La motivazione in terapia: chi ben comincia…

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Dal latino motus, il termine motivazione indica un movimento verso qualcosa, una spinta che muove il comportamento dell’individuo, quello stimolo che lo porta ad agire per raggiungere un obiettivo desiderato. Per citare Galimberti (1999) potremmo dire che la motivazione è un fattore dinamico del comportamento che attiva e dirige un organismo verso una meta. De Beni e Moè (2000), invece, sottolineano il valore della spinta, definendo la motivazione come una configurazione di esperienze soggettive che consente di spiegare l’inizio, la direzione, l’intensità e la persistenza di un comportamento verso uno scopo.

Le teorie di riferimento

Sono diverse le teorie psicologiche che nel corso degli anni hanno cercato di dare una spiegazione alle spinte motivazionali che muovono il comportamento degli individui. I principali modelli teorici sono:

  • il Modello Fisiologico, che intende la motivazione a livello di riflesso. Tra i principali esponenti di questo modello troviamo Cannon (1932) e Hull (1943).
  • Il Modello Comportamentista di Watson (1913) che concepisce la motivazione come un istinto.
  • Il Modello Evolutivo, con le teorie dell’attaccamento di Bowlby (1969 – 1988) e gli studi sui primati di Harlow (1949)
  • Il Modello Psicodinamico, che intende la motivazione a livello di bisogni. Principali esponenti di questo modello sono Murray (1938) e Maslow (1954).

Le motivazioni possono essere, dunque, coscienti o inconsce, semplici o complesse, primarie o secondarie e  infine possono essere superiori come gli ideali o i modelli che l’individuo assume per la propria autorealizzazione.

I diversi orientamenti teorici ci mostrano come la motivazione coinvolga forze biologiche, emotive, sociali e cognitive per attivare il comportamento. Nella vita di tutti i giorni il termine motivazione è spesso usato per descrivere il motivo per il quale si fa qualcosa. Gioca un ruolo fondamentale nel raggiungimento di un obiettivo, di uno scopo o più semplicemente nel portare a termine un compito.

Può capitare anche di sentirsi demotivati; in questo caso ci definiamo svogliati o apatici e la consapevolezza di esserlo ci porta a cercare nuove soluzioni per ritrovare la motivazione e la voglia di fare.

E in terapia, quanto conta la motivazione?

Essere motivati al cambiamento può essere considerato un fattore predittivo del buon esito di una terapia? Innanzitutto ricordiamo che ogni percorso terapeutico porta con sé un cambiamento, che ha come obiettivo finale quello di interrompere una situazione, precedentemente instaurata, di omeostasi disfunzionale, per arrivare ad instaurarne una nuova e più funzionale. Accade dunque che lo schema patologico finalmente si interrompe, lasciando spazio a nuovi apprendimenti che creano una nuova situazione di omeostasi, più funzionale e maggiormente resistente, in modo da scoraggiare il ritorno ai precedenti schemi patologici.

Per fare in modo che tale processo si compia e che il meccanismo non si inceppi durante il percorso, è necessario che il paziente sia sostenuto da una forte motivazione a voler cambiare rotta. Affinché questa motivazione possa attivare, dirigere e mantenere nel tempo pensieri, emozioni e atteggiamenti del paziente, deve essere interna all’individuo, che non agisce per ottenere qualcosa, ma per arricchire se stesso, seguire un ideale, un obiettivo interno di crescita e di miglioramento.

E qui ecco un’altra distinzione importante nella classificazione delle motivazioni: quella tra motivazione intrinseca e motivazione estrinseca. Mentre la prima indica una spinta che parte da sé e ha come obiettivo il miglioramento indipendentemente dal successo e dai risultati, la seconda indica invece una spinta che arriva dall’esterno e ha come obiettivo il raggiungimento di uno scopo, spesso prefissato da altri, raggiunto il quale si ottiene una ricompensa.

Questa distinzione mostra come una motivazione intrinseca sia più forte e duratura nel tempo e sia meno soggetta alle variazioni delle condizioni e della situazione esterna. Se il paziente si avvicina alla terapia mosso dal desiderio di conoscere il proprio mondo interiore e dal bisogno di apportare delle modifiche ai propri schemi disfunzionali, allora con buone probabilità porterà avanti e realizzerà, insieme al suo terapeuta, un progetto terapeutico dagli esiti positivi.

Il ruolo del terapeuta

Il terapeuta ha un compito importantissimo e non sempre facile: deve saper valutare quanto la persona sia motivata al cambiamento e capire se questa motivazione sia sufficiente per iniziare a lavorare insieme e con quali obiettivi.

Questa valutazione è fondamentale poiché quando una persona si rivolge ad uno psicoterapeuta per risolvere le proprie difficoltà,  non è detto che sia davvero pronta a farlo. I fattori che potrebbero intervenire sono non solo la paura del cambiamento, ma anche la rigidità delle proprie convinzioni, che porta l’individuo a vedere il problema non tanto come una condizione da migliorare, quanto come un proprio modo di essere, che non intende modificare.

Quando non è seriamente motivato alla terapia, l’individuo può agire in diversi modi: può utilizzare il terapeuta come recipiente in cui svuotare tutto ciò che gli passa per la mente in quel momento, può utilizzare il terapeuta come salvagente in situazioni di criticità, da abbandonare non appena sarà rientrata l’emergenza oppure può utilizzare il terapeuta come consigliere di strategie per risolvere i propri problemi.

Questo tipo di comportamenti altro non sono che resistenze al lavoro terapeutico. Continuare ad insistere quando la motivazione al cambiamento è scarsa esporrebbe la relazione tra paziente e terapeuta ad un fallimento in partenza. In questo caso  il  terapeuta si sentirebbe frustrato per l’inefficacia del proprio lavoro e il paziente sperimenterebbe  un senso di inutilità rispetto al tempo e ai soldi investiti.

Dunque la motivazione al trattamento è insieme all’alleanza terapeutica, un importante fattore predittivo circa l’esito positivo della terapia. Se volessimo usare parole più semplici potremmo dire  che è più probabile ottenere risultati positivi durante un percorso di psicoterapia se i pazienti sono motivati al cambiamento e si impegnano con convinzione durante le sedute insieme al loro terapeuta.

Del resto tutti i rapporti umani veramente soddisfacenti lo sono in modo direttamente proporzionale all’impegno e alla motivazione che ciascuno dei componenti investe nella relazione.

 

Dott.ssa Valentina Brusco

Dott.ssa Cristina Colantuono

 

Bibliografia

  • DE BENI R., MOE’ A. (2020). Motivazione e Apprendimento. Bologna: Il Mulino
  • MOE’ A. (2020). La motivazione. Teorie e processi. Bologna: Il Mulino
  • CORNOLDI C., ZAMPERLIN C., MOE’ A., MENEGHETTI C. (2018). Processi cognitivi, motivazione e apprendimento. Bologna: Il Mulino
  • MASLOW A.H. (2010). Motivazione e personalità. Roma: Armando Editore.
  • DEL MIGLIO C. (a cura di) (2002). Fondamenti di psicologia generale. Roma: Borla

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