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Calogero Rasa - Cerda nuova compagnia

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ʺ Vulemuni beni ʺ !<br />

Calanu l’ummiri di la sira ,;<br />

è l’ura di riposu<br />

pi tutti li terrestri criatura.<br />

Si zittinu li trummi e li campani,<br />

li muschi, li vespi e li giurani.<br />

Ogni travagghiaturi<br />

torna a lu so’ niru<br />

disiusu di tranquillità,<br />

riposu e cunfortu .<br />

L’aspettanu li figghi<br />

e la mugghieri,<br />

li frati, li soru e genitura.<br />

Si talianu ’ntra li facci,<br />

si ririnu,<br />

si scancianu nutizi,<br />

si sentinu vicini……<br />

la fammigghia è cumpleta !<br />

N zoccu c’è c’è a tavula,<br />

quannu è cunzata<br />

di paci, serenità e amuri……<br />

Iu mi dumannu :<br />

Picchì lu munnu è ’ncuitatu<br />

di lacrimi e duluri ?<br />

Picchì tutti nun facemu<br />

l’onesti lavuraturi ?<br />

Costanu dinari<br />

l’amari e travagghiari ?<br />

Vulemunni tutti beni !<br />

E s’alluntanerannu :<br />

li guai, li lastimi e li peni.<br />

<strong>Calogero</strong> <strong>Rasa</strong>


ANTOLOGIA<br />

II° CONCORSO LETTERARIO<br />

“MAESTRO RASA CALOGERO”<br />

A CURA DI<br />

SALVATORE IMBURGIA<br />

ANTONIO LEONE<br />

GAETANA LEONE


UN ILLUSTRE E SAGGIO POETA POPOLARE<br />

MAESTRO RASA CALOGERO<br />

Nacque l’8 ottobre 1918 a S. Cristina Gela (PA), una delle cinque colonie albanesi di Sicilia. Perse<br />

il padre in tenera età e frequentò nel suo paese le scuole elementari. Notato dal Parroco per la sua<br />

vivace intelligenza, fu mandato a continuare gli studi presso il seminario “S.Maria dei Padri<br />

Brasiliani” a Mezzojuso (PA). Scoppiata la seconda guerra mondiale venne destinato a Rodi,<br />

nell’Egeo. Quando le sorti della guerra volsero a sfavore dell’alleata Germania, fu prigioniero dei<br />

tedeschi per due anni e dopo molteplici avversità riusci a ritornare in patria. Nel 1947 inizio a<br />

lavorare a <strong>Cerda</strong> dove conobbe e sposò Vincenza Anzalone dalla quale ebbe 4 figli. Nel febbraio<br />

1948 vinse il concorso magistrale e iniziò il suo lavoro di maestro a <strong>Cerda</strong>.<br />

Diede inizio alla sua produzione poetica in dialetto con l’intento di<br />

salvaguardare dall’oblio i proverbi, espressioni di saggezza popolare. I<br />

suoi primi scritti(“L’Onorevuli mancanti”, e “Li cumizi di chiusura”) sono<br />

costituiti su di essi.<br />

I temi ricorrenti nela sua poesia sono: l’amore per il lavoro che svolgeva<br />

(Lu maestru , Addiu a la scola,); il ricordo accorato del terribile periodo di<br />

prigionia(Ricordu di la prigionia, Pani spartutu), il rifiuto di ogni forma di<br />

totalitarismo ed il rispetto per la democrazia (Li dui Napuliuna, lu guvernu<br />

semu nui, ); e ancora: L’attenzione verso i semplici oggetti della vita<br />

quotidiana (Lu chiovu, La zappa, La Pignata); la descrizione affettuosa ed<br />

attenta di quello che egli considerava il “suo paese” (Ministoria di <strong>Cerda</strong>,<br />

La chiazza, Malluta, Casteddazzu); cantò inoltre le glorie cerdesi: La<br />

Targa Florio Picchì l’ann’a livari ?, A cacocciula)<br />

Il maestro <strong>Rasa</strong> definì le sue poesie “spigolature umilissime” ma, in effetti, egli riusci non solo a<br />

parlare con cori di profonda umanità ed interiorità, ma anche di autentica poesia.<br />

Per Gentile concessione della famiglia <strong>Rasa</strong>


Breve Stroria dell’ associazione<br />

“LA NUOVA COMPAGNIA CITTA’ DI CERDA”<br />

&<br />

GRUPPO FOLK “I CARRITTIERI”<br />

L’Associazione Culturale folkloristica “LA NUOVA COMPAGNIA CITTA’ DI CERDA” ha una<br />

costituzione abbastanza recente essendo nata ufficialmente nel 1998 , anche se fino a quella data gli<br />

stessi soci fondatori si erano presi l’impegno dello studio folkloristico della nostra società cerdese,<br />

partecipando con successo a varie manifestazioni cittadine siciliane e internazionali.<br />

Ripropone nei suoi costumi, il vestiario festivo dei popolani fine settecento primi ottocento,<br />

risalendo fino alla dominazione spagnola di cui la società cerdese ne ha subito l’influsso. <strong>Cerda</strong> è<br />

nata direttamente dalla dominazione spagnola da cui ne prende il nome, essendo un marchesato del<br />

dominio spagnolo del XVI secolo.<br />

Le loro performances consistono in balli e tarantelle popolari che riproducono il lavoro dei campi e della primaria<br />

attività locale che fin dai primi secoli di vita della comunità cerdese è stata quella di viaggiatori o di “carrettieri”<br />

<strong>Cerda</strong> originariamente era denominata “FONDACO NUOVO” o “TAVERNA NUOVA, perché era il punto d’incontro<br />

di tutti i carrettieri che viaggiavano verso Palermo o l’entroterra siciliano.<br />

Per questo motivo il gruppo Folk della Nuova Compagnia si chiama “I CARRITTIERI”<br />

Un ballo tipico del gruppo folk, è il ballo della cordella che è originario delle Madonie e viene<br />

riproposto dai soci in svariate figure.<br />

Esso rappresenta nella sua esibizione, il continuo evolversi della vita con le sue vicissitudini.<br />

nell’arco dell’anno; infatti vi sono 24 cordelle tenute da dodici coppie di ballerini a simboleggiare i<br />

dodici mesi dell’anno.<br />

Anticamente veniva rappresentato nelle cerimonie nuziali come rito propiziatorio, dove i ballerini, a<br />

ritmo della tarantella intrecciavano una cordella legata ad un palo, che poi con la stessa abilità<br />

dovevano sciogliere<br />

L’associazione ha animato diverse manifestazioni della rinomata sagra del carciofo di <strong>Cerda</strong>, che<br />

ogni anno viene festeggiata il 25 aprile, organizzando per tale occasione un festival di gruppi<br />

folcloristici che ogni anno riscuote sempre maggiore successo e prestigio, In questa manifestazione<br />

si sono avvicendati diversi gruppi folcloristici di rilievo, diventando una tappa importante per ogni<br />

gruppo folk.


PRESENTAZIONE<br />

Il premio letterario dedicato al Maestro <strong>Rasa</strong> <strong>Calogero</strong>, ha fatto scrivere una pagina indimenticabile<br />

e significativa per <strong>Cerda</strong> e la sua storia, conferendo alla nostra cittadina prestigio, credibilità e<br />

visibilità esterna, per il richiamo che ha suscitato non solo dalla Sicilia, ma da tutta l’Italia.<br />

L’ Associazione Culturale, unica nel suo genere a <strong>Cerda</strong>, è soddisfatta dell’evento, riuscito anche<br />

grazie alle importanti sponsorizzazioni, come il patrocinio della Presidenza dell’ARS,<br />

dell’A.A.P.I.T. di Palermo e del C.N.A.-<br />

Al momento del bando nessuna credeva alla buona riuscita del concorso, ma grazie all’impegno di<br />

alcuni soci a cui si deve dare merito, il concorso prendeva una piega di rilevanza nazionale, tant’ è<br />

che tra i partecipanti vi sono numerosi personaggi di spicco nel mondo della cultura e non nuovi a<br />

questo tipo di concorso.<br />

Pertanto, così come abbiamo creduto nel concorso, altrettanto crediamo nell’insieme del progetto<br />

che continua con la pubblicazione di questa antologia delle opere partecipanti, testimoniando<br />

l’enorme successo ottenuto e la risonanza dell’evento.<br />

Un vivo ringraziamento va a tutti i partecipanti al concorso, e un arrivederci alla terza edizione.<br />

IL PRESIDENTE<br />

SALVATORE IMBURGIA


Narrativa


Bonato Aldo<br />

Un sindaco per amico<br />

Da fine Ottocento a metà Novecento, il Veneto era terra di emigranti e un’ Italia povera. Si può dire un esercito allo<br />

sbando, con 20-25 e più milioni di italiani in attesa; con la valigia di cartone pronti a lasciare il tricolore, per cercare<br />

fortuna o, l’Eldorado sognato oltre oceano. Era realtà! Quasi sempre, una guerra personale vinta con onore!<br />

Tempi difficili per tutti, tra venti di guerra lunga e snervante….<br />

Dio, che tristezza. Emigrazione, ultima spiaggia della speranza di ideali e solitudine.<br />

Dura lex della vita. E poi, si aggiungeva con orgoglio scaramantico una battuta ben nota in ogni paese, contrada: “ la xè<br />

terra de pòra xènte, dal còre grande e de Fede, più che Cristiana; onesta e de grandi lavoratori…. – Sì, con la valsa<br />

pronta, - par emigrare in ‘Merica!.”<br />

E fu così, con questa “etichetta”, (Veneti lavoratori), fummo ben accetti in ogni angolo d’Europa e Nuovo Mondo ma,<br />

quanti sacrifici!!<br />

Naturalmente quei sacrifici erano tanti e, ancora più amari i “bocconi” da ingoiare da malavoglia; chiusi nel nostro<br />

silenzio di riverente sottomissione e omertà in terra straniera per non offendere chi ci ospitava con lavoro e un pezzo di<br />

pane.<br />

Noi vicentini, più analfabeti che studiati; era ancora più dura da accettare certe condizioni, al limite del disumano, per<br />

forza fisica e aggregazione ostile, di incomprensione a lingue diverse, difficili.<br />

Per noi, poveri Cristi, magri come grissini o, peggio ancora, poco studiati: sì e no, la terza Elementare; i più fortunati<br />

alla Quinta, era già un ambito traguardo per pochi e…un’unica lingua parlata: il nostro dialetto veneto, spontaneo, a<br />

volte intriso di lacrime, di sorrisi forzati e, una accorta mimica di gestualità da provetti attori, sì, per farci capire al<br />

meglio nel Nuovo Mondo: in ‘Merica! La Grande Mela.<br />

L’italiano era già difficile da imparare scrivere a scuola, peggio ancora nel parlare – quasi-, ci vergognavamo a<br />

pronunciarlo, arricchendolo facilmente di strafalcioni che non figurano certamente nel vocabolario e, avrebbero fatto<br />

rizzare i bei capelli all’Insegnante di italiano.<br />

Eravamo fatti così: “ xùcche vòde “; in testa c’erano ben altri pensieri: fame e lavoro.<br />

Altro che inglese o francese di oggi; il tedesco, era da noi vicentini definito “Krucco” e, tale resta inteso così; anche<br />

oggi e, dagli ultimi emigranti in Germania che ahimé, prima ancora, ai “viaggi” senza ritorno, nei campi di<br />

concentramento… Una realtà triste di una pagina di storia infamante, di cui vergognarcene.<br />

Ovunque andavamo, noi chiedevamo il lavoro che non c’era, col nostro naturale idioma veneto, vero, spontaneo: un<br />

biglietto da visita vincente.<br />

Il dialetto è tutt’ora una radice antica ben radicata, difficile da estirpare. E’ come una cantilena accorata, che strega chi<br />

ti ascolta: per la sua semplice musicalità versatile di vocalizzi che assomiglia al dialetto veneziano. Una parlantina<br />

chiara, pulita: dal sapore di filastrocca!<br />

Allora l’istruzione era quella che era; ma l’etica morale del vivere nella fede, era nel nostro DNA già ben programmata<br />

nella gènetica dai nostri vecchi, artefici fautori di vita; unici eredi e testimoni di un vivere cristiano da umili, senza<br />

Onorificenze: ai confini della disperazione ma determinati, consapevoli di lasciare una natura agrèste ove ci si aiutava<br />

come si poteva, con lo scambio di manodopera o, animali per il lavoro della terra e si sudava; sia al sole d’agosto, sia al<br />

freddo d’autunno, senza risparmio di energie, dall’alba al tramonto, finché c’era luce… Questo era un codice di morale<br />

ética & mutuo soccorso tra il povero e ricco. Allora c’era più solidarietà di oggi.<br />

Poveri contadini arricchiti di vistosa “ gobba ”, tanto erano chinati sui campi, dall’alba al tramonto, in terra magra,<br />

sassosa di “ vegra ”, vicino la Brenta per renderla fertile, togliendone i sassi più grossi con piccone e gerla sempre<br />

piena, massacrando le ossa della schiena e “ Lei “, madre terra, così ben lavorata, grazie a Dio ci offriva del generoso<br />

grano dorato; per un pezzo di pane o una fumante polenta gialla; delle patate grosse o dei fagioli “ Borlotti “ nostrani: i<br />

migliori però, erano quelli del Bellunese, di “ Lamon “, coltivati in “ selvatiche “ terre strappate dai rovi di boschi<br />

sassosi.<br />

Tutto un lavorio certosino, paziente, fatto a mano, - oh sì, - mani ferite da calli e tagli profondi… questi eravamo noi, i<br />

Veneti – anzi -, i Vicentini purosangue tutto: casa, lavoro, famiglia. Emigranti fieri, emigranti lavoratori incalliti!<br />

- Si, - tutto quello che la terra offriva era indubbiamente un grande tesoro – frutta e verdura -, per un felice pranzo da<br />

nozze, e che nozze …. per tutta quella nidiata di figli da sfamare in ordine crescendo, uno per anno e… per i gemelli era<br />

una doppia Benedizione ma, anche una fitta al cuore, pensando alla povertà che era di casa in casa e, ci si consolava<br />

dicendo: “ il buon Dio ha voluto così, pazienza!..” a sera, tutti riuniti, si pregava con più fervore per un aiuto Divino.<br />

Tanti figli “ voluti ” o “ venuti ” per sbaglio; ben pochi avevano la pelle rosata di salute e, molti bambini in tenera età,<br />

volavano in cielo come Angioletti, tra una malattia e l’altra. Carenza di vitamine?..<br />

In tanti già erano malaticci di “ pellagra “…. poco pane e poche le vitamine. Gran brutta bestia la fame! E ancora più<br />

pena era sentire il loro pianto ostinato o liberatorio, che ti struggeva il cuore.


Uno strazio lacerante di fame e dolore…non c’era nient’altro da offrire se non una carezza, un sorriso amaro ma, niente<br />

promesse ai bambini, non ne avevamo il coraggio di mentire. “Bestia càn..che tempi duri”!<br />

Ce ne sarebbero storie ancora da raccontare – testimonianze vere-, per amare le nostre ataviche origini; ove la natura ci<br />

offriva vere lezioni di vita senza libri, perché allora si barattava ancora con i prodotti della terra, un fiorente mercato<br />

sommerso: i “ sćhei o palanche “, erano solamente nelle tasche dei signorotti: i “ Signori ” della villa.<br />

E, la vostra villa Cappello, è una testimonianza di sfarzo e architettura, di storia e potere; una preziosa perla vicentina da<br />

studiare e riscoprire in ogni suo androne, le regali stanze affrescate con raffinata bellezza; davvero una perla di sobrietà<br />

inalterata nel tempo.<br />

Avete a Cartigliano, una villa che è un vero gioiello, un monumento da toccare con mano: giardino e villa, cantine e<br />

barchesse, un tutt’uno da togliere il respiro!<br />

Quanta maestosità e opulenza in sì tanta povertà del tempo, in mano al potere di illustri Signori feudatari, Conti,<br />

Marchesi o, quant’altra Onorificenza ai posteri. Ricchezza e potere anche allora, come oggi!!<br />

Certamente, un grande palazzo dal lavoro certosino, di artisti decisamente di raffinato gusto. Al pensiero viene da<br />

rattristarsi a….. quanta nobiltà e opulenza.<br />

Loro, colti e studiati, mentre noi - poveri servi, - fiorentini come i “pissacan”, affiancati da Madre natura come<br />

insegnante, è perfetta.<br />

Essa ci offre leggi uguali e giuste per tutti: il rispetto del prossimo, il valore della vita, erano e sono ancora il primo<br />

comandamento del buon cristiano, per un vivere equo e solidale con sé stesso; la sua donna amata, i figli, il mondo<br />

intero in segno di pace, di rispetto.<br />

Lui, era quell’umile contadino testimone del tempo senza studio, un tempo senza tempo, lontano oramai anni luce ma,<br />

ci ha lasciato infiniteperle di saggezza, di vita vissuta con pudore e omertà sofferta.<br />

Eravamo decisamente caparbi veneti, veri istrioni autoctoni. Nati e vissuti nella povertà ma, da sempre grandi<br />

lavoratori!<br />

Ecco perché siamo chiamati “ Vicentini polentoni “, poco istruiti sì, - ma generosi di animo -, umili e servitori ovunque,<br />

in continuo peregrinare,alla cieca ricerca di un Eldorado decantato che forse non c’era… ma era bello il sognare come i<br />

Signori della villa, che avevano tutto, anche la cultura e, colture con ogni ben di Dio.<br />

Noi e i vecchi: combattivi e fieri, non disperavamo mai, c’era sempre in loro una effimera certezza, - la speranza -,<br />

unica àncora di salvezza a cui aggrapparsi. La “ fortuna “, in casa mia non ha mai bussato: era almeno illusione il<br />

sognare la notte; quella sì è fortuna, ma forse era sola stanchezza…di troppo lavoro, per giunta mal retribuito.<br />

Deh,.. mi sono lasciato andare con la penna, anche se il testo sembra davvero un ‘panegirico’, ma è storia, - anzi<br />

doveroso ricordare così: quel sacrificio sacrosanto dei nostri vecchi è Sacro, e tale deve essere fonte di ricerca; di storia,<br />

per testimoniare i fatti per voce di cronaca, ove manca quella pagina di eroismo e silenzio, sepolta dalla polvere del<br />

tempo di chi ha avuto natali e origini venete. Certamente senza allori.<br />

Storie vere, inverosimili, vissute duramente, tratte dal diario della vita ma, forse non interessava a nessuno raccontare,<br />

né scriverle.<br />

Ora, il mio pensiero è un altro: è più vicino al presente, - anzi – in un saluto di riverente ospitalità, ricevuto al Vs.<br />

collaudato “Centro di Cultura Villa Cappello”; grazie alla sensibilità ideologica di un attento Sindaco giovane e<br />

frizzante, anni “ anta “, al suo ultimo Mandato, capostipite di una gènia aperta al dialogo: unito alla combattiva Giunta<br />

Comunale; ove è possibile verificare lo smemorare in “ maretta “ aperta di idee politiche bellicose… ma Lei, da buon<br />

moderatore, col Suo sex-appeal, sa rappacificare in umanità costruttiva, di leale trasparenza con la Giunta e Assessori<br />

consiglieri, finalmente d’accordo e….APPROVATO!<br />

Che soddisfazione!!<br />

Onestamente Lei, è anche vigile e attento ad offrire alla Sua gente, gente di Cartigliano; operosa e nonché generosa,<br />

grazie agli – Sponsor –, che credono e investono nella Cultura, nella certezza di istituire vicino alla Villa, un piccolo “<br />

salotto “ di Cultura, aperto a tutti.<br />

E, per noi pensionati finalmente, è un vero toccasana per la mente. Ben venga un Sindaco lungimirante e propenso a<br />

evolvere dal bilancio, un po’ di denaro per investire in “ Cultura “; ciò dimostra sensibilità e un Sindaco culturato, anzi,<br />

un buon “Mastro don Gesualdo “: come direbbe il Verga, dalle idee chiare, come fosse una “ famiglia “ colta,<br />

aperta al dialogo.<br />

Così facendo, la cultura non può che rendere a lungo termine, buoni frutti di conoscenza generale del territorio e, un<br />

felice avvicinarsi con interesse, alle Istituzioni con animo sereno; orgogliosi nel veder crescere una apertura al Sociale,<br />

costruttiva, per capire meglio le problematiche esistenti in un paese – se pur piccolo –, ma in continua crescita nei valori<br />

e ideali, analizzando così di persona, le vere esigenze del cittadino.<br />

Lei, può essere tutto questo: Alfiere e Paladino di pace; persona carismatica, fiero del Suo operato in un fazzoletto di<br />

terra, ove la gente ama essere “ coccolata “, e la persona è orgogliosa dell’innovazione, attenta e curiosa di arricchirsi in<br />

cultura a 360° gradi, conscia di essere degnamente motivata se è più vicina alle Istituzioni.<br />

Le Sue idee sono chiare e costruttive, di sicuro successo, con consensi di gratuita approvazione gratificante per VOX<br />

POPULI, pienamente soddisfatta. Non resta a me dirlo; essendo un emigrante di Nove, e corsista di “Cultura a<br />

Cartigliano”; quale testimone vedo e sento che la Sua comunità, ha tutta una sensibilità speciale, aperta al dialogo, per<br />

questa ragione mi trovo bene “ assieme “ e, La ringrazio di cuore del Suo “ operandis “, aperto al futuro con dialogo<br />

trasparente, tra mille difficoltà burocratiche.


Con osservanza e, distinti ossequi, La saluto con ammirazione; conscio della validità di queste “ lezioni “ tra amici, in<br />

un clima sereno.<br />

Lezioni interessanti, presentate da validi Professori qualificati;oratori senza retorica, a misura d’uomo, carichi di<br />

umanità che ci coinvolgono col sorriso della vita, offrendoci fiduciosi il loro Sapere: un bagaglio prezioso di nozioni<br />

interessanti.<br />

Mi permetto di suggerirLe, nel continuare in questo nobile investimento Culturale; la Sua gente – mi creda –, Le è più<br />

vicina di quello che pensa, forse è un po’ chiusa, perché non ama raccontarsi, ma è loquace in piazza; libera di ogni<br />

ideale, accorta e intelligente ad ogni Sua innovazione al “ Sociale “. Certamente un paese attivo al cento per cento!<br />

Da parte mia, se dovessi scrivere un racconto sulla terra veneta, avrei già pronto il titolo che apprezzerebbe il Suo<br />

mandato e gratifichi la sua generosa gente: “ Omaggio a Cartigliano, un paeseper amico….”, così comincerei il mio<br />

raccontare. Un simpatico modo per dirLe grazie!<br />

Per ora le idee non mancano, la Sua gente è testimone; il Suo modo di fare Cultura, è un fine biglietto da visita vincente,<br />

da presentare anche alla vicina comunità di Nove, ove manca questa voglia o sensibilità di fare Cultura costruttiva e,<br />

avvicinare così in futuro, due Comunità in un simpatico gemellaggio culturale; magari impreziosito da un felice<br />

brindisi di “ amicizia “, di buon vicinato, senza campanilismo d’un tempo…alla “ Don Camillo & Peppone ”!<br />

(Scherzo)!<br />

Chissà che, il progetto della pista ciclabile sul ponte Nove-Cartigliano, non porti a fattività d’amicizia con una<br />

amichevole stretta di mano, tra due Sindaci volonterosi di cultura e, “ amici “, di buon vicinato.<br />

Chissà ….! In questi tempi di guerra ove si distrugge la pace e, che deve essere un valore universale; mentre la cultura<br />

unisce all’amore del sapere; contrariamente, l’odio divide in profondità con arroganza, nella più vile cecità dell’uomo<br />

senza futuro di comprensione, pur sapendo che la parola PACE, esiste ancora. Certamente: “Volere & Potere!! “<br />

Cordialità e, complimenti a Lei, quale primo Cittadino e accorto rappresentante che guarda al futuro con testimonianze<br />

concrete e, da parte mia, un “ Corsista “, che ama scrivere quello che pensa, a ruota libera, per testimoniare i valori<br />

umani e reali del presente.<br />

Grazie della Sua ospitalità e attenzione, esprimendoLe distinti ossequi.<br />

Un corsista del “ Centro di Cultura “ di Villa Cappello.


Massimiliano Canale<br />

Non cade ogni foglia che va al vento!<br />

Era quella una qualunque famiglia di Baghdad: Abu Jafar, calzolaio, umile ma ricolmo di dignità; la moglie, la brava<br />

signora Sarah, donna dal cuore d’oro e due splendidi figli: Bin, undicenne e Dora, tredicenne. Prima che iniziasse la<br />

guerra, la bottega dei Jafar era rinomata e faceva ottimi affari; ma da quando truppe straniere invasero la città e vi<br />

portarono bombe e fucili e da quando i terroristi risposero con maggiore violenza, la gente disertava il negozio del buon<br />

uomo. Così la famigliola si trovò in profonda povertà.<br />

Oggi era per i Jafar un giorno speciale: ricorreva infatti il venticinquesimo anniversario di matrimonio dei felici<br />

coniugi, e per celebrarlo degnamente, nonostante le forti privazioni che la famiglia soffriva dal 2003, essi riuscirono a<br />

racimolare l’ammontare necessario a concedersi una cena in un ristorantino tradizionale della capitale dell’Iraq. La<br />

famiglia giunge al locale prescelto: un luogo carino e tranquillo e impregnato dall’atmosfera deliziosamente esotica di<br />

una grande città d’oriente, lontana dalle violenze.<br />

Il pasto cominciò serenamente, addolcito dalla bontà dei piatti locali, dalla soave melodia che ne accompagnava il lieto<br />

consumo e dall’incredibile armonia che univa padre, madre e figli in una sorta di gioia spirituale di cui da tempo essi<br />

non godevano in cotanta forma a causa della guerra in corso, della violenza vigente e della miseria imperante. A un<br />

tratto, però, la dolce melodia si blocca di colpo: l’urlo straziante della sirena squarcia il silenzio ambiguo della sera e<br />

precede alcune detonazioni. E’ il bombardamento! Per le strade esplode il panico, ma fuggir via è inutile, equivarrebbe<br />

a invitare il leone ad affondare le zanne sul capretto! Il padrone, così, aprì una botola che s’era scavato per le emergenze<br />

e vi stipò tutti gli ospiti del ristorante. Lì, giù nella buca, tutti ammassati, si era come tante povere anime<br />

in attesa di essere giudicate e dunque salvate o condannate a marcire: i Jafar condividevano<br />

quei momenti della loro vita. e stretti con indicibile veemenza l’un l’altro, come fossero un unico essere, colto dalla<br />

sensazione di una mano forte che coglie tutto quanto rimane, senza dimenticar di portar via niente e nessuno. Le bombe<br />

piovono alla cieca, chi le lancia neppure immagina quel che soffocherà! Padre, madre, figlia e figlio erano su un’unica<br />

bilancia, soli a sfidare il destino! Al contrario di quanto si sarebbe potuto credere, quei pochi attimi furono saturi di<br />

gioia pura e candida eternità: lo spirito depresso sfuggiva, lasciando posto a sensazioni irreali, come se già il paradiso li<br />

accogliesse, nella sua purezza assoluta e priva di tempo, regole, leggi, nomi, cose! Solo indefinibile armonia, sì, quattro<br />

persone unite da vincoli familiari, all’improvviso perdevano l’identità e diventavano anime vaganti nel paradiso<br />

terrestre! Non c’era tempo per piangere, disperarsi, dannarsi: no, l’incalzare delle bombe era freddo, solenne,<br />

inarrestabile.. I Jafar si scambiarono baci, poi un sordo stridolìo di ciò che precipita, puntuale, inesorabile, inarrestabile:<br />

un singulto, una lacrima. Per mezzo istante, regnò il silenzio degli angeli: ma fu un boato e un attimo dopo tutto si<br />

tingeva di bianco!...E la culla delle romantiche mille e una notte fu culla dell’infernale notte di fuoco!<br />

A Washington, intanto una famiglia americana era intenta a guardare il telegiornale, nella sua confortevole villa. A un<br />

tratto, una giornalista annunciò: “Il nuovo temuto bombardamento a Baghdad ha avuto solo poche decine di vittime,<br />

evento, dunque, di importanza modesta”. Mentre la cronista pronunciava quella frase, un orrido corvo nero prese a<br />

volteggiarle intorno, con la sua funesta presenza, quasi severa, di rimprovero…E altre lacrime ancor il mondo versava,<br />

ed esse lavavano il peccato dell’uomo che è forse troppo grande per essere pulito dall’oceano delle lacrime, figlie della<br />

sofferenza di tante, tantissime storie. E la famiglia Jafar benedisse dal cielo una sola parola tra quelle imperfette<br />

coniate dall’uomo: PACE!


