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Nell’orso vediamo il nostro riflesso: ecco perché il caso dell’orsa JJ4 ha sollevato un confronto così aspro

Sulla scia del caso dell'orsa JJ4, la riflessione dello zoologo Nicola Bressi evidenzia come gli orsi ci facciano essere meno razionali per un motivo fondamentale: la loro somiglianza con gli esseri umani. 

da Nicola Bressi

pubblicato 26-04-2023

Nell’orso vediamo il nostro riflesso: ecco perché il caso dell’orsa JJ4 ha sollevato un confronto così aspro

"Ci sono molti orsi e ognuno di loro ha il suo modo 'di fare l’orso'. E questo non solo è naturale, è proprio positivo per la specie, che in questo modo ha maggiori probabilità di adattamento e sopravvivenza. Gli orsi si comportano in modo diverso rispetto a un medesimo stimolo; è la selezione a premiare gli individui che hanno le reazioni più adatte", spiega Nicola Bressi.

FOTOGRAFIA DI Sergey Uryadnikov, Shutterstock

Giordano era fiero, bellissimo, orgoglioso e impettito. Solo il nonno, solo mio nonno Ludovico poteva entrare nel pollaio a raccoglierne le uova. Con lui c’era un rispetto reciproco: Giordano riconosceva a mio nonno il dominio di tutto il territorio, mio nonno riconosceva a Giordano il dominio assoluto sul pollaio e, ovviamente, su tutte le galline. Con gran frustrazione di noi bambini che amavamo raccogliere le uova fresche per portarle alla nonna, che ci faceva zabaioni indecentemente pieni di zucchero.

Ma fin che c’era Giordano era impossibile: volava a più di un metro da terra e ti attaccava a beccate e speroni; fossi tu umano, cane o gatto. Ancora oggi, se entro in un pollaio, controllo che non ci sia per caso in giro un pennuto particolare come Giordano. 

Fortunatamente, pochi galli sono così e normalmente nessuno rischia di uscire con le gambe insanguinate se entra in un pollaio.

Gli animali non sono tutti uguali

Ma, altrettanto fortunatamente, gli animali non sono tutti uguali (sennò, sai che noia, non avrei fatto lo zoologo); anche all’interno della stessa specie, vi sono caratteri diversi e reazioni diverse agli stessi stimoli. Vuoi perché nasciamo tutti già geneticamente diversi, vuoi perché esperienze diverse formano differenti personalità. Anzi, “animalità”. E lo sappiamo bene tutti noi che abbiamo avuto cani e gatti, o lavorato con cavalli e asini. Ma persino i pescatori sanno che non tutti i pesci reagiscono in modo identico di fronte alla stessa esca. Per arrivare ai più recenti studi su api e polpi.

Tralasciando traumi e disagi psichici che possono affliggere anche gli animali, ricordiamo gli studi più recenti sul Toxoplasma gondii, il microrganismo responsabile della toxoplasmosi che, per propagarsi e contagiare, rende i mammiferi contagiati più spavaldi, inibendo i meccanismi neuronali della paura. Dai topi ai lupi, persino in noi umani, nei singoli individui contagiati vi è una diminuzione del timore e della percezione del rischio.

L’orso è colpevole solo “di fare l’orso”?

Tutto questo per dire che, quando sentiamo lo slogan dell’ “orso colpevole solo di fare l’orso” dobbiamo capire che contiene due enormi inesattezze.

La prima è ovviamente che il concetto di colpevolezza è esclusivamente umano e non ha alcun senso applicarlo a un animale selvatico.

La seconda cosa inesatta è che, come abbiamo visto, ci sono molti orsi e ognuno di loro ha il suo modo “di fare l’orso”. E questo non solo è naturale, è proprio positivo per la specie, che in questo modo ha maggiori probabilità di adattamento e sopravvivenza. Orsi che si comportano in modo diverso rispetto a un medesimo stimolo, e poi la selezione premierà gli individui che hanno le reazioni più adatte, e tali reazioni tramanderanno ai loro figli. Talora geneticamente, talora insegnandole ai cuccioli. E una madre orsa coi cuccioli fuori dalla tana, se percepisce una minaccia si allontana e questo insegna ai figli: a temere l’uomo. Invece, reagire attaccando anche quando c’è tempo e spazio per fuggire, non è affatto un comportamento “naturale per ogni madre coi cuccioli”.

Gli orsi sono il riflesso degli uomini. È per questo che ne abbiamo paura

In questo scatto realizzato durante il periodo estivo, una madre orsa gioca con i suoi cuccioli di orso bruno nella foresta. 

