L'età dell'oro delle big tech della Cina è finita

Dopo la stretta sui colossi digitali, a cominciare da Alibaba, il settore tecnologico del Dragone è entrato in una nuova normalità. L'imperativo di Pechino: niente crescita a briglia sciolta
Cina l'età dell'oro delle big tech è finita

Tutto cominciò con uno stop a un'offerta pubblica iniziale. A novembre 2020, venne bloccata l'offerta pubblica iniziale (Ipo) di Ant Group, il braccio fintech di Alibaba. O forse no. Forse era cominciato tutto prima, nel 2018, quando fu costituito la State Administration of Market Regulation (Samr), l'organo di controllo del mercato che ha messo via via nel mirino decine di società digitali cinesi per la presunta violazione di regole antitrust. Nel 2021 la Samr ha trattato 175 casi di monopolio di vario tipo, con un aumento del 61,5% rispetto all'anno precedente, e ha imposto multe e confische per 23,59 miliardi di yuan (3,53 miliardi di dollari).

Tutto può finire con un via libera a un'offerta pubblica iniziale. Nelle scorse settimane si è paventata la possibilità che le autorità possano alla fine dare l'ok per la famosa Ipo di Ant il cui stop aveva aperto le danze, almeno mediaticamente, della cosiddetta "stretta" sui colossi digitali cinesi. Segnale inconfutabile di un allentamento, forse operato per non gravare troppo su un'economia che da preoccupanti sintomi di rallentamento. Proprio nell'anno del XX Congresso del Partito comunista cinese. O forse no. Forse il lavoro non è ancora finito. E forse nemmeno finirà. 

Semplicemente, più che una dichiarazione di guerra ai campioni dell'innovazione che hanno contribuito a traghettare Pechino da quello che era a ciò che è si è trattato, si tratta e si tratterà di una rettificazione, ergo controllo delle loro azioni. La sicurezza nazionale è il pilastro su cui si poggia la società armoniosa immaginata dal presidente Xi Jinping. Dunque la sicurezza del Partito, che in modo populista ha saputo intercettare il malcontento verso lo strapotere di alcune di queste piattaforme muovendosi almeno parzialmente contro lo sfruttamento dei lavoratori e il celeberrimo modello 996. 

Non è stata l'unica ragione del "crackdown". Serviva (serve) tutelare il Partito contro qualsiasi possibile gruppo di potere in grado di avanzare istanze politico-sociali, o semplicemente qualsiasi centro che possa fungere da sponda a tali istanze. Ecco allora le manovre nei confronti dell'associazionismo in senso ampio, non importa di quale settore, colore, tendenza. Infine, per completare il trittico di motivazioni alla base dell'azione del governo con una questione più pratica ma comunque collegata al controllo politico-sociale, i dati. Il web cinese è navigato da quasi un miliardo di utenti al giorno e i dati da essi generati rappresentano un'enorme fonte di guadagno e di informazioni. Pilastro del potere economico dei giganti digitali e parziale causa della costruzione di quei monopoli per i quali non c'è più spazio nella visione della "prosperità comune" di Xi, quell'immensa mole di dati potrebbe anche diventare una potenziale leva negoziale. Sviluppo che il governo vuole evitare.

Il divide et impera di Xi

Xi ha adottato un modello "divide et impera" che, per esempio, ha colpito anche Alipay, la super app da oltre un miliardo di utenti che insieme a WeChat Pay di Tencent domina l'immenso mercato dei pagamenti digitali in Cina. Le autorità hanno chiesto ad Ant di spacchettare le attività di Alipay, che includevano i pagamenti tramite collegamento con carte di credito bancarie tradizionali e i servizi di microprestito. Questi ultimi sono stati chiamati a confluire in una applicazione separata esclusivamente dedicata ai prestiti. In precedenza era stato chiesto ad Ant di separare il back-end delle sue due attività di prestito, Huabei e Jiebei dal resto delle sue offerte finanziarie, coinvolgendo azionisti esterni.