Salvatore Carta<br />

L’uomo delle anatre di Villa Niscemi<br />

L’uomo delle anatre di Villa Niscemi aveva una coppola con stelline gialle e nere, la barba tutta bianca, quasi dorata,<br />

così come l’aveva vista quarant’anni prima il guardiano della villa. Camminava lentamente verso il laghetto con<br />

scarponi senza stringhe che segnavano la terra anche quando non era umida. Teneva sempre due sacchetti che potevano<br />

sembrare di plastica; invece erano fatti di tela bianca di latte, ad erano pieni di mezze<br />

focacce indurite e nell’altro resti di patatine.<br />

Forse le anatre, i cigni e le oche selvatiche riconoscevano i passi pesanti e lenti, oppure i sacchetti colorati, o la sua<br />

mano destra che, dopo avere rovistato e macinato, si avvicinava ai loro becchi piatti, leggermente dentellati. Il fatto è<br />

che appena l’uomo aveva superato l’inferriata dell’ingresso, loro cominciavano ad uscire dall’acqua con le ali<br />

all’indietro, formando un cuneo, mentre le zampe palmate, come se fossero possenti remi, iniziavano ritmi veloci per<br />

raggiungerlo in fretta.<br />

L’uomo doveva avere tantissimi anni, ma riusciva, con lanci d’inaspettata vigoria a raggiungere chi ancora non aveva<br />

superato gli steccati del laghetto. Poi i pennuti, amplificando il già fragoroso “onk-onk”, si disponevano in fila, e lui<br />

continuava ad imbeccarli saltellando e mugugnando con tanta amicizia “onk-onk”. Dopo la ballata si distendeva là dove<br />

le foglie secche gli componevano uno scricchiolante comodo letto, e ascoltava con gli occhi chiusi lo starnazzio<br />

divenire sempre più lieve e trasformarsi in un concerto che lo portava lontano, molto lontano.<br />

Quel giorno di quell’anno l’uomo delle anatre aveva un’andatura insolitamente stanca; prese da terra tre fiori bianchi di<br />

melarancio e stringendoli tra i polpastrelli ne fece liberare l’essenza tutto attorno, si stese sul prato gibboso ed iniziò a<br />

borbogliare quella che poteva essere un’antica filastrocca nordica. Ad un tratto, la luce filtrando fra le palme gli ricordò<br />

che non mangiava da tanto tempo: infilò la mano in una specie di tascapane che teneva agganciato alla cintura, e si mise<br />

in bocca una alla volta, masticandoli ben bene, tre cubetti di colore verde smeraldo che gli fecero recuperare di botto<br />

tutta l’allegria dei fiori.<br />

In quel momento entravamo dalla parte ovest della tenuta, là dove c’era la Palazzina Cinese, Edoardo e Giulio: di primo<br />

acchito si misero a scrutare il cielo alla ricerca di qualche elicottero, e poiché non riuscirono a sentire alcun rumore di<br />

motori corsero verso il laghetto gridando: Perseooo! Cassiopeaaa! Venite, raggiungiamo il Castello Utveggio. Dopo<br />

qualche minuto giunse Perseo, un bianco cigno reale con una grossa macchia nera sul becco di colore arancione così<br />

intenso che, per chi non lo conosceva, poteva sembrare che quella mattina lo avesse lucidato per tre ore di filato.<br />

Perseo mostrava una carena tanto robusta da poterci impiantare ai lati due potenti motori a reazione che gli<br />

consentivano, con le ali tirate al massimo, di raggiungere più volte la velocità del suono. Da lì a poco giunse, sbuffando<br />

come un treno a carbone, Cassiopea, una anatra mandarino che portava alle zampe anelli fatti con foglie di nenufari<br />

bianco e rosa; mentre le penne remiganti e timoniere, nell’insieme, le formavano una livrea vistosa, ma bella a vedersi<br />

come una maschera veneziana a Carnevale.<br />

Edoardo distrattamente salutò Perseo, poi gli accarezzò tutta la esse del collo e, quindi si mise a cavalcioni,<br />

appiattendosi il più possibile per facilitare il decollo. Giulio, sorridendo e un po’ guascone, dette prima un buffetto a<br />

Cassiopea, e subito dopo facendole una leggera pressione sulla placca la invitò decisamente ad iniziare il volo: “Corri,<br />

Cassiopea, ci restano solamente tre giorni per scoprire chi ha portato via l’arcobaleno e dove lo nasconde”.<br />

Infatti la terra sarebbe stata privata di tutti i suoi colori e con essa gli abitanti, la fauna e la flora, il mare, le montagne ed<br />

il cielo, proprio tutto.<br />

Mentre i due gemelli Edoardo e Giulio cercavano una soluzione che potesse scongiurare questo disastro, l’Uomo delle<br />

anatre vide sopraggiungere Adele con una tuta di colore rosa-antico e con dei grandi occhiali stroboscopici, le cui<br />

stanghette erano state fissate al di sotto delle lunghe trecce nere nere. Adele, tesa come la corda di un arco d’acciaio,<br />

inforcò subito Alcor, un’oca selvatica di statura imponente, azionò lo Jato per accelerare la corsa di decollo, e agendo<br />

sugli alettoni virò là dove Edoardo e Giulio erano divenuti come due punti con delle code bianche. I due piloti avevano<br />

bucato ciuffi di cumuli e frittelle, masse di nuvole che somigliavano a grosse facce arrotondate di colore giallo-sporco,<br />

quando, preannunciata dall’accensione della spia dell’identificatore e dall’onk-onk di saluto di Alcor, entrambi furono<br />

investiti da una batteria di domande fatte in veloce sequenza dall’ancora affannata Adele: “Edoardo! Giulio! Chi ha<br />

potuto rubare Il Grande Arcobaleno d’Oriente? E per quale motivo? Dove può essere stato nascosto?”<br />

I gemelli prima incrociarono lo sguardo per capire se avevano pensato allo stesso individuo, e poi quasi<br />

sovrapponendosi: “Adele, abbiamo tre giorni soltanto per scoprire cosa è successo, dobbiamo agire in fretta, prima che<br />

la terra perda i suoi colori”.<br />

E subito, come se i motori suonassero una unica musica, continuarono a puntare verso il Nord, là dove pochi giorni<br />

prima avevano perso le tracce di Arturo. Questo era un saturniano dalle enormi orecchie a sventola, che era giunto tanti<br />

anni prima sulla terra con una navicella, al cui comando era stato il nostro uomo delle anatre. Era proprio al Prater,<br />

vicino alla Riesenrad, la grande ruota panoramica di Vienna, che avevano visto Arturo e la sua banda l’ultima volta; e<br />

poi, si erano dileguati come inghiottiti da una improvvisa voragine. E così, per non dare all’occhio, i tre ragazzi decisero<br />

di atterrare proprio dietro la Gloriette del castello di Schönbrun, dopo la fonte bella, sulla collina sempre verde. I piloti<br />

lasciarono Perseo, Cassiopea ed Alcor in <strong>compagnia</strong> degli amici pennuti del castello; e infreddoliti anche per aver<br />

volato sopra i diecimila metri, corsero appena fuori dalla cancellata rococò in ferro battuto. Là il vecchio caldarrostaio,


iconoscendoli, li rifocillò con grosse fette di patate e castagne alla brace, accompagnate da un boccale di aranciata<br />

calda.<br />

Mentre facevano capannello, Edoardo rivolgendosi verso Adele, le appuntò con garbo una piccola foglia e poche palline<br />

di mimosa sulle trecce come tanti soli splendenti sui capelli neri. Adesso soltanto pochi chilometri li separavano dalle<br />

ultime orme del malefico Arturo, per scongiurare questa triste calamità; e cominciarono ad avere la certezza che i colori<br />

dell’iride sarebbero rimasti nella terra.<br />

I tre salirono su una panchina della “grande ruota” per avere una visione dall’alto, ed ognuno con un binocolo iniziò a<br />

scrutare ogni filo d’erba, le strade e le case più vicine. L ’erba cresceva sempre meno verde, le case diventavano sempre<br />

meno rosa, e tutto appariva sempre più sbiadito; anche i fiori e la frutta rischiavano di non riconoscersi.<br />

Adele puntò il binocolo su una mongolfiera con la veste scura come la bandiera dei corsari, e con voce affannata ma<br />

soprattutto contenta si rivolse ai suoi due amici: “Edoardo, Giulio, guardate la mongolfiera situata nella direzione<br />

opposta a quella del sole; è tanto strana, pare ancorata alla terra per mezzo di un pilastro rigido e frondoso. Non si<br />

muove di un centimetro!”<br />

Ed Edoardo mettendo a fuoco le lenti del suo binocolo: “E’ vero! L’aerostato non si sposta anche quando il vento soffia<br />

più forte, e dentro la navicella mi pare di scorgere due immense orecchie.<br />

Ma…., è Arturo, assieme alle sue guardie! E osservate come questi mascalzoni indirizzano miliardi di millepiedi nel<br />

passare in quel punto del cielo, proprio là sopra la guglia della torre di S. Stefano! Ma come mai questi incolpevoli<br />

artropodi non precipitano nel vuoto?”<br />

Giulio che finora sbigottito non aveva aperto bocca: “E’ terribile! Sono eserciti interminabili di millepiedi! Passano<br />

sopra quei giganteschi tamponi imbevuti di colore nero, e marciano, via, via cancellandolo, verso l’arco azzurro di ciò<br />

che è rimasto del nostro arcobaleno. Ecco come stanno per scomparire tutti i colori della Terra!”<br />

E facendo girare “la grande ruota” fino a quando la loro panchina giunse quasi a livello del suolo, con un piccolo salto<br />

iniziarono a correre fra i ring di Vienna; acquistarono piccole scarpe da tutte le fabbriche dalla capitale degli Asburgo.<br />

Ritornarono sulla Ruota con pesanti sacchi affollati di scarpette di ogni colore: rosse, gialle, verdi, azzurre, violette,<br />

arancione ed indaco, ognuno di questi colori con le loro infinite gradazioni; salirono con un balzo sulla mongolfiera<br />

sorprendendo Arturo ed i suoi sgherri.<br />

Pazientemente tutti e tre aiutarono quelli che ormai erano divenuti i loro amici a calzare le scarpe intrise dai colori; e<br />

questi, lenti, ma gioiosi rinnovarono completamente i semicerchi dell’arcobaleno, e dopo poco anche la metà al di sotto<br />

della Terra. Improvvisamente si ammirarono nel cielo due arcobaleni completi, quasi sovrapposti, entrambi col rosso<br />

all’esterno ed il violetto all’interno. Tutte le cose, le piante, gli animali, le persone ripresero il loro colore, mentre i tre<br />

guidavano l’esercito di millepiedi in una grande buca dei giardini del Prater, che era stata riempita da tante piccole e<br />

tenere foglie di verdura. Ed ognuno dei millepiedi gioiva di scarpe di colore con gradazioni infinite; c’era anche chi, più<br />

vezzosa, aveva avuto il tempo di decorare le proprie scarpette di nastri gialli, punteggiati di stelline di azzurro.<br />

Si salutarono con sei mani ed infiniti piedi; e così Adele, Giulio ed Edoardo, dopo avere fatto merenda di strudel sul<br />

Belvedere, ritornarono a cavalcare il cigno, l’anatra, e l’oca selvatica per rientrare a casa.<br />

Festosi riuscirono a riabbracciare l’Uomo delle anatre di Villa Niscemi, il quale mostrò finalmente un volto rosso come<br />

l’interno di un cocomero in Agosto.


Ficarra Rosalia<br />

I 5 SENSI…<br />

Per me la vita è come una lettera d’amore profumata, in cui sentimenti e sensazioni si mescolano; o di quando si<br />

assapora la cioccolata calda che per dolcezza e tepore… è come se annegassi in un caldo abbraccio, perdendomi dentro<br />

un valzer viennese e allo stesso, un tango argentino.<br />

- Gli occhi, ci servono per ammirare il Creato e tutto ciò che siamo stati in grado di costruire, conservandone il vero<br />

valore, per stimarlo e proteggerlo. Se non vedessimo, non vivremmo, non potendo apprezzare nemmeno noi stessi.<br />

- Il gustare i frutti della terra assaporandone tutti i tratti, come fossero le labbra del proprio uomo, morsicando le parti<br />

più morbide, saziando con il dolce succo, le nostre carenze affettive.<br />

- Il profumo e gli odori, fondamentali! Se non avvertissimo gli odori, non saremmo in grado di riconoscere in che<br />

ambiente viviamo, grazie ai ferormoni difendendoci dagli odori sgradevoli.<br />

Il profumo è importante, per ciò che ci attrae, come la pelle del proprio uomo, riconoscendola una su mille; gli odori ci<br />

descrivono il tipo di situazioni , ci avvertono, ci parlano…<br />

- Se non potessimo ascoltare, se non udissimo, anche in mezzo alla gente, ci sentiremmo sempre isolati da ogni forma di<br />

comunicazione uditiva, sociale, verbale, stando perennemente arrabbiati con noi stessi e con l’universo intero. Ci<br />

allontaneremmo anche dalle persone e da tutto ciò che amiamo, pensando che gli altri non ci capirebbero come<br />

desideriamo! Ed io non sarei riuscita ad ascoltare e sentire le dolci parole del mio uomo, i suoi pensieri più nascosti, le<br />

sue idee, i suoi desideri di cui mai mi parlava, per paura che non si realizzassero; ho sempre avuto la sensazione che tra<br />

noi due, quello ad aver timore di abbandonare le redini della vita sia stato sempre lui. Se penso, invece, che inizialmente<br />

questo timore apparteneva a me, non so se ridere o piangere.<br />

Avendo superato le crisi più profonde, stando meglio, capivo che dovevo cambiare atteggiamento, solo così, potevo<br />

essere felice, come ho sempre desiderato. In fondo avendone trovato le chiavi, e avendo chiesto alla vita ciò che avevo<br />

già davanti la porta che avevo aperto, sapevo che questo desiderio non sarebbe mai svanito dentro me. I sensi me lo<br />

impedivano, perché quando ci si lascia così sappiamo bene che non può finire a metà.<br />

- Se non avessimo il tatto, se non percepissimo il tocco con qualsiasi corpo, oggetto sarebbe come se le stesse mani non<br />

ci fossero! Sarebbero come mozzate! E un individuo senza mani, non porterebbe a compimento il suo operato! Non<br />

sapere che significa il velluto, la seta… come vellutata è la pelle di mia madre,morbida e setata.<br />

- Si dice che i sensi siano in realtà 6, mancherebbe il sesto!? Potrebbero essere: la percezione, la sensitività ,l’intuizione,<br />

che ci porterebbero più lontani dalla realtà predefinita e razionale.<br />

Penso che ci aiutino a colorare la vita…<br />

- L’intuizione ci porterebbe al confine che desideriamo, ci farebbe saltare il muro della cecità e dell’egoismo, ci farebbe<br />

affrontare la vita e crescere di conseguenza. Intuire gli eventi, penso che sia un privilegio, preparandoci nel nostro<br />

piccolo, a trovarne le chiavi.<br />

- La sensitività è legata più ad un discorso percettivo-temporale, all’immediatezza, argomenti di carattere neurologico, e<br />

che comunque nonostante la terminologia medico-scientifica, codeste, sono sensazioni che magicamente unite ai 5<br />

sensi, fanno la storia della gente del mondo e dell’umanità. La gente: la speranza, la saggezza, il futuro e l’amore. Il<br />

mondo non è solo occhi, naso, orecchi, bocca, mani… è soprattutto: sensibilità, dolcezza, sapori, colori, profumi.<br />

L’umanità è: intelligenza, sapienza, audacia, forza, determinazione. Questi 5 sensi!<br />

Un vero patrimonio sottovalutato, poco reclamizzato, poco apprezzato.<br />

Proprio in questi giorni, come mio usuale andare a correre, lungo questi viali fioriti, avvertivo un profumo di zagara e<br />

magnolie. All’improvviso si accendevano nella mia mente, ricordi del mio passato… Odori lontani, che erano nell’aria,<br />

e che mai prima di allora , negli stessi viali, avevo avvertito. I miei stati d’animo cambiavano repentinamente! A tratti<br />

felice, perché mi sentivo vicino a lui, altri, in cui ero lontana, al gusto amaro di quel momento che mi riportava alla<br />

realtà; i miei occhi avrebbero voluto piangere, ma la ragione me l’impediva.<br />

Combattuta, continuavo a correre sull’asfalto, cosciente dell’attimo trascorso, come trascorso era stato anche l’intero<br />

arco di un anno, quando felice come non mai, vivevo i miei pomeriggi i miei mattini e a volte le serate con la passione.<br />

Proprio per questo, per me la vita è paragonabile ad una tazza di cioccolata calda.. “breve ed intensa”, perché ho sempre<br />

vissuto la felicità a gocce. Sempre correndo, a volte sostando ancora lui! Il suo sapore; non so se definire quella<br />

mezz’ora deleteria o spudoratamente reale!<br />

Tutto sommato, indotta dall’abitudine, ho sempre schiacciato il dolore del cuore facendone lunghe torri.<br />

Nel frattempo che i miei piedi battevano le foglie per terra, vedevo i suoi occhi che mi osservavano; erano felici per<br />

come, risollevandomi, continuavo ad andare, comunque, avanti nella mia vita, reagendo bene e trovando qualcosa su cui<br />

credere, nonostante navigassi nel mare delle mie disillusioni.<br />

Con lui scoprivo ogni giorno parti di me, lati sconosciuti e atteggiamenti caratteriali che mi sorprendevano, difetti che<br />

per riflesso essendo simili, mi costringeva a notare. Per la prima volta non venivo criticata né giudicata, e questo mi<br />

spaventava molto!<br />

Eravamo specchio per entrambi, riuscendo a parlare con lo stesso linguaggio.<br />

Anche distanti l’uno dall’altra ci si riusciva a captare il pensiero, il desiderio, la voglia di quell’abbraccio che ci<br />

mancava nel tempo che passava inutilmente, quando non stavamo insieme.


Sentivo sempre le sue mani da artista sul mio viso, sui miei capelli, avvertendo una sensazione di rilassamento e<br />

benessere. I suoi occhi non li ho mai dimenticati: scuri, profondi, misteriosi, misteriosi come lui, come me, come<br />

misterioso ed evanescente il nostro riflesso. Quel “ti amo” erano boati che il cuore faceva esplodere, non una volta, ma<br />

sempre, in cui la pelle rabbrividiva. Un vero amore! Fatto di molteplici sensazioni, a volte accompagnati da lacrime, a<br />

volte riflessioni, altre dalla paura di amare che trapelava dai nostri occhi. Ma una cosa era certa: mai più avrei<br />

conosciuto un altro uomo come lui…<br />

Ci accomunavano le notti insonni nel silenzio; si! anche quelle; visioni, allucinazioni, e il bisogno di gridare nel buio<br />

della notte il suo nome.<br />

Chi non ha mai sofferto per un abbandono d’amore! E’ un dolore che non ha eguali, chi più chi meno sa cosa voglio<br />

dire.<br />

Ma stavolta, per me, stranamente, anche se ero dentro a tutto questo, proprio perché ho vissuto l’ennesimo abbandono<br />

nonostante le cadute e ricadute, volevo sfidarmi bastonandomi, lottando con me stessa e avendo comunque la coscienza<br />

di chi ha fatto anche l’impossibile, pensando che l’unica cosa da fare era usare i miei sensi. Era inevitabile.<br />

Forse, quando in qualche modo non hai più nulla da perdere, neanche il salvabile, dopo le piccole grandi crisi, sei<br />

costretta dalle circostanze a pensare a te stessa raccogliendo tutto e ricominciando, anzi, continuando da dove si era<br />

rimasti.<br />

Usare i sensi sembra quasi scontato, visto che quotidianamente li utilizziamo per forza maggiore, perché ci servono; le<br />

nostre giornate vengono svolte grazie a cinque sensori e più a cui dovremmo dare molta più importanza! A volte mi è<br />

capitato che avendo avuto problemi agli occhi, anche semplicemente stanchezza o qualche grado in meno, stranamente<br />

avendo avuto da anni 10/10, un po’ di disagio e timore era normale, non pensando che potesse capitarmi. Ma quando<br />

parlo di utilizzare i sensi, voglio dire: dobbiamo crescere! Usarli, accendendo la “luce della mente”. Da qualche parte<br />

abbiamo sentito parlare di “terzo occhio”.<br />

Gli orientali definiscono la mente proprio così, posta al centro degli occhi. Oggi ci poniamo quasi in uno scadente<br />

atteggiamento che giustifichi la nostra vita, in termini di banalità, proprio perché nessuno osa con se stesso, ne ha paura.<br />

Stiamo sempre lì a chiederci “perché”… Questo eterno perché, probabilmente, sapendo o immaginando che la risposta<br />

ci sia. Tutti siamo un po’ vittime della frenesia, della confusione, non è una novità.<br />

Ma anche questo potrebbe esserne una risposta? Io credo proprio di si, e credo profondamente che un po’ tutti ci siamo<br />

sempre trovati a porci la stessa, nei momenti in cui, ritornando da lavoro o da una giornata qualsiasi, avendo compiuto<br />

tutto a dovere, avvertiamo l’ennesima sensazione di vuoto per l’ennesima volta, allo stesso momento, probabilmente<br />

anche alla stessa ora. Usare i sensi vuol dire mettersi in gioco , credere in se stessi e nella propria fiducia, essere<br />

responsabili del rispetto per se e degli altri, andare oltre, non essere vittime del gioco ingannevole altrui, godere del<br />

patrimonio culturale e di ciò che ci offre la natura, che mi risulta abbastanza preziosa! Sinceramente non avrei<br />

immaginato che la profonda respirazione diaframmatici avrebbe anche migliorato il mio atteggiamento mentale.<br />

E’ ovvio che ri-ossigenando e purificando la circolazione sanguigna, anche il cervello ne giova!<br />

Pertanto avviene una profonda padronanza di se stessi, per non parlare dello stretching, questo allungamento muscolare<br />

che ne toglie i traumi, sia anche quelli indotti dalla psiche, liberandocene. Penso che alla fine ci voglia anche poco per il<br />

nostro benessere. Proprio per la durezza della vita, bisognerebbe riuscire a raccogliere da noi stessi la vera essenza, tutto<br />

ciò che ci può rendere degni della nostra felicità.Solo così riusciremo a trovare l’amore, dopo averlo ritrovato in noi.<br />

Nella filosofia e nella musica l’odorato, veniva considerato “la memoria”, l’udito “la ragione”, lo affermavano musicisti<br />

come Mozart, proprio perché attraverso l’orecchio e il naso ci si può ricordare, venendo ri-stimolate le attività cerebrali,<br />

come se in fondo usassimo gli occhi. Ricordo parecchi aneddoti vissuti da piccola, sono anche parecchio fisionomista,<br />

ricordo di chi mi ha voluta ben, chi voluta male, chi mi ha odiata e chi mi ha mandata a quel paese!<br />

Questi, sono anche gli odori del mondo, gli odori della nostra anima, del nostro spirito, che si riuniscono in un unico<br />

abbraccio come la preghiera, come quando parliamo con Dio…Però, penso anche, che a volte non è proprio necessario<br />

che i sensi siano sempre con noi, o meglio, in alcune circostanze, forse, non ne abbiamo mai avuto bisogno.<br />

Per me, ci si potrà ricordare per sempre anche dentro una “stanza buia”, una grande e intensa<br />

storia d’amore…<br />

“Ricordare i suoi occhi, la sua voce, le sue mani, il suo cuore.”


Giurdanella Enza<br />

Con il cuore d’un bambino sordo<br />

Viaggiavamo per la strada che ci avrebbe portato a Biancavilla….<br />

Io mi sentivo immensamente assorta nella magica visione dell’Etna che sembrava volermi abbracciare con la sua<br />

possente maestosità. La sua cima innevata aveva un particolare fascino e i miei occhi erano rapiti dalla sua bellezza e<br />

sembravano non volersi più staccare da quell’immagine; essa sarebbe rimasta per sempre intessuta in quei fili di<br />

memoria, che di tanto in tanto avrei dipanato e riannodato con estrema cura… Lassù l’Etna fiera di sé stessa ergeva la<br />

sua fumante cima avvolta di mistero ed io mi sentivo prigioniera del suo incantato fascino e attratta<br />

dalla sua solenne austerità.<br />

Avrei voluto essere un’aquila reale per raggiungere la sua cima già innevata e sorvolare con lieve fierezza il suo magico<br />

scintillìo. La fissavo con occhio stupefatto e contemplavo il suo imponente aspetto avvolto da ansimante mistero, quasi<br />

a voler inneggiare il suo divino canto.<br />

Di tanto in tanto dall’Etna distoglievo lo sguardo per posarlo su un’altra immagine che aveva, già prima, catturato la<br />

mia attenzione, dando così poco spazio al riposo dei tanti pensieri, che continuavano a galoppare all’impazzata in<br />

accordi di colori e sinfonie di dolci meraviglie. L’immagine a cui mi riferivo era quella di un bambino seduto su<br />

un’incantevole spiaggia, che faceva da splendida cornice ad un libro, donatomi da una persona che sentivo<br />

profondamente vicina a me, pur conoscendola così poco. Essa mi rapì e mi trasmise emozioni che mi avrebbero fatto<br />

raggiungere orizzonti lontani ed ascoltare l’eco di voci a noi così sconosciute…. Forse, avrei saputo cogliere l’eco di<br />

quel grido disperato, o almeno ci avrei provato!!..Quell’immagine, che raccontava una storia ricca di sentimento,<br />

ovattato dal grande dolore della “ diversità “, avrebbe lasciato una traccia<br />

profonda nel mio animo!!...<br />

Mancava ancora un po’ per arrivare a destinazione, ma questo non importava tanto, visto che mi ero rinchiusa in un<br />

mondo in cui stavo vivendo emozioni indescrivibili. Sembrava quasi che la mia anima si fosse staccata dal corpo,<br />

estranea a tutto ciò che in quel momento sembrava superfluo, per accostarsi al luogo in cui si sarebbe svolto l’incontro<br />

con qualcuno veramente speciale….<br />

Mi ritrovai sul litorale di una bellissima spiaggia in cui la sabbia dorata rifletteva il suo splendore ed esaltava le linee<br />

marcate della battigia, sulla quale le onde si smorzavano in giochi di fantasie e un soave sciabordìo le cullava con<br />

dolcezza…L’aria frizzantina accarezzava la mia pelle e onde di vento sfioravano la mia folta chioma dai riflessi ramati,<br />

facendoli danzare alla soave musica dei miei pensieri… Ammiravo il lontano orizzonte e percepivo il mio stupore<br />

davanti alla grandezza di qualcosa che andava oltre ogni meraviglia e mi chiedevo di chi fosse un così grande merito.<br />

Il mio pensiero andava a chi mi aveva dato quel dono di saggezza, di semplicità e d’immensa sensibilità, che mi faceva<br />

assaporare tutto quello che era infinitamente bello e che per me non era scontato, ma solo qualcosa che di volta in volta<br />

catturava la mia attenzione e la racchiudeva nell’incanto d’un immenso amore….<br />

Camminai non so per quanto tempo e senza accorgermene giunsi ad una scogliera che profumava di salsedine. Il sole<br />

era ancora alto e picchiava abbracciando con i caldi raggi la nuda sabbia. Guardavo con incanto mille gabbiani che<br />

volteggiavano nell’azzurro cielo, lasciando una scia di voli, che cantava ali bianche d’emozioni e spargeva nell’aria<br />

chiacchierii di cielo…. All’improvviso vidi la mia ombra accostata ad un contorno che non era il mio; esso mi fece<br />

subito distogliere lo sguardo dai gabbiani e dall’azzurro cielo spalancato su quel mare infinito, per posarsi su di un<br />

bambino che sembrava così triste e pensieroso. Mi guardava come se volesse dirmi tante cose ed io un po’ intimidita dal<br />

suo innocente sguardo distolsi dal suo il mio ed anche lui lanciò i suoi occhi al lontano orizzonte, a cui affidò i suoi<br />

tormenti.<br />

Ad un tratto da lontano si udì chiamare: - Samuel, Samuel torna a casa! – Il bambino non rispose a quell’invito neanche,<br />

quando un ragazzo (credo fosse il fratello) comunicò con lui usando un linguaggio particolare, che io non conoscevo ma<br />

che mi fece comprendere il dramma con il quale era costretto a convivere quel bambino dagli occhi profondi come il<br />

mare. Egli affondò le sue piccole mani nella calda sabbia, chiuse gli occhi, riaprendoli solamente, quando percepì che il<br />

fratello si era allontanato. Mi guardava ancora… Forse avrebbe voluto dirmi tanto, ma le sue labbra riuscivano<br />

solamente a sussurrare qualcosa che per me non aveva né un suono né un senso. Provai ad avvicinarmi ed il mio sorriso<br />

incrociò ancora il suo sguardo, incapace di sfuggirmi… Le mie mani raggiunsero le sue fragili dita che disegnavano<br />

grandi cerchi sulla sabbia dorata. Per ore restammo insieme a guardare l’orizzonte ed al suo tormento m’accostai con la<br />

delicatezza d’una farfalla. Oramai l’avevo conquistato ed egli m’aveva imprigionata nel suo mondo fatto di grandi<br />

silenzi. Alle mie orecchie affidai il rumore delle onde che s’infrangevano sugli scogli e al cuore il compito di donare a<br />

Samuel l’emozione che si provava ad ascoltare quei suoni melodiosi…. La sua piccola mano m’indicò un gabbiano ed<br />

in quel gesto riuscii a leggere i suoi profondi pensieri.<br />

All’amico gabbiano, egli aveva affidato le sue speranze… magari quella di non esser considerato un “diverso”, di non<br />

voler a nessun costo la pietà degli altri, di poter esprimere senza vergogna le emozioni che percorrevano il suo animo,<br />

perché anche Samuel poteva esprimere col cuore ciò che le orecchie gli impedivano di percepire.<br />

Samuel accarezzato dalla sua ombra abbracciava le sue gambe, che erano in grado di correre veloci e palpare la<br />

consistenza di quella sabbia calpestata con la forza d’un guerriero.


Con un cenno m’invitò a correre ed io, immensamente felice, risposi con un sorriso e con un gesto di consenso.<br />

Corremmo non so per quanto tempo fino a perdere quasi il fiato, inseguiti dall’amico gabbiano, rincorsi da un<br />

indimenticabile tramonto e dall’immensa felicità d’esser diventati amici…<br />

I nostri cuori battevano all’unisono scandendo le note di quelle magiche onde che accarezzavano le nostre orme….<br />

Samuel lotterà ancora ed ancora, aspettando sempre di cogliere un sorriso donato a lui con il cuore… il pensiero di chi<br />

insieme a lui vorrà coltivare e dividere un’emozione, perché egli non è un “diverso” ma rende “diversi”…. “liberi<br />

nello spirito”.<br />

Anche il mio cuore aveva aderito perfettamente al suo, come tutti quelli che col cuore d’un bambino sordo riescono ad<br />

ascoltare la grande voce dell’amore.


