamente e pericolosamente, soltanto camminando. Pedetemptim, avrebbero detto i padri latini, avanzando un passo alla volta, con circospezione. Una sola è la certezza: avremo molte più probabilità di tracciarlo, il sentiero, se lo cercheremo unendo esperienze e forze e spiriti.

(Sul tema delle imprese piemontesi avevo già scritto a fine 2019, in occasione del Reportage di SenzaFiltro “Modello Piemonte”. Qui l’articolo).

Foto di copertina: antonio filigno da Pexels

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