Chicco Testa: "Crediti di carbonio, un mercato da 10 miliardi di dollari"

Chicco Testa
Chicco Testa  
Il presidente di Carbon Credits Consulting: “È un giro di affari che si può raggiungere in un decennio”. Su transizione ecologica: “Più pragmatismo, coraggio e meno ideologia perché decarbonizzare è un dovere oltre che un’esigenza”
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“Nel prossimo decennio, il mercato volontario dei crediti di carbonio può raggiungere un giro di affari di circa 10 miliardi di dollari”. A Chicco Testa non piace fare previsioni ma lo considera un “obiettivo possibile” vista la “crescita esponenziale” di questo mercato che ha superato, secondo le ultime stime di Ecosystem Marketplace, la soglia di 2 miliardi di dollari nel 2021, con l’emissione di circa 1 miliardo di tonnellate di crediti di CO2.

Classe 1952, bergamasco, ex deputato del Pci e Pds dal 1987 al 1994, attivista ecologista della prima ora ma “non ideologico”, co-fondatore di Legambiente e numero uno di Fise Assoambiente, Chicco Testa da quasi 30 anni di mestiere fa il manager, ai vertici di svariate società, da Enel ad Acea, Assolettrica, Sorgenia, Metropolitana di Roma. Attualmente è ad di Telit, presidente di E.VA. Energie Valsabbia, vicepresidente di Proger Spa e dallo scorso dicembre guida Carbon Credits Consulting (Ccc), azienda tra le più importanti al mondo nel mercato volontario dei crediti di carbonio e prima società italiana a sviluppare e gestire grandi progetti di riforestazione e protezione di foreste native a rischio nelle zone più sensibili del Pianeta.

“Investire nel mercato volontario dei crediti di carbonio è una mossa strategica: e non solo perché il mercato stesso si sta ampliando in modo esponenziale, ma anche perché raggiungere determinati obiettivi di decarbonizzazione entro i prossimi trent’anni è un dovere, oltre che un’esigenza”, ribadisce il presidente di Ccc.

Eppure, questo mercato è ancora poco conosciuto in Italia. Perché?

“In Italia, siamo stati lenti a capire le potenzialità e a coglierne le opportunità, a differenza del mondo anglosassone che è stato più veloce di noi. Però, alcuni operatori italiani iniziano ad utilizzarlo: Ccc ha fatto accordi con gruppi come Arvedi, Gedi, Piquadro ed è in trattativa con altre realtà imprenditoriali, in particolare nel settore della moda”.

Che cosa risponde a chi pensa che il mercato volontario dei crediti di carbonio sia una nuova forma di greenwashing?

“Che la logica dei carbon credit nasce da un’esigenza ben precisa, emersa in modo chiaro durante le prime Cop delle Nazioni Unite: ovvero, dare una risposta ad una domanda che arrivava dai Paesi emergenti e in via di sviluppo dove risiedono le foreste tropicali che sono enormi bacini di CO2. I carbon credit rappresentano una forma di compensazione verso paesi e comunità che s’impegnano a difendere le foreste esistenti e in alcuni casi a crearne di nuove riuscendo così a neutralizzare una quantità enorme di CO2. È evidente che se togliamo i carbon credit, questi Paesi per sopravvivere saranno costretti a sfruttare il loro patrimonio forestale perché è l’unico modo che hanno per sopravvivere: ad esempio, vendendo la legna oppure disboscando quelle aree per trasformarle in pascoli”.

Nel mirino di un’indagine investigativa di The Guardian, Die Zeit e SourceMaterial sono finiti i crediti di carbonio certificati da Verra, l’organizzazione che gestisce il principale standard mondiale nel mercato volontario (Vcs - Verified carbon standard) e che certifica i crediti rilasciati da iniziative come Redd+, cioè progetti che proteggono le foreste da disboscamento e degradazione. Secondo questa indagine, circa il 94% dei crediti analizzati non comporterebbe alcun beneficio per il clima. Che cosa risponde?

“Il problema esiste. Ma non va affrontato in modo ideologico. Capisco le difficoltà a valutare lo stato di avanzamento di progetti Redd+: il processo di conservazione e protezione forestale è obiettivamente più complicato da misurare rispetto a quello dei progetti di riforestazione. Però, il processo di certificazione dei progetti di Verra, a cui Ccc si è sottoposto, è molto severo. Penso che quella indagine sia più intenzionata a colpire un sistema piuttosto che aiutare a migliorarlo”.

A livello internazionale, però, ci sono ancora forti resistenze a regolamentare meglio il mercato volontario dei crediti di carbonio. Alla Cop27 di Sharm El Sheikh, il tema è stato solo sfiorato. Il motivo?

“La mancanza di coraggio. Mi spiego meglio: il nostro obiettivo è di ridurre le emissioni di CO2. Per riuscirci, dovremmo applicare il principio della neutralità tecnologica riconosciuta a livello internazionale. Concetto che provo a sintetizzare con una metafora: non importa di quale colore sia il gatto (la tecnologia) purché acchiappi il topo (le emissioni di CO2 da ridurre). Al contrario, oggi l’approccio al problema della riduzione di CO2 è ancora troppo rigido perché non prevede l’utilizzo flessibile di tutte le tecnologie a disposizione. In sostanza, stiamo affrontando un problema epocale in modo ideologico e senza pragmatismo”.

C’è chi sostiene invece che la motivazione di fondo dell’assenza di regole uniformi sia, come spesso accade, di natura economica. I detrattori del mercato volontario sono convinti che tante imprese ricorrono all'offsetting tramite crediti di carbonio perché è il modo più economico, oltre che più semplice e veloce, per tagliare le proprie emissioni e potersi dichiarare ambientalmente virtuosi...

“Alla fine, quello che conta è se i carbon credit sono utili ad assorbire la CO2 dall’atmosfera oppure no? Se questi strumenti finanziari rappresentano oggi la soluzione più economica e veloce per farlo oppure no? Penso che gli obiettivi perseguiti dai carbon credit siano legittimi e giustificati perché da una parte consentono alle industrie di compensare le loro emissioni di CO2, in primis quelle che operano in settori hard-to-abate più difficili da decarbonizzare; dall’altra, permettono ai Paesi emergenti e in via di sviluppo di promuovere progetti in grado di evitare, ridurre o rimuovere CO2 dall’atmosfera. Progetti che, allo stesso tempo, hanno il merito di avere un ritorno positivo sulle comunità locali”.

Le quotazioni di un credito di carbonio legato a progetti Redd+ o di riforestazione si aggirano in media rispettivamente intorno a 10 e 20 dollari per tonnellata. Per avere un termine di paragone, il mercato regolato dei permessi di emissione europeo (il sistema Ets) viaggia oggi intorno sopra i 100 euro per tonnellata. Per rendere più competitivo e selettivo il mercato volontario, l’asticella dei costi non dovrebbe alzarsi?

“Assolutamente sì. Anche se parliamo di due mercati completamente diversi che però dovrebbero essere messi in collegamento fra di loro. Detto questo, il prezzo viene sempre fatto dall’offerta e dalla domanda. Quindi, per alzare l’asticella dei costi, si potrebbero a monte qualificare meglio i progetti in offerta anche se questo ridurrebbe la quantità di carbon credit sul mercato; mentre a valle sarebbe utile che la legittimità di questi processi non fosse messa sempre in discussione. Ripeto: se l’obiettivo è di ridurre la CO2, l’approccio al problema deve essere sempre flessibile. Mai rigido e dogmatico”.