Iasio Lucia<br />

Virginia<br />

Se provava a chiedersi quale senso poteva avere in quel preciso momento la sua vita sentiva lo stesso smarrimento che<br />

molti anni prima aveva provato all’uscita di scuola, sovrastata dalla frenesia della folla ed in disperata ricerca dello<br />

sguardo materno; tuttavia in quella sera solitaria non erano bastate le confortevoli parole della madre a placare<br />

l’inquietudine. La tortura più grande era la consapevolezza di avere sempre saputo che prima o poi sarebbe arrivata<br />

quella notte insonne il cui unico riparo era la <strong>compagnia</strong> di Baffo, il gatto che qualche anno prima aveva prelevato dal<br />

cassonetto della spazzatura.<br />

Perché non aveva reagito prima, perché si sentiva in colpa, perché si era fatta così tanto del male? Aveva sempre<br />

pensato all’amore come ad una musica con i crescendo e diminuendo, i forti ed i piano, gli accordi melodici e<br />

contrastanti ma mai aveva intuito quel sapore amaro del fallimento; eppure si sentiva svuotata ed inerme come una<br />

fallita. Ancora le risuonavano nelle orecchie le ultime parole “il problema è tuo, risolvilo, sei tu il problema, non io” ma<br />

quando una storia finisce non esiste più alcun problema, in un modo o nell’altro è stato risolto; come avevano fatto ad<br />

ignorare per cinque anni i loro giorni no, le loro risposte taglienti, i loro silenzi? Forse doveva smettere di cercare una<br />

soluzione logica, perché razionalizzare dei sentimenti? Forse doveva solo farsi trascinare da quella tempesta, non<br />

opporsi a quel vortice di rabbia, amore, dolore e sarebbe affiorata con i ricordi più belli.<br />

Si alzò dal letto, ormai rassegnata alle occhiaie del giorno dopo, si sedette alla scrivania nel tentativo di trovare conforto<br />

in un diario segreto, come quando era ragazzina, ma l’unica cosa che riuscì a scrivere fu il suo nome nel centro della<br />

pagina bianca:<br />

Virginia; ebbene si sentiva proprio così, nel mezzo di un vuoto esistenziale.<br />

2.<br />

L’alba arrivò silenziosa mentre lei sorseggiava il caffé, in un paradossale ossimoro ne percepiva la dolcezza gustandolo<br />

amaro; sorrideva pensando che se mai avesse incontrato un uomo capace di comprendere quel sottile piacere allora<br />

avrebbe ricominciato a pensare ad una <strong>nuova</strong> storia, diversa da quella che si lasciava alle spalle, ma per il momento<br />

sapeva di non correre questo rischio.<br />

Spinse tutto ciò che aveva partorito la notte nell’angolo più recondito di se stessa e si preparò ad affrontare un’altra<br />

giornata fatta di un lavoro che non le piaceva, scelto per necessità e così tremendamente lontano dall’immagine che<br />

aveva a quindici anni del suo mondo da adulta; proprio non capiva come era potuta arrivare a quel punto, incastrata tra<br />

un amore sbagliato ed una quotidianità castrante. Con la mente così distratta si vestì tra il rituale serpeggiare mattutino<br />

di Baffo che non le dava tregua fino al totale riempimento della ciotola di croccantini; nonostante quel sano<br />

opportunismo felino il gatto era l’unico essere che riusciva ad acquietare le angosce di Virginia, regalandole quel senso<br />

di pace che aveva provato solo da bambina nelle feste di Natale. Dopo un’ultima occhiata d’intesa con la palla di pelo si<br />

tirò la porta alle spalle e con lo stesso spirito di un guerriero che indossa la propria armatura accese il cellulare. Una<br />

scarica di bip risuonò nella tromba delle scale del palazzo inducendola a pensare che forse non era l’unica a passare le<br />

notti insonni, ed armata di auricolare iniziò il giro di telefonate ai clienti. Tutte le volte che si trovava imbottigliata nel<br />

traffico si chiedeva perché aveva scelto di vivere in città, perché non aveva comprato quel piccolo terratetto in<br />

campagna ma la risposta era sempre la stessa: per amore aveva messo da parte ogni sua esigenza, solo ora capiva di<br />

essere stata la prova evidente di un grande egoismo.<br />

Al semaforo inchiodò, fortunatamente mentre scattava il rosso, perché ciò che aveva innescato l’impulso incontrollato<br />

sul freno della macchina era stato il numero di telefono registrato in un messaggio del cellulare e non il colore<br />

dell’apparecchio stradale.<br />

Quelle cifre per un periodo della sua vita avevano rappresentato tutto: l’amicizia, il conforto, l’amore e la delusione.<br />

Quante cose erano cambiate da allora e niente era riuscito a farle rivivere, nemmeno in minima parte, quell’atmosfera<br />

impalpabile e pura che si creava ogni volta che stavano insieme lei e Matteo, l’unico ragazzo a cui pensava ancora con<br />

un profondo affetto. Il loro era sempre stato un rapporto molto intimo anche se non avevano mai fatto l’amore, cresciuti<br />

l’uno l’ombra dell’altra si scoprirono reciprocamente gelosi a tredici anni ed arrivarono ai diciotto così, oscillando tra<br />

amicizia e baci rubati senza mai chiedersi di più per paura di rovinare un qualcosa di unico e bellissimo, ignari del fatto<br />

che prima o poi sarebbe, comunque, finito. Non si sentivano da quasi un anno, lui aveva accettato un lavoro in<br />

Giappone e Virginia non sapeva altro se non che si trovava bene ed era molto entusiasta di quell’esperienza; non aveva<br />

idea di dove fosse al momento ma fu assalita da un’irrefrenabile voglia di vederlo e stare ore a parlare con lui come ai<br />

vecchi tempi. Allo scattare del verde ripartì, con un leggero batticuore che si tramutò in rabbia non appena vide quel<br />

nome sul display del telefonino, non capiva perché continuasse a cercarla nonostante non avessero più niente da dirsi,<br />

ormai c’era stato l’addio definitivo, quello che non fa tornare più indietro e lei era decisa a recuperare se stessa dopo<br />

anni di smarrimento volontario; un tepore si diffuse sul volto fino a bagnarle di sale le labbra, così si ritrovò a piangere,<br />

sola e piena di rancore verso quei particolari che riuscivano con troppa facilità ad incrinarle l’animo. Per istinto si<br />

aggrappò all’unico antidoto in grado di non farla precipitare nell’angoscia più profonda selezionando un cd<br />

dell’autoradio, come fumo impercettibile le note le riempivano il cervello entrandovi dagli occhi, dal naso, dalle


orecchie, dalla pelle senza chiedere permesso, implacabili tutte le volte si impossessavano del suo senno e del cuore<br />

infondendole quel precario ma unico coraggio che la spingeva a fendere il giorno come l’aratro la terra. In uno stato di<br />

trance passò le successive tre ore svolgendo il proprio lavoro finché riapparvero quelle cifre familiari, inaspettatamente<br />

temporeggiò nel rispondere, non sapeva che dire, si sentiva come a quindici anni, trepidante ed insicura ma alla fine le<br />

esplose dalla gola la voce – Matteo…ciao Matteo, come stai?<br />

Matteo la conosceva abbastanza bene, dopotutto, e non tardò a soccorrerla – ciao bellezza, stasera esci con me? – Dio<br />

da quanto tempo non sentiva quel velluto di parole, da quanto qualcuno non riusciva a farle fare un sorriso con un<br />

semplice, banale invito – non perderei quest’appuntamento per nulla al mondo – Virginia sorprese se stessa<br />

nell’ascoltarsi tranquilla e l’unico pensiero che ebbe, terminata la conversazione con Matteo, fu di andare da Gaia, per<br />

lei la sola vera fonte di saggezza. Quando l’amica la vide intuì un turbamento diverso dall’inquietudine che<br />

l’attanagliava nell’ultimo periodo e non appena Virginia terminò di vomitarle le sue ultime dodici ore reagì stupita –<br />

non vedo che problema ci sia nel cenare con Matteo! – nel silenzio dell’attesa le orecchie di Gaia sentirono la frase che<br />

mai avrebbero creduto di ascoltare – lui non sa della mia omosessualità.<br />

La sera sparse un odore frizzante nell’aria che Virginia non sentiva da tempo, seduta ad un tavolo con l’unico uomo<br />

della sua vita aveva l’impressione di vivere in un film, “perché gli ho celato la verità?”, questa domanda la restava<br />

sospesa in testa come una melodia che non trova il proprio compositore; lui le accarezzava il viso con il suo sguardo<br />

vivace, quante volte lei era stata complice di quel sorriso furbo ma ora si sentiva ingannatrice e bugiarda, non poteva<br />

continuare a far finta di niente. Matteo sferrò il primo chiedendole che fine avesse fatto quel fidanzato così misterioso<br />

da non essersi mai presentato in cinque anni e gli bastò la piccola inclinazione della bocca di Virginia per capire di aver<br />

fatto la domanda sbagliata ma lei non gli diede il tempo di rimediare rispondendo – è uscito dalla mia vita perché<br />

riusciva a far venire fuori solo il peggio di me. Quel tono di voce era nuovo per lui, così fermo, deciso, da donna adulta<br />

– sai, Matteo, credo che dovresti conoscere almeno il nome anche se forse non ti piacerà: si chiama Maria. Il suono di<br />

quelle lettere gli arrivò come un proiettile alle orecchie e solo in quell’istante capì quanto aveva rischiato di perderla,<br />

mentre lui collezionava notti di piacere e frugali amori lei amava un’altra senza paure, senza condizioni, senza regole e<br />

sapeva bene quanto Virginia riuscisse a toccare le più intime corde dell’animo.<br />

Si guardarono per lunghi minuti silenziosi in un reciproco timore di ferirsi, finché riaffiorò l’antica complicità e l’adulta<br />

consapevolezza di non essersi mai persi, di non essersi, in fondo, mai traditi.


Giuseppe Leggio<br />

FILANTROPIA ?<br />

É notte. Piove sottile, di una pioggia leggera, fredda, di fine inverno. L’uomo cammina con fare lesto. Ha fretta. Le<br />

gambe muscolose, il petto, le spalle ampie di chi passa i pomeriggi tra manubri e attrezzi di palestre negli scantinati dei<br />

palazzi; veste di nero, come la notte e dal volto coperto dal passamontagna traspare uno sguardo vitreo, azzurro, di<br />

ghiaccio.<br />

Sa che quella sarà un’altra notte lunga da passare e per questo trema un po’ per la tensione e la paura di non essere in<br />

tempo. Stringe forte le mascelle per serrare una smorfia di rabbia, è sempre preciso nel suo lavoro e anche stavolta non<br />

vuole essere da meno.<br />

Si calma e il respiro si quieta quando vede le luci in lontananza, sono le due, e si compiace con se stesso per l’ennesima<br />

puntualità.<br />

La razionalità lascia il posto alla lucida ferocia, il predatore che sente l’odore della preda, la bestia che lo possiede ha il<br />

sopravvento. Si avvicina silenzioso e spietato, scruta dalle finestre appannate per il vapore, la situazione all’interno del<br />

bar. Lui è solo, vulnerabile, anziano, stanotte la caccia sarà facile, pensa. A quella ora Teo è solito fare le pulizie, sposta<br />

con cura i tavoli e le sedie, spegne i videogame roventi dopo una giornata di onorate battaglie spaziali, stacca la luce<br />

dell’insegna luminosa come per dire “sono chiuso” e armato di scopa e mocio, spazzola e lava tutta la saletta del suo<br />

piccolo locale, il suo mondo, la sua dimensione di vita, la sua tomba da lì a poco.<br />

Ha passato gran parte della sua esistenza dentro un buco a metà tra un magazzino arrugginito e un autogrill di provincia,<br />

è stato tra i primi ad aprire un’attività del genere in quel posto più di quaranta anni prima, abbagliato dall’attrattiva del<br />

luogo e dalle gambe di una ragazza, Gioia, la sua donna per tanto tempo. Era conosciuto così per il caffé espresso, il<br />

migliore del circondario, le cioccolate poi, erano la sua specialità: con la panna, bianche, brune, fumanti e dense, una<br />

vera goduria.<br />

Poi tutto era passato, Gioia se ne era andata per sempre e lui si era fatto vecchio, il bar lavoricchiava come al solito ma i<br />

giovani oggi preferiscono andare al pub dove si beve birra neozelandese e si ascolta musica all’avanguardia non quella<br />

di un vecchio Juke-box impolverato che dà solo canzoni antiche di un decennio!<br />

Quella giornata era scorsa come al solito, qualche passante, poche consumazioni, le bollette da pagare e il sogno di una<br />

vincita infranto, come sempre, dalle manine di un bimbo in un’urna, alla televisione. Si era chiesto molte volte, ed<br />

anche la notte prima, il senso del suo vivere, del suo andare avanti e altrettante volte la risposta era stata il silenzio, il<br />

nulla. Quando c’era Gioia tutto era diverso, lei era la sua spalla forte e lui su di essa vegetava come un rampicante su un<br />

albero, ma ora si sentiva vuoto, inerme, incapace di lottare contro il mondo; quella notte pregò Dio che lo facesse<br />

morire e Dio o qualcun altro esaudì la sua preghiera. Un attimo e l’uomo gli è sopra, come un pitone si avvinghia con le<br />

braccia possenti sul suo collo, e per un attimo Teo vede negli occhi l’angelo, sorride perchè riconosce il suo sguardo: lo<br />

sguardo della morte.<br />

Il secco schioccare delle vertebre cervicali risuona nello stanzone ancora bagnato e odorante di candeggina, l’uomo<br />

adagia delicatamente il corpo su una sedia e ancora ansimante per lo sforzo guarda in faccia il barista, ‘ a questo<br />

vecchio’ - pensa - ‘non è dispiaciuto morire, anzi qualcosa mi dice che l’ho liberato dal demone che gli rodeva dentro’.<br />

Due ore dopo, nel segreto del suo nascondiglio, l’uomo piange.<br />

‘Ancora una volta ho placato la mia sete di sangue e di giustizia verso un mondo assurdo, ho ucciso ancora e per ora il<br />

mio spirito è sereno, ma fino a quando? Fino a quando la bramosia di ammazzare riposerà dentro di me?<br />

Annego anch’io in giorni sempre uguali, in notti senza sonno, stronco il dolore degli altri per attutire il mio e per questo<br />

mi chiedo: dal mio demone chi mi libererà? ’.


Piazza Antonio<br />

Il vecchio che voleva vedere il mare<br />

“Il mare è come un lago immenso, non se ne vede la fine”. Il giovane Mehmet, cercava di descrivere al nonno Umit di<br />

ottantacinque anni, quel mare che l’anziano aveva sempre sognato e che mai aveva potuto raggiungere.<br />

Non era consueto né facile, negli anni trenta, da Konya, al centro dell’Anatolia, arrivare alle coste dell’Ak Deniz, il<br />

mare bianco, come i turchi hanno ribattezzato l’antico Mare Egeo. Pochi l’avevano visto e ne parlavano con l’orgoglio<br />

dei privilegiati agli amici che ne chiedevano tutti i particolari. Fra questi, Mehmet che era appena tornato da Izmir,<br />

l’odierna Smirne, dove aveva prestato il servizio di leva nella Marina turca.<br />

“Ho visto il mare soltanto in fotografie, in dipinti; me ne hanno parlato in tanti, viaggiatori, pescatori, abitanti<br />

provenienti da città sul mare”, diceva l’anziano Umit. “Mi è stato narrato di odore di salsedine, del suo colore sempre<br />

diverso, ora verde smeraldo, ora blu cobalto, ora color turchese……del suo continuo mormorare e di navi<br />

grandissime”.<br />

“Un gigante sempre vivo, calmo e rassicurante quando è in quiete, dalle onde enormi e minacciose quando è provocato<br />

dai venti di bufera. La sua voce, ora è dolce e carezzevole, ora è ruggente e minacciosa. E tutto questo sa di libertà”.<br />

Concluse Mehmet.<br />

“Vorrei morire solo dopo aver visto il mare, dopo aver immerso il corpo nelle sue acque, stretto nel suo abbraccio”.<br />

Da Konya, la loro città, la vecchia corriera viaggia verso Antalya, a circa duecentocinquanta chilometri, sulla costa<br />

dell’Ak Deniz. Mantenendo una promessa fatta da tempo, Mehmet ha deciso di esaudire il più grande desiderio del<br />

nonno. In una valigia ha messo l’occorrente a entrambi per il viaggio. A parte, due tappetini per la preghiera e, protetto<br />

in una lunga scatola cilindrica di cuoio, il suo Ney, il flauto di canna.<br />

Una piatta e sterminata distesa di colore ocra, riarsa dal sole estivo, priva di ogni forma di vegetazione, si offre agli<br />

occhi di Mehmet e del vecchio Umit.<br />

Incollato al finestrino, sul volto un sorriso appena accennato, il vecchio immagina ciò che quella piccola, grande<br />

avventura gli riserverà al suo arrivo al mare.<br />

Vede scorrere la brulla distesa piana che si ripete sempre uguale, a perdita d’occhio. Mehmet osserva il nonno che<br />

guarda assorto quel deserto: “Il mare è milioni di volte più esteso, puoi vedere le sue acque a perdita d’occhio e le navi<br />

trasportano migliaia di passeggeri e li portano lontano…..in terre mai viste.”<br />

Le parole del giovane hanno un potere evocativo. Poco a poco un suo viaggio mentale si sostituisce a quello reale. Umit<br />

non vede più il paesaggio: a quella distesa desertica sovrappone il suo mare immaginario che ora solca su di un veloce<br />

caicco. Il ricordo del mare è legato però ai racconti ascoltati qua e là e alla fugace visione di vecchie foto in bianco e<br />

nero. Per quanti sforzi faccia la sua fantasia, cercando di dare un colore ai suoi ricordi, quel mare resta grigio e non lo<br />

entusiasma.<br />

Il vento infuocato, che entra dai finestrini per metà abbassati della corriera, fa quasi mancare il povero Umit che rientra<br />

dal suo viaggio immaginario.<br />

“Yuruldum, sono stanco. Credo di non poter resistere fino ad Antalya”, dice al nipote. “Dove siamo adesso?”<br />

“Ci troviamo a pochi chilometri da Beysheir, lì c’è un grande lago e potremo ristorarci in qualche chalet sulla riva”.<br />

Il paesaggio, impercettibilmente, comincia a mutare. Una bassa vegetazione fa, timida, una prima apparizione; poco<br />

dopo ecco un solitario alberello. Man mano che la corriera procede, rade abitazioni cominciano ad apparire ai lati della<br />

strada.<br />

Più avanti, si fanno notare dei campielli coltivati con cura dentro i loro recinti di canne intrecciate. L’aria calda adesso<br />

si mescola al vento che porta la frescura del lago assieme al suo tipico odore che sa di muschio, di canneti, di acqua<br />

stagnante.<br />

Questo soffio rianima Umit.<br />

Manca circa mezz’ora a mezzogiorno, l’ora della seconda preghiera. La corriera si arresta vicino al lago ed i passeggeri<br />

scendono per una pausa. Il luogo è tutto un’esplosione di rigogliosa vegetazione.<br />

Una grande oasi di pioppi, salici piangenti e querce, accoglie i nuovi arrivati.<br />

Dei contadini vendono per pochi kurush, pochi centesimi, frutta di tutti i tipi; ragazzini, col tipico vassoio pieno di<br />

bicchierini di tè, dalla caratteristica forma a tulipano, richiamano l’attenzione cinguettando: “Ciay, ciay” e fanno la<br />

spola tra gli avventori e la “Lokanta”, il locale vicino, dove di continuo si prepara il tè ed il “cahvè”, il caffé alla<br />

turca. “Ci sediamo a fare uno spuntino?”, chiede al nonno Mehmet.<br />

“Prima portami in riva al lago, non ne ho mai visto di così grandi”.<br />

Il giovane acconsente; con il nonno Umit che si appoggia al bastone, a passi lenti raggiunge la riva.<br />

“Il mare è come un lago immenso, non se ne vede la fine”.<br />

Il vecchio gira intorno lo sguardo, cerca la sponda opposta che, per la vastità del lago, non è visibile. Inspira<br />

profondamente l’aria, forse cercando un profumo diverso, il profumo di salsedine. Appare deluso; gira su se stesso:<br />

“Andiamo!” dice.<br />

Mehmet, avvistato un tavolino all’ombra, vi si dirige adeguando il suo passo a quello lento del nonno. Lo prende<br />

sottobraccio e, arrivati, lo aiuta a sedersi.<br />

In attesa di venir serviti, il giovane posa la sua mano su quella rugosa di Umit, la carezza con affetto, poi guarda il<br />

nonno con un sorriso di complice partecipazione alla sua felicità. Umit risponde allo sguardo del nipote anch’egli con


un dolce sorriso che, come spesso avviene alle persone nella tarda età, persiste a lungo sul suo volto prima di spegnersi.<br />

Quello scambio di sguardi vince la differenza tra generazioni, fa parlare direttamente i due cuori senza l’ostacolo della<br />

parola.<br />

“Merabà Amgia, buongiorno Zio”, saluta con rispetto un ragazzino, accostandosi col suo vassoio colmo di bicchieri di<br />

tè. Senza dire altro, ne posa due sul tavolino e si allontana. Mehmet avvicina al nonno uno dei due bicchieri di tè col<br />

piattino sul quale stanno il cucchiaino e due immancabili zollette di zucchero.<br />

Sorbiscono il tè lentamente, poi Mehmet si fa portare due porzioni di Kahvaltè, la prima colazione, qualcosa per<br />

rompere il digiuno senza appesantirsi troppo: “Beyaz peinir”, formaggio bianco, simile alla “feta” greca, ben nota in<br />

Italia, e “siyah zeitin”, ulive nere, con alcune fettine di “kzartmish ekmek”, pane tostato, e altro tè da sorseggiare.<br />

Immancabile, alla fine, il caffé alla turca.<br />

Dieci minuti a mezzogiorno. Da lontano, dalla cima del minareto, il Muezzin chiama i fedeli alla moschea. Mehmet<br />

lascia delle monete sul tavolino, aiuta il nonno ad alzarsi: “E’ l’ora della preghiera”, dice. Umit assente con un cenno<br />

del capo.<br />

Non andranno fino alla moschea, lontana e faticosa da raggiungere a piedi per il vecchio. Scelto un luogo adatto, quasi<br />

sulla riva del lago, il giovane stende i tappetini da preghiera, orientandoli in direzione della Mecca. Anche se non è<br />

prescritto, quando si prega all’aperto, sia lui sia il nonno si tolgono le calzature per provvedere al lavaggio dei piedi. In<br />

vero, è anche un’occasione per godere del refrigerio che procurerà loro l’immersione delle estremità nell’acqua fresca. I<br />

due siedono su di un grosso sasso sulla riva del lago. Mehmet sa che il vecchio ha difficoltà ad arrivare a toccarsi i<br />

piedi, così lo previene: “ Nonno, lasciate fare a me”.<br />

Terminata l’operazione, egli si asciuga i piedi, ripete la stessa cosa col nonno strofinandoglieli vigorosamente per<br />

ravvivarne la circolazione. Calzate delle pantofole e raggiunti i tappetini, i due iniziano a pregare.<br />

Il tempo della preghiera è terminato. L’autista suona il clacson della corriera per avvertire i passeggeri che si riprende il<br />

viaggio. Il mezzo riparte, ma Umit e Mehmet hanno deciso di restare a terra. Non lontano c’è l’unico modesto<br />

alberghetto del luogo. I due si tratterranno fino al giorno dopo, quando riprenderanno il viaggio verso il mare.<br />

Mehmet affitta una stanza a piano terra per non far affaticare con le scale il vecchio nonno.<br />

“Volete che vi prepari da mangiare?” chiede il proprietario.<br />

“Cosa volete mangiare?” chiede Mehmet al nonno. Poi conoscendo i gusti e senza attendere risposta: “Se ci può far<br />

mangiare del Kebap, agnello alla brace, con “pilav” e un’insalata karashik, mista, e dello yogurt, ci fa felici entrambi”.<br />

Dice stringendo a sé, per le spalle, Umit.<br />

“Adesso però è ancora presto, vorrei far riposare mio nonno per un’oretta”.<br />

Umit riposa. Mehmet, che non è per nulla stanco, estrae dalla custodia il suo ney. Ha imparato a suonarlo da suo padre<br />

che accompagnava sempre i Dervisci rotanti durante i loro riti e per alcuni anni l’aveva anche sostituito.<br />

Va fuori, per non disturbare il sonno del vecchio, e suonando sommessamente si avvia al lago.<br />

Nel sonnoveglia del riposo, forse sollecitato dalle lontane note del ney di Mehmet, Umit ricorda di quando, fino ad una<br />

decina di anni addietro, egli apparteneva all’Ordine dei Dervisci rotanti ed era un abilissimo danzatore Sufi.<br />

Mehmet è giunto a metà strada tra la locanda ed il lago. Ormai può dare libero sfogo al suono del suo ney, sicuro di non<br />

disturbare il riposo del nonno. Giunto sulla riva, gli sembra di trarre suoni nuovi, mai sentiti né eseguiti prima d’allora,<br />

forse suggeriti dalla grande distesa d’acqua. Non riesce a controllare le sue dita che agili scorrono sulla canna, mentre il<br />

soffio non è più il suo, sembra davvero l’afflato divino.<br />

La figura di un vecchio appare sull’ingresso della locanda. E’ Umit, che procede lentamente aiutandosi col bastone. Le<br />

sue orecchie hanno sentito, anche se impercettibile, quel richiamo melodioso. Mentre procede, il suono lo richiama<br />

all’antico rito.<br />

I suoi piedi iniziano a sciogliersi, ripropongono dei passi di danza a lungo tenuti in letargo; accenna un tentativo di<br />

rotazione, goffo, con le braccia che, allargate, sembrano minacciare col bastone. Lo lascia volar via, sente di non averne<br />

bisogno: adesso un impulso vitale gli ha ridato un vigore inusitato e può raggiungere senza impedimento il nipote che,<br />

tutt’uno col suo ney, come interpretando i sentimenti dello strumento, si scatena in un’esecuzione frenetica.<br />

Umit raggiunge un grosso scoglio piatto sulla riva, vi sale agilmente e, seguendo il suono di Mehmet comincia a ruotare<br />

lentamente su se stesso. Assume la rituale posizione delle braccia e della testa e volteggia. Adesso è il lago a girargli<br />

intorno. Gli sembra di venire risucchiato da un vortice, per poi rimbalzare in alto. Il ritmo del Ney incalza, lo spinge<br />

verso i più alti gradini dell’estasi. L’aria, ricca del profumo della salsedine, gli sferza il viso inebriandolo ed egli<br />

s’avvita nell’aria. Lo scoglio diventa un promontorio. Da lassù può ammirare finalmente l’Oceano nella sua interezza.<br />

La sua superficie è di un colore mai visto né immaginato prima. Vede le isole dell’Ak Deniz, vicine da poterle toccare,<br />

e poi ancora tutto un movimento di imbarcazioni, grandi e piccole.<br />

Il ney ha ceduto il suo ruolo agli strumenti naturali.<br />

Il frusciare del vento, la voce del mare, il verso dei gabbiani si uniscono per comporre una melodia della natura che<br />

canta di libertà assoluta.<br />

Il sole, con i suoi riflessi dai bagliori accecanti, lo attira a sé e finalmente, librato senza peso nell’aria, Umit percorre<br />

tutto il mare in un volo rapidissimo; e quanto più in lui è veloce, tanto più l’oceano s’ingigantisce. Ed egli adesso può<br />

abbassarsi fino a sfiorarlo, può far scorrere le dita della mano sulla sua superficie spumeggiante, inebriarsi del suo<br />

fragore, inspirare a fondo l’aria intrisa di salsedine.<br />

Non sa Umit quanto tempo è passato. Minuti, ore, forse un’eternità.


Il concerto della natura accenna ad affievolirsi e si fonde col suono del ney di Mehmet che riprende vigore. Umit lo<br />

sente: è come un richiamo a rientrare.<br />

Malvolentieri egli dà fine al suo volo e, come una piuma,lentamente si posa sul promontorio.<br />

Onde, gigantesche sembrano voler scalare la rocca in un susseguirsi di assalti.<br />

Umit le guarda senza alcun timore e fiducioso, col pensiero, le invita a sé.<br />

La più vigorosa, finalmente, lo raggiunge, rallenta la sua corsa, con un braccio enorme lo avvolge e, come una grande<br />

madre premurosa, dolcemente lo trascina via.