FOTOGRAFIA DI Sergey Uryadnikov, Shutterstock

Secondo molti studiosi, uno dei motivi per i quali in Appennino c’è oggi una buona convivenza con gli orsi marsicani (Ursus arctos marsicanus, rara e minacciata sottospecie endemica) è proprio una millenaria selezione operata dall’uomo, che sin dall’epoca romana avrebbe costantemente rimosso gli individui più grossi, aggressivi e spavaldi.

E sulle Alpi? Sulle Alpi sono presenti gli orsi bruni centroeuropei (Ursus arctos arctos) sottospecie non minacciata d’estinzione (secondo i parametri oggettivi IUCN) che non ha subito una forte selezione da parte dell’uomo. Ci sono così individui che, sentendosi minacciati, anziché fuggire possono reagire con attacchi violenti e tragici.

La decisione spetta alle comunità locali 

Che fare, allora? La risposta la devono dare le comunità locali che ospitano queste specie. La convivenza con un animale non può infatti essere imposta per legge (ovvero, sulla carta si può fare, ma ovviamente all’atto pratico è un fallimento). Quando si deve convivere con una specie nella medesima regione, al concetto ecologico (e relativamente oggettivo) di sostenibilità ambientale, bisogna necessariamente unire il concetto antropologico (e assolutamente politico) di sostenibilità sociale. Con quanti individui di quella specie vuole convivere la comunità umana? Qual è il numero di zanzare in giardino che sopportiamo prima di ricorrere a una disinfestazione? Quanti piccioni sopportiamo posarsi sulle nostre finestre prima di allontanarli?

E alla conclusione che la convivenza con gli orsi (plurale, a livello di specie) sia possibile, ma che la convivenza con singoli orsi violenti sia impossibile, sono giunti tutti i popoli, le comunità e le nazioni che convivono con gli orsi: un tempo gli abruzzesi, oggi canadesi, rumeni, svedesi, giapponesi...Oppure, subito oltre i nostri confini, gli sloveni.

La Slovenia ospita una delle più alte densità di orsi al mondo. Circa 1.000 esemplari, in gran parte concentrati nella parte sudorientale di una piccola nazione, poco più di tre volte il Trentino. La gestione slovena degli orsi funziona? Sì. Come possiamo esserne sicuri? Esaminando 3 parametri: ecologia, la popolazione slovena di orsi non solo non è minacciata, ma è in aumento; società, la maggioranza degli sloveni trova naturale e soddisfacente convivere con gli orsi; economia, la gestione degli orsi porta ricavi, sia dal turismo naturalistico e fotografico, sia da quello venatorio e gastronomico; gli orsi vengono gestiti con quote di abbattimento (in cui rientrano tutti i più aggressivi e confidenti) analogamente a quanto facciamo in Italia annualmente con migliaia di animali altrettanto magnifici come cervi, caprioli e camosci.

Qual è la differenza tra gestire una convivenza con questi animali e con gli orsi? La differenza non sta tanto nell’ecologia né tanto meno nell’etica (ogni specie animale selvatica ha lo stesso valore etico). Sta nella forma e nella cultura umana.

Gli orsi sono il nostro riflesso

Gli orsi sono i soli animali europei capaci di avanzare bipedi. In loro quindi vediamo riflessi noi stessi. Sino a un secolo fa c’era persino la convinzione che uomini e orsi potessero accoppiarsi e generare figli. E molti di noi hanno trascorso l’infanzia abbracciati a un bipede orsacchiotto, non a quadrupedi cerbiatti o sguscianti trote. Inoltre, per motivi di gestione faunistica, agli orsi trentini viene dato un nome. E un nome, sia pure una sigla, conferisce un livello emozionale più alto nel rapporto con una specie, che scopriamo composta da singoli individui. Individui a cui però (che paradosso) non riconosciamo individualità, nel momento in cui scriviamo che ogni orso “fa l’orso” allo stesso modo.

Il nostro rapporto emozionale è più forte con gli animali simili a noi, in cui vediamo proiettata la nostra coscienza. Si nota anche dal fatto che nessuno parla di convivere con le cavallette in Sardegna, e non esiste la Lega per l’abolizione della pesca. Mentre, quanto alla caccia, se si arriva a cacciare l’orso, molti di noi lo considerano una sorta di omicidio. Intellettuali e opinionisti hanno scritto fiumi di parole accusando la rimozione di un orso aggressivo come un simbolo dell’arroganza umana contro la natura. Convintamente. Non accorgendosi però di quanto una difesa accanita non di una specie, ma di singoli individui, singoli individui dell’animale europeo che di più ci assomiglia, sia un atto antropocentrico; un narcisismo riflesso. 

Come scrisse George Orwell: “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”.

Nicola Bressi è zoologo, e si occupa di specie problematiche e conflitti uomo-natura. Lavora al Museo Civico di storia naturale di Trieste e collabora con il Master in comunicazione della scienza della Scuola internazionale superiore di studi avanzati (SISSA) di Trieste.