La cacciata dell'orso e l'insostenibile leggerezza dell'essere umano

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L'orso in Trentino è un problema? Forse si, ma a renderlo tale non è la sua natura, bensì quell'insostenibile leggerezza dell'essere umano che vede in se stesso il centro di tutto. Una visione leggera, semplificata di un mondo che è molto più complesso di quanto si possa pensare. Convivere con un orso è complicato? Certo che lo è. Con lui in giro il bosco non diventa più un giardino dove passeggiare come se nulla fosse. Perché la Natura ha delle regole e l'uomo sembra far finta che non sia così.

Ma andiamo con ordine. Dopo la tragica morte di Andrea Papi, il 26 enne runner ucciso da un orso in Trentino, rabbia e dolore sono i sentimenti emersi dalle persone che abitano quelle zone d'Italia. Una rabbia e dolore che diventano un megafono della paura che il fatto possa ripetersi. La famiglia chiede che le responsabilità di chi ha sbagliato vengano individuate e che l'orso "colpevole" venga abbattutto. La prima è sacrosanta perché è giusto voler capire perché un proprio figlio, un fidanzato o un amico è morto durante una corsa in montagna. La seconda ha due aspetti: quella della sete di vendetta, un sentimento molto umano ma che in sè non può portare via il dolore, e quello delle natura dell'animale. I due aspetti si intrecciano, ma dovrebbero rimanere ben separati. 

Se fossimo in un mondo fra umani ci sarebbe un tribunale per capire meglio qual è la dinamica di quello che sembra essere un tragico incidente: Andrea Papi temeva di poter incontrare l'orso e lo raccontava alla fidanzata. E possiamo immaginare che, come uomo di quelle terre, abbia preso le sue precauzioni. Quell'orso, di cui non sappiamo ancora nulla visto che non è stato identificato, di certo non voleva incontrare Andrea: come detto, non è nella sua natura tendere un agguato all'uomo nè per forza fronteggiarlo. Ma nessun potrà mai raccontarci che cosa è davvero successo in quel tragico incontro.

"Ha fatto l'orso" dicono animalisti. "L'orso è un animale schivo, un animale che non considera l'uomo come una preda" ci spiegano i tanti esperti intervenuti in questi giorni. I tanti video che circolano sui social mostrano animali che inseguono chi con la mountain bike sfreccia sui sentieri. Nella maggior parte dei casi si tengono ben distanti dalle persone. In alcuni casi fanno quelli che gli esperti chiamano "falsi attacchi". Comportamenti di fronte ai quali è "umanamente" difficile rimanere freddi e fermi come consigliano gli esperti di fare. Ma che servono all'animale come primo meccanismo di difesa. Qualche anno fa, nel maggio 2022, il giovane Alessandro, ragazzo di 12 anni, si trovò a pochi metri da un orso proprio in Trentino. Le immagini filmate dal padre che ha mantenuto la calma e ha guidato il figlio fuori da quella difficile sensazione ci hanno mostrato quale dovrebbe essere il giusto comportamento in certe situazioni. 

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Ma nei giorni scorsi è andata diversamente. Ora quell'orso diventato killer per le regole dell'uomo ha 40 forestali che lo cercano. Hanno il compito di stanarlo e catturarlo. Poi il suo destino sarà molto probabilmente quello di una condanna a morte. Una decisione che non piace a molti, ma su cui tanti esperti concordano: quell'orso va abbattutto perché nel suo bagaglio di conoscenze ha appreso un comporrtamento, l'aver aggredito una persona, che può ripetere. E dunque viene considerato, anche secondo la scala prevista dal Piano d’Azione interregionale per la conservazione dell’Orso bruno sulle Alpi centro-orientali (denominato PACOBACE), un orso pericoloso o da catturare e rinchiudere o da abbattere. La decisione sul suo destino però dovrebbe essere presa non sulla base del desiderio di una vendetta, ma sulla base delle nozioni scientifiche che abbiamo a disposizioni.

 

Ed è lì che vendetta e la natura dell'orso devono separarsi. Ed lì che le istituzioni devono fare il loro ruolo lasciando da parte l'emotività della situazione o, peggio ancora, sfrutturla per fini politici. Sentire dire al presidente Fugatti che "non gli interessa se prendono l'esemplare sbagliato" o che non gli interessa "come viene ridotto il numero di esemplari del progetto Life Ursus" è un approccio sbagliato. Leggero. Semplificato. La Provincia autonoma di Trento forse non avrebbe voluto gli orsi sul suo territorio, ma è suo compito tutelarli perché fanno parte del patrimonio naturalistico del suo territorio. Alla stessa maniera degli alberi che rendono unico quel paradiso montano e delle api che permettono alla natura di sbocciare e al miele di essere prodotto.