Piazza Francesca<br />

Una verità incredibile<br />

L’anziana signora era troppo stanca e dolorante, così preferì rimanere in macchina ad attendere che il marito uscisse dal<br />

supermercato.<br />

La mattina era piuttosto calda, un delizioso venticello denunciava una primavera avanzata riempiendo l’aria d’intensi<br />

profumi agresti e regalava agli animi attenti sensazioni già conosciute, sottili brividi di quelle piacevolezze godute negli<br />

anni della gioventù.<br />

Piacere di soffermarsi ad ammirare un cielo azzurro, di aspirare gli acri odori dei campi di godere del frastuono<br />

gradevolissimo degli uccellini sui rami, il profumo delle zagare in fiore e quello più intenso del gelsomino arabo,<br />

capace d’inebriare, quasi stordire!<br />

Vera, l’anziana signora sussultò a tali pensieri; si chiese se non stesse andando oltre con la fantasia nei suoi ricordi, si<br />

compiacque però ugualmente, di riconoscersi appartenere a quella forse limitata sfera d’animi attenti, e quindi provare<br />

alla sua età, quei brividi di pacata beatitudine che appagano la mente e scaldano il cuore.<br />

Rapita per quel benefico piacere di sentirsi viva sospirò, poi socchiuse gli occhi adagiò mollemente il capo all’indietro<br />

sullo schienale e diede vita ai suoi teneri ricordi, infine respirò a pieni polmoni quella dolcissima aria carica d’essenze.<br />

Dopo alcuni istanti, ancora pervasa da un languido torpore, schiuse gli occhi pian piano… Fu così che vide il possente<br />

albero frondoso locato nella parte finale del vasto parcheggio.<br />

Vera non si sa perché ne fu attratta, l’osservò intensamente, le apparve maestoso, magnifico! Subito dopo si accorse di<br />

un allampanato smilzo lampione grigio posto vicinissimo al suntuoso albero: le apparve squallido, misero, triste; Vera<br />

pensò che volesse nascondere la sua pochezza tra le rigogliose fronde del suo magnifico vicino, quasi si vergognasse di<br />

essere posto accanto a tanta bellezza.<br />

Improvvisamente senza rendersene conto, prese ad apostrofare il povero lampione con accenti che apparvero<br />

sconosciuti alle sue stesse orecchie: “Come osi tu, squallido arnese, stare accanto a tanta possanza? Che ci fai? Non ti<br />

accorgi di essere in un posto sbagliato? Vorresti far credere che la pallida luce che tu arrechi possa darti il diritto di stare<br />

vicino a questo magnifico esemplare? Fossi in te farei di tutto per andarmene”!<br />

Il povero lampione parve arrossire, la sua già sbiadita e screpolata vernice sembrò scolorire e sgretolarsi ulteriormente<br />

in un sussulto di sofferenza, ad un tratto emise una flebile e timida vocina e disse:” Mia cara povera signora, non è da te<br />

parlare così dei più miseri ed afflitti, tu che conosci la sofferenza dovresti capire e tollerare meglio d’ogni altro le<br />

disparità, le ingiustizie!<br />

Io sono qui, perché degli uomini mi cinsero ed imbracarono per collocarmi dove tu mi vedi, accanto a quest’altezzoso<br />

albero; faccio il mio dovere fornisco luce e chiari sentieri ogni sera favorendo le persone che passano evitandone gli<br />

inconvenienti dell’oscurità”.<br />

Vera non parve turbarsi alle sommesse parole dell’umile lampione, alzò le spalle e riprese a contemplare l’oggetto della<br />

sua ammirazione. Rimase molto tempo in silenzio poi rivolse all’albero il suo dire; questa volta assunse un tono<br />

dolcissimo carezzevole e cominciò: “Ti ho tanto osservato e ora vorrei esprimerti tutto il mio compiacimento per la tua<br />

bellezza, che sarà sicuramente pari alla tua bontà ed alla tua generosità”.<br />

Continuò ancora con accenti densi d’enfasi: “ Tu che svetti in alto, che offri la tua chioma quale rifugio ai teneri<br />

uccellini ospitandone i nidi, che offri ombra e ristoro con le tue rigogliose fronde a passanti stanchi ed accaldati, il più<br />

delle volte affranti e curvi per il peso degli anni o degli affanni, tu hai tutta la mia ammirazione, quando sembri voler<br />

tendere i tuoi capaci e robusti rami come per abbracciare e proteggere il viandante che soffre, quando lo stormire delle<br />

tue foglie sembra voler confortare gli animi turbati, quando il loro argenteo luccichio ricorda lacrime di tenerezza e<br />

altresì lievi sussurrii di lode e compiacimento per gli animi lieti e sereni”!<br />

Dopo aver rivolto queste parole al tanto ammirato albero, cercò di uscire dalla macchina per raggiungere il posto più<br />

vicino ad esso, purtroppo non vi riuscì, le sue povere gambe cedettero e dovette <strong>nuova</strong>mente adagiarsi sul sedile della<br />

macchina.<br />

Il desiderio di recarsi il più vicino possibile al tanto magnificato albero era troppo forte così volle ritentare, ma fu<br />

inutile.<br />

Una profonda mestizia la colse, e con essa un profondo torpore… Fu allora che udì una voce robusta e profonda che<br />

l’apostrofò quasi con insolenza: “ Tu che mi hai tanto incensato credi proprio d’essere tanto sapiente ed infallibile<br />

conoscitrice degli esseri viventi? Credi realmente che tutto ciò che hai pensato e detto di me sia pura verità? Cosa sai di<br />

me, dei miei pensieri del mio modo di essere, del mio modo di pormi agli altri? Credi e pensi proprio che stare piantato<br />

qui, giorno e notte, sotto un sole cocente d’estate ed in inverno esposto alle intemperie, in balia della pioggia e del vento<br />

dei fulmini che squarciano la mia chioma, sia un piacere per me? Credi sia un diletto dare ospitalità a ciarlieri noiosi<br />

uccelli che turbano il mio riposo sporcano i miei rami? Sopportare il brulichio d’eserciti di formiche che senza tregua<br />

percorrono il mio tronco rendendomi impossibile la quiete e il sonno? E no, è ora di finirla con la solita sdolcinata<br />

retorica che vuole noi, poveri alberi, creature magnanime e devote sottomesse al servizio ed al benessere dell’uomo! Se<br />

ciò avviene è perché lo ha deciso la natura, quella stessa natura che si occupa e decide della sorte degli uomini”!<br />

A queste inverosimili dure parole, Vera sembrò destarsi da un lunghissimo torpore.<br />

Confusa ed allibita impallidì. Improvvisamente temette di essere stata lei stessa a dare vita a qualcosa d’immorale.


Ripensò alle parole rivolte al misero lampione, riudì la sua umile gentile risposta, fu assalita da un tremendo senso di<br />

colpa e se ne vergognò profondamente.<br />

Le parve udire urlare il suo inconscio rimproverarle di avergli permesso che si scindesse in due parti: una vigile e<br />

attenta, coerente ad una legge morale, l’altra subdola, torbida quasi blasfema.<br />

E lei non volle intervenire o non ne fu capace: lasciò che una si sovrapponesse all’altra, permettendo quel contrasto<br />

interiore, quel groviglio di contraddizioni che a volte fa sì che la parte vigile attenta alla sua rigida morale possa uscirne<br />

sconfitta.


Rossi Rodolfo<br />

Il re dei re<br />

C’era una volta un asino.<br />

Avanzava con passo stanco, trascinandosi il peso degli anni, più pesante di qualunque fardello avesse mai portato. IL<br />

sentiero sul quale procedeva, discendeva lentamente verso la pianura e si immetteva, insieme ad altre piccole stradine,<br />

nella via larga e polverosa che si perdeva in fondo alla valle.<br />

L’uomo che lo conduceva, avvolto in una veste lacera e pesante, avanzava lentamente, trascinando i sandali sulla sabbia<br />

e strattonando l’animale ogni volta che questi rallentava il passo.<br />

Entrambi, l’uomo e l’animale, apparivano incerti, quasi svogliati: chi li avesse osservati avrebbe potuto leggere la<br />

stanchezza, nei gesti affaticati del padrone, e immaginare la paura nel passo cauto dell’asino.<br />

Ma gli uomini non sanno quello che c’è nella mente degli animali.<br />

L’asino infatti non aveva paura. Intuiva vagamente, con l’acutezza dell’istinto che governa tutte le bestie, cosa lo<br />

aspettava in fondo alla via: l’edificio di pietra bianca che appariva lontano, dai contorni incerti attraverso l’aria<br />

surriscaldata dal sole del primo pomeriggio, era circondato da larghi recinti di legno, affollati di animali inquieti o<br />

rassegnati. Dai vari sentieri che confluivano nella valle scendevano contadini, allevatori, artigiani e conducevano al<br />

mattatoio le bestie che non avevano potuto vendere al mercato, troppo vecchie logore per poter continuare a servire<br />

l’uomo o ad arricchire gli allevamenti. Mucche, cavalli, somari, come gocce di pioggia che, scendendo da mille torrenti<br />

dai fianchi di una montagna, confluiscono nel fiume e da lì, inesorabilmente, finiscono in mare, procedevano lenti verso<br />

il loro comune destino, qualcuno offrendo talvolta qualche vana resistenza, qualcun altro muto e rassegnato, altri ancora<br />

unendosi al coro disperato di ragli e muggiti, per sfogare in qualche modo l’oscuro timore della fine imminente.<br />

Ma l’asino no. Ad ogni passo mosso verso la fine della strada, la sua mente ripercorreva un momento della sua vita,<br />

come se camminare a ritroso nel suo passato potesse dare un significato al suo così breve futuro. Ricordava, la bestia, la<br />

soma che aveva trasportato per i sentieri polverosi, le strade di montagna, le vie lastricate dei villaggi: a volte così<br />

pesante da piegargli le zampe e schiacciargli tutta l’aria nei polmoni, tanto da rendere insopportabilmente doloroso<br />

anche il più piccolo passo. Ricordava le mani callose del contadino che lo tirava attraverso i campi fangosi, sentiva nelle<br />

narici l’odore fresco della foresta bagnata e il fardello, ingombrante ma in fondo leggero, delle fascine di legno caricate<br />

sulla sua schiena. Ricordava la polvere bianca, dal sapore dolce, che gli impastava il muso sudato mentre trascinava le<br />

ruote di pietra della macina lungo interminabili sentieri circolari. Sentiva sul fianco lo sferzare della frusta che il<br />

commerciante impaziente usava perché tirasse più rapidamente il carro ingombro di mercanzie e la carezza affettuosa<br />

della mano del pastore, con il quale aveva condiviso i lunghi giorni d’estate sui pascoli di montagna.<br />

Molte notti le aveva trascorse nel caldo della stalla, stretto ad altre bestie per ripararsi dall’inverno. Altre le aveva<br />

vissute da solo, bagnato dalla pioggia, legato ad un albero o sotto un riparo di fortuna. Il cibo non gli era mai mancato:<br />

ancora davanti agli occhi aveva il giallo del fieno che riempiva la sua greppia o l’arancio vivo delle carote che il figlio<br />

generoso di qualche padrone aggiungeva al suo pasto quotidiano. Qualche volta aveva sofferto la fame ma benché la<br />

pelle fosse sempre stata tesa sulle sue costole ben in evidenza, non era la preoccupazione del cibo che aveva segnato la<br />

sua vita di lavoratore. Aveva servito molti padroni: erano stati buoni con lui, lo avevano accudito con affetto e<br />

accarezzato talvolta sul muso. Altri lo avevano spesso picchiato, sfogando su di lui la rabbia per una vita di fatiche,<br />

come se lui stesso ne fosse stato la causa piuttosto che una vittima. Gli uni e gli altri, i buoni e i cattivi, egli aveva<br />

servito docilmente. E tutti avevano interpretato la sua mitezza come ottusità o rassegnazione.<br />

Ma gli uomini non sanno cosa c’è nell’animo degli animali. L’asino non era una bestia ottusa, e neanche rassegnata alla<br />

sua vita di fatiche. L’accettava semplicemente, così come accettava il sorgere del sole ogni mattina. Né provava<br />

sentimenti di rabbia o di ribellione verso gli uomini che gli imponevano un’esistenza faticosa. Certo non ne sapeva il<br />

motivo, ma se avesse potuto ragionare avrebbe pensato che ognuno ha il suo posto, su questo mondo, e il suo compito.<br />

E benché un asino non sia un animale intelligente, in qualche remoto angolo della sua coscienza, se gli animali hanno<br />

una coscienza, c’era la consapevolezza che anche la sua vita aveva un senso diverso, quasi superiore alle faticose ore<br />

della sua giornata.<br />

Ma tutto questo non traspariva dallo sguardo fisso della bestia: passo dopo passo l’asino e il padrone erano giunti alla<br />

via principale e si univano al flusso di uomini e animali che si avvicinavano all’edificio di pietra bianca.<br />

Giungeva da un sentiero sulla destra un vecchio contadino: l’uomo, appoggiandosi ad un bastone, conduceva al macello<br />

un grosso bue marrone, magro ed evidentemente vecchio, ma ancora imponente con la sua mole massiccia e le lunghe<br />

corna affusolate. La bestia aveva lo sguardo tipico degli individui della sua specie:gli occhi, grandi e miti, riflettevano,<br />

come uno specchio deforme, le figure che si muovevano intorno a lui cosicché, attraverso il suo sguardo assente, la<br />

realtà appariva mutata, inverosimile, a volte irreale.<br />

Quando anche il bue raggiunse la strada principale si trovò faccia a faccia, o meglio muso a muso, con l’asino che nella<br />

strada affollata aveva rallentato ulteriormente l’andatura. Certo sia l’una che l’altra bestia avevano vissuto spesso a<br />

fianco di altri animali, e molti altri ne avevano incontrati: i cani del pastore, le pecore dal folto manto, le capre dalle<br />

corna ricurve, i cavalli, alti e frementi, montati da uomini fieri e violenti con il mantello e le spade.<br />

Ma questo incontro fu diverso: le due bestie sembrarono guardarsi, forse riconoscersi. E in un momento condivisero non<br />

più il giogo e la frusta dell’uomo, il peso del carro e dell’aratro, la fame, il caldo, il freddo e la fatica. Da un angolo<br />

sommerso della loro memoria emerse il ricordo di una lontana notte d’inverno, la morsa del gelo, il fragile tepore di una


stalla, appena riscaldata dal calore dei loro corpi. Ricordò, l’asino, la mano nodosa dell’artigiano che lo guidava, ferma<br />

ma gentile, il peso, lieve, del corpo della donna che trasportava e la sua mano serena e affettuosa accarezzargli il collo.<br />

Ricordò, il bue, il vagito del neonato, così piccolo eppure così immensamente grande, che a fatica il suo fiato umido<br />

riusciva a riscaldare. Ricordarono, i due animali, il cielo cosparso di stelle, una più grande, più luminosa, e l’accorrere<br />

stupito degli uomini.<br />

Per un istante il ricordo di quella notte riempì le loro vite, cancellò dolori e fatiche: condivisero, il bue e l’asino, così<br />

come avevano fatto tanti anni prima, l’emozione di quel momento e la certezza che di quella notte, che per sempre<br />

sarebbe stata ricordata dagli uomini, anche loro facevano parte. Strattonò le redini, il padrone dell’asino, per trascinare<br />

la bestia che sembrava essersi fermata. Lo stesso fece il vecchio contadino e il bue ricominciò a camminare con il suo<br />

passo pesante.<br />

Sul muso delle due bestie sembrava ora essere apparsa una ruga, quasi una smorfia. Chiunque l’avesse notata, avrebbe<br />

pensato ad una smorfia dovuta alla fatica, alla vecchiaia; o ad un involontario fremito nervoso per la percezione istintiva<br />

della loro prossima sorte. Nessun uomo avrebbe mai definito quel verso un sorriso.<br />

Ma gli uomini non sanno quello che c’è nel cuore degli animali.


Vallati Lenio<br />

Il vecchio<br />

Un vecchio se ne stava seduto su uno scoglio e guardava il mare. Nei suoi occhi si rifletteva l’azzurro del cielo, mentre<br />

nelle narici gli giungeva l’odore aspro della sua terra di Sicilia. Mille idee gli affollavano la mente in quel mattino<br />

d’estate. Mille immagini di persone a lui familiari. Sua moglie Vincenza non era più una giovinetta come la prima volta<br />

che l’aveva conosciuta, ma non si poteva certo lamentare per quanto riguardava la salute. Gli aveva dato ben sette figli,<br />

e ancora si dava da fare in cucina o a rammendare e stirare. Giuseppe era il maggiore e abitava con la moglie nella<br />

grande casa insieme ai genitori e ad altri quattro fratelli. Sapeva fare di tutto, suo figlio Giuseppe. Forte come un toro,<br />

mandava avanti il lavoro dei campi e teneva unita la famiglia. Grazie a lui, poteva finalmente riposarsi dopo tanti anni<br />

di sacrifici, perché arriva sempre il momento di mettersi da parte e lasciare andare avanti i giovani. Sua moglie Concetta<br />

era una vera fattoressa, sempre pronta ad aiutare tutti, curava le entrate e le uscite. Come facesse ad accudire anche i<br />

suoi tre figli era un mistero per tutti. Antonio era di pochi anni più piccolo di Giuseppe, neppure di lui ci si poteva<br />

lamentare, sua moglie era una brava donna, che aveva il solo difetto di non avergli ancora dato un figlio. Antonio se<br />

n’era fatto una malattia e osservava con una punta di invidia il pancione della cognata Rosalba, moglie dell’altro fratello<br />

Carmelo, che, oltre a quello in arrivo, aveva altri quattro figli da accudire. Salvatore si era appena sposato con Angela,<br />

una meravigliosa ragazza triestina che si era portata dal ritorno del servizio militare e non aveva ancora di questi<br />

problemi.<br />

Come erano felici questi due ragazzi! A volte il vecchio si rivedeva in lui, e ripercorreva la giovinezza ormai da tempo<br />

perduta. Il figlio più giovane, Nino, non riusciva invece a trovar moglie. E sì che ci avevano provato, un po’ tutti i<br />

fratelli, a volte per gioco, a volte per burla, ma niente. Verrà il giorno anche per lui, pensava il vecchio. Viene sempre il<br />

giorno per tutti. Gli altri due figli non abitavano con lui nella grande casa, ma ciò non era per lui motivo di afflizione. E’<br />

come una grande quercia, soleva dire a volte, che vede le ghiande cadere ai suoi piedi e col tempo generare altre piante.<br />

Sono tutte lì, attorno, come un’unica famiglia, come le dita di una mano. Ma basta un colpo di vento perché qualche<br />

ghianda voli lontano. Sua figlia Assunta abitava a Milano, faceva la giornalista.<br />

Ultimamente conviveva con un certo Ettore, giornalista anche lui, a quanto pare. Ogni anno a Natale arrivava anche lei,<br />

con l’auto colma di regali per tutti, due marmocchi ogni volta più grandi ed ogni volta in <strong>compagnia</strong> di un uomo<br />

diverso. Il vecchio scosse bonariamente la testa. Questi figli! Noi facciamo di tutto per educarli, per metterli sulla via<br />

più diritta possibile. Ma poi sono loro a scegliere strade diverse, quando non è la vita a scegliere per loro. Giovanna<br />

abitava a Roma. Si era arruolata giovanissima nella polizia e adesso era commissario. Il lavoro gli aveva impedito però<br />

di formarsi una famiglia, e aveva dovuto scegliere. Ogni tanto arrivavano un sacco di cartoline, lei si faceva vedere di<br />

rado, ma non c’era da stare in pensiero, il lavoro non può attendere. Sul volto del vecchio cominciò ad affiorare una<br />

piccola lacrima, con la mano scarna se l’asciugò, cercando di ripensare alle note più liete, a Carolina, a Marco, a<br />

Giacinto, a Michela e a tutti gli altri nipoti che, come uccellini di nido, riempivano di gioia le mura della grande casa.<br />

Fra poco sarebbe tornato da loro, sarebbe andato loro incontro nei campi ed avrebbero cenato tutti insieme, alla grande<br />

tavola di noce. Poi, mentre gli altri avrebbero parlato dell’indomani e dei lavori rimasti da fare, avrebbe raccontato<br />

qualche bella fiaba ai nipoti intorno a lui, il che non gli dispiaceva, perché di fiabe ne conosceva parecchie e altrettante<br />

se le inventava per una innata attitudine che aveva sempre avuto. Ormai le sue mani stanche non lavoravano più la terra<br />

né potavano le viti, ma costruivano aquiloni o piccoli giocattoli in legno o di canna per la gioia dei nipoti. D’un tratto il<br />

suo fantasticare fu rotto da rumori improvvisi, il paesaggio davanti ai suoi occhi si animò, lungo la piccola spiaggia<br />

lambita dal mare il vecchio vide un giovane che correva e altri due che lo inseguivano. In breve lo raggiunsero, quindi il<br />

silenzio venne rotto da uno sparo improvviso. Il ragazzo inseguito si accasciò al suolo, privo di vita. Il vecchio abbassò<br />

istintivamente la testa, come per celarsi agli occhi degli assassini, ma invano. L’avevano visto. “ Lasciamolo andare”<br />

disse uno. “E’ solo un vecchio”. “ Ci ha visti “ ribatté ’altro. “Non possiamo”. Con la canna della pistola a pochi<br />

centimetri dalla bocca, riuscì solo a sussurrare: “Vi prego”. Poi un altro sparo, e tutto intorno a lui divenne buio. Le<br />

immagini della moglie, dei figli, dei nipoti volarono improvvisamente via, insieme alla sua vita, come uno stormo di<br />

uccelli nel cielo terso di agosto. Il vecchio rimase sullo scoglio, il viso rivolto agli ultimi raggi di sole, nei suoi occhi si<br />

rifletteva ancora l’azzurro del mare.


Poesia


Aiello Vincenzo<br />

Aliti d’immenso<br />

Vorrei librarmi leggero<br />

Come il fumo che nasce<br />

Da quei rami di limone arsi<br />

Come lui vorrei librarmi leggero<br />

Incontrastato da nessun vento<br />

Alla ricerca di nuovi spazi<br />

E piano innalzarmi nel cielo<br />

Fino a diventare<br />

Parte integrante di nuvola<br />

E respirare lassù<br />

Aliti d’immenso


BERTOLINO ALESSANDRO<br />

La risposta<br />

Sono passati così in fretta gli anni<br />

che ora la memoria più non regge<br />

al censimento scarno dei ricordi.<br />

Inutilmente interrogo la croce<br />

da un maledetto letto con le sbarre<br />

che mi separa, naufrago, dal mondo.<br />

Ed ecco, inaspettata, la risposta:<br />

la stò leggendo, incredulo,<br />

tra le rughe di queste vecchie mani.


Bosich Romano<br />

Poeta non sono io<br />

Verità detta<br />

Eppur cimentar provo in versi insulsi<br />

la mano scrive parole emozionanti che nulla dicon al cuor altrui<br />

Poeta vero colui che sente ciò che la vita dice<br />

Poeta vero colui che vive di quanto il cuor detta<br />

Poeta…poeta….<br />

Poeta non sono io….e dunque perché scrivo<br />

Perché la mano mia continua a sporcar carta<br />

Perché ofrir ad altri la possibilità di legger versi<br />

….Perchè l’esser che in me, vive…..<br />

vive uguale agli altri<br />

insulsi versi<br />

parole baciate<br />

rime scomposte<br />

Poeta non sono io<br />

ma il cuor non lo capisce.


Calabretta Natale G.<br />

Piccolo Talmud<br />

Dio conta le lacrime della donna che sei:<br />

nell’incanto, l’amore turbato<br />

dall’inconsulto destino<br />

di compagna di uomo soldato<br />

dai fragili sogni calpestati e sparati<br />

dalle guance commosse di ricordi aggrediti<br />

e di mai osate speranze,<br />

come è d’uso tra la povera gente.<br />

Dio, ora, da di me e delle tue attese celate,<br />

della trincea di fango e di urina,<br />

del dolore fermato nel freddo,<br />

e nella gravità dei gesti miei, che non volli mai,<br />

mi sorprende, nella tregua reclinata del ritorno,<br />

grato al tuo pianto,<br />

intenerito e non belligerante<br />

come fiore deposto scosso e tremante<br />

al vento storpio di un inverno ormai sconfitto.<br />

Strategia<br />

Considero che presto insisterò per dirti parole.<br />

Ho un piano: comincerò con non guardarti.<br />

Nuova cecità si sommerebbe ad altre omissioni<br />

eppure, potrebbe non bastare.<br />

D’altra parte, so già che il discorso architettato non reggerà<br />

crollando senza rimedio alla tua immutata sorpresa.<br />

Ogni volta uguale.<br />

Allarmato cercherò di non allarmarti: minimizzando.<br />

Tradirò le intenzioni di una carezza,<br />

come quelle dedicate ai figli di parenti o conoscenti,<br />

e questa simulazione, rassicurandoti, mi assolverà ancora<br />

e sarà come precipitare,<br />

riuscendo, al più, ad incrinare quella storia d’amore<br />

che avrei voluto distruggere senza contemplarne il dolore.


Canale Massimiliano<br />

Gl’immigrati<br />

Non posson restare:<br />

devono andare,<br />

trasandati, sudati, ammalati;<br />

la nave deve salpare.<br />

Va per il mare<br />

quel barcone pien di falle,<br />

la tempesta deve affrontare,<br />

a costo di qualche vita dover soffocare.<br />

Seguitano a viaggiare,<br />

alle spalle la miseria,<br />

alle porte la cella:<br />

non sanno ancora ove andranno a finire!<br />

Maltrattati, malmenati, trascurati,<br />

da bestie senza cuore son stipati,<br />

sì, son loro gl’immigrati,<br />

della <strong>nuova</strong> tratta a esser le vittime son condannati!<br />

Va il barcone,<br />

mille pericoli deve affrontare,<br />

mille persone devono perire,<br />

mille colpe gl’artefici han da espiare!<br />

Son là gl’immigrati,<br />

con speranza in mano son partiti,<br />

da menzogne e miraggi vilmente traditi,<br />

la loro sorte abbandonati han d’affrontare,<br />

senza alcun caro da poter consultare,<br />

senza un baluardo cui potersi aggrappare,<br />

senza una meta cui potere puntare,<br />

con tanti guai da dover disbrigare!<br />

Sbarcano gl’immigrati,<br />

dalla gente son mal guardati,<br />

dal mondo si sentono esclusi,<br />

dalla vita son stati ripudiati!<br />

Come fin qui son arrivati,<br />

a casa lor vengono rispediti,<br />

i loro sogni d’un lampo son svaniti,<br />

senza rifugio son indirizzati!<br />

Ma una bandiera emerge<br />

nell’oceano della perdizione:<br />

è l’amore per la vita<br />

e la sua eterna benedizione!


Cardillo Anna Maria<br />

Madre, i tuoi occhi…..<br />

( colloquio con un figlio)<br />

Madre, i tuoi occhi<br />

bui e profondi<br />

come una miniera,<br />

luccicanti e neri<br />

come scaglie<br />

di carbone antico,<br />

come velluto morbidi<br />

e caldi come il sole amico.<br />

Parlano gli occhi tuoi<br />

anche se taci,<br />

di te dicono il cuore<br />

e ogni segreto,<br />

chiamano accanto<br />

come mani tese,<br />

filano affetti<br />

con un fuso d’oro.<br />

I tuoi occhi,<br />

mai chiusi<br />

anche nel sonno,<br />

sanno guardare dentro<br />

e leggere tra i righi,<br />

carezzano i dolori,<br />

tesson le reti,<br />

lanciano funi,<br />

cancellano i rancori…..<br />

Figlio,<br />

questi occhi miei,<br />

che tanto t’han guardato,<br />

quel giorno, te ne prego,<br />

tu serra con un bacio.


Carta Salvatore<br />

Tango<br />

Occhi che si prolungano nei tuoi desiderandoti,<br />

caviglie audaci, gambe, e piedi su tacchi alti, a<br />

succhiello, in dècolletè che ti avvitano, lungo la<br />

pertica che precipita in un vortice si attorcigliano.<br />

Forse è il primo incontro fra l’uomo e la donna,<br />

ma è già languido, nostalgico: il suo bacino sfiora<br />

il tuo tentando di conoscerti l’anima.<br />

Sono amanti che si struggono per amore, forse<br />

perché già sanno che dovranno lasciarsi; lungo<br />

i corpi incidono inequivocabili segnali, e la pelle<br />

prima esangue è percorsa da rivoli di umori.<br />

Suona il bandoneon la musica di Piazzola; dalle<br />

finestre di Buenos Aires escono nuvole sparse di<br />

tabacco, avvolgendo Gardel e Borges: “il tango<br />

è un pensiero triste che si balla”.<br />

Per ogni strada del Caminito un uomo e una donna<br />

tentano un amplesso tra giros e boles di gambe<br />

bianche che sballano scalando i tuoi pensieri.<br />

L’uomo ritorna uomo guidando quella che<br />

immagina la sua donna, come l’aveva vista nel<br />

sogno. Tango, toccano braccia e spalle antichi<br />

romani sulle coste della Domiziana quando<br />

fisarmonica, violino e chitarra ispirano Stravinskij<br />

con una milonghera.<br />

Di seguito soltanto quattro tanghi, se lei dice “si”<br />

e sempre un altro ritmo scrive storie di petali<br />

e vita di farfalle. Pare che i corpi si fondano,<br />

quando un attimo prima erano già lontani.<br />

Solo un insieme di note si organizzano, ammaliano,<br />

rimangono, ma conoscono il Destino;<br />

s’incontrano, scorrono “faladomi”: c’è una seducente<br />

e antica femminilità in lei; “solsire” cantano le scarpe<br />

bicolori del macho.<br />

Si accresce la scala, sale di toni, si prepara alla<br />

celebrazione; ma stacca l’archetto di un violino<br />

bucando vuoti inaspettati. E nell’angolo della<br />

vita, sulla sedia di paglia e legno, lei seduta attende<br />

ricordando il suo gaucho, mentre l’orchestra inizia<br />

ancora una volta “Adios Nonino”.


Castagna Giorgio<br />

Sogno D’IO<br />

Dormi serena dolce amante,<br />

sogna pure!!!... pur fino all’alba<br />

e se credi che ne faccia parte,<br />

dai sveglia!... insegui il tuo sogno.


Cavallo Carla<br />

I resti<br />

IL bisogno d’amore<br />

mi condusse a varcare vicoli stretti<br />

cui non m’era diritto d’entrare.<br />

D’affetto avida<br />

lessi quel foglio ingiallito dagli anni<br />

e lì vi trovai un uomo che mai<br />

avrei detto mio padre.<br />

Un uomo soldato<br />

di una guerra non voluta<br />

decantava i suoi giorni, per forza lontani,<br />

ad una giovane donna,<br />

“la sua gioia” diceva<br />

Ed era mia madre.<br />

Come film d’America degli anni ‘50<br />

in bianco e nero<br />

sequenze nitide e vere apparivano a me.<br />

Strinsi quelle accorate parole al petto<br />

e le adagiai poi piano<br />

così nel cassetto.<br />

Sul vecchio comò<br />

che l’impronta tua reca<br />

di quel tempo adesso<br />

non resta che<br />

una croce di ferro<br />

tra vetro e velluto,<br />

e altro non è che<br />

il ricordo di te e<br />

dei tuoi anni ruggenti.


Cesari Giorgio<br />

Il Natale<br />

Il Natale è un insieme di mille colori,<br />

che festeggiano amici e genitori.<br />

Tutti insieme riuniti e felici<br />

che aspettano gli amici.<br />

Il Natale è una festa spettacolare<br />

che ha il diritto di essere mondiale.<br />

Babbo Natale porta regali e regalini<br />

per i grandi e i piccini.<br />

Tutti insieme mangiano il cenone<br />

preparato per quelle ore.<br />

E dopo una lunga attesa<br />

arriva una slitta estesa,<br />

con un bizzarro uomo sopra<br />

che porta tanti regalini<br />

per i piccoli bambini.