Tra le "vittime" della campagna di rettificazione figurano la maggior parte delle principali aziende tecnologiche cinesi, come Tencent (protagonista a inizio 2022 del peggior trimestre in borsa dalla quotazione del 2004), Meituan, Pinduoduo, Didi (le cui ambizioni di quotazione internazionale sono state frustrate definitivamente), società di tutoraggio privato online come New Oriental Education e Tal Education e tutti coloro che erano attivi nel mining delle criptovalute. I colossi sono stati riorientati verso settori più strategici per gli obiettivi di lungo termine del governo, per esempio i semiconduttori. Sono stati imbrigliati da leggi e norme sempre più stringenti come quella sulla privacy, per altro osservate con attenzione anche dall'occidente.

Ora, in molti prefigurano un allentamento. In particolare, dopo un incontro ad alto livello tra esponenti del governo e manager dei colossi digitali presieduto da Liu He, top advisor economico del presidente. In tale occasione, Liu ha ha espresso il supporto del governo nei confronti dell'economia digitale sottolineando la volontà di trovare un bilanciamento nella relazione tra stato e mercato. Tra i segnali di "ritorno alla normalità" è stato citato l'ok alla diffusione di una dozzina di nuovi videogiochi dopo il prolungato stop degli ultimi mesi (dal quale però sono rimasti esclusi i giganti Tencent e NetEase), nonché il possibile via libera all'Ipo di Ant, peraltro per ora smentita dalle autorità. Intanto, il braccio fintech di Alibaba ha nominato due nuovi manager col compito di provare a rispettare le richieste del governo per arrivare all'agognata quotazione. Laura Cha ha una lunga esperienza sotto il profilo regolatorio, visto che in passato ha lavorato come vicepresidente della China Securities Regulatory Commission.

Il new normal delle big tech cinesi

Ma le aziende tecnologiche cinesi stanno tornando a una normalità nuova. I colossi stanno crescendo molto più lentamente che in passato. Lo spazio per espandersi in nuovi settori al di là delle loro attività principali è pressoché scomparso. Quella che il governo chiamava "espansione sconsiderata" non viene apprezzata. Così come non vengono apprezzati coloro che ne criticano l'operato, come aveva sommessamente fatto Jack Ma. E come aveva forse fatto in maniera ancora più ermetica Wang Xing, il fondatore di Meituan, postando sui social un antico poema che secondo alcuni conteneva delle critiche implicite a Xi. In molti hanno dovuto operare licenziamenti di massa, anche a causa dell'incertezza legata alla pandemia e alla strategia zero Covid. Elementi che stanno peraltro portando anche diversi big internazionali a riconsiderare la loro presenza in Cina. Alcune aziende legate a Xiaomi hanno dovuto affrontare un maggiore controllo da parte delle autorità di regolamentazione cinesi, diverse di loro sono state costrette a mettere in pausa le offerte pubbliche iniziali previste dopo essere state interrogate sulla loro stretta relazione con il gigante degli smartphone. Segnale che nessuno, anche chi finora era sfuggito ai radar, verrà escluso dal new normal.

Qualche settimana fa, Xi ha scritto in un articolo sulla politica economica pubblicato su Qiushi: "Dobbiamo studiare come valorizzare il ruolo positivo del capitale nell'economia socialista di mercato, controllando efficacemente il suo ruolo negativo", esponendo la necessità di regolare il mercato "non solo per impedire ai predatori di capitale di agire senza scrupoli, ma anche per valorizzare la funzione del capitale come fattore di produzione". Nonostante la campagna di rettificazione, Pechino ha scommesso molto sull'economia digitale. La digitalizzazione industriale è una componente fondamentale del 14° piano quinquennale e dei piani di sviluppo del governo fino al 2035. 

Semplicemente, bisogna "restare in linea". Lo sviluppo dovrà essere ordinato, armonioso. In ottemperanza al principio dello spacchettamento, negli scorsi mesi Xi ha personalmente inaugurato la nuova borsa di Pechino, dedicata proprio alle piccole compagnie tech. Allentamento? Forse. Briglia sciolta? Certamente no.