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La leggerenza porta l'uomo a distruggere quando c'è un problema. Lo fa quando negli allevamenti intensivi per la carne o pelliccia esplode una malattia virale: milioni di animali vengono soppressi a scopo precauzionale. Poi, come se non si fosse imparato nulla, si ricomincia da capo: gli stabilimenti vengono riempiti di nuovi animali, come se non fosse imparato nulla. Come se la chiara problematica dell'allevamento intensivo, dove gli animali sono tenuti "innaturalmente" uno addosso all'altro non esistesse. Perché la leggerezza dell'essere umano si basa solo sulla quantificazione economica del danno e raramente analizza le cause del problema e le cerca di risolvere cambiando anche i propri comportamenti o dandosi delle regole.

 

"Per troppo tempo il benessere animale è stato messo davanti a quello dell'uomo" è stato detto dalla Provincia di Trento e dalle Comunità delle valli trentine. "La gente ha paura". Però allora se la situazione, così come è descritta, ricorda quello di un assedio di cento orsi alle genti delle valli, bisognerebbe capire perché questa situazione non viene comunicata alle persone. Perché sui siti istituzionali e sui siti del turismo locale non ci sono degli avvisi di una situazione di emergenza. Mi è capitato nei giorni scorsi di telefonare a una delle Atp della zona dicendo di voler andar in vacanza in quelle zone e di essere preoccupato dalla presenza dell'orso. La risposta che mi è stata data, non con poco imbarazzo, è stata: "No, ma l'orso non è pericoloso. Basta andare nei luoghi affollati o far rumore. Lui si tiene alla larga. È un animale schivo". Ho chiesto se dovevo portarmi un fischietto, se ci fossero delle zone interdette ai turisti. L'operatore mi ha risposto che lui "non ha mai usato un fischietto, che non ci sono zone interdette e che va tranquillamente in montagna. Quello che è successo è stato un fatto sfortunato":

Certo ognuno fa il suo mestiere: chi promuove il turismo non dirà mai qualcosa che possa far desistere nell'andare in Trentino. Proprio quei turisti, o semplicemente forestieri, che in questi giorni, nel solito gioco delle contrapposizioni, sono stati presi di mira in molti video sui social dai trentini che dicevano cose tipo: "Voi che giudicate dal salotto di casa vostra. Voi che venite in Trentino con i tacchi e vi mettete gli scarponcini per andare al bar come se steste facendo una salita, voi che appena nevica non sapete neanche come montare le catene. Voi turisti che cosa ne sapete di quello che viviamo noi nella valli, lasciate che ci pensiamo noi a risolvere questo problema".

 

E allora veniamo al nocciolo del discorso: risolvere il problema. Il presidente Fugatti dice che "bisogna riportare il numero di orsi come ai 50 esemplari dell'originale progetto Life Ursus" e che "non gli interessa come questo avvenga sui 100 esemplari attualmente presenti". E qui nascono i tanti "però": dire che basti ridurre il numero a 50 è una frase un po' leggera da parte di un'istuzioni che si occupa del benessere del suo territorio (umani e natura, non si possono scindere). Perché se mai questo avvenisse e si ripetesse un altro episodio grave, che cosa accadrebbe? Si scende a 40? a 30? a 20? a 10? Oppure li facciamo sparire tutti? E se, come accennato sempre dal presidente Fugatti, il problema oggi fossero gli orsi e domani i lupi? E se domani fossero i cervi? Ho 50 anni e ricordo bene quando in giovane età andavo sui monti piemontesi e mi si faceva una testa tanta sul pericolo delle vipere: sembrava che bisognasse andare con un'armatura per i sentieri. Ma quelle informazioni, senza social ma tramandate dagli abitanti del posto, generava paura, attenzione e rispetto del territorio. Ci si rendeva conto che in quei boschi non si era soli. 

Ora di certo le vipere non sono gli orsi. Però di vittime ne hanno fatte in questi anni, anche una all'anno per lo più per choc allergico. Ora chi vive i boschi sa che la natura può essere pericolosa e che i pericoli possono essere ridotti (mai eliminati) se si ha una visione d'insieme uomo e animale. Mettere l'uno davanti all'altro diventa un gioco politico. È come la marmotta che ha una visione limitata, mentre il giusto sguardo è quello dall'alto. Perché se l'approccio è quello di distruggere, di cancellare allora un giorno non li chiameremo più parchi naturali, ma parchi artificiali, se non addirittura giardini artificiali.