Curcio Giusy<br />

L’amicizia<br />

Quando ti assale la malinconia,<br />

c’è un amico che la spazza via,<br />

ti sta vicino, non ti abbandona mai,<br />

ha il cuore in mano e tu lo sai.<br />

Ti aiuta a superare ogni difficoltà<br />

che nel cammino incontri a volontà.<br />

Da solo non potresti superare<br />

questi ostacoli, grandi come il mare.<br />

Io sono contenta di averlo incontrato,<br />

tanti problemi insieme abbiamo affrontato.<br />

Questo amico è prezioso più dell’oro<br />

E posso dire: “ E’ meglio aver trovato un amico che un tesoro.”


Cutuli Fabrizia<br />

Il pescespada innamorato<br />

Il pescespada d’inverno un po’ triste<br />

A causa del freddo che insiste<br />

aspetta che la primavera ristori<br />

I suoi grandi ed infiniti amori<br />

Anche se non è fra i suoi momenti migliori<br />

A causa delle fiocine e dei pescatori<br />

Che approfittano dei momenti amorosi<br />

Dei poveri e teneri sposi<br />

Che presi dall’accoppiamento<br />

Si fanno infiocinare in un momento<br />

Per questo l’amore è un po’ pericoloso<br />

Ma il pescespada è sempre ansioso<br />

Vuole per forza accoppiarsi<br />

Perché è bello innamorarsi.


D’Aleo Francesco<br />

TU NON SEI IL CIELO<br />

Io ho tante volte<br />

guardato il cielo<br />

e l’ho amato<br />

perché è puro.<br />

E’ come<br />

un velo d’acqua,<br />

sospeso<br />

e incantato.<br />

Ora so che il cielo<br />

è soltanto<br />

un attimo<br />

di sereno…<br />

e ora so<br />

che tu<br />

non sei il cielo.<br />

Tu sei il mondo<br />

che vive !<br />

Tu sei bella<br />

non come una poesia<br />

e nemmeno come il cielo.<br />

Tu sei bella<br />

come un desiderio.<br />

Il mio sconfinato<br />

desiderio di te.<br />

Di te…<br />

che non sei<br />

il cielo,<br />

perché oltre il cielo<br />

tu vivi…<br />

E io<br />

oltre il cielo<br />

ti amo.


Di Gaetano Enzo<br />

Futuro<br />

Ma che futuro avranno<br />

i nostri figli<br />

in questa terra di guerre<br />

e di violenza<br />

che sembra non si possa<br />

fare senza?<br />

Che ne sarà dei tanti<br />

prati verdi,<br />

delle colline fresche<br />

tutte in fiore<br />

se seminiamo odio<br />

e non amore?<br />

Vedranno ancora petali di rosa,<br />

fiori di pesco<br />

il bianco gelsomino<br />

se tanta gente imita<br />

Caino?<br />

Rispondere con schiaffi<br />

ad uno schiaffo,<br />

fare tanti dispetti<br />

ad un dispetto,<br />

solo se si dimentica<br />

l’offesa<br />

può esserci tra i popoli<br />

un’intesa.<br />

Dobbiamo migliorare<br />

questo mondo<br />

e dare terra, pace, dignità,<br />

a chi va errando incerto,<br />

o vagabondo.


Dioguardi Tommasa Virginia<br />

Barlumi<br />

Cammino tra sentieri assolati,<br />

tra ciottoli che suonano sul greto di un fiume,<br />

tra i sapori rubati e le danze dei profumi a me noti,<br />

tra il caldo buono degli affetti<br />

nella brezza dei ricordi,<br />

tra meteore di sogni<br />

nei tramonti di vita,<br />

tra sguardi e silenzi<br />

che si abbracciano per sempre al mio cuore<br />

e che piangono lacrime di silenziosa poesia.


Ficarra Rosalia<br />

SUL ROSSO DEL TRAMONTO<br />

Sabbia infuocata sul rosso del tramonto.. E tu?<br />

Dolce uomo indifferente e silenzioso…<br />

Mi cogli inaspettatamente, ti osservo scrutandoti<br />

in silenzio amandoti,<br />

stando in un angolo aspettando l’inutile<br />

nel buio di me stessa,<br />

cercando nel pagliaio l’ago che non troverò mai, desiderando te<br />

e per me quel giorno sarà festa!<br />

Non può essere un tramonto!<br />

Non può calare il sole in mare e morire<br />

raccogliendo questa sabbia che infuocata scotta le mie mani,<br />

cercando quell’amore seppellito per timori e paure<br />

trovandoti, con gli occhi di chi cerca dentro l’oceano<br />

senza esitazioni, senza più remore…<br />

Improvvisamente il mio sguardo innocente nell’incanto del tempo!<br />

E come per magia, dentro la sabbiosa distesa velata e morbida<br />

riscopro ricordi e verità nascoste in un vertiginoso limbo,<br />

mentre un gabbiano è ormai lontano, ma tornerà domani.<br />

La sfera di fuoco che ne diviene una bianca luna<br />

quando il cielo scurisce,<br />

regalando i suoi riflessi al mare e i miei pensieri volano perdendo quota,<br />

la mente li annulla e tutto svanisce!<br />

Con il cuore che impazzito, cerca di non farsi domare<br />

come un cavallo imbizzarrito!<br />

Chi è la notte? Vestita di buio, di stelle, di sogni…<br />

Figlia di una maledizione o un miracolo divino?<br />

Non saprò mai se le stelle sono stelle,<br />

ed il mio sguardo s’incanta come quello di un bambino!<br />

E ancora tu, luna!..<br />

Bugiarda e maligna<br />

ma sconvolgente!<br />

A te mi rifletto, infedele, passionale e così lucente!<br />

Così come il mondo a volte,<br />

fa paura anche la notte,<br />

nascondendo amarezze e dolori nell’involucro della morte!<br />

Sospesa tra un nuovo giorno e il timore di svanire<br />

avendo più coraggio a vivere che morire!<br />

Spietata la realtà mentre guardo la luna che si fonde nell’aurora;<br />

stanchi i miei occhi confusi e ammirati, perdendosi nell’immenso,<br />

e l’eco dei primi cinguettii che colorano il cielo terso…<br />

Questo risveglio mi ha rubato l’anima, come la musica<br />

accendendo la scintilla che comincia a scaldarmi,<br />

illuminando con le sue note luoghi da me sconosciuti<br />

richiudendo le ferite ed altre ancora per sanarmi!<br />

Riapro la porta del mio cuore<br />

salendo infinite scale,<br />

scrivo le mie illusioni<br />

cantando le mie canzoni,<br />

sola nel buio della notte<br />

sola, nella luce del nuovo giorno,


muoio e rinasco allo stesso istante<br />

mentre le parole scorrono fiacche e stanche.<br />

Fuggo da questo sogno<br />

con la musica che mi consolerà,<br />

la sabbia che ora tiepida, scivola dalle mie mani<br />

aspettando l’amore che il mio cuore accenderà.<br />

Liberando i pensieri dalla mia mente<br />

so tutto e non so niente,<br />

uscendo fuori con le mie armi<br />

sul campo di battaglia ma da vincente…


Gaglio Leonardo<br />

Folgore<br />

Sento il respiro ansimante dell’aria,<br />

frescura stentorea d’inverno,<br />

mentre si spegne la luce del sole precaria<br />

e scompare quel calore paterno.<br />

Spento è il brillar dei miei occhi<br />

turbati dal vacillar delle ore<br />

e dai lievi e orribili scocchi<br />

del mio viso, un fugace bagliore.


Galioto Grisanti Paola<br />

ALTA E’ LA NOTTE<br />

Il vento infuria contro gli infissi<br />

il cigolio della tenda da sole arrotolata<br />

si amalgama al sibilo del vento<br />

e sembra una corsa affannosa<br />

in cerca di un traguardo<br />

quasi irrangiungibile.<br />

L’arrivo di una pioggia sempre più copiosa<br />

man mano indebolisce il vento.<br />

E arriviamo così al traguardo dell’alba<br />

lasciandoci baciare dal sole nascente.


Gazzarra Michele<br />

Sapori di Natale<br />

Mentre i vellutati fiocchi di neve<br />

sfiorano i tetti delle case,<br />

il mondo ci cosparge di<br />

sapori di Natale,<br />

meravigliosa ricorrenza<br />

nata da Dio<br />

e che non tutti trascorrono<br />

nel mondo delle carezze.<br />

Tra parole d’affetto<br />

speriamo che<br />

Iddio possa tendere una mano<br />

ai bisognosi,<br />

essere gli occhi dei ciechi,<br />

tergere le lacrime<br />

ai sofferenti<br />

ed essere amico di chi è solo.<br />

E mentre a noi<br />

vengono rivolti<br />

infiniti gesti d’amore,<br />

c’è gente che ha<br />

una ferita della tristezza<br />

viva nel cuore.


Genova Lorenzo<br />

FARFALLE MATTE<br />

Farfalle così matte,<br />

circondano lo stesso fiore,<br />

perché sono innamorate<br />

e sanno cos’è il vero amore<br />

Ma sì, son così belle,<br />

belle e delicate, che sembrano truccate,<br />

si, “che sembrano truccate”.<br />

Il folgore dei cuori li rendono immortali,<br />

perché tante volte li segniamo<br />

in un libro dell’amore.


Geraci Salvatrice Pietra<br />

Tu, soldato!<br />

Combatti soldato,<br />

questo ti hanno insegnato,<br />

macchina da guerra<br />

che lotta per mare e per terra.<br />

Combatti soldato,<br />

duro come acciaio,<br />

freddo il tuo cuore come ghiacciaio,<br />

cammina e non guardare nessuno in faccia<br />

anche gli occhi bagnati<br />

proiettano una minaccia.<br />

Combatti soldato<br />

tra quei corpi straziati<br />

dove il rosso sangue<br />

non ti ha fermato<br />

come ad un semaforo<br />

di un incrocio trafficato.<br />

Combatti soldato<br />

con orgoglio<br />

tu che sei padre oppure figlio,<br />

tu che sembri un invalicabile muro<br />

con i lineamenti di piombo scuro,<br />

che raccogli le lacrime in bottiglia<br />

stringendo al petto le foto di famiglia.<br />

Combatti soldato<br />

nel mentre sei diviso<br />

tra volere e dovere,<br />

niente spazio per un sorriso,<br />

inflessibile bisogna rimanere.<br />

Combatti soldato<br />

che dietro ad una maschera<br />

che non è la tua<br />

nascondi un’immensa paura.<br />

Tu soldato<br />

non lo sei nato<br />

ma al loro richiamo<br />

lo sei diventato<br />

e conosci bene l’abisso<br />

tra essere e apparire,<br />

tu che ti dichiari<br />

pronto a morire!


Giannone Giacomo<br />

Quasi un flebile suono<br />

Fra argani volanti<br />

stridio di ruote<br />

e rauche voci<br />

volano i gabbiani<br />

da Messina a Reggio<br />

Acque profonde<br />

d’azzurro mare<br />

solcano navi veloci<br />

ferry-boat panfili<br />

remi di barche<br />

Eppure la malia<br />

del canto delle sirene<br />

non si sperde<br />

si sente come un sospiro<br />

da sponda a sponda<br />

Quasi un flebile suono<br />

di bisbigli sottesi<br />

ipnosi di sogni<br />

di mito che i voli<br />

accende della mente.


Gioia Giuseppe<br />

Vorrei immaginare di esser cieco<br />

Per un po’<br />

Vorrei immaginare di esser cieco<br />

Senza vista<br />

Così da poter osservare il cielo<br />

Immaginandomi il colore<br />

Raccontando ogni sensazione<br />

Come se fosse qualcosa di speciale<br />

Ma tutto ciò esiste già,<br />

Questa è un po’, in verità<br />

Parte della mia storia<br />

Che non è finita, attenzione<br />

E neanche la vostra, continua,<br />

E’ unica, non sciupatela.<br />

Vorrei esser cieco<br />

Per vivere in un mondo diverso<br />

Immaginandomi, e insisto,<br />

ogni individuo e oggetto<br />

sotto un altro prospetto.<br />

Riconoscendo ogni persona dalla voce<br />

E regalando a loro sempre un buffo aspetto<br />

Ascoltando ogni amico che descrive<br />

Con perfezione il suo racconto<br />

Ed io come qualcuno che legge romanzo<br />

Immagino tutto nel dettaglio,<br />

non escludendo nulla,<br />

camminando sempre a testa alta<br />

dando fiducia per ogni passo<br />

al mio compagno di viaggio<br />

che tengo al guinzaglio.<br />

Vorrei tornare ad esser cieco<br />

Perché quand’ero bambino<br />

Facevo tutto ciò che vi ho descritto, sognavo.<br />

Ora, così per dire, sono adulto<br />

E osservo il mondo<br />

Sotto un altro aspetto più complesso.<br />

E magari mi accorgo di qualche anomalia<br />

Il sistema che entra in avaria<br />

E la mia anima soffre per malinconia<br />

Sentendosi sola<br />

Il cuore che pulsa brevemente,<br />

Esternamente mi ricompongo<br />

Cercando di non mostrare<br />

Questa debolezza alla gente<br />

Che poi quando un giorno<br />

Capiterà che lo scoprano<br />

Come vampiri vengono a trovarmi.


Gioja Pietro<br />

Previsioni del tempo<br />

Che tempo farà<br />

domattina<br />

sugli impervi<br />

versanti del cuore?<br />

Bonaccia e stravento,<br />

maestrale o scirocco.<br />

E sui monti di vetro<br />

aguzzi dell’anima?<br />

Bufere di neve<br />

per tutta l’estate.<br />

E sui mari,<br />

sui mari dei sogni,<br />

che tempo farà<br />

nelle prossime lune?<br />

Procelle e tempeste,<br />

deserti di acque.<br />

E lì su quell’isola<br />

perduta e lontana?<br />

Soltanto sull’isola<br />

velata dagli anni<br />

perdura un riverbero<br />

di gioventù.


Giurdanella Enza<br />

Tra sogno e realtà<br />

Presto tornerai al tuo sogno…<br />

E come un usignolo solitario<br />

abbandonerai il tuo nidi impazzito<br />

sotto nuvole di tempesta.<br />

Tra germogli d’ansie<br />

e rivoli di speranze<br />

coltiverai la voglia di vincere….<br />

Porterai nel cuore l’azzurro del mare<br />

e del cielo lo scintillìo di mille stelle…<br />

il sereno sguardo d’una luna pacioccona.<br />

D’un verde prato il profumo dei suoi fiori….<br />

e del mattino la freschezza della rugiada…..<br />

Con un filo di sapienza legherai ogni ricordo<br />

e lo riporrai nel cassetto della memoria….<br />

Come un fiero gabbiano sorvolerai mille riviere<br />

per giungere sempre alla tua terra…..<br />

Forse….un giorno qui ti fermerai….<br />

E alle stelle aprirai il tuo cuore…<br />

alle ombre della notte<br />

confiderai i tuoi segreti….<br />

Al mare farai sentire<br />

il profumo di quel richiamo<br />

proprio quando….<br />

Ad esso non riuscirai a dir di no…..


Gollinelli Fulvio<br />

Emozione d’Avola<br />

C’è un senso, che sgorga dal cuore,<br />

nel vivere una terra istoriata da noi e di noi,<br />

nel condurla tra i tempi, forse un’onore,<br />

il premio di avere tra le dita una notte,<br />

che annega l’oscurità di tutte l’altre notti,<br />

quando oscilla,<br />

e lo fà con leggiadria tale<br />

che è carezza di damaschi e sete<br />

nelle venature asperse,<br />

si libera quell’essenza<br />

in cui uno sguardo può perdersi;<br />

ecco, tra suoni liquidi e morbidezze<br />

s’apre un viaggio d’odori e culture,<br />

storia dal tempo d’un sorso,<br />

e noi come pionieri di nuovi orizzonti<br />

navigammo tra orti e baccelli e terricci<br />

a respirare note di noccioli, di fragranze speziate,<br />

noi, la voluttà di solcare sentieri aromatici<br />

e guadi d’umori fruttati,<br />

testimoniando d’energia vitale rubata al Sole<br />

e cromìe da polpe mature.<br />

Cosa ci rese consapevoli, poi, degli ardori dei campi,<br />

se non binari eretti tra profumi di gelsi,<br />

sfumavano lievi verso riccioli e raspi bronzati,<br />

una sete mai saziata di riscoperta, un passaggio a sud-est,<br />

fatto di mani districate tra gli acini come chiome di donna,<br />

e languori e inebriamenti fulgidi ad imbrunire nei tini,<br />

così ribolliva il nostro passo,<br />

nelle attese fumanti di mescolanze e fermentazioni,<br />

e giorni e mesi, e intere esistenze che arricchiscono vite<br />

d’esperienza e sapori,<br />

come fosse una placida e intensa vecchiaia<br />

da concedersi tra legni d’acero e roveri.<br />

Ed è allora, solo allora,<br />

che riaffiora l’inizio del nostro vagare.<br />

Il gesto soave, l’atteso contatto,<br />

e la notte ci pervade l’anima,<br />

un eterno istante ad occhi socchiusi<br />

e a sublimarci è solo un Nero.


Gugliuzza Salvatore<br />

Nel mio cuore pioggia e vento<br />

Stanotte c’è tempesta sulla<br />

terra e nel mio cuore.<br />

Rotola il tuono. Annuncia la<br />

pioggia, annuncia le lacrime.<br />

Le nubi solcano il cielo,<br />

coprono e scoprono la<br />

bianca luna, nuvole cupe come<br />

uccelli dalle grandi ali nere.<br />

La pioggia cade fredda e<br />

pungente e il vento la sparge<br />

dovunque come dovunque<br />

sparge le lacrime del mio cuore.<br />

Il vento ruggisce, sibila, sussurra<br />

e, nel frattempo, disperde i<br />

fragili sentimenti del mio cuore.


Inserauto Salvo<br />

L’amico Dio<br />

Ho studiato<br />

alla scuola della vita<br />

e a modo mio<br />

me lo son fatto amico<br />

Dio.<br />

Da piccolo<br />

cercavano d’impormelo,<br />

m’inculcavano timore<br />

per i peccati eventuali,<br />

i preti.<br />

Lui, invece<br />

mi ha sempre lasciato fare,<br />

mi ha dato tanta indipendenza,<br />

è intervenuto poche volte<br />

e quando l’ho cercato<br />

l’ho sempre trovato;<br />

ho beneficiato di piccoli miracoli<br />

ma ho anche pagato<br />

per il suo senso di giustizia,<br />

Lui non ha raccomandati<br />

ed ho compreso.<br />

Io gli parlo spesso:<br />

qualche resoconto,<br />

qualche battuta,<br />

richieste, perdoni<br />

e l’analisi logica<br />

a qualche preghiera.<br />

Ma sapete?<br />

Anch’io l’ho perdonato<br />

l’amico Dio;<br />

avevo perso mio figlio,<br />

un incidente;<br />

non riuscivo a darmi pace,<br />

poi, tanta meditazione<br />

ed ho trovato una risposta<br />

al mio perché.<br />

Lui, ci lascia liberi,<br />

non ha creato dei burattini<br />

con cui poter giocare,<br />

ci ha fatti padroni,<br />

padroni della nostra vita,<br />

delle nostre azioni,<br />

con tanto di coscienza<br />

e di ragione.<br />

Così, da qualche anno<br />

mi sembra tutto un po’ più chiaro;<br />

mi rimangono soltanto,<br />

un paio di perché


e qualche piccolo-grande mistero,<br />

ma ne parlerò con Lui,<br />

a quattr’occhi,<br />

quando accadrà,<br />

quando lo potrò toccare,<br />

Dio.


Leggio Giuseppe<br />

Sogni e preghiere<br />

Fredda di muschio<br />

la sera nel cortile,<br />

rossa la terra<br />

odora di passato,<br />

di ruggine e sudore<br />

lacrime e follia.<br />

Destami o Dea<br />

e vestimi da pellegrino.<br />

D’autunno<br />

E se digrada<br />

dalla valle al cuore,<br />

è bianco sospeso<br />

è lento stormire.<br />

Rondoni e bambini<br />

giocar alla vita,<br />

un raggio di sole<br />

o una donna che prega.<br />

Monito<br />

Terre, acque, aria di cosche<br />

mogli e figlie di donne<br />

dei detti altrui,<br />

gridar “fermi tutti!”<br />

e non sentirsi affatto morti,<br />

o parlar male del gatto<br />

forse<br />

mantieni la parola<br />

nulla deve rimanere al caso<br />

vetro nudo, sanguina il destino.


Limpido Michele<br />

Aborto<br />

Se quel dì io fossi nato<br />

con impegno t’avrei onorato,<br />

i tuoi dolori avrei lenito,<br />

il tuo sudore avrei asciugato.<br />

Se quel dì io fossi nato<br />

con tenacia t’avrei guidato,<br />

quando la tua memoria<br />

avrebbe vacillato.<br />

Se quel dì io fossi nato<br />

con forza t’avrei aiutato,<br />

quando il corpo tuo<br />

avrebbe barcollato.<br />

Se quel dì io fossi nato<br />

dolcemente t’avrei guardato,<br />

quando, sul tuo letto,<br />

avresti riposato.<br />

Se quel dì io fossi nato<br />

di sicuro t’avrei portato,<br />

su campi coltivati<br />

d’amore e di bontà;<br />

gli stessi aurei campi<br />

che negati mi son stati;<br />

ma di certo non son belli<br />

come quelli dei beati.<br />

Se quel dì io fossi nato<br />

un sorriso t’avrei donato<br />

e tu, mia cara mamma,<br />

mi avresti tanto amato.


Lombardo Giovanna<br />

Un’identità perduta<br />

La mia identità<br />

si è perduta,<br />

ma dove sarà?<br />

Sarà nel deserto<br />

oppure nel cassetto?<br />

Chi lo sa!?!<br />

Vorrei un nome,<br />

un cognome, e una<br />

famiglia,<br />

chi lo sa!<br />

Qualcuno in futuro<br />

mi salverà……


Longini Emanuela<br />

Dai un senso<br />

Ti ho amato,<br />

ti ho stimato,<br />

ti ho rispettato.<br />

Ho creduto in tutte le tue parole<br />

in tutti i tuoi gesti e in tutti i tuoi sospiri.<br />

Abbiamo visto l’alba e…<br />

…sognando il giorno che deve ancora venire ci siamo amati al tramonto…<br />

Grazie a te ho sperato,<br />

ho sognato e infine ho volato.<br />

Mi donasti le tue più remote paure.<br />

Mi raffigurasti come la tua più grande salvezza.<br />

Forse troppo amore?…troppo rispetto?<br />

Cosa scatena una fuga improvvisa nel cuore di un uomo?<br />

Non mi importa sapere, la conoscenza è sapienza…<br />

E forse sapere mi allontanerebbe da te e non lo sopporterei,<br />

credo che ne morirei.<br />

Non riesco ad odiarti…<br />

ma se puoi…<br />

se mi hai amato fai trovare pace al mio cuore.<br />

Ti prego, prova a dare un senso a quest’oblio.<br />

Eppur ti ho amato.


Mandini Giorgia<br />

La vigilia di Natale<br />

Rintocchi di campane<br />

nella città sotto<br />

una coltre di neve.<br />

C’è aria di festa;<br />

scintillanti luci<br />

nell’attesa del Natale.<br />

L’indomani ci sarà una<br />

tavola imbandita;<br />

ma la cosa più bella che<br />

allieterà ognuno, sarà<br />

la gioia e la pace che<br />

non toglierà nessuno.


Mazzotta Barbara<br />

Il piccolo senso della parola pace<br />

Quando ti guardo negli occhi, figlio mio<br />

riesco a vedere tutta quella parte di vita che non ha parole.<br />

Il tuo mondo immaginario<br />

le tue sicurezze in un ordine irreale.<br />

Riesco a vedere i tuoi sogni;<br />

quelli che fai mentre passando di notte davanti alla tua camera ti sento parlare<br />

e quelli che fai ad occhi aperti,quando ti leggo una favola.<br />

Quando ti fermo un istante davanti a me<br />

sento l’energia che ti scorre in tutto il corpo<br />

riesco a immaginare tutti i posti che vorrai vedere<br />

tutti quelli in cui sei già stato<br />

e quelli che hai messo insieme con la fantasia.<br />

Quando mi chiedi:”Mamma raccontami cosa hai fatto oggi al lavoro” riesco a sentirmi come un<br />

personaggio di un cartone animato tutto tuo e allora mi sento importante….<br />

perché so che qualunque cosa ti dirò<br />

sarò l’eroina buona della tua storia.<br />

Noi grandi abbiamo poche storie da raccontarci<br />

abbiamo pochi attimi magici<br />

e qualcuno non ne ha nessuno.<br />

Da quando ci sei tu figlio mio<br />

conosco il senso della parola pace.<br />

Non di quella grande che si grida nelle manifestazioni in piazza<br />

ma di quella piccola che ognuno deve avere nel cuore.<br />

La pace di quando mi sento come se si potesse fermare ogni cosa<br />

ed ascoltare da dentro un silenzio speciale .<br />

E’ questo senso di pace tutto mio che mi fa muovere ogni giorno nella vita che ho scelto.<br />

Perché la vita, figlio mio è capace di sconvolgere<br />

di mandare all’aria tutte le tue sicurezze.<br />

E’ capace di farti perdere memoria delle cose belle.<br />

Ma se hai dentro il tuo punto fermo<br />

se nella tana fantastica che c’è dentro di te ci sarà la tua pace<br />

saprai affrontare l’inverno<br />

saprai rialzarti e ricominciare.<br />

Saprai non perderti mai.<br />

Questo mi sento di poterti insegnare figlio mio<br />

questo ho imparato da te.


Minniti Giuseppe<br />

Il presepe<br />

I fiocchi cadon dal cielo.<br />

Noi festeggiamo<br />

e insieme mangiamo.<br />

Gesù è nato,<br />

in chiesa andiamo.<br />

Nel nostro presepe<br />

lo aggiungiamo,<br />

e con i suoi genitori<br />

lo mettiamo.<br />

L’Angelo Gabriele<br />

è sulla capanna,<br />

il bue e l’asinello<br />

riscaldano il Bambinello.<br />

Si avvicina un pastorello<br />

e prega davanti a Gesù.<br />

Arrivano i Re Magi,<br />

doni portan.<br />

Tutto il popolo s’inchina<br />

davanti al Signore,<br />

il Salvatore.


Modaffari Domenico Annunziato<br />

A M. Donata<br />

T’amo per la morbida carezza delle tue labbra ardenti,<br />

per le coppe del tuo seno, per le circonferenze<br />

del tuo mondo, del tuo corpo di Venere, giovane e<br />

seducente, ove sempre vorrei perdermi e ritrovarmi.<br />

T’amo per la tua ebbrezza creativa, per la finezza<br />

dei tuoi discorsi, per la valenza dei tuoi gusti estetici,<br />

per la fierezza dei tuoi slanci vitali, per il tuo gaio<br />

entusiasmo e per ogni improvviso abbrivio d’umore.<br />

T’amo per ogni lacrima, per ogni stilla del tuo sangue<br />

che scorre tra le mie vene e si mischia ai silenzi<br />

della mia anima, per ogni infinito fremito d’amor,<br />

per il desiderio che avvampa le nostre membra<br />

e per il travolgente abisso dei sensi, fonte di tanta letizia,<br />

che sa di gusto, di armonia, di diletto, di palpito.


Morabito Valeria<br />

L’amore è…..<br />

L’amore è come un’onda del mare,<br />

che può infrangersi<br />

prima del suo tempo,<br />

ma anche se il vento<br />

disperderà la sua schiuma<br />

non sarà perduta,<br />

perché dentro di sé<br />

avrà una <strong>nuova</strong> onda<br />

che, se vorrà,<br />

raggiungerà la riva.<br />

Vorrei<br />

Voglio sognare una notte intera,<br />

voglio vivere un’emozione vera<br />

voglio guardare nel mio cuore,<br />

sulle dolci note dell’amore.<br />

Vorrei sentirmi libera di volare,<br />

come un gabbiano sopra il mare.<br />

Vorrei dire no alla guerra,<br />

vorrei la pace su tutta la terra


Mortillaro Daniela<br />

SPECCHIO RIFLESSO<br />

Vestito rosso porpora di una donna<br />

perdutamente amata…..dal cuore sgualcito<br />

di sentimenti di altri tempi.<br />

La vedi tutti i giorni, divina, incantevole<br />

….nei sobborghi di città, nelle strade di<br />

periferie con la voglia di andare lontano,<br />

di attraversare frontiere e mari d’oltreoceano.<br />

Lacrime di un passato troppo severo le vedi<br />

scorrere sul viso, e nel silenzio dei giorni<br />

infiniti, due parole con Dio….una<br />

preghiera….aspettando il sole che<br />

tornerà a scaldare l’anima.<br />

Lontano e dolce lo senti<br />

arrivare il suono di un’arpa…., il suo respiro<br />

che è il mio.


Mulin De Assis Fernanda<br />

Mia speranza<br />

Aprire le tende della vera faccia,<br />

Spogliare le cicatrici dei miraggi.<br />

Lasciar che questa tenerezza mi abbracci,<br />

Ed interpretare il mio proprio ruolo.<br />

Andare dove la fortuna mi manda,<br />

Avanzare nei passi tutta la pusillanimità,<br />

Delle pietre che mi gettano, produrre luce<br />

E trasformare il dolor in poesia.<br />

Far rinascere i sogni già disfatti,<br />

Far uso del cuore più dell’acqua.<br />

Aprire fonti di fede dentro il petto<br />

E non credere mai che tutto finisce.<br />

Lacerare la vena muta del silenzio,<br />

Trarre il sentimento di questo lavoro,<br />

Spezzare per la vita mio intenso desiderio,<br />

E strappare dal cuore la parola.<br />

Coltivare l’amore nell’utero della terra.<br />

Essere grano a germinare una verità;<br />

Sbocciare questi semi d’attese<br />

E ingravidare il ventre delle città.<br />

E quando fallisca la mia speranza,<br />

Tacendo questa voglia che mi sveglia,<br />

Ed io non possa seguire camminando,<br />

Nella lirica missione d’esser poeta,<br />

Esser capace di portare nelle mani un ricordo.<br />

Piangere per quello che tace dentro di me,<br />

Sentendo ancora un sapore della volontà.<br />

Esser capace ancora, alla fine,<br />

Di lasciar scorrere un’ultima preghiera,<br />

Creando, ormai, un verso solo di pace!


Nicotra Biagio<br />

Quando la musica diventa parte della vita…..<br />

Veniamo al mondo con un certo ritmo,<br />

una certa melodia.<br />

Ogni momento della nostra infanzia<br />

lo viviamo con una certa<br />

intensità di movimento.<br />

Si diventa ragazzi e si incomincia<br />

a conoscere nuovi ritmi, nuovi generi,<br />

ormai giovani, sorpassato il periodo<br />

delle depressioni, periodo in cui<br />

cambi continuamente stili di vita,<br />

modi di vestirti, si va alla ricerca di un<br />

genere musicale più duro come il rock-metal.<br />

Si diventa un po’ più trasgressivi,<br />

si cambia sempre modo di essere,<br />

perché si va alla ricerca di tante risposte,<br />

ma quasi sempre ci si stanca e ci si deprime,<br />

quando non si riesce a trovarne:<br />

allora è là che serve la musica,<br />

per cantare, urlare, far uscire<br />

tutta la rabbia che ci portiamo dentro.<br />

Improvvisamente si diventa<br />

maggiorenni, senza neanche accorgersene,<br />

e da quel momento tutto assume una forma.<br />

Ti volti dall’altra parte e vedi<br />

tre sagome nere, i tuoi cari,<br />

e capisci che loro sono con te e<br />

che dovresti pensare a trattarli meglio.<br />

Ma soprattutto un giorno ti sveglierai<br />

e ti guarderai nello stesso specchio<br />

in cui non vedevi riflessa la tua immagine,<br />

riconoscendo di essere davvero cambiato.<br />

Allora ti verrà in mente che qualsiasi<br />

spostamento, cambiamento, colore e<br />

forma tu abbia assunto…. la musica<br />

non ti ha mai abbandonato.


Passafiume Clelia<br />

Piogge di speranza<br />

Piogge di speranza<br />

mi illudono<br />

che tutto cambierà.<br />

Sorrisi e parole ipocrite<br />

vorrebbero esprimere<br />

una verità che non hanno.<br />

Gesti e sguardi<br />

implicitamente<br />

comunicano<br />

ciò che non vorrebbero dire,<br />

perché si vergognano<br />

di ciò che sono.<br />

Ragione e fantasia<br />

scoprono questi giochi,<br />

che alle volte<br />

portano alla follia,<br />

chi ha creduto in tutto<br />

e proprio di ciò<br />

ne ha colto<br />

solo l’apparenza.<br />

Tutto è inganno<br />

ed è dolore<br />

se non si riveste la vita<br />

con un guscio<br />

potente al falso,<br />

ricco di sogni fanciulleschi,<br />

che rendono,<br />

anche la più negativa esperienza,<br />

un avventura;<br />

ricco di innocenza indiscreta<br />

che rende il proibito accessibile,<br />

e realizza<br />

sogni bramati intensamente<br />

imparentati con utopie.


Puglisi Pietro<br />

Dolcezza<br />

Dolce natura,<br />

che cosa fai?<br />

Non sei mai sola,<br />

tanti amici hai.<br />

Di notte<br />

si sentono gli animali,<br />

che fanno i loro versi.<br />

Dolce natura,<br />

più dolce che mai!


Raimondi Chiara<br />

La mia città<br />

La mia piccola città<br />

ha i rumori del porto<br />

il fumo delle ciminiere<br />

il rumore delle sirene<br />

ha il mercatino del venerdì<br />

la via della verdura<br />

ha il pesce in mostra<br />

le luci discrete<br />

La mia piccola città<br />

ha il belvedere<br />

le terme e S. <strong>Calogero</strong><br />

le vestigia romane<br />

ha fatto la storia<br />

ha il carnevale<br />

i motorini urlanti<br />

i cittadini erranti<br />

La mia piccola città<br />

ha l’orologio del passato<br />

l’incertezza del presente<br />

il sorriso dell’immigrato<br />

Nelle notti di festa<br />

non ha voglia di ballare<br />

non ha voglia di giocare<br />

non ha voglia di sognare<br />

E’ felice quando dorme<br />

non pensa al domani<br />

che non ci sarà<br />

la mia piccola città.


Ranzino Mamo Liliana<br />

Dedica al Papa Giovanni Paolo II<br />

Durante questi miei anni di immenso dolore e di sofferenza, il<br />

Papa Giovanni Paolo II è stato un mio compagno di<br />

viaggio. Per me, Lui è stato come una consolazione, una guida,<br />

un punto di riferimento. Mi ha saputo dare sollievo e<br />

conforto; per me è stato un grande amico, perché attraverso le<br />

sue innumerevoli apparizioni in T.V. e le sue paterne<br />

benedizioni non mi ha fatto sentire sola e segnandomi ho<br />

rafforzato la mia Fede. Ho pianto spesso, perché mi sono<br />

sempre tanto commossa con le sue toccanti, incitanti, parole<br />

piene di speranza, specie quando erano rivolte ai giovani. Il<br />

Santo Padre è riuscito con i suoi messaggi a scuotermi dal<br />

mio isolamento e torpore. La sua elezione avvenuta nel 1978 è<br />

coincisa con la perdita del mio amato figlio Vincenzo. Per me è<br />

stato come un conforto questo amico che fin da quel giorno<br />

l’ho sentito accanto a me. Ora, le mie lacrime non sono solo di<br />

commozione, ma di dolore, perché non me lo sentirò più<br />

accanto nel mio faticoso cammino. Fiduciosa, però, sono nella<br />

misericordia del Divino Padre che continuerà, come sempre, a<br />

sorreggere me in terra e ad accogliere il Santo Padre fra le Sue<br />

paterne braccia.<br />

Stanza 106<br />

Il pensiero umano, per prima cosa, vola ad una bella accogliente, allegra<br />

stanza in un luogo di svago, forse di un luminoso albergo. Ad una stanza dove<br />

non si vede l’ora di entrare per potere mettere in atto quello che può essere il più<br />

bel gesto d’amore. Niente di tutto questo, la stanza n.106 di cui io parlo è una<br />

piccola, squallida, triste sala d’attesa del SER.T., dove giorno dopo giorno si<br />

alternano sempre più numerosi i tossicodipendenti che hanno deciso di uscire<br />

dal tunnel della droga.<br />

E’ una sala d’attesa triste non si pensa lontanamente di entrare e soprattutto di<br />

attendere. C’è purtroppo una madre che attende, ma cosa attende?<br />

Non è capace di dare alcuna risposta a quella che è stata una continua e frenetica<br />

attesa durata anni. Un’attesa piena di ansia, di tormento, di angoscia, di<br />

speranza, di preghiera.<br />

Si, perché in momenti così tribolati soltanto la preghiera è l’unico vero rifugio<br />

per non impazzire; è l’unica ancora di salvezza a cui aggrapparsi per sé e per<br />

gli altri, specie, quando per gli altri si intende il proprio figlio. Momenti di<br />

silenzio, di un silenzio che piange, che grida, che prega, che spera, che anela al<br />

miracolo: al miracolo della rinascita, del ritorno alla vita e a quel sorriso<br />

radioso che illuminava quel giovane viso.<br />

Speranzosa nella divina misericordia di Dio, quel sorriso illuminerà ancora quel<br />

giovane viso. La preghiera di una madre suffragata da una profonda Fede deve<br />

essere rivolta a Dio sia per il proprio figlio, che per tutti i giovani che tanto<br />

hanno sofferto e continuano a soffrire. Affinché possano ricevere la grazia di<br />

uscire da quel terribile tunnel che spietatamente li distrugge e li annienta.<br />

Meraviglioso è pregare e sperare per il ritorno al prezioso dono della vita.


Romano Maria Angela<br />

Il tuo ricordo<br />

Vivi<br />

in me attraverso<br />

il tuo ricordo,<br />

una melodia<br />

stanca<br />

risuona nella<br />

mente,<br />

il dolore lento<br />

mi logora<br />

l’anima.


Runfola Cruciano Antonino<br />

Un altro giorno a fàntasia<br />

Bellissima, mi appari, o donna celeste<br />

nel calore estivo di quest’androne<br />

ove numerose indifferenti voci si intersecano.<br />

La nera fuliggine del creato si squarcia.<br />

Una luce abbagliante dalla fessura si sparge<br />

Gli occhi si celano, la mente si collega.<br />

Sono a Fantasia, dal lato peccaminoso<br />

In questa terra vicina e impalpabile<br />

Io cammino con te, al limitare<br />

Di una spiaggia dorata, nel sole.<br />

Indi l’abiezione fa esplodere la bolla<br />

Del piacere e rincorro il duro vero.<br />

Involontariamente poggio i gomiti sul tavolo<br />

Massiccio, e quindi dall’apertura<br />

Astante vedo involarmi verso il bosco<br />

E poi salire verso il cielo. A Fàntasia<br />

Un uccello vigoroso sembro che ravvisa<br />

Come Dio pregna di bellezza la Terra<br />

Di colori vari, mista a un’intensa<br />

Luce e ad una fresca brezza.<br />

Rammento bene la prima volta<br />

Che giunsi a Fàntasia, dei sogni<br />

Dei desideri, delle speranze patria.<br />

Mio padre mi porse un olezzante<br />

Di superuomini fumetto, ed io<br />

Lasciate le inodori carte iniziai<br />

A scalare i muri col solo tatto,<br />

A inabissarmi nel più profondo<br />

Universo vivendo guerre di mondi,<br />

smarrendomi nell’alta solitudine.<br />

Per ciò ti ho odiata, poi, Fàntasia,<br />

Amore mio, nel lasciati la essenza mia<br />

Ho trovato, ma sempre mi capti.<br />

Tu sempre sei, a una spanna del capo<br />

Proprio di quegli uomini bruti idioti<br />

Che vantano di visitarti giammai.<br />

Rientrato dal volo, la mente atterra.<br />

Mi alzo e mi siedo. Nell’afa fiaccante<br />

Su incerti destini verbalizzo e da un gelido<br />

Computer comunico. Scorgo un tag<br />

Sulla Home ove delle madri urlano<br />

A Baghdad ritirando le loro mani<br />

Arrossate dai bimbi squarciati.<br />

Recandomi a Fàntasia vedo queste<br />

Madri e i figli che dal Paradiso<br />

Le guardano felici. Non solo<br />

Del peccato terra è Fàntasia.<br />

Essa distrugge la noia, ci mostra<br />

Dopo tanto dolore la speranza.


Chi passa i giorni nella Fàntasia<br />

Gioiosa vivifica la propria vita<br />

Un giorno a Fàntasia fa scoprire<br />

Nuove mire. Anche adesso che lì<br />

Mi trovo, per acciuffare questi versi<br />

delizia ancora continua a infondermi.


Sangervasio Antonio<br />

Con te vento<br />

La pioggia al cuor solerte,<br />

appar distante.<br />

Inseguo<br />

ancor il vento con lo sguardo.<br />

Non v’è finzione.<br />

Gratto al cielo scorci<br />

al nuovo mondo.<br />

Giammai potrei riviver di silenzi.<br />

Son attimi e riverbero sobbalzi,<br />

ma sento senzazioni dai colori,<br />

suprema conoscenza dei miei sensi,<br />

con te ammirar<br />

dei tempi e spazi immensi.<br />

Pace raggiunta<br />

Schiudenti usci passeggiano<br />

al mio camminare<br />

e una neve<br />

tiepida<br />

che trabocca dal sole.<br />

Dal mare rapito<br />

un istante soltanto,<br />

quel po che mi basta<br />

per sentirmi contento.<br />

Nel rapido volgere<br />

in cui miro la vita<br />

respiro soave d’una pace infinita<br />

e nei meriggi<br />

gaudenti<br />

di sinfonia solitaria<br />

riecheggiano i fasti<br />

di questa mia epopea<br />

straordinaria.


Siclari Caterina<br />

Pagine di vita<br />

Ad una ad una sfoglio<br />

queste pagine,<br />

scompigliate dal vento.<br />

La mia penna le ha scritte<br />

nelle ricorrenti stagioni.<br />

L’inchiostro muta colore:<br />

il blu rievoca<br />

i caldi giorni d’estate;<br />

il nero fissa nel tempo<br />

le caduche foglie;<br />

il rosso immortala<br />

il tepore del focolare;<br />

colori brillanti rimandano<br />

alla bella stagione.<br />

Sono pagine ingiallite,<br />

che parlano di sogni<br />

tristezze ormai lontani;<br />

di ricordi ancora vivi<br />

palpiti recenti.<br />

E’ rivestito d’azzurro<br />

questo libro,<br />

che un giorno chiuderò,<br />

sospirando…


Vallati Lenio<br />

Il diario<br />

Tra le pagine scarne<br />

del tuo diario<br />

vorrei incontrarti,<br />

amica mia<br />

e porti<br />

quelle domande<br />

che tu da sola<br />

allora ti ponevi<br />

e ripassare insieme<br />

le tue paure<br />

al tonfo secco<br />

delle bombe<br />

e ricercare nel tuo<br />

nascondiglio segreto<br />

barlumi di speranze.<br />

Così debole dunque<br />

è la nostra memoria<br />

di uomini<br />

se ciò che allora ti assillava<br />

ancor oggi m’assilla?<br />

Se ancor oggi,<br />

come allora,<br />

è così difficile trovare<br />

nel nascondiglio del cuore<br />

la parola amore?


Zappulla Guido<br />

Millesimi di vita<br />

Immagini sbiadite, ricordi cancellati,<br />

sguardi penetranti che oramai son già passati…..<br />

Momenti assai remoti in quelle gelide serate<br />

perduti in un passato dalle ali ormai spezzate…..<br />

Millesimi di vita già svaniti nei tuoi occhi,<br />

han cambiato la mia vita di un domani senza sbocchi…..<br />

Patetiche domande, incogniti perché,<br />

che ora privi di risposta danno un mondo che non c’è…..<br />

Inutili speranze, superflue verità,<br />

Di un futuro che purtroppo senza te continuerà!


Poesia in dialetto


Aiello Vincenzo<br />

Foddi ’i tia<br />

Certi mumenti un foddi io mi sentu<br />

Senza risettu mi giru e mi firrìu<br />

Circannu c’occhi cosa can nun trovu<br />

Però zocch’è ’un lu sacciu mancu io.<br />

Su tutti furnicìi ca io un’avìa<br />

Prima ’i ’ncuntrari a tia amanti mia<br />

Cu ’na man’à mascidda io campava<br />

Inveci ora haiu sempri ’a testa a tia.<br />

Quannu na strania tu eri pi mia….nun vidìa<br />

Ma di essiri orvu nun sapia<br />

Ntisa di l’aricchi un’avìa<br />

E ’u fattu ca era surdu scanuscìa.<br />

Inveci ora talìu nu gabbianu<br />

E già cu iddu volu<br />

Vìu un tramuntu ’i suli<br />

E a lampu miu lu fazzu.<br />

Ora havi un pezzu, e già ci fici ’u caddu<br />

Ma a prima mi sinteva ’anticchia pazzu.<br />

No spissuliddu tu la notti vigghi<br />

Pi lu disìu addumatu c’ha ’ntò cori<br />

Mi veni araçiu ’o latu e m’arruspìgghi<br />

Çiatànnu dintra ’i mia duci palori.<br />

Si c’è ’n’anticchia ’i largu na me menti<br />

E’ na gnunidda riservata a tia<br />

Ti pigghiu e ti ci appoiu ducimenti<br />

E ’ntà l’aricchi tu parri cu mia.<br />

Tortu nun n’appi propriu me mugghieri<br />

Du jornu ca mi dissi “Vicinzìnu!<br />

Ti viu pigghiatu troppu di pinzeri<br />

Di quannu teni ’manu lu pinninu”.<br />

Ma chi ci pozzu fari siddu tuni<br />

Di mia facisti un’omu sugnaturi<br />

’i tantu ’ntantu tu mi du un vasuni<br />

E arreri cuminciamu a fari ’amuri.<br />

Quannu ti sentu ’u cori scaccanìa<br />

Puisia…. M’arridducivu foddi ’i tia.


Di Gaetano Enzo<br />

Nustalgia<br />

Ormai fineru i tempi ri na vota,<br />

quann’era a matri c’addivava i picciriddi,<br />

e u patri ca pinzava pi idda e iddi.<br />

Quannu la sira si faceva friddu<br />

tutti assittati attornu a lu bracieri chi sbampava,<br />

c’aricchi sempri tisi comu ntinni<br />

a sentiri lu patri chi parrava.<br />

Chistu è u ricordu ri quannu eru nicu<br />

e nautri cincu frati dopu mia,<br />

sicuru ca me matri era assai stanca<br />

lavannu rrobbi cu liscia e sapuni<br />

e stirannu sempri cu ferru a carbuni.<br />

A sira pi purtarinni nto lettu<br />

truvava ancora sciatu<br />

e nni cantava puru li canzuni,<br />

nni li cantava araciu, pianu pianu<br />

e o cchiu’ nnicu ci rava puru li so manu.<br />

Ma passa u tempu e cancianu li modi,<br />

li fimmini carrera vonnu fari,<br />

asili nido, baby sitter, guvirnanti,<br />

ormai li figghi i criscinu i badanti.<br />

Forsi sarà picchì ormai sugnu vecchiu,<br />

e certi cosi nu pozzu capiri<br />

ma ri me tempi tegnu nostalgia,<br />

e un sacciu rassegnarimi all’idea<br />

di viriri sti figghi a la strania.


Dioguardi Tommasa Virginia<br />

A ttìa<br />

Si vuota e ssi rrivuota<br />

passa e ppo rripassa<br />

e ttorna arrìa<br />

“ Ma picchì?” dicu ìa<br />

P’amari a ttìa…ìa, ìa<br />

Si ggira e ssi rriggira<br />

si ferma e ppo rriferma<br />

e ttorna arrìa<br />

“ Ma chi ccerchi? “ dicu ìa<br />

Di vìriri a ttìa, a ttìa… ìa, ìa<br />

La notti durmevi nna lu me sonnu<br />

e ìa ti sunnava nna lu me cori,<br />

la notti parravi nna lu me sonnu<br />

e ìa ti cuntava nna la me fàvula<br />

ma quannu la fàvula fineva nna la me cuna<br />

e rrapeva l’occhi a lu iuornu<br />

chi nnomi avìa<br />

c’unn era mai cu mmìa?<br />

Ti circàiu nterra e ncielu<br />

ncielu e nterra<br />

e ccircàiu arrìa<br />

“ Ma chi ccerca? “ pinzava ìa<br />

Di truvari a ttìa, a ttìa…. ìa, ìa<br />

Oggi ti tegnu nna ll’occhi mìa<br />

špecchi di mari cangianti d’amuri<br />

dumani ti portu pi ogni vvìa,<br />

rotta di mari špiranti d’amuri,<br />

picchì ogni vvìa forsi è ssulu na strata d’amari a ttìa<br />

picchì ogni vvìa è vversu di puisìa<br />

chi rrima sulu cu ttìa.


Elia Rita<br />

L’emigranti<br />

Quann’eru caruseddu, lassai lu mè paisi,<br />

a genti canusciuta e a terra catanisi.<br />

Eru comu un passareddu ca fa canciu di nidu,<br />

in cerca di distinu, vulaiu ’nta n’autru lidu.<br />

’Nta l’occhi mi purtaiu u mari da Sicilia,<br />

’ntò cori la me genti,<br />

i ciauri, la parrata e a festa di Sant’Agata.<br />

E’ appressu li spiranzi di canciari u mè avveniri,<br />

d’aviri cchiù fortuna, d’attruvari dignità<br />

e scurdarimi pi sempri a fami e a puvirtà.<br />

E’ l’anni hannu passatu, nun sugnu cchiù carusu,<br />

canciò lu mè distinu ma u cori l’haiu piatusu;<br />

quannu penzu a mè la terra ca mi dava pani amaru<br />

e arrivannu a fini misi si tirava u paru e sparu.<br />

E spissu iu ci tornu e m’afferra a nostalgia<br />

e tornu arrè ’ntàrreri cu la mè fantasia:<br />

vaiu a trovu li mè amici, mè matri picciuttedda,<br />

i ciauri di nà vota, vanedda pi vanedda.<br />

Mi viru arrè carusu, cu cori spiranzusu.<br />

I tempi si canciaru, l’amici si straviaru,<br />

giranno pi vaneddi, nun trovi i vicchiareddi,<br />

a genti di nà vota ormai ’un ci sunnu cchiù,<br />

taliu la mè matruzza ca persi a gioventù:<br />

mi sentu un catanisi, stranieru o sò paisi.<br />

’Ntò cori m’arristò sulu la nostalgia<br />

e lu disiu d’amuri pi la terra mia!


Ficarra Rosalia<br />

BEDDA A ME’ SICILIA!<br />

Bedda a me’ Sicilia!<br />

Sapurusa comu i so’ aranci<br />

bedda e calurusa comu u suli,<br />

terra di cunquista, ri greci e normanni,<br />

terra ri piscaturi, carrettieri e ri viddani<br />

china ri prumissi e di paroli nun mantenuti<br />

Bedda a me’ Sicilia!<br />

Ruci comu ’a pasta ri mennuli,<br />

comu i cannola, a cassata e i cucciddati<br />

tantu boni quantu travagghiati,<br />

ricurdannu li beddi festi!<br />

Natali, Pasqua e Tutti i Santi<br />

quannu n’aspittava a vastedda sutta i renti!<br />

‘Ne chiazzi si virino vicchiareddi assittati<br />

ca si cuntanu accussì ri tempi passati,<br />

cu tanta nustalgia rintra ‘u cori<br />

virino navutra jurnata ca già mori!<br />

A me’ terra! Sta’ trinacria atturniata ru nostru mari,<br />

luntana ra terra ferma<br />

vicina ni me’ ricordi,<br />

chiussài a taliu, cchiù bedda mi pari!<br />

Quantu manciati chi me’ amici<br />

e quantu chi parenti!<br />

‘Cu pani ca meusa e vinu a volontà<br />

passavanu di jorna di felicità!<br />

Beddu u me’ mari, trasparenti e cristallinu<br />

virenno u funnu chinu ri pisci ‘ri piscari<br />

mi passava la stanchizza ri rimari,<br />

e man manu ca iava riturnannu<br />

vireva ‘u suli ca mi iava salutannu!<br />

Arrivannu versu terra, cu l’ossa rutti e affaticatu,<br />

sistimannu riti e rimi<br />

pi purtari ‘u piscatu o mircatu.<br />

Quantu ricordi chi aiu ri cuntari,<br />

e quantu caminati chi facìa<br />

quannu ricurreva a festa ri Santa Rosalia!<br />

‘Cu carritteddu sicilianu, facennu l’acchianata a Monti Piddirinu<br />

trasennu ’nta la grotta e visitannu li mura<br />

accussì accuminciava lu fistinu!<br />

Virennu e onorannu li grazi ricivuti,<br />

addumannannu cu spiranza li me’ aiuti!<br />

Chi biddizza ’u casteddu supra la muntagna<br />

liggennu i miraculi e la storia di la Santa!<br />

Taliannu ’u panurama e riscinnennu i scali<br />

quanta genti a pilligrinari!<br />

E quantu omini, fimmini e picciriddi,<br />

s’incontranu a peri n’terra pi dà via,<br />

sbattennu li me’ spaddi cu la genti<br />

scuntrannu l’occhiu ca mi talia.<br />

Spizzuliannu simenza, calia e babbaluci<br />

cu li crucifissi, santuzzi e rusari<br />

araciu araciu aviamu a riturnari.<br />

E all’alba ri tanti jorna ri mia primaveri passati,<br />

quannu partìu pi ghiri a’ travagghiari


i me’ occhi sculavanu lacrimi amari,<br />

virennu la me’ terra ca s’alluntanava<br />

senza sapiri quannu turnari.<br />

La vita da emigranti è chista cca’<br />

senza sapiri comu agghiorna<br />

senza sapiri comu sara’..


Galioto Grisanti Paola<br />

‘U VINU NUN E’ SEMPRI ALLIGRIA<br />

Siddu a tavula cun l’amici<br />

‘u cibbu ‘n’alligria vo gustari<br />

a buttigghia cu vinu nun t’à scurdari<br />

Mancia, bivi e nu pinzari a nenti<br />

pirchì ‘u vinu bivutu cu l’amici a chistu servi<br />

Ma quannu sì sulu e cuminci<br />

a biviri, vacci adaciu, pirchì<br />

nun è comu quannu cu l’amici bivi ‘n’alligria.<br />

Lu vinu si lu bivi quannu si sulu<br />

iddu è nu granni tradituri.<br />

Nun ti metti alligria ma ‘na granni malincunia<br />

ca cchiù bivi cchiù mali stai,<br />

pirchì quannu si sulu i tinti pinzeri, puru<br />

si lu vinu stai bivennu, iddi, nun ti lassanu mai.


Giurdanella Enza<br />

“M’abbàsta Signuri”<br />

M’abbàsta Signuri ca ’a matina<br />

cuànnu l’uocciu a la finestra<br />

e vìru lu suli abbranniàri o lu cielu<br />

ancora stizziàtu ri stiddi argintati.<br />

M’abbàsta Signuri sentiri ’u ciàuru<br />

ri nu gghiarsumìnu cuànnu m’affacciu<br />

a lu braccini ra ma casa e vìru fraffalleddi<br />

pittiati ri milli culura pusarisi<br />

supra macciteddi ri rosi profumiati.<br />

M’abbàsta Signuri sentiri lu vientu<br />

parrai e jucari cu li pampini<br />

ri na maccia ri carrui….<br />

Sentiri li risati re ma figghi….<br />

Priarimi pi ’n ciuri ri carta<br />

fattu re manu fatati ri ’m picciriddu…..<br />

Ri li carezzi aruci re ma nicuzzi.<br />

M’abbàsta Signuri pruari la gghioja ranni<br />

ri ’n amùri veru, ri ’n amicizia sincera.<br />

Sulu chìstu m’abbàsta Signùri<br />

e nun vuògghiu ciùi nènti.


Imburgia Salvatore<br />

Lu suli<br />

Quanno la mattina mi struvigghiu<br />

a la finestra mia m’affacciu,<br />

E viu lu suli chi si susi ’nfucatu.<br />

Una tristezza ’nta lu coru affrantu<br />

Mi pigghia chianu comu un mantu.<br />

No ca lu suli nun vogghiu!<br />

Ma viviri stu jornu<br />

Cu stu beddu suli ’nsemi a idda<br />

Ca ’nta lu me cori trasi e ristò,<br />

Comu lu suli ’nto munnhu arristò.<br />

E appuiatu a la me finestra,<br />

Ca lu jornu nascennu mi mustra,<br />

Pensu ca nuatri adurari s’avissi a iddu<br />

Ringrazziannulu pi lu beni chi ni fa,<br />

Mentri lu munnu furria e sempri và.<br />

Cu lu caluri la vita ni duna,<br />

la so luci fa brillari la luna,<br />

la terra tutta si quaria e produci,<br />

cu la luci lu jornu fa fari,<br />

lu virdi ’nta li foggi fa spuntari,<br />

l’arbuli quariannu fa crisciri,<br />

pi iddu nuatri s’avi a viviri,<br />

pi iddu nuatri stamu annhitta,<br />

sulu ca viviri vulissi felici<br />

sutta lu suli chi talia e dici:<br />

’nto pratu di sciuri e culuri<br />

felici sugnu di purtari caluri<br />

a sta coppia di zziti ’nnammurati<br />

ca cu ’mmanu ’nta la manu stanu<br />

e occhi ’ntra occhi taliannu;<br />

curriri fannu pi campi sciuriati,<br />

e di cca sutta capisciu l’ucchiati<br />

e la carusa cuminciu a strinciri<br />

cu lu suli chi riri misu d’accordu<br />

’nterra caremu supra sciuri, e scordu<br />

ca la vita viviri s’avi ch’è curta;<br />

felici senza pensari ca porta<br />

la morti sempri supra li so spannhi,<br />

viviri sempri e amannu sulu a tia,<br />

anzi ca veniri facissi vurria<br />

e truvari nuatri abbrazzati accussì.


Inserauto Salvo<br />

Ô megghiu amicu miu<br />

Picchì penzi sulu a la materia<br />

e nun criri a lu Signuri<br />

ascuta comu tuppulia lu cori<br />

quannu ti nutrichi d’amuri.<br />

’A materia è nu rrialu<br />

ca ti fici Diu<br />

tu, si’ cchiù ’mpurtanti<br />

ti lu dicu iu.<br />

Si sbatti ’na petra ô muru<br />

chista nun senti nenti<br />

ma si cci sbatti tu<br />

duluri senti.<br />

Du’ arbuli, stannu ’na vita ô latu<br />

senza putirisi mancu parrari<br />

du’ cristiani, si fannu macari amici<br />

e si ponnu piffina ’nnamurari.<br />

Tu, nun si’ ’na pianta<br />

e senz’affenniri, mancu ’n animali<br />

Iddu t’ha ddatu la cuscenza<br />

e po’ cerniri lu beni da lu mali.<br />

Tu, si’ cchinu ’i sintimentu<br />

e câ mirudda pi pinzari<br />

eppoi taliati ’ntornu, su’ tui<br />

’a terra, ’u celu e ’u mari.<br />

Ma ricorda ca s’un criri ô Criaturi<br />

si’ sempri ’u megghiu amicu miu<br />

’u sai quantu ti vogghiu beni<br />

e chistu mi l’ha ’nsignatu Diu.


Leggio Giuseppe<br />

Rjordu di flagellaturi<br />

Cu tutta a forza io cafuddavu<br />

e lu sangu i me robbi tincia,<br />

cu dovizia u serviziu facevu<br />

orgogliusu di Roma e di l’opira mia.<br />

Ma dda matina, travagliu quotidianu,<br />

sistimavu u staffili d’avoriu<br />

mi sinteva diversu, canticchia stranu<br />

ca dibulizza nne vrazza e un gnera sirenu.<br />

Mi purtarunu n’omu, un picciottu giudeu,<br />

accusatu di rivolta, bestemmiaturi<br />

lu taliaiu p’un secunnu, l’appa attaccari,<br />

li jammi trimavanu e friddu sudavu.<br />

Ci dissi: “ Furriiti strincia i sincila,<br />

è me doveri dariti pena!” Un m’arrispunniu,<br />

arrasaiu a tila e cu li spaddi arristau di fora.<br />

Ne nu lamentu, ne nu spasimu ittava<br />

soffreva in silenziu e lu sangu curreva<br />

tenneri carni e u flagellu affannava<br />

russi i capiddi ca biunni prima aveva.<br />

Nun lu vitti cchiù, ma canciaiu misteri<br />

ddu mutu patiri mi rapìu lu cori<br />

lassaiu futtiri casi, gradi e turrena<br />

servu di Diu mi fici, Luci sincera.<br />

U teatru di lu tempu<br />

U tempu è na molazza<br />

ca lenta s’arrilozza<br />

cu la forza ‘i milli vrazza<br />

adasciu idda, l’anni accurza.<br />

U tempu è un vicchiareddu<br />

varvutu, tortu, abbianchiatu<br />

lu vastuni ‘i nuci e l’occhiu attentu<br />

ti cunta li passi di la jurnata.<br />

U tempu è fimmina quieta<br />

c’abballa a tarantella a la nisciuta<br />

ca aspetta lu zitu a la scurata<br />

u cori chi curri e la vucca pittata.<br />

Judici è lu tempu e dutturi assai finu<br />

custodi di lu munnu, tintu e sirenu<br />

sfascia e conza, a destra e a mancusa<br />

rinnova a piaceri macari ogni cosa.<br />

U tempu eni musica, confusioni<br />

silenziu di cimiteru, è duluri<br />

eni frunti chi s’arrappa, è la morti chi si temi<br />

oppuri d’amuri, eni duci promisioni.<br />

Lu teatru di lu tempu<br />

è lu munnu, nuà semu l’attura<br />

e assittatu in prima fila,<br />

cu lu Maistru abbatti i manu e sciala!


Limpido Michele<br />

A notti ’nno cori<br />

Nu longu camminu appari ravanti,<br />

passi pisanti ca vannu a rilentu<br />

spirannu ca a vita tanticchia s’allonga.<br />

Pensa e ripensa a chiddru c’ha fattu<br />

mentri na lacrima ci scinni ri l’occhi<br />

e la so vita ci scurri ravanti.<br />

Comu vulissi can un fussi successu,<br />

chiddru ppi ccui virrà cunnannatu,<br />

comu vulissi turnari n’arreri,<br />

oramai è tardi pp’aviri la ràzzia,<br />

sulu u Signori lu po’ pirdunari,<br />

l’ommini, infatti, s’hanu lavatu li manu.<br />

’n Funnu a sinistra si rapi na stanza,<br />

ccu dintra na branda e centu catini,<br />

na tristi pirsuna lu fa accumudari<br />

tra li so manu, ca sannu ri morti,<br />

teni na fiala ccu ’n sieru letali ca….,<br />

no ggiru ri nenti, lu manna o Criatu.<br />

Da nn’attimu u ristinu si compi,<br />

’n cori mmenu ca batti no mummu,<br />

’n cori mmenu can un po’ chiù amari.<br />

’n Tantu fora s’è fattu già jornu,<br />

ma nno cori ri tutti<br />

è scinnuta la notti.


Mannino Giovanni<br />

LUNTANU D’AMURI<br />

La sira ‘nta la scurata<br />

la menti arrimina li pinzeri.<br />

‘Nta tuttu stu rivugghiu<br />

un pinzeri<br />

ca pi lu tempu ca passò<br />

avissi a stari ‘nfunnu,<br />

spissu veni ‘n summa.<br />

Ricordu di quannu eru<br />

Ancora picciutteddu.<br />

Assittatu ‘nta ‘na petra limmitara<br />

‘na crucchiulidda d’omu<br />

cu l’occhi sicchi e ‘nzalanuti<br />

lu corpu turtizzu<br />

tistimunianza di l’anni<br />

ca purtava supra li so’ spaddi<br />

passava li jurnati<br />

talainnu assiccu assiccu ‘nta la strata.<br />

Da tempu ‘nto so’ cori<br />

nutricava ‘na spiranza.<br />

Spiranza ca un ghiornu o l’autru<br />

avissi vistu arricogghiri<br />

qualcunu di li so’ figghi.<br />

Un ghiornu<br />

ca mi truvavu schiffaratu<br />

ammuttatu di la curiusità<br />

cci vosi dumannari:<br />

“Unn’è ca li so’ figghi<br />

avianu dimura “<br />

“Iddu m’arrispunniu”:<br />

Luntanu luntanu!……..”<br />

li me’ figghi sunnu luntanu di cori.


Neri Margherita Novi<br />

“ A Ciccaredda ”<br />

Me nannu mi cuntava quann’era nicaredda<br />

la storia di lu vecchiu e la so cicaredda,<br />

lu figghiu ccu la nora avianu priparatu<br />

’nzemmula a la cucchiara na cicara di lignu,<br />

na seggia e un tavulinu<br />

ddà ’nfunnu ’nta l’agnuni.<br />

E quannu a la dumanna – matri –<br />

picchì lu nannu nun mancia ’ncumpagnia<br />

nun havi u piattu i crita<br />

ma a cicara di lignu…<br />

frisca comu na pasqua so mà cciarrispunnia:<br />

li vecchi si vavianu, rumpunu tutti cosi<br />

megghiu ca sta cchiù arrasu<br />

e unn’incuieta a nuddu,<br />

na lacrima i duluri u carusu s’agghiuttì<br />

e subbitu di cursa ’nta cammira spirì.<br />

Un gnornu patri e matri furriavanu cuntenti<br />

’ntornu a lu jardineddu<br />

e ’nacapu a lu bizzolu vittiru u caruseddu<br />

ccun lignu e nu scarpeddu,<br />

cchi vai facennu figghiu…..<br />

prontu lu caruseddu:<br />

priparu a ciccaredda<br />

quannu ca ccu lu tempu sariti vicchiareddi.<br />

La lacrima stavota lu patri l’agghiuttì<br />

e lestu ccu primura la cicara ittò<br />

e u postu cchiù ’mpurtanti ’nta tavula cunzò,<br />

lu nannu e u niputeddu si tinniru ppì manu<br />

l’amuri ’nta la casa e ’nto cori trabuccò<br />

e a lacrima di gioia ’nta l’occhi luccicò.


Sgarito Carmelo<br />

Mumenti d’amuri<br />

Lu suli ca torna ni lu mari<br />

è comu un sognu ca ritorna l’indumani.<br />

L’occhiu ca si perdi ni la sira<br />

ni tru funnutu mari,<br />

nun po’canciari l’amuri miu pi tia<br />

ca mai scumpari.<br />

Scappanu di la menti li pinzera<br />

di lu jornu passatu,<br />

pinzannu e ripinzannu già sentu<br />

lu to ciatu.<br />

Torna di cuntinu intra sta sira<br />

lu ciauru di la luna,<br />

uguali a chiddu to quannu si ‘nnamurata.<br />

Lu suli cala a fini da jurnata,<br />

ritorna forsi comu tia ni la so casa.


Siragusa Maria Rosa<br />

Lu cumpagnu di scola<br />

Di april di un bel mattino<br />

nacque un bimbo di nome Luigino!<br />

Il papà e la mamma, lo avevano creato<br />

e in due minuti capiaru ca s’avianu cunzumatu!!<br />

Quannu era nicu<br />

era sapritu!<br />

Ma ora ca è granni<br />

pari un cantanti!!!<br />

Ci piaci “Tony H e Lady Elena”<br />

a stu carusu ca a la scola non avi lena!?!<br />

Quannu eni ‘nterrogato<br />

pari tuttu elettrizzato!!<br />

Vuatri nun lu sapiti: Avi simpatia<br />

pi lu dirittu e l’economia….<br />

….ma cu lu prufissuri eni offeso….<br />

….picchì lu misi passatu fu sospeso!!!<br />

Nenti! Casi bramusi…<br />

…ca fannu sulu li carusi!!<br />

L’unico difetto<br />

è di essere perfetto<br />

tantu ca si talia sempre a lu specchiu!!<br />

Ama stare al centro dell’attenzione…<br />

...interrompendo ogni lezione…!!!<br />

Mi quantu è “camurrusu”<br />

stu carusu!<br />

L’annu passatu fu studiatu<br />

pi fari lu teatru…<br />

…e la rinisciuta di la storia fu accolta<br />

tantu ca la genti dicia:<br />

- quantu e bravu a fari Jhon Travolta!!!<br />

Cu la radiu di lu parrinu<br />

spira a divintari D.J. Luigino…<br />

…metti li dischi ca fa la pena<br />

autru chi musica, pari na novena!!!<br />

Stu signurinu, mienzu D.J. e mianzu ballerinu<br />

avi un ciuffu grittu e finu<br />

ca pari un sparaciu scuparinu!<br />

Va furriannu tuttu ‘ntillicchiatu e profumatu<br />

e di li fimmini spessu è circatu!!!<br />

Na vota lassa, na vota pigghia<br />

e si trova ‘manu un pugnu di canigghia!!<br />

Voli troppu beni a so nannu Tanu<br />

ca na lu spissu ci vagna li manu!!<br />

DIMENTICAVO:<br />

Il fascismo è il suo ideale<br />

Ma quannu s’arrabbia non è cordiale!!<br />

I suoi amici sono Adolfo e Benito<br />

i due grandi del suo futuro partito…<br />

…di Berlusconi…pua……è innamorato<br />

è il suo sogno e di fare l’onorevole deputato!?!<br />

PERO’ T’AVVIERTU:<br />

“Lu D.J., lu ballerinu, lu politicanti ma soprattutto lu pumatusu<br />

hannu fattu parti di la tò vita di carusu!!....<br />

……ma ora ca fa parti di li ranni<br />

va ‘nzignati l’arti e miattila di parti,


ma si nò arriasti<br />

“senza né arti né parti”!!!


Sezione D, E, F


De Vincenzo Simone<br />

Un magico Natale<br />

Il Natale porta i doni<br />

ai bambini,<br />

dolci e dolcetti per i<br />

poveri vecchietti.<br />

Il Natale celebra l’arrivo<br />

di Babbo Natale,<br />

amico dei bambini,<br />

anche dei più piccini.<br />

E’ Natale, una festa<br />

madornale, per<br />

vecchietti, adulti e<br />

ragazzetti.<br />

Pace, pace ci sarà<br />

per il mondo che gioirà.<br />

Ma la pace arriverà?<br />

A Natale i bambini lo diran.


Gullo Vincenzo<br />

Cierda na vota<br />

Cierda na vota iera un paisiddu<br />

nicu, cu na pocu di casi<br />

e na chisuzza,<br />

Cierda tannu un si chiamava accussì,<br />

ma si chiamava funnacu novu,<br />

c’iera l’allogio pi li carrettieri<br />

ca purtavanu materiali di cummerciu,<br />

commu: ceramiche, alimenti e giarri.<br />

Cierda nasciu nò 1656,<br />

pi un periudu fu un paisi<br />

impurtanti<br />

di Cierda si ni parrò puru a<br />

Milanu<br />

fu importanti pi la Targa Floriu<br />

accussì Cierda iera na vuota<br />

un vu scurdati.


Lazzara Angela,<br />

Lo sciopero della terra<br />

Un giorno la terra si ribellò,<br />

scrisse un proclama e si appisolò.<br />

“Comunicazione per gli inquinatori del mondo:<br />

la Terra ha smesso di fare il girotondo.<br />

Se lo sciopero vorrete fermare,<br />

ci son alcune cosine da sistemare.<br />

Se conto non ve ne rendete,<br />

un mio aiutino personale avrete:<br />

tutti i bambini<br />

sprecano carta per i disegnini,<br />

ma vi assicuro che se la gomma userete,<br />

la vita ad un albero salverete;<br />

alcuni uomini col fucile,<br />

fanno una cosa davvero vile:<br />

ammazzano gli animali,<br />

con il pelo, con le pinne o con le ali:<br />

inoltre le foreste stanno disboscando<br />

e l’acqua stanno inquinando;<br />

se continuerete a combatter le guerre,<br />

verranno distrutte ancora vaste terre,<br />

invece se i mitra e i cannoni in una stanza chiuderete,<br />

fine a distruzione e pianti porrete.<br />

Se le mie condizioni non rispetterete<br />

fra molti anni anche voi tristi sarete.”<br />

Un consiglio voglio dare:<br />

aiutiamo a riciclare,<br />

abbiamo la nostra casa da salvare!!!


Lazzara Martina<br />

La pace nel mondo<br />

La pace è una colomba bianca<br />

Che porta l’amore nel mondo.<br />

La pace è amore, giustizia, armonia<br />

E anche un po’ di fantasia.<br />

La pace è girotondo<br />

che facciamo intorno al mondo<br />

è un arcobaleno da disegnare<br />

e da sette colori colorare:<br />

viola, blu celeste, verde<br />

la speranza non si perde!<br />

Giallo, arancio e rosso<br />

Desideriamo la pace a più non posso!


Marraffino Elena<br />

Fratello lontano<br />

Io ho un fratello lontano<br />

che cerca di stringere la mia mano.<br />

No, non conosco il nome di questo fratello,<br />

ma se chiudo gli occhi lui sente il mio richiamo…..<br />

E’ scampato alla guerra, alla fame,<br />

al disprezzo e alla persecuzione…..<br />

Lui è sempre là,<br />

voglio soffiare via l’odio dal suo cuore<br />

e riempirlo solo d’amore,<br />

l’amore dell’uomo per ogni altro uomo,<br />

per vivere una vita per sempre in pace………<br />

(dedicato a tutti quei bambini di paesi lontani, che non conoscono la gioia di una vita felice)


Marraffino Jlenia Maria<br />

L’adolescenza<br />

Arrivando a una certa età,<br />

si entra nel periodo della perplessità,<br />

questo è il periodo dell’adolescenza<br />

e per alcuni, un periodo di decadenza;<br />

ci sono ragazzi,<br />

che per problemi gravi incominciano a drogarsi;<br />

altri, invece, incominciano a bere e a fumare,<br />

fino al punto di star male.<br />

Per fortuna, l’adolescenza, non è solo questo,<br />

ma anche un passaggio della vita, che ti lascia il segno dentro,<br />

perché ti cambia mentalmente<br />

e fisicamente.


Pagano Barbara<br />

La farfalla<br />

La farfalla lieta lieta,<br />

vola di fiore in fiore.<br />

E’ tutto uno splendore,<br />

ha le ali di seta.<br />

Vola, torna, si posa,<br />

pare un petalo di rosa.


Pagano Dario<br />

La felicità<br />

La felicità<br />

è una cosa unica,<br />

non la può mai<br />

portare via nessuno.<br />

I cuori sono rossi,<br />

come fragole.<br />

La felicità è una cosa unica<br />

e non si può spezzare mai.


Passafiume Amedeo, nato a Palermo il 13/02/1993 e residente in <strong>Cerda</strong> in Via Alcide de Gasperi, 10.<br />

A paci<br />

’Nta tuttu lu munnu nienti è miegghiu di la paci,<br />

chi paruola granni, fuorti e cunsacrata.<br />

’Nta sta iepuca di uoggi accussì truoppu<br />

marturiata e tribuliata,<br />

’nta tutti li latati nienti<br />

c’ya di priziusu ’cchiu disiatu.<br />

’Nta tutti li tempi ’a paci<br />

annu fattu finta di circarla<br />

e quasi stempri nun c’yannu<br />

arrinisciutu à truvalla.<br />

’Nta li gnuni scunfinati di li cuori<br />

di tutti li cristiani<br />

idda ya bella ammucciata;<br />

iddi sunnu siempri surdi<br />

a la vuci di lu PATRI ETRNU<br />

cu li sò santi e giusti ’nsignamienti.<br />

’Nta nostra tierra nun c’yavissa iessiri<br />

puostu pi lu niuru ma sulu<br />

pi li culura acculurati di la paci.<br />

Pi curpa di chiddi gienti sempri prisintusi,<br />

caini e ’mbiriusi ’nto spissu<br />

’nfirvirati a sciarriarisi<br />

nun si viri mai ’sta banniera svintulari.<br />

Allura yunciemuni tutti,<br />

patruni e yarzuni,<br />

’zzuoppi e latini,<br />

senaturi e yurnatari,<br />

’taliani e musulmani,<br />

cattuolici e prutistanti<br />

chiddi da destra e chiddi da sinistra<br />

pi jiri ’a grirari:<br />

FACIEMU ’A PACI, MA ’A PACI VIERA.


Pizzo Concetta<br />

Mio fratello e la sua paura<br />

Un giorno il mio fratellino<br />

ha preso un formaggino<br />

per farsi un panino<br />

ma si era sporcato come un porcellino.<br />

La mamma quando lo vide<br />

l’ha subito rimproverato.<br />

Io, da dietro il divano<br />

piano, piano,<br />

lo spaventai e scappai.<br />

Da quel giorno<br />

il mio fratellino<br />

non mangiò più il panino<br />

con il formaggino.


Romeo Paolo<br />

Il Carnevale<br />

Il Carnevale è la festa più colorata,<br />

tra coriandoli, stelle filanti e vestiti;<br />

i bambini giocano tutti felici.<br />

Streghe, principesse e cavalieri,<br />

sfilano e danzano con i giocolieri.<br />

Carri addobbati, di tanti colori,<br />

portano gioia in tutti i cuori.<br />

Giorni pieni di allegria, trascorsi<br />

gustando chiacchiere e pignolata;<br />

rimarranno impressi nelle prossime serate.<br />

Il Carnevale è molto importante,<br />

è per i bambini una festa trionfante.


Scimeca Maria Letizia<br />

Il mistero della vita sulla terra<br />

La luna risplendeva di una pallida luce mentre nelle oscurità<br />

del bosco un marziano si guardava intorno, cercando di<br />

trovare qualcosa che gli ricordasse la sua terra d’origine.<br />

Attorno a se vedeva la natura e gli animali, ma più in la? Si<br />

avvicinò alla città e vide gli uomini, rimase così stupito dalla<br />

stranezza di quelle creature che non riusciva a credere ai suoi<br />

occhi. Erano così strani, erano tutti… come dire?! Così uguali<br />

e al contempo così diversi. Il marziano era molto confuso;<br />

arrivato da molto lontano, vagando tra le luminose stelle e le<br />

affascinanti galassie giunse sul pianeta Terra per portare a<br />

termine un’importante missione, quella di scoprire il<br />

significato della vita sulla Terra. Il marziano iniziò a darsi da<br />

fare, girò il mondo, conobbe una società benestante che<br />

tendeva al consumismo e dietro questa realtà ne<br />

conobbe una seconda, quella delle guerre, delle distruzioni, del<br />

dolore, della povertà. Scoprì quindi che sulla Terra molti<br />

uomini avevano molto e altri troppo poco. Il marziano<br />

continuava a non capire e a farsi domande. Aveva scoperto<br />

molte cose, ad esempio che il dolore della pelle degli uomini era<br />

diverso in base al luogo di provenienza di ogni uomo, ne aveva<br />

visti di gialli, neri, bianchi, rossi, e notò anche che non si<br />

accettavano molto fra di loro, secondo lui litigavano per il<br />

colore più bello; sentì parlare del denaro e scoprì che sulla<br />

Terra era molto importante; vide che le donne facevano come<br />

delle gare per chi avesse il vestito più bello e costoso. Tutto ciò<br />

gli faceva ricordare il suo mondo, là le genti si amavano,<br />

nessuno cerca di prevalere sugli altri, non ci sono guerre e<br />

nessuno ricorre mai alla violenza, non ci sono marche o<br />

marchi che differenziano in qualche modo un essere da un<br />

altro. Queste conclusioni non aiutava il marziano nelle sue<br />

ricerche, allora cercò le sue risposte nel culto degli umani, ma<br />

anche su questa prospettiva erano molto diversi. Alcuni<br />

pregavano un solo Dio, altri ancora facevano del male nel suo<br />

nome, altri ancora veneravano la natura o non credevano in<br />

alcuna divinità e ponevano se stessi al centro dell’universo.<br />

Ma il tempo del marziano era scaduto, fu costretto a tornare a<br />

casa senza avere colto dagli uomini il significato della vita<br />

sulla Terra rifiutando ciò che aveva scoperto. Egli si rifiutava<br />

di credere che il denaro fosse la cosa più importante, preferiva<br />

piuttosto pensare che gli uomini vivessero senza attribuire un<br />

giusto e unico valore alla loro esistenza.


INDICE DEGLI AUTORI:<br />

Aiello Vincenzo<br />

Bertolino Alessandro<br />

Bonato Aldo<br />

nato a Marostica il 31.03.1943, residente a Nove (Vicenza), terra di ceramica.<br />

Neo-pensionato, assiduo lettore di romanzi e saggistica, amante della scrittura praticata per hobby.<br />

Frequenta vari corsi all’Università Adulti/Anziani di Marostica, con vivo interesse verso le discipline letterarie.<br />

E’ alle sue prime partecipazioni a Premi letterari. Vincitore per due anni consecutivi (1999-2000) del Premio “Farfalla<br />

d’Argento” alla XVII edizione del premio “50 & PIU’” di Levico (TN), è stato finalista al premio “Due Sorgenti – La<br />

Brenta 2000” a Carpanè (VI), oltre che “Segnalazione Premio Iride – XVII Ediz. ” Di Cava dei Tirreni (SA). Suoi scritti<br />

vengono pubblicati periodicamente da “Il Gazzettino” e “Il Giornale di Vicenza”.<br />

Bosich Romano<br />

Calabretta Natale Giuseppe<br />

nato a Crotone il 28/5/71.<br />

Archivista con compiti d’analisi e gestione database (ambienti serie DB e Windows-Acces) presso l’Archivio del<br />

Vicariato in San Giovanni in Laterano.<br />

Correttore, curatore di bozze e traduttore dall’inglese, (tra le altre di Michael J. McEachern “A Color Guide to Corn-<br />

Snakes”, Advanced Vivarium Systems Library, Lackeside CA USA, 1991; in italiano presso la stessa), curatore di<br />

ricerche bibliografiche (tesi di laurea, dottorati di ricerca, case ed., monografie, cataloghi, fondi biblioteche e archivi).<br />

Attualmente collaboro come curatore editoriale per la “BookSharing Ed.” e continuo l’attività di curatore, correttore di<br />

bozze e traduttore dall’inglese come freelance presso piccole case editrici romane e coltivo il mio impegno<br />

ambientalista scrivendo articoli e redigendo dossier per l’ A.N.T.A. (Ass. Naz. Tutela Ambiente).<br />

Canale Massimiliano Mario<br />

è nato a Palermo l’11 febbraio 1992. Durante l’infanzia dimostra una grande predisposizione al disegno, per cui<br />

parteciperà nel 2002 a una Mostra ad Altavilla Milicia (PA), per la quale riceverà una targa. Si impegnerà anche nel<br />

nuoto che gli vale una coppa di terzo classificato e in danza esibendosi in un saggio pubblico, per cui riceverà una<br />

coppa. Nel 2003 perfeziona la tecnica di scrittura e inizia a comporre apprezzati temi. Sospinto da un continuo desiderio<br />

di conoscere, di leggere, di scrivere, verrà selezionato il 16 aprile 2004 per prendere parte come concorrente a “Genius”,<br />

il telequiz condotto da Mike Bongiorno e riservato agli studenti di scuola media. Scalerà, così, la classifica e vincerà la<br />

sua puntata, palesando un’ottima preparazione nonostante frequenti ancora la prima media. Per la brillante<br />

partecipazione alla trasmissione di Retequattro, il Sindaco di Altavilla Milicia gli conferirà una targa e il Preside<br />

dell’Istituto Comprensivo presso il quale studiava gli consegnerà un attestato durante una pubblica manifestazione di<br />

canto alla quale Massimiliano Canale partecipa come concorrente nel giugno del 2004.<br />

Dall’estate dello stesso anno scrive regolarmente per il bimestrale del Santuario Mariano diocesano di Altavilla Milicia,<br />

“Ecco Tua Madre”, pubblicando articoli di vario genere.<br />

Il 14 ottobre 2004 viene <strong>nuova</strong>mente convocato da Mediaset per partecipare a “Genius” e raggiungerà la semifinale.<br />

Da fine 2004, dopo che già da un anno aveva cominciato a scrivere racconti gialli e d’avventura, avvia una regolare<br />

produzione di poesie; in poco più di un anno ha già composto circa 200 liriche, alcune delle quali invia a concorsi di<br />

poesia.<br />

Il 30 luglio 2005 riceve il 2° Premio della Sezione Ragazzi under 18 della VII Edizione del Premio Nazionale di Poesia<br />

di Altofonte in Versi, partecipando con la lirica “L’arma della speranza”.<br />

In settembre 2005 si trasferisce ad Enna. Desidera pubblicare le sue poesie e i suoi racconti gialli o d’altro genere.<br />

Il 29 ottobre 2005 riceve un premio per essere stato segnalato, con la poesia “Dialogo con la droga”, dalla giuria della<br />

XII edizione del Premio di Poesia Città di Seregno (MI), con il patronato della Regione Lombardia. Da novembre scrive<br />

per il giornale della Parrocchia di Sant’Anna di Enna.<br />

Cardillo Anna Maria<br />

nata a Roma il 20 maggio 1947.<br />

Donna serena e realizzata nella famiglia, nel lavoro e nell’attività di volontariato ospedaliero, ottimista e positiva.<br />

Iperattiva ed entusiasta della vita, ama l’arte e i viaggi ed ha avuto la fortuna di recarsi in molte parti del mondo, ma,<br />

soprattutto, privilegia il contatto e il rapporto con l’Uomo di qualunque razza, religione e cultura convinta che ogni<br />

essere, unico e irripetibile, abbia in sé inestimabili ricchezze, che può e deve donare agli altri.<br />

Scrive versi dai tempi ormai lontani dell’adolescenza, ma i suoi testi sono sempre rimasti chiusi nel cassetto. Solo<br />

recentemente ha deciso di renderli disponibili alla lettura e ne ha avuto apprezzamenti e numerosi riconoscimenti in<br />

concorsi nazionali e internazionali.<br />

Alcuni suoi componimenti sono stati pubblicati in volumi antologici.<br />

Carta Salvatore<br />

nato a Palermo il 9/08/1939. Ho conseguito la Maturità Classica presso il Liceo “ Umberto I “ di Palermo, la laurea in<br />

Scienze Biologiche presso l’Università di Palermo. Professore di Botanica per due anni (1969/70 e 1970/71) presso la<br />

stessa Università; quindi dirigente a Roma di una multinazionale fino al 2001.


Finalmente posso dedicarmi a tempo pieno a scrivere: ho ultimato tre romanzi, il primo “Bongo”, sarà<br />

commercializzato nelle librerie italiane a Gennaio 2006, edito da Firenze Libri; tre favole; una decina di racconti, e<br />

molte poesie, di cui la prima raccolta, “Fusione” , sarà edita a novembre 2005 dalla parte casa editrice Thule.<br />

Primo posto assoluto al “Giacomo Giardina” (edizione 2004); finalista “Insieme nell’arte” (ASA) XIII Premio di Poesia<br />

e Narrativa (2002), al “Rosario Porpora” di Cefalù (2003), al Christian Andersen di Sestri Levante; vincitore della<br />

“Targa Marcello Lo Iacono” (2002); vincitore del premio speciale Banca Di Credito di Altofonte (2004), secondo al<br />

Premio Nazionale di Poesia “Baronessa di Carini” (2004).<br />

Finalista con “Menzione d’Onore” al Premio Letterario Internazionale “Amicizia – Mario Giuseppe Restivo” XIX<br />

Edizione (2005); finalista al “Concorso Nazionale Timetus” (2005); finalista con “Segnalazione di merito” al “Premio<br />

Giulio Palombo” IV Edizione (2005) Sezione Racconti; finalista con “ Segnalazione di merito” al “Premio Elvezio<br />

Petix” VIII Edizione.<br />

Nel 2005 ho tenuto un ciclo di sei conferenze “Sulla tragedia greca” presso il Circolo Culturale “Giacomo Giardina” di<br />

Bagheria; ho ultimato un saggio sullo stesso argomento, ed un altro su “Luigi Pirandello”.<br />

Art Director del Circolo Culturale “ L’espressione” e redattore dell’omonimo periodico bimestrale; “Coordinatore delle<br />

Attività Culturali” del Circolo Culturale “Giacomo Giardina”.<br />

Castagna Giorgio<br />

Nato a Milano il 11.01.1974, abita a <strong>Cerda</strong> (PA). Laureato in scienze geologiche. Ha partecipato a diversi concorsi<br />

letterari.<br />

Cavallo Carla<br />

è nata a Modica (RG) il 12.07.1962 dove risiede.<br />

Cesari Giorgio<br />

Cutuli Fabrizia<br />

Curcio Giusy<br />

D’aleo Francesco<br />

Le mie poesie, se così vogliamo definirle, non sono altro che emozioni scritte, slanci di pessimismo od ottimismo fissati<br />

sulla carta. Le ho scritte soprattutto per me stesso e sono state, quindi, lette da pochissime persone. Non riesco ad<br />

immaginare che effetto possano avere sugli esperti componenti di una giuria; ma ciò ha poca importanza, dal momento<br />

che esse contengono tutto me stesso; esprimono, ad esempio, il mio amore per colei che, incontrata come per miracolo<br />

tanto tempo fa, amo definire “fresca sorgente lungo il cammino”. Ma c’è anche il mio amore per le mie figlie, per le mie<br />

tre figlie “stelle sfolgoranti sull’ombra del mio tramonto”; e c’è il mio amore per le cose create, per un Dio che,<br />

tenendoci per mano, ci fa da guida attraverso un’esistenza che, altrimenti, non avrebbe senso alcuno.<br />

I miei interessi sono rivolti soprattutto alla musica; quella organistica in particolare e quella sinfonica, con una<br />

predilezione, forse per una certa affinità caratteriale e di intenti, per Gustav Mahler. Le sue Sinfonie esprimono tutto un<br />

mondo che mi è congeniale e con il quale sono in perfetta sintonia.<br />

De Vincenzo Simone<br />

Di Gaetano Enzo<br />

nato a Termini Imerese il 1-11-1942, dove vi risiede.<br />

Ex manutentore fiat in pensione, si diletto a scrivere poesie da luglio 2003.<br />

Dioguardi Tommasa Virginia<br />

Elia Rita<br />

Nativa di Termini Imerese vi abita dedicandosi alla poesia.<br />

Ficarra Rosalia<br />

nata a Palermo il 13/09/1972.<br />

Si occupa di Psicosintesi e di trucco fotografico.<br />

Gaglio Leonardo<br />

frequentante la V ginnasiale del liceo classico Santi Savarino di Partitico.<br />

Vincitore di vari premi fra i quali: 2˚ posto concorso di poesia “Città mia” II edizione, Palermo; 2˚posto concorso<br />

nazionale di narrativa “Ogni giorno costruisco ali per chi non sa volare”, Gela; menzione di merito al 6˚concorso<br />

nazionale di poesia “KALURA” Cefalù<br />

Pubblicazione nell’antologia “Alimena sotto le stelle della letteratura” casa editrice Arianna anno 2005.<br />

Galioto Grisanti Paola<br />

è nata a Bagheria dove vive sin dalla nascita.<br />

Fin da ragazza ha coltivato la passione per la musica, la poesia e la fotografia, attualmente socia U.I.F. anche in questo<br />

settore si distingue con varie segnalazioni.<br />

Dopo avere conseguito la licenza media per quattro anni ha studiato pianoforte.<br />

Partecipa a concorsi a carattere regionale e nazionale. Il 3 settembre del 2000 viene segnalata dalla giuria nel terzo<br />

concorso di poesia Città di Cefalù, premio indetto dalla A.E.C. Association Europèenne des Cheminots Sezione Italiana<br />

di Palermo dove le viene dato un attestato dal prof. Tommaso Romano, Assessore alla cultura della Provincia di<br />

Palermo componente e presidente della giuria. Nel frattempo ha partecipato e continua a partecipare a numerosi


concorsi di poesia classificandosi tra i primi posti ricevendo coppe, medaglie in argento, bronzo, targhe ed attestati e<br />

diverse sue poesie sono state scelte dalle varie giurie inserendole in diverse antologie.<br />

Il 18 settembre 2003 il Consiglio Direttivo del Circolo Culturale Giacomo Giardina con il consenso dell’Assemblea la<br />

nomina Vice Presidente-Aggiunta dell’associazione, che viene ospitata in alcuni locali della Villa Galioto di proprietà<br />

della stessa Sig.ra Paola Galioto Grisanti in comodato d’uso al Circolo Culturale G. Giardina.<br />

Alla III^ edizione del premio letterario “Giulio Palombo” il Sindaco e l’Assessore Alle Attività Culturali del Comune di<br />

Ficarazzi (PA) hanno deciso di assegnarle una Targa d’argento, riconoscimento per la sua encomiabile e continua<br />

attività poetica.<br />

La premiazione si è svolta Domenica 28.03.04 in Ficarazzi (PA).<br />

L’1/02/2005 viene eletta vice Presidente del Circolo Culturale Giacomo Giardina<br />

di Bagheria.<br />

Il 14/03/2005 al Teatro “Al Massimo” di Palermo durante la serata di gala “Premio Internazionale Universo Donna” VII<br />

edizione organizzata dall’Associazione Primosole di Palermo, viene premiata con un bassorilievo in bronzo autore il<br />

Maestro Carlo Puleo. Motivazione: operatrice socio-culturale, poetessa e per quanto riporta sopra il curriculum.<br />

Quella sera viene anche premiata la poetessa Maria Luisa Spaziani.<br />

Il 16 ottobre 2005 a Giardini Naxos, per il Premio Poesia e arti figurative 2005 della accademia internazionale “Il<br />

convivio” riceve un “Riconoscimento di merito” con la poesia “Osservando oggi la natura”.<br />

E’ in preparazione la pubblicazione di una sua raccolta di poesie.<br />

Gazzarra Michele<br />

Genova Lorenzo<br />

nasce a Carini (Pa) il 14/11/1948.<br />

Ha partecipato alla realizzazione del film “I Cento Passi” di Marco Tullio Giordana, come attore nella parte<br />

dell’edicolante. Partecipa a manifestazioni di piazze in cui recita poesie da lui scritte.<br />

Geraci Salvatrice Pietra<br />

Nativa di Petraia Sottana nel 1978 e residente a Sclafani Bagni.<br />

Giannone Giacomo<br />

Gioia Giuseppe<br />

Gioja Pietro<br />

ha partecipato a numerose manifestazioni. Fra le quali:<br />

1998 Recital al Conservatorio di musica di Palermo: Sul tema della Commemorazione dei defunti (2<br />

Novembre).Selezione e pubblicazione a cura del Comitato dell’Associazione letteraria del “sublimismo” di Palermo;<br />

1999 Recital a Palermo: Sul tema del Natale. Selezione e pubblicazione a cura del Comitato organizzatore<br />

dell’Associazione “Centro Culturale Turistico Febo” di Palermo (Sferracavallo); 2002 XII Edizione del Premio<br />

Nazionale di Poesia “Baronessa di Carini” – Carini (PA): Premio Menzione Giuria e pubblicazione in antologia<br />

(sezione poesie in lingua italiana a tema libero ); 2003 XIII Edizione del Premio Nazionale di Poesia “Baronessa di<br />

Carini” – Carini (PA): Premio Menzione Giuria e pubblicazione in antologia ( sezione poesie in lingua italiana a<br />

tema libero ); 2004 XIV Edizione del Premio Nazionale di Poesia “Baronessa di Carini” – Carini (PA): 2° Classificato<br />

ex aequo e pubblicazione in antologia ( sezione poesie in lingua italiana a tema libero ); 2004 VIII Edizione del Premio<br />

Regionale di Poesia e Narrativa “Endas” – Erice (TP): 1° Classificato e pubblicazione in antologia (sezione poesie in<br />

lingua italiana a tema libero ); 2004 I Edizione del Premio “Sicilianamente” – Palermo: 2° Classificato e pubblicazione<br />

in antologia ( sezione poesie a tema ); 2005 V Edizione del Premio di Poesia religiosa “Carmina Deo” – Busto<br />

Palizzolo (TP): 2° Classificato e pubblicazione in antologia ( sezione poesie in lingua italiana ).<br />

Giurdanella Enza<br />

è nata a Modica (Ragusa) nel 1969 dove abita.<br />

Gullo Vincenzo<br />

Gollinelli Fulvio<br />

Laureando in Informatica, scrivo da sempre per puro e semplice piacere personale.<br />

Nel tempo libero mi piace scrivere poesie ( e mi piace trovare del tempo libero per scriverne !).<br />

Lo scorso anno sono stato tra i segnalati nell’ambito del concorso letterario “HABERE ARTEM” indetto dalla casa<br />

editrice “Aletti” di Roma.<br />

Nell’Aprile 2004 mi sono classificato al 4° posto al concorso di poesia “L’anima in versi 2004” presso il comune di<br />

Origgio (VA):<br />

Nel Luglio 2004 mi sono classificato al 3° posto al concorso nazionale di poesia “Il Fuoco”.<br />

Nell’Ottobre 2004 sono risultato tra i finalisti al premio letterario “Città di Pomigliano d’Arco” indetto dalla poetessa<br />

sig.ra Tina Piccolo.<br />

Nel Marzo 2005 ho vinto il primo premio al concorso nazionale di poesia “Ostia Mare di Cultura” presso l’associazione<br />

culturale “Il Dialogo”.<br />

Gugliuzza Salvatore<br />

si è distinto in numerosi concorsi, fra i quali:


6/06/1999 1° posto alla VI Rassegna di Poesia e Cultura Assoc. OIKOS – Ficarazzi (PA); 28/05/2000 5° Posto al 6°<br />

Conc. Internaz. A.L.A.P.A.F. – Bagheria (PA); 9/06/ 2000 Semi-Fin. e mensione di merito al 6° Festival di Musica e<br />

Poesia – Ghibellina (TP); 3/09/2000 4° Posto al 3° Concorso Nazionale Calura – Cefalù (PA); 28/10/2000 2° Posto<br />

alla IV^ Ediz. Premio Intern. “L’attualità-Bartalucci” – Roma; 22/04/2001 al 7° Conc. Intern. A.L.A.PA.F – Bagheria<br />

(PA); 29/05/2001 Finalista al Premio Art. Lett. “N. mirto” 2001 – Alcamo (TP); Luglio 2001 Contratto di Pubblic.<br />

Casa Ed. “Libroitaliano” – Ragusa “Sogni,amore e malinconie”; 27/10/2001 Finalista alla V^ Ediz. Premio Intern.<br />

“L’attualità-Bartalucci” – Roma; 9/12/2001 Mensione di merito alla Mostra-Concorso Eventus 2001 – Avola (SR);<br />

11/05/2002 Finalista al Premio Art. Lett. “N. Mirto” 2002 – Alcamo (TP); 12/05/2002 3° Posto al 9° Concorso Intern.<br />

A.L.A.PA.F. – Bagheria (PA); 19/05/2002 2° Posto al Premio Letterario “Immagini di luce dal cuore” – Felino (PR);<br />

22/10/2002 Finalista alla VI^ Ediz. Premio Intern. “L’attualità-Bartalucci” – Roma; Novembre 2002 Mens. di merito<br />

con elogio alla 19^ Ediz. Premio Phintia – Licata (AG); 8/12/2002 Diploma d’Onore di mensione alla 4^ Ediz. Conc.<br />

“Ars-Millennium” – Geraci Sic. (PA); 22/12/2002 4° Posto al 2° Premio “Natale insieme 2002” – Acireale (CT);<br />

7/02/2003 1° Posto alla I^ Ediz. Premio Letterario “Rosario Porpora” – Cefalù (PA); 9/02/2003 1° Posto al 3° Conc.<br />

Naz. di poesia “Carnevale in allegria” – Acireale (CT); 16/02/2003 5° Posto al Premio Naz. “Trofeo Maria Cutuli” –<br />

San Gregorio di Catania (CT); 16/02/2003 5° Posto al Recitale di Poesia – Acireale (CT); 4/05/2003 1° Posto alla 14^<br />

Ediz. Premio Naz. di Poesia “R. Piccolo” - Patti (ME) Sez. “Poesia nel Tempo”; 31/05/2003 Premio Speciale della<br />

giuria al Premio Art. Lett. “N. Mirto” – Alcamo (TP); Luglio 2003 al Premio di Poesia itinerante “Poesie in piazza” –<br />

Tappa di Cefalù; Ottobre 2003 4° Posto – Mensione d’onore alla 20^ Ediz. Premio Intern. “Phintia” – Licata (AG);<br />

26/10/2003 2° Posto ex-aequo al 10° Conc. Intern. A.L.A.PA.F. – Bagheria (PA); 16/11/2003 Premio Speciale alla 14^<br />

Ediz. Premio di poesia “B. Joppolo”- Sez. Editi – Patti (ME); 16/11/2003 3° Posto Class. Finale Premio di Poesia<br />

itinerante “Poesie in piazza” – Patti (ME); 25/11/2003 Dipl. di Merito con Med. Alla VIII ^Ediz. Premio Intern.<br />

“L’attualità-Bartalucci” – Roma; 14/02/2004 3° Posto alla 5^Ediz. Concorso di Poesia “Tema d’Amore” – Acireale<br />

(CT); 8/05/2004 Premio Speciale al Premio Art. Lett. “N. Mirto” 2004 – Alcamo (TP); 30/05/2004 4° Posto al i°<br />

Premio Intern. Di Poesia “A. Erato” - Bagheria (PA); 5/09/2004 1° Posto all’11^ Tappa della VI^ Ed. di “Poesia in<br />

Piazza” – Patti (ME); 12/12/2004 4° Posto-Mensione d’onore alla 21^ Ediz. Premio Intern. “Phintia” – Licata (AG);<br />

27/10/2004 2° Posto all’ VIII^ Ediz. Intern. “L’Attualità-Bartalucci” - Roma; 7/11/2004 5° Posto al “Premio Europeo<br />

Tindari Terzo Millennio” – Messina; 5/12/2004 Onorif. Per meriti Poetici “Cavaliere del canto poetico sacro” 6^ Ediz.<br />

“Ars Millennium” Cefalù (PA) Hotel Calura; 12/12/2004 Onorif. Diploma di Poeta Benemerito - XV^ Ed. Premio Naz.<br />

“ R. Piccolo” – Patti (ME); 12/12/2004 3° Posto Conc. Letterario Intern. Memorial “P. Vincenzo Bondì” – Villafranca<br />

(ME); 19/12/2004 1° Posto XV^ Ed. Premio Naz. “R. Piccolo” – Sez. Poeti alla ribalta – montagnareale (ME);<br />

11/01/2005 2° Posto IV^ Ed. Conc. “Natale Insieme 2005” – Acireale (CT); 7/01/2005 Targa e Diploma “Libro d’oro”<br />

Premio Lett. Perm. ”Libro d’oro” – Casa Ed. Universium Rocca di Caprileone (ME); 20/01/2005 Diploma d’onore<br />

Premio Intern. “Una Poesia per la pace” – Casa Ed. Universium; 8/05/2005 4° Posto ex-aequo Gran Premio Letterario<br />

Europeo “ Penna d’autore” – Torino; 21/05/2005 1° Posto V^ Ediz. Premio Naz. di Poesia “S. Leonardo Murialdo” –<br />

Roma; 2/06/2005 Finalista al Premio Art. Lett. “N. Mirto” – Alcamo (TP); 9/08/2005 1° Posto alla Tappa della VII^<br />

Ed. di “Poesia in Piazza” – Ucrìa (ME); 4/09/2005 3° Posto al Memorial “Severino Campanello” – Nizza (ME);<br />

25/09/2005 Diploma di merito 21° G.P. Intern. “Città di San Bonifacio” VR; 8/10/2005 Finalista al 7° Conc. Naz. di<br />

Poesia “Ripa Grande” – Roma; 30/10/2005 3° Posto al Premio Europeo “Tindari Terzo Millennio” 2005 – Messina;<br />

31/10/2005 4° Posto – mensione d’onore alla 22^ Ediz. Premio Intern. “Phintia” – Licata (AG); 11/11/2005<br />

Segnalazione di merito al 28° Premio Intern. “Sicilia 2005” – Palermo<br />

Iasio Lucia<br />

Imburgia Totò<br />

Nato a <strong>Cerda</strong> nel 1946 vi abita fin dalla nascita. Occupa la carica di vice comandante la Polizia Municipale. E’<br />

Presidente dell’associazione La Nuova Compagnia città di <strong>Cerda</strong> gruppo folk i Carrettieri con i quali ha girato quasi<br />

tutta l’Europa.<br />

Inserauto Salvo<br />

Segnalazione di merito (Settembre 2004 ) Premio letterario di poesia “Giacomo Giardina” Città di Bagheria (PA); 3°<br />

Posto Assoluto (Dicembre 2004 ) Concorso letterario nazionale “Prof. <strong>Calogero</strong> <strong>Rasa</strong>” Città di <strong>Cerda</strong> (PA); Menzione<br />

d’onore ( Giugno 2005 ) Premio naz. di letteratura e A. F. “Creatività Itineranti” di Bari; 2° Posto Assoluto (Giugno<br />

2005 ) Concorso letterario nazionale “Re Sole” Garbagnate Milanese (Milano); 5° Posto Assoluto ( Agosto 2005 )<br />

Concorso letterario e canoro “Rosa Balistreri” Città di Licata (AG); Segnalazione di merito (Settembre 2005) Premio<br />

Internazionale di poesia, prosa e A. F. “Il Convivio” di Castiglione di Sicilia (CT); 3° Posto Assoluto (Settembre 2005)


Premio letterario “Giulio Palombo” Comune di Ficarazzi (PA); Menzione di merito (Ottobre 2005 ) Premio<br />

Internazionale di letteratura “ Phintia ” Città di Licata (AG); Menzione di merito (Ottobre 2005 ) Premio Nazionale del<br />

Folklore “ Phintia ” Città di Licata (AG); 2° Posto Assoluto (Novembre 2005) Premio Letterario Nazionale “Zolfare di<br />

Sicilia” di Caltanissetta; 4° Posto Assoluto (Novembre 2005) Premio Letterario Nazionale “Cuore di Sicilia” di<br />

Caltanissetta; 2° Posto Assoluto (Dicembre 2005) Concorso Letterario Nazionale “Premio Aurora” di Palermo;<br />

Segnalazione di merito (Dicembre 2005) Concorso Letterario Nazionale “Premio Aurora” di Palermo<br />

Lazzara Angela<br />

Lazzara Martina<br />

Leggio Giuseppe<br />

è un giovane studente ed autore isnellese, la cui passione per le tradizioni popolari e le letture di ogni genere lo ha<br />

portato alla partecipazione a questa manifestazione, all’esordio dunque, ma con tanta voglia di far bene, cominciando<br />

proprio dal concorso letterario “Prof. <strong>Calogero</strong> <strong>Rasa</strong>”.<br />

Limpido Michele<br />

nasce a Noto il 15/10/1955.<br />

Lo Dato Francesca<br />

è nata a Montemaggiore Belsito il 19.05.1940, abita a <strong>Cerda</strong> coltivando l’amore per la Poesia.<br />

Lombardo Giovanna<br />

Longini Emanuela<br />

nasce a Palermo il 28 giugno 1985.<br />

All’età di dodici anni intraprende lo studio del violino presso il Conservatorio di musica Vincenzo Bellini di Palermo.<br />

Prosegue i suoi studi presso il liceo classico Umberto I dove nel 2003 consegue il diploma. Possiede un attestato come<br />

“Creatore di Moda” .<br />

Nel 2004 inizia il suo intenso anno di servizio civile come volontaria presso “La Casa del Sorriso” di Monreale. Oggi<br />

svolge un’intensa attività concertistica ed è iscritta all’ottavo anno di violino presso il conservatorio di Palermo.<br />

Mandini Giorgia<br />

Mannino Giovanni<br />

nato a Carini il 20.11.1937 e risidente a Bagheria.<br />

Nel 2001, avendo scritto alcune poesie in dialetto siciliano, ha iniziato a fare parte dell’Associazione<br />

Culturale “Giacomo Giardina” di Bagheria. Partecipa ad alcuni concorsi di poesia, conseguendo i seguenti risultati: 3°<br />

Classificato alla XI Ediz.del Conc. Naz. di Poesia "Baronessa di Carini” (2001); Segnalazione di merito al Conc. Naz.<br />

di Poesia «Nino Orsini" anno 200; 2° alla XII Ediz.del Conc. Nazi. di Poesia "Baronessa di Carini" (2002); 2° alla<br />

IX Ediz.del Con.Naz. di Poesia "AL.APAF". di Bagheria (2002); Segnalazione di merito “ Sez. Lingua Italiana” al<br />

Premio Letterario “P.Mirabile" (2002); Segnalazione di merito al Concorso Nazionale di Poesia “Il Paladino” (2002);<br />

2° alla XIII Ediz.del Conc.Naz. di Poesia "Baronessa di Carini" (2003); Segnalazioine di merito alla VII Ed.del<br />

Prem.Naz.di Poesia "Elvezio Petix" di Casteldaccia (2004); 4° Classificato alIa V Ed. del Premio Naz.di Poesia<br />

Religiosa"Carmina Deo" di B.Palizzolo (2004); 2° alla XVIII Ed.del Conc.di Copertina L'Angolo del Poeta "Gianni<br />

Ferraro” Fiera Emaia Vittoria (2004); Segnalazione di Merito alla XXX Ed. Premio Internazionale di Poesia Sez.<br />

Opere Edite in Dialetto Siciliano “Città di Marineo" (2004); 3° Classificato alla XIV Ed.del Conc.Naz. di Poesia<br />

"Baronessa di Carini" (2004); 2° alla III° Ed. Conc.Naz. di Poesia "Il Paladino" in Cefalù (2005); I° alla III° Ediz.del<br />

Conc.Naz. di Poesia Città Mia “Pensieri di carta” in Palermo (2005); 2° alla XIX° Ediz.del Conc.Naz. di Poesia “La<br />

notte delle Muse”Città Balestrate (2005); I° alla II° Ediz. Concorso Letterario Alimena “Sotto le Stelle della<br />

Letteratura” (2005); 2° alla XXXI Ediz.del Premio Internazionale di Poesia Sez.Opere Edite in Dialetto Siciliano “Città<br />

di Marineo" (2005).<br />

Nel dicembre del 2003 ha pubblicato una silloge di poesie in dialetto siciliano “Pinzeri ‘nta la carta” .<br />

Continua a scrivere con successo, espressioni e sentimenti di schietto gusto popolare esternando un mondo interiore,<br />

fatto di sentimenti e di emozioni non spiegabili con la ragione.<br />

Mazzotta Barbara<br />

Ho frequentato la Scuola Magistrale Carlo Tenca a Milano acquisendo il diploma e dopo di questa ho conseguito la<br />

laurea breve presso la “Scuola a Fini Speciali per Assistenti Sociali” presso la Università Cattolica di Milano.<br />

Dal 1995 svolgo questa professione.<br />

Dapprima mi sono occupata di minori soggetti a decreti del Tribunale per i Minorenni poi ho lavorato per tre anni in un<br />

Servizio per le Tossicodipendenze a Milano e dal 1999 lavoro ai Servizi Sociali di un Comune a nord di Milano dove<br />

mi occupo principalmente di disabili.<br />

Sono sposata e ho due bambini di 5 e 6 anni.<br />

Vivo in una piccola cittadina dell’interland Milanese dove sto bene .<br />

Non amo particolarmente viaggiare .<br />

Suono il pianoforte e amo da sempre leggere ,soprattutto romanzi a sfondo psicologico.<br />

Da quando ero un’adolescente scrivo per me stessa e per pochi intimi, per lo più poesie .<br />

Marraffino Elena


Minniti Giuseppe<br />

vive a Messina<br />

Modaffari Domenico Annunziato<br />

Nasce il 05/08/1977. Attualmente vive a San Carlo di Condufori (R.C.).<br />

Morabito Valeria<br />

Mortillaro Daniela<br />

nasce a Marsala il 02/07/1969 dove vive.<br />

Mulin De Assis Fernanda<br />

Neri Margherita Novi<br />

Nicotra Biagio<br />

Pagano Barbara<br />

Pagano Dario<br />

Passafiume Amedeo<br />

Passafiume Clelia<br />

Piazza Antonio<br />

nato a Tripoli il 17/10/1936 e residente a S. Benedetto del Tronto (AP).<br />

Direttore della Fotografia, Sceneggiatore e Documentarista.<br />

Di una sua fiaba ha steso la sceneggiatura per un cortometraggio in fase di realizzazione.<br />

Piazza Francesca<br />

nata a Tripoli (Libia) il 22/12/1931 e residente in Avezzano (Ag.).<br />

Pizzo Concetta<br />

Pugliesi Pietro<br />

Raimondi Chiara<br />

Ranzino Liliana Mamo<br />

nata a Nardò (LE) il 04 settembre 1934.<br />

Vive a Cefalù dal 1945, dove ha fatto gli studi classici. Ha conseguito il diploma Magistrale nel 1954 ed ha insegnato<br />

per 35 anni nelle scuole elementari statali. Si è sposata molto giovane ritrovandosi all’età di 27 anni madre di quattro<br />

figli. Il 28 maggio 1978 è stata colpita dal più grande e profondo dolore, avendo perduto in un incidente d’auto<br />

Vincenzo il suo primo figlio venticinquenne.<br />

Nel 1995 ha pubblicato la raccolta di poesie “Cuore di madre cuore di donna” e ad ottobre del 1999 la raccolta di poesie<br />

“Briciole di vita”. Nel 2002 ha pubblicato la raccolta di poesie “Raggi di luce” e “Quel che resta”. Ha partecipato a<br />

svariati concorsi Nazionali e Internazionali ottenendo riconoscimenti di critica e premi.<br />

E’ Accademica e Senatrice dell’ Accademia Internazionale dei Micenei di Reggio Calabria; Cavaliere della Croce d’oro<br />

dell’Accademia Internazionale Contea di Modica; Accademia del Convivo; Accademia Leopardiana.<br />

Membro Honoris Causa Vita e Pioniere della Cultura Europea del Centro Divulgazione Arte e Poesia della Città di<br />

Sutri.<br />

Svariate sue poesie e prose sono state inserite in 47 antologie e in diverse riviste letterarie.<br />

Romano Maria Angela<br />

è nata a Paleremo il 01.09.1985 e abita a <strong>Cerda</strong>. Studentessa di lettere.<br />

Romeo Paolo<br />

Rossi Rodolfo<br />

nato a Sinalunga (SI) nel 1957 è residente a Roma.<br />

Runfola Cruciano<br />

E’ nato ad Aliminusa il 22.04.1967 Vive a <strong>Cerda</strong> dove insegna Lettere alla scuola Media di <strong>Cerda</strong> .Vincitore del<br />

Concorso Maestro <strong>Rasa</strong> <strong>Calogero</strong> sez “B”.<br />

Saccà Mariarita<br />

Sangervasio Antonio<br />

comincia a scrivere poesie con interesse nel 2004 anche se sempre affascinato.<br />

Si distingue in vari concorsi, fra i quali: Primo posto poesia inedita OMNES ARTES Mentana febbr. 2005; Finale<br />

premio poesia IL FARO (San Pietro Vernotico(BR)aprile 2005); Premio Menzione Speciale concorso IL FUOCO di<br />

Roma 2005; Premio Menzione Speciale concorso I COLORI di Cesena (settembre 2005).<br />

Pubblicazione in antologia Premio Comune Romano di Lombardia (BG) La città aprile 2005; Pubblicazione in<br />

antologia poesia ed. Aletti Internauti giugno 2005; Pubblicazione in antologia Dedicato a ed. Aletti settembre 2005;<br />

Inizio collaborazione proposta pubblicazione Raccolta di mie poesie con edizione II Filo giugno 2005; Pubblicazione<br />

primo libro di poesie intitolato Battiti Primordiali Luglio 2005 Raccolta di poesie ed. il Filo; Pubblicazione in antologia<br />

Barbanera settembre 2005; Pubblicazione in antologia I Colori ed. Farnedi ottobre 2005; Pubblicazione in antologia Il<br />

fuoco ottobre 2005; Pubblicazione in antologia emozioni ed. Pagine.


Scimeca Maria Letizia<br />

Sgarito Carmelo<br />

nasce ad Agrigento il 30/05/1978 e residente in Favara.<br />

Laureato in Scienze della Formazione Primaria, Insegnate Specializzato per le attività di sostegno con i diversamente<br />

abili; Dott. in Pedagogia Clinica, in servizio presso una scuola elementare di Palermo in qualità di insegnate.<br />

Tanti i testi poetici conservati nel “cassetto” e mai resi noti.<br />

Siclari Caterina<br />

nativa di Messina nel 1952 dove abita.<br />

Siragusa Maria Rosa<br />

nata il 30/01/1975.<br />

Operatrice di sala, addetta al primo contatto col pubblico.<br />

Dirigente Associazione Teatrale “Teatro promiscuo di Alia”, prima attrice, si dedica ad attività di volontariato presso<br />

l’Associazione Misericordia di Alia.<br />

Vallati Lenio<br />

Zappulla Guido<br />

nato a S. Agata Militello (ME) il 07/10/1987 e residente a Cefalù, frequenta il Liceo Scientifico “L.F. Tedaldi” di<br />

Castelbuono.<br />

Ragazzo estroverso, ama la musica (ha studiato il violino dall’età di 6 ai 12 anni), il canto e la poesia.<br />

Ha partecipato, sin dall’età di 4 anni, a molte manifestazioni canore locali e diverse selezioni a livello regionale quali:<br />

18/06/93 Partecipa alle selezioni dello “Zecchino d’oro” Palermo con la canzone “Sette matitine” (riceve l’attestato di<br />

partecipazione); 18/07/93 Partecipa alle selezioni di “Bravo Bravissimo” c/o Ass.ne Culturale Canterini Peloritani<br />

Messina con il presentatore Cino Tortorella; 23/08/94 “Nastro d’Argento 94” X^ Edizione Cefalù (PA) 1° classificato<br />

con la canzone “Il coccodrillo”; 26/09/97 Selezione “La banda dello zecchino” Rai – Palermo; Novembre 98 Selezione<br />

Canale 5 “Canzoni sotto l’albero” Palermo, con la canzone “Rose rosse” di Massimo Ranieri; 24/12/98 “Ninaredda”<br />

Natale 98 – Città di Cefalù – Associazione Culturale Cefalù Folk (Violino); 24/12/99 “Ninaredda” – Natale del<br />

Giubileo 2000 – Associazione Culturale Cefalù Folk Gruppo Amatori Musicali Cefaludesi (Violino).<br />

Negli ultimi due anni si è riscoperto poeta in erba.<br />

Ha composto più di quaranta liriche partecipando a diversi concorsi letterari della provincia.<br />

Ha ricevuto il 26/11/2005 “La Segnalazione di merito – Sezione Studenti” per la lirica “Sei solo e soltanto” - Premio di<br />

poesia “Elvezio Petix” VIII Edizione – Casteldaccia